La dialettica dell'astratto e del concreto nel Capitale di Marx

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ial'd Vasil'evic Il enkov

La dialettica dell'astratto

del concreto nel Capitale di Marx ~

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Titolo dell'opera originale

Dialektika abstraktnogo i konkretnogo v "Kapitale" Marba (Izdatel'stvo Akademii Nauk SSSR, Moskva, 1960) Traduzione dal russo di Vittorio Strada e Alberto Sandretti

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Prima edizione italiana: grngno 196 I Copyright by

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

Eval'd Vasil'evic Il'enkov

La dialettica dell'astratto e del concreto nel Capitale di Marx

Feltrinelli Editore Milano

Prefazione

Dialettica scientifica e teoria del valore

I Nei suoi termini piu generali, la teoria marxista della dialettica può essere enunciata come una teoria, insieme, dell' " unità." e dell'" esclu- ' sione " degli opposti, cioè come una · teoria che cerca di garantire, al tempo stesso, sia il momento della conoscenza (vale a dire, la possibilità che i termini della opposizione o contraddizione siano presi insieme e com-presi), sia il momento della realtà o oggettività della contraddizione stessa. La teoria può riassumersi, quindi, in due esigenze o istanze fondamentali. La prima: che la specificità o differenza di un oggetto da tutti gli altri risulti com-prensibile, cioè relazionabile mentalmente a quel diverso che l'oggetto non è, ovvero a tutto quel rimanente da cui l'oggetto è diverso. La seconda: che questa comprensione non abolisca, a sua volta, la "differenza," che la conoscenza non esaurisca in sé la realtà, cioè che la compresenza o riso1uzione degli opposti nella ragione non venga presa per la risoluzione e abolizione della loro opposizione reale. Il marxismo assume queste due istanze per evitare sia l'" agnosticismo" (o idealismo empirico-soggettivo) che l'idealismo hegeliano. Assume la prima - quella dell'unità o relazione degli opposti - perché altrim.tmti gli opposti (essere e pensiero) sarebbero irrelati vi, e non vi sarebbe ·possibilità di conoscenza. Assume la seconda - quella della loro distinzione o esclusione - perché l'unità degli opposti sarebbe, altrimenti, una identità immediata, cioè una conoscenza che, avendo " gi~ " esaurito in sé tutta la realtà, risulterebbe precostituita " da sempre. " La teoria cerca di costruirsi, quindi, a questo modo, non per salvare un "credo" ma, piu semplicemente, per salvare il salvabile, per "salvare i fenomeni ": cioè per salvare, contro l'agnosticismo, il fatto che, bene o male, vi è un sapere, e, contro Hegel, il fatto che questo sapere, a sua

Prefazione

volta, ha un progresso e una storia aperta, che esso cioè è un sapere che si corregge con la pratica e si rettifica col procedere dell'esperienza. Necessità, quindi, dell'unità degli opposti; necessità, vale a dire, che la realtà sia comprensibile; che la diversità di un oggetto da tutti gli altri " si acuisca " a differenza essenziale, 1 cioè a opposizione-relazione; che il "questo" (ch'è l'oggetto o fenomeno reale) passi a costituire il " tanto questo che quello," cioè quell'unità o relazionalità degli opposti ch'è appunto la ragione. E, d'altra parte, necessità della distinzione; necessità di tener conto, ossia, che - se la realtà per un verso è correlativa al pensiero e, quindi, è un suo opposto componibile - essa non se ne lascia tuttavia mai esaurire, ma perennemente lo sopravanza, donde la necessità della controprova e della verifica. La teoria che la ragione è relazionalità, cioè unità o compresenza degli opposti, è quanto il marxismo deve a Hegel. Il celebre " nucleo razionale " della dialettica hegeliana è, appunto, la sua teoria della ragione, la teoria del "negativo. " La grandezza di questa teoria risalta appieno quando si consideri che solo Hegel ha saputo svolgere con coerenza e rigore l'idea che il pensiero non è un oggetto, che la ragione non è un positivo o una cosa; che solo egli ha saputo produrre il concetto adeguato di ciò che è l'infinito o pensiero. In tutte le filosofie anteriori, infatti (si trattasse di Schelling o di Spinoza, di Leibniz o di Cartesio), l'infinito era inconsapevolmente tenuto per ciò che sta accanto o di sopra o di . là dal finito. Risultava, vale a dire, solo come un lato dell'opposizione, solo come un termine uni-laterale. Quando " l'intelletto che si solleva da questo mondo finito, sale a ciò che val per lui come supremo, all'infinito, questo mondo finito resta fermo " per queste filosofie, Hegel dice, "come un al di qua, " 2 accanto all'infinito che si dispone al di sopra: con la conseguenza che l'infinito viene a occupare, in tal modo, solo una parte o un lato, mentre l'altro è tenuto dal finito. "L'infinito, posto cosI, osserva però Hegel, è uno dei due. Ma in quanto è soltanto uno dei due, è esso stesso finito; non è l'intiero, ma soltanto l'un lato; ha il suo termine in quello che gli si contrappone; è COSI l'Infinito finito. Non si hanno dinanzi che due finiti." 3 1 HEGEL, Scienza della logica, II, Bari 1925, p. 72: "Una riflessione acuta, tanto per ricordarlo, consiste in un cogliere ed enunciare la contraddizione. " Ancora su questo concetto di "riflessione acuta " o "differenza essenziale," si veda il vol. III, pp. 56-7. 2 HEGEL, Scienza della logica, I cit., pp. 149-150. 3 lvi, p. 155.

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Dialettica scientifica e teoria del valore

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L'errore quindi delle passate filosofie sta nel fatto che, contro il loro stesso proposito, esse son cadute nella contraddizione di rendere determinato ciò che è indeterminato, uni- ciò che è anni-laterale: senza avvedersi che, quando l'infinito è preso solo come uno dei due, esso è ridotto a essere un finito o una cosa, cioè un positivo per il quale viga ancora il principio di identità e di non-contraddizione. Da una parte sta il .finito e dall'altra l'infinito: ma, appunto perché deve essere solo sé e non anche I' " altro," l'infinito risulta méra identità con sé a differenza e a esclusione dell'opposto. L'unico modo, dunque, di concepire coerentemente l'infinito o pensiero, di cogliere adeguatamente il negativo, ciò che non è cosa (Unding), è quello di capire che il negativo è tale, proprio perché non è " uno dei due, " non è " questo " a esclusione e a differenza di " quello, " ma è "tanto questo che quello," cioè comprensione dell'intera opposi- ' zione; ovvero che esso non è un opposto, un termine ".fisso" o "unilaterale, " ma relazionalità e fluidità degli opposti. L'unico modo, insomma, di concepire in modo coerente, non contraddittorio, l'infinito, è - se si vuole evitare di ridurlo, di nuovo, a una cosa - quello di concepirlo (mirabile paradosso della logica cristiana contro la logica eidetica o greca) come dialettica e contraddizione. Marx deve a Hegel appunto questo: la concezione della ragione come dialettica, cioè come compresenza degli opposti, come conoscenza della contraddizione. Gli deve, in altre parole, l'idea che il pensiero è se stesso e l' " altro, " pensiero ed essere nel pensiero; che la ragione è medesimezza e alterità, tautòn-thateron, tauto-eterologia o dialettica. Con la differenza, tuttavia, che, mentre Hegel ha fatto della ragione il tutto, della negatività un assoluto o un ente a sé stante, perdendo con ciò stesso la funzione del negativo, ovvero trasformandolo, di nuovo, in un positivo o in una cosa 4; Marx, al contrario, ha salvaguardato il negativo, 4 Elaborando il concetto che il negativo è pensiero, relazionalità, Hegel ha dereificato le "forme fisse" e definite, i concetti-sostanza della vecchia metafisica. All'infinito di Spinoza, che, come " unilaterale " e non-contraddittorio, conserva ancora il carattere dell'" essere eleatico" o dell'astratta identità e, quindi, è ancora un infinito-cosa, egli ha opposto (com'è noto) che " la sostanza deve farsi soggetto, " negatività, pensiero. Se per questa parte, tuttavia, Hegel ha il merito indubbio (come Marx ha visto bene) di aver " fatto un blocco, nella sua Logica, di tutti questi spiriti fissi, " di averli " esposti e sistemati come momenti del processo d'astrazione " e, quindi, di aver sostituito " l'atto del circolare in sé .dell'astrazion~ a quelle fisse astrazioni"; egli non ha, d'altra parte, potuto ·evitare, a sua volta, di sostantificare, di nuovo, l'astrazione (seppure non piu nei suoi singoli " momenti, " ma come totalità). Nell'attimo stesso in cui ha trovato il con-

Prefazione

cioè la relazionalità razionale, facendone appunto la funzione di un positivo o empiria, cioè dell'oggetto esterno e reale; ovvero ha demistificato la vecchia Idea-sostanza convertendola da ipostasi in ipotesi. 5 Abbiamo cominciato col dire che la teoria marxista della dialettica è una teoria dell'unità e dell'esclusione, insieme, degli opposti; una teoria degli opposti sia come reciprocamente inclusivi o razionali, sia come opposti escludentisi l'un l'altro o estremi reali. Possiamo precisare ora che la teoria richiede, dunque, non solo la tauto-eterologia ma anche l'identità esclusiva; non solo la ragione (la dialettica o contraddizione), ma anche la materia (la puntualità dirimente gli opposti o non-contraddizione); non solo l'astrazione o pensiero, la totalità razionale (il "tanto questo che quello"), ma anche la determinatezza ("questo" e non "quello"). La teoria, potremmo dire, è, quindi, una dialettica materialistica, o meglio - essendo questa denominazione ormai irrimediabilmente corrotta e compromessa - è identità tautoeterologica, cioè astrazione e determinatezza al tempo stesso, astrazione determinata o concreta. 6 È, cetto del negativo, Hegel ne ha smarrito, in altre parole, la funzione facendone una " negatività assoluta, " cioè facendone - come dice Marx - " un'astrazione che si fissa di nuovo come tale e che viene pensata come una autonoma attività" (cfr. MARX, Opere filosofiche giovanili, Roma 1950, pp. 309-ro-II), o, insomma, scambiando l'astrazione con un oggetto o particolare. 5 Nel caso di Hegel, la tauto-eterologia dialettica o ragione - dovendo fungere da sostrato o soggetto - si scambia col particolare, ne assume la medesimezza o identità esclusiva, risultando, cosi, gravata da un'empiria indigesta che la rende fissa, (viziosamente) piena, cioè incapace di funzionare come ragione, come coscienza dell'alternativa, cioè come criterio dell'esperienza. Nel caso di Marx, al contrario, l'assunzione materialistica che il finito o empiria è un positivo, cioè che esso non è un "momento ideale, " non è interno al pensiero, ma sussiste per sé, ottiene l'effetto che - mentre il ruolo dell'essere viene addossato all'extramentale la ragione risulta, da parte sua, solo predicato-funzione, invece che soggetto-sostrato; che essa risulta, cioè, carente (in sé) di realtà e, perciò, vuota o ipotetica, cioè ragione " libera di ogni particolarità o empiricità immediata, indigesta, '' seppure " niente affatto libera, ossia astratta, dalla particolarità o empiricità (mentre pur distinta per natura da quest'ultima)" (cfr. G. DELLA VOLPE, Logica come scienza positiva, Messina-Firenze 1956, p. 151). Questa connessione esistente tra il materialismo, come affermazione della positività o esteriorità del sensibile, e la " scepsi razionale, " in quanto critica della vecchia ragione dogmatica o sostanzialistica, ha il suo primo grande annuncio, nell'età moderna, con la critica di Kant a Leibniz. 6 Per il concetto di identità tautoeterologica, cfr. G. DELLA VoLPE, op. cit., pp. 147 sgg. Per la ripresa del principio di identità o non-contraddizione, non - ovviamente nel senso parmenideo-scolastico, ma in quello materialistico, o aristotelico originario (definito, ad es., in Metafisica, IX, X, 1051 b), cfr. anche AnAM ScHAFF, La te9ria della verità nel materialismo e nell'idealismo, a cura di A. Mazzone, Milano 1959, pp. 26 sgg. Dello stesso autore si veda ora anche l'art. Marxist Dialectics and the Principle of Contradiction in "The Journal of Philosophy," voi. LVII, n. 7, 31 marzo 1960, pp. 241-250.

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