La Cavalcata dei Magi Benozzo Gozzoli. Storia, ermetismo e antiche simbologie 9788899695453


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La Cavalcata dei Magi Benozzo Gozzoli. Storia, ermetismo e antiche simbologie
 9788899695453

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Costanza Riva

La Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli Storia, ermetismo e antiche simbologie

ANGELO PONTECORBOU EDITORE FIRENZE

( .0\(,111/

Euro 20,00 (ii)

Costanza Riva

La Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli Storia, ermetismo e antiche simbologie Palazzo Medici Riccardi-Firenze

ANGELO PONTECORBOLI EDITORE FIRENZE

IN COPERTINA: Benozzo Gozzoli, Cavalcata dei Magi, Re Gasparre, particolare della parete est. IN QUARTA DI COPERTINA: Benozzo Gozzoli, Cavalcata dei Magi, parete est (foto di Antonio Quattrone) .

Progetto editoriale: Angelo Pontecorboli

Tutti i diritti riservati Angelo Pontecorboli Editore, Firenze www .pontecorboli .com- info@pontecorboli. it ISBN 978-88-99695-45-3

INDICE

5 Presentazione di Eugenio Giani 7 Prefazione 1 3 Introduzione 13 La Dottrina Ermetica ed i suoi protagonisti 13 Ermete Trismegisto e l'origine dell'Ermetismo 19 La Magia o Scienza Eterna dei Magi Le correnti filosofico-religiose e la nascita 27 del Neoplatonismo Rinascimentale

27 34 36 36 47 47 52 56 63 66 71

Platone e il mito della caverna Aristotele e il geocentrismo La diffusione della Dottrina Ermetica in Europa tra il XIII e XIV secolo

Dante Alighieri e l'ermetismo dei Rosacroce e dei Fedeli d'Amore I..:eccellenza politico-culturale dei Medici nel XV secolo Cosimo "il Vecchio" Il Concilio di Firenze e la lungimiranza di Cosimo il Vecchio Il pensiero teologico di Giorgio Gemisto Pletone · e di Giovanni Bessarione Ermetismo e Arte alla corte di Piero de' Medici Marsi/io Ficino e l'Accademia Neoplatonica Neoplatonismo e mecenatismo alla corte di Lorenzo il Magnifico

77 La Cappella dei Magi di Palazzo Medici 77 [innovativa architettura del Michelozzo 86 Le simboliche geometrie della Cappella 91 Le geometrie del pavimento l 05 Le geometrie del soffitto l 09 L''Adorazione del Bambino" di Filippo Lippi

121 121 128 131 138 148 159

Simboli e allegorie nel ciclo pittorico di Benozzo Gozzoli

L'Agnus Dei Un elegante tessuto di simboli ermetici Un raffinato e sontuoso cerimoniale Pietre preziose e talismani Il linguaggio simbolico dei colori Fiori e piante simboliche

177 La Cavalcata dei Magi, un solare viaggio mistico-iniziatico Parete est, il Sole alle prime luci dell'Alba 180 Parete sud, il Sole allo Zenit 193 Parete ovest, il Sole al Tramonto 202 Parete nord, il mistico ingresso alla Scarsella 221 Scarsella, Natività e Cori Angelici 224 I Cori Angelici della parete nord-ovest 238 I Cori Angelici della parete nord-est 245 I Re Magi e la Dottrina della Salvezza 254 Conclusioni

259 259

Ermetismo come fonte di Sapienza

267

Bibliografia

Presentazione

Laffresco di Benozzo Gozzoli realizzato nel 1 459 nella Cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi rappresenta il dipinto simbolo dell'Epifania fiorentina. Lopera realizzata da Gozzoli, allievo di Fra Giovanni Angelico, ricorda la visita dei re Magi (Baldassare, Mel­ chiorre e Gaspare) alla Natività e fu realizzato inserendo i principali personaggi della famiglia dei Medici nel corteo che portò omaggi al Bambino Gesù. Il legame di Firenze con questa ricorrenza è viscerale e lo dimostra quanto ancora oggi sia sentita la tradizionale Cavalcata dei Magi che si svolge il giorno dell'Epifania, un appuntamento che ha assunto un rilievo a livello nazionale per la partecipazione di pub­ blico e di autorità. All'origine delle manifestazioni più sentite dei no­ stri territori c'è una matrice religiosa, questo perché apparteniamo ad una civiltà, quella europea, che si è formata su duemila anni di civiltà cristiana, di cui non si può non riconoscere il valore nella formazione, crescita e trasmissione dei valori, fatto che vale per tutti, credenti e non credenti, fedeli e laici. Solo per rimanere a Firenze ricordo un'al­ tra festa tradizionale per la città: lo Scoppio del Carro. Questo bellissimo volume di Costanza Riva rappresenta un en­ tusiasmante viaggio tra i simboli della Cavalcata dei Magi di Gozzo­ li, in parte desunti dall'immaginario araldico mediceo, ma non solo. Quello in Palazzo Medici Riccardi è una vera e propria celebrazione 5

della famiglia Medici, celebrazione che passa anche attraverso le innu­ merevoli citazioni delle "palle" dello stemma e dei simboli disseminati nelle vesti, nei finimenti e negli accessori dei personaggi. I...:autrice non si limita a ripercorrere la simbologia di uno degli affreschi più suggestivi presenti nei palazzi pubblici fiorentini, ma ripercorre tutto un pensiero, quello neoplatonico. Durante il Quattrocento il gran­ de interesse per l'antichità classica spinse umanisti al recupero e alla rilettura delle opere più significative del mondo classico in ambito filosofico, politico, scientifico e letterario. In questo contesto culturale assunse un'importanza particolare la riscoperta e lo studio del pensie­ ro di Platone condotto sulla totalità delle opere, ciò rappresentò un momento di svolta rinnovatrice della cultura del tempo, caratterizzata precedentemente dall'egemonia della tradizione scolastica e del pen­ siero aristotelico. Cosimo de' Medici, influenzato dalle lezioni che aveva tenuto a Firenze il filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletone ( 1 3 5 5 - 1452) , negli anni del Concilio per la riunificazione delle chie­ se d'Oriente e d'Occidente ( 1 438), concepì l'idea di un'Accademia platonica che si ponesse idealmente come erede di quella dell'antica Grecia fondata da Platone e ne rispecchiasse il modello. Fu Lorenzo il Magnifico a realizzare e sviluppare l'idea del nonno. E così, oggi, non possiamo che ritrovare tante tracce di ciò che rappresentò quella riscoperta anche nelle opere d'arte del tempo. E ugenio Giani Presidente del Consiglio regionale della Toscana

6

Prefazione "Per ogni anima viene, nel suo lungo e doloroso peregrinare, il momento in cui la vita diventa infelice, impossibile se non cono­ sce il motivo, il perché delle cose[ ] essa per un momento desiste dal febbrile e frenetico inseguimento delle illusioni e ormai stan­ ca, esausta, si ferma, sola, silenziosa, per riflettere. In quel punto la coscienza di un nuovo mondo è nata in quell'anima" 1• ...

La quotidianità di una vita comune, ordinaria, spesso vissuta sen­ za programmi e senza ideali, relega l'uomo e la donna in uno stato errabondo che tanto ricorda la Lama dei TarocchF del Matto, una carta che non ha numero perché rappresenta lo zero. Il Matto viene raffigurato come un uomo che sta girovagando portandosi dietro un fardello - colmo delle sue inutili e inconcluden­ ti azioni - mentre nell'altra mano impugna malamente un bastone che, invece di sostenerlo, sembra più adatto ad intralciargli il passo. Accanto a lui c'è un piccolo cane che cerca di svegliar! o, ma la sua incoscienza ed il suo modo di andare "a casaccio" sembrano portarlo 1

T. Palamidessi, L'A lchimia come via allo Spiri to, Arkeios, S.T.A. R.., Roma 200 1 , p. 30. La storia delle Lame del Tarocco ha un'origine molto antica ed una sua intima sa­ cralità. Fu Ermete Trismegisto o Ermete Thot a scrivere un libro composto di 22 Arcani maggiori e 56 Arcani Minori, prima su fogli di papiro e poi su lamine d'oro. Nonostante la devastazione persiana di Cambise, le Lame del Tarocco giunsero nei diversi Santuari occulti dell'India ed in altre regioni del mondo. I 22 Arcani Mag­ giori si riferiscono alla vita Divina e forniscono delle importanti chiavi di lettura per prendere contatto con quel Mondo, mentre i 56 Arcani Minori si riferiscono alla vita umana ed alle forze che la governano. In quelle Lame furono rappresentate figure allegoriche, simboli, numeri, lettere ebraiche ed egizie secondo l'antico insegnamento ermetico attinto dai Sacerdoti egiziani e riportato in luce dai detentori della Dottrina kabbalistica. Quelle carte assunsero nei collegi sacerdotali un significato profetico e talismanico e la loro utilizzazione fu riservata esclusivamente per ritualità teurgiche di alta sacrali tà. 2

7

davanti alle fauci spalancate di un coccodrillo, simbolo della forza Inferi, sempre pronta a far cascare nel suo tranello. Il Matto rappresenta l'uomo e la donna che non hanno capito di essere inseriti in un discorso evolutivo divino. Quel vagare senza meta comporta non pochi rischi, ma ignorando la vera ragione della loro esistenza, i due compiono il viaggio dalla vita alla morte arrabattan­ dosi per futili problemi, senza chiedersi mai il perché delle cose che a loro accadono. Secondo J .] . Van der Leeuw-3, dottore in lettere della fine del XIX secolo, l'uomo ordinario si è talmente identificato con la materia da dimenticare la sua originaria natura divina e, come un Prometeo incate­ nato alla roccia, non si sta accorgendo della sua prigionia. Solo quando, ad un certo punto della vita, la sete di conoscenza affiora alla mente con le sue enigmatiche domande: "chi siamo? perché viviamo? dove andiamo?", le cose - per quell'uomo e quella donna - cominciano a cambiare. Così Van der Leeuw descrive il fatidico momento di quel risveglio: "... un giorno gli avviene di udire una canzone che conosceva nella

sua giovinezza; allora, in un improvviso spasimo, egli ricorda tutto quel che ha perduto, rendendosi con dolore conto di essere in esilio, lontano da tutto quanto gli era caro. Da questa rimembranza rinasce la nostalgia per la terra natia e sifa più forte di quanto non sia mai stata"4• Purtroppo, come afferma lo scrittore francese René Guénon5, la civiltà moderna nel corso dei secoli si è talmente sviluppata in senso materiale, da non riconoscere più le sue fondamenta nei "principi di ordine superiore" . Secondo l'autore questa continua caduta verso la materializzazione è accompagnata da un pericoloso "regresso" intellet­ tuale e spirituale che sta portando l'Umanità verso una visuale sem­ pre più ristretta e ad una decadenza sempre più profonda. "Le scienze

profane, di cui il mondo moderno è così orgoglioso, altro non sono che 3 J .J. Van der Leeuw, Dei in esilio, AYALA, Milano 1 95 1 . J.J. Van der Leeuw, op. cit. 5 René Guénon Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano 1 990, p.

4

8

l.

'residui' degenerati di antiche scienze tradizionali " 6, affermerà Guénon nel suo libro Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi. Alla scienza moderna manca questa visione d'insieme unitaria, tradizionale, che sa collegare il regno vegetale con quello minerale e animale, ed il regno umano con il Cosmo ed il Regno Divino. Non dobbiamo dimenticare che l'Universo va inteso come una Creazione perfetta, voluta pensata e realizzata da Dio, e che ogni cosa che esiste sul piano materiale trova corrispondenza con i piani dei mondi supe­ riori come un "tutt'Uno" che ha un'unica "matrice" divina. Secondo Guénon se vogliamo arrestare la corsa verso questa "miopia intellettuale" che sta degenerando in tutti i campi, dobbiamo tornare a quell'antico e prezioso "deposito" che mette in primo piano la visione unitaria del Cosmo regolato dalle sue Leggi. Gli Ermetisti conoscevano bene la Scienza dei Principi ed in par­ ticolar modo la Legge di analogia o corrispondenza che perseguiva l'antico assioma "come è in alto così è in basso, per compiere le me­ raviglie della cosa unica" sapientemente esposto da Ermete Trisme­ gisto nel suo Corpus Hermeticum. Essi avevano capito che dovevano proteggere e custodire quell'arcaica conoscenza e, per difenderla dalle illazioni di un mondo profano materialista, razionalista ed egoista, cominciarono a celare quel sapere sotto metafore, simboli ed allegorie non facilmente riconoscibili.

"L'alchimia presuppone una metafisica e un ordine di conoscenze sovrasensibili che a loro volta presupposero la trasmutazione iniziatica della coscienza di chi operò " affermerà Giulio Lensi Orlandi nel suo libro Cosimo e Francesco de' Medici alchimisti 7, ribadendo che questa "scienza sublime" o "arte divinà' non si impara sui libri, ma solo con la sperimentazione personale coadiuvati da un Maestro a cui Dio ha concesso questa conoscenza. '' René Guénon, Il Regno della Q uantità e i Segni dei Tempi, Adelphi, Milano 2009, p. 1 4 . 7 G.L. Orlandi, C osimo e Francesco de ' Medi ci alchimisti, Nardini, Firenze 1 978, p . 23.

9

''La nostra Arte è pericolosa in mano a chi non è maturo per assumere determinati atteggiamenti di fronte alla natura; essa non può essere do­ nata con facilità, ma conquistata dal ricercatore intelligente, volenteroso, silenzioso e audace"8, asserisce Tommaso Palamidessi riferendosi all'Arte Regia alchemica, mettendo in evidenza quanto sia importante risveglia­ re all'interno del proprio cuore quel fuoco d'amore "magico, occulto e ardente" che deve guidare durante un cammino di ascesi dell'anima. Gli Alchimisti parlavano di Magia, con la lettera maiuscola, fa­ cendo una severa distinzione tra ciò che diversifica la "magia negro­ mantica'' bandita da Dio e dalla Chiesa, da una "magia bianca'' intesa come atteggiamento regale dell'individuo assoluto che, attraverso uno sforzo continuo di ascetica cristiana, arriva a saper dominare le forze che esistono nel Cosmo per inserirsi sulla via che porta al Paradiso. La "magia'' che intendevano gli Alchimisti era dunque quella pro­ fessata dai tre Re Magi, iniziati alla dottrina solare da Zarathustra, che guidati da una misteriosa stella arrivarono davanti al Bambino Divino. Questo stesso argomento verrà intelligentemente ripreso, approfondito e raffigurato sulle pareti della Cappella di Palazzo Medici da Benozzo Gozzoli nel 1 459, su committenza di Cosimo il Vecchio e suggerimen­ to del figlio Piero, uomo dotto ben addentro alle tematiche ermetiche. Dopo una necessaria e fondamentale ricerca storica per indivi­ duare il periodo politico, culturale e religioso che Firenze in quegli anni stava vivendo, ci addentreremo nella lettura simbolico-ermetica della "Cavalcata dei Re Magi" di Benozzo Gozzoli tenendo ben pre­ sente queste parole di Tommaso Palamidessi: " Tu fratello, che vuoi se­

guire la nobile via dei Magi, la vera Via diretta, fortificherai lentamente, ma con un crescendo deciso e metallico come l'acciaio dei Saggi "9• La Via diretta è quella che conduce sul Sentiero della Liberazio­ . . .

ne e della " Reintegrazione" nel Mondo Divino, ma vedremo che per percorrerla si dovranno acquisire le stesse qualità e virtù che quei tre Sapienti, venuti dall'Oriente, seppero interiorizzare. 8 T. Palamidessi, op. cit., p. 8. 9 T. Palamidessi, op. cit., p. 42.

10

Introduzione

Osservando ciò che sta avvenendo nel mondo, in un momento in cui l'irrazionalità, l'ateismo, il bigottismo, la superficialità, la sfronta­ tezza e la superbia sembrano avere la meglio su ogni moto del cuore, viene alla mente una domanda: - ma come abbiamo potuto ridurci ad un tale grado di tiepidezza e negligenza spirituale, da allontanarci così dal professare la vera parola di Cristo? "Anima che fai? Cor mio che pensi? Lingua mia perché ti sei fotta muta?" 1 scriveva Gerolamo Savonarola nel suo Trattato dell'amore di Gesù edito nel 1 492, mettendo il dito sul punto più dolente della no­ stra coscienza, colpevole di una simile grave trascuratezza. Andando avanti nella lettura del Trattato, Girolamo Savonarola, prima ancora di attaccare la Chiesa Romana per la sua corruzione ed inadeguatezza, invitava a domandarsi come è stato possibile che il cuore umano sia diventato "duro più de' sassi" e "ingrato più delle insensibili creature?"2• Dov'è andato a finire il fervore spirituale di noi cristiani battezzati e cresimati? come abbiamo potuto permettere che tanti misfatti nella storia della cristianità venissero compiuti e che tutt'oggi continuino a perpetuarsi? 1 Savonarola, La scure all e radici, a cura di C. Bellò, Messaggero di S. Antonio, Padova 1 983, p. 77. ' Savonarola, op. cit., p. 79.

11

Domande dolorose, che ci devono far riflettere per prendere co­ scienza delle nostre colpe e cominciare a sentirei tutti quanti respon­ sabili del degrado spirituale ed ambientale nel quale stiamo vivendo. Nella ricerca storica che introdurrà alla lettura ermetica dell' affre­ sco di Benozzo Gozzoli, affronteremo vari temi e ci accorgeremo che se il potere ed il prestigio dell'Impero e della Chiesa hanno sempre determinato l'occultamento della verità in favore di un "quieto vive­ re" sempre più materialista, non da meno è stata la mancanza di noi singoli individui che abbiamo permesso che tutto ciò avvenisse. "Levati, adunque anima, dalla pigrizia e dal tuo grave sonno e vat­ tene al dolce Salvatore, e spera remissione d'ogni gran peccato. Apri l'o­ recchie e odi ch'el grida: Sitio (Ho sete)"3, scriverà il Savonarola nelle ultime pagine di quel Trattato, evidenziando la forte personalità e l'i­ deale che ogni fervente cristiano deve riscoprire in se stesso prima di condurre ogni tipo di ricerca storica e spirituale.

3 Savonarola, op. cit., p. l 08.

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CAPITOLO I

La Dottrina Ermetica ed i suoi protagonisti

Ermete Trismegisto.

Ermete Trismegisto e l'origine dell'Ermetismo

"Esso è vero, è certo, è reale: ciò che è in basso è come ciò che è in alto,

e ciò che è sù è come ciò che è giù per compiere le meraviglie della cosa

unica"1: queste le prime parole impresse da Ermete Trismegisto su lastra di smeraldo ritrovata in Egitto tra il IV e il III secolo a.C. Clemente Alessandrino, Padre delle Chiesa della fine del I secolo d.C., parlò di Ermete come di un grande Iniziato, Re, Filosofo e Pro­ feta identificandolo in un "quasi inviato da Dio", sceso in Egitto per iniziare alle Arti, alle Scienze e alla Filosofia coloro che si volevano far ricettivi al suo linguaggio. Clemente Alessandrino, ne Gli Stromati, nominò 42 libri scritti da Ermete, ma si dice che il numero fosse molto superiore. I..:influenza che quei testi esercitarono presso i Padri della Chiesa fu tale, da far adottare una volta l'anno una solenne ce­ rimonia rituale per portarli in processione all'interno del Tempio di Alessandria d'Egitto2•

1 E. Trismegisto, C orpus Hermeticum, a cura di V. Schiavone, Bur, Milano 2009, p. 255. Così Clemente Alessandrino descrive quella processione: "Nelle pr ocessi oni avanza a nzi tutto i l Cantore, por tando uno dei simb oli della m usi ca[ . . . ] Dietr o i l C antore vie ne 1

l'Astr olog o, con i n mano un or ologi o e una palma, simb oli de ll'astr ologia. Eg li de ve saper

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La nascita di Ermete Trismegisto è ancor oggi molto controversa. Si sa che per la prima volta apparve in Egitto con il nome del dio Toth, ma niente si sa della sua genealogia. C'è chi lo individua nello stesso periodo storico di Mosé e chi non riesce a definirne la data ipotizzando per lui qualità prodigiose che non hanno niente di uma­ no, ma nonostante qualsiasi ardita ipotesi formulata, tutto il mondo culturale è concorde nel rimanere affascinato da ciò che ha lasciato scritto nei suoi testi. Oltre alla Tavola di Smeraldo gli si attribuirono trattati contenen­ ti studi di astrologia, alchimia, medicina e di tutto lo scibile umano. Sempre in Egitto venne da lui scritto uno strano libro composto da 78 pagine, di cui 22 pagine denominate Arcani Maggiori e 56 pagine Arcani Minori. Quel sapere venne impresso prima su fogli di papiro e poi su "lame d'oro" con l'intento di poterlo tramandare anche ai po­ steri. Fu così che malgrado le stratificazioni culturali differenti, inva­ sioni e distruzioni, la conoscenza delle Lame del Tarocco arrivò fino ai Santuari occulti dell'India e di altre regioni del mondo, svelando, a chi era in grado di recepire un simile messaggio simbolico, l'insegnamento sapienziale che quei fogli profetici e talismanici nascondevano. ripetere ad ogni istante quattro libri di Hermes di contenuto astrologico: il l o riguarda la disposizione delle stelle che appaiono fisse; il2o l'ordine del sole, della luna e dei cin­ que pianeti; i/3 o le congiunzioni e la illuminazione del sole e della luna; l'ultimo il loro sorgere. Segue poi lo Scriba sacro, con penne sul capo, che tiene in mano un libro e un canestro, dove sta l'inchiostro e la cannuccia per scrivere. Egli deve conoscere le scritture cosiddette geroglifiche e i trattati cosmografici, geografici e topografici, sull'Egitto e sulla descrizione del Nilo, sulla disposizione dei templi e de i luoghi consacrati, nonché sulle misure e sulle attrezza ture dei templi [ ] Da ultimo avanza il Profeta, che stringe al seno, visibile, l'idria, seguito dai portatori de l pane per la distribuzione [ ] Il Profeta, presso gli Egiziani, presiede anche alla distribuzione delle entrate. Sono quindi 42 i libri di Hermes, e sono indispensabili. Di questi i fu nzionari suddetti ne imparano a memo­ ria 36, che comprendono tutta la Filosofia degli Egiziani. Gli altri 6 sono di competenza dei Pastofori: riguardano la scienza medica, cioè fisiologia del corpo umano, malattie, strumenti medici, medicamenti, affezioni degli occhi e infi ne ginecologia': (Clemente Alessandrino, Gli Stromati, VI, 4) . ...

...

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Ermete Trismegisto, formella del pavimento della Cattedrale di Siena.

Toth-Ermete basò la sua Dottrina su sette principi fondamenta­ li che prendevano inizio da Dio, unico Legislatore invisibile e supre­ mo Architetto, ideatore di una cosmogonia e teologia sorprendenti, e che volutamente furono velati dietro a favole "più o meno c uriose e paradossali':

Ermete, sapendo bene di non poter essere compreso da quella massa troppo spesso incline all'idolatria, inventò un linguaggio sim­ bolico comprensibile solo a uomini dall'intelletto acuto e saggio che lui stesso seppe scegliersi e tenersi vicini. La dottrina di Toth-Ermete si fondava "sul principio della corri­ spondenzà' , principio rivoluzionario che portò un cambiamento to­ tale nelle coscienze di allora e di sempre: "il visibile non è che l'espres­ sione dell'invisi bile, il noto dell'ignoto"\ ciò che vediamo "in basso" non è altro che l'immagine di ciò che sta più "in alto" . In virtù della corrispondenza tra l"'alto" e il "basso" fu possibile affermare che il mondo della Natura non è altro che lo specchio nel quale il Divino si riflette: concetto già impresso sulla Tavola di Smeraldo, ma ripreso 'E.

Trismegisto, op.ci t., p. 1 33.

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e approfondito nel Corp us Hermetic um, antico manoscritto che rac­ chiudeva l'essenza dei suoi preziosi insegnamenti. Fu il monaco benedettino Leonardo Alberti di Candia, più cono­ sciuto come Leonardo da Pistoia, a scoprirne l'esistenza durante un viaggio compiuto in Macedonia, tra il 1 459 e il 1 460, su committen­ za di Cosimo de' Medici detto il Vecchio. Il grande mecenate mediceo, dopo il Concilio di Firenze del 1 439 che aveva portato nella città i più grandi storici e teologi del mondo orientale con le loro conoscenze ermetiche, cominciò ad inviare in Macedonia i suoi più fidati uomini di corte con lo scopo di recuperare quell'antico sapere per farlo confluire nella Biblioteca di San Marco. Durante uno di questi viaggi esplorativi Leonardo da Pistoia ri­ uscì ad entrare in possesso della copia originale di quattordici libri del Corpus Hermetic um appartenuti a Michele Psello, insigne erudito dell'XI secolo, e li portò a Firenze. Cosimo capì immediatamente l'importanza del ritrovamento e ne affidò la traduzione a Marsilio Ficino il quale tralasciò le sue traduzioni di Platone per dedicarsi totalmente a questo nuovo compito. Il testo, ancor oggi conservato a Firenze nella Biblioteca Laurenziana, venne tra­ dotto in latino ed in lingua volgare e la sua divulgazione si propagò da Firenze in tutta Europa, andando ad esercitare una profonda influenza nel pensiero scientifico e religioso di quel secolo e dei secoli a venire. Intorno alla fine del Quattrocento la notorietà di Ermete Trisme­ gisto era divenuta tale da decidere di imprimere la sua effige sul pavi­ mento del Duomo di Siena con la scritta "contemporaneo di Mosè"4• Entrando dal portone centrale del Duomo di Siena possiamo osservare che il primo ri­ quadro, posto all'inizio della navata che conduce all'altare, riporta l'immagine del grande sapiente egiziano ritratto nell'abbigliamento tipico degli antichi sacerdoti, mentre indica un cartiglio in pietra sorretto da due sfingi: in quella iscrizione latina si allude a Dio crea­ tore dell'universo ed alla stretta relazione che esiste tra il mondo umano e quello Divino. A sinistra della sua imponente figura appaiono due sapienti che con estrema deferenza ricevono da Ermete un tomo che riporta queste parole: "Susdpite o licteras et leges Egiptii': con chiaro riferimento al passaggio di quell'antica Sapienza dall'Oriente all'Occidente. 4

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Quest'affermazione fu condivisa anche dal frate francescano France­ sco Zorzi che nel suo celebre manoscritto De Harmonia Mundi, redat­ to a Venezia nei primi anni del Cinquecento, ribadì quel medesimo concetto mettendo in relazione la sapienza di Ermete Trismegisto con quella di Mosé e ricordando che, presso gli antichi sapienti, Ermete era conosciuto anche con il nome di Moseo. Athanasius Kircher, filosofo gesuita e storico del XVII secolo, evi­ denziò la straordinaria risonanza che ebbe Toth-Ermete presso i diversi popoli confermando l'universalità del suo messaggio: ccgli Arabi lo chia­

mano Idris, i Fenici Tauto, gli Egizi Toth ed i Greci Ermete Trismegisto"5• Il messaggio sapienziale di Ermete toccò tutte le discipline dello sci bile umano ed in particolare l'astronomia e l'astrologia. Egli considerò il Sole "il più grande di tutti gli dei del Cielo"6 e lo identificò con la "statua di Dio" , l'aspetto formale della sua presenza qui sulla Terra. cc/l sole [ . . . ] non trae tanto dalla sua luce il potere di illuminare le

stelle, quanto dalla sua divinità e santità: questo Asclepio, devi consi­ derare come secondo Dio che governa tutte le cose e illumina tutti gli esseri viventi della terra dotati di anima e no"7: così spiegava Ermete Trismegisto al suo discepolo Asclepio, mettendo in evidenza la Dot­ trina solare ermetico-egiziana che considerava il Sole il Demiurgo o "operatore divino", artefice e ordinatore di tutto l'Universo. Il Tre Volte Grande Maestro egiziano, voleva far capire che, come Dio ha dispensato la vita del Cosmo, così il Sole governa eternamente l'Universo distribuendo "vitalità'' a tutte le cose viventi. Il Sole nasce all'alba, poi sale alto a mezzogiorno e va a morire al tramonto, portando con sé l'immagine di gioventù, maturità e vec­ chiezza, ma anche di "morte" e "nuova vità'.

'Dom A. Giuseppe Pernety, Le Favole Egizie e Gre che , Ecig, Genova 1 988, p. 37. " E. Trismegisto, op.ci t., p. 1 27. ' E. Trismegisto, op.ci t., pp. 3 50-5 1 .

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Questa stessa Dottrina Solare comparirà anche nei collegi ini­ ziatici persiani e di tutto l'Oriente e poi si sposterà fino in Occi­ dente, dando luogo nel XV secolo a raffigurazioni esemplari da un punto di vista ermetico, come quelle impresse da Benozzo Gozzoli nella Cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi. Quando en­ treremo in merito alla descrizione del cammino dei tre Re Magi, ci accorgeremo che quel "cammino solare" sarà in stretta analogia con l'itinerario ascetico di trasmutazione interiore preparato da Dio per l'Umanità. "T utto d unq ue procede da Dio. Se non p uoi adeg uarti a Dio, v uoi dire che non sei in grado di comprenderlo, poiché solo il simile p uò com­ prendere l'altro simile"8, affermava Ermete nel Corp us Hermetic um, fa­

cendo intuire che per riuscire a capire l'entità di un tale linguaggio è necessario portare un perentorio risveglio alla propria coscienza. Ecco perché l'intero manoscritto è intessuto di esortazioni a svegliarsi dal "sonno" dell'ignoranza, triste effetto causato dalla caduta dell'uomo nella materializzazione.

"O popoli,

o uomini nati dalla terra, voi che vi siete a b bandonati

all' u briachezza, al sonno e all'ignoranza di Dio, diventate so bri, disto­ glietevi dall'e b brezza che vi alletta nel sonno dei br uti!" 9•

Parole terribili, ma nelle quali possiamo leggere ancor oggi un severo monito e un fermo invito a prendere coscienza del degrado spirituale nel quale l'Umanità è caduta.

8 E. Trismegisto, op.ci t., p. 209. 9 E. Trismegisto, op.ci t., p. 83.

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La Magia

o

Scienza Eterna dei Magi

I Tre Re Magi con il copricapo frigio, mosaico, Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna.

''Furono i dogmi della magia ad essere scolpiti s ulle tavole di pietra di Ermete Trismegisto"10, afferma Eliphas Levi, teosofo francese, nelle

prime pagine della sua Storia della Magia, spiegando che poi fu Mosè a velare quegli scritti nella Kabbalah, retaggio esclusivo del popolo d'Israele e segreto inviolabile dei suoi sacerdoti. La Magia fu dunque la "parolà' perduta e ritrovata che venne tra­ smessa agli "eletti" di tutte le antiche iniziazioni, secondo una ritualità segreta che si tramandava da "bocca a orecchio" . Purtroppo, nonostante le precauzioni prese, quei misteri, nei se­ coli, sono stati profanati e usurpati dall'ignoranza e dallo scetticismo. ["attentato dell'ignoranza" , come lo chiama Levi, ha portato gra­ vi danni che si sono ripercossi sia nel mondo politico-culturale che in quello religioso. Levi, nella sua Storia della Magia, tende a precisare che pur essendo lui stesso un cattolico professante, non riesce ad apw

Eliphas Levi, Storia de lla Magia, Mediterranee, Roma 20 1 4. 19

provare la chiusura che la Chiesa ufficiale ha posto sull'argomento, scambiando la vera "magià' con quella settaria, negromantica, che purtroppo esiste ma che è assolutamente da bandire. Levi si mera­ viglia di come il mondo religioso abbia voluto relegare questa alta Scienza a false credenze e superstizioni e al tempo stesso continui a venerare i tre Re Magi, detentori di quell'Antica Tradizione. I tre Sapienti erano a conoscenza delle Leggi che regolano l'Uni­ verso e sapevano utilizzare quelle forze, dominandole, senza lasciarsi da loro sopraffare. Secondo il teosofo francese, è tempo di "rivendicare la legittimità di questa Scienzà' e di informare che la verga di Mosè, produttrice di miracoli, era retaggio dei veri Iniziati ai misteri Divini. Un tempo, sia in Egitto che in Mesopotamia, negli alti collegi sacerdotali, veniva insegnata la Magia e quel passaggio sapienziale se­ guiva un iter gerarchico ben preciso. Il re era anche sacerdote e, grazie alla sacralità dell'investitura iniziatica ricevuta, era in grado di com­ piere quegli stessi prodigi. Secondo Erodoto, storico greco del V secolo a.C., il termine "ma­ gos" si riferiva alla tribù o casta ereditaria sacerdotale dei Medi che abi­ tava in una regione dell'area mesopotamica. La loro influenza, da un punto di vista politico e religioso, fu tale da sopravvivere anche quando avvenne l'unificazione di quelle regioni per opera di Ciro il Grande. Ai sacerdoti della tribù dei Medi fu affidato il culto del fuoco, da loro considerato espressione tangibile del dio Sole che elargisce luce e calore qui sulla Terra. Per ricordare questa insostituibile fonte di vita, un'infinità di pire venivano accese qua e là sull'intero territorio, sul­ la cima delle montagne, presso i focolari domestici, e all'interno dei Santuari nei quali solo i sacerdoti potevano accedere. I Magi provenivano da quelle regioni, portando con loro un ba­ gaglio sapienziale di alta spiritualità.

"A bbiamo visto una stella splendere tra tutti gli astri di un così vivo chiarore che li eclissava tutti alpunto di render/i invisibili. Così abbiamo

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conosciuto che era nato un re per Israele e siamo venuti ad adorarlo"ii, troviamo scritto nel Protovangelo di San Giacomo. Dall'Oriente, da una località non ben definita della Persia, tre Re videro sorgere nel cielo una stella più splendente del Sole e la seguiro­ no facendosi da lei condurre fino al luogo in cui era nato il Redentore. Doveva essere di notte, perché solo in quel momento si può veder comparire nel cielo un tale chiarore. Il messaggio è già di per sé eloquente da un punto di vista ermeti­ co: la notte rappresenta l'oscurità, il buio, lo stato interiore incessan­ temente turbato da timori e sentimenti contrastanti, mentre la luce che appare improvvisa e fende quelle tenebre, illumina, riscalda, porta gioia, fiducia e speranza. A queste due intime esperienze gli Alchimisti dettero il nome di Opera al Nero e Opera al Bianco e le consideraro­ no il punto di partenza per intraprendere qualsiasi tipo di cammino di ascesi spirituale. Alle conoscenze ermetiche presenti in quella parte dell'Oriente me­ sopotamico, si affiancarono anche quelle astronomiche ed astrologiche. Secondo il racconto degli storici, nella regione compresa tra il Tigri e l'Eufrate, il cielo di notte era così nitido da potervi scorgere pianeti e costellazioni anche con i rudimentali strumenti di allora. La testimonianza di antiche tavole di argilla assiro-babilonesi, oggi custodite al British Museum, attesta che l'osservazione dei primi pianeti - Sole, Luna, Giove, Saturno e Marre - nacque proprio lì in Mesopotamia. In quell'epoca il popolo babilonese era già in grado di realizzare mappe celesti che si basavano sul movimento del Sole lungo l 'eclittica, e fu grazie ai sacerdoti caldei che l'astrologia venne arricchi­ ta da nuove conoscenze fondate su studi precisi inerenti i movimenti dei sette pianeti allora conosciuti. Fin dai tempi più antichi il termine "caldeo" divenne sinonimo di astrologo e fu grazie ad attente osservazioni del cielo che i Caldei ri uscirono a formulare presagi a breve o a lunga scadenza. Le comete, 11

Protovangelo apocrifo di San Giacomo (ca. 1 25).

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furono da loro osservate con estremo interesse e considerate apporta­ trici di avvenimenti di grandi cambiamenti per l'Umanità. La stella cometa, di cui San Giacomo parla, non doveva essere una stella qualunque e nella simbolica cristiana fu rappresentata da un astro a otto punte12, simbolo ermetico di alleanza tra il Divino e l'umano. C'è chi ha visto in quell'astro l'insolita congiunzione di tre pianeti e chi ha individuato nella luce che si fermò al di sopra della mistica grotta, un misterioso ''Angelo-stellà' . Si dice che appena raggiunto quel sicuro riparo, la sua forma mutasse in una "colonna di luce" che saliva verso il Cielo. A quella stella, chiamata "Stella dei Re Magi", vennero dati i nomi più disparati come "Verace Stella di Giacobbe", "Colonna di Fuoco", ''Angelo di Dio", "Stella di Davide", "Stella del Redentore": tanti nomi differenti per far capire che quell'astro, capace di rompere le tenebre, rappresenta il simbolo del "risveglio" alla vita Divina. Giacobbe combatté tutta la notte contro l'Angelo del Signore: "lottò finché non si fece giorno" - c'è scritto nella Bibbia - e quella lotta fu indispensabile per affrancarsi dal "sonno" della materializza­ zione ed aprirsi alla Luce di Cristo. I Re Magi personificano, dunque, quel tipo di risveglio, e chi avverte un tale stato di coscienza non può che mettersi, come loro, in cammino per arrivare a riscoprire il Figlio di Dio nel proprio cuore. La Tradizione ermetica attribuisce ai Magi il titolo di "Re", poi­ ché la "magià' che allora s'intendeva era un'Arte religiosa che pren12

Una prima raffigurazione della Stella risale all'anno l 00, quando un anonimo pit­ tore volle ritrarla nelle catacombe di Santa Priscilla, in via Salaria a Roma. I.:antico dipinto riproduce un'arcaica presentazione del Bambino Gesù e dei tre Re Magi: la Madonna tiene in grembo quel " figlio divino" , vicino a lei vi è San Giuseppe ed in alto, a dominare la scena, una stella ad otto punte. Anche Giotto nel 1 300 si cimentò nel riprodurre la "stella dei Magi", ma si distaccò da quell'antica raffigu­ razione, identificandola in una cometa con testa a nucleo e coda molto allungata. I.: immagine fa parte del dipinto, l'Adorazi one dei Magi, presente negli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova.

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deva anche il nome di "sanctum regn um"13 alla quale si veniva iniziati secondo una segreta ritualità. Il termine "Mago" aveva un alto significato, perché designava il Re-Sacerdote detentore di un'antica Sapienza e la sua derivazione etimologica Mag, Megh, Magh in lingua zend e pelvi, era sinonimo di "sapiente assoluto" . Il termine Mag, nei dizionari di lingua ebrai­ ca e caldaica, assunse il significato di sacerdote Medio o Persiano e, secondo quanto attesta Anguentil-D uprerron nello Zenda-Avesta, il termine Maghira, in Caldaico, riporta al significato di "alta sapien­ za" , mentre in greco per magheia s'intendeva la "scienza e arte dei Magi". I Re Magi furono dunque i Sapienti assoluti, perfettissimi, depo­ sitari della segreta "scienza di Dio" e la "magià' da loro esercitata fu quella intesa nel senso più alto del termine, che consisteva nel saper sapientemente dominare le forze che muovono il cosmo per "diriger­ le, immobilizzarle, accelerarle, rallentarle" affinché fossero d'aiuto al cammino verso il Regno di Dio. La Dottrina della quale Melchiorre, Baldassarre e Gasparre furono in possesso, trovava riferimento con il "sorgere del Sole" e quindi con una tradizione monoteista solare fondata da Zoroastro o Zarathustra, suo profeta, che vedeva in Aura Mazda il supremo Dio portatore di una rivelazione segreta, nata all'interno di quei collegi iniziatici. Il mito racconta che il "dio solare" Mithra, nacque nel freddo e nell'oscurità di una grotta, da madre vergine e dal Dio Sole: evento al­ quanto insolito che fa pensare ad un'antica prefigurazione della nasci­ ta di Gesù Cristo che sarebbe avvenuta molti secoli dopo in Palestina. La storia dei Re Magi è collegata anche a quella di Melchisedech, Re di Giustizia e di Pace, che appare nella storia dell'Umanità per sta­ bilire un'Alleanza eterna tra Dio, l'Uomo e la Donna che si sono fatti a Lui affini. Alcuni testi ermetici affermano che Melchisedech, dopo u

Eliphas Levi, op.ci t., 20 1 4.

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aver conferito ad Abramo e Sara !"'investitura spirituale", trasmise a Zarathustra (o Zoroastro) quella stessa Sapienza. Dei tre Magi'4 sappiamo che oltre ad essere Astrologi, Sapienti ed Iniziati, erano anche eccellenti Terapeuti in possesso di un forte pote­ re risanatore e che furono "iniziati" ai misteri di quell'arcano sapere, da Zoroastro stesso. Inoltre si attesta che vennero battezzati dall'apostolo San Tomma­ so, patrono degli architetti, ricevendo insieme a questa lniziazione Cri­ stiana, la missione di "percorrere il mondo per fondare delle chiese". Il copricapo e mantello frigio15, con il quale furono originaria­ mente immortalati, fu lo stesso che identificò la regalità di Mithra: il dio solare designato da Ahura Mazda quale rappresentante divino qui sulla terra, con l'incarico di proteggere i "giusti" dalle forze del male per condurli al Regno Celeste. Nel grandioso mosaico bizantino di Sant'Apollinare Nuovo16 a Ravenna, come conferma dell'autenticità di quell'antica Tradizione solare, i tre Re d'Oriente appaiono con il simbolico abbigliamento frigio. Solo in seguito il loro copricapo verrà sostituito con un altro tipo a fascia e poi con una corona d'oro tempestata di gemme. Un fitto tessuto di simboli ed allegorie è racchiuso in questa ar­ caica vicenda che vede nei tre Re Magi i depositari di quella Dottrina

1 4 Secondo Joseph Alexandre Saint-Yves, medico francese e figura di rilievo dell'e­ soterismo del XIX secolo, i tre Re Magi provenivano dall' Agartha, un centro spirituale inviolabile e inaccessibile stabilito nel mondo terrestre "pe r mezzo di

u n'o rganizzazi one i ncari cata di conse rvare i ntegralme nte i l deposi to de lla tradizi one sacra, di origine ' non umana' (apau ru -sheya) pe r mezzo di cui la Saggezza primor­ diale si comu ni ca attrave rso le e tà a coloro che sono capaci di ri ce ve r/a': (R. Guénon, op. ci t, p. 5). 15 Il berretto frigio, copricapo rosso con la punta ripiegata in avanti, era il tipico indumento del regno persiano intorno al VI-II secolo a.C. e fu utilizzato solo dai sacerdoti del dio Sole. 1 6 La Chiesa Bizantina di Sant' Apollinare Nuova fu consacrata al culto cattolico nel VI secolo.

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Solare che, come un sottile "filo aureo", nasce dall'Oriente ed arriva in Occidente sempre con il medesimo intento: portare un salutare risveglio nelle coscienze. Nella Dottrina Cristiana molti sono i Misteri contemplati e tra questi viene nominato anche il "Mistero della stella e dei re Magi" o Epifania17• Se si parla di "mistero" vuoi dire che ogni anno, il 6 gennaio, celebriamo una ricorrenza di cui conosciamo molto poco. Praticamente festeggiamo solo il lato essoterico dell'evento accaduto, ma non certo il suo significato vero più nascosto e profondo. Anche i loro nomi Melchior, Baldasar, Gasphar 18, non furono cer­ to casuali. Secondo la Dottrina Ermetica, ognuno di quei nominativi identifica un ben preciso significato legato all'apparizione della Luce ed al messaggio salvifico che fu loro affidato.

" ... Proteggete col silenzio questi misteri divini, neltintimità del vo­ stro cuore, e nascondete/i nel segreto"19 scriveva Ermete Trismegisto in­ vitando a fare del silenzio e della segretezza la propria arma di difesa e di crescita spirituale.

17 Il vocabolo Epifania deriva dal greco Epifa neia cioè "manifestazione" che assu­ me nella tradizione cristiana il significato di prima manifestazione dell'umanità e divinità di Gesù Cristo ai Re Magi. A Firenze la festa principale, come si rileva dal Diario Sacro del Giamboni, si svolgeva: " [ ... ] alla Chiesa di San Marco dei PP Predi­

catori per la sua dedicazione, consacrata l'anno 1 442 da Eugenio IV Sommo Pontefice (mentre Sant'Agostino era priore)". L. Artusi, D. Cirri, Storie della storia di Firenze,

Polistampa, Firenze, 20 1 6, p. 35 1 . 1 8 Secondo Saint-Yves e Guénon, i tre Re Magi misteriosi, in realtà rivestono il ruolo di tre capi della gerarchia iniziatica dell'Agartha, rappresentanti autentici della Co­ noscenza primordiale. Nella tradizione sanscrita il capo supremo dell'Agartha pren­ de il titolo di Brahdtmd, Maestro spirituale per eccellenza e porta con sé la "mirrà', balsamo di incorruttibilità; gli altri due Mahdnga e Mahdtmd rappresentano altri due aspetti di quel potere spirituale e rispettivamente offrono al Cristo nascente l'oro che lo riconosce come Re e l'incenso che lo identifica come grande Sacerdote. R. Guénon, op. cit., pp. 1 6-25 . 1'> E . Trismegisto, op. ci t., p . 3 5 9 .

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Il giorno dell'Epifania20 , nella tradizione Cristiana, è ricordato come il giorno della manifestazione della Luce ed è anche chiamato "le jour des Rois". Questa festa vuole ricordare non solo il momento in cui apparve nel cielo la splendente stella che annunciò la nascita di Gesù Cristo, ma anche il mistero del percorso mistico-iniziatico­ regale di quei tre Re Sapienti che con umiltà e amore si misero in cammino alla ricerca della Vera Luce, per diventare loro stessi i "Si­ gnori della Luce". "Se tu segui tua stella/ non puoifallire a glorioso porto"2 1 , scrisse Dan­ te Alighieri nella Divina Commedia, facendo capire quanto è impor­ tante riconoscere un segno benefico del cielo, porsi in sintonia con esso ed iniziare un cammino di ascesi spirituale che conduce a impensabili mistiche esperienze. Questi temi, e molti altri, verranno più ampiamente sviluppati quando entreremo in merito alla lettura ermetica dell'affresco di Benozzo Gozzoli. Davanti a quelle immagini così eloquenti an­ che l'argomento trattato in questo paragrafo diventerà di più facile comprensione.

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"Festa anticamente molto sentita, come lo dimostrano i tanti capolavori di pittura fiorentina dell'Angelico, del Botticelli, di Leonardo, di Filippo Lippi, di Lorenzo Mo­ naco, del Gozzo/i ispirati, appunto dall'Epifa nia. Nel XII e XIII secolo, per ricorrenza, venivano cantate particolari Laudi " alcune delle quali vennero pubblicate nella stam­ peria di San Jacopo di Ripoli. Ispirata dall' affresco di Benozzo Gozzoli, anche la madre di Lorenzo il Magnifico, Lucrezia Tornabuoni, compose una laude e perfino le mamme fiorentine, per addormentare i loro bambini, erano solite "cantare una ninna nanna che aveva un preciso collegamento con la venuta dei Re Magi :' (L. Artusi, D. Cirri, op. d t., p. 352). 21 I nf XV, 5 5 .

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Le correnti 6.loso6.co-religiose e la nascita

del Neoplatonismo Rinascimentale

Platone, Scuola di Atene, Raffaello, Musei Vaticani.

Platone e il mito della

caverna

Platone, filosofo greco nato ad Atene nel 428 a.C. a distanza di circa un secolo approfondì e perseguì le stesse ideologie già espresse da Pitagora22• Il suo intento era di arrivare a cogliere la verità delle cose andando al di là delle apparenze sensibili capaci di offrire solo opinioni fuggevoli e fuorvianti. Verso la metà del V secolo a.C. si fece strada la cosiddetta "età umanistica" nella quale fu sviluppato e approfondito il tema dell'anima umana e del travaglio che deve subire per arrivare ad alte mete spirituali. Socrate nei suoi scritti ricordò agli uomini che "la coscienza di non sapere è il primo passo per ogni ricercà' e che l'indagine è giusta

!!

Lo scopo di Pitagora, indagatore instancabile dell'ordine e delle armonie che esi­ stono nell'Universo, fu di voler correggere la vita dell'uomo e della donna attraverso la comprensione di una Conoscenza scientifico-spirituale capace di liberare l'anima dallo stato di prigionia nel quale si trova relegata, per indirizzarla verso un mondo superiore e Divino, fatto di infinite e impensabili corrispondenze.

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solo quando va in direzione del motto: "conosci te stesso"23, famosa frase incisa sul frontone dell'oracolo di Delfi. Questo motto diventerà il fondamento della dottrina socratica, e l'invito "a cogliere la propria interiorità" diverrà il tema dominate del­ la sua filosofia. Il grande filosofo aveva capito che l'uomo deve saper affrontare quelle resistenze che si oppongono alla vera conoscenza di se stesso e farsi serio "ricercatore" . L esperienza suggerita da Socrate, ed in particolare da Platone suo discepolo, si basò quindi su una ricerca interiore personale, intima e profonda, alla quale l'uomo e la donna sarebbero approdati superan­ do e opponendo resistenza alle proprie istintività e limitatezze. ccQuando un uomo, vedendo la bellezza terrena, si risovviene della bell ezza vera, allora all'anima s ua sp un tano le ali ed essa desidera di volare in al to"24 scrisse Platone nel Fedro facendo intuire a quali mete può portare una simile introspezione. A questo tema si affiancò quello della prigionia materiale in cui si trova l'anima e delle difficoltà da superare per liberarsi da questo giogo. Per Platone la "cavernà' divenne il luogo deputato a rappresentare meglio di ogni altro quel doloroso stato interiore: un luogo impervio, sotterraneo, al quale si accede attraverso un corridoio che scende nelle profondità del terreno e nel quale le "acque" regnano incontrastate. In Egitto, all'interno delle piramidi, si compivano dei riti di ini­ ziazione che ripetevano questa importante simbologia. Ad esempio il corridoio discendente che nella piramide di Cheope portava alla rossa" , rappresentava una prova mo l to "camera sotterranea" , d etta la "C

23 Anche Sant'Agostino ripropose un simile concetto: "Noliforas ire, in te ipsum redi, in i nteri ore homine hab itat veri tas": «Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede la verità>> . 24 G. Giovannini, Il Pe mier o Fi losofi co nell'età classica e nell'età medioevale , Remo Sandron, Firenze 1 986, p. 1 06.

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efficace per l'iniziando. La permanenza in quella "camera nerà'25 era necessaria per dare inizio al processo di purificazione interiore indi­ spensabile per poter entrare "nel regno degli dei". Il neofita durante quell'esperienza doveva rimanere ben sveglio fino al momento della risalita, perché da quella "fossà' si poteva uscire solo passando da dove si era scesi. Se fosse risalito prima del previsto avrebbe trovato le porte chiuse, serrato in una situazione di difficoltà e di paura. La sperimentazione di questo stato angoscioso serviva per far provare all'iniziando "la lotta con le potenze oscure del diabolico Set", e cioè conoscere, affrontare e vincere tutti i terrori che alber­ gano nelle profondità della propria coscienza: "i mostri" contro cui lottare. "Visita Interiora Terrae Rectificando Inveniens Occultam Lapidem"26• Questa frase misteriosa, coniata dagli Ermetisti, invitava ad entrare nella profondità della propria anima, nella propria "cavernà', e da lì co­ noscere e vincere tutti quegli stati interiori primordiali entrati in gioco al momento della caduta adamica. Platone, erede del pensiero socrati­ co, ribadì questo stesso concetto utilizzando metafore ed allegorie. Il mito della caverna di Platone27 quindi nacque come metafora della condizione umana, ma anche come unica via per innalzarsi verso la "luce divina della verità''. Il grande filosofo sosteneva che l'anima umana vive prigioniera in una dimora sotterranea, una caverna, dove la luce che filtra da l � L'idea di una "camera oscurà' nella quale è necessario entrare, verrà ripreso anche nell'architettura della prime chiese cristiane e la "criptà', posta sotto l'altare e alla quale si accedeva per mezzo di strette ed impervie scale, ripeterà quella stessa sim­ bologia. La caverna, come la cripta, rappresentava lo stato interiore più doloroso e profondo nel quale il pellegrino spirituale doveva entrare al fine di "morire" ad una vita ordinaria per "rinascere" a quella Divina. zc. C. Riva, La Grotta Grande di Boboli, laboratorio di meraviglie, Nuova Stampa, Pieve di Soligo (Treviso) , pp. 40-4 1 . n E. Schuré, I Grandi Iniziati, storia segreta delle religioni, Laterza, Roma-Bari 1 987.

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un'apertura lontana proietta sulla parete opposta immagini illusorie fatte di luci ed ombre: un mondo che è solo un pallido riflesso della vera realtà. Gli uomini e le donne che vi vivono dentro, "incatenati gambe e collo" , sono convinti che quei bagliori rappresentino la realtà delle cose, e purtroppo non si accorgono che le figure proiettate sul muro non sono altro che lo specchio della loro immagine, il riflesso della loro prigionia. Platone asserì che gli uomini, considerando reali quelle apparenze ingannevoli, continuano a sopravvivere in un'atmosfera di cecità asso­ luta senza accorgersi che la "vera luce" viene da tutt'altra parte. Egli affermò che ogni tanto qualcuno riesce a sciogliersi dalle ca­ tene: si alza, volge il capo verso quel chiarore e, seguendo la giusta direzione, riesce ad uscire dall'oscurità in cui viveva. Qui gli si apre un mondo nuovo: può volgere lo sguardo verso la luce del sole, vedere la luna, le stelle e accorgersi di quanto sia stata buia ed inutile la sua esistenza fino ad allora. Sarà poi per un caritativo desiderio d'amore verso coloro che sono rimasti "prigionieri", che quell'individuo rientrerà nella caverna dalla quale era sortito, per risvegliare e convincere coloro che sono ancora "incatenati" e così aiutarli a liberarsi dai lacci del mondo ma­ teriale illusorio, per andare verso la vera Luce28• Platone concluderà con amarezza, che spesso coloro che sono anco­ ra nella prigionia non riescono a capire lo sforzo dell'eroe spirituale che sacrifica la propria libertà a favore degli altri e, ostinati nell'ignoranza e sconsideratezza propria di chi non vuoi conoscere e sapere, lo ostegge­ ranno, lo derideranno, lo avverseranno ed infine lo uccideranno. 28

Un esempio di questa "uscità' dalla materia, lo possiamo cogliere nei quattro Prigioni che Francesco I de' Medici fece collocare nella prima stanza della Grotta Grande di Boboli, quella dei "pietrificati". Gli attuali Prigioni sono i calchi degli originali, attualmente custoditi nel museo dell'Accademia a Firenze. (C. Riva, op. cit., pp. 1 4 5- 1 46) .

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Secondo il filosofo, il passaggio dal buio alla luce e dalla luce alle tenebre è un'ardua esperienza non adatta a tutti, ma può diventare possibile se si ha un'alta meta da raggiungere e la Sapienza accanto che guida e sorregge. La caverna troverà analogia con il "cuore", la "secreta camera" menzionata da Dante Alighieri e assimilabile al "crogiuolo degli alchi­ misti", in cui si può compiere ogni processo di intima trasformazione: il luogo misterioso dove avverrà la nascita dell'individuo "nuovo"29• Un altro tema fortemente ricorrente nel pensiero di Platone è quello della metempsicosi, dal greco antico metempsicosis o "passaggio delle anime"30•

"L'anima prima di incarnarsi, ha vissuto nel mondo delle Idee dove ha contemplato le Idee stesse. Discesa poi nel corpo, a contatto con la materia, ha dimenticato quei concetti eterni, anche se ha conservato delle tracce e l'aspirazione viva alla verità"3 1 • Secondo Platone è stata la discesa nel corpo a far dimenticare all'anima la sua "Patrià' di origine. Il filosofo aveva capito che se l'uo­ mo e la donna non riusciranno a tornare a quell'antica originaria pu­ rezza, si troveranno a ricadere in un altro corpo umano e così ancora, senza mai riuscire ad arrivare al mondo Divino.

29 C. Riva, Boboli, il g iardino alchemico, Argo nautiche, Chianciano 20 l O . 30 Il mistero della reincarnazione non verrà accolto negli ambienti cristiani. Invece Origene, Padre della Chiesa del III secolo, sosteneva che quando l'anima si trova ad ubbidire talvolta al male e talvolta al bene, deve andare a ricercare le cause del continuo dualismo al quale è costantemente sottoposta, "in una nascita anteriore alla nascita corporea attuale". Anche nelle Sacre Scritture appaiono evidenti i riferi­ menti a questo argomento. Nella Sapienza (Sap. VIII, 1 9-20) così Salomone parlò di se stesso: "Ero poi un figlio ben dotato e ho avuto in sorte un animo buono; o piuttosto, essendo buono, venni in un corpo incorrono". Altre citazioni le trovia­ mo nel Vangelo di Mt. Xl, 1 3, 1 4; Mt. XVI, 1 3, 1 4; Mt. XVII, 1 2 e nel Vangelo di Giovanni IX, 34. 3 1 G. Giovannini, op. cit., p. 1 29.

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Negli aforismi di Platone si legge: ''L'anima dell'u omo è immor­

tale e anche se talora termina la vita terrena (ciò che si chiama morire), [l'anima] di nuovo rinasce e non perisce mai: per questa ragione, bisogna vivere la vita nel modo più santo possibile"32•

Questo concetto, già apparso in Oriente in ambienti legati all'Induismo e al Buddismo, diventerà fondamentale nel mistici­ smo neoplatonico di Plotino, Giamblico e Proclo e verrà riaffermato dall'Accademia Neoplatonica e da tutti i più grandi letterati e filosofi rinascimentali e post-rinascimentali. Accanto ad una simile tematica che invitava alla purificazione dell'anima, si fece strada nella filosofia platonica l'affermazione dell'e­ sistenza di un Demiurgo Divino, artefice di tutto l'Universo, in grado di plasmare la materia in modo ordinato e armonico e di condurre verso l'Amore e la Bellezza: concezione che riaffermava la Dottrina Ermetica già espressa da Trismegisto e da Pitagora. Nel Timeo, Platone asserì con chiarezza che l'intero Universo è opera di Dio e che la sua Intelligenza demiurgica ha modellato tutte le cose viventi in forme e numeri. Egli sostenne che il Dio unico, l'Unità assoluta, produsse il mondo come un grande essere vivente dotato di in­ telligenza, di bellezza e di bontà: una armoniosissima unità intessuta di infinite relazioni. Platone, come Pitagora, ribadì che l'attività creatrice del Dio-Demiurgo si è manifestata attraverso le figure geometriche e i NumerP3, da lui posti al vertice della scala gerarchica ideale. Il motto "Non entri chi non è geometra" fatto scrivere all'in­ gresso dell'Accademia da lui fondata ad Atene nel 387 a. C . , rispec­ chiò perfettamente il suo pensiero e trovò stretto legame con un'al-

32 Tratto dagli Aforismi di Platone. 33 Nel Timeo Platone parlò dei numeri e dell'Intelligenza Demiurgica creatrice in questi termini: " (Essa) foggiò la materia informe in figure geometriche perfette, e quindi intermedie tra il mondo delle Idee e la natura, corrispondenti ai quattro elementi: in tetraedri (il fuoco) , in ottaedri (l'aria) , in icosaedri (l'acqua) e in cubi (la terra) ". (G. Giovannini, op. cit., p. 1 36).

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tra sua famosa affermazione tramandataci da Plutarco: " Dio sempre • geometnzza"34 . LAccademia Platonica, strettamente influenzata dal pitagorismo, divenne ben presto uno dei maggiori centri di formazione filosofico­ religiosa, alla quale parteciparono i migliori esponenti del mondo cul­ turale ateniese e straniero. Nella sua scuola trovò ampio spazio anche lo studio della mito­ logia greca35• In quel mitico recupero del passato, vi era il richiamo ad una Tradizione segreta molto antica in grado di velare, sotto forma di favole allegoriche36, verità profonde ed inaccessibili per coloro che non erano pronti a recepirle. Ad esempio nel mito di Apollo, dio del Sole, della musica, della medicina e di tutte le Arti, possiamo intrave­ dere il legame con il solare Demiurgo divino, mentre in Eros, il dio dell'Amore, possiamo trovare la relazione con quel processo ascensio­ nale che porta alla conoscenza della Bellezza intesa come virtù Divina. LAccademia Platonica divenne la vera depositaria della scienza an­ tica e alla morte del suo fondatore, avvenuta nel 347 a.C., continuò a perpetuarsi grazie a Plutarco37 e ad un'infinità di uomini illustri che nei secoli riscoprirono l'importanza di saper attingere a quella Sapienza. 34 "Sant'Agostino scr ive va che in ogni cosa Dio ha creato il numero. I rappor ti tra il creato sono tutti numerici, ilpensier o di Dio è visibile attraverso la geometria': (P. Maresca, La Cattedrale di Santa Mar ia del Fiore a Fire nze , u no scrigno di Sapie nza, Pontecorboli,

Firenze 20 1 6, p. 3 1 ) . ·1 5

Inter ior ità e anima, la psyché in Platone, a cura d i M. Migliori, L.M. Napolitano Valditara, A. Permani, op. cit. 1 6 Nel Simposio Platone, quando parlò di Eros, lo mise in relazione a quel processo ascensionale che porta alla conoscenza, non solo della bellezza in senso materiale, ma anche dell"'idea del bello", che sta dietro a quella forma. Inter ior ità e anima, la psyché in Platone, a cura di M. Migliori, L.M. Napolitano Valditara, A. Permani, Vita e Pensiero {V&P) , Milano 2007. 17 Alla fine del N secolo d.C. sarà Plutarco di Atene a fondare una nuova scuola basata sulle dottrine platoniche elaborate da Plotino, Porfìrio, Giamblico e Prodo. Anche que­ sta volta non mancheranno le avversioni ed i contrasti da parte di coloro che videro in quel sapere un forte pericolo di supremazia morale e politica per la religione cristiana. ·

·

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Aristotele e il geocentrismo

Aristotele frequentò l'Accademia Platonica come allievo e colla­ boratore, ma alla morte di Platone preferì allontanarsene per fondare un'altra scuola. Tra la dottrina di Platone e quella di Aristotele esistevano dei punti di contatto, ma anche tanti differenti sviluppi di pensiero. Entrambi rimasero legati alla Metafisica, ma per Aristotele il sen­ so della realtà restò molto più forte. Egli fece una specie di revisione critica di tutte le dottrine platoniche opponendo, alla componente idealistica dell'Accademia, la "logicà' ed il ragionamento lucido e cor­ retto del suo pensiero. Per Platone lo scopo finale della filosofia era di arrivare a formare un cittadino esemplare, che avrebbe saputo gover­ nare con rettitudine e intelletto illuminato, secondo i dettami della polis greca, mentre per Aristotele lo scopo puro della sua filosofia si fondava su di un sapere enciclopedico che però non avrebbe trovato alcuna applicazione pratica nella vita della città. Il sapere enciclopedico porta ad una separazione delle diverse di­ scipline e conduce alla perdita di quella visione d'insieme nella quale ogni fenomeno trova il suo significato all'interno del Tutto. Vi furono anche altre discordanze evidenti tra i due filosofi e le più importanti vertevano sull'anima, sul mondo delle Idee e sulla fi­ gura di Dio creatore. Il modo di concepire l'anima da parte degli aristotelici fu del tut­ to differente da quello adottato dai platonici. Aristotele la immaginò come una "tabula rasà' priva di ogni concetto, ma adatta ad accoglie­ re la conoscenza attraverso un graduale passaggio cognitivo-intuitivo che, partendo dalla sensibilità proseguiva con l'immaginazione ed an­ dava a culminare con l'intelletto, capace di giungere ad ogni compren­ sione38. Questo progressivo passaggio ben si adattava alla "logicà', da lui ritenuta lo strumento più adatto per analizzare accuratamente il pensiero e raggiungere la verità, ma si distaccava completamente dal 38 G. Giovannini, op. cit., p. 1 7 5 .

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pensiero ermetico e platonico che considerava i "logici" coloro che non avevano accolto la grandezza dell'annuncio salvifico divino per­ ché "dotati di sola ragione"39• Aristotele considerò le Idee platoniche troppo astratte e trascendenti rispetto a come lui le concepiva. Egli non negò che la scienza fosse costituita da concetti universali, ma non accettò che le cose fossero separate dalle Idee; secondo il suo pensiero ogni individuo è un insieme di materia e forma ed al momento della morte cessa per sempre di esistere. Aristotele accennerà alla metempsicosi solo come mito della scuola Pitagorica, ma non affronterà mai l'argomento come aveva fatto Platone. Anche sulla figura di Dio ci furono delle nette divergenze: "Dio

non è creatore, in quanto non è persona, ma puro contemplatore di se stesso che non esce fuori da sé" 40• In quest'affermazione si può intuire che l'idea di Aristotele era ben lontana dalla visione platonica di un Universo fatto di infinite ed intime relazioni con il mondo Divino. Aristotele vide Dio come atto puro e perfezione assoluta, ed anche come "motore immobile" causa del divenire dell'Universo, ma lo consi­ derò sempre completamente distaccato dalle cose mutevoli del mondo. Secondo il filosofo esistevano due realtà separate: da una parte vi era Dio, capace di contemplare solo se stesso e la propria essenza, e dall'altro vi era il mondo materiale che non aveva alcun legame con quello Divino. Il mondo celeste è da lui concepito come una serie di cieli con­ centrici, di cui il più esterno è quello delle stelle fisse, mentre il più interno, quello più vicino alla Terra, è quello della Luna4 1 • Per quanto riguarda il mondo terrestre, la sua concezione geocentrica che consi­ derava la Terra immobile al centro dell'Universo, si distaccò fortemen­ te da quella espressa dai Platonici. Questo concetto del geocentrismo, ribadito dall'astronomo Tolomeo, rimarrà per secoli molto radicato, ma dalla fine del XV secolo non mancheranno menti eccellenti capaci di ribaltare completamente quella visione. op. cit., p. 1 1 7. "' G . Giovannini, op. cit., p. 1 69. ' 1 G . Giovannini, op. cit., p. 1 70.

''' E. Trismegisto,

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La diffusione della Dottrina Ermetica in Europa

tra U XII e XN secolo

Dante Alighieri, Cappella del Potestà del Bargello, Scuola di Giotto, Firenze.

Dante Alighieri e l'ermetismo dei Rosacroce e dei Fedeli d'Amore

Lingiusta persecuzione subita dai Templari ed il loro preordinato annientamento42, non servirono tuttavia a soffocare il diffondersi di quelle stesse conoscenze alchemico-sapienziali.

"La questione dei Fedeli d'Amore non s'inquadra nel suo spirito fra le cortesie feudali e i canti di Calendimaggio. Si deve inquadrare fra la strage degli Albigesi e quella dei Templari " 43• 42 L a Santa Sede promulgò i l 2 2 novembre 1 307 l a bolla "Pastoralis Praeminentiae" con la quale Clemente V ordinava ai sovrani dei vari Stati ed agli inquisitori di pro­ cedere all'arresto dei Cavalieri del Tempio e di confiscar loro tutti i beni. A distanza di pochi mesi quel mandato cominciò a produrre i primi terribili risultati: iniziaro­ no i processi che si svolsero su tutto il territorio italiano toccando anche la Toscana ed in particolare Firenze e Lucca. Non tutti furono concordi nel procedere contro i Templari. Tra questi ricordiamo l'arcivescovo di Ravenna, Rinaldo da Concorezw, il quale nel 1 3 1 1 , durante il processo intentato contro di loro, operò in modo corretto rifìutandosi di estorcere le confessioni con i supplizi che solitamente venivano adotta­ ti. La sua decisione di assolverli scatenò la contrarietà di Clemente V il quale ordinò nuovi interrogatori rivolgendosi questa volta ad Antonio d'Orso, vescovo di Firenze. 43 L. Valli, Il Linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore, Firenze libri, Reggello (Fi) 2008.

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Con quest'affermazione lo storico Luigi Valli, mise subito a fuo­ co l'identità di quella nuova corrente ermetica che apparve sulla scena del mondo quando i Cavalieri del Tempio sembravano ormai esserne definitivamente usciti. Infatti l'ideale politico e religioso dei Cavalieri Templari44 continuò a vivere ed a perpetuarsi, in maniera più o meno velata, all'interno degli Ordini iniziatici dei Rosacroce e dei Fedeli d'Amore. René Guénon, saggista ed ermetista francese, nel suo libro L'eso­ terismo di Dante così afferma: "A ll'epoca di Dante, l'ermetismo esisteva

molto certamente nell'Ordine del Tempio, come pure la conoscenza di certe dottrine di origine sicuramente arabe che Dante stesso non sembra aver ignorato, e che gli furono senza dubbio trasmesse anche per questa via"45• Dante Alighieri, templare, rosacruciano e fedele d'amore, ebbe una parte significativa all'interno di questi tre Ordini e nei suoi scritti non mancò di accennare alla triste vicenda dei Cavalieri del Tempio utilizzando parole aspre di severo giudizio contro coloro che li aveva­ no avversati. Nell'Inferno alluderà a Papa Clemente V chiamandolo "pastor senza legge"46, mentre nel Purgatorio paragonerà il Re di Francia Fi­ lippo il Bello al "nova Pilato" crudele ed avido, che fu capace di pro­ ferire l'ignobile sentenza contro Jacques de Molay.

'1 4

Nel De Laude Novae Militiae scritto da San Bernardo di Chiaravalle leggiamo: "Da qualche tempo si diffo nde la notizia che un nuovo genere di Cavalleria è apparso nel mondo [ . . ] Un nuovo genere di cavalieri, dico, che i tempi passati non hanno mai conosciuto: essi combattono senza tregua una duplice battaglia sia contro la carne e il sangue, sia contro gli spiriti maligni del mondo invisibile. È davvero impavido e protetto da ogni lato quel cavaliere che come si riveste del corpo diferro, così riveste la sua anima con l'armatura della fede': (Bernardo di Chiaravalle, Ai Cavalieri del Tempio, l'elogio della Nuova Cavalleria, a cura di Mario Polia, il Cerchio, Rimini 2003, p. 35). .

·l ' R.

Guénon, I..: esoterismo di Dante, Atanor, Roma 1 976, p. 35.

1" !nf XIX, 80-8 5.

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" Veggio il novo Pilato sì crudele,/ che ciò noi sazia, ma sanza decre­ to!portar nel Tempio le cupide vele.! O Segnor mio, quando sarò io lieto/a veder la vendetta che, nascosa,/fa dolce l'ira tua nel tuo secreto?"47• Chiaro si legge in questi versi l'auspicio di una "vendettà' dell'ira divina in riscatto di quella nobile morte. Sempre nel Purgatorio, Dante menzionò "umani corpi già veduti accesi"48 facendo intuire che quei dolorosi roghi erano ben presenti nella sua memoria49• Nel Paradiso Beatrice gli mostrerà "il conven­ to delle bianche stole" ed il candore della "milizia santà' con palese riferimento ai Templari, alla purezza del loro cuore ed al martirio al quale si erano votati: "Informa dunque di candida rosa/ mi mostrava la

milizia santa! che nel suo sangue Cristo fece sposa"50• Infine negli ultimi tre Canti del Paradiso, il Poeta si troverà fac­ cia a faccia con San Bernardo di Chiaravalle, ispiratore dell'Ordine Templare, che si metterà al suo fianco per condurlo verso i piani più eccelsi dell'Empireo5 1 • Per quanto riguarda i Rosacroce, non è facile poter definire il periodo storico in cui l'Ordine fece la sua comparsa. Alcuni storici affermano che apparve intorno al 1 200 e che avesse un legame segre­ to con l'Ordine Templare, altri sostengono che fu fondato nel XVII secolo da Christian Rosenkreuz, ma in realtà l'effettiva presenza di questa profonda corrente ermetica è molto più antica. Quando an­ diamo a mettere in luce l'Ideale e le finalità professate dall'Ordine dei Rosa-Croce, ci accorgiamo che alla base vi è una Tradizione dottrinale cristiana metastorica, avvolta da un velo difficilmente penetrabile, che abbraccia tutte le Tradizioni presentando similitudini impressionanti.

47 Purg. XX, 86,96. 48 Purg. XXVII, 1 8. 49 Secondo alcuni storici, sembra che Dante abbia personalmente assistito alla mor­ te di Jacques de Molay. 50 Par. XXXI 3. 5 1 Par. XXXI 49,5 1 . ,

,

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Michael Maier, alchimista rosacrociano del XVII secolo ne parlò in questi termini: "]Rosa-Croce sono i successori dei collegi dei bramini indù,

degli Egiziani, degli Eumolpidi di Eleusi, dei Misteri di Samotracia, dei Magi di Persia, dei Gimnosofisti di Etiopia, dei Pitagorici e degli Arabi" 52, mettendo in luce che l'eredità iniziatica dei Rosacroce traeva origine dai più antichi culti misterici indiani, egiziani, persiani, greci ed arabi. Anche René Guénon ribadì lo stesso concetto53 parlando di una società segreta la cui dottrina ermetica presentava gli stessi identici caratteri professati dai Templari e dalle maggiori correnti ermetiche orientali, ma sapientemente "dissimulati" per potersi muovere in se­ gretezza e libertà. Guénon oltre a mettere in evidenza infiniti esempi che forni­ scono la testimonianza del perché la Divina Commedia deve essere considerata un testo alchemico di grande valore, si sofferma anche sull'affiliazione del sommo Poeta all'Ordine del Tempio. Lo scrittore afferma che tra la fine del XIII e l'inizio del XIV seco­ lo, sia in Francia che in Italia, cominciò a venire alla luce una tradizio­ ne ermetica che nel 1 374 prese il nome di Fraternitas Rosae-Crucis, intimamente legata all'Ordine Templare, e conservata da organizza­ zioni iniziatiche come quelle della Fede Santa e dei Fedeli d'Amore a cui Dante Alighieri appartenne. Nel museo di Vienna è infatti conservata una medaglia che porta le iniziali F. S. K. l. P. F. T. , alle quali l'Aroux, letterato ermetista fran­ cese, dette questo significato: Frater Sacrae Kadosh, Imperialis Princi­ patus, Frater Templarius 54• Guénon preciserà che quelle prime tre lettere F. S. K vanno lette come "Fidei Sanctae Kadosh", ovvero associazione della "Santa Fede", il Terz'Ordine di affiliazione templare a cui appartenne Dante. Il ter­ mine ebraico Kadosh, che significa "santo" o "consacrato" , sembra '! ·· ' ' ·1

Michael Maier, Silentium post clamores, Clara Fama, La Rochelle 20 1 0. R. Guénon, op. cit., p. 24. R. Guénon, op. cit., p. 1 3 .

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dunque confermare non solo l'appartenenza all'Ordine, ma anche il suo ruolo di preminenza. Questo spiega come mai nella Divina Commedia appaiono chiare testimonianze allegoriche che riconducono all'alchimia, alla mitologia, al simbolismo, alla numerologia, all'astronomia, all'a­ strologia ed alla Kabbala ebraica: un'unità dottrinale che scaturisce da un' unica arcaica Sapienza tramandata nei secoli da un ordine iniziatico all'altro. Così scriveva Re Salomone facendo intuire quanto è importante condurre la propria ricerca interiore verso la Sapienza Divina: "Questa

ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza" 55• Quello stesso ideale accompagnò anche i Fedeli d'Amore che, per sfuggire all'Inquisizione papale, riuscirono a velare sotto le spoglie di una Donna bellissima da loro perdutamente amata ed incessantemen­ te ricercata, l'amore per la Sapienza e per la Vergine Maria. I Fedeli d'Amore56, nati sulla scia della lirica provenzale dei "troubadours"57, parlavano di un "amore cortese" capace di affinare e nobilitare l'uomo e ravvisavano in quel sentimento il "fuoco celeste" o "Fuoco dei Filosofi": una forza spirituale nuova, Divina, che trascen­ deva la condizione umana.

"Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,/ che 'l velo è ora ben sottile,/ certo che 'l trapassar dentro è leggero"58, scrisse Dante Alighieri, riba­ dendo il concetto di quali sottili conoscenze si possono celare sotto ad un linguaggio apparentemente ordinario. Del resto è Dante stesso a comunicare in una sua lettera scritta a Cangrande della Scala che il suo poema si può leggere non solo in senso letterale, allegorico e morale, ma anche in senso anagogico o 55 Sap. 8:2. 5 6 A. Ricolfi, Studi sui 'Fedeli d'Amore', Luni, Milano 2006, p. 77. 57 A. Ricolfi, op. cit., p. 1 1 7. 58 Purg. VIII 1 9,2 1 .

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spirituale: il più difficile ed importante da interpretare, se non si co­ noscono i dettami della Dottrina Ermetica. Foscolo, Rossetti, Aroux, Pascoli, Valli e Guénon furono tra i primi ad intuire la complessità della Divina Commedia ed a notare che la tri­ ste vicenda dei Cavalieri del Tempio attraversa tutto il poema con cenni sparsi nei vari Canti che, se attentamente raccolti, danno un chiaro quadro di quanto Dante fosse legato a quei tre Ordini lniziatici. Il Poeta, nella Vita Nuova, nomina per ben sette volte i Fedeli d'Amore. Il sette fu il numero sacro per eccellenza, al quale, nella Bibbia e nell'Apocalisse, si fanno continui riferimenti. Il sette è il numero dell'Uomo e la Donna Nuovi, perfettamente realizzati, che sono riusciti a fondere la loro perfezione morale con le tre Virtù teologali. Anche Beatrice appare per la prima volta nella Vita Nuova. Bea­ trice rappresenta l'elemento femminile segreto, misterioso, talmente amato secondo i canoni dell' "amor cortese", da suscitare in Dante un "mistico risveglio". Non ci vuole molto per capire che il simbolismo che si cela dietro ai colori delle vesti di Beatrice è di taglio alchemico: la sua veste è rossa quando Dante la incontra per la prima volta, poi sarà di "colo­ re bianchissimo" quando la rivedrà dopo nove anni ed infine il suo mantello sarà "di vel cinta d' olivà', quando la incontrerà per guidarlo verso il Paradiso. I colori rosso, bianco e verde, che più volte ritroveremo all'inter­ no della cappella di Palazzo Medici di Via Larga, rappresentano tre importanti fasi alchemiche che riconducono ad un intimo lavoro di introspezione e di crescita spirituale che a quanto pare anche Dante stava portando a compimento. Il modello di perfezione sapienziale è la Vergine Maria, simbolo di Sophia, il principio femminile divino a cui Templari, Rosacruciani c Fedeli d'Amore fecero sempre riferimento. In quegli anni nacquero poemi allegorici pieni di intimi signifi­ cati pervasi da un'unica matrice: la visione tra sogno e realtà di una 41

donna59 bellissima di cui il cavaliere perdutamente s'innamora. Tutte le difficoltà da affrontare e superare per avvicinarla, non saranno altro che "prove" di tipo iniziatico di grande valore.

". . . Io l'amerò per lei, cioè l'o norerò e celebrerò il suo nome e la sua fama, e sarò custode del suo onore", cantava Montaudon, nobile mona­ co e trovatore, facendo intuire che la donna60 alla quale si rivolgeva, doveva rispecchiare le caratteristiche celestiali della Sapienza Santa. Tali tematiche, che trovano una loro radice ancora più antica nella poesia musulmana-andalusa, portarono una nuova concezione dell'Amore. Questo sentimento non avveniva all'interno di un vincolo ma­ trimoniale e non era soggetto a passioni smodate e contingenti, ma si caricava di tutta la trepidazione che provoca un desiderio osta­ colato. Il personaggio femminile, che diveniva oggetto di ogni at­ tenzione, era di solito una donna di rango elevato per la quale il Cavaliere provava un'adorazione segreta, "intimo vagheggiamento" e dedizione completa. Francesco da Barberino61 , poeta toscano coetaneo a Dante, viag­ giò per corti spagnole e francesi per poi portare a "certi suoi amici gentili uomini di Toscanà', quello stesso pensiero. Nel suo Documenti d'Amore, testo · non ben tollerato dalla Chiesa di Roma, nascose die­ tro a versi ed illustrazioni dal carattere apparentemente semplice ed ingenuo, idee che celavano un messaggio ermetico inteso solo da po­ chi eletti. Quei Documenti divennero dei veri e propri "Insegnamenti d'Amore" , di solida formazione etico-spirituale, adatti al "cavaliere" idoneo a riceverli. I versi "intesi da alcuni di quelli che sono con noi e non da altri" sembrano degli innocenti giochi di parole ed invece parlano delle do­ dici virtù da risvegliare in base ad un programma ascetico di spiccata 59 A. Ricolfi, op. ci t., p. 1 1 7. L. Valli, op. ci t., p. 52. 61 A. Ricolfi, op. ci t., p. 52-53.

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marca ermetico-alchimista: temi che ritroveremo all'interno dell'af­ fresco di Benozzo Gozzoli. Secondo il Barberino le prime tre virtù subito da realizzare sono Docilità, Industria e Costanza62: "docilità'' intesa come prima virtù iniziatica, per farsi docili all'azione modellante e santificante della Grazia; "industrià' concepita come dedizione totale ad un lavoro inti­ mo che condurrà alla scoperta di "cose preziose"; ed infine "costanzà' per perseverare fino alla fine al volere Divino. Ecco che da questo importante documento nasceranno i primi germi di quella "vita nuovà' che i Fedeli d'Amore auspicavano per l'uomo che, affiancato dalla Donna, sarebbe cresciuto in Amore e Sa­ pienza fino a diventare l'Iniziato capace di intraprendere il cammino spirituale che porta "in due" al Regno di Dio. Se il Barberino attinse simili idee dalle corti d'Amore provenzali vuoi dire che anche i "troubadours" francesi non erano certo estranei a questo movimento mistico-iniziati co che si avvicinava, per l'alto Ideale eristico e per il particolare culto verso la Vergine, all'Ordine Templare presente sulla scena del mondo in quegli anni. Come sappiamo gli stessi temi a carattere allegorico-iniziatico del Barberino, furono condivisi da Dante Alighieri. Fu Brunetto Latini, suo maestro, profondo conoscitore di "stile" e di Sapere, a trasmet­ tergli le conoscenze dei testi più importanti di letteratura araba e di letteratura francese antica, che lo condurranno a mettersi in contatto con una cerchia di eruditi, filosofi e giuristi che si esprimevano con una poesia dall'espressione "dolce" e pura, ma al tempo stesso sorretta da profondi contenuti a carattere mistico-iniziatico. Il risveglio salutare di quello "spirito amoroso che dormià', di cui Dante parla nella Vita Nuova, iniziò a riunire il fior fiore della cultura italiana dal XIII al XIV secolo, con l'intento di riportare in vita antiche conoscenze e ritualità che, nei secoli, la Chiesa ufficiale aveva perso. Quegli innovativi pensieri vennero esposti grazie ad uno "2 A. Ricolfi, op. cit., pp. 54-5 5 .

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"stile" di scrittura "nuovo", nobile e raffinato, dando così vita ad una produzione letteraria di carattere qualitativo ed intellettuale elevato, ricca di metafore e di simbolismi: il "dolce stil novo"63• I Fedeli d'Amore furono quindi personaggi di spicco della cultu­ ra fiorentina che, animati da un nuovo vigore innovativo, portarono nella società due tipi di messaggio: quello essoterico di una poesia d'Amore raffinata e galante che tutti potevano comprendere, e quello esoterico di un messaggio mistico-iniziatico ideato solo per coloro che erano in grado di recepirlo.

"O voi ch'avete li 'ntelletti sani,/ mirate la dottrina che s'ascondel sot­ to 'l velame de li versi strani"64, scriverà Dante nel Purgatorio, facendo intendere quanto quel linguaggio pieno di intimi significati non fosse adatto a tutti. Dante Alighieri insieme a Francesco da Barberino65, a Guido Guinizzelli, a Guido Cavalcanti, a Giovanni Boccaccio, a Cino da Pistoia, a Cecco d'Ascoli66 ed a tanti altri personaggi della cultura di quel tempo, divenne il segreto interprete di un Cristianesimo esoteri­ co, ben discosto da quello più popolare, proprio in uno dei momenti storico-religiosi più difficili che avevano visto il Papato e l'Impero mettere in atto due terribili stragi: quella degli Albigesi e quella dei Cavalieri Templari. Ecco che in un periodo storico così pericoloso per coloro che dissentivano totalmente da quelle feroci repressioni, nacque questo linguaggio nuovo, nascosto, ben distinto dalla lingua volgare, per diffondere idee politico-religiose di ampio respiro che si fondavano sull'Amore, la fratellanza e la fede nell'aiuto Divino.

63 Luigi Valli, op. cit., p. 1 36. 64 Purg. IX, 6 1 ,63. 6 5 Luigi Valli, op. cit., p. 27. 66 Luigi Valli, op. cit., p. 1 77.

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Giovanni Villani, storico e cronista della fine del XIII secolo, nel­ la sua Cronica 67 parlò di una "nobile corte" vestita di bianco che sfila in corteo dietro ad "un signore detto dell'Amore" durante la festa di San Giovanni Battista nella Firenze del giugno 1 283 e in quella "no­ bile corte" non poteva che trovare riferimento la fratellanza militante dei Fedeli d'Amore. Giovanni Villani, così ricorda Firenze nel suo libro I primi secoli

della storia di Firenze: "Firenze fu il centro di una così grande cultura perchéfu la sede delle maggiori libertà che erano allora possibili". Quando il Villani accennò alle "libertà'' che si esercitavano in Firenze, si riferiva sia alle sette Arti Liberali - Trivio e Quatrivio - che alle sette Arti Maggiori: corporazioni di arti e mestieri capaci di orga­ nizzare tutte le attività economiche cittadine. Alle sette Arti Maggiori, nate tra la metà del XII e XIII secolo, poi si affiancarono le quattordici Arti Minori che comprendevano maestri d'opera ed artigiani. Dante, per partecipare alla vita politica di Firenze, si iscrisse all'arte dei Medici e Speziali, corporazione nata intorno al 1 3 1 3 che si basava sulla conoscenza delle virtù curative delle erbe officinali che venivano vendute, insieme alle polveri minerali, alle essenze ve­ getali e alle droghe alimentari, nelle botteghe che esercitavano que­ sta scienza. I medici di allora erano profondi cultori delle sette Arti Liberali e quindi anche della Filosofia e di tutte le Scienze, compresa l'Astro­ logia. La malattia era vista come perdita dell'armonia fisica ed i medi­ camenti adottati dai medici e speziali si basavano su antiche formule che tendevano a curare il malato non per il singolo problema, ma nell'interezza della sua persona. Spettava agli Speziali preparare le medicine prescritte e molti fu­ rono i medici che cominciarono ad interessarsi all'Alchimia come spe­ rimentazione pratica della Dottrina Ermetica.

c,J

Giovanni Villani, Cronica, Sansoni, Firenze 1 844.

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Tra il XIV ed il XV secolo, oltre all'antico Ricettario Fiorentino, vero compendio di tutte le conoscenze farmacologiche di quell'epoca, vennero pubblicati anche testi alchemici che riportavano preparazioni per ottenere l"'Elixir", antico medicamento capace di guarire le ma­ lattie del corpo e dell'anima. Nella Biblioteca Laurenziana ancora oggi viene conservato uno splendido documento, il Testamentum, attribuito a Raimondo Lullo alchimista terziario dell'ordine francescano, nel quale furono riporta­ te le tecniche utilizzate per l' ottenimento di quella misteriosa "essen­ zà' ricercata dagli Alchimisti. Il prezioso manoscritto fu dipinto dal miniaturista Gerardo da Cremona che in quegli anni lavorava assiduamente anche a Firenze. In ogni capolettera iniziale venne rappresentato un frate france­ scano che compiva un'operazione alchemica differente: nella prima miniatura il monaco appare in atteggiamento di invocazione e pre­ ghiera, mentre nelle altre viene raffigurato mentre dissoda il terreno per la semina, oppure mentre tinge, cuoce e distilla la materia fino a sublimarla in una "quintessenzà' . Quelle operazioni così bene illustrate volevano dare la certezza che solo un paziente cammino fatto di operatività e di disciplina in­ teriore, sarebbe stato in grado di condurre l'uomo e la donna verso la realizzazione di intime esperienze spirituali. Andando avanti nella nostra ricerca storica ci accorgeremo che dopo i Fedeli d'Amore quella conoscenza sapienziale continuò a per­ petuarsi, sotto altre velate vesti, nella nuova corrente neoplatonica­ rinascimentale del XV secolo che riporterà alla luce quelle medesi­ me ermetiche tematiche: un muto linguaggio che si esprimerà anche nell'architettura e nella pittura e che ritroveremo immortalato all'in­ terno della Cappella medicea del palazzo di via Larga.

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C eccellenza politico-culturale dei Medici nel XV secolo

Cosimo il Vecchio, Pontormo, Uffizi, Firenze.

Cosimo "il Vecchio "

''Rare volte occorse che un cittadino, tornando trionfante da una vitto­ ria, fosse ricevuto dalla sua patria con tanto concorso di popolo e con tanta dimostrazione di benevolenza"68, ricorda il Macchiavelli nei suoi scritti. Nel 1434, dopo un anno di esilio69, Cosimo di Giovanni detto "il Vecchio", grazie ai larghi consensi popolari che aveva saputo riunire intorno a sé, tornò trionfalmente a Firenze. Cosimo, divenne così il primo Signore di Firenze, un uomo di stato onesto, ricco e colto, appassionato di lettere classiche e moderne, con una conoscenza pro­ fonda delle Sacre Scritture. Lingente eredità economica raccolta dal padre, Giovanni di Bicci, lo rese fautore della fortuna della sua famiglia e del Banco fiorentino. 68

Franco Cesari, I Medici, Storia di una dinastia europea, Mandragora, Firenze 1 999, p. 24. ''') I numerosi consensi popolari che Cosimo il Vecchio stava riscuotendo per la sua anività commerciale e bancaria, mossero le invidie della famiglia Albizi e della fa­ zione dominate in città. Fu il gonfaloniere Bernardo Guadagni che nel l 433, d'ac­ cordo con Rinaldo degli Albizi, fece prima imprigionare Cosimo nel carcere della Torre di Arnolfo in Palazzo Vecchio, e poi lo costrinse all'esilio. Il grande mecenate così partì per Padova e Venezia dove venne accolto con i massimi onori.

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Grazie agli insegnamenti paterni ricevuti, Cosimo riuscì ad apri­ re filiali in tutta Europa ed in particolare a Bruges, Parigi e Londra, tanto da divenire uno degli uomini più ricchi del mondo: un enorme patrimonio con il quale, silenziosamente, seppe gestire la vita politica di Firenze e dell'intera Toscana. Così Francesco Guicciardini nelle sue Storie Fiorentine lo descrive:

''Fu tenuto uomo prudentissimo; fu ricchissimo più che alcuno privato, di chi s'avesse notizia di quell'età; fu liberalissimo, massimo nell'edificare non da cittadino, ma da re. Edificò la casa loro di Firenze, San Lorenzo, la Badia Fiesolana, el convento di San Marco e Careggio [ . . . ] ; e per lo stato grande, chefu circa a trenta anni capo della città, per la prudenzia, per la ricchezza e per la magnificenzia, ebbe tanta reputazione, che forse dalla declinazione di Roma insino ai tempi sua, nessuno cittadino priva­ to n'aveva avuta mai tanta"70• La figura di Cosimo ricordava quella di Cesare Augusto che aveva

dato inizio all'Impero romano adunando in sé tutti i poteri, ma rifiutan­ do qualsiasi carica onorifica. Il suo valore fu quello di saper operare "die­ tro le quinte", salvaguardando l'aspetto esteriore della Repubblica, tanto da conquistarsi i favori dei ceti popolari e dell'alta borghesia fiorentina. In effetti Cosimo il Vecchio fu un personaggio veramente sin­ golare, un grande mecenate che seppe utilizzare quel patrimonio a favore delle arti e dell'architettura, riunendo intorno a sé i maggiori artisti, letterati ed umanisti di quel periodo storico. "Con lui Firenze conosce una stagione irripetibile: non si è anco­ ra chiuso un cantiere che già se ne apre un altro. Tutti i grandi pittori e architetti dell'epoca sono impegnati senza risparmio"71 • Cosimo nel 1 444 commissionò al Michelozzo il Palazzo Medici di via Larga ed il restauro del convento di San Marco, in cui si farà riservare due celle per isolarsi da ogni impegno politico e vivere lì i 7° Francesco Guicciardini, Storie Fiorentine da/ 1378 a/ 1509, a cura di Alessandro Montevecchi, BUR, Milano 1 998. 7 1 F. Cesati, op cit., p. 26.

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suoi intimi momenti di riflessione. Per il Michelozzo lavorarono i più grandi artisti di quel periodo come Fra Giovanni Angelico, Benozzo Gozzoli, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Andrea del Castagno e Luca della Rabbia. La conoscenza di Cosimo il Vecchio per le lingue non si fer­ mava solo al tedesco ed al francese, ma spaziava anche al greco e all'arabo che aveva appreso durante i suoi soggiorni presso l'Eremo di Camaldoli. Il suo amore per tutto il patrimonio culturale antico lo portò a frequentare uomini dotti come Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni e Ambrogio Traversari ed a commissionare, nel 1 444, nel convento di San Marco, la prima biblioteca pubblica di Firenze e d'Europa nella quale raccolse libri rari e di grande valore. Oltre ai più antichi ma­ noscritti ermetici provenienti dall'Oriente, arrivarono in San Marco le opere di Cicerone, Virgilio, Tacito, Plinio e di tutta la cultura del Duecento e Trecento fiorentino. Alla sua corte furono ospitati anche personaggi d'eccezione come Renato d'Angiò, chiamato anche il " Bon Roi René", noto per la gran­ dezza d'animo e la forza della sua fede, che lottò al fianco di Giovanna d'Arco in nome della "croce" di Cristo72• Roi René venne ricordato, oltre che come coraggioso condottie­ ro , anche come mecenate illuminato, scienziato, economista e fine letterato, conoscitore di ben sei lingue, tra cui il greco e l'ebraico. Cosimo doveva essere a conoscenza del valore morale e culturale di Renato d'Angiò perché in occasione del suo arrivo a Firenze, avvenuto il 4 luglio 1 44273, commissionò a Giuliano d'Arrigo, detto Pesello, quel

72 Renato d'Angiò fu insignito dei più prestigiosi titoli: duca di Bar e di Lorena, Re di Napoli, Re di Gerusalemme, Guardiano del Santo Sepolcro, Gran Maestro del Priorato di Sion e Gran Maestro dell'Ordine della Mezzaluna che fondò nel 1 448. 73 Questa data è stata determinata "con assoluta certezzà' - come riporta Gioia Mori nella rivista "Art e Dossier", Ar te e Astrologia - dopo gli ultimi restauri eseguiti intorno al 1 986 con l'aiuto dell'Osservatorio Astronomico di Arcetri.

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gioiello di "Emisfero celeste" dipinto sul soffitto della piccola cappella absidale della Sagrestia Vecchia74 nella Basilica di San Lorenzo. Cosimo de' Medici svolse anche importanti incarichi in veste di ambasciatore per la Repubblica fiorentina operando a Milano, a Luc­ ca e a Roma presso la corte di Papa Martino V. Ma il merito maggiore che Cosimo il Vecchio ebbe, fu quello di proporre a Papa Eugenio IV di spostare il Concilio di tutte le Chiese cristiane ed ortodosse da Ferrara a Firenze, portando Firenze a rivesti­ re un ruolo di preminenza rispetto a tutte le altre città d'Italia. Fu in seguito a questo importante evento che il grande mecenate iniziò ad inviare i suoi fidati "agenti" per rintracciare in Medio Oriente i più antichi testi di alchimia, astrologia, medicina e tra questi uno dei manoscritti più preziosi: il Corp us Hermeticum di Ermete Trismegisto. Nel 1 460 Cosimo il Vecchio ne commissionò la traduzione a Marsilio Ficino con la preghiera di terminare quel grandioso lavoro in breve tempo perché sentiva la sua fine imminente. Il Ficino accolse il suo desiderio e la prima stesura del Corp us Hermetic um fu ultimata pochi mesi prima della morte di Cosimo, avvenuta nell'agosto del 1 464 nella Villa di Careggi. Il funerale di Cosimo il Vecchio si svolse seguendo le sue volontà: senza alcuno sfarzo. Un mesto e silenzioso corteo partì dalla Villa di Careggi per entrare in città e raggiungere la Basilica di San Lorenzo. La Repubblica fiorentina volle riservare lo stesso grandi onori al primo signore di Firenze facendo allestire una singolare lapide di se­ poltura che testimoniasse lo straordinario prestigio della sua persona.

74 "La Sagrestia è uno spazio meravigliosamente controllato dal rigore proporzionale, nel quale costrutti architettonici di ingente complessità e ricchezza si rapportano a uno schema complessivo semplice e insieme grandioso, ispirato all'antichità classica non senza suggestioni d'Oriente. Per la prima volta in assoluto si vedeva non solo a Firenze, ma in tutto l'Occidente cristiano una costruzione di tale lucidità e magnifi­ cenzà' (Cristina Acidini, I Medici e le arti, "Art e Dossier", Giunti, Firenze 2009, p. 9) .

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Lapide tombale dedicata a Cosimo il Vecchio, Chiesa di San Lorenzo, Firenze.

Nella navata centrale, ai piedi dell'altare della Basilica fu posta una la­ stra tombale perfettamente allineata con il luogo di sepoltura sottostante. Oltre alle simboliche figure geometriche realizzate nei tre marmi verde, bianco e rosso, di chiaro taglio ermetico, fu impressa la scritta: "COSMUS MEDICES HIC SIT US EST DECRET O P UBLICO PAT ER PAT RIAE" ('Qui giace Cosimo de' Medici, per pubblico decreto Padre della Patria''). "Pater patriae", l'appellativo onorifico che la città di Firenze volle immortalare su quel marmo, testimonia ancor oggi la grandiosità di un uomo così amato e rispettato da tutti.

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Il giorno del Solstizio d'Inverno un largo fascio di luce parte dalla finestra "a occhio" posta sopra l'altare dei Santi Cosma e Damiano75 e va a colpire in pieno quella lastra tombale, conferendole un'ulteriore sacralità. Non fu mai vista una tale disposizione simbolica per nessun altra sepoltura civile. Il Concilio di Firenze e la lungimiranza di Cosimo il Vecchio

"Nel 1439, regnante Cosimo il Vecchio, la città di Firenze ospitò un grande avvenimento religioso: il Concilio per l'unione delle Chiese Cri­ stiane con tutto il suo seguito dei maggiori esponenti del mondo cristiano, greco ed orientale"76• Questo evento ebbe grande risonanza in tutta Europa, e Firenze in quegli anni divenne il centro politico, culturale e religioso di mag­ gior prestigio e notorietà. Il Grande Scisma del 1 0 54, più conosciuto come Scisma d'O­ riente, aveva portato una divisione nel mondo cristiano fra la Chie­ sa Cattolica d'occidente e la Chiesa Ortodossa d'Oriente. I cattolici sostenevano il primato del Papa quale rappresentante di San Pietro 75 Non a caso quel fascio di luce proveniva dalla Cappella dei Santi Cosma e Damia­ no. I due santi siriani furono considerati, per le loro capacità terapeutiche, protet­ tori della famiglia Medici. Cosma e Damiano, esperti nell' ipnomagnetismo curativo, erano soliti mettere i loro pazienti in uno stato tra il sonno e il sogno - "incubazio­ ne" - esercitando quella stessa ritualità risanatrice. Questo metodo antichissimo è tutt'oggi utilizzato da quei medici che hanno compreso l'importanza di curare l'en­ tità umana nel suo insieme: corpo, anima e spirito. I medici che applicano questo tipo di terapia hanno capito che "il corpo non è malato se l'anima è sana e lo spirito non è sofferente" e si adoperano verso la persona che soffre, con metodi di cura che trovano una netta analogia con quelli antichi appena menzionati. Durante la cura il malato assorbirà la forza vitale sana del terapeuta, dando in cambio l'energia vitale tossica e dannosa del suo corpo; a questo punto il medico dovrà mettere in atto tut­ te le sue capacità e conoscenze per difendersi da ogni eventuale contagio psichico. 76 P. Maresca, Alchimia, magia e astrologia nella Firenze dei Medici, Pontecorboli, Firenze 20 1 2, p. 1 3 .

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Sebastian Munster, Florentia nobilissima Hethruriae civitas, deformata ad nostra tempora, Basilea 1 5 50.

su tutta la Chiesa, mentre gli ortodossi riconoscevano la sua autorità solo sui cristiani d'Occidente e non sui Patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. La frattura da un punto di vista dottrinale, teologico, linguistico, politico e geografico sembrava incolmabile, fino a che non apparve sulla scena del mondo la possibilità di ricercare un'unione che rinsal­ dasse la Chiesa greca con quella latina. Da una prima convocazione dei padri conciliari compiuta da Papa Martino V a Basilea nel 1 43 1 , si passò ad un secondo tentativo su idea del suo successore Eugenio IV. Papa Eugenio IV, fin dall'inizio del suo pontificato aveva preso a cuore il progetto di una riunificazione delle due Chiese, ma aveva anche capito che era necessario spostare l'evento in Italia. Nel 1 438 Ferrara fu scelta come sede del nuovo Concilio, ma il difficile mo­ mento storico in cui versava l'Emilia, l'arrivo della peste e le spese elevatissime che il papato avrebbe dovuto stanziare, stava per mettere in crisi il proseguimento di quelle prime operazioni. 53

Fu così che Cosimo il Vecchio, arbitro indiscusso della situazio­ ne politico-economica e culturale di Firenze, in pieno accordo con la Repubblica fiorentina, il 30 dicembre del 1 438, decise di inviare il fratello Lorenzo a Ferrara per proporre a Eugenio IV di trasferire il Concilio nella città medicea, mettendo a disposizione un'ingente somma di denaro che sarebbe servita per dare ospitalità alla rappre­ sentanza greca e ad accoglierla con i suoi dovuti onori. Il Papa accettò di buon grado ed il 10 gennaio 1 439 chiuse l'ul­ tima sessione conciliare a Ferrara per stabilire ufficialmente il trasferi­ mento del Concilio a Firenze. Solenni furono i preparativi per i festeggiamenti che dovevano accogliere più di settecento esponenti del mondo religioso ortodosso. L 1 1 febbraio arrivò il Patriarca Giuseppe accolto dall'intera corte pontificia e da più di cinquecento cavalli finemente addobbati, e il 1 5 febbraio giunse, con un ingresso spettacolare, l'imperatore Giovanni VIII Paleologo. Il cancelliere della Repubblica, Leonardo Bruni, accolse queste due massime personalità con un discorso solenne in lingua greca. Arrivarono a Firenze anche tre dotti monaci che per l'occasione fu­ rono elevati al ruolo di cardinali: Giovanni Bessarione di Trebisonda, me­ tropolita di Nicea, Isidoro di Kiev, metropolita di tutta la Russia, Marco Eugenico, metropolita di Efeso, ed un numero imprecisato di teologi e di vescovi. A loro si unirono anche eruditi bizantini come Giorgio Scho­ larios, Emanuele Crisolora, Teodoro di Gaza, Giorgio di Trebisonda e l'anziano ed erudito filosofo neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone. Da parte della Chiesa romana, insieme a Papa Eugenio IV inter­ venne il cardinale Cesarini, il vescovo di Forlì Luigi Pirano, sessanta­ due vescovi venuti dalla Borgogna, dalla Provenza e dalla Spagna ed un'altra cinquantina di vescovi italiani. I rappresentanti greci furono ospitati nelle più eleganti dimore cittadine: al Patriarca Giuseppe venne messo a disposizione Palazzo Ferrantini in Borgo Pinti, mentre all'Imperatore Giovanni VIII venne riservato Palazzo Peruzzi e tutte le case attigue fra la piazza omonima e Borgo de' Greci. 54

Il 26 febbraio fu tenuta la prima seduta che dette l'avvio al Con­ cilio, e l'inizio delle sessioni si ebbe il 2 marzo nella sala grande del Pa­ latium Apostolicum all'interno del convento di Santa Maria Novella77• Un ruolo di grande prestigio fu riconosciuto a Cosimo il Vecchio che, essendo stato il principale promotore privato e finanziatore del Concilio, fu invitato a presiedere a tutte le sessioni. Il l O giugno le trattative tra le due Chiese furono turbate dall'im­ provvisa morte del Patriarca Giuseppe. Il momento fu molto difficile e quelle pratiche preliminari si sarebbero arrestate del tutto, se inspe­ ratamente non fosse stata ritrovata una lettera, scritta e firmata dal Patriarca stesso, nella quale veniva confermato il suo favore alla riuni­ ficazione delle due Chiese e il consenso a riconoscere nel Pontefice di Roma la piena autorità su entrambe. Tutti i più grandi umanisti e letterati fiorentini, e tra questi Pog­ gio Bracciolini, Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini, Giannozzo Ma­ netti, si riunirono per confrontare le loro conoscenze con le nuove idee che provenivano dal mondo orientale. Giovanni Bessarione ed lsidoro di Kiev rimasero fortemente col­ piti dall'erudizione degli esponenti del mondo culturale italiano così desiderosi di integrare il "sapere" latino con quello greco. Stessa cosa avvenne per artisti, architetti, astronomi, matematici e musicisti che operavano in Firenze e tra i nomi più famosi ricordiamo Leon Battista Alberti, Brunelleschi, Donatello, Ghiberti, Toscanelli: rutti riuniti in un inedito congresso al quale parteciparono le perso­ nalità più eccellenti di quel periodo e la massima autorità del mondo cattolico, Papa Eugenio IV. Firenze stava quindi per diventare non solo la culla dell'umanesi­ mo e del nuovo stile rinascimentale, ma anche il punto fondamentale d'incontro di tutta la cristianità. Con l'arrivo a Firenze dei più grandi personaggi del mondo cul­ turale bizantino entrarono anche centinaia di codici ermetici greci, ., M. Winspeare, I Medici, l'epoca aurea del collezionismo, Sillabe, Livorno 2000, p. 29.

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preziosamente conservati nella Biblioteca di San Marco che divenne la prima biblioteca pubblica della città. Gli incontri culturali, tenuti dai principali rappresentanti della scienza e della dottrina orientale, avvenivano non solo nei luoghi de­ putati a quei convegni, ma anche nelle strade e per le piazze, mettendo a conoscenza il popolo stesso di tutto quel sapere. I salotti letterari del cardinale Giovanni Bessarionel8 e del suo anziano maestro Giorgio Ge­ misto Pletone, entrambi studiosi di antichità greca ed insigni sostenitori dell'unione delle due Chiese, raccolsero i migliori personaggi del mondo anistico e culturale fiorentino lasciando un'impronta ancor oggi visibile. Ilpensiero teologico di Giorgio Gemisto Pletone e di Giovanni Bessarione

Giorgio Gemisto Pletone, Benozw Gozwli, Cappella dei Magi, dettaglio della parete est.

Notevole rilievo ebbe la figura di Giorgio Gemisto Pletone, fon­ datore e guida della scuola filosofica tradizionalista della città di Mi­ stra, arrivato in Italia come consigliere privato dell'Imperatore Gio78 Giovanni Bessarione fu difensore dei Pitagorici e di Platone. Egli aveva capito che Platone superava di gran lunga Aristotele nella trattazione delle cose divine e metafisiche. Come Giorgio Gemisto Pletone anche Bessarione difese ed avvalorò la tesi eliocentrica pitagorica e platonica.

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vanni Paleologo. Sebbene già molto anziano, iniziò a tenere orazioni su Platone e sugli Oracoli Caldaici riportando in luce l'antica dot­ trina misterica di Zoroastro, che si fondava su quella sapienza solare arcaica, già presente in Egitto, nella quale si inserivano i più grandi sapienti dell'antichità come Numa Pompilio, i Sacerdoti di Dodona, Plutarco, Porfirio, Giamblico, i Magi e perfino i Brahmani dell'India. Pletone, riferendosi a quei personaggi che avevano dettato la sto­ ria dell'umanità, così asseriva nei suoi scritti: "Tutti questi, essendo in accordo intorno alla maggior parte delle questioni fondamentali, sem­ brano aver dettato le loro concezioni, come le migliori, agli uomini più sensati [ . . . ] . Noi dunque li seguiremo senza cercare novità nostre o altrui [ . . . ] perché i sapienti esprimono sempre opinioni in armonia con le con­ vinzioni più antiche"79• Il grande erudito, insieme a Giovanni Bessarione, si batté per far capire quanto fosse importante riscoprire Platone ed il Neoplatoni­ smo, non tanto da un punto di vista filosofico, quanto da un punto di vista spirituale, fulcro di riferimento per una possibile unificazione delle differenti fedi cristiane. Nel suo Trattato delle leggi riportò in luce il modello di comunità sapienziale platonica, centrata sul dio-Sole, l'unica in grado di saper vincere le controversie religiose e di accomunare il Cristianesimo con la dottrina professata anche dal mondo islamico. Giorgio Gemisto, come altri grandi del passato, aveva capito che esiste un'unica Tradizione sapienziale, dalla quale tutte le altre sono derivate, ed un unico Dio: un sapere iniziatico, occulto che accomu­ nava le divinità greche, egiziane, persiane ed indiane con le filosofie di Pitagora, di Platone e con il teocentrismo. Come già abbiamo accennato, Ermete Trismegisto aveva chiara questa realtà astronomica e nel suo Corpus Hermeticum ricordò che intorno al Sole ruotano le stelle fisse, i pianeti e "la sfera unica che

.., Pletone in Piero Sanavfo, Ezra Pound: bellum perenne, Raffaelli, 2002, p. 3 1 4.

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circonda la terrà'80• In seguito sarà l'astronomo e fisico Aristarco, nato a Samo nel 3 1 O a. C. a riaffermare la centralità dell'Astro solare. Larresto di quel sapere avvenne nel I secolo d.C. con Claudio Tolomeo che rifiutò fortemente la dottrina eliocentrica per sostituirla con quella geocentrica . Il geocentrismo, teoria già formulata da Aristotele intorno al 347 a.C., dominerà incontrastato per quasi due millenni per poi venire de­ finitivamente sostituito dall'eliocentrismo riproposto da Copernico nel 1 543, riaffermato da Tycho Brahe81 e da Keplero alla fine del XVI seco­ lo e convalidato, grazie a dati e calcoli inconfutabili, da Galileo Galilei agli inizi del XVII secolo82• Quindi, quando Giorgio Gemisto Pletone, affiancato da Bessarione, affrontò il tema della Dottrina solare zoroa­ striana, la teoria che stava ancora andando per la maggiore era quella tolemaica. Questo spiega come mai i due eruditi si trovassero costante­ mente a dover fronteggiare una strenua lotta contro alcuni personaggi del mondo culturale bizantino, e tra questi Giorgio Scholario e Giorgio Trapeziunzio, accaniti sostenitori della tradizione aristotelico-tolemaica. Pletone e Bessarione presagivano, per quell'epoca rinascimentale, un mondo nuovo dominato da una razionalità illuminata da sapienti Iniziati, possessori di quella conoscenza misterica nella quale avrebbero

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E. Trismegisto, op. cit., p. 275. Tycho Brahe, astronomo e astrologo, nacque nel 1 546 in un piccolo paese della Danimarca. Ancora giovanissimo cominciò ad interessarsi all'astronomia portando a compimento i suoi studi a Copenaghen, Wittenberg e Basilea. Il suo metodo di ricerca fu avanzatissimo e si contornò dei più preparati assistenti. Grazie alla sua esperienza di attento osservatore riuscì a raccogliere un gran numero di dati che permisero a Keplero di rafforzare ancora di più la sua teoria sull'eliocentrismo. 82 Galileo Galilei riaffermò la domina eliocentrica, facendo perdere credibilità a quella aristotelico-tolemaica del geocentrismo. La razionalità scientifica di Galileo Galilei (I 564- 1 642) ed i dati inconfutabili dovuti all'evidenza scientifica ed alla sua esperienza, si scontrarono fortemente contro l'irrazionalità, il rifiuto dell'esperienza e l'ottusità bigotta di chi lo voleva comunque avversare. 81

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confluito la Dottrina cristiana e quella islamica, la filosofia di Pitagora e quella di Platone. Nonostante le ostilità, Gemisto Pletoné3, continuò a divulgare le teorie platoniche inserendo nel suo Trattato delle Leggi inni e preghie­ re dedicate all'Astro solare, che accomunavano il sentimento religioso egiziano, mesopotamico e greco con quello cristiano:

':Apollo re,/ tu che regoli e governi tutte le cose nella loro identità,/ tu che unifichi tutti gli esseri,/ tu che armonizzi questo vasto universo così vario e molteplice,/ o Sole, Signore del nostro cielo,/ sii a noi propizio '� Giorgio Gemisto, durante il Concilio, sostenne che il mondo intero presto avrebbe aderito ad una sola identica religione, teorizzando l'instau­ razione di una società ideale teocentrica fondata sul culto del dio Sole. Notevole fu l'entusiasmo che il filosofo ermetico riuscì a sollevare in tutti coloro che condividevano il suo stesso ideale e l'espressione "Fratelli in Platone", con cui iniziava ogni convegno, caricava l'am­ biente di un'alta forza emozionale. Cosimo il Vecchio, fu uno dei suoi più assidui ascoltatori. Il sag­ gio mecenate abbracciò immediatamente le idee platoniche del gran­ de erudito greco e ne rimase così favorevolmente interessato da pren­ dere in seria considerazione l'idea di formare un'Accademia Platonica anche a Firenze, affidando poi il progetto a Marsilio Ficino. Così ricorderà il Ficino quegli incontri: '11 grande Cosimo [ . . . ]

quando si svolgeva a Firenze il concilio per l'unificazione della Chiesa greca con la latina, ascoltò spesso le discussioni sui misteri platonici di un filosofo greco che di nome si chiamava Gemisto, di sopranome Pletone, quasifosse un secondo Platone" 84•

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Il nome "Pletone", che in greco vuoi dire "essere pieno" , trova grande assonanza con "Platone". Sembra che questo soprannome gli sia stato attribuito, proprio a Firenze in onore alla sua devozione al grande filosofo greco. H4 Guido Ceriotti, Storia sociale e culturale d1talia: la cultura filosofica e scientifica, Bramante, 1 988, p. 297.

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Il 6 luglio 1 439 il cardinale Bessarione e il cardinale Cesarini, con rito solenne, proclamarono in Santa Maria del Fiore, la riunificazione delle due Chiese con due discorsi: uno in lingua latina e l'altro in lin­ gua greca. Il 22 novembre dello stesso anno fu celebrata l'unione con gli esponenti del mondo religioso armeno e qualche anno più tardi, il 4 febbraio 1 44 1 , in Santa Maria Novella fu sancita l'unione con la Chiesa copta, dando lettura della bolla Cantate Domino quondam magnifice fecit. Laccordo tra la Chiesa cristiana e la Chiesa ortodossa avvenne e fu perfino firmato il trattato che ne confermava l'unione, ma purtrop­ po rimase "lettera mortà'. Tutto aveva fatto presagire al meglio, ma purtroppo quel "matri­ monio" che avrebbe dovuto ancora più consolidarsi nel tempo, co­ minciò subito a dare seri segni di incrinatura. Nonostante il clima di cordialità che si era creato tra il cardinale Bessarione, rappresentante della Chiesa greco-bizantina, ed il Papa Niccolò V, uomo di grande cultura succeduto a Eugenio IV, la Chiesa bizantina e la russo-orto­ dossa cominciarono a rendere più che palesi le proprie perplessità. Il "dopo Concilio"85 non ebbe gli sviluppi sperati nemmeno a Costantinopoli. Numerosi vescovi della delegazione bizantina, tor­ nati nella propria città e messi sotto pressione dalle dimostranze delle comunità del luogo, ritrattarono e negarono l'integrazione della cul­ tura latina con quella greca. Le difficoltà, in quelle comunità religiose ortodosse, erano già iniziate quando si era presentato il problema di rinunziare alle proprie tradizioni liturgiche e teologiche per sottoporsi alla "tiara" pontificia romana. Da parte del metropolita lsidoro di Kiev, a cui il papa aveva con­ cesso il titolo di "legatus a latere" e la nomina di cardinale, ci fu un grande impegno per portare la presenza della Chiesa latina in alcuni stati d'Europa come Polonia, Lituania e Russia. I..: Ungheria e la Polo­ nia s'impegnarono addirittura a promuovere i dettami del Concilio, 85 Firenze e il Concilio del l439. Atti del convegno di studi, Olschki, Firenze 1 994.

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riuscendo a mettere sotto l'ala pontificia importanti comunità orto­ dosse come quelle dell'Ucraina e della Slovenia. Lo scoglio più duro fu rappresentato dalla Chiesa Russa che nel 1 448 si proclamò "autocefalà', e si autogovernò senza sottostare a nes­ suna imposizione che provenisse dal Papato. Intanto a Costantinopoli si era maggiormente rafforzato il fronte contrario all'accordo stipulato e quando nel 1 453 la città cadde in mano ai Turchi, le differenze di vedute da un punto di vista religioso, divennero incolmabili. Furono gli stessi Ottomani ad impedire che le due Chiese potessero riconci­ liarsi e l'elezione dell' anti-unionista Giorgio Scholario, come primo patriarca, segnò la fine di quella tanto sperata unione. La morte di Giorgio Gemisto Pletone cancellò in breve tempo la dedizione e l'impegno al grandioso progetto di tutta la sua vita: gran parte delle sue opere vennero distrutte e disperso il suo pensie­ ro. Oggi rimangono solo dei frammenti dell'ingente programma di riforma "politico-spirituale" che avrebbe voluto portare nella società. Pletone morì a Mistra nel 1452, ma il suo ricordo rimarrà per sem­ pre nelle parole scritte da Bessarione il giorno che seppe della sua morte: "Ho saputo che il nostro comune padre e maestro ha lasciato ogni spoglia terrena ed è salito in cielo . . . io mi rallegro di essere stato discepolo di un tale uomo, ilpiù saggio generato dalla Grecia dopo Platone. Egli è diven­ tato motivo di grande gloria per l'intera Grecia; e ne sarà l'orgoglio dei tempi a venire. La sua reputazione non perirà, ma il suo nome e la sua fama saranno tramandati a futura memoria"86• Il cardinale Bessarione, forte dell'amicizia con Papa Niccolò V, andò a vivere a Venezia spendendo molte delle sue risorse per aiutare i profughi greci e creare nella città una biblioteca di testi classici che poi lasciò loro in eredità. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1 472, Bes­ sarione riconfermò la dottrina solare già espressa da Gemisto Pletone.

H6 F.

Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, vol. 3 5 , Les Belles Lettres, Paris 1 9 56, p. 307.

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Giorgio Gemisto Pletone e il cardinale Bessarione rimangono due personalità basilari per la formazione culturale di quel periodo storico e notevole fu l'apporto architettonico e artistico conferito dalla loro presenza. Lo stesso progetto verrà sostenuto dal mate­ matico e teologo Nicola Cusano, da Marsilio Ficino e da Pico della Mirandola, ma sarà anche strenuamente avversato da esponenti del mondo ortodosso che vedevano nelle loro parole il ritorno verso un nuovo paganesimo. Il termine "paganesimo", già apparso all'epoca dei Fedeli d'Amo­ re, ricorrerà spesso anche in epoca rinascimentale con l'intento di re­ legare quell'antico Sapere a pura e semplice "superstizione". Su quest'argomento René Guénon è esplicito nell'affermare che coloro che utilizzano con una sorta di disprezzo questa parola, sicuramente non ricordano che esiste una "unità dottrinale", che abbraccia tutte le religioni, che si dissimula dietro le loro apparenti diversità. "La metafisica pura non è né pagana, né cristiana, è universale; i misteri antichi non erano paganesimo ma vi si sovrapponevano; e nel Medio-evo, vi furono organizzazioni il cui carattere era iniziatico e non religioso, ma che avevano la loro base nel cattolicesimo"87, sostenne Guénon agli inizi del XX secolo fornendo una chiara spiegazione del termine. In queste sue parole si avverte chiaro l'invito ad addentrarsi nelle Tradizioni antiche per riscoprire le stesse conoscenze alle quali hanno da sempre aderito i più grandi letterati ed artisti del passato.

8 7 R. Guénon, op. cit., p. 8-9.

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Ennetismo e Arte alla corte di Piero de' Medici

Piero di Cosimo de' Medici, ritratto di Agnolo Bronzino, National Gallery, Londra.

Se Cosimo il Vecchio seppe dare incremento al mecenatismo e allo sviluppo di tutte le Arti, non da meno fu il figlio Piero, il quale per­ seguì lo stesso indirizzo culturale del padre, attingendo da quell'aria umanistico-ermetica che si respirava a corte. Piero de' Medici, alla morte di Cosimo, nonostante si trovasse a dover fronteggiare gravi dissapori scaturiti da invidie politiche ed economiche, continuò a mantenere una condotta esemplare che pre­ vedeva il rispetto per le istituzioni repubblicane fiorentine senza però intaccare l'autorevolezza della sua casata. In quegli anni Firenze stava crescendo di prestigio e la sua fama, grazie al continuo fermento artistico incoraggiato dalla famiglia me­ dicea, andava ad ampliarsi in tutta Europa. Lamore di Piero per la conoscenza dell'Antico e la sua instanca­ bile ricerca di raffinatezza, lo portarono al collezionismo e alla com­ m ittenza di opere dalle forme eleganti, ricche di dettagli allegorici e di materiali preziosi. Per quanto riguarda l'arte sacra, Piero commissionò al Michelozzo due raffinati tempietti: uno all'interno della Basilica della SS. Annun­ i'.Ìata e l'altro all'interno della Basilica San Miniato al Monte. 63

Il Tempietto presente in San Miniato fu edificato nel 1 447 per custodirvi il veneratissimo Crocifisso di San Giovanni Gualberto, fondatore nel l 036, dell'Ordine Vallombrosano. La sacralità di quel crocifisso, un tempo lì conservato, portò a decorare la piccola volta a botte di quell'edicola con un raffinato fregio marmo reo che ripro­ duceva una serie di anelli con la punta di diamante, legati insieme da un nastro con impressa la scritta "SEMPER" e all'interno di ciascun anello, tre piume di str:uzzo88• Lanello con la punta di diamante ed il termine "semper", diventeranno poi il motto ermetico di Piero de' Medici e verranno inseriti anche come simbolico ornamento all'inter­ no della cappella di Palazzo Medici Riccardi. Il figlio di Cosimo si contornò dei maggior artisti di quel periodo e tra questi ricordiamo Michelozzo, Luca della Robbia, Andrea Verroc­ chio, Beato Angelico, Filippo Lippi, Domenico Veneziano e Benozzo Gozzoli al quale commissionò l'affresco della cappella, istruendo lo e seguendo personalmente l'andamento dell'opera. Nello stesso Palazzo, il Michelozzo e Luca della Robbia realizzaro­ no per Piero de' Medici anche uno studiolo rettangolare, decorato da pannelli lignei intarsiati e da dodici tondi in terracotta invetriata89, per raccogliervi le sue collezioni più pregiate. In un inventario di gioielli e rarità di Piero de' Medici del 1 465, oltre ad arazzi fiamminghi, codici dalle preziose rilegature, medaglie antiche, vasi in pietra dura, cammei e gemme, si ricorda anche la pre­ senza di una reliquia di grande valore, il Reliquario del Libretto 90, di 88

Per primo fu il padre Cosimo il Vecchio ad introdurre nel suo emblema le tre piume che vennero inserite in un "mazzocchio" tempestato di pietre preziose: antico coprica­ po a forma di anello rivestito di feltro. Il simbolismo della piuma di struzzo, nacque in Egitto e venne immortalato nella dea Maat, dea della giustizia e del sacrificio. 89 Quei dodici tondi di Luca della Robbia rappresentavano i Lavori dei campi nei diversi mesi, con riferimento al ciclico avvicendamento delle stagioni e quindi del trascorrere inesorabile del Tempo. 90 Il Reliquario del Libretto oggi è conservato all'interno del Museo dell'opera del Duomo.

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cui parleremo quando entreremo nei dettagli descrittivi della cappel­ la. Non si sa in quale periodo storico quest'oggetto così prezioso sia pervenuto alla famiglia Medici, ma la cosa certa è che quella reliquia adornò per anni l'altare della piccola cappella. Piero de' Medici, grazie alle sue capacità politiche e culturali, ot­ tenne anche grandi onorificenze che dettero ancora più lustro alla sua casata. Tra queste si ricorda quella concessagli nel 1 465 da Luigi Xl, Re di Francia. Il monarca francese accordò a Piero il privilegio di introdurre nell'emblema di famiglia il "bisante" azzurro armato di tre gigli oro, originariamente appartenuto ai d'Angiò. L'arme mediceo, da quel giorno, si avvalse di questa nuova e prestigiosa acquisizione carica di una simbologia ermetica che ben si sposava con il numero dei "bisanti"91 , così nominati perché ricorda­ vano le monete d'oro dell'Impero bizantino presenti nello stemma di famiglia. Piero de' Medici morì nel dicembre del 1 469 e le sue spoglie furono inumate nella Sagrestia di San Lorenzo con solenne cerimo­ nia funebre.

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La Dottrina Ermetica, di cui i Medici erano cultori, ebbe validi riferimenti con la numerologia pitagorico-kabbalistica e con la simbologia, ed i numeri e la forma sferica delle "arme medicee" trovarono una precisa identificazione in quel sapere. La sfera è un solido geometrico che i Greci conoscevano bene e che nei secoli è stato arricchito di importanti simboli metafisici. Parmenide paragonò il mondo ad una sfera e la stessa cosa fecero i Pitagorici, caricandola di simbolismi che riconducono al concetto di totalità e di perfezione. Nel Corpus Hermeticum, quando Ermete Trismegisto parla della risalita dell'anima verso il Regno Divino, accenna ad un progressivo "spogliamento" della sua veste terrena, per innalzarsi di "sfera in sferà' verso stati di coscienza sempre più perfezionati. Quindi invece di parlare di "bisan­ ti" o di "palle medicee" , sembra più appropriato riferire quelle "arme medicee" a delle simboliche "sfere" .

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Marsi/io Ficino e l'Accademia Neoplatonica

Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Angelo Poliziano, Demetrio Calcondila, particolare dell'affresco di Domenico Ghirlandaio, S . Maria Novella, Firenze.

Le tematiche ermetiche affrontate durante il Concilio di Firenze incisero fortemente sulla corrente culturale nata all'interno dell'Uma­ nesimo fiorentino, portando un rinnovamento d'arte e di pensiero. LUmanesimo sorse come movimento letterario con l'intento di condurre verso studi che riguardavano le problematiche dell'uomo e della donna da un punto di vista etico. Quando accanto a queste te­ matiche si inserirono gli studi su Platone e sul Corp us Hermetic um, si formò una corrente di pensiero talmente innovativa da dare un nuovo impulso a tutta il sapere di quel periodo. La saggezza degli antichi, come Giorgio Gemisto Pletone ricordava, diventò la fonte sapienziale sicura alla quale tornare per riscoprire l'intimo rapporto che lega l'uo­ mo alla Natura e a Dio. Questo movimento nato nell'ambiente culturale fiorentino verso la metà del Quattrocento, trovò la sua massima espressione all'interno dell'Accademia Neoplatonica, fondata da Marsilio Ficino su commis­ sione di Cosimo il Vecchio, tra il l 450 e il l 470 nella Villa di Careggi, e formata dai più grandi poeti, letterati, giureconsulti, medici, filoso­ fi, artisti e musicisti di quell'epoca.

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Marsilio Ficino92, medico, filosofo, astronomo e astrologo alla corte dei Medici, stava già traducendo Platone, Porfirio, Plotino e Giamblico, quando il grande mecenate mediceo gli affidò la traduzio­ ne del Corpus Hermeticum. La prima stesura del Manoscritto si ebbe nel 1464, mentre la seconda fu completata nel 1471 e da quel mo­ mento la divulgazione della Dottrina Ermetica si propagò da Firenze in tutta Europa, riportando in luce un patrimonio dottrinale che era già apparso in epoca templare, ma che poi era stato dimenticato, se non addirittura volutamente occultato. Un'altra opera che segnò un chiaro indirizzo verso la dottrina misterica egiziana e un importante contributo alla cultura rinasci­ mentale fiorentina fu il testo dei Hieroglyphica93, scoperto nell'isola di Andros da Cristoforo Buondelmonti e portato a Firenze nel 1 4 1 9. Questo documento, la cui paternità venne attribuita allo scrittore greco Horapollo, fu ritenuto il frutto di una conoscenza sapienzale ar­ caica capace di raffigurare, attraverso precisi ideogrammi, concetti filo­ sofico-religiosi di alta segretezza e sacralità. Il termine "geroglifico", che in greco vuol dire "lettera sacra incisà' riuscì a muovere, ancor prima dell'arrivo del Corpus Hermeticum94, una straordinaria attenzione per i 92

Marsilio Ficino nacque a Figline Valdarno nel 1 433 e morì a Firenze, nella Villa di Careggi, sede dell'Accademia Platonica, nel 1 499. La sua cultura spaziava dagli scritti di Epicuro, di Proclo, Esiodo, Pitagora e Platone ad un'altra infinità di testi ermetici. 'J.l Il testo Hieroglyphica di Horapollo è tutt'oggi custodito a Firenze presso la Bib­ lioteca Laurenziana. Dopo una prima traduzione in lingua latina, quest'opera verrà tradotta da Aldo Manuzio a Venezia nel 1 50 5 ; in seguito verrà a più riprese ristam­ pata nel corso del Cinquecento e per tutto il Seicento. ')4 "La traduzione del Corpus Hermeticum ebbe grande diffusione e la sua penetrazione

nella cultura europea fu decisiva per la rinascita dell'ermetismo e della riabilitazione delle dottrine magico-astrologiche ad esso collegate'� La popolarità di questo testo fu assicurata anche dalle numerose versioni in volgare, ma poi si ebbero anche versioni in francese, olandese e spagnolo. (P. Cerri, a cura di, La corte il mare i mercanti, /.a rinascita della Scienza, Editoria e Società, Astrologia, magia e alchimia, Edizioni Medicee, Firenze 1 980, p. 360) .

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sapienti dell'Antico Egitto ed anche una grande ammirazione per per­ sonaggi come Pitagora, Erodoto, Plutarco, Apuleio, Plotino e Giambli­ co che avevano saputo apprezzare ed esprimere quella conoscenza. Il "geroglifico" venne considerato lo strumento adatto per "na­ scondere", dietro a un linguaggio criptato che si avvaleva di immagini e segni, l'antico Sapere e così protegger!o dall'ostentazione di coloro che, non avendo una mentalità idonea a recepirlo, non erano capaci di comprendere tale rivelazione. Le conoscenze acquisite misero Marsilio Ficino in grado di dare un carattere sincretistico a quello scibile in modo da formulare, come Bessarione e Gemisto Pletone consigliavano, una nuova ideologia che mostrasse l'esistenza di un'unica Tradizione arcaica che accomunava la cultura egizia, greca, latina, indiana e araba, alla Tradizione Cristiana. La sua profonda fede e quell'antico sapere, lo portarono a scrivere numerosi testi e tra questi il De vita e il De 1heologia Platonica. De immortalitate animorum. Il Ficino nel De Vita riportò alla luce anche l'antica tradizione magico-astrologica già presente nel Medioevo. In primo piano fu messo l'Amore, inteso come Potenza Creatrice Divina, e subito dopo il "principio della corrispondenza", già esposto da Ermete Trismegi­ sto, che si avvaleva delle relazioni esistenti tra il Macrocosmo e il Mi­ crocosmo e quindi tra i pianeti e il mondo vegetale, animale, minerale e il corpo umano. I tre libri del De Vita furono composti in tempi diversi, ma stam­ pati insieme nel 1 489 e dedicati a Lorenzo il Magnifico. Nelle prime due opere il Ficino mise in evidenza il principio sul quale si basava la medicina medievale e cioè che i pianeti presiedono non solo ai temperamenti umani, ma anche ai minerali, alle piante e agli animali e che, in base alla dominante planetaria di ciascun ele­ mento, si poteva intervenire sul soggetto con metodi di cura adeguati. Nel terzo libro, Come attingere la vita dal cielo, il grande Teologo af­ fiancò alle prescrizioni mediche anche oggetti materiali o talismani a forma di stella, capaci di mettere in contatto l'uomo con un universo 68

fatto di armoniche corrispondenze. I talismani, sollecitando gli influs­ si planetari, operavano guarigioni ed effetti straordinari. Tra le numerose Epistole che il Ficino inviò a Lorenzo il Magni­ fico, l'Epistola della prosperità fatale quale dalle stelle riceviamo, ricon­ fermò le sue profonde conoscenze in campo astrologico affrontando il tema dello stretto legame esistente tra le virtù morali e l'influsso dei pianeti quando si dispongono favorevolmente. Marsilio Ficino inoltre volle precisare che la "magià'95 menziona­ ta dai testi ermetici, si riferiva solo alla "magia naturale o spirituale", ed era perfettamente legittima, conciliabile con i riti cattolici, e pro­ fessata all'interno dell'Accademia Neoplatonica: la stessa conoscenza sapienziale che i Re Magi, Sacerdoti perfetti, avevano ricevuto da Za­ rathustra. In Theologia Platonica De immortalitate animorum ribadì invece il tema, già ripetutamente affrontato da Trismegisto, del "risveglio" spirituale: "Liberiamoci in fretta, spiriti celesti desiderosi della patria celeste, dai lacci delle cose terrene, per volare con ali platoniche e con la guida di Dio, alla sede celeste dove contempleremo beati l'eccellenza del genere nostro"96• La vicinanza di Bessarione e di Gemisto Pletone, ampliò for­ temente le conoscenze del Ficino. Egli capì che in ciascuna antica civiltà vi è del "sacro" e osservò che ebrei, persiani, bramani, egizi, druidi, greci e romani avevano perseguito tutti la stessa "sapientià' o "scientià'97 e che tutte quelle singole tradizioni potevano trovare delle strette affinità con il Cristianesimo. ''La divina provvidenza non permette che in qualche lasso di tempo vi sia alcuna religione del mondo del tutto priva di ogni religione, seb•Js P. Maresca, op. cit., p. 22. % Marsilio Ficino, Theologia Platonica De immortalitate animorum, Biblioteca Pub­ blica Bavarese, digitalizzato il 1 4 gennaio 2009. ' 1 7 Marsilio Ficino, La Religione Cristiana, a cura di Roberto Zanzarri, Città Nuova, Roma 2005, p. 1 1 .

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bene permetta che, nei vari luoghi e tempi si osservino vari riti di culto. Forse una tale varietà, regolata da Dio, genera una qualche ammirevole bellezza nell'u niverso"98, riportò nel suo libro De Christiana Religione, redatto nel 1 468 in lingua latina. Ficino dette anche grande importanza alle dottrine solari, prove­ nienti dalla tradizione egiziana e mesopotamica, che si sposavano in perfetto accordo con la concezione eliocentrica professata da Ermete, da Platone e riproposta da Giorgio Gemisto Pletone. Nel proemio del suo Liber de Sole9 il Teologo scrisse di aver ve­ gliato notti intere per lavorare intorno a quest'argomento condividen­ do il pensiero di Ermete, di Platone e di Dionigi l'Areopagita1 00 , che "con grandissima arte" arrivarono a paragonare il Sole a Dio stesso. "La nuova teologia platonica, in tutta la sua vasta e multifo rme complessità, si diffo nderà anche nelle corti europee influenzando anche la produzione artistica dalla letteratura, alla pittura e all'architettura, in un raffinato incontro tra arte e ermetismo" 1 0 1 : sono anni preziosi dove il dilagare della cultura orientale unirà artisti, scienziati e letterati in una comune ricerca dell'antico sapere che porterà alla riscoperta non solo della Magia e dell'Astrologia, ma anche della Kabbalah ebraica. Piero de' Medici attinse a quella Conoscenza e questo spiega per­ ché, nell'affresco di Benozzo Gozzo li, possiamo ritrovare quelle stesse ermetiche tematiche.

98 Marsilio Ficino, op. cit., p. 38. 99 La versione italiana del Liber de Sole è tratta da: Marsi/io Ficino, Scritti suU'astrologia, a cura di Omelia Pompeo Faracovi, RCS Libri, Milano 1 999, pp. 1 85-2 1 7. 1 00 Marsilio Ficino del 1 490 iniziò la traduzione della 1heologia Mystica di Dionigi Areopagita, discepolo di Platone. 101 P. Maresca, op. cit., p. 1 6. 70

Neoplatonismo e mecenatismo alla corte di Lorenzo ilMagnifico

Lorenro il Magnifico rirratto di Agnolo Bronzino, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Alla morte di Piero de' Medici fu il figlio Lorenzo a prendere le redini della casata. Lorenzo fin da giovanissimo si distinse subito per la sua personalità poliedrica di letterato, grande mecenate e statista, che gli fece meritare l'appellativo di "Magnifico". "Grazie alla cerchia di letterati e di artisti che visse alla corte del Magnifico, l'Umanesimo e il Rinascimento si irradiarono da Firenze all'intera Europa dando vita ad un movimento di idee destinato a in­ fluenzare profondamente la storia dei due secoli successivi" 1 02 • Il termine Rinascimento fu usato per la prima volta da Giorgio Vasari nel suo Vite de'più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri del 1 5 50, per identificare la straor­ dinaria rinascita delle Arti che stava avvenendo in Italia già dall'inizio del XV secolo. Dal termine "rinascità' venne coniata la parola "Rina­ scimento", che racchiudeva il significato di rinnovamento non solo culturale e scientifico, ma anche a livello spirituale. 1"1 Franco Cesari, op. cit., p. 33.

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Lorenzo il Magnifico abbracciò totalmente il ritorno a quell' anti­ ca Tradizione alla quale si riferiva l'Accademia Neoplatonica del Fici­ no e Firenze, sotto la sua direzione, conobbe un'ulteriore fioritura da un punto di vista artistico, economico e politico tanto da divenire la capitale universale della cultura. In questo favorevole quadro politico non mancarono certo invi­ die e inimicizie da parte delle famiglie più potenti della città. Come il padre Piero, nel 1 466, fu costretto a fronteggiare la con­ giura organizzata dalla famiglia PittP 03, così Lorenzo, nel 1478, si ri­ trovò al centro di un tragico attentato ordito dalla famiglia dei Pazzi, nel quale perse la vita suo fratello Giuliano1 04• Questo triste evento portò una dolorosa ombra in Lorenzo e nel mondo politico fiorentino, ma non intaccò minimamente la sua fi­ gura che al contrario ne sortì rafforzata nel potere e nella popolarità. Lorenzo, allevato dal padre Piero al culto dell'Antico, continuò il collezionismo da lui iniziato investendo una vera fortuna in reperti ar­ cheologici, gemme, cammeP 05 e vasi in pietre dure montati da esperti orafi fiorentini. Con il Magnifico tutte le Arti rifiorirono ed in partico­ lare l'antica tecnica del mosaico e la pittura. Il suo interesse per l'Erme1 03 Luca Pitti, a due anni dalla morte di Cosimo il Vecchio, aveva organizzato in­ sieme a Agnolo Acciaiuoli una congiura ai danni di Piero de' Medici. I.:attentato non riuscì grazie all'aiuto del figlio Lorenzo che, a capo di una squadra di armati, sbaragliò gli attentatori. Piero non emise una condanna a morte contro il Pitti, ma escogitò una vendetta sottile che lo colpì dal lato economico portandolo a cadere in rovina finanziariamente. 1 04 La trama della congiura dei Pazzi venne ordita a Roma con la connivenza di papa Sisto IV e prevedeva la morte sia di Lorenzo che di Giuliano de' Medici. l: ignobile attentato avvenne durante la messa di Pasqua in Santa Maria del Fiore. Giuliano morì, mentre Lorenzo ne restò solo ferito. Il dolore per la perdita del fratello fu tale da ordinare una terribile vendetta che portò all'uccisione di tutta la famiglia dei Pazzi e degli altri cospiratori. 1 05 Tra i cammei di maggior pregio si ricorda una "scudella di calcedonio intaglia­ to" più conosciuta come Tazza Farnese, di provenienza orientale appartenuta al re Alfonso d'Aragona.

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tismo ed il continuo contatto con l'Accademia Neoplatonica lo misero in condizione non solo di commissionare agli artisti opere d'arte, ma di esprimersi con pareri e consigli ed entrare in amicizia con loro. In campo letterario non mancarono rapporti di familiarità con personaggi della sua corte come Marsilio Ficino che, come sappiamo, gli dedicò un grande numero di Epistole istruendolo nelle Scienze e nell'Astrologia. Lorenzo si contornò anche di astrologi come Naldo Naldi, Piero Bono Avogario, Galeotto Marzio e Benedetto Maffei i quali lo omaggiarono dei loro scritti. Famoso fu l'elmo sul quale venne riassunta la sua situazione astra­ le 106 e che Lorenzo indossò per partecipare alla giostra del 1469. Nella parte posteriore di quell'insolito copricapo vi fu rappresentato il se­ gno del Capricorno 107, che ricordava il mese della sua nascita, mentre nella parte anteriore vi fu riprodotto il suo ascendente Scorpione sim­ boleggiato dal dio Marte, con lancia e scudo in mano. Linteresse di Lorenzo spaziò in tutti i campi culturali e non meno attenzione pose agli studi intrapresi da Pico della Mirandola sulla Kabbalah ebraica. I..: affetto che Lorenzo provò per Pico fu quasi paterno e lo sostenne ed aiutò anche nei momenti più difficili. Grande stima dimostrò anche per Gerolamo Savonarola, il frate domenicano che Pico volle fargli conoscere e con il quale intrattenne un rapporto "a distanzà' ma di reciproco rispetto. Anche Agnolo Poliziano e Luigi Pulci furono a lui legati da fami­ liarità e rispetto e con loro condivise la passione per canzoni e poesie. Che Lorenzo fosse addentro alla Dottrina Ermetica, lo conferma­ no le sue Canzoni che meritano una seria rilettura in chiave allegorica. I versi più famosi della sua Canzone di Bacco: "Quant'è bella gio­ vinezza,/ che si fogge tuttavia!lchi vuoi esser lieto, sia:/ di doman non c'è 1 1 1"

Gioia Mori, Arte e Astrologia, ''Art e Dossier", Giunti, Firenze 1 987, p. 26. Lorenzo il Magnifico ( 1 449- 1 492) era nato il primo gennaio 1 449 e teneva molro al segno del Capricorno identificato come emblema di pensiero profondo e d i potere che contraddistinse l'imperatore Augusto. 1 117

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Palazzo Medici, acquaforte del XVI I secol o , da F. L. del Migl i o re,

Fire nze, città nob ilissima illustrata.

Palazzo Medici Riccardi, particolare della facciata e finestra del piano nobile, Firenze.

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certezza", sono sempre stati interpretati come un inno alla giovinezza fuggevole ed ai suoi sottili inganni, ma le strofe nascondono ben altri significati. Quelle frasi rilette oggi secondo l'allegorica ideologia di quegli anni, vogliono invece ricordare le sottili ebbrezze di Dioniso­ Bacco, considerato dagli ermetisti il dio dell'amore e del trasporto mistico. San Giovanni della Croce nel suo Cantico Spirituale chiamerà "soave amore dell'animà', lo stato di stordimento legato al rosso net­ tare e darà a questa bevanda una sua ermetica interpretazione: " Tal­ volta l'anima, senza far nulla da parte sua, sente nell'intima sostanza che il suo spirito si va soavemente inebriando e infiammando di questo vino". Chi ha dunque voluto vedere nell'euforia di Bacco ed Arianna uno stato di esaltazione e di eccitazione che annebbia tutte le facoltà mentali, è fuori strada. La Bibbia ci offre esempi di personaggi come Noé e Davide, che bevvero il "soave" succo e ricevettero da Dio dei misteriosi doni. Re Davide così ricorda dopo aver bevuto quella inebriante es­ senza: (11 mio cuore si riscaldò dentro di me e nella mia meditazione si accenderà ilfuoco" 1 08• "Arda di dolcezza il core!" scrisse Lorenzo il Magnifico nell'ultima strofa della sua Canzone e in questa frase troviamo forte analogia con quella appena menzionata di Re David. :Cinvito di Lorenzo è impel­ lente e riconduce alla necessità di far nascere nel proprio cuore quello stesso fuoco d'amore eristico: l'unico, secondo gli Alchimisti, capace di condurre l'anima verso una nuova "divina giovinezzà'. Sentendosi vicino alla fine, nella primavera del 1492, Lorenzo il Magnifico si fece trasportare con una lettiga nella Villa di Ca­ reggi e chiamò al suo capezzale i suoi più fedeli amici come Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola, ma pochi attimi prima della sua morte volle accanto a sé solo Gerolamo Savonarola. Pochissime pa­ role intercorsero tra loro perché, come scrisse il Poliziano, "non ci furono colloqui d'altri interessi che non fossero quelli dell 'anima"109• ' "" Salmo 38:4. 1 "'' G. Savonarola, op. cit., p. 1 5 .

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CAPITOLO II

La Cappella dei Magi di Palazzo Medici

I.: innovativa architettura del Michelozzo

"Fu Michelozzo tantofamiliare di Cosimo de'Medici, che conosciuto l'ingegno suo, gli fece fare il modello della casa e palazzo che è sul canto di via Larga, di costa a S. Giovannino"!, ricorda Giorgio Vasari, nel suo Le Vite dei più eccellenti pittori e scultori e architettori, mettendo in luce lo stretto legame di stima e di fiducia che intercorse tra Cosimo il Vecchio e Michelozzo e che dette il via a quella serie di committenze architettoniche che costellarono la vita del grande artista. Michelozzo Michelozzi, architetto, scultore, fonditore2 e intaglia­ tore, nacque a Firenze nel 1 396 e, come attesta il Vasari, mostrò fin da giovane "ingegno e virtù" tanto da venire reputato "il più ordinato architettore de' tempi suoi". Queste qualità lo fecero esprimere con ope­ re sobrie dal netto piglio innovativo. In lui vi fu la ricerca di un linguaggio che si basava sulla riscoperta dell'antica cultura gotica, con intromissioni di moduli brunelleschia1 Giorgio Vasari, Le Vite dei più eccellenti pittori e scultori e architettori, vol. Il, Giun­ li n a per il Club del Libro, Milano 1 962, p. 33 1 . 1

Michelozzo aiutò il Ghiberti nell'esecuzione della statua bronzea di San Matteo, posta in una nicchia della chiesa di Orsanmichele a Firenze.

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ni, smussati però delle loro punte più ardite: un'elegante formula­ zione architettonica che rimarrà il modello ideale più diffuso nella Firenze rinascimentale. Cosimo fu conquistato dall'eleganza delle creazioni progettuali del Michelozzo e, tornato dal forzato esilio di Venezia3, gli commis­ sionò un buon numero di opere strutturali e di rifacimenti. Michelozzo, dopo il Brunelleschi, fu ritenuto dal Vasari, l'archi­ tetto che più di ogni altro "agiatamente dispensasse et accomodasse l'a­ bitazione de' palazzi, conventi e case, e quello che con più giudizio le ordinasse meglio"4• Oltre alle ristrutturazioni delle ville di Trebbio5, Cafaggiolo6 e CareggF, che tanto ricordano l'antico modello del castello medievale, gli furono affidati il rifacimento del Convento di San Marco con la sua Biblioteca, l'edificazione del Tabernacolo all'interno della Basilica

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Quando Cosimo il Vecchio venne scarcerato ed inviato in esilio, anche il Miche­ lozzo partl con lui e fu proprio durante quel lungo periodo che l'artista fiorentino conquistò la sua stima divenendo l'architetto di fiducia della casata medicea. 4 G. Vasari, op. cit., p. 332. 5 Nel 1 428 Cosimo il Vecchio entrò in possesso della Villa del Trebbio e ne commis­ sionò la ristrutturazione al Michelozzo. Il fidato architetto intervenne sulla struttu­ ra preesistente inserendo nuovi locali che seppe armonizzare con l'antico linguaggio medievale. La Villa-castello risultò semplice, rustica e compatta ma orientata verso la nuova concezione di signorile residenza estiva, dotata di ampia corte, giardino e prato. 6 La Villa fortificata di Cafaggiolo fu ristrutturata verso la prima metà del XV se­ colo dal Michelozzo, su commissione di Cosimo il Vecchio. Michelozzo la rinnovò assecondando la sua originaria struttura medievale, mantenendo le due torrette for­ tificate, il fossato ed il ponte levatoio. 7 La villa di Careggi, acquistata da Giovanni di Bicci intorno al 1 4 1 7, ebbe una posizione privilegiata rispetto a Trebbio e a Cafaggiolo, perché collocata negli im­ mediati dintorni di Firenze. Quando Cosimo il Vecchio la ereditò, affidò al Miche­ lozzo il rifacimento di quella primitiva residenza gotica. "Al corpo centrale della villa verso il 1 490 vi fu aggiunta sul fianco ovest una elegante loggetta con capitelli ionici". P. Maresca, op. cit., p. 57.

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La villa del Trebbio, lunetta di Giusto Utens ( 1 599- 1 602) .

di San Miniato al Monte8 e il nuovo aspetto del complesso della San­ tissima Annunziata. Tra il 1444 e il 1446 gli fu commissionata l'opera che senialtro gli dette la maggiore notorietà: il Palazzo Medici di Via Larga a Firenze. Sembra che originariamente il progetto fosse stato richiesto al Brunel­ leschi, ma poi Cosimo optò per una realizzazione architettonica meno sfarzosa e più lineare favorendo l'idea progettuale di Michelozw. Il Vasari ricorda che la scelta di Cosimo il Vecchio cadde su Mi­ chelozzo perché gli sembrò che il disegno fatto "da Filippo di ser Bru­ nellesco fosse troppo sontuoso e magnifico e da recarglifra i suoi cittadini piuttosto invidia che grandezza o ornamento alla città o comodo a sé" 9 • 3 Quel Tempietto nacque nella prima metà del XV secolo, su committenza di Piero de' Medici, per custodirvi il veneratissimo Crocifisso di San Giovanni Gualberto fondatore, nel 1 036, dell'Ordine Valombrosano. La sacralità di quel crocifisso, un tempo lì conservato, ponò a decorare la piccola volta a botte di quell'agile edicola, con un raffinato fregio marmo reo che riproduceva l'emblema adottato, anche se con leggere digressioni, da Piero de' Medici e Lorenw il Magnifico: l'anello di dia­ mance con le piume e la scritta "semper". 'J G. Vasari, op. cit., p. 332.

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La grandezza politica di Cosimo nacque dalla sua prudenza e dall'intelligenza di non volersi mai esporre in modo troppo evidente per non incorrere in invidie e dissapori che già il suo ruolo di amba­ sciatore della Signoria e dello Stato Pontificio gli stavano procurando. Michelozzo realizzò un edificio "con tante utili e belle comodità e graziosi ornamenti [ ... ] i quali hanno maestà e grandezza nella simpli­ cità loro" 1 0• In origine Palazzo Medici di Via Larga si presentava come una struttura cubica dall'aspetto sobrio, ma imponente: tre piani sovrap­ posti diversificati dallo spessore decrescente del bugnato. Sicuramente lo stimato architetto doveva aver risentito della ven­ tata di ermetismo che il Concilio di Firenze aveva portato in tutta la città, perché basta osservare il prospetto anteriore dell'edificio per leggervi un linguaggio perfettamente in linea con il pensiero neo­ platonico del Ficino. Così commenta Paola Maresca, confermando la medesima tesi: "Nell'elegante edificio, che s'innalza in una zona strategica della città nei pressi della chiesa patronale di San Lorenzo, l'intento celebrativo, destinato ad ostentare il nuovo ruolo culturale e politico assunto dalla famiglia, s'intreccia con un profondo significato simbolico" l l . Se esaminiamo attentamente la facciata, ci accorgiamo che i tre piani sovrapposti che la compongono, sono separati da tre ampie cornici che danno ordine a quella misurata architettura. Il mas­ siccio e sporgente bugnato del piano terreno, si leviga e si appiattisce mano mano che si sale ai piani superiori, fino poi a terminare in lastre lisce e sottili in un simbolico alleggerimento di volumi che riconduce a quelle operazioni di "raffinazione della propria pietrà' a cui alludo­ no gli Alchimisti. Degni di nota sono anche i piccoli tondi decorativi posti al centro delle eleganti bifore che si stagliano su quel prospetto, e il simbolismo 1 0 G. Vasari, op. cit., p. 332. 11 P. Maresca, op. cit., p. 4 1 .

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che li contraddistingue li fa assomigliare a preziose pietre-gioiello che avvalorano il concetto di "percorso in salita'' appena menzionato. Anche Renzo Manetti, architetto e studioso della storia di Fi­ renze, nel suo libro Amor Sapientiae nella facciata di Palazzo Medici12 fornisce una lettura simbolico-alchemica di quella parte anteriore del Palazzo, individuando nelle piccole rose a cinque petali presenti tra le gotiche bifore, la "rosa ermetica'' o "quintessenza'' degli alchimisti, che sboccia alla fine del processo alchemico. La stessa impronta simbolica la ritroviamo nel giardino e nel raf­ finato cortile del Palazzo. Il giardino di Palazzo Medici, "caratteriz­ zato lungo il lato di via de' Gori da una loggia a tre arcate coperte a terrazza''13, nacque sul modello ideale di quello presente nella Villa di Careggi, e qui i giovani artisti si ritrovavano per respirare l'armonia culturale dell'Accademia Neoplatonica. Nel mito antico fu individuato il modo per celare ermetiche espe­ rienze e le statue di Apollo e di Marsia14, che introducevano in quel verde spazio dalla forma rettangolare, dovevano assumere la chiara allegoria di segrete operazioni alchemiche facili da decifrare solo per chi ha la giusta chiave interpretativa. Laccesso al giardino avveniva dall'elegante cortile porticato, or­ nato da otto "tondi" di soggetto mitologico, che segnano ancor oggi il fregio delle arcate. Tra quei tondi risaltano particolarmente signifi­ cative le raffigurazioni di Diomede con in mano il Palladio e di un Satiro che sorregge il giovane Dioniso sulla sua spalla: un allegorico ciclo ornamentale che, alternato agli emblemi medicei, sembra voler Il

Renzo Manetti, Amor Sapientiae nella facciata di Palazzo Medici, Polistampa, Fi­ 1 992. 1 1 P. Maresca, op. cit., p. 43. 14 "Lo sconicamento di Marsia voleva rappresentate, in sostanza, quella sona di pu­ rificazione necessaria, anche se dolorosa, per far emergere la chiarezza interiore dell'a­ n i ma, ottenuta attraverso un profondo e doloroso processo interiore". P. Maresca, op. cii. , p. 43. renze

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G iardino di Palazzo Medici Riccardi, Firenze.

Cortile del Michelozzo, di Palazzo Medici Riccardi , Fi renze.

Cortile con " tondi" decorativi di Palazzo Medici Riccardi , Firenze.

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ricordare il percorso che l'eroe spirituale deve compiere sotto l'egida di Pallade-Atena, la dea della Sapienza. Per quanto riguarda la di­ sposizione delle stanze all'interno del palazzo, è sempre il Vasari a fornirne la descrizione particolareggiata che mette in evidenza l'estro innovativo del Michelozzo: " Tanto più merita lode Michelozzo, quanto questo (palazzo) fu il primo che in quella cittàfosse stato fotto con ordine perfetto, e che avesse in sé uno spartimento di stanze utili e bellissime [ ] Nel primo piano terreno sono due cortili con logge magnifiche, nelle qua­ li rispondono salotti, camere, anticamere, scrittoi, destri, stufe, cucine, pozzi, scale segrete e pubbliche agiatissime. E sopra ciascun piano sono abitazioni et appartamenti per unafamiglia, con tutte le quelle comodità che possono bastare [ . . . ) 1 5". Al tempo di Piero de' Medici e di Lorenzo il Magnifico, il pa­ lazzo divenne un luogo di raccolta di preziose opere d'arte: "Piero di Cosimo raccolse gioielli e argenterie, facendo eseguire anche codici miniati, contenenti opere dell'antichità classica commentati e raccolti da umanisti che con i Medici erano in stretto rapporto" 16• Le stanze interne si arricchirono dei quadri del Botticelli, del Ver­ rocchio, di Paolo Uccello e del Ghirlandaio e di collezioni di gemme, vasi in pietra dura e di cristallo di rocca di inestimabile valore. All'interno del primo piano del palazzo, fu gelosamente custo­ dita anche la piccola cappella che, grazie all'estro architettonico del Michelozzo ed al virtuosismo pittorico di Benozzo Gozzoli, rimane tutt'oggi il gioiello più prezioso e simbolico di tutto l'edificio. Intorno al 1459 fu collocato al centro del cortile di Palazzo Me­ dici il "David" di Donatello17, che ritraeva il giovane eroe biblico in . . .

1� G. Vasari, op. cit., pp. 332-33. "' Bruno Santi, Palazzo Medici Riccardi e la Cappella di Benozzo Gozzo/i, a cura de' lo Studiolo, Becocci-Scala, Firenze 2000, p. 5 . 1 1 Michelozzo ( 1 396- 1 472) in quegli anni collaborò insieme a Donatello alla rea­ l i zzazione del pulpito del Duomo di Prato e del monumento funebre al cardinale Baldassarre Cossa, posto all'interno del Battistero di Firenze.

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David di Donatello, Museo del Bargello, Firenze.

atteggiamento vittorioso, con la possente spada puntata verso terra e la testa del gigante Golia ai suoi piedi. Il bronzo fu collocato su una colonna di rosso porfìdo e fu ac­ compagnato dalla simbolica scritta, dettata da Gentile Becchi, lettera­ to ed educatore alla corte medicea:

Victor est quisquis patriam tuetur. Frangit immanis Deus hostis iras. En puer grandem domuit tiramnum. Vicite cives!

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"Chiunque difende la patria è destinato a vincere,/ poiché Dio rompe i furiosi propositi del più spaventevole tra i nemici./ Ecco il fan­ ciullo che ha sconfitto un enorme tiranno./ Cittadini, alla vittoria!" 1 8: parole chiare, pervase di fuoco d'amore, o "sacro furore", che gli Al­ chimisti ben sapevano alimentare nel proprio cuore. Quel "David" 1 9, che si stagliava netto al centro del cortile, e che poteva venire ammirato da chiunque passasse in via Larga, rappre­ sentò il simbolo dell"'uomo nuovo" che sconfigge le forze contro­ iniziatiche che si oppongono alla propria ascesa politica e spirituale. Palazzo Medici, così ben strutturato dal Michelozzo, ben presto assunse il ruolo di prima residenza medicea della città, prototipo idea­ le dei palazzi signorili della Firenze rinascimentale20 : il luogo deputato ad ospitare una grande famiglia che con il suo sapiente mecenatismo seppe trasformare Firenze in "Nobilissima Etruriae Civitas", culla dell'Umanesimo e punto d'incontro di tutta la cristianità.

IH

F.

Caglioti, Donatello e i Medici. Storia del David e della Giuditta, Olschki, Firenze 2000, p. 205. 1 '1 Per ribadire e dare ancora più forza al medesimo concetto di vittoria, nel giardi­ no del Palazzo, nello stesso anno, trovò collocazione anche la statua bronzea della Giuditta di Donatello. 211 Possedere un palazzo più sfarzoso di quello di Cosimo in via Larga fu da sempre i l sogno di Luca Pini. Secondo il Vasari, il banchiere fiorentino scelse per il suo pa­ lazzo, proprio il progetto che il Brunelleschi aveva ideato per Palazzo Medici e che Cosimo il Vecchio aveva scartato perché troppo "sontuoso". Brunelleschi presentò il progetto, ma il vero architetto costruttore di Palazzo Pini fu Luca Fancelli, suo �.:ol laboratore. C. Riva, op. cit., p. 1 1 .

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Cappel la di Pal azzo Medici Riccard i , geo merrie pavi mentali del M i chelozzo ( foro di An tonio Qua r t rone) .

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Le simboliche geometrie della Cappella ''Al piano

nobile del nuovo palazzo di Cosimo de' Medici sulla via Larga, un apposito ambiente rettangolare fu destinato dall'architetto Michelozzo di Bartolomeo, si desume per volere del committente, ad accogliere la cappella della famiglià'21 • Sembra che i lavori intorno all'area destinata all'edificazione del Palazzo Medici di Via Larga risalgano al 1 445, ma le prime concrete testimonianze delle opere di costruzione che vi si stavano compiendo, portano la data del 1 446 e quindi si presume che l'inizio di struttura­ zione della cappella sia avvenuto qualche anno dopo22 • I.:idea di una cappella all'interno del palazzo apparve alquanto innovativa, dato che risulta essere stata la prima ricavata nelle mura di un edificio privato nobiliare, ecco perché si ipotizza che Cosimo il Vecchio l'avesse commissionata per dare una degna custodia ad un dono ricevuto da Papa Martino V nel 1 42223: un altare portatile per l"'officiatura privatà' da collocare negli ambienti domestici. Con un simile privilegio Martino V volle ringraziare Cosimo per il suo fedele operato come ambasciatore della Repubblica Fiorentina e dello Stato Pontificio. Un'elargizione così preziosa non poteva non trovare la sua meritevole collocazione in quella costruzione signori­ le che di lì a pochi anni sarebbe diventata il modello architettonico dell'arte rinascimentale. Se Michelozzo seppe dare la sua impronta ermetica alla facciata di Palazzo Medici di Via Larga, ancora meglio vi riuscì nell'ideazione di quel piccolo tempio. li

Benozzo Gozzo/i, La Cappella dei Magi, a cura di Cristina Acidini Luchinat, Elec­

ta,

Milano 1 993, p. 7. n Nel 1 449 risulta un pagamento al capomastro Pagno di Lapo, per la rimozione di un canapo dalla cappella stessa. l \ Il testo della concessione è pubblicato in H. Saalman, p. Mattox, The First Me­ dici Palace, in "Journal of the Society of Architectural Historians" . 48, 1 98 5 , pp .129-4 5 , Appendix VI. .

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Rappresentazione del Tempio di Salomone.

La sua pianta rettangolare non fu certo scelta a caso. Non dimen­ tichiamo che in quel periodo storico si risentiva fortemente dell'arrivo di tutto il bagaglio sapienziale che giungeva dall'Oriente. Il modello a cui il Michelozw si attenne fu quello del Tempio di Gerusalemme o Tempio di Salomone: un rettangolo perfetto, forma­ to da due quadrati, edificato dal mitico architetto Hiram considerato un quasi "ispirato da Dio". Il doppio quadrato, riassume una chiara simbologia ermetica che richiama qualità come la rettitudine e la sta­ bilità. Anticamente il primo quadrato era chiamato Santo o "Hekhal", ed il secondo Sancta Sanctorum o "Debhir", la parte più segreta e sacra del tempio che conteneva l'Arca dell'Alleanza. Nel primo quadrato si muovevano coloro che partecipavano alle cerimonie del culto, mentre nel secondo poteva entrarvi solo il sacerdote che celebrava il rito. Il Sancta Sanctorum era rialzato di qualche gradino e separato dal resto della costruzione da un tavolato di cedro e da una catena d'oro.

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Altare della Scarsella, con "Adorazione del Bambino" della bottega di Filippo Lippi.

Marsilio Ficino, nel suo De vita coelitus comparandti4, ricorda che anticamente l'architetto che poneva mano all'edificazione di un tempio o di una chiesa o di un palazzo, si doveva attenere a pro­ porzioni armoniche ben precise, al fine di attrarre con maggior forza le virtù celesti per riceverne i benefici influssi. Se osserviamo adesso quella cappella e poniamo l'attenzione sulla sua forma e sulle geo­ metrie impresse sul soffitto e sul pavimento, possiamo intuire che in Michelozzo erano ben presenti quelle conoscenze. "La cappella si articolava entro il perimetro rettangolare in ambienti diversi: un'aula quadrata, una Scarsella pure quadrata, sopraelevata di un gradino, con l'altare, e ai lati di questa due strette sagrestiole"25• 14 Marsilio Ficino, Come ricevere la vita dal cielo, a cura di Giacomo Albano, Yu­ in occasione della giostra che si tenne in piazza Santa Croce il 7 febbraio 1469: " Una berretta in testa di zetani vellutato farra a undici spicchi di melarancio che si ricuidevano in puma che sopra decti spicchi erano circa perle 200 di valuta di ducati l. l'una sette, sopra et nella puma di dieta berretta una perla grossissima di valuta di d uca t i 500, et in sul mazwcchio aveva tre penne d'oro filato suvi undici diamanti legati in castone d'oro fine et in sulle punte di decte penne tre balasci grossi et grandi m n catenuzze d'oro pendenti et disotto alli undici diamanti vera uno diamante gran­ dc in tavola legato in castone d'oro di gran valuta et a' pie' di diete penne erano tre h rocchette con balasci diamanti et perle et altre gioie". A. Paolucci, op. cit., pp. 50-54.

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Corona del Re Mago Gasparre e decorazione preziosa de/Id sua veste, part., parete est.

Un tempo l' uso delle pietre preziose e delle perle era solo prero­ gativa delle vesti ecclesiastiche, ma verso la fine del Quattrocento, con l'arrivo dall' Oriente di quella nuova conoscenza simbolica, compar­ vero anche sugli abiti dell'alta borghesia fiorentina.

Pietre preziose e talismani Per millenni i minerali in genere furono utilizzati non solo come ornamento , ma anche come simbolo di potere. "Il loro valore non si limitava alla semplice bellezza: ognuna di queste pietre racchiudeva un significato sacro" 107• 1 07

Judy H al l , !! libro dei cristalli, Logos, Modena 200 8 , p. l O .

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Presso le più antiche culture le proprietà curative dei cristalli e delle pietre preziose godevano di grande considerazione e venivano utilizzate come ornamento portatore di benefici effetti; una sorta di talismani in grado di risvegliare le virtù e proteggére dai malefici. In Egitto innumerevoli amuleti di pietre rare e di pasta di vetro furono ritrovati anche all'interno delle tombe. ridea era di proteggere l'anima durante il suo cammino nell'aldilà e più talismani si posse­ devano e maggiore era l'aiuto che questi esercitavano in vita e al mo­ mento della morte. Anche secondo il Ficino ogni gemma racchiudeva infinite virtù e per accrescerne l'efficacia si interveniva con la sua purificazione e con­ sacrazione. Per questo tipo di ritualità si attendeva il momento astro­ logico più favorevole e si recitavano preghiere estratte dal Picatrix108 o dagli Inni Orfici. In questo caso gli effetti naturali della pietra109 si sommavano a quelli della consacrazione, e se poi si interveniva con montature su metalli in sintonia con la gemma, i poteri talismanici aumentavano ancora. La Magia di cui parla il Ficino, nel De Vita III Libro, è quella utilizzata da Gesù Cristo pe� curare la salute del corpo e dell'anima e quindi va a collocarsi in una dimensione profondamente religiosa. 1 0"

Il Picatrix è un Trattato di Magia astrologico-talismanica redatto da studiosi arabi. Le opere furono tradotte in latino e trovarono un'ampia diffusione in epoca medievale. Anche nel periodo rinascimentale il Picatrix trovò una sua segreta noto­ rietà entrando nelle biblioteche del Ficino, di Pico della Mirandola e dell'Agrippa. I l testo è ripartito in quattro libri. Dopo un'introduzione di carattere filosofico, che riprende gli argomenti trattati nel Corpus Hermeticum, l'opera è cosi suddivisa: i primi due libri trattano dell'arte di creare i talismani, il terzo libro affronta il tema della corrispondenza tra pietre, animali, piante, pianeti, segni dello Zodiaco e corpo umano, ed infine il quarto inserisce, oltre ad argomenti similari, preghiere ed invo­ �;�zioni rivolte al mondo divino. 1 1 1'' Nelle Sacre Scritture si parla di una "pietra d'angolo", Gesù Cristo, che incorpo­ mta nell'edificio che si voleva costruire, dava la certezza della sua futura perfezione : m:h itettonica.

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Marsi/i Ficini Fiorentini Medici, di Marsilio Ficino. La volta celeste, tratto da A la source du temps, Maison de Nostradamus.

Ficino come Pico della Mirandola, Reuchlin, Agrippa, l'Abate Tritemio, Paracelso e Cardano avevano capito che bisogna partire dall'arcana sapienza egizio-ebraica, che utilizzava l'astrologia, la Kab­ balah, i talismani, la mistica della parola e del gesto, per arrivare a segreti risultati di protezione e cura. I tre libri del De Vìta, venuti alle stampe nel 1 489, procurarono a Marsilio Ficino accuse di oscura "magià' dalle quali si difese con un'Apologia in cui manifestò con chiare parole tutto il suo pensiero: "Cristo stesso datore di vita che affidò ai suoi discepoli la cura di tutti i sofferenti del mondo, ingiunge ai sacerdoti che, se non sono più capaci di curare come quelli di una volta con le parole, medichino almeno con le erbe e con le pietre e se queste riescono per se sole insufficienti ordinerà di somministrarle ai malati sotto favorevoli influssi celesti" 1 10• Il grande teologo volle far 1 10

Arnaldo Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze ( 1 902) , p. 623, Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento, Firenze 1 960.

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comprendere che la Magia a cui l'uomo-sacerdote doveva rivolgersi non era quella profana che si fondava sul culto dei demoni, ma la Magia 'naturale' , legittima, capace di sfruttare i benefici influssi cele­ sti utilizzandoli, con mezzi naturali, per la buona salute del corpo e dell'anima. Cornelio Agrippa confermò nel suo De Philosophia Occulta il me­ desimo pensiero ribadendo l'importanza fondamentale dell'Astrolo­ gia per ottenere tali favori del cielo: "In ogni operazione magica bisogna

dunque osservare le posizioni i moti e gli aspetti delle stelle e dei pianeti nei rispettivi segni e gradi e in quali posizioni si trovino tutte queste cose rispetto alla latitudine e alla longitudine de/ luogo" 1 1 1 • Queste cono­ scenze facevano parte del bagaglio culturale che si respirava alla corte di Cosimo il Vecchio che, insieme al figlio Piero, possedeva una pregevole collezione di vasi antichi, cammei e pietre preziose. Piero fu il primo a pensare di riunire quei "tesori" nel suo Scrittoio, un luogo circoscritto di soli venti metri quadri, senza finestre e con volta a botte come fosse un piccolo scrigno, dove amava solitamente ritirarsi. Filarete, architetto e scultore fiorentino, ricorda nei suoi scritti l'in­ teresse di Piero de' Medici per queste preziosità e lo descrive all'interno di quella stanza mentre osserva tante piccole opere di cesello e di orefi­ ceria: "Un altro dì guarda le sue gioie e pietre fine: meravigliosa quantità n a e di gran valuta; e di varie ragioni intagliate, e di quelle che no. Siché in questo piglia piacere e diletto assai a riguardare e ragionare delle virtù e stime d'esse" 1 1 2•

Il figlio di Cosimo il Vecchio quindi era così addentro alle simbolo­ �ie legate alle pietre preziose, da invitare il Gozzoli a riprodurle in gran tJ Uantità sulle vesti e sugli accessori ornamentali presenti in quel rituale 1.orteo. Non a caso le pietre raffigurate furono smeraldi, rubini, zaffiri 111

Cornelio Agrippa, op. cit., p. l 03. Fil ippo M . Tuena, Il tesoro dei Medici, collezionismo a Firenze dal quattrocento al •ricmto, "Art Dossier" 1 8, Giunti, Firenze 1 987, p. 7. 111

E.

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Brocchette gemmate con smeraldo e rubino, particolari decorativi della corona di Re Mago Gasparre, parete est.

Dono-coppa di Re Mago Gas parre, perle, rubini e zaffiri, part., parete est.

e perle: ciascuna per le virtù e per il legame planetario che le contrad­ distinguevano. Lo smeraldo è la pietra dal potere rigenerante consacrata a Vene­ re e a Mercurio e quindi strettamente legata ai Segni del Toro, della Vergine e della Bilancia. Questa pietra è conosciuta anche come pie­ tra dell'amore e dell'amicizia, assicura l'equilibrio fisico, emozionale e mentale, eliminando le negativi tà 1 1 3• Secondo Agostino del Riccio, il colore dello smeraldo ristora la vista' '\ mentre secondo Gerolamo Cardano rinvigorisce la memoria e protegge dai malefici . "Lo smeraldo veniva dato al neofita (= piccola pianta) per riportare la sua vittoria sulle passioni. Mosé ordinò nell'E­ fod uno smeraldo 1 1 5• Una leggenda popolare vuole che la polvere di smeraldo guarisca dai morsi degli animali velenosi" 1 16• 1 1 3 J . Hall, op. cit., p. 1 27. 1 1 4 "Si dice esser dilettevole il suo colore, che certo niuna altra gemma ristora più ed allegra la vista quanto lo smeraldo". A. Del Riccio, op. cit. 1 1 5 Es. 28: 1 7. 1 1 6 Tommaso Palamidessi, Le basi della Teologia Sofianica, Arkeios, Roma 1 986, p. 73.

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Il rubino, pietra consacrata a Marte e al Sole e quindi in stret­ ta sintonia con il Segno dell'Ariete, è simbolo di invulnerabilità, di longevità e d'amore ardente; infonde coraggio e scongiura i cattivi pensieri. Il suo potere energizzante è particolarmente consigliabile per coloro che soffrono di debolezza e timori e rappresenta un potente "scudo contro le aggressioni psichiche" 1 17• Lo zaffiro, invece, definito la "gemma delle gemme", simbolo di Sapienza e di Grazia Divina, fu consacrato a Giove e Nettuno e quin­ di ai Segni dell'Acquario e del Sagittario. Nell'antichità questa gemma fu considerata un potente talismano capace di respingere le cattive in­ fluenze, gli inganni e le perfidie; in Egitto il grande sacerdote portava sul petto uno zaffiro, simbolo della verità Divina. Per Dante Alighieri era la pietra capace di infondere intima gioia e paceu8• Il Del Riccio parla dello zaffiro mettendo in rilievo altre sue virtù: ''fortifica il corpo e gli da buon colore, ra.lftedda gl'ardori della lussuria e ren­ de l'uomo assai pudico, leva la sordidezza degli occhi ed i dolori dellafronte; di più dicono che rende l'uomo pacifico, amabile, pio e sgombra lepaure"1 19• Infine la perla, consacrata alla Luna e a Venere, trova relazione con il Segno del Cancro e richiama alle acque e a tutte le virtù legate ad un aspetto generativo femminile. Essa rappresenta il 'frutto' raro e prezioso contenuto all'interno della conchiglia, "simbolo sofianico, lunare, mistico, legato all'acqua e alla Donnà' 120 , emblema di fecon­ dità, generazione, sapienza ed immortalità. Alla perla, per il suo can­ dore, viene avvicinata la purezza e quindi la spiritualizzazione della materia e la sublimazione degli istintP21 • "In Oriente e soprattutto in Persia, la perla ha in generale un carattere nobile derivato dalla sua 111

Judy Hall, !l libro dei cristalli, Logos, Modena 2008, p. 250. ' [ Palamidessi, op. cit., p. 6 1 . 1 1 '' A . Del Riccio, op. cit. 1 1" T Palamidessi, op. cit., p. 74. 1 1 1 J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit., p. 200. 1 1"

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sacralità. E' perciò che essa orna la corona dei re" 1 22 • Quest'afferma­ zione spiega perché Benozzo Gozzoli raffigurò tante piccole perle sulle corone dei tre Re Magi. Un'altra pietra che divenne uno dei simboli ornamentali più ri­ correnti nella casata medicea fu il diamante. Il diamante, incastonato in un simbolico anello, fu ripetutamente riprodotto accanto alla scritta SEMPER, non solo dal Michelozzo ma anche dal Gozzoli, che lo utilizzò come parte del fregio nella fascia decorativa che lega l'affresco con le tarsie pavimentali. Il temine 'anello' può simboleggiare l'Uroboros e assume anche il significato di 'sonno': il sonno dello spirito che tiene tutta l'umani­ tà addormentata. Quindi il simbolo dell'anello ricorda il ciclo della grande illusione o 'ruotà zodiacale dell'esistenza, che continuerà ine­ sorabile il suo ciclico divenire, se nell'asceta non interverrà un cam­ biamento sostanziale capace di interromperlo. Quest'aspetto di tra­ smutazione interiore è ben evidenziata dall'iridescenza del diamante. Il diamante è una pietra dura e tagliente, talmente sfaccettata e bril­ lante da assumere il nome di "diamante folgore", ma allo stato grezzo si presenza come un ciottolo nero di carbonio puro. Saranno le con­ tinue frantumazioni e lavaggi, a cui verrà reiteratamente sottoposto e la mano del sapiente 'tagliato re', a svelare la bellezza della sua luce. Chi si interessa di Alchimia sa che esistono infinite relazioni tra il mondo della Natura e la propria interiorità e non ci vuole molto per capire che l'anello con la punta di diamante rappresenta l'intimo la­ voro di perfezionamento a cui l'anima deve tendere, se vuole ritrovare l'antica unione persa con il Divino. [anello con il diamante diventò l'emblema di Piero dei Medici, e la scritta 'semper', simbolo di continuità e ripetizione infinita nel tempo, ne divenne il suo motto. Anello e scritta appaiono anche sulla tunica di Giovanni de' Medici, figlio minore di Cosimo il Vecchio, immortalato 1 22 J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit., p. 202. 1 44

Paggio vestito nei tre colori alchemici, parete est, part. Anello con diamante e scritta -"Semper", veste di Giovanni de' Medici, parete est, part.

dal Gozzoli nella parete est di quell'affresco. A quanto pare l'educazione umanistico-neoplatonica acquisita da Giovanni de' Medici doveva es­ sere d'alto livello, se si pensò di ritrarre questo simbolo sulla sua veste e nc:lle tinte verde, bianco e rosso: i medesimi colori alchemici che appa­ iono anche nell'abito del paggio dalla pelle ambrata, raffigurato accanto alla muletta che conduce Cosimo il Vecchio. Decorazioni con perle le ritroviamo nei paggi 1 23 a cavallo che ac­ �.:ompagnano il corteo di Gasparre e di Melchiorre e che, spada al fianco, recano in mano i "doni" dei Re Magi. Il paggio era un giovinetto, assunto alla corte dei principi e dei nobili, facilmente riconoscibile per la semplicità della sua guarnacca e pc:r il taglio dei capelli che si fermava all'altezza dei lobi dell'orecchio. 111

Pu rrroppo i tre paggi che accompagnavano il corteo di Baldassarre non sono più visibili a causa della finestra che, verso la fine Seicento, deturpò irrimediabilmente quella parre di dipinto.

145

Angeli-Paggio del corteo di Re Mago Gasparre, parr . , parere esr .

1 46

Prezioso dono (mirra) di Re Mago Gasparre, part. , parete est e prezioso do no {oro) di Re Mago Melchiorre, pare., parete ovest.

Nel caso dei paggi raffigurati- dal Gozwli, l'aspetto esteriore è to­ talmente diverso. I loro lunghi capelli inanellati, fermati sulla fronte da un diadema di rubini e perle, ci danno l'indizio che il Gozwli non ab­ bia voluto immortalare solo dei nobili servitori, ma dei veri e propri Angeli-Paggio insigniti dal loro Re Mago a rivestire un compito speciale. I "doni"che mostrano con estrema reverenza, sono coppe preziose che ri­ cordano fortemente oggetti provenienti dalle collezioni private medicee. La coppa-scrigno portata dai tre Angeli-Paggio di Gasparre è d'oro punteggiata di perle, zaffiri e rubini, mentre quella portata dai divini Paggi di Melchiorre è di oro massiccio, simbolo solare di rega­ lità. La coppa d'oro riconduce all'idea di un tesoro: un"'oro-forza'', vero valore spirituale che rinvigorisce e illumina e che accompagna quel solenne corteo. Purtroppo gli Angeli-Paggio della parete sud non appaiono a causa degli infausti restauri, eseguiti alla fine del XVII secolo, che distrussero alcune porzioni di pittura murale. Preziosi sono i fregi dei cavalli raffigurati ed ancora più pregevoli gli intarsi di pietre preziose impressi sui collari di due docili leopardi presenti nella parete ovest della cappella. 1 47

Accanto a tanta raffinatezza decorativa non potevano mancare broccati e velluti finissimi realizzati in una gamma cromatica che va dai verdi smeraldo agli azzurri cobalto, per poi cedere al rosso porpora e ai rosa cremisi andando a toccare tutta la gamma dei colori dello spettro solare. Il linguaggio simbolico dei colori

L'oro Le gioie e i velluti finemente operati non furono riservati solo ai Re Magi e ai loro Angeli-Paggio, ma anche agli altri personaggi dello storico corteo. La brillantezza dei colori utilizzati e la preziosità degli ori, magistralmente inseriti, resero l'affresco del Gozzoli un vero capolavoro di arte pittorica che ancora oggi riesce a stupire per l'ori­ ginalità del linguaggio simbolico che racchiude. "Per quanto splendidi siano gli altri colori celesti, tuttavia l'oro del sole meridiano è il colore dei colori, la meraviglia delle meraviglie. Tutti gli altri colori si trovano, al suo confronto, come subordinati"124• In effetti l'oro è veramente il colore dominante di questo ciclo pittorico ideato in modo che potesse esprimere la sua migliore leggi­ bilità nella penombra. Loro è il simbolo del Sole e quando ci addentreremo nella lettura allegorica dell'affresco, ci accorgeremo quanto il percorso giornaliero dell'Astro Solare possa aver inciso sulla determinazione dei colori che fanno da sfondo a quelle raffigurazioni. Larte dell'oro e del dorare proviene dall'Antico Egitto dove la foglia d'oro veniva utilizzata per mettere in risalto la forza divina. Loro, che in araldica indica forza, fede, perseveranza, giustizia e amore di Dio, è comunemente associato anche alla carità ed alla purezza del cuore. In Alchimia questo nobile metallo viene messo in

124 T. Palamidessi, op. cit., p. 87. 1 48

L'oro delle ali e delle aureole degli Angeli, part., parete nord-ovest.

relazione al Sole e al Fuoco Sacro, detto anche Fuoco Filosofico, capa­ 'e di compiere ogni tipo di intima trasformazione. " Questo oro, secondo i filosofi ermetici, è quel fanciullo filosofico, fìglio di lside e di Osiride, di Giove e di Latona, il tesoro degli Egizi, per amore del quale i loro avi intrapresero tanti viaggi e tante fatiche, e per mtzzo del quale gli uomini fanno tanti prodigi" 125, afferma Do m Giu­ seppe Pernety, monaco benedettino del XVIII secolo, nel suo testo alchemico. Sembra che il Gozzoli conoscesse bene questa verità erme­ t ka perché il viaggio dei Magi da lui immortalato, fu contraddistinto 1 1'

Do m A. Giuseppe Pernety, Dizionario Mito-Ermetico, Phoenix, Genova 1 985, p. 96. 1 49

Oro e rubini, part., parere sud, fìnimemi decorativi del cavallo di Re Mago Baldassare . L Oro-Sole alchemico, dio Ra, antico Egi tto.

dal pregio dei materiali e dallo scintillio dell'oro solare che venne lar­ gamente distribuito nelle vesti, nei finimenti dei cavalli e negli oggetti appartenenti ai Magi . Per gli Alchimisti l'oro, considerato il più perfeno di turri i metal­ li per la sua incorrunibilirà, rappresenta l'Io-Volontà, la ragione solare che deve illuminare l'uomo e la donna durante il loro cammino verso il Regno di Dio. Sarà il risveglio di questa facoltà dello spirito a far nascere il desiderio di intraprendere l'arre della Grande Opera: un lavoro intimo, profon­ do, costellato di prove da superare, ma capace di trasformare la propria anima in "oro" purissimo. Per realizzare un simile cammino l'uomo e la donna si dovranno impossessare dell'Arre Regia, "una scienza metodica, rigorosa, precisa, trasmessa da iniziato a iniziato, da fiamma a fiamma, in una carena ininterrotta i cui anelli hanno farro parre dell'epoca Atlan­ tidea, dell'epoca Caldaica, Egiziana, Greca, Araba, Iralica Medioevale e di oggi anche se non sempre visibile e comprensibile al profano" 1 26•

1 26

T. Palamidessi, op . cit., p. 3 5 .

1 50

Dall'affermazione di Palamidessi si capisce bene che questa Scienza segreta, capace di condurre alla trasmutazione della propria essenza, viene da molto lontano. Un filo sapienziale che non ha mai abbandonato l'Umanità e che adesso ritroviamo allegoricamente ri­ prodotta anche dal Gozzoli su quelle pareti.

Il lapisla:z:zuli Oltre all'oro anche il lapislazzuli 1 27 ebbe, nel contesto pittorico di questo dipinto del Gozzoli, la sua benefica influenza. Lazzurro lapislazzuli, ricavato dall'omonima pietra caratterizzata da un colore blu profondo, fu molto usato nell'antichità per il pregio dei suoi componenti128• In Oriente il lapislazzuli, per la sua caratteristica morfologica che prevede l'inclusione di pagliuzze dorate di pirite di ferro, venne utiliz­ zato come allegorica rappresentazione delle cosmogonie mesopotami­ che ed egiziane e quindi perfetto per raffigurare la volta celeste. Nei templi e nelle necropoli egiziane il cielo era di colore blu scu­ ro punteggiato da stelle dorate e lo stesso utilizzo si ritrova anche sul soffitto a cassettoni del Santuario di Poseidone e dell'Eretteo, nell'A­ cropoli di Atene. 1 27

"Il termine lapislazzuli viene dal latino e dall'arabo. Lapis, significa pietra in latino e Lazuli, blu in arabo. In persiano, il nome di questa pietra è lajwdrd. Il la­ pislazzuli proviene quasi esclusivamente dal Badakshan, una regione settentriona­ le dell'Mganistan. Se ne trova anche in Siberia e in Cile, ma di qualità inferiore". Lapislazzuli, la magia del blu, a cura di M. Sframeli, V. Conticelli, R. Gennaioli, G.C. Parodi, Sillabe, Livorno 20 1 5, p. 1 9. 1 28 Il lapislazzuli è una roccia particolarmente dura, composta di aggregati di diversi minerali. I suoi componenti principali sono la lazurite, la calcite e la pirite. "Il colore dc:lla roccia nelle zone con presenza di lazurite può variare da un blu intenso a un blu più chiaro, secondo la qualità e, in alcuni casi, può presentarsi come un blu verda­ stro. I minerali associati alla lazurite formano delle vene dal colore bianco, grigio o grigio-giallastro, mentre la presenza di pirite, può dare alla roccia quei bagliori dorati che hanno spesso portato gli antichi autori a descrivere il lapislazzuli come un cielo stellato". M. Sframeli, V. Conticelli, R. Gennaioli, G.C. Parodi, op. dt., pp. 2 1 -22.

151

Il lapislazzuli era una pietra così rara e di difficile recupero, da diveni­ re l'elemento principale di una vasta rete di scambi commerciali che dalle montagne dell'Mghanistan attraversava l'Iran, la Mesopotamia, l'Egitto, l'Anatolia, l'Arabia orientale, fino a fare la sua comparsa in Occidente. Furono i mercanti veneziani ad introdurre importanti quantità di lapislazzuli in Europa. In Occidente fu conosciuto con il nome di "ultramarinum", cioè che proviene da terre che stanno "al di là del mare", da cui poi derivò il suo appellativo di "oltremare". Fin dal Medioevo la sua preziosità raggiunse un tale valore da venir pagato a peso d'oro, alla stessa stregua del diamante. Già dal XIV secolo i colori assunsero un loro particolare signifi­ cato simbolico. Tutto era improntato verso la ricerca della luce, e oro e lapislazzuli divennero insostituibili quando si volevano riprodurre temi d'intimo significato spirituale. In quegli anni e per tutto il XV e XVI secolo si iniziò a parlare di una "metafisica della luce", una luce suprema emanata da Dio, che l'artista doveva in qualche modo ricercare. Fu così che oro e la­ pislazzuli diventarono i pigmenti più ricchi e preziosi ed anche i più richiesti per l'utilizzo da un punto di vista pittorico. Questo spiega come mai nel carteggio intercorso tra Piero de' Medici e il Gozzoli129 si parla così spesso delle difficoltà incontrate dall'artista nell'applicazione della foglia d'oro130 e sulla necessità im­ pellente di far giungere da Venezia altro azzurro lapislazzuli. 1 29

Come abbiamo già accennato, grande amicizia e fiducia intercorrevano fra Be­ nozw Gozzoli e Piero de' Medici e questo spiega come mai l'artista, in una lettera scritta a Piero, gli comunica di aver acquistato in tutta fretta e di sua iniziativa, "due once d'azzurro dagli lngesuati" e di averlo pagato a caro prezzo, perché la fornitura ordinata precedentemente non era ancora arrivata. 1 30 La cappella risultava un luogo chiuso, poco ventilato, ed il caldo del luglio e dell'a­ gosto non aiutavano certo l'applicazione della foglia d'oro e tanto meno della gomma arabica utilizzata per quello scopo. Fu il Gozwli stesso a consigliare Piero de' Medici di acquistare dei pezzi di oro lavorato a Genova perché risultava il migliore.

1 52

Cielo color lapislazzuli e Arcangeli, part . , parete nord-est.

Cielo color lapislazzuli e Aquila (S. Giovanni Evangel ista) , part. , parete nord. Cielo color lapislazzuli e Castello, part . , parete est.

1 53

Nell'affresco appaiono spesso cieli di oltremare naturale, otte­ nuto con lapislazzuli macinati sui quali si stagliano rosee nubi dal riverbero dorato che infondono una particolare luminosità a tutto il dipinto. La pietra, da cui si otteneva l'omonimo pigmento , anticamente fu ritenuta rappresentare il "manto stellato degli dei" e gli si attri­ buirono anche poteri altamente curativi, perché fu riscontrato che il lapislazzuli era in grado di stimolare le facoltà superiori della mente e di proteggere dagli influssi nefasti. Il suo colore, con tutta la sua gamma di sfumature, divenne così il simbolo della "presenza divina" , emblema di regalità, sapienza ed alta spiritualità. Da un punto di vista ermetico quei colori che dal blu notte sfo­ ciano nel celeste cielo, fanno parte della simbolica alchemica che trat­ ta della trasmutazione della coscienza. Palamidessi ricorda che l'azzurro chiaro oltremare denota devo­ zione per un ideale spirituale nobilissimo e quando l'oltremare scuro è accompagnato da scintillati stelle d'oro, indica tendenze spirituali elevate ed eccelse aspirazionP 3 1 • Benozzo Gozzoli, doveva conoscere molto bene questo mistico linguaggio dei colori perché, come sappia­ mo, utilizzò quel tipo di blu costellato di minuscole stelle, per affre­ scare la parete sulla quale si stagliavano i simboli dei quattro Evange­ listi, posti originariamente attorno alla tavola del Lippi. Inoltre il suo azzurro oltremare apparve come colore ricorrente dei cieli che fanno da sfondo al possente e segreto castello raffigura­ to sulla parete est, e come tinta nobile e perfetta adatta per ritrarre simbolici particolari nelle due piccole pareti poste a nord, dedicate agli Angeli .

131

T. Palamidessi, op. cit. ,

p.

1 1 7.

1 54

Il bianco, il verde e il rosso

Nell'affresco del Gozzo li, oltre all'oro ed agli azzurri oltremare, si riscontrano i tre noti colori alchemici ricorrenti: il bianco, il verde e il rosso, che ritornano in combinazioni programmate sulle pareti della cappella lungo le quali si snoda il cammino dei Magi. Andando ad indagare sull' intima simbologia di ognuno di questi tre colori, si possono scoprire ulteriori utili informazioni. Il colore bianco , emblema di Saggezza emanata da Dio, ci riporta ad un brano dell'Apocalisse che parla di un cavallo bianco cavalcato da Cristo trionfatore: "E mirai: ed ecco un ca vallo bianco, e col ui che v' era sopra a veva un ar co, e gli fu data una corona, e uscì vincitor e per vin cere"132• In questo caso il bianco è messo in relazione a Gesù Cristo e al suo candore ed i riferimenti alla figura regale di Re Gasparre, che avanza sul suo bianco destriero, non appaiono azzardati . I Filosofi ermetici affermano che la 'bianchezza perfettà, o Opera al Bianco, è il sintomo di un buon lavoro di preghiera e di ascesi compiuto. In araldica il bianco si identifica con il color argento e con virtù come l'innocenza, la purezza, l'umiltà, la bellezza e la vittoria: qualità che ben si ravvisano nel cavaliere "senza macchia e senza paura" che sfida le forze avverse e tenebrose per raggiungere la meta prefissata. Il colore verde che, come sappiamo, gli Alchimisti mettono in re­ lazione al nero, è il simbolo della rigenerazione totale della coscienza e della rinascita spirituale. Nell'Apocalisse Gesù Cristo appare al centro di un arcobaleno ver­ de smeraldo 133, pietra che ricorda virtù come la castità e la vittoria sui bassi istinti. "Lo smeraldo sta a simboleggiare la conquista di coloro che non hanno mai peccato, o che avendo peccato, hanno molto sofferto per pagare i loro errori e purificarsi, rigenerando la propria anima" 134• 1 .12 1 .1.1 1 14

Ap . 6:2 . Ap. 4 : 3 .

T. Palamidessi,

op. c it. , p . l 00.

155

Bianco e oro, veste di Re Mago Gasparre, part . , parete est. Smeraldo e oro, veste di Re Mago Baldassarre, part . , parete sud.

Porpora e oro, veste di Re Mago Melchiorre, part . , parete ovest.

1 56

In Alchimia è identificato al "Flos coeli", la rugiada che scende dal cielo nel mese di maggio: "un'acqua preziosa che salendo in va­ pori ricade dal cielo in piccole perle di pioggia, che vanno a nutrire la terra su cui si posa" 1 35• A quell'umido contatto l'erba dei campi, i fiori, le piante, gli alberi, tutto riprende miracolosamente vita e quel verde diviene il simbolo del "nascere di nuovo" e quindi di gioia e di speranza. In araldica il verde è avvicinato alla Forza, quel vigore morale che è indice di onore, amore, bontà e giovinezza. Benozzo Gozzoli dedicherà tutta la parete sud al colore verde con la sua gamma di sfumature, e la figura di quel regale Baldassarre, dal­ la veste smeraldo e oro, troverà uno stretto legame con il medesimo simbolismo. Anche il rosso, nelle sue sfumature, verrà riccamente utilizzato su una di quelle pareti. Il rosso, emblema dell'Amore e della Carità, in­ dica lo Spirito Santo inteso come 'fuoco' che purifica, simbolo anche di sacrificio e di martirio. Il fuoco al quale ci si riferisce è quello gelosa­ mente custodito dalle Vergini Vestali, ma ne esiste anche un altro che ricorda la 'fiammà rubata da Prometeo agli dei ed un altro ancora che rappresenta il 'fuoco' utilizzato da Vulcano per forgiare le sue arm1. In tutti e tre i casi il Fuoco-Luce-Calore è considerato dagli Er­ metisti 'l'artefice' o 'agente magico' capace di operare la trasmutazione dei metalli e della coscienza umana. "L'Opera non si fa né col Fuoco (volgare), né con le mani, ma col solo calore interiore" 1 36, scriveva Dom Pernety evidenziando quanto è im­ portante che il cuore venga costantemente alimentato da questa sacra fiamma. m C. Riva, Pratolino, il sogno alchemico di Francesco I de' Medici - miti, simboli e allegorie, Sillabe, Livorno 20 1 3, p. 1 27. u6 T. Palamidessi, op. cit., p. 97.

1 57

Ermete Trismegisto esortava ad "alzare lo sguardo con gli occhi del cuore"137 ed in quelle parole vi era l'invito a considerare il cuore, non come ricettacolo di passioni e di istintività, ma come organo dell'intelligenza e dell'amore spirituale. In senso profano il rosso è avvicinato a Marte, dio del combatti­ mento e della guerra, mentre nella Bibbia assume il nome di Sabaoth, il Dio delle Armate celesti che conduce il suo popolo alla vittoria. Quando il rosso è accostato all'oro suggerisce l'idea di purezza e di castità, mentre quando è unito al blu dà luogo al color 'porporà, colore riservato agli abiti dei sovrani e dei pontefici. "Con porpora viola e porpora rossa, con scarlatto e bisso fece le vesti liturgiche per officiare il santuario. Fecero le vesti sacre di Aronne, come il Signore aveva ordinato a Mosè" 138, si trova scritto nell'Esodo. Il porpora è l'emblema della Potenza di Dio e simbolizza l'Amore per la verità Divina. In araldica è messo in relazione alla Temperanza, una delle dodici virtù del centro cardiaco, ed indica dignità, abbon­ danza, generosità e grazia di Dio139: qualità che si sposano perfetta­ mente nella figura di Melchiorre, il cui abito porpora scuro fregiato d'oro dà l'impronta a tutta la parete ovest. Ogni parete ha come sfondo uno di questi tre colori e ad ogni co­ lore corrispondono prove mistico-iniziatiche che il Gozzoli ha saputo magistralmente raffigurare. Il cammino da compiere non sarà facile, ma quei tre Re Magi con il loro corteo, riusciranno a raggiungere la sospirata meta. Altri colori come il rosa, il cremisi e tutte le tinte pastello, che ap­ paiono nelle due strette pareti dedicate al Coro degli Angeli, mettono in evidenza un cambiamento sostanziale di intima essenza: gli Angeli sono i messaggeri di Dio, esseri divini spogliati di ogni terrestrità, che richiamano all'amore (il rosso) e alla saggezza (il bianco) ed alla rigenerazione (il verde) . 1 37 E. Trismegisto, op. cit., p. 1 47. 1 38 Es. 39: l . 1 39 T. Palamidessi, op. cit., p. 1 07. 1 58

Fiori e piante simboliche

Vi è uno stretto legame fra le piante e gli uomini. Nell'Antico Te­ stamento si legge: " Un germoglio sorgerà dal tronco di lesse e un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, 140• Chiari riferimenti si ritrovano anche nei Vangeli quando Marco racconta la guarigione del cieco di Betsaida. Gesù Cristo, dopo aver preso per mano il cieco ed aver operato su di lui gli domandò se ades­ so vedeva qualcosa ed egli alzati gli occhi dal suolo rispose: "Scorgo degli uomini, perché li vedo camminare, e mi sembrano alberi"141 • Quindi il legame fra noi e il mondo vegetale è molto stretto e profondo ed è testimoniato, in gergo mitologico, dalle infinite meta­ morfosi di esseri umani tramutati in piante e fiorP42• Il Gozzoli ha saputo riprodurre una varietà di paesaggio vera­ mente insolita: dagli aspri "spumoni rocciosi" si passa a verdi colline degradanti e ad amene pianure, per poi ritornare ad impervi sentieri alpestri, ed il tutto imessuto di alberi, piante e fiori simbolici. In questo allegorico cammino dei Magi sono riconoscibili arbusti di alloro e di melograno, querce, palme, cipressi, abeti e cespugli di rose in profusione. Ogni pianta o fiore è stata posta in quel contesto secondo un pre­ ciso programma iconologico non sempre comprensibile al profano. Il Gozzoli infatti, avendo capito l'importanza di utilizzare un messaggio sapienziale non per tutti decifrabile, introdusse nel suo affresco un mondo vegetale rigoglioso, in stretta sintonia simbolica con il luogo in cui ciascuna specie poi venne raffigurata.

1 40

Is. 1 1 : 1 -2. Mc. 8:22-26. 142 Publio Ovidio Nasone, Metamoifosi, Einaudi, Torino 1 994.

141

1 59

Pianta di alloro come sfondo al Re Mago Gasparre, part., parete est.

Alloro (Laurus nobilis) Un folto arboscello di alloro fu dipinto dietro al giovane Gaspar­ re, simbolo di arditezza e di intraprendenza. Lalloro è legato all'amore incondizionato che Apollo provava per Dafne, la figlia del fiume Peneo la quale, pur di mantenere la sua ver­ ginità, pregò il padre di metamorfizzarla in alloro. Così Ovidio descrisse quella scena: "Ha appena finito questa pre­

ghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima così veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima. Conserva solo la lucentezza" 1 43• Quell'arbusto che Apollo portò sempre con sé, divenne l' emble­ ma di virtù come la temperanza, la bellezza, la castità e l'eroismo. Le tH

Publio Ovidio Nasone, op. cit., p. 3 1 .

1 60

foglie di alloro venivano messe sul capo di condottieri e imperatori romani come simbolo di vittoria, e con il segreto significato di trionfo spirituale e di vita eterna fece la sua comparsa nelle catacombe cristia­ ne del II e III secolo. Gli storici hanno individuato nella figura di Gasparre, il giovane e promettente Lorenzo de' Medici, quindi niente di più probabile che quella pianticella abbia relazione con il termine latino " Laurentius a lauro" , che gli umanisti dedicarono al figlio primogenito di Piero, mettendone in risalto il valore.

Melograno o Punica granatum Arbusti fioriti di melagrana sono presenti su due delle quattro pareti della cappella. Il melagrana è uno dei più antichi alberi da frutto proveniente dalla Persia e dall'India nord-occidentale. Il suo frutto, per l'abbon­ danza dei suoi semi e del suo succo, fu considerato dagli Egiziani simbolo di fertilità e fecondità ed utilizzato per adornare i giardini più belli appartenenti alla nobiltà di quel popolo. La melagrana, emblema di abbondanza e di ricchezza, fu utiliz­ zata anche nelle cerimonie funebri come simbolo di nutrimento dei defunti e, sotto forma di geroglifici, fu inserita nelle camere sepolcrali dei faraoni intorno al 2 5 00 a.C. Nell'antica Grecia assunse un ulte­ riore significato e fu consacrata a Demetra, considerata la protettrice del matrimonio e della fertilità. Nelle cerimonie a lei dedicate, i sa­ cerdoti venivano incoronati con rami di melagrana: usanza che verrà ripresa al tempo dei Romani e che vedrà le giovani spose con una coroncina di fiori di melagrana fra i capelli. Anche il colore aranciato del suo fiore ripropone il medesimo significato, perché nel simbolismo alchemico, l'arancione, formato dall'unione dell'Amore (il rosso) e della Rivelazione divina (il giallo) , diviene l'emblema delle nozze celesti tra l'anima e il Cristo: questo spiega come mai nell'antichità il velo delle spose riproponeva lo stesso colore. 161

Pianta, fiore e frutto di melograno, particolari , parele nord-ovesc

La pianta del melagrana comincia a coprirsi di foglie ed a fiorire a Primavera inoltrata, ama molto il Sole e tollera bene sia i suoli secchi e poveri di vegetazione, che i terreni freschi e ben drenati . Il Gozzoli doveva conoscere questa sua duplice pecularietà, per­ ché troviamo dipinti folti arbusti di melograni fioriti sia nella parete est, accanto ad aride ed appuntite rocce, che in una delle due pareti poste a nord, lussureggianti di Angeli e di vegetazione. In entrambi i casi la collocazione del melagrana è ben motivata: nella parete est simboleggia l'anima che, dopo un inizio di percorso impervio e pieno di pericolosità, si è affrancata e può proseguire più facilmente il suo cammino, mentre nella parete nord, tra Angeli e fiori, testimonia l'avvenuto e desiderato 'sposalizio' tra l' umano ed il Divino. L'arancio paradisiaco e il solar e limon e

Nel dipinto del Gozzoli sono stati dipinti altri due alberi da frut­ to provenienti dall'Oriente: l'albero dell'arancio e quello del limone. La simbologia di entrambi proviene da una tradizione molto an­ tica che vede questi due frutti comparire originariamente in Cina per poi venire introdotti dagli Arabi in Asia Minore, Egitto , nord Africa ed infine in Europa. 1 62

Furono sempre gli Arabi ad impiantare, tra il IX e l'XI secolo d.C., aranci amari e limoni nei giardini siciliani anche per solo sco­ po ornamentale. In questi due succosi frutti ritroviamo il medesimo significato di fertilità, fecondità e ricchezza spirituale, già espressa per la melagrana, ed anche i loro fiori sono evocatori di verginità e di matrimonio celeste. In epoca rinascimentale le arance furono ricordate per due mi­ tologiche favole che nascondono segrete operazioni alchemiche da vivere e interiormente sperimentare: Ercole che conquista i prezio­ si pomi custoditi nel Giardino delle Esperidi 144 e Atalanta, abile e bellissima cacciatrice, che perde una singolare gara di corsa contro Ippomene, per essersi fermata a raccogliere quei frutti'45• Andrea Mattioli, medico ed erborista del XVI secolo, fu talmente colpito dal colore dorato delle arance da chiamarle 'aurantia pomà: nome latino da lui coniato. Le arance, i cedri ed i limoni, assunsero un importante ruolo sim­ bolico e vennero raffigurati, oltre che dal Gozzoli, anche da altri artisti rinascimentali come il Botticelli, il Beato Angelico, il Ghirlandaio ed il Mantegna146 nei loro dipinti. Benozzo Gozzoli però non ritrasse quegli alberi nelle consuete dimensioni, ma volle immortalarli nelle loro grandezza originaria. In­ fatti esiste una pianta di limone, chiamata dagli arabi Limu, che può raggiunge anche i sei metri d'altezza. Il Limu è una specie di ibrido tra il cedro ed il pomelo e la sua coltivazione era praticata in Persia, Iraq ed Egitto; per le sue proprietà antisettiche fu considerato un frutto sacro e nei paesi arabi venne utilizzato come antidoto contro i veleni e le influenze maligne.

1 '14 C. Riva, op. cit., p. 43. 14' G. Pernety, op. cit., p. 1 49. 1 41' A. Cattabiani, P/orario, Oscar Mondadori, Milano 1 998, p. 638. 1 63

Albero di agrumi con Serafino, part. , parete nord-est e Albero di agrumi, part., parete est.

Il Gozzo li deve aver attinto a quest'antica conoscenza, perché ha riprodotto in due pareti dell'affresco quella stessa pianta di agrumi. Nella parete nord, dedicata agli Angeli, la folta chioma del "limu" diventa la verde e feconda 'nuvola' sulla quale può sostare un Serafi­ no, mentre nella parete est quell'albero punteggiato di frutti diventa spettatore di una simbolica scena di caccia che vede un cavaliere, rin­ correre un giovane cervo dalle inconsuete proporzioni, che sale su per un'aspra collina. Non a caso nel Cantico dei Cantici si parla di un cervo che fugge e che si rifugia "sui monti degli aromi", per poi salire "ai monti della casa di Dio": "Prima che spiri la brezza del giorno/ e si allunghino le 1 64

Scena di caccia, part., parete est.

ombre/, ritorna, o mio diletto! somigliante alla gazzella o al cerbiatto, sopra al monte degli aromi" 1 47• Il cervo, nella simbolica ermetica è messo in relazione a Gesù Cristo, mentre quell'albero ricco di profumati 'pomi d'oro' ritratto ai piedi del monte, ricorda la collina degli 'aromi' di cui parla Salomone. Anche qui si avverte la ricerca, da parte dell'artista, di ricreare un tessuto di rimandi ermetici in cui mito, simbologia, storia e Sacre Scrit­ ture si fondono in un tutto armonico di forte allegoria sapienziale.

1 47

Ct. 2:9- 1 7.

1 65

Palma (Phoenix dactylifera) "Plinio riferiva che nel Basso Egitto, esisteva una palma che mo­ riva e rinasceva spontaneamente insieme con la fenice, l'uccello che si ritiene tragga il nome dal comportamento di questa palmà' 1 48, da qui il suo nome greco oivtl; e in latino phoenix, ovvero 'fenice', simbolo di immortalità. Nei Salmi'49 si trova scritto che il giusto fiorirà come una palma e che crescerà come cedro del Libano. Infatti è stato riscontrato che quando una pianta di palma sta per morire, produce una nuova in­ fiorescenza da cui sembra riprendere vita: questo aspetto l'ha messa in stretta relazione con la Fenice che rinasce dalle sue ceneri. Un'altra caratteristica che conferma il vigore e l'immortalità di questa pianta è l'essere sempre verde, non temere le intemperie ed avere le fronde sempre rivolte verso il Sole. Gli Egiziani considerarono la palma talmente sacra da porre le sue foglie sulle mummie dentro ai sarcofagi, come augurio per il viag­ gio nell'aldilà e come simbolo di morte e di "nuova vità'. Per quest'aspetto di rigenerazione la palma è diventata emblema di vittoria e si è legata indissolubilmente a Gesù Cristo, primo martire della fede; non a caso già nella tradizione paleocristiana riscontriamo martiri raffigurati con veste bianca e con un ramo di palma in mano. Secondo Cesare Ripa non si può andare verso la felicità del cielo se non per molte tribolazioni perché, come diceva San Paolo, "non sarà coronato se non chi legittimamente avrà combattuto " 1 50 • Quest'aspetto di martirio e di immortalità dell'albero della palma è ben reso all'interno dell'affresco del Gozwli. Infatti, nella parete est del­ la cappella, appare una piccola ma vigorosa pianta posta nelle vicinanze di una lepre intimorita che cerca di sfuggire all'instancabile fiuto del 1 48 A. Cattabiani, op. cit., p. 85. 1 49 Sal. 9 1 : 1 3. 1 5° A. Cattabiani, op. cit., p. 89.

1 66

Palma, lepre e cane segugio, part., parete est. La palma, albero sacro degli Egiziani.

cane segugio, nascondendosi in un anfratto del terreno. In questo con­ testo la timida lepre diventa il simbolo di emotività e sentimentalismo da vincere e superare, mentre il cane segugio, per la sua caratteristica di seguire la selvaggina dall'alba al tramonto, rappresenta la volontà in­ stancabile che non deve mai cedere a nessun tipo di errata passionalità; infine la palma dalle fronde dorate, posta lì vicino a questa allegorica scena, riassume il significato di vittoria su quei bassi istinti. Quando entreremo in merito alla lettura alchemica di tutto l' af­ fresco, ci accorgeremo che ogni singolo elemento dipinto da Benozzo Gozzoli è perfettamente in linea con il tema ermetico-spirituale che si è voluto riprodurre. Poiché la palma è anche simbolo di immortalità, rigenerazione e nuova vita, non potevano mancare rigogliosi alberi di palma nem­ meno nelle due pareti nord che riproducono un mondo paradisiaco animato dagli Angeli. 1 67

L'i mmortale cipresso (Cupressus sempervirens) I cipressi sono alberi di grandi dimensioni che possono raggiun­ gere anche i cinquanta metri di altezza. La loro chioma è affusolata, molto ramificata e piena di frutti: tante piccole coccole verdi utili per scopi terapeutici. Il cipresso è un albero sempre verde che può resiste­ re sia in clima arido e secco che in clima caldo e temperato, e la sua particolarità è di svettare verso il cielo e al tempo stesso di addentrarsi, con le sue radici, nella profondità del terreno. La sua vita è lunghissima ed è per questo che in tutte le antiche civiltà è stato considerato simbolo di durata e di longevità. Inoltre, per l'incorruttibilità del suo legno e per il suo fogliame persistente, divenne anche emblema d'immortalità e di resurrezione. Per i Romani il cipresso fu evocatore di fertilità e venne posto a cu­ stodia dei loro campi e giardini. La collocazione del cipresso, in vicinanza o all'interno dei cimiteri, deriva da un'antica tradizione greco-romana che metteva quest'albero in relazione con il mondo degli Inferi, collegato al culto di Vulcano, Plutone ed Efesto, considerati i fabbri forgiatori delle armi. Si dice che le frecce di Eros, lo scettro di Zeus e la clava di Ercole fossero stati intagliati nel suo legno robusto ed incontaminato. Origene considerò il cipresso il simbolo delle virtù spirituali perché il "cipresso ha un buonissimo odore" e la sua resina ricorda il profumo della santità 151 • Di quel profumo e di quella sua caratteristica di incor­ ruttibilità se ne parla anche nel Cantico dei Cantici in questi termini: ''Le assi della nostra casa sono di cedro, le nostre travi di cipresso" 152• Nella tecnica delle costruzioni la trave è la struttura portante, quel­ la che tiene in piedi il soffitto dell'edificio: affermazione che mette an­ cora più in evidenza l'intimo simbolismo del suo legno che richiama a specifiche virtù come la volontà, la fortezza, la costanza e il sacrificio.

1 5 1 J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit., p. 282. 1 5 2 Ct. l : 1 7. 1 68

Cipressi, parete sud e parete ovest, particolari.

Per tutti questi significati il cipresso entrò nelle composizioni pit­ toriche rinascimentali ed anche il Gozzoli non rimase insensibile al suo simbolismo. L artista inserì, nella parete sud del suo affresco, un fitto di cipressi che come lance appuntite s'innalzano verso il cielo, evidenziando in quello slancio perfetto del fusto e delle chiome, le virtù sopra menzionate. Altri due snelli ed appuntiti cipressi furono collocati nella parete ovest ed altri ancora, sempre ugualmente integri e svettanti, nelle due pareti che riproducono il mondo angelico. Origene, nel suo commento al Cantico dei Cantici, fa notare che bisogna seguire il senso spirituale delle cose e che 'ce più verità nelle cose che non si vedono che non in quelle che si vedono" 1 53: affermazione che fa comprendere quanto un'immagine, apparentemente solo pae­ saggistico-decorativa, possa svolgere la sua intima funzione evocativa. Ogni parete della cappella riassume un proprio simbolico lin­ guaggio e se nella parete sud quei cipressi ricordano la combattività e nella parete ovest evidenziano il sacrificio, nelle altre due pareti para­ disiache poste a nord, non possono che ricordare l'aspetto di fertilità, di immortalità e di resurrezione a 'nuova vità. " ' Origene, Commento al Cantico dei Cantici, Città Nuova, Roma 2005, p. 97.

1 69

Il divino abete (Abies alba) "Labete, insieme alla betulla, viene considerato &a le popolazioni dell'Asia settentrionale un Albero che si erge al centro dell'universo"154 • Labete si presenta maestoso, longevo e sempreverde e vive nelle zone appenniniche perché ama i terreni freschi, profondi e ben umi­ dificati, tipici delle zone ombreggiate e piovose. Sui libri di botanica troviamo scritto che l'abete, per la bellezza del suo dritto fusto, la persistenza delle sue foglie ed il folto della sua chioma piramidale, è soprannominato "il principe del bosco" 15S, nome pienamente meritato. Le sue caratteristiche pigne verdi, ben serrate, al momento della maturazione mutano di colore per aprirsi e far uscire una miriade di semi: chiaro concetto di abbondanza e fertilità, molto apprezzato dagli Ermetisti. Anche la corteccia bianco-argentea del suo tron­ co, che presenta tante piccole sacche di sostanza resinosa, si presta ad interessanti riflessioni. I Filosofi Ermetici chiamavano la gomma estratta dall'abete "resina cardiaca" e "resina Potabile della Terrà', evidenziando esperienze che hanno a che vedere con quel cambia­ mento totale dell'essenza umana che gli Alchimisti chiamavano "Elixir" 1 56• Per Elixir, s'intendeva la medicina universale che cura e libera da tutti i mali, l'olio sacro con cui si ungevano i Re per la loro consa­ crazione: lo stesso unguento o miron che fu portato in dono dai Re 1 54 A. Cattabiani, op. cit., p. 304. 1 55 Non certo a caso, un secolo più tardi, Francesco I de' Medici impronterà tutto il Parco della Villa Medicea di Pratolino, sull'abete bianco. C. Riva, op. cit., p. 58. 1 56 In Alchimia la resina è "lo wlfo sublimato ridotto in liquido chiamato olio o balsa­ mo di wlfo". Con il termine wlfo gli Alchimisti definivano non lo wlfo comune, ma lo "wlfo dei Filosofi" o "oro vivo", di colore rosso, che conduce alla perfezione dell'O­ pera. Così troviamo scritto: "Vi sono due operazione nell'Opera: quella mediante la quale si fa lo wlfo o la Pietra, e quella che fa l'Elisire o la perfezione dell'Operà'. Dom Giuseppe Pernety, Dizionario Mito-Ermetico, Vol. I, Phoenix, Genova 1 985, p. 1 50.

1 70

Magi al Bambino Gesù. Questa stretta relazione tra l'abete bianco e la nascita del Figlio di Dio è confermata dall'antica tradizione egiziana che considerava l'abete l'albero della Natività, prototipo del dio Osi­ ride. Anche in Grecia assunse una simbologia similare e un suo ramo intrecciato con edera, veniva portato in processione durante le feste in onore della dea Artemide, protettrice delle nascite 157• Anche i Celti riproposero, sotto forme diverse, la stessa simbologia e la relazione tra l'abete e i festeggiamenti ricorrenti _per il Solstizio d'Inverno e la nascita del 'Fanciullo Divino'158, trovò ampi consensi presso i Paesi scandinavi e germanici. Secondo alcuni antichi popoli delle regio­ ni asiatiche, l'abete, come il cipresso, è l'albero che fa da ponte tra l'umano e il Divino: la sua cima sembra penetrare nell'azzurro del cielo, mentre le sue radici arrivano fino alle profondità degli Inferi. Quest'aspetto di aiuto e di legame indissolubile con il mondo cele­ ste era particolarmente sentito in Francia, nella regione dell'Alvernia, dove l'abete era considerato l'albero che allontanava i fulmini ed i malefici. Addirittura, affinché la sua benefica presenza si esprimesse . con maggiore intens ità, si pensò a mozzarne la cima "in modo che i rami rimasti rappresentassero le cinque dita di una mano apertà'159, in simbolico auspicio di aiuto e protezione. Benozzo Gozzoli, come abbiamo già potuto constatare per al­ t re allegoriche immagini da lui dipinte, seppe riprodurre molto bene Cattabiani, op. cit., p. 303. Presso i Celti l'abete era consacrato alla nascita del "Fanciullo divino" che avveniva il 25 dicembre al Solstizio d'Inverno. Da allora, in tutti i paesi nordici, nacque l'usanza di andare, qualche giorno prima delle feste solstiziali, nel bosco per tagliare un abete che poi veniva portato a casa e decorato con ghirlande, uova d ipinte e dolciumi. L'"uovo", antico simbolo di epicentro di fecondazione e di "n uova nascita", fu dunque avvicinato a questa bianca conifera. La ghirlanda inve­ �e trova similitudine con la "coronà', antico simbolo di regalità e gloria ma anche d i sacrificio perché "è nel sacrificio che sacrificatore e vittima sono incoronati". < : . Riva, op. cit., p. 58. 1 ' ' ' A. Cattabiani, op. cit., p. 306. � '7 A. 1 �"

171

Croce a doppia traversa nella sommità dell'abete a otto gradoni.

quelle medesime tematiche, e immortalò un mistico e slanciato abete sulla parete sud ed un altro non certo meno allegorico e svettante sulla parete ovest. La caratteristica che accomuna i due abeti è rappresentata dalla loro struttura piramidale 'a gradoni' che tanto ricorda la piramide egizia di Saqqara, simbolo di ascesa delle anime verso il cielo. Nel caso dell'abete vicino a Re Baldassarre, si contano ben otto 'gradoni' che vanno a terminare in un puntale che prende la forma di "croce a doppia traversà'. I gradoni ricordano gli scalini della scala di Giacobbe che il pellegrino spirituale deve salire per arrivare al Regno di Dio. Il numero otto invece, evoca il messaggio simbolico della Ri­ surrezione di Cristo, avvenuta l'ottavo giorno e "figurata nella forma ottagonale dei battisteri antichi, nei quali l'uomo con il battesimo risorge a nuova vita spirituale" 160 • Per quanto riguarda invece la forma particolare della sua punta, l'attinenza tra il "titulus crucis" INRI, iscrizione fatta porre da Pilato sul capo di Gesù al momento della sua crocifissione, e la croce che contraddistinse la casata di Renato d'Angiò, non sembra per niente azzardata. 160 T. Palamidessi, op. cit., p. 33.

1 72

Abeti a gradoni, parete ovest e parete sud, particolari.

Il richiamo ai gradini di ascesa verso il cielo e alla croce di Cristo confermano gli antichi significati che l'abete, nei secoli, ha sempre allegoricamente rappresentato. Anche l'altro abete, immortalato sulla parete ovest, è perfetta­ mente in linea con le simbologie sopra menzionate. Quell'albero, raffigurato dietro all'Angelo-Paggio che regge la coppa-dono di Mel­ chiorre, si staglia ancora più agile e teso verso l'alto, tanto da non vederne la fine. La sua cima mozzata all'ottavo gradino non può che colorarsi di un ulteriore intimo significato strettamente in linea con le allegorie impresse sulla parete.

Rosa inaccessibile e segreta Si trova scritto in una canzone francese del XIII secolo: "Per una rosa è la mia canzone [ . . ] . Un fiore sijfotto, secondo me,/ non esiste in tutto il mondo.! Gli angeli discesi dal cielo! per salutare Maria con ogni rmorel dissero che doveva portare il fiore/ che avrebbe spazzato il potere tiri demoni" 161 • .

uo �

J.

H einrich Dierbach, Flora mythologica, Liechtenstein 1 98 1 , p. 1 59.

1 73

Sempre in quello stesso periodo Guillaume de Lorris, narrò nel suo Roman de la rose, di una rosa bellissima custodita in un giardino segreto ben protetto da solide mura e da solerti guardiani. Quel fiore che sa conservare il suo duro bottone anche quando la corolla si apre in una ruota turbinate di petali, diventò per i Rosa­ Croce e per i Fedeli d'Amore il simbolo della segretezza, dell'amore e della perfezione assoluta. Nelle Metamoifosi di Apuleio la rosa è consacrata alla dea lside e, nel giorno a lei dedicato, i sacerdoti si muovevano in processione por­ tando in mano una corona di rose intrecciate ad un simbolico sistro162• I Greci invece considerarono questo fiore della stessa natura di Venere, simbolo di purezza e di armonia cosmica. Come sappiamo il mito racconta che al momento della nascita della dea sia emerso con lei un cespuglio spinoso di rose bianche sul quale gli dei aveva­ no stillato un nettare profumato. Fu poi Venere che, per giungere in soccorso ad Adone morente, si punse con una spina tingendo di rosso sangue quei fiorP63• Questo passaggio dal 'bianco' al 'rosso' fu interpretato dagli Alchimisti, come cambiamento di colore della "materia filosoficà': la rosa bianca rappresentò la materia pervenuta alla purezza, mentre la rosa rossa divenne il simbolo dello "zolfo au­ rifico", la "miniera del fuoco celeste", il principio attivo dell'Opera, l'oro nel suo aspetto potenziale. Nicolas Flamel, celebre alchimista francese del XV secolo, in uno dei suoi trattati, descrive al centro di un giardino segreto un bel roseto fiorito addossato ad una quercia vuota, "ai piedi della quale gorgo­ gliava una fontana di bianchissima acqua che andava a perdersi negli abissi" 164: simboli che si caricano di infinite allegorie legate ad un in­ timo processo trasmutativo sapienziale. 1 62 A. Cattabiani, op. cit., p. 25. 1 63 C. Riva, op. cit., p. 87. 1 64 Dom G. Pernety, op. cit., p. 1 23. 1 74

Rosa (parere sud) e roseto fiorito (parere no rd-ovest) , particolari.

Rose bianche e ali (chiuse) di Angeli, parete nord-esr, part.

1 75

Nella tradizione cristiana la rosa è strettamente collegata a Maria:

"La rosa è Maria, regina del cielo, e dal suo seno scat ur ì quel fiore" 1 6 5 ,

si trova scritto in Flora mithologica del XIII secolo e le relazioni tra la Madre di Dio e questo ermetico fiore sorgono evidenti. Ogni tipo di rosa evoca il suo linguaggio ed entrando in merito alla lettura ermetica del dipinto di Benozzo Gozzoli, ci accorgeremo di quanto l'artista ne fosse a conoscenza. Un'infinità di simboliche rose nei colori bianco, giallo e rosso co­ stellano l'affresco. La rosa gialla trova relazione con l'oro dei Magi 1 66 , la rosa bianca con la "materia" pervenuta alla sua purezza, e la rosa rossa con il sacrificio e l'amore assoluto. Nel Cristianesimo questo fiore, per la sua bellezza e fragranza venne utilizzato per indicare il Paradiso e questo spiega come mai il Gozzoli abbia profuso di rose in boccio, aperte a calice, recise e a ghirlande, le due pareti inneggianti ai Cori Angelici.

1 65 1 66

A. Canabiani, op. cit. , A. Canabiani, op. cit. ,

p. p.

26. 20.

1 76

CAPITOLO

III

La Cavalcata dei Magi, un solare viaggio mistico-iniziatico

Il Re Mago-Sacerdote e l'antica Dottrina solare

"Tanta sontuosa ricchezza non deve perdere di vista un altro 'li­ vello' di lettura del complt:sso, anche se certo più nascosto"1 • La scelta di dipingere in un luogo così intimo e pressoché privo di luce naturale un affresco così pregno di simboli di presenze allegoriche, fu dettata non solo dal desiderio di far risaltare la cappella come uno scrigno prezioso in cui poter entrare e raccogliersi in preghiera, ma per immortalare su quelle pareti uno sposalizio di culture che nascondeva un suo profondo messaggio. Dopo aver varcato la porta del vestibolo, sormontata da quell'A­ gnus Dei, emblema dell'amore eristico che dà il via a tutta la lettura parietale di quel piccolo tempio, il visitatore si ritrovava davanti ad uno scintillio di ori, di porpore e di azzurri lapislazzuli che non poteva non lasciare emotivamente incantati. La penombra e la semioscurità riconducono all'idea di un viaggio spirituale intimo, personale, un viaggio dell'anima che prende inizio da un punto preciso della parete est per svilupparsi, in maniera ordi1

( :. Acidini Luchinat, op. cit., p. 358.

1 77

Il Sole nel suo percorso giornaliero: alba, mezwgiorno e tramonto.

nata, lungo la parete sud e la parete ovest, per poi infine terminare a nord in un tripudio di Angeli davanti al quadro dell"'Adorazione del Bambino" di Filippo Lippi. Protagonisti di questo itinerario sono i Re Magi, i tre Sapienti sacerdoti ed iniziati da Zoroastro alla Dottrina Solare di Aura Mazda che, guidati da un Angelo-Stella, si ritrovano a compiere quel mistico-iniziatico-regale viaggio. Come abbiamo già accennato, la Dottrina della quale i Re Magi erano in possesso, trovava riferimento con quella tradizione mono­ teista solare mesopotamica, nata all'interno dei collegi iniziatici, che riconosceva in Aura Mazda il supremo Dio portatore di una rivelazio­ ne segreta. Di Aura Mazda la leggenda narra che nacque all'interno di una grotta da madre vergine e che suo padre era il Dio Sole. Aura Mazda non era il Sole, ma lo Spirito del Sole era in lui e lo faceva brillare della stessa luce2: antico retaggio misterico che stimava l'Astro Solare il veicolo igneo della Divinità. Il Sole nasce all'alba, poi sale alto nel cielo a mezzogiorno e va a morire al tramonto, portando con sé l'immagine di gioventù, matu­ rità e vecchiezza, ma anche di "morte" e "nuova vità'. Questo tema ci riporta all'antica tradizione egiziana e quindi alla cultura ermetica che il Concilio di Firenze aveva traslato in Occidente. 2 C. Riva, op. cit., p. 45. 1 78

Khepri, lo Scarabeo d'oro e il percorso del Sole presso gli Egizi: "lo sono/ Khepri al mattino,/ Rd

Il passaggio del Sole sotto l'orizzonte: il Sole di Mezzanotte o porte di Aker per gli Egiziani.

a mezzogiorno,/ Atùm alla sva " (Inno ad Atùm-Ra) .

Nell'Inno dedicato al dio Atùm-Ra, rinvenuto ad Eliopoli, leg­ giamo: '1o sono Colui che apre gli occhi/ efa splendere la luce,/ che chiu­ de gli occhi/ e fa incombere l'oscurità.! Io sono Khepri al mattino, Rd a mezzogiorno, Atùm alla sera" .

Per gli Egiziani Khepri identificava lo "scarabeo", quel piccolo coleottero che prima di arrivare alla sua forma alata finale, deve pas­ sare attraverso i tre stadi fondamentali di uovo, larva e ninfa. La sua metamorfosi fu messa in relazione con il percorso del Sole durante l'arco della giornata. Quindi in Khepri, che deriva dalla radice "khr" con il significato di "sorgere, divenire, trasformarsi", venne ravvisato l ' itinerario creativo-rivelativo del Sole nel suo divenire cosmico. Gli Egiziani oltre a riconoscere nel Sole questi tre aspetti diurni (alba, mattino e tramonto) gli riconobbero un quarto aspetto - not­ t u rno - ammantato di mistero e segretezza. Quest'ultima fase fu da loro identificata nel "passaggio dalle porte di Aker": un viaggio sotterraneo che vedeva l'Astro luminoso "morire" nel ventre oscuro c.lclla dea madre lside, per poi "rinascere" all'alba come Khepri, lo Scarabeo Sacro, ovvero il "figlio che nasce". Anche nel cammino dei 1 79

tre Re Magi possiamo ravvisare quelle medesime fasi solari che tro­ vano una stretta analogia con l'itinerario ascetico di trasmutazione interiore che l'iniziato deve sperimentare. Premettendo che la Tradizione ermetica si avvale da sempre di un linguaggio simbolico che si ripete con nomi diversi in ogni civiltà, possiamo riscontrare nette assonanze tra queste antiche dottrine ri­ tuali ed il Cristianesimo. Nella tradizione Cristiana è la Vergine Maria che mette al mon­ do Gesù, il Figlio di Dio, in una grotta fredda ed oscura e che lo accomoda su di una mangiatoia quale simbolo di "alimento salvifico per l'Umanità''. LAngelo-Stella che accompagnò l'arrivo dei Magi fer­ mandosi su quella grotta, portò testimonianza dell'avvenuta nascita del Bambino Divino. Seguendo sulle pareti della cappella il progetto iconologico ideato da Piero de' Medici e dal Gozzoli, possiamo già intuire quale muto messaggio salvifico possano nascondere quei tre Re-Sapienti venuti dall'Oriente.

Parete est, il Sole alle prime luci dell'Alba

Il Sole nasce ad Oriente e quel sorgere indica l'alba, il rifiorire della vita, la Primavera, la giovinezza, l'intraprendenza: qualità che caratterizzano il Segno di Ariete e che danno il via all'inizio di un cammino. LAriete, nella tradizione induista, è chiamato "lam" che significa "agnello" ed Agnello e Ariete diventano il simbolo universale della Luce che sorge e dell'iniziativa da prendere. LAgnus Dei, posto sulla porta d'entrata della cappella, è lì anche per ricordare che il viaggio deve iniziare dalla parete est e precisa­ mente dal castello turrito e ben fortificato, posto sulla sommità della collina brulicante di rose gialle, sotto un cielo azzurro oltremare. Tradizioni di popoli diversi tramandano da tempi immemorabili la storia dell'esistenza di un potente monarca che vive in terre inac1 80

Parete est, (colore bianco), "Cavalcata dei Magi" di Benozzo Gozroli. (foto di Antonio Quattrone) .

çessibili e segrete, in un "castello" o "isola" splendente di luce, luogo d i elezione della sapienza e della pace. Nell'osservare attentamente quella fortezza ci accorgiamo che d avanti al suo portone d'ingresso si staglia una figurina diafana, ap­ pena abbozzata da qualche tocco di pennello, nella quale possiamo r ic.:onoscere un cavaliere armato, stanziato lì in atto di difesa. La piccola immagine, la cui presenza può sfuggire ad uno sguardo fret­ toloso, fa intuire il valore della solida costruzione che vi è dietro. Il castello, situato su un'altura pressoché inarrivabile, protetto da d soli e mura e dal bianco cavaliere che ne segna il limite invalicabile, ci ri porta alla simbolica del Castello del Graal, chiamato anche Eden, la 181

Il Castello sulla sommità della collina ed il Cavaliere custode del Castello, parete est, particolari.

cui entrata è difesa dal Cherubino. Ciuffi di rose gialle3, poste attorno a quel solido maniero, sembrano volerlo ulteriormente proteggere. La rosa, per la forma caratteristica della sua corolla, ricorda la coppa che raccolse il sangue di Cristo, la 'Coppa della vita'\ la purezza, l'amore e la bellezza dell'anima: qualità necessarie per dare inizio ad un simile itinerario spirituale. "I sapienti Re provenienti da contrade remote, riunitisi con i ri­ spettivi cortei dietro alla stella, muovono per sentieri alpestri e pianu-

3 Secondo lo storico Charbonneau-Lassay le rose color gial lo-dorato ricordano l'oro prezioso che i Magi portarono al Bambino Gesù, quindi niente di più proba­ bile che quella simbologia fosse già conosciuta dal Gozzoli in epoca rinascimen­ tale. A. Cattabiani, op. cit., p. 20. � La coppa a cui ci si riferisce è quella che Gesù utilizzò nell'ultima cena ed anche quella che Giuseppe d'Arimatea tenne tra le mani per raccogliere l'acqua ed il san­ gue che scaturirono dal suo costato. Quando si parla di sangue ci si riferisce sempre ad un sacrificio, ad un martirio, qualcosa che è legato alla morte ma anche ad una "nuova vita"; il sangue è il veicolo della vita e se viene versato per un alto ideale, per un ideale eristico, diventa "veicolo di vita divina" . C. Riva, op. cit., p. 1 50. 1 82

re sassose da destra a sinistra in senso orario, accompagnati in testa e in coda da folti gruppi di gente a cavallo e a piedi, in cui si mescolano personaggi reali e tipi ideali"5• Il cammino dei tre Re Magi quindi parte da quel "Castello di Luce", la cui altezza spirituale quasi si confonde con il cielo, e da lì prosegue per una via stretta che dal verde della vetta si fa sempre più arida e sassosa fino ad assumere l'aspetto disagevole di un sentiero pietroso, dalle geometrie astratte. Quel correo va-verso la ricerca della Saggezza perduta che, nella saga della cavalleria trova relazione con la Quéste du Graal 6, menzionata nel Perceval le Gallois da Chrétien de Troyes. Anche il cielo, nella di­ scesa, perde la sua limpidezza per coprirsi di pesanti nuvole che paiono incombere sull'ultimo sparuto gruppo di cavalieri che esce dalla selva. Quando parliamo di bosco o di selva, facciamo sempre riferimen­ to a stati interiori e ad esperienze che l'anima deve vivere e superare". Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura,/

con queste parole Dante Alighieri iniziò il primo capitolo della Divina Commedia: la "diritta via era smarrità' e la sua anima stava per perdersi in una fitta "selva oscurà' 7, presagio di insidie e di ardue prove da vincere. La selva e l'intricato bosco8

ché la diritta via era smarrita,

� C. Acidini Luchinat, op. cit., p. 39. ricerca della sacra coppa è legata al ciclo bretone di re Artù. Innovative furono le: rappresentazioni plastiche di re Artù e dei suoi cavalieri scolpite da Wiligelmo e dal suo allievo Niccolò, presenti sull'archivolto della Porta della Pescheria posta sul lato nord della Cattedrale di Modena. Questi significativi bassorilievi, risalenti al 1 1 60 circa, non solo testimoniano la riscoperta di una letteratura graalica in versi ed in prosa che troverà, tra il 1 1 75 ed il 1 230, la sua massima espressione, ma legheran­ no per sempre quest'edificio alla leggenda del Santo Graal. Il bassorilievo circolare i mpresso su quel portale, oltre a raffigurare Re Artù ed i suoi fedeli Cavalieri, reca anche: i loro nomi scritti sui seggi che circondano la Tavola Rotonda. ' C. Riva, op. cit., p. 38. " l .o stesso tema ermetico verrà affrontato dal frate domenicano Francesco Colonna ,hc:, in pieno Rinascimento fiorentino, scrisse nel 1 467 un libro la cui risonanza si

1' La

1 83

Nubi incombenti e volatili dalle insolite proporzioni; Falco e colomba, parete est, particolari.

rappresentano una specie di discesa Inferi all'interno della propria coscienza, l'ingresso in uno spazio tenebroso, popolato da presenze che vorrebbero ostacolare subito il cammino: è l'Opera al Nero degli alchimisti. Osservando il dipinto del Gozzoli si intuisce subito che per quel corteo, che vede Oriente e Occidente uniti in un unico viaggio alla riscoperta della Sapienza Divina, inizia un percorso che comporta le prime lotte. Il cielo è solcato da nubi grevi sovrastanti il folto gruppo di ca­ valieri che con fatica ha superato quella prima prova, mentre uccelli9 avvertì subito nelle menti più illuminate di quell'epoca: la Battaglia d'amore in so­ gno di Polifilo, meglio conosciuta come Hypnerotomachia Poliphili. Questo romanw misterico-filosofico narra, tra sogno e realtà, la storia d'amore che lega Polifilo a Polia, l'amata fanciulla che gli appare in sogno ed alla quale si ricongiungerà dopo aver su­ perato difficoltà e prove di tutti i generi. Chiaramente la storia non è che la metafora di un viaggio iniziatico intrapreso dall'anima che, pervasa da un amore fino ad allora sconosciuto, raggiunge la vera Sapienza attraverso un pellegrinaggio fatto di traboc­ chetti, prodigi, personaggi mitologici ed allegorie. C. Riva, op. cit., p. 45. 9 Quei due volatili, dall'incongrue sproporzioni e dalla sinistra presenza, potrebbero venire identificati con una specie molto simile al rondone. Il rondone, a differenza della rondine non canta, ma lancia stridii acuti e nidifica in buchi e anfratti oscuri. 1 84

strani, dalle dimensioni spropositate, volteggiano su quelle teste come pensieri nefasti da scacciare subito dalla mente: immagini simboliche per far intuire quale difficile inizio può avere un viaggio mistico-ini­ ziatico intrapreso dall'anima che, mossa da un fuoco d'amore gelosa­ mente custodito, vuole raggiungere la vera Sapienza. Durante questo intimo pellegrinaggio altre prove e trabocchetti non mancheranno e la bianca colomba inseguita da un oscuro rapace, che il Gozwli ha ;oluto inserire su quella parete, mette subito in evi­ denza le difficoltà e le insidie del cammino. Nell'Antico Testamento fu la colomba ad annunciare a Noé la fine del diluvio e la rinascita di una nuova vita. Nell'antica civiltà egea si parla di una certa dea-colomba o dea della colomba, associata alle grandi divinità femminili mediterranee come Potnia, Istar, Mylitta, Mrodite, che si identificano nella forza generatrice presente in natura. Presso i Greci la colomba era considerata il simbolo di armonia cosmica, di purezza, semplicità e pace: le qualità che l'anima deve possedere. "La grazia e la bellezza della colomba, associate al suo candore, fanno di essa il simbolo di purezza e di castità'' 10 ed emblema del­ lo Spirito Santo. Infine nel simbolismo mistico le ali della colomba rappresentano le 'aspirazioni nobili' alle quali l'anima deve tendere, informata dagli ideali spirituali più alti. Questo candore viene però continuamente insidiato dall'aspetto contrario, il nero, rappresentato dal falco che si getta con impeto sulla sua preda. Nel Medioevo il falco veniva addestrato nell'arte della caccia, un'arte che nacque tra i paesi nomadi dell'Asia e che si propagò in Cina e in Giappone per poi giungere anche in Europa. La tecnica utiPer queste caratteristiche e per il colore nero del suo piumaggio è stato soprannomi­ nato "uccello del diavolo". A causa della sua velocità e destrezza in volo ha ispirato anche gli emblemi di velocità e rapidità. Alfredo Cattabiani, Volario, Oscar Monda­ dori, Milano 2000, p. 347. 1 11 M. Feuillet, op. cit., p. 32.

1 85

Cavaliere armato con corazza, parete est, part.

lizzata era quella di scuotere gli alberi con lunghe pertiche per snidare piccoli volatili che sortivano da quelle fronde, mentre i falchi precipi­ tandosi dalle nuvole, piombavano su di loro. Il nero e il bianco, il rapace e la colomba, rappresentano l'antitesi tra il bene il male, tra l'oscurità e la luce: l'eterna lotta del duali­ smo cosmico che dà vita al ritmo della manifestazione fenomenica. La stessa contrapposizione la possiamo cogliere anche nelle coppie di cavalli bianchi e dal manto bruno, usciti da quella boscaglia. Che il cammino continui sotto l'insegna della pericolosità, è reso evidente dal sentiero che si sta facendo sempre più tortuoso e scosceso. "La nostra battaglia infatti non è contro creaturefotte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove"1 1 , afferma San Paolo nella sua lettera agli Efesini. I l Ef. 6: 1 0-20. 1 86

San Paolo mette in guardia dalle insidie del demonio e sprona a rivestirsi dell'"armatura di Dio" ed a indossare la corazza della giusti­ zia, l'elmo della salvezza, i calzari dello zelo, sempre tenendo in pugno lo scudo della fede e la spada dello Spirito. Quell'armato cavaliere, che con sguardo fiero scruta il cammino davanti a sé string�ndo nella mano una specie di scettro-mazza gem­ mata, è perfettamente in linea con la descrizione dell'eroe spirituale di cui parla l"'apostolo delle genti". In effetti quegli ardimentosi dovranno mettere in atto tutte le doti appena menzionate, perché il sentiero raffigurato si sta facendo sempre più stretto ed angusti dirupi sembrano voler 'inghiottire' quel composto e nutrito corteo. "L asceta cristiano si trova come in una fo­ resta insidiata da serpenti, demoni e precipizi, insidie che deve supe­ rare con coraggio, falciando davanti a sé ogni ostacolo e tracciandosi un sentiero sicuro" scrive Tommaso Palamidessi nel suo Dizionario Enciclopedico di Archeosofia, evidenziando l'opera di purificazione in­ teriore che l'asceta è chiamato a compiere. Il corteo giunge finalmente a valle ed in quell'affollata, ma solen­ ne scena di massa, possiamo riconoscere alcuni personaggi del mondo orientale e occidentale come lsidoro di Kiev, Giorgio Gemisto Ple­ tone, Papa Pio II Piccolomini, questi i più noti, uniti insieme in un unico mistico-iniziatico cammino. Tra loro appare anche Benozzo Gozzoli, quasi a sottolineare la condivisione di quello stesso sapere. In primo piano si delinea con nitida evidenza Cosimo il Vecchio affiancato a destra da Galeazzo Maria Sforza ed a sinistra dai figli Pie­ ro e Giovanni. Cosimo cavalca una mansueta muletta e il suo sguardo è circospetto e perfettamente in linea con il suo modo di governare �.:on saggezza, cautela e prudenza. Per gli Alchimisti la muletta e l'asino fanno riferimento allo spirito spogliato da ogni forma di orgoglio ed improntato al Timore di Dio: �o:;uatteristiche che ben si addicono ad un uomo come Cosimo il Vec­ �.:hio che verrà per sempre ricordato come "Parer Patriae" del popolo fiorentino. 1 87

Cosimo il Vecchio con i figli Piero e Giovan n i , parete est , part.

La corsa in salita del Cervo, parete est, part.

1 88

Lo sguardo invece del figlio Piero, ritratto su cavallo bianco, sim­ bolo di nobiltà e potenza, è proteso verso la scena di caccia che si sta compiendo ai piedi dell'aspro promontorio. Un giovane cervo di spropositate dimensioni sta correndo su un pietroso viottolo ih salita, inseguito da un cavaliere armato di lancia12• Il cervo, per la sua caratteristica di perdere le corna e di riacqui­ starle, viene messo in relazione alla fertilità e all"'eterna giovinezza" e quindi a Gesù Cristo. Il cervo che ritrae il Gozzoli ricorda quella permuta, perché presenta al posto delle corna delle piccole gibbosità che testimoniano l'avvenuto "rinnovamento". Ma ben altri particolari sono stati inseriti nel dipinto per evidenziare le possibili relazioni esistenti tra il cervo e il Cristo. "Il cervo è l'annunciatore della luce e guida verso il chiarore del giorno"13, ed in effetti non è un caso che quel mistico mammifero si trovi sulla parete est, simbolo dell'inizio di un nuovo giorno, e che si stia inerpicando per un bianco ed arduo sentiero che conduce verso il simbolico "castello di Luce", posto sulla sommità della collina. Questa salita verso la vetta della montagna è testimoniata anche da Origene il quale nei suoi scritti asserisce che il cervo è nemico e persecutore dei serpenti e quindi emblema di coraggio e di ardimen­ to: doti che si evidenziano e che trovano confronto anche con la vo­ lontà di quell'instancabile cane segugio che fiuta il terreno per stanare una timorosissima lepre che si nasconde tra i ciuffi d'erba circostanti. Come abbiamo già accennato, la lepre, come del resto il coniglio, rappresentano quell'aspetto femminile lunare di esagerata emotività e sentimentalismo da vincere e superare. 1 1 Secondo Marco Bussagli potremmo mettere in relazione l'intero episodio raffi­ gurato, ad una semplice scena di caccia. !.:esercizio venatorio era solitamente posto �otto l'egida del pianeta Giove, la suprema divinità dell'Olimpo: quell'inseguimen­ to a cavallo ribadisce la regalità del corteo evidenziando il valore talismanico dell'ar­ te venatoria. M. Bussagli, op. cit., p. 28. 1 ·1 J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit., p. 253.

1 89

Re Gasparre

con

lancieri e balestrieri, parete est, part.

Il messaggio è chiaro: il protagonista è il cervo, cioè Gesù Cristo, perché è Lui che con la sua prestanza fisica conduce l'ardimentoso cavaliere su per la collina. Linconsueta sproporzione tra il personag­ gio a cavallo e il "cervo" sta a testimoniare quanto l'uomo e la donna si devono 'far piccoli' per seguire il Figlio di Dio. La corsa verso alti livelli di spiritualità potrà avvenire solo dopo aver 'stanato' e vinto la pavida lepre; la palma, simbolo di vittoria sui bassi istinti, sta a ricor­ dare quel successo. Lo sguardo di Piero de' Medici, ben indirizzato verso quella simbolica scena, testimonia l'attenzione che bisogna avere per co­ gliere particolari che possono sfuggire ad una superficiale visione delle cose e che al contrario sono forieri di intimi ed importanti messaggi sapienziali. Il significativo episodio si svolge alle spalle di un solare Re Mago Gasparre, glorificato dall'arbusto d'alloro che fa sfondo alla sua regale figura. Nella simbolica ermetica Gasparre è chiamato il "Signore del Castello", denominazione strettamente in accordo con le immagini 1 90

Lo sperone a forma di stella cometa e Angeli-Paggio con il dono-coppa di Re Mago Gasparre, parete est, particolari.

immortalate da Benozzo Gozzoli su quella parete e con le tematiche fino ad ora espresse. Il giovane Re Gasparre, con la sua 'giornea' bianca intessuta d' as­ sist, di smeraldi e di rubini e con la sua corona riccamente decorata di brocchette gemmate e pietre di gran pregio, evidenzia la solarità di quel Mago. Nell'antica tradizione cristiana il bianco, simbolo di fede e pu­ rezza, era il colore con il quale veniva vestito il "rniste" per prepararsi all'lniziazione Cristiana. In effetti quel Gasparre, immagine di gio­ vinezza e di ardimento spirituale, è strettamente in sintonia con le prime luci dell'alba e con la volontà di dare "inizio" a quel mistico cammino. E' lui che idealmente ha guidato il nutrito corteo a supe­ rare insidie e precipizi ed ora la sua veste è cosparsa di raggi dorati che per la loro eterea leggerezza gli donano l'aspetto di giovane eroico l:ondottiero. Dorato e splendente è anche il suo sperone che si staglia su quelle calze rosse come fosse una piccola stella cometa. Il passare dalla vita ordinaria a quella "mistica'' e da quest'ultima a quella "iniziaticà' comporta non poche battaglie, e quei lancieri e 191

balestrieri14 che sfilano al fianco del Re Mago, ci fanno capire che lo scontro con le forze avverse c'è stato, ma che la vittoria e il coraggio hanno prevalso. Il cavallo bianco del giovane Gasparre incede maestoso ed ele­ gante e la raffinatezza di quei finimenti si sposa perfettamente con le vesti dei due Angeli-Paggio che recano il sacro "dono". Anche i Paggi sono armati, ed il fodero della spada di uno non è meno prezioso della coppa-urna tenuta con tanta deferenza dall'altro. Il dono di Gasparre da portare al Bambino Divino è la 'mirrà, l'unguento sacro con il quale si consacravano i Re-Sacerdoti e la relazione con il nome a lui attribuito di "Signore del Castello", risulta più che appropriata. Al bianco, colore dominante di quella parete, si affiancano tocchi di rosso rubino. Nella simbolica dei colori il rosso, come già abbiamo detto, ricorda il fuoco d'amore eristico e l'aspetto caritativo che non va mai dimenticato: è il fuoco che fa ardere l'anima infiammata da questo sentimento ed i copricapi di feltro rosso, così numerosi su quella parete, sembrano voler ricordare tante fiammelle accese. "L alchimia che altro con è che la conoscenza delle leggi del creato e insieme arte segreta della trasformazione spirituale, ben conosciuta dalle corporazioni iniziatiche, è un sapere cosmologico che abbraccia sotto un unico linguaggio antichi miti e profonde allegorie"15• Come sappiamo l'Opera di cui parlano gli Alchimisti si riferisce al cambiamento totale della coscienza che da pietra grezza e spigolosa deve farsi cubica e ben squadrata. Ancora una volta è necessario ri­ cordare che è sempre l'Amore che muove ogni operazione dell'anima: senza questo Fuoco-Amore, idealmente attinto all'interno di quel mi­ sterioso ed inespugnabile Castello, tutto diventa sterile e senza vita. 1 4 Verso la fine dell'XI secolo penetrò anche in Europa l'uso delle balestre. In epoca successiva, verso l'inizio del XIV secolo, si ricordano balestrieri pisani e genovesi, noti per la loro perizia, che venivano richiesti per servire in guerra. 1 5 P. Maresca, op. cit., pp. 7-8.

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Parete sud, il Sole allo Zenit

Parete sud , (colore verde), "Cavalcata dei Mag i " di Benozzo Gozzoli (foto di Antonio Quattrone) .

Come il Sole dalle prime luci dell'alba riprende il suo itinerario nd cielo, così i tre Re Magi dipinti da Benozzo Gozzoli, riprendono il loro viaggio. Dalla parete est ci spostiamo alla parete sud, che cor­ risponde al momento in cui l'Astro Solare è allo Zenit ed elargisce 1 93

Lancieri al seguito del Re Mago Baldassarre, parete sud , part.

luce e calore in abbondanza. Nonostante la deplorevole intrusione di elementi strutturali che hanno impoverito quella superficie di impor­ tanti porzioni di affresco, possiamo notare che il fascino di quelle im­ magini riprodotte è rimasto pressoché inalterato. Infinita è la gamma dei verdi che caratterizzano quella parete e che infondono, su chi la osserva, una sorta di rigenerante "vitalità" : il verde brillante della col­ lina, che si erge maestosa dietro ai suoi protagonisti, va a scomporsi in tonalità differenti che dal verde cupo di siepi e boschi, scendono paca­ tamente al verde tenero di prati appena seminati e al verde argenteo di ulivi ordinatamente allineati, per poi trovare la sua massima intensità e lucentezza nel color smeraldo e oro della veste di Re Mago Bal­ dassarre. Cimpoverimento della parete fu causato, intorno al 1 6 50, dall'apertura di due grandi finestre rettangolari chiuse da vetri a disco piombati, che tolsero parti "non piccole" di pitture murali16, ma noJ (, O gg i solo la finestra di sinistra è stata conservata, perché l'altra fu tolta in seg uito ad ul teriori m utamenti architettonici avvenuti negl i ann i successivi. Gli stessi m u-

1 94

nostante gli azzardati e compromettenti cambiamenti architettonici1 7, quella parete sud continua a mantenere il suo simbolico messaggio. Questa volta è il Re Mago Baldassarre a condurre il corteo e a dare l'impronta a quella parte di percorso. Lo scenario che si apre dietro a Baldassarre ricorda molto il di­ gradare delle colline toscane·nell'area della Villa Medicea di Careggi. Anche se purtroppo le costruzioni edilizie hanno deturpato parte dei verdeggianti promontori, possiamo ancora riscontrare chiare similitu­ dini con le alture raffigurate dal Gozwli. Il verde, colore dominante di quella parete, è il simbolo di rigene­ razione e di nuova vita. Nella simbolica ermetica è il colore-equilibrio che modera gli eccessi e che fa riferimento a quel "nascere di nuovo"18 di cui parla Gesù nei Vangeli. Il verde ed il nero, come già sappiamo, sono strettamente legati tra loro perché il seme, prima di generare ogni verde rigogliosità, deve prima morire per poi rinascere con i suoi giovani virgulti. Verde proviene dal latino viridem che per assonanza si avvicina al verbo virere che significa "essere verde" e porta con sé l'idea di vigo­ re, forza, stabilità e centralità: qualità che, nella saga dei romanzieri­ iniziati, sono strettamente legate al Santo Graal. Il Graal, o sacra coppa, è un oggetto fisico e metafisico ad un tem­ po, nel quale viene ravvisata una Tradizione antica, nascosta di epoca in epoca e custodita da Iniziati e guerrieri sacerdoti. Il Re Mago Baldassarre che, con la sua veste verde smeraldo e oro sopra un bianco destriero riccamente fregiato, si delinea con netta evidenza al centro della parete, indica quel medesimo stato regale. ramenti videro l'apertura della finestra circolare in pietra serena che fu posta sulla sommità della superba collina riprodotta dal Gozzoli. 1 7 Quando il Marchese Gabriello Riccardi acquistò nel 1 659 Palazzo Medici, furono anuate numerose modifiche con ampliamento di locali, che contribuirono a mutare parre dell'originario assetto architettonico mediceo. IM Gv. 3:3.

1 95

Ara sacrificale e Melchisedek, Basilica di San Vitale, Ravenna, part.

I tre misteriosi Angeli-Paggi, parete sud, part.

Baldassarre, considerato il custode della saggezza, nella tradizio­ ne solare zendica assume il nome di "Protetto del Signore" e il suo dono è !"'incenso", simbolo di Sacerdozio eterno e di Alleanza tra l'uomo e Dio. La corona che poggia sul suo capo ha le stesse preziose caratteri­ stiche di quella di Gasparre, ma questa volta con l'aggiunta di morbi­ de piume19 avvolgenti, nei simbolici tre colori rosso, bianco e verde. Re Baldassare, per la sua regalità e per l'incenso che porta come dono, 1 9 Il simbolismo legato alla piuma di struzw, nacque in Egitto e venne immortalato nella dea Maat, dea della giustizia e del sacrificio. Era Maat, figlia del "dio Sole" Rà, a presiedere, insieme al dio Anubi, alla "pesatura delle anime": se, al momento del trapasso, l'anima fosse pesata più di quella piuma che doveva farle da contrappeso, il suo futuro nel regno dell'aldilà sarebbe stato molto infausto.

1 96

Armoniche ripartizioni ed isolati cavalieri, parere sud, pan. Natura lussureggiante nella gamma dei verdi, parere sud, parr.

può trovare antiche relazioni con le figure di Melchisedek e di Abra­ mo e Sara visitati da tre misteriosi Uomini-Angeli. Melchisedek è il sacerdote sacrifìcatore, Re di Salem o città della Pace2°, che offre pane e vino nella coppa al vittorioso Abramo ed a sua moglie Sara consacrandoli capostipiti del popolo eletto. Nell'Amico Testamento troviamo scritto:

"Abramofu grande ante­ nato di molti popoli,/ nessuno ci fu simile a lui nella gloria./ Egli custodì la legge dell'Altissimo,/ con lui entrò in alleanza"2 1• Fu ad Abramo e Sara che la Trinità Divina si rivelò sotto forma

Jei tre Arcangeli nei pressi delle Querce di Mamre. Come abbiamo già detto, quella biblica apparizione sembra trovare riscontro nei tre

1" R. Guénon, op. cit. , p. 24 . 11

Siracide 44: 1 9-2 1 .

19 7

Cipressi svettanti e Castelli-fortezza, parete sud, particolari.

giovani cavalieri, che appaiono defilati, nell'angolo destro della parete. La maestosità delle loro vesti e la preziosità dei mazzocchi decorati con piume di struzzo e "brocchette" gemmate, che li distinguono dal resto del corteo, riconducono all'ipotesi di quell'antica angelica presenza. Gli storici hanno identificato in Re Baldassarre l' Imperatore Gio­ vanni VII I il Paleologo , giunto dall'Oriente per presenziare al fatidico incontro tra le due culture e religioni ma, seguendo il filo di lettura ermetica magistralmente immortalato dal Gozzoli su quelle pareti, niente di più probabile che si sia voluto in lui rappresentare il caposti­ pite della nuova Rivelazione sapienziale che condurrà il corteo verso ulteriori esperienze mistico-iniziatiche. "Come incenso salga a te

la

mia preghiera", troviamo seritto nel

S almo 1 41 , e dietro a quell'ideale profumo di incenso , che con il suo intenso effluvio riesce a purificare gli ambienti da ogni negatività fa1 98

vorendo intimo benessere e vitalità, anche la natura dipinta da Benoz­ zo sembra seguire il medesimo processo di rigenerante innalzamento. Nella tradizione ermetica la piuma riconduce sia all'idea di pre­ ghiera ascensionale, che ad uri aspetto di rinnovamento e crescita legata anche al mondo vegetale, all'anima bio-énergetica, e ai tre colori che trovano analogia con le tre opere alchemiche: quando avviene quest'al­ leanza tra l' umano e il Divino, tutto rinasce, prende ordine e vita. Osservando l'ameno paesaggio che si apre dietro al regale Baldas­ sarre ci accorgiamo di quanto il Gozzoli fosse ben addentro anche a queste conoscenze simboliche. Rispetto alla parete est, le strade irte si sono spianate, gli speroni rocciosi sono diventati morbidi colli ed è nata una gamma di verdi che va dai toni cupi ai verdi pastello. Il paesaggio si è fatto geometricamente ordinato. In lontananza sporadici cavalieri incedono pacati e silenziosi per quei bianchi e ben delineati sentieri, mentre un fiume scorre lento inducendo alla calma e alla riflessione. La visuale del paesaggio sembra invitare alla rilassa­ tezza ed all'armonia, ma anche su quella parete sud possiamo trovare chiari richiami all'operosità, alla "vigilanza" ed allo stare all'erta per­ ché, in un cammino interiore di una simile portata, le insidie possono sempre arrivare e non devono cogliere impreparati. Folti cipressi, come lance affilate, si innalzano verso il cielo e aste di ferro appuntite sono impugnate dai due paggi che seguono Bal­ dassarre e che sembrano volerlo preservare da imboscate e tranelli. Sull'estrema destra dell'affresco un altro nero falco si lancia in pic­ çhiata verso la sua piccola preda, mentre misteriosi borghi e castelli wrriti testimoniano quali doti di stabilità, giustizia e fermezza sono allegoricamente richieste per vincere le insidiose macchinazioni di chi vorrebbe arrestare quel cammino. Dante Alighieri nel canto V del Purgatorio farà dire a Virgilio: "\!Jen dietro a me, e lascia dir le genti:/ sta come torre ferma, che non crolla! già mtti la cima per soffiar di venti", facendo intuire quanta forza e fermezza 1 99

Abete a gradoni con croce a "doppia traversa " e colomba efagiano, parete sud, particolari.

sono da sperimentare per portare a compimento un viaggio spirituale. La torre, nella tradizione popolare celtica è incesa come la porta che si apre su di un altro mondo. ''Alcune di queste torri raggiungevano quasi l 00 metri di altezza. I sette piani corrispondevano ai setti cicli planetari ed erano dipinti con colori diversi appropriati ai pianeti"22• Nel simbolismo universale la forma squadrata e slanciata della torre ricorda lo "ziggurat" mesopotamico: una costruzione a gradoni, degra­ dante verso l'alto, molto simile alla piramide egiziana di Saqqara. Per rendere bene l'idea di quel simbolico innalzamento dell'anima verso il Divino, oltre alle fortificazioni svettanti ed appuntite riprodot­ te, si elevano anche alberi dalla chiara forma geometrica a "gradoni" . [agile abete di otto piani che, come abbiamo visto, va a termina­ re in una punta a forma di croce, indica questo stato interiore di "scala eristica" che verso oltre le n ubi.

22

J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit., p. 5 7 5 . 200

Anticamente sulla sommità delle "ziggurat" si offrivano dei sa­ crifici perché quel vertice rappresentava lo sforzo dell'uomo e della donna per avvicinarsi al mondo divino. Quindi non è certo un caso che su quel maestoso abete si delinei; piccola ma significativa, la croce a doppia traversa che testimonia, con il suo "titulus" INRI, il sacrificio di Gesù Cristo per l'umanità e dunque l'esempio da seguire. In perfetta simmetria con quella verde ed odorosa "scalà', appare anche un albero dalla folta chioma rigogliosa che sembra avere un bel richiamo sul corpulento fagiano che, ad ali spiegate, scende dall'alto per andare a piluccare tra quelle lussureggianti fronde. In Oriente il fagiano era considerato il simbolo di luce e di pro­ sperità e in America centrale le sue lunghe piume servivano come ornamento ai re ed ai dignitari. Gli ermetisti tenevano in molta con­ siderazione questo volatile dal portamento regale e lo chiamavano il "fagiano di Ermete"23 o "mercurio dei saggi" avvicinandolo, per i

colori delle sue piume, ai colori differenti che assume la materia nel corso delle operazioni alchemiche. Il nutrirsi di quelle foglie fa capire che è sempre l'aspetto sapienziale a condurre verso le realizzazione della Grande Opera. Guardando l'ornamento della corona di Baldassarre e la prosperità di quella vasta collina, possiamo intuire che l'intento del Gozwli era di far riflettere su quale benefico effetto l'Alleanza con Dio può portare. Quando il Sole brilla alto nel cielo le nuvole si diradano, i fiori si dischiudono e tutta la natura gioisce per quel benefico calore. Le miriadi di rose bianche e rosse del roseto che separa il Re Mago dal paesaggio retrostante, sembrano godere di quella stessa luce c,

sotto l'influsso dei caldi raggi solari, si aprono in ruotanti corolle. Anche le calze di Baldassarre sono rosse e portano lo stesso sim­

bolico sperone di Gasparre, e rosso e oro sono i preziosi finimenti del suo cavallo, emblema di amore caritativo e di rivelazione Divina. !t

Dom G. Pernety, op. cit., p. 123.

201

All'appello mancano i Paggi-Angeli che dovevano recare la cop­ pa dell'incenso e la spada regale2\ ma come gli storici sostengono, è intuibile che siano stati spazzati via dai restauri un tempo effettuati. Il Re Mago Baldassarre, simbolo di maturità, regalità e potenza generatrice, sul fare del mezzogiorno incede maestoso portando avan­ ti il suo cammino, ma nuovi ardimentosi scenari si stanno per aprire ed il passaggio dalla parete sud alla parete ovest risulterà non poco difficoltoso.

Parete ovest, il Sole al Tramonto

E' importante ricordare che il cammino mistico-iniziatico procede a tappe e quando il nostro sguardo si sposta ad osservare la parete posi­ zionata ad ovest, la scena cambia nuovamente nei colori e nei significati. La parete ovest fu quella forse più penalizzata dall'intrusione di dolorosi restauri che ne hanno mutato, anche se in piccola parte, l'o­ riginaria identità. Tra il 1669 e il 1670, nei progetti degli architetti Pier Maria Baldi e Giovan Battista Foggini, si prospettò l'idea di un ampliamento della scala che conduceva al piano nobile e che prevedeva la demolizione della cappella25• Fortunatamente quel drastico progetto strutturale

24 Purtroppo manca ogni ricordo grafico di quella porzione di affresco perduta, che

ritraeva i due Angeli-Paggio al seguito di Baldassarre. 25 La famiglia Riccardi, quando acquistò il palazzo, adibì la cappella a degna

custodia delle proprie reliquie. Negli anni successi i marchesi pensarono di af­ frontare importanti trasformazioni che comportarono l'acquisto di case adiacenti, coinvolgendo i saloni del piano nobile, sulla base di un progetto attribuito origi­ nariamente all'architetto Pier Maria Baldi. Il progetto prevedeva la demolizione della cappella per creare un ampio pianerottolo sul quale si sarebbe aperta una scalinata monumentale. Fortunatamente, grazie all'intervento tempestivo di vali­ di oppositori, i danni furono limitati.

202

Parere ovesr (colore rosso porpora), "Cavalcara dei Magi" di Benozzo Gozzoli (foro di Anronio Quamo ne) .

203

Arcieri che introducono alla parete ovest. "Cavalcata dei Magi" di Benozzo Gozzoli (foto di An tonio Quattrone) .

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fu bloccato grazie al solerte intervento di Giovanni Cinelli e di altri eruditi fiorentini che si opposero caldamente alle intromissioni che avrebbero dovuto cancellare una così "insigne memoria storicà'. Si riuscì a mediare togliendo solo delle strette porzioni di parete26, senza intaccare l'allegorico messaggio che vi si era voluto immortalare. LOccidente rappresenta il momento in cui il Sole pian piano cede il passo alla notte entrando nella fase di occultamento e di ap­ parente "morte", per poi "rinascere" alle prime luci dell'alba: tema di fondo che il Gozzoli ha saputo allegoricamente raffigurare. Il passaggio dalla parete meridionale a quella occidentale viene introdotto dalla presenza di arcieri che, con arco e frecce, si stanno preparando all'azione. Nella tradizione ermetica l'arco e la freccia assumono un signi­ ficato che poco ha a che vedere con una normale battuta di caccia. Larco ben teso trova relazione con una volontà ferrea puntata verso l'obbiettivo, mentre la freccia trova analogia con la forza e la con­ centrazione che occorre per centrarlo. Quindi, quell'atto preliminare compiuto dagli arcieri, dà subito l'idea del valore del Re Mago Mel­ chiorre che introduce il suo corteo nella parete ovest guidandolo verso la meta prefissata. LAutunno è il momento in cui si raccolgono i frutti del buon lavoro compiuto ed è anche il momento in cui il Sole si trova all'e­ quinozio e quindi in quella fase decrescente che ricorda i colori del tramonto e tutta una serie di simbologie legate alla vecchiaia, alla ri­ flessione e all'interiorizzazione. La nota di colore che fa da sfondo a quella parete risente di questo simbolismo ed il colore porpora, nelle sue tonalità più scure, si evidenzia subito nelle vesti del Re Mago Melchiorre. Il porpora, come sappiamo, è la tinta dominante di tutti gli

.�c.

Anche se il danno subito dalla parete ovest fu inferiore a quello precedentemente

previsto, l'eliminazione delle due porzioni di parete ha mutato sensibilmente la strut1 ura

interna della cappella modifìcandone l'originario perimetro quadrangolare.

205

Scena di caccia che si apre dietro Re Mago Melchiorre e Corona del Re Mago Melchiorre, parete ovest, particolari.

ornamenti dei Sacerdoti e dei Re e quella veste purpurea fregiata d'oro del Re Mago, mette ancora più in luce la gravità della sua persona. Melchiorre nella tradizione solare zendica è chiamato il "Re della Luce" ed il dono che porta è l"'oro", simbolo di regalità iniziatica e di abbondanza divina. Il volto dell'anziano Re Mago, incorniciato da una folta barba bianca, simbolo di virilità, coraggio e saggezza, è solenne ed i suoi occhi sono vigili, attenti e indagatori, sintomo che l'imminente vecchiezza non ha per niente affievolito l'ideale eristico interiormente coltivato. La corona che poggia sul suo capo ripete la forma di quelle indos­ sate da Gasparre e da Baldassarre, ma questa volta calza su un ampio copricapo purpureo trapuntato d'oro. I.:incedere di Melchiorre, su quella mula adorna di ricchi fini­ menti, denota prudenza e maestosità ed il raggiungimento di un tale stato interiore lo si può conquistare solo con una mente concentrata, una volontà ben allenata, tenace, incrollabile ed un cuore ardente: qualità che denotano il 'prestigio della persona superiore'. 206

l/leopardo guardiano del territorio, parete ovest, part.

Dietro alla figura di Melchiorre l'ambiente si colora di immagini alquanto misteriose, strettamente legate al tema escatologico di quella parete: "morte" ad un mondo ordinario e materiale e "rinascità' a nuova vita. Un leopardo ed un ghepardo si muovono con agilità insidiando la loro preda, mentre in profondità si apre un lontano scenario di impervi altopiani di difficile accesso e di appuntite colline digradanti. Il ghepardo, chiamato anche "ghepardo del re", fin da tempi anti­ chissimi fu considerato, per la velocità con cui sa individuare e neutra­ lizzare la preda, il guardiano del territorio, capace di affrontare qualsiasi tipo di pericolo. Destrezza, forza, astuzia e coraggio sono le sue qualità ecco perché, secondo un'usanza orientale, veniva addestrato alla caccia. Affine al ghepardo è il leopardo la cui presenza è attestata nei Mi­ steri Egizi del dio Osiride. In Egitto, nei templi orientati verso il tra­ monto del Sole, si celebravano i misteri della morte e il neofita veniva fatto giacere in posizione fetale e ricoperto con la pelle di leopardo: a

quell'atto seguivano una serie di segrete ritualità che avevano stret­

te

analogie con l'aspetto notturno del Sole che rientra nel "ventre" di

lside-Urania, la Vergine nera ammantata di stelle che deve ancora par­ torire Horo, il Sole che sorge. 207

Gru che sale verso il cielo e misterioso scenario retrostante, parete ovest, part. Colline degradanti e inespugnabili castelli {sulle sommità), parete ovest, part.

Osservando quella parete ovest notiamo che la visuale d'insie­ me è cambiata completamente. Le colline verdeggianti della parete sud sono state sostituite da promontori aspri e spigolosi capaci di distogliere dalla salita qualsiasi volenteroso viaggiatore. Si potrebbe pensare ad una terribile aridità di quei massi, ma due piccoli sparu­ ti abeti a sette gradoni testimoniano che tra le scoscese rupi alberga una misteriosa e segreta vitalità: la stessa che ritroviamo sulle verdi alture, di chiara forma piramidale, che vanno a perdersi sullo sfondo dell'affresco, e che solo ad un occhio ben allenato rivelano sulla vetta la presenza di emblematici e solitari castelli. Un grande volatile, dalle lunghe zampe sottili, si eleva in volo e sale dritto oltre quelle sommità. La sua sagoma affusolata ed elegante lo fa assomigliare ad una gru27, rinomata per la prudenza e la vigi27 Anche quella gru ha subito dei danni in seguito alle ristrutturazione del Palazw,

avvenuta alla fine del XVII secolo, infatti la sua figura è rimasta dimezzata, come del resto le terga della mula di Melchiorre.

208

lanza: doti che non devono mai mancare in chi s'incammina per un simile viaggio sapienziale. Poco più distante, quasi in trasparenza, appare un misterioso bor­ go formato da un serrato numero di torri diafane che, come eteree stalagmiti si elevano su di un pianoro pietroso. La pietra ci riporta ad antiche simbologie legate al Divino: " La pietra era, infatti, venerata fin dall'antichità come dimora e corpo di Dio, associata al Graal, il misterioso calice detentore del potere di dare la vita eternà'28• Gli Alchimisti vedevano nella pietra la "materià' giunta alla fine dell'Opera. San Tommaso d'Aquino29, monaco domenicano e alchimi­ sta, parla nel suo testo di "essenza pietriforme" mettendola in relazio­ ne con lo stato superiore di coscienza che l'Iniziato deve sperimentare. Queste segrete esperienze, legate alla realizzazione della Pietra Filosofa­ le30, non possono che essere evidenziate da quella misteriosa gru che, in un anelito di libertà e di elevazione, vola in alto verso il cielo. In effetti quel paesaggio in lontananza, dai contorni appena deli­ neati e da castelli appena percettibili, ci introduce in uno scenario che esula da quelli fino ad ora osservati. Anche la folta e rigogliosa vegetazione che riscontriamo ai piedi di asperità quasi inaccessibili, sembra voler custodire un prezioso segre­ to. Presso i Celti la foresta era considerata un vero e proprio santuario naturale dove i Druidi si ritiravano a pregare per attirare i favori del Cielo e templi di pietra venivano costruiti all'interno di spazi bosco­ si-''. Niente di più probabile è che quel verde bosco, ai piedi del borgo rurrito, abbia a che vedere con antiche iniziatiche ritualità.

P. Maresca, op. cit. , p. 32. ·"'S. Tommaso d'Aquino, op. cit., p. 33. ·'"

"' "La siccità è infatti un effetto sia del fre ddo che del calore, dice il Perne ty" (Fab. Ebrypt, Tomo l, dell'Acqua). S. Tommaso d'Aquino, op. cit., p. 93.

11 J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit., p. 457. 209

Cipressi e abete a gradoni, parete ovest, part.

Lo svettante abete a sette "gradoni" e i due agili cipressi, ci ripor­ tano alle simbologie precedentemente espresse per la parete sud, ma questa volta le sommità di questi due tipologie di alberi non appaiono e non certo perché è intervenuto un deturpante restauro. Quelle pun­ te che non appaiono, perché idealmente vanno oltre la riquadratura dell'affresco in parete, fanno intuire non solo la profonda aspirazione per il mondo Divino, ma anche l'esistenza di un messaggio silenzioso che va al di là del "visibile". Anche la scena che si svolge davanti a Re Melchiorre è stretta­ mente in tema con l'atmosfera di segretezza che si respira guardando quella parete. Un elegante Paggio-Angelo serra in mano la preziosa coppa d'o­ ro, dono di Melchiorre al Bambino Gesù, e la sua figura appare rifles­ sa nel rivolo che scorre lento davanti a lui. Le acque che fluiscono sono simbolo di fenilità e di rinnovamento: "la corrente delle acque è la corrente della vita e della morte"32 e per gli

32 J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit. , p.

451.

210

Angelo-Paggio riflesso nelle acque, parete ovest, part. Angelo -Paggio , parete ovest, part.

antichi Filosofi Ermetici i fiumi erano "simboli allegorici del loro mer­ curio o acqua mercuriale dei Savi"33, che produce ogni trasformazione. Quelle acque, in quanto superficie riflettente, diventano anche lo specchio, simbolo di avvedutezza e p rudenza, nel quale si rivela la purezza di cuore.

"Come il sole, come la luna, come l'acqua, come l'oro sii chiaro e brillante e rifletti ciò che vi è nel tuo cuore"34• Il tema dell'anima come specchio, era già stato affrontato da Pla­ tone e da Plotino e rivelava il modo per conoscere se stessi come es­ senza: l'anima può riflettere la bellezza o la bruttezza secondo l' intimo orientamento del p roprio cuore. Osservando il Paggio-Angelo, dai capelli impreziositi da un pre­ giato diadema, possiamo intuire che l'orientamento del suo cuore non poteva che essere incline alla Bellezza e alla Conoscenza.

1·1 11

Dom G. Pernety, op. cit. , p. 1 36.

J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit. , p. 414.

211

Falco e lepre dal ventre dilaniato, parete ovest, part.

Giovane cavaliere vestito d'azzurro-cielo, parete ovest, pare.

21 2

Su quell'enigmatica immagine riflessa, vi alberga un germano reale. Il germano come l'anatra, per il suo spiccato senso di orienta­ mento e la capacità di camminare per terra, nuotare nell'acqua, volare in aria e farsi riscaldare dai raggi del sole, rappresenta la vittoria sui quattro elementi35 e quindi l'emblema dell'Iniziato che sta portando a compimento il proprio viaggio. Nella figura riflessa del Paggio, non appare il volto perché un robu­ sto tronco di legno, che fa da ponte tra una sponda e l'altra, lo ha occul­ tato: presagio che il "passaggio" è avvenuto nella più completa segretezza. Quel fusto legnoso, secondo il gergo alchemico, rappresenta la 'materia primà sulla quale bisogna operare per oltrepassare le 'acque' e mettere piede sulla riva opposta, sicura. La 'traversatà è intesa come il superamento dell'ostacolo che vorrebbe impedire quel passaggio: simbolico atto di vittoria e di trasmutazione interiore. Spostando lo sguardo verso destra, a pochi passi da quel tronco, un maestoso falco serra tra i suoi artigli una lepre dal ventre dilaniato. Un'antica tradizione orientale afferma che la lepre, come la Luna, muore per rinascere: nota che carica di un particolare significato quel­ la cruda scena raffigurata. Limperturbabilità del falco davanti alla sua preda, fa intendere a quale intimo lavoro di "morte" e "nuova vità', l'uomo e la donna sono chiamati per condurre alla meta prefissata la propria interiorità. Lì vicino un altro ghepardo assiste alla scena immobile, mentre

un leopardo dal prezioso collare sta seduto imperturbabile dietro ad un giovane cavaliere dalle vesti color azzurro-cielo. Quel felino macu­ lato, tenuto a guinzaglio dal giovane con così tanta fierezza, si carica

di intimi significati che ricordano il messaggio, già espresso, del ritua-

" Il germano reale, grazie al colore delle sue piume, riesce facilmente a mimetizzarsi t wl l'a mbiente

in cui vive. Inoltre le sue piume gli forniscono isolamento termico ed

impt·r meabilità: qualità che racchiudono importanti significati alchemici.

213

Leopardo dal prezioso collare e scimmia dallo sguardo pensoso, parete ovest, particolari.

le "passaggio per la pelle"36 che vedeva il leopardo costituire una delle insegne di Osiride, considerato il dio della resurrezione37• Se osserviamo con attenzione, ci accorgiamo che sulla veste del cavaliere non si avverte il peso delle zampe anteriori dell'animale, ma al contrario queste sembrano poggiare con estrema leggerezza e de­ licatezza. Inoltre la cintura color bronzo di questo misterioso perso­ naggio, si chiude con un nodo che tanto ricorda quello indossato dai sacerdoti egiziani, simbolo di vittoria sui bassi istinti. Lo sguardo del cavaliere38 è vigile e scrutatore ed un leggero vento anima la criniera 36 In alcune tombe ddla necropoli di Tebe vi sono dei dipinti che rappresentano momenti diversi del rituale "passaggio per la pelle". Enél, Il Messaggio della Sfinge, Atanor, Roma 1993, p. 188. 37 Il neofìta, dopo essersi disteso a terra ed aver assunto la posizione fetale, veniva avvolto in una pelle di leopardo ed indotto in uno stato letargico, di trance profon­ da, simile a quello prenatale. Quell'esperienza di "rientrare nel ventre" della Gran Madre lside aveva a che vedere con il "rinascere" quale novello Horo. "Questa pelle divenne il prototipo del bendaggio che riveste la mummia e Anubis venne conside­ rato come il dio che preserva i corpi degli uomini dalla morte". Enél, op. cit. , p. 189. 38 Alcuni storici hanno individuato in questo giovane cavaliere, Giuliano de' Medi­ ci, fratello di Lorenzo il Magnifico.

214

La lenta salita di muli, cavalli da soma e dromedari verso la sommità delle colline, parete ovest, part.

del suo vigoroso cavallo bruno che sta per riprendere il cammino: non ci vuole molto per capire che quel biondo fanciullo a cavallo, vestito dei colori del cielo, non è che l'emblema dell'Iniziato "rinato" a nuo­ va vita, pronto a portare a compimento il proprio itinerario, che da mistico-iniziatico si sta facendo lniziatico-regale. In un angolo, in disparte, una scimmia dal volto pensoso e dallo sguardo quasi umano, sembra estraniarsi dalla scena nella quale è sta­ ta volutamente immortalata. La scimmia39, secondo annose credenze tibetane, è considerata la compagna ideale per un viaggio di ricerca della sapienza. In India, come in estremo Oriente, si venerava una

''' Nel caso di un individuo non evoluto, la scimmia rappresenta il "piccolo guardia­ no",

la carica energetica nella quale sono condensati tutti i bassi istinti. Invece, la

scimmia raffigurata nell'affresco, testimonia che l'individuo ha già trasmutato parte

Jci suoi vizi in vinù e che il suo "piccolo guardiano" comincia a farsi "intelligente".

215

Gruppo di personaggi accalcati ai piedi del ripido varco e gesto simbolico

della mano, parete ovest, part.

scimmia regale, simbolo di saggezza e di distacco dai sensi, e le si at­ tribuivano qualità legate all'Iniziazione. Quella scimmia lì immobile, statica, perfettamente compenetrata nel suo ruolo, mostra di aver ben capito l'essenza del viaggio che i tre Re Magi e le loro corti si apprestano a condurre al termine. Che si stia preparando l'ultima parte del viaggio, quella che ri­ chiede più sforzo e prestanza fisica, lo si può intuire osservando il gruppo di personaggi attoniti, accalcati ai piedi dell'angusto e ripido varco, che condurrà al di là della parete ovest. I volti di quei notabili sembrano attendere l'arrivo di Melchiorre, riconoscendo in lui la loro guida sicura. Tra questi personaggi ve n'è uno che si evidenzia per la singolarità del gesto della sua mano. 216

Nell'antica Tradizione Ermetica ogni dito della mano ha come ri­ ferimento un pianeta40 ed in questo caso ci accorgiamo che il "medio" e !"'anulare" sono uniti in un misterioso e alquanto difficile congiun­ gimento di "Saturno" con il "Sole". Saturno, dio del tempo, freddo esecutore del destino, fu messo in relazione alla morte, al colore nero, ma al tempo stesso anche alla Sapienza Divina, all'Età dell'Oro41 ed al diamante, simbolo di purezza e di perfezionamento dell'anima. Se uniamo il pianeta Sa­ turno all'Astro solare, l'idea simbolica che se ne trae è di un Sole "oscurato", notturno, perfettamente in tema con l'idea escatologica di tutta la parete. A questo misterioso personaggio e ad altri ragguardevoli fìorenti­ ni42, si affiancano dignitari orientali che, in silenzio, stanno per intra­ prendere l'ultima e non meno faticosa parte del viaggio. La "rinunzià' e l'amore sono le due condizioni fondamentali che

vengono richieste per conquistare il Regno di Dio e quell'ordinato cor­ teo di muli, cavalli e dromedari carichi di some, che si sta lentamente inerpicando per l'aspro sentiero, evidenzia questo intimo aspetto. Il mulo, come il dromedario e il cammello, simboleggiano la tem­ peranza e l'umiltà: due virtù fondamentali senza le quali è impossibile portare a compimento quell'ardito percorso. Due cani, emblemi di fe40 Da studi e sperimentazioni effettuate in questo settore è stato riscontrato che dal

dito "pollice" scaturisce la corrente vibratoria di Venere, dal dito "indice" quella di Giove, dal "medio" quella di Saturno, dall'"anulare" quella del Sole e dal "mignolo" quella di Mercurio. La Luna invece trova corrispondenza con il "monte della Luna'' posizionato all'opposto di quello di Venere, mentre dalla cavità della mano irradia la corrente di Marre.

11

La prima Età o l'Età dell'Oro, fu instaurata da Saturno, mitico re d'Italia. Virgilio

chiamò la terra italica Saturnia Tellus. 12

Non tutti i personaggi ritratti dal Gozzoli sono riconoscibili. Tra quelli più noti rav­

visati dagli storici nella parete ovest possiamo ricordare: Neri di Gino Capponi, insigne diplomatico, Luca Pini, Roberto di Niccolò Martelli, direttore del banco mediceo di Roma e Francesco Sassetti, direttore delle filiali del banco Medici a Ginevra e Lione.

217

La contessina de' Bardi, e le nuore Lucrezia e Ginevra, parete ovest, part.

deltà e di veglia, seguono docili la lenta processione, mentre un terzo sta inseguendo instancabilmente la sua preda ricordando che ci vuole vigilanza continua contro ogni possibile insidia. Ma quel silenzioso e composto corteo ha altre inaspettate sorprese da svelarci. Nella parte alta della salita un gruppo di cavalieri sta per entrare nel punto in cui la visuale va a perdersi tra la sommità della collina e un bosco rigogliosissimo. L affresco della parete ovest termina proprio lì dove vi è una "fine" e il presagio di un "nuovo inizio". Non certo a caso, insieme a un numero disparato di presenze ma­ schili, appaiono tre donne nelle quali gli storici hanno riconosciuto la contessina de' Bardi, moglie di Cosimo il Vecchio, e le due giovani nuore Lucrezia e Ginevra. 218

Mercurio, Sole e Luna, Zoroaster, Ermetismo e Alchimia.

Come già abbiamo accennato, l'aspetto femminile riveste un ruolo molto importante nel cammino interiore dell'uomo. La donna, come evidenziano le Sacre Scritture, è capace di capire certe sottigliezze teolo­ giche che non subito sono comprensibili alla spiritualità maschile. Anche Ermete Trismegisto, nel suo

Corpus Hermeticum, si soffer­

ma sull'importanza che ha l'elemento femminile su quello maschile e con chiarezza afferma che "grazie alla reciproca unione, la donna acqui­ sisce la forza dell'uomo e l'uomo si rilascia in un languore femminile"43, facendo intuire che è in virtù di questo segreto scambio che tra l'uo­ mo e la donna, spiritualmente affini, si generano "mistiche nozze". Nella Divina Commedia fu Beatrice, simbolo della Sapienza, ad accompagnare Dante Alighieri nel Paradiso terrestre, ed anche nel dipinto del Gozzoli sembra che spetti alla donna condurre verso un simile scenario. Benozzo era ben addentro al pensiero ermetico dei Fedeli d'A­ more segretamente riportato in luce dall'Accademia Neoplatonica:

'11 E. Trismegisto, op. cit.,

p. 331.

219

"Come i trovatori anche gli amanti platonici dovevano scegliersi una dama ideale alla quale rivolgere amorose cortesie in un linguaggio emblematico"44• Marsilio Ficino dedicò a questo tema l'intero trattato del suo

Amore ed

De

entrò nel cuore dell'argomento ponendo una domanda alla

quale segue l'immediata risposta:

"Ma perché si chiama lo Amore Mago? Perché tutta laforza della Magica consiste nell'Amore. L'opera della Magica è un tiramento de l'una cosa nell'altra per similitudine di natura"45• Affin ché questo "sposalizio spirituale" avvenga, i Neoplatonici, come i Fedeli d'Amore, avevano capito che la

castitas,

ossia "l'azione

senza attaccamento"46 era la virtù subito da sperimentare. Basilio Valentino, monaco benedettino e alchimista, vissuto tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, afferma che i due "sposi spi­ rituali" devono spogliarsi delle loro vesti, devono apparire "ben puliti e lavati" prima di entrare in quel talamo nuziale. Lidea della purifica­ zione è dunque fondamentale, e gli alchimisti asseriscono che senza tale operazione, l'Opera non potrà mai avveniré7• La realizzazione delle virtù che preparano al distacco dai sen­ si comporta la sperimentazione di uno stato interiore che per certi aspetti assomiglia alla "discesa Inferi" : esperienza che trova forti ana­ logie con il momento in cui il Sole sta per sparire dall'orizzonte. Come sappiamo gli egiziani identificarono quel trapasso nelle "porte di Aker" : personaggio mitologico che personificava il misterio­ so "passaggio" dell'Astro Solare dalla luce del giorno, al mondo delle tenebre. Quel Sole notturno venne immaginato rivestirsi di miriadi di stelle ed il suo nome mutò in " Sole di mezzanotte" . Anche la scenografia, impressa dal Gozzoli, segue la stessa atmosfera.

44 P. Maresca, op. cit., p. 18.

45 Marsilio Ficino, Sopra lo Amore o ver Convito di Platone, Milano 1973, p. l 06.

46 P. Maresca, op. cit., p. 20.

47 C. Riva, op. cit. , pp. 173-174.

220

Parete nord, il mistico ingresso alla Scarsella

Le pareti sopra le due sagrestiole e le due pareti (nord-ovest e nord-est) dedicate agl i angeli; al centro !'"Adorazione del Bambi no" .

Dalla parete ovest lo sguardo passa alle due piccole superfici late­ rali che sovrastano le sagrestiole e che rinserrano la parete nord al fine

di rendere ancora più i ntima la scena della Natività. All'improvviso i toni si fanno calmi e sommessi e i n quei dipinti si avverte lo stato di quiete che precede l' istante in cui la Natura 221

stessa comincia a soffrire per l' imminente occultamento della luce solare. Nelle antiche tradizioni orientali questo stato di oscura attesa è messo in relazione con il transito del Sole al Solstizio d'Inverno , con­ siderato il tempo della "nascita degli dèi" . Nel Cristianesimo viene ri­ presa l'identica simbologia con chiaro riferimento alla nascita di Gesù Cristo, festeggiato il 25 dicembre, quando il Sole è da poco entrato nel Segno del Capricorno. La tradizione popolare rappresenta quest'evento storico con il Presepe o Presepio, il luogo pressoché inaccessibile, custodito da due "guardiani" - il bue e l'asino- che delimitano e difendono lo spazio sacro in cui viene posto il Bambino Divino48• Osservando l'affresco dipinto su quelle due strette porzioni di parete collegate alla Natività, ci accorgiamo che il Gozzoli ha saputo ricreare lo stesso mistico ambiente: a sinistra il bue e a destra l'asino, e dietro ad essi si evidenzia un mondo agreste che tanto ricorda l'antica Età dell'Oro49, quando gli uomini vivevano in perfetta sintonia con la Natura e il mondo Divino. Due solerti cani tengono uniti i due greggi , mentre quattro pa­ stori immersi in un paesaggio di "pacato lirismo" , vivono in uno stato di silente e saggia riflessione la straordinarietà dell'evento che si sta preparando. Come un Ercole in riposo , il pastore dagli arti inferiori possenti e saggiamente incrociati, ricorda che ci vuole la forza di quel bue-toro che gli sta davanti, per affrontare il momento della "nuova nascita" . L ampio mantello con capp uccio che indossa, denota dignità e volon­ taria custodia del suo sapere, ed anche il volto appare dolente e pen-

48

Nel cielo del nord dell'Antico Egitto, venivano identificati due terribili guardiani

- la Costellazione del Toro (o bue) e quella dell'Asino - chiamate anche " Costel­ lazioni circumpolari" , che dovevano assicurare quel luogo da ogni profanazione. 49

Iacopo Sannazaro , Arcadia, Mursia, Milano 1990, pp. 74-75.

222

. Il mite asino, parete nord, part. Un mondo agreste in mistica "attesa", parete nord, part. Il bue, parete nord, part.

soso; l'incrocio degli arti nudi, presagisce la forza d'amore sublimato, che gli Alchimisti chiamarono "wlfo rosso". Se il dipinto presente sopra la porta della sagrestiola destra invita alla forza d'amore ed alla castità, quello raffigurato a sinistra si fregia di un linguaggio ancora più intimo, strettamente legato alla figura del giovane asino posto vicino al laghetto di giunchi. Il giunco è una pianta palustre dalle caratteristiche singolari per­ ché il suo stelo è sottile, ma le sue radici affondano ad una profondità tale in quel terreno acquitrinoso, da renderlo resistente a qualsiasi evento atmosferico. Dante, nel Proemio del Purgatorio, lo chiama "giunco schietto"50, mettendolo in relazione all'umiltà: virtù simboli­ camente confermata dallo sguardo saggio e mansueto dell'asinello che soprassiede alla scena. Potenza d'amore, umiltà, sacrificio e pazienza sono le virtù richie­ ste per avvicinarsi al Regno di Dio51 • "' Purg. 1:95. '1

Nella Tradizione d'Israele l'umiltà stava alla base dell'esperienza della Merkabah: espe­

rit·n:r.a mistica che trova riferimento nella Trasfìgurazione di Cristo sul Monte Tabor.

223

" Chi vuoi essere il primo deve essere l'ultimo; e chi vuoi essere il pa­ drone, deve essere il servo di tutti"52 dice il Cristo ai suoi Apostoli e quel mistico scenario effigiato dal Gozzoli ben ricorda le sue parole. Tutto tace: l'allegorico corteo e la vita pastorale spariscono dal nostro campo visivo, per fare spazio a un panorama nuovo. Il fastoso corteo, condotto dai tre Re Magi, doveva passare da quell'intimo misterioso "occultamento"- paragonato alla notte e alla morte - per giungere, in un giubilo di Angeli, Arcangeli, Serafini e Cherubini davanti alla Luce della Natività.

Scarsella, Natività e Cori Angelici

Adesso lo sguardo si ferma al centro della parete nord, in cui tro­ neggia il dipinto de }"'Adorazione del Bambino". Dall'oscurità si ritorna alla Luce e dalla "morte" alla Nuova Vita e la scenografia rappresentata ai lati della Santa Natività, si tinge di tutti i colori dell'iride.

"Tra i chiarori dell'alba io ti ho generato"53 si trova scritto nel Sal­ mo di Davide. Simbolicamente dal buio della notte il cammino regale si arresta davanti alla vera Luce: il Bambino Divino è lì e, in un tripu­ dio di Angeli, si apre una nuova idilliaca visuale.

''Ecco, io mando il mio angelo davanti a te per custodirti sul cam­ mino e forti entrare nel luogo che ti ho preparato"54, infatti seguendo queste parole divine, un gran numero di Presenze Celesti occupano le due pareti della Scarsella che fanno da cornice alla Natività. Le Gerarchie Angeliche rappresentano l'Armata Celeste divina che veglia sul mondo e trasmette gli ordini di Dio. San Paolo ne parla

52 Mc. 9:30.

53 Sal. 10.

54 Es. 23:20,2 1.

224

"Adorazione del Bambino", parele nord , bonega di Filippo Lippi, Cappella Medici Riccardi , Firenze, parl.

in questi termini:

" Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono entrare in possesso della salvezza?"55• Secondo Origene il compito degli Angeli verso questo mondo è di vigilare su tutti i regni dell'Un iverso e di aiutare la crescita spirituale di ogni essere vivente "dando loro la potenza che si dice essere insita nelle cose per proprietà occulra" 56• Ma soprattutto la missione di queste entità eteree57 è di presiedere a tutte le virtù perché, essendo

"Eb. 1:14 "·

Origene, In Numeros hom. 14,2. F. Zorzi, op. cit. , p. 973.

'' "Ogni angelo rappresenta in certo qual modo l'espressione di un attributo divino, com'è didtronde evidente nella costituzione dei nomi de//'angelologia ebraica". R. Guénon, op. tit

..

p.

78. 225

Gerarchie Celesti, visione di Santa Ildegarda di Bingen. Angelo in preghiera, parete nord-ovest, parL

a contatto con il Padre, dirigono verso la rettitudine e la purezza del cuore. Quando si parla di Angeli si deve per forza fare riferimento ad uno stato particolare- non umano- al quale si arriva attraverso quel­ lo stesso itinerario mistico-iniziatico-regale, farro di infinite tappe, che Benozzo Gozzoli ha saputo immortalare sulle pareti della cappel­ la: uno stato Umano-Angelico. Dionigi l'Areopagita, discepolo di San Paolo, nel suo libro De coele­

sti hierarchia, evidenzia che un

itinerario di alta spiritualità è sostenuto,

aiutato e custodito dai nove Cori Angelici, e che ogni Coro rappresen­ ta un gradino della scala di Giacobbe. La salita dei gradini, che uno dopo l'altro portano fino al Trono di Dio, comporta da parte dell'asceta l'assimilazione alle buone qualità e ai pregi delle presenze designate a quell'ufficio.

226

Non a caso San Paolo invita a spogliarsi dell"'uomo vecchio" , con il suo errato modo di agire, per rivestirsi dell'"uomo nuovo"58 che si rinnova ogni giorno grazie all'acquisizione di sempre nuove virtù. "Nel cielo di lapislazzuli, tra nuvole rosa e oro, angeli in volo ed in preghiera procedono dalle invisibili sfere superne verso il fulcro dell'attenzione generale: l'Adorazione sull'altare"59• Sul fianco sinistro e destro di quella parete nord, diciotto Angeli vegliano dall'alto vol­ gendo lo sguardo verso il Bambino Divino. Due Cherubini si affac­ ciano sul cielo color lapislazzuli, mentre quattro Serafini occhieggiano tra soffici nuvole rosate. In basso un nutrito Coro di presenze celesti anima un ambiente paradisiaco dove roseti, fiori di melograno e mi­ steriosi paesaggi fanno la loro comparsa. Le figure angeliche appartengono ad una tradizione antichissi­ ma60 proveniente dalla cultura assiro-babilonese ed egiziana, che evi­ denziava l'esistenza di esseri divini soprannaturali61. Nello Zoroastrismo , il ruolo dell'angelo fu quello di messaggero divino inviato dal dio Sole Aura Mazda62, il dio sapiente chiamato anche "colui che crea con il pensiero" . 58 Col. 3:9-1 O. 59 C. Acidini Luchi nat, op. cit. , p. 264.

60

Nelle grotte di Ajanta, databili intorno al II secolo a.C., Tommaso Palamidessi raccon­

ta di aver trovato "qualcosa di cristiano senza essere tale" e di aver notato un simbolismo architettonico altamente spirituale che fa intuire il grande messaggio precristiano, già allora esistente, completato poi dalla venuta di Gesù Cristo. Gli angeli che sostenevano le architravi all'interno di quelle grotte, ricordavano quelli presenti nelle chiese gotiche; stessa cosa per gli strani intrecci di animali e fiori che fregiavano quelle cavità.

61

La Chiesa Cattolica temette per lungo tempo che il culto degli angeli potesse

portare verso una specie di eresia. Dobbiamo a Papa Gregorio I la diffusione in Occidente delle Gerarchie Angeliche descritte da Dionigi l'Areopagita. "2

Aura Mazda è il dio sapiente e onnisciente mesopotemico , il quale all'origine dei

tempi creò due spiriti superiori: lo spirito del Bene (Spenta Mainyu) e quello del Male (Angra Mainyu), più tutta una serie di spiriti al servizio del dio unico, chia­ mati Amesa Spenta. I.: uomo doveva scegliere se schierarsi con il Bene o con il Male. Questa dottrina influenzò sensibilmente sia l'Ebraismo che il Cristianesimo.

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Cherubino e Serafino, parete nord-ovest, particolari.

Nella dottrina mesopotemica un compito importante lo rivestiva il "karibu" , che letteralmente significa "colui che pregà' , raffigurato con le ali che si aprono verso il cielo per intercedere presso gli dei . Da tale denominazione deriverà poi il nome di "cherubino" . I Cherubini, nella tradizione ebraica, sono considerati la "caval­ catura" con la quale Dio discende sulla terra e più volte vengono citati nell'Antico Testamento in relazione alla venuta di Gesù Cristo: ca ­