Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi 8811504880, 9788811504887

Il volume è un completo repertorio grammaticale della lingua italiana. Il contenuto si articola in quindici sezioni ragi

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Italian Pages 618 [621] Year 2000

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Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi
 8811504880, 9788811504887

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Italiano di Luca Serianni con la collaborazione di Alberto Castelvecchi

Glossario di Giuseppe Patota

GARZANTI

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Italiano

Garzanti

Edizione a cura delle Redazioni Garzanti Prima edizione: settembre 1997

Ristampa: maggio 2003

ISBN 88-11-50488-0 © 1988, Unione Tipografico - Editrice Torinese corso Raffaello, 28 - 10125 Torino

@ 1997, Garzanti Editore S.p.a. @ 2000, Garzanti Libri S.p.a., Milano

su licenza dell’Unione Tipografico - Editrice Torinese www.garzantilibrijt

Presentazione

L’idea che aveva ispirato la compilazione di questa Grammatica italiana (uscita per la prima volta presso la UTET) era stata quella di conciliare il necessario rigore scientifico con un’esposizione il più possibile chiara e piana, accessibile al lettore italiano che avesse compiuto o stesse compiendo, studi medi superiori e al lettore straniero che volesse perfezionarsi nello studio della nostra lingua. L’ambizione era stata quella di approntare per l’italiano uno strumento analogo, anche se di scala più ridotta, al repertorio grammaticale allestito per il francese da Maurice

Grevisse, apparso nel lontano 1936 e più volte riedito. Non spetta agli autori dire se e fino a che punto i propositi di partenza si siano tradotti in realtà. Sta di fatto che le precedenti edizioni di questa Grammatica hanno ottenuto un lusinghiero consenso di pubblico, al punto da suggerire ora una nuova versione, nella fortunata serie delle “Garzantine”. Questa edizione ripropone il testo originale, arricchendolo con un Glossario (di Giuseppe Patota), nel quale sono inseriti circa 130 Dubbi linguistici (scelti da Luca Serianni tra quelli in cui tutti ci imbattiamo più spesso). Il Glossario si può consultare non solo per risalire al testo, ma anche come un prontuario grammaticale ordinato alfabeticamente a cui ricorrere ogni volta che si vuole ottenere un’informazione o risolvere un dubbio sull’italiano in tempi rapidi e in forma facilitata. Parlare di «italiano» senza altra specificazione può risultare astratto dopo che tanti studi hanno insistito sulla coesistenza di più lingue parallele (italiano parlato e scritto; italiano della comunicazione formale e della conversazione quotidiana; italiani regionali; italiani settoriali e così

via). Ma non va dimenticato che ciò che unifica le varie modalità d’italiano è molto più forte, consistente e significativo di ciò che le distingue. Le strutture fondamentali rimangono le stesse, quale che sia il livello o l’ambito di lingua: forme come *i cane, *nasce', *vorrei che tu sei più educato per «sia» o «fossi» sono tutte a-grammaticali, cioè non-italiane: anche se la prima esiste solo virtualmente o in esecuzioni deficitarie (bambini o stranieri in fasi elementari di apprendimento), la seconda ha avuto corso nell’italiano antico e la terza potrebbe ritrovarsi nella lingua dei semicolti. Inoltre, i due poli fondamentali della comunicazione linguistica: scritto (formale) / orale (informale) si influenzano continuamente: ora è la lingua scritta che arieggia i modi del parlato, con la sua caratteristica mancanza di programmazione, le sue ridondanze, le sue esitazioni (si pensi a tanta narrativa contemporanea, ma anche al dialogo dei Promessi Sposi o del teatro di Pirandello); ora — e più spesso di quanto si creda — è il par-

Presentazione

V1

lato quotidiano che si modella più o meno consapevolmente sulla lingua scritta, attratto dal maggior prestigio di cui quella è portatrice. Sia a livello scritto sia a livello parlato operano diversi fattori di variabilità. Due, in particolare, interessano il grammatico. In primo luogo la compresenza — in italiano come in qualsiasi altra lingua viva — di più varietà diafasiche, ossia condizionate dalla diversa situazione comunicativa: loro in luogo di gli sarà appropriato in uno scritto ufficiale o argomentativo («L’Ufficio prenderà contatto con i singoli richiedenti e comunicherà loro l’ammontare del versamento»), ma risulterebbe affettato nel parlare quotidiano («Sono uscita con i bambini per comprare loro i jeans»). L’altro elemento di variazione è il portato di una lunga tradizione grammaticale rigorosamente normativa che ha contrastato a lungo forme e costrutti, talvolta soccombendo di fronte alla forza travolgente dell’uso, talaltra relegando i veri o presunti «barbarismi» in una specie di limbo e riuscendo a eliminarli dai livelli più sorvegliati. Così, nessuno og— gi si sforzerebbe di evitare suicidarsi per ‘uccidersi’, fino a qualche tempo fa considerato errore per il doppio riflessivo (non ci si può uccidere due volte!): l’uso ha imposto questa forma non per un capriccio imprevedibile, ma perché il latino sui ‘di sé’, inglobato nel francese suicidé (da cui l’italiano suicida e il verbo suicidarsi) è risultato opaco alla coscienza linguistica dei parlanti, che hanno nuovamente “riflessivizzato” il verbo con il consueto pronome personale. Ciò non vuol dire che, soprattutto in

settori circoscritti, un uso giudicato preferibile ad altri non possa essere imposto dall’alto, vale a dire dalle fonti di lingua più prestigiose 0 autorevoli (gli insegnanti, nella loro capillare opera di educazione linguistica; il modello ufficiale, imposto dall’amministrazione o dalla grande industria; gli scrittori; e soprattutto l’uso dei giornali e di altri mezzi di comunicazione di massa): la forma colluttorio, con una t di troppo, molto frequente qualche anno fa, sta oggi soccombendo di fronte al corretto collutorio, che è stato accolto dalle ditte farmaceutiche e dalla pubblicità. In altri casi, l’alternativa è tra due forme entrambe legittime e accettabili: può essere utile, allora, verificare le tendenze linguistiche in atto per secondarle ed eliminare un inutile doppione. Oggi una verifica del genere è resa possibile dalla diffusione dell’informatica, che ci consente di do-

minare con facilità una mole impressionante di dati: da un compact disc che archivia tutti i numeri del «Corriere della Sera» del 1995 possiamo ricavare, ad esempio, che il latineggiante familiare sta soppiantando quasi completamente il popolare famigliare (1004 esempi contro 39). Si può ipotizzare che, tra qualche anno, famigliare sia avvertita addirittura come una forma scorretta, subisca cioè la stessa sorte patita da forme come

quistione o ofiîciale, che un secolo fa coesistevano accanto a questione e ufiiciale, ma che oggi qualsiasi insegnante correggerebbe nel compito di

un suo scolaro. Il confine giusto-sbagliato può essere segnato con sicurezza solo per le forme a—grammaticali (come il *nascé che abbiamo già citato). Negli altri casi, compito del grammatico è quello di suggerire una scelta, offrendo

VII

Presentazione

all’attenzione del lettore gli elementi di giudizio utili. Prima di tutto, l’uso oggi prevalente («L’uso fa legge qualunque siasi, quando sia universale e comune agli scrittori e al popolo» scriveva nel Settecento il linguista Melchiorre Cesarotti); poi l’accordo con la tradizione letteraria e con quella grammaticale e lessicografica, che hanno contato molto per una lingua come la nostra, che per tanti secoli è stata prevalentemente scritta; infine, le varie ragioni che, di volta in volta, possono rafforzare la norma

(dal rispetto dell’etimologia, all’esigenza di chiarezza comunicativa). Il modello d’italiano che è alla base della nostra trattazione è l’italiano comune: quello che chiunque scrive (0 dovrebbe, o vorrebbe scrivere) e che è non solo scritto ma anche parlato dalle persone colte in circostanze non troppo informali. Per illustrarne le caratteristiche siamo ricorsi in mi— sura minima a esempi inventati (e solo per frasi elementari: «I bambini dormono»), attingendo ampiamente all’italiano scritto nella sua accezione più larga. Quindi non solo all’italiano letterario otto—novecentesco che pure — anche per la grande varietà di modi e di toni — costituisce la base documentaria fondamentale; ma a tutte le altre componenti in cui si articola la cultura scritta moderna e contemporanea: dalla prosa argomenta— tiva e scientifica al linguaggio giornalistico, a quello della codificazione

legislativa o della devozione, senza trascurare settori marginali che hanno o hanno avuto larga circolazione nella comunità dei parlanti, come i libretti d’opera e la musica leggera. Molti esempi appartengono alla nostra epoca, ma non ci siamo preclusi riferimenti al passato: non solo per illustrare istituti linguistici arcaici, ma anche per mostrare la continuità di molti fenomeni grammaticali dell’italiano di Dante 0 di Machiavelli con l’italiano contemporaneo. L’ottica da noi adottata ha1nsomma il suo fuoco nell’italiano dei nostri giorni, ma è attenta a rintracciarvi il portato dei tanti secoli di storia che ne hanno segnato la fisionomia. In questo quadro non ha trovato spazio - ed è un’assenza dolorosa ma pur necessaria nell’economia del lavoro — un capitolo sulla prosodia; non abbiamo però voluto sacrificare, in àmbito fonetico, un altro tema strettamente inerente al parlato: le pronunce regionali. L’impatto descrittivo e il sistema terminologico sono sostanzialmente quelli tradizionali. Non ci siamo nascosti i limiti che nascono dall’utilizzazione di categorie come «complemento» o come verbo «transitivo-intransitivo»; tuttavia il nostro intento non era quello di teorizzare una nuova classificazione grammaticale, ma quello empirico (vorremmo dire: sana— mente empirico), di descrivere più compiutamente di quel che si fosse fatto finora il funzionamento della lingua nazionale. Inoltre, l’abbandono

della tenninologia consolidata avrebbe comportato il parallelo abbandono di quel lettore colto non specialista al quale soprattutto abbiamo inteso rivolgerci: è un lettore che immaginiamo sufficientemente a suo agio con nozioni come «soggetto» o «verbo servile», ma non altrettanto disposto a incamminarsi per la selva — intricata, se non sempre oscura — delle «espansioni», degli «operatori», della «coreferenzialità».

Presentazione

VIII

Un paio di precisazioni di carattere pratico. Nelle citazioni di autori segnalate solo dal nome dello scrittore, s’intende che il passo è stato attinto dal Grande dizionario della lingua italiana fondato da Salvatore Battaglia (GDLI; Torino, UTET, 1961 ss.); il lettore che voglia rintracciarlo

potrà consultare quel dizionario sotto una delle forme presenti nel passo citato (normalmente quella che la citazione si propone di illustrare): ad esempio, il verso «ciò che i prischi Suevi e i Reti avieno» (Tasso), addotto per documentare una variante arcaica del verbo avere, si troverà appunto alla voce avere (GDLI, I 874). Le citazioni rispettano grafia e punteggiatura degli originali, ma adeguano al contesto o uniformano l’uso della maiuscola iniziale e gli eventuali corsivi e virgolette interne al paseo. Nelle parole latine la quantità è indicata, salvo contrario awiso, sulla

vocale accentata (quindi SALÙBER si legge «salùber» e CÒLUBER «còlu: er») e per indicare la base di una parola italiana si dà la forma dell’accusativo, che è il caso da cui discende la grande maggioranza delle forme italiane e romanze.

La compilazione delle varie sezioni del lavoro va distinta come segue: a Luca Serianni si devono i capitoli I («Fonologia e grafematica»), IV («Articoli»), VI («Numerali»), VII («Pronomi»), X («Interiezioni»), Xl («Verbi»), XIII («Sintassi della proposizione»), XIV («Sintassi del periodo»), XV («Formazione delle parole») e la revisione generale; ad Alberto Castelvecchi i capitoli II («Analisi logica e grammaticale»), III («Nomi»), V («Aggettivi»), VIII («Preposizioni»), IX («Congiunzioni»), XII («Avverbi»). A Giuseppe Patota si deve il Glossario finale. All’interno di quest’ultimo, i lemmi dedicati ai Dubbi linguistici (riconoscibili perché racchiusi entro riquadri) sono di Luca Senanm.

IX

Presentazione

Trascrizioni fonematiche

La tabella che segue indica i simboli fonetici (secondo il sistema dell’Associazione Fonetica Internazionale) utilizzati nel testo. Accanto a trascrizioni fonematiche, poste entro sbarrette, si adoperano tal-

volta trascrizioni fonetiche semplificate, entro parentesi quadre (cfr. 1.2.6). L’accento è contrassegnato da un apice che precede la sillaba tonica: portò lport’to/. Il segno : (presente di norma solo in parole straniere) indica che la vocale precedente è lunga.

Fonemi dell ’italiano

/g/

VOCALI

/ts/ /dz/ /tj/

/a/ /e/ /5/ lil lol lol /u/

pane verde letto vino monte corpo luna

l’pane/ /'verde/ /'lctto/ /'vinol /'mont e/ /'korpol /'luna/

SEMICONSONANTI /j/ /w/

ieri fuori

l’jcri/ l’fwori/

/f/ /v/ /s/ /z/ /j‘/ /r/ /l/

/A/

CONSONANTI /p/

/d3l

porta

l'port al

/b/

barca

/'barkal

/m/ /t/ /d/ /n/ /_n/ /k/

mamma torre dare notte gnocchi cane chiesa questo

/'mamma/ /'torre/ l'dare/ /’notte/ /'_nokkil /’kane/ /'kjcza/ /'kwesto/

gara ghiotto zappa zaino cena ciao gente

/’gara/ /’gj otto/ /’tsappa/ /’dzaino/ /'tj'ena/ /’tIaol l'd3ente/

gioco

/'dsoko/

fine vero stella sdraio scimmia sciocco re lana

/’fine/ /'vero/ /'stella/ . /'zdrajo/ /'Iimmja/ /’Iokkol /re/ /'lana/

gli

/’Ai/

figlio

/’fiMo/

Fonemi di lingue straniere /A/ /9/

ingl.’ fr.

but fenétre

/bAtl /f9'netRl

/y/

fr.

lune

/lan

/5/ /9/ /13/ /R/

fr. ingl. ingl. fr.

jour thief sing rire

/3uRl /6i:f/ /sin/ /RiRl

Altri simboli

>

Indica il passaggio da una base latina (0 germanica, araba, ecc.) al corrispondente esito dell’italiano o di un’altra lingua romanza; per es.: lat. NÒVUM> it. nuovo. Il processo inverso si rappresenta col segno t1€ cani [tre k'kani] (invece cnÉsco>cresca) o IÀM PÒSITUM>gÌà pasto [d3a p'posto] (invece CÀMPUM>CMPO).

65. Il raddoppiamento da parola a parola awiene nei seguenti casi (cfr. CAMILLl-FIO— RELLI 1965: 133-151): a) Dopo un monosillabo cosiddetto forte; si tratta di tutte le forme con accento gra— fico (è, già, da, ne', può, ecc.) e delle seguenti fonne disaccentate: a, che, chi, da,

da, e, fa, fa, fra (preposizione e nome), fil, gru, ha, ho, ma, me, ma’ (nella locuzione

6) Dopo i baritoni come, dove, qualche, sopra. In questo caso il raddoppiamento si spiega storicamente con la presenza di una consonante finale nel secondo elemento monosillabico delle quattro forme; presenza effettiva (in qua!che, da quale+che e came in iscuola. Il fenomeno, che è stato sempre molto

oscillante (ROHLFS 1966-1969: 187), è oggi in forte regresso, tranne che nelle locuzioni in iscritto, per iscritto (cfr. SABATINI 1985: 157). In passato la possibilità di una i prostetica (anticamente anche e) era spesso sfruttata dai poeti per ragioni metriche: «per escusarmi e vedermi dir ve— ro», accanto a «Ciò che vedesti fu perché non scuse» (Dante, Paradiso, XIV 136 e

Purgatorio, XV 130). In epoca più vicina a noi questa norma è stata attentamente osservata dal Manzoni nei Promessi Sposi; per esempio: «a non

73. L’elisione grafica è normale con gli articoli singolari e con le relative preposizioni articolate (l’oro, nell’età, un’amica;

poco comune al plurale e per il maschile solo davanti a i: gl’ltaliani, l’erbe [cfr. IV.4, IV.S]); con gli aggettivi dimostrativi singolari questo, questa, quello, quella (quest'asino, quell’epoca); con bella, bella [nell’uomo, bell’idea); con santo, santa

(sant’Antonio, sant’Anna); con come e ci davanti al verbo essere (com’è andata?, c’è, c’erano); in una serie di espressioni idiomatiche: a quattr’occhi, l’altr’anno, tutt’altro, senz’altro e nient’altro, mezz’o-

ra, ecc. In altri casi l’elisione è sempre facoltativa e appare in declino rispetto all’uso di un secolo fa (cfr. SERIANN] 1986a: 56).

bene» VI 36, «per istrascinarlo» XXXII 10. Esempi occasionali anche in scrittori

74. Tra le forme che più facilmente possono perdere la vocale finale ricordiamo i monosillabi, in particolare di (elisione obbligatoria in d’accordo, d’epoca [«un

contemporanei, come Bassani, Il giardi-

quadro d’epoca»], d’oro [«un braccialet-

no dei Finzi-Contini: in ispagnolo 41, per istrada 183.

to d’oro»] e in qualche altro caso; facoltativa davanti a un verbo: d’essere o di essere, d’udire o di udire). Con altri monosillabi l’elisione è più probabile quando la vocale iniziale della parola seguente è la stessa ed è atona (ti importa _— t’importa, si impunta _» s’impunta; invece, più spesso: ti ascolta, si isola, mi irriti) o quando segua un altro monosillabo uscente con la stessa vocale («ce l’ha messa tutta»=ce la ha …; «il libro l ’ho già letto»=lo ho ...; ma «le è piaciuto il film?», non *l’è piaciuto).

iscriver nulla» IX 75, «è cosa che non istà

Elisione

72. L’elisione è la perdita — fonetica e grafica — della vocale finale atona di una parola davanti alla vocale iniziale della parola seguente. Nella scrittura va obbligatoriamente indicata con l’apostrofo: una ora —+ un ’ora, di essere -> d’essere,

senza altro —> senz’altro.

I. Fonologia e grafematica

21 75. Da non si elide mai: da amare, da eroi, da Ancona (d’amare, d 'eroi, d’Ancona=di

amare...), tranne che nelle formule cristallizzato d'ora in poi, d’ora in avanti, d’altronde, d’altra parte.

ligiosi («don Abbondio», «don Minzoni»: si no— ti che l’uso di apporre il don davanti al cognome non è antico ed era censurato dai puristi ottocenteschi, cfr. per esempio LISSONI 1831: 257) e, nell‘Italia meridionale e insulare, anche di laici (facili i riscontri letterari: si pensi a «don Franco lo speziale» dei Malavoglia di G. Verga, a «don Luigi Magalone» podestà di Gaglia-

Apocope

no in Cristo si è fermato a Eboli di C. Levi, a

76. L’apocope (o troncamento) consiste nella caduta di un elemento fonico (vocale, consonante o sillaba) in fine di parola. In italiano distinguiamo apocopi sillabi— che (grande —> gran) e apocopi vocaliche (filo di ferro —> fil di ferro). In entrambi i casi l’apocope non avviene di norma davanti a pausa.

nell‘0ro di Napoli di G. Marotta; e si veda que-

«don Ignazio Ziviello», signore decaduto

77. Fa eccezione, nella poesia tradizionale, l’a—

pocope vocalica in fin di verso: «né il sol più ti rallegra / né ti risveglia amor» (Carducci, Pianto antico, 15-16); «mi tormenta l’ai-nima I uno

strano mal» (Creola, canzone di Ripp); «perché ho dei dubbi / che non mi fan dormir» (La partita di pallone. canzone di Rossi-Vianello; ambedue in BORGNA 1985: 235 e 255). L‘apocope in fin di verso, sconosciuta alla poesia delle origini, si diffuse nel Quattrocento in séguito alla fortuna delle canzonette musicate del veneto Leonardo Giustinian, in cui il feno-

meno abbondava: cfr. MIGLIORI… 1963a: 273. 78. Tra i casi di apocope sillabica possiamo iso— lare i fossili, in cui la forma ridotta ha sostituito completamente (o quasi) la precedente forma piena. a) Caratteristica l‘apocope di -de in virmde>virtù, bontade>bontà e simili. Si tratta

di aplologia prodottasi originariamente in sintagmi in cui il sostantivo era seguito dalla pre— posizione di (cittade di Roma>città di Roma; continuiamo però a dire cittadino). Le forme piene sono largamente attestate nel corso della tradizione letteraria: «non hai tu spirto di pietade alcuno?» (Dante, Inferno, XIII 36); «E per la libertade / ecco spade / ecco scudi di fortezza» (Carducci, Congedo, 55—57). L’apocope non è riuscita ad attecchire in pie‘ (da evitare la grafia pie’), forma che resta limitata all’italiano letterario: «le prostrate mura / l’arduo monte al suo piè quasi calpesta» (Leo-

sto passo di Ledda, Padre padrone, 38: «a Siligo allora dominava un certo don Peppe Mannu. Un prepotente e un dissoluto come tutti i dom.»). Don risale all’italiano antico danno: «fu a Barletta un prete, chiamato dormo Gian-

ni di Barolo» (Boccaccio, Decamerone). Altre volte le forme con apocope sillabica con— vivono accanto alle forme piene, o come varianti facoltative (grande / gran; «oggi è un grande/ gran giorno», «un poco / un po ’»; con la 6a persona dei verbi in —nno: «fanno / fan troppo chiasso»); o, talora, con distribuzione obbligata (vedi oltre). In ogni caso si deve evitare l’apocope sillabica davanti a vocale: *gran uomo, *han osato (nonostante il «gran aroma» di un caffè reclamizzato da giornali e televisione degli anni Ottanta). Ormai rara l’apocope nel plurale grandi: «di gran parole» (Manzoni, I Promessi Sposi, XIX 33), «di gran granchi» (Nievo, Le confessioni d’un italiano, 36); si veda in proposito l‘ampia documentazione di BRUNET 1983: 148 sgg.

79. Tra i casi di apocope obbligata vanno ricordati bello e santo, che diventano bel

6 san la dove si userebbero il e un invece di lo e uno (per dello/ del, ecc., cfr. IV.77;

per quello / quel cfr. VII.119): «che bel tipo!» (come il tipo, un tipo), ma: «che bello studio!» (come lo studio, uno studio),

«san Giorgio» (come il giorno, un giorno), ma: «santo Spirito» (come lo spirito, uno spirito). Tuttavia bel e san tendono a invadere il territorio delle rispettive forme piene (specie davanti a s complicata per bel e soprattutto davanti a z per san; cfr. BRUNET 1983: 95—96 e 179-181): «un bel spettacolo» (Silone), «Che bel scherzetto»

giù nella strada, si chinava a piè della muraglia»

(Buzzati; entrambi citati dalla Brunet); «San Zeno di Verona», «via San Zanobi a Firenze», «la chiesa di San Zaccaria a

(D’Annunzio, Trionfo della morte, 4); tranne

Venezia».

pardi, La ginestra, 229-230); «Un carrettiere.

che in alcune locuzioni come a piè di pagina, a pie‘ fermo, a ogni pie‘ sospinto (le ultime due di tono scherzoso). Piè compare inoltre, cristallizzato, in toponimi come Piedimonte, ecc., cfr.

80. Si apocopano inoltre: a) Frate seguito dal nome proprio (fra

1.69. b) Un altro fossile è don. titolo di rispetto di re—

vanti a vocale: fra Eugenio; ma non *ilfra

Cristoforo, ormai cristallizzato anche da-

I. Fonologia e grafematim guardiano). Anticamente si aveva 0 si poteva avere la forma piena frate anche davanti a nome proprio: «Me ne disse frate Piero converso» (Leggende di alcuni san— ti e beati venerati in Santa Maria degli Angeli in Firenze). b) Cavallo nel proverbio «a caval donato non si guarda in bocca». L’apocope è più diffusa nell’italiano arcaico e in poesia: «né pedata di caval conoscendovi» (Boc—

22 dre; meno giustificate le grafie mà e pà): «Le dicevano: — Sedetevi, Ma' —» (Pavese, Paesi tuoi); «l’innocente Orsolina rispose che il pa’ di maritarla non voleva neppure sentirne discorrere» (R. Sacchetti, Racconti di Roberto Sacchetti pubbli-

cati sparsamente su giornali e riviste dal 1869 al I879); «pà Vincenzo fece la sciocchezza di sposare un’altra donna» (De Marchi, Demetrio Pianelli. 92).

caccio, Decamerone, V 3 15); «Avete un

po’ di posto, o voi del Caval Grigio?» (Gozzano, La Notte Santa, 7). c) Antonio, Giovanni con l’ipocoristico Gianni nei nomi doppi: Anton Giulio, Anton Maria, Giovan Pietro, Gian Carlo,

Gian Franco (0 con univerbazione: Giancarlo, Gianfranco), anche davanti a vocale: Gian Andrea 0 Gianandrea, ecc. Si no-

ti che in Antonio>Anton non si ha propriamente apocope sillabica (che darebbe Antò, forma limitata all’Italia centromeridionale e insulare, cfr. 1.99), ma solo la ri-

duzione della sillaba finale alla prima componente. d) Valle, Torre, Colle, Monte, Casa nei to-

ponimi (Casa solo in area settentrionale):

82. L’apocope vocalica può essere obbligatoria (buon giorno, ben fatto, ecc.; inoltre nell’articolo uno [cfr. IV.S], negli indefiniti composti con una [cfr. VII.147], ne— gli infiniti seguiti da enclitica, cfr. VII.73)

o facoltativa (andar[e] via, amor[e] mio, dicon[o] tante cose, ecc.). In moltissimi casi l’apocope, pur teorica— mente possibile, non awiene (*car padre, *che stran discorso, *il mal del porto). In particolare, non si ha mai apocope in parole d‘ambito dotto, tecnico o scientifico (*un veicol veloce, *il metan che s’estrae) o in parole quotidiane ma non appartenenti al lessico ereditario fondamentale (*un pomodor maturo, *l’asciugaman di lino).

Val a' 'Arno, Valpolicella; Tor di Quinto,

Tor Bella Monaca (quartieri di Roma); Colfelice (Frosinone), Colfiorito (Perugia); Monreale (Palermo), Mondragone (Caser-

83. L’apocope è abbastanza regolare in sostantivi usati come titoli e seguiti dal nome proprio: «il signor Bruschino» (e

ta), Mombello (Torino, Alessandria; da

non *il signore Bruschino), «il dottor /

notare l’assimilazione parziale, riprodotta

l’ingegner / il professor Borghi» (e non *il dottore Borghi, ecc.), «padron ’Ntoni» (e non *padrone ’Ntoni), «monsignor D’Arrigo» (e non *monsignore D’Arrigo), «il cardinal Ratzinger» (ma anche «il cardi— nale Ratzinger»), «capitan Fracassa» (ma correntemente: «il capitano Di Marco», ecc.), «il general Monti» (ma, più spesso, «il generale Monti»). Significativa spia di questa tendenza, l’apocope che si ha in parole occasionalmente adoperate come appellativi professionali o onorifici, per esempio nel titolo scherzoso di un articolo di E. Biagi («La Repubblica», 12.3.1986, 6): «Ma piccion

dalla grafia, di Mon- in Mom-); Ca’ d’An-

drea (Cremona), Cadelbosco (Reggio Emilia; e si ricordi anche la Ca' d’oro di

Venezia). Più rara l'apocope in porta, come nella fiorentina via di Por Santa Maria. e) I verbi in -rre (condurre, porre, trarre, ecc.), ma quasi solo nell’uso antico e letterario: «per trar l’amico suo di pena» (Dante, Purgatorio, XI 136), «vide il pa-

gan por la sua gente a morte» (Ariosto, Orlando Furioso, XVII 8). L‘apocope è stabile nella locuzione, oggi adoperata perlopiù scherzosamente, senza por tempo in mezzo “senza indugio’.

Giulio e rivoluzionario?», in riferimento

81. Arcaica l’apocope in me’ ‘meglio’ e ver’, vèr ‘verso’: «il dì seguente scoperse me’ la vittoria» (B. Davanzati, Opere); «Ver' me si fece, e io ver’ lui mi fei»

a Giulio Andreotti, che all’epoca qualcu— no aveva chiamato ‘piccione’ con allusione agli awersari politici pronti ad ‘impallinarlo’.

(Dante, Purgatorio, VIII 52). Antiquata o regionale l’apocope in ma, ma’ (mamma, madre) e pa, pa’ (papà, pa-

84. L’apocope è inoltre usuale, pur non potendo dirsi obbligatoria, con un agget-

23

I. Fonologia e grafematica

tivo in -le 0 -re in giustapposizione con un altro aggettivo: «nazional-popolare», «Balnear-familiare di tono disinvolto» (scheda valutativa in Alberghi in Italia TCI, 263), «Non è stata però una scontata

opposizione pastoral-burocratica» («La Repubblica», 9.10.1986, 2), «il nucleo sin-

dacal-futurista di Piazza S. Sepolcro» (Montanelli, L’Italia in camicia nera,

120). Cfr. anche V.22. 85. L’apocope facoltativa, piuttosto diffusa in Toscana e nell’Italia settentrionale. è più rara nell’Italia mediana e meridionale. Nel Mezzogiorno si usano senza riduzione persino i titoli professionali in -re seguiti dal nome: «c’è il dottore Palumbo?», «parlo con l’ingegnere Cristaudo?», «il professore De Vincentiis doveva venire dall’una e mezza alle tre» (Serao, Il ro-

manzo della fanciulla, 166). Nel riformare la lingua dei Promessi Sposi il Manzoni abbondò in apocopi, anche andando oltre l’uso toscano: «dal giardin pubblico», «un pensier poco allegro», ecc. (cfr. D’OVIDIO 1933: 98-99). Apocopi inso— lite — ma questa volta per il gusto d’allon— tanarsi dal linguaggio comune — anche in D’Annunzio: per esempio, «la sua particolar visione dell’universo», «della condi-

zion presente», «alla lor sensibilità» (Trionfo della morte, X, 446, 480). 86. Perché si possa avere apocope vocalica devono essere soddisfatte due condizioni: a) La vocale colpita deve essere sempre una vocale atona, diversa da a (tranne nell’avverbio ora e nei suoi composti: ormai, orsù, allora, tuttora, ancora, ecc.; e in

suora seguito da un nome proprio: suor Maria, suor Fuselli, ma non *h0 visto una

suor giovane). La i e la e non si apocopano quando contrassegnano un plurale: «il buon figlio», ma «i buoni figli», «le buone

figlie». Altri casi di apocope di a sono antiquati (sol per sola: «fischiando una sol volta» Firenzuola,

cit.

in

TOMMASEO-BELLINI

1865-1879: V 976) o regionali (il toscano 0 letterario or di notte, il romanesco belliano Funtan de Trevi, ecc.: cfr. ROHLFS

1966-1969: 141). L’italiano antico tollerava l’apocope vocalica anche nei plurali: «i buon consigli»

(Petrarca, Canzoniere, 354 10), «da’ buon costumi» (Boccaccio, Decamerone, IV I 40); consuetudine che, in poesia, è durata

molto a lungo arrivando fino ai giorni nostri: «i villan vispi e sciolti» (Parini, La salubrità dell’aria, 54); «Grazie dei fior, / fra tutti gli altri li ho riconosciuti» (Grazie dei fiori, canzone di Seracini-Testoni—Panzeri del 1951: cfr. BORGNA 1985: 241). b) La consonante che precede la vocale finale deve essere una liquida (l, r) o una nasale (n, in). Nel caso di m l’apocope — sostanzialmente limitata alla 4a persona dei verbi — è rara: «andiarn via»; «E qual costume indosserem?» (A. Somma, Un ballo in maschera, in VERDI-BALDACCI

1975: 387). Il sostantivo paio presenta una variante apocopata par, tratta dall’allotropo arcaico para: «un par di volte all’anno» (Bacchelli, Saggi critici). 87. La norma scolastica che distingue l’apocope vocalica (buon amico) dall’elisione (buon’amica) in base al fatto che la prima si produce anche davanti a consonante (buon vecchio), la seconda no

(*buon vecchia) è discussa e reinterpretata in LEONE 1963. Il Leone ritiene che davanti a vocale si possa parlare, fonetica— mente, solo di-elisione, graficamente con-

trassegnata da apostrofo (l’uomo) oppure priva di segnale (un uomo): «l’apostrofo è il segno che si usa nell’elisione, per distinguere dalla seconda la prima parola, quando questa non ha esistenza indipendente (luomo>l’uomo, ma unuomo>un

uomo perché si scrive un giorno)»: LEONE 1963: 27. In base a questa norma bisogna scrivere qual è (e non qual’è, perché si può dire qual vita, qual monte, ecc.) ma pover’uomo (giacché nessuno direbbe oggi pover cielo, come si legge in Dante, Purgatorio, XVI 2). Per l’apocope postvocalica (quei>que ’, ecc.), cfr. I.242a.

Varietà regionali relative a consonanti, semiconsonanti, fenomenifonosintattici Come per il vocalismo (cfr. 1.29 sgg.) riuniamo qui le principali caratteristiche di pronuncia che tradiscono la provenienza regionale del parlante.

]. Fonologia e grafematim 88. Nell’italiano del Nord (sopra la linea La Spezia-Rimini, ma con qualche sconfi-

namento più a sud: parte della Toscana e dell’Umbria settentrionali, parte delle Marche: cfr. ROHLFS 1966-1969: 229) le consonanti si articolano sempre tenui, come si è già accennato (cfr. 1.66). Oltre che nel mancato raddoppiamento fonosintattico, non segnalato dalla grafia, questo tratto regionale emerge quando la scrittura non indichi adeguatamente il tratto di intensità, come accade per sibilante palatale []_l‘], laterale palatale [M] e nasale

palatale [pp] in posizione intervocalica. In tutti questi casi dominano dovunque pronunce quali. [a 'me], ['fiflo], [';bappo] per [I]], in particolare la realizzazione … comune è [sj]. lascio ['lasjo], scena stena] o [sjena]. Anche [M1 e [mi] ossono essere realizzati come l], [llj]o

24

o di frase, si spirantizzano (cioè diventano «spiranti», costrittive), con intensità variabile da zona a zona: la casa [la ',xasa] andato [an'daòo], capo [karpo]. 93. Ti ico tratto toscano è pure la perdita dell’e emento occlusive nelle affricate al-

veo alatali intervocaliche [tf], [d31:1a cena[pa Iena], agile ['a3ile]. Per [tj]>[j'] il fenomeno è caratteristico anche di Roma e di porzioni dell’Umbria e delle Marche: tutte aree che avranno assunto la pronuncia toscana attraverso

contatti diretti tra le po lazioni rurali (e da Roma il tipo [paje]pci è poi diffuso a Napoli). Tracce del tipo ['a3ile] si ritrovano in Marche e Umbria. Si veda su tutto ciò GIACOMELLI 1954. 94. A Roma e in altre varietà mediane

nj], [nnj]: ['filjo], ['filljo] [banjo], (gran parte di Lazio, Umbria, Marche, Abruzzi) la laterale palatale [Mi è spesso 'bannjo]. Altri fenomeni settentrionali: 89. I. Articolazione più avanzata delle affricate alveopalatali [tf] e [dg] che possono arrivare a confondersi con le affn'cate

alveolari ]ts] e [dz]. cena [tsena], giallo [dzallo] massima evidenza del fenomeno in Emilia--Ro.magna) 90. Il. Perdita dell’elemento occlusive nelle affricate alveolari [ts e [dz]: alzare [al'sare], zero ['zcro]o 'zero] (anche

realizzata come Bj]: figlio ['f1uo Più rilevanti altri tratti che accomunano Roma e la restante Italia centromeridionale (escluse generalmente la Toscana e buona parte di Umbria e Marche). E precisamente: 95.1. Generale rafforzamento di [b] e d3] intervocaliche: pronunce come roba

'robba] e la gente [la d’dsente] sono nor-

questa pronunc1a è tipicamente emiliano-

mali anche in parlanti colti. Solo popolaresca è invece la pronuncia tenue di [rr], ropr1a anche del litorale toscano: terra

romagnola).

[tera].

91. III. Ancora dell’emiliano-romagnolo

96. II. La lenizione, ossia la semisonoriz-

è, infine, l’articolazione arretrata, post-al-

zazione delle occlusive tenui [p], [t], [k]

veolare, di sibilante sorda e sonora (la co— siddetta «s salata» dei bolognesi). Nella riproduzione caricaturale della parlata emiliana è proprio questo il fenomeno su cui più spesso si insiste; ad esempio: «— Shoshpettavo che Andreotti volesshe togliersi qualche shassolino dalla scarpa con gli americani — mormora sciogliendo le sue ‘s” ferraresi tra l’ammirato e il diffidente un parlamentare italiano» («La

(che si rappresenta convenzionalmente mediante il simbolo della sonora con un cerchietto sottoscritto), non precedute da

Repubblica», 31.1.1987, 8).

92. Caratteristica della Toscana è la cosiddetta «gorgia» (o, impropriamente, «aspirazione»), per la quale le occlusive tenui intervocaliche. all’interno di parola

consonante. deputato [debu dado]. Molto frequente l’accentuazione di que— sto tratto nella caricatura delle varietà centromen'dionali; si veda un passo del Demetrio Pianelli di E. De Marchi (338389): «c’era, tra gli altri, il cavalier Tagli, dei Pesi e Misure, sempre rauco; il com-

mendatore Ranacchi della Prefettura, per gli uffici provinciali, un bel barbone sotto una bella testa; il ‘gavaliere’ o ‘gommendatore’ Lojacomo, ‘naboledano’, mandato quassù alle ‘Ibodeghe’, nero, rotondo, grave, oscuro, con forti sopracciin e

25 profonde rughe, in cui pareva sepolta tutta la perequazione catastale».

97. III. L’epentesi di [t] nei gruppi costituiti da una nasale o da una liquida e da una sibilante (anche in gran parte della Toscana e in tutta l’Italia meridionale): penso ['pentso], borsa ['bortsa]. 98. IV. La tendenza a evitare i nessi consonantici dotti (anche questo è fenomeno comune al toscano e all’italiano meridionale) o attraverso assimilazione (atmosfera [ammo'sfera]: pronuncia tipica di Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Sicilia) o attraverso l’epentesi di una vocale indistinta, simile all’e muta francese (in grafia fonetica [e]): [atamo' sfera]; pronuncia propria del Mezzogiorno continentale. 99. V. Apocope sillabica negl’infiniti (andà ‘andare’, mette ‘mettere’) e in usi allocutivi (Salvatél; cfr. ROHLFS 1966-1969: 318 e SCHMID 1976). L’apocope negli allocutivi — comune nell’Italia centromeridionale e insulare — è spesso utilizzata dagli scrittori per caratterizzare una pronuncia locale. Qualche esempio, per Umbria: «Anch’essi, anch’essi — non mi chiamano mica papà! pretore mi chiamano! anzi: — Preto’!, come la madre. — E in casa il Preto’? — No,

è alla pretura, il Preto’! —» (Pirandello, Come prima, meglio di prima, IV 32);

Abruzzo: «Rivolgendosi verso l’oliveto, si mise a chiamare: — Albadò! Albadora!» (D’Annunzio, Trionfo della morte, 199); Lazio: «Ma vedesse che tajo,

dettò!» (Gadda, Quer pasticciaccio..., 56); Campania: «Ditegli che mi chiami mà e io sono contenta» (Morante, L’isola di Arturo, 79); Sardegna: «0 compà! — fec;e Antonio» (Ledda, Padre padrone,

19 . Si osserverà che, in mancanza di una co-

dificazione normativa (trattandosi di forme estranee all’italiano ufficiale), gli scrittori oscillano nell’indicazione grafica del fenomeno, segnalandolo ora con l’accento, ora (meno spesso) con l’apostrofo.

I. Fonologia e grafematica

non si ha raddoppiamento dopo ho (conformemente all’etimo, chee il latino vol are *A0m luogo di HABBO) e dopo hap%er analogia su ho); a Roma e in altri luoghi non hanno capacità rafforzativa come interrogativo, da, dove, e viceversa

raddoppiano po’ e o interiezione (ulteriori particolari in CAMILLl—FIORELLI 1965: 147-149). Altri tratti specificamente meridionali: 101. l. Sonorizzazione o semisonorizzazione della consonante sorda preceduta da nasale: ampio ['ambjo], concetto

[kon’dzetto]. 102.11. L’affricata alveolare tende a sonorizzarsi non solo dopo nasale (e liquida: alzare [al'dzare]), ma anche… posi— zione intervocalica: nazione [na' dzjone] o[nadzi'one] (per la tenue [dz]invece di [ddz], che continua un’antica situazione fonetica. cfr. 1.47a). 103. III. In Campania la sibilante precon— sonantica davanti a consonanti labiali o

velari si palatalizza: scala [']kala]. 104. IV. In Sicilia la vibrante iniziale e quella intervocalica intensa si realizzano come vibranti retroflesse (simbolo fonetico [[]: la rami [la [[ana], carro [kauo]. Inoltre, i gruppi tr, dr. str si pronunciano come cacuminali, con una realizzazione percepita dagli altri italiani come [ttf] e [[I]: tre [tte], [tre], finestra [finestra]; ma e pronuncia in forte regresso nell’italiano regionale: cfr. TROPEA 1976: 23. 105. Nell’italiano di Sardegna molte con— sonanti appaiono rafforzate avvicinandosi al grado intenso della pronuncia nor— mativa: luci ['lutt[i] come luca plurale di luccio La parallela mancanza del raddoppiamento fonosintattico (ha detto [a'detto]) dà conto della falsa1mpressione— propria degl’italiani di altre regioni — che i sardi «scambino» le doppie e le scempie.

L’alfabeto 100. VI. Alcune differenze nella distribuzione del raddoppiamento fonosintattico: nelle Marche, in Abruzzo e altrove

106. I grafemi che costituiscono l’alfabeto italiano sono 21; ad essi vanno aggiunte

I. Fonologia e grafematica

26 essere altrettanto (se non più) radicata, è la dizione coincidente con l’uso toscano,

>FW

@ saetta

leccòrnia Lèmano

leccornia — Caso analogo a codardia Lemàno — Nome latino del lago di Ginevra (LEMÀNUS)

mòllica

mollica — Latino *MOLLÎCA, con lo stesso suffisso di formica e ortica persuadére — Latino PERSUADÉRE rubrica — Latino RUBRÎCA; caso analogo a mollica salùbre — E il latino SALÙBER; la ritrazione dell’accento risente di lùgubre, cèlebre, muliebre

persuàdere rùbrica salubre

Particolare il caso di utènsile/utensile: la pronuncia sdrucciola, che può appo giarsi al latino UTENSILIS, prevale in macchina utensile; ma nell’uso sostantivato (g i utensili del falegname), ricalcato sul neutro latino UTENSILÎA, è preferibile la pronuncia piana.

Sistole e diastole

re, 78 7), «che un grande illustre or l’oceàno / varca» (Parini, Il mezzogiorno, 705). 1.90. Oltre alle oscillazioni appena viste, Si noti (con ELWERT 1976: 50-51) che nelproprie della lingua comune, sono noti in la gran parte dei casi il fenomeno non è poesia fenomeni di arretramento dell’ac- una mera «licenza poetica», giacché i cento (sistole: pièta invece di pietà, frùscio poeti attingono spesso a varianti acceninvece di fruscio) o di avanzamento (dia- tuative secondarie: così i danteschi pièta e stole: umile, oceàno). podèsta (nonché il nome della chiesa fioEsempi: «né dolcezza di figlio, né la pièta rentina di santa Trinita e l’italiano tempé/ del vecchio padre» (Dante, Inferno, XX- sta) risalgono a forme nominativali latine VI 94), «un frùscio immenso rade / la ter- (POTÉSTAS, ecc.), invece che accusativali ra» (Montale, Arsenio, 43; qui l’accento è (POTESTÀTEM, da cui potestade, podestade indicato graficamente), «però che ‘n vista e poi per apocope [cfr. I.78a] potestà, poella si mostra umile» (Petrarca, Canzonie- desid).

45 Uso delle maiuscole

191. L’ortografia italiana prevede l’obbligo della maiuscola, di norma in posizione iniziale, in due casi fondamentali: a) per segnalare l’awio di un periodo, sia come inizio assoluto g usate in filologia, le parentesi graffe { } della matematica e via dicendo. 203. Non è facile comprendere in un’unica definizione le caratteristiche e gli usi dei segni interpuntivi nel loro insieme (e talvolta nemmeno di uno solo di essi, come la virgola). Possiamo tuttavia individuare quattro funzioni fondamen-

restituendole la tazza vuota» (Bassani, Il

tali (riprendendo, in parte, alcune cate-

giardino dei Finzi-Contini, 179; il carat-

gorie descritte in SCHERMA 1983: 403411). Naturalmente, un dato segno interpuntivo può rispondere contemporaneamente a due o più funzioni diverse. Si dovrebbe poi tener conto del segno di nonstampa o di non—scrittura, come il capoverso (che contrassegna la più grande delle pause o il passaggio dal discorso del narratore al discorso diretto di un personaggio ovvero dal discorso diretto di un personaggio a quello di un altro, ecc.) o come le sezioni bianche che campeggiano — complemento indispensabile del testo — in tante pagine di poesia contemporanea. Fatte queste premesse, diremo che le funzioni della punteggiatura sono le seguenti:

tere allocutivo del pronome è indicato anche dalla virgola che lo precede e che ne qualifica la funzione di vocativo, non

di soggetto).

Punteggiatura 201. Col termine di punteggiatura (o interpunzione) intendiamo «l’insieme di segni non alfabetici, funzionali alla scansio-

ne di un testo scritto e all’individuazione delle unità sintattico-semantiche in esso contenute» (MARASCHIO 1981: 188). Tra le varie norme che regolano la lingua scritta, quelle relative alla punteggiatura sono le meno codificate, non solo in ita— liano. Inoltre, alle incertezze pratiche si aggiunge il disaccordo degli studiosi sull’interpretazione complessiva del feno-

204. I. Funzione segmentatrice. E la funzione principale e consiste nel «segmen-

meno, nonché sulla definizione e sulla

tare un testo distanziando rispettivamen-

classificazione delle singole unità interpuntive (si veda in particolare l’utile e informato SCHERMA 1983).

te (grup i di) componenti di esso» (Schermaî Ecco alcune frasi che cambiano completamente di significato a seconda dell’interpunzione usata:

202. In italiano distinguiamo i seguenti

49 «I gitanti che erano arrivati in ritardo persero il treno» (= non tutti, ma solo alcuni). «I banditi uscirono a precipizio; sparan-

[. Fonologia e grafematica «I gitanti, che erano arrivati in ritardo,

persero il treno» (= tutti). «I banditi uscirono a precipizio sparan-

do un poliziotto li rincorse». «Ringraziamo degli auguri. I custodi

do; un poliziotto li rincorse». «Ringraziamo degli auguri i custodi del-

dello stabile» (= i custodi ringraziano).

lo stabile» (= i custodi sono ringraziati).

Possono rientrare in questa funzione anche i segnali di apertura o di a ertura-

do vieni...» (sospensione). I due segni (!) e E?), anche reiterati o

chiusura di un discorso diretto trattini,

combinati tra loro ?!, !?), possono far le

virgolette). Nel seguente esempio di Bassani (Il giardino dei FinziContini, 152), la prima battuta è comunque individuata dall’intervento del narratore (propose), ma la seconda sarebbe identificabile a

veci di un’intera frase. Si pensi ai fumetti, in cui spesso la «nuvoletta» di un personaggio è interamente occupata da un segno del genere; o al seguente esempio di Fruttero e Lucentini cit. in SCHERMA 1983: 409: «... sembra la casa di Rosy (?), no?», in cui il segno (?) vale all’incirca: «Chi sarà questa Rosy?».

stento senza la segmentazione operata

dalle virgolette (da noi sostituite con trattini): «— Vuoi sentire un po’ di musica? —,

propose, accennando a un radiogrammofono posto in un angolo dello studio, a lato dell’ingresso. — E un Philips, vera— mente ottirno —». 205. II. Funzione sintattica. I segni interpuntivi possono esplicitare il rapporto sintattico, la gerarchia che sussiste tra due proposizioni otra due elementi della medesima proposizione. Si prenda un paio d’esempi da una stessa pagina degli Indifferenti di Moravia (45): «— Il tennis - rispose Carla; dopo di che senza abbracciami andarono ciascuna nella propria stanza»; «si guardò intorno: la stanza per molti aspetti pareva quella di una bambina di tre o quattro anni». Nel primo esempio il punto e virgola scandisce la successione temporale dell’azione (indicata anche dalla locuzione av— verbiale dopo di che); nel secondo, i due punti introducono l’effetto del «guardarsi intomo» della protagonista, costituiscono una specie di proposizione oggettiva rispetto alla reggente (=guardò e vide che la stanza pareva, ecc.). 206. III. Funzione emotivo-intonativa. Caratteristica, ma non esclusiva, del

punto interrogativo, del punto esclamativo e dei puntini di sospensione, suggerisce l’intonazione della frase: «Quando vieni?» (interrogazione), «Quando vieni!» (esclamazione spazientita), «Quan-

207. IV. Funzione di commento (o meta— linguistica). Si ha quando si compie un qualsiasi intervento esterno al testo. Nei giornali, ad esempio, le parentesi tonde possono includere un commento o una precisazione del cronista, accompagnata dalla sigla mir o NDR (=nota del redattore): «il ‘Comitato popolare per gli uffici di collegamento all‘estero’ (la nostra Famesina ndr) della Jamahirya libica ha convocato l’ambasciatore italiano a Tripoli» («La Repubblica», 14.10.1986, 14).

Allo stesso modo le virgolette, oltre a introdurre un discorso diretto, possono

contrassegnare un termine o un’espressione insoliti oppure l’accezione particolare in cui essi vengano adoperati («abbiamo messo un po’ da parte il “reducismo” che caratterizzava le puntate delle edizioni precedenti» «L’Espresso», 26.4.1987, 25); o, anche, segnalare la pre-

sa di distanza dello scrivente. Ad esempio, in un articolo di cronaca

che riferisce di un omicidio passionale («La Repubblica», 25.5.1984) si legge: «ha deciso di mettere in atto la classica ‘prova della verità’»; «LL., il “compare traditore’, è caduto in agonia a un metro da lei». Le virgolette (sostituite qui da apici) indicano chiaramente che la giornalista (R. Salerni) non condivide né i valori né la teminologia che vengono considerati propri dei protagonisti del dramma.

50

[. Fonologia e grafematica

208. Passiamo ora in rassegna i principali segni interpuntivi dell’italiano, con l’avvertenza che le nostre indicazioni valgono solo in linea di massima e consentono varie escursioni a seconda delle intenzioni espressive dello scrivente (il migliore esame analitico della punteggiatura italia-

zioni, che possono distinguersi a seconda che avvengano:

na e in MALAGOLI 1912: 167-208; altre trat-

ma, ecc. (altre possibilità: scrizione in

tazioni: TOGNELLI 1963 e FRESCAROLI 1968).

esponente del secondo gruppo grafico [chiar.""’], scrizione continua sormontata da tilde [chiar'mo] oppure, entrambe disusatc: scrizionc continua senza alcun segno [chiarmo], separazione dei due gruppi con i due punti [chiar:mo]). Se la contrazione 'riduce le lettere superstiti a due o tre unità (come dr=dottor, cfr=confer, cioè ‘contronta’), il punto si pone alla fine (dr., cfr.) oppure si sopprime (dr, cfr). b) Per compendio, quando riproducono una o più lettere iniziali della parola abbre—

Oltre all’uso sintattico dei vari segni, esa-

mineremo anche — se se ne presenterà l’occasione — gli eventuali usi non sintattici (punto abbreviativo, asterisco linguistico. ecc.)

Punto

209. Il punto (o punto fermo) serve per indicare una pausa forte, che conclude un periodo 0 anche una singola frase. Può considerarsi il segno interpuntivo fondamentale, sia perché, storicamente, è

il più antico (è frequente già nelle epigrafi latine, anche se con modalità d’uso di-

verse da quelle attuali), sia — e soprattutto — perché tende a invadere il campo di altri segni, come il punto e virgola, i due punti, la virgola. 210. Questa tendenza — già percepita all’inizio del secolo dal Malagoli (1912: 184) — è chiaramente rintracciabile nel cosiddetto «stile giomalistico». Si vedano i seguenti esempi: «I disturbi non sono però legati solo alla sfera emotiva. Sono anche fisici» («L’Espresso»,

«) Per contrazione, se consistono nelle

lettere iniziali e finali. Il punto si colloca al centro dei due gruppi grafici: f.lli=fratelli, s.lle=sorelle, chiar.mo=chiarissimo,

ill.mo=illustrissimo,

viata:

gent.ma=gentilissi-

dott.:dottore,

avv.:awocato,

ing. =ingegnere, ufiî=ufficiale, EV. =Eccellenza Vostra, S.P.M.=Sue Proprie Mani, ecc. =eccetera, pass. =passim, [. cit. =loco ci— tato, pag. e pagg. =pagina, pagine, e così via. c) Per sequenza consonantica, quando risultano dalla consonante iniziale seguita da una o più consonanti: sg. e sgg.=seguente, seguenti, ms., mss.=manoscritto,

manoscritti, ps.=poscritto (le ultime due sigle riproducono le lettere iniziali delle parole che formano il composto, i latini MÀNU SCRÎPTUM e PÒST SCRÎPTUM).

212. Quando una frase si conclude con un’abbreviazione, il punto fermo non si scrive perché è inglobato nel punto ab-

4.5.1986, 183; si tratta di una coordinazio-

breviativo: «le cattedrali di Altamura, Bitonto, Trani, ecc.» (non ecc..).

ne per asindeto in cui sarebbero stati possibili anche la virgola, i due punti, il punto e virgola) — «L’incontro è stato spiccio. Il dialogo breve. Troppo» («La Repubbli-

213. Le lettere di una sigla possono essere seguite da un punto (P.S.D.L, ma più spesso PSDI; sempre senza punto le sigle auto-

ca», 19.8.1986, 1; da notare che il punto non isola frasi verbali autonome, ma

componenti nominali, che vengono messe così in grande evidenza) — «Il resto è scritto in trentaquattro storie di violenza. Muri saltati, allarmi disinnescati, feroci

alsaziani eliminati con il veleno» («Il Giornale», 21.8.1986, 7; l’enumerazione

descrittiva avrebbe richiesto tradizionalmente, dopo violenza, i due punti).

211. Il punto si usa anche nelle abbrevia-

mobilistiche, italiane ed estere: PD, RSM,

GB). Nelle sigle complesse, in cui per ottenerne la pronunciabilità o per facilitarne la decrittazione si aggiungono una o più vocali alle consonanti che le costituiscono, il

punto manca: CONAD (=Consorzio Nazionale Dettaglianti), ISMETRAF (=Istituto di Medicina del Traffico). Il punto manca pure in sigle molto comuni per le quali si sia perso il significato delle singole componenti: FIAT (=Fabbrica Italiana Automobili Torino), UPIM

51 (=Unico Prezzo Italiano di Milano), ecc. Per l’indicazione grafica del plurale nelle sigle (PP.TT. ‘Poste e Telegrafi’, ecc., cfr.

111.84).

[. Fonologia e grafematica esclamativo (?!, !?). Un esempio dal (Gsia)rdino dei Finzi-Contini di Bassani 4 : «— Sì. gli appigli ci sarebbero, per esserci —, mormorai incerto, — ma…

Punto interrogativo e punto esclamativo

— Appigli?! —, mi interruppe subito, scoppiando a ridere. — Io, per me, le chiamo tacche».

214. Oontrassegnano rispettivamente l’in— terrogazione diretta («Che fai?») e l’esclamazione («Che bellezza!»), imponendo al lettore la caratteristica intonazione discendente-ascendente (interrogazione) o )ascendente-discendente (esclamazione . Nel caso di proposizioni interrogative complesse (per esempio, nell’interrogativa che, da sola, costituisce l’intera prima strofe di A Silvia di G. Leopardi: «Silvia,

217. Più rara, nella prosa letteraria, l’ite-

razione del punto interrogativo o esclamativo (??, ???, !!, !!!), che ricorre soprat-

tutto nella pubblicità (per esempio in quello che viene considerato il più antico slogan italiano: «Volete la salute??? / Bevete il Ferro-China Bisleri», cit. in MEDICI

1986: 117) o in scritture popolari, con forte mimetismo orale (come i fumetti). Ecco comunque un esempio della Mo-

rimembri ancora / quel tempo della tua vi— ta mortale, / quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, / e tu, lieta e pensosa, il limitare / di gioventù salivi?») è indubbiamente scomodo non sapere, fin

rante (L’isola di Arturo, 378): «— Già!!! — esclamai io, rotolandomi addirittura in

dall’inizio della lettura, quale sarà la curva

Virgola

intonativa della frase. L’ortografia spagnola ha risolto questo inconveniente premettendo alle frasi interrogative e alle esclamative il relativo segno di interpunzione rovesciato: «(JA cuantos estamos hoy?», «;Qué alegrîal». In Italia, adottò l’uso spagnolo, ma senza far proseliti, lo scapigliato lombardo Carlo Dossi, nella Desinenza in A (insieme con altre innovazioni di punteggiatura e accentazione): «Nedi quanto è làcera e unta!», «@Chi siete voi, mièi inediti critici?» (5 e 6). 215. È stato osservato (Grammont, Ven-

denina: citati in SCHERMA 1983: 394) che il punto interrogativo può talvolta corrispondere a una curva melodica esclamativa. Si immagini un dialogo come questo: «[CLIENTE] Bello questo orologio! — [VENDITORE] Eh, sì, e per me è legato a un ca-

ro ricordo. — [CLIENTE] E lo vende? — [VEND1TORE] Purtroppo; ho urgente bisogno di danaro». 216. Nel caso di queste interrogative apparenti o anche quando si riprende un’espressione detta da altri che ci sorprenda per qualsiasi motivo, si può ricorrere alla combinazione di punto interrogativo ed

terra dalle risate».

218. È forse il segno di uso più largo, vario e articolato. Indica fondamentalmente una pausa breve e; di norma, non va usa-

ta all’interno di blocchi unitari; in particolare: tra soggetto e predicato («Giorgio legge, Paola scrive»), tra predicato e oggetto («leggo il giornale»), tra aggettivo e sostantivo («il cantante preferito», «i vecchi nonni»). 219. Tuttavia, questa norma viene meno

tutte le volte che uno dei due elementi del sintagma è messo in evidenza, perlopiù alterando l’ordine abituale delle parole. Si vedano i seguenti esempi: «sorrideva, lui, senza cappello e cravatta, con il

colletto della camicia a righe rovesciato indietro», ecc. (Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, 47; la virgola tra predicato e soggetto è richiesta dall’inversione) — «Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare nell’animo del poveretto, quello che s’è raccontato» (Manzoni, I Promessi Sposi, I 60; il soggetto di dovesse è dislocato in fine di frase ed è separato dal resto per mezzo della virgola) — «Dài retta a tua madre, Marina... quel Bube, lascialo perdere» (Cassola, La ragazza di Babe, 129; prolessi del-

l. Fonologia e grafematica l’oggetto, seguito da virgola, che viene ripr;eso nella frase successiva col pronome lo . Qualche esempio di virgola tra soggetto e predicato in SATTA 1981: 94 e 95: «Lui,

non raccontava mai nulla» (Cassola), «Il prete, non poteva dirle nulla» (Pasolini). Non ci sembrano virgolature sbagliate, come ritiene Satta, ma esempi di messa in evidenza del soggetto, che equivale — anche nell’intonazione — a un'costrutto restrittivo (=quanto a lui; quahto al prete). 220. Segnaliamo alcune situazioni in cui ricorre più spesso l’uso di questo segno interpuntivo. La virgola può trovarsi: a) Nelle enumerazioni e nelle coordinazioni asindetiche: «Bravi, don Rodrigo,

Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti,

ida, schioppettate»; «[Don Abbon-

dioîvide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione» (Manzoni, I Promessi Sposi, II 5 e VIII 21). La virgola può mancare per ricerca di maggiore tensione espressiva come, spesso, nella prosa dannunziana («le palpebre di lei gonfie rosse arse» Trionfo della morte, 472) e in tanta poesia del Novecento («e grave grave grave m’incuora» Pascoli, L’ora di Barga, 23; «il mondo /

largo luminoso vuoto stretto oscuro colmo elevato profondo» Giuliani, in SAN-

GUINET11969-1971: II 1112). Nelle serie sindetiche con membri separati da una congiunzione coordinativa (e,

né, o, ma, ecc.) la virgola in genere manca, specie se si tratta di elementi all’interno della stessa frase: «ubbidirà, volente o

nolente»; «io non posso né pentimene né correggerrni per l’unica ragione che me ne pregio» (Carducci, Prose, 839); «Dov’è la forza antica, / dove l’armi e il valore e la costanza?» (Leopardi, All ’Italia). Ma la virgola si adopera quando si voglia mettere in evidenza l’elemento coordinato: «il pensiero che don Rodrigo

[.] tornerebbe glorioso e trionfante, e arrabbiato» (Manzoni, I Promessi Sposi, XXVI 9). Nelle enumerazioni prima di eccetera e dell’abbreviazione ecc. la virgola può esserci (caso più comune) oppure no. Alcuni esempi di virgola indicata: «segni di-

52 stintivi particolari (numero di stampa, data, firma, ecc.)» (RD. del 18.5.1942, n. 1369, art. 45); «statuette votive, amuleti,

monili sacri, ecc.» (Guida Rapida TCI, II 75); «la tradizionale competizione religiosa fra la Chiesa di Stato anglicana e le Chiese non conformiste dei battisti, me-

todisti, ecc.» (Spini, Disegno storico, III 223); «L’ibernazione è propria di alcuni animali

(pipistrelli,

marmotte,

biri,

ecc.)» (Martino, Fisiologia, 40); «[... per convertire alla vera Fede questi pagani, per portare la pace e la beatitudine eterna —, ecc. ecc.» (Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 180); «si scrive (soprattutto, si dovrebbe scrivere) anche per chiarirsi le idee, per guardarsi dentro, per farsi cornpagnia, eccetera» (B. Placido, nella «Repubblica», 25.10.1986, 27). b) Prima di un’apposizione: «Marlon Brando [...] è andato a Tahiti per far visita a Cheyenne, la figlia sedicenne sua e di Tarita» («La Stampa», 16.6.1987, 25); prima e dopo un’apposizione che si trovi al centro della frase: «non avevo che un vago ricordo di Palermo, mia città natale,

dalla quale ero partita a tre anni» (Ginzburg, Lessico famigliare, 31). 0) Prima, ed eventualmente anche dopo,

un vocativo assoluto (cioè non preceduto da interiezione): «Senti, babbo»; «Via, ca-

ro Renzo, non andate in collera» (Manzoni, I Promessi Sposi, II 17); invece: «0 Dio!», «Ah disgraziato» oppure «Ah, disgraziato», ecc. d) Negli incisi di qualunque tipo (con questa funzione la virgola concorre in diversi casi con il trattino [I.232] e con le parentesi tonde [I.235]). La tipologia è molto ricca: la virgola contrassegna il semplice inciso monorematico, costituito per esempio da una congiunzione («Non esce mai di casa, erò, la sua figliuola!» Pirandello, Così e‘îse vi pare], V 27) o da un awerbio («Eh si, ecco, bisogna che io dica», ivi, V 28); oppure isola strutture

complesse. Ad esempio: «Una città, questa Roma del primo settecento, ammorbata e stagnante» («Storia illustrata», settembre 1986, 108); «gli altri oggetti, a differenza dei loro compagni morti e inconsistenti sparsi nell’ombra del salotto, rivelavano tutti i loro colori e la loro solidità» (Moravia, Gli indifferenti, 5). e) Prima e dopo (0 solo prima o solo do-

53 po, a seconda della posizione nel periodo) alquante proposizioni subordinate che condividono in qualche misura le caratteristiche dell’inciso. Tali sono le relative esplicative («Latina, che fu fondata

I. Fonologia e grafematica

(cioè non costituite da singoli vocaboli né da sintagmi elementari, come sarebbero:

«cani, gatti, conigli», «il Belgio operoso, l’Olanda verde, il prospero Lussemburgo»): «Per noi, ad ogni buon conto, no-

nel 1932, è la seconda città del Lazio»; niente virgola, invece, prima di una relati-

nostante le diffidenze degli americani,

va limitativa: «i discorsi che tu fai», «colui al quale ho scritto»); i costrutti temporali impliciti col participio («don Abbondio, pronunziato quel nome, si rovesciò sulla spalliera della seggiola» Manzoni, I Promessi Sposi, I 73); le proposizioni-complemento in genere (cfr. XIV.34), specie se anteposte alla reggente (temporale: «Quando nevica, all’inizio di una lunga salita che porta ad un paesello statunitense sostano gruppetti di ragazzini» «La settimana enigmistica», 4.10.1986, 12; concessiva: «Sebbene un’amnistia rimettesse di lì a poco in libertà il Garibaldi, l’indignazione [...] travolse il ministero Rattaz-

nenza all’Alleanza atlantica, ma il modo

non può essere in discussione l’appartedi partecipare a questa Alleanza; il margine di autonomia e di rispetto reciproci; la possibilità di contribuire alle decisioni comuni, senza assistere alle scelte altrui per

poi subirne magari le conseguenze» (G. Valentini, «L’Espresso», 451986, 5).

c) In luogo della virgola, quando essa possa ingenerare equivoco: «Un fruscio; il braccio di Michele scivolò dietro la schiena della donna e le circondò la vita» (Moravia, Gli indifierenti, 58).

Due punti

zi» Spini, Disegno storico, III 213; ipoteti-

ecc.). f) Nelle ellissi: «il primo indossava un ber-

222. A differenza del punto e virgola, i due punti non assolvono che occasionalmente il compito di semplice scansione del periodo (come avviene in questo esempio della Ginzburg, Lessico fami-

retto; il secondo, un cappello di feltro»

gliare, 60: «Anche mia madre, del resto,

(sottinteso: indossava).

non s’interessava molto alla pittura: conosceva però Casorati di persona, e lo trovava simpatico»; l’uso più comune avrebbe qui richiesto il punto e virgola). La specifica funzione di questo segno è quella di illustrare, chiarire, argomentare quanto affermato in precedenza. Possiamo distinguere diverse funzioni dei due punti: a) Funzione sintattico-argomentativa. quando indicano la conseguenza logica di un fatto, l’effetto prodotto da una causa: «Batté le mani: entrarono due servitori recanti ciascuno una coppia di secchi sciabordanti», ecc. (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 84). La causa può essere espressa anche nella frase che segue i due punti: «il Foscolo critico-poeta detta [.] pagine che al lettore modemo si offrono suggestive e feconde più forse che non quelle dello stesso

ca: «Dobbiamo tenercela la malaria: se tu ce la vuoi togliere, ti manderanno via» Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 195,

Punto e virgola 221. Il punto e virgola è un segno che (co— me l’apostrofo, ispirato al greco) ha un preciso inventore: il famoso tipografo AIdo Manuzio, il quale lo introdusse in un’edizione del Petrarca stampata a Venezia nel 1501. Indica una pausa più forte della semplice virgola. Talvolta il suo uso è legato alle abitudini dei singoli scriventi, ma, in ge-

nerale, si può osservare che il punto e virgola ricorre preferenzialmente nei seguenti casi: a) Per separare due proposizioni coordinate complesse: «La lotta dei signori tra loro non ha nulla a che fare con una ‘vendetta’ tramandata di padre in figlio; né si tratta di una lotta politica reale, fra con-

De Sanctis: di un gusto più nuovo, più

servatori e progressisti, anche quando, per caso, prende quest’ultima forma» (Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 29). b) Nelle enumerazioni di unità complesse

agile e vario, e con un’aderenza più stretta alle qualità dei testi letterari presi in esame» (Sapegno, Letter. italiana, 529; =giacché sono di un gusto più nuovo...).

54

[. Fonologia e grafematica

b) Funzione sintattico-descrittiva, se si esplicitano i particolari di un insieme o enumerando le singole componenti di quell’insieme, o rilevandone i tratti salienti: «L’Islanda è anche un paese vivo,

fatto di gente: bella. ospitale, cordiale» («Qui Touring», 5-10.5.1986, 38); «Lo scenario è una casetta modesta, in parte ancora grezza: due piani e un terrazzo alla periferia di Motta S. Anastasia, un paese della piana a tredici chilometri da Catania» («La Repubblica», 25.S. 1984). c) Funzione appositiva, se presentano una frase con valore di apposizione della frase precedente: «Leccò rapida la ferita: una specie di piccolo bacio affettuoso» (Bassani, Il giardino dei Finzi—Contini, 58). d) Funzione segmentatrice, se servono a

introdurre un discorso diretto, perlopiù in combinazione con gli specifici segni demarcativi virgolette o trattini: «gli chiese: “Che fai stasera?”», «gli chiese. — Che fai stasera?» 223. Da notare l’uso dei due punti nella pubblicità e nella titolazione giornalistica, per separare i due elementi giustapposti (come in «La ‘Montreal’: un bolide che è un salotto» 0 «Genova: si cerca il vero capo della banda»: cfr. DARDANO 1986: 265271). Negli ultimi anni, tuttavia, molti tito-

listi preferiscono ricorrere alla semplice virgola o sopprimere addirittura lo stacco interpuntivo. Un paio di esempi da uno stesso numero della «Repubblica»

un discorso cominciato in precedenza: «È certo uno spirito insonne... — .. è forte e vigile e scaltro» (Gozzano, L’amica di nonna Speranza, 63). I puntini sono tradizionalmente usati per riprodurre i cosiddetti «cambi di progetto» del parlato, che si accentuano in chi

sia preda di emozione o turbamento: «Ma volendo raccomodarla, s’andava in-

trigando e imbrogliando: — volevo dire... non intendo dire... cioè, volevo dire...»

(Manzoni, I Promessi Sposi, V 13). 225. Caratteristico è l’uso che potremmo chiamare «brillante» dei puntini di sospensione, quando si vuol preparare il lettore a un gioco di parole, a una battuta di spirito. Si pensi all’enigmistica e in particolare alle definizioni dei cruciverba: «I... confini del Texa5» (risposta: TS), «Si... stringe in due!» (=matrimonio; entrambi gli esempi nella «Settimana enigmistica», 4.10.1986, 1 e 9). Simili arguzie anche nella cronaca giorna— listica, specie in quella locale; per esempio: [un rogetto di rilancio commerciale è fallitof«dando la appariscente dimostrazione di come una classe politica non abbia saputo rinnovarsi soprattutto negli uomini. Ora invece si sta facendo di tutto [...] per sfatare questo recente passato poco onorevole», ecc. («La Gazzetta del Mezzogiorno», 27.8.1986, 15; cronaca di

Barletta).

(16.10.1986, 1 e 2): «Terroristi al Muro del pianto / un morto, i feriti sono diecine»;

226. I puntini servono infine, nelle citazioni, per indicare un’omissione volonta— ria (frequenti esempi in questa Gramma-

«Medici, altri due giorni di sciopero».

tica, a cominciare dall’ultimo brano cita-

Puntini di sospensione

to). E bene, per evitare equivoci, inserire i puntini entro parentesi quadre o tonde. Un’interessante tipologia dell’uso dei puntini sospensivi in SCHERMA 1983: 414— 421.

224. Si usano, in genere nel numero fisso di tre, per indicare sospensione, reticenza, allusività: «Veramente... se vossignoria illustrissima sapesse... che intimazioni... che comandi terribili ho avuto di non par-

Virgolette

43); «E che vuoi fare? — Affrontare lo scandalo? Se vuoi questo, io.. .io.. >.> (Pi-

227. Le virgolette servono essenzialmente per riportare una parola o un discorso altrui, o per contrassegnare l’uso partico-

randello, Il piacere dell’onestà, III 144).

lare (allusivo, traslato, ironico) di una

Sono comunemente posposti, ma possono essere anche anteposti, e in tal caso inseriscono la frase che segue nel flusso di

qualsiasi espressione. In tipografia si distingue tra virgolette basse (« >>), alte (“ ”) e apici (‘ ’); nella

lare...» (Manzoni, I Promessi Sposi, XXV

55 scrittura a mano si usano in genere le virgolette alte, spesso nella variante altobasso (“ ,,: 11 “Decamerone,,).

228. Concorre in gran parte con le virgolette l’uso del corsivo (per esempio nelle citazioni brevi: «D’in su la vetta della torre antica» 0 D’in su la vetta della torre antica; o nei titoli: «I Malavoglia» o ] Malavoglia). Normalmente in corsivo vanno le parole straniere o dialettali citate in un te— sto italiano: «faceva però [.] molti solitaires» (Ginzburg, Lessico famigliare, 145); «Le cavallette però fioccavano a grappoli (a budrones)» (Ledda, Padre padrone, 54); e così pure tutte le forme d‘interesse linguistico: «Si oscilla ancora fra dopo, dopò e doppo» (MIGLIORI… 196332 462). 229. La scelta tra le virgolette alte e que]le basse dipende dalle varie tradizioni tipografiche; le virgolette più adoperate sono in genere quelle basse, ma entrambe le coppie tornano utili per le citazioni interne ad altre citazioni. Per esempio: «chiamò subito: “Perpetual Perpetual”, awiandosi pure verso il salotto». La nostra Grammatica indica invece le citazioni interne per mezzo del trattino («chiamò subito: — Perpetual Perpetual — awiandosi pure verso il salotto»), oppure mediante apici («‘Perpetua! Perpetual’»).

]. Fonologia e grafematica suoi clienti del mattino si è appostato e lo ha colto ‘in flagranza di reato’». Nel primo caso la virgolettatura qualifica l’uso gergale del verbo soflìare; nel secondo, introduce con seriosa obiettività un’espressione tecnica del diritto penale che qui ha effetto ironico per l’esiguità del «reato» in questione.

Trattino

Il trattino (o lineetta) ha nella stampa due lunghezze diverse: - e —. 232. Il trattino più lungo può essere usato per introdurre un discorso diretto; generalmente se ne adopera solo uno, in aper— tura: «Diceva: — Voialtri non sapete stare a tavola! Non siete gente da portare nei loghi!» (Ginzburg, Lessico famigliare, 9). Il trattino di chiusura compare quando al discorso diretto segua una didascalia (indicazione di chi ha parlato ed eventuali commenti del narratore): «— Sì, sì, — promise mio padre e in quello stesso istante si levò e andò alla poltrona» (Svevo, La coscienza di Zeno, 79).

Davanti al trattino di chiusura vanno collocati il punto interrogativo, il punto esclamativo e i puntini; meno stabile la posizione degli altri segni interpuntivi (preferenza per l’anteposizione, anche in questo ca—

230. Più spesso che per introdurre una frase, gli apici si usano tuttavia per sottolineare una singola espressione («Oggi non si può più parlare di ‘capitalismo’ in senso classico») o per qualificare un signi-

so, dichiara MALAGOL] 1912: 200-201).

ficato («In Dante, donna vale ‘signora’ e

re — di rispondere con la guerra» (A. Gambino, «L’Espresso», 4.5.1986, 50).

‘femmina dell’uomo’»). 231. La scelta di adoperare le virgolette per segnalare un uso speciale può comportare sottili implicazioni stilistiche e psicologiche. Abbiamo già parlato dell’effetto di distanziamento perseguito per mezzo delle virgolette dalla scrittura giornalistica (cfr. 1.207). Vediamo ora un altro brano di cronaca (titolo dell’articolo: «In tre giorni / ha rubato / 37 brioches: / arrestato», «La Repubblica», 25.5.1984; le virgolette basse dell’originale sono state da noi sostituite con apici): «Il titolare del locale, stufo di vedersi ‘soffiare’ la merce preferita dai

Un‘altra funzione svolta dal trattino lungo è quella di introdurre un inciso: «Ad un atto di guerra, chi lo subisce ha il dixitto — anzi, secondo Sant’Agostino, il dove-

233. Il trattino breve si trova, nella starn-

pa, per l’indicazione dell’a capo (nell’uso manoscritto concorre col segno =) e, in qualunque tipo di scritto, per sottolineare il legame esistente tra due membri di un composto che non presenti una stabile univerbazione. Non c’è una regola che indichi se si deve scrivere socio-linguistica o sociolinguistica, mini-bus o minibus: per l’appunto nei due esempi citati entrambe le grafie sono accettabili. Di massima, la scrittura di un composto

come un’unica parola presuppone che le

[. Fonologia e grafematica due parti siano strettamente fuse e che i parlanti (o almeno molti fra essi) non ne percepiscano più il carattere analitico. Se— condo questo criterio attualmente sono stabili capostazione, palcoscenico, francobollo, altofomo, capobanda: tutte forme

che nei giornali milanesi di metà Ottocento si scrivevano ancora come due parole distinte, con o senza trattino (cfr. MA-

SINI 1977: 21-22). 234. I casi principali in cui ricorre l’uso del trattino breve sono i seguenti: a) Per separare due cifre: «il numero dell’H-12 ottobre»; anche quando sono

scritte in lettere: «un venti-venticinque chilometri». b) Tra due nomi, perlopiù nomi propri, per indicare un qualsiasi rapporto di relazione («il summit Reagan-Gorbaciov», «la legge Rognoni-La Torre», «le relazio— ni USA-URSS», «la linea Torino-Savona», «il derby Milan-Inter»); e, specie nel

linguaggio giornalistico, anche tra due nomi comuni in relazione reciproca («gli incontri governo—sindacati», «i rapporti docenti-discenti»). c) In coppie di aggettivi giustapposti (dei quali il primo è sempre maschile singola— re); «le iniziative economico-finanziarie»,

«gli aspetti linguistico-filologici», «la sua storia burocratico-giudiziaria» («La Repubblica», 1.10.1986, 16).

d) Con alcuni prefissi e prefissoidi, specie se usati in composti occasionali: «Nessun candidato / anti-Martinazzoli / tra i deputati dc» («La Repubblica», cit., 6), «dai movimenti anti—apartheid» («La Repubblica», cit., 11); invece, in composti stabili: antiaerea, anticomunismo, antifascismo.

Tuttavia la norma è assai oscillante e pos-

56 seguano due parole composte che abbiano in comune il secondo elemento, la parola iniziale per esigenze di brevità può ridursi al primo elemento, seguito dal trattino: «nel caso di epato- e nefropatie gravi» (=di epatopatie e nefropatie). Questo procedimento, che in italiano è

eccezionale (e comunque non va esteso al di fuori del settore tecnico-scientifico), è invece corrente in tedesco, lingua ricchissima di parole composte: per esempio: «die Wòrter der Fach— und Sondersprachen» (:le parole dei linguaggi tecnici Fachsprachen] e dei linguaggi settoriali Sondersprachen]).

Parentesi tonde e quadre 235. Le parentesi tonde — aperta: (, chiusa: ) — servono soprattutto a introdurre un inciso. Prendendo spunto dal Malagoli (1912: 189) si potrebbero distinguere pa— rentesi subordinative, quando introducono una proposizione subordinata, sintatticamente accessoria rispetto alla reggente; e parentesi propriamente incidentali, quando includono una frase priva di qualunque rapporto grammaticale col resto del periodo (è il caso più frequente). Un esempio del primo tipo: «Il merito (se qualche merito c’è) ne ritorna tutto al tuo scritto» (Contini, Varianti e altra linguistica, 52); due del secondo: «Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente» (Manzoni, I Promessi Sposi, X 3); «nell’intemo, gotico-rinascimentale, il presbiterio (pregevole altare rinascimentale) è ornato di affreschi di Iacopo da Montagnana» (Guida Rapida TCI, II 51).

siamo irnbatterci, ad esempio, in maxi-

processo («Il Giornale di Sicilia», 1.12.1986, 23), maxi-processo («Il Mattino», 29.11.1986, 5), maxi processi («L’Europeo», 28.9.1985, 8).

e) In coppie di sostantivi giustapposti: guerra-lampo, anni-luce; o di sostantiviawerbi: la Milano-bene, ecc. (ma anche qui l’uso è assai incerto e si può dire che per tutte le giustapposizioni che ammettono il trattino esiste la variante senza trattino; cfr. anche DARDANO 1978: 66-67). f) Nel linguaggio scientifico, specie in quello chimico e biologico, quando si sus-

236. Quando la parentesi include una frase molto lunga, che può far perdere il «filo del discorso», è possibile dopo la parentesi chiusa riprendere una o più parole precedenti: «I Piemontesi (così continuava a chiamarli il Principe per rassicurarsi, allo stesso modo che altri li chiamavano Garibaldini per esaltarli o Garibaldeschi per vituperarli), i Piemontesi si erano pre— sentati a lui», ecc. (Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo, 72); «almeno lì (e il loro pensiero, la loro pazzia, aleggiava ancora, dopo venticinque secoli, attorno ai tumuli

57 conici, ricoperti d’erbe selvagge), almeno lì nulla sarebbe mai cambiato» (Bassani, Il giardino dei Finzi—Contini, 16).

237. Negli esempi finora citati (tranne il terzo, quello della guida turistica) le parentesi potrebbero essere sostituite da trattini o da virgole, anche se con qualche danno per la chiarezza complessiva. Le parentesi sono invece d’uso obbligato nei rinvii che punteggiano un testo tecnico e scientifico, e in genere nei rinvii numerici.

Oltre ai frequentissimi esempi sparsi in questa stessa Grammatica, si pensi ai co— dici, in cui quasi ogni articolo contiene richiami ad altri articoli di legge: «Gli am— ministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario (1710) e sono solidalmente (1292) responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri (2393)», ecc. (Codice Civile, art. 2392). 238. Le parentesi quadre — aperta: [, chiusa: ] — sono di uso più occasionale delle tonde; sono però richieste dalle buone norme grafiche e tipografiche per introdurre una parentesi entro un’altra parentesi: «(a Modena i monumenti medievali [come il Duomo] convivono con quelli seisettecenteschi [come il Palazzo Ducale])». Le parentesi tonde e quadre servono inoltre, come s’è accennato (cfr. 1.207), a introdurre un particolare tipo di inciso: quello rappresentato dal commento dello scrivente. 239. Quanto alla collocazione degli altri segni di punteggiatura, si noti che nell’ortografia corrente il punto interrogativo e l’esclamativo vanno posti prima della parentesi chiusa, gli altri segni interpuntivi dopo di essa. Esempi: «in versi non regolari fra le dieci e le quattordici sillabe (più di rado, fra le sette e le nove)». («L’Espresso», 4.5.1986, 163); «Non far piangere piangere piangere / (ancora!), chi tanto soffrì» (Pascoli, La voce, 33—34).

[. Fonologia e grafematica 240. L’asterisco, da solo o ripetuto tre volte, può indicare un’omissione volontaria. Caratteristico l’uso che ne fa il Manzoni nel romanzo: «il giorno avanti, il cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di

Milano, era arrivato a * * *» (I Promessi Sposi, XXII 1). Più raramente, fa le veci di un esponente numerico, come richiamo di una nota. In linguistica, l’asterisco contrassegna convenzionalmente forme non attestate,

ma ricostruite dagli studiosi (passare deriva dal latino volgare *PASSÀRE); oppure forme ed espressioni inaccettabili grammaticalrnente o semanticamente: *io anda, *loro mangia, *ho visto esso, *il leone

uccide un libro. 241. La sbarretta, oltre al suo uso in linguistica (cfr. LZ), può segnalare alternanza tra due possibilità: «I viaggiatori diretti a Torino / Milano saranno instradati via Bologna» (=diretti a Torino o a Milano); «e/o» («i docenti di materie letterarie elo storiche»; si intenda: :: — quelli di materie letterarie, b — quelli di materie storiche; c —

quelli che insegnano le une e le altre: ma è formula da usare con grande parsimonia). Tradizionalmente, la sbarretta sostituisce

il capoverso nelle citazioni di poesia, quando non si voglia andare ogni volta a capo (è l’uso seguito dalla presente Grammatica).

Apostrofo Abbiamo già incontrato l’a ostrofo come segno dell’elisione (cfr. I.62 , dichiarandone la legittimità in fin di rigo (I.167). Vediamone ora l’uso per indicare l’apocope. 242. L’apostrofo segnala anzitutto l’apocope postvocalica: a) nelle preposizioni articolate maschili plurali, oggi anti uate, a’ (ai), de’ (dei), co’ (coi), ne’ (nei) pe’ (pei), cfr. IV.80; inoltre, in be’ (bei, da bello) e que’ (quei=quelli); b) nelle forme imperativali da’, fa’, sta’,

Asterisco e sbarretta

va’, tratte dall’indicativo e affiancatesi a quelle tradizionali da, fa, sta, va nel fio-

Sono entrambi segni rari e di uso particolare.

rentino ottocentesco (cfr. CASTELLANI 1980: I 33), fino a diffondersi largamente nell’uso attuale.

[. Fonologia e grafematica Reca l’apostrofo anche di’, imperativo di dire (dal latino nic). 243. L’apostrofo in di’ è giustificabile con l’opportunità di distinguerlo da di preposizione e dì sostantivo (l’accento — in ogni modo — creerebbe un’eccezione alla regola che prevede il raddoppiamento fonosintattico dopo tutti i monosillabi dotati di accento grafico, cfr. 1.65a). Quanto a da’, ecc., l’apostrofo — oltre a

suggerire l’assenza di raddoppiamento (mantenutosi invece nelle forme composte con enclitica: dammi, fallo) — può giovare a evitare omonimie. Di queste, la

più grave colpirebbe da’, che, priva di segni, si confonderebbe con la preposizione (negli altri casi la collisione riguarda solo forme dello stesso paradigma). Ma la regola dell’apostrofo in da’, fa’, sta’ e va’ è lungi dall’essere universalmente accolta, sia dai grammatici (SATTA 1981: 73

58

245. Talvolta l’apostrofo segnala l’apocape sillabica, come in po’ (da poco), nelle interiezioni be’, to’ e ve’ (cfr. X.9, X.26, X.30), in ma’ (nella locuzione a mo’ di),

in ca’ (Ca' d’oro, cfr. I.80d) e in qualche altra forma d’uso arcaico (CÙ..MALAGOLI 1912: 165-166). Perché po’ ma piè? si domanda Alfonso Leone (LEONE 1969), concludendo per l’estensione dell’apostrofo «a tutti i monosillabi tronchi» — anche pie‘, fe', die‘ — a

condizione che sia «tuttora viva [.] la coscienza del troncamento». In realtà, il partito migliore sarebbe quel— lo di eliminare addirittura l’apostrofo come segno dell’apocope sillabica, scrivendo semplicemente po (il quale non può confondersi con Fa, che vuole la maiu-

scola), to eta/1, ve o veh, be o beh, ma e fe. Ma questa regola (ancora) non esiste e si deve quindi raccomandare po’, che è l’unica forma della serie ad essersi consolidata nell’ortografia attuale.

consiglia ad esempio da’, ma fa, sta, va),

sia dal comune uso scritto. Cfr. anche XI.129c. 244. Altri esempi di apocope vocalica segnalata dall’apostrofo emergono da forme antiche o toscano-popolari: «Ed elli a me: — Se tu vuo’ ch’i ’ ti porti» (Dante, In-

ferno, XIX 34), «Po, ben puo ’ tu portartene la scorza / di me» (Petrarca, Canzonie-

re, 180 1), «Dunque tu se’ proprio il mi ’

246. L’apostrofo può segnalare una riduzione delle cifre indicanti un anno («il ’48»), cfr. VI.20. In tal caso un eventuale apostrofo precedente che indichi l’elisione si sopprime: «alla rivoluzione dell‘89» (Carducci, Prose, 2). Nell’uso manoscritto e spesso anche in quello tipografico il segno dell’apostrofo è adoperato infine anche per indicare l’apice che contrassegna il minuto di angolo

caro Pinocchio?» (Collodi, Pinocchio,

e, comunemente, il minuto di tempo: «in

145).

6’» ‘in sei (minuti) primi’.

II. ANALISI LOGICA E ANALISI GRAMMATICALE

l. L’analisi logica è il procedimento con cui si individuano le categorie sintattiche che costituiscono una frase (il soggetto, il predicato, i complementi, ecc.). Essa si affianca all’analisi grammaticale, che ha il

compito di individuare e descrivere le cate orie grammaticali (o parti del discorso% cui appartengono le parole presenti nella frase (articolo, nome, verbo, awer-

bio, ecc.). Prendiamo, ad esempio, la frase seguente: «i neonati riconoscono la madre già dai primi giorni di vita»

grammaticale per l’italiano: articolo (cfr. cap. IV), nome (cfr. cap. III), aggettivo (cfr. ca . V), pronome (cfr. cap. VII) e verbo (Efr. cap. XI) sono le cinque categorie che si definiscono variabili, in quan— to possono mutare la loro terminazione o la loro [orma per dar luogo alla flessione e all’accordo grammaticale (ad es. il gatto ross-o miagol-a / le gmt-e ross-e miagolano, ecc.). Avverbio (cfr. cap. XII), pre— posizione (cfr. cap. VIII). congiunzione (cfr. cap. IX) e interiezione (cfr. cap. X) sono le quattro‘ categorie che si definiscono invariabili, in quanto, pur conoscendo

Aocostandoci a questa frase con gli stru— menti dell’analisi grammaticale, individueremo i nomi neonati, madre, giorni, vi-

to; il verbo riconoscono; l’aggettivo prima; gli articoli i, la; la preposizione articolata dai e la preposizione semplice di; l’awerbio già. Alcune di queste categorie grammaticali sono dotate di flessione: neonati e un nome maschile plurale, concordato con l’articolo i e con il verbo riconoscono,

che è un indicativo presente coniugato alla 6‘\ persona; madre e vita sono due nomi femminili singolari, e via dicendo. Inoltre: tutti i nomi presenti nella frase sono nomi comuni (per questa ed altre distinzioni cfr. III.3), primi è un aggettivo numerale ordinale (cfr. VIA). Ciascuna arola ha poi il suo contenuto semantico ad es. mese ‘periodo di tempo di trenta giorni’, ecc.; la

descrizione sistematica dei significati delle parole è compito della lessicologia, e non rientra nell’àmbito della grammatica). 2. Nove sono le categorie grahmmticali o parti del discorso identificate dall’analisi

in alcuni casi forme di alterazione grammaticale (ad es. negli awerbi: bene —+ benissimo), esse non sono mai soggette alla flessione secondo i parametri del genere. del numero, dei tempi e dei modi, ecc.

Nelle parole che appartengono a categorie grammaticali variabili la parte che rimane immutabile prende il nome di radice, mentre la parte terminale soggetta a

variazione si chiama desinenza: ad es. gart- _, gatt-o, gatt-a. gan-i, gan-e; miagol-> miagol-are, miagol-ando. miagol-o, miagol—i, miagol-a, ecc. 3. Ricordiamo inoltre i procedimenti della prefissazìone e della suffissazione, che costituiscono una parte consistente della formazione delle parole (cfr. cap. XV). La suffissazione, in particolare, permette spesso di «trascategorizzare» una parola: di determinare, cioè, il suo passaggio da una categoria grammaticale a un’altra; ad es. nav-e (sostantivo) _» nav-ale (aggetti— vo), elettr-ico (aggettivo) —> elettr-ificare (verbo), ecc.

Il. Analisi logica e analisi grammaticale

60

4. La partizione delle categorie grammaticali ri-

complemento indiretto. per la precisione un

sale, nei suoi lineamenti fondamentali, all’antico

complemento di strumento, dalle desinenze di

grammatico greco Dionisio Trace (II sec. a. C.). ed è giunta fino a noi attraverso la sintesi datane alcuni secoli più tardi dai grammatici latini, in particolare da Elio Donato (IV sec. (1. C.) e da Prisciano (V-VI sec. d. C.), in gran parte accolta dalla tradizione medievale e moderna.

ablativo (-i di tenui e -a di avena). Nella versione italiana in prosa corrente il com lemento oggetto segue il predicato verbale {cfr. però

5. Rivolgiamo ora la nostra attenzione non alle forme grammaticali o ai loro singoli significati, bensì alle relazionilogicosintattiche che costituiscono la struîtura vera e propria della frase, e che sono oggetto dell’analisi logica. Nella frase che abbiamo preso come esempio avremo un soggetto espresso («i neonati»), che compie un’azione rappresentata dal predicato verbale («riconoscono»); l’azione «rica— de» su un’entità rappresentata dal complemento oggetto («la madre»). A «completamento» del significato, il comple— mento di tempo continuato («già dai pri— mi giorni») e il complemento di specificazione ad esso subordinato («di vita») ci informano che l’azione ha luogo fin da un

che ha origini molto antiche, e trova i suoi fondamenti nelle riflessioni dei filosofi intorno alla natura del linguaggio. Nella sua forma moderna, essa risale alla teoria della grammatica ge-

11.41), l’attributo costituisce un blocco rigido col nome a cui si riferisce, il complemento indi-

retto è indicato da una preposizione.

7. Anche l‘analisi logica delle categorie sintatti-

certo termine temporale.

6. Le categorie sintattiche che possiamo reperire razie all’analisi logica sono il soggetto %cfr. II.22 sgg.), il predicato (cfr. II.31 sgg.), i complementi (rispettivamen— te: oomplemento oggetto, cfr. [1.35 sgg., complemento predicativo, cfr. 11.42 sgg., complementi indiretti, cfr. II.SO sgg.), l’attributo cfr. II.4S), l’apposizione (cfr. II.46 sgg. . Per costituire una frase strutturata con queste categorie. le parole si raggruppano in unità composte dette sin— tagmi (ad esempio i+neonati; già+daì+ primi+giorni, ecc.; cfr. 11.18).

nerale, sorta in seno alla scuola filosofica fran-

cese di Port-Royal nel XVII secolo. Questa teoria si proponeva di rinvenire le regole generali soggiacenti alle varie lingue storiche allora note (il greco e il latino, le lingue europee moderne, l'ebraico), nella forma di una «grammatica universale» che fosse premessa di tutte le «grammatiche particolari» (cfr. ROBINS 1981: 161-168). La nascita della linguistica storica e comparativa (XIX sec.) e la scoperta di intere famiglie di lingue che mostrano le più svariate caratteristiche grammaticali hanno in seguito fortemente ridimensionato la portata «universale» delle «leggi» della grammatica di Port-Royal, e dunque anche la pretesa che le categorie dell’analisi logica tradizionale possano trovare applicazione immediata per qualunque tipo di lingua nota. Tuttavia, l‘aspirazione ad una teoria «uni-

versale» delle categorie grammaticali e sintatti— che è rimasta ben viva e operante nella tradizione degli studi linguistici. fino ai nostri giorni.

8. Le caratteristiche di ciascuna categoria grammaticale sono trattate separatamente dai vari capitoli di questa Grammatica. Nel presente capitolo ci occuperemo invece delle nozioni di sintagma, frase semplice (o proposizione semplice), periodo, e delle categorie dell’analisi logica.

Frase, periodo, sintagma In latino l’identificazione di queste categorie sintattiche era affidata in primo luogo alla desi— nenza, che consentiva di cogliere immediatamente la funzione di un singolo nome o agget— tivo della frase: in italiano. invece, scomparso

l’antico sistema dei casi, diventa o può diventa— re discriminante la collocazione all’interno della frase per soggetto e oggetto (cfr. [1.27 e II.40) e la resenza di opportune preposizioni (cfr. VIII.3 per i complementi indiretti. Così, nel seguente verso di Virgilio: «silvestrem tenui musam meditaris avena» (=intoni un canto bo— schereccio con un sottile flauto) il complemento og etto è indicato dalle desinenze di accusativo -em di silvestre/n e -am di musam) e il

9. La frase o proposizione è l’unità minima di comunicazione dotata di senso compiuto. Tradizionalmente, si considera dotata di «senso compiuto» una frase in cui si trovi almeno un predicato nella forma di un verbo di modo finito, che può essere accompagnato, quando la frase non sia impersonale (ad es. «piove»), da un soggetto. Appartengono a questo tipo tutte le frasi in cui il soggetto è espresso da un nome o da un pronome, ed il predi— cato è espresso da un verbo predicativo

Il. Analisi logica e analisi grammaticale

61 (predicato verbale) oppure dal verbo essere in unione con una parte nonnnale (predicato nominale); ad esempio: SOGGETTO

PREDICATO

Il cane Essi Mia moglie Il mare

abbaia scoppiarono a ridere è abruzzese era agitato

Una frase di questo tipo può mantenere invariata la sua fisionomia di base anche quando altri elementi sintattici (apposizioni, attributi, complementi) ne determi-

nano l’espansione: «Venti negozi al piano terra di un centro commerciale di tredici piani sono stati devastati» («La Nazione»,

30.7.1986, 1; in corsivo il soggetto e il predicato verbale). Vediamo come ad esempio si possa espandere una frase elementare del tipo il cane abbaia: (a) b) (c) d)

«il cane abbaia» «in caso di allarme, il cane abbaia» «di notte, in caso di allarme, il cane abbaia» «di notte in caso di allarme, il cane, pronta-

mente, abbaia» (e) «di notte, in caso di allarme, il mio cane.

prontamente, abbaia» (f) «di notte, in caso di allarme, il mio cane, prontamente, abbaia contro i ladri», ecc.

10. Nelle frasi (a)-(f) diversi elementi sintattici si condensano intorno ad un unico predicato: abbiamo dunque, in tuttii casi, una frase semplice. Quando in un’unità comunicativa troviamo più predicati, si ha una frase complessa o periodo; ad esempio (in corsivo i predicati): fi- . l' . asr semp 101

(1 «il mio cane abbaia» (2 «il mio cane, prontamente, abbaia»

(3) «se sente dei rumori, I il mio cane, prontamente, abbaia / per avvertirmi / che qualcosa periodi 0

frasi

complesse

non va»

(4) da quando lo faccio dor-

mire ingiardino, / se seme dei rumori / ilmio cane, prontamente, abbaia

/per avvertirmi / che qualcosanon va»

Il. L’analisi del periodo, 0 sintassi del pe-

riodo, cui è dedicato un capitolo a

arte

di questa Grammatica (il cap. XIV , è il procedimento che consente di individuare i rapporti che si stabiliscono tra le proposizioni di una frase complessa. Esamineremo qui le principali forme che la frase semplice può assumere in ragione delle sue componenti sintattiche. La struttura bipartita «soggetto espresso» / «predicato» (con l’aggiunta di vari cornplementi e altre categorie sintattiche) esaurisce solo una parte delle possibili forme della frase. Diversi tipi si discosta— no più o meno nettamente da tale modello di base. 12. Quando il soggetto o il predicato non sono espressi, ma sono facilmente recuperabili dal contesto. abbiamo una frase ellittica. Uno dei casi di ellissi più comuni e grammaticalmente canonizzati è l’omissione del pronome personale soggetto: «vengo domani» (‘[io] vengo domani’), «dovresti credermi» (‘[tu] dovresti credermi’), ecc. (cfr. VII.5). Per questo tipo di espressioni si parla solitamente di soggetto sottinteso. A dire il vero, la nozione di «sottinteso» è una di

quelle oggi più “criticate dagli studiosi, soprattutto perché si è talvolta ecceduto nel farne uso,inserendo «un soggetto e un predicato [...] in qualsiasi enunciato che ne risulta sprowisto» (STATI 1976: 83), anche laddove l’espressione del pensiero appaia di per sé completa e autosufficiente. In frasi come «vengo domani», ad

esempio, potremmo rilevare che l’informazione ricavabile dalla desinenza di prima persona del verbo (veng-o) reca già in sé la nozione ‘io’, rendendo superflua la presenza del pronome: il soggetto e quindi, per così dire, «implicito» nel verbo piuttosto che «sottinteso». 13. Un’altra forma molto comune di ellissi è quella che si ha nei dialoghi, nelle for-

me di risposta. ecc., in cui una parte dell’informazione, enunciata come tema all’inizio della comunicazione, viene poi

data per scontata dagli interlocutori: «Chi viene al mare domani?» - «la di sicuro» (=io [verrò] di sicuro); «Quante uova ci vogliono per uno zabaione?» — «Almeno due» (=[ci vogliono] almeno due [uova]); si veda, ad esempio, questo breve dialogo

II. Analisi logica e analisi grammaticale teatrale (da Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, I 35-36): «[IL CAPOCOMICO]. Ma che cosa vogliono loro qua? — PL PADRE]. Vogliamo vivere, signore! — IL CA-

POCOMICO]. Per l’eternità? — [n… PADRE]. No, signore: almeno per un momento, in

loro». Anche la nozione di «frase ellittica»,

complementare a quella di «(elemento) sottinteso», non comporta necessaria-

62 mònos ‘uno solo’, e rÉma ‘parola’) le frasi costituite da una sola parola. Esse sono molto frequenti nelle forme di dialogo serrato, a «botta e risposta»: «— Sentiamo cosa posso fare per quella donna — Una cosa semplicissima — Cioè? — Venire da lei — Da lei! Quando? — Subito» (Tarchetti, Fosca, 82). Rientrano in questa categoria anche le forme olofrastiche, come gli awerbi di affermazione e di negazione si

mente il riferimento a proposizioni man- e no, certo, sicuramente, ecc. (cfr. XII.52 canti di qualcosa, sul piano della forma o sgg.), e le interiezioni (in particolar modo del senso. le interiezioni secondarie, cfr. X.1: zitto!, Nell’esempio pirandelliano che abbiamo fitoril, esatto!, ecc.). visto, completare le frasi «per l’eternità?» e «almeno per un momento», formate da 16. La definizione generale di «frase» cui due sem lici complementi di tempo con- ci siamo attenuti in questo capitolo non è tinuato cfr. 11.56), con i relativi «sogget- che una delle molte possibili. Si tratta inti» e « redicati» (ad es. «[loro vogliono fatti di uno dei problemi più dibattuti ne— vivere per l‘eternità?») creerebbe un’i- gli studi linguistici, le cui soluzioni varianutile ridondanza: tali elementi sono in- no notevolmente a seconda del quadro di fatti facilmente recuperabili dal contesto; riferimento teorico (basterà ricordare che non in quanto «sottintesi», ma in quanto «il numero delle formulazioni proposte «presupposti». Su simili rapporti di pre- raggiun e l’incredibile cifra di 300» STATI supposizione si fonda una buona parte 1976: 79 . delle comunicazioni rapide e stringate 17. Interessanti riflessioni in merito alla della conversazione quotidiana. frase come ‘unità comunicativa’ ci vengo— 14. La frase nominale e una proposizione no dalla linguistica pragmatica, che studia in cui categorie grammaticali diverse dal gli atti linguistici della comunicazione verbo hanno “funzione verbale’, assolven- quotidiana. do sintatticamente al compito del predi— Facciamo un esempio: se, vedendo un no— cato (cfr. BENVENISTE 1971: 185). Vedia- stro amico che mangia dei cioccolatini, mo alcuni esempi (in corsivo l’elemento pronunciassimo una frase come «Devono predicativo): «Qui tutto bene», «Ultime essere buoni quei cioccolatinil», il nostro notizie dall’estero»; «Siluro del PCI alla atto linguistico avrebbe il fine di: a) espririforma delle pensioni» («La Repubbli- mere una constatazione oggettiva («quei ca», 17.12. 1986, 9); «Pensionati: dibattito cioccolatini sono buoni»); b) informare su previdenza e assistenza» («Messaggero l’interlocutore che stiamo esprimendo un Veneto», 29.10.1986, 8). punto di vista («penso che quei cioccolaLa parte predicativa di una frase nomina- tini siano buoni»); c) esprimere in maniele non è in realtà equivalente ad un predi- ra indiretta una richiesta («vorrei che tu cato verbale regolarmente espresso da un mi offrissi i tuoi cioccolatini»). Nei punti verbo. Il verbo è infatti dotato di un siste- (a) e (b) si manifesterebbero i valori locuma flessionale che implica i tempi, i modi, tivi dell’atto linguistico, per i quali una cola diatesi e l’aspetto dell’azione (cfr. XI.7- municazione può dirsi efficace per il solo 30), mentre le frasi con sintagma nomina- fatto di venire espletata, mentre nel pun— le predicativo si situano perlopiù in una to (c) avremmo i valori perlocutivi deldimensione di «atemporalità assoluta», e l’atto stesso, per i quali una comunicazio— hanno di solito funzione assertivo-descrit- ne risulta efficace quando ha un effetto tiva. La successione di frasi nominali co- pratico sull’interlocutore; nel nostro caso stituisce il particolare procedimento dello l’atto perlocutivo potrebbe dirsi felicestile nominale (cfr. XIV.260). mente portato a termine solo nel caso che il nostro amico ci offrisse un cioccolatino,

15. Si definiscono monoremi (dal greco

o almeno ci chiedesse: «Vuoi un cioccola-

63 tino?», oppure «Vuoi assaggiarli?», ecc. Gran parte degli atti linguistici presentano valori perlocutivi, espliciti o impliciti (cfr. XIII.2; ad esempio: «espressione di

1]. Analisi logica e analisi grammaticale scomponibile in due sintagmi nominali semplici («uno sciopero», complemento oggetto, e «di ventiquattro ore», complemento di misura).

un ordine», «richiesta>>, «minaccia», «in-

vito»); ma tutti, per definizione, mettono in atto dei valori locutivi più o meno pronunciati (come «constatare», «raccontare», «spiegare», «giudicare», ecc.). Com’è facile intuire, buona parte della competenza pragmatica (cioè della capacità di servirsi della lingua per raggiungere determinati scopi comunicativi o pratici) dipende dall’abilità degli interlocutori nell’uso e nella comprensione del significato ora letterale ora non letterale delle frasi. Un bell’esempio di uso non letterale e indiretto ci è dato dal seguente passo manzoniano, dove una formula di cortesia viene adoperata con senso esattamente opposto a quello letterale: «— In che posso ubbidirla? — disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui eran proferite, voleva dir chiara— mente: bada a chi sei davanti, pesa le parole, e sbrigati» ([ Promessi Sposi, VI 1).

19. Se volessimo ulteriormente suddividere i sintagmi semplici così ottenuti in unità minori non troveremmo altri sintagmi, bensì catene sintattiche di parole: un

sintagma preposizionale semplice, ad esempio, è costituito dalla catena preposizionc+nome (o preposizione+verbo all’infmito, ecc.), e così un sintagma verbale semplice da un verbo, un sintagma nominale semplice da un nome oppure da una catena articolo+nome, e via dicendo. In

altre parole: un sintagma semplice può definirsi l’unità minima di combinazione sintattica all’interno della frase. 20. In molti casi, una frase può essere co-

stituita da un solo sintagma (frase monosìntagmatica; ad esempio: «Quando preferisci metterti in viaggio?» — «Di notte»). Quando un sintagma semplice si attualizza in una frase di una sola parola si parla, come s’è detto, di monorema (cfr. 11.15).

18. Come abbiamo già accennato (cfr.

21. L’analisi delle forme della frase, dal-

11.6), per dar forma alla struttura frasale

l’elemento più complesso (la frase stessa) fino ai più elementari (il sintagma sempli-

le parole si raggruppano in unità sintattiche, dette sintagmi. Si parla di sintagma nominale in riferimento a un nucleo sintattico incentrato su un nome, di sintag— ma verbale se l’asse portante è un verbo. Naturalmente ogni sintagma può consistere di una struttura più o meno complessa. Un esempio:

ce, le parole, le radici e le desinenze dei nomi e dei verbi, ecc.), prende il nome di

analisi in costituenti immediati. Questo procedimento, che ci permette di considerare le strutture sintattiche come for-

me gerarchicamente organizzate su più livelli, è stato messo a punto da alcuni lin-

«i conduttori della metropolitana hanno

guisti americani (tra cui ricordiamo L. Bloomfield) nella prima metà di questo

annunciato uno scropero dl ventiquattro ore»

secolo.

In questa frase distinguiamo un sintagma nominale complesso («i conduttori della metropolitana») scomponibile in due unità minori («i conduttori», soggetto, e «della metropolitana», complemento di

specificazione: entrambi i sintagmi sono sintagmi nominali sem lici); e un sintag— ma verbale complesso «hanno annunciato uno sciopero di ventiquattro ore»), anch’esso analizzabile in due unità minori: la prima è un sintagma verbale semplice («hanno annunciato», predicato), la seconda è un sintagma nominale complesso

Soggetto 22. Il soggetto è l’elemento della frase cui si riferisce il predicato. Esso può indicare: a) nelle frasi con verbo attivo, chi o che cosa compie l’azione espressa dal predicato: «Maria ama la musica», «Gino è

scoppiato a ridere», «il telefono squillava da ore»;

b) nelle frasi con verbo passivo o riflessivo, chi o che cosa subisce l’azione espressa dal predicato: «la musica è amata da

11. Analisi logica e analisi grammaticale Maria più d’ogni altra arte», «Maria si veste con eleganza»;

0) nelle frasi con predicato nominale, a chi o a che cosa è attribuita una qualità 0

64 siamo avere anche un’intera proposizione soggettiva (cfr. XIV.66; ad es. «è chiaro che ti sei sbagliato», «studiare l’inglese mi piacerebbe molto»).

stato: «Maria è molto colta», «Gino è ar-

rabbiato», «tu sei ingegnere?». 23. Importante è la distinzione fra soggetto grammaticale e soggetto logico. Il primo è il soggetto formale della frase, cioè l’elemento sintattico di riferimento del predicato, mentre il secondo è l’agente reale dell’azione. Soggetto grammaticale e soggetto logico possono, a seconda dei casi, coincidere o essere diversi. In frasi

come «Gino ha visitato molti paesi stranieri», ad esempio, il soggetto grammaticale (Gino) è effettivamente l’agente dell’azione indicata dal predicato, e dunque fa tutt’uno col soggetto logico. Un tipico caso di non coincidenza tra i due soggetti è invece quello delle frasi con verbo passivo e complemento d’agente, del tipo «Mario è stato ammirato da tutti», in cui il soggetto logico è di regola espresso dal complemento d’agente. In alcune frasi se— mi-impersonali in cui il soggetto grammaticale è rappresentato da un’intera propo— sizione, come ad es. «mi sembra che tu

sbagli», il soggetto logico e facilmente identificabile nel pronome atomo (mi, ti, gli, ecc.=io ritengo che tu sbagli, ecc.). 24. Ricordiamo che una frase con soggetto - verbo attivo - complemento oggetto può essere trasformata in una frase con soggetto - verbo passivo - complemento d’agente (il soggetto della frase attiva diviene complemento d’agente della passi-

26. Anche articolo, preposizione, congiunzione, avverbio, interiezione possono essere impiegati come soggetti di una proposizione, ma in questo caso il loro uso è limitato quasi esclusivamente alle frasi con funzione metalinguistica, in particolare a quelle di contenuto grammaticale (cfr. DARDANO—TRIFONE 1985: 61): «il è un articolo determinativo»; «A nella de-

clinazionè de’ nomi è segno del terzo caso» (Cinonio, Osservazioni della lingua italiana). 27. Il soggetto precede, di solito, il predicato. L’importanza di questa collocazione, in particolare nelle frasi con ordine

delle parole soggetto - verbo - complemento oggetto, è in molti casi tale che un’alterazione dell’ordine di successione puo: a) far perdere ad una parola la sua funzione di soggetto (ad es. «Maria ha visto Gino ieri» _. «Gino ha visto Mario ieri»); b) mettere in risalto un segmento della frase diverso dal soggetto («io ho visto Mario, non Gino» —> «Mario ho visto io,

non Gino»); c) rendere la frase semanticamente inaccettabile («Maria legge un libro» _» *un libro legge Maria; in quest’ultimo caso un mutamento del profilo intonativo, con enfasi su un libro, potrebbe anche farci ottenere una frase del tipo (b : «un libro legge Maria [non un giornale! »).

va): «l’elettricista ha riparato il mio ci-

tofono» _. «il mio citofono è stato riparato dall’elettricista». In questi casi il conte-

28. Nella lingua letteraria e poetica la posposizione del soggetto al predicato è in-

nuto semantico rimane identico, ma la

vece molto comune, tanto che l’ordine

presentazione e la messa in rilievo dei segmenti sintattici è diversa.

delle parole predicato - soggetto non comporta necessariamente particolari connotazioni stilistiche o semantiche: «Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene» (Manzoni, I Promessi Sposi, XXV 23); «Anche la speme, / ultima dea, fugge i se-

25. Tutte le categorie grammaticali possono fungere da soggetto di una proposizione. Quelle di impiego più comune sono il nome e le forme che possono sostituirlo,

come il pronome (cfr. cap. VII), l’aggettivo nominalizzato (cfr. VAS-55; ad es. «l’utile va unito al dilettevole»), l’infinito sostantivato (cfr. XI.406-410; ad es. «fi-

darsi è bene, non fidarsi è meglio»). Pos-

polcri; e involve / tutte cose l’obblio nella

sua notte» (Foscolo, Dei Sepolcri, 16-18). L’invasione del soggetto può ricorrere peraltro anche in testi dall’andamento sintattico colloquiale, o comunque distan-

65 ti dalla prosa della tradizione letteraria; è quel che avviene, ad esempio, nelle Strade di polvere di Rosetta Loy: «Non si è sposata la Matelda e non si sposerà più» 10, «Era stata la Luison una madre apprensiva, a volte accigliata e a volte allegra» 14-15, «Siede il Prevosto accanto alla Fantina» 17, ecc. 29. Ricordiamo inoltre che: — il soggetto è comunemente posposto nelle espressioni ottative e volitive (due esempi dalla lingua della devozione: «Ti siano gradite, Signore, lenostre umili offerte e preghiere», «Padre nostro, che sei nei cieli, sia

santificato il tuo nome» Messale festivo, 19 e 881), e in frasi esclamative del tipo: «com’è intelligente tuo fratello!», ecc.; — nelle frasi interrogative dirette spesso en-

II. Analisi logica e analisi grammaticale (cfr. 1122-23), il soggetto è l’«agente» principale della frase, possiamo dire che il predicato è l’elemento verbale che indica la particolare azione o il particolare stato attribuiti al soggetto. Questa definizione non si attaglia alle frasi con verbo impersonale, del tipo «fa caldo», «domani pioverà», ecc. Per le frasi in

cui l’elemento predicativo non è espresso da un verbo (frasi nominali), cfr. 11.14. I tipi fondamentali di predicato sono due, il predicato nominale e il predicato verba— le. 32. Il predicato nominale e costituito dall’unione di una forma del verbo essere con un sostantivo o un aggettivo: «Marta è giornalista», «Gino era felicissimo», ecc.

Il sostantivo o aggettivo si definisce nome

trambe le successioni sono possibili; ad

del predicato, mentre la forma del verbo

esempio: «Mario è arrivato?» / «e arriva-

30. Talvolta il soggetto può essere introdotto dalla preposizione di nelle sue forme articolate: «ci vorrebbe del tempo», «in fondo al corridoio ci sono delle sedie»,

essere prende il nome di copula (latino CÒPULA ‘legame’), in quanto funge da elemento di giunzione logico-sintattica tra il soggetto e la parte nominale. Il nome del predicato può anche definirsi parte nominale (o, quando sia costituito da un aggettivo, aggettivo predicativo). Le frasi con predicato nominale hanno in prevalenza la funzione di attribuire, mediante il verbo essere, una Certa qualità 0 stato ad un soggetto. La copula serve, per così dire, da «ponte» tra il soggetto e il contenuto semantico della parte nominale (che è l’elemento portatore dell’informazione principale). L’uso copulativo del verbo essere non va confuso con il suo normale uso predicati-

ecc. Si noti che quest’uso, che ha origine

vo (coi significati di ‘esistere’, ‘trovarsi’,

nel valore partitivo della preposizione di (cfr. VIII.19), sostituisce nel singolare il sintagma aggettivale un po’ di (del pane ‘un po’ di pane’), e nel plurale gli aggettivi indefiniti certi e alcuni (delle sedie ‘alcune sedie’).

ecc.), in frasi come: «Dio è» («Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo; a Dio

to Mario?»; — l’inversione è normale

quando un discorso diretto e seguito da un verbo dichiarativo con un soggetto che indica il ‘locutore’: «Gino e Rasetti camminano bene! — diceva mio padre — [...] Vanno bene! Peccato che quel Rasetti è così arido! [...] — Ma l’Adele no, non è arida — diceva mia madre» (Ginzburg, Lessico famigliare, 55). Su quest’ultimo uso cfr. XIV.264 e anche HERCZEG 1955.

Predicato

31. Vero e proprio «nucleo» della frase, il predicato è nella sua definizione tradizionale ‘ciò che si afferma a proposito del soggetto’ latino PRÀEDICÀTUM ‘ciò che è affennato’ . Esso è quasi sempre espresso da un verbo: «Gino ascolta la musica», «Maria dorme». Se, come abbiamo visto

che e‘, che era e che viene » Messale festivo, 437), «presto saremo a casa», ecc.

La copula si accorda regolarmente con il soggetto nella persona. Il nome del predicato si accorda col soggetto nel genere e nel numero quando è costituito da un nome o aggettivo di genere variabile (ad es. «Mario è maestra elementare», «Maria è maestra elementare», «i miei amici sono maestri elementari», ecc.); se invece è co—

stituito da un nome di genere non variabile, si accorda con il soggetto nel solo numero (ad es. «lo squalo è un pesce», «la sardina è un pesce», «le sardine sono pesci». ecc.).

66

11. Analisi logica e analisi grammaticale 33. Il predicato verbale è formato da un verbo predicativo, ossia da qualunque verbo dotato di un proprio senso compiuto che possa essere adoperato senza l’au— silio di un complemento predicativo (cfr. 11.42-44). Facciamo alcuni esempi: SOGGETTO a) b) c) d)

«Mario «i miei bambini «[io] «Gino

PREDICATO rideva» si sono lavati» —. non so nuotare» sta per partire»

Nelle frasi (a) e (b) il predicato è formato ìa un solo verbo (attivo nella prima, riflessivo con ausiliare essere nella seconda). Nelle frasi (c) e (d) il predicato è invece formato rispettivamente dal verbo servile sapere (cfr. XI.44) e dal verbo fraseologico stare per (cfr. XI.48a) uniti all’infinito del verbo principale, ma in entrambi i casi esso costituisce una sola unità logico-sintattica. Verbi servili e fraseologici hanno, infatti, la proprietà di formare con l’infinito da essi retto un sintagma verbale del tutto equivalente ad un verbo semplice. Il predicato verbale ha, in prevalenza, la funzione di esprimere l’azione compiuta o subita dal soggetto, a differenza del predicato nominale che di solito, come abbiamo visto, serve ad attribuire al sogget— to una certa qualità 0 stato. Tale distinzione non va però intesa rigidamente: predicato verbale e predicato nominale possono talvolta esprimere, pur presentandolo in una struttura sintattica diversa, lo stesso contenuto semantico. Pensiamo,

ad esempio, a due frasi come «ultima-

sembrare, parere, ecc.; cfr. XI.6a) e nume-

rosi verbi appellativi, elettivi, estimativi, ecc. (chiamare, eleggere, stimare, ecc.; cfr.

XI.6b-d), cioè con tutti quei verbi. detti «copulativi», che necessitano di un complemento predicativo per avere senso compiuto. Una parte della tradizione grammaticale considera questo tipo di predicato come parte del predicato nominale (cfr. ad es. FORNACIARI 1881: 2, 298-299 e 308-309), in quanto, in una frase come «tu diventerai ricco», il verbo diventare ha funzione sin-

tattica e contenuto semantico simili al verbo essere. Ma è forse preferibile parlare per questi usi di «predicato con verbo copulativo, elettivo», ecc. La distinzione tra predicato nominale e verbale risale alla grammatica latina. in cui vigeva l’obbligo di attribuire alla parte nominale lo stesso caso del soggetto, il nominativo. Secon— do alcuni grammatici, «In italiano, non essen-

doci i casi, la distinzione ha perso importanza; si continua a farla per facilitare il confronto fra italiano e latino e la traduzione dall‘una all‘altra lingua» (ALTIERI BIAGI 19872 553 n. ll).

Complemento oggetto a diretta 35. Il complemento oggetto o complemento diretto è l’elemento della frase su cui ricade l’azione espressa dal predicato, con un legame sintattico diretto: «Mario lava il suo cane». «Maria studia I ’inglese», «mia moglie ha preparato un dolce». Esso indica appunto l’«oggetto» che subisce l’azione compiuta dal soggetto ed espressa dal predicato. La nozione tradizionale di oggetto come elemento sintattico che subisce l‘azione

mente, Mario e‘ molto interessato alla mu—

va, ovviamente, intesa in modo abbastan-

sica classica» e «ultimamente, Mario s’interessa molto di musica classica». Il predicato verbale concorda con il soggetto nella persona: «Mario ride», «le amiche ridevan0», ecc. Per la concordanza del predicato verbale formato dagli ausiliari avere e essere+participio passato cfr. XI.85.364-369.

za elastico. Se diciamo «Mario ha picchiato Gino» abbiamo l’idea immediata e concreta di un’azione «subita». mentre in frasi del tipo «Maria capisce la matemati— ca molto bene» o «ieri sera ho visto un bel film» l’idea di oggettività espressa dal complemento è assai meno ovvia; né abbiamo l’impressione che il termine indicato dal complemento oggetto «subisca» l’azione espressa dal predicato più di quanto non la subisca il soggetto della frase. E evidente che quel che rende i tre elementi Gino, la matematica, un bel film

34. Un particolare tipo di predicato, che potremmo dire intermedio tra predicato verbale e predicato nominale, e uello che si forma con i verbi effettivi ?come

67 membri di una stessa classe sintattica è la loro proprietà di fungere da complementi diretti del verbo, che si realizza semanticamente in essi. Si può distinguere fra oggetto esterno, in sé esistente, e oggetto che scaturisce da un’azione attualizzata dal predicato, in latino OBIÉCTUM AFFÉCI‘UM / OBIÉCTUM

EFFÈCTUM; rispettivamente: «leggere un libro» / «scrivere un libro»; «avere un fi— glio» (‘avere un bambino tra i membri della propria famiglia’) / «avere un figlio» (‘partorire’, ad es. «mia sorella ha avuto un figlio alle quattro di stamattina»); «mangiare una torta» / «preparare una torta», ecc.

36. Le nozioni di complemento oggetto e verbo transitivo (cfr. XI.3) sono indissolubilmente legate (nel complemento diretto infatti, per così dire, «transita» l’a-

zione espressa dal verbo). Vi è però qual— che costrutto in cui anche un verbo intransitivo può reggere un complemento oggetto. Ciò può awenire: a) quando il complemento diretto si forma dalla stessa radice del verbo: «vivere una vita spensierata» («il mio mestiere e vivere la vital che sia di tutti i giorni o sconosciuta», canzone di Battisti-Mogol cantata da L. Battisti nel 1980), «morire una morte eroica» («la morte bisogna morirla» Boine, Frantumi);

b) quando la base semantica del complemento diretto coincide con quella del predicato: «dormire il sonno del giusto» («le mie risoluzioni non sono passeggere [...] come mio padre stimo che si persuada, per dormire isuoi sonni in pace» Leopardi. Lettere), ecc. Si parla in questi casi di complemento dell’oggetto interno. Limitato a poche locuzioni cristallizzate,

il complemento dell’oggetto interno è di uso prevalentemente colto e letterario: la lingua quotidiana preferisce di solito il verbo fare in luogo dei vari verbi di significato più preciso come vivere, dormire,

ecc.: «fare una vita spensierata», «fare un sonno», ecc. 37. Antiquati sono i costrutti predicativi della lingua letteraria in cui un complemento diretto dipende da un participio o da un aggettivo: «di lacrime sparso ambe le guance» (Leopardi, Al— I’Italia, 81=‘con ambe le guance cosparse di la-

Il. Analisi logica e analisi grammaticale crime”); «Sparsa le trecce morbide / sull’affannoso petto, / lenta le palme, e l'0ì'itltl / di morte il

bianco aspetto. / giace la pia» (Manzoni, Adelchi, Atto IV Scena prima). E un uso che ricalca

il cosiddetto accusativo di relazione o alla greca del latino letterario: ad es. LÀCRIMIS PERFÙSA GÉNAS (Virgilio; letteralmente ‘cosparsa le guance di lacrime’), FLÀVA (‘ÒMAS (Ovidio; letteralmente “bionda le chiome’), ecc.

38. Come il soggetto (cfr. 11.30), talvolta anche il complemento oggetto può essere retto dalla preposizione di nella sua forma articolata: «vorrei del pane», «devo

dirti delle cose importanti» (‘un po’ di pane’, ‘alcune cose importanti’), «tiranneggiando sé e la famiglia avea raggrumolato de’ bei denari» (Nievo, Novelliere campagnuolo e altri racconti). Si osservi che, nelle frasi con verbo riflessivo, soggetto e oggetto coincidono (cfr. XI.18). 39. Caratteristico dell’Italia meridionale è il complemento oggetto retto dalla preposizione a (oggetto preposizionale): «canzonare a te» (cfr. De Amicis, Idioma

gentile, 52). «L’impiego della preposizione è certamente determinato dal bisogno di una più netta distinzione tra soggetto e oggetto: Carlo clìiama Paolo diviene Carlo chiama a Paolo. Il fenomeno resta circoscritto agli esseri animati, perché di norma gli oggetti inanimati possono aver soltanto funzione d’oggetto» (ROHLFS 1966-1969: 632). Il costrutto ricorre facilmente, anche in parlanti centrosettentrionali, quando il «tema» è posto in evidenza

all’inizio di frase, almeno se l’oggetto è un pronome personale («a me nessuno mi protegge») o con alcuni verbi reggenti come convincere, disturbare, preoccupare («a te preoccupa»): cfr. BERRETTA 1.990. 40. Considerazioni analoghe a quelle che si sono fatte per la posizione tendenzialmente fissa del soggetto valgono anche per il complemento oggetto: mentre il soggetto, per ragioni di messa in rilievo dell'agente principale, assume di solito la posizione iniziale (cfr. 11.27), il complemento oggetto, che dipende sintatticamente dal predicato verbale, si trova normalmente dopo il verbo transitive: «Maria ama Gino». L’ordine delle parole abituale per una frase italiana non marcata

11. Analisi logica e analisi grammaticale stilisticamente è dunque: soggetto — predicato - complemento diretto.

68 da dei diritti civili e politici» (Costituzione, art. 84): «l’influenza v1ene resa inno-

cua con vaccini spec1ficr», ecc. 4L L’anteposizione (o portatore e portatrice (e così lavare _— lavatore e lavatrice, ecc.); 2) forte motivazione, ma trasparenza debole: dirigere —> direttore e direttrice (il rapporto tra il significato del verbo e del

66. Questo tipo di alternanza è limitato ai nomi d’agente, dove è legato al genere reale, e non ha luogo con i nomi di macchina: così lavatrice può indicare sia la ‘donna che lava’ (nella lingua letteraria, invece del comune lavandaia: «certamente era una bravissima lavatrice e stiratrice» Teochi, La terra abbandonata) sia la ‘maochina che lava’, mentre lavatora, solo

popolare, si riferisce esclusivamente a una persona (cfr. TEKAVCIC 1980: 111 5960). Inoltre: a) L’uscita -tora è l’unica possibile in pastore —> pastora, tintore —> tintora, impostare —> impostora («L’impostoral Ha nome è evidente, ma essi si formano da previsto che la menzogna si sarebbe scoperta!» Pirandello, Maschere nude). una radice distinta: dirig- / dirett-); 3) motivazione e trasparenza presenti so- b) Fattora (e fattoressa) si oppongono a lo in astratto, in quanto risalenti ad una fattrice: fattora è il raro femminile di fattofase antica: spettatore si forma ad esempio re ‘amministratore dì proprietà agricole’ dalla radice spett- di spettare, ma questo (più comune fattoressa che, nell’accezioverbo solo in latino voleva dire ‘osserva- ne di ‘inserviente del monastero’, fu inre’ (SPECTÀRE ‘osservare’ _— SPECTÀTOR trodotto dal Manzoni nell’edizione defi‘osservatore’=‘chi guarda uno spettaco- nitiva dei Promessi Sposi rispetto al fattora che si leggeva nel 1827: cfr. VITALE lo’); 4) assenza di motivazione e di trasparen- 1986: 26); fattrice vale ‘femmina di anima-

89 le di razza adibita alla riproduzione’ (e corrisponde a un maschile fattore con significato parallelo). c) In altri casi le forme in -tora suonano popolari o antiquate: tale è per esempio lo stiratora che si legge negli ottocenteschi Dialoghi di EL. Franceschi, XXII. d) Talvolta il suffisso -trice, non avendo

mai avuto una vera diffusione popolare, è stato erroneamente recepito come maschile: è il tipo «allegri cantatrici» (cfr. CORTELAZZO 1972: 110) studiato da MlGLIORINI 1957: 129-134.

III. Il nome

comporti alcuna implicazione semantica. Ricordiamo: capra —> caprone (ma anche capro), eroe —«> eroina, gallo _» gallina,

strega _» stregone, zar _» zarina. 69. Osservazioni: a) La forma non accrescitiva capro s’adopera oggi quasi esclusivamente nell’espressione figurata capro espiatorio (anticamente il capro espiatorio era letteralmente l’animale sacrificato per liberare la comunità da ogni pena): «chi più rendea il carattere nazionale era Vincenzo Mon— ti, magnifico nelle massime, povero ne’

Nomi in -sore

67. I nomi che al maschile terminano in sore (perlopiù nomi d’agente deverbali: per es. aggredire _» aggressore ‘chi aggredisce’), formano quasi sempre il femminile in -itrice, partendo dalla radice dell’infinito, terminante per (I: difensore (difendere) -+ difenditrice, ofiensore (offendere —> offenditrice, trasgressore (trasgred-ire —> trasgreditrice. Abbiamo già visto che professore fa al femminile professoressa (cfr. 111.49).1ncisore ha invece il femminile in -sora, ma si

tratta di una forma rarissima. Il suffisso popolare -sora si affianca talvolta a -itricez uccisore _» ucciditrice e uccisora (e così, anticamente, ofiensora, difensora, ecc.). Conviene comunque ricordare che i femminili aggreditrice, difenditrice, offenditrice, ecc., per quanto normalmente adoperati e classificati come femminili delle corrispondenti forme aggressore, difensore, ecc., presuppongono in realtà quasi sempre varianti in —tore disusate (o meno usate): difenditore —> difenditrice, offenditore —> ofienditrice, e via dicendo.

fatti, divenuto oggi il capro espiatorio di tutti» (De Sanctis, Saggi critici); un esempio giomalistico: «Berggreen, danese infelice e deluso, che proprio non riesce ad ambientarsi e che di questa situazione sta diventando capro espiatorio» («La Re— pubblica», 28.10.1986, 27). b) Il maschile stregone, rifatto su strega, designa oggi perlopiù il “veggente, terapeuta, sciamano’ delle popolazioni cosiddette primitive, mentre per gli stregoni «nostrani» si adopera più di frequente fat— tucchiere, mago, ecc.

70. Fino a qualche tempo fa si potevano udire dei femminili in -ina' per nomi di origine inglese in -er, del tipo speaker -> speakerina (c'fr. FOGARASI 1984: 180): «vi sono tante mediocri serate televisive in cui il sorriso di una ‘speakerina‘ è forse la cosa migliore» («Radiocorriere TV», 29.10.1978, cit. in CORTELAZZO-CARDINALE

1986: 169). Questo tipo di femminile è oggi assai sporadico (un esempio giornalistico recente, per leader —> leaderina: «sono sempre stata una leaderina dei gruppi più scatenati», «Europeo», 13.12.1986, 91), e si tende a lasciare invariati i nomi in -er al femminile: lo speaker _» la speaker, il leader —> la leader, ecc.

Il tipo gallo / gallina 68. Come s’è detto a proposito di alcuni casi di alternanza di genere (cfr. 111.34), il tratto semantico «grande» / «piccolo» è spesso in connessione con il mutamento maschile / femminile (0 femminile / maschile). Alcuni nomi di persona e di animale utilizzano il suffisso diminutivo per formare il femminile (0 l’accrescitivo per formare il maschile), senza che però ciò

7L Anche nei nomi propri si può avere la formazione del femminile mediante un suffisso diminutivo. Ma, a ben guardare,

si tratta di un caso diverso da quello dei nomi comuni del tipo eroe-eroina. Quasi mai, infatti, il femminile in -ina, -ella, ecc.

è l’unica scelta possibile, e la percentuale di fenuninili formati con diminutivo ri— spetto a quelli normalmente derivati in -a varia di nome in nome. In particolare:

90

III. Il nome

(270.000) I Carlotta (14.000) il femminile in -a supera di venti volte la forma alte-

a) Il femminile suffissato è pressoché obbligatorio con i nomi propri che al maschile escono in -a: Andrea —-> Andreina

rata; ma forse dovremmo qui tener con-

(o Andreana), Luca -> Luchina, Nicola

to della variante Carolina (96.000), che è

…. Nicoletta (o Nicolina). Se per questi nomi non si ricorresse alla

il diminutivo di Carola, nome etimologi-

suffissazione, distinguere maschile e fem-

minile sarebbe infatti impossibile (un nome invariabile Nicola —> Nicola non consentirebbe di riconoscere il genere reale, cioè il sesso del portatore, inconveniente notevole per un nome proprio di persona). b) Negli altri casi il ricorso al diminutivo,

benché frequente, è perlopiù facoltativo. Tra i nomi che lo presentano abitualmente ricordiamo: Alfonso —> Alfonsina, Antonio -> Antonella (o Antonietta), Cesare _» Cesarina, Giuseppe —> Giuseppina. 72. In materia di prenomi disponiamo da qualche anno di un’ampia indagine (DE FELICE 1982), condotta su tabulati elettronici ricavati dagli elenchi del telefono: anche se, come è noto, non sempre l’elenco

telefonico registra il nome anagrafico (o, viceversa, quando lo registra esso può non corrispondere all’ipocoristico della vita reale). l’enorme mole di dati geograficamente ripartiti e numericamente analizzabili che ricaviamo da questa ricerca risulta di grande utilità per ottenere una proiezione statistica della diffusione di certi nomi rispetto ad altri, o, nel nostro

caso, di certe forme affettive rispetto a quelle non marcate. Vediamo ad esempio i dati numerici arrotondati della popolazione telefonica relativi ai quattro nomi femminili che abbiamo citato (estratti dal Dizionario dei nomi italiani dello stesso autore. DE FELI-

CE 1986): Alfonso -> Alfonsa (6.000) / Alfonsina (13.000); Antonio —> Antonia (200.000) /Antonietta (300.000), Antonella (29.000), Tonina (4.000); Cesare -> Cesara (500) / Cesarina (53.000); Giuseppe _» Giuseppa (200.000) / Giuseppina (652.000). In tutti e quattro i casi il femminile con diminutivo risulta nettamente prevalente su quello in -a, con un picco massimo del 10.000% di femminili con diminutivo in Cesarina / Cesara. In altri nomi il tipo minoritario è invece l’ipocoristico: in Carlo _» Carla

camente affine a Carla (la forma maschile Càrolo è oggi quasi scomparsa: appena 10 unità, che salgono a 60 aggiungendovi 50 attestazioni di Carolina; Carlo e

Càrolo —> Carla e Càrola risalgono tutti al latino medievale CAROLUS, dal nome

germanico Karl). Anche in Giovanna (520.000) / Giovannina (22.000) il rapporto a favore del femminile in -a è di circa il 2.500%.

Altri casi

73. Alcuni nomi formano il femminile in modo non prevedibile. Ricordiamo: a)

abate —> badessa

Nella lingua antica si adoperavano le due forme abadessa, più prossima al corrispondente maschile (a parte la sonorizzazione della t di abate) e badessa, forma che poi si è imposta. in cui la a- iniziale è stata sentita come parte del— l’articolo precedente il nome: l’abadessa _» la badessa. L’italiano è l‘unica di tutte le lingue romanze ad avere la forma ridotta senza a- (cfr. CORTELAZZO—ZOLLI 1979: I 102). mentre il provenzale aveva abadessa, e la stessa forma si ri-

trova oggi in catalano, spagnolo e portoghese; il francese ha abbesse. In -essa riconosciamo il medesimo suffisso femminile di molti nomi in e (cfr. 111.49). b)

cane _» cagna

La coppia cane-cagna continua il latino volgare CÀNEM-‘CÀNIAM. c)

dio _» dea

Dea continua il latino DEA, e non ha subito la stessa evoluzione fonetica di dio (< DÉUM). in quanto e voce di origine dotta (è 0Wio che nel mondo cristiano medievale la nozione di ‘Dio’ fosse ben più diffusa e popolare di quella pagana di ‘dea’). Per il plurale di dio cfr. 111.102. d)

doge -+ dogaressa

Doge è forma veneziana ( le orecchie; la strofa gnificati figurati, mentre il femminile le _, le strofe, la strofe _» le strofi; il frutto —> frutta designa un ‘insieme di frutti’ (ad es. «le frutta erano state mangiate» Moravia, i frutti, la frutta -> le frutta/ le fruite. Gli indifferenti, 88; «i’ son quel da le frutOsserviamo: a) In strofa /strofe —> strofe / strofi i plura- ta del ma] orto» Dante, Inferno, XXXIII li differiscono semplicemente per l’attri- 119), perdendo invece la nozione categobuzione ai sostantivi femminili in -a o in — riale astratta del singolare la frutta. Al più e: in entrambi i casi possono significare raro singolare la frutta corrisponde infine sia ‘gruppo di versi’ sia ‘componimento di il plurale le fratte: «frutte, ne aveva a diuna certa estensione’. Si tratta di un relit- sposizione, lungo la strada, anche più del to di un tipo di alternanza ben iù esteso bisogno» (Manzoni, ] Promessi Sposi). nell’italiano dei secoli passati &ANNUCCI 1858: 3-9 registra ad esempio sincopa / sincope, iperbola / iperbole, oda / ode, Nomi invariabili al plurale Pentecosta / Pentecoste, e ancora apostrofa / apostrofe e antislrofa /antistrofe) per Alcuni nomi mantengono invariata, nel tutti quei nomi in -e di origine greca (syn- plurale, la stessa forma del angolare (nocopé, hyperbole, ecc.) femminili, in cui, mi invariabili). Essi sono: pur nell’uso colto, si è a lungo oscillato tra l’uscita in -e della lingua d’origine e il con- 124. I. I nomi che terminano con vocale guaglio di genere sui più comuni femmi- tonica, quale che ne sia l’origine: sia dal latino, come i femminili in -tà, -ttì, sia da nili in -a. b) Nessuna differenza di significato anche lingue straniere, come la grande maggioin orecchio / orecchio _» orecchi / orec- ranza degli ossitoni presenti in italiano: la chie: il singolare orecchio ( i caucciù, il falpalà rale del tipo le orecchia. Su di esso fu ri- _» i falpalà, il maragià _» i maragià, il fatto un maschile orecchio, ottenendo co- nontiscordardimé —> i nontiscordardimé, sì una coppia [’orecchio- le orecchio affi- il tabù —> i tabù. ne a l’uovo- le uova (cfr. III. 109). Sorse La maggior parte dei nomi in -tà, -tù deripoi, con un perfetto gioco di corrispon- vano da forme italiane antiche in -tade, denze, un plurale maschile più regolare, tude, ridottesi per apocope di origine come gli orecchi, e alla fine ne è risultato aplologica (cfr. 1.78a). il sistema quadripartito odierno (ROHLFS 125. Anche i nomi monosillabici, termi1966—1969: 384). c) Nel caso di frutto /fiutta -> flutti /frut— nanti in vocale necessariamente tonica, te le differenze di significato sono invece sono invariabili: la gru _» le gru, il re -> i molto pronunciate. Una prima opposizio- re, il tè _» i tè. Per la forma antica la grue ne corre tra le due forme singolari: il ma— (e il grue) / i gru cfr. Ill.79e. schile designa di solito un ‘fi'utt0’ preso singolarmente e, in senso figurato, il ‘frut- 126. II. Alcuni nomi maschili in -a. Fra to delle fatiche’, la ‘rendita’: «c’è sempre questi si annovera un gruppo di nomi di plurale, senza che necessariamente si os-

servi una differenza di significato (come nel caso di frutta /frutta): l’orecchio _— gli

106

III. Il nome

animali esotici: l’alpaca _» gli alpaca, il boa —> i boa, il cacatoa _» i cacatoa

(«adesso gli uccelli del paradiso, i cacatoa, gli uccelli mosca sono tutti in silenzio» Calvino, Racconti), il cobra —> i co-

bra, il gorilla -> i gorilla, il lama _» i lama. Il nome di animale lama (dal quechua, lingua andina peruviana) ha un omonimo, anch’esso invariabile: il lama ‘monaco buddista tibetano’ -> i lama (dal tibetano blama ‘maestro’): «furono cdndannati al palo due giovani, che avevano guardato passare una processione di lama senza levarsi il berretto» (Bacchelli, Traduzioni). Altri nomi maschili invariabili sono il boia —> i boia, il paria —> i paria (nella suddivisione in caste dell’induismo, gli ‘intoccabili’, i ‘miserabili’: «v’è un popolo di possidenti che mendica; v’è una concorrenza di cento paria per ogni stipendio» De Amicis, cit. in BRUNET 1978: 116), il sosia —» [ sosia, il vaglia —+ i vaglia. Il nome pigiama può al plurale rimanere invariato oppure assumere la desinenza i: «quei pigiama di suo marito», «quei pigiami cinesi» (entrambi gli esempi da Moravia, cit. in BRUNET 1978: 116). 127. III. I nomi, quasi tutti femminili, che

costituiscono l’abbreviazione di altri nomi: l’auto -+ le auto (da automobile), la bici —-> le bici (da bicicletta), il cinema —> i cinema (da cinematografo), la metro —> le metro (da ferrovia metropolitana), la mato —> le moto (da motocicletta), la radio _— le radio (da radiotrasmettitrice). Rientra in questo gruppo anche la dina— mo - le dinamo: ma si terrà presente che la parola da cui questo nome deriva, il tedesco dynamo-elektrische-Maschine, già in quella lingua compare nella forma abbreviata Dynamo (CORTELAZZO-ZOLLI 1980: Il 340). Accanto a la metro - le metro troviamo anche il francesismo il metrò - [ metrò (métro abbrevia in francese il nome ufficiale della ferrovia metropolitana

no la quinta declinazione latina in -IES (BARBÀRIEM, CONGÉRIEM, ecc.). 129. V. I nomi in -i: l’analisi _» le analisi, il

brindisi _» i brindisi, l’ipotesi _» le ipotesi, l’oasi _— le oasi, ecc. Peri nomi invariabili del tipo il parapiglia _. i parapiglia cfr. III.] 48.

Plurale dei nomi stranieri non adattati

130. La maggior parte dei nomi stranieri non adattati morfologicamente giunge nell’italiano in forma scritta. Si può dire, anzi, che spesso la prima spinta al mancato adeguamento di un nome alla morfologia italiana venga proprio dalla predominanza della forma grafica, che, in questo come in molti altri casi, tende di solito a

conservare i propri connotati originari (MIGLIORI… 1938: 37).

Il progressivo accrescersi dell’afflusso di esotismi non adattati uscenti in consonante (tra i più recenti prestiti dall’inglese, ad esempio, i termini dell’informatica

bit, floppy disk, input / output, ecc.: o windsurf ‘tavola a vela’: cfr. CORTELAZZO— CARDINALE 1986: 28, 79, 95, 205) sta inde-

bolendo la tradizionale awersità dell’italiano per le parole terminanti in consonante (cfr. le osservazioni in merito di DE MAURO 1976: I 214-215, riprese e sviluppate da CORTELAZZO 1983: 77). 131. In che modo formano il plurale i nomi stranieri terminanti in consonante? In generale, il nome resta invariato: ilfilm —> i film, il quiz —> iquiz, il tram _» i tram, ecc. Non sussistono dubbi per i nomi da tempo acclimati nella nostra lingua, in gran parte d’origine inglese (per l‘inventario dei più importanti cfr. ZOLLI1976: 43-69), ma il problema è aperto per i neologismi o per le voci d’uso raro. Di massima, è opportuno allineare questi casi alla norma comune: quindi i manager. gli short, i

parigina: [Chemin de fer] métro[politain])z

teenager, i croissant, ecc. Se invece si in-

«sul metrò tutti parlavano dell’automobi— le grigia con raccapriccio» (Viani. Parigi).

tende evidenziare la provenienza esotica di una parola, mantenendo il procedimento di formazione del plurale della lingua straniera, sarà buona norma ricorrere ad alcuni espedienti grafici (apici, virgolette alte o basse, oppure la sottolineatura

128. IV. I nomi femminili in —ie: la barba-

rie -> le barbarie, la congerie _» le congerie, la serie _» le serie, ecc., che continua-

107

nell’uso manoscritto e dattilografico, cui corrisponderà il corsivo nella stampa). Prendiamo ad esempio il neologismo inglese rocker (registrato in CORTELAZZOCARDINALE 1986: 148) “esecutore di musica rock’; volendo elogiare un certo musi-

cista potremo scrivere:

III. Il nome

dello spagnolo, del portoghese, viene nella coscienza comune sentita come la modalità tipica per ottenere un plurale straniero: può così capitare che la -s sia aggiunta arbitrariamente anche a nomi tedeschi (ad esempio fiihrers, lieders: il primo termine. Fù’hrer, rimane invariato nel plurale; il secondo, Lied “canto lirico’, fa

(1) “Sting è senza dubbio uno dei rockers emergenti” (2) “Sting è senza dubbio uno dei ‘rockers’ emergenti” (3) “Sting è senza dubbio uno dei "rockers” emergenti” (4) “Sting è senza dubbio uno dei «rockers» emergenti" (S) “Sting è senza dubbio uno dei rockers emergenti“ (uso manoscritto e dattilografico) (6) “Sting è senza dubbio uno dei rockers emergenti” (nella stampa)

al plurale Lieder), o che venga adoperata per l’inglese anche quando questa lingua non la richiede (ad es. in un plur. policemens, mentre l’inglese man ‘uomo’ e i

suoi composti hanno al plurale men). Su questo tipo di alterazioni cfr. MIGLlORINI 1938: 66-67 e KLAJN 1972: 66. 132. Osservazioni particolari: a) L’anglicismo jeans (forma abbreviata del plurale blue jeans) si adopera al plura— le ma anche, invariato, al singolare, così

come awiene per calzoni e pantaloni (cfr.

111.151a): «dei vecchi jeans», «un jeans Quando, come in questo caso, il termine

è di introduzione recente, si possono mantenere i vari espedienti grafici delle frasi (2)-(6) anche se esso viene trattato come invariabile: «svaniti i gruppi ed in crisi i “tour operator’ che a questi si dedicavano, si sperava nei singoli» («Italia Sera», 20.6.1986, 7). Talvolta l’uso di un temn'ne straniero non adattato può rispondere all’esigenza di evocare con precisione un ambiente 0 una situazione: «nelle vaste halls dei buildings» (Argan, Arte moderna, 241; scrivendo «nelle ampie sale d’ingresso dei grattacieli», la frase acquisterebbe in tra-

sparenza ma perderebbe in efficacia evocativa). Qualche altro esempio giornalistico di trattamento del nome straniero come invariabile: «chalet svizzeri», «sui più economici souvenir di viaggio» (entrambi da «Qui Touring», 1-8.3.1986, 5 e 57); «le mie tournée» ( i capigruppo (‘i capi di un gruppo’: «ma quando sarò diventato un capogruppo tra i capigruppo dirò la mia» G. Malagodi, intervista alla «Repubblica», 24.10.1986, 3; capigruppo anche in Calvino, Racconti, 235), il caporeparto _» mosca, radio pirata, cafi'è-concerto, in cui i i capireparto, il caposquadra —«> i capidue nomi mantengono una loro autono- squadra («avevano buone posizioni in mia (espressa graficamente dalla mancata Germania: capi squadra, capi d’arte, univerbazione) si modifica di norma solo maestri muratori» Jahier, Ragazzo — Con il primo elemento: busta paga _» buste pa— me e con gli alpini), il capopartito —> i caga (benché in Moravia, cit. in BRUNET pipartito («le manovre tattiche dei capi1978: 105, si lega: «nei caffè-concerti»). partito» Bocca, Storia dell’Italia partigiaDiverso è il caso di nomi quali la ferrovia, na, 260), il capostazione _» i capistazione, la banconota, il boccaporîo; in ferrovia il ecc. primo costituente, ferro-, ha quasi funzio- b) Nel tipo ‘x è capo tra x., x:, x,..., ecc.’ ne aggettivale, e la parola ha coesistito (cioè: ‘x è a capo di altri x’; cfr. DARDANO per un periodo abbastanza lungo con lo- 1978: 185) capo è in funzione appositiva cuzioni come via di ferro (cfr. francese rispetto al secondo nome; il composto chemin de fer) o strada ferrata prima di viene percepito come un’unica parola e il raggiungere la fase attuale, in cui ferrovia segnale del plurale si aggiunge al secondo si comporta come un qualsiasi femminile membro: il capocuoco _» i capocuochi (‘i

III. Il nome

cuochi che svolgono la funzione di capo’), il capocontabile —> i capocontabili, il caporedattore —> i caporedattori, ecc. Rimane invece sempre invariato il costituente capo- nel plurale dei nomi femminili, sia nel tipo la caporeparto _» le caporeparto, la caposala -> le caposala, sia nel tipo la capoimpiegata -> le capoimpiegate, la caporedattrice —> le caporedattrici (corrispondenti rispettivamente ai maschili dei gruppi a e b). ’ c) Anche nel tipo ‘un capo-x’, affine al precedente, il costituente capo- ha funzione appositiva e il plurale si forma modificando il secondo membro del compo— sto: il capoluogo _» i capoluoghi, il capolavoro —> i capolavori. La relazione semantica che si instaura tra i costituenti è quasi identica in questo tipo a quella che troviamo in caporedattore, capomacchinista, ma qui capo- indica più genericamente la posizione di spicco, di maggior importanza e non la funzione di capo in un gruppo omogeneo. 140.11. NOME+AGGETTIVO (caposaldo, terracotta); il plurale si forma modificando le desinenze di entrambi i costituenti: l'acquaforte —+ le acqueforti, il caposaldo _» i capisaldi, la cassaforte _» le casseforti («le casseforti della finanza italiana» «La Repubblica», 24.10.1986, 1), la piazzaforte -> le piazzeforti («numerose piazzeforti sulle coste ioniche della Grecia» Spini, Disegno storico, Il 174), la terracotta _» le

terrecotte («materiali provenienti da Crotone: terrecotte votive, terrecotte architettoniche e bronzi» Guida rapida TCI, V

236), ecc. 141. In particolare: a) Il plurale di palcoscenico è palcoscenici («le piazze brevi [.] paion palcoscenici dove grida il bambino e gridano le donne» Flora, cit. in BRUNET 1978: 99), e qualche oscillazione si coglie ad es. nei composti con l’aggettivo -forte: la roccaforte —> le roccheforti / le roccaforti («in queste roccheforti» «Corriere della Sera», 30.4.1986, 9, «nelle roccaforti del moderatismo» «La Stampa», 6.6.1979, 3), ecc.

b) Oltre a capisaldi si può avere, meno comunemente, caposaldi («si tratta di ca-

posaldi ricorrenti [.] che additano in uno degli elementi materiali del racconto un

110 persistente significato immaginoso» Pavese, Il compagno). c) Il pellerossa ha di regola il plurale i pellirosse (ad esempio in Tarchetti, Fosca, 45; e ancora: «i pellirosse hanno fumato il calumet e hanno pregato» «La Repubblica», 4.3.1987, 8), ma si trova anche i pelle—

rossa (cfr. BRUNET 1978: 101); tutto dipende dal modo in cui viene percepito il singolare: sein pellerossa si awerte un composto del tipo ‘la pelle è rossa”, allora il plurale sarà pellirosse (“le pelli sono rosse”); se, invece, esso appare come un composto esocentrico del tipo ‘l’uomo che ha la pelle ròssa’, ‘l’uomo dalla pelle rossa’ (cfr. DARDANO 1978: 188-189), avremo il plurale invariabile i pellerossa (“gli uomini dalla pelle rossa"). 142. III. AGGE'YTIVO+NOME (biancospino, vanagloria): il composto viene trattato come se fosse un nome semplice (l’aggettivo rimane invariato, mentre muta la de-

sinenza del nome): il biancospino _» i biancospini, il francobollo —> i francobolli, il mezzogiorno —> i mezzogiorni, il nerofitmo -> inerofumi, ecc. 143. Tuttavia: a) Nei composti con alto- e basso- notia— mo alcune oscillazioni: altoforno _» altoforni / altiforni (più comune il secondo: «cosa avrei dato per avere un lavoraccio anche sporco, il facchino magari, agli al— tiforni di Cogne» Pavese, Il mestiere di vivere); altopiano -> altopiani / altipiani: in questo caso la forma con aggettivo modi— ficato alti- e talmente vitale che può riflettersi addirittura nel singolare altipiano («il pensiero m’insegue in questo borgo / cupo ove corre un vento d’altipiano» Luzi, Onore del vero); bassorilievo —> bassorilievi / bassirilievi (la prima forma è più comune: «ripidi colossali bassorilievi di colonne nel vivo sasso» Campana, Canti orfici e altri scritti). b) I composti con l’aggettivo femminile mezza- modificano di regola anche l’aggettivo: la mezzabarba —> le mezzebarbe. una mezzacalzetta —> delle mezzecalzette («tutte le mezzecalzette dei Parioli» Arbasino, Fratelli d’Italia). la mezzaluna _»

le mezzelune («le mosche picchiano grandi capate nelle mezzelune di vetro» Jahier, Ragazzo — Con me e con gli

111

alpini), la mezzamanica —> le mezze…niche, ecc. c) Rimane di preferenza invariabile il purosangue —> i purosangue (e così il mezzosangue _» imezzosangue, ecc.).

III. Il nome

portacenere («si arrabbiava se non c’erano portacenere; perché lui fumava sempre una sigaretta dietro l’altra» Ginzburg, cit. in BRUNET 1978: 100), il portabandiera -> i portabandiera («non era bene che risultando, come risultavamo, i porta-ban-

144. IV. AGGETTIVO+AGGETTIVO (il chiaroscuro, il giallorosso); il nome viene sen— tito come un solo blocco, e nel plurale

diera di due schiere contrapposte [.] noi due ci comportassimo così?» Bassani. Dietro la porta), ecc.

muta la desinenza del secondo aggettivo: il chiaroscuro _» i chiaroscuri, ilpianofor- 148. VIII. VERBO+VERBO (dormiveglia, te -> i pianoforti, il sordomuto _» isordo- parapiglia); anche qui il plurale è invariamuti; tipici del linguaggio sportivo sono bile: il dormiveglia -—> i dormiveglia, il papoi aggettivi sostantivati come il giallo- rapiglia _» i parapiglia («non c’era neanrosso ‘giocatore o tifoso della Roma’ -> i che da credere [..] che potessero esservi giallorossi, il bianconero ‘giocatore o tifo- avvenuti tutti quei formidabili e storici arapiglia» Linati, Sulle orme di Renzo so della Juventus’ —> i bianconeri («nasce il primo pericolo per i bianconeri», «Cor- [,ed altre prose lombarde]), il toccasana _» riere della Sera», 23.10.1986, 23), ispirati

i toccasana, ecc.

ai colori ufficiali delle squadre. 145. V. VERBO+NOME PLURALE (guardasi— gilli, portapenne); i composti con base verbale e sostantivo plurale, del tipo cavatappi, fermacarte, guardasigilli, ecc. rimangono invariati nel plurale: il battipanni —> i battipanni, il guardasigilli —> i guar— dasigilli, il guastafeste _» i guastafeste, ecc. Controversa rimane l’origine di queste basi verbali invariabili: cfr. XV.123. 146. VI. VERBO+NOME SINGOLARE MASCI—ir LE (grattacapo, corrimano); il composto forma un blocco unico e nel plurale muta la desinenza del sostantivo: il grattacapo _» i grattacapi («Ah, non voglio più grattacapi, niente più lavoro!» Pirandello, Maschere nude), il passaporto -> i passaporti («Il Ministro per li affari esteri, in circostanze eccezionali ...] può sospendere temporaneamente o disporre il ritiro dei passaporti già rilasciati» Codice Penale, Appendice, Passaporti art. 9), il para— fango -> i parafanghi, ecc. Si inseriscono in questo gruppo anche i nomi composti con base verbale+il fem-

149. IX. PAROLA INVARIABILE (avverbio o preposizione)+NOME (fitoribordo, con— trordine); i nomi ottenuti da una preposizione o awerbio+sostantivo non sono, in

realtà, nomi composti in senso proprio, ma piuttosto nomi prefissati (DARDANOTRIFONE 1985: 121). Nel formare il plurale essi possono: a) modificare la desinenza (come awiene perlopiù quando il composto risulta dello stesso genere del nome: il pranzo —> il dopopranzo —> i dopopranzi, la tassa —> la soprattassa _» le soprattasse); b) rimanere invariati (in questi casi, il nome composto è spesso di genere diverso da quello del nome da cui si forma: il sottoscala _» i sottoscala). Ad esempio: nomi del tipo a): l’anticamera _» le anticamere, il contrabbando —-> i contrabbandi,

il contrordine —> i contrordini, il lungarno _» i lungarni, il sottufficiale _» i sottuffciali;

nomi del tipo b): il doposcuola _» idoposcuola, il fimribordo -> i fuoribordo, il sottobottiglia _» isottobottiglia, il sottogo— la —> i sottogola.

minile -mano, a causa della desinenza in -

o: l’asciugamano —+ gli asciugamani, il

150. Come si comportano, infine, i nomi

corrimano _» i corrimani, il baciamano -> i baciamani, ecc.

che risultano dalla fusione di più di due parole? Vediamo qualche caso particolare: a) Nei nomi ficodindia, pomodoro abbia— mo l’esempio più tipico di composizione nome+preposizione+nome. In ficodindia è molto vivo il senso della composizione:

147. VII. VERBO+NOME SlNGOLARE FEMMIMLE (cavalcavia, portabandiera); il com— posto rimane invariato nel plurale: il cavalcavia —> i cavalcavia, il portacenere —>i

III. Il nome

perciò il plurale più comune è fichidindia (in cui awertiamo ancora distintamente “fichi - d’ - India’: anche la scrizione separata fico d’India —> fichi d’India è molto comune). Ben diverso è il caso di il pomodoro ( gli automotocicli, l’au— toferrotranviere —> gli autoferrotranvieri, ecc. c) Tra i nomi composti con due basi verbali (gruppo VIII) ve ne sono alcuni che rientrano nei conglomerati (cfr. XV.134: un tira e molla, il vai e vieni, ecc.): anch’essi, come i composti semplici, riman-

112 mati da due o più parti uguali: i calzoni (e i pantaloni), le mutande; le forbici (ma anche la forbice con valore metaforico: «la forbice tra costi e ricavi»); gli occhiali; le redini; le manette e il letterario le nari

(mentre si può avere la narice destra / si— nistra —> le narici). Per gli oggetti di vestiario, come ricorda FOGARASI 1984: 194, si può dire un pantalone, un occhiale per indicare una delle

due parti di cui essi constano. Accanto a quest’uso, ricorderemo quello, più recente, del singolare per designareun singolo paio’, oppure ‘un singolo tipo’ (di occhiali, pantaloni, ecc.): «quello è un impiegato del catasto, si vede subito dall’occhiale» (Arbasino, Le piccole vacanze); «preferisce un pantalone sportivo o elegante?». b) I nomi che indicano una pluralità di oggetti o di eventi: idintorni (e le vicinanze), le masserizie, le percosse (e la voce letteraria e dell’uso toscano le basse: «pregandola che senza farsi conoscere quelle busse pazientemente ricevesse» Boccaccio, Decamerone, VII 8 16), le spezie, le stoviglie, le vettovaglie, le viscere, i viveri, ecc.

c) Nomi d’origine dotta, che già in latino erano difettivi di singolare: le calende, le idi, le none, e le ferie dell’antico calenda-

rio romano (solo le ferie ‘i giorni delle solennità festive’ ha conosciuto modernamente un uso estensivo come ‘periodo annuale di riposo dal lavoro’); gli annali, le esequie, le nozze, i posteri (anche al singolare..talvolta con connotazione scher-

gono invariati nel plurale.

zosa: «lessi una volta [...] un racconto immaginario in cui l’autore fingeva d’essere un postero» Bigiaretti, I figli, «legge Vir-

Nomi difettivi di singolare o di plurale

gilio e Baudelaire, che sono, se non erro,

trai suoi preferiti, e anche i contempora— Alcuni nomi si usano quasi esclusivamen- nei, ma con distacco e con opinioni da pote nella forma singolare o in quella plura- stero» Piovene, Inverno d’un uomo le. I motivi di queste restrizioni d’uso van- felice), ecc. no ricercati volta per volta nella semanti— d) E solo plurale, o perlomeno dovrebbe ca, nelle caratteristiche dell’oggetto cui il esserlo nel suo uso più corretto, anche le nome si riferisce (designatum), nel conte- assise “assemblea di alte personalita’: sto d’uso, e via dicendo (tuttora utile FOR- «Da domani le prime assise del pc dopo NACIARI 1881: 1449, che riprendiamo in la morte del dittatore albanese» («La molti punti). Repubblica», 23.11.1986, 14). Càpita però di incontrare un singolare la assise 151. I. Si adoperano quasi solo al plurale (da cui si ha, meno frequentemente, il (nomi difettivi di singolare): plurale le assisi): «Umberto Albini non è a) I nomi che si riferiscono ad oggetti for- un docente superstar che ha trasformato

113 con astuzia un insegnamento per pochi in un’assise affollatissimu» («L’Espresso», 10.5.1987, 115). 152. II. Si adoperano quasi solo al singolare (nomi difettivi di plurale): a) I nomi che si riferiscono ad oggetti o entità unici in natura: l’Equatore, l’Universo (anche se esiste in Fisica una teoria degli Universi paralleli; e possiamo dire, con senso traslato: «lo studio di Aristotele mi ha aperto nuovi universi»); l’est o levante o oriente, l’ovest, ecc. b) Alcuni nomi di malattia, come la malaria, il tifo, il vaiolo, ecc.

c) I nomi degli elementi chimici e dei metalli: l’alluminio, l’argento, il mercurio, l’oro, il rame, il titanio; l’ossigeno, lo zolfo.

d) I nomi dei mesi: gennaio, febbraio, marzo, ecc. e) I nomi collettivi, di uso stabile (il fogliame, la gente, la prole, ecc.) o occasionale: il capello (col valore di ‘capelli’: «lancia in resta e capel biondo, / per boscaglie a lungo errò» Prati, Poesie varie; ma anche nell’uso corrente, per es. dal

barbiere: «Come lo facciamo, il capello?»), l'occhio (‘gli occhi’: «Tu anurro hai l’occhio, Tosca ha l’occhio nero!» Illica— Giacosa, Tosca, in PUCCINI-FERRANDO

1984: 174), ecc. f) Buona parte dei nomi che si riferiscono a prodotti alimentari: il grano, il latte, il miele, il pane, il pepe, il riso, ecc.

g) In generale, i nomi astratti (cfr. III.6): l’amore, il coraggio, l’onore, la pazienza,

la superbia, ecc. 153. L’uso di alcuni di questi nomi difettivi come plurali può determinare un no-

II]. Il nome

tevole cambiamento di significato. Per esempio: a) l’oro, l’argento, il ferro, ecc. possono adoperarsi al plurale col significato di ‘oggetti lavorati in oro, in argento, ecc.’ («gli ori degli aztechi»). Il plurale ferri designa gli ‘attrezzi ed utensili’: «i ferri del mestie— re»; «era un gran lavorare di pietre, di fer-

ri (i primi che coloro avevano potuto procacciarsi per la strada)» (Manzoni I Promessi Sposi, XII 28);

b) il miele, il riso e gli altri nomi di prodotti alimentari diventano plurali quando ci si riferisce a ‘singoli tipi di miele, di riso,

ecc.’ («i mieli di montagna hanno di solito un )sapore più amaro di quelli di pianu— ra» ;

c) il nome gente si adopera al plurale nel senso di ‘popolazioni’, in particolare nell’uso poetico: «molte genti fé già viver grame» (Dante, Inferno, 151); d) i nomi astratti possono assumere nel plurale valore singolativo (come per il tipo i mieli, i risi, ecc.): «gli amori degli antichi» (‘le passioni amorose degli antichi’), ecc. Caratteristici dell’uso letterario e poetico sono invece alcuni plurali come le chiome (‘la chioma’: «e ’l capo tronco tenea per le chiome» Dante, Inferno, XXVIII 121), i cieli (‘il cielo’: «0 Padre nostro, che ne’ cieli stai» id., Purgatorio, XI ].), ecc., in cui

non si ravvisa un apprezzabile cambiamento di significato rispetto al singolare, se non una messa in rilievo enfatica. Pro— prie dell’uso anche attuale sono locuzioni come «perdere le forze» (‘la forza fisica’), «prendere le parti di qualcuno» (piuttosto che «prendere la parte»), e via dicen— do (cfr. FORNACIARI 1881: 15).

IV. L’ARTICOLO

1. L’articolo è una parte del discorso che si associa al nome, con cui concorda in genere e numero, per qualificarlo in vario modo (articolo determinativo e indetermi-

nativo). L’articolo determinativo può combinarsi con una preposizione semplice, dando luogo a una preposizione articolata (cfr. IV.77 sgg.). Un’apparente sconcordanza tra articolo e nome può aversi in formule cristallizzate oppure in espressioni del linguaggio pubblicitario o giornalistico nelle quali il sostantivo viene omesso: «un due pezzi» (=un costume a due pezzi); «la due ruote viaggia sulla destra, mentre la 131 deve girare a sinistra» («Corriere della Sera», 21.3.1987, 1;=la motocicletta). L’articolo è presente in molte lingue del mondo, ma non in tutte: mancava, ad esempio, in latino e in antico indiano e manca, oggi, in ceco e finnico. Quasi tutte le lingue europee che ne fanno uso lo collocano davanti al nome, come l’italiano; ma alcune, come il rumeno e il dane-

se, pospongono l’articolo determinativo (così, all’italiano ‘l’uomo‘ corrisponde in rumeno omni e in danese manden).

nome in modo specifico e individuale e il secondo in modo generico. Chi domanda «Un caffè!» al bar fa una richiesta precisa che non potrebbe essere meglio «determinata»: eppure la fa servendosi dell’articolo indeterminativo un. In che consiste, allora, la diversità tra il (la, la) e un (una,

una)? L’uso dell’una o dell’altra serie di articoli è legato a due meccanismi fondamentali (RENZI 1976): (I) l’opposizione «classe» / «membro» e (Il) l’opposizione «noto» / «nuovo». I. Nel primo caso il indica la classe e un il singolo individuo che ne faccia parte. Userò il nella frase «il leone e il re degli animali» perché l’articolo determinativo è richiesto dallo «status di classe (o di specie) che si attribuisce al leone (e che lo rende equivalente a un plurale: i leoni; o addirittura a tutti i leoni)» (RENZl 1976: 7), mentre nella frase «ho visto un leone per le scale» l’articolo un «indica che si tratta di un membro (individuo) di quella classe». In alcune frasi può ricorrere il o un senza sostanziali differenze di significato:

Oltre che con i nomi comuni, l’articolo si

impiega con i nomi propri, obbligatoriamente (il Tevere, la «Scala» di Milano) o facoltativamente (Manzoni / il Manzoni, Teresa / la Teresa), e con qualunque altra

1. «il cane è un fedele amico dell’uomo» 2. «un cane è un fedele amico dell’uomo»

3. «voglio comprarmi un cane» 4. «voglio comprarmi il cane»

parte del discorso che viene, così, sostan-

tivata (cfr. HLS). 2. La differenza tra articolo determinativo e indeterminativo non consiste propriamente, come farebbero pensare i due termini, nel fatto che il primo designa un

La prima proposizione di ciascuna coppia presenta lo stesso contenuto della seconda, ma da un diverso punto di vista. Infatti, rispetto alle frasi (l) e (3), che realizzano la consueta opposizione «classe» / «membro», le frasi (2) e (4) esprimono un

115

IV. L’articolo

concetto analogo: ma in (2) il giudizio sul— la proverbiale fedeltà del cane si concreta

Naturalmente, se segue una specificazio— ne che renda già noto ciò di cui si parla,

in riferimento a un singolo cane ideale,

avremo il: «il cane di tua sorella», «il cane che ho visto ieri». Allo stesso modo, l’av-

prelevando dalla massa un individuo astratto; in (4). viceversa, il parlante non ha in mente un cane determinato ma, si potrebbe dire, il cane come istituzione, le-

gato a una certa funzione (da compagnia, da guardia, da caccia..) quasi come una delle tante suppellettili domestiche di cui ci serviamo quotidianamente (e in modo analogo diciamo: «voglio comprarmi un / il televisore, ferro da stiro, asciugacapelli», ecc.). Il. Nel secondo caso, il si riferisce a qual—

cosa di «noto», o che si dà per noto al nostro interlocutore, un introduce un dato

«nuovo», inatteso. Dirò ad esempio: «bisogna portar fuori il cane», alludendo al cane di casa e dando per scontato che il destinatario del messaggio sappia o presupponga che io possiedo un cane. Per un basterà ripetere un esempio precedente («voglio comprarmi un cane»), in cui l’articolo indeterminativo contrassegna, oltre che il singolo membro rispetto alla classe, anche il dato «nuovo» dell’informazione.

ventore di un bar chiederà «Un caffè!» come dato «nuovo» rispetto ad altre possibi— li consumazioni («un cappuccino!», «una grappal», ecc.); ma potrà anche domanda— re «Il caffè!» se si tratta di un frequentatore abituale, che intende solo richiamare ciò che il barista già sa o si aspetta per avere altre volte servito lo stesso cliente. Va da sé che la distinzione non può essere rigida. Ricevendo un ospite a casa no— stra, potremo chiedergli sia «Prende un caffè?», sia «Prende il caffè?». Alle dieci di mattina, l’ora classica del caffè, ci verrà

forse più spontanea la seconda domanda (con il che marca il «noto», l’abituale; e

infatti una delle risposte negative più frequenti è: «Grazie, l’ho già preso», con implicita conferma del carattere quasi rituale del caffè bevuto a quell’ora del giorno). Alle sette del pomeriggio, l’ora dell’aperitivo, l’offerta del caffè è meno prevedibile e, se viene fatta, richiederebbe piutto-

sto l’articolo un.

Forme dell’articolo 3.

SINGOLARE

PLURALE

DETERMINATIVO

INDETERMINATIVO

MASCHILE

FEMMINILE

MASCHILE

FEMMINILE

il, lo, (l’)

la, (I’)

un, uno

una, (un’)

i, in

Le norme che regolano la scelta dell’articolo (e delle preposizioni articolate, cfr. IV.77 sgg.) sono le seguenti: 4.1. A1 femminile singolare la e una possono alternarsi con la variante elisa davanti a vocale: la casa, l’erba; una donna,

un’amica. L’elisione di la davanti a vocale, benché sempre raccomandabile, talvolta non è praticata nell‘uso scritto (specie giornali— stico: SERIANN] 1986a: 58-59). Da un recente sondaggio su due numeri di quotidiani sono emersi 19 esempi del tipo la

urgenza di fronte a 45 del tipo l’urgenza (BRUNET 1979: 42 sgg.); ancor più frequente sembrerebbe la mancata elisione con l’indeterrninativo una. Al plurale, le è di uso generale. Già cinquant’anni fa Bruno Migliorini osservava che «la forma apostrofata comincia a prendere una sfumatura di sostenutezza,

di pretenziosità, o viceversa di pronunzia plebea: l’armi [...], l’ali sanno di letterario, l’ernie di troppo popolare» (MIGLIORI… 1938: 68; BRUNET 1979: 43—44). 5. II. Gli articoli determinativi maschili il

116

IV. L’articolo

e i e l’indeterminativo un si usano davan— ti a parola cominciante per consonante semplice (ilfosso, un secchio, i papi) o per consonante diversa da s seguita da l o r (il cloro, un trono, i Greci).

sia peccato il dire isguardi dovrebbe, come s’è fatto di altre, cancellarsi, perché

mancante di ragione; e per conseguenza lasciar libero di dire gli sguardi e isguardi, come più allo scrittore talenta» (cit. in

Lo / gli e una si adoperano: a) Davanti a vocale (lo e una nella va-

VIAN11858: 105; si veda anche MOISE 1878:

riante ridotta, l’oro, un eroe; gli è ormai

neo, da non imitare, è citato in BRUNET

quasi sempre invariabile anche davanti a parola cominciante per i: gli Italiani, meno comunemente gl’Italiani, e sempre gli animi, gli Ebrei, ecc.) e a semiconsohante (interi davanti a i-: la Ionio, una iato; ridotti davanti a u-: l’uomo, un uovo). A differenza di quel che s’è detto per la, l’elisione di lo davanti a vocale deve considerarsi obbligatoria: *la ingegno è inac-

1979: 30 («i scivoloni» in Pavese, «dei Scipion)i» nell’etnologo Ernesto De Martino, ecc. . c) Davanti a n palatale /_n/ e a z sorda e

175). Qualche raro esempio contempora-

sonora: lo gnu, lo zio, uno zero.

Come per l’articolo davanti a s+consonante, l’uso di lo / il e di uno / un davan-

ra le varianti minoritarie il («il Jugoslavo» P. Levi, cit. in SATTA 1981: 118) e [’ («Fia—

ti a 2 era molto oscillante ancora nel secolo scorso (MOISE 1878: 171). Oggi sarebbero considerate erronee forme come «il zappatore» (Leopardi, Il sabato del villaggio, 29), «un zanzariere» (D’Annunzio, Trionfo della morte, 53), «il Zanichelli» (Carducci, cit. in MIGLIO-

to» Calvino, Ti con zero), lo e il rispettivo

RIN] 1963a: 704) o «un zittio» (Serao, Il

plurale gli sembrano ormai le forme pre-

romanzo della fanciulla, 15). Davanti a gn- si possono trovare il/i e un popolarmente (specie in gnocco, gnocchi), e di tanto in tanto anche in testi letterari: «i gnocchi» De Marchi, Esperienze e racconti (lo stesso vale col pronome dimostrativo: «quel gnocco di Alessio» M.

cettabile nell’uso scritto, così come lo sa-

rebbe nella lingua parlata. Davanti alla semiconsonante /j/, pur sussistendo anco-

valenti, almeno nell’uso scritto se non

nella codificazione grammaticale (BRUNET 1979: 51-52). Più oscillante l’articolo indeterminativo maschile: se una è prefe— ribile, un è però tutt’altro che raro: «un iato» (Sinisgalli, Furor mathematicus), «un iettatore» (D’Annunzio, Prose di romanzi; Gozzano, Poesie e prose; Panzini,

Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni), «un iota, un jota» (Fogazzaro, Leila; Papini, Giudizio universale). Abbastanza stabili, al femminile, la e una senza elisione: «la Jo-

le» Cassola, «la Juve» (in BRUNET 1979: 53). b) Davanti a s complicata (ossia seguita da altra consonante: lo sbirro, lo scatta, lo

sforzo, lo slargo, una stivale, uno Svizzero) e a s palatale l_[/ graficamente sci-. sc(e)- (lo sci, lo sciame, lo sceicco, uno scimunito). La stabilizzazione di lo / gli e uno in questi due casi è piuttosto recente. Nel secolo scorso non era raro trovare, specie presso

Zurletti, «La Repubblica», 21.3.1986,

24), «il gnomo» Pascoli, «un gnaulio» Linati, Memorie a zig-zag, «il Gnei» Calvino, Racconti, 301.

d) Davanti a x (grafia che rappresenta un gruppo di velare+sibilante, cfr. 1.155) e ad altri rari gruppi di consonante che non abbiano [ o r come secondo elemento; x:

lo xenofobo; pn: una pneumococco; ps: uno psicologo; pt: lo ptialismo; ci: lo elenidio; mn: lo nmemonismo; ft: lo ftalato. Piuttosto stabili — benché non di uso generale — gli articoli lo e una davanti a x (ma «un xilofono» in Pratolini: BRUNET 1979: 37) e a ps («uno psicanalista» Can— cogni, cit. in BRUNET 1979: 37, «lo psicodramma» «Panorama», 16.3.1986, 54; con

la preposizione articolata: «il commento

scrittori settentrionali, sequenze come «i

dello Pseudacrone» Paratore, Lett. latina,

stemmi» e «un spergiuro» (Foscolo, Berchet: MIGLIORINI 1963a: 629) e ancora «un scialle» nell’Amica di nonna Speranza di Gozzano, 23. Il grammatico Luigi Fornaciari scriveva nel 1850: «la regola delle grammatiche nostre, la quale pone che

435, ecc.). Con pn, invece, sono più frequenti nella lingua familiare il e un, specie col sostantivo pneumatico (esempi da giornali e anche da testi letterari in BRU— NET 1979: 38—39). Ma non mancano esempi dell’uso più sorvegliato, anche nei quo-

117 tidiani: «uno pneumatico», «gli pneumatici» («La Repubblica», 31.8.1986, 13 e 1213.10.1986, 15).

IV. L’articolo

western (cfr. anche Fiorelli, in CAMILLI-FIORELLI 1965: 194 n. 304).

Sigle Nomi stranieri

Con le sigle possono presentarsi vari casi: 6. Con i forestierismi si usa, in generale,

l’articolo che si troverebbe in una parola 9. Sigle in cui la prima lettera è una vocaitaliana iniziante con lo stesso suono: il le (AUC, ENI, DLP, USA). Quale che jazzman, il chador (come il giallo, il ciam— ne sia la pronuncia (olp] oppure [a-sllebellano), ma lo champagne, lo smoking pi], ecc.) si usano gli articoli prevocalici [’, (come lo sciame, lo smottamento). gli, un nel numero e genere richiesto da quella particolare sigla: un UFO, la USL 7. Più difficile regolarsi davanti a h, che 0 l’USL, gli USA. ora è muta (per esempio nelle voci latine e in gran parte di quelle francesi), ora è 10. Sigle che cominciano con una conso— aspirata (come in inglese e in tedesco; cfr. nante. Distinguiamo due possibilità: 1.134). Sarebbe opportuno usare [’ e un a) Se le sigle sono pronunciate o possono nel primo caso (come si fa per le parole essere pronunciate come una sola parola italiane con iniziale vocalica) elo, una nel

(FIA T, DIGOS, MEC o anche PSI letto

secondo, per analogia con quel che avviene davanti a gruppi consonantici esotici (cfr. IV.Sd). Quindi, da un lato: «l’habeas

[psi]), esse vogliono l’articolo preconsonantico nel genere richiesto da quella particolare sigla e, con le sigle maschili, nella forma richiesta nella consonante o

corpus» D’Annunzio, Prose di ricerca, di lotta, di comando, Croce, Storia d’Europa nel secolo XIX, «dall’harem» Cassieri

(cit. in BRUNET 1979: 50); dall’altro: «sullo Hegel» Croce (cit. in BRUNET 1979: 49), «lo Hitler» Spini, Disegno storico, III 410.

Sempre l’ e un andrebbero usati nei derivati con suffisso italiano: «un heiniano»

dalle consonanti iniziali: la FIA T, il MEC, lo SME, il PRI (SATTA 198]: 118 osserva

giustamente che nel caso di PS1 l’articolo è il per effetto del sostantivo soggiacente, «partito», anche se le parole comincianti per ps- n'ehiedono lo: cfr. IV.Sd). b) Se invece le sigle sono pronunciate per

Carducci, «dall’hitlerismo» Croce, Scritti

lettere distinte, avremo il e un quando il

e discorsi politici. Ma gli esempi di usi diversi da questi sono tutt’altro che rari e sono imputabili, almeno in parte, all’incertezza sul valore fonetico di h nel ter— mine straniero.

nome della prima lettera cominci per consonante: il CNR ([tji - enne - crre]), un BR ([bi - erre]). Con le lettere il cui

& Altro punto critico, l’uso dell’articolo

st’ultimo caso, è costante l’uso di il, un,

11. Per il maschile, noteremo (con BRUNET 1979: 59-60) che in uno stesso testo di M. Pantaleone figurano due esempi con— trastanti: «il FBI» e «l’FBI» (pronunciato probabilmente all’inglese: [ef - bi - ai]). Possiamo aggiungere «l’Sdi» («Strategic

CCC. («alle tribù dei Waliangulu» «Oggi»

Defense

cit. in BRUNET 1979: 56; «il Weber» Ciccia,

24.3.1986, 12) accanto alla variante «allo Sdi» («La Repubblica», 25.3.1986, 12). Anche il «Movimento Sociale Italiano» è accompagnato nella grande stampa na—

davanti a w, che, come sappiamo (cfr. I.154), può corrispondere ora a u semi— consonantica (come nell’ingl. windsurf), ora a v (come nel ted. Wagner). In que—

nome abbia iniziale vocalica, l’uso e mol-

to incerto.

Initiative»;

«Il

Gazzettino»,

St. musica, 175). Il è molto frequente anche nel primo caso, invece della forma elisa I' che ci as etteremmo: «il weekend» La Capria (Bit. in BRUNET 1979: 55—

zionale ora da il (il MSI, il Msi, il msi) ora

56), «i wargames» «Stampa-Tuttolibri»

da l' (l’MSI, ecc.).

(cit. in CORTELAZZO-CARDINALE 1986: 205). Con l’indeterminativo si ha la normale forma apocopata un: un whisky, un

12. Con l’articolo femminile, l’elisione è possibile (ma è rara) per le sigle in cui il

IV. L’articolo

118

nome della prima lettera abbia iniziale

con forte accento, ha lo stesso valore di

vocalica: la FLM o l’FLM, la RS] 0 l’RSI, ma solo, owiamente: la DC, la BNL, ecc.

dieser ‘questo’. Con ogni probabilità, le due forme concorrenti lo e i! presuppongono un’unica base anteriore, lo, derivata dall’accusati-

«Gli dei»

vo maschile ÎLLUM, per aferesi della prima sillaba; questo lo, preceduto da parola

13. Con dei, plurale di dio, l’articolo e gli, non i, come sembrerebbe naturale. Ciò si

terminante per vocale, tendeva a ridursi

deve a un riflesso della forma antica 0 letteraria iddio, usata non solo in riferimen—

al semplice ]: «l’i di il potrebbe essere dovuto, in un secondo momento, al bisogno di un appoggio vocalico per ’l» (ROHLFS

to al ‘Signore’ (unica accezione oggi corrente), ma anche per indicare una divinità pagana («O bello idio [.] Amor» Poliziano, Stanze cominciate per la giostra di Giuliano de’ Medici) o con generico valo-

15. A] maschile plurale la lingua arcaica, oltre a i e a gli, presentava anche li («li

re ammirativo («Tu, tu piccolo Iddio»,

due fratelli» Boccaccio, Decamerone, «li

estremo saluto di Madama Butterfly al figlioletto nell’omonima opera di Giacosa e Illica: cfr. PUCCINI—FERRANDO 1984: 282). L ’iddio — frutto di assimilazione da un anteriore il dio — ha generato un plurale regolare gl’iddei, di cui gli dei rappresenta «una grafia impropria» (Fiorelli, in CA-

stornei» Dante, Inferno). Nella lingua poetica si possono cogliere residui esempi di [i ancora in Pascoli («li agli», certo per evitare un cacofonico gli agli) e in D’Annunzio, Versi d’amore e di gloria («li usi— gnoli»). Una citazione dantesca implicita (Pargatorio, VII 121) si riconosce nell’espressione per [i rami, di uso non comune ma nemmeno troppo insolito: «a riprova che l’ingegno può discendere per li rami, quella bimbetta [Giulia Beccaria] era destinata a diventare la madre di Alessandro Manzoni» (L. Firpo, in «Corriere del-

MILLI-FIORELLI 1965: 195; cfr. anche BRU-

NET 1979: 23-24). Nella tradizione letteraria è molto comune il plurale i dei (per esempio: «esaltato l’avea fin sopra i dèi» Ariosto, Orlando Furioso, XXIII 29), e ancora nell’Otto-

cento la prescrizione dell’articolo gli con dei poteva essere giudicata una pedanteria degna di «cerusici o flebotomi della lingua» (VIANI 1858: 106; cfr. anche MOISE 1878: 173).

1966-1969: 414; si veda inoltre AMBROSlNI

1978).

la Sera», 21.2.1987, 2; cfr. anche BRUNET

1979: 4). Nel linguaggio burocratico sopravvive [i ‘i’ nelle date («Napoli, li 6 maggio 1987»); scrivere lì con accento, come talvolta si fa,

è errato: è meglio sopprimere senz’altro L’etimo di «il» e «lo». Usi arcaici

l’articolo o, semmai, usare il maschile sin-

golare il. 14. Storicamente, l’articolo determinativo

italiano continua il pronome latino ÎLLE, ILLA, ÎLLUD ‘quello’ (per sopravvivenze nell’italiano d’oggi dell’antico valore pronominale cfr. IV.17), secondo un proces-

so di trasformazione del dimostrativo che trova vari riscontri nelle lingue indeuropee e non indeuropee. Si pensi al greco classico, in cui l’articolo ha, he, té mantie-

ne l’antica funzione pronominale, che era ben viva in Omero, in particolari usi: ho mén ho dé ‘l’uno l’altro‘; oppure al tedesco, in cui l’articolo der, die, das deri-

va da un anteriore dimostrativo e può ancora essere usato in questa accezione: per

esempio in der Mann, «der», pronunciato

16. Nell’italiano antico la distribuzione di il e lo era diversa da quella attuale, anche se non è facile stabilire regole sicure (e per i poeti c’è sempre da tener conto di ragioni metriche). Comunque, possiamo osser— vare che lo era molto più frequente di il all’inizio di frase o di verso e dopo parola terminante per consonante. Si vedano questi esempi danteschi: «Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno» (Inferno, II 1;

posizione iniziale), «Non impedir lo suo fatale andare» (Inferno, V 22: dopo consonante); ma, dopo vocale: «che m’avea di paura il cor compunto» (Inferno, I 15). Dopo per l’uso di lo e lì è durato molto a

119 lungo (giungendo sino a noi nelle formule cristallizzate perlopiù e perlomeno): abituale in Leopardi, 11 passero solitario («Odi per lo sereno un suon di squilla») e nel giovane Carducci, Lettere, compare talvolta anche nella prima edizione dei Promessi Sposi («per lo migliore», «per lo

IV. L’articolo bastanza frequente nei secoli scorsi, per il quale l’articolo si unisce a un aggettivo che regge unîapposizione preceduta da di: «il [quel] cattive] d’Andreuccio» (Boccaccio, Decamerone, Il

5 58), «il [quel] fastidioso di suo cognato» (Bandello, cit. in MlGLIOR1NI 1963a: 392), «lo [quello] spensierato d’Attilio» (Manzoni, I Promessi Sposi, V 27).

che», modificati nell’edizione definitiva:

VITALE 1986: 29; su per la nel secolo scorso cfr. anche MIGLIORINI 1963a: 630 e 705).

Sintassi dell’articolo determinativo: I. Funzione dimostrativa

17. Talvolta la funzione dell’articolo (e della preposizione articolata, cfr. IV.77 sgg.) si awicina a quella di un pronome o aggettivo dimostrativo, rinnovando in parte alcuni usi del dimostrativo latino ÎLLE. Ecco i casi più notevoli: a) In proposizioni sovraordinate che reggano una relativa limitativa (cfr. XIV.249): «le città [=quelle città] che ho visitato»; «Tomami a mente il di [=quel di] che la battaglia / d’amor sentii la prima volta» (Leopardi, Il primo amore, 1-2). b) In unione con un aggettivo, quando il sostantivo sia sottinteso: «Or fu già mai / gente si vana come la [gente] sanese?» (Dante, Inferno, XXIX 121-122); con preposizione articolata: «l’uomo vecchio

si trovò d’accordo col [con l’uomo] nuovo» (Manzoni, I Promessi Sposi, VI 13). c) In alcune frasi esclamative, con funzio-

ne deittica: «Oh la bugiarda! la bugiardona!» (Manzoni, I Promessi Sposi, VIII 7); «Oh! l’atroce dipartita!» (Gozzano, L’alti-

19. Nel Cinquecento e nel Seicento, per influsso spagnolo, ebbe qualche diffusione l'uso dell‘articolo con ellissi del sostantivo: «la di Spagna» (sottinteso: «verità solarissima», «questa verità e solare»; cfr. MIGLIORI… 1963b:

145—167; per la posizione dell’aggettivo di relazione cfr. V.31).

Cecchi Gori; Tullio Kezich, nella «Re-

pubblica», 4.11.1986, 30). — Nel linguaggio politico, -iano denota ‘appartenenza ad una corrente politica’, guidata dal personaggio cui si fa riferimento: gli andreot— tianì, i fanfaniani, ecc. (dai cognomi degli esponenti democristiani G. Andreotti e A. Fanfani); «chi avrà scritto questa lette— ra sovversiva? un autonomo di Via dei

8. Nel modificare semanticamente un nome, l’aggettivo ha funzione attributiva,

no di Lotta continua?» (G. Zincone, «Eu-

cfr. 11.45. Quando si collega ad un verbo, esso può avere funzione predicativa o funzione avverbiale. La funzione predicativa dell’a gettivo si attua nel predicato nominale in unione con verbo essere: «la tua auto è veloce») 0 nel complemento predicativo con i verbi effettivi («Mario sembra felice», «mi rie-

ropeo», 29.11.1986, 7; dal cognome del

sce difficile crederti»), appellativi («Vedi

deputato comunista A. Cossutta). — Con nomi di autori che hanno fondato corren-

di non chiamare intelligenti solo quelli che la pensano come te» Ojetti, Sessanta, «posso dirmi felice»), estimativi («10 giu-

Volsci, un comunista cossuttiano, un orfa-

ti di pensiero, letterarie, ecc., -iano può talvolta indicare, restrittivamente, ciò che

è proprio dell’autore, in opposizione a ista, che designa la corrente di pensiero nel suo insieme: «la dottrina marxiana (‘i principi filosofico-politici enunciati da Marx’) / «la dottrina marxista» (‘i principi filosofico-politici che ispirano il movi— mento marxista’). Se già con —iano, suffisso che si collega ad una sola classe di parole, la raggiera di relazioni semantiche derivanti dal valore di base è così ampia, con altri suffissi l’individuazione di tale valore è addirittura impossibile; bastino ad esempio le due coppie)di derivazioni seguenti (N sta per nome : (a) N=ritmo _» ritmico ‘che ha N., che è prodotto da N’ (b) N=elettricittì —> elettrico ‘che funziona per mezzo di N' (a) N=ferro -«> ferroso ‘ricco di N’ b) N=noia —- noioso ‘che suscita N’

7. Sulla scorta di analoghe considerazioni compiute per il francese da Ch. Bally, il Migliorini ha identificato per l’aggettivo di relazione italiano due importanti restrizioni grammaticali: 1) esso non può essere soggetto a gradazioni (ad esempio

dico utile»), ecc., cfr. 11.42.

La funzione avverbiale si ha quando l’aggettivo, trattato come indeclinabile, mo-

difica attraverso il verbo l’intero significato della frase («Mario parla difficile», «le automobili correvano forte»; per l’aggettivo usato come avverbio cfr. XII.24). Per l'opposizione tra funzione distintiva (o restrittiva) e funzione descrittiva cfr. V.32.

Genere e numero dell’aggettivo qualificativa La flessione grammaticale dell’aggettivo qualificativo ricalca, in modo più semplice e meno articolato, quella del nome. Possiamo distinguere le classi seguenti: 9. 1. Prima classe. E costituita da aggettivi a quattro desinenze: maschile singolare —o - femminile singolare -a / maschile plurale -i - femminile plurale -e (ad es. bello - bellal belli - belle; corrisponde alla classe dei nomi maschili in -o e femminili in -a del tipo gatto - gatta / gatti - gatte). 10. Come molti nomi in -o, anche alcuni agget-

138

V. L’aggettivo tivi con la stessa uscita hanno conosciuto nei

significa ‘acuto, che è in grado di cogliere

secoli' passati oscillazioni nella terminazione:

le sfumature più sottili’: «fiuto fino»,

legg(i)ero, attualmente unica forma possibile,

«un’intelligenza fina» (si ricorderà il proverbio: «contadino, scarpe grosse cervello fino»). Fine invece, oltre a condividere con fino il significato di ‘sottile’, vale anche ‘raffinato’ e, in relazione a quali-

si alternava con leggiere e leggieri, e così fiero con fiere e fieri, veritiero con veritiere e veneri, ecc. Con aggettivi oggi solo in -ento (fraudolento, violento) si potevano avere allotropi come violente, frodolente, macilente, turbolente (per influssodei participi in -ente come pungente. ridente, ecc.; cfr. ROHLFS 1966-1969. 396). Per altri più occasionali esempi di aggettivi uscenti in -e invece che'… -o cfr. NANNUCCI 1858; 158-164 e MOISE 1878: 156-158.

tà intellettuali, “ben educato, che ha un

comportamento signorile’: «Amelia se lo era figurato fine e gentile come la moglie e le figlie» (Svevo, Corto viaggio sentimentale), «Era carina, così fine, così ele—

11. II. Seconda classe. Vi appartengono gli aggettivi che hanno due sole desinenze: -e per il maschile e fermninile singolarel -i per il maschile e femminile plurale (ad es. «un problema semplice», «una cosa semplice», «problemi semplici», «cose

semplici»; in corrispondenza dei nomi maschili e femminili in -e del tipo il prete, l’arte / i preti, le arti). Alcuni di questi aggettivi hanno nel maschile singolare un allotropo in -0. Nella maggior parte dei casi non vi è fra le due forme concorrenti alcuna differenza di si— gnificato, come ad esempio negli aggettivi con in- privativo: incolore / incoloro («un oggetto tangibile, che sia incoloro e inodoro» Croce, Nuovi saggi di estetica), insapore / insaporo, ecc. 12. Vi è invece una sensibile differenza fra triste e tristo (quest’ultimo di uso solo letterario): il primo significa ‘afflitto, pri— vo di gioia’ o anche ‘spiacevole’: «uno sguardo triste», «una notizia triste»; il se-

condo, che ha anche un femminile singolare trista, designa chi è ‘sventurato’, ma

ancor più chi è ‘malvagio’, ‘ciò che è di cattivo augurio’: «l’anima trista / di Guido o d’Alessandro o di lor frate» (Dante, In— ferno, XXX 75-76); «in un abbattimento

che faceva un tristo contrapposto alla pompa de’ loro abiti» (Manzoni, I Promessi Sposi, III 9). 13. Meno chiara è la distinzione semantica tra fine e fino (femminile singolare fi-

gante» (Soldati, cit. in BRUNET 1983: 9). 14. Alcune oscillazioni della lingua antica: gli aggettivi che oggi escono unicamente in -estre (palestre, alpestre) potevano uscire anche in estro: «entrai per lo cammino alto e silvestro» (Dante), «uno scudier pedestro» (Boccaccio;

questi e altri esempi letterari in NANNUC‘CI 1858: 117-124). Acre oscillava con acro («che pur per taglio m’era paruto acro» Dante, Purgatorio, XXXI 3; acre, dal latino classico ÀCREM, è for-

ma di origine dotta; la desinenza in -o si ha oggi solo in agro, che continua popolarmente il latino tardo ÀCRUMZ cfr. CORTELAZZO-ZOLL119791 I 17 e 32). Oscillano tutt’ora nell’uso succube, che risentirà del francese succube. e succttbo che è la forma più tradizionale e raccomandabilc («il feto è succttbo dell’ambiente» G. Dorfles, in «Corriere della Sera», 11.8.1986, 3).

15. III. Terza classe. Vi rientrano quegli aggettivi che al singolare escono in —a sia nel maschile sia nel femminile, e che al plurale hanno la desinenza -i per il maschile, -e per il femminile (entusiasta / entusiasti - entusiaste, fascista /fascisti - fasciste: analogamente ai nomi di genere comune del tipo il giornalista - la giornalista / i giornalisti - le giornaliste). Non tutte le grammatiche assegnano gli aggettivi in -a ad una vera e propria terza classe, in quanto essi differiscono dagli aggettivi della prima unicamente per il maschile singolare in -a (nella prima classe li colloca ad es. BARBlERI 1972: 136; li

tratta invece a parte BRUNET 1983: 14-27; altre trattazioni non ne tengono affatto conto).

na), e anche tra i grammatici, come fa no-

tare BRUNET 1983: 7—9, non vi è su questo punto accordo generale. Fino sembrerebbe riferirsi a tutto ciò che è ‘sottile’ e ‘minuto’: «seta fina», «spago fino» (ma «oro fino» significa ‘oro puro’); in relazione a qualità morali o a facoltà sensoriali, fino

16. Fanno parte di questa classe gli aggettivi: 1) in -ista: «un carattere pessimista», «le forze nwrxiste»; 2) in —cida: «la mano omicida», «le azioni suicide dei terroristi»;

3) in -ita, con i tonica («il popolo vietnamita») e atona («un atteggiamento ipocri-

139

V. L’aggettivo

ta»); 4) in -asta («sono entusiasta», «un atteggiamento iconoclasta»); 5) in —ota («un discorso idiota», «le città epirote»). 1 cinque gruppi qui proposti si ricavano da FACHE 1973. Anche in questa classe sono presenti nella lingua antica delle oscillazioni (analogamente a quelle che troviamo peri nomi in —a: cfr. 111.81, con il rinvio a NANNUCC11858: 95-100), del tipo entusia-

sta / entusiasta. epirota / cpiroto, ecc. L’al-

MASCHILE

ternanza ipocrita / ipocrita s’è continuata fino ad oggi, anche se la seconda forma è sempre più rara (un esempio giornalistico: «certo, non si deve fare dell’ipocrito moralismo», «Oggi», 3.12.1986, 23; cfr. anche

BRUNET 1983: 26-27). 17. Il plurale degli aggettivi variabili può dunque riassumersi nel seguente specchietto:

SINGOLARE -0

PLURALE -i

-a

-e

-e

—i

I CLASSE FEMMINILE MASCHILE II CLASSE FEMMINILE MASCHILE III CLASSE

-,— —a

FEMMINILE

-e

18. Aggettivi invariabili. Alcuni aggettivi f) l’aggettivo arrosto (cfr. BRUNET 1983: rimangono invariati sia nel genere sia nel 48): «vitella arrosto», «polli arrosto», «salnumero. Essi sono: a) pari (con le forme derivate impari e di- sicce arrosto». spari): «una cifra pari», «dei numeri di— spari»; «Questa o quella per me pari sono 19. E invariabile nel genere, sempre fem/ a quant’altre d’intomo mi vedo» (Piave, minile, anche l’aggettivo incinta. 11 maschile incinto può adoperarsi solo scherRigoletto): b) alcuni aggettivi di colore: amaranto, zosamente, riferito a un uomo oppure a blu. indaco, lilla, rosa, viola, insieme con un nome maschile che designi una donna: le coppie ‘aggettivo+nome’ del tipo verde «Ebbe in piena strada un titillio di vomito che fece appena in tempo a reprimere. — bottiglia, grigio ferro, ecc., cfr. XV.126d; c) gli aggettivi formati con ‘anti-+nome’: Ci risiamo — pensava, ricordando le tortu«mina anticarro», «fari antinebbia»; «le re di quattr’anni prima. — Se non sono intendenze anti-eroe del ’700» (Chabod, cinto anch‘io» (Borgese, Rube‘); «tu non solo eri incinta ma ti sei sgravato di ‘Luce L’idea di nazione, 17); d) alcune locuzioni avverbiali che assu- d’agosto’» (Pavese, Lettere); «Marcello mono funzione attributiva (formate con Mastroianni nel film: ‘Niente paura, suo le preposizioni da, per, a): «cose marito è incinta’» ( glaciale, detto delle acque di grammaticale la sola vocale terminale del fusione dei ghiacciai), ecc. Il tipo di modisecondo aggettivo. Il primo resta invaria- ficazione del primo aggettivo non è semto, al maschile in —o per gli aggettivi della pre facilmente prevedibile: da anarchi— prima classe: piccolo-borghese _» «idee co+sindacalista abbiamo anarco-sindacapiccolo-borghesi»; «la lunghissima e glo- lista; socialista si abbrevia in social- (soriosa tradizione umanistico-giuridica che cialcomunista, socialimperialista; sul moil Paese presenta» («Il Giornale di Sici- dello degli aggettivi in -le come nazionale, lia», 1121986, 25); nella forma ambige- musicale, ecc.: «un grosso evento musicalnere in -e per gli aggettivi della seconda spettacolare», in «Radiocorriere TV», 23— classe: verdeazzurro -> «sfumature 'ver- 29.11.1986, 122). Dai nomi dei partiti Democrazia Cristiana e Democrazia Prole— deazzurre». taria possiamo avere nel primo caso sia 21. Il primo aggettivo, nella fusione con il democratico-cristiano sia democristiano, secondo, subisce spesso, oltre alla perdita nel secondo solo demoproletario (regidella variabilità flessionale. anche una de- strato in ZINGARELL119S3: 524). Per questi curtazione sillabica. composti cfr. XV.126d. Con gli aggettivi etnici questa decurtazione può comportare il ricorso a basi di on"- 23. Rimane talvolta invariato, come prigine dotta e latineggiante, in luogo del mo elemento di aggettivi composti, anche normale aggettivo di relazione; tra i più mezzo: «pozzanghere mezzo seccate» comuni: Africa (africano) _» afro- («Nella (Montale, I limoni, 5-6). Possiamo però sua versione folklorica come danza afro- anche trovare «scarpe mezze asciutte», cubana la rumba presenta 3 varietà», Di- «bottiglie mezze vuote», ecc. Per altri usi zionario della Musica-Lessico, I 740); Au- di mezzo, come aggettivo numerale e nel— stria (austrìaco) —> austro- («la monarchia le indicazioni delle ore del giorno, cfr. austro-ungarica»); Francia (francese) _— Vl.40b. franco- («le relazioni franco-italiane»; an- Per il plurale degli aggettivi in -co, -go, che in composti occasionali: «un genoci- ecc., vale quanto detto sui corrispondenti dio franco-francese» ‘una strage tra fran- nomi: cfr., per -co, -go, 111.106; per -ca, cesi’, «Europeo», 6.12.1986, 116); Giap- ga, 111.92; per -ia, 111.94-96; per -io, pone (giapponese) -> nippo- (abbrevia- 111.101-104. zione di nipponico, da Nippon, nome ufficiale del Giappone: «una delegazione mi— sta nippa—americana», «La Stampa», cit. Accordo dell’aggettivo qualificativo in BRUNET 1983: 61); India (indiano) _» indo- («le lingue …da-europee»); Inghilter- 24. L’aggettivo concorda nel numero e nel ra (inglese) _» anglo- («la cultura angloa- genere con il nome cui si riferisce: «il gatto mericana»); Italia (italiano) -> italo- nero» - «la gatta nera» / «i gatti neri» - «le («Traffici di droga italo-francesi», «L’A- gatte nere»; «l’uomo felice» - «la donna ferena», 1.12.1986, 2); tra gli aggettivi deri- lice» / «gli uomini felici» - «le donne felici». vati da un nome di regione italiana ricor- Quando l’aggettivo si riferisce a più nomi, diamo: Sicilia (siciliano) —+ siculo- (« oe- si deve distinguere: ti siculo-toscani»); Toscana (toscano _» a) Se i nomi sono tutti dello stesso genere tosco- («l’Appennino tosco-emiliano», l’aggettivo concorda con essi nel genere «città tosco-umbro-marchigiane» Caglia- ed assume il numero plurale: «un uomo d’intelligenza e cultura straordinarie», ritano, cit. in BRUNET 1983: 63). «ho comprato un tappeto e due divani 22. Anche negli aggettivi doppi del lin- antichi», «spregiudicatezza e furbizie proguaggio medico e scientifico in genere prie del nostro personaggio» (Morante, troviamo quasi sempre un primo elemen- cit. in BRUNET 1983: 50). Si parla però di to di origine culta: gastrointestinale (‘rela- Lingua e letteratura francese, Lingua e lettivo allo stomaco e all’intestino’), cortico- teratura angloamericana, ecc., con aggettisurrenale (‘della corteccia del surrene’), vo singolare, per gli insegnamenti attual—

141 mente impartiti nell’Università italiana. b) Se i nomi sono di genere diverso, l’aggettivo assume il numero plurale e, di preferenza, il genere maschile; «tale preferenza» — fanno notare DARDANO-TRIFONE 1985: 133 — «si spiega col valore più vicino al ‘neutro’ del maschile rispetto al femminile» (per il valore neutro-astratto del genere maschile cfr. V.46): «un uomo e una donna straordinari», «Maria ha ca-

pelli e ciglia biondi»; «giunto all’età dei bilanci e delle riflessioni spassionati» (andarci, *farevelo>farvelo) e, se terminante in -rre, la riduzione a

una sola r (*porregli>porgli).

VII. Pronomi e aggettivi pronominali costante con fare e lasciare causativi: «gli faccio fare i compiti» e non *faccio farglii compiti (naturalmente, se c’è obbligo d’enclisi, il pronome si collocherà do 0 il

verbo reggente: «fagli fare i compiti»). 75. La «risalita» è facoltativa in numerosi altri casi. Ricordiamone i più frequenti:

a) In perifrasi con stare (cfr. XI.48a, 74. Quando l’infinito è preceduto da un verbo servile, il pronome atono può appoggiarsi in genere sia al verbo reggente,

XI.48c) che indicano un’azione nel suo svolgersi (stare a+infinito, stare+gerundio) o nella sua imminenza (stare per+in-

come proclitico, sia all’infinito, come en—

finito): «sto a farmi la barba» (Pirandello, Cecè, VII 259), «stammi a sentire»; «stai

clitico (cfr. LEPSCHY-LEPSCHY 1981: 111112; SABATINI 1985: 163-164; BERRETTA

dicendomi una sciocchezza», «La signora

1985b): «lo posso dire» o «posso dirlo».

principessa si sta vestendo» (Manzoni, I

A quanto pare, «con sapere e soprattut—to

Promessi Sposi, X 26); «sta per sposarmi» / «si sta per separare». b) Con molti verbi che reggono un infinito preceduto da preposizione (specie a:

con volere c’è una maggiore tendenza alla posposizione che non con dovere e potere» (SKYTTE 1983: I 93-94). Con un gruppo pronominale i due membri non devono essere scissi: «glielo posso dire» o «posso dirglielo» (ma non *gli posso dirlo o *la posso dirgli). Nei tempi composti l’ausiliare è quello dell’infinito quando il pronome atono è anteposto al verbo reggente («non ci so— no potuto entrare», perché si dice «sono entrato»), può essere quello richiesto dal verbo servile quando il pronome è enclitico («non ho potuto entrarci», come si dice «ho potuto» assolutamente; ma è altrettanto corretto: «non sono potuto en-

trarci»). Se un verbo servile regge due infiniti, si può avere addirittura una triplice possibilità di scelta, a seconda che il pronome atono sia collocato in posizione iniziale («lo devo poter fare»), sia enclitico del primo infinito («devo poterlo fare»), sia enclitico del secondo («devo poter farlo»; è l’esempio citato in BERRETTA 1985b: 194). Si noterà, tuttavia, che in molte altre sequenze l’uso imporrebbe una scelta più limitata, generalmente tra proclisi ed en-

clisi col primo infinito; per esempio: «devi saperti liberare da questi comple55i» / «ti devi saper liberare», ecc. (ma non >“devi saper liberarti, ecc., col secondo infinito enclitico). Con i verbi sembrare e parere la «risalita» del pronome atomo — cioè la sua collocazione prima del verbo reggente — non è possibile: «sembrò riscuotersi» e non *Si sembrò riscuotere. Viceversa, la proclisi è

andare, incominciare, riuscire, venire; ma

anche di in cercare di, finire di): «non riesco a parlargli» / «non gli riesco a parlare»; «venga a dirmele in faccia queste cose!» / «me le venga a dire», ecc. . Sarà bene insistere sul fatto che nei sintagmi formati da un verbo servile e da un infinito — tranne i pochi casi citati sopra — la libertà di collocazione del_pronome atomo è molto ampia, anche presso lo stesso scrivente o parlante e con lo stesso verbo servile. Si vedano i seguenti esempi da Così è (se vi pare) di Pirandello: «con ue] valore che ognuno gli vuol dare» proclisi; V 63) / «nessuno vuol tormentarlo» (enclisi; V 44); «ma non le si deve

far dire così» (proclisi, V 72) / «ma lei deve scusarlo» (enclisi; V 25); «non ci può

essere» ( roclisi, V 89) / «vuol farci irri—

pazzire» enclisi; nella stessa pagina). Sull’uso dei pronomi atoni nelle strutture costituite da un verbo causativo (fare, lasciare) o percettivo (vedere, sentìre)+infinito, nonché sull’ordine e sulla funzione

sintattica delle componenti della frase (ad esempio, introducendo i pronomi in una frase come «ho visto scrivere una lettera da Ada» si potranno avere «ho visto Ada scriverla» e «la ho vista scrivere a Ada»,

ma non *ho visto scriverla Ada, 0 "‘/10 visto scriverla a Ada, ecc.) cfr. LEPSCHY 1978: 41-54. 76. Da evitare, in quanto propria del parlato più sciatto e informale, la doppia pre-

VII. Pronomi e aggettivi pronominali senza del pronome atono in frasi come «ancora una volta mi hanno voluto riconfermarmi la fiducia» (da un’intervista radiofonica citata in BERRETTA 1985b: 194). 77. Nell’italiano antico e nella lingua letteraria fino agl’inizi del Novecento con l’infinito (e anche col gerundio, cfr. VII.78) preceduti da negazione i pronomi atoni si potevano «elegantemente anteporre ai verbi» (morse 1878: 370). Il costrutto, facilmente documentabile per i primi secoli (per esempio in Pulci, Morgante, XXI 50: «Disposta son non vi far villania»), è ancora rinvenibile nei Promessi Sposi (per esempio: «al pericolo di non ci riuscire» VI 34; «guarda di non la disturbare» XXII 5; «non so cosa mi dire» XXIX 24; ma la regola è l’enclisi, come

oggi: «di non parlarne» Il 36, «di non avermi ascoltato» VI 8, «e non dargli luogo» VIS: nella prima edizione «e non gli dar luogo», ecc.), nel Collodi («era travagliato da un febbrone da non si dire» Pinocchio, 54), nel D’Annunzio («bada di non ti erdere» Trionfo della morte,

39) o in C. Levi &non so che mi risolvere», cit. in BRUNEI" 1985: 144).

78. III. Con un gerundio, presente o passato: «vedendola», «ritenendoci», «avendomi

arlato»; «Chi, trovandosi nelle

condizroni richieste per la dichiarazione di abitualità...» (Codice Penale, art. 105), «e quando i soldi non c’erano, ognuno

degli adepti doveva rintracciarli con ogni mezzo: facendoseli dare dai parenti», ecc. («L’Espresso, 6.7.1986, 22). Esempi di gerundio negativo con pronome atono anteposto, secondo il gusto arcaizzante, in Leopardi, Operette morali, 137 («non si ridu— cendo») e ancora in De Amicis, Vita militare, I 133: «non si scotendo, non si movendo per qualunque rumore le si facesse intorm».

184 80. V. Con un participio presente (quasi soltanto col riflessivo si). E costrutto proprio della lingua scritta, in particolare del— la prosa scientifica o burocratica: «una fase di crisi interna, intrecciantesi con gli eventi della guerra» (Spini, Disegno storico. Il 203). Un esempio col pronome gli è citato in BRUNET 1985: 155: «con le sue lunghe calze nere, alte sulla coscia, auto-

maticamente, illogicamente, suggerentigli Silvio Pellico» (Fenoglio). 81. Nell’italiano antico l’enclisi dei pronomi atomi era governata da norme diverse (riassunte dalla cosiddetta «legge Tobler-Mussafia», dal nome dei due studiosi che ne descrissero il meccanismo, rispettivamente nel francese antico e nell’italiano). A parte un gran numero di casi in cui la scelta tra i due tipl era sostanzialmente indifferente (0 al più, in poesia, condizionata da ragioni metriche e ritmiche), si ave-

va obbligo d’enclisi all’inizio di frase o di verso («Stawi Minos orribilmente, e ringhia» Dante, Inferno. III 4) e, con sistematicità via via minore, dopo e, dopo ma, dopo una proposizione subordinata (ad esempio: «Quand’eo li parlo, moroli davanti»=le muoio, nel rimatore dugen— tesco Giacomo da Lentini, cit. in SORRENTO

1950: 149). La distribuzione attuale delle forme pronominali enclitiche e proclitiche è descritta già dal Pascoli, che in una nota della sua antologia Fior da fiore, limita espressamente l’enclisi,

nello «scrivere [...] nativo e svelto e modemo», ai casi visti sopra: cfr. MIGLIORINI 1963a: 710.

82. Un riflesso dell’antico regime del pronome atono nell’italiano contemporaneo può considerarsi l’obbligo dell’enclisi con l’imperativo affermativo (e non con quello negativo, vale a dire solo in posizione iniziale: cfr. VII.70). Residui più marginali si riconoscono nella lingua della piccola pubblicità («Vendesi tricamere zona Ca-

79. IV. Con un participio passato, in funzione diuna proposizione subordinata. Si tratta di un costrutto più frequente nello

nello stile telegrafico («Invitola presen—

scritto che nel parlato: «allontanatami an-

tarsi

cora un ooo dalla stazione, arrivai a una strada» =dopo essermi allontanata; Levi,

«Pregoti», ecc.). In entrambi i casi si tratta di un uso determinato dal desiderio di risparmiare spazio (e quindi denaro).

Cristo si è fermato a Eboli, 78); «ma solo

maldoli...», «affittansi», «offronsi», ecc.) e questo

ufficio»,

«Comunicovi»,

nel Guglielmo Tell [.] il Rossini raggiunge il massimo di quell’adesione al dramma romantico, consentitogli dalla sua natura», ecc. (:che gli era consentito; Cio— cia, St. musica, 164); «mentre inzuccherava la tazza di tè tesain da Angelica» (:che gli era tesa, o che gli era stata tesa; Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 118).

83. Occasionali esempi di enclisi nell’italiano modemo contrassegnano una prosa sostenuta o arcaizzante («la sua este-

riore femminilità [...] erasi, a poco a poco, accentuata, rarefatta, fino a diventare languore o smanceria» Palazzeschi, Sorelle Materassi, 32; «quando il testamento

185 siasi perduto senza loro colpa» Novissima Digesto Italiano, XVIII 820). Più larga accoglienza ha l’enclisi nella poesia del Novecento: «E lo richiamò rumore di penne / Ch’erasì sciolto dallo stridulo / Batticuore dell’acqua torrida» (Ungaretti); «e volgesi / vorace all’ombra vana» (Saba; entrambi in MENGALDO 1981: 402 e 219 . Qualche formula cristallizzata regge meglio di altre, almeno nell’uso scritto: «come volevasi dimostrare», «dicesi», «dica-

si» («e così dicasi. con le stesse cautele, per le ‘costanti’, e polarizzazioni, d’ordine tematico, psicologico, simbolico» MENGALDO 1981: XVIII; «lo stesso dicasi per i poteri di veto, di mercanteggiamento, di ricatto concessi agli enti locali» G. Bocca, nella «Repubblica», 27.2.1987, 8).

Pronomi allocutivi

84. Le forme dei pronomi personali tonici e atomi insieme con gli aggettivi possessivi (cfr. VII.99 sgg.) possono costituire un sistema pronominale autonomo, fornendoci il mezzo grammaticale per rivolgerci a un interlocutore, reale o immaginario. Pronomi allocutivi (da un derivato del lat. ÀLLOQUI ‘rivolgere la parola a qualcuno’) sono innanzitutto i pronomi che potremmo chiamare naturali, perché espressamente riferiti a uno o più destinatari (la 2a persona tu se è uno solo, la 58 persona voi, se sono più d’uno). Ma l’italiano — come molte altre lingue — dispone di allocutivi reverenziali o di cortesia, impiegati quando non siamo in rapporti di confidenza con la persona o le persone a cui ci rivolgiamo. Come i pronomi personali, anche i pro— nomi allocutivi possono essere sottintesi; la distanza dal nostro interlocutore sarà comunque segnata dall’accordo verbale, che potrebbe definirsi l’elemento portante di tutto il sistema allocutivo. I pronomi allocutivi reverenziali oggi correnti sono ella e lei per il singolare e loro / voi per il plurale. Fino a pochi decenni fa (ora soltanto in contesti particolari, cfr.

VII.96) si usava anche il voi in riferimento a una sola persona. L’elemento reverenziale insito nell’uso

VII. Pronomi e aggettivi pronominali del voi e del lei è evidente. Nel primo caso si tratta un singolo come se egli, per i suoi meriti, il suo prestigio, la sua auto-

rità, «valesse per due»; nel secondo. ci si indirizza, astrattamente, alla «signoria»,

all’«eccellenza» dell’altro, quasi fosse troppo ardito rivolgerglisi direttamente. 85. Il latino si serviva sempre del TU, qualunque fosse il livello dell’interlocutore. In età imperiale si diffuse il v6s di rispetto che però, a quanto sembra (NICULESCU 1974: 12-15), non si è continuato nelle lingue romanze che avrebbero ricreato, autonomamente, un sistema oppositivo tu / voi. Nella Commedia Dante usa abitualmente il tu, riservando il voi «a persone per cui mostra il massimo rispetto» (ROHLF51966-1969: 477): per esempio Farinata degli Uberti, Brunetto Latini («Siete voi qui, ser Brunetto?» Inferno, XV 30), Cacciaguida («Voi siete il padre mio» Paradiso, XVI 16). Il lei si diffonde nel— l’uso cancelleresco e cortigiane del Rinascimento e si rafforza poi per effetto del modello spagnolo (MIGLIORI… 1957: 187-196).

Il sistema tripartito antico 86. Per alcuni secoli — grosso modo dal Cinquecento al Novecento inoltrato — l’italiano disponeva di tre allocutivi: tu, voi,

lei. Vediamo come vengono usati i tre pronomi nei Promessi Sposi, in un quadro che vale per il Seicento — l’epoca in cui il romanzo è ambientato — ma che aveva mantenuto molti tratti anche nell’Ottocento, quando il Manzoni scriveva.

Distinguiamo prima di tutto tra allocutivi reciproci (i due interlocutori si danno entrambi del tu, del voi o del lei) e non reciproci (si da del tu ricevendo il lei o il voi; si dà del voi ricevendo il lei). I pronomi reciproci contrassegnano un rapporto paritario. Il più diffuso e voi, in gran parte indipendente dal livello sociale degli interlocutori: lo troviamo nel dialogo tra due popolane in rapporti di confidenza, come Agnese e Perpetua (VIII 59, 47—50), ma anche nell’incontro tra due

personaggi d’elevata condizione che non si erano mai visti prima, come il Cardinale e l’Innominato (XXIII 6-26). Voi si usa anche tra fidanzati e poi sposi (Renzo e Lucia) e tra cugini di famiglia nobile (Don Rodrigo e il Conte Attilio: VII 4246). Il lei reciproco può marcare un rapporto molto formale tra autorità elevate

VI]. Pronomi e aggettivi pronominali

186

(Conte zio e Padre provinciale: XIX 9-

gazzo indicherà piuttosto freddezza e di-

32), ma anche il dialogo di una «coppia stacco che non maggiore considerazione d’alto affare» come Don Ferrante e Donna Prassede (almeno basandoci sulla battuta di XXVIII 40). Tu infine, piuttosto raro, qualifica il rapporto confidenziale tra uomini di modesta condizione sociale (Renzo e Tonio: VII 59—78; Renzo e un suo amico: XXIII 67-70) 0 tra cugini di famiglia non nobile (ancora Renzo e Bor-

tolo: XVII 47-60).

' .

per lui.

Il sistema bipartito attuale Come abbiamo accennato, l’italiano mo-

derno ha fondamentalmente due pronomi allo-cutivi: tu, confidenziale, e ella / lei, di cortesia.

I pronomi non reciproci indicano un rapporto dissimmetrico, in base a diverse va-

88. Tu, oltre che in situazioni confidenzia-

riabili: a) l’età (o la posizione familiare): Agnese dà del tu al nipotino Menico (VII 25-26) e alla figlia Lucia, ricevendo il voi; il conte

li, si adopera in tutti quei casi in cui l’interlocutore è considerato come sottratto alle convenzioni sociali: o perché al disopra di esse (come Dio e la Madonna: «Padre

zio da del tu al nipote Attilio (XVIII 52),

Nostro, che sei nei cieli», «Ave Maria, pie-

ricevendo il lei;

na di grazia, il Signore è con te»: ma si

b) la posizione sociale: un padrone da del tu al servitore, ma ne riceve il lei (Don Rodrigo e il Griso: XI 5—13; l’Innominato e la vecchia custode del castello: XX 50— 62); un personaggio di riguardo tratta col voi chi sia di carica 0 di livello sociale inferiore, ricevendo il lei (è il caso di Don

terrà anche conto del modello latino; vedi

Abbondio rispetto a Perpetua, Renzo, Agnese, ecc., ma anche del Cardinale ri-

spetto allo stesso Don Abbondio: XXIII 33—38; dell’Innominato rispetto a Lucia: XXI 15-27); c) il sesso: trattando con inferiori, un uomo autorevole, che riceve il lei, può dare del tu ad un altro uomo, ma non va in ge-

nere oltre il voi con una donna (così Fra Cristoforo con Renzo e Lucia); d) l’emotività occasionale: un sistema allocutivo reciproco può essere alterato a seconda dell’andamento del colloquio; nel cap. VI il dialogo tra Fra Cristoforo e Don Rodrigo, impostato originariamente sull’asse lei-lei (1-12), assume a un certo punto toni burrascosi: Fra Cristoforo scende al voi («la vostra protezione...») e, per contraccolpo, Don Rodrigo passa al

tu («come parli, frate?» VI 13). 87. Che cosa ne è oggi delle variabili che condizionano l’uso di allocutivi non reciproci? Ne resta forse una sola: quella dell’età. Il ragazzo si rivolge con il lei all’adulto non familiare (per esempio: inse-

inoltre VII.96b); o perché immaginario, ideale (per esempio il lettore cui molti scrittori fingono di rivolgersi: «Caro e unico lettore che, te beato, devi ancora nasce-

re, ascoltami bene» Ojetti, Mio figlio ferroviere) o comunque non determinato (si pensi ai messaggi elettorali o pubblicitari: «vota socialista!», «vesti giovane». ecc.). Nei dialetti di vaste zone dell’Italia cen— tromeridionale (tra cui Marche e Umbria meridionali, parte del Lazio e dell’Abruz-

zo: cfr. ROHLFS 1966-1969: 477) si dà del tu a ogni persona, con un uso che corrisponde a quello latino classico. 89. Ella, che vale solo per il soggetto, è oggi raro, limitato alla prosa burocratica

(«qualora Ella abbia già provveduto al pagamento, consideri nullo il presente sollecito») e soprattutto alle allocuzioni ufficiali, perlopiù in presenza di alte cariche civili o religiose: «Ella, Signor Ministro, ha voluto onorare di una Sua visita

la comunità di ...» Usando Ella in un testo scritto è bene — adeguandosi al registro solenne richiesto da questo pronome — ricorrere alle maiuscole reverenziali (cfr. 1.199). Variante di ella, tipica dell’uso toscano ma oggi in declino, e la: «In primis, la sa-

prà che il mondo e l’uomo / vanno col tempo» (Giusti, Il Delenda Cartago, 9gnante, amico dei genitori o semplice' 10); «la guardi come la parla — disse quelestraneo) e ne è trattato generalmente lo in tono minaccioso» (Malaparte, cit. in col tu; e l’eventuale lei dell’adulto al ra- BRUNET 1985: 25).

187 90. Se ella e lei sono riferiti a un uomo sorge il problema dell’accordo: femminile (secondo grammatica) o maschile (secon— do natura)? Per quanto riguarda lei, l’uso ormai gene-

VII. Pronomi e aggettivi pronominali gioni per non esser contenta» (Moravia, Gli indifferenti, 20). Esempi con altri allocutivi: «— Fermatevi, caro voi — gli dissi —:

al maschile: «lei non è sincero».

oggi non ho pranzato, fatemi portare qualche cosa» (Pellico, Le mie prigioni, 398); «- Caro te, stento quasi a respirare — disse Beatrice tirando un gran fiato» (De

Numerose le documentazioni, dalle inter-

Marchi, Demetrio Pianelli, 27).

rale, parlato e scritto, presenta l’accordo

viste nei giornali («Lei si è occupato di natura già da molti anni prima di diventaal teatro, anche non contemporaneo (Pirandello, Così è [se vi pare], V 93: «lei è

92. Rivolgendosi collettivamente a più persone, si può scegliere tra voi e loro: il voi è d’obbligo quando ai singoli interlo— cutori si dia del tu, ma è in forte espansio-

stato invitato»; Tutto per bene, V 178:

ne anche nei rapporti formali (PASQUALI

«Lei è troppo generoso, signor Lori») alla

1968: 153—154;NENC10N1 1982: 14): un professore universitario o un conferenziere che darebbe del lei ai suoi ascoltatori presi uno per uno, userà più facilmente voi che loro indirizzandosi a tutto l’uditorio («come voi sapete», «non voglio abusare del vostro tempo», ecc., piuttosto che: «come loro sanno», «non voglio abusare del loro tempo»). Tra l’altro la diffusione del voi elimina l’equivoco insito in loro («lo chiedo a loro» può significare ‘lo chiedo ad essi’, ma anche ‘lo chiedo ai miei interlocutori’: non sempre il contesto è decisivo per sce— gliere). L’equivoco persiste invece per lei, che è insieme pronome femn‘iir'rile e pro— nome allocu,tivo per i due generi (ma l’equivoco tende a ridursi grazie al mancato accordo grammaticale: «lei è venuto» [allocutivo maschile] si oppone così a «lei [‘ella’ o allocutivo femminile] è venuta»).

re ministro» «L’Espresso», 4.5.1986, 173)

narrativa (D’Agata, Il medico della mutua, 7: «adesso lei è convenzionato con la mutua»; Calvino, Racconti, 423: «Lei il 31

dicembre di quest’anno è tenuto a consegnarci i locali»). Nei Promessi Sposi l’uni— co esempio utile di tutto il romanzo ha accordo al femminile: «sappiam bene che lei non è venuta al mondo col cappuccio in capo» (V 37; ma un’altra volta, con vossignoria, l’accordo — presente nella 1"

edizione — è eliminato: «Se vossignoria illustrissima è tanto inclinato a far del bene» XXXVIII 39). Ciò non toglie che l’accordo al femminile, benché raro, possa sempre incontrarsi: «Anche lei, professore? Anche lei, hélas!

L’ho sempre letta. Ma ora mi fa cadere le braccia» (in una lettera a Tullio De Mauro, «L’Espresso», 20.12.1981, 172); «Avvocato [si tratta di Raffaele Della Valle], tutta Italia l’ha vista piangere in televisione al momento della lettura della sentenza» («La Domenica del Corriere», 27.9.1986, 22). Con ella è invece più comune l’accordo grammaticale, che è normale nella tradizione letteraria: «codeste lettere di cui ella [Marco Coen] è tanto accesa» (Manzoni, Lettere, I 667); «Ella stessa» (Pavese, Lettere, 233: è una missiva a A. Farinelli del 1930; tuttavia, in una lettera a G.

Prezzolini dello stesso anno si legge: «Ella stesso», 210).

Sempre femminili i pronomi atoni, qualunque sia il sesso dell’interlocutore: «vorrei dirle», «spero di rivederla presto».

93. Una forma antiquata e oggi possibile solo con valore ironico o scherzoso è lorsignori (rarissimo il femminile lorsignore), anche con grafia separata: «Chi è di lor signori che sa leggere?» (L. Viani, Il nano e la statua nera). 94. Il sistema allocutivo è generalmente bipartito anche nelle altre grandi lingue europee (con la notevole eccezione dell’inglese che ha il solo you). La coppia 2‘1 / 5“ persona si ritrova in francese (tu / vous) e in russo (ty/ uy): la coppia 2” / 3” (o 6“) persona, come in italiano, in spa— gnolo (tu / usted) e in tedesco (du / Sie).

Relitti del «voi»

91. Da notare l’espressione caro lei, che esprime 1mpazrenza o anche leggera no-

95. In molti dialetti è ancora saldo il voi

ma: «Ma lo, caro ler, ho delle buone ra—

(ROHLFS 1966—1969: 477), che non di rado

VII. Pronomi e aggettivi pronominali penetra anche nell’italiano regionale dclle singole zone. Per il napoletano, in cui il voi è più largamente diffuso, si vedano i seguenti esempi di G. Marotta, L’oro di Napoli, 102 («Tornate ad onorarci, don Carmine, non ci fate torto») e 203 («Allo-

ra, don Leopoldo. che decidete?»). 96. Nell’italiano comune voi si adopera o si può adoperare: a) Nella corrispondenza commerciale: «Riscontriamo la Vostra pregiata “del 6 u.s. per comunicarVi...». Qui l’uso del voi è richiesto dal fatto che la maggior parte dei rapporti di lavoro impegna ditte, società, gruppi finanziari, ossia una pluralità di contraenti, anche se i rapporti epistola— ri sono gestiti da singoli. b) In alcune preghiere, come allocutivo di rispetto. Ad esempio, l’Atto di dolore previsto dalla liturgia cattolica dopo la Con— fessione recitava: «Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i Vostri castighi, ma molto più perché ho offeso Voi...» (da qualche anno la preghiera si recita col tu: «ho offeso te», ecc.). c) In testi letterari e in doppiaggi cinematografici ricavati da un originale inglese o francese. Per esempio, in un’edizione italiana di Per chi suona la campana di E. Hemingway (Milano 1948; traduzione di M. Napolitano Martone) i personaggi, oltre al tu, si danno del voi: «Vi sto spiegando minutamente tutto perché capiate be-

188 matografici vecchi e nuovi cfr. MARA— scmo 1982: 151. 97. Durante il Fascismo fu vietato l’uso del lei, considerato (ma a torto) di origine straniera e si cercò di imporre il voi (1938). Ciò determinò, per reazione, una più marcata diffusione del tu: «vecchi amici che avevano adoperato maga— ri per decenni il lei, non se la sentirono di passare al voi e preferirono senz’altro il tu» (BALDELLI 1964: 335; per gli interventi contro il lei cfr. SIMONI… 1978: 211-215).

Il «noi» allocutivo

98. Se vogliamo far notare a qualcuno che una sua affermazione è eccessiva gli dire— mo: «non esagerare!» o «non esageril», a seconda del grado di familiarità che ab— biamo con lui. Ma possiamo anche dirgli, con una sfumatura di benevolenza: «non esageriamo!», usando una 4" persona. Si tratta di un noi «allocutivo», che com-

pare sovente nell’uso colloquiale, specie in un rimprovero: «per smussarlo, uno prende su di sé una parte della colpa, ancorché non ne sia affatto responsabile» (PASQUALI 1968: 142; cfr. anche MOISE

1878: 377: «questo modo [.] è oggi comunissimo»). Nota ancora il Pasquali che,

mentre il come stai? può non aspettare risposta, un po’ come l’how do you do?

ne e vi rendiate conto» (15; frase di Golz

americano, un come stiamo? è sempre

rivolta a Robert Jordan). Tuttavia. molti traduttori più recenti evi— tano questa meccanica trasposizione di allocutivi da una lingua all’altra. Così Libero Bigiaretti. traduttore della Bugiarda di J. Giraudoux (Milano 1970) adatta il francese vous all’italiano lei («La vuole il ministro, signor Grenadin — Gli dica dove sto» 54). Da notare che anche nella «letteratura rosa» della collezione Harmony — tradotta dall’inglese o comunque ambientata nel mondo anglosassone — il lei è oggi di regola; per esempio: «Ho buone notizie per lei» (L. Collins, Alla vigilia del si, Milano 1985, 11), «C0— sa le fa credere che abbia intenzione di venire con lei?» (R. Lane, Magia d’oriente, Milano 1985. 8) e via dicendo. Per la resa dell’ingl. you nei doppiaggi cine-

più cordiale e partecipe. Il «dar del noi» presuppone, anche in una discussione concitata, un atteggiamento non ostile. Ecco un esempio di Pirandello

(Pensaci, Giacomino/, VII 63): «[MARIANNA, di nuovo scattando] Io? Non voglio più vederla. io! — [TOTI] Non facciamo storie, vi ripeto. Entrate da lei e cercate con le buone, con garbo, di farvi dire che è stato. che cosa è accaduto tra loro».

Aggettivi e pronomi possessivi 99. [ possessivi sono forme parallele e complementari rispetto ai pronomi personali: indicano infatti la persona a cui appartiene (o che ha relazione con) qualcosa 0 qualcuno:

189

VII. Pronomi e aggettivi pronominali MASCHILE

1’ 2’ 3“ 4’ S’ 6“

PERSONA PERSONA PERSONA PERSONA PERSONA PERSONA

mio, miei tuo, tuoi suo, suoi nostro, nostri vostro, vostri loro

Tradizionalmente si distingue tra aggettivi («la mia auto») e pronomi (sempre preceduti da articolo o preposizione articolata: «Sei qui per tuo figlio? Anch’io sono venuto a prendere il mio»). In realtà, come osservano SATTA 1981: 273 e

BRUNET 1980: 167, pronomi del genere rientrano piuttosto nella categoria degli «aggettivi possessivi sostantivati, perché in sostanza il nome non è sostituito, ma

sottinteso» (Satta). Ciò vale per l’italiano, in cui gli aggettivi possessivi sono formalmente identici ai pronomi. Diverso il caso del francese o dell’inglese in cui le due serie sono differenziate («mon livre et le tien»; «my book and yours») e in cui le forme tien e

FEMMINILE mia, mie tua, tue sua, sue nostra, nostre vostra, vostre loro

di», «la vostra fantasia», «le mie inten-

zioni». b) Genericamente, la relazione che si istituisce con un qualsiasi aspetto della realtà: «al mio arrivo» (=quando io arrivo, arriverò o arrivai), «il nostro paese» (:il paese in cui noi siamo nati), «la vostra età» (=l’età che voi avete); con riferi— mento a persona, il possessivo può esprimere un rapporto di subalternità («il generale e i suoi soldati», quelli ai suoi ordini; «la vostra cameriera», che è alle vostre

dipendenze), ma anche di superiorità («il mio capufficio», «il tuo maestro», «No-

yours sono perfettamente autonome e

stro Signore»). c) Una consuetudine, un’azione abituale (e il possessivo assume allora una connotazione affettiv'a): «Centelligravo attonito

non ammetterebbero un sostantivo dopo di sé.

imiei due / soldi di vino» (Saba, Il canzoniere).

100. I possessivi di 3“ persona dipendono per genere e numero dal nome che li accompagna: «Giovanni ama isuoi figli» e «Maria ama i suoi figli», indipendentemente dal fatto che il possessore sia maschile 0 femminile (invece in inglese e tedesco si direbbe rispettivamente: «John loves his children» / «Johann liebt seine Kinder» e «Mary loves her children» / «Marie liebt ihre Kinder»). Il possessivo di 6’, invece, invariabile per genere, pre— suppone un possessore plurale: «Giovanni e Maria amano i loro figli».

102. L’aggettivo possessivo può avere valore sia soggettivo sia oggettivo (DARDANO-TRll-‘ONE 1985: 139): «il tuo amore per le piante» (=tu ami le piante; soggettivo); «per amor tuo» (=perché ti amo: oggetti-

101. Il termine «possessivo» si attaglia in verità solo a una piccola parte dei valori che queste forme possono esprimere. Oltre al possesso che qualcuno può esercitare su qualco-sa («il nostro appartamen-

vo). Però, tranne alcune locuzioni cristal-

lizzate — come quella citata — il valore oggettivo è espresso normalmente dal pronome personale. Così, «la mia paura» può essere soltanto ‘la paura che io provo’ (soggettivo); per indicare quella che io incute ad altri dovrei dire «la paura di me» (o anche, più distesamente. «la paura che tu [lui, lei, voi, loro] hai [ha, avete, hanno] di me»). 103. Da segnalare alcune forme arcaiche @ dialettali (ROHLl-S 1966-1969: 427, 430).

to», «il tuo cane»), mio, tuo, suo, ecc. in-

a) Come in latino, in cui sùus. SUA, SÙUM valeva sia per la 3“ sia per la 6" persona, in italiano antico (e oggi nei dialetti toscani e mediani) possono

dicano tra l’altro: a) L’organo, la facoltà sensitiva o intellettuale di un certo individuo: «i tuoi pie-

cimitero da questa pa11e hanno / con Epicuro tutti suoi seguaci» (Dante, Inferno, X 13-14).

trovarsi sua, ma, suoi, .me in luogo di loro: «Suo

VII. Pronomi e aggettivi pronominali b) Ne] fiorentino quattro—cinquecentesco si avevano le forme invariabili mie, mo, suo (per esempio. nelle Stanze del Poliziano: «mie foco» I 23, «tuo foglie» I 4, «mie mente» Il 42: cfr. GHINASSI 1957: 32) e i plurali mia, ma, sua (per esempio, nella Vita del Cellini: «li mia antichi» 32, «al-

li sua bisogni» 34): cfr. MANNI 1979: 131-135. c) Nell’antica lingua poetica si incontrano tui e sui (probabilmente modellati sul latino rùr e 501), ma quasi soltanto in rima: «Chi fuor li maggior tui?» (Dante, Inferno, X 42; in rima con lui e fui); «con passi e continenze e modi

190

È sempre consigliabile usare proprio in— vece di suo quando potrebbero sorgere equivoci: «Mario vide Carlo con la propria moglie» (dicendo «vide Carlo con sua moglie» si enserebbe piuttosto alla moglie di Carlo). Quando suo non si riferisce al soggetto si può ricorrere al semplice di lui, di lei: «si

svegliava carico d’odio contro Santina, come se la colpa fosse di lei» (Morante, cit. in BRUNET 1980: 187; se si fosse scritto

sui» (Ariosto, Orlando Furioso, XLIII 108; in

rima con lui e colui), «a‘ figli sui» (Monti, Prosopopea di Pericle, 18; in rima con fili). Il) Del toscano arcaico (e attualmente dei dialetti centro-meridionali) ?: anche l’enclisi dell’aggettivo possessivo di I“, 2“ e 3“ persona (nei tipi ma. ma, to, ta, so. sa), specie con i singenio-

nimi: «io non vorrei che tu ad un‘ora ti facessi beffe di mògliata [=di tua moglie[ e di noi» (Boccaccio, Decamerone, VIII 6 28 . Per i dia-

letti moderni si può citare il ritornello di una celebre canzone napoletana di fine Ottocento (in BORGNA 1985: 229): «sia benedetta màmmete quanno te mmaritò».

«come se la colpa fosse sua» un lettore distratto avrebbe potuto collegare quel sua a Nello, ilsoggetto sottinteso di svegliava). 105. Oggi si evita, tranne che nel linguaggio burocratico e nella prosa lette— raria di singoli scrittori (per esem io, nel già citato Tomasi di Lampedusa di far precedere di lui, di lei dall’articolo. Si

tratta di un uso ancora pienamente vitale nell’0ttocento; si veda il seguente

esempio dell’economista Melchiorre Gioia (cfr. SERIANNI 1986b: 46): «il fluido Proprio 104. Si adopera per rafforzare un altro ag— gettivo possessivo, in particolare di 3"‘ persona, ed è sempre posposto: «egli aveva sofferto non del dolore di lei ma del suo proprio egoismo offeso» (D’Annunzio, Trionfo della morte, 103); «sue proprie mani» (o in sigla: dovetti. premere _» premetîi

GERUNDIO

(FLAMM 1987: 24). Non sono rari, infine, paradigmi misti: così, lo scrittore Vasco Pratolini «usa nello Sciola con maggiore frequenza la forma in -é per la 33 persona

75. Osservazioni: a) Rientrano nella seconda coniugazione singolare, mentre le forme con —ei ed -ero(e saranno descritti tra i relativi verbi ine- no mancano del tutto» (FLAMM 1987: 25). golari) i verbi in -rre (porre, condurre e si- c) Anche il participio passato in -uto conmili), che muovono da forme latine in - corre talvolta con un participio in -nto, ÉRE con sincope della penultima vocale sto, -tto, -so (perduto/perso, veduto/visto), (PÒNERE>*pOVLI‘€>IDOITC). Nell’italiano an- che in molti casi è l’unico esistente (romtico e nella lingua poetica forme del gene- pere —> rotto, non *romputo; tendere —> re erano più numerose e comprendevano, teso, non *tenduto; vincere _, vinto, non in particolare, alcuni verbi in -gliere (nel— *vinciuto; prendere —> preso, non *prenl’infinito, futuro e condizionale). Ricor- duto, ecc.): si vedano. anche in questo cadiamo: corre ‘cogliere’ («poi stanca giace— so, le liste di verbi irregolari. resti sotto un rovere: / io pel prato cortei d) I verbi che nella 13 persona del presendiversi fiori» Lorenzo de’ Medici, Scritti

scelti), scerre ‘scegliere’ («acciò che possan

te indicativo hanno radice in velare (/k/, /g/: cresca, volga) assumono una conso—

290

XI. Il verbo

nante palatale davanti alle desinenze comincianti per [ ed e (/t_[/, /d3/: cresci, volgi). e) I verbi in —cere presentano una consonante palatale (/t_[/ 0 III) davanti alla desinenza del participio passato -uto, quale che sia la consonante tematica della 13 persona del presente indicativo: conosco conoscere - conosciuto, cresca - crescere cresciuto, ecc.

f) Per il dittongo mobile e per i verbi con tema in gn (spegniamo/spegnamo, ecc.), valgono le considerazioni fatte a proposito della 1a coniugazione.

Fanne arcaiche

lo che la speranza ti ‘mpromette» (Dante, Paradiso, XXV 86-87). Notevole, nelle tre persone singolari e nella 6“, la forza d’attrazione esercitata dalla prima coniugazione (parli, parlino) su tutte le altre classi verbali,

compresi gli ausiliari essere c avere: sia nell’i— taliano antico (cfr. ROHLl-S 1966-1969: 555), sia nell’italiano popolare contemporaneo. Nel secolo scorso forme del genere erano abituali nella prosa del Leopardi: «benché tu vadi», «che tu non possi», «che tu non sappi», ecc. (Operette morali, 152, 165, 171). E abbi s’in— contra ancora in Bacchelli: «Tomo a pigliarmela con te, che non l’abbi lasciata di là» (Il mulino del Po, I 48). Oggi il tipo venghi, venghino ‘venga, vengano’ è considerato un for-

te solecismo ed è spesso adoperato con in76. Indicativo. a) Imperfetto. Le desinenze originarie — anche nella terza coniugazione — non presentavano la labiodentale, in continuazione di forme già latino-volgari (*HABÉAM,

*BIBÉAM in luogo di HABÉBAM, BIBÉBAM);Ì tipi temeva e sentiva — diffusisi già in epoca antica sul modello della prima coniugazione dove v era stabile (amava) — si sono imposti definitivamente solo in età

tento scherzoso: «Venghino, signori venghi-

no al grande Luna Park del Giallo. Qui si impone però subito un drastico mutamento di tono; e di grammatica. Vengano lorsignori,

vengano con fiducia allo spettacolo “Giallo” che Enzo Tortora organizza ogni venerdì sera su Rai-Due» (B. Placido, commenti televi-

sivi sulla «Repubblica», 11-12.10.1987, 35).

moderna, dal momento che ancora nella

78. Imperativo. La 2a persona della seconda coniugazione usciva originariamente

prosa ottocentesca era molto diffuso l’im-

in e, conformemente all’etimo latino

perfetto in —ea, —ia, almeno con alcuni ver-

(TiME>teme); fin da epoca molto antica il

bi (cfr. SERIANN]19S6bZZS-27) Due esem- fiorentino, a differenza degli altri dialetti pi poetici del primo Novecento: «Erano stanchi! avean passato il mare!» (Pascoli, Italy, 19); «i pirofori che ardeano / nella verzura dell’Eremitaggio» (Gozzano, Paolo e Virginia, 53—54). b) Passato remoto. Nel toscano dugentesco erano normali nella 3a persona i tipi

toscani e, in genere, delle altre parlate

vende’o e, nella terza coniugazione: partìo,

79. Coniugazione di «serv-ire».

centro-settentrionali, ha accolto il tipo in i, modellato sulla terza coniugazione (odi,

dal latino AUDI: cfr. CASTELLA… 1952: 41). Terza coniugazione

presto ridottisi alle forme attuali, vendé e par1ì(cfr. CASTELLANI 1952: 142-146, 166): «che con amore al fine combatteo» (Dan—

INDICATIVO

te, Inferno, V 66). Sopravvivenze del tipo più arcaico si notano, al solito, nella lirica successiva; per esempio: «Come, oh Dio,

presente

passato prossimo

io serv—o tu serv-r

io ho servito tu hai servrto

poteo lasciarmi / per seguir chi men l‘adora?» (nel secentista Francesco de Lemene, L ’usignuolo, 21-22).

eglr serv-e nor serv-iamo

eglr ha servrto noi abbiamo servito

vor serv-rte essi sèrv-ono

vor avete servito essi hanno servito

tico per le prime tre persone nella seconda e

imperfetto

trapassato prossimo

nella terza coniugazione era: (che io) dica,

io serv-ivo tu serv-wr egli serv-iva noi serv-ivamo

n Congiuntivo presente. Lo schema più an-

(che tu) dic/ze, (che egli) dica, poi livellatosi nel corso del Trecento (cfr. CASTELLANI 1952: 71-72): «ed emmi a grato che tu diche / quel-

io avevo servito tu avevi servito . eglr aveva servrto noi avevamo servito

291

XI. Il verbo

voi ser—ivate e551 serv-ivano

voi avevate servito es51 avevano serv1to

egli serv-irèbbe

egli avrebbe servito

noi serv-irémmo

noi avremmo servito

voi serv-iréste

voi avreste servito

essi serv-irèbbero

essi avrebbero servito

passato remoto

trapassato remoto

io serv-ii tu serv-isti egli serv-ì

io ebbi servito

noi serv-immo voi serv-iste essi serv-ìrono

noi avemmo servito

fitturo semplice

futuro anteriore

io serv-irò

io avrò servito

serv-ite voi

tu serv-irai

tu avrai servito

sèrv-ano essi

egli serv—ità

egli avrà servito

noi serv-irémo voi serv-iréte essi serv-iranno

noi avremo servito voi avrete servito essi avranno servito

IMPERATIVO

tu avesti servito

egli ebbe servito presente

voi aveste servito essi ebbero servito

CONGIUNTIVO

serv-i tu serv-a egli serv-iamo noi

INFINITO

presente

passato

serv—ire

avere servito

presente

passato

che io serv-a che tu serv-a

che io abbia servito che tu abbia servito

che egli serv-a

che egli abbia servito

che noi serv-iamo

che noi abbiamo servito

che voi serv-iate

che voi abbiate servito

che essi sèrv-ano

che essi abbiano servito

imperfetto

trapassato

presente

passato

che io serv-issi che tu serv-issi

che io avessi servito

serv—èndo

avendo servito

che egli serv-isse

che egli avesse servito

che noi serv-ìssimo

che noi avessimo servito che voi aveste servito che essi avessero servito

che voi serv—iste che essi serv-ìssero

PARTICIPIO presente

passato

serv-ente

serv-ito

GERUNDIO

e;…

che tu avessi servito

80. Numerosi verbi della terza coniugazione ampliano il tema dell’infinito, inserendo fra radice e desinenza il suffisso isc-, nelle seguenti forme: 1“, 2“, 3a e 63

CONDIZIONALE

persona dell’indicativo presente e del congiuntivo presente; 2“, 3a e 6a persona dell’imperativo presente. Ecco uno spec-

presente

passata

io serv-irèi

io avrei servito

tu serv—irésti

tu avresti servito

chietto riassuntivo delle forme in -isc-, per il verbo obbedire:

INDICATIVO PRESENTE

CONGIUNTIVO PRESENTE

IMPERATIVO

io obbed-isc-o tu obbed-isc-i

che io obbed-isc-a che tu obbed-isc-a

obbed»xsc-i tu

egli obbed-ìsc-e

che egli obbed-isc-a

obbed—isc-a egli

noi obbed-iamo voi obbed-ite essi obbed-ìsc—ono

che noi obbed—iamo che voi obbed-iate che essi obbed-ìsc-ano

obbed-iamo noi obbed-ite voi obbed-ìsc-ano essi

292

X1. Il verbo

81. Un recente inventario (in MORETTI-OR— VIETO 1983: 70-71) fa assommare a circa cinquecento (482) i verbi della terza coniugazione con suffisso -isc-. Ne ricordiamo alcuni di uso più comune: — abbellire, abolire, agire, alleggerire, ammattire. ammonire, ammorbidire, anneri—

re, annuire, appassire, appesantire, appiattire, approfondire, arricchire, arrossire, ar— rostire, arrugginire; —bandire, barrire, blandire;

».

—capire, chiarire, colorire, colpire, concepire, condire contribuire, costruire, custodire; — definire, demolire, digerire, diminuire, distribuire; — esaudire, esaurire, esibire, esordire;

— fallire, favorire, ferire, finire, fiorire; — garantire, gioire, gradire, grugnire, guai-

pena indicato presentavano o potevano presentare forme senza ampliamento nella lingua antica e poetica; per esempio perire («né riparar si può ch’ella non pèra» Ariosto, Orlando Furioso, IV 59; «pèra lo

stolto cinico / che frenesia ti chiama!» Monti, Al signor di Montgolfier, 43—44) 0 sparire («ecco precipita / il tempo, spare con risucchi ra idi / tra i sassi» Montale, Crisalide, 17-19 .

b) Altri verbi mantengono tutt’oggi alternanza tra forme con o senza affisso -isc-. Ricordiamo: applaudire ( simile-mente . Un esempio dantesco: «sì ch’ogni parte ad ogni parte splende / distribuendo igualmente la luce: I similemente a li splendor mondani / [ordinò general ministra e duce» (Inferno, VII 75-78). Questa differenza di trattamento era già scomparsa dalla lingua parlata agli inizi del Quattrocento (CASTELLANI 1980: I 254—279); successive riprese letterarie della forma in -emente possono essere dovute a ragioni metriche: «già mi prostro mnilemente» (Parini, L’impostura, 6).

13. Occupano un posto particolare pari— menti e altrimenti. Parimenti deve la sua uscita-in -menti ad armonizzazione con l’aggettivo pari, e tuttora oscilla con parimente. Altrimenti si è formato per analogia con parimenti, e ha ormai del tutto soppiantato le più antiche forme altra— mente e altrimente (nella seconda già s’era fatta sentire l’influenza di pari-).

‘stupido’), in italiano l’awerbio in -mente

14. Si osservi che: a) Non si può riferire un avverbio in mente ad un altro awerbio in -mente: dunque non *studia grandemente attenta-

è quasi sempre costruito sull’aggettivo.

mente ma «studia molto attentamente»,

rivate da un sostantivo, come diablement

(da diable ‘diavolo’), be‘tement (da béte

10. Formazioni da basi diverse si ritrova-

no: a) Nel linguaggio pubblicitario che, sempre teso com’è alla ricerca di nuove regole estranee alla lingua comune, fa storia a sé; ad esempio: lanamente (da lana) in «per una casa lanamente intima» (cit. in CARDONA 1972: 53). b) Nell’italiano antico, in particolare con base rappresentata da un altro avverbio: «tu scusi e accusi te insiememente» (Dante. Convivio). Alcuni awerbi muovono da una base participiale (sentita-mente, conseguente-

oppure «studia con grande attenzione» (LEPSCHY-LEPSCHY 1981: 87). b) Il significato dell’avverbio in -mente non sempre corrisponde a quello dell’aggettivo da cui esso deriva: finalmente non vuol dire ‘in maniera finale’ ma ‘alla fine’, solamente non vuol dire ‘in maniera sola,

solitaria’ ma si awicina alle accezioni dell’avverbio soltanto, e via dicendo.

c) In alcuni casi non si può risalire facilmente dall’awerbio in -mente all’aggettivo che ne è alla base. Così, ad esempio,

mente): ma ci troviamo, a ben vedere, di

malamente («nell’amara domenica in cui si fanno i conti di ciò che malamente si è speso, o di quanto malamente si è guadagnato», «Stampa Sera», 13.4.1987, 21) si

fronte a un uso aggettivale del participio.

forma sull’aggettivo malo ‘cattivo, tristo’,

342

Xl]. L’avverbio

che è oggi quasi del tutto disusato e si trova solo in forme ed espressioni cristallizzate come mala parata, mala lingua, in malo modo, a mal partito. Meritamente si

forma sull’aggettivo latineggiante mèrito (> (Carducci, Pianto antico, 1-

6). Nell’uso italiano attuale ora è sinonimo di adesso; ma (o ma’) si ha solo nei dialetti. Adesso in epoca antica aveva il triplice senso di ‘sùbito’, ‘sempre’, ‘ora’. La sua presenza nel

lessico della poesia toscana dei primi secoli sarà

riusciti» Bassani, Il giardino dei FinziContini, 93). Sempre è usato anche come sinonimo di ancora («vivi sempre a Roma?»). i) Spesso, sovente indicano il ripetersi di un’azione in modo abbastanza frequente, comunque più frequente di talora, talvolta.

dovuta all’influsso dei poeti siciliani, dove è at-

testato con il senso di “sùbito“ in accordo col provenzale ades («o gente in cui fervore aguto adesso / ricompie forse negligenza e indugio / da voi per tiepidezza in ben far messo» Dante, Purgatorio. XVIII 106-108). Già nel Cinquecento il grammatico vicentino Giovan Giorgio Trissino qualificò adesso per “ora“ come voce non fiorentina e il Manzoni lo sostituì poi quasi sempre con ora nelle correzioni ai Promessi Sposi. Mo ‘ora’, ‘or ora’, “tra poco’, pur non essendo di schietta origine fiorentina, ha avuto una cer—

ta fortuna nella lingua letteraria, e si trova spesso in Dante («su per la viva luce passeggiando I menava io li occhi per li gradi, / mo su, mo giù e ma recirculando», Paradiso, XXXI 46-48). Vi-

33. Locuzioni awerbiali di tempo: sul presto / sul tardi, d’ora in ora, di quando

in quando, di giorno in giorno, d’un tratto, tutt’a un tratto, di botto, in tempo, per tempo, di buon’ora, una volta, un tempo, pri—

ma 0 dopo, prima o poi, in un batter d’occhio, in men che non si dica, nel frattem-

po, nel frattanto (più comune il solo frattanto), ecc. Ricordiamo in particolare:

a) Alla fine, alla fin fine oltre a indicare propriamente la fine di un’azione, servono a presentare un fatto che si compia dopo una serie abbastanza lunga di altri eventi (anche sottintesi: «vedrai che il

348

XII. L’avverbio nuovo ambiente di lavoro, alla fin fine, ti

III. Avverbi di luogo

piacerà»). Frequente è il loro uso dopo una proposizione concessiva, come in questo esempio di Pirandello: «Si sa che certe specie di pazzia sono contagiose. Quella del Paleari, per quanto in prima mi ribellassi, alla fine mi s’attaccò» (Il fu Mattia Pascal, 141). b) La locuzione di notte, se segue un no-

34. Specificano il luogo d’un’azione, la collocazione di un oggetto nello spazio, la distanza di un oggetto dagli interlocutori. Rispetto a un luogo, già noto o anche ignoto, essi possono indicare ad esempio se qualcosa o qualcuno si trovano fiori o dentro, dietro o davanti, sopra o sotto, vi-

cino o lontano in relazione ad esso: «vieni so particolare di ‘nella vita mondana not- fitori», «fatti vicino», «forse laggiù troverà turna’ (ci si riferisce di solito alle sale da i suoi amici», ecc. Via esprime genericaballo. ai ristoranti e ai luoghi di diverti- mente l’allontanamento da un luogo: «— mento in genere), come traduzione della C’è Mario? — E andato via poco fa». locuzione «turistica» inglese by night-. «Comincia il processo alla Milano di not— 35. In italiano quasi tutti gli awerbi semte» («Corriere della Sera», 9.6.1986, 19); plici di luogo si limitano a collocare nello «Scoprite Roma di notte!» (da un annun— spazio in relazione ai parametri orizzoncio pubblicitario). tale / verticale, esterno / interno, anterioc) Le locuzioni un giorno, un tempo, una re / posteriore, superiore / inferiore, ecc., volta, poste all’inizio di una narrazione, senza specificare alcun altro aspetto della servono come indici temporali indefiniti rappresentazione spaziale. Altre lingue di tutta la narrazione (è, per intenderci, il presentano uno schema più complesso. «c’era una volta» delle fiabe), situandola In tedesco, ad esempio, i prefissi (e suffisnel passato assoluto senza legami di con- si) hin e her specificano se l’oggetto della tinuità col presente del narratore. rappresentazione spaziale è in allontanad) Tra le locuzioni awerbiali con doppia mento (hin) o in avvicinamento (her) ripreposizione a (cfr. XII.16b e XII.26b) spetto a chi parla: così hinaus ‘fuori, via di vanno menzionate le locuzioni temporali qui’ e heraus ‘fuori (verso qui)’, dahin a mano a mano (0 man mano) e a poco a ‘verso la’ e daher ‘da la’, ecc. poco, che indicano lo sviluppo progressi- Alcuni awerbi di luogo mettono in risalvo di un’azione. Anche qui, come nel ca- to quale sia la distanza di un luogo o di un so dei costrutti paralleli a corpo a corpo, a oggetto rispetto agli interlocutori. Si tratfaccia a faccia, c’è una certa tendenza ad ta di awerbi perfettamente speculari rieliminare la prima a; tuttavia l’uso scritto spetto ai pronomi e aggettivi dimostrativi più sorvegliato. non solo letterario, è ab— questo, codesto, quello, con i quali possobastanza ancorato al modulo tradiziona- no anche combinarsi (cfr. VII.122). le. Esempi: «Tu, piccola sposa, crescestizl man mano intrecciavi i capelli, / man ma- 36. 1. Qui, qua (e i composti quaggiù, qua no allungavi le vesti» (Pascoli); «a mano a sotto, qua sopra) identificano un luogo mano che scompare l’innamoramento prossimo, con riguardo al fatto che esso si emergono le due personalità di fondo edi trova vicino a chi parla, meno vicino o anloro contrasti» (F. Alberoni, in «Corriere che lontano da chi ascolta. me in funzione aggettivale, assume il sen-

della Sera», 11.8.1986, 1; altri esempi di a mano a mano in Martino, Fisiologia, 44; Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 45); «a

ferenza di qui, che indica un luogo vicino a chi

poco a poco s’era abituato alla vita chiu-

parla, quivi indica nell’italiano antico o nella

sa, all’obbedienza cieca, alla disciplina»

lingua letteraria un luogo puntuale di cui si sia

37. Antiquato l’awerbio locativo quivi. A dif-

(Deledda, Romanzi e novelle; un altro già fatta menzione: «le donne parenti e vicine esempio di o poco a poco in Cassola, La nella casa del morto si ragunavano e quivi [...] ragazza di Babe, 29). Ma, come per faccia piagnevano» (Boccaccio, Decamerone, VII 8 20); «fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì a faccia, la prima a manca nei casi — peral- per una viuzza a chiocciola, e pervenne sur una tro rarissimi — di uso sostantivato: «La piccola spianata, davanti al palazzotto [..]. Restoria / [...] / detesta il poco a poco» gnava quivi un gran silenzio» (Manzoni, I Promessi Sposi, V 20). Ecco un altro esempio del (Montale, La storia, 14).

349 Boccaccio, in cui qui e quivi sono adoperati entrambi: «quantunque quivi [nei «nostri luoghi in contado», citati poco prima] così muoiano i lavoratori come qui [a Firenze, dove Pampinea sta parlando] fanno i cittadini» (Decamerone, I Introduzione 68). Oggi le funzioni di quivi sono svolte soprattutto da li.

38. II. Lì, la (e i composti laggiù, lassù) identificano un luogo distante con riguardo al fatto che esso si trova lontano sia da chi parla sia da chi ascolta. 39. III. Costi, castri (e i composti castag— giù, costassù) identificano un luogo distante con riguardo al fatto che esso si trova lontano da chi parla, ma vicino a chi ascolta («— Dimmi, bambino, che cosa fai

costaggiù? — Non lo vedi? Piango!» Collodi, Pinocchio, 78). Il loro uso nella lingua parlata è oggi limitato alla Toscana.

XII. L’avverbio

passa mai anima buona», «or può sicura— mente indi passarsi» (Dante, Inferno, III 127 e Purgatorio, XVI 18). Usati correlativamente, quinci e quindi potevano significare ‘da un lato e da un altro’, ‘di qua e di là’: «qui si conviene usare un poco d’arte / — cominciò ’] duca mio — in accostarsi / or quinci, or quindi al lato che si parte» (Dante, Purgatorio, X 9-11); «mirava il ciel sereno, / le vie dorate e gli orti,

/ e quinci il mar da lungi, e quindi il monte» (Leopardi, A Silvia, 23-25). b) Tra gli awerbi di luogo di uso soprattutto antico ricordiamo inoltre lunge, lungi ‘lontano’, che ha una certa vitalità anche nella lingua letteraria moderna («Un bacio. Ed è lungi. Dispare / giù in fondo» Gozzano, L’assenza, 1-2), in particolare come elemento di locuzioni preposizionali («lungi da me l’intenzione di offendertil»; «Lunge da lei per me non v’ha diletto!» F. M. Piave, La Traviata, in VERDI-

40. Pur essendo per gran parte equivalenti, li e là (come qui - qua e costi - costa) non sono sempre intercambiabili: lì è usato (come qui e costi) di preferenza per un luogo puntuale, definito con precisione, mentre la (come qua e costa) indica piuttosto un luogo come area, senza una determinazione precisa (ROSSINI 1979; VANELLI 1981 e, per costi / costà, BRODIN

1970: 919-100). L’opposizione ‘puntualità’ / ‘arealità’, pur non emergendo sempre con nettezza, appare evidente nelle costruzioni con preposizione. Diremo infatti di là dal fiume, dal confine, ecc. perché,

così facendo, suddividiamo lo spazio in aree (distinte dall’oggetto «di confine» menzionato: di là da x presuppone sempre, implicitamente. di qua da x); non sarebbe corretto dire *dì lì dal fiume. Diremo invece passare di [i con il preciso rife— rimento ad un luogo puntuale (meno ap— propriato, per quanto non scorretto, pas—

sare di là) che viene attraversato o sfiorato. Nella suddivisione dello spazio dome— stico, ogni locale essendo intuitivamente un’area, diremo «vado di la in cucina»,

«vieni di qua in salotto». 41. Si osservi ancora: a) La lingua antica e letteraria disponeva di alcuni avverbi sintetici per esprimere concetti simili: indi ‘di là’, quindi ‘di qui’, quinci ‘di qui’; ad esempio: «quinci non

BALDACCI 1975: 304) o di locuzioni congiuntive in frasi con valore awersativo o consecutivo (cfr. XIV.213a). 42. Numerosi i costrutti preposizionali con avverbio di luogo: oltre ai già citati di là, di qua, di li abbiamo per di qua e per di

la. In può precedere solo quàf'èbstà e la (non si può dire *in li, *in qui, *in costi; FORNACIARI 1881: 253-254). 43. Alcune locuzioni awerbiali di luogo sono costruite con preposizione come di qua e di là (spesso coordinata a di su e di già con valore generico: «di qua, di là, di su, di giù li mena» (Dante, Inferno, V 43); «un vino molto iovane, che grilla e gorgoglia e ribolle ...] e gocciola di qua e di là» (Manzoni, I Promessi Sposi, XI 25). Valore locativo indeterminato ha anche in giro: «di questi uccelli, egli sa solo quel che ha sentito dire in giro» (Calvino, PaIomar, 63; con un significato simile si ado-

pera nell’aria, per aria: «qualcosa per aria c’è di sicuro» Manzoni, I Promessi Sposi,

VI 23). Ricordiamo l’espressione di senso traslato prendere (o portare) in giro: «non mi piace che tu prenda in giro le cose sacre» (Moravia, La noia). 44. Tra le locuzioni awerbiali di luogo va poi considerato a parte il tipo con dupli-

Xll. L’avverbio

cazione del sostantivo (adoperato sempre in connessione con un verbo di moto co-

350

moltissimo con le mani e lasciatela un poca in riposo» (Artusi. La scienza in cucime andare, camminare, navigare) che na, 313); «non si può mai abbastanza racesprime un moto «rasente luogo» (Ml— comandare a’ furbi di professione di conGLIORINI 1973: 313-319): navigare riva ri- servar sempre il loro sangue freddo» va, costa costa. terra terra, camminare mn- (Manzoni, ] Promessi Sposi, XV 57); «il ro mura. Per una distanza minima, anche rossetto sulle tue guance arde e scotta al metaforicamente, si ha pelo pelo: passare pari / del sole sulle guance della bella stapelo pelo e farcela pelo pelo (‘a stento, per gior)1e» (Bertolucci, La camera da letto, un soffio, per un capello’ e proprio “per 103 . un pelo’). ' Nell'ultima frase citata (Bertolucci) la locuzione a! pari di indica una comparazioPer ci, vi, ne cfr. VII.45, VII.52. ne fra due termini. Numerosi altri avverbi (ad esempio tanto e quanto) si adoperano nel formare le proposizioni comparative, IV. Avverbi di quantità cui sono dedicate specifici paragrafi della 45. Definiscono una quantità senza misu- presente Grammatica (cfr. XIV.214 sgg.). rarla con tutta esattezza. ma con riguardo essenzialmente all’abbondanza o scarsità 46. Nell’uso più recente, specie orale e di essa: più, meno, molto, poco, appena, giornalistico, va diffondendosi un uso inecc. tensivo di abbastanza, da evitare nello Alla base dell’opposizione abbondanza / scritto formale: «la popolazione italiana scarsità sta spesso, implicitamente, il con- [.] dà una dimostrazione di solidarietà e cetto di «adeguatezza»: gli avverbi che di umanità abbastanza straordinarie» esprimono il concetto di adeguatezza («La Repubblica», 16—17.11.1986, 29=‘asquantitativa sono abbastanza e sufficien- solutamente, decisamente straordinarie’); temente. Abbiamo poi, nell’uso colloquia- «ciò, a nostro parere, è abbastanza scanle, pari pari e altre locuzioni come per un daloso» («Corriere della Sera», 7.3.1987, pelo, pelo pelo, ecc., già esaminate nel lo- 1). ro valore locativo (cfr. XII. 44). Tutti gli altri awerbi di quantità possono esprime- 47. Vediamo ora alcuni dei più notevoli re, per eccesso o per difetto, il concetto di awerbi di quantità: inadeguatezza quantitativa: in una scala a) Afiano, “del tutto’ si può adoperare, sedi valori progressiva si situano pochissi- condo il suo valore originario, in frasi afma, poco. appena, abbastanza, piuttosto, fermative: «la forma estetica è affatto inmolto, moltissimo, troppo, e poi tutta una dipendente dall’intellettiva» (Croce, Este— serie di sfumature intermedie nelle locu- tica come scienza dell’espressione e linguizioni un po’, un po’ troppo, un po’ pochi- stica generale). Essendosi diffuso sempre no, appena un po ’, appena appena. più come rafforzativo della negazione Gli awerbi di quantità si adoperano ap- («oggi non fa affatto caldo»), si trova anpunto nelle proposizioni di adeguatezza che da solo come negativo col senso di (cfr. XIV.143), che hanno un antecedente ‘per niente’, ‘punto’, ‘in nessun modo’: come troppo, troppo poco, abbastanza «Disturbo? — Affatto» (nell’uso più sorvenella sovraordinata, e l’infinito con per o gliato è bene servirsi comunque di un avda o il congiuntivo con perché nella su- verbio o pronome negativo: «nient’affatbordinata: «è una notizia troppo bella per to»). essere vera!», «è un tecnico abbastanza b) Altrettanto è l’awerbio quantitativo esperto perché gli si affidi la progettazio- della reciprocità, e s’adopera di frequente nelle risposte a frasi augurali come ne dello scavo». Ecco una serie di frasi in cui compaiono «Buon appetito» («Grazie, altrettanto!»). awerbi e locuzioni avverbiali di quantità: «Buone feste» («Altrettanto a te!»). «qualche lume in distanza: cascine, auto- c) Assai, ‘molto’ può significare anche mobili / che si sentono appena» (Pavese, ‘abbastanza’, con un’accezione prossima Lavorare stanca); «fate con questi ingre- al valore etimologico (>) o negativo («non sei il primo né sarai l’ultimo a sbagliare»). Il rapporto tra i due elementi coordinati può essere indicato come A+B. 13. Le congiunzioni copulative fondamentali sono e e né. Quanto alla forma, e può assumere una d eufo-

nica davanti a vocale (ed avere): tuttavia l’uso contemporaneo, almeno quello orale, tende a

riservare questa variante, così come avviene per a / ad. ai casi di incontro con la stessa vocale: ed essere (e ad amare: cfr. SABATINI 1985: 157). Già il Manzoni, correggendo la lingua dei Promessi Sposi, era intervenuto in questo senso: cfr. SERIANNI 1986b: 29. Arcaica la forma eufonica ned («questa lode, o mio caro, è troppo esclusiva, ned io sono il solo che la meriti» Monti, Epistolario); ancora possibile ma assai rara ad, variante della congiunzione disgiuntiva 0 (cfr. XIV.24; «roviniamo / od il padrone od io» Alfieri, Volgarizzamenti). Se gli elementi coordinati sono due, la

congiunzione e si colloca di norma solo davanti al secondo membro; «tu suoni e io canto»; se sono più di due, l’e si pone

usualmente solo tra il penultimo e l’ultimo elemento della serie: «fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu se-

polto» (Messale festivo, 304). Può essere ripetuta con intento enfatico, specie in poesia (polisindeto): «e resiste e s’avanza e si rinforza» (Tasso, cit. in FORNACIARI 1881: 284). La congiunzione e — oltre che svolgere funzione copulativa — può attivare un rapporto avversativo o conclusivo: cfr. IX.3c. Il né può collegare una proposizione negativa a una precedente proposizione affermativa (ma è costrutto letterario, invece di e non: «qualche uccello di mare se ne va; / ne' sosta mai» Montale, [S’è rifatta la calma], 18-19) oppure a un’altra negativa. In quest’ultimo caso l’italiano corrente ricorre alla sequenza né... ne' soprattutto per singoli membri frastici («né bello né brutto»;-«né Lopez, né Terni amavano la

Coordinazione copulativa 12. Presuppone due proposizioni semant1camente omologhe che «sommo» ll

mc)mtagna» Ginzburg, Lessico famigliare, 53 . Se il collegamento avviene tra due o più proposizioni, la correlazione ne’... né è po-

373 co frequente e di tono sostenuto: «né per la fretta dimandare er’oso, / né per me li potea cosa vedere: / così m’andava timido e pensoso» (Dante, Purgatorio, XX 149-

151). La prima frase, in tal caso, ha più spesso non 0 un altro elemento negativo: «Io non voglio, né so né devo, fare il mo-

ralista» (Pascoli, Prose).

XIV. Sintassi del periodo

Questo modulo ha largamente attecchito anche in altri settori, come i titoli di can-

zoni («E la barca tomò sola», del 1954: cfr. BORGNA 1985: 129), di film («E Johnny prese il fucile» [ingl. «Johnny got his gun»] di D. Trumbo [1970]), di romanzi («E le stelle stanno a guardare» [ing]. «The stars look down»] di A. J. Cronin [1935]; dal romanzo anche un film di

14. Il collegamento oopulativo tra proposizioni subordinate (studiato in HERCZEG 1972c: 512-524) può fondarsi non solo sulle congiunzioni e o né, ma anche sulla ripresa della specifica congiunzione subordinativa, che sarà presente o assente in base a fattori logici e stilistici. Con una subordinata introdotta da una locuzione congiuntiva avente che come secondo elemento, la coordinata può essere collegata ad essa con il solo che: «ho saputo i nomi dei due commissari dopo che essi erano stati insediati e che avevano già espulso le autorità civili italiane»

C. Reed, del 1939) e, in particolare, di ar— ticoli giornalistici. Si vedano, in proposito,

(da) un giornale, cit. in HERCZEG 1972:

18. Sono da menzionare qui altre congiunzioni copulative quali anche, pure, al— tresì, inoltre (con valore aggiuntivo) o nemmeno, neanche, neppure (con valore negativo: si tratta di forme composte da

518 . 15. Nei secoli scorsi era possibile adoperare il che anche quando la prima subordinata fosse introdotta non da una locuzione congiuntiva con che, ma da una ualsiasi congiunzione sem—

plice o composta «elegantemente» secondo morse 1878: 988 n. 2); per esempio: «non può, pertanto, uno signore prudente, né debbe, osservare la fede quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la fecio— no promettere» (Machiavelli, Il Principe, 283).

16. Di uso arcaico o popolare anche la ripetizione dell’awerbio negativo non in una frase introdotta da ne’ («né io non vi ho ingannata» Boccaccio, cit. in ROHI.FS1966-1969: 763) e la giuntura pleonastica e né invece del semplice né: «né freno il corso e né la sete spengo» (Bembo, Gli Asolani e Le Rime).

17. Ricordiamo infine un uso apparentemente anomalo della congiunzione copu—

i seguenti escmpi, tutti raccolti da uno stesso numero di quotidiano («La Repubblica», 9.4.1987): «E la Dc ha lasciato

Craxi» 1, «E in aula parlò l’ispettore Derrick» 3, «E da Rimini arriva l’homo craxianus» 6, «E sull’inquinamento di al—

tri due acquedotti Comune sotto inchiesta» 31, «E pullman ‘selvaggio’ invade tutta la città» 33, «E gli ‘Amici del mare’

ora dichiarano guerra a cartacce e rifiuti» 35.

né e da un elemento intensificatore). Raramente le congiunzioni dî’îjuesta serie collegano, da sole, due proposizioni (per esempio: «viene una signorina, porta nuovi discorsi, si parla, anche si discute»

Slataper, Il mio Carso). In genere, esse si appoggiano come «particelle cor-relative» (TEKAVCIC 1980: Il 427) ad un’altra congiunzione («lei può far alto e basso nel monastero; e anche la gente di fuori le

porta un gran rispetto» Manzoni, I Promessi Sposi, IX 16); oppure sottolineano

il rapporto che lega un singolo membro frastico ad un altro elemento, espresso 0 sottinteso: «Vengo anch‘io?» (sottinteso: con te o con altri); «di costui non possiam dare né il nome, né il cognome, né un ti—

lativa, non raro nella tradizione lirica ot-

tolo, e nemmeno una congettura sopra

to-novecentesca: l’attacco di una poesia con un e o con un né, quasi a suggerire

nulla di tutto ciò» (Manzoni, I Promessi

una continuità ideale, «del detto col non

detto» (CONTlNI 1968: 279); dal Foscolo («Né più mai toccherò le sacre sponde»), al Carducci («Né vi riveggo mai, toscani

colli»), al Pascoli («E s’aprono i fiori not— turni»), a] Luzi («E la musica ansiosa che bruiva», cit. in SATTA 1981: 460).

Sposi, XIX 37). Collocazione: anche e le tre negative in genere si antepongono, specie se riferite a un pronome o a un nome («anche noi», «neppure una parola»; invece «pure noi» 0 «noi pure»). Quanto al livello d’uso. basterà notare \ che altresi e caratteristica della lingua

374

XIV. Sintassi del periodo scritta, in particolare dello stile giuridico e burocratico: «agli effetti della recidiva [...] si tien conto altresì delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena» (Codice Pena—

espressivo: «E se non sentiva tutto il rimorso che la predica voleva produrre [...], ne sentiva però» (Manzoni, ! Promessi Sposi, XXVI 24).

le, art. 106).

Nell’italiano antico però poteva avere anche valore conclusivo (“perciò, ‘pertanto’)z «Tempo non mi parea da far riparo / contra colpi d’Amor: però m’andai / secur, senza sospetto» (Petrarca. Canzoniere, 3 5-7).

Coordinazione avversativa e sostitutiva

19. Tra due proposizioni o tra due membri frastici coordinati può sussistere cbntrapposizione: parziale, quando il secondo elemento introduca un contrasto, un

dato inatteso rispetto al primo, ma in modo che i due termini coesistano mantenendo ciascuno la sua validità (A però B: «è tardi, però non ho sonno»; coordinazione avversativa); o totale, quando il se-

condo elemento neghi, annulli il primo, sostituendosi ad esso (non A bensì B: «non sbadigliava per il sonno, bensì per la fame»;

coordinazione sostitutiva,

cfr.

TEKAVCIC 1980: II 430—434). 20. La congiunzione fondamentale per questo tipo di coordinazione è ma (sempre in posizione iniziale), che non solo è la più frequente nell’uso, ma è l’unica che possa svolgere funzioni sia avversative («pecco. è vero, ma pecco per non peccare più oltre» Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 38), sia sostitutive («Signore Gesù Cristo [...] non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa»

Messale festivo, 348). Ma può sommarsi ad altre congiunzioni avversative o sostitutive con effetto di intensificazione: «ma però», «ma bensì». Rara, o addirittura non accettabile, la

combinazione di altre due congiunzioni avversative tra loro: *è tardi, tuttavia però non ho sonno. 21. Altre congiunzioni avversative: a) Però — Ha grande libertà di dislocazione nella frase; oggi è frequente anche in sede iniziale, mentre nella norma otto—

centesca il suo uso preferenziale era «dopo una o più parole» (MOISE 1878: 1000). Un esempio contemporaneo di posposizione: «La casa di via Pastrengo era molto grande [...]; era però molto buia», ecc. (Ginzburg, Lessico famigliare, 31). In po— sizione finale assume un forte rilievo

b) Tuttavia — E caratteristica, anche se non certo esclusiva, della lingua scritta

(come peraltro e nondimeno, con cui condivide accezioni e modalità d’uso). Presuppone in genere un periodo piuttosto ampio e articolato e una certa pausa tra le due proposizioni coordinate (che graficamente è spesso indicata dal punto e virgola o dal punto fermo); può trovarsi in posizione iniziale oppure no e ha valore di awersativa attenuata. Esempi: «Le osservazioni del Tullio sono state ripetute ed ampiamente confermate anche da sperimentatori stranieri (Jellinek, Dohlman,

Huizinga); tuttavia, quanto al significato di queste reazioni l’opinione degli Autori non sembra ancora concorde» (Martino, Fisiologia, 653-654); «Lo vidi due volte

[..] Non so tuttavia ricordare una sola pa— rola che disse quel giorno, nel suo salotto» (Ginzburg, Lessico famigliare, 36). c) Peraltro (o per altro) — Di uso molto antico, valeva in origine ‘peril resto’ (come nel seguente esempio del Boccaccio cit. in FABI 1954: 59: «uomo molto ricco e savio ed aweduto per altro, ma avarissimo senza modo»). Ben presto peraltro ha assunto valore avversativo, incontrando

in anni recenti molta fortuna nella prosa letteraria e giornalistica: «alle concessioni del Cremlino, limitate peraltro al terreno economico», ecc. (da una rivista di cultu— ra, cit. in FAB11954: 61). d) Nondimeno (antiquata la grafia non di meno): «Ella ancora sbiancò, invece di arrossire. Ed era nondimeno tranquilla, uando gli rispose» (Pratolini, Lo sciala). e Pure — Ha anch’essa valore attenuato e non è frequente, almeno nel parlato; occupa sempre la posizione di apertura, come il composto eppure: «Ho sempre avuto la sensazione che il mondo, nel comlesso, fosse qualcosa di allarmante, ecc.

brano tratto dalle Memorie di H. Macmillan, cui segue un commento del gior-

XIV. Sintassi del periodo

375 nalista]. Pure, quest’uomo riluttante ver-

so il mondo era straordinariamente versatile come attore politico», ecc. («La Repubblica», 31.12.1986, 12). \ f) Eppure (antiquato e pure) — E di largo impiego, sia orale sia scritto: «capisco le tue ragioni, eppure non riesco a convincermi»; «Niente come il volo simboleggia il progresso. Eppure c’è ancora chi teme che siano sconvolti gli orizzonti conosciuti» («Stampa sera», 29.12.1986, 3). g) Sennonché (meno comune se non che; da evitare senonché) — Si adopera per in— trodurre una circostanza che limiti un’affermazione precedente (per se non che, congiunzione subordinativa eccettuativa, cfr. XIV.241C). Ha forte autonomia sin— tattica e spesso si trova ad inizio di frase, dopo una pausa forte (graficamente indicata per mezzo del punto fermo, dei due punti o del punto e virgola): «è un punto di vista di produttore, non d’utente. Sen-

zioni composte sibbene o si bene («quella sproporzionata felicità non voleva additare la imbecillità dell’uomo, sibbene la

bontà del rasoio» Moravia, Gli indifi‘erenti, 277) e sì invece («[il modo in cui bisogna trattare le parti strutturali della Comme-

dia] non è di prenderle come schietta poesia. ma nemmeno di respingerle come poesia sbagliata, si invece di rispettarle come necessità pratiche dello spirito di Dante, e poeticamente soffermarsi in altro» Croce, Poesia di Dante, 66).

b) Arcaico è anzi sostitutivo, quando contrapponga tra loro due membri frastici; in questa accezione, anzi piacque — come tante altre forme antiquate — all’ottocentista Vittorio Imbriani: «non ci trovava gusto, anzi soltanto rimorsi» (Dio ne scampi dagli Orsenigo, 15). Pienamente vitale e invece anzi con valore awerbiale (‘al contrario’, ‘viceversa’), per correggere l’assunto di una frase precedente: «non

nonché, se il critico intende l’opera d’arte,

era irritato; anzi, sembrava del suo solito

ciò rappresenta soltanto l’oggettività del

umore».

suo operare», ecc. (Contini, Varianti e al-

tra linguistica, 5). h) Di uso limitato, perché letterarie o

Coordinazione disgiuntiva

francamente arcaiche, diverse altre con-

giunzioni che hanno o possono avere valore avversativo come epperò («lo sposo [.] era giovine assai ragguardevole, epperò molto serio per la età sua» Cantoni, Opere) o nonpertanto («giunto nonpertanto a Granata, trovarono che vi si era

fatto un pronunciamento contro il pro— nunciamento» Nievo, Novelliere campa-

gnuolo e altri racconti). 22. La congiunzione sostitutiva oggi più comune dopo ma è bensì. Si tratta di un uso relativamente recente; in passato

23. Si parla di coordinazione__disgiuntiva

(o alternativa) quando tra i dùè‘“elementi esiste un rapporto di esclusione reciproca (A o B). Conviene tuttavia distinguere i casi in cui l’alternativa e radicale («Roma o morte», motto garibaldino; in latino si userebbe AUT), quelli in cui la scelta è presentata come sostanzialmente equipollente («passerò le vacanze a Rimini o a Riccione»; latino VÈL o -VÉ) e quelli in cui si integra, si corregge o si precisa un’affermazione precedente («Lorenzo a, come di-

bensì era adoperato soprattutto con valo— re avverbiale (‘certamente’, “senza dubbio’). A questa accezione si richiamano per esempio tutte le 20 occorrenze di bensi nei Promessi Sposi («per fare un matri-

cevan tutti, Renzo» Manzoni, I Promessi Sposi, II 7; «E invece avevano ancora tan-

monio ci vuole bensì il curato, ma non è

VÉL o -VÉ).

necessario che lo voglia» V131, ecc.). Altre forme: a) Ormai rare — e decisamente letterarie — le con 'unzioni sostitutive rappresentate da si «Non domandarci la formula che mondi possa aprirti / si qualche storta sillaba e secca come un ramo» Montale, [Non chiederci la parola], 9-10), con le congiun-

24. Delle congiunzioni disgiuntive, che vanno sempre anteposte alla frase o al singolo elemento coordinato, quella fondamentale è o (per la variante od cfr. XIV.13). 0 può essere ripetuta prima di ogni membro coordinato («O miseri 0 codardi / figliuoli avrai» Leopardi, Nelle

te cose da dirsi! O meglio, era lui che avrebbe dovuto dir qualcosa...» Cassola, La ragazza di Babe, 29; in latino, ancora

376

XIV. Sintassi del periodo nozze della sorella Paolina, 16-17). Ma la

ripetizione è rara quando le unità coordinate sono più di due («[la legge può trasferire allo Stato determinate imprese] che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia 0 a situazioni di monopolio», ecc. Costituzione, art. 43;

manca la disgiuntiva davanti al primo membro a servizi pubblici) e non è possi— bile con le interrogative dirette o indirette («scherzi o fai sul serio?», cfr. SATTA 1981: 459). a) Accanto a o si possono adoperare i composti oppure e ovvero (rarissime le scrizioni o pure, o vero), che tornano utili o sono addirittura indispensabili in periodi complessi, propri del linguaggio scritto, per contrassegnare i termini principali di una coordinazione disgiuntiva rispetto ai termini accessori, distinti da a. Si veda il

se ente esem io dal Codice Penale (art. 43 : «[il delitto è colposo, o contro l’in— tenzione, quando l’evento, anche se pre—

veduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline». L’av— vero serve a distinguere le due fondamentali matrici del delitto colposo: la negligenza e l’inosservanza di una legge; gli 0 individuano, all’interno della definizione,

alternative secondarie («negligenza o imprudenza o imperizia»), oppure semplici equivalenze terminologiche («colposo, o contro l’intenzione»). b) Più ricercato di ovvero è ovverosia (rari ovvero sia, o vero sia): «quanto al signor Conte, alla signora Contessa, e al buon Monsignore, essi erano troppo in alto coi pensieri, owerosia troppo occupati della propria grandezza, per badare a simili minuzzoli» (Nievo, Le confessioni d’un italiano, 95).

c) Un’altra congiunzione disgiuntiva composta con o è ossia, che può usarsi soltanto per indicare una scelta equipollente o una correzione: «Ti accompagnavo io a scuola in coteste occasioni. Ossia, è vero, ti seguivo dalla finestra» (Pratoli-

ni, La costanza della ragione). Da questo valore disgiuntivo attenuato si è svolto il valore esplicativo di ossia, che è

quello più frequente (cfr. XIV.27; valore esplicativo possono avere anche ovvero e ovverosia).

Coordinazione conclusiva

25. Si ha quando la proposizione coordinata si presenta come una deduzione lo— gica o anche come una sintesi conclusiva di ciò che è stato detto in precedenza (A quindi B). Per quanto riguarda le congiunzioni adoperate in questo tipo di coordinazione notiamo: a) Le quattro iù usuali (tutte di collocazione variabileî sono dunque, quindi, perciò, pertanto (quest’ultima, di registro formale). Esempi: «E come uno che e partito per un viag io dopo aver lasciato la propria casa [... e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà» (Messale festivo, 357); «Don Ab— bondio in vece non sapeva altro ancora se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa in consulte angosciose» (Manzoni, I Promessi Sposi, II 1); «l’aedo è

l’uomo che ha veduto [...] e perciò sa» (Pascoli, Prose); «L’intelligenza ha per oggetto suo specifico il solido inorganizzato [...]. Pertanto l’intelligenza è inadatta a comprendere la vita, che e continuità,

mobilità, compenetrazione reciproca» (Lamanna, Filosofia, III 199). b) Della tradizione letteraria ma anche dell’uso vivo, specie toscano, è sicché

(per la sua funzione di congiunzione subordinativa consecutiva cfr. XIV.136a): «[Gli uomini di modi semplici] sono privi delle maniere del mondo non per bontà, o per elezione propria, ma perché ogni loro desiderio e studio d’apprenderle ritorna vano. Sicché ad essi non resta altro,

se non adattare l’animo alla loro sorte e guardarsi soprattutto di non voler nascondere o dissimulare quella schiettezza o quel fare naturale che è loro proprio» (Leopardi, Pensieri, XIX); «— Lo so dov’è andata tua madre. A spigolare [...]. E andata a spigolare — ripeté — Sicché prima di buio non torna» (Cassola, La ragazza di Bube, 10). Si veda anche HERCZEG 1973: 212-214. c) Di tono sostenuto onde, che era ancora ben viva nell’Ottocento: «per rabbia di non poterla vincer con tutti, ne ammazzò uno: onde, per iscansar la forca, si fece frate» (Manzoni, I Promessi Sposi, XVIII

377 48; si noti che onde e stata introdotta nel— la seconda edizione, modellata sull’uso

vivo fiorentino del tempo: la prima edizione recava di che). d) Arcaico laonde: «Minerva è il principio degli ordini civili, nati alle sollevazioni de’ clienti: laonde, deve esser nata lunga età dopo Opi» (Vico, Scienza Nuova, 250). Laonde era considerata un’anticaglia già nel secolo scorso: si leggano un passo del Nievo, di evidente intonazione scherzosa

(«ai signori sindaci parve con quel decreto aver sufficientemente operato per l’immediata utilità della fedelissima Patria,

laonde tornarono a partorir proclami» Le confessioni d’un italiano, 32), e soprattutto il seguente brano del Demetrio Pianel-

XIV. Sintassi del periodo

sioni (vale a dire, per essere precisi, se vagliamo, ecc.). Cioe‘ (su cui si veda FERRINI 1985) svolge diverse funzioni nella lingua contemporanea ed è stata addirittura considerata un simbolo del linguaggio giovanile degli anni Settanta e Ottanta, guardato con fastidio, ma anche con favore (secondo DU— RANTE 1981: 274, cioè «riflette quell’ansia di spiegare e di spiegarsi che è sinonimo di disponibilità al dialogo»). Tra le funzioni di generico connettivo testuale (cfr. IX.4 sgg.) ricordiamo quella di apertura del dialogo (cfr. STAMMERJOHANN 1977: 119), di segnale di «ritrattazione» («no... cioè… si»: cfr. FERRINI 1985: 79) e di interrogazio— ne assoluta, usata in modo un po’ brusco

li di De Marchi: «[Demetrio] non si sa— per richiedere spiegazioni («cioè?»z cfr. rebbe mai permesso, per esempio, nemmeno una timida osservazione sui molti laonde, che il cavaliere seminava ne’ suoi periodi e nelle sue relazioni al Ministero,

FERRINI 1985: 83). La collocazione di cioè non è rigidamente vincolata: la congiunzione può trovarsi prima della frase o del membro frastico cui si riferisce («scrivo queste cose in

e fingeva di non capire lo scherzo, quando qualche burlone degli altri uffici gli italiano, cioè le traduca in un’altra lindomandava notizie del cavalier Laona'e» gua» Camon, cit. in FERRINI 1985: 57), oppure situarsi in posizione interna, gene(134). e) Valore conclusivo ha pure l’espressio- ralmente dopo un elemento verbale ne perla qual cosa, ormai rara e di tono («voleva prima raggiungere il suo scopo: un po’ libresco: «Quest’arte che i Nevari porre cioè un ostacolo insormontabile fra coltivano è un’arte soprattutto religiosa. lui e la moglie» Pirandello, Novelle per Per la qualcosa, se ne vogliamo intendere un anno). il significato, non dobbiamo giudicarla secondo il nostro modo» (Tucci, Nepal, 21). Molti puristi del secolo scorso ritenevano che Per l’arcaico per che ‘perciò’ cfr. XIV.101. cioè andasse sempre anteposta «alla parola in-

Coordinazione esplicativa

dicante ciò di cui si parla» (BARUCCHI 1897: 63): sul modello del latino In ÉST di cui è una traduzione. Nell‘italiano antico il senso della composizione di cioe‘ era ancora awertito e si potevano avere variazioni di persona e di tempo nel verbo esse-

26. La coordinazione esplicativa (o di— chiarativa) introduce una frase o un re, come ciò sono («in questa si contiene tre membro frastico che spieghi, precisi, scienze, ciò sono Gramatica, Dialettica, Rettoriformuli ciò che è stato affermato in pre— rica» Brunetto Latini, La rettorica) o ciò fil («uscì d'una piccola fonte uno gran fiume, ciò cedenza (A cioè B). fa d’una piccola discordia nella parte guelfa Alle congiunzioni di questo gruppo ap— una gran concordia con la parte ghibellina» partengono anche infatti e difatti, che Compagni, Cronica). però possono avere funzione argomentativa, ricavando da un dato particolare la Infine, citiamo due esempi di ossia e ovcausa che l’ha determinato: «Paolo non vero come esplicative: «tra i diritti naturac’era: infatti mi aveva detto di non sentir— li c’è [...] quello di proprietà, ossia del li— si bene». bero uso di ciò che è necessario per vivere» (Lamanna, Filosofia, III 28); «per ri-

27. La vera e propria coordinazione esplicativa ha luogo mediante cioe‘ — la congiunzione più comune — ossia, ovvero e varie altre locuzioni congiuntive o espres-

manere vigili e presenti a se stessi, ovvero per riuscire a distinguere la realtà esterna da quella interna» («La Repubblica», 30.12.1986, 11).

XIV. Sintassi del periodo Nessi correlativi

28. In alcuni casi l’elemento che introduce una coordinazione ha un conispettivo precedente: si dice allora che le due frasi o i due elementi coordinati sono marcati da nessi correlativi. I nessi correlativi sono costituiti formalmente da varie parti del discorso (verbi. sia. .sia; awerbi-congiunzioni: non solo .. ma anche; congiunzioni-avverbi: nonche’ non). I membri che formano la struttura correlativa possono essere iterati (sia sia) o variati (nonché non). in genere, i nessi correlativi contrassegna— no una coordinazione copulativa, anche quando siano parzialmente composti da congiunzioni awersative (ma) 0 disgiun— tive (o). Vediamo1 tipi più frequenti. a) Sia sia, sia che. La correlazione è ottenuta col congiuntivo presente del ver-

378

infrangibili delle passioni [.], sia che rappresenti la sua accidia, ecc.» (Sapegno, Lett. italiana, 88; =sia quando sia quando); «ma sia che non avesse capito [...], sia che preferisse fingere di non capire [.. .] si avanzò nel mezzo della stanza» (Moravia cit. in MORETTI 1983. 86: sia perché… s1a perché). Invece di che, dopo sia può trovarsi la congiunzione o la locuzione congiuntiva specificamente richiesta dal tipo di subordinazione (e in tal caso può venir meno l’obbligo del congiuntivo): «nella Dc [...] tutti parlano di nuovo governo sia nell’ipotesi di un cambio indolore a Palazzo Chigi — la cosiddetta ‘staffetta’ — sia se si arriverà a una rottura nel pentapartito» («Corriere della Sera», 21.2.1987, 2). Strutture correlative con valore analogo sono: — 0 che 0 che: «0 che tra faggi e abeti enna su i campi / smeraldini la fredda

bo essere, usato con valore concessivo. Il

ombra si stampi / [...] / o che foscheggi im-

che al secondo membro, piuttosto diffuso e ormai accettato anche da grammatici tradizionalisti (per esempio GABRIELLI 1985: 482), talvolta potrebbe ingenerare confusione, specie in periodi complessi (si veda il secondo dei due brani seguenti). Esempi: «la bocca l’abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione» (Manzoni, ] Promessi Sposi, XVI 36); «sembra più logico supporre che questi versi siano stati composti da Orazio, ma siano stati poi soppressi da lui, sia per la loro infelice compagine stilistica sia perché… essi il giudizio su Lucilio era improntato a una crudezza che, ecc.» (Pa— ratore, Lett. latina, 416). Una serie nominale introdotta da sia per (+complemento di causa) [.] sia per può essere sostituita da fosse, sia stato (+sostantivo) [...] fosse, sia stato: «sul punto di

mobile», ecc. (Carducci, Il comune rustico, 1-4);

uscire col morto, fosse distrazione, fosse

una cattiva suggestione dello spirito malvagio [...] fatto sta che il buon prete [...] lasciò il vecchio sulla sedia» (De Marchi, cit. in HERCZEG 1959: 302; =sia per distra-

zione, sia per cattiva suggestione..) Quando la correlazione interessa due frasi dipendenti con verbo al congiuntivo, a sia sia si sostituisce la sequenza sia che sia che: «proprio nelle parole di questo [del Petrarca, come personaggio del Secretum] risuona l’accento più intimo della confessione, sia che egli descriva i legami

— che

o: «che si giochi 0 si faccia sul se-

rio» («La Nazione», 28.2.1987, 5); se l’alternativa e radicale, il secondo membro

può essere rappresentato da o no (cfr. XII.S3b): «siamo infatti contrari a tutti i direttorii, che ne facciamo parte o no» («Stampa sera», 23.2.1987, 2). Nel caso di membri correlativi retti da un unico verbo e da un unico soggetto e possibile anticipare al primo posto il verbo e collegare i due membri mediante o: «nella vita di ogni uomo, la destinasse la sua condizione al grande cavallo da guerra o ai pazienti buoi dell’aratro, c’era almeno

una donna importante» («Storia illustrata», settembre 1986, 34). b) Vuoi..vuoi. È di uso più limitato rispetto a sia sia: «qualcuno di memoria lunga [...] vuoi per malizia, vuoi per divertirsi alle sue spalle, ha tirato fuori l’unica pagina nera della sua esistenza» («Il Gazzettino», 23.10.1986, 3). e) Non solo ma (anche). Serve a imprimere particolare rilievo al secondo ele— mento della correlazione: «non solo ho perso il treno, ma mi hanno anche rubato ibagagli». Numerose le varianti: con salamente o soltanto invece di solo e ancora invece di anche («la realtà non soltanlo era recente ma presente ancora» D’Annunzio, Prose di ricerca, di lotte, di m-

379 mando); con doppia negazione al primo membro («mio padre, non solo non amava la musica, ma la odiava» Ginzburg,

Lessico famigliare, 46; qui la coordinata ha valore sostitutivo); con altresi al secondo membro («nell’importanza che spetta a Dante, poeta non solo e uomo di pensiero […], ma altresì uomo d’azione» Croce, La poesia di Dante, 1): o, ancora, ma limitatamente all’italiano antico, con non

XIV. Sintassi del periodo

per indicare una gradazione di concetti, bensì come semplice sinonimo di e: «la ventilazione polmonare collabora a questo complicato metabolismo assicurando l’indispensabile apporto di ossigeno, non— che' l’eliminazione dell’acido carbonico liberato nelle combustioni intraorganiche» (Martino, Fisiologia, 6). Per le sequenze correlative e e, ne' né cfr. XIV.13; per le serie pronominali (al-

tanto ‘non solo’ come il latino NÒN TÀNTUM («Quando il domandò se doveva perdonare sette volte, rispose: — Non tanto sette volte, ma settanta volte sette» Ca—

cuni

valca, cit. in TOMMASEO-BELLINI1865-1879:

zione causale, cfr. XIV.].06.‘ Per la correlazione comparativa (cosi come, tanto quanto, ecc.) cfr. XIV.215, XIV.226.

VI 28). d) Nonché. Costituisce un elemento correlativo in alcuni tipi di frase, tutti di carattere letterario. Col valore di ‘non solo’ può avere come membro correlato ma («parendo loro aver posta nel mondo

altri, tale

quale, l’uno

l’altro,

ecc.) cfr. VII.1S7, VII.]6SC, VIL171. Per la sequenza in tanto in quanto, in cui il secondo membro introduce una proposi-

Subordinazione

tanta bontà e vaghezza [...] che quella 29. Come si è già accennato (cfr. XIV.3), stanza dovesse essere non che tollerata,

una proposizione subordinata si caratte—

ma sommamente amata da qualsivoglia

rizza perla mancanza di autonomia, ossia

animale» Leopardi, Operette morali, 138;

per la necessità di dipendere da una pro— posizione reggente, che può essere una frase semplice o, a sua volta, rinviare a un‘altra proposizione.

=non solo tollerata, ma...); oppure, più spesso, può introdurre il secondo membro di una correlazione (in tal caso il primo membro è di regola privo di contrassegni): «con un viso da far morire in bocca a chi si sia una preghiera, non che un consiglio», ecc. (Manzoni, I Promessi Sposi, V 29; =non solo un consiglio, ma

anche una preghiera). Quando gli elementi correlati sono due verbi, nonché assume il significato di ‘non’, ‘non solo non’ e regge una proposizione subordinata avversativa (cfr. XIV.211-212) col congiuntivo («non che gli approvi, io piuttosto gli abbomino» Leopardi, Poesie e prose; =non solo non li

approvo, ma...) 0 con l’infinito: «la regola del capoverso, nonché contraddire o annullare quella del 1° comma, ne costituiva solo un’attenuazione» (Novissimo Dige-

30. Alcune subordinate sond'ììîa'parentemente prive ,di reggente. Ciò awiene: a) Per ellissi dell’intera proposizione reggente; ad esempio, in molte battute di dialogo, reale o immaginato: «— Perché non sei venuto al cinema? —. — Perche' ero stanco» (proposizione subordinata con ellissi della reggente: «non ci sono venuto»).

b) Per ellissi del verbo essere nella reg— gente, in alcune locuzioni nominali, ag-

gettivali o awerbiali seguite da una proposizione soggettiva (descrivendo paralleli costrutti francesi, GREVISSE 1980: n°

271 parla di «principali incomplete»): fortuna che («fortuna... che una volta tanto

sto Italiano, XVIII 821; =non contraddi-

la memoria mi ha funzionato» Bassani,

ceva, ma costituiva solo...). In tutti o quasi tutti i suoi usi tradizionali — di cui abbiamo dato un’esemplificazione — nonché segnala insomma il membro di minor peso di una correlazione, dando implicitamente maggior rilievo all’altro membro. Già nel secolo scorso si è però diffuso un impiego banalizzato di nonché, che ormai non viene adoperato quasi più

Dietro la porta); meno male che («meno male che il buon pensiero mi è venuto sul principio di questo sciagurato lavoro» Manzoni, I Promessi Sposi, Introduzione,

10); peccato che («peccato che né tu né io sappiamo suonare il pianoforte» Tozzi, Le Novelle); possibile che («possibile che suo genero sia venuto qua a inventarci tutta una storia?» Pirandello, Così è [se vi

380

XIV. Sintassi del periodo

pare], V 45), ecc. Per reggenze nominali di proposizioni oggettive quali con la

porger non posso / se non che […] sta' fermo in quella che ha tuo cor rapido» (=ra-

clausola che, ecc., cfr. XIV.47.

pito; Sacchetti).

31. Le subordinate si dicono: a) Esplicite, se contengono un verbo di modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale). Il quarto modo finito, l’imperativo, non

può comparire in una subordinata. Qual— che raro esempio se ne incontra_però nell’italiano antico (cfr. BRAMBILLA AGENO 1982, da cui si cita): «altro consiglio a te l SUBORDINATA IMPLICITA

b) Implicite, se contengono un verbo di modo indefinito (infinito, participio, ge— rundio). Le proposizioni esplicite, attualizzando l’azione attraverso un preciso rapporto di tempo e di persona e individuando una ben determinata funzione sintattica nel periodo, presentano una gamma di realizzazioni più articolata delle proposizioni implicite. Ad esempio: SUBORDINATA ESPLICITA VARIANTI DI TEMPO

quando arriva quando arrivò quando è arrivato, ecc. arrivato il treno, (la folla si avvia verso

il binario) VARIANTI DI RAPPORTO SINTA’ITICO quando è arrivato perché è arrivato se è arrivato, ecc.

Oppure: SUBORDINATA IMPLICITA

SUBORDINATA ESPLICITA VARIANTI DI TEMPO

penso) che farò presto pensavo) che avrei fatto presto, ecc. (penso, pensavo, pensa) di fare presto VARIANTI DI PERSONA

penso) che farò presto pensa) che farà presto, ecc.

32. In particolare, il costrutto esplicito e in grado di indicare le tre relazioni tempora— li che possono darsi tra reggente e subordinata (contemporaneità: «non so se dici la verità», «non sapevo se dicessi la verità»

— anteriorità della subordinata: «non so se tu abbia detto la verità», «non sapevo se tu avessi detto la verità» — anterior-ità della reggente e, quindi, posteriorità della subordinata: «non so se dirai la verità», «non

sapevo se avresti detto la verità»).

Il costrutto implicito ha minore latitudine temporale. L’infinito nella sua forma verbale (non come funzione semantica) può indicare contemporaneità («penso di essere saggio») o anterior-ità («penso di essere stato saggio»), ma non posteriorità; così come il gerundio (contemporaneità: «arrivando, ho visto qualcosa di nuovo»; anteriorità: «essendo arrivato presto, si fermò fuori del paese»). Il participio passato — quello presente ha raramente fun-

381

XIV. Sintassi del periodo

zione verbale, cfr. XI.413 — indica soltanto anteriorità («arrivato in paese, andò

subito a casa sua»). Per quanto riguarda l’infinito è notevole la differenza con il latino, che ammetteva le tre rela-

zioni: oltre alla contemporaneità e all’anteriorità, come l’italiano («puto me sapientem esse» ‘credo di essere saggio’, «puto me sapientem fuisse» ‘credo di essere stato saggio’). anche la posteriorità («puto me sapientem fore» ‘credo che sarò saggio”).

33. Le proposizioni implicite possono non essere introdotte da congiunzioni («arrivato il treno, Maria partì», «sento arrivare

qualcuno», «incontrando il portinaio, lo saluto»). Invece, una congiunzione o una locuzione congiuntiva è di regola come elemento introduttore delle subordinate esplicite, tranne pochi casi, di cui i più importanti sono i seguenti: a) omissione del che nelle completive

(«penso tu abbia ragione»; cfr. XIV.S9); b) omissione del se nelle ipotetiche («non fosse stato per le ragioni politiche, l‘istinto suo, credo, era di abbracciarsi ccà mondo intero» Morante, La Storia, 24 ;

c) omissione di una congiunzione concessiva («lo aspetterò, dovessero passare altri tre anni» Cassola, cit. in SCHMITT—JEN-

SEN 1970: 351; cfr. XIV.176). 34. Vari sono i criteri di classificazione delle subordinate. Il procedimento che gode maggior fortuna presso i grammatici consiste nel ricondurre la struttura del periodo a quella della frase semplice, individuando negli elementi costitutivi di questa (soggetto, oggetto, complementi indiretti, attributi) altrettanti modelli utilizzabili per descrivere la funzione della frase nel periodo. Si vedano le seguenti coppie:

FRASE SEMPLICE FRASE COMPLESSA

Aspetto il ma arriva - complemento oggetto Aspetto che tu arrivi - proposizione oggettiva

FRASE SEMPLICE FRASE COMPLESSA

La tua partenza è indispensabile - soggetto E indispensabile che tu. parta — proposizione soggettiva



r:},

’ FRASE SEMPLICE FRASE COMPLESSA

Alla mia partenza pioveva - complemento indiretto Quando partii, pioveva - pro osizione temporale («proposizione-complemento»)

FRASE SEMPLICE

Il còrso Napoleone divenne imperatore dei Francesi - attributo Napoleone, che era còrso, divenne imperatore dei Francesi - proposizione relativa («attributiva»)

FRASE COMPLESSA

Lo schema indicato corrisponde alla suddivisione operata da TEKAVCIC 1980: II 436. Ma non sono troppo difformi le classificazioni di FORNACIARI 1881: 358 sgg. (soggettive, oggettive, attributive e avverbiali; queste ultime sono quelle «che modificano il senso della proposizione principale determinando la maniera e le circostanze dell’azione espressa dal principal verbo») o di HERCZEG 1959, che riprende la partizione proposta vent’anni prima dal Sandfeld per il francese, distinguendo quattro grandi gruppi: a) proposizioni completive; b) proposizioni interro-

gative indirette (entrambe corrispondenti a un sostantivo); c) relative (riconducibili al valore di un aggettivo); d) avverbiali. In realtà, nessuna tipologia e in grado di rendere soddisfacentemente ragione delle varie subordinate. Nel corso della nostra esposizione, noi tratteremo in modo

autonomo ogni proposizione secondaria, evitando di collocarla forzatamente entro categorie generali pur non mancando di sottolineare eventuali analogie con le parti della frase semplice (a cominciare dalle prime subordinate che esamineremo: le completive).

382

XIV. Sintassi del periodo

Proposizioni completive 35. Con questo termine indichiamo due proposizioni che svolgono, nel periodo, rispettivamente la funzione di complemento oggetto (proposizione oggettiva: «penso che tu sia sincero», affine a «penso qualcosa») o di soggetto (proposizione soggettiva: «e bello vivere qui», affine a «la vita qui è bella»). Le completive sono tra le subordinate più frequenti e usuali in qualunque livello" di italiano. Ammettono i due costrutti, im-

plicito, con l’infinito presente o passato, ed esplicito, con indicativo, congiuntivo, *ondizionale. Il costrutto implicito presuppone identità di soggetto tra reggente e secondaria («penso di essere forte») oppure una reggente con modo indefinito o verbo impersonale («non bisogna pensare di aver sempre ragione»; «sembra di essere in America»). Diversità di soggetti può sussistere quan— do il verbo reggente sia un verbo volitivo (cfr. XIV.42), in certi usi regionali del Mezzogiorno (cfr. ROHLFS 1966-1969: 712 n.) e nell’italiano antico. Si veda, a que— st’ultimo proposito, la seguente oggettiva coordinata di G. B. Marino, Adone, IX

186: «Così parla all’augel malvagio e brutto / la dea, sdegnando un stil sì rauco udire, / e i chiari onor del domator del flutto, / dov’ella ebbe il natal, tanto avili-

re» (=sdegnando che l’augello avvilisca...). 36. Osserviamo: a) Quando si ha identità di soggetto — grammaticale o logico — il costrutto esplicito è meno comune dell’implicito; ma si trova, con l’indicativo, nel registro collo-

quiale («ogni tanto dice che è malato» Calvino, cit. in SCHMITT-JENSEN 1970: 181)

oppure quando si voglia dare particolare rilievo all’oggettiva: «io le dico che ho bisogno d’attaccarmi con l’immaginazione alla vita altrui» (Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca, III 12).

b) Il costrutto esplicito non si adopera con le soggettive quando il soggetto logico della reggente si identifichi col soggetto grammaticale della com letiva (*mi sembra che io sia stato chiaro . c) Si adopera invece senza possibilità di scelta, con soggettive e oggettive, quando

l’azione della completiva e posteriore: «gli pareva che non avrebbe esitato, se fosse stato di giorno, all‘aperto, in faccia alla gente: buttarsi in un fiume e sparire» (Manzoni, I Promessi Sposi, XXI 52).

d) Obbligo di costrutto esplicito si ha, ancora, con le soggettive se la completiva ha un suo soggetto particolare anche generi— co e il verbo reggente è assolutamente impersonale: «pare che abbian fatta la grida apposta per me» (Manzoni, I Promessi Sposi, III 24); invece, se il verbo reggente diventa personale, assumendo come soggetto il soggetto della completiva, sono possibili entrambe le costruzioni: «la grida sembra essere stata fatta...», «la grida sembra che sia stata fatta...». e) In presenza di due o più completive coordinate si può avere identità di costrutto, esplicito o implicito, oppure alternanza: «a lui pareva di stare in una favola e che la favola fosse vera» (Bacchelli, Il mulino del Po, I 76).

Proposizioni oggettive 37. In base al tipo di reggenza le oggettive possono essere distinte in tre gruppi, a seconda che siano rette da un verbo («sento che mi nascondi qualcosa»), da un sostan-

tivo («la sensazione che tu mi nasconda ualcosa mi tormenta»), da un aggettivo ?«dormimmo [..] ansiosi che la luce del giorno ci rivelasse la terra rumena» P. Levi, cit. in SCHMI'IT-JENSEN 1970: 201). Questa tripartizione, cui doom-iamo per comodità descrittiva, rivela l'insufficienza

della nozione di «proposizione oggettiva» come omologa all’oggetto della frase semplice, dal momento che a una reggenza sostantivale o aggettivale sarebbe arduo applicare un complemento oggetto. D’altra parte, la stessa difficoltà si ritrova

anche in molte reggenze verbali con verbi intransitivi («mi accorgo che spendiamo troppo») o transitivi con oggetto espresso («ti avverto che i soldi sono finiti»). 38. La reggenza verbale e di gran lunga la più comune. Nella sovraordinata posso— no comparire verbi transitivi, intransitivi

o intransitivi pronominali, appartenenti ad aree semantiche disparate. Ricordiamo, tra gli altri, i verbi che esprimono

383 un’afferrnazione («diceva di essere uno studente»), un giudizio («penso che tu debba ritomare»), una percezione («sentiva la ioggia battere sui vetri»), una volontà «vuoi che tutto questo finisca?»), un tentativo («prova a fare qualche esame!»), un sentimento («mi rallegra di ritrovarvi in buona salute»). L’etichetta di «oggettiva» — proprio per il grandissimo numero di costrutti cui si applica — non esclude che molte subordinate possano essere interpretate diversamente. Delle frasi appena citate, ad esempio, la penultima potrebbe essere considerata finale (=datti da fare per…) e l’ultima, causale (=mi rallegro dal momento che...). Nel corso della presentazione che segue classificheremo le oggettive in base ai re— quisiti formali del verbo reggente (causativo: I; transitivo con possibilità di reggere un costrutto implicito o esplicito: II; intransitivo dello stesso tipo: III: transitivo che ammetta solo il costrutto implicito: IV; intransitivo dello stesso tipo: V). Per quanto riguarda i costrutti impliciti, segnaleremo di volta in volta la mancanza o la presenza di preposizione («voglio parlare», «penso di parlare», «provo ci parlare»). Altemanze del genere sfuggono a interpretazioni d’insieme e rientrano nella naturale varietà di reggenze che caratterizza, in italiano come in molte altre lin-

gue, i singoli verbi. La tipologia qui proposta utiliua alcuni spunti e parte dei materiali di SKYTFE 1983, semplificandone però i criteri di classificazione e adottando un diverso punto di vista. 39.1. I due verbi causativi,fare e lasciare,

non hanno significato autonomo. ma modificano il valore del verbo contenuto nell’oggettiva; «in molti casi è addirittura possibile sostituire» questo sintagma «con un verbo singolo, cioè con una sola radice» (SKYTTE 1976: 364; cfr. anche SKYTTE

1983: I 54 sgg.): far capire=persuadere, lasciare stare=smettere, ecc.

Il costrutto del tipo «far fare qualcosa a/ da qualcuno» presenta una specie di cooperazione trai due soggetti, quello grammaticale del verbo causativo e quello logico (cfr. 11.23) dell’infinito, giacché il piimo mette in moto l’azione del secondo:

XIV. Sintassi del periodo «io [soggetto grammaticale] faccio che x [soggetto logico] faccia qualcosa» _» «io faccio fare qualcosa al da x». Le varie modalità di realizzazione di questo costrutto sono analiticamente descritte in SKYTTE 1983: I 57-75. Qui ci limitere— mo a due osservazioni: a) Il soggetto logico e rappresentato da un complemento indiretto, introdotto da a o da (con diverse sfumature semantiche: «lo farò vedere al dottor Rossi», «lo farò vedere dal dottor Rossi»; nel sistema pronominale: gli, le / da lui, da lei, ecc.:

cfr. SKY’I’I‘E 1983: I 57). b) Se il soggetto logico e un sostantivo, esso di norma segue il sintagma causativo+infinito, ma potrebbe anche precederlo; se è un pronome atono, lo precede

in ogni caso o almeno — se si ha enclisi pronominale nel verbo causativo (cfr. VII.74) — precede l’infinito. Così, la frase «ciò faceva pregustare al malizioso cugino [...] un piacere affettuoso» (Morante), sostituendo il soggetto logico con un pronome diventerebbe: «ciò gli faceva pregustare»; e la frase «dovrai farlo sapere anche a Remo» (Cassola; entrambi gli esempi sono citati in SKYTTE 1983: I 61) si trasformerebbe in «glielo dovrai far sapere» o «dovrai farglielo sapere»‘r“‘“ 40. La completiva retta da fare e lasciare ammette anche la forma esplicita (ma in molti casi la presenza dell’infinito è cristallizzata: lasciamo andare / perdere / stare, facciamo fare, ecc.). Con lasciare il costrutto esplicito (sempre col verbo al congiuntivo) è abbastanza frequente ed è sostanzialmente intercambiabile con quello implicito: «nel carcere non si deve far niente, e lasciar che il tempo passi» (Pavese; =e lasciar passare il tempo); «lascio che dica e le rispondo a smorfie» (Pavese; :la lascio dire: esempi attinti da SCHMITTJENSEN 1970: 142). Con fare è invece raro e, soprattutto, non ha lo stesso valore,

giacché in tal caso fare (sì) che assume piuttosto valore consecutivo (cfr. XIV.128 sgg.) sottolineando in modo particolare l’intervento del soggetto nell’anone. Ecco un esempio in cui il costrutto esplicito ha lo stesso valore di quello implic1to: «un tic [...] faceva che volgesse o alzasse a ogni attimo il capo» (Ortese, cit. in SCH-

384

XIV. Sintassi del periodo MUT-JENSEN 1970: 140; =un tic gli faceva

volgere...) e uno in cui il carattere consecutivo è più marcato: «0 Dio, grande e misericordioso, fa’ che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio» (Messale festivo, 17; in termini puramente grammaticali la sostituzione resta tuttavia possibile: «non farci ostacolare dal nostro impegno», ecc.). 41. II. Un certo numero di verbi transitivi ammette sia il costrutto es licito sia quello implicito; ad esempio: « certi giocatori] quando perdono si sgolano per dimostrare che il vincitore ha giocato male» (Moravia, Nuovi racconti romani) / «il bambi-

no le dimostrava in ogni atto di ricambia— re la sua passione» (Morante, cit. in SKYT—

TE 1983: I 123). Col costrutto implicito l’infinito è generalmente retto da di, ma talvolta richiede

la reggenza assoluta senza preposizione («preferisco aspettare qui»). Ciò sembra valere, in particolare, per i verbi afferma— re, considerare, credere, ritenere e trovare,

«se il verbo è costruito con predicato dell’oggetto» (SKYTTE 1983: I 126, da cui si attingono gli esem i): «affermate di non avere un recapito» Morante) ma: «si è affermato necessario eseguire quelle azioni» (Croce). Cfr. anche GlOVANARDI 1984. Ecco una lista di verbi di questo gruppo; accanto a ciascuno di essi è indicata l’eventuale reggenza assoluta nel costrutto implicito:

immaginare informare intendere mostrare negare ostentare pensare preferire (anche col solo inf.) promettere

raccontare ricordare rispondere ritenere (anche col solo inf.) sognare sospettare sperare (anche col solo inf.) spiegare stimare (anche col solo inf.) temere trovare (anche col solo inf.)

42. Affini a questi sono altri verbi, tutti indicanti una volizione (un ordine, un suggerimento, ecc.), con i quali nel costrutto implicito (che richiede sempre di davanti all’infinito) l’oggettiva può avere un diverso soggetto; il destinatario della

volizione è espresso nella reggente per mezzo di un complemento di termine:

«mi impongo di tacere» (identità di soggetti); «gli impongo di tacere» (diversità di soggetti). Si osservi che, se manca un complemento di termine, il destinatario

sottinteso è sempre diverso dal soggetto della reggente: «il tribunale ordinava di bruciar robe» (Manzoni, I Promessi Spasi, XXXI 34; sottinteso: agli incaricati).

Ecco i più comuni di questi verbi: accettare affermare (anche col solo inf.) aggiungere ammettere annunciare aspettare

asserire awertire comunicare confessare considerare (anche col solo inf.) credere (anche col solo inf.) desiderare (anche col solo inf.) determinare dichiarare (anche col solo inf.) dimenticare dimostrare dire (anche col solo inf.) dubitare esclamare giurare ignorare

comandare concedere consentire imporre ingiungere intimate

ordinare permettere proibire raccomandare suggerire vietare

A questi si aggiungano verbi dichiarativi (come avvertire o dire) quando siano usati con valore volitivo: «perciò le dicevo di badare alle conseguenze» (Pirandello, !!

piacere dell’onestà, III 157). 43. Anche alcuni verbi di percezione (osservare, sentire, udire, vedere e pochi al-

tri), costruibili con i modi finiti o con l’infinito, ammettono nel costrutto implicito

un soggetto diverso da quello della reggente: «sento qualcuno bussare» / «sento

385

XIV. Sintassi del periodo

che qualcuno bussa». Può aversi anche un’altra soluzione: il soggetto della completiva diventa oggetto del verbo reggente, introducendo una proposizione relativa: «sento qualcuno che (:il quale) bussa». Con altri due verbi di percezione, ascolta— re e guardare, non è possibile il costrutto esplicito: «guardo cadere la neve» / «guardo la neve che cade» ma non ”“guarda che cade la neve.

provare (+di, +a) rifiutare (+di) smettere (+di) tentare (+di 0 col solo inf.) terminare (+di) trascurare (+di) usare (+di o col solo inf.)

Regionale 0 antiquata la presenza di a davanti all’infinito nel costrutto implicito: «gli parve di

46. V. Verbi intransitivi o intransitivi pronominali che ammettono soltanto il costrutto implicito con di («non mancò d’informarmi»), con a («mi impegno a riuscire») o con reggenza assoluta («con un respiro franco e pieno, ardì svincolar-

sentire la madre a chiamarlo», «disse di aver

si» Manzini cit. in SKYTTE 1983: I 151):

veduto zio Predu a fumare» (Deledda, L ‘incendio nell’oliveto, 49 e 55); «faceva di tutto per farsi vedere a piangere dalla gente». «per sentire a recitare dei sonetti» (De Marchi. Demetrio Pianelli, 31 e 270).

44. III. Riuniamo qui alcuni verbi intransitivi o intransitivi pronominali con i quali, come coi due gruppi precedenti, sono possibili entrambi i costrutti, esplicito e implicito (ad esempio: «s’accorgeva che la sua allegria era impacciata e malsicura»

ardire (+di o col solo inf.) degnarsi (+di o col solo inf.) impegnarsi (+di, +a) mancare (+di) offrirsi (+di, +a) rifiutarsi (+di, +a) sentirsi (+di) sforzarsi (+di, +a), ecc.

Naturalmente, partizioni del genere non possono essere troppo rigide: vi sono ver-

Tozzi, Tre croci — Giovani; «Tobia s’ac-

bi che, a seconda dei casi, sono transitivi o

corse di avermi fatto effetto» Fenoglio, cit. in SKY’ITE 1983: I 158). Nel costrutto implicito richiedono il di (ma con persuadersi e vergognarsi l’infinito può essere retto anche da a: cfr. SKYTTE 1983: I 161). Si

intransitivi («godo l’usufrutto» / «godo dei tuoi successi»). .

tratta, fra gli altri, di: accontentarsi accorgersi congratularsi convincersi dimenticarsi dolersi gioire pentirsi

persuadersi rallegrarsi rammaricarsi ricordarsi spaventarsi stupirsi vantarsi vergognarsi

45. IV. Altri verbi, transitivi, ammettono

solo il costrutto implicito con di («cerco di smettere il fumo»). con a («provo a smettere di fumare») o con reggenza assoluta («quei vigliacchi non osano assalirci» Misasi, L’Assedio di Amantea). Per esem-

pio: adorare (+di o col solo inf.) cercare (+di o col solo inf.) finire (+di o col solo inf.) interrompere (+di) osare (+di o col solo inf.)

47. Invece che da un verbo, una proposi— zione oggettiva può essere introdotta da un aggettivo o da un sostantivo. Queste strutture ricalcano il carattere delle reggenze verbali e, come quelle, consentono il più delle volte la scelta tra costrutto esplicito e implicito. Si vedano le seguenti coppie di frasi (attinte rispettivamente da SCHMITT-JENSEN 1970: 202, 209, 293, 300 e SKYTTE19S3: II

326, 370, 375): «ero contento che fosse finita» (Pavese) / «uno è contento di girare se vede bei posti» (Vittorini); «tornai convinto che quel giorno non avrei visto Ceresa» (Pavese) / «scantona via convinto di aver udito ululare tutte insieme le anime del Purgatorio» (Vittorini); «Elisa Ismani perse la speranza che facesse» (Buzzati) / «la speranza di giungere [.] a conoscere nella sua piena realtà la poesia shakespeariana» (Croce), «sorrise compiaciuto all’idea che avessi data tanta importanza alla sua lettera» (Pavese) / «l’idea di non avere a svolgere carte oliate e divorare panini gravidi lo rasserenò» (Moravia).

XIV. Sintassi del periodo Molto frequente la reggenza nominale nella scrittura giomalistica, grazie all’elevata funzionalità «del costrutto, che si

può inserire facilmente in vari contesti»

(DARDANO 1986: 340). Ecco due esempi di subordinata oggettiva, tratti da uno stesso numero del quotidiano «La Repubblica» (30.12.1986, 3 e 9): «con la clausola che

d’ora in poi per ogni circoscrizione giudiziaria almeno un pretore svolga esclusivamente la funzione di pubblica accusa»; «con la previsione che due differenti-società si sarebbero sviluppate in America, una bianca ed una nera, una ricca ed una

povera». Per un ricco inventario di reggenze nominali e aggettivali cfr. SCHMITT-JENSEN 1970: 197 sgg., 250 sgg. e SKYTTE 1983: Il 322 sgg., 350 sgg.

Modi verbali del costrutto esplicito 48. Le oggettive esplicite ammettono sia l’indicativo sia il congiuntivo. L’altemanza tra questi due modi non riflette rigidamente l’opposizione tra certezza e incertezza, oggettività e soggettività, secondo i valori propri di indicativo e congiuntivo (cfr. XI.7). Spesso «è solo una questione di scelta fra il seguire la tradizione letteraria (congiuntivo) ola popolarità dell’espressione (indicativo)» (MORETTI—ORVIE— TO 1979: I 11); una «popolarità» che risale ad epoca antica se nel trecentista Franco Sacchetti si legge una frase come «credo ch’avete assai malinconia» (cfr. AGENO 1961: 8). Alcuni grammatici parlano di una pre— sunta ‘morte del congiuntivo’ nell’italiano d’oggi, o almeno di un suo accentuato de— clino dai tradizionali domini di completive, interrogative indirette (cfr. XIV.83

sgg.), ipotetiche (cfr. XIV…162 sgg.). Ma in realtà il congiuntivo è ben saldo nell’i— taliano scritto, anche senza pretese letterarie (cfr. SERIANNI 1986a: 59-61). Quanto all’italiano parlato, si deve osservare che un reale regresso in favore dell’indicativo è in atto soltanto (e non in tutte le regioni) per la seconda persona («credo che hai» invece di «credo che [tu] abbia»). Infatti: a) il congiuntivo presente è indifferenziato per le rime tre persone

([che io] abbia, [che tu abbia, [che egli]

386

abbia) e un abbia senza soggetto sarebbe spontaneamente assegnato alla terza persona («credo che abbia»=credo che egli / ella abbia; fuori discussione la prima persona, con la quale è normale ricorrere al costrutto implicito, cfr. XlV.36a: «credo di avere»); b) per indicare la seconda persona senza possibilità di equivoci si dovrebbe dunque esplicitare il soggetto («credo che tu abbia»): un’esplicitazione che non è usuale nell’italiano corrente contemporaneo, tranne che in casi particolari (cfr. VII.6). Nella lingua letteraria e nel parlato non troppo informale, il modo dell’oggettiva è condizionato dal tipo di verbo reggente. In SCHMITT-JENSEN 1970: 125 sgg. si distingue opportunamente tra: a) verbi che richiedono normalmente il congiuntivo; b) verbi che richiedono l’indicativo; c) verbi in cui l’alternanza di modo corrisponde a diverse accezioni di significato: d) verbi in cui tale alternanza sembra priva di fondamenti semantici. Seguiremo anche noi questa partizione, con qualche differenza. limitandoci ai primi tre gruppi, i più significativi. 49. Richiedono il congiuntivo soprattutto i verbi che indicano una volizione (ordi— ne, preghiera, permesso), un’aspettativa (desiderio, timore, sospetto), un‘opinione o una persuasione. Ricordiamo: accettare amare aspettare assicurarsi attendere augurare chiedere credere curarsi desiderare disporre domandare dubitare esigere fingere illudersi

immaginare lasciare negare ordinare permettere preferire pregare pretendere raccomandare rallegrarsi ritenere sospettare sperare supporre temere volere

Qualche esempio: «voglio soltanto augurarvi che il tempo visia propizio» (Alvaro, Il nostro tempo e la speranza); «la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati», ecc. (Codice Penale, art. 63); «posso pretende-

387

XIV. Sintassi del periodo

re che mio figlio, qua, non metta più piede!» (Pirandello, La signora Morli, una e

due, VI 304); «non sospettava ch’essi ne sapesser più di lui» (Manzoni, I Promessi

Sposi, VIII 79). Si noti che dubitare usato all’imperativo negativo può richiedere l’indicativo nella subordinata: «Non dubitare che i conti li regolo anche da me solo» (Pratolini, cit. in SCHMITT-JENSEN 1970: 148). 50. Reggono di norma l’indicativo molti verbi di giudizio 0 di percezione, quali: accorgersi affermare confermare constatare dichiarare dimostrare dire giurare insegnare intuire notare percepire

promettere ricordare riflettere rispondere sapere scoprire scrivere sentire sostenere spiegare udire vedere

Esempi: «Gli estetizzanti afiermano che la verità è nella contem lazione estetica e

te all'azione verbale: «per te, che sai giocare, capisco che le americane non abbiano molto senso» Pavese) considerare (+indic. ‘tener conto’; +congiunt. 'supporre’) decidere (+indic. ‘1‘endersi conto’; +congiunt. ‘disporre‘) pensare (+indic. ‘riflettere‘: «e pensare che erano costrette a cucir loro le camicie» Palazzeschi; +congiunt. ‘supporre': «mi parve una sciocchezza pensare che qualcosa potesse andare male» Fondagni).

Per le reggenze nominali e aggettivali cfr. SCHMITT-JENSEN 1970. Qui basterà osservare che in molti casi il

modo dell’oggettiva è lo stesso che si avrebbe con un verbo sinonimico; per esempio: «[mia madre] aveva paura che la gente venisse a farle visita quando lei voleva andare a spasso» (Ginzburg. Lessico famigliare, 1.8; con reggenza verbale: «temeva che la gente venisse...»). ' 52. Un verbo che usualmente regga l’indicativo può tuttavia richiedere il congiuntivo qualora: a) Assuma senso volitivo; si veda il se-

non già nel concetto» Croce, Logica co-

guente esempio di M. Soldati (cit. in

me scienza del concetto puro); «0 Dio [...]

SCHMI'I'T—JENSEN 1970: 186): «si era limi—

così hai insegnato che non è mai lecito separare ciò che tu hai costituito in unità»

tato a scrivermi che aveva piacere di vedermi e che non mancassi di andare a trovarlo quando venivo a Roma» (entrambe le oggettive sono rette da scrive-

(Messale festivo, 841); «l’intelletto, senza

esperienza, giunge a sapere che può esserci qualcosa» (Lamanna, Filosofia, III 123); «avevano saputo subito in Munici-

re, un verbo che richiede in genere l’indicativo; tuttavia la seconda completiva

pio del mio arrivo, e avevano sentito che

è al congiuntivo perché non contiene

io ero un dottore» (Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 14).

una semplice enunciazione, bensì un’esortazione, un invito: si potrebbe parla-

51. Altri verbi presentano vuoi l’indicativo vuoi il congiuntivo, con specializzazione di significato. Attingiamo dalla lista di SCHMI'IT-JENSEN 1970: 164 sgg. alcune forme (di lì anche gli esempi citati): ammettere (+indic. “riconoscere”; +congiunt. ‘supporre‘, permettere“) badare (+indic. ‘osservare’; +congiunt. ‘aver cura’, ‘fare attenzione”) calcolare (+indic. 'dedurre’; +congiunt. ‘sup-

porre’) capire, comprendere (+indic. ‘rendersi conto’, come atto di pura comprensione intellettuale: «capivo che anche lei se n’era accorta» Pavese;

re in questo caso anche di proposizione finale). b) Assuma senso eventuale, specie in riferimento a un soggetto indeterminato: «alcuni dicono che egli sia stato fucilato [..]. Altri sostengono che sia morto ad Amburgo nel ’45» (Montale, cit. in SCHMUT-JENSEN 1970: 182); di solito per accentuare «il valore restrittivo dell‘opinione» (MORETTI-ORVlETO 1979: I 93, da cui si attinge l’esempio): «i ragazzi dicono che il suo farmacista genitore stia sperimentando in corpore di lui gli effetti di un nuovo sciroppo purgativo» (Vittorini). e) Si trovi in una frase negativa: «non dico

+congiunt. “trovare naturale’, attraverso una

che deva andar lui in giro, in carrozza, ad

valutazione soggettiva, aderendo effettivamen—

acchiappar tutti i birboni» (Manzoni, I

388

XIV. Sintassi del periodo

Promessi Sposi, XIV 13); «in quell’estate eravamo quasi felici, non ricordo che avessimo mai litigato» (Pavese, cit. in SCH-

MUT-JENSEN 1970: 215). d) Si trovi in una frase interrogativa retorica: «chi mi dice che l’economia rurale borghese non sia suscettibile di miglioramenti?» (Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo). Tuttavia, l’indicativo sarebbe possibile e, in altre frasi, sarebbe addirittura

una scelta obbligata: «[SILIA] Deve finire! deve finire! [Quasi aggressiva Capisci che così non può più durare?» Pirandello, 11 giuoco delle parti, III 27). e) L’oggettiva sia anteposta alla reggente: «Che il mare fosse da quella parte, l’avevo detto io a Gosto» Pavese, cit. in SCH-

MITT-JENSEN 1970: 115 . Per la presenza del pronome anaforico nella sovraordinata cfr. VII.43. Secondo HERCZEG 1971: 14 questa prolessi (che si ritrova nelle soggettive e nelle interrogative indirette) «procede dallo stile parlato diretto ed ha per fondamento il desiderio del parlante di comunicare prima i fatti e gli eventi concreti, e poi far seguire la considerazione logica».

pendenti da un verbo all’imperfetto congiuntivo; ecco un esempio in cui a una proposizione finale contenente un verbo che regge normalmente il congiuntivo (sembrasse, cfr. XIV.77a) seguono due soggettive coordinate (cadeva, confermava): «[la mozione di sfiducia ha fatto anticipare il chiarimento]: perché altrimenti non sembrasse né che il governo cadeva per iniziativa dell’opposizione né che la Dc gli confermava la fiducia» («La Nazione», 28.2.1987, 1). 54. Oltre che col congiuntivo e con l’indicativo un’oggettiva in rapporto di contemporaneità o di anteriorità con la reggente può costruirsi col condizionale quando coincida con l’apodosi di un periodo ipotetico («credo che avremmo commesso un errore tragico se in passato non avessimo tempestivamente afferma— to una posizione critica» A. Natta, inter— vista alla «Repubblica», 3.2.1987, 3); oppure, in genere, là dove si userebbe il condizionale in una frase enunciativa: «penso che faresti bene a parlargli».

53. Viceversa, qualunque verbo o qualunque costrutto che richieda il congiuntivo

Tempi del costrutto esplicito

può costruirsi con l’indicativo futuro (o,

55. Il tempo verbale della reggente condiziona il tempo dell’oggettiva, sia pure senza la rigorosità della «consecutio temporum» latina. Se l’oggettiva è di modo indicativo si ha il quadro offerto dal seguente prospetto (il quale, oltre che per le oggettive di primo grado, vale, in generale, per tutte le subordinate che si costruiscono con l’indicativo tranne le ipo— tetiche, cfr. XIV.14S sgg.):

se è un passato, col condizionale composto) quando l’oggettiva indica azione posteriore rispetto alla reggente (cfr. SCHMITI“JENSEN 1970:145-1-46). «— Anche voi — riprese Renzo— credo che potrete farmi un pracere» (Manzoni, I Promessi Sposi, XXXIV 22) L’indicativo (imperfetto) può trovarsi an— che in completive di secondo grado di-

CONTEMPORANEITÀ PROPOSIZIONE REGGENTE

PROPOSIZIONE OGGETTIVA

Indie. Pres.: dico

Imperativo: di’ Condizionale: direi Congiunt. Pres.: dica Imperfetto: dicevo Pass. Remoto: dissi Pass. Prossimo: ho detto Trapass. Prossimo: avevo detto Condiz. Passato: avrei detto Congiunt. Trapassato: avessi detto

Indie. Pres. che sbaglia

Indie. Pres. o Imperfetto: che sbaglia, che sbagliava

389

XIV. Sintassi del periodo

Indie. Futuro: dirò

Indie. Pres. o Futuro: che sbaglia, che sbaglierà

ANTERIORITÀ PROPOSIZIONE REGGENTE Indie. Pres.: dico

PROPOSIZIONE OGGETTIVA Imperfetto, Pass. Remoto, Pass. Prossimo,

Imperativo: di’ Condizionale: direi Congiunt. Pres.: dica

Trapass. Prossimo: che sbagliava, che sbagliò, che ha sbagliato, che aveva sbagliato

Imperfetto: dicevo Pass. Remoto: dissi Pass. Prossimo: ho detto Trapass. Prossimo: avevo detto Condiz. Passato: avrei detto Congiunt. Trapassato: avessi detto

Pass. Prossimo o Trapass. Prossimo: che ha sbagliato, che aveva sbagliata

Indie. Futuro: dirò

Imperfetto, Pass. Remoto,

Pass. Prossimo o Trapass. Prossimo: che sbagliava, che sbagliò, che ha sbagliato, che aveva sbagliato

POSTERIORITÀ PROPOSIZIONE REGGENTE Indie. Pres.: dico Imperativo: di ’ Condizionale: direi Congiunt. Pres.: dica Imperfetto: dicevo Pass. Remoto: dissi Pass. Prossimo: ha detto Trapass. Prossimo: avevo detto Condiz. Passato: avrei detto Congiunt. Trapassato: avessi detto Indie. Futuro: dirò

Un ottimo quadro analitico della concor— danza dei tempi nelle varie subordinate in MORETTI-ORVIETO 1979: I 67-76. 56. Non tutte le relazioni sopra indicate,

teoricamente possibili, hanno la stessa frequenza d’uso; d’altra parte, specie con alcuni verbi, possono aver luogo altre relazioni qui trascurate. In articolare: a) piuttosto comune nella lingua parla-

PROPOSIZIONE OGGETTIVA

Futuro: che sbaglierà

Futuro, Condiz.

Passato: che sbaglierà, che avrebbe sbagliato

Futuro: che sbaglierà

bio temporale: «so che arriva domani col treno delle dieci»; «ti prometto che prima

del tuo ritorno ho finito» (esempio tratto, come i seguenti, da MORETTI-ORVIETO 1979: I 68 sgg.), «sapevo che tuo figlio si laurea presto». b) Viceversa, il futuro può comparire in relazioni di contemporaneità o di anteriorità con valore ipotetico-eventuale: «penso che sarai affamato»; «credo che ormai

avrete capito la lezione».

ta il presente invece del futuro, in frasi in

cui l’idea della posteriorità è ricavabile dal contesto oppure è affidata a un awer-

57. Ed ecco il prospetto della concordanza dei tempi con un’oggettiva al congiun—

XIV. Sintassi del periodo

390

tivo (anche in questo caso applicabile alla maggior parte delle subordinate che ri-

chiedano lo stesso modo; per le condizionali cfr. XIV.14S sgg.):

CONTEMPORANEITÀ PROPOSIZIONE REGGENTE

PROPOSIZIONE OGGETTIVA

Indic. Pres.: immagino Imperativo: immagina Indio. Futuro: immaginerò Condizionale: immaginerei

Congiunt. Pres.: che egli faccia bene

lndic. Imperfetto: immaginavo Pass. Prossimo: ho immaginato Pass. Remoto: inmmginai Trapass. Prossimo: avevo immaginato Condiz. Passato: avrei immaginato

Congiunt. Imperfetto: che facesse bene

ANTERIORITÀ PROPOSIZIONE REGGENTE

PROPOSIZIONE OGGETTIVA

lndic. Pres.: immagino Imperativo: immagina lndic. Futuro: immaginerà

Congiunt. Passato: che egli abbia fatto bene

Imperfetto: immaginavo Pass. Remoto: immaginai Pass. Prossimo: ho immaginata Trapass. Prossimo: avevo immaginata

Congiunt. Trapassato: che avesse fatto bene

Condizionale: immaginerei

Congiunt. Passato,

Imperfetto o Trapassato: che egli abbia fatto bene, che facesse bene,

che avesse fatto bene

POSTERIORITÀ PROPOSIZIONE REGGENTE Indio. Pres.: immagino

lndic. Futuro: immaginerò Imperfetto: immaginavo Pass. Remoto: immaginai Pass. Prossimo: ho immaginato Trapass. Prossimo: avevo immaginato Condizionale: immaginerei Condiz. Passato: avrei immaginato

Anche qui, un quadro più articolato in MORETTl-ORVIETO 1979: I 115-120 e 147-152. 58. Notiamo: a) L’antenontà rispetto a un presente o a un futuro può essere espressa con l’im-

PROPOSIZIONE OGGETTIVA [si ricorre all'India Futuro: cfr. XIV. 53]

[si ricorre al Condizionale Passato: vedi oltre]

perfetto congiuntivo, «quando il fatto potenziale del passato ha valore durativo» (MORETTI—ORVIETO 1979: I 115; «penso che da bambino non godesse di buona salute») e con il congiuntivo trapassato «quando il fatto potenziale si iscrive in un

391

passato anteriore ad un altro nel contesto» («gli investigatori ritengono che l’assassino, che probabilmente ha compiuto il massacro sotto l‘effetto di sostanze stupefacenti, avesse avuto qualche occasione di conoscere il prof. Aprile», «La Nazione», 28.2.1987, 5). b) Come nelle oggettive all’indicativo, l’idea di anteriorità o posteriorità può essere espressa non da un particolare tempo verbale ma dal contesto o da un avverbio temporale: «pensavo che da bambino non fosse felice» (anteriorità); «credo che parta domani» (posteriorità). c) Talvolta si può avere un tempo diverso da quello atteso per effetto di un particolare «punto di vista» del parlante. Si ve— dano i seguenti esempi (da DARDANOTRIFONE 1985: 312): «ho temuto che quella notizia ti potesse dispiacere» (col normale imperfetto congiuntivo richiesto dalla contemporaneità nel passato); «ho temuto che questa notizia ti possa dispiacere» (il congiuntivo presente si deve all’attualità del fatto, marcata «anche attraverso l’uso del pronome dimostrativo questa invece di quella»). (1) Per indicare il «futuro del passato» oggi è di regola il condizionale composto: «credevo che saresti venuto l’indomani». Il tempo che si è adoperato più spesso, fino ad anni recenti. è stato però il condizionale presente (cfr. BERTINE'ITO 1986: 513 e soprattutto BRAMBILLA AGENO 1964: 350), normale ad esem io nei Promessi Sposi («il guardiano [... disse che si farebbe» IV 44; «visto finalmente uno che

veniva in fretta, pensò che questo [...] gli risponderebbe subito, senz’altre chiacchiere» XVI 8, ecc.) e ancora nella prosa novecentesca più sensibile alla tradizione letteraria («lo sapevano bene a che ora tornerebbe» Palazzeschi, cit. in MORETTI-

ORVIETO 1979: I 143). Non persuade, come si osserva opportunamente nel cit. MORETTI ORVIETO, l’opinione di alcuni grammatici che considerano in uso, con questa funzione, entrambi i tempi del condizionale, con una di-

versa distribuzione: il «futuro del passato» sarebbe «espresso dal condizionale presente per indicare fatti che hanno poi avuto realizzazione, o dal condizionale

passato per indicare quelli che non hanno avuto realizzazione».

XIV. Sintassi del periodo e) Se nella reggente figura il condizionale presente di un verbo indicante volontà, desiderio, opportunità (come volere, desiderare, pretendere, esser conveniente e si-

mili; un’ampia lista in MORETTI-ORVIETO 1979: I 148), la dipendente si costruisce col congiuntivo imperfetto più spesso che col congiuntivo presente. Esempi: «E che vorrebbe ch’io facessi?» (Manzoni, I Promessi Sposi, II 20); «Io, figlia, non preten-

derei che mia madre salisse per me novanta, cento scalini» (Pirandello, Così è

[se vi pare], V 28).

Costrutti particolari Il costrutto oggettivo esplicito può presentare due varianti: 59. I. Omissione del che: «dicono sia fratello di una prostituta» (Calvino), «temo esca di prigione» (Pavese; i due esempi sono citati in SCHMITT-JENSEN 1970: 112 e 145), «immagino conosca molta gente, a B» (Sciascia, Il giorno della civetta, 65). L’ellissi del che è particolarmente frequente in subordinate di secondo grado

dipendenti da una sovraordin_gata introdotta da che (congiunzione o pronome relativo) oppure da una congiunzione composta con che (affinché, perché). Si vedano questi due esempi: «altrimenti si aprirebbero situazioni che non nascondo sarebbero difficili» («La Repubblica», 19.2.1987, 3; :che non nascondo che...);

«in secondo luogo Marx mi ha insegnato — perché credo sia lui ad averlo inventato — il metodo dei modelli nelle scienze umane e sociali» («L’Espresso», 16.11.1986, 171; =perché credo che sia

lui... . A ragioni analoghe (evitare l’accumulo di troppi che) risponde l’ellissi della congiunzione subordinante quando la completiva regga a sua volta una secondaria introdotta da che, come nel seguente esempio di Collodi (Pinocchio, 11): «[un carabiniere], sentendo tutto quello schiamazzo, e credendo si trattasse di un puledro che avesse levata la mano al padrone, si piantò coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada». Tuttavia l’ellissi del che sembra inusitata in frasi intenogative quali «che vuoi che

XIV. Sintassi del periodo

392

NlLSSON-EHLE 1947: 84 n. 21). Il modo di queste oggettive prive di con— giunzione introduttiva è generalmente il congiuntivo. Accanto ad esso può figura-

64. ]. Ad imitazione del latino, in cui l’oggettiva — così come la soggettiva — si costruisce con l’infinito e col soggetto obbligatoriamente espresso in accusativo («puto te bonum esse»=ritengo che tu sia

re il condizionale, con valore di «futuro

buono), anche l’italiano ha conosciuto

del passato» («una città in cui si credeva piomberebbe Cesare» Ferrero, cit. in NILSSON—EHLE 1947: 67) o di apodosi di pe— riodo ipotetico (con protasi espressa:

largamente nel passato e mantiene tuttora in alcuni casi «un costrutto infinitivo

faccia?», «che cosa vuoi che ti dica?» (cfr.

«credo non servirei un re, se non quando

dovessi scegliere tra lui e il canagliume democratico» Fogazzaro, in NlLSSON-EHLE cit.; o sottintesa, come nell’esempio giornalistico riportato sopra: «situazioni che non nascondo sarebbero difficili»). Con l’indicativo l’ellissi del che è possibile solo nel futuro (cfr. NlLSSON-EHLE 1947: 6769: «spero non avrai moglie» Deledda). 60. Nell’italiano antico l’omissione del che era più diffusa e poteva interessare anche le oggettive all’indicativo di qualsiasi tempo. Il fenomeno, caratteristico della lingua poetica dugentesca («pensando tanto m’amava» Anonimo, cit. in DARDANO 1969: 272 n. 375), raggiunge la sua acme nel Quattrocento. 61… Fuori d’Italia, l’omissione della congiunzio-

ne completiva è oggi caratteristica dell’inglese («he says he’ll come»=dice che verrà) e del tedesco («er sagt, er wird kommen»). 62. Un fenomeno in qualche modo speculare rispetto a questo è la ripetizione del che subordinante dopo l‘inserimento di una dipendente di secondo grado, non raro nella prosa antica, specie popolare: «il Cardinale disse a mio padre che, se lui mi mandava là, che mi faria lettere di favore e d’aiuto» (Cellini, Vita, 43).

63. II. Invece di che la congiunzione introduttiva può essere come (e allora il verbo va preferibilmente al congiuntivo,

anche se la reggenza richiede abitualmente l’indicativo: si vedano gli esempi che seguono): «ma quello che mi stupì moltissimo fu di vedere come immediatamente Maria pendesse dal labbro di Adamic» (Soldati, cit. in SCHMITT-JENSEN 1970: 659), «è desolante constatare come nessuno voglia intendere il messaggio in bottiglia di Leonardo Sciascia» («La Repubblica», 18.1.1987, 10). Altri costrutti notevoli sono: I. il cosiddetto «accusativo con l’infinito»; Il. l’oggettiva participiale.

con soggetto proprio» (SKYTI'E 1978: 281). Qualche esempio: «Deucalione e Pirra, affermando seco medesimi niuna cosa potere maggiormente giovare alla stirpe umana che di essere al tutto spenta», ecc. (Leopardi; Operette morali, 140); «altri sentenziavano non essere altro, il problema meridionale, che un caso particolare

della oppressione capitalistica» (Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 220); «non du-

bitando esser la faccenda ormai sistemata» (Morante, cit. in SKYTTE 1978: 287). Nella lingua dei primi secoli l’accusativo con infinito si può incontrare «dopo verbi del giudicare, del sentire, del pensare, del

volere, e dopo verbi impersonali» (ROHLFS 1966-1969: 706): «sapere adunque dovete in Lombardia essere un famosissimo monistero» (Boccaccio). Oggi il costrutto si realizza sostanzialmente all’interno della stessa categoria di reggenze, ma dopo un numero assai ridotto di verbi (poco più di una ventina secondo SKYTTE 1978: 293) ed è limitato alla lingua scritta, in particolare alla prosa saggistica e accademica. 65. II. Per ellissi dell’ausiliare una proposizione oggettiva può essere rappresentata dal semplice participio passato. concordato col soggetto della stessa completiva: «dichiaro aperto il dibattito» (:che il dibattito è aperto); «vorrò rispettate allo scrupolo tutte le apparenze» (Pirandello, Il piacere dell ’onestà, III 155); «credo,

però, venuto il momento di ripensare la cguestione» («La Repubblica», 10.3.1987,

2 .

Proposizioni soggettive 66. Nella presentazione delle soggettive seguiremo la falsariga già tracciata per le oggettive, esaminando in successione tipo di reggenza (XIV.67-76) e alternanza indicativo—congiuntivo nel costrutto espli-

393 cito (XIV.77). Per quanto riguarda uso dei tempi, uso del condizionale, omissione del che, costrutto di accusativo+infinito, costrutto participiale, la sintassi delle

soggettive corrisponde puntualmente a quella, già descritta, delle oggettive. Una proposizione soggettiva può essere introdotta da un verbo, da un aggettivo o da un sostantivo: negli ultimi due casi per ellissi di essere (cfr. XIV.30b). Distinguiamo cinque fondamentali tipi di reggenza: 67. I. Verbi come sembrare, parere, risul-

tare, apparire, accompagnati o no da un aggettivo in funzione predicativa («sembra che ci sia qualche difficoltà». «sembra opportuno rinviare l’incontro»). Nel costrutto implicito l’infinito è di regola preceduto dalla preposizione di: a) quando il verbo reggente è assolutamente impersonale (cioè senza soggetto, né grammaticale né logico): «sembra di sognare»; «pareva di vivere in un blocco di ghiaccio» (Manzini, cit. in SKY”ITE 1983:

XIV. Sintassi del periodo

parte desunta da SKYT‘TE 1983: II 276 sgg.). Se mancano indicazioni, si intende che il costrutto implicito è possibile con o senza di davanti all’infinito: accadere (+di) andare (+di: «mi va di...») awenire (+di) bastare bisognare (+inf.) capitare (+di) convenire (+inf.) costare dispiacere dolere fare+oggetto («fa pena, rabbia...») giovare importare

interessare occorrere piacere premere rincrescere

riuscire (+di) seccare spettare stupire succedere toccare valere la pena venire (+di)

Esempi: «ero stanco morto e non mi andava di stare a sentire Raul» (Moravia, Nuovi racconti romani); «basterebbe fargli le domande senza animosità» (Pratolini, cit. in FALCINELLI 1985: 56); «mi verreb-

b) quando il verbo ha un soggetto logico: «mi sembra di essere tornata bambina»

be, creda, d’andarla a prendere a calci» (Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca, III 14). Di uso solo letterario giovare ‘piacere“ (secondo il latino IUVÀRE): «Noi per le balze e le rofonde valli / natar giova

(Pratolini, cit. in FALCINELLI 1985: 30; di

tra’ nembi» Leopardi, Ultimo canto di

qui i due esempi successivi, anch’essi da Pratolini); «mi pareva di vedere Liliana al braccio di mio padre» (tuttavia, senza di: «si scuote all’improwiso e le sembra emergere da un lungo svenimento»). Se sembrare e parere sono costruiti personalmente, di norma rifiutano il di: «il clima sembra vietare la vita» (da un giornale, cit. in FALCINELLI 1985: 26); «egli non pareva interessarsi affatto alle costuman-

Safia, 14-15).

II 283);

ze […] che lo aspettavano» (Morante, cit. in SKYTTE 1983: II 319).

""

69. Si noti che: a) La sostituzione con il costrutto esplicito non è possibile con i verbi costare, spet-

tare e toccare.

b) Riusa're e venire possono essere accompagnati da un aggettivo predicativo (e in tal caso l’infinito soggettivo non richiede più obbligatoriamente di): «anche ai più esperti tiratori riesce difficile colpire un bersaglio che non c’è quasi mai» (Tomasi di Lampedusa), «mi è venuto spontaneo di designare altre volte la storia mo-

68. Il. Un certo numero di verbi impersonali che ammettono un soggetto logico. . rale con un suo sinonimo» (Croce; enNel costrutto implicito l’infinito può esse- trambi gli esempi in SKYTI'E 1983: 11284 e re retto dalla preposizione di («non mi va 285 di dormire»), essere giustapposto al verbo c) Altre reggenze sono disusate o regioreggente («bisogna riflettere con calma») nali. Si vedano due esempi del secolo o ammettere entrambe le costruzioni: «a scorso, in autori che ricorrono per il resto ogni richiesta ci toccava partire e andare a a una lingua particolarmente viva e ‘mocasa del nonno», «ci era già toccato di dema’: «tocca ai preti a trattar male co’ correre a casa del nonno» (i due esempi, poveri?» (Manzoni, I Promessi Sposi, Il di S. Strati, sono attinti da FALCINELL] 28); «per me quando il morto piange, è segno che gli dispiace a morire» (Collodi, 1985: 75 e 76). Ecco una lista di questi verbi (in massima Pinocchio, 53).

XIV. Sintassi del periodo

394

70. Si comportano in modo analogo alcuni verbi impersonali passivi indicanti un permesso o un divieto: essere concesso,

come soffre» (Fogazzaro, Piccolo mondo antico, 214); «dal suo sguardo interrogati-

dato, negato, permesso, proibito, vietato

quale non era facile di leggere» (Palazze-

(cfr. SKYTTE 1983: II 286-287). Possono essere costruiti con la preposizione di o as— solutamente: «Donde venni non so; né

dove vada / saper m’è dato» (Pascoli); «saranno, pare, proprio gli americani a ri-

vo tanto suggestivo e attraente, ma nel schi, Sorelle Materassi, 119); «Don Fabri-

zio cominciò a sperare che non sarebbe stato necessario di uscire dal letto tiepido» (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopar— do, 124).

nunciare al viaggio in Italia, in quale mi— sura non è dato per ora di sapere» («_Qui Touring», 2-7.6.1986, 5). . 71. III. Un verbo che venga usato come impersonale: si dice, è stato afiermato, si

aspetta, si suppone, ecc. Il costrutto è di norma esplicito. Esempi: «si dice che abbia lasciato un messaggio per Hussein nelle mani di Craxi e di Andreotti» («La Repubblica», 13.1.1987, 7); «può darsi che così stiano veramente le cose» («La Nazione», 28.2.1987, 2).

74. V Diversi sintagmi sostantivali formati col verbo essere: è un caso (+che), e‘ il caso (+che o +tli e inf.), è un guaio (+che), il guaio è (+che o +inf.), è un peccato, una fortuna, una vergogna, ecc. (+che 0 +inf.), è tempo, e ora (+che o +di e inf.). Esempi: «mica è un caso che da quel giorno alla manifestazione non ti ho cercato mai», «non è il caso di inventarsi il tra-

sporto della passione» (entrambi gli esempi da un romanzo cit. in FALCINELLI 1985: 78 e 79); «noi siamo nati in un tempo in cui era vergogna essere soldato, pena essere uomo, miseria essere italiano»

72. IV. Il verbo essere con valore impersonale accompagnato da un aggettivo o da un awerbio in funzione predicativa: è facile, giusto, possibile, impossibile, ecc.; è bene, male, meglio, molto, troppo, ecc. In generale, sono possibili entrambi i costrut—

ti, esplicito o implicito (ma con molto si ha solo l’esplicito: «è molto che ci siano rimasti i pagliericci» de Céspedes, cit. in SCHMITI-JENSEN 1970: 199). Il costrutto implicito perlopiù non richiede la preposizione: «è veramente giusto renderti grazie, è

(Alvaro, cit. in MORE'ITI—ORVIET01979: II 32); «E ora di lasciare il canneto / stento che pare s’addorma / e di guardare le formel della vita che si sgretola» (Montale, Ossi di seppia). 75. Possono rientrare in questa serie anche particolari strutture che non hanno, in sé, un significato specifico, ma servono a introdurre la subordinata che segue dandole il rilievo di una constatazione obiettiva; il costrutto è sempre esplicito: e

bello cantare la tua gloria, Padre santo,

che, c'è che, gli è che (proprio dell’uso to—

unico Dio vivo e vero» (Messale festivo, 333); «non era possibile tenere lo sguardo su un punto vicino alla superficie» (Brignetti, cit. in FALCINELLI 1985: 54); «meglio era sposar te, bionda Maria!» (Carducci).

scano e letterario), il fatto è che. è un fatto che, fatto sta che, com’è che (reggenza interrogativa), ecc. Esempi: «è che in quell’età non si ha un’esatta nozione del tempo» (Alvaro, Il nostro tempo e la speranza); «Che cosa c’è? C’è che mi sono innamorato di te» (canzone di Gino Paoli, del 1963); «gli è che D’Annunzio e troppo perduto nell’ammirazione per il suo superuomo per potergli far vivere accanto una forte coscienza», ecc. (Michelstaedter, Opere; disusato egli è che: «egli è che noi ragazzi siamo tutti così!» Collodi, Pinocchio, 56); «è un fatto che l’inflazione è passata dal 16 al 4 per cento» («Stampa sera», 23.3.1987, 3); «com’è che sai il mio nome?» (Collodi, Pinocchio, 35).

73. In questo gruppo esempi di reggenza preposizionale spesseggiano nell’italiano dei secoli scorsi e non possono dirsi del tutto desueti neppure nella prosa contemporanea: «i quali fatti combinati è affatto impossibile alla mente umana d’intendere» (Vico, Scienza nuova. 137); «vo-

glio avvertirla d’una cosa che le sarà utile di sapere» (Manzoni, I Promessi Sposi, XIX 12); «con Gaetanina Galante era difficile di averla vinta» (Serao, Il romanzo della fanciulla, 43); «è penoso di vedere

395 76. L’espressione non e‘ che si presenta spesso nella variante ellittica non che: «non che egli desse nulla a vedere di que— sto stato d’animo» (Calvino, Racconti,

333). Il modo di queste soggettive è il congiuntivo, ma una soggettiva negativa può avere anche l’indicativo: «non è che non mi piaccia (piace) il vino, però mi dà subito alla testa». HERCZEG 1959: 301 classifica le frasi introdotte da non che tra le proposizioni causali, interpretando il che come perché.

XIV. Sintassi del periodo stantivali (è chiaro, certo, innegabile; il

bello, il brutto, il guaio è che, ecc.). Esempi: «si vedeva che la sapeva più lun— ga degli altri» (Verga, I Malavoglia, 66); «il bello è che lì per lì non me ne sono accorta» (Pratolini, cit. in FALCINELLI 1985: 63). Per i casi in cui il modo è condizionato non dal verbo reggente ma da fatti sintattici e semantici — del tutto analoghi a quelli già esaminati per le oggettive — cfr. XIV.S2-S3.

Proposizioni dichiarative Modi verbali delle soggettive 78. Di natura affine alle completive, le

77. Come per le oggettive, l’altemanza tra indicativo e congiuntivo nel costrutto esplicito non è rigida, ma dipende dal livello di lingua (scritto / parlato, formale / informale) oltre che dal tipo di reggenza. Sulla scorta di SCHMI'IT-JENSEN 1970: 129 sgg. — cui rinviarno per un esame più ampio e articolato — distinguiamo: a) Reggenze che richiedono abitualmente il congiuntivo. Si tratta dei verbi impersonali dell’apparenza (sembra, pare, appare) e di quelli che indicano necessità o convenienza (bisogna, occorre, vale la pe-

proposizioni dichiarative consentono di precisare o di illustrare un elemento della sovraordinata: sia esso pronome o aggettivo dimostrativo («Tu questo hai della

na, ecc.) o un moto dell’animo (piace, di-

figliuola» Pirandello, Cosi è'fs‘e vi pare],

spiace, secca, stupisce, fa+oggetto: fa paura, fa pena. fa rabbia, ecc.). Inoltre, della grande maggioranza dei sintagmi aggettivali e sostantivali. Esempi: «bisogna che tu mi aiuti, bisogna che tu gli parli, che tu gli faccia sentire la tua voce» (D’Annunzio. Trionfo della morte, 97); «mi fece rabbia e piacere che ci vedesse» (Pratolini, cit. in SCHMITT—JENSEN 1970: 132); «dell’Arcivescovo mi dispiace che si sia imbrodolato in banchetti politici» (Tommaseo, Il secondo esilio) — Con reggenza aggettivale: «non è escluso che la cosa possa interessare il brigadiere» (Pratolini, cit. in FALCINELLI 1985: 70) — Con reggenza sostantivale: «il suo sogno è che la Biennale contribuisca a risolvere i problemi di Venezia» (da un giornale, cit. in FALCINELL11985: 82). b) Reggenze che richiedono abitualmente l’indicativo. Sono verbi che esprimono

III 38); avverbio («così anche avveniva delle lettere, che il porto di una di esse nei confini del Friuli si pagava soldi tre» Nievo, Le confessioni d’un italiano, 35); sostantivo: «espresse una proposta: ridurre tutti gli investimenti». Per la loro funzione nel periodo, le di— chiarative possono essere awicinate all’apposizione nella frase semplice. Come le completive, ammettono i due costrutti: esplicito (introdotto da che+indicativo o congiuntivo) e implicito (infinito, preceduto o non preceduto dal di). Anche per l’uso dei modi nel costrutto esplicito le dichiarative sono assai simili alle completive, facendosi condizionare in primo luogo dal verbo della sovraordinata. Avremo quindi: «a volte mi sorprendevo a sperare appunto questo: che neve e gelo non si sciogliessero più» (Bas-

rondine [..]. / che a me, che mi sentiva ed era / vecchio, annunciavi un’altra primavera» Saba, A mia moglie, 73-76): prono-

me o aggettivo indefinito («era mio obbligo fare davanti a loro questa dichiarazione […]; perché a carico d’un pubblico ufficiale non si creda in paese una tale enormità: che per gelosia o per altro io impedisca a una povera madre di veder la

sani, cit. in SCHMI’I'T-JENSEN 1970: 325: co-

una certezza, una constatazione, una ri-

me si direbbe: «speravo ...] che non si

sultanza obiettiva (si sa, si afierrmz, risulta, consta, è che, fatto sta che, ecc.) e delle

sciogliessero», cfr. XIV.49 ; «nell’ipotesi che si volessero bene, una cosa era certa:

corrispondenti locuzioni aggettivali e so-

che cotesto bene non lo godevano», ecc.

XIV. Sintassi del periodo (Cecchi, Corse al tratta e altre cose; nella

corrispondente soggettiva si avrebbe: «era certo che non lo godevano», cfr. XIV.77b). 79. Graficamente, il confine tra reggente e dichiarativa è quasi sempre segnato dai due punti (si vedano tutti gli esempi finora citati); ma è più comune la virgola quando la dichiarativa sia introdotta da cioè, 6 cioè: «sulle prime non osò credere;

si sforzò anzi di non capire ciò che diventava sempre più evidente, cioè che Demetrio l’amava» (De Marchi, Demetrio Pianelli, 452); «ricordando quello che Micòl mi aveva detto, e cioè che nessuno mi cre—

deva» (Bassani, cit. in FERRINI 1985: 56).

396 to di qualsiasi livello: ormai del tutto spente le riserve dei puristi che parlavano di «noiosa tiritera» per il costrutto è a voi che parlo, paragonandolo a «uno starnuto che dia il tono al periodo» (così ROMA« NELL11910: 130). Il modo verbale è generalmente l’indicativo (cfr. SCHMITT-JENSEN 1970: 612, da cui si attinge il primo esempio che segue): «Non è senza una ragione profonda che la prima strage della Grande Rivoluzione s’inizia il 10 agosto» (Rèpaci); «[l’incremento degli alberghi di terza e quarta categoria si registra soprattutto negli anni

Cinquanta]. Ed è stato in quel periodo che si è radicato il successo della maggior parte delle stazioni di vacanza marine e montane dell’Italia centrale e settentrionale» («Qui Touring», 2-7.6.1986, 23).

Altre subordinate introdotte da «che»

80. Oltre che per introdurre completive e dichiarativc esplicite, il che — secondo un grammatico ottocentesco la «principalissima tra le congiunzioni, a cagione dei

molti officj ch’ella esercita nel discorso» (MOISE 1878: 1040) — compare in diverse locuzioni congiuntive, che esamineremo a suo luogo, e in due importanti tipi sintattici: la frase scissa e la subordinazione generica. 81. Frase scissa (o spezzata). Risulta dalla suddivisione di una frase semplice «in due frasi, di cui la prima, col verbo essere, mette in forte rilievo il ‘nuovo’, mentre la

seconda contiene il ‘noto’» (SABATINI 1985: 163): «e Mario che canta», «e per il tuo bene che ti parlo». A rigore, il che del primo esempio è un pronome relativo, non una congiunzione

(e solo in questo caso sarebbe possibile anche il costrutto «relativo implicito»: «è Mario a cantare»). Ma l’analogia del procedimento di «messa in rilievo», che con—

sente di anticipare un qualsiasi elemento della frase sul quale verta il contenuto ‘nuovo’ dell’informazione consiglia una descrizione unitaria del fenomeno. La frase scissa ricevette un forte impulso dall’influsso francese nel Settecento (cfr. MIGLIORINI 1963a: 543), benché anche l’i—

taliano antico conoscesse costrutti molto simili (cfr. DURANTE 1981: 204-205). Oggi è assai frequente nel parlato e nello scrit-

82. Nell’italiano di registro colloquiale antico e moderno, ma con larghissime attestazioni anche letterarie, si ricorre spesso a che per collegare una dipendente a una subordinata (perlopiù con l’indicativo): si parla di che subordinante generico, o che polivalente. Abbastanza spesso si istituisce tra le due proposizioni un evidente rapporto causale: «copritevi, che fa freddo», «La fatica ch’io duro e vana cosa, / che più ritomi

qt;anto più ti scaccio» (Saba, Il canzoniere . In altri casi sarebbe possibile cogliere un rapporto temporale («vado a lavorare che è ancora notte fonda»), finale («l’Emilia a volte mi chiamava dalle finestre, dal terrazzo che salissi, facessi, le portassi qualcosa» Pavese, La luna e i falò, 84), consecutivo («è un funambolo, un equilibrista che quelli del circo di Pechino, al confronto, risultano dei dilettanti», E. Biagi, nella «Repubblica», 2621987, 8).

Ma il più delle volte il tentativo di catalogare secondo rigidi schemi logico-grammaticali questa funzione diche è arbitra— rio (si vedano, per l’italiano antico, le riflessioni di AGOSTINI 1978: 372-373). Caratteristica la frequenza del che polivalente nel parlato dei Promessi Sposi («ascoltatemi bene, che vedrò di farvela intendere» VI.31; «l’è chiara, che l’inten— derebbe ognuno» VI.38) e nella prosa del Verga: «intanto l’awocato chiacchierava e chiacchierava che le parole andavano

397 come la carrucola di un pozzo» (] Malavoglia, 269). L’accettabilità di questo uso di che nella lingua scritta oscilla, non solo in base al livello di lingua adoperato (sorvegliato o non sorvegliato), ma anche a seconda dei vari costrutti. Il che temporale, ad esem-

pio, è appropriato anche in contesti for— mali ed è anzi l’unica possibilità in frasi che indicano la durata di un’azione in rapporto a una data unità di tempo (ora, giorno, anno, ecc.): «è un’ora che ti aspetto», «erano dieci anni che si combatteva

inutilmente». Per l’uso di che subordinante generico nell’italiano popolare cfr. CORTELAZZO 1972: 93-95 e BERRUTO 1983: 53-55. Utile anche ALISOVA 1965.

Proposizioni interrogative indirette 83. Esplicitano un dubbio, una domanda,

un quesito contenuti nella sovraordinata: «non so che cosa vuoi fare», «gli chiese

da dove venisse». Come le interrogative dirette (cfr. XIII.7) anch’esse si distinguono in totali 0 connessionali (sempre introdotte da se) e in ' parziali o nucleari (introdotte da un particolare pronome o awerbio interrogativo in funzione di congiunzione: chi, quale;

quando, perché, ecc.). Nelle interrogative parziali il soggetto è generalmente posposto al verbo («non so che cosa mangia il tuo cane»). Tuttavia, a differenza delle interrogative dirette, in cui la sequenza predicato-soggetto è obbligatoria (cfr. XIII.16b), nelle indirette si ha spesso possibilità di scelta. Si vedano questi due esempi di successione soggetto-predicato nei Promessi Sposi: «quand’ebbe capito bene cosa il dottore volesse dire» (11137; o, indifferentemente: «cosa volesse dire il

dottore»); «sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra» (V 59; oppure: «quando avrebbe preso terra il podestà»). Le congiunzioni interrogative — più spesso di quel che accada con i corrispondenti avverbi adoperati nelle frasi semplici — possono essere introdotte da singole pre— posizioni 0 locuzioni preposizionali, condizionate dall’elemento reggente: «in esse [nelle Scritture] non si parla, a proposito

XIV. Sintassi del periodo del Messia, di come e quando nascerà»

(«Stam a sera», 29.12.1986, 10); «[di R. Kipling si ricorda quello splendido racconto su come il gatto entrò nella vita dell’uomo ottenendone i vantaggi» (Pugnetti, Guida al gatto, 20). Un po’ meno comune l’uso dell’articolo 0 della preposizione articolata davanti alla congiunzione interrogativa, come in questi due esempi dalle Confessioni d’un italiano del Nievo: «questo spiega il perché nel secolo passato fosse tanta penuria di notizie statistiche» (89); «per dare un’idea del cosa fosse allora questo ceto mezzane campagnuolo» (39). -, Tradizionalmente le interrogative indirette sono considerate molto affini alle com— pletive, se non addirittura una loro sottospecie: «l’interrogazione indiretta [...] si può riguardare come una subordinata oggettiva» (FORNACIARI 1881: 393; si aggiunga: «o soggettiva»). La differenza consiste nei diversi segnali di subordinazione (che per soggettive e oggettive, se o singoli pronomi e congiunzioni nelle interrogative; in una zona di confine si trova come, il

quale — lo abbiamo già visto [cfr. XIV.63] — uò sostituire che nell’oggettiva esplicita); e, soprattutto, nel fatto che, mentre le

completive «contengono un’imunciazione, le interrogative indirette riferiscono

un dubbio, 'un interrogativo» (AGOSTINI 1978: 370). 84. Un’apparente interrogativa indiretta introdotta da che può aversi in dipendenza da chissà: «chissà che fra qualche giorno Giovanni Spadolini di ritorno da Washington non possa organizzarsi una visita a Mosca» («La Repubblica», 20.2.1987, 13). Il costrutto si alterna con

chissà se («chissà se quest’incontro ci porterà fortuna!» Svevo, Senilità) e con chissà+qualsiasi altra congiunzione interrogativa («chissà quando ci rivedremol», «chi sa come la concerà il marito!» Palmeschi, Poesie). In tutti i casi, comunque, la proposizione non ha valore di interrogativa ma di esclamativa: si pensi alla curva prosodica con cui si pronunciano le varie frasi e, nella scrittura, all'uso del punto escla—

mativo.

85. L’interrogativa indiretta può dipendere da un verbo della sovraordinata — che è il caso più comune — ma anche da un sostantivo («lo prese il dubbio se restare o partire»), o da un aggettivo («pensoso e dubitoso s’ancora ei spirassero l’aure»

XIV. Sintassi del periodo

398

Carducci. Sogno d ’estate, 32). In tutti i ca-

se» (Pavese; di fronte a un possibile indi—

si l‘elemento reggente — verbale, nominale 0 aggettivale — indica un’operazione dell’intelletto (sapere. credere, pensare,

cativo, il congiuntivo contrassegna un fatto che non è generalmente noto, se non al soggetto dell’azione).

chiedere; domanda, incertezza, quesito;

curioso, indeciso, ecc.) o una percezione (vedere, scorgere, sentire. ecc.).

E possibile, ma non è molto frequente specie nell’italiano contemporaneo, l’ellissi dello specifico verbo reggente: «io pensai una fiata di entrare via dentro nel— l’eremo. se forse Iddio mi facesse trovare alcuni santi Padri occulti» (Cavalca, cit. in TOMMASEO-BELLINI 1865-1879: V 735; =per

vedere se Iddio...); «fece un rapido esame. se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo» (Manzoni, I Promessi Sposi, I 27; nella prima edizione: «per ricercare se avesse peccato»). Di uso corrente l’ellissi dell’interrogativa, che viene ad essere rappresentata dal solo elemento introduttore: «al modo del fanciullo che fa le bizze. urla e strepita senza sapere perché» (Palazzeschi, Sorelle Materassi, 215); «Il reggimento era parti-

to davvero. Non si sapeva per dove» (Alvaro, Vent’anni).

86. Si distinguono le interrogative indirette esplicite (con verbo di modo finito: indicativo, congiuntivo, condizionale) e le

implicite (con l’infinito presente). L’alternanza di modi che si ha nel costrutto esplicito ricorda da vicino quella già descritta per le completive. Anche in questo caso i due modi fondamentali, indicativo e congiuntivo, non corrispondono in genere a un diverso grado di certez— za ma, semmai, a un livello stilistico più o

meno formale o a semplici variazioni li— bere (significativo il seguente esempio di C. Alvaro, cit. in MORETTI-ORVIETO 1979: I 107, in cui di tre interrogative coordinate

due sono all’indicativo e una al congiuntivo: «gli chiedeva quanti erano in casa, se avesse il padre e la madre, se era fidanzata» .

Un’alternanza di indicativo e congiuntivo dislocata sull’asse certezza (oggettività) / incertezza (soggettività) può rinvenirsi in questi due esempi, attinti in SCHMITT-JEN» SEN 1970: 647: «ognuno lo sa perché fa il partigiano» (Calvino; inaccettabile *perche’ faccia); «costui sapeva perfino chi fos—

87. E possibile individuare alcuni fattori che favoriscono l’uso del congiuntivo rispetto all’indicativo (cfr. SCHMITT-JENSEN 1970: 645-674). Il più spiccato è la presenza di una sovraordinata negativa o di valore negativo, sia essa anteposta o posposta all’interrogativa: a) Sovraordinata anteposta: «e i capelli non si sa iù di che colore siano...: un orrorel...» “Moravia, Gli indifierenti, 11);

«era chiamato da tutti ‘Bacega’, ma nessuno sapeva bene come si chiamasse, di dove venisse, che idee avesse, in che casa abitasse» («Il Gazzettino», 23.10.1986, 3).

Un esempio con l’indicativo: «Non domandate, amici, perché tace / anche il

biondo battello sotto il sole» (Penna. Croce e delizia). b) Sovraordinata posposta: «in primavera crescevano, nel nostro giardino, molte rose: e come mai crescessero non so, dato

che nessuno di noi si sognava mai di annaffiarle» (Ginzburg, Lessico famigliare, 51); «perché si spari non si è ben capito» («La Nazione», 28.2.1987, 5). Con l’indicativo: «quando e come s’iniziarono le trattative, è incerto» (Montanelli, L’Italia in camicia nera, 97).

88. Come per le completive (cfr. XIV.53), il congiuntivo può essere sempre sostituito dall’indicativo futuro se l’azione della subordinata è posteriore alla reggente: «non so quando riuscirò a liberarmi». Inoltre si preferisce l’indicativo imperfetto, per esigenze di variazione, in un’inter-

rogativa dipendente da una sovraordinata all’imperfetto congiuntivo: «la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo dove nessuno sapesse chi era, né il perché la domandasse» (Manzoni, I Promessi Sposi, XVI 4; si noti, invece, l’usuale congiun-

tivo domandasse nell’interrogativa coordinata). 89. Il condizionale si può trovare quando l’interrogativa coincida con l’apodosi di un periodo ipotetico («mi piacerebbe tanto sapere come sarebbe questa casa, se lei

invece l’avesse messa su per se» Pirandel-

399

XIV. Sintassi del periodo

lo, L’amica delle mogli, VI 132); e, in ge-

nere, con gli stessi valori che avrebbe in una frase indipendente: «mi chiedo che cosa faresti tu al mio posto» (apodosi sottintesa: «se ti ci trovassi»), «non so quando le sarebbe comodo ricevermi» (condizionale di cortesia), ecc. Il condizionale passato, ancora una volta

91. Le interrogative indirette, esplicite o implicite, possono includere due possibilità di scelta (interrogative alternative). Il primo membro è sempre introdotto da se, il secondo da 0, oppure (se l’altemativa è radicale, la coordinata può ridursi all’av-

in piena sintonia con la sintassi delle com— pletive, contrassegna un’azione posteriore rispetto a un tempo storico della reggente (ormai antiquato in uesta funzione il condizionale presentà: «una volta restò dal remare per [...] vedere come la povera donna se la sarebbe cavata da un

verbio olofrastico: o no, oppure no; per o non, 0 meno cfr. XII.S3b). Esempi: «è difficile per ora dire se si tratti di una riconciliazione ‘politica’ oppure soltanto di un gesto di ‘ecumenismo islamico’» («La Repubblica», 28.1.1987, 10); «ora si tratta di capire se Craxi accetterà o no la dichiarazione di morte del suo governo» («Stam-

passo difficile, cosa avrebbe fatto di una

pa sera», 23.2.1987, 1).

certa carta pericolosa a giuocare e pericolosa a tenere» (Fogazzaro, Piccolo mondo antico, 12).

Proposizioni causali

90. Il costrutto implicito ha un’accentuata connotazione dubitativa e richiede il medesimo soggetto della reggente (ma cntrambe le proposizioni possono avere soggetto generico: cfr. MORETTl-ORVIETO 1979: II 83). Di massima, è introdotto da-

gli stessi elementi che figurano nel costrutto esplicito: «mi chiedo dove andare», «ci siamo parlati, abbiamo discusso che fare» («La Repubblica», 20.2.1987,

3). Per espressioni quali avere (a) che fare, esserci di che preoccuparsi, ecc., cfr.

VII.254.

causale finale consecutiva ipotetica concessiva

92. Indicano la causa, il movente, la ra-

gione che determina il fatto espresso dalla reggente: «non sono partito perché aveva già visto San Marino», «non sono partito avendo già visto San Marino». Le causali possono essere classificate nell’àmbito di un gruppo di subordinate «che esprimono le diverse modalità del rapporto logico causa (A) — conseguenza (B)» (TEKAVCIC 1980: II 448)1—E precisamente (in tondo sono stampate le proposiz)ioni reggenti, in corsivo le subordinate :

CAUSA

CONSEGUENZA

dato che me lo chiedi è uscita ho tanta fame se ti va benché legga poco

ti dirò tutto (poiché A [allora] B) per fare spese (A affinché B) che mangerei per due (A cosicché B) possiamo uscire (se A [allora] B) è sempre molto informato

(benché A [tuttavia] B)

93. Le proposizioni causali si dicono: a) Esplicite, se contengono un modo finito (indicativo e, in casi particolari, congiuntivo o condizionale). Possono seguire la reggente oppure precederla: la precedono specie quando introducono la cosiddetta «causa cògnita», vale a dire una circostanza preesistente all’azione della reggente, di cui la causale «risulta il natu-

rale, logico presupposto [...]. In altre parole: il costrutto serve a riferire un fatto

già noto, cui consegue un effetto prevedibile e scontato» (MORETTI 1982a: 195). La collocazione della causale prima o dopo la reggente può rispondere a un differente punto di vista. Nella frase «poiché molte cose non vanno, o vanno male, si

sente parlare sempre più spesso di Grande Riforma» (Scalfari, cit. in MORETTI

1982a: 195) si muove da un dato noto — e ritenuto noto per i lettori — risalendo da esso al fatto che viene presentato come

XIV. Sintassi del periodo conseguenza. Scrivendo «si sente parlare

[.] perché molte cose non vanno», lo stesso concetto sarebbe stato presentato diversamente, con minore insistenza sul

nesso di causalità: la causa è quella, ma potrebbe essere anche un’altra; in ogni modo, non si tratta di un dato considerato

noto, prevedibile, scontato per chi legga. b) Implicite, se contengono un modo indefinito (infinito, gerundio, participio passato). Hanno in genere collocazione piuttosto libera rispetto alla reggente, precedendola, incuneandosi tra soggetto e predicato («parecchi metalli e metalloi-

di [...], per essere contenuti in minima concentrazione nell’organismo animale,

furono chiamati dal Bertrand ‘gli infinita— mente picooli chimici’» Martino, Fisiolo-

gia, 23) oppure seguendola: «Senti forse anche tu qualche dovere verso me per avermi salvata?» (Pirandello, Come prima meglio di prima, IV 39). 94. Invece che da una frase verbale, una proposizione causale — come altre subordinate — può essere rappresentata da una frase nominale: «una larga campagna informativa, sia pure lodevole perche' in-

tesa a cautelare il cittadino contro questa importante malattia, può, se ma] condotta, generare conseguenze catastrofiche» (F. Balsamo, nella «Repubblica», 1516.2.1987, 8).

400 Nel registro informale la causa fittizia può essere espressa mediante l’indicativo: «Non ho tentato il suicidio perché ero depresso all’idea di nuovi interrogatori sul-

l’Irangate […] Quel che mi ha veramente portato alla disperazione è stata la coscienza di avere fallito nei miei doveri verso il paese» («La Repubblica», 3.3.1987, 13). b) In una correlazione si indicano «due cause ciascuna delle quali ha la stessa possibilità di essere quella reale» (MORETTI 1982a: 192; di qui l’esempio che segue): «chiamano ‘sor maé’ chiunque stia loro sul naso, () perché sospettino che vada per stuzzicarli, o perché riconoscano in lui un ceto diverso e distinto» (Bartolini). Un esempio in cui la causale e coordinata a una diversa subordinata (finale): «l’artiglieria cosacca, forse per non disperder colpi nella poca luce, forse perché non lo consentisse la posizione, lì dov’ein era non arrivava» (Bacchelli, Il mulino del Po, I 39). c) Si avvicinano al valore di una completiva: «il popolo [...] soffrirebbe maggiormente perché alla vittima del delitto si fossero aggiunte altre vittime» (da un’arringa di L. F. Paletti; =soffrirebbe che...);

«si sentiva poi lusingata del fatto che entrambi quei personaggi ci chiamassero tutti per nome» (Ginzburg, Lessico famigliare, 105; =si sentiva lusingata che...).

Causali esplicite

96. Il condizionale compare in causali con

95. Costruite di norma con l’indicativo,

o, più in generale, con intento attenuativo (in modo analogo a quelche avviene per le completive): «la disturbo perché avrei da chiederle un favore» (condizionale di

valore eventuale, desiderativo, potenziale

ammettono il congiuntivo quando: a) In una frase negativa o dipendente da una sovraordinata negativa introducono una causa fittizia, cui normalmente segue la causa reale in una coordinata avente il verbo all’indicativo: «Adesso era lieto di non aver cercato di abbracciare Cate. non perché temesse di venir respinto, ma perché tutto il caso di quella sera si era svolto sotto un segno di franchezza» (Pavese, cit. in SCHMITT-JENSEN 1970: 517); «quelli se n’andavano, non tanto perché fosser soddisfatti, quanto perché gli alabardieri e la sbirraglia, stando alla larga da quel tremendo forno delle grucce. si facevan però vedere altrove», ecc. (Manzoni, 1 Pro-

messi Sposi, XII 34).

cortesia); «solo al processo, domani, ver-

ranno messe a fuoco le sfumature della vicenda, importanti perché non di violenze fisiche si sarebbe trattato, ma di w'olen-

ze psicologiche per costringere la ragazza ai rapporti sessuali» («La Repubblica», 28.1.1987, 14; condizionale di dissociazio-

ne). Più di rado il condizionale si trova in una causale che coincida con l’apodosi di un periodo ipotetico della possibilità: «nese suno concluda da ciò che il notaio fosse un furbo inesperto e novizio, perché s’ingannerebbe» (Manzoni, I Promessi Sposi,

401

XIV. Sintassi del periodo

XV 55; protasi sottintesa: «se concludesse

101. Nell’italiano antico perché (per che) pote-

così»).

va adoperarsi come congiunzione coordinativa conclusiva, col valore di ‘perciò’, ‘quindi’:

97. Le causali esplicite sono introdotte da svariate congiunzioni e locuzioni congiuntive. Di esse, qualificano in particola-

vo tra costor con bassa fronte» (Dante, Purgatorio, V 89-90).

re una «causa cognita» poiché, giacché, siccome, dal momento che e le locuzioni

formate da participio passato +che (dato che, ecc.). Vediamo le più comuni di queste congiunzioni, cominciando dalle tre fonda-

mentali: che (o che'), perché, poiché: 98. I. Che. Di uso molto largo nel parlato (in cui il valore causale sfuma spesso in un più generico segnale di subordinazione, cfr. XIV.82), tende ad essere evitata

nello scritto appena sorvegliato, dove si ricorre piuttosto alla variante grafica ché, sentita come forma ridotta di perché (giacché, poiche'): «Sono gente da farle un servizio da bestie, / ché non vanno a contarla» (Pavese, Lavorare stanca); «io sull’autobus non c’ero, ché ricorderei uno

«Giovanna o altri non ha di me cura; / per ch’io

102. III. Poiché. Poco comune nella lingua di tutti i giorni, è usuale nello scritto, in causali anteposte (per esprimere, come abbiamo detto, una «causa cognita») o

posposte alla reggente. In questi ultimi casi, «più frequenti di quanto non si creda», poiché «perde quasi il carattere ‘primario’ di antefatto e sembra tendere a svolgere una più generica funzione esplicativa: poiché=perché=infatti» (MORETTI 1982a: 196). Esempi di poiché in causali posposte: «imponente è anche l’azione costruttiva delle piante, poiché permette la formazione di depositi che con il tempo possono accrescersi» (Cuscani Politi, Geografia generale, 305); «la richiesta è sempre sostenuta poiché l’investimento è senza dubbio dei migliori» (D’Agata, Il medico della mutua, 56).

per uno i viaggiatori che c’erano» (Sciascia, cit. in MORETTI 1982a: 193).

103. Originariamente poiché (come giacché)

Che fa parte di quasi tutte le congiunzioni causali, o per esservi stata inglobata in se— guito a univerbazione (per che>perché, già che>giacché) o come elemento di una locuzione congiuntiva.

aveva valore temporale: un valore ben attestato in italiano antico, che è durato a lungo nella tradizione letteraria (e che graficamente trova spesso espressione nella separazione delle due componenti): «ma poi che mangiato ebbe, il monaco da capo il riprese» (Boccaccio, Decamerone, III 8 46); «ella, poi che fu libera, adunò

99. Il. Perché. È forse la congiunzione causale più diffusa in qualunque livello di lingua. Oggi compare generalmente in una secondaria posposta alla reggente; nell’italiano antico e nell’uso letterario può adoperarsi anche in formula prolet— tica: «Ma perché frode è de l’uom pro— prio male, / più spiace a Dio» (Dante, Inferno, XI, 25-26); «perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in ba—

lia càella nostra iniquità» (Messale festivo, 356 .

tutti i vasi sparsi per le stanze» (D’Annunzio, Prose di romanzi).

104. IV. Dal momento che. E di largo uso, ma di diffusione solo novecentesca: «Anche lei non aveva alcun timore dal mo-

mento che lui non ne aveva» (Moravia, Romanzi brevi). 105. V. Giacché. E forse più comune nell’uso scritto che nella lingua corrente: «giacché la cosa si deve fare, si farà presto» (Manzoni, ! Promessi Sposi, XIX

100. A differenza delle altre congiunzioni causali, perché può fungere anche da awerbio o congiunzione interrogativa («Perché non rispondi?», «Non capisco perché tu non risponda»). Questa collisione è evitata in molte altre lingue, che distin uono nettamente tra funzio-

ne interrogativa (glat. cur, franc. pourquoi, ing]. why, ted. warum) e funzione causale (lat. quod, quia), franc. parce que, ingl. because, ted. weil. ecc. .

31); «giacché ci tocca aspettare, si potrebbe prendere qualcosa al bar» (Cassola, La ragazza di Bube, 185). 106. VI. In quanto (che). Normalmente introduce una causale posposta alla reggente; orrnai rara e di sapore libresco la presenza del che: «Il testamento olografo costituisce la forma più semplice e segreta

XIV. Sintassi del periodo di testamento, in quanto che il testatore

può tenere nascosto non soltanto il contenuto della disposizione, ma perfino il fatto che egli abbia testato» (Novissima Diesto Italiano, XVIII 823); «In Germania [,..] l’indulgenza era mal vista, in quanto la si considerava un espediente per estorcere denaro dal paese e portarlo a Roma» (Spini, Disegno storico, Il 80). Caratteristica della prosa argomentativa la cor— relazione in tanto (nella reggente)... in quanto: «questa visione della romanità redentrice del genere umano in tanto poteva trovare così ampio respiro nella mente di un pensatore e di uno storico greco, in quanto la classe dirigente dello Stato romano si presentava loro come un

402

causa che potenzia il contenuto della sovraordinata: «non poteva più farlo senza ricordarsi del male che v’era attaccato, tanto più che suo padre, uomo molto pio, l‘aveva allevato nel timor di Dio» (Bac— chelli, Il mulino del Po, I 91; =si sarebbe ricordato comunque del male, ma a tener

vivo il ricordo interveniva l’educazione ricevuta). 111. X. Locuzioni partici iali: dato che, visto che, considerato che (îisto e considerato che), atteso che, posto che e simili: «Atteso che quelli non fiatavano, egli ha cercato di scusarli verso di me» (Silone, cit.

in MORETTl19SZa: 203); «Visto e considerato che non ho neppure un soldo di

ceto armonico», ecc. (Paratore, Letteratu-

mij)». ecc. (Pirandello, Novelle per un an-

ra latina, 92).

no .

107. VII. Per il fatto che, per la ragione che e altre locuzioni congiuntive formate da un elemento causale (per, grazie a, a

La grande diffusione di costrutti del genere nell’italiano contemporaneo può ricavarsi ad esempio dalla seguente dichiarazione di un imprenditore al giornale radio (riportata nella «Repubblica»,

motivo di, ecc.) e da un sostantivo. Si trat-

ta di «un gruppo aperto e suscettibile sempre di nuovi apporti» (MORETTl 1982a: 205; di qui l’esempio che segue); la causale è generalmente posposta: «Le donne salivano da lui e ne scendevano appagate. Non soltanto perché era un bell’uomo [...]. Ma per il fatto che possedeva tanti libri» (Bevilacqua). 108. VIII. Siccome. In forte espansione nell’uso vivo (cfr. SABATINI 1985: 165), introduce una causale anteposta alla reggente: «Da noi, siccome non avevamo po— sto in casa, dormiva all’albergo» (Ginzburg, Lessico famigliare. 163). 109. Siccome aveva in origine valore compara-

28.1.1987, 4), in cui si noterà il ricorrere di

due sintagmi di questo tipo a breve distanza l’uno dall’altro: «Personalmente preferirei vedere meno litigiosità, ma dato che questa litigiosità è arrivata, mi pare, ad un livello piuttosto notevole, penso che se si deve stare un anno in litigiosa attesa delle elezioni, allora tanto vale farle,

visto che poi quattro anni di legislatura sono un record per l’Italia». 112. XI. Da ricordare anche la locuzione a base gerundiale essendo che. di uso letterario: «nessuno di tanti titoli gli era poi utile a nulla [...] essendo che, a memoria d’uomo, lo avevano sempre chiamato il Gran Magro» (Bufalino, Diceria dell’untore, 18).

tivo (modernamente questa accezione sopravvive solo nell’uso letterario: «Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale / siccome i ciottoli che tu volvi» Montale, [Avrei voluto], 1-2). La 113. Possono avere occasionalmente vafase intermedia di questo sviluppo si coglie be- lore causale altre congiunzioni o locuzione ne] Nievo. ove sono frequenti causali intro- ni cong1untrve che dl norma esprimono dotte da siccome correlate a un così nella suc- - rapporti sintattici diversi: come («Come cessiva reggente, secondo un modulo tipico egli taceva sopra pensiero, Ippolita gli dodella comparazione d’analogia (cfr. XIV.ZIS): mandò: — Tu credi dunque, Giorgio, che «ma siccome durante la fiera pochi avevano voglia di trasandare i proprii negozi per quelli del io non ti ami?» D’Annunzio, Trionfo delpubblico, così a sbrigar questi s’era stimato la morte, 9); quando (specie anticamente: piucché bastevole il giro di ventiquattr’ore» «e fu da l’altre conosciuta, quando / avea scritto di fuor: ‘Senno d’Orlando’» Ario(Nievo, Le confessioni d'un italiano, 28).

sto, 0rlando Furioso, XXXIV 83; «[il gat110. IX. Tanto più che. Introduce una

to] contrae con la casa un’amicizia miste-

403 riosa. Non è da meravigliarsene, quando nei naturalisti si legge che la tigre, bisavola del gatto, è in tutto il creato fra gli animali più casalinghi» Cecchi, Saggi, 376-

XIV. Sintassi del periodo

gli che vide so] da lontano e senza passioni la vita dei Comuni d’Italia, allargò il nome e l’affetto di patria» (Carducci, Prose, 337; =in quanto vide).

377); nella misura in cui, espressione se-

manticamente generica, usata più spesso con valore condizionale (cfr. XIV.167b), e che fu in gran voga negli anni Settanta e poi assurse «ironicamente a esempio tipico di linguaggio astratto e stereoti ato» (CORTELAZZO—CARDINALE 1986: 117 : «[il sec. XIX] era soprattutto un secolo meraviglioso, nella misura in cui restavano an-

cora tanti campi inesplorati ed era sufficiente chinarsi per raccogliere dei tesori» («L’Espresso» 16.11.1986, 177); nel senso che, formula originariamente esplicativa,

adoperata come nesso causale specie nel linguaggio politico e giornalistico: «il chiarimento c’è già stato ed è in termini di principio, nel senso che si tratta di questioni che vanno tenute distinte» (dichiarazione di C. Martelli riportata nella «Stz;mpa», 25.3.1987, 1; =in quanto si tratta… .

116. Valore causale (o meglio: temporalecausale) hanno anche i sintagmi costituiti da un awerbio di tempo (in particolare adesso e ora) e da che: «bene, adesso che

lo so, awerto i miei parenti» (Calvino, Racconti, 136); «lui [...] preferisce, ora che ha tempo, fare la spesa di persona» («Panorama», 15.2.1987, 72). 117. Nella prosa italiana antica si adoperavano diverse altre congiunzioni causali (per una rassegna sistematica cfr. EHRLIHOLZER 1965). Perdurano sino all’Ottocento — ma spesso erano già allora giudicate pedantesche — le due sene: a) perocche', perciocché, imperocché («i due contendenti allora si persero in fretta la mano,

perocché intesero troppo bene che cosa quel terzo venuto volesse» Carducci, Prose, 270271); b)

conciossiache',

conciossiacosache',

con-

cioffossecosaché (o con ciò sia che, ecc.: «né in lui il sapere scompagnavasi dalla carità, con-

114. Da segnalare due particolari costrut-

ciossiaché fermamente credeva, che solo con

ti con valore intensivo, che MORETTI

una tal concordia della mente col cuore si possa senza delitto accostare il letto d‘un infermo» Nievo, Novelliere campagnuolo ;; altri racconti). Nei primi secoli un tempo storico della reggente si rifletteva nel tempo del congiuntivo di essere: «con ciò fosse cosa che tutte le donne carolar sapessero [.], comandò la reina che gli

1982a: 200 sgg. riconduce opportunamente alla subordinazione causale (di lì si attingono i due prossimi esempi): a) (ca— sì)+elemento predicativo (aggettivo, participio o sostantivo)+come+verbo essere («Amelia — bruna com’era — pareva sporca» Pavese; =dato che era bruna, essendo

bruna); b) predicativo (preceduto o no da preposizione)+che+verbo essere: «lui, dal canto suo, da quel furbone che è, già ado— ra i pezzi grossi» (Moravia). In particolari contesti questo costrutto può assumere valore concessivo: «così piccolo com‘era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: — Va là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre —» (Verga, Novelle, I 213; =benché

strumenti venissero» (Boccaccio. Decamerone,

Introduzione, 106). Da notare che il modo abitualmente richiesto è il congiuntivo, probabilmente favorito dalle componenti sia, fosse e. soprattutto, dal valore concessivo proprio in origine di queste congiunzioni (cfr. ROHLFS 1966-1969: 695). Di uso più episodico altre forme quali mercecché («Gli umili sono appunto coloro ai quali Iddio volentieri dà la sua grazia, mercecché gli umili sono servi fedeli» Segneri, cit. in morse 1878: 985), stanteché, secondoché, ecc.

fosse così piccolo). Causali implicite 115. Di uso soprattutto antico, ma non ignota alla lingua letteraria moderna, è la struttura come+pronome dimostrativo (quello, colui, tale)+proposizione relativa: «andava di giorno in giorno di male in peggio, come colui ch ’aveva il male della

Si costruiscono con:

118. I. Per+infinito (due esempi al par. 93b). In genere, si ha identità di soggetti tra reggente e causale implicita; ma si può

morte» (Boccaccio, Decamerone, [ 1 21;

trovare, almeno nell’uso scritto, anche di-

=perché aveva); «[il Petrarca], come que-

vergenza (il soggetto dell’infinito causale,

404

XIV. Sintassi del periodo

se è espresso, deve sempre essere pospo— sto): «i vescovi, o per essersi il clero mescolato ai nazionali conquistati e per essere in parte nazionale esso stesso, o per te— ner fronte ai feudatari della campagna, si aiutarono del popolo e soffiarono nelle ceneri ancor calde del municipio» (Carducci, Prose, 270); «si è gridato allo scandalo, da destra e da sinistra, per avere

Craxi osato ignorare nell’aula di Montecitorio il tema della famosa staffetta’» («La Nazione», 282.1987, 2). Da notare che, nellitaliano moderno, l’infinito causalee quasi sempre di tempo passato, per evitare confusione con il più vitale costrutto finale implicito (per essere=affinché sia, fosse, cfr. XIV. 127a). Nel-

l’esempio carducciano citato sopra il secondo infinito causale («per essere in par— te nazionale») è sintatticamente trasparente perché coordinato ad un altro infinito causale chee, per l’appunto, un infinito composto («per essersi mescolato»). 119. Talvolta l’infinito è introdotto da congiunzioni o locuzioni congiuntive diverse da per, come a («lui gli diceva ch’era un asino ad aver lasciato che lo prendessero» Vittorini, cit. in SKY'ITE 1983: II 420), con («persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo» Verga, Novelle, I 212), per ilfatto di («per il fatto di aver avuto ragione quella volta, pretende di averla sempre»), ecc. 120. Il. Gerundio, presente o passato (anche in questo caso il soggetto, se espresso, va posposto al gerundio semplice; talvolta si interpone tra gerundio e participio passato se il gerundio è composto): «Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: —

Ipocriti, perché mi tentate?» (Messale festivo, 277); « l’incremento del turismo è un fenomeno che il Touring ha previsto,

favorito e salutato con piacere, essendo il turismo-conoscenza da sempre la sua bandiera» («Qui Touring» 2-7.6.1986, 5); «ti restano pochi minuti di vita, avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti

avrebbe guarito dalla febbre!...» (Collodi, Pinocchio. 56). Il soggetto del gerundio può coincidere con quello della reggente (come nel ri— mo esempio), oppure essere diverso co-

me negli altri due; si parla in questo caso di gerundio assoluto). 121. III. Participio passato: «rinfrancati dal calore, i mughetti odoravano più forte che mai» (Manzini; identità di soggetti); «circondata da mattina a sera dalle due donne di servizio [...], non mi capitava mai di trovarla sola in ozio» (Chiara; diversità di soggetti: i due esempi sono cita— ti in MORETTI-ORVIETO 1979: Il 139 e 140).

Proposizionifinali 122. Indicano il fine, lo scopo, l’intenzio-

ne verso i quali si orienta la proposizione reggente: «è emigrato per fare fortuna»; «prego di pregare fervorosamente per me affinché mi siano abbreviate le pene del Purgatorio» (Viani, Il cipresso e la vite). Un esempio con reggenza nominale: «poi tutti via, giusto in tempo per evitare l’acquazzone che accompagna finora tutti i raduni» («Corriere dello Sport», 21.7.1986, 4). Come abbiamo osservato a suo luogo (cfr. XIV.38), molti costrutti oompletivi, espliciti («mi scrive che vada a trovarlo») o impliciti («prova a fare qualche esamel») potrebbero rientrare a buon diritto in questa sezione. Per opportunità descrittiva, classificheremo qui come finali

solo quelle proposizioni che, in forma esplicita, siano introdotte o possano essere introdotte da una congiunzione espressamente finale: quindi afiinché, perché, ecc., ma non che. 123. Parallelamente al ché causale, con

accento grafico, può anche trovarsi, ma raramente, un ché finale: «dietro questo pensiero, più visione che pensiero, c’era sommessa, nascosta, ché il capitano non

gliela scoprisse, la preoccupazione che non aveva mangiato in caserma» (Sciascia, Il giorno della civetta, 36).

124. Le finali possono essere: a) Esplicite, se contengono il congiuntivo, presente (in dipendenza da un presente o da un futuro della reggente) o imperfetto (in dipendenza da un passato); b) Implicite, se contengono l’infinito pre— sente.

405

XIV. Sintassi del periodo

Inoltre: nio, c’è penale» (Manzoni, I Promessi c) Non hanno collocazione obbligata ri- Sposi, III 19: finale; invece: «perché non spetto alla reggente; tuttavia, l’anteposi- fa un matrimonio», causale). zione è meno usuale della posposizione b) Affinché. Ha il vantaggio su perché di ed è oggi ressoché limitata al costrutto avere esclusivamente valore finale, ma è implicito cfr. GREGO-BOLLI 1982: 133; di di uso quasi soltanto scritto: «Ermanno qu1 l’esempio che segue): «per prenderla Tedeschi, a nome del gruppo liberale, solin giro mio padre le diceva: — Te si ’na lecita l’amministrazione ad adoperarsi afmontanara» (Camon). finche' si realizzi al più presto un incontro d) Il costrutto implicito è di regola quan- tra gli amministratori comunali e il dissido vi sia identità di soggetti tra reggente e dente russo» («Stampa sera», 29.12.1986, finale e attualmente sembra, nel quadro 4). complessivo della subordinazione finale, c) Acciocché. Di uso libresco e poco cola soluzione più frequente (cfr. VAGNI mune: «Sto poco bene! — disse lui, e ac1974: 332); anche perché spesso, nella lin- ciocché ella più facilmente lielo credesgua parlata, il costrutto esplicito viene se, ripeté la frase più volte» Svevo, Corto trasformato in implicito mediante un ver- viaggio sentimentale). Anticamente si bo causativo (cfr. SABATINI 1985: 166): «te adoperava anche il solo acciò: cfr. FORNA— lo dico perché tu ci vada» _, «te lo dico CIARI1847: 144—145. per fartici andare». d) A fare si che, a che: «la giunta è impeIl costrutto implicito è normale se l’infini- gnata a far sì che non si torni indietro» to ha un soggetto generico («un posto (da un giornale cit. in GREGO BOLLI 1982: ideale per fare carriera») e può trovarsi 137); «aveva mansione speciale di vegliaanche in presenza di soggetti diversi, spe- re a che non patissero gli alberi sotto i cie se il soggetto della finale implicita quali si battezzava e si sposava in nome di coincida con un complemento diretto o ‘libertà, uguaglianza e fraternità’» (Bacindiretto della sovraordinata («le cose chelli, Il mulino del Po, I 30). La locuzioch’eran mancate a me per essere lui, e

ne a che, di diffusione tardo-ottocentesca,

quelle ch’eran mancate a lui per esser me, io le sentivo allora come un’ingiustizia»

suscitò la censura dei grammatici del tempo (FANFANI-ARMA 1881: 9; {QRNACIARI

Calvino, Racconti, 228; si veda anche

1881: 377, ecc.).

HERCZEG 1960: 85); in particolare nell’italiano antico: «Io vorrei — soggiunse la greca — che tu me la mostrassi, per vederla come è fatta» (Bandello, cit. in HERCZEG

1972c: 271). 125. I verbi che possono fungere da regenti rappresentano una categoria aperta

%cfr. HERCZEG 19720: 243). Spiccano, tuttavia, per la loro frequenza i verbi indicanti movimento (cfr. VAGNI 1974: 334: andare, correre, partire, tornare, venire, ecc.) o consiglio, preghiera, esortazione (ammonire, consigliare, esortare, persuadere, pregare, supplicare. ecc.).

127. Anche le finali implicite richiedono un elemento introduttore, e precisamente:

a) A e per. Si adoperano selettivamente a seconda del verbo reggente: «andava lui stesso a far la spesa ogni mattina» (Bassani; non si potrebbe dire *per far la spesa), «si lancia a testa bassa per scappare dalla porta» (Codignola; e non *a scappare: entrambi gli esempi in GREGO BOLLI 1982: 142 e 141). Diverse volte la reg enza ammette entrambe le soluzioni É«vengo a mangiare» / «vengo per mangiare»; «era lì a piangere l’uomo che conosceva da sempre» «Corriere della Sera», 21.2.1987,

126. Le finali esplicite sono introdotte da una congiunzione o locuzione congiuntiva. Le principali sono: a) Perché. E la congiunzione più frequente e usuale; la discriminazione rispetto al perche' causale è affidata al diverso modo verbale: «vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimo-

1 / «era lì per piangere...») e allora l’uso di per sembra accentuare la componente finalistica dell’azione (GRECO BOLLI 1982: 143). In alcuni costrutti infinitivali preceduti da a o per il valore finale è obliterato: o perché essi assumono funzione attributiva («a complicare il quadro c’erano poi le pO-

XIV. Sintassi del periodo sizioni dei liberali e dei socialisti», «La Re-

pubblica», 30.12.1986, 3; =c’erano le posizioni, che complicavano); 0 perché indicano, più che il risultato di un’intenzione,

una semplice successione spaziale o temporale: «la strada più breve [...] sbocca a Taracoth nella valle della Tuliganga per proseguire verso Giumla» (Tucci, Nepal, 18); o, infine, perché sono diventati sem-

plici modi fraseologici usati come proposizioni incidentali: «il gentiluomo pensò che quella soddisfazione sarebbe (per dirla con un’eleganza moderna) una bella pagina nella storia della famiglia» (Manzoni, I Promessi Sposi, IV 48); «beh, tanto per fa-

re un esempio, voleva sposarmi» (Mora— via, cit. in VAGNI 1974: 333); «a dirla francamente non è proprio di essere scoperte

406 evitare il referendum» «La Repubblica», 30.12.1986, 1); nell’intento di («la Società di geografia, fondata da Ismail al Cairo, nell’intento di preparare scorte ed ogni aiuto pratico alle spedizioni europee», ecc. Ungaretti, Il deserto e dopo). Il verbo pregare poteva costruirsi fino al secolo scorso anche con «: «prego gli scrittori del ‘Preludio’ a darmi un po’ di posto» (Carducci, cit. in SERIANNI 1986b: 18 n. 36).

c) Da. Ha valore finale in dipendenza da verbi come dare, lasciare, ofirire, porgere, portare (cfr. SKYTTE 1983: I 235: «va a cercare la lettera, gliela dà da leggere» Buzzati) o da sostantivi e aggettivi per indicare la funzione, l‘utilizzazione o la destina-

zione di ciò che essi esprimono: «casa da sbagliate); «questa storia del quadrimestre vendere», «libro da leggere», «macchina non va; anzi a noi, per esser sinceri, non è da scrivere»; «il pensiero [.] si slancia anmai piaciuta» (D. Pieraccioni, nella «Na- cora una volta nel futuro degli uomini; e zione», 28.2.1987, 4); «come altre società ad essi lega fidente le proprie colpe da europee, per non parlare degli Usa e del- espiare, le proprie speranze da raccogliel’Urss, l’Italia diverrà prima o poi una so- re, i propri voti da compiere» (Nievo, Le cietà multirazziale e multireligiosa» («La confessioni d’un italiano, 16). Il valore di Stampa», 25.3.1987, 1). queste ultime espressioni è propriamente Lascia perplessi la categoria definita da a metà tra il finale e il consecutivo: «ti do HERCZEG 1959: 307 — e da altri linguisti un bel libro da leggere» può corrisponde— prima di lui — della «finalità provvidenzia- re sia a «ti do un bel libro afiinche’ tu lo le». Si tratterebbe di casi in cui «lo scopo legga», sia a «ti do un libro così bello che da effettuarsi nella frase subordinata non merita che tu lo legga». è sottoposto alla volontà delle singole In sintagmi del genere, una certa tradiziopersone agenti», dal momento che la fi- ne grammaticale considera corretti solo nale «esprime la destinazione prescritta e quelli in cui il sostantivo è soggetto delvoluta da forze superiori» (ad esempio: l’infinito (che in tal caso ha valore passi«dormiva male la notte per alzarsi il gior- vo: «casa da vendere»=casa che deve esno dopo stanco e svogliato»). A noi sem- sere venduta: «colpe da espiare»=colpe bra che frasi del genere ricadano senza che devono essere espiate), in base alla difficoltà nell’àmbito della pura succes— persuasione che da conferisca valore passione temporale, già esaminato, eventual- sivo all’infinito. Ma si tratta di un’intermente con implicazioni conclusive (=dor- pretazione infondata (cfr. LEONE 1972 e miva male e quindi, in séguito a ciò, si al- SKYTTE 1983: II 398 sgg.). zava stanco). d) Onde. Propria della lingua scritta o del 17) Di. Si usa da sola («ti prego di ripen- parlato formale: «Il sabato poi, quando sarci», «vi consiglio di affrettarvi»), oppu- arrivava il giornale, don Franco s ingevare come componente di locuzioni con— si sino ad accendere mezz’ora E.] onde giuntive più o meno complesse, quali: al spiattellare le sue idee, e non andare a letfine di («chi commette il fatto è punibile to a mo’ dei bruti, come compare Cipolla soltanto se ha agito al fine di procurare a o compare Malavoglia» (Verga, I Malasé o ad altri un vantaggio o di recare ad voglia, 65); «per spezzare la opposizione, altri un danno» Codice Penale, art. 489); si lanciò in una campagna di discorsi nelallo scopo di («il Consiglio dei ministri ha l’0vest, onde fare appello al popolo conapprovato il pacchetto-Giustizia presen— tro i suoi awersari» (Spini, Disegno storitato dal ministro Rognoni allo scopo di co, III 360). che ho

aura» (Moravia, Le ambizioni

407

XIV. Sintassi del periodo

Onde può costruirsi anche col congiuntivo: «Mi chiami onde in gran fretta si vada / qualche passo più in là sull’ampia terra» (Saba, Il canzoniere).

tiva assume una connotazione di eventualità o di potenzialità: «voi avete un me— stiere e io so lavorare: andiamo tanto lon— tano che colui non senta più parlar di

Nonostante il suo radicamento nell’uso,

noi» (Manzoni, I Promessi Sposi, III 9); e

ande con valore finale ha suscitato forte avversione da parte dei puristi dell’Ottocento ed oltre. Il marchese Basilio Puoti avrebbe attaccato un cartello nella stanza in cui faceva lezione con la scritta: «Chi usa onde in iscambio di affinché o di per è un solenne ciuco» (la notizia in FANFANI— ARLIA 1881: 326, accompagnata dal commento: «Quanti Marchesi Puoti ci vorrebbero ora!»).

anche, abbastanza spesso, in frasi negative («scherzava sulla penetrazione dell’amico, non tanto spensieratamente però che non si sentisse la voce rauca» Pavese,

cit. in SCHMITT-JENSEN 1970: 620) o intro— dotte da in modo (tale) che (ma non è davvero una regola fissa, specie nel regi— stro informale: «dissi al comandante di regolare le attività di volo in modo tale che tutti gli aerei dovevano.far ritorno a terra» «Stampa sera», 29.12.1986, 5).

Proposizioni consecutive 128. Indicano la conseguenza dell’azione o del fatto contenuto nella reggente: «è così alto che deve farsi fare tutto su misura».

Rispetto alle finali, manca l’elemento di volontarietà, di intenzionalità caratteristi-

co di quelle: nella frase «cammino lentamente per non stancarmi» (proposizione finale), il rapporto logico tra reggente e secondaria e strettamente sottoposto alla volontà del soggetto; dicendo «cammino lentamente in modo da non stancarmi» (proposizione consecutiva), la secondaria presenta lo stesso fatto in termini obiettivi neutri, in apparenza indipendenti rispetto alla sfera d’azione del soggetto. Più marcata l’affinità delle consecutive con le proposizioni causali: di fronte a un mede-

131. Il condizionale, come per altre su-

bordinate (cfr. XIV.54, XIV.S9, ecc.), figura là dove figurerebbe anche in un’enunciativa: «la mia spossatezza era così completa [...] che non avrei potuto fare venti passi di più» (Soffici, cit. in HERCZEG 1973: 207).

casa», causale); le altre, la conseguenza

132. II. Le consecutive implicite conten— gono un infinito presente o, più raramente, passato. Sono introdotte dalle congiunzioni da, per, di o da locuzioni congiuntive formate con tali elementi. Il costrutto implicito è frequente in caso di identità di soggetti («benché gravissimo, l’incidente di Sarajevo non era tale da non potere essere composto pacificamente» Spini, Disegno storico, III 325), ma può aversi anche se l’infinito ha un soggetto generico («un profumo da perdere la testa» Manzini) o se riprende in questa funzione un complemento indiretto della sovraordinata («rispose don Nicola con una franchezza da non lasciar

(«è tanto vecchio che non esce più di ca-

dubbi» Silone; entrambi li esempi in MO-

sa», consecutiva).

RETTl-ORV1ETO 1979: II 61 .

simo nesso di causa-effetto, le une accen-

tuano la causa (cfr. TEKAVCIC’ 1980: II 453: «poiché è molto vecchio, non esce più di

Le consecutive possono essere esplicite o implicite. 129. I. Le esplicite contengono un modo finito (indicativo, congiuntivo, condizio-

nale). Sono introdotte da che, da congiunzioni composte o locuzioni congiuntive formate con che (sicché, a tal punto che, ecc.). 130. Il modo abituale e l’indicativo. Il congiuntivo compare quando la consecu-

133. Seguendo AGOST1Nl 1978: 381 (e HERCZEG 1973) possiamo distinguere due tipi fondamentali di costrutti consecutivi. Quelli ‘forti’ sono caratterizzati dalla presenza di un antecedente «strettamente legato a un sintagma della sovraordinata» (così, tanto, a tal punto, ecc.): «il

rapporto di consequenzialità tra le due proposizioni è reso così particolarmente evidente» proprio da quell’elemento prolettico il quale. creando nella sovraor-

XIV. Sintassi del periodo dinata «uno stato d’indeterminatezza,

provoca una sorta di tensione emotiva che esige una risoluzione nella subordinata». Nei costrutti ‘deboli’, invece, la so-

vraordinata «ha una sua autonomia semantica, esprime cioè un contenuto in sé

compiuto» ed è collegata alla consecutiva mediante una congiunzione composta o una locuzione congiuntiva (sicché, co-

sicché, tanto che, ecc.). La debolezza del legame sintattico può essere riflessa dalla punteggiatura, che presenta spesso un segno di pausa forte (punto e virgola, due punti, punto fermo) tra sovraordinata e consecutiva.

408 procede / per sì lungo cammino I che sembra star» (Leopardi, La ginestra, 292-294).

b) Tanto. Può essere awerbio — ed è allora sostanzialmente equivalente a così — oppure aggettivo: «stro icciava un orec— chio del cane con tanta f€7rza che la pove— ra bestia guaiva, onorata, senza dubbio,

ma sofferente» (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 49).

Propria del registro colloquiale l’intensificazione attraverso così tanto: «gli aveva dato appuntamento al pomeriggio per vendergli del metallo, cosi tanto metallo,

diceva, che ne avrei potuto comperare anch’io un carico» (Chiara, cit. in MORET-

.34. Talvolta il rapporto consecutivo e risolto in una giustapposizione in cui la proposizione che dal punto di vista logico svolge funzione di consecutiva precede la

T11982b: 150). c) Tale. Si usa come aggettivo, senza articolo o con l’articolo indeterrninativo (raramente determinativo; «tale paura

sovraordinata, ove si trova l’antecedente

che...», «una tale paura che...», «tale una

(perlopiù tanto o a tal punto): «il Signor Conte di Fratta era un uomo d’oltre a ses— sant’anni il quale pareva avesse svestito

paura che...», ecc., cfr. VII.16Sb). d) Talmente. Modifica un aggettivo, un participio o un awerbio (che non esca in mente: quindi «talmente presto», ma non *talmente elegantemente): «la vita psichica inconscia è talmente forte che può dominare la nostra vita cosciente» («Stampa sera», 23.2.1987, 11).

allor allora l’armatura, tanto si teneva ri—

gido e pettoruto sul suo seggiolone» (Nievo, Le confessioni d’un italiano, 18;=i1

Conte si teneva tanto rigido che pareva...); «il pane scendevano a venderlo una volta al mese, tant’erano fuorimam» (Pavese, La luna e i falò, 57).

136. In mancanza di un antecedente, una

Tranne questo caso particolare, la consecutiva si colloca obbligatoriamente dopo la reggente.

consecutiva esplicita può essere introdotta da: a) Sicché, cosicché (0 così che; ormai rara la grafia si che): «[le lodi del vino] veniva— no, com’era giusto, frammischiate alle

135. Vediamo ora quali sono gli antecedenti fondamentali: a) Così. Di uso larghissimo, può modificare un aggettivo, un participio o un avverbio: «il coltellino della macchina aveva un tremolio indistinto, un movimento ca—

si lieve che pareva un soffio» (Serao, Il romanzo della fanciulla, 44), «m’interrogò con lo sguardo, così amorosamente che mi

sentenze di giurisprudenza economica;

sicché le parole che s’udivan più sonore e più fre uenti, erano: ‘ambrosia’ e ‘impiccarli’» Manzoni, I Promessi Sposi, V 65);

«un’ombra umida invadeva la via affollata così che non se ne vedeva il fondo» (Moravia, Gli indifierenti). b) Talche', tantoché (o tal che, solo lettera-

sentii morire» (Ortese, cit. in HERCZEG 1973: 208).

rio, e tanto che). Se talché è relativamente

Nell’italiano dei secoli scorsi così poteva riferirsi al solo predicato verbale, in assenza di aggettivo o awerbio (come oggi tanto, cfr. HERC»

ZEG 1973: 214 avrebbe «conservato, in

ZEG 1973: 210): «il fean così, che più che dar, di

loro / l’una all’altra parea chieder ristoro» (Pindemonte, Poesie). Antiquato si, che già nell'Ottocento era caratteristico di poesia e prosa elevata (cfr. SERIANN] 1986b: 44-45): «sta natura ognor verde, anzi

raro (cfr. MORETTI 1982b: 155-156), tantoché è piuttosto comune e secondo HERC— confronto a cosicché (sicché) la sua carica emotiva, perché è più palese l’accenno all’intensità dell’azione principale che non con cosicché (sicché)»: «il fine di questi ragionamenti, espressi o suggeriti, è la confusione mentale dei giovani, talché i simpatizzanti per il fascismo lascino cade-

409 re le esitazioni a lottare contro i partigia— ni» (Bocca, Storia dell’Italia partigiana, 225); «le cose minacciavano di farsi serie per Gerolimino, tanto che dovette correre a cercarsi un avvocato di grido in città» (Panzini, cit. in HERCZEG). e) Onde: «questo suo debole non poteva non mortificare l’orgoglio dei familiari

XIV. Sintassi del periodo da mandare a noi, nella pienezza dei tem—

pi, il tuo unico figlio come salvatore» (Messale festivo, 333). 140. Negli altri casi si trovano, con notevole parallelismo rispetto al costrutto esplicito: a) Così da, si da, tanto da: «i ghiacciai [...]

[...], onde tutti presero a gridarin ‘sce-

scavano le valli, lungo le quali scorrono, sì

mol’, ‘stupido!’ sotto il muso» (Landolfi, La pietra lunare). d) Locuzioni formate con i sostantivi mo-

da ridurle con le pareti ripide e il fondo arrotondato» (Cuscani Politi, Geografia generale, 287). b) Fino (sino) a, fino (sino), al punto di:«… tristi tutti fino a morime...» (Piran-

do, maniera, punto: in modo che, in tal modo che, in maniera che, di maniera che,

al punto che, a tal punto che, e simili (vari esempi in HERCZEG 1973: 217-221). Meno usate — perché letterarie o antiquate — le espressioni a (al) segno che, di (o in) guisa che e l’ellittica a tale che: «ma oggi la cosa è venuta a tale che gli uditori, anche forzati, a fatica possono bastare alle occorrenze degli autori» (Leopardi, Pensieri, XX). 137. Non sono rare le consecutive intro-

dotte da che e prive di antecedente, o più esattamente il cui antecedente è ridotto a

dello, Come tu mi vuoi, IV 271).

e) In modo da (o di), al punta di (o da), al (a) segno di: «Nora allora le diede da tenere le forbici in modo da avere libera anche l’altra mano» (Cassola, cit. in HERC-

ZEG 1973: 225). 141. Per indicare un legame ‘debole’ si adopera il solo da, specie in frasi cristallizzate: «mi annoio da morire», «la cosa era da ridere» (Sciascia, cit. in SKYTTE 1983: Il 396), «non è tipo da porgere l’altra guan— cia» («La Repubblica», 18.2.1987, 3).

un semplice sintagma costituito da articolo indeterminativo+sostantivo: «si mise a

giuocar a tarocchi con una zelo, con un brio, con una beatitudine in viso, che non

si turbavano né di spropositi né di strapazzate» (Fogazzaro, Piccolo mondo antico, 11; =con un tale zelo...); «una vessazione che non ti dico» (Pirandello, Vestire

gli ignudi, IV 170). 138. Viceversa, la correlazione logica tra due frasi è talvolta così evidente che, in

presenza di un antecedente, può mancare il che e aversi così un costrutto giustappositivo: «Andiamo a piedi — gli disse subito Giovanna — Sono stata tanto ferma, ho voglia di camminare» (Cassola, cit. in MO— RETTI 1982b: 149 n. 8).

142. Si possono includere tra le consecutive — piuttosto che tra le finali:negative — alcune proposizioni introdotte da verbi come impedire, salvare, trattenere+dal+in-

finito: «Non avete nessun altro motivo che vi trattenga dal manzener la promessa che avete fatta a Renzo?» (Manzoni, I Promessi Sposi, XXXVI 63; =nessun mo-

tivo tale che non manteniate...). Il verbo impedire, in particolare, può costruirsi col complemento di termine e l’in— finito retto da di (è questa, anzi, la reg— genza più usuale: «impedirò a mio figlio di fare altre sciocchezze») e, nell’uso let— terario, con che+congiuntivoz «mirano e

tacciono eternamente; e, potendo, impediscono che altri non vegga» (Leopardi, Pensieri, XXIV).

139. Le consecutive implicite provviste di antecedente sono introdotte dalla congiunzione da: «[la rande emigrazione biellese ebbe origine dalla ricerca di soluzioni alternative tali da ripristinare le precedenti condizioni di iniziativa e autonomia individuale» (V. Castronovo, in «Storia illustrata», settembre 1986, 60); «Padre santo, hai tanto amato il mondo

Proposizioni di adeguatezza 143. Con questo termine (ripreso da TEKAVCIC 1979: II 455) indichiamo un tipo di proposizione affine alla consecutiva in cui la conseguenza non è realizzata, ma collegata a un certo rapporto di intensità.

XIV. Sintassi del periodo

Nella reggente si trova un awerbio quan— titativo (troppo, poco, troppo poco, abba— stanza, alquanto, ecc.) o il corrispondente aggettivo e la dipendente è introdotta da perché col congiuntivo, se esplicita, o da per e da con l’infinito presente o passato, se implicita. a) Esempi del costrutto esplicito — Con awerbio nella sovraordinata: «e poi trovava d’esser troppo adulto perché mio padre avesse ancora il diritto di prenderlo a schiaffi» (Ginzburg, Lessico famigliare, 44); con aggettivo: «in questi sei ultimi mesi [...] troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chie— dere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento» (Tomasi di Lampedusa, Il Gatto— pardo, 209). 17) Esempi del costrutto implicito: «Oh sì, l’animale sarà / abbastanza ignaro / per non morire prima di toccarti» (Cardarelli, Poesie); «le macchine sono ormai abba-

stanza perfezionate da potere eseguire con notevole approssimazione un progetto fatto da un artista» (Argan, Arte mo-

derna, 246). 144. Ricordiamo qui, per il loro valore logico-semantico, alcuni tipi di proposizione formalmente affini alle consecutive in cui la conseguenza annunciata dalla reggente non arriva a realizzarsi nella subordinata: «fui preso da un intrepido, fulmineo amore per lei, tanto che per poco non m’inginocchiai sulla pedana da ballo»

410 ma»), oppure essere a sua volta una proposizione dipendente: «penso che po— tremmo andare al cinema, se ti andasse».

In questo secondo caso la protasi è spesso incuneata nell’apodosi, collocandosi tra la congiunzione subordinativa e il resto della frase: «le previsioni degli esperti sostengono che, se non interverranno fattori traumatici, l’Unione Indiana entro 25 an-

ni sarà il terzo Paese più ricco del mondo» («Il Mattino», 28.11.1986, 3). Ma può aversi anche un ordine diverso, ad esem—

pio ‘protasi’ - ‘sovraordinata’ - ‘apodosi dipendente’: «se tre bianchi camminassero per Harlem di notte, credete che non

rischierebbero proprio nulla?» («La Re— pubblica», 30.12.1986. 9). 147. Di norma la protasi è introdotta da una congiunzione o locuzione congiuntiva (se, la più comune, qualora. nel caso che, ecc.). Ma si può avere anche ellissi dell’elemento introduttore e quindi giustapposizione di protasi e apodosi. Per un esempio di protasi con ellissi della congiunzione cfr. XIV.33b; qui ricorderemo caratteristici periodi di intonazione voliti— vain cui la protasi corrisponde a una frase semplice con imperativo e l‘apodosi assume un avverbio che marchi il contrasto con la proposizione precedente (se no o sennò, diversamente, altrimenti): [«se mi

toccate, chiamo gente»] _» «non mi toccate, se no chiamo ente» (Prisco, cit. in

MORETTI 1983: 41); [g«se non ti alzi. paghi

la multa»] —> «Mariettella, alzati: se no

paghi la multa» (Serao, Il romanzo della così commosso che fu li li per piangere» fanciulla, 8). («che fu sul punto di piangere», «che per un pelo non pianse», e simili). 148. La protasi logica di un periodo ipotetico può essere rappresentata da una proposizione non condizionale; per esempio Proposizioni ipotetiche da una finale: «occorrerebbero pagine e pagine per elencare tutte le opere in cui 145. Dette anche condizionali, indicano compare almeno un gatto» (Pugnetti, l’ipotesi, la condizione da cui dipende o Guida al gatto, 22; =occorrerebbero [.] potrebbe dipendere ciò che viene espres- se volessimo elencare...) — oppure da so nella reggente. L'insieme di sovraordi- un’interrogativa diretta: «Cadeva una ponata e di subordinata condizionale pren- sizione? Colpa dei soldati! Un reggimende il nome di periodo ipotetico e le due to si sbandava? Tutti vigliacchi» (Silveproposizioni sono designate individual- stri, cit. in HERCZEG 1976d; 447; =se cademente come apodosi e protasi. va ;ma posizione, la colpa era dei solda— ti... . 146. L’apodosi può essere indipendente («se ti andasse, potremmo andare al cme- 149. Talvolta la protasi non è espressa (Bufalino, Diceria dell’untore, 96); «era

411

XIV. Sintassi del periodo

formalmente, ma si ricava dal contesto,

stri, in HERCZEG 1976d: ivi. 448—450, per la

come in questo esempio di A. Tabucchi:

coordinazione di più subordinate ipotetiche).

«la sua voce non aveva un tono interro-

gativo, forse non era una domanda, era solo una constatazione, a suo modo, co-

munque sarebbe stata una domanda alla quale non avrei potuto rispondere» (Not-

I. Indicativo in apodosi e protasi

turno indiano, 38; =se fosse stata una domanda, sarebbe stata una domanda alla

151. La protasi è introdotta quasi soltanto dalla congiunzione se. Sono possibili tutti i tempi dell’indicativo (ma è raro il passato remoto). Inoltre: a) Con l’imperfetto e il trapassato prossimo ci si riferisce quasi sempre a un’ipote-

quale…) 150. A seconda del modo presente nell’apodosi e nella protasi, il periodo ipotetico è stato tradizionalmente distinto in reale (indicativo: «se hai sbagliato, devi

correggerti»). possibile (congiuntivo nella protasi, condizionale nell’apodosi: «se avessi sbagliato, dovresti correggerti»), irreale (stessi modi del tipo precedente: ma qui l’ipotesi è palesemente irrealizzabile: «se i topi volassero, assomiglierebbero a pipistrelli»), misto (contaminazione di modi reali e possibili-irreali; per esempio: indicativo nella protasi e condizionale nell’apodosi: «Peccato che fosse un mutuato. Se era un pagante, forse ti saresti fatto un cliente» D’Agata. Il medico della mutua, 25; oppure congiuntivo nella protasi e indicativo nell‘apodosi: «Cardetti ha fatto bene a resentare le dimissioni [...]. ma se ora ...] insistesse, deve rendersi conto che ci sono altri, nel

partito, pronti a prendere il suo posto» «Stampa sera», 23.2.1987, 5 — «in fe’ d’Ercole, se io non avessi provato. io non

poteva mai credere» Leopardi, Operette morali, 148). Tuttavia, una partizione del genere è insoddisfacente. Sia perché contamina criteri tipologici diversi (uno formale: il modo verbale usato; e uno logico: il carattere reale, possibile o irreale nell’ipotesi), sia — e soprattutto — per l’impossibilità di tracciare confini netti. Dicendo «se fossi ricco, viaggerei molto», formulo un’ipotesi possibile o irreale? Non solo: l’indicativo, il modo della realtà, può adope-

rarsi per ipotesi chiaramente irreali. in quanto riferite al passato (come nell’esempio di D’Agata, cit. sopra). Distingueremo quindi i vari tipi di periodo ipotetico essenzialmente in base al modo verbale che essi presentano (un’ampia trattazione di queste proposizioni, fondata su criteri parzialmente diversi dai no-

si non realizzata («irrealtà nel passato»). Si tratta di un costrutto tipico del registro colloquiale, benché in espansione (cfr. SABATINI 1985: 167): «se lo sapevo, non venivo». Oltre che nel parlato, questo uso dell’indicativo irreale — di origine molto antica e con paralleli in altre lingue (come il francese) — compare sovente nella prosa narrativa. Ma è ben vitale anche il modulo più tradizionale per l’irrealtà nel passato (congiuntivo trapassato nella protasi, condizionale presente o passato nell’apodosi), che deve considerarsi la norma nella prosa argomentativa ed è largamente diffuso in quella colloquiale: «lui mi ha detto che se non (tb-essi accettato il suo regalo, gli avrei dato un dolore da morire...» (Cassola, La ragazza di Babe, 22); «se 1983 anni fa ci fossero sta— ti gli anticoncezionali, oggi sarei disoccupato» (da un fumetto, cit. in SERIANNI 1986a: 60). Naturalmente un periodo ipotetico con imperfetto o trapassato può indicare circostanze pienamente reali; in tal caso se ha spesso «un sottoscnso temporale che si accosta a ogniqualvolta» (HERCZEG 1976d: 399; di qui l’esempio che segue):

«se invece ero rimasto in branda [.] lo sentivo dall’altra parte del tramezzo che si schiariva la voce o tossicchiava» (Can— cogni). Si ha inoltre l’imperfetto qualora l’apodosi sia una proposizione che dipenda da una reggente con un tempo storico: «ero deciso, se entro oggi non lo vedevo, di andare a cercarlo» (Volpini, cit. in HERCZEG 1976d: 400) e, ancora, nel di-

scorso indiretto libero (cfr. XIV.26S): «se il signor Pianelli voleva fare il lord e mandare in lusso la moglie, non era bello niente affatto che i conti li facesse pagare

XIV. Sintassi del periodo agli a)mici» (De Marchi, Demetrio Pianelli. 14 . b) Per indicare un’ipotesi proiettata nel futuro, è frequente l’uso dell’indicativo

presente nella protasi: «se non cambiano il maestro, continueremo a non mandare i

nostri figli a scuola» («Il Gazzettino», 23.10.1986. 4). Ma, a differenza del francese moderno, dove una norma del gene-

re ha assunto carattere di obbligatorietà (cfr. GREVISSE 1980: n° 26882), in italiano è possibile anche il futuro nella condizionale: «se Vagliensteino vorrà fare il bel-

412 illustrata», settembre 1986, 12); «vuolsi

raccomandare la lettura di quelle opere, che se non comprendono tutta la scienza, almeno ne fanno accessibile a molti una considerevol parte» (Cattaneo, Scritti economici). Spesso la sequenza se non almeno (per[ameno) introduce serie nominali in correlazione: «le modalità del ricovero in ospedale rivelano la forte preoccupazione, se non dello stesso Reagan, perlomeno della ‘first lady’» («La Repubblica», 45.1.1987, 9).

l’umore, saprà ben lui farlo rigar diritto,

con le buone o con le cattive» (Manzoni, I Promessi Sposi, V 55). Per la situazione nell’italiano antico cfr. BRAMBILLA AGENO 1974-1975: 29-43. In molti casi la proposizione introdotta da se+indicativo assume valori particolari, non specificamente ipotetici. E precisamente: 152. I. Temporale-iterativo. Contrassegna un’azione ripetuta, tipicamente imperfettiva; il tempo abituale e il presente o l’im— perfetto: «se ripenso agli anni della mia giovinezza, mi accorgo di quante cose sono cambiate» (=quando ripenso, ogni volta che ripenso); «se rendevo l’orecchio

alla piazza, il tempo si fermava» (Pavese, cit. in SCHMITT—JENSEN 1970: 458). 153. II. Causale. La condizionale contiene non tanto un’ipotesi quanto un dato di fatto — o almeno un concetto presentato come tale — dal quale scaturisce necessariamente una certa conseguenza: «Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbia-

mo amarci gli uni gli altri» (Messale festivo, 854; =giacché Dio ci ha amato.); «se ‘sapere’ e coscienza che l"io’ ha di qualcosa che è ‘altro’ da esso, questo qualcosa dev‘essere preesistente alla rappresentazione» (Lamanna, Filosofia, III 31). 1.54. III. Concessivo. Frequentemente la protasi è negativa e l’apodosi può contenere una congiunzione o un avverbio con valore avversativo (tuttavia, almeno, perlomeno, ecc.): «il fascismo, soprattutto la guerra e la tragedia dell’8 settembre ’43, se non cancellarono (perché nella storia nulla si cancella), oscurarono i meriti storici della dinastia» (D. Bartoli, in «Storia

155. IV. Cbmpletivo. Si ha dopo verbi che ammettono il costrutto completivo (generalmente col congiuntivo, se esplicito): «le dispiace se da un’occhiata al suo giornale?» (:che dia un’occhiata); «Non ti maravigliar s’io piango, Tosco» (Dante, Purgatorio). 156. V. Avversativo. Il se introduce una proposizione che si contrappone & un’altra, istituendo con questa un rapporto piuttosto coordinativo che subordinativo: «se Atene piange, Sparta non ride» (detto opolare; =Atene piange, ma Sparta..l); «se prima chi aveva un osto nell’industria doveva considerarsr fra i più fortunati, oggi non è più così» («Il Mattino», 28.11.1986, 8). 157. Il se concessivo e avversativo può introdurre una proposizione col condizionale (l’apodosi ha l’indicativo): «la sua ripetizione, se proprio non sonerebbe tautologica, non appare almeno necessaria» (esempio citato, come il seguente, in LEONE 1974a: 116; =benché non suoni tauto-

logica...); «se dopo la catastrofe di Porto Grande gli ateniesi avrebbero potuto costituire ancora un motivo di timore per i siracusani, dopo I’Asinaro l’indipendenza e la tranquillità di Siracusa erano viceversa assicurate» (=mentre dopo la catastrofe...) Si veda anche HERCZEG 1976d: 411. 158. Il se con valore causale, concessivo,

avversativo può essere sostituito, nella grande maggioranza dei casi, dalla locuzione se è vero che, se è vero come è vero

che. Ecco due esempi, il primo con valore causale, il secondo con valore conces-

413

XIV. Sintassi del periodo

denaro», ecc. (Moravia, cit. in SCHMI'IT—

«ma se fu oculata ed attiva la missione del primo Sindacato, assai più proficui riuscirono i susseguenti» (Nievo, Le confessio-

JENSEN 1970: 204; =dato che il denaro...);

ni d’un italiano, 32).

sive: «e se era vero, come era vero, che il denaro non consentiva il divorzio dal

«se è vero che una tessera di partito non garantisce alcuna competenza professionale, è anche vero che essa non ga-

rantisce (necessariamente) alcuna incompetenza» («Corriere della Sera», 7.3.1987, 1; =benché una tessera non ga-

161. VIII. Fraseologico. Compare in numerose espressioni incidentali aventi generico carattere attenuativo e diffuse nello stile dialogico, quale che ne sia il regi-

rantisca...).

stro: «lei, se ben ricordo, è vissuto molto all’estero», «in una vecchia casa di Cesenatico che, se non rn ’inganno, è sempre la

159. VI. Restrittivo. Corrisponde a una proposizione eccettuativa (cfr. XIV.240): «se non si ferma in tempo, quel ragazzo finirà male»; «Di picciol bene in pria sen— te sapore; / quivi s’inganna, e dietro ad esso corre, / se guida o tren non torce suo amore» (Dante, Purgatorio, XVI 90-92).

stessa» (Moretti, Tutti i ricordi); «se ti piace, il tuo castel / questa notte occuperemo» (F. M. Piave, Emani, in VERDI—BALBACCI 1975: 74). Diversi altri esempi in MORETTI 1983: 37-38. Per un’esauriente rassegna dei valori che può assumere la protasi indicativale in Dante cfr. F. Brambilla Ageno, in Enci-

160. VII. Ipotetico apparente. Si ha in quelle proposizioni che, «anche se contengono fatti incontestati, sono delibera—

clopedia Dantesca, Appendice, 409-415.-

tamente presentate con sfumatura e tono

Il. Congiuntivo in protasi, condizionale in apodosi

ipotetici» (LEONE 1958: 23; cfr. anche HERCZEG 1953): «se c’è una cosa che detesto, è proprio quella di disturbare la gente» (Bassani, cit. in MORETTI 1983: 33);

162. Per le condizionali indipendenti introdotte da se l‘abituale corrispondenza dei tempi è la seguente:

CONTEMPORANEITÀ PROTASI

APODOSI

Congiuntivo Imperfetto se volessi Congiuntivo Trapassato se avessi voluto

Condizionale Presente riuscirei Condizionale Passato sarei riuscito

ANTERIORITÀ PROTASI Congiuntivo Trapassato se fosse rimasto qui,

APODOSI Condizionale Presente il mio Santino sarebbe ancora vivo (Cassola, cit. in MORETI'l-ORVIETO

1979: I 105)

163. Diverso il quadro per le altre congiunzioni ipotetiche (ove, qualora, ecc.) e per le congiunzioni «condizionali—restrittive».

Queste ultime — benché tradizionalmente descritte nell’àmbito del periodo ipotetico — «non presentano ipotesi, ma solo condizioni», indicando «un’esigenza

che dev’essere soddisfatta perché un fatto qualsiasi possa verificarsi» (BRAMBILLA AGENO 1981: 6). Si tratta essenzial-

mente di purche'. sempreché, solo che, per poco che, a condizione che, a patto che. A differenza di se, tutte le altre congiunzioni ipotetiche o condizionali-restrittive richiedono, di massima, il solo congiunti-

vo. E però sempre possibile l’indicativo futuro: «la conferenza sull’energia salterà solo nel caso che altre forze parlamentari riterranno opportuno non farla» («La Repubblica», 10.2.1987, 8).

414

XIV. Sintassi del periodo

CONTEMPORANEITÀ APODOSI

PROTASI Congiuntivo Presente 0 Imperfetto purché la voglia purche' lo volesse qualora lo voglia qualora lo volesse Congiuntivo Trapassato purche' fosse stato in buona fede qualora fosse stato in buona fede

Condizionale Presente riuscirebbe

Condizionale Passato sarebbe stato scusato

ANTERIORITÀ PROTASI Congiuntivo Passato o Trapassato purché sia stato in buona fede qualora sia stato in buona fede purché fosse stato in buona fede qualora fosse stato in buona fede

Periodo ipotetico misto 164. Presenta una certa varietà di realiz— zazioni: indicativo imperfetto nella prota— si e condizionale passato nell’apodosi; congiuntivo imperfetto nella protasi e indicativo presente o imperfetto nell’apodosi (tre esempi sono stati citati al par. 150); apodosi imperativale e protasi con indicativo o congiuntivo («se ti sembra che stia sbagliando, dimmelol»), ecc. Degno di nota il tipo con protasi al congiuntivo presente o passato introdotta da se. caratteristico in particolare di proposizioni che indichino azione iterata, in riferimento alla «validità generalizzatrice dei contesti di diritto che contengono l’esteriorizzazione di una norma» (HERCZEG 1976b: 148; di qui l’esempio che segue): «la libertà provvisoria non può essere concessa se l’imputato ne abbia già goduto in altro procedimento», ecc. Ma non mancano esempi in cui il congiuntivo pre— sente ha generico valore eventuale: «si sentiva che nulla ci salverà dallo spavento, se Dio non abbia pietà di noi e delle nostre notti» (Cecchi, Saggi, 291).

APODOSI Condizionale Presente lo scuserei

mendo diverse sfumature di significato: a) Se anche (col congiuntivo; più raramente con l’indicativo) ha valore di am— missione ipotetica. Dà «risalto all’antitesi con la sostanza del resto dell'enunciato, e

spesso carica l’espressione di forti valori affettivi» (MORETTI 1983: 47; di qui l’esem— pio che segue): «se anche volessimo fare qualcosa, noi, quaggiù, cosa possiamo fare?» (Dessì). Da notare che l’inversione dei due elementi (anche se) dà luogo di norma a una locuzione concessiva, non ipotetica: «gente pratica, dico, che sa far di conto anche

se non ha studiato» (Panzini, Romanzi d’ambo isessi; =benché non abbia studia-

to: proposizione concessiva — Invece, dicendo «se anche non ha studiato» avremmo avuto piuttosto un’ipotetica con valore awersativo, cfr. XIV.1S6). b) Se pure (seppure; con l’indicativo; raramente col congiuntivo) può introdurre un’ipotetica di forte impronta dubitativa: «forse era il suo nome, se pure ne aveva avuto uno di sorte» (P. Levi, cit. in MO-

165. La congiunzione fondamentale, se,

RETI] 1983: 50). c) Se mai (semmai) ha valore analogo a se pure ma regge prevalentemente il con— giuntivo: «lo pregava insieme di dir loro che, se mai, in qualunque tempo, avessero creduto che potesse render loro qual— che servizio, la povera giovine sapeva pur troppo dove stesse» (Manzoni, 1 Promes-

può essere rafforzata m vano modo, assu—

si Sposi, XXVI 33).

Congiunzioni ipotetiche e condizionali-restrittive

415 166. Altre congiunzioni (tutte col congiuntivo): a) Casomai (caso mai). Di uso limitato, accentua il carattere ipotetico—eventuale proprio della condizionale: «adesso Ugo faceva in modo da riserbargli il solito tavolo, riparato dal vento, casomai dovesse

XIV. Sintassi del periodo

ta): «farò finta di niente, purché l’incidente non si ripeta»; «la Regione ep1ana er le seguenti materie norme legis ative [) ] sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con que]lo di altre regioni» (Costituzione, art. 117 .

spirare» (Pratolini, Lo scia/o). Ormai in disuso casomai che («affari segreti che 167. Locuzioni congiuntive (col congiunnon si vorrebbero lasciar capire a un ter- tivo, tranne nella misura in cui, che regge zo, casomai che la lettera andasse persa» prevalentemente l’indicativo): Manzoni, I Promessi Sposi, XXVII 21) o a) Ammesso che, concesso che, dato che, il semplice caso («caso poi fossero tanto posto che: «voi non potete escludere, dato ineducati da non volere scappare, allora che l’awocaticchio facessesul serio la sua scapperei io, e così la farei finita...» Collo- parte di revisore […], che esso Turiddu in di, Pinocchio, 43). quei momenti non si sentisse awilito di b) Ove, dove, laddove. Sono forme carat- darsi a conoscere tanto bestia» (Baldini, teristiche della lingua scritta o del parlato Il doppio Melafumo). Con l’espressione formale: «dove poi non fosse vero il pre- dato (0 ammesso) e non concesso che si supposto sul quale abbiam ragionato fin «accetta momentaneamente come vera ora [...], ben si vede il tutt’altro discorrer- una ipotesi per controbattere le altrui arne che ci bisogna» (D. Bartoli, Pensieri gomentazioni o sviluppare le proprie» sacri); «a me pare che l’episodio abbia (MORETTI 1983: 27; di qui l’esempio che una portata di carattere più generale [.] segue): «i metalmeccanici, ammesso e che, ove risultasse fondata, potrebbe por- non concesso che ottengano ciò che adestare forse ad una conclusione parzialmen— so vanno chiedendo, porterebbero in bute diversa» (A. Asor Rosa, nella «Repub- sta paga per i loro rappresentanti la blica», 28.1 011987, 10). metà» (da un giornale). c) Qualora. E abbastanza comune, specie Tutte queste espressioni poss_ogo assumenell’italiano scritto e, in particolare, sem- re valore concessivo, specie se accompabra «prediletta nei testi di tipo eminente— gnate da anche 0 pure: «anche ammesso mente giuridico-ufficiale» (HERCZEG che tu avessi ragione. hai fatto male a 1976b: 150). Può tornare utile per intro- comportarti così (=anche se avevi, pur durre una subordinata in presenza di avendo). un’altra condizionale col se: «se il colpe— Un deciso slittamento verso la proposivole volontariamente desiste dall’azione, zione concessiva comportano costrutti soggiace soltanto alla pena per gli atti quali ammettiamo, mettiamo, poniamo compiuti qualora questi costituiscano per (pure) che: «ammettiamo un momento, sé un reato diverso» (Codice Penale, art. per assurdo, che io possa dimenticare 56; la presenza di due se in successione quello che lei ha fatto... Ammettiamolo... avrebbe creato qualche impaccio alla Ma ora. come si fa ad annunziare al commendatore una cosa simile?» (Moravia, scioltezza del passo). d) Quando. Imprime alla proposizione cit. in MORETTI 1983: 16; =anche se posso un’accentuata connotazione temporale: dimenticare, pur potendo dimenticare). «ciò non deve destare meraviglia quando Dato che e posto che+indicativo introsi pensi che egli [l’uomo] ha sconvolto il ducono una proposizione causale, cfr. suolo e il sottosuolo di vaste aree conti- XIV.111. nentali», ecc. (Cuscani Politi, Geografia b) A condizione che, a patto che, solo che, generale, 307). Seguito da anche, quando per poco che; nell’eventualità che, nell’ipoassume valore concessivo, così come s’è

tesi che, nel caso che; nella misura in cui.

visto per anche se (cfr. XIV.]6Sa). e) Purché, sempreché. Equivalenti come significato, hanno diversa frequenza d’uso (sempreché è meno comune e adoperato prevalentemente nella lingua scrit—

Le prime quattro hanno valore restrittivo, come purché; l’espressione nella misura in cui — della quale abbiamo già ricordato il valore causale (cfr. XIV.111) — indica propriamente la correlazione pro-

XIV. Sintassi del periodo

porzionale tra un’ipotesi e l’effetto che ne dipende (ma nell’abuso che se ne è fatto in anni recenti è stata spesso adoperata come semplice variante di se). Esempi: «di queste galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione

[...] che tu faccia finta di dormire» (Collo-

416 so allenti, la fede rià la parola» (Magalotti, Lettere sopra i buccheri); «il cappellano di Fratta invece era un salterello allibito e pusillanime che avrebbe dato la benedizione col mescolo di cucina nulla nulla che al Conte fosse saltato questo grillo» (Nievo, Le confessioni d’un italiano, 44).

di, Pinocchio); «con violente contraddi—

zioni [...] quali si palesano sol che si consideri che in questa geografia [la «geografia

della giustizia»] s’incontrano tribunali pletorici e ingovernabili» («Il Mattino», 28.11.1986, 1); «è possibile che la proibizione dell’incesto un giorno scompaia,

170. La protasi di un periodo ipotetico può assumere forma implicita. I modi in— definiti che si adoperano in questo caso sono: a) Infinito, preceduto da a («a sentire gli storici l’impero romano fu distrutto dalle tasse più che dai barbari» G. Bocca,

rella misura in cui si saranno trovati nuovi mezzi per assicurare la coesione socia- nell’«Espresso», 9.11.1986, 15; =se sentia.e» ( orologiaio). In alcuni casi ha valore locativo-collettivo (pollo -> pt;llaio ‘recinto dove sono alloggiati i polli’ . Per i nomi di mestiere -aio è in declino, specie di fronte ad -ista, talvolta refer-ito

sato nicceano), quebecchese («gli antago- anche per attività tradizionali &arista / nismi tra quebecchesi di lingua francese e fioraio e anche alimentarista rispetto a quebecchesi di lingua inglese» «Il Gior- fornaio e droghiere) e normale nei neolono», 17.3.1987, 3), saragattiano (da Sara— gismi (cuccettista, pianellista, tapparellista; gat); con la scempia: bergsoniano («egua- cfr. JACQMAIN 1973: 54-56 e vedi oltre, le ambiguità è nell’intuizione bergsonia- XV.20). Se -aio, pur riferendosi a persona» Lamanna, Filosofia, III 201), ciadia- na, non contrassegna un lavoratore, assuno (da Ciad; «un attacco ciadiano» «La me in genere una connotazione spregiati— Stampa», 25 31987, 4), wagneriano («po- va: parola _» parolaio, pantofola -+ panlemiche ost-wagneriane» Ciccia, St. mu- tofolaio. Per quanto riguarda gli altri suffissi si ossica, 185 . _ I derivati da un nome straniero terminan- servr:

445 a) -aro è la variante non toscana e si incontra in forme non analizzabili del lessico tradizionale (come calamaro e palombaro; derivati trasparenti sono invece campanaro, montanaro, zampognaro) o in neologismi recenti, di provenienza so—

XV. La formazione delle parole di bombarolo e tombarolo ‘saccheggiatore di tombe etrusche’ (su -aiolo si veda FANFANI 1985, da cui abbiamo tratto gli

esempi meno owi).

12. -ata. Si origina dal participio passato latino della 1a coniugazione e oltre che deverbali — cfr. XV.32 — forma denominatrionale. Ricordiamo, tra i primi, borgataro, grup— li di vario tipo. Con nomi di parti del corpettaro, rockettaro (già raccolti in CORTE- po può indicare un’azione compiuta da LAZZO-CARDlNALE 1986: 31, 88, 148); più un determinato organo (occhio —> ocrecenti ma con ogni probabilità effimeri, chiata) o, in particolare, un colpo dato lookettaro (dall’ingl. look ‘aspetto, modo (mano -—> manata) o subìto (pancia _— di vestire’: «il re dei lookettari Roberto panciata). Al di fuori dell’anatomia, si rid’Agostino», «L’Europeo», 8.11.1986, 88) trova l’idea di ‘colpo, botta’ (bastonato), e panchinaro ‘calciatore che funge abi- ma anche la nozione di ‘quantità approstualmente da riserva, restando in «pan— simativa contenuta da un recipiente’ china»’ («Il panchinaro Baldieri rilancia (cucchiaiata). Caratteristico il valore la Roma», «Corriere della Sera», spregiativo che -ata assume se viene affisso a una base già segnata negativamente: 3.11.1986, 13). Tra i secondi: casaro ‘addetto alla prepa- mascalzone —> mascalzonata (= azione da razione dei formaggi’ (proprio dell’Italia mascalzone), porco -> porcata, stupido —> nord-orientale: cfr. ZOLLl 1986: 91) e parti- stupidata (settentrionale) o anche quanaro ‘frequentatore di «paninerie» (o fa- rantotto -+ quarantottata («non credeva al st-foods)’, in origine appartenente al lin— potenziale rivoluzionario dei socialisti, e guaggio giovanile milanese. considerava le loro agitazioni come delle Si noti che in rockettara, lookettaro e si- ‘quarantottate’ senza costrutto» Montamili tra la base e il suffisso -aro si ha un nelli, L’Italia in camicia nera, 56). Per il interfisso (o antisufiìsso, secondo la termi- valore di quarantotto cfr. XV.44. nologia di A. Prati) ett, irradiatosi proba- In formazioni estemporanea-ata può asbilmente da gruppettaro (derivante da sumere il valore di ‘gita in un certo luogo gruppetto ‘gruppuscolo extraparlamenta- o con un certo veicolo’. Per esempio: «perché non vi risolvete a fare una Brusure’ b) Il latineggiante -ario compare, oltre gliata?» (= un viaggio a Brusuglio; Manche in aggettivi (ferrovia _» ferroviario), zoni, Lettere, III 363); «— Buona lagata! — in nomi professionali (biblioteca _» bi— gridò lo zio dalla terrazza vedendo il batbliotecario), in nomi comuni con valore tello e Luisa seduta sulla prora» (Fogazcollettivo (vocabolo _» vocabolario) e nel zaro, Piccolo mondo antico); «che cosa ne linguaggio giuridico o burocratico per de- diresti, tu, di combinare un’automobilata signare chi è titolare di un certo diritto, fino a Venezia?» (Bassani, Il giardino dei chi «riceve» in opposizione a chi «dà» Finzi-Contini, 144). qualcosa (si pensi a coppie come locata- Sulle funzioni di -ata (denominale e derio-locatore, donatario-donatore o donan- verbale) cfr. HERCZEG 1972b e TORRICELLI te, destinatario-mittente). 1975. c) Quanto ad -aiolo, si osserverà che il suffisso figura, oltre che in nomi di me- 13. -ato (cfr. lat. —ÀTUS in CÒNSUL -> CONstiere (come armaiolo o boscaiolo), in SULÀTUS e simili). Si trova essenzialmenformazioni espressive connotate negati- te: a) in sostantivi indicanti una carica e il vamente: alcune tradizionali (borsaiolo: territorio o l’ambito su cui si esercita la forcaiolo; firmaiolo, nel gergo militare), relativa giurisdizione (duca -> ducato); b) altre più recenti, e spesso occasionali: cri- in sostantivi che indicano un particolare saiolo ‘fomentatore di una crisi di gover— stato giuridico (celibato) o l’insieme di no’, cottaiolo ‘facile ad innamorarsi’, mo- persone che condividono una determinastraiolo ‘espositore itinerante’, ecc. Di ir- ta condizione (episcopato, laicato, padro— radiazione romanesca è la variante -arolo nato; rabbinato ‘insieme dei rabbini’, parprattutto romanesca, ma anche setten-

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XV. La formazione delle parole

tigianato ‘movimento partigiano’: «l’eser- primo luogo a indicare un mestiere o una cito dice no anche a Cuneo, culla del par- professione; la base può essere rappresentigianato» Bocca, Storia dell’Italia parti- tata dallo strumento di lavoro (pompa -> giana, 11); e) nella terminologia chimica, pompiere) o dal luogo in cui la mansione ove -ato designa convenzionalmente un si svolge (così il portiere e l’usciere sono — gruppo di sali derivati da ossiacidi (cloro o erano — addetti alla sorveglianza di un » clorato; sale dell’acido dorico). ingresso). In ingegnere e ragioniere si deve risalire al valore che ingegno e ragione 14. -ema (tratto dalla terminazione di fo— . avevano nell’italiano antico: rispettiva— nema, che a sua volta ripete il gr. phoné- mente ‘congegno, macchina’ e ‘conto, ma). Suffisso caratteristico di linguistica e contabilità’. Altri sostantivi in -iere si rifesemiologia, ha avuto grande diffusione riscono a strumenti (braciere) o ad animanegli ultimi anni per indicare «la più pic- li (formichiere) e presentano un più genecola unità significante in qualsiasi aspetto rico rapporto con la base da cui derivano del linguaggio e dell’espressione» (JANNI (la brace, contenuta dal braciere; le formi1986: 71): fonema, morfema, lessema, se- che, di cui si nutre il formichiere). mantema. E vi è chi ha parlato di vestema Una variante di -iere è -iero, dovuto ala proposito della salopette, il caratteristico l’attrazione della classe di maschili più indumento giovanile in voga negli ultimi produttiva, quella dei nomi in -0. Oggi anni Settanta (I. Baldelli, in «Corriere forma alcuni sostantivi (come messaggero, passeggero, guerrigliero) e più numedella Sera», 7.7.1979, 3). rosi aggettivi (mattiniero, salottiero, va15. -eria. Frutto dell’applicazione di -ìa canziero, ecc.). (cfr. XV.24) a parole formate con -ÀRIUS, Per l’oscillazione -iere / -iero / -ieri cfr. originariamente prestiti dal francese, è il 111.48. suffisso più frequente per indicare negozi e attività commerciali; la base è quasi 18. -iera. E il femminile di -iere, -iero ma, sempre costituita dal nome che designa il a differenza di esso, si riferisce raramente prodotto venduto o lavorato (latte -> lat- a esseri animati, indicando in genere ogteria) o l’attività dell’esercente (falegna- getti che servono a contenere qualcosa me —> falegnameria). -eria può avere an- (Zucchero _» zuccheriera); talvolta ha una che valore collettivo, in riferimento a cose sfumatura collettiva (la specchiera è più (fitcileria) o persone (fanteria, tifoseria). grande e più decorata del semplice specchio; la dentiera è costituita da più denti Fuori di Toscana il suffisso si presentava un artificiali; per altri esempi di opposizione tempo nella variante -arìa (si pensi all’odonimo tra maschile e femminile in cui il femmiveneziano Frezzarìa, alla Datarìa della Curia nile sia marcato come accrescitivo cfr. romana o alla Ciociaria). Una mediazione non toscana si deve ammettere anche per Bulgaria 111.34). (invece di Bulgheria, attestata in italiano anti- Come si sarà ricavato dagli esempi citati, co: cfr. MIGLIORINI 1975b: 492). Per hostaria cfr. 1.138d.

in -iere, -iero o -iera la i può essere assor-

bita da un suono palatale precedente, conservandosi solo graficamente (consigliere lkonsifl’flsre/) o scomparendo del tutto (messaggero).

16. -eto, -eta. Come il lat. -ÈTUM (OLÎVA _» OLIVÉTUM), i due suffissi hanno valore locativo-collettivo e indicano un’area caratterizzata da una determinata specie vege- 19. -ile (cfr. lat. -ÎLE, neutro del suffisso agtale: arancio _» aranceto, faggio -> fagge- gettivale Jus: OVÎLE ‘ovile’). Di uso limita, pino -> pineta. Rari i derivati che non tato, ha valore locativo-collettivo, specie hanno come base un nome di pianta o in riferimento a stalle o recinti che servod’albero: sasso _» sasseto, sepolcro —> se- no a custodire animali: cane _» canile, polcreto. porco —> porcile. Tra i derivati tratti da un nome comune ricordiamo arenile, fienile,

se (-ier), ma risalente — come l‘Indigeno —

pontile. Con —ile si formano anche aggettivi: giovane —> giovanile, consorzio —> con-

aio, -aro — al lat. -ÀRIUS. Serve anch’esso un

sortile, ecc.

17. -iere, -iero. E suffisso d’origine france-

447

XV. La formazione delle parole

20. -ista. Tratto dal greco attraverso il latino (ad esempio: greco baptistés, lat. BAPI'ÎSTA propriamente ‘battezzatore’), è — come abbiamo già notato — tra i suffissi più produttivi per indicare chi svolge un’attività (studio, lavoro, sport, ecc.: gre—

nalina, efedrina. stricnina; è frequente an-

cista, barista, tennista), segue una deter-

si), -oma (= tumore: epitelioma, sarcoma)

minata ideologia (socialista, calvinista), ha un certo atteggiamento o si segnala per certe caratteristiche (disfattista, ballista ‘mi]lantatore’). La sua diffusione nel— l’italiano d’oggi può spiegarsi (con DAR— DANO 1978a: 84) In quanto: a) i derivati in —ista sono facilmente appli— cabili & qualsiasi base (così, tra gli esempi citati, troviamo basi costituite da parole

— nella mineralogia: -ite (= denominazio-

che nei nomi brevettati di medicinali, cfr. PATOTA 1985). E ancora, nella medicina: -

ite (= infiammazione acuta: nevrite, epatite), -osi (= stato patologico, acuto o cronico, ma non infiammatorio: nevrosi, epato-

ne di un singolo minerale: azzurrite, bauxite, grafite). Si noti che i derivati medici presentano una formazione abbastanza regolare, dal

momento che la base è perlopiù costituita dall’organo o dal distretto anatomico colpito da un certo processo morboso (di regola nella forma grecizzante: epatite, non

non adattate: bar, tennis, o da un nome

*fegatite, nevrite o neurite, ma non *nervi-

proprio: Calvino); molto frequenti, inoltre, le formazioni occasionali (per esem— pio, in un resoconto giornalistico sul con-

te, ecc.). Invece, in mineralogia il rapporto tra base e suffisso è molto meno prevedibile: in azzurrite la base è azzurro (dal colore del minerale in questione), in

gresso radicale del novembre 1986, in cui

si dibatté lo scioglimento del partito, si legge: «La divisione tra ‘cessazionisti’ e ‘continuisti’ è saltata», «La Repubblica»,

2—3.11.1986, 5);

bauxite, il centro di Les Baux, in Francia

(per i giacimenti), in grafite, la radice greca graph- di grtipho' ‘scrivo’ (perché se ne ricavano le matite).

b) sono «obiettivi», cioè non marcati stili-

sticamente (linguista è uno studioso di fenomeni linguistici; linguale o linguaiolo, un grammatico pedante); e) costituiscono sovente un sistema a tre uscite, con —ismo e -istico (calvinismo, calvinista, calvinistico). Talvolta il suffisso

aggettivale -istico assume una connota— zione spregiativa (elettoralistico di fronte a elettorale, intellettualistico di fronte a in-

tellettuale); anche per questo in luogo dell’aggettivo in -istico può comparire la corrispondente forma sostantivale in -ista, specie in formazioni d’àmbito politicoideologico: «il movimento femminista», «le sezioni comuniste» (un’ampia trattazione di -ista, -istico in MIGLIORI… 1963b:

99—144). 21. Tra i suffissi nominali denominali vanno menzionati anche alcuni affissi usati con valore convenzionale nel linguaggio delle scienze. Oltre ad -ato (chimica), di

Suflîssi nominali deaggettivali 22. -eria (cfr. XV.1S). Come sgfiìsso deaggettivale forma nozioni astratte, in genere connotate spregiativamente: sudicio _» sadiceria, tirchio -> tirchieria; la base può

essere anche un sostantivo usato aggetti— valmente: porco _» porcheria, civetta _» civetteria. 23. -ezza, —izia. Sono i due fondamentali

suffissi degli astratti e risalgono — il primo per tradizione ininterrotta, il secondo per via libresca — al lat. -ÎTIAM (MÒLLIS _» MOLLÎTIA ‘mollezza’). Talvolta in italiano si hanno i due allotropi, quello popolare (giustezza, stoltezza) e quello dotto (giustizia, stoltizia), con accezioni e àmbiti

d’uso più o meno differenziati.

sempre nella chimica, -oso e -ico (per in-

24. -ìa, -ia. I due suffissi (-ia di follia e -ia di perfidia) risalgono al greco -ia (per esempio: philos ‘amico’ —-> philia ‘amici-

dicare la diversa valenza di un elemento,

zia’): il primo, che è l’unico ad essere real-

rispettivamente più bassa 0 più alta: clorosa-clorico, sojoroso-solforico), -uro (per i sali binari: cloruro, solfuro), —ina (per le più varie sostanze organiche: adre-

mente produttivo, mantiene l’accento greco; il secondo presuppone la media— zione del latino (il che spiega la ritrazione dell’accento dalla penultima breve alla

cui abbiamo già detto, si ricorderanno,

XV. La formazione delle parole terzultima: cfr. 1.183). La frequenza di suffissati in -ia è dovuta anche al fatto che alla serie deaggettivale (allegro _» allegria, pazzo _» pazzia) e denominale (tiranno ——> tirannia) si affiancano le formazioni in —erìa e i composti dotti con secondo elemento grecizzante (filosofia, astro-

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la complementarietà rigida dei ruoli con un rapporto aritario», «Il Messaggero», 35.11.1986, 15 invece di complementarità,

tratto regolarmente da complementare (e lo stesso si dica per interdisciplinarietà in luogo di interdisciplinarità, e simili).

27. -itudine (cfr. lat. —ITÙDINEMZ ALTITÙDINEM, nominativo ALTITÙDO). Suffisso ra25. -ismo, -esimo. Altro suffisso di origine ro, di carattere latineggiante, indica no— classica (cfr. greco christianismòs, latino zioni astratte: grato -> gratitudine, manCHRISTIANÎSMUS), rappresentato in italia- sueto —> mansuetndine. Ha avuto un qualno da un allotropo dotto (con i=/i/ e col che rilancio in anni recenti grazie alla forgru po /zm/ conservato) e da uno popola- tuna di negritudine («ch’io sappia, nessure (Eon i > le/ e con epentesi tra sibilante e no ha fatto della ‘negritudine’ un carattenasale). Indica un atteggiamento, un re dell’arte di Apuleio» Montale, Sulla nientamento ideologico, un insieme di poesia); su negritudine sono stati modellavalori culturali o anche di fenomeni fisici ti duc occasionali denominali: Casalinghi— (pessimo _» pessimismo, materiale —> ma- tudine (titolo di un libro di Clara Sereni, terialismo, pagano —> paganesimo) e for- apparso nel 1987, che contiene la storia di ma derivati, oltre che da basi aggettivali, una generazione raccontata attraverso il da basi nominali (Dante —> dantismo, vul- cibo, cioè da un’ottica ‘casalinga’) e gatticano -> vulcanismo) e da basi composite tudine (nel sottotitolo di una rivista ap(cfr. DARDANO 1978a: 68; per bene _— per- parsa nello stesso anno: «Tuttogatto — Ribenismo). I più vitali sono i derivati in - vista mensile di varia Gattitudine», n° 1, ismo, anche per le interrelazioni con -ista maggio 1987). e -istico (cfr. XV.2OC). Mentre alcuni suffissi derivativi sono tipicamente italiani, -ismo e -ista sono di dif- Suffissi nominali deverbali fusione internazionale. La serie socialismo-socialista, per esempio, trova pun- 28. -aggio. E un suffisso di origine francetuale corrispondenza in francese (sociali- se o provenzale ma risalente in ultima sme-socialiste), spagnolo (socialismo-so— analisi al latino (per esempio viaggio è dal cialista), inglese (Socialism-Socialist), te- provenzale antico viatge, che continua il desco (Sozialismus-Sozialist), neogreco lat. vrÀrrcurvr, propriamente ‘prowista (sosialismo's-sosialistés), russo (socializm- per il viaggio’). Nelle parole di origine medievale (oltre a viaggio ricordiamo socialist). omaggio, coraggio, retaggio) il derivato e 26. -ità, -età, -tà (cfr. lat. -TÀT!EMZ BREVITÀ- raramente analizzabile, diversamente TEM, nominativo BRÉVITAS). E suffisso ca- dalle formazioni moderne, tratte da verbi ratteristico di sostantivi astratti e, quanto della 1a coniugazione (imballare _» imbal— alla forma, è il punto d’arrivo della trafila laggio, montare —> montaggio) e indicanti (brev)itate > (brev) itade > (brev)ità (cfr. spesso un’operazione di tipo tecnico (si fa 1.78a). La sequenza usuale è -ittì (attivo _» il lavaggio di un’automobile in un’officina attività, obeso —> obesità); si ha -ietà quan- o quello della biancheria con la lavatrice, do la base esce in -io (empio _» empietà; ma non si parlerebbe di lavaggio di un la i è soltanto grafica in socio _» società neonato o di un grappolo d’uva). Talvolta /'sot_[o/ -> /sot_l'e'ta/); -tà compare in pochi il derivato in -aggio muove da una base fossili la cui radice termina con 1, r o n: nominale: «Più che il conto del minutagumile —> umiltà, libero -+ libertà (ma il gio che ci viene riservato dai telegiornali, suffisso produttivo anche in parole del ge- facciamo in modo che il partito abbia nere resta -ità: esile —> esilitrì, prospero _) idee» (da un discorso di G. Orsello, nel «Messaggero», 19.1.1980, 2). prosperità, ecc.). Da evitare complementarietà, che si legge spesso («dalla donna che vuole sostituire 29. -ando, -anda (cfr. lat. -ÀNDUS, desinen-

nomia, ecc., cfr. XV.129).

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XV. La formazione delle parole

za del gerundivo: AMÀNDUS ‘da amare,

Nella poesia delle origini gli astratti in -anza, -

che deve essere amato’). Come il gerun-

enza erano molto frequenti, sul modello della

divo latino, esprime l’idea del dovere, della necessità, o anche solo l’imminenza

lirica francese e provenzale («la dia I che noi fennammo la dolze amanza» Giacomino Pugliese, «de la sua piagenza / mill’altre avrian disire» Chiaro Davanzati, Rime). La scomparsa di formazioni del genere dalla tradizione lirica posteriore si deve in gran parte al Petrarca che, di tutto il «suffissame transalpino» (CONTI…

di qualcosa: esecrare _— esecrando (= che deve essere esecrato). monacare _» monacanda (= che sta per farsi monaca), maturare -> maturando (= che si accinge a sostenere gli esami di maturità). Discreta vitalità hanno queste formazioni in molti linguaggi settoriali (dagli arruolandi nell’esercito agli operandi di una clinica), anche come aggettivi («sezione designanda», nella terminologia giudiziaria); le ritroviamo anche in coniazioni effimere di intonazione scherzosa: «Paolo Pillitteri [.] dato ormai da tutti come l’incoronanda sindaco di Milano» («Panorama», 30.11.1986, 58). 30. -ante, -ente. Suffissi derivati dal participio presente latino (AMÀNTEM, LEGENTEM; nominativi ÀMANS e LÉGENS); consentono di ricavare da una base verbale un sostantivo riferito a una persona che compie una certa azione (‘agente’z cantare _» cantante), ma anche a un prodotto suscettibile di un dato uso (colorare —> colorante) o a una nozione astratta

(muovere —> movente). In qualche caso non c’è rapporto evidente tra -ante, -ente e un verbo di base: ciò avviene perché il suffisso è stato apposto a un nome (braccio => bracciante: cfr. III.80b) o perché il derivato ha forma latineggiante rispetto al verbo (come confidente, che dipende dal lat. CONFIDÉNTEM, invece di *confidante, come ci aspetteremmo, da confidare). Molti derivati in -ante, -ente sono

usati come aggettivi: abbondare —+ abbondante, trasparire -> trasparente («una cena abbondante», «un velo trasparente»). 31. -anza, -enza. Continuano i latini -

ÀNTIA, —ÉNTIA, tratti dal tema del participio (IGNORANTIA, da IGNÒRANS, IGNORÀNTIS) e indicano nozioni astratte: abbondare _— abbondanza. conoscere —> conoscenza. In un certo numero dicasi la base non è un verbo ma un aggettivo, spesso derivato da un antico participio presente: cittadino _» cittadinanza, innocente -«> innocenza (base modificata: cfr. lat. ÎNNOCENS. r…ocÉrvrrs .. INNOCENTIA).

1970: 177), mantenne il solo rimembranza.

32. -ato, -ata, -ito, -ita, ecc. (suffissi del

participio passato usati in forme sostantivali). Espnmono una vasta gamma di nozioni astratte, più raramente concrete: lavare -> lavata, abitare -> abitato, udire -> udito, scrivere —> scritta, tenere —> tenuta.

33. -io. Di origine non sicurissima (forse dal lat. -ÉRIUM: ROHLFS 1966-1969: 1077), è un tipico suffisso frequentativo-intensivo che contrassegna un’azione ripetuta, specie in riferimento all’impressione auditiva

che se ne trae: mormorare -> mormorio, miagolare —> miagolio. Sulla presenza di questi derivati nel Manzoni e in altri scrittori dell’Ottocento cfr. PUPPO 1961. 34. -ino, -ina (cfr. lat. -ÎNUS, in origine suffisso aggettivale: Éouus ‘eayallo’ _» EQUÎNUS ‘equino’; e oggi in italiano sale —+ salino, cane-> canino, ecc. Dall’idea di

relazione e di somiglianza «e nata quella dell’approssimazione, di ciò che è meno compiuto e più piccolo»: ROHLFS 19661969: 1094; di qui il valore diminutivo,

che è quello fondamentale, cfr. XV.73). ino è suffisso deverbale in nomi indicanti un’attività ed ha spesso una connotazione negativa o almeno limitativa: spazzare _» spazzino (al quale oggi si preferiscono altri termini: «netturbino», «operatore ecologico», ecc.), imbiancare —> imbianchino

(di fronte a pittore o decoratore), trafiìcare -+ trafiìchino. Non mancano i derivati da base non verbale: postino, bagnino, crocerossina o anche repubblichino, «termine spregiativo usato dall’Alfieri ed esumato», negli anni Quaranta, dal socialista

U. Calosso (cfr. BALDELLI 1964: 341). Su ino si veda anche oltre, XV.52.

35. -mento (cfr. lat. -MÉNTUM; TURBÀRE -» TURBAMÉNTUM). Con -zione, -sione è il suffisso fondamentale per ricavare so— stantivi da una base verbale. Indica una

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XV. La formazione delle parole

certa azione e il risultato che ne consegue: pagare -+ pagamento. La base può essere un verbo della 1a coniugazione (e il deri— vato uscirà in -amento) o delle altre due (terminazione -imento: giacere _» giacimento, svenire —> svenimento). Nell’italiano contemporaneo -mento tende a regredire in favore di —zione, del suffisso zero (cfr. XV.63) o di altre soluzioni: cfr. DARDANO 1978a: 46-47, dal quale si traggono le coppie ispiramento (antiquato) / ispirazione, inviamento (antiquato) / invio e giudicamento (antiquato) / giudi-

tini di origine participiale (PUNÎTUS _» PUNÎTIO, accusativo PUNITIÒNEM, ACCENSUS -> ACCENSIO, accusativo ACCENSIONEM) e condividono gli àmbiti d’uso di -mento. Per -zione le uscite regolari sono -azione (1a coniugazione: collocare _— collocazione), -izione (soprattutto 3a coniugazione:

UD.

stribuire ——> distribuzione, sancire _» san-

36. -one, -ona. Come -ino, è un suffisso ti-

picamente alterativo (cfr. XV.78) e ha origine «nei nomi latini in o, -onis, con i

quali si esprimeva una particolare caratteristica di una persona» (NÀSO, NASÒNIS, propriamente ‘dal naso caratteristico’); «di qui deve essersi sviluppata ben presto l’idea di una rossezza inconsueta» (ROHLFS 1966-1969: 1095), con la conse-

guente specializzazione accrescitiva. Come suffisso deverbale -one forma sostantivi apprezzativi connotati sfavorevol— mente dalla mancanza di moderazione: mangiare -> mangione, chiacchierare _— chiacchierona. Hanno base nominale alcuni derivati esocentrici come buffone (non ‘ osso baffo’ ma ‘che ha grossi baf-

vestire —> vestizione; ma anche iscrivere _»

iscrizione, ecc.). In altri casi la terminazione varia: —ezione, -ozione, -uzione, —

nzione, -pzione (in una serie di derivati da verbi di 2a e 3a coniugazione: erigere _» erezione, promuovere -> promozione, dizione, optare _» opzione). Un forte incre— mento dei sostantivi in -zione nella lingua contemporanea e dovuto alle basi verbali in —ificare (elettrificare —> elettrificazione) ein -izzare (nazionalizzare —> nazionalizzazione). Alcuni verbi di 2a e 3a coniugazione presentano la variante -sione, promossa da] participio passato: dividere —» (diviso) -> divisione; oppure dipendente da una forma latina: scandire —> scansione (lat. sclwsro, SCANSIÒNIS).

In alcuni casi due forme suffissate in mento e in -zione hanno sviluppato diversi significati: si pensi al regolamento vigente in una ditta e alla regolazione del traffico; al trattamento di una bronchite e

alla trattazione di un argomento. Per —atore, -atrice cfr. 111.61 sgg.

fi’), fl one, straccione.

37. -toio, -torio, -toia, -toria (cfr. lat. ÒRIUM, nella forma -TÒRIUM propria di sostantivi tratti da participi passati: DORMÎRE _» DORMITÒRIUM; -toio rappre— senta l’esito popolare, —torio quello dot— to). Indicano il luogo dove si compiono determinate azioni (lavare -> lavatoio, parlare —-> parlatorio) o lo strumento im— piegato (innafiiare —> innafj‘iatoio, mangiare —> mangiatoia). Più frequenti dei sostantivi sono gli aggettivi derivati: accusatorio, proibitorio. 38. -ura. È un suffisso che già in latino serviva a ricavare deverbali dal participio passato (SCRÎPI'UM ——> SCRIPTÙRA). Esempi italiani: tirare -— tiratura, cucire —> cucitu-

ra, cuocere -> (cotto) —> cottura, tingere —> (tinto) _. tintura, cogliere —> (colto) -—> coltura.

Sufiîssi aggettivali denominali 40. -ale. Suffisso di origine latina (MÒRS —> MORTÀLIS, accusativo MORTÀLEM), ben

rappresentato in italiano: forma —> farmale, posta _» postale. Negli ultimi decenni'i derivati in -ale hanno conosciuto un forte incremento per influenza angloamericana: direzionale, figurale, inerziale, ecc.

(cfr. BALDELLI 1964: 343). Non sono rari i casi di base modificata, specie per intromissione del latino (come nome _» nominale, e non *nomale, su NOMINÀLIS). An-

che le basi in -za (potenza, stanza, provvi— denza, eoc.) presentano derivati in -ziale (potenziale, stanziale, provvidenziale) per influenza delle forme latine o italiane antiche: POTÉNTIA o potenzia, ecc. 41. -ano (cfr. lat. -ÀNUS, con cui si forma-

39. -zione, -sione. Der-ivano dai suffissi la-

vano aggetttvr di relazrone: SILVA ->

451 SILVÀNUS). È oggi scarsamente produttivo (paese -> paesano, ergastolo _— ergastolano), tranne che negli etnici (vedi oltre). Frequente è invece la variante —iano, usata in particolare per ottenere un aggettivo di relazione da un antroponirno: Verga —> verghiano, Kant -> kantiano. In TEKAVCIC 1980: III 69 si fa osservare la differenza tra montiano (da Vincenzo Monti) e montano (da monte) e tra ascoliano (da G. I. Ascoli) e ascolano (dalla città di Ascoli). 42. -are (cfr. lat. -ÀRISS VÙLGUS _» VULGARIS, accusativo VULGÀREM). Come -ale, è anch’esso molto frequente: sole —> solare, popolo -> popolare; un esempio con base modificata si ha in famiglia _» familiare (accanto a famigliare; sul lat. FAM1LIÀRIS). 43. -ato, -ata, —uto, -uta. Entrambi i suffissi

avevano in latino origine participiale ma potevano essere usati come denominali (CORONA _— CORONÀTUS, CÒRNU -> CORNÙTUS). In italiano -uto si è specializzato per indicare la presenza di una caratteristica molto marcata (riccio —> ricciuto, linguaccia —> linguacciuto). -ato ha una maggiore latitudine d’uso; tra i valori più ricorrenti rammentiamo: ‘dotato di qualcosa’ (ala _» alato), “simile a qualcosa’ (velluta _» vellutato), ‘che ha subìto qualcosa’ (terremoto -+ terremotato). 44. —esco. Di etimo discusso, fu usato in

origine come aggettivo di relazione (Dante —> dantesco, guerra _» guerresco), talvolta connotato negativamente. Oggi il valore spregiativo è quello abituale, come

si può ricavare dalle seguenti coppie di derivati, in cui il primo membro è stilisticamente neutro: filosofo —> filosofico / fi-

XV. La formazione delle parole la quarantottata cit. sopra, XV.12); «atteggiamenti sessantotteschi» (in relazione 'al 1968, l’anno della contestazione studen-

tesca e giovanile).

45. -ico. È tra i più produttivi suffissi aggettivali dell’italiano moderno (cfr. MIGLIORINI 1963b: 168-195 e DARDANO 1978a: 76) e ha la sua origine in modelli latini e greci (per esempio: gr. philosophikòs, lat. PHILOSÒPHICUS ‘filosofico’). Caratteristico di formazioni dotte, può facilmente applicarsi a parole di qualunque tipo e provenienza (nord —+ nordico, film _» filmico). Talvolta la base e modificata, o perché ridotta (strabismo _» strabico; come se si partisse da *strabo) o perché ampliata (specie nella serie automa _» automatico, programma _» programmatico). Frequenti i casi di suppletivismo, con una base che continua popolarmente il latino e un derivato colto in -ico con radice greca: uomo-antropico, acqua-idrica, sangue-ematico, pesce—ittico. 46. -ivo (cfr. lat. -îvus, suffisso di aggettivi:

AESTÎVUS “dell’estate, estivo’). Forma aggettivi da basi nominali: bosco —> boschivo, abuso _» abusivo. Spessgjsi hanno

deverbali che'muovono dal participio passato (disperdere -> (disperso) -> dispersivo), talora rappresentato dalla forma latineggiante: difendere ——> difensivo (non "‘difesivo, perché sul modello di DEFENSUS). 47. -izio, -izìa (cfr. lat. -îcrus, di cui -izio rappresenta un esito semidotto; popolarmente si è avuto -eccio: pecora _» pecoreccio). Compare in pochi derivati come tribuno _— tribunizio, impiegato _» impiegatizio, cardinale —> cardinalizio.

losofesco, città -> cittadino I cittadinesco,

papa —> papale / papesco, popolo -> popolare / popolaresca Negli aggettivi derivati dalle centinaia in riferimento a un secolo, -esco ha valore

obiettivo: trecentesco, novecentesco. Negli aggettivi tratti da un singolo anno memorabile per qualche awenimento, può invece serbare una sfumatura spregiativa: «toni quarantotteschi» (in politica, toni di eccessiva polemica, come quelli usati nella campagna elettorale del 1948; ad un altro quarantotto, il 1848, si richiama invece

48. -oide (cfr. gr. -oeidés, derivato da éidos ‘modello’). Si affigge a sostantivi e ad aggettivi per indicare somiglianza, affinità: tifo —> tifoide, matto _» mattoide. Ha una certa produttività nel linguaggio politico e giornalistico: socialista -— socialistoide, anarchico -+ anarcoide, intellettuale —> in-

tellettualoide. 49. -aso, —osa. Come il lat. -osus (AESTUS ‘calore’ _— AESTUÒSUS ‘bollente’) forma aggettivi di relazione che sottolineano la

452

XV. La formazione delle parole

presenza di una certa qualità: firmo —> filmoso, costo _» costoso. -oso è piuttosto frequente in voci gergali (tutti aggettivi sostantivati) come fangose ‘scarpe’, buiosa ‘prigione’ («con un grosso branco / d’altri randagi feritori ladri, / dormia nella buiosa» Zanella, Poesie) 0 come i dialettali spumosa ‘sigaretta’ (Taranto), leccoso e lamposo (propriamente liccusu ‘zucchero’ e lampusu ‘olio’; Paler-

mo).

._

Una prova recente della produttività di oso viene dalla pubblicità, che ha lanciato

sniaco), talvolta in concorrenza con altri suffissi: così a Egitto corrisponde egizia— co, come variante aulica rispetto a egiziano (entrambi da una base classicheggiante Egizio) e a Siria siriaca, che fa riferimento alla Siria antica, alla regione geografica o alla lingua, accanto a siriano, in rapporto allo Stato arabo moderno. Nella lingua poetica italiana si è usato adriaco per ‘adriatico’ (dal nome della città di Adria): «Forse ci ripensa la sua Sinigaglia / sì bella a specchio dell’adriaco mare» (Carducci, Il canto dell’amore, 115-116).

un’automobile come sciccosa, comodosa,

risparmiosa, scattosa, viaggiosa (cfr. BRUn 1986: 181). 50. Suffissi geografici. Per ricavare un aggettivo da un nome geografico il suffisso più frequente è -ese (cfr. lat. -ÉNSIS), che interessa nella forma popolare e usuale (appunto —ese) o in quella dotta e rara (ense) quasi il 70% degli etnici italiani (Milano —> milanese, Ivrea —-> eporediense, dal nome latino della città piemontese: EPORÉDIA). 51. Sul modello di nomi di lingue straniere in -ese (francese, inglese, giapponese, ecc.), -ese è stato applicato scherzosamente a basi non geografiche, come in burocratese, sindacalese, sinistrese (per allude-

re al linguaggio considerato tipico dei burocrati, dei sindacalisti o dei simpatizzanti di partiti di sinistra; esempi in CORTE-

53. Oltre che da toponimi, il suffisso -ino

può anche derivare aggettivi (o aggettivi sostantivati) da antroponimi. Si pensi a denominazioni di ordini e congregazioni religiose (i Filippini, da San Filippo Neri; le Orsoline, da Sant’Orsola; i Pallottini, dal beato V. Pallotti, ecc.) o a formazioni

d’àmbito storico-politico come umbertino (da Umberto I), crispino (da F. Crispi), salandrino (da A. Salandra: «nazionalisti, liberali salandrini e anche popolari dell’a— la destra» Montanelli, L’Italia in camicia nera, 152).

Diversi suffissi aggettivali denominali sono stati o saranno citati in altri gruppi: così -ario (ferroviario: XV.llb), -evole (amichevole: XV.56), -iero (vacanziero: XV.17), -ile (giovanile: XV.19), -ino (salino: XV.34), -istico (riformistico: XV.ZOC), -torio (accusatorio: XV.37).

LAZZO-CARDINALE 1986: 33, 162, 163; ma

sarebbe facile aggiungere altre formazioni, più o meno effimere, come: «posto

Suflîssi aggettivali deaggettivali

d’onore al computerese, nuovo slang, mi-

54. I derivati di questo gruppo rientrano piuttosto nell’alterazione che nella suffissazione vera e propria. Per alcuni suffissi rimandiamo appunto ai paragrafi 73, 74,

sto d’inglese e di termini tecnici prodotti dal computer», K. Menoni, in Ling. divulgazione, 111).

77 (-ino: caro _» carino; -otto: vecchio _»

52. Altri suffissi geografici di largo uso sono -ino (ha la stessa origine dell’-ino di caprino, cfr. XV.34) che sfiora 1’8% degli etnici (Mestre —> mestrino), —ano, quasi altrettanto diffuso (Roma _— romano), -itano, -etano (di origine greco-latina, cfr. ROHLFS 1966-1969: 1138): Palermo _» palermitano, Napoli —-> napoletano (per i dati quantitativi cfr. CAPPELLO—TAGLIAVINI 1981: XVIII). Raro -iaco, che forma etnici da nomi in ia, —io (Austria _» austriaco, Bosnia —> bo-

vecchiotto; -astro: blu —> bluastro). Qui ricorderemo quattro suffissi di valore attenuativo e precisamente: -iccio (cfr. lat. ic1us), -igno (cfr. lat. -ÌNEUS o -ÎGNUS), ognolo (dalla fusione del lat. -ÒNEUS e del suffisso atono -ÙLUS) e -occio (di origine non del tutto chiara). Esempi: bianco _» bianchiccio, malato —> malaticcio, aspro

—> asprigno, giallo _» giallognolo, grasso _» grassoccia. In qualche caso la base è un sostantivo: massa _» massiccio, ferro _» ferrigno, sangue —> sanguigno.

453 Suflîssi aggettivali deverbali 55. -abile, -ibile (cfr. lat. -ÀBILIS, imus di AMÀBILIS ‘amabile’, da AMARE, e di COM-

PREHENSÎBILIS ‘comprensibile’ da COMPREHÉNDERE; i due suffissi italiani ripren-

XV. La formazione delle parole (AMARE, AUDÎRE), le uniche due coniugazioni rimaste produttive nelle lingue romanze (cfr. XI.49, XI.S3). I derivati sono numerosissimi e di vario tipo: verbi transitivi (bacio —> baciare, colpo —> colpire), intransitivi (viaggio —> viaggiare, fiore _—

dono per via dotta i suffissi latini: basti os- fiorire), tratti da basi italiane e straniere servare il mancato passaggio della i di -lBl- (flirt —> flirtare, zoom —> zoomare 0 zu— us al normale esito di e chiusa, cfr. 1.23). mare), da basi nominali (tutte quelle finoFormano aggettivi che indicano possibi- ra citate) o aggettivali (secco -+ seccare, lità o opportunità e che, se transitivi, han- chiaro —-> chiarire). no senso passivo (amare —> amabile ‘che può essere amato, che è degno di essere 58. -eggiare (cfr. lat. volgare -IDIÀRE tratto amato’, deperire —> deperibile ‘che può dal greco —izein, dal quale deriva anche, deperire’). Con -abile si ottengono deri- con fonetica non popolare,?izzare). Forvati dalla 1a coniugazione (cantare -> can- ma derivati perlopiù intransitivi che inditabile), con -ibile dalle altre due (prevede- cano un modo d’essere, un atteggiamenre —> prevedibile, credere —> credibile, to: si parte da basi nominali (guerra _» esaudire _» esaudibile). Da notare alcuni guerreggiare) o aggettivali (folle _» follegaggettivi tratti da basi nominali (cfr. DAR— giare). Quando il verbo è transitivo, -egDANO 1978a: 58): carrozza _— carrozzabi- giare assume lo stesso valore di -izzare le, papa _— papabile. (cfr. XV.60): signoreggiare, amoreggiare. 56. -evole (cfr. lat. Janas, di cui -evole costituisce lo sviluppo popolare). Meno produttivo di -abile e -ibile, ne condivide in gran parte il significato e le possibilità derivative (mutare -> mutabile, mutevole; maneggiare _» maneggiabile, maneggevole). Può avere valore passivo (se affisso a verbi transitivi: biasimare -+ biasimevole) o attivo (con base verbale sia transitiva: incantare —> incantevole; sia intransitiva:

piacere _— piacevole). Può essere affisso a una base nominale (amico _» amichevole, ragione _» ragionevole); se la base è un nome proprio, il derivato acquista in genere valore spregiativo o scherzoso, come in boccaccevole («in italiano si scriveva con una certa andatura un po’ boccac— cevole e fiorita» Panzini, Romanzo d’am-

bo i sessi) o nell’occasionale venezievole del Nievo («v’avevano anche dei nobiluz— zi, venezievoli in città pei tre mesi d’in—

59. —ificare (cfr. lat. -FICÀRE in FORTIFICÀRE e simili, tratto dalla radice di FÀCERE ‘fare’). E un suffisso causativo e dà al derivato il senso di ‘dare a qualcosa o a qualcuno le caratteristiche espresse dalla base’: beato _» beatificare, pari _» purificare, sapone _— saponificare. Esempi di ba‘sÈ'modificata per riduzione (come s’è già osservato a proposito di strabismo _— strabico: cfr. XV.4S): identico (non *idento) -+ identifi— care, elettrico (non *elettro) » elettrificare. 60. -izzare. Altro comunissimo suffisso causativo in grande espansione nei neologismi. Accanto ai derivati tradizionali, co-

me scandalizzare e formalizzare, possiamo ricordare gamba _» gambizzare, indice (in accezione economico-statistica) _» indicizzare, IRI -> irizzare. Rari i verbi intransitivi, come fraternizzare, ironizzare

(dalla base ridotta ironico), agonizzare.

verno, che tornati fra i loro merli inferoci-

vano peggio che mai», Le confessioni d’un italiano, 36). Per -ante, —ente (abbon-

Sufiissi verbali deverbali

dante, trasparente) cfr. XV.30; per -ivo

(dispersivo) cfr. XV.46. Suflissi verbali denominali e deaggem'vali

61. Anche qui, come per i suffissi aggettivali deaggettivali, siamo in una zona di confine tra suffissazione e alterazione. I suffissi verbali deverbali dell’italiano so-

no pochi e di limitata produttività. Ricor57. -are, -ire. Rappresentano le desinenze degl’infiniti di 1a e 4a coniugazione latina

diamo prima di tutto -ellare, con le varianti ampliate -erellare -arellare (cfr. lat. -

XV. La formazione delle parole ILLÀRE), che modifica in senso diminuti-

vo-frequentativo l’azione espressa dal verbo semplice: saltare -> saltellare ( :fare ripetutamente piccoli salti), cantare —> canterellare o cantarellare. Valore molto simile hanno -icchiare, -acchiare (cfr. lat. .

454 sandone il significato in relazione alla dimensione (grande—piccolo: paese _— paesone, paesetto) e, insieme, al valore (positivo-negativo: paese _» paesino, paesaccio) è senza dubbio fra i tratti più tipici dell’italiano.

ICULÀRE, -ACULÀRE, in formazioni tarde o

latino volgari): mordere _» mordicehiare, bruciare -> bruciaccht'are; e -ettare (paral— lelo ai diminutivi in -etto, cfr. XV.71_): pic— chiare -> picchiettare.

Non a torto il grammatico settecentesco D. M. Manni celebrava «la copia immensa di accrescitivi e di diminutivi, di vezzeggiativi e di peggiorativi, che rendono il parlar nostro quanto abbondevole, altrettanto grazioso ed espressivo: nel che, facciasi giustizia al vero, ha sor-

Sufl'issi avverbiali e deavverbiali

montato di gran lunga la lingua nostra le glorie della madre» (MANNI 1824: 51-52). La ricca gamma di alterati, non che in latino, non ha ri-

62. I suffissi deawerbiali coincidono con quelli che compaiono in categorie già esaminate: pressappoco —> pressappochismo (con -ismo: cfr. XV.25), indietro —> indietreggiare (con -eggiarez cfr. XV.58), ecc. Per i due suffissi avverbiali -mente e -oni cfr. XII.6-15.

scontri neanche in altre lingue europee che ricorrono di norma 3 perifrasi (così francese e inglese: petit chien, small dog rispetto all’italiano cagnetta, cagnolino o canino) o a una serie suf— fissale molto meno ampia (i suffissi diminutivi del tedesco sono ad esempio solo -ehen e -lein: da Hund ‘cane’ si ha Hilndchen). 65. A differenza della suffissazione, l’alte-

Formazioni a suffisso zero 63. Con questa denominazione si indicano i nomi deverbali che non hanno alcun suffisso ma in cui alla radice della base verbale si affigge direttamente la desinenza maschile 0 femminile: conteggiare -> con— teggio, deliberare _» delibera (accanto a deliberazione). Si tratta di formazioni ca— ratteristiche del linguaggio burocratico e tecnico, a lungo osteggiate dai puristi (che, nell’Ottocento, giudicavano parole del genere «mozziconi», «spezzoni», «cani senza coda»: cfr. SERIANNI 1981: 66). Particolarmente numerosa la serie di deverbali da basi in -ificarez bonifica e bonifica, modifi— ca, qualifica, ecc. (solo in alcune regioni si ha giustifica per ‘giustificazione scolastica’). Sul problema della classificazione dei deverbali a suffisso zero cfr. DARDANO 1978a: 44-45. Un ampio regesto di forme utili in TOLLEMACHE 1954. Alcuni grammatici parlano di «suffisso zero» anche per i fenomeni di sostantivazione di originari aggettivi (il bello ‘la bel— lezza’) o di participi (la cantante). Alterazione

64. La possibilità di contrassegnare una base lessrcale mediante un suffisso, preor-

razione non modifica la categoria di appartenenza della base (un nome resta un nome, un aggettivo resta un aggettivo e così via). Un tratto caratteristico dell’alterazione è nella possibilità di affiggere più suffissi alterativi alla stessa base, dando luogo a formazioni ora stabili, ora effimere: libro

_» librettino (-etto+-ino), cane _» cagnolino (-olo+-ino; base modificata, cfr. XV.71), uomo -> omaccione (-accio+one), casa —> casucciaccia (-uccia+-accia; Giusti, Epistolario), faccia _» facciottone (-otta+-one; «la vitalità del suo facciottone ironico» «Stampa sera», 23.2.1987, 7), scrupolo _— scrupolettucciaccio (-etto+accio+-accio; Redi, cit. in MIGLlORINI 1963a: 484). Gli alterati hanno quasi sempre un valore affettivo che cambia a seconda della base lessicale di partenza e del contesto d’uso. Così -uccio (cfr. XV.75) ha tono vezzeggiativo nel tesoruccio scambiato tra due innamorati o rivolto da una mamma al bambino, ma spregiativo in borghesuceio («uno di quei turisti borghesucci che vanno alla corrida con la macchina fotografica e che gridano olè» D. Mainardi, nel «Giornale», 21.8.1986, 2). Ed -ello è connotato favorevolmente in paesello o alberello, ma non in storiella («quanto a Gianni Schicchi [...] non si ha storia, ma una

455 storiella, che Dante tratta gravemente per storia» Contini, Varianti e altra linguistica, 450).

XV. La formazione delle parole

tivo di matto è indisponibile mattone. b) Se la base termina con una sequenza fonetica analoga a quella di un determinato suffisso, l’alterato ricorrerà difficil—

66. E importante distinguere tra alterati mente a tale suffisso. Così, nelle parole in vivi (sempre riconducibili alla base di par- —to, -ta, -te non ci aspettiamo un diminutitenza ad opera dei parlanti: gli unici di cui vo in -etto, -etta (come si avrebbe in *gatci occuperemo nei presenti paragrafi), tetto, *biscottetto, *grottetta, *cantetto; anlessicalizzati e apparenti. Dei secondi fan- cor meno prevedibile nelle parole uscenti no parte quelle forme che, pur essendo in in -etto, *fazzalettetto, *polpettetta). Ma origine degli alterati, hanno assunto suc- non è una regola assoluta: si pensi alle cessivamente un significato del tutto au- ballatette dei poeti due-trecenteschi o al tonomo rispetto alla base: per esempio saltetto usato poco più di un secolo fa dal rosone, propriamente accrescitivo di ro- Pellico («i saltetti ch’ei fece per correre a sa, si è specializzato in accezione artistica me mi commossero deliziosamente»: Le («il rosone delle chiese romaniche»). Gli mie prigioni, 429; citiamo ancora: attem— alterati apparenti invece sono formati patetto e turbatetto nel Boccaccio, altetto mediante un suffisso che non ha valore nell’Alfieri, soprabitetto nel Carducci, cfr. alterativo ma genericamente relazionale: SIGG 1954: 21 e 134, e gentetta in Pavese, le manette non sono ‘ iccole mani’, bensì La luna e [ falò, 170). degli ‘strumenti per Eostringere] le ma- Un altro esempio. Nelle parole in -ino, ni’, il gallinaccio non è una ‘gallina brutta

o cattiva’ ma — popolarmente — una ‘specie di gallina, il tacchino’. 67. Le modalità di alterazione non sono prevedibili: data una certa base non possiamo indicare astrattamente quali alterati — tra i numerosi tipi virtualmente disponibili — siano effettivamente in uso. Ad esempio, rispetto ai suffissi diminutivi -

ino ed -etto un sostantivo o un aggettivo può presentarne entrambi (muso —> musino, musetto), solo il primo (caro _» cari— no; non *caretto) o solo il secondo (muro -—> muretto; non *murino). Ed è soltanto l’uso ad aver selezionato, in riferimento a

bambini, la coppia maschietto-femminuccia («i due bambini, un maschietto e una femminuccia, vivono con la madre»

«Corriere della Sera», 21.2.1987, 1) invece di *maschiuccio e *femminetta (che esiste, ma non si adopererebbe in questa accezione). 68. Si possono però avere restrizioni, semantiche o fonetiche: a) Una certa forma alterata «è esclusa (o almeno evitata nella maggior parte dei casi) quando si sono avute lessicalizzazioni omofone» (DARDANO 1978a: 100). Ad esempio, il diminutivo di cavallo sarà solo cavallino o cavalluccio, dal momento che

cavalletto ha già un significato autonomo (‘struttura di legno, ecc.’) e per l’accresci-

ina, -ine sarà il diminutivo omofono a essere inatteso: vino —> vinello, vìnetto, non *vinino; collina -> collinetta, non *collini-

na. Però anche qui non si può generalizzare, ricordando tra l’altro piccinino («un tumulto di bambini / piccinini» Valeri, Poesie), rondinini («la cena de’ suoi rondinini» Pascoli, X Agosto, 8) o Tinino, no— me di un figlio di Liolà nell’-omonima commedia di Pirandello. 69. I suffissi alterativi possono essere suddivisi in base al loro «valore linguistico obiettivo» (DARDANO 1978a: 97), indipendentemente dalle particolari connotazioni affettive che essi assumono nel discorso, in due grandi raggru pamenti: a) di— minutivi; b) accrescitivi &i limitiamo, come per i derivati, ai tipi fondamentali; per gli alterati verbali cfr. XV.61).

Suflissi alterativi diminutivi 70. -ello, -ella (cfr. lat. -ÉLLUS, affiancatosi già in epoca antica a -ÙLUS, destinato a

soccombere nelle lingue romanze: ÀGNULUS-AGNÉLLUS ‘agnello’). Come gli altri suffissi alterativi in genere, serve a ricava— re alterati da basi nominali (finestra —> finestrella) o aggettivali (misero _» miserel-

lo). E particolarmente diffuso nel Mezzogiorno (dove compare — in regionalismi, in toponimi o in antroponimi — in luogo di

456

XV. La formazione delle parole -ino o -etto di altre regioni). Ricordiamo le sfogliatelle e la speranziella napoletane (cfr. ZOLL1 1986: 153) o i caratteristici nomi di luogo in -ello che si affiancano a un toponimo non alterato per indicare, almeno in origine, un insediamento secondario, una frazione rispetto al centro principale: Altana e Alianello (Matera), Stornara e Stornarella (Foggia), Marigliano e Mariglianella (Napoli), Soriano e Soria— nello (Catanzaro), ecc.

scritta da toscani. Da 8100 1954: 34 si ricava per esempio che su 165 diversi alterati diminutivi in Sorelle Materassi di Palazze-

71. -etto, -etta (di origine\discussaz cfr.

Caratteristica la diffusione di -ino, come

ROHLFS 1966-1969: 1141). E, con -ino, il

suffisso diminutivo di più larga produttività in italiano: casa _— casetta, povero _— poveretto, cane —> cagnetta (base modifi—

di altri diminutivi, nel linguaggio infantile (DARDANÒ 1978a: 101), sia esso usato dagli stessi bambini o dagli adulti che si rivolgono a bambini (è il cosiddetto «baby

cata: ma in realtà si deve partire da cagna,

talk»): «Niente, bellino, mio, non aver

schi ben 76 sono formati con -ino; e così

nella Velia di Cicognani (100 su 177), in Natio borgo selvaggio di Paolieri (104 su 219), ecc. Anche il Manzoni, nella revi-

sione dei Promessi Sposi, privilegiò gli alterati in -ino rispetto a quelli in -etto e in ella: nella prima edizione le proporzioni erano rispettivamente 90-189-105; nella seconda, 212-161-52 (cfr. sroo 1954: 79).

paura [...]. Gli vuoi bene tu a ‘Giamì’ è vero? Eh. ti porta anche lui le chicche, i giocattolini» (Pirandello, Pensaci, Giacomino/, VII 87). zone): a Roma prevale -etto («che fre- Con -ino è frequente il cumulo di suffissi: schetto, stasera!»), a Firenze, -in_o («che fiore —> (fiorello) —> fiorellino, figlia -> fifreschino!»). glietta —> figliettina, giovane —’ giovanotto in quanto madre dei cuccioli). Caratteristica la diversa frequenza d’uso di -etto rispetto a -ino a Roma e a Firenze (ma i due tipi si contrappongono anche in altre

——> giovanottino.

72. -icchio, -icchia (cfr. lat. icuws). Il suffisso è oggi produttivo solo in alcuni dia— letti toscani (ad esempio: pisano e lucchese solicchio ‘sole debole’: Valdichiana: qualchedunicchio, cfr. SIGG 1954: 232 e 239-240) e soprattutto in area meridionale, dove può assumere colorito spregiativo: avvocaticchio, dottoricchio. Leonardo

Sciascia ha fatto conoscere ominicchio (con doppio diminutivo: uomo+-ino+-icchio): in un suo romanzo, un capomafia divide l’umanità in cinque categorie, dagli uomini ai quaquaraquà, definendo ominicchi quelli «che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi...» (Il giorno della civetta, 100). Più recente governicchio, di diffusione giornalistica, per “go— verno poco autorevole (o destinato a bre— ve durata)’: «e se invece si facesse un govemicchio, che campi alla meglio in atte— sa di elezioni anticipate? Che fareste?» («La Repubblica», 13-14.7.1986, 3). 73. -ino, -ina (per l’origine cfr. XV.34): paese —> paesino, grande —> grandino. forse il suffisso diminutivo fondamentale e anche quello più radicato, oltre che nell’uso toscano, nella prosa letteraria

74. -otto, -otta (variante di -etto: cfr. ROHLFS 1966—1969: 1143). E diminutivo nando indica i piccoli di alcuni animali (laquila —> aquilotta, lepre -—> leprotto: cfr. 111.78); in altri casi ha valore generica— mente attenuativo e corrisponde a una perifrasi con alquanto (piuttosto)+la base nominale o aggettivale: vecchio —> vecchiotto, bassa —> bassotta. Può formare etnici, specie in area settentrionale: Chioggia —-> chioggiot'to, Valsugana _» valsuganatio.

75. -uccio, -uccia (cfr. lat. —ÙCEUS, raro suffisso aggettivale di relazione). Come si è accennato, può avere connotazione vez-

zeggiativa o spregiativa. Nei dialetti settentrionali e meridionali si presenta nella forma -uzzo, -uzza, cristallizzata in toponimi, nomi e cognomi (Maruzza, Santuzza; Iacomuzzi, Marinuzzi).

Suflîssi alterativi accrescitivi 76. -accio, -accia (cfr. lat. -ÀCEUS, suffisso

aggettivale che indicava affinità, somiglianza: PAVONÀCEUS ‘simile alla coda del

457

XV. La formazione delle parole

pavone’; è rappresentato in italiano an-

obiettivo, cioè senza alcuna implicazione

che dal suffisso derivative -acea, di forma

di valore: libro _, librone. Anche i femminili possono assumere —one: barca _»

dotta e con funzione simile a quella del latino; viola _» violaceo, farina —> farinaceo). E il più comune suffisso peggiorativo italiano: tipo -> tipaccio, donna _. donnaccia. Di valore molto più attenuato i derivati da base aggettivale: povero _» poveraccio (cfr. DARDANO 1978a: 104). Nell’uso toscano l’alterazione con -accio può avere connotazione non peggiorati— va, ma familiare-scherzosa. Nel febbraio

del 1980 il comico Roberto Benigni ebbe a usare in televisione l’appellativo di Wojtylaccio, in riferimento a papa Gio— vanni Paolo II. Ne seguì una denuncia, ma Benigni si difese affermando: «In Toscana, aggiungere accio a un nome o a un cognome non ha senso offensivo, ma piuttosto familiare, affettuoso» (dal resoconto del «Messaggero», 12.4.1980). Singoli alterati in -accia di segno non spregiativo si trovano anche fuor di Toscana: si pensi a praticaccia («per l’esazione delle cedole di rendita o per altre operazioni di questo genere, in cui Demetrio aveva una certa praticaccia» De Marchi, Demetrio Pianelli, 178; =una discreta pra-

barcone, donna _» donnone e donnona.

Sfumatura spregiativa o ironica hanno gli accrescitivi in -one che indicano il fautore accanito di una parte politica: «— E un fascistone — soggiunse — e bisogna stare attenti» (Comisso, Capricci italiani); «non sentiva simpatia per il Controllore col quale aveva scambiato un paio di visite in tutto e che aveva fama di ‘tedescone’» (Fogazzaro, Piccolo mondo antico, 78). 79. Da notare che prima dei, suffissi diminutivi -ino ed -ello può figurare, senza che se ne possa prevedere la comparsa, l’interfisso (cfr. XV.11a) ic, di origine piuttosto complessa (cfr. TEKAVCIC 1980: III 94): conto -» conticino, fiume -> fiumicello. I due suffissi presentano sistematicamente la variante ampliata -cino, -cello quando la base termina in -one, -ona: leone _» leoncino, bastone —> bastoncello, corona

-> coroncina. Una rassegna dei suffissi alterativi italiani con indicazioni statistiche sulla loro frequenza d’uso in TRENTA LUCARONI 1983.

seguente esempio, ancora dal Demetrio Pianelli, 395: «— Brutto maccabeo! — gru-

gnì il buon Bianconaccio [il cognome del personaggio è Bianconi] col viso in brace».

77. -astro, -astra (cfr. lat. -ÀSTRUM, nomi— nativo -ÀSTER, affisso a sostantivi che in-

dicavano somiglianza: PINÀSTER ‘pino selvatico’; di qui si sviluppò già in latino una connotazione spregiativa: ROHLFS 1966-

1969: 1127). Di uso molto più limitato di uccio, ne condivide il valore peggiorativo (poeta —> poetastro; «Lascio tali cose ai molti politicastri che giocano fra il potere e gli schieramenti» B. Visentini, nella «Repubblica», 19.11.1986, 8); talvolta si

ha una sfumatura scherzosa (bambinastro, cuginastro). Forme lessicalizzate so—

no figliastro, fratellastro, sorellastra, pollastro. Se la base è un aggettivo,—astro ne attenua semplicemente il valore: sordo -> sordastro, grigio -> grigiastro. 78. -one, -ona (per l’origine cfr. XV.36). Si usa

normalmente

come

accrescitivo

3

tica) o a formazioni occasionali, come nel Prefissazione 80. Oltre alla posizione dell’affisso, che precede la base, la prefissazione si distingue dalla suffissazione per due tratti essenziali (DARDANO 1978a: 118): a) come l’alterazione, non determina mutamenti nella categoria d’appartenenza della base; b) «mentre il suffisso non è mai autonomo, il prefisso può esserlo» (per esempio mal- in maldicente) o non esserlo (pre- in preallarme). E opportuno distinguere i prefissi in nominali e verbali, a seconda che siano affis-

si a un nome o a un verbo. I primi, più numerosi, possono essere ulteriormente suddivisi in base a criteri semantici. Dalle liste che seguono — limitate anche

questa volta alle principali formazioni produttive — risulterà che spesso una stessa nozione può essere rappresentata da un prefisso indigeno, di immediata evidenza peril parlante (avanti-, con-, filari-, ecc.), da uno latineggiante (ante-, extra-) o da uno grecizzante (sin—, meta-). In gene-

XV. La formazione delle parole rale, possiamo osservare che le formazioni più produttive nella lingua d’oggi sono quelle con prefisso dotto, greco-latino.

458 lore originario (= in meno a: interbellico, intermascellare), indica collegamento, relazione tra due o più concetti (intersindacale, interclassismo) o reciprocità (intercambiabile, interdipendenza).

Prefissi nominali e aggettivali di tipo spazio-temporale 81. Indicano una relazione nello spazio extra- in extraterritoriale) o nel tempo ost- in postclassico). Spesso il valore spazio-temporale non si percepisce .più: un ente parastatale è «presso» lo Stato solo idealmente, in quanto struttura pubblica controllata dallo Stato, una faringite subacuta è «sotto» la faringite acuta metaforicamente, per il decorso attenuato e di più lenta risoluzione. 82. Ante-, anti— (cfr. lat. ÀNTE ‘davanti’), avanti o avan-, pre— (lat. PRAE ‘davanti’): anteguerra, antemeridiano; anticamera, antipasto; avantielenco, avanspettacolo;

prebarba, prebellico.

83. Con- (cfr. lat. CÙM ‘insieme con’), sin(cfr. gr. sin ‘con’). Indicano unione, cornpagnia, collegamento; in con la n si assimila in tutto o in parte alla consonante iniziale della base, diventando m davanti

a b, p, m (comprova), ] o r rispettivamente davanti a un’altra ] o a un’altra r (collaterale, correo) e si riduce a co- davanti a vocale (coautore: su modello inglese co- si

87. Intra-, entro- (cfr. lat. INTRA e ÎNTRO

‘dentro, all’interno’; il primo prefisso ha forma latineggiante, il secondo popolare), endo- (cfr. gr. e'ndon ‘dentro’). Dei tre prefissi, entro- e poco produttivo, intra- e endo-, più frequenti, sono propri del linguaggio scientifioo: intramuscolare, intracerebrole; entroterra; endoscopia, endolinfa.

88. Multi- (cfr. lat. MULTUM ‘molto’), poli(cfr. gr. polis ‘molto’). Indicano molteplicità, abbondanza: multilaterale, multimi-

lionario, multirazziale; policentrica, poliestere, poliglotta. 89. Neo- (cfr. gr. néos ‘recente’), paleo(cfr. gr. palaiòs ‘antico’). Neo-, di uso molto largo, può valere, assolutamente, ‘nuovo, recente’ (neoformazione, neolaureato), 0, più spesso e con particolare riferimento a ideologie, contrassegnare la ripresa recente di concetti anteriori (neopasitivismo, neofascismo, neoimpressioni-

smo); paleo- si adopera in relazione a fasi originarie (paleogeografia, paleozoologia), oppure, con forte carica polemica, ad atteggiamenti ideologici ritenuti superati (paleomarxismo, paleòmaschilismo).

è esteso, in neologismi, anche alla posi-

zione preconsonantica: cobelligerante, co-

90. Oltre-, ultra- (cfr. lat. ÙLTRA ‘di là da,

firmatario, cogestione, coproduzione, ecc.:

caratteristico anche se non esclusivo di

oltre’, continuato rispettivamente per via popolare e dotta), meta- (cfr. gr. metà nel significato di ‘oltre’), iper- (cfr. gr. hype'r ‘sopra, oltre’): oltrecortina, oltretomba; ul-

cfr. CORTELAZZO—ZOLLI 1979: I 247). sin(varianti fonetiche: sim-, sil-, sir-, sis-) è parole tecniche e scientifiche: sinartrosi,

trasuono, ultravioletto; metagalassia, me-

simpetalo, sillogismo.

talinguaggio; iperbarico, iperuranio. I prefissati con ultra- e iper- sfumano facilmen-

84. Contro-, contra- (cfr. lat. CÒNTRA), an-

te, tranne che in formazioni strettamente tecniche, nel valore intensivo (cfr. XV.97,

ti- (cfr. gr. anti ‘contro’). Hanno in qualche caso valore spaziale (controsoffitto), ma più spesso indicano opposizione, antagonismo: controcorrente, contraddire; antidroga, antimicotico, anticiclonico.

85. Extra- (cfr. lat. EXTRA ‘fuori’), fitori—z

XV.102). 91. Para- (cfr. gr. parà ‘presso, accanto’). Indica somiglianza, affinità; talvolta può

avere una sfumatura limitativa: parastatale, paranormale, paraletteratura.

extraterritoriale, extralinguistico; fitorise-

rie, fizoribordo. 86. Inter- (cfr. lat. INTER ‘tra’). Oltre al va-

92. Post- (cfr. lat. PÒST ‘dopo’), retro- (cfr. lat. RETRO ‘dietro’). Hanno valore spaziale (post- specie nel lessico anatomico e in

459 quello della fonetica: postipofisi, postalveolare; retro-, nella grande maggioranza dei casi: retrobottega, retroguardia, retromarcia) o temporale, e in tal caso i signifi-

cati sono opposti (post- : dopo, posteriormente: postmoderno, postclassico; retro-= prima, ante riorrnente: retroattivo, retrodatazione). Sulla fortuna di post- nell’italiano d’oggi cfr. BRUNI 1986: 162. 93. Sopra-, sovra- (cfr. lat. SÙPRA ‘sopra’), super- (cfr. lat. SÙPER; a differenza di sopra- è forma dotta). Indicano superiorità, preminenza, eccedenza rispetto alla nor-

ma e spesso è difficile distinguere tra valore spaziale e valore intensivo. Nella ricca serie di prefissati di questo gruppo (studiati in MIGLIORI… 1963b: 61-98) possiamo ricordare le formazioni in cui il prefisso mantiene il valore originario (soprabito ‘indumento che si indossa sopra l’abito’, superattico, sovrappasso) e quelle in cui il prefisso indica addizione, eccesso

(soprattassa “tassa che si aggiunge a un’altra’, sovrafiollamento, superdose). 94. Sotto- (cfr. lat. SÙBTUS ‘di sotto’), sub— (cfr. lat. SÙB ‘sotto’), infra- (cfr. lat. ÎNFRA ‘sotto’), ipo- (cfr. gr. hypé ‘sotto’): sottogruppo, sottopassaggio (derivati esocentrici: sottosuolo, sottoscala); subacqueo,

subcosciente, sublinguale (semplice valore attenuativo in subacuta, subdesertico,

subtotale); infrasuono, infrascritto (infraequivale a intra- ‘entro, all’interno’ in in-

XV. La formazione delle parole carle (sull’asse ‘favorevole’-‘contrario’ o ‘vero’-‘falso’: rivoluzionario - antirivoluzionario - pseudorivoluzionario) oppure di graduarne l’intensità semantica, da un valore massimo allo zero: superoccupatosottoccupato-disoccupato; ipertrofia-emiatrofia-atrofia, ecc. 97. Arci- (cfr. gr. archi-, dalla radice di circhein ‘comandare, essere a capo’), saper, extra-, stra- (allotropo popolare di extra— ), ultra-. Indicano la massima intensità di qualcosa, in genere con apprezzamento positivo. Di qui il frequente impiego nella pubblicità, un impiego che per saper risale addirittura agli anni Venti (cfr. MIGLIO-

RINI 1963b: 80-8-7): Supercinema, extramorbido, ultrabbronzante; si veda anche

l’uso assoluto: «benzina super», «qualità extra». Di tutti questi prefissi elativi, arci(che può indicare, con valore obiettivo, il grado superiore di una gerarchia: arciprete, arciduca) e stra— sono adoperati, limitatamente, nel linguaggio familiare (arciricco, straricco, arcinota) e anche, per

mimèsi popolare, in quello dotto (si pensi alle correnti letterarie novecentesche di strapaese e di stracittà). Gli altri, in particolare super- e ultra-, hanno una sfera d’uso più ampia e si incontrano, oltre che nella pubblicità, nei linguaggi scientifici e tecnici (supernova, superfluido ultracentrifitga, ultrasensibile), nonché nel linguaggio politico e giornalistico, debordando, di lì, nell’uso comune: superbamcrate, supercarcere, ultrasinistra.

frasettimanale); ipoderma, ipogeo. 95. Vice- (cfr. lat. VICE ‘in vece di’), pro— (cfr. lat. PRC) ‘davanti, in luogo di’). Indicano cariche e funzioni: vicequestore, vi-

cedirettore; prorettore, proconsole. Pro- si ricollega al valore di ‘davanti’ (in senso temporale) quando indica “parentela remota’ (perché intervallata da una o più generazioni. progenitore, prozio, pronipote) o, in biologia, stadio anteriore, primitin (profuse, proscimmia).

Prefissi nominali e aggettivali di tipo valutativo 96 Alcuni prefissi, apposti a basi nominali e aggettivali, hanno la funzione di qualifi-

98. Ben(e)-, mal(e)-, etì- (cfr. gr. eu ‘bene’), caco- (cfr. gr. kak6s ‘cattivo’). Formano derivati con evidente funzione apprezzativa: benpensante, maldisposto, eugenetica, euritmico, cacofonia. 99. Bi(s)- (cfr. lat. BÎS ‘due volte’), di— (cfr. gr. dis, corradicale di BIS). Sono prefissi iterativi: biovulare, bipolare, dimorfismo, dicromatico. Non mancano casi di alter-

nanza tra prefisso greco e prefisso latino: disillabo / bisillabo, disaccaride / bisaccaride. 100. Dis— (cfr. gr. DIS- prefisso indicante separazione, dispersione), dis— (cfr. lat. dys- prefisso negativo). Benché distinti per origine e per significato, i due prefissi

460

XV. La formazione delle parole tendono ormai a confluire in un’unica no-

esprimono inferiorità, insufficienza: ipo-

zione, in cui si può riconoscere l’idea di negazione (discontinuo ‘non continuo’;

tensione, ipoplasia, ipovitaminosi; sottoccupazione, sottosviluppo, sottoprodotto.

disamore, disidratato, disinformazione, disomogeneo) o l’idea di alterazione, mo-

dificazione in peggio (specie in voci del lessico medico: disfimzione, disendocrino,

dismetabolismo). 101. In- (cfr. lat. ÎN— prefisso negativo), a(cfr. gr. a-, corradicale del lat. ÎN; è_il cosiddetto «alfa privativo»), non-. Nei derivati con in- si ha assimilazione parziale o totale quando la base comincia per b, m, o (in- > in:-: immite, impoetico) o per le r (in- > il- e ir-: illegittimo, irregolare); a— diventa an- quando la base comincia per vocale: anaerobio. I tre prefissi indicano negazione, privazione di qualcosa, con alcune sfumature. In- e non- (di uso molto meno frequente e spesso dipendente dall’in lese: cfr. CORTELAZZO-ZOLLI 1983: III 808 valgono per la negazione assoluta:

104. Mini- (estratto da minigonna, dall’ingl. mini-skirt: cfr. CORTELAZZO-ZOLLI 1983 III 758), maxi- (da maxigonna: cfr. CORTELAZZO-ZOLLI 1983 III 733), mega- (cfr. gr. me'gas ‘grande) Si tratta di prefissi di introduzione recente, ma di grande prolificità: mini- vale ‘piccolo, di piccolo formato’, spesso figuratarnente: minicorrente, minimarcia, miniladro (esempi giornalistici citati in DARDANO-TRIFONE 1985: 345); maxi— (maxicorteo, maxiprocesso, maxi-accordo, tutti e tre in uno stesso nu-

mero di quotidiano: «Il Mattino», 28.11.1986, 1, 5, 8) e mega- (megashow, megadirigenti, megacrescita: esempi citati in JANNI 1986: 124) ne sono gli antonimi. 105. Pan- (cfr. gr. pan ‘tutto’), omni-, anni- (cfr. lat. ÒMNIS ‘tutto’). Valgono, a se-

incostante “non costante’, inessenz’iale, noncurante, non violenza (da notare che

conda dei casi, ‘tutto, completamente, da

tere come prefissi negativi sia in- sia a-,

nipresente, onnivoro, onnicomprensivo,

con specializzazioni di significato. Si pensi ad amorale “che prescinde da norme morali’ e immorale ‘che offende norme morali’: «le azioni meramente economi-

omnidirezionale.

ogni parte, da ogni punto di vista’; panla grafia oscilla tra separazione e univer- può diventare pam- davanti a b, m, p: pabazione; altra possibilità è l’uso del tratti- nartrite, panslavismo, pampsichismo; no: non-intervento). A- può esprimere ne- «questo è dovuto al tipo di cultura idealigazione assoluta (aperiodico, apolitico) o, stica, cioè al tipo di cultura panfilosofica, in derivati esocentrici, mancanza (acefalo panideologica cui non è estranea sicuramente anche la cultura marxista» (P. ‘senza testa’, acarpo, anemia). Qualche volta la stessa base può ammet- Ostellino, in Ling. divulgazione, 43); on-

106. Pseudo- (cfr. gr. pseùdos ‘menzogna, falsità’). Indica qualità apparente, mera che (né morali né immorali, amorali)». somiglianza e ha valore descrittivo nella (Croce, Filosofia della pratica economica terminologia scientifica (pseudofrutto, pseudomembrana), quasi sempre spregiaed etica). tivo in altri casi (pseudocristiano, pseudo102. Iper-. Indica aumento, sovrabbon- ragionamento). danza ma, a differenza degli altri prefissi elativi (arci-, super-, ecc.), iper- è spesso 107. S— (cfr. lat. Ex-. di cui riflette uno dei connotato sfavorevolmente: «gli iper- me- valori, l’idea di allontanamento, di sepadici [ipertensione, iperemia, ecc.] suggeri- razione; ma potrebbe esservi confluito scono qualche cosa di patologico, e in ge- anche DIS-: cfr. TEKAVCIC 1980: III 125). nerale iper- fa intendere che v’è alcunché Come prefisso nominale e aggettivale ha al di là della misura» (MIGLIORINI 1963b: quasi sempre funzione negativo-sottratti71). Esempi al di fuori del lessico medico: va: scontento ‘non contento’, smisurato, ipercritica, ipercorrettismo; senza sfuma- sgradevole; svantaggio ‘mancanza di vanture negative: ipermetria e il recente iper— taggio’; sdentato ‘senza denti’. La capacità mercato. del prefisso di ribaltare il significato della base cui è apposto dà ragione della sua 103. Ipo-, sotto-. Sono antonimi di iper- ed produttività anche attraverso coniazioni

461

XV. La formazione delle parole

occasionali; per esempio: «le cifre dello

111. De- (cfr. lat. DÉ—, prefisso indicante

sboom» (in riferimento al calo demografico; «Il Mondo», 10.11.1986, 54). Alcuni fossili presentano s- intensivo (sbirro ‘birro’, sbarra ‘barra’: cfr. ROHLFS 1966—1969: 1012), con un valore rimasto vivo per i verbi, specie parasintetici (cfr. XV.119).

separazione o allontanamento), dis-, s-. I

semifreddo, semiconvitto, semigratuito;

tre prefissi condividono una generica funzione negativa, con diverse specialiuazioni di significato. De— ha soprattutto valore sottrattivo (concentrare —> deconcentrare ‘togliere concentrazione’, decalcificare, decentralizzare, destabilizzare) ed è in espansione rispetto a s- e dis-: «decolorare e decongelare hanno (o sembrano avere) una maggiore specificità rispetto a scolorare e scongelare» (DARDANO 1978b: 63). Dis- ha valore sottrattivo (disaggregare, disincentivare) o negativo disapprovare ‘non approvare’, dischiudere, dispiacere). Per s- bisogna distinguere, oltre alla funzione negativa (scontentare ‘non conten-

emiparassita, emisfero, emiplegia.

tare’, scaricare antonimo di caricare), una

Prefissi verbali

funzione peggiorativa (TEKAVCIC 1980: III 126; sparlare ‘parlare male’, sgovernare, sragionare). Un altro valore di s-, di segno opposto a tutti gli altri, è quello intensivo: sbattere, sbejfeggiare o anche

108. Semi- (cfr. lat. SÉMI— prefisso col valore di ‘metà’), emi- (cfr. gr. he'mi-, corradicale di SÉMI). Valgono ‘a metà’; semi- può indicare, genericamente: ‘in parte’, ‘non

completamente’ e, a differenza di emiche è proprio della terminologia scientifica, si usa anche nel linguaggio comune:

109. I prefissi che possono precedere una base verbale sono quasi tutti utilizzabili anche come prefissi nominali (cfr. XV.81108). Nel suo insieme, non si tratta di un meccanismo molto produttivo (cfr. DARDANO 197832 136): diversi derivati posso— no essere ricondotti dalla coscienza linguistica del parlante sia a un verbo semplice (servire —> asservire) sia a un nome (servo —> asservire; cfr. XV.116). Inoltre, è relativamente alto il numero di forme lessicalizzate (comprendere, ad esempio,

è semanticamente autonomo rispetto a prendere e non si presta a essere analizzato come ‘prendere insieme’). Tra i prefissi verbali in cui la trasparenza del rapporto col verbo semplice non è sempre evidente ricordiamo, oltre a con- (e alle rela— tive varianti fonetiche, cfr. XV.83: porre —> comporre, legare —> collegare, abitare _» coabitare), a-: consentire —> acconsentire, girare _» aggirare, porre _» apporre. Vediamo ora i principali e più produttivi prefissi verbali:

scancellare, forma a torto considerata di

livello popolare («Medea e Giasone [...], contaminati dal sangue sparso, accorrono da lei, che sola può seancellame la traccia col sangue espiatorio d’un porcellino» E. Zolla, «Corriere della Sera», 21.3.1987,

3)-

._….

112. Inter-. Ilsignificato di base è ‘in mezzo’; «a tale significato si ricollegano tre espansioni semantiche: collegamento, comunanza, reciprocità» (DARDANO 1978a: 134): interfogliare, interporre. Con valore analogo si usano altri prefissi, di limitata produttività: infia- o fra- e tra-: inframmettere, frapporre, trapassare. 113. Ri-, re- (cfr. lat. RÉ—; prefisso con va1ie funzioni tra cui spiccava quella iterativa: VÉHERE ‘portare’ -» REVÉHERE ‘portare di nuovo, riportare’; dei due prefissi italiani,

ri— costituisce l’esito popolare, re-, quello dotto). Il valore fondamentale è ‘di nuovo’: rifare, risentire, rinascere. Re-, molto

110. Contra-, contro-: contrapporre, contraddistinguere; controbilanciare, con-

troindicare. Contro— appare in molti neologismi, che si presentano «più frequentemente nella forma di nominalizzazioni di prefissati verbali (reali o virtuali): contro— dichiarazione, controinformazione» (DARDANO 1978a: 134).

meno frequente, compare in forme dotte (reduplicare, refluire) o lessicalizzate (restringere); ma subentra a ri- quando la vocale del verbo semplice è i- (cfr. DARDANO 1978a: 132): reinserire, reintegrare (si può avere anche elisione, come in rimbarcare

e rincarnare). Davanti alle vocali a, o, e, u, ri- mantiene in genere la vocale: riavere,

462

XV. La formazione delle parole riottenere, rieducare, riutilizzare. L’elisio-

to a basi nominali: caffeina —> decaffeina-

ne dinnanzi ad a- è presente in alcune forme lessicalizzate con generico valore intensivo (rassicurare) o scadute a semplici

re, morale (come sostantivo maschile, —> demeritare; sale —> dissalare, colpa _»

varianti di una forma semplice, uscita d’u-

discolpare, obbligo -> disobbligare.

so (rafiigurare e raffreddare rispetto ad afiîgurare e affreddare); oppure nell’italiano antico: cfr. SERIANNI 1972: 122.

diventare inn-, esito caratteristico delle

114. Stra-: stravincere, strafare.

Formazioni parasintetiche 115. Alcuni derivati possono risultare dall’affissione simultanea di uno o più prefissi e di uno o più suffissi a una base nominale (barca _» s-barc-are) o aggettivale (grande —» in-grand-ire). Questi derivati, detti parasintetici (o parasinteti), consistono in nomi, aggettivi o verbi. I nomi e gli aggettivi sono costituiti in massima parte da formazioni ottenute col prefisso s- e il suffisso -ato (cfr. F. Tollemache, in Enci-

clopedia Dantesca, Appendice, 490): faccia —> sfacciato, pietà _» spietato. Molto più numerosi i verbi, che costituiscono anzi un settore in espansione nell’italiano d’oggi, a danno di precedenti derivati aggettivali (cfr. DARDANO 1978a: 36). Si vedano per esempio le seguenti coppie di verbi, il primo deaggettivale — e antiquato —, il secondo parasintetico, ben vivo nell’uso: acerbare / inacerbire, dolcire / addolcire, serenare / rasserenare.

I verbi parasintetici appartengono tutti alla 121 o alla 3a coniugazione, e possono essere distinti a seconda del prefisso con cui si formano: 116. A— (cfr. lat. ÀD; ha la proprietà di rad— doppiare la consonante iniziale della base e davanti a vocale si presenta nella variante eufonica ad—). Dà luogo a formazioni di significato assai vario, anche se accomunate dalla caratteristica di indicare un’azione, un cambiamento di stato

(stessa latitudine di valori per i parasintetici formati con in-: vedi oltre). Esempi: punta —> appuntire, dente _» addentare, occhio _» adocchiare, ira -> adirare, celere

_» accelerare. 117. De-, dis-. Danno al verbo valore ne-

gativo-sottrattivo e si affiggono soprattut-

‘stato d’animo’) _» demoralizzare, merito

118. In- (cfr. lat. ÎN; davanti a vocale può formazioni più antiche; altre varianti condizionate dalla consonante successiva: il-, ir—, im-): amore -> innamorare (un esempio senza raddoppiamento di n è orgoglio -> inorgoglire), burro -+ imburrare, sapore _— insaporire, vecchio _— invecchiare-, languido —> illanguidire, pigro —> impigrire, rigido -—> irrigidire; più recente pasticca [di farmaco psicotrope] —> impasticcarsi («cisi ‘impasticca’ in solitudine e nel cerchio chiuso della solidarietà di gruppo» «Stampa sera», 23.2.1987, 4; cfr. anche CORTELAZZO-CARDINALE 1986: 93). La fusione di due prefissi, re- e in-, si nota in patria —> rimpatriare, bocca -> rimboccare. 119. S-. Anche i parasintetici, come gli altri prefissati con s- (cfr. XV.107), riflettono i diversi valori del prefisso, intensivo (bollente _» sbollentare, pennello —> spennellare, largo _» slargare) o sottrattivo con varie sfumature (‘togliere qualcosa’: macchia —> smacchiare; ‘togliere da qualcosa’: carcere -> scarcerare; ‘togliersi da qualcosa’: barca —+ sbarcare, ecc.). Di molto minore produttività i prefissi di(razza -> dirazzare), tra-, tras- e trans-

(bordo -> trasbordare), per- (notte _— pernottare), sui quali cfr. DARDANO 1978a: 30-

31.

Composizione 120. È senza dubbio il settore più complesso nell’àmbito della formazione delle parole e anche quello che più recalcitra a una classificazione unitaria. Una distinzione fondamentale — non tanto per ragioni etimologiche, quanto per il vario rado di trasparenza dei diversi formati (gcfr. XV.Sb) — deve esser fatta tra i composti con elementi indigeni (apriscatole, cassaforte) e i composti con elementi in tutto o in parte esogeni, quasi soltanto greco-latini (misantropia, con due ele—

463 menti grecizzanti, burocrazia, con un ele-

mento moderno — e prec1samente francese: bureau — e uno greco). 121… La proliferazione degli elementi formativi scientifici nell’italiano d’og ' (come in molte altre lingue moderne li ha quasi trasformati in prefissi e suffissi, suscettibili di essere preposti o posposti a «qualsiasi termine del lessico che semanticamente lo consenta» (MIGLIORI… 1963b: 19-60; il Migliorini avanza però qualche riserva sull’elasticità di applicazione di questi elementi come suffissi: 3435). Esempi del genere possono essere elettro- in elettromotore, elettrotreno, e -te-

ca in discoteca, paninoteca; in casi del ge— nere si può parlare rispettivamente di prefissoidi e di suffissoidi. Anche il Tekavèié (1980: III 15), sulla scia del Migliorini, colloca le parole con

elementi formativi scientifici in un gruppo a sé, distinto da derivazione e composizione. Un interessante tentativo di ricondurre in una prospettiva unitaria composti con elementi indigeni (asciugamano) e con elementi dotti (antropofago) secondo i principi della grammatica trasformazionale è in DARDANO 1978a: 141-147 e viene ripresa in DARDANOTRIFONE 1985: 341, da cui citiamo: «una

XV. La formazione delle parole

nire lotta di classe un composto e non un insieme libero di parole sono soprattutto due elementi: a) la stabilità dei significati (classe : classe sociale e non, per esempio, classe scolastica; non potrei servirmi,

se non facendo un gioco di parole, dell’espressione lotta di classe per indicare una rissa tra la IV A e la IV B di un liceo scientifico); b) l’impossibilità di introdurre nella sequenza un qualsiasi altro elemento (*lotta aspra di classe, *lotta degli operai di classe).

Composti indigeniformati da un verbo e da un nome 123. Si tratta di un tipo molto produttivo, oggi come ieri. L’elemento verbale è seguito da un sostantivo con funzione di com lemento oggetto, singolare (copricapo 0 plurale (coprivivande). Sulla natura di questo elemento verbale non c’è accordo tra gli studiosi, che pensano a un imperativo, a un indicativo o,

come forse è preferibile, al puro tema verbale (bibliografia in DARDANO 1978a: 148 n. 11). Altri tipi di composti con base verbale (cartasuga, con verbo in seconda posizione; batticuore, con sostantivo in funzione

caratteristica fondamentale accomuna di soggetto) hanno poca importanza nelquesti due composti: la frase che ‘sta sot- l’italiano contemporaneo. to’ ad entrambi ha un predicato verbale: I composti di questa serie risultano da un (qualcosa) asciuga la mano _» asciuga- verbo della 1a coniugazione (lavapiatti, mano; (qualcuno) mangia (l’)uomo _— portavalori), della 2a (perditempo, spremiantropofago». limoni), della 3a (apriscatole, copricapo) Nel corso della nostra presentazione pas- e, di norma, sono privi d’articolo (arcaiseremo in rassegna i composti indigeni che e rarele poche forme articolate citate (con elemento verbale: XV.123-124; con in TOLLEMACl-IE 1945: 206: battiloro, bevielementi nominali o aggettivali: XV.125- lacqua ‘astemio’, ecc.). 126) e successivamente i composti con Dal punto di vista semantico possono rielementi greco-latini (XV.127-133); se- ferirsi a una persona (portavalori), a una guirà un paragrafo dedicato a modalità cosa (spremilimoni) o cambiare termine compositive particolari (XV.134—135). di riferimento a seconda dei contesti: «altrimenti la nostra ultima lavapiatti fila su 122. Si osservi che, affinché si possa parla- due piedi» (una persona; Montale, Farfalre di composizione, non è indispensabile la di Dinard); «un lavapiatti elettrico e l’univerbazione grafica. Rientrano a pie- una macchina da fare il bucato» (un eletno diritto nel fenomeno anche gruppi di trodomestico; Bacchelli, Oggi, domani e parole staccate (parola chiave, lotta di mai). classe), purché vengano percepite come Ecco una lista esemplificativa di questi unità sintattiche e semantiche (dette composti (più ricchi elenchi in TOLLEMA«unità lessicali superiori»: cfr. DARDANO CHE 1945: 191-206 e in DARDANO 1978a: 1978a: 115-116). Ciò che consente di defi- 149-153):

XV. La formazione delle parole accendi- (accendisigari)

appendi- (appendiabiti appoggia- e poggia- (appoggiatesta, poggiatesta apri- (apribottiglie)

asciuga- (asciugacapelli) aspira- (aspirapolvere) attacca- (attaccabottoni) bacia- (baciamano) batti- (battipanni) buca- (bucaneve) cambia- (cambiavalute) canta— (cantastorie) cava- (cavadenti) conta- (contachilometri) copri- (copritermosifone)

ferma- (fermacravatta) gira- (giramondo) guarda- (vale ‘conservare, custodire’ come il francese garder che è alla base di quasi tutti questi composti, cfr. DARDANO 1978a: 152 n.;

guardacaccia) guasta— (guastafeste) lancia- (lanciafiamme)

124. Molto rari, e in genere effimeri, i

composti con due elementi verbali. Eccone un paio di esempi dal linguaggio della pubblicità automobilistica: lavatergilunotto («Corriere della Sera», 20.6.1979) e tergilavalunotto («Corriere della Sera»,

21.10.1979). Composti indigeniformati da nomi e aggettivi

lava- (lavastoviglie) mangia- (ha spesso valore traslato: man 'anastri, mangiapreti) metti- mettibocca) para- (parafulmini) passa- (passatempo) pesa- (pesalettere) porta- (portapacchi) posa- ( osacenere)

reggi- reggicalze) rompi- (rompighiaccio) ruba- (rubacuori) salva- (salvatacco) scalda- (scaldabagno)

schiaccia- (schiaccianoci) segna- (segnaprezzo) spremi- (spremilimoni) stira- (stiracalzoni) taglia- (tagliacarte) tappa- (tap abuchi) tendi- (ten icollo)

tira- (tiralinee) trincia- (trinciapollo) trita- (tritarifiuti)

vuota- (vuotamele)

dichiomato ‘coperto di fronde’: «i boschi / oltra l’usato lor frondichiomati» Chiabrera, Canzonette - Rime varie - Dialo-

ghi). 126. In particolare, tra i composti coordinativi possiamo distinguere quelli costituiti con: a) Aggettivo+Nome: altopiano, bassorilievo, buon senso, gentildonna, libero ar-

bitrio, terzordine. b) Nome+Aggettivo: camposanto, cas-

125. E opportuno suddividere tutti i composti di questo tipo a seconda che siano fondati sulla coordinazione delle componenti (altopiano, pescecane, gialloblù) o che presuppongano un rapporto

saforte, fico secco, irotondo, pastasciutta.

di subordinazione, il quale può essere

espresso attraverso una preposizione (a:

natore del nome. La funzione aggettivale è generalmente svolta dal secondo ele-

pallavolo; da: sala da ballo; di: capodan-

mento, a differenza di quel che avviene

no, ecc.: ma cfr. VIII.4a) oppure essere risolto nella giustapposizione dei due elementi (agopuntura, ‘puntura con l’ago’; capostazione ‘capo della stazione’,

nei composti greco-latini (cfr. V.127129): cartamoneta, scolaro modello, famiglia tipo (tutti composti che equivalgono a sintagmi, reali o virtuali, costituiti da un nome e da un aggettivo: *carta monetaria, scolaro esemplare, famiglia tipica). Dal linguaggio giornalistico attingiamo

carro attrezzi ‘carro con attrezzi’, angolo cottura ‘angolo per la cottura’, ecc.; o an-

cora, nel linguaggio poetico antico, fron-

c) Nome+Nome. % un gruppo affine ai due precedenti, giacché uno dei due nomi funge in realtà da determinatore dell’altro, così come un aggettivo è determi-

465 gol partita ‘gol che vale, che decide la partita’ («Toninho Cerezo, gol partita a due minuti dal termine» «Alto Adige»,

1.12.1986, 15). Qualche volta la funzione di determinatore è, per dir così, reciproca, può cioè essere svolta indifferentemente dal primo o dal secondo elemento; per esempio in cassapanca, poltrona letto, studente lavo-

XV. La formazione delle parole

pel tuo sentiere umano / e non avrai per mano la dolcesorridente» Gozzano. Le due strade [dai Colloqui], 57-58), molleappoggiato («lui molle-appoggiato col gomito all’un lato della bassa lucente spÈnetta» Boine, Il peccato ed altre cose .

ratore, diritto-dovere. Potremmo dire, in- Composti scientifici con elementi somma, che la cassapanca è «una cassa greco-latini che è anche una panca e una panca che è anche una cassa» (DARDANO-TRIFONE 127. Al greco (e in misura minore ai lati1985: 343). no) hanno attinto in età moderna tutte le d) Aggettivo+Aggettivo. Sequenza molto lingue occidentali, e non solo esse, per la comune, specie in alcuni campi semantici . coniazione di infiniti termini tecnici e (per esempio gli aggettivi etnici: «la guer- scientifici. ra franco-prussiana», «un dizionario ita- Alcuni elementi formativi scientifici sola-spagnolo»). Il primo elemento assume no diventati di uso così comune e famila terminazione in -o, se è un aggettivo liare da prestarsi a occasionali coniaziodella prima classe, in -e, se è un aggettivo ni scherzose. Così, su -logo ‘esperto, culdella seconda, e presenta molto spesso tore di qualche disciplina’ (archeologo, decurtazione sillabica: cfr. V.21. ematologo, sismologo). si sono modellaGli aggettivi in -le, -re tendono a perdere ti il dietrologo e il tuttologo, ormai abla vocale finale (nazionalpopolare, cfr. bastanza stabili nell’uso (cfr. CORTELAZ1.84). Si noti che le forme decurtate reca- ZO-CARDINALE 1986: 61 e 194) e gli effino di norma la vocale finale —0, quale che meri giovanologo (‘chi pretende di in— sia la desinenza della forma intera: cere- terpretare i comportamenti giovanili”, bro-spinale (cerebrale+spinale), sociopa- «Panorama» 17.8.1986, 26). giocologo litico (sociale+politico), ecc. (‘esperto di giochi matematici’; «Da Caratteristiche le coppie aggettivali che questa sera sette lezioni del giocole— indicano un colore: gialloblù, grigioverde, go Ennio Peres», «La Repubblica», verde cupo; «gli occhi azzurro-torbido» 31.8.1986, 18). (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Se gli ingredienti di questi composti sono 41); «l’aria grigioazzurra della sera» greci, la loro combinazione spesso è tutta (Montefoschi, Lo sguardo del cacciatore, moderna, quando non sia addirittura ar31). Uno dei due elementi può essere co- bitraria (come per macroscopico, che stituito da un nome in funzione aggettiva- presuppone nel greco makro’s ‘lungo’ il sile: verde pisello, biondo cenere; «un con- gnificato di ‘grande’ che non esiste: cfr. tadino con la camicia blu altomare» (L. JANNI 1986: 122). Viani, ll cipresso e la vite). Il composto greco tipico — continui una Altri esempi: agrodolce, sordomuto, dol- forma classica o sia una coniazione mocemorbido (nel linguaggio pubblicitario). derna — presenta di norma una sequenza e) Avverbio+Aggettivo. Sovente l’ag- determinatore-detenninato, inusuale nei gettivo è rappresentato da un participio composti italiani: per esempio antropofapresente o passato; inoltre, più spesso go (= mangiatore di uomini; si pensi inveche un avverbio, come primo elemento ce al composto nostrano mangiapreti) o può aversi un aggettivo con valore av- elioscopio (=[strumento per] osservare il verbiale: sempreverde, altoparlante. In sole, osservatore del sole; di fronte a miquesta serie sono numerose le formazio- rasole ‘girasole’). ni letterarie, riecheggianti modelli gre- Ecco due liste esemplificative di composti co-latini: biancovestito («venivano tre di questo tipo, in cui l’elemento fisso è anfanciulle biancovestite» Baldini, Il libro teposto (prefissoide, secondo la terminodei buoni incontri di guerra e di pace), logia del Migliorini: cfr. XV 121) o pospodolcesorridente («Discenderai al Niente sto (sufiîssoide).

466

XV. La formazione delle parole 128. Primi elementi:

COMPOSTI CON PREFISSOIDI GRECO + GRECO

GRECO + LATINO

(o ITALIANO) auto- (= da sé) filo- (= amore) idro- (= acqua) lito- (= pietra) miso- (= odio) mono- (= un solo) piro- (= fuoco)

autografia filantropo idrolisi litofita misantropo monoteismo pirofilo

autofinanziamento filofrancese idrorepellente litoincisione misostorico monocamera piroscissione

Tra i primi elementi di origine latina si forme), roto- (rotocompressore, rotonave). possono ricordare quadri- Equadridimensionale, quadrilatero), ovi- ovidotto, ovi-

129. Secondi elementi:

COMPOSTI CON SUFFISSOIDI

-crazia (= potere) -fagia (= mangiare) -fobia (= terrore) -fonia (= suono) -grafia (= scrittura) -logia (= studio) -mania (= fissazione) -metria (= misurazione) —patia (= sofferenza) -scopia (= osservazione)

GRECO + GRECO

LATINO (O ITALIANO) + GRECO

democrazia aerofagia agorafobia stereofonia dattilografia zoologia megalomania stechiometria cardiopatia microscopia

partitocrazia

Come secondi elementi di origine latina ricordiamo -cida (moschicida, uxoricida), -colo (terricolo, silvicolo), -ficio (caseificio, calzaturificio), —forme (aeriforme, filiforme), -voro (carnivoro, onnivoro).

claustrofobia

sociologia eroinomania planimetria vasculopatia radioscopia

Oltre alle combinazioni greco + greco e greco+latino (o italiano) si può avere una combinazione greco + lingua straniera moderna (per esempio autogoal). Le componenti filo e filia possono figurare anche al secondo posto, in formazioni

130. I significati posti tra parentesi hanno valore di massima. Si osservi inoltre che il rapporto tra i due elementi del composto può essere rappresentato nella maggioranza dei casi da un sintagma costituito da soggetto+complemento di specificazione (filantropo=amico degli uomini; zaologia— — studio degli animali), ma anche da una sequenza composta da soggetto+un altro complemento (di meno in datttlog;afa _ scrittura per mezzo delle dita; di luogo in litofita : pianta [vivente] sulla roccia, ecc.).

estranee al greco classico ma molto comuni nelle lingue moderne (cfr. JANNI 1986: 44—48): bibliofilo, bocciofilo, zoofi— lia. Si osserverà, anzi, che filo e filia sono abitualmente posposti, tranne che in àrnbito politico-ideologico (filoinglese accanto ad anglofilo; ma solo filocomunista, filofranchista, ecc.). Un’ampia indagine sui composti con -mane, -mania in FANFANI 1986.

131. Caratteristiche a sé hanno molti composti della terminologia medica, in

467

XV. La formazione delle parole

quanto: a) possono combinare componenti plurime, con un procedimento rarissimo in altri settori (epatolienografia ‘indagine radiologica che interessa fegato e milza’); b) presentano la sequenza detem1inatore-determinato non solo in formazioni ottenute con elementi greci o latini (come la recente serie in —leso: motu— leso, cranioleso, cerebraleso, ecc.), ma an-

che in composti che risentono dell’influsso anglosassone, più o meno diretto: virus-epatite ‘epatite da virus’, mielosoppressione, penicillina-resistente, farmaco-

foto—l (luce) —+

dipendente (su cui si è coniato lo scherzoso video-dipendente). 132. Da alcuni composti possono ricavarsi serie compositive autonome. Accanto all’auto— di autografia, che abbiamo già visto, esiste un altro auto-, quello estratto

da automobile e che è presente in formazioni quali autoraduno (=raduno delle auto: composto subordinativo) o antocistema (composto coordinativo, costituito da nome+nome). Altri esempi:

fotografia ———> foto- ’ (= fotografia): fotosintesi fotofobia

radio-' (raggio) _»

fotomontaggio

radiofonia _» radio- 2 (= radiofonia): radiologia radioestesia

tele-l (lontano) —> [ televisione _» tele- 2 (= televisione): telefono telegramma

133. Talvolta l’elemento prefissale è co-

stituito da una parola intera (video: videocassetta, videoregistratore) o da una sua variante ridotta (cinema -> cine: cineamatore, cineclub).

Conglomerati e acronimi Ai margini della composizione si collocano due particolari tipi di formazione: 134. I. I conglomerati(così denominati in DARDANO 1978a: 144) sono spezzoni di frasi che hanno finito con l’essere trattate come una sola parola (sempre maschile invariabile). Nello scritto, i conglomerati possono essere univerbati («un continuo tiremmolla»), presentare collegamento delle varie componenti mediante trattino («Il Cremlino esalta Najibullah / ma sul fragile cessate—il-jùoco / sceglie la cautela del silenzio» «La Repubblica», 17.1.1987, 10) oppure risultare di unità grafiche autonome («il va e vieni della gente forestie— ra» Pavese, La luna e i falò, 14).

fotofamatore fotoromanzo

Radiocorriere radiocronaca rad10mterv1sta teleabbonato

telediffusione telegiornale

135. II. Per «acronimi» intendiamo quelle formazioni — di diffusione soprattutto giornalistica o pubblicitaria e sovente effimere — ottenute dalla giustapposizione di parti staccate di parole, unite in modo spesso imprevedibile: Confcommercio (= Confederazione del Commercio), cantautore (= cantante + autore), econologia (= economia+ecologia, cit. in JANNI 1986: 55), Palacongressi ‘Palazzo dei Congressi’ («il Palacongressi è un via vai confuso», «La Nazione», 28.2.1987, 2), Romaratona ‘gara podistica organizzata a Roma nel maggio 1986’, ecc. Per la pubblicità si possono menzionare alcuni termini inventati dalla società di consulenza finanziaria Fideuram: si tratta di nomi di animali immaginari come l’elepardo («combina le doti di potenza dell’elefante e di agilità del leopardo»), il rinovallo (rinoceronte+cavallo), il leoguro (leone+canguro), ecc.: cfr. MEDICI 1986: 105-

106. Ulteriori esempi di acronimi in DARDANOTRIFONE 1985: 345-346.

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Riuniamo in un’unica lista alfabetica le opere e gli studi critici citati nel corso della

AEBISCHER 1950: Paul A., Sosta ore una, «LN», XI, 37—39. . AGENO 1956: Franca A., Particolarità nell’aso antico del relativo, «LN», XVII, 4-7.

Grammatica: le prime, da cui si sono attinti gli esempi linguistici, recano in tondo il nome dell’autore e in corsivo il titolo dell’ope-

AGENO 1961: Franca A., Indicativo in dipen-

ra (es.: Palazzeschi, Sorelle Materassi); nei secondi, addotti a commento e illustrazione dei vari fenomeni, il nome dell’autore è in

denza di «credere» e sinonimi, «LN», XXII, 6-8. Vd. anche BRAMBILLA AGENO.

maiuscoletto ed è seguito dall’anno dell’edizione (es.: MIGLIOR]… 1973).

«AGI»: «Archivio Glottologico Italiano».

Nel presente elenco non si troveranno altre

fonti utilizzate nel testo; e precisamente: — testi poetici, opere in versi e simili: tutti facilmente individuabili dal titolo del componimento e dal verso (Foscolo, Dei Sepolcri, 22), oppure da titolo, canto e verso (Dante, Inferno, VI 28) o da titolo, canto e ottava (Tasso, Gerusalemme Liberata, II 36). Qualche eccezione è stata

fatta per testi di poesia contemporanea, meno facilmente reperibili. Per le opere più note non si dà conto, di norma, delle edizioni da cui si cita: si intende che si sono scelti testi criticamente attendibili (in

particolare: per la Commedia l’edizione di G. Petrocchi, per il Canzoniere del Petrarca quella di G. Contini, con alcuni rammodernamenti grafici, per l’Orlando Furioso quella di S. Debenedettì e C. Segre);

— giornali e periodici di informazione (sono individuati dal titolo della testata, tra vir— golette, seguito dalla data di pubblicazio-

ne e dalla pagina); — codici civile, penale e di procedura civile e penale (si cita l’articolo, attingendolo all’edizione Franchi-Ferod-Ferrari, Milano,

Hoepli 1964); — costituzione della Repubblica italiana (si cita l’articolo).

Agnelli, Addio, addio mio ultimo amore: Susanna A., —, Milano, Mondadori, 1985. AGOSTINI 1978: Francesco A., Proposizioni indipendenti - Proposizioni @@,ordirzate, in Enciclopedia Dantesca - Appendice, 369-408. AIS: Karl Jaberg - Jakob Jud, Sprach- and Sachatlas Italiens und der Siidschweiz, Zo— fingen 1928-1940. Alberghi in Italia TCI: Touring Club Italiano, Alberghi in Italia, Milano 1985. ALINEI 1984: Mario A., Il sistema alloctttivo dei saluti in Italiano, Inglese e Olandese, nel suo vol. Lingua e. dialetti: struttura, sto-

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473

Indice delle abbreviazioni bibliografiche

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(VII. 84) detto, appunto, allocutivo. 5 2.

AGGIUNTIVE, PROPOSIZIONIZ aggiungono un fatto, una circostanza in più a quanto viene espresso dalla reggente. Nella forma implicita (quella esplicita non è usata nell’italiano contemporaneo) so-

Nel corso dei secoli il sistema allocutivo

no introdotte da oltre a e oltre che, e il

modo verbale è l’infinito: «oltre a essere un grande scrittore, è anche un ottimo traduttore» (XIV. 238). AGGIUNTIVE, RELATIVE: v. ESPLICATIVE, RELATIVE. aggiunto: v. VIII. 1 e la voce PREPOSIZIONE, 5 1.

aggradare: verbo difettivo di 1a coniugazione, XI. 98.

AGUZZE, PARENTESI: v. I. 202 e la voce PARENTESI. aio (avere, arcaico): XI. 65a. al di la di: locuzione preposizionale, VIII. 24.

italiano, fin dalle origini diverso da

quello latino (VII. 85), ha avuto delle trasformazioni, la cui storia e ricostruita

in VII. 86—87. 5 3. Gli àmbiti e le particolarità d’uso delle forme che compongono il sistema allocutivo attuale sono illustrati in VII. 88-89 e 91—98. 5 4. Per l’accordo dell’aggettivo e del participio con i pronomi a. ella e lei riferiti a un uomo (tipo «Lei, professore, è stato attento» / «Ella, professore, è stata atten-

ta») v. VII. 90 e la voce ACCORDO. ALLOCUZIONI: per la mancanza dell’articolo nelle a. (come in «Senatore, ci dica...»

v. IV. 721; per le a. formate col dimostrativo quello v. VII. 132b. ALLÒFONO: variante di realizzazione di un fonema determinato dal contesto fonetico; è detta anche «variante combina—

allògral‘o

496

toria». Sono esempi di a. la n velare (tengo, [g]) e la n dentale (tendo, [m]), 1.

ALTERNATIVA, COORDINAZIONE: V. DISGIUNTIVA, COORDINAZIONE.

6

ALTERNATIVE, INTERROGATIVE: v. XIII. 8;

ALLOGRAEO: variante di un grafema, condizionata dal contesto (ad esempio i due a. del sigma greco, O e g, il secondo

riservato alla posizione finale), oppure determinata da tradizioni storico-culturali (ad esempio c e q come primo elemento del nesso labiovelare sordo in italiano: cuore e quota, I. 115). ALLONTANAMENTO O SEPARAZIONE, COMPLEMENTO DI: v. LUOGO, COMPLEMENTI E DETERMINAZIONI DI, 5 4.

allorché: congiunzione subordinante temporale, XIV. 195. illorquando: congiunzione subordina-rte temporale, XIV. 195. ALLÒTROPO: forma che presenta lo stesso etimo di un’altra, ma se ne differenzia

per aver avuto una diversa evoluzione fonetica o semantica: sono a., ad esem—

pio, obbedire e ubbidire, entrambi pro— venienti dalla base latina OBOEDIRE (I. 86; V. 11), oppure cifia e zero, entram— bi provenienti dall’arabo sifr. alludere: verbo irregolare di 2° coniugazione in -ere, XI. 181.

almeno: avverbio composto; può introdurre un congiuntivo ottativo («almeno tacessel», XIII. 34) o collegarsi, nella reggente, a una proposizione concessiVa: « se non potevi telefonare, potevi almeno scrivermil», XIV. 154. alopecia / alopecia: v. ACCENTO, & 10, e il

riquadro ACCENTO NELLE PAROLE DI ORIGINE GRECA (v. anche I. 18521). alquanto: aggettivo e pronome indefinito quantitativo, VII. 205-206. 208.

ALTE, VIRGOLE'ITE: v. I. 227-229 e la voce VIRGOLETTE. ALTERATO: v. ALTERAZIONE. ALTERAZIONE: particolare tipo di suffissazione, per mezzo della quale il significato della parola di base non cambia nella sostanza, ma viene alterato, acquistan-

do particolari sfumature in relazione alla quantità, alla qualità, al valore. Per esempio, la parola casa ha vari alterati,

che designano sempre lo stesso oggetto, ma ne precisano alcuni aspetti: casina, casetta, casellina, casuccia ( : una casa

piccola), caserta ( : una casa grande), casaccia (una casa brutta), XV. 3b. 64— 79.

XIV. 91 e le voci INTERROGATIVE DIRETTE, PROPOSIZIONI, & 1 e INTERROGATIVE

INDIRETTE, PROPOSIZIONI. ALTERNATIVE, INTERROGATWE‘: v. XIII. 8;

XIV. 91 e le voci INTERROGATIVE DIRETTE, PROPOSIZIONI,Q 1 e INTERROGATIVE INDIRETTE, PROPOSIZIONI. alto-: il plurale dei nomi composti con a.è indicato in III. 143a. alto: V. 34. altresì: congiunzione copulativa (XIV. 18), usata anche nel nesso correlativo

«non solo…ma altresì» (XIV. 28c). altrettale: aggettivo dimostrativo, raro e letterario, VII. 137.

altrettanto: aggettivo e pronome indefinito quantitativo, VII. 205-207; avverbio quantitativo, VII. 47b.

altri: pronome indefinito singolativo, VII. 173. altrimenti: avverbio derivato, XII. 13.

altro: aggettivo e pronome indefinito singolativo, VII. 146. 149. 157. 169-172;

XIV 218. altroche': forma olofrastica composta da altro e che usata in risposte affermative, VII. 170. altrui: aggettivo e pronome indefinito singolativo, VII. 146. 174.

ambedue: aggettivo e pronome numerativo, VI. 42.

ambo: aggettivo e pronome numerativo, VI. 42. americani / Americani (gli): v. il riquadro ETNICI, MAIUSCOLE NEGLI, e I. 194h.

AMERINDIANE, LINGUE: un confronto fra l’italiano e le 1. a. è in III. 7. ammansare / ammansire: verbo sovrabbondante, XI. 123b.

ammettere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 255; XIV. 41-51.

ampissima / amplissimo: il superlativo di ampio presenta due forme: una, regolare: ampissima («con la sottana ampissima» Palazzeschi, «il cerchio ampissimo» Gozzano) e una modellata sulla base latineggiante, oggi disusata, amplo (lat. AMPLUS). Entrambe le forme sono da considerarsi corrette, ma quella più comune, e dunque più raccomandabile, è la seconda (v. V. 64.)

497 Un altro caso di forma latineggiante che si è imposta su quella regolare è templi invece di tempi (v. il riquadro tempio).

annettere

anastomòsi / anastomosi: v. ACCENTO, %

ANACOLUTO: tradizionalmente si definisce a. l’interruzione di una costruzione che si determina per l’intromissione di una

10, e il riquadro ACCENTO NELLE PAROLE DI ORIGINE GRECA . ANASTROFE: V. INVERSIONE. anche: congiunzione coordinante copulativa (XIV. 18); può essere membro correlativo di una proposizione comparativa («come il corpo vuole nutrimento, an-

seconda costruzione: insomma, una

che l’anima lo vuole», XIV. 216); se ac-

frattura sintattica del tipo «io speriamo che me la cavo» (XIV. 10). ANAEORA: & 1. In retorica, ripetizione di una parola o di un gruppo di parole all’inizio di più frasi O versi successivi: «Per me si va ne la città dolente, / per me si va ne l’etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente» (Dante, Infer-

compagna un gerundio («anche facendo...») ha valore subordinante concessi— vo (XIV. 1840); preceduta da se (se an— che) dà luogo a una locuzione congiuntiva subordinante ipotetica (XIV. 165a); segrita da se (anche se) dà luogo a una locuzione congiuntiva subordinante concessiva (XIV. 165a. 167a. 174).

no, III 1-3), XIV. 7. è 2. In linguistica te-

anchilòsi / anchìlosi: v. ACCENTO, @ 10, _e il

stuale (cfr. IX. S) per a. si intende il riferimento «all’indietro», ossia a qualcosa di cui si è già parlato; v. VII. 125 e le voci ANAFORICI, AGGETTIVI E PRONOMI e DIMOSTRATIVI, AGGETTIVI E PRONOMI, @ 2. Alla nozione di a. si oppone quella di

riquadro ACCENTO NELLE PAROLE DI ORIGINE GRECA. ancora: awerbio di tempo, XII. 32a; XIV.

200. ancorché:

congiunzione

subordinante

concessiva, XIV. 179d.

catàfora, riferimento «in avanti», a

andare: verbo irregolare di 1a coniugazio-

qualcosa di cui si parlerà in séguito (v. VII. 125). ANAFORICl-IE, RIPRESE: v. IX. 10. lla. ANAFORICI, AGGETTIVI E PRONOMI: sono così chiamati i pronomi personali e, soprattutto, i pronomi e gli aggettivi di-

tempi verbali, può essere usato come ausiliare del passivo in luogo di essere (andò perduto, XI. 16). In unione con un gerundio, è un verbo fras_egjogico che indica lo svolgimento di un’azione: «i ru-

mostrativi usati in funzione anaforica,

mori Si erano andati infoltendo», XI.

cioè per richiamare qualcuno o qualcosa menzionato in precedenza. Possono svolgere questa funzione egli (VII. 16 , lo (VII. 43), questo e quello (VII. 125 , costui (VII. 134), colui (VII. 135), tale (VII. 136), detto, anzidet'to 6: sim. VII. 139), esso (VII. 1400), stesso VII. 1420), tanto (VII. 211c). ANALISI GRAMMATICALE: per a. g. si inten-

480. Usato impersonalrnente, può reggere una proposizione soggettiva esplicita («non mi va che tu parta») o implicita («non mi va di partire»), XIV. 68. anderò, anderei (andare): XI. 129b. ANFIBOLOGIA: discorso o espressione suscettibili di essere interpretati in modi diversi. Può essere stilisticamente neutra («il timore dei nemici»; solo il contesto può chiarire se il complemento di specificazione abbia valore soggettivo O

de, tradizionalmente, la scomposizione

di una produzione linguistica nei suoi elementi portatori di significato lessicale 0 grammaticale, fino all’attribuzione di questi ultimi a una delle categorie di riferimento rappresentate dalle parti del discorso (II. 1-2. 4). ANALISI LOGICA: per a. 1. si intende l’esame dei costituenti della frase, cioè di tutti

gli elementi che all’interno della frase svolgono una funzione sintattica (soggetto, predicato, complemento, attribu-

to, apposizione), II. 1. 6.7. ANAPTISSI: v. EPÈNTESI.

ne, XI. 128-130. Con determinati verbi e

oggettivo) oppure marcata, soprattutto

in senso ironico-scherzoso (giochi di parole, indovinelli, ecc.).

angere: verbo difettivo di 2“ coniugazione in -ere, XI. 99.

ANIMALI, VERSI DEGLI: le onomatopee che riproducono i versi degli animali sono illustrate in X. 47-48. annegare: verbo transitive e intransitivo, XI. 4f. annettere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 182.

498

annominazione ANNOMINAZIONE: sinonimo, a seconda de—

gli autori, di figura etimologica O di paronomasia.

nome proprio particolarmente famoso come se fosse un nome comune (per esempio, la pillola è, per a., quella anti— concezionale, ed ercole indica, per a.,

anòdino lanodino: l’etimo di questo ag— gettivo, adoperato un tempo in medicina co] valore di ‘calmante’ e oggi nel— l’uso comune in quello traslato di ‘genen'co, vago, insignificante’, è il greco

una persona di grande forza, III. 38). ANTROPÒNIMO: nome proprio di una persona; può distinguersi in primo nome (per i cristiani si può anche parlare di

ano'dynos, giunto a noi, come la stra-

ve), cognome (Ferri, Dupont), soprannome (il Caravaggio, Guglielmo il Conquistatore). Nell’antica Roma l’a. era tripartito e si articolava in « raenomen» (Gaio), «nomen» (Giulio) e «cognomen» (Cesare), III. 3. anzi: congiunzione coordinante sostituti—

grande maggioranza delle parole di origine greca, attraverso la mediazione del latino ANÒDYNUS. L’accento dOvrebbe cadere sulla terzultima sillaba,

come avveniva nelle due lingue classi—

i che; ma l’influenza delle numerosissi— me parole italiane in -ìno (latino, bovi— no, genuino) ne ha favorito lo slittamento sulla penultima sillaba. Entrambe le accentazioni sono accettabili; quella più sorvegliata (preferibile, trattandosi di parola d’uso ricercato, che presuppone una certa consa evo— lezza linguistica in chi l’adopera) è la prima. (v. I. 189). ANTECEDENTE DI UN PRONOME RELATIVO: per la definizione di a. di un pronome relativo v. VII. 217, XIV. 248, la voce

RELATIVI, PRONOMI, e il riquadro RELATIVI, PRONOMI, USO DEI. 5 1; più ampie indi-

cazioni sul rapporto, sulla posizione re— ciproca e sulla concordanza morfosintattica fra antecedente e pronome r. sono in VII. 218-220). anteporre: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 275.

ANTERIORE, FUTURO: v. FUTURO ANTERIORE. anteriore: v. V. 82-83 e la voce AGGETTIvo, & 9.

«nome di battesimo»: Carlo, Geneviè-

va, XIV. 22h.

anziché, anzi che: congiunzione subordinante awersativa («sarebbe meglio sfogarsi, anziché accumulare rancore»,

XIV. 212-213a); anticamente, anche congiunzione subordinante temporale (XIV. 188. 200). anzidetto: forma usata come aggettivo dimostrativo nel linguaggio burocratico, VII. 139. apersi, aperse / aprii, aprì: v. il riquadro aprire e XI. 334-335. APERTA, SILLABAZ v. LIBERA, SILLABA. ANCI: v. I. 227. 230 e la voce VIRGOLETTE. APLOLOGIA: caduta di una sillaba in una sequenza che presenti in successione la

stessa sillaba o una sillaba simile (per esempio, in suso > su o in pietade > pietà: quest’ultima prodottasi in contesti in cui il sostantivo era seguito dalla preposizione di: «pietade di me» e simi— li), I. 78a; XI. 133. APOCOPE: detta anche troncamento, consi-

ste nella caduta di un elemento fonico in fine di parola (1. 76-77): può trattarsi di una sillaba (in tal caso si ha a. sillabica: grande > gran, I. 76-81) 0 di una vocale (in tal caso si ha a. vocalica: signore > signor, I. 82-87). I casi di a. obbligata O usuale sono descritti in I. 79-80. 82-

ANTICO INDIANO: un confronto con l’a. i. è in IV. 1. antiporta / antiporto: III. 33. ANTISUFFISSO: v. lNTERFISSO. ANTONINIO: si dice a. un termine che abbia significato opposto rispetto a un altro (per esempio, bello\e bratto sono a.; al— tri esempi in V. 2). E nozione speculare a quella di sinonimo. Antonio / Anton: I. SOC. ANTONOMASIA: l’a. è una figura retorica che consiste nell’adoperare un nome comune con un significato molto speci-

nelle preposizioni articolate (a’, de’, IV. 80), nel numerale una (un, VI. 14), nell’infinito seguito da un pronome atomo (amarti, VII. 73), nel dimostrativo quel-

fico o, al contrario, nell’adoperare un

lo (quel, VII. 119), nell’indefinito una e

84; i casi di a. facoltativa sono descritti

in I. 78. 85-86. Altri casi si registrano. negli infiniti e in usi allocutivi (andà, dettò, tratto centromeridionale, I. 99),

499 composti (un, alcun ecc., VII. 147), in quale e tale (tal modo, certo qual modo VII. 148. 248), nella 2“ persona dell’imperativo di tenere e venire seguita da emolitica (tienlo, vienci, XI. 166. 354), in alcuni aggettivi che fungono da base di avverbi in -mente (benevolmente, XII.

11 . APÒDOSI: v. XIII. 21. 37; XIV. 89. 96. 145 sgg. e la voce COND1ZIONALI, PROPOSIZIONI. APOSTROFO: segno che indica l’elisione (l’uomo) e talvolta l’apocope (sta’ zitto, I. 72. 87.99. 242-245), nonché la riduzione delle cifre indicanti un anno (il ‘68, I. 246), adoperabile anche in fin di rigo (v. sotto). APOSTROFO [N FIN DI moo: l’opportunità di evitare, nei testi a stampa, l’apo— strofo in fin di rigo risponde a criteri di estetica tipografica. Dal punto di vista linguistico non c’è motivo di considerare erronea una scansione dell’ l ora (abituale nelle stampe dei secoli scorsi e oggi praticata di tanto in tanto). Si può naturahnente inglobare nel rigo la prima sillaba della parola successiva (dell’O ! = ro); quel che va dawero evitato è l’arbitraria reintegrazione della vocale finale elisa, che creerebbe se-

quenze inaccettabili in italiano (*dello | oro). (v. I. 167).

arancioni

sizione non ha un ruolo autonomo all’interno della frase, ma dipende dal termine che accompagna; può essere a. del soggetto, del 0. oggetto, di qualsiasi c. indiretto e della parte del predicato nominale. Quando l’a. è data da un unico nome, è detta semplice: «l’ingegner Marino è desiderato al telefono»; quando al singolo nome che fa da apposizio— ne si aggiungono altri elementi, si parla di a. composta: «quello è Pruzzo, il grande centravanti della Roma anni Settanta» (II. 6. 46—49). apprendere: verbo irregolare di 2" coniu— gaz1one rn -ere, XI. 278. approfittare / approfittarsif XI. 26. aprire (verbo irregolare di 3" coniugazione): l’alternativa tra forme forti 0 ri— zotòniche (accentate sulla radice Jgr. rhiZa]: apèrsi) e deboli o rizoàtone accentate sulla desinenza: aprii) riguarda anche il verbo coprire e i suoi composti: ricoprire, scoprire, riscoprire. Le più correnti (e consigliabili) sono oggi que]le deboli; ma quelle forti, altrettanto co-

muni in passato, non possono dirsi usci-

te d’uso (e quindi erronee). Ecco un recente esempio giornalistico di aperse: «si aperse la discussione sulle presunte stravaganze del pittore» («Corriere della Sera» 3.9.1995). (v. XI. 334—335). aquila / aquilotta: III. 36.

apparire: verbo irregolare di 3“ coniugazione, XI. 332-333; XIV. 67. 77a. appartenere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ére, XI. 165. APPELLATIVI, VERSI: v. II. 34. 43; V. 8; XI.

6b e la voce VERBO, & 7. appena: awerbio di quantità, XII. 45;

XIV. 200; può introdurre una proposizione temporale, XIV. 201a. appendere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 183.

applaudire: XI. 82h. apporre: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 275. APPOSITIVO, GERUNDIO: v. XI. 424.425c e la voce GERUNDIO, & 2.

APPOSITIVO, NOME: v. APPOSIZIONE. APPOSIZIONE: è un nome che accompagna un altro nome (o un elemento con valore nominale) per meglio descriverlo e determinarlo. Come l’attributo, l’appo—

ARABO: un confronto con l’a. è in I. 7. 172,

III. 83 e XI. 17. _ arancia / arancio: a differenza di altre coppie come mela/melo, pera/pero, albicocca/albicocco, in cui il femminile

designa il frutto e il maschile l’albero, in questo caso il frutto è stato spesso denominato, fin da epoca antica, con il maschile (probabilmente per il parallelo di un altro diffusissimo agrume, il limone, in cui una stessa forma ha da sempre indicato l’albero e il frutto). È preferibile mantenere la distinzione, tuttora largamente rispettata da larghi strati di parlanti, anche se la generalizzazione di arancia non può considerar— si scorretta (v 111.11). arancioni: ‘appartenenti a una comunità religiosa’, V. 51.

500

aru [ arco arca / arco: III. 31.

ardere: verbo irregolare di 2a coniugazio-

NE ei riquadri annessi) sono rappresentabrlr nello schema che segue:

ne in -ere, XI. 184. 122a. ardire: XI. 122a; XIV. 46.

arei (avere, arcaico): XI. 65d. ARGOMENTO, COMPLEMENTO D]: è un cornplemento indiretto che indica l’argomento o la materia di cui si parla, si scrive, si tratta. E introdotto dalle pre— posizioni di, su, circa, sopra e dalle 10-

cuzioni preposizionali a proposito di, riguardo a, intorno a. Esempi: «abbiamo parlato a lungo di politica», « Ho letto

un libro sulla scoperta dell’America» (II. 61; VIII. 13. 102). aria (per, nell’): locuzione awerbiale di luogo, XII. 42. arma: plur. armi (ant. arme), III. 88-89. ARMENO: un confronto fra l’italiano e l’a. è in III. 2. Arno: l’uso dell’articolo determinativo con l’idronimo A. è illustrato in IV. 44a. arò (avere, arcaico): XI. 65d. arrendersi: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 289.

arridere: verbo irregolare di 2’ coniugazione in -ere, XI. 291.

arrivedello: formula di saluto (toscano), X. 39. arrivederci, arrivederla: formule di saluto, X. 39. arrogere: verbo difettivo di 2“ coniugazione in -ere, XI. 100.

arrossare / arrossire: verbo sovrabbondante, XI 123a.

arrosto: aggettivo invariabile, V. 18f. arteriosclerosi / arteriosclèrosi: v. ACCENTO, 5 10, e il riquadro ACCENTO NELLE

PAROLE DI ORIGINE GRECA. ARTICOLATE, PREPOSIZIONI: v. IV. 77-85; VIII. 14; IX. 411 e la voce PREPOSIZIONE, 5 S.

ARTICOLAZIONE, LUOGO DI: v. I. 35 e la voce CONSONANTI, @ 3.

DETERMINATIVO INDETERMINATIVO masch.

temm.

masch.

temm

sing.

il, lo (l')

la (I’)

un, una

una, un'

plur.

I', gli

le

Costituiscono casi particolari le forme da usare coi nomi stranieri (IV. 6-8), con le sigle (IV. 9—12;v. riquadro in fondo alla voce), con la parola dei, plurale di dio (IV. 13). €; 2. L’etimo dell’a. determinativo, le forme e gli usi antichi sono illustrati in IV. 14-16. è 3. Quanto alla sintassi dell’a. determinativo, sono

da segnalare una sua possibile funzione dimostrativa (IV. 17-20), l’uso coi primi

nomi (IV. 21-23, v. anche il riquadro in fondo alla voce), coi cognomi (IV. 2432), coi titoli onorifici o professionali

(IV. 32-34), con Dio e Cristo (IV. 35), coi nomi propri di luogo (IV. 36-48), con i possessivi (IV. 49-59), con le espressioni di tempo (IV. 60-61). 5 4. L’etimo e gli usi correnti dell’articolo indeterminativo, il suo plurale rap resentato dal cosiddetto a. partitivo «un amico / degli amici») sono illustrati in IV. 62-64 (sull’a. partitivo si veda anche IV. 76); gli usi particolari sono illustrati in IV. 65-71; V. 61; VII. 149. 179. 192. 206a; XI. 4073. è 5. I casi di omissione

dell’a. determinativo o indetemrinativo (come in «Giovanni Rossi, dottore in lettere», per pietà, avere sete, carte da

gioco, lavorare in fabbrica, parlare inglese, borsa di pelle e altri) sono descritti in II. 46; IV. 72-74. è 6. Una preposizione semplice (di, a, da, in, con, su, per,

tra, fra) unita a un articolo determinativo dà luogo a una preposizione articolata, che può avere forma analitica (la preposizione e l’a. restano separati: per

ARTICOLAZIONE, MODO DI: v. 1. 35 e la voce

_+ il : per il) o sintetica (la preposizione

CONSONANTI, @ 4. ARTICOLO: 5 1. L’a. è una parte variabile

e l’a. si presentano uniti: di + il : del,

del discorso che precede il nome, con— corda con esso in genere e numero e lo qualifica in vario modo: «un caffè con lo zucchero in una tazzina». I due tipi (determinativo e indeterminativo) e le varie forme di a. (gli uni e le altre descritti in IV. 1-5; v. anche la voce ELISIO-

IV. 77-85; VIII. 7). ARTICOLO CON I PRIMI NOMI, uso DELL’: l‘im iego dell’articolo con i primi nomi 0, per i Cristiani, «nomi di battesi—

mo») è limitato all’italiano regionale settentrionale per i maschili. I femminili ricevono invece l’articolo anche

501

nell’uso toscano (e per questa via sono ben ra presentati nella tradizione letteraria . Il tipo la Maria è comunque limitato all’uso familiare: non si userebbe l’articolo per una donna del passato (*I’Elena di Troia), né per una donna contemporanea illustre, 0 con la quale comunque non si abbia consuetudine (*I’Elisabena d’Inghilterra). Talvolta si sente adoperare l’articolo anche nella sequenza nome femminile + cognome (la Maria Celani), mentre al maschile un uso del genere sarebbe possibile solo in ambito burocratico (per esempio, in un’aula di tribunale: il Carlo Grotti, o anche il Grotti Carlo). (v. IV 21-23). ARTICOLO DAVANTI A I SEMICONSONANTICA, uso DELL’: davanti a una i semicon— sonantica (cioè atona e seguita da un’altra vocale: iato, ieri, ietîatore, Io-

nio) si dovrebbe oscillare tra l’articolo elise (parallelo all’articolo che usiamo davanti a una vocale, e in particolare davanti alla n semiconsonantica: l’iato come l’uomo) e l’articolo il, che ado-

periamo davanti a consonante semplice (il iato). In effetti, la tradizione grammaticale e l’uso degli scrittori fino al primo Novecento sembrano limitarsi a queste due possibilità: l’iato (come nel settecentista Anton Maria Salvini e in Italo Calvino), il o un iato (come in Foscolo e Gramsci). Tuttavia, negli ultimi decenni si è affermato l’uso dell’articolo pieno lo e uno e non c’è che da prendere atto di questa generalizzazione. Nelle armate del «Corriere della Sera» comprese tra 1992 e 1995 ricorre soltanto, con 9 esempi, lo (0 una) iato. (v. IV. Sa). ARTICOLO DAVANTI A SIGLE, USO DELL’: davanti alle sigle comincianti per una consonante l’uso dell’articolo è oscillant e, sia per il rapido declino di molte sigle che non favorisce la stabilizzazione del relativo articolo, sia per la frequente interferenza della pronuncia inglese, nel caso di sequenze angloamericane. In particolare: è 1. Se la sigla

articolo davanti a w, uso dell’

PIN [=Personal Identification Number ‘codice d’identificazione personale’] come un pino); % 2. Se la sigla e pronunciata per lettere distinte e la prima lettera ha il nome cominciante per consonante (come b ‘bi’, [ ‘ti’ ecc.), avremo la al femminile eil al maschile: la BNL (bi—enne-elle), il PM (piemme); 5 3. Se il nome della prima lettera comincia er vocale (come s ‘es— se’, [ ‘elle’ ecc. , c’è grande incertezza.

Per il femminile, si può oscillare tra la forma piena e la forma elisa dell’articolo («L’assicurazione ha modificato l’importo della RCA /;dell’RCA»);

per il maschile, tra il el’ (il FBI e l’FBI, oppure il LSD e l’LSD). (v. IV. 9. 12). ARTICOLO DAVANTI A W, USO DELL’: nelle

parole, tutte d’origine straniera, comincianti con w-, questa lettera può corrispondere a due suoni distinti: la semiconsonante di uomo (come in whisky) ola consonante divario (come in wafer). Nel secondo caso l’uso dell’articolo è semplice: si adopera l’articolo debole il, i (e l’indetenninativo un) richiesti davanti a una parola ini— ziante per consonante semplice; quindi il wafer, il Wagner. L’uso è;—stabile an-

che per i derivati italiani da parole angloameric'ane, nei quali w’- si pronuncia

sempre [v]: washingtonia ‘genere di piante’ (pronuncia: vase-). Le incertezze sorgono davanti ai forestierismi non adattati in cui w- si pronuncia come semiconsonante. L’astratta logica grammaticale vorrebbe che davanti a whisky o Webster figurasse lo stesso articolo elise [’ che tutti adopereremmo davanti a una parola come uomo. In realtà l’uso tende a preferire il, probabilmente perché all’occhio del lettore italiano la lettera w è una consonante,

qualunque sia il valore fonetico che ha nella lingua straniera di partenza. Per lo stesso motivo si dice uno swatch, an—

che se la sequenza dei suoni e la stessa

di suocero [swotf]: anche in questo caso la lettera w viene percepita, indipendentemente dalla pronuncia, come una consonante e quindi, in combinazione

è pronunciata come una sola parola,

con s, richiede l’articolo lo come in

l’uso dell’articolo segue la norma generale (la FIAT come la fiamma, un

svogliato o svolazzo. (v. IV. 8).

502

articolo I articolessa articolo / articolessa: III. 37. ASCENDENTI,DHTONGHIZ v. I. 54 e la voce

DHTONGO. ascendere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 298.

ascondere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 265.

sato, come aggettivo e pronome indefinito quantitativo, VII. 214. assalire: verbo irregolare di 3a coniugazione, XI. 346.

ASSEVERATIVO, VALORE: è il valore assunto dalla congiunzione se quando, in una frase esclamativa, enfatizza una rispo-

ascrivere: verbo irregolare di 2a coniuga-

sta affermativa: «-Lo conosci: -Se lo co-

zione in —ere, XI. 302. asindeto: v. I. 220a; V. 42; XI. 357; XIV. 5. 6. 8 e la voce FRASE, % 5.

assidersi: verbo irregolare di 2a coniuga-

asma (masch. / femm): come altri vocaboli in -ma, risalenti in ultima origine a parole greche neutre in -ma (enigma, [ poema, schema, ecc.), anche asma è di genere maschile: asma allergico. Ma è molto diffuso (anche presso i medici) il genere femminile, dovuto all’attrazione esercitata dalla massa dei femminili uscenti in -a (v. III. 26). aspergere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 185.

asperrimo: al regolare superlativo di aspro si affianca la forma latineggiante rifatta su ASPERRIMUS (esempi paralleli sono miserrimo e saluberrimo, accanto a miserissimo e salubrìssimo, in verità

nosco!», XIII. 26. zione in -ere, XI. 186.

ASSIMILAZIONE PARZIALE: si ha a. p. quando la distanza articolatoria tra due consonanti consecutive si riduce senza annullarsi,‘come avviene nell’assirnilazio-

ne regressiva o progressiva, che è totale: per esempio, nel toponimo Mombello la nasale di Mon-, originariamente den-

tale [11], si assimila parzialmente alla b di -bello, diventando una nasale labiale

[in] (I. 80). ASSIMILAZIONE: processo per il quale, nell’incontro tra due consonanti diverse,

una diventa uguale all’altra; l’a. è re— gressiva se la seconda consonante rende simile a sé la prima (lat. ADMITI‘O > it. ammetto), è progressiva se la prima consonante rende simile a sé la seconda (lat. UNDA > dial. centromerid. anna), I. 64. 98; XI. 126b; XV. 83. 101.

poco usati). Si tratta di forme rare, che tuttavia possono ricorrere o in uno scritto stilisticamente sostenuto ovvero con intenzione faceta. Due esempi giornalistici possono illustrare queste due possibilità: «Sono quattro fantasmi di personaggi soespiriani che penetrano intimamente in un quotidiano miserrimo e desolato portando dentro di loro solo lontani echi della propria storia» («Corriere della Sera»

ASSIMILAZIONE CON [ PRONOMI ATONI (tiemmi / tienimi; viernmi / vienimi): nell’imperativo di tenere e venire, la norma tradizionale — oggi largamente,

11.11.1995; in una recensione); «la san-

mi, tienilo, vienici. Entrambe le serie

ta alleanza sui pedali tra i due eroi del

sono da considerarsi accettabili (V. XI. 166. 354).

ciclismo nostrano [Bartali e Coppi], nemici asperrimi in patria» (stessa testata, 1.11.1995). (v. V. 70c). ASPETTO VERBALE: v. V. 35; XI. 30 e le vo-

ci fraseologici, verbi e VERBO, @ 14. ASPE’ITUALI, VERE]: v. FRASEOLOGICI, VERRI. ASP1RATA: I. 134. assai: avverbio di quantità (XII. 470. 71d), spesso usato per intensificare un aggettivo di grado ositivo («assai alto» : altissimo, V. 72 , adoperato anche, in pas-

e forse irrimediabilmente, disattesa —

richiedeva l’apocope della vocale finale in presenza di un pronome atomo, con successiva assimilazione nel caso dei nessi -nm- e -nl—: tiemmi, tiello,

vienci, invece delle forme piene tieni-

assise: nome plurale, III. 151d. assistere: verbo irregolare di 2“ coniuga— zione in -ere (XI. 187), di uso transitivo e intransitivo (XI. 4g). assolutamente: va sempre più diffondendosi l’uso dell’awerbio isolato con funzione olofrastica, di pari passo con altre espressioni brachilo che (come afiatto per ‘nient’affatto’ Firedi] o gra-

503 zie.’ in risposta a un’offerta o a un invito: e in tal caso l’interlocutore può vedersi costretto a riformulare la domanda: «Grazie sì 0 grazie no?»). Due esempi da interviste apparse sul «Corriere della sera»: «E giusto che l’Italia partecipi alla missione militare di pace? — Assolutamente [= assolutamente sì]. Nonostante il ruolo dell’Italia e

attributo

co è descritto in IV. 74a. astringere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 247. 313.

ATMOSFERICI, VERBI: v. METEOROLOGICI, VERRI. ATONI, PRONOMI: il quadro dei p. a. (per l’uso dei quali, v. VII. 31 -83, e il riqua-

dro NEGATIVO, IMPERATIVO), è il seguente:

della Germania nell’ultima guerra, io

credo che entrambi questi Paesi debbano prendere parte alla missione» (23.11.95); «Non ha nulla da rimproverare agli investigatori e ai magistrati? —

Assolutamente [= assolutamente no]. Anzi l’impegno di tutti ci da ancor più coraggio» (12.9.95). In casi del genere non è in gioco la grammatica, ma solo l’opportunità di scegliere la soluzione più chiara ed esplicita. Del resto, an-

maschile

femminile

mi

mi

2" persona

ti

ti

3" persona

gli. la

le, la

4“ persona

ci

1“ persona

5“ persona

'

vi

ci



vi

6“ persona

Idra (gli), [i

loro (gli), le

riflessivo singolare e plurale

si

ri

che nelle interviste, le formule più ri-

correnti sono quelle complete: «Sarebbe pronto a “licenziare” uno dei suoi assessori? —Assolutarnente sì»; «E ve-

ro che sostituirà Vianello a Pressing? — Assolutamente no» («Corriere della sergr», 30.12.1995 e 27.12.1995). (v. XII. 53i . ASSOLUTO, GERUNDIO: v. GERUNDIO AssoLU1‘O. ASSOLUTO, PARTICIPIOZ v. PARTICIPIO ASSOLUTO. ASSOLUTO, SUPERLATIVO: v. V. 60. 63-70. 86 e la voce AGGETTIVO, & 9.

assolvere: verbo irregolare di 2‘1 coniugazione in —ere, XI. 188—189.

assorbire: XI. 82b. assuefare: verbo irregolare di 1“ coniugazione, XI. 135b.

assumere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 190.

assurgere: verbo irregolare di 2” coniugazione in -ere, XI. 191.

astenere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ére, XI. 165.

astergere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 320.

ASTERISCO: segno d’interpunzione di uso raro e particolare, illustrato in I. 240. astrarre: verbo irregolare di 2" coniugazio— ne in —ere, XI. 325. ASTRATTI, NOMI: v. III. 6 e la voce NOME, %

3. Il fenomeno della mancanza dell’arti— colo coi n. a. nell’italiano antico e poeti-

ATONO, -A: ‘non accentato’ (I. 181). attendere: verbo irregolare di 2" coniugazione in -ere, XI. 319; XIV. 49.

ATTENUATIVO, FUTURO: futuro usato per attenuare un’ affermazione propria («Le dirò [invece che «Le dico»] che non la penso allo stesso modo») 0 per anticipare in forma cortese un’afferma—

zione attribuita all’interlocggre («Ammetterà [invece che «Ammette», «De-

ve ammettere»] che è strano»), XI. 386. atterrare: XI. 122a. atterrire: XI. 122a. atteso che: locuzione congiuntiva subordinante causale, XIV. 111.

attingere: verbo irregolare di 2" coniugazione in -ere, XI. 247. 321. ATTIVI, VERRI: v. II. 24. 44; XI. 10 e la voce

VERBO, 55 8 e 17. attorcere: verbo irregolare di 2a coniugazione in —ere, XI. 324.

attrarre: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 325.

ATTRIBUTIVA, FUNZIONE: v. V. 8 e la voce AGGE’I'I’IVO, @ 4.

ATTRIBUTIVE, RELATIVE: v. LIMITATIVE, RELATIVE. ATTRIBUTO: è un aggettivo o un participio che si riferisce a un nome o a un altro termine usato come nome, con cui concorda in genere, numero e funzione sin— tattica. L’a. non dispone di un ruolo autonomo nella frase: può essere a. del soggetto, del c. oggetto, di un e. indiret-

504

ausiliari di tempo, verbi

to qualsiasi, della parte del predicato nominale, dell’apposizione. Possono

essere a.: a) gli aggettivi di qualunque tipo e i numerali: «una bella ragazza», «la mia ragazza», «la quarta ragazza», ecc.; b) i participi che non abbiano valo-

avemo (avere, arcaico): XI. 65a. avente (avere, arcaico): XI. 64a. avere: 5 1. Verbo ausiliare adoperato per formare i tempi composti dei verbi attivi transitivi (ho amato, aveva visto, XI. 32b) e di un certo numero di verbi in-

re di verbo: «una ragazza scostante;

transitivi, talvolta in concorrenza con

«una ragazza impegnata; c) alcuni avverbi in espressioni particolari: «una ragazza così così» (II. 6. 45). AUSILIARI DI TEMPO, VERBI: v. FRASEOLOGICI, VERE]. ._.

essere (indicazioni dettagliate sulla scelta dell’ausiliare con i singoli verbi in XI.

AUSILIARI, VERRI: la scelta dell’ausiliare

non presenta difficoltà in tre casi: con i verbi transitivi (che richiedono avere per il passato ed essere per il passivo: ho mangiato, sono mangiato), con i verbi impersonali (ausiliare essere: mi è sembrato) e con i verbi pronominali (ausiliare essere: mi sono lavato, mi sono ac-

corta). Con i verbi intransitivi e con i verbi cosiddetti meteorologici (piovere, nevicare ecc.) l’uso e oscillante e, nei casi dubbi, non resta che ricorrere al vo-

cabolario. Nella sequenza verbo servile o trascologico + infinito, l’ausih'are del verbo reggente tende a essere lo stesso di quello richiesto dal verbo retto (ho dovuto lavorare come si dice ho lavorato; sono dovuta uscire come si dice sono

uscita). Tuttavia: è 1. Se l’infinito è un verbo intransitivo, il verbo reggente può costruirsi anche con avere (ho da—

33-43; v. anche AUSILIARI, VERBI. % 2). Quando non- è ausiliare, il verbo a. si

usa come verbo predicativo, con un ampio spettro di significati (da possedere: «ho una casa», a provare: «ho freddo»), XI. 64b. & 3. Con da (meno comunemente, con a) + infinito, a. indica

un’azione futura: «i miei ultimi anni ho da passarlt' male!», XI. 47b. % 4. La co-

niugazione completa è in XI. 63; forme particolari sono riportate e analizzate in XI. 56. 63-64a; forme arcaiche sono

riportate e analizzate in XI. 65-69. averei (avere, arcaico): XI. 65d. averò (avere, arcaico): XI. 65d. avìeno (avere, arcaico): XI. 65b. avrìa (avere, arcaico): XI. 67. avvalersi: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ére, XI. 168.

avvedersi: verbo irregolare di 2‘1 coniugazione in -ére, XI. 170.

l’ausiliare del verbo reggente è avere

avvegnache' (o avvegna che): congiunzio— ne composta usata nell’italiano antico per introdurre una proposizione concessiva esplicita (XIV. 181). avvenire: verbo irregolare di 3" coniuga-

(avrebbe dovuto essere a casa); è 3. Se

zione, XI. 353; XIV. 68. Può avere valo-

l’infinito e passivo, l’ausiliare è quello proprio dei verbi transitivi, cioè avere

re d)i aggettivo («il tempo avvenire», V. 18e . avvenne / avveni: v. VENIRE, COMPOSTI DI. AVVERBIALE, FUNZIONE: dell’aggettivo, V. 8; XII. 24. AVVERBIALI, LOCUZIONI: le 1. a. sono cornbinazioni di due o più parole con funzione di awerbio (XII. 3. 16-17). Possono essere forrnate in vario modo, e precisamente: con una preposizione (a stento, XII. 16), con doppia preposizione (a faccia a faccia, XII. 16; per l’uso con una sola preposizione, v. il riquadro qui sotto), con le preposizioni di… in (di bene in meglio, XII. 16), duplican— do un sostantivo (passo passo, XII. 16), duplicando un aggettivo (bel bello, XII. 16), duplicando un avverbio (or ora, XII. 16), con la preposizione articolata

vuto uscire); @ 2. Se l’infinito è essere,

(avrebbe dovuto essere avvisato); @ 4. Se

il verbo servile regge un infinito pronominale, cioè combinato con un pronome atono, l’ausiliare del verbo reggente sarà essere se il pronome è anticipato (non ci sono potuto entrare), essere o

avere se il pronome è posticipato (non sono potuto entrarci o non ho potuto entrarci). v. VII. 74; XI. 31-43. 86 e le voci VERBO, @@ 11 e 12; avere; essere. avambraccio / avambracci: III. 118a. avanti che: locuzione congiuntiva subordinante temporale, XIV. 188. 200. avantieri: awerbio di tempo, XII. 28. avanzare: verbo transitive e intransitivo,

XI. 4f. ave (avere, arcaico): XI. 65a.

505

alla seguita da un aggettivo femminile (all’antica, XII. 26). Guardando al significato, è possibile distinguere tra l. a. qualificative o di modo (a stento, XII. 25. 26), di tempo (sul presto, XII. 28. 30. 33), di luogo (di qua, XII. 42. 43. 44), di quantità (all’incirca, XII. 45. 48. 49), di giudizio (in particolare, di affermazione : di sicuro; negazione : neanche per idea; dubbio : quasi quasi), interrogative (da dove?). AVVERBIALI CON DOPPIA PREPOSIZIONE, LOCUZIONI (a poco a poco / poco a pa— ca): in casi del genere (a corpo a corpo, a mano a mano, a faccia a faccia), la doppia preposizione è richiesta dalla norma tradizionale in quanto elemento introduttore della locuzione awerbiale. Si tratta di un uso proprio dello stile più sorvegliato, ma il tipo faccia a faccia, diffusissimo, non può essere

considerato erroneo. L’emissione della prima a è stata favorita nei primi due casi dalla frequente sostantivazione di quelle locuzioni: «un serrato faccia a faccia», «un violento corpo a corpo». Anche le locuzioni mano a mano e poco a poco, per le quali non è possibile invocare giustificazioni del genere, sono largamente in uso da tempo. La prima ricorre ad esempio in un passo di Ippolito Nievo («un forno in cui si rattizzi mano a mano la fiamma»), la seconda è considerata corretta dal grammatico Francesco Soave (1770). (v. XII. 26b. 33d) AVVERBIALI, sumssr: v. XII. 6-15; XV. 7. 62 e le voci AVVERBIO, 55 3 e 4 e sums-

avverbio

con l’aggiunta di un suffisso, nella fatti— specie -mente e -oni, XII. 6). 5 3. Il suf—

fisso —mente è proprio dein a. che si formano da un aggettivo (p. es. raro > raramente; i meccanismi di formazione e

le relative particolarità, gli usi e i signifi— cati sono descritti in XII. 7—9. 11-12. 14;

per formazioni da basi non aggettivali v. XII. 10; casi particolari sono gli a. parimenti e altrimenti, XII. 13. è 4. Il suf-

fisso -oni è proprio degli a. che si formano da una base nominale, p. es. ginocchi-oni, o verbale, p. es. ruzzol-oni,

XII. 15. è 5. Dal punto di vista del significato, gli a. possono essere suddivisi in:

qualificativi o di modo; ditempo; di luogo; di quantità; di giudizio (di affermazione e di negazione, di dubbio); inter-

rogativi ed esclamativi; presentativi. @ 6. Sono qualificativi o di modo gli a. in mente (XII. 19—21) e in -oni (XII. 22— 23), gli aggettivi in funzione avverbiale (andava forte, parlava chiaro, XII. 24),

alcuni altri awerbi come bene, male, volentieri, insieme, invano, cosi, come, comunque, ecc. 5 7. Sono di tempo gli a.

ieri, oggi, domani, dopodomani, posdo— mani, ancora (XII. 32a), già (XII. 32h), mai (XII. 320), ora e adesso (XII. 32d), ormai, oramai (XII. 32e), presto e tardi

(XII. 32f), prima, precedentemente, dopo, poi (XII. 32g), sempre, talvolta, talora (XII. 32h), spesso e sovente (XII. 32i). % 8. Sono di luogo gli awerbi fitori, dentro, dietro, davanti, sopra, sotto, vici-

no, lontano (XII. 34-35), qui, qua, quaggiù, qua sotto, qua sopra (XII. 36), quivi (XII. 37), li, là, laggiù, lassù, costi, costà, costaggiù, costassù (XII. 38—40), gli antichi e letterari indi, quindi, quinci

del discorso che, aggiunta a un verbo, a

(XII. 41a), lunge e lungi (XII. 41h), ci e vi (VII. 45), ne (VII. 52). 5 9. Sono di quantità gli a. appena, meno, molto,

un aggettivo, a un nome, a un altro a., a

più, poco, piuttosto, sufficientemente e

una frase, serve a modificarne in tutto o

altri a. in -mente (XII. 45), abbastanza

in parte il significato (XII. 1-2). 5 2. Dal punto di vista della formazione (XII. 3) possiamo distinguere gli a. in semplici (che hanno una forma propria e auto-

(XII. 45-46), afiatto (XII. 47a), altrettanto (XII. 47h), assai (XII. 47c), troppo

noma, non derivata da altre parole, co-

certo, davvero, esattamente, indubbiamente, ovviamente, proprio, sicuramen-

so. AVVERBIO: @ 1. L’a. è una parte invariabile

me oggi, XII. 4), composti (formati da due o più elementi diversi che in origine erano distinti, come talora [< tal ora], XII. S) e derivati (che hanno origine da un’altra parola, trasformata in a.

(XII. 47d). & 10. Sono di giudizio gli a. di affermazione appunto, certamente,

te; l’a. di negazione non; gli a. di dubbio forse, eventualmente, magari, possibilmente, probabilmente, quasi (XII. 5051). 5 10 bis. Sì e no, tradizionalmente

avversative, congiunzioni classificati come awerbi di affermazione e di negazione, sono in realtà «parole olofrastiche»: non modificano, come

gli awerbi, l’elemento grammaticale al quale si riferiscono, ma si comportano come sostituenti di una frase di risposta (XII. 52; i loro usi, e forme particolari come sissignore, nossignore, signorsì, signomò, ni, esattamente e esatto in luogo

di si, punta e mica particelle completive della negazione non, sono descritti in XII. 53—56). è 11. Sono interrogativi gli a. dove? ove?, onde?, a. i. di luogo;

quando? e quando mai?, a. i. di tempo; come? e come mai?, a. i. qualificativi;

quanto?, a. i. di misura; perche’? e perche' mai?, a. i. di causa (XII. 57a). & 12. Tutti gli a. interrogativi, tranne perché e perché mai, compaiono anche in frasi esclamative; in tal caso sono a. esclama—

tivi (XII. 57h). @ 13. Gli a. presentativi si riducono, in sostanza, a ecco (usi e

particolarità sono descritti in XII. 5861) e a vedi, ve’, senti, guarda (XII. 62). 5 14. Anche gli avverbi, come gli aggettivi, possono avere il grado comparativo e il superlativo (per esempio forte > più forte > fortissimo, XII. 63); bene, male, molto, poco, grandemente presen-

tano, come i corrispondenti aggettivi buono cattivo, molto, piccolo, grande,

un comparativo e un superlativo organici: nella fattispecie, bene ha meglio e ottimamente; male ha peggio e pessima— mente, molto ha più (e il normale mol-

tissimo), poco ha meno (e il normale pochissimo), XII. 64. 5 15. Alcuni a. possono avere forme alterate per mez-

zo di un suffisso (per esempio, bene > benino > benone, XII. 65). 5 16. Quanto alla posizione, l’a. tende a collocarsi prima dell’aggettivo («Ha una casa molto bella») e dopo il verbo («Sonia parla molto»); quando modifica un’intera frase, esso e mobile; questioni particolari riguardanti la posizione degli 21. di giudizio, degli a. di tempo e dell’a. di quantità assai sono analizzate e trattate in XII. 71. . AVVERSATIVE, CONGIUNZIONI: v. IX. 3c; XIV. 20.21 e la voce CONGIUNZIONE, 55

5 e 6. AVVERSATIVE, PROPOSIZIONI: indicano un elemento o una circostanza che contra— sta con quanto è espresso nella reggen-

506 te. Possono avere forma esplicita O im— plicita. & 3. Le a. esplicite sono introdotte da quando, mentre (anche rafforzate da invece), laddove, e il modo ver-

bale è l’indicativo («dà tutte le colpe a Marco, quando è lei la vera responsabi—

le») 0, in alcuni casi, il condizionale («si compiace di ciò che fa mentre se ne dovrebbe vergognare»). Le a. implicite sono introdotte da anziché, invece di, in

luogo di, lungi da, nonche’ seguite dall’infinito: «dovremmo darci da fare tutti, anziché protestare soltanto» (XIV. 210-213). AVVERSA’FIVO, VALORE: è il valore che può assumere la congiunzione se in alcune proposizioni concessive e avversative, XIV. 157 avvincere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 328.

avvocato / avvocata / avvocatessa: III. 4445a. v. il riquadro NOMI PROFESSIONALI FEMMINILI. avvolgere: verbo irregolare di 2° coniugazione in -ere, XI. 331.

AZIONE (DI UN VERBO): v. CONCLUSIONE; CONTINUITÀ; IMMINENZA; INCOMPIUTEZ-

ZA; INIZIO; SVOLGIMENTO DI UN’AZIONE. babbo: per la concorrenza con papà v. III. 74-75b; per le modalità d’uso V. IV. 55. BABY TALK: espressione inglese che indica il tipo di lingua usato dagli adulti quando parlano con bambini piccoli, XV. 73. badessa: femminile di abate, III. 73a.

bagniamo / bagnamo: v. il riquadro -gniama / —gnamo. balza / balzo: III. 32. banca / banco: III. 34—35a. banconota (plur. banconote): III. 138. Barbera (il/ la B.): III. 22. e v. anche il riquadro VINI. BARIT;)NESIZ ritrazione dell’accento (I. 189 . BARRA OBLIQUA: v. SBARREITA. BASE (di un sintagma preposizionale): v. VIII. 1 e la voce PREPOSIZIONE, & 1.

BASE (lessicale): v. XV. 1 e la voce FORMAZIONE DELLE PAROLE, & 1.

BASSE, VIRGOLE'ITE: v. I. 227-229 e la voce VIRGOLETI‘E. BASSO, SUONO: I. 13. basso-: il plurale dei nomi composti con b.— è indicato in III. 143a. belga (plur. belgi): III. 93. Per l’uso delle maiuscole e minuscole con i nomi etni-

507

camera I camerino

ci, v. la voce ETNICI, MAIUSCOLE NEGLI, e

BRACIIILOGIA: forma di abbreviazione,

I. 194h. bello: I. 79; V. 34.-35; VII. 109; XIV. 247a. Benàco: I. 189. benché: congiunzione subordinante con-

IV. 36h. Brenta (il/ la B.): III. 20. brindisi: nome terminante in -i eccezio-

cessiva, XIV. 174. 179a.

benché + indicativo: la congiunzione concessiva benché vuole normalmente il congiuntivo (come quantunque e sebbene; l’indicativo è invece fichiesto

da anche se). L’indicativo tuttavia può ricorrere, anche nello scritto sorvegliato, quando la proposizione concessiva sia presentata come un’aggiunta ri— spetto alla sovraordinata (e in tal caso è separata da un segno interpuntivo più forte della semplice virgola: il punto e virgola o il punto fermo) o sia proiettata nel futuro. Ecco un esempio di Luigi Pirandello: «Per quanto prati— chi con loro, non riesci mai a imparare

che diavolo covino nel fondo; sempre distratti e come assenti; benché poi,

quando meno te l’aspetti, li vedi montare su le furie per certe cose da nulla». (v. XIV. 174). bene: avverbio qualificativo, XII. 27. 64—

nalmente maschile, III. 27. brioscia, -see: forma adattata del francese brioche, -ches, III. 1320. brisa: ‘mica’, XII. 56.

brodo / broda: III. 37. buca / buco: III. 34»35b. budello (plur. budelli / budella): III. 118b. bue (plur. buoi): III. 112a. BULGARO: sulla presenza dell’italianismo ciao in b. v. X. 43. , buonanotte: fonnula di saluto, X. 42. buonasera: formula di salutò, X. 41. buondì: formula di saluto, X. 40.

buongiorno: formula di saluto, X. 41. buono: V. 32. 34. 79. BUROCRATICO, LINGUAGGIO: alcuni aspetti del 1. b. sono descritti in IV. 15; VI. 11;

VII. 89. 123. 139. 227. busta / busto: III. 31. ”c: i due diversi valori, velare (casa) e palatale (cera), del grafema c sono illustrati in I. 122. ca’: I. 80d. 245. cadauno: aggettivo e pronome indefinito collettivo, VII. 178. 186-187.

65.69. benedire: verbo irregolare di 3“ coniuga— zione, X1. 340. v. anche DIRE, COMPOSTI DI.

cadere: verbo irregolare di 2%eniugazio— ne in -ére, XI. 139-141. cadùco: I. 189. caggio (cadere, arcaico): XI. 140.

beneficentissimo: superlativo di benefico,

cagna: femminile di cane, III. 73b. calare: verbo transitive e intransitivo, XI.

V. 69. 70bd. benevolentissimo: superlativo di benevola, V. 69. 70bd. Bengàsi: I. 189. bensì: congiunzione coordinante sostitutiva, XIV. 22.

bere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 192-194. berretta / berretto: III. 32. bevere: ‘bere’, XI. 193. BIDIVERGENTE, COPPIA: I. 2.

BILABIALI: I. 40. bilancia/ bilancio: III. 39. BISDRUCCIOLI, VOCABOLIZ v. I. 172 e la voce ACCENTO, 5 6.

boccaporto (plur. boccaporti): III. 138. bove: variante toscana e letteraria di bue,

III. 112a. Borsa / borsa: v. il riquadro OMÒNIMI, GRAFIA DEGLI. braccio (plur. bracci / braccia): III. 118a.

4f. calcagno (plur. calcagni / calcagna): III. 118c. CALCO: fenomeno per il quale una lingua ne influenza un’altra facendo cambiare di significato una parola già esistente in questa (c. semantico, come parlamento ‘assemblea’, dall’inglese parliament; si-

gnificato italiano precedente: ‘discor— so’), oppure favorendo la creazione di un composto nuovo coniato con ele— menti indigeni (c. traduzione 0 formale, come grattacielo, dall’inglese sky ‘ciclo’ e scraper ‘che gratta’), VI. 22. calere: verbo difettivo di 2“ coniugazione in -ére, XI. 101.

calpesta: ‘calpestato’, participio accorciato di calpestare, XI. 420. v. anche AC-

CORCIATI, PARTICIPI. camera / camerino: III. 36.

508

camera I camera

Camera / camera: v. il riquadro OMÒNIMI, GRAFIA DEGLI. camicie / camice: v. NOME, & 13 e il riquadro NOMI IN -CIA, -GIA, PLURALE DEI. camione, -i: forma adattata di camion, -

ons, III. 132c. cammina cammina: XI. 400c. campionissimo: V. 66. canapa / canapa: III. 39. candela / candelo: III. 33. capitale (ill la c.): III. 40. capo-: per formare il plurale delle parole composte con capo— , bisogna tener conto del rapporto tra i due elementi del composto: capo- può indicare ( 1. ‘colui che è a capo’, ‘capo di’ (capogruppo : capo del gruppo, capostazione : capo della stazione). è 2. ‘capo di altre persone con la stessa mansione’ (capocuoco : capo dei cuochi, capore— dattore = capo dei redattori). {$ 3. ‘pre— minente’, in riferimento perlopiù non a persone ma a cose (capolavoro : lavoro che spicca su altri dello stesso genere, capoluogo : luogo, città a cui fa capo l’amministrazione di altri luoghi). Per le parole femminili il plurale si forma sempre mantenendo invariato capo- : nel caso 1 il plurale è identico al singolare (la capogruppo — le capogruppo; impossibile *le capegruppo); in 5 2 la desinenza plurale è assunta dal secondo elemento (la caporedattrice — le caporedattrici; non *le caperedattrici). Per i maschili, nonostante un certo margine d’oscillazione, la situa-

zione è la seguente: in 5 1 capo- assume la desinenza del plurale e il secondo elemento resta invariato (il capogruppo — i capigruppo); in 55 2 e 3 capo- resta invariato e va al plurale il secondo elemento (il capocuoco — i capocuochi, il capoluogo — i capoluoghi).

(v. III. 139). caposaldo (plur. capisaldi / caposaldi): III. 141b. capovolgere: verbo irregolare di 2" coniugazione in -ere, XI. 331. capro, caprone: maschili di capra, III. 69a. carbone / carbonella: III. 36. carcere (il / la c.): A differenza delle parole uscenti in -o (spontaneamente av-

vertite dai parlanti come maschili) e in

-a (awertite come femminili), quelle terminanti in -e sono ambigue. Questo spiega perché in un certo numero di casi si siano avute oscillazioni di genere nel corso del tempo. In particolare, il lat. CARCER, maschile, è rappresentato in italiano dal maschile il carcere (oggi la forma abituale), e dal femminile la carcere (forse anche per attra— zione del sinonimo la prigione); e di questa incertezza c’è traccia tuttora nel plurale che è, stabilmente, le carceri.

(v. III. 29). CARDINALI, NUMERALI: v. VI. 2-3. 1031 e la voce NUMERALI, @@ 2 e 3.

caro: il tipo caro lei / voi / te è descritto in VII. 91; il tipo caro mio / mio caro è descritto in VII. 109.

carro (plur. carri / carro): III. 121. casa / ca’: 1. 80d. casomai: congiunzione subordinante ipotetica, XIV. 166a.

cassetta / cassetto: III. 32. CASTELLO: l’uso dell’articolo con i toponi— mi composti con castello è illustrato in IV. 46. CATAFORICA, FUNZIONE: v. VII. 125 e le voci CATAFORICI, AGGETTIVI E PRONOMI e DIMOSTRATIVI, AGGETTIVI E PRONOMI, & 2. CATAFORICI, AGGE’ITIVI E PRONOMI: sono così chiamati i pronomi personali e, soprattutto, i pronomi e gli aggettivi dimostrativi usati in funzione cataforica, cioè

per anticipare la menzione di qualcuno O qualcosa (generalmente un’intera frase) che sarà espresso 0 chiarito in seguito («Il problema è questo, lo so bene: non andiamo più d’accordo»; questo e lo anticipano la frase «non andiamo più d’accordo»). Possono o tevano svol— gere questa funzione lo 8101]. 43b), questa e quello (VII. 125), anticamente costui (VII. 134) e colui (VII. 135), tale (VII. 136), sottoscritto (VII. 139). catalano: un confronto fra l’italiano e il c. è in III. 100. camuno: variante antica di cadauno, VII.

187. cattivo: V. 79. calano: variante antica di cadauno, VII.

187. CAUSA EFFICIENTE, COMPLEMENTO DI: v. AGENTE, COMPLEMENTO rr.

509

CAUSA, COMPLEMENTO Dl: è un comple— mento indiretto che indica la causa dell’azione\o della condizione espressa dal verbo. E introdotto dalle preposizioni per, di, da, con e dalle locuzioni preposizionali a causa di, a motivo di, per via

di, a cagione di. Esempi: «non sono potuto uscire per la febbre», «A causa di un’agitazione sindacale, il programma previsto non andrà in onda» (II. 58; VIII. 6f. 17. 56. 95. 111). CAUSALE, VALORE: è il valore che può as— sumere la congiunzione se in alcune proposizioni, XIV. 153. CAUSALI, PROPOSIZION]: indicano la causa per cui awiene il fatto espresso dalla reggente: «Esco perche' e bel tempo». Possono avere forma esplicita o implicita. Le 0. esplicite sono introdotte da perché, poiché, giacché, siccome, come, che, che', per il fatto che, per il motivo che, dal momento che, dato che, visto che, considerato che, in quanto che; il modo verbale è l’indicativo, ma in alcu-

ni casi possono aversi il congiuntivo («sbaglia non perché non studi, ma erché è distratto») e il condizionale «Le telefonerò, perché vorrei esporle un progetto»). Le 0. implicite possono essere costruite: a) con per + l’infinito, perlopiù passato («stava male per aver mangiato troppo»; b) con il gerundio, presente o passato: «conoscendo mio padre, so che si arrabbierà»; e) con il

participio passato: «svegliato dal telefono, non riuscì a riaddormentarsi» (XIV.

92-121). CAUSATIVI, sumssr: suffissi caratteristici di verbi causativi. Sono tali -ificare e -izzare (per esempio, purificare e scandalizzare), XV. 59-60.

CAUSATI“. VERRI! detti anche fattitivi, sono quei verbi che indicano un’azione non compiuta direttamente dal soggetto, ma fatta compiere da altri: per esempio, scandalizzare, VII. 74; XIV. 39-40.

cavallo / caval: I. 80b. cavelle: pronome indefinito collettivo ar— caico, VII. 190a.

cavolo: termine usato come alterazione eufemistica del più triviale cazzo, per rafforzare l’interrogativo che (VII. 253) oppure in funzione d’interiezione primaria (X. 33). cazzo: termine triviale, spesso usato per

che

rafforzare l’interrogativo che (VII. 253). GECO: un confronto fra l’italiano e il c. è in _I. 172e in IV. 1. cedere: verbo irregolare di 2a coniugazio— ne in -ere, XI. 195.

cediglia: I. 202. celeberrimo: superlativo di celebre, V. 69. 70ad. cenato: ‘che ha cenato’, participio passato di cenare con valore attivo, XI. 34b.3.

cennato: forma usata come aggettivo dimostrativo nel linguaggio burocratico, VII. 139. , cento: l’omissione di c. in sequenze di più centinaia indicanti secoli (tipo «visse fra Sei e Settecento») è illustrata in VI. 21. cerco: ‘cercato’, participio accorciato di cercare, XI. 420. V. anche ACCORCIATI,

PARTICIPI. certo: il termine può essere, a seconda del contesto, aggettivo qualificativo (V. 34), aggettivo e pronome (solo al plurale) indefinito singolativo (VII. 146. 149. 160-162. 166) e awerbio di affermazione (XII. 51). certuni: aggettivo e pronome indefinito singolativo, VII. 146. 163.

cervello (plur. cervelli / cervellg): III. 118d. cessare: verbo fraseologico ch‘efin unione con di + infinito, indica la conclusione di un’azione: «cessarono di sparare», XI. 48. _charter / charters (i): v. il riquadro NOMI STRANIERI, PLURALE DEI. ché: congiunzione subordinante causale e finale, I. 177b; XIV. 98. 123. che; è 1. E una parola tra le più ricorrenti in italiano; può avere molti valori e si-

gnificati. @ 2. La distinzione funzionale fondamentale è fra che congiunzione e che pronome e aggettivo. & 3. Come congiunzione, che può introdurre: a) un secondo termine di paragone: «è più largo che lungo», V. 58; molte proposi— zioni indipendenti, e precisamente: b) in italiano antico, una proposizione do— po un’interiezione primaria, X. 2; c) un’interrogativa totale: «che, me lo pre— sti?», XIII. 16a; d) un’interrogativa dubitativa al congiuntivo: «che sia impaz— zito?», XIII. 22); e) un congiuntivo esortativo che esprima comando indiretto: «che la carrozza sia pronta alle sette ! », XIII. 32; f) un congiuntivo otta-

tivo: «che sia la volta buona!», XIII. 34;

g) un’esclamativa introdotta da chissà: «chissà che questa settimana non vinciamol», XIV. 84. Inoltre, che può: h) introdurre una coordinata a una proposizione dipendente: «la polizia è arrivata dopo che era cominciato il comizio e che erano scoppiati i disordini», XIV. 14-15; 1) essere il secondo elemento di una correlazione introdotta da sia o da altri elementi: «si viaggia bene‘ sia in treno che in aereo», XIV. 28ad; m)‘vavere valore di subordinante generico: «vado a lavorare che ancora non è giorno», XIV. 10. 82; n) introdurre molte proposizioni subordinate esplicite, e precisamente: 0) una completivzu «dico che hai ragione», XIV. 33a. 35-77; p) una frase scissa: «è per il tuo bene che ti parlo», XIV. 81; q) una causale (ma il valore causale sfuma s esso in quello subordinante generico): «affrettati, che è tardi», XIV. 98»; r) una consecutiva: «era

così agitato che non ha cenato», XIV. 129. 137; 5) una condizionale (in locuzioni congiuntive subordinanti condizionali): «nel caso che arrivi prima, telefona», XIV. 167 sgg.; t) una concessi— va (in locuzioni congiuntive subordinanti concessive): «è al lavoro, nono— stante che abbia la febbre», XIV.

179bcd; u) una temporale («è un’ora che lo aspetto», XIV. 195. 197. 200.

201d); v) una comparativa: «è meglio arrivare in anticipo che fare la fila», XIV. 220. 230-235; w) un’ eocettuativa: «non pensa ad altro che a risparmiare», XIV. 241d; x) una limitativa: «che io

sappia, Carlo ha cambiato scuola», XIV. 2450. 5 4. Oltre che congiunzione, che può essere pronome indefinito singolativo («Ha un che di buono», VII. 146. 155), pronome relativo («Grazie del libro che mi hai regalato», VII. 217222. 225. 230-236), aggettivo e pronome interrogativo ed esclamativo («Che giornale leggi?», «Che leggi?», «Che storia è questa!», «Che hai fatto!», VII.

248-251. 253-256). CHE ESCLAMATIVO: l’uso di che esclamativo seguito da un aggettivo è difficilmente giustificabile dal punto di vista della grammatica: che ha il valore di ‘quale’, ma non quello di ‘come è’

(«Che giornale leggi?» : quale giornale; ma «Che bello!» non può essere sostituito da *quale bello!). Si tratta probabilmente di uno spagnolismo penetrato nel Cinque o nel Seicento nel Ducato di Milano e di lì poi passato nell’italiano comune (spagnolo «;Qué bonito!» (ital. di Milano «Che bello!»). L’attuale frequenza di questo costrutto in ogni registro stilistico renderebbe vana qualsiasi opposizione da parte dei gramm'atici. (v. VII. 251). CHE POLIVALENTE: nell’italiano colloquiale,‘antico e moderno, sono usuali

proposizioni come «Spicciati, che facciamo ta.rdi», «Aspetta, che te lo dico»,

in cui il che fa le veci di una s eci.fica congiunzione causale o finale : Spicciati, perché rischiamo di far tardi;

Aspetta affinché te lo dica). Come risulta dal carattere artificioso delle alternative proposte, nell’uso parlato — ossia nell’àmbito in cui frasi del genere sono effettivamente immaginabili e pronunciabili — il che polivalente è del tutto normale. Il che è normale anche nello scritto quando si adopera come pronome relativo invariabile con valore temporale: «l’anno che ti ho conosciuto» (altrettanto accettabile del più formale «l’anno in cui ti ho conosciuto»). Da evitare invece, nello scritto ma anche nel parlato colloquiale, il che in— variabile a cui segua un pronome atono con funzione di complemento: «l’anna-

dio *che ci ho messo [in cui ho messo; che contiene] gli asciugamani», «suo suocero, *che gli hanno fatto [a cui, al

quale hanno fatto; che ha subìto] un’operazione». Le eccezioni sono possibili in contesti che arieggino l’immediatezza del parlato, ma vanno riservate a chi abbia grande padronanza linguistica, come F. Ceccarelli, autore del seguente esempio giornalistico: «non è mai bello vedere la fine politica di uno che bene o male lo applaudivano quasi tutti» («La Stampa», 30.4.1993). (v. XIV. 82). checché: pronome indefinito collettivo (VII. 178. 185); introduce una proposi— zione relativa al congiuntivo con valore concessivo: «Farò a modo mio, checché

tu ne dica», XIV. 183.

511 checchessia: pronome indefinito collettivo, VII. 178. 185. cherere (chiedere, arcaico): XI. 197. chi: il termine può essere, a seconda del contesto, pronome relativo «doppio» («Non sopporto chi si lamenta sempre», v. VII. 183. 241-242 e la voce RELATIVI, PRONOMI), pronome indefinito («devono fare chi due, chi tre, chi quattro ore di strada», VII. 243), pronome

città rebbe difficile trasferire nello scritto non solo per ragioni stilistiche, ma anche per difficoltà grafiche. Come rendere l’elisione della vocale i di ci davanti al verbo avere? Non si può scrivere *c’ho (che corrisponderebbe a una pronuncia [’ko]), e mantenendo intatta la particella si suggerirebbe una

ronuncia inesistente: [t_|'i 'a] invece di ’tj‘a]. (v. VII. 45).

interrogativo ed esclamativo («Chi ha suonato?», «Chi si rivede!», VII. 248.

252). chicca / chicco: III. 32. chicchessia: pronome indefinito collettivo, VII. 178. 184.

chiedere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 196-197.

chieggio, chieggo (chiedere, arcaico): XI. 197. chierico / chierica: III. 39. Chiesa / chiesa: v. il riquadro OMÒNIMI, GRAFIA DEGLI. chimono (il / i c.): III. 132d. chissà (seguito da una proposizione esclamativa): XIV. 84. chiudere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 198-199.

chiunque: pronome indefinito collettivo (VII. 178. 183); può introdurre una pro— posizione relativa al congiuntivo con valore concessivo: «Chiunque sia stato, ' la pagherà cara», XIV. 183. choc: v. shock. ci: può essere, a seconda del contesto,

pronome personale atono di 4“ persona, con valore di complemento oggetto e complemento di termine (ci vede : vede noi; ci parla = parla a noi, VII. 31-

34) nonché awerbio di luogo (con varie funzioni e sfumature di significato, VII. 45-51). ci (ci dico): l’estensione del pronome atono ci alla terza e sesta persona (in luogo di gli, le dico, dico loro) è un tratto fortemente popolare, che squalificherebbe chi lo adoperasse in un testo scritto e che va evitato anche nel parlato informale. v. VII. 49. ci (ci ho freddo): in molti usi idiomatici il verbo avere si presenta combinato con l’elemento ci. Si tratta di modi esclusivi della lingua parlata, che sa—

-cia: per il plurale dei nomi in -cia v. N0ME, 5 13. e il riquadro NOMI IN -CIA,-GIA, PLURALE DEI. ciao: formula di saluto, X. 43. ciascheduno: aggettivo e prOnome indefinito collettivo, VII. 178. 186.

ciascuno: aggettivo e pronome indefinito collettivo, VII. 147. 178. 186.

ciglio (plur. ciin / ciglia): III. 118e. ciliare / ciglùzre: v. —iglia- / -ilia—. ciliegie / ciliege: v. NOME, % 13. e il riquadro NOMI lN -CIA, -GIA, PLURALE mar. cine: variante ridotta di cinema utilizzata come elemento prefissale (cineamatore, cineclub, ecc.) XV. 133. cmesn: un confronto con il c. è in I. 171. cingere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 200.

,

cinghiala: femminile di cingh'iîì‘lè usato in senso spregiativo, III. 76b. cinquantun anni / cinquantun anno: v. il riquadro UNO, NUMERALI COMPOSTI CON. ciò: pronome dimostrativo «neutro, equivalente a ‘questa cosa’, VII. 118. 133. cioe‘: congiunzione coordinante escplicativa, XIV. 27.

circoncidere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 217.

cmconn.rasso,mcnmo: v. I. 180 e la voce ACCENTO, @ 8.

circonvenire: verbo irregolare di 3“ coniugazione, XI. 353. circoscrivere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 302. citato: forma usata come aggettivo dimostrativo nel linguaggio burocratico, VII. 139. citeriore: v. V. 82-83 e la voce AGGETI'IVO,

cmÀ (la / il Milano): i nomi di città, sia quelli uscenti con la terminazione -a tipica dei femminili sia gli altri, sono normalmente femminili: l’antica Roma,

512

club I clubs

ma anche l’operosa Milano, la Torino barocCa, l’attivissima Birmingham. L’eccezione più importante è Il Cairo, sempre maschile (per effetto dell’arti— colo il, che fa stabilmente parte del nome). Qualche volta, non solo nell’uso

familiare, alcuni nomi di città in -0 (come il Milano che abbiamo messo a lemma) possono essere trattati come

maschili: «una vasta e misteriosa con— giura di tutto Milano contro lui» (De Marchi). Il genere dei nomi dic. è iridi— cato in III. 12. L’uso dell’articolo coni nomi dic. è descritto in IV. 37-40.

codestui: v. cotestui. COERENZA: in linguistica testuale, e il requisito che garantisce a un testo unità e continuità a diversi livelli di organizzazione testuale: tematico, logico, semantico e stilistico, IX. 5.

COESIONE: in linguistica testuale, e il re— quisito che garantisce a un testo unità e stabilità sul piano formale, attraverso le concordanze morfologiche, i coesivi (ripetizione, sostituzione, riformulazione,

ellissi) e i connettivi, IX. 5. coesistere: verbo irregolare di 2a coniuga-

zione in_ -ere, XI. 187. cogliere: verbo irregolare di 2a coniuga-

club / clubs (i): v. il riquadro NOMI STRANIERI, PLURALE DEI.

-co: per il plurale dein. in -co, v. NOME, & 13 codzirdìa: I. 189.

codesto: aggettivo e pronome dimostrativo, VII. 118. 122—123. 133.

zione in -ere, XI. 75. 201.

COGNITA, CAUSA: XIV. 93“. COGNOM1: l’uso dell’articolo coi c. maschili è descritto in IV. 25—27. 29-30; l’uso dell’articolo coi c. femminili è descritto in IV. 24-28. 31b. coincidere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 217.

codesto / questo: il pronome e aggettivo dimostrativo codesto, limitato all’uso toscano, indica vicinanza, reale o idea-

le, a chi ascolta e si contrappone a questo (vicinanza a chi parla) e a quello (lontananza da entrambi). Ad esempio: «Sono nuovi codesti guanti?» (si intende i guanti indossati dal nostro interlocutore; nel resto d’Italia si direbbe questi guanti o, nel caso potessero sor-

gere equivoci, questi tuoi guanti o semplicemente i tuoi guanti). Appartiene invece all’uso nazionale, limitatamente

allo scritto formale specie burocratico, l’impiego di codesto nella corrispon— denza: «Questo ufficio ha più volte sollecitato codesta Direzione generale affinché...». In tal caso codesto non sarebbe sostituibile senza ingenerare confusione tra emittente e destinatario del messaggio. Ormai raro, e fortemente letterario, l’uso di codesto in

funzione anaforica, cioè per richiamare qualcosa che sia stato detto in precedenza, come nel seguente esempio dell’antropologo Alfonso Di Nola («Corriere della Sera», 9.5.1993): «Giovanni Paolo II è intervenuto in codesta legittimazione del satanismo più volte (= nella legittimazione di cui ho appena parlato)». (v. VII. 118. 122123.133).

coinvolgere: verbo irregolare di 2a coniu— gazione in -ere, XI. 331. colei: pronome dimostrativo, VII. 118.

COLLETTIVI, INDEFINITIZ v. VII. 145. 178190 e la voce INDEFINITI, AGGETTIVI E PRONOMI, % 3. COLLETTIVI, NOM]: v. NOME, @ 3. Le moda-

lità di accordo del verbo con un soggetto rappresentato da un 11. c. (la cosiddetta «concordanza a senso») sono descritte in XI. 361.V. anche ACCORDO. collidere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 227.

collutorio / colluttorio: la forma legittima è la prima, conforme all’etimo la-

tino (da COLLUTUS, part. passato di COLLUERE ‘sciacquare’). Fino a qualche anno fa la forma con erroneo rad-

doppiamento della t era alquanto diffusa; ma la correzione effettuata dalle

case farmaceutiche nelle confezioni e nella pubblicità ha determinato un’inversione di tendenza. Esaminando l’intera annata 1995 del «Corriere

della Sera» attraverso il relativo archivio elettronico su CD-ROM, la

forma corretta collutorio risulta maggioritaria su quella scorretta (3 esempi contro 1). colmo: ‘colmato’, participio accorciato di

513 colmare, XI. 420. V. anche ACCORCIATI,

PARTICIPI. COLORE, AGGETTIVI DI: V. 18b; XV. 126d. coloro: pronome dimostrativo, VII. 118.

COLPA, COMPLEMENTO DI: è un complemento indiretto che indica la colpa di cui qualcuno si è reso responsabile o è accusato. E introdotto dalle preposizioni di e per : «è accusato di associazione mafiosa» (VIII. 11. 111). coltello / coltella / coltellessa: III. 37. colui: pronome dimostrativo, VII. 118.

132e. COMANDO, VERRI DI: v. VOLIZIONE, VERRI DI. COMBINATORIA, VARIANTE: V. I. 6 e la voce VARIANTI FONETICHE. come mai: locuzione avverbiale interrogativa, XII. 57a. come: è l. Avverbio interrogativo ed esclamativo: «come stai?», XII. 57a. &

2. Congiunzione che può introdurre: a) un secondo termine di paragone («ho un auto veloce come la tua», V. 59; b)

un condizionale ottativo: «come vorrei andare in vacanza!», XIII. 37; molte

proposizioni subordinate, e precisamente: 0) un’oggettiva: «notiamo come lo scrittore abbia rinunciato alla sua attività», XIV. 63; d) una proposizione o un costrutto causale: «assonnato com’era, non si accorse di nulla», XIV. 113115; e) una temporale: «come arrivi, av-

visami», XIV. 193; f) una comparativa: «non fa così freddo come pensavo», XIV. 214b sgg. comeché (o come che): congiunzione subordinante concessiva, XIV. 181. 183.

cominciare: verbo fraseologico che, in unione con a + infinito, indica l’inizio di un’ azione: «cominciò a parlare», XI.

COMMENTO: la funzione di c. che alcuni segni d’interpunzione possono assumere è illustrata in I. 207. COMMERCIALE, LINGUAGGIO: alcuni aspetti del 1. c. sono descritti in VII. 96a; VIII.

30; XII. 26C. commettere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XL 255.

commuovere: verbo irregolare di 2’ coniugazione in -ere, XI. 260. ' COMPAGNIA E UNIONE, COMPLEMENTO DI: è un complemento indiretto che indica l’essere animato (compagnia), l’oggetto o l’entità astratta (unione) insieme alla

comparativo, grado

quale si compie o si subisce l’azione o ci si trova nella condizione espressa dal verbo. Può essere introdotto dalla preposizione con e dalle locuzioni preposi— zionali insieme con, insieme a, assieme a, in compagnia di, in unione con, unita-

mente a ecc. Esempi: «farò una passeggiata con mio cugino»; «unitamente alla scheda elettorale le verrà consegnata una seconda scheda» (II. 60; VII. 7. VIII. 6g. 90. 130; XI. 360). COMPARATIVE IPOTETICI-IE, PROPOSIZIONI: v. XIV. 222-224 e la voce COMPARATIVE, PROPOSIZIONI, è“ 5.

.

COMPARATIVE, PROPOSIZIONI: % 1. Stabilìscono un rapporto comparativo (di uguaglianza, maggioranza, minoranza o analogia) con la proposizione reggente. 5 2. Le c. di uguaglianza hanno solo forma esplicita; sono introdotte da come, tanto, quale; il modo verbale è l’in—

dicativo («è proprio come me lo imma— ginavo »), ma in alcuni casi può aversi il condizionale («gli ho parlato così come avrei fatto con te»). è 3. Le c. di maggioranza e di minoranza possono avere forma esplicita e implicita. Le esplicite sono introdotte da che, di quanto, di quello che, tii-come; il modo verbale è

l’indicativo («il mare era pîî1'pulito di quanto dicevano»), il congiuntivo («è più generosa di quanto pensassi»), o il condizionale («i mezzi pubblici funzionano peggio di quanto avrei immaginato»). Le implicite sono introdotte da (più) che, (piuttosto) che, piuttosto di, e hanno il verbo all’infinito («preferisco leggere iuttosto] che guardare la televisione» . 5 4. Le cosiddette c. di analo— gia sono introdotte da come, secondo che, nel modo in cui 0 che); il modo verbale è l’indicativo «fa’ come ti pare») o il condizionale («le cose non vanno nel modo in cui vorrei»). & 5. Le co-

siddette c. ipotetiche sono introdotte da come se, quasi, quasi che, come; il modo verbale è, per la forma esplicita, il con-

giuntivo («mi guardava come se mi conoscesse»); la forma implicita presenta il gerundio introdotto da come o quasi («Si nascondeva, quasi vergognandosi») (XIV. 109. 214—236). COMPARATIVO, GRADO: v. V. 57-59 e la voce aggettivo, % 9; XII. 63-67 e la voce avverbio, & 14.

comparire

comparire: verbo irregolare di 3“ coniuga— zione, XI. 332-333.

competere: verbo difettivo (del solo parti— cipio passato) di 2“ coniugazione in -ere, XI. 122b. compiacere, compiacersi: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -e're, XI. 153. compiangere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 272.

compiere / compire: verbo sovrabbondante, XI. 123b-124. ' _ complementarità / complementarietà? v. il riquadro -ità / -ietà. COMPLEMENTO: è un nome (o un’altra parte del discorso usata con valore di nome) che completa il soggetto, il predicato o un altro costituente della fra— se: «il fratello di Giovanni, un giovane

sui trent’anni, ha acquistato un’auto sportiva». Esistono quattro criteri di classificazione dei c.: il primo si fonda sul significato e distingue fra c. essenziali (indispensabili al senso del termine completato: «Francesca d e s i d er a gli spaghetti») e c. circostanziali (non indispensabili, ma accessori: «Francesca mangia con appetito»); il secondo si fonda sulla natura e funzione dei c. e distingue fra c. non avverbiali (che non sono awerbi e non possono essere sostituiti da avverbi: «La madre di Marcello ha invitato le amiche») e c. avverbiali (che, a mo’ di avverbio, modificano il senso del termine

514 voce OGGE'ITIVE, PROPOSIZIONI) e le soggettive (v. XIV. 66-76 e la voce OGGETTIVE, PROPOSIZIONI). comporre: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 275.

COMPOSIZIONE: consiste nell’unire due o più parole già esistenti in modo da formarne una nuova, detta parola composta o composto. Le parole composte possono essere distinte in composti veri e propri, unità lessicali superiori, parole macedonia e conglomerati. I composti veri e propri sono parole formate da]-

l’unione di due elementi distinti che vengono a costituire un tutto unico: capo + classe : capoclasse; le unità lessicali superiori sono parole staccate sul piano formale, ma strettamente legate sul piano semantico: conferenza stampa, decreto legge, ferro da stiro; si parla di conglomerati quando più parole vengono Saldate insieme in modo da formare un tutto unico: fixggifuggi, dormiveglia, saliscendi; infine, le parole macedonia

(o acronimi o tamponamenti di parole) sono parole formate da pezzi di parole

fuse le une nelle altre: cantautore (XV. 3-4. 120-135). COMPOSTE, CONGIUNZIONI: v. IX. 2 e la voce CONGIUNZIONE, & 3. COMPOSTE, PAROLE: v. VIII. 4“; XV. 3-4.

120-135. e la voce COMPOSIZIONE. Inoltre: il fenomeno del dittongo mobile nelle p. e. è descritto in I. 5821; la divisione in sillabe delle p. e. è illustra-

da cui dipendono: «h a i 11 v i t a t o le ta in I. 66; dell’uso del trattino nelle amiche in campagna»); il terzo si fonp. c. si parla in I. 234ef; la formazione da sulla natura dell’elemento da cui i c. del plurale delle p. c. è trattata in III. dipendono e distingue fra c. del nome 137-150. (dipendenti dal soggetto, «Il cane di Marco...») e c. del verbo (dipendenti COMPOSTI, AVVERBI: v. XII. 3. 5 e la voce AVVERBIO, @ 2. dal predicato «abbaia con insistenza»); il quarto si basa sul modo di collega— COMPOSTI, TEMPI: v. XI. 8. 50-51 e la voce VERBO, % 3. mento e distingue fra c. diretti (collegati al termine da cui dipendono senza COMPOSTO, FUTURO: V. FUTURO ANTERIORE. preposizioni: «Biancaneve mangiò la comprendere: verbo irregolare di 2“ COniugazione in -ere, XI. 278. mela» e c. indiretti (collegati al termine da cui dipendono tramite una prepo- comprimere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 202. sizione: «le scarpe di Marco) (II. 6; VIII. 6). compro: ‘comprato’, participio accorciato di comprare, XI. 420. v. anche ACCORCOMPLESSA, FRASE: v. XIV. 1 e la voce FRACIATI, PARTICIPI. SE, 5 2. COMPLETIVE, PARTICELLE: v. PARTICELLE compromettere: verbo irregolare di 2:. coniugazione in -ere, XI. 255. COMPLE’I’IVE DELLA NEGAZIONE COMPLETIVE, PROPOSIZIONI: sono tali (XIV. compungere: verbo irregolare di 2a coniu— gazione in -ere, XI. 282. 35-36) le oggettive (v. XIV. 37-65 e la

conciossiaché, conciossiacosaché

515 computer / computers (i): v. il riquadro NOMI STRANIERI, PLURALE DEI.

concedere: verbo irregolare di 2“ coniuga-

COMUNI, NOMI: v. III. 3-5 e la voce NOME, 5

concemere: verbo difettivo (del solo participio passato) di 2“ coniugazione in —

3. comunque: avverbio di qualità; può introdurre una proposizione relativa con valore concessivo: «comunque vada, ti sarò vicino», XIV. 183. con: .S. 1. Con (forme articolate: col, collo,

zione in -ere, XI. 203-204.

ere, XI. 122b. CONCESSIVE INDIPENDENTI, PROPOSIZIONII

proposizioni concessive prive di congiunzmne mtrodutt1va: «sarà anche bravissimo, ma è un presuntuoso», XIV. 176.

colla; coi, cogli, colle) è una preposizione propria (VIII. 7) che stabilisce collegamenti di vario genere tra due ele-

CONCESSIVE, ESPRESSIONI: v. VIII. 95 bis e la voce con, 5 2.

menti della stessa frase e, più raramen-

CONCESSIVE, PROPOSIZIONIZ introducono un

te, tra due frasi diverse (VIII. 89). è 2. Quando collega due elementi della stessa frase, con può introdurre un complemento di compagnia e unione («Rimango con voi», VIII. 90), di relazione («sposata con un americano», VIII. 92), di modo («agite con pruden-

fatto nonostante il quale si verifica quanto viene enunciato nella reggente; in altre parole «concedono», ammettono un’opposizione rispetto alla reggen-

za», VIII. 93), di mezzo e strumento

introdotte da benché, sebbene, quantunque, nonostante, malgrado, ancorché,

(«Lego il pacco con una corda», VIII. 94), di causa («con questo caldo si suda molto», VIII. 95), un complemento indiretto che esprime corrispondenza o coincidenza («la mia opinione coincide con la tua», VIII. 91) nonché un complemento indiretto di valore concessivo («con tutto il rispetto, non sono d’accordo», VIII. 95 bis). 5 3. Quando colle-

ga due frasi diverse, con (nella forma articolata col, con il, collo, con lo) può introdurre una proposizione causale implicita («col camminare così, finirai per stancarti», XIV. 119), una temporale implicita («con l’avvicinarsi della primavera, aumenta il rischio di allergie», XIV. 204), una modale («spaventava gli studenti col ricordare l’esame imminente», XIV. 237). Usi antichi .(con + infinito o gerundio: con amare,

con amando) sono descritti in XI. 411.425; XIV. 205. 207; un uso particolare (la locuzione due con) in VIII. 5. con tutto che: locuzione congiuntiva subordinante concessiva, XIV. 179d.

CONATIVA, FUNZIONE: quando lo scopo della comunicazione riguarda in particolare il destinatario, come accade in un’aninga, un comando, un discorso

politico, una legge, una predica, un regolamento ecc., si dice che la lingua è usata in f. c. (X. 35; XI. 7. 399). CONATIVO, 1MPERFE’ITOZ v. XI. 374d e la voce [l\/[PERFETTO INDICATIVO.

te: «Benché abbia studiato molto, non ha

superato l’esame». Possono avere forma esplicita o implicita. Le c. esplicite sono

per quanto, nonostante (che), malgrado (che), quand’anche, anche quando, anche se, con tutto che (per l’omissione della congiunzione v. XIV. 33“) o da pronomi e aggettivi indefiniti o awerbi come chiunque, qualunque, checché, comunque; il modo verbale è il congiuntivo, ma in alcuni casi possono aventi-indicativo

(segnatamente, quando la c. è introdotta da anche se e con tutto che: «non l’ho contraddetto, anche se aveva torto mar-

cio») e il condizionale («pianta pure le rose, benché a mio parere sarebbe meglio aspettare». Le c. implicite possono essere costruite: a) con pure o anche + gerundio («pur apprezzando il rock,

preferisco la musica classica»); b) con pure, benché, sebbene, quantunque +

participio passato («benché scoraggiato, tentai lo stesso»); c) con per, nemmeno a, neppure a, manco a, a costo di, a rischio di + infinito («lo farò, a costo di dargli un dispiacere») (XIV. 172-184). CONCESSIVO, VALORE: è il valore che può assumere la congiunzione se in alcune

proposizioni, XIV. 154. concesso che: locuzione congiuntiva subordinante ipotetica, XIV. 167a. conchiudere: v. concludere. conciossiaché, conciossiacosaché, con-

ciofiossecosaché: congiunzioni subordinanti causali arcaiche, VII. 133. XIV.

117b.

516

concludere

concludere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 177—178. CONCLUSIONE DI UN’AZIONEZ per i verbi fraseologici che indicano c. di un’a. v. XI. 48e e la voce FRASEOLOGICI, VERRI.

CONCLUSIVO, ASPETTO: v. CONCLUSIONE DI UN’AZIONE. CONCORDANZA DEI TEMPI: la scelta del tempo verbale da usare nelle proposizioni oggettive e in molte delle altre subordinate in relazione al tempo della proposizione reggente è illustrata in XIV. 55-58; per le proposizioni condizionali v. XIV. 145-164. CONCORDANZA DI NUMERO E DI GENERE: v. ACCORDO. concorrere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 213.

no cari, cambierei casa volentieri». @ 2.

Proposizione condizionale (detta anche protasi) e proposizione reggente (detta anche apodosi) esprimono nel loro insieme un’ipotesi, e formano il periodo

ipotetico. A seconda che l’ipotesi sia certa, possibile o irreale il periodo ipotetico è detto della realtà, della possibilità o dell’irrealtà, I modi canonici di

rendere questi tre tipi fondamentali sono così rappresentabili: TIPO

PROTASI

APODOSI

realtà

se + indie. .(tutti i tempi) I

indic. (tutti i tempi) I imperat.

se lo hai fatto,

hai sbagliato / chiedi scusa

possibilità se + cong. imperf. se dicessi cosi,

condiz. presente sbaglieresli

irrealtà

condiz. pres. e pass.

CONCRETI, NOMI: v. III. 6 e la voce NOME, &

3. condiscendere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 298. condividere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 225. CONDIZIONALE, MODO: 51. Il 0. è un modo verbale finito che implica l’idea di un condizionamento, spesso indipendente dalla volontà di chi parla: «Desidererei sapere una cosa» (XI. 7). 5 2. Esso non esisteva in latino (XI. 50d); la sua formazidne nelle lingue e nei dialetti romanzi è illustrata in XI. 42-43. Forme antiche e particolari (c. in -ìa, tipo saria, e in -ra, tipo fora) sono descritte in XI. 43. 59. 67; irregolarità nella formazione sono segnalate in X]. 126b. & 3. Il c. dispone di due tempi, il presente e il passato (amerei e avrei amato; v. XI. 393 e la voce VERB], & 3); si trova abitualmen-

te in una frase, principale o secondaria, collegata a una subordinata ipotetica (la cosiddetta apodosi del periodo ipotetico: «Se dicessi questo, sbaglieresti») ein vari altri tipi di proposizioni principali e subordinate, il cui elenco completo è in XI. 393-394. In diversi ambiti sintattici, ma nelle proposizioni completive in particolare, il c. passato esprime il futuro in dipendenza da un passato: «credevo che saresti venuto l’indomani» (XI. 395). CONDIZIONALI,PROPOSIZIONIZ % 1. Indicano la condizione da cui dipende o potrebbe dipendere ciò che viene espresso nella reggente: «Se gli afiitti fossero me-

se + cong. imperi. o trapass. se fossi (stato)

vorrei (avrei voluto)

un animale,

essere un cane.

% 3. Esistono anche i periodi ipotetici misti, derivanti da contaminazioni tra i

vari tipi: per esempio, indicativo nella protasi e condizionale nell’apodosi («Se lo sapevo, non sarei venuto») oppure congiuntivo nella protasi e l’indicativo nell’apodosi («Se l’avessi saputo, non venivo»). % 4. Oltre che da se, le condizionali esplicite al congiuntivo possono essere introdotte da qualora, quando, purché, casomai, ove, laddove, ammesso che, concesso che, dato che, posto che, a condizione che, a patto che, nell’i-

potesi che, nell’eventualità che. 5 5. Le condizionali implicite possono essere costruite con il gerundio, il participio passato (da solo o preceduto da se) Oppure con l’infinito presente preceduto dalla preposizione a : «lavorando di meno non saresti così stanco», «ammini-

strata meglio, la città sarebbe più vivibi— le», «a vederlo, non sembra infelice»

(XI. 393; XIV. 145—171. 251d [proposizioni relative con valore condizionale]). condo/ere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ére, XI. 142.

condurre: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 205-206.

configgere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 237.

confondere: verbo irregolare di 2a coniugazione in —ere, XI. 241.

517 congiungere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 246-247. CONGIUNTIVE, LOCUZIONI: v. IX. 2 e la voce CONGIUNZIONE, 5 3.

CONGIUNTIVO IMPERFETTOZ v. IMPERFETI'O CONGIUNTIVO. CONGIUNTIVO PRESENTE: v. PRESENTE CONGIUNTIVO. CONGIUNTIVO: @ l. Il c. è un modo verbale finito che presenta come incerto, sperato, ipotizzabile, dubbio o soggettivo ciò che è espresso dal verbo (XI. 7). è 2. Dispone di quattro tempi: presente, passato, imperfetto e trapassato (che io ami, abbia amato, amassi e avessi ama-

to; v. XI. 391 e la voce VERBI, @ 3); è il modo tipico delle proposizioni dipendenti (si chiama così proprio perché «congiunge» alla principale subordinate di vario tipo, il cui elenco completo è in XI. 391), ma s’incontra anche in proposizioni indipendenti (l’elenco completo in XI. 392). CONGIUNTIVO, uso DEL: Si parla molto,

negli ultimi anni, di una presunta «morte del congiuntivo» nella lingua italiana. In realtà le cose sono molto più complesse. In moltissimi casi l’al— ternativa tra indicativo e congiuntivo è esistita fin dalle origini dell’italiano, in

funzione di diverse sfumature espressive o, più spesso, di un diverso registro

stilistico (più o meno formale, più o meno colloquiale). È il caso della protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà nel passato («Se l’avessi saputo, non sarei partito»), in cui accanto al congiuntivo imperfetto è sempre esistita la possibilità di ricorrere all’indicativo imperfetto: vd. IRREALE IMPERFE'ITO. Altre volte, la scelta del modo verbale

è condizionata dal verbo reggente. Una proposizione oggettiva retta da un verbo di giudizio 0 di percezione vuole normalmente l’indicativo («Mi ricordo che tu sei stato in America», non *sia stato), da un verbo volitivo, il

congiuntivo («Mi auguro che tu rifletta alle mie parole», non *rifletti). Quel che è innegabile è che, specie in dipendenza dei verbi d’opinione, si registra sempre più spesso nel parlato o nello scritto informale la tendenza a usare l’indicativo: «Penso che ha ragione»;

congiuzione

una tendenza che è bene contrastare in tutte le situazioni che richiedono un certo controllo linguistico, ossia nella

scrittura formale o argomentativa (per esempio, in una tesi di laurea, in una relazione professionale, in un esposto al commissariato) e nel parlato sorvegliato. (v. anche XIV. 48-54). CONGIUNZIONE: @ 1. La c. è una parte inva— riabile del discorso che serve a collegare due elementi di una proposizione o due o più proposizioni di un periodo. 5 2. Le 0. possono essere classificate in base ai due diversi parametri della for— ma e della funzione. è 35' Dal punto di vista della forma, possiamo distinguerle in semplici (formate da una sola parola: e, o, ma, come, che, né ecc.) e composte (formate da due o più parole unite in— sieme: oppure : o pure, neanche = né anche); ai due gruppi vanno aggiunte le locuzioni congiuntive, formate da più parole scritte separatamente: per ilfatto che, di modo che, dal momento che ecc. 5 4. Dal punto di vista della funzione possiamo distinguerle in coordinative o coordinanti (che collegano due o più elementi di pari valore: per esempio, due complementi: «mi fermerò a C r otone e aTindari»,odueproposizioni dello stesso tipo: «sono arrivato di corsa ma il treno era già partito») e subardinative o subordinanti (che collegano due proposizioni di diverso valore,

una reggente e l’altra subordinata: «ti ho criticato perché avevi torto». & 5. Se-

condo il rapporto che stabiliscono tra gli elementi collegati, le c. coordinative si distinguono in: a) copulative, che segnalano un collegamento puro e semplice; distinte & loro volta in positive (e; rientrano nella medesima categoria le e. con valore aggiuntivo come anche, pure, altresi, inoltre) e negative (né, neppure, neanche, nemmeno); b) disgiuntive, che uniscono due elementi dei quali uno esclude o si pone in alternativa all’altro (0, oppure, ovvero, ossia, ovvero-

sia, altrimenti); c) avversative e sostitutive, che uniscono due parole o proposizioni che si contrappongono (ma, però, tuttavia, nondimeno, pure, eppure, peraltro, anzi, piuttosto, bensì, sennon-

ché); d) conclusive, che uniscono due

518

conglomerati

parole o proposizioni, la seconda delle quali esprime la conseguenza o la conclusione logica della prima (dunque, quindi, pertanto, perciò, allora, ebbene, onde, per la qual cosa); e) dichiarative o esplicative, che introducono una parola o una proposizione che spiega quanto s’è detto precedentemente: cioè, infatti,

ossia, vale a dire, per essere precisi ; f) correlative, che stabiliscono una relazio-

ne tra due parole o proposizioni, mettendole in reciproca corrispondenza: e e, né né, o o, sia sia; non solo ma, non solo ma anche, 0 che o che,

vuoi vuoi . {$ 6. Un elenco schematico delle congiunzioni (e locuzioni congiuntive) subordinative, distinte a seconda del tipo di dipendenza stabilito, è quellochesegue:dichiarative: che, come; c a u s a l i: perché, poiché, giacché, siccome, come, che, ché, dato

che, per il fatto che, per il motivo che, dal momento che, per la ragione che, considerato che, essendo che; f i n a l i: perché, affinche', che, acciocche', onde, in

modo che, allo scopo di, alfine di, pur di; c o n s e c u tiv e: che, sicché, cosicché, talché; c o n d i z i o n a l i: se, qualora, quando, purche', casomai, ove, dove, laddove, ammesso che, concesso che, dato che, posto che, nell’ipotesi che, a condizione che, a patto che, solo che, nell’eventualità che; c o n c e s s i v e: benché, sebbene, quantunque, nonostante, malgrado, ancorché, per quanto,

malgrado (che), con tutto (che), anche se; t e rn p 0 r a li : quando, come, prima che, dopo che, allorché, mentre, finché,

ogni volta che, fino a che; a v v e r s a t iv e: mentre, quando, laddove; c o rn p ar a tiv e: come, quanto, che; m o d a l i: come, secondo che, nel modo che, come se, quasi che; e s c ] u s iv e: senza, senza che;eccettuativezsalvo che, a meno che (non), eccetto che, tranne che,

fuorché; ] i rn i t a t i v e: quanto a, per quello che, secondo che, secondo quanto;inte rrogative: se, come, quan-

do, perché, quanto (IX. 1-3). CONGLOMERATI: i c. sono spezzoni di frasi trattate come se fossero una sola parola (XV. 134). Al plurale rimangono invariati: per esempio, il cessate il fuoco / i

cessate il fuoco (III. 150c). CONIUGAZIONEI v. XI. 49-53, 55 (c. di esse-

re). 63 (c. di avere). 70 (13 c.). 74 (2“ c.).

79 (33 c.). 89 (c. passiva). 90 (c. riflessiva) e la voce VERBO, 55 15-17. connettere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 182.

CONNETTIV]: in linguistica testuale le congiunzioni, gli awerbi, le locuzioni avverbiali e d’altro genere, alcuni verbi e alcune frasi, i segni d’interpunzione si dicono c.; la loro funzione è quella di garantire la coesione testuale, legando insieme segmenti 0 blocchi di testo ed esprimendo legami logici e sintattici di vario tipo (IX. 3; XIV. 27). conoscere: verbo irregolare di 2“ coniuga— zione in -ere, XI. 207—208.

CONSECUTIO TEMPORUMZ v. CONCORDANZA DE] TEMPI. CONSECUTIVE, -rnorosrzromz indicano la conseguenza dell’azione o del fatto espresso nella reggente. Possono avere forma esplicita o implicita. Le c. esplicite sono introdotte da che, sicché, cosicché, talché, così che, tanto che, di modo che,

al punto che, a tal segno che; il modo verbale è l’indicativo («E così antipatico

che tutti lo evitano»), ma in alcuni casi possono aversi il congiuntivo («gli ingesseranno la gamba in modo che possa

camminare») e il condizionale («sono così stanco che mi addormenterei»). Le c. implicite sono introdotte da da, per, di, tanto da, così da, in modo da, al pun-

to di (o da) e simili, e hanno il verbo all’infinito: «si è commosso al punto di piangere» (XIV. 82. 128-142. 251b Eproposizioni relative con valore finale] considerato che: locuzione congiuntiva subordinante causale, XIV. 111.

consiliare / consigliare (agg.): v. il riquadro -iglia— / -ilia-. consistere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 187.

CONSONANI'IZ & 1. Si dicono c. quei suoni che si realizzano quando, nell’ambito del processo fonatorio, l’aria proveniente dai polmoni incontra un ostacolo. Il canale espiratorio può chiudersi per un istante (e avremo allora le c. occlusive) o soltanto restringersi (e avremo allora le costrittive). Il quadro è completato dalle afiricate, che risultano dalla fusione di una consonante occlusi-

va e di una costrittiva. Per esempio: k] è un’occlusiva; [f] è una costrittiva; [ts è

SI‘)

coprire

un’affricata indicata dal grafema z , ri-

seologici che indicano c. di un’a. v. XI.

sultante dalla combinazione di un’oc-

48d e la voce FRASEOLOGICI, VERRI.

clusiva dentale sorda [t] e di una costrit- contorcere: verbo irregolare di 2" coniutiva [s]. è 2. Per definire compiutamengazione in -ere, XI. 324. te una consonante bisogna tenere conto anche di altri parametri. @ 3. In base al

luogo in cui l’articolazione si produce distingueremo le bilabiali se intervengono le labbra (p, b, m); le labiodentali se si usano le labbra e i denti (fi v); le dentali se la lingua si appoggia ai denti ( recisamente, agli incisivi) superiori (t, dg; le alveolari se la lingua tocca gli al— veoli degli incisivi superiori (s [chiamata anche, con definizione abbreviata, si-

bilante], ], r,); le alveopalatali e palatali se il suono si produce all’altezza del pa— lato duro (c e g palatali: cera, gesso; l e n palatali: figlio, gnomo); velari se la lin— gua Si ritira verso il velo palatino o palato molle (c e g velari: casa, gatto). è 4. In base al modo in cui l’articolazione si produce distingueremo le sorde (quan— do vengono pronunciate, le corde vocali sono in posizione di riposo: è sorda la c di casa) e le sonore (quando vengono pronunciate, le corde vocali entrano in vibrazione, così come accade con tutte

le vocali: è sonora la g di gatto); le orali (quando vengono pronunciate, l’aria polmonare esce solo dalla cavità orale) e le nasali (quando vengono pronunciate, l’aria polmonare esce anche dalle cavità nasali, come nel caso della rn e

della n). Più ampi particolari in I. 35-47. constare: verbo di I“ coniugazione, XI.

137. consumere: verbo difettivo di 2“ coniugazione in —ere, XI. 102.

contendere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 319. ' contenere: verbo irregolare di 2° coniugazione in -ére, XI. 165.

contessere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in —ere, XI. 209.

CONTINEan per il genere dei nomi dei c., v. III. 12; l’uso dell’articolo con i nomi

dei e. è descritto in IV. 41. continuare: verbo fraseologico che, in unione con a + infinito, indica la conti—

nuità di un’azione: «continuò a legge— re», XI. 48d.

CONTINUE, CONSONANTT: v. COSTRITTIVE, CONSONANTI. CONTINUITÀ DI UN’AZIONEZ per i verbi fra—

contraddire: verbo irregolare di 3a coniugazione, XI. 340 v. anche il riquadro DIRE, COMPOSTI DI. contraddistinguere: verbo irregolare di 2a coniugazione in —ere, XI. 224. contraffare: verbo irregolare di 1“ coniugazione, XI. 135b. contrapporre: verbo irregolare di 2’ coniugazione in -ere, XI. 275. contrarre: verbo irregolare di 2" coniuga— zione in -ere, XI. 325.

'

contrastare: verbo di 1“ coniugazione, XI. 137. ' contravvenire: verbo irregolare di 3a coniugazione, XI. 353. contavvenne / contravvenì: v. il riquadro VENIRE, COMPOSTI DI. contro: preposizione impropria, VIII. 5. 7. 136a. contundere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 211. CONVENEVOLI: XII. 27; XIII. 5.

convenire: verbo irregolare di 3a coniugazione, XI. 353.

convenne / convenì: v. il riquadro VENIRE, COMPOSTI DI. -:-.… convergere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 212. convincere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 328.

convivere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 329. COORDINATE, PROPOSIZIONI: v. XII. 53d; XIV. 11-28 e la voce FRASE, 5 4. COORDINATIVE, CONGIUNZIONI: v. IX. 1“; XIV. 11-28 e la voce CONGIUNZIONE, @ 4.

COORDINATIVI, COMPOSTI: XV. 125-126. COORDINATIVO, GERUNDIO: v. XI. 424.425b e la voce GERUNDIO, & 2.

COORDINAZIONE: v. XIV. 2. 8. 11-28 e la voce FRASE, & 4. COORDINAZIONIASINDETTCIIE: v. FRASE, &&

4-5. L’uso della virgola nelle 0. a. è illustrato in I. 220a. COORDINAZIONISINDETICHE: v. FRASE, @@ 4-

5. L’uso della virgola nelle c. 5. è illustrato in I. 220a. coppa / coppa: III. 32. coppia: sostantivo numerativo, VI. 42. coprire: verbo irregolare di 3“ coniugazione, XI. 334-335.

520

copula COPULA: v. II. 32 e la voce PREDICATO, % 3.

COPULATIVA, COORDINAZIONE: v. XIV. 1118 e la voce FRASE, @ 4. COPULATIVE, CONGIUNZIONI: v. VII. 6d; XI. 357; XIV. 13-18 e la voce CONGIUNZIONE, 5 5. COPULATIVI, VERRI: v. II. 34-43, XI. 5—6 e la voce VERBO, @ 7. Le norme che regola-

no l’accordo di genere e di numero del participio dei v. o. col soggetto o col complemento predicativo (tipo «La guerra è considerata / considerato un crimine») sono illustrate in XI. 369. CORDE VOCALI: I. 13. ' corno Éplur. corni / corna): III. 118f. corpo a corpo a corpo): locuzione avverbiale qualificativa, XII. 26h. 33d, e v.

cosicché: congiunzione subordinante consecutiva, XIV. 136a.

cos1fiatto,cosifatto: aggettivo dimostrativo, VII. 137.

cosmopolita: I. 189. cospargere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 308—309. cospergere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 185.

costà, costaggiù, costassù: awerbio di luogo, XII. 39-40. costare: verbo di 1“ coniugazione, XI. 137. costei: pronome dimostrativo, VII. 118.

134. costi: avverbio di luogo, XII. 39-40. COSTITUENTI IMMEDIAII, ANALISI IN: 11. 21.

costoro: pronome dimostrativo, VII. 118. 134. costringere: verbo irregolare di 2“ coniu-

anche il riquadro AVVERBIALI CON norPIA PREPOSIZIONE, LOCUZIONI. gazione in -ere, XI. 247. 313. correggere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 288. » COSTRI'ITIVE, CONSONANTI: v. I. 35 e la voce CORRELATIVI, NESSI: v. XIV. 28 e la voce FRASE, @ 5.

correre: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 213.

corrispondere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 293. corrodere: verbo irregolare di 2“ coniuga— zione in -ere, XI. 294.

corrompere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 295.

CORSIVO: le convezioni che regolano l’uso del corsivo sono illustrate in I. 228. CÒRSO: un confronto con il c. è in XII. 29. CORTESIA, CONDIZIONALE DI: è un c. usato in una frase indipendente enunciativa con l’intento di attenuare una richiesta che altrimenti risulterebbe brusca: «vorrei un caffè», XIII. 3.

CORTESIA, 1NTERROGATIVE DI: v. FÀTICl-IE, INTERROGATIVE. cosa / coso: III. 37. cosa: pronome interrogativo ed esclamativo, VII. 248. 256. coscrivere: verbo inegolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 302.

così così: XII. 27. così: avverbio qualificativo; in costrutti del tipo così grande com’è introduce una proposizione causale (XIV. 114); può essere l’antecedente di una proposizione consecutiva (XIV. 135a. 140a) e il correlativo di una proposizione com— parativa (XIV. 215).

CONSONANTI, & 1.

costruire: verbo anticamente irregolare di 3“ coniugazione, XI. 336-337. costui: pronome dimostrativo, VII. 118. 134. catute: aggettivo e pronome dimostrativo (VI)I. 137) e indefinito singolativo (VII. 175 . cotanto: aggettivo e pronome indefinito quantitativo di uso arcaico, VII. 215.g cotesto: ‘codesto’, VII. 121c. cotestui, cotestei, cotestoro: pronomi dimostrativi di uso arcaico, VII. 140a.

covelle: pronome indefinito collettivo arcaico, VII. 190a.

crai: avverbio di tempo arcaico e dialettale,XII. 29. credere: verbo transitivo e intransitivo,

XI. 4g. crediate: 5“ persona del congiuntivo presente di credere, usata per l’imperativo negativo: «non crediate che...», XI. 397. crepare / creparsi: XI. 26. crescere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 214.

cricchi: onomatopea dantesca, X. 48. Cristo: l’uso dell’articolo con la parola C. è illustrato in IV. 35. crocifiggere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 237. croissant/ croissaan (i): v. il riquadro N0Ml STRANIERI, PLURALE DEI. CRONISTlCO, IMPERFETTO: v. NARRATIVO, ]MPERFE’1TO.

'

521 crusca / cruschello: III. 36. cucire: verbo irregolare di 3a coniugazione, XI. 338.

cui: pronome relativo (V. VII. 221. 223. 226-227. 237-239 e la voce RELATIVI, PRONOMI, @ 2). Anticamente, c. era an-

che pronome interrogativo: v. VII. 257. cur.nswnz v. DOTI‘E, PAROLE. cuocere: verbo irregolare di 2n coniugazione in -ere, XI. 215-216.

cuoio (plur. cuoi/ cacia): III. 118g. D EUFONICAZ per alcune preposizioni e congiunzioni si può scegliere, davanti a parola cominciante per vocale, tra forma semplice e forma terminante per d (detta «eufonica» perché ha la funzione di evitare lo iato; ma potrebbe anche risalire alle corrispondenti basi latine). Nell’italiano moderno questa possibilità è linitata a due casi: a-ad e e-ed (ormai pedantesca la forma od). Il grande linguista Bruno Migliorini consigliava di riservare ad e ed ai casi in cui la parola successiva cominciasse con la stessa vocale: quindi ad andare (ma a essere), ed era (ma e ora); e questa norma è oggi abbastanza largamente applicata nell’editoria. In ogni caso, la d eufonica non può usarsi davanti a pausa («Vado s esso a Parigi e, ogni [erroneo *ed, ogniî volta, mi sembra di esserci per la prima volta») né davanti a nomi stranieri comincianti per h aspirata: a Haydn, non *ad Haydn. (v. XIV. 13). da’ / da / dai: 2“ persona dell’imperativo di dare, XI. 1290. V. il riquadro IMPERATIVO (Z’ PERSONA), FORME DIVERSE DI. da / da: I. 177b. da: è 1. Da (forme articolate: dal, dallo, dalla; dai, dagli, dalle) è una preposizione propria (VIII. 7) che stabilisce collegamenti di vario genere tra due elementi della stessa frase o tra due frasi diverse (VIII. 51.60.63). è 2. Quando collega due elementi della stessa frase, da può introdurre un complemento di moto da luogo («arrivo da Bari», VIII. 52-53), moto a luogo, moto per luogo e stato in luogo («verrò da te», «passo dalla finestra», «sono dalla zia», VIII.

68—69), origine o provenienza («l’Arno nasce dal monte Falterona», VIII. 54),

dare

agente e causa efficiente («la porta è stata aperta da Marco 0 dal vento», VIII. 55), causa («tremo dal freddo»,

VIII. 56), tempo («lo aspetto da molte ore», VIII. 57), stima e prezzo («ha comprato un motorino da un milione», VIII. 61), modo («comportarsi così non e date, e da villani», VIII. 62.65; in questo caso da rifiuta l’articolo, IV. 72c), fine («un cavallo da corsa», VIII. 63; in

questo caso da rifiuta l’articolo, IV. 720), qualità («una donna dai capelli rossi», VIII. 64), limitazione («sordo da

un orecchio», VIII. 66), predicativo («ero così da ragazzo», VIII. 67; in que-

sto caso da rifiuta l’articolo, IV. 720). è 3. Quando collega due frasi diverse, da può introdurre una proposizione finale implicita («Prestarni un libro da leggere in viaggio», XLV. 127c), una consecutiva implicita («E così simpatico da essere invitato a tutte le feste», XIV. 132.

139-142), una proposizione di adeguatezza irnplicita («è abbastanza ricco da poter vivere di rendita», XIV. 143), una

causale (nella locuzione congiuntiva dal momento che: «dal momento che non accetta nessuno, lo farò io», XIV. 104), una temporale (nelle locuzioni con-

giuntive dacché [= da che],tda quando, dal momento in cui: «da quando è tornato, non'è più lui», XIV. 198). è 4. Tranne che in pochissimi casi, da non si elide davanti a parola che inizia per vocale, per evitare possibili equivoci con di )(da amare / d’amare [= di amare], I. 75 .

da La Spezia / dalla Spezia: v. il riquadro PREPOSIZIONI DAVANTI A TITOLI E NOMI, USO DELLE.

da ogni parte: locuzione awerbiale di luogo; può introdurre una proposizione relativa con sfumatura concessiva, XIV,

183. da poveri vecchi: locuzione avverbiale di qualità usata come formula di risposta,

XII. 27. dacché: congiunzione subordinante temporale, XIV. 188. 198.

dal momento che: locuzione congiuntiva subordinante causale, XIV. 104.

DANESE: un confronto con il d. è in IV. 1. dare: verbo irregolare di 1a coniugazione, XI. 131-133. 5 Nella forma riflessiva darsi, in unione con a + infinito, è un

522

dare, passato remoto di

verbo fraseologico che indica l’inizio di un’ azione: «si dette a baciarlo», XI. 48.

decidere: verbo irregolare di 2“ coniuga— zione in -ere, XI. 217.

decorrere: verbo irregolare di 2“ coniugaDARE, PASSATO REMOTO DI: delle due serie di forme disponibili per il passato remoto di dare, quella oggi più comune e diffusa èla prima, che continua la base latina DEDI, DEDIT, DEDERUNT.

Detti è una forma analogica diffusasi nel XV secolo e restata caratteristica dell’uso toscano. (v. XI. 132b).

zione in -ere, XI. 213.

decrescere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 214.

dedurre: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 205.

deflettere: verbo irregolare di 2" coniugazione in -ere, XI. 240.

defimgere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 245.

DATE (li 22 settembre / [il] 22 settem-

deggio (dovere, arcaico): XI. 146. bre): il li che si trova talvolta prima di . dei (plur. di dio): III. 102; l’uso dell’articouna data nella corrispondenza burolo con la parola d. è descritto in IV. 13. cratica e commerciale (spesso scritto DEPI‘TICA. FUNZIONE: v. VII. 125 e la voce erroneamente con l’accento: lì) non è DIMOSTRATIVI, AGGETTIVI E PRONOMI, @ 2. altro che l’antica forma dell’articolo DEUTICO, VALORE: possono assumere vamaschile plurale: «né tanti augelli allore d. i pronomi personali e, soprattutbergan per li boschi» (Petrarca). Si to, gli aggettivi e pronomi dimostrativi tratta di un’anticaglia inutile, che non che indicano qualcuno o qualcosa che si c’è ragione di mantenere in vita: metrova nel contesto extralinguistico: «Ti glio adoperare il, e meglio ancora soppiace questa giacca, o preferisci quella primere senz’altro l’articolo. (V. IV. 15. laggiù?» (VII. 1); talvolta possono avere valore d. lui e lei (VII. 16), loro (VII. 60). 29), questo e quello (VII. 125), costui DATIVO ETICO: complemento indiretto affi(VII. 134), colui (VII. 135), presente ne al complemento di termine; esprime (VII. 139). il coinvolgimento affettivo di una perso— del, dello, della, dei, degli, delle, dell’: artina, generalmente rappresentata dal colo partitivo, v. IV. 62. 76 e la voce ARpronome atono mi: «che mi combini? TICOLO, @ 4. miti ammali?», Il. 54; VII. 41: XII. 58. DELIMITAZIONE, SEGNALI DI: segnali di dato che: locuzione congiuntiva subordiapertura e di chiusura posti all’inizio e nante causale, XIV. 183. alla fine di un testo o di una sua parte. dato: termine che può essere usato con Per esempio: «Eh, io vado a casa, va bevalore di aggettivo indefinito (come «in ne? », IX. 6. 12. 13. un dato momento», VII. 162. delinquere: verbo difettivo di 2a coniuga— davanti: preposizione impro ria (VIII. 7. zione in -ere, XI. 103. 136b) e awerbio di luogo XII. 34-35). deludere: verbo irregolare di 2“ coniugadavvero: avverbio di affermazione (XII. zione in -ere, XI. 181. 50), usato anche per intensificare un ag- DEMARCATIVI: v. DELIMITAZIONE, SEGNALI gettivo di grado positivo («è davvero DI. buono», V. 77). DENOMINAZIONE, COMPLEMENTO DI: è un de I Promessi Sposi / dei Promessi Sposi: complemento indiretto affine al comv. il riquadro PREPOSIZIONI DAVANTI A Tiplemento di specificazione, che può es— TOLI E NOMI, USO DELLE. sere introdotto dalla preposizione di. dea: femminile di dio, III. 73c. Precisa, con l’aggiunta di un nome prodebbo (dovere): v. XI. 145, e il riquadro prio di luogo o di persona, di mese o di DOVERE, TEMI DEL PARADIGMA DI. giorno, parole generiche come città, isoDEBOLI, FORME VERBALI: V. RIZOATONE, la, penisola, comune, repubblica, regno, FORME. principato; nome, cognome, soprannodecadere: verbo irregolare di 2“ coniugame, pseudonimo; mese, giorno. Esempi: zione in -ére, XI. 139.

decedere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in —ere, XI. 195.

«la città di Bari», «l’isola di Sicilia», «il

soprannome Chicco», «il mese di maggio», «il giorno di sabato» (VIII. 12).

di

523 DENTALI, CONSONANTI: v. I. 41 e la voce CONSONANTI, & 3.

dentro: preposizione impropria (VIII. 7.

136b) e awerbio di luogo, XII. 34-35. DEONTICO: si chiama valore d. una particolare sfumatura di significato che possono assumere i verbi dovere e potere, de— scritta in XI. 46. deporre: verbo irregolare di 2" coniugazione in —ere, XI. 275.

deprimere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 202.

deputato / deputata / deputatessa: v il riquadro NOMT PROFESSIONALI FEMMINILI. deridere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in —ere. XI. 291. DERIVATI DA BASE STRANIERA: la grafia dei d. da b. 5. (tipo shakespeariano / scespiriano) è descritta in I. 148. DERIVATI, AVVERBI: v. XII. 3. 6-16 e la voce AVVERBIO, @ 2.

DERIVATO: v. DERIVAZIONE. DERIVAZIONE: formazione di una parola nuova, detta derivato, tramite l’aggiunta a una parola base di un affisso, che può essere anteposto alla base (in tal caso è un prefisso, come dis- in disdire) o posposto alla base (in tal caso un suffisso, come -ile in primaverile), XV. 4. 7119. DESCRITTIVO, AGGETTIVO: v. V. 32 e la voce AGGETTIVO, & 5.

DESCRITTIVO, lMI-‘ERFE'I’I‘O: v. XI. 374a e la voce IMPERFETI‘O INDICATIVO. DESCRITTIVO, INFINITO: v. NARRATIVO, INFIN1TO. descrivere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 302.

DESIDERATIVE, PROPOSIZIONI: v. OTrATIVE, PROPOSIZIONI. DESIGNATUM: il d. (o referente o denotatum) è il dato extralinguistico, reale o immaginario, al quale rinvia il significa-

to diun segno linguistico (III. 32). DESINENZA: elemento finale di una parte variabile del discorso, dotato di varie

funzioni distintive (II. 2). In particolare, in alcune forme dell’articolo, nel nome,

nell’aggettivo e in molti pronomi la ci. distingue il genere (maschile e femmi— nile) e il numero (singolare e plurale): il gatto, quello nero / la gatta, quella nera / i gatti, quelli neri / le gatte, quelle nere; nel verbo la d. distingue il modo, il tempo e la persona verbale (miagolavano,

indi)cativo imperfetto, 6" persona; XI.

Slc . desistere: verbo irregolare di 2“ coniuga— zione in -ere, XI. 187. desso: pronome dimostrativo di uso antico, VII. 140b. ' desumere: verbo irregolari: di 2“ coniugazione in -ere, XI. 190. detenere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -e're, XI. 165.

detergere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 320.

DETERMINATIVE, RELATIVE: v. LIMITATIVE, RELATIVE. DETERMINATIVI, AGGETTIVI: v.-V. 2b e la vo— ce AGGETIIVO, @@ 1 e 3. DETERMINATIVO, ARTICOLO: v. IV. 1-61 e la voce ARTICOLO, 55 1-3. 5-6. , determinato: termine che può essere usato con valore di aggettivo indefinito (come «in un determinato momento»,

VII. 162. DETERMINATO: v. BASE. DETERIVRNATORE (in un sintagma): v. AGGIUNTO. detrarre: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 325. detti, dette, dettero: v. DARE, PASSATO RE-

MOTO DI. detto: forma usata come aggettivo dimo— strativo nel linguaggio burocratico, VII. 139. ' dev- (dovere): v. il riquadro DOVERE, TEMI DEL PARADIGMA DI devolvere: verbo irregolare di 2" coniugazione ìn -ere, XI. 218.

di ’: imperativo di dire, I. 243. di: 5 1. Di (forme articolate: del, dello, del—

la; dei, degli, delle) è una preposizione propria (VIII. 7) che stabilisce collega— menti di vario genere tra due elementi della stessa frase o tra due frasi diverse (VIII. 9. 22). è 2. “Quando collega due elementi della stessa frase, di può introdurre un complemento di specificazione («il suono del campanello», VIII. 10), colpa («non incolparmi del tuo ritardo», VIII. 11), pena («è stato multato di centomila lire», VII. 11), denomi-

nazione («la città di Genova», VIII. 12), di argomento (« arlare di politica»,

VIII. 13), materia”(îuna borsa di pel— le», VIII. 14), abbondanza o privazione («pieno / privo di ironia», VIII. 15), qualità («un uomo di spirito», VIII. 15

524

di guisa che bis), misura («una piscina di dieci metri», VIII. 16), causa («piange di gioia», VIII. 17), limitazione (< ronto di riflessi», VIII. 18), partitivo ?Zun chilo di pane», VIII. 19), paragone («più, meno alto di me»), fine («mi servirà di lezione», VIII. 21), moto da luogo («vado via di casa», VIII. 23a), moto per luogo «passo di là», VIII. 23c), moto a luogo «vado di là», VIII. 23d), stato in luogo «resterò di là», VIII. 23d), origine o provenienza («sono di Cuneo», VIII. 25), modo e maniera («agire di forza», VIII. 26), tempo (. -e- / -ie-: v. il riquadro MOBILI, D1TI‘ONGHI.

esplicativa («Mario fuma troppo e [= e èbbimo (avere, arcaico): XI. 65c. perciò] ha sempre la tosse»), avversati— va e conclusiva «dice di essere timida,

ed [= ma invece è sfacciata» e «muoio dal sonno e : quindi] andrò a letto subito», IX. 3c , rafforzativa («il lavoro è

bell’e fatto», VI. 28), corre/ativa («prendo questo e quello [= sia questo, sia uello]», VII. 127b), paraipotattico XIV. 9), di segnale d’apertura : «E tu questo lo chiami studiare?» «E le stelle stanno a guardare» (XIV. 17). è 2. La ripetizione della congiunzione e in una sequenza di elementi coordinati prende il nome di polisìndeto: «e resiste e s’avanza e si rinforza», (XIV. 13). 5 3. Infine, l’uso di e nel tipo «le magnifiche sorti e progressive» è illustrato in V. 41. e: la diversa pronuncia, aperta (come in pèlle) e chiusa (come in pe'sce), della e è descritta in I. 18—21. 116-118. e / o: è formula di fortuna relativamente recente, certo promossa dal modello

angloamen'cano and / or e si adopera per indicare «che la coordinazione di due elementi (singole parole 0 interi enunciati) può essere interpretata, a scelta del lettore, in due modi diversi:

come aggiunzione o come alternativa» (G. Nencioni). Dicendo, ad esempio, «se il nome del predicato è costituito da un aggettivo, concorda in genere elo in numero col soggetto», individuiamo due possibilità: 1. il nome del predicato si accorda sia nel genere sia nel numero (Anna è simpatica: femminile singolare); 2. il nome del predicato si accorda solo nel numero (Anna e Giulio sono simpatici: plurale, perché i

EBRAICOC un confronto con l’e. è in I. 172. ecc.: l’uso della virgola primà di ecc. e descritto in I. 220a. f' eccellere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 226. ‘ eccetto che: locuzione congiuntiva subor— dinante eccettuativa, XIV. 241a.

ECCEITUATIVE, PROPOSIZIONIZ indicano una circostanza che condiziona e potrebbe impedire quanto viene espresso nella reggente. Possono avere forma esplicita e implicita. Le e. esplicite sono introdotte da eccetto che, salvo che, tranne che,

fuorché, a meno che (non), e il modo verbale è il congiuntivo («verrò in aereo, salvo che [non] ci sia uno sciopero») oppure l’indicativo, quandcgsono intro— dotte da se non che («è intelligente, se

non che ha poca voglia di studiare»). Le e. implicite sono introdotte da tranne che, eccetto che, salvo che, fitorChé, se non, che, e il modo verbale è l’infinito:

«Sono disposto a tutto, tranne che chiedergli scusa» (XIV. 240-244). ecco: avverbio presentativo (XII. 58-61); può avere anche valore di interiezione (X. 36); insieme con il participio fatto, forma la frase cristallizzata ecco fatta (XII. 5%); può rafforzare la congiunzione subordinante temporale quando (XIV. 192); determina l’enclisi dei pro— no)rni atoni mi, ti, ci, vi ecc.(eccomi, VII.

69 . eco: preferibilmente femminile al singolare (un’eco, III. 23), preferibilmente

maschile al plurale (gli echi, 98-99b) ed: sull’aggiunta di una d eufonica alla congiunzione v. XIV. 13. e il riquadro D

EUFONICA.

soggetti sono due, ma maschile, men-

edèma / èdema: v. ACCENTO, e il riquadro

tre i soggetti sono di due generi diver— si). Come osserva ancora Nencioni,

ACCENTO NELLE PAROLE DI ORIGINE GRECA.

530

edile

edile: I. 189.

»

EFEEITIVI, VERRI: v. II. 43; V. 8; XI. 6a e la voce VERBO, & 7.

eventuale apostrofo in fin di riga (v. IV. 5a. e il riquadro APOSTROFO IN FIN DI RIGO).

effondere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 241.

egli: pronome personale di 3” persona maschile; v. VII. 4. 16-18. 22 e la voce PERSONALI, PRONOMI, @ 2. egli / lui: v. il riquadro PERSONALI, PRONOMI (3’ PERSONA).

eglino: pronome personale di 6" persona maschile, arcaico (VII. 30). _ eh: inter-lezione (X. 12), spesso usata come demarcativo di frasi interrogative (IX. 6; XIII. 11). ei, e’: ‘egli’, ‘essi’, pronomi personali di 3“ e di 6" persona maschile, arcaici (VII.

20.30). el: ‘egli’, pronome personale di 3" persona maschile, arcaico (VII. 20). eleggere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 252.

ELETrIVI, VERRI: v. II. 34. 43; XI. 6c e la vo— ce VERBO, & 7.

ELISIONE CON NOMI FEMMINILI COMINCIANTI PER VOCALE (la urgenza / l’urgenza): davanti a un nome femminile cominciante per vocale è normale l’elisione nel parlato (solo i lombardi dicono la una e non l’una per indicare le ore 13), mentre lo scritto tende spesso a ripristinare la forma piena dell’articolo. Si tratta di una tendenza più generale: anche con le preposizioni semplici, ad esempio, non indichiamo graficamente l’elisione che spesso realizziamo parlando (e quindi scriviamo piuttosto di essere, di impresa che non d’essere,

d’impresa). Ma è preferibile, quando l’uso non sia stabilizzato, evitare di in— trodurre, scrivendo, regole diverse da

quelle che applichiamo parlando. Meglio dunque l’urgenza, dell’opera, all ’unione. (V. IV. Sa)

elidere: verbo irregolare di 2’ coniugazio— ne in -ere, XI. 227.

ELISIONE: è la perdita della vocale finale non accentata di una parola davanti alla vocale iniziale della parola seguente. Nello scritto l’e. è normalmente segnalata dall’apostrofo: lo uovo > l’uovo; più ampi particolari in I. 72-75. 87. Casi di e. illustrati in dettaglio: negli articoli femminili (l’isola, un’isola, IV. 4) e maschili (l’uomo, gl’Italiani, IV. 5), nei numerali cardinali (cent’anni, VI. 10.16) e ordinali (venti + esimo > ventesimo, VI. 33), nei pronomi personali atoni (l’amava, VII. 34), in quello e questo (quell’altro, quest’anno, VII. 119), in alcuna

(VII. 147), in quanto (quant’altro, VII. 248), in una base lessicale davanti alla

vocale iniziale dell’affisso (ragazzo + etto > ragazzetto, XV. 3e), nel prefisso ridavanti a parola cominciante per a (ri + assicurare > rassicurare, XV. 113).

ELISIONE CON NOMI MASCHILI COM|NCIANTI PER VOCALE (lo amore / l’amore): a differenza di quel che avviene con i femminili (V. sotto), davanti a una parola maschile cominciante per vocale l’elisione è obbligatoria, nel parlato e nello scritto. Il tipo *la amore non può essere giustificato neppure per evitare un

ella: pronome personale di 3’ persona femminile (v. VII. 4. 16-18 e la voce PERSONALI, PRONOMI, è' 2) usato anche come pronome allocutivo (VII. 84. 89ella / lei: v. il riquadro PERSONALI, PRONOMI

(3’ PERSONA). elle: pronome personale di 6“ persona femminile, arcaico (VII. 30). elleno: pronome personale di 6“ persona femminile, arcaico (VII. 30). ellino: pronome personale di 6“ persona maschile, arcaico (VII. 30). ELLISSI: fenomeno che consiste nel sottintendere un elemento della frase Iicavabile dal contesto, per esempio il soggetto: «- E arrivato Gianni? — E arrivato (sottint. Gianni)» 0 il predicato: «- Chi ha telefonato? — Gianni (sottint. ha le— lefonato». Fatti particolari legati all’e.

illustrati in dettaglio sono: a) l’uso della virgola nelle e. (I. 220f); b) l’articolo apparentemente rife1ito a toponimi nelle e. («la [corsa] Milano—Sanremo», IV. 40); c) il valore intensivo dell’articolo indetenninativo in alcune e. («ho una fame...», IV. 69); d) l’interpretazione del congiuntivo volitivo e ottativo come risultato di un’e. («fosse vero! : vorrei che fosse vero», XIII. 36). Si descrivono

epitesi

531 inoltre i seguenti casi di e.: del nome nell’uso sostantivato dell’aggettivo («disegna una [linea] retta», V. 48-49); della parola lire in espressioni numeriche («ha il resto di centomila [lire]?», VI. 24b); con numerali ordinali («ingrana la terza [marcia]», VI. 38); della preposizione in composti giustappositivi

la frase, o attraverso una particolare

curva prosodica o attraverso un costrutto che sottolinei, perlopiù mediante richiami pronominali, l’elemento marcato (per esempio: «L’hai presa tu, la macchina?»; «Di questo non me ne importa niente», VII. 39). ennesimo: numerale ordinale, VI. 37.

(«sala [dei] professori», VIII. 4); del- enna (essere, arcaico): XI. 57a. l’ausiliare in una sequenza di participi («abbiamo mangiato e [abbiamo] bevu-

entrambi: aggettivo e pronome numerati-

to molto», XI. 40), di che in frasi intro-

ENUNCIATIVE, PROPOSIZIONIZ dette anche dichiarative, sono proposizioni indipendenti che consistono in una constata-

dotte da ecco («ecco [che] le porte del tempio di Giano si chiusero», XII. 59h); della proposizione reggente («Perché non mi hai telefonato? — [Non ti ho telefonato] Perché ero stanco», XIV. 30); del che nelle oggettive («penso [che] sia lui», XIV. 59); di uno specifico verbo reggente di una proposizione interrogativa indiretta («fece un esame di coscienza, [per vedere] se avesse commesso un’ingiustizia», XIV. 85) o di un’in— terrogativa indiretta («lo ha fatto senza sapere perché», XIV. 85). ELLI’ITICA, FRASE: frase in cui il soggetto o il predicato non sono es ressi: «- Vengo. — Anch’io» (11. 12-13 . ella: pronome personale di 3" persona maschile, arcaico (VII. 20). eludere: verbo irregolare di 2” coniugazione in —ere, XI. 181.

emergere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 228.

empiere / empire: verbo sovrabbondante, XI. 123b-124. . emungere: verbo irregolare di 2" coniuga— zione in -ere, XI. 259.

ÈNCLISI: % 1. Si chiama e. il fenomeno per cui un pronome personale atono (cioè privo d’accento) si appoggia, nella pronuncia, alla parola che lo precede, che generalmente è un verbo; verbo e pronome sono univerbati, cioè uniti nella

grafia: guardami, aiutarla, vedendolo ecc. (V. I. 170; VII. 69-83 e la voce PERSONAL], PRONOMI, & 4). Casi particolari di e. illustrati in questa Grammatica sono in VII. 15 (e. del pronome tu in vedestù e simili) e in VII. 103d (e. dell’aggettivo possessivo in mògliata e simili). ENCL1TICI-[EZ v. I. 170 e le voci ACCENTO e ÈNCLISI.

ENFASIZ in linguistica l’e. è un meccanismo di messa in rilievo di un costituente del-

vo, VI. 42.

zione, descrizione 0 asserzione. Hanno

il modo indicativo («oggi i giornali non escono») e, in alcuni casi, il condiziona-

le («preferirei non uscire»). Più ampi particolari in XIII. 2-5. EPANORTOSI! figura retorica che consiste

nel modificare o anche nel capovolgere un’asserzione precedente (e che risponde a calcolati effetti retorici, a differen-

za della correzione di un lapsus invo-

lontario): «la mia speranza — ma dovrei - dire piuttosto la mia illusione — era di venire a trovarvi prima dell’estate», XIV. 258. EPENTESIZ aggiunta di un suono non eti— mologico all’interno di ::parola: per esempio, v in Genova dalla base latina GENUAM (1. 97-98). EPISTEMICOZ @ 1. Si chiama valore e. una particolare sfumatura di significato che possono assumere i verbi dovere e potere , descritta in XI. 46. 5 2. Il futuro e. (o suppositivo) è, invece, un futuro (semplice o anteriore) usato per presentare un awenimento contemporaneo in forma incerta, dubitativa, ipotetica: «Riposati, sarai stanco», XI. 387. 390.

EPISTOLARE STILE: insieme di tratti stilistici che tradizionalmente caratterizzano o hanno caratterizzato il modo di scrivere una lettera. Alcuni aspetti dello s. e. riguardanti, in particolare, l’uso dei

possessivi («Come ho scritto nella mia del... / Con molti cordiali saluti, Suo...») sono illustrati in VII. 112. 116a. EPITESI: aggiunta di uno o più suoni non etimologici in fine di parola: per esempio, la sillaba -re aggiunta all’infinito latino ESSE in essere (XI. 60) e la sillaba — no aggiunta alle antiche forme di passato remoto amaro, potero, sentiro in

epperò

532

amarono, poterono, sentirono e simili

(XI. 72c). epperò: congiunzione coordinante avversativa, XIV. 21h

eppure: congiunzione coordinante avversativa, XIV. 21f.

equivalere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ére, XI. 168.

èramo, èrate (essere, arcaico): XI. 57b. ergere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 229.

.

erigere: verbo irregolare di 2“ coniugazio— ne in -ere, XI. 222.

erodere: verbo irregolare di 2“ coniugazio— ne in -ere, XI. 294.

erompere: verbo irregolare di 2“ coniuga-

ESCLUSIVE, PROPOSIZIONI: esprimono un’esclusione rispetto a quanto viene detto nella reggente, e mettono in risalto il mancato verificarsi di una circostanza. Possono avere forma esplicita e implicita. Le e. esplicite sono introdotte da senza che 0 che, e il modo verbale è il

congiuntivo («mi hanno rubato il por— tafoglio senza che me ne accorgessi»). Le e. implicite sono costruite con senza + l’infinito o col gerundio negativo: se n’è andata senza salutare», «mi ha fissa—

to non dicendo nemmeno una parola» (XIV. 239). escutere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 223.

zione in —ere, XI. 295. esattamente , esatto: avverbio olofrastico,

esigere: verbo irregolare di 2“ coniugazio—

XII. 53i. escire: v. uscire. ESCLAMATIVE, PROPOSIZIONI: @ 1. Sono proposizioni indipendenti che contengono

esimere: verbo difettivo (del solo participio passato) di 2“ coniugazione in -ere, XI. 122b. ESISTENZIALI, FRASI: VII. 46. esistere: verbo irregolare di 2“ coniugazio-

un’esclamazione; nello scritto hanno co-

me segnale grafico il punto esclamativo, e nel parlato hanno l’intonazione discendente tipica della frase esclamativa (XIII. 26). è 2. Il modo verbale è l’indicativo («com’è tardi!»); possono aversi anche l’imperativo («divertitevil»), l’in— finito («io fare una cosa del genere!»), il congiuntivo ( —mm—: v. il riquadro ASSIMILAZIONE CON I PRONOMI ATONI. no: parola olofrastica, XII. 52-53; può essere anche interiezione (X. 37), segnale di un’interrogazione retorica (XIV. 11), secondo membro di un’interrogativa alternativa (XIV. 91). noi: pronome personale di 48 persona (VII. 4. 24-28. 98). ' noi [...] ci: v. il riquadro PERSONALI (RIDONDANII), PRONOMI. noialtri: VII. 8. NOME: & 1. Il II. (o sostantivo) è una parte variabile del discorso che serve a indicare persone, animali, cose, idee, sentimenti, fenomeni, sensazioni, azioni, fatti

reali o irreali (III. 1). è' 2. Possono assumere la medesima funzione del nome anche le altre parti del discorso: in tal caso, si dice che il loro uso è sostantivato

(III. 8). & 3. I n. possono essere suddivisi in varie classi. Da un punto di vista semantico, si possono distinguere n. comuni e n. propri (rispettivamente, uomo, nazione / Giovanni, Cina, III. 3-5); n. concreti e n. astratti (rispettivamente, bambino, gatto / infanzia, bestialità, III.

6); n. individuali e n. collettivi (rispettivamente, atleta, ape / squadra, sciame, III.

3. 82). 5 4. Utilizzando i parametri morfologici del genere e del numero, i n. possono essere classificati come maschili e femminili, e singolari e plurali; sempre in base a criteri di ordine morfologico, essi possono essere ulteriormente distinti in primitivi, derivati, alterati e

composti (rispettivamente, acqua, annacquare, acquetta, acquaforte). & 5. Riguardo all’opposizione di genere fra maschile e femminile, occorre distinguere fra genere naturale o reale (che effettivamente corrisponde al sesso dell’essere

nome

cezioni, tendono a collocarsi nel genere grammaticale femminile è in III. 11—15; l’elenco dei 11. che, con diverse oscilla-

zioni ed eccezioni, tendono a collocarsi nel genere grammaticale maschile è in III. 16- 22. 5 7. Nella maggior parte dei casi il genere è individuabile in base alla

desinenza (III. 22 bis): sono riconoscibili come maschili in. che temrinano in —o o in consonante (come carro 0 bar, con le relative oscillazioni ed eccezioni, III. 2324); sono riconoscibili come femminili i n. che terminano in -a, in -i, in -tà e in -tù

(come carrozza, artrosi, bontà, virtù, con

le relative oscillazioni ed eccezioni, III. 25-28). Completano la serie in. in -e che, per desinenza, possono essere sia ma— schili sia femminili (si pensi alle oscillazioni e alle incertezze provocate da acme e carcere, III. 29). è 8. I n. di cosa non subiscono trasformazioni nel genere, e rimangono sempre 0 maschili (per esem— pio, treno, dispetto) O femminili (per esempio, medicina, fedeltà). In alcuni n. il passaggio dal maschile al ferruninile è apparente, perché riguarda parole con radici diverse, casualmente omofone (come in arco / arca; l’elenco completo in III. 31); in altri n. il passaggio dal ma-

schile al ferruninile nella medesima radice comporta un cambiamento di signifi— cato (come in balzo / balza; l’elenco completo in III. 32—33). Altri casi in cui al cambiamento più 0 meno occasionale nel genere corrisponde un cambiamento più o meno netto nel significato sono descritti in III. 3442). 5 9. A differenza dei n. di cosa, quelli che indicano esseri animati possono avere entrambi i generi. In linea di massima, si passa dal maschile al

femminile attraverso il cambiamento della desinenza o con l’aggiunta di speciali suffissi. & 10. [meccanismi che rego— lano questo passaggio, descritti, con le relative eccezioni e particolarità, in III. 43-67, sono schematiuabili nel modo _ che segue: MASCHILE

indicato, come accade nei n. maschili pit-

tore, lupo e nei n. femminili pittrice, lupa) e genere grammaticale, che solo per convenzione stabilisce che siano maschi— li n. come libro, cielo e femminili 11. come penna, nuvola (III. 9-10). 5 6. L’elenco dein. che, con diverse oscillazioni ed ec—

FEMMINILE

-0, -a, -e (nonno, -a, -ossa (nonna, avvacata,collega, avvocatessa, profeta, padrone, collega, padrona, studente) studentessa) -tore

(lettore)

-lrice

-sore

(difensore)

-(d)itrice (difenditrice)

(lettrice)

560

nome del predicato, accordo del è' 11. Alcuni n. di esseri animati, comu-

ni e propri, formano il femminile aggiungendo alla parola base il suffisso diminutivo -ina, -ella, -etta (eroe / eroina,

Antonio / Antonella / Antonietta) oppure formano il maschile aggiungendo alla parola base il suffisso accrescitivo one (capra / caprone; altri esempi e particolarità in III. 68-72). 5 12. Completano il quadro: a) alcuni n. che formano il femminile in modo non prevedibile (abate, cane, dio, doge, re III. 73); b) i cosiddetti n. indipendenti, in cui maschile e femminile si formano da due radici diverse (frate / suora, genero / nuora, ecc.; altri esempi e particolari in III. 74-76); c) i cosiddetti n. di genere promiscuo (per esempio aquila e delfino), in cui un’unica forma designa sia il maschio sia la femmina, distinguibili solo aggiungendo la parola maschio o femmina 0 la perifrasi il maschio / la femmina del(la): un’aquila maschio / femmina oppure il maschio / la femmina dell’aquila; altri esempi e particolari in III. 77-79); d) i n. di genere comune, che hanno una sola forma sia per il maschile sia per il femminile: il genere, in questo caso, si ricava dal contesto lin-

guistico, nella fattispecie dall’articolo 0 dall’aggettivo che accompagna il sostantivo (il / la cantante; il / la birbante; il / la coniuge; il/ l’artista; il/ la matricida; il / la pediatra; il / l’atleta; altri esempi e

particolari in III. 80). 5 13. L’opposizione fra singolare e plurale è marcata dal cambiamento della desinenza del 11. (III. 82). I meccanismi che regolano questo passaggio sono schematizzabili nel modo che segue: CLASSE 1'

SINGOLARE

PLURALE

minili in -ìa, v. III. 94-95; dei 11. femminili in -cia e in -gia v. III. 96; dein. in -ìo, v. I. 180a e III. 101-102; dein. in -io, v. III. 103-105; dein. in -co e in -go, v. III. 106-108; dei 11. come uovo — uova, v. III. 109; dein. in -e, v. III. 111-113; dei 11. in

-cie, in -gie e in -glie, v. III. 114—115. Co— stituiscono gruppo a sé: a) i n. con doppio plurale o sovrabbondanti (come braccio > bracci / braccia; l’elenco com-

pleto in III. 117-122); b) i 11. con doppia forma di plurale (come orecchio / orecchia > orecchi / orecchie, ecc.; l’elenco

completo in III. 123); c) i n. invariabili al plurale (come la città / le città; la gru / le gru, ecc.; altri esempi in III. 124-129). Le indicazioni relative alla formazione del plurale dei n. stranieri sono in III. 130-132; quelle relative alla formazione

del plurale dei n. propri sono in III. 133-136; infine, le indicazioni relative

alla formazione del plurale dein. composti sono in III. 137-150. 5 14. Esisto-

no, infine, n. difettivi, cioè privi di singolare (i calzoni, le forbici, ecc.; l’elenco

completo e le relative particolarità in III. 151) o di plurale (l’ovest, l’epatite, ecc.; l’elenco completo e le relative particolarità in III. 152). NOME DEL PREDICATO, ACCORDO DEL: prescindendo dall’ordinaria amministrazione (se il nome del predicato è un aggettivo, concorderà in genere elo in numero col soggetto: Anna è simpatica, Anna e Giulio sono simpatici), i ca-

si di più frequente incertezza sono i seguenti: è 1. Se il nome del predicato è un sostantivo con forme diverse per maschile e femminile, concorderà nel

genere col soggetto: Anna è infermiera (per il tipo Anna e‘ avvocato v. NOMI PROFESSIONAL] FEMMINILI) & 2. Se il sog— getto e plurale, il nome del predicato

maschili in -a (problema)

-i (problemi)

femminili in -a (collina)

-e (colline)

2'

maschili e femminili in -0 (ragazzo, mano)

—i (ragazzi, mani)

va, in linea di massima, al plurale: Anna e Giulio sono infermieri. Tuttavia,

3"

maschilie femminili in-e

-i (cani,azioni)

può aversi il singolare con un nome collettivo («i ragazzi erano un gruppo molto affiatato») e con un nome astratto o comunque non numerabile («i suoi dolci sono una squisitezza», «questi bambini sono un disastro») % 3. In frasi in cui soggetto e predicato nominale sono equivalenti dal punto di vista logico, l’accordo può farsi in-

(cane, azione)

In particolare: per il plurale dei n. maschili in -a, v. III. 86. 91; dein. femminili in -a, v. III. 87-89; dein. di genere comune in -iatra, in -ista, in -cida e degli altri n. di genere comune in -a, v. 90; dei n. in -ca e in -ga, v. III. 92-93; dein. fem-

nomi professionali femminili

‘\(I|

differentemente al singolare o al plu— rale, trattando come soggetto di volta in volta uno dei due membri dell’enunciato: «l’orario di a ertura [segg.] è le quattro [predicatoî», «l’orario di apertura sono [predicato] le quattro [sogg.]>>; «l’argomento della lezione è (sono) i carboidrati». (v. II. 32. 45 e la

voce PREDICATO, {>} 3).

nante precedente, come avviene invece per il singolare). Potrebbe dunque essere eliminata senza danno. Ma in alcuni casi può far comodo per distinguere due omògrafi (le camicie che si portano sotto la giacca e il camice indossato dal medico); in altri tende a sopravvivere per il prestigio della corrispondente forma latina (provincie, come il lat. PROVINCIAE); in altri ancora

NOMI COMPOSTI! V. COMPOSTE, PAROLE.

NOMI D’AGENTE: n. che designano chi compie un’azione, come per esempio aramre “colui che ara’, III. 61.

(*faecie, *foggie) sarebbe considerata erronea da qualsiasi insegnante. Per mettere un po’ d’ordine, alcuni hanno proposto a suo tempo una nonna ragionevole, che consente di 01ientarsi in

NOMI DEI GENlTORI, ARTICOLO E POSSESSIvo CON ] (mia mamma O la mia mamma? mio papà o il mio papà?): la forma prop1ia della tradizione lettera—

ogni caso e di evitare forme universalmente giudicate scorrette. La i va mantenuta quando la c e la g sono precedute da vocale (acacia — acacie, cilie-

ria richiede, con le due varianti affetti-

gia — ciliegie), va eliminata quando la c

ve dei nomi dei genitori, l’articolo davanti al possessivo. Ma oggi questa

e la g sono precedute da consonante (goccia — gocce, spiaggia — spiagge e quindi anche provincia — province). (v. III. 96).

norma è largamente disattesa, tranne

che in Toscana (dove però non si usa papà, ma babbo: il mio babbo). Avrà agito probabilmente il modello di pa— dre e madre, nei quali l’assenza dell’articolo è generale nell’italiano contem— poraneo (mio padre, mia madre). Fatto sta che i tipi mia mamma, mio papà devono considerarsi pienamente accettabili, sia per la loro diffusione attuale, sia perché sarebbe vano preten— dere di legiferare grammaticalmente in un àmbito come questo, così intimamente legato agli affetti familiari. (v.

IV. 52). NOMI FEMMINILI IN .A: la formazione del

plurale dei 11. f. in -a è illustrata in III. 87. NOMI FEMMINILI IN -E: la formazione del plurale dei n. f. in -e è illustrata in III. 111. 113. NOMI IN -r. la formazione del plurale dei n. in -i è illustrata in III. 129. NOMI IN -CIA E -GIA, PLURALE DEI: nel plu— rale dei sostantivi in -eia e -gia (con accento sulla penultima: camicia, valigia

ecc.), la i non ha valore fonetico (ossia non corrisponde a un suono efiettivamente pronunciato; lo stesso vale per il singolare) né diacritico (ossia non ser— ve a indicare la pronuncia della conso-

NOMI MASCHILI IN .A: la formazione del femminile dei 11. m. in -a è illustrata in III. 46; la formazione del plurale è illustrata in III. 86; l’elenco dei 11. m. in -a

invariabili al plurale è in II.£_126. NOMI MASCHILI IN -E: la formzîzione del femminile dei ri. m. in -e è illustrata in III. 47-49; la formazione del plurale è illustrata in III. 111-113. NOMI MASCHILI IN -0: la formazione del femminile dein. rn. in -o è illustrata in III. 43—45; la formazione del plurale è il— lustrata in III. 98-100. NOMI MASCHILI IN -SOREI la formazione del femminile dein. In. in -sore è illustrata

in III. 67. NOMI MASCHILI IN -ronez la formazione del femminile dein. In. in —tore è illustrata

in III. 61-66. NOMI PROFESSIONALI FEMMINILI (la presidentessa / la presidente / il presidente): quando si parla del femminile di nomi di professione entra in gioco, oltre alla grammatica, l’ideologia. Nel caso di presidentessa, così come in quelli paralleli di altri nomi in -essa (avvocatessa, deputatessa e persino poetessa e studentessa), un opuscolo ufficiale pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei

nomi propri

562

ministri nel 1993 e curato da Alma Sabatini contro il «sessismo» linguistico prescriveva di ricorrere a nomi epiceni — ossia con un’unica forma per femmi-

uso stabile (la preside) o maggioritario (la presidente); b) optare, nel caso di forme con maschile in -o (avvocato) o

nile e maschile (la presidente, la stu-

me in -a. Queste ultime sono parole che all’inizio possono sembrare bizzar-

dente, la poeta) — oppure ai «regolari» femminili in —a (avvocata, deputata). Questo perché il suffisso -essa ha una connotazione tradizionalmente sfavorevole, ironica. Tuttavia, c’è da restare

molto perplessi di fronte all’estremi— smo delle proposte: se è possibile che l’uso ufficiale consolidi tendenze già esistenti (la presidente), è ben difficile che possa imporre forme puramente artificiali, scalzando un uso ben conso-

lidato (la studente invece di studentessa). Tanto più che nemmeno l’opuscolo della Sabatini propone di eliminare forme come dottoressa e professoressa. Ma perché alcuni sostantivi indicanti cariche, uffici, titoli hanno una forma

femminile (presidente — presidentessa) e altri no? Dobbiamo distinguere tre casi: 5 1. Alcune forme (presidentessa, ambasciatrice, governatrice), entrate da tempo in italiano, hanno designato in un primo tempo soprattutto la «moglie» di un uomo che rivestisse una data carica; solo successivamente, con la

presenza sempre più larga delle donne in ranghi professionali tradizionalmente maschili, forrne del genere sono passate a indicare le titolari di un certo uf— ficio. è 2. Altri titoli (in particolare dottoressa e professoressa, ma anche studentessa e poetessa), relativi ad attività da molto tempo svolte da donne, sono

di uso stabile e generale. è 3. Il gruppo più numeroso è costituito da nomi maschili (avvocato, ingegnere, questore) il cui femminile, se esiste è o era legato a usi particolari (Avvocata come epiteto della Madonna ecc.). Di qui le oscillazioni nell’indicare ad esempio una donna che perori una causa in tribuna-

in -iere (ingegnere) per le regolari forre, ma sono grammaticalmente ben

formate e non è difficile abituarcisi. Del resto, alcuni giornali (per esempio, «I’Unità») hanno adottato già un criterio simile: «Elisabetta, 30 anni, la

sindaca che ha osato sfidare la ‘ndran— gheta», [alla conferenza stampa] «oltre alla ministra Finocchiaro, hanno partecipato le ministre Turco e Bindi» (entrambi li esempi nel numero dell’8.3. 19977%. (v. anche III. 50-60). NOMI PROPRI! v. NOME, @ 3. Per il plurale dein. p. v. III. 133-136; l’uso dell’articolo coin. p. è descritto in IV. 70-71. NOMI STRANIERI: i modi di formazione del plurale dei 11. s. non adattati sono descritti in III. 130-132; l’uso dell’articolo davanti a n. s. comincianti con un suono estraneo all’italiano è descritto in IV. 70-71; le trasformazioni fonetiche che subiscono i derivati da n. s. uscenti in

consonante (tipo volteriano o volterriano) sono illustrate in XV. 9. NOMI STRANIERI, PLURALE DEI: come comportarsi col plurale di nomi stranieri non adattati in italiano? Il proble— ma riguarda gli anglicismi (come quello che abbiamo messo a lemma), ma anche i france'sismi (le tournée o le toumées?), gli spagnolismi (i silo o isilos?), i germanismi (i Lied oi Lieder?) Più stabile il quadro offerto da esoti— smi provenienti da lingue meno familiari, che — anche quando terminano in vocale — tendono a rimanere invariati al plurale: i pope o gli ukase russi, gli ayatollah iraniani, ecc. In generale, bi-

ti i femminili già in uso (dottoressa, di-

sogna distinguere tra forestierismi saldamente impiantati in italiano, per i quali è decisamente preferibile il plurale invariato (gli sport, i film, i computer) e gli esotismi di uso specialistico che presuppongono, in chi li usa, una conoscenza almeno sommaria della lingua di appartenenza. Se qualcuno, parlando di Baviera e Sassonia, vuol

rettrice) e generalizzare gli epiceni di

fare ricorso al termine tedesco Land,

le: l’avvocato Ma.ria Rossi, l’avvocates-

sa Maria Rossi e, da qualche tempo, anche l'avvocata Maria Rossi. I suggerimenti che possono essere proposti, alla luce della struttura della lingua italiana e delle tendenze socioculturali in atto, sono i seguenti: a) mantenere tut-

563

nontiscordardimé

foss’altro che per evitare una figuraccia, deve ricorrere all’italiano regioni). Anche i non molti francesismi ancora in circolazione presuppongono in chi li adopera una certa cultura (proprio perché si tratta in gran parte di tem1ini astratti, scelti non per necessità ma per il loro prestigio): quindi le débàcles (con gli accenti al posto giusto e la s

NOM]NALI DEVERBALI, sumss1: V. XV. 7—9. 28-39 e la voce sumsso. NOMINALI E AGGETITVALI, PREFISSI: prefissi che servono per formare nomi ed a gettivi. I p. di tipo spazio-temporale XV. 81) indicano una relazione nello spazio e nel tempo (come extra— in extraterrestre e post- in postmodemo: l’elenco completo è in XV. 82-95); i p. di tipo valutativo (XV. 96) qualificano un nome o un aggettivo in senso positivo o negativo, vero o falso (come ben in benpensante, mal in maldisposto, pseudo- in pseudoragiona-

del plurale; diversamente, non manca-

mento) oppure ne graduano l’intensità

no termini italiani come disfatta, scon— fitta, disastro, sfacelo), gli escamotages (o escamotaggi, espedienti, trovate, giochi di bussolotti), le querelles (o dispu—

(come stra- in straricco e sotto— in sottosviluppo: l’elenco completo è in XV. 97108). v. anche la voce PREFISSO. NOMINALIZZATO. AGGE'I'ITVOZ v. SOSTANTIVATO, AGGE’ITIVO ' NOMINATIVO: forme e nomi italiani deri— vati dal n. anziché dall’accusativo latino sono indicati in 1.190 e III. 73.

benissimo; ma non può ignorare che il

plurale tedesco è Lander, con tanto di maiuscola e puntini sulla a (e se lo ignora, niente di male: ma allora, non

te, diatribe, controversie, polemiche).

Tornando agli anglicismi, che sono il grosso dei forestierismi non solo per quantità ma anche per frequenza d’ uso, la forma invariata — generalmente raccomandata anche dai principali dizionari — è largamente presente nella stampa (che pure, talvolta, si lascia an-

dare a inutili snobismi: «dopo tante violenze e tanti incidenti mortali in diversi sports»: «Corriere della Sera», 4.2.1995); quindi i charter, i club, i computer, i film, i flash, gli hobby, i mana-

ger, i monitor, i puzzle, gli scoop, gli yuppie. (v. III. 130-132).

non: awerbio di negazione, XII. 51. 55;

XIV. 13. 16. NON ADA’ITATE, PAROLE: v. ADATTATE, PAROLE. non c’è male: locuzione avverbiale qualificativa, XII. 27.

non darmelo / non me lo dare: v. il riquadro NEGATIVO, [MPERATIVO.Z , non e‘ vero: struttura interrogativa parentetica che chiede conferma di un’asserzione, determinando una frase interro-

gativa retolica: «mi vuoi bene, non e ve— NOMI USATI COME AGGE'I'I'IVI: il tipo «Claudia è civetta» è descritto in V. 43—44. NOMINALE, FRASE: si dice 11. qualunque fiase priva di predicato: «mani in alto!» «edizione straordinaria!» (II. 14; XIV. 94. 177. 220. 250. 260-263). NOMINALE, PARTE! v. NOME DEL PREDICATO. NOMINALE, SINTAGMA: v. SINTAGMA. NOMINALE, STILE: si parla dis. n. quando in un periodo sono presenti numerose frasi nominali, e le frasi verbali sono colle-

gate mediante coordinazione, giustapposizione 0 strutture subordinative elementari, quali proposizioni oggettive, soggettive, relative (XIV. 260). NOMINALI DEAGGE’I’I’IVALI, sumssr V. XV. 7-9. 22-27 e la voce SUFFISSO. NOMINALI DEAVVERBIALI, SUFFISSI: v. XV. 7-

9. 62 e la voce SUFFISSO. NOMINALI DENOMINALI, SUFFISSIZ v. XV. 7-9. 10—21 e la voce sumsso.

ro?», XIII. 11.

non me lo dire / non dirmelo: V. il riquadro NEGATIVO, IMPERATIVO. non solo: locuzione awerbiale usata in correlazione con ma anche, XIV. 28c. non una: ‘nessuno’, VII. 204. nonché, non che: congiunzione correlati-

va XIV. 28d) e subordinante soggettiva XIV. 76). nondimeno: congiunzione coordinante avversativa, XIV. 21d. nonniente: VII. 200. nonnulla: VII. 200. nonostante: congiunzione subordinante concessiva (XIV. 179c). V. anche XI. 110 e la voce ABLATIVO ASSOLUTO. nonpertanto: congiunzione coordinante avversativa arcaica, XIV. 21h. nontiscordardimé / nontiscordardime: V. il riquadro POLISILLABI OSSITONI, ACCENTO GRAFICO SUI.

nosco_ nasca: ‘con noi’ (arcaico), VII. 7. nossignore: awerbio olofrastico, XII. 53f. nostro: aggettivo e pronome possessivo,

VII. 99 sgg.; nell’espressione «il n.» significa ‘autore di cui si parla’ (VII. 1140). NOTO: in linguistica pragmatica, il «noto» è l’argomento conosciuto (XIV. 259) su cui l’emittente dà una o più informazio— ni sconosciute al destinatario (il «nuovo», XIV. 254b. 259): «il giornale di ogi [ = noto] dedica due pagine al derby E= nuovo]». ' notte!: formula di saluto, X. 42.

novantun anni / novantun anno: v. il riquadro UNO, NUMERALI COMPOSTI CON. NUCLEARI, INTERROGATIVE! v. PARZIALI, INTERROGATIVE. nui: ‘noi’, VII. 25.

nulla: pronome indefinito negativo, VII. 191. 198-199; la locuzione avverbiale

nulla nulla (che): introduce una proposizic)me ipotetica al congiuntivo (XIV. 169 . nulla: come aggettivo e pronome indefinito negativo è ormai disusato, VII. 202. NUMERALIZ @ 1. In. sono aggettivi (e anche nomi) che esprimono una quantità numerabile e traducibile in cifre: «due ca—

se» (agg.), «un paio di case» (nome). è 2. Possiamo distinguere tra 11. cardinali (quelli fondamentali, con i quali si può esprimere qualsiasi numero: due, cinquanta, seimilasettecentoquarantasette, VI. 2-3), 11. ordinali (che indicano l’ordine di successione: primo, ventesimo,

cinquantunesimo, VI. 4), n. frazionari (che indicano la parte di un tutto: tre quarti, un decimo, otto centesimi, VI. 5),

564 settanta, ottomila); composti tutti gli altri (quindi: sessanta-nove, due—centocinquanta-sei; più ampi particolari, anche su forme e usi antichi o regionali in VI. 16—31). è 4. I numerali ordinali sono comuni aggettivi variabili in genere e numero: «i primi classificati», «il secon-

da tempo», «la quarta classe» (più ampi particolari in VI. 32-39). 5 5. I numerali fiazionari — i suffissati in — esimo, mezzo ecc. — sono illustrati in VI. 40. 5 6. I moltiplicativi si distinguono in due serie: a) doppio e le forme in -plo (triplo, quadruplo, quintuplo ecc.); b) le forme in —plice (duplice, triplice, quadruplice ecc., VI. 41). 5 7. I sostantivi e aggettivi numerativi sono forme parallele ai numerali veri e propri, in particolare ruotanti intorno ai numeri 2 e 3: paia, coppia, duo, duetto; terzetto, triade, terno, terna ecc., VI. 42-47. Si vedano inoltre i riquadri SECOLI; uso DEI NUMERALI CON [;

ORDINE. NUMERO D’; UNO, NUMERALI COMPOSTI CON, e la voce zero.

NUMERATIVI, SOSTANI'IVI E AGGETTIVI: v. VI. 7. 42-47 e la voce NUMERALI, 59 2 e 7. NUMERI: le norme che regolano la rappresentazione grafica dei numeri (in cifre o in lettere) sono illustrate in VI. 3. NUMERO: in grammatica il n. è quella particolare categoria che serve ad esprimere la quantità degli elementi coinvolti in una qualsiasi produzione linguistica, che possono essere uno (in tal caso il n. è singolare: un mantello) o più d’uno (in tal caso il n. è plurale: molti mantelli), III. 1. 82-83. nuocere: verbo irregolare di 2n coniugazione in -ere, XI. 267—268.

nuotare: verbo in cui il dittongo uo fuori

n. moltiplicativi (che indicano di quante

accepto evita la confusione con notare,

volte un numero sia maggiore di un altro: doppio, quintuplo, centuplo, VI. 6), sostantivi e aggettivi numerativi (sostantivi e aggettivi che indicano un numero

1.58 .

definito: paio, terzetto, decina, VI. 7). è

3. I numerali cardinali (VI. 10-11) sono infiniti e invariabili, tranne una (variante apocopata un), che ha il femminile una (variante elisa un’, V1. 12-15). Si considerano primitivi i cardinali com— presi tra una e dieci, oltre a venti, cento e mille; derivati i nomi delle decine ter—

minanti in -anta e i nomi delle migliaia terminanti in -mila, (quindi: cinquanta,

nuovamente: formula di saluto, X. 44. nuovo, di: formula di saluto, X. 44. num: ‘nuora’, nome femminile in -o, ar— caico, III. 23.

nutrire: XI. 82b. nylon / nailon / naylon: I. 149. ò: variante grafica di ho, oggi di uso raro e di tono popolare, I. 137. o: 5 1. Congiunzione coordiùante disgiuntiva (XIV. 24), usata anche in nessi correlativi (XIV. 28), per introdurre il secondo membro di un’interrogativa alterativa («vai a Roma o a Napoli?», XIV.

565 91) nonché nel tipo «questo o quello» (VII. 127a). @ 2. Interiezione (X. 19), usata in fiorentino come elemento introduttore di frasi interrogative (XIII. 1621 . o: la diversa pronuncia, aperta (come in pòrta) e chiusa (come in pollo), della 0 è descritta in I. 18-21. 116.119-120. —0- / -uo—: v. il riquadro MOBILI, DI’ITONGl-ll. () no / o non / o meno: l’unica espressione da sempre esistita in italiano, e quella più raccomandabile anche in forza di una buona vitalità attuale, èla

prima, in cui l’avverbio no svolge la consueta funzione olofrastica, rappresenta cioè un’intera frase (come avviene anche nelle espressioni come no?, o no?, se no); già in Dante leggiamo: «non disceser venti / O visibili o no». Il tipo o non rappresenta una forma ellittica, derivata da una frase come «tutti

oggettive, proposizioni congiunzione a v. XIV. 13. v. anche il riquadro D EUFONICA. oddio: I. 70. ODÒNIMO: nome di una strada o, ”per estensione, di un quartiere, di una zona, urbana e simili, I. 194b; VIII. 85d. L’uso

dell’articolo con glio. è illustrato in IV. 44c. 45. ODONIMI, STATO IN LUOGO NEGLI: per indicare lo stato in luogo negli odònirni (cioè nelle denominazioni stradali), l’uso più generale richiede in, ma è ab-

bastanza diffuso anche a, in origine proprio dell’italiano romano e meridionale. La diffusione del tipo a via Cavour dipende dal modello dei topònimi (0 nomi di città), in cui a è più diffuso e corrente di in: a Firenze, a Mila-

no (rispetto a formule come «Attilio Colombo, notaio in Milano»). (v. VIII. 85d).

gli studenti, promossi o non promossi» per cancellazione dell’elemento ripetuto. Di fortune ottocentesche il tipo o

offendere: verbo irregolare di 2“ coniuga-

meno, calcato sul lat. SI MINUS, SIN MI-

ofierire: v. ofirire.

NUS ‘se no’ e forse nato in ambiente burocratico. (v. XII. 53h). obiettivo / obbiettivo: l’alternanza tra le due forme, sia per il sostantivo (‘scopo’) sia per l’aggettivo (‘equanime’), è quella tra una forma dotta, più vicina alla base latina onu—:crrvus, e una popolare, con raddoppiamento della b davanti a i semiconsonantica. Entrambe le forme sono accettabili; ma quella più comune, e quindi più raccomandabile, è la prima: dall’annata 1993 del «Corriere della Sera» si ricava che a 214 esempi di obbiettivo se ne contrappongono ben 3266 di obiettivo.

zione in —ere, XI. 219.

ofirire (verbo irregolare di 3“ coniugazione): nel passato remoto, l’alternativa tra le due serie offersi,»ofierse e of— friì, offrì è da sempre esistitzì‘i’n italiano (parallelamente, sofiersi, sofierse / soffrii, sofi°rì; e v. anche. aprire, con le forme apersi / aprii). Solo nell’ultimo secolo la bilancia ha piegato decisamente verso le forme deboli, più regolari. Istruttiva un’occhiata al «Corriere della Sera» del 1995: offrii batte offersi per 4—0 e la 3“ persona ofii‘ì batte offer— se per 106 a 3; generale è sofi'rì rispetto a sofierse. (v. XI. 344-345). OGGE'ITIV'E, PROPOSIZIONI: svolgono, nel

OBLIQUI, COMPLEMENTI: v. INDIRETTI, COMPLEMENTI. occhiale: una delle due parti degli occhiali; un singolo tipo di occhiali, III. 151a. occludere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 177.

OCCLUSIVE, CONSONANTIZ v. 1. 35 e la voce CONSONANTI, & 1.

occorrere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 213; XIV. 68. 77a. oca, ocone: III. 79a.

ad: sull’aggiunta di una d eufonica alla

periodo, la funzione di complemento oggetto della proposizione reggente. Possono avere forma esplicita e implicita. Le 0. esplicite sono introdotte da che e il modo verbale è, a seconda dei casi, l’indicativo, il congiuntivo o il condizionale: «ti dico che non lo conosco»,

«penso che non si sia comportato bene», «credo che sarebbe divertente». Le 0. implicite sono introdotte da di (che in alcuni casi può mancare) e hanno il verbo all’infinito: «Riferisce di non aver vi-

oggettivo valore sto niente», « Sento le campane suonare» (XIV. 37-65). OGGETTIVO VALORE: il v. 0. dell’aggettivo possessivo è descritto in VII. 102; il v. 0. del complemento di specificazione è descritto in XI. 409. OGGETTO,COMPLEMENTOZ & 1. Secondo la definizione tradizionale, il c. o. (o, più precisamente, c. o. diretto) è l’elemento della frase su cui l’azione — compiuta dal soggetto ed espressa dal predicato nella forma di un verbo transitivo attivo — ricade direttamente, cioè senza che il

complemento sia legato al verbo da preposizioni: «Gianni mangia la pasta» (II. 6). 5 2. Costrutti particolari: a) il c. dell’oggetto interno, rappresentato da un nome con la stessa radice del verbo reggente, solitamente intransitivo («vivere la vita», II. 35.36); b) il letterario accusalivo di relazione, un complemento che dipende, senza preposizioni, da un aggettivo o da un participio e ne restringe il valore, esprimendo condizioni fisiche o spirituali: «donne la più parte, coperte il volto (= coperte per quel che riguarda il volto) di ampi zendali» (II. 37); c) il e. oggetto partitivo, preceduto dalle forme articolate della preposizione di, che indicano una quantità 0 un numero non definiti: «prenderò del pane e dei grissini» (II. 38). è 3. Altri fatti particolari sono descritti in Il. 39 (usi regionali), 11. 40-41 (posizione del c. oggetto), VII. 238 (c. oggetto rappresentato da cui), XI. 365-368 (accordo del participio di un verbo transitive con il soggetto e col c. oggetto, tipo «Hai lavato la macchina? — Sì, l’ho lavata»). oggi: avverbio di tempo, XII. 28-31. ogne, variante arcaica di ogni, I. 19%.

ogni: aggettivo indefinito collettivo, VII. 178.186.188 ogniqualvolta: locuzione congiuntiva subordinante temporale, XIV. 151a. 202. ognuno: pronome indefinito collettivo, VII. 186. OLANDESE: un confronto con l’0. e in I. 172. OLOFRASTICOZ si dice di una singola forma che equivalga per significato a una frase compiuta (e che in tal caso si definisce

566 come avverbi, ma che in realtà equivalgono a un’intera frase: «Hai capito quello che ti ho detto? — Sì», XII. 52-53;

XIII. 7a. oltre: reposizione impropria (VIII. 7. 136e1)); in unione con che o a introduce una proposizione aggiuntiva implicita («Oltre che [a] essere bravo, è anche simpatico», XIV. 238). oltre misura / oltremisura: v. il riquadro UNIVERBAZIONE e XII. S.. oltre modo / oltremodo: v. il riquadro UNIVERBAZIONE e XII. 5. omettere: verbo irregolare di 2a coniuga— zione in tere, XI. 255. OMÒFONO: si dice di una parola che presenti la stessa pronuncia di un’altra; le

due parole possono coincidere nella grafia (si parla allora di omo‘nimi: canto ‘canzone’ e ‘angolo’), oppure diver ere: anno e hanno (sostantivo e verbo , I.

136.180b. OMÒGRAFO: si dice di una parola che pre— senti la stessa grafia di un’altra; le due parole possono divergere nella pronuncia (botte: con lol ‘tino’, con /o/ ‘percosse’), oppure no (negli omonimi), I. 178. 180b. OMÒNIMI, GRAFIA DEGLI: Nel caso degli omònimi (parole identiche nella grafia e nella pronuncia, ma di significato distinto) l’uso della maiuscola è fortemente consigliabile perché ha valore distintivo: ad esempio, «i dipendenti dello Stato» / «sono stato dipendente pubblico»; «la Camera dei deputati» / «la camera da letto»; «la Borsa di Milano» / «la borsa di Teresa»; «la Chiesa

cattolica» / «la chiesa di corso Umberto». (V. I. 195). OMÒNIMOZ v. I. 178. 180b e la voce OMÒFONO. onde: Può essere, a seconda dei contesti,

6a. 17). Le parole o. per eccellenza so-

avverbio interrogativo ed esclamativo (XII. 57a) o congiunzione subordinante relativa (VII. 247), conclusiva (XIV. 25c), finale (XIV. 127d), consecutiva (XIV. 1360). ande + infinito: la proposizione finale implicita introdotta da onde («Si passò una mano sulla fronte onde prestargli attenzione» Pratolini), pur essendo at—

no si e no, tradizionalmente classificate

testata fin dai primi secoli, è stata a lun—

frase monorematica, II. 15; V. 65; VII.

567 go il bersaglio dei puristi nell’Ottocento. In realtà, onde con l’infinito non può davvero dirsi un errore; e le riserve che può suscitare sono stilistiche, come os-

serva Giovanni Nencioni: «Oggi, a dir vero, quel costrutto sente un po’ di muffito e di stereotipo, forse per esser divenuto formulare nei linguaggi settoriali». (v. XIV. 127d). ONIRICO,IMPERFETTOZ v. XI. 374g e la voce IMPERFETI‘O INDICATIVO. ONOMATOPEA: sequenza fonica che tende a riprodurre o a evocare un suono naturale. Può essere costituita da una suc— cessione di suoni (brrr, crac, clap, miao,

ostinarsi

che e a movimenti artistici: stile Luigi

XV (=Luigi quindici). (v. VI. 36c). orecchio / orecchia: III. 123b.

ORGANICI, COMPARATIVI E SUPERLATIVI: v. V. 79-85; XIV. 235 e la voce AGGETTIvo, & 9.

ORIGINE E PROVENIENZA, COMPLEMENTO DI: è un complemento indiretto che indica l’origine o la provenienza di una persona o di una cosa, in senso proprio o figurato e, a differenza del complemento di moto da luogo, non indica movimento. E introdotto dalle preposizioni da e di. Esempi: «Alessandro Manzoni nac—

drin, cip cip, tic tac, bau bau, din don

que da Giulia Beccaria»? «le patate so-

dan) oppure da una serie di sillabe (pa-

no) originarie dell’America» (VIII. 25.

tapùm, patatrac, patapumfete, taratatà, coccode‘, Chicchirichì), fino a diventare

ORÒNIMO: nome di un monte o di una ca-

una parte autonoma del discorso, trasformandosi in un nome o un verbo: per esempio, il chioccolio e il chioccolare della fontana, in tintinnio e il [innin-

nare dei sona ', il gracidio e il gracidare delle rane I. 41; X. 31—32. 47- 49).

54 . tena montuosa, V. 80.

ORTOGRAFIA: I. 10.

ORTOGRAFICI-IE, RIFORME: le r. o. proposte da G. G. Trissino nel Cinquecento e da A. M. Salvini nel Settecento sono ricordate in I. 21.

opporre: verbo irregolare di 2° coniugazione in -ere, XI. 275.

opprimere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 202.

oppure: congiunzione coordinante disgiuntiva, XIV. 24c.

orsono (nel tipo due anni or sono): XII. 30. ora che: locuzione congiuntiva subordi— nante causale, XIV. 116.

ora: avverbio di tempo (I. 36a; XII. 32d); in unione con che introduce una proposizione temporale-causale: «Ora che lo so, ci starò attento», XIV. 116.

ORALE DISCORSO: v. PARLATA, LINGUA. ORALI, CONSONANTI: v. I. 14 e la voce CONSONANTI, @ 4. oramai, ormai: avverbio di tempo, XII.

32e. ORDINALI, NUMERALI: v. VI. 4. 32-39 e la

voce NUMERALI, % 2 e 4. ORDINE, NUMERO D’: i numeri ordinali che corrispondono al numero d’ordine di papi e re si leggono con i corrispondenti aggettivi ordinali. Luigi XV (= Luigi quindicesimo); il tipo Luigi quindici, col numerale cardinale secondo il

modello francese, è accettabile specie in riferimento a periodizzazioni stori-

ossequente / ossequiente: la forma corretta è la prima, tratta dal participio presente del lat. OBSEQUI: OBSEQUENS, ENTIS ‘compiacente, deferente’. La va-

riante con i si deve all’intèîférenza di ossequio,parola più nota. Trattandosi,

però, di vocabolo ricercato, che presuppone adeguata consapevolezza linguistica in chi la usa, bisogna essere osseguenti, e non *ossequienti, all’etirno latino. Del resto, la forma legittima e minoritaria, ma ancora vitale. Nel «Corriere della Sera» del 1995 ce ne è un esempio («un soldatino ossequente» 11.3.1995), contro 5 della forma spuria. ossia: congiunzione coordinante disgiun-

tiva (XIV. 24c) e esplicativa (XIV. 27). OSSITONE, PAROLE: v. I. 65b. 172 e la voce ACCENTO, 5 6. Per il plurale delle p. 0. v. III. 124.

osso (plur. ossi / ossa): III. 118s. ostare: verbo difettivo di 1“ coniugazione,

XI. 110. ostinarsi: verbo fraseologico che, in unione con a + infinito, indica la continuità

di un’azione: «si ostinava a ripetere la stessa cosa», XI. 48d.

568

ottantun anni [ chantun anno

ottantun anni / ottantun anno: v. il riquadro UNO, NUMERALI COMPOSTI CON. OTTATIVE, PROPOSIZIONI: dette anche desi-

derative, sono proposizioni indipendenti che esprimono un desiderio o un augurio. Il modo verbale è il congiuntivo; possono aversi anche il condizionale («come sarebbe bello partire!») e l’infinito («volare...oh, oh!», XIII. 30-40). orm-rrvo, INFINITO: v. XI. 403, XIII. 40 e la voce INFINITO, & 2.

ottenere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ére, XI. 165.

'

ottimamente: avverbio qualificativo, superlativo di bene, XII. 64. attimo: superlativo organico di buono, V.

PAPI, NUMERO D’ORDINE DEI: v. il riquadro ORDINE, NUMERO D’. PARAFONICO! si dice di una forma che derivi da un’altra per alterazione di uno o più suoni; il travestimento può essere dovuto a ragioni eufemistiche (per esempio, si usa caspita per evitare cazza), oppure all’intento di creare giochi di parole, ecc. XV. 33. 35. PARAGONE, COMPLEMENTO DI: un aggettivo o un avverbio al grado comparativo istituisce sempre un confronto tra due cose, due esseri animati 0 due qualità: «il coniglio e più veloce della tartaruga; meglio questo che niente. Il secondo termine di tale confronto, in corsivo ne-

ottundere: verbo irregolare di 2a coniuga-

gli esempi, e detto c. di paragone. Può essere introdotto dalla preposizione di

zione in -ere, XI. 211. ove: può essere, a seconda dei contesti,

o, in un numero minore di casi, dalla congiunzione che, nonché dalla con—

awerbio interrogativo ed esclamativo (XII. 57a) o congiunzione subordinante relativa (VII. 247), ipotetica (XIV. 166b), avversativa (XIV. 211). ovunque: avverbio di luogo; può introdurre una proposizione relativa con va-

giunzione come e dall’avverbio quanto: «Questo appartamento è grande come l’altro» (VIII. 20). PARAGRAFEMATICI, SEGNI: sono così chiamati i segni che servono a completare quel che viene indicato per mezzo dei grafemi: punteggiatura, accenti, apo-

79-81. V. anche AGGETITVO, & 9.

lore concessivo, XIV. 183.

ovvero: congiunzione coordinante disgiuntiva (XIV. 24a) e esplicativa (XIV. 27). ovverosia: congiunzione coordinante disgiuntiva (XIV. 24b).

strofi, uso della maiuscola, divisione

delle parole (I. 10). PARAIPOTASSI: v. XIV. 9 e la voce FRASE, %

3. PARAIJNGUISTICOZ si dice di qualsiasi ovviamente: avverbio di affermazione, aspetto della comunicazione linguistica che si collochi al di fuori della succesXII. 50-51. PAESI, NOMI DI: l’uso dell’articolo coi n. di sione fonematica: tratti soprasegmentap. è illustrato in IV. 37—40. li, varianti facoltative, ecc. (IX. 10). paio / par. sostantivo numerativo, I. 86b; PARASIN'I'ETICHE, FORMAZIONI: parole (geVI. 42. neralmente verbi: XI. 4f) per formare PALATINO, VELO: I. 35. le quali si aggiungono contemporaneaPALATO MOLLE: v. PALATINO,VELO. mente un prefisso e un suffisso a una PALAZZO: l’uso dell’articolo coi toponimi base nominale o aggettivale, per esempio s-barc-are (dalla base barca), XV. composti da p. (tipo Palazzo Venezia) è illustrato in IV. 46. 3d.115-119. palcoscenico (plur. palcoscenici): III. 141a. PARASINTETICI, VEREI: v. PARASINTETICHE, panna/ panno: III. 32. FORMAZIONI. pantalone: una delle due parti dei panta- PARATASSI: v. COORDINAZIONE. loni; un singolo tipo di pantaloni, III. parecchio: aggettivo e pronome indefinito 151a. quantitativo, VII. 205-206. 209. papà: per la concorrenza con babbo v. III. PARENTELA, NOMI DI: v. SINGENIONIMI. 7475b; l’uso dell’articolo con b. è illu- PARENTESI: si distinguono le p. tonde, ristrato in v. IV. 55. Per l’uso del posses— spettivamente aperta e chiusa ( ), le p. Sivo con o senza articolo (papà mio / il quadre [], le p. aguzze < > e le p. grafie mio), v. il riquadro NOMI DEI GENITORI. { ]; il loro uso è illustrato in I. 202. 235— papessa: femminile di papa, III. 46. v il ri239. quadro NOMI PROFESSIONALI FEMMINILI. parere: verbo irregolare di 2a coniugazio-

569

ne in -ére, XI. 150-151; XIV. 67. 77a. La posizione dei pronomi atoni mi, ti, si ecc. con un infinito retto da p. (tipo «parve riscuotersi») è illustrata in VII. pari: V. 74. parimenti: XII. 13. Parlamento / parlamento: v. il riquadro OMÒNIMI, GRAFIA DEGLI. PARLATA, LINGUA: IX. 7. 10.

parodo (il / la p.): III. 23. PAROLE MACEDONIA: v. ACRON1ML PAROSSITONE, PAROLE: v. I. 172 e la voce accento, & 6.

participio, accordo del

la formazione dei verbi passivi (come in sono amato, XI. Sl); uò corrispondere a una frase relativa «Questo è il libro [che è stato] scelto da Maria», XI. 414) e può essere il predicato verbale di mol— te proposizioni subordinate implicite (causali, XIV. 121, ipotetiche, XIV 170b, concessive, XIV 184b, temporali,

XIV. 208). è 3. I pronomi atomi mi, ti, si ecc. vengono normalmente aggiunti al participio, in posizione emolitica («i proventi derivantiin / derivatigli», VII. 7980). 5 4. Particolarità e irregolarità nella

formazione del p. passato sono descrit-

PARTE NOMINALE: v. NOME DEL PREDICATO. PARTI DEL DISCORSO: la tradizionale definizione e classificazione delle p. del d. è

PARTICIPIO, ACCORDO DEL: sono numero-

illustrata, anche nei suoi aspetti storici,

si i casi di incertezza, e precisamente: @

in II. 2. 4. PARTICELLE COMPLETIVE DELLA NEGAZIONE: come punto e mica, concorrono a rafforzare la negazione, XII. 54-56. PARTICIPIO ASSOLUTO: il p. a. è un participio passato concordato con un soggetto diverso da quello della frase reggente. La sequenza ha il valore di una proposizione temporale implicita («il signore

1. accordo del participio di un verbo composto con l’ausiliare avere col complemento oggetto posposto («ho letto i libri più belli» — «ho letti i libri più belli»: nettamente prevalente, e quindi anche preferibile, la prima soluzione). 5 2. accordo del participio di un verbo composto con avere con l’ogget-

entrò, e data un’occhiata per la camera,

me personale 0 relativo («ci ha visto» — «ci ha visti»; «la casa che ho comprato» — «la casa che ho comprata»).yè 3. ac—

vide Lucia rannicchiata nel suo cantuccio e quieta», XIV. 208. 415-417). Se il soggetto del p. a. è rappresentato da un pronome personale di 13 0 2a persona, è richiesto l’uso delle forme oblique me e te in luogo di io e tu («rivolgendosi ogni

te in XI. 75c. 126d. % 5.

to anteposto, costituito da un prono-

cordo del participio di esse?e' O di un verbo copulativo col soggetto o col nome del predicato ovvero col complemento predicativo («il suo discorso è

volta a persone diverse, te compreso»,

stato, è risultato una sorpresa» — «è sta-

VII. 10). PARTICIPIO: & 1. Il p. è una forma nominale del verbo che dispone di due tempi,

ne» = che derivano, XI. 413). Il p. pas-

ta, è risultata una sorpresa»). 5 4. accordo del participio di un verbo pro— nomìnale col soggetto o col complemento Oggetto, sia esso anteposto o posposto («la meta che ci siamo prefissati o prefissate [se il soggetto è femminile]» — «la meta che ci siamo prefissata». % 5. accordo di genere, maschile 0 femminile, col pronome allocutivo lei, ella riferito a un uomo («lei, signor Rossi, è stato convocato ufficialmente» — «lei, signor Rossi, è stata convocata»).

sato, che, a seconda dei verbi, può esse-

La possibilità di scelta peri @@ 2, 3, 4 è

re attivo o passivo (andato = che è an-

esistita da sempre in italiano e le restrizioni talvolta suggerite dalle grammatiche non hanno fondamento. Anche in uno scrittore particolarmente sensibile al problema dell’omogeneità linguistica come Alessandro Manzoni si

presente e passato (amante e amato,

XI. 7. 412). è 2. Nell’italiano contemporaneo il p. presente (che è sempre attivo) ha valore di aggettivo («un colore brillante») o di sostantivo («i dipendenti dell’azienda», XI. 418); l’antico valore

verbale si mantiene quasi soltanto nel linguaggio giuridico-burocratico («i proventi derivanti dalla nuova tassazio—

dato, intransitivo attivo; amato = che è

[stato] amato, transitivo passivo), mantiene anche un valore verbale: si usa nella formazione dei tempi composti (come in ho amato, XI. 51) nonché nel—

570

partitivo, articolo

possono cogliere alternative: «le cose che m’hanno fatto» - «le ciarle che avrebbe fatte»; «[gli uomini] si riunivano in crocchi, senza essersi dati l’inte-

sa» _ «altri passeggeri s’eran fatta una strada ne’ campi». Quanto al punto 5, il richiamo al genere naturale, fortissi-

mo con gli aggettivi (chi direbbe: «lei, signor Rossi, non e *sincera con

me»?), è più debole con i participi. In un registro particolarmente formale, limitatamente alla lingua scritta, può

essere opportuno l’accordo al femminile; ma, in tal caso, anche altri tratti

dovrebbero adeguarsi al medesimo registro: ella in luogo di lei, maiuscole reverenziali anche all’interno di parola (Ella, Suo, comunicarLe) ecc. Per l’accordo del p. passato v. XI. 85. 364369. 416 e la voce ACCORDO.

PARZLALI, INTERROGATIVEZ v. XIII. 7b;

XIV. 83 e le voci INTERROGATIVE DIRETTE, PROPOSIZIONI, @ 1 e INTERROGATIVE INDIRETTE, PROPOSIZIONI. pascere: verbo irregolare di 2° coniugazione in -ere, XI. 269.

passare: verbo transitivo e intransitivo, XI. 4f. PASSATO PROSSIMO: il p. p. indica un’azione che si colloca nel passato ma che, nella percezione di chi parla D scrive, perdura nel presente: «La casa in cui viviamo è stata ristrutturata da poco» (XI. 376-377). Occorre precisare che l’azione designata dal p. p. è sentita come vicina non tanto da un punto di vista cronologico quanto da un punto di vista psicologico (XI. 378): un parlante emotivamente coinvolto in ciò che racconta non dirà «Mio nonno combatté in Russia», ma piuttosto «ha combattuto in

PARTITIVO, ARTICOLO: v. IV. 62—64. 76 e la voce articolo, è 4.

PARTITIVO, COMPLEMENTO: è un complemento indiretto introdotto dalle preposizioni di, tra 0 fra. Specifica il tutto di cui il termine reggente indica la parte: «ho comprato un chilo [= la parte] di pane [:il tutto, c. partitivo]» (VII. 2060; VIII. 19. 129; XI. 362). PARTITIVO, USO DEL (con degli amici / con amici): le preposizioni articolate plurali in funzione di partitivo possono essere sempre usate solo nei casi diretti: soggetto (degli amici li cercano) e complemento oggetto (cerca degli amici). Quanto ai casi indiretti, l’uso del parti-

Russia», ricorrendo al p. p. invece che al passato remoto (una più ampia illustrazione dei diversi àmbiti d’uso di p. p., imperfetto e passato remoto e in XI. 377-382). ' PASSATO REMOTO: % 1. Il p. r. indica un’azione che si colloca nel passato ed è priva di legami, obiettivi e psicologici, col presente (XI. 376-377), indipendentemente dalla misura di tempo effettivamente trascorso (XI. 378): si usa il p. r. per indicare non solo un’azione lontana («Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798»), ma anche un’azione vicina nel tempo, se la si vuole presentare come un evento compiuto, guardato con

distacco (come in «Ieri ricevemmo visi-

tivo è impossibile con di (*il conforto di

te»; un’ampia illustrazione dei diversi

degli amici; si può dire solo il conforto degli amici o il conforto di amici), lecito — ma non sempre consigliabile per ragioni di chiarezza o di eufonia — con altre preposizioni: con degli amici («l’ho

àmbiti d’uso di p. r., passato prossimo e imperfetto è in XI. 377-382).

vista ieri con degli amici», ma anche con amici, con alcuni amici), a delle

persone («ho parlato a delle persone per quell’affare», ma anche a certe persone, ad alcune persone). (v. IV. 62). PARTITIVO, VALORE: il v. p. del secondo termine di riferimento nel superlativo relativo («è il più grande dei fratelli») è illustrato in V. 61; il v. p. del pronome ne è illustrato in VII. 53.

PASSIVANTE, sz: si chiama p. il pronome

atono si usato per formare il verbo passivo, solo alla 3a e alla 6“ persona: «Dalla finestra si vedeva (= era visto) un gatto», «Dalla finestra si vedevano (= erano visti) dei gatti» (v. VII. 60; XI. 12-13 e la voce VERBO, & 9.

PASSIVI, VERE]: i v. p. sono descritti in II. 24. 44; XI. 10-17. 50a. Slc; il paradigma della loro coniugazione è in XI. 89. Notizie sintetiche sui v. p. sono alla voce VERBO, @@ 8—9. pasgo: participio passato di pascere, XI. 2 9.

571 pastore/ pastora: III. 663. v il riquadro NOMI PROFESSIONALI FEMMINILI. PATRONIMICO: nome proprio derivato dal nome del padre (un esempio di cogno-

me patronimico è Di Paolo, VIII. 25) pavonessa: femminile di pavone, III. 49. peccare (nel tipo «p. in presunzione»): VIII. 78. peggio: avverbio qualificativo, comparativo di male, XII. 64. peggiore: comparativo organico di cattivo, V. 79-81. V. anche AGGEITIVO, @ 9.

pei: v. pel. pel: ‘per il’, IV. 79. pellerossa (plur. pellirosse / pellerossa): III. 141c. pello, pella, pelle: v. pel. pelo pelo: locuzione awerbiale di luogo, XII. 44. pelo, per un: locuzione awerbiale di quantità, XII. 45. PENA, COMPLEMENTO DI: è un complemen— to indiretto che indica la pena 0 la con— danna che viene inflitta a una persona.

per quanto

' distributivo («in fila per tre», VIII. 120— 121), tempo determinato e continuato («Il vestito sarà pronto per" martedì», «ho parlato per due ore», VIII. 122), predicativo («lo prenderanno per matto», VIII. 123) e, anticamente, d’agente

(VIII. 110). è 3. Quando collega due frasi diverse, per può introdurre una proposizione causale implicita («E stato arrestato per aver guidato senza patente», XIV. 118), una finale implicita («Vado in montagna per riposarmi», XIV. 127a), una proposizione di adeguatezza implicita («Non è abbastanza

istruito per apprezzare queste cose», XIV. 142b), una proposizione concessiva, esplicita («per bravo che sia, non va-

le quanto te», XIV. 182) o implicita («per essere un dilettante, se la cava be-

ne», XIV. 184a); una proposizione limitativa implicita («Per parlare, sa parla-

re», XIV. 147ac). & 4. Usi antichi e particolari di per sono illustrati in IV. 15-

16; VII. 186.

Può essere introdotto, a seconda dei ca-

si, dalle preposizioni a, con, di o per. per cui = perciò (per questa ragione): un Esempi: «una condanna all’ergastolo», tempo i grammatici guardavano con diffidenza a per cui (= per la qual cosa, «è stato punito con la confisca dei beni” perciò) in quanto cui, riferendosi semecc. (VIII. 11.36. 111). pre a persona, animale o cosasingolapendolo / pendola: III. 39. re o plurale, non potrebbe assumere il pennello / pennellessa: III. 37. valore neutro proprio di che. In realtà pentito (sostantivo): V. 49. il costrutto può essere difeso non solo pentola/ pentola: III. 34-35f. prendendo atto della sua diffusione atper. 5 1. Per è una preposizione propria tuale, ma anche riflettendo alla sua (VIII. 7) che stabilisce collegamenti di origine: si tratta infatti di un’ellissi di vario genere tra due elementi della frasi come motivo, ragione per cui, nelstessa frase o tra due frasi diverse (VIII. le quali l’uso del pronome è regolare. 107. 116). è 2. Quando collega due ele(v. VII. 239). menti della stessa frase, per può introdurre un complemento di moto per luogo («passerò per Bologna», VIII. per il fatto che: locuzione congiuntiva subordinante causale, XIV. 107. 108), moto a luogo e stato in luogo («parto per Reggio», «era seduto per per il fatto di: locuzione preposizionale; può introdurre una proposizione causaterra», VIII. 117), mezzo e strumento («il pacco arriverà per posta o per corle implicita, XIV. 119. riere», VIII. 109), causa («E arrossito per la qual cosa: locuzione congiuntiva coordinante conclusiva, XIV. 25e. per la vergogna», VIII. 111-112), pena («condannato per furto», VIII. 111), per la ragione che: locuzione congiuntiva subordinante causale, XIV. 107. prezzo («l’ho venduto per poche lire», VIII. 113), sostituzione («sono venuto per lo meno I perlomeno: v. il riquadro UNIVERBAZIONE, e XII. 5. io per lui», VIII. 114), limitazione («E troppo difficile per me», VIII. 115-116), per lo più / perlopiù: v. il riquadro UNIVERBAZIONE, e XII. 5. fine («un impianto per la depurazione dell’acqua», VIII. 118), vantaggio o per quanto: locuzione congiuntiva subor-

svantaggio («prega per noi», VIII. 119),

dinante concessiva, XIV. 179e.

572

peraltro, per altro

peraltro, per altro: congiunzione coordinante awersativa, XIV. 21c. v. anche il riquadro UNIVERBAZIONE, e XII. 5.

perché: può essere, a seconda dei contesti, awerbio interrogativo (anche rafforzato con mai, XII. 57a) o congiunzione subordinante (IX. 3c) causale (XIV. 9899. 101), finale (XIV. 126a), interrogativa, di adeguatezza (XIV. 143). perciò: congiunzione coordinante conclusiva, VII. 133; XIV. 25a. . perciocché: congiunzione subordinante causale antica, XIV. 117.

percorrere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 213.

percuotere: verbo irregolare di 2“ coniu. gazionein—ere, XI. 303. perdere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in —ere, XI. 270—271.

perduto / perso (perdere): XI. 271. PERFE’ITI SIGMATICIZ sono così chiamati i passati remoti forti (cioè accentati sulla radice) che presentano una desinenza si (con s, donde il nome di s.): XI 126c. 151 (parsi). 333 (apparsi). PEREE1TIVO, ASPETTO: aspetto di compiutezza assunto da un participio preceduto dalla sequenza bell’e: «bell’e fatto»,

V. 35. PERIODO: v. COMPLESSA, FRASE perire: verbo irregolare di 3“ coniugazione, XI. 82a.

PERLOCUTORIO, ATrO: v. 11. 17 e la voce LINGUISTICI, ATT]. perlomeno / per lo meno: IV. 16; XIV. 154. v anche il riquadro UNIVERBAZIONE e XII. 5. perlopiù / per lo più: IV. 16. v. anche il riquadro UNIVERBAZIONE e XII. 5. permanere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -e're, XI. 156. permettere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 255; XIV. 42. 49 (essere permesso). PERMISSIVO, CONGIUNTIVOZ forma di c. presente usata nelle proposizioni volitive per esprimere un invito o un’esortazio— ne (in forma attenuata o ironica: «venga pure avanti»; «si tengano pure i loro soldi») rivolti a una 3“, 4“ o 6“ persona, che mancano nell’imperativo, XIII. 33. però: congiunzione coordinante avversativa, XIV. 21 a. perocché: congiunzione subordinante causale arcaica, XIV. 117.

PERSIANO: un confronto con il p. è in I. 172 e III. 2. persistere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 187. In unione con a o

nel + infinito, e un verbo fraseologico che indica la continuità di un’azione: «persisteva a (nel) cercarlo», XI. 48d. perso: v. perduto PERSONA VERBALE: v. XI. 9 e la voce VERBO, 5 2.

persona: nome che può essere usato col valc;re di un pronome indefinito (VII. 177 . PERSONALI, PRONOMI: & 1. In ogni comuni-

cazione linguistica c’è una persona che parla (io, 1“ persona), una persona che ascolta (tu, 2“ persona) e, quasi sempre, una o più persone, animali o cose coin— volte nel processo comunicativo, diverse da chi parla e da chi ascolta (lui, lei, esso, 3“ persona; loro, essi, esse, 6“ per-

sona). Inoltre, chi parla può includere nel discorso qualcun altro oltre a sé (ig + tu / lui / lei / voi / loro : noi, 4“ persona) oppure può includere qualcun altro oltre a chi ascolta (t_u + tu / lui / lei/ loro

= voi, 5“ persona). I pronomi p. hanno la funzione di rappresentare tutte queste persone o di sostituire i loro nomi (VII. 4u-5; usi e particolarità in VII. 6-8; XII. 18). 5 2. Ipronomi p. usati in funzione di soggetto sono: 1“ p.

io

4“ p. noi

2“ p.

tu

5“ p. voi

3“ p. egli, lui. erro, ella, lei, esso

6“ p. [ora, ai esse

I pronomi p. usati in funzione di complemento sono dl due tipi: ton1ci (con accento) e atomi (senza accento): p. p. comp]. tonici

p. p. comp. atomi

I“ p.

me

mi

2“ p.

te

ti

3“ p.

lui, lei

gli, le (termine) Io, la (oggetto)

3“ p. riflessivo



si

4“ p.

noi

ci

5“ p.

voi

vi

6“ p.

loro, essi, esse

gli, loro (termine) Ii, le (oggetto)

6“ p. riflessivo



ri

Più ampie notizie e illustrazioni di altre forme, usi antichi o particolari dei pro-

573

persuadere, persuadersi

nomi p. soggetto e dei pronomi p. com— plemento tonici sono in VII. 9—30; più ampie notizie e illustrazioni di usi anti— chi o particolari dei pronomi p. complemento atoni sono in VII. 31-50. 5661. Il quadro è completato dalla forma

me già detto). Ad esempio: «Dopo la pace di Amiens, Napoleone si accinse a rafforzare il proprio potere all’interno della Francia. Già forte dell’appog— gio dell’esercito, egl_i [ma, specie nel di-

atona ne, le cui funzioni sono illustrate in VII. 52-55. 5 3. I pronomi p. atoni

poleone o eliminare il pronome] si adoperò a legare a sé la borghesia e il clero». Il pronome lui si adopera inve— ce per sottolineare un elemento della frase («lo vado via, lui [=quanto a lui] non so») 0 quando contiene il dato nuovo dell’informazione (e in tal caso

possono essere usati anche in combinazione o in sequenza. Il caso più comune è dato da un pronome p. atono di qualsiasi persona con valore di complemento di termine (in una forma leggermente diversa dal punto di vista fonetico: me, te, glie, se, ce, ve, glie, se) segui-

scorso orale, potremmo ripetere &

è posposto al verbo: «E stato lui!»; o, se il verbo manca, all’elemento nomi-

to da un pronome p. atono di 3a persona con valore di complemento oggetto (la, la, li, le): «me lo presenti?», «te li ri—

nale: «Beato lui!»). Lei si adopera in tutti i casi in cui si adopererebbe il ma-

cordi?», VII. 62-68. 5 4. Nell’italiano

è ormai rarissimo anche con valore anaforico. (v. VII. 16-18).

moderno, diversamente che in quello antico (VII. 81-83), i pronomi p. atoni si trovano prima del verbo («Ti crederà», posizione proclitica, VII. 69);

soltanto in cinque casi si trovano dopo il verbo, con cui formano un’unica parola (posizione enclitica): con un imperativo (Aiutami», VII. 70-72), con un

infinito («Sono qui per aiutarti»; VII. 73-77); con un gerundio ( ideal-izzare,‘ idealizzare

> idealizz-azione. SUFFISSO ZERO, FORMAZIONI A: v. XV. 63 e la voce SUFFISSO, & 1.

sumsso ZERO, Eomvr.xzrom A: v. XV. 63 e la voce sumsso, @ 4. SUFFISSO: & 1. E un affisso che viene aggiunto alla parola base per formare un derivato, come -ile in primaverile, dalla

base primavera (XV. 3a). % 2. In base alla categoria a cui appartiene la parola di partenza (nome, aggettivo, verbo,

sulfisso

avverbio) i 5. possono essere denominali, deaggettivali, deverbali, deavverbiali;

in base alla categoria a cui appartiene la parola di arrivo (nome, aggettivo, verbo, awerbio) i s. possono essere nominali, aggettivali, verbali, avverbiali (—oso è un 5. aggettivale denominale, perché forma un aggettivo come noioso partendo da un nome come noia, XV. 7-9). 5 3. Avremo dunque: s. nominali denominali (l’elenco in XV. 10-21), 5. nominali deaggettivali (l’elenco in XV. 22—

27), s. nominali deverbali (l’elenco ’in

598 nominale, XV. 30), -entissìmo (V. 6970), -enza (XV. 31), -erellare (XV. 61), -erìa (XV. 15. 22), -errimo (V. 69-70), -esco (XV. 44), -ese (XV. 50-51), -esimo (nei numerali, VI. 32-33), —esimo (nei sostantivi, XV. 25), -essa (III. 52-54);

-estre, -estro (V. 14), -età (XV. 26; peri suoi influssi sul suffisso —ità, v. il riqua— dro sotto), -etano (XV. 52), -eto (XV. 16), -ettare (XV. 61), -etto (s. diminutivo, XV. 67-68. 71. 73), —el'to (in sostantivi numerativi, VI. 47), -evole (XV. 26), -ezza (XV. 23), -faga, -fagìa (III. 107d;

XV. 28-39), s. aggettivali denominali (l’elenco in XV. 40-53), s. aggettivali deaggettivali (l’elenco in XV. 54), s. aggettivali deverbali (l’elenco in XV. 55. 56), s. verbali denominali e deaggettiva— li (l’elenco in XV. 57-60), 5. verbali de-

XV. 129), -ficio (XV. 129), -filo, —filìa

verbali (l’elenco in XV. 61), suffissi no-

—ibile (XV. 55), -icchiare (XV. 61), -ic-

minali e verbali deavverbiali (l’elenco in XV. 62). 5 4. Completano il quadro i cosiddetti deverbali a sufiìsso zero, formati dalla radice di un verbo con l’aggiunta non di un suffisso, ma della desinenza maschile 0 femminile: il registro (< registrare), la delibera (< deliberare), XV. 63. 5 5. Di seguito si dà l’elenco di tutti i suffissi, seguiti dall’indicazione del luogo in cui vengono illustrati: -abile (XV. 55), —acchiare (XV. 61), -accio (XV. 76), -aceo (XV. 76), -aggio (XV. 28), -aglia (XV. 10), -aio (XV. 10), -aiolo (XV. 10a), -ale (V. 4; XV. 40), -ame (XV. 10), -ando (XV. 29), -ano (V. 4; XV. 41. 52, in nomi geografici), -anta (VI. 23g), -ante (III. 80; XV. 30), -anza (XV. 31), -ardo (XV. 2), -are (s. aggettivale, XV. 42), —are (desinenza verbale, XV. 57), -arellare (XV. 61), -arìa (XV. 15), -ario (in sostantivi e aggettivi nu-

chio (XV. 72), -iccio (XV. 54), —ich (in cognomi slavi VII. 153), —ico (V. 4; XV. 21. 45), -iera (XV. 18), -iere, -ieri, -iero (III. 48; V. 10; XV. 17), -ificare (XV. 59), -igno (XV. 54), -ile (XV. 19), -ina (in chimica, XV. 21), -ina (in sostantivi numerativi, VI. 44), -ina (nella forma-

merativi, VI. 45), -ario (s. nominale,

XV. 11b), —aro (XV. 10a), -arolo (XV. lle), -asta (V. 16), -astra (XV. 77), -ata (suff. nominale, XV. 12. 32), —ato (suff. aggettivale, XV. 43. 115), -ato (suff. no-

minale, XV. 13. 32), -cida (XV. III. 80e. 90; V. 16; XV. 129), -colo (XV. 129 , —crazia (XV. 129), -eggiare (XV. 58 , -ellare (XV. 61), -ello (XV. 70. 73), -ema (in voci linguistiche, XV. 14), -ema (in voci mediche, I. 186), -ennale (in aggettivi nurnerativi, VI. 46), -enne (in sostantivi numerativi, VI. 46), -ente (in violente e simili, antico: V. 10), -ente (s.

(XV. 130), —fobìa (XV. 129), -fonìa (XV. 129), -forme (XV. 129), -fizgo (III. 107e), —grafîa (XV. 129), -ìa, -ia (XV.

15. 24), -ìaco (XV. 52), —iale (XV. 40), -iano (V. 6; XV. 41), -iatra (III. 80f. 90),

zione del femminile, III. 70-71), —ino (s.

aggettivale, XV. 34. 52-53), -ino (s. di-

minutivo, XV. 67-68. 73), -ìo (XV. 33), -ire (XV. 57), -ismo (V. 4; XV. 20c. 25 , -issimo (V. 63-68; XII. 63), —ista (III. 80d.

90; V. 4. 6. 16; XV. 2. Sb. 16. 20), —istico (V. 4; XV. 200), -ita (V. 16), -ità (XV. 26; vedi riquadro sotto), —itan0 (XV.

52), —ite (XV. 21), -ito (XV. 32), -ìtudine (XV. 27), -ivo (XV. 46), -izia (XV. 23), -izio (XV. 47), -izzare (XV. 58. 60), -leso (XV. 131), -logo, -logìa (III. 107d; XV. 127. 129), -mane, -mania (XV. 129-

130), -mente (5. avverbiale, XII. 7-14. 20), —menta (XV. 35), -metrìa (XV. 129), -milia (nei multipli di mille, antico, VI. 23f), -occio (XV. 54), -ognolo (XV. 54), -0ide (XV. 48), -oma (XV. 21), -one (s. alterativo, XV. 78), -orze (s. nominale, XV. 36), -oni (s. avverbiale,

XII. 15. 22. 63), -osi (I. 186; XV. 121), -oso (V. 4; XV. 21, in chimica, e 49), -otto (XV. 74), -patia (XV. 129), -scapia

(XV. 129), -sore (III. 67), -tà (XV. 26), -toio (XV. 37), -tora (III. 65-66), -tore (III. 61-63), -torio (XV. 37), -trice (III. 61-66), -accio (XV. 65. 67-68. 75), -ume (XV. 10), -ara (XV. 38), -uro (XV. 21),

599

-uto (XV. 43), -uzzo (XV. 75), -voro (XV. 129), -zione (XV. 35. 39). SUFFISSOIDIZ elemento che svolge la stessa funzione del suffisso, ma, a differenza

di questo, deriva da una parola che in greco o in latino aveva un suo significato autonomo: . es. grafia (che in greco vale ‘scrittura’ in ortografia, XV. 121. 127. suggere: verbo difettivo (del solo participio passato) di 2a coniugazione in -ere, XI. 122b. sui: ‘suoi’ (arcaico), VII. 103c. suicidarsi: il verbo suicidarsi. come il francese se suicider da cui deriva, è sta-

to considerato tautologico, perché il pronome riflessivo è già inglobato in suicider (da suicide, composto del lat. SUI e del tema latino -cide che vuol dire ‘uccidere’)z non ci si può uccidere due volte! In realtà, bisogna addurre due elementi, decisivi, di discolpa: % 1. In

suicider—suicidare la presenza del riflessivo è solo etimologica, non è più trasparente per la coscienza linguistica dei parlanti; è' 2. Il verbo suicidarsi dice qualcosa di diverso rispetto a uccidersi o ammazzarsi, facendo riferimento al-

l’intenzionalità del gesto: «uno può uccidersi e ammazzarsi per una disgrazia o sventatezza indipendente da una volontà di sopprirnersi, ma, se si usano le parole propriamente, non può suicidarsi involontariamente» (Nencioni). (v. XI. 25a). sullodato: forma usata come aggettivo dimostrativo nella lingua dei secoli passati, VII. 139. suo: aggettivo e pronome possessivo, VII. 99 sgg. L’uso dell’articolo con i titoli onorifici formati con suo (tipo Sua Eccellenza)e illustratoin IV. 59. suo (loro) / proprio: v. il riquadroproprio /suo (loro). suonare: verbo transitivo e intransitivo,

XI. 4f. ,] SUONO (in linguistica): v. FONO. SUONO: fenomeno acustico consistente in una vibrazione regolare periodica, I. 15. suora / suor. I. 86a; III.74-75a.

superiore: v. V. 82-83 e la voce AGGETTIvo, & 9.

SUPERLATIVO, GRADO! per il g. 5. dell’agget-

talora

tivo v. V. 56. 60-70 e la voce AGGE’I'I‘IVO, 59; peril g. 5. dell’awerbiov. XII. 63-67 e la voce AVVERBIO, % 12 V. anche le voci ASSOLUTO, SUPERLATIVO e RELATIVO, SUPERLATIVO. SUPPLE_TIVISMO: si definisce S. la presenza di più radici nella coniugazione di un verbo (per esempio, vado / andavoin andare, XI. 125a, sono/ stato in essere, XI. 56b) o nella formazione di aggettivi relativi a nomi della stessa famiglia semantica (per esempio, uomo / antropi— co,)acqua / idrico, sangue / ematico, XV. 45 suppergiù / su per giù: v. il riquadro UNIVERBAZIONE,C XII. 5.

'

supporre: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 275; XIV. 49. surrosmvo,rurunoz v. EPISTEMICO, @ 2.

supremo: v. V. 82 e la voce AGGETTIVO, % 9. sur: ‘su’ (arcaico), VIII. 96b. sussistere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 187.

sato (essere, arcaico): XI. 61. svellere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 317-318

svenire: verbo irregolare di 3a coniugazione, XI. 353. svolgere. verbo irregolaredi 2° coniugazione in -ere, XI. 331. ‘‘" SVOLGIMENTO DI UN’AZIONE: per i verbi fraseologici che indicano S. di un’a. v. XI. 48c e la voce FRASEOLOGICI, VERBI. tacere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ére, XI. 148. 163-164. tacersi: XI. 27b. . tafietà (il/ i t.): III. 28. TAILANDESE: un confronto con il t. è in X. 47. talaltra: pronome indefinito singolativo, usato in correlazione con tale VII. 165. talché: congiunzione subordinante consecutiva; XIV. 136b. tale: può essere, a seconda del contesto,

aggettivo e pronome dimostrativo (« Tale notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa», VII. 136) e aggettivo e pronome ir1definr'to singolativo (VII. 164-165), usato anche come antecedente di una proposizione consecutiva («La paura fu tale che scappai», XIV. 135c). talmente: antecedente di una proposizio-

ne consecutiva (XIV. 135d). talora: avverbio di tempo, XII. 32h.

600

taluno

taluno: aggettivo e pronome indefinito singolativo, VII. 146. 147. 163. talvolta: awerbio di tempo, XII. 32h. tangere: verbo difettivo di 2a coniugazione in -ere, XI. 118.

tanto più che: locuzione congiuntiva subordinante causale, XIV. 110. tanto: 5 l. Può essere, a seconda del con-

testo, avverbio di quantità («ti amo tanto»; può introdurre una proposizione comparativa di uguaglianza: «tanto è simpatico lui quanta è'antipatica lei», XIV. 226 sgg.) e aggettivo e pronori'1e indefinito quantitativo («- C’è tanta gente. — Sì, ce n’è tanta», VII. 205-206.

211). Nell’una e nell’altra funzione può anticipare una proposizione consecutiva («mangiai tanta [tanta pasta] da scoppiare», XIV. 135b. 140). è 2. Anticamente valeva ‘soltanto’, XIV. 28c.

tantoche’: congiunzione subordinante consecutiva, XIV. 136b.

tappa / tappo: III. 31 tardi: awerbio di tempo, XII. 32f. 65. TASSONOMIA (dei nomi): III. 10. tè: I. 177b. te: pronome personale di 2’ persona, usato in funzione di complemento diretto e indiretto (VII. 4. 10) e, nell’uso colloquiale, anche di soggetto (v il riquadro sotto).

TEDESCO: confronti fra l’italiano e il t. sono in I. 44. 172. 234f; III. 2. 131; IV. 14. 49. 74a; V. 47. 51. 85; VI. 31; VII. 5. 58. 94. 100. 124; IX. 13; X. 47; XI. 8. 17. 373; XII. 35; XIII. 19; XIV. 61. 100; XV. 25. 64. teenager/ teenagers (i): V. il riquadro NOMI STRANIERI, PLURALE DEI. legno: ‘tengo’, XI. 167. TELEGRAFICO, STILE: IV. 72i; VII. 82.

TEMA: è l’argomento posto al centro di una produzione linguistica di senso compiuto: «Giacomo Leopardi [tema] nacque nel 1798 a Recanati», II. 13;

VII. 42. \ TEMA: V. REMA. TEMATICA, VOCALE: v. XI. 51b e la voce VERDI, @ 16.

tempio (plur. templi): come per il superlativo di ampio (V. ampissima [ amplis— simo), anche per il plurale di tempio, la forma più diffusa e più raccomandabile è quella latineggiante: templi (lat. TEMPLUM), invece che tempi. La ragione che ha sfavorito tempi è la possibile confusione con l’omonimo, il plurale di tempo. (V. III. 104). TEMPO CONTINUATO, COMPLEMENTO DI: v. TEMPO, COMPLEMENTI E DETERMINAZIONI D], 5 3.

te / tu: l’espansione recente di le con funzione di soggetto ai danni di tu — che può essere awertita come una sgram— maticatura da molti, e quindi va controllata — può essere accostata all’e—

TEMPO DETERMINATO. COMPLEMENTO DI: v. TEMPO, COMPLEMENTI E DETERMINAZIONI

spansione, ben altrimenti diffusa, del-

TEMPO, AVVERBI DI: V. TEMPORALI, AVVERBI. TEMPO, COMPLEMENTI E DETERMINAZIONI DI: 5 1. Indicano le diverse circostanze di tempo in cui avviene l’azione espressa dal verbo. Si distinguono due tipi principali: il c. di tempo determinato e il c. di tempo continuato. & 2. Il c. di tempo determinato indica il momento o l’epoca in cui si verifica l’azione o la circostanza espressa dal verbo. E introdotto dalle

l’originaria forma obliqua lui ai danni di egli (V. lui / egli). Oggi nel registro colloquiale l’uso soggettivo di te e particolarmente frequente nella sequenza io e te (cioè quando il pronome si trova al secondo posto; diversamente regge ancora bene il tu: tu ed io) nell’Italia centrosettentrionale e in Sardegna; il tu resiste invece nel Mezzogiorno (si pensi alla canzone napoletana lo, mammata e tu). (V. VII. 14).

DI, 5 2. — TEMPO VERBALE: V. XI. 8; XIV. 32 e la vo— ce VERBO, @@ 2-4.

preposizioni a, in, di, per, su, tra, duran-

te [...] ti: v. il riquadro PERSONALI (RIDONDANTI), PRONOMI.

te (che possono anche mancare) o dalle locuzioni preposizionali al tempo di, prima di, dopo di. Esempi: «ci rivedre-

teca: ‘con te’, VII. 7.

mo a settembre», «Piero telefonerà tra

tedeschi / Tedeschi (i): V. il riquadro ETNI-

un’ora» (II. 56; IV. 72c; VIII. 6d.27—28. 43. 57. 74. 105a. 122. 128. 137d) 5 3. Il c.

CI, MAIUSCOLE NEGLI, e I. 194h.

tmesi

601

di tempo continuato indica per quanto tempo dura il fatto, l’azione, la circostanza espressa dal verbo. E introdotto dalle preposizioni per, in, da (che possono anche mancare) o dalla locuzione preposizionale fino a: «ti abbiamo aspettato (per) un’ora», «mi sono trasferito da un anno» (II. 56; IV. 72c;

VIII. 6d. 83. 105b. 122). TEMPORALE-ITERATIVO, VALORE: è proprio di alcune proposizioni introdotte da se: «se (= quando, ogni volta che) ripenso alla casa vecchia, mi viene nostalgia»,

XIV. 152. TEMPORALI, AVVERBI: v. XII. 18. 28-33. 69c; XIV. 58b e la voce AVVERBIO, @@ 5, 7 e 16. TEMPORALI,PROPOSIZIONIZ @ 1. Stabilisco-

no quale relazione di tempo esista con la proposizione reggente: di contemporaneità, anteriorità o posteriorità. & 2. Le t. esplicite che esprimono contemporaneità sono introdotte da quando, mentre, allorché, allorquando, al tempo

tergere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 320.

TERMINE, COMPLEMENTO DI: detto anche c. oggetto indiretto, è l’elemento della fra— se su cui l’azione espressa dal predicato ricade indirettamente, cioè per mezzo della preposizione a: «Ho regalato un bel libro a Simona». La preposizione manca se il c. di termine e rappresentato da un pronome personale atomo, che equivale a un ronome tonico precedu-

to da a («mi F: a me] ha parlato»); la preposizione può mancare se il c. di termine è rappresentato dal pronome relativo cui: «Ha incontrato Franco, cui aveva già detto tutto» (LI. 53; VII. 237;

VIII. 6b. 34). TESTO: la linguistica testuale definisce t. una produzione linguistica orale o scritta dotata di senso compiuto, fatta da un emittente e accolta da un ricevente in un contesto determinato, con l’inten-

zi)one e con l’effetto di comunicare (IX. 5 . in cui, nel momento che («Quando TESTUALE, LINGUISTICA: scuola linguistica ascolto la musica sono contento»); il sviluppatasi negli ultimi decenni che modo verbale è l’indicativo, ma in alcupone al centro della processo comunini casi può aversi il congiuntivo. Le imcativo il testo, di cui studia l’organizzaplicite si costruiscono con il gerundio zione interna, i requisiti e i rapporti col presente («ascolta la radio studiando») contesto extratestuale, IX,;5_.g o con al, nel, col, sul + l’infinito («nel ti: pronome personale atono di 2" persocadere si lussò una spalla»). @ 3. Le t. na, usatoin funzione di complemento esplicite che esprimono anteriorità sooggetto e complemento di termine no introdotte da prima che («siamo ve(VII. 31-34. 39-42). nuti via prima che il film finisse»); il mo- tiello / tienlo / tienilo: v. il riquadro ASSIMIdo verbale è il congiuntivo. Le implicite LAZIONE CON 1 PRONOMI ATON]. si costruiscono con prima di + l’infinito tiemmi / tienmi / tienimi: v. il riquadro AS(«parlane con tuo padre, prima di deci— SMILAZIONE CON ] PRONOMI ATONI. dere»). @ 4. Le t. esplicite che esprimo- tigre: (il/ la t.): III. 79d. no posteriorità sono introdotte da dopo tingere: verbo irregolare di 2a coniugazioche («guarderò la televisione dopo che ne in -ere, XI. 247. 321. avrò finito il lavoro»); il modo verbale è tintore I tintora: III. 66a. l’indicativo, ma in alcuni casi può aver- tipo (nell’espressione di questo t. e simili): si il congiuntivo. Le implicite si costruìVII. 138. scono con dopo + l’infinito passato mou DI LIBRI: le varie particolarità ri— («dopo aver lavorato, si addormentò»), guardanti i t. di l. e di opere d’arte sono oppure col participio passato, preceduillustrate in IV. 72h. 84; VIII. 13; XIV. to 0 no da una volta («[una volta] termi17. nato lo spettacolo, gli attori lasciarono il mou PROFESSIONALI E ONORIFICIZ le varie teatro») (XI. 384; XIV. 82. 185-209). particolarità riguardanti i t. p. e o. sono tendere: verbo irregolare di 2“ coniugazioillustrate in I. 83; IV 32-34. 58. ne in -ere, XI. 319.

tenere: verbo irregolare di 2a coniugazione in —ére, XI. 165-167.

TENUI, CONSONANTI: I. 47ac. 88.

tivvù, tivù: 1.67d. tizio: pronome indefinito singolativo, VII.

175-176. TMEST: % 1. Fenomeno proprio della lingua

602

Tobler-Mussafia, legge

antica 0 poetica, consistente nella separazione di due parole che costituiscono abitualmente un nesso unitario mediante interposizione di altri elementi (per esempio, t. di aggettivo e sostantivo: «questa / bella d’erbe famiglia e d’animali», cit. in V. 27; t. di antecedente e

pronome relativo: «Allor fu la paura un poco queta / che nel lago del cor m’era durata», cit. in VII. 219-220; t. di ausi-

liare e participio passato: «Credei ch’al

(«passò tra due ali di folla», VIII. 127), di distanza («ci incontreremo fra dieci chilometri», VIII. 127), una determi-

nazione di tempo («tornerò tra un me— se», VIII. 128), un complemento partitivo (anche come secondo termine di riferimento del superlativo relativo: «è il migliore fra tutti», V. 61; VIII.

129), di relazione e compagnia («è una discussione fra colleghi», «e felice quando uò stare tra i suoi nipoti»,

tutto fossero / in me, sul fior degli anni, / mancati i dolci affanni», cit. in XI.

VIII. 130 ,di causa («fra tanti impegni,

41c). @ 2. Spazzatura di una parola in fin di verso, perlopiù ottenuta ripristinando l’antica autonomia delle sue componenti. Un esempio pascoliano di t. dell’avverbio in -mente (cit. in XII. 8): «Tra gli argini su cui mucche tranquilla / mente pascono». TOBLER-MUSSAFIA, LEGGE: v. LEGGE TOBLER-MUSSAFIA. togliere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, XI. 322-323. TONDE, PARENTESI: v. PARENTESI.

VIII. 131). 5 3. Usi antichi e particola-

TONICO, -A: accentate.

TOPONIMO: nome di luogo, in particolare di un centro abitato, III. 3. L’uso del-

l’articolo con i t. è illustrato in IV. 3650. torcere: verbo irregolare di 2" coniugazione in -ere, XI. 324.

torre / tor: I. 80d. torre: V. togliere. tosti ‘toasts’: III. 132c. Per il plurale di toast v. anche il riquadro NOMI STRANIERI, PLURALE DEI. tosto che: locuzione congiuntiva subordinante causale antica, XIV. 203.

tot: aggettivo indefinito quantitativo, VII. 211. TOTALI, INTERROGATIVE: v. XIII. 7a; XIV.

83 e le voci INTERROGATIVE DIRETTE, PROPOSIZIONI, €; 1 e INTERROGATIVE INDIRETTE. PROPOSIZIONI. tra e fra: {i 1. Queste due preposizioni proprie (VIII. 7), identiche er significato e funzioni (VIII. 125), indicano una posizione intermedia, nello spazio e nel tem o, tra due o più punti di riferimento VIII. 124). 5 2. Tra e fra possono introdurre un complemento di stato in luogo («una fattoria tra i campi», VIII. 127), di moto a luogo («vieni fra noi», VIII. 127), di moto per luogo

non ha mai tempo per la fam1glia», ri di tra e fra sono illustrati in VIII.

133-134. tournée / tournées (le): v. il riquadro NOMI

STRANIERI, PLURALE DEI. tradurre: verbo irregolare di 2“ coniuga— zione in -ere, XI. 205.

trafiggere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 237.

TRAGICO, IMPERATIVO: v. VII. 72 e la voce IMPERATIVO, % 5. tra]: ‘tra il’, IV. 81.

tralùcere: verbo difettivo di 2“ coniugazione in -ere, XI. 108.

transigere: verbo difettivo (del solo parti— cipio passato) di 2a coniugazione in -ere,

XI. 122b. transigere / transare: nessun dubbio: l’unica forma corretta è la prima; la seconda nasce da una retrofonnazione su transazione, secondo il modello

operare-operazione. Ma l’uso della forma legittima è schiacciante: nelle annate 1993-1995 del «Corriere della Sera» transigere ricorre 34 volte contro un solo esempio di tramare, che si spera resti isolato («Bossi e Gianfranco Fini potrebbero tramare» 28.9.1994). TRANSITIVI, VERE]: i v. t. sono descritti in XI. 3—4; la scelta dell’ausiliare con i v. t. è illustrata in XI. 32; un elenco di v. t.

che reggono una proposizione oggettiva esplicita o implicita è in XI. 41-43; un elenco di v. t. cge ammettono solo una proposizione oggettiva implicita è in X]. 45. TRAPASSATO PROSSIMO: il t. p. indica un’azione anteriore rispetto a un tempo già passato («Spiegai che che il giorno pri-

(103 ma non mi era mosso da casa», XI. 383), concorrendo, in quest’uso, col tra-

udire

TRISDRUCCIOLE, PAROLE: v. I. 172 e la voce ACCENTO, @ 6.

passato remoto, che però oggi, diversa—

triste, tristo: V. 12.

mente che nel passato, è raro e lettera-

TRHTONGO: gruppo fonico in cui s’incontrano una semiconsonante (/j/, /w/), una vocale e una semivocale (in genere /i]: lei in miei, uoi in suoi), oppure due seminconsonanti e una vocale (iuo in

rio (XI. 384-385). 'I‘RAI’ASSATO REMOTO: diversamente che nel passato, il t. I. è oggi raro e lettera— rio; indica un’azione anteriore rispetto

a un tempo già passato («Dopo che ebbe mangiato, andò a dormire», concor—

rendo, in quest’uso, col trapassato prossimo, XI. 384-385). trapungere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 282. trarre: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ere, I. 80e; XI. 325-326. trascegliere: verbo irregolare di 2’ coniugazione in -ere, XI. 297. trascendere: verbo irregolare di 2" coniugazione in -ere, XI. 298. trascrivere: verbo irregolare di 2" coniugazione in —ere, XI. 302.

trasfondere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 241.

trasmettere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 255. TRASPARENZA (nella formazione delle pa— role): III. 63; XV. 5. 120. trasparire: verbo irregolare di 3" coniugazione, XI. 332-333.

trasporre: verbo irregolare di 2a coniuga— zione in -ere, XI. 275.

trattenere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in —ére, XI. 165.

TRATTINO: segno d’interpunzione; chiamato anche lineetta, ha due lunghezze diverse: -e —; il suo uso è illustrato in I.

232-234. travedere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in —ére, XI. 170.

travolgere: verbo irregolare di 2a coniuga— zione in -ere, XI. 331. tre: numerale cardinale; non richiede l’ac-

cento grafico, a differenza dei composti tipo ventitré, trentatré, ecc (v. il riquadro POI.)JSILLABI OSSITONI, ACCENTO GRAFICO sur . trentun anni / trentun anno: v. il riquadro UNO, NUMERAL1 COMPOSTI CON. TRIANGOLO VOCALICO: I. 17. TRIGRAMMA: gruppo di tre grafemi he rappresentano un unico fonema ( er esempio, sci in lascia, I. 114. 139-146 .

triplice: numerale moltiplicativo, VI. 41a. triplo: numerale moltiplicativo, VI. 41a.

aiuola, I. 55). troia: nome difettivo del maschile, indi-

cante la femmina del maiale o del cinghiale, III. 76h.

TRONCAMENTO: v. APOCOPE. TRONCHE, PAROLE: v. OSSITONE, PAROLE. troppo: può essere, a seconda del contesto, awerbio di quantità («Lavora troppo», XII. 47d.), nonché aggettivo e pronome indefinito quantitativo («C’è troppa ente. — Sì, ce n’è troppa», VII. 205-206 . Nell’una e nell’altra funzione può antici are una reposizione di adeguatezza XIV. 143 . ts: grafia esotica per z, I. 44. 133. tu: pronome personale di 2a ersona, usato in funzione di soggetto v. VII. 4-6. 89); anticamente, poteva presentare collocazione enclitica in forme come vedestrì e simili (VII. 15). E anche pronome allocutivo (VII. 84-88). tuo: aggettivo e pronome possessivo, VII. 99 sgg. Nell’uso toscano quattrocente— sco valeva come forma di possessivo invariabile (VII. 103b). TURCO! un confronto fra l’italiano e il t. è in I. 8; III. 83. tuttavia: congiunzione coordinante awersativa, XIV. 21b. 154.

tutte le volte che: locuzione congiuntiva subordinante temporale. XIV. 202.

tutto: aggettivo e pronome indefinito collettivo (VII. 178-179. 189), usato anche per intensificare un aggettivo di grado

positivo («E tutto matto», V. 73). Per la mancanza dell’articolo davanti a un toponimo preceduto da t., come in «HO visto tutta Roma», v. V. 39. tutto che: locuzione congiuntiva subordinante concessiva antica, XIV. 179d.

tutù (il /it.): III. 28. tv: v. I. 67d. tz: grafia per z, zz, I. 133.

uccidere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in -ere, XI. 217. udire: verbo irregolare di 3" coniugazione, XI. 349-350; XIV. 43. 50.

uguaglianza, comparativo di UGUAGLIANZA, COMPARATIVO DI: v. V. 5759 e la voce AGGETI’IVO, % 9.

ukase: (l’ / gli u.): III. 132d. ulteriore: v. V. 82-83 e la voce AGGE'I’I’IVO,

604 numerale, può essere plurale — è l’uso attuahnente più frequente, e preferibile — oppure singolare, accordandosi con -uno. (v. VI. 15).

& 9. ultimo: v. V. 82-83 e la voce AGGETTIVO, &

uomo (plur. uomini): III. 100. Antica-

9. una volta che: locuzione congiuntiva su—

mente u. era usato anche come sogget-

bordinante temporale, XIV. 201c. un-

gere: verbo irregolare di 2“ coniugazione in —ere, XI. 247. 327. UNCINATE. PARENTESI: v. AGUZZE, PARENTESI. UNGHERESE: un confronto con l’u. è in I. 8.

172. UNIDIVERGENTE, COPPIA: I. 2-3. 473. 48. 62.

124d. UNIONE: v. COMPAGNIA E UNIONE, COMPLEMENTO DI. UNITÀ LESSICALI SUPERIORI: v. V. 37; VIII. 46; XV. 122 e la voce FORMAZIONE DE]..LE PAROLE, @ 3.

to generico e indeterminato (VII. 58. 177). -uo- / -o-: v. il riquadro MOBILI, DI’ITONGHI. uovo (plur. uova): III. 109. urgere: verbo difettivo di 2“ coniugazione in -ere, XI. 119.

urlo (plur. urli / urla): III. 118u. uscire: verbo irregolare di 3a coniugazione, XI. 351-352.

ute‘nsile/ utensile: I. 189. UVULARE, VIBRANTE: I. 5. 37. v = vu / vi: Il nome della lettera dell’alfabeto è «vu»; per influenza dei nomi di altre lettere («bi», «ci» ecc.) si è dif— fusa anche la variante «vi», che tende a

UNIVERBAZIONE: fusione — manifestata anche dalla grafia — di due parole originariamente autonome (per esempio palco scenico > palcoscenico) Di massima, si può dire che le congiunzioni e gli awerbi costituiti da più unità distinte tendono a formare una sola parola quando il valore delle singole componenti diventa opaco per la coscienza linguistica comune. Ma i tempi e i modi di questo processo non sono uniformi e non è sempre possibile essere net— ti, prescrivendo la forma univerbata

(per es. tuttavia non *tutta via) o viceversa quella scissa (per es. ragion per cui, non *ragionpercui). Essendo di uso corrente entrambi i sistemi grafici, nei casi dubbi non c’è che da consultare un buon dizionario. (v. I. 11. 67-70. 192. 233; IX. 2). uno: 5 1. Numerale cardinale, VI. 12-15. è

2. Pronome indefinito singolativo, VII. 146-147. 152b. 171bd. 204. UNO, NUMERALI COMPOSTI CON (ventun anni / ventun anno): nei numerali composti con una (ventuno, trentuno ecc.) accompagnati da un sostantivo, il so— stantivo va obbligatoriamente al plurale quando precede il numerale (anni ventuno). Se invece è collocato dopo il

essere sempre più accettata accanto al— l’altra. (v. I. 106). va’ / val vai: 23 persona dell’imperativo di andare, XI. 129c. v. il riquadro IMPERATIVO (2° PERSONA), FORME DIVERSE DI.

vaglio (valere): XI. 168. valere: verbo irregolare di 2’ coniugazione in -ére, XI. 168—169. valigie / valige: v. NOME, {} 13 e il riquadro NOMI IN -CIA, -GIA, PLURALE DEI. valle / val: I. 80d. IV. 44b. valùto / vàluto: I. 188b. VANTAGGIO E SVANTAGGIO, COMPLEMENTO DI: è un complemento indiretto che indica a vantaggio di chi o di che “cosa, e a discapito di chi o di che cosa si verifica l’azione o la condizione espressa dal verbo. E introdotto dalla preposizione per e dalle locuzioni preposizionali a vantaggio di, a (o in) favore di, in difesa di, a svantaggio di, a danno di, a discapito di, contro ecc. Può anche essere espresso da un pronome personale atono (mi, ti, si, gli, le ecc.); in tal caso manca la preposizione. Esempi: «L’ho fatto per te», «Una manifestazione contro il razzismo», «Ti (= per te) preparo un risotto» (VIII. 340. 88. 119). VARIANTI FONETICI-IE: I. 4-6. vario: agg. qualificativo usato anche co-

(IUS

me aggettivo e pronome indefinito quantitativo, VII. 212.

vedere: verbo irregolare di 2a coniugazione in -ére, XI. 170-172; XIV. 43. 50. vedi, ve’: espressione interiettiva, spesso usata come semplice connettivo fraseologico, X. 36; XI. 400b; XII. 62; XIII. 27.

verbo

ver: ‘verso’ (arcaico), I. 81. VERBALE, PREDICATO: v. PREDICATO, @ 4. VERBALI DEAVVERBIALI, sumssn v. XV. 79. 62 e la voce sumsso, @@ 2 e 3.

VERBALI DENOMINALI E DEAGGE'1TIVALI, SUFFISSI: V. XV. 7-9. 57-60 e la voce SUFnsso, @@ 2 e 3.

veduto / visto (vedere): XI. 171.

VERBALI DEVERBALI, SUFFISSI: v. XV. 7—9. 61

veggio, veggo (vedere): XI. 172. vegno: ‘vengo‘, XI. 355.

VERBALI, LOCUZIONI: v. IV. 72b; XI. 2.

VELARI, CONSONAN'I'I: v. I. 42 e la voce CONSONANTI, @ 3.

365a. VERBALI, PREFISSI: v. XV. 80. 109-114 e la

velo / veletta: III. 36. venire: verbo irregolare di 3“ coniugazio-

VERBO: & 1. Il v. è una parte variabile del

ne, XI. 353-355. Può sostituire l’ausilia-

discorso che fornisce informazioni sul

re essere nella formazione dei verbi passivi (solo nei tempi semplici, come in «io vengo amato», XI. 14). In unione con un gerundio, è un verbo fraseologico che in indica lo svolgimento di un’azione: «la piazza si veniva facendo via via più affollata», XI. 480. Usi particolari di v. nell’italiano antico sono illustrati in XI. 15. VENIRE, COMPOSTI DI: nel passato remoto di intervenire (come negli altri cornposti di venire: avvenire, prevenire,

sovvenire ecc.) l’unica forma corretta è quella che si richiama al verbo semplice: intervenne (e intervennero), come venne e vennero. Le forme deboli, cioè accentate sulla desinenza, si de-

vono all’analogia dei verbi della terza coniugazione in -ire (udì-udirono). Un’occhiata al «Corriere della Sera» del 1995 è abbastanza rassicurante: intervenì e intervenirono sono sfuggiti solo tre volte alla penna del redattore («Nessuno intervenì» 21.9, «intervenirono Fabio Fazio, Red Ronnie» ecc. 14.3, «loro intervenirono soltanto

un’ora dopo» 14.3), contro ben 75 esempi delle forme corrette intervenne, intervennero. Ma è bene non ab-

bassare la guardia: con un altro com— posto di venire, prevenire, a 2 prevenne si contrappone l’errato prevenirono

del 7.10.1995. (v. XI. 355). ventitré / ventitre: v. il riquadro POLISILLA-

BI OSSITONI, ACCENTO GRAFICO SUI. ventun anni / ventun anno: v. il riquadro

e la voce sumsso, @@ 2 e 3.

voce PREFISSO, & 1.

soggetto; indica, di volta in volta, l’a-

zione che il soggetto compie o subisce («Marco pesca le trote» / «Le trote s_ck no pescate da Marco»), l’esistenza 0 lo stato del soggetto («& Marco»), il

rapporto tra il soggetto e il nome del predicato («Marco è un pescatore», XI. 1-2). Il v. intrattiene col soggetto un rapporto speciale anche dal punto di vista morfosintattico: riceve dal soggetto le desinenze di persona e di numero e, in alcuni casi, di genere («Marta dorme», «gli operai erano arrivati»; v. la voce ACCORDO). {$ 2. Oltre che

quelle relative al soggetto,-riv.. fornisce molte altre informazioni. In particolare chiarisce: a) l’atteggiamento di chi parla verso ciò che dice o verso l’interlocutore (informazione fornita dal modo: per esempio, un dato è presentato come certo usando l’indicativo [«Mangerò qualc0sa»], e come possibile usan-

do il congiuntivo [«E se mangias— si qualcosa?»] o il condizionale [«Mangerei volentieri qualcosa»]); b) il rapporto cronologicofra il momento in cui si parla e l’azione espressa dal V. (informazione fornita dal tempo: «Il treno è in partenza (presente) / partirà in ritardo (futuro) / è partito in ritardo (passato)»; e) a chi si riferisce quanto espresso dal verbo (informazione fornita dalla persona, che può indicare chi

parla [io, prima persona], chi ascolta [tu, seconda persona], una terza o sesta persona diversa da chi parla e da chi ascolta [lui, lei, loro], una quarta persona noi = io + altri] o una quin-

UNO, NUMERALI COMPOSTI CON.

ta persona voi : tu + altri]). è 3. I va-

venzetz‘e: ‘27’ (toscano), VI. 23e.

ri modi (XI. 7) e tempi (XI. 8.) del v.

606

verbo

sono rappresentabili nello schema che segue: modo

tempo semplice

INDICATIVO (8 tempi)

CONGIUNTIVO (4 tempi)

CONDIZIONALE (2 tempi)

IMPERATIVO (2 tempi)

composto

presente

pass. prossimo

imperfetto passato remoto

trapass. prossimo trapass. remoto

futuro semplice

futuro anteriore

presente

passato

imperfetto

trapassato _

presente

passato

'

presente futuro

lNFINITO (2 tempi)

presente

passato

PARTlCIPIO (2 tempi)

presente

passato

GERUNDIO

presente

passato

(2 tempi)

& 4. Usi e particolarità d’uso dei singoli modi verbali sono illustrati in XI. 370 (indicativo), XI. 391-392 congiuntivo), XI. 393-395 (condizionale , XI. 396-401

(imperativo), XI. 402—411 (infinito), XI. 412-420 (participio), XI. 421-425 (gerundio); usi e particolarità d’uso dei sin—

goli tempi verbali sono illustrati in XI. 371 (indicativo presente), XI. 373-375 (indicativo imperfetto), XI. 376-382 (indicativo passato remoto e passato prossimo), XI. 383-385 (indicativo trapassato prossimo e trapassato remoto), XI. 386-390 (indicativo futuro semplice e futuro anteriore). è 5. Per la complessità delle funzioni svolte, la classifica-

sere (la copula del predicato nominale), collegano il soggetto a un nome o a un aggettivo detto complemento predicativo: nella frase «Federico non sta mai fermo», sta e un v. copulativo e ferma è un complemento predicativo del soggetto (XI. 5; l’ulteriore divisione dei v. copulativi in effettivi, appellativi, elettivi e estimativi è illustrata in XI. 6). è 8. Una terza distinzione, legata alla diatesi (o forma o voce), cioè al particolare rapporto che il verbo ha con il soggetto, è fra v. attivi (nei quali il soggetto coincide con l’agente dell’azione: «] vigili regolano il traffico»), v. passivi (nei quali l’agente dell’azione non è il sog— getto: «Il traffico è regolato dai vigili») e v. riflessivi (o riflessivi diretti, nei quali soggetto e complemento oggetto coincidono: «Paolo si lava» = «Paolo lava sé stesso», XI. 10. 18). € 9. Le modalità di formazione dei v. passivi con le relative particolarità (uso del si passivante, uso di venire, uso di andare) sono

descritte in XI. 11—17. 5 10. I v. riflessivi rientrano nella più ampia categoria dei v. pronominali (cioè combinati con un pronome personale atomo: cfr. VII. 31 sgg.), categoria della quale fanno parte anche i v. riflessivi reciproci («Mario e Anna si salutano», XI. 19-20), iv. rifles— sivi indiretti o riflessivi apparenti o transitivi pronominali («Mi lavo le mani», XI. 21-22) e i v. intransitivi pronominali (tipo accanirsi, accostarsi, ricordarsi,

XI. 23-29). è 11. Alle categorie fin qui individuate vanno aggiunte quelle costituite dai v. ausiliari propriamente detti, dai v. servili e dai v. fraseologici (XI. 31). è 12. I v. ausiliari (segnata-

zione dei verbi non è facile: utilizzando diversi parametri sintattici, semantici e funzionali sono possibili varie distinzioni. 5 6. Una prima distinzione, legata ai rapporti sintattici instaurati nella frase, è fra v. transitivi (per esempio leggere),

e solo per la formazione del passivo, anche andare e venire: v. sopra, 5 9) hanno funzione squisitamente morfolo-

che ammettono un complemento og-

gica e indicano, a seconda dei casi, la

getto diretto, e v. intransitivi (per esempio dormire), che non ammettono un complemento oggetto diretto (XI. 3; più ampi particolari in XI. 4). è 7. Una seconda distinzione, legata alla diversa funzione svolta nella frase, è fra v. predicativi, che hanno un senso compiuto in sé e svolgono la funzione di predicato verbale (per esempio correre, mangiare) e v. copulativi che, come il v. es-

diatesi (attiva o passiva) o il tempo - (passato o futuro anteriore) del v. che li accompagna nella forma di un partici-

mente, essere e avere; in casi particolari,

pio: dato, a titolo d’esempio, il v. amare,

l’ausiliare avere potrà indicare un indi— cativo passato prossimo attivo (nella fattispecie, ho amato) e l’ausiliare essere potrà indicare un indicativo presente passivo (nella fattispecie, sono amato; più ampi particolari sulla scelta dell’au-

607

siliare con i singoli v. e sulla sua posizione rispetto al participio passato in XI. 33-43 e alle voci avere e essere, e sotto

AUSILIARI, VERRI). {>} 13. I v. servili o madali (segnatamente, potere, dovere, volere e, con alcune restrizioni, solere e sapere ‘essere in grado di’), quando reggono un infinito senza l’ausilio di preposizioni, formano con esso un unico predicato: non esprimono un significato autonomo ma precisano — in termini di possibilità, dovere o volontà — quello del verbo che segue («posso, devo, vo— glio partire»; più ampi particolari in XI. 44-47). è 14. Infine, i v. fraseologici (o ausiliari di tempo o aspettuali) segnalano un particolare aspetto temporale di un’azione: per esempio la sua imminenza («sto per mangiare»), l’inizio («comincio a mangiare»), lo svolgimento («sto mangiando»), la continuità («continuo a mangiare»), la conclusione («ho finito di mangiare»). L’elenco completo dei v. fraseologici è in XI. 48; qui, oltre che in XI. 30, è anche illustrata la no-

zione di aspetto verbale. 5 15. La coniugazione è l’insieme delle forme di un v. distinte secondo il modo, il tempo, la

persona e la diatesi (XI. 49-51). 5 16. In un v. possiamo individuare: la radice (cioè l’elemento che contiene il signifi-

verro

in XI. 79-84. Completano il quadro i paradigmi delle coniugazioni passiva (XI. 89), e riflessiva (XI. 90). è 17. I v. che indicano un’azione o un processo non attribuibili a una persona determinata si dicono impersonali (XI. 91): sono propriamente tali i v. che indicano un fenomeno atmosferico (per esempio piove; l’elenco completo e gli usi relativi in XI. 92). Ad essi vanno aggiunti quei v. 0 costrutti verbali che, di per sé personali, possono essere adoperati impersonalmente (per esempio avviene, bisogna, si mangia, ci si accorge, va riconosciuto, è bene; l’elenco completo e

gli usi relativi in XI. 93-95). è 18. I v. riconducibili a una delle tre coniugazioni regolari di cui si adoperano poche voci, perché quelle mancanti sono cadute in disuso o non sono mai esistite (come per esempio addirsi) si dicono difettivi; il loro elenco completo è in XI 96-122. @ 19. Due v. formati con la stessa radice che seguono due coniugazioni differenti (per esempio: scolorare / scolorire) si dicono sovrabbondanti (XI. 123). Possono distinguersi in due gruppi, a se— conda che il loro significato muti col cambiamento di coniugazione (come

per esempio in abbonare / qbbonire; l’elenco completo dei v. di questo tipo è in

cato del v.: amavate, v. amare), la voca-

XI. 123a) o resti inalterato (come per

le tematica (che nell’infinito consente di riconoscere la coniugazione di apparte—

esempio in adempiere / adempire; l’elenco completo dei v. di questo tipo è in XI. 123b-124). % 20. I v. che si allontanano in modo più o meno spiccato dal modello di coniugazione a cui apparten ono si dicono irregolari (Xl. 125— 126 ; ve ne sono di prima coniugazione (illustrati in dettaglio in XI. 128-138), di seconda coniugazione in -ére (illustrati in dettaglio in XI. 139-174), di seconda coniugazione in -ere (illustrati in dettaglio in XI. 175-331), di terza coniugazione (illustrati in dettaglio in XI. 332355). Tutti i v. irregolari sono raccolti in questo Glossario in ordine alfabetico. verdi (nel linguaggio politico): V. 51. vergogniamo / vergognamo (ci): v. il riquadro -gniamo / -gnamo. vero: elemento interrogativo parentetico

nenza: amare, vocale tematica a, prima

coniugazione) e la desinenza, ossia l’af— fisso che indica il modo, il tempo e la

persona verbale: amate, indicativo presente, quinta persona). In base alle diverse vocali tematiche che precedono la desinenza dell’infinito e che sono -a-, -e-, -i-, i verbi regolari italiani si possono

raggruppare in tre diverse coniugazioni, secondo il modello am-are (prima coniugazione), tem-ere (seconda coniu— gazione), serv-ire (terza coniugazione). Il paradigma (cioè lo schema flessionale) dei verbi di prima coniugazione, con osservazioni e illustrazioni di forme arcaiche è in XI. 70-73; il paradigma dei verbi di seconda coniugazione, con os-

servazioni e illustrazioni di forme arcaiche è in XI. 74-78; il paradigma dei ver— bi di terza coniugazione, con osservazioni e illustrazioni di forme arcaiche è

che chiede conferma di un’assemione,

determinando una frase interrogativa retorica: «mi vuoi bene, vero?», XIII. 11. verro: nome difettivo del femminile indi-

SOMMARIO

Presentazione Trascrizioni fonematiche

GRAMMATICA ITALIANA

59 74 114 135 157 168 231 253 258 267 339 358 368 441

I. Fonologia e grafematica II. Analisi logica e analisi grammaticale III. Il nome IV. L’articolo V. L’aggettivo VI. Numerali VII. Pronomi e aggettivi pronominali VIII. La preposizione IX. Congiunzioni e segnali discorsivi X. L’interiezione XI. Il verbo XII. L’avverbio XIII. Sintassi della proposizione XIV. Sintassi del periodo XV. La formazione delle parole

469

lNDICE DELLE ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

485

GLOSSARIO E DUBBI LINGUISTICI

Finito di stampare nel mese di maggio 2003 da Canale & C., Borgaro Torinese (TO)