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Italian Pages 180 Year 1998
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61. Simonetta Chessa Wright La poetica neobarocca in Calvino
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L’interprete Collana diretta da Aldo Scaglione della New York University, New York
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Simonetta Chessa Wright
La poetica neobarocca in Calvino
LONGO EDITORE RAVENNA
ISBN 88-8063-161-6 © Copyright 1998 A. Longo Editore snc Via P. Costa 33 - 48100 Ravenna Tel. (0544) 217026 Fax 217554 e-mail: [email protected] All right reserved Printed in Italy
I Il Barocco: un concetto in continua evoluzione
La questione del Barocco quale forma artistica ed estetica predominante tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento si è riaperta in Italia grazie all’intervento di alcuni studiosi! che hanno esaminato e rivalutato le componenti fondamentali della poetica di questo periodo e ne hanno messo in evidenza il ricorrere nella letteratura contemporanea.
All’inizio di questa investigazione degli elementi «neobarocchi» nell’opera di Italo Calvino c’è sembrato utile riassumere brevemente i termini della animata discussione intorno al Barocco facendo riferimento agli studi che tra i primi ne hanno sottolineato l’importanza come epoca a sé stante, i cui concetti di base rimangono validi non solo nell’estetica di un determinato periodo, il diciassettesimo secolo appunto, ma affiorano nella produzione artistica di epoche successive. ! Agli inizi degli anni Sessanta ci fu una serie di convegni in cui si discusse sia l’origine e l'evoluzione del termine Barocco che la funzione storica e la portata delle idee estetiche e filosofiche del periodo. Nei documenti allora pubblicati è possibile osservare come si era ancora agli inizi di una discussione aperta e positiva non solo sul significato della particolare epoca ma soprattutto sulla sua delimitazione cronologica, sulla sua produzione artistica e sul suo fondamentale contributo alla poetica moderna. Per una maggiore comprensione si vedano: Barocco Europeo e Barocco Veneziano, a cura di Vittore Branca, Venezia, Sansoni, 1962; Barocco Europeo, Ba-
rocco italiano, Barocco Salentino, a cura di Pier Fausto Palumbo, Lecce, Centro Studi Salentini, 1970; Manierismo, Barocco, Rococò: concetti e termini, Convegno Internazionale, Roma, Accademia dei Lincei, 1962, quaderno n. LII.
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Capitolo primo
Il termine Barocco fu utilizzato fin dagli inizi della sua storia per definire un’epoca di decadenza edi crisi, i cui prodotti artistici non trovarono critici benevoli o estimatori che nell’Ottocento, quando furono pubblicati, col titolo di Renaissance und Barock,3 gli studi del Woòlfflin, studi che costituirono la-chiave di volta nella ricezione este-
tica e nell’analisi artistica di tutte le riflessioni e di tutti gli scritti posteriori sull’argomento. o Il grande merito del Wélfflin, allievo di quella scuola di pensiero che fa capo a Burckhardt4 e a Nietzsche, è di aver tentato una ricostruzione del pensiero e della filosofia estetica barocca attraverso lo studio particolare delle opere d’arte prodotte in quel periodo, tenendo in considerazione l’evoluzione delle nuove teorie filosofiche nate dalla opposizione a un ideale di classicismo, ancora vitale nella filosofia tedesca del diciottesimo e diciannovesimo secolo, in favore di una este-
tica sensibile ed aperta alle istanze della cultura moderna.
2 Otto Kurz, «Storia di un concetto», in Barocco Europeo e Barocco Veneziano,
cit., pp. 15-33; Pier Fausto Palumbo, op. cit., pp. 29-40; Giovanni Getto, La polemica sul Barocco, in Letteratura e critica nel tempo, Milano, Marzorati, 1968, p. 213, cita, a proposito della scarsa ricezione positiva del Seicento, il Baretti: «Quel secolo infelice che fu [...] marchiato a fuoco dagli Italiani con il disonorevole appellativo di cattivo secolo della lingua». 3 Heinrich Wolfflin, Renaissance and Baroque, Ithaca, Cornell University Press, 1966 (ed. orig. Renaissance und Barock, Minchen, Ackermann, 1888). 4 Jakob Burckhardt, The Civilization of the Renaissance in Italy, New York, Macmillan, 1890, interpreta l’elemento barocco in contrapposizione alla regolarità e al senso della misura rinascimentali. Per lo studioso svizzero il barocco equivale in definitiva ad un «antirinascimento», in cui vengono esaltate passione ed irregolarità, emozioni e stati d’animo quasi sconosciuti alla poetica classicista. Sulla questione del Barocco come «antirinascimento» cfr. Eugenio Battisti, L’antirinascimento, Milano, Feltrinelli, 1962. 5 Friedrich Nietzsche, Menschliches Allzumenschliches: ein Buch ftir freie Geister, Chemnitz, Schmeitzner, 1878, aveva rilevato due caratteri fondamentali nell’arte: l’apollineo e il dionisiaco. Egli vede una netta contrapposizione tra un ideale di classicità, determinante un atteggiamento di misura e regolarità nella creazione della forma artistica, e un atteggiamento più moderno, che travolge le forme a favore di un tipo dialettico non conciliato ed antiarmonizzante di matrice antihegeliana. In Menschliches Allzumenschliches Nietzsche pone la problematica dell’apollineo e del dionisiaco in termini di classico ed anticlassico e li collega rispettivamente al Rinascimento e al Barocco.
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L'indagine del Wòlfflin si concentra quasi esclusivamente su espressioni artistiche di tipo figurativo. Alla base della sua ricerca sta la contrapposizione tra Rinascimento, età della misura e dell’equilibrio, e Barocco, periodo nel quale leleggi estetiche del classicismo vengono sovvertite a favore di una visione del mondo dichiaratamente più ampia, la quale, nel proporre una nuova e più complessa cosmogonia, determina un radicale cambiamento nel gusto culturale. Le due epoche vengono analizzate in modo contrastivo e tuttavia lo studioso non percepisce nel Barocco una forma estetica in evoluzione, un farsi artistico che affonda le proprie radici nell’Alto Rinascimento e nel Manierismo; Wòlfflin rimane legato alla tesi del suo maestro Burckhardt per il quale il Barocco è il risultato di uno sfasamento sociale ed estetico.” In un’opera più matura, i Kunstgeschichtliche Zeitbegriffe, lo studioso riprende in esame l’arte barocca proponendo alcune osservazioni fondamentali sulla sua estetica ed evidenziando in primo luogo l’importanza assegnata da questa alla funzione ottica: l’occhio diventa il maggiore strumento di percezione della realtà, esso non soltanto vede, ma costruisce ciò che vuol vedere.? Wolfflin organizza la sua analisi in coppie oppositive che riflettono le
diverse tendenze epocali. Il Rinascimento è contrassegnato da un movimento lineare che nel Barocco diventa una pulsione verso il pittorico; alla superficie è opposta la profondità, alla forma chiusa del Rinascimento il Barocco oppone la forma aperta, alla unità viene op6 Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, Torino, Einaudi, 1979, pp. 457-67 (ed. orig. Soziologie der Kunst, Minchen, Beck, 1974). 7 Jakob Burckhardt, The Civilization of the Renaissance, cit.; Heinrich Wélfflin, Renaissance and Baroque, cit. In contrasto con le tesi sostenute sia dal Burckhardt che dal Wòlfflin si trova Alois Riegl, Die Entstehung der Barockkunst in Rom, Miinchen, Màander, 1987 (ed. orig. Die Entstehung der Barokkunst in Rom. Aus seinem Nachlass, Hrsg. von Arthur Burda und Max Dvorak, Wien, K.K. Hof und Staatsdruckerei, 1901), che tenne a Vienna una serie di lezioni sull’arte barocca in cui si distanzia dalle tesi dei suoi contemporanei sia per quanto riguarda il problema della decadenza sia per ciò che riguarda la tesi che ritiene il Barocco una forma artistica in diretto contrasto con l’epoca precedente; il critico considera infatti il Barocco un modo diverso di vedere la realtà legato al cambiamento della sensibilità dell’artista e.dell’uomo secentesco che non ha niente a che vedere con la decadenza. 8 Heinrich Wòolfflin, Kunstgeschichtliche Zeitbegriffe. Das Problem der Stilentwicklung in der neuen Kunst, Minchen, Bruckmann, 1915, p. 150.
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posta la molteplicità e alla chiarezza la non-chiarezza, l’abolizione dei limiti e la tendenza alla rappresentazione dello sconfinato. Il concetto di spazialità concorre alla formulazione della sensibilità barocca, la pulsione verso l’infinito? si fa più pressante, si passa dalla linearità della forma semplice a un movimento che trascende le forme stesse e ne sollecita la distruzione, mentre la tensione verso l’illimitato fa presagire l’imminenza del caos. F Alla diversa concezione dell’infinito, divenuto vastità e profondità spaziale, corrisponde una potenziata facoltà sensitiva, una più raffinata disposizione a percepire e rielaborare forma, luce e movimento. L’occhio acquisisce una duplice funzione, è strumento visivo, che riflette e
riproduce la realtà, e filtro culturale, che ne interpreta le molteplici manifestazioni. Supremo organo ordinatore esso coordina la forma dello spazio e le forme nello spazio, forme di cui vengono percepiti, non senza angoscia, l’infinito movimento e l’estrema dinamicità.!° L’energia, il movimento, la pulsione verso un ordine rappresentano l’inquietante dinamica del Barocco e, per il Wòlfflin, la sua straordinaria modernità. Alla forma rinascimentale, esteticamente esaurita, lo stu-
dioso contrappone la forma dinamica, fluida ed incostante del Barocco, il cui impeto trova la sua più concreta rappresentazione, in pittura e in letteratura, nella poetica dello schizzo, nel quale ogni soluzione ri-
mane aperta, ogni direzione di sviluppo potenzialmente attiva.!! L’impressione di movimento dello schizzo va verso la dissoluzione della regolarità, verso una forma asimmetrica che si basa su una composizione di luci ed ombre trasformate in masse di energia. La linea perde di importanza rispetto alla luminosità e all’effetto coloristico e l’im-
? Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, cit., p. 462: «Nel barocco si rivela lo
sforzo di suscitare negli animi il senso dell’inesauribile, dell’inafferrabile, dell’infinito». 10 Alois Riegl, Arte tardoromana, Torino, Einaudi, 1979, p. 29: «L’organo che noi usiamo maggiormente per renderci conto delle cose che sono fuori di noi, è l’occhio. È un organo che ci mostra le cose unicamente come superfici colorate e niente affatto come entità materiali impenetrabili: proprio la percezione ottica è quella che ci fa apparire le cose del mondo esterno in caotica confusione» (ed. orig. Spàtròmische Kunstindustrie, Wien, K.K. Hof und Staatsdruckerei, 1901).
!l Heinrich Wélfflin, Kunstgeschichtliche Zeitbegriffe, cit., pp. 179-80.
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magine, nella sua rappresentazione visiva, si basa in maggior misura sulla partecipazione dei sensi che sull’intervento dell’intelletto.!? La poetica dell’istante è una ulteriore componente della sensibilità barocca, attenta a tutte le espressioni del momentaneo, dell’infinito e
mutevole. Se il Rinascimentò aveva celebrato la «felicità» dell’esistere, il Barocco mette in rilievo la tensione e l’irrequietezza del «nascere», l’inquietudine del «divenire». La forma geometrica che sottolinea maggiormente la tensione, l’irrequietezza e il mutamento nonè il cerchio, espressione di serena perfezione, ma l’ellisse, con la sua proporzione ambiguaela sua estensione libera.!3 Una tale modificazione nella compenetrazione intellettuale del cosmo indica il maturarsi di una crisi, l’affermarsi di una visione dell’universo come sistema in conti-
nuo squilibrio, in perpetua dissonanza.
!2 1 primi movimenti artistici del Novecento, dall’Espressionismo al Futurismo, sostengono l’idea del dinamismo e la perdita di importanza della forma rispetto al colore come formula rivoluzionaria verso una creazione innovativa. Queste tesi, fatte
proprie dall’estetica contemporanea, contribuirono al passaggio dall’oggettivismo al soggettivismo, il cui punto di partenza non sarà più l’oggetto estetico ma la reazione che esso suscita nel soggetto che lo contempla; queste tesi culmineranno nella teoria dell’empatia, definita in tal modo da Theodor Lipps, teorema i cui due poli fondamentali sono l’impulso alla identificazione del soggetto con l’oggetto e la spinta all’astrazione, alla creazione di modelli astratti ed inorganici; cfr. Wilhelm Worringer, Abstraction and Empathy; A Contribution to the Psychology of Style, New York, International Universities Press, 1953; in Calvino la problematica del soggetto è costantemente in primo piano, soprattutto in Palomar, Torino, Einaudi, 1983, p. 116, in cui il protagonista, al termine del suo percorso osservativo, si domanda: «Ma come si fa a guardare qualcosa lasciando da parte l’io? Di chi sono gli occhi che guardano?» 13 Severo Sarduy, Barroco, Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1974, p. 57,
fa risalire a Keplero la scoperta di un universo non più retto dalla forma perfetta del cerchio, con un unico centro, ma dalla conglomerazione di molteplici centri che danno vita alla forma ellittica. «Più che considerare l’ellisse come forma conclusa, paralizzata, si dovrebbe assimilare la sua geometria a un momento dato della dialettica formale: molteplici componenti dinamiche, proiettabili su altre forme, generatrici. La supposta ellisse definitiva potrebbe a sua volta decomporsi, convertirsi in altre figure coniche, ridursi a una interazione di due nuclei o alla escissione di uno, centrale, che sparisce, alla dilatazione di un circolo, etc. Da questo momento non c’è, per definizione, chiusura; la forma geometrica, in questa lettura, funzionerebbe come
‘grama mobile’).
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Capitolo primo
La nuova percezione del cosmo non può essere espressa estetica-
mente che per antitesi e contrasti, proporzioni impure, sofisticate dissonanze. Alla forma che perde fascino e valore, si sostituisce l’efficacia dell’impressione,
il ricercato effetto della meraviglia, che conse-
gue da comparazioni inusuali, dall’unione di termini lontani, dalla giustapposizione di immagini nuove in strutture anaforiche di ambi-
guo valore semantico.
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Una tale poetica produce nel pubblico una diversa sensibilità, una ricettività nervosa, non più stimolata da forme artistiche tradiziona-
li.!4 L’occhio viene travolto dall’impressione visiva o uditiva generale e perde il contatto della forma particolare, viene sottolineata l’assenza di una qualsiasi autonomia, e succede allora che l’artista si accosti al soggetto della sua opera con una «visione sintetica che finisce per som-
mergere ogni particolare isolato».!5 Contemporaneo del Wòlfflin e sensibile studioso, Alois Riegl estende l’analisi sul Barocco a nuove categorie di costruzione visiva. Mentre il Wélfflin aveva esaminato i prodotti artistici del Seicento da un punto di vista prospettico, sottoponendo ogni opera ad una analisi a distanza, il Riegl oppone una visione nella quale l’intervallo spaziale viene eliminato, offrendo così all’osservatore la possibilità di stabilire una visione per contatto, o «visione tattile», che nega qualsiasi allontanamento di carattere generalizzante.!9 Riegl rileva la contrapposizione spaziale tra i due approcci: nel metodo visivo semplice si verifica una apprensione ottica distaccata, di tipo prospettico, mentre nella visione
14 Giovan Battista Marino, Fischiata XXXIII, in Murtoleide, Opere scelte di Giovan Battista Marino e dei Marinisti, a cura di Giovanni Getto, Torino, UTET, 1962, p. 627. Il poeta secentesco è il primo ad affermare il valore della poesia come espressione della «meraviglia», che coinvolge, nella geniale soluzione finale, la capacità intel-
lettiva del pubblico, generando in esso stupore ed ammirazione allo stesso tempo; cfr. inoltre: Balthasar Graciàn, Agudeza y el arte de ingenio, San Cristobal, Universidad
Catolica del Tachira, 1984; Emanuele Tesauro, // cannocchiale aristotelico, August Buck Hsg., Bad Homburg v. d. H. — Berlin-Zirich, Gehlen, 1968, nei quali vengono riconfermate le teorie della «agudeza» e dell’ «ingenio» come elementi fondamentali della poetica secentesca.
15 Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, cit., p. 463. 16 Alois Riegl, Arte tardoromana, cit., p. 193.
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tattile essa si attua per contatto, a distanza ravvicinata e aprospettica.!7 Significativamente il Riegl si distacca dalle tesi decadentiste del Wolfflin, la sua ricerca si fonda infatti su un modello estetico evoluzionistico, basato sulla volontà dell’intenzione artistica, sul Kunst-
wollen. Quando una intenzione artistica sia presente e si traduca in una forma estetica nuova e originale, è fuori luogo ogni definizione di decadenza. Ogni periodo di crisi racchiude quindi in sé una componente di energica tensione creativa. !8 L’interesse per il Barocco, evidenziato dagli studi del Wòlfflin e del Riegl, cresce in tale misura agli inizi del Novecento che traicritici viene riconosciuta la necessità di rivalutarne il significato estetico e di storicizzarne i paradigmi formali. Molti studi del periodo insistono in particolare sulla profonda affinità tra il Seicento e il panorama culturale del tempo. Enrico Nencioni indica lo stretto rapporto tra il Seicento e alcuni movimenti estetici moderni e dimostra acuta sensibilità nel distinguere due opposte direzioni di sviluppo dell’estetica barocca, una prima fortemente innovativa e una seconda che sfocia in forme deliranti e degenerate.!? Nella interessante e per noi significativa conclusione il critico definisce il Barocco il primo movimento artistico ed estetico moderno, strumentale nella formulazione delle poetiche di
gusto simbolista e decadente.?0
17 Ezio Raimondi, Barocco moderno: Carlo Emilio Gadda e Roberto Longhi, Bologna, C.U.S.L., 1990, pp. 214-220. 18 Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, cit., p. 459, critica le posizioni teoriche del Burckhardt e del Wolfflin, mettendo in evidenza soprattutto l’incapacità dimostrata dagli studiosi svizzeri di vedere nel Barocco la necessità di una evoluzione storica legata in maniera diretta ai periodi precedenti. Secondo Hauser, invece, quel periodo diventa l’espressione più completa delle tendenze e delle direzioni indicate dal Rinascimento e dal Manierismo. 19 Enrico Nencioni, Barocchismo, in La vita italiana nel Seicento, Milano, Treves, :1927, pp. 269-98. 20 Giovanni Getto, Letteratura e critica nel tempo, cit., p. 246: «Questo barocchismo, di cui ho esposto qualcuno dei molteplici aspetti che ha nelle varie sue fasi del grandioso e dell’ardito, dello stravagante e del ridicolo, del molle e del triste, è essenzialmeate moderno, nella sua appassionata ricerca del nuovo a ogni costo: e certe sue espressioni, prima che esso deliri assolutamente, ci simpatizzano più della inappuntabile symmetria prisca». In questa osservazione si nota un elemento di parti-
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Capitolo primo
Raffaello Fornaciari?! indica, come fondamentali analogie tra il Seicento e la propria epoca, una certa «irrequietezza», il «bisogno di novità», la «mescolanza di stili» e, infine, la «ricerca dell’enigmatico,
del curioso, dello stravagante».?? Lo studioso osserva inoltre con preoccupazione il crescente impiego della metafora, che aveva trovato nel Seicento un fertile terreno di crescita. Come per il Croce anche per Ferdinando Nunziante il Barocco corrisponde al «brutto», ad una mancanza di considerazione per le regole stabilite e all’arbitrio imposto da nuove forme e nuovi stili.?3 Alle osservazioni del Croce e del Nunziante fa eco Alfredo Rolla, che consi-
dera il Barocco un movimento artistico teso all’eccesso del soddi-
sfacimento edonistico.?4 Per Arturo Graf l’arte barocca, sebbene non slegata dal concetto di crisi, non può venir considerata esclusivamente come espressione di
colare interesse che riguarda la nozione di ricezione della poetica stravagante e grandiosa del Barocco: quest’arte possiede, per il pubblico della seconda metà dell’Ottocento, una curiosa capacità di attrarre, di sensibilizzare, di rendersi «simpatica». 21 Raffaello Fornaciari, Traslati scientifici e modi convenzionali, in Fra il nuovo
e l’antico, Milano, Hoepli, 1908, pp. 323-57. 22 Ivi, pp. 355-6. Lo studioso introduce tuttavia alcune distinzioni fra le due epoche: l’artista del Seicento «nel lavorar di traslati mirava a far maravigliare ilettori coll’accostare immagini le più disparate, o ad ornare esageratamente concetti umili. Noi invece non parendoci mai di render chiaro, evidente, robusto il nostro concetto, miriamo a incarnarlo, a scolpirlo, quasi direi, in una frase metaforica; e mossi dal trovar somiglianze in tutti gli ordini del sapere, ci leviamo alle più alte astrazioni». 23 Ferdinando Nunziante, // conte Alessandro Tassoni e il Seicento, Milano, Quadrio, 1885, p. 125: «Io temo che come in Italia abbiamo avuto un seicentismo, ci
si prepara purtroppo un novecentismo. Anche oggi, come allora, tutti tentano di uscire dalle solite vie, anche oggi, come allora, c’è uno strano rigoglio di vita, c’è un ardore, un’insofferenza di regole che fa tremare. Anche oggi, come allora, tutti aspirano ad essere originali, a dar novità, a superar gli altri a costo del buon gusto [...] anche oggi, le metafore diventano paradossali».
24 Alfredo Rolla, Storia delle idee estetiche in Italia, Torino, Bocca, 1905, pp. 64-8. Rolla afferma tuttavia che ad una decadenza dell’arte fa riscontro la nascita di una scienza moderna, sostenuta da una ritrovata libertà di coscienza e di pensiero: «Quello che nel ’400 e nel ’500 era avvenuto nella filosofia, nel ‘600 avveniva nella
scienza e da questa si irradiava ad ogni genere di studi».
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un periodo decadente; essa rimane un movimento a tendenza innovatrice la cui spinta più energica è determinata dalla scienza galileiana. Graf si avvicina al Barocco con sensibilità ricettiva nuova e riconosce in esso il tentativo di superare i modelli imposti dal Rinascimento, di rinnovare forme e stili, di introdurre l’«arditezza», la «curiosità di pensiero»,
la «trasformazione» e la «non corruzione».25 Il Calcaterra rinviene nel Barocco la forma espressiva di una condizione dello spirito tutta tesa a scomporre l’antiquata struttura mentale aristotelica e scolastica.?9 Nella sua analisi prevale un orientamento di tipo storico che tuttavia non pone in secondo piano l’esame dei fenomeni stilistici predominanti. Per lo studioso il Barocco è soprattutto caratterizzato da una intensa investigazione gnoseologica, da una cospicua attenzione per lo sperimentalismo scientifico a cui si affiancano, in poesia, i tentativi di risolvere la profonda inquietudine in esperienze di tipo estetico ed estetizzante. È da questo estremo contrasto che per il Calcaterra emergono, nel canone espressivo, le contorsioni verbali e figurative, le spirali stilistiche, l’abuso delle metafore e, so-
prattutto, la necessità di stabilire nuove categorie intellettuali e spirituali.” Al Calcaterra non sfugge quindi l’intima connessione tra la condizione spirituale del tempo e il configurarsi di nuove tecniche espressive. Giovanni Getto concorda con il Calcaterra nell’affermare che la perdita di certezze sperimentata dall’artista e dall'uomo del Seicento si risolve in un unico punto saldo: «la validità di una tecnica sempre più perfezionata», che possa combattere «l’instabilità del reale, le ingannevoli parvenze delle cose, la relatività dei rapporti fra le cose stes-
se».28
25 Arturo Graf, JI Fenomeno ottobre 1905, p. 358.
del Secentismo, in «Nuova Antologia», LXIX, 1
26 Carlo Calcaterra, Controriforma e Seicento, Firenze, Sansoni, 1937. 27 Ivi, p. 280. Alla visione storicista del Calcaterra si era allacciato Mario Praz, Secentismo e Marinismo, in «La Voce», Firenze, 1925, il quale afferma che il Baroc-
co deve essere considerato come qualsiasi altro fenomeno letterario, valutato studiandone le motivazioni interne e le diverse strutture formali.
28 Giovanni Getto, La polemica sul Barocco, cit., p. 266.
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Capitolo primo
La predilezione per la componente metaforica del linguaggio, la propensione a inventare schemi e modelli sempre nuovi, ad adottare uno stile allusivo e traslato sono solo alcune delle peculiarità della sensibilità estetica barocca. La metafora [...] nell’impiego che ne fecero i barocchi non pare disposta a ridursi a un mero ed estrinseco fatto retorico: essa invece sembra piuttosto rispondere alla necessità espressiva di un modo di sentire e di manifestare le cose, come elemento di un giuoco complesso di allusioni e di illusioni, come ideale possibilità di traduzione di ogni termine del conoscibile, in una prospettiva in cui le cose sembrano perdere la loro statica e ben definita natura per essere rapite in una universale traslazione che scambia profili e muta significati. La metafora [...] si pone nell’età barocca come lo specchio di una visione della vita [...] si potrebbe addirittura parlare di un «metaforismo» e di un «metamorfismo» universali come
di essenziali modi di avvertire e di esprimere la realtà.??
La polisemia della metafora anticipa, nella sua proprietà associativa, la moderna questione della catalogazione del conosciuto e del conoscibile in una rete organica?° di segni che evochino, attraverso relazioni e corrispondenze, le manifestazioni fenomeniche del mondo oggettivo. È del Barocco l’esigenza di concepire il sapere come un sistema di strutture che potenzino la capacità umana di discernere i molteplici aspetti del reale. «Metaforismo» e «metamorfismo», tendenze estetico-filosofiche predominanti nel Seicento, divengono istanze attraverso cui l’artista e, più in generale, l’uomo del Seicento e del Novecento, tentano di far fronte ad una realtà in continuo divenire.
Stimolanti tesi sull’anatomia dell’estetica barocca sono state avanzate da Luciano Anceschi, il quale analizza lo spirito del tempo mettendo a punto un itinerario fenomenologico; il suo esame èteso a ren-
29 Ivi, p. 267. 30 Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975, definisce questa struttura organica una «enciclopedia»; in Marc Augé et alii, // sapere come rete di modelli, Modena, Panini, 1981, il concetto di rete è stato applicato al meccanismo e al processo della conoscenza.
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dere il periodo barocco «vivo, presente, utile e percepibile a noi».3! Per Anceschi è necessario partire da una «descrizione storica determinata», completata la quale si potrà passare ad «allargarne la funzione euristica ad altri tempi, movimenti, sistemi culturali».3? Oltre a registrare ben veftidue tipi di Barocco, che si estendono
dal macedonicus all’officinalis, Eugenio D’Ors esplora il fenomeno di quell’estetica le cui coppie oppositive sono a suo parere costituite da «logos» e mistero, idea e natura, naturale e artificiale, maschile e fem-
minile.?3 Le sue osservazioni sulla sensibilità barocca lo portano a riconoscere in essa un modo di intendere la realtà in diretta contrapposizione a quello dello stile classico, da cui il Barocco dichiaratamente si allontana. «Lo stile classico, tutto di economia edi ragione, è lo stile delle forme che pesano, e il Barocco, tutto musica e passione, è grande
agitatore di forme che volano».34 Il critico registra inoltre alcune tendenze della produzione artistica secentesca, fra le quali la predilezione per l’irregolare, il gusto dell’eterodosso, la tendenza al bizzarro e all’astruso e infine la nozione del mondo come labirinto. La rappresentazione del mondo come fitta rete labirintica risale al Manierismo ma diventa una costante dell’universo barocco. Per Ma-
31 Luciano Anceschi, /dea del Barocco, in Barocco e Novecento, Milano, RusconiPaolazzi, 1960, p. 19.
32 Omar Calabrese, L’età neobarocca, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 23. 33 Eugenio D’Ors, De/ Barocco, Milano Rosa & Ballo, 1945, in accordo con le tesi formaliste, concepisce il Barocco come categoria metastorica; allo studioso è
stata tuttavia rimproverata soprattutto la mancanza di una vera e propria coerenza nella catalogazione delle categorie e una certa tendenza a moltiplicare le opposizioni all’infinito, senza che ad esse corrispondano caratteristiche propriamente barocche; cfr. Omar Calabrese, op. cit., p. 22. 34 Cfr. Lanfranco Caretti-Giorgio Luti, La letteratura italiana per saggi storicamente disposti. Il Seicento e il Settecento, Milano, Mursia, 1972, p. 4.
35 Gustav René Hocke, Die Welt als Labyrinth, Minchen, Rowohlt 1957, p. 98, ha condotto uno studio erudito ed esaustivo sulla dimensione labirintica nell’arte figurativa dal Manierismo all’età contemporanea. La sua attenzione si sofferma, tra l’altro, su alcuni disegni «labirintici» di Leonardo dai quali il critico deriva una interessante interpretazione del labirinto tardo-rinascimentale e barocco: per il grande artista esso rappresentava «una astratta, razionale simbolicità dell’infinito con in essa una serie di forze in movimento rapido (convulsivo), eppure misteriosamente ordina-
Capitolo primo
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rio Costanzo il labirinto contestualizza e metaforizza una situazione di crisi «dei rapporti tra l’uomo e il mondo oggettivo: con la conseguenza di un interesse polarizzato sempre più esplicitamente verso l’uomo stessoy.39 In discussione è il rapporto tra il mondo oggettivo e la realtà soggettiva: «Non è in gioco il semplice riprodurre la realtà esterna» ma il decifrarla, il possederla, «inventandola tutta daccapo in base ai diagrammi che ognuno può registrare dentro di sé: chiuso, porte e finestre, al mondo di fuori).57 L’analisi della ricezione storica del Barocco dà luogo ad alcune stimolanti riflessioni sulla sua sensibilità ed estetica e fa affiorare altrettante considerazioni sull’estetica e sulla poetica contemporanee. Avendo esaminato i due periodi in questione Jacques Bousquet ne rileva affinità e somiglianze e propone le seguenti osservazioni: L’una e l’altra sono epoche di grande rivoluzione spirituale e sociale, l’una e l’altra si caratterizzano per una sensazionale apertura di orizzonti (ieri il Nuovo Mondo, oggi lo spazio), l’una e l’altra sono segnate da profonde inquietudini e da gigantesche ambizioni, da ogni sorta di rim-
pianto e da una immensa fiducia nel futuro.38 L’esplorazione condotta sul Barocco evidenzia la vitalità del dibattito teorico inaugurato dal Wélfflin e ne sottolinea la propensione a estendere le diverse direttrici formali ad altri modelli estetici. È infatti marcato in tutti i critici l’orientamento a riconoscere nello stile barocco non un fenomeno isolato ma un insieme di sistemi e modelli estetici ricorrenti. È necessario a questo punto ricavare dalla precedente esplorazione spunti e suggestioni che siano di ausilio all’investigazione dell’autore oggetto del presente studio. Si è già osservato come la questione del Barocco sia ancora aperta e produca accese discussioni e polemite. Al suo centro si trova l’‘enigma’— un essere umano agente e pensante [...] che sta freddo e composto come un demiurgo». 36 Mario Costanzo, // Gran Teatro del Mondo. Schede per lo studio dell’iconografia letteraria nell’età del Manierismo, Milano, Scheiwiller, 1964, p. ciii. 37 Ivi, p. 260. 38 Jacques Bousquet, // Manierismo in Europa, Milano, Bramante, 1963, pp. 290-1.
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che sia per quanto riguarda la sua ricezione sia per quel che riguarda l’attribuzione di un giudizio estetico; indubbiamente degno di nota èil dibattito sull’incidenza del Seicento nell’arte contemporanea. I risultati di questa discussione costitaiscono un valido sostegno alla disamina del composito universo poetico e letterario del Novecento ein particolare rappresentano un importante punto di riferimento per l’interpretazione dell’opera narrativa di Italo Calvino. Le tematiche di base, oltre alle caratteristiche morfologiche, sintattiche e stilistiche della poetica barocca, non solo quelle più propriamente estetiche, ma quelle storiche e metastoriche, sono il legame tra l’individuo e il mondo circostante, la diffusa percezione dell’universo come organo dissonante,
l’inquietudine dell’incessante ricerca di ordine e di armonia. Il panorama culturale contemporaneo, dall’arte figurativa, alla letteratura, ai mezzi di comunicazione di massa, è caratterizzato dalla
presenza di uno spirito e di un gusto che alcuni studiosi non esitano a definire «neobarocco». Secondo Omar Calabrese la caratteristica specifica del «neo-barocco» consiste in «una ricerca di forme, — e nella loro valorizzazione — in cui assistiamo alla perdita dell’interezza, del-
la globalità, della sistematicità ordinata in cambio dell’instabilità, del-
la polidimensionalità, della mutevolezza».?° Lo studioso vaglia la questione analizzandone gli indirizzi formali e le manifestazioni concrete, applicando alla sua analisi i principi di una poetica barocca modernamente rivisitata. La sua indagine è di tipo analogico e comparativo e parte dall’esame delle molteplici strutture soggiacenti che sono il prodotto di due diverse epoche storiche ma nelle quali si individuano delle coincidenze sia nell’ambito tematico che in quello dello stile. Tra le tendenze predilette dall’arte figurativa del Seicento Calabrese segnala la poetica dello schizzo, che libera la creazione artistica dai limiti di un orizzonte finito, compiuto, chiuso. Lo schizzo determina una sensazione di indefinitezza, che è ricca di
mistero perché non totalmente chiara, non appartenente ad una struttura compiuta o ad un sistema globale in cui tutte le parti sono esposte; al contrario in esso è costante la sensazione che vi sia un tutto, un insieme nascosto, che l’artista non ha saputo o voluto rappresentare. e
39 Omar Calabrese, L'età neobarocca, cit., p. vi.
Capitolo primo
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Questo procedimento artistico è evidente, secondo Calabrese, nelle
composizioni in «dettaglio». Nei capitoli del presente studio verrà dedicato ampio spazio alla analisi di testi calviniani in cui sono evidenti esempi di tali strutture, dalla interpretazione delle carte nel Castello dei destini incrociati, alle descrizioni de Le città invisibili, alle circo-
stanziate osservazioni di Palomar. Il secondo modello di costruzione peculiare all’arte barocca è definito a «frammento», che esiste, al contrario del dettaglio, al di fuori
dell’intero e al quale non può essere ricongiunto. Espressione di una perdita, il frammento è caratterizzato dalla mancanza di globalità e
dalla impossibilità del suo recupero. Un esempio di struttura a frammento nei romanzi di Calvino sono Le cosmicomiche e Se una notte d'inverno un viaggiatore. In Se una notte, in modo particolare, l’intreccio è sostenuto dal Leit Motiv della
ricerca di una completezza, di una interezza che viene continuamente vanificata dalla frammentarietà delle letture dei vari incipit, mai con-. validati da una conclusione. I fenomeni dell’instabilità e della metamorfosi sono parte integrante delle forme cosiddette «neobarocche». Secondo Calabrese l’instabilità ricorre, nelle strutture narrative, a tre diversi livelli, nei temi e nelle
figure rappresentati, nelle strutture testuali e infine nel rapporto tra figure, testi e tipo di fruizione degli stessi. I diversi livelli sono sottoposti continuamente ad un processo di interazione e mutua modificazione che, originata ad un certo livello, si estende contemporaneamente a tutti gli altri.4! Questo fenomeno è osservabile in modo particolare nei modelli narrativi e ordinatori de Le cosmicomiche, Se una notte
d’inverno un viaggiatore, Il castello e La taverna dei destini incrociati, le Città invisibili, in cui l’instabilità della forma interna si riverbera
nella creazione di continue metamorfosi testuali. Nell’ambito «neobarocco» vi sono tuttavia altri elementi fondamentali per lo sviluppo della presente analisi: di-.particolare peso è la
40 Ivi, pp. 82-3. Da questa opposizione, di stampo squisitamente formale-stilistico, tipico della scuola che fa capo al Wòlfflin, derivano per Calabrese, due diverse estetiche, una classica o «del normale», e l’altra moderna o dell’«eccezionale».
41 Ivi, pp. 109-10.
Il Barocco: un concetto in continua evoluzione
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storica dicotomia ordine-caos, che tanto travaglia sia il nostro scrittore che i suoi personaggi. Il pensiero aristotelico, secolare baluardo della filosofia occidentale, ha abituato le menti ad una struttura di nozioni
oppositive quali ordine, regola; cosmo, finitezza, armonia, contrapposte dialetticamente a quelle di disordine, caos, indefinito e disarmonia. Questa impostazione filosofica definisce il problema della osservazione dell’universo in termini di descrizione ed interpretazione dei fenomeni osservati e ne prevede la classificazione in una struttura omologata. Ovviamente questa classificazione comprende, oltre a fenomeni chiaramente identificabili, manifestazioni fenomenologiche non riconducibili a leggi fisiche riconosciute, per cui in tali casi si sono adottate nozioni come caos eirregolarità, confermando in tal modo l’esistenza di fenomeni che sfuggono a canoni di intelligibilità e ricorsività. A questo riguardo la posizione scientifico-filosofica più relativista e moderna accoglie la tendenza ad osservare ciascun fenomeno nell’ambito del sistema referenziale in cui esso è inserito e attraverso il quale verranno interpretati pertinenti episodi di irregolarità, variabilità e ca-
sualità.42 Ogni manifestazione fenomenologica verrà analizzata quindi in base a leggi di pertinenza che ne definiscano esattamente la natu-
ra, la funzione e l’effetto.4 Le ricerche e gli studi condotti negli ultimi anni hanno portato alla luce la straordinaria diversità dei fenomeni ricorrenti in natura e la complessità della loro dinamica, diversità e complessità che hanno spinto gli studiosi a definirne i processi evolutivi con il termine di caos. L'analisi delle teorie che consentono di determinare le strutture
42 Sostenitore di questa posizione è Benoît Mandelbrot, Gli oggetti frattali, Torino, Einaudi, 1987, che definisce e descrive, con l’ausilio di originali formule matematiche, le forme fino ad ora ritenute irregolari, per cui non era ancora stata avanzata
una chiara enunciazione scientifica. Lo studioso parla soprattutto della forma irregolare, interrotta, frastagliata, di oggetti presenti in natura ad innumerevoli livelli e ne mette in evidenza la «bellezza», proponendo formule che ne descrivano e riproducano l’andamento alivello teorico. 43 Ilya Prigogine-Isabelle Stengers, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1981. 44 Robert May, Simple Mathematical Models with Very Complicated Dynamics, in «Nature», CCLXI, 1976, pp. 459-67.
Capitolo primo
DO.
di delimitazione e comprensione del «caos» è culminata in un seminario i cui documenti sono stati pubblicati nel 1985 in un volume dal
titolo La sfida alla complessità.* Le teorie esposte in quel seminario si rifanno alle formule scientifiche di Nicklas Luhmann, che aveva indicato la riduzione di complesse strutture fenomenologiche in semplici ma efficaci formule matematiche. La questione della riduzione delle leggi che regolano l’universo a una rete di modelli, o più propriamente, a un «modello dei modelli» è centrale nella poetica calviniana. Numerosi sono i saggi dedicati dallo scrittore alla «sfida alla complessità», alla «sfida al labirinto», in cui la realtà circostante viene affrontata partendo da una dialettica presa di posizione storica e umana. È infine in Palomar che Calvino raggiunge lo zenith riflessivo e meditativo su questo argomento, presentando un protagonista incalzato dalle proprie idiosincrasie ad una continua ed intensa investigazione individuale, una analisi che si rivela fallimentare nel momento in cui viene tentata la definitiva collocazione di complessi fenomeni storici, di compositi processi di evoluzione oggettiva e soggettiva in un sistema di codici e leggi epistemologicamente intelleggibili. I principi di «irreversibilità» e di «indeterminazione», cui è stata dedicata molta della ricerca scientifica contemporanea, sono stati fatti
propri dalla poetica «neobarocca». L'universo, sostengono i moderni fisici, non èil risultato di un correlarsi di eventi inalterabili, di con-
giunture e concomitanze sintetizzabili in leggi fisse, al contrario, esso è una concatenazione di fatti che sfuggono ad una catalogazione rigida e univoca e perciò la sua osservazione deve venire affrontata applicando norme funzionali alla mutabilità del processo osservato, canoni che illustrino con efficacia la complessità e la varietà dei fenomeni rappresentati.49 Un tale atteggiamento scientifico rimette irrimediabilmente
4 Gianluca Bocchi-Mauro Ceruti, ed., La sfida alla complessità, Milano, Feltrinelli, 1985.
46 Ilya Prigogine-Isabelle Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 10: «Oggi ci scopriamo in un mondo rischioso, un mondo in cui la reversibilità e il determinismo si applicano soltanto a semplici, limitati casi, mentre l’irreversibilità e l’indeterminazione sono la regola».
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in discussione la visione dell’universo come organismo unitario e prospetta la concezione di un sistema composto da una serie di combinazioni e accidenti che ne rilevino il carattere instabile e polimorfo. Ilya Prigogine e Isabelle Stengers discutono a questo riguardo di un modello universale che produce casi e comportamenti fenomenici locali, per i quali esistono altrettante leggi esplicative.4” La scienza contemporanea tende quindi a opporre, a criteri equilibrati ad evoluzione unilaterale quale l’entropia, un modello che Prigogine ha definito a «strutture dissipative», nel quale l’energia che si sta dissipando in un determinato processo non genera entropia (conservazione, trasformazione, evoluzione di un processo preesistente), ma induce alla formazione di nuovi insiemi, in una compagine che mantiene elevata la propria instabilità. Le strutture emerse da questa evoluzione danno vita ad un complesso nel quale il fenomeno può ripetersi ad infinitum. L'idea di un sistema fatto di atomi e molecole che si incontrano e si scontrano a caso, creando in questo modo l’universo, non è nuova, al contrario, essa è già contenuta in nuce nell’idea delclinamen lucreziano, per il quale l’universo è costituito dal movimento perpetuo di minime particelle che,
scontrandosi e compenetrandosi, plasmano la materia.#8 Se l’entropia è il momento di conservazione di energia e di ulteriore evoluzione fino al proprio esaurimento o annullamento, la dissipazione appare invece come energia che riesce a creare un ordine nuovo, poiché essa spontaneamente si stacca dal vecchio sistema ed elabora una formula indipendente. Un fenomeno simile può avvenire in lette-
47 Sono caduti, a causa della formulazione di queste teorie, alcuni vecchi principi di termodinamica, tra i quali quello dell’«entropia» è quello più conosciuto. L’entropia, stato di equilibrio in cui si conserva e si trasforma l’energia di un sistema dato, era stato per gli scienziati il principio determinante dell’evoluzione di ogni sistema termodinamico. Accolto questo presupposto risultava ovvia la possibilità di applicare tale processo di entropia a qualsiasi sistema dell’universo, stabilendo così l’univocità del modello di distribuzione dell’energia.
48 L’idea sostenuta da Prygogine e Stengers è un’idea vivacemente presente anche nella creazione letteraria: si pensi alla conferenza sulla «Leggerezza» di Calvino, in cui lo scrittore esprime la sua concezione della letteratura nei termini di un universo molecolare e atomistico di estrazione lucreziana. Italo Calvino, Leggerezza, in Le lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, pp. 5-30.
Capitolo primo
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ratura: infatti, quando un genere ha esaurito la carica della propria portata poetica, si «desemantizza» e muore. In letteratura si è assistito tuttavia in molti casi ad una rigenerazione e rigerminazione semantica di generi considerati esauriti.4? La «riscrittura», questo il nome dato al procedimento, restituisce intensità comunicativa ad uno stile o ad un
genere antiquati, staccati cioè dalle condizioni estetiche e storiche che li hanno originati. Seguendo le leggi della teoria dissipativa l’intervento della «riscrittura» favorisce una indagine più obiettiva della produzione estetica del passato; le opere risemantizzate assumono un valore originale, in quanto portatrici di un contenuto e di messaggi ad alta risonanza per la cultura vigente. La «riscrittura» è infine la materializzazione di una trasformazione formale e tematica, di una meta-
morfosi morfologica e semiologica, in quantò da una forma e da uno stile che hanno esaurito la propria portata semantica si generano nuove forme, stili e contenuti.
La strategia della «riscrittura» è adottata da Italo Calvino in gran parte della sua produzione letteraria, dalle avventure tragicomiche dei Nostri antenati, al Castello dei destini incrociati, alle Città invisibili e infine a Se una notte d’inverno un viaggiatore; l’analisi delle ragioni e della funzionalità tematica e strutturale di questa scelta possono aiuta-
re a comprendere l’evoluzione poetica ed estetica del nostro scrittore. Ultima significativa componente costitutiva del «neobarocco» è il topos labirintico, la cui origine, sviluppo, struttura e funzione hanno costituito il fulcro analitico di diversi studi degli ultimi anni.9° Umberto Eco ne distingue tre tipi diversi: il primo, il cosiddetto labirinto «unicursale»,5! rappresenta semanticamente un cosmo di difficile percorribilità, la cui configurazione è stata volutamente resa complessa da
49 Ivi, pp. 156-7.
50 Hermann Kern, Labyrinthe. Erscheinungsformen und Deutungen, Minchen, Prestel, 1982; dello stesso autore si confronti: Labyrinths: Tradition and Contemporary Works, in «Artforum», IX, 1981, pp. 60-68; Paolo Santarcangeli, // libro dei labirinti, Milano, Frassinelli, 1984; Jorge Luis Borges, L’a/eph, Milano, Feltrinelli, 1959; Prosa completa, Barcelona, Bruguera, 1980; Umberto Eco, 7/7 nome della rosa, Milano, Bompiani, 1981.
51 Umberto Eco, Prefazione, in Paolo Santarcangeli, // libro dei labirinti, cit., p. ix.
Il Barocco: un concetto in continua evoluzione
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continue deviazioni in cui esiste tuttavia un ordine. Il secondoèil labirinto manieristico-barocco, ad albero, con infinite ramificazioni, per-
correndo le quali si rischia di tornare sullo stesso erroneo cammino. Da questo labirinto ramificato si sviluppa il terzo tipo, il cosiddetto labirinto a rizoma, oa rete infinita, in cui ogni punto può venire connesso ad un altro e dare l’impressione che non esista un’uscita, ovvero che essa sia ostacolata da una struttura in perpetua proliferazione. «Nel rizoma anche le scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia contribu-
iscono a complicare il sistema». Nel caso del rizoma la struttura, anche se originariamente pensata da una mente singola, continua a svilupparsi indipendentemente grazie all’intervento di altre menti che propongono
nuove soluzioni e stabiliscono nuovi percorsi.53 La rappresentazione del labirinto nella letteratura contemporanea poggia sul modello manieristico-barocco in cui il percorso è pensato in relazione all’elaborazione di tecniche e strumenti che permettano di muoversi in esso e possibilmente uscirne senza ridurne la complessità. Per questa ragione alcuni percorsi labirintici nella narrativa contemporanea, pur sostenendo la possibilità di una via di uscita, non la raggiungono mai.° Il dedalo è un sistema a «intelligenza complessa», in cui il criterio ordinatore deve emergere da un acuto scavo: l’intelletto
diviene perciò il protagonista nella soluzione dell’intrico labirintico.55 La complessità labirintica ha un carattere ambiguo, da un lato, infatti,
essa nega l’ordine globale, dall’altro propone una sfida a stabilirne uno. Il sistema non pone in dubbio l’esistenza di un ordine, ed è per questo motivo che all’annullamento della globalità nella struttura labirintica corrisponde la spinta alla sua ricostruzione per «inferenze»
52 Ivi, p.x. 53 Gilles Deleuze-Felix Guattari, Rhizome, Paris, Minuit, 1976. 54 È il caso de // conte di Montecristo e de Il viaggiatore notturno due racconti contenuti in Italo Calvino, Ti con Zero, Torino, Einaudi, 1967.
55 Il fascino della ricerca è suddiviso in due momenti distinti, il primo consiste nell’ansia dello smarrirsi di fronte all’inestricabilità del percorso, il secondo è la soddisfazione di venirne a capo utilizzando la logica e la ragione. Il primo momento corrisponde a un sentimento di sorpresa e terrore, il secondo al compiacimento provato nell’esercizio di una intelligenza sottile che porta allo «scioglimento finale».
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Capitolo primo
locali.56 Si batte il labirinto solo deducendone in anticipo gli elementi costitutivi,°7 in una ricerca a cui non è estraneo il senso dell’enigma,
del dinamismo opposto alla stabilità. Si conclude qui il primo momento di ricerca e di riflessione sul Barocco e sul «Neobarocco», mentre risulta chiaramente che, rispetto alle epoche «classiche», essi si situano in una posizione di ambigua e complessa molteplicità formale, in cui trionfano la tendenza all’apertura e alla sperimentazione e l’attenzione a tutti quei fenomeni che indicano da un lato crisi, turbolenza e caos, dall’altro mutamento e
rigenerazione. Fondamentalmente queste due età, nelle loro tendenze filosofico-
scientifiche, estetiche ed umane, nelle loro espressioni poetiche e nelle conseguenti manifestazioni di gusto, lasciano spazio a cogenti considerazioni sulla instabilità della condizione umana in un mondo in cui non sono più opinabili leggi universali e in cui la realtà oggettiva ha perso il suo centro, moltiplicandosi e disperdendosi con ritmo incessante. Questi e molti altri ancora sono gli elementi che rendono il gusto «neobarocco» l’espressione dello spirito di un’epoca inquieta, il cui ricorrere ciclicamente è sostenuto da particolari condizioni storiche e sociali.” Come è stato ampiamente ribadito dall’estetica con-
56 Pierre Rosensthiel, Labirinto, in Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1979, p. 8. 57 Italo Calvino, // conte di Montecristo, in Ti con zero, cit. La strategia «cieca»
è usata da Faria e da Edmondo Dantès nella ricerca di una via d’uscita dalla prigione del castello d’If, per il quale non esistono mappe o topografie ma solo una rete di cunicoli il cui intrico è risolvibile attraverso la costruzione di un modello di prigionelabirinto più perfetto di quello realmente esistente. 58 Hermann Kern, Labyrinthe. Erscheinungsformen und Deutungen, cit., p. 9. 59 Per un’opinione opposta cfr. Guido Morpurgo-Tagliabue, Anatomia del Barocco, Palermo, Aesthetica, 1987, p. 110. Nonostante il critico accetti l’idea che esista una certa affinità culturale tra il periodo barocco e quello contemporaneo, egli discute la tesi di una comunanza di carattere estetico-artistico in quanto, specialmente nel periodo post-moderno noi «teniamo separato quello che un tempo andava unito, e subordinato quello che un tempo era prevalente. Il delectare e il docere anche oggi, come sempre, vanno associati nella fruizione ‘artistica’, ma non godiamo più ‘esteticamente’, come nel Barocco, la stessa consapevolezza compiaciuta della loro unione». Per Morpurgo-Tagliabue è andata perduta, nel panorama dell’arte moderna
Il Barocco: un concetto in continua evoluzione
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temporanea, il Barocco è più vicino all’espressione della nostra cultura di quanto si pensi, sia nelle manifestazioni di massa che nella produzione artistica e nel pensiero filosofico. È importante osservare inoltre che molti autori di grande ingegno sono stati influenzati, nella loro attività scrittoria, dalla generale atmosfera storica, culturale ed umana e che alcuni di essi in modo particolare hanno saputo trasporre in forma artistica, nella struttura morfologica e nel contenuto tematico, tutti gli stimoli che da questa provengono. Italo Calvino èlo scrittore italiano che sembra avere con maggiore intensità incarnato il bisogno di ritrovare, nel movimento caotico del mondo oggettivo, l’ordine e l’armonia che l’universo ha irrimediabilmente perduto, e nella sua ricerca si imbatte in tutti quei fenomeni tipici dell’età, che egli trasforma in ricerca poetica ed umana, seguendone l’evoluzione, sperimentandone le conseguenze e traendone conclusioni che traduce nella sua opera narrativa.
e d’avanguazdia, quell’unità tra l’artistico e l’estetico che era implicita nel Barocco: il diletto moderno si realizza esclusivamente nella dimensione estetica, che nelle sue produzioni è sempre ricca di aforismi, paralogismi, metafore acute e sillogismi.
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Il Labirinto: una definizione 7
1. Il Labirinto: una definizione La leggenda di Teseo, della sua coraggiosa conquista del labirinto di Cnosso e della uccisione del Minotauro che esso conteneva,! ha
lasciato la propria impronta simbolica in diversi continenti, dal Mediterraneo alle Americhe eall’ Asia,? e in campi disparati, da quello religioso e filosofico a quello della scienza e, non ultimo, a quello dell’estetica e della poetica. La storia è prima di tutto la tragedia del Minotauro, figlio di un mysterium tremendum, prodotto dell’incontro tra l’umanoeil bestiale, e perciò destinato all’espiazione. Metà bestia e metà uomo, egli deve essere rinchiuso in un luogo buio, segreto, il labirinto; edificio complesso, costruito dal genio architettonico di Dedalo, il suo percorso,
anche se unicursale, è fitto di svolte e deviazioni. È una prigione per colui che vi è stato condannato ma lo è anche per le vittime che gli
! Cfr. Paolo Santarcangeli, // libro dei labirinti, Milano, Frassinelli, 1984; Paul de Saint-Hilaire, L’univers secret du Labyrinthe, Paris, Laffont, 1992; Penelope Reed
Doob, The Idea of the Labyrinth. From Classical Antiquity Through the Middle Ages, Ithaca-London, Cornell University Press, 1990. 2 Karl Kerényi, Labyrinth-Studien. Labyrinthos als Linienreflex einer mythologischen Idee, Zùrich, Rhein, 1950; Hermann Kern, Labyrinthe. Erscheinungsformen und Deutungen, Minchen, Prestel, 1982.
Capitolo secondo
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sono sacrificate ad intervalli ciclici. Teseo è inviato a risolvere la fatale situazione, armato di una spada e del filo che Arianna gli ha procurato, penetra nel labirinto e uccide il Minotauro; con il filo che aveva
precedentemente svolto, egli ritorna sui suoi passi, rifacendo il percorso iniziale, avendo sconfitto ad un tempo il mostro ed il labirinto. Il mito, metafora dell’acume e della creatività primigenia, viene tramandato nel tempo, che ne trasforma significato e funzioni? Dell’antica leggenda persistono tuttavia alcune caratteristiche essenziali, come l’esigenza di sconfiggere il labirinto, in cui si fronteggiano due nemici distinti, la mostruosità e l’animalità del Minotauro e la propria angoscia, temperata dalla speranza di scoprire una uscita. Secondo Pierre Rosenstiehl esso è «il luogo per eccellenza ove si definisce la teoria degli algoritmi [...] ove tutto si decide localmente
senza memoria».4 Il labirinto stimola il piacere euforico e intellettuale dell’investigazione, in cui risiedono la sollecitazione e la seduzione della ricerca e della scoperta. Nel tragitto labirintico l’esplorazione avviene senza mappa e senza strumenti, esclusivamente attraverso un’esperienza visiva a cui è preclusa la conoscenza dell’intera struttura ma da cui non è esclusa l’attività intellettiva, impiegata nel labirinto al fine di uscir-
ne indenni.5 La continua evoluzione e trasformazione a cui è stata sottoposta ha inficiato ogni tentativo di definizione integrale della struttura labirintica,* ed è per tale ragione che il labirinto mantiene alto il suo potenziale espressivo, arricchito di volta in volta dalle componenti storiche, culturali ed estetiche di ogni epoca tesa a rivalutarne la valenza
semantica. Già nel primo capitolo si era accennato ai diversi tipi labirintici, quelli che più interessano la nostra analisi sono sicuramente i pluriviari,7
3 Paolo Santarcangeli, // libro dei labirinti, cit., D.d. 4 Pierre Rosenstiehl, Labirinto, in Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1979, p. 4.
5 Ivi, p. 8. 6 Paolo Santarcangeli, // libro dei labirinti, cit., pp. 24-5. 7 W.H. Matthews, Mazes and Labyrinths. A General Account of their History and Development, London, Longmans, 1922.
Il Labirinto
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in cui la particolare moltiplicazione dei percorsi può provocare la perdita definitiva di orientamento e, di conseguenza, l’eterno vagare. La natura geometrica di queste costruzioni è varia, a struttura rego-
lare, irregolare, rettangolare, gircolare o a spirale,$ a compagine compatta, diffusa o mista; nelle prime la loro intera area è occupata da percorsi, nelle seconde esistono invece delle zone o degli spazi vuoti, nelle ultime le caratteristiche dei primi due tipi si assommano. Il labirinto può essere a-centrico, monocentrico o policentrico; il centro può costituire un semplice passaggio, o un punto di arrivo e ritorno (modello centripeto), o ancora, il punto di partenza (modello centrifugo). Le sue sono essenzialmente caratteristiche di polidimensionalità, dato che il labirinto può espandersi orizzontalmente ma anche verticalmente e in profondità,” può essere bidimensionale, tridimensionale o pluridimensionale, le sue diramazioni semplici o complesse, le sue svolte bivi, trivi o quadrivi. L’ideazione di un labirinto deve seguire delle regole logiche precise, comprendere un percorso continuo, la cui difficoltà giunga all’eccesso, evitare ripetizioni inutili e spazi vuoti, tendere all’unità di uno stile che condensi in uno spazio delimitato il massimo del percorso.!0 AI difficoltoso progetto labirintico corrisponde la difficoltà della sua soluzione: ricordare le svolte e le scelte fatte in precedenza e ritornare sui propri passi ripercorrendo i corridoi fino all’entrata, avvicinarsi e allontanarsi dal centro per prove successive, tenendo conto della
8 Karl Kerényi, Labyrinth-Studien, cit., p. 13: «Ogni linea spiraliforme apparentemente usata a motivo decorativo [...] è un labirinto, non appena ce la immaginiamo come un percorso e nello stesso tempo ci trasponiamo in esso come in un'entrata o un corridoio inaccessibili». Lo studioso constata nella forma a spirale la più comune rappresentazione del labirinto di provenienza mediterranea ed indo-europea. 9 Jorge Luis Borges, La biblioteca de Babel, in Prosa completa, I, Barcelona, Bruguera, 1980, pp. 455-62, in cui la biblioteca si espande in altezza ed in profondità tanto che l’occhio umano non riesce a percepirne i limiti. Cfr. Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, in cui il tentativo di Marco Polo è di comunicare al Kan l’estensione infinita del suo labirintico impero, che si estende pluridimen-
sionalmente în superficie, in profondità e in altezza.
10 Paolo Santarcangeli, // libro dei labirinti, cit., pp. 31-2.
Capitolo secondo
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possibilità di errore e quindi di una protratta permanenza nel labirinto, o calcolare matematicamente il numero delle possibilità, in modo da riuscire a immaginare la totalità dello spazio circostante. All’esperienza pratica del percorso si accompagna quindi l’attività raziocinante che applica leggi conosciute alla scoperta di un principio fondatore e regolatore del tutto.
2. Significati ed interpretazioni poetiche del Labirinto Diversi sono gli studi che affrontano l’annosa questione della precisa etimologia labirintica; alcuni ricercatori fanno risalire il sostantivo al greco AGBpvc o «ascia bipenne», il cui simbolo si trova all’entrata del palazzo reale di Cnosso, altri rimandano a daròaAeov, «ben costruito», «ben fatto» e i cui derivati sono dadaAA.etv, «ben costruire»,
«fare bene».!! Le analisi più aggiornate fanno discendere il termine da labur, espressione pre-ellenica che significa caverna e dal suffisso greco inda, gioco.!? Tuttavia, se la provenienza dell’etimo è ancora incerta
molto c’è ancora da chiarire sul significato tematico del labirinto e sulle sue forme di rappresentazione. Su un punto fondamentale gli studiosi sembrano essere pervenuti ad un accordo, originariamente il rito dell’entrata e uscita dal labirinto corrispondeva ad un processo iniziatico
| dal contenuto eminentemente sacrale. "3 Il territorio è segreto e, per chi si avventura al suo interno, esso diventa un luogo di morte, sotterraneo
ed isolato. L'accesso a tale circuito iniziatico è stimolato dal fascino delle esperienze che si potranno fare al suo interno, vagare nel labirinto significa porsi la domanda della calcolabilità o incalcolabilità della
!l Michelangelo Cagiano de Azevedo, Saggio sul Labirinto, Milano, Vita e Pensiero, 1958, p. 44.
12 Paolo Santarcangeli, // libro dei labirinti, cit., pp. 36-7; cfr. inoltre Achille Bonito Oliva, Labirinto, Milano, Uni, 1979, pp. 11-12. 13 Karl Kerényi, Labyrinth-Studien, cit.; Hermann Kern, Labyrinthe: Erscheinung-
sformen und Deutungen, cit.; cfr. dello stesso autore: Labyrinths: Tradition and Contemporary Works, in «Artforum», IX, 1981, pp. 60-8; e ancora: Manfred Schmeling, Der Labyrinthische Diskurs: vom Mythos zum Erzihlmodell, Frankfurt, Athenàum, 1987.
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sorte umana, affrontare un decisivo percorso di formazione e matu-
razione.!4 Il processo di esplorazione comprende infine un momento disforico di «sofferenza», l’ansia di perdersi e di non ritrovare l’uscita. Essere
isolato dal mondo significa éssere collocato al di fuori del tempo,!5 esistere unicamente attraverso l’indagine intellettuale; ogni itinerario poggia allora su un principio fisico e uno raziocinante. Sommati, questi elementi consentono di intendere l’esperienza come un percorso contemporaneamente distruttivo e costruttivo. Nel Medioevo il labirinto emblematizza la negatività, è prigione spirituale, cripta del peccato e tuttavia è durante questo periodo che gli viene assegnata una distinta funzione ontologica. Non più esclusivamente espressione traslata di un processo fisico e raziocinante esso si fa originale manifestazione di un procedimento estetico. La scrittura è un atto ordinatorio durante il quale è necessario sciogliere, metaforica-
mente, un groviglio concettuale, ed edificare un sistema armonico, la cui simmetria favorisca la comunicazione dell’espressione poetica. Il messaggio-labirinto è multicursale, prospetta una scelta che coinvolge allo stesso tempo diverse operazioni mentali; semanticamente esso rappresenta un processo di conoscenza, un viaggio nell’intricato reticolo di immagini che il poeta ha riunito per suscitare nel lettore mera-
viglia e apprendimento.!6 La forma labirintica sintetizza il viaggio dell’individuo verso il sapere, la cui acquisizione si rivela irta di ostacoli, deviazioni, ritardi e 14 Hermann Kern, Labyrinths: Tradition and Contemporary Works, cit., p. 60, «Girarsi al centro non significa solamente abbandonare una precedente esistenza ma significa anche ricominciare [...]. La morte e la rinascita avvengono al centro e simbolizzano il momento di transizione da una forma di esistenza ad un’altra più elevata». 15 Abraham A. Moles, E. Rohmer, P. Friedrich, Of Mazes and Men. Psychologie of Labyrinths, Strasbourg, Institut de Psychologie Sociale, Université Louis Pasteur, LONATE paoiciss. 16 Penelope Reed Doob, The Idea of the Labyrinth. From Classical Antiquity Through the Middle Ages, cit., p. 83: «Dato che questi labirinti hanno come scopo l’insegnamento, lo scrittore-architetto potrebbe anche condurre una visita guidata del proprio prodotto artistico partecipando in prima persona al suo sviluppo con un dialogo, una struttura dialettica o un dibattito».
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sconfitte.!” Le caratteristiche estetiche della scrittura labirintica medievale, che giunge a maturazione durante il Manierismo e il Barocco con la ricerca di un’arte che si conforma ad un processo combinatorio,!8 sono dunque la palese difficoltà del percorso, concepito come complessa rete di significati, la ricerca estenuante dell’ornato, la continua
circolarità, che permette al lettore di intravvedere un itinerario di passaggio e ritorno, e infine la dichiarata' artificialità del processo della scrittura stessa. Durante il Manierismo e il Barocco la metafora labirintica, applicata alla scrittura nei termini di un processo combinatorio, diventa
!7Le componenti dominanti nella scrittura labirintica medievale, analizzata dalla studiosa, sono da rilevare ai diversi livelli della creazione letteraria, la inventio, la dispositio e la elocutio. Nella prima si tratta di trovare la migliore composizione,
derivata dal riordinamento e dalla nuova forma data ad opere già esistenti: il labirinto è in questo caso rappresentato da un difficile viaggio a ritroso nel passato, del quale si tenta di rivalutare la ricca tradizione culturale; è un processo che ha molto a che
vedere con la riscrittura, attraverso la quale uno scrittore rielabora generi letterari che hanno dimostrato esaurita la loro carica poetica: il procedimento ha successo quando nel genere trasformato vengono a confluire tematiche pertinenti al momento storico e culturale. Il secondo elemento è dato dall’ordine che regola il materiale scelto: esso deve costituire una unità strutturale e linguistica che abbia una logica autonoma. Questo ordine può essere del tutto artificiale, ordinato dalla mente dell’autore in un sistema
ad alta valenza labirintica, e scostarsi dal più semplice ordinamento naturale. Il soggetto in questo caso opera delle scelte personali, si inoltra in un percorso di vie possibili, dando origine a una costruzione simbolica ad albero, dalle mille diramazioni e proliferazioni che è simile al labirinto, emblema di un ordine costruito artificialmente. L’ultimo elemento compositivo è quello dell’ elocutio, o espressione, che può trasformarsi in digressione, forma dedalea per eccellenza, in dubitatio, momento di esitazione davanti alle scelte da compiere nella rappresentazione drammatica e nella decodificazione del significato; lo stesso atteggiamento dubitativo è presente al bivio del labirinto, quando il visitatore viene posto davanti a una scelta che gli impone un momento di sosta e riflessione, il cui risolversi porterà o no alla conclusione del suo itinerario; infine l’espressione può implicare un’ulteriore tecnica retorica, la occupatio, in cui l’autore riempie lo spazio della scrittura con l’inserimento della rappresentazione delle scelte non fatte, che erano possibili ma che non si sono realizzate (/vi, pp. 211-12). 18 Athanasius Kircher scrisse, verso la metà del Seicento, 1’Ars Magna Sciendi sive Combinatoria, trattato in cui, attraverso la relazione di lettere e parole in una struttura complessa, si tentava la fabbricazione di un super-libro che contenesse tutte
le conoscenze etutto il sapere acquisito fino ad allora.
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poetica fondamentale, determinata dalla pressante esigenza di ripristinare l’unità perduta e dal desiderio di stabilire modelli di individuazione attraverso l’unificazione e la concentrazione del sapere. L'esigenza di rappresentare la realtà come po modello di mondo svincolato dalle leggi della logica trova nell’idea del labirinto una figura di valore polisemico, poiché in essa cdesistono due opposte tendenze, quella che percepisce l’universo come caos e quella che ne prevede invece l’ordinamento in un sistema coerente. Il labirinto, simbolo del peregrinare umano, è una formula spirituale coerente con il pensiero filosofico cristiano, ma nel Seicento esso diviene una struttura laica, legata ad una ricerca terrena e non oltremondana,!9 e si conferma come una presenza letteraria e culturale la cui prerogativa è quella di contrapporre,
alla complessità del reale, una struttura mentale altrettanto composita e organica. Una significativa modificazione coinvolge inoltre la sua architettura, che da un percorso univiario passa alla forma pluriviaria ramificata, in cui si moltiplicano le scelte possibili e si stratificano le entrate e le uscite. «Il labirinto diventa un luogo in cui ci si può perdere», immagine «della coscienza tragica dell’uomo rinchiuso in un sistema dai cammini ingannevoli, da cui solo la grazia divinaola fortuna dei suoi casi personali o la sua intelligenza lo potranno liberare».?0 Allo scienziato e all’uomo «problematico» del Seicento il mondo appare come un labirinto nel quale è indispensabile individuare un’uscita, un coacervo di eventi al quale è necessario imporre un ordine; l’utilizzo di strumenti di raziocinio, tra cui il calcolo matematico, si rivela
19 Hermann Kern, Labyrinthe, cit., p. 285, traccia una breve storia della fortuna
del labirinto e del suo uso metaforico-simbolico durante tutto il Seicento; tra le opere più diffuse cita quelle di Athanasius Kircher, Turris Babel sive Archeontologia, pubblicato ad Amsterdam nel 1679 e quella di Amos Cornelius, Labyrinth der Welt und das Paradies des Herzens, trattato del 1631, nel quale si trova ancora una interpreta-
zione cristiano-allegorica del mondo come labirinto, in cui il pellegrino erra fino a che la sua anima, pentita, viene ricondotta in paradiso. Kern si sofferma soprattutto sul ruolo mondano del labirinto e sui labirinti amorosi, popolari in quel periodo, dove a questo emblema era assegnata una funzione totalmente nuova: l’appagamento di un desiderio esclusivamente sensuale. 20 Paolo Santarcangeli, Labyrintyca 1981, in Achille Bonito Oliva, Luoghi del silenzio imparziale, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 53. i
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un eccellente metodo di opposizione e resistenza. La tecnica combinatoria attrae il pensatore e filosofo barocco per la sua natura labirintica, la possibilità di calcolare l’apparentemente incalcolabile, di dominare il mondo attraverso la giustapposizione di concetti astratti. Se il labirinto è ben costruito e se ne conosce il disegno, vi si può entrare, raggiungere il centro e uscirne senza pericolo, mentre la mente lo costruisce con difficoltà sempre maggiori, lo pensa all’infinito. Per l’artista barocco infine il mondo oggettivo è la somma del disarmonizzante, dell’irregolare a cui viene contrapposto un metodo gnoseologico di ricerca e comprensione in cui egli stesso diviene poietes, «creatore», «fabbricatore», «compilatore» che esperimenta e compone il mondo sistemandone ingegnosamente i tasselli nel rispetto di una logica se-
greta.?! Scrivere labirinti significa intessere relazioni misteriose con le cose; in Oculta Philosophia de la Sympathia y Antypatia2 Eusebio Nierenberg immagina il mondo come un labirinto poetico in cui la costruzione della natura appare come imitazione dell’arte; in Elicona Europea (1704) il Mahnling ravvisa nella creazione poetica un carmen labyrintheum, da leggere da sinistra a destra, dal basso in alto, di traverso oppure nel senso della larghezza e della lunghezza.” Il labirinto rappresenta 11 modello più originale di creazione artistica, in esso si palesa al poeta l’enigma della mitopoiesi, il mito della creazione este-
tica?4 che Friedrich Schlegel ha definito come «disordine organizzato
artificiosamente».?5 È grazie alla sua polisemica rappresentabilità che l’immagine labirintica giunge fino alla letteratura del Novecento. In Kafka, Conrad,
2! Gaetano Cipolla, Un Calvino manierista, in «La Parola del popolo», V, sett.ott. 1978, pp. 32-4.
22 Gustav René Hocke, Die Welt als Labyrinth, Minchen, Rowohlt, 1957, pazile.
23 Ivi, p. 23. 24 Manfred Schmeling, Der labyrinthische Diskurs, cit., p. 245. 25 Friedrich Schlegel, Rede ber die Mvythologie, in Kritische Friedrich Schlegel Ausgabe, II, Minchen, Schòningh, 1967, pp. 318-9, riferendosi alla struttura narrativa adottata sia da Cervantes che da Shakespeare afferma: « Ebbene questa confusione ordinata artificialmente, questa affascinante simmetria di contraddizioni, questo meraviglioso ed eterno intrecciarsi di entusiasmo ed ironia, che agisce anche nelle più minuscole componenti dell’intero, mi sembrano esse stesse una mitologia indiretta».
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Borges, Butor e Robbe-Grillet essa è una costante semantica, simbolo della complessa e disordinata realtà umana, emblema di una dolorosa ma necessaria metanoia. Nel labirinto ogni autore ha inscritto il proprio archetipo estetico, conglobando in esso elementi di difficoltà, piacere, perplessità, ansia, speranza, disperazione, paura, comprensione e liberazione trascendente.?0 Nella opere di Jorge Luis Borges, Robbe-Grillet e Italo Calvino esso assume principalmente una funzione di codificazione e ordinamento della realtà esterna all’individuo, una realtà complessa, che ha perduto la formula dell’ordine primigenio, e di cui tuttavia si intuisce l’organizzabilità e rappresentabilità in stringenti canoni estetici. Con la sua composita architettura polidimensionale e pluritemporale il labirinto dà un senso alla realtà, è contemporaneamente strumento di conoscenza e parodia della natura casuale e contingente dell’esperienza umana, del suo carattere accidentale, e caricatura dell’arbitrarietà
del mondo letterario stesso, perpetuamente alla ricerca di un ordine inafferrabile. Il labirinto diventa strumento magico, che permette di organizzare il caos, lo spazio, il tempo e la comunicazione del messaggio poetico. Questa struttura può divenire talmente complessa da confondere persino il suo creatore,?? e perciò richiede energia, coraggio, volontà di
sfida.23 Nelle opere di Italo Calvino, in quelle dove il labirinto è espressamente rappresentato e in quelle in cui è implicitamente presente, viè il perpetuo richiamo ad una attività di ordinamento raziocinante?? che non elimina tuttavia il piacere proveniente dalle suggestioni dei più raffinati giochi combinatori.
26 Donald Gutierrez, The Maze in the Mind and the World: Labyrinths in Modern Literature, New York, Whitston, 1985.
27 Enrico Garzilli, Circles Without Center: Paths to the Discovery and Creation of Self in Modern Literature, Cambridge, University of Harvard Press, 1972, p. 90. 28 Donald Gutierrez, The Maze in the Mind of the World, cit., p. 26.
29 Donald Heiney, Calvino and Borges: Some Implications of Fantasy, in «Mundus Artium», II, 1968, p. 70.
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In questo labirinto è evidente l’influenza della poetica borgesiana, che in esso preconizza il tentativo di risolvere l’enigma del reale ritualizzando nello stesso tempo un percorso di iniziazione interiore.5° Creazione altamente umana il labirinto è per Calvino come per Borges un sofisticato artificio in cui ad ogni invenzione corrisponde una svolta nel cammino intellettuale; per entrambi gli scrittori inoltre, alla
composita architettura mentale corrisponde la labirintica polivalenza dell’enunciato poetico che stimola ad analizzare con attenzione il contenuto del messaggio cifrato. Investigare la natura, la funzione e il contenuto della comunicazione significa ripercorrere l’opera e rivela-
re il delicato meccanismo che la regola.3! Domina infine nelle opere di di Calvino e di Borges la specularità tra l’immagine dell’universo e l’immagine umana, l’incessante movimento prodotto dal gioco intellettuale e l’attenzione assegnata alla fruizione, che deve essere attenta e pronta a riconoscere la complessità del narrato e a comprenderne il significato latente. Robbe-Grillet percepisce nel motivo del labirinto una componente rivoluzionaria in grado di rinnovare non solo i contenuti tematici della narrativa, ma fin pure la sua morfologia. Per Robbe-Grillet, come per
30 Ludmila Kapschutschenko, E/ Laberinto en la Narrativa Hispanoamericana Contemporanea, London, Tamesis, 1981, p. 20, cita lo stesso Borges quando afferma
che il viaggio nel labirinto rappresenta primariamente il percorso umano di conoscenza esperienziale: «Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Lungo gli anni popola lo spazio con immagini di province, di regni [...]. Poco prima di morire scopre che questo paziente labirinto di linee traccia l’immagine del proprio volto». 31 Nicolàs Rosa, Borges o la ficcion laberintica, in La nueva novela latinoamericana: La narrativa argentina actual, II, Buenos Aires, Paidòs, 1972, p. 171:
«Entrare nel labirinto è entrare nell’opera. Percorrere i passaggi, i corridoi che si incrociano, le esasperate gallerie parallele, è ripercorrere il discorso. Ri-visitare le sale esagonali, i pianerottoli, le scalinate che salgono e scendono, è ricreare la storia.
Giungere al centro — discendendo nella cripta — è trovare il finale: l’Enigma. Se la letteratura è labirinto, il segreto costitutivo della letteratura si fa figura del segreto nel testo. L'enigma dell’estenuante labirinto è semplice e diretto: non è altro che quello della letteratura e tale segreto non sta in alcuna altra parte, si trova nella narrazione di ciò che la parola segreto non è che una figura».
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Calvino, la forma artistica, nel suo processo di rinnovamento, è in gra-
do di trasformare anche l’uomo e per questo motivo lo scrittore deve opporre alla realtà non rassegnazione ma il suo contrario: «Noi riponiamo sull’uomo tutta la nostpa speranza: sono le forme che egli crea a
poter dare significato al mondo».3? In Robbe-Grillet, al contrario di Calvino, il labirinto si trasforma da metafora della sconfortante condi-
zione esistenziale dell’uomo a strumento di rinnovamento dell’arte narrativa contemporanea; la scrittura diventa ricerca, lavoro testuale
che genera una propria e autonoma realtà, distinta ed indipendente da quella del mondo esterno. Lo studio tematico del labirinto viene affrontato da Italo Calvino già in alcuni saggi degli anni Cinquanta, nei quali viene indagata la funzione della letteratura moderna nella sua capacità di rappresentare le più urgenti problematiche sociali e storiche. Lo scrittore è consapevole del distacco creatosi tra la narrativa ottocentesca, basata sull’equi-
librio tra le forze della natura e quelle della storia, e il romanzo novecentesco, che ha perduto la certezza di tale armonia.*3 L’uomo moderno non conosce il conforto di un potere soprannaturale che intervenga in suo aiuto, e questa consapevolezza rinforza in Calvino la fede nel valore epistemologico e formativo della scrittura come espressione della ferma e tenace individualità umana. È quindi comprensibile il giudizio critico negativo indirizzato alle ardite teorizzazioni poetico-estetiche
dell’école du regard,$4 movimento che postulava il dissolvimento del-
32 Alain Robbe-Grillet, Pour un nouveau roman, Paris, Minuit, 1963, p. 120. Nonostante la posizione filosofica ed estetica calviniana si distacchi da quella robbegrilletiana ci sembra di scorgere una iniziale comunanza ideologica da rintracciarsi nella condivisa esigenza di rinnovamento del romanzo e nella decisa avversione ad ogni tipo di resistenza passiva alla labirintica realtà oggettiva. 33 Italo Calvino, Natura e storia del romanzo, in Una pietra sopra, Torino, Einaudi,
1980, p. 21. 34L’ école du regard sosteneva le tesi poetiche di Alain Robbe-Grillet e produceva romanzi in cui le storie venivano raccontate attraverso gli oggetti, subordinando la presenza del soggetto alla materialità del mondo circostante; al contrario Calvino postula una.poetica di indirizzo e scopo antropocentrici, in cui l'individuo mantiene un ruolo determinante nella scelta del proprio destino, nella società come nella storia.
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la coscienza umana in un indistinto mare di oggetti. Il problema che affligge Calvino riguardo a queste correnti narrative è l’assenza di un rapporto dialettico tra l’individuo, capace di comprendere e dominare la situazione in cui è calato, e il mondo circostante.?* La posizione calviniana non nega la problematica complessità del reale, che può benissimo essere quella del «magma» e dell’abbandono all’indifferenziato, ma ad essa oppone la cosciente resistenza del soggetto, che combatte l’annichilimento. Calvino critica sia l’inondante soggettivismo sia l’abbandono della coscienza e della volontà al processo storico e materiale e auspica una svolta narrativa che produca una letteratura fluida e multiforme, adeguata a rappresentare la condizione dell’uomo nella realtà contemporanea. Per essere rivoluzionaria, tale letteratura deve mantenere vivo nell’individuo il desiderto di intervenire criticamente a modificare la struttura del sistema in cui vive. All’ideologia estetica e alla produzione narrativa di Robbe-Grillet,36 che disumanizza il soggetto immergendolo in un caotico reale, lo scrittore contrappone una letteratura che rende possibile l’uscita dal labirinto. Questa presa di posizione teorica preconizza i futuri sviluppi della narrativa calviniana, tutta tesa a drammatizzare la sfida al labirinto come un coraggioso e non sempre vincente ma consapevole confronto intellettuale con il mondo oggettivo. Per quanto riguarda il valore etico della letteratura lo scrittore conferma la sua ricerca di un modello poetico e formale in cui siano intrecciate interrogazione e interpretazione sociale, analisi storica e filosofico-scientifica. In prima lettura il messaggio che permea // mare dell’oggettività può apparire esclusivamente negativo, eppure nello scritto è dissimulata la fiducia nel ruolo creativo e formativo dell’arte, la quale dà for-
ma aciò che è indistinto e caotico, generando da esso un ordine estetico «superiore». Alla funzione euristica dell’arte Calvino associa la
35 Italo Calvino, // mare dell’oggettività, in Una pietra sopra, cit., p.39: «Da unà cultura basata sul rapporto e contrasto tra due termini, da una parte la coscienza la volontà il giudizio individuali e dall’altra il mondo oggettivo, stiamo passando o siamo passati a una cultura in cui quel primo termine è sommerso dal mare dell’oggettività, dal flusso ininterrotto di ciò che esiste». 36 Ivi, p. 44.
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riaffermazione dell’uomo come filtro del mondo circostante, a cui partecipa senza venire irretito o cancellato: l’intelletto, per lo scrittore, deve rimanere lo strumento veicolare dell’investigazione. Nella Sfida al labirinto l'indagine si intensifica, e, mentre da un
lato è riaffermata la coincidenza tra spirito poetico e scientifico, en-
trambi atteggiamenti di «ricerca, di scoperta e di invenzione»,37 dall’altro vi è un rifiuto dell’evasione e una posizione di fermo confronto con il mondo circostante. La fiducia nella capacità umana di affrontare la trasformazione, il cambiamento e la complessità rinvia al carattere galileiano della ricerca intellettuale calviniana, sempre congiunta, nel suo procedere, alla sintesi operativa. «La mia esperienza più recente mi porta a orientarmi [...] sulla necessità di un discorso il più possibile inglobante e articolato, che incarni la molteplicità conoscitiva e strumentale del mondo in cui viviamo».58 Una realtà in continuo ampliamento spinge lo scrittore ad adattare le proprie risorse stilistiche alla nuova situazione storica, a sostituire ai vecchi stilemi un linguaggio poliedrico e polisemico. Calvino reitera la sua sfida al labirinto, ribadendo in questo modo la funzione dello scrittore come poietes, costruttore animato da una passione ordinatrice, passione sulla quale egli fonda il proprio discorso poetico. Consapevole della crisi delle formule letterarie romantico-positiviste egli riconosce di trovarsi di fronte ad una svolta, anche se non elabora in questa sede un personale modello scrittorio e non propone un nuovo paradigma estetico; tutta-
via egli rifiuta con veemenza ilimiti restrittivi imposti da termini come «avanguardia» e «tradizione» e sostiene le ragioni della sua creatività narrativa rimanendo estraneo a rigide definizioni di corrente che gli sembrano culturalmente ed esteticamente inadeguate. Nei passi successivi Calvino riesamina il labirinto letterario e ne propone tre indirizzi di sviluppo.?° I distinti filoni convergono tuttavia quando si discute la funzione tematica di questa metafora: sembra infatti che qualunque sia il cammino prescelto, il labirinto moderno rap-
37 Italo Calvino, La sfida al labirinto, in Una pietra sopra, cit., p. 84. I 38 Ivi, p.89.
39 Ivi, p. 93.
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presenti il tentativo di ridurre a uno schema comprensibile l’universo delle conoscenze e dei modi di conoscenza, riduzione che appare a Calvino ricca di indicazioni e spunti narratologici interessanti. Se ne // mare dell’oggettività era prevalsa la negatività del labirinto, nella Sfida al labirinto al contrario esso diviene lo spazio della ricerca, il luogo dell’ordine stabilito dall’uomo, il centro da cui partire per riorganizzare gnoseologicamente gli universi rispettivamente della creazione letteraria e della realtà oggettiva. In Cibernetica e fantasmi, del 1967, è evidente un’ulteriore evoluzione estetica: i chiarimenti, le osservazioni e le soluzioni indicate in
questo scritto concludono il ciclo delle meditazioni calviniane sulla natura e sul futuro di una letteratura che per sopravvivere deve riuscire a trasformare la realtà oggettiva in polimorfa trama poetica. Per sostenere la tesi della letteratura come procedimento combinatorio Calvino ritorna alle origini dell’uomo e alla sua necessità di comunicare agli altri in un flusso di immagini-parole, di opposizioni e permutazioni che seguono un codice primordiale di tipo causale. La comunicazione primitiva produce un discorso e più tardi un racconto che viene tramandato oralmente attraverso le generazioni. Lo stesso tipo di struttu-
ra sostiene la letteratura contemporanea, anch’essa basata su un procedimento affabulatorio codificato dalla tradizione orale, al quale tuttavia si sono sovrapposte le moderne problematiche concernenti la produzione e la fruizione della scrittura. Tra autore e lettore sembra infatti essersi instaurato un rapporto in cui ha il sopravvento la messa in rilievo eccezionale delle leggi e dei criteri che regolano l’operazione comunicativa. La letteratura si trasforma di conseguenza in un sofisticato esperimento combinatorio e il risultato degli ultimi esperimenti di linguistica e semantica strutturale portano Calvino a concludere che la scrittura, e più in generale la letteratura, potrebbero esistere anche senza l’autore, sostituito da un calcolatore elettronico che enumera e combina tutti i possibili intrecci. Il rifiuto di una tale soluzione viene ribadito attraverso l’imprescindibile presenza e ingerenza dell’inconscio nella creazione di discorsi altrimenti «non dicibili». L’inconscio è il compilatore di ciò che è stato espulso fuori dai confini del linguaggio [...] rimosso in seguito ad antiche proibizioni; l'inconscio parla — nei sogni, nei lapsus, nelle associa-
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zioni istantanee — attraverso parole prestate, simboli rubati, contrabbandi linguistici, finché la letteratura non riscatta questi territori e li annette al
linguaggio della veglia.4° Per Calvino quindi il ruol6 della letteratura è soprattutto quello di scavare in profondità e di riportare in superficie ciò che non èvisibile, in una esplorazione che sfugge ai meccanismi assemblatori della macchina; la funzione affabulatoria e il gioco combinatorio ritornano all’autore, che crea la storia disponendo i pezzi del mosaico ed estraendo da esso una complessa struttura polisemica. In conclusione lo scrittore considera la tesi di Hans Magnus Erzensberger per il quale il labirinto è il rispecchiamento di un mondo «essenzialmente impenetrabile, in cui ogni comunicazione risulta impossibile». Per Calvino il gioco combinatorio in letteratura permette di decifrare e comprendere il labirinto del reale a condizione che vi sia un atteggiamento di vigile ricerca. Il labirinto metaforizza la problematica del presente, spetta al lettore estrapolare dal messaggio il suo contenuto di sfida o di rinuncia. I tre interventi qui esaminati testimoniano l’interesse di Calvino
nei confronti del simbolo ed il suo progressivo convertirsi a modello di positiva iniziazione intellettuale: il dedalo è l’itinerario della mente raziocinante che crea una struttura ordinatrice capace di sconfiggere la disarmonia. Si riscontra nelle affermazioni calviniane lo stesso tipo di entusiasmo nei confronti della leggibilità del creato che aveva distinto Galileo, per il quale la soluzione alle grandi questioni umane riposava nella scoperta delle leggi universali. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere
40 Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio), in Una pietra sopra, cit., p. 175.
41 yi, p. 180. 42 Lene Waage Petersen, // fantastico e l'utopia. Percorsi e strategie del fantastico in Italo Calvino con speciale riguardo a Le città invisibili, in «Revue Romane», 1.24.1989, pp. 88-105, constata nel labirinto un'immagine reiteratamente negativa.
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se prima non si impara a intender la lingua e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un
oscuro laberinto.4 Svelare il mistero dell’universo diviene mandato dell’intelletto, che
riconosce nell’apparente labirinto una struttura geometrica regolata da leggi superiori. Tuttavia Calvino non condivide completamente l’ottimismo dello scienziato seicentesco; nella realtà contemporanea esiste il pericolo che l’uscita dal dedalo conduca ad un’altra entrata, che il labirinto sia infinito. In conclusione lo scrittore propone come ultima e fondamentale osservazione quella concernente il procedere operativo della scrittura, ora equiparata alla investigazione del labirinto. È attraverso questo strumento umano che la complessità del reale viene trasferita e riorganizzata sulla pagina bianca, ed è sempre attraverso la scrittura che si attua l’infinito ed estenuante ordinamento del caos. Le osservazioni e gli indirizzi teorici esposti in questi interventi devono essere esaminati alla luce delle soluzioni poetiche e letterarie raggiunte da Calvino nelle opere posteriori, opere nelle quali il topos appare in forme estilemi distinti. Già nel Sentiero dei nidi di ragno era stato tracciato per il protagonista un itinerario iniziatico simbolicamente labirintico, delimitato dalla geometria dei «bui archivolti della città vecchia» e dei boschi limitrofi, in cui si inseguono e nascondono uomini armati.44 La giustapposizione di spazio geografico e spazio umano produce una fitta rete di percorsi e un intricato groviglio di esperienze per i personaggi coinvolti. Labirintica e complessa si rivela inoltre la scelta dell’ottica narrativa, che deve sostenere in modo drammatico il contraddittorio coacervo di eventi, situazioni e stati d’animo caratteristici del periodo resistenziale; la stesura del romanzo è in se stessa un’entrata nel labirinto,
43 Antonio Banfi, Galileo Galilei, Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 252. 4 Italo Calvino, Introduzione, in Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1964, p. 10.
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luogo dove si compone la congerie di «emozioni che hanno coinvolto tutti i miei contemporanei, e tragedie, ed eroismi, e slanci generosi e geniali, e oscuri drammi di coscienza»4° L'universo storico della Resistenza si configura in modo complesso, non facilmente rappresentabile, e nel romanzo, secondo lo scrittore, esistono ancora spazi
inesplorati.49 Tuttavia l’uscita dal labirinto narrativo risolve la struttura morfologica e tematica in modo definitivo, in quanto la limita e la circoscrive spazialmente e storicamente. La conclusione infine sottintende una chiarificazione poetica che tiene conto sia dell’itinerario già percorso erisolto sia delle contraddizioni che l’autore ancora percepisce nella propria scrittura. Pin, giovane e antieroico protagonista, e i suoi compagni esperiscono una condizione di estraneità e isolamento”? che risulta tanto più evidente quando osservata alla luce degli eventi storici in corso. Per Pin soprattutto l’integrazione nel mondo degli adulti viene costantemente vanificata dalla incapacità di stabilire rapporti umani sinceri e dalla inadeguata comprensione della realtà circostante. L'universo umano del «carrugio» e la banda del Dritto costituiscono il limite invalicabile, l’ostacolo che previene ogni accettabile inserimento sociale, mentre le avventure in cui Pin è involontariamente coinvolto, rappresentano il progredire di una indagine conoscitiva personale il cui esito pratico dovrebbe essere una maturazione umana e storica che non risulta tuttavia mai veramente raggiunta.
4 Ivi, p. 12. 46 Jorge Luis Borges, Prosa completa, cit., pp. 463-73. Il problema della scelta e delle alternative narrative preoccupa Borges come Calvino: una possibile soluzione viene presentata dallo scrittore argentino nel racconto £/ jardin de senderos que se bifurcan in cui l’autore del libro-labirinto, invece di scegliere ed eliminare le varie alternative di racconto le usa tutte contemporaneamente. Soluzioni strutturali di questo tipo saranno prese in considerazione da Calvino nella sua opera posteriore, è interessante notare in nuce la presenza di quella che sarà la problematica narratologica futura. 47 Annalisa Ponti, Come leggere Il sentiero dei nidi di ragno, Milano, Mursia, 1991, p. 48; Lucia Re, Calvino and the Age of Neorealism. Fables of Estrangement,
Stanford, Stanford University Press, 1990, vede nella figura del protagonista una risposta al dogma estetico prescritto dal realismo socialista, alla stagnante figura dell’eroe libero, nobile e completo.
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Attraverso i suoi continui spostamenti Pin circoscrive lo spazio labirintico del racconto, quello inaccessibile del «carrugio» e quello segreto e familiare del sentiero dei nidi di ragno. Il rapporto tra questi luoghi è di opposizione speculare, in essi è compresente la positività e la negatività del percorso esperienziale. Da un lato l’osteria e il campo partigiano sottopongono Pin a delle prove, a delle scelte esclusive; è infatti in questo spazio umano che il protagonista è istigato ad asportare la pistola tedesca dalla camera della sorella, altro luogo emblematico
e psicologicamente impenetrabile. Accettare il mandato significa per Pin confidare in una futura integrazione nel gruppo e in una opinabile condivisione del suo codice segreto. Il gesto di coraggio tuttavia non porta con sé la ricompensa desiderata, il processo integrativo viene interrotto, inclusione e compartecipazione si rivelano mete irrealizzabili. Per Pin l’universo adulto rimane una meta lontanaeil suo linguaggio uno stratificato corollario di ambiguità semantiche. Se l’osteria delimita uno spazio pubblico, sociale, diurno, il sentiero simbolizza uno spazio chiuso, privato, notturno. Mentre la cruda umanità del «carrugio» e del gruppo del Dritto comunica al ragazzo un senso di inestricabile ambiguità, il sentiero appare come un paesaggio naturale e familiare, in cui non esistono tradimento e abbandono. In
questo universo l’isolamento del protagonista è una prova di forza, il suo ruolo si capovolge, da dominato egli diviene dominatore, crudele carnefice. Come gli animali anche gli uomini sono esseri mostruosi, nel sentiero egli può dominarli, mentre all’esterno ne è vittima. Al centro di questo spazio, nel nucleo del labirinto, il protagonista situa la memoria della propria madre; il sentiero diviene metafora del ritorno all’embrione materno, emblema di un illusorio ricongiungimento, di una felice condizione primigenia. La sacralità del territorio viene
48 Giuseppe Bonura, Invito alla lettura di Calvino, Milano, Mursia, 1972, p. 54, in relazione alla esperienza di Pin parla di un «barlume» di coscienza di classe; JoAnn Cannon, Italo Calvino: Writer and Critic, Ravenna, Longo, 1981, non osserva nessun tipo di maturazione in Pin, ma sottolinea il suo insaziabile desiderio di avventu-
ra. Cfr. inoltre Lucia Re, Calvino and the Age of Neorealism, cit., che riconosce nella storia di Pin una esperienza fine a se stessa.
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infine confermata dalla sepoltura della pistola, strumento magico di
iniziazione.
All’espulsione dal campo partigiano e alla finale esclusione dal gruppo degli adulti Pin oppone un ritorno al sentiero, un viaggio a ritroso verso un rifugio ormai dissacrato dalla mano umana, dall’estraneità del compagno che vi ha vanamente cercato la pistola. La fragile armonia del luogo segreto è totalmente e definitivamente distrutta, di esso non rimangono che le tracce dell’ultima imprevista violenza. Il racconto si conclude lasciandosi dietro una ricerca incompleta, una irrisolta trasformazione umana, mentre il labirinto metaforizza il rapporto composito che l’individuo intesse con la storia, una storia di difficile interpretabilità che non rivela i propri meccanismi ordinatori se non attraverso sconnessi frammenti. Una elaborazione narrativa molto più matura della stessa metafora ricompare ne L’inseguimento, Il guidatore notturno e Il conte di Montecristo, tre racconti pubblicati in Ti con zero. L'estrema complessità dello schema rimanda ad una struttura labirintica di tipo
manieristico-barocco.?° I protagonisti delle rispettive storie si scontrano con una realtà caotica, irregolare, in cui è facile perdersi; il loro procedere è teso a recuperare l’ordine attraverso l’intervento attivo e raziocinante dell’intelletto. All’opacità e alla alogicità del mondo circostante essi contrappongono la visione di un mondo regolato da leggi astratte e da precise formule geometrizzanti. Il movimento ritmico spazio-temporale si trasforma in moto pendolare dell’intelletto che oscilla tra il timore di perdersi nel disordine e il piacere di trovare una soluzione al labirinto. La struttura tematica è regolata dall’uso di complessi modelli ipotetici e da una serie di valutazioni e calcoli stimolati alternamente da ragione e sentimento. I protagonisti esperimentano uno stato di ricerca intensa ma cieca, si muovono letteralmente e sim-
49 Joseph L. Henderson, Threshold of Initiation, Middletown, Wesleyan University Press, 1925, rimanda al passaggio nel labirinto come rito iniziatico e come passaggio dall’universo della madre a quello del padre, passaggio che è stato analizzato psicoanaliticamente anche da Jacques Lacan. 50 Cipolle Gaetano, Labyrinth. Studies on an Archetype, New York-OttawaToronto, Legas, 1987; dello stesso autore: Un Calvino manierista, cit., pp. 32-4.
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bolicamente al buio, che emblematizza l’insufficente conoscenza della realtà circostante; il loro movimento è reso estremamente difficile,
tanto che alcuni vi rinunciano mentre altri ne contestano la possibilità.?! Nel labirinto, nella rete e nella prigione l’individuo è spronato a tracciare un ipotetico super-sistema che tuttavia non dissipa in lui la consapevolezza dell’estensione dell’organismo in cui è intrappolato, del suo infinito dilatarsi. L'uomo sarà in grado di controllare la struttura solo «se riuscirà ad avanzare più svelto di quanto la fortezza non
s’espanda».° I protagonisti dei tre racconti riconoscono la difficoltà insita nel processo di comprensione e di codificazione geometrico-matematica del caotico reale ed è per questo che per il momento le soluzioni proposte hanno un puro valore programmatico. Ogni racconto evidenzia l’esistenza di un modello, o di una pluralità di modelli, che si sovrappongono e si collegano formando un super-sistema. Una tale geometria contempla il mondo come un macrocosmo di elementi comunicanti e significanti e rinvia all’ipotesi di un universo in cui le diverse componenti stabiliscono tra loro una rete di relazioni e rapporti simbolici; la nozione di una super-struttura polimorfa e polisemica domina le investigazioni filosofiche dell’età barocca, in particolare i trattati di Leibniz5 e Spinoza. Nel Novecento la scienza applicata introduce i suoi modelli sperimentali, dall’albero e dalla mappa si passa alla configurazione di un sistema dall’estensione incalcolabile, il rizoma, una serie di radici arborescenti il cui intrecciarsi genera un serie infinita di
ramificazioni.°4 5! Italo Calvino, Il conte di Montecristo e L’inseguimento, cit. Il modello di fortezza immaginato da Dantès è regolato da leggi astratte, non derivate da esperienze dirette, ma calcolate sul puro gioco immaginativo-razionale, illuminato tuttavia dall’ausilio delle sconfitte sperimentate da Faria, il suo alter ego. Il protagonista dell’Inseguimento giunge a negare l’esistenza di uno spazio assoluto e con esso ogni possibilità di movimento. 52 Italo Calvino, I/ conte di Montecristo, cit., p. 158.
3 Gilles Deleuze, The Fold. Leibniz and the Baroque, Minneapolis and London,
University of Minnesota Press, 1993 (ed. orig. Le pli: Leibniz et le baroque, Paris, Minuit, 1988). 54 Gilles Deleuze-Felix Guattari, Rhizome, Paris, Minuit, 1976; cfr. inoltre Umberto
Eco, Dall'’albero al labirinto, in Luoghi del silenzio imparziale, cit., pp. 39-50.
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Nonostante le affinità tematiche ogni racconto raggiunge un diverso livello di elaborazione semantica e di impostazione poetica: il protagonista dell’/nseguimento viene irretito dalla specularità di due labirinti distinti, quello spazio-temporale del mondo reale, una città, un semaforo, una lunga e immobfle colonna di automobili, e quello formato dalle sue ipotesi e supposizioni mentali. La tensione ed il timbro narrativo risultano dalla continua oscillazione tra dinamismo intellettuale e penetrazione psicologica. Le astratte permutazioni matematiche si complicano e si estendono gradualmente al sistema generale, in cui ogni movimento individuale viene riassorbito nel movimento della massa e ogni risoluzione personale è invalidata dalla visione relativistica del tutto. Il labirinto fisico e mentale vanifica ogni scelta, esemplifica una struttura in cui ogni minimo cambiamento non apporta alcuna sensibile modificazione. Non è cambiato assolutamente nulla: la colonna si muove con piccoli spostamenti discontinui, io sono sempre prigioniero del sistema generale delle macchine in marcia, in cui non si distinguono gli inseguitori e gli
inseguiti.55 La problematica condizione di prigionia esperita dall’uomo nel mondo oggettivo si acuisce nel Guidatore notturno, dove lo spazio diviene il luogo di una confusa congerie comunicativa. Il protagonista entra nel dedalo autostradale ed è costretto ad una ricerca senza soluzione, rigidamente fissata in schemi spaziali preordinati. Il dato storico-sociale viene qui ridiretto, l’individuo è al centro di un sistema di intricate relazioni ma questa volta a renderlo prigioniero è l’impossibilità di trasformare il suo messaggio in comunicazione essenziale,5° impraticabilità metaforizzata dalla inarrestabile corsa in automobile e dal continuo intersecarsi delle sue ipotetiche conversazioni con la controparte. È un itinerario che poggia prevalentemente sull’astrazione
55 Italo Calvino, L’inseguimento, cit., p. 137. 56 Il racconto rinvia in questo senso agli studi pubblicati in quegli anni da Barthes, Greimas, Quéneau. Il problema trattato è quello della possibilità di comunicazione del linguaggio e della sperimentazione letteraria.
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logico-matematica e perciò è indispensabile decodificarne i significati latenti. Il movimento è tipico del labirinto, ogni scelta è una svolta, l’incontro con un nuovo ostacolo; non sembra esistere un unico centro
ma una pluralità di nodi formati dal convergere ed intrecciarsi di una pluralità di messaggi. x Il Guidatore notturno insiste strutturalmente sulle simmetrie geo-
metriche e sugli artifici combinatori,°” ma li utilizza tematicamente per rappresentare la complessità del processo comunicativo; il linguaggio umano è divenuto una farraginosa agglomerazione di messaggi ambigui. Il disordine sollecita una semplificazione, un modello comunicativo inequivocabile, che arrivi al fruitore in maniera essenziale. E la semplice azione a diventare il fulero del messaggio, a comunicare la propria essenza. «Ciò che conta è comunicare l’indispensabile lasciando perdere tutto il superfluo, ridurre noi stessi a comunicazione essenziale, abolendo la complessità delle nostre persone e situazioni ed espressioni facciali».58 Il tentativo di tradurre la pura azione in messaggio si scontra con l’impossibilità di essere nello stesso tempo fruitore, in grado di emettere , ricevere e decodificare i messaggi, e messaggio. Questa è la contraddizione in cui mi trovo: se voglio ricevere un messaggio dovrei rinunciare ad essere messaggio io stesso, ma il messaggio che vorrei ricevere da Y— cioè che Y si è fatta lei stessa messaggio — ha un valore solo se io sono messaggio a mia volta, e d’altra parte il messaggio che io sono diventato ha un senso solo se Y non si limita a riceverlo come una qualsiasi ricevitrice di messaggi ma se è lei quel messaggio che io
aspetto di ricevere da lei.5° La labirinticità del processo comunicativo è evidenziata qui dalla complessa sovrapposizione verbale, la cui soluzione potrebbe essere data dall’incontro tra i due protagonisti, un incontro che l’irrefrenabile ipotizzazione di possibili svolte sembra tuttavia rinviare «in eterno».80 57 Gaetano Cipolla, Un Calvino manierista, cit., 32-4. 58 Italo Calvino, // guidatore notturno, cit., p. 145.
59 Ivi, p. 147. 60 Giovanna Gronda, Comunicazione/Espressione: su un racconto semiologico di Calvino, in «The Italianist», III, 1983, p. 60.
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L'immagine labirintica è l’emblema, in questo racconto-manifesto, di
una stringente analisi del linguaggio poetico, linguaggio in cui Calvino vede la (im)possibilità di un atto essenziale, non contaminato dalla raffigurazione di una situazione storica e sociale contingente, da un discorso estetico-letterario riduttivo e convenzionale. Per essere documento poetico universale la letteratura dovrebbe inviare messaggi trasparenti, chiarire i rapporti tra significante e significato, estrarre dal disordine delle parole e dei suoni un messaggio euritmico. Il conte di Montecristo prospetta soluzioni utilizzate nei romanzi più recenti. Dantès, il protagonista, procede deduttivamente in una struttura multidimensionale in cui spazio e tempo sono aboliti a favore del libero movimento mentale. Il labirinto è borgesianamente emblematizzato a livello meta-testuale, nell’intersecarsi di livelli plurimi della narrazione e nell’introduzione in essi di due protagonisti distinti, Dantès, narratore-personaggio che sta all’interno, e Alessandro Dumas,
narratore-personaggio che racconta sia dall’interno dell’intreccio sia dall’esterno della struttura narrativa e sta componendo in un gioco combinatorio le varie fasi dell’azione del Conte di Montecristo.8! L’esperienza epistemologica dei prigionieri della fortezza d’If sintetizza il processo creativo di una scrittura fondata sull’ars combinatoria, procedimento in cui avvengono scarti e fughe, svolte e scelte di materiale di esclusiva pertinenza del poeta. Come aveva sottolineato Tolstoij «il labirinto delle innumerevoli concatenazioni» costituisce «l’essenza dell’arte» la sua possibilità di creare ordine dal caos.°? L’arte diventa modello superiore di conoscenza della realtà, poiché essa è in grado di sperimentare tutte le combinazioni possibili, o comunque di concepire una rete infinita di percorsi e soluzioni. Grazie a quel procedimento perfezionato dagli artisti del Manierismo e del Barocco, lo 61 Ulla Musarra Schroeder, Italo Calvino e ilpensiero del labirinto, in Giovanna Finocchiaro Chimirri, Italo Calvino tra realtà e favola, Catania, C.U.E.C.M.,
1987, p. 145. La struttura a cui la Musarra Schroeder si rifà è quella della spirale che permette «la permutabilità dei suoi due punti estremi, del suo centro e della sua periferia». 62 Viktor Sklovskij, Theorie der Prosa, Frankfurt, Fischer, 1966, p. 61. 63 Gaetfho Cipolla, Un Calvino manierista, cit., 32-4, ascrive agli scrittori del periodo manierista l’abilità di intrecciare, in un sistema di lettere e parole, relazioni
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scrittore diventa creatore e calcolatore dell’incalcolabile, in grado di dare un senso universale alle cose, di ristabilire una logica e pervenire alla sintesi degli opposti. La meta è la produzione di un libro dal segno positivo, a spirale, aperto ed infinito, che contenga in sé tutti gli sviluppi, il dentro e il fuori, la «ricchezza delle occasioni fortunate». Il libro-labirinto è un’ennesima svolta nel discorso programmatico calviniano, discorso che si evolvee giunge a maturazione ne // Castello dei destini incrociati. Pubblicato ad alcuni anni dal saggio sull’arte combinatoria, il romanzo è un momento di confronto, sviluppo e sintesi delle meditazioni autorali sulla scrittura: quello che affascina Calvino è la possibilità di estrarre, da un ristretto numero di tarocchi, un nume-
ro infinito di intrecci. Il procedimento creativo è labirintico, in esso esistono regole imprescindibili9° che determinano e legittimano la funzionalità della struttura; la questione centrale rimane tuttavia la fondazione di un sistema di costruzione razionale e di interpretazione problematica di due realtà, realtà oggettiva e realtà della scrittura. La metafora labirintica informa quindi il romanzo sia a livello morfologico che a livello tematico ed ermeneutico, e l’attraversamento del bosco
magico, della selva-labirinto con il quale si apre la narrazione, è la metaforizzazione di una ricerca gnoseologica, di un rito iniziatico a valore linguistico negativo che si trasforma gradualmente in espressione e comunicazione. Che l’immagine del bosco sia il segnale di una
segrete tra le cose. Attraverso queste relazioni essi anelavano alla costruzione di un iper-libro, di quella che Umberto Eco, Dall’albero al labirinto, op. cit., p. 45, chiama «l’enciclopedia semiotica», con struttura ed estensione rizomatiche.
64 Italo Calvino, // conte di Montecristo, cit., p. 164. 65 Italo Calvino, Nota, in Il castello dei destini incrociati, Torino, Einaudi, 1973, p. 126: «Ma sentivo che il gioco aveva senso solo se impostato secondo certe ferree regole; ci voleva una necessità generale di costruzione che condizionasse l’incastro di ogni storia nelle altre, se no tutto era gratuito». 66 Umberto Eco, / limiti dell ‘interpretazione, Milano, Bompiani, 1990, p. 157. La selva ha una dichiarata connotazione negativa che deriva direttamente dalla tradizione patristica e medievale che rappresentavano la si/va come un labirinto, «luogo pericoloso abitato da mostri diabolici e da ladroni, dal quale era difficile uscire. E una forte connotazione di rischio era associata alla nozione di viaggio per un bosco».
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crisi espressiva dell’autore®” lo segnala appunto la perdita della parola subita dai commensali. Il bosco-silenzio diviene una componente sostanziale del racconto, che nel non-detto fonda il suo polisemico sistema semantico. La sfida comunicativa del racconto si materializza nel quadrato delle carte, poiché della terribile esperienza sono ancora Vivi il desiderio di raccontare la propria storia ai compagni, e la curiosità e il desiderio di ascoltare le storie che si sviluppano dalle raffigurazioni dei tarocchi. Calvino adotta una serie di immagini significanti ad alto valore interpretativo, ma la strategia narrativa rimane semplice: una immagine viene percepita dall’occhio e crea immediatamente una storia,8 un intreccio a esegesi proppiana, in cui le funzioni costituiscono
la trama del gioco combinatorio.99 Nel quadrato delle carte si intrecciano miriadi di frecce in movimento, movimento mentale che impone un ritmo serrato, con rapide svolte interpretative? e repentine deviazioni di percorso. Due narratori distinti compiono le scelte e avanzano nel dedalo: il primo è il narratore intradiegetico, che osserva la vicenda dall’interno e dispone le
67 Francesca Bernardini Napolitano, / segni nuovi di Italo Calvino. Da Le cosmicomiche a Le città invisibili, Roma, Bulzoni, 1977, vede l’origine del bosco calviniano nella foresta dantesca; per Franco Ferrucci, // poema del desiderio. Poetica e passione in Dante, Milano, Leonardo, 1990, la foresta assume il significato
metaforico di crisi, quella vissuta da Dante per la perdita di ispirazione; Claudio Milanini, L’utopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Milano, Garzanti, 1990, p.
140, interpreta la foresta come il luogo dell’«indifferenziato». «La foresta rappresenterebbe la metafora di un’opacità della mente, della perdita individuale e collettiva d’ogni punto di orientamento etico e culturale». 68 Franco Ricci ed., Painting with Words, Writing with Pictures, in Calvino Revisited, Toronto, Dovehouse, 1989, pp. 189-206.
69 Contardo Calligaris, Italo Calvino, Milano, Mursia, 1973, p. 101, interpreta la struttura del Castello come «un’ovvia esemplificazione della nozione barthesiana e derridiana di testo come tessuto dove la lettura sceglie e segue una trama». Cfr. sullo stesso argomento: Francesca Bernardini Napolitano, / segni nuovi di Italo Calvino. Da Le cosmicomiche a Le città invisibili, cit., pp. 133-35, che insiste sul momento
fondamentale della fruizione del messaggio in termini barthesiani di un sistema significante in cui non esiste significato privilegiato ma una molteplice polivalenza di significazioni. 70 Marflin Schneider, Subject or Object? Mr. Palomar and Invisible Cities, in
Calvino Revisited, cit., pp. 171-87.
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carte sul tavolo, il secondo, narratore extradiegetico, commenta ecri-
tica le scelte fatte dal primo e tenta di decodificare i segni che ha di fronte. Il rivoluzionario ruolo della letteratura era stato sostenuto da Calvino in Cibernetica e fantasmi, saggio nel quale lo scrittore attribuisce alla creatività combinatoria e al viaggio di conoscenza einterpretazione la capacità di svelare un significato inatteso, un significato non oggettivo [...] La macchina letteraria effettua tutte le permutazioni possibili in un dato materiale; ma il risultato poetico sarà l’effetto particolare d’una di queste permutazioni sull’uomo dotato di una coscienza e d’un inconscio [...] sarà lo shock che si verifica solo in quanto attorno alla macchina scrivente esistono i fanta-
smi nascosti dell’individuo e della società.”
È compito del narratore extradiegetico ricavare dalle immagini una struttura di tipo espressivo e comunicativo, un sistema di significazione sotterranea, che dischiuda le regioni del represso. Dal labirinto della creazione a quello del soggetto e del suo universo il passo è breve,
specialmente quando si mettono a confronto 1risultati stilistici e tematici del Castello dei destini incrociati con le soluzioni proposte dallo scrittore nelle Città invisibili. Le città descritte da Polo rappresentano le varie tappe nel processo di conquista della realtà interiore, una realtà fatta di memorie, ansie, desideri,” che si scontra con il mondo circostante e con l’inderogabile necessità della sua investigazione. Il narratore extradiegetico del Castello si riconosce nella figura del Bagatto, nel poeta che è manipolatore, nell’alchimista che sa abilmente confondere e mescolare la sua vicenda personale nel coacervo delle altre storie. Si moltiplicano in questo intreccio i diversi «io», gli eterogenei narratori che convergono nel finale nel vero protagonista, colui che fin dall’inizio ha tentato di mettere ordine cercando l’uscita dal labirinto.
7! Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio), in Una pietra sopra, cit., p. 177. 72 Warren F. Motte Jr., Telling Games, in Calvino Revisited, cit., pp. 117-29.
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Scarta un tarocco, scarta l’altro, mi ritrovo con poche carte in mano. Il Cavaliere di Spade, L’Eremita, Il Bagatto sono sempre io come di volta in volta mi sono immaginato d’essere mentre continuo a star seduto menando la penna su e giù per il foglio. Per sentieri d’inchiostro s’allontana al galoppo lo slancio guerriere della giovinezza, l’ansia esistenziale, l’energia dell’avventura spesi in una carneficina di cancellature e fogli appal-
lottolati.73 Il quadrato dei tarocchi, completo e chiuso, segna il ritorno all’indistinto, le storie perdono formae si confondono; la confusione e l’ansia
di raccontare dei convitati favorisce una rappresentazione pulviscolare e rarefatta, dove il significante si è perso in un magma di possibili
interpretazioni.”4 Il gioco si rivela nel suo valore euforico di divertissement, di divinazione del passato, del presente e del futuro, diventa
uno strumento di liberazione che si esplicita nella comunicazione del-
la propria vicenda agli altri.” Ogni storia seduce il lettore con immagini, svolte e colpi di scena; rappresentati in veloce successione essi sottolineano contemporaneamente come senza immagine non ci sarebbe fabula, senza il poeta-alchimista-ciarlatano non ci sarebbe interpretazione, senza espressione non esisterebbe comunicazione. La letteratura diventa strumento di ricerca e riflessione, documento della negatività del presente, pressante invito ad una costante e assidua indagine, ma anche luogo delle infinite scelte, della trasformazione e del rinnovamento. Nelle Ciztà invisibili questa scelta programmatica è chiarita ulteriormente. Marco Polo narra la sua perlustrazione esperienziale, disegna un reticolo di città, le cui strutture, relazioni umane e paesaggi naturali si estendono nello spazio e nel tempo in modo polidimensionale. Marco Poloèil viaggiatore, l'esploratore, ma nel momento in cui racconta diventa poeta, traccia il suo labirintico universo di desideri, me-
73 Italo Calvino, // castello dei destini incrociati, cit., p. 104.
74 Ulla Musarra Schroeder, Italo Calvino e il pensiero del labirinto, in Giovanna
Finocchiaro Chimirri, Italo Calvino tra realtà e favola, cit., p. 155. 75 Per ufi analisi sul ruolo del gioco nella cultura occidentale cfr. Johan Huizinga, Homo Ludens: A Study of the Play-Element in Culture, Boston, Beacon, 1955.
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morie e angoscia. Il suo viaggio non èfisico, ma gnoseologico,79 indagine di conoscenza individuale; in esso le città acquistano una qualità onirica, sottolineata da grandi visioni apocalittiche o da pacati momenti di terrore surrealista. Marco poeta esperisce il mondo circostante, Lo guarda con intensità: ché da queste immagini egli disvela la vita, e su queste apparizioni egli si esercita per.la vita. Non sono solo le piacevoli e amichevoli immagini che egli fa proprie con totale comprensione: anche ciò che è serio, misterioso, triste, oscuro, gli improvvisi ostacoli, le
stoltezze del caso, le attese pungenti, insomma l’intera “divina commedia” della vita, con il suo panorama infernale, gli passa davanti, non come un puro gioco di ombre — poiché egli esperisce e soffre in esso — eppure anche non senza quella fuggevole sensazione dell’apparente ed irreale.””
Per Nietzsche la creazione poetica scaturisce dalla realtà dell’immaginario, nel quale albergano le profonde illusioni, ovvero i desideri, le passioni segrete, i tormenti dell’individuo. Nell’esegesi onirica il filosofo riconosce la presenza di una verità che supera la conoscenza della realtà percepibile ai sensi. Marco e il Kan procedono nel loro percorso in un modo simile, interpretando i paesaggi che si estendono all’esterno ed all’interno del proprio universo per derivarne una ipotizzabile verità. Le immagini memoriali vengono convogliate in una metafora polimorfa, che alterna contrasto e opposizione, creazione e distruzione, morte e rinascita, in un simbolo che esprime molteplicità, polisemia, metamorfosi. Mentre le diegesi del Caste//o erano racchiuse nel quadrato dei tarocchi e l’universo della espressione poetica drammatizzato nel Bagatto, nelle Città l’intreccio viene costruito attraverso l’atlante, mappa del reale ad estensione e dimensionalità rizomatica. Nel concepire la tramatura poetica del romanzo Calvino, pur non elu-
76 Per Albert Howard Carter III, Italo Calvino. Metamorphoses of Fantasy, Ann Arbor, UMI Research Press, 1987, p. 113: «Lo spazio implicito delle città è solo metaforicamente esteriore; fenomenologicamente esso è totalmente interiore».
77 Friedrich Nietzsche, Die Geburt der Tragòdie aus dem Geiste der Musik, in Werke in drei Béinden, I, Miinchen, Hanser, 1954, p. 22.
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dendo spunti borgesiani,78 elabora le recenti soluzioni estetiche e filosofiche “neobarocche” e postmoderne, che riconoscono la necessità di
nuovi modelli conoscitivi.”? La città diviene per lo scrittore il più compiuto strumento di comprensione del mondo, l’immagine di un universo a più dimensioni, in costafite mutamento, intersecato da miriadi di relazioni umane e rapporti oggettivi. Originalmente simbolo del distinto e dell’idealmente perfetto essa finisce per divenire diffuso reticolato di esperienze, memorie, stati d’animo. Mai uguale a se stessa ogni città partorisce altre città, sospese, sotterranee, doppie, triple, speculari, popolate da vivi, morti, non
nati, infestate da cadaveri ed epidemie. Lo stretto rapporto di dipendenza che l’uomo intrattiene con la città, che egli stesso ha pensato ed edificato, illustra perfettamente il rapporto che l’individuo moderno intrattiene con la storia, la società, la cultura e i modi di produzione;
l’uomo contemporaneo non può che rifiutare il tradizionale metodo di conoscenza che poggia sull’unità della esperienza dialettica totaliz-
zante.8° Marco compone la città-labirinto del romanzo, ideale perché umana, pezzo per pezzo, poiché essa è «fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e
non sa chi li raccoglie».8! La città diviene simbolo comunicativo per eccellenza, produce e attiva un suo peculiare idioletto, la sua architet-
78 Jorge Luis Borges, Del rigor en la ciencia, in Historia Universal de la Infamia, Buenos Aires, Emecé, 1954, pp. 131-2, racconta la storia di un impero i cui abitanti sono ossessionati dal desiderio di possedere una mappa accurata dei propri
territori e con essa il potere di dominare lo spazio con la sola capacità mentale. L’attuazione del progetto getta il paese in una rovinosa decadenza, poiché tutti gli uomini, abbandonati gli incarichi quotidiani, si sono dedicati completamente alla cartografia: «In quell’Impero l’arte della Cartografia raggiunse tal perfezione che la mappa di una sola Provincia occupava tutta intera una città, e la mappa dell’Impero, tutta una Provincia. Con il tempo, queste mappe smisurate divennero insoddisfacenti e il Collegio dei Cartografi ideò una mappa dell’Impero che aveva l’estensione dell’Impero e con esso coincideva esattamente». 79 Cfr. Jean-Frangois Lyotard, The Postmodern Condition: A Report on Knowledge, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1984 (ed. orig. La condition postmoderne: rapport sur le savoir, Paris, Minuit, 1979).
80 Ivi, pp? 72-3. 81 Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, p. 169.
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tura è strumento di comunicazione con il mondo circostante, progetto di espressione per il poeta moderno. Così Polo trasforma il paesaggio mentale in sistema linguistico, in riflessione umana e manifesto estetico.83 Da questo complesso panorama lo scrittore edifica uno schema narrativo84 in cui si compenetrano l’articolato disegno delle città, dei loro nuclei tematici e la cornice in cui si muovono i protagonisti, costantemente animati dalla necessità di chiarire la realtà,8° di sintetizzarla in una serie di astratti modelli proliferanti. Ogni città diviene un segmento minimo della rete sapienziale, che ha validità ed efficacia proprio per la sua dimensione polisemica, innestato in un circuito infi-
nito che comprende le forme più disparate, il tutto e la sua antitesi.86 La struttura immaginata da Polo è un labirintico reticolo i cui punti si intreccianoesi allacciano attivando il meccanismo della diffusione: ogni città fa convergere in sé un elemento del tutto e a sua volta lo rende platonicamente conoscibile nella sua idea primigenia. Le caratteristiche fondamentali del rizoma sono la sua «antigenealogicità», e la sua «acentricità»8” antigerarchizzante: la mappa che esso consente di delineare non ha la forma di un albero, tradizionale emblema della
riduzione conoscitiva, in cui esistono punti di partenza e di arrivo, e non riduce la struttura a un calco, con limiti e chiusure. Il rizoma ha una struttura che si espande in continuazione, senza centro. Se in ogni
città il modello ordinatore è di tipo binario-oppositivo,88 il reticolo 82 Paolo Portoghesi, Postmodern, Milano, Electa, 1982, p. 10. 8 Ludwig Wittgentstein, Philosophische Untersuchungen, Oxford, Blackwell, 1963, sec. 18, p. 8, dove la lingua è paragonata a una antica città: «Al nostro linguaggio si può pensare come a una vecchia città: un groviglio di vicoli e piazze, di nuove e vecchie case e di case costruite in epoche diverse; e questo circondato da una massa di nuove periferie, con strade rette e regolari e case uniformi».
84 Guido Almansi, Le città illeggibili, in «Il Bimestre», V, 3.6.1973, pp. 28-31. 85 Lene Waage Petersen, //fantastico e l’utopia. Percorsi e strategie del fantastico in Italo Calvino con speciale attenzione a Le città invisibili, in «Revue Romane», cit., pp. 88-105.
86 Robert Dombroski-Ross Miller, Postmodern Rhetoric: Calvino 4 Le città invisibili and Architecture, in «Annali d’Italianistica», IX, 1991, pp. 230-41. 87 Umberto Eco, Dall’albero al labirinto, cit., p. 49. 88 Flavia Ravazzoli, Le città invisibili di Calvino: utopia linguistica e letteratura, in «Strumenti critici», II, maggio 1987, pp. 193-210.
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delle città è plurimo, aperto ai variabili sviluppi dell’invenzione immaginativa, suscettibile di suggestive estensioni. L’inconfondibile segnale della struttura rizomatica è presente inoltre, a livello tematico,
nelle città continue, il cui espandersi non permette al visitatore di riconoscerne o valicarne i confini. La città ideale, sognata da Marco, coincide con l’ideale della conoscenza e della dominazione dell’impero, opinata da Kublai, ma mai
come nelle Città invisibili la comprensione dell’universo è subordinata alla consapevolezza che l’individuo ha di se stesso, mai come in quest’opera è evidente che la conquista della propria interiorità predispone l’individuo a battere l’inferno che lo circonda. Il bisogno di chiarezza è divenuto il fulcro della attività narrativa di Calvino; egli rico-
nosce la presenza del dedalo, ammette la «impossibilità di trovare risposte assolute, univoche»,8? ma continua a credere nell’uomo, nella
sua capacità di discernere e rifiutare il caos, e crede soprattutto nella scrittura, nella responsabilità della sua costante interrogazione. Il labirinto continua a emergere in opere successive, in Se una notte
d’inverno un viaggiatore e in Un re in ascolto.” Ne In una rete di linee che s’allacciano il protagonista partecipa metanarrativamente alla struttura del racconto delimitandone lo spazio e tracciandone l’intreccio. L’ideale sarebbe che il libro cominciasse dando il senso d’uno spazio occupato interamente dalla mia presenza, perché intorno non ci sono che oggetti inerti, compreso il telefono, uno spazio che sembra non possa contenere altro che me, isolato nel mio tempo interiore, e per l’interrompersi della continuità del tempo, lo spazio che non è più quello di prima perché è occupato dallo squillo, e la mia presenza che non è più quella di prima perché è condizionata dalla volontà di questo oggetto che chiama. Bisognerebbe che il libro cominciasse rendendo tutto questo non una volta sola ma come una disseminazione nello spazio e nel tempo di questi squilli che strappano la continuità dello spazio e del tempo e della volontà.?!
89 Achille Bonito Oliva, Luoghi del silenzio imparziale, cit., p. 19. 90 Italo Calvino, Sotto il sole giaguaro, Torino, Einaudi, 1988. 91 Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979, pp. 134-5.
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La presenza del labirinto permea la costruzione diegetica sia a livello morfologico, nella distribuzione dei vari elementi che illustrano il possibile evolversi dell’azione, sia a livello tematico negli spostamenti spaziali del protagonista che si muove nel dedalo di strade che attraversano il campus universitario. _ Ne /n una rete di linee che si intersecano il labirinto si sdoppia in un gioco di apparenza e realtà che intrappola il protagonista nel suo stesso labirinto mentale, ideato per evitare il temuto rapimento. La struttura multi-speculare, concepita come estremo ed intellettualizzante tentativo di fuga, finisce per imprigionare il protagonista in una miriade di immagini riflesse nel quale l’unità si è sbriciolata in incomprensibili frammenti e in cui l’io si è definitivamente smarrito: Con mia grande sorpresa, anziché a un nascondiglio segreto i rapitori mi accompagnano a casa mia, mi rinchiudono nella stanza catoptrica ricostruita da me con tanta cura sui disegni d’ Athanasius Kircher. Le pareti di specchio rimandano infinite volte la mia immagine. Ero stato rapito da me stesso? Una delle mie immagini proiettate per il mondo aveva preso il mio posto e m’aveva relegato al ruolo di immagine riflessa? 9?
L’intelletto ha creato un sistema impenetrabile, ogni immagine riflette frammentariamente l’unità perduta, mentre il labirinto diventa prigione, luogo dal quale è impossibile uscire. Per il protagonista di Quale storia laggiù attende la fine? «il mondo è così complicato, aggroviogliato e sovraccarico che per vederci chiaro è necessario sfoltire, sfoltire».?3 Durante una passeggiata sulla Prospettiva di una anonima città russa egli trasforma la realtà circostante in un deserto. L'eliminazione del disordinato groviglio architettonico e umano non allevia tuttavia l’angoscia del protagonista, il cui disperato tentativo di liberazione ha eliminato non solo il reale ma anche la possibilità della sua rappresentazione. Se il mondo non esiste esso non può venire testimoniato nel linguaggio, una soluzione che Calvino considera ma non favorisce.
92 Ivi, p. 167.
93 Ivi, p. 247.
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L’ultima immagine labirintica si trova in Sotto il sole giaguaro94 Un re in ascolto è il resoconto di un protagonista nascosto nell’inumano palazzo-prigione dal quale ogni uscita è negata. L'edificio reale si ramifica in un labirinto di stanze e saloni sconosciuti, mentre dalla
prigione sotterranea salgono richiami di uno sconfitto rivale. Ogni rapporto con il mondo èstato-troncato, solo una voce di donna arriva alla sala del trono, richiamo di una umanità irraggiungibile. Il re ha rinunciato all’uscita, ha praticato il percorso infernale fino in fondo,
dal palazzo-prigione-labirinto non c’è via di scampo. Del labirinto Calvino riafferma con insistenza il principio cosmogonico fondatore, il suo espandersi in maniera illimitata, la sua multicursa-
lità, la pluralità dei suoi itinerari. Nei saggi come nella produzione narrativa il labirinto emblematizza infine il procedimento scrittorio, che si avvale di infinite permutazioni e combinazioni formali e tematiche.?5 La letteratura custodisce in sé la possibilità di organizzare formalmente e rappresentare simbolicamente il mondo reale. Grazie a una rigorosa introspezione, a una stringente analisi della realtà, l’artista, il poietes, ribadisce la necessità di illuminare il fitto reticolo di relazioni che compongono l’universo umano. Nelle Lezioni americane, l’ultima raccolta di saggi calviniani, il labirinto diviene metodo di conoscenza epistemologico implicito al romanzo contemporaneo, il quale deve apparire come un’«enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione
tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo».
94 Italo Calvino, Sotto il sole giaguaro, Milano, Garzanti, 1986. 95 Vladimir Propp, Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966. La scuola strutturalista aveva promosso la nozione di un numero finito di funzioni simboliche che a sua volta produce un numero infinito di forme espressive possibili. 96 Italo Calvino, Lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, p. 103; cfr. inoltre: Giorgio GuzZetta, La letteratura come domanda nelle «Lezioni americane» di Italo Calvino, in «Prometeo», IX, gen.-mar. 1989, pp. 48-53.
III.
Una molteplice unità #
1. Una molteplice unità Le opere calviniane dell’ultimo quindicennio sono caratterizzate da una struttura a cornice contenente vari frammenti di narrazione. Già in Marcovaldo e nelle Cosmicomiche l’autore aveva utilizzato un modello creativo analogo, modello in cui tuttavia non compariva né veniva evidenziata la presenza di un iper-racconto che inglobasse e ordinasse il percorso narrativo.! I/ Castello dei destini incrociati, Le città invisibili, Se una notte d'inverno un viaggiatore e Palomar presentano invece un protagonista che, in prima o terza persona, tenta di catalogare i diversi momenti della propria esperienza, esperienza principalmente visiva, e di organizzarli in un sistema epistemologico. Ogni intreccio documenta il tentativo di riordinare un reale mutabile, lo sforzo
di rinvenire una unità sfuggente. L’esigenza di restaurare un ordine coerente e razionale nel mondo oggettivo diviene ragione imprescin-
! Maria Corti, Testi o macrotesto? I racconti di Marcovaldo, in Il viaggio testuale, Torino, Einaudi, 1978. La studiosa analizza le due raccolte edite in anni differenti come due opere diverse e definisce la prima una macrostruttura, individuando in essa un
modello ripetitivo al livello delle funzioni, degli attanti e dei loro comportamenti stereotipici; la seconda edizione rivela invece un procedimento metodologico e strutturale diverso, in cui vengono eliminate la ripetitività, la linea ascendente e discendente dell’intreccio”ed è sottolineata la mancanza di «chiusura» nel racconto. La struttura
della seconda raccolta non risulta di conseguenza unitaria ed omogenea come la prima.
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dibile del personaggio, ne documenta l’evoluzione, oltre a stabilire il punto di vista prospettico su cui poggia la poetica dell’universo scrittorio calviniano. Nella struttura morfologica e nell’organizzazione tematica delle opere summenzionate prevale una visione frammentata e dettagliata del reale, un procedimento creativo moderno che fonda le sue radici nel Seicento, secolo dominato dall’apertura e dalla dinamicità delle arti figurative e poetiche, modificato da una serie di sconvolgenti scoperte geografiche e scientifiche,* scosso dalla consapevolezza di un cosmo progressivamente espansosi e diventato mundus, sistema monadico particellare, libro in cui leggere e scoprire il mistero della molteplice unità.* Sono del diciassettesimo secolo la coscienza della marginalità dell’esistenza umana, infinitesimo tassello di un insieme
2 George Poulet, Les Métamorphoses du Cercle, Paris, Plon, 1961, p. 23, inter-
preta il nuovo concetto di spazio come uno dei valori costitutivi dell’arte barocca. In questo spazio il poeta, l’architetto, lo scultore secenteschi creano una molteplicità di forme nell’inutile tentativo di riempirlo. Lo spazio si rivela infinito e la sua conquista un compito inusitato. «Lo spazio non è un dono di cui ci si possa appropriare con la forza o in qualsivoglia altro modo. Èsolo possibile invaderlo. E tutti i tentativi attraverso i quali uno può tentare di prenderne possesso riversando in esso il più grande numero, o il più voluminoso numero di forme, riesce solo a rendere più ovvio il contrasto tra la immensità reale dello spazio e la falsa immensità del volume o del numero. In presenza dello spazio tutto ciò che lo occupa si contrae e decade. La moltiplicazione diviene divisione, la massa una pluralità di parti. Lo spazio riempito è immensurabilmente sorpassato dallo spazio non riempito». 3 Umberto Eco, The Role of the Reader, Bloomington, Indiana University Press, 1979, p. 57: «L’apertura e il dinamismo del Barocco segnano l’avvento di una nuova consapevolezza scientifica: la sostituzione del tattile in favore del visuale significa che l’elemento soggettivo prevale e che l’attenzione viene spostata dall’essenza all’apparenza dei prodotti architettonici e pittorici [...] Dall’altro lato, nell’abbandonare il punto di fuga, il centro essenziale della composizione e il punto di vista stabilito per il vedente, le innovazioni estetiche finivano per riflettere la visione copernicana dell’universo».
4 Gilles Deleuze, The Fold. Leibniz and the Baroque, Minneapolis-London, University of Minnesota Press, 1993, p. 31: «È ben noto che il libro totale fu un sogno tanto in Leibniz che in Mallarmé, anche se entrambi non smisero mai di lavorare per frammenti [...] Essi hanno creato questo libro unico, il libro delle monadi, in lettere e minime circostanze che sono in grado di sostenere sia dispersioni che com-
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conoscibile solo per astrazione, e l’esigenza di stabilire una diversa relazione tra uomo e universo, individualità e mondo esterno.$ Si modifica sensibilmente il dialogo tra uomo e natura, tra soggettività e oggettività. La necessità di ridurre la diversità dei fenomeni cosmici a un sistema gerarchicamente articolato e semplificato, già presente nei filosofi e poeti dell’atomismo, diventa più pressante quando si scopre
che l’occhio umano” deve valicare i confini del conosciuto per poi far ritorno al microcosmo delle percezioni quotidiane, in un continuum intellettuale che oscilla tra interrogazione, scoperta e nuova interrogazione. La tesi della semplicità atomica del mondo e della sua diretta conoscibilità non è più attendibile, la scienza moderna scopre allora nel processo analitico che va dal semplice al complesso la risposta alle questioni poste dalla equazione copernicana.8 binazioni. La monade èil libro o la stanza di lettura. Il visibile e il leggibile, l’esterno e l’interno, la facciata e la camera non sono tuttavia due mondi separati, dato che il visibile può essere letto e il leggibile ha il proprio palcoscenico. Le combinazioni del visibile e del leggibile creano ‘emblemi’ o allegorie care alla sensibilità barocca». 5 Cfr. Carlo Calcaterra, // problema del barocco, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano, Marzorati, 1949, p. 416: «Non può esservi quindi dubbio che a
provocar questo disprigionamento dello spirito, dalla seconda metà del Cinquecento a tutto il Seicento, ebbe gran parte, come ho detto, la consapevolezza sempre più profonda einsistente che da per tutto, nella filosofia, nelle scienze, nelle arti urgeva un senso diverso non solo della condizione dell’uomo nel mondo, ma di tutto l’essere
nell’universo». 6 Gilles Deleuze, The Fold. Leibniz and the Baroque, cit., p. 28. È il Barocco a instaurare la divisione tra il mondo fenomenologico esterno e l’unità interiore costituita dalla monade leibniziana; secondo Gilles Deleuze questi due mondi sono destinati a non congiungersi: «Dato che l’infinita divisione dell’esteriorità si estende all’infinito e rimane aperta, ci viene richiesto di uscire dall’esterno in modo da poter enunciare una puntuale unità interiore. L'universo fisico, naturale, fenomenico con-
tingente è immerso interamente nell’infinita ripetizione di connessioni aperte: in questo esso non è metafisico. L’universo metafisico si trova al di là e chiude la ripetizione [...] La monade costituisce il punto fisso che l’infinita divisione non otterrà mai e che chiude lo spazio infinitamente diviso». Cfr. inoltre Michel Serres, Le sistème de Leibniz, Paris, Seuil, 1982, p. 762. 7 Christine Buci-Glucksmann, La folie du voir, De l’esthétique baroque, Paris, Galilée, 1987, definisce una estetica della visione barocca con riferimenti alle moderne teorizzazioni di Lacan e Merleau-Ponty. 8 Ilya Prigogine-Isabelle Stengers, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1981, p. 10.
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L’emergente cosmogonia non può eludere la problematica umana: tramontato l’antropocentrismo, e con esso tutte le convenzioni tradizionalmente accettate dalla filosofia, dall’arte e dalla scienza, è possi-
bile continuare il dialogo che era stato al centro delle esperienze intellettuali precedenti, la dialettica integrazione tra l’uomo e il cosmo? Dai quesiti e dalle problematiche poste nel diciassettesimo secolo è scaturito un modello di investigazione scientifica che ha influenzato in maniera determinante il pensiero moderno, un pensiero che ha visto l’intrecciarsi di complessi fenomeni culturali tra i quali il Postmoderno è oggi senza dubbio uno dei più discussi. Il paradigma postmoderno è costituito, secondo Ihab Hassan, da una concatenazione di componenti tematico-formali tra le quali appaiono l’indeterminazione, la frammentazione, la decanonizzazione, la rappresentazione dell’irrap-
presentabile e, infine, l’ironia.? Nel campo estetico la compresenza di queste componenti ha creato le premesse per un ampliamento dei linguaggi possibili e il generarsi di formule artistiche alternative che hanno modificato e diversificato la produzione culturale e letteraria del Novecento. Il principio dell’indeterminazione si colloca al livello del sapere come esperienza dell’ambiguità, dell’incertezza, della rottura e dello spostamento di significato. Questo modo di porsi di fronte alla realtà provoca il bisogno di relativizzare, di moltiplicare le interpretazioni o di negarne tout court la possibilità. La frammentazione deriva direttamente dall’indeterminazione e propone una visione antitotalizzante e antiunitaria. «L’età richiede differenze, significanti mobili, a anche atomi che si dissolvono in elusive sottoparticelle, un mero
afflato matematico».!° Per Jean-Frangois Lyotard!! il problema del ° Ihab Hassan, Pluralism in Postmodern Perspective, in «Critical Inquiry», XII, n. 3, Spring 1986, pp. 503-20. 10 /yi, p. 505. !! Jean-Frangois Lyotard, The Postmodern Condition: A Report on Knowledge, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1984, pp. 43-4: «Il principio di un metalinguaggio universale è sostituito dal principio di una pluralità di sistemi assiomatici e formali capaci di discutere la veracità delle affermazioni denotative; questi sistemi sono descritti da un metalinguaggio che è universale ma incoerente. Ciò che passava per paradosso, e persino per paralogismo, nella esperienza della scienza classica e moderna può, in certi sistemi, acquisire nuova forza ed essere
accettato dalla comunità degli esperti».
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pluralismo e della frammentazione si pone nei termini di una conoscenza scientifica che ha reso necessaria una moltiplicazione dei linguaggi disponibili e la legittimazione dei loro messaggi differenziati. L'umanità ha disconosciuto la validità dei grands récits, delle verità assolute in favore di un sapere pragmatico eterogeneo e molteplice, liberato dal fantasma del totalitarismo e dalla omogeneità del positivismo. La frammentazione nel campo estetico! crea un’opera d’arte polimorfa e polisemica, il cui messaggio viene costantemente arricchito di significato. Delegittimare il linguaggio assoluto a favore di un linguaggio plurale porta come conseguenza la decanonizzazione dei grandi generi letterari a favore delle petites histoires, che favoriscono
«l’eterogenietà dei giochi linguistici».! Conseguenza del processo di frammentazione è una rappresentazione che diviene irreale: «Anche il suo ‘realismo magico?’ si risolve in stati eterei: le sue superfici dure e piatte rifuggono dalla mimesi. La letteratura postmoderna, in modo particolare, esplora spesso i propri
limiti, ricerca il proprio ‘esaurimento”,!4 si sovverte in forme di articolato ‘silenzio’».!° Il messaggio del testo è autoreferente, il suo procedere un gioco tra visione dell’immaginario e astratte strutture cognitive, il risultato, l'esaurimento dell’opera in se stessa. Ulteriore principio fondatore postmoderno è l’ironia, che scaturisce, come afferma ancora Ihab Hassan, dalla assenza di «un principio 12 Ivi p. 60, nota come il racconto breve (petit récit) sia la forma quintessenziale della invenzione immaginativa e ne attesta la validità anche nel campo scientifico. 13 Thab Hassan, Pluralism in Postmodern Perspective, cit., p. 505.
14 John Barth, The Literature of Exhaustion, in «The Atlantic», CCXX, 1967, pp. 29-34, saggio in cui il critico pareva aver sancito la morte del romanzo. Una rettifica e un chiarimento si trovano invece nel suo saggio seguente The Literature of Replenishment, in «The Atlantic», CCXLV, 1980, pp. 65-71, nel quale viene ribadita la possibilità, in accordo coni principi di poetica sanciti dal movimento postmoderno, di una ricerca di nuove soluzioni narrative. La letteratura contemporanea, secondo Barth, prospetta la visione di un universo ancora inesplorato. Nel momento in cui essa scavalca il confine del non detto si produrrà una narrativa dalle «possibilità mostruose». Cfr. sullo stesso tema Curtis White, Italo Calvino and What
Next: The
Literature of Monstruous Possibility, in «The Iowa Review», XIV, Fall 1986, pp. 128-39. ._ 15 Ihab Hassan, Pluralism in Postmodern Perspective, cit., p. 506.
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cardinale o un paradigma» per cui la scrittura diviene «gioco, dialogo, polilogo, allegoria, autoriflessione [...] ironia».!9 Nelle Lezioni americane, nel saggio dedicato alla Molteplicità, Calvino fa propria la problematica di una letteratura che convive con una realtà multiforme, la cui molteplice interpretabilità produce una rete di connessioni variabili e discontinue. Il mondo esterno non obbedisce più alle regole di un sapere unificante o ad una logica codificata, è necessario quindi per lo scrittore rappresentare il sapere accumulato non come globalità ma piuttosto come conoscenza parziale, precaria, relativa. Nella letteratura contemporanea Calvino riconosce che Carlo Emilio Gadda, Robert Musil, George Perec hanno saputo meglio di altri trasporre sulla pagina la visione di un mondo epistemologicamente complesso, metaforizzato in un groviglio inestricabile di manifestazioni simultanee, di «elementi eterogenei che concorrono a determinare ogni evento».!7 Lo scavo, proprio della scrittura di questi autori e dello stesso Calvino, punta lo sguardo sulle diverse manifestazioni del reale, ne studia le caratteristiche, ne accumula le percezioni, tenta di interpretarne i mutamenti organizzando la scrittura in un sistema che si evolve ad infinitum; ne deriva una specie di catalogo iperbolico dello scrivibile, una mappa funzionale modellata da dettagli del reale che rimandano alla totalità, ideale meta dell’operare narrativo. Si tratta di creare un «iper-romanzo» che contenga in sé tutto lo scibile organizzato in forma di interrogazione, di «piccola filosofia portabile». Un tale procedimento poggia sulla osservazione della realtà e sulla sua conseguente trasposizione estetica. Come per il Barocco ogni elemento visivo viene ad assumere una funzione e un valore indipendenti. Nel moderno universo scientifico, come nell’architettura e nell’arte
figurativa del Barocco, le varie parti componenti sono considerate di uguale valore e hanno uguale dignità, e l’intera struttura si espande verso una totalità che si avvicina all’infinito. Essa rifiuta di essere limitata da qualsi-
asi concezione normativa del mondo.!8
16 Ivi, p. 506. 17 Ivi, p. 104. 18 Umberto Eco, The Role of the Reader, cit., p. 57.
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Calvino utilizza alcuni dei canoni postmoderni plasmandoli tuttavia in modo personale, attraverso un modus operandi narrativo che non fa coincidere le soluzioni adottate nei suoi romanzi con le posizioni filosofiche del movimento jin questione. Se infatti il metodo ed il rigore stilistico dei suoi romanzi si avvicinano alla strategia programmatica postmoderna diverso È il messaggio etico e morale, derivato da una letteratura erede di una tradizione scientifica stringente e razionale, i cui presupposti sono il coinvolgimento dell’individuo atutti i livelli del reale, l’esigenza di una continua valutazione critica della conoscenza e una coerenza di stile e contenuto che non sfoci mai nella contraddittorietà. Rappresentare la pluralità dell’universo non diviene mai per Calvino uno stimolo a cadere nell’irrazionale, nell’indefinitezza del caos, al
contrario, la sua ricerca punta con coerenza verso l’affermazione della possibilità di una azione di conoscenza esaustiva, affidata ad una rappresentazione lucidamente astratta e tuttavia mai avulsa dalla realtà oggettiva circostante.
2. L’opera-frammento: struttura e funzione La struttura predominante nelle ultime opere di Italo Calvino è dunque la frammentazione in minime strutture rappresentative, brevi interpretazioni estratte da mazzi di carte, visioni di surreali città, solitari excursus scientifico-meditativi e, non meno curiosa, una serie di rocamboleschi incipit di romanzo. Questi esperimenti formali non appartengono esclusivamente alla scrittura calviniana ma caratterizzano il panorama della letteratura contemporanea.!? Il termine frammento deriva dal latino frangere, al quale sono legati i sostantivi «frazione» e «frattura». L'immagine evoca un oggetto
19 Anne Cauquelin, Court traité du fragment: Usages de l'@uvre d'art, Paris, Aubier, 1986, p. 7, vede nel frammento una logica che è derivata dalla società con-
temporanea; «Ovunque non è che questione di esplosioni, di dispersione di identità in declino, di atomizzazione del sapere, di competenze, degli individui e degli oggetti stessi».
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che si è rotto, una parte che si è staccata dall’intero al quale esso deve
venire ricollegato. È evidente il carattere epistemologico di una tale investigazione, che procede dalla frazione al tutto configurando il sistema in modo eminentemente ipotetico e induttivo. Questo programma di esplorazione diviene ricerca narrativa e poetica nelle Città invisibili, nel quale un protagonista illumina con personali descrizioni le città che formano la trama del suò viaggio imperiale. La rappresentazione di questo universo è intensa e frammentaria, svincolata da precise coordinate spazio-temporali e da ogni tentativo di inquadramento storico. L’assenza di un reticolo temporale?0 che imprigioni il presente?! in una storicità predeterminata sta alla base della struttura compositiva a frammento e così il giardino in cui avvengono gli incontri dei protagonisti e le città narrate sottolineano la a-temporalità e la iperrealtà? dello spazio memoriale;?3 la realtà è resa immateriale dalla frammentazione, ogni città diviene l’emblema di una sublimità o di un orrore
20 Marilyn Schneider, Subject or Object? Mr. Palomar and Invisible Cities, in Calvino Revisited, Toronto, Dovehouse,
1989, p. 172: «I brevi capitoli delle Città invisibili, la loro sconnessa narrazione e la loro distorta temporalità, tutto contribui-
sce a potenziarne le caratteristiche oniriche [...] Le città invisibili sfuggono al tempo presente, trovando rifugio nel passato ed in un utopico futuro».
21 Fiorenza Luotto De Martini-Biancamaria Bruno, Un tempo per conoscere, in Narrare: percorsi possibili, Ravenna, Longo, 1989, p. 154: «E proprio perché ci troviamo ai confini della realtà, questa situazione di immaginario proposta dal testo è strutturata in termini di logica modale più che di logica temporale: essa non ha oggi e non ha domani, non ha storia, ha soltanto ‘possibilità’».
22 Sergio Pautasso, Favola, allegoria, utopia nell'opera di Italo Calvino, in «Nuovi Argomenti», XXXV, 1973, p. 85, riconosce nelle Città invisibili il tentativo di com-
porre una letteratura «a incastro [...] senza più mediazioni esterne. La letteratura, anzi la nozione tradizionale di letteratura, sembra negata in modo definitivo; la figurazione non cede neppure il passo a una nuova figurazione; siamo nell’astratto puro, e la letteratura astratta è l’alibi di uno scrittore che ambiguamente sembra sug-
gerire di non credere più alla letteratura per non ammettere, forse, che ci crede troppo». 23 Aurore Frasson-Marin, Structures, Signes et Images dans Les villes invisibles d’Italo Calvino, in «Revue des Études Italiennes», p. 30: «Memoria e desiderio aboliscono dunque la dimensione temporale e allo stesso tempo assumono una funzione creatrice)».
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val
eterni,24 mentre tra le immagini e i segni rimane il vuoto, uno spazio da colmare con la parola, il racconto. Ma ciò che rendeva prezioso a Kublai ogni fatto o notizia riferito dal suo inarticolato informatore falo spazio che restava loro intorno, un vuoto riempito di parole. Le descrizioni di città visitate da Marco avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi, fermarsi
a prendere il fresco, o scappare via di corsa.?5
Come le città costituiscono frammenti significativi così anche il dialogo tra Marco e Kublai è un mosaico di frammentazioni linguistiche in cui c’è spazio per la mimica, la pantomima, l’espressività del corpo, l’inespressività, il silenzio, l’immobilità. Abbandonato il tradi-
zionale sistema di trasmissione della conoscenza Marco e Kublai adottano l’inusuale ma estremamente polisemico silenzio comunicativo degli oggetti-frammento. Nel percorso di conoscenza di Marco e Kublai coabitano due indirizzi di pensiero contrastanti: da un lato vi è la tendenza a vedere nell’oggetto il simbolo di una totalità straordinaria e trascendente, a cui tutto viene a tempo debito ricondotto, dall’altro la tendenza a percepire nell’oggetto un frammento di un’unità non ripristinabile.?6 Il frammento introdurrebbe insomma una dissonanza, una nota disarmonica
nell’universo, puntando l’attenzione sulle sue discordanze, segnalandone il disordine, mettendone in dubbio il contenuto epistemico. La visione opposta trasforma invece il frammento in uno strumento di investigazione ed interpretazione dell’infinito. Così, mentre Marco tra-
24 Anne Cauquelin, Court traité du fragment: Usages de l’aeuvre d'art, op. cit., p. 81-2 divide il frammento in caldo e freddo. Del frammento freddo la studiosa parla in termini che si possono facilmente mettere a confronto con le sensazioni provate dal lettore davanti a ogni città raccontata da Marco: «Pura esplosione di ghiaccio il frammento. Distaccato. Chiuso in se stesso. Irregolare [...] Ci sfida all’enigma. Ci obbliga a girare intorno. Il suo fascino ci distaccherà dalle nostre antiche misure [...] Poiché esso è pieno, compatto, presente, e ciò che noi riteniamo essere la trama multipla delle cause e delle connessioni diviene fluida, immateriale, senza effetto».
25 Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, p. 45.
26 Anne Cauquelin, Court traité du fragment: Usages de l’aeuvre d'art, cit., p. 8.
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duce il messaggio esperienziale nella plasticità di immagini sfuggenti e metamorfiche, l’imperatore oscilla tra la speranza di scoprire in questa struttura precise rette ordinatrici e la disperazione di non rinvenire in essa che disarmonia e caos. Per Marco ogni frammento è.l’immagine istantanea del tutto, ne rivela l’essenza trascendente; per questo i suoi reportages non sono enumerazioni di merci e oggetti di scambio, ma inviti a captare l’essenza della città, la sua relazione con ciò che sta al di là dei limiti
spazio-temporali. Il significato simbolico di ogni segno linguistico, di ogni immagine, di ogni messaggio, non viene disperso ma concentrato, acquista molteplici risonanze. «Il frammento portato all’apice è universalità dell’idea, niente lo minaccia quanto la pratica dell’ordinario, del quotidiano, del volgare».?” Il dialogo-silenzio di Marco trasforma i luoghi visitati in diversificati micro-mondi, che rispondono ad altrettante dimensioni di una logica unitaria al di là della quale si estende l’inferno. La disperata analisi di Kublai ha per traguardo invece il ritorno alla «normalità»,?3 all'impero com’era prima della decadenza. La tragedia della improbabile ricerca e dell’impossibile riconquista si rivelano nella loro interezza proprio attraverso i racconti di Marco, il quale ha trasferito nella parola e nel linguaggio la speranza di una conoscenza integrale, ordinatrice. Alla conoscenza unitaria che aveva preceduto la rivoluzione scientifica copernicana si sostituisce ora una conoscenza che poggia sull’esperienza del particolare e sulla sua traslazione da un significato eminentemente individuale ad uno squisitamente universale. È il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani ci ha fatto eredi della loro
27 Ivi, p.1l. 28 Omar Calabrese, L'età neobarocca, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 83, nota che
il procedimento analitico-cognitivo alla base della creazione a frammento postula un ritorno alla «normalità» dell’intero senza causare nessuna ridefinizione di esso. Nelle Città invisibili questa posizione è illustrata dall’imperatore, che inutilmente domanda al suo messaggero di ricreare per lui ciò che ha smesso di esistere.
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lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.?9
Il percorso mentale del vefieziano procede in senso inverso a quello tradizionale del Kan, tutto incentrato sulla ricerca di coordinate omogenee; per Marco ogni città-frammento è una rappresentazione fenomenologica dell’anomalo, del differente, ogni paesaggio è narrato esclusivamente nella sua eccezionalità. Solo nello scarto, nella metamorfosi, è possibile intuire un ordine, la trama della mappa imperiale. A Fedora le sfere che si trovano in ogni sala del palazzo contengono un modello di un’altra città che dovrebbe o potrebbe essere Fedora, forme possibili, ideali, frammenti di un complesso schema che rac-
chiude in sé la visione di un mondo potenziale. Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono trovar posto sia la grande Fedora di pietra sia le piccole Fedore nelle sfere di vetro. Non perché tutte ugualmente reali, ma perché tutte solo presunte. L’una racchiude ciò che è accettato come necessario mentre non lo è ancora; le altre
ciò che è immaginato come possibile e un minuto dopo non lo è più.?9
Il motivo della scomposizione che diventa procedimento cognitivo
ricorre sia nelle descrizioni che nelle conversazioni tra Polo e l’imperatore. Per lo statico Kan si tratta di afferrare il messaggio senza fissare il proprio intelletto in un modello deduttivo univoco, per Marco invece la città deve emergere e comporsi da un nucleo di «eccezioni, preclusioni, contraddizioni, incongruenze e controsensi».3! E mentre da ogni esposizione egli deriva una immagine, una sfumatura che è specchio di una implicita universalità, Marco propone anche il movi-
mento inverso, parla infatti sempre e solo della sua Venezia, ne frammenta e moltiplica il repertorio simbolico, traspone la sua complessa conglomerazione architettonica di rapporti e relazioni umane in articolata morfologia mentale.
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29 Italo Calvino, Le città invisibili, cit., pp. 13-4.
30 Ivi, p. 39.
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Se il reticolo imperiale sottolinea la demitizzazione e la delegittimazione del sapere unitario precopernicano, ne suggerisce anche la frantumazione nell’ambito comunicativo-esperienziale; il linguaggio dei segni-città che compongono il messaggio semantico non può che rispecchiare un simile processo di scomposizione e ricomposizione. Metaforicamente questo linguaggio è paragonato a un ponte i cui frammenti, le pietre, rivelano l’idea del tùtto dà cui sono direttamente dipendenti. L’interdipendenza di arco e pietre, di parte e tutto, di segno e comunicazione, di linguaggio e messaggio si riflette nella correlazione tra la struttura formale ed il contenuto tematico dell’opera, in cui a pause di riflessione si alternano i percorsi dell’immaginario. La metafora del ponte predispone alla successiva presentazione delle suppellettili, ennesimi frammenti sui quali ricostruire i viaggi appena terminati. Kublai esamina gli oggetti cercando soprattutto di identificarne le segrete corrispondenze, di dedurne formule assolute. L'evoluzione della conoscenza viene ulteriormente sintetizzata nel quadrato della scacchiera: «Se ogni città è come una partita a scacchi, il giorno in cui arriverò a conoscerne le regole possiederò finalmente il mio impero, anche se mai riuscirò a conoscere tutte le città che contiene».5° Il modello assolutistico dell’imperatore, che poggia sull’apprendimento delle regole esterne, e la parzialità della sua visione umana, finiscono tuttavia per degenerare in un insensato gioco del quale si è persa la ragione ultima: nel singolo tassello della scacchiera l’imperatore non può che rinvenire il nulla. AI polo opposto, Marco trasforma l’esperienza particolare in conoscenza universale. La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità: vedi come si dispongono le fibre? Qui si scorge un nodo appena accennato [...]. Ecco un poro più grosso: forse è stato il nido d’una larva; non d’un tarlo, perché appena nato avrebbe continuato a scavare, ma d’un bruco che rosicchiò le foglie e fu la causa per cui l’albero fu scelto per essere abbattuto [...]. Questo margine fu inciso dall’ebanista con la sgorbia perché aderisse al quadrato
21 vi; pais, 22 Ivi; p. 127.
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vicino, più sporgente [...]. La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai; già Polo era venuto aparlare dei boschi d’ebano, delle zattere di tronchi che discendono
i fiumi, degli approdi, delle donne alle finestre.33 L'attenzione all’infinitesimale e l’osservazione oggettivante trasformano il frammento da elemento eterogeneo a strumento di composizione di un insieme omogeneo. Marco utilizza il modello metonimico, in cui la minima parte preconizza un tutto, poeticamente sintetizzato. Ciò che il protagonista riesce a intuire nel frammento della scacchiera è inoltre il risultato di una operazione analitica che dal singolare, il legno, con le sue particolarità morfologiche, sfocia in una lettura cosmica. Per Marco il segreto è decifrare ciò che a prima vista parrebbe un assoluto vuoto segnico, una negazione di significato che contiene, se esaminato con intelligenza, una realtà potentemente evocatrice.
La filosofia del veneziano si traduce in un universo percepibile in modo solo inizialmente frammentario, poiché attraverso il potere della energia immaginativa, che alterna fasi di esperienza memoriale a momenti di straordinaria invenzione poetica, esso diventa conoscibile nella sua complessità. Il frammento è una costante tematica sia nei dialoghi tra Polo e Kublai sia nelle città descritte; così a Clarice vengono custoditi i frammenti di civiltà precedenti, attraverso i quali si potrebbe risalire alla sconosciuta e forse inconoscibile città del passato. Ecco allora i frantumi del primo splendore che si erano salvati adattandosi a bisogne più oscure venivano nuovamente spostati, eccoli custoditi sotto campane di vetro, chiusi in bacheche, posati su cuscini di velluto, e non più perché potevano servire ancora a qualcosa ma perché attraverso di loro si sarebbe voluto ricomporre una città di cui nessuno sapeva
più nulla.34 Nascita, morte e rinascita hanno prodotto nuovi oggetti, frammenti che ora confondono. La sovrapposizione delle civiltà ha portato al wr
33 Ivi, p. 140.
34 Ivi, p.113.
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disordine, i luoghi e gli oggetti sono divenuti ambigui. Clarice rappresenta il pericolo insito in un sapere confuso dalla insufficiente elabo-
razione del dato empirico, il frammento qui è portatore di un valore negativo, conferma la perdita di ogni relazione tra l’individuo e la storia.
« Di Laudomia i vivi, i morti e i non nati si contendono lo spazio. Il dialogo instaurato tra di loro collega presente passato e futuro; i vivi interrogano sia i morti che i nascituri e ne traggono insicurezza e sgomento. L’uomo è divenuto un frammento, un granello di polvere staccato dal passato e non ancora fissato nel futuro. La visione negativa è qui sottolineata dal richiamo ad una fine apocalittica, nella quale il moltiplicarsi dei morti e dei non nati soffoca la città dei vivi.
L’atlante è l’ultimo stadio della negatività; le sue cartografie riproducono i solchi delle città distrutte, inghiottite dal tempo, indicano le vestigia delle città della memoria e del futuro, città reticolato senza
inizio né fine, luoghi amorfi in cui regna l’indistinto. Marco e Kublai scorrono senza sosta le mappe imperiali, enciclopedia e catalogo della conoscenza, e nella speranza di trovare un sistema ordinato raggiungono gli spazi dell’informe ed indifferenziato, giungono alle città continue, dove si esaurisce il potere immaginativo e vince il disordine, l’inferno. Nell’atlante sono evocate tuttavia anche città ideali, prodot-
to di un intelletto animato dalla necessità di un procedere etico ed estetico razionale. La Nuova Atlantide, Utopia, la Città del Sole, sono
altrettante manifestazioni di una ricerca incessante; in una parte remota dell’impero forse la città ideale è già sorta ma rimane per il momento invisibilmente opposta al crescente caos. L’unica via di uscita rimane quella di lottare contro il pervadere dell’indifferenziato, di preservare nello spazio tutte quelle caratteristiche positive, quelle relazioni umane eccezionali e quell’ambiguità del segno e della immagine che
nella narrazione Marco ha costantemente privilegiato.35
35 Aurore Frasson-Marin, Structures, Signes et Images, cit., p. 47: «Mentre il discorso logico è sempre sclerotizzato e in qualche modo mutilante, la testimonianza contenuta nelle Città invisibilitrova realtà e autenticità nella sua polivalenza semantica, nella sua polimorfia e, per usare un termine caro all’autore, nella sua stessa ‘ambiguità’».
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VT,
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e
farlo durare, e dargli spazio.39
Nel gioco policromo delle immagini si manifesta il valore originale della letteratura, invenzione e strumento di conoscenza del mondo interiore, da dove scaturiscono i desideri, l’ansia e la percezione della
realtà come la vede e la immagina l’uomo contemporaneo. Lo schema compositivo delle Città invisibili diviene reticolo combinatorio nel Castello dei destini incrociati, in cui lo scrittore è ancora una volta
coinvolto in un alternarsi di descrizione e interpretazione di segmenti e varianti che alla fine si compongono in un’unità. La macchina narra-
tiva?” si avvia questa volta grazie a un mazzo di raffinate carte che ogni narratore sceglie e dispone nel modo per lui più adatto a esporre la propria storia. Agli ospiti del castello-locanda è affidato il compito di interpretare, seguendo una logica soggettiva, il messaggio insito in ognuna delle scelte. Il cavaliere-protagonista del racconto principale, dopo avere attraversato un’insidiosa foresta, trova rifugio tra le mura di un enigmatico castello, dove si tiene un muto banchetto. Il desiderio di narrare la propria storia, che pervade e accomuna la compagnia, si acuisce nel momento in cui il castellano presenta loro i tarocchi. Le carte appaiono agli occhi dei convitati come l’unico strumento di affrancamento dal loro stato di prigionia. Davanti al mazzo dei tarocchi
non vi è ambiguità sul loro utilizzo. Eppure non sembrava che alcuno di noi avesse voglia di iniziare una partita, e tanto meno di mettersi a interrogare l’avvenire, dato che d’ogni avvenire sembravamo svuotati, sospesi in un viaggio né terminato né da
36 Italo Calvino, Le città invisibili, cit., p. 170.
37 Robert Scholes, The Fabulators, New York, Oxford University Press, 1967, p. 10, porrebbe£Lalvino tra i moderni affabulatori, per i quali la disposizionee il disegno dell’opera hanno un ruolo dominante nella costruzione poetica.
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terminare. Era qualcos’altro che vedevamo in quei tarocchi, qualcosa che non ci lasciava più staccare gli occhi dalle tessere dorate di quel mosaico. 38
Le battute iniziali mettono in evidenza la funzionalità dell’occhio che, come era già stato osservato negli scambi tra Marco e Kublai, riesce a correlare le immagini in un percorso mentale, in una rete di segni significativi. Lo scrittore privilegia la polisemica virtù delle carte il cui senso non si sintetizza mai in un discorso unilaterale. Da un lato le carte liberano il narratore dal peso del passato e esplicitano il suo possibile cammino futuro, dall’altro esse sono uno strumento ideale per investigare il comporsi di ogni segnale visivo e il suo proliferare in una miriade di messaggi comunicativi. Il processo di analisi e interpretazione, iniziato dai protagonisti delle Città invisibili, viene qui portato alle estreme conseguenze: dalle laconiche conversazioni di Marco e dell’imperatore, caratterizzate da una apparente assenza verbale che non si traduce mai in una passati alle carte, dalla conversazione una irrequieta compagnia di cavalieri. to autorale rimane lo stesso: restituire
assenza di comunicazione, si è di due protagonisti solitari ad Narratologicamente il proposisignificato poetico al procedi-
mento immaginativo ricostruendo l’unità delle storie e dei racconti da frammenti apparentemente incongrui. Il gioco è divenuto assiduo ordinamento mentale, modello generativo,? le carte formano un mosai-
co, il quadrato perfetto in cui si devono iscrivere tutte le storie dei personaggi, compresa quella del protagonista. In questo contenitore tuttavia l’intreccio delle carte porta inevitabilmente ad una sovrapposizione di significati, ad una confusione di intrecci; ogni carta partecipa infatti al sistema come singolo frammento ma racchiude in sé una moltitudine di significati testuali che la rendono metamorfica e polivalente. Una tale caratteristica acuisce il pericolo della perdita di senso e rende necessaria la creazione di un «io» ordinatore da porre al
38 Italo Calvino, // castello dei destini incrociati, Torino, Einaudi, 1973, p. 6.
39 Jean-Frangois Lyotard, The Postmodern Condition: A Report on Knowledge, cit., p. 208; sullo stesso tema cfr. Anatol Rapaport, 7wo-Person Game Theory, Ann Harbor, University of Michigan Press, 1966, p. 202.
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centro della struttura narrativa, sarà lui a segnalare le carte, a disporle
sul tavolo, regista-bagatto e alchimista che trasforma l’inarticolato e polimorfo mazzo di tarocchi in un corollario di mutevoli interpretazioni, in una narrazione diegetica ordinata e poliedrica. Già in Cibernetica
e fantasmi Calvino aveva meditato sul momento della ricezione della scrittura, la lettura: Smontato e rimontato il processo della composizione letteraria, il momento decisivo della vita letteraria sarà la lettura. In questo senso, anche affidata alla macchina, la letteratura continuerà a essere un luogo privilegiato della coscienza umana, un’esplicitazione delle potenzialità contenute nel sistema dei segni d’ogni società e d’ogni epoca: l’opera continuerà a nascere, a essere giudicata, a essere distrutta o continuamente rin-
novata al contatto dell’occhio che la legge.10 L’opera riverbera il suo messaggio all’esterno, in colui che legge e scopre nella parola una illimitata potenzialità rigenerativa. La scrittura trasmette il suo messaggio al lettore attraverso la ricezione dei segni e dei significati contenuti nel testo. Calvino traspone questo procedimento al di là dei confini della narrazione: il discorso poetico diventa investigazione metaletteraria, percorso di rifondazione narrativa. Se Marco aveva prospettato al Kan la possibilità di comprendere la molteplice varietà del proprio impero seguendo il cammino che dall’analisi del particolare giunge alla intelligibilità dell’universale, ora i personaggi del Castello sostengono, nel gioco delle carte-frammento, la attuabilità di un percorso poetico che ingeneri una pluralità di soluzioni narrative. Ogni segmento diviene parte di una rete di complesse polisemie, ogni carta partecipa del tutto moltiplicandone isignificati; anche l’io narrante prolifera, si trasforma, si moltiplica,#! mentre vie-
40 Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi, in Una pietra sopra, Torino, Einaudi, 1980, p. 172-3. 4 Mario Boselli, Italo Calvino: l’immaginazione logica, in «Nuova Corrente», LXXVIII, 1979, p. 149: «Le immagini e le loro perturbanti relazioni esprimono una narrativa mossa e guidata da una diversa razionalità; un modo di guardare e pensare la realtà spezzata in mille frammenti e proliferazioni, in concomitanza con un «io» spaccato, diviso, senza più unità».
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ne sottolineata con insistenza la varietà delle direzioni di sviluppo aperte da questo procedimento letterario.‘ Il protagonista sintetizza in un unico fluire espressivo l’esperienza degli altri narratori, la frammentazione quindi, se a prima vista ha lo scopo di esteriorizzare una eterogeneità, riporta sempre ad un insieme omogeneo, quello del mazzo di carte in cui sono custodite tutte le storie, alla molteplice unità della parola poetica. La composizione e scomposizione del quadrato, apparentemente costruito su una struftura rigida e prestabilita, rivela la sua programmatica instabilità nel continuo alternarsi dei personaggi, nell’arcano inanellarsi e sovrapporsi dei significati delle carte. La problematica lettura dei tarocchi estende la propria soluzione al di là del testo, implica l’intervento di un lettore esterno che si confonde nell’inquieto mescolarsi e sparpagliarsi delle carte sul tavolo. La soluzione finale risulta solo superficialmente sconfortante, i convitati infatti, giunti al quadrato perfetto, devono constatare la perdita della propria storia, il disordine causato dalla commistione delle diverse esperienze. Eppure soggiace all’evidente disordine del quadrato la possibilità, per ogni personaggio, di reinventare il proprio percorso narrativo e, per ogni lettore, di reinterpretarlo. La configurazione finale evidenzia soprattutto la componente innovatrice dell’esperienza poética, se infatti nelle carte è contenuto un numero limitato di storie queste ultime non esauriscono la potenzialità semantica dei segni, per cui è possibile ricominciare da
capo, basta disfare il disegno del quadrato e ricostruirlo.43 All’estremo 4 Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi, in Una pietra sopra, cit., p. 172. La questione della frammentazione dell’io autorale e dell’io narrativo affiora in Calvino sin dall’inizio della sua carriera: «E in queste operazioni la persona io, esplicita o implicita, si frammenta in figure diverse, in un io che sta scrivendo e in un io che è
scritto, in un io empirico che sta alle spalle dell’io che sta scrivendo e in un io mitico che fa da modello all’io che è scritto. L’io dell’autore nello scrivere si dissolve: la cosiddetta ‘personalità’ dello scrittore è interna all’atto dello scrivere, è un prodotto
del modo della scrittura». 43 Teresa de Lauretis, Calvino e la dialettica dei massimi sistemi, in «Italica», LIII, 1975, p. 65: «Il sistema stesso, che permette di raccontare per mezzo dei segni iconici (i tarocchi), contiene in sé i germi della sua distruzione: quando tutte le combinazioni sono disposte sul tavolo, bisogna distruggere o aprire quella forma per costruirne un’altra, se si vuole continuare a raccontare».
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opposto sta il narratore della Taverna, a cui sembra essere negata la conquista di un linguaggio che è strumento generatore e ordinatore. Sono stanco che // Sole resti in cielo, non vedo l’ora che si sfasci la
sintassi del Mondo, che si
mescolino le carte del gioco, i fogli dell’in-
folio, i frantumi di specchio del disastro.44 I frantumi cancellano l’immagine perfetta di un cosmo che si disvela nelle operazioni combinatorie dell’intelletto e che si ricompone nella parola poetica. Il gioco smaschera progressivamente l’illusoria egemonia del segno e del suo messaggio, ne presagisce la dissoluzione. La metafora dello specchio, di gusto altamente barocco,” è cara all’autore, che la utilizza strutturalmente e tematicamente in più di un
romanzo. In Se una notte d’inverno un viaggiatore ogni storia è il riflesso frantumato di una coscienza scritturale scomposta, che guarda al mondo oggettivo e ne sfida la totalità, ne traspone l’esperienza in percorsi narrativi emblematici. La complessa costruzione poetica, che ricorda esempi più famosi di romanzi a cornice, viene prima frammentata, creando una sensazione di apertura narratologica verso soluzioni inattese, poi lentamente essa viene risistemata nel finale ordinamento diegetico dell’ultimo capitolo. Procedere per frammenti definisce formalmente e concettualmente un metodo creativo moderno, sperimentale, appropriato a rappresentare la «caoticità, il ritmo, l’intervallo della scrittura»; dal punto di vista del contenuto questo procedimento evita «l’ordine delle connessio-
ni», e supera il «mostro della totalità»,#7 in ogni incipit di racconto 44 Italo Calvino, La taverna dei destini incrociati, cit., p. 120.
45 Beatrice Rima, La metafora dello specchio dal Tasso al Marino, in «Lingua e Stile», XVIII, 1, Gennaio-marzo 1983, pp. 75-92. 46 Omar Calabrese, L’età neobarocca, cit., pp. 92-3. Per lo studioso l’artista pro-
cede strutturalmente a frammenti per «ritrovare tanto una ‘tavolozza’ di parole e frasi, quanto per recuperare la poeticità insita nell’annullamento del principio d’ordine e delle sue geometrie regolari. Il frammento diviene autonomo: ma il senso di interezza dell’opera frammentaria è diverso da prima, mette l’accento sull’irregolarità e sulla asistematicità, ha il senso dell’‘essere a pezzi».
47 Roland Barthes, Barthes par lui-méme, Paris, Seuil, 1977.
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infatti, la voce narrante è il simbolo di una proliferazione di esperienze e percezioni criticamente riorganizzate nella scrittura. Il narratore intradiegetico degli inizi di romanzo e quello extradiegetico, il Lettore della cornice, esperimentano la ricostruzione del
molteplice mondo circostante nella dialettica espressione verbale, stimolata dagli organi ricettivi, quello visivo principalmente, e da strumenti che, nel captare le immagini del reale, ne alterano il senso. In Una rete di linee che s ’intersecano la problematica del rispecchiamento e della frammentazione dei cristalli conduce il protagonista a una conoscenza illusoria, in una spirale ingannevole di visione ravvicinata e rifratta che confonde il reale, lo mistifica e lo distrugge. Lo specchio, il caleidoscopio, il cristallo rappresentano un macrocosmo in continua metamorfosi, la cui esperienza provoca una necessaria operazione di distorsione, che alterna una riduzione e una mòltiplicazione di forma e percezione. Questa condizione polare viene sintetizzata nella vicenda dello scrittore Silas Flannery, sulla cui crisi scrittoria si incentra parte
della cornice. Ciò che lo stimola e lo schiaccia ad un tempo èl’esigenza di un racconto universale che, lucrezianamente, coinvolga la varie-
tà e la molteplicità della scrittura in una prismatica e delicata filigrana di eventi e connessioni, manifestazioni ramificate nella geografia della discontinua esperienza autorale. Perché non ammettere che la mia insoddisfazione rivela un’ambizione smisurata, forse un delirio megalomane? Allo scrittore che vuole annullare se stesso per dar voce a ciò che è fuori di lui s’aprono due strade: o scrivere un libro che possa essere il libro unico, tale da esaurire il tutto
nelle sue pagine; o scrivere tutti i libri, in modo da inseguire il tutto attraverso le sue immagini parziali. Il libro unico, che contiene il tutto, non
potrebb’essere altro che il testo sacro, la parola totale rivelata. Ma io non credo che la totalità sia contenibile nel linguaggio; il mio problema è ciò che resta fuori, il non-scritto, il non-scrivibile. Non mi rimane altra via che quel-
la di scrivere tutti i libri, scrivereilibri di tutti gli autori possibili.48
48 Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979, p. 181.
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Scrivere tutti i romanzi, o tutti gli inizi di romanzo, equivale a una liberazione dell’«io» scrivente, che in questo modo allontana il timore della totalizzante fissità del libro unico, ma produce anche, al di fuori del testo, una rarefazione ricettiva: dal narrato che si dirama
in un reticolo di direzioni possibili nascono una lettura frammentata e una ricezione atomizzata. La moltiplicazione delle letture, problematizzata nelle figure di Ludmilla, di Lotaria, del Lettore, di
Ermes Marana e di Irnerio, riflette l’ampiezza della problematica ricezione testuale. Al desiderio dello scrittore Flannery di «cancellare» se stesso nel racconto corrisponde l’esigenza di Ludmilla di «divorare» i romanzi, la necessità per Lotaria di scarnificarli e annullarli in formule matematiche, la smania del traduttore di falsificarli moltiplicandoli. Manifestazioni della stessa problematica sonoi lettori dell’undicesimo capitolo, espressione sintomatica di una scrittura sempre più ambigua, polisemica, disorganica. «La lettura è un’operazione discontinua e frammentaria. O meglio: l’oggetto della lettura è una materia multiforme e pulviscolare. Nella dilagante distesa
della scrittura il lettore distingue dei segmenti minimi».4? Se per Flannery il romanzo da scrivere implica continue interruzioni, sbalzi narrativi che ne acuiscano la tensione e ne estendano all’infinito le direzioni di sviluppo, lo scopo della lettura, secondo il protagonista, è invece quello di arrivare alla fine del racconto, alla ricostruzione di una armonia, per quanto fittizia, e al raggiungimento di una summa delle operazioni narrative. Calvino sente e medita intensamente su questa opposizione, e la emblematizza nei suoi personaggi: in Silas Flannery, per il quale scrivere significa da una parte creare la rifrazione illusoria di un ordine inesistente e annullare il proprio 10 moltiplicandolo in infinite deviazioni che hanno per traguardo il «non scritto», nel Lettore intradiegetico ed extra-diegetico, che puntano invece sul romanzo in quanto vi si ritrova e vi si legge solo ciò che è scritto, una struttura che permetta di collegare «i particolari con tutto l’insieme».°° La lettura deve essere insomma, per chi la espleta, un
49 Ivi, p. 256. 50 Ivi, p. 258.
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momento di coesione, di coerenza razionale piuttosto che di illogico
e irrazionale disordine.5! Palomar, l’ultimo romanzo costruito sul frammento, rappresenta una evoluzione nella narrativa calviniana. I precedenti romanzi erano stati alternativamente delle riscritture, dei viaggi costruiti su intervalli a-temporali, degli itinerari narratologici plurimi alla cui base stava la questione della parola poetica ardinatrice; quest’opera si colloca al termine del ciclo e si propone come una discussione sul linguaggio e sulla sua capacità di leggere ed interpretare filosoficamente il reale. Il mondo esterno diviene un deposito inestinguibile di fenomeni, di manifestazioni naturali ed umane dalle quali estrarre meditazioni e riflessioni metafisiche. Il racconto poggia su una cornice unificante, il Signor Palomar, e su un’architettonica giustapposizione e logica concatenazione di vari segmenti narrativi. Kublai e Marco, i convitati al banchetto del castello, il Lettore e la Lettrice erano figure di definizio-
ne e completamento; in questo romanzoèla figura del signor Palomar®2
5! Anna Mattei, Se una notte d’inverno un viaggiatore: i dialoghi improbabili tra autore e lettore, in Narrare: percorsi possibili, cit., p. 194: «Ma il soggetto, lettore o scrittore, non trova altro che lo sdoppiamento di se stesso nel libro, specchio magico di finzioni moltiplicate nel nulla o ridotte ad arbitraria unità. Il tentativo di dialogo tra scrittore e lettore è dunque improbabile, qualunque sia la strada o l’artificio che entrambi decidono di seguire».
5? Italo Calvino, Marcovaldo, Torino, Einaudi, 1958, p. 152. La figura del signor Palomar ricorda per alcuni tratti un suo più povero predecessore, quel Marcovaldo dell’omonima raccolta: in entrambe le loro psicologie infatti, anche se a livello più elementare nel proletario, è vivo il desiderio di vedere il mondo in modo diverso,
nuovo e rinnovato, focalizzando la propria attenzione su aspetti della vita che passano inosservati all’occhio disattento dell’individuo contemporaneo. «Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermava-
no il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buc-
cia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza.» Molti anni più tardi Palomar emblematizza, questa volta in modo più cosciente ed intellettualmente evoluto, la stessa esigenza di leggere il mondo, naturale e umano, e di trarne motivo di meditazione personale ed
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a rappresentare il traît-d’union, il legame tra il mondo, l’individuo e la sua ricerca.’ La sua «esperienza» scandisce e ordina le varie parti del racconto, è un esperimento descrittivo-narrativo diretto verso unclimax contemplativo di tipo metafisico. Palomar è un osservatore, uno sguardo che focalizza e demitizza ciò che vede, in lui Calvino sintetizza ancora
una volta il tentativo di disegnare la mappa della conoscenza, anche se poi le periodiche sconfitte del personaggio ne denunciano l’inattuabilità. Apparentemente Palomar non vuole immaginare o contemplare filosoficamente il reale, lo vuole prima vedere, constatarne la ma-
terialità nelle sue continue mutazioni: è un’operazione piuttosto complessa, continuamente invalidata dal confuso intrecciarsi e sovrapporsi delle manifestazioni osservate. Il tentativo di adottare le regole del procedimento scientifico domina la dinamica dei racconti e ne informa lo stile:°5 l'osservazione parte dalla realtà di un mondo quotidiano, verificabile e ripetitivo, ma sottintende una lettura approfondita, che trascenda l’apparenza esteriore. Il principio rivoluzionario della scienza moderna, nata dalla analisi fenomenologica galileiana, è basato su una forma di interrogazione della natura che Alexandre Koiré ha chiamato il «dialogo sperimentale»: esso si fonda sulla «scoperta di una forma nuova e specifica di comunicazione con la natura, vale a dire
oggettiva. In entrambi i personaggi Calvino evidenzia conseguentemente il disadattamento nei confronti della realtà circostante e la sconfitta ed il danneggiamento che da questo atteggiamento sembrano derivare.
53 Gian Paolo Biasin, The Surface of Things, the Depth of Words, in Calvino Revisited, cit., p. 160, vede in Palomar «L’ultimo, più stilizzato e distillato prodotto di quel processo combinatorio di cui l’autore è un maestro». 54 Italo Calvino, The Written and the Unwritten Word, «New York Review of Books», May 12, 1983, pp. 38-9. In questo articolo lo scrittore fa riferimento ad un romanzo in cui il protagonista pensa esclusivamente nei termini di ciò che vede apparire e svilupparsi nella realtà circostante, lasciando da parte ogni pensiero che non proviene dal mondo oggettivo. 55 Italo Calvino, Scienza e letteratura, in Una pietra sopra, cit., p. 187. Galileo rappresenta per Calvino uno tra i più grandi esempi di prosa letteraria e lo prende a modello della sua scrittura per la precisione scientifica, l'immaginazione poetica e per la ricchezza visuale e l’atteggiamento costantemente inquisitivo. In Galileo egli riconosce infine un esponente di quella corrente di pensiero che vede l’opera letteraria «come mappa del mondo edello scibile».
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sulla convinzione che la natura risponde veramente all’interrogazione sperimentale»..5° È questo principio che Palomar segue nelle sue numerose investigazioni, il suo è uno sguardo focalizzante, che frammenta l’osservazione del reale: una stella, un pianeta, un ciuffo d’erba si offrono a lui, in essi egli riconosce una componente di uguale valore e dignità, appartenente ad un sistema infinito, che stimola alla continua investigazione. La strategia conoscitiva palomariana sottolinea tuttavia la dilagante dispersione di competenza della cultura scientifica contemporanea, che problematizza in primo luogo la percezione nell’esperienza dell’universo, e ne allegorizza il meccanismo nella estenuante ricerca di strutture semplificanti continuamente negate dalla complessità dei fenomeni stessi. Il signor Palomar ora cerca di limitare il suo campo d’osservazione; se egli tiene presente un quadrato diciamo di dieci metri di riva per dieci metri di mare, può completare un inventario di tutti i movimenti d’onde che vi si ripetono con varia frequenza entro un dato intervallo di tempo.5?
L’approccio scientifico, che prevede la delimitazione di un campo di azione fenomenica, viene paradossalmente inficiato dall’ampiezza dell’orizzonte osservato, il cui limite tende ad espandersi.58 Comunque il signor Palomar non si perde d’animo e a ogni momento crede d’esser riuscito a vedere tutto quel che poteva vedere dal suo punto di osservazione, ma poi salta fuori sempre qualcosa di cui non aveva tenuto conto. Se non fosse per questa sua impazienza di raggiungere un risultato completo e definitivo della sua operazione visiva, il guardare le onde sarebbe per lui un esercizio molto riposante e potrebbe salvarlo dalla nevrastenia, dall’infarto e dall’ulcera gastrica. E forse potrebbe essere la chiave per padroneggiare la complessità del mondo riducendola al mec-
canismo più semplice.59
56 Ilya Prigogine-Isabelle Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 7.
57 Italo Calvino, Palomar, Torino, Einaudi, 1983, p. 8.
°8 Cfr. John Hannay, Description as Science and Art, in «Mosaic», XXI, 4, 1988, p. 78. 59 Italo Calvino, Palomar, cit., p. 8.
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Nel riduttivo frammento-onda Palomar auspica di rinvenire la sintesi dei complessi meccanismi del mondo, e tuttavia ogni sua speranza viene frustrata dall’interferenza di eventi che modificano l’orizzonte visivo e accentuano l’ambiguità dei risultati. Il mondo naturale rimane per questa sua mutevofezza sempre «aperto», indominabile. In Palomar si esplicita insomma il polare divario tra l’esigenza di trovare un principio unificante e la consapevolezza che la realtà oggettiva non può essere contemplata nella sua compiutezza. La questione della percezione e il suo rapporto con l’esperienza cognitiva sintetizzante è stata ampiamente sondata da Merleau-Ponty, il quale ne discute la problematica in termini di «apertura» fenomenica, evidente soprattutto nell’ambito della conoscenza del mondo reale. Come possono le cose presentarsi a noi nella loro interezza quando la loro sintesi non è mai completa? Come posso esperire il mondo circostante, come lo posso fare di un individuo che realizza la propria esistenza, dal momento che nessuna delle immagini o percezioni che ho di esso possono esaustivamente rappresentarla e il suo orizzonte rimane costantemente aperto? La fede nelle cose e nel mondo può esprimersi solo nell’assunto di una completa sintesi. Il raggiungimento di una tale sintesi tuttavia è reso impossibile dalla natura stessa delle prospettive ad essa connesse, dato che ognuna di esse rimanda ad altre prospettive.0!
La Spada nel sole elabora la problematica della percezione nei termini di una polarità tra intelletto e cosmo, la cui interdipendenza materializza il reale, che diviene estensione dell’occhio, «perché la spada non poteva fare a meno d’un occhio che la guardasse al suo vertice». Ma, riflette Palomar, cosa diverrebbe l’uomo se il mondo esistesse indipendentemente dalla sua percezione? Una componente insignificante, un frammento inutile?
60 Cfr. Nicklas Luhmann, Gese//schaftsstruktur und Semantik, Frankfurt, Suhrkamp, 1980; in questo studio viene postulata la necessità di ridurre la complessità dei processi osservati in natura a semplificate formule matematiche. 6! Maurice Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Paris, Gallimard, 1945, pp. 381-83.
62 Italo Calvino, Palomar, cit., p. 20.
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AI discutibile rapporto intelletto-cosmo si interseca quello con il frammentato inconscio del protagonista, in cui coabitano diversi inquilini. Il legame intelletto-cosmo-inconscio dovrebbe stabilire una comunione di sensazioni, una simbiosi tra soggetto e mondo esterno, in cui il primo termine di paragone si cancelli nell’elemento naturale, in una coincidenza simbiotica di realtà e coscienza. Che sollievo se riuscisse ad annullare il suo io parziale e dubbioso nella certezza d’un principio da cui tutto deriva! Un principio unico e assoluto da cui prendono origine gli atti e le forme? Oppure un certo numero di principî distinti, linee di forza che s’intersecano dando una forma al mondo quale appare, unico, istante per istante?93
Ma il principio unificatore originario agognato da Palomar è di improbabile individuazione; all’incerto ritrovamento di una unità primigenia si deve poi aggiungere la frammentarietà dell’ «10» del protagonista che per rifrazione è «immerso in un mondo scorporato, [in cui] intersezioni di campi di forze, diagrammi vettoriali, fasci di rette [...] convergono, divergono, si rifrangono».64 La realtà esterna è dominata dal disordine e dalla disarmonia e anche il soggetto finisce per esservi implicato, arbitrariamente governato dal caos. Il mondo interiore e l’universo fenomenico rivelano una polidimensionalità che il signor Palomar è impaziente ma anche incapace di decifrare; estraneo a ciò che gli succede intorno egli continua i suoi esperimenti nella speranza di intravvedere il baluginare di una spiegazione, con una costanza che si traduce spesso in sconsolata delusione. Stabilito il suo punto di osservazione al centro di una realtà caratterizzata da incertezze, dubbi e ambiguità, Palomar continua una ricerca che oscilla tra l’esigenza di modelli interpretativi e la dimostrazione della loro inefficacia per la conoscenza del mondo. La soluzione potrebbe essere l’ideazione di una mappa-catalogo dell’esistente, ma quando punta lo sguardo verso l’alto, per penetrare i segreti delle stelle, la mappa lo tradisce, il reale si rivela più complesso e impenetrabile della geografia immaginata dall’intelletto. 63 Ivi, p. 18. 64 Jyj,
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Questa osservazione delle stelle trasmette un sapere instabile e contraddittorio, — pensa Palomar, — tutto il contrario di quello che sapevano trarne gli antichi [...] Della conoscenza mitica degli astri egli capta solo qualche stanco barlume; della conoscenza scientifica, gli echi divulgati dai giornali; di ciò che sa diffida; ciò che ignora tiene il suo animo sospeso. Soverchiato, insicuro, s’innervosisce sulle mappe celesti come su ora-
ri ferroviari scartabellati in cerca d’una coincidenza.
Rigoroso escientifico è l’approccio esplorativo nel Museo dei formaggi. Il procedere metodologico diventa catalogazione enciclopedica, dizionario linguistico, vasta mappa del sapere che possiede apparentemente una forma ordinata, una sintassi organizzata. Come Marco di fronte al tassello della scacchiera, il signor Palomar torna al particolare ma, a differenza del suo predecessore, si rivela incapace di sintetizzare le proprie esperienze, di contenerle in un sistema vario e multiforme. Palomar tenta di afferrare ciò che lo circonda associandolo e aggregandolo in una struttura composita; questo procedimento di enumeracion caòtica,* tecnica stilistica cara al Seicento,” ha la funzione, secondo Leo Spitzer,98 di creare un legame elastico e onnicom-
65 Ivi, p. 48. 66 Teresa De Lauretis, Narrative Discourse in Calvino: Praxis or Poiesis, in
«PMLA», XC, 3,1975, pp. 414-25, riconosce l’uso di questa pratica stilistica già nelle Cosmicomiche. Esempi di enumerazione e di catalogazione sono comuni nell’opera di Calvino. 67 Detlev W. Schumann, Enumerative Style and its significance in Whitman, Rilke,
Werfel, in «Modern Language Quarterly», III, 1942, pp. 171-204. 68 Leo Spitzer, Enumeraciòn cadtica en la poesia moderna, Buenos Aires, Coni, 1945, pp. 42-3. Lo Spitzer produce diversi esempi di uso enumerativo nei moduli letterari del XX secolo, e non tralascia di specificare l’origine barocca di questa forma espressivae stilistica, particolarmente efficace nella sua formula asindetica: «Come spiegare l’asindeto brusco? Per crescente influsso culterano, con la sua latinizzante omissione dell’articolo [tratto stilistico istituzionalizzato dalla poesia del Gòngora)? E non obbedirà anche a quel gusto per il frammentario che si ritrova in tutto il Barocco spagnolo? Gusto per il frammentario, naturalmente, nella misura in cui si equilibra con un poderoso ‘accento’ (secondo il pensiero di Wélfflin), con una forza centrale unificatrice: quanto più le cose tendono a emanciparsi — e le parole —, tanto più coercitive sono le forze che devono farle ritornare all’ovile. Il gusto barocco si com-
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prendente tra gli aspetti incongrui e le manifestazioni eterogenee del reale. L'universo è un organismo complicato, la cui struttura, sebbene coerente, è inconoscibile. Catalogare questi elementi, mettendoli insieme in ordine sparso, rappresenta il tentativo di ricavare omogeneità dall’eterogeneo, di afferrare i meccanismi regolatori dell’universo.9 Calvino utilizza questa tecnica irì diversi momenti della narrazione, ma sempre con un significato di disgregazione e degenerazione: nella Spada nel sole l’enumerazione mostra la sua totalizzante negatività, la marina e l’ambiente biologico, apparentemente incontaminati, vengono sommersi dalle scorie di una civiltà che altera la natura e trasforma l’uomo in «relitto»; nella charcuterie parigina e nel negozio di formaggi l’incombere dei prodotti annulla ogni tentativo ordinatore. Palomar è costretto ad accettare l’esistenza di una logica confusamente apprensibile all’uomo, la presenza di ùn sistema che non può mai venire contemplato nella sua interezza. Ogni progetto di organizzare l’esperienza in un esaustivo catalogo sapienziale rivela quindi la sua illusorietà: nessun modello teorico, nessuna metodologia risultano efficaci a comprendere la molteplicità dell’universo fenomenico. Per Palomar esso rimane un campo di conoscenza drammaticamente frammentato, vago, relativizzato. La strategia conoscitiva tradotta in modelli interpretativi e la tenacia investigativa dimostrata dal protagonista non risolvono neppure nel finale la questione posta a priori. Nell’episodio della pantofola spaiata la disarmonia creatasi in conseguenza di un distratto acquisto in un bazar medio-orientale sintomatizza uno stato di disordine primordiale, porta alla luce un errore che, nascosto per secoli, attende di
essere corretto con un ritorno all’unità originaria. L’atteggiamento patetico e serioso di Palomar, teso tra la questione di un primigenio equilibrio e quella di un infinito e perdurante squilibrio, evidenzia l’inevitabile accumularsi di interrogativi, quesiti senza soluzione su un universo calcolabile solo attraverso oscure astrazioni matematiche.
piace di queste tensioni contrarie, tra le forze centrifughe e centripete; si compiace di esibire ciò che, potendo spezzare l’unità, risulta infine vinto».
9 JoAnn Cannon, Postmodern Italian Fiction. The Crisis of Reason in Calvino, Eco, Sciascia, Malerba, London-Toronto, Associated University Presses, 1989, p. 102.
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Nel signor Palomar, personaggio impaziente e scontroso, figura comica” e tragica ad un tempo, Calvino ha trasposto una sua pressante aspirazione: rimettere in discussione il processo della percezione umana come metodo investigativo e conoscitivo. L'osservazione di una realtà fenomenica frammentata, irregolare, decentrata, non sop-
prime in lui l’esigenza di afferrarne le occulte correlazioni, di intuirne le superiori e insondabili armonie. Il procedimento inquisitivo non marginalizza la problematica individuale, al contrario la pone al centro di questa struttura di coordinate e la drammatizza, dandole forma poetica e stilistica coerenti. L'esperienza di miope osservatore si conclude comunque in una profusione di dubbi e quesiti a cui corrispondono solo incerti tentativi di risposta, e nella consapevolezza di quanto risulti disastroso ogni tentativo di preconizzare un improbabile ordine universale.
3. L'immaginazione calviniana e la struttura a dettaglio.
Centrale nel procedimento poetico calviniano e strettamente legato alla tradizione estetica barocca è il processo di produzione e rappresentazione delle immagini e il loro organizzarsi in un contenuto verbale significativo. L'importanza dell’immagine visiva e della sua traslazione letteraria è stata ripetutamente ribadita dall’autore nelle Lezioni americane. In Visibilità Calvino chiarisce i diversi stadi dell'evoluzione estetica dell’immagine come espressione della fantasia autorale. Per confermare la legittimità del suo excursus e la complessità delle osservazioni derivatene lo scrittore si avvale di esempi espunti dalla tradizione letteraria e filosofica del passato, ponendo particolare attenzione su quei periodi della storia dell’arte, Rinascimento, Barocco e Romanticismo, in cui prevale l’idea di una visualità direttamente correlata al concetto di organizzazione figurale e mentale a scopo didattico. La questione che più interessa l’autore è quella della formazione delle immagini nella memoria individuale, della loro sedimen-
70 Giovapni Celati, Palomar nella prosa del mondo, in «Nuova Corrente», XXXIV, 1987, pp. 227-42, lo paragona ad un filosofico Buster Keaton.
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tazione nell’inconscio e della loro trasformazione in sequenze mentali pronte a riaffiorare se verbalmente stimolate. Per presentare con stringente efficacia il funzionamento della memoria immaginativa Calvino utilizza metafore cinematografiche: l'immaginazione è paragonata ad un «cinema mentale»?! in cui si assiste al formarsi e succedersi delle immagini e al loro organizzarsi attraverso una operazione di montaggio. Quello che a Calvino preme sottolineare è la qualità interiore,
intellettiva,72 di queste immagini; le quali, passate originariamente attraverso i sensi, sono divenute patrimonio della mente raziocinante. Questo passaggio dalla sensualità istintiva alla razionalità intellettiva presuppone una sostanziale trasmutazione dei significati assegnati a quelle determinate immagini; in fondo, sembra dire Calvino, l’intelletto fa una scelta, in particolare durante il processo scrittorio, e propone esclusivamente delle immagini ad alto contenuto semantico. La visualità, afferma lo scrittore, diviene il veicolo di una esperienza di
comunicazione in primo luogo emotiva che si trasforma lentamente in conoscenza intellettuale, estetica, morale. Secondo lo scrittore è du-
rante la Controriforma e in seguito nel Barocco che questa visualità viene liberata e trasformata per permettere al poeta di esplorare nuove soluzioni visive da applicare alla letteratura e all’arte in generale. A questa tesi Calvino accompagna un testo di Ignazio di Loyola, gli Esercizi spirituali, nei quali viene descritto e esaminato un esperimento visionario, e lo commenta. Ciò che distingue (credo) il procedimento di Loyola anche rispetto alle forme devozionali della sua epoca è il passaggio dalla parola all’immaginazione visiva, come via per raggiungere la conoscenza dei significati profondi. Anche qui il punto di partenza e quello d’arrivo sono già
7! Italo Calvino, Le Jezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, p. 83.
72 Cfr. Thomas Hobbes, De principiis, cit. in M.M. Rossi, Estetica dell’empirismo inglese, Firenze, Sansoni, 1944, I, p. 131: «Così che quando sembra volare da un’India all’altra, dal cielo alla terra, dentro i luoghi più oscuri, nel futuro, e tutto questo in
un momento, il viaggio non è lungo, perché essa [mente] non fa altro che andare verso se stessa: e la sua rapidità non consiste tanto in un movimento rapido, quanto in una abbondante provvista di immagini, bene ordinata e registrata perfettamente dalla memoria».
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stabiliti; in mezzo s’apre un campo di possibilità infinite d’applicazione della fantasia individuale, nel raffigurarsi personaggi, luoghi e scene in
movimento.” L’ampliarsi della pratica della creazione immaginativa e il suo connettersi a processi di conosceNza interiore rimanda a un aspetto fondamentale di tanta estetica barocca, quello fondato sul concetto del delectare ut prodesse, di una estetica che non trascura, anche se spesso la pone in secondo piano, la sua funzione edificante.” Giunto a questo punto l’autore si interroga sul futuro della letteratura nella realtà contemporanea, in un’epoca per molti aspetti simile a quella barocca per la sua tendenza a puntare sulla «novità, l’originalità, l’invenzione».?5
Il salto non sembra del tutto casuale se lo si pone in relazione con quanto viene esplorato in seguito: la personale formulazione poetica nei confronti dell’immaginazione, la sua organizzazione in codici linguistici e livelli semantici differenziati e la sua funzione comunicativa ed epistemica. Lo scrittore considera due indirizzi: il primo vede nella immaginazione il principio di una comunicazione diretta con l’anima del mondo, criterio di conoscenza che opina il raggiungimento di una verità universale a carattere spirituale e metafisico, il secondo concepisce l’immaginazione come mezzo di conoscenza della realtà oggettiva. Una vasta esperienza narrativa consente a Calvino di introdurre un terzo indirizzo, personale ed originale che riconosce nella immaginazione un «repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere».7 Non è una tesi nuovissima, al contrario, una affermazione analoga è documentata nelle dichiarazioni di poetica di Giordano Bruno e non è sconosciuta all’este-
tica del Seicento. Come afferma Jean Starobinski per il Bruno l’immaginazione «non è uno dei sensi interiori ma designa l’insieme dei sensi
73 Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., pp. 85-6. 74 Guido Morpurgo-Tagliabue, Anatomia del Barocco, Palermo, Aesthetica, 1987,
p. 61.
75 Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., p. 86.
76 Ivi, p.91.
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interiori. Essa non è solo riproduttrice e combinatoria ma èil principio
del giudizio applicato al particolare, è l’origine vivente delle forme originali, principio della fecondità infinita del pensiero».”” Nel pensiero del Bruno questa forza immaginativa si traduce in ogni individuo in vis imaginativa, spiritus phantasticus. «L’immaginazione del Bruno è viva, feconda, personale, concepita per la prima volta come essenza
dell’arte; essa risponde al naturalismo, al patetico e al soggettivismo
barocchi».?8 Fonte inesauribile di immagini, deposito mai saturo di materiali accumulati attraverso l’esperienza cognitiva, la forza immaginativa insita alla visione bruniana affascina Calvino per la sua proprietà di metamorfica proliferazione e per quella essenza poetica mantenuta anche nell’interazione con le svariate forme del sapere e della conoscenza. Particolarmente sentita, nel metodo immaginativo-fantastico barocco, è l’esigenza di una apertura nei confronti della rappresentazione letteraria, che giustifica l’uso di strumenti e metodi investigativi nuovi, tradizionalmente non riconosciuti come estetici, in particolare quello scientifico. Calvino conclude riassumendo le fasi del procedimento che dall’immagine porta alla pagina scritta, alla modulazione poetica del linguaggio mentale. L'osservazione diretta della realtà oggettiva è la componente determinante della strategia conoscitiva, essa viene trasfigurata in visione fantasmatica e onirica”? e sottoposta ad un processo di «astrazione», «condensazione» ed «interiorizzazione» che si traduce
nella visualizzazione e verbalizzazione del pensiero: la scrittura. L’opera emergente da questo processo testimonia l’inesauribile potenzialità
immaginativa e combinatoria dell’artista,8° ma per lo scrittore essa
77 Jean Starobinki, La relation critique, Paris, Gallimard, 1970, p. 185. 78 Ivi, p. 186.
79 Per Gaston Bachelard, La poétique de la réverie, Paris, Presses Universitaires de France, 1971, l'immaginazione onirica rappresenta il momento privilegiato della creazione poetica. Ed è analizzando i precetti di questa immaginazione che egli riesce ad elaborare una filosofia della poesia come fitta rete di connessioni con il cosmo. 80 Cfr. Italo Calvino, // castello dei destini incrociati, in cui l’autore esaurisce nel mazzo delle carte il suo percorso di immaginazione-interpretazione. Un discorso diverso può venire fatto per Le città invisibili, testo in cui sulla rigida struttura tecnica prevale una fantasia creatrice che si rigenera di descrizione in descrizione.
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sottolinea anche la presenza virtuale di una grave inquietudine, quella derivata dalla consapevolezza dell’incolmabile abisso tra espressione linguistica ed esperienza dei sensi. Per questa sua caratteristica la verità dell’opera si mantiene su un piano di apertura e fluidità polimorfe, esemplificate dall’autore in una metafora atomistica: Pagine di segni allineati fitti fitti come granelli di sabbia rappresentano lo spettacolo variopinto del mondo in una superficie sempre uguale e sempre diversa, come le dune spinte dal vento del deserto.8!
Sono gli artisti barocchi ad elaborare una nuova «scienza della visione», nella quale l’occhio assume un ruolo determinante non solo dal punto di vista della delimitazione dello spazio fisico ma soprattutto come referente ontologico ed epistemologico: vedere significa essere, conoscere, creare. Secondo Christine Buci-Glucksmann l’occhio
è l'organo centrale del sistema etico-estetico barocco. Essere è vedere. Con questo concetto l’occhio barocco si insedia dal principio su un nuovo spartiacque del visibile, che accorda allo sguardo un «optikon» ontologico, una portata epistemologica ed estetica. E proprio perché l’occhio è quel «miembro divino» di cui parla Gracian, un «membro» che «opera a un tale livello di universalità che pare onnipo-
tenza».82 Ogni oggetto viene osservato da molteplici punti di vista, sottoposto ad una analisi circostanziata per mezzo dell’ipotiposi, figura retorica aristotelica che diviene regola durante il Seicento e che consiste nel porre l’oggetto «sotto gli occhi», «come fosse un quadro», per ren-
derlo, in questo modo, visibile.83 Il concetto di forma aperta in arte ed in letteratura si sviluppa da questo procedimento visuale-pittorico e dal conseguente tentativo di ridefinizione della percezione visiva soggettiva rispetto alla realtà e all’opera d’arte che da essa prende forma e vita.
8! Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., p. 98.
82 Christine Buci-Glucksmann, La folie du voir, cit., p. 29. 83 Ivi, p. 51.
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La forma aperta rappresenta l’abolizione del chiuso reticolo geometrico entro al quale si svolgeva l’atto della creazione pittorica rinascimentale e si fonda nella tendenza ad eliminare l’asse prospettico mediano; questo rinnovato rapporto prospettico non significa tuttavia che sia tramontata l’era della composizione geometrica, ma più sem-
plicemente che ad essa non è più.affidato un ruolo dominante.84 L’attenzione si sposta lentamente dall’oggetto osservato alla sensazione che esso provoca nel soggetto vedente, che lo moltiplica in una serie infinita di dettagli e percezioni. Osservare la raffigurazione significa allora condurre un’operazione di decostruzione e ricostruzione delle varie componenti e infine di recupero dell’unità originaria. Funzionale a questa operazione visiva è il dettaglio: esso designa un «programma d’azione» e indirizza verso un’estetica della percezione che presuppone una lettura intensiva dell’oggetto. Il.dettaglio presuppone un taglio visuale, un distacco dall’unità in favore di una intenzione soggettiva focalizzante che delimita e ridefinisce la forma in ogni suo particolare. In questo esperimento ogni parte viene considerata singolarmente,
viene «eccezionalizzata»,5° sopravvalutata nella sua caratteristica capacità di far pensare al sistema da cui è derivata. Nella scrittura questo procedimento defamiliarizza l’oggetto, lo rende straordinariamente nuovo all’occhio del lettore che ha l’impressione di vederlo per la prima volta. L'operazione dettagliante corrisponde all’ostranenie o stra-
niamento,89 componente fondamentale della creazione estetica.
84 Heinrich W6lfflin, Kunstgeschichtliche Zeitbegriffe. Das Problem der Stilentwicklung in der neuen Kunst, Minchen, Bruckmann, 1915, p. 131: «Ciò che è
comune a tutte le immagini del XVI secolo: che la verticale e l’orizzontale non solo sono presenti come direzioni pittoriche, ma ad esse è affidato un ruolo dominante. Il XVII secolo evita di evidenziare questi elementari contrasti. Essi perdono, infatti, anche quando emergono chiaramente, la loro energia tettonica». 85 Cfr. Omar Calabrese, L'età neobarocca, cit., p. 85. «Il dettaglio consiste nell’operazione di far passare un fenomeno dall’area dell’individualità a quello dell’ec- — cezionalità, o meglio dalla polarità del regolare a quella dell’eccezionale». 86 Viktor Sklovskij, L'arte come procedimento, in Letteratura e strutturalismo, a cura di Luigi Rosiello, Bologna, Zanichelli, 1974, p. 51: «Scopo dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto, come ‘visione’ e non come ‘riconoscimento’;
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La struttura diegetica di Palomar poggia da un lato sulla sperimentazione di questo metodo investigativo-poetico e dall’altro sull’acquisizione di un metodo scientifico a impronta galileiana, che pone il soggetto di fronte ad una manifestazione naturale oggettiva perché egli ne osservi e descriva le minime trasformazioni. È così che il protagonista dirige ogni volta il suo sguardo verso una forma particolare, staccandola dal sistema a cui appartiene. Nel tentativo di categorizzare concettualmente ogni frazione del cosmo come funzione di una ragione unificante universale il signor Palomar filtra la realtà oggettiva con la lente microscopica delle sue percezioni. Il problema si verifica al momento della analisi del dettaglio in questione, quando cioè ogni particolare esaminato invece di ricollegarsi ad un modello coerente porta ad una sconveniente espansione dell’orizzonte visivo e ad una imprevista complicazione dell’evolversi fenomenico. Nel primo episodio, in cui Palomar è impegnato ad osservare l’orizzonte marino,87 procedimento dell’arte è il procedimento dello ‘straniamento’ degli oggetti». Sklovskij indica nell’automazione della percezione una perdita del significato simbolico-visionario dell’oggetto. Lo straniamento evita il pericolo della automazione descrivendolo come se lo si vedesse e percepisse per la «prima volta». 87 Galileo Galilei, /7 Saggiatore, Milano, Feltrinelli, 1965, pp. 132-46, descrive un singolare esperimento che è in parte frutto della sua vivace immaginazione e in parte esperienza vissuta. Il luogo dell’esperimento è una tranquillo lungomare serotino, il particolare osservato sono gli innumerevoli frammenti solari riflessi sull’incresparsi delle onde. Galileo affronta qui la questione tanto discussa del suo rivoluzionario metodo scientifico che lo porterà alla condanna al silenzio inflittagli da Papa Urbano VIII nel 1633. «Si figuri V.S. Illustrissima d’esser lungo la marina in tempo ch’ella sia tranquillissima, ed il Sole già declinante verso l’occaso [...]. Anzi se come ho detto, l’acqua sarà quietissima, vederà la pura immagine del disco solare, terminata come in uno specchio. Cominci poi un leggier venticello a increspare la superficie dell’acqua. Comincerà nell’istesso tempo a veder V.S. Illustrissima il simulacro del sole rompersi in molte parti, ma allargarsi e diffondersi in maggiore spazio; e benché, mentre ella fosse vicina, potrebbe distinguer l’un dall’altro de i pezzi del simulacro rotto, tuttavia da maggior lontananza non vederebbe tal separazione, sì per l’angustia degl’intervalli tra pezzo e pezzo, sì pel gran fulgor delle parti splendenti [...]. Cresca in onde maggiori e maggiori l’increspamento: sempre per intervalli più e più larghi, — ecco la corrispondenza, l'operazione scientifica— si distenderà la moltitudine degli specchi, da’ quali, secondo le diverse inclinazioni dell’onde, si rifletterà verso l’oc-
chio, l’immagine del sole spezzata». Nel confronto con la realtà oggettiva del mondo contemporaneo Palomar ha perso la fiducia interpretativa che muoveva lo spirito
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diviene evidente che al tentativo di delimitare una precisa struttura descrittiva iniziale si contrappone un senso di disorientamento metodologico, il protagonista si smarrisce nella miriade di frammentarie informazioni che riceve ma che non è in grado di inserire in una sistema ordinato. Nel circoscrivere lo spazio fenomenico dell’onda l’occhio ha evidenziato immediatamente, attraverso il dettaglio, la sua in-
stabilità ed irregolarità, il suo non adattarsi ad un modello invariabile. Appuntare l’attenzione su un aspetto lo fa balzare in primo piano e invadere il quadro, come in certi disegni che basta chiudere gli occhi e al riaprirli la prospettiva è cambiata. Adesso in questo incrociarsi di creste variamente orientate il disegno complessivo risulta frammentato in riquadri che affiorano e svaniscono. S’aggiunga che il riflusso d’ogni onda ha anch’esso una sua forza viva e va verso il largo.88
Le argomentazioni teoriche di Palomar rendono appieno le difficoltà della osservazione focalizzata e mettono in evidenza la questio-
ne della rappresentabilità scientifica delle forme irregolari.8° La concentrazione visiva non ha tuttavia per scopo esclusivo la percezione di una eccezionalità fine a se stessa, ogni indagine è una
galileiano verso il libro aperto dell’universo; per l’uomo dell’epoca postatomica le certezze metodologiche che avevano animato i fautori della nuova scienza sono andate definitivamente perdute. 88 Italo Calvino, Palomar, cit., DSS: 8 Per Benoit Mandelbrot, Gli oggetti frattali, Torino, Einaudi, 1987, p. 12, le forme tradizionali, concepite dalla filosofia euclidea, non considerano quella vasta parte dell’universo che non risponde alla geometrizzazione classica: il cielo, il mare,
il frastagliamento di una costa, un fiocco di neve, i buchi nel formaggio sono tutte manifestazioni della stessa irregolarità. L’analisi e lo studio di queste manifestazioni risulta in una teorizzazione sperimentale che tende alla creazione di un sistema di formule matematiche in grado di illustrare e interpretare fenomeni naturali irregolari, o, come li definisce lo studioso, «frattali». «La geometria frattale è caratterizzata da due scelte: la scelta di problemi in seno al caos della natura, dato che descrivere tutto il caos sarebbe un’ambizione senza speranza e senza interesse; e la scelta di strumenti matematici, perché cercare delle applicazioni alla matematica, per il semplice fatto che è bella, non ha mai prodotto altro che delusioni. Progressivamente maturatesi, queste scelte hanno creato qualcosa di nuovo: tra il dominio del caos incontrollato e l’ordine eccessivo di Euclide, si estende ormai una nuova zona di ordine frattale».
Una molteplice unità
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sfida a quella ossessione conoscitiva che vuole limitare e scarnificare il reale, rappresentarlo senza timore di renderlo vago ed indetermina-
t0.?0 L'aspetto che Palomar contempla, dettagliato nella sua singolarità, lo induce all’astrazione, metaforizza le sue considerazioni e le tra-
spone su un piano di conoscenza universale che viene costantemente disturbata dall’infiltrazione del suo mondo soggettivo. Nell’episodio successivo la perlustrazione della battigia eccezionalizza il seno nudo di una bagnante, alla cui vista Palomar non sa resistere: i suoi ritorni e la troppo assidua attenzione finiscono per importunare la turista che, infastidita, lascia la spiaggia. Anche in questo caso l’attività delimitante e circoscritta del «bulbo oculare» progredisce in una serie di riflessioni funzionale ai diversi atteggiamenti e criteri valutativi del protagonista e produce l’esigenza di una lettura approfondita dei sistemi mentali individuali e del peso che la cultura tradizionale ha sulle modulazioni percettive del quotidiano. Al tentativo di inquadrare la scena in un ordine catalogante uniforme e globale, in cui tutte le cose rivendichino un proprio spazio, compreso il seno nudo, Palomar aggiunge una lista di possibili itinerari metodologici che corrispondono alla sua qualità di sistematico osservatore. L’episodio balneare rivela infatti la molteplice abilità di lettura del protagonista, che volge il suo sguardo dapprima verso la superficie oggettiva e propone una visione totalizzante e onnicomprensiva del reale, e più tardi da questo orizzonte visivo stacca il corpo umano, che viene riconosciuto come «discontinuità»,
«scarto», «guizzo»,?! dettaglio semanticamente significativo. Ad ogni livello corrisponde un paradigma mentale, un atteggiamento culturale
che il protagonista mette continuamente in discussione mentre proiet-
90 Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., pp. 67-8, solleva la questione dell’esattezza in letteratura, per raggiungere la quale egli sottopone la sua scrittura ad un processo di delimitazione e approfondimento, processo rigoroso che conduce lo scrittore a quella che egli descrive come la «vertigine del dettaglio», facilmente rintracciabile nelle osservazioni del signor Palomar. «E allora mi prende un’altra vertigine, quella del dettaglio del dettaglio del dettaglio, vengo risucchiato dall’infinitesimo, dall’infinitamente piccolo, come prima mi perdevo nell’infinitamente vasto».
21 Italo Calvino, Palomar, cit., p. 13.
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Capitolo terzo
ta all’esterno la sua individualità, ironicamente moderna e falsamente
disinibita. Lettura come evoluzione, conoscenza e comprensione di sé e del mondo costituiscono le tappe teoriche del percorso evolutivo palomariano, e tuttavia la possibilità di una indagine conoscitiva viene continuamente invalidata dall’intervento delle istanze culturali e della problematica del soggetto che lé interpreta nell’ambito della propria esperienza epistemologica. Nel Prato infinito è di nuovo il dettaglio a spingere il protagonista verso una meditazione comparativa che intuisce, nell’osservazione del piccolo angolo verde, la presenza di un nesso tra le diverse manifestazioni naturali, nesso che le collega in un rizoma di significati universali.?2 Nella compresenza di regolarità ed irregolarità del piccolo quadrato di terreno erboso si rispecchia l’immagine di un cosmo in cui interagiscono ordine e caos, legge razionale e confusa materia. Le considerazioni botaniche lasciano presto il posto ad un tipo di interrogazione metodologica sulla quale Palomar sembra voler fondare da ora in avanti il suo approccio sperimentale. Se il mondo nella sua interezza gli sfugge egli non trascura di cercare risposte parziali e soluzioni provvisorie nello spettacolo familiare del suo limitato orizzonte. È «il prato» ciò che noi vediamo oppure vediamo un’erba più un’erba? Quello che noi diciamo «vedere il prato» è solo un effetto dei nostri sensi approssimativi e grossolani; un insieme esiste solo in quanto formato da elementi distinti. Non è il caso di contarli, il numero non importa; quel che importa è afferrare in un solo colpo d’occhio le singole pianticelle una per una, nelle loro particolarità e differenze. E non solamente vederle: pensarle.?3 ?2 George Poulet, Les Métamorphoses du Cercle, cit., pp. 24-25. Anche l’estetica barocca è affascinata dalla possibilità di comparare l’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, microcosmo e macrocosmo, in cui le relazioni sono soprattutto di somiglianza nella dismisura. «Nondimeno gli scrittori del periodo barocco non possono essere che affascinati dalla somiglianza tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Come il macrocosmo è rappresentato dal microcosmo, e l’arcobaleno da tutte le gocce d’acqua che lo compongono, così l’immensa sfera dell’universo può essere riscoperta, ridotta ma curiosamente, come in oggetti che la scienza umana produce, per riprodurre, su piccola scala, il tempo solare o lo spazio cosmico».
93 Italo Calvino, Palomar, cit., p. 33.
Una molteplice unità
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L’esplorazione del prato stimola la necessità di comprendere e prolettare ogni aspetto isolato in un modello scientifico e filosofico generale, in grado di assimilare la parte e il tutto in un unico modello interpretativo. L'immagine materiale è strettamente connessa ad un processo intellettuale che allarga e supera la limitatezza del campo visivo e trasferisce la meditazione ad un livello astratto, nel quale si concettualizza la percezione dell’infinito e universale contemplato nel particolare. All’apice delle sue riflessioni Palomar tuttavia si distrae, e il filo dei suoi pensieri si dissolve in una catalogazione planetaria. La distrazione, peculiare caratteristica del protagonista, espone la tragica lacerazione del rapporto tra soggetto e oggetto, tra l’io e le manifestazioni del mondo oggettivo. L’interferenza dell’io inficia il contatto con l’oggetto dell’atto visivo nel momento in cui ne moltiplica e problematizza l’interpretazione. Partito dalla osservazione dettagliata, intensiva ed eccezionalizzata dell’oggetto, Palomar sembra ora deciso a esplorare estensivamente la superficie del mondo esterno, per poi ritornare ad una analisi in profondità. L'operazione si rivela complessa e di difficile attuazione, poiché, come Palomar stesso conferma «la superficie delle cose è inesau-
ribile».?4 Il complesso rapporto tra l’io e il mondo esterno riaffiora insistentemente in forma metaforizzata negli episodi del giardino zoologico di Vincennes. Copito de Nieve, il gorilla albino, rammenta ancora una volta al protagonista la presenza nell’universo di irregolarità e irrazionalità, in questo caso la propria. La solitudine del gorilla viene percepita come dramma individuale, manifestazione visibile del personale isolamento. Ora queste braccia-zampe stringono contro il petto un copertone di pneumatico d’auto. Nell’enorme vuoto delle sue ore, «Copito de Nieve» non abbandona mai il copertone. Cosa sarà questo oggetto per lui? Un giocattolo? Un feticcio? Un talismano? A Palomar sembra di capire perfettamente il gorilla, il suo bisogno di una cosa da tener stretta mentre tutto gli sfugge, una cosa in cui placare l’angoscia dell’isolamento, della ,
94 Ivi, p. 57.
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diversità, della condanna a essere sempre considerato un fenomeno viven-
te, dalle sue femmine dai suoi figli come dai visitatori dello 00.” Il dettaglio del copertone, a cui il gorilla sembra aggrapparsi per sfuggire alla propria angosciante condizione, diventa strumento di identificazione antropomorfica, la sua tristezza viene riconosciuta ed umanizzata da Palomar, mentre la percezione della sua diversità pone l’animale sullo stesso piano psicologico dell’individuo, in quanto ne riflette il profondo malessere interiore. Nell’ Universo come specchio la problematica della soggettività palomariana culmina nell’annullamento, in una opinata e alquanto sconfortante assimilazione cosmica. Mentre punta il suo telescopio verso le stelle Palomar riconosce di non avere risolto la questione più pressante, quella della.ricerca di armonia interiore, fondamentale per la comprensione di ciò che sta al di fuori. Il percorso compiuto dovrebbe consentire la «visione dal di dentro», chiave di lettura che fornisce all’individuo la capacità di stabilire uno schema di connessioni tra il suo mondo e quello esterno. Ed ecco che questa nuova fase del suo itinerario alla ricerca della saggezza si compie. Finalmente egli potrà spaziare con lo sguardo dentro di sé. Cosa vedrà? Gli apparirà il suo mondo interiore come un calmo ed immenso ruotare d’una spirale luminosa? Vedrà navigare in silenzio stelle e pianeti sulle parabole e le ellissi che determinano il carattereeil destino? Contemplerà una sfera di circonferenza infinita che ha l’io per centro
e il centro in ogni punto?96
La perlustrazione si risolve invece nella deludente scoperta del nulla, della perdita dell’orizzonte interiore compensata dall’acquisizione di uno sguardo rivolto risolutamente verso l’esterno, manifestazione di un procedere investigativo che corrisponde al teorema barocco della sproporzionata visione esteriore rispetto alla conoscenza del Sé: «più si vede e meno si è», «più si è e meno si vede», paradigma che Lacan spiega come perdita del «soggetto» e delle sue qualità intrinse-
95 Ivi, p. 83. 20.fvip. 122:
Una molteplice unità
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che, sottoposte alla continua metamorfosi causata dall’incessante ri-
flettersi nella mutabilità del mondo esterno.9? L’emblematico viaggio mentale a ritroso di Palomar, dal mondo all’10, problematizza il dramma di un interlocutore consapevolmente miope ma attento, che collega il percorso conoscitivo all’inevitabile confronto con una interiorità nebulosa, spaccata, che interroga il mondo della natura e della storia mettendo in discussione il dogmatismo del sapere assoluto. Il filo conduttore della ricerca è la spinta verso il raggiungimento di un equilibrio che vinca l’indefinitezza e l’irrazionalità della realtà e la trasformi nella rappresentazione di un armonioso spettacolo cosmico. Il messaggio ultimo dell’esperienza di Palomar osservatore e di Calvino scrittore, anche nel sorprendente finale rinvia alla interrogazione della copertina: Potremo mai trovarci in pace con l’universo? E con noi stessi? Il signor Palomar ètutt’altro che sicuro di riuscirci, ma se non altro, continua
a cercare una strada.9
97J acques Lacan, Les Quatre concepts fondamentaux de la psychoanalyse, Paris, SEULONS Spazio 98 Italo Calvino, Palomar, cit., in copertina.
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IV.
Le metamorfosi di Italo Calvino A
C’è l’amore e c’è il rispetto per la materia —, scrive Melotti in un suo
libro d’aforismi (Linee, «Piccola Biblioteca Adelphi» 1981). L’amore è una passione, può diventare odio: un dramma vivificante per l’artista artigiano. Il rispetto è come una separazione legale: la materia esige i suoi diritti e tutto finisce in un rapporto gelido. Il vero artista non ama né rispetta la materia: essa è sempre «in prova» e tutto può andare a catafascio (Leonardo, Michelangelo e i suoi marmi).!
Una delle caratteristiche più stimolanti della scrittura calviniana è senza dubbio la costante tendenza al polimorfismo e alla sperimentazione. La letteratura, afferma Calvino, deve rifuggire dalla fissità pietrificante prodotta dal rispecchiamento diretto della realtà contingente nella creazione estetica. L'esigenza di preservare la polivalenza della parola poetica si manifesta chiaramente nella prefazione al Sentiero dei nidi di ragno, in cui l’autore rivisita da una doppia prospettiva storico-estetica il periodo del Neorealismo, che secondo l’autore fu caratterizzato da una costituzionale spinta alla trasformazione, dalla dinamica varietà? delle voci espressive e dalla plurimità delle forme stilistiche.
! Italo Calvino, Collezione di sabbia, Milano, Garzanti, 1984, p. 85.
2 Cesar€ Segre, Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento, Torino, Einaudi, 1991, p. 37.
Capitolo quarto
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Il «neorealismo» non fu una scuola. (Cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche — o specialmente — delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la varietà di Italie sconosciute l’una all’altra — o che si supponevano sconosciute —, senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non
ci sarebbe stato «neorealismo».? _
Il Neorealismo a cui Calvino aderisce è una corrente letteraria in origine vivace e diversificata, aperta e costantemente rinnovantesi, che contiene i più disparati stimoli tematici ed etici e non accetta le limitazioni e le censure caratteristiche di tanta produzione letteraria precedente. Il Neorealismo non tarda tuttavia a fossilizzarsi, ad appiattirsi nei moduli consacrati di una narrativa «di maniera» che, nei casi peggiori, ha evidenti fini moralistici e didattici. Presentendo l’inaridirsi della sua vena poetica, costretta alla rappresentazione di un ripetitivo cliché, Calvino si distacca dal movimento sia a livello artistico e intellettuale che a livello politico.
Dall'inizio neorealista, alle esperienze della scrittura combinatoria, all’ultimo romanzo, l’impegno critico ed estetico è costante in Calvino; la sua scrittura rimane incentrata sull’analisi e sull'adozione di moduli narrativi che sovvertano i tradizionali canoni letterari,4 il suo impegno poetico si fa risoluta tensione a trasformare e rinnovare il messaggio verbale, a mantenere vivo e significativo il suo legame con la realtà. La scrittura calviniana diviene pertanto allegoria della condizione dell’uomo contemporaneo nei Nostri antenati,5 assume il senso di una esplorazione poetico-scientifica e umana nelle Cosmicomiche, traccia
3 Italo Calvino, Prefazione, in Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1964,
Pao!
4 Maria Corti, Nel laboratorio di Italo Calvino (da lettere inedite), in «Strumenti critici», V, 2, maggio 1990, pp. 137-46, fa riferimento ad alcune lettere inedite di Calvino e in particolare sottolinea il «tipico segnale stilistico» dello scrittore che,
parlando di un ciclo di racconti ne giustifica l’abbandono a causa della necessità di «cercare forme nuove». ° Si veda J. R. Woodhouse, Italo Calvino: A Reappraisal and an Appreciation of the Trilogy, Hull, University of Hull, 1968.
Le metamorfosi di Italo Calvino
107
un itinerario mentale cognitivo nelle Città invisibili, e confluisce nell’ultimo modello di apprensione fenomenologica del mondo in Palomar. La testimonianza più completa della coerenza® metodologica calviniana si trova nelle Lezioni americane, ed in particolare in Leggerezza. In questo excursus viéne affrontata la questione della sottrazione di peso dalla parola poetica. La scelta di porre il saggio a inizio d’opera rispecchia la preoccupazione calviniana nei confronti di una letteratura della pesantezza e dell’inerzia, metaforicamente illustrata dalla costante immagine della pietra. L’antitesi che Calvino ha di fronte si esplica nella polarità tra il mondo, nella sua schiacciante dimensione oggettiva, e la scrittura. Ciò che preoccupa lo scrittore è la pietrificazione della parola poetica che riflette senza mediazione la gravezza del reale. Sostenitore della leggerezza” come fondamento dell’operazione artistica l’autore rielabora il mito di Perseo e Medusa. Polivalente e
polisemica è infatti l’immagine di Perseo che si leva in alto, sostenuto dai venti e dalle nuvole, e, per vincere Medusa, si tiene in equilibrio su
ciò che esiste di più instabile, l’aria. Medusa è il mostro che pietrifica chi osa fissarlo direttamente, è il simbolo della mortale immobilità che
colpisce la poesia quando essa è incapace di trasformarsi. Il rapporto che Perseo, o il poeta, intrattiene con il mostro non si esaurisce tuttavia con la sua decapitazione; dal sangue nasce Pegaso, il cavallo alato,
emblema della fantasia immaginativa, il cui prodigioso zoccolo fa scaturire dal Monte Elicona la sorgente cara alle muse. L’evento mette in evidenza la duplice essenza del mostro, la cui pesantezza ha dato origine a ciò che esiste di più lieve e vibrante, l’arte, la poesia.
6 Non è un caso che la sesta conferenza che doveva completare il ciclo si sarebbe dovuta incentrare proprio su quella coerenza o consistenza narrativa tanto cara allo scrittore; cfr. Masolino d’ Amico, L'ultimo Calvino, sei memorie per il Duemila, in «Tuttolibri», XIV, 27 febbraio 1988, p. 1. 7 Italo Calvino, / libri degli altri, Torino, Einaudi, 1991, p. 455. Già all’inizio
della sua carriera di autore ed editore, e come conferma una lettera del 1964 inviata a Carlo Montella, Calvino punta sulla leggerezza dello stile che libera temi e significati profondi dalla opaca pesantezza della realtà per elevarli a un livello poetico e concettuale concretamente universale: «Le cose profonde sono diventate davvero profonde quando iniziamo a dirle con leggerezza».
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Capitolo quarto
Il mito narra infine che il volto di Medusa, posato su un tappeto d’alghe, le trasmuta in preziosi coralli; alla negatività della morte viene opposta la creatività della vita nel suo processo metamorfico, la positività del suo instancabile trasformarsi. Calvino annota un particolare importante, Perseo è l’eroe della leggerezza non solo per i suoi attributi fisici ma soprattutto per le sue qualità psicologiche, la dolcezza e l’attenzione con cui cura la mostruosità del capo serpentino, la partecipazione umana e poetica al mistero della sua duplice essenza di morte e vita. L'elemento metamorfico è parte integrante e componente fondamentale del mito, e, come si nota dal suo intervento, Calvino lo
ritiene strettamente collegato al concetto della invenzione generativa implicita alla creazione artistica. Seguendo l’esemplare agilità dimostrata da Perseo nella splendida rappresentazione ovidiana lo scrittore abbandona la classicità per ricordare i contributi di Montale, i cui versi sono un inno alla salvezza
di ciò che è più leggero e fragile nell’uomo, e di Milan Kundera, la cui poetica illumina ulteriormente il punto di vista calviniano. Il peso di vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti. Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto un romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere.$
La leggerezza è vincolata all’abilità del poeta di elevarsi, di rinnovare costantemente la propria ispirazione e di opporsi al peso intollerabile del reale; la sfida di Perseo si attua nel momento in cui il poeta fa propria la duttile dinamicità del pensiero, dell’intelligenza. Fare letteratura assume allora per lo scrittore il duplice significato di conquista di un universo proprio dell’arte e momento felice di rinascita dell’uomo in tale universo, dove è possibile creare poesia, e, con essa combattere il mostro della fissità, vincere l’immobilità della morte.
8 Italo Calvino, Le Jezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, p. 9.
Le metamorfosi di Italo Calvino
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Leggerezza e metamorfosi vengono associate all’intelligenza creatrice che si fa scrittura, cosmo in cui si scontrano minime particelle di materia in incessante condensazione e dissoluzione; Calvino vede nel-
la volubilità e provvisorietà di questo processo il nucleo dell’operazione estetica e in Lucrezio ilprimo ad aver intuito l’applicabilità poetica di una tale visione scientifica. In De rerum natura egli rende palpabile la compattezza e la solidità della materia non rappresentandone la massa ma accentuandone le minime componenti. La più grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di evitare che il peso della materia ci schiacci. Al momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani.°
Lucrezio aveva colto nel libero vagare delle unità particellari l’essenza costitutiva del cosmo e la proprietà fondamentale della poesia; la libertà e la possibilità di deviazione particellare permette il continuo unirsi e dissolversi della materia, il suo incessante moto generativo. La tesi di un universo composto da minuscoli atomi in vorticoso movimento, prospettata in De Rerum Natura e derivata in parte dal pensiero epicureo,!° non si discosta di molto dal principio espresso ? Ivi, p. 10. 10 Pierre Boyancé, Lucrèce et l’Epicurisme, Paris, Presse Universitaires de France, 1963, p. 5, collega la visione cosmica lucreziana alle tesi della filosofia epicurea, basata sulla percezione del mondo circostante attraverso l’ausilio dei sensi. L’epicureismo, aggiunge lo studioso, nell’«affermare il primato della sensibilità» si avvicinava prospettivamente ai dettami della poesia, «fondata su ciò che Platone chiamava la parte irrazionale dell’anima». Se la conoscenza deriva esclusivamente dai sensi, come è affermato in Lucretius I 422-25, lo studioso non tralascia di sottolineare il correlativo oggettivo, anch'esso fondamentalmente epicureo, di questo processo conoscitivo, quello della percezione. Le cose esistono attraverso la percezione dei sensi. Quando il vento soffia tra le cime degli alberi, noi percepiamo il muoversi dei rami, ma il vento non è percepito (I 271-97). Si deve quindi supporre che esso sia diverso dalle cose che si percepiscono? Niente affatto. Si può infatti immaginarlo, formarsi di esso una immagine, simile a un fiume di particelle, come le molecole in un raggio di sole (II 126), e anche più piccole, che si infrangano contro i rami. Attraverso questo tipo di ragionamento Epicuro cercava di spiegare ciò che noi percepia-
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Capitolo quarto
nelle Metamorfosi ovidiane, in cui il cosmo è un costante flusso di forme mutevoli. Ovidio sembra mutuare questa teoria dalla dottrina pitagorica della metempsicosi,!! riadattata e rielaborata in un ricco e diversificato assortimento di racconti tutti distintamente collegati da un unico comune denominatore, la metamorfosi.
Se la fama poetica di Lucrezio e di Ovidio, a causa soprattutto della connotazione pagana delle loro tematiche, varia attraverso i secoli, non diversa è la sorte destinata alle teorie filosofico-scientifiche
soggiacenti alle loro opere. È infatti solo nel diciassettesimo secolo che lo studioso francese Gassendi recupera le tesi dei poeti tardo latini e avanza l’ipotesi di una evoluzione dell’universo basata sull’atomismo.! Il rivisitato modello atomistico classico non tarda a trovare consensi tra i fautori della scienza ma anche tra i cultori della poesia,
mo senza affermare l’esistenza di niente altro che non fosse materialmente percepibile. «L’universo epicureo suppone inoltre l’omogeneità di tutte le cose. L’atomo eil vuoto sono la sostanza di cui esso è fatto». 11 Sara K. Myers, Ovid s Causes, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1994, pp. 27-8, sottolinea che il lungo discorso di Pitagora nel Libro quindicesimo (Met. 15.68) può venire interpretato sia come una sorta di «campo di referenza ‘scientifico’ attraverso il quale Ovidio suggerisce si debbano leggere i suoi miti» che come una risposta alla filosofia poetica epicurea e pitagorica del suo predecessore Lucrezio. Il fulcro della dottrina pitagorica era fondato sulla metempsicosi, processo attraverso il quale l’anima migrava da un corpo ad un altro, umano o animale. Ovidio tuttavia sembra sfidare, secondo la studiosa, le esplorazioni poetiche e scientifiche lucreziane.
Le sue metamorfosi non seguono «un coerente principio filosofico-scientifico», piuttosto esse sembrano esporre «l’incongruenza della applicazione di un linguaggio scientifico al racconto mitologico» e nello stesso tempo «iniziano un dibattito sulla autorità della fisica sulla poesia, in cui era stato coinvolto il suo predecessore». La Myers rinviene quindi nelle Metamorfosi un sottile dialogo intertestuale con il De Rerum Natura. Al centro di questa intertestualità sta l’investigazione stessa del mondo e la esplorazione di un linguaggio poetico, filosofico e scientifico atto a esprimere tutti gli eventi e le manifestazioni dell’universo sensibile. 12 Lucrezio, On the Nature of the Universe, Baltimore, Penguin, 1951, p. 9 (nota introduttiva): «Nel Rinascimento Lucrezio fu riscoperto poeta, ma è solo dal diciassettesimo secolo, quando il razionalista francese Gassendi avanza una teoria universale basata sui principi dell’atomismo, che le tesi epicuree riacquistano il rispetto dovuto a una teoria che aveva come scopo il serio tentativo di spiegare l’universo fisico».
Le metamorfosi di Italo Calvino
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primo fra tutti, e per questa ragione giustamente menzionato da Calvino, Cyrano de Bergerac. In pagine la cui ironia ngn
fa velo a una vera commozione cosmica,
Cyrano celebra l’unità di tutte le cose, inanimate o animate, la combinatoria
di figure elementari che determina la varietà delle forme viventi, e soprattutto egli rende il senso della precarietà dei processi che le hanno create: cioè quanto poco ci è mancato perché l’uomo non fosse l’uomo, e la vita la vita, e il mondo un mondo.!3
Mentre il Rinascimento aveva riscoperto l’opera di Lucrezio, il Seicento, oltre a fare propria la tensione verso un universo particellare ed atomistico,!4 viene fortemente influenzato da Ovidio, Apuleio e Seneca, tutti esponenti di un’epoca che, secondo buona parte della critica contemporanea, può venire considerata, per accostamento sto-
rico e culturale, molto simile al Barocco.!5
13 Italo Calvino, Lezioni americane, cit., p. 22. La precarietà insita nel cosmo e nella sua formazione sarà avvertita e drammatizzata con particolare acutezza da Calvino nelle Cosmicomiche. Lo stesso atteggiamento commisto di ironia e commozione del poeta francese è assunto a volte dal protagonista dei racconti cosmicomici, Qfwfq, mentre tenta di spiegare complessi concetti evoluzionistici in un linguaggio colloquialmente basso ma non privo di scatti emotivi. 14 Il termine stesso, atomo, viene utilizzato dal Marino nei versi del canto X, ottava 44 dell’ Adone, Torino, Einaudi, 1976, ulteriore testimonianza del credito ricevuto dalle teorie classico-moderne e della loro popolarità anche in ambienti estranei alla discussione scientifica. In questi versi Marino loda le scoperte astronomiche di Galilei.
E col medesmo occhial non solo in lei vedrai da presso ogni atomo distinto, ma Giove ancor sotto gli auspicii miei scorgerai d’altri lumi intorno cinto, onde lassù de l’Arno i Semidei il nome lasceran sculto e dipinto. !5 Ettore>Paratore, L ‘influenza della letteratura latina da Ovidio ad Apuleio nell’età del Manierismo e del Barocco, in Manierismo, Barocco, Rococò, Roma, Acca-
demia dei Lincei, 1962, pp. 239-301.
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Tali
Degli autori tardo latini si riconosce l’influsso estetico nelle opere di Marino, Della Valle, Quevedo, G6ngora e Shakespeare.!° L’affinità tra la poetica ovidiana e molte opere del Seicento è stata al centro di diversi studi nei quali è stata in primo luogo riscontrata una certa tendenza di Ovidio a rappresentare gli eventi con il massimo della forza espressiva, la quale spinge il racconto ai «limiti del violento, del patetico, dell’orrido, del sensuale e passionale [...]. Ovidio raggiunge così una nuova intensità e un movimento, un tempo musicale molto più presto. La tecnica musicale corrisponde al gioco barocco della sua fantasia».!7 Nel poeta latino l’estetica barocca riconosce soprattutto la «visione multipla di un universo e di esseri polimorfi» la cui rappresentazione si realizza in un modello espressivo «praticato con virtuosità» dal quale emerge il senso «di un mondo continuo, dove nessuna frontiera precisa segna i limiti dei piani visuali, esclude le causalità contraddittorie e le motivazioni psicologiche in conflitto, impone una fissità alle specie mutevoli e agli individui che hanno perduto coscienza di ciò
che sono».!8 Nello stile delle Metamorfosi ovidiane Jean Rousset individua caratteristiche care e costanti nel Barocco quali l’instabilità, la
mobilità e la metamorfosi,!? e per queste stesse caratteristiche Henry Bardon, nel suo studio Ovide et le Baroque, definisce l’opera più po-
polare del sulmonese come «la prima delle grandi opere barocche»,?0
16 Ernst Robert Curtius, European Literature and the Latin Middle Ages, New York, Pantheon, 1953, pp. 273-301. Il Curtius espone brevemente l’annosa opposizione tra Classicismo e Anticlassicismo rifiutando di usare il termine Barocco e adottando invece il termine di Manierismo: tutti gli scrittori e i poeti del Seicento citati nel saggio verranno di conseguenza a cadere nella categoria dei manieristi. 17 V. Péschl, L’arte narrativa di Ovidio nelle Metamorfosi, in Atti del Convegno internazionale ovidiano, Roma, Accademia dei Lincei, 1959, II, pp. 295-305.
18 Roland Crahay, La vision poétique d’Ovide et l’esthétique baroque, in Atti del Convegno internazionale ovidiano, I, cit., pp. 91-110.
19 Jean Rousset, La littérature de l’àge baroque en France. Circé et le Paon, Paris, Corti, 1953, p. 237: «Niente è più propizio al Barocco che il sentimento profondo della mobilità e della metamorfosi nell’uomo e nel mondo». 20 Henry Bardon, Ovide et le Baroque, in Ovidiana, a cura di N. I. Herescu, Paris, Les Belles Lettres, 1958, pp. 75-100.
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proprio per «l’esuberanza e la mobilità che sono inerenti al tema dell’opera e alla sua prestigiosa espressione».?! Qualità stilistica dominante nelle Metamorfosi, e di molte opere dello stesso periodo, è infatti la volontà di trasformazione dinamica dei canoni estetici prestabiliti, volontà che riaffiora e perméa molte opere del Seicento e di epoche successive.?2 Il dinamismo dell’arte barocca traspare, nelle opere più riuscite, nella rappresentazione dell’immagine metamorfica, emblema del continuo mutamento morfologico e del perenne gioco dell’instabi-
lità? esemplarmente consacrati dalla poesia di Ovidio. —
—Tematicamente la metamorfosi si manifesta soprattutto come tra-
sformazione biologica da una forma, o da una materia, ad un’altra; tale
mutamento ingenera, nella maggior parte dei casi, la degradazione e la riduzione del personaggio ad uno stato di natura animale o vegetale. Tuttavia la metamorfosi, presente inizialmente al livello degli attanti,
si estende ben presto al livello stilistico, determinando una trasformazione delle strutture linguistiche e dei modelli formali. Claude-Gilbert Dubois ha infatti puntualmente osservato che il linguaggio stesso, per le sue commutazioni e permutazioni, per il suo valore metonimico e analogico, manifesta una straordinaria qualità trasformazionale;?4 il
linguaggio poetico potenzia questa proprietà grazie a una stratificazione di messaggi e significati che rendono il terreno della‘creazione esteti-
ca fecondo perché polisemico.?5
21 Ettore Paratore, L'influenza della letteratura latina da Ovidio ad Apuleio nell’età del Manierismo e del Barocco, in Manierismo, Barocco, Rococò, cit., p. 255.
22 Ivi., p. 256: «L'importante è che la più recente letteratura critica obbliga a considerare Ovidio (e l’arte derivata da lui) come una delle principali componenti formative del grande episodio culturale costituito dal gusto manieristico e barocco».
23 Pierre Brunel, Le Mythe de la métamorphose, Paris, Colin, 1974, p. 10, descrive la metamorfosi con l’ausilio del mito e la definisce «un insieme dinamico, cioè un sistema di forze antagoniste». 24 Claude-Gilbert Dubois, Préface, in Poétiques de la métamorphose, SaintEtienne, Publications de l’Université de Saint-Etienne, 1981, pp. 7-13. 25 Michel Le Guern, La métamorphose poétique: essai de définition, in Poétiques de la métamorphose, cit., pp. 27-36.
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La maggior parte delle creazioni poetiche in cui si manifesta la metamorfosi sono fondate su un rapporto metaforico. Tuttavia, se la metafora ha avuto un ruolo essenziale nella produzione di tali enunciati, si può dire che non vi è metamorfosi se non dove non vi è più metafora. Perché ci sia una spiga, è necessario che ci sia stato il seme, e è necessario che la germinazione abbia distrutto questo seme [...]. La metafora dà al poeta l’idea della metamorfosi, ma l’illusione poetica non sarà prodotta che attraverso la distruzione della figura.?9
Anche per Italo Calvino la metamorfosi è un processo di trasformazione intrinseco al procedimento scrittorio,7 nel quale essa introduce rinnovamento e rigenerazione attraverso un linguaggio aperto e diversificato, una dialettica generativa basata sulle infinite potenzialità della parola. Un modello rimasto insuperato di questo procedimento estetico sono le Cosmicomiche, romanzo pubblicato nella seconda metà degli anni Sessanta. La diegesi prende spunto da concise e puntuali affermazioni scientifiche, comprendenti le più svariate analisi e riflessioni sull’universo e le sue infinitesimali espressioni, e le trasforma in visioni cosmico-ironico-fantastiche ad uso di quel narratore comicamente onnisciente che è Qfwfq. L’uso del registro fantastico si eleva a strategia operativa che permette l’invenzione di un universo modellato sulla costante e comica corrispondenza analogica con gli oggetti e
le situazioni del mondo reale.?8 26 Ivi, p. 30. 27 Albert Howard Carter III, Indistinct Boundaries: Calvino s Taste for Otherness, in «Italian Quarterly», XXXII, Win.-Spring 1989, pp. 101-11, osserva come molti dei personaggi calviniani siano al centro di trasformazioni metamorfiche: tra quelli nominati fanno spicco il barone Cosimo di Rondò, che viene descritto in un almanacco come homme sauvage, incrocio comico-fantastico tra un ermafrodito e una sirena, mentre nel Cavaliere inesistente la guerriera Bradamante diviene anche la suora incaricata del racconto.
28 Sulla problematica della fantasia come literary mode che permea il discorso narrativo calviniano cfr. Franco Ricci, Fabulous Experience and Marvelous Illusions: Virtual Reality and the Urge of an Ancient Dream, Special Issue on the Italian Tale, in Meraviglie e Racconti, Boulder, University of Colorado Press, 1983, pp. 153-86; per Kathryn Hume, Calvino $ Fictions: Cogito and Cosmos, Oxford, Clarendon, 1992, l’energia fantastica nello scrittore non è semplice sovrastruttura ma il perno del suo animo poetico; cfr. sullo stesso tema Albert Howard Carter III, Italo Calvino. Metamorphoses of Fantasy, Ann Arbor, U.M.I. Research Press, 1987.
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Qfwfq, narratore e protagonista dei racconti, è una figura originale, risultato della vivace creatività calviniana e proporzionalmente funzionale alle ragioni semantiche della scrittura, che sono in primo luogo quelle di estendere ilproprio orizzonte al di là di limiti spaziotemporali prestabiliti per riflettere la perpetua evoluzione dell’univer-
so attraverso il mutabile stile dell’invenzione poetica.2? Non sarà difficile, se si tiene conto delle meditazioni autorali sulla «leggerezza» proposte in questo capitolo, riconoscere in Qwfwq una delle costruzioni stilistiche calviniane più riuscite. Figura molteplice nella sua permanente instabilità, difficilmente inseribile nel catalogo delle tradizionali figure letterarie, Qfwfq si presenta ad ogni inizio di racconto con un resoconto potentemente e ironicamente autobiografico. Ogni storia lo vede assumere nuove forme, da quelle macroscopiche di un dinosauro in via d’estinzione a quelle di una microscopica cellula. In questa polimorfia è implicita una consapevole pluralità di significati e di interpretazioni, che si collega alla necessità sentita dallo scrittore di concepire ogni segno-immagine-figura come una contaminazione di diverse possibilità semantiche. Il registro e il ritmo della struttura, soggetti alla completa instabilità fisica e al dinamismo della figura principale, invece di perdere la loro forza comunicativa ne potenziano significativamente l’innovativo contenuto poetico,5° permettendo in que-
29 Per I.T. Olken, With Pleated Eye and Garnet Wing, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1984, Qfwfq rappresenta la necessità autorale di una costante espansione formale e contenutistica. Il protagonista viene rappresentato nelle sue diverse scelte morfologiche; la sua continua trasformazione esprime un vivace desiderio di conoscenza e una decisa volontà di sopravvivenza.
30 Cfr. Francesca Bernardini Napolitano, / segni nuovi di Italo Calvino. Da Le cosmicomiche a Le Città invisibili, Roma, Bulzoni, 1977, che sottolinea come l’ap-
parizione del nuovo lavoro calviniano fosse stata accolta freddamente da alcuni critici che gli riproverarono soprattutto una assenza di impegno e accusarono lo scrittore di «calligrafismo» e di fuga inventivo-fantastica, mentre altri come Barberi-Squarotti, Manacorda e Calligaris individuarono nelle tematiche una matrice etica. Sulla funzione narratologica ed estetica del personaggio Qfwfq si confronti inoltre Sergio Pautasso, Favola, allegoria, utopia nell'opera di Italo Calvino, in «Nuovi Argomenti», XXXV, 1973, pp. 67-91, che lo giudica prodotto di un momento di crisi del
personaggio; che perde le proprie caratteristiche fisiche per assumere forme erealtà indefinibili, fino a «perdersi nell’invertebrato ma cosciente mollusco».
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sto modo allo scrittore di connettere la sua vitale forza immaginativa a un contenuto estetico e ad un significato etico in costante espansione. Non si tratta quindi di compiaciuta fuga da una realtà rifiutata ma di un immergersi in essa per sondarla con strumenti analitici nuovi. Qfwfq è un testimone oculare?! della evoluzione cosmica che si estende al di là delle rette spazio-temporali storicamente riconosciute, ma drammatizza allo stesso tempo i proble e le aspirazioni di una sensibilità moderna traducendoli in una voce figurale che fa da trait-d’union tra la ricca creatività fantastica dello scrittore e la sua necessità di trasformare questa esperienza in espressione-comunicazione narrativa. La caratteristica principale di questo atipico protagonista?? è la sua intensa vita interiore, colma di desideri, paure, dubbi e affanni, ed è soprat-
tutto questo patrimonio di sentimenti a rappresentare il fulcro propulsore di tutti gli intrecci, momento unificatore che elimina il rischio di dispersione frammentaria nei racconti semplicemente imponendo una continuità che si contrappone all’estremo metamorfismo. L’universo, come lo si conosce oggi, è il risultato di catastrofiche trasformazioni naturali deducibili esclusivamente attraverso ipotesi e formule matematiche; la presenza e le storie di Qwfwq avvalorano queste ipotesi e confermano l’evolversi e il ricorrere fenomenico attraverso una spiritosa ed ironica descrizione che non nasconde un certo tono confidenziale ed un contenuto tematico attuale.33 La caratteristica peculiare del protagonista e dell’intera struttura rimane tuttavia 31 Aurore Frasson-Marin, Calvino et l’Imaginaire, Genève, Slatkine, 1986, p. 122, interpreta il protagonista come uno sguardo «multiforme e nello stesso tempo indefinito e indefinibile, che non esiste se non come testimone della genesi dei corpi celesti, della evoluzione biologica». 32 Kathryn Hume,
Calvino$ Fictions: Cogito and Cosmos, cit., osserva come
nelle Cosmicomiche il personaggio di Qfwfq si distanzi dalla tipologia calviniana precedente in quanto afferma il suo intervento come osservatore diretto e non marginale, che si esprime sempre in prima persona ea cui è assegnata in ogni episodio una presenza centrale rispetto all’azione.
33 Kathryn Hume, Fantasy and Mimesis, New York-London, Methuen, 1984, pp. 98-100. Cfr. inoltre Rocco Capozzi, Cosmicomiche vecchie e nuove: Keeping în Tune with the Times, in Calvino Revisited, Franco Ricci ed., Toronto, Dovehouse, 1989,
pp. 65-84, che rileva la qualità autobiografica dei primi episodi, Lo zio acquatico, I dinosauri, L'origine degli uccelli, che evidenziano la problematica posizione di
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la multiforme e seducente varietà morfologica che permette rispettivamente a Qfwfq di sostenere il discorso narrativo a livello autoreferenziale come percorso di conoscenza minimale ed universale e allo scrittore di investigare e fare proprio ciò che è nuovo nell’inarrestabile
processo evolutivo naturale, umano ed estetico.34 Nelle Cosmicomiche lo schematismo formale nei confronti del protagonista è abbandonato in favore di uno speciale procedimento trasformazionale che segue due distinte direzioni, una coinvolge il protagonista e gli elementi fisico-biologici che lo circondano, la terra, la luna, il sole, il mondo
acquatico e interstellare, l’altra le strutture soggiacenti al racconto, quella tematica, formale e stilistica. Ogni racconto presenta un Qfwfq pronto a corroborare l’affermazione scientifica posta all’incipit; la scienza rappresenta per Calvino un originale metodo di indagine e di apprendimento, essa offre la possibilità di un rinnovamento stilistico attraverso l’utilizzo di un linguaggio considerato a lungo fine a se stesso, incapace di comunicazione al di fuori del campo specifico. Il fascino di un linguaggio risolutamente oggettivo si riflette nella continua ricerca dell’espressione netta e precisa, di volta in volta arricchita e vivacizzata dalla compresenza, accanto alla dichiarazione scientifica,
della descrizione di stati fisici, mentali e psicologici personali. Se le sue descrizioni molto si avvalgono della precisione scientifica, esse tuttavia concorrono soprattutto a vivificare la natura poetica dell’assunto, costruito su un sistema di immagini memoriali che vengono recuperate e rivitalizzate nella narrazione. Avvalendosi della scienza come campo di scoperta e di creazione fantastica,3° Calvino mette
tuttavia in discussione l’oggettività del suo procedere, lo demitizza,59
Calvino scrittore e uomo politico teso alla ricerca del nuovo sia dal punto di vista storico che da quello letterario, cosciente tuttavia che anche l’abbracciare indiscriminatamente il suo messaggio sarebbe stato un errore. 34 Albert Howard Carter III, Italo Calvino. Metamorphoses of Fantasy, cit., p. 73. 35 Secondo Kathryn Hume, Calvino La memoria del mondo: The Forgotten Record of Lost Worlds, in Calvino Revisited, cit., pp. 85-102, tutte le storie attestano
una latente critica nei confronti di una scienza non sempre in grado di dare un senso ed una ragipne all’universo.
36 Claudio Milanini, L’utopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Milano, Garzanti, 1990, p. 105.
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rendendolo testimonianza diretta e palpabile. Deformando ironicamente le ipotetiche presupposizioni3” e le rigide impostazioni razionaliste, ne trasforma metamorficamente il registro e il tono in colloquiale scambio, in esperienza quotidiana dello straordinario che diventa ordinario,
dell’inverosimile e temporalmente irrecuperabile che si afferma come racconto fantastico ma anche come espressione di un possibile vissu-
to. Straordinariamente rilevante è inoltre la tendenza a rappresentare il farsi e disfarsi cosmico attraverso immagini ed emblemi di leggerezza e di movimento, percepibile soprattutto nella raffigurazione di alcuni riuscitissimi personaggi femminili, come la bella e misteriosa OrgOnir-Ornit-Or, sulle cui ali vola il temerario e innamorato Qfwfq, la invisibile e veloce Ayl di Senza Colori, la snella Flw di La Luna come un fungo, la potente Rah, figlia del sole, che, avendo ritrovato il suo perduto e amato capitano, scende aerea ad appoggiarsi sul pennone della sua nave, provocando una turbolenta tempesta magnetica. È aggrappata al pennone, sospesa nell’aria come una bandiera che si dispiega per miglia e miglia, i capelli che volano nel vento, e tutto il corpo fluente come i capelli perché della stessa lieve consistenza pulviscolare, le braccia dal polso sottile e dall’omero generoso, le reni falcate come una luna crescente, il petto come una nuvola che sovrasta il cassero del bastimento e le volute dei drappeggi che si confondono col fumo della ciminiera e più in là col cielo. Tutto questo io vedevo nell’elettrizzazione invisibile dell’aria; oppure soltanto il suo viso come una polena aerea, una testa
di Medusa monumentale, occhi e chiome crepitanti.38
La presenza della figura femminile è potenziata visualmente grazie a richiami di origine lucreziana, come in questo brano il riferimento
alla sostanza pulviscolare, collegata nell’immagine femminile alla fluidità e all’inconsistenza di forme quasi impercettibili all’occhio umano. Il carattere metamorfico di Rah, scientificamente definità come
nuvola di gas che si è staccata dall’atmosfera solare, viene estremizzato dal richiamo al mito di Medusa, la cui mostruosità contiene, come si è
visto, proprietà positive. In Calvino la presenza femminile diviene 37 Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, Milano, Garzanti, 1984, p. 147.
38 Ivi, p. 153.
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emblema del movimento, dell’instabilità e del cambiamento; le protagoniste dei racconti non possono venire liberate, salvate o contenute nei limiti dell’umano, la loro energia è parte del divenire cosmico, la loro sostanza funzionale al Ipro misteroe il loro messaggio comprensibile in modo fugace e frammentario. È il caso di Tempesta solare, in cui si assiste alla sconfitta di un Qfwfq-capitano di lungo corso, i cui precisi strumenti di misurazione universale si rivelano inadatti, incompleti, obsoleti se paragonati alla potente energia creatrice e distruttrice della figlia del sole. E adesso che lei sale come una folgore verso la sfera del fuoco, ed io ritorno padrone di me stesso, prendo a raccogliere i frantumi dei miei meccanismi, ecco ora vedo quale misera cosa sonoi poteri che ho riconqui-
stato.39
Il personaggio femminile esplica in molti racconti una funzione di opposizione filosofico-estetica rispetto al narratore; ogni protagonista mantiene che lo stimolo creativo ed evolutivo, la spinta alla trasforma-
zione cosmica, sono sostenuti dalla costante intrusione di perturbazioni e irregolarità, dalla confluenza di elementi incongrui che facilitano
la creazione di forme perfette, come ne / cristalli in cui Vug, antica e perduta compagna di Qfwfq, riconosce la bellezza cosmica non nell’ordine monolitico ma nelle sue fessure, nella molteplicità delle forme impure ed asimmetriche che da questo ordine emergono, nella loro discontinua potenzialità creatrice. Nonostante Qfwfq si sforzi di immaginare un mondo fondato sulla perfezione di un unico ed enorme cristallo, deve presto considerare la probabilità di una evoluzione avvenuta attraverso la varietà, la diversità e la frammentarietà del disor-
dine, l’impurità e la irregolarità del caos. Emblematizzata nella figura femminile è inoltre la perenne ricerca del nuovo, dell’instabile e del mutabile. Il contrasto tra il protagonista e la nuova ideologia è ben rappresentato in Fino a che dura il Sole, in cui l’essersi stabiliti sulla rassicurante e durevole Terra rimane per il colonnello Eggg una scelta ragionevole ed oculata, mentre per la si-
gnora Gggeè il colmo della staticità e della noia.
39 Ivi, p. 73.
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Calvino predilige l'invenzione di personaggi maschili incapaci di interpretare il messaggio evolutivo e metamorfico delle loro compagne-antagoniste; il divario e la mancata unione dei contrari è quindi una costante del discorso narrativo nelle Cosmicomiche: ogni tentativo di simbiosi sfocia nel fallimento, ogni desiderio dell’«altro» viene ridicolizzato da una perdita e ogni abbandono alla felicità dell’entelechia fantastica si realizza solo nella memoria. Per una frazione di secondo tra la perdita di tutto quel che sapevo prima e l’acquisto di tutto quel che avrei saputo dopo, riuscii ad abbracciare in un solo pensiero il mondo delle cose com'erano e quello delle cose come avrebbero potuto essere, e m’accorsi che un solo sistema comprendeva tutto. Il mondo degli uccelli, dei mostri, della bellezza d’Or era lo stesso di quello in cui ero sempre vissuto e che nessuno di noi aveva
capito fino in fondo. Se è possibile raggiungere l’attimo felice della illuminazione e del congiungimento, in cui si abbracciano i poli estremi della esperienza del mondo, il passato, il presente eil futuro, il bisogno di divulgarne la conquista ne segnerà la perdita, e dello straordinario momento conoscitivo non rimarrà che un vago ricordo. L’episodio, tratto dal viaggio del protagonista nel continente degli uccelli, è una felice metafora del problematico rapporto tra scrittore, immaginazione fantastica e realtà storica e sociale. La sorprendente apparizione degli uccelli, animali sconosciuti, provoca non solo stupore di fronte alla nuova forma ma
40 Italo Calvino, J/ rapporto con la luna, in Una pietra sopra, Torino, Einaudi, 1980, p. 183 in cui l’autore, in una iettera di risposta ad alcune affermazioni fatte
sull’argomento ‘luna’ da Anna Maria Ortese, così imposta il discorso sulle nuove scoperte scientifiche dell’epoca contemporanea e sulle loro conseguenze umane e poetiche: «Quel che m'interessa è tutto ciò che è appropriazione vera dello spazio e degli oggetti celesti, cioè conoscenza: uscita dal nostro quadro limitato e certamente ingannevole, definizione d’un rapporto tra noi e l’universo extraumano. La luna, fin dall’antichità, ha significato per gli uomini questo desiderio, e la devozione lunare dei poeti così si spiega. Ma la luna dei poeti ha qualcosa a che vedere con le immagini lattiginose e bucherellate che i razzi trasmettono? Forse non ancora; ma il fatto che siamo obbligati a ripensare la luna in un modo nuovo ci porterà a ripensare in un modo nuovo tante cose».
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soprattutto ansia e tensione di fronte alla necessità di dover rivedere i
modelli di giudizio tradizionali.4! Se mutamenti ed evoluzioni sono ancora possibili ed auspicabili, se forme nuove rivoluzioneranno il modo di pensare quelle già gonosciute ed accettate, se con queste forme la stabilità delle istituzioni è messa in pericolo, allora cadrà anche
la sicurezza derivata dall’essere tutti d’accordo che: Le specie rimaste erano le sole meritevoli, destinate a dar vita a progenie sempre più selezionate e adatte all’ambiente. Ci aveva tormentato a lungo il dubbio su chi era mostro e chi non lo era, ma da un pezzo poteva dirsi risolto: non-mostri siamo tutti noi che ci siamo e mostri sono tutti quelli che potevano esserci e invece non ci sono, perché la successione delle cause e
degli effetti ha favorito chiaramente noi, i non-mostri, anziché loro.4
La possibilità di scoperta e di conoscenza porta Qfwfq al continente sconosciuto, il cui paesaggio è dominato da forme e proporzioni sconvolte, apparizioni di inconsueta e imprevedibile bellezza. Il protagonista si confonde qui con il poeta, intento a recepire con attenzione l’apparentemente inaccettabile. L'incontro con Or, regina degli uccelli, segna il culmine dell’esperienza: il narratore diviene consapevole della bellezza insita nella immaginazione fantastica, l’autore la pone al centro del proprio procedimento creativo. Dalla commozione gli occhi mi si riempirono di lacrime. Avevo di fronte una creatura di bellezza mai vista. Una bellezza diversa, senza possibilità di confronto con tutte le forme in cui era stata da noi riconosciuta la bellezza, eppure nostra, quanto c’era di più nostro del nostro mondo, e tale che senza di lei il nostro mondo aveva sempre mancato di qualcosa. Sentivo di essere arrivato al punto dove tutto convergeva e in cui stavo per
essere inghiottito.43 La concezione estetica calviniana, racchiusa in queste densissime righe, si fonda sulla capacità di riconoscere la bellezza in ogni aspetto
4! Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, cit., p. 39.
42 Ivi, p. 40. 43 Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, cit., p. 46.
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del reale e sulla sensibilità artistica e umana che la ribadisce come essenziale strumento di conoscenza, fondamentale alla vita e alla sto-
ria dell’individuo. Ma se per il poeta l’indagine e la scoperta del bello nella diversità è necessità primaria, il rischio è che questo diventi un atteggiamento manierato, una convenzione estetica falsificante, una ostentazione morbosa di tutto ciò che è irregolare, instabile, inconsueto.
Consapevole della polisemica valenza di una letteratura che abbraccia il topos metamorfico Calvino dirige l’obiettivo del suo operare narrativo verso nuove soluzioni formali, nuove elaborazioni di stile
e contenuto. Scrivere diviene un fantastico volo, un agile sollevarsi al di sopra della realtà quotidiana e un allontanarsi dalla pretesa capacità di elaborare giudizi estetici incorruttibili, di stabilire valori etici inalterabili. i La qualità metamorfica evidenziata nelle Cosmicomiche sia al livello dei personaggi che a quello dello stile e della lingua, crea una cosmogonia del movimento e dell’instabilità che si estende dagli eventi oggettivi ai rapporti soggettivi e a tutti quegli elementi del mondo biologico e fisico che l’autore pone al centro della narrazione. La luna, il sole, i cristalli costituiscono il grande teatro della mobilità e del mutamento e fanno da sfondo a un universo in incessante trasformazione,
in permanente squilibrio.4
44 Giovanna Finocchiaro Chimirri, Risposte per il 2000, in Calvino tra realtà e favola, Catania, C.U.E.C.M., 1987, pp. 92-3. In un’intervista radiotelevisiva realiz-
zata nel 1981 Calvino risponde ad alcune domande sul ruolo della letteratura nel prossimo millennio. Alla domanda sul rischio che si uccida la bellezza la sua risposta è la seguente: «La cosa più importante è che ci sia la capacità di vedere la bellezza, di scoprirla, di ricuperarla, di inventarla. Ci deve essere un continuo scoprire o riscoprire quello che fino a ieri non sembrava bello, non entrava nei canoni ufficiali della bel-
lezza e a un certo punto ci appare come bello, per un’illuminazione individuale prima, poi sempre più collettivamente». 45 Italo Calvino, /) rapporto con la luna, in Una pietra sopra, cit., p. 183. Per lo scrittore la luna rimane un pianeta-simbolo, dal contenuto poetico polisemico: «Chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuol vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più».
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Sole e luna divengono gli emblemi dell’ineluttabilità dell’evoluzione cosmica. In La molle luna l’attenzione è rivolta ad una caratteristica tipicamente selenica, la sua influenza sulla Terra. Nel suo lento moto di avvicinamento versoà pianeta più forte, la luna provoca rivolgimenti e rivoluzioni, giungendo a ricoprire l’intera superficie terrestre di densa materia minerale. La sua vicinanza alla terra la arricchisce di potenzialità: la clorofilla, i succhi gastrici, i grassi azotati rimandano ad un’idea di metamorfica vitalità, di febbrile attività generativa. Alla stabilità terrestre si contrappone quindi la mutevole e sfuggente promiscuità lunare, dominata da un caotico impasto di sostanze ed essenze minerali. Nelle Figlie della Luna si assiste alla progressiva degradazione selenica: pianeta ormai condannato alla distruzione, la luna è vittima di una società dedita al consumo; la sua apparizione, nel distante cielo notturno, ingenera negli alacri consumatori visioni di decadenza e di morte. Distante ma non distaccata dalla terra, la Luna ritrasmette su di
essa i simboli della sua cupidigia, dei suoi falsi idoli, si presta a divenire immagine speculare, essa stessa pianeta corrotto, degradato. Ricorrenti sono i motivi metamorfici che emergono tra le pieghe del racconto e si riflettono sugli attanti, soprattutto sulla città, che ha
subito un notabile mutamento. Protagonista è infatti una New York di grattacieli e grandi magazzini, ma più nuova e brillante della città del passato, un ideale immagine di progresso. Allegoricamente dissimile dalla vecchia città questa New York è la prefigurazione di una catastrofe a venire, di una città in cui l’esigenza consumistica e l’insaziabile desiderio del nuovo e dell’incorrotto provocano disprezzo per forme di espressione e di vita diverse. Questa società guarda alla Luna con occhio di sufficienza e isola, emarginandoli, quegli individui che
non si allineano alle norme istituite dal generale conformismo. E tuttavia la Luna, nel suo lento degrado, diviene motore dell’azione
e causa di perturbazioni fisiche e alterazioni nei comportamenti uma-
46 Aurore Frasson-Marin, Calvino et l’Imaginaire, cit., p. 127, nota la presenza
di una relazf6ne simbiotica tra la luna ed alcuni personaggi femminili come la signora Vhd Vhd di La molle luna, per cui il protagonista sente una forte attrazione, pari a quella sentita per il pianeta stesso.
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ni, di instabilità che portano alla decisione di catturarla e ridurla a rottame. Imprigionata da una rete di ferro appositamente creata per tenerla legata alla terra, il pianeta sembra dover terminare la propria parabola in una discarica, tra oggetti divenuti insignificanti, inutili. L’alba trovò il cimitero delle automobili con un rottame in più: quella Luna naufragata là in mezzo quasi non si distingueva dagli altri oggetti buttati via; aveva lo stesso colore, la stessa aria condannata, lo stesso aspetto
di cosa che non si riesce a immaginare come potesse essere da nuova.47
Liberata da ninfe seleniche la Luna ritorna alla vita e al movimento a cui partecipa l’intero cimitero; la straordinaria energia del pianeta trasforma la morte, la distruzione, in rinascita € rigenerazione. Contro
un sistema che aborre la forma instabile la Luna riafferma la supremazia della irregolarità e della mutabilità come sorgenti di bellezza, come origini della poesia. È seguendo il corteo della Luna in una New York agghindata per il Giorno del Ringraziamento che Qfwfq può osservare la commistione di vecchio e nuovo, di lucidità e opacità, mescolanza
che è sintomo dell’influsso lunare; al passaggio della Luna la città si trasforma, invecchia, si corrode, si disgrega. Ritrovata l’antica lumi-
nosità, la Luna risale verso lo spazio celeste mentre la città rimane indietro, inaridita, inghiottita dal verde delle savane, percorsa da abitanti divenuti ormai animali selvaggi. Questo racconto precisa la posizione etica ed estetica di Calvino che ad un mondo diretto verso l’inaridimento e l’appiattimento contrappone il potere della luna, la sua energia rigenerante, la sua potenzialità metamorfica. Il motivo metamorfico, costante dell’intreccio, è squisitamente coadiuvato dalla spinta al recupero dell’immaginazione fantastica, che potenzia la qualità meravigliosa della storia, a sua volta sostenuta stilisticamente da un ritmo e da un registro di mobile levità. La luna non ètuttavia la sola creatrice o produttrice di instabilità, anche il sole, elemento apparentemente solido ed immutabile nella sua evoluzione, gioca per Qfwfq un ruolo destabilizzzante. In Tempesta solare il pianeta è: 47 Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, cit., pp. 97-8.
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Un continuo scoppio di gas, una esplosione che dura da cinque miliardi di anni e non la smette più di buttar roba, è un tifone di fuoco senza forma né legge, una minaccia, una sopraffazione perpetua, imprevedibile.
E noi ci siamo dentro.48 ©
Per chi ne conosce e spia.le evoluzioni esso si presenta come una cataclismatica contrazione ed esplosione di continenti, un farsi e disfarsi di miasmi incandescenti il cui influsso si ripercuote sulla terra sotto forma di tempeste magnetiche e imbarazzanti distorsioni negli strumenti di navigazione. Anche il pianeta terrestre è sottoposto a continue mutazioni che si manifestano sotto forma di assemblamento apparentemente scoordinato di materiali caduti dallo spazio stratosferico. In Meteoriti Qfwfq e la moglie Xha si applicano freneticamente alla pulizia di una stella che nell’espandersi sta cambiando forma. Il disordine causato da inattesi incidenti notturni e la mancanza di comprensibile connessione tra gli oggetti abbandonati alla rinfusa sul terreno rende instabile e alienata la vita.del protagonista che continua ad interrogarsi sulla razionalità di questi avvenimenti e sulla possibilità di ripristinare armonia in una irregolarità arbitrariamente concepita. Contemporaneamente i ritrovamenti suscitano in lui la percezione di un’insondabile misteriosità che lo induce astabilire un rapporto di interessata e giocosa curiosità ‘ con le cose, ma anche di considerevole indagine intellettuale. Il bisogno di trovare un nesso, una logica che regoli la caduta con un principio coerente, accompagna il protagonista nelle sue giornaliere perlustrazioni, in cui incontra Wha, una ragazza che dalle montagne di rifiuti riesce a produrre, nel modo più sbadato possibile, una perfetta armonia di forme edi significati. Wha affascina Qfwfq per la sua capacità di integrare ogni acquisto cosmico in un sistema che sta via via emergendo dal caos e dalla discontinuità; solo attraverso questa caduta e l’atteggiamento filosofico di Wha il mondo, la terra, stanno
lentamente ottenendo una forma comprensibile. Irregolarità e instabilità determinano il codice narrativo di questo racconto, che parte dalla esclusione di tutto ciò che è considerato de(ai
48 Ivi, p. 68.
Capitolo quarto
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trito, relitto, avanzo, e giunge alla rivelazione di un cosmo che progredisce per inclusioni e rivoluzioni, e forma una rete di connessioni originalmente coerenti. La creazione, sia essa quella che ha per fulcro l’universo o quella che ha per oggetto la scrittura, non poggia sulla distruzione, ma sulla sistematica rivalutazione di forma e materia e
sulla loro molteplice interpretabilità. In Un segno nello spazio è proprio'la scrittura a divenire materia metamorfica, sistema di simboli proiettati verso l’esterno, organismo
vivente originalmente comunicativo. Il segno lasciato dal protagonista nello spazio riflette un bisogno istintivo,’ corrisponde alla materializzazione di un processo cognitivo che trasforma una visione mentale in espressione concreta. Esso demarca, «de-scrive» un punto nello spazio, «circo-scrive» un orizzonte; e se da un lato esplica una funzione
autoreferenziale il segno è soprattutto il risultato di una elaborazione intellettuale, portavoce ab aeterno dell’idea che lo ha originato.
In Mitosi l’unità monocellulare Qfwfq ripercorre analiticamente l’avviarsi dell’operazione comunicativa distinguendo le fasi della propria scissione particellare e interpretando lo stadio iniziale delle sensazioni allora provate come un «senso di pienezza spirituale», di coscienza della propria esistenza e del proprio occupare un posto nello spazio e nel tempo. Al senso di euforia edi totale felicità si contrappone il desiderio di scoprire l’estensione del vuoto che è fisicamente percepito intorno a quella unità, e di stabilire un collegamento con esso. Il moto-desiderio-amore per il diverso, per l’altro da sé che il vuoto simbolizza, produce nel minuscolo organismo lo stimolo all’azione, all’espressione. Insomma io ero mosso a dire; il mio stato di desiderio, il mio statomoto-desiderio di moto-desiderio-amore mi muoveva a dire, e siccome l’unica cosa che avevo da dire era me stesso, ero spinto a dire me stesso,
cioè a esprimermi.50 La spinta alla espansione-comunicazione è attuabile esclusivamente attraverso il linguaggio familiare e proprio di Qfwfq, l’unico cono49 Ivi, p. 255. 3 Ivi, p:271:
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sciuto, quello cromosomico, quello formato dai «bastoncini» o «stecchini» che rimandano a elementari forme di scrittura. Il desiderio, la
mancanza, l’euforia dell’azione, formano una complessa struttura cognitiva che percependo istintivamente il senso della propria entità è spinta a trasmetterne l’essenza all’esterno. La comunicazione avverrà allora attraverso una scissione, una metamorfosi morfologica che procede dalla singolarità alla pluralità, dalla stasi dell’unità ad un instabile sdoppiamento. Alla mutazione dell’unità in struttura polimorfa in espansione, alla leggerezza e all’instabilità delle sostanze citoplasmatiche si accompagna una voce narrante lucidamente analitica che vede nell’invenzione immaginativa dell’esplosione cromosomica una espressione dell’euforico esplicitarsi del linguaggio. Il momento più significativo di questo processo è quello immediatamente precedente alla scissione, in cui tutti icromosomi-parole, tutto il vocabolario genetico della cellula percepisce il senso della appartenenza ad un cosmico flusso vitale e si prepara ad esplorarlo. La cellula, strozzata ed estremizzata, coglie il fuggente senso di contemporanea unità e plurimità; minima parte di un tutto prima indiviso e continuo la cellula ha compiuto il primo passo verso il processo di morte-rinascita, abbandonando il ristretto involucro dell’unità primigenia, e assicurandosi, in questa distruzione, la con-
tinuità dell’evoluzione biologico-espressiva. La consapevolezza di avere perduto il proprio passato molecolare, di avere oltrepassato la soglia terminale, determina il definitivo mutamento, l’acquisto e la costru-
zione di una nuova entità, qualitativamente diversa dalla prima perché arricchita dalla esperienza del diverso. Nel percorso narrativo cosmicomico Calvino ha trasposto metaforicamente il farsi di una scrittura nata dal desiderio di conoscenza e di scoperta, dalla sensazione di una mancanza che si soddisfa solo attraverso l’atto comunicativo. Il principio generativo fondamentale è quello della necessità di sottoporre l’«io» ad un rigoroso atto trasformazionale, ad uno sdoppiamento, una moltiplicazione. In questo panorama la distruzione della unità originaria non è fine a se stessa, è al contrario l’evento che restituisce la vita, che introduce la polisemia nel messaggio; in letteratura la distruzione stimola l’invenzione di una nuova sintesi di forma, stile e contenuto.
Il Castello dei destini incrociati fornisce un modello esemplare di
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creazione trasformazionale più matura e complessa: il topos metamorfico appare infatti sia a livello morfologico che al livello delle funzioni, dei personaggi, e delle metafore. Strutturalmente l’opera è organizzata in racconto-cornice-contenitore, in cui ogni narrazione progredisce dalla scelta di un certo numero di carte poste sul tavolo dal narratore di turno.°! L'intreccio è costruito su un palinsesto non originale, le storie di Faust, di Orlando, di Astolfo, tutte rielaborate attraverso
l’insolito scorcio prospettico del protagonista, personaggio autoreferente e metanarrativo. Il romanzo è chiaramente incentrato su una metamorfosi poetica che finisce per trasfondere nuove valenze ad un messaggio fossilizzato e per estrarne nuove ipotesi interpretative. Ogni singola carta ha un valore simbolico preciso e il gesto che il primo commensale compie, nel proporre la sua personale sequenza, è atto costitutivo, è proposta di comunicazione evenienziale. Tutti gli altri ospiti si adegueranno a questo dictum facendo derivare le proprie storie da quell’impulso originario. Il valore semantico? dei tarocchi si trasforma di volta in volta: ogni segno acquista diversi significati, ogni carta favorisce una sempre nuova interpretazione. La natura polisemica del mazzo di carte non angustia il narratore, che ne esalta l’ambiguità anche a quadrato ultimato, quando le carte vengono rimescolate al fine di non interrompere il dilettevole trattenimento.
5! Maria Corti, // gioco dei tarocchi come creazione di intrecci, in Il viaggio testuale, cit., p. 176, mette in evidenza che il significato polisemico assegnato ai tarocchi è di derivazione cartomantica: «In primo luogo si ritrova qui il concetto base della cartomanzia: le carte non son simboli univoci, bensi polivalenti. Così la Papessa, ‘misteriosa figura monacale incoronata’, è in A la dea Cibele, in B1, una maga dei
boschi, in E una sacerdotessa».
5 Omar Calabrese, L’età neobarocca, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 110, nota che Calvino ha utilizzato questo procedimento anche in Se una notte d’inverno un viaggiatore, creando una serie di inizi di romanzo che si «incassano» tra loro: «L’emboîtement è però consentito dal fatto che tutti i racconti sono in realtà la manifestazione differente della medesima struttura soggiacente [...]. Ogni storia narrata si colloca in un segmento diverso dello stesso programma narrativo. Corollario: ogni storia è la metamorfosi figurativa potenziale di ciascuna delle altre, e nel romanzo ciò è espresso facendo davvero accadere delle metamorfosi narrative l’una nell’altra, e tutte nella cornice».
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A livello strutturale la trasferibilità di significato e la polivalenza nella interpretazione di ogni figura è elemento costitutivo dell’intreccio e proprio questa caratteristica permette al narratore di continuare a raccontare. Nella Storia dell'alchimista che vendette l’anima la figura del Bagatto rappresenta contémporaneamente il mago o ciarlatano, un alchimista come Faust, e il suo alter ego, Mefistofele. Nella Storia di
Astolfo il Bagatto è il poeta. Con l’associazione tra alchimia e poesia’? Calvino propone un’equazione squisitamente barocca. Il motivo della metamorfosi alchemica metaforizza infatti la creazione del poeta che riproduce metonimicamente nella sua poesia l’atto creatore supremo. La poesia è creazione e formalizzazione, ed il poeta, similmente all’alchimista che estrae dal metallo vile le sue migliori componenti per trasformarle in oro, organizza, combinandoli in una complessa alternanza, i diversi registri
linguistici, stilistici e narrativi.54 Entrambe queste figure, Bagatto-alchimista e Bagatto-poeta, condividendo l’abilità di trasformare e di creare, partecipano di un sostrato semantico unico, convalidato dal valore segnico loro assegnato, il numero uno, che permette loro di conservare nel racconto una posizione dominante, una presenza ricorrente. Oltre al Bagatto la foresta, la luna e l’eros, simbolizzato nelle di-
verse resta, della della
figure femminili, evocano instabilità e trasformazione. luogo astorico, valgono esclusivamente le leggi della immaginazione; per i narratori essa è per eccellenza perdita e dell’incontro, dello scontro o comunque del
Nella fofantasia e lo spazio confronto
53 Marguerite Soulié, La métamorphose d’après le Pimandre, in Poétiques de la métamorphose, cit., p. 195, parlando del motivo metamorfico lo considera non come
puro procedimento letterario o «fantasia gratuita» ma come espressione di un percorso cognitivo, risultato di antiche pratiche e tradizioni, e legato «in particolare all’arte degli alchimisti», in cui il processo di genesi e rigenerazione dell’uomo rispecchia i grandi misteri della metamorfosi cosmica.
54 Agrippa D’Aubigné, Les Tragiques, VII, Paris, Fiammarion, 1917, pp. $11-12, parlando del processo acui il poeta sottopone la poesia afferma: Egli riduce tutto in cenere, ne fa bucato, e fa
da questa morte rivivere un’opera perfetta.
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È
Capitolo quarto
con il proprio destino individuale. Ogni personaggio che la attraversa
deve affrontare un’ardua e dolorosa psychomachia,° una battaglia interiore che annienta e trasforma, travolge e a volte trasmuta la vittima in materia vegetale, in continuità vivente, come nel caso del giovane ingrato, la cui fine è pur tuttavia un inizio. Ora il bosco ti avrà. Il bosco-è perdita di sé, mescolanza. Per unirti a noi devi perderti, strappare gli attributi di te stesso, smembrarti, trasformarti nell’indifferenziato, unirti allo stuolo delle Ménadi che corrono ur-
lando nel bosco.59 Le figure femminili, la cui connotazione semantica è spesso quella dell’amore-eros, appaiono spesso come simboli metamorfici, è il caso della protagonista femminile della Storia dell’ingrato punito, che soccorre lo sventurato cavaliere e si trasforma in guerriero-amazzone che lo sfida e vince; nel racconto della sposa dannata la «giovinetta di sidereo pallore» soccorsa dal cavaliere, che ignaro le lascia indossare la sua armatura, diviene «regina da torneo», dalle mosse e dai gesti
flessuosamente felini. L'aspetto erotico di molte storie non deve venire sottovalutato, l’amore-eros, passione dominante nei racconti, è un potente strumento di metamorfosi umana e poetica. A questo proposito la Storia dell’Orlando pazzo per amore e di Astolfo sulla luna meritano una attenzione e trattazione particolari, la loro costruzione si fonda su un modello paradigmatico doppiamente metamorfico. Le due storie sono speculari a livello semantico, linguistico, tematico nonché al livello dell’immagine. Da un lato Orlando drammatizza le ragioni della pesantezza e della stabilità, di ciò che è discontinuo e distinto, la realtà delle battaglie
e della morte, dall’altro Astolfo è il cavaliere della leggerezza, della instabilità, il cui viaggio sull’Ippogrifo conduce ai territori della Luna, ad incontrare ed interrogare il poeta. La narrazione è una suggestiva «dearcheologizzazione» delle leg-
55 Margaret Whitehurst Grimes, Metamorphosis as a Literary Device, Ann Harbor, University Microfilms Inc., 1970, pp. 73-4. 56 Italo Calvino, // castello dei destini incrociati, Torino, Einaudi, 1973, PASS
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gende del ciclo carolingio ariostesco, Calvino tuttavia ripropone le
disavventure amorose del valoroso Orlando attribuendo alla sua metamorfosi una funzione poetica tutta personale, che rinvia alle dichiarazioni esposte nella conferenza sulla Leggerezza. Orlando appare ai commensali con la sua figura di «gigantesco guerriero», il suo atteggiamento pensoso e grave, il suo «pesante dito di ferro», tratti fisici che contrastano sensibilmente con la persona di Angelica, il cui «incedere fatato» è simbolo di magica leggerezza, la traccia che essa lascia nel bosco un lucreziano «spolverio d’oro sulle foglie», e la sostanza
del suo amore per Medoro troppo «tenue e sfuggente» per essere combattuta dall’ingombrante armatura del paladino. Orlando appare ai commensali come un tipo: Assorto, lo sguardo vagante. Era costui un gigantesco guerriero; so/levava le braccia come fossero di piombo, e voltava lento il capo come se il peso dei pensieri gli avesse incrinato la cervice. Era certamente un profondo sconforto a gravare su questo capitano che doveva esser stato, non
molto tempo prima, un micidiale fulmine di guerra.5? Per contrasto Astolfo, scelto dall’imperatore per liberare il compagno d’armi dalla distruttiva follia, stupisce i presenti per le sue peculiarità di personaggio: Leggero come un fantino o folletto, che ogni tanto saltava su in guizzi e in trilli come se il mutismo suo e nostro fosse per lui un’occasione di
divertimento senza pari.°8 Alla richiesta del narratore di raccontare le proprie vicende l’ilare cavaliere risponde con una mossa sorprendente: . Quel tipetto sorridente avanzò una mano, ma invece di prendere la carta la fece volare con uno scatto dell’indice sul pollice. Ondeggiò come una foglia al vento e si posò sul tavolo verso la base del quadrato?
Slip: 29: 58 Ivi, p. 35, mio il corsivo.
59 Ivi, p. 35, mio il corsivo.
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Capitolo quarto
Mentre per raccontarsi Orlando sceglie la carta di cruente battaglie la concentrazione di Astolfo e del suo pubblico viene attratta dal modo in cui le carte scendono ondeggiando sopra la superficie del tavolo-racconto. Il senso di immobilità e peso legati ad Orlando sono percepibili sia a livello linguistico che tematico, la sua fisicità viene estremizzata dalla sua missione di guerriero che tempra la propria forza nell’esperienza di cruente irnprese militari. Il racconto della sua vita tuttavia subisce uno scarto, un abile depistaggio, quando l’incontenibile passione amorosa indirizza l’esistenza del paladino verso il meccanismo paradigmatico della trasformazione. Spinto dal richiamo d’amore Orlando segue le tracce lasciate da Angelica e penetra nella foresta, spazio che sospende la forza della ragione e conferma il potere che la natura, l’eros, ha sull’uomo. Lo spazio naturale ha una funzione ancillare rispetto alla trasformazione che in essa avrà luogo, al passaggio di Orlando infatti i suoi elementi si animano per ammonire il protagonista del pericolo incombente. Ad una natura progressivamente umanizzata corrisponde specularmente la disumanizzazione di Orlando, che tenta ancora ma inutilmente di
affermare la propria individualità compiendo in modo scoordinato una serie di azioni senza senso: divenuto forma informe, acquista per contrasto una forza irrazionale e violenta, un’istintualità animale priva di ragione. Il suo corpo è reso ancora più pesante, privato della luminosa levità dello spirito, ottenebrato dall’assenza della antica saggezza. La carta del Matto, che ci fu mostrata subito dopo, era più che mai eloquente al proposito. Sfogato ormai il più grosso groppo di furore, con la clava sulla spalla come una lenza, magro come un teschio, stracciato,
senza braghe, con la testa piena di penne (nei capelli gli restava attaccata roba d’ogni genere, piume di tordo, ricci di castagna, spini di pungitopo e grattaculo, lombrichi che succhiavano le spente cervella, funghi, muschi, galle, sepali) ecco che Orlando era disceso giù nel cuore caotico delle cose, al centro del quadrato dei tarocchi e del mondo, al punto d’interse-
zione di tutti gli ordini possibili.9°
60 Italo Calvino, // castello dei destini incrociati, cit., p. 30.
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La metamorfosi si produce all’insegna della negatività, essa designa lo smarrimento nel magma di un universo amorfo. L’attraversamento della foresta e la perdita della ragione smascherano un mondo oggettivo divenuto immagine Jllusoria mentre il senno riacquistato rivela il suo volto bifronte di Ragione umana e Ragione della struttura poetica che deve muovere il racconto verso la conclusione. La raffigurazione finale di Orlando, a testa in giù, capovolge la percezione del personaggio, reso instabile e posto al centro di un quadrato in cui tutte le storie e tutte le soluzioni sono possibili, in una struttura che si è fatta «poesia delle infinite potenzialità imprevedibiliy.6! La soluzione all’opposizione pesantezza-leggerezza è già presente in nuce nel contrasto tra Orlando «pesante guerriero», la carta che lo rappresenta «appeso» al termine del suo viaggio, e il personaggio di Astolfo, che nella storia seguente riesce a svelare e a chiarire il procedimento di organizzazione formale che sta alla base dell’operazione estetica. Il racconto è suddiviso in un episodio terrestre, figurativamente espresso nelle carte «chiamata dell’imperatore», «città assediata», «battaglia», immagini queste di un mondo reale, stabile, storico; il livello successivo è invece definito dall’instabilità, dal movimento, dal muta-
mento. Chiamato a ritrovare il senno del compagno, Astolfo sale sul suo cavallo alato, un Pegaso o Ippogrifo,2 che lo conduce al di là dei dominî del reale verso un deserto paesaggio lunare; la Luna tiene la terra prigioniera del suo influsso demente, custodisce in sé il mistero
della mutabilità9 e dell’ambiguità, è lo spazio dell’immaginazione dove per i commensali si realizzano: Vecchie fantasie d’un mondo all’incontrario, dove l’asino è re, l’uo-
mo è quadrupede, i fanciulli governano gli anziani, le sonnambule reggo-
61 Ivi, p. 34. 62 Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., p. 43. Calvino riprende l’immagine del cavallo come emblema del movimento e della rapidità da Galileo, per il quale esso diviene espressione della «forma della natura in tutta la sua complessità e la sua bellezza, come forma che scatena l’immaginazione». 63 Margaret Whitehurst Grimes, Metamorphosis as a Literary Device ,cit., p. 3.
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no il timone, i cittadini vorticano come scoiattoli nel mulinello della gabbia, e quanti altri paradossi l'immaginazione può scomporre e ricomporre.94
La Lunaèil luogo del possibile, il regno dinamico dell’immaginativa umana in cui sono custodite imprevedibili composizioni e scomposizioni. Domina su di esso il Bagatto-Poeta, custode tenace di questo universo potenziale, artefice’ laborioso di quell’infinito farsi e disfarsi particellare che è la creazione estetica. La risposta che il paladino si attende, se è la poesia a dare un significato alla irrazionalità del mondo, è vaga ed ingannevole; la Luna, «delirio dei poeti», è un oriz-
zonte deserto, un vuoto in cui ha origine e fine ogni possibile discorso poetico. In questo romanzo Calvino mette in relazione il gioco della composizione e scomposizione del narrato con il grandioso processo dell’infinito crearsi e disfarsi universale, ne esalta l’afflato cosmico e l’ininterrotta energia ordinatrice. Che allo scrittore stia a cuore la dimostra-
zione dell’iperbolico legame che intercorre tra scrittura e cosmo, vita e conoscenza, diviene ancora più esplicito nel finale della Taverna dei destini incrociati, gruppo di racconti che ancora una volta intessono una rete di sorprendenti metamorfosi narratologiche sul piano delle connotazioni del codice semico. Nell'episodio intitolato Anch ’îo cerco di dire la mia il personaggio narrante si riallaccia alle storie già raccontate e istituisce un rapporto tra sé, la figura di Faust, mago o alchimista, quella di Parsifal, cavaliere per natura piuttosto che per investizione, e i dipinti di San Girolamo e San Giorgio custoditi in diversi musei d’Europa. La connessione si fonda inizialmente sul parallelo Faust-San Girolamo: il poeta, similmente al suo alter ego alchimista quando sta per scoprire il segreto dell’oro, deve «liberarsi delle tentazioni e delle limitazioni individuali, diventare una cosa sola con le forze che si muovono in fondo alle cose», e, come l’eremita, attratto dalla passione per la conoscenza del mondo, deve scegliere di vivere in solitudine, immerso nell’atti-
vità della lettura e della scrittura. 64 Italo Calvino, // castello dei destini incrociati, cit., p. 38.
65 Ivi, p. 37.
Le metamorfosi di Italo Calvino
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L’attrazione per la vita solitaria e contemplativa non diminuisce tuttavia l’importanza attribuita dal narratore-poeta per l’asse ParsifalSan Giorgio: in entrambi questi cavalieri sono trasfigurate la ricerca della conoscenza eil raggiungimento della virtù attraverso la vita attiva, il coinvolgimento nella realtà, la prudente affermazione dello spirito umano nella conquista del bene anche attraverso atti di coraggiosa violenza. La complementarietà delle caratteristiche di questi personaggi, la diversità del loro procedimento cognitivo ed epistemologico, ed infine la loro presenza concomitante nel racconto, corrispondono alla vigile visione calviniana di una letteratura e di un uomo di lettere che devono custodire e privilegiare direzioni divergenti, che possano dar vita alle innumerevoli variazioni e digressioni della scrittura. Ma le definizioni che Calvino tenta di dare riducono il significato del suo atto e la materia dello scrivere, minimizzandone il valore. Dunque sono riuscito a concludere, posso ritenermi soddisfatto. Ma non sarò stato troppo edificante? Rileggo. Strappo tutto? Vediamo, la prima cosa da dire è che quella del Sangiorgio-Sangirolamo non è una storia con un prima e un dopo: siamo al centro d’una stanza con figure che si offrono alla vista tutte insieme. Il personaggio in questione oriesce a essere il guerriero e il savio in ogni cosa che fa e pensa, o non sarà nessuno, e la stessa belva è nello stesso tempo drago nemico nella carneficina quotidiana della città e leone custode nello spazio dei pensieri: e non si lascia fronteggiare se non nelle due forme insieme. Così ho messo tutto a posto.
Sulla pagina, almeno. Dentro di me tutto resta come prima.$6 Nelle Ciztà invisibili l’autore investe l’atlante imperiale di un elemento metamorfico generativo che permette al testo di rimodellarsi e reinventarsi in immagini di sempre nuova suggestione. Trasformandosi la parola conquista la propria autenticità, la scrittura acquista originalità e diventa strumento analitico autentico, espressione di un’espe-
rienza coscientemente interiorizzata. È questa intima e felice correlazione tra immagine in continua palingenesi e percorso di conoscenza che conferisce al racconto la sua esuberante polisemia, la sua capacità di generare molteplici invenzioni. n
66 Italo Calvino, La taverna dei destini incrociati, cit., pp. 110-11.
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Il viaggio del veneziano nel misterioso regno emblematizza tematicamente la condizione dell’uomo contemporaneo di fronte ad una realtà in caotica espansione e perciò il motivo della metamorfosi è rigenerante solo al livello della invenzione testuale e della struttura narrativa complessa; se si analizza invece con attenzione il tessuto descrittivo di città particolari si nota che la metamorfosi agisce nella maggior parte dei casi con un segno negativo. A Despina il desiderio dell’uomo la interpreta nelle forme contrastanti del veliero e del cammello, ambigue immagini di fuga, mentre a Zobeide gli uomini che ne hanno visto in sogno le forme cercano di tradurle nella loro realtà quotidiana, una realtà che invece di liberarli li soffoca. A Clarice la città
riemerge ciclicamente da lunghi periodi di devastazioni e sfacelo ma non può che sentirsi «estranea, incongrua e usurpatrice»®” rispetto alla Clarice precedente, di cui racimola alacremente i resti abbandonati all’incuria e alla polvere. Nel rigoglio e nello splendore di ogni rinascita è adombrato il ricordo confuso delle Clarici del passato, e anche ciò che di loro si custodisce diviene lettera morta, un indistinto am-
masso di «carabattole sbrecciate, male assortite, fuori uso».68 In un itinerario che produce continui paesaggi cimiteriali Marco riafferma ogni volta il valore del viaggio come investigazione del buio, che l’uomo affronta per illuminare se stesso e per sistemare il sapere acquisito in un ordine di dubbia conquista. Far fronte al caos dell’indistinto, all’incombente inferno dell’informe è possibile solo attraverso
quella rete di sottilissimi nessi immaginata e narrata da Polo, quel rizoma esperienziale che forma l’atlante strutturale e conoscitivo del racconto. Nell’analisi di questo itinerario di conoscenza che è in continua espansione e mutamento Calvino riconosce il ruolo fondamentale del poeta e della letteratura. La scrittura, nel suo incessante rigenerarsi, deve mantenere vivo il rapporto di sfida all’inferno che circonda l’uomo e lo minaccia di distruzione e di morte.9?
67 Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, p. 113.
68 fui, p. LIA, 69 Elias Canetti, Der Beruf des Dichters, in Das Gewissen der Worte, MinchenWien, Hanser, 1976, pp. 261-3.
Le metamorfosi di Italo Calvino
IS
Dopo la sperimentazione delle Città invisibili Calvino fa confluire le proprie riflessioni poetiche e testuali in un’opera altrettanto originale, Se una notte d’inverno un viaggiatore. In questo romanzo lo scrittore, feconda e apparentemente/inesauribile fonte dell’invenzione, viene sottoposto ad un processo di proliferazione; dieci inizi di romanzo, ognuno «alla maniera di» conosciuti e riconoscibili autori contemporanei, testimoniano l’incessante moltiplicazione di intrecci e pongono l’accento sulla prorompente energia trasformazionale calviniana. La metamorfosi sta dichiaratamente alla base di questo romanzo che, grazie alla pluridiscorsività”?° delle esposizioni e alla varietà delle situazioni dell’intreccio, crea un originale modello di costruzione polifo-
nica, Nei vari esempi di metamorfosi calviniane qui presentate è evidente l’esigenza profondamente sentita dall’autore di concepire la letteratura e il suo farsi come un sistema di significanti in costante evoluzione, un organismo la cui forma viene incessantemente distrutta e ricostruita, smontata e ristrutturata. Elias Canetti descrive lo scrittore
come il «custode delle metamorfosi»,72 il poeta che custodisce e mantiene vivo il senso della diversità, dell’eccezionalità e della autonomia
di un discorso letterario consapevolmente estraneo ad ogni costrizione ideologica. Sembra questo compito che lo scrittore ligure si è assunto e questo il significato ultimo della sua opera: nel confuso e a volte inestricabile panorama culturale dell’epoca contemporanea, tra le frustranti e disilluse dichiarazioni della imminente fine del dialogo lette-
70 Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979, pp. 123-24: «An-
che i discorsi dei personaggi, dotati nel romanzo in vario grado di autonomia semantico-verbale e di un proprio orizzonte, pur essendo discorso altrui in una lingua altrui, possono rifrangere le intenzioni dell’autore e, quindi, fino a un certo punto possono essere la seconda lingua dell’autore. Il discorso dei personaggi, inoltre, quasi sempre esercita un influsso (a volte potente) sul discorso d’autore, disseminandolo di parole altrui (il discorso altrui nascosto dei personaggi) e introducendo così in esso la stratificazione, la pluridiscorsività». 7! Ivi, per Bachtin il romanzo è un insieme «polifonico» poiché contiene in sé una pluralità di voci, di lingue, di personaggi e situazioni che concorrono a formare il linguaggio comunicativo del romanzo. 72 Elias Canetti, Der Beruf des Dichters, cit., p. 261.
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rario, la voce di Italo Calvino, attraverso i suoi romanzi, contribuisce a
proclamare l’inesauribile ricchezza e vitalità della raffigurazione artistica. Per Calvino, come per Bachtin, il romanzo rimane il luogo per eccellenza della mutabilità e, grazie a questa proprietà che agisce in ogni sua estrinsecazione, questo-genere tanto minacciato si impone ancora oggi con una presenza forte, cambiando e rinnovando le proprie leggi, rielaborando i propri modelli, ma lasciando intatta la propria essenza.
N;
Lo stile metaforico s#
Il problema della scelta e della codificazione di uno stile rappresentativo della storia e della cultura contemporanee accompagna Italo Calvino sin dai primi anni della sua attività di autore e saggista e caratterizza molti suoi interventi teorici. L’importanza riservata allo stile come fondamento di una letteratura coerente e militante è ribadita con determinazione in La sfida al labirinto, saggio in cui lo scrittore parla di espressione poetica nei termini di coerente valenza etica e storica e di forte valore espressivo. Il problema espressivo e critico per me resta uno: la mia prima scelta formal-morale è stata per le soluzioni di stilizzazione riduttiva, e per quanto tutta la mia esperienza più recente mi porti a orientarmi invece sulla necessità di un discorso il più possibile inglobante e articolato, che incarni la molteplicità conoscitiva e strumentale del mondo in cui viviamo, continuo acredere che non ci siano soluzioni valide esteticamente e moralmente e storicamente se non si attuano nella fondazione di uno stile.!
Calvino sembra confermare in queste riflessioni una presa di posizione formale che investe prevalentemente il suo «discorso» narrativo, nato e sviluppatosi dall’esigenza di mantenere un rapporto con-
n
5
! Italo Calvino, La sfida al labirinto, in Una pietra sopra, Torino, Einaudi, 1980, p. 39.
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traddittorio e stimolante tra la letteratura e la realtà esterna. Problematica altrettanto fondamentale è quella di uno stile che deve accogliere tutte le possibili e polivalenti direzioni di fruizione e di interpretazione. Voci chiave di questo momento meditativo sono «molteplicità», «esigenza di uno stile più complesso», rapporto di polisemica interpretabilità di un testo che «esprima la molteplicità conoscitiva del mondo».? Si tratta di una serie dî dichiarazioni programmatiche che testimoniano un’apertura poetica sempre evidente nell’opera calviniana e una formalizzazione stilistica che comprende ed elabora la realtà in tutte le sue espressioni fenomeniche. In Le cosmicomiche, Il castello dei destini incrociati, Le città invisibili, Se una notte d’inverno un
viaggiatore e infine in Palomar l’adesione alla poliedricità del mondo oggettivo si riflette e si accompagna alla suggestiva policromia dell’universo della scrittura. La coerenza dell’assioma estetico calviniano,
che si estende dalle prime personali interrogazioni a tutta la produzione letteraria successiva, viene riconfermata in un saggio delle Lezioni americane, la conferenza sulla Rapidità. In questo fine excursus Calvino concentra la sua attenzione su una proprietà costitutiva del narrare, il suo scorrere rapido, la sua vertiginosa progressione di immagini, idee, connessioni, in una parola, il suo polisemico dinamismo. I modelli ai quali lo scrittore rinvia e tra i quali traccia un legame ideale durante la conferenza sono quelli di Galileo Galilei, Giacomo Leopardi e Jorge Luis Borges. La prima indagine analitica è dedicata all’attività scrittoria dello scienziato secentesco e si incentra su una componente particolare che Calvino definisce come il suo «programma stilistico». Il discorrere è come il correre: questa affermazione è come il programma stilistico di Galileo, stile come metodo di pensiero e come gusto letterario: la rapidità, l’agilità del ragionamento, l’economia degli argo- menti, ma anche la fantasia degli esempi sono per Galileo qualità decisive
del pensar bene.3
2 Ivi, pp. 89-90. 3 Italo Calvino, Le lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, p. 43.
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Il giudizio critico calviniano si sofferma sulla problematica dello stile come metodo, indiscutibile punto di partenza del processo analitico e conoscitivo. La determinazione di un metodo è stata resa necessaria dalla scienza moderna ghe ha introdotto nella ricerca un rigoroso modus operandi e una puntuale perlustrazione delle manifestazioni dell’universo fisico. Secondo Calvino un tale atteggiamento scientifico diviene innovativo quando applicato al procedimento artistico, attraverso il quale la pratica del reale passa da un livello di percezione sensitiva elementare ad un livello cognitivo superiore e si trasforma in esperienza estetica. Lo scrittore coglie infine la rilevanza dell’«economia» nel procedimento narrativo, cioè l’abilità di dire molto con poco, di inglobare il numero più elevato possibile di concetti, immagini e idee in un contenitore semantico e sintattico icastico, scelto con rigore ed esattezza.
L’ultima componente stilistica rilevata da Calvino è l’agilità, l’efficacia compositiva che deriva dalla «fantasia degli esempi». L'assioma allude a due momenti estetici distinti, il primo incentrato sulla fantasia come funzione creativa della immaginazione, sempre alla ricerca di una espressione per manifestarsi, il secondo sulla fantasia come varietà, diversità e originalità. La fantasia diviene indizio di un procedere stilistico e di un gusto letterario moderni, in cui, secondo Calvino, il «pensar bene» è colle-
gato ad una certa rapidità mentale che nell’emittente diviene creazione associativa lucida, scattante, compressa ma leggera, e nel ricevente
si risolve nella abilità di incamerare le immagini e moltiplicarne i significati. Se Calvino porta come esempio felice di narratività il narrare-correre di Galileo non può fare a meno di indicare una controparte poetica al discorso che si era svolto finora sul piano della pura disquisizione metodologica: lo scrittore sceglie, a esemplificazione delle proprie considerazioni, un passo dello Zibaldone di pensieri del Leopardi. 4 Si ricordi la struttura di base del Saggiatore, Milano, Feltrinelli, 1965, dialogo
alternato tra Italiano e Latino dove alle libresche affermazioni di un quanto mai umoristico e vituperato Sarsi si contrappongono le taglienti sferzate di Galileo, tese non solo a confutare le stanche e copiate tesi dell’avversario (il gesuita Grassi sotto mentite spoglie), ma soprattutto a fondare e sostenere una svolta metodologica nel procedere fenomenologico della ricerca scientifica.
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La rapidità e la concisione dello stile piace perché presenta all’anima una folla d’idee simultanee, così rapidamente succedentesi, che paiono
simultanee, e fanno ondeggiar l’anima in una tale abbondanza di pensieri, o d’immagini e sensazioni spirituali, ch’ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio, e priva di sensazioni. La forza dello stile poetico, che in gran parte è tutt'uno colla rapidità, non è piacevole per altro che per questi effetti, e non consiste in altro. L’eccitamento d’idee simultanee, può derivare e da ciascuna parola isolata, o propria o metaforica, dalla loro collocazione, e dal giro della frase, e dalla soppressione stessa di altre parole o frasi ecc.5
Rapidità, concisione, simultaneità apparente o reale, afferma Leopardi, producono un vivace e suggestivo inanellarsi di immagini mentali e di sensazioni fisiche, di stimoli spirituali‘che affiorano al contatto con il testo, la frase, la parola. Oltre a sottolineare l’energia imma-
ginativa che si sprigiona dalla scrittura questo brano presenta indicazioni di ordine metodologico che riguardano la produzione ela fruizione della parola in quanto cosciente e fabrile atto scrittorio: in essa Leopardi fa coincidere tutto un mondo di suggestioni e di complessi riverberi memoriali,9 ma sta parlando, in questo caso, soprattutto di un elemento particolare, di uno strumento retorico elaborato, inglobante,
brillantemente onnicomprensivo: la metafora. Una definizione corretta della metafora deve necessariamente partire dalla sua collocazione all’interno del sistema del linguaggio e del-
5 Italo Calvino, Le Jezioni americane, cit., p. 42; cfr. Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, Opere, a cura di Sergio e Raffaella Solmi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1966, p. 422, 3 novembre 1821.
6 Umberto Eco, / limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990, p. 148, denomina l’intervento memoriale e la decodificazione cognitiva una «enciclopedia»,
luogo deputato dell’intelletto dove sono contenute e custodite tutte le conoscenze, le informazioni, i luoghi comuni dell’esperienza individuale e collettiva, che permettono al soggetto di amplificare il senso dell’espressione metaforica. Questo concetto è stato originariamente presentato da Max Black, Models and Metaphors. Studies in Language and Philosophy, Ithaca-New York, Cornell University Press, 1962, p. 40, il quale lo riconosce come «un sistema di luoghi comuni associati». Sullo stesso argomento cfr. Umberto Eco, Semiotics and the Philosophy ofLanguage, Bloomington, Indiana University Press, 1984, pp. 87-129.
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la sua entità più sintetica e compiuta, il sintagma, in cui essa agisce sulle strutture della significazione aprendo uno spazio tra il significante ed il significato e in esso agendo.” Il sintagma subisce di conseguenza una trasposizione, un «trasferimento di proprietà»® del segno da un primo livello sintattico e denotativo (il senso letterale) a un livello superiore, connotativo e semantico, che gli permette di allargare ed arricchire il proprio campo di significati.” Lo studio e l’analisi della metafora sono al centro del dibattito estetico fin da Aristotele che di essa, nella Poetica (1457b1-1458a17) e nella Retorica, discute categorie strutturali e proprietà di stile e significato. L'interesse sorto attorno al discorso metaforico ha dato origine ad un considerevole numero di opere di argomento retorico, opere che hanno proseguito la ricerca ed esteso l’esplorazione aristotelica. In particolare nel tardo Rinascimento e nel Barocco si assiste ad un crescente interesse nei riguardi di una teorizzazione approfondita e storicamente rielaborata del fare e del farsi della poesia. Nel 1591 Giulio Cortese dà alle stampe il suo Avvertimenti nel poetare e nel 1598 Camillo Pellegrino contribuisce alla vivace e ben avviata discussione con un’opera, Del concetto poetico, in cui si intravvedono
in nuce
alcuni dei precetti fatti propri più tardi dalla sensibilità estetica barocca, in particolare le speculazioni sull’idea e sulla formazione del concetto nella immaginazione sensuale.!0 Durante il Seicento il dialogo teorico si fa vibrante grazie soprattutto agli interventi di Matteo Pellegrini, del Cardinale Pietro Sforza Pallavicino, di Emanuele Tesauro e
7 Giuseppe Conte, La metafora barocca: Saggio sulle poetiche del Seicento, Milano, Mursia, 1972, p. 17.
8 Umberto Eco, / limiti dell’interpretazione, cit., p. 146. ? Giuseppe Conte, La metafora barocca: Saggio sulle poetiche del Seicento, cit., p. 12, riconosce nell’apporto connotativo metaforico la ricchezza e polivalenza del linguaggio letterario: «Il linguaggio della letteratura ha questi caratteri distintivi: è obliquo, ambiguo, dà ad intendere un senso senza nominarlo: è il linguaggio della connotazione». Sulla metafora come principio organizzatore del procedere poetico cfr. inoltre René Wellek & Austin Warren, Theory of Literature, New York, Harcourt,
Brace & World, 1970, pp. 186-211. 10 Alexander Parker, ‘Concept’ and ‘Conceit’: an Aspect of Comparative Literary History, in «MLR», LKXVII, 4, Oct. 1982, pp. xxi-xxxv.
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infine di Balthasar Gracian. La novità delle loro ricerche poggia sulla composizione di una complessa cosmogonia di relazioni e associazioni cognitive in cui l’inventività dell’intelletto è strettamente integrata ad un approccio metodologico di tipo scientifico. Originale è il Pellegrini, che accenna alla necessità di stabilire associazioni e comparazioni analogiche tra termini lontani,!! dando luogo in tal modo a nuove relazioni e nuovi significati, operazione che egli denomina dell’«acutezza» acuta e che avrà in Tesauro uno dei maggiori sostenitori. Nel suo Trattato dello stile e del dialogo!? del 1646 il Cardinale Sforza Pallavicino corrobora la tesi che vede nel linguaggio uno strumento di trasformazione dell’esperienza in conoscenza superiore.!3 Tra i più comuni metodi di apprensione cognitiva il teorico elenca quello «assoluto», che percepisce l’oggetto isolatamente, e quello «comparativo» o «scientifico», che osserva, associa e mette in relazione oggetti dissimili in modo simultaneo traendone insospettate corrispondenze. Il contributo dello Sforza Pallavicino è decisivo rispetto ai risultati conseguiti rispettivamente dal Tesauro e dal Gracian nelle loro opere di decodificazione retorica, nonché fondamentale rispetto al confronto rivoluzionario emerso in quegli anni tra il sistema tradizionale di apprendimento e l’acquisizione dei nuovi modelli scientifici esplorati da Galileo nel Saggiatore e nel Dialogo dei massimi sistemi. Nel 1654, a dodici anni dalla prima pubblicazione dell’ Agudeza y el arte de ingenio di Balthasar Graciàn, appare il tesauriano Cannocchiale aristotelico, il cui titolo manifesta, nella sua «ironia ossimorica»,!4 la chiara intenzione dell’autore di fondare una nuova retorica.
!! Matteo Pellegrini, Delle acutezze che altrimenti spiriti, vivezze e concetti volgarmente si appellano (Genova, 1639), Trattatisti e Narratori del Seicento, a cura di Ezio Raimondi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. 113-68. 12 Ezio Raimondi, Trattatisti e Narratori del Seicento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. 197-217. 13 Arturo Zarate-Ruiz, Balthasar Gracian, Wit, and the Baroque Age. A Rhetorical Study, Madison, University of Wisconsin Press, 1992, p. 157.
14 Ezio Raimondi, Letteratura barocca, Firenze, Olschki, 1982, p. xvi, parlando del moderno e controverso emblema ottico adottato dal Tesauro nel titolo afferma: «Un cannocchiale, dunque, che è sinonimo figurato di metodo, di logica scientifica
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Il corollario di definizioni e affermazioni programmatiche presentate in questo enorme catalogo si distacca infatti in modo evidente dalla
vecchia scuola filosofica, di cui solo in modo apparente si dichiara di osservare il dictum, e si indirizzano verso una cosmogonia retorica e stilistica modernamente autonoma. 3 In un’opera che ha per tema l’argutezza il Tesauro non può esimersi dal definirne lo spirito e di qualificarne le diverse tipologie in divina, naturale, umana. Alla sottile analisi delle prime due egli fa seguire una approfondita disquisizione sulle argutezze dell’intelletto, il cui strumento privilegiato è la metafora.!5 Per il retore moderno essa costituisce il principio di conoscenza coordinante che discende dall’ingegno naturale e, per forza della sua «Perspicacia» e «Versabilità», riesce: 1) a penetrare nell’oggetto osservato fino a raggiungerne l’essenza; 2) a istituire una rete di raffronti e di parallelismi tra le circostanze, dalla quale deduce informazioni, e infine 3) a scambiare ruoli e
posizioni delle circostanze così da ottenere effetti di ingegnosa” giocosità. La vERSABILITÀ, velocemente raffronta tutte queste Circostanze infra loro, ò col Suggetto: le annoda ò divide; le cresce ò minuisce; deduce l’una dall’altra; accenna l’una per l’altra; e con maravigliosa destrezza pon l’una in luogo dell’altra, come i Giocolieri i Lor calcoli. E questa è la Metafora, madre delle Poesie, de’ Simboli & delle Imprese. Et quegli è più ingegnoso, che può conoscere e accoppiar circostanze più lontane,
come diremo. !9 Nel brano affiorano gli elementi essenziali della pratica retorica tesauriana, la veloce, immediata e produttiva associazione tra materia-
che insegna a veder chiaro, rivela in chi l’assume quasi come un’impresa una co-
scienza moderna di sperimentatore che cita indirettamente Galileo proprio mentre scrive e aggiorna la retorica del ‘divino Aristotile’». Dello stesso autore sul tema cfr. Barocco moderno: Carlo Emilio Gadda e Roberto Longhi, Bologna, C.U.S.L., 1990.
15 Emanuele Tesauro, // cannocchiale aristotelico, August Buck Hsg., Bad Homburg v. d, H.-Berlin-Zirich, Gehlen, 1968, p. 82. Il Tesauro non esita a citare lo
stesso Aristotele, per il quale la metafora è «gran Madre di tutte le Argutezze». 16 Ivi, p. 82.
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li, la visualizzazione mentale ela stratificazione memoriale dei diversi oggetti in un’operazione combinatoria dinamica.!” Al successo dell’operazione metaforica è sottintesa la necessità di trasformare l’ap-
prensione assoluta degli oggetti in un esteso magazzino-bibliotecaenciclopedia di immagini e sensazioni dalle quali estrarre l’invenzione poetica. In questo vasto panorama mentale, divenuto «teatro di meraviglie», la parola e il linguaggio“della creatività hanno il sopravvento: attraverso l’attività linguistica il poeta diviene «sagacissimo esploratore», attento nell’osservazione della natura e ricercato nella sua imi-
tazione,!8 perspicace nell’intuirvi analogie e corrispondenze. L’elaborazione di una metafora proliferante!? sta alla base del lavoro tesauriano e, in generale, della poetica barocca, che esalta la ca-
pacità del codice linguistico di ammettere più valenze semantiche. La proliferazione scaturisce dalla scelta di una parola, di un verbo o aggettivo polisemico, polivalente, e dalla sua comparazione con significati distanti, incomparabili. Questo apunto è l’officio della Metafora, e non di alcun’altra figura: percioche, trahendo la mente, non men che la parola, da un Genere all’al-
tro; esprime un Concetto per mezzo di un’altro molto diverso: trovando in cose dissimiglianti la simiglianza. Onde conchiude il nostro Autore, che il fabricar Metafore sia fatica di un perspicace e agilissimo ingegno. Et per consequente ell’è frà le figure la più Acuta: peroche l’altre, quasi grammaticalmente si formano e si fermano nella superficie del Vocabulo; ma questa riflessivamente penetra e investiga le più astruse notioni per ac-
!7 Ezio Raimondi, Letteratura barocca, cit., p. ix. 18 Giovanni Getto, Barocco in prosa e in poesia, Milano: Rizzoli, 1969, p. 41, ha
dimostrato la prevalenza di un «atteggiamento di assidua analisi della natura» nei poeti del Seicento, in particolare Giambattista Marino, come elemento di rinnovamento poetico che anche il Tesauro coglie nella sua intensità e teorizza nella sua opera. 19 Jean Rousset, La Poésie Baroque au temps de Malherbe, in «XVIIème siècle», XXXI, 1956, pp. 353-70, afferma la supremazia della metafora nella poetica barocca data la sua qualità di proliferazione e moltiplicazione delle immagini: «Una immagine-madre ingenera dieci immagini-figlie». Cfr. inoltre sullo stesso tema Alain Pierre Solard, Etude sur la métaphore chez certaines poètes baroques, Ann Arbor, UMI, 1963, p. 14.
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coppiarle: & dove quelle vestono i Concetti di parole: questa veste le pa-
role medesime di Concetti.?0 La metafora che riesce a collegare oggetti disparati in una armonica struttura semantica produce un componimento originalmente ingegnoso, in cui prevalgono la novità, il dinamismo, la ricchezza e la va-
rietà semiche. La originalità e la varietà stimolano una approfondita riflessione sia sulla produzione del testo letterario che sulla sua valenza ricettiva: per il Tesauro infatti, creare metafore argute è da un lato espressione dell’agile ingegno poetico e dall’altro operazione di decodificazione: il pubblico, a cui l’opera è indirizzata, ne riconosce e
interpreta dapprima il messaggio traslato, e ne deriva contemporaneamente meravigliato stupore per l’arditezza delle immagini e diletto nel cogliere il sostrato semantico sottilmente ambiguo. E davvero le problematiche della «meraviglia» e della «novità», strettamente correlate l’una all’altra, sono compresenti in un rapporto di interdipendenza nel sistema estetico barocco fino a diventarne aspetti costitutivi e irrinun-
ciabili;?! indizi di una nuova sensibilità poetica. La ricerca dell’effetto meraviglioso e dell’inconsueto diventano precetti estetici fondamentali del Barocco che investono direttamente il lettore, sul quale vengono convogliati ora l’interesse e l’attenzio-
ne.?2 Dalla sensazione di scoperta del nuovo e dell’inaudito che sta alla base della «meraviglia» si ingenera il piacere, il diletto di aver ripercorso e riesaminato l’universo del reale attraverso le lenti di un
20 Emanuele Tesauro, // cannocchiale aristotelico, cit., p. 266. 21 Giovanni Getto, Barocco in prosa e poesia, cit., p. 19: «La meraviglia costitu-
iva davvero la sostanza dell’emozione umana e stilistica del poeta, il quale se ne rendeva ben conto quando la poneva alla base del suo programma, istituendola anzi come fine di ogni ricerca poetica».
22 Danilo Aguzzi-Barbagli, ‘Ingegno’, ‘Acutezza’, and ‘Meraviglia’ in the Sixteenth Century Great Commentaries to Aristotle s Poetics, in Petrarch to Pirandello: Studies in Italian Literature in Honour of Beatrice Corrigan, Julius A. Molinaro ed., Toronto, University of Toronto Press, 1973, p. 92, osserva come la lettura metaforica diventi «un tipo di esercizio che coinvolge una più attenta partecipazione rispetto a quella che ha per oggetto immagini monosignificanti. La ‘Meraviglia’ quindi è il senso di sorpresa per aver scoperto qualcosa di sconosciuto e inatteso».
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cannocchiale simile a quello galileiano, il quale, permettendo una visione ravvicinata, provoca una reinterpretazione dell’uomo e del suo
mondo. In questo paradigma non è difficile ravvisare la funzione epistemologica assegnata alla metafora: nel suggerire in una sola parola un intero universo oggettivo, nella sua figuratività composita essa non diminuisce ma amplifica il valore conoscitivo dell’assunto poetico; non si può accordarle quindi ùna qualità esclusivamente edonistica, almeno per quanto riguarda la sua formazione teorica. La sua essenza inoltre è caratterizzata dalla esigenza di ingenerare comunicazione, di costruire un ipotetico uditorio verso il quale essere diretta e da cui essere ricevuta come esteriorizzazione di conoscenza, privilegiato ponte linguistico tra l’autore e un pubblico a cui viene trasmessa l’euforia della scoperta di una nuova forma di acquisizione sapienziale. Fondamentale nel paradigma metaforico sono l’attività memoriale e la fantasia creatrice che da essa scaturisce, sempre tesa a riplasmare il mondo in modo originale, a volte stravagante, ma sempre sintetico e dinamico. Attingendo a un inesauribile magazzino mentale, la fantasia si muove e crea liberamente, trasformando il ricordo del passato in
scoperta del presente, nell’immagine di un «presente che scopre se
stesso».24 Il potere esercitato dalla fantasia nella produzione del messaggio conoscitivo influisce fortemente sul poeta ma anche sullo scienziato del Seicento: nelle mani di Galileo, grande innovatore della metafora, essa diviene agile strumento di conoscenza, funzionale vettore di comunicazione e informazione. La metafora, dichiara Galileo, «indica qualcosa di una verità, non porta fuori dalla verità, conduce verso la
sua verità».25 «Metaforeggiare» alla maniera scientifica non vuol dire lasciar da parte l'immaginazione, vuol dire piuttosto usarla in modo funzionale, facendola aderire a un metodo investigativo razionale. Dal punto di vista retorico il Seicento si configura come uno dei secoli più fecondi di discussioni e innovazioni e il dibattito sulla meta-
23 Terri Lee Frongia, The Aesthetics ofthe Marvelous: Baroque ‘Meraviglia’ and Marino $ Galeria, Riverside, University of California, 1990, p. 21.
24 Ezio Raimondi, /l mondo della metafora, Bologna, C.U.S.L., 1987, p. 81.
25 Ivi, p. 198.
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fora, in un panorama di idee così vasto e composito, ne rappresenta solo un aspetto particolare. Evidente è tuttavia il senso di crisi che pervade il Seicento, crisi per una totalità perduta e per la presa di coscienza di quanto sia ardua e impervia la sua ricomposizione. Al senso di vuoto che questa crisi ha prodotto l’individuo sfugge recuperando l’impressione di unità che il discorso metaforico gli ha rivelato: la lingua diviene strumento di nuove investigazioni, lo stile linguistico si fa tecnica che esalta la preziosità manierata della parola, virtuosa ricerca di polisemica e figurale complessità. Grazie al vivace dibattito sulle origini e sugli scopi della scrittura, il Seicento ha rimesso in discussione i parametri etici ed estetici tradizionali, ha ravvivato e arricchito la nozione di linguaggio e ha aperto un dialogo sulla natura, sulla struttura e sulla funzione della comunicazione proprio partendo da ciò che il linguaggio ha di più prezioso: la parola. Il discorso si conclude ellitticamente con un ritorno a Galileo, le
cui considerazioni Calvino aveva posto all’inizio della sua conferenza: il «discorrere» è come il «correre». Ma quali affinità metodologiche inducono il lettore moderno a collegare il modo di pensare e fare letteratura tipico di uno scrittore come Calvino con le tesi sostenute e le questioni aperte dall’estetica barocca? La menzionata conferenza sulla Rapidità può, a questo proposito, dare ragguagli interessanti e stimolanti indicazioni sul comporsi dell’universo poetico calviniano. All’inizio della conferenza lo scrittore aveva affermato che la ra-
pidità, collegata ad una forma mentis sospinta dalla energia immaginativa, è un valore incontrovertibile della letteratura. A sostegno delle proprie riflessioni Calvino propone due guide poetiche distinte ma non dissimili, Galileo e Leopardi. Diversamente da quanto era avvenuto nelle conferenze precedenti, in cui avevano predominato riflessioni e brani narrativi di altri autori, in Rapidità Calvino attinge con frequenza al proprio procedere stilistico e lo accosta a quello dei suoi modelli ispiratori. Un esempioè il brano tratto dal Dia/ogo dei massimi sistemi, in cui Galileo contrappone, in un dibattito serrato, due personaggi dalla matrice intellettuale opposta eppure compresente nello spirito investigativo dello scienziato: il veloce e sagace Sagredo e il metodico e lento ragionatore Salviati. Se infatti quest’ultimo è «il ragionatore [...] rigoroso», Sagredo è beneficiato da un agile immaginazione che lo induce:
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A trarre conseguenze non dimostrate e a spingere ogni ideaalle estreme conseguenze, come quando fa ipotesi su come potrebbe essere la vita sulla luna o su cosa succederebbe se la terra si fermasse.?6
La coabitazione dei due opposti atteggiamenti deve aver suscitato in Calvino una profonda impressione, se in un racconto delle Cosmicomiche, Quanto scommettiamo, egli rappresenta una situazione per molti aspetti analoga. I protagonisti, Qfwfq e il Decano (k)yK, si applicano con entusiasmo alla previsione di fenomeni cosmici a venire, passione che li spinge a fare scommesse sempre più ardite. La differenza tra i due modi di affrontare i veloci mutamenti del cosmo e di trarne rapide conclusioni su eventuali sviluppi futuri non tarda a diventare evidente: Il Decano (k)yK, a starci insieme per un po’, era un tipo abbastanza noioso, privo di risorse, non aveva mai nulla da raccontare. Neanch’io del
resto avrei potuto raccontare molto, dato che fatti degni d’esser raccontati non ne erano successi, o almeno così pareva a noi. L’unica era fare delle ipotesi. Ora, nel fare delle ipotesi, io avevo più immaginazione del Decano, e questo era insieme un vantaggio e uno svantaggio, perché mi portava a fare scommesse più arrischiate, cosicché si può dire che le possibilità di
vincita erano pari.?7 Secondo Qfwfq il Decano soffre di una immaginazione lacunosa a causa della quale è incapace di riconoscere all’interno di ogni segno un dinamico movimento di supersignificazione: «appena una parola cominciava ad avere un significato, non riusciva a pensare che potesse
averne un altro».?8 È invece peculiare dell’ingegno fantastico l’inclinazione ad irradiare su un unico emblema linguistico un intero sistema connotativo. Il Decano non dispone della facoltà di appropriarsi del polivalente e ambiguo spessore connotativo di ogni parola, né tantomeno possiede la velocità mentale per correlate più materiali in un
26 Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., pp. 43-4. 27 Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, Milano, Garzanti, 1984, p.171. 28 Ivi, p. 170.
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solo concetto, prerogative che sono al contrario connaturate a Qfwfq. Ogni associazione gli permette di pronosticare, con maggiore o minore successo, eventi e fenomeni imprevedibili da un casuale accumularsi di dati. Così avviene che ilprocesso evolutivo, iniziato dai protagonisti quasi per gioco e passatempo, assume via via il valore di un demiurgico creare il mondo Circostante attraverso un assemblamento nominale che dal generale e universale arriva al particolare, per esempio dalla formazione del tecnezio e del bismuto scende fino alla descrizione delle scelte viarie della signorina Giuseppina Pensotti la mattina dell’otto febbraio 1926, a Santhià.
Questo racconto illustra emblematicamente i processi che promuovono la scrittura: intrecciando il pullulare convulso di una immaginazione poetica dinamica alla metodica applicazione investigativa procedente per ipotesi e tentativi, il segno linguistico conduce alla creazione di una suggestiva struttura narrativa. La poesia, la letteratura, hanno in ultima analisi questo merito, di plasmare, di creare ciò che non esiste ancora e che tuttavia è vivo e operante nel sostrato fantastico dell’uomo. Questo racconto costituisce solo uno dei molti esempi della influenza che il dibattito estetico barocco ha avuto su un autore che sembra operare, a parere di molta critica, lontanissimo dallo spirito del Seicento. Calvino conduce tuttavia una sua personale analisi che ha per scopo di tradurre il momento di riflessione teorica in moderna e problematica narratività: mentre infatti per Galileo l’universo appariva come un libro ordinato e ordinabile per Qfwfq e il Decano, trasferiti spazialmente e temporalmente nel presente di una tecnologica Research Foundation, esso si è trasformato metaforicamente in una
caotica pagina di giornale, in cui il magma delle notizie ha preso il sopravvento, lasciando esiguo spazio all’immaginazione creativa. E io penso a com’era bello allora, attraverso quel vuoto, tracciare rette e parabole, individuare il punto esatto, l’intersezione tra spazio e tempo in cui sarebbe scoccato l’avvenimento, incontestabile nello spicco del suo bagliore; mentre adesso gli avvenimenti vengono giù ininterrotti, come una colata di cemento, uno in colonna sull’altro, uno incastrato nell’altro, separati da titoli neri e incongrui, leggibili per più versi ma intrinsecamente illeggibili, una pasta di avvenimenti senza forma né direzione, che cir-
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conda sommerge schiaccia ogni ragionamento.??
In I meteoriti, Qfwfq è attratto dalla curiosa abilità della nuova abitante terrestre, incontrata per caso durante una delle sue ordinarie perlustrazioni sanitarie, di riunire in un insieme coerente gli incongrui frammenti meteoritici caduti alla rinfusa sulla superficie terrestre. Ciò che distingue Wha dagli altri dùe protagonisti è la sua eccezionale velocità mentale, ironicamente assistita da una fantasiosa sbadataggine che le permette di creare armonici e a volte gustosi intrugli. Wha buttava a bollire nella stessa pentola le prime cose che le capitavano sottomano, come potrebbero essere dei fagioli e delle cotiche
di maiale: chi lo avrebbe detto? le veniva un’ottima minestra.3° Personificazione dello spirito ingegnoso Wha modella un universo là dove per gli altri c’è solo immondizia, crea un cosmo armoniosamente eterogeneo da ciò che era apparso un insensato disordine. Costante rimando al legame tra fantasia poetica e realtà, tra parola e vita, Wha rappresenta un mondo che attraverso l’arte produce e dà senso al reale, ne ordina l’apparente caoticità. Nelle Città invisibili la dialettica opposizione metodologica dei racconti cosmicomici si fa struttura narrativa, ricostruzione di un viaggio della esperienza e della conoscenza divenuta perfetta cosmogonia sapienziale. Marco racconta i particolari della sua impresa al Kan, che dalla sua statica prospettiva si interroga sul dinamismo polisemico del suo avversario, ne scruta le strategie, ne fraintende le leggi. In Rapidità sono contenuti altri suggerimenti sul procedere stilistico calviniano: lo scrittore, dopo la parentesi dedicata a Galileo, aveva rinvenuto nella comunicazione rapida ed immediata del pensiero, che si esprime attraverso la minuscola struttura alfabetica tanto elogiata da Sagredo nel Dialogo dei massimi sistemi, lo.scopo primario dello scorrere narrativo. La comunicazione rapida dipende dall’agilità e dalla dinamicità della mente, per la quale questa rapidità ha un valore in sé, «per il piacere che provoca in chi è sensibile a questo piacere, non per 29 Ivi, p. 176. 3 Yui, pr70.
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l’utilità pratica che si possa ricavarne».3! Anche Calvino, come molti studiosi di retorica barocca, è sensibile al valore puramente estetico
della velocità, che produce un piacere mentale senza finalità euristiche particolari, piacevole nella sua intrinseca essenza: «Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d’un ragionamento ponderato; tutt’altro; ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua
sveltezza».3°
Rapidità e leggerezza del linguaggio, inoltre, sono parte integrante dell’economia narrativa, che trova nella ricerca della parola polivalente e icastica il suo momento di perfezione fabrile. Calvino sottolinea a questo proposito l’esigenza, nella letteratura contemporanea, di un rigore stilistico che diventi inesausta esplorazione del mot juste: Della frase in cui ogni parola è insostituibile, dell’accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di significato. Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa,
memorabile.33 La perfetta coicidenza tra parola e poesia e la polisemica corrispondenza tra poesia e mondo oggettivo devono venire rappresentate, secondo lo scrittore, attraverso il collegarsi e inanellarsi di immagini incongrue e lontane, di emblemi suggestivi, di figure «enigmatiche»: «Come la farfalla e il granchio [...] due forme animali entrambe bizzarre ed entrambe simmetriche, che stabiliscono tra loro un’inattesa
armonia» .34 Si esplicita in queste meditazioni il manifesto stilistico calviniano, fondato sulla ottemperanza ai principi di una economia linguistica rigorosa, sulla immaginativa e produttiva associazione di immagini discordanti, e infine sulla ideazione di un sistema di emblemi a massi-
ma densità semica e a massima invenzione poetica, segni e significati
31 Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., p. 45.
32 Ivi, p. 45. 33 Ivi, p. 48. 34 Ivi, p. 47.
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Capitolo quinto
che trascendono i limiti della pagina scritta e inaugurano un dialogo con il pubblico dei lettori. A testimonianza che un tale stile non è solo auspicabile ma attuabile nella letteratura contemporanea Calvino ricorda Jorge Luis Borges, autore di stampo fortemente barocco la cui abilità linguistica opera 4 aperture verso l’infinito senza la minima congestione, nel periodare più cristallino e sobrio e arioso; come il raccontare sinteticamente e di scorcio porti a un linguaggio tutto precisione e concretezza, la cui inventiva si manifesta nella varietà dei ritmi, delle movenze sintattiche, degli
aggettivi sempre inaspettati e sorprendenti.3°
Due aspetti significativi dell’operazione scrittoria sono qui menzionati: il primo è il narrare di «scorcio», che rimanda al tesauriano osservare per «iscorcio di prospettiva», attività che focalizza sull’oggetto osservato e riesce ad estrarne l’essenza; qui l’operazione viene condotta sul linguaggio, puntando sul dettaglio semantico, sul segno che esplora la sua potenziata espressione, sulla parola sensibile al processo di supersignificazione. Il secondo aspetto fondamentale riguarda infine l’inventività linguistica, considerata nella sua varietà ritmica, nella novità sintattica e infine nella «meraviglia» provocata dall’originalità semantica. Le osservazioni contenute nella conferenza sulla Rapidità testimoniano l’acuta sensibilità calviniana rispetto alla formalizzazione dell’atto scrittorio e riflettono la sentita esigenza dell’acquisizione di una poetica universale, che trascenda i limiti cronologici dell’epoca contemporanea e diventi, come nelle Lezioni americane, stimolo alla riflessione, al rinnovamento e alla scoperta.
Il percorso teorico indicato dall’autore impone una analisi testuale che metta in risalto i modi di applicazione delle strategie formali postulate nell’opera saggistica e individui la presenza di una evoluzione. Nelle Cosmicomiche Calvino affronta la questione immagine-metafora a diversi livelli narratologici. Ne / dinosauri si assiste a un interessante alternarsi di metaforizzazione e demetaforizzazione della parola-immagine «dinosauro». Qfwfq è l’ultimo rappresentante di una
35 Ivi, pp. 49-50.
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razza la cui estinzione è talmente distante che ogni suo ricordo è stato completamente estirpato dalla memoria. Il passaggio del tempo ha svuotato la parola stessa dell’originario contenuto e i curiosi abitanti del
pianeta, messi a confronto con lo scheletro dell’alternamente idealizzato, temuto e ridicolizzato animale, non sanno riconoscerne l’identi-
ca forma in Qfwfq, che sta loto di fronte nella pienezza della sua presenza fisica reale. Quelle ossa, quelle zanne, quegli arti sterminatori, parlavano un linguaggio ormai illeggibile, non dicevano più nulla a nessuno, tranne quel
vago nome rimasto senza legame con le esperienze del presente.39 La parola che dava un senso e un valore a quella forma ha perduto il suo significato, ormai tangibilmente staccata dal suo contenente essa è divenuta un «opaco suono senza senso», testimone del nulla, in que-
sto caso in antitetica opposizione con la molteplicità di significati che le era stata attribuita dal protagonista nello svolgersi della narrazione. Per i «nuovi» tuttavia il vuoto semantico creato intorno a questa forma-immagine rende possibile una sovrapposizione di messaggi diversa, arricchita della sensibilità del presente. Per il protagonista questa sovrapposizione non corrisponde mai totalmente alla verità dell’esperienza reale che sta dietro alla forma in questione, egli tuttavia non può fare a meno di constatare il processo di proliferazione connotativa che il segno-immagine lentamente subisce. Esso diventa messaggio policromo quando viene reinterpretato dai «nuovi» a significare forza, coraggio, potere, ma anche il suo contrario, scherno, denigrazione, ri-
dicolo. La scomparsa dei dinosauri non ha dunque ottenebrato il ricordo della loro inquieta esistenza, ricordo che continua ad operare al livello del subconscio collettivo che da esso deriva metafore ricche, ambiguamente polisemiche. Ora sapevo che i Dinosauri quanto più scompaiono tanto più estendono il loro dominio, e su foreste ben più sterminate di quelle che coprono i continenti: nell’intrico dei pensieri di chi resta. Dalla penombra delle paure e dei dubbi di generazioni ormai ignare, continuavano a protendere i o
36 Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, cit., p. 32.
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loro colli, a sollevare le loro zampe artigliate, e quando l’ultima ombra della loro immagine s’era cancellata, il loro nome continuava a sovrapporsi a tutti i significati, a perpetuare la loro presenza nei rapporti tra gli esseri
viventi.37 L’immagine finale è quella della mente-foresta, metaforica raffigurazione di uno spazio interiore inconscio, dove sono custoditi i segnisimbolo della memoria collettiva dai quali l’idea, la parola, il ricordo
emblematico di questi animali ritornano a popolare la fantasia degli uomini e a tormentarli con suggestioni ed emozioni misteriose. In questo racconto la polisemica immagine metaforica costituisce la struttura portante dell’intreccio, che si sviluppa seguendo due linee distinte ma parallele: quella di una esperienza compiuta al livello della realtà evenienziale e oggettiva, e quella che traspone l’esperienza reale al livello metaforico-simbolico del procedimento poetico. Per l’autore la potenza della parola deriva da una energia cognitiva inconscia, che . trasforma ogni immagine, anche quella più remota e nascosta, in un pensiero che prende forma ed è comunicato con un senso e un significato dichiaratamente personali. Le forme che la mente crea possono dare vita a immagini eccentriche, eccezionali, fuori del comune, come la descrizione del primo pennuto osservato da Qfwfq in L'origine degli uccelli. L'operazione compiuta da Calvino, rappresentare il nuovo attraverso elementi già esistenti ma fino ad allora separati, produce un accostamento di forme incongrue, insolite, che tuttavia danno la sensazione di armoniosa e seducente unità. Vedo un animale sconosciuto che cantava su di un ramo. Aveva ali zampe coda unghie speroni penne piume penne aculei becco denti gozzo
corna cresta bargigli e una stella in fronte.38 Lo stesso procedimento è seguito nella descrizione della protagonista femminile, la mostruosa e meravigliosa Org-Onir-Ornit-Or, in cui già il nome sottintende un conglomerato di fantasie erotico-oniriche: 37 Ivi, pp. 34-5. 38 Ivi, p. 37.
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Qfwfq, colpito dalla rara bellezza della regina, invita il lettore a rap-
presentarne figurativamente i tratti attraverso una rara e stravagante mescolanza di elementi umani e animali. Se i protagonisti sono il ppodotto di un insolito e diverso dosaggio dell’invenzione, la struttura del racconto poggia anch’essa sull’antitesi e sul contrasto che si instaurano tra le forme usuali e conosciute e le forme strane e stravolte con le quali il nuovo continente si presenta a Qfwfq durante le sue investigazioni. Il contrasto prodotto dalla diversità si espande all’ambiente sociale, messo in subbuglio dalla curiosa e controproducente intrusione aviaria, e si estende infine a distruggere la stessa relazione amorosa tra Qfwfq e la evanescente Or. La macchina immaginativa dell’antitesi viene messa in moto da un accenno ad alcune delle fantastiche forme che popolano il panorama: pesci dalle gambe di ragno, vermi con le penne abbarbicati sui rami
degli alberi, forme che trasmettono un acuto senso dello straordinario, del raro, dell’inconsueto e che si collegano a un sensibile desiderio di mettersi a confronto con la novità, di ricercare nella sua diversità una
bellezza che ingeneri desiderio e piacere sensuale.3° Senza colori è il resoconto di una relazione amorosa tra Qfwfq e la giovane Ayl. La spinta a comunicare, esigenza primaria e tema centrale del racconto, prende il sopravvento e incoraggia il protagonista ad iniziare un dialogo con la propria compagna, uno scambio che coinvolga le forme e la materialità dell’universo circostante, per mezzo del quale egli formula le prime associazioni poetiche. Correvamo sulla cresta di vulcani. Nel grigiore meridiano il volo dei capelli di Ayl e le lingue di fuoco che s’alzavano dai crateri si confonde-
39 José Antonio Maraval, La cultura del Barocco. Analisi di una struttura storica, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 373, attribuisce allo scrittore barocco una naturale
inclinazione alla novità e alla diversità e cita un passo dalla Dorotea di Lope, in cui la protagonista, discettando sul valore da attribuire alla diversità afferma: «La differenza causa novità e suscita il desiderio.» Per Calvino cfr. Giansiro Ferrata, Le due strade di Italo Calvino, in «Rinascita», IV, 22 gennaio 1966, pp. 40-1, che sottolinea l’elemento edonistico insito al discorso cosmicomico, discorso inserito in una struttura narrativa che viene caratterizzata principalmente come un «divertimento che fa pensare).
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vano in un battito d’ali pallido ed identico. — Fuoco. Capelli, — le dissi. — Fuoco uguale capelli. Pareva convinta. — Neh che è bello? — domandai. —
Bello, — rispose.9°
Mentre tenta di definire il suo rapporto con l’amata in termini di diversità e antitesi Qfwfq riesce a procedere anche in senso opposto creando analogie tra Ayl e il pianeta: in questo passo egli collega, attraverso una singolare e curiosa comparazione, il movimento arioso dei capelli prima ad un misterioso battito d’ali (su questo pianeta tuttavia gli uccelli sono ancora sconosciuti), e poi a qualcosa di familiare, come il vorticare delle lingue di fuoco proveniente dai crateri vulcanici. L'associazione è prodotta inizialmente con il solo scopo di ingenerare un moto di piacere, perché ciò che si è comparato è intimamente «bello», ma questa elementare equazione è anche il primo esempio di espressione poetica, di comunicazione estetica. La parola è lo strumento che esplicita l’originario impulso comunicativo e lo fa associando la bellezza dell’oggetto amato alla grandezza dell’universo materiale circostante. Se dunque la poesia per l’autore nasce dalla profonda necessità di comunicare un sentimento o uno stato d’animo ad un fruitore esterno, essa tuttavia vive e opera attraverso la straordinaria ubiquità associativa e analogica del linguaggio. Colorate metafore vegetali potenziano i racconti seguenti, come ne // cielo di pietra quello della terra la cui superficie è una pelle rugosa di mela che nasconde all’interno uno stratificato e compatto «cipollone»; nelle Cosmicomiche tuttavia le preferenze metaforiche di Calvino sono collegate a figurazioni geometriche astratte, come la città de / cristalli, composizione simmetrica di prismi e ottaedri la cui pura e complessa materia cristallina è stata sostituita dal vetro, sostanza vile e corrotta. In questo racconto il cristallo metaforizza un sistema regolare, adamantino,#! mentre il vetro è l’emblematizzazione di un
40 Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, cit., PISIIS
4! Albert Howard Carter III, Flaming Chrystals: Calvino 's Dialectical Imagination (And The Reader &?), in «Italian Quarterly», XXX, Win.-Spring 1987, pp. 115-23, ha evidenziato la fascinazione che Calvino dimostra per le opposizioni letterarie, prima fra tutte quella del cristallo e della fiamma); cfr. inoltre Italo Calvino, Esattezza, in Le lezioni americane, op. cit., p. 70: «Cristallo e fiamma, due forme di bellezza perfetta
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falso ordine, la manifestazione più visibile dello «sfilacciato rattoppo della disgregazione». La fredda, incorrotta purezza del cristallo evoca nel protagonista metafore di antitesi: per Qfwfq infatti l’essenza cristallina contiene, proclama ed esalta il rigoglio, la vita, l’intero
corollario delle passioni, mentre le immagini metaforiche a questi momenti tradizionalmente associate, il fuoco ad esempio, non producono in lui che il vuoto, l’indifferenza, la negatività dell'assenza. Ne La molle luna la descrizione del lento e inesorabile avvicinarsi lunare è sostenuta semanticamente da metafore di tipo anatomico e medico. Il protagonista vive questo fenomeno in modo ossimorico e contrastante, osservando con fascinazione e disgusto il disfarsi di un pianeta attirato dalla forza della terra a diventarne il satellite. La lente d’ingrandimento del protagonista si aggira sulla superficie lunare ispezionandone a distanza ravvicinata i «pori», le «cicatrici», i «bubboni»,
il «gonfiore» e i «pallidi tessuti esterni»; la visione d’insieme presenta l’aspetto di un «viscere ammalato», di una materia in via di disfacimento fisico e fisiologico.43 La metaforizzazione dà forma e consistenza reali a un fenomeno singolare, smisurato, fantastico. Nel defi-
nire qualcosa di sconosciuto e non personalmente osservato Qfwfq utilizza materiali appartenenti per contrasto a un mondo sensibile co-
da cui lo sguardo non sa staccarsi, due modi di crescita nel tempo, di spesa della materia circostante, due simboli morali, due assoluti, due categorie per classificare
fatti e idee e stili e sentimenti [...]. Io mi sono sempre considerato un partigiano dei cristalli».
42 Italo Calvino,I libri degli altri, Torino, Einaudi, 1991, pp. 522-3, in una lettera del 1965 inviata a Franco Scaglia afferma prosaicamente gli stessi principi narrativoformali espressi nel racconto, principi di stile che evidentemente Calvino sentiva in quel periodo molto consoni alla sua attività scrittoria: «Sono più chemmai per una letteratura che tenda all’astrazione geometrica, alla composizione di meccanismi che si muovano da soli, il più possibile anonimi. E tutto ciò che è esistenziale, espressionistico, ‘caldo di vita’ lo sento molto lontano».
43 Italo Calvino, La mappa delle metafore, in Sulla fiaba, a cura di Mario Lavagetto, Torino, Einaudi, 1988, pp. 129-46. Lo stesso saggio era apparso in precedenza in apertura a Giambattista Basile, // Pentamerone, ossia la fiaba delle fiabe, a cura di Benedetto Croce, Bari, Laterza, 1982. A Calvino il codice metaforico della medicina non era sconosciuto, lo indica infatti come una delle strutture stilistiche portanti nella costruzione poetica del Pentamerone.
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nosciuto, animale, vegetale, biologico, tutti conglomerati in una sola immagine: la luna, degenerata in una specie di escrescenza-peduncolo, che lascia cadere sulla terra in «tentacoli vischiosi» la sua strana poltiglia, un concentrato di sostanze che si mescolano agli indistruttibili e incorruttibili materiali del pianeta e lo coprono completamente. La ricchezza di immagini metaforiche tratte dal codice biologico-fisiologico e da quello animal-vegetalè trasmettono al racconto, oltre ad una impressione di pervasiva degradazione e di imminente catastrofe, un senso di malessere e inquietudine che il protagonista tende ad esternare con il progredire della narrazione. La parola metaforica acquista qui una duplice funzione: essa conferma ed avvalora l’esperienza di un evento assurdo per intervento di composizioni e associazioni oltremodo inusuali, e rimanda ad un significato intrinseco al racconto che diviene risposta estetica ed etica dell’autore alla problematica realtà del
vissuto.44 Metafore di malattia, corruzione e decadimento fisico permeano Le figlie della luna, in cui il satellite è ormai ridotto a «una specie di crosta di formaggio mordicchiata», a «un pettine che sta perdendo i denti», «un tetto in rovina», «bucherellata come una grattugia».4 «La Luna pareva smarrita», «la Luna ebbe un sussulto», «la Luna prigioniera perse quel poco di lucentezza che le restava»;49 progressivamente antropomorfizzata e umanizzata essa diviene personaggio attante, il cui calcinoso scintillio parla allusivamente all’uomo del suo graduale declino. Se la parola-immagine metaforica allude alla crescente inquietudine nei riguardi della realtà del progresso storico e della sua imminente
44 Italo Calvino, I libri degli altri, cit., p. 558, in una lettera a Gian Carlo Ferretti datata 15 febbraio 1966, a proposito della raccolta cosmicomica appena pubblicata: «Sì, io vorrei in un tipo di racconto come le Cosmicomiche riuscire a concentrare anche i contenuti d’una ricerca ideale, d’un commento della realtà; ma vorrei farlo
non semplicemente nei modi della parola simbolica o meglio allegorico-polivalente: vorrei arrivare a esprimere tutto pensando per immagini, o immagini-parola, ma che abbiano il rigore quasi di astrazione [...] e di li arrivare ad articolare un discorso che sia il mio discorso senza essere una sovrapposizione di significati». 45 Italo Calvino, Cosmicomiche vecchie e nuove, cit., pp. 92-3.
46 Ivi, pp. 94-7.
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crisi, essa per contrasto si correla, in alcuni racconti, alla materializzazione di un universo ancora «in fieri», idealmente condensato nella
ricchezza di una visione prospettica smisurata. È il caso di Tutto în un punto, i cui protagonisti, schiacciati in un solo punto dello spazio, assistono con sorpresa al Big bang scatenato dal generoso slancio della signora Ph(i)Nko: +
Ragazzi, se avessi un po’ di spazio, come mi piacerebbe farvi le tagliatelle! — —E in quel momento tutti pensammo allo spazio che avrebbero occupato le tonde braccia di lei muovendosi avanti e indietro con il mattarello sulla sfoglia di pasta, il petto di lei calando sul gran mucchio di farina e uova che ingombrava il largo tagliere mentre le sue braccia impastavano impastavano, bianche e unte d’olio fin sopra al gomito; pensammo allo spazio che avrebbero occupato la farina, e il grano per fare la farina, e i campi per coltivare il grano, e le montagne da cui scendeva l’acqua per irrigare i campi, e i pascoli per le mandrie di vitelli che avrebbero dato la
carne per il sugo.#7 In un processo di ampliamento spaziale, avviato mentalmente dapprima e subito trasformato in materia, il comico riferimento alle fettuccine dà luogo ad una proliferazione di immagini e associazioni che si potenziano e si espandono fino a coinvolgere l’intero sistema solare, realtà che può essere contenuta e contemplata primariamente dall’intelletto. La raccolta cosmicomica racchiude alcuni fondamentali orientamenti stilistici che vengono approfonditi nelle fasi successive della attività letteraria calviniana, ma soprattutto in essa è esercitata in modo straordinario quella proprietà del linguaggio di creare, di rivelare, in ogni manifestazione del reale, una ricchezza ed una multiformità di immagini, di sensazioni e di universi nascosti. Ed è su questa polimorfia semica che poggia la struttura poetica e lirica delle Città invisibili, in cui i protagonisti percorrono in modo antitetico un viaggio che diviene momento di conoscenza integrale, oggettuale, ma anche soggettiva, psicologica e gnoseologica. Il Kan chiede a Marco di condividere le si
47 Ivi, p. 160.
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esperienze accumulate durante le sue ambasciate imperiali e da esse tenta di trarre conclusioni sul futuro dei suoi domini. Per compiacere il Kan, Marco sceglie di parlargli delle città che ne compongono il tessuto, e ai reiterati rimproveri di non descrivere lo spazio che si estende tra una città e l’altra, Marco risponde con il racconto di un pastore perso da anni per le strade di Cecilia, una città senza limiti. Mentre il pastore sa riconoscere iprati e i pascoli dove i suoi animali sosteranno, Marco distingue e riconosce esclusivamente i segni lasciati dall’attività e dalle relazioni umane: AI contrario di te, — affermai, — io riconosco solo le città e non distinguo ciò che è fuori. Nei luoghi disabitati ogni pietra e ogni erba si confon-
de ai miei occhi con ogni pietra ed erba.4
Per Marco l’impero consiste unicamente di città, e con le immagini e descrizioni di innumerevoli agglomerati urbani egli organizza la rete del suo racconto. Il dialogo si compone di oggetti che richiedono una ambigua interpretazione, ma è la parola a prendere gradatamente il sopravvento, divenuta essa stessa emblematica produttrice di immagini ambivalenti. In questa trasformazione dell’oggetto in espressione e comunicazione verbale si riconosce lo spirito poetico calviniano, tutto teso a penetrare nelle zone non illuminate dal processo creativo e a trasmetterne i messaggi elusivi. Per lo scrittore il processo della creazione immaginativa trova il suo completamento nella scrittura, in una confluenza di segni e di attiva partecipazione intellettuale che trasforma rapidamente ogni oggetto-immagine in pensiero analogico, concetto astratto, significato metempirico.
4 Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, p. 158. Cfr. inoltre dell’autore, Esattezza, in Le lezioni americane, cit., p. 70, in cui Calvino, in questo
caso parlando in vece di Marco, chiarisce la sua personale scelta autorale in senso. formale e tematico: «Un simbolo più complesso, che mi ha dato le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane è quello della città. Il mio libro in cui credo di aver detto più cose resta Le città invisibili, perché ho potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture».
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Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo [...]. Ho puntato sull'immagine, e sul movimento che dall’immagine scaturisce naturalmente, pur sempre sapendo che non si può parlare d’un risultato lettèrario finché questa corrente dell’immagina-
zione non è diventata parola,
Analizzate dalla prospettiva del serrato relazionarsi di immagine e ricognizione mentale Le città invisibili rappresentano l’elaborazione letteraria più compiuta e completa del discorso teorico calviniano. La metafora è utilizzata con insistenza nella descrizione delle città, poiché per Marco la loro essenza non può venire contenuta o spiegata dalla semplice descrizione oggettiva, mercantile. Così, mentre parla di Zaira, Marco imposta programmaticamente il suo discorso utilizzando il codice metaforico naturale dando alla città la consistenza di una «spugna», che assorbe diversi contenuti e forme disparate, tutte provenienti dall’ «onda dei ricordi» che in essa convergono esi concentrano. L’immaginazione metaforica risulta essenziale alla soluzione della narrazione, basata fin dall’inizio sulla impossibilità di esternare ciò che della città è costitutivo. Ad una struttura sintattica fondata sull’avversativo, che contrasta l’iniziale impostazione oggettiva del narrato, Marco contrappone il procedimento di rendere visibile, grazie all’inanellarsi dell’immagine metaforica, ciò che è invisibile, sia esso il desi-
derio, l’angoscia, il represso. Le città sono una poliedrica somma di oggetti esotici, di visioni inconsuete, di immagini che si moltiplicano, come ad Anastasia, città «bagnata da canali concentrici e sorvolata da aquiloni», in cui si scambiano «agata onice crisopazioe altre varietà di calcedonio»,°9 di cui si elencanoi piatti delicati e si narra di donne che invitano il forestiero a partecipare ai loro giochi acquatici. Le metafore hanno per comune denominatore il desiderio del piacere sensuale e il suo appagamento, che si esplicita nella vasta apertura spaziale provocata dalla visione di
una iperbolica verticalità, che porta l’occhio a contemplare le basse
49 Italo Calvino, Rapidità, in Le lezioni americane, cit., p. 47.
50 Ivi, p. 20.
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profondità dei canali e ad elevare lo sguardo fino all’aereo limite creato dagli aquiloni. Le pietre preziose rimandano ad un desiderio tattile e visivo, simile a quello prodotto dalle donne che si bagnano liberamente nei giardini, mentre la prelibata carne di fagiano allude al piacere del palato. Anastasia sembra rappresentare per Marco quel luogo della mente in cui dal concatenarsi della immagini evocate si risvegliano tutti insieme i desideri, e-mentre l’uomo crede, illudendosi, di
dare loro una forma, queste immagini e quei desideri in realtà lo imprigionano. Sulla strada per Tamara non si scopre solo l’aspetto denotativo dei segni ma se ne riconosce soprattutto il valore connotativo, la valenza semantica metonimica: ogni segno indica una cosa ma ne richiama e ne significa un’altra, in questo caso ogni insegna che il viandante decodifica nella città di Tamara lo rinvia mentalmente ad una ulteriore significazione. Anche se non è ancora la parola ad evocare, la semplice immagine è sufficiente a inviare segnali e messaggi alla mente avviando in essa il processo analogico-associativo. Questi messaggi si moltiplicano e si complicano a Tamara, tanto che ogni cosa ed ogni oggetto, persino le mercanzie esposte al mercato, non registrano esclusivamente se stesse ma rimandano ad un soprasignificato attribuito loro dall’uomo in un dato momento storico. Il soggetto trasforma i segni delle città in scrittura, in un libro che invita il viaggiatore a leggere nel suo fittissimo codice significati rimasti a lungo gelosamente nascosti. Il procedimento analogico è profondamente connaturato allo spirito umano, tanto che non è necessaria la città con le sue insegne, i suoi divieti, le sue merci, per stimolare il desiderio di riconoscere nei segni qualcos’altro, basta
osservare il cielo: «nella forma che il caso e il vento dànno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante».5! L’aspirazione alla lettura e alla interpretazione caratterizza l’esistenza dell’uomo, che a Zora trova una-città da leggere come una «partitura musicale» in cui tutti i particolari, anche minimi, della sua forma, le sue analogie e le sue antitesi costruiscono un reticolo sapienziale che diventa complesso ma chiuso patrimonio memoriale.
Sl vip. 22.
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Il destino di questa città si compie nella sua fissità, nel suo rimanere sempre uguale a se stessa, monumento eterno ad un sapere e ad una conoscenza incapaci di rigenerarazione. Diverso è il destino di Despina, città «bastimento», «veliero», «va-
pore», ma anche «cammello», espressione di un irrequieto desiderio e di una immaginosa apertura spaziale che incorpora un universo di immagini nelle quali si proietta il desiderio di libertà, di fuga e di immersione nella quieta sensualità dell’oasi. Così Despina riceve ogni volta la sua forma dalla mente dell’uomo che in essa vede la realizzazione
dei propri desideri. L'opposizione delle immagini è di tipo ossimorico, giocato sul codice semantico deserto-mare e su quello della città che ai confini di questa spazialità può alternativamente rappresentare l’una o l’altra realtà fantastica. La città è un contenitore di totalità, di antitesi e differenze, come Zoe, la città della «esistenza indivisibile», che in
«tutti i suoi momenti è tutta se stessa».°2 A Eufemia, città costruita sull’acqua, la maggiore attività non è quella commerciale: Perché la notte accanto ai fuochi tutt'intorno al mercato, seduti sui
sacchi o sui barili o sdraiati su mucchi di tappeti, a ogni parola che uno dice—come «lupo», «sorella», «tesoro nascosto», «battaglia», «scabbia»,
«amanti» — gli altri raccontano ognuno la sua storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia, di amanti, di battaglie.?3
Lo scambio più seducente nasce dalla comunicazione che dal segno denotativo estrae una storia, un racconto: la memoria individuale si traduce in condivisa esperienza collettiva. Eufemia è la città in cui la parola si fa evocazione, la memoria si fa linguaggio, il segno significato. Un diverso tipo di scambio avviene a Cloe, dove impera il silenzio, e tutti i desideri, gli atti e i segni sono trattenuti dalla potente seduzione del non detto. Al muto scambio di sguardi si contrappone anche a Cloe la ricchezza e la incongruità delle immagini metaforiche,
una donna vestita di nero, un gigante tatuato, un cieco con un ghepardo, sr
52 Ivi, p. 40.
53 Ivi, p. 43.
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una cortigiana con un ventaglio di piume di struzzo, un efebo, una donna-cannone. Il silenzio non opprime l’incontro, lo rende al contrario più suggestivo, lo colma di un mistero che, se trasferito al livello del reale, si frantumerebbe in una «storia d’inseguimenti, di finzioni,
di malintesi, d’urti, di oppressioni», e arresterebbe «la giostra delle fantasie».°4 In queste due città si esemplifica l’opposizione poetica silenzio-parola tanto cara a Calvino; la parola, come il silenzio, è produttrice di immagini fantastiche, è compito dello scrittore bilanciare questi due codici e ottenere il massimo effetto espressivo. Ottavia, città-ragnatela, si erge su un precipizio, le masserizie appese confusamente alle reti, mentre Bauci sorge su altissimi trampoli, da dove gli abitanti osservano una terra incontaminata dalla loro presenza. Metafore della leggerezza abbondano nelle descrizioni delle cittàaeree, mentre per le città fondate sull’acqua domina l’immagine del labirinto, come a Smeraldina, fitta rete di percorsi multidimensionali
che proliferano in un «saliscendi di scalette, ballatoi, ponti a schiena d’asino, vie pensili». Di Fillide il viaggiatore non può che osservare la ricchezza e la varietà architettonica e in ogni ponte, finestra e pavimento, riconoscere un elemento della sua sintassi spaziale, il suo linguaggio polimorfo e metamorfico. È questo continuo mutarsi e trasformarsi che lo scrittore vuole trasferire nello spazio della pagina bianca, spazio in cui rette e punti convergono in un sistema di significati. La città illustra metaforicamente il suo operare narrativo, in cui predomina un panorama mentale a struttura geometrica astratta la cui estensione lo scrittore riempie con la realtà del mondo oggettivo e della sua quotidianità,5° esplorate e rielaborate con la vigile intelligenza del viaggiatore. In una delle conversazioni poste all’incipit della sesta parte viene dibattuto il concetto metaforico di ponte, immagine emblematica della comunicazione. Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? — chiede Kublai Kan. Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, — risponde Marco, — ma 54 Ivi, p. 58. 55 Italo Calvino, Le lezioni americane, CILSTDI/2A
56 Italo Calvino, Le città invisibili, cit., p. 89.
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dalla linea dell’arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: — Perché mi parli delle DICERA È solo dell’arco
che m’importa.Polo risponde: — Senza pietre non c’è arco.56
Senza la parola?’ non esiste messaggio e non si verifica la sua trasmissione; il ponte, teso spazialmente verso un al di là, un altrove, è
costituito da una relazione di interdipendenza tra la parola-pietra e il linguaggio-arco. Ma il linguaggio che la città parla è complesso, stratificato, labirintico; nascosto, esso può essere dominato solo attra-
verso il concepimento di una mappa, 0, come succede a Eudossia, di un tappeto che ne comprénda tutte le geometrie. Mentre l’uomo riesce a cogliere della città solo aspetti parziali il tappeto ne rispecchia l’intera forma, ne rinvia l’immagine in negativo. Così, mentre l’uomo os-
serva il tappeto e lo pone a confronto con la città e si interroga sulla sua Vita e il suo destino, la città, caotica riproduzione dell’universo,
«come una macchia [...] dilaga senza forma, con vie tutte a zigzag, case che franano una sull’altra nel polverone, incendi, urla nel buio».58
Catastrofiche immagini di dissoluzione preannunciano la comparsa della città-inferno, la più funesta delle metafore calviniane.5° Se infatti all’inizio la città era stata equiparata ad una spugna che si espande per contenere una molteplicità di conoscenze e di significati ora questa stessa spugna indica irrigidimento e stagnazione: lo spazio si è riempito fino a scoppiare, in esso ogni movimento è pura illusione. Non le labili nebbie della memoria né l’asciutta trasparenza, ma il bruciaticcio delle vite bruciate che forma una crosta sulle città, la spugna gonfia di materia vitale che non scorre più, l’ingorgo di passato presente futuro che blocca le esistenze calcificate nell’illusione del movimento:
questo trovavi al termine del viaggio.99 ST Italo Calvino, Le lezioni americane, cit., p. 74: «La parola collega la traccia visibile alla cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa desiderata o temuta, come un
fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto». 58 Italo Calvino, Le città invisibili, cit., p. 104. 59 Si pensi a Marcovaldo, La nuvola di smog o a La giornata di uno scrutatore, in cui il tema della città come espressione del negativo e dell’artificiale è fondamentale e costitutivo. 60 Italo Calvino, Le città invisibili, cit., p. 106.
Capitolo quinto
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La relazione finale di Marco intreccia visioni di città sotterranee,
nascoste, città dei morti, continue e celesti. Il tono delle raffigurazioni si fa lentamente più cupo e immagini di decadenza e morte emergono da visioni di città-cimitero, città-labirinto sotterraneo, città-rifiuti e
città fecali.
Le immagini sono potenziate da una caotica e frenetica enumerazione, il confuso mescolarsi di'elementi e sostanze è il sintomo di un
inesorabile imprigionamento; Perinzia, la città che era stata il simbolo emblematico di un ordine cosmico stabilito, riconosce, scrutando nei
suoi storpi, nani e gobbi, che l’ordine degli dei è in realtà una creazione mostruosa.
Marco conduce infine l’imperatore all’interno delle città continue: a Pentesilea sono andati perduti i confini tra a città e l’esterno, essa è divenuta una «zuppa» indistinta sparsa per la pianura. Immagini di puteolenti acquitrini si susseguono a quelle di casamenti disumanizzati, fisiologiche metaforizzazioni del moribondo paesaggio della periferia metropolitana. L’aggettivazione produce un forte senso di disfacimento: i casamenti sono «pallidi», le facciate delle costruzioni «magre», le botteghe «macilente», la campagna «spelacchiata». Il panorama che si offre all’ascoltatore è quello di una rovinosa degradazione. «La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi ad uscirne?»9! Con Palomar Calvino sperimenta un approccio epistemologico incentrato sulla osservazione diretta della realtà piuttosto che sulla sua simbolica metaforizzazione. La questione narratologica verte principalmente sulla possibilità di utilizzare il discorso metaforico in una analisi di stampo scientifico, quando cioè è la la pura oggettualità, l’osservazione di aspetti minimi del reale e la loro dettagliata descrizione, a prendere, almeno così vuol far credere il protagonista, il sopravvento.
Se nelle Città invisibili il ritmo del discorso era stato caratterizzato da un timbro poetico, in Palomar la narrazione, anche se diretta e
oggettiva, non rinuncia ad essere analogica, metaforica e a tendere
61 Italo Calvino, Le città invisibili, cit., p. 163.
Lo stile metaforico
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verso una pluralità di significati. Già dalla prima avventura balneare infatti, Lettura di un'onda, il protagonista sente la necessità di leggere galileianamente nel «gran libro dell’universo» e trovarvi la chiave del suo segreto e complesso megcanismo regolatore. Il suo tentativo lo porta a osservare un’onda, fenomeno minimo che riflette metonimicamente un universo di indominabile complessità, in cui ogni fenomeno rimanda ad un incomprensibile «caos». L’investigazione evidenzia il problematico rapporto dell’individuo con il mondo, rapporto dominato da un persistente senso di insicurezza, di incongruenzae di estraneità. L’intero itinerario palomariano è dominato da fallimentari esplorazioni che sostengono e giustificano questi stati d’animo, da riflessioni che da un lato formano l’essenza caratteriale del personaggio e dall’altro ne elevano l’inquieta ricerca a livello metafisico universale. Mentre «spia» l'accoppiamento delle tartarughe e ne descrive meticolosamente l’attività sessuale Palomar non può fare a meno di chiedersi che cosa differenzi o accomuni il loro istinto riproduttivo all’eros umano. Le tartarughe possiedono meccanismi programmati a circuiti binari che ripetono le stesse funzioni senza soluzione di continuità; anche l’uomo, argomenta il protagonista, è stato geneticamente programmato a compiere le stesse operazioni, anche l’uomo è un meccanismo, più complesso forse, ma pur sempre legato a condizionamenti esterni, a leggi irreversibili che impongono determinati atteggiamenti. La metafora meccanica-informatica, l’immagine del programma-computer, pur nella sua spinta alla perfezione, proietta l’idea di un uomo prigioniero di una realtà automatizzata, in cui ogni spinta soggettiva viene annullata da meccanismi psico-sensoriali prestabiliti. La stessa metafora ricorre periodicamente nella narrazione, collegata soprattutto alle descrizioni di animali, alla cui descrizione Palomar associa una sensazione di irregolarità, di disordine e di confusione. E il caso dei piccioni, degenerati «lumpen-pennuti» che invadono i terrazzi romani, o del confuso volo migratorio degli storni, apparentemente organizzato e unidirezionale ma ricco di sfasamenti ed esplosioni, concentrazioni e dissolvimenti.
La sezione dedicata alle incursioni zoologiche di Palomar rende
ancor più acutamente il senso dell’esistenza di un disordine a cui soggiace una forma definita, un disegno universale recepibile dall’intelletto investigante: analogicamente nelle giraffe il disarmonico mo-
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vimento delle forme sproporzionate si risolve nel pelo, i cui colori compongono una armoniosa unità. Forse perché il mondo attorno a lui si muove in modo disarmonico ed egli spera sempre di scoprirvi un disegno, una costante. Forse perché lui stesso sente di procedere spinto da moti della mente non coordinati, che sembrano non avere a che fare Funo con l’altro e che è sempre più difficile far quadrare in un qualsiasi modello d’armonia interiore.9?
Nella triste immagine del gorilla albino infine il protagonista proietta l’ansia della solitudine e della estraneità che lo colpiscono, mentre tenta di aggrapparsi a oggetti che siano segni, emblemi che gli indichino una soluzione allo «sgomento del vivere». E nel copertone a cui l’animale si appiglia, oggetto ormai privo dell’originaria valenza semantica, Palomar riconosce l’abisso dell’oggetto-segno primordiale, che preesiste al linguaggio e ne contiene tutti i significati nascosti, significati che le parole non arrivano a cogliere. Le frustranti interrogazioni palomariane raggiungono il culmine al Jardin des Plantes parigino, davanti al DIE VOna delle iguane, pullulante di forme inusuali, incongrue. Forse proprio le più incredibili [forme] si fissano, resistono al flusso che le disfa e rimescola e riplasma; e subito ognuna di queste forme diventa centro d’un mondo, separata per sempre dalle altre, come qui nella fila delle gabbie-vetrine dello zoo, e in questo numero finito di modi d’essere, ognuno identificato in una sua mostruosità, e necessità, e bellezza, consiste l’ordine, l’unico ordine riconoscibile al mondo.8
Per comprendere veramente l’universo è necessario accordare valore e significato alle sue forme più inconsuete, vedere nella loro apparente e disgregante irregolarità un’antitesi emblematica, la manifestazione cioè di una struttura ordinata e regolata in modo incomprensibile; e se il disordine è elemento necessario e «irreversibile», come è. dichiarato nell’episodio della Pantofola spaiata, esso è anche inizia62 Ivi, p.81. 63 Ivi; p..87.
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tore di impensate combinazioni e simmetrie, propulsore di inattesi ordini. In queste operazioni di decrittazione della realtà, esperimenti tutti sostenuti da una oggettività parziale ma raffinata, Palomar non sa astenersi dall’interpretazione analogica e dal processo comparativo: il prato, le stelle, le escursioni zoologiche, diventano paradigmi poetici di un’infinitezza e indefinitezza cosmiche mai scientificamente rappresentabili. La validità dell’indagine condotta da Palomar si realizza nel suo atteggiamento epistemologico che oscilla tra scientificità ed empiria analitico-psicologica, tra confronto con la realtà storica e le conseguenze umane che essa implica alivello etico ed estetico. Per il protagonista sembra tuttavia impossibile guardare al dato di fatto reale, all’oggetto dell’investigazione senza semantizzarlo, senza intessere con esso un rapporto di significazione dialettica, speculativa, metaempirica. L’oggetto analizzato produce spontanee operazioni memoriali, mette in moto una pluralità di referenze ipotetiche e di metaforici giochi
dell’immaginazione. Palomar insomma, con il suo incedere insicuro e il suo malessere sempre affiorante, si rifiuta di guardare al mondo reale senza utilizzare quella che si potrebbe definire un’intenzione poetica, una esigenza
gnoseologica di sondare il valore nascosto delle cose, il loro impercettibile ed invisibile senso ultimo. Durante un viaggio in Messico il protagonista visita le rovine di alcuni templi toltechi e, messo a confronto con due atteggiamenti opposti, di silenzio o di fitto dialogo empirico con le iscrizioni e raffigurazioni murarie, Palomar, in bilico tra rifles-
sioni divergenti giunge a questa conclusione: «Che cosa voleva dire morte, vita, continuità, passaggio, per gli antichi Toltechi? E cosa può voler dire per questi ragazzi? E per me?» Eppure sa che non potrebbe mai soffocare in sé il bisogno di tradurre, di passare da un linguaggio all’altro, da figure concrete a parole astratte, da simboli astratti a esperienze concrete, di tessere e ritessere una rete di analogie. Non interpretare è impossibile, come è impossibile trattenersi dal pensare.9* ,
64 Ivi, p. 100.
Indice
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I. Il Barocco: un concetto in continua evoluzione II. Il Labirinto: una definizione 1. Il Labirinto: una definizione 2. Significati ed interpretazioni poetiche del Labirinto III. Una molteplice unità 1. Una molteplice unità 2. L’opera-frammento: struttura e funzione 3. L’immaginazione calviniana ela struttura a dettaglio. IV. Le metamorfosi di Italo Calvino V. Lo stile metaforico
pag. 7 vr O Da 120 PAMo2 » 63 Ya 603 » 69 » 91 »_ 105 (0139
Finito di stampare nel mese di maggio 1998 per A. Longo Editore in Ravenna da Tipografia Moderna
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Una analisi che scava nei risvolti dello stile, della forma e delle
tematiche della narrativa calviniana da una prospettiva inusuale, quella del "neobarocco". La ricchezza e la profondità dello stile e della poetica di Italo Calvino sono state sottoposte a una varietà di letture ed interpretazioni e questo lavoro si prefigge, attraverso il nuovo approccio ermeneutico, di stabilire una connessione tra la realtà del mondo contemporaneo, l'individuo e la scrittura, che diviene,
in Italo Calvino, l'espressione più completa e polisemica dell'uomo
in un dato momento storico.
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Proposito dell'analisi letteraria è anche quello di recuperare al Novecento e alle sue tematiche la ciclicità è la ricorsività di quei fenomeni poetici ed estetici che furono fondamentali scoperte del periodo barocco. Italo Calvino è tra i primi scrittori a riconoscere la potenza espressiva delle innovazioni formali e stilistiche introdotte dall'universo estetico seicentesco ed è sicuramente il primo a rielaborarle nella propria scrittura e ad inserirle n tramatura della narrativa italiana contemporanea. Simonetta Chessa Wright ha conseguito la laurea in Lingua e letteratura tedesca all'Università di Ca' Foscari, Venezia. Trasferitasi negli Stati Uniti ha conseguito il Ph. D. in Letteratura italiana dall'Università di Rutgers, NJ. Insegna Italiano e Tedesco al College del New Jersey. Ha pubblicato vari articoli e saggi sulla letteratura italiana contemporanea e sulle scrittrici italiane del Novecento.
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