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Italian Pages 284 Year 2000
ELENA SPANDRI
a c i r o i c r o F i s o La Metwort
ANTROPOLOGIA DEL NARRATORE NELLE LYRICAL BALLADS DI WILLIAM WORDSWORTH —
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Elena Spandri
La metamorfosi folclorica Antropologia del narratore nelle Lyrical Ballads di William Wordsworth
Edizioni Campus Pescara
Volume pubblicato con contributi parziali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli e del C.N.R.
We have no need of names and epitaphs, We talk about the dead by our fire-sides.
William Wordsworth
INDICE
Ringraziamenti
CAPITOLO PRIMO Una storia lunga due secoli
È; 23
Premessa Wordsworth contro il “Vecchio Marinario”:
(GS)
la costruzione dell’autorialità Una poetica dis/organica Il dibattito su tradizione, innovazione e memoria
CAPITOLO SECONDO La poetica del natural lore Fantasia e tradizione culturale Bibliofilia e “wise passiveness” Il senso delle origini ai sane ln La genesi del natural lore: “The Complaint of a Forsaken Indian Woman” e “The Mad Mother” Il natural lore tra poetica e ideologia Pastorali moderne
CapitoLO TERZO
Il narratore folclorico
I 2,
Poesia e “matter-of-factness” “As rising from the vegetable world my theme ascends”: temporalità georgica e tradizione locodescrittiva
99 110
Una “antropologia domestica” “The Thorn” e lo storyteller inaffidabile “Menti adesive” DATO “It seem’d as I retraced the ballad line by line/That but half of it was hers, and one half of it was mine”
iS) 130 134 144
CAPITOLO QUARTO
Lirismo e tautologia
Ss
Poesia e passione iualucvirocmnsi L’immaginazione tautologica era e “We are Seven”: “a community of the living and the dead” Lo storytelling come esorcismo della legge:
JSd 155 165
“Goody Blake and Harry Gill” “Poems that cannot read themselves”
CAPITOLO QUINTO La geopoetica delle Lyrical Ballads
1. 2. 3. 4.
5.
Luogo maledetto oppure rovina? Architetture rurali Dalla folclorizzazione della memoria alla memoria del folclore Una toponomastica individuale: “Poems on the Naming of Places” “Michael”: “my second self when I am gone”
174
185 195
205
206 216 222:
228 238
Bibliografia
247
Indice dei nomi
2
Digitized by the Internet Archive in 2023 with funding from Kahle/Austin Foundation
https://archive.org/details/lametamorfosifoI0000span
RINGRAZIAMENTI La metamorfosi folclorica nasce dalla rielaborazione della tesi scritta a conclusione di un dottorato di ricerca in Anglistica presso l’Università degli Studi di Firenze. AI coordinatore, Guido Fink, e ai professori Francesco Binni, Laura Coltelli, Mario Domenichelli, Vita Fortunati, Francesco
Gozzi, Maria Grazia Mattei, Anton Ranieri Parra, Valentina Poggi, Gaetano Prampolini e Ornella De Zordo va un sentito ringraziamento. Un grazie davvero speciale va a Claudia Corti che ha seguito questo lavoro in tutte le sue fasi, aiutandomi ad ampliare prospettive teoriche e metodologiche, senza mai farmi mancare i suoi lucidi commenti, i suoi preziosi consigli e il suo affettuoso incoraggiamento. Un debito più antico è quello che mi lega ai docenti dell’ Università di Roma “La Sapienza”: Agostino Lombardo, da sempre modello di impegno didattico e intellettuale; Paola Colaiacomo, che mi ha introdotta alla
poesia romantica ed è stata un’inesauribile fonte di stimoli e riflessioni, e al cui supporto costante devo la prosecuzione di questa ricerca; Alessandro Portelli, che mi ha insegnato ad apprezzare la dimensione orale della letteratura anche laddove non ci si aspetterebbe di scoprirla. Lungo la mia strada ho poi incontrato altre studiose e studiosi con i quali ho contratto debiti determinanti: Stefania D’ Agata D’Ottavi ha letto le varie stesure del manoscritto, mettendo generosamente
a disposizione
le risorse della sua competenza e del suo rigore intellettuale; Annalisa Goldoni, esperta interprete di poesia, ha letto la tesi incoraggiandomi a trasformarla in volume; a Donatella Izzo mi sono rivolta in più occasioni per chiarimenti e consigli su alcuni punti che si ostinavano a rimanermi oscuri. A Francesco Marroni non devo soltanto il caloroso apprezzamento in sede di discussione della tesi di dottorato, ma anche la generosa disponibilità con cui mi ha consentito di pubblicare questo libro. Stimoli preziosi mi sono venuti dai docenti incontrati durante la mia permanenza presso la State University of New York at Buffalo: John Dings, Rodolphe Gasché, Shaun Irlam, Linda Silvestri e, in particolare, Susan Eilenberg, che mi ha
guidata nel confronto con la mole della critica wordsworthiana con impareggiabile finezza. A Giuliana Bruno, Sonia Di Loreto, Edea Emiliani, Anna Scannavini, mio fratello Francesco e Carlo Martinez, compagno di studi e di vita, va
un grazie sincero per avermi sostenuta in mille modi, ma soprattutto con la loro pazienza, la loro amicizia e il loro affetto. Dedico il libro ai miei genitori.
CAPITOLO?
UNA STORIA LUNGA DUE SECOLI 1. Premessa
Uno strano destino ha accompagnato le Lyrical Ballads: universalmente note come manifesto del Romanticismo inglese, punto di
raccordo fra Settecento e Ottocento, eppure solo sporadicamente oggetto di quell’attenzione critica che la rilevanza loro attribuita lasciava presupporre. Il che, tuttavia, non è casuale. Le Lyrical Ballads hanno vissuto per molto tempo illuminate retroattivamente da due fari: innanzitutto Coleridge, non soltanto per il suo contributo all’ideazione e alla prima stesura della raccolta, ma anche, e so-
prattutto, per il ruolo di primo critico wordsworthiano. Quindi il Prelude che, sebbene pubblicato soltanto nel 1850, ha di fatto condizionato la successiva visione della poesia di Wordsworth. Questo studio, per quanto possibile, intende sottrarsi sia all’in-
fluenza coleridgiana, sia a quella del Prelude. Per questo motivo ho escluso dalla mia trattazione le poesie di Coleridge contenute nelle Lyrical Ballads, facendo al contrario frequente appello alla Biographia Literaria che, nella disamina minuziosa e irriverente dei “difetti” del linguaggio poetico wordsworthiano, elabora la prima prospettiva critica sulle Ballate, rimasta termine di confronto per l’intera tradizione successiva. Più difficile, invece, è resistere alla tentazione della lettura teleologica. Dai critici vittoriani fino a quelli decostruzionisti l’opera di Wordsworth è stata per lo più letta attraverso il paradigma organicistico, secondo cui le Lyrical Ballads rappresenterebbero un ponte ideale fra una prima fase, più rivoluzionaria e politicizzata, e una seconda fase, più riflessiva e filosofica, destinata a culminare nella stesura del lungo poema autobiografico. Ad avvalorare tale lettura viene di solito utilizzata “Tintern Abbey”, che rappresenta invece un caso unico all’interno della rac1l
La metamorfosi folclorica
colta, perché s’incentra su una visione, per così dire, archeologica e
pre-freudiana di memoria poetica, che rimane inesplorata nel resto
dell’opera. AI fine di sottrarsi all’egemonia della prospettiva teleologica, occorre leggere le Lyrical Ballads sullo sfondo dei linguaggi poetici settecenteschi, in modo da ricollocarle nel loro contesto d'origine. Esse si presentano, infatti, come un precipitato di motivi e stilemi già lavorati dalla tradizione, ma sui quali aleggiano, a volte molto
chiaramente, altre volte solo a un livello di rarefazione estrema, uno spirito e una sensibilità nuovi e forse non ancora esplorati fino in fondo. L'ipotesi intorno a cui si sviluppa questo lavoro è che le Lyrical Ballads contrappongano la visione folclorica e comunitaria delle classi rurali alla poetica coleridgiana del soprannaturale, e puntino a storicizzare la nascita della voce lirica, elaborando simultaneamente una concezione della memoria poetica alternativa a quella che, nello stesso periodo, Wordsworth andava costruendo nel nucleo originario del Prelude. L'obiettivo dell’analisi non è tanto rivendicare una peraltro incontestata autonomia delle Lyrica/ Ballads, quanto identificare modalità formali e tematiche antagonistiche rispetto ai modelli estetici ed epistemici espressi dal Prelude, nei quali la tradizione critica ha rinvenuto l’apice della ricerca wordsworthiana, nonché l’esito più compiuto dell’ideologia romantica. Al riguardo è importante aggiungere che il ruolo svolto dalla poesia di Wordsworth nel dibattito critico contemporaneo è tutt'altro che marginale. Dopo aver attraversato un lungo periodo di declino, determinato dal trionfo accademico della poetica eliotiana e dall’approccio formalistico dello strutturalismo, la sua poesia è tornata a interessare non soltanto i critici, ma i teorici
della letteratura, fornendo ampi spazi di confronto sulla natura del linguaggio poetico, sulle sue implicazioni ideologiche e sulle mistificazioni di quella critica che si rappresenta come unica depositaria dell’eredità romantica. Dal momento in cui Paul de Man ha elaborato la teoria della struttura intenzionale della poesia romantica, imperniandola sul linguaggio wordsworthiano, non si può più parlare di Wordsworth prescindendo dal dibattito teo12)
Una storia lunga due secoli
rico che il suo linguaggio ha generato e continua a generare!. Il motivo della riappropriazione del canone wordsworthiano da parte del linguaggio e delle battaglie della critica è di ordine storico e riguarda la concomitanza di rivolgimenti politici e trasformazioni culturali all’interno della quale Wordsworth si è trovato a negoziare la propria ideologia e gli stili del proprio linguaggio. Tale concomitanza, da lui vissuta in modo intenso e assai problematico, l’ha reso,
più che i romantici della seconda generazione, e anche più dello stesso Coleridge, particolarmente adatto alla riflessione teorica. Ciò ha creato una situazione al limite del paradosso: mentre molta della sua poesia veniva demolita per via dei toni didascalici e dell’innegabile conservatorismo, alcune caratteristiche del suo stile, in special modo quello della prima fase — così polifonico e carico di disomogeneità stilistiche, di sovradeterminazione semantica, di prosaicismo — venivano assunte a cifra di una critica meno assoggettata ai tecnicismi accademici e più consapevole dei propri coinvolgimenti ideologici e della propria funzione sociale. L’interesse per le Lyrical Ballads come frutto di una collaborazione conflittuale e un po’ misteriosa tra Wordsworth e Coleridge ha goduto inoltre di un notevole reviva/ negli anni Settanta, anni che hanno aperto la strada ai “cultural studies”. Vale la pena citare a esempio The Country and the City, di Raymond Williams, un excursus dettagliato sulla rappresentazione del rapporto tra città e campagna nella letteratura inglese dalle origini al ventesimo secolo. Williams riconosce alla poesia di Wordsworth una grande capacità di focalizzazione sui grandi temi sociali contemporanei, nonché una
! Cfr. Paul de Man, The Rhetoric of Romanticism, New York, Columbia University Press,
1983. Il volume contiene i suoi più importanti saggi wordsworthiani pubblicati tra il 1960 e 1979, tra cui “Intentional Structure of the Romantic Image”, saggio che getta le basi dell’approccio decostruzionista alla poesia romantica, poiché ne legge la retorica dell’origine e dell’organicismo in termini di “intenzionalità”, dell’emergere di una coscienza dell’io in sé, che è separata rispetto alla coscienza dell’io nella natura: “This ‘imagination’ has little in common with the faculty that produces natural images born ‘as flowers originate’. It marks instead a possibility for consciousness to exist entirely and for itself, independently of all relationship with the outside world, without being moved by an intent aimed at a part of this world”, p. 16.
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La metamorfosi folclorica
profonda consapevolezza proprio della complessità del rapporto tra culture rurali e culture urbane. Oltre a correggere una lunga serie di luoghi comuni che agiscono sia sulla percezione della campagna, sia su quella della città, lo studio di Williams va alle radici di questa opposizione, smascherandone il fine marcatamente classista e decostruendone gradualmente i vari corollari, primo fra tutti l’onnipresente motivo del primitivismo?. Non è casuale che negli anni Settanta, proprio a partire dal 1973, si concentri la maggior parte dei pochi studi angloamericani interamente focalizzati sulle Ballate: in quell’anno la Harvard University Press pubblica The Art of the ‘Lyrical Ballads’, di Stephen Parrish. Nel 1975, a Londra esce Wordsworth and Coleridge: ‘The Lyrical Ballads’ di Stephen Prickett; nel 1976 escono Tradition and Experiment in Wordsworth's Lyrical Ballads di Mary Jacobus, in Inghilterra, e Why the ‘Lyrical Ballads’? di John E. Jordan, negli Stati Uniti. Infine, nel 1979 Michael H. Friedman pubblica The Making of a Tory Humanist. William Wordsworth and the Idea of Community, studio fondamentale
che mette in relazione lo sviluppo della visione politica di Wordsworth con la rappresentazione della dimensione pastorale offerta dalle Lyrical Ballads. Questi studi presentano almeno due tratti in comune: concedono molto spazio alla questione della collaborazione tra Wordsworth e Coleridge; si pongono tutti il problema di chi sia da considerarsi l’autore di questa raccolta, concordando che il solo criterio quantitativo non sia sufficiente ad attribuire a Wordsworth l’authorship del progetto. È evidente che le due questioni sono direttamente interrelate, poiché dai criteri di valutazione adottati nel considerare la qualità e i modi in cui i due poeti collaborarono dipende anche la scelta finale di attribuire a entrambi, o soltanto a Wordsworth, la paternità delle Lyrica! Ballads. ? “Wordsworth often came closer to the actual men, but he saw them also as receding, moving away into a past which only a few surviving signs, and the spirit of poetry, could
recall. [...] But there is also an important development in Wordsworth:
a new emphasis,
corresponding to just his view of history, on the dispossessed, the lonely wanderer, the vagrant. It is here that the social observation is linked to the perceptions of the lonely observer, who is also the poet”, Raymond Williams, The Country and The City, Oxford and New York, Oxford University Press, 1973, p. 130.
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Una storia lunga due secoli
2. Wordsworth
contro
il “Vecchio
Marinaio”:
la costruzione
dell’autorialità
Sin dalla comparsa nel 1798, le Lyrical Ballads hanno posto in primo piano le circostanze della loro composizione. L'edizione successiva, uscita nel 1800 e arricchita di un intero volume di poesie e della oramai famosa Preface, ha continuato ad accentrare l’attenzione
dei numerosi recensori sugli aspetti biografici dell’evento culturale che esse ancora oggi rappresentano, creando l’illusione dell’inscindibilità del testo da tali circostanze. L'origine della prima edizione si presenta allo stesso tempo intenzionale e casuale. Intenzionale, perché da un certo punto in poi, precisamente dai primi giorni del Marzo 1798, Wordsworth e Coleridge (ma soprattutto Wordsworth) lavorano alla composizione di poesie per una raccolta da pubblicare presso l’editore Cottle di Bristol al solo scopo di finanziare il viaggio in Germania che intendono intraprendere al più presto. Casuale, perché l’idea della raccolta è l’ultima di una lunga serie di progetti che avevano coinvolto i due poeti insieme o separatamente, e che non erano stati realizzati,
un po’ a causa dell’intermittente produttività di Coleridge, un po’ a causa della reticenza di Wordsworth a pubblicare. “Publication was ever to me most irksome; so that if I had been rich, I question whether I should ever have published at all’”*?. Come appare chiaro da questa affermazione, l’immagine del poeta come “man speaking to men”, voce della generazione tradita dalla Rivoluzione Francese,
promotore acceso del copyright, nonché editor maniacale della propria opera, appartiene a un’epoca più tarda della carriera di Wordsworth, il quale in età giovanile sembra aver guardato alla scrittura come a un’attività quasi privata, rivolta al massimo al ristretto circolo dei famigliari e degli amici, e alla pubblicazione
come a una sgradevole necessità imposta dal bisogno.
3 William and Dorothy Wordsworth, The Letters: The Later Years (1821-1850), ed. Emest de Selincourt, Oxford, Clarendon Press, 1939, p. 1387.
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La metamorfosi folclorica
Uno dei progetti falliti che precedono l’uscita delle Lyrical Ballads del 1798 fu il tentativo di Wordsworth di portare sulla scena di Londra la tragedia The Borderers, scritta parallelamente a Osorio di Coleridge, in un clima di ludica competizione. Al di là del fallimento della messa in scena, The Borderers rimase un’opera molto importante nell’evoluzione dell’ideologia sociale e politica di Wordsworth, nel quale era già emersa l’esigenza di mettere a fuoco il suo dissenso dal radicalismo naturalista della filosofia di Godwin. Un’altra idea non realizzata fu quella di pubblicare The Borderers insieme a Osorio, con l’aggiunta di Salisbury Plain — parte del quale entrò nelle Ballate col titolo di “The Female Vagrant” — e di “Tale of a Woman”, divenuto prima The Ruined Cottage e in seguito il primo libro di The Excursion. Di questo disorganico progetto rimane una lettera che Coleridge inviò a Joseph Cottle allo scopo di promuovere l’iniziativa editoriale e di negoziarne il compenso economico, che rivela l’assenza di un progetto culturale realmente condiviso dai due poeti”. Infine, per completare il quadro dei progetti mancati che precedono le Lyrical Ballads, occorre menzionare
il
grande poema filosofico The Recluse, che avrebbe dovuto costituire la quintessenza della visione del mondo e della vis poetica di Wordsworth, della cui realizzabilità, proprio in quel periodo, il poeta
* “I am requested by Wordsworth to put the following questions — What could you conveniently & prudently, and what would you, give for 1 Our two Tragedies — with small prefaces containing an analysis of our principal characters. Exclusive of the prefaces, the Tragedies are together 5000 lines — which in the printing from the dialogue form & directions respecting actors & scenery is at least equal to 6000. — To be delivered to you within a week of the date of your answer to this letter — & the money, which you offer, to be payed to us at the end of four months from the same date — none to be payed before — all to be payed then. 2 Wordsworth”s Salisbury Plain & Tale of a Woman which two poems with a few others which he will add & the notes will make a volume. This to be delivered to you within three weeks of the date of your answer — & the money to be payed, as before, at the end of four months from the same date”, Collected Letters of Samuel Taylor Coleridge, ed. Earl Leslie Griggs, Oxford, Oxford University Press, Clarendon Press (1956 -1971), pp. 399-400.
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Una storia lunga due secoli
cominciava però seriamente a dubitare’. Ad ogni modo, l’idea che da un progetto forte ma irrealizzabile, e tutto sommato anche un po” demodé, come quello di un poema filosofico “on Man, on Nature,
and on Human life”, possa essersi realizzato un evento letterario infinitamente più stimolante e innovativo come quello della nascita delle Lyrical Ballads è senz'altro suggestiva. Un’altra, e non meno importante parte della storia di queste ballate deve spiegare come accadde che da un’idea abbozzata frettolosamente e in modo assai disorganico sia scaturito l’evento artistico fondante del Romanticismo inglese. Da alcuni fatti, comunque, non si sfugge: se è legittimo e doveroso attribuire a entrambi i poeti la prima edizione delle Lyrical Ballads, sebbene il contributo di Coleridge sia già qui quantitativamente minore, e sebbene la pubblicazione sia uscita anonima, nella seconda e nella terza edizione, rispettivamente del
1800 e del 1802, il piatto della bilancia pesa decisamente a favore di Wordsworth. Non soltanto, infatti, la raccolta del 1800 si arricchisce di un intero volume scritto interamente da Wordsworth,
ma il contributo di Coleridge alla prima edizione viene relegato ai margini al punto da non possedere quasi più un’autonoma riconoscibilità all’interno del testo. L’atto attraverso cui viene compiuta tale marginalizzazione è chiaro e parla da solo: “The Rime of the Ancyent Marinere”, che aveva costituito il nucleo del progetto delle Lyrical Ballads e che, forse anche in ossequio a questo suo
5 A conferma di quanto profondo, seppur raramente preso in considerazione, sia stato il legame tra il fallimento di questo tanto a lungo progettato e procrastinato poema e la nascita frettolosa e aprogettuale delle Lyrica/ Ballads viene in aiuto Kenneth Johnston, che interpreta la raccolta come una sorta di camera obscura del Recluse: “Wordsworth's failure was thus not a failure of inspiration, nor of creation, but a failure to fit his production into recognizable poetic form, especially given the optimistic philosophical burdens The Recluse was to shoulder [...] But I believe we can see Wordsworth transferring the vexed but enabling power of The Recluse’s philosophical and political burdens and its generic ambiguity (was it to be an epic? a narrative? meditative verse essay?) into the smaller poetic forms and conventions of the Lyrical Ballads”, Kenneth R. Johnston, “The Triumphs of Failure: Wordsworth's Lyrical Ballads of 1798”, in The Age of William Wordsworth. Critical Essays on the Romantic Tradition, Kenneth R. Johnston and Gene W. Ruoff, eds., New Brunswick and London, Rutgers
University Press, 1987, p. 143.
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La metamorfosi folclorica
ruolo fondante, nell'edizione del 1798 era stata posta all’inizio della
raccolta, nell’edizione del 1800 viene spostata alla fine del primo volume, immediatamente prima di “Tintern Abbey”. Non solo, Wordsworth insiste per dare alla “Rime” un nuovo titolo: “The Ancient Mariner: A Poet’s Reverie”, allo scopo, probabilmente, di
sottolinearne con più forza la qualità visionaria e la differenza con il tono degli altri componimenti’. Cosa successe dunque, tra il 12 Novembre
1797, quando duran-
te una gita nella vallata di Stones, Wordsworth e Coleridge a corto di soldi iniziarono a progettare una ballata su un marinaio che uccide un albatro, da pubblicare nel Monthly Magazine insieme ad altre poesie di Wordsworth, e il momento in cui quest’ultimo decise di attenuare l’impatto di questa ballata, spostandola in fondo al primo volume delle Lyrical Ballads? In realtà già a un anno di distanza da quella memorabile gita, Wordsworth si era pentito di aver inserito il poemetto di Coleridge nella prima edizione: “From what I can gather it seems that The Ancyent Marinere has upon the whole been an injury to the volume, I mean that the old words and the strangeness of it have deterred readers from going on”. L'edizione del 1800 gli fornì la possibilità di rimediare all’errore commesso, grazie alla strategica ricollocazione della “Rime” immediatamente prima della sua lirica migliore, all’epurazione di tutti gli arcaismi ortografici (utilizzati da Coleridge allo scopo di inserire le vicende stranianti in una cornice mitica e visionaria), nonché in virtù dell’aggiunta della lunga prefazione nella quale Wordsworth parla a titolo personale, presentandosi come l’autore delle Lyrica! Ballads che questa volta recano la sua firma. Tra la joint venture del 1798 e l’appropriazione-espropriazione
° Va ricordato che già nell’edizione del 1800 Cottle vi compare unicamente in veste di stampatore, mentre l’editore è T. N. Longman, e che nell’edizione del 1802, intitolata Lyrical Ballads, with pastoral and other poems, Wordsworth pubblica l'aggiunta alla Preface in cui
approfondisce l’argomentazione sulla natura del poeta. Per un resoconto dettagliato sulla storia delle diverse edizioni delle Lyrical Ballads cfr. Alan D. Boehm, “The 1798 Lyrical Ballads and the Poetics of Late Eighteenth-Century Book Production) in ELH 63, 1996, pp. 453-87.
W. and D. Wordsworth, The Letters: The Early Years (1787-1805), in op. cit., pp. 226-7.
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Una storia lunga due secoli
della voce di Coleridge del 1800 accadono alcuni avvenimenti importanti, che vale la pena menzionare. Prima di tutto il viaggio in Germania, che Wordsworth intraprende per due motivi assai diversi, in compagnia della sorella, ancor prima dell’uscita delle Ballate. Un primo scopo era seguire Coleridge, da cui non sopportava di rimanere lontano a lungo, il quale intendeva studiare il tedesco per essere in grado di leggere la filosofia dell’Idealismo in originale. La seconda ragione era che non aveva più una casa, dal momento che i proprietari di Alfoxden House, nel Somerset, dove aveva vissuto dal
luglio 1797, non gli avevano rinnovato il contratto di affitto. In un periodo così delicato della guerra anglo-francese essi erano preoccupati dei pettegolezzi che circondavano questo strano personaggio che viveva con una donna che si faceva passare per la sorella, che aveva l'ossessione delle passeggiate al tramonto, e intratteneva rapporti con noti radicali del tempo quali Coleridge e Thelwall. Il viaggio in Germania, però, inferse un duro colpo al rapporto simbiotico che i due poeti intrattenevano, perché Wordsworth aveva minori disponibilità economiche di Coleridge e poi perché entrambi si accorsero presto di non avere per la Germania lo stesso tipo di interesse. Coleridge era attratto dalla tradizione del razionalismo e dell’Idealismo e cercava di inserirsi nei circoli culturali più accreditati. Dal canto suo, benché amasse visitare le bellezze storiche e naturali offerte dalla Germania, Wordsworth era afflitto dalle ristrettezze eco-
nomiche e dall’insofferenza di Dorothy nei confronti della vita monotona e isolata e, poco incline alla speculazione filosofica com'era,
non aveva ben chiaro il beneficio che poteva trarre dal prolungare il soggiorno in quel paese. Ciononostante, la Germania stimolò la sua produttività, poiché mentre si trovava là Wordsworth abbozzò un Essay on Morals e scrisse alcune delle sue poesie più belle, che andarono ad arricchire e raffinare il linguaggio della seconda edizione delle Lyrical Ballads. L’altro grande avvenimento a cavallo tra la prima e la seconda edizione delle Ballate è il ritorno in Inghilterra e il trasferimento a Grasmere, nel Distretto dei Laghi. Qui William e Dorothy, che gli anni più recenti avevano visto girovaghi un po’ per scelta, un po” 19
La metamorfosi folclorica
per necessità, sentono per la prima volta di aver trovato un luogo in grado di accoglierli completamente e senza condizioni, e celebrano il ritrovato senso di armonia con se stessi e con la terra nativa rispettivamente nei bellissimi versi di Home at Grasmere e nelle intense e colorate pagine dei Journals*. Immersa nella fantasmagoria naturale del Lake District, e frequentata da un vicinato gentile e gradevole, la casa di Grasmere diviene da subito per William e Dorothy l’incarnazione di una dimensione pastorale in cui il ritmo della poesia e della scrittura viene percepito in rapporto di fluida continuità con quello della natura e della vita quotidiana. La cura della casa e del giardino, le passeggiate nei boschi, l'osservazione della natura cangiante, le commissioni nel villaggio, la corrispondenza, la composizione di versi e la ricopiatura di questi, vengono rappresentati, nel periodare monotonamente paratattico, ma dolcemente rassicurante di Dorothy,
come i tanti momenti egualmente rilevanti e carichi di senso all’interno di una giornata che, proprio come nel prodursi del ritmo poetico, appare sempre allo stesso tempo diversa e simile alle altre. A William, inoltre, che la perdita prematura della madre e le successive vicissitudini hanno reso insicuro e facile preda della depressione,
Grasmere offre la possibilità di elaborare le sofferenze passate e di ricostruire in sé un’integrità, non più basata sulla simbiosi indifferenziata ed edipica dell’infanzia, ma su quella capacità di relazione con la comunità degli individui e con l’ambiente, che caratterizza la maturità?.
8 “Sunday 12th October. Beautiful day. Sate in the house writing in the morning while William went into the Wood to compose. Wrote to John in the morning — copied poems for the L. B., in the evening wrote to Mrs Rawson. Mary Jameson & Sally Ashburner dined. We pulled apples after dinner, a large basket full. We walked before tea by Bainriggs to observe the many coloured foliage the oaks dark green with yellow leaves — the birches generally still green, some near the water yellowish. The Sycamore crimson & crimson-tufted — the mountain ash a deep orange — the common ash Lemon colour but many ashed still fresh in their summer green. Those that were discoloured chiefly near the water. William composing in the Evening. Went to bed at 12 o clock”, D. Wordsworth, The Grasmere Journals, ed. Pamela Woolf, Oxford, Oxford University Press,1993, p. 14.
° AI riguardo cfr. Michael H. Friedman, The Making of a Tory Humanist. William Wordsworth and the Idea of Community, New York, Columbia University Press, 1979. Sulle implicazioni autobiografiche di Home at Grasmere cfr. anche Tim Fulford, Landscape, Liberty and Authority. Poetry, Criticism and Politics from Thomson to Wordsworth, Cambridge, Cambridge University Press, 1996.
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Una storia lunga due secoli
Apparirà chiaro in seguito come i versi di Home at Grasmere, da cui in apparenza risuona solo la gioia di un idillio pastorale e di un ritrovato senso di appartenenza a un luogo, contengano anche un grado di angoscia e di ambivalenza rispetto ai valori etico-politici di cui sono portatori, quali l’autosufficienza, il bisogno di isolamento e di totalità. Se il viaggio in Germania aveva confermato in Wordsworth la vocazione poetica, il ritorno in Inghilterra, addolcito dalla notizia del successo della prima edizione delle Lyrical Ballads e dal trasferimento a Grasmere, fa emergere in lui il desiderio di costruirsi una fama letteraria. La seconda edizione delle Ballate, con le vecchie
poesie sottoposte a revisioni minuziose, con il secondo volume inedito, con l’aggiunta della Preface, con la revisione e lo spostamen-
to della “Rime”, si presenta decisamente come opera sua. Non tanto perché prevalentemente suo è il materiale che essa contiene, quanto perché è lui a organizzarne l’uscita e a concepirla questa volta come una vera e propria operazione commerciale, indirizzata a un certo tipo di pubblico, e finalizzata a procurargli denaro e la piena visibilità sul mercato dell’arte e della letteratura. Dopo l’organizzazione interna del materiale, anche tutti gli altri aspetti della costruzione del testo vengono scrupolosamente e personalmente passati al vaglio più volte. Wordsworth si occupa del frontespizio, dell’impaginazione, dei caratteri di stampa, giungendo a proibire all’editore di inserire nell’opera spazi pubblicitari, per timore, forse, di una contaminazione troppo diretta con l’editoria più commerciale e popolare, quella che, come viene affermato implicitamente nella Preface, è responsabile della diffusione dei ‘“frantic novels, sickly and stupid German Tragedies and deluges of idle and extravagant stories in verse” con cui le Lyrical Ballads sono in aperta polemica! Nella veste borghese, composta e ordinata, nel diffuso umanitarismo, nelle ambientazioni pastorali, nell’addomesticamento dell’im-
10 Preface to the Lyrical Ballads, in The Prose Works of William Wordsworth, W. J. Owen
and Jane Worthington Smyser, eds., Oxford, Clarendon Press, 1974, p. 128. D°ora in poi ogni citazione dall’Advertisement e dalla Preface va intesa da questa edizione.
DAI
La metamorfosi folclorica
maginario gotico, le Lyrical Ballads del 1800 puntano innanzitutto a spezzare il legame — da Wordsworth percepito nei termini di un vero e proprio determinismo — tra il “torpore selvaggio”, caratteristico degli individui che si ammassano nelle città a svolgere lavori ripetitivi e alienanti, e quella “brama di avvenimenti straordinari”, che li conduce a consumare letteratura di basso livello. L'edizione del 1798 non era riuscita pienamente a elaborare questa consapevolezza sociologica, anche perché non possedeva ancora una ben definita prospettiva editoriale. Tuttavia, l’espressione di un dissenso estetico e ideologico rispetto alla letteratura basata sul sensazionalismo era stata una delle priorità di Wordsworth e Coleridge sin dall’inizio, come dimostrano molte poesie già incluse nella prima edizione. Nella primavera e nell’estate che precedettero la prima pubblicazione delle Lyrical Ballads ai due poeti premeva però soprattutto riuscire a sottrarsi al circuito chiuso, poco stimolante e poco remunerativo della magazine poetry, che oramai sentivano come un luogo inadatto all’elaborazione di linguaggi nuovi e più personali. La scelta di mettere insieme poesie scritte già da alcuni anni con alcune delle loro composizioni più recenti e sperimentali, e di raccoglierle in un volumetto anonimo, apparentemente senza pretese, preceduto da un Advertisement breve e avaro di elaborazioni critiche, più che attirare una particolare fetta di pubblico puntava a tastare il terreno riguardo all'impatto che avrebbe avuto il loro esperimento poetico. Nel 1800, al contrario, Wordsworth sa bene a quale tipo di lettore indirizzare le sue poesie: “Gentlemen, persons of fortune, professional men, ladies, persons who can afford to buy, or can easily procure books”, come scriverà nel 1802!!. Dunque non l’aristocratico sconfitto dalla Rivoluzione Francese e dalla democratizzazione della società, che si nutre di poesia nell’isolamento dei suoi circoli esclusivi, ha in mente Wordsworth come lettore tipo delle Lyrical Ballads, bensì il borghese affarista e capitalista dal palato forse meno raffinato, ma dotato dell’indispensabile capacità di far circolare, e promuovere, i suoi oggetti di consumo. ‘! W. and D. Wordsworth, The Letters: The Early Years, op. cit., p. 295.
DO:
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3. Una poetica dis/organica Queste annotazioni biografiche evidenziano come la doppia questione della partnership-authorship delle Lyrical Ballads sia molto più complessa di quanto possa apparire a una prima impressione. Nel cercare di ripercorrere le intenzioni dei due poeti e le dinamiche della loro collaborazione sedimentate con modalità più o meno scoperte nel contesto, ci si scontra inevitabilmente con le questioni
cruciali poste dal testo. Una volta giunti alla conclusione, condivisa dalla maggioranza dei critici, che le Lyrical Ballads pubblicate anonimamente nel 1798 e quelle firmate da Wordsworth nel 1800 rappresentano due operazioni culturali diverse, ci si accorge che la differenza tra le due edizioni da sola non basta a rendere conto dell’operazione culturale complessiva, e che occorre recuperare anche una prospettiva di continuità. Da un lato, il discrimine è costituito dall’inserimento di una progettualità che fa il suo ingresso solo in seconda battuta, in virtù di una diversa e più attenta collocazione
delle poesie, e in virtù delle argomentazioni storiche e teoriche poste dalla Preface. Dall'altro, la funzione di quest’ultima appare sempre più quella di riscattare l’originaria aprogettualità delle Ballate attraverso una discorsività forte e autorevole, dal tono apodittico, che non quella di affermare una poetica radicalmente nuova!?. Il critico che tenti di ricostruire il percorso che conduce dalla prima alla seconda edizione delle Lyrical Ballads s’imbatte in forti contrasti. Da una parte c’è la casualità diffusa che caratterizza l’edizione del 1798!. Dall’altra, non si può non riconoscere alla base dell’edizione del 1800 uno sperimentalismo più maturo e un finali-
!? Per una trattazione esauriente dello sviluppo della Preface dal nucleo originario del 1800 alle aggiunte del 1802 cfr. W. J. B. Owen, Wordsworth as Critic, Toronto and Buffalo, University of Toronto Press, 1969. Sull’interpretazione coleridgiana della Preface cfr. Christine Winberg, “Coleridge on Wordsworth's Preface to Lyrical Ballads”, in Theoria, May 1984, vol. LXII, pp. 29-43. Per una lettura storicistica cfr. Scott Boehnen, “The Preface to Lyrical Ballads: Poetics, Poor Laws, and the Bold Experiments of 1797-1802”, in Nineteenth-Century Contexts, 1997, vol. 20, pp. 287-311. 13 Cfr. J. Jordan, op. cit.
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smo più consapevole. La presa d’atto di tale contrasto, però, non porta mai con sé la sensazione che ci si trovi davanti a due testi distinti. Questa osservazione potrebbe apparire ovvia, considerando che la stessa cosa può essere affermata per la maggior parte dei testi che siano stati sottoposti a numerose e consistenti revisioni, e abbiano mantenuto allo stesso tempo una coerenza strutturale di fondo, come lo stesso Prelude, su cui Wordsworth lavora praticamente tutta la vita.
In realtà, però, tra quest'opera e le Lyrica! Ballads esiste una profonda differenza. Il Prelude si sviluppa in accordo a una concezione organicistica e dialettica del linguaggio e della poesia: si consideri da un lato la sua enorme espansione (da poche centinaia di versi a quattordici libri), e dall’altro la coerenza del suo tema così come viene esplicitato dal sottotitolo: “The Growth of a Poet's Mind”. Le Lyrical Ballads, al contrario, sono costruite secondo una logica allo stesso tempo oppositiva e complementare, che compare già nel tono ossimorico del titolo e che, essendo assai meno strutturante, lascia ampi spazi all’indeterminatezza e alla casualità. Mentre il modello organicistico si fonda su una visione dialettica della storia e della lingua, e porta con sé una marcata prospettiva teleologica"*, il mo-
14 “The achieved structure of a plant is an organic unity. In contradistinction to the combination of discrete elements in a machine, the parts of a plant, from the simplest unit, in its tight integration, interchange, and interdependence with its neighbors, through the larger and more complex structures, are related to each other, and to the plant as a whole, in a
complex and peculiarly intimate way. For example, since the existing parts of a plant themselves propagate new parts, the parts may be said to be their own causes, in a process of which the terminus seems to be the existence of a whole. Also, while the whole owes its being to the co-existence of the parts, the existence of that whole is a necessary condition to the survival of the parts; if, for example, a leaf is removed from the parent-plant, the leaf dies”. [...] “The life-cycle of an organism — birth, maturity, decay, death- had, of course, been
one of the most ancient paradigms on which to model the conception of history. In a fullfledged organology, which exploits the detailed possibilities of living and growing things, any human product or institution is envisioned as germinating, without anyone’s deliberate plan or intent, and as fulfilling its destiny through an inner urgency, feeling on the materials of its time and place in order to proliferate into its ultimate and living form. AIl of Greek art, Friedrich Schlegel thus wrote in 1795-6, constitutes a single growth whose ‘seed is grounded in human nature itself’, and which possesses a ‘collective force’ as its dynamic and guiding principle. And in its historical course, each ‘advance unfolds out of the preceding one as if of its own accord, and contains the complete germ of the following stage”, M. H. Abrams, The Mirror and the Lamp. Romantic Theory and the Critical Tradition, New York, Oxford
University Press, 1953, 1971, p. 74, 218-9.
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dello elaborato dalle Lyrical! Ballads nega ogni finalismo, perché spezza la continuità che sta alla base del movimento dialettico, so-
stituendola col parallelismo formale e con l’aporia semantica. È sufficiente accostare pochi versi del Prelude, che nella sua versione originaria risale al 1799, a qualche verso tratto dalle Lyrical Ballads, per accorgersi che ci si trova di fronte a due filosofie della composizione profondamente diverse: I might advert To numerous accidents in flood or field, Quarry or moor, or ‘mid the winter snows,
Distresses and disasters, tragic facts Of rural history, that impressed my mind With images to which in following years Far other feelings were attached — with forms That yet exist with independent life, And, like their archetypes, know no decay”.
Sin dal suo nucleo stilistico e tematico fortemente compresso, il Prelude si presenta già come una forma poetica in espansione organica, dove la narrazione procede per ordinata accumulazione di oggetti, la cui evocazione non suona mai vaga, casuale o insignificante, poiché è sempre organizzata da una coscienza centrale forte (lo “I del primo emistichio) che in virtù della propria forza di autoidentificazione è perfettamente in grado di stabilire tra loro una chiara sequenza. La capacità di stabilire una causalità tra gli oggetti della percezione, inoltre, implica anche la possibilità di istituirne una gerarchia e di svelarne un intrinseco telos. Nella scrittura autobiografica, come aveva intuito Keats, la voce poetica non può che raccontarsi secondo un ordine di importanza basato su un
15 W. Wordsworth, The Two-Part Prelude, Jonathan Wordsworth, M. H. Abrams, and Stephen Gill, eds., New York and London, Norton, 1979, p. 8, vv. 279-837.
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assoluto soggettivismo!°. Dagli incidenti causati dalle alluvioni e dai tragici episodi di storia rurale, di cui il poeta è solo testimone esterno,
si passa in questo brano del Prelude alle stratificazioni della sua memoria personale fino a giungere, addirittura, agli archetipi metasensibili di tale memoria, che non possiedono però alcuna valenza collettiva ma che, come appare chiaro dallo svolgersi del poema, prendono la direzione opposta, poiché puntano al momento seminale in cui la memoria riproduttiva dell’io si trasforma nella sua immaginazione creativa, che è collocata su un livello superiore all’interno di una gerarchia tra facoltà individuali: Imagination — here the Power so called Through sad incompetence of human speech, That awful Power rose from the mind’s abyss Like an unfathered vapour that enwraps, At once, some lonely traveller. I was lost; Halted without an effort to break through;
But to my conscious soul I now can say —
‘I recognise thy glory”!.
In questi versi, il modello organicistico-dialettico che soggiace al Prelude trova la sua espressione più chiara, oltre che la più controversa: all’inizio l'immaginazione sorge (“rose”) dalle profondità della mente come una nebbia di cui l’io non riconosce l’origine (‘unfathered”) e che lo avvolge, causandogli un momentaneo disorien-
tamento. Più tardi, cresciuto e più consapevole, l’io poetico si riappropria dell’elemento che ne aveva causato lo smarrimento, rintrac-
!© “It may be said that we ought to read our Contemporaries. That Wordsworth & c. should have their due from us. But for the sake of a few fine imaginative or domestic passages, are we to be bullied into a certain Philosophy engendered in the whims of an Egotist — Every man has his own speculations, but every man does not brood and peacock over them till he makes a false coinage and deceives himself — Many a man can travel to the very bourne of Heaven, and yet want confidence to put down his half-seeing. Sancho will invent a Journey heavenward as well as any body”, John Keats, “Letter to J. H. Reynolds”, 3 February 1818, in John Keats. A Critical Edition of the Major Works, ed. Elizabeth Cook, Oxford, Oxford
University Press, 1990, p. 376.
!? W. Wordsworth, The Prelude VI, in op. cit., p. 217, vv. 592-9. Corsivo mio.
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ciandone per così dire la paternità, e riconoscendolo come parte di sé: “But to my conscious soul I now can say/I recognise thy glory””!5, Nelle Lyrical Ballads (ad eccezione di “Tintern Abbey”, la qua-
le però rappresenta un caso isolato), invece, la modalità discorsiva strutturata intorno a un movimento dialettico di tesi, antitesi e sin-
tesi è pressoché sconosciuta, anche laddove il racconto non è drammatizzato, ma scaturisce dalla voce e dal punto di vista di un narratore unico: The owls have hardly sung their last, While our four travellers homeward wend; The owls have hooted all night long, And with the owls began my song, And with the owls must end!°.
Al contrario di ciò che fa nel Prelude, Wordsworth mostra qui l’impossibilità della sintesi dialettica e dello sviluppo organico. La vicenda del ragazzo idiota che, anziché andare in città a chiamare
un dottore per soccorrere una vicina malata, si perde nel bosco ad ammirare la luna, si rivela un racconto senza morale finale, privo di un senso compiuto e delle possibilità di uno sviluppo ulteriore, perché i tre elementi della scena non sono collocati in opposizione funzionale, ma semplicemente accostati. La logica che prevale non è quella della causa-effetto, ma quella del parallelismo e della simultaneità. Né il verso dei gufi, che scandisce le varie sequenze del racconto, né il “song” del narratore, riescono a tirare le fila della sto-
ria: se l’uno era iniziato insieme all’altro, nel momento in cui il primo si esaurisce, anche il secondo deve terminare. Contrariamente
al modello organicistico, che si fonda su un movimento che include
18 I] dibattito critico contemporaneo intorno alla nozione wordsworthiana di imagination muove dalla triade dialettica di natura, coscienza e immaginazione che costituisce il cuore dell’argomentazione critica dello studio di Geoffrey Hartman, Wordsworth's Poetry 1 797-1814, Cambridge (Mass.) and London, Harvard University Press, 1964, 1987.
i? W. Wordsworth, “The Idiot Boy”, in W. Wordsworth and S. T. Coleridge, Lyrical Ballads, R. L. Brett and A. R. Jones, eds., London and New York, Methuen, 1984, p. 101, vv. 442-6. D'ora in poi ogni citazione dalle Lyrical Ballads va intesa da questa edizione.
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il conflitto per poi superarlo con uno spostamento in avanti, il modello binario espresso nelle Lyrical Ballads, è fondato su quello che William Hazlitt definì “a principle of equality [striving] to reduce all things to the same standard’?°. Come
si vedrà in seguito, anzi-
ché promuovere l’azione e il movimento, tale “principio di eguaglianza” determina bruschi arresti, lunghe stagnazioni, complicati avvitamenti tautologici. Ovviamente, il discorso dovrebbe essere molto
più lungo e complesso; ma quanto è stato detto forse è sufficiente a chiarire che il genere di unità che lega le due principali edizioni delle Lyrical Ballads è diverso da quello che tiene assieme le diverse tessiture del Prelude. D'altra parte è noto come il primo a porsi il problema dell’unità delle Lyrical Ballads sia stato proprio Joseph Cottle, che non cessò mai di esprimere le proprie preoccupazioni per la poca omogeneità della raccolta, e che tentò in ogni modo di convincere Wordsworth
a pubblicare le sue poesie senza la collaborazione di Coleridge. Per calmare le ansie dell’editore, quest’ultimo gli fornì una descrizione che costituisce forse la più antica definizione critica delle Lyrical Ballads, che getta una luce interessante sulla filosofia della composizione coleridgiana. In una lettera del 1798, Coleridge promise a Cottle che il volume sarebbe stato “one work, in kind tho’ not in degree, as an Ode is one work”?!. L’analogia con l’ode e la differenziazione tra “kind”, genere o natura, e “degree”, grado, indicano che Coleridge pensava alle Lyrical! Ballads, prima che esse venissero pubblicate, come a un testo molto più omogeneo e organico, e assai meno composito, di come invece risultò alla prima apparizione, dopo la quale, come abbiamo visto, il suo ruolo nel testo venne
fortemente attenuato, con il suo stesso beneplacito. Non è certo casuale che la distinzione tra “kind” e “degree” sia uno di quei principi seminali su cui si fonda la Biographia Literaria che, oltre a co-
°° William Hazlitt, “Mr. Wordsworth”, in The Spirit of the Age; or, Contemporary Portraits,
London, G. Richards, 1904, p. 233.
;
°! Collected Letters of Samuel Taylor Coleridge, op. cit., pp. 411-2.
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stituire il più compiuto tentativo di sistematizzazione del pensiero coleridgiano, rappresenta anche il primo, e forse a tutt'oggi più importante, testo critico prodotto sulle Lyrica! Ballads. Nel quarto capitolo della Biographia Literaria si legge: But it was Mr Wordsworth”s purpose to consider the influences of fancy and imagination as they are manifested in poetry, and from the different effects to conclude their diversity in kind; while it is
my object to investigate the seminal principle and then from the kind
to deduce the degree??.
Coleridge si riferisce alle diverse finalità, e dunque alle diverse conclusioni a cui erano giunti lui e Wordsworth nel distinguere le modalità di azione della “fancy” e dell’“imagination”, così come vengono analizzate nella Preface del 1800 e nella Biographia Literaria, pubblicata nel 1817. Se all’osservazione empirica di Wordsworth i differenti effetti prodotti da queste due facoltà bastavano a sostenerne la diversa natura, per Coleridge la questione andava affrontata sul piano teorico del ‘“seminal principle”, il cui rinvenimento avrebbe dimostrato che la differenza si attestava non tanto sull’ordine del genere, e dunque della discretezza, quanto su quello del grado, e dunque della continuità. Nel tredicesimo capitolo della Biographia Literaria Coleridge distinguerà “imagination” e “fancy” sulla base dei materiali che le due facoltà sono preposte a elaborare, e delle loro differenti modalità operative. “Fixities and definites”, verranno assegnati alla fantasia, definita come “a mode of memory emancipated from the order of time and space”; “dissoluzione”,
“diffusione”, “dissipazione” allo scopo della “ri-
creazione”, verranno descritti come
i processi messi in opera
22 S. T. Coleridge, Biographia Literaria; or Biographical Sketches of my Literary Life
and Opinions, IV, in Samuel Taylor Coleridge, ed. H. J. Jackson, Oxford, Oxford University Press, 1985, p. 205. D’ora in poi ogni citazione dalla Biographia Literaria va intesa da questa edizione.
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dall’immaginazione”?. Ciò, ovviamente, complica la questione, perché mette in evidenza che, sebbene Coleridge aspirasse a una visione dialettica e organicistica dei processi psicologici e creativi, di matrice spinoziana e idealistica, agiva in lui anche una sorta di principio di differenziazione e di frammentazione, che gli rivelava lo scarto irriducibile tra le facoltà umane e le loro modalità operative. L’ambiguità inscritta nel testo di Coleridge non è né inconsapevole, né casuale, ma si colloca all’interno di una tradizione di pensiero inaugurata da Kant, il quale ha sempre mantenuto un certo grado di indeterminatezza nel trattare dell’immaginazione, rappresentandola a volte come una facoltà autonoma rispetto al giudizio e alla ragione, altre volte come una facoltà gregaria, al servizio delle altre. Il fatto che a circa vent'anni di distanza Coleridge cominci l’analisi delle Lyrical Ballads ripartendo proprio da quella stessa. distinzione tra “kind” e “degree”, utilizzata originariamente per dar conto della qualità sincretica e polifonica della raccolta, è significativo anche rispetto ai motivi del suo dissenso da Wordsworth. Per quest’ultimo, a giudicare da quanto è scritto nella Preface, l’unità delle Lyrical Ballads più che essere un problema di organizzazione testuale e di resa formale, rappresentava una sorta di questione morale, una sfida teorica e astratta di cui il linguaggio poetico doveva farsi carico. Contrariamente a Coleridge, che sul piano della speculazione astratta e della conoscenza filosofica era al passo con i tempi, Wordsworth partiva da un assunto di derivazione empirista e settecentesca, secondo cui esiste una natura umana che risponde ad alcune “leggi primarie”, soprattutto per quanto riguarda “la
© Coleridge distingue tra due gradi dell’immaginazione: “The imagination then I consider either as primary, or secondary. The primary imagination I hold to be the living power and prime agent of all human perception, and as a repetition of the finite mind of the eternal act of creation in the infinite IAM. The secondary I consider as an echo of the former, coexisting
with the conscious will, yet still as identical with the primary in the kind of its agency, and
differing only in degree, and in the mode of its operation. It dissolves, diffuses, dissipates, in
order to re-create; or where this process is rendered impossible, yet still at all events it struggles to idealize and to unify. It is essentially vital, even as all objects (as objects) are essentially fixed and dead”, Biographia Literaria, XI, p. 313.
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maniera in cui noi tutti associamo le idee in uno stato di eccitazione” (Preface, p. 122). Per Wordsworth, una poetica che eleggesse a propri oggetti principali quei processi universali di associazione secondo cui opera la mente umana, avrebbe implicato necessariamente un certo livello di unità e di coerenza. A ulteriore conferma di quanto intricata e sfuggente sia ancora la questione della collaborazione tra i due poeti, va sottolineato che Coleridge non avallò mai l’interesse
specifico di Wordsworth per la psicologia, così come Wordsworth non confermò mai lo sdoppiamento della prospettiva delle Lyrical Ballads in una realistica e quotidiana, e un’altra soprannaturale, che
nel quattordicesimo capitolo della Biographia Literaria Coleridge afferma essere stato il principio secondo cui i due poeti si erano divisi
i compiti nella stesura delle Ba/lare?*. In effetti, non sono pochi i critici che hanno interpretato le Lyrica/ Ballads più come il frutto di un conflitto radicale tra Wordsworth e Coleridge che non come quello di una profonda intesa. A suffragare tali letture c’è il dato biografico della loro separazione, che cominciò a prendere corpo nel 1803 e divenne definitiva nel 1810, e naturalmente l’intero palinsesto
della Biographia Literaria, il cui tema centrale consiste in un autentico atto di dissociazione dallo stile e dalla poetica wordsworthiani. Nel ventiduesimo capitolo, Coleridge scrive: Such descriptions too often occasion in the mind of the reader,
who is determined to understand his author, a feeling of labour, not very dissimilar to that, with which he would construct a diagram, line by line, for a long geometrical composition. It seems to be like taking the pieces of a dissected map out of its box. We first look at one part, and then at another, then join and dovetail them; and when
24 “The thought suggested itself (to which of us I do not recollect) that a series of poems might be composed of two sorts. In the one, the incidents and agents were to be, in part at least, supernatural; and the excellence aimed at was to consist in the interesting of the affections by the dramatic truth of such emotions, as would naturally accompany such situations, supposing them real. [...] For the second class, subjects were to be chosen from ordinary life, the characters and incidents were to be such, as will be found in every village and its vicinity, where there is a meditative and feeling mind to seek after them, or to notice them, when they
present themselves”, S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XIV, p. 314.
Si
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the successive acts of attention have been completed, there is a
retrogressive effort of mind to behold it as a whole (Biographia Literaria, XXII, p. 392. Corsivo mio).
Il passo si riferisce ad alcune descrizioni di “local imagery” che si trovano in The Excursion, ma l’accusa che Coleridge rivolge al linguaggio di Wordsworth è sempre la stessa, e cioè quella di frammentarietà e disorganicità. Spesso Wordsworth non andrebbe incontro al lettore, ma anzi lo costringerebbe a sforzarsi, a faticare
quasi fisicamente (“labour” qui possiede le connotazioni del travaglio) per ricomporre una mappa vecchia e ridotta a brandelli, di cui soltanto dopo un ulteriore sforzo retroattivo la sua mente sarebbe in grado di percepire un disegno unitario. Coleridge non amava questa modalità rappresentativa, non perché implicasse un livello di frammentarietà, ma perché a suo avviso essa non era in grado di ricomporre (“re-create’’) tale frammentarietà in una sintesi organica. Egli preferiva un linguaggio in cui il frammento e la disorganicità riuscissero a essere portati a un tale grado di densità da non lasciare al
lettore alcuno spazio per compiere manovre retroattive all’interno del testo. Si pensi, ad esempio, a “Kubla Khan” e all’autentica escalation
di immagini, metafore e tensione emotiva e semantica espressa in essa, tale da scoraggiare nel lettore ogni tentativo di ricostruzione a posteriori del senso, ma da indurlo, al contrario, e aprioristicamente, a quella
“volontaria sospensione dell’incredulità per il momento, che costituisce la fede poetica”. Secondo Coleridge, uno dei modi attraverso cui nelle Lyrical Ballads l'assenza di unità e di organicità verrebbe addirittura elevata a categoria estetica è: an undue predilection for the dramatic form in certain poems, from which one or other of two evils result. Either the thoughts and diction are different from that of the poet, and then there arises an incongruity of style; or they are the same and indistinguishable, and then it presents
a species of ventriloquism, where two are represented as talking, while in truth one man only speaks (Biographia Literaria, XXII, D99%).
5 Ibidem.
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E significativo che Coleridge definisca “evils” proprio quegli aspetti della forma drammatizzata — “incongruenza stilistica”, cioè mescolanza di toni e registri, e “ventriloquio”, cioè confusione delle voci — che formano la struttura portante di intere poesie, come “We Are Seven”, “The Thorn”, oppure “The Brothers” e che, anche laddove vengano soltanto accennati nelle Ballate, consentono a Wordsworth di ottenere gli effetti poetici migliori. È chiaro che per Coleridge il problema di questo tipo di linguaggio è la commistione dei ruoli tra il poeta e i personaggi, nonché l’indistinguibilità tra i soggetti e gli oggetti della rappresentazione che tale commistione produce. Il poeta che “parla per bocca dei suoi personaggi”, descritto da Wordsworth nella Preface, non convince affatto Coleridge il quale, al contrario, aspirerebbe a degli interventi che correggano questa “indebita propensione” verso la forma drammatica. Uno di questi aggiustamenti di tiro, ad esempio, avrebbe dovuto essere applicato a “The Thorn”, che a suo avviso sarebbe risultata assai più chiara
ed efficace se Wordsworth l’avesse fatta precedere da un “introductory poem, in which he should have portrayed the character of a person from whom the words of the poem are supposed to
proceed””°°. Così come viene posto nella Biographia Literaria, il contrasto tra Coleridge e Wordsworth riguarda una diversa prospettiva di avvicinamento all’oggetto poetico, quella “low and rustic life” sulla rappresentazione della quale, almeno inizialmente, i due poeti sembrano essere stati d'accordo. Ma laddove Coleridge sottolinea la necessità di far sentire le storie raccontate come emanazioni di una voce narrante distinta e in un certo senso privilegiata rispetto a quelle dei personaggi, Wordsworth, fedele alla matrice popolare, orale e collettiva della ballata, è più incline a mantenere un certo grado di anarchia e di frammentarietà nella partitura delle diverse voci. Se Wordsworth fosse intervenuto sui testi delle Lyrica/ Ballads nel modo auspicato da Coleridge, cioè nella direzione di ridurre il
26 S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XVII, p. 339.
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carattere sistematico della drammatizzazione (come poi, ma in minima parte, ha fatto nella seconda edizione), incrementandone il
grado di uniformità e di organicità, le Lyrical Ballads sarebbero risultate soltanto l’anticamera del Prelude, e non l’opera originale che invece sono. D'altro canto, Coleridge non sbagliava nel porre
l’accento sulla preminenza della voce narrante, poiché è innegabile che, accanto allo sperimentalismo sui toni più popolari e colloquiali, nelle Lyrical Ballads esiste anche una grossa ricerca sulle modalità liriche che la poesia è in grado di esprimere. In verità uno dei fattori del successo e della persistenza di quest'opera nel canone occidentale risiede proprio nel suo ibridismo, nella capacità di tenere insieme tonalità e generi poetici diversi. Come il titolo stesso indica, la varietà dei toni e degli schemi metrici e ritmici delle Lyrical Ballads può essere sintetizzata in uno schema binario, vale a dire in due modalità narrative di base: la ballata e il
componimento lirico. Di vere e proprie ballate, a parte la “Rime” di Coleridge, ce ne sono solo tre: ‘“Goody Blake and Harry Gill”, “The Idiot Boy” e “The Thorn”, mentre la maggior parte delle poesie che, per estensione di senso, può comparire in questa categoria è scritta nei metri più vari e presenta una struttura drammatica, oppure narrativo-aneddotica, che possiede molti degli elementi di concretezza e contestualità caratteristici della poesia che affonda le proprie radici nelle culture popolari a trasmissione orale. Il componimento lirico, invece, presenta un titolo in genere lungo, che esplicita il luogo della composizione e inizia con la parola “Lines”, o “Inscription”, ha un tono più meditativo e non racconta storie, ma descrive paesaggi naturali ed emozioni. L'aspetto interessante di questo modello binario risiede nel fatto che mentre Wordsworth,
Coleridge e i loro contemporanei sembrano aver considerato innovativa rispetto alle contemporanee convenzioni letterarie più la modalità della ballata che non quella del componimento lirico, per la critica moderna, in special modo da un certo punto in poi, è accaduto l’esatto contrario. È un dato di fatto che Wordsworth e Coleridge non furono i primi a riscoprire un certo interesse per la forma della ballata, e che vennero profondamente influenzati dalle 34
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traduzioni inglesi delle ballate di Biirger, e dalla vera e propria moda letteraria inaugurata dalle Reliques of Ancient English Poetry di Thomas Percy. Quest'ultima opera, in particolare, aveva letteralmente entusiasmato
Wordsworth,
poiché univa la vivacità dei temi
cavallereschi alla semplicità e alla godibilità del registro poetico”. Ciononostante, chiunque legga una ballata di Percy accanto a una di Wordsworth si accorge che la somiglianza rimane a un livello molto superficiale e che il linguaggio delle Lyrica! Ballads è infinitamente più complesso e innovativo di quello delle Reliques. L'elemento di discrimine tra le Ballate di Wordsworth e in generale tutte le ballate che riempivano le pagine delle riviste letterarie dell’epoca, per lo meno nelle intenzioni del loro autore, avrebbe
dovuto emergere molto chiaramente dal progetto antropologico che le Lyrical Ballads intendevano realizzare, grazie a una forte focalizzazione sulla psicologia della creazione e della ricezione: “The majority of the following poems are to be considered as experiments. They were written chiefly with a view to ascertain how far the language of conversation in the middle and lower classes of society is adapted to the purposes of the poetic pleasure” (Advertisement, p. 116). Come appare già dall’ Advertisement del 1798, Wordsworth aveva in mente tutt'altro che l’imitazione pedissequa di qualche modello in voga. Ciò che lo interessava era la possibilità di utilizzare generi e convenzioni letterarie entrati nel patrimonio comune per filtrare un linguaggio nuovo e in contrasto, per lo meno in parte, con tali convenzioni:
27 “Next in importance to the ‘Season’ of Thomson, though at considerable distance from that work in order of time, come the ‘Reliques of Ancient English Poetry’; collected, newmodelled, and in many instances (if such a contradiction in terms may be used) composed by the Editor, Dr. Percy. This work did not steal silently into the world, as is evident from the
number of legendary tales, that appeared not long after its publication; and had been modelled, as the authors persuaded themselves, after the old Ballad. The Compilation was however ill suited to the then existing taste of city society; and Dr. Johnson, ‘mid the little senate to which he gave laws, was not sparing in his exertions to make it an object of contempt. [...] I mention this remarkable fact with regret, esteeming the genius of Dr. Percy in this kind of writing superior to that of any other man by whom in modem times it has been cultivated”, W. Wordsworth, Essay Supplementary to the Preface, in Poetical Works, ed. Thomas Hutchinson, Oxford and New York, Oxford University Press, 1904, 1989, p. 748...
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Readers accustomed to the gaudiness and the inane phraseology of many modern writers, if they persist in reading this book to its conclusion, will perhaps frequently have to struggle with feelings of strangeness and aukwardness: they will look round for poetry, and will be induced to enquire by what species of courtesy these attempts can be permitted to assume that title (Advertisement, p. 116). Contrariamente alla Preface, che ha un tono fortemente didascali-
co e che si propone finalità divulgative e promozionali, 1’Advertisement possiede un tono più difensivo e autogiustificatorio, volto a mettere in guardia il lettore rispetto all’insieme di aspettative che la frequentazione con la poesia scritta ancora alla maniera settecentesca aveva generato, e che il linguaggio delle Lyrica! Ballads era destinato a deludere. D'altra parte, Wordsworth e Coleridge non erano gli unici a credere nella presenza di un livello profondamente originale e rivoluzionario, nel linguaggio delle Ballate. Tutti i recensori, dai più aspri denigratori ai più accesi difensori di quest'opera, concordano sull’assoluta novità di alcuni dei motivi e dei toni wordsworthiani, pur pronunciando giudizi molto contrastanti?*. Tra tutti, Hazlitt è il critico che esprime forse la visione più corretta ed equilibrata della sua poesia nella misura in cui, pur sottolineandone l’originalità, non manca allo stesso tempo di cogliere un profondo legame tra questa poesia e ciò ch’egli definisce “the spirit of the age”: It [Wordsworth®s poetry] is one of the innovations of the time.
It partakes of, and is carried along with, the revolutionary movement of our age: the political changes of the day were the model on which he formed and conducted his poetical experiments. [...] His popular, inartificial style gets rid (at a blow) of all the trappings of verse, of all the high places of poetry. [...] AIl the traditions of learning, all the superstitions of age, are obliterated and effaced. We begin de novo, on a tabula rasa of poetry?.
°* Cfr. Romantic Bards and British Reviewers, ed. Hayden John, Lincoln, University of Nebraska Press, 1971. °° W. Hazlitt, op. cit., pp. 233-4.
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Hazlitt non percepisce alcuna incompatibilità tra il riconoscere nel linguaggio delle Lyrica! Ballads una profonda consonanza e continuità con il clima politico e culturale dell’epoca, e l’identificarne allo stesso tempo un tratto di assoluta originalità. La sua posizione critica sembra poggiare su un solido storicismo che produce una visione analogica tra i processi storici e quelli creativi. Poiché nasceva in un momento di trasformazioni radicali della società e del pensiero, la poesia di Wordsworth avrebbe riflesso automaticamente
tale radicalismo nella propria profonda innovatività stilistica e
tematica.
4. Il dibattito su tradizione, innovazione
e memoria
La posizione di Hazlitt è interessante per almeno due motivi: in primo luogo, perché si è imposta lungo tutto l’ Ottocento, resistendo più o meno invariata fino a metà degli anni Cinquanta di questo secolo; in secondo luogo, perché nel momento in cui è stata smentita e in un certo senso ribaltata, essa ha continuato a essere un’im-
portante cartina di tornasole rispetto alle posizioni critiche sulla questione dell’originalità delle Lyrical! Ballads. Il primo studioso che mise in crisi l’idea dell’originalità delle Ballate fu Robert Mayo il quale, nel 1954, pubblicò un articolo intitolato “The Contemporaneity of the Lyrica! Ballads” che, in aperto contrasto con gli eredi
30 In ambito italiano, pur partendo da premesse completamente diverse, e pur inserendo gli studi sul Romanticismo inglese in una prospettiva di impianto strutturalista, Marcello Pagnini riconosce a pieno titolo la legittimità della posizione di Hazlitt. A proposito della Preface alle Lyrical Ballads, in cui ravvisa l’energia rigeneratrice di un’estetica nuova, Pagnini scrive: “Orbene, in questo manifesto letterario non è difficile riconoscere il trasferimento alla sfera della lingua del modello della rivoluzione politico-sociale, appena avvenuta in Francia. La rivoluzione stilistica di Wordsworth può insomma vedersi come una rivoluzione ‘sanculotta’ nell’ambito dei segni linguistici in uso nella lingua poetica. I segni divengono omologie delle classi sociali in lotta, e assumono i valori delle ideologie dei philosophes”, “Sistemi culturologici e strutture letterarie”, in Semiosi. Teoria ed ermeneutica del testo letterario, Bologna, Il Mulino,
1988, p. 67. Sull’interpretazione hazlittiana di Wordsworth cfr. James
Heffernan, ‘Wordsworth’s ‘Leveling’ Muse in 1798”, in
1798 The Year of the Lyrical Ballads,
ed. Richard Cronin, London, Macmillan, New York, St. Martin’s, 1998.
SI
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di Hazlitt, affermava la continuità e la marcata somiglianza tra le ballate di Wordsworth e Coleridge e tutte le ballate pubblicate nelle riviste letterarie contemporanee?'. Questo ribaltamento di prospettiva era frutto di un accurato lavoro di ricerca storica e filologica sui testi pubblicati nello stesso periodo in cui venivano composte le Lyrical Ballads ed esigeva il marchio di attendibilità. Ovviamente, l'articolo di Mayo scatenò una vera e propria rivoluzione copernicana nell’interpretazione dell’impianto delle Ballate, alla quale non tutti i critici si uniformarono. Esso però ebbe il grande pregio di riaprire il dibattito su quest'opera che, essendo stata ormai da tempo consacrata a manifesto del Romanticismo inglese, come spesso accade in
questi casi, aveva perso molta della sua centralità nello studio del canone wordsworthiano. Non solo. L'approccio filologico e, in un certo senso, neostoricista ante litteram di questo studio avviò un lungo filone di ricerca che abbandonava la prospettiva unicamente diacronica per integrarla con uno sguardo sincronico, dal quale far emergere quei tratti di continuità con il contesto, senza per questo ridurne il valore artistico e senza omologarle tout court ai linguaggi espressivi contemporanei. Il problema che questo articolo, con tutta la sua risonanza, ha suscitato rispetto alle interpretazioni dell’opera di Wordsworth nel suo complesso è costituito dalla soluzione offerta da Mayo per armonizzare le due diverse prospettive. Dal momento che la forte accentuazione sulla convenzionalità delle Ballate finiva col minare la percezione fin lì largamente condivisa della loro freschezza e originalità, Mayo, e tutti coloro che ne hanno abbracciato la prospettiva critica, si sono trovati nella necessità di identificare un elemento
è! “Considered strictly in terms of subjects and sentiments, most of the poems in the 1798 edition, it is clear, would not seem anomalous or outlandish to contemporary readers. It is precisely in the direction of ‘nature’, ‘simplicity’, and sentimental humanitarianism that a minority of popular contemporary poets had already moved. And, in general, it may be asserted that what is true of the contents of the Lyrical Ballads, is true also of the forms. Except for the language and style of a few poems, supported by the theory of diction advanced in the Advertisement, and a few limited experiments with meter, the manner of the volume cannot be regarded as extraordinary (disregarding, of course, all considerations of merit)”, Robert Mayo, “The Contemporaneity of the Lyrical Ballads”, PMLA, n. 69, 1954, p. 506.
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del linguaggio delle Lyrical! Ballads che fosse in grado di riequilibrare la bilancia scesa troppo a loro sfavore. Tale elemento è stato identificato in quello che oramai è entrato nel gergo critico come “lyric turn”, ovverosia quell’intuizione geniale che avrebbe condotto Wordsworth ad affiancare a testi convenzionali che presentano temi e linguaggi a sfondo sociale poesie più originali, perché costruite secondo stilemi e motivi più lirici e autobiografici. In pratica, il modello binario cui è già stato accennato, in cui le ballate e i testi narrativi e aneddotici si alternano a poesie più descrittive e meditative, rappresenterebbe da questo punto di vista una sorta di necessità riscattatoria di una parte delle Lyrica! Ballads, di cui gli stessi autori avrebbero percepito l’eccessiva convenzionalità e dunque il contrasto con le intenzioni sperimentaliste dichiarate sin dall’edizione del 1798°. Com'era prevedibile, il componimento cui viene generalmente attribuita la funzione redentrice per eccellenza è “Tintern Abbey”, poesia divenuta oramai l'emblema delle Ba/late, nella quale Wordsworth rielabora il linguaggio locodescrittivo ereditato dalla poetic diction settecentesca, aprendo la strada ad applicazioni completamente nuove di questo genere letterario. Questa interpretazione è avvalorata dalla posizione preminente che “Tintern Abbey” occupa nell’edizione del 1798: comparendo in chiusura di volume, essa sembra essere posta a sigillo di tutta l’opera, di cui è ipotizzabile che intenda costituire una sintesi e in un certo senso,
®° Scrive Clifford Siskin al riguardo: “Responding to claims that Lyrical Ballads was totally new, Mayo found in the magazine of the time ample evidence of ballads at least somewhat similar in both form and content. For some critics that was sufficient proof of continuity and unoriginality of the volume. But for others, Mayo included, this discovery only complicated the question of difference. To their rescue came the lyric turn. In his conclusion, Mayo”s terms switch from the generic and historical to the natural and transcendent. Quoting extensively form Coleridge, he assumes the position of cultural critic to distinguish hierarchically two kinds of reading. In the ‘casual’, Lyrical Ballads ‘would tend to merge with familiar features of the literary landscape”. The ‘careful’ reading, however, ‘would give suddenly a tremendous impression of clarity, freshness, and depth’. This more ‘critical’ look reveals, of course, Wordsworth®s
‘true genius’, which
operates
in another
‘dimension’
than historical
‘combinations’ of ‘fixities and definites.’ To think it did operate there ‘would be to confound the superior powers of imagination with the inferior powers of the fancy””, The Historicity of
Romantic Discourse, Oxford and New York, Oxford University Press, 1988, p. 19.
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vista la complessità del tema e del tessuto narrativo, anche un ulteriore sviluppo”. La critica moderna, dalla pubblicazione dell’articolo di Mayo in poi, ha utilizzato questa lettura del modello binario in senso un po’ riduttivo, per fondare su di esso un’interpretazione fortemente selettiva e teleologica dell’opera wordsworthiana. È da questa analisi, infatti, che prendono vigore le due idee guida che hanno orientato il dibattito critico moderno su Wordsworth. La prima, espressa per la prima volta da Matthew Arnold, è quella dell’esistenza di una Great Decade nella sua produzione, che si aprirebbe proprio con “Tintern Abbey”, andando a coprire approssimativamente 1 dieci anni successivi, dopo i quali, però, la creatività di Wordsworth avrebbe subito un forte declino. La seconda, su cui mi sembra più interessante riflettere, poiché non implica scomodi giudizi di valore, è quella organicistica, per cui la poesia di Wordsworth si sarebbe sviluppata nel tempo secondo un modello evolutivo che parte dal realismo e dal mimetismo della prima fase — nella quale vengono solitamente inclusi An Evening Walk, Descriptive Sketches, The Vale of Esthwaite, Peter Bell, e naturalmente parte delle Lyrica! Ballads —
per arrivare all’espressività e all’autoriflessività del Prelude, considerato la punta più alta della sua ricerca poetica. La questione si complica ulteriormente e acquisisce un aspetto paradossale, se si considera che l’articolo di Mayo nasce in forte polemica con le tesi esposte appena un anno prima da M. H. Abrams in The Mirror and The Lamp. Semplificandone un po’ i termini, si può dire che lo studio di Abrams — che rappresenta a tutt'oggi un caposaldo negli studi romantici e nei curricula accademici italiani — si fonda su una prospettiva evolutiva dell’estetica romantica, per
cui il principio dell’espressività, che ne costituisce il fondamento, supera (in senso dialettico) quello dell’imitazione, che governa le
a Per una lettura della poesia che argomenta l’approccio storicistico sullo sfondo delle posizioni espresse dai critici di Yale, cfr. Marjorie Levinson, “Tintern Abbey”, in Wordsworth's Great Period Poems, Cambridge, Cambridge University Press, 1986.
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poetiche del Settecento. Tale superamento conduce a un innalzamento del grado di complessità e di riflessività del linguaggio espressivo romantico, il cui corollario implicito è una dichiarazione di superiorità di quest’ultimo rispetto al linguaggio mimetico della poesia settecentesca. Si comprende ora meglio il senso dell’operazione di Mayo: tentare un’integrazione tra uno sguardo focalizzato sulla originalità delle Lyrical Ballads nella loro doppia modalità rappresentativa rispetto a ciò che le precede, e uno sguardo che di quella modalità rappresentativa identifica una rete di relazioni con ciò che la circonda, una mappa geografica che si estende a tutto raggio e dunque non solo nel passato e nel futuro, ma nella simultaneità del presente. La “svolta lirica” che le Lyrical Ballads annunciano, e alla quale Mayo e la critica a lui successiva attribuiscono tanta rilevanza nella questione dell’originalità, costituisce quindi anche il punto di incontro e, per così dire, di compromesso proprio con la tesi organicista da cui il critico vuole prendere le distanze. Che cos’è il “lyric turn”,
rappresentato dalla narrazione retrospettiva e autobiografica di “Tintern Abbey”, se non la direzione, il telos verso cui, nell’analisi
di M. H. Abrams, e poi in quella di Geoffrey Hartman, di Harold Bloom, e in generale di tutta la Yale School, si svilupperebbe, in senso evolutivo, il linguaggio espressivo di Wordsworth che culmina nel racconto della “crescita di una mente poetica”? E in cosa, allora,
l’approccio storicistico, così come viene esemplificato dalla lettura proposta da Mayo, si distingue da quello filosofico e decostruzionista dei critici di Yale? Il primo passo per uscire da questa impasse critica è stato quello di abbandonare la convinzione che per interpretare la letteratura romantica non si possano che utilizzare i suoi stessi paradigmi critici e teorici. Una delle più pervasive di tali categorie, ad esempio, è l’analogia poesia-processo, che è un altro modo di concettualizzare il modello organicistico. Secondo i critici neostoricisti, tale analo-
gia perde di cogenza e perciò di utilità nel momento in cui, una volta assorbita dal linguaggio critico direttamente dalla sua matrice romantica, viene poi applicata in modo indiscriminato a una serie di 0g41
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getti totalmente eterogenei*. Più che mettere in discussione l’efficacia dell’analogia tra poesia e processo nella letteratura romantica, i critici di orientamento neostoricista, come Marylin Butler, Jerome McGann, Marjorie Levinson, Alan Liu, puntano a distinguerne due diverse modalità d’uso: una storica, o storicistica, che la
reinserisce nel suo contesto d’origine e nelle sue implicazioni letterarie e ideologiche; un’altra filosofica e metafisica, che ne fa un
metodo critico universale e applicabile ad ampio raggio. Se si considera che l'analogia poetry-process, nonché il modello organicista che a essa soggiace derivano il loro valore paradigmatico direttamente dalla struttura del Prelude, oltre che, naturalmente, dalla Bio-
graphia Literaria, l'invito a operare questa distinzione diventa particolarmente rilevante, nel momento in cui si affronta il discorso di
quale sia l'impronta che le Lyrica! Ballads hanno lasciato nella successiva produzione di Wordsworth, nella cultura romantica inglese
e, infine, nella critica letteraria. Dal momento in cui il linguaggio di Wordsworth ha imboccato la via dell’autobiografia e dell’evocazione dei processi mentali di crescita e di acquisizione dell’autocoscienza, divenendo il modello dominante ed emblematico della cultura romantica inglese, tutto ciò che lo ha preceduto nella produzione wordsworthiana è stato filtrato attraverso quel modello. E, sia a causa della tematizzazione dei processi associazionisti che esse operano, sia in virtù della loro contiguità cronologica con la stesura del Two-Part Prelude, le Lyrical Ballads sono l’opera che più di tutte ha offerto alla critica spazi di riscontro rispetto al modello evolutivo della coscienza che il Prelude ha poi elaborato in forma matura. Ciò spiega la preminenza accordata al filone lirico e in particolare a
3 “We are, for example, accustomed nowadays to hear Romantic literature characterised as a “poetry of process” and to accept this sort of formulation without serious demur. But when we recall that the same term has been applied to the work of Pound and Charles Olson, and that a process model has been equally employed to explain Chaucer, Spenser, Milton, and Marvell, and to distinguish Medieval form Renaissance poetic methods, we recognise
the poverty of such a concept when it is used to define some special quality in Romantic literature”, Jerome J. MeGann, The Romantic Ideology. A Critical Investigation, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1983, p. 18.
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“Tintern Abbey”. Il risultato di questo approccio finalistico e organicistico, però, è stato quello di ridurre le Lyrical Ballads e l’enorme ricchezza dei motivi che esse pongono di per sé, in piena autonomia stilistica e tematica, a un laboratorio di sperimentazione
di un linguaggio poetico il cui valore primario risiederebbe, in questa logica, solo nell’anticipazione, cioè nella sua capacità di evidenziare i germi del proprio sviluppo futuro. In questo senso, sarebbe molto importante riuscire a sottrarre le Ballate a quella sorta di “angoscia dell’influenza” che è stata loro imposta retroattivamente dal Prelude. L'operazione di spostamento dello sguardo critico non può che partire dalla riflessione sulla particolare qualità del lirismo espresso in quest'opera, che a un'analisi ravvicinata mostra una grana diversa da quella che informa il registro lirico degli altri testi wordsworthiani. Tale riflessione mette in campo interpretazioni divergenti della nozione di “lirico”. Nelle analisi dei critici di Yale lirico appare come sinonimo di espressivo e “agonistico”, e il lirismo caratteristico di tanta poesia romantica viene concettualizzato come un processo di ‘internalization of the quest” attraverso cui l’io poetico entra in una dialettica interiore tanto con la natura, quanto con le diverse e conflittuali modalità della memoria e della coscienza. Il linguaggio lirico è espressione di un “heterocosm”, istanza astratta e metastorica che segnala la frattura tra io e mondo e al medesimo tempo è preposta a sanarla, e l'estetica romantica diventa uno strenuo tentativo di armonizzare percezione e conoscenza, sensi ed emozioni, destinato a produrre ‘“unmediated
vision[s]”39. A partire dagli anni ‘80, a queste interpretazioni in termini psicologistici e intimistici si sono contrapposte letture in chiave materialistica, che hanno identificato al cuore del lirismo
35 Cfr. Harold Bloom, Agon. Towards a Theory of Revisionism, Oxford, Oxford University Press, 1982. 36 Cfr. H. Bloom, “The Internalization of Quest-Romance”, The Yale Review, vol. LVII, n. 4, Summer 1969, ora in Romanticism and Consciousness. Essays in Criticism, ed. H. Bloom,
New York, W.W. Norton and Company, 1970. Cfr. anche M. H. Abrams, op. cit. e G. Hartman, The Unmediated Vision. An Interpretation of Wordsworth, Hopkins, Rilke, and Valéry, New
Haven, Yale University Press, 1954.
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wordsworthiano un complesso sistema di strategie di demistificazione e di rimozione dei referenti storico-sociali che fanno da sfondo ai testi. Anche per questi critici il lirismo di Wordsworth scaturisce da un sovrapporsi della “immagine della mente” su quella dell’occhio, ma quello che essi, contrariamente ad Abrams, a de Man, a Hartman, tendono a negare è che nel suo linguaggio le varie istanze poetiche, quali io-natura, immaginazione-storia, individuo-società, vengano mantenute in una costante tensione oppositiva. Ciò che prevale è la sintesi organica e dunque il tacitamento di una parte di esse a vantaggio di altre. Da qui anche un’ambiguità di fondo che caratterizzerebbe
il naturalismo
wordsworthiano,
ovverosia
l'elaborazione di un concetto di natura che da un lato appare inscindibile dalla politica, dall’amministrazione
del territorio e da
una percezione dell’ambiente che non venga in qualche misura mediata dalla cultura, e dall’altro viene raffigurato come un sistema ben congegnato di rimozione della storia?”. Ad ogni modo, sia che venga inserito all’interno di una visione psicologistica del linguaggio poetico, sia che venga interpretato in chiave retorica come,
sulla scorta di de Man, è stato fatto dai
decostruzionisti, nonché dai neostoricisti illuminati, il lirismo delle Lyrical Ballads rimane irrimediabilmente intrappolato all’interno di una logica dualistica. Rispetto a tale logica il titolo della raccolta non allude all’ipotesi di un’integrazione e di un’articolazione tra istanze linguistiche e poetiche eteronome, ma tutt'al più designa una poetica di tipo addizionale. Poiché se si interpreta il lirismo come l’espressione di una coscienza individuale che utilizza il mondo esterno per negarlo e affermare se stessa, non si dà conto del tratto dia-
logico e polifonico di molte poesie contenute nelle Ballate; mentre se si sottolinea l'aspetto storico, collettivo e pluridiscorsivo, si riduce l’aggettivo “lyrical” a un elemento secondario della struttura compositiva, rischiando un grave fraintendimento culturale.
! A questo riguardo le interpretazioni più rappresentative sono quella elaborata da M. Levinson in op. cit. e quella offerta da Alan Liu in Wordsworth. The Sense of History, Stanford Stanford University Press, 1989. i
dA
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Se è innegabile che poesie quali “Tintern Abbey”, le varie “Lines”, “Strange Fits of Passion”, “’Tis said, that some have died
for love” lavorano tutte intorno alla questione dell’emergere di una voce lirica che si presenta come il veicolo di una soggettività moderna, liberale, svincolata dalla natura e consapevole di sé, è altresì vero che questa voce riesce a emergere proprio da un gesto di contrapposizione e di individuazione rispetto a voci che sono qualitativamente differenti, in quanto possiedono una diversa matrice culturale, e che poesie come “The Thorn”, ‘“Goody Blake and Harry Gill”, oppure “Michael” evocano con altrettanta vividezza. In realtà, il lirismo espresso dalle Lyrica!/ Ballads si struttura sull’articolazione di tutte queste istanze eterogenee non attraverso una dialettica chiusa — tale per cui a un certo punto la tensione tra istanze in contrasto viene risolta in una sintesi che le supera tutte — bensì grazie alla creazione di un equilibrio che ne stabilizza la tensione e ne tiene aperta la dialettica. Nelle Lyrical! Ballads la matrice arcaico-comunitaria e quella moderno-razionalistica non contrappongono ‘“‘yrical’’ a “ballads” e dunque testi a testi, ma costituiscono una dialettica onnipresente, interna a ogni singolo testo, il cui esito, però, non è la genesi di una coscienza lirica moderna, fatta rinascere dalle ceneri di una voce comunitaria fossilizzata e ridotta a mero frammento folclorico. Al contrario, la traiettoria rappresentativa ed epistemica delineata da Wordsworth nelle Ba//ate punta a raffigurare la dialettica tra visione individuale e visione collettiva come un processo attivo in continuo svolgimento, come una dinamica di scam-
bio permanente che si fonda sul riconoscimento della loro reciproca costitutività e che, paradossalmente, quanto più appare avvicinarsi alla “svolta lirica” e alla risoluzione del conflitto in termini moderni e individualistici, tanto meno riesce a cancellare le tracce della propria origine arcaica e comunitaria. Dar conto del lirismo delle Lyrica/ Ballads risulta dunque un’operazione complessa, che non può limitarsi a riconoscere alla base dell’opera l’azione di due diverse matrici culturali, sottraendo o sovrapponendo l’una all’altra a seconda del caso, ma deve porsi il problema delle modalità e delle implicazioni della loro sistematica 45
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interazione. Le Lyrical Ballads vivono proprio nello spazio che si apre a partire dallo svelamento di questa intrinseca biforcazione, biforcazione che è di natura linguistica, estetica e ideologica e che,
come recenti riletture neomarxiste del Romanticismo inglese dimostrano, non investe unicamente il linguaggio wordsworthiano, ma costituisce un'importante chiave d'accesso alla cultura romantica in senso più ampio. Interpretato attraverso questa lente, ovvero come paradigma relazionale, il lirismo delle Ballate non può più essere concepito come un tratto attribuibile esclusivamente ai componimenti dal tono meditativo e intimistico, ma acquisisce una rilevanza che
ne fa la cifra dell’intera raccolta. Non solo: riletto come una costruzione estetico-ideologica che crea una sorta di interfaccia tra la nascente soggettività moderna e la sua matrice comunitaria, il lirismo delle Lyrical Ballads si sottrae anche al peso dell’immediato accostamento con il linguaggio autobiografico, ritrovando in tal modo un grado di libertà rispetto al modello egemonico imposto successivamente dal Prelude. I tre capitoli che seguono sono dedicati all’analisi delle strategie retorico-discorsive utilizzate nell’elaborazione di questa particolare forma di lirismo e alla riflessione sulle sue implicazioni storico-ideologiche. L'ultimo capitolo legge alcune poesie tra cui “Hart-Leap Well”, “The Brothers” e soprattutto “Michael” in chiave revisionistica rispetto a “Tintern Abbey”. In effetti, è molto significativo che l’edizione del 1800 termini con una poesia come “Michael”, che da molti punti di vista rappresenta l’antitesi di “Tintern Abbey”, con cui si chiudeva l’edizione precedente. D’altra parte, c’è da conside-
rare che proprio nel periodo in cui il poeta era impegnato ad am-
î* Si vedano Anne Janowitz, Lyric and Labour in the Romantic Tradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, in cui la studiosa legge la poetica romantica come un processo culturale di modellizzazione dell’esperienza che scaturisce dall’opposizione dialettica
di “communitarianism’ e “individualism” e Sarah M. Zimmerman, Romanticism,
Lyricism
and History, Albany, State University of New York Press, 1999, che interpreta il lirismo e
mantico come il mezzo espressivo che permette il superamento della distinzione tra sfera privata e sfera pubblica e il cui “great appeal to contemporaneous readers was its capacity for submitting private reflections of an autobiographical speaker to public view”, PALE
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pliare il testo delle Lyrica/ Ballads, aveva altresì dato l’avvio al progetto del Prelude. Questa concomitanza autorizza a sdoppiare la ricerca wordsworthiana in due vene relativamente indipendenti l’una dall'altra. Da un lato, a chiusa del primo volume, “Tintern Abbey”, con la rappresentazione della memoria che da lì prosegue direttamente nel 7wo-Part Prelude. Dall'altro lato, a chiusa del secondo volume e quindi dell’intera raccolta, “Michael”, con la versione
pastorale di tale memoria, a ribadire l'autonomia e la specificità dell’operazione poetica realizzata dalle Lyrica! Ballads.
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CAPITOLO II
LA POETICA DEL NATURAL LORE 1. Fantasia e tradizione culturale
Nel 1835, all’età di 65 anni, Wordsworth pubblica ventisei componimenti dal titolo Yarrow Revisited and Other Poems, legati a cir-
costanze biografiche che il poeta esplicita nel proseguimento del titolo “Composed (two excepted) during a tour in Scotland, and on the English border, in the Autumn of 1831”. Una delle due ecce-
zioni è il sonetto XXIII, composto nel 1833 e intitolato “Fancy and Tradition”: The Lovers took within this ancient grove Their last embrace; beside those crystal springs The Hermit saw the Angel spread his wings For instant flight; the Sage in yon alcove Sate musing; on that hill the Bard would rove,
Not mute, where now the linnet only sings: Thus everywhere to truth Tradition clings, Or Fancy localises Powers we love. Were only History licensed to take note Of things gone by, her meagre monuments Would ill suffice for persons and events: There is an ampler page for man to quote, A readier book of manifold contents, Studied alike in palace and in cot.
Questo sonetto risulta un utile punto di partenza per comprendere il meccanismo posto al centro delle Lyrical Ballads, poiché tematizza quella giustapposizione di elementi lirici con elementi propri delle culture popolari, che fa delle Ballate un’opera sperimentale e
! W. Wordsworth, Poetical Works, op. cit., p. 310.
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profondamente originale nel panorama della letteranma inglese al volgere del secolo. La prima parte del sonettoè costituita da un catalogo di topoi naturali e umani che apparentemente intrattengono tra loro un rapporto di intransitività. La voce poetica illustra una serie di scorci paesaggistici che si offrono allo sguardo in forma di luoghi della tradizione, perché abitati da figure che richiamano l’intero repertorio della retorica e del mito, cristiano e nordico: dagli amanti
che consumano la loro passione per l’ultima volta (opposti a quelli perennemente virginali dell’urna greca di Keats), all’eremita di ascendenza cristiana, fino al bardo celtico, già rappresentato da Collins e da Blake come il rapsodo non soltanto dell’innocenza e della tradizione, ma anche dell’esperienza e della modernità. Simultaneamente, i deittici apposti a tali luoghi — “this ancient grove”, “those crystal springs”, “von alcove”, “that hill” — segnalano un insistere del linguaggio all’interno di una dimensione della presenza, della concretezza e della visibilità, che sembra voler allontanare, o
quantomeno attenuare, la sensazione che questi luoghi appartengano oramai all’ordine metasensibile della leggenda e del mito. Il principio che regge l'accostamento dei luoghi reali ai topoi letterari è di tipo sintagmatico: tra gli uni e gli altri non sembra frapporsi la distanza della metafora, ma la continuità della metonimia, non l’inclusività
sincretica della poesia (invocata da Coleridge), ma la fluida naturalità del linguaggio comune. La transizione da un ordine spaziale all’altro è affidata proprio alla deissi, che è in grado di raffigurare simultaneità e armonia tra la presenza del poeta nei luoghi della tradition e la presenza di quei luoghi nella sua mente, come repertorio di immagini della fancy. È su questa base che, immediatamente dopo il catalogo di luoghi naturali e figure umane, il poeta enuncia la sua tesi: “Thus everywhere to truth Tradition clings/Or Fancy localises Powers we love”. La fantasia e la tradizione vengono poste in un rapporto di analogia: se “la tradizione ovunque aderisce strettamente alla verità”, impregnandola di sé, al punto da assegnare ai luoghi un’atmosfera e una storia particolari, la fantasia opera secondo lo stesso procedimento, perché “assegna un OE alle forze che amiamo”. La tradizione “si attacca alla verità” perché assegna ai luoghi un’individuaIT)
La poetica del natural lore
lità e una memoria che si tramandano non soltanto da persona a persona, ma da comunità a comunità, da gruppi sociali ad altri (ad esempio dai vi/lagers ai turisti)?. Anche la fantasia possiede un forte potere di localizzazione e di individuazione: essa opera dall’astratto al concreto, dal trascendente all’immanente. Wordsworth non dice, come ci si potrebbe attendere da un poeta che passa per un realista, che attraverso i procedimenti della fancy i luoghi in cui ci muoviamo e che amiamo ci aprono la via a forze e poteri più grandi di noi, come ad esempio la natura o Dio. In questi versi egli capovolge questa causalità, perché afferma che, attraverso la fancy, i poteri che gli uomini amano e cui aderiscono, per così dire, originariamente, trovano una collocazione nel genius loci, nella storia o memoria dei luoghi. L’azione della fancy viene così raffigurata come la capacità di materializzare nella realtà locale una serie di universali psichici, di cui l’amore, l'attaccamento, o più semplicemente la facoltà umana di pensare il sovrasensibile, costituiscono i più importanti. Emerge chiara dai versi appena citati la valenza filosofica del verbo ‘love’ che, accanto al forte dato sentimentale, reca con sé anche
il significato più specifico di elemento connettivo di una comunità, di amalgama che mette in relazione l’individuo con gli altri individui e con la società nel suo complesso. In questi termini ne parlano, già in piena cultura illuminista, i mora! sense philosophers (Shaftesbury, Hutcheson, Hume, Smith, Burke) promotori in Inghilterra di quel processo di estetizzazione dell’etica, volto ad affermare la rilevanza sociale e politica della sensibilità e della corporeità umane, a fronte della dilagante egemonia della ragione?. Per questi filosofi, preoccupati della componente individualistica insita nel mito illuministico della razionalità, e consapevoli del rischio che tale
componente possa determinare una pericolosa svolta utilitaristica nella concezione dei rapporti umani, l’immaginazione rappresenta l’unico, e l’ultimo, possibile fondamento di un’autentica coesione
sociale. La pietà e la compassione, che essi ritengono costituiscano
2 Cfr. “The Brothers”, p. 135. 3 Cfr. Terry Eagleton, The Ideology of the Aesthetic, Oxford and Cambridge (Mass.), Blackwell, 1990.
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La metamorfosi folclorica
la base della solidarietà sociale, si fondano sulla capacità di attivare una forma di identificazione empatica tra gli esseri umani, il cui funzionamento è molto simile a quello della creazione artistica. Burke, ad esempio, istituisce un vero e proprio parallelismo tra la capacità umana di mettersi in sintonia con i sentimenti e le emozioni dei nostri simili, e quella di “trasfondere” tali sentimenti negli esseri umani attraverso il mimetismo dell’arte. Il principio che regola entrambi i processi è quello della sostituzione: se la sympathy dipende dalla capacità di calarsi nei panni altrui, e di provare stati d’animo per interposta persona, l’efficacia artistica consiste nell’indurre chi fruisce dell’opera d’arte a provare sentimenti autentici (di paura, orrore o ilarità) a fronte di un'esperienza che non è reale, ma simbolica!. Assegnare la capacità empatica degli individui allo stesso tipo di meccanismo che ne attiva quella “momentanea sospensione dell’incredulità”, che Coleridge considera la condizione necessaria della
“fede poetica”, significa far slittare la sfera dell’etica in quella dell’estetica. Già in Smith, il principio che regola il mondo è l’immaginazione, non i sensi o la razionalità: permettendo agli esseri umani di rappresentarsi le sensazioni altrui, essa ne determina tanto la sfera cognitiva, quanto quella morale ed emotiva’. Inaugurata in
4 “It is by the first of these passions [sympathy] that we enter into the concerns of others, that we are moved as they are moved, and are never suffered to be indifferent spectators of almost anything which man can do or suffer. For sympathy must be considered as a sort of substitution, by which we are put into the place of another man, and affected in many respects as he is affected [...] It is by this principle chiefly that poetry, painting, and other affecting arts, transfuse their passions from one breast to another, and are often capable of grafting a delight on wretchedness, misery, and death itself’, Edmund Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and the Beautiful, Oxford and New York, Oxford University Press, 1990, p. 41.
° “Though our brother is upon the rack, as long as we ourselves are at our ease, our sense
will never inform us of what he suffers. They never did, and never can, carry us beyond our own person, and it is by the imagination only that we can form any conception of what are his sensations. [...] By the imagination, we place ourselves in his situation, we conceive
ourselves enduring all the same torments, we enter as it were into his body, and become in
some measure the same person with him, and thence form some idea of his sensations, and even feel something which, though weaker in degree is not altogether unlike them”, Adam Smith, The Theory of Moral Sentiments, in The Glasgow Edition of the Works and Correspondence of Adam Smith, D. D. Raphael and A. L. Macfie, eds., Oxford, Clarendon PressiMl076pn9?
SI
La poetica del natural lore
Inghilterra dai filosofi contrari all’Illuminismo, questa direttrice di
pensiero si ritrova in Coleridge e soprattutto in Shelley, per il quale l’immaginazione e l’amore possono essere considerati sinonimi’. In realtà, Shelley offre una versione fortemente idealistica tanto del-
l’amore, quanto dell’immaginazione, lontana sia dal moralismo scettico dei moral sense philosophers, sia dal pragmatismo immanentista di Wordsworth. Ma l’identificazione shelleyana di questi due termini, che la cultura illuminista voleva irriducibili l’uno all’altro, non è che il risultato di un processo epistemologico — l’assimilazione dei valori etici alla sfera non conflittuale e universalizzante dell’estetica — che in Inghilterra inizia quasi un secolo prima, e che investe senz'altro anche le categorie di pensiero wordsworthiane. Considerato da questo punto di vista, allora, l’accostamento di fantasia e tradizione appare più chiaro. Esso diventa il frutto di quel grado di transitività tra la componente etica, i valori della tradizione, e quella estetica, la sintesi creativa della fantasia, che il sonetto
grammaticalizza attraverso l’enfasi sul verbo “love”. È proprio grazie all’inscrizione nel testo di questa transitività tra valori etici e valori estetici che è possibile per Wordsworth affermare che la tradizione non è altro che amore “localizzato” dalla fantasia. Nell’assegnare alla fancy il compito di collocare all’interno di luoghi definiti spazialmente e temporalmente l’amore per i poteri che ci sovrastano, ma che allo stesso tempo sono inscritti in noi ab origine, Wordsworth (il quale nel 1833 ha certamente avuto il tempo di riflettere sui contenuti della Biographia Literaria) sembra suggerire che il processo di smaterializzazione dei referenti naturali, identifi-
cato da Coleridge come alla base del funzionamento dell’immaginazione, non sia l’unica strada percorribile dal linguaggio poetico.
6 “The great secret of morals is love; or a going out of our own nature, and an identification of ourselves with the beautiful which exists in thought, action, or person, not our own. A man,
to be truly good, must imagine intensely and comprehensively; he must put himself in the
place of another; the pains and pleasures must become his own. The great instrument of moral good is the imagination”, Percy Bysshe Shelley, A Defence of Poetry, in Shelley's Poetry and
Prose, Donald H. Reiman and Sharon B. Powers, eds., New York e London, Norton, 1977, p. 488. Corsivo mio.
DI)
La metamorfosi folclorica
Laddove Coleridge aveva descritto l’attività dell’immaginazione nei termini di un processo che conduce dalla molteplicità all’unità, dal fenomenico al noumenico?, Wordsworth suggerisce che esiste un livello in cui tale processo di invenzione poetica può e deve avvenire in direzione opposta, cioè dalla trascendenza all’immanenza. Ciò
non vuol dire negare la specificità che contraddistingue l’invenzione poetica rispetto ai processi gnoseologici di altre attività umane,
né rinunciare alla sua creatività e originalità. Si tratta, piuttosto, di
assegnare alla fancy un livello di azione intermedio tra il mimetismo della fantasia e l’espressività dell’immaginazione, una sorta di terreno di mezzo tra un linguaggio puramente imitativo e un linguaggio completamente riflessivo e autoreferenziale, come quello della mente che coglie se stessa nell’atto di pensare, che tanto affascina
Coleridge®. Tale è il senso della giustapposizione di tradizione e fantasia rappresentato dal sonetto XXIII di Yarrow Revisited. Non si tratta di un’identificazione dei due termini, di una loro completa sovrapposizione, quanto piuttosto di un accostamento dinamico e funzionale, nella misura in cui sia la tradition, che la fancy vengono pensate da Wordsworth come istanze attive in continua operatività, e non soltanto come passivi repertori di storie, leggende, o figure retoriche. D'altra parte, quasi vent'anni prima di comporre questa poesia Wordsworth aveva esplicitato quanto la sua visione della fancy
? “The poet, described in ideal perfection, brings the whole soul of man into activity, with the subordination of its faculty to each other, according to their relative worth and dignity. He diffuses a tone, and spirit of unity, that blends, and (as it were) fusès, each into each, by
that synthetical and magical power, to which we have exclusively appropriated the name of imagination. This power [...] reveals itself in the balance or reconciliation of opposite or discordant qualities: of sameness, with difference; of the general, with the concrete; the idea
with the image; the individual, with the representative”, S. T. Coleridge, Biographia Literaria,
XIV, p. 319.
° “The best part of human language, properly so called, is derived from reflection on the acts of the mind itself. It is formed by a voluntary appropriation of fixed symbols to internal
acts, to processes and results of imagination, the greater part of which have no place in the consciousness of uneducated man; though in civilized society, by imitation and passive remembrance of what they hear form their religious instructors and other superiors, the most uneducated share in the harvest which they neither sowed nor reaped”, S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XVII, p. 342.
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La poetica del natural lore
fosse legata alla temporalità intrinsecamente “capricciosa” degli individui: The law under which the processes of Fancy are carried on is as capricious as the accidents of things, and the effects are surprising, playful, ludicrous, amusing, tender, or pathetic, as the objects happen to be appositely produced or fortunately combined. Fancy depends upon the rapidity and profusion with which she scatters her thoughts and images. [...] Fancy is given to quicken and to beguile the temporal part of our nature, Imagination to incite and to support the
eternal?.
Per Wordsworth, la fantasia è governata da una legge “capricciosa come la casualità delle cose”, i cui effetti variano all’interno di uno spettro molto vasto, che attraversa tutti i gradi di una scala che conduce dallo “scherzoso”, al “tenero”, al “patetico”. Ciò av-
viene perché la sua azione poggia sugli stessi principi — “rapidità e profusione di pensieri e immagini” — che regolano non semplicemente la biologia degli esseri umani, ma la loro condizione di individui moderni. Non può sfuggire qui il contrasto con la nozione coleridgiana di fancy, assai meno dinamica e vitale, perché più legata al meccanicismo della filosofia associazionistica: Fancy, on the contrary, has no other counters to play with, but fixities and definites. The fancy is indeed no other than a mode of memory emancipated form the order of time and space; and blended with and modified by that empirical phenomenon of the will, which we express by the word choice. But equally with the ordinary memory it must receive all its materials ready made from the law of association (Biographia Literaria, XIII, p. 313).
Per Coleridge, l’unico filo che lega la fancy all’‘“accidentalità delle cose” sembra essere “quel fenomeno empirico della volontà che viene definito dalla parola ‘scelta’’. Ma dal momento che gli
? W. Wordsworth, Preface to the Edition of 1815, in Poetical Works, op. cit., p. 755.
SS)
La metamorfosi folclorica
oggetti di tale scelta sono percepiti come limitati e predeterminati (‘“fixities and definites”), e che le modalità della scelta vengono
ricondotte a meri procedimenti associativi, messi in moto da una memoria destoricizzata, perché “emancipata dall’ordine del tempo e dello spazio”, diventa ipotizzabile che l'apparente affinità terminologica e concettuale rispetto all’argomentazione wordsworthiana nasconda invece differenze sostanziali. In effetti, Coleridge ambisce prima di ogni altra cosa a distinguere la fancy dall’imagination, che ritiene essere l’unica facoltà realmente creativa, capace di trascendere non soltanto le contingenze storiche, ma, in
qualche misura, anche gli universali psichici. Rispetto all’imagination, la fancy coleridgiana rimane una facoltà inferiore perché reca le tracce della sua matrice psicologistica e, in ultima analisi, antropologica. Wordsworth, al contrario, sembra fondare il
dinamismo e l’energia creativa della fancy proprio su tale matrice: Yet is it not the less true that Fancy, as she is an active, is also,
under her own laws and in her own spirit, a creative faculty. In what manner Fancy ambitiously aims at a rivalship with Imagination, and Imagination stoops to work with the materials of Fancy, might be illustrated from the compositions of all eloquent writers, whether in prose, or verse!0.
Pur mantenendo integra l’idea di un rapporto gerarchico tra imagination e fancy, attraverso la grammatica marcatamente psicologistica di “powerful feelings”, quali l'ambizione e la rivalità, Wordsworth non configura tale rapporto come una gerarchia fissa e monolitica. Al contrario di Coleridge, per il quale la distinzione tra l’una e l’altra attiene all’ordine del “kind” e non del “degree”,
egli la concepisce come una dinamica di scambio e di interazione reciproca tra due facoltà, che sono distinte sul piano dei materiali di cui si servono e delle modalità di funzionamento, ma nondimeno
parimenti creative.
!0 Ibidem.
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Questa considerazione conduce il discorso all’ultima parte del sonetto. Dopo aver costruito l’analogia tra la creatività della fantasia e l’attualità della tradizione, ovvero la sua capacità di rinnovarsi continuamente senza mai rescindere il legame con i luoghi, Wordsworth conclude con l’opporre entrambe alla “scarna” e monolitica monumentalità della storia: “Were only history licensed to take note/Of things gone by, her meagre monuments/Would ill suffice for persons and events:/There is an ampler page for man to quote,/A readier book of manifold contents,/Studied alike in palace and in cot”. Questi versi chiariscono in modo
adamantino
un
principio essenziale all'economia delle Lyrical Ballads. Essi affermano che l’opposizione tra la storia da un lato, e la tradizione e la fantasia dall’altro, riguarda una diversa modalità di trasmissione dell’esperienza. Mentre la storia, nel suo anonimato, si limita a “prendere nota di cose passate”, la tradizione e la fantasia sono in
grado di “citare da una pagina più ampia” e da un “libro più ricco di argomenti”. Non solo. Il “book of manifold contents” cui Wordsworth allude possiede un’altra caratteristica che manca alla “licensed history”: un’assai maggiore accessibilità, garantita dal fatto di essere appannaggio di una gamma più ampia di individui, dagli abitanti dei palazzi a quelli dei casolari di campagna. La metafora del libro, quindi implicitamente della scrittura, viene qui utilizzata tanto in riferimento alla storia ufficiale e documentata, quanto a quella depositata nei luoghi e nei racconti della tradizione. Ma la differenza tra i due tipi di linguaggio è comunque messa in evidenza, nella misura in cui della prima viene affermata l’ina-
deguatezza non solo ad annotare, ma ad accorgersi, di persone ed eventi che non ci sono più (“take note”). Rispetto alla tradizione e alla fantasia, che sono accomunate dal rapporto di “amore” nei confronti dei loro oggetti, la storia ufficiale agisce secondo le ferree leggi della dimenticanza e della selettività. Laddove ‘l’amore localizzato” che costituisce la tradizione è al tempo stesso relazione e individuazione, la memoria trasmessa dalla “licensed history” è distaccata e cieca: nelle sue mani nomi e fatti finiscono tutti indistintamente nell’enorme calderone delle “things gone by”, dimenticate e perdute per sempre. 57
La metamort]jost JjoLlctorica
2. Bibliofilia e “wise passiveness”
Nelle Lyrical Ballads Wordsworth è ancora più esplicito rispetto a questo tema, perché contrappone la naturale espressività di alcuni luoghi all’ostica fruibilità dei libri!!. Tale contrasto presenta la sua articolazione più complessa nelle poesie intitolate rispettivamente “Expostulation and Reply” e “The Tables Turned”, con cui si apre l'edizione del 1800. In esse Wordsworth inscena una vera e propria lotta all’ultima battuta tra la conoscenza offerta dai libri, e l’esperienza e la saggezza che si ottengono attraverso un dialogo continuo con determinati luoghi naturali: “Why William, on that old grey stone, “Thus for the length of half a day, “Why William, sit you thus alone,
“And dream your time away? “Where are your books? That light bequeath’d “To beings else forlorn and blind! “Up! Up! and drink the spirit breath°d “From dead men to their kind. (vv. 1-8)
Colpisce in questi versi come la contrapposizione tra il leggere e il godere della bellezza della natura non venga giocata mettendo a contrasto l’immobilità cui costringono i libri rispetto alla libertà di movimento consentita dagli spazi naturali, come Wordsworth fa in altre poesie. Ciò che Matthew rimprovera a William non è l’andare in giro a bighellonare anziché mettersi a studiare, a nutrirsi della
sapienza che, attraverso i libri, si tramanda dai morti ai vivi. Ciò per cui l’ammonisce è l’assoluta inutilità di rimanere “seduto su quella vecchia roccia grigia” sulle rive del lago Esthwaite a “dream [his]
!! Sull’idea wordsworthiana in merito all’effetto dei libri sui bambini cfr. Adela Pinch,
Strange Fits of Passion. Epistemologies of Emotion, Hume to Austen, Stanford, Stanford University Press, 1996, cap. 3.
58
LU poettca aet natural lore
time away”. Proseguendo nella paternale, Matthew arriva a sostanziare sempre meglio le sue recriminazioni che, al culmine della ‘’expostulation”, diventano due accuse molto precise. La prima riguarda il rapporto infantile ed egoista che William intratterrebbe con la natura. Matthew gli rimprovera di guardare alla “madre terra” come se fosse lei a dovergli qualcosa, e non lui a dover ricambiare
il dono della vita con l’impegno a essere diligente e produttivo. Nell'ottica di Matthew, inoltre, William rappresenta il figlio primogenito geloso, che ricerca un legame esclusivo con la madre: “You look around on your mother earth,/As if she for no purpose bore you;/As if you were her first-born birth,/And none had lived before you!” (vv. 9-12). Il richiamo alla condizione di primogenitura fatto a questo punto della poesia è centrale nell'economia delle Ballate. Nel primogenito, infatti, si concentrano due funzioni etico-sociali che, nei luo-
ghi di cui scrive Wordsworth, cominciano ad apparire potenzialmente in antitesi. La prima è quella di erede maggiore del patrimonio familiare, e in quanto tale di principale garante della sua integrità e della sua trasmissibilità. La seconda, altrettanto frequente a quell’epoca, è quella di testimone ultimo dell’eredità familiare, costret-
to dalla violenza delle circostanze a barattarne l’entità materiale e il valore affettivo con la salvezza individuale. Come ha illustrato
Raymond Williams!, questo conflitto ha origini lontane in Inghilterra, ma si riacutizza all’epoca della Rivoluzione Industriale in seguito all’avvento del capitalismo agrario che soppianta la tradizionale gestione feudale-latifondista delle zone agricole, già in precedenza fortemente colpite dal processo delle enclosures. Williams non si stanca di ripetere come, al volgere del secolo, responsabile della
1? “It was characteristic of rural England, before and during the Industrial Revolution, that it was exposed to increasing penetration by capitalist social relations and the dominance of the market, just because these had been powerfully evolving within its own structure. By the late eighteenth century we can properly speak of an organised capitalist society, in which what happened to the market, anywhere, worked its way through to town and country alike, as parts of a single crisis. Within these developments, violent alterations of condition occurred, to many
thousands
of tenants and labourers, and to hundreds
R. Williams, op. ‘cit., pp. 98-9.
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of village communities”,
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sparizione dell’economia tradizionale a base familiare non siano tanto le enclosures, quanto la sistematica penetrazione nelle zone agricole di modalità di produzione e distribuzione capitalistiche. La radicale ridefinizione del territorio determinata dalla nascita di rapporti economici sempre più stretti tra la campagna e la città diviene così una minaccia fatale all’esistenza stessa di queste comunità. Tali rapporti, imposti alle popolazioni rurali dai grandi proprietari terrieri che intravedono nella gestione capitalistica della proprietà fondiaria grandi possibilità di guadagno, mutano profondamente il volto delle comunità agricole, perché creano nuovi bisogni sociali e impongono l’esigenza di una sempre maggiore mobilità. Da un lato, come Wordsworth descrive in “The Female Vagrant”, in “The Last of the Flock”, e soprattutto in “Michael”, le piccole proprietà tendono ad assottigliarsi sempre di più fino a scomparire. Dall'altro, l’esistenza di canali di scambio con le grandi concentrazioni urbane, da molti percepita (Wordsworth incluso) come una contaminazione e una grave minaccia per le culture rurali, consente alla maggior parte dei braccianti o dei piccoli proprietari terrieri, ridotti al limite della sopravvivenza, una via di fuga e, in casi sporadici, un modo per avviare la ricostituzione della proprietà su altre basi. Nel variegato panorama di radicali trasformazioni economico-sociali, nonché di profonde resistenze emotive da parte dei membri
delle comunità minacciate, il primogenito di una famiglia che ancora traeva le sue risorse dall’agricoltura o dalla pastorizia si trovava spesso a un bivio. Poteva rimanere attaccato all’eredità paterna, lottando in loco per preservarla, col rischio di perderla del tutto. Oppure, per salvare almeno se stesso, poteva emigrare oltreoceano al servizio di qualche esercito, come fa il marito della vagabonda in “The Female Vagrant”, o cercare miglior fortuna in città. È la storia raccontata in “The Brothers”, in cui Wordsworth mostra chiaramente come il prezzo pagato da Leonard per il suo allontanamento dalla “paternal home” sia quello di non poterci più tornare, di essere scambiato per uno straniero 0, cosa peggiore ancora, per un turista. Tra le due possibilità, quella dell’allontanamento viene percepita come la più rischiosa e la più trasgressiva, perché implica l'abbandono del 60
La poetica del natural lore
solco tracciato di generazione in generazione, determinando al tempo stesso un forte spreco di risorse materiali e un brusco arresto nella trasmissione dell’ethos familiare. La scelta di un figlio di abbandonare la proprietà di famiglia, più grave se si tratta di un primogenito, comporta la messa in crisi dell’intero sistema di trasmissione patrilineare, tanto della proprietà fondiaria, quanto dei valori eticosociali ad essa connessi}. Se accogliere l’eredità paterna può significare immolarsi ad essa, separarsi dai luoghi nativi rappresenta d’altro canto una grave minaccia alla sopravvivenza delle comunità rurali. È questa l’impasse cui Matthew dà voce nella sua “expostulation”, nel momento in cui accusa William di considerarsi il primogenito di madre natura, ad essa legato da esclusivi vincoli di sangue e di appartenenza, e al contempo pronto a rivendicare libertà di contemplazione e autonomia d’uso. Ma questi versi costruiscono anche un’altra polarità: quella tra sapere culturale e sapere naturale. Ciò che viene posto in primo piano è un’assolutizzazione della conoscenza libresca che, anziché apparire come un mezzo di emancipazione, finisce col sovrapporsi completamente all’autoritarismo ricattatorio incarnato da Matthew. In effetti, non soltanto Matthew nega ogni potere pedagogico al rimanere seduto su quell’‘“old grey stone” di William in una condizione di dolce ricettività (‘When life was sweet I know not why”). Non soltanto la sua mente non viene neppure sfiorata dal pensiero che il semplice sostare in solitudine su quell’antica roccia, dove presumibilmente altre persone prima del suo amico si sono fermate a riposare e a riflettere, possa costituire un differente veicolo di trasmis-
sione dello spirito dei morti. L'unico strumento cui Matthew accorda un’efficacia educativa è lo studio dei libri, del linguaggio scritto
13 “The family — and father-dominated — community that was Wordsworth”s ideal was not the imaginative creation of the poet. It corresponded to the social reality of rural England, particularly of the Lake District of Wordsworth”s time. The traditional community made the nuclear family the unit for nearly all activity. The home was still the typical site of most labor. A married laborer with two children might, by his family’s labor, secure the equivalent of his own income without having to send his children to work in the mill”, M. Friedman, op. cit.,
p. 145.
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che analizza e documenta, che è anche il veicolo della “licensed
history” che in “Fancy and Tradition” viene descritta come la negazione della memoria umana e l'affermazione di una memoria insensibile e meccanica. Proprio qui risiede l'ambiguità di questa figura di adolescente, che finisce con l’incarnare una delle tante aporie della condizione moderna, tanto rurale, quanto urbana. Se il suo invito a
studiare è un invito ad appropriarsi del patrimonio di conoscenze acquisite e sistematizzate nel tempo, dunque ad accedere all’ordine della storia e della circolabilità del sapere, la sua determinazione nel non riconoscere altre forme di apprendimento a eccezione dei libri finisce col porlo al di fuori proprio di quella modernità di cui si presenta come l’apologeta!*. In questo senso le sue accuse a William sono rivelatrici, poiché tradiscono l’autoritarismo ricattatorio, benché storicamente necessitato, tipico delle società patriarcali. Dando a William l’aut-aut,
è come se Matthew intendesse mettersi al ripa-
ro dalla sua stessa necessità di scegliere, assumendo completamente il punto di vista del padre che incita il figlio a decidere quale ruolo giocare all’interno del sistema familiare, e veicolando in tale messaggio anche il senso dell’ineluttabilità della scelta. Attraverso Matthew, Wordsworth suggerisce così un’inquietante equazione tra scrittura e conservatorismo. Se si utilizza la grammatica di “Fancy and Tradition”, si può sostenere che Matthew ritenga vacuo e improduttivo quello che William sta facendo sull’“old grey stone”, perché non riconosce in esso un’attività che impegna tutto il suo essere, dalle facoltà ricettive, a quelle creative. Il suo assomiglia più all’occhio distratto del turista, che attraversa i luoghi senza mai veramente calarsi nel loro spirito (tanto esecrato dal vicario di “The Brothers”), che non a quello di chi
vi sa riconoscere un’inesauribile fonte di esperienza e di scoperte.
! Per una lettura del contrasto tra la bibliofilia produttivistica interiorizzata da Matthew, e l’“economia olistica” della natura proposta da William in funzione tradizionalista e comunitaria cfr. Thomas Pfau, Wordsworth®s Profession. Form, Class, and the Logic of Early
Romantic Cultural Production, Stanford, Stanford University Press, 1997.
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La logica del discorso punta ad affermare che Matthew non è disposto ad accordare all’“old grey stone” altra qualità al di fuori della bellezza (o tutt'al più della comodità), perché non è in grado di attivare i meccanismi della fancy, e dunque di avvertire il fascino di un luogo che è stato amato e vissuto da altri prima di loro, e che pertanto non è più unicamente patrimonio della natura muta, ma anche della tradizione che assegna a essa una voce e le consente di comunicare con gli esseri umani. Nel rispondere a Matthew, infatti, William utilizza proprio la metafora della natura che parla: “Think you, mid all this mighty sum/Of things for ever speaking,/That nothing of itself will come,/But we must still be seeking? (vv. 25-8). Egli aggiunge però che il “mighty sum of things” non comunica con gli esseri umani sempre e comunque, ma a determinate condizioni. La spiegazione di queste condizioni è di tipo psicologistico e richiama i principi dell’associazionismo cui Wordsworth, nella Preface, dichiara di essersi rifatto nel comporre le Lyrical Ballads!. William afferma la capacità di alcune forze della natura, di “impressionare” la mente in modo altrettanto vivido di quello dei libri, ma infinitamente più gradevole perché tale opera di impression non esige lo stesso tipo di attenzione e di concentrazione dello studio: Nor less I deem that there are powers,
Which of themselves our mind impress, That we can feed this mind of ours, In a wise passiveness. (vv. 21-4)
Il segreto di alcune forze e di determinati luoghi risiede nella capacità di attivare negli individui che intrattengono con essi un rapporto privilegiato, uno specifico grado di umanità che non coincide
!S “The principal object then which I proposed to myself in these Poems was to make the incidents of common life interesting by tracing in them, truly, though not ostentatiously, the primary laws of our nature: chiefly as far as regards the manner in which we associate ideas in a state of excitement”, W. Wordsworth, Preface, p. 122.
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né con la pura ricettività della contemplazione, né con l'attenta riflessione dello studio e della cultura. Questo terreno di mezzo tra
un uso irriflesso e passivo e un uso attivo, e agonistico, della mente viene definito da William “wise passiveness”. In tale definizione, divenuta oramai una delle tante formule wordsworthiane, si delinea
la possibilità che si dia una dimensione dell’esistere attiva e passiva insieme, volontaristica e al tempo stesso spontanea, eticamente giusta, seppur politicamente passiva. Tale dimensione modella il particolare rapporto degli esseri umani con il loro ambiente, che attraversa tutte le Lyrica! Ballads. L’elogio della “saggia passività” prosegue nella poesia successiva, “The Tables Turned”, che, al contrario di “Expostulation and
Reply”, ha un tono meno ironico e più moraleggiante ed è strutturata come una lunga risposta di William alle pedanti sollecitazioni di Matthew. Rifacendo il verso all’amico, William prende la parola invertendo le argomentazioni addotte da quest’ultimo per invitarlo a smettere di perdere tempo sull’“old grey stone”: “Up! Up! my friend, and clear your looks,/Why all this toil and trouble?/Up! Up! my friend, and quit your books,/Or surely you’1l grow double (vv.14). I libri non sono affatto gli strumenti attraverso cui la sapienza dei morti viene metabolizzata e trasformata nella cultura dei vivi,
ma solo fonti di fatica e di disagio fisico. Se in “Expostulation and Reply” il rimedio alla fredda pedanteria dei libri era stato individuato nella capacità di sostare nei luoghi della natura in solitudine e in tranquillità, senza farsi prendere dall’imperativo di dover utilizzare il tempo in maniera produttiva, qui la “wise passiveness” acquisisce connotazioni più precise. Essa rimane uno stato d’animo radicato nell’interiorità e nell’emotività, ma acquisisce anche una propria interattività con l’ambiente: Books! ‘tis a dull and endless strife, Come, hear the woodland linnet,
How sweet his music; on my life There's more of wisdom in it.
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And Hark! how blithe the throstle sings! And he is no mean preacher; Come forth into the light of things, Let Nature be your teacher.
(vv. 9-16)
La risposta di William al rimprovero di Matthew non è un invito ad abbandonare lo studio, bensì a sostituirlo con un’altra modalità di apprendimento, che non si qualifica come una “ottusa e interminabile lotta” con i libri, ma come un continuo ascolto dei suoni del-
la natura. Da stato d’animo che definisce una condizione di statica coincidenza dell’individuo con se stesso, la “wise passiveness” acquisisce in tal modo un'articolazione e una funzionalità autonome. Da semplice messaggio — la “reply” di William all’“expostulation” di Matthew — essa diventa medium tra William e la sua “old grey stone” e quindi linguaggio.!° Si comprende ora meglio la ragione di tanto attaccamento a un luogo apparentemente insignificante. Nell’assegnare alla roccia i tratti umani della vecchiaia e della saggezza, William non sta solo elaborando una generica possibilità di antropomorfizzazione dello spazio naturale che ha davanti. Questo livello è certamente presente nelle due poesie ed è messo in risalto sia dalla giovinezza dei protagonisti, sia dal tono ludico del loro scambio. Ma nell’amore di
William per quella roccia, e soprattutto nella totale fiducia nella sua intrinseca valenza pedagogica, c’è qualcosa di più. C’è l’intuizione, del tutto sentimentale e antintellettualistica, della singolarità, dell’individualità e dell’insostituibilità di quel luogo, basata sulla perce-
!6 Un analogo processo di interattività con elementi discreti dell'ambiente è raffigurato in “Lines left upon a Seat in a Yew-tree near the Lake of Esthwaite, on a desolate part of the shore, yet commanding a beautiful prospect”, in cui i termini della relazione pedagogica tra individuo e natura sono addirittura rovesciati rispetto a quelli delineati in “The Tables Turned”, poiché qui è l’individuo ad apparire come il soggetto che educa l’oggetto naturale: “Who he was/That piled these stones, and with the mossy sod/First covered o'er, and taught this aged tree,/now wild, to bend its arms in circling shade,/I well remember”, pp. 38-9, vv. 8-12.
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zione (che Wordsworth attribuisce all’infanzia in quanto è irriflessa)
che in esso è già inscritta una memoria della specie. C’è, in ultima analisi, la versione comunitaria e pastorale dello spot of time: non un improvviso raccordo epifanico tra il presente e il passato dell’10, innescato dall’esperienza individuale del ritorno in un determinato luogo, ma un sentimento permanente di rilevanza e di significatività di alcuni luoghi in quanto anelli di una tradizione!”. La scoperta dell’esistenza di un legame profondo tra le rocce e la memoria della specie è una scoperta decisiva per Wordsworth. Su di essa il poeta lavorerà a lungo, ben oltre la composizione delle Ballate, fino alla pubblicazione degli “Essays Upon Epitaphs” (a partire dal 1810), nei quali le rocce acquisiranno esplicitamente la valenza di elementi di transizione, non soltanto tra l’umano e il non
umano, ma tra l’individuo e la specie, nella veste di pietre tombali!"*. L’intuizione di una sorta di specularità che è in grado di prodursi tra gli esseri umani e le rocce, già presente nelle Ballate, viene qui
sviluppata in prosa attraverso un lungo discorso sulla forma dell’epitaffio, il cui punto di partenza è la constatazione della necessità del-
le pietre tombali nel processo di preservazione della memoria. Wordsworth apre il primo dei tre “Essays” sottolineando come un epitaffio presupponga sempre un monumento sul quale inscriversi, ma stabilendo contemporaneamente una precisa analogia, in rapporto alla funzione, tra le pietre tombali su cui è stato “inciso” un epitaffio e le “rude stones” prive di inscrizioni, che le popolazioni primitive
!” Sulla poetica dello “spot of time” cfr. G. Hartman, Wordsworth's Poetry, op. cit.; Christopher Salvesen, The Landscape of Memory. A Study of Wordsworth®s Poetry, London, Edward Arnold, 1965; Jonathan Wordsworth, The Borders of Vision, Oxford, Clarendon Press, 1982; Louis Simpson, “The Man Freed from the Order of Time”, in The Romantics and Us.
Essays on Literature and Culture, ed. G. Ruoff, New Brunswick and London, Rutgers University Press, 1990; per una lettura dello “spot of time” attraverso le categorie della riflessione postcoloniale cfr. Saree Makdisi, “Wordsworth’s London and the Spot of Time”, in Romantic Imperialism. Universal Empire and the Culture of Modernity, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. !* Cfr. G. Hartman, “Inscription and Romantic Nature Poetry”, in The Unremarkable Wordsworth, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1987; Michele Turner Sharp, “Remembering the Real, Dis(re)membering the Dead: Wordsworth®s ‘Essays Upon Epitaphs’”, in Studies in Romanticism, vol. 34, Summer 1995, pp. 273-92.
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La poetica del natural lore
appongono ai luoghi di sepoltura. Nella sua prospettiva anche le “rude stones” che mancano di una inscrizione, perché appartengono a culture che non possiedono ancora la scrittura, emanano una carica profondamente segnica e culturale. Non solo: Wordsworth sembra suggerire che, nelle culture che non hanno ancora elaborato modalità più complesse e articolate di conservazione della memoria, le rocce nude poste al di sopra dei luoghi di sepoltura rappresentino una forma di scrittura, una sorta di land art, di inscrizione della natura realizzata attraverso i suoi stessi materiali, che non assolve unicamente
una funzione deittica, ma anche una funzione
espressiva e comunicativa!?. Non è casuale che un’altra figura su cui Wordsworth proietta la luce chiaroscurale della “saggia passività” sia il raccoglitore di sanguisughe di “Resolution and Independence”, la cui immobilità fisica, cui fa da contrappunto una sorta di eloquenza ipnotica, lo rende una suggestiva immagine della fissa e congelata iteratività della tradizione. Soprattutto, non è casuale che il /eech-gatherer appaia al narratore della poesia “as a huge stone [...] that [...] seems a thing endued with sense”. Come l’“old grey stone” di William, anche la
“grande roccia” di “Resolution and Independence” emana una carica di sensorialità quasi al limite dell’umano, che la rende diversa dalla semplice formazione geologica. Ciò non ha niente a che vedere col suo essere utilizzata come veicolo di una similitudine con una persona, bensì con l’intrinseca suggestività che le proviene dalla sua
posizione privilegiata?°. Da sempre oggetto di “wonder”, nonché di
19 “It need scarcely be said, that an Epitaph presupposes a Monument, upon which it has to be engraven. Almost all Nations have wished that certain external signs should point out the places where their dead are interred. Among savage tribes unacquainted with letters this has mostly been done either by rude stones placed near the graves, or by mounds of earth raised over them. This custom proceeded obviously from a twofold desire; first, to guard the remains of the deceased from irreverent approach or from savage violation: and, secondly, to preserve their memory”, W. Wordsworth, “Essays Upon Epitaphs”, I, in Prose Works, p. 49. 20 “Couched on the bald top of an eminence;/Wonder to all who do the same espy,/By what means it could thiter come, and whence;/So that it seems a thing endued with sense:/ Like a sea-beast crawled forth, that on a shelf/Of rock or sand reposeth, there to sun itself”, W. Wordsworth,
“Resolution
and Independence”,
57-62.
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in Poetical Works, op. cit., p. 146, vv.
La metamorfosi folclorica
“obstinate questionings” circa i modi e i luoghi della sua origine, la “huge stone” cui l’io poetico associa il leech-gatherer non è già più, e probabilmente non è mai stata, un semplice masso che si sporge dalla cima di una collina, poiché in essa è già inscritto un protocollo di sguardi e di interrogativi, che la sottraggono all’ordine del naturale insensibile e indifferenziato. La sfida di Wordsworth in questa poesia è proprio quella di mostrare come il processo di metaforizzazione tra la “huge stone” e il leech-gatherer funzioni in entrambi i sensi: come non sia solo la roccia, nella sua maestosa immobilità, a illuminare la figura del
vecchio e povero raccoglitore di sanguisughe, ma anche quest’ultimo, nel suo linguaggio al tempo stesso semplice e solenne a “dotare” la roccia “di senso”. Anzi, è proprio nel far agire un principio di reciprocità dell’una sull’altro, che ciò che all’inizio appare al poeta solo come un “luogo solitario” che sconcerta il suo animo già turbato, è in grado di rivelargli delle qualità catartiche e terapeutiche. L’azione positiva e tranquillizzante di tale luogo passa attraverso la percezione della significatività dell’incontro con l’umile eloquenza del leech-gatherer, ma soprattutto, attraverso il riconoscimento che quel ‘lonely place”, apparentemente tanto lontano dalla civiltà, possiede nondimeno un forte potere di modellare la mente umana e di
farsi memoria?!. La somiglianza quasi fisiognomica tra la “huge stone” e il leechgatherer, così come la simbiosi tra William e l’“old grey stone”, rivelano almeno due elementi importanti. Innanzitutto che la “wise passiveness”’ non definisce unicamente una dimensione dell’umano, ma neppure si esaurisce in una funzione etico-pedagogica della na-
2! “While he was talking thus, the lonely place,/The old Man’s shape, and speech — all troubled me:/In my mind’s eye I seemed to see him pace/About the weary moors continually,/ Wondering about alone and silently./While I these thoughts within myself pursued,/He, having made a pause, the same discourse renewed./And soon with this he other matter blended,/ Cheerfully uttered, with demeanour kind,/ But stately in the main; and, when he ended/I could
have laughed myself to scorn to find in that decrepit Man so firm a mind./‘God” said I ‘be my help and stay secure; I’Il think of the Leech-gatherer on the lonely moor!””, W. Wordsworth “Resolution and Independence,” in Poetical Works, op. cit., p 157, vv. 127-140.
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i
La poetica del natural lore
tura, sulla quale gli esseri umani fanno gravitare il peso di una pathetic fallacy. Nelle poesie prese in esame, questa particolare forma di ricettività rispetto allo spazio naturale non si attiva negli esseri umani sempre e ovunque, ma è associata a luoghi ben precisi e individualizzati. Nel suo assestarsi su un livello intermedio tra la lucida coscienza e la passività irriflessa, tanto degli esseri umani,
quanto degli elementi naturali, inoltre, la “wise passiveness” fa emergere una propria potenzialità a divenire linguaggio e dunque memoria. Solo in quanto linguaggio e memoria essa può garantire il doppio livello di comunicazione che si attua in tutte e tre le poesie: quella verbalizzata che ha luogo tra William e Matthew, così come tra il /eech-gatherer e il poeta; e quella non verbalizzata, ma pur sempre linguistica, che viene raffigurata come cifra del particolare rapporto che questi personaggi intrattengono con determinati luoghi, o elementi naturali (nella fattispecie, le rocce). Riuscire a delineare alcune caratteristiche della doppia modalità linguistica e memorativa cui Wordsworth allude diventa pertanto indispensabile per tentare un’ipotesi finale sul ruolo che “Expostulation and Reply” e “The Tables Turned” rivestono nell’economia delle Lyrical Ballads. La risposta è contenuta nella settima strofa di “The Tables Turned” e, com'era prevedibile, è William a fornirla:
non si tratta dell’arida analiticità della cultura e del pensiero astratto codificati nei libri, ma del sapere racchiuso nella tradizione non scritta: Sweet is the lore which nature brings;
Our meddling intellect Misshapes the beauteous forms of things; — We murder to dissect. (vv. 25-8)
Questa strofa costituisce il culmine del discorso iniziato con la
lettura di “Fancy and Tradition”. Se in “Expostulation and Reply” Wordsworth aveva istituito una relazione tra linguaggio scritto e conservatorismo, in questi versi il poeta infligge il colpo finale alla cultura dei libri, affermando che essa cela in sé una sorta di com69
La metamorfosi folclorica
pulsione omicida. Alla spinta disgregante e distruttiva del “meddling intellect” (in due versi compaiono ben tre verbi che alludono a gesti violenti: “misshape”, “murder”, “dissect”’) viene contrapposto “the lore which nature brings”. Identificare uno spettro di possibili significati e connotazioni evocati dalla parola “lore” si rende necessario per comprendere a cosa il poeta contrapponga la violenza invasiva del pensiero astratto. La radice etimologica di “lore” è la stessa del verbo “learn”, apprendere. Ma già all’epoca in cui scrive Wordsworth, oltre al significato di sapienza e saggezza, essa aveva anche acquisito quello di cultura popolare, di “folklore”, di insieme di pratiche e di credenze non codificate nei libri, attraverso cui le classi povere e socialmente emarginate rappresentano se stesse e il mondo. In tal senso “lore” può essere considerato un sinonimo di tradizione orale. James Chandler nota come al tempo di Jonathan Swift l'equazione tra la tradizione e l’oralità fosse già entrata nel linguaggio comune”. Gran parte dello studio di Chandler è dedicata specificamente a inserire la poesia di Wordsworth all’interno del dibattito filosofico sull’idea di tradizione al cui riguardo il critico nota come anche autori molto vicini a Wordsworth (seppur per motivi diversi), quali Hazlitt e Burke, utilizzano il termine “tradizione” in senso di “an activity carried out in oral circumstances”, dunque in opposizione a scrittura°°. Se ciò è vero, questo dimostra che all’epoca in cui le Lyrical Ballads vennero composte, in Inghilterra era già maturata la consapevolezza che la scrittura e l’oralità non soltanto rappresentavano due dimensioni distinte di una cultura, ma che nei punti in cui esse entravano in relazione, il loro convergere non fosse avulso da attriti e conflitti. Soprattutto, al volgere del XVIII secolo, si era già compiutamente formata l’idea che il rapporto che lega l’oralità alla scrit-
2 A sostegno di questa tesi, il critico cita una frase dall’ultimo libro dei Gulliver's Travels: “the Houyhnhnms have no Letters, and consequently, their knowledge is all Traditional”, James K. Chandler, Wordsworth's Second Nature. A Study of the Poetry and Politics, Chicago and
London, The University of Chicago Press, 1984, p. 159. 23 Ibidem.
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La poetica del natural lore
tura non sia di tipo diacronico, ma sincronico. Esse non costituisco-
no, come aveva tentato di mostrare Macpherson, due stadi nell’evoluzione di una medesima civiltà, ma incarnano una tensione tra linguaggi egemonici e linguaggi subalterni, sempre presente all’interno delle culture.
3. Il senso delle origini Naturalmente, la consapevolezza che, accanto a quella dei libri, esistesse la cultura depositata nelle tradizioni locali tramandate oralmente, e che essa fosse altrettanto viva e operativa di quella scritta, non era nuova in Inghilterra. Si era formata gradualmente lungo tutto il corso del Settecento, ed era arrivata sul finire del secolo ad assolvere una funzione esplicitamente antilluminista. Proprio nel momento in cui la cultura dell'Illuminismo si era dimostrata tanto forte da produrre una vera e propria rivoluzione, da parte degli intellettuali meno integrati nell’ideologia corrente era emerso un preciso richiamo all’esistenza di quelle sacche di marginalità sociale e culturale,
che con ogni evidenza erano sfuggite all’irrompere di tutti i processi rivoluzionari ed emancipatori. In realtà, però, questo rinnovato interesse per le culture deboli e marginali non era privo di ambiguità e di contraddizioni. Molti degli intellettuali e degli artisti più sensibili al problema appartengono per nascita alle culture che il grande e potente impero britannico stava emarginando sempre di più, costruendo di esse un'immagine stereotipata e sentimentale, che riduceva gli esseri umani a tipi folclorici e ne interpretava la storia attraverso la collocazione geografica”. Alcuni di loro sono figure di primo piano nel panorama
24 Cfr. Macropolitics of Nineteenth-Century Literature: Nationalism, Exoticism, Imperialism, Jonathan Arac and Harriet Ritvo, eds., Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1991; Lisa Lowe, Critical Terrains, French and British Orientalisms, Ithaca and London,
Cornell University Press, 1991; Linda Colley, Britons. Forging the Nation 1707-1 837, New Haven and London, Yale University Press, 1992.
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La metamorfosi folclorica
filosofico e letterario della seconda metà del secolo: Shaftesbury, Hutcheson,
Hume,
Smith, Ferguson, Thomson,
Gray, Collins,
Cowper. Quasi tutti provengono dalla Scozia e possiedono quindi un'esperienza diretta del grado di debolezza cui le culture rurali tradizionali versano già a metà del XVIII secolo. Ciò spiega i toni catastrofisti che contraddistinguono la loro rappresentazione del mondo pastorale, rappresentazione che rasenta la schizofrenia. Tanto nei versi di Thomson, quanto in quelli di Collins, ad esempio, il pastore è la figura che concentra tutti i disastri che possono abbattersi sull’umanità. Da un lato, l’effetto della sympathy spinge questi poeti verso un’identificazione totale con le figure della marginalità, che pure li spaventa, poiché vi percepiscono il potere di minare la loro facoltà creativa; dall’altro, per questo stesso motivo, essi met-
tono in atto un insieme di strategie retoriche di incrudelimento su queste figure, il cui unico risultato sembra essere quello di farle apparire ancora più fragili. Il culmine di questo processo si registra nell’“Ode on the Popular Superstitions of the Highlands of Scotland”, in cui William Collins porta a compimento l’operazione di ‘“‘orientalizzazione’’ della cultura gaelica, nel momento in cui arriva a descrivere le Highlands della Scozia come “Fancy’s land[s]” in implicita opposizione alle “Reason’s lands” dell’ Inghilterra”. In questa poesia, Collins illustra chiaramente come la rivalutazione delle periferie imperiali basata sulla folclorizzazione dei loro usi e costumi generi una polarità tra la ragione e l'immaginazione, che finisce col ratificare proprio quella distanza tra il potere delle culture dominanti e l’impotenza delle culture marginali che, al contrario, intenderebbe mettere in discussione.
© “There must Thou wake perforce thy Doric Quill:/“Tis Fancy’s Land to which thou set’s thy Feet/Where still, tis said, the Fairy People meet/Beneath Each birken Shade, on mead or Hill./There Each Trim Lass that Skims the milky store/To the Swart Tribes their creamy Bowl allots,/By night they sip it round the cottage door/While Airy Minstrels warble jocund notes”, William Collins, “An Ode on the Popular Superstitions of the Highlands of Scotland,
Considered as the Subject of Poetry”, in Gray and Collins. Poetical Works, ed. Roger Lonsdale, Oxford and New York, Oxford University Press, 1977, pp. 168-73, vv. 18-25.
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La poetica del natural lore
Un progetto analogo per orizzonte culturale, ma profondamente diverso negli esiti, invece, è il plagio di Jay Macpherson, unico autore accertato dei Poems of Ossian ma irriducibile assertore della loro effettiva esistenza, e dunque del proprio ruolo di semplice traduttore dalla lingua gaelica. Macpherson, al contrario di Collins, non è interessato alla riscoperta delle culture marginali in funzione antinazionalista e antimperialista, bensì alla possibilità di costruire un linguaggio poetico che riveli un livello di continuità con le radici etniche della cultura inglese. Nell’invenzione di un passaggio da una lingua antica presunta integralmente a trasmissione orale, alla contemporaneità dell’inglese moderno, oramai completamente codificato, Macpherson punta a far emergere un sostrato comune tra i due idiomi, una forma linguistica ideale e propria della civiltà britannica, che sia in grado di oltrepassare le distanze temporali e di accomunare una cultura a oralità primaria, come quella di Ossian, a
una cultura strutturata interamente sulla scrittura. La finzione della traduzione dal gaelico, pertanto, è ben più di un espediente retorico. Fornire l'equivalente in inglese corrente di presunti poemi celtici, altrimenti illeggibili, residui dimenticati di una cultura arcaica, che il tempo e le culture dominanti hanno sempre più relegato ai margini, significa avvicinare diversi stadi di vita di una lingua e di una
civiltà, puntando a mostrare continuità e omogeneità, laddove esistono fratture e differenze. La logica politica sottesa a tale operazione appare pienamente integrata nel progetto nazionalistico e imperialistico dell’ Inghilterra. Attraverso il ricorso all’epopea nazionale e alla voce del bardo, è come se Macpherson congiungesse virtualmente l’inglese degli anni sessanta del Settecento a una sorta di lingua prototipica, facendo emergere dal linguaggio poetico uno spessore storico non altrimenti percepibile. Operazione, questa, già orientata verso le soluzioni romantiche, perché fondata sul desiderio di recupero dell’origine a mezzo dell’immaginazione poetica, ma arrestata al livello di una visione illusionistica, artificiosa, della cre-
azione artistica. In questo senso tanto Collins, quanto Macpherson, si rivelano autori assai importanti per comprendere meglio quale tipo di 9
La metamorfosi folclorica
retroterra culturale possieda lo sperimentalismo delle Lyrical Ballads. Da Collins, Wordsworth apprende che esiste una componente di fancy, di espressività e di creatività anche nelle culture che appaiono più solidamente radicate nella tradizione e incapaci di elaborare modalità cognitive alternative alle credenze popolari, all’etica del senso comune e alla superstizione. Da Macpherson, della cui epopea celtica Wordsworth critica aspramente l’inautenticità e la mancanza di realismo, egli eredita nondimeno la capacità di raffigurare la voce poetica come elemento interno e, per così dire, inamovibile, rispetto al suo stesso universo poetico che, nel caso di Macpherson, viene concepito macchinosamente come una sorta di terreno intermedio tra il mito e il folclore??. Paradossalmente, inoltre, dalla forgery macphersoniana Wordsworth non trae soltanto lo spirito, ma anche la lettera del testo. In effetti, nel tentativo di riprodurre il linguaggio di una cultura a oralità primaria attraverso la modulazione e la fluidità della voce, la lingua poetica di Macpherson manifesta già un preciso scarto dalla poetic diction neoclassica, la stessa da cui
trent'anni più tardi Wordsworth si dissocerà definitivamente nell’avviare l'esperimento delle Lyrica! Ballads. Tuttavia, gli anni che separano Collins e Macpherson da Wordsworth non sono irrilevanti, poiché, accanto a un’intera eredità letteraria basata sul primitivismo, sul gusto del ritorno alle origini della cultura e dell’identità nazionale, essi producono anche la consapevolezza che la continuità tra l'universo dei bardi e quello dei poeti moderni non vada ricercata sul piano della storia, bensì su quello dell’immaginazione. Non solo: il periodo che separa la poesia di Collins e di Macpherson da quella di Wordsworth è lo stesso che
°° “Having had the good fortune to be born and reared in a mountainous country, from
my very childhood I have felt the falsehood that pervades the volumes imposed upon the world under the name of Ossian. From what I saw with my own eyes, I knew that the imagery was spurious. In nature everything is distinct, yet nothing defined into absolute independent singleness. In Macpherson’s work, it is exactly the reverse; everything (that is not stolen) is in this manner defined, insulated, dislocated, deadened, — yet nothing distinct. It will always be so when words are substituted for things”, W. Wordsworth, Essay Supplementary to the Preface, in Poetical Works, op. cit., pp. 748-9. i
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La poetica del natural lore
traghetta l’Buropa dalla fase pre-rivoluzionaria, durante la quale 1 popoli si immaginano sul punto di un enorme riscatto politico e culturale, e la fase post-rivoluzionaria del Terrore, in cui le carte del
gioco si mescolano irrimediabilmente, rendendo difficile stabilire dove si collochino la tirannia e la barbarie e dove invece la ragione e la civiltà. È su questa base che va interpretata la settima strofa di “The Tables Turned”, in cui Wordsworth porta alla ribalta il tema
del natural lore. Utilizzando il linguaggio più diretto ed esplicito dell’infanzia, qui (come quasi ovunque nelle Lyrical Ballads) Wordsworth
fa passare un concetto
che non è né infantile, né
semplicistico, ma che al contrario introduce un’articolazione nell’ambito di una dicotomia del pensiero allora molto in voga, e che in superficie sembra costituire anche l’argomento di queste due poesie. La dicotomia cui mi riferisco è quella tra natura e cultura, così come
viene posta dal pensiero politico e pedagogico di Rousseau. Attraverso l’incrollabile fiducia di William nel potere educativo e comunicativo di alcuni luoghi della natura, Wordsworth dichiara che tale dicotomia, fondamento di tutte le teorie primitiviste che si trovavano allora in circolazione, non è che una mistificazione del
pensiero razionale astratto. Essa funziona esattamente come 1 libri, perché determina una sorta di scissione all’interno del rapporto tra individuo creaturale e individuo storico, che in sé non è possibile
sottoporre ad anatomia, perché non possiede una qualità sostanziale e ontologica, bensì relazionale. Solo intesa come relazione, tale dicotomia può divenire la cifra della condizione umana. In quanto tale, essa indica al tempo stesso unità e separatezza, dunque anche tutta una serie di possibilità intermedie tra questi due estremi, una delle quali risulta essere la tradizione. Non è un caso che Edmund Burke, riconosciuto ormai come uno dei maggiori referenti filosofici di Wordsworth, definisca la tradizione come una forma di “second nature”. In quest'idea sono contenute due componenti che hanno entrambe molto a che fare con la tradizione. Da un lato, la serialità dell’esperienza e la sua duplicabilità all’infinito attraverso l’abitudine. Dall’altro, la naturalizzazione e la codificazione di una visione del mondo attraverso i rituali soUe)
La metamorfosi folclorica
ciali, le credenze popolari, la superstizione, che riscattano gli individui inseriti in quell’ordine di esperienza dalla loro apparente inassimilabilità all’ordine dell’autocoscienza e della storia. Nel rispondere a Matthew, che vede nei libri l’unica fonte di conoscenza possibile, William non contrappone l’erudizione dei libri all’esperienza passiva e indifferenziata della natura, ma alla “spontaneous
wisdom” che la natura “localizza” nella tradizione. La sua argomentazione si può sintetizzare in questo modo: laddove l’intelletto “deforma l’aspetto delle cose” perché, nell’andare ad analizzarle e sezionarle, sottrae loro la vita, la “saggezza” che si ricava dalla natu-
ra è “dolce”, perché non separa le cose, ma le tiene unite, consentendo agli esseri umani di percepirle nella loro interezza e nella loro vitalità. Il “lore which nature brings” si caratterizza in questo modo come un genere di conoscenza che sostituisce alla struttura analitica del pensiero formalizzato nei libri il sincretismo e l’inclusività di un linguaggio che non soltanto non è scritto, ma non è scrivibile, ovvero non è rappresentabile attraverso la discretezza e l’astrattezza di segni grafici. Tuttavia, sottrarre al natural lore la qualità discreta e analitica della scrittura non vuol dire necessariamente negare ad esso la valenza di un codice culturale. Questo è il punto più controverso di tutte le Lyrical Ballads, quello sul quale Wordsworth riflette più a lungo ritornandoci continuamente sopra da diverse prospettive e, al contempo, anche l’interrogativo rispetto al quale la sua posizione resta più ambigua e “indecidibile”. Da un lato, il poeta oppone il “lore which nature brings” non soltanto alla scienza, ma all’arte (“Enough of science and of art”), collocandolo nel “world of ready wealth”, ovvero nell’ambito del (già) dato, che per definizione esclude lo sforzo produttivo ed elaborativo, quindi tutta quella componente creativa dell’umanità che la distingue dall’animalità. Dall’altro, con altrettanta forza, Wordsworth insiste su tutta una serie di valori etici e pedagogici di cui il “lore” sarebbe portatore, la cui funzione appare quella di riscattarne il grado di naturalità, ascrivendolo pienamente alla sfera dell’umano e della storicità. Tale ambiguità trova addirittura una forma di grammaticalizza76
La poetica del natural lore
zione all’interno della poesia, poiché è la struttura stessa della proposizione “Sweet is the lore which nature brings” a implicare un certo grado di transitività e di commutabilità tra “lore” e “nature”. Sebbene la percezione immediata della frase porti a considerare “nature” come il soggetto e “lore” come il complemento oggetto, e dunque vada nella direzione di un’interpretazione naturalistica e naturalizzante del “lore”, da un punto di vista sintattico la proposizione regge anche se viene letta “al contrario”, cioè se si assegna a “lore” la funzione di soggetto. Considerato come soggetto dell’azione, il “lore which nature brings” non è più interpretabile come una sorta di discorso organico, che è “dolce” in quanto schillerianamente “ingenuo”, capace cioè di articolare una relazione diretta e non
mediata con la natura, in virtù della sua stessa origine naturale. Privato del suo marchio di “ingenuità”, il natura! lore diventa processo che produce, o riproduce, la natura, non in senso grafico e scritturale, ma in senso vocale e musicale e che consente in tal modo di
attenuare la distanza tra soggetto e oggetto, tra sapere culturale e sapere naturale, attraverso una serie di dispositivi testuali volti a evocare la coralità e il sincretismo della tradizione. Solo interpretando il “lore which nature brings” anche come folklore, come l’universo linguistico e gnoseologico caratteristico delle culture rurali e marginali, in opposizione a quello della cultura egemonica a carattere nazionale, si è in grado di spiegare l'insistenza wordsworthiana sulla sua eticità. Infatti è solo in quanto punto di vista alternativo,
ma pur sempre interno a un universo culturale, che il folclore può costituire la risposta alla pericolosa egemonia dei libri e della “licensed history”.
4. La genesi del natural lore: “The Complaint of a Forsaken Indian Woman” e “The Mad Mother” When
a Northern Indian, from sickness, is unable to continue
his journey with his companions, he is left behind, covered over with Deer-skins, and is supplied with water, food, and fuel if the situation of the place will afford it. He is informed of the track which
TI,
La metamorfosi folclorica
his companions intend to pursue, and if he is unable to follow, or overtake them, he perishes alone in the Desart; unless he should have the good fortune to fall in with some other tribes of Indians. /t is unnecessary to add that the females are equally, or still more, exposed to the same fate (Corsivo mio).
Questa descrizione in prosa degli usi e i costumi delle tribù nomadi nordamericane precede “The Complaint of a Forsaken Indian Woman” e costruisce uno spazio di mediazione tra il retroterra culturale del presunto lettore delle Ballate, e il motivo tematico della poesia, vale a dire il lamento della donna indiana abbandonata dai
compagni nel corso di uno spostamento, privata del figlio e destinata a morire nelle praterie deserte del Nord America. Attraverso l’interpolazione di questa soglia narrativa, Wordsworth non espone direttamente il lettore all’universo discorsivo del personaggio, sospeso tra la vita e la morte, ma lo predispone all’“ascolto” del suo monologo drammatico ricostruendo intorno a esso un preciso contesto geografico, culturale e comunitario. È proprio grazie a questa contestualizzazione che il linguaggio ossessivo e allucinatorio della donna si sottrae a una lettura in chiave esclusivamente soggettiva e psicologica, e acquisisce le connotazioni del natural lore, del racconto di una tradizione: Before I see another day, Oh let my body die away! In sleep I heard the northern gleams; The stars they were among my dreams; I saw the crackling flashes drive; And yet they are upon my eyes, And yet I am alive. (vv. 1-8)
In modo analogo, “The Mad Mother” mette in scena la dialettica interna alla nozione di natural lore, poiché anche in questo caso il linguaggio allucinatorio della protagonista viene raffigurato come una sorta di centro nevralgico in cui convergono una serie di discorsi che appaiono “mad”, in quanto pongono a fondamento della rela78
La poetica del natural lore
zione madre-figlio un legame ambiguo e irrisolto con lo spazio naturale. La donna appare consapevole della propria funzione pedagogica, della necessità di operare una mediazione tra il bambino e il mondo attraverso la trasmissione di un senso etico e profondamente attivo della natura; allo stesso tempo si mostra intrappolata all’interno di una logica compulsiva che la trattiene in una dimensione di passività e di inquietante naturalità. Il dramma cui la poesia dà voce è il prodursi di una sinergia tra un’identità sana e un’identità alienata, che la logica comune (quella, ad esempio, che s’incarna nel diritto) ritiene entità inconciliabili. In “The Mad Mother”, invece,
Wordsworth dipinge una madre in cui la mancanza di controllo sui ‘‘fluxes and refluxes of the mind when agitated by the great and simple affections of our nature” (Preface, p. 126), non soltanto non annulla la funzione materna, ma fornisce a tale funzione il terreno della sua efficacia. Da un lato, analogamente all’Indian Woman, questa donna si aggrappa alla maternità come estrema risorsa per mantenere un legame con la realtà esterna. Ciò spiega l'insistenza ossessiva nell’allattare il bambino, il cui suggere il latte viene vissuto come la soddisfazione di un proprio bisogno: ‘“Suck, little babe, oh suck again!/It cools my blood; it cools my brain;/Thy lips I feel them, baby! They/Draw from my heart the pain away” (vv. 31-40). Dall’altro lato, il rapporto che la Mad Mother istituisce con il bambino non è tanto naturale quanto naturalistico. La donna non si propone a lui soltanto come supporto nutritivo, ma come guida “coraggiosa come il leone”, come vera e propria educatrice, elemento preposto a mediare l’esperienza di separazione dal proprio corpo e di incontro con il mondo della natura che il bambino è destinato a fare per crescere: Then do not fear, my boy! for thee Bold as a lion I will be;
And I will always be thy guide, Through hollow snows and rivers wide T°1l build an Indian bower; I know
The leaves that make the softest bed:
And if from me thou wilt not go,
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La metamorfosi folclorica
But still be true ‘till I am dead My pretty thing! then thou shalt sing, As merry as the birds in spring. (vv. 51-60)
La follia della Mad Mother risiede nell’incapacità di ricomporre la schizofrenia di un linguaggio che oscilla tra naturalità e naturalismo, tra una dimensione regressiva, dominata dalla biologia, e una dimensione etico-pedagogica, in cui la natura si configura come sfera distinta dall’essere umano e come ambito di conoscenze acquisibili e trasmissibili. Se l'aspetto patologico e regressivo di questi discorsi trova una forma di redenzione e di sublimazione in quello più sano e maturo rappresentato dal ruolo di madre-educatrice, è pur vero che una funzione etico-pedagogica che si regga su un rapporto così irrisolto e ambiguo con la natura, non può che risultarne radicalmente minata. Ciò spiega l’inafferrabilità e la ripetitività compulsiva dei discorsi della donna, il cui messaggio rimane fino all’ultimo vago e intangibile, malgrado l'apparente semplicità del codice che lo veicola o, per dirla alla maniera di Coleridge, malgrado la sua inconfondibile “matter-of-factness”. Proprio qui, nella dinamica di perenne costruzione e decostruzione di discorsi naturalistici, di affermazione della
natura come valore, e di svelamento della natura come dato, risiede il tema di “The Mad Mother”. Di segno opposto, ma speculare, appare il linguaggio naturalistico della donna indiana, il cui inesorabile regredire verso la natura e la morte diventa l’origine e il tema del suo straziante “lamento”, ma viene presentato al lettore come la conseguenza dolorosa, seppur inevitabile, di un costume sociale da cui dipende la sopravvivenza delle comunità tribali: My fire is dead: it knew no pain; Yet is it dead, and I remain.
All stiff with ice the ashes lie;
And they are dead, and I will die. When I was well I wished to live, For clothes, for warmth, for food, and fire;
But they to me no joy can give,
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La poetica del natural lore
No pleasure now, and no desire. Then here contended will I lie Alone I cannot fear to die. (vv. 11-20)
Da questo punto di vista, queste due poesie presentano un aspetto complementare, e possono essere interpretate rispettivamente come il racconto della genesi del natural lore e quello del suo progressivo strutturarsi in tradizione. Se “The Complaint of a Forsaken Indian Woman”, con la prefazione storicizzante e con l’allusione alla
forma poetica del lamento, evoca il processo di codificazione del natural lore, “The Mad Mother” coglie questo processo nella fase della riproduzione e della sua trasmissione generazionale. All’indiana abbandonata nella wi/derness che, sospesa tra disperazione e stoicismo, trasforma la propria morte in un inno alla legittimità della tradizione, Wordsworth riserva il ruolo di vittima di un sistema cultu-
rale in cui il sacrificio dell’individuo è indispensabile alla sopravvivenza della comunità. Alla madre folle che ambisce a fare dello spazio naturale non soltanto il principio di un’etica individuale, ma il valore di un’intera eredità familiare che si trasmette dai genitori ai figli, il poeta assegna il compito di perpetuare le contraddizioni inscritte nel natural lore, semplicemente chiedendole di continuare
a lasciarsi abitare dalla propria follia naturalistica.
5. Il natural lore tra poetica e ideologia
Fin qui ho tentato di definire il tipo di naturalismo che Wordsworth elabora nel suo appello al natura! lore. Vorrei ora passare a considerare il percorso che conduce il poeta al natural lore. Nella sua forza sincretica che, pur rinunciando alla sintesi organica della cultura alta e della storia, è nondimeno in grado di articolare
all’interno di una prospettiva etico-pedagogica diversi livelli di esperienza della natura, il “lore which nature brings” si presenta al poeta chiuso nel felice isolamento di Grasmere, come l’unica dimensione capace di attivare quei meccanismi di resistenza — 81
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“saggia”, seppur “passiva” — che egli percepisce indispensabili a elaborare il trauma dell’evoluzione in senso violento e antilibertario degli ideali rivoluzionari. Così come Wordsworth lo (ri)costruisce
nelle Lyrical Ballads, facendone insieme una poetica e una mitologia personale, il natural lore sembra possedere una capacità di tenuta, tanto sul piano individuale, quanto su quello sociale, assai maggiore rispetto a quella della cultura espressa dai libri e propagandata dai principi razionalistici e democratici dell’Illuminismo. Questa capacità di resistenza non potrebbe darsi se, agli occhi del poeta, il natural lore non rappresentasse un'effettiva alternativa socio-culturale alla modernizzazione, ovvero se si riducesse a una forma di sapere, o di linguaggio, in totale simbiosi con i dettami della natura. A dispetto dell’enfasi sul rapporto organico, mutualmente costitutivo, che lega i ceti rurali del Lake District al territorio,
Wordsworth non presenta il natural lore come una dimensione esistenziale che possiede unicamente una valenza economica, di autoregolamentazione dei bisogni e degli impulsi individuali e sociali, in rapporto alle ferree leggi naturali. Al contrario, nel momento in cui da un lato interviene la crisi dell’ideologia rivoluzionaria paneuropea e universalistica, e dall’altro 1’ Inghilterra si va configurando sempre più chiaramente come una grande potenza coloniale, costruita su un complesso sistema di relazioni tra un centro metropolitano e una variegata serie di periferie, Wordsworth intuisce la rilevanza di quelle culture rurali che, pur apparendo impermeabili alla modernizzazione, si dimostrano a un’analisi più approfondita pienamente integrate nella configurazione geopolitica dell’impero e nella sua rigida gerarchia spaziale”. Il richiamo all’energia spontanea e vitalistica del natural lore, che in molti testi delle Ballate presenta chiaramente le connotazioni di un national lore, diventa allora la
? Per una lettura del rapporto tra Wordsworth, l’imperialismo e la cultura della moder-
nizzazione promossa dalla letteratura romantica cfr. Saree Makdisi, Romantic Imperialism, op. cit.
° Cfr. “Hart-Leap Well”, “The Brothers”, “Ellen Irwin, or the Braes of Kirtle”, “The Idle Shepherd-Boys, or Dungeon-Gill Force”, “Ruth”, “The Old Cumberland Beggar”.
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modalità poetica attraverso cui Wordsworth tenta un compromesso con la crisi della propria ideologia, trasformando i conflitti storici in contraddizioni etiche, e spostandone lo scenario da quella sfera pubblica in cui si elaborano principi filosofici e si progettano rivoluzioni e imperi, all'ambito assai più ristretto del villaggio rurale in cui il prezzo da pagare per il senso di protezione di appartenenza a una comunità è quello della marginalità culturale e dell’impotenza politica??. Tutto ciò non significa interpretare la poetica del natural lore come una strategia di resistenza politica. Come ho già detto, soprattutto nell'edizione del 1800, le Lyrical Ballads segnano una fase di disillusione e di distacco di Wordsworth dal vorticoso coinvolgimento del primo periodo rivoluzionario, e sarebbe pertanto scorretto darne una lettura in chiave esclusivamente politica. Cionondimeno, nell’in-
teresse wordsworthiano per il natura! lore non c’è solo il sentimentalismo del poeta romantico deluso dalla storia e pronto a sostituire la realtà con l'immaginazione, e la violenza della modernità con il
calore della tradizione. Questa lettura funziona meglio se applicata alle opere più tarde, soprattutto a The Excursion. Al volgere del secolo Wordsworth utilizza il natural lore per lavorare ancora all’interno dello iato tra la storia e l'immaginazione, per far emergere quella componente di libertà e di creatività che è contenuta nelle consuetudini, nelle credenze popolari e nelle tradizioni contadine,
poiché ciò che lo stimola è la possibilità di agganciare la sperimentazione poetica a una prospettiva socio-antropologica sull’umanità. Precisamente la prospettiva che il folclore dei ceti rurali delle Lake
29 Cfr. T. Eagleton, The Function of Criticism. From the Spectator to Post-Structuralism, London, Verso, 1984; M. Friedman, op. cit.; Marilyn Butler, Romantics, Rebels and Reactionaries. English Literature and its Background 1760-1830, New York and Oxford, Oxford University Press, 1982; J. Chandler, op. cit; A. Janowitz, England's Ruins. Poetic Purpose and the National Landscape, Cambridge (Mass.) and Oxford, Basil Blackwell, 1990; in merito alle problematiche concettuali e alle istanze ideologiche connesse con la ricostruzione delle culture popolari e/o rurali cfr. Fredric Jameson, The Political Unconscious. Narrative as a Socially Symbolic Act, Ithaca and New York, Cornell University Press, 1981.
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Counties, stretti tra un’irreversibile modernizzazione economica e
una radicata struttura patriarcale, gli fornisce”. Così come il poeta lo rappresenta nelle Ballate, allora, il “lore which nature brings” diventa il punto di convergenza tra l’aspirazione del linguaggio poetico a farsi natura, a far emergere dalle pieghe della sua compromessa storicità un sottostante livello di innocenza e di spontaneità, e il parallelo desiderio degli esseri umani di poter credere che una componente di cultura e di autocoscienza sia attiva anche nei livelli sociali più marginalizzati e apparentemente più prossimi alla tirannica indifferenziazione della natura. Wordsworth si inserisce così pienamente nel solco aperto in Inghilterra dai mora! sense philosophers, perché nel raffigurare le più importanti istituzioni umane come dei territori fluidi in continuo movimento e privi di demarcazioni nette, afferma implicitamente il carattere ambiguo e compromissorio dei valori di cui tali istituzioni sono portatrici. In questo modo egli si distacca nettamente da Kant, la cui filosofia, al contrario di quella inglese, radicata nella tradizione dell’empirismo e dello scetticismo, non rinuncia al fondamento trascendente dei valori, e risolve il problema della ragion pratica, ovvero della morale,
attribuendole una forma di autoreferenzialità, o di autotelismo, che la separa nettamente dall’universo della sensibilità umana e dunque
della opinabilità e del negoziato?!. Il natural lore descritto da Wordsworth nelle Lyrica! Ballads fornisce l’approssimazione più vicina a quella “intersezione aporetica” che, secondo Eagleton, caratterizza gli esseri umani, in particolare coloro che hanno minori mezzi e minor potere di incidere sulla realtà. Nella doppia valenza di discorso nella natura e discorso sulla natura, e nelle for-
3° Sulla crisi politica di Wordsworth al volgere del secolo cfr. Edward Palmer Thomson, “Disenchantment or Default? A Lay Sermon”, in The Romantics. England in a Revolutionary
Age, New York, The New Press, 1997.
È
2! “It is not, as Kant believes, that we move into two simultaneous but incompatible worlds,
but that our movement in the ghostly arena of “noumenal” freedom is precisely the perpetual reproduction of phenomenal enslavement. The subject lives not in divided and distinguished worlds but at the aporetic intersection of the two, where blindness and insight, emancipation
and subjection, are mutually constitutive”, T. Eagleton, The Ideology of the Aesthetic, op. cit., p. 80.
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me espressive frammentarie e sincretiche, il natural lore wordswor-
thiano possiede la forza di tradurre nell’immediatezza e nell’iconicità di un linguaggio apparentemente semplice, e al tempo stesso suggestivo, quel processo di autoproduzione e di autorappresentazione dell’umanità che non si estrinseca nel separare l’ignoranza dalla conoscenza, l’inconsapevolezza dalla consapevolezza, e la libertà dalla soggezione, ma nel riconoscere a tutte queste categorie un grado di compresenza e di “reciproca costitutività” nella sua storia. Tanto basta ad assegnare a “Expostulation and Reply” e a “The Tables Turned” il diritto di precedenza nell’analisi delle Lyrical Ballads. In queste poesie Wordsworth non contrappone la cultura di chi legge all’ignoranza dei pastori che ascoltano e interpretano i suoni naturali, di cui William nella sua vigile staticità, e soprattutto
nella sua abissale distanza dai libri, potrebbe apparire l’emblema. Al contrario, il ritratto di William seduto sull’“old grey stone” idealmente punta già alla giustapposizione di fancy e tradition del sonetto XXIII di Yarrow Revisited, così come all’immagine del “lone shepherd on a promontory” del terzo libro del Prelude, che “lacking occupation looks far forth/Into the boundless sea, and rather makes/ Than finds what he beholds”?. D'altra parte, non è necessario arri-
vare al Prelude per rendersi conto che Wordsworth applica alla figura del pastore il codice del sentimentale senza mai aderire completamente né alla filosofia del primitivo, né alle sue trite convenzioni, come invece fanno i preromantici. Già molto prima della composizione delle Ballate, all’epoca della Letter to the Bishop of Llandaff, egli è attratto dalla sintesi di naturalità e conoscenza, di “integrità” e “sagacia”, che alcune immagini di pastori, per così dire,
illuminati gli forniscono”.
8 W. Wordsworth, The Prelude, III, in op. cit., p. 119, vv. 516-9. 33 “If your lordship has travelled in the democratic cantons of Switzerland you must have seen the herdsman with the staff in one hand and the book in the other. In the constituent assembly of France was found a peasant whose sagacity was as distinguished as his integrity, whose blunt honesty overawed and baffled the refinements of hypocritical patriots. The people of Paris followed him with acclamations, and the name of Père Gérard will long be mentioned with admiration and respect through the eighty-three departments” W. Wordsworth, A Letter to the Bishop of Llandaff, in Prose Works, p. 39.
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In effetti, le letture di stampo rousseauiano e primitivista delle Lyrical Ballads, generate dai vittoriani, sono state soppiantate nel secolo successivo da interpretazioni critiche che hanno cessato di considerare Wordsworth unicamente come il poeta della natura, per concentrarsi invece sulla centralità (nel vero e proprio senso del termine) che egli assegna alla tradizione. Se Matthew Arnold ha fatto di Wordsworth il genio naturale per eccellenza, un secolo dopo, James Chandler ha visto in lui un grande epigono di Edmund Burke, come lui apologeta della tradizione, mentre Jonathan Bate lo ha letto addirittura come il precursore della moderna coscienza ambientalista post-ideologica*. Tratto comune della critica moderna è il riconoscimento che nel linguaggio wordsworthiano l'articolazione tra natura e cultura è assai più complessa e dinamica di quanto non appaia a una prima impressione, e soprattutto che tale articolazione non si compone di due ma da tre elementi, di cui quello mediano è costituito proprio dalla tradizione e dal ruolo ambivalente e problematico che essa gioca rispetto alle altre due. In questo senso, è emblematica la controversia che, negli anni ‘80, James
Chandler
apre con Harold
Bloom, a proposito dei due versi conclusivi di “The Old Cumberland Beggar”: “As in the eye of Nature has he lived/So in the eye of Nature let him die (vv. 188-189). Laddove nell’“eye of nature” Bloom legge un tropo della natura, Chandler vede un tropo della
tradizione. Mentre Bloom identifica nella figura vecchia e logora del mendicante del Cumberland “the human stripped to the nakedness of primordial condition’, Chandler afferma che quella “condizione primordiale” non è che il riflesso di un’abitudine del pensiero,
Se nel 1888, Arnold poteva affermare, senza tema di smentite, che “Nature herself seems, I say, to take the pen out of his hand, and to write for him with her own bare, sheer,
penetrating power”, in questo momento una simile affermazione attirerebbe gli anatemi di tutta la critica, dagli eredi del poststrutturalismo, a quelli del neostoricismo, “Wordsworth”, in The Poetry and Criticism of Matthew Arnold, ed. A. Dwight Culler, Boston, Houghton
Mifflin Company, 1961, p. 345. * H. Bloom, The Visionary Company. A Reading of English Romantic Poetry, Ithaca and
London, Cornell University Press, 1961, 1971, p. 178.
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i
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una proiezione di “the eye of the villager whose perception is governed by the mild necessity of use”. AI di là delle traiettorie seguite dalle singole argomentazioni, il dibattito Chandler-Bloom è rilevante, nonché ancora attuale, perché chiarisce i termini di una questione che risulta centrale per elaborare una serie di ipotesi critiche sulle Lyrica! Ballads. Accogliere l’interpretazione bloomiana significa assegnare ad alcune dichiarazioni programmatiche espresse nella Preface un carattere eccessivamente letterale. Una di queste dichiarazioni è quella in cui Wordsworth afferma di aver scelto i personaggi delle Ballate tra i ceti dei distretti agrari del nord-ovest, poiché “in that situation the passions of men are incorporated with the beautiful and permanent forms of nature” (Preface, p. 245). La lettura naturalizzante, però, non dà conto di alcune contrad-
dizioni etiche e ideologiche poste dalle Lyrica! Ballads, quali 1’ambiguità dei narratori, la cesura tra l’afflato sentimentale che li spinge verso la “low and rustic life”, e il conservatorismo patriarcale che li induce a ratificare l’ordine antidemocratico di cui le classi subalterne sono vittime. Ciò avviene poiché questo genere di lettura postula alla base della visione poetica wordsworthiana un’identificazione tout court tra la dimensione emotiva, affettiva, linguistica
delle culture rurali, e le forme della natura, e così facendo induce a riprodurre in termini critici proprio quella dicotomia tra natura e cultura che Wordsworth ambisce a decostruire attraverso due operazioni complementari. A un primo livello, creando intorno ai personaggi più poveri ed emarginati una retorica del primitivo che li appiattisce totalmente sulla natura. A un secondo livello, però, mostrando come questi stessi personaggi — con le loro alienazioni mentali, le loro superstizioni, le loro pratiche di resistenza e di solida-
rietà — siano interni a un sistema di rapporti individuali e sociali che è a tutti gli effetti un sistema culturale, cioè non soltanto una primitiva strategia di sopravvivenza, ma una vera e propria Weltanschauung, un punto di vista sul mondo.
3 J. Chandler, op. cit., p. 89.
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Un modo per uscire da questa dicotomia critica, come abbiamo già visto a proposito di “The Mad Mother”, consiste nel provare ad assegnare ai discorsi wordsworthiani sulla natura una valenza maggiormente retorica, non per decostruirne la portata semantica, ma allo scopo di aprirla ad altri livelli di lettura. Seguendo questa strada, allora, interpretare la dimensione di “incorporamento” della “vita umile e rustica” nelle “belle e permanenti forme della natura” come l’attribuzione agli strati sociali più bassi di caratteristiche legate a una loro creaturalità prorompente, in quanto non riscattabile, non è più l’unica possibilità di lettura. Parallelamente, diventa lecito percepire nelle dichiarazioni di Wordsworth anche il riconoscimento che tale dimensione, che all’apparenza possiede l’immutabilità di uno stato di natura, è in realtà un processo storico in continuo svolgimento, cioè il risultato di un’azione politica che viene esercitata su queste classi, che non può essere sintetizzata unicamente attraverso
l’adozione di una prospettiva filosofica su di esse. Anche su questo punto, la Letter to the Bishop of Llandaff si rivela uno strumento particolarmente efficace nel tentare una sintesi tra la poetica e l'ideologia espresse nella Preface: It is true in common life, it is still more true in governments that
we should be just before we are generous: but our legislators seem to have forgotten or despised this homely maxim. They have unjustly left unprotected that most important part of property, not less real because it has no material existence, that which ought to enable the labourer to provide food for himself and his family. I appeal to the innumerable statutes whose constant and professed object it is to lower the price of labour, to compel the workman to be content with
arbitrary wages, evidently too small from the necessity of legal enforcement of the acceptance of them”.
Qui l’umanitarismo di Wordsworth sfiora la chiarezza matematica della visione economica di Malthus, il cui Essay on the Principle of
1 W. Wordsworth, A Letter to the Bishop of Llandaff, in Prose Works, p. 43.
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Population viene pubblicato proprio nel 1798. Anche il saggio di Malthus è la combinazione di una doppia, e per certi versi contraddittoria, prospettiva sui ceti rurali. Per dimostrare che la crescita geometrica della popolazione deve essere tenuta a freno a causa del non corrispondente aumento delle provviste di cibo, l’autore adotta rispetto ai ceti rurali una prospettiva fortemente paternalistica e primitivistica. AI medesimo tempo, però, nel cercare possibili soluzioni al problema del calo di produttività agricola,
Malthus elabora una visione economica assai moderna poiché, all'unisono con Wordsworth, riconosce che la ricchezza di questi ceti non sta nella quantità di cibo che riescono a produrre e a consumare, ma nella qualità del lavoro che riescono a tutelare?. A ffermare che la ricchezza dei ceti rurali risiede nella loro forza lavoro, vuol dire inserirli a pieno titolo nel circolo produttivo che differenzia un'economia di pura sussistenza da un'economia di mercato. La naturalizzazione dei modi di vita “low and rustic” non manca pertanto di una sottile complessità ideologica. Se per certi versi la metafora dell’incorporamento pone questi ceti in idillica continuità con la natura, per altri versi essa smaschera una precisa strategia culturale di indebolimento cui tali classi sono particolarmente esposte, proprio a causa della loro vicinanza alla terra. In Home at Grasmere che, come è già stato accennato, costituisce un utile punto di vista sulle Lyrica! Ballads, Wordsworth offre la versione autobiografica di tale incorporamento, perché racconta il primo periodo della sua permanenza nel paesino di Grasmere sotto forma di un idillio pastorale. In questo caso, però, la sua retorica è più scoperta
38 “If in every society that has advanced beyond the savage state, a class of proprietors and a class of labourers must necessarily exist, it is evident that, as labour is the only property of the class of labourers, every thing that tends to diminish the value of this property must tend to diminish the possessions of this part of society. The only way that a poor man has of supporting himself in independence is by exertion of his bodily strength. This is the only commodity he has to give in exchange for the necessaries of life. It would hardly appear then you benefit him by narrowing the market for this commodity, by decreasing the demand for labour, and lessening the value of the only property that he possesses”, Thomas Robert Malthus, An Essay on the Principle of Population, ed. Philip Appleman, New York e London,
Norton, 1976, p. 99.
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che nelle Ballate o nella Preface poiché, trattandosi di versi autobiografici, il lettore è consapevole che il poeta sta descrivendo non tanto un gesto di naturalizzazione, di autoassimilazione alla bellez-
za incontaminata del Lake District, quanto un processo di adeguamento della propria soggettività borghese e cittadina alle “rural manners” della comunità campestre. Ciononostante, anche in Home at Grasmere è la retorica della natura a fornire al poeta i parametri del discorso”. L’ambientamento alle dimensioni austere, ma protettive, del villaggio rurale, viene qui raffigurato come un processo di iniziazione alla “stern face of nature” e di progressivo adattamento ai suoi rigori, che in seguito vengono mitigati dal rassicurante sentimento di appartenenza al luogo e alla comunità degli abitanti. Tale processo raggiunge il culmine attraverso una forma di identificazione della vita umana con le altre vite umane e di assimilazione di tutte al movimento ciclico degli elementi, in cui Wordsworth rinviene la perfezione di tutto ciò che è or-
ganico e compatto, ma che presenta altresì un inquietante risvolto, contenuto nel rischio sempre presente di un precipitare del movimento e della molteplicità nella stasi senza vita dell’uno e dell’identico: — ‘Tis, but I cannot name it, ‘tis the sense
Of majesty, and beauty, and repose, A blended holiness of earth and sky,
Something that makes this individual spot, This small abiding-place of many men, A termination, and a last retreat, A centre, come from wheresoe”er you will,
A whole without dependence or defect,
®° “Stern was the face of nature; we rejoiced/In that stern countenance, for our souls thence drew/A feeling of their strength. The naked trees/The icy brook, as on we passed, appeared/ To question us. ‘Whence come ye, to what end?’ /They seemed to say, ‘Why would ye, said the shower,/‘Wild Wanderers, whither through my dark domain?” (vv. 163-9) “Daylight failed/ Insensibly, and round us gently fell/Composing darkness, with a quiet load/Of full contentment, in a little shed/Disturbed, uneasy in itself as seemed,/And wondering at its new inhabitants./ It loves us now, this Vale so beautiful/Begins to love us!” (vv. 173-180), W. Wordsworth, Home at Grasmere, in The Poetical Works of William Wordsworth, Ernest de Selincourt and Helen
Darbishire, eds., Oxford, Clarendon Press, 1949, p. 319.
ON
La poetica del natural lore
Made for itself, and happy in itself, Perfect contentment, Unity entire”.
(vv. 142-51) Nell’esultante celebrazione dell’integrità e dell’autosufficienza delle comunità rurali, in opposizione alla dimensione degradata e alienata delle città (che Wordsworth descrive simultaneamente nella Preface), i versi di Home at Grasmere tradiscono un aspetto dell’ideologia wordsworthiana che è inequivocabilmente (e irreversibilmente) com-
promesso con il mito controrivoluzionario e nazionalistico della Restaurazione. Parallelamente, tuttavia, essi rivelano tutta la problematicità e l'ambiguità legate all’assunzione di posizioni conservatrici, poiché nel momento in cui il poeta arriva a descrivere la sua stessa esperienza attraverso la grammatica dell’incorporamento nella natura, si pone a un difficile bivio. Da questo punto in poi deve identificare anche se stesso nella spontaneità e nella semplicità delle classi rurali. Oppure deve ammettere che la loro naturalità, la condizione di incorporamento nella natura, è analoga a quella descritta con tono autocelebrativo in Home at Grasmere, la quale, come abbiamo visto, non è la descrizione di uno stato di natura, ma una metafora di
acculturazione. C’è infine una terza possibilità che gli si offre: quella della non scelta, dell’elusione del problema, del permanere nel dub-
bio. Ed è esattamente questa l’opzione che Wordsworth esplora nelle Lyrical Ballads “per bocca” dei suoi narratori, un po’ ironici, un po’ creduloni, pronti in ogni momento a deridere la passività, l'ignoranza e la superstizione dei personaggi-villagers, e allo stesso tempo incapaci di sottrarsi alla seduzione delle loro storie.
6. Pastorali moderne
A questo punto il cuore della problematica si sposta. Una volta stabilito che la poetica del natural lore chiama in causa non tanto la
40 W. Wordsworth, Home at Grasmere, in The Poetical Works of William Wordsworth, E.
de Selincourt and H. Darbishire, eds., op. cit., p. 318.
9I
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natura in sé, quanto la natura, per così dire, elevata al grado di tradizione, si tratta di individuare attraverso quali canali comunicativi e quali modalità cognitive e rappresentative, i personaggi delle Lyrical Ballads si muovono all’interno di un sistema culturale che si presenta intrinsecamente arcaico e localistico e, al contempo ri-
sulta, se non del tutto integrato, quanto meno integrabile nella dimensione spazio-temporale della nazione e dell’Europa stessa. Su questo snodo, la prospettiva culturalista sulle Lyrica/ Ballads stabilisce dei punti di contatto con quella ambientalista, che a partire dagli anni ‘90 ha tentato un recupero delle letture naturalistiche già elaborate nell’Ottocento, in polemica con il New Historicism. Segno, questo, che il problema della naturalità, e/o naturalizzazione, dei
personaggi delle Ballate non è per nulla obsoleto, ma al medesimo tempo che tale problema va sganciato tanto dal fondamentalismo vittoriano che traccia un confine invalicabile tra la natura e la storia, quanto dalla retorica neoromantica del titanismo. Per Bate, “To
go back to nature is not to retreat from politics but to take politics into a new domain, the relationship between Love of Nature and Love of Mankind and, conversely, between the Rights of Man and the Rights of Nature”'. Nell’indulgere a tratti epico, a tratti sornione, sull’universo delle
consuetudini e delle superstizioni delle classi che intrattengono con la natura un rapporto viscerale, soprattutto nell’insistere quasi voyaeuristico sulla qualità della relazione che lega i membri di queste classi tra loro e con l’ambiente, le Lyrical Ballads offrono un perfetto terreno di confronto tra un materialismo critico che ambisce a riportare alla luce la storia rimossa dalla poetica della unmediated vision, e un pensiero ambientalista, che innesta la storia nella natura attraverso la nozione di ecosistema. Il punto di convergenza tra le due prospettive emerge dalla capacità di abbandonare la modalità dualistica del pensiero che configura tra la natura e
*! Jonathan Bate, Romantic Ecology. Wordsworth and the Environmental Tradition, London
and New York, Routledge, 1991, p. 33.
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la storia un irriducibile iato. E questo non si ottiene negando il concetto di natura, alla maniera dei neostoricisti*?, bensì attualizzandolo,
sottraendo cioè alla natura i tratti che la distinguono ontologicamente dalla storia, ovvero l'identità e la permanenza. In effetti, nessuno di
questi due tratti può ragionevolmente essere ascritto alla natura di fine millennio, costretta a fronteggiare brusche trasformazioni, restringimenti di spazi, e continui pericoli”. La prospettiva environmental è interessante perché sottolinea come il processo di naturalizzazione della “low and rustic life” agisca in più direzioni, e come la metafora di incorporamento tanto cara al poeta possa essere reinterpretata come il segno dell’insorgere di una coscienza ambientalista moderna, che percepisce la natura non più in pastorale contrapposizione, ma in inquietante continuità, con la storia e con la politica. Quale sarà, allora, il destino degli individui che abitano un mondo che appare di nuovo — questa volta, però, per ragioni del tutto laiche e prosaiche — dominato dal principio delle corrispondenze, dei richiami analogici tra i piccoli e i grandi sistemi, e dove l’intervento umano sullo spazio naturale implica sempre il
4 Radicale, nonché provocatoria, la definizione di natura espressa da Alan Liu cui Bate si contrappone: “there is no nature except as it is constituted by acts of political definition made possible by particular forms of government. When the governmental understructure changes, nature changes. Each time a nation suffers an invasion, civil war, major change of ministry, or some other crisis, national or international, it must revise its land-scape, the image of its own nature”, op. cit., p. 104.
4 “Nature” is a term that needs to be contested, not rejected. It is profoundly unhelpful to say ‘There is no nature’ at a time when our most urgent need is to address and redress the consequences of human civilization’s insatiable desire to consume the products of the earth. We are confronted for the first time in history with the possibility with there being no part of the earth left untouched by man. ‘Human civilization’ has always been in the business of altering the land, whether through deforestation, or urbanization or mining or enclosure or even the artificial reimposition of ‘nature’ through landscaping in the manner of William Kent and Capability Brown. [...] There is a difference not merely in degree but in kind between local changes to the surface configuration of the land and the profound transformations of the economy of nature that take place when the land is rendered radioactive or the ozone layer is depleted. When there have been a few more accidents at nuclear power stations, when there are no more rainforests, and when every wilderness has been ravaged for its mineral resources, then let us say ‘There is no nature’”, J. Bate, op. cit., p. 56.
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riassetto, o la perdita, di equilibri già profondamente minacciati*? Nelle Lyrical Ballads, Wordsworth affronta la questione attraverso una strategia da National Trust ovvero, come scrive Paola Colaiacomo, assegnando alle classi rurali del Lake District, contaminate da, ma non ancora del tutto assimilate a, la logica capitalistica dell’inva-
sione e dello sfruttamento del territorio, il “compito di preservare la memoria della specie stratificata nella lingua”. All’estinzione, o alla minaccia dell’estinzione, di un intero sistema di vita incentrato su un
rapporto diretto con la terra, Wordsworth oppone la capacità di resistere e di mantenersi integra della memoria umana, così come si deposita nel linguaggio “semplice e non elaborato” dei contadini dell’Inghilterra nord-occidentale. Ciò facendo, prosegue Paola Colaiacomo, “Wordsworth all’atto stesso priva queste creature di una storia individuale. Quello che implicitamente richiede loro è il sacrificio estremo: la rinuncia, tanto più totale, perché apparentemente inconsapevole, ad essere portatrici di un punto di vita singolare, irripetibile’. Se questo è innegabile, è però altrettanto vero che privare gli individui di un punto di vista “singolare e irripetibile” non vuol dire sottrarre loro in toto la capacità di elaborarne uno. Il lavoro delle Lyrical Ballads è volto a esplorare tutti gli spazi che rimangono al poeta “lirico”, nel momento in cui si trova a confrontarsi con un universo umano e sociale che, presentandosi come impermeabile alla nozione moderna di libertà e di individualità, risulta
rappresentabile unicamente attraverso il codice del primitivismo. Il ricorso al natural lore, ovvero a quel livello dell’esperienza in cui il rapporto con la natura è mediato dall’abitudine e dalla tradizione, allora, serve a Wordsworth ad avanzare l’ipotesi che la cultu-
ra delle comunità rurali, refrattaria com’è a una sensibilità soggettivistica e scientifica, e completamente interna a una visione del mondo comunitaria e millenaristica, rappresenti una dimensione cultu* Cfr. J. Bate, “Living with the Weather”, in Studies in Romanticism, vol. SS n: Fall 1996, pp. 431-47. ® Paola Colaiacomo, “La circostanza della vita”, introduzione a S. T. Coleridge, Bio-
graphia Literaria, traduzione e cura di P. Colaiacomo, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. XV. 4 Ibidem.
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rale sincronica, alternativa e complementare, rispetto alla modernità, e non invece il suo immediato antecedente storico.
A tal fine Wordsworth mette in atto due strategie complementari: da un lato ricostruisce i processi cognitivi ed emotivi attraverso cui prende vita la visione del mondo folclorica e comunitaria, caratteristica dei ceti rurali; dall’altro dimostra come tale visione possieda un proprio raggio d’azione anche all’interno di una cultura che, contrariamente a quella rurale, trova nell’elaborazione di un punto di vista singolare e irripetibile il proprio fondamento etico ed epistemologico. Da qui la centralità del tema dei libri. Se la cultura dei libri, che Matthew promuove con tanta convinzione, prodotta e consumata nell’isolamento, punta alla creazione di individui indipendenti e autocoscienti, il natura! lore funziona esattamente al contra-
rio. Il suo campo d’azione non è l’individuo inserito nel vasto e articolato panorama delle città, ma la comunità rurale, la cui marginalità sociale esso punta a riscattare attraverso un’azione coagulante e, per così dire, omologatrice. Ecco allora che il “principal object” della raccolta, che Wordsworth
illustra nella Preface, ovvero
“to
make the incidents of common life interesting by tracing in them, truly but not ostentatiously, the primary laws of our nature: chiefly as far as regards the manner in which we associate ideas in a state of excitement”, si apre a un maggior livello di complessità, poiché l’aggettivo “common” può essere letto sia come semplice e ordinario, sia come comunitario. Una volta affermata la centralità del natura! lore nella poetica wordsworthiana al volgere del secolo, diventa necessario domandarsi
di che segno sia la visione folclorica e comunitaria espressa nelle Lyrical Ballads. In altre parole, occorre chiedersi quale genere di valenze storiche, filosofiche e ideologiche vengano veicolate attraverso tale visione. La risposta non può essere univoca, perché essa chiama in causa l’interpretazione del concetto di tradizione. Se si considera la tradizione come un sistema di consuetudini e di rappresentazioni tendenzialmente statico e conservatore, la sua funzione primaria diventa quella di costituire e preservare un capitale simbolico di senso, cui la sacche di marginalità sociale attingono in 95
La metamorfosi folclorica
funzione esclusivamente difensiva e autoconservativa. Ma se si guarda alla tradizione e alla consuetudine anche come a “a field of change and of contest, an arena in which opposing interests made conflicting claims”, allora l’ambito della loro azione si allarga ed esse cominciano ad apparire come istanze culturali che non esercitano unicamente spinte frenanti e regressive, ma possono anche assolvere funzioni attive di conflittualità, di cambiamento e di creatività.
Dar voce al natural lore, allora, non significherà soltanto privare le creature inserite a quel livello esistenziale di un “punto di vista singolare e irripetibile”, per assegnare loro una visione del mondo tradizionale e comunitaria. Vorrà dire anche convincere queste stesse creature a fare un grande volo di fantasia, inducendole a immaginare qualcosa che non si presenta loro come un dato dell’esperienza, bensì, tutt'al più, come la proiezione di un desiderio. Significherà far loro sentire che esiste la possibilità di una metamorfosi capace, quasi come in un gioco di prestigio, di mutare la disgregazione sociale e culturale in cui esse vivono in “Perfect contentment” e “Unity entire”. Ecco perché, accanto alla tradition, entra in gioco la fancy, non in funzione decostruttiva, ma di rinforzo del processo di elaborazione del punto di vista collettivo. Wordsworth riconosce che, seppur visceralmente legato alla natura, tale processo non coincide per nulla con essa. Esso non parte dall’organico e indifferenziato della natura, ma punta ad esso come a una dimen-
sione della cultura, anzi, come all’unica dimensione che sia in grado di articolare una Wel/tanschauung unitaria e condivisa, a partire
da quell’“agglomerato indigesto di frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita” di cui, secondo Antonio Gramsci, ‘solo nel
folclore si trovano i superstiti documenti mutili e contaminati”. Se
* E. P. Thomson, Customs in Common. Studies in Traditional Popular Culture, New York, The New Press, 1993, p. 6. # Il ruolo della fancy nella genesi della Weltanschauung comunitaria descritta da Wordsworth appare molto simile a quello svolto dall’immaginazione nel processo di costruzione dell’identità nazionale argomentato da Benedict Anderson in Imagined Communities. Reflections on the Origin and Spread of Nationalism, London and New York, Verso, 1983. 4 Antonio Gramsci, “Osservazioni sul folclore”, in Quaderni dal carcere, Torino, Einaudi, 19N7ANp 231124
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La poetica del natural lore
ci si pone nell’ottica gramsciana, l’elaborazione di un punto di vista collettivo è tutt'altro che un processo semplice. Essa si presenta come quella particolare modalità del folclore attraverso la quale le classi subalterne producono una propria “concezione del mondo e della vita” che, pur essendo ‘asistematica e politicamente non organizzata”, non ha comunque nulla a che vedere con il pittoresco?0. Da ciò nasce l’imbarazzo dello studioso di fronte alle Lyrical Ballads, nel momento cruciale in cui è costretto a scegliere se leggerle come un’opera sistematica o come un “agglomerato di frammenti”. È la materia stessa del testo a generare questo dubbio, la cui soluzione dipende dalla forza con cui chi legge è disposto a percepire nel disporsi apparentemente disordinato e “asistematico” dei testi la presenza di un progetto estetico unitario, volto a raffigurare non soltanto l’estinguersi, ma il prodursi di una visione collettiva del mondo. L’intuizione di Wordsworth nelle Lyrica/ Ballads è dunque precisamente questa: per il poeta romantico la tradizione e la fantasia non stanno, come per il poeta moderno, in un rapporto di mutua esclusione, bensì di complementarietà, perché se tradizione
vuol dire elaborazione di un punto di vista collettivo sulla realtà, tale punto di vista non è mai una condizione di partenza, ma solo una prospettiva di arrivo. In esso bisogna credere fortemente e immaginarlo intensamente, molto prima di riuscire a tradurlo nella realtà.
In altre parole, prima di divenire “tradition”, esso deve nascere come “fancy”, nella doppia accezione di facoltà creativa e di fantasticheria, ovvero deve mostrare come al centro dei propri meccanismi si
trovi una componente di fictionality. Questo è il motivo per cui, in “Fancy and Tradition”, Wordsworth illustra il processo creativo come un movimento che va dalla trascendenza all’immanenza, e non viceversa. Attraverso l’analisi dei testi, si vedrà come la figura che si fa ca-
rico della componente fictional di questo processo è quella complessa, sfuggente, a tratti ottusa, a tratti ironica e ammiccante, di un
50 Ibidem.
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La metamorfosi folclorica
narratore che possiede tutti i tratti di un individuo folclorico. Tale narratore assume diverse tipologie all’interno dei testi, ma la sua cifra più caratteristica è quello della denegazione. Egli rinnega la tradition per riaffermarla sul piano della fancy; teme la confusione del punto di vista collettivo, eppure si rivela incapace di abbandonarlo per elaborarne uno “singolare e irripetibile’. Non riuscendo a interpretare bene una storia, si accontenta di raccontarne disordinatamente tante. È, insomma, l’incarnazione di come Wordsworth vede il poeta
al volgere del secolo: un “translator”, o per dirla alla maniera di Coleridge, un “ventriloquo”, che confonde la propria voce con le altre, che “parla agli uomini” soltanto ‘per bocca dei suoi personaggi”, una sorta di pifferaio magico che vaga di villaggio in villaggio, risvegliando la gente dal “letargo dell’abitudine” e facendo teatro del proprio linguaggio semplice e senza pretese: “The moving accident is not my trade,/To freeze the blood I have no ready arts:/ ‘Tis my delight, alone in summer shade,/To pipe a simple song to thinking hearts” (“Heart-Leap Well”, vv. 97-100).
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CAPITOLO III
IL NARRATORE FOLCLORICO 1. Poesia e “matter-of-factness”
Nel tentativo di confutare la visione primitivistica, pittoresca e sentimentale dei ceti rurali, dunque, Wordsworth fa appello alla funzione aggregante e creativa della tradizione, che non si esaurisce in uno statico insieme di pratiche e di credenze popolari, percepite in antitesi con le leggi della razionalità e della storia, ma viene piuttosto tratteggiata come un particolare tipo di relazione che si istituisce tanto tra gli individui, quanto tra gli individui e lo spazio che essi abitano. Nella sfida che si apre al linguaggio poetico nel momento in cui esso si fa carico di ricostruire la genealogia del natural lore, Wordsworth intravede la possibilità di ripercorrere l’originarsi stesso di tale linguaggio. Ciò spiega come mai egli identifichi nell’osservazione empatica di tipi umani appartenenti all’universo della povertà e della subalternità culturale lo strumento più adatto allo sperimentalismo delle Lyrica! Ballads. Da questo punto di vista, il progetto wordsworthiano non appare molto diverso da tanta letteratura settecentesca che si serve di figure della marginalità per sottoporle a uno studio antropologico. Come vedremo, Wordsworth non rifiuta in toto tale metodo ma lo problematizza, e ne fa lo strumento per collocare la poesia a un livello
di isomorfismo rispetto alle forme del natural lore!. L'elemento testuale attraverso il quale Wordsworth costruisce l’antropologia della “low and rustic life”? è rappresentato da una precisa tipologia di narratore che di volta in volta assume nel testo for! Sebbene l’antropologia come disciplina autonoma nasca solo alla fine dell’Ottocento, già nel 1798 Kant utilizza questo termine col significato di “scienza dell’uomo”. Cfr. Immanuel Kant, Antropologia Pragmatica, Bari, Laterza, 1969, 1994. ? È interessante notare come nelle edizioni della Preface successive a quella del 1802 l’aggettivo “low”, contenuto nell’espressione “low and rustic life”, venga sostituito con “humble”. Questo cambiamento si pone in continuità con la tendenza del linguaggio wordsworthiano ad assumere col passare del tempo toni sempre meno sociologici e più didascalici.
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La metamorfosi folclorica
me diverse, pur mantenendo al medesimo tempo una funzione costante rispetto alle storie che narra e ai personaggi che descrive. Tale narratore è da un lato una figura che veste panni diversi da poesia a poesia, un personaggio simile a tutti gli altri, come loro coinvolto negli “ncidents of common life” con modalità stilistiche e tonalità discorsive assai variegate. Dall'altro, a causa dell’instabilità prospettica rispetto alle storie in cui s'imbatte, tale narratore finisce col dar vita a un
modello di narratività che governa la maggior parte dei testi delle Ballate, ma che non allude neppure lontanamente al formarsi di una coscienza centrale organica e uniformante. Da qui nasce il timbro singolare e inconfondibile delle Lyrica/ Ballads, impresso attraverso una dimensione di profonda e apparentemente insanabile frammentarietà, quasi di assenza di articolazione, del linguaggio: che si ripete ossessivamente, che fa un uso eccessivo della tautologia, che si avvi-
ta continuamente su se stesso, sfiorando sempre l’aporia semantica, senza mai davvero cadervi. Una sorta di ‘‘negative capability” antelitteram che, nell’abilità del narratore di intessere racconti muovendo da un vuoto di conoscenza, raffigura l'emblema di un’immaginazione poetica che si attiva sempre a partire da un’assenza?. Il primo lettore delle Lyrica! Ballads che evidenzia l’importanza della posizione dell’io lirico rispetto ai materiali poetici è Coleridge che, per definire alcuni “difetti” dello stile wordsworthiano delle Ballate, arriva addirittura a coniare una nuova categoria critica: The second defect I could generalize with tolerable accuracy, if the reader will pardon an uncouth and new-coined word. There is, I
should say, not seldom a matter-of-factness in certain poems. This may be divided into, first, a labourious minuteness and fidelity in the representation of objects, and their positions, as they appeared
° Nella Preface all’edizione del 1802, che contiene l’aggiunta sulla natura del poeta, viene delineato chiaramente il legame tra l’attività poetica e l'assenza. Il poeta viene descritto come colui il quale possiede “a disposition to be affected more than other men by absent things as if they were present; an ability of conjuring up in himself passions, which are indeed far from being the same as those produced by real events, yet (especially in those parts of the general sympathy which are pleasing and delightful) do more nearly resemble the passions produced by real events, than anything which, from the motions of their own minds merely, other men are accustomed to feel in themselves”, W. Wordsworth, Prose Works, p. 138.
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Il narratore folclorico
to the poet himself;
circumstances,
secondly,
the insertion
of accidental
in order to the full explanation of his living
characters, their dispositions and actions, which circumstances might
be necessary to establish the probability of a statement in real life, where nothing is taken for granted by the hearer, but appear superfluous in poetry, where the reader is willing to believe for his own sake (Biographia Literaria, XXII, p. 391).
Come accade ripetutamente nella Biographia Literaria, quelli che Coleridge considera i punti deboli dello stile wordsworthiano sono anche gli aspetti che lo affascinano maggiormente e dunque quelli su cui egli esercita la propria facoltà critica con più intensità e sagacia. L'autore della “Rime” è consapevole che tale “concretezza” è profondamente legata all’impostazione antropologica del progetto poetico di Wordsworth; cionondimeno la considera come una caduta di stile, nonché come un vero e proprio equivoco epistemologico. L'accusa che egli muove a Wordsworth è duplice: in primo luogo quella di non essersi sottratto alla tentazione del mimetismo, della “laboriosa minuziosità e fedeltà nella rappresentazione degli oggetti”. Quindi, quella di aver inserito nelle poesie “circostanze accidentali” irrilevanti, di non aver saputo distinguere tra il genere di belief che si attiva nella “vita reale” e la natura del credere poetico che è sempre un deliberato atto di “suspension of disbelief”: qualcosa che deriva, per così dire, da un gesto di volontaria autosuggestione del lettore, che non ha nulla a che vedere
con la maggiore o minore verosimiglianza del linguaggio poetico. D'altra parte, in questo brano Coleridge non fa che ribadire la problematica che si trova al cuore del piano compositivo delle Lyrica/ Ballads, le quali, come si è già visto, per lui avrebbero dovuto rappresentare “one work, in kind, though not in degree, as an Ode is one work”, mentre per Wordsworth avrebbero dovuto avvicinarsi a un linguaggio polifonico, al tempo stesso più lirico e più drammatico, in cui il poeta, ‘“man speaking to men”, comunica al mondo parlando “through the mouths of his characters”4.
4 W. Wordsworth, Preface, p. 142.
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La metamorfosi folclorica
Ma le implicazioni del termine “matter-of-factness” non si esauriscono nell’accusa di mimetismo e di mancanza di significato; esse
vanno a toccare un nodo cruciale intorno a cui si sviluppa la grammatica delle Lyrical Ballads: tale nodo riguarda il punto di vista sulla lingua che Wordsworth decide di adottare “per bocca dei suoi personaggi”. Come sappiamo, nella Biographia Literaria Coleridge sì dichiara fortemente scettico rispetto alla possibilità per il poeta di utilizzare il linguaggio parlato dai ceti non colti tramite un’operazione di pura selezione e riuso, come invece Wordsworth dichiara
di aver fatto nel comporre le Ballate. Secondo Coleridge, l’illusione di cui è vittima Wordsworth è quella di poter accedere realmente all’‘“ordine’ del discorso degli “uneducated men”5. Tale illusione genera un autentico fraintendimento epistemologico, poiché tra la lingua degli uomini non colti e quella di quelli “superiori in conoscenza e potere” non esiste solo una differenza quantitativa, cioè lessicale, ma qualitativa, sintattica. Nell’ordine del discorso degli “uneducated”, prosegue Coleridge, there is a want of that prospectiveness of mind, that surview, which enables a man to foresee the whole of what he is to convey,
appertaining to any one point; and by this means so to subordinate and arrange the different parts according to their relative importance, as to convey it at once, and as an organized whole (Biographia Literaria, XVIII, p 345. Corsivo mio).
Quella “mancanza di prospettivismo mentale”, che costituisce un serio impedimento alla costruzione di discorsi organizzati secondo un ordine sintattico “colto”, basato cioè sul principio di subordinazione (di matrice scritta), per Coleridge costituisce una distanza
° “We do not adopt the language of a class by the mere adoption of such words exclusively, as that class would use, or at least understand; but likewise by following the order, in which the words of such men are wont to succeed each other. Now this order, in the intercourse of uneducated men, is distinguished from the diction of their superiors in knowledge and power, by the greater disjunction and separation in the component parts of that, whatever it be, which they wish to communicate”, S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XVII, p. 345.
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Il narratore folclorico
insormontabile tra la lingua del poeta, profondamente intrisa di tradizione letteraria, e quella dei personaggi “umili e rustici”, veicolata principalmente attraverso la comunicazione orale. Se “la parte migliore del linguaggio umano”, ovvero la lingua della cultura e della poesia, segnata com'è da un'intera tradizione di pensiero e di scrittura, “deriva dalla riflessione sugli atti della mente stessa”, la lin-
gua dei ceti non colti, avendo al proprio centro un vuoto prospettico, difficilmente può essere autoriflessiva. Laddove la lingua degli “educated” si forma “mediante la volontaria applicazione di simboli fissi ad atti interiori, a procedimenti e risultati dell’immaginazione, la maggior parte dei quali non ha luogo nella consapevolezza della persona incolta”, la lingua degli “uneducated” ha un ambito rappresentativo assai più ristretto, anzi, ‘“scanty”’8. In rapporto alla lingua poetica, la traiettoria del pensiero di Coleridge è chiara: dal momento che la parte migliore della lingua è costituita da atti di riflessione della mente su se stessa, e dal momento che la lingua dei ceti marginali si caratterizza, al contrario, per un’assenza di prospettivismo, il suo ambito di rappresentazione e di comunicazione non potrà che essere ridotto al minimo, profondamente frammentato e,
per così dire, atomizzato, fino al punto da non oltrepassare la soglia del “fatto isolato”, dell’“esperienza residua”, o tutt’al più della “cre-
denza tradizionale”. Diversamente per Wordsworth, per il quale la “mancanza di prospettivismo” rappresenta al contrario un punto di partenza ideale. Essa permette al poeta di adottare un'ottica sul mondo che è assai più ingenua, frammentaria e asistematica di quella che governa il linguaggio colto, ma, proprio per questa ragione, è
6 S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XVII, p. 342. ? S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XVIII, traduzione di P. Colaiacomo, op. cit., p.
DAT 8 “The rustic, from the more imperfect development of his faculties, and from the lower state of their cultivation, aims almost solely to convey insulated facts, either those of his scanty experience or his traditional belief; while the educated man chiefly seeks to discover and
express those connections of things, or those relative bearings of fact to fact, from which some
more or less general law is deducible”, S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XVII, p. 342. Corsivo mio.
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anche assai più libera e creativa, perché non ancora sottoposta alla logica rigorosamente sintattica e deduttiva che governa la cultura alta. Si comprende allora meglio come la matter-of-factness non soltanto non possa essere considerata un difetto, una disomogeneità stilistica ma, al contrario, rappresenti la cifra più moderna e sperimentale del linguaggio delle Ba/late?. Essa altro non è se non il prodotto di quella “want of that prospectiveness of mind” applicata alla lingua, che caratterizza i ceti non colti e che si manifesta da un lato
attraverso un’estrema semplificazione della sintassi, e dall’altro in un aderire di questa lingua — tanto spontaneo per i personaggi, quanto assolutamente calcolato per il poeta — all’accidentalità e allo stesso tempo alla ciclicità dell'esperienza dei ceti rurali. Non è casuale che, nella Preface, il brano che utilizza la metafora dell’incorporamento
delle passioni dei ceti rurali nell’ambito delle “beautiful and permanent forms of nature” venga immediatamente seguito dalla descrizione della loro lingua: The language too of these men is adopted (purified indeed from what appear to be its real defects, from all lasting and rational causes of dislike or disgust) because such men hourly communicate with the best objects form which the best part of language is originally derived; and because, from their rank in society and the sameness and narrow circle of their intercourse, being less under the action
of social vanity they convey their feelings and notions in simple and unelaborated expressions (Preface, p. 125).
° Questa lettura dello stile di Wordsworth passa direttamente ai vittoriani, primo fra tutti Matthew Arnold: “Shakespeare frequently has lines and passages in a strain quite false, and which are entirely unworthy of him. But one can imagine his smiling if one could meet him in the Elysian Fields and tell him so; smiling and replying that he knew it perfectly well himself, and what did it matter? But with Wordsworth the case is different. Work altogether inferior, work quite uninspired, flat and dull, is produced by him with evident unconsciousness of its defects, and he presents it to us with the same faith and seriousness as his best work. Now a drama or an epic fill the mind, and one does not look beyond them; but in a collection of short pieces the impression made by one piece requires to be continued and sustained by the piece following. In reading Wordsworth the impression made by one of his fine pieces is too often dulled and spoiled by a very inferior piece coming after it)”, “Wordsworth”, in M. Arnold, op. cit., pp. 335-6.
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Per Wordsworth la parte migliore del linguaggio risiede nella capacità di comunicare con gli oggetti stessi da cui esso deriva, segnatamente i sentimenti e le passioni degli individui comuni, non provvisti di un punto di vista su se stessi e sul mondo altrettanto elaborato e complesso di quello degli individui a loro “superiori in conoscenza e potere”. C’è però un inganno in cui il lettore delle Lyrical Ballads non deve cadere: quello di credere che, nel liquidare tanto il livello più marcatamente autoriflessivo della lingua poetica, quanto quello più convenzionale e manierato!, Wordsworth stia promuovendo una visione ingenuamente mimetica della poesia. In realtà, nell’adottare la lingua dei ceti rurali poco, o per nulla, alfabetizzati, Wordsworth si prefigge almeno due intendimenti. Innanzitutto contrastare l’idea che il legame che unisce la parola alla cosa, almeno in linea teorica, sia sempre ripercorribile e razionalizzabile. Se ciò fosse vero, il poeta che dà voce a individui che intrattengono un rapporto di immediatezza e di semplificazione estrema con le cose non dovrebbe avere alcuna difficoltà a comprenderne o interpretarne la lingua. Questo, però, non accade mai nelle Lyrical Ballads, le quali del linguaggio incolto offrono un’immagine complessa e sfuggente sul piano semantico, nonché fortemente metaforica, basata sulla sistematica opposizione tra livelli tematici e livelli discorsivi. Inoltre, se per un intellettuale di estrazione borghese e dalla lunga frequentazione con ambienti urbani come Wordsworth, è palese che “gli oggetti” con cui i membri delle comunità rurali ‘comunicano ora dopo ora” sono essenzialmente oggetti naturali, che possiedono la concretezza, le forme e i volumi di tutto ciò che è sottoposto all'immediata esperienza dei sensi, è
altresì vero che il principio che amalgama tutte le percezioni relative
!0 “Except in a very few instances the Reader will find no personifications of abstract ideas in these volumes, not that I mean to censure such personifications: they may be well fitted for certain sorts of composition, but in these Poems I propose to myself to imitate, and, as far as is possible, to adopt the very language of men, and I do not find that such personifications make any regular or natural part of that language. I wish to keep my Reader in the company of flesh and blood, persuaded that by so doing I shall interest him”, W. Wordsworth, Preface, p. 130.
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a tali oggetti e le rende linguaggio, non può essere diverso da quello che governa la lingua colta, nella fattispecie quella poetica. Tale principio, per Wordsworth risulta essere qualcosa di profondamente legato da una parte alla regolarità del “feeling” e dall’ altra alla ripetitività della “experience”, vale a dire, l'abitudine: Accordingly such a language arising out of repeated experience and regular feelings is a more permanent and a far more philosophical language than that which is frequently substituted for it by Poets, who think that they are conferring honour upon themselves and their art in proportion as they separate themselves from the sympathies of men, and indulge in arbitrary and capricious habits of expression in order to furnish food for fickle appetites of their own creation (Preface, p. 125. Corsivo mio).
In linea con l’associazionismo, per “linguaggio filosofico” Wordsworth non intende il registro autoriflessivo della lingua, bensì il livello più denotativo, quello in grado di rispondere maggiormente ai criteri di economia e di precisione che vengono richiesti a uno strumento finalizzato principalmente alla vita sociale e alla comunicazione!!. Si comprende ora meglio il motivo della polemica contro i libri, su cui Wordsworth tanto insiste nelle Lyrica/ Ballads non, come abbiamo visto, in chiave naturalistica, quanto piuttosto in termini di richiamo all’importanza della tradizione come paradigma conoscitivo alternativo. Dopo il vivace scambio di vedute tra William e Matthew, il discorso sui libri in relazione alla “wise passiveness”
viene riformulato in “Lines written at a small distance from my
!" Cfr. David Hartley: “If we suppose mankind possessed of such a language, as that they could at pleasure denote all their conceptions adequately, i.e. without any deficiency, superfluity, or equivocation; if, moreover, this language depended upon a few principles assumed not arbitrarily, but because they were the shortest and best possible, and grew on from the same principles indefinitély, so as to correspond to every advancement in the knowledge of things, this language might be termed a philosophical one”, citato in nota dai curatori in W. Wordsworth, Prose Works, p. 169.
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House, and sent by my little Boy to the Person to whom they are addressed”. In questa poesia l’esortazione ad abbandonare il lavoro per godere del ‘first mild day of March” acquisisce un ulteriore livello di complessità, perché viene espressa all’interno di un testo che presenta forti connotazioni metapoetiche: My Sister! (‘tis a wish of mine) Now that our morning meal is done, Make haste, your morning task resign; Come forth and feel the sun. Edward will come with you, and pray, Put on with speed your woodland dress, And bring no book, for this one day We'll give to idleness. (vv. 9-16)
In queste “Lines” la pedanteria di Matthew nel controbattere ogni singola argomentazione addotta da William, su cui Wordsworth insiste in “The Tables Turned”, viene sostituita da un minuzioso cata-
logo di raccomandazioni rivolte dal poeta alla sorella. Ciò serve a costruire intorno all’esperienza dell’“uscir fuori” nella natura un intero protocollo di azioni e di gesti preliminari che, di nuovo, è ben lungi dall’associare la ‘“idleness” a un primitivismo irriflesso e indifferenziato. Il poeta chiede a Dorothy quattro cose molto precise: di abbandonare le cure della casa; di calarsi nei panni adatti al
tipo di esperienza che si approssima a fare; di lasciare a casa i libri; di farsi accompagnare da un bambino. Wordsworth informa la sorella che, per godere del contatto con la natura, è necessario compiere una serie di passaggi rispetto alla condizione in cui si trova al momento, che sono complementari l’uno all’altro e implicano, come accade di frequente nella sua poesia alternativamente una perdita e un guadagno. All’abbandono degli obblighi domestici fa da contrappunto il cambio d’abito, che non deve essere un indumento qualsiasi, bensì un “woodland dress” (la cui importanza viene riba-
dita ancora nell’ultima strofa: “With speed put on your woodland 107
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dress”, v. 38)!2. Analogamente, la separazione dai libri viene bilanciata dall'acquisto di un compagno d’avventura, il piccolo Edward, figlio dell’amico Basil Montagu. La poesia prosegue poi con un elenco delle aspettative legate all’esplorazione della natura primaverile: No joyless forms shall regulate Our living Calendar: We from to-day, my friend, will date
The opening of the year. Love, now an universal birth, From heart to heart is stealing, From earth to man, from man to earth,
- It is the hour offeeling. (vv. 17-24. Corsivo mio.)
Questi versi si riallacciano direttamente al brano della Preface appena citato, poiché portano alla ribalta la questione dei referenti della lingua poetica che tanto sta a cuore a Wordsworth. Analogamente a quanto fa in “Expostulation and Reply” e “The Tables Turned”, qui il poeta sta descrivendo l’esperienza di immersione nello spazio circostante non come un movimento di identificazione panica con la natura, dal tono regressivo e primitivistico, bensì come un gesto di integrazione nella natura di una temporalità umana
che è insieme interna e interiore. Interna,
perché è legata ai ritmi del lavoro femminile, alle abitudini domestiche e alla ripetitività quotidiana. Interiore, perché nasce da una scansione del tempo che è intrinseca a un “living Calendar” e non è legata al calendario solare. Wordsworth dapprima inquadra la dimensione del “come forth and feel the sun” all’interno di un’esperienza, per così dire, di escursionismo, che si caratterizza come tale proprio per essere legata alla ritualità dei gesti preparatori
1: le sue gurata za del
Nelle Lyrical Ballads il testo che meglio tematizza la dialettica perdita-guadagno nelnumerose implicazioni è “Tintern Abbey”. In questa poesia tale dialettica viene rafficome quella particolare modalità di relazione tra la memoria del passato e la coscienpresente che struttura il passaggio dall’infanzia alla maturità.
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e alla meticolosità dell’organizzazione. In un secondo momento, una volta esplicitata l’idea che tale immersione implica un intervallo tanto nella routine giornaliera, quanto nella frequentazione dei libri, Wordsworth afferma che andare verso la natura significa non soltanto occupare uno spazio esterno, ma riappropriarsi di uno spazio interno, assegnando un tempo al proprio “calendario” interiore: “It is the hour of feeling”. Nell’accostare in maniera un po’ bizzarra l’intensità e l’inafferrabilità del “feeling” all’esattezza e alla perentorietà di un limite temporale che si esaurisce nello spazio di sessanta minuti — “the hour” — Wordsworth ribadisce innanzitutto il rifiuto della logica del primitivismo su cui si fondano la maggior parte delle raffigurazioni poetiche della marginalità. Stabilendo un limite temporale, una sorta di deadline, al gesto di “come forth and feel the sun”, Wordsworth afferma che l’andare verso la natura da parte del poeta non comporta un regredire all’interno di una simbiosi indifferenziata con essa, ma semmai un procedere verso l'acquisizione di un linguaggio paterno, fatto di “silent laws” che “our hearts may make” e che essi “shall long obey”. Parallelamente, assegnare lo stesso valore etico e culturale all’“hour of feeling” che il poeta si concede lontano dagli obblighi intellettuali, rispetto all’esperienza quotidiana di coloro che “hourly communicate with the best objects”, vuol dire assegnare al linguaggio parlato da coloro che lavorano la terra un potere strutturante rispetto al pensiero, forte almeno quanto quello posseduto dal linguaggio che tale quotidiana comunicazione si appresta a riprodurre. Per questa via Wordsworth apre un interrogativo cruciale rispetto alla natura del linguaggio poetico e a ciò che lo accomuna a quello degli “uneducated men”. Al contrario di Coleridge, egli è pronto ad affermare che così come “there neither is, nor can be, any essential difference between the language of prose and metrical composition” (Preface, p. 134), una “differenza di essenza” non esiste neppure tra la lingua della poesia e quella legata alla quotidianità apparentemente più semplice e più sottoposta alla natura. È in questo senso che va interpretata l’esortazione a “bring no book” rivolta a Dorothy, seguita dall’invito a farsi accompagnare da un bambino. Se il libro, attraverso la scrittura, e in qualità di deposito di un certo tipo di 109
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conoscenza e di memoria, ha la capacità di stimolare negli indivi-
dui un’esperienza del linguaggio in cui il tempo è oggettivato, co-
dificato e, in ultima analisi, spersonalizzato, esso diventa inutile,
quasi un intralcio, nel momento in cui ci si predispone all’ “hour of feeling”, ovvero ci si orienta verso l’esperienza di individualizzazione estrema del tempo, che soltanto il contatto con i ritmi naturali
è in grado di offrire!?.
2. “As rising from the vegetable world my theme ascends”: temporalità georgica e tradizione locodescrittiva Nell’invitare Dorothy a condividere con lui e con un bambino un’esperienza di “ozio” che si caratterizza come un’ora di “feeling” da cui, tuttavia, diventa possibile una vera e propria ridefinizione del
!3 Alle soglie dell'Ottocento, il libro non rappresenta più soltanto quel veicolo privilegiato di conoscenza e di informazioni che lungo tutto il corso del Settecento ha permesso una sempre maggiore diffusione della cultura. Sebbene la divulgazione del libro stampato abbia costituito un enorme stimolo a una fruizione solitaria del sapere, indipendente cioè da autorità ed egemonie culturali esterne al lettore, a fine secolo questo processo di democratizzazione della cultura comincia a mostrare anche un altro volto. Alcuni fattori intervengono a inquinare la percezione del libro come esclusivo mezzo di conoscenza e di emancipazione sociale. Tra questi c’è innanzitutto la sua riproducibilità virtualmente infinita, che in qualche maniera spezza l’illusione di un rapporto unico, speciale e, per così dire, intimo tra lo scrittore e il lettore. A ciò bisogna aggiungere la crescente standardizzazione delle tecniche di stampa, l’apparire delle prime forme di pubblicità, nonché il cospicuo potere culturale e finanziario che l’editoria comincia a detenere, fattori che, nel complesso, contribuiscono a trasformare il libro in vera e propria merce, in oggetto di consumo spersonalizzato, la cui facile reperibilità è direttamente proporzionale a una fruizione veloce e consumistica. È in tale prospettiva che va considerato il sospetto wordsworthiano nei confronti dei libri, opposto a una rivalutazione non soltanto del valore terapeutico, quanto soprattutto maieutico e autoconoscitivo del contatto con la natura. Al riguardo cfr. Ian Watt, The Rise of the Novel, Berkeley, University of California Press, 1957; James Barnes, Free Trade in Books. A Study of the London Book Trade since 1800, Oxford, Oxford University Press, 1964; Walter Ong, Interfaces of the World, Ithaca, Cornell University Press, 1977; Orality and Literacy. The Technologising of the World, London and New York, Methuen,
1982; Romolo Runcini, La
paura e l'immaginario sociale nella letteratura, Napoli, Liguori, 1985; Colin Campbell, The Romantic
Ethic and the Spirit of Modern
Consumerism,
Oxford, Blackwell,
1987; Ann
Bermingham and John Brewer, eds., The Consumption of Culture 1600-1800. Image, Object, Text, London and New York, Routledge, 1995; Mark Schoenfield, The Professional Wordsworth. Law, Labor and The Poet’s Contract, Athens and London, The University of Georgia Press, 1997.
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tempo interiore, il poeta sta immaginando una relazione con la natura profondamente diversa rispetto a quella tratteggiata dalla poesia naturalistica settecentesca. Per Wordsworth, scrivere poesia sulla natura non equivale più, come nella migliore tradizione locodescrittiva, a costruire dei parallelismi tra la storia dell’umanità e le stagioni naturali, alla maniera di Thomson. Per quest’ultimo la poesia sgorgava direttamente dal ‘“vegetable world”, possedeva cioè una vera e propria essenza naturalistica che si fondava sulla nozione di un macrocosmo metafisicamente ordinato, in cui il rapporto tra la natura e la storia, sebbene non sempre trasparente, era ancora concepito secondo il paradigma dell’analogia. In accordo all’onnipresente matrice georgica, la poesia locodescrittiva settecentesca aveva fatto del “labour”, della lavorazione della terra e di produzione dei frutti,
il trait d’union tra la natura e la storia. Il lavoro rappresentava da un lato il perenne obbligo di riscatto dell’umanità dalla propria condizione caduta; dall’altro, in quanto attività ordinatrice, restauratrice e produttiva, costituiva l’unica possibilità di tenere sotto controllo la natura non attraverso il dominio della forza, ma della conoscenza, della familiarità con i suoi ritmi e i suoi cicli. L'ideologia
georgica esigeva dal contadino una sorta di abilità ermeneutica, poiché lavorare la terra per trarne dei frutti implicava la capacità di decifrare i segni naturali. Questa visione intrinsecamente economica dell’esistenza aveva fatto del tempo una scansione del lavoro e della produttività. Il tempo cronologico scandiva i ritmi del lavoro sulla natura, così come l’alternanza tra attività e riposo e solo in virtù di questa sua funzione esso arrivava a sincronizzare una comunità!4. La concezione così materialistica e insieme così claustrofobica della temporalità aveva permeato anche il linguaggio poetico, al punto che il tempo era divenuto qualcosa di omogeneo e indiviso: una dimensione dell’esi-
14 Cfr. John Barrell, The Idea of Landscape and The Sense of Place 1730 - 1840. An Approach to the Poetry of John Clare, Cambridge, Cambridge University Press, 1972; R. Williams, op cit.; Kurt Heinzelman, The Economics of the Imagination, Amherst, University of Massachussetts Press, 1980; Laura Brown and Felicity Nussbaum, eds., The New Eighteenth Century: Theory, Politics, and English Literature, New York, Methuen, 1987.
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stenza isomorfa a quella del lavoro, dunque, almeno idealmente, sempre occupabile da altro lavoro e di nuova energia produttiva e creativa. In quest'ottica, ad esempio, va interpretata la tendenza tipicamente settecentesca a scrivere poemi lunghi dal tono giornalistico, densi di motivi che si susseguono uno dopo l’altro senza apparente soluzione di continuità, perché strutturati quasi esclusivamente sulla descrizione, quali The Seasons di Thomson, oppure The Task di Cowper. Nella loro lunghezza e densità tematica è come se questi poemi ricercassero un punto di massima lavorabilità e occupabilità dello spazio testuale, attraverso una vera e propria saturazione dell'immaginazione del lettore. Tale saturazione costituiva un obiettivo tanto nobile, quanto necessario poiché, in accordo con la concezione georgica del tempo, essa era la testimonianza della generosità e della laboriosità del poeta, la prova dello sforzo massimo cui egli aveva sottoposto la propria immaginazione!5. Un altro effetto dell’appropriazione dell’ideologia georgica da parte della lingua poetica erano stati i cosiddetti commodity poems, ovvero quei poemi che traevano spunto da un bene di consumo, quale The Sugar-Cane, The Cider, The Fleece, di cui tracciavano l’intero
ciclo produttivo, dall’origine naturale al momento del consumo legato invece a costumi e rituali sociali. Gran parte di questa produzione poetica nasceva da un profondo, seppur talvolta inconsapevole, allineamento dei poeti con l’ideologia imperialistica. L’enfasi sul lavoro, sulla produttività e sul consumo,
anche se non sempre in-
tenzionalmente, finiva coll’essere perfettamente funzionale a un progetto politico di espansionismo e di sfruttamento delle colonie, che ricercava una propria legittimazione anche sul piano etico e morale!9. E così come la vocazione a trasformare territori incolti e lonta-
! Cfr. Richard Feingold, Nature and Society: Later Eighteenth-Century Use of the Pastoral and Georgic, New Brunswick (N. J.), Rutgers University Press, 1978; Moralized Song: The Character of Augustan Lyricism, New Brunswick (N. J.), Rutgers University Press, 1989. Sul rapporto tra Wordsworth e Pope cfr. Robert J. Griffin, Wordsworth's Pope, Cambridge, Cambridge University Press, 1995.
!© Cfr. J. Arac and H. Ritvo, eds., op. cit.; Laura Brown, Ends of Empire: Women and Ideology in Early Eighteenth-Century English Literature, Ithaca, Cornell University Press, 1993; L. Lowe, op. cit.
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ni in spazi ordinati e produttivi aveva costituito la giustificazione razionale alla costruzione dell’impero, l'Inghilterra di metà Settecento avviava la gestione capitalistica delle campagne e delle proprietà fondiarie anche attraverso una politica culturale che faceva leva sull’idealizzazione dell’operosità contadina e sulla raffigurazione pastorale della povertà.!? Per un poeta come Oliver Goldsmith, ad esempio, il mondo rurale che andava scomparendo rappresentava simultaneamente un motivo di grande nostalgia e una fonte di inesauribile piacere poetico. Nel suo rinchiudersi ed esaurirsi nella dimensione protetta e rassicurante del “village”, l'universo contadino era preferibile comunque a un mondo asservito al “trade’s unfeeling train” e all’“ignorance of wealth” poiché, malgrado l’isolamento e la povertà, era sempre in grado di fare di necessità virtù, trasformando in piacere le fatiche del lavoro!8: The swain mistrustless of his smutted face, While secret laughter tittered round the place; The bashful virgin’s sidelong looks of love, The matron’s glance that would those looks reprove. These were the charms, sweet village! sports like these,
With sweet succession, taught even toil to please; These round thy bowers their cheerful influence shed,
These were thy charms — but all these charms are fled.!
Naturalmente, soprattutto sul finire del secolo, non mancano voci discordanti rispetto all’uso così strumentale del lavoro rurale e del-
!? Cfr. John Sitter, Literary Loneliness in Mid-Eighteenth-Century England, Ithaca and London, Cornell University Press, 1982; Virginia C. Kenny, The Country House Ethos in English Literature, 1688-1750, Brighton, The Harvester Press, 1984; James A. W. Heffernan, The Re-Creation of Landscape, Hanover and London, University Press of New England, 1984; Gary Harrison, Wordsworth's Vagrant Muse, Detroit, Wayne State University Press, 1994; Clifford Siskin, The Work of Writing. Literature and Social Change in Britain 1700-1830, Baltimore and London, The Johns Hopkins University Press, 1998.
!8 Cfr. “Pastoral into Lyric. ‘The Deserted Village”, in Anne Williams, Prophetic Strain, Chicago, The University of Chicago Press, 1984.
!9 Oliver Goldsmith, “The Deserted Village”, in English Augustan Poetry, ed. Paul Fussell, Garden City (N.Y.), Anchor Books, 1972, pp. 530-1, vv. 27-34. Corsivo mio.
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le classi emarginate. Tra questi, George Crabbe è il poeta che forse in modo più esplicito e aspro denuncia le contraddizioni ideologiche che sostengono il mito della bellezza e della purezza incontaminata delle culture rurali: Yes, thus the Muses sing of happy swains, Because the muses never knew their pains. They boast their peasant’s pipes; but peasants now Resign their pipes and plod behind the plough; And few amid the rural tribe have time To number syllables, and play with rhyme. Sl Nor you, ye poor, of lettered scorn complain: To you the smoothest song is smooth in vain;
O’ercome by labor, and bowed down by time, Feel you the barren flattery of a rhyme? Can poets soothe you, when you pine for bread, By winding myrtles round your ruined shed? Can their light tales your weighty griefs o’erpower,
Or glad with airy mirth the toilsome hour?
Nello smascherare la falsa coscienza che sta alla base delle raffigurazioni idealizzate del mondo rurale, Crabbe punta il dito verso un altro aspetto dell’ideologia georgica tanto esaltata dai poeti: la capacità propria della poesia di “alleviare” 1’ “ora laboriosa” del contadino. Nel registro fortemente denotativo e didascalico e nel tono polemico che contraddistinguono la sua poesia, Crabbe istituisce una chiara contrapposizione tra la dimensione di leggerezza, quasi di vacuità, caratteristica dell’attività poetica (“barren ... rhyme”, “light tales”) e la pesantezza materiale e morale della condizione “umile e rustica” (“weighty griefs”). L'obiettivo di Crabbe è il definitivo smantellamento del mito del bardo, ovverosia di tutta quella retorica che,
attraverso la figura del poeta-contadino, costruisce un sistema di
°° George Crabbe, The Village, in English Augustan Poetry, op. cit., p. 570, vv. 21-6; 5562. Corsivo mio.
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corrispondenze tra l’inscrizione del territorio realizzata attraverso l’interpretazione dei segni naturali e la riproduzione di tale inscrizione evocata dal linguaggio naturalistico e locodescrittivo. Per Crabbe nessuna identificazione tra l’uno e l’altro sarebbe stata possibile fin tanto che i poeti avessero continuato a idealizzare e a rimpiangere il mondo rurale, evitando accuratamente di descriverlo in modo sincero e realistico. La polemica di Crabbe va nella direzione di estromettere il naturalismo più manierato ed edulcorato di certa poesia dall’ideologia georgica, ideologia che se da un lato presenta una componente oppressiva e materialistica, dall’altro, per questa stessa ragione, rappresenta per il poeta anche un’efficace istanza di identificazione e legittimazione. Escluso dalla dimensione di operosità e di utilità che caratterizza il “labour”, il poeta si ritrova padrone di un tempo liberato, ma simultaneamente comincia a percepire in se stesso la mancanza del senso di identità che sempre accompagna le fatiche del lavoro socialmente riconosciuto. È per questa via che, come illustra bene Cowper, egli si ritrova a “cantare il sofa”, ovvero si trova suo malgrado a stringere un’alleanza col mondo femminile di estrazione aristocratica, che si basa
sulla comune appartenenza a quella parte di umanità preposta al consumo, piuttosto che alla produzione delle risorse?!. Che altro può essere il “compito” del poeta sul finire del secolo se non quello di soddisfare i capricci e i vezzi di una ‘lady, fond of blank verse”??? Nella raffigurazione autoparodica di Cowper la poesia nasce dal rispecchiamento tra il desiderio di intrattenimento della “lady” e il “leisure time” del poeta. Essa trae origine dalla sottomissione del poeta a un impulso tanto casuale, quanto assolutamente ostinato e
2! Cfr: “The Feminization of Ideology: An Introduction”, introduzione a L. Brown, op. cit.; Dustin Griffin, “Redefining Georgic: Cowper's Task”, in ELH 57, n. 3-4, 1990, pp. 865-79. 22 “The history of the following production is briefly this: — A lady, fond of blank verse, demanded a poem of that kind from the author, and gave him the sofa for a subject. He obeyed; and, having much leisure, connected another subject with it; and, pursuing the train of thought
to which his situation and turn of mind led him, brought forth at length, instead of the trifle which he at first intended, a serious affair — a Volume!”, William Cowper, “Advertisement” a The Task, London, J. Johnson, 1785. Corsivo mio.
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capriccioso della “bella signora”, mollemente adagiata sul divano della sua ricca dimora: riempire il “tempo libero” non di poesia qualunque, bensì di “verso sciolto”, vale a dire di una lingua meno sottoposta alle restrizioni della dizione poetica e che, in virtù della propria natura, sia in grado di riprodurre tanto l’estrema casualità del desiderio femminile, quanto la profonda vacuità (‘“blank[ness]”)
della condizione poetica. Una volta ammessa la specularità tra poesia e desiderio femminile, il “compito” del poeta diventa quello di mostrarne la complementarietà: I sing the Sofa. I, who lately sang Truth, Hope, and Charity, and touched with awe The solemn chords, and with a trembling hand, Escap’d with pain from that advent’rous flight, Now seek repose upon an humbler theme; The theme though humble, yet august and proud Th’ occasion — for the Fair commands the song.”
A pochissimi anni dall’inizio della Rivoluzione Francese (The Task viene pubblicato nel 1785) Cowper fa fare alla poesia come un passo indietro, la porta a ritirarsi nell’ambito di una domesticity aristocratica, dove il tempo non possiede tanto una valenza georgica, quanto una funzione di commodity, di vero e proprio bene di consumo privilegiato che il “blank verse” è chiamato a riempire. Con le sue connotazioni esotiche, il “sofa” celebrato dalla poesia diventa
la sineddoche di una condizione femminile e domestica che mostra un profondo legame con l’economia dell’impero e dunque con il mercato, lo sfruttamento e la sopraffazione?4. Cionondimeno, Cowper
illustra come tale dimensione arrivi a esercitare un forte potere
5 W. Cowper, The Task, I, in op. cit., p. 129, vv. 1-7. % È interessante notare come Wordsworth trasformi il “sofa” cowperiano dai toni esotici in un semplice e quotidiano “couch”: “For oft, when on my couch I lie/In vacant or in pensive mood,/They flash upon that inward eye/Which is the bliss of solitude;/And then my heart with pleasure fills/And dances with the daffodils”, in “Poems of the Imagination”, XII, in Poetical Works, op. cit. p. 149.
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seduttivo nei confronti del poeta proprio nel momento in cui il suo linguaggio cessa di celebrare “Truth, Hope and Charity”, ovvero non si dimostra più in grado di sostenere la fiction della perfetta trasparenza tra i valori legati alla natura, e i valori prodotti dalla cultura e dalla storia. Si comprende allora come l’“hour of feeling” di Wordsworth abbia alle spalle un lungo percorso che, attraverso tutto il XVII secolo, ha condotto il poeta da una temporalità georgica, in cui la poesia si colloca in una dimensione di specularità e insieme di continuità con il lavoro sulla natura, a una temporalità moderna, legata a un mondo scandito dai ritmi della produzione industriale e dall’economia di mercato, e che per questo motivo ha irreversibilmente perso la capacità di un rispecchiamento immediato con gli oggetti e con i cicli naturali. In “Lines written at a small distance from my house” Wordsworth accoglie l’eredità cowperiana del poeta addomesticato, ovvero ricondotto dentro casa e fuori dagli spazi produttivi dall’ambiguo statuto del suo lavoro, ma ne inverte la traiettoria. TuttaVia, se il poeta di 7he Task “seek[s] repose upon an humbler theme”, adagiandosi metaforicamente sul comodo “sofa” accanto alla ‘fair lady”, il poeta delle Lyrical Ballads scrive i propri versi con la finalità opposta: convincere la sua ‘fair lady” ad abbandonare la casa per ‘come forth and feel the sun”. Questo abbandono non è definitivo, come invece appare l’occupazione dello spazio domestico da parte del poeta parodiata da Cowper, poiché, pur essendo connotato come un momento di “ozio” (“this one day/We?ll give to idleness”’),
esso comporta un preciso limite temporale: “it is the hour of feeling”. Tale limite rievoca molto da vicino due rappresentazioni per certi versi antitetiche del tempo: da un lato quella georgica della “toilsome hour” descritta da Crabbe in The Village. Dall'altro quella antigeorgica e protomoderna del “Time-Piece”, il secondo libro di The Task, in cui il poeta domina l’ansia causata da un mondo “that seems to toll the death-bell of its own decease,/And by the voice of all its elements/To preach the general doom”5, inscrivendo la propria sensi-
25 W. Cowper, The Task, II, in op. cit., p, 147, vv. 50-3.
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bilità millenaristica all’interno di un “orologio”, ovvero elaborando una dimensione della temporalità umana che abbia il potere di normalizzare la natura, ponendo gli individui a un punto di massima lontananza da essa: tra le mura protettive e rassicuranti di un ricco interno domestico?6. Tanto in Cowper, quanto poi, in misura maggiore in Wordsworth, comunque, l'accostamento tra un moto della sensibilità e una scansione cronologica ha una funzione profondamente antinaturalistica, poiché sottolinea l’aprirsi di una distanza e di una differenza tra il tempo della natura e il tempo interiore degli individui??. Se dunque, nelle Lyrical Ballads, Wordsworth si discosta dalla
temporalità georgica non è per sostituire l’‘“hour of feeling” al comodo sofà cui il poeta cowperiano dedica i propri versi. Per lui l’uscir fuori nella natura non cancella il “compito” del poeta, ma semmai lo converte in un genere differente di lavoro. Il movimento dal dentro al fuori svolge la funzione di attribuire all’io una nuova collocazione rispetto agli oggetti naturali, conducendolo da una condizione di passiva ricettività, che caratterizza la nozione di soggetto nella tradizione empirista, a una condizione di spontaneità, di rela-
tiva indipendenza del soggetto rispetto ai dati dell’esperienza, che costituisce il tratto innovativo della sensibilità romantica. Solo in quanto spontaneo, ovverosia capace di cognizione a partire da condizioni non empiriche, l’io poetico di Wordsworth può permettersi di raffigurare l’esperienza di incontro con la natura come un’“hour of feeling”. È soltanto a partire da una nozione di feeling come di una capacità che è non solo percettiva, ma cognitiva e immaginativa, nonché assolutamente originaria dell’individuo, e totalmente autonoma rispetto agli stimoli esterni e al linguaggio, che Wordsworth esalta l’importanza del “come forth and feel the sun”,
°° Parallelamente, seppur per contrasto, l’“hour of feeling” wordsworthiana evoca anche quell’“uncertain hour” in cui riappare l'angoscia del vecchio marinaio, il quale da quel mo-
mento in poi, per pura compulsione, si trova a ripetere all’ascoltatore di turno la sua esperienza ossessiva e perturbante.
° Cfr. J. MeGann, The Poetics of Sensibility, Oxford, Clarendon Press, 1996; A. Pinch,
Op. cit.
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come valore sostitutivo rispetto al lavoro e alla cultura espressa dai libri. Proprio in quanto dispositivo interno all’individuo e indipendente dai dati empirici, il feeling può essere sincronizzato con la natura, può essere posto come in una sorta di reazione chimica con i suoi oggetti, sotto lo stretto controllo della cronologia, cioè del tempo scandito dalla storia e non più dai cicli naturali. Questo procedimento consente a Wordsworth di ricollocare l’io poetico nell’universo del “labour”, sottraendolo simultaneamente tanto alla dicotomia georgica della produttività del lavoro della terra/improduttività del lavoro creativo, quanto al solipsismo addomesticato e
quietistico del poeta di Cowper, ridotto a cantare le lodi del divano.
3. Una “antropologia domestica” Si torna per questa via alla “wise passiveness” celebrata in “Expostulation and Reply”, ovvero all’utopia protoecologica in accordo alla quale non solo è possibile, ma anche auspicabile una dimensione dell’esistenza che non contrapponga radicalmente la natura alla storia, ma riesca a mettere tutti gli aspetti che compongono l’umanità degli individui in un rapporto di sinergia. Ma attraverso questa strada si giunge anche alla Preface e alla celebre definizione di poesia come “spontaneous overflow of powerful feelings’’23. In questa formula Wordsworth propugna una concezione eminentemente espressiva e antimimetica del linguaggio poetico?9, in cui il significato dell’aggettivo “spontaneous”, ricavato dalla radice etimologica — sponte, secondo volontà, oppure di natura propria — non è tanto quello di irriflesso, quanto di volontario, deliberato e al tempo stesso di originario3°, L’accezione filosofica del termine “spontaneous”
28 “For all good poetry is the spontaneous overflow of powerful feelings: and though this be true, Poems to which any value can be attached were never produced on any variety of subjects but by a man who, being possessed of more than usual organic sensibility had also thought long and deeply”, W. Wordsworth, Preface, p. 126. 29 Cfr. M. H. Abrams, op. cit.. 30 Su questo punto cfr. S. Prickett, Wordsworth and Coleridge: The Lyrical Ballads, London, Edward Arnold, 1975, p. 8.
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conferisce alla seconda parte della definizione, “overflow of powerful feelings” connotazioni assai meno passive di quanto possa apparire a una prima lettura. Interpretata secondo l’etimologia, la spontaneità wordsworthiana coinvolta nel procedimento poetico perde il sapore di risposta immediata e irriflessa dell’io alla natura, e diventa sempre più una sorta di dispositivo culturale che conduce il poeta a mescolare la propria sensibilità agli oggetti della natura, in maniera tanto deliberata, calcolata e, per così dire, cronometrabile, quanto assolutamente vitale e necessaria. La poesia perde così il carattere di linguaggio secondo, collocato rispetto alla natura in un rapporto di mimesi, di riproduzione e acquisisce invece una qualità originaria, sorgiva, perfettamente espressa dalla metafora dell’ “overflow”. Oltre a promuovere una visione innovativa rispetto al funzionamento della lingua poetica, il passaggio dalla nozione di ricettività a quella di spontaneità, permette altresì di avanzare nuove ipotesi sul linguaggio comune. In effetti, se la tradizione empirista di ascendenza lockiana, che agisce nell’immaginario illuminista, vede nel linguaggio non soltanto il veicolo, ma la vera e propria struttura del pensiero (al punto da reputare incapace di intendere e di volere chiunque sia privato della facoltà di parola), la nozione di originarietà del feeling suggerisce al contrario che la genesi della coscienza non ha bisogno di alcuna mediazione linguistica. È a partire da questa intuizione che, già nell’ Advertisement, e in netta antitesi con Coleridge, Wordsworth propugna sotto forma di ipotesi di lavoro l’identità tra linguaggio comune e linguaggio poetico3!. L’omologazione tra il “linguaggio della conversazione nelle classi medie e basse della società” e “le finalità del piacere poetico” sarebbe improponibile se il contesto filosofico di riferimento fosse quello dell’empirismo, ovvero se Wordsworth credesse ancora al linguaggio
al “The majority of the following poems are to be considered as experiments. They were written chiefly with a view to ascertain how far the language of conversation in the middle and lower classes of society is adapted to the purposes of poetic pleasure”, W. Wordsworth, Advertisement, p. 116.
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come indispensabile mediazione del pensiero. Al contrario, egli appare piuttosto affascinato da quelle situazioni e da quelle figure che sono in grado di smentire la priorità genealogica del linguaggio rispetto al pensiero, offrendo al poeta lo spettacolo della loro reciprocità, o in alcuni casi addirittura quello di un grado di mutua indipendenza, come nel caso dell’/diot Boy??.
Naturalmente, una posizione così innovativa nei confronti del “linguaggio della conversazione” conduce Wordsworth a interrogarsi in modo ancor più profondo sullo statuto della lingua poetica, poiché nel momento in cui stabilisce un’equazione tra l’uno e l’altra sulla base della loro spontaneità, del comune legame con l’originarietà del feeling, il poeta si trova ad affrontare una vera e propria questione antropologica: The principal object then which I proposed to myself in these Poems was to make the incidents of common life interesting by tracing in them, truly though not ostentatiously, the primary laws of our nature; chiefly as far as regards the manner in which we as-
sociate ideas in a state of excitement (Preface, p. 123).
Come già accennavo all’inizio del capitolo, l’idea di risalire attraverso la poesia a “le leggi primarie della natura umana” evidenzia la presenza di un forte interesse antropologico alla base del progetto delle Lyrical Ballads, confermato dalla quasi esclusiva focalizzazione su figure della marginalità, quali donne isteriche, ragazzi idioti, vecchi poveri e abbandonati. Parallelamente, però, l’importanza conferita al ‘modo in cui tutti noi associamo le idee in uno stato di eccitazione” pone anche un forte accento sui meccanismi che governano il rapporto tra pensiero e linguaggio. In conformità con l’impostazione di pensiero settecentesca, Wordsworth dà per scontato che esistano degli universali antropologici comuni a tutti gli esseri umani, quali ad esempio la predisposizione al linguaggio, alla socialità e
32 Sul passaggio dalla nozione settecentesca di ricettività a quella ottocentesca di spontaneità cfr. Lia Formigari, L'esperienza e il segno, Roma, Editori Riuniti, 1990.
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alla sympathy. Allo stesso tempo, però, egli intuisce che nel momento in cui si passa dal piano antropologico a quello psicologico “la modalità” di funzionamento dei meccanismi associativi e linguistici non soltanto non possa essere data per scontata, ma debba venir
osservata in un contesto storico e sociale ben preciso e verificabile: da qui la focalizzazione sulle classi rurali del Lake District nella fase di passaggio verso il capitalismo agrario. Ciononostante, attendersi da Wordsworth una sorta di studio di sociolinguistica ante-litteram significherebbe cadere in un pericoloso fraintendimento. Associare il tanto propagandato sperimentalismo delle Lyrical Ballads ai metodi sperimentali che caratterizzano la ricerca scientifica vorrebbe dire ignorare, o fingere di ignorare, che per Wordsworth, come per i suoi contemporanei, la scienza e la poesia operano su piani profondamente distinti. Se quest’ultima possiede un ambito di esperienza limitato agli individui in possesso di competenze specifiche, la poesia si rivolge all’individuo universale, che soffre, che gioisce, che conosce in un contesto di
vicinanza e di condivisione della sua esperienza con i propri simili. L’adozione wordsworthiana del termine “experiment” va pertanto considerata in termini molto più retorici che non letterali. Per Wordsworth la poesia possiede un’intrinseca carica eversiva proprio perché, nell’attingere alla dimensione antropologica degli individui, e nell’utilizzare il linguaggio degli “uneducated men”, essa è in grado di far emergere la componente di abuso, di innaturalità e di strumentalità contenuta nei linguaggi tecnici e specialistici adottati dalle discipline scientifiche33. Si ricordi a questo proposito
* “The poet binds together by passion and knowledge the vast empire of human society, as it is spread over the whole earth, and all over time. The objects of the Poet’s thoughts are every where; though the eyes and the sense of man are, it is true, his favourite guides, yet he will follow wheresoever he can find an atmosphere of sensation in which to move his wings. Poetry is the first and last of all knowledge — it is as immortal as the heart of man. If the labours of men of science should ever create any material revolution, direct or indirect, in our condition, and in the impressions which we habitually receive, the Poet will sleep then no more than at present; he will be ready to follow the steps of the Man of science, not only in those general indirect effects, but he will be at his side, carrying sensation into the midst of the objects of the science itself”, W. Wordsworth, Preface, p. 141. Corsivo mio.
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l’esclamazione di William al verso 29 di “The Tables Turned”: “Enough of science and of art”, dove per “art” si deve intendere quella “poetic diction” di matrice settecentesca, costituita da trite figure retoriche e da sterili tecnicismi, responsabile di sottrarre al linguaggio letterario la dimensione universale che gli è propria?4. In realtà, nell’insistere sul carattere sperimentale delle Lyrical Ballads, Wordsworth non si riferisce tanto all’adozione in poesia del
linguaggio semplice delle classi rurali, quanto piuttosto all’uso della lingua poetica in un’ottica antropologica. Tale uso affonda le radici nei dibattiti sorti intorno alla questione dell’innatismo delle idee e prosegue con Locke e con la filosofia dell'Illuminismo. È noto come alla fine del XVII secolo l’antropologia costituisca una disciplina che possiede già un ambito di ricerca consolidato, promosso dalle numerose scoperte scientifiche e dall’opportunità di avviare analisi comparate di popoli e civiltà diverse che si è schiusa agli Europei nel periodo della formazione dei grandi imperi coloniali. Ciò che ancora manca all’antropologia di fine Settecento è però un metodo d’analisi autonomo. A tale mancanza essa supplisce appoggiandosi alla storia, la quale, tuttavia, non è sempre in grado di for-
nire la successione esatta dei vari stadi di evoluzione della civiltà che potrebbero illustrarne il passaggio da una dimensione naturale a una culturale. La difficoltà a reperire dati certi e incontrovertibili sugli albori della civiltà mette l'antropologia nella condizione di fare
ricorso all’ausilio della letteratura. Il risultato è una sorta di sodalizio tanto inatteso, quanto profondo e duraturo, tra uno sguardo antropologico che vorrebbe catturare il misterioso punto di snodo dalla condizione ferina a quella sociale e storica dell’umanità, e una poesia che, nel tematizzare sempre più i procedimenti dell’immaginazione, diventa l’unico linguaggio capace di dar conto di stadi evo-
34 “There will also be found in these volumes little of what is usually called poetic diction; I have taken so much pain to avoid it as others ordinarily take to produce it; this I have done for the reason already alleged, to bring my language near to the language of men, and further, because the pleasure which I have proposed to myself to impart is of a kind very different from that which is supposed by many persons to be the proper object of poetry”, W. Wor-
dsworth, Preface, p. 130.
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lutivi inattingibili attraverso gli altri metodi di analisi. La ricerca delle origini finisce così con l’invadere il campo dell’arte e della letteratura e con l’aprire spazi nuovi all’immaginazione poetica. Nel momento in cui Wordsworth si appresta a comporre le Lyrical Ballads sulla base di una precisa scelta di campo — l’esistenza arcaica e tradizionalista nei distretti rurali del nord-ovest — egli parte da una prospettiva non troppo dissimile da quella che tanta filosofia illuminista aveva adottato nei confronti delle figure della marginalità. Nella sua fiducia nelle potenzialità della ragione e nella razionalità della storia, l’Illuminismo aveva utilizzato queste figure con una precisa finalità antropologica: risalire attraverso l’osservazione empirica dei loro comportamenti a quegli stadi più arcaici e primitivi della coscienza che potevano fornire la migliore forma di approssimazione alle origini della civiltà, i cui residui quasi fossili erano rintracciabili unicamente in condizioni di pressoché totale soggezione alle forze della natura. Da qui l’interesse ossessivo e profondamente voyaeuristico di tanta filosofia e letteratura settecentesche nei confronti di figure liminali, quali i cosiddetti “wild children” (bambini cresciuti per qualche ragione al di fuori della sfera sociale, come la protagonista di “Ruth”); donne vecchie, povere o isteriche, vittime dello stigma della stregoneria (come molte figure femminili descritte dalle Ballate); idioti smemorati, ritenuti incapaci di cognizione e di autocoscienza, perché incapaci di utilizzare il linguaggio in modo razionale, come appare anche l’/diot Boy nell'omonima ballata wordsworthiana. Per quanto profondamente influenzato dall’iconografia settecentesca, però, Wordsworth condivide questa prospettiva solo fino a un certo punto. In realtà, egli utilizza le Lyrical! Ballads proprio al fine di delegittimare l’ottica da laboratorio, strumentale e profondamen-
te disumanizzante nei confronti delle figure della marginalità, adottata dalla filosofia e dalla letteratura dell’Illuminismo, e ci riesce
3 Cfr. Alan Bewell, Wordsworth and The Enlightenment, New Haven and London, Yale
University Press, 1989.
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introducendo due elementi nuovi. Innanzitutto sceglie personaggi comuni e li colloca in contesti familiari, se non altro per conoscenza diretta, sebbene non proprio per affinità, ai lettori delle Lyrical Ballads. Ciò gli consente di creare una forma di “antropologia domestica”*° che istituisce un modello alternativo all’antropologia canonica, la quale invece si fonda sul carattere remoto degli oggetti osservati, che sono sempre lontani e inassimilabili al contesto degli osservatori. Parallelamente, il poeta illustra come questo genere di antropologia si fondi su un’inequivocabile somiglianza tra chi di volta in volta assolve la funzione dell’antropologo e chi invece costituisce l’oggetto di studio, ovvero i membri delle comunità rurali del Lake District. La consapevolezza di un livello di profonda analogia, di reciproca contaminazione, quasi di complicità, tra l’occhio che osserva e l’og-
getto osservato viene espressa nelle Lyrica/ Ballads attraverso l’invenzione di una particolare figura di narratore che, nell’accostarsi ai personaggi, trova molta difficoltà a salvaguardare la centralità del proprio ruolo, ed è costretto per forza di cose a mutare continuamente punto di vista sulle storie che si trova a narrare. Per questo motivo, la definizione che più gli si addice è quella di narratore folclorico, dove l'aggettivo “folclorico” sta a qualificare tanto il carattere locale e tradizionalista dei racconti, quanto l’incertezza e la precarietà della sua prospettiva rispetto ad essi. Per questo narratore, il contatto con gli aspetti più scabrosi e dolorosi dell’esistenza all’interno del village è motivo di profondi turbamenti emotivi, che si traducono sovente in un’incapacità a costruire racconti a partire da quegli “insulated facts” e da quei frammenti di ‘“scanty experien-
36 Mutuo l’espressione da A. Bewell: “Though Wordsworth did not journey to Bali, Brazil, the African Sudan, Zambia, or Melanesian New Guinea, though he does not describe the customs of the Tupi-kawahib, the Nambikwara, the Azande, the Ndembu, or the Trobrians, he nevertheless did bring an anthropological vision to the Lake District and the people who made up his society. His is a domestic anthropology, which seeks to give a “substance and life” to a specific way of life that he knew was disappearing. The motivation for this project certainly came from dissatisfaction with the way that these people had previously been represented.”, op. cit., p. 31.
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ce”, i quali costituiscono gli unici materiali che la condizione di subalternità e di isolamento gli mette a disposizione. L'universo epistemico di questo narratore è tutto racchiuso all’interno di una solida e convinta “matter-of-factness”, che lo rende incapace di elevarsi al di sopra di ciò che narra, estrapolandone tanto una semplice morale, quanto significati più articolati. Il risultato è l’insediarsi nel suo linguaggio di quella “want of prospectiveness of the mind”, che per Coleridge caratterizza la lingua semplice e irriflessa delle classi inferiori, e che rende questo narratore pericolosamente simile ai misteriosi e inquietanti personaggi nelle cui storie egli si imbatte. Attraverso l’invenzione del narratore folclorico, Wordsworth decostruisce il mito di uno sguardo antropologico puro, ovverosia di un avvicinamento alla diversità che non implichi coinvolgimenti emotivi, confusioni di identità, manipolazioni dei dati percettivi, e dun-
que che non comporti sempre inevitabili contaminazioni culturali. Nella sua incapacità d’interpretare i racconti, talvolta nel vero e proprio rifiuto a proseguirli, il narratore folclorico si presenta come una specie di antropologo fallito, che non riesce mai ad accostare i propri oggetti di studio con un interesse meramente strumentale, ma viene sempre avvinto dall’aspetto umano e sentimentale di ciascun personaggio e di ogni singola storia che incontra lungo il proprio cammino. Nei suoi racconti, l'interesse tipico dello scienziato si trasforma in pura curiosità, in una modalità di indagine del reale che non possiede altro scopo al di fuori del desiderio di incontro e di scambio tra esseri umani. ‘“Grey-headed Shepherd, thou hast spoken well”, afferma empaticamente il narratore di “Hart-Leap Well”, “Small difference lies between thy creed and mine”, e con queste parole suggella il riconoscimento di un’affinità con la dimensione umana del “pastore canuto”, lontano anni luce dallo sguardo esterno e oggettivante dell’antropologo ortodosso. Tornando a “Lines written at a small distance from my house”, se ci si sofferma sul ruolo di candido emissario delle parole del poeta assegnato al bambino che consegna il messaggio a Dorothy, ci si rende immediatamente conto di trovarsi davanti a una prefigurazione del narratore folclorico. Come è solito fare in questo genere di com1296
Il narratore folclorico
ponimenti, Wordsworth include nel titolo anche le circostanze della
composizione, vere o presunte che siano, allo scopo di inserire la poesia in un ambito di familiarità. Curiosamente, però, più che veicolare informazioni importanti in merito alle circostanze della composizione delle “lines” (circostanze che in realtà rimangono piuttosto vaghe), il sottotitolo si incentra sulle modalità della comuni-
cazione. Anziché evocare il prodursi originario della scrittura, il sottotitolo fa come un passo in avanti, perché inserisce già il prodotto della scrittura all’interno di un processo comunicativo che implica un mittente, l’io poetico; un destinatario, la “person to whom they [these lines] are addressed”; un messaggio, le “lines” della poesia; infine un canale di comunicazione, il “little boy” che fa da tramite tra il mittente e il destinatario. A questo punto appare chiaro che quello che il poeta esige dalla sorella è la raffigurazione in termini familiari e domestici delle proprie aspettative rispetto al lettore delle Lyrical Ballads: attraverso questi versi, Wordsworth comunica al lettore che soltanto spogliandosi dei panni del lavoro e dell’abitudine, e soltanto abbandonando temporaneamente il contatto
quotidiano con la parola scritta, egli potrà accedere ad altri livelli di esperienza di sé. Fin qui il discorso sembra puntare verso la rivalutazione dell’esperienza diretta con la natura, non mediata dalla cultura, ma dal recupero della relazione con l’altro-bambino, interpretabile sia come un vero e proprio altro da sé, sia come la parte più infantile e ingenua, ma al contempo anche quella più vitale e creativa, dell’identità dell'adulto.
In realtà, però, lo slittamento dal momento compositivo al momento comunicativo operata dal sottotitolo solo apparentemente rappresenta un passo in avanti della lingua poetica. Da un certo punto di vista, tale procedimento non è altro che la fedele applicazione del programma poetico espresso nella Preface, laddove Wordsworth parla del poeta essenzialmente come di un abile comunicatore:?. Ma
37 “The sum of what was said is, that the Poet is chiefly distinguished from other men by a greater promptness to think and feel without immediate external excitement, and a greater power in expressing such thoughts and feelings as are produced in him in that manner”, W. Wordsworth, Preface, p. 142.
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da un altro punto di vista, può essere letto anche come la rappresentazione di una componente ingenua, quasi regressiva, insita in un’immagine di poesia simile a un fluido passaggio di “lines” dallo scrittore al lettore, che riesce a mantenersi fluido fin tanto che viene veicolato da un messaggero ingenuo, perché incapace di frapporre attriti e interpolazioni, di manomettere i meccanismi centrali del linguaggio — come può essere un innocente “little boy” incaricato di consegnare un messaggio semplice e familiare da fratello a sorella. In effetti, c'è un aspetto del processo comunicativo rappresentato nella poesia che sfugge a una lettura esclusivamente contestuale e circostanziale delle “lines”. Da un lato, infatti, Wordsworth costru-
isce un messaggio che s’incentra sulla mutua esclusività di doveri domestici e piaceri extradomestici, di piaceri intellettuali e piaceri che derivano dal contatto con l’ingenuità e la freschezza dell’infanzia. Dall’altro, attraverso il registro metalinguistico del titolo e del sottotitolo, il poeta finisce col decostruire il suo stesso messaggio: nel momento in cui ne sottolinea con tanta insistenza la letterarietà,
egli sembra voler mettere in guardia il lettore dal rischio di una lettura eccessivamente referenziale di questi versi. Questo genere di procedimento stilistico per cui un episodio o un motivo legato a una circostanza particolare viene messo, per così dire, in rotta di collisione con un registro metapoetico non è occasionale, ma costituisce una delle direttrici lungo cui si snoda lo sperimentalismo delle Lyrical Ballads. Pur colorandosi di volta in volta di toni e sfumature diversi, laddove viene utilizzato, esso
ambisce a provocare sempre una qualche forma di straniamento nel lettore, che abbia il potere di farlo riflettere in merito ai propri metodi di lettura e di interpretazione del linguaggio poetico. Nelle poesie intitolate “Lines” Wordsworth ricorre ad esso sistematicamente:
“Lines
written near Richmond,
upon the Thames,
at
Evening” si apre con un’immagine di bello naturale — l’onda del Tamigi che si tinge di nuances alla luce del crepuscolo — che viene immediatamente seguita da una strofa dal registro fortemente metalinguistico, in cui l’io poetico, quasi a volerne esorcizzare la fascinazione, denuncia il rischio di credere troppo nella bellezza che ha davanti agli occhi e nella sua capacità di “resistere” nel tem128
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po?3. Anche qui, come nella poesia precedente, è come se al cuore del linguaggio si aprisse una frattura: tra un livello più referenziale, perché in apparenza più direttamente e fluidamente legato alle cose, o alle loro immagini, e un livello meno immediato e meno ingenuo,
che non si fida della trasparenza dell’acqua, e che mira a svelare gli autoinganni del “giovane bardo”, sempre pronto a credere che i colori della natura ‘resisteranno”, intatti e inviolati, non soltanto all’usura del tempo, ma anche alle diverse trasfigurazioni dell’arte.
Attraverso questo sdoppiamento del registro poetico, Wordsworth articola una concezione assai moderna della poesia, poiché riesce a mostrare come anche nel linguaggio che apparentemente intrattiene un rapporto di trasparenza massima rispetto al mondo e ai soggetti che lo parlano, esiste invece un livello di opacità, di insignificanza e di autocensura. “Lines written at a small distance from my house” rappresenta gli albori di questa visione complessa e stratificata della lingua poetica. Wordsworth da un lato attribuisce al bambino due funzioni eterogenee: quella di puro e semplice emissario di versi e quella di compagno di svaghi, che entra nella vita del poeta al posto dei libri, dunque come elemento di uno scambio. Dall'altro, egli mescola le carte, confondendo il tempo della creazione con quello della comunicazione, e in tal modo apre nel testo un livello di autoriflessività, che crea un netto contrasto, tanto col tono semplice
e dimesso delle parole, quanto col carattere quotidiano e familiare della circostanza descritta. Questo procedimento possiede una finalità molto precisa: illustrare come il compito del narratore che si appresta a descrivere una “antropologia domestica” non sia né più semplice, né più al riparo da contraddizioni etiche, da inciampi ideologici e da autoinganni, di quello che anche l’antropologo ortodosso si trova ad affrontare.
38 “How rich the wave, in front, imprest/With evening-twilight’s summer hues,/While, facing
thus the crimson west,/The boat her silent path pursues!/And see how dark the backward stream!/ A little moment past, so smiling!/And still, perhaps, with faithless gleam,/Some other loiterer beguiling./Such views the youthful bard allure,/But, heedless of the following gloom,/He deems their colours shall endure /‘Till peace go with him to the tomb./- And let him nurse his fond deceit”, “Lines written near Richmond, upon the Thames, at Evening”, p. 102, vv. 1-13.
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4. “The Thorn” e lo storyteller inaffidabile There is a thorn; it looks so old In truth you’d find it hard to say, How it could ever have been young, It looks so old and grey. Not higher than a two-year child, It stands erect this aged thorn;
No leaves it has, no thorny points; It is a mass of knotted joints, A wretched thing forlorn. It stands erect, and like a stone
With lichens it is overgrown. (vv. 1-11.)
Una serie di indicatori segnalano in questi versi l'immediatezza di una voce: la deissi, che veicola un linguaggio circostanziale; 1’ avverbio “so” ripetuto due volte in guisa di intensificatore; l’espressione “in truth”, che connota un tono colloquiale; infine il pronome
di seconda persona “you”, che apre il contatto con il lettore attraverso l’evocazione di un ascoltatore implicito. Questa voce è impegnata in una dettagliata descrizione di un oggetto naturale: ci informa che da qualche parte esiste un rovo completamente privo di foglie e di spine, che esso è coperto dal muschio e che possiede un aspetto alquanto vetusto. Tale voce sembra possedere una notevole familiarità col rovo, poiché è in grado di specificarne con esattezza quasi scientifica non soltanto le coordinate spaziali, ma addirittura
le misure: “Not five yards from the mountain-path,/This thorn you on your left espy;/And to the left, three yards beyond,/You see a little muddy pond/Of water never dry;/I've measured it form side to side:/ ‘Tis three feet long, and two feet wide (vv. 27-33). Così si apre “The Thorn”, uno dei testi più suggestivi delle Lyrical Ballads e certamente quello che sin dalla prima apparizione ha ricevuto la maggiore attenzione della critica. Dagli anni Sessanta in poi, su questa ballata si è aperto un fecondo dibattito critico, che ha preso l’avvio dall’interpretazione di Geoffrey Hartman, il quale definisce “The Thorn” come “the most experimental poem of the 130
Il narratore folclorico
Lyrical Ballads”39, riconoscendo alla raccolta nel suo insieme un
notevole valore innovativo e sperimentale, e simultaneamente interpreta la poesia come un fallimento artistico40, In realtà, nell’ottica di Hartman, la contraddizione tra questi due giudizi di valore è soltanto apparente: come è già stato accennato a proposito della Yale School, nell’avvicinarsi
al canone
wordsworthiano,
Hartman assume una prospettiva dialettica e teleologica, secondo cui la prima poesia di Wordsworth costituirebbe una sorta di laboratorio di motivi e linguaggi a volte più originali, altre volte più convenzionali che, pur nella loro varietà e frammentarietà, almeno idealmente punterebbero tutti a quel grande palinsesto dell’organicismo e dell’individualismo romantico che si sarebbe sostanziato nel Prelude. Nell’intreccio di oggettività maniacale e di radicale soggettivismo, nel contrasto tra la fiducia scientifica nelle misurazioni geometriche e l’avallo di perturbanti credenze popolari, “The Thorn” sembra invece costruita a bella posta per minare le basi di una visione organicista ed evolutiva tanto del mondo dei realia, quanto del linguaggio della poesia. Riecheggia in questa poesia la lezione di Sterne e del suo romanzo anti-romanzesco: essa sfida il linguaggio lirico a rimanere tale, a dispetto di tutti gli inciampi che l’io poetico incontra nel tentativo di dare uno sviluppo alla storia che ha, o crede di avere, a disposizione. L'obiettivo di “The Thorn” è ambi-
zioso e in sintonia tanto con i timori, quanto con le speranze che Wordsworth ripone nel progetto delle Lyrica! Ballads: dimostrare come la sapiente ma sistematica delusione delle aspettattive del lettore, che il testo metaforizza attraverso il ricorso a una seconda voce,
paradossalmente, produca un lettore molto più coinvolto e partecipe rispetto a uno abituato a ottenere dal poeta tutto ciò che si aspetta; un lettore più generoso ed eticamente corretto, perché disposto a
3° G. Hartman, Wordsworth's Poetry 1787-1814, op. cit., p. 141. 40 “Though we can explain some of the difficulties in appreciating the more experimental of Wordsworth's ballads, this does not mean that the experiments are not failures”, G. Hartman,
Wordsworth's Poetry 1787-1814, op. cit., p. 150.
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collaborare fattivamente col poeta, a investire una parte della propria emotività e dei propri sentimenti nell’operazione di dis/ velamento del testo4!. In ciò risiede lo sperimentalismo di questa poesia: nel rendere esplicita quella sorta di contratto, che è anche un patto di mutuo soccorso, che si stabilisce tra il poeta e il lettore, non attraverso il rispetto delle regole del gioco, bensì attraverso la loro trasgressione. “The Thorn” dapprima seduce il lettore, attirandolo a sé con la promessa di un racconto dai toni patetici e soprannaturali; in un secondo momento, dopo averlo illuso di poter venire a capo della storia, finisce di irretirlo, facendolo confrontare con un
narratore ottuso, terribilmente incerto e inaffidabile. Incapace di narrare la storia di Martha Ray, il narratore di “The Thorn” non ha
altra scelta che abbandonare il lettore alle proprie elucubrazioni, divenute a questo punto anch’esse ossessive e solipsistiche come quelle che turbano sia le menti superstiziose dei membri della comunità rurale, di cui egli è l’acritico portavoce, sia la mente aliena-
ta della donna, protagonista di un’oscura vicenda di seduzione, follia e infanticidio. Come si è visto, la poesia si apre con una descrizione naturale che è insieme antropomorfa e reificante: il rovo viene tratteggiato dapprima come una sorta di archetipo umano di perenne vetustà, come una figura dall’età misteriosa e imprecisabile; poco oltre, attraverso la similitudine con la roccia, esso acquisisce le connotazioni
di un oggetto inanimato, “A wretched thing forlorn”. L’oscillazione tra una visione umana, o umanizzata, e una visione pietrificata di questo oggetto della natura, inserisce da subito il lettore-ascoltatore in un universo discorsivo instabile e confuso. La voce narrante da
‘! “We not only wish to be pleased, but to be pleased in that particular way in which we have been accustomed to be pleased. There is a host of arguments in these feelings; and I should be the less able to combat them successfully, as I am willing to allow, that, in order to enjoy the Poetry which I am recommending, it would be necessary to give up much of what
is ordinarily enjoyed. But would my limits have permitted me to point out how this pleasure is produced, I might have removed many obstacles, and assisted my Reader in perceiving that the powers of language are not so limited as he may suppose; and that it is possible that poetry may give other enjoyments, of a purer, more lasting, and more exquisite nature”, W. Wordsworth, Preface, p. 156.
ji oto)
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un lato si dimostra in grado di ricostruirne perfettamente la collocazione topografica e le misure; dall’altro, nel momento in cui si trova a descriverne l’aspetto esteriore, è incerta se assimilarlo all’ordi-
ne dell’umano o a quello del minerale. Le uniche certezze rispetto all'apparenza esteriore del rovo sono l’inclinazione verso il basso e il mantello di muschio. Nell’attribuire ai muschi che attaccano la pianta dal basso l’intenzionalità di un complotto (“seppellire definitivamente il povero rovo” riportandolo alla sua origine inorganica), e nel ripetere l’aggettivo “poor”, la voce narrante segnala immediatamente la presenza di un evento umano legato a quel luogo all'apparenza impervio e deserto. Così come l’“old grey stone”, su cui è seduto William in “Expostulation and Reply”, non rappresenta una semplice formazione geologica, ma una modalità di intrecciare l’esperienza naturale con quella umana, di trasmettere la memoria dei luoghi e quindi di costruire un discorso sulla tradizione, il rovo di “The Thorn” entra nel racconto del narratore investito ab origine di una rilevanza e di una significatività irriducibili sia all’universo vegetale, sia a quello minerale. Sin dall’inizio appare chiaro che la collina con l’“aged thorn”, il “muddy pond” e lo “heap of earth o’ergrown with moss” che “is like an infant’s grave in size”, con la descrizione della quale la voce narrante dà avvio al racconto, non ne costituisce soltanto il setting naturale, ma è un vero e proprio testo in sé. Nell’immaginazione del lettore questo “spot”, associato com'è sin dall’inizio alla sepoltura e alla morte, comincia a prendere la forma di un intreccio misterioso e perturbante di vita organica e di condizione inorganica, di significanti fluttuanti e di significati ambigui, dietro cui si cela chissà quale oscura vicenda. Nell’insistere sull’indistinguibilità e sulla labilità dei confini tra l’umano, l’organico e l’inorganico, e nel suggerire la presenza di un legame tanto nascosto, quanto necessario,
4 “Like rock or stone, it is o’ ergrown/with lichens to the very top,/And hung with heavy tufts of moss,/A melancholy crop:/Up from the earth these mosses creep,/And this poor thorn they clasp it round/So close, you’d say that they were bent/With plain and manifest intent,/ To drag it to the ground;/And all had joined in one endeavour/To bury this poor thorn for ever”, “The Thorn”, p. 70, vv. 12-22.
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tra il rovo e la morte, il narratore costringe il lettore a una serie di bruschi passaggi logici e di sconfinamenti emotivi, che ne provocano una sorta di vertigine immaginativa. Soltanto lasciandosi avvolgere da questa vertigine egli sarà pronto a leggere il proseguimento della storia, ovvero sarà in grado di trasformare un luogo della natura in un luogo della psiche.
5. “Menti adesive”
This Poem ought to have been preceded by and introductory Poem, which I have been prevented from writing by never having felt myself in a mood when it was probable that I should write it well. — The character which I have here introduced speaking is sufficiently common. The Reader will perhaps have a general notion of it, if he has ever known a men, a Captain of a small trading vessel for example, who being past the middle age of life, had retired upon an annuity or a small independent income to some village or country town of which he was not a native, or in which he had not been accustomed to live (Lyrical Ballads, p. 288).
Con queste parole si apre la lunga nota a “The Thorn”, che compare in forma definitiva solo nell’edizione del 1800. Questa nota è importante perché rappresenta un’attestazione di poetica che risulta centrale per comprendere l’intero impianto delle Ballate. La sua funzione è analoga a quella delle glosse della “Rime of the Ancient Mariner”: orientare il pubblico di una poesia dall’accentuato
sperimentalismo non tanto di temi, quanto di toni e di stile come “The Thorn”, a districarsi tra i vari livelli del discorso, richiamando l’attenzione su un motivo dominante intorno al quale il testo si struttura. Memore di quanto ha dichiarato nella Preface, allorché ha scritto che nelle Lyrical Ballads ciascun componimento “has a worthy purpose”, nonché forse un po’ timoroso rispetto alla ricezione di una poesia che per alcuni versi avverte come troppo trasgressiva rispetto alle attese del pubblico, Wordsworth sente l’obbligo di esplicitare che l’effetto straniante di “The Thorn” non soltanto è 134
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voluto e calcolato, ma è assolutamente necessario. Tale effetto altro non è se non il risultato di un esperimento poetico sulla mente superstiziosa di un “common character”: il capitano di un piccolo mercantile che, raggiunta la mezza età, si ritira dalla professione con una certa agiatezza economica e va ad abitare in una cittadina di campagna, di cui non è originario e dei cui usi e costumi non è pertanto molto a conoscenza. Quindi, la nota prosegue con una sorta di ritratto psicologico del narratore, che si trasforma immediatamente nella descrizione di un’intera classe di individui: Such men having little to do become credulous and talkative from indolence; and from the same cause, and other predisposing causes by which it is probable that such men may have been affected, they are prone to superstition. On which account it appeared to me proper to select a character like this to exhibit some of the general laws by which superstition acts upon the mind. Superstitious men are almost always men of slow faculties and deep feelings; their minds are not loose, but adhesive; they have a reasonable share of imagination,
by which word I mean the faculty which produces impressive effects out of simple elements; but they are utterly destitute of fancy, the power by which pleasure and surprize are excited by sudden varieties of situation and by accumulated imagery (Lyrical Ballads, p. 288).
Si riaffaccia qui la prospettiva antropologica già espressa nella Preface. Se l'osservazione della “vita umile e rustica” serve a
4 Non va dimenticato che questa nota nasce al posto di un “introductory Poem” che avrebbe dovuto precedere la poesia e che, almeno stando alle parole del poeta, non venne scritta perché lui non si sentì mai dell’umore giusto per farlo a regola d’arte. Ciò, come abbiamo già visto, suscitò il disappunto di Coleridge, che nella Biographia Literaria asserisce come la mancanza di questa poesia introduttiva mini la qualità lirica di “The Thorn”, in quanto produce nel testo incongruenze stilistiche e bruschi salti di tono. Quel che infastidisce Coleridge è quella pericolosa confusione tra la voce del poeta e quella del narratore, che alle sue orecchie suona come una sorta di “ventriloquio”, linguaggio antilirico per eccellenza, che frammenta il discorso poetico perché assegna più voci alla stessa persona, e che così facendo spezza il legame di assoluta unicità e originarietà tra la voce e il corpo da cui essa promana: “Either the thoughts and diction are different from that of the poet, and then there arises an incongruity of style; or they are the same and indistinguishable, and then it presents a species of ventriloquism, where two are represented as talking, while in truth one man only speaks”, S. T. Coleridge, Biographia Literaria, XXII, p. 397.
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desumere “le leggi primarie della natura umana”, soprattutto in merito all’associazione delle idee “in uno stato di eccitazione”, quella del capitano di marina fornisce al poeta le “leggi generali” della superstizione, non soltanto sul piano sociologico, ma anche su quello psicologico e psicolinguistico. Analogamente alla Preface, che pone in primo piano la modalità che governa l’associazione delle idee nei processi mentali, piuttosto che i contenuti di tali processi, la nota a “The Thorn” richiama l’attenzione non tanto sulla superstizione in sè, quanto sul rapporto che essa stabilisce con la mente umana. In questo senso, la nota diventa un po’ come il controcanto della poesia. Quest'ultima è strutturata su un “interplay” tra uno storyteller e uno storytelling che insidia l'autorevolezza del narratore, perché sposta continuamente l’origine del racconto*. In effetti, l’intero testo di
“The Thorn” è costruito sul paradigma della testimonianza inattendibile: malgrado il narratore asserisca di aver visto una volta Martha Ray con i propri occhi e dichiari di averne udito il grido, le sue incertezze e il continuo ricorso alle dicerie popolari gettano forti ombre sulla veridicità di questa esperienza, aprendo numerosi interrogativi sulla provenienza stessa della storia. Da qui la struttura circolare di “The Thorn”, che si apre e si chiude sullo stesso punto: il grido ossessivo e misterioso di Martha che, non avendo trovato
nel testo una differente verbalizzazione, s’insedia nel linguaggio dello stesso narratore con tutto il suo portato di dolore, morte e
indecifrabilità*. Dal canto suo, la nota rilancia questo gioco nel momento in cui, mettendo in campo il discorso sulla tautologia, crea un'analoga circolarità tra la superstizione, l’immaginazione e il
# “The Thorn’ is not a dramatic monologue designed to be read for what it reveals about the mind of a hypothetical sea-captain. But nor is it a poem concerned solely with the elusive nature of Martha’s suffering. Its narrative method reflects Wordsworth's interest in the interplay between the two — in the imaginative process by which the simple elements of Martha's tragedy take on their sombre impressiveness”, Mary Jacobus, op. cit., p. 248. * “I cannot tell how this may be,/But plain it is, the thorn is bound/With heavy tufts of moss, that strive/To drag it to the ground./And this I know, full many a time,/When she was on a mountain high,/By day, and in the silent night,/When all the stars shone clear and bright,/ That I have heard her cry,/‘Oh misery! Oh misery!"/‘Oh woe is me! Oh misery!””, p. 78,
vv. 243-53.
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linguaggio poetico. Se poi torniamo alla classificazione dei “superstitious men”, ci accorgiamo che tra “superstition” e “imagination” si stabilisce una sorta di sodalizio spontaneo perché esse attivano la mente in modo analogo. L’immaginazione è quella “facoltà che è in grado di produrre effetti forti a partire da elementi semplici” e la superstizione rappresenta, per così dire, una sottospecie dell’immaginazione, poiché si presenta come quella modalità di pensiero che è in grado di generare credenze, racconti e, in ultima analisi, tradizione, a partire da ciò che Coleridge definirebbe “insulated facts” e frammenti di “scanty experience”. Se l'immaginazione riesce a impressionare la mente in modo intenso e duraturo, senza ricorrere a mezzi troppo elaborati e soprattutto senza rincorrere costantemente la “varietà di situazioni” e di “immagini”, come invece deve fare la “fancy”, la superstizione agisce in maniera analoga perché s’insedia all’interno di menti che non sono “libere” ma “adesive”, ovvero ancorate sempre ai medesimi oggetti e alle medesime idee. Tuttavia, affinché il germe della superstizione trovi il proprio habitat naturale e attecchisca, occorre che si produca negli individui una scissione tra le facoltà razionali e l’emotività. Le persone superstiziose, sostiene Wordsworth, sono caratterizzate da una certa lentezza intellettuale (‘“slow faculties”’) cui si contrappongono, però, una spiccata sensibilità e profondità di sentimenti (‘“deep feelings”). È a partire da questo contrasto tra l’intelletto e la sensibilità che le loro menti divengono “adesive”: instaurano, cioè, una sorta di rapporto simbiotico e totalizzante con gli oggetti delle loro percezioni, reali o irreali che siano. L’adesività della mente superstiziosa è una sorta di sintomo maniacale, il segnale cioè dell’incapacità di questa mente di separarsi dall'oggetto della propria percezione. In questo senso, ad esempio, vanno considerati sia il permanere assillante dell’immagine del rovo nella mente del narratore, sia la frequente ripetizione del grido di Martha, sia, infine, la circolarità tautologica dell’intero poemetto, il cui obiettivo ultimo è quello di mostrare come
la componente ossessiva e pericolosa delle menti “adesive” ne costituisca però anche l'aspetto maggiormente creativo e, in alcuni casi, persino divertente. Ciò che conta per Wordsworth, non solo in me137
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rito a “The Thorn”, ma a tutte le Lyrica! Ballads, è riuscire a stabilire un'equazione tra l’adesività della mente superstiziosa e l’inaffidabilità del linguaggio del narratore. In effetti, proprio nel momento in cui entra in gioco la ragione del “doleful cry” di Martha che sembra echeggiare dalla perturbante collina del rovo, e la vicenda sembrerebbe avvicinarsi a una qualche forma di dénouement — “Now wherefore thus, by day and night,/In rain, in tempest, and
in snow,/Thus to the dreary mountain-top/Does this poor woman go?” — il narratore ammette la propria incapacità a fornire una spiegazione plausibile dei fatti, adducendo a scusante l’ignoranza collettiva. Da quel momento in avanti, tutto ciò che uscirà dalla sua bocca saranno frammenti di storie, mezze verità, dicerie superstiziose: dalla follia di Martha Ray, conseguenza dell’abbandono da parte del promesso sposo, Stephen, all’idea che la donna fosse in attesa di un figlio, fino all’allusione a un presunto infanticidio: No more I know, I wish I did, And I would tell it all to you;
For what became of this poor child There's none that ever knew: And if a child was born or no, There's no one that could ever tell; And if ‘twas born alive or dead, There's no one knows, as I have said, But some remember well,
That Martha Ray about this time Would up the mountain climb. (vv. 155-65.)
All’apparire sulla scena della donna, la meticolosa precisione delle prime strofe, nelle quali il narratore ricostruiva le coordinate topografiche del rovo, viene immediatamente sostituita da un registro linguistico reticente e dubitativo, caratterizzato da una profonda “riluttanza a venire al punto”. Secondo Hartman, tale “riluttan-
‘ G. Hartman, Wordsworth's Poetry, op. cit., p. 147.
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za” costituisce la modalità comunicativa dell’“ocular man”, dell’in-
dividuo che affida alle percezioni visive il fondamento delle proprie conoscenze, il quale è naturalmente portato ad ingannarsi o a equivocare, nel momento in cui si scontra con dei dati percettivi che non passano esclusivamente attraverso la vista”. In questa logica, l’impossibilità da parte del narratore di utilizzare il “telescope” “to view the ocean wide and bright” (v. 182), determinata dal sopraggiungere del temporale, prelude al fallimento del racconto, perché getta i semi di quell’avvitamento del linguaggio su se stesso, che appare come la conseguenza dell’oscuramento delle percezioni visive, ca-
pace di indurre nell’“ocular man” suggestioni allucinatorie. Da questo punto di vista, l’inaffidabilità del narratore di “The Thorn” che, non potendo affidare al telescopio la propria visione della realtà precipita nell’insicurezza, nella reticenza e probabilmente nell’allucinazione, rappresenta una sorta di parodia della scienza e di tutte le epistemologie che asseriscono i fondamenti esclusivamente empirici della conoscenza. Ma nella “riluttanza” di questo narratore non c’è solo questo; considerarla soltanto come il limite strutturale di un individuo che è abituato a interpretare la realtà attraverso segni esteriori — il tempo, le condizioni del mare, la durata dei viaggi, la circolazione delle
merci — vuol dire fare di questa riluttanza una questione esclusivamente privata e individuale. In realtà, il punto su cui maggiormente insiste “The Thorn” è che dietro l’inaffidabilità dichiarata del narratore, la cui scusante, la nota ci informa, è quella di non essere
nativo del luogo, esiste in realtà un’ignoranza collettiva dei fatti, e
che è sulla base di questa ignoranza che s’impianta il germe della superstizione. Così come “The Thorn” la raffigura, la superstizione è da un lato il frutto di esperienze, o allucinazioni, individuali; dal-
4 “The captain is the ocular man in Wordsworth, searching for a sacred or secret spot, spying on nature (his telescope is a big eye), and only clingingly passing from nonhuman to human, from thom to woman. He exorcizes his quasi apocalyptic obsession with clear and
centered evidence”, G. Hartman, Wordsworth's Poetry, op. cit., p. 149.
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l’altro, essa costituisce il collante delle piccole comunità rurali:
quell’elemento che, oltre a far gravitare le menti dei villagers sempre intorno alle stesse idee e agli stessi pregiudizi, rende queste menti “adesive” l’una all’altra, al punto da privarle dell’individualità. Il fine di questa mutua adesività è far sentire gli individui vicini e molto simili tra loro, seppur nell’angoscia e nella suggestione, dunque meno isolati ed emarginati dal resto del mondo. Attraverso la superstizione, la comunità intesse storie che non si basano su memorie condivise e in qualche maniera verificabili, ma piuttosto su pettegolezzi, ossessioni collettive, mere congetture e soprattutto tabù che, come in un contagio, si trasmettono da persona a persona e si rinnovano di generazione in generazione, invariati nella loro struttura simbolica, e allo stesso tempo assai frammentari e disorganici
nelle loro forme discorsive48: “But what's the thorn? And what's the pond? “And what's the hill of moss to her? “And what's the creeping breeze that comes “The little pond to stir?” I cannot tell; but some will say She hanged her baby on the tree, Which is a little step beyond, But all and each agree,
The little babe was buried there, Beneath that hill of moss so fair. (vv. 210-20.)
‘* M. Jacobus nota come all’epoca della composizione delle Lyrical Ballads il rovo fosse comunemente associato alle nascite illegittime e all’infanticidio: “The commonest of all literary associations for a thorn tree were illegitimate birth and child-murder. In Langhorne’s Country Justice, it is under a thorn that the pitying robber finds the body of an unmarried mother with her new-born child; [...] and in Richard Merry”s Pains of Memory (1796), a remorseful seducer recalls: “There on the chilly grass the babe was born,/beneath that bending solitary thorn ...” op. cit., p. 242. i
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Lal Some say, if to the pond you go, And fix on it a steady view, The shadow of a babe you trace, A baby and a baby’s face, And that it looks at you; Whene'er you look on it,‘tis plain The baby looks at you again. (vv. 225-31.)
In questi versi Wordsworth illustra il fascino del contrasto tra il persistere dell’angoscia legata a determinate suggestioni superstiziose, e la sua verbalizzazione a più voci, frammentaria, imprecisa e soggetta a continue fluttuazioni. La sequenza è costruita in modo da mantenere fissa la focalizzazione sull’infanticidio e sulle apparizioni soprannaturali, e variare allo stesso tempo i soggetti del discorso, attenuando sempre più il grado di certezza del racconto. Dalle domande emesse da una seconda voce, che incalza il narratore per ottenere chiarezza, la poesia passa all’emistichio “I cannot tell”, pronunciato
dal narratore,
immediatamente
seguito dall’altro
emistichio, “but some will say”, in cui il soggetto è divenuto imper-
sonale. Il risultato è una narrazione che esibisce in modo esplicito la propria origine non su fatti accertati, ma su pure e semplici congetture, su suggestioni arcaiche e violente, che ruotano tutte intorno a una trasgressione sessuale e alle catastrofiche conseguenze che tale trasgressione è in grado di innescare, allorché si verifica all’interno di una cultura chiusa e tradizionalista, dedita ancora alla caccia alle streghe. Attraverso la narrazione inaffidabile, Wordsworth illustra quali siano per il poeta le possibilità narrative che offre il contrasto tra la ripetizione ossessiva di un motivo e la variazione delle strutture discorsive. La scoperta di un grado di analogia tra l’immaginazione e la superstizione è decisiva. Essa spiega l'interesse di Wordsworth per l’universo arcaico e rurale, in cui l’esistenza dell’uno è legata a doppio filo a quella di tutti. In questa fase post-rivoluzionaria, 141
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caratterizzata dall’isolamento e dall’intensificarsi della ricerca poetica, è ipotizzabile che agli occhi di Wordsworth l’immaginazione conservasse ancora la forza di un’utopia collettiva e l’intensità di un’energia transindividuale, in grado di produrre, se non proprio un riscatto politico, per lo meno una certa coesione sociale. Letta in questi termini, la superstizione così presente nelle Ballate, diventa allora una forma di collettivizzazione dell’immaginazione, volta a sottrarre questa facoltà al dominio assoluto e incontrastato dell’autorità del poeta49. Wordsworth descrive la vicenda di Martha come un nodo irrisolto rispetto al quale non soltanto il narratore forestiero, ma nessun membro della comunità è in grado di fornire
alcuna certezza, e allo stesso tempo come un racconto che, proprio in quanto carico di ansia, di dolore e di impenetrabilità, risulta
indispensabile alla conservazione del contatto emotivo e della comunicazione tra i membri della comunità. In questa duplice funzione, che è insieme performativa e rappresentativa, la superstizione va a coincidere con un processo di fictionalization della realtà che è di ordine cognitivo, e che trova nel desiderio di spettacolarizzazione dell’angoscia il proprio fondamento estetico ed epistemologico. In ciò risiede il suo legame con l’immaginazione. La superstizione, ci dice Wordsworth, non ha bisogno di radici nella
realtà esterna, perché non è da lì che trae la propria linfa. La sua origine non risale alla storia evenemenziale, ma all’indistruttibile capacità umana di produrre e riprodurre racconti, di esorcizzare le paure, di intessere reti di protezione, tanto rispetto ai pericoli che possono provenire dall’esterno e dall’ignoto, quanto dal rischio di degenerazioni interne, ma non per questo meno unheimlich, come appare l’oscura vicenda di Martha e del suo presunto infanticidio90, Da qui si comprende come mai il narratore di “The Thorn” ap-
4° Sul ruolo della superstizione nella letteratura romantica cfr. Tobin Siebers, The Romantic Fantastic, Ithaca and London, Cornell University Press, 1984.
°° I testi delle Ballate che presentano una struttura discorsivo-tematica più simile a quelSdi “The Thorn” sono “Lucy Gray” e “A Fragment”, in seguito intitolato “The Little Danish
oy”.
IAS
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paia invischiato nella storia di Martha più dei nativi. Se l’appartenenza al luogo non sembra costituire un fattore rilevante per la chiarificazione della vicenda, è altresì vero che il narratore che declina la responsabilità del proprio racconto, adducendo a scusante la propria estraneità alla storia locale, avrà ancora minori possibilità di ar-
rivare alla verità e quindi finirà molto più confuso degli altri. In questo senso, la mente del narratore di “The Thorn” presenta un doppio livello di adesività agli oggetti delle proprie percezioni. Se la sua estraneità lo rende più degli altri preda della “sindrome del luogo”!, costringendolo a rimanere aggrappato a quegli scarni frammenti di storia che è in grado di narrare, e su cui la sua lingua tautologica ciclicamente torna, è altresì vero che l’oggetto cui la sua mente ossessiva si aggrappa non è costituito soltanto dal rovo, ma anche da tutte le altre menti che prima di lui si sono scontrate con la misteriosa vicenda di Martha. A ben vedere, anzi, è esattamente intorno a questo nodo che si sviluppa la narrazione di “The Thorn”, caratterizzata com'è da bruschi passaggi dall’ “T° della prima persona singolare, ai soggetti impersonali quali “you”, “they” e “some”. Wordsworth mostra come nell’oscillazione frenetica tra il racconto in prima persona, di cui il narratore si serve per presentare la vicenda come un’esperienza vissuta, e il discorso indiretto, attraverso cui filtra le implicazioni più perturbanti e superstiziose dei vi/lagers, egli non possa che diventare sempre più “loquace” e “credulone”, e la sua mente sempre più adesiva, perché sempre più aggrappata non solo alla propria esperienza individuale di quel luogo, ma anche a tutte le sue innumerevoli rifrazioni collettive.
51 Hartman attribuisce l’origine della “sindrome del luogo” a Descriptive Sketches e la descrive come una sorta di mise en abyme dei processi visivi, che costituisce una prima forma di percezione dell’autonomia dell’immaginazione poetica: “The spot syndrome (as I will now call it) is linked in Descriptive Sketches to the mind’s search for a landscape adequate for its idea. The poet localized in nature his intuition of ‘Powers and Presences” but was forced to go from sight to sight and transcend the bounded image. His secret or sacred places alternate with ‘open beauties’ and are resolved into a larger, dynamic landscape. They are not totally resolved, however; blocks of verse as of perception are juxtaposed with minimal blending. The eye is pitted against itself or confounded by analogical contrast. In this way nature leads the senses beyond themselves, and imagination becomes aware of its autonomy”, Wordsworth's Poetry, op. cit., p. 122.
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Da questo punto di vista, Wordsworth appare in perfetta sintonia con la filosofia di Hume, il quale delle menti umane possedeva una visione antisoggettivistica e corale52. Accogliendo l'eredità di Hume, Wordsworth accoglie anche una parte delle implicazioni scettiche e radicali contenute nella sua visione degli esseri umani. Le menti degli individui fanno da “specchio l’una all’altra” non soltanto perché sono in grado di comunicarsi reciprocamente “emozioni”, “passioni” e “sentimenti” soggettivi, ma anche perché, con analogo procedimento, costruiscono “opinioni”, credenze, visioni del mondo.
Rispetto a
questo, ovvero rispetto al carattere universale e insieme meccanico di taluni processi psicologici e linguistici che regolano tanto l’esistenza individuale quanto la storia collettiva, non esistono gerarchie né sociali, né culturali, e un individuo che ha visitato mezzo mondo e ha conosciuto razze e popoli diversi, almeno idealmente, si colloca sullo stesso piano di chi conosce solo il lembo di terra che coltiva e i pochi membri del suo vicinato.
6. “It seem’d as I retraced the ballad line by line/That but half of it was hers, and one half of it was mine” È proprio a partire da un’immaginazione che rappresenta le menti degli individui come speculari le une alle altre, che crede nella loro adesività reciproca e nella coralità delle rappresentazioni folcloriche, che entra in gioco il capitano di marina. Anziché assegnare la funzione di emblema della mente superstiziosa a un vi/lager, appartenente all’universo della subalternità culturale per origine, stato sociale e tradizione, come forse sarebbe stato più logico attendersi, Wordsworth seleziona per questo scopo un tipo umano per alcuni versi opposto all’individuo “low and rustic”. Seppur non necessa-
52 ce
1 A The minds of men are mirrors to one another, not only because they reflect each others
emotions, but also because those rays of passions, sentiments and opinions, may be often reverberated, and may decay away by insensible degrees”, David Hume, A Treatise on Human
Nature, London, Everyman’s Library, 1964, p. 138.
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riamente colto, un capitano di mezza età che ha servito a lungo nella flotta mercantile inglese è per definizione una persona che conosce il mondo e che ha avuto modo di mettere a confronto culture diverse. Laddove il contadino è legato alla terra e a un’esistenza stanziale, il capitano di marina è l’icona di un’esperienza umana deracineé, la cui prospettiva sulla realtà non è statica, ma dinamica e poliedrica. Non solo: mentre il contadino che lavora la terra e dai suoi frutti trae il sostentamento è più incline a organizzare le proprie conoscenze e i propri valori intorno a dei nuclei di pensiero mitici e superstiziosi, i quali hanno la funzione di raccogliere tutto quell’‘“agglomerato indigesto di frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita”53, che sfugge a una visione della realtà fondamentalmente georgica, la familiarità non soltanto con il commercio in sé, ma più profondamente, con l’essenza mercantile dell’impero, che caratterizza l’uomo di mare, almeno in linea teorica, dovrebbe
rendere quest’ultimo un individuo assai più smaliziato suggestionabile.
e meno
In “The Thorn”, però, le cose non vengono presentate in questo
modo e un capitano di marina ha tante, se non addirittura maggiori, possibilità di sviluppare una mente suggestionabile e superstiziosa di quante ne ha un vil/lager poiché, non avendo avuto la possibilità di costruire un legame profondo con i luoghi che ha visitato, e allo stesso tempo possedendo un’esperienza di vita più variegata e frammentaria, egli sarà ancora più soggetto a divenire preda di idee fisse. Libero per la prima volta dopo tanti anni dalle responsabilità di una professione, l’ex capitano potrà calarsi finalmente nei panni del “passeggero”5* e andare alla scoperta della propria residenza di elezione. Questa esplorazione di un luogo apparentemente piccolo e noioso, però, come illustra bene la poesia, si rivelerà una sorta di iniziazione senile all’urgenza dei propri meccanismi linguistici e psichici, poiché l’ozio, la solitudine e il desiderio di familiarizzarsi
5 A. Gramsci, “Osservazioni sul folclore”, in op. cit., p. 173. 5 Cfr. Leo Marx, The Pilot and The Passenger. Essays on Literature, Technology, and Culture in the United States, New York and Oxford, Oxford University Press, 1988.
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col luogo cui non appartiene per nascita lo renderanno molto incline alla comunicazione, nonché pronto ad affidarsi in tutto e per tutto alla parola dei suoi interlocutori. C'è poi un altro aspetto di questa figura su cui vale la pena riflettere: la sua “indolence”. La nota suggerisce una vera e propria relazione di causalità tra l’indolenza, la loquace dabbenaggine e la tendenza alla superstizione del capitano. Wordsworth presenta questa “indolenza” in termini economici, più che morali, non tanto come un’inclinazione all’ozio, quanto come una forma di inattività legata alla sua condizione di meritato pensionamento. L’aspetto interessante di tale sganciamento dell’indolenza dalla morale è che, raffigurata in questi termini, essa rievoca molto da vicino la felice condizione di naturale pigrizia, che Rousseau attribuisce all’individuo pre-sociale55. Nell’argomentazione rousseauiana, l’indolenza appare come la più originaria e spontanea tra le passioni umane, forte tanto quanto l’istinto di autoconservazione
e, come
quest’ultimo, così profondamente radicata negli individui, da attraversare quasi invariata i diversi stadi di evoluzione delle civiltà. Inoltre, essa presenta una modalità paradossale.
Per un verso,
infatti, sembra costituire l'essenza della condizione selvaggia, vale a dire lo stadio pre-storico in cui gli uomini vivono ancora dispersi sulla superficie del globo e lontani l’uno dall’altro, perché totalmente soggiogati dal bisogno. Per un altro, essa partecipa a pieno titolo anche della dimensione sociale, nella quale gli esseri umani
vivono legati da vincoli contrattuali, quali le istituzioni politiche, le regole morali e il lavoro. Se nello stato di natura l’indolenza costituisce una forma di congenita pigrizia, di tensione verso il
°° “E inconcepibile a qual punto l’uomo sia naturalmente pigro. Si direbbe che non viva che per dormire, vegetare, restare immobile; a malapena riesce a decidere di fare i movimenti necessari per impedirsi di morire di fame. Null’altro che questa deliziosa indolenza man-
tiene tanto a lungo i selvaggi nell’amore della loro condizione. Le passioni che rendono l’uomo inquieto, previdente, attivo, nascono soltanto in società. Non fare nulla è la prima e la più forte passione dell’uomo dopo quella di conservarsi. A ben vedere, anche fra noi ognuno lavora per arrivare al riposo: è ancora la pigrizia che ci rende laboriosi”, Jean Jacques Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue, a cura di Paola Bora, Torino, Einaudi, 1989, p. 59.
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mantenimento dello status quo, nella dimensione sociale, essa viene
a rappresentare un punto di arrivo, una ideale possibilità di ricongiungimento degli individui alle passioni originarie che essi, al contrario dei selvaggi, riescono a inverare soltanto attraverso il lavoro: “è ancora la pigrizia che ci rende laboriosi”. Nella figura del capitano di marina che, dopo una vita di lavoro, si scopre indo-
lente e quindi incline alle chiacchiere, alle dicerie e alle suggestioni popolari, Wordsworth recupera tanto l’originarietà, quanto la transtoricità, dell’indolenza rousseauiana, perché la connette al discorso sul natural lore che più lo interessa. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, uno dei nodi estetici
ed epistemici intorno a cui le Lyrica/ Ballads ruotano è costituito dall’interrogativo sull’essenza della tradizione con cui Wordsworth giunge a confrontarsi nel momento in cui si appresta all'osservazione della “low and rustic life”. Agli occhi del poeta reduce dai coinvolgimenti rivoluzionari, e in seguito ritiratosi nella tranquillità di una dimensione rurale, la tradizione appare come una strana combinazione di natura e di storia. Essa si fonda su pratiche e credenze che derivano direttamente dal contatto quotidiano con gli oggetti naturali e al contempo si presenta come un punto di vista sul mondo e sulle relazioni tra gli individui che, pur nella sua estrema limitatezza e asistematicità, è in grado comunque di produrre delle forme di conoscenza e di interpretazione della realtà. Le modalità conoscitive generate dalla tradizione, come bene illustra “The Thorn”, non soltanto non sono mai generalizzabili, ma sono sempre profondamente localizzate, legate a luoghi, circostanze e soprattutto individui particolari. In questo senso, “The Thorn” costituisce un testo centrale per accedere all’universo folclorico delle Lyrical Ballads, perché della tradizione esso raffigura proprio la duplice, e direi paradossale, qualità di discorso nella natura e discorso sulla natura. Se infatti la vicenda di Martha ha il potere di costruire intorno a un semplice oggetto naturale, un’aura di mistero e di indecifrabilità che assimila tale oggetto alla dimensione umana, è altresì vero che ciò accade soltanto grazie all’adesività della mente del narratore al rovo, cioè alla capacità che gli è propria, e che secondo Wordsworth 147
La metamorfosi folclorica
gli deriva dalla particolare esperienza di vita, di collocarsi in una
posizione di contiguità e quasi di confusione con questo oggetto della natura. Da qui l’importanza della “indolence”, sorella gemella della “wise passiveness” di “Expostulation and Reply” e della “hour of feeling” di “Lines written at a small distance from my house”, vale
a dire di quella particolare forma di inattività che, sospendendo il lavoro esterno, attiva l’energia interiore e i processi della sensibilità e dell’immaginazione, tra cui anche la superstizione. Nell’assegnare un racconto di superstizione a un narratore che non ha un’estrazione rurale, ma che si dimostra comunque incapace di costruire un punto di vista alternativo rispetto a quello spaventato e scaramantico dei vi/lagers, Wordsworth sgancia il folclore
e la superstizione dal dato sociale e culturale e li aggancia ai procedimenti dell’immaginazione, attribuendoli così a modalità di pensiero che prescindono da contingenze materiali. Egli intuisce che il pensiero folclorico non è tanto il risultato di condizioni empiriche esterne, quanto di dati percettivi interni, e che esso non s’insedia unicamente su una situazione di ignoranza e di privazione materiale, ma anche e soprattutto su condizioni di isolamento affettivo e psicologico. Attraverso la metamorfosi folclorica del narratore middle-class messa in atto in “The Thorn”, e successivamente argomentata nella
nota, Wordsworth ambisce ad accorciare le distanze tra il pubblico fondamentalmente borghese delle Lyrical Ballads e i personaggi “umili e rustici” che prendono vita nei suoi versi. Nella figura curiosa e bonaria del capitano di marina in pensione che, messo davanti a un racconto di infanticidio e di apparizioni soprannaturali, oscilla tra stupore e ciarlataneria, Wordsworth intravede la possibilità di coinvolgere il lettore nel suo progetto antropologico, mettendolo davanti a una sorta di alter ego. Se il compito del poeta è quello di “bind up together by knowledge and passion the vast empire of human society”, fornendo un collante epistemologico e sentimentale alla società, soltanto dimostrando ai suoi lettori borghesi l’universalità di determinati meccanismi mentali egli riuscirà a riattivare in loro un legame di sympathy con le classi emarginate, ovverosia 148
Il narratore folclorico
quel particolare tipo di comprensione che si fonda sul riconoscimento di una profonda affinità reciproca. Soltanto sviluppando un sodalizio affettivo ed emotivo più o meno conscio con i “superstitious men”, il lettore delle Lyrica/ Ballads riuscirà ad apprezzare delle storie in cui il narratore cerca di convincerlo a credere in qualcosa su cui egli stesso dubita, e che si ferma a ogni pié sospinto, timido e incerto, per ribadire la propria ignoranza dei fatti: “I cannot tell; I wish I could;/For the true reason no one knows” (vv. 89-90). In realtà, è proprio sulla base di questa conclamata incertezza,
di questi noiosi vacillamenti cognitivi ed emotivi e, in ultimo, di questa prospettiva folclorica, che Wordsworth conta di raggiungere il suo “principal purpose”: “to follow the fluxes and refluxes of the mind when agitated by the great and simple affections of our nature”, e dimostrare così che nelle Lyrica/ Ballads “the feeling therein
developed gives importance to the action and situation and not the action and situation to the feeling”59. La seconda parte della nota a “The Thorn”, così come la lettura di altre ballate, ci aiuterà a com-
prendere meglio l’importanza del processo di folclorizzazione, cui Wordsworth sottopone la figura del narratore nell’universo poetico delle Lyrical Ballads.
56 W. Wordsworth, Preface, pp. 141, 126, 128.
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CAPITOLO IV
LIRISMO E TAUTOLOGIA 1. Poesia e passione Cosa significa elaborare un linguaggio poetico in cui “the feeling therein developed gives importance to the action and situation and not the action and situation to the feeling”? Significa accordare preminenza al sentire sull’agire, sganciare il feeling dalle contingenze empiriche, analizzandolo nel suo prodursi “spontaneo”, non determinato da circostanze esterne, bensì da una sensibilità che è intrin-
secamente espressiva, poiché contiene in sé un’originaria potenzialità a divenire linguaggio. Significa, in altre parole, fare del feeling la misura e la struttura dell’“action” e della “situation”, mutarlo in
“azione” e “situazione”. Si pensi, ad esempio, al lungo e dettagliato racconto di “The Female Vagrant”, la cui vicenda di impoverimen-
to, lutto e degrado diventa emblematica non solo delle devastanti conseguenze sociali delle enclosures e della guerra, ma anche di un dolore e di una disperazione che hanno assunto una dimensione ontologica: ‘But, what afflicts my peace with keenest ruth/Is, that I have my inner self abused” (vv. 258-9). Un’analoga focalizzazione sulla priorità genealogica del feeling rispetto all’azione presenta anche “The Last of the Flock”, in cui l’incontro tra il narratore e il personaggio è messo in moto dal pianto del pastore che si offre sotto forma di spettacolo della sofferenza umana allo stato puro: In distant countries I have been And yet I have not often seen A healthy man, a man full grown Weep in the public roads alone. And in the broad high-way I met; Along the broad high-way he came, His cheeks with tears were wet. Sturdy he seemed, though he was sad;
And in his arms a lamb he had. (vv. 1-10)
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La metamorfosi folclorica
Tanto nel caso della vagabonda che ha perso casa e famiglia, sopravvivendo agli orrori della guerra e provando l'umiliazione dell’accattonaggio, quanto in quello del pastore, che ha assistito impoente al progressivo estinguersi del gregge e con esso delle sue sostanze, il lettore (al quale Wordsworth pur fornisce una dettagliata fenomenologia del degrado e dell’alienazione) percepisce che al cuore del testo non c’è una situazione, o una catena di eventi, ma una struttura composita di emozioni e sentimenti, e che è questa a essere chiamata in causa come origine del racconto. Le Lyrical Ballads offrono una mappa ricca e variegata della tipologia dei feelings capaci di evocare “moving accidents”, di mettere in moto quella sensibilità che accomuna il poeta ai lettori e che per Wordsworth è tanto originaria e insopprimibile, quanto spontanea, cioè naturalmente protesa verso l’esterno, alla continua ricerca di si-
tuazioni patetiche e intrinsecamente narrative. Questo spostamento del fuoco dall’esteriorità dell’azione all’interiorità del sentimento,
questa diversa angolatura di osservazione del reale, determina importanti conseguenze sul piano tematico, stilistico e ideologico e sulle modalità del loro intrecciarsi all’interno dei singoli testi. L’importanza accordata alla tradizione intesa come natural lore, e ancor più il ricorso alla funzione adesiva, al tempo stesso omologante e catartica del narratore folclorico, costituiscono i cardini su cui
Wordsworth fa ruotare la raffigurazione della vita rurale e costruisce la sua personale antropologia, cioè a dire la sua particolare nozione di specie umana. Qual è, si chiede il poeta nelle Ballate, e quale natura possiede, la forza che unisce il narratore ai personaggi; che conduce il narratore a una distanza così ravvicinata rispetto alla ‘vita
' Sul rapporto tra poeta e materiale tragico cfr. James Averill, Wordsworth and the Poetry of Suffering, Ithaca and London, Cornell University Press, 1980. Averill legge le Lyrical Ballads come un tentativo di superare la relazione parassitaria tra il poeta e i suoi materiali tragici attraverso l’unione di “tenderness” e “imagination”: “The questions before him are those posed by sentimental self-consciousness generally: how, in good conscience, can the writer continue to use the power of human suffering if he is fully aware of his exploitative relation to real suffering? Is it possible for poet and reader to have a relation to tragic materials which is not somewhat parasitic? If so, what kind of poetry would enable this sort of innocent relation to exist?”, p. 180.
{S2:
Lirismo e tautologia
umile e rustica”; che porta la sua mente ad “aderire” a quella dei personaggi, quasi a sovrapporvisi, per poi, il più delle volte, abbandonarlo in uno stato di oscurità e di stupore proprio nel momento cruciale dell’interpretazione? Di nuovo, è la nota a “The Thorn” a forni-
re a Wordsworth l’occasione per elaborare la risposta: Words, a Poet's words more particularly, ought to be weighed in the balance of feeling and not measured by the space which they occupy upon the paper. For the reader cannot be too often reminded that Poetry is passion: it is the history or science of feelings ?.
È la passione il legame che unisce il narratore ai personaggi e il poeta ai lettori, e la passione, Rousseau insegna, è energia spontanea, originaria, istinto primario e insopprimibile. Wordsworth può così affermare che “poetry is passion” in quanto, nel loro originarsi, entrambe seguono un analogo percorso dall’interno verso l’esterno (lo “spontaneous overflow of powerful feelings”) ed è sulle tracce di questo percorso che va ricercato un livello di analogia tra i personaggi e il narratore. Ma cosa vuol dire che “la poesia è passione”? Significa assegnare all’espressività della passione una natura intrinsecamente linguistica, rappresentativa, dunque anche convenzionale? Oppure, al contrario, significa sottrarre alla poesia un grado di articolazione linguistica e di trasparenza semantica, rinunciando alle vette della sublime riflessività, prediletta da Coleridge, per mantenerla su un livello di oggettività e di trasparente “matter-offactness”? Nella maggior parte delle Lyrical Ballads Wordsworth sembra propendere per la seconda opzione, poiché, come abbiamo visto, questa gli permette di abbandonare la logica settecentesca dell’interdipedenza tra linguaggio e pensiero, e dunque anche tra linguaggio e feeling. La focalizzazione su personaggi umili e linguisticamente poco articolati, ma allo stesso tempo abili produttori di storie e comunicatori di emozioni e sentimenti intensi, gli permette proprio di raffigurare la relativa indipendenza del pensiero e
2 Corsivo mio.
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della sensibilità rispetto al linguaggio. Uno degli esempi più emblematici di questa separazione è il ragazzo ritardato descritto in “The Idiot Boy”, nel cui balbettio onomatopeico il lettore riesce comunque a percepire il tentativo di dar voce a un’esperienza d’incontro con la natura, cui il ragazzo, seppur linguisticamente menomato, è comunque in grado di assegnare un valore conoscitivo, contrariamente a quanto fa il narratore quando lo irride: “The cocks did crow to-whoo, to-whoo,/And the sun did shine so cold” (vv. 460-1)?.
Nelle Lyrical Ballads, l'equazione tra poesia e passione non è legata a una visione della passione in termini di convenzione, di strut-
tura retorica che articola e al tempo stesso contiene il sentimento: al contrario, tale equazione vuole mostrarle entrambe come assolutamente “spontanee”, originarie e, in qualche misura, pre-linguistiche. Su questo punto la riflessione wordsworthiana intorno al linguaggio poetico sembra convergere con le concezioni linguistiche di Rousseau, nell’assegnare alla poesia in quanto linguaggio metaforico uno statuto prioritario rispetto a quello delle lingue storiche, proprio in virtù della sua origine spontanea e passionale*. In realtà, però, a Wordsworth non interessa tanto stabilire se sia più originario il linguaggio della poesia o invece quello “realmente parlato dagli uomini”, quanto piuttosto chiedersi cosa succede al linguaggio po-
° Riguardo alla visione della lingua espressa in “The Idiot Boy”, A. Bewell sostiene che, benché confusa e fortemente metaforica, la risposta di Johnny che chiude la ballata evidenzia capacità mentali e linguistiche che non esistevano prima della sua esperienza nel bosco: “Here Wordsworth specifically addresses the basic weakness of eighteenth-century empiricist language philosophy: that in its insistence on language as a necessary precondition of thought and feeling, it cuts off from nature (from ‘such things as have no power to hold/Articulate language’) and from ‘each other’. Wordsworth treats language as a primary social institution; but he also recognizes that if we deny its roots in nature and preverbal feeling, we deny ourselves the basis for a community”, in op. cit., pp. 66-7. * “The earliest poets of all nations wrote from passion excited by real events; they wrote naturally, and as men: feeling powerfully as they did, their language was daring and figurative. In succeeding times, Poets, and Men ambitious of the fame of Poets, perceiving the influence of such language, and desirous of producing the same effect without being animated by the same passion, set themselves to a mechanical adoption of these figures of speech, and made use of them, sometimes with propriety, but much more frequently applied them to feelings and thoughts with which they had no natural connection whatsoever. A language was thus insensibly produced, differing materially from the real language of men in any situation”, Appendice alla Preface del 1802, p. 160.
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etico nel momento in cui non soltanto è chiamato a esprimere primariamente “feelings”, anziché “action or situation”, ma diventa esso
stesso “passion”, anzi: “the history or science of passion”. Nella nota a “The Thorn” Wordsworth fa fare alla poesia una sorta di doppio salto. Da un lato, omologandola alla passione (“poetry is passion”), la sgancia dal convenzionalismo linguistico, riconducendola a un livello antropologico primario; dall’altro, facendone lo strumento conoscitivo privilegiato per accostarsi alla passione (“it is the history or science of passion’) ne sottolinea comunque la funzione gnoseologica e dunque riflessiva. Si tratta allora di vedere a quale genere di riflessività Wordsworth alluda, dal momento che, come abbiamo
visto, l'aspetto della lingua che lo interessa maggiormente all’epoca delle Lyrical Ballads non è tanto la sua natura autorappresentativa, che invece Coleridge veniva scoprendo, quanto la possibilità che essa ha di sostituirsi, per così dire, alla corporeità dei sentimenti e delle passioni, attraverso l’attivazione dei processi immaginativi.
2.I “Lucy Poems”
In “Strange fits of passion”, il primo dei quattro componimenti che costituiscono il ciclo dedicato a Lucy, Wordsworth illustra in quale modalità la passione interagisca col pensiero e col linguaggio?: Strange fits of passion I have known, And I will dare to tell,
5 Le quattro poesie che formano il ciclo dei “Lucy Poems” vennero composte da Wordsworth durante la permanenza in Germania e apparvero nell’edizione del 1800 delle Lyrical Ballads. Nel 1815, quando Wordsworth raccolse e classificò le sue poesie secondo un ordine tematico basato sulle facoltà coinvolte in ciascun componimento, i “Lucy Poems”, che già nelle Lyrical Ballads non occupavano posizioni contigue, vennero ulteriormente dispersi: “Strange fits of passion” apparve accanto a “She dwelt among th’untrodden ways” nella sezione dedicata ai “Poems founded on the Affections”, mentre “A slumber did my spirit seal” e “Three years she grew in sun and shower” finirono nei “Poems of the Imagination”. Ciò ha reso la critica incerta sull’opportunità di attribuire alle quattro poesie la compattezza e l’organicità di un vero e proprio ciclo. Sui “Lucy Poems” cfr. Mark Jones, The “Lucy Poems”: A Case Study in Literary Knowledge, Toronto, Toronto University Press, 1995.
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But in the lover’s ear alone, What once to me befel. (vv. 1-4.)
La passione appare legarsi spontaneamente al “dire” e dunque alla voce. Nella prima strofa Wordsworth evoca un passaggio immediato tra la passione e il linguaggio, o meglio tra le “strane” intermittenze della passione e le modulazioni della voce che “dice”, non a tutti, ma “soltanto all'orecchio dell’innamorato”.
Ciò che ri-
sulta meno chiaro in merito al passaggio tra gli “strange fits of passion” e il “dare to tell” è se si tratti di una sequenza, oppure di una commutazione di codice. Se la sequenza può aver luogo unicamente in una direzione, dall’esperienza della passione (gli “strange fits of passion”) alla sua espressione (il “dare to tell’), la commuta-
zione di codice è bidirezionale e pertanto annulla la priorità genealogica della passione. L'elemento che produce l’ambiguità è il present perfect del primo verbo, “I have known”: esso fa percepire gli accessi della passione come un’esperienza iterativa, che inizia nel passato, ma prosegue nel presente, e dunque confonde l’apparente chiarezza di una lineare sequenzialità tra la passione e l’espressione. Il sussurrare all’orecchio dell’innamorato ‘what once to me befel” appare allora come la conseguenza e al medesimo tempo l’origine degli “strange fits of passion”. Vediamo ora qual è il contenuto di quella forma di comunicazione esclusiva e privilegiata che la voce poetica instaura con gli innamorati in ascolto. Cos'è, insomma, che “una volta accadde” all’io poetico? In sintesi, si tratta di un’angosciosa esperienza di pathetic fallacy. Nel salire verso la casa dell’amata, il poeta osserva
la luna che cala e la vede sparire esattamente al di là della ‘casa di Lucy”. Il contrasto tra il suo salire verso la casa e il tramontare della luna proprio in corrispondenza dell’oggetto amato attiva nel poeta l'angoscia per la mortalità di Lucy: My horse mov’d on; hoof after hoof
He raised and never stopped: When down behind the cottage roof At once the planet dropped.
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What fond and wayward thoughts will slide Into a Lover’s head — “O mercy!” to myself I cried, “If Lucy should be dead!” (vv. 21-8)
Il segreto del poeta è un “attacco” di pensieri “appassionati e capricciosi”’, una strana patologia di eccesso d’amore (sottolineata dalle connotazioni mediche del termine “fit’’) che lo porta a immaginare una corrispondenza oscura e mortifera tra un oggetto della natura e il proprio oggetto del desiderio. Per contrasto, la luna calante, che chiude un ciclo per subito ricominciarlo, genera nell’io poetico il terrore di perdere l'amata. Questo terrore produce pensieri “fond and wayward”: da un lato totalmente assorbiti dall'immagine di Lucy sovrapposta a quella della luna, e dall’altro intemperanti e ribelli, che cercano la separazione e l’autonomia dall’immagine naturale e, così facendo, ne determinano la morte e, con essa, anche quella della
sua parte figurale. È a quel punto che nascono gli “strange fits of passion”: nel momento in cui il pensiero, arrivato a un punto di rottura rispetto all'immagine naturale, percepisce le proprie figure come “fond and wayward”, cariche di amore e insieme portatrici di separazione e di morte rispetto alla continuità dei cicli naturali e, grava-
to di questa nuova coscienza, libera l’angoscia attraverso la voce: “O mercy!” to myself I cried,/If Lucy should be dead!” Tra la passione e la voce si insinua così l’azione del pensiero: non di un pensiero astratto, originario, ma di un pensiero profondamente invischiato nella naturalità, reduce da una lotta angosciosa
con l’immagine naturale — la luna — sulla quale ha trionfato soltanto al prezzo della morte di una parte delle propria immaginazione, evocata da Lucy. Un pensiero siffatto è simultaneo alla passione e anche alla voce: non si può dire se venga prima o dopo di queste. Messi in azione simultaneamente, passione, pensiero e voce producono un circuito che non è più semantico, ma segnico. Nel loro “traboccare spontaneo”, che si configura al contempo come forma di vocalizzazione del pensiero e di perdita della configurazione scritturale del linguaggio, gli “strange fits of passion” sopDSY
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primono, cancellano, il referente naturale e ne prendono il posto?. Nella simultaneità del pensiero rispetto alla passione e alla voce risiede inoltre una componente folclorica, che non salta agli occhi immediatamente, poiché è messa in ombra dal registro autobiografico del testo. In realtà, “Strange fits of passion” mostra proprio quanto la struttura folclorica del pensiero non dipenda dalla tipologia dell’esperienza, o dell’evento, che la voce poetica si trova a narrare, bensì dal grado di adesività che si stabilisce tra il soggetto e l’oggetto della narrazione. In questo senso, il fatto che l’io poetico stia descrivendo un’esperienza personale e non ripetendo un racconto di seconda, o di terza mano, diviene assolutamente irrilevante. In ef-
fetti, da cos'altro nascono i suoi “strange fits of passion” se non dal divenire preda di una logica arcaica, premoderna, che interpreta l’essere umano ancora in termini di misteriose corrispondenze col macrocosmo
naturale e che trasforma i ‘“barlumi d’immortalità”,
generati dall’immaginazione, in quegli oscuri presagi che costituiscono i prodotti del folclore e della superstizione? Nel primo dei “Lucy Poems” il poeta colloca in primo piano un narratore che si annuncia perfettamente in grado di controllare il circuito di pensiero, passione e linguaggio/voce, innescato dalla sua inquietante esperienza sublunare: “I will dare to tell what once to me befel”. Parallelamente, tuttavia, egli mostra come il controllo di questo circuito sia solo apparente e illusorio. Nel racconto, Lucy viene data per morta sin dall’inizio (“When she I loved, was strong and gay”, v. 5) e ciò spiega come mai l’io lirico parli degli “strani accessi di passione” come di una sorta di epifania premonitrice che ha il potere di rinnovare di continuo l’angoscia della morte: ai suoi occhi Lucy è morta, e continua a morire, perché è divenuta la vittima di quegli strani pensieri che “s’insinuano” impercettibilmente nella mente 663
° Cfr. l’argomentazione sul “pensiero della voce sola” in quanto “pura intenzione di significare” antecedente a qualsiasi significato, e sulla voce come luogo della negatività in Giorgio Agamben, Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, Torino, Einaudi, 1982; cfr. anche G. Hartman: “Passion seems to mean a passionate utterance, as when someone is said to ‘fall into passion”. The word joins together emotion and motion of voice”, in The Unremarkable Wordsworth, op. cit., p. 99.
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dell’innamorato, rendendola ‘fond and wayward”, vale a dire tanto più impregnata di amore e di passione, quanto meno capace di governarne l’impeto. Se questo poi non bastasse a convincerci della natura folclorica degli “strange fits of passion”, a metà tra il puramente passionale e il radicalmente figurale, sarebbe sufficiente voltare pagina per trovare una conferma. In “She dwelt among th’untrodden ways”, la poesia successiva, Lucy riposa già nella tomba, contrassegnata soltanto da una timida violetta: A violet by a mossy stone Half-hidden from the Eye! — Fair, as a star when only one Is shining in the sky! She liv’d unknown, and few could know
When Lucy ceased to be; But she is in her Grave, and Oh! The difference to me. (vv. 5-10)
Quell’eccesso di amore che aveva attivato nella mente dell’innamorato una patologia immaginativa analoga alla superstizione dimostra di essere stato un autentico presagio di morte. Il circuito di passione, pensiero e ufferance, generato in “Strange fits of passion”, travalica così i confini del singolo testo per andare a rinnovarsi in un “song”, nell’espressione naturale e melodica della voce che recita un’elegia”. Ma in “She dwelt among th’untrodden ways” accade anche che tale circuito s’interrompa. La morte blocca il processo immaginativo e spezza quel rapporto di adesività tra il poeta e il personaggio, che è all’origine delle rappresentazioni folcloriche. Laddove Lucy ha vissuto una vita anonima e isolata, al punto che soltanto “pochi riuscirono a sapere quando cessò di esistere”, il poeta, al quale è rimasta “the difference”, è in grado comunque di fare
7 J. Averill parla dell’elegia come del genere poetico “suspended between narrative and lyric”, in op. cit., p. 207.
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di questa differenza una forma di linguaggio. Nella poesia successiva, “A slumber did my spirit seal”, il circuito del natural lore si
riattiva: Lucy perde gli attributi dell’essere umano e si muta in una
sorta di elemento della natura privo di sensibilità, di coscienza e di storia?: “No motion has she now, no force/She neither hears nor sees/
Roll’d round in earth’s diurnal course/With rocks and stones and trees!” (vv. 5-8). Se, come afferma James Beattie, “violent passions are peculiarly inclined to change things into persons”, è ipotizzabile che esse possiedano anche il potere inverso: quello di mutare le persone in cose. In “The Thorn”, Wordsworth indaga la prima ipotesi, poiché rappresenta il rovo come un oggetto naturale che vive sospeso tra l’inorganico e l’umano, e che viene animato dalla paura, dalla superstizione dei vi/lagers e del capitano di marina, ‘fond and wayward” almeno quanto quella dell’innamorato presago di “Strange fits of passion”. Nei “Lucy Poems” avviene l’inverso: l’eccesso di passione metaforizza la figura umana, ne fa una ‘“differen-
za”, ovvero non più un elemento semantico, ma segnico, per poi cancellarla definitivamente. Se nella prima delle tre poesie, l’eccesso di passione rivela Lucy al poeta attraverso lo schermo della pathetic fallacy, nella seconda, idealmente, è la stessa passione a ucciderla, dislocandola come oggetto d’ amore e ricollocandola come oggetto del canto del poeta (“The difference to me”). Nella terza, grazie all’assimilazione alla ciclicità della natura, Lucy acquisisce una dimensione quasi metafisica e diventa l’elemento che permette al poeta di superare l’angoscia della morte. Infine, in “Three years she grew in sun and shower”, il cerchio si chiude: la natura sottrae
Lucy non soltanto all’innamorato, ma anche al poeta, poiché ne usurpa la voce per cantare le grazie di Lucy senza la sua mediazione:
* Per un’ampia discussione sul dibattito critico decostruzionista intorno a “A slumber did my spirit seal” cfr. John Baker, “Grammar and Rhetoric in Wordsworth's ‘A slumber did my spirit seal’: Heidegger, de Man, Deconstruction”, in Studies in Romanticism, vol. 36, n. I, Spring 1997, pp. 103-23. ° James Beattie, Essays: on Poetry and Music, as They Affect the Mind; on Laughter, and Ludicrous Composition; on the Usefulness of Classic Learning, London, E. and C. Dilly, IZZO DA251E
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Three years she grew in sun and shower, Then Nature said, “A lovelier flower On earth was never sown;
This child I to myself will take, She shall be mine, and I will make
A Lady of my own.
Myself will to my darling be Both law and impulse, and with me The Girl in rock and plain, In earth and heaven, glade and bower,
Shall feel an overseeing power To kindle or restrain. She shall be sportive as the fawn That wild with glee across the lawn Or up the mountain springs, And hers shall be the breathing balm, And hers the silence and the calm Of mute insensate things. (vv. 1-18)
Sebbene alcune interpretazioni rifiutino una lettura seriale dei “Lucy Poems”, sottolineando, al contrario, l'aspetto di mutua rivalità che le quattro poesie intratterrebbero tra loro e con il loro alter ego, “Lucy Gray”!°, è difficile non avvertire tra una poesia e l’altra
1° “The poems do not admit of addition, indeed of accumulation of any kind. There is no sense that they represent distinct moments in a process of mourning; between one poem and another there is no sense that the past has receded or the poet moved forward. On the contrary, the poet is unable to progress; he is forced, like the Ancient Mariner, to relive his loss and repeat his dismay. [...] The time is always only an undifferentiated and static afterwards. Each poem, refusing to acknowledge the others, presents itself as the first, the only lament. As a result, the poems form a rivalry rather than a sequence or even a group. The structure of rivalry not only determines their relationship to one another and to other poems standing proximate to them (‘Lucy Gray”, the Matthew poems) but also informs their emotional content”, Susan Eilenberg, Strange Power of Speech. Wordsworth, Coleridge and Literary Possession, New York and Oxford, Oxford University Press, 1992, pp. 119-20. Dello stesso avviso è anche Mark Jones che legge i “Lucy Poems” come un caso letterario montato dai critici vittoriani al fine di legittimare l’Inglese come disciplina accademica: “I argue, in brief, that the Victorian ‘Lucy Poems’ grouping originated as a simplification of an intolerably indeterminate text and that it has been perpetuated because, in facilitating interpretation, it has also served to legitimate ‘English’ as a ‘discipline’ capable of producing ‘knowledge’, The ‘Lucy Poems’: A Case Study in Literary Knowledge, op. cit., pp. IX-X.
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una certa sequenzialità. Tale sequenzialità segue la traiettoria di un graduale ammutolimento della voce umana è di una progressiva naturalizzazione, e folclorizzazione, della voce poetica, poiché parte dai sommessi mormorii di un innamorato timoroso di perdere l’amata, per arrivare alla perentorietà dei diktat della natura, la cui voce e il cui potere la quarta poesia raffigura in netto antagonismo con quella del poeta. In “Three years she grew in sun and shower”, il circuito comunicativo tra il poeta e il lettore aperto in ‘Strange fits of passion” viene sostituito da una strana e un po’ perturbante forma di natural lore, in cui la natura compare sia come soggetto sia come oggetto della poesia, voce e canto al medesimo tempo. Ma laddove la voce del poeta possedeva un destinatario, quella della natura appare come totalmente autoreferenziale; laddove la voce del poeta affermava l’identità di Lucy attraverso l’angoscia per la sua mortalità, la voce della natura ne sopprime l’identità e la polverizza, la diffonde in uno spazio astratto e virtuale, dove Lucy, contrariamente al rovo di “The Thorn” o alla sorgente di “Hart-Leap Well”, non ha neppure la possibilità di divenire genius loci perché non è in alcun modo localizzabile!!. Nell'ultima delle poesie dedicate a Lucy la voce della natura risuona in tutta la sua solennità e assertività: la natura da un lato porta a termine il processo di metaforizzazione e di allegorizzazione di Lucy, iniziato dal poeta in “Strange fits of passion”; dall’altro, usurpa la voce del poeta, inglobando la sua passione nel proprio stesso linguaggio: “And vital feelings of delight/ Shall rear her form to stately height,/Her virgin bosom swell,/Such thoughts to Lucy I will give/While she and I together live/Here in this happy dell” (vv. 31-6). Curiosamente, anche nel discorso della natura Lucy viene posta in corrispondenza diretta col pensiero, come se la sua evanescenza, sottolineata dal temine “form”, esigesse una sorta di rivestimento, un elemento che, nel coprirla, la facesse esi-
glie stars of midnight shall be dear /To her, and she shall lean her ear/In many a secret place/W here rivulets dance their wayward round,/And beauty born of murmuring sound/Shall pass into her face”, “Three years she grew in sun and shower”, p. 199, vv. 24-30.
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stere come corpo, ne segnalasse una certa consistenza e materialità!” Ma nei “Lucy Poems” Lucy non è l’unica a venir sacrificata alla natura. A ben vedere, in “Three years she grew in sun and shower” è il narratore a subire la sorte peggiore, poiché a lui la natura non soltanto sottrae Lucy ma la propria stessa voce, lasciandogli in eredità unicamente “la memoria di ciò che è stato e che mai più sarà”: Thus Nature spake — The work was done — How soon my Lucy’s race was run! She died and left to me This heath, this calm and quiet scene, The memory of what has been, And never more will be. (vv. 37-42)
Una memoria, quella del narratore dei “Lucy Poems”, che solo apparentemente trova nella “quieta scena” naturale la propria localizzazione e il proprio correlativo oggettivo, ma che in realtà non si identifica con uno spazio determinato, né si incarna in un soggetto ben individuato. Nella quarta poesia questo narratore gioca un ruolo assai marginale nell’economia del testo: non compare che alla fine della poesia per lamentare la morte di Lucy, e quando lo fa utilizza un linguaggio vago e stereotipato, che non è neppure in minima parte paragonabile all’eloquio idilliaco e solenne della natura'?. Come il narratore nelle prime tre poesie ha messo per sempre a tacere Lucy tenendo per sé “la differenza”, cioè il linguaggio, così, nella quarta, la natura mette a tacere il narratore, relegandolo al margine del di-
scorso, a mero ruolo di cornice. Il linguaggio di questo narratore ha un tono piattamente cronachistico e denotativo: non possiede auto-
!? È in questo senso, credo, che Hartman definisce Lucy come un “boundary being”: “nature sprite and human, yet not quite either. She reminds us of the traditional mythical person who lives, ontologically, an intermediate life, or mediates various realms of existence”, G.
Hartman, Wordsworth's Poetry, op. cit., p. 158. !3 Cfr. “Compared to Nature, the narrator comes across as the lesser poet”, S. Eilenberg, Opacit pal3i
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revolezza, né capacità allusiva, al di fuori della estemporanea metafora della corsa contro il tempo attribuita a Lucy. Ma soprattutto, questo linguaggio ha perso la capacità interpretativa. La morte di Lucy ne ha esaurito la forza immaginativa, annullandone così anche la capacità di attribuire significato alla realtà e all’esperienza!‘. Privato di autorità e di voce, questo narratore deve cedere la parola alla natura, unica rimasta in grado di recitare l’elegia di Lucy. Se “Strange fits of passion” aveva illuso il lettore circa le potenzialità ermeneutiche dello storytelling, “Three years she grew in sun and shower” infrange ogni illusione, poiché raffigura lo storytelling come un esile e quasi impercettibile residuo di voce umana e di memoria sopravvissuto alla coscienza della morte. È questo l’aspetto più inquietante e insieme moderno di queste poesie: Wordsworth non immagina soltanto una voce poetica ammutolita dalla coscienza della mortalità, ma si spinge oltre, costringe il linguaggio a una sorta di movimento escatologico, in cui al recedere della voce poetica corrisponde un repentino e definitivo avanzamento
della natura sulla coscienza, che riduce la memoria
umana a una sorta di rovina naturale. In questo gioco di ammutolimenti e usurpazioni reciproche tra esseri umani e natura, è come se
Wordsworth volesse ricondurre l'immaginazione poetica a un livello antecedente rispetto alla voce umana, all’identità e dunque all’interpretazione, affermando, paradossalmente, la profonda significatività della sospensione del significato. Da questo paradosso scaturisce l’importanza della morte caratteristica dei “Lucy Poems”, o meglio di quella dimensione della vita che Hartman definisce “an intermediate modality of consciousness”!. Lontano dall’Inghilterra e separato da Coleridge, Wordsworth fa emergere un aspetto uncanny nella propria stessa poesia, solitamente molto più concreta e realistica. Intuisce che soltanto passando attraverso lo stadio di una
!* Abrams, nota come la radice etimologica del nome ‘Lucy’ sia lux, in “Construing and Deconstruing”, in Doing Things with Texts. Essays in Criticism and Critical Theory, ed.
Michael Fischer, New York and London, Norton, 1991.
15 Ibidem.
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discorsività più astratta, smaterializzata, talvolta puramente allegorica, perché sganciata dall’onere di rappresentare personaggi o situazioni realistici, diventa possibile per la poesia avvicinarsi al feeling, e divenire essa stessa “the history and science of passion”.
3. L’immaginazione tautologica
Di nuovo, per comprendere a pieno l’operazione di Wordsworth, occorre collocarla nell’ambito del pensiero dei filosofi del senso morale, per i quali, come abbiamo già visto, tra la passione e l’immaginazione esiste un legame di transitività. Nella speculazione antilluminista di Burke, di Smith e di Hume, l’immaginazione viene
pensata in funzione alternativa alla ragione, come l’unico mezzo grazie al quale è possibile per un individuo formarsi una conoscenza delle passioni altrui, essendo le passioni delle “original existences”, ovvero dei movimenti spontanei della sensibilità, in sé privi di contenuto rappresentativo!°. Da un lato, questi filosofi invocano l’originarietà, l’afiguralità e la corporeità della passione, mentre dall’altro ammettono l’esistenza di “passioni derivate” dall’immaginazione, quali ad esempio la paura, oppure la “sympathy”!. Di questa transitività tra la passione e l'immaginazione, e allo stesso tempo dell’aspetto problematico,
16 “A passion is an original existence, or, if you will, modification of existence, and contains not any representative quality, which renders it a copy of any other existence or modification. When I am angry, I am actually possessed with the passion, and in that emotion have no more a reference to any other object, than when I am thirsty or sick, or more than five feet high”, D. Hume, A Treatise on Human Nature, op. cit., p. 127. !? “It is remarkable that imagination and affections have a close union together, and that
nothing, which affects the former, can be entirely indifferent to the latter. Wherever our ideas of good or evil acquire a new vivacity, the passion become more violent, and keep pace with the imagination in all its variations”, D. Hume, A Treatise on Human Nature, op. cit., p. 135. “Pain never calls forth any very lively sympathy unless it is accompanied with anger. We sympathize with the fear, though not with the agony of the sufferer. Fear, however, is a passion derived altogether from the imagination, which represents, with an uncertainty and fluctuation that increases our anxieties, not what we really feel, but what we may hereafter possibly suffer”, A. Smith, The Theory of Moral Sentiments, op. cit., p. 30.
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irrisolto di tale transitività, la poesia delle Ballate si fa erede diretta. In polemica con l’estetica neoclassica dell’imitazione, Wordsworth
colloca le radici della passione e del linguaggio poetico nell’interiorità e dunque assegna alla poesia un’origine antropologica. Simultaneamente, utilizzando la mediazione lirica e immaginativa
del narratore folclorico, il poeta attiva un circuito di passione, per così dire, derivata, mettendo in circolo una composita struttura di “powerful feelings”, la cui referenzialità viene profondamente smaterializzata, frammentata e desoggettivata, per acquisire in tal
modo una natura puramente figurale. Il punto è che la figuralità della passione non s’innalza mai al livello di conoscenza formale degli individui. In questo senso è possibile parlare delle Lyrical Ballads in termini di un’operazione antropologica, anche nel significato che Kant attribuisce all’antropologia nel suo scritto del 1798, ovvero come quella particolare “conoscenza dell’uomo come cittadino del mondo” in cui: le circostanze di luogo e di tempo determinano, quando sono persistenti, delle abitudini, le quali sono, come si dice, una seconda na-
tura e rendono all’uomo difficile il giudizio sopra se stesso, sull’opinione che egli deve avere di sé, ma più ancora sull’idea che egli deve fare di un uomo, con il quale è in rapporto; infatti il mutamento dello stato, in cui l’uomo è posto dalla sorte, o in cui egli si pone con le sue avventure, rendono molto difficile all’antropologia di innalzarsi al grado di scienza formale!*.
Nell’idea che il feeling, da cui scaturisce il linguaggio poetico, possieda una forte portata transindividuale e che, proprio in quanto tale, costituisca anche la matrice di quel sistema di abitudini e di credenze popolari che forma la tradizione di una comunità e la sua autopercezione, Wordsworth legittima l’uso della poesia come strumento di indagine antropologica. Riuscire a percepire questo doppio movimento è molto importante, poiché significa sganciarsi da una prospettiva esclusivamente mimetica e realistica rispetto ai mate-
RITRATTO
piGITA past
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riali poetici!”. In effetti, lo spostamento dell’osservazione dall’esteriorità dell’azione all’interiorità del sentimento non basterebbe da solo a garantire il passaggio a una poetica nuova se, nel sottrarsi al peso della referenzialità più materialistica, il linguaggio poetico non palesasse parimenti la propria natura “differente” anche rispetto a quei referenti che appaiono meno concreti e materiali, perché non sono oggetti della natura, ma prodotti della sensibilità e della psiche, quali i sentimenti e le passioni. Sebbene in qualche punto possa apparire diversamente, le Lyrical Ballads non ambiscono a ricreare una forma di mimetismo dell’animo, o della coscienza. Al contrario, esse puntano a decostruire lo stesso paradigma su cui l’idea di mimetismo si fonda: quella secondo cui tanto più in basso nella scala del vivente si scende, tanto più chiaro, univoco e trasparente diviene il rapporto tra il medium artistico e la vita, poiché tanto più semplici, elementari, pressoché indivisibili, sono gli oggetti che il linguaggio della poesia deve tradurre in parole. Da qui nasce l’importanza dei “Lucy Poems” nell’ambito dell’intera operazione delle Ballate: attraverso il loro linguaggio criptico, astratto e misticheggiante che però, tanto inaspettatamente quanto paradossalmente, nell’ultimo dei quattro componimenti si scopre rappresentare la voce della natura, Wordsworth scredita il topos natura uguale semplicità e trasparenza. Come sottolineano de Man, Hartman, e in tempi più recenti Douglas Kneale, Cynthia Chase e Susan Eilenberg, la voce della natura wordsworthiana non è mai semplice da interpretare, perché promette agli esseri umani più significati di quelli che è realmente in grado di offrire. Il rischio di prestare ascolto alla voce della natura è di confondere il bisogno di senso con l'apparente trasparenza dei suoi messaggi, i quali però, in ultima istanza, rimangono oscuri e indecifrabili?!.
!? Wordsworth nutriva una vera e propria avversione per il realismo un po’ facile della poesia di George Crabbe.
2° Cfr. Jacques Derrida, De la Grammatologie, Paris, Les Éditions de Minuit, 1967. Tr. it. Della Grammatologia, Milano, Jaca Book, 1969, 1989; L'écriture et la différence, Paris, Éditions du Seuil, 1967. Tr. it. La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 1971, 1990.
21 Sulle diverse implicazioni della voce della natura cfr. Douglas Kneale J., Monumental Writing. Aspects of Rhetoric in Wordsworth's Poetry, Lincoln and London, University of
Nebraska Press, 1988.
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Il valore conoscitivo e riflessivo che Wordsworth attribuisce alla poesia nella nota a “The Thorn” e soprattutto nella Preface?, si distacca pertanto nettamente da quello coleridgiano e idealistico. Se Coleridge e l’Idealismo tedesco pongono il movimento dialettico al centro del pensiero e fondano ogni conoscenza sull’autoconoscenza del soggetto, la “concretezza” e la “mancanza di prospettivismo mentale”, che rappresentano i tratti distintivi del linguaggio delle Ballate, si muovono nella direzione opposta’°. Nella poetica wordsworthiana, tale modalità dialettica compare solo successivamente, e trova la sua più intensa espressione nella visione organicista e autoriflessiva del Prelude. Nelle Lyrical Ballads (eccezion fatta per “Tintern Abbey”, che da questo punto di vista suggerirei di considerare come l’elemento germinale del Prelude), invece, Wordsworth esplora la traiettoria opposta a quella che negli anni immediatamente successivi si sarebbe concretizzata nella scrittura del lungo poema autobiografico. Al cuore dello sperimentalismo delle Ballate c’è la ricerca di un linguaggio il cui valore estetico e conoscitivo si fondi su un movimento opposto a quello a spirale tipico della dialettica e della riflessione. Tale movimento non va, idealisticamente, dal soggetto all’oggetto, per poi tornare sul soggetto a un livello più elevato di concettualizzazione della realtà e di autocoscienza, ma determina piuttosto una perenne
e mai risolta oscillazione tra soggetto e oggetto, narratore e personaggi, io lirico e natura, che quasi mai sfocia in un innalzamento del grado di conoscenza, ma, per così dire, implode
su se stessa, provocando una sorta di entropia linguistica e semantica.
po ?° “Aristotle, I have been told, has said, that Poetry is the most philosophic of all writing: it is so: its object is truth, not individual and local, but general and operative; not standing upon external testimony, but carried alive into the heart by passion”, W. Wordsworth, Preface, Paso)
© Per un’analisi di un modello di riflessività nell’idealismo tedesco cfr. Walter Benjamin, Il concetto di critica nel Romanticismo tedesco, Torino, Einaudi, 1982, tratto da Gesammelte Schriften, a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhiuser, con la colaborazione di
Theodor W. Adorno e Gerschom Scholem, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1972, 1974
1977.
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All’origine di questo meccanismo c’è per Wordsworth una sorta di eccedenza di passione e di feeling, che il linguaggio poetico è come incapace di assorbire tutta insieme, e sulla quale è costretto a tornare ciclicamente, rinviandola da una voce a un’altra, da narra-
tori a personaggi e da poeta a lettore, senza mai esaurirla completamente: “It was my wish in this poem to show the manner in which such men cleave to the same ideas; and to follow the turns of passion,
always different, yet not palpably different, by which their conversation is swayed”. È lo stesso Wordsworth, nella nota alla poesia, a stabilire una connessione tra i moti della passione, ‘“sempre differenti, eppure impalpabilmente differenti” e il movimento oscillatorio e dubitativo del discorso (il verbo “sway” implica tanto un’oscillazione regolare come quella di un pendolo o di un’imbarcazione, quanto un vacillamento): come a dire che soltanto un linguaggio poetico in grado di collocarsi all’interno, e non invece al di sopra, delle fluttuazioni della passione e delle indeterminatezze del
senso, è capace di operare quello scarto dall’‘“action’” e dalla “situation” al “feeling”, che l’autore delle Lyrical Ballads identifica quale il tratto più marcato del suo sperimentalismo, nonché la cifra più
autentica della poesia moderna”. L'elemento grazie al quale la poesia produce e allo stesso tempo raffigura quel processo di confusione e di erosione del senso, che garantisce il graduale assorbimento e contenimento della passione, e il suo perpetuarsi e trasmettersi dal poeta al lettore e dai personaggi al narratore è ciò che Wordsworth definisce tautologia. Si legge ancora nella nota a “The Thorn”: Upon this occasion I will request permission to add a few words closely connected with “The Thorn” and many other Poems in these
% La poesia è così “proposta come strumento di reintegrazione e di ricostituzione della sensibilità offesa, come terapia verbale delle capacità emotive menomate: tutta la Prefazione alle Lyrical Ballads, quella del 1800 e ancor più le aggiunte del 1802, espone la teoria di questa funzione terapeutica dell’arte; terapia non del giudizio, ma del sentimento”, P. Colaiacomo, L'incantesimo della lettera. Studi sulla teoria romantica del linguaggio poetico, Roma, La Goliardica, 1984, p. 21.
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volumes. There is a numerous class of readers who imagine that the same words cannot be repeated without a tautology: this is a great error: virtual tautology is much often produced by using different words when the meaning is exactly the same. [...] Now every man must know that an attempt is rarely made to communicate impassioned feelings without something of an accompanying consciousness of the inadequateness of our own powers, or the deficiencies of language. La tautologia non è una forma di ridondanza linguistica, ma, sem-
mai, esattamente l’opposto, vale a dire la coscienza dell’inadeguatezza del linguaggio a “comunicare sentimenti appassionati”. Ciò che si ripete e si intensifica, nella tautologia, non è tanto il legame tra “words” e “meanings”, quanto “gli sforzi’ che la mente fa per tradurre la passione in parole senza smorzarla, per farla passare dal corpo al linguaggio poetico in un certo senso quasi prescindendo dal pensiero, o per lo meno utilizzando un dispositivo gnoseologico meno analitico e raziocinante e più affine alle emozioni e al desiderio: During such efforts there will be a craving of the mind, and as long as it is unsatisfied the Speaker will cling to the same words, or the words of the same character. There are also other reasons why repetition and apparent tautology are frequent beauties of the highest kind. Among the chief of these reasons is the interest which the mind attaches to words, not only as symbols of the passion, but as things, active and efficient, which are of themselves part of the passion. And further, from a spirit of fondness, exultation, and gratitude, the mind
luxuriates in the repetition of words which appear successfully to communicate its feelings.
Quella “brama della mente” che nasce dalle difficoltà di incarnare nel linguaggio gli “impassioned feelings”, e che costringe chi parla ad “aggrapparsi sempre alle stesse parole o alle parole dello stesso personaggio” è ciò che genera la tautologia”. Nelle Lyrical
25 “In times of emotional stress, words become talismans, and take on almost a ritualistic
quality”, J. Jordan, op. cit., p.180.
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Ballads la tautologia viene evocata da un’ampia gamma di stilemi e di figure retoriche, incentrati sui principi del parallelismo e della ridondanza. Dal punto di vista sintattico, un esempio di tautologia tra i più diffusi è la ripetizione del soggetto o del complemento oggetto in forma pronominale: The eye it cannot chuse but see (‘“Expostulation and Reply”, v. 17) His heart it was so full of glee (“The Idiot Boy”, v. 92) His ancles they are swoln and thick (“Simon Lee”, v. 35)
Thy lips I feel them, baby! (“The Mad Mother”, v. 33)
Sul piano lessicale, la tautologia viene suggerita dalla ripetizione di frasi o termini chiave, quali il grido di dolore di Martha Ray, gli imperativi della Mad Mother (“suck, little babe, oh suck again!”; “Oh
love me, love me, little boy”), il balbettio onomatopeico
dell’/diot Boy (“And Johnny's lips they burr, burr, burr”), oppure l’incessante battere dei denti di Harry Gill: Oh! What's the matter? What's the matter?
What is’t that ails young Harry Gill? That evermore his teeth they chatter, Chatter, chatter, chatter still.
(vv. 1-4)
Talvolta la ripetizione non è pedissequa, ma con variazione: “Come home again, nor stop at all, “Come home again, whate'er befal, (“The Idiot Boy” vv. 69-70)
Altre volte si presenta sotto forma di anafora: She looks again - her arms are up — She screams — she cannot move for joy; She darts as with a torrent’s force,
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She almost has o’erturned the horse, And fast she holds her idiot boy. (“The Idiot Boy” vv. 382-6)
In alcune poesie, essa prende l’aspetto di una circolarità del racconto, che è la perfetta figurazione della circolarità del sentimento che tale racconto ispira. È il caso, ad esempio, di “Andrew Jones”,
poesia in cui la costruzione aneddotica del personaggio viene come cristallizzata alla maniera di un ritratto dalla ripetizione della medesima strofa in apertura e in chiusura: I hate that Andrew Jones: hell breed His children up to waste and pillage. I wish the press-gang or the drum With its tantara sound would come, And sweep him from the village! (vv. 1-4)
L'origine del racconto risiede in un “powerful feeling” che il narratore sembra incapace di reprimere e che possiede un’ottima ragion d’essere: un giorno Andrew Jones, perdigiorno del villaggio, ha sottratto pochi spiccioli di elemosine a un povero mendicante, “a friendless Man, a travelling Cripple”. Tanto basta a renderlo odioso agli occhi del narratore, per il quale il racconto del triste aneddoto di cronaca locale diventa lo strumento di riconferma e di stabilizzazione del proprio sentimento?°. La struttura circolare permette al narratore non soltanto di concludere la ballata ribadendo la forza e la legittimità della propria avversione nei confronti di Andrew Jones, ma fa di questa avversione, così radicata nella sua sensibilità
di essere umano, e allo stesso tempo così ben testualizzata in forma
2° “I said not this, because he loves/Through the long day to swear and tipple;/But for the poor dear sake of one/To whom a foul deed he had done,/A friendless Man, a travelling Cripple!”. “And hence I said, that Andrew°s boys/Will all be trained to waste and pillage;/ And wished the press-gang, or the drum/With its tantara sound, would come/And sweep him from the village!”, “Andrew Jones”, p.174, vv. 6-10, p.175, vv. 31-5.
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di aneddoto,
un efficace mezzo
di autoregolamentazione
e di
autodisciplina della comunità. Non è un caso che tra le ragioni che determinano l’ostilità del narratore verso questo personaggio venga menzionata proprio quella del cattivo esempio nei riguardi dei figli (maschi, di nuovo non a caso). Come a sottolineare che il rischio
per una piccola comunità di perpetuare comportamenti scorretti e disumani esige la ripetizione e la trasmissione di quelle passioni, per così dire, sane, seppur violente, che hanno il potere di controbilanciare l’effetto negativo di tali comportamenti. In ogni caso, nelle Lyrica! Ballads, la tautologia compare sempre in corrispondenza dell’insorgere della passione e della voce, e manifesta dunque un profondo legame con quei “flussi e riflussi della mente agitata dalle semplici e grandi emozioni della natura umana” che caratterizzano indistintamente personaggi e narratori. Essa è la cifra più autentica di quell’“esistenzialismo linguistico” che, secondo Jordan, contraddistingue la poetica di Wordsworth e la avvicina alla visione heideggeriana della lingua”. Nella tautologia il linguaggio poetico sospende il processo di significazione ed espande la propria risonanza emotiva e passionale: in tal modo esso acquisisce una sorta di volume fisico, recuperando un livello di commutabilità e di somiglianza con gli oggetti del mondo. Nella tautologia, le parole non si presentano più soltanto come “simboli” della passione, bensì come ‘cose attive e produttive, che sono in sé parte della passione”. In questo senso la tautologia non rappresenta soltanto una strategia retorica, ma assurge a vera e propria filosofia della composizione delle Ballate: diviene la forma privilegiata di verbalizzazione di quella mente adesiva che, nella mancanza di una prospettiva autonoma su se stessa e sul mondo, si aggrappa agli oggetti con una forza
27 “Apparently Wordsworth believed that people in a state of strong feelings did not think their sentences out, and therefore fell into various awkward repetitions which comfortingly struck through to things as they are. His is a kind of linguistic existentialism. We are reminded of Heidegger's views on language”, J. Jordan, op. cit., p.182. Sul rapporto tra Wordsworth e Heidegger cfr. anche G. Hartman, “Wordsworth before Heidegger”, in The Unremarkable Wordsworth,
op. cit.
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e un’intensità tali, da finire spesso con l’oscurarli, con lo smaterializzarli, rischiando talvolta di scomparire con essi. È questo il motivo per cui risulta così importante per il narratore assomigliare ai personaggi e, almeno parzialmente, condividerne la tendenza alla superstizione e alla deprivazione linguistica. È in lui, infatti, nello spazio della sua “mente adesiva”, che il circolo vizioso del pensiero folclorico caratteristico della dimensione “low and rustic” trova l’apertura per nuovi riverberi emotivi e ulteriori avvitamenti logici”. Se l’adesività della mente superstiziosa è il segno dell’incapacità a separarsi dalle proprie percezioni e a frapporre una distanza rispetto ad altre menti, la tautologia si configura come il meccanismo linguistico che fornisce alla mente la struttura di tale adesività. La tautologia, in altre parole, costituisce quella strategia non solo retorica, ma anche semantica, che permette alla mente di “aggrapparsi” a un qualunque elemento linguistico, sia esso una semplice parola, una frase (spesso in forma interrogativa) oppure un motivo, tenendo ferma la presa e tornandovi ripetutamente, fino al
punto di produrre una sorta di corto circuito del senso. In “The Thorn”, ad esempio, la tautologia non esprime soltanto l’incapacità del narratore di venire a capo della storia ma, soprattutto, ne segnala un’inquietante e pericolosa identificazione con l’oggetto delle proprie ossessioni.
4. “We Are Seven”: “a community of the living and the dead” In “We Are Seven”, Wordsworth indaga la situazione apparentemente opposta rispetto a quella descritta in “The Thorn”, poiché inventa un narratore che cade nella tautologia proprio a causa
°* Sul rapporto parola-cosa e linguaggio-volontà nel Romanticismo cfr. Michel Foucault,
Les mots et les choses, Paris, Gallimard, 1966. Trad. it. Le parole e le cose, Milano, Rizzoli,
1978: “Il linguaggio ‘si radica” non dal lato delle cose percepite, ma dal lato del soggetto nella sua attività. Per questo è forse scaturito dal volere e dalla forza più che dalla memoria che duplica la rappresentazione. Si parla perché si agisce e non perché riconoscendo si conosce. Come l’azione, il linguaggio esprime una volontà profonda”, 19 SH);
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dell’incapacità di stabilire una relazione empatica con l’universo discorsivo del personaggio. In realtà, per mettere questa poesia nella giusta luce, bisognerebbe leggerla in contrasto con “Anecdote For Fathers” che la precede. Sul piano tematico esse costituiscono senz'altro un’unità. Se “Anecdote For Fathers” può essere letta come la demistificazione del potere dei genitori sui figli, educati sin dalla più tenera età alla dissimulazione e all’autorepressione, “We Are Seven” ristabilisce un certo grado di parità tra l'universo degli adulti e quello dei bambini, perché mostra le loro rispettive logiche come assolutamente inconciliabili. In “Anecdote For Fathers”, il cui sottotitolo è “shewing how the art of lying may be taught”, il rapporto adulto-bambino viene illustrato come l’esercizio di un enorme potere di manipolazione del padre rispetto al figlio, le cui reazioni appaiono come il frutto di una sistematica strategia di adeguamento della sensibilità infantile a quella adulta??. In ‘We Are Seven”, al contrario,
l'esperimento dell’adulto sul bambino fallisce, poiché il narratore che vorrebbe imporre su un “simple child” la coscienza della morte, della perdita e dell’identità separata, ottiene soltanto una ancor più intensa percezione della propria ottusa impotenza. In tal senso, queste due poesie istituiscono una specularità di motivi che rievoca quella raffigurata in “Expostulation and Reply” e “The Tables Turned”. Analogamente a “The Thorn”, a “Andrew Jones”, a ‘“Goody Blake
and Harry Gill”, inoltre, anche “We Are Seven” esibisce un impian-
to profondamente tautologico, poiché il racconto dell’incontro occasionale tra un narratore peripatetico e una bambinetta di campagna è introdotto da una strofa di commento (aggiunta da Coleridge) che, anticipandone le future implicazioni, in qualche modo ne orienta
29 Analogamente a “We Are Seven”, anche questa poesia presenta una struttura interamente dialogica, in cui un adulto (padre) sottopone un bambino (figlio) a un autentico interrogatorio semplicemente per il gusto di fare un esperimento “in very idleness”. Ma questo narratore ottiene maggiore soddisfazione, perché riesce a indurre nel bambino esattamente la risposta che desidera, e che costituisce per lui una duplice conferma: da un lato che anche i bambini sanno mentire, e dall’altro che il proprio figlio lo ama: “Oh dearest, dearest boy! My heart/For better lore would seldom yearn,/Could I but teach the hundredth part/Of what from thee I learn”, “Anecdote for Fathers”, p. 66, vv. 57-60.
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anche la lettura: “A simple child, dear brother Jim,/That lightly draws its breath,/And feels its life in every limb,/What should it know of death?” (vv. 1-4) Nell’anticipare al lettore il fallimento dell’incontro col personaggio, affermando che le basi per la comprensione tra lui e la bambina mancavano sin dall’inizio, il narratore di ‘We
Are Seven” si mette al riparo dall’angoscia di tale fallimento, ma contemporaneamente inscrive nel testo una circolarità tautologica. In effetti, se sin dall’inizio viene dato per scontato che, nella loro istintiva vitalità, ibambini fanno fatica a concettualizzare l’idea della morte, allora, che senso ha insistere tanto affinché riconoscano qual-
cosa che non sono pronti ad affrontare? Numerose sono le dicotomie che ‘We Are Seven” tira in ballo: la spontaneità dell’infanzia, opposta al conservatorismo dell’età adulta; lo strutturarsi del principio di realtà, non attraverso la concettualizzazione della morte, ma attraverso la continuità della memoria;
la vicinanza tra vita e morte caratteristica dello spazio rurale, contrapposta alla loro separazione nello spazio urbano. Ma c’è un aspetto che rende questa poesia diversa dalle ballate che presentano la medesima struttura dialogica e che ruotano intorno a motivi analoghi: l'insistenza, condotta fino alle estreme conseguenze, sul carattere caduco, futile, a tratti persino grottesco del linguaggio di questo narratore, la cui ostinazione nel perseguire il proprio disegno egemonico e patriarcale sulla bambina tradisce l’incapacità di fronteggiare la propria angoscia. Allo stesso tempo provocatore e provocato, affascinato e respinto dalla logica arcaica e tribale della “little cottage girl” che si rifiuta di sottrarre due fratellini morti dal computo dei suoi familiari, di fronte all’incapacità di imporle la propria logica numerica, il narratore di “We Are Seven” arriva alla rinuncia
°° L'occasione biografica che ha ispirato la poesia risale al 1793, anno in cui Wordsworth
attraversò Salisbury Plain per giungere fino alla valle di Clwydd. L'incontro con la bambina avvenne nei pressi di Goodrich Castle, ma la circostanza della composizione fu una passeggiata nei boschi di Alfoxden cinque anni dopo. Curiosamente, quei “five years” che nel 1798 separano il poeta dall’incontro di Goodrich Castle sono gli stessi che “have passed” dall’ultima volta in cui egli ha ammirato le rive del fiume Wye. Ma la memoria del medesimo lasso di tempo (ovvero la compresenza di continuità e di mutamento nella coscienza poetica matura)
che “Tintern Abbey” esprime, “We Are Seven” sopprime.
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finale. Se tutti i narratori delle Ballate ci insegnano che comunicare e comprendere sono due processi differenti, questo narratore si spinge ancora più in là, perché nega la possibilità stessa della comunicazione: “How many are you then,” said I, “If they two are in Heaven?” The little Maiden did reply, “O Master, we are seven.” “But they are dead; those two are dead!
“Their spirits are in Heaven!” ‘Twas throwing words away; for still The little Maid would have her will,
And said, “Nay, we are seven!” (vv. 61-9)
Tuttavia, se comunicare è un inutile spreco di parole, come mai il narratore ci tiene tanto a raccontare al fratello la storia del proprio fallimento? E, inoltre, qual è lo statuto dello scambio raffigurato in “We Are Seven” dove il dialogo tra il narratore e la bambina è interno a un’apostrofe, il cui destinatario occupa nel testo soltan-
to lo spazio di un vocativo? È ipotizzabile che l’apostrofe abbia la funzione di redimere il fallimento del dialogo tra l’io poetico e la bambina, poiché ciò che al narratore non riesce con il personaggio che gli sta dinanzi, gli può riuscire attraverso l’evocazione di un personaggio assente. Se questo è vero, allora l'ironia di Wordsworth è ancora più profonda, perché per far trionfare la propria visione discontinua del mondo, in cui la morte non soltanto sottrae agli individui la presenza e la fisicità, ma anche il significato, tirando in
ballo un fratello assente, il narratore di ‘We Are Seven” appare costretto a riconfermare l’importanza di quel legame di presenza nell’assenza, di significatività nella non esistenza, che la sua logica analitica e razionalistica si ostina a negare: “You run about, my little
maid,/Your limbs they are alive;/If two are in the church-yard laid,/ Then ye are only five” (vv. 33-6). Per l’“ocular man” di estrazione I)
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urbana la morte impone ai vivi un calcolo sottrattivo, perché implica una perdita irreversibile tanto del corpo, quanto del senso della vita". Ma per una bambina di otto anni che “feels [her] life in every limb”, la morte può semplicemente significare un diverso modo di rapportarsi alla vita: “My stockings there I often knit, “My ‘kerchief there I hem; “And there Upon the ground I sit — “I sit and sing to them. “And often after sunset, Sir,
“When it is light and fair, “I take my little porringer, “And eat my supper there. (vv. 41-8) Nel gesto di consumare il pasto sulla tomba dei fratelli, la bam-
bina condensa tutta la propria incapacità a separarsi da loro, nonché una percezione tribale della famiglia, che la sua mente concettualizza come un vero e proprio clan, un insieme omogeneo e compatto di individui, in cui il valore del singolo dipende quasi esclusivamente dalla sua appartenenza al gruppo. In questo senso, Hartman ha ragione quando identifica nel perturbante gravitare della bambina sulla tomba dei fratelli “an archaic image of the living”’*?. Se vivere è una condizione comunitaria, che non si fonda sul carattere discreto della coscienza, ma sulla continuità della specie e della tradi-
è! Sulla nozione di vita che informa l’atteggiamento del narratore nei confronti della bambina Don H. Bialostosky parla di “behavioral idea of life”: “He appeals here not to her feeling of life in her limbs but to the observation that she moves them and that they are consequently alive. Her dead siblings do not move their limbs and so, he concludes, the true count of her family must only be five. But on the speaker’s premise the only proper conclusion to be drawn from the difference between the child’s animation and her siblings’ lack of it is that those two are dead, not that the number of children is only five. The missing premise here is that the dead do not count for the living, that their loss of physical animation is at the same time the loss of their significance”, Making Tales. The Poetics of Wordsworth's Narrative Experiments, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1984, p. 116.
© G. Hartman, Wordsworth's Poetry 1787-1814, op. cit., p. 146.
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zione, allora morire non vuol dire perdere di rilevanza e di significato rispetto alla comunità, ma semplicemente appartenervi sotto
un’altra forma?: “Seven boys and girls are we;
“Two of us in the church-yard lie, “Beneath the church-yard tree. (vv. 31-2)
“Their graves are green, they may be seen,” The little Maid replied, “Twelve steps or more from my mother’s door, “And they are side by side. (vv. 37-40)
La morte non annulla la comunicazione tra chi se n’è andato e chi è rimasto, ma la cristallizza in una sorta di protocollo dello spazio che rimane invariato nel tempo: i dodici passi che separano il cimitero dalla porta di casa non diventeranno mai undici, ma neppure tredici, e i fratellini morti non potranno perciò allontanarsi di più; tanto basta alla bambina per farli rientrare nel clan familiare. Ora, il problema del narratore ossessionato dalla necessità di se-
parare così nettamente l’universo dei vivi dal regno dei morti consiste nel riuscire a fronteggiare quella sorta di vertigine immaginativa che suscita in lui l’espressione più ingenua e spontanea della coscienza indivisa. Per quanto possa apparire paradossale, il suo autoritarismo patriarcale non esprime un senso di superiorità nei confronti della scarsa abilità di calcolo della bambina, ma tradisce una sensazione di sconcerto di fronte alla convinzione delle parole di quest’ultima. Analogamente, la rinuncia finale non segnala la ra-
dicale incomunicabilità tra il linguaggio adulto e quello infantile; al contrario, tale rinuncia rivela una profonda comprensione della lo-
33 Da questo punto di vista Hartman legge nella bambina di “We Are Seven” una prefigurazione di Lucy: “It seems to be Nature that prevents in the child the thought of absolute separation. Nature is taking the child to itself, as it will Lucy”, Wordsworth's Poetry 1787-
1814, op. cit., p. 145.
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gica arcaica di cui la bambina è portavoce, nonché un desiderio, tanto inquietante, quanto insopprimibile, di condividere con lei i privilegi della coscienza folclorica, siano essi realtà, oppure immaginazione: “She had a rustic, woodland air,/And she was wildly clad;/Her eyes were fair, and very fair,/- Her beauty made me glad” (vv. 9-12). La prima impressione che la bambina suscita nel narratore è relativa al suo aspetto campagnolo: egli dapprima identifica in lei i tratti della cultura rurale, l’aria “rustica” e gli indumenti rozzi; quindi si accorge della bellezza dei suoi occhi; infine riconosce in quella bellezza una fonte di gioia. Il suo approccio è oggettivante sin dall'inizio, poiché egli descrive la bambina come strumento di gioia, senza menzionare alcuno stato d’animo che la riguardi. La mescolanza di attrazione verso la bambina e di compiacimento per la gioia che la sua bellezza suscita è molto importante per comprendere l’ apparente irrazionalità delle domande del narratore il quale, anziché chiederle come si chiama o dove abita, la interroga sul numero dei familiari: ‘Sisters and brothers, little maid, /‘/How many may you be?’/ ‘How many? seven in all,’ she said,/And wondering looked at me” (vv. 13-6). Dietro la stranezza della domanda si nasconde in realtà un'intuizione profondamente egoistica, poiché il calcolo che il narratore esige dalla bambina non è altro che la proiezione di un proprio calcolo interiore: se una sola bambina ha il potere di procurargli tutta quella gioia, cosa potrebbe accadere se insieme a lei comparissero anche i suoi fratelli e le sue sorelle con la loro aria rubiconda e i loro abitini rustici? Nel domandare alla bambina “How many may you be?” è come se il narratore stesse evocando una forma di magica moltiplicazione e intensificazione del proprio oggetto di piacere. Ancor prima della bambina, dunque, è lo stesso narratore a strut-
turare il discorso intorno a una visione comunitaria e tribale degli individui “low and rustic”, selezionandone i tratti che maggiormente lo interessano, quali la quantità e la funzione, piuttosto che l’identità. A tale riguardo è significativo che gli unici personaggi a essere nominati nella poesia siano gli assenti: Jim, il fratello del narratore che si trova lontano in un luogo imprecisato; Jane e John, i fratelli-
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ni In ca ne
morti della “little cottage girl”, che riposano a pochi passi da casa. tutti e tre i casi il nome è indispensabile non tanto perché predil’identità degli assenti, quanto perché, supplendone la corporeità, mantiene vivi la funzione e il significato all’interno del circolo
familiare e della comunità. Ma se, almeno in una certa misura, il
narratore e la bambina condividono la stessa visione arcaica e tribale degli individui, come mai non arrivano mai a capirsi? Il problema risiede nel fatto che il narratore elude le implicazioni profonde del proprio stato d’animo e del proprio linguaggio. Egli da un lato si avvicina alla bambina perché è attratto dalla sua infantile vitalità e perché pensa che il dialogo con lei possa generare una piacevole esperienza. Dall'altro, nel momento in cui al tono scanzonato delle sue domande la bambina reagisce con caparbia serietà e senza dargli le risposte che si aspetta, egli si irrigidisce, diventando più infantile e ostinato della sua interlocutrice. È questo che crea il blocco comunicativo e provoca in lui una reazione di rabbia mista a impotenza: ‘Twas throwing words away”. In questo modo, la poesia drammatizza una vera e propria inversione di ruoli tra il narratore adulto e il personaggio infantile, il cui esito finale sembra essere l’inconciliabilità delle due logiche, ma la cui vera ragione risiede nell’ambiguità e nell’inconsapevolezza inscritta nelle domande del narratore. L’ironia di “We Are Seven” risiede nel fatto che la bambina sembra intuire un portato di allusività nel linguaggio del narratore, di cui lui non è minimamente consapevole, ed è a tale allusività che lei istintivamente risponde. La “little cottage girl” intuisce che la sua curiosità maschera una mente ossessionata da un interrogativo antropologico. Tale interrogativo riguarda il valore dell’identità in due condizioni al tempo stesso diverse e profondamente interrelate: l’infanzia e la famiglia patriarcale. Nella prima domanda che il narratore le rivolge: “Sisters and brothers, little maid,/“How many may you be?”, il suo interesse sembra concentrato sulla composizione della famiglia, ch'egli presuppone numerosa, come la maggior parte delle famiglie contadine. Ma quando, dopo aver ascoltato il racconto della morte dei due fratellini, e del modo in cui la routine della 181
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bambina sia organizzata intorno alla loro tomba, il narratore le chie-
de: “How many are you then”, il fuoco della domanda si sposta dalla composizione del clan familiare alla composizione dell’identità e della coscienza infantile’. Grammaticalmente, il passaggio è segnalato dalla sostituzione del verbo ‘may”, che indica una semplice
possibilità, all’indicativo presente del verbo essere, che esprime una maggiore certezza e allude alla possibilità di percepire il soggetto “you” come una forma singolare e dunque come un’allusione all’identità plurima della bambina: “We are seven” diventa un altro modo di dire “I am seven”. Nello spazio dialogico che separa la prima dall’ultima domanda, all’interno del quale il narratore si ostina a imporre alla bambina un calcolo sulla composizione familiare che sottragga i morti ai vivi, suo malgrado, è proprio lui a cambiare idea e a convincersi che la morte non necessariamente toglie, ma
può anche aggiungere. Se in un primo momento la dichiarazione “we are seven” viene interpretata dal narratore come la resistenza della bambina a venire a patti con l’idea di mortalità, alla fine, dopo che l’ossessiva ripetizione la fa risuonare alle sue orecchie con il ritmo di una cantilena, il narratore comincia a percepire in essa l’ affermazione dell’identità composita della bambina: un’identità che non si fonda sulla differenziazione rispetto ai membri vivi della famiglia, ma sulla comunicazione con coloro che sono morti (i quali, non a caso, sono gli unici ad essere identificati attraverso un nome). Affermare l’identità composita della bambina come una modalità esistenziale e linguistica che ingloba la parte non più viva della famiglia non significa però necessariamente attribuire ad essa un processo di rimozione della morte. Più che inconsapevole, la “little
cottage girl” appare noncurante: la morte le appare come un evento (inevitabile perché voluto da Dio) che non trasforma radicalmente i rapporti tra i membri della famiglia, fin tanto che è contenibile al-
3)
x ù "paia e i Al riguardo cfr. Frances Ferguson, “Historicism, Deconstruction and Wordsworth”, in
Solitude and the Sublime. Romanticism and the Aesthetics of Individuation, New York and London, Routledge, 1992.
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l’interno di uno spazio domestico ben identificato e visibile?” Nel linguaggio della bambina, alla morte e alla sepoltura si associano il movimento fisico (“I could run and slide”) e il gioco (“Together round her grave we played”): ciò indica che lei percepisce le tombe dei fratellini come “tranquillising object[s]”, elementi di comunicazione che non separano la famiglia, ma la tengono unita, perché forniscono una localizzazione all’interiorità e all’immaterialità del-
la memoria?’. Lo spazio domestico e rurale diventa così l'elemento che garantisce la continuità intragenerazionale e transgenerazionale?. Nell’intreccio di ritualità arcaica e rurale e di fantasie infantili, la bambina raffigurata in “We Are Seven” costruisce un’immagine assai rassicurante e non traumatica della memoria. Una memoria,
per così dire, topografica: non generata da una discontinuità temporale, ma dal contenimento spaziale di una lontananza; non legata al lutto e al dolore, ma alla funzione terapeutica del gioco e della creatività. È al fascino e insieme all’audacia di questa nozione di memoria che il narratore reagisce con tanta foga. Interno a una cultura
35 “The first that died was little Jane;/In bed she moaning lay,/Till God released her of her pain,/And then she went away/So in the church-yard she was laid/And all the summer
dry,/Together round her grave we played,/My brother John and I./And when the ground was white with snow,/And I could run and slide,/My brother John was forced to go,/And he lies by her side”, “We Are Seven”, p. 68, vv. 49-60. Corsivo mio. 36 “A village church-yard, lying as it does in the lap of nature, may indeed be most favourably contrasted with that of a town of crowded population; and sepolture therein combines many of the best tendencies which belong to the mode practised by the Ancients, with others peculiar to itself. The sensations of pious cheerfulness, which attend the celebration of the sabbath-day in rural places, are profitably chastised by the sight of the graves of kindred and friends, gathered together in that general home towards which the thoughtful yet happy spectators themselves are journeying. Hence a parish-church, in the stillness of the country, is a visible centre of a community of the living and the dead; a point to which are habitually referred the nearest concerns of both”, W. Wordsworth, “Essay Upon Epitaphs”, I, in Prose Works, pp. 55-6.
3? In un’altra ballata, anch’essa un’apostrofe, intitolata “To a Sexton”, l’io poetico prega il becchino di seppellire i familiari l’uno vicino all’altro, consentendo loro di continuare a essere “neighbours in mortality” e curiosamente, anche in questa poesia compare il numero sette, a indicare il periodo massimo entro cui è ancora possibile per i vivi ricongiungersi ai morti: “Thus then, each to other dear,/Let them all in quiet lie,/Andrew there and Susan here,/
Neighbours in mortality./And should I live through sun and rain/Seven widow'd years without my Jane, /O Sexton, do not then remove her,/Let one grave hold the Lov’d and Lover!”, p. 173, vv. 25-32.
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La metamorfosi folclorica
dell’identità che pensa la morte soltanto come annullamento dell’individuo e alla memoria come a un perenne differimento della presenza, all’inizio egli non riesce a comporre una visione armonica della “little cottage girl”, che gli appare al tempo stesso come l’icona della vitalità infantile e la portavoce di una sorta di spiritismo tribale. In seguito, attraverso un gioco psicologico che consiste nel ripetere la stessa domanda variandone impercettibilmente la forma, egli cade nella sua stessa trappola e viene come inconsciamente proiettato nell’universo discorsivo e immaginativo della bambina, nel
quale riconosce una perturbante somiglianza col proprio, nella misura in cui anch’esso si presenta sotto le spoglie della ripetitività, dell’adesività e dell’ostinazione. Questa agnizione, che il narratore di “We Are Seven” si guarda
bene dal razionalizzare, o dall’esplicitare, costituisce uno di quei casi menzionati da Wordsworth nella nota a “The Thorn”, in cui la ripetizione non genera tautologia, ma apre nel discorso (apparentemente tanto semplice e chiaro) uno spazio di ambiguità grammaticale e di indeterminatezza semantica che stimola ulteriori e più profondi livelli di lettura. L’insistenza e la ripetitività del linguaggio del narratore rappresentano sì il segno della sua ottusità, ma anche quello della sua arguzia. Soprattutto, costituiscono gli strumenti in virtù dei quali questo narratore utilizza i processi mentali della bambina come banco di prova per avere conferma dei propri pregiudizi sul mondo rurale. Nell’analogia tra l'identità composita della “little maid”, che
percepisce se stessa in fluida continuità con i fratellini morti, e la dimensione comunitaria, in cui il confine tra singolo e gruppo appare labile e sfumato, il narratore di ‘We Are Seven” finisce col trasmettere una visione infantile e subalterna del mondo rurale, con le sue credenze arcaiche e le sue abitudini tribali. Allo stesso tempo, però, nel fare di questa visione la chiave per riattivare una comuni-
cazione con un fratello assente basata sull’affetto e sulla condivisione dell’esperienza, suo malgrado, il narratore esprime rispetto ad essa un investimento tanto emotivo, quanto conoscitivo, che conferisce
un tono patetico alla sua distaccata pedanteria, ma soprattutto ne tradisce un livello di profonda somiglianza con l’universo di coloro da cui vorrebbe prendere le distanze. 184
Lirismo e tautologia
S. Lo storytelling come esorcismo della legge: “Goody Blake and Harry Gill” Un'altra modalità attraverso cui opera la tautologia è quella dell’assimilazione dell’oggetto-evento alla struttura e alle funzioni della mente adesiva. Tale modalità viene investigata in “Goody Blake and Harry Gill”, il cui narratore è forse ancora più ingannevole di quello di “The Thorn”, perché nasconde l’adesività della propria mente dietro l’ossessività della mente del personaggio. La storia, tratta dalla Zoonomia di Erasmus Darwin (che Wordsworth aveva preso in prestito da Joseph Cottle), si incentra su un furto di legname tra agricoltori del Dorsetshire, che degenera in una maledizione e in un racconto di superstizione dal tono insieme ironico e moraleggiante. L’allusione a un fatto vero, o comunque assolutamente plausibile e dalle forti implicazioni sociali, e la sua trasformazione in una sorta di parabola dalla funzione ritualistica e dai toni gotici e soprannaturali, appare come la fedele applicazione della divisione dei compiti tra Wordsworth e Coleridge descritta nella Biographia Literaria. Se l’atrofia della sensibilità, che contraddistingue l’esistenza ripetitiva e omologata dell’individuo moderno, evoca la paradossale condizione di povertà-nella-ricchezza, nella quale precipita Harry Gill dopo essere stato colpito dalla maledizione di Goody Blake, la necessità
di risvegliare l’attenzione della mente dal letargo dell’abitudine (Biographia Literaria, XIV) istituisce un immediato legame tra l’inerzia del lettore assuefatto a un certo tipo di gusto e di convenzioni formali, e il permanere di Goody Blake all’interno della logica del common right. Secondo tale logica il legname è un bene di prima necessità e a nessun titolo può essere sottratto alla proprietà comune”.
38 AJ riguardo cfr. D. H. Bialostosky, op. cit. 3° Cfr. E. P. Thomson, “Custom, Law and Common Right”, in Customs in Common, op. cit.; J. M. Neeson, Commoners:
Common
Right, Enclosure and Social Change in England,
1700-1820, Cambridge, Cambridge University Press, 1993. Per un’esauriente discussione sulle modalità con cui “Goody Blake and Harry Gill” affronta questioni di proprietà, lavoro, assistenza e legalità cfr. M. Schoenfield, op. cit.
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La metamorfosi folclorica
x “Goody Blake and Harry Gill” è forse la ballata in cui il discorso estetico e quello sociale-umanitario si articolano più fluidamente. Malgrado Wordsworth la definisca “the rudest of this collection’ e Robert Southey insinui il dubbio che possa “promote the popular superstition of witchcraft”*', “Goody Blake and Harry Gill” meglio di altre illustra la prospettiva antropologica sulla “low and rustic life” in termini di una visione culturale e non naturale degli individui. Non è un caso che, nella Preface del 1800, Wordsworth le assegni il compito di esemplificare gli effetti del metro e di dimostrare l’infinita reiterabilità del linguaggio poetico, nonché “la forza dell’immaginazione umana”:
We see that Pope by the power of verse alone, has contrived to render the plainest common sense interesting, and even frequently to invest it with the appearance of passion. In consequence of these convictions I related in metre the Tale of Goody Blake and Harry Gill, which is one of the rudest of this collection. I wished to draw
attention to the truth that the power of the human imagination is sufficient to procure such changes even in our physical nature as might almost appear miraculous. The truth is an important one; the fact (for it is a fact) is a valuable illustration of it. And I have the
satisfaction of knowing that it has been communicated to many hundreds of people who would never have heard of it, had it not been narrated as a Ballad, and in a more impressive metre than is usual in Ballads (Preface, p. 150).
Da un lato, Wordsworth ricorre alla corporeità (“physical nature”), dunque all’espediente della naturalizzazione dei personaggi, per illustrare il potere dell’“immaginazione umana”, della superstizione e dell’autosuggestione. Dall'altro, il poeta metaforizza questa stessa operazione, nel momento in cui, tirando in ballo la “soddisfazione”
* W. Wordsworth, Preface, p. 150. ! Robert Southey recensì la prima edizione delle Lyrical Ballads nel Critical Review.
Ora in Elsie Smith, Estimate of William Wordsworth, Oxford, Oxford University Press, 1932,
pp. 30-3.
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di comunicare la storia a “molte centinaia di persone che non ne avrebbero mai sentito parlare, se essa non fosse stata narrata in forma di Ballata” costruisce l’intero testo come una sorta di teoria della ricezione poetica. Secondo tale teoria, il metro agisce sull’immaginazione del lettore in modo analogo a quello in cui la maledizione di Goody Blake riesce a suggestionare la mente di Harry Gill, vale a dire suscitando un insopprimibile desiderio di ripetizione, che presenta però delle implicazioni inquietanti, poiché reca con sé il germe della coazione: “No word to any man he utters,/A-bed or up, to young or old;/But ever to himself he mutters,/‘Poor Harry Gill is very cold’” (vv. 121-4). Considerato dal punto di vista della poetica, così come viene espressa dalla Preface e dalla nota a “The Thorn”, il desiderio di ripetizione costituisce la radice antropologica del metro, e si trova all’origine delle infinite riletture che la poesia è in grado di sostenere, le quali ne intensificano il piacere perché ogni volta riproducono “the pleasure that the mind derives from the perception of similitude in dissimilitude” (Preface, p. 148). Ricollocato sul piano del racconto, e applicato a una mente adesiva come quella del narratore di “Goody Blake and Harry Gill”, però, questo desiderio degenera nella tendenza alla tautologia, nella sospensione del significato e soprattutto in quella rinuncia a interpretare, che costituisce la causa scatenante della superstizione. Tale rinuncia caratterizza tanto i personaggi, quanto il narratore che si nasconde dietro le loro sventure. Per tutti e tre la superstizione appare come la risposta più automatica e spontanea all’incapacità di tollerare le implicazioni del ruolo sociale imposto loro da una struttura economica in cui appartenere alle classi rurali non significa più stare all’interno di un gruppo omogeneo e solidale ma, al contrario, fare esperienza di isolamento, di disgregazione e di conflittualità. Se il peccato di Harry Gill, il “lusty drover”, è di rimanere sordo e cieco dinanzi alla disperata povertà di Goody Blake, e di non riconoscere la differenza abissale che lo separa da lei (il che, per una
4 Su questo punto cfr. P. Colaiacomo, L'incantesimo della lettera, op. cit.
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sorta di legge del contrappasso, lo trasforma nell’incarnazione Vivente della sensibilità allo stato puro), il peccato di Goody Blake è quello di non voler cedere all’accattonaggio, o al parish relief, e di continuare ad avvalersi delle prerogative del common right, in un’epoca in cui la capillarità delle enclosures ha di fatto annullato
tali prerogative”. Diversamente da altre ballate che non esplicitano alcuna collocazione geografica, ‘“Goody Blake and Harry Gill” si situa nel Dorsetshire, una contea rurale particolarmente arretrata in cui “the country people [...] are wretchedly poor; ignorant and overwhelmed with every vice that usually attends ignorance in that class, viz. lying and picking and stealing, etc””**. Questa contestualizzazione, assieme all’enfasi sulla veridicità del fatto (evidenziata dal sottotitolo) è rilevante non tanto in sé, quanto in relazione al tipo di esperimento che Wordsworth si propone di fare nella ballata: mostrare “a true story”, non come il veicolo materiale e linguistico di un discorso estetico, ma come il primo stadio di un processo di metaforizzazione della realtà, che parte da una vicenda di cattivo
vicinato e, per sua propria natura, giunge a una dimensione lirica. L’intento di Wordsworth in questa ballata, in altre parole, è mettere la legge, o meglio il discorso sulla legalità\illegalità del furto perpetrato in condizioni di estrema povertà, in una relazione antropologica, strutturale, con l'emergere della voce poetica. Per far questo il poeta costruisce una situazione dai contrasti forti e dai toni iperbolici. Mette un mercante di bestiame ricco e aitante a confronto con una povera vecchia denutrita e macilenta e crea una situazione da racconto patetico: Young Harry was a lusty drover, And who so stout of limb as he? His cheeks were red as ruddy clover, His voice was like the voice of three. Auld Goody Blake was old and poor,
* AI riguardo cfr. J. Barrell, op. cit.; R. Williams op. cit.; Alan Macfarlane, The Culture of Capitalism, London, Basil Blackwell, 1987.
* W. and D. Wordsworth, The Letters: The Early Years, op. cit., p. 143.
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Ill fed she was, and thinly clad;
And any man who pass’d her door, Might see how poor a hut she had. (vv. 17-24)
Questo contrasto costituisce l’asse portante della ballata, poiché, nella sua assolutezza, esso rende immediatamente problematica la
natura giuridica del “trespass” di Goody Blake, e in tal modo colloca l’evento principale in un terreno di mezzo tra morale e legge. Ma mentre il lettore è avvertito sin dall’inizio che la morale della storia riguarda la capacità di anteporre l'umanità alla legalità, questa prospettiva viene sottratta ai due personaggi, arroccati su posizioni inconciliabili e totalmente incapaci di elaborare una dimensione compromissoria. Se Goody Blake, misconoscendo il diritto di proprietà, si sente pienamente legittimata ad attingere dalla siepe del suo ricco vicino per scaldarsi, Harry Gill si sente in pieno diritto di
preparare per lei un'adeguata vendetta”. Ora, l’intuizione di Wordsworth è che tanta ottusa ostinazione generi da sola la superstizione e con essa uno storytelling che ritualizzi la centralità dell’esperienza, facendone una leggenda di folclore locale. In questo senso, importante per comprendere la funzione della superstizione e dello storytelling nella ballata, è la maledizione di Goody Blake, che prende la forma di un accorato appello all’ Onnipotente affinché impedisca per sempre a Harry Gill di provare la sensazione del calore: She pray’d, her wither°d hand uprearing, While Harry held her by the arm — “God! Who art never out of hearing, “O may he never more be warm!” The cold, cold moon above her head,
Thus on her knees did Goody pray,
4 “Wordsworth overlays features of medieval law onto modern law to demonstrate the deficiency of the latter, and structures the trial as between two theories of property: the Burkean classical liberal theory to which Harry Gill consciously clings; and a more abstract, naturalized theory, the roots of which are at once in Godwinian utilitarianism and in the medieval common
law that provided for common property”, M. Schoenfield, op. cit., p. 103.
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Young Harry heard what she had said. And icy-cold he turned away. (vv. 97-104)
Inserita in una dinamica psicologica di stimolo-risposta, la maledizione che suggestiona Harry Gill, provocandogli una perturbante patologia della sensibilità, che a sua volta genera il racconto di superstizione, viene raffigurata come l’unico mezzo linguistico capace di esprimere le scottanti implicazioni giuridiche della vicenda. In mancanza di una prospettiva giuridica condivisibile, che tenga conto tanto del diritto di difendere la proprietà, quanto dei bisogni primari di chi da questo diritto è escluso, accade che quel processo di formalizzazione e di codificazione del pensiero e del linguaggio, che sta al cuore del discorso giuridico, venga spostato su altri piani. Più precisamente sul piano della religione in un primo momento, e in seguito sussunto da quello della superstizione e dunque dell’immaginazione poetica. Se la preghiera di Goody Blake rappresenta una risposta automatica alla gestione del conflitto da parte di Harry Gill in termini di peccato e conseguente punizione, il ventriloquio del narratore rappresenta l’evoluzione ultima di una vicenda le cui implicazioni sociali appaiono irrappresentabili se non in forma di racconto. Malgrado Wordsworth ne rilevi una certa dose di rozzezza, in realtà l'operazione svolta in questa ballata è assai sottile. Il testo colloca il discorso giuridico in opposizione al racconto superstizioso, ma parallelamente assegna anche alla maledizione e alla superstizione un valore profondamente normativo. In assenza di una prospettiva sulla realtà alternativa a quella della comunità rurale, lo storytelling del narratore, con i suoi toni enfatici e sensazionalistici, e con il suo potere di suggestione, diventa l’unico codice in grado di formalizzare un’esperienza traumatica, che la comunità ha bisogno di trattenere sotto forma di memoria, pena l’autodistruzione. È come se Wordsworth si trovasse di fronte a un bivio: elaborare una possibile risoluzione del conflitto imboccando la strada della storia e avviando un processo di interpretazione del dato sociale attraverso i moderni strumenti della giurisprudenza e della politica. Oppure esprimere questo conflitto nei termini etico-umanitari di un rifiuto 190
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della solidarietà, rifiuto che innesca una maledizione e, in risposta,
una rappresentazione folclorica (con tutte le sue perturbanti e incontrollabili implicazioni), poiché rappresenta una minaccia per quella parte della società rurale, la cui unica possibilità di sopravvivenza dipende dal mantenimento di abitudini e tradizioni arcaiche e comunitarie. Wordsworth opta per la seconda scelta: sposta il conflitto tra Goody Blake e Harry Gill nell’ambito apparentemente più “elementare” e “rozzo” del folclore e della superstizione, in cui le
implicazioni giuridiche del “trespass” della vecchia vengono controbilanciate da quelle morali dell’aggressione di Harry Gill e della punizione che ne consegue. Su questo piano, il racconto del narratore va ad assolvere a due funzioni centrali per l’autopercezione della comunità: una funzione didascalica ed educativa; e una funzione fatica, di tutela del contatto tra i vari individui. Quando, ad esem-
pio, nel mezzo della descrizione di Goody Blake, il narratore accentua i toni patetici, chiamando esplicitamente in causa i suoi ascoltatori: “But when the ice our stream did fetter/Oh! Then how her old bones would shake!/You would have said, if you had met her,/’T was a hard
time for Goody Blake” (vv. 41-4), egli sta segnalando da un lato la centralità dell'audience rispetto alla “true story” che narra, e dall’altro il proprio specifico ruolo di trasmettitore di un’esperienza in cui la collettività riconosce un valore assai profondo, seppur difficilmente traducibile in significati precisi e articolati. Così come viene raccontata, la storia di Goody Blake e Harry Gill non riguarda tanto un conflitto tra la visione della proprietà moderna e lockiana, incarnata dal ricco proprietario, e quella premoderna e comunitaria cui fa appello la vecchia, quanto una pericolosa sovrapposizione di due menti ugualmente arcaiche, perché entrambe profondamente adesive: la mente di Harry Gill e quella dello stesso narratore. Se Harry Gill, disposto ad abbandonare sistematicamente il focolare domestico soltanto per il gusto di cogliere Goody Blake in piena flagranza di reato, evidenzia una mente ossessionata dalla paura di perdere il controllo della proprietà, il narratore che insiste ciclicamente sul battito di denti di Harry Gill, tradisce un’immaginazione ossessionata dalla paura di perdere il controllo del proprio linguaggio. Attraverso l'analogia tra Harry Gill e il narratore, 191
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Wordsworth illustra lo spostamento del conflitto dall'ambito sociale a quello estetico come un’operazione che conduce direttamente e direi, spontaneamente, alla poesia, perché collocare il conflitto sul piano del folclore esige il ricorso a un palinsesto di voci (in senso di narratori, così come in quello di dicerie popolari), che trovano il loro luogo naturale di espressione e di trasmissione nella struttura al tempo stesso veloce e iterativa della ballata. Nella seconda parte della nota a “The Thorn” Wordsworth lascia intuire chiaramente l’esistenza di un rapporto molto stretto tra un certo tipo di narratore, il metro e la tautologia, ovvero, la possibilità delle parole di sospendere la propria funzione rappresentativa, per attivare quella performativa, divenendo esse stesse “passione”, anziché “simboli di passione”: I had two objects to attain; first, to represent a picture which should not be unimpressive yet consistent with the characters that should describe it; secondly, while I adhered to the style in which such persons describe, to take care that words, which in their minds
are impregnated with passion, should likewise convey passion to Readers who are not accustomed to sympathize with men feeling in that manner or using such language. It seemed to me that this might be done by calling in the assistance of Lyrical and rapid Metre. It was necessary that the Poem, to be natural, should in reality move
slowly; yet, I hoped that, by the aid of the metre, to those who should at all enter into the spirit of the Poem, it would appear to move quickly (Lyrical Ballads, p. 288).
La naturalezza come equilibrio tra due diverse nature del ritmo: il ritmo lento e ripetitivo della mente adesiva, e quello rapido, vivace e passionale del metro. Il metro “lirico” e “rapido”, caratteristico della ballata‘, diventa il mezzo attraverso il quale il poeta riesce ad
*° La forma della ballata varia sia dal punto di vista metrico, che ritmico. La tipologia più comune è composta da tetrametri giambici. In molti casi i versi contengono otto sillabe composte da otto parole monosillabiche. Questa struttura produce due effetti distinti: una certa rapidità di movimento conferita dalla brevità delle frasi e dei versi; un effetto di rallentamento e di sospensione, determinato dalle frequenti ripetizioni e da un uso diffuso della tautologia. Al riguardo cfr. Frances Austin, The Language of Wordsworth and Coleridge, Hampshire and London, Macmillan, Houndmills, Basingstoke, Hampshire, 1989.
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aderire allo stile descrittivo dei narratori, in modo altrettanto incisivo e simpatetico rispetto a quello con cui le menti dei narratori folclorici “si aggrappano” a quelle dei personaggi di cui raccontano le storie. Se la nota a “The Thorn” serve a istituire sul piano teorico un parallelismo tra l’adesività delle menti dei narratori e la capacità mimetica del poeta, che deve ricercare un linguaggio “consistent” con quello dei narratori, la scrittura di “Goody Blake and Harry Gill” serve a Wordsworth a sperimentare l’efficacia poetica e le implicazioni antropologiche di tale parallelismo. Non è casuale che la poesia si chiuda proprio con un monito del narratore ai suoi destinatari, che costituisce uno di quegli esempi di ventriloquio così poco apprezzati da Coleridge, in cui la voce del poeta risuona all’unisono con quella del narratore: “Now think, ye farmers all, I pray,/Of Goody Blake and Harry Gill” (vv. 127-8). Nella genericità del termine ‘farmers’ (esaltata dall’aggettivo “all’’) che raccoglie in un’unica categoria un’intera gamma di figure sociali, dai latifondisti ai poveri agricoltori, è inscritto il riconoscimento della varietà dei de-
stinatari delle Lyrical Ballads, e allo stesso tempo un gesto di omologazione di tanta varietà sotto la comune bandiera dell’umanitarismo e della sympathy. Passiamo ora a considerare più da vicino il narratore portavoce del racconto di superstizione. Questo narratore presenta almeno due tratti distintivi: un’abbondante dose di coinvolgimento emotivo e di commiserazione nei confronti di Goody Blake, e un linguaggio che ha inscritta una forte tendenza alla formularità. Espressioni come ‘His voice was like the voice of three”, oppure “And in that country coals are dear,/For they come far by wind and tide”, costituiscono delle vere e proprie formule che rievocano ballate tradizionali molto conosciute quali “Barbara Allen” e “Good King Wenceslas”. Analogamente, similitudini colorite come “His cheeks were red as ruddy clover”, oppure “Yet still his jaws and teeth they clatter,/Like a loose casement in the wind”, stabiliscono un'immediata equazione tra l’infinita reiterabilità della vicenda attraverso l’ausilio del metro e della tautologia, e la tendenza del linguaggio folclorico a 193
La metamorfosi folclorica
condensare in metafore i punti nevralgici dell’esperienza””. Attraverso la formularità e la vividezza delle metafore (rare, ma assai incisive), Wordsworth costruisce l’immagine di un narratore
molto simile ai personaggi di cui racconta la storia e completamente interno alla struttura folclorica delle loro rappresentazioni. Un narratore che, analogamente a quello di “The Thorn”, fa procedere il racconto mediante domande retoriche, frasi ripetute, esclamazioni commiserative, toni iperbolici, che amplificano il pathos della vicenda, senza intaccarne il nucleo oscuro e irrazionale ma, al contrario, conferendo a tale nucleo un alone di plausibilità, quasi di verità, che lo rende sempre più duro e inattaccabile: “Oh! What's the matter? What's the matter?/What is’t that ails young Harry Gill?/ That evermore his teeth they chatter,/Chatter, chatter, chatter still”
(vv. 1-4). Posto a chiusa di un racconto dalla struttura profondamente tautologica, l’invito di questo narratore a “pensare” alla storia di Goody Blake e Harry Gill suona particolarmente ironico poiché, anziché suggerire un'ipotesi interpretativa, crea un'atmosfera di indeterminatezza e di sospensione del senso. Se inizialmente tale inVito può suonare come una sorta di morale della favola, dopo diverse riletture ci si accorge che, in realtà, lo storytelling non esplicita né significati circa l'accaduto, né, tantomeno,
fornisce strumenti
ermeneutici. La ballata offre solo un indecifrabile intreccio di problematiche sociali, di dicerie popolari e di iteratività formulaica, rispetto a cui il verbo “think” non esprime tanto il significato di “riflettere”, ovvero sforzarsi di trarre un senso dalla storia, quanto di “ricordare”, di “trasmettere” tale storia, mantenendone vivo sia il
valore fondante per l’esperienza dei singoli (ascoltatori e/o lettori), sia la funzione collettiva e ritualistica. Messo in bocca a un narratore incapace di colmare lo iato tra la storia e il significato, il verbo “think” diventa l’icona di quella condizione aporetica del pensiero razionale e del modello della riflessione che, non trovando sbocco nell’interpretazione, ricade inesorabilmente in un meccanismo
# Corsivi miei.
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tautologico. Nel mostrare la ballata (ovverosia la narrazione della storia di Goody Blake e Harry Gill all’interno di uno schema metrico) quale forma finale nell’evoluzione di una vicenda che nasce come un alquanto prosaico conflitto di interessi tra due individui “low and rustic”, e giunge alla folclorizzazione della voce poetica, Wordsworth raffigura il rapporto tra poesia e società in chiave antropologica. Nel linguaggio iperbolico e tautologico del narratore, il poeta inscrive i vari livelli di astrazione e metaforizzazione del conflitto tra Goody Blake e Harry Gill, arrivando a raffigurare la ballata, con il suo apparato ritmico e metrico, e dunque la poesia stessa, come un possibile ambito di simbolizzazione e di strutturazione di discorsi sociali, che hanno a che vedere con la rappresentazione della povertà, della
legge e della proprietà”.
6. “Poems that cannot read themselves”
È proprio questo legame antropologico tra le rappresentazioni di discorsi sociali quali povertà, legalità, proprietà da un lato, e poesia dall’altro, che giustifica il nesso tra il linguaggio tautologico e il linguaggio lirico e che è in grado di rendere “lirica” una ballata. Come abbiamo visto a proposito del narratore folclorico, la tautologia attiva nella mente due funzioni distinte, ma anche profondamente
interrelate: le permette di interiorizzare gli oggetti esterni e di assimilarli ai propri processi immaginativi e al contempo la costringe a separare il suono dal senso, creando negli individui una consapevolezza differente del linguaggio. Precisamente in questo risiede il suo legame con la poesia lirica. Già nella nota a “The Thorn” Wordsworth istituisce un’esplicita relazione tra la poesia lirica e la tautologia, nel momento in cui ascrive quest’ultima alla sfera della
48 Sul rapporto tra la poesia di Wordsworth e i contemporanei discorsi su potere, povertà e marginalità cfr. J. Chandler, op. cit.; M. Levinson, op. cit.; David Simpson, Wordsworth's Historical Imagination. The Poetry of Displacement, New York, Methuen, 1987; A. Liu, op. cit.; G. Harrison, op. cit.; Celeste Langan, Romantic Vagrancy. Wordsworth and the Simulation of Freedom, Cambridge, Cambridge University Press, 1995.
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passione e della volontà, anziché trattarla unicamente
in termini
retorici. Nella sinergia di linguaggio lirico e linguaggio tautologico, egli ravvisa la forza di una poetica nuova: non più fondata su una metrica del verso, bensì su una metrica del feeling, la cui funzione primaria è quella di regolarizzare le molteplici, intermittenti e spesso impalpabili modulazioni della passione e della voce, mantenendone integro il potenziale di energia e di espressività. Nella Preface del 1815 Wordsworth elabora una nozione ancor più articolata di poesia lirica: Some of these pieces are essentially lyrical; and, therefore, cannot have their due force without a supposed musical accompaniment; but, in much the greatest part, as a substitute for the classic lyre or romantic harp, I require nothing more than an animated or impassioned recitation, adapted to the subject. Poems, however humble in their kind, if they be good in that kind, cannot read themselves; the law of long syllable and short must not be so inflexible, — the letter of metre must not be so impassive to the spirit of versification, — as to deprive the Reader of all voluntary power to modulate, in subordination to the sense, the music of the poem; manner as his mind is left at liberty, and even
— in the same
summoned, to act upon its thoughts and images”.
La caratteristica primaria della poesia lirica è una profonda relazione con la musicalità, la capacità di subordinare il metro al
suono. Nella poesia lirica il lettore non subisce le convenzioni, ma in qualche misura contribuisce a formarle e a trasformarle poiché,
differentemente da quanto accade negli altri generi poetici, non viene privato di quel “volontario potere di modulare la musicalità del testo in subordinazione al senso”. La sua mente non è asservita ai pensieri e alle immagini del testo, ma vi si muove all’interno liberamente e attivamente. Il genere lirico si struttura su un principio di libertà stilistica e di dinamismo semantico, che si esprime in un anelito del
* W. Wordsworth, Poetical Works, op. cit., paS8)
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linguaggio poetico a decostruire, o se non altro a rendere espliciti, i propri stessi meccanismi di codificazione tanto del senso, quanto del suono. In questo risiede il legame con la tautologia che, come abbiamo visto, nell’estetica wordsworthiana rappresenta quella modalità del linguaggio poetico in cui il rapporto tra il senso e il suono è come sospeso, oscillante e, per definizione, perennemente irrisolto. Per Wordsworth la poesia lirica è tautologia e, per converso, la tautologia in poesia è lirica perché, nell’esigere una “recitazione animata o appassionata”, essa deve necessariamente inscrivere una
voce, 0 addirittura più voci, che si facciano veicolo della passione. Questo, come abbiamo visto, comporta sempre la possibilità che il linguaggio poetico cada nella tautologia e nella circolarità, poiché l’inscrizione della passione attraverso la voce implica una percezione oggettuale della lingua che apre al suo interno uno spazio di asignificatività e mina alla radice il processo interpretativo. È questa la ragione per cui i componimenti lirici “cannot read themselves”. Da un lato ‘non possono essere letti”, ovvero si sot-
traggono a una lettura puramente scritturale, perché portano inscritta una ineliminabile traccia sonora, l'impronta di una voce e di un soggetto che, per così dire, umanizza il rapporto tra la quantità delle sillabe nel verso, la sua sonorità e il significato. Dall'altro, essi “non
sanno leggere se stessi”, ovvero, proprio in virtù del fatto che presuppongono un'istanza vocale che li interpreti, attribuendo loro un determinato senso, non possiedono, o non sono consapevoli di possedere, alcun intrinseco significato. Attraverso l'ambiguità della proposizione “poems [...] cannot read themselves”, Wordsworth istituisce una relazione, non occasionale, bensì strutturale, tra la presenza della voce e l’assenza di autoriflessività nel testo poetico.
A questo punto si comprende meglio la logica dell’accostamento tra la ballata e il genere lirico. Se la ballata, nella sua matrice orale
e popolare, evoca una dimensione della cultura in cui alla circolazione delle storie non corrisponde l’ approfondimento delle prospettive su di esse, ma semmai la graduale frammentazione e perdita del
significato, il linguaggio lirico (e tautologico) costituisce lo strumento più adatto a raffigurare lo scollamento tra voce e autocoscienza 197
La metamorfosi folclorica
che è intrinseco alla ballata e alla poesia popolare in genere. Questa è l'intuizione che sta all’origine delle Lyrical Ballads: in esse l’attributo “lyrical” non evoca soltanto la presenza di una soggettività che ha la funzione di attenuare la dimensione corale e pluridiscorsiva della “ballad”, ma segnala l’aprirsi di uno spazio di indeterminatezza e di “indecidibilità” tra le storie narrate e il loro significato”. Nell’assumere a proprio fondamento la voce in qualità di metafora della mente che ‘is left at liberty, and even summoned, to act upon
its thoughts and images”, il linguaggio lirico si configura come espressione di un profondo soggettivismo tanto rispetto all’attività di chi scrive, quanto rispetto all’attività di chi legge. Da questo punto di vista, il linguaggio wordsworthiano non sembra aver subito grossi stravolgimenti nel passaggio dalle Lyrica! Ballads al Prelude. Ma per comprendere a pieno le implicazioni del registro “lyrical” all’epoca della composizione delle Ballate bisogna considerare quale sia lo statuto della voce poetica raffigurata nei singoli testi. Fatta eccezione per “Tintern Abbey”, che è costruita
°° Hermann Fischer, in Romantic Verse Narrative. The History of aGenre, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, cita un passo da J. W. Goethe, ‘“Ballade, Betrachtung und
Auslegung”, in Uber Kunst und Altertum, 3, 1, (1821): “The ballad has something of the mysterious without actually being mystical; the latter quality in a poem results from the subject matter, the former from the way this is treated. The mysterious in a ballad is produced by the manner of narrating, the minstrel having his deeply significant subject matter, his figures, their actions and movements so deeply engraved in his mind that he is uncertain how best to bring it all to light. He consequently makes use of all three basic genres of poetry in his attempt to express, right at the start, the things that will excite the imagination and engage the intellect; he may begin in a lyrical, epic, or dramatic manner, and change these forms at will as he goes on, either rushing speedily toward the close or postponing it for a long time. The refrain, the repetition always of the same concluding burden, gives this genre a decidedly lyrical character”, pp. 31-2. Anche per Goethe, il “carattere lirico” della ballata è legato alla ridondanza e alla formularità del linguaggio, così come a una mente — quella del narratore — “profondamente incisa” dai propri materiali poetici. Una mente “adesiva”, come la definirebbe Wordsworth, poco libera sul piano dei contenuti da comunicare, perché interna a pratiche ermeneutiche e sistemi di valori tradizionali ampiamente consolidati, e per alcuni versi inattaccabili, talvolta oscura e misteriosa eppure, allo stesso tempo, fortemente creativa e idio-
sincratica nel modo di rielaborare e di porgere tali contenuti. Inoltre, analogamente a Wordsworth, anche Goethe non si limita a identificare nella ballata un genere ibrido che, a seconda del bisogno, può far uso indifferentemente del linguaggio epico, del linguaggio drammatico, oppure di quello lirico, ma riconosce come sua cifra peculiare un principio di ibridazione tra istanze culturali e poetiche eterogenee quali, ad esempio, narratori e personaggi; individui e gruppi sociali; cronache locali e superstizioni; storia, poetica e antropologia.
Lirismo e tautologia
già secondo il modello retrospettivo e autoriflessivo utilizzato poi nel Prelude, nelle Lyrical Ballads il soggettivismo della voce poetica non produce mai la forza e l’autorevolezza della Wel/tanschauung organicista, in cui porre l’io all’origine e al cuore dell’opera significa collocarlo in una posizione di assoluta centralità rispetto alle sue implicazioni estetiche e ideologiche. Se “lyrical” è sinonimo di espressività, nelle Ballate tale espressività vi compare non nella sua forza, ma nella sua debolezza, non nella centralità del soggetto ri-
spetto al linguaggio, ma nel suo radicale decentramento. Si torna, per questa via, al motivo del natural lore e al suo duplice statuto di discorso nella natura e discorso sulla natura. Non solo. Attraverso questa particolare nozione di ‘“lyrical’”’ si torna ai “Lucy Poems”, in cui Wordsworth illustra come la voce poetica sia in grado di risuonare al di sopra della voce della natura fin tanto che vi rimane dentro, mentre nel momento
in cui si mette in competizione con essa
rischia di essere ammutolita per sempre. È proprio questo ciò che rende i narratori delle Lyrical! Ballads al tempo stesso lirici e tautologici, cioè folclorici. Nell’instabilità della loro prospettiva sul mondo e nella ritrosia ermeneutica che li contraddistingue, essi sembrano arrestare la loro immaginazione sempre a un passo dall’interpretazione, finendo così col ricadere perennemente in un linguaggio ripetitivo e ridondante. Parallelamente, però, proprio nel farsi portavoci di racconti che presentano un insanabile scollamento tra storia e significato, essi perpetuano l’idea che in tali racconti risieda comunque una componente di lirismo, di freschezza e un valore di scambio, che li rendono emotivamente significativi per la comunità che li produce e li trasmette. “Stories”, scrive Karl Kroeber, “can thus arouse ‘unintended’ moral effects because the very art of narrating pushes abstract principles into the dust, heat, and pollution of the arena of contingent experience”. L’idea di “ballata lirica” contiene da un lato il rifiuto del dogmatismo
51 Karl Kroeber, Retelling/Rereading. The Fate of Storytelling in Modern Times, New Brunswick (N. J.), Rutgers University Press, 1990, p. 34.
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La metamorfosi folclorica
e della dottrina caratteristico dello storytelling, e dall’altro l’aspirazione a raffigurare l’esperienza allo stesso momento come soggettiva e oggettiva, come individuale e comunitaria: ‘By contrast with the epic, the ballad does not describe the fates of nations, but of
individuals. It is in any case limited to a much narrower sphere than the epic and the romance. The clan is generally the largest group of
people it covers”°?. Nella novità di queste posizioni, Wordsworth può essere considerato come un precursore di riflessioni estetiche che troveranno ampia eco, ad esempio, nella filosofia hegeliana. Anche Hegel include la ballata nel genere lirico, in netta contrapposizione all’epica, ma descrive la “poesia lirica popolare” come una sorta di terreno di mezzo tra la soggettività e l’autoriflessività del sentimento e la transindividualità e la frammentarietà delle sue rappresentazioni: Il carattere generale della poesia lirica popolare va ora paragonato all’epos originario per que! lato, per cui il poeta anche qui non si mette in rilievo come soggetto ma sparisce nel suo oggetto. Quindi, sebbene nel canto popolare possa esprimersi l’intimità più concentrata dell’animo, non è l’individuo singolo che vi si palesa con la sua soggettiva peculiarità di manifestazione artistica, ma solo un sentimento popolare che l’individuo porta interamente e pienamente in sé, nella misura in cui non ha ancora per se stesso rappresentazioni e sentimenti sciolti da ogni legame con la nazione e l’esistenza e gli interessi di essa. Come presupposto per tale unità inseparata è necessaria una condizione in cui non sono ancora maturate una riflessione
e una
formazione
culturale
autonome,
dimodoché il poeta diviene ora un semplice organo, il quale è posto in secondo piano come soggetto e attraverso cui si esterna la vita nazionale nel suo sentire e concepire lirico. [Corsivo mio] Questa
immediata originarietà dà certo al canto popolare una freschezza priva di riflessioni, dotata di salda compattezza e di sorprendente verità, che è spesso di grandissima efficacia. [Corsivo mio] Ma ciò
comporta facilmente anche alcunché di frammentario, rotto, ed una
°° H. Fischer, op. cit., pp. 32-3.
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Lirismo e tautologia
insufficienza di esplicazione che può giungere fino alla mancanza di chiarezza. [Corsivo mio] Il sentimento si nasconde nel profondo e non può né vuole venire a completa espressione. Inoltre, in conformità a tutto questo stadio e sebbene la forma sia in generale com-
pletamente lirica, cioè soggettiva, manca, come abbiamo detto, il soggetto che esprime questa forma ed il suo contenuto come proprietà del suo cuore e del suo spirito e come prodotto della sua for-
mazione artistica”.
Esiste dunque per Hegel uno stadio del lirico in cui tanto il soggetto, quanto il sentimento non sono ancora giunti a piena maturazione, non hanno ancora elaborato quella forma di rappresentazione artistica in cui l’individuo esprime la propria autocoscienza e la propria autonomia rispetto allo “spirito nazionale”, alla “vita familiare” e ai “vincoli tribali”. Si tratta di una dimensione culturale all’interno della quale, seppur mosso da sentimenti e passioni assolutamente spontanei e originari, l'individuo non possiede né indipendenza di giudizio rispetto al sistema di valori ereditato, né strumenti di rappresentazione alternativi a quelli offerti dalla tradizione. Il soggetto che vive la propria esistenza come incarnazione della tradizione è solo un mezzo individuo (“half-wise”, lo defini-
rebbe Wordsworth), poiché in lui la soggettività del feeling viene come bloccata nel suo cammino verso la piena percezione di sé e inibita nell’espressione: “la vita reale di un popolo che non si è ancora sviluppata ad una evoluta autonomia è risospinta nel mondo interno del sentimento, che allora però a sua volta resta nell’insieme privo di sviluppo e, pur guadagnandosi così in concentrazione,
è spesso rozzo e barbarico nel suo contenuto””’*. La componente lirica e soggettiva di questo genere di rappresentazioni poetiche si lega indissolubilmente con una dimensione dell’esistenza e della cultura in cui il sentimento individuale è come nascosto a se stesso: non può che effondersi e annullarsi nel proprio oggetto e dunque rimanere
5 G. W. Friedrich Hegel, Estetica, Torino, Einaudi, 1997, p. 1258.
5 G. W. F. Hegel, op. cit., p. 1259.
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La metamorfosi folclorica
“privo di sviluppo”, incapace di accedere al livello del significato e dell’interpretazione, livello che, nella prospettiva hegeliana, presuppone sempre un esercizio assolutamente libero e indipendente delle facoltà percettive e creative”. Vi è una profonda consonanza di prospettive tanto epistemologiche, quanto poetiche, tra la lirica popolare, così come viene tratteggiata da Hegel, e la ricerca wordsworthiana di una voce poetica che sia al tempo stesso lirica e folclorica. Nell’unione di soggettività e di tradizione, di sentimentalismo e di storytelling, i narratori delle
Lyrical Ballads costituiscono la perfetta figurazione dell’individuo che articola la propria sensibilità e soggettività all’interno di strutture di pensiero ampiamente consolidate, perché legate da sempre a raffigurazioni fantastiche del territorio e delle culture locali, rispetto alla cui rigidità a lui non rimangono che assai limitati margini di negoziazione. Così come lo raffigura Wordsworth nella maggior parte delle Lyrical Ballads, il narratore che si esprime attraverso ballate
liriche è un individuo che è affetto da una sorta di scollamento tra le facoltà percettive, l'immaginazione e le capacità interpretative. Tale scollamento è il prodotto di un coinvolgimento con i materiali della cultura rurale per definizione sempre ambiguo e irrisolto: a volte eccessivamente patetico e sentimentale (‘Simon Lee”), altre volte sarcastico e irriverente (“The Idiot Boy”); talvolta piattamente acritico (“The Thorn”, ‘“Goody Blake and Harry Gill”), talvolta esageratamente pedante e ipercritico (“We Are Seven”). È questo aspetto di incompletezza, di dipendenza, quasi di immaturità che fa perce-
pire i narratori delle Lyrica/ Ballads come individui ottusi e grotteschi, o al più come eterni bambini. Il loro problema non è quello di essere privi di immaginazione, ma quello di non possederne abbastanza da riuscire a liberare la loro mente adesiva e “incline alla superstizione” dalla gabbia del pensiero folclorico. Da qui deriva la loro ritrosia ermeneutica, che a volte esprime una vera e propria incapacità a interpretare il mondo, e altre volte il rifiuto di farlo,
° AI riguardo cfr. Alexandre Kojève, La dialettica e l’idea della morte in Hegel, Torino,
Einaudi, 1948, 1982.
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Lirismo e tautologia
dettato dall’amore dell’abitudine, da paure ancestrali e pregiudizi culturali. Naturalmente, nel momento in cui il folclore appare come l’interfaccia del lirismo, diventa difficile per Wordsworth convincere i lettori borghesi e cittadini che la Weltanschauung dei personaggi “umili e rustici” assomiglia molto alla loro visione del mondo. Per far questo, almeno inizialmente, egli colloca sempre i narratori a un livello di consapevolezza superiore rispetto ai personaggi, in modo da favorire nel lettore l’adozione del loro punto di vista, e soltanto dopo aver portato i lettori dalla parte dei narratori fa emergere la struttura folclorica e adesiva delle loro rappresentazioni. Ciò accade in “The Thorn”, in “The Idiot Boy”, in ‘“Goody Blake and Harry Gill”, ma anche in “We Are Seven”, in “Anecdote For Fathers” e in “Hart-Leap Well”. È chiaro che in questo gesto di reciproco camuffamento tra voce lirica e mente folclorica risiede anche una forte ambiguità ideologica, poiché il narratore di estrazione borghese e urbana che si rivela suggestionabile, superstizioso e ottuso quanto i personaggi dei suoi racconti, mina le fondamenta di quel processo di umanizzazione e di storicizzazione della “vita umile e rustica”, che non può che fondarsi sul riconoscimento del valore epistemologico, e non solo economico, della cultura rurale.
L’avvicinamento dei lettori ai personaggi alienati ed emarginati delle Lyrical Ballads attraverso la folclorizzazione della voce lirica si configura pertanto come un’arma a doppio taglio. In effetti, esibire un livello di somiglianza tra le classi rurali interne a una dimensione tradizionalista
e comunitaria, e le masse urbane intorpi-
dite dall’uniformità delle occupazioni e dalla grossolanità degli stimoli della società industriale, vuol dire connettere il mondo rurale alle problematiche estetiche e sociologiche della modernizzazione,
dunque sottrarne la rappresentazione al codice del primitivo e del sentimentale. Allo stesso tempo, però, raffigurare la specularità tra mente rurale e mente urbana sottraendo alla voce lirica coscienza di sé e capacità interpretativa, può finire col decretare la definitiva naturalizzazione di quella cultura “low and rustic”, nei cui tratti arcaici e folclorici, fatti di superstizione, di aggressività, di miscono-
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La metamorfosi folclorica
scimento del diverso, ma anche di profonda vitalità, Wordsworth
identifica una possibile alternativa allo sgretolamento dell’episteme illuminista e rivoluzionaria. Quest’ambiguità di fondo rimane il tratto più caratteristico delle Lyrical Ballads, il problema che questo testo pone nelle sue numerose sfaccettature e a cui Wordsworth tenta di fornire due diverse soluzioni. La prima, come ho già accennato, è quella che inizia con
la composizione di “Tintern Abbey”, della prima stesura del Prelude e con l'elaborazione della poetica dello spot of time. La seconda soluzione rimane interna alla raffigurazione della tradizione e del folclore e si esprime in una rivisitazione dell’epistemologia della rovina non in termini estetici, bensì etici, non attraverso la resa sen-
timentale della vita rurale (alla maniera della poesia locodescrittiva), ma attraverso un gesto di responsabilizzazione della voce lirica rispetto alla debolezza e alla subalternità culturale del proprio universo
poetico.
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CAPITOLO V
LA GEOPOETICA DELLE LYRICAL BALLADS A dispetto dell’estromissione di Coleridge dall’edizione del 1800, e del tentativo di controbilanciare la vena esoterica e soprannaturale della “Rime of the Ancyent Marinere” con un linguaggio più concreto e realistico, le Lyrical Ballads rimangono un testo composito. Il fatto che Wordsworth le abbia smembrate e ripubblicate assieme ad altri componimenti sotto altro nome e con una diversa disposizione, sembrerebbe avvalorare la tesi di un’intrinseca aprogettualità, di una qualità frammentaria e quasi, si potrebbe dire, effimera. Ma se l'assenza di un progetto unitario e condiviso da entrambi i poeti può esser fatta risalire a un elemento biografico, nel momento in cui
si affronta il discorso sulla frammentarietà, sulla multitonalità e sulla disorganicità di quest'opera, occorre domandarsi se, oltre a rappresentarne le circostanze contestuali, queste caratteristiche non esprimano anche dei paradigmi di poetica. In altre parole, è necessario chiedersi se, dopo aver letto le Lyrica/ Ballads come un atto di resistenza all’estetica dell’organicismo, e dopo aver identificato nella figura del narratore folclorico la cifra più autentica dell’“etica del polimorfo””, sia ancora possibile rintracciare nella loro struttura una qualche forma di sviluppo, o quanto meno la presenza di modalità alternative (parzialmente o meno) a quel rispecchiarsi reciproco di lirismo e folclore, il cui esito più macroscopico è costituito dalla
messa in crisi dell’io poetico rispetto all’interpretazione. Nella maggior parte delle ballate prese in considerazione fino a questo punto, Wordsworth raffigura una serie di narratori il cui rapporto con l’interpretazione rimane irrisolto: talvolta eccessivamente emotivo e coinvolgente, altre volte più ironico e distaccato ma, per qualche ragione, sempre ugualmente problematico sul piano della
! Cfr. D. Simpson, Wordsworth and the Figurings of the Real, London and Basingstoke,
Macmillan, 1982.
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La metamorfosi folclorica
responsabilità dell’interpretazione. Il ricorso al tradizionalismo, al folclore locale e alla superstizione, permette a Wordsworth di im-
maginare degli “incidents” e delle “situations” per cui la centralità del narratore chiama in causa la sua funzione sociale di aggregatore e trasmettitore di storie, senza metterne in gioco la soggettività individuale. Quest'ultima il più delle volte rimane opaca, confusa con quella dei personaggi, avvolta in un alone di indeterminatezza, che ne fa una sorta di centro vuoto, perché si presenta al lettore come forma di creazione ibrida, a metà strada tra la visione arcaica e co-
munitaria dei ceti rurali e quella moderna, individualista ed egemonica dei lettori borghesi cui le Ballate si rivolgono. Sorprendentemente, però, le Lyrica/ Ballads non si fermano qui, ma elaborano una retorica che punta a superare l’impasse ermeneutica dell’individuo folclorico. Tale retorica si articola a partire da un recupero provocatorio e paradossale del sentimentalismo e del motivo della sympathy; passa attraverso una rivisitazione originale di alcune modalità rappresentative care all’estetica del pittoresco; produce infine una forma di assimilazione della voce lirica alla natura, non più fondata sull’identificazione con la cultura e le tradizioni locali, ma sull’appropriazione simbolica del territorio attraverso un processo di nominazione dei luoghi.
1. “Luogo maledetto” oppure rovina? In the sweet shire of Cardigan, Not far from pleasant Ivor-hall, An old man dwells, a little man, l’ve heard he once was tall.
Of years he has upon his back, No doubt, a burthen weighty; He says he is three score and ten,
But others say he”s eighty.
A long blue livery-coat has he, That's fair behind and fair before,
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La Geopoetica delle Lyrical Ballads
Yet, meet him where you will, you see
At once that he is poor. Full five and twenty years he lived A running huntsman merry; And, though he has but one eye left, His cheek is like a cherry. (“Simon Lee”, vv. 1-16)
Questi versi costituiscono il classico attacco della ballata lirica: c’è un personaggio “low and rustic”, la cui emarginazione è ulteriormente accentuata dalla vecchiaia e dalla decrepitezza; c’è il linguaggio fatico, ripetitivo e aneddotico, caratteristico della ballata, che apre il contatto con l’ascoltatore-lettore (‘“Yet, meet him where you will”); c’è la diceria popolare (‘“I°ve heard he once was tall”);
c’è, infine, un ritratto umano tipicamente folclorico, in cui la tristezza della privazione fisica viene espressa attraverso un registro descrittivo scanzonato e formulaico (“His cheek is like a cherry”). I primi versi rievocano “The Thorn”, “The Idiot Boy” e molte altre poesie nelle quali il narratore introduce il personaggio e/o la situazione in modo vivido e pittoresco, per poi proseguire con un racconto in cui non soltanto si mescolano storia e immaginazione, realtà e fantasia, ma soprattutto si confondono voci e punti di vista. In “Simon Lee” — il cui sottotitolo è: “the Old Huntsman, with an incident in which
he was concerned” — invece, manca l’usuale invischiarsi del narratore nel materiale poetico: anziché essere adesiva, instabile e priva di autonomia, la mente di questo narratore è ricca di immaginazio-
ne e dunque profondamente simpatetica. Analogamente alla voce poetica di “Hart-Leap Well”, il narratore di “Simon Lee” conferisce
esplicitamente un ordine al proprio racconto, poiché lo struttura in due parti ben distinte tra loro. Inoltre, pur avvicinandosi moltissimo
al personaggio, al punto da sopperire alla sua debolezza fisica con il proprio aiuto, egli non arriva mai a identificarvisi completamente. Al contrario, Wordsworth mostra come sia proprio sulla base di un limite invalicabile tra due condizioni di esistenza profondamente lontane e inassimilabili — quale quella del vecchio e povero cacciatore e quella del narratore presumibilmente giovane e vigo207
La metamorfosi folclorica
roso — che può fondarsi un’autentica esperienza di sympathy?. Simon Lee è un vecchio povero e malconcio che, dopo aver trascorso la giovinezza come guardiacaccia di un ricco casato, si ritrova a dover vivere di agricoltura senza neppure avere la forza di coltivare il piccolo “scrap of land” che possiede: “And now he's forced to work, though weak,/- The weakest in the village”. La prima parte della poesia racconta la storia della graduale degenerazione fisica di Simon, il quale da cacciatore e abilissimo suonatore di corno, famoso in “almeno quattro contee”, si ritrova a una veneranda (benché incerta) età in miseria, senza una discendenza, privo di un 0cchio (perso durante una battuta di caccia) e con un corpo che è l’ico-
na della rovina umana: “And he is lean and he is sick,/His little body’s half awry/His ancles they are swoln and thick/His legs are thin and dry” (vv. 33-6). A un certo punto, però, il ritratto patetico del personaggio viene sospeso, e il narratore irrompe in prima persona nel bel mezzo del racconto con una lunga metalessi, apparentemente finalizzata a stimolare nel lettore una compartecipazione alla costruzione della storia, ma in realtà collocata in guisa di intervallo
tra la prima e la seconda parte della ballata: My gentle reader, I perceive How patiently you've waited, And Im afraid that you expect Some tale will be related. O reader! Had you in your mind Such stores as silent thought can bring, O gentle reader! You would find A tale in every thing. What more I have to say is short, I hope you’1l kindly take it; It is no tale; but should you think,
Perhaps a tale you’1l make it. (vv. 69-80)
° Per un’analisi del concetto di sympathy nella cultura romantica cfr. Giuseppe Nori, “The Problematics of Sympathy and Romantic Historicism”, in Studies in Romanticism, vol. 34, n. 1, Spring 1995, pp. 3-28.
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La Geopoetica delle Lyrical Ballads
Il brusco passaggio dal ritratto di Simon alla digressione metapoetica esprime una duplice funzione nell’economia del testo: crea nel lettore ulteriori e differenti aspettative in merito alla storia; introduce la seconda parte della ballata nella quale il narratore gioca un ruolo centrale, non in quanto passivo riproduttore di racconti, ma in quanto soggetto attivo di esperienza. Da questo punto in avanti, la poesia diviene un vero e proprio “incident”: il narratore racconta di aver incontrato casualmente Simon Lee in un giorno d’estate, di averlo visto vacillare sotto il peso di un lavoro troppo pesante per lui, di aver sradicato un ceppo al suo posto utilizzandone il piccone, infine di essere stato turbato dalle lacrime del vecchio, interpre-
tate da lui come un segno di profonda gratitudine. Un procedimento analogo compare anche in “Hart-Leap Well”, in cui la cesura tra la prima e la seconda parte segnala sul piano strutturale un spostamento epistemologico che investe le Lyrica/ Ballads nel loro insieme: l’aprirsi di una distanza prospettica, cognitiva, tra il narratore e il personaggio “low and rustic”, che non ne annulla il legame emotivo, ma lo ripropone su di un piano interattivo e dialogico che entrambi intrattengono con un luogo specifico, seppur con modalità e forme diverse. “Hart-Leap Well” è la storia della sovrapposizione di due differenti prospettive sulla natura di un luogo: “a small spring of water, about five miles from Richmond in Yorkshire”,
trasformata in tempi remoti in “Pleasure-house” per commemorare una “remarkable chace” e oramai ridotta in rovina: The trees were grey, with neither arms nor head;
Half-wasted the square mound of tawny green; So that you just might say, as then I said, “Here in old time the hand of man has been.” I look°d upon the hills both far and near;
More doleful place did never eye survey; It seem’d as if the spring-time came not here, And nature here were willing to decay. (vv. 109-16)
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La metamorfosi folclorica
Chi parla è il narratore reduce dal racconto della caccia al cervo, conclusasi sulle rive della sorgente che Wordsworth menziona nell'introduzione alla poesia, sulla quale Sir William, indomito cavaliere medievale, ha fatto erigere un palazzo con l’intento di commemorare l’eroica vittoria. Ciò che un tempo era bello, maestoso e
finemente ornato dalla mano dell’uomo, adesso appare al poeta come un luogo selvaggio e desolato. Simile alla gigantesca statua di Ozymandias del sonetto di Shelley, corrosa dalla sabbia del deserto, la “Pleasure-house” di Sir William è divenuta “dust”: se non fosse per i “three pillars standing in a line”, rimasti a memento dei tre lunghissimi balzi compiuti dal cervo per andare a morire sulla sorgente, si potrebbe dire che qui la natura abbia cancellato ogni traccia umana.
O per lo meno, questo è il modo in cui il narratore di
“Hart-Leap Well” legge la scena che gli si presenta davanti agli occhi. In realtà, la sua è soltanto una delle prospettive attraverso cui guardare questo luogo, poiché la poesia ne offre una seconda: quella del pastore, da cui il narratore ha appreso la storia di Sir William, il quale, in conformità con le dicerie popolari e le tradizioni locali, ritiene Hart-Leap Well un luogo maledetto: “A jolly place’, said he, CELA ‘in times of old,/But something ails it now; the spot is cursed’”: There's neither dog nor heifer, horse or sheep, Will wet his lips within that cup of stone; And, oftentimes, when all are fast asleep, This water doth send forth a dolorous groan. Some say that here a murder has been done, And blood cries out for blood: but, for my part, I've guessed, when I’ve been sitting in the sun, That it was all for that unhappy Hart. (vv. 133-40)
Nelle parole del pastore risuona il linguaggio del capitano di marina che narra la storia di Martha Ray, e di tutto il circuito di dubbi,
di interrogativi e di sadiche congetture che ruotano intorno a quei luoghi della natura nei quali, per qualche insondabile motivo, la 210
La Geopoetica delle Lyrical Ballads
comunità rurale fa gravitare il proprio desiderio di significato mettendo a frutto la propria abilità di intessere trame fantastiche e superstiziose. In “Hart-Leap Well”, però, il problema della narrazione è complicato dal fatto che “per bocca” del medesimo narratore, il lettore riceve due voci e due racconti diversi. Se il pastore, in quanto nativo e profondo conoscitore del luogo, rappresenta l’individuo folclorico che difficilmente riesce a separare la propria esperienza e il proprio linguaggio da quello della comunità cui appartiene, il narratore forestiero è la figurazione di un punto di vista sul luogo che è vergine, poiché non è contaminato dalle fantasie e dalle superstizioni locali, ma che non per questo può chiamarsi ingenuo o infantile. In effetti, il narratore di “Hart-Leap Well” è ben lungi dal possedere la propensione alla credulità e alla superstizione del capitano di marina che racconta la vicenda di “The Thorn”. Il finale moralistico ed ecologista della poesia (simile a quello della “Rime”) dimostra, al contrario, che egli non crede affatto alla maledizione
del cervo ed è per questo motivo che il suo racconto esige una seconda parte’. Attraverso la mediazione del pastore, il narratore si trova a ripetere una storia intessuta di elementi fantastici al limite del soprannaturale — quali, ad esempio, la potenza sovrumana di Sir William e del suo cavallo, il mistero che avvolge i giganteschi balzi del cervo, lo strano motivo che conduce l’animale a morire lambendo le acque della sorgente — che è già stata codificata all’interno degli stilemi del folclore e della superstizione e rispetto alla quale, pertanto, egli non possiede né autonomia di osservazione, né, tantome-
no, indipendenza di giudizio.
A questo vincolo, che è tanto ermeneutico quanto epistemologico, egli tenta però di sottrarsi, contrariamente ai numerosi altri narratori delle Lyrical Ballads, intrecciando la prospettiva folclorica del pastore con una prospettiva diversa: quella del pittoresco e della
3 Cfr. J. Averill: “As member of the educated class, the poet cannot really accept the Shepherd”s superstitious belief that the place is cursed. For him, the notion merely provides something for the mind to play with”, op. cit., p. 221.
ZA
La metamorfosi folclorica
rovina. Nel descrivere lo scenario naturale in cui si inserisce “HartLeap Well”, in conformità con le convenzioni del pittoresco, il narratore si sofferma su quegli elementi architettonici del paesaggio in cui è evidente il processo di regressione a una dimensione organica e naturale”. Così come viene descritto da William Gilpin, Richard Payne Knight e Uvedale Price, il pittoresco concerne tanto una qualità inerente all’oggetto osservato, quanto un protocollo percettivo attraverso cui lo sguardo dell’osservatore si appropria di tale oggetto. Esso costituisce così una categoria estetica alternativa rispetto al bello e al sublime di matrice burkeana e kantiana, poiché presenta l’insolita capacità di catturare (in natura), o costruire (nell’arte) im-
magini in cui il divenire temporale acquisisce un livello di figurabilità e di simbolismo attraverso il motivo della rovina®. Che venga inteso come qualità inerente all’oggetto, o come modalità dello sguardo, il pittoresco esprime sempre una dimensione di posterità, e dunque di storicità, dal momento che, per definizione, coglie l’oggetto nell’ultima fase di un processo che lo ha condotto dalla cultura alla natura. Esso si dà solo nel momento in cui sulla rovina, deformazione e degenerazione dell’umano, interviene l’organico o il semi-
organico, quasi come operazione di restauro di tale decadimento.
4 Sul motivo della rovina cfr. Thomas McFarland, Romanticism and the Forms of Ruin. Wordsworth, Coleridge, and the Modalities of Fragmentation, Princeton (N. J.), Princeton University Press, 1981; A. Janowitz, England’s Ruins. Poetic Purpose and the National Landscape, op. cit. Sul motivo del pittoresco cfr. Nicola Trott, “Wordsworth and the Picturesque: A Strong Infection of the Age”, in The Wordsworth Circle, vol. XVIII, n. 3, Summer 1987, pp. 114-21. ° Cfr. “A temple or palace of Grecian Architecture in its perfect entire state, and with its surface and colour smooth and even, either in painting or reality is beautiful; in ruin it is picturesque. Observe the process by which time, the great author of such changes, converts a beautiful object into a picturesque one. First, by means of weather stains, partial incrustations, mosses, &c. it at the same time takes off from the uniformity of the surface, and of the colour;
that is, gives a degree of roughness, and variety of tint. Next, the various accidents of weather loosen the stones themselves; they tumble in irregular masses, upon what was perhaps smooth turf or pavement, or nicely trim walks and shrubberies; now mixed and overgrown with wild plants and creepers, that crawl over, and shoot among the fallen ruins”, Uvedale Price, Essays on Picturesque, as Compared with the Sublime and the Beautiful, London, J. Mawman, 1810, ristampato da Gregg International Publishers Limited, Westemead, 1971. ° Cfr. l’argomentazione sul bello e sul sublime wordsworthiani sviluppata da Stefania D’Agata D’Ottavi in “Turismo d’autore e geografia della mente. La Guide to the Lakes di W. Wordsworth”, in Annali dell’Università di Macerata, n. 3, 2000, pp. 1-29.
DIO.
La Geopoetica delle Lyrical Ballads
Una prospettiva storica ed estetica, e non la paralisi cognitiva di una mente adesiva e superstiziosa, dunque, è quella che ispira il linguaggio del narratore di “Hart-Leap Well”?. Pur facendo delle concessioni alla visione superstiziosa espressa dal pastore (“This is no common waste, no common gloom”), in realtà il narratore di ‘Hart-
Leap Well” si trova già ben al di là di essa, e utilizza le convenzioni del pittoresco precisamente allo scopo di superare l’arcaico e perturbante immobilismo inscritto nel linguaggio folclorico. Per lui Hart-Leap Well non è un luogo maledetto destinato all’infertilità perpetua, ma soltanto una rovina: ciò che resta di un segmento di storia umana che la natura, gradualmente ma inesorabilmente, e per il piacere di chi la contempla, riconduce via via alla freschezza e
alla vitalità di una dimensione organica?. In questo senso, ‘“Hart-Leap Well” rappresenta il passo successivo rispetto a quel processo di separazione tra il narratore e il personaggio, e di sdoppiamento delle reciproche prospettive, cui “Simon Lee” già allude, seppur camuffandolo sotto il motivo della sympathy. Come abbiamo visto, questa ballata tematizza un momento di avvicinamento, quasi di intimità, tra il narratore e il personaggio, che
però non dà adito a nessuna confusione o identificazione dei ruoli: alla fine della poesia il narratore se ne va un po’ turbato, ma anche gratificato per la buona azione compiuta e con un’accresciuta autostima (se non altro per aver avuto conferma della propria prestanza fisica), mentre Simon rimane a piangere non si sa bene se perché commosso dalla benevolenza del narratore, o perché ancor più dolorosamente consapevole della propria fragilità, che gli è stata rivelata in modo tanto inatteso quanto inequivocabile. Una sorte analoga tocca anche al pastore di ‘“Hart-Leap Well”, che non riesce a con-
? “The Pleasure-house is dust: — behind, before,/This is no common waste, no common gloom;/But Nature, in due course of time, once more/Shall here put on her beauty and her bloom./She leaves these objects to a slow decay/That what we are, and have been, may be known;/But, at the coming of the milder day/These monuments shall all be overgrown”, “HartLeap Well”, p. 133, vv. 169-76.
8 “Insofar as the ruin gives evidence of ineluctable genesis and decay, it challenges the structure of the present, and threatens to eradicate temporal difference, swallowing up the present into and unforeseeable yet inevitable repetition of the past”, A. Janowitz, England's Ruins, op. cit., p. 10.
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vincere il narratore a condividere con lui la visione soprannaturale del luogo ed è costretto ad accontentarsi delle sue attestazioni di simpatia umana: ‘“Grey-headed Shepherd, thou hast spoken well;/ Small difference lies between thy creed and mine;/This beast not unobserv’d by Nature fell,/His death was mourned by sympathy divine” (vv. 161-4). Non è casuale che proprio in questa strofa compaia il termine “sympathy”, seppur riferito alla “simpatia divina” che avrebbe accompagnato la morte del cervo: per quanto “piccola” e tale da non interferire nella loro esperienza di comunicazione, una “differenza” tra il “credo” del pastore e quello del narratore esiste e non può essere cancellata. Al contrario, essa deve essere resa massimamente visibile, poiché è soltanto grazie al mantenimento di questa differenza che il linguaggio lirico del narratore può riuscire a sottrarsi alla circolarità tautologica caratteristica dei racconti di folclore locale. Ciò che la voce lirica può fare per evitare di allargare la differenza con la Weltanschauung del personaggio “umile rustico”, semmai, è cercare uno spazio di mediazione tra il proprio approccio estetico al luogo e l’approccio mitico e folclorico del pastore. Tale spazio, come spesso accade nella sua poesia, viene identificato da Wordsworth in una forma di morale protoecologista, la cui funzione primaria è quella di unire e rendere uguali gli esseri umani sulla base della loro comune educabilità al rispetto dell’ambiente: “One lesson, Shepherd, let us two divide,/Taught both by what she shews, and what conceals,/Never to blend our pleasure or our pride/With sorrow of the meanest thing that feels” (vv. 177-80). Tuttavia, paradossalmente, la morale apposta a “Hart-Leap Well” non fa che rendere la distanza tra il narratore e il pastore ancora più esplicita. In questo risiede l’ironia del linguaggio wordsworthiano, la capacità di creare una visione prospettica della realtà attraverso l’intreccio di molteplici punti di vista e l’esibizione dei limiti di ciascuno, alludendo sempre all’interpretazione come processo in corso, senza mai arrivare ad annunciarla come prodotto finito’. Come i ° AI riguardo cfr. D. Simpson, Irony and Authority in Romantic Poetry, Totowa, (N. J.), Rowman and Littlefield, 1979; M. Jones, “Interpretation in Wordsworth and the Provocation
Theory of Romantic Literature”, in Studies in Romanticism, vol. 30, n. 4, Winter 1991, pp. 565-604.
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lettori di “Simon Lee” rimangono perplessi di fronte alle lacrime di Simon, e vengono stimolati a interrogarsi ulteriormente e individualmente sulla vera natura del gesto apparentemente generoso del narratore, così i lettori di “Hart-Leap Well”, posti a confronto con due diverse letture di un luogo e della sua storia, sono portati a elaborare una sorta di sguardo poliprospettico, in cui la località specifica viene percepita come ambito naturale autonomo rispetto agli esseri umani, e al medesimo tempo come spazio della loro ininterrotta e controversa attività euristica. È importante sottolineare, ad ogni modo, che la visione prospettica elaborata da Wordsworth in “Simon Lee” e in “Hart-Leap Well” (ma anche in “The Old Cumberland Beggar” e in “The Brothers”) non prende la direzione del relativismo culturale. A Wordsworth non preme tanto affermare la legittimità storica di entrambe le prospettive, o la loro compatibilità epistemologica, quanto rivendicarne un livello di assoluta parità sul piano retorico. In questo senso, non è casuale che il poeta contrapponga al linguaggio arcaico e superstizioso del pastore gli stilemi del linguaggio pittoresco che, nel tematizzare il ritorno dell’artefatto umano allo stato organico, fa emergere il modo in cui una componente regressiva è insita anche in una visione della realtà totalmente codificata attraverso parametri culturali ed estetici. In questo modo il lettore è collocato in una posizione di indecidibilità, quasi di aporia, rispetto alle due diverse interpretazioni della natura del luogo, perché percepisce da un lato che esse si decostruiscono reciprocamente, nella mistura in cui l’una mostra l’altra come un racconto, una costruzione retorica; dall’al-
tro, proprio per questo motivo, il lettore avverte come esse siano anche interdipendenti e dunque, in un certo senso, inseparabili’.
!0 Per una lettura dell’estetica del pittoresco in termini di modalità di produzione culturale protocapitalistica cfr. T. Pfau, op. cit. Sebbene alcuni studiosi, tra cui S. Parrish, abbiano visto in questa poesia (unitamente a “The Brothers”) un primo segnale di abbandono del linguaggio più sperimentale, caratteristico di ballate quali “The Thorn” o “The Idiot Boy”, a mio avviso “Hart-Leap Well” rappresenta una tappa cruciale nell’evoluzione dello sperimentalismo wordsworthiano e non il ritorno a una poesia convenzionale.
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2. Architetture rurali
Le Lyrical Ballads presentano un’ampia gamma di rovine: rovine umane, per lo più, individui ricondotti a un livello creaturale dalle privazioni e dall’estrema sofferenza fisica e mentale, residui di un mondo sconvolto da guerre, carestie e profonde trasformazioni s0ciali. Sulla rappresentazione wordsworthiana della sofferenza e dell’emarginazione all’interno delle Ballate il dibattito critico ha sempre oscillato tra due visioni antitetiche. Da un lato la visione titanica, di chi la interpreta come il tentativo di rendere l’essere umano eroico a prescindere dalle contingenze storiche, mostrando l’insopprimibilità e quasi la sacralità della coscienza e dell’immaginazione (H. Bloom, G. Hartman). Dall’altro quella ironica, che
vede nei ritratti wordsworthiani di donne isteriche, ragazzi idioti e derelitti di ogni genere tanto una sorta di palcoscenico del dolore su cui Wordsworth mette ripetutamente alla prova l'aggressività della propria immaginazione (J. Averill), quanto la metafora di una profonda crisi rispetto alla storia e alla politica, che il poeta non sa ancora, o non vuole, rappresentare in termini più diretti e personali, come poi farà nel Prelude (J. Chandler, G. Harrison, A. Janowitz).
Ad ogni modo, la questione etica della rappresentazione della sofferenza coinvolge sempre la problematica politica della disumanizzazione dei personaggi: fino a che punto il personaggio sottoposto a ogni tipo di sventure e privazioni, Wordsworth continuamente si chiede — e chiede al lettore — mantiene la propria umanità e, per converso, oltre quale punto finisce col disumanizzarsi, trasformandosi in una sorta di rovina, in elemento architettonico confuso con e, paradossalmente, assimilato proprio all’ ambiente che, almeno in parte, è responsabile della sua degradazione? È una visione del mondo (per lo meno del mondo rurale) profondamente iro-
nica e destabilizzante quella che conduce Wordsworth a invertire la gerarchia tra l’oggetto architettonico e il soggetto umano. Laddove l'elemento architettonico dovrebbe funzionare come garanzia di permanenza, di stabilità ed emblema privilegiato della memoria, nelle Lyrical Ballads esso diviene metafora di incompiutezza e di frammentarietà. Se del palazzo di Sir William descritto in ‘Hart-Leap 216
La Geopoetica delle Lyrical Ballads
Well” non sono rimaste che debolissime tracce, assai controverse e visibili soltanto all’occhio indigeno, i resti del “dome or pleasurehouse”, menzionate in “Lines Written with a Slate-pencil upon a
Stone”, sono ancor meno identificabili dal momento che l’edificio non è mai stato eretto!!. Analogamente, il gigante di pietre di “Rural Architecture”, costruito dagli scolaretti del villaggio “on the peak of a crag”, e spazzato via dal vento in una sola notte, è il simbolo di un'inscrizione dello spazio naturale fluida ed estremamente provvisoria, che non trattiene memoria dell’agire umano, ma la polverizza e la riconduce a materia naturale. Ciò che nelle Ballate assume la funzione di “architettura rurale”, invece, è la figura umana isolata su cui si è abbattuto ogni genere di avversità. Attraverso l’outcast “ridotto alla nudità della condizione primordiale””!, Wordsworth sperimenta una nozione di rovina umana che gli permette di operare un ulteriore scarto dalle modalità del narratore folclorico, mantenendo al contempo la voce
lirica all’interno di una visione del mondo comunitaria e tradizionalista, e soprattutto all’interno del codice del natural lore. In particolare, due sono gli outcast intorno ai quali Wordsworth fa gravitare l’esigenza di oltrepassare i limiti epistemici del narratore folclorico, senza però rinunciare all’etica comunitaria e alla forza immaginativa che contraddistinguono il natural lore: la giovane orfana costretta a una vita di solitudine e vagabondaggio descritta in “Ruth”, e il vecchio mendicante protagonista di “The Old Cumberland Beggar”. Entrambe queste figure vengono presentate dal narratore allo stesso tempo come autentiche rovine umane e come “silent monitor[s]”, emblemi morali in cui la comunità rurale si specchia e riesce a cogliere il lato migliore di sé. Ma se Ruth, con la sua vicenda di contaminazione con un ‘Youth from Georgia’s shore”,
che indossa un copricapo sottratto agli indiani Cherokees e che par-
U “Sir William having learned/That from the shore a full-grown man might wade,/And make himself a freeman on this spot/At any hour he chose, the Knight forthwith/Desisted,
and the quarry and the mound/Are monuments of his unfinished task”, “Lines written with a Slate-pencil upon a Stone, the largest of a heap lying near a deserted Quarry, upon one of the Islands of Rydale”, p. 189, vv. 8-13. !? H. Bloom, The Visionary Company, op. cit., p. 178.
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la di “green Savannahs”, rappresenta un monito contro il pericolo dell’uscita dalla comunità, il mendicante del Cumberland funziona
in modo opposto e complementare, poiché rammenta alla comunità la forza e il valore delle proprie reti protettive: “all behold in him/A silent monitor, which on their minds/Must needs impress a transitory thought/Of self-congratulation, to the heart /Of each recalling his peculiar boons,/His charters and exemptions” (“The Old Cumberland Beggar”, vv. 114-9). Il paradosso del mendicante del Cumberland che ogni Venerdì fa il giro del villaggio per racimolare quei pochi ‘“‘scraps and fragments” indispensabili a tenersi in vita è che mentre la sua presa sulla realtà è ridotta al “little span of earth” che il suo corpo macilento e ricurvo gli permette di vedere, la visione e la conoscenza che la comunità possiede di lui è a tutto tondo ed è improntata a un forte utilitarismo: While thus he creeps From door to door, the Villagers in him Behold a record which together binds Past deeds and offices of charity Else unremember’d, and so keeps alive The kindly mood in hearts which lapse of years, And that half-wisdom half-experience gives Make slow to feel, and by sure steps resign To selfishness and cold oblivious cares. (vv. 79-88)
L’officio del mendicante è, per così dire, di tipo amministrativo;
egli registra i gesti caritatevoli che gli abitanti dei villaggi muovono nei suoi confronti perché ne fornisce un “record”, una sorta di cer-
tificato vivente di autenticità: la sua sopravvivenza è il segno dell’espandersi della benevolenza di villaggio in villaggio e del suo perpetuarsi di generazione in generazione!?. Ciò che lo tiene in vita,
!° “The argument is not for the necessity of charity; rather it is for the necessity of
communal records, one device of which is charity and another of which (in the letter to Fox)
is unalienable property. As it stands, The Cumberland Beggar (like the Statesman) performs an administrative office”, M. Shoenfield, OPEGIAP
DIR
ASI
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mantenendone attiva la funzione di catalizzatore della buona coscienza di tutti, non è la natura, verso cui il suo corpo al limite dell’ evane-
scenza oramai pur tende, ma gli usi e costumi dettati dall’ abitudine e dalle tradizioni locali: ‘Where’er the aged Beggar takes his rounds,/ The mild necessity of use compels/To acts of love; and habit does the work/Of reason, yet prepares that after joy/Which reason cherishes” (vv. 90-4)!4. C’è un qualcosa di mostruoso e al contempo di profondamente umano nel rapporto che lega i membri della comunità rurale al mendicante, poiché se ciò che più conta per loro è la possibilità di formulare attraverso di lui “a transitory thought of self-congratulation” è pur vero che il suo ruolo di salvaguardia dei buoni sentimenti della comunità lo rende indispensabile alla comunità stessa, attenuandone un po’ la condizione di outcast. Per lo meno questo sembra essere il punto di vista di Wordsworth il quale, come egli stesso riferisce nella breve introduzione in prosa, compose “The Old Cumberland Beggar” anche con un intento politico: osteggiare le Poor Laws finalizzate a estirpare dalle strade il fenomeno del vagabondaggio, e a sottrarre ai distretti e alle parrocchie la gestione dell’assistenza dei poveri attraverso una politica di centralizzazione, e attraverso l’istituzione delle tanto aborrite workhouses. Ad ogni modo, “The Old Cumberland Beggar” è molto più di un manifesto politico, poiché qui Wordsworth configura una nozione di memoria poetica alternativa tanto alla circolarità tautologica in cui cade la mente adesiva, quanto al processo di interiorizzazione dello spazio naturale descritto in “Tintern Abbey”. Nel suo lento, inesorabile e mostruoso regredire verso la natura, il mendicante del Cumberland che raccoglie elemosine stimolando “the unletter’d Villagers/To tender offices and pensive thoughts” diventa l’emblema di una memoria completamente esteriorizzata, materializzata, resa quasi palpabile, perché fatta gravitare interamente sulla sua funzio-
!4 Per il dibattito sul ruolo della natura e della tradizione nella figura del Cumberland Beggar cfr. J. Chandler, op. cit., cap. 4.
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ne segnica. Wordsworth mostra come la capacità quasi magica del mendicante di riattivare negli individui il senso di appartenenza alla comunità e la coscienza del passato sia subordinata al suo offrirsi come puro spettacolo della sofferenza e della solitudine umane. Solo in quanto interamente drammatizzata e spettacolarizzata, la condizione del Cumberland Beggar diventa lo strumento attraverso cul la comunità è in grado di riaccendere quel circuito di “powerful feelings” che costituisce il fondamento del senso di continuità e dunque della memoria, sia individuale che collettiva!: Then let him pass, a blessing on his head! And, as long as he can wander, let him breathe The freshness of the vallies, let his blood
Struggle with frosty air and winter snows, And let the charter’d wind that sweeps the heath Beat his grey locks againts his wither°d face. (vv. 164-9)
Nel naturalizzarne la vecchiaia e la deformità, e soprattutto nell’incrudelire su di lui incitando la natura stessa a riappropriarsi del suo misero corpo, Wordsworth rivela come l’aspetto mostruoso del beggar, in realtà, non sia che il riflesso speculare della mostruosa voracità con cui i villagers si nutrono dello spettacolo della sofferenza da lui esibito in maniera tanto impudica quanto inconsapevole. È la regressione al grado zero della coscienza e del linguaggio — sui quali tanto i villagers, quanto l’io poetico, inscrivono i loro significati — il prezzo pagato dal mendicante per divenire un’icona della memoria. Non per niente egli non viene né nominato, né fatto
° G. Harrison legge “The Old Cumberland Beggar” attraverso l’analisi del processo di liminalità offerta da Victor Turner : “In The Ritual Process, Turner describes the liminal as a
phase of transition in which the subject [...] enters a state of ambiguity outside the normative conventions and values of the society. During this phase, the subject ‘passes through a cultural realm that has few or none of the attributes of the past or coming state’ (94). In some situations, the liminal person becomes a kind of blank slate upon which are inscribed the intrinsic values of the community. As the carrier of such values, often sacred and mystical, the liminal person — usually a person of low status — assumes special powers and authority during the ritual phase of transition”, in op. cit., p. 71.
99)()\
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parlare: la sua efficacia di emblema viene raffigurata come direttamente proporzionale alla sua disumanizzazione. Meglio di tanti ‘unfinished task[s]” di cui si compone il paesaggio campestre, è questo mendicante la migliore icona dell’architettura rurale: resistente e muto, come la pietra; immoto, eppur in via di inesorabile ritorno alla natura, come una rovina!°.
Benché seguita in tutto il processo di degrado e non cristallizzata dall'inizio in una figura mitica come quella del Cumberland Beggar, alla fine della ballata Ruth ne subisce lo stesso trattamento: A Barn her winter bed supplies, But till the warmth of summer skies And summer days is gone, (And in this tale we all agree) She sleeps beneath the greenwood tree, And other home hath none.
If she is press’d by want of food She from her dwelling in the wood Repairs to a road side,
And there she begs at one steep place, Where up and down with easy pace The horsemen-travellers ride. (vv. 199-210)
Anche questa figura femminile viene completamente naturalizzata, ridotta a elemento del paesaggio rurale, nonché, come era già accaduto a Martha Ray, a oggetto delle chiacchiere e delle congetture della gente. Pur conoscendone la storia di abbandono, di follia e di privazioni, la comunità permette che Ruth viva nella stessa condizione di “Infant of the woods” in cui si era trovata nell’infanzia, in seguito alla morte della madre. Anche lei deve scontare il peccato della povertà, della solitudine e soprattutto quello dello sconfi-
!6 Da questo punto di vista il Cumberland Beggar rappresenta una prima figurazione del Leech-gatherer di “Resolution and Independence”, personaggio liminale per eccellenza.
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namento nell’alterità, diventando altra essa stessa: emblema di una
coscienza collettiva e di una tradizione che si costruiscono sulla paura dell’ignoto e sulla demonizzazione del diverso, e parallelamente non
mancano mai degli strumenti atti a perdonare chiunque oltrepassi i loro limiti morali e conoscitivi,
a patto, però, che la malasorte
riconfermi la validità di tali limiti: “Farewell! and when thy days are told/Ill-fated Ruth! In hallow?d mold/Thy corpse shall buried be,/ For thee a funeral bell shall ring,/And all the congregation sing/A Christian psalm for thee” (vv. 223-8).
3. Dalla folclorizzazione della memoria alla memoria del folclore ‘“Wordsworth presents his beggar as an endangered species whose human use is to offer himself as a marker of the continuity of past and present’!”. Che genere di narratore è quello che raffigura 1’ Old Cumberland Beggar e Ruth come “specie in pericolo”, residui di un mondo in via di estinzione, fondato sulle consuetudini, sulla solida-
rietà sociale, sulla stabilità della tradizione, ma anche sulla spettacolarizzazione della marginalità? Da un certo punto di vista, non c’è dubbio che si tratti di una figura un po’ nostalgica e conservatrice, parente stretta del narratore di “The Deserted Village”: un individuo in bilico tra mondo arcaico e modernità, che rimpiange la protezione sociale offerta dal villaggio e idealizza le consuetudini rurali, nascondendone il lato oscuro e violento dietro un linguaggio che si legittima sul senso comune e su un trito sentimentalismo. Ma da un altro punto di vista, il narratore che rimpiange l’epoca in cui i mendicanti bussavano alle porte delle case e le vagabonde indifese potevano sperare in un funerale benedetto, rappresenta anche l’individuo che si è sottratto al giogo della coscienza folclorica quel tanto che basta a individuare in essa, accanto a una fonte di profonde con-
VA. Janowitz, England’s Ruins, op. cit., p. 113.
La Geopoetica delle Lyrical Ballads
solazioni, anche la presenza di enormi pericoli, tanto per il singolo, quanto per la comunità. È sulla base di una visione dell’universo rurale alternativa a quella offerta dai narratori di “The Thorn”, di “Goody Blake and Harry Gill”, di “The Idiot Boy” che nell’ultima parte delle Lyrica! Ballads si consuma la separazione tra voce lirica e personaggi folclorici. Da un lato, rimangono le figure mitizzate e quasi pietrificate di Ruth, del Cumberland Beggar (ma anche quelle di Martha Ray, di Harry Gill, della Mad Mother, del vicario di “The Brothers”), emblemi di
un processo di folclorizzazione della memoria poetica che punta all’annientamento, quando non al capovolgimento, della distanza tra osservatori e osservati, tra chi è dentro e chi è fuori della comunità rurale'!*. Dall'altro, emergono nuove figure di narratori che raccontano storie analoghe utilizzando, però, altre tonalità vocali, altre sfu-
mature di pensiero e di sensibilità. Tratto comune a tutti questi narratori è l’uso del ricordo, della memoria personale come strumento privilegiato per stabilire, per così dire, una distanza di sicurezza tra se stessi e la coscienza folclorica.
Ai loro occhi il folclore e la tradizione non rappresentano più tanto delle barriere cognitive, quanto dei vincoli affettivi ed emotivi, ed è sulla base di questi vincoli che essi vagano negli spazi rurali alla perenne ricerca di emblemi, di oggetti (naturali o umani) su cui esercitare la loro attività euristica. Per l'individuo che dipinge il ritratto del Cumberland Beggar, il vecchio mendicante rappresenta un ricordo d’infanzia: “Him from my childhood I have known”, egli afferma dopo aver descritto le circostanze dell’incontro col beggar, e poi prosegue col dire che già allora “He was so old, he seems not older now”. E anche per il narratore di “Ruth” l’incontro con la ragazza appartiene al periodo infantile, allorché Ruth era ancora un
!8 “Wordsworth's encounter, then, involves a kind of ritual of status reversal in which the spectator trades places with the indigent to whose gaze he or she is now subject. [...] These figures, therefore, present the spectator with a mirror image of the precariousness of his or her economic, social, or psychological identity, at a time when socio-economic transformations introduced and alarming fluidity — up and down — into a once fixed social hierarchy”, in G. Harrison, op. cit., pp. 75-6.
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La metamorfosi folclorica
“Infant of the woods” in attesa di un ancor più triste destino: “I, too,
have pass’d her on the hills/Setting her little water-mills/By spouts and fountains wild,/Such small machinery as she turned/Ere she had
wept, ere she had mourn’d/A young and happy Child!” (vv. 223-8). Anche di Martha Ray il capitano sostiene di aver fatto esperienza diretta, ma nel suo racconto la donna non appare né filtrata dal ri-
cordo, né figura solida come Ruth e il Cumberland Beggar: dall’inizio alla fine della ballata il lettore non sa se credere alla sua realtà, o considerarla frutto dell’immaginazione ossessiva del narratore. Ciò che accade ai narratori di “Ruth” e di “The Old Cumberland Beggar”, invece, è che nel loro linguaggio si realizza al contempo una sinergia e una separazione tra la coscienza folclorica e la memoria. Quest'ultima va a frapporsi tra l’io e la sua materia poetica e produce una sorta di scissione che non cancella l’esperienza comunitaria, ma la seleziona e la codifica all’interno di strutture di pensiero
che non obbediscono più ciecamente alle categorie dettate dalla tradizione, dalla superstizione e da un’immaginazione adesiva. Dalla
folclorizzazione della memoria poetica si passa così alla memorizzazione del folclore. In “The Brothers”, questo processo è chiaro e viene rappresentato in tutta la sua drammaticità. Non è un caso che la poesia presenti una struttura drammatica all’interno di una cornice narrativa: dal momento che essa racconta la storia dell’ineluttabile separazione tra chi è uscito dalla comunità rurale e chi vi è rimasto, da un
certo punto in poi la voce del narratore diventa superflua. L'aspetto più inquietante messo a fuoco in questa poesia non è tanto che Leonard (il maggiore dei due fratelli che si imbarca per risollevare le sorti di una famiglia in difficoltà economiche) una volta tornato al proprio paese d’origine con l’intenzione di ricongiungersi al fratello minore, e una volta scoperto che il ragazzo è morto, decida di tornare a fare il marinaio, quanto piuttosto che il vicario del piccolo villaggio, il quale l’ha visto crescere e conosce a perfezione la sua storia familiare, non lo riconosca e lo scambi addirittura per un turista. Wordsworth raffigura questo umile prete di campagna come un'autentica architettura rurale, non nel senso della rovina, ma in NNIA
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quello, per così dire, della formazione geologica che è immota, insensibile e inseparabile dal proprio habitat naturale. Su di lui il poeta concentra tutte le caratteristiche e tutti i paradossi dell’individuo folclorico che vive una forma di simbiosi col territorio e con i propri compaesani. Non soltanto egli sa tutto dei parrocchiani vivi, ma conosce a memoria le tombe di quelli morti, senza bisogno né di iscrizioni, né di epitaffi: We have no need of names and epitaphs, We talk about the dead by our fire-sides. And then for our immortal part, we want No symbols, Sir, to tell us that plain tale:
The thought of death sits easy on the man Who has been born and dies among the mountains. (vv. 179-84)
Analogamente alla bambina di “We Are Seven”, anche il Priest of Ennerdale sembra possedere una memoria essenzialmente topografica, che utilizza lo spazio naturale privo di iscrizioni come segno della continuità tra vivi e morti. La sua coscienza rifiuta i simboli perché, nel loro alludere a una realtà inattingibile senza mai
rivelarla, i simboli esprimono la radicale alterità della morte rispetto alla vita. La sua memoria presenta un aspetto paradossale, perché pur essendo un enorme contenitore di date, volti e fatti, in real-
tà gli consente di trattenere solo ciò che è già ben vivo e presente alla coscienza e che rimane identico a se stesso, ma non lo mette in
grado di riconoscere l’azione di un cambiamento. Dopo aver accostato Leonard, intento a chiedersi se il numero delle tombe familia-
ri sia aumentato o meno, il vicario comincia a raccontargli la sua stessa storia e non lo riconosce neppure dopo averlo ripetutamente visto commuoversi alle sue parole: “If you weep, Sir,/To hear a stranger talking about strangers,/Heaven bless you when you are among your kindred!” (vv. 240-2). Per questo vicario, l’individuo che gli sta davanti e si mostra così profondamente interessato alla sorte dei fratelli Ewbank non è che uno “straniero”. Leonard non esiste più, si è perduto nel momento in cui è stato costretto ad ab-
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bandonare il villaggio e il fratello, e a imbarcarsi in una vita piena di pericoli!”. Ritorna qui lo stesso motivo di “Ruth”: l’individuo che ha fatto esperienza di cosa significhi vivere fuori dalla comunità rurale, a prescindere dagli esiti di tale esperienza, non può più ritornarvi se non da morto. Come illustra bene “The Old Cumberland Beggar”, la comunità rurale è in grado di accomodare e riutilizzare i propri stessi scarti ma, paradossalmente, non possiede gli strumenti per riassorbire chi si è sottratto all’emarginazione. Anche Leonard possiede una memoria topografica, ma non la utilizza, come fa il vicario, per schermare la propria coscienza dall’angoscia della morte e della discontinuità temporale. Al contrario, egli è ossessionato dall’idea di non trovare più ciò che ha lasciato, so-
prattutto dal momento in cui, visitando il piccolo cimitero del villaggio, gli sembra di scorgervi una lapide in più’. Benché profondamente segnato dai lunghi anni di lontananza e di solitudine, e bisognoso di affetto e di calore umano, Leonard è molto diverso dal capitano di “The Thorn”: non si aggrappa alla memoria collettiva, incarnata dall’anziano vicario, né cede agli autoinganni dei propri ricordi personali. L'esperienza al di fuori della comunità rurale, in paesi lontani e a contatto con popoli diversi, l’ha reso più sensibile al cambiamento e allo stesso tempo, però, anche più vulnerabile. Per questa ragione l’unica scelta che gli rimane è quella di andarsene nuovamente. Se per l’individuo che vive una forma di simbiosi indifferenziata tanto con i morti, quanto con le proprie rappresentazioni folcloriche, la memoria possiede un aspetto tranquillizzante, perché si presenta come diretta filiazione del luogo, per chi è uscito dal circuito del villaggio e del natura! lore, la memoria diviene la fonte di una sofferenza potenzialmente inesauribile, che non si iden-
! “When last we heard of him/He was in slavery among the Moors/Upon the Barbary Coast — ‘Twas not a little/That would bring down his spirit, and, no doubt,/Before it ended in his death, the Lad/Was sadly cross’d — Poor Leonard!”, “The Brothers”, p. 146, vv. 323-8. 20 “He had found /Another grave, near which a full half hour/He had remain’d, but, as he
gaz’d, there grew/Such a confusion in his memory,/That he began to doubt, and he had hopes/ That he had seen this heap of turf before,/That it was not another grave, but one /He had forgotten”, “The Brothers”, p. 138, vv. 82-9.
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tifica con alcun luogo, perché ha il potere di riattivarsi ovunque. In “The Brothers”, Wordsworth fa un’operazione di sdoppiamento della coscienza folclorica in due diverse tipologie di memoria. Da un lato, nella figura del Priest of Ennerdale, rappresenta la memoria collettiva come un’istanza che si fonda al contempo sull’indifferenziazione tra gli individui singoli e sulla radicalizzazione dell’alterità: “These Tourists, Heaven preserve us!”, esclama
il vicario non appena vede Leonard avvicinarsi al cimitero. Dall’altro, nella figura del pastore costretto dal bisogno ad abbandonare per sempre le montagne e i propri affetti, che si aggira nei luoghi d’origine alla ricerca di emblemiin grado di riconnetterlo al passato, Wordsworth dipinge una memoria individuale oramai disgiunta e indipendente da quella comunitaria, e quasi collocata in una posizione di rivalità rispetto ad essa. Nella rivendicazione da parte di Leonard di un’iscrizione tombale che rechi il nome del fratello, Wordsworth insinua così un’altra frattura nell’omogeneità della coscienza folclorica. Se il vicario legge in tale rivendicazione il sintomo di una memoria lacunosa e colpevole, perché incapace di far coesistere arcaicamente i vivi con i morti, grazie al filtro del narratore che osserva l’incontro dall’esterno, il lettore è portato a leggervi qualcosa di diverso. Nel desiderio di un nome, di un segno materiale e convenzionale che si sostituisca al carattere privato e immateriale del ricordo, e che riveli l'identità del defunto, il lettore legge il simbolo di una memoria che non fa più del folclore e della tradizione il proprio fondamento cognitivo, ma il proprio supplemento affettivo. Una memoria, quella incarnata da Leonard, che non si
percepisce più in organica continuità con il contesto naturale e culturale da cui trae origine e che pertanto, rispetto ad esso, necessita di mediazioni e di diversi strumenti di decodifica: la voce folclorica,
che riattiva il legame con il passato, e la scrittura dell’identità, che
proietta l’individuo nel futuro”.
2! Per un’analisi del linguaggio e della visione pastorale in “The Brothers” e nelle Lyrical Ballads più in generale cfr. Stuart Curran, Poetic Form and British Romanticism, New York and Oxford, Oxford University Press, 1986.
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4. Una toponomastica individuale: “Poems on the Naming of Places” Sin dagli esordi la poesia wordsworthiana si presenta come profondamente radicata non soltanto ai luoghi fisici, referenziali, ma all’idea stessa di luogo. Da An Evening Walk e Descriptive Sketches (pubblicati nel 1793) ai Salisbury Plain Poems, fino alla Guide to the Lakes, la ricerca di Wordsworth ambisce a superare gli ormai inadeguati stilemi del locodescrittivismo settecentesco, per elaborare un linguaggio poetico fondato su un legame con i luoghi naturali che sia “spontaneo”, individuale e per alcuni versi totalmente privato. In questa ricerca, le Lyrical Ballads rappresentano un punto d’arrivo, poiché nel loro ricorrere al folclore e alla tradizione come mediatori epistemologici tra i personaggi “low and rustic” e i lettori borghesi, esse focalizzano la rappresentazione naturalistica sulla specificità e sulla particolarità dei luoghi, anziché sul generico realismo che contraddistingue il naturalismo settecentesco. Più che locodescrittivo,
il linguaggio delle Lyrica! Ballads può essere definito localistico, con tutto il portato di municipalismo estetico e ideologico che esso implica, e che Wordsworth non nega, ma rivendica come elemento cruciale del proprio sperimentalismo. A cominciare dalle numerose Lines e Inscriptions, i cui titoli e sottotitoli indicano il luogo di composizione e/o forniscono una contestualizzazione (come ad esempio “Lines written a few miles above Tintern Abbey”), per proseguire con le poesie che ruotano intorno al significato di alcuni luoghi della tradizione (“The Thorn”, “Hart-Leap Well”, “Lucy Gray”, “Ellen Irwin, or the Braes of Kirtle”, “The Brothers” “A Fragment”), le Lyrical Ballads sembrano realmente soffrire di quell’ossessione del luogo che, con una formula oramai divenuta un
cliché della critica wordsworthiana, Hartman definì “spot syndrome”. E neppure l’ultima parte della raccolta si distacca da questa modalità poiché, al contrario, l’inguaribile localismo di Wordsworth appare sempre più radicato tanto nel suo linguaggio, quanto nel suo metalinguaggio. I “Poems on the Naming of Places”, con i quali si chiude il secondo volume, costituiscono il suo più esplicito e NIQ
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compiuto tentativo di fare del tema del luogo un codice per parlare anche del funzionamento del linguaggio poetico. Rispetto ai luoghi descritti nelle Lines, nelle Inscriptions, oppure nei cosiddetti “curse poems”, i luoghi celebrati nei cinque “Poems on the Naming of Places” (cui si aggiunge “Michael”, che però non è numerata) hanno da un lato qualcosa in più e dall’altro qualcosa in meno: presentano dei contorni più nitidi e un maggior grado di determinatezza; esprimono un simbolismo assai più ricercato e autoconsapevole, che però, in alcuni momenti tende a perdere molto del suo dinamismo e della sua allusività e a sfociare quasi nella stasi dell’allegoria’?. Ciò accade perché più che lavorare sulla denotazione, essi si concentrano sull’idea stessa e sulle implicazioni della referenzialità. Non è certo un caso che la circostanza addotta da Wordsworth per giustificare, e in qualche misura legittimare, il proprio atto di nominazione di questi luoghi non sia la loro presenza alla sua memoria e alla sua immaginazione, ma l’assenza di un nome: By Persons resident in the country and attached to rural objects, many places will be found unnamed or of unknown names, where little Incidents will have occurred, or feelings been experienced, which will have given to such places a private and peculiar interest. From a wish to give some sort of record to such Incidents or renew the gratification of such Feelings, Names have been given to Places by the Author and some of his Friends, and the following Poems written in consequence (“Advertisement” ai “Poems on the Naming of Places”).
La nominazione del luogo da parte del poeta è così autorizzata dal fatto che esso non possiede già un nome, o che questo nome è sconosciuto, oppure è stato dimenticato. Tale nominazione si fonda su un ‘interesse particolare e privato” per determinati luoghi che
2 Nell’illustrare la differenza nella trattazione del tema economico tra il primo e il secondo volume delle Lyrical Ballads, S. Eilenberg scrive: “The tendency in the volume is toward an allegorization of economics rather than a socially responsible analysis of it”, in op. cit., p. 62.
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hanno provocato “piccoli incidenti”, o stimolato “sentimenti” degni di essere ricordati, e viene pertanto connotato come un atto di vera e propria, seppur puramente metaforica, appropriazione del territorio da parte del poeta. Questa intrusione di interessi privati all’interno di spazi pubblici che non appartengono a nessuno diventa una sorta di duplicazione simbolica del processo dell’enclosure, con l’unica differenza che ciò che queste poesie circoscrivono non è un appezzamento di terra, ma una potenzialità di significato. Nella prima delle poesie la dialettica nominazione-appropriazione è giocata contro il motivo miltonico del “wild growth”: l'io poetico giunge all’atto della nominazione, e dunque dell’appropriazione simbolica del luogo, in seguito a un’esperienza di radicale dispossessamento della propria identità provocata dal contatto con una natura primaverile colta al massimo della fertilità, della bellezza e dell’eros?. È la dialettica tra vitalità e memoria, tra “wise pas-
siveness” e autocoscienza, a generare il bisogno di nominazione: “I nostri pensieri almeno sono nostri”, esclama l’io poetico al culmine dell’estasi e al contempo del senso di spaesamento provocato dal soverchiante potere delle immagini e dei suoni della natura, che viene come sospinta da una compulsione verso una “wild growth [...] that could not cease to be”. Di fronte a tanto sublime rigoglio, l’io
regredisce verso una sorta di dimensione adamica, in cui l’attribuzione del nome diventa l’unico modo di articolare il desiderio di dominio assoluto dello spazio naturale con la sensazione di profondo sradicamento rispetto ad esso: I gaz’d and gaz’d, and to myself I said, “Our thoughts at least are ours; and this wild nook,
My EMMA, I will dedicate to thee.”
2 “It was an April Morning: fresh and clear/The Rivulet, delighting in its strength,/Ran with a young man's speed, and yet the voice/Of waters which the winter had supplied/Was soften’d down into a vernal tone./The spirit of enjoyment and desire,/And hopes and wishes, from all living things/Went circling, like a multitude of sounds” [...] “Up the brook/I roam’d in the confusion of my heart/Alive to all things and forgetting all”, “It was an April Morning”, p. 218, vv. 1-8, vv. 17-9.
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— Soon did the spot become my other home, My dwelling, and my out-of-doors abode. And, of the Shepherds who have seen me there, To whom I sometimes in our idle talk Have told this fancy, two or three, perhaps, Years after we are gone and in our graves, When they have cause to speak of this wild place, May call it by the name of EMMA'’S DELL. (vv. 37-47)
Ma a differenza di Adamo che crede realmente di possedere l’eden, il poeta che dedica a Emma (pseudonimo di Dorothy) il suo
“wild nook” sa bene che il proprio atto di nominazione non solo è pura ‘“fancy”, illusione e metafora insieme, ma è anche una “fanta-
sia” che non può essere coltivata in assoluta solitudine e autonomia poiché, se ambisce a perpetuarsi, necessita di una catena di trasmissione, evocata nel testo dalla presenza dei pastori. Si torna così al sonetto “Fancy and Tradition” analizzato nel secondo capitolo, nel quale Wordsworth raffigura la tradizione come un’istanza culturale i cui fondamenti mitici e folclorici non ne minano la storicità ma, al contrario, la esaltano e in un certo senso la legittimano. In realtà, proprio di tradizione trattano i “Poems on the Naming of Places”: non tanto, però, di tradizione storica, fondata su una
conoscenza dei luoghi naturali ereditabile e collettivamente trasmissibile, quanto piuttosto di tradizione geografica, fondata su una sorta di mito di rifondazione del territorio, che si estrinseca nella creazione di una toponomastica squisitamente privata e individuale. Se, come afferma John Barrell, “the effect of enclosure was of course to destroy the sense of place which the old topography expressed, as it destroyed that topography as well”, il progetto wordsworthiano di nominazione dei luoghi sulla base dell’esperienza personale può essere letto come il tentativo di ricostruire “il senso del luogo” presentando il processo storico-sociale dell’enclosure in chiave meta-
24 J. Barrell, op. cit., p. 96.
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forica e ricollocandolo sul piano del significato poetico. Nell’attribuire nomi a luoghi o a elementi paesaggistici entrati per qualche ragione a far parte della propria storia individuale o familiare, e del proprio sistema di valori, è come se il poeta contrapponesse all’incontrollabile e devastante omologazione dell’enclosure territoriale una sorta di enclosure poetica, assai più umana e tranquillizzante, perché totalmente innocua e rispettosa dell’ambiente. In effetti, anche laddove il nome non rimane nell’ambito del linguaggio orale, comunicato e scambiato nella ristretta cerchia dei familiari e degli amici del poeta, ma diventa vera e propria inscrizione che incide l’oggetto naturale privatizzandone la funzione, la nominazione del luogo non si presenta mai come aggressiva, o invasiva, né viene percepita dal lettore come un atto di snaturamento di quel particolare “senso del luogo” così minacciato dalle trasformazioni economiche e sociali in atto nelle contee del Lake District. È il caso di “To Joanna” che, con toni visionari e vagamente perturbanti, celebra l’esperienza di massima reciprocità tra essere umano e natura qual è quella offerta dall’eco. In questa poesia, la nominazione del luogo appare volta a codificare un’esperienza di sublime naturale in un significato domestico e di facile accesso alla memoria poetica. Durante una passeggiata attraverso i monti del Lake District, il poeta e Joanna Hutchinson, sorella minore di Mary Wordsworth, si imbattono in una roccia particolarmente maestosa, coperta da una vegetazione colorata e lussureggiante. Nell’osservare il poeta rapito dallo spettacolo naturale offerto dalla roccia, Joanna, cresciuta “amid the smoke of cities” e poco avvezza alla sensibilità rurale che “look[s] upon the hills with tenderness,/And make[s] dear
friendships with the streams and groves”, scoppia in una fragorosa risata. A quel punto: The rock, like something starting from a sleep, Took up the Lady's voice, and laughed again: That ancient Woman seated on Helm-crag Was ready with her cavern; Hammar-Scar,
And the tall Steep of Silver-How sent forth A noise of laughter; Southern Loughrigg heard, DAD
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And Fairfield answer’d with a mountain tone: Helvellyn far into the clear blue sky Carried the Lady’s voice, — old Skiddaw blew
His speaking trumpet; — back out of the clouds Of Glaramara southward came the voice; And Kirkstone toss’d it from its misty head. (vv. 54-65)
A Joanna la natura riserva appropria della sua voce e la per diffondere i suoi messaggi attraverso il solenne risuonare
lo stesso trattamento che a Lucy: si disperde nell’immensità dello spazio autorevoli e insieme indecifrabili. Ma dell’eco da un capo all’altro del Lake
District, la natura non risponde tanto all’ironia urbana di Joanna,
quanto all’ambizione del poeta di tracciare i confini di quel magico luogo ‘from base to summit”, all’impulso (innato in ogni buon architetto rurale) di racchiudere ‘so vast a surface, all at once,/In one
impression, by connecting force/Of their own beauty, imag’d in the heart” (vv. 48-50). In effetti, è al gesto di appropriazione e, per così dire, di schedatura della roccia da parte del poeta che Joanna reagisce con ilarità, e non allo spettacolo naturale in sé. Anzi, nel rispondere alla risata di Joanna disperdendone la voce tra le montagne, la natura fa della donna un’alleata da contrapporre al poeta e alle sue manie topografiche. Ma se è vero che la natura risponde con toni forti e perturbanti all’ambizione del poeta di ridisegnarne coi versi forme e confini, è altrettanto vero che, attraverso l’atto della nominazione del luogo,
il poeta si appropria della dialettica con la natura in un duplice modo: da un lato, come in una sorta di album di famiglia, per celebrare
eventi di storia privata altrimenti destinati a essere dimenticati; dall’altro, per fare del proprio lessico familiare un oggetto poetico privilegiato: And hence, long afterwards, when eighteen moons Were wasted, as I chanced to walk alone Beneath this rock, at sun-rise, on a calm And silent morning, I sate down, and there,
In memory of affections old and true,
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I chissel’d out in those rude characters Joanna’s name upon the living stone. And I, and all who dwell by my fire-side Have call’d the lovely rock, Joanna's Rock. (vv. 77-85)
L’inscrizione del nome di Joanna sulla “roccia viva” sembra produrre una sorta di effetto di privatizzazione dello spazio naturale e di sovradeterminazione semantica; in realtà, però, essa non sovrappone i significati individuali ai significati intrinseci al luogo, ma si limita ad affiancarveli?5. È in questo senso che Jonathan Bate definisce “ambientalista” la rappresentazione wordsworthiana della natura espressa nei “Poems on the Naming of Places”. Secondo Bate,
queste poesie elaborano una modalità di rapporto tra esseri umani e natura che si colloca a metà strada tra il “knowing”, la conoscenza vissuta e irriflessa del territorio, caratteristica degli individui “low and rustic” e il “recording”, la coscienza colta e autoconsapevole,
che è propria del poeta autoriflessivo e sentimentale e che, aggiungerei, è evidente in una poesia come “Tintern Abbey”. La modalità che si fa carico di mediare tra queste due polarità, per l’appunto, è quella del “naming”: nell’atto della nominazione, afferma Bate, il
poeta “ceases to be an observer and becomes a dweller”?°, Nel sovrapporre a dei luoghi della natura che non possiedono un nome un autentico lessico familiare, il poeta non esprime un desiderio di
© Al riguardo cfr. S. Eilenberg: “Whereas several of the other poems in the Lyrical Ballads focus on attempts to read signs already present in the landscape, the “Poems on the Naming of Places” attempt to put signs there for others to read. The poet seems ambivalent, however, about being caught in the act of inscription, which is also in this case an act of forgery, for he tries to represent his poems as issuing out of a natural rather than human authority. He wants nature to endorse his words. If he can interpret a mountain’s natural sign as a meaning to his words, he can present himself as nature’s prophet, not so much creating meaning, but articulating a meaning already present in the landscape”, op. cit., pp. 70-1. °° J. Bate, Romantic Ecology, op. cit., p. 100. Per il dibattito tra New Historicism e criti-
ca ambientalista sulla poesia di Wordsworth cfr. Paul H. Fry, “Green to the Very Door? The Natural Wordsworth”, in Studies in Romanticism, vol. 35, n. 4, Winter 1996, pp. 535-51. Per un’ampia trattazione della letteratura romantica da alcune prospettive ambientaliste cfr. Studies in Romanticism, vol. 35, n. 3, Fall 1996.
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dominio, bensì un’esperienza, o forse, sarebbe meglio dire, un espe-
rimento di assimilazione all’ambiente naturale, che cuna violazione dell’ecosistema, ma il tentativo di rispetto degli equilibri preesistenti. Riferendosi alla di autentici nomi di luogo che, proprio come l’eco,
non produce alintegrarvisi nel lunga sequenza in “To Joanna”
riverberano da un verso all’altro, Bate scrive che “the poem takes
fire with these names because they incorporate?” Wordsworth into the actual place: the recitation shows that he knows his locality”?8. La lettura ambientalista di Bate è interessante perché consente di tornare su un interrogativo cruciale aperto dalla Preface, avendo a disposizione nuovi elementi di riflessione. Se la nominazione del territorio da parte dell’io poetico è interpretabile come un atto di autoincorporamento all’interno dei suoi spazi, ne consegue che la distanza esistente tra il poeta e gli individui le cui passioni ‘are incorporated with the beautiful and permanent forms of nature” si riduce sensibilmente, tendendo quasi ad annullarsi. Su questo punto, la folclorizzazione della voce lirica sembra convergere con la posizione ambientalista espressa da Jonathan Bate, che individua nel place-naming la raffigurazione di un rapporto organico e integrato tra poeta, natura e personaggi rurali. Tuttavia, a differenza delle poesie interamente strutturate sulla folclorizzazione della voce lirica, i “Poems on the Naming of Places” non rappresentano la celebrazione di un gesto di autoincorporamento dell’io nel territorio e nelle tradizioni locali. Al contrario, essi demistificano tale celebrazione, poiché ne palesano la natura retorica e la funzione ideologica. A ben vedere, l’io poetico che se ne va in
giro per il Lake District a elargire nomi propri al paesaggio appare lontano anni luce dal narratore forestiero e spaesato, sempre pronto, per un po’ di compagnia, a barattare la propria autonomia di giudizio con la mentalità arcaica e superstiziosa dei villagers. Contrariamente a poesie come “The Thorn”, “Goody Blake and Harry Gill”,
27 Corsivo mio. 28 J. Bate, Romantic Ecology, op. cit., p. 99.
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“Lucy Gray”, nelle quali le categorie di pensiero del narratore appaiono come il riflesso speculare di quelle dei personaggi, le “Poesie sui nomi di luogo” mettono in scena una vera e propria frattura epistemologica tra narratore e personaggi, che viene raffigurata come il prodotto di precise condizioni storiche e che preannuncia il disgiungersi dei reciproci destini. Alla fine delle Lyrical Ballads, attraverso una sorta di geopoetica, che vede nell’io che inscrive il proprio linguaggio su una roccia un geografo che trasforma la natura in testo, Wordsworth richiama l’attenzione del lettore sulla radicale differenza che esiste tra il vivere nella natura per necessità e il dimorarvi per elezione. Solo a chi sceglie la natura come “other home” (corsivo mio) o “out-of-doors abode” è concesso il privilegio della nominazione e dell’iscrizione dei luoghi. Per chi ci è nato e non ne uscirà mai nomi e iscrizioni sono inutili, oppure indecifrabili. Se il vicario di ‘The Brothers” non ha bisogno di iscrizioni tombali perché vive in una forma di simbiosi organica con 1 defunti del villaggio, il vicario di “To Joanna” confonde le lettere dell’alfabeto con le rune, lanciando anatemi contro
il poeta che ha inciso un nome sulla roccia??. In queste poesie la frattura tra i nativi della comunità rurale e l’io poetico si consuma in tutta la sua drammaticità. È evidente, e condotta quasi al limite della tolleranza, in “Point Rash-Judgement”, poesia in cui l’incontro tra il narratore e il personaggio emarginato — perfetto esempio di architettura rurale — viene sostituito da un gesto interpretativo che viene esercitato su di lui, la cui natura non ha nulla ha che vedere con la sympathy e tutto a che vedere con l’autoreferenzialità. In “una calma mattinata di Settembre” il poeta “and two beloved friends”, usciti a passeggio sulle sponde del lago, si trovano ad attraversare dei campi coltivati in cui alcuni contadini sono intenti al lavoro. Poco oltre, ‘feeding unthinking fancies” e procedendo nel cammino, velata da una sottile foschia, i tre escursionisti scorgono:
È “He with grave looks demanded, for what cause,/Reviving obsolete Idolatry,/I like a Runic Priest, in characters/Of formidable size, had chisel’d out/Some uncouth name upon the native rock,/Above the Rotha, by the forest side”, “To Joanna”, p. 220, vv. 26-31.
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“The tall and upright figure of a Man/Attir’d in peasant’s garb, who stood alone/Angling beside the margin of the lake” (vv. 50-2). L’uomo si trova sulle sponde del lago, isolato rispetto agli altri, perché malato e inabile al lavoro e, sebbene appaia “worn down/ by sickness, gaunt and lean, with sunken cheecks/And wasted limbs” (vv. 64-6), cionondimeno è occupato nel tentativo di pescare. Ma i
passeggiatori solitari si accorgono di questo soltanto dopo aver indirizzato all'uomo commenti malevoli, e dopo averlo accusato di essere “idle” in un momento in cui “the labourer’s hire/Is ample, and
some little might be stor’d/Wherewith to chear him in the winter time” (vv. 58-60). La scoperta dell’errore di giudizio attiva in loro un senso di colpa e la coscienza della propria posizione di “happy idleness” e di privilegio. Ma anziché generare una qualche forma di comunicazione, 0 di aiuto, nei confronti del poveretto ingiustamente calunniato, tale coscienza di classe si estrinseca nel place-naming: Therefore, unwilling to forget that day, My Friend, Myself, and She who then receiv’d The same admonishment, have call’d the place
By a memorial name, uncouth indeed As e’er by Mariner was giv’n to Bay Or Foreland on a new-discovered coast, And, POINT RASH-JUDGEMENT
is the Name it bears.
(vv. 80-6)
Con il personaggio emarginato di questa poesia si configura una situazione analoga a quella descritta in “The Old Cumberland Beggar”, in cui lo scambio tra la comunità e il mendicante avviene al-
l’interno di due diversi ordini di bisogno: la sussistenza materiale da un lato, e la tranquillità morale e il senso di continuità col passato dall’altro. Nel caso di “Point Rash-Judgement”, tuttavia, lo scam-
bio tra io poetico e personaggio “low and rustic” non avviene neppure più sul piano della realtà, ma esclusivamente all’interno dell’ordine simbolico. In questa poesia l’incontro con il contadino malato e inabile al lavoro non attiva alcuna dinamica di reciprocità, ma soltanto una sorta di testualizzazione della figura umana, sulla 237
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quale l’io poetico costruisce un’interpretazione completamente autoreferenziale che tuttavia — e qui risiede la differenza rispetto all’#Old Cumberland Beggar” — egli non condivide con la comunità rurale, ma con i suoi amici più intimi, di estrazione aristocratica o borghese. In tal modo, nei ‘Poems on the Naming of Places” la ristretta cerchia degli affetti del poeta prende il posto della comunità dei villagers. Questa mossa permette a Wordsworth di mostrare il gesto di autoincorporamento dell’io poetico nel territorio come un'operazione retorica, e in un certo senso costruita a buon uso del lettore, non certo condizione originaria e necessaria, come
invece
appare essere quella del narratore in molte delle ballate precedentemente analizzate. Attraverso il ricorso al circolo degli affetti privati, Wordsworth contrappone alla cultura rurale premoderna, fondata sulla comunità dei valori e dei destini, una sorta di controcultura pastorale elettiva e anticapitalistica che, nel ridurre il paesaggio a una sorta di testo su cui inscrivere segni e significati squisitamente individuali e privati, ambisce a rifondare la toponomastica tradizionale, non cancellando l’esistente, ma mostrando se stessa come perfettamente incorporabile al suo interno.
S. “Michael”: “my second self when I am gone” Questa operazione trova la sua forma più compiuta in “Michael”, la poesia che chiude l’edizione del 1800, prendendo il posto di “Christabel” di Coleridge?. “Michael” rappresenta il culmine e insieme l’anticlimax dell’esperimento antropo-poetico realizzato da Wordsworth nelle Lyrica/ Ballads. Essa rielabora, e in un certo senso
esalta, tutti i motivi e gli stilemi legati al progetto di poeticizzazione della cultura rurale di matrice orale, e allo stesso tempo demistifica
3° Per un’ampia discussione sulle analogie tra “Michael” e “Christabel” cfr. S. Eilenberg,
op. cit., cap. 4.
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la componente egemonica di tale progetto, rivelando al lettore come il suo successo dipenda dalla parziale decostruzione e destrutturazione della sfera arcaica e comunitaria. “Michael” è la storia del conflitto insanabile tra affetti umani e proprietà che affligge le comunità rurali alle soglie del diciannovesimo secolo, intrappolandole in una drammatica condizione di isolamento sociale e culturale rispetto ai centri urbani industrializzati, e al contempo di forte dipendenza economica da essi. Michael, ‘an old man, stout
of heart, and strong of limb”, è un pastore dall’aria mesta e solenne, riuscito dopo anni di sacrifici e di debiti a rientrare in possesso della propria eredità fondiaria, che intende trasmettere al figlio intatta poiché “It looks as if it never could endure/Another master”. Ma il suo sogno di ricompattare organicamente la tradizione dei ‘‘forefathers’’ tenendo insieme affetto e proprietà va a scontrarsi con un evento esterno inatteso: l’obbligo morale di coprire i debiti contratti da un nipote, un tempo ‘a man of an industrious life and ample means”, in seguito caduto in disgrazia. Alla mente “keen and watchful” del vecchio pastore si presentano soltanto due possibilità: vendere metà della terra, oppure mandare il suo unico e amatissimo figlio Luke a lavorare in città presso un parente facoltoso “thriving in trade”, nella speranza di poter estinguere il debito senza intaccare la proprietà. Dopo lunghi tentennamenti, d'accordo con sua moglie Isabel, Michael sceglie la seconda opzione: “Our Luke shall leave us, Isabel; the land/Shall not go from us, and it shall
be free,/He shall possess it, free as is the wind/That passes over it” (vv. 254-7). Il temporaneo ricorso all'economia di mercato e alla cultura urbana, operato al caro prezzo della separazione da Luke, appare a Michael come l’unico modo per salvaguardare non soltanto l’integrità della proprietà, ma l’integrità dei sentimenti e della tradizione:
I still Remember them who lov’d me in my youth. Both of them sleep together: here they lived As all their Forefathers had done, and when
At length their time was come, they were not loth
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To give their bodies to the family mold. I wish'd that thou should’st live the life they liv°d. (vv. 375-81)
Questa scelta, però, si rivelerà disastrosa: Luke verrà corrotto dal-
la città e non tornerà mai più a casa e lo “sheepfold” di cui, alla vigilia della partenza, il ragazzo aveva posto la prima pietra a suggellare il “covenant” col padre rimarrà “a straggling heap of unhewn stones”, simbolo di una tradizione rurale ridotta a un cumulo di frammenti disorganici e indecifrabili. In “Michael” si consuma la fine della tradizione rurale basata sul folclore, sull’oralità e su una no-
zione comunitaria e tramandabile dell’identità e della memoria®'. Nell’immota fedeltà di Michael agli obblighi familiari e all’integrità della proprietà fondiaria, Wordsworth ritrae una cultura rurale in cui l’intreccio tra terra, affetti domestici e memoria è talmente stretto da risultare non soltanto ormai obsoleto, ma addirittura autodistruttivo. Nella lettera del Gennaio 1801, indirizzata a James Fox, il poeta esprime al riguardo una chiara consapevolezza: I earnestly entreat your pardon for having detained you so long. In the two poems, “The Brothers” and “Michael” I have attempted to draw a picture of the domestic affections as I know they exist amongst a class of men who are now almost confined to the North of England. They are small independent proprietors of land here called statesmen, men of respectable education who daily labour on their little properties. The domestic affections will always be strong amongst men who live in a country not crowded with population, if these men are placed above poverty. But if they are proprietors of small estates, which have descended to them from their ancestors,
the power which these affections will acquire amongst such men is inconceivable by those who have only had an opportunity of observing hired labourers, farmers and the manufacturing Poor. Their little tract of land serves as a kind of permanent rallying point for
*! Al riguardo cfr. Michael Collings, “Covenant in Hyperbole: The Disruption of Tradition in ‘Michael’’’, in Studies in Romanticism, vol. 32, n. 4, Winter 1993, pp. 551-76.
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their domestic feelings, as a tablet upon which they are written which makes them objects of memory in a thousand instances when they would otherwise be forgotten. It is a fountain fitted to the nature of social man from which supplies of affection, as pure as his heart was intended for, are daily drawn. This class of men is rapidly
disappearing?°.
Non è casuale che Wordsworth assegni il compito di illustrare l’estinguersi della cultura rurale non alle categorie sociali che per definizione risultano escluse dal diritto di proprietà, quali braccianti e operai manifatturieri emigrati in città, bensì a quella classe di piccoli proprietari terrieri, dotati di una certa educazione, il cui senso d’identità è direttamente proporzionale alla capacità di perpetuare nei posteri un investimento attivo ed efficace nella cultura espressa dalla tradizione e dal rapporto integrato col territorio. Il progetto pastorale di Michael non si realizza non soltanto perché in esso penetra la contaminazione urbana, ma anche perché è eccessivo e iperbolico in sé. Michael non sa riconoscere nel proprio atteggiamento sacrificale e riparatore, caratteristico di una concezione comunitaria della famiglia, un pericolo per la sopravvivenza del proprio stesso nucleo familiare. Nel rinunciare a Luke, egli è convinto
di poter salvaguardare l’intero clan, la proprietà terriera e insieme la continuità della memoria. Il fallimento del sogno pastorale di Michael prova da un lato il fondamento epistemologico, e non solo economico, della cultura rurale, e dall’altro la natura oramai intrinsecamente precaria e autodistruttiva della tradizione che tale cultura sorregge. Ma ciò che Michael non sa, o che nega, costituisce sin dall’inizio il patrimonio culturale del poeta, e la sua stessa eredità: Therefore although it be a history Homely and rude, I will relate the same
For the delight of a few natural hearts,
3 W. Wordsworth, The Early Letters (1787-1805), op. cit., pp. 261-2.
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And with yet fonder feelings, for the sake . Of youthful Poets, who among these Hills Will be my second self when I am gone. (vv. 34-9)
Il narratore di “Michael” non è più un individuo “prone to, superstition” perché privo di radici e di affetti ma, come annuncia il prologo alla storia, un poeta maturo che sin dall’infanzia ha imparato ad amare gli abitanti dei monti e delle vallate “not verily for their own sakes, but for the fields and hills/Where was their occupation and abode” (vv. 24-6). Attraverso la mediazione cultu-
rale di questo narratore, la triste ma significativa vicenda di Michael, Isabel e Luke, “ungarnish’d with events”, ma “not unfit, I deem, for the fire-side/Or for the summer shade” (vv.19-21), da sempre tra-
smessa oralmente e destinata a essere dimenticata, acquisisce permanenza e visibilità. E, sempre attraverso questa mediazione, il racconto di una tradizione orale che si estingue per autodistruzione, oltre che per frammentazione
sociale, diventa la storia del ricostituirsi
della tradizione sotto forma di scrittura e di testualità. In “Michael”, dunque, sembra essere il narratore-poeta l’unico erede legittimo del pastore e della tradizione dei ‘““forefathers”. Egli non s'imbatte casualmente nella vicenda (come fa il narratore di “The Thorn”), né
si trova a narrarla sotto l’influsso di una compulsione linguistica dettata da fobie e superstizioni (come accade al narratore di ‘“Goody Blake and Harry Gill), ma sceglie di raccontarla in piena autonomia di giudizio e soprattutto con in mente due intenti ben precisi: costruirsi un’audience di “few natural hearts”, e assicurarsi una for-
ma di immortalità — “my second self when I am gone” — radicando la nuova tradizione poetica nel territorio del Lake District. Il primo obiettivo è il più facile e innocuo. Esso viene raggiunto attraverso una discorsività semplice e insieme solenne, costruita sul sapiente dosaggio di mimesi e diegesi, sulla qualità formulaica del-
la frase, e su un’autentica “pastoral care for words”. Nonché, ov-
* G. Hartman, Wordsworth's Poetry 1787-1814, op. cit., p. 261.
DAI
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viamente, fornendo alla storia una cornice autobiografica che raffi-
gura un poeta coinvolto in egual misura tanto nella cultura rurale e tradizionalista (della quale Michael rappresenta l’emblema perfetto), quanto nel progetto di sensibilizzazione del proprio pubblico. Il secondo obiettivo, ovvero la riscrittura della tradizione attraverso una
geopoetica che consenta la creazione di una simbiosi del poeta con il territorio, è più ambiguo e controverso, poiché comporta l’assimilazione della coscienza folclorica alla voce lirica, e la rimozione
dell’individuo folclorico a esclusivo vantaggio del poeta. Il prezzo della riscrittura della tradizione rurale da parte del poeta moderno è dunque molto alto e implica il doloroso, nonché irreversibile, tacitamento del natura! lore in quanto autonoma, benché ‘“indigesta” e frammentaria, forma di discorso ‘on Man, on
Nature and on Human Life” rimasta appannaggio dei ceti rurali, e soprattutto in quanto unica ricchezza che questi ceti sono ancora in grado di produrre, salvaguardare e tramandare. Malgrado la stoica resistenza a ogni genere di avversità, alla fine Michael deve rinunciare al proprio progetto pastorale e riconoscerne l’intrinseca debolezza. Non così il poeta delle Lyrica! Ballads. A lui tocca un destino diverso, poiché sta imparando come far quadrare i conti trasformando le perdite in guadagni: That time is past,
And all its aching joys are now no more, And all its dizzy raptures. Not for this Faint I, nor mourn nor murmur: other gifts ‘Have followed, for such loss, I would believe,
Abundant recompence. (“Tintern Abbey”, vv. 84-9)
Ma questo è soltanto un flashforward. In realtà Michael non saprebbe e forse, pur sapendolo, neanche vorrebbe esprimere il proprio dolore in un linguaggio così artatamente autoconsolatorio. È per questo che è lui a fornire alle Lyrical Ballads l’immagine finale. Con “Michael”, il cui sottotitolo è “a pastoral poem”, Wordsworth chiude una fase ben precisa della propria ricerca poetica: 243
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quella che raffigura la nascita della voce lirica moderna dalle ceneri della voce folclorica e comunitaria. “Michael” rappresenta l’esito estremo del progetto antropologico wordsworthiano e una sorta di punto di non ritorno. Attraverso un’unica vicenda, la poesia articola tre storie interrelate, ma anche profondamente differenti: la storia dell’estinzione dell’universo rurale con radici folcloriche; la storia dell’appropriazione di tale universo da parte della voce lirica; infine quella del recupero della prospettiva comunitaria non più in veste di tradizione collettiva, ma come parte integrante della sensibilità moderna, fondata sulla rappresentazione di una memoria e di un’immaginazione squisitamente individuali. Three years, or little more, did Isabel,
Survive her Husband: at her death the estate Was sold, and went into a Stranger’s hand.
The Cottage which was nam’d The Evening Star Is gone, the ploughshare has been through the ground On which it stood; great changes have been wrought In all the neighbourhood, yet the Oak is left
That grew beside the Door; and the remains Of the unfinished sheep-fold may be seen Beside the boisterous brook of Green-head Gill. (vv. 482-91)
Dopo aver atteso invano il ritorno di Luke, Michael muore e, quando Isabel lo segue, la loro terra passa di nuovo in mani “estranee”. Sopraggiungono “grandi cambiamenti”, che alterano l’aspetto del luogo e cancellano le tracce di quella dimensione comunitaria di cui il loro cottage, denominato dagli abitanti della valle “Evening Star”, aveva da sempre costituito l'emblema. Ciononostante, Wordsworth
sembra credere che non tutto sia perduto, e che la
capacità di rigenerazione negata al pastore e all’intera comunità costituisca il punto d’origine della funzione del poeta, il cui specifico ruolo culturale è quello di leggere i frammenti del passato per rannodarli al presente. Michael giunge a un passo dall’essere in grado di esprimere tutto ciò ma, proprio sul punto di riuscirci, viene mes-
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so a tacere dall’avvento della modernizzazione che spazza via i vecchi assetti socio-economici e impone nuovi valori e nuove strategie di resistenza. La voce lirica che con questa “poesia pastorale” congeda il lettore interviene a riparare l’ingiustizia e la violenza di questo tacitamento. Essa non esprime una soggettività libera e moderna, né un punto di vista “singolare e irrepetibile”, ma non è più neanche l’incarnazione del natural lore. È piuttosto una voce che vive nella sospensione spazio-temporale tra una cultura arcaica in perenne via di estinzione, e una cultura moderna che si costruisce anche attraverso l’integrazione e la rifunzionalizzazione della propria matrice folclorica e comunitaria. Proprio in virtù di tale sospensione, questa voce lirica appare in grado di resistere tanto all’inesorabile linearità dei processi storici, quanto allo strutturarsi della soggettività in termini esclusivamente razionalistici e individualistici. Da qui il tono nostalgico ed elegiaco di questa poesia. Dopo aver raccontato la fine di tutto un mondo, il narratore sul punto di congedarsi definitivamente rivolge a esso un ultimo sguardo, che non si posa sullo spettacolo della devastazione, ma che è ancora irresistibilmente
attratto dai frammenti di quel progetto incompiuto che simboleggia il fallimento e allo stesso tempo anche la continuità del sogno pastorale: “There is a comfort in the strength of love;/‘Twill make a thing endurable, which else/Would break the heart: — Old Michael
found it so”.
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269
INDICE DEI NOMI
Abrams, M. H., 24n., 25n., 40, 41, 43n., 44, 119n,, 164n.;
Agamben, Giorgio, 158n.; Anderson, Benedict, 96n.; Arac, Jonathan, 71n., 112n.; Arnold, Matthew, 40, 86, 104n.; “Wordsworth”, 86n., 104n.; Austin, Frances, 192n.; Averill, James, 152n., 159n., 211n., 216; Barnes, James, 110n.; BarrellSJohoX,Mn34l88n3:931: Bate, Jonathan, 86, 92, 93n., 94n., 234, 235; Beattie, James, 160n.;
Benjamin, Walter, 168n.; Bermingham, Ann, 110n.; Bewell, Alan, 124n., 125n., 154n,;
Bialostosky, Don H., 178n., 185n.; Blake, William, 50;
Bloom, Harold, 41, 43n., 86, 216, 217n.; Boehm, Alan D., 18n.; Boehnen, Scott, 23n.; Brewer, John, 110n.; Broweg]our Wii ip asi20 050:
Burke, Edmund, 51, 52, 70, 75, 86, 165;
Butler, Marilyn, 42; 83n.; Campbell, Colin, 110n.; Chandler, James K., 70, 83n., 86, 87, 195n., 216, 219n.; Chase, Cynthia, 167; Chaucer, Geoffrey, 42n.; Colaiacomo, Paola, 94, 103n., 169n., 187n.; Coleridge, Samuel Taylor, 11, 13-19, 22, 23n., 27n., 34, 36, 38, 39n., 50, 52-56, 80, 94n., 98, 100-103, 109, 119n., 120, 126,
ZI
Indice dei nomi
135n..137,1153 155 /M04168 4175 1351932052230; Biographia Literaria; 11, 28-30n., 31-33, ADFSIISANISI 94n., 101-103n., 135n., 185; “Christabel”, 238; Collected Letters of Samuel Taylor Coleridge, 16n.; “Rubla /Khans392:
Osorio, 16; “The Rime of the Ancient Mariner”, 17, 18, 21, 34, 101, 134,
DOSI: Colley, Linda, 71n.; Collings, Michael, 240n.;
Collins, William, 50, 72-74;
“Ode on the Popular Superstitions of the Highlands of Scotland”, 72; CotnlestosephgtS L64522 54055: Cowper, William, 72, 112, 115-119; Theslask 023 sne 160281705 Crabbe, George, 114115, 117, 167n.; The Village; 114n., 117;
Cronin, Richard, 37n.; CUrranssStvart 2270" D’Agata D’Ottavi, Stefania, 212n.; Darwin, Erasmus, 185; de Man, Paul, 12, 13n., 44, 160n., 167;
Derrida, Jaques, 167n.; Eagleton, Terry, S1n., 83n., 84; Eilenberg, Susan, 161n., 163n., 167, 229n., 234n., 238n.; Feingold, Richard, 112n.; Ferguson, Adam, 72;
Ferguson, Frances, 182n.; Fischer, Hermann,
198n., 200n.;
Formigari, Lia, 121n,;
Foucault, Michel, 174n.; Fox, James, 218n., 240; Friedman, Michael H., 14, 20n., 61n., 83n.; 272
Indice dei nomi
Fry, Paul H., 234n,; Fulford, Tim, 20n.;
Gilpin, William, 212; Goethe, Johann Wolfgang von 198n.; Goldsmith, Oliver, 113;
BUneiDeserted&Villaze 81191225: Gramsci, Antonio, 96, 145n.; Gray, Thomas, 72; Griffin, Dustin, 115n.; Griffin, Robert J., 112n.;
Harrison, Gary, 113n., 195n., 216, 220n., 223n.; Hartley, David, 106n.;
Hartman, Geoffrey, 27n., 41, 44, 66n., 130, 131, 138, 139n.,
[donsalo sn
gL63n 43167175 na 179n 221692288242 n5
Hayden, John O., 36n.;
Hazlitt, William, 28, 36-38, 70; “Mr Wordsworth”, 28n.; Heffernan, James A. W., 37n., 113n.;
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 200-202; Heidegger, Martin, 160n., 173n.; Heinzelman, Kurt, 111n.; Hume, David, 51, 72, 144, 165; Hutcheson, Francis, 51, 72; Hutchinson, Joanna, 232; Jacobus, Mary, 14, 136n., 140n.; Jameson, Fredric, 83n.; Janowitz, Anne, 46n., 83n., 212n., 213n., 216, 222n.;
Johnson, Samuel, Dr., 3Sn.; Johnston, Kenneth R., 17n.; Jones, Mark, 155n., 161n., 214n.; Jordan, John E., 14, 23n., 170n., 173; Kant, Immanuel, 30, 84, 99n., 166;
Keats, John, 25, 26n., 50; Kenny, Virginia C., 113n.; Kneale, Douglas J., 167;
273
Indice dei nomi
Knight, Richard Payne, 212; Kojève, Alexandre, 202n.;
Kroeber, Karl, 199; Langan, Celeste, 195n.; Levinson, Marjorie, 40n., 42, 44n., 195n.; Liu Alan, 42, 44n.,,,93n., 195n.;
Locke, John, 123; Lowe, Lisa, 71n., 112n.; Macfarlane, Alan, 188n.;
Macpherson, Jay, 71, 73, 74; Poems of Ossian, 73; Makdisi, Saree, 66n., 82n.;
Malthus, Robert, 88, 89;
Essay on the Principle of Population, 88; Marvell, Andrew, 42n.; Marx, Leo, 145n.; Mayo, Robert, 37-41;
McFarland, Thomas, 212n.;
McGann, Jerome, 42, 118n.; Milton, John, 42n.; Neeson, J. M., 185n.;
Nori, Giuseppe, 208n.; Nussbaum, Felicity, 111n.; Olson, Charles, 42n.;
Ong, Walter, 110n.; Owen. W.JB.,23n.:
Pagnini, Marcello, 37n.; Parrish, Stephen, 14, 215n.; Percy, Thomas, 35;
Reliques of Ancient English Poetry, 35; Pfau, Thomas, 62n., 215n.; Pinch, Adela, 58n., 118n.; Pound, Ezra, 42n.; Price, Uvedale, 212; Prickett, Stephen, 14, 119n.;
274
Indice dei nomi
Ritvo, Harriet, 71n., 112n.;
Runcini, Romolo, 110n.; Rousseau, Jean Jacques, 75, 146, 153, 154;
Saggio sull’origine delle lingue, 146n.; Ruoff, Gene W., 17n., 66n.;
Salvesen, Christopher, 66n.; Schoenfield, Mark, 110n., 185n., 189n.;
Shaftesbury, Anthony A. C., 51, 72; Shelley, Percy Bysshe, 53, 210; Siebers, Tobin, 142n.; Simpson, David, 195n., 205n., 214n.;
Simpson, Louis, 66n.; Siskin, Clifford, 39n., 113n.; Sitter, John, 113n.;
Shaiih-#A:dam®5.152722165: Smith, Elsie, 186n.; Southey, Robert, 186n.; Spenser, Edmund, 42n.; Swift, Jonathan, 70; Thelwall, John, 19; Thomson, Edward Palmer, 84n., 96n., 185n.; Thomson, James; 72, 111,112; The Seasons, 112; Trott, Nicola, 212n.;
Turner, Sharp Michele, 66n.; Turner, Victor, 220n.; WartoianXt On Williams, Anne, 113n.; Williams, Raymond, 13, 14, 59, 111n., 188n.; Winberg, Christine 23n.; Wordsworth, Dorothy; 15n., 19, 20, 107, 109, 110, LO6T2315
The Journals, 20; Wordsworth, Jonathan, 66n.; Wordsworth, Mary, 232; Wordsworth, William: 275
Indice dei nomi
Advertisement, 22, 35, 36, 38n., 120; “A Fragment”, 142n., 228; An Evening Walk, 40, 228;
“Andrew Jones”, 172; “Anecdote For Fathers”, 175, 203; Descriptive Sketches, 40, 143n., 228; Essay on Morals, 19;
Essay Supplementary to the Preface, 35n., 74n.; “Ellen Irwin, or the Braes of Kirtle”, 82n., 228; “Essays Upon Epitaphs”, 66, 67n.; “Expostulation and Reply”, 58-71, 85, 108, 119, 133, 148, L71S
[TSE “Fancy and Tradition”, 49, 62, 69, 97, 231;
“Goody Blake and Harry Gill”, 34, 45, 175, 185-195, 202, 203, DPI INIST2A2: Guide to the Lakes, 212n., 228;
“Hart-Leap Well”, 46, 82n., 126, 162, 203, 206-216, 228; Home at Grasmere, 20, 21, 89-91;
Letter to the Bishop of Llandaff, 85, 83; EettersyWlS5n>*18n,22n,
15807 24In=
“Lines left upon a Seat in a Yew-tree near the Lake of Esthwaite, on a desolate part of the shore, yet commanding a beautiful prospect”, 65n.; “Lines written at a small distance from my House, and sent by my little Boy to the Person to whom they are addressed”, 106, I//Ek20MI20/T48: “Lines written near Richmond, upon the Thames, at Evening”,
128, 129n.; “Lines Written with a Slate-pencil upon a Stone”, 217n.; “Lucy Gray”, 142n., 161, 228, 236;
“Lucy Poems”, 155-165, 167, 199; “A slumber did my spirit seal”, 155n., 160; “She dwelt
among th’untrodden ways”, 155n., 159; “Strange fits of passion”, 45, 155, 158-160, 162, 164; “Three years she grew in sun and shower”, 155n., 160, 162, 163, 164;
276
Indice dei nomi
“Michael”, 45-47, 60, 229, 238-245; Peter Bell, 40;
“Poems on the Naming of Places”, 228-238: “It was an April Morning”, 230n.; “Point Rash-Judgement”, 23082325510 )oantta 003200359236:
Brciacel5 21321923293 15393 B86%37n 60307948 7088! 90, 91, 95, 100n., 101n., 104, 105n., 106, 108, 109, 119, 12.192? 25 EC12 1152 20134- 180214981540 201 68° lis N1963235ì Preface to the Edition of 1815, 55;
Prelude, 11, 12,,24-28, 534,40, 42, 43, 46,47, 85,.131,168; 198, 199, 204, 216; Prose Works, 21n., 67n., 85n., 88n., 100n., 106n., 183n.; “Resolution and Independence”, 67, 68n., 221n.; “Rural Architecture”, 217;
Ruth
2 00 2AND]17) DORIA:
Salisbury Plain, 16, 228; #SimoniLees#1:12202220722133215:
“Tale of a Woman”,
16;
The Borderers, 16; £“The:Brothers:833 34625. 605.62*82n 215,223, 224.
226n., 227, 228, 236, 240; “The Complaint of a Forsaken Indian Woman”, 77, 78, 81;
The Excursion, 16, 32, 83; “The Female Vagrant”, 16, 60, 151;
“The:ldiot!Boy227n. 34,154, 171, 172,202, 203,207, :215n5, 225: “The Idle Shepherd-Boys, or Dungeon-Gill Force”, 82n.; “The Last of the Flock”, 60, 151;
“The Little Danish Boy”, 142n.; “The Mad Mother”, 77-81, 88, 171; “The Old Cumberland Beggar”, 82n., 86, 215, 217-220n., 226, 23: The Recluse, 16, 17n.;
The Ruined Cottage, 16; 20
Indice dei nomi
“The Tables Turned”, 58, 64, 65n., 69, 75, 85, 107, 108, 123, 1755 “ThesThorn”3334T45%1303149*153-Ml'55 316021628165! L69174 175 MAN 8S201:877 1921952022203 200/0221105 D1S1n2232 200282398242: The Vale of Esthwaite, 40;
“Tintern Abbey”, 11, 18, 27, 39-41, 43, 45-47, 108n., 168,
176n., 198, 204, 219, 228, 234, 243; ‘’Tis said, that some have died for love”, 45; “To a Sexton”, 183n.; WeArefSeven 833 %174-134202,2038225: Yarrow Revisited, 49, 54, 85.
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2000 dalla tipografia LP GRAFICHE di Pescara per conto della Editrice Campus Pescara
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° Elena Spandri si è laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l’Università degli Studi di Roma
La Sapienza”,
torato di
e ha conseguito il dot-
ricerca in Anglisttica presso
Insegna Lingua e letteratura ingglese rientapresso l’Istituto Universitario le di Napoli e presso l’Università di
Macerata. Ha tradotto e curato Frankenstein, di Mary Shelley (Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1994) e ha pubblicato, in volumi e riviste, saggi su Macpherson, Word sworth, T. S. Eliot e la critica romantica.
In copertina: Philip Whickstead
Il nano Baiocco (1772 ca). Leeds City Art Gallery
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