La grande rapina al treno. The Great Train Robbery (Edwin S. Porter, 1903) e la storia del cinema 8857508919, 9788857508917

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La grande rapina al treno. The Great Train Robbery (Edwin S. Porter, 1903) e la storia del cinema
 8857508919, 9788857508917

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ELENA DAGRADA

La grande rapina al treno The Great Train Robbery (Edwin S. Porter, 1903) e la storia del cinema

MIMESIS

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INDICE

INTRODUZIONE

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CAST AND CREDITS

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SINOSSI IL CONTESTO 1. Il cinema delle origini 2. 1903: l’anno di Porter

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IL FILM 1. Rapine, omicidi, sparatorie e selvaggio West 2. Lo spettacolo del treno 3. La successione delle scene e l’articolazione del racconto 4. Più azioni simultanee in una sola storia 5. Angolazione, direzione, distanza e movimenti di macchina 6. L’emblematic shot di Barnes

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NOTE AL TESTO BIBLIOGRAFIA SELETTIVA

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APPROFONDIMENTI INTERDISCIPLINARI IMMAGINI E PAROLE PAROLE CHIAVE

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INTRODUZIONE

Questo piccolo studio vuole essere un utile viatico per chiunque desideri addentrarsi lungo i sentieri impervi ma affascinanti del “cinema delle origini”, per imparare a conoscere la prima epoca di vita della storia del cinema. È dedicato a un film realizzato nel 1903 da Edwin S. Porter, per conto della Edison Manufacturing Company. Registrato al copyright quello stesso anno con il titolo The Great Train Robbery (“la grande rapina al treno”, appunto), in italiano è noto anche con il titolo Assalto al treno (o L’assalto al treno postale) e ha conosciuto uno dei più clamorosi successi del suo tempo, dentro e fuori gli Stati Uniti d’America. Nel corso degli anni, la sua presenza nella memoria collettiva è risultata a tratti inquinata dal mito della prima volta; è stato infatti sbandierato a lungo come il “primo western” della storia del cinema, quando non addirittura come il “primo caso di narrazione lineare”. Un mito fatalmente destinato a essere smentito: The Great Train Robbery non è nulla di tutto ciò, ma non ne ha bisogno per imporsi alla nostra attenzione. È infatti comunque un film oltremodo importante, proprio perché non è il primo western della storia del cinema, ma ugualmente interpreta al meglio il mito popolare per eccellenza della storia americana, quello del “selvaggio West”, o “lontano West”, sfruttando il contesto iconografico della ferrovia, delle rapine condite da sparatorie e da spericolati inseguimenti, messi al ser-

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La grande rapina al treno

vizio di un genere – il western, per l’appunto – che più tardi sarà definito il “cinema americano per eccellenza”. E perché non è un caso di narrazione lineare (né di montaggio alternato), bensì è un caso esemplare di un modo di raccontare diverso dal nostro, innovativo nella scelta di esporre lo svolgersi di più azioni simultanee attraverso una serie di immagini poste in successione, ma in sintonia con i procedimenti narrativi popolari della sua epoca. The Great Train Robbery, insomma, è un film emblematico (come l’emblematic shot di Barnes) del tempo a cui appartiene; un tempo assai complesso, appassionato e ricco di aspetti problematici, che oggi ne fanno il periodo della storia del cinema più formativo da studiare, perché è l’unico veramente diverso da ciò che siamo diventati in seguito, non solo in Occidente, anche attraverso il cinema. Questo studio, fra le altre cose, gli rende omaggio. Pubblicato per la prima volta in forma di opuscolo nel 2008, viene ora riproposto riveduto e aumentato, corredato da un apparato di note e arricchito con la prima traduzione italiana completa del testo del catalogo con cui all’epoca il film veniva venduto. Ringrazio per questo Paolo Cherchi Usai e Nancy Kauffman, per l’aiuto davvero prezioso. Grazie anche a Stefano Raimondi, che ne aveva curato avventurosamente la prima impaginazione; e a Mauro Giori, che vi aveva collaborato e per questa edizione ha fornito le immagini. Grazie, infine, a Giulia Carluccio e Dario Tomasi, senza il cui stimolo iniziale queste pagine non sarebbero mai state scritte.

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CAST AND CREDITS

Soggetto: dal dramma The Great Train Robbery, di Scott Marble (prima rappresentazione: 20 settembre 1898, Alhambra Theater, Chicago); assistente alla regia: George M. “Broncho Billy” Anderson (vero nome: Max Aronson) (?); fotografia: Edwin S. Porter, J. Blair Smith; montaggio: Edwin S. Porter; interpreti: George M. “Broncho Billy” Anderson (il passeggero ucciso, l’uomo in ghingheri costretto a ballare a colpi di pistola, uno dei banditi), Justus D. Barnes (il capo dei banditi), Walter Cameron (lo sceriffo), Mae Murray (una danzatrice), Frank Hanaway (un bandito); produzione: Edison Manufacturing Company; riprese: Lackawanna Railway, Orange Mountains, Passaic River, Thistle Mill Ford (Essex County Park, New Jersey), Studi di New York (New York), novembre 1903; copyright: 1° dicembre 1903, n. H 38748; Durata: 12 minuti circa.

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SINOSSI

Armati di pistola, due banditi penetrano furtivamente nell’ufficio del telegrafo di una stazione ferroviaria, costringono il telegrafista a far fermare il treno, quindi gli ingiungono di consegnare al macchinista l’ordine di rifornirsi d’acqua al serbatoio più vicino. Dopo aver legato e imbavagliato il telegrafista, i banditi raggiungono il treno al pozzo di rifornimento, dove li attendono due complici, e di nascosto salgono sul convoglio. Durante il tragitto, due dei banditi si impossessano dei valori contenuti nel vagone postale, uccidendone il guardiano, mentre gli altri due uccidono il fuochista e costringono il macchinista a fermare il treno. Poi fanno scendere tutti i passeggeri per derubarli, uccidono un uomo che tenta di fuggire, quindi si allontanano con la refurtiva sulla locomotiva precendentemente sganciata dal resto del convoglio. Giunti in prossimità di un luogo convenuto, i banditi scendono dalla locomotiva, raggiungono i loro cavalli e si allontanano al galoppo lungo la valle. Nel frattempo, però, il telegrafista è stato soccorso dalla figlioletta ed è riuscito a dare l’allarme allertando lo sceriffo in persona. Dopo un movimentato inseguimento, nel corso del quale uno dei banditi perde la vita, lo sceriffo e i suoi uomini tendono un agguato ai banditi, sorprendendoli mentre si dividono il bottino. Ne segue una violenta sparatoria, al termine della quale tutti i banditi giacciono a terra privi di vita.

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IL CONTESTO

1. Il cinema delle origini Alla fine del 1903, quando viene realizzato il film The Great Train Robbery, lo spettacolo cinematografico compie i suoi primi otto anni. Pochissimi, se rapportati al numero di anni accumulati dal cinema fino a oggi. E pochissimi anche se confrontiamo questo film di Porter con i film che ci sono contemporanei, o se ne valutiamo le differenze rispetto ai film realizzati nelle molte epoche successive (il cinema muto degli anni Venti, le avanguardie europee occidentali e quella sovietica, il cosiddetto “cinema classico”, il cinema “moderno” e così via). Nel 1903, infatti, siamo in pieno “cinema delle origni”, un’espressione con la quale si definisce quell’epoca che va grosso modo dal 1895 al 1915, vale a dire dall’inizio dello sfruttamento commerciale su grande schermo di un’invenzione che dobbiamo a molti (Thomas Alva Edison negli Stati Uniti, Louis Lumière in Francia, i fratelli Skladanowsky in Germania…), fino all’avvento, fra le altre cose, della prima guerra mondiale. Il cinema delle origini è un cinema assai diverso da quello che conosciamo oggi, perché precede la codifica-

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La grande rapina al treno

zione delle regole che sono alla base di ciò che chiamiamo “linguaggio cinematografico”. Precede, cioè, la messa a punto dei vari tipi di montaggio e di raccordo fra le inquadrature, la scala dei piani, l’organizzazione del racconto cinematografico secondo schemi riconducibili a quelli del teatro e del romanzo naturalisti e altro ancora. Non per questo, però, si tratta di un cinema inferiore al successivo, o privo di regole, bensì si tratta di un cinema dotato di codici propri e di un proprio modo di rappresentazione, denominato anche “Modo di Rappresentazione Primitivo” dallo studioso Noël Burch, per noi oggi difficile da decifrare, ma di grande interesse per una conoscenza completa del cinema e della sua storia.1 Le caratteristiche più significative dei film prodotti in questo periodo sono soprattutto l’autonomia della singola inquadratrua (non a caso chiamata “veduta” o “quadro”, talvolta anche “scena”) che prevale pure quando, a partire dal 1900, si realizzano film composti da più inquadrature; la frontalità e la fissità della ripresa (sebbene si faccia ricorso assai presto a movimenti di macchina ottenuti in vario modo, nonché ad angolazioni diverse da quella frontale); il ricorso a scenografie dipinte o di cartapesta, anche nel caso di riprese effettuate parzialmente o del tutto in esterni reali o “dal vero”; la tendenza a includere in campo la totalità di ciò che viene rappresentato e di conseguenza la distanza, fisica e simbolica, tra la macchina da presa e la rappresentazione; la prevalenza di un’illuminazione verticale (perché il più delle volte naturale, non essendo disponibile una luce artificiale sufficientemente forte) che conferisce all’immagine un’impressione di piattezza, anziché di profondità tridimensionale; la conseguente esteriorità dello spettatore rispetto allo spazio e agli eventi rappresentati.2

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Il contesto

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Si tratta di caratteristiche il cui insieme non favorisce certo l’identificazione dello spettatore con i personaggi, diversamente da quanto accadrà nel cinema successivo (ma è in sintomia con le arti popolari del tempo, destinate allo stesso pubblico cui si rivolge prevalemtemente il primo cinema). In cambio, però, lascia lo stesso spettatore libero di abbandonarsi a un altro piacere: quello dell’attrazione procurata dall’impatto visivo con l’immagine in movimento. Un’attrazione spettacolare, emozionante ed eccitante in sé, talvolta accentuata dal ricorso a “effetti speciali” come gli ingrandimenti o il colore, che nel cinema delle origini era assai più diffuso di quanto non si pensi. Un’attrazione, inoltre, che incarna la sintesi di ciò che il cinema rappresenta per il pubblico di quel tempo e che in varia misura accompagna tutta l’epoca delle origini, apparentemente breve eppure assai densa di rivolgimenti e trasformazioni. Gli otto anni compiuti dal cinema all’epoca di The Great Train Robbery, infatti, sono pochissimi ma anche moltissimi, se rapportati alle differenze già piuttosto evidenti tra questo film di Porter e i primi film prodotti dai fratelli Lumière (si pensi ad Arrivée d’un train à La Ciotat, o ad Arrivée d’un train en gare [L’arrivo del treno alla stazione], Lumière, 1895 e 1996). Molte cose, infatti, sono cambiate dal 1895 al 1903. La singola “veduta”, o “quadro”, resta ancora un’entità autonoma e autosufficiente, anche perché per lungo tempo i film sono venduti appunto a “quadri”, cioè un’inquadratura alla volta, della durata di un rullo (all’epoca di un minuto circa), ciascuno con il proprio titolo. Ma a partire dal 1900-1902 si comincia sistematicamente a produrre film composti da più vedute montate in successione, anche al fine di mostrare le diverse tappe di un evento, o di un racconto. Il cinema si sta

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La grande rapina al treno

avviando, quasi in egual misura, in direzione documetaristica (oggi parleremmo di non-fiction), finzionale (o di fiction) e narrativa; mostra eventi più o meno autentici e ripresi “dal vero”, ma racconta anche delle storie, il più delle volte inventate. Alcune di queste, addirittura, sono completamente fantastiche (si pensi a Voyage dans la lune [Viaggio sulla luna], di Georges Méliès, del 1902); altre, invece, si vogliono decisamente realistiche, perché narrano eventi realmente accaduti, o che potrebbero accadere. In particolare, in Europa si comincia a realizzare film composti da più quadri o vedute che rappresentano fatti cruenti – furti, rapine, incendi – e che perciò comportano la messa in scena di momenti drammatici come il salvataggio di bambini prigionieri delle fiamme, o l’inseguimento tra guardie e ladri. Fra i più famosi vanno ricordati senz’altro i film inglesi Fire! (Fuoco!, Williamson, 1901), A Daring Daylight Burglary (Un’audace rapina in pieno giorno, Sheffield, 1903), e Robbery of the Mail Coach (Attacco alla diligenza postale, Sheffield, 1903). Si tratta di film che riscuotono molto successo, oltre che in Europa, anche negli Stati Uniti, dove a importarli, e assai spesso a duplicarli per sfruttarli commercialmente, è proprio Thomas Alva Edison, per la cui casa di produzione Edison Manufacturing Company lavora, a partire dalla fine del 1900, l’esperto proiezionista, elettricista e meccanico Edwin Stratton Porter.

2. 1903: l’anno di Porter Inizialmente assunto da Edison per migliorare la qualità di proiettori, cineprese e macchine per la perforazione della pellicola, Porter comincia a occuparsi della realizza-

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Il contesto

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zione di film già all’inizio del 1901. Sono però del 1903 i suoi due film più importanti e ancor oggi più celebri: The Life of an American Fireman (La vita di un pompiere americano) – probabilmente portato a termine nel 1902 ma sfruttato commercialmente dall’anno successivo – e The Great Train Robbery. È in ragione di questi due titoli che per lungo tempo gli storici del cinema hanno attribuito a Porter un ruolo fondamentale nell’evoluzione del linguaggio cinematografico, abbandonandosi a interpretazioni apologetiche secondo cui sarebbe stato l’inventore del montaggio alternato e di molto altro. In particolare, si è pensato a lungo che il finale di The Life of an American Fireman fosse composto da diverse inquadrature montate secondo un movimentato montaggio alternato tra l’interno e l’esterno di una casa in fiamme, dove i pompieri erano accorsi per salvare uomini e donne sorpresi nel sonno da un incendio. Oggi sappiamo, però, che la versione a lungo studiata di Life of an American Fireman si basava su una copia contraffatta, quasi sicuramente rimaneggiata da un ignoto archivista per movimentare lo svolgimento dell’intrigo, o per correggere un montaggio che si è potuto credere “sbagliato” – in particolare, si è potuto credere che fosse un “errore” proprio l’assenza di montaggio alternato! La versione originale del film, infatti, ritrovata in forma di paper print (una copia stampata su carta, per registrare il copyright) alla Library of Congress di Washington, presenta un finale dal montaggio differente e decisamente più primitivo, simile a quello adottato nel film inglese Fire! citato prima, a sua volta ispirato a una serie di lastre per lanterna magica.3 E sappiamo altresì che molte delle novità di The Great Train Robbery derivano in realtà dallo studio accurato

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che Porter poté fare di pellicole come il suddetto A Daring Daylight Burglary, realizzato in Inghilterra nell’aprile del 1903 e duplicato da Edison in giugno. Anche in A Daring Daylight Burglary, infatti, si racconta in dieci vedute di un’audace rapina, eseguita da un ladro in pieno giorno, mentre per caso un ragazzo vede tutto e allerta la polizia, scatenando la caccia al colpevole da parte delle forze dell’ordine, la fuga in treno e la cattura finale. Ugualmente, però, va riconosciuto a Porter il merito di aver saputo rielaborare in modo originale la struttura di A Daring Daylight Burglary, nonché tutti i principali procedimenti messi a punto sino ad allora nel cinema europeo. Così come gli va decisamente riconosciuto il merito di aver saputo introdurre, in The Great Train Robbery, alcune audaci novità nella messa in scena di più azioni simultanee. Sempre nel 1903, Porter realizza anche Uncle Tom’s Cabin (La capanna dello zio Tom), composto da numerose vedute introdotte da didascalie – le prime del cinema americano, riprese dal film inglese Dorothy’s Dream (Il sogno di Dorothy, G. A. Smith, 1903). E anche grazie alla potenza commerciale di Edison, ottiene con ciascun film un successo tale che il più autorevole studioso di Porter, l’americano Charles Musser, definisce il 1903 l’«anno di Porter».4

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IL FILM

1. Rapine, omicidi, sparatorie e selvaggio West Il grande e duraturo successo di The Great Train Robbery è da attribuirsi senz’altro all’impatto che ebbe sul pubblico la sapiente miscela dei temi rappresentati. Sotto almeno un aspetto, infatti, il film di Porter resta indiscutibilmente novatore: fu il primo a unire la spettacolarità dei più audaci procedimenti narrativi al mito popolare per eccellenza della storia americana, quello del “selvaggio West”, o “lontano West” (far West), capace di far presa su un pubblico molto vasto anche al di fuori degli Stati Uniti. E lo fece sfruttando il contesto iconografico e narrativo maggiormente in voga del tempo – la ferrovia, gli assalti a un treno conditi da sparatorie e da spericolate azioni eseguite su un convoglio in corsa – mettendo il tutto, fra l’altro, al servizio del film western come genere. Benché girato a New York (le scene in interni) e nel vicinissimo New Jersey, l’azione del film si svolge infatti nel selvaggio West, luogo del mito dove da tempo erano ambientate moltissime rappresentazioni teatrali, dette Wild West Shows (spettacoli del selvaggio West), nonché alcuni film di successo; è del 1901 il film prodotto

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La grande rapina al treno

da Edison Stage Coach Hold-up (Assalto alla diligenza), un adattamento dello spettacolo di Buffalo Bill dal titolo Hold-up of the Deadwood. Nel selvaggio West, del resto, si svolgeva anche l’azione del dramma teatrale di Scott Marble, da cui è tratta l’idea iniziale del film di Porter e il suo titolo. In sintonia con tale clima, The Great Train Robbery fu pubblicizzato come «una fedele ricostruzione di autentiche rapine rese famose da numerose bande di fuorilegge del lontano West» (The New York Clipper, 12 dicembre 1903), come è scritto anche nel supplemento al catalogo della Edison Films Manufacturing Company (gennaio 1904), dove a pagina 5 si legge che «il film è stato allestito e recitato» proprio in funzione di tale fedele riproduzione. A quel tempo erano molte, infatti, le rapine a un treno eseguite da bande di fuorilegge che minacciavano la già precaria sicurezza dei viaggi ferroviari, terrorizzandone gli avventori. La gente ne era a conoscenza, quando non per esperienza diretta, attraverso i coloriti resoconti sui giornali che alimentavano l’immaginazione popolare, o i racconti romanzati (ma supposti veri) pubblicati a puntate nelle edizioni domenicali dei principali quotidiani. Quell’anno, in particolare, i furti e le rapine avvenute in treno furono numerosi, a ovest come peraltro a est, e in almeno un caso un telegrafista era rimasto ucciso. Analogamente agli articoli e ai racconti pubblicati sui giornali, anche il film di Porter documenta meticolosamente ogni singola tappa del crimine, i mezzi e gli stratagemmi di cui si servono i banditi per commetterlo, e in che modo costoro vengono inseguiti, intrappolati e uccisi. Andando incontro al morboso interesse del pubblico per un tipo di evento che inquietava e affascinava insieme, Porter realizza un film duro, oltre che realistico. Abbonda nel mostrare scene di violenza anche feroce: un passeggero viene ucci-

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Il film

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so a bruciapelo solo perché tenta di fuggire; il guardiano del vagone postale è brutalmente ucciso a colpi di pistola; il fuochista è massacrato di botte, finito a colpi di carbone sulla testa, quindi gettato dal treno in corsa... E abbonda nel dettaglio realistico, nella cura scrupolosa del particolare che si vuole veritiero. Tanto che solo le scenografie degli interni sono ricostruite in studio (peraltro, secondo la moda del tempo, come si è già accennato); il treno e gli esterni, invece, sono sempre reali. La cura del dettaglio, inoltre, spinge Porter ad aggiungere una parte di fondali ripresi “dal vero” anche in alcuni interni girati in studio, mediante la tecnica della “doppia esposizione” (che consiste dell’esporre due volte gli stessi fotogrammi, impressionandone una sola porzione per volta). Come nella prima scena, dove oltre la finestra dell’ufficio del telegrafo scorre la vera immagine di un treno che dapprima si ferma, poi riparte, mentre dai finestrini vediamo spuntare qui e là la testa di qualche passeggero. O come nella scena che si svolge nel vagone postale (il cui interno è ricostruito in studio), dove oltre la porta sul fondo vediamo scorrere un vero paesaggio a velocità sostenuta, che conferisce all’azione un supplemento di eccitante quanto pericoloso realismo.

2. Lo spettacolo del treno Tutta l’ambientazione ferroviaria, del resto, contribuisce ad aumentare l’impatto realistico dell’azione sul pubblico. Il treno qui non è solo il “cavallo d’acciaio” che attraversa impavido il selvaggio West; è anche una presenza che per la sua evidente autenticità consente di movimentare l’azione e di collocarla nella velocità e nel pericolo. Di

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La grande rapina al treno

mescolare esterni e interni – il treno è uno spazio chiuso che attraversa uno spazio aperto; qui è costantemente presente nelle prime otto scene e in almeno tre di esse fa convivere pericolosamente l’esterno del paesaggio con l’interno di un vagone (nella scena n. 3), della locomotiva (nella scena n. 4) o di un ufficio (nella scena n. 1, dove dalla finestra di fianco alla scrivania del telegrafista vediamo dapprima gli alberi che popolano il paesaggio esterno, quindi vediamo il treno che arriva veloce e poi si ferma). E consente di abbinare la violenza dell’azione alla velocità del convoglio: l’uccisione del fuochista da parte di uno dei banditi, che colpisce la sua vittima con un grosso pezzo di carbone e poi ne getta il cadavere (sostituito con un fantoccio) dal treno in corsa, ha infatti luogo nella porzione di spazio a sua volta parzialmente aperto della locomotiva in movimento, sopra il deposito di carbone, e costituisce senz’altro una delle scene più cruente realizzate nel cinema di quei i tempi. Ma il treno qui è una presenza importante anche per il significato profondo che questo mezzo di trasporto assume, da Lumière in poi, in tutto il cinema delle origini – e non solo! Treno e cinema, infatti, hanno molto in comune. Anzitutto, lo spettatore; perché il treno è il luogo in cui si elabora, un secolo prima del cinema, lo spettatore di massa, il “viaggiatore immobile” passivo e seduto, anonimo e collettivo, costretto all’immobilità e però dotato di ubiquità grazie al paesaggio in movimento che vede scorrere davanti a sé. Ma anche lo spettacolo; perché prima ancora dell’invenzione del cinema, l’invenzione del treno ha contribuito a modificare radicalmente la percezione dello spazio e del tempo, della distanza e del paesaggio, che dal finestrino di un treno in corsa diventa appunto uno spettacolo in tutto analogo a quello di un panorama in mo-

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Il film

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vimento. Il treno, infatti, svolge un ruolo fondamentale in quel processo che è stato definito di “panoramatizzazione” dello sguardo, destinato a trasformare la visibilità del mondo. Questo processo, anzi, viene inaugurato proprio dalla ferrovia agli albori dell’Ottocento.5 E alla fine dello stesso secolo, il cinema lo porta a compimento rendendo omaggio al treno fin dal suo immediato apparire. Facendone il protagonista di moltissime pellicole, dai numerosi Arrivée d’un train in poi, che mostrano appunto treni in arrivo a una stazione, locomotive che entrano ed escono da un tunnel, coppie che si baciano nel buio di un vagone in galleria. Nonché il protagonista di un vero genere – detto travelogue – fatto di panorami ripresi da treni in corsa. O ancora di film come questo di Porter, dove il treno è protagonista di azioni più articolate e complesse. Talvolta, per aumentare il già notevole impatto del treno sul pubblico, The Great Train Robbery veniva proiettato anche in luoghi che simulavano le condizioni del viaggio ferroviario. Regolarmente, in questi casi, era fatto precedere da panorami ripresi da un treno in corsa.

3. La successione delle scene e l’articolazione del racconto Se il successo di The Great Train Robbery è dipeso senz’altro da questa miscela di suggestioni e temi, profondamente radicati nella cultura popolare del tempo, non è azzardato pensare che sia dipeso in parte anche dall’audacia della sua articolazione narrativa. The Great Train Robbery è un film composto da tredici inquadrature – all’epoca, come si è già ricordato, chiamate “quadri”, “vedute” o anche “scene” – più una quattordicesima che poteva essere collocata a piacimento

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all’inizio o alla fine del film, come suggerito nel catalogo. Per procedere alla sua analisi è necessario ripercorrerne in dettaglio l’esatta successione, al fine di capire in che modo Porter ha pensato di articolare la rappresentazione di più azioni che accadevano simultaneamente. Si tratta, infatti, di una successione scandita come tale anche nel catalogo con cui il film veniva venduto, dove le singole scene sono numerate e accompagnate da un’accurata descrizione, preceduta da un titolo che riportiamo in lingua originale tra parentesi.6 La prima scena (Interior of Railroad Telegraph Office) è ambientata nell’ufficio del telegrafo, dove si introducono due banditi che subito obbligano il telegrafista a far fermare il treno (oltre una grande finestra è possibile vedere il treno che dapprima sopraggiunge a grande velocità e poi lentamente si ferma); sempre minacciato dai banditi, il telegrafista si avvicina a uno sportello e consegna al macchinista il finto ordine di rifornirsi d’acqua al serbatoio più vicino (anziché a quello previsto, nella stazione successiva), dopo di che viene legato e imbavagliato dai due fuorilegge, che escono dall’ufficio non appena il treno si rimette in moto. La seconda scena (At the Railroad Water Tank) è ambientata in esterni, al pozzo di rifornimento dietro il quale è nascosta la banda al completo; il treno si ferma a fare rifornimento, e i banditi salgono sul convoglio. La terza scena (Interior of Express Car) è ambientata all’interno del vagone postale; accortosi della presenza dei banditi, il guardiano getta la chiave della cassetta di sicurezza oltre la porta aperta sull’esterno (dove vediamo scorrere il paesaggio), ma due banditi riescono a introdursi nel vagone, uccidono il guardiano e si impossessano dei valori facendo esplodere la cassetta con la dinamite.

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La quarta scena (The Fight on the Tender) è ambientata sulla locomotiva; qui il terzo bandito uccide il fuochista, mentre il quarto costringe il macchinista a fermare il treno. La quinta scena (The Train Uncoupled) mostra il treno mentre si ferma e il macchinista, minacciato dai banditi, che stacca la locomotiva dal resto del convoglio. Nella sesta scena (Exterior of Passenger Coaches) i banditi costringono i passeggeri a scendere con le mani alzate e ad allinearsi lungo i binari, per alleggerirli dei loro averi; un passeggero tenta di fuggire e viene freddato a colpi di pistola, poi i banditi si allontanano con la refurtiva in direzione della locomotiva. Nella settima scena (The Escape), uguale alla quinta per taglio e ambientazione, i banditi salgono con il bottino sulla locomotiva e costringono il macchinista a farla partire. Nell’ottava (Off to the Mountains) i banditi, giunti a destinazione, fanno fermare la locomotiva e si allontanano con la refurtiva in spalla. La nona scena (A Beautiful Scene in a Valley) è ambientata in una valle boscosa, dove i banditi raggiungono i loro cavalli, li montano e partono al galoppo. La scena numero dieci è cruciale per il districarsi dell’intrigo. È quasi identica alla prima (anche nel titolo: Interior of Telegraph Office); ha infatti luogo nell’ufficio del telegrafo. Il telegrafista giace a terra legato e imbavagliato, dibattendosi riesce a mettersi in piedi e a manovrare con il mento il telegrafo, ma cade a terra svenuto;7 entra allora la sua bambina (venuta a portargli da mangiare), che subito lo soccorre e lo slega, così l’uomo può correre fuori a dare l’allarme. La scena successiva, l’undicesima (Interior of a Dance Hall), è ambientata in una tipica sala da ballo del West

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(così recita il catalogo Edison: «typical Western dance house scene»). Lo sceriffo e i suoi uomini, vestiti alla maniera western, ballano festosamente con le loro compagne (solo un uomo vestito da cittadino, definito «Tenderfoot» [Piedi-dolci], viene costretto a danzare a colpi di pistola), finché il telegrafista irrompe trafelato nel locale e dà l’allarme; la danza è allora interrotta, gli uomini impugnano il fucile e tutti escono dal locale. La dodicesima scena (The Posse in Pursuit) raffigura l’inseguimento dei banditi da parte della pattuglia capeggiata dallo sceriffo. È ambientata nella valle boscosa dove i quattro banditi fuggono a cavallo, seguiti appunto dallo sceriffo e dai suoi uomini; inseguitori e inseguiti sparano all’impazzata e un bandito cade a terra, ucciso. Nella tredicesima scena (Battle to the Death), ambientata nel bosco, gli altri tre banditi si credono giunti al sicuro, sono scesi da cavallo e stanno per dividersi il bottino, ma lo sceriffo e i suoi uomini tendono loro un agguato e li uccidono tutti. La quattordicesima (Realism) è invece un emblematic shot, perché non raffigura una fase dell’azione, ma un’immagine ritenuta emblematica dell’intera rappresentazione. Mostra infatti il personaggio Barnes, capo dei banditi, inquadrato fino al busto e intento a sparare in direzione di “ciascun individuo” che compone il pubblico in sala (nel catalogo si legge: «A life size picture of Barnes, leader of the outlaw band, taking aim and firing point blank at each individual in the audience»). Per questo poteva essere proiettata, indifferentemente, all’inizio o alla fine del film.

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4. Più azioni simultanee in una sola storia Lo spettatore che vede oggi The Great Train Robbery per la prima volta ha difficoltà a collocare in un tempo narrativamente coerente i vari momenti della storia. In particolare, non si capacita del fatto che mentre l’azione dei “cattivi” si snoda lungo nove riprese molto dettagliate e relativamente lunghe, l’azione dei “buoni” entri in scena solo a partire dalla decima, senza che ciò impedisca al telegrafista, allo sceriffo e ai suoi uomini di raggiungere i banditi, catturarli e ucciderli. In effetti, per il pubblico di oggi l’anomalia maggiore di The Great Train Robbery è costituita dal trattamento del tempo; vi abbondano infatti ciò che André Gaudreault ha chiamato “sovrapposizioni temporali”, un procedimento molto comune nel cinema delle origini e del tutto scomparso o quasi nel cinema successivo.8 L’azione che si svolge nella terza scena, per esempio, ambientata nel vagone postale, è contemporanea a quella che si svolge nella quarta, ambientata sulla locomotiva. Infatti, mentre due banditi uccidono il guardiano del vagone postale e si impossessano dei valori (scena n. 3), gli altri due uccidono il fuochista e costringono il macchinista alla resa (scena n. 4).9 Eppure nel film non c’è nulla (secondo i nostri attuali criteri) che ci suggerisca una tale simultaneità. Soprattutto, non c’è nessuna alternanza, ovvero nessun montaggio alternato (che per noi oggi significa appunto contemporaneità di due azioni separate nello spazio ma unite nel tempo). Anzi, le due azioni sono montate in successione, e solo dopo che l’azione rappresentata nella terza scena si è definitivamente conclusa (dopo aver ucciso il guardiano, i banditi sistemano la dinamite in prossimità della cassetta di sicurezza, si allontanano per non venir colpiti dall’esplosione, si riavvicinano, si impossessano

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dei valori e si allontanano di nuovo), la quarta scena ricomincia in un certo senso da capo, tornando indietro nel tempo e mostrando dall’inizio l’azione svoltasi contemporaneamente sulla locomotiva in corsa. Analogamente, l’azione che si svolge nelle scene dieci e undici è collocata dopo che l’intera azione criminale dei banditi si è conclusa (costoro, infatti, si sono già dati alla fuga). Ma accade durante l’insieme di tale azione criminale, anche se nel montaggio non c’è nulla che ce lo suggerisca. È per questo che buoni e cattivi si ricongiungono senza difficoltà nella dodicesima scena, che raffigura l’inseguimento a cavallo. Come mai questo modo di raccontare un’azione alla volta, “sovrapponendone” il tempo comune (fino a ricominciare ogni volta da capo), anziché alternarlo come si farà di lì a poco, specie a partire da Griffith? Perché nel cinema delle origini, a differenza di quanto accade oggi, ogni azione veniva rappresentata possibilmente nella sua interezza, nell’arco di una sola inquadratura (anche per questo chiamata “quadro”, “veduta” o “scena”: era infatti concepita come un’entità a sé). Era perciò normale concentrare tutta un’azione in un’unica ripresa e poi, se si desiderava proporne un punto di vista alternativo, mostrare di nuovo la stessa azione inquadrata da un’altra angolazione. Così aveva fatto Méliès in Voyage dans la lune, dove vediamo lo stesso allunaggio due volte, da due prospettive differenti, in un “montaggio ripetitivo dell’azione” (secondo una felice espressione di Tom Gunning) tipico del cinema delle origini; e così fa Porter in Life of an American Fireman, mostrando nel finale non il montaggio alternato di un’azione che si svolge fuori e dentro una casa in fiamme, bensì lo stesso salvataggio dei pompieri prima visto dall’interno della casa, poi nuovamente dall’esterno.10

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Le singole riprese, infatti, erano considerate entità autonome; il fatto di giustapporne più di una in successione, per raccontare storie complesse, non cambiava la sostanza secondo cui ciascuna di esse era concepita come una “scena” a sé della storia in questione. Anche in The Great Train Robbery ciascuna scena rappresenta un’azione per intero, eseguita sempre nella sua totalità, dall’inizio alla fine. Solo dopo che un’azione si è conclusa si passa a un’altra azione, la quale non è necessariamente successiva nel tempo: può infatti anche essere contemporanea: accade, come si è visto, alle azioni rappresentate nella terza e nella quarta inquadratura, che sebbene siano mostrate in successione avvengono simultaneamente. Lo stesso accade nella strutturazione del racconto, perché l’azione che si svolge nella decima scena (dove peraltro appeso al muro c’è sempre lo stesso orologio di cartone che segna le ore nove,11 e dove il telegrafista cerca di slegarsi e di dare l’allarme subito dopo che i banditi se ne sono andati, ma non ci riesce e sviene), pur essendo mostrata allo spettatore a rapina conclusa, è contemporanea alla prima parte dell’azione dei cattivi. The Great Train Robbery, insomma, racconta nel suo complesso un solo grande evento unificatore: la rapina al treno. Un evento appassionante e spaventevole insieme, sufficiente a costituire un’unità narrativa in grado di catturare l’attenzione dello spettatore. Lo svolgimento di questo evento, però, richiede il dispiegarsi di più azioni simultanee. Porter, allora, dalla conclusione della prima scena (che ha visto in campo i protagonisti delle due azioni principali: i banditi e il telegrafista), prima mostra l’azione criminale dei “cattivi” sul treno, poi recupera dall’inizio ciò che è accaduto nel frattempo al telegrafista e agli altri personaggi “buoni” (che durante la rapina se ne stavano

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tranquilli a ballare, come mostra l’undicesima scena). Finché, nella dodicesima scena, le due azioni si ricongiungono nell’inseguimento; un genere, quest’ultimo, che proprio allora stava prendendo piede e che presuppone, appunto, la rappresentazione di percorsi simultanei: quello degli inseguiti e quello degli inseguitori.12 Un montatore di oggi monterebbe diversamente questo film. Esattamente come l’oscuro archivista che ha manomesso The Life of an American Fireman, alternerebbe le varie fasi della terza e della quarta scena, e collocherebbe prima la decima scena, magari frammentandola in due parti, prima e dopo l’ingresso della bambina. Se Porter realizza il film così, però, non è perché non è capace di fare diversamente: semplicemente, ubbidisce a un modo di raccontare diverso dal nostro. È innovativo nella scelta di narrare una storia complessa che presuppone lo svolgersi di più azioni simultanee; e però le mostra in sintonia con il modo di rappresentazione del suo tempo, raccontando un’azione alla volta, ovvero mostrando una scena alla volta.

5. Angolazione, direzione, distanza e movimenti di macchina Se a differenza di noi il pubblico del 1903 capiva il film senza difficoltà, ciò non dipendeva solo dalla sua familiarità con questo modo di raccontare, tipico delle arti popolari del tempo. Dipendeva anche dalla presenza di un “imbonitore”, che durante la proiezione commentava l’azione e illustrava l’identità dei personaggi, attenendosi per lo più a quanto descritto nel catalogo. Per esempio, l’imbonitore spiegava il contenuto del biglietto scritto dal telegrafista minacciato dai banditi; chiariva che la bambi-

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na della decima scena è la figlia del telegrafista; o ancora che il personaggio che spara verso il pubblico è il capo dei fuorilegge. Non solo, infatti, il film è privo di didascalie, ma mostra ogni azione da un’angolazione e con un taglio della ripresa che oggi chiameremmo “campo totale”, quando non addirittura “campo lungo” – due tipi d’inquadratura che raffigurano comunque sempre la totalità dello spazio dove ha luogo l’azione – senza mai avvicinarsi ai personaggi, senza farceli conoscere individualmente da vicino. A eccezione dell’emblematic shot (che infatti non raffigura un’azione), le singole riprese mostrano sempre tutto, più spesso frontalmente, e comunque esaustivamente. Ancora una volta, cioè, sono entità autonome che oltre a mostrare un’azione dall’inizio alla fine includono in campo tutto ciò che conta (anche per questo nella prima scena Porter utilizza la doppia esposizione, per includere nello spazio rappresentato – l’ufficio del telegrafista – anche l’immagine del treno, che si ferma e poi riparte, oltre la finestra). In questo modo, però, tengono lo spettatore a distanza dai personaggi, in uno spazio idealmente esterno rispetto alla rappresentazione, rendendone difficoltosa l’interpretazione e impedendo l’identificazione con i protagonisti. Tengono lo spettatore a distanza e in uno spazio idealmente esterno all’azione anche quelli che oggi chiameremmo “falsi raccordi”, o raccordi sbagliati. La sesta scena, per esempio, si conclude con i banditi che dopo aver derubato i passeggeri fuggono con il bottino dirigendosi fuori campo verso destra (sebbene la locomotiva si trovi a sinistra), lasciando in campo i derubati che si precipitano verso il passeggero ucciso. Nella scena successiva, invece, vediamo i banditi rientrare in campo sempre da destra per dirigersi, stavolta correttamente, a sinistra verso la locomotiva. A ben

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vedere, però, questa assenza di linearità (o di “linearizzazione”, secondo l’espressione di Noël Burch) nella rappresentazione della direzione intrapresa dai personaggi non fa che confermare l’autonomia della singola veduta, ancora dominante a dispetto della complessità del racconto e della coesione esercitata dall’evento unificatore della rapina. Anche i movimenti di macchina contribuiscono a ottenere il medesimo effetto. Porter li usa esclusivamente per seguire i personaggi ogni volta che stanno per uscire fuori campo, peraltro riuscendo a iniettare così più realismo nell’azione; la cinepresa, infatti, fatica a seguire i banditi in fuga, ed esegue per questo movimenti “sporchi”. Nell’ottava scena, per esempio la cinepresa esegue un movimento panoramico verso sinistra, poi verso il basso, per seguire i banditi che fuggono nel bosco; mentre nella nona un movimento segue i banditi che raggiungono i loro cavalli. E però, nuovamente, si tratta di movimenti che seguono i personaggi senza mai avvicinarli, e soprattutto senza mai isolarne il volto.13 Anzi, i personaggi restano in un certo senso senza volto per lo spettatore, che nonostante sia inquieto per l’esito dell’intrigo non è particolarmente in pena per le sorti del telegrafista, né è dispiaciuto per il fuochista o per il passeggero uccisi. Perché non sa nulla di loro, come non sa nulla dei banditi – non indovinia neppure quale dei quattro rimanga ucciso per primo, durante l’inseguimento. Lo spettatore, del resto, non conosce il volto e neppure il nome dei personaggi. Né degli attori; “Broncho Billy” Anderson, infatti, che praticamente inizia qui la sua fortunata carriera di attore western, può recitare più ruoli distinti senza che nessuno se ne avveda. Stando al catalogo, solo il capo dei fuorilegge ha un nome: quello del suo interprete Barnes, che è anche il solo di cui si veda il volto da vicino.

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6. L’emblematic shot di Barnes L’immagine di Barnes che spara in direzione del pubblico in sala è non solo emblematica, come vuole la sua definizione di emblematic shot, ma anche problematica sotto più di un aspetto. Anzitutto, è la sola il cui taglio sia assimilabile a ciò che oggi chiameremmo un “mezzo primo piano”, dove un personaggio è inquadrato fino al busto, quindi sufficientemente da vicino perché lo spettatore ne veda il volto. Poi, come si è già accennato, è anche la sola che non rappresenta un momento dell’azione, perciò la sua collocazione era ritenuta facoltativa. Attenzione, però: chi acquistava il film era libero di proiettarla indifferentemente alla fine o all’inzio, ma non al centro del film! Secondo alcuni studiosi, ciò sarebbe rivelatore della contraddizione, propria del cinema delle origini, tra l’autonomia delle singole vedute e la necessità di integrarle in un montaggio continuo, fatto della successione di più inquadrature interdipendenti ma complicate da gestire. Secondo altri, l’autonomia fin troppo evidente di questo mezzo primo piano sottolineerebbe la forte componente attrazionale che caratterizza comunque ogni immagine nel cinema di quegli anni. Questo emblematic shot, infatti, non solo non è “informativo”, ma non è neppure “espressivo” come lo saranno di lì a poco molti primi piani e mezzi primi piani; è invece un’attrazione, un’immagine spettacolare. Non a caso, The Great Train Robbery veniva commercializzato anche con alcune parti colorate, tra cui figurano l’esplosione della dinamite (nella terza scena), il cappottino della figlia del telegrafista (nella decima scena), gli addobbi della sala da ballo e gli abiti di alcune danzatrici (nell’undicesima scena), i colpi di pistola (nella dodicesima e nella tredicesima

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scena), gli abiti di Barnes e i colpi sparati dalla sua pistola in direzione del pubblico (nella quattordicesima scena), che risaltavano particolarmente contro il fondale neutro, scuro, tipico di queste vedute. Questo emblematic shot, cioè, seppur “facoltativo” nella sua collocazione, era fortemente “attrattivo” e questa sua componente così importante non era affatto in contraddizione con il realismo di cui si voleva portatore, come suggerisce apertamente il catalogo, dove la “scena” è intitolata Realism. Secondo Noël Burch, infine, proprio per il suo particolare avvicinamento al personaggio questa immagine si darebbe come una rottura della distanza (accentuata, verrebbe da aggiungere, dal fatto che Barnes rivolge i suoi spari contro lo spettatore, interpellandolo individualmente, ma ribadendo ugualmente la sua estraneità rispetto allo spazio del film). Infatti, secondo Burch, questo piano ravvicinato di Barnes si darebbe come l’introduzione di una presenza individualizzata, che si pone in aperta contraddizione con l’anonimato “lillipuziano” dei personaggi dominante nel resto della pellicola, tanto da far problema e non sapere dove metterlo, se non all’inizio o alla fine, appunto, purché non dentro il film.14 Ma allora, in quest’ultima prospettiva senz’altro interessante, possiamo aggiungere che si profila una questione ulteriore: questo emblematic shot, infatti, rappresenta il solo volto che ha anche un nome (quello di Barnes) e si tratta del volto e del nome di un “cattivo”, anziché di un “buono”. Prelude, perciò, al modo in cui molto cinema americano tratterà buoni e cattivi, dipingendo ben presto questi ultimi come assai più interessanti dei primi, anche quando trasmette il messaggio edificante e moralmente ineccepibile secondo cui “il crimine non paga”.

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Certo è che questa immagine è rimasta fra le più indelebili nella memoria della storia del cinema. In omaggio a Porter, il regista Martin Scorsese la ripropone identica in Goodfellas (Quei bravi ragazzi, 1991), con Joe Pesci nel ruolo che era stato di Barnes.

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NOTE AL TESTO

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La maggior parte delle storie del cinema scritte prima degli anni Settanta del secolo scorso tendeva a ignorare il cinema delle origini (fatta eccezione per i nomi di Lumière, Méliès e pochi altri), oppure a considerarlo come un’epoca di “balbettio primitivo” durante la quale alcuni ardimentosi pionieri si erano adoperati per inventare le forme del linguaggio cinematografico che conosciamo oggi, lasciandosi alle spalle tentativi più o meno goffi e dimostrazioni di inferiorità estetica, narrativa e formale. Si guardava al cinema delle origini, cioè, da una prospettiva “teleologica”, vale a dire di chi considera il proprio presente come il punto di arrivo a cui il passato è inevitabilmente destinato. Questo atteggiamento è radicalmente cambiato in seguito a un celebre simposio organizzato nel 1978 dalla FIAF (Federazione Internazionale degli Archivi del Film) a Brighton, in Inghilterra, nel corso del quale furono proiettati circa 600 film delle origini davanti a un pubblico di archivisti e studiosi che avrebbero rifondato la storiografia del cinema, cessando definitivamente di considerare gli anni precedenti alla prima guerra mondiale come quelli di un cinema inferiore al successivo e privo di regole, per mettere finalmente in luce la specificità estetica e culturale, nonché tutto lo spessore, di una produzione dotata di codici propri e di un proprio modo di rappresentazione, che lo studioso Noël Burch ha chiamato Modo di Rappresentazione Primitivo (cfr. La lucarne de l’infini. Naissance du langage cinématographique, Paris, Nathan, 1991; trad. it., Il lucernario dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico, Milano, Il Castoro, 2001), in contrapposizione al successivo Modo di Rappresentazione Istituzionale. Oltre al già citato volume di Noël Burch (cfr. supra la nota 1),

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La grande rapina al treno si veda anche Tom Gunning, “Le style non-continu du cinéma des premiers temps (1900-1906)”, in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque, n. 29, inverno 1979; e “The Cinema of Attractions: Early Film, its Spectator and the Avan-Garde”, Wide Angle, nn. 3-4, 1986. La definizione di “cinema delle attrazioni” si è imposta assai presto presso la comunità degli studiosi di cinema delle origini, al punto da generare, vent’anni dopo la sua introduzione ufficiale, una sorta di bilancio; in proposito si veda The Cinema of Attractions Reloaded, a cura di Wanda Strauven, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2006. In Italiano si veda in particolare André Gaudreault, Il cinema delle origini – o della “cinematografia attrazione”, Milano, Editrice Il Castoro, 2004. I legami tra il cinema delle origini e la tradizione della lanterna magica sono numerosi e tutti assai importanti. Su questo aspetto particolare a proposito di The Life of an American Fireman si veda Charles Musser, “The Early Cinema of Edwin S. Porter”, Cinema Journal, XIX, n. 1, autunno 1979 (pubblicato anche in francese con il titolo “Les débuts d’Edwin S. Porter”, seguito da “Bob the Fireman, verres pour lanterne magique”, in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque n. 29, inverno 1979). Sul montaggio nelle due versioni di questo film si veda anche André Gaudreault, “Detours in Film Narrative. The Development of Cross Cutting”, Cinema Journal, XIX, n. 1, autunno 1979 (pubblicato anche in francese con il titolo “Les détours du récit filmique (Sur la naissance du montage parallèle)”, in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque, n. 29, inverno 1979). Quanto alla lettura dei film di Porter precedente al rinnovamento degli studi sul cinema delle origini, si veda un esempio significativo in Lewis Jacobs, The Rise of American Film. A Critical History, New York, Harcourt, Brace & Co., 1939 (trad. it. L’avventurosa storia del cinema americano, vol. I, Dagli esordi all’apogeo del muto, Milano, Il Saggiatore, 1966). Si veda Charles Musser, Before the Nickelodeon. Edwin S. Porter and the Edison Manufacturing Company, Berkeley / Los Angeles, University of California Press, 1991. Su questo tema affascinante si veda il fondamentale studio di

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Note al testo

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Wolfgang Schivelbush, Geschichte der Eisenbahnreise, München / Wien, Carl Hanser Verlag, 1977 (trad. it. Storia dei viaggi in ferrovia, Torino, Einaudi, 1988), che riprende il termine “panoramatizzazione” da Dolf Sternberger, Panorama, oder Ansichten vom 19. Jahrhundert, Hamburg, H. Gloves Verlag, 1938; in italiano, sulla tradizione dei Panorami si veda almeno Silvia Bordini, Storia del Panorama. La visione totale nella pittura del XIX secolo, Roma, Officina, 1984. Sui rapporti tra viaggio ferroviario e cinema si veda in particolare Jacques Aumont, L’œil interminable. Cinéma et peinture, Paris, Séguier, 1989 (trad. it. L’occhio interminabile. Cinema e pittura, Venezia, Marsilio, 1991); si veda anche Elena Dagrada, La rappresentazione dello sguardo nel cinema delle origini in Europa. Nascita della soggetiva, Bologna, CLUEB, 1998; e Between The Eye and the World. The Emergence of Point-of-View Shot, Bruxelles, Peter Lang, 2012. Tutte le citazioni in inglese sono tratte dal catalogo della Edison Manufacturing Company, n. 200, supplemento di gennaio 1904, pp. 5-7. Per la traduzione italiana si veda il testo pubblicato qui come corredo alle immagini tratte dai fotogrammi delle varie scene. In alcune copie del film questo frammento di azione non compare; ciò può dipendere dal fatto che i fotogrammi in questione siano “caduti” e andati perduti, ad esempio per usura. Naturalmente le sovrapposizioni temporali non sono scomparse del tutto (così come non sono scomparse le “attrazioni” e quasi tutto ciò che è stato messo a punto nel corso del cinema delle origini). Il loro uso, però, risulta nel tempo assai differente, come è possibile vedere in un film relativamente recente, costruito interamente su questo procedimento: Night on Earth (Taxisti di notte), Jim Jarmush, 1992. A proposito di questo procedimento nel cinema delle origini si veda in particolare André Gaudreault, “Temporality and Narrativity in Early Cinema, 1895-1908”, in Film Before Griffith, a cura di John L. Fell, Berkeley / Los Angeles / London, University of California Press, 1983. Notiamo che questa contemporaneità è segnalata come tale anche nel catalogo; si veda qui la descrizione della quarta scena nella sezione IMMAGINI E PAROLE. Un altro vistoso caso di montaggio ripetitivo dell’azione in

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La grande rapina al treno The Life of an American Fireman si trova tra la terza e la quarta scena. Siamo nella caserma dei pompieri e nella terza scena (Sleeping Quarters) vediamo i pompieri svegliarsi e scendere uno a uno lungo il palo metallico che li collega alla scuderia posta al piano di sotto; nella quarta (Interior of Engine House), li vediamo scendere di nuovo uno a uno, sempre aggrappati allo stesso palo, ma questa volta inquadrati dall’interno della scuderia, dove si trovano i cavalli e i carri. Gunning introduce l’espressione “montaggio ripetitivo dell’azione” nel saggio “Le style-non continu du cinéma des premiers temps (19001906)”, in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque, n. 29, inverno 1979. Un’espressione utile perché, rispetto al procedimento delle sovrapposizioni temporali, descrive un caso più specifico: quello in cui la sovrapposizione temporale è resa evidente dalla rappresentazione di una stessa azione ripetuta due volte, da due prospettive differenti. È chiaro che trattandosi di un orologio di cartone dalle lancette dipinte, la cui posizione è quindi immodificabile, può solo e sempre segnare le stesse ore nove. Tuttavia, è lecito osservare che sarebbe stato possibile non inserire tale orologio nella scenografia; la sua presenza, perciò, non può essere casuale. E sebbene la nostra abitudine al rispetto della “verosimiglianza” ci spinga a supporre che debba trascorrere almeno qualche minuto tra il tentativo di alzarsi compiuto dal telegrafista per raggiungere il telegrafo, il suo successivo svenimento e l’arrivo della bambina, è vero altresì che tale rispetto della verosimiglianza è del tutto assente nel cinema delle origini, specie per quanto riguarda la percezione del tempo (non dimentichiamo che si tratta di un cinema i cui film durano in genere solo pochi minuti, anche quando raccontano storie che si articolano in un lungo arco di tempo). Se fossero trascorse alcune ore, perciò, semplicemente in quell’ufficio non ci sarebbe nessun orologio. Si vedano diverse riflessioni sul tema in André Gaudreault, “Les détours du récit filmique (Sur la naissance du montage parallèle)”, in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque, n. 29, inverno 1979; e “De L’arrivée d’un train à The Lonedale Operator: une trajectoire à parcourir”, in D.W. Griffith, a cura di Jean Mottet, Paris, L’Harmattan / Ramsay Poche, 1984 (trad. it.,

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Note al testo

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“Da L’arrivée d’un train a The Lonedale Operator: un itinerario”, in Da Edison a Griffith, a cura di Riccardo Redi, Roma, Di Giacomo, s.d.). L’inseguimento diverrà presto un topos narrativo del cinema delle origini, che si svilupperà al centro di un vero e proprio genere e si rivelerà cruciale per l’avvento del Modo di Rappresentazione Istituzionale. Individuato in nuce già in un piccolo film composto da una sola veduta (The Miller and the Sweep, G. A. Smith, 1897), conosce uno sviluppo sia drammatico (per esempio in Stop Thief!, Williamson, 1901; A Daring Daylight Burglary, Sheffield, 1903; Desperate Poaching Affray, British Gaumont / W. Haggar, 1903; The Escaped Lunatic, Biograph, 1903), sia comico (Dix femmes pour un mari, Pathé 1905; La course à la perruque, Pathé 1906; Un testamento originale, Ambrosio 1907; Coco poliziotto, Cines 1910). Sull’argomento si veda soprattutto Noël Burch, La lucarne de l’infini. Naissance du langage cinématographique, Paris, Nathan, 1991 (trad. it., Il lucernario dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico, Milano, Il Castoro, 2001). Si tratta di un aspetto che caratterizzerà i movimenti di macchina per lungo tempo, anche quando farà il suo ingresso ufficiale nel mondo del cinema il “carrello”, nel 1913 in Italia, per opera di Giovanni Pastrone che lo utilizzò la prima volta nel film Cabiria; in proposito si veda Elena Dagrada, André Gaudreault, Tom Gunning, “Lo spazio mobile. Del montaggio e del carrello in Cabiria”, in Cabiria e il suo tempo, a cura di Paolo Bertetto e Gianni Rondolino, Torino / Milano, Museo Nazionale del Cinema / Il Castoro, 1998. Si veda ancora una volta Noël Burch, La lucarne de l’infini. Naissance du langage cinématographique, Paris, Nathan, 1991 (trad. it., Il lucernario dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico, Milano, Il Castoro, 2001).

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BIBLIOGRAFIA SELETTIVA

BURCH, Noël, “Porter ou l’ambivalence”, in Le cinéma américain. Analyses de films I, a cura di Raymond Bellour, Paris, Flammarion, 1980. BURCH, Noël, La lucarne de l’infini. Naissance du langage cinématographique, Paris, Nathan, 1991 (trad. it., Il lucernario dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico, Milano, Il Castoro, 2001). GAUDREAULT, André, “Detours in Film Narrative. The Development of Cross Cutting”, Cinema Journal, XIX, n. 1, autunno 1979; pubblicato anche in francese con il titolo “Les détours du récit filmique (Sur la naissance du montage parallèle)”, in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque, n. 29, inverno 1979. GAUDREAULT, André, “De L’arrivée d’un train à The Lonedale Operator: une trajectoire à parcourir”, in D.W. Griffith, a cura di Jean Mottet, Paris, L’Harmattan / Ramsay Poche, 1984 (trad. it., “Da L’arrivée d’un train a The Lonedale Operator: un itinerario”, in Da Edison a Griffith, a cura di Riccardo Redi, Roma, Di Giacomo, s.d.).

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La grande rapina al treno

GAUDREAULT, André, “Temporalité et narrativité: le cinéma des premiers temps (1895-1908)”, Etudes littéraires, XIII, n. 1, 1980; pubblicato anche in inglese con il titolo “Temporality and Narrativity in Early Cinema, 1895-1908”, in Film Before Griffith, a cura di John L. Fell, Berkeley/ Los Angeles/ London, University of California Press, 1983. GUNNING, Tom, “Le style non-continu du cinéma des premiers temps (1900-1906)”, in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque, n. 29, inverno 1979. GUNNING, Tom, “The Cinema of Attractions: Early Film, its Spectator and the Avant-Garde”, Wide Angle nn. 3-4, 1986. MUSSER, Charles, A Tribute to Edwin Porter, New York, Museum of Modern Art, 1978. MUSSER, Charles, “The Early Cinema of Edwin S. Porter”, Cinema Journal, XIX, n. 1, autunno 1979; pubblicato anche in francese con il titolo “Les débuts d’Edwin S. Porter (seguito da “Bob the Fireman, verres pour lanterne magique”), in Le cinéma des premiers temps, a cura di André Gaudreault, Les Cahiers de la Cinémathèque, n. 29, inverno 1979. MUSSER, Charles, Before the Nickelodeon. Edwin S. Porter and the Edison Manufacturing Company, Berkeley / Los Angeles, University of California Press, 1991.

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APPROFONDIMENTI INTERDISCIPLINARI

The Great Train Robbery potrebbe essere inserito nell’ambito di uno studio sui rapporti tra cinema e ferrovia, a partire dai seguenti testi: Wolfgang Schivelbush, Geschichte der Eisenbahnreise, München / Wien, Carl Hanser Verlag, 1977 (tr. it. Storia dei viaggi in ferrovia, Torino, Einaudi, 1988); Dolf Sternberger, Panorama, oder Ansichten vom 19. Jahrhundert, Hamburg, H. Gloves Verlag, 1938; Silvia Bordini, Storia del Panorama. La visione totale nella pittura del XIX secolo, Roma, Officina, 1984. Jacques Aumont, L’œil interminable. Cinéma et peinture, Paris, Séguier, 1989 (tr. it. L’occhio interminabile. Cinema e pittura, Venezia, Marsilio, 1991); Elena Dagrada, La rappresentazione dello sguardo nel cinema delle origini in Europa. Nascita della soggetiva, Bologna, CLUEB, 1998. I film delle origini in cui il treno risulta protagonista o agisce quasi alla stregua di un personaggio sono molteplici. Si segnalano almeno: Arrivée d’un train à La Ciotat, o Arrivée d’un train en gare (Lumière, 1895 e 1996); Voyage dans un train (Pathé 1896), Panorama à l’arrière d’un train (Pathé 1897/9); The Kiss in the Tunnel (G. A. Smith, 1899); Cuddling in The Dark (Bamforth 1899); View From an Engine Front (Hepworth 1899); Phantom Ride:

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La grande rapina al treno

Chamonix (R.W. Paul 1900); Arrivée de train en gare de Chatou avant et arrière (Pathé 1901), Love in a Railroad Train (Lubin, 1902), What Happened in the Tunnel (Porter, 1903).

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IMMAGINI E PAROLE

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Questa descrizione delle scene di The Great Train Robbery, tradotta in italiano e posta a fianco delle immagini di un fotogramma per ogni scena, è tratta dal catalogo n. 200 della Edison Manufacturing Company, supplemento di gennaio 1904, pp. 5-7. Si segnala la possibilità di scaricare gratuitamente e legalmente il film (purché non a scopo di lucro) dai seguenti siti: http://memory.loc.gov./ammem/edhtml/gtr.html http://www..archive.org./details/the-great-trainrobbery

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La grande rapina al treno

SCENA 1 INTERNO DELL’UFFICIO DEL TELEGRAFO DI UNA STAZIONE FERROVIARIA

Entrano due banditi mascherati e costringono il telegrafista a dare il segnale di stop per fermare il treno in arrivo, nonché a scrivere un finto ordine per il macchinista affinché faccia rifornimento d’acqua al serbatoio di quella stazione, anziché a Red Lodge come previsto. Il treno si ferma; il macchinista si avvicina allo sportello dell’ufficio e lo spaventatissimo telegrafista gli consegna l’ordine, mentre i banditi si nascondono, minacciandolo con le loro pistole. Appena il macchinista se ne va, i fuorilegge legano e imbavagliano il telegrafista e si allontanano in fretta per raggiungere il treno che si è rimesso in moto.

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SCENA 2 AL SERBATOIO D’ACQUA

Vediamo la banda al completo nascosta dietro il serbatoio, mentre il treno si ferma per fare rifornimento (come indicato nel finto ordine). Poco prima che si rimetta in moto, i banditi saltano furtivamente sul convoglio tra il vagone postale e il tender.

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SCENA 3 INTERNO DEL VAGONE POSTALE

Il guardiano è intento a svolgere il suo lavoro. Allarmato da un rumore insolito, si accosta alla porta, guarda attraverso il buco della serratura e vede due uomini che cercano di forzarne l’accesso. Indietreggia sgomento, ma subito si riprende e chiude in fretta la robusta cassetta portavalori, gettando la chiave fuori dalla porta scorrevole laterale. Estrae la pistola e si nasconde dietro una pila di bauli. Nel frattempo i due rapinatori sono riusciti a forzare la porta e penetrano furtivamente nel vagone. Il guardiano apre il fuoco e ha inizio una terribile sparatoria, durante la quale il guardiano viene ucciso. Uno dei due rapinatori fa il palo mentre l’altro cerca di aprire la cassetta portavalori; trovandola chiusa a chiave, fruga invano il cadavere del guardiano e si decide ad aprire la cassetta con la dinamite. Dopo aver fatto man bassa dei valori e dei sacchi della posta, i due banditi lasciano il vagone.

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SCENA 4 LA LOTTA SUL TENDER

Questa scena emozionante è stata ripresa dal vagone postale e mostra il tender e l’interno della locomotiva, mentre il treno viaggia a quaranta miglia l’ora. Intanto che due dei banditi saccheggiano il vagone postale, gli altri due sono saliti sul tender. Uno di loro tiene a bada il macchinista, mentre l’altro minaccia il fuochista, che afferra la pala del carbone e salta sul tender, dove si scatena una lotta tremenda. Bandito e fuochista combattono furiosamente sopra il tender, correndo il rischio di precipitare. Cadono infine avvinghiati sul fondo del tender, ma il bandito ha la meglio, afferra un blocco di carbone e colpisce il fuochista alla testa fino a fargli perdere i sensi, quindi lo scaraventa giù dal treno che corre a gran velocità. Allora i banditi costringono il macchinista a fermare il convoglio.

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SCENA 5 LO SGANCIAMENTO DEL TRENO

La scena mostra il treno che si ferma. Minacciato dai rapinatori, il macchinista scende dalla locomotiva, la sgancia dal resto del treno e la allontana ulteriormente di un centinaio di “piedi”.

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SCENA 6 ESTERNO DELLE CARROZZE PASSEGGIERI

I banditi costringono i passeggeri a lasciare le carrozze con le mani in alto e ad allinearsi lungo i binari. Uno dei rapinatori li minaccia con una pistola in ogni mano, mentre gli altri ne svuotano le tasche. Un passeggero tenta di fuggire, ma viene freddato all’istante. Dopo aver recuperato tutto il bottino, i banditi terrorizzano i passeggeri sparando in aria e si dirigono correndo verso la locomotiva.

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SCENA 7 LA FUGA

I desperadoes salgono sulla locomotiva con il bottino, ordinano al macchinista di partire e si dileguano in lontananza.

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SCENA 8 VERSO LE MONTAGNE

I rapinatori fanno fermare la locomotiva diverse miglia lontano dal luogo della rapina e prendono la via delle montagne.

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SCENA 9 UNA BELLA SCENA IN UNA VALLE

I banditi discendono il versante di una collina e attraversano un piccolo ruscello. Non appena salgono sui loro cavalli, rimasti legati agli alberi del posto, svaniscono verso una landa selvaggia.

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SCENA 10 INTERNO DELL’UFFICIO DEL TELEGRAFO

Il telegrafista giace al suolo, legato e imbavagliato. Dopo molti sforzi riesce ad alzarsi, si piega sul tavolo, manovra il tasto del telegrafo con il mento per chiedere aiuto e sviene, sfinito. Entra la sua figlioletta, venuta a portargli da mangiare. Accortasi delle sue condizioni, taglia la corda che lega l’uomo, gli getta un bicchier d’acqua in faccia e lo aiuta a riprendere conoscenza. All’improvviso, il telegrafista ricorda la sua terribile esperienza e corre a dare l’allarme.

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SCENA 11 INTERNO DI UNA SALA DA BALLO

Questa tipica scena ambientata in un locale da ballo western mostra numerosi uomini e donne intenti a danzare una allegra quadriglia. Un “Piedi-dolci” compare sulla scena. Subito individuato, viene spinto al centro della stanza e obbligato a danzare una giga mentre gli astanti si divertono a sparargli pericolosamente vicino ai piedi. Improvvisamente la porta si spalanca e il telegrafista mezzo morto irrompe nel locale. La piccola folla gli si raccoglie intorno, mentre racconta l’accaduto. La danza viene interrotta con grande trambusto. Gli uomini impugnano i loro fucili e in tutta fretta abbandonano il locale per inseguire i fuorilegge.

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SCENA 12 LA SQUADRA LANCIATA ALL’INSEGUIMENTO

La scena mostra i banditi che galoppano a tutta velocità lungo l’accidentato dorsale di una collina, seguiti a breve distanza da un folto gruppo di uomini armati. Entrambi i gruppi sparano, pur continuando a cavalcare. Uno dei desperadoes viene colpito e cade da cavallo. Risollevandosi a stento, fa fuoco sull’inseguitore più vicino, ma viene subito ucciso.

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SCENA 13 BATTAGLIA MORTALE

I tre banditi rimasti, pensando di aver depistato gli inseguitori, sono scesi da cavallo. Dopo aver attentamente ispezionato i dintorni, cominciano a esaminare il contenuto dei sacchi con la refurtiva. Sono così profondamente assorti nella loro occupazione che non si accorgono della pattuglia incombente. Gli inseguitori, abbandonati i loro cavalli, si accostano silenziosamente ai banditi circondandoli completamente. Ha quindi inizio una battaglia disperata. Dopo una coraggiosa resistenza, tutti i rapinatori e diversi inseguitori giacciono a terra.

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SCENA 14 REALISMO

L’immagine a grandezza naturale di Barnes, capo della banda di fuorilegge, che prende la mira e spara direttamente verso ciascun individuo fra il pubblico. (Questo effetto è ottenuto avvicinando la ripresa). L’emozione che ne consegue è straordinaria. Questa parte di scena può essere adoperata tanto all’inizio quanto alla fine del film, come preferisce il proiezionista.

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PAROLE CHIAVE

America, Ballo, Banditi / banditismo, Cinema delle origini, Geografia, Identificazione, Mezzi di trasporto (Treno), Montaggio, Movimenti di macchina, Paesaggio, Profondità di campo, Scala dei piani (mezzo primo piano), Storia del cinema, Storia del linguaggio cinematografico, Violenza, Western.

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