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Italian Pages XXX,250 [291] Year 2017
ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA» «STUDI» CCLI
ISOCRATE
PER UNA NUOVA EDIZIONE CRITICA a cura di
Maddalena Vallozza
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXVII
Il volume raccoglie contributi del gruppo coinvolto nel progetto di una nuova edizione critica del corpus di Isocrate nella serie degli Oxford Classical Texts, riuniti per un diretto confronto su aspetti non secondari sia di critica del testo sia di storia della tradizione. Al centro dell’attenzione sono pertanto l’apporto che i papiri offrono alla costituzione del testo, la possibilità di individuare per i discorsi parenetici livelli di lettura diversi, problemi di costituzione del testo e di definizione dei caratteri specifici delle hypotheseis. All’analisi delle vicende del testo fra fine XV e XVI secolo si unisce un quadro della ricezione in Germania, nello stesso periodo, dell’Archidamo, in rapporto a quella del corpus, mentre un caso a parte costituisce la storia piuttosto movimentata dell’Antidosi, scoperta nella sua integrità solo all’inizio del XIX secolo da Mustoxydis.
ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA» «STUDI» CCLI
ISOCRATE
PER UNA NUOVA EDIZIONE CRITICA a cura di
Maddalena Vallozza
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXVII
Tutti i diritti riservati
Casa Editrice Leo S. Olschki Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze www.olschki.it
ISBN 978 88 222 6455 8
AVVERTENZA
Il volume raccoglie, ampiamente rielaborate, le relazioni tenute a Viterbo, presso l’Università della Tuscia, nell’incontro del 13-14 gennaio 2011, su problemi del testo di Isocrate, affrontati per la realizzazione di una nuova edizione critica complessiva del corpus per la collana degli «Oxford Classical Texts». Le tre parti che compongono il volume non rispecchiano l’ordine nel quale le relazioni furono pronunciate, ma indicano la vicinanza fra i problemi considerati: critica del testo e sua circolazione nel mondo antico, tratti specifici di singole ὑποθέσεις, momenti significativi nella storia della tradizione. Sono felice di poter esprimere un grazie caloroso all’amministrazione dell’Ateneo, che ha concesso l’Aula Magna e ha sostenuto l’iniziativa con il Rettore Marco Mancini e con il Rettore Alessandro Ruggieri. Il contributo di Antonio Carlini e di Daniela Manetti, attivi come moderatori nelle sedute a Viterbo, ha le sue origini nell’impegno da entrambi profuso sul testo di Isocrate: giunga loro un grazie per la partecipazione. Le animate discussioni nel corso delle due giornate hanno avuto il prezioso contributo di Roberto Nicolai, al quale furono affidate le considerazioni conclusive: a lui devo anche la felice consuetudine di scambi e costruttivi dialoghi su Isocrate che risale al comune periodo di formazione. Un grazie agli amici e colleghi che a Viterbo hanno scelto di compiere una prima tappa di quell’arduo cammino verso la nuova edizione critica nel quale tutti siamo stati coinvolti nei lunghi anni dopo il nostro incontro. Marco Donato ha, con competenza e sollecitudine, redatto gli indici. Un grazie infine all’Accademia «La Colombaria», che ha inserito il volume, con immediato e pieno favore, nella collana degli «Studi».
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PRESENTAZIONE
Il Convegno di Viterbo del 12 e 13 gennaio 2011, che ha visto riunito un gruppo di giovani e valenti studiosi, ha una preistoria che forse vale la pena di ricordare in questa occasione, perché spiega la nostra presenza e il nostro ruolo nel Convegno. L’inizio della storia è stato nel lavoro per la preparazione dei volumi del Corpus dei Papiri Filosofici greci e latini, che per decenni ci ha visto coinvolti, come membri del Comitato scientifico e come autori, un lavoro lungo e talvolta segnato da pause di rif lessione, ma fruttuoso e produttivo. Uno dei momenti di rif lessione sul progetto che stavamo realizzando è appunto quello della lunga preparazione della sezione di Isocrate nella parte I.2 «Cultura e filosofia»: il riconoscimento che il lavoro sui papiri non poteva essere disgiunto dalla conoscenza della tradizione medievale, imponendo un continuo confronto con una tradizione manoscritta imperfettamente indagata, ha prodotto, come nel caso dello studio dei papiri di Platone, un effetto dinamico e ha dato luogo a una serie nutrita di ricerche speciali su nodi irrisolti e su singoli aspetti poco chiariti della storia del testo isocrateo. In questa prospettiva avevamo organizzato un incontro a Pisa nell’aprile 2003, che aveva visto riuniti i papirologi e i filologi impegnati nella costruzione della parte isocratea del volume I.2 del CPF: erano stati affrontati vari problemi che andavano dal riesame del valore testimoniale di singoli papiri all’analisi di autenticità del testo lungo delle autocitazioni di Isocrate nei codici della seconda famiglia dell’Antidosi, alla creazione di fondamenti più sicuri per la costituzione del testo del Panegirico, a una più precisa definizione dei rapporti stemmatici tra alcuni codici, allo studio della fase tardoantica della tradizione isocratea, cruciale per la formazione del corpus. I risultati dell’incontro seminariale di Pisa sono stati pubblicati nello stesso 2003 nel volume Studi sulla tradizione del testo di Isocrate nella serie «Studi e testi per il Corpus dei papiri filosofici greci e latini» (Firenze, Olschki). Di quei risultati ha tenuto conto Stefano Martinelli Tempesta che ha tracciato le linee portanti della tradizione isocratea, diretta e indiretta, alla luce delle più recenti acquisizioni nel volume I.2* del CPF (pp. xviii-xxxiv), uscito nel — VII —
PRESENTAZIONE
2008, come praefatio critica all’edizione dei più di cento papiri che hanno conservato testimonianza del testo delle Orazioni nell’antichità. L’esigenza di una nuova edizione critica dell’intero corpus isocrateo, che comprendesse, oltre alle Orazioni, anche le Vite e le Epistole, si era fatta sentire da molto tempo, almeno da quando Giorgio Pasquali aveva lamentato la scarsa affidabilità dell’edizione di G. Mathieu e É. Brémond (1928-1962) che prescindeva totalmente dalla storia del testo e valutava in modo inadeguato le fonti testuali. I tre volumi teubneriani di Isocrates. Opera omnia di B.G. Mandilaras (2003), fin troppo ricchi di informazioni sulla tradizione isocratea (nel primo volume, oltre ai testimoni indiretti maggiori sono raccolti anche i testimonia minora greci e latini dal I sec. a.C. all’età umanistica), hanno presto rivelato una debolezza sul piano critico che ne ha determinato alla fine il ritiro dal mercato. Ha così preso avvio il progetto di una nuova edizione critica di Vitae, Orationes, Epistulae di Isocrate nella serie prestigiosa degli «Oxford Classical Texts», affidata ad una équipe di filologi che già hanno collaborato al volume isocrateo del CPF e che ora lavorano, pur in sedi diverse, con il coordinamento di Stefano Martinelli Tempesta. Il Convegno di Viterbo di cui qui si presentano gli Atti è stato direttamente finalizzato alla pubblicazione dell’Isocrate oxoniense. Le due giornate di Viterbo hanno visto riuniti i futuri editores del testo per un diretto confronto sullo stato di avanzamento del lavoro e per la messa a fuoco, sia nelle relazioni sia nella successiva discussione, di aspetti storico-tradizionali e critico-testuali non secondari. L’apporto che i papiri danno alla costituzione del testo è stato ancora approfondito in due relazioni: Daniela Colomo ha discusso quattro punti problematici del testo dell’A Nicocle dove le lezioni dei papiri non possono essere trascurate, Stefania De Leo ha riconsiderato la qualità del contributo testuale, nel discorso Sulla pace, di PLondLit 131 che condivide una serie di varianti con θλ, evidenziando così (come fanno del resto anche le testimonianze indirette di Dionigi di Alicarnasso) la genuinità della forma estesa della citazione del discorso Sulla pace nell’Antidosi. Ma nel fuoco dell’attenzione sono entrati anche problemi di costituzione del testo e di definizione dei caratteri specifici delle ὑποθέσεις: Marco Fassino ha ricostruito lo stemma degli otto manoscritti, di cui cinque testimoni primari, che trasmettono il testo della ὑπόθεσις del Plataico e ha proposto anche alcune nuove opzioni testuali; Maddalena Vallozza ha sottolineato la specificità della ὑπόθεσις dell’Evagora (che è la sola conservata anche in Λ), interessante perché tocca non solo temi letterari e retorici, ma rivela anche un preciso interesse biografico. Dei discorsi parenetici del corpus isocrateo e in particolare dell’A Demonico e del Nicocle si è occupata — VIII —
PRESENTAZIONE
Mariella Menchelli che individua diversi livelli di lettura, mostrando che bisogna tener conto, nella valutazione dei testimoni, anche del loro carattere specifico, perché è possibile rilevare che agli esemplari di trasmissione ‘bibliotecaria’ si affiancano materiali librari in uso presso professori e studenti. All’analisi della formazione del testo vulgato nel corso del ’500 (che è poi il testo ‘recepito’ fino all’edizione di Immanuel Bekker che invece poteva fondarsi sull’Urbinate da lui stesso portato in luce) si è dedicato, nella relazione d’apertura, Stefano Martinelli, mentre Pasquale Massimo Pinto ha ricostruito la storia piuttosto movimentata dell’Antidosi che fu scoperta, nella sua integrità, solo all’inizio del XIX secolo da Andreas Mustoxydis. Più recentemente è entrato nel gruppo di lavoro isocrateo Emanuel Zingg che studia l’Archidamo e che nella sua relazione ha considerato la ricezione di questa orazione nella Germania del Cinquecento, in rapporto a quella del resto del corpus. Resta il dovere, per noi gradito, di ringraziare l’Università della Tuscia che ha ospitato il convegno nella bella Aula magna del Rettorato ed ha concorso al finanziamento del volume, l’Accademia La Colombaria che lo ha accolto nella serie degli «Studi» e la Casa editrice Olschki che lo ha stampato con la ben conosciuta eleganza formale. Un ringraziamento speciale a Maddalena Vallozza, ospite squisita, che ci ha voluto presenti come persone che in un qualche modo avevano dato avvio ad un interesse di ricerca, che ha avuto poi sviluppo ben al di là del nostro modesto contributo, e ha profuso le sue attente cure per la felice realizzazione dell’incontro e poi per l’edizione di questi Atti. Antonio Carlini – Daniela Manetti
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
ADB Allgemeine Deutsche Biographie, Leipzig, Duncker-Humblot 1875-1912. Alexiou, «Euagoras» E. Alexiou, Der «Euagoras» des Isokrates. Ein Kommentar, Berlin-New York, De Gruyter 2010. ASD Opera omnia Desiderii Erasmi Roterodami, Amsterdam, North-Holland Publishing Company 1969–. Baiter, Panegyricus Isocratis Panegyricus, cum Mori suisque annotationibus edidit F.A.W. Spohn, editio altera emendatior et auctior, curavit I.G. Baiterus, Lipsiae, Weidmann 1831. Baiter – Sauppe, Isocrates Oratores Attici, recensuerunt, adnotaverunt, scholia fragmenta indicem nominum addiderunt I.G. Baiterus – H. Sauppius, I, Verba oratorum cum adnotationibus criticis, Turici, Hoehr 1839-1843, II, Scholia fragmenta indices, Turici, Hoehr 1845-1850. Bandini, Catalogus Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae [...] A.M. Bandinius [...] recensuit, illustravit, edidit, III, Florentiae, Typis Regiis 1770. BBKL F.W. Bautz – T. Bautz (edd.), Biographischbibliographisches Kirchenlexikon, Nordhausen, Bautz 1975–. Bekker, Isocrates¹ Oratores Attici, ex recensione I. Bekkeri, II, Isocrates, Oxonii, Clarendon 1823. Bekker, Isocrates² Oratores Attici, ex recensione I. Bekkeri, II, Isocrates, Berolini, Reimer 1823. Benseler, Isocratis orationes Isocratis orationes, recognovit, praefatus est, indicem nominum addidit G.E. Benseler, I-II, Lipsiae, Teubner 1851. * In questo elenco compaiono le abbreviazioni di strumenti critici e repertori nonché di edizioni e studi citati più di una volta nel volume.
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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CONSPECTUS SIGLORUM AD ISOCRATEM PERTINENTIUM
Codices Γ
Vaticanus Urbinas Graecus 111 IX ex. Γpr vel Γac vel Γit manus prima Γ1 manus prima, cum ipsa se correxit Γunc (Seck = lect. a Γ in mg. litt. uncialibus adscr.) Γ2 (Drerup, Seck = Γ1a, Γ1b, Γ2 Martin), manus plures X Γ3 (Drerup, Seck = Γtr/mr Martin) XI Γ4 (Drerup, Seck = Γ3 Martin) XII Γ5 (Drerup, Seck = Γ4 Martin) = Δ ca. 1300 Δ Ε Θ Λ Ν Ξ Ο Π Σ Τ Υ Φ
Auct C69 Canon Crem C.S.83 G88 Holk Leid Mon Must
Vaticanus Graecus 936 ca. 1300 Ambrosianus O 144 sup. (602 Martini-Bassi) XIV in. Laurentianus Plut. 87.14 XIII-XIV Vaticanus Graecus 65 a. 1063 Laurentianus Plut. 58.5 XV Marcianus Graecus 415 (coll. 859) XV Laurentianus Plut. 59.37 XV Parisinus Graecus 2932 XV Laurentianus Plut. 55.7 XIV Parisinus Graecus 2930 XIV-XV Parisinus Graecus 2010 XIV Vaticanus Graecus 64 XIII Oxoniensis Bodleianus Auct. T. 1.11 (Misc. 189) XV Ambrosianus C 69 sup. a. 1559-1565 Oxoniensis Bodleianus Canonicianus Graecus 87 XV Cremonensis 160 XV Laurentianus Conventi Soppressi 83 XV in. Ambrosianus G 88 suss. a. 1559 Oxoniensis Bodleianus Holkham Graecus 76 XV Leidensis Scaligeranus Graecus 29 XV-XVI Monacensis Graecus 224 XV in. Codex Mustoxydis (deperditus)
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CONSPECTUS SIGLORUM
Mut Mutinensis α. P. 6. 12 = Gr. 130 Pal.135 Vaticanus Palatinus Graecus 135 Par.2931 Parisinus Graecus 2931 Par.2990 Parisinus Graecus 2990 Par.2991 Parisinus Graecus 2991 Par.3024 Parisinus Graecus 3024 Reg Vaticanus Regius Graecus 93 Ricc Riccardianus 12 Salm (vel S) Salmantinus 279 (1-2-15) Taur Taurinensis 231 = B VI 10 Tol Toletanus 101-13 Vat Vaticanus Graecus 1383 Vat.1392 Vaticanus Graecus 1392 Vrat Vratislaviensis Rehdigerianus 22 Laurentianus Plut. 59.24 Londiniensis BL Burney 75 Mediolanensis Braidensis AG IX 2 Monacensis Graecus 313 Parisinus Graecus 3054 Vaticanus Urbinas Graecus 112 Vaticanus Graecus 1461 Vindobonensis Phil. Graecus 3 a b c
consensus codicum Θ Λ Π Ν S Vat Auct consensus codicum Λ Π Ν S Vat Auct consensus codicum Π Ν S Vat Auct
γ δ ε θ λ
Γ in oratione De permutatione Δ in oratione De permutatione Ε in oratione De permutatione Θ in oratione De permutatione Λ in oratione De permutatione
XV XIV in. a. 1388 (vel 1403) XIV XV XV XV XV XV (ante a. 1447) XVI XV XV XV XV XV XV XV XV-XVI XV XV XV XV-XVI
Papyri π1 π2 π5 π7 π8bis π11 π12
PKell III Gr. 95 (Ad Dem., Ad Nic., Nic. 1-53) PBerol inv. 11672 (Ad Dem. 3-4, 12) PLund I 3 (Ad Dem. 12-14) PBerol inv. 8935 v (Ad Dem. 18-52, tit.) PBerol inv. 13891 (Ad Dem. 27-28, 29-30) PBodl MS. Gr. class. d 163 (P) (Ad Dem. 39-44) POxy 1095 (Ad Dem. 40-46)
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IVp IVp IIp ex. II/III Vp ex. Ia/Ip III/IV
CONSPECTUS SIGLORUM
π13 π16 = π1 π17 π18 π19 π25 π26 π46 π48 π49 π50 π73 π74 π93 π101T π102T π111T π116T π119T
POxy 1812 (Ad Dem. 40-45)
VIp med.
PMass (Ad Nic. 1-30, tit.) IVp in. POxy 4717 (Ad Nic. 1-3, 13-16) IVp PSI 1198 (Ad Nic. 1-6, 8-11) Ip PBodm LII (Ad Nic. 16-22) IIIp POxy 4719 (Ad Nic. 19-23) IIIp PLondLit 131 (De pace 13-145, tit.) I/II POxy 4728 (De pace 41?-47) IIp POxy 4729 (De pace 42-44) IIIp PHeid 208 (De pace 43-44, 56-61) III ex./IV in. PSI 16 (Nic. 47-51) VIp PLips inv. 158 (Nic. 52-53) IIp PAlex inv. 613 (Paneg. 139) IIp POxy inv. 5B4/G(2-4)b (Isocr. Exhort. tit.) III/IV POxy inv. 4B4/4a (Ad Dem. tit.) IIp PSI II 120 r (Ad Dem. 20, 22, 29, 31 Gnomol.) II/I PBerol inv. 21245, fr. 2 (Ad Dem. 47, 48 textus Gr.-Lat.) IVp PBerol inv. 21245, fr. 1 (Ad Nic. 7, 8 textus Gr.-Lat.) IVp
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PARTE PRIMA
Daniela Colomo ALCUNI PASSI PROBLEMATICI DELL’A NICOCLE E IL CONTRIBUTO DEI PAPIRI
1. I passi dell’A Nicocle qui esaminati contribuiscono ad illustrare il ruolo che di volta in volta i papiri rivestono nello studio della trasmissione del testo isocrateo, anche nei casi in cui probabilmente essi non trasmettono la lezione ‘genuina’ o, per meglio dire, la lezione presunta ‘genuina’. In questi casi, infatti, talora le lezioni trasmesse dai papiri offrono l’occasione per riaprire la discussione su un problema, un passo, un aspetto particolare del testo fornendo nuovi elementi di valutazione. Nel presente contributo analizzerò quattro passi grosso modo in ordine di difficoltà, partendo dal caso più problematico. 2. Il primo passo che propongo fa parte del paragrafo 20 dell’A Nicocle e rappresenta sicuramente una delle cruces più ‘disperate’ della storia del testo di Isocrate. Punto di partenza considero il testo dell’edizione commentata di Seck, la nostra edizione di riferimento dell’A Nicocle,1 che stampa il * Problemi e rif lessioni di questo contributo sono stati presentati in diversa forma anche in una relazione dal titolo Auf dem Weg zu einer neue Isokratesausgabe: Probleme und Perspektiven am Beispiel von Ad Nicoclem, tenuta presso il Seminar für Klassische Philologie alla RuprechtKarl-Universität di Heidelberg il 20 luglio 2011. Desidero ringraziare Prof. William D. Furley, Prof. Jan Felix Gaertner, Dr. Stefano Martinelli Tempesta, Dr. Chiara Meccariello, Prof. Roberto Nicolai, Prof. Peter J. Parsons, Dr. Marco Perale, Prof. Pasquale Massimo Pinto e Dr. Philip Schmitz per i loro preziosi suggerimenti. 1 Seck, Untersuchungen. A Seck vanno riconosciuti notevoli progressi nello studio della tradizione del testo di Isocrate. Il suo contributo si è rivelato particolarmente importante sotto diversi aspetti. Nello studio dei manoscritti medievali, egli ha il merito di aver individuato il codice Laurentianus Plut. 58.5 (Ν) come testimone primario per l’orazione A Nicocle, testimone che egli collazionò personalmente, ma soprattutto si rese ben conto dell’errore metodologico dei propri predecessori nel considerare il codice Γ come il codex optimus. Inoltre egli riconobbe l’importanza dei papiri per lo studio della trasmissione del testo. Infine, in termini più generali, va apprezzata l’intelligenza e la puntualità del suo commento filologico e linguistico dell’orazione. Cfr. il giudizio positivo formulato da Worp – Rijksbaron, Kellis, pp. 144-145.
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DANIELA COLOMO
passo nella forma tramandata dal codice Γ tra cruces. Riporto qui il testo di Seck con un apparato critico aggiornato: † Τίμα ταῖς μὲν ἀρχαῖς τῶν φίλων τοὺς οἰκειοτάτους, ταῖς δ’ ἀληθείαις αὐταῖς τοὺς εὐνουστάτους. † ταῖς μὲν π16 (ταταιϲ) π17 Γ b : om. μὲν π25 ἀρχαῖς π17 π25 Γ b : αρχαιαιϲ π16 τῶν φίλων Γ : τῶν τιμῶν π16 (ων τιμων) π17 π25 Λ : τῶν τῶν τιμῶν φίλων Π1ac : τῶν τιμῶν τῶν φίλων ΠrecNSVat ταῖς δὲ π16 π26vid. Γ b : ταιϲ π17 ἀληθείαις αὐταῖς Γ : ἀληθεστάταις π16 (αληθεϲταται) π17 π25 (]θ. εϲτ. α. [) π26 b τοὺς ante εὐνουστάτους om. π25
Questo passo consiste in un’esortazione a Nicocle, di cui si può proporre provvisoriamente la seguente traduzione: «onora i più stretti tra gli amici con le cariche [ufficiali], ma i più fedeli con le verità stesse [i.e. con le realtà effettive?]». Si tratta di un’esortazione che riguarda il comportamento ‘filantropico’ di Nicocle, ritratto nella sua funzione di sovrano, nei confronti dei propri simili. Tale esortazione segue una sezione dedicata all’atteggiamento del sovrano verso gli dèi e al suo comportamento nell’ambito della sfera religiosa e cultuale. Qui Nicocle viene esortato a rispettare le usanze cultuali tradizionali secondo l’esempio dei propri antenati, ma al tempo stesso a dare spazio ad una dimensione più profonda della pietas, che riguarda direttamente l’anima del sovrano e si fonda sull’onestà, la sincerità e il senso assoluto di giustizia. Il significato preciso del nostro passo nella forma trasmessa da Γ e stampata da Seck tra cruces appare, tuttavia, di difficile comprensione. Già Seck individuava due problemi interpretativi sostanziali. 1) Una difficoltà di ordine lessicale, rappresentata dal significato del superlativo οἰκειοτάτους, che altrove verrebbe usato da Isocrate nel senso di ‘parenti più stretti’ senza essere specificato dal genitivo.2 2) Suona piuttosto strano il contrasto tra onori nel senso di cariche e ‘verità stesse’, forse interpretabile nel senso di ‘realtà effettive’.3 Il testo trasmesso da b, cioè dalla seconda famiglia, è assai diverso e conseguentemente permette un’interpretazione differente. Consideriamo quello del codice Λ:
2 Vd.: Ad Dem. 50, Paneg. 24, Busir. 39 (in questa occorrenza il termine potrebbe includere un gruppo di persone più vasto ed essere inteso nel senso di concittadini, che sarebbero οἰκειότατοι in virtù della comune origine etnica), Panath. 122 e 244, De pace 112, Archid. 85. È interessante notare che la traduzione di Norlin, Isocrates, I, p. 53, basata sul testo di Γ, sovrappone de facto le due categorie: «those of your friends who are nearest of kin». 3 Cfr. Worp – Rijksbaron, Kellis, pp. 239-240.
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ALCUNI PASSI PROBLEMATICI DELL’A NICOCLE
Τίμα ταῖς μὲν ἀρχαῖς τῶν τιμῶν τοὺς οἰκειοτάτους, ταῖς δ’ ἀληθεστάταις τοὺς εὐνουστάτους.
Questo testo viene trasmesso grosso modo anche da tre papiri: π16 (che tramanda ων τιμων e la variante αρχαιαιϲ), π17 e π25 (che omette μέν e τούς). Esso può essere tradotto come segue: «Onora i tuoi parenti più stretti con gli inizi delle cariche (τῶν τιμῶν anziché τῶν φίλων di Γ), ovvero con le cariche inferiori, ma i più fedeli con le cariche più vere (nel senso di cariche superiori)». Abbiamo quindi ἀληθεστάταις in luogo di ἀληθείαις di Γ da riferirsi a un τιμαῖς sottinteso. Questo assetto testuale permetterebbe di intendere οἰκειοτάτους nel senso di parenti stretti, la presunta accezione ‘usuale’ in Isocrate.4 Questo tentativo di interpretazione si deve allo stesso Seck, che ne ammette esplicitamente la difficoltà: il senso generale del passo darebbe un’impressione falsata di un cursus honorum tipico del mondo romano e non ci sono paralleli per l’uso di ἀρχαί in questa accezione. Inoltre, l’ordo verborum della prima espressione non sembra corrispondere a quello che ci si aspetterebbe nel greco attico standard, ovvero ταῖς μὲν ἀρχαῖς ταῖς τῶν τιμῶν oppure ταῖς μὲν τῶν τιμῶν ἀρχαῖς. I difensori di Γ hanno individuato in ἀληθεστάταις un’interpolazione da Ad Nic. 30: νόμιζε τῶν τιμῶν ἀληθεστάτας εἶναι μὴ τὰς ἐν τῷ φανερῷ μετὰ
δέους γιγνομένας, ἀλλ’ ὅταν αὐτοὶ παρ’ αὑτοῖς ὄντες μᾶλλόν σου τὴν γνώμην ἢ τὴν τύχην θαυμάζωσιν, da tradurre: «Ritieni che gli onori più autentici ti
vengono tributati non in pubblico sotto la pressione della paura, ma quando le persone, da privati individui, parlano con ammirazione della tua saggezza piuttosto che della tua fortuna». L’unico papiro che presenta una lezione sostanzialmente diversa dal resto della paradosis ed offre l’occasione di rimettere in discussione il significato di tutto il passo è, come già anticipato, il π16, il codice ligneo di Kellis, che trasmette αρχαιαιϲ invece di ἀρχαῖς. Prendiamo quindi in considerazione il testo di Λ + π16: Τίμα ταῖς μὲν ἀρχαίαις τῶν τιμῶν τοὺς οἰκειοτάτους, ταῖς δ’ ἀληθεστάταις τοὺς εὐνουστάτους.
Il passo può essere tradotto come segue: «Onora i parenti più stretti con gli onori tradizionali, coloro che sono i più fedeli con gli onori più veri». Secondo gli editori Worp e Rijksbaron questa interpretazione permetterebbe di spiegare due elementi problematici: da un lato ἀρχαῖς delle due famiglie e degli altri due papiri, il π17 e il π25, sembrerebbe una semplice La lezione offerta da ΠrecΝSVat τῶν τιμῶν τῶν φίλων rappresenta chiaramente una conf lazione tra le due lezioni finora considerate, quella di Γ e quella di Λ, π16 (ων τιμων), π17 e π25. 4
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aplografia; dall’altro il τῶν φίλων di Γ – presente anche in parte dei codici della seconda famiglia insieme a τιμῶν – rappresenterebbe il tentativo di spiegare οἰκειοτάτους in termini di glossa penetrata nel testo, come sembrano dimostrare i codici che hanno anche τῶν τιμῶν. Da qui emerge che la lezione ἀρχαῖς è entrata nella tradizione già nel III secolo, a cui risale il π25. A me pare però che la spiegazione data da Worp e Rijksbaron possa essere facilmente rovesciata portandoci a valutare la lezione del codice di Kellis in un modo diverso, cioè non come lezione che offre una soluzione effettiva al passo corrotto come ritengono invece i due editori. In primo luogo, la lezione αρχαιαιϲ – invece che essere la lezione originaria ‘corrottasi’ più tardi per aplografia – potrebbe essere stata introdotta in una fase successiva nella tradizione nel tentativo di dare un senso al difficile ἀληθεστάταις degli altri testimoni.5 Ma, secondo me, non si dovrebbe escludere che la sua origine sia ancora più banale, che si tratti cioè di una semplice dittografia. In questo caso si andrebbe nella direzione opposta alla spiegazione fornita da Worp e Rijksbaron, secondo cui ἀρχαῖς sarebbe il risultato dell’aplografia della presunta lezione originaria e presunta lezione superiore αρχαιαιϲ che il codice di Kellis, unico tra tutti i testimoni, avrebbe preservato. Sulla scorta di Worp e Rijksbaron, però, ritengo che il τῶν φίλων di Γ possa essere considerato una glossa penetrata nel testo, glossa che intendeva spiegare il senso in un certo qual modo ‘inaspettato’ di οἰκειοτάτους in questo passo: come detto sopra, qui il termine avrebbe il senso di ‘amici stretti, intimi’, un significato apparentemente insolito nell’usus scribendi di Isocrate, che generalmente lo userebbe nel senso di ‘parenti più stretti’. Ma a questo proposito è necessaria una precisazione. Pace Seck, dall’esame delle occorrenze isocratee di οἰκειότατοι emergono alcuni passi in cui il termine, sulla base dei rispettivi contesti, sembrerebbe avere il significato di ‘amici intimi’ o semplicemente ‘intimi’ piuttosto che indicare necessariamente ed esclusivamente i ‘parenti stretti’: Ad Nic. 5,6 Hel. 33, Ep. II Ad Phil. 11 (in cui οἰκειοτάτους è contrapposto ad ἐχθρούς).7 Tuttavia non si può escludere 5
Cfr. CPF 21, 17, pp. 423-425. Cfr. la traduzione di Norlin, Isocrates, I, p. 43 «those nearest and dearest to them». 7 Inoltre in Ep. II Ad Phil. 21 vengono usati i sostantivi οἰκειότης e εὔνοια senza implicazione della nozione di rapporto stretto di parentela: Πολὺ γὰρ κάλλιόν ἐστι τὰς εὐνοίας τὰς τῶν πόλεων αἱρεῖν ἢ τὰ τείχη. τὰ μὲν γὰρ οὐ μόνον ἔχει φθόνον, ἀλλὰ καὶ τῶν τοιούτων τὴν αἰτίαν τοῖς στρατοπέδοις ἀνατιθέασιν· ἢν δὲ τὰς οἰκειοτήτας καὶ τὰς εὐνοίας κτήσασθαι δυνηθῇς, ἅπαντες τὴν σὴν διάνοιαν ἐπαινέσονται, da tradurre: «È molto meglio conquistare la benevolenza delle città piuttosto che le loro mura. [La conquista delle mura] infatti non solo suscita livore, ma il merito viene attribuito agli eserciti. Nel caso in cui, invece, tu possa guadagnarti l’amicizia e la benevolenza, tutti loderanno la tua saggezza». 6
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che in qualche caso con questi ‘intimi’ possano sussistere effettivamente anche legami di parentela, la quale però non è necessariamente implicata.8 Infine Busir. 50 offre lo spunto per un’ulteriore osservazione. Il passo dice: Καὶ μῂ θαυμάσῃς, εἰ νεώτερος ὢν καὶ μηδέν σοι προσήκων οὕτω προχείρως ἐπιχειρῶ σε νουθετεῖν· ἡγοῦμαι γὰρ οὐ τῶν πρεσβυτάτων οὐδὲ τῶν οἰκειοτάτων, ἀλλὰ τῶν πλεῖστ’ εἰδότων καὶ βουλομένων ὠφελεῖν ἔργον εἶναι περὶ τῶν τοιούτων συμβουλεύειν.
Non stupirti se io, pur essendo più giovane di te e non avendo strette relazioni con te, sono pronto a darti dei consigli: infatti io ritengo che il dar consigli su questi affari sia compito non dei più anziani né di quanti fanno parte dei circoli più vicini al sovrano, ma di coloro che sono i più competenti in materia e sono guidati dall’intenzione di offrire un buon servizio.
È degno di nota il fatto che Isocrate in prima persona si autorappresenti come appartenente alla categoria τῶν πλεῖστ’ εἰδότων καὶ βουλομένων ὠφελεῖν, che polemicamente contrappone alla categoria τῶν πρεσβυτάτων e τῶν οἰκειοτάτων, ovvero alla categoria che tradizionalmente include i potenziali consiglieri del sovrano.9 Qui il contesto sembrerebbe suggerire un significato del superlativo οἰκειότατοι piuttosto ‘appiattito’ o quasi ‘svuotato’ della sua pregnanza: viene da pensare ad individui che per fortuna e circostanze (o anche – ma non necessariamente – per legami di parentela 10) più che per effettivi meriti personali si trovano a far parte dell’entourage del sovrano, sono de facto le persone quotidianamente più vicine a lui, e verosimilmente o potenzialmente titolari di officia, ma non per questo quelle che più meritano la fiducia e la confidenza, ovvero ‘meritano’ di essere messe al corrente delle ἀληθείαις αὐταῖς (secondo il testo di Γ). Isocrate quindi, pur non essendo de facto un membro dell’entourage del sovrano, si autorappresenta – secondo la terminologia dell’Ad Nic. 20 – come un potenziale εὐνούστατος. Inoltre, il fatto che nei passi presi in considerazione οἰκειότατοι non sia mai specificato dal genitivo sembrerebbe confermare la 8 Per la sovrapposizione della nozione di rapporto di parentela di sangue e rapporto di amicizia/alleanza si veda anche Plat. 51: καὶ γὰρ οὐδ’ ἀλλότριοι τυγχάνομεν ὑμῖν ὄντες, ἀλλὰ ταῖς μὲν εὐνοίαις ἅπαντες οἰκεῖοι, τῇ δὲ συγγενείᾳ τὸ πλῆθος ἡμῶν. In Joseph. AJ XIII 310 il legame di parentela viene specificato con l’aggettivo φυσική, che qualifica il sostantivo οἰκειότης: διέδεξέν γε μὴν ὁ τούτου θάνατος, ὅτι μηδὲν μήτε φθόνου μήτε διαβολῆς ἰσχυρότερον, μηδ’ ὅ τι μᾶλλον εὔνοιαν καὶ φυσικὴν οἰκειότητα διίστησιν, ἢ ταῦτα τὰ πάθη. Cfr. inoltre [Plato] Def. 413b εὔνοια· [αἵρεσις] ἀνθρώπου πρὸς ἄνθρωπον ἀσπασμός. οἰκειότης· ταὐτοῦ γένους κοινωνία. 9 Vd. il commento ad loc. di N. Livingstone, A Commentary on Isocrates’ Busiris, LeidenBoston-Köln, Brill 2001, pp. 195-196. 10 Cfr. n. 2 per la traduzione dell’occorrenza dell’Ad Nic. 20 da parte di Norlin, che, come si è detto, sovrappone le categorie di amici e parenti stretti.
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natura di glossa penetrata nel testo che il genitivo τῶν φίλων di Γ sembra tradire. Traendo le conclusioni da quanto detto sopra, mi pare che nel passo preso in esame dell’Ad Nic. 20 gli οἰκειότατοι rappresentino una categoria di persone molto vicine al sovrano quale parte del suo entourage, del suo οἶκος, persone genericamente definibili come «persone intime» o «amici stretti» (non necessariamente legati da legami di parentela, anche se questi non possono teoricamente essere esclusi). Essi vengono contrapposti agli εὐνούστατοι, che si configurerebbero come una categoria eticamente ‘superiore’ di amici (si tratta ovviamente di una superiorità etica che va tradotta nei termini dell’utilitarismo politico perseguito dal sovrano). Infine, nel passo dell’A Nicocle in esame rimane la difficoltà del preciso significato del plurale ταῖς ἀληθείαις αὐταῖς del testo di Γ: viene da chiedersi se sia possibile individuare che cosa si intenda concretamente con l’espressione «verità stesse/realtà effettive». Essa contiene sicuramente l’idea di ‘confidenza assoluta’ da parte del sovrano: sulla base del contesto del passo, una tale confidenza potrebbe includere, per esempio, i segreti di stato. Concludendo, credo che ci siano ragioni sufficienti per mettere a testo, nell’edizione, l’assetto testuale di Γ, previa eliminazione del genitivo τῶν φίλων che precede τοὺς οἰκειοτάτους, che, come si è detto, ha tutta l’aria di essere una glossa penetrata nel testo. Il senso del passo in questa forma testuale, per quanto innegabilmente duro, non è incomprensibile, come si è cercato di chiarire nella precedente trattazione. Vale comunque la pena di precisare che anche il testo trasmesso dalla seconda famiglia in ultima analisi produce un senso accettabile, se, discostandoci lievemente dall’intepretazione sopra riportata di Seck, diamo ad ἀρχαῖς il significato di «fondamenti» e a τιμαί non quello specifico di cariche ufficiali, di officia, ma quello più generico di «onori» (come in Ad Nic. 30 per τῶν τιμῶν ἀληθεστάτας), intendendo l’espressione ἀρχαῖς τῶν τιμῶν nel senso di «i fondamenti», «gli onori elementari» ovvero «gli onori inferiori», in contrapposizione a ταῖς δ’ ἀληθεστάταις, «gli onori più veri», nel senso della forma più alta dell’onorare, ovvero «gli onori superiori». In ogni caso, in base al principio dell’utrum in alterum, la lezione di Γ risulta poziore: infatti, la lezione della seconda famiglia si può chiaramente spiegare come derivata dal tentativo di rendere più comprensibile un segmento testuale non immediatamente perspicuo. 3. Il secondo passo che presento fa parte di Ad Nic. 21. Riporto di seguito il testo stampato da Seck: Κήδου τῶν οἴκων τῶν ἰδίων, καὶ νόμιζε καὶ τοὺς δαπανωμένους ἀπὸ τῶν σῶν ἀναλίσκειν καὶ τοὺς ἐργαζομένους τὰ σὰ πλείω ποιεῖν· ἅπαντα γὰρ τὰ τῶν οἰκούντων τὴν πόλιν οἰκεῖα τῶν καλῶς βασιλευόντων ἐστίν.
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Riporto di seguito un apparato selettivo ma aggiornato limitato alla parte di testo direttamente oggetto della discussione: 1 δαπανωμένους π17 Γunc b : δεπανωντεϲ π16 : δαπανῶντας π26 Γit Δ ἀπὸ τῶν σῶν Γit Δ c : απο των ϊδιων εκ των ϲων π16 : εκ των ϲων π17 : ἀπὸ τῶν ἰδίων τῶν σῶν π25vid. π26 Λ : ἀπὸ τῶν ἰδίων ἀπὸ τῶν σῶν Γunc Prenditi cura delle proprietà private e considera che coloro che spendono [dalle proprie sostanze] in realtà attingono dalle tue, e che coloro che lavorano incrementano i tuoi beni. Infatti ogni cosa che appartiene agli abitanti della città appartiene a coloro che la governano bene.
Per ragioni di comodità del lettore e chiarezza ho schematizzato i diversi assetti testuali dei testimoni come segue: δαπανωμένους ἀπὸ τῶν σῶν Π Ν (Seck) SVat δαπανωμένους ἀπὸ τῶν ἰδίων ἀπὸ τῶν σῶν Γunc δαπανωμένους ἀπὸ τῶν ἰδίων τῶν σῶν Λ δαπανωμενουϲ εκ των ϲων π17 δαπανῶντας ἀπὸ τῶν σῶν Γit δεπανωντεϲ (l. δαπανῶντας) απο των ϊδιων εκ των ϲων π16 δ. α. π. α. νωνταϲ απ. ο. [τ]ω. ν. ϊδιων. τω. ν ϲων π26
La prima cosa da notare è la differenza di Γ rispetto alla seconda famiglia nella trasmissione del primo participio verbale che occorre nel passo: nel primo colon del periodo la seconda famiglia, con il π17, trasmette il participio medio, mentre Γ, con il π16 e il π26, trasmette il participio nella forma attiva. Prima facie la forma medio-passiva di questo participio dovrebbe significare «spendere per il proprio interesse, per il proprio profitto», e quindi, accettando questo significato, si sarebbe portati a connettere l’espressione ἀπὸ τῶν σῶν col participio, nel senso di «coloro che spendono nel proprio interesse attingendo alle tue sostanze», ovvero «consumando le tue sostanze, privandotene». Ma a guardar bene, come ha sottolineato Seck, c’è una considerevole differenza di significato tra δαπανάω all’attivo e δαπανάομαι nella forma medio-passiva: nella forma attiva il verbo significa «spendere dalle sostanze altrui», mentre nella forma medio-passiva significa «spendere dalle proprie sostanze».11 Se le cose stanno così, l’espressione ἀπὸ τῶν ἰδίων che segue la forma media del participio in Γunc e in Λ avrebbe tutta l’aria di una glossa penetrata nel testo per spiegare il participio medio. Questa presunta glossa è trasmessa da π16 e π26, ma, come abbiamo visto, 11
Seck, Untersuchungen, p. 72.
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unitamente alla forma attiva del participio, forma trasmessa anche da Γ. Seck afferma che la differenza semantica tra la forma attiva e quella passiva di questo verbo viene rispettata rigorosamente da Isocrate e a sostegno della sua interpretazione cita altri passi isocratei in cui sembra possibile distinguere chiaramente questa differenza: Antid. 156, [sogg. Gorgia] πόλιν δ’ οὐδεμίαν καταπαγίως οἰκήσας οὐδὲ περὶ τὰ κοινὰ δαπανηθεὶς οὐδ’ εἰσφορὰν εἰσενεγκεῖν ἀναγκασθείς, da tradurre: «Non avendo abitato in modo continuo nessuna città, né avendo speso [dalle proprie sostanze] per l’interesse comune, né essendo stato costretto a pagare imposte». Antid. 289, ἑξὸν δ’ αὐτοῖς ῥᾳθυμεῖν μηδὲν δαπανωμένοις εἵλοντο πονεῖν χρήματα τελέσαντες, da tradurre: «Benché fosse loro concesso di non far nulla senza spendere nulla, preferirono faticare versando del denaro [per lavorare]». Antid. 225, ἔτι δὲ τίνες ἂν ὑπὲρ πονηρίας ἀργύριον ἀναλώσειαν, ἐξὸν αὐτοῖς μηδὲν δαπανηθεῖσιν εἶναι τοιούτοις ὁπόταν βουληθῶσιν;, da tradurre: «E chi spenderebbe del denaro per pervertirsi, essendo possibile farlo senza alcuna spesa e quando lo si vuole?» C. Callim. 63, ὧν εἷς ἐγὼ φανήσομαι γεγενημένος, ὃς πάντων ἂν εἴην δυστυχέστατος, εἰ πολλὰ τῶν ἐμαυτοῦ δεδαπανημένος εἰς τὴν πόλιν εἶτα δόξαιμι τοῖς ἀλλοτρίοις ἐπιβουλεύειν καὶ περὶ μηδενὸς ποιεῖσθαι τὰς παρ’ ὑμῖν διαβολὰς, da tradurre: «Io sono evidentemente uno di questi, io che sarei il più sventurato tra gli uomini se, dopo aver speso molte delle mie sostanze per la città, sembrassi poi fare intrighi a scapito di quelle altrui e non tener conto delle vostre accuse». Panath. 12 (con enfasi sulla differenza tra sé e i propri adepti da un lato e gli altri retori della città dall’altro), ἐμὲ δὲ καὶ τοὺς ἐμοὺς οὐ μόνον τῶν κοινῶν ἀπεχομένους μᾶλλον τῶν ἄλλων, ἀλλὰ καὶ τῶν ἰδίων εἰς τὰς τῆς πόλεως χρείας ὑπὲρ τὴν δύναμιν τὴν ἡμετέραν αὐτῶν δαπανωμένους, da tradurre: «Io e i miei non solo ci asteniamo dai beni dello stato più rigorosamente degli altri, ma spendiamo dalle nostre risorse al di là delle nostre possibilità per sopperire ai bisogni dello stato». Secondo Worp e Rijksbaron però due passi isocratei contraddicono quanto detto sopra: 1) Antid. 113, [...] διὰ βραχέων εἰπεῖν, τεττάρων καὶ εἴκοσι πόλεων κυρίους ὑμᾶς ἐποίησεν, ἐλάττω δαπανήσας ὧν οἱ πατέρες ἡμῶν εἰς τὴν Μηλίων πολιορκίαν ἀνήλωσαν, da tradurre «[...] Per dirla in breve, vi ha fatto padroni di ventiquattro città spendendo meno dei nostri padri per l’assedio di Melo». Il soggetto è lo stratego Timoteo. Qui il verbo sembrerebbe significare «spendere dalle proprie sostanze» sulla base di quanto si legge nella parte — 10 —
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immediatamente precedente del paragrafo: ταύτην [scil. Potidea] εἷλεν ἀπὸ τῶν χρημάτων, ὧν αὐτὸς ἐπόρισε καὶ τῶν συντάξεων τῶν ἀπὸ Θρᾴκης, «Prese
Potidea con il denaro che egli stesso procurò e con i tributi pagati dai Traci». 2) Ep. II Ad Phil. 19, θαυμάζω δ’ ὅσοι τῶν τὰς δυνάμεις ἐχόντων τὰ μὲν τῶν ξενιτευομένων στρατόπεδα μισθοῦνται καὶ χρήματα πολλὰ δαπανῶσιν, «Mi sorprendo di quanti potenti paghino delle armate di mercenari e spendano per questo molto denaro». Inoltre, i due studiosi, sulla base di altri passi isocratei, ritengono che il verbo nella forma medio-passiva non abbia il significato intrinseco di «spendere dalle proprie sostanze» in quanto è accompagnato nei vari passi da espressioni più o meno equivalenti all’espressione ἀπὸ τῶν ἰδίων, che, come abbiamo visto, viene spiegata da Seck come glossa. Il verbo δαπανάομαι come pseudopassivo, cioè con aoristo in -θην e -σαμην, potrebbe significare spendere «as an official duty»: questa interpretazione sarebbe suggerita dall’espressione περὶ τὰ κοινά che, come si è visto sopra, accompagna la forma verbale in Antid. 156.12 La conclusione che essi ne traggono è che l’espressione ἀπὸ τῶν ἰδίων non debba essere considerata una glossa, ma parte del testo genuino. Su questa base difendono quindi il testo del π16. Se le cose stanno così, l’espressione ἐκ τῶν σῶν (trasmessa anche dal π17) è da riferire al verbo ἀναλίσκειν. Il passo si potrebbe tradurre come segue: «Considera che coloro che spendono dalle proprie sostanze spendono in realtà dalle tue, e che quelli che lavorano incrementano anche le tue sostanze», nel senso che le sostanze private dei cittadini sono parte delle risorse comuni, che quindi appartengono anche al sovrano in termini di entrate ed uscite. Ciò si basa sull’identificazione del sovrano con i sudditi: ciò che appartiene ai sudditi e ciò che viene usato, consumato o prodotto dai sudditi, appartiene al tempo stesso al sovrano e fa parte delle sue risorse. Sull’uso del participio nella forma attiva Worp e Rijksbaron osservano che è addirittura migliore della forma passiva, in quanto si riferirebbe al costo della vita quotidiana, mentre la forma medio-passiva indicherebbe «‘obligatory’ spending»: esso renderebbe addirittura meglio la contrapposizione con il participio seguente ἐργαζομένους (essi ammettono tuttavia che la scelta tra le due forme «is not an easy one»). Infine, difendono il segmento 12 Worp – Rijksbaron, Kellis, p. 241, notano anche la coordinazione di questa espressione con οὐδ’ εἰσφορὰν εἰσενεγκεῖν ἀναγκασθείς, che suona appropriata al significato di spendere «as an official duty». La iunctura sintattica περὶ τὰ κοινὰ δαπανηθείς può essere confrontata con espressioni analoghe costruite con un participio di δαπανάομαι in Panath. 12, εἰς τὰς τῆς πόλεως χρείας ... δαπανωμένους, e C. Callim. 63, δεδαπανημένος εἰς τὴν πόλιν. Per i due studiosi questi passi – in cui il participio è specificato da un’espressione – supporterebbero l’interpretazione di δαπανάομαι come pseudo-passivo nel senso di spendere «as an official duty». Occorre precisare però che il contesto dei due passi implica un senso del participio più l’espressione che lo specifica nella direzione di spendere come «dovere civico» piuttosto che «official duty».
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testuale ἀπὸ τῶν ἰδίων sulla base della contrapposizione tra τῶν κοινῶν e τῶν ἰδίων che, come si è visto sopra, si riscontra in Panath. 12.
Riassumendo, il testo che Worp e Rijksbaron ritengono genuino, quello del π16, è il seguente:
Κήδου τῶν οἴκων τῶν ἰδιωτικῶν, καὶ νόμιζε καὶ τοὺς δαπανῶντας ἀπὸ τῶν ἰδίων ἐκ τῶν σῶν ἀναλίσκειν, καὶ τοὺς ἐργαζομένους τὰ σὰ πλείω ποιεῖν.
Agli argomenti di Worp e Rijksbaron si possono però sollevare varie obiezioni. La tesi secondo cui il verbo δαπανάω nella forma attiva verrebbe usato nel significato di «spendere dalle proprie sostanze» si basa su due passi in cui i soggetti rivestono un ruolo particolare. Nel primo, Timoteo, da stratego, stricto sensu non «spende dalle proprie sostanze», ma dal budget pubblico destinato alle spese militari; 13 parimenti, i mezzi che riesce a procurare di propria iniziativa rientrano nella sua funzione di stratego, uno status quindi diametralmente opposto a quello di cittadino privato. A guardar bene Isocrate, che loda la capacità di Timoteo nell’amministrare il denaro pubblico e sfruttarlo al meglio, qualifica parte delle risorse supplementari utilizzate da Timoteo, risorse che hanno giocato un ruolo importante nelle sue imprese militari, come risorse che lo stratego αὐτὸς ἐπόρισε.14 Questa espressione non implica necessariamente che Timoteo attingesse dal proprio patrimonio privato. Infatti, in termini più generali è logico pensare che un generale ateniese, nel corso di una campagna militare, qualora i mezzi pubblici a disposizione (in parte basati sulle liturgie per quanto riguarda l’equipaggiamento) fossero insufficienti, potesse mettere le mani su altre risorse grazie alla propria abilità e iniziativa autonoma. Il verbo πορίζειν che occorre nel passo considerato significa quindi semplicemente «procurare» e non «sborsare dalle proprie tasche». Inoltre è opportuno considerare la struttura retorica dell’intero passo, in cui Isocrate costruisce un contrasto tra il denaro speso da Timoteo per varie imprese e il denaro speso dalla città per una sola impresa, non un contrasto tra denaro privato speso (da Timoteo) per portar a termine varie imprese e denaro pubblico speso (dalla città) per il compimento di una sola impresa. Considerazioni analoghe si possono proporre anche per il secondo passo, in cui i potenti che spendono in mercenari sono in realtà capi di stato, 13 Su questo punto specifico sono particolarmente grata a Pasquale Massimo Pinto per preziosi suggerimenti e indicazioni bibliografiche. 14 Cfr. Arist. Oec.1350a23-b15, in cui viene lodata l’abilità di Timoteo nel trovare soluzioni alla penuria di denaro. Un’utile e dettagliata analisi del passo isocrateo offre E. Bianco, Lo stratego Timoteo torre di Atene, Alessandria, Edizioni dell’Orso 2007, pp. 70-73.
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che quindi de facto dispongono di risorse finanziarie che teoricamente possono considerarsi pubbliche (indipendentemente dal grado di autoritarismo/assolutismo dei rispettivi regimi politici all’interno dei quali i ‘potenti’ operano).15 Per quanto riguarda le considerazioni sull’uso di δαπανάομαι come pseudo-passivo e l’accettazione della presunta glossa ἐκ τῶν σῶν come parte del testo genuino, ci sono due fatti stilistici da osservare.16 1) Optando per la forma attiva del participio – τοὺς δαπανῶντας – e connettendovi l’espressione esplicativa ἀπὸ τῶν σῶν, verrebbe meno il parallelismo tra i due membri di testo: ἐργαζομένους è privo di un’espressione che ne precisi il senso conferendogli un’ulteriore sfumatura. Inoltre, all’interno del primo membro, sia il participio sia l’infinito sarebbero accompagnati da un’espressione che ne specifica/sfuma il senso; nel secondo membro, invece, solo l’infinito è accompagnato da un modifier. 2) Accettando la forma attiva si elimina l’omeoteleuto tra δαπανωμένους e il successivo ἐργαζομένους.17 Come è noto Isocrate usa frequentemente omeoteleuti. Un passo tipico per i parallelismi è C. soph. 7: ἐπειδὰν οὖν τῶν ἰδιωτῶν τινες ἅπαντα ταῦτα συλλογισάμενοι κατίδωσιν τοὺς τὴν σοφίαν διδάσκοντας καὶ τὴν εὐδαιμονίαν παραδιδόντας αὐτούς τε πολλῶν δεομένους καὶ τοὺς μαθητὰς μικρὸν πραττομένους, καὶ τὰς ἐναντιώσεις ἐπὶ μὲν τῶν λόγων τηροῦντας, ἐπὶ δὲ τῶν ἔργων μὴ καθορῶντας, ἔτι δὲ περὶ μὲν τῶν μελλόντων εἰδέναι προσποιουμένους.
Quando tra la gente comune alcuni, avendo considerato tutte queste cose, notano che coloro che insegnano la saggezza e dispensano la felicità hanno bisogno di molte cose essi stessi, ma fanno pagare una pur piccola somma agli allievi, e da un lato si curano delle contraddizioni nei discorsi, ma non si accorgono di quelle nei fatti, e fanno pure finta di conoscere l’avvenire.
15 Analoga obiezione si può muovere ad un altro passo citato da Worp – Rijksbaron, Kellis, p. 241, n. 95, a supporto del proprio argomento: Xen. An. I 1, 8, in cui il soggetto del verbo δαπανάω in forma attiva è Ciro, nell’atto di coprire i costi della guerra. 16 Anche Worp – Rijksbaron, Kellis, p. 242, si mostrano consapevoli di questo. 17 Questo era il motivo per cui F. Blass, Der Papyrus Massiliensis des Isokrates, «JKlPh», CXXIX, 1884, pp. 417-429: 424, accettava la forma medio-passiva; cfr. inoltre l’osservazione di G. Messeri Savorelli – S. Martinelli Tempesta, CPF 21, 17, p. 427: «Non pare condivisibile l’osservazione di Seck, secondo cui la presenza del medio ἐργαζομένους si spiega con l’intenzione isocratea di sottolineare il vantaggio del soggettto nel compiere l’azione (essendoci la possibilità di utilizzare un verbo attivo, come πονεῖν), poiché in realtà Isocrate vuole soltanto dire che le normali attività economiche dei privati cittadini (espresse mediante i due concetti complementari e opposti di uscita attraverso il δαπανᾶσθαι e di entrata mediante l’ἐργάζεσθαι) agiscono indirettamente sull’economia pubblica e, quindi, sulle sostanze del sovrano».
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A questo riguardo, Worp e Rijksbaron citano un passo in cui participi attivi si alternano in cola paralleli a participi medio-passivi, Paneg. 132, che contiene un’esortazione a non introdurre gravami fiscali contro una certa categoria di popolazione: Καίτοι χρὴ τοὺς φύσει καὶ μὴ διὰ τύχην μέγα φρονοῦντας τοιούτοις ἔργοις ἐπιχειρεῖν πολὺ μᾶλλον ἢ τοὺς νησιῶτας δασμολογεῖν οὓς ἀξιόν ἐστιν ἐλεεῖν ὁρῶντας τούτους μὲν διὰ σπανιότητα τῆς γῆς ὄρη γεωργεῖν ἀναγκαζομένους, τοὺς δ’ ἠπειρώτας δι’ ἀφθονίαν τῆς χώρας τὴν μὲν πλείστην αὐτῆς ἀργὸν περιορῶντας, ἐξ ἧς δὲ καρποῦνται τοσοῦτον πλοῦτον κεκτημένους.
È dovere di coloro che sono orgogliosi per natura e non per caso intraprendere queste imprese molto più che imporre tributi agli isolani, per i quali essi dovrebbero provare pietà, vedendo da una parte come essi siano costretti a coltivare le zone montuose a causa della scarsità di terra, dall’altra come gli abitanti del continente lascino la maggior parte della terra incoltivata (ἀργὸν) per la sua abbondanza [i.e. perché la terra è troppa, non è possibile coltivarla tutta], ma quanta ricchezza ricavino da quella [poca] che coltivano.
Esso però non mi pare convincente in questo senso, in quanto la struttura del periodo e il grado di subordinazione delle varie proposizioni secondarie non implica necessariamente l’‘attesa’ del suddetto parallelismo tipico dello stile isocrateo. Riguardo la forma del participio, si deve sottolineare che il contrasto non è tanto tra chi spende del proprio e chi lavora, ma semplicemente tra chi spende e chi lavora. Quindi la discussione sulla differenza di significato tra la forma attiva di δαπανάω e quella medio-passiva viene ad assumere un ruolo secondario. A questo proposito si può comunque osservare che nel caso di δαπανάω al medio-passivo, intendendolo come forma mediale, il significato di «spendere nel proprio interesse» non si può distinguere nettamente da quello di «spendere dalle proprie risorse»: chi spende per proprio interesse quale cittadino privato attinge implicitamente nella maggioranza dei casi alle proprie risorse. Proporrei quindi di mettere a testo il participio nella forma medio-passiva – cioè la lezione della seconda famiglia –, che nell’uso generale – come ammettono anche Worp e Rijksbaron – è la forma più f requente nel senso di «spendere» ἀπὸ τῶν σῶν. Per quanto riguarda l’espressione ἀπὸ τῶν ἰδίων seguita da ἐκ τῶν σῶν credo che essa tradisca immediatamente la sua natura di glossa e non sia possibile dimostrarne la genuinità sulla base di nessun passo parallelo. Il passo sopra esaminato rappresenta uno di quei casi in cui, nell’approntare l’edizione, il peso decisivo nella scelta testuale viene dato non solo — 14 —
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all’elemento stilistico – nella fattispecie il parallelismo sintattico/morfologico ed eufonico realizzato attraverso l’omeoteleuto – ma anche all’usus scribendi – nel nostro caso il fatto che la forma medio-passiva di δαπανάω è più frequente nel senso di «spendere». 4. Il terzo passo che intendo esaminare appartiene al paragrafo 48 dell’A Nicocle, che, insieme al 49, contiene la difesa di Omero e dei tragici e il loro uso nell’insegnamento: ἐκεῖνο δ’ οὖν φανερὸν, ὅτι δεῖ τοὺς βουλομένους ἢ ποιεῖν ἢ γράφειν τι κεχαρισμένον τοῖς πολλοῖς μὴ τοὺς ὠφελιμωτάτους τῶν λόγων ζητεῖν, ἀλλὰ τοὺς μυθωδεστάτουςּ ἀκούοντες μὲν γὰρ τῶν τοιούτων χαίρουσιν, θεωροῦντες δὲ τοὺς ἀγῶνας καὶ τὰς ἁμίλλας. διὸ καὶ τὴν Ὁμήρου ποίησιν καὶ τοὺς πρώτους εὑρόντας τραγῳδίαν ἄξιον θαυμάζειν, ὅτι κατιδόντες τὴν φύσιν τὴν τῶν ἀνθρώπων ἀμφοτέραις ταῖς ἰδέαις ταύταις κατεχρήσαντο πρὸς τὴν ποίησιν.
3-4 τοὺς ἀγῶνας καὶ τὰς ἁμίλλας Γ : τοὺς ἀγῶνας (τὰς ἀγῶνας Nit) καὶ τὰς ἁμίλλας (ἀ-[sic] Auct) ἄχθονται Λit (ψυχαγωγοῦνται Λ1mg) ΠNpcSVat Auct : ταϲ αμιλλαϲ και τουϲ αγωναϲ των ημιθεων ψυχαγωγουνται π16 È dunque evidente che coloro che intendono comporre o scrivere un’opera che risulti gradita alla maggioranza/alla folla non debbano ricorrere ai discorsi più utili, ma piuttosto alle storie che più possono impressionare: infatti [scil. gli spettatori] godono all’ascolto di siffatte storie, e inoltre all’assistere a lotte e combattimenti. Per questo motivo è giusto ammirare la poesia di Omero e coloro che per primi inventarono la tragedia, poiché essi penetrando la natura umana utilizzarono entrambe queste forme [i.e. generi letterari] per la propria produzione poetica.
La tradizione testuale del passo ai rr. 4-5 si può schematizzare come segue: θεωροῦντες δὲ τοὺς ἀγῶνας καὶ τὰς ἁμίλλας Γ (Seck) θεωροῦντες δὲ τοὺς ἀγῶνας καὶ τὰς ἁμίλλας ἄχθονται Λit (ψυχαγωγουνται Λ1mg) ΠNpcSVat Auct θεωρουνταϲ (l. θεωροῦντες) δε ταϲ αμιλλαϲ και τουϲ αγωναϲ των ημιθεων ψυχαγωγουνται π16
Come sottolinea Seck, la seconda famiglia introduce il verbo ἄχθονται in simmetrica contrapposizione a χαίρουσιν.18 La traduzione dovrebbe essere: «Costoro [scil. degli spettatori] all’ascoltare questi racconti [cioè i racconti 18
Seck, Untersuchungen, pp. 93-94.
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DANIELA COLOMO
dell’epica omerica] provano piacere, ma si sentono oppressi (ἄχθονται) al vedere lotte e battaglie [cioè assistendo alle rappresentazioni tragiche]». In questo passo viene introdotta una simmetria sintattica che però chiaramente ne fraintende il senso. Il π16 presenta dopo l’espressione ταϲ αμιλλαϲ και τουϲ αγωναϲ il verbo ψυχαγωγουνται (trasmesso anche da Λ1mg), che come ἄχθονται rappresenta nel secondo membro il verbo corrispondente a χαίρουσιν del primo membro. Questo verbo ricorre all’infinito in Ad Nic. 49: ὁ μὲν γὰρ τοὺς ἀγῶνας καὶ τοὺς πολέμους τοὺς τῶν ἡμιθέων ἐμυθολόγησεν, οἱ δὲ τοὺς μύθους εἰς ἀγῶνας καὶ πράξεις κατέστησαν, ὥστε μὴ μόνον ἀκουστοὺς ἡμῖν ἀλλὰ καὶ θεατοὺς γενέσθαι. τοιούτων οὖν παραδειγμάτων ὑπαρχόντων δέδεικται τοῖς ἐπιθυμοῦσιν τοὺς ἀκροωμένους ψυχαγωγεῖν ὅτι τοῦ μὲν νουθετεῖν καὶ συμβουλεύειν ἀφεκτέον, τὰ δὲ τοιαῦτα λεκτέον, οἷς ὁρῶσι τοὺς ὄχλους χαίροντας.
L’uno [scil. Omero] ha narrato [nella sua opera] le lotte e le guerre dei semidei, gli altri [scil. i tragici] hanno trasposto questi racconti in agoni e azioni, in modo tale che siano per noi non solo udibili ma anche visibili. Essendovi siffatti esempi, a coloro che vogliono incantare gli ascoltatori è dato di vedere che è necessario astenersi dal dare ammonizioni e consigli, mentre è necessario concentrarsi su quanto vedono che è gradito alle folle.
Si noti inoltre che la specificazione introdotta dal genitivo τῶν ἡμιθέων, presente anche all’inizio di Ad Nic. 49, come abbiamo visto, ha l’apparenza di glossa. Il sospetto di glossa si può avanzare anche per il verbo ψυχαγωγοῦνται: Seck riconosceva che, sulla base dello stile isocrateo (e chiaramente intendeva qui la simmetria dei cola) è in un certo modo comprensibile che si sia tentato di supplire un verbo principale dopo l’espressione τοὺς ἀγῶνας καὶ τὰς ἁμίλλας, e che appunto nella seconda famiglia si sia trasmesso il verbo ἄχθονται, che però produce un significato inverosimile.19 Riguardo al verbo ψυχαγωγοῦνται, Seck, che negli anni ’60 poteva leggerlo solo in margine a Λ, dice trattarsi di una semplice correzione di ἄχθονται ed osserva come il verbo non sia necessario in quanto il χαίρουσιν può essere facilmente sottointeso dal primo membro del periodo. Se il verbo fosse stato espresso, sarebbe parso una ripetizione inutile: Isocrate, infatti, come sottolinea lo stesso Seck, tende ad evitare ripetizioni.20 Si potrebbe ‘correggere’ la lezione della seconda famiglia con un altro verbo di significato affine a ψυχαγωγοῦνται, come ad 19 Vd. Seck, Untersuchungen, pp. 93-94: «Jeden, der den isokrateischen Stil kennt, verführt der Satz ἀκούοντες μὲν γὰρ τῶν τοιούτων χαίρουσιν, θεωροῦντες δέ τοὺς ἀγῶνας καὶ τάς ἁμίλλας zu einer Ergänzung am Schluß». 20 Vd. Seck, Untersuchungen, p. 94; cfr. Drerup, Isocratis opera, pp. lxxvi-lxxix.
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ALCUNI PASSI PROBLEMATICI DELL’A NICOCLE
esempio ἥδονται: ma questo rappresenterebbe un’interpolazione piuttosto che una correzione. Seck sceglie quindi la lezione di Γ, appoggiandosi su De pace 88 quale parallelo per l’apparente asimmetria sintattica. Qui, nel secondo membro del periodo, non è espresso il verbo principale, che – come nel nostro caso – va ricavato dal primo membro del periodo: τελευτῶντες δ’ ἔλαθον σφᾶς αὐτοὺς τοὺς μὲν τάφους τοὺς δημοσίους τῶν πολιτῶν ἐμπλήσαντες, τὰς δὲ φρατρίας καὶ τὰ γραμματεῖα τὰ ληξιαρχικὰ τῶν οὐδὲν τῇ πόλει προσηκόντων.
Infine, senza rendersi conto, riempiono le tombe pubbliche dei loro cittadini, le fratrie e le liste civiche di persone che non hanno nulla che fare con la città.
Altro passo interessante citato da Seck è Ad Nic. 11: ὥστ’ οὐδενὶ τῶν ἀσκητῶν οὕτω προσήκει τὸ σῶμα γυμνάζειν ὡς τοῖς βασιλεῦσι τὴν ψυχὴν τὴν αὑτῶν.
Cosicché a nessun atleta si addice esercitare il proprio corpo quanto a un sovrano allenare la propria anima.
Qui, dopo αὑτῶν ci si aspetterebbe un verbo parallelo al precedente γυμνάζειν, verbo che, non a caso, è stato inserito a testo dal π17 (δοκιμαζιν l. δοκιμαζειν). Nel loro commento al passo Worp e Rijksbaron cercano di prevedere possibili obiezioni: «Now if ψυχαγωγοῦνται is a conjecture it is certainly quite remarkable that this form is now also found in Ψ.21 We believe, on the contrary, that ψυχαγωγοῦνται is perfectly in order: with this form Isocrates-Nicocles paves the way for ψυχαγωγεῖν in 130, 11 [= Ad. Nic. 49]. The argument can be brief ly summarized as follows. People are not interested in useful advice, but simply want to be ‘carried away’ by the μυθωδέστατοι τῶν λόγων of Homer and the dramatists. So if a speaker – Isocrates complains – wants to ‘carry away’ his audience he has no choice but to tell fanciful stories to them as well. Without ψυχαγωγοῦνται the comparison with Homer and the dramatist looses all meaning. As to the objection that two occurrences of ψυχαγωγ- within eight lines is one too many, one might point, in this same passage, to the three occurrences of ἀγῶνας within five lines».22 Questi argomenti non mi sembrano convincenti. Innanzi tutto non credo faccia difficoltà il fatto che un’innovazione congetturale come 21
Ψ è il siglum con cui Worp – Rijksbaron, Kellis, indicano il π16.
22
Worp – Rijksbaron, Kellis, p. 242.
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DANIELA COLOMO
ψυχαγωγοῦνται possa essere entrata nella tradizione in uno stadio antico e pertanto sia stata trasmessa anche dal π16. Inoltre, la difesa della ripetizione a breve distanza di ψυχαγωγ- sulla base del (presunto) parallelo rappresentato dal caso della ripetizione di ἀγῶνας non mi pare stringente, in quanto
questo sostantivo ricorre ripetuto in frasi con giro sintattico piuttosto diverso rispetto al nostro caso. Ribadisco infine che il genitivo τῶν ἡμιθέων, di cui il π16 è l’unico testimone, ha tutta l’apparenza di una glossa penetrata nel testo da Ad Nic. 49, nonostante Worp e Rijksbaron cerchino di giustificarla ad ogni costo come segmento testuale genuino.23 Pertanto mi sembra piuttosto azzardato considerare il testo del π16 quello genuino e ritengo che stampare il testo di Γ, come ha fatto Seck, sia la scelta più appropriata. 5. Il quarto passo che propongo è tratto da Ad Nic. 1, che riporto qui per intero: Οἱ μὲν εἰωθότες, ὦ Νικόκλεις, ὑμῖν τοῖς βασιλεῦσιν ἐσθῆτας ἄγειν ἢ χαλκὸν ἢ χρυσὸν εἰργασμένον ἢ τῶν ἄλλων τι τῶν τοιούτων κτημάτων, ὧν αὐτοὶ μὲν ἐνδεεῖς εἰσιν, ὑμεῖς δὲ πλουτεῖτε, λίαν ἔδοξαν εἶναί μοι καταφανεῖς οὐ δόσιν, ἀλλ’ ἐμπορίαν ποιούμενοι.
O Nicocle, coloro che hanno l’abitudine di portare in dono a voi regnanti vestiti, bronzo e oro lavorato, o qualunque altro regalo di questa sorta, cose di cui essi stessi sono privi, ma che voi invece possedete in abbondanza, mi pare sia evidente che non vi facciano un dono, piuttosto un mercato.
Il π18 qui si differenzia dagli altri testimoni, tra i quali troviamo anche tre papiri, π16 (il codice ligneo di Kellis), π17 (il P. Massiliensis) e π19 (il PSI XI 1198). Fornisco una trascrizione dei primi quattro righi del papiro: 24 οι μ]ε. ν ει. ωθοτ. ε. ϲ. , ω Νε[ικο κλειϲ] υ. μειν τοιϲ βαϲι. λ. ε. [υϲιν εϲθηταϲ αγειν η ̣ ̣ ̣[ κον ειργ. αϲ. μ. ενον. [
L’esame autoptico permette di osservare alla fine del r. 3 le tracce chiare di una diagonale discendente da sinistra a destra, e poi, più a destra, 23 Worp – Rijksbaron, Kellis, p. 242: «... should probably be tolerated as well»; pp. 242-243 «... moreover, without the genitive modifier at 130, 4 [= Ad. Nic. 48] the nouns ἁμίλλας and ἀγῶνας refer to competitions at large, not to the epic ones». 24 È il POxy 4717 da me edito: D. Colomo, Isocrates, Ad Nicoclem 1-3, 13-16, in The Oxyrhynchus Papyri, LXIX, London, Egypt Exploration Society 2005, pp. 116-124.
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ALCUNI PASSI PROBLEMATICI DELL’A NICOCLE
tracce dell’estremità superiore di un’altra diagonale, ascendente da destra a sinistra: si tratterebbe quindi di un chi; le tracce che seguono sono compatibili con la parte superiore della testa di un rho. Su questa base sembrerebbe quindi plausibile pensare che il papiro riporti un ordo verborum diverso, cioè η χ. ρ. υ. [ϲον η χαλ]|κον. Non si può escludere però la possibilità alternativa che lo scriba abbia erroneamente scritto due volte χαλκον, cioè η χ. α. λ. [κον η χαλ]|κον: se, come si è detto sopra, le tracce della prima lettera appartengono chiaramente ad un chi, quelle della seconda non sarebbero incompatibili con un alpha. Nell’editio princeps del π18 ho preso in considerazione la prima possibilità: che lo scriba abbia scritto effettivamente χρυϲον, in prima posizione rispetto all’ordo verborum di tutti gli altri testimoni, che trasmettono ἢ χαλκὸν ἢ χρυσὸν εἰργασμένον. L’ordo verborum del π18 può essere valutato da diversi punti di vista. Prima facie, quest’ordo verborum potrebbe apparire inferiore dal punto di vista retorico, in quanto il χρυσόν del testo tradito da tutti gli altri testimoni rappresenta il secondo elemento della climax. Tuttavia, dal punto di vista del significato, il participio εἰργασμένον sarebbe più appropriato per χαλκόν che per χρυσόν, in quanto il bronzo come minerale/materiale grezzo è di basso valore rispetto all’oro, ma acquisisce invece valore se lavorato, cioè trasformato in oggetti; l’oro, al contrario, è prezioso in ogni caso, anche nella sua forma grezza, per cui non avrebbe bisogno di una qualifica ulteriore. Questo è stato notato da Versmeeten, che per la qualificazione di χρυσόν riporta un parallelo virgiliano: Virg. Aen. X 527 aurum factum.25 Mi pare in ogni caso più convincente intendere εἰργασμένον riferito ἀπὸ κοινοῦ sia al bronzo che all’oro. In questo caso, anche sulla base dell’osservazione precedentemente fatta sull’ordo verborum dal punto di vista retorico, si dovrebbe dare la preferenza al testo tramandato da tutti gli altri testimoni.
25
P. Versmeeten, Isocratis «Admonitio ad Nicoclem», Lugduni Batavorum, Brill 1890, p. 34.
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Stefania De Leo QUESTIONI TESTUALI NELL’ORAZIONE SULLA PACE
1. Quando si studia l’orazione Sulla pace sotto il profilo della costituzione del testo, uno dei motivi di interesse può essere riconosciuto nella circostanza che, fra i testimoni che vi contribuiscono, le citazioni dall’orazione Sulla pace medesima contenute nell’Antidosi possono considerarsi quasi un ‘crocevia’ dal quale è possibile avere un interessante punto di osservazione sui rapporti fra i testimoni stessi e, in particolare, stimolanti spunti di discussione critica. Le citazioni presentano più di un motivo di interesse in proprio, a cominciare dalla forma secondo cui sono tramandate dai testimoni manoscritti medievali dell’Antidosi, in quanto esse appaiono riprodotte integralmente in due testimoni primari della seconda famiglia, i codici Laurenziano 87.14 (Θ) e Vaticano gr. 65 (Λ), mentre il codice Urbinate gr. 111 (Γ) le offre in forma abbreviata.1 Il carattere di tradizione genuina e non di integrazione proprio del testo completo degli excerpta in θλ (l’Antidosi rispettivamente in Θ e in Λ) – in opposizione alla qualità di composizione fra testo tràdito da altri testimoni come appartenente alla citazione e testo dell’orazione Sulla pace vera e propria nella sua integrità, quali sono i passi 25-56 e 132-145 restituiti dall’apografo di Γ, il Vaticano gr. 936 (Δ), che, al contrario del suo modello, riporta per esteso le autocitazioni inserite nell’Antidosi – si dimostra immediatamente per via di argomenti di carattere letterario,2 mentre sul piano più strettamente filologico si dà prova di come sia opportuno che la testimonianza di θλ figuri in un apparato critico al testo dell’orazione Sulla pace, 1
La questione è illustrata esaurientemente in Pinto, Isocrate, pp. 87-106. Pinto, Isocrate, pp. 6-7, descrive gli «inserti testuali tratti dalla precedente produzione dell’oratore» come «brani funzionali all’apologia, annunciati e commentati in maniera estremamente dettagliata», chiarendo con ricchezza di argomentazioni questo punto alle pp. 10-119 del suo studio, mentre le pp. 129-134 sono dedicate specificamente ai passi che Isocrate ripete dall’orazione Sulla pace. 2
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STEFANIA DE LEO
in quanto si trovano in più casi a coincidere entrambi (o, più raramente, uno solo contro l’altro) con le lezioni di fonti antiche del testo dell’orazione quali quelle di PLondLit 131 (π46) e le citazioni da essa inserite nell’Isocrate e nel Demostene da Dionigi di Alicarnasso.3 Con la conseguenza che appunto l’individuazione in θλ di varianti antiche del testo dell’orazione Sulla pace – limitatamente, è ovvio, ai paragrafi ripetuti nell’Antidosi – delle quali essi rimasero in età medievale i soli testimoni diretti contro le attestazioni dell’Urbinate e della seconda famiglia depone a favore della genuinità della forma estesa della citazione, ossia vale ad assicurare che il testo degli excerpta dall’orazione Sulla pace tradito in θλ non dipende da una delle fonti manoscritte medievali, ma è invece tradizione originale. In secondo luogo, se l’attenzione critica può essere trasferita dall’attendibilità del testimone sullo specifico della relativa testimonianza, bisogna osservare che alcune delle varianti condivise da θλ con il papiro e/o Dionigi di Alicarnasso meritano una discussione. 2. De pace 32 οὔτε πρὸς δόξαν Γ5 Δ1pcmg (κείμενον Δ1mg) δ θλ : om. π46 ΓacΔ b
Engelbert Drerup giudicò che la locuzione οὔτε πρὸς δόξαν che, in De pace 32, si legge f ra οὔτε πρὸς χρηματισμὸν e οὔτε πρὸς ἃ δεῖ πράττειν, fosse un’interpolazione.4 Essa, che non compare nel testo come tramandato da ΛΠΝ, il cui accordo è indicato nella stringa di apparato come b, e nella redazione della prima mano di Γ – fu aggiunta a margine dall’amanuense designato come Γ5, il quale ha collazionato l’Urbinate Γ su un codice che «possedeva una memoria testuale assai simile a quella del Laurenziano Θ» 5 – è testimoniata nell’Isocrate (7, 1-5) di Dionigi di Alicarnasso, là dove Dionigi delinea brevemente il contenuto dell’orazione Sulla pace riprendendo in più punti alla lettera le parole usate dall’oratore ateniese. Il contesto mi sembra richiedere οὔτε πρὸς δόξαν, giacché poco sopra la δικαιοσύνη, definita come una parte dell’ἀρετή, viene detta εὐδόκιμος, 3 Nell’Isocrate (16) vengono citati De pace 1-16; Isocrate (17) contiene invece la citazione di De pace 41-52, peraltro sfigurata da una lacuna, intervenuta probabilmente in uno dei modelli della tradizione del testo di Dionigi, in De pace 43 e 50, conservati solo per un breve tratto ciascuno. Nel Demostene (17) Dionigi inserì De pace 41-50, di cui riprese, nella sua argomentazione successiva (Demosth. 19 e 20), stralci di De pace 41, 42, 43, 47, 48. 4 Drerup, De auctoritate, p. 80. 5 Fassino, Nuove acquisizioni, p. 168.
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QUESTIONI TESTUALI NELL’ORAZIONE SULLA PACE
in contrasto con l’ἀδικία che invece è ἐπονείδιστος,6 e Isocrate vuole dimostrare – διδάσκων ὡς dice Dionigi introducendo la citazione praticamente letterale di De pace 32: οὔτε πρὸς πλοῦτον οὔτε πρὸς δόξαν οὔθ’ ὅλως πρὸς εὐδαιμονίαν οὐθὲν ἂν συμβάλοιτο τηλικαύτην δύναμιν, ὅσην ἀρετἡ καἱ τἁ μέρη ταύτης – che la pratica della virtù è efficace nel procurare anche benefici concreti, contrariamente al luogo comune che la vorrebbe appunto εὐδόκιμος, ma ἀλυσιτελῆς. Dalla situazione della tradizione si può concludere che il modello da cui dipendevano Γ e i testimoni della seconda famiglia e quello probabilmente del π46 stesso (che qui è lacunoso, ma non offrirebbe comunque uno spazio sufficiente a ospitare οὔτε πρὸς δόξαν) differiva in questo punto dalla fonte delle citazioni di Dionigi e dal testo degli excerpta dell’orazione Sulla pace compresi nell’Antidosi (sia che fossero tratti dall’orazione intera, sia che già nel modello dei progenitori di θ e di λ appartenessero all’Antidosi come sua parte integrante). 3. De pace 45 εἰ Γ : ἢν b : εἴπερ θλ D.H. D. 17 : [π46] περί τινας Γ b : τινες θλ D.H. D. 17 : [π46] ἐξαμάρτοιεν Γ b : -τάνοιεν θλ D.H. D. 17 : [π46]
Qui θ e λ coincidono in errore con la citazione di Dionigi nel Demostene dato che la loro lezione è εἰπέρ τινες ἐξαμαρτάνοιεν contro εἰ (ἢν in ΛΠΝ) περί τινας ἐξαμάρτοιεν dei codici dell’orazione. Mentre il passaggio da εἰ περί τινας a εἰπέρ τινες può essere stato determinato da una svista che aveva obliterato la vocale finale della preposizione, per cui τινας, non più giustificato, era diventato τινες, soggetto dell’ottativo immediatamente successivo, nella tradizione manoscritta isocratea sono f requenti i casi di sostituzione del presente all’aoristo nei modi diversi dall’indicativo dei composti di ἁμαρτάνω (De pace 84, ἐξαμαρτόντας π46 Γ : ἐξαμαρτάνοντας b; De pace 99, ἐξαμαρτεῖν π462pc codd. : -ανειν π46ac). Se ne conclude che θλ e il testimone indiretto rif lettono la propria dipendenza da modelli accomunati da questa forma di banalizzazione dell’aoristo in presente. 6 Isocr. De pace 31: εἰς τοῦτο γάρ τινες ἀνοίας ἐληλύθασιν ὥσθ’ ὑπειλήφασι τὴν μὲν ἀδικίαν ἐπονείδιστον μὲν εἶναι, κερδαλέαν δὲ καὶ πρὸς τὸν βίον τὸν καθ’ ἡμέραν συμφέρουσαν, τὴν δὲ δικαιοσύνην εὐδόκιμον μὲν, ἀλυσιτελῆ δὲ καὶ μᾶλλον δυναμένην τοὺς ἄλλους ὠφελεῖν ἢ τοὺς ἔχοντας αὐτὴν.
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STEFANIA DE LEO
4. De pace 46 ἰδίᾳ λυμαινόμεθα π46 D.H. D. 17 : δι’ οὓς λυμαινόμεθα Γ5mg Δ θλ : λυμαινόμεθα Γ b : ἰδίους λυμαινόμεθα Sauppe : διαλυμαινόμεθα Korais, Cobet : βίᾳ λυμαινόμεθα it
Ma.1
Qui la tradizione manoscritta illustra la circostanza che, in epoca già piuttosto antica, un tratto di testo si fosse reso problematico, forse in seguito ad un errore di lettura, quindi di copia, il quale si rif lette nelle varianti offerte dai singoli testimoni. Laistner 7 difende ἰδίᾳ della tradizione indiretta,8 confortata dalla testimonianza del papiro londinese, dove si legge chiaramente ΙΔΙΑΙ. Il critico spiega la lezione dei codici dell’Antidosi – che non dà senso – come ultimo esito della corruzione di ἰδίᾳ in ἰδίους per inf lusso degli accusativi maschili plurali che precedono. Anche Mathieu trova sostenibile la lezione ἰδίᾳ, collocandola a testo e legandola al complemento oggetto τοὺς συμμάχους τοὺς ἡμετέρους, come appare dalla nota che spiega la scelta editoriale: «Il y a dans le texte [...] une antithèse (qui a échappé à la tradition manuscrite) entre les exactions dont souffre chaque cité (ἰδίᾳ) et le danger général (ἁπάντων ... κοινοῖς) que sont les mercenaires».9 Peraltro i casi dell’uso di ἰδίᾳ, in generale e nello stesso Isocrate, non mostrano che l’avverbio possieda l’accezione di ‘ciascuno’ – se non quando compare come, per così dire, asseverativo del pronome ἕκαστος: per esempio, in Paneg. 104, τοῖς αὐτοῖς νόμοις ἁπάσας τὰς πόλεις διῳκοῦμεν ... ὅλων μὲν τῶν πραγμάτων ἐπιστατοῦντες, ἰδίᾳ δ’ ἑκάστους ἐλευθέρους ἐῶντες εἶναι. La «antithèse» di cui parla Mathieu nella sua nota a questo punto del testo si articolerebbe quindi fra ἰδίᾳ e (ἁπάντων) κοινοῖς: in che cosa però deve consistere l’opposizione fra i singoli alleati e il comune pericolo generale rappresentato dai mercenari? La contraddizione parrebbe piuttosto interna all’agire degli Ateniesi, che ricorrono alla vessazione degli alleati per mantenere al proprio servizio dei mercenari, i quali in realtà costituiscono un pericolo comune per i Greci. Quindi, se ἰδίᾳ è giustificato, deve considerarsi legato a λυμαινόμεθα e non al complemento oggetto τοὺς συμμάχους. Del resto, nei passi isocratei dove l’avverbio compare vicino al complemento diretto (In Call. 24; Paneg. 68, 181; Plat. 22), esso è comunque, necessariamente, riferito al predicato. Nella propria edizione del testo di PLondLit 131, Mandilaras,10 dallo stato della 7 Laistner,
Isocratea, p. 80. Anche sulla scorta di Paneg. 101 οἱ ... τὰς αὑτῶν πατρίδας διαλυμηνόμενοι. 9 Mathieu, in Mathieu – Brémond, Isocrate, III, p. 24 n. 3. 10 Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, pp. 230-231. 8
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tradizione e dalle diverse emendazioni tentate dai critici,11 conclude che la stessa lezione ΙΔΙΑΙ del papiro sia una corruttela: nella seconda riga della colonna XLIV il secondo scriba corresse in ΒΙΑΙ la parola ΙΔΙΑΙ tracciata dal suo predecessore, il quale forse aveva confuso il segno Β del suo modello con le lettere ΙΔ. Mandilaras dunque congettura che la medesima svista, ma questa volta non individuata e corretta, possa essere avvenuta in De pace 46 e propone di emendare ἰδίᾳ λυμαινόμεθα καὶ δασμολογοῦμεν in βίᾳ λυμαινόμεθα καὶ δασμολογοῦμεν, espressione che troverebbe un appropriato parallelo in De pace 29 ἢν ... βιαζώμεθα τὰς πόλεις συντάξεις διδόναι. D’altronde, provando a ricostruire la genesi dell’errore del luogo citato in 143, è forse più probabile che ΙΔΙΑΙ invece di ΒΙΑΙ sia stato determinato da ἰδιώταις che nel papiro è scritto appena due righe sopra, piuttosto che da Β letto come ΙΔ. Considerato poi il contesto in cui βίᾳ verrebbe ad essere compreso, bisogna far notare che la coppia di predicati λυμαίνομαι e δασμολογέω, in uso anche altrove in Isocrate (nella stessa De pace 125 e in Ep. VII 4), non è mai accompagnata da caratterizzazioni avverbiali. Inoltre porre βίᾳ accanto a un verbo, λυμαίνομαι, che già esprime l’idea di arrecare violenza ed anzi è usato in coppia con δασμολογέω per conferire a questo stesso predicato la nozione accessoria di atto arbitrario e aggressivo, determinerebbe un effetto di ridondanza. Infine, il parallelismo tra il passo in discussione e quello citato di De pace 29 è comunque sostenibile senza la necessità di introdurre βίᾳ: mentre infatti δασμολογοῦμεν può corrispondere a συντάξεις διδόναι, λυμαινόμεθα riprende da solo il concetto di βιαζώμεθα. 5. De pace 48 εἰσεβίβαζον Γ2vid. (εἰσβίβαζον Γac) b : ἐνεβίβαζον π46pc (επιεβιβαζον π46ac) θλ : ἐνεβιβάζομεν D.H. D. 17 D.H. D. 20
Ἐμβιβάζω non rientra nell’usus isocrateo, mentre lo stesso εἰσβιβάζω è testimoniato solo qui. Rispetto al composto con ἐν, εἰσβιβάζω sembra possedere un’accezione più tecnica ed essere usato specificamente 11 Sauppe (H. Sauppe, Epistola critica ad Godofredum Hermannum, in Ausgewählte Schriften, Berlin, Weidmann 1896, pp. 80-177; 139-140) propone ἰδίους; Cobet (C.G. Cobet, Novae lectiones quibus continentur observationes criticae in scriptores Graecos, Lugduni Batavorum 1858, p. 566) pensa che una corruttela avesse oscurato un originario διαλυμαινόμεθα, congettura accolta a testo da Havet, Antidosis.
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e in senso assoluto nel significato di ‘imbarcare’,12 mentre ἐμβιβάζω ha un impiego più vasto. D’altra parte, in Isocrate, e in particolare nell’orazione Sulla pace, si registra un’oscillazione della tradizione f ra altri due composti rispettivamente con εἰς ed ἐν, ossia εἰσβάλλω ed ἐμβάλλω, tra i quali il primo si dimostra comunemente la variante preferibile. Per limitarci ad esempi dal discorso: in De pace 46, là dove i codici danno εἰσβάλλοντας, il primo scriba del papiro aveva segnato ἐμβάλλοντας, poi corretto, mentre in De pace 100 il testimone antico presenta εἰσέβαλλον corretto in ἐνέβαλλον, che si ritrova in ΛΠΝ, contro la lezione preferibile εἰσέβαλον testimoniata da Γ. Invece in De pace 84 è proprio π46 a restituire il corretto εἰσβεβληκότων, a conferma di una congettura di Baiter, contro ἐμβεβληκότων di Γ ΛΝ (Π testimonia ἐκβεβληκότων). È dunque probabile che π46, insieme con la fonte di Dionigi di Alicarnasso e con θλ, rif letta qui uno stadio, o un ambito, della tradizione isocratea, nel quale una forma verbale di significato più ampio o forse anche di uso più comune, ἐμβιβάζω, si è sovrapposta a εἰσβιβάζω, magari inizialmente come glossa poi penetrata nel testo, o forse potrebbe trattarsi della sostituzione automatica, da parte di chi copiava, di un termine specifico con un suo sinonimo corrente. 6. De pace 52 ἀλογίστως π462sl Γ b λ D.H. Is. : ὀλιγώρως π46it θ
Delle due lezioni tramandate da π46 ὀλιγώρως si è conservata nella tradizione manoscritta medievale per la testimonianza del solo θ, cioè nel testo della citazione dall’orazione Sulla pace, mentre l’altro testimone dell’Antidosi, λ, i codici dell’orazione Sulla pace e la tradizione indiretta rappresentata dall’Isocrate di Dionigi di Alicarnasso riportano l’avverbio ἀλογίστως, che in π46 è segnato supra lineam come varia lectio. A proposito dell’uso dei due avverbi, si deve far notare che, mentre l’unione di ἀλογίστως con voci del verbo ἔχω è ben attestata in Demostene, in Isocrate questo avverbio non appare mai in unione con ἔχω ed equivalenti. D’altra parte, in tre dei quattro esempi dell’uso di ὀλιγώρως da parte di Isocrate, esso è unito a ἔχω e a διακεῖμαι (Antid. 5 e 304, Phil. 70). Drerup 13 giudica la variante di θ un’interpolazione, tuttavia può sembrare singolare 12 13
Come in Hdt. VI 95, 2; Th. VII 60, 2; Xen. An. V 3, 1. Drerup, De auctoritate, pp. 86-87.
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che come tale fosse penetrato nel testo un avverbio che non è comune in questo tipo di locuzione ed è anzi attestato in Isocrate più frequentemente dell’altro avverbio tramandato e generalmente accolto dagli editori. L’avverbio ἀλογίστως sposterebbe la contraddizione con ἐμπειρότατοι ... ὄντες su di un piano inopportunamente astratto, fermando il contrasto a περὶ τῶν αὐτῶν ... οὐ ταὐτὰ γιγνώσκομεν, mentre il contesto tende a far rilevare la negligenza che gli Ateniesi mostrano nella conduzione degli affari politici ad onta della loro esperienza.14 Come testimonia il papiro, l’alternativa tra ὀλιγώρως e ἀλογίστως sarà stata già piuttosto antica. Infine, in qualche momento nel corso della trasmissione del testo isocrateo, la locuzione di uso più comune formata da ἀλογίστως con voci del verbo ἔχω – per questo il secondo avverbio potrebbe considerarsi lectio facilior rispetto al primo –, la quale nel nostro caso riecheggia l’espressione εἰς τοῦτο δὲ μωρίας ἐληλύθαμεν di De pace 46, avrà prevalso sulla meno consueta ὀλιγώρως ἔχω, tramandata nel medioevo per l’orazione Sulla pace soltanto da un testimone, la citazione del passo nell’Antidosi, per sua natura, per così dire, ‘marginale’ rispetto ai filoni principali della tradizione. 7. De pace 135 ποιηϲθε π462pc θ : ποιηϲηϲθε π46ac : ποιήσασθε λ : ἡγῆσθε Γ : ἡγεῖσθε ΛΝ2?pc : ἡγεῖσθαι c (-σθα Νacvid)
La lezione di π46 (l’originario ποιηϲηϲθε corretto in ποιηϲθε), che sembra essersi perpetuata nella tradizione medievale tramite le varianti dei codici dell’Antidosi, è superiore alle lezioni dei manoscritti dell’orazione Sulla pace. Infatti già Drerup 15 osserva che l’usus isocrateo offre numerosissimi esempi nei quali ποιοῦμαι e non ἡγοῦμαι si accompagna a espressioni come περὶ πολλοῦ e rispettivi comparativo e superlativo, così come a περὶ ὀλίγου, περὶ ἑλάττονος e περὶ μηδενός. A ciò si può aggiungere, seguendo Laistner,16 che ποιῆσθε di θ è preferibile all’aoristo, perché più vicino alla lezione di ΓΛΠΝ e dotato di paralleli in Archid. 108 e Areop. 19.
14 La volubilità degli Ateniesi era già stata bersaglio della commedia antica: cfr. Ar. Ach. 630, ἐν Ἀθηναίοις ταχυβούλοις e 632, πρὸς Ἀθηναίους μεταβούλους. 15 Drerup, De auctoritate, pp. 106-107. 16 Laistner, Isocratea, p. 83.
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8. De pace 142 τὰς δυναστείας π46ac codd. : δυναστείας π462pc θλ
Fra i testimoni medievali, la lezione τὰς τυραννικὰς ἀρχὰς καὶ δυναστείας offerta dai codici dell’Antidosi ricalca quella introdotta dal secondo scriba nel testo di π46, dove l’articolo, in un primo tempo fatto precedere anche a δυναστείας (come nei manoscritti dell’orazione Sulla pace), appare cancellato. Due sostantivi coordinati da congiunzione sono costruiti con un solo articolo per entrambi quando insieme formano come un unico concetto.17 Tuttavia, considerato l’usus di Isocrate, tale criterio non pare estensibile al caso in discussione, sebbene τυραννικὰς ἀρχὰς e δυναστείας possano considerarsi espressioni di significato abbastanza simile. Infatti si raccolgono piuttosto esempi di coppie di sostantivi pressoché sinonimi, coordinati da καὶ, preceduti ciascuno dal proprio articolo, come, per citare fra gli altri solo un esempio da De pace 128, τὰς πενίας καὶ τὰς ἐνδείας. La variante in esame può essere in θλ semplicemente il risultato di una svista prodottasi in uno dei loro progenitori; ma, così come la lezione del papiro risulta evidentemente da un intervento ‘editoriale’ – l’espunzione dell’articolo si deve al secondo correttore del testo, magari in base ad un proprio diverso modello, come si ricava dal confronto di altre sue correzioni con il testo del primo scriba e dei manoscritti medievali –, potrebbe non escludersi che l’assenza di τὰς davanti a δυναστείας nei codici dell’Antidosi fosse caratteristica di una tradizione, nella quale i due sostantivi coordinati siano stati intesi come un unico concetto, e non la conseguenza di una svista. 9. De pace 143 μακαριστότεροι Γ ΛΝrsl : -τερον c (Νit) : μακαριστότατοι π46 θλ : μακαριώτατοι
Prisc. Inst., Gr. Lat. III, p. 368.3 Hertz
La lezione di θλ e di π46 è chiaramente inappropriata al contesto. Ma è interessante che compaia nei testimoni dell’Antidosi e, in qualche modo, quanto cioè al suffisso applicato all’aggettivo, anche nella tradizione indiretta rappresentata qui da Prisciano.
17
Per es., Plat. Crat. 405d, τὸν ὁμοκέλευθον καὶ ὁμόκοιτιν.
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10. De pace 143 λιπόντων π46 Δpc θλ : λειπόντων codd. (Δac) ἀποβαλόντων π46 c θλ : ἀποβαλλόντων Γ Λ
I participi delle righe segnalate sono tramandati come λειπόντων e ἀποβαλλόντων nei manoscritti dell’orazione Sulla pace, mentre in π46 e nella citazione nell’Antidosi sono λιπόντων e ἀποβαλόντων. Nel commento al testo
del papiro di Londra da lui edito, Mandilaras nota che nel testimone antico la seconda forma verbale potrebbe ritenersi un errore ortografico di aplografia.18 Peraltro, il participio in questione è diviso fra due righe e lo studioso segnala che lo scriba in generale divide correttamente le parole con doppio λ. D’altronde, la possibilità che ἀποβαλόντων sia un errore troverebbe un limite nell’attestazione dei testimoni dell’Antidosi ai quali, in virtù delle varianti che condividono con il papiro stesso e con la tradizione indiretta, si può essere inclini a riconoscere una qualità di tradizione indipendente rispetto al testo dei codici medievali dell’orazione Sulla pace. Mandilaras fornisce anche un argomento linguistico a favore della lezione di π46, osservando come l’‘abbandonare le fila’ e il ‘gettare lo scudo’ siano descritti preferibilmente (e cita esempi da Platone, Demostene, Eschine e l’espressione τὰς ἀσπίδας ἀποβαλεῖν nello stesso Isocrate Ep. II 6) come azioni con carattere puntuale, aoristico.
11. I casi qui esaminati delle varianti in De pace 48, 135, 142 ci introducono ad un aspetto specifico delle questioni cui dà ‘innesco’ il contributo testuale del PLondLit 131, in quanto nel testimone antico sono lezioni trascritte dalla mano del diorthotes. Gabriella Messeri, nella sua introduzione di interesse papirologico a π46,19 lo descrive come «uno studioso interessato al testo di Isocrate», suggerendo che «è probabile che egli sia stato il committente del papiro, il cui testo egli ha ricontrollato con l’antigrafo correggendo le numerose sviste dello scriba e, per giunta, l’ha collazionato col testo di un secondo esemplare del Περὶ εἰρήνης di cui era entrato in possesso. Nel lavoro di collazione ha deciso di trasferire le divergenze testuali, le varianti, sul rotolo di PLondLit 131, nelle interlinee, negli intercolunni, nei margini superiore e inferiore». La variante che si è esaminata in De pace 52 rispecchia proprio uno degli esiti della collazione condotta dall’antico studioso: nei testimoni manoscritti 18 19
Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, pp. 240-241. G. Messeri, CPF 21, 46, p. 546.
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medievali è continuata la memoria dell’avverbio ἀλογίστως, che in π46 è appunto variante inserita supra lineam dal diorthotes, mentre ὀλιγώρως, che lo scriba ricopiò dal proprio modello, è lezione che solo il testimone ‘eccentrico’ θ ha proseguito. Ed anche l’esame condotto sulle varianti segnalate per De pace 142, sebbene debba impiegarsi la necessaria cautela data la natura delle varianti medesime, mostra una ‘prosecuzione’ nei manoscritti medievali del sostantivo δυναστείας preceduto dall’articolo, come si legge per la mano dello scriba del PLondLit 131, mentre nel testimone rappresentato dalla citazione nell’Antidosi sembra ‘continuare’ la correzione che il diorthotes ha apportato al testo del papiro, cancellando quell’articolo. Sotto un aspetto più generale, del PLondLit 131 quale testimone dell’orazione Sulla pace va detto che esso fa rilevare una cospicua continuità dell’‘eredità’ testuale fra sé e i principali rappresentanti della tradizione medievale. Altrettanto cospicuo è l’accordo complessivo (cioè sia in lezione poziore sia in variante inferiore) tra π46 e il codice Urbinate gr. 111, ma i casi che vedono concordi π46 e seconda famiglia assommano ad un centinaio: 20 ciò che in definitiva colloca il papiro londinese in una posizione grosso modo intermedia tra i due filoni recensionali in cui è rimasta divisa la tradizione del testo di Isocrate presso i codici medievali che lo hanno consegnato a noi. Appunto in questo senso, per passare alla valutazione del contributo di π46 rispetto alla costituzione del testo dell’orazione Sulla pace, sono significativi gli accordi del testimone antico con ΛΠΝ, per limitarci ai casi in cui il tratto di testo abbia fra i testimoni anche θλ e/o Dionigi di Alicarnasso. Così per quanto riguarda lezioni che si possono considerare poziori, come, per esempio, nel caso di De pace 137: ἕξουσιν π46 b θλ : ἄξουσιν Γ
In Isocrate ἡσυχίαν è attestato tanto con le voci del verbo ἔχω quanto come oggetto di ἄγω. La tradizione manoscritta si divide fra i due predicati in altri tre casi oltre a quello di De pace 137: De bigis 9 e 42 ed Euag. 31.21 Però, diversamente dal passo qui in esame, nei passi citati è la seconda famiglia a presentare ἄγω come variante di ἔχω, testimoniato da Γ. La lezione qui preferibile sembra ἕξουσιν, per uniformità con i successivi ἕξει (137), ἀπέχεσθαι, ἕξομεν (138).22 Si veda ancora De pace 143: Ne dà conto Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, pp. 285-286. De big. 9, ἡσυχίαν εἶχεν Γ : ἡσυχίαν ἦγεν Λ; De big. 42, ἡσυχίαν εἶχεν Γ : ἡσυχίαν ἦγε Λ; Euag. 31, ἡσυχίαν εἶχον Γ : ἡσυχίαν ἦγον ΘΛ. 22 Cfr. Drerup, De auctoritate, p. 104. 20 21
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λιπόντων π46 Δpc θλ : λειπόντων codd. (Δac) ἀποβαλόντων π46 c θλ : ἀποβαλλόντων Γ Λ
Così anche per quanto riguarda varianti difficilmente valutabili, come De pace 41: τοὺς λόγους ποιεῖσθαι Γ D.H. Is. : ποιεῖσθαι τοὺς λόγους π46 (ποει-) b θλ
Anche a De pace 27 τοὺς λόγους ποιήσασθαι è la disposizione delle parole testimoniata dai codici medievali, mentre π46 restituisce ποιήσασθαι τοὺς λόγους. Difendendo la variante del papiro a De pace 27, Mandilaras 23 fa notare che ποιεῖσθαι τοὺς λόγους è l’espressione di uso più consueto in Isocrate, anche perché consente di evitare lo iato quando la parola che segua immediatamente inizi per vocale. D’altra parte, Drerup 24 osserva, a proposito dello stesso passo, che τοὺς λόγους ποιεῖσθαι dei codici si può giustificare in quanto espressione disposta in parallelo rispetto a πολλῶν πραγμάτων ἅψασθαι. Effettivamente ποιεῖσθαι τοὺς λόγους ricorre in Isocrate almeno 32 volte, contro 16 esempi di τοὺς λόγους ποιεῖσθαι; tuttavia, 21 dei casi nei quali il sostantivo è posto dopo il verbo sono determinati dalla necessità di evitare lo iato, per cui, a parità di condizioni, ossia davanti a parola che inizi per consonante, sarebbe addirittura prevalente, contro l’osservazione di Mandilaras, τοὺς λόγους ποιεῖσθαι. Più che la prevalenza di un ordine delle parole rispetto all’altro, mi sembra che la casistica raccolta indichi, prescindendo ovviamente dalla Hiatvermeidung, una notevole alternanza nei due usi da parte di Isocrate, tale che mi pare difficile stabilire quale delle due varianti sia preferibile all’altra, o se, piuttosto, entrambe non si debbano riguardare come risalenti alla mano dello stesso Isocrate. 12. De pace 43 ἄλλων π48 Γ θλ : ἑλλήνων π46 π49 b D.H. D. 17 D.H. D. 19
L’usus di Isocrate, che davanti a σωτηρίας (o ἐλευθερίας) alterna τῶν ἄλλων – Archid. 83, Panath. 82, Paneg. 52 e 99 – e τῶν Ἑλλήνων – De pace 141,
Ep. I 7, Paneg. 91, Phil. 147 – impedisce di determinare con sicurezza «quid Isocrateum sit».25 D’altra parte, in un ambito di contenuto come De pace Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, p. 186. Drerup, De auctoritate, p. 77. 25 Drerup, De auctoritate, pp. 100-101. 23 24
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42-43, in cui ricorrono in rapida successione Ἑλλήνων (in esplicita contrapposizione a τοῖς βαρβάροις), Ἕλληνας, (τὰς πόλεις τὰς) Ἑλληνίδας, il pronome indefinito (soprattutto entro un’espressione che allude all’evacuazione della città da parte degli abitanti di Atene prima di Salamina) può bastare a designare gli «altri (Greci)», all’interno di una formulazione disposta in certo qual modo a chiasmo, τῶν ἄλλων σωτηρίας τήν τε πατρίδα τῶν αὑτῶν. La variante τῶν Ἑλλήνων, peraltro non estranea all’usus dell’oratore, è sicuramente antica, attestata com’è da due papiri 26 e da Dionigi di Alicarnasso. 13. Infine, l’accordo fra ΛΠΝ e PLondLit 131 è significativo anche là dove la lezione errata mostra, in virtù proprio della congruenza della seconda famiglia con il papiro, di appartenere ad un fondo di tradizione antico. Osserviamo De pace 20: πρὸς εὐπορίαν Γ : εἰς εὐπορίαν π46 b
A decretare l’inferiorità della variante di π46 e dei codici della seconda famiglia contro Γ è l’usus stesso di Isocrate,27 che prevede che le voci del verbo ἐπιδίδωμι reggano complementi introdotti dalla preposizione πρός (De pace 64, Nic. 32, Paneg. 103) o in alternativa da ἐπί (Areop. 5, De pace 13). Ancora, De pace 119: ἰδιωτῶν Γ B.-S., Bl., Bs., M.-B., Ma2: ἰδίων π46 b Bk. Dd.
La variante che π46 condivide con i codici della seconda famiglia (preferita da Bekker e da Dindorf ) è inferiore a ἰδιωτῶν testimoniata da Γ e accolta dagli editori Baiter – Sauppe, Blass, Benseler, Mathieu – Brèmond, Mandilaras. D’altra parte, Baiter 28 argomenta la superiorità di ἰδιωτῶν osservando che formula la contrapposizione «singulorum civium et totius civitatis mores» e richiama l’abbinamento οἱ ἰδιῶται e τὸ κοινόν che appare De pace 96 e che si trova anche altrove in Isocrate, come in Areop. 72-73 e, articolato con il sostantivo πόλεις, in Antid. 85 e in Phil. 117. I testimoni della seconda famiglia si trovano, per quanto meno frequentemente di Γ, in accordo anche con gli interventi del diorthotes,29 circostan26 Oltre a PLondLit 131, POxy 4729; mentre l’altra variante trova un supporto testimoniale antico in POxy 4728. 27 Drerup, De auctoritate, p. 100. 28 Baiter, Panegyricus, p. x. 29 Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, pp. 272-273, elenca i casi in cui i manoscritti medievali condividono la propria attestazione con il diorthotes di π462pc.
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za che rafforza ulteriormente la valutazione che pure i codici della seconda famiglia hanno ricevuto un patrimonio recensionale di ascendenza antica, e la loro testimonianza non può quindi essere destituita di ogni attendibilità quando ci si disponga alla riconsiderazione critica del testo. 14. Lo stesso PLondLit 131 offre al critico del testo del discorso Sulla pace interessanti spunti di rif lessione, in particolare là dove si propone come testimone isolato contro la tradizione manoscritta medievale, come in De pace 56: ἐπιχειροίην π50 (sp. rat.) Γ b λ : ἐπιχειρήσαιμεν γ θ : επιχει̣ρ̣η̣σαιμι π46
A favore della lezione del papiro – la quale fa pensare che la variante di due dei testimoni dell’Antidosis sia lezione antica – si schierano Laistner e Mandilaras.30 Laistner propone il confronto di De pace 56 con Archid. 81, ἐπιλίποι δ’ ἂν τὸ λοιπὸν μέρος τῆς ἡμέρας, εἰ τὰς πλεονεξίας τὰς ἐσομένας λέγειν ἐπιχειρήσαιμεν, e con Ad Dem. 11, ἐπιλίποι δ’ ἂν ἡμᾶς ὁ πᾶς χρόνος εἰ πάσας τὰς ἐκείνου πράξεις καταριθμησαίμεθα. In entrambi i passi citati, nella protasi compare l’ottativo aoristo e, in particolare, nel secondo esempio il verbo della protasi è coniugato alla prima persona plurale, per via di ἡμᾶς nella proposizione reggente; invece, in Archid. 81, non trovandosi nell’apodosi alcun pronome personale, per il predicato formante la protasi sarebbe ammissibile indifferentemente la prima persona singolare come la prima persona plurale, della quale Isocrate ama fare uso. Nel caso in discussione la proposizione formante l’apodosi recita ἐπιλίποι δ’ ἂν τὸ λοιπὸν μέρος τῆς ἡμέρας e il pronome personale με creerebbe difficoltà in unione con la lezione di γθ: 31 la difficoltà non sussisterebbe con l’adozione di ἐπιχειρήσαιμι di π46 e del resto non si pone nemmeno per ἐπιχειροίην di Γ ΛΠΝ λ, che tuttavia fa sorgere la questione del tempo dell’ottativo. Di questo problema si trova ampia discussione nella recente edizione del papiro.32 L’usus isocrateo presenta undici passi in cui è preferito l’ottativo aoristo e sei di essi (Antid. 46, Archid. 81, Euag. 39, Nic. 17, Panath. 142, Phil. 59) sono protasi di periodo ipotetico. Ma Mandilaras raccoglie anche quattro esempi di uso dell’ottativo presente (Antid. 8 e 298, Ep. VI 2, Trapez. 9). In questa categoria di casi appare chiara l’idea di ripetizione conferita all’enunciato dal tempo presente, la quale inoltre si contrappone alle corrispondenti proposizioni Laistner, Isocratea, pp. 80-81 e Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, pp. 242-245. Da qui la sua espunzione proposta da L. Kayser, Zur Litteratur des Isokrates, «Neue Jahrbücher für Philologie und Pädagogik», 73 (1856), p. 363. 32 G. Messeri – S. De Leo, CPF 21, 46. 30 Rispettivamente
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in ottativo aoristo di cui si è detto. Incidentalmente, Laistner e Mandilaras fanno notare come ἐπιχειρήσαιμι al posto di ἐπιχειροίην nei primi tre esempi di protasi in ottativo presente avrebbe prodotto iato. Mandilaras conclude che, in base alle considerazioni esposte a partire dalle costruzioni di ἐπιχειρέω in Isocrate, la lezione di π46 mostra una sicura superiorità dal punto di vista del costrutto e del significato; mentre Laistner propone come considerazione conclusiva che, accettando ἐπιχειρήσαιμι, De pace 56 si allineerebbe in parallelo a Ad Dem. 11 e ad Archid. 81 indicati sopra. 15. De pace 132 ἐπανελθεῖν αὐτὰ Γ b (ἐπελθεῖν Γ) : επανε. λθειν επ αυτ. α π46 : om. γ θλ
Drerup 33 raccoglie passi (Archid. 82, Paneg. 63, Phil. 110, Plat. 36) in cui ἐπανελθεῖν/ἐπελθεῖν reggono un complemento costruito con ἐπί (in Hel. 39 e Panath. 88 ἐπανελθεῖν regge un complemento introdotto da εἰς), suggerendo che, alla luce dell’usus, la variante del papiro sia superiore alla lezione che si legge nei testimoni medievali, i quali non si può escludere che abbiano ereditato un errore che, anche in modelli diversi, poteva essersi generato per aplografia. 16. Laistner 34 discute in particolare alcuni passi in cui sostiene che PLondLit 131 «affords new readings which improve the text», come De pace 86: ἐν Δάτῳ δὲ Γ : ἐν δέ τῷ Πόντῳ b : εν δε τω δεκελικω πολεμωι π46
Laistner riconosce nella lezione di π46 il maggior contributo di questo testimone alla costituzione del testo: ἐν δὲ τῷ Πόντῳ sarebbe glossa a Δάτῳ, per di più errata, perché Dato è distretto della costa tracica antistante Taso, a est del monte Pangeo; invece, la variante di Γ sarebbe l’ultimo esito di una corruttela avviatasi dall’errata lettura di ΕΝΔΕΤΩΔΕ (le prime otto lettere della lezione di π46) in ΕΝΔΑΤΩΔΕ, mentre l’omissione del resto della parola sarebbe stata favorita dal precedente (De pace 84) riferimento alla medesima Decelea nell’espressione τοῦ τείχους ἐν Δεκελειᾶσιν. Si può concordare con Laistner soprattutto nell’osservazione che per la presunta 33 34
Drerup, De auctoritate, p. 113. Laistner, Isocratea, pp. 81-82.
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corruttela di Γ è difficile ricostruire una genesi compiutamente attendibile, però è utile ripercorrere dal punto di vista storico (e geografico), come fa il critico, il contesto più ampio in cui si colloca la variante oggetto di discussione. Isocrate va delineando la πλεονεξία dei padri degli Ateniesi ai quali sta rivolgendo il suo discorso e sottolinea la loro avidità combinata con un altrettanto rovinoso spreco di risorse (De pace 84: τῶν μὲν οἰκείων ἀμελείας, τῶν δ’ἄλλων ἐπιθυμίας): commettendo un errore cronologico, l’oratore mette in concomitanza la costruzione del muro spartano a Decelea con l’allestimento della spedizione in Sicilia. L’ambizione degli Ateniesi, prosegue Isocrate (De pace 85-86), alimentò il folle progetto di sottomettere Italia, Sicilia e Cartagine, seppure la città egemone faticasse ad avere il controllo sul suo ‘impero’ e il prezzo di quella ἀρχή furono le sconfitte più gravi mai riportate nella storia precedente: Egitto, Cipro, Dato, Sicilia, Egospotami. L’ordine cronologico dell’elenco non è rigoroso: a) Egitto: 456, 454 a.C.; b) Cipro: 450 a.C.; c) Dato: 465/464 a.C.; d) Sicilia: 415-412 a.C.; e) Egospotami 405 a.C. Proprio la menzione di Dato sembra guastare la successione nel tempo degli eventi citati, anche se è coerente con la loro qualità generale di insuccessi collezionati dagli Ateniesi in spedizioni oltremare: Tucidide (I 100, 3) parla del tentativo ateniese di occupare le zone aurifere del Pangeo contese agli abitanti di Taso e ricorda la strage di diecimila coloni tratti fra i cittadini e fra gli alleati (μυρίους οἰκήτορας αὑτῶν καὶ τῶν ξυμμάχων) compiuta dai Traci, timorosi di una penetrazione troppo profonda entro il loro territorio e ostili alla fondazione di centri coloniali troppo cospicui; ma è in Erodoto (IX 75, 10) che il nome della località viene riferito come Dato, quando lo storico ricorda l’avvenimento citando i capi della spedizione, Sofane di Eatichide e Leagro di Glaucone, uccisi ὑπὸ τῶν Ἡδωνῶν ἐν Δάτῳ περὶ τῶν μετάλλων τῶν χρυσέων μαχόμενον (scil. Σωφανέα). L’obiezione cronologica si può superare osservando che: la cronologia di Isocrate si è rivelata approssimativa già nel paragrafo precedente; gli avvenimenti a)-b)-c) si collocano nel periodo precedente la guerra contro Sparta, caratterizzato da una politica di rafforzamento dell’impero navale perseguita dai dirigenti politici ateniesi da Cimone a Pericle; gli avvenimenti d)-e) rientrano nel corso del conf litto peloponnesiaco, nella fase successiva alla pace di Nicia. Questa raccolta di συμφοραί, da cui gli Ateniesi della generazione precedente non ricavarono alcun ammaestramento nel senso della saggezza e della moderazione, offre a Isocrate prove per argomentare gli svantaggi arrecati alla città dalla politica imperiale; argomentazione che, in De pace 95-105, prosegue con l’illustrazione del parallelo esempio di Sparta. Per tornare al quadro di varianti, comunque sicuramente problematico, in De pace 86, bisogna riconoscere che la testimonianza del papiro è essa — 35 —
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stessa problematica dal punto di vista paleografico: 35 δε di δεκελικῷ è aggiunta del diorthotes, che allo stesso tempo ha cancellato le successive lettere ελ con la manifesta intenzione di procedere ad una correzione ulteriore, rimasta in sospeso. Può darsi che l’espressione ἐν τῷ Δεκελικῷ πολέμῳ fosse una glossa che già nel modello del papiro oscurava la lezione originaria e, scartata la variante della seconda famiglia dei codici medievali, la lezione di Γ sembra la meglio sostenibile, anche alla luce delle testimonianze di Erodoto e di Tucidide riferite alla strage di Ateniesi avvenuta in Tracia (per poco che possa significare, è interessante che μυρίους ὁπλίτας αὑτῶν καὶ τῶν συμμάχων di Isocrate ricordi l’espressione con cui Tucidide menziona i coloni massacrati dai Traci). 17. In particolare, la testimonianza del papiro di Londra sfida, come dice Laistner, la presunta infallibilità del cod. Urbinate gr. 111, ma in generale la testimonianza della tradizione manoscritta medievale, là dove attesta un differente ordine delle parole, come, per limitarsi a pochi esempi, in: De pace 50 διαφθεῖραι τῶν πολιτῶν δυνηθέντα codd. D.H. Is. : των πολιτων δια]φθειραι δυνη[θεντα π46
L’ordo verborum tramandato dal papiro contro le differenti attestazioni dei codici e della tradizione indiretta rispecchia, come ha osservato Mandilaras,36 la consuetudine isocratea di collocare il genitivo partitivo retto dalle forme plurali di πλεῖστος immediatamente di seguito al superlativo – se ne ritrovano esempi nella stessa De pace 7, 26, 76, 106. De pace 52 ἐμπειρότατοι (ἀπειρότατοι θ) δὲ λόγων καὶ πραγμάτων ὄντες οὕτως codd. D.H. Is. : [εμπειρ]οτατοι λ̣ογων [ον]|τ. ε. ϲ. [κ]α. ι πραγματων ου[τωϲ] π46
Mandilaras 37 osserva che l’usus dell’oratore non fornisce argomenti decisivi né in favore dell’uno né a sostegno dell’altro ordine delle parole. D’altra parte, la disposizione dei termini nel papiro comporta una serie 35 Drerup, De auctoritate, p. 116, definì il papiro in questo punto «impudenter interpolatum». 36 Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, p. 189. 37 Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, p. 190.
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consecutiva di cinque sillabe lunghe, mentre l’ordo verborum tramandato dai codici migliora il ritmo della frase e mette in ordine la successione logica delle parole. Ma sono proprio queste ‘buone ragioni’ a ispirare al critico una sensazione di ‘diorthosis’ alla base della variante dei testimoni medievali: considerato anche che riesce difficile rendere ragione dell’attestazione del papiro come di un errore casuale. De pace 57 κεκτημένοι τυγχάνομεν π50 Γ b : τυγχανομε[ν] κεκτημενοι π46
Mandilaras passa in rassegna le occorrenze di τυγχάνω con participio predicativo in Isocrate, registrando che il participio precede il verbo che lo regge in particolare quando si tratti di evitare iato fra la terminazione di τυγχάνω e il participio di un verbo che inizia per vocale. Tuttavia, è possibile raccogliere anche una quindicina di passi in cui il participio precede τυγχάνω senza che in caso contrario si debba produrre iato o senza che il ritmo della frase si modifichi sostanzialmente in ragione dell’ordine delle parole. Mandilaras ammette che tutti questi casi non possano intendersi come corruttele del testo e che lo stesso Isocrate abbia potuto concedersi una certa libertà nel formulare questa struttura sintattica. Peraltro, rilevando che nell’orazione Sulla pace il participio è sempre posposto a τυγχάνω, assegna la propria preferenza alla variante di π46 (salvo forse ricredersi come editore del testo di Isocrate, perché sceglie di stampare la lezione dei codici). Di fatto, l’ordine delle parole non è indifferente in questo passo, perché, come fa notare Drerup,38 la variante del papiro «hiatum efficit», in quanto il testo prosegue con ἐγώ: sarebbe dunque necessario discutere se nel testo di Isocrate risulti più imperativo evitare lo iato oppure far precedere τυγχάνω al participio predicativo da esso dipendente. 18. Il confronto fra l’ordo verborum tramandato dai codici e quello attestato da PLondLit 131 39 conduce in più casi a sospendere il giudizio circa la scelta di una formulazione rispetto all’altra, giacché i margini di incertezza si debbono alle modalità della riproduzione del testo in antico (ad un qualsiasi scriba poteva accadere di alterare la successione delle parole che stava copiando, anche per via, per esempio, di mutamenti che fossero intervenuti 38
Drerup, De auctoritate, p. 117. Drerup, De auctoritate, pp. 116-117, e più ampiamente Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, pp. 178-182, offrono una rassegna delle attestazioni di π46 relative alla successione dei termini. 39
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STEFANIA DE LEO
nella pronuncia, come quelli attinenti l’aspirazione delle vocali ad inizio di parola), ma altrettanto alla possibilità che Isocrate stesso potesse operare delle variationes sulle locuzioni cui ricorreva più frequentemente oppure che l’oratore per primo non fosse così rigido nell’evitare lo iato. Come mostra Mandilaras,40 la discussione delle varianti del papiro di Londra che interessano la successione delle parole (in particolare quando esso ne è il solo testimone) comporta l’opportunità di riconsiderare sull’orizzonte testuale complessivo dell’opera di Isocrate problematiche che investono le scelte espressive e stilistiche dell’oratore, quali soprattutto il ritmo della frase in termini di composizione secondo determinati criteri prosodici, la tendenza ad evitare la contiguità di vocali tra la fine di una parola e l’inizio della successiva, l’impiego di espressioni stereotipe che assumono una ricorsività quasi formulare; 41 e se pure è evidente che l’antichità del testimone non può da sola fornire garanzia della genuinità delle attestazioni del papiro in contrasto con la tradizione medievale – specie considerando che, se non fosse intervenuto il diorthotes, il papiro sarebbe stato «una pessima copia dell’orazione» –,42 è da tener presente che, d’altra parte, una recensio più ‘sorvegliata’, come può riconoscersi quella da cui discende il codice Urbinate gr. 111, può altrettanto alimentare il dubbio se non vi si sia anche esercitata l’inf luenza di quelle regole compositive che i retori ricavavano dall’insegnamento del loro antico maestro, alle quali tuttavia egli può essersi, all’occasione, sottratto. 19. Lo stadio di tradizione rappresentato dai testimoni papiracei, anteriore alla divisione del patrimonio di varianti testuali fra Γ e la seconda famiglia dei codici medievali, quando cioè doveva essere ancora vitale una molteplicità di recensiones di Isocrate, senza che fosse stato costituito un testo, inteso come insieme organico di lezioni, è rispecchiato anche nel più cospicuo fra i testimoni indiretti, Dionigi di Alicarnasso, che cita, come si è ricordato, ampi tratti dall’orazione Sulla pace nell’Isocrate e nel Demostene dei suoi Opuscoli retorici. Il testimone indiretto è schierato ora con Γ ora con ΛΠΝ, ma anche con testimoni antichi o ‘eccentrici’ – le citazioni estese dall’orazione Sulla pace riportate nell’Antidosis, (γ)θλ – contro il resto della tradizione, come nell’esempio di De pace 43: Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, pp. 175-178 e 183-202. Mandilaras, Περὶ εἰρήνης, p. 253, vi fa cenno come a «motivi». 42 G. Messeri, PLitLond 131: Isocrates, «De pace», in Carlini – Manetti (edd.), Studi, pp. 21-52: 45. 40 41
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τῆς ἡμετέρας αὐτῶν π46 (sp. rat.) π48 π49 Γ b λ : τῆς αὐτῶν θ : τῆς ἡμετέρας π50
(sp. rat.) D.H. D. 17
Se la lezione corretta è ἡμετέρας αὐτῶν della maggioranza della tradizione manoscritta medievale, che si legge in POxy 4728 e si può ricostruire anche per PLondLit 131, la citazione in θ non è isolata nel riportare solo l’aggettivo possessivo senza il determinativo, ma è affiancata dal testimone indiretto e da PHeid 208.43 L’editore del papiro di Heidelberg, Siegmann, non giudica significativa la lacuna di αὐτῶν ricostruibile nel papiro, attribuendola ad una svista. Certamente, quella offerta da Siegmann è la spiegazione più semplice di un errore che, se lo si considera una sorta di aplografia rispetto al rif lessivo di poco precedente (τὴν πατρίδα τὴν αὑτῶν), può anche essersi originato indipendentemente in più di una fonte. È da aggiungere poi che sviste di questo medesimo genere si registrano anche altrove nella tradizione di Isocrate. Tuttavia, potrebbe non escludersi che i testimoni di ἡμετέρας dipendano da modelli discendenti da un tipo di fonti attraverso le quali si sia perpetuato un errore determinato da una svista, già molto antica. Inoltre, il testimone indiretto più cospicuo si trova a condividere varianti isolate con PLondLit 131, come in De pace 46 e 48 discussi sopra. Tali coincidenze, parallelamente ai casi nei quali i due testimoni antichi e pressoché contemporanei (prima metà del I sec. d.C.) differiscono invece nelle rispettive attestazioni – tra quanto si è illustrato sopra, a questo proposito si veda De pace 41, che propone una divergenza nell’ordine delle parole – , rimandano in definitiva ad un periodo nel quale era ancora vitale una molteplicità di recensiones di Isocrate, senza che fosse costituito un testo, inteso come insieme organico di lezioni già dotato di un ‘profilo’ in cui siano riconoscibili l’una o l’altra delle ‘famiglie’ in cui sono venuti a ripartirsi i testimoni manoscritti medievali dell’opera dell’oratore ateniese.
43 Nel papiro non sembra esserci spazio sufficiente per ospitare il riflessivo αὐτῶν: in tal modo, la sua attestazione si affiancherebbe a quella di θ e del testimone indiretto. Ma la lezione della maggioranza dei testimoni manoscritti (compreso π46, lacunoso esso stesso in questo punto del testo, ma sicuramente ricostruibile) è confortata dal passo parallelo di Archid. 83, πάντων δ’ ἂν δεινότατον ποιήσαιμεν, εἰ συνειδότες Ἀθηναίοις ἐκλιποῦσι τὴν αὑτῶν χώραν ὑπὲρ τῆς τῶν ἄλλων ἐλευθερίας, ἡμεῖς μηδ’ ὑπὲρ τῆς ἡμετέρας αὐτῶν σωτηρίας ἀφέσθαι τῆς πόλεως τολμήσαιμεν.
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Mariella Menchelli LIVELLI DI LETTURA E CIRCOLAZIONE LIBRARIA DEI DISCORSI PARENETICI L’A Demonico e il Nicocle all’interno del corpus di Isocrate e in alcuni testimoni antichi e medievali
1. I tre discorsi parenetici A Demonico, A Nicocle, Nicocle sono scritti di singolare fortuna all’interno della raccolta di Isocrate, tràditi quasi per intero, come è noto, nel PKellis del IV sec., proveniente dall’oasi di Dakhleh, nella successione A Demonico, A Nicocle, Nicocle e presenti, secondo la stessa sequenza, nel commentario neoplatonico anonimo alla lettura di Isocrate, smembrato in forma di Vita anonima e argumenta ai discorsi, del V-VI sec., in Fozio e nelle due famiglie dei codici medievali, la seconda delle quali colloca le tre opere in apertura di corpus.1 La mia attenzione si è concentrata per l’edizione critica in corso sull’A Demonico e sul Nicocle, i due scritti rivolti ai privati, che in questo senso, ma solo in questo, quasi si sovrappongono, e che hanno uno statuto assai diverso all’interno del corpus delle opere di Isocrate. Il presente contributo si propone di ridiscutere alcune questioni correlate: le relazioni interne al corpusculum dei parenetici; alcune forme della circolazione, aggregazione e lettura nell’antichità; livelli di lettura e varianti testuali tra antichità e medioevo bizantino. 2. Problematicità di un corpusculum 2.1. Uno scritto spurio in primo piano Il corpusculum dei discorsi parenetici risulta già di per sé problematico. L’A Demonico è da più parti considerato in maniera convincente uno scritto 1 Cfr. Worp – Rijksbaron, Kellis. Per la storia della tradizione medievale cfr. di recente Pinto, Isocrate; Fassino, Nuove acquisizioni; Martinelli Tempesta, «Panegirico»; Menchelli, Scritti; cfr. ora Martinelli Tempesta, Nota; Martinelli Tempesta, L’«archétype» manquant.
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spurio che non appartiene alla produzione di Isocrate e che deve essere stato aggregato ai due parenetici ‘maggiori’ per un infortunio o per una scelta della tradizione.2 I tre discorsi contengono lunghe serie di gnomai volte alla edificazione dei rispettivi destinatari: i privati cittadini dell’A Demonico, con il giovane Demonico al quale l’autore si rivolge; il re di Cipro Nicocle, dedicatario dell’A Nicocle, indirizzato a chi governa, a iniziare il genere degli specula principum, come consapevolmente Isocrate sottolinea nell’A Nicocle (4: i tiranni non hanno gli strumenti di cui godono i privati cittadini); ancora i privati cittadini del Nicocle, ai quali, in maniera fittizia, si rivolge Nicocle stesso per esortarli a osservare alcune massime fondamentali al fine di essere buoni sudditi. Ai privati risultano rivolti, come si è detto, due scritti: lo spurio, l’A Demonico, e l’autentico, il Nicocle. Drerup soprattutto ribadiva le sue conclusioni, suffragate dalle ricerche dell’allievo Emminger, stampando l’apocrifo con l’attribuzione perentoria a Teodoro di Bisanzio,3 avanzata sulla base della citazione in Ateneo (III 122b), con attribuzione a Teodoro, di un passo che sembra alludere all’A Demonico (38), dedicato al tema della giustizia e dell’avere di più,4 tema di assoluto rilievo nell’Atene del IV secolo, ampiamente discusso negli stessi termini nel Gorgia di Platone e che fa una apparizione anche nel Nicocle di Isocrate (15). L’espressione dell’A Demonico sembra ricorrere, come si è detto, nel passo di Ateneo con l’attribuzione a Teodoro, lo stesso sofista, secondo Drerup, che comparirebbe nel Fedro (261c, 266e) come abile cesellatore di discorsi. Il tentativo di dare un nome all’autore dell’opera fu posto sotto attacco come debole e inconsistente da filologi a Drerup contemporanei, e tuttavia l’ipotesi venne sancita dallo studioso con la stampa della edizione isocratea del 1906. È interessante forse notare come Drerup attribuisse l’A Demonico ad un sofista abile ed esperto e vedesse dunque nell’opera qualità letterarie sue proprie.5 2 Per uno status quaestionis sull’A Demonico e il problema dell’autenticità cfr. in part. Mikkola, Isokrates, pp. 276-278, con bibliografia; cfr. inoltre C. Wefelmeier, Die Sentenzensammlung der Demonicea, Athen, Rossolatos 1962; B. Rosenkranz, Die Struktur der Ps. Isokratischen Demonicea, «Emerita», XXXIV, 1996, pp. 95-129; Milazzo, A Demonico; Piccione, Ad Demonicum; Menchelli, Note, pp. 35-40. 3 Drerup, Isocratis opera, con rimando alla discussione; cfr. in part. K. Emminger, Ps.Isokrates πρὸς Δημόνικον, «JKP», Suppl. Bd. XXVII, 1901, pp. 373-442. 4 Cfr. Ad Dem. 38, παρασκεύαζε σεαυτὸν πλεονεκτεῖν μὲν δύνασθαι, ἀνέχου δὲ τὸ ἴσον ἔχων con significativa variante πλέον ἔχειν in PBerol 8935, e cfr. Athen. III 122b, Θεοδώρῳ δὲ τὸ κελεύειν μὲν πλέον ἔχειν, ἐπαινεῖν δὲ τὸ ἴσον, al quale rimandava già Keil, Analecta, p. 24. 5 Una attribuzione ad un sofista anonimo è quanto si avanza anche nell’ampia introduzione della edizione Mathieu – Brémond, Isocrate, I. Per una discussione delle diverse posizioni cfr. anche Piccione, Ad Demonicum, pp. 27-30.
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Una nuova analisi del testo non può che confermare quanto già notato negli studi ottocenteschi e dalle posizioni critiche più restie ad accogliere l’opera nella produzione isocratea: la varietà lessicale dell’autore dell’A Demonico è estranea a Isocrate, un grande numero di termini non è comune ai due autori, mentre talvolta le ricorrenze sono comuni ad altri autori del IV secolo, come Senofonte.6 Dal punto di vista dottrinale, nell’A Demonico è presente un richiamo insistito alla buona fama, alla doxa.7 Altri elementi significativi sono il richiamo al ponos come positivo e alla virtù, il cui esercizio sarebbe foriero dei piaceri più puri e più stabili (46) e alla quale il giovane Demonico viene esortato (12) con la serie di suggerimenti di morale pratica. 2.2. Relazioni interne Mentre l’A Demonico sembra dunque essere spurio, i due scritti dedicati a Nicocle rientrano a pieno titolo nella raccolta delle opere di Isocrate: sono legati in particolare alla produzione per i re di Cipro, con l’Evagora, encomio in prosa del defunto padre di Nicocle, che regnò prima di lui e si distinse per le sue doti politiche e militari,8 e al quale Isocrate fa riferimento nel 380 nello stesso Panegirico (134-135 e soprattutto 141).9 Le relazioni interne al corpusculum sono alquanto complesse e segnate da una fitta trama di rimandi di natura lessicale, contenutistica e strutturale. L’A Nicocle e il Nicocle si collocano all’interno della produzione isocratea 6 Per Senofonte dal punto di vista dello stile, cfr. già Mikkola, Isokrates, p. 285: «Gewisse Stellen [...] erinnern an Xenophon; vielleicht könnte ein Vergleich mit seinem Stil und seiner Gedankenwelt Licht [...] werfen». 7 Sulla doxa e l’opinione verificata in Isocrate cfr. T. Poulakos, Isocrates’ Civic Education and the Question of Doxa, in Poulakos – Depew (edd.), Isocrates, pp. 44-65, con bibliografia. 8 Sull’Evagora cfr. ora Nicolai, Isocrate, p. 89, con bibliografia. Un recente commento al testo è uscito ad opera di Alexiou, «Euagoras». Cfr. inoltre D.J. Depew – T. Poulakos, Introduction, in Poulakos – Depew (edd.), Isocrates, pp. 1-18: 5: «Conscious of his own efforts to tap into this potential through experimentation, he tested out in the Evagoras the possibility of entering into the poet’s privileged terrain of encomiastic praise». Per la discussione su Isocrate cittadino della democrazia ateniese e in rapporto con i re di Cipro cfr. Konstan, Isocrates’ ‘Republic’, pp. 117-119 per il Nicocle, sul quale cfr. anche T. Poulakos, Speaking for the Polis: Isocrates Rhetorical Education, Columbia, USC Press 1997, pp. 9-19. 9 In epoca moderna l’autenticità dello stesso Nicocle è stata posta in dubbio, peraltro senza fondamento (da Henri Etienne, da Auger, da Havet): per lo status quaestionis cfr. Mathieu – Brémond, Isocrate, II, pp. 115-117; per l’A Nicocle sono stati avanzati dubbi soltanto per le parti omesse all’interno della lunga autocitazione presente nell’Antidosi, cfr. Mathieu – Brémond, Isocrate, II, p. 92, ma cfr. infra per l’espressione di Isocrate nell’Antidosi (67), βούλομαι δὲ καὶ τοῦ τρίτου μικρὰ διελθεῖν, che induce a pensare ad una selezione deliberata di diverse brevi parti da citare.
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anche secondo i criteri dell’analisi stilistica; alle corrispondenze stilistiche e/o sintattiche si aggiunge altresì, come è noto, la testimonianza interna ed esterna. I dubbi relativi all’autenticità dei parenetici che saranno avanzati nella tarda antichità, in particolare nel commentario neoplatonico,10 si infrangono contro la solida conferma all’autorialità che per i due parenetici isocratei viene da Isocrate stesso. Nel Nicocle (11), compare il rimando esplicito all’A Nicocle, τὸν μὲν οὖν ἕτερον [...] Ἰσοκράτους ἠκούσατε,11 che nella produzione isocratea precede il Nicocle e viene presentato da Isocrate come innovativo e significativo. L’Antidosi, l’autodifesa fittizia di Isocrate del 353,12 presenta autocitazioni da ambedue gli scritti, con ampi estratti dall’A Nicocle (2, 14-39 = 15, 73), e con un lungo passo dottrinale dal Nicocle (3, 5-9 = 15, 253-257), il brano con l’elogio della parola,13 citato in forma tacita ma del tutto aderente al testo dell’opera, secondo una pratica quasi di copia e incolla da lavori precedenti, del tutto legittimata da Isocrate, che spiega diffusamente il riuso delle proprie opere, ampiamente utilizzate dai contemporanei, nelle sue diverse forme (74): 14 [...] καὶ γὰρ ἂν ἄτοπος εἴην εἰ τοὺς ἄλλους ὁρῶν τοῖς ἐμοῖς χρωμένους ἐγὼ μόνος ἀπεχοίμην τῶν ὑπ᾽ ἐμοῦ πρότερον εἰρημένων, ἄλλως τε καὶ νῦν ὅτ᾽ οὐ μόνον μικροῖς μέρεσιν, ἀλλ᾽ ὅλοις εἴδεσιν προειλόμην χρῆσθαι πρὸς ὑμᾶς. Ταῦτα μὲν οὖν ὅπως ἂν ἡμῖν συμπίπτῃ ποιήσομεν.
Sul tema Isocrate tornerà nel Filippo (93-94), del 346: καὶ μηδεὶς ὑπολάβῃ με βούλεσθαι λαθεῖν, ὅτι τούτων ἔνια πέφρακα τὸν αὐτὸν τρόπον ὅνπερ πρότερον. Ἐπιστὰς γὰρ ἐπὶ τὰς αὐτὰς διανοίας εἱλόμην μὴ πονεῖν γλιχόμενος τὰ δεδηλωμένα καλῶς ἑτέρως εἰπεῖν [...] ἔτι δ᾽ εἰ τοὺς ἄλλους ὁρῶν τοῖς ἐμοῖς χρωμένους αὐτὸς μόνος ἀπειχόμην τῶν ὑπ᾽ ἐμοῦ πρότερον εἰρημένων. Τοῖς μὲν 10 Cfr.
infra. Citato anche nel commentario stesso poiché presente nella attuale ὑπόθεσις del Nicocle. 12 Per l’Antidosi cfr. ora Y.L. Too, A Commentary on Isocrates’ Antidosis, Oxford, OUP 2008, e la relativa recensione di P.M. Pinto, «Gnomon», LXXXII, 2010, pp. 292-297. 13 Sulla autocitazione del Nicocle nell’Antidosi cfr. anche Konstan, Isocrates’ ‘Republic’, p. 118. Sul logos in Isocrate, anche in riferimento al Nicocle (5-9), come inno al logos, cfr. anche E.V. Haskins, Logos and Power in Sophistical and Isocratean Rhetoric, in Poulakos – Depew (edd.), Isocrates, pp. 84-103: 97 per il Nicocle. Di questo brano del Nicocle si ricorderà Dione di Prusa, all’inizio del suo discorso Sulla regalità I. 14 Sul riuso delle proprie opere da parte di Isocrate cfr. anche Pinto, Biblioteca, p. 55: «Ma Isocrate ha soprattutto utilizzato ampiamente i propri libri, come testimonia la fitta rete di rinvii, allusioni, citazioni alla sua produzione». 11
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οὖν οἰκείοις τυχὸν ἂν χρησαίμην, ἢν σφόδρα κατεπείγῃ καὶ πρέπῃ τῶν δ᾽ ἀλλοτρίων οὐδὲν ἂν προσδεξαίμην, ὥσπερ οὐδ᾽ ἐν τῷ παρελθόντι χρόνῳ.
I due parenetici ‘maggiori’ rientrano dunque nella pratica isocratea della ‘ripresa verbale’ che viene a sancirne l’autenticità e il carattere paradigmatico. D’altro canto, se l’A Demonico non appartiene alla produzione di Isocrate, appare certo come l’opera sia in stretto rapporto, per temi e sequenze di massime, con gli altri parenetici. A confronto con il Nicocle, l’A Demonico, rivolto anch’esso a privati cittadini e, come si è detto, in questo senso quasi in sovrapposizione con l’opera isocratea, si presenta come assai più uniforme. L’architettura del Nicocle è complessa e articolata,15 e ancora una volta strettamente legata alla casa regnante di Cipro. La stessa esortazione presente nella parte finale è rivolta ai Cipri in quanto cittadini e sudditi. Le massime sono pertanto destinate a soggetti politici, devono essere intese come appartenenti alla sfera pubblica, alla relazione con il potere. Tuttavia i due scritti rivolti ai privati presentano, all’interno di finalità protrettiche che in parte li accomunano, alcune affinità nei temi e nei contenuti. Per esempio, è comune alle due opere l’esortazione alla giustizia come virtù dalla quale i malvagi sono completamente esclusi (Nic. 43 e Ad Dem. 38, oltre che Ad Nic. 30) o ancora l’esortazione alla vita ordinata: nell’A Demonico (15) si afferma che pertiene al carattere dei giovani l’ordine (κόσμος), il pudore, la giustizia, la temperanza; nel Nicocle (38) compare il corrispondente tema del κοσμίως ζῆν, con una formulazione chiara ed esplicita di Nicocle stesso, poiché, egli afferma, ἡγησάμην ... δεινὰ ποιεῖν ὅσοι τοὺς μὲν ἄλλους κοσμίως ζῆν ἀναγκάζουσιν αὐτοὶ δ᾽ αὑτοὺς μὴ σωφρονεστέρους τῶν ἀρχομένων προσέχουσιν. E saranno le formulazioni-veicolo della utilizza-
zione di questi scritti, anche nella scuola neoplatonica.16 In particolare occorre sottolineare il rapporto dell’A Demonico con l’A Nicocle, al quale non solo si richiama il Nicocle stesso, ma che sembra avere svolto un ruolo paradigmatico nella composizione dell’A Demonico. Valga in primo luogo, se si considera la struttura delle due opere, il passo che 15
Per l’autoelogio di Nicocle cfr. Nicolai, Isocrate, p. 93. Per il tema del κοσμίως ζῆν cfr. inoltre A Nicocle (31) e Antidosi (24). Per l’importanza del tema dell’ordine interiore nel Nicocle cfr. anche Nic. 46, ἄξιον μὲν οὖν καὶ τοὺς φύσει κοσμίους ὄντας ἐπαινεῖν καὶ θαυμάζειν, ἔτι δὲ μᾶλλον καὶ τοὺς μετὰ λογισμοῦ τοιούτους ὄντας. Per Isocrate nella scuola neoplatonica e i temi del commentario cfr. ora Menchelli, Scritti; Menchelli, Commentary; Menchelli, Frammenti. Per l’importanza del tema del κόσμιος (ἀνήρ) cfr. Proclo, In Plat. Tim., I, prooem. (6, 5-6 Diehl) κόσμιος γενόμενος διὰ τὴν πρὸς τὸν κόσμον ὁμοιότητα καὶ εὐδαίμων διὰ τὴν πρὸς εὐδαίμονα θεὸν ἀπεικασίαν, e cfr. infra. 16
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giunge a concludere le argomentazioni, già segnalato da von Albrecht nella lunga serie dei confronti possibili, e che tradisce una precisa ripresa strutturale,17 Ad Nic. 40: καὶ μὴ θαυμάσῃς εἰ πολλὰ τῶν λεγομένων ἐστίν ἃ καὶ σὺ γιγνώσκεις· οὐδὲ γὰρ ἐμὲ τοῦτο παρέλαθεν, ἀλλ᾽ ἠπιστάμην [...], trova corrispondenza in Ad Dem. 44: καὶ μὴ θαυμάσῃς εἰ πολλὰ τῶν εἰρημένων οὐ
πρέπει σοι πρὸς τὴν νῦν παροῦσαν ἡλικίαν· οὐδὲ γὰρ ἐμὲ τοῦτο διέλαθεν, ἀλλὰ προειλόμην [...].18 Lo spurio sarebbe dunque legato alla produzione isocra-
tea e all’A Nicocle in particolare.
2.3. L’A Nicocle. Prove di fondazione del genere in Isocrate (con uno sguardo all’Evagora e all’Antidosi) 2.3.1. L’A Nicocle e le massime in prosa; l’A Nicocle e l’Evagora L’A Nicocle sembra essere l’opera-chiave per la comprensione dei tre parenetici e della loro relazione reciproca. Nei primi capitoli dell’A Nicocle (3), Isocrate spiega come i privati cittadini abbiano a disposizione mezzi diversi per regolare la propria condotta di vita, poiché, in aggiunta agli altri strumenti, alcuni dei poeti del passato, τῶν ποιητῶν τινες τῶν προγεγενημένων, hanno lasciato massime sulla necessaria condotta di vita, ὑποθήκας ὡς χρὴ ζῆν. In assenza di strumenti analoghi per i regnanti, Isocrate stesso si dispone dunque a dare consigli a chi governa. Nell’A Nicocle egli parla della sua opera dedicata al re come di una novità: vi sono molte serie di consigli per i privati nella tradizione, ma non per i re. Le serie di massime in poesia alle quali si fa riferimento nella parte iniziale sono poi spiegate nell’opera (43) citando in forma esplicita Esiodo, Teognide, Focilide, posti a confronto con la poesia omerica e la tragedia.19 Il punto di riferimento fondamentale per Isocrate nell’A Nicocle (43-44) sembra infatti essere propriamente la poesia, in particolare la poesia gnomica, appunto Esiodo, Focilide, Teognide: 20 [...] τὴν Ἡσιόδου καὶ Θεόγνιδος καὶ Φωκυλίδου ποίησιν [...] ταῖς ἐκείνων ὑποθῆκαις [...] εἴ τις ἐκλέξειε τῶν προεχόντων ποιητῶν τὰς καλουμένας γνώμας. 17 Cfr. E. von Albrecht, Zu Pseudoisokrates πρὸς Δημόνικον, «Philologus», XLIII, 1884, pp. 244-248. 18 L’espressione καὶ μὴ θαυμάσῃς che introduce il periodo ricorre altrove in Isocrate, ad es. nel Filippo (81 e 116), ma la precisa ripresa in più punti della formulazione isocratea dell’A Nicocle rende il riecheggiamento dell’A Nicocle nell’A Demonico del tutto certo. 19 Anche tale confronto farà proprio Dione di Prusa nel prendere posizione a favore di Omero contro gli altri poeti nel suo discorso Sulla regalità II e al tempo stesso nel richiamare Focilide nel Boristenitico. 20 Sulla lettura dei poeti cfr. ancora Pinto, Biblioteca, pp. 60-62.
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Nell’Evagora Isocrate si confronta con l’epinicio pindarico e fornisce le indicazioni per la composizione dell’encomio. Nell’opera (8) il punto di riferimento fondamentale è la poesia encomiastica, e Isocrate si appresta a scrivere un encomio in prosa: οἶδα μὲν οὖν ὅτι χαλεπόν ἐστιν ὃ μέλλω ποιεῖν, ἀνδρὸς ἀρετὴν διὰ λόγων ἐγκωμιάζειν. Nella opposizione poesia/prosa Isocrate viene a fondare il corrispondente prosastico del genere poetico e a proporre al suo pubblico una precisa determinazione del genere.21 In modo analogo nell’A Nicocle Isocrate si confronta con la poesia gnomica (che difende di contro ai più fortunati Omero e tragici). La questione è allora quella della fondazione del genere parenetico in prosa, il corrispondente prosastico della poesia gnomica, finalizzato alla edificazione di chi governa con l’A Nicocle e poi esteso ai governati, con la serie di norme di comportamento per i sudditi presenti nel più complesso Nicocle. 2.3.2. Il paradigmatico A Nicocle: le opere περὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων nell’A Nicocle e la fondazione del genere L’atto di fondazione del genere compare nell’A Nicocle (41) che fu senza dubbio prototipo per la scuola isocratea: 22 ἀλλὰ γὰρ οὐκ ἐν τοῖς λόγοις χρὴ τούτοις περὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων ζητεῖν τὰς καινότητας, ἐν οἷς οὔτε παράδοξον οὔτ᾽ ἄπιστον οὔτ᾽ ἔξω τῶν νομιζομένων οὐδὲν ἔξεστιν εἰπεῖν, ἀλλ᾽ ἡγεῖσθαι τοῦτον χαριέστατον, ὃς ἂν τῶν διεσπαρμένων ἐν ταῖς τῶν ἄλλων διανοίαις ἀθροῖσαι τὰ πλεῖστα δυνηθῇ καὶ φράσαι κάλλιστα περὶ αὐτῶν.
Nei discorsi sulla condotta di vita non bisogna ricercare le novità, non è possibile dire nulla che resti al di fuori di ciò che comunemente si ritiene, occorre raccogliere, ‘ammassare’ quanto vi è di sparso nei pensieri altrui: 23 il primo stadio della composizione è una operazione di raccolta delle rette opinioni comuni che sono sparse nei diversi autori, che occorre dunque prendere dalle diverse opere nelle quali si trovano per esporle con la resa stilistica migliore. Il passo dell’A Nicocle può contenere non soltanto una indicazione relativa alla procedura da seguire nella composizione letteraria ma l’indicazione operativa più incisiva per la composizione di opere περὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων. Vale a dire, Isocrate detterebbe ora le norme da seguire per comporre opere di esortazione morale, come si è detto le meno gradite al pubblico, a suo 21 Cfr.
Nicolai, Isocrate, p. 90. Su questo cfr. anche Pinto, Biblioteca, p. 57. 23 Cfr. Nicolai, Isocrate, pp. 28-29; sulla pratica della lettura e raccolta con riferimento ad altri autori contemporanei cfr. anche Pinto, Biblioteca, p. 55. 22
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avviso (in rapporto a Omero e ai tragici).24 Il passo sembra contenere una serie di consigli per i contemporanei e/o futuri confezionatori che si richiamino al genere. A queste indicazioni, utilizzate da Isocrate stesso, può essersi attenuto anche l’anonimo autore dell’A Demonico. Le sue massime sembrano essere quanto di più tradizionale, nelle loro corrispondenze per esempio con i Detti dei Sette Sapienti, e al tempo stesso di più efficace si possa trovare in prosa. 2.3.3. La forma e l’Antidosi Sotto il profilo della forma il carattere stilistico fondamentale dell’A Nicocle come serie di massime verrà richiamato da Isocrate nell’Antidosi, come ha osservato Roberto Nicolai: nell’Antidosi (67) facendo riferimento al Panegirico e al discorso Sulla pace «si precisa che negli altri due discorsi gli argomenti sono concatenati tra loro mentre nell’A Nicocle i vari consigli al principe sono esposti ὥσπερ τὰ καλούμενα κεφάλαια, ben staccati gli uni dagli altri e in forma sintetica».25 Le regole della composizione delle opere sulla condotta di vita in prosa sono pertanto esplicitate: la raccolta del materiale sentenzioso comune (Ad Nic. 41) e la sua resa stilistica (Ad Nic. 41), modulata in una serie di proposizioni giustapposte (Antid. 67). Ciò che più conta per Isocrate nell’atto di fondare il genere, reso manifesto nell’A Nicocle, è il secondo stadio, l’espressione delle massime nello stile più bello: come ha affermato Nicolai, Isocrate scopre lo specifico letterario.26 2.3.4. Una possibile forma di ricezione nell’A Demonico? Nell’A Nicocle (41), Isocrate presenta dunque l’esortazione alla raccolta di massime da più autori che lo stesso A Demonico segue di fatto. La precisa ripresa strutturale tra A Demonico e A Nicocle, individuata da von Albrecht, può suggerire di procedere oltre nel confronto. Una analogia 24 Sono queste le opere nelle quali in realtà è meno lecito innovare. Anzi, che più devono mantenersi nel solco della tradizione: bisogna riunire serie di massime, prendendole dalle diverse opere nelle quali si trovano sparse. Mentre il pubblico generalmente non gradisce le opere parenetiche, nel Nicocle (10) il sovrano di Cipro afferma di apprezzarle più di tutte le altre, secondo quanto Isocrate gli fa dire: ἐγὼ δ᾽ ἀποδέχομαι μὲν ἅπαντας τοὺς λόγους τοὺς καὶ κατὰ μικρὸν ἡμᾶς ὡφελεῖν δυναμένους, οὐ μὴν ἀλλὰ καλλίστους ἡγοῦμαι καὶ βασιλικωτάτους καὶ μάλιστα πρέποντας ἐμοὶ τοὺς περὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων καὶ τῶν πολιτειῶν παραινοῦντας, καὶ τούτων αὐτῶν ὅσοι διδάσκουσι τούς τε δυναστεύοντας, ὡς δεῖ τῷ πλήθει χρῆσθαι, καὶ τοὺς ἰδιώτας, ὡς χρὴ πρὸς τοὺς ἄρχοντας διακεῖσθαι. 25 Nicolai, Isocrate, p. 66 n. 72. Soltanto la parte finale del Nicocle presenta invece la successione dei precetti per i Cipri, sudditi di Nicocle. 26 Cfr. Nicolai, Isocrate, p. 29.
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tematica per il passo dell’A Nicocle (41) potrebbe essere ravvisata nell’opera spuria, l’A Demonico, in questo caso in riferimento al lettore, con l’immagine dell’ape che sugge di fiore in fiore. Ancora una volta un richiamo del testo potrebbe tradire un riecheggiamento e una allusione nell’A Demonico ai dettami isocratei, reinterpretati con l’immagine del fruitore che si sovrappone all’autore. All’A Nicocle (41 e in più 39, χρῶ τοῖς εἰρημένοις ἢ ζήτει βελτίω τούτων) sembra corrispondere l’immagine dell’A Demonico (51-52): [...] καὶ μὴ μόνον τοῖς ὑφ᾽ ἡμῶν εἰρημένοις ἐμμένειν ἀλλὰ καὶ τῶν ποιητῶν τὰ βέλτιστα μανθάνειν καὶ τῶν ἄλλων σοφιστῶν εἴ τι χρήσιμον εἰρήκασιν ἀναγιγνώσκειν. Ὥσπερ γὰρ τὴν μέλιτταν ὁρῶμεν ἐφ᾽ ἅπαντα τὰ βλαστήματα καθιζάνουσαν, ἀφ᾽ ἑκάστου δὲ τὰ βέλτιστα λαμβάνουσαν, οὕτω δεῖ καὶ τοὺς παιδείας ὀρεγομένους μηδενὸς μὲν ἀπείρως ἔχειν, πανταχόθεν δὲ τὰ βέλτιστα συλλέγειν [...].
La raccolta di massime è in questo caso legata ad una indicazione di lettura ma al tempo stesso l’A Demonico è di fatto una raccolta di massime. Le corrispondenze strutturali sopra rilevate impongono di mantenere il legame tra l’A Demonico e i due parenetici autentici, in particolare il paradigmatico A Nicocle. Le suddette osservazioni di Isocrate nell’A Nicocle stesso, i consigli per la stesura di un’opera che si presenti come una sequenza di massime, potrebberο indurre a riprendere la questione della problematicità della posizione dell’A Demonico rispetto al corpus isocrateo e alla produzione di Isocrate. Per i sostenitori dell’autenticità potrebbe essere Isocrate stesso ad avere condotto nell’A Demonico l’operazione di raccolta, esemplificata nello stesso A Nicocle e nella parte finale del Nicocle. Tuttavia l’accento posto sullo stile da Isocrate nell’A Nicocle (41) sembra confermare che non è così. Una lettura attenta dell’A Nicocle (41) a mio avviso allontana ancor di più l’A Demonico dalla produzione isocratea. L’A Nicocle dà indicazioni specifiche sulla composizione e sullo stile, ma lo stile resta, come è stato detto, l’aspetto più importante, con il quale si misura l’autore: Isocrate non avrebbe rinunciato al proprio neppure per rappresentazioni più icastiche o per massime brevi ed efficaci come spesso appaiono le gnomai dell’A Demonico. Dalle osservazioni sopra avanzate è necessario trarre alcune conseguenze per l’edizione critica: per lo scritto pseudo-isocrateo è lecito fare riferimento ai due parenetici isocratei poiché l’autore dell’A Demonico conosce le due opere e sembra utilizzarle, o almeno avere con esse un rapporto ‘speculare’; 27 d’altro canto per l’edizione critica non costituisce termine di 27 Sulle relazioni tra opere contemporanee cfr. Pinto, Biblioteca, p. 56, per l’attenzione reciproca degli autori nell’Atene del IV secolo.
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riferimento in senso stretto l’usus scribendi di Isocrate poiché non è l’autore dell’A Demonico. 3. Forme ed episodi della lettura antica e/o bizantina dei discorsi e prime aggregazioni 3.1. Il primo lettore. L’Antidosi e la ripresa del Nicocle La raccolta dei consigli ai privati sicuramente autentica, il Nicocle, non a caso con un preciso sfondo politico, venne riutilizzata, come si è detto, già da Isocrate, di seguito all’A Nicocle stesso, nelle autocitazioni dell’Antidosi. Appare evidente il giudizio positivo di Isocrate sia sul proprio A Nicocle, già orgogliosamente richiamato nello stesso Nicocle, e citato esplicitamente nell’opera di autodifesa, sia sul Nicocle, in questo caso non esplicitamente nominato o richiamato nell’Antidosi, ma incluso, come si è detto, alla lettera nella stessa opera per un lungo brano virtuosistico (5-9) con l’encomio della parola. Dal passo trasposto del Nicocle emerge l’indicazione di poetica isocratea presente all’inizio dell’opera, nei paragrafi del discorso dedicati al logos e al tema dell’identità dell’εὖ φρονεῖν ed εὖ λέγειν. Il primo lettore, o tra i primi lettori, dei due discorsi è dunque Isocrate stesso, nell’allestire la sua personale antologia.28 Nell’Antidosi i due parenetici isocratei hanno collocazione completamente diversa l’uno rispetto all’altro. L’A Nicocle si trova nella prima parte, nella quale le autocitazioni sono tratte dal Panegirico (4, 51-99 = 15, 59) dal discorso Sulla pace (8, 25-56 = 15, 66) e dall’A Nicocle (2, 14-39 = 15, 73), con lunghi brani esemplificativi delle opere di Isocrate, dei suoi temi, delle sue idee, del carattere paradigmatico e ‘virtuoso’ (Antid. 67) della sua produzione. Le altre due opere isocratee riutilizzate nell’Antidosi, dopo le tre sopra citate, sono il Contro i sofisti (13, 14-18 = 15, 194) e il Nicocle (3, 5-9 = 15, 253-257), che viene ripreso alla lettera per cinque paragrafi di testo.29 La autocitazione del Contro i sofisti appare inserita a ribadire alcuni concetti sulla sua posizione, non come esemplificazione della attività letteraria in rapporto alla politica ma per le idee funzionali alla sua attività realmente svolta. Quanto prende, più avanti, dal Nicocle è un pezzo di bravura e di poetica che vuole sostenere l’importanza della parola nella vita privata e pubblica.30 28
Cfr. anche Pinto, Biblioteca, p. 55, con bibliografia. opere di Isocrate incluse nell’Antidosi cfr. anche Pinto, Isocrate, in part. pp. 107142; De Leo, Citazione. 30 Cfr. Pinto, Isocrate, pp. 138-139. 29 Sulle
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Il Nicocle stesso dunque viene a trovarsi tra gli scritti scelti da Isocrate per la propria presentazione e autodifesa fittizia, con una autorappresentazione non semplicemente della attività svolta, come avviene per la prima parte dell’Antidosi, ma della poetica. Il Nicocle, lo scritto autentico del corpus rivolto ai privati, è del resto uno scritto politico e di filosofia politica, che si sofferma sui temi dell’Atene contemporanea, i temi anche platonici dello stato e del cittadino in rapporto allo stato.31 3.2. Circolazione e livelli di lettura del testo dell’A Demonico e prime aggregazioni L’A Demonico, lo scritto spurio ai privati, potrebbe essere entrato assai presto stabilmente nella raccolta isocratea. È presente in una trentina di manufatti provenienti dall’Egitto,32 di tradizione diretta e indiretta, che ne attestano la circolazione multiforme e i molteplici livelli di lettura, nei diversi gradi della educazione antica.33 Il discorso, utilizzato nell’esercizio di apprendimento elementare,34 risulta trascritto anche in manufatti propriamente librari, o esemplari d’uso legati ad un impiego nei gradi successivi della scuola, compreso lo studio del latino, presumibilmente per entrare nei ranghi dell’amministrazione.35 31 Cfr. Pinto, Isocrate, p. 119. L’inserimento dell’A Nicocle nell’Antidosi era di fatto più problematico poiché lo scritto aveva suscitato spunti polemici presentandosi come un elogio della monarchia (peraltro presente anche negli ampi brani del Nicocle sulle costituzioni e nell’autocelebrazione della propria famiglia e del proprio operato pronunciata da Nicocle stesso), cfr. Pinto, Isocrate, pp. 137-138 e n. 58; dall’A Nicocle Isocrate prende alcune porzioni di testo in maniera discontinua, e a questo sembra fare riferimento nell’Antidosi (67): βούλομαι δὲ καὶ τοῦ τρίτου μικρὰ διελθεῖν, «voglio leggervi anche piccole parti del terzo discorso». La sequenza di massime si prestava a questa operazione di ‘scelta’ e selezione. 32 Cfr. CPF 21, 1-15 per la tradizione diretta, CPF 21, 101T-117T per la tradizione indiretta. 33 Ai testimoni già noti si è aggiunto di recente PBerol 13891, cfr. A. Carlini, Isocrates, Ad Demonicum 27.8-28.4; 29.7-30.5, in F. Reiter (ed.), Literarische Texte der Berliner Papyrussammlung. Zur Wiedereröffnung des Neuen Museums, Berlin-Boston, De Gruyter 2012, pp. 38-43. Sull’A Demonico e l’impiego del testo nei diversi gradi dell’educazione antica cf r. in part. R. Cribiore, Writing, Teachers and Students in Graeco-Roman Egypt, Atlanta, Scholars Press 1996; Cribiore, Gymnastics; R. Cribiore, Education in the Papyri, in R.S. Bagnall (ed.), The Oxford Handbook of Papyrology, Oxford, OUP 2009, pp. 329-330. 34 Per alcuni esempi cfr. P. Pruneti, L’Ad Demonicum nella scuola antica, in Munus amicitiae. Scritti in memoria di Alessandro Ronconi, Firenze, Le Monnier 1986, pp. 211-219; R. Cribiore, Gymnastics, p. 106: «The papyri show that a work particularly cherished in schools in Egypt was the Ad Demonicum», utile anche nell’ambito familiare. 35 L’uso dell’A Demonico e dell’A Nicocle per l’apprendimento del latino è suggerito dal papiro bilingue ora conservato a Berlino, PBerol 21245, sul quale cfr. A. Rijksbaron – K.A. Worp, Isocrates Bilinguis Berolinensis, «Mnemosyne», LI, 1998, pp. 718-722, e ora in CPF 21, 116T e 21, 119T. Sullo studio del latino in ambito greco cfr. B. Rochette, Le latin dans le monde grec. Recherches sur la diffusion de la langue et des lettres latines dans les provinces hellénophones de l’Em-
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Senza contare l’uso tecnico delle paraineseis nel loro complesso, ma con l’A Demonico in primo piano per numero di citazioni, nel primo gradino del cursus filosofico neoplatonico.36 La pluralità dei livelli di lettura è attestata sia dalla tradizione indiretta sia dai dati materiali. Per esempio l’età ellenistica trasmette una testimonianza della fortuna dell’A Demonico in tradizione indiretta, nella ripresa dell’opera tra le sentenze contenute in PSI 120, un manufatto che unisce la pratica scolastica alla pratica documentale.37 D’altro canto un volumen dell’ultima età tolemaica, il PBodl Ms. Gr. class. d 163 dell’A Demonico, ne attesta la circolazione alta in un libro più elegante, ma è incerto se fosse limitato al solo A Demonico all’interno del corpus isocrateo.38 Nell’età imperiale i due testimoni più consistenti dal punto di vista testuale sono il PBerol 8935 v e il PKellis III Gr. 95. Con il PBerol 8935 del II/III sec. compare l’attribuzione a Isocrate: 39 è una copia privata che contiene Ad Dem. 18-52 sul verso di un documento relativo alla amministrazione di un tempio, e, dato il legame tra tempio e scuola, può essere ancora una volta posto in rapporto anche con la pratica didattica.40 Il PKellis III Gr. 95 del IV sec. conserva, come si è detto, A Demonico, A Nicocle, Nicocle, quest’ultipire romain, Bruxelles, Latomus 1997; R. Cribiore, Gymnastics, pp. 202-203, per la classe del grammatico. 36 Cfr. infra. Lo stesso Nicocle conosce dunque livelli di lettura plurimi e diversificati nell’antichità. I manufatti suggeriscono anche per il Nicocle sia la circolazione scolastica, per la quale cfr. anche J. Lundon – G. Messeri, A Passage of Isocrates on the Back of a Protocol (PVindob G 39977), «ZPE», CXXXII, 2000, pp. 125-131, sia la circolazione libraria alta: cfr. in part., su A Nicocle, Sulla pace e Nicocle, Colomo, Osservazioni, pp. 27-33, e, per il papiro del Nicocle PLips 158, CPF 21, 74: il volumen poteva contenere più di una orazione (ivi, p. 677). Gli interventi di correzione su prodotti dell’editoria di lusso da parte di scholarly hands (che potrebbero celare anche la mano di «uno studioso non alieno da premure didattiche, forse con qualche responsabilità educativa nel ginnasio»: Colomo, Osservazioni, p. 32) mostrano quanto labili possano essere le distinzioni sugli ambienti della circolazione dei testi. 37 Su PSI II 120 cfr. M.S. Funghi, Su alcuni testimoni di ‘Chreiai’ di Diogene e di ‘Detti dei sette sapienti’, in Funghi (ed.), Letteratura gnomica II, pp. 369-401: 384-401; G. Messeri, Osservazioni su alcuni gnomologi papiracei, in Funghi (ed.), Letteratura gnomica II, pp. 339-368: 341-353; CPF 21, 111T. Cfr. ora anche F. Pordomingo, Antologías escolares de época helenística, in Del Corso – Pecere (edd.), Libri, pp. 52-55: 54 per PSI 120. 38 Per la datazione del testimone cfr. ora P. Pruneti, Nuove datazioni di papiri isocratei, in Carlini – Manetti, Studi, pp. 7-10; cfr. inoltre CPF 21, 11, p. 333. 39 Per l’edizione del papiro di Berlino cfr. W. Müller – G. Poethke, [Isocrates], Ad Demonicum 18-52 (P. Berol. Inv. 8935), «APF», XXVII, 1980, pp. 5-17: 5-7, e sulla datazione cfr. P. Pruneti, CPF 21, 7. 40 Cfr. Cribiore, Gymnastics, p. 22, a proposito di un ostrakon, il quale «appears to suggest some connection between the school and the temple, since it reveals that the correction of schoolwork was done in the temple itself». Cfr. anche Cribiore, Gymnastics, p. 23.
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mo sprovvisto del breve argumentum che introduce invece i primi due.41 Il contesto del papiro è presumibilmente quello della scuola secondaria, come suggerito dagli editori: 42 nella stessa direzione orientano le osservazioni di McNamee 43 relative ai marginalia del papiro, che appaiono di derivazione dotta poiché provenienti dagli stessi strumenti ai quali attinsero Esichio e gli altri lessicografi; ad ambiente scolastico si risale infine secondo gli studi di Cribiore e Del Corso sull’insegnamento antico e i suoi contesti.44 Come ha sottolineato Cribiore, l’impiego nella scuola dei parenetici è avvenuto nei diversi gradi della educazione antica: dall’uso della sentenza elementare, alla lettura presso il grammatico, allo studio retorico. L’A Demonico viene impiegato accanto ai due parenetici e il PKellis viene a sancirne l’appartenenza al corpusculum. 3.3. Il papiro e Dionigi di Alicarnasso Il PKellis costituirebbe la prima testimonianza certa di una unione dei tre discorsi, attestando per il IV secolo la circolazione congiunta dell’A Demonico in primo piano, seguito dai due parenetici isocratei.45 Gli editori del papiro suggeriscono un possibile riferimento ai tre discorsi, letti come uniti insieme, già in Dionigi di Alicarnasso, nel Su Isocrate (10, 1): Ἔχων δὲ πολλοὺς αὐτοῦ διεξιέναι λόγους πρὸς πόλεις τε καὶ δυνάστας καὶ ἰδιώτας γραφέντας ὧν οἳ μὲν εἰς εὔνοιαν καὶ σωφροσύνην τὰ πλήθη παρακαλοῦσιν, οἳ δὲ εἰς μετριότητα καὶ νόμιμον ἀρχὴν τοὺς δυνάστας προάγουσιν, οἳ δὲ κοσμίους τῶν ἰδιωτῶν ἀπεργάζονται τοὺς βίους, ἃ δεῖ πράττειν ἕκαστον ὑποτιθέμενοι [...].
Le indicazioni relative a città, regnanti e privati cittadini o ancora la distinzione tra discorsi che esortano le moltitudini alla benevolenza e alla 41
Cfr. già Menchelli, Scritti, p. 292, con discussione. Cfr. Worp – Rijksbaron, Kellis, p. 28: «a local schoolmaster teaching in ancient Kellis». Cfr. anche P.M. Pinto, CPF 21, 1. 43 McNamee, Notes (con analisi delle note marginali glossematiche relative all’A Demonico); K. McNamee, Annotations in Greek and Latin Texts from Egypt, New Haven Conn., Oxbow Books 2007. 44 Cribiore, Gymnastics, p. 203, L. Del Corso, Libri di scuola e sussidi didattici nel mondo antico, in Del Corso – Pecere (edd.), Libri, pp. 71-110, Nel caso di PKellis la presenza del corredo di hypotheseis e marginalia nonché le caratteristiche grafiche e materiali orientano in questa direzione. 45 Le testimonianze dei grammatici appaiono concordare in più casi con i dati materiali, anche associando tra loro due dei parenetici: potrebbe prevalere il riferimento a due discorsi associati, cfr. ancora Menchelli, Scritti, pp. 291-293; CPF 21, 101T e 21, 102T. Una discussione delle testimonianze già in Stephens, Ancient Title. 42
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temperanza, discorsi che spingono i regnanti alla moderazione e al governo sottoposto alle leggi, o ancora discorsi che rendono ordinate le vite dei privati cittadini suggerendo a ciascuno ciò che deve fare, potrebbero prefigurare l’unione dei tre parenetici. L’opera di Dionigi individua in diverse opere del corpus isocrateo le stesse valenze politiche, gli stessi fini, proposti sia alle comunità, sia ai privati cittadini, per esempio Isocr. 1, 3, sul Panatenaico: [...] περὶ δὲ τῶν Ἑλληνικῶν καὶ βασιλικῶν πραγμάτων, ἐξ ὧν ὑπελάμβανε τάς τε πόλεις ἄμεινον οἰκήσεσθαι καὶ τοὺς ἰδιώτας ἐπίδοσιν ἕξειν πρὸς ἀρετήν. Ταῦτα γὰρ ἐν τῷ Παναθηναικῷ λόγῳ περὶ αὑτοῦ γράφει.
Oppure in Isocr. 4, 3 si dice dei suoi discepoli che li rese non solo abili oratori ma anche τὰ ἤθη σπουδαίους, οἴκῳ τε καὶ πόλει καὶ ὅλῃ τῇ Ἑλλάδι χρησίμους, e ancora Isocr. 7, 1 per il discorso Sulla pace: Τίς δὲ ἂν μᾶλλον ἐπὶ τὴν δικαιοσύνην καὶ τὴν εὐσέβειαν προτρέψαιτο καθ᾽ ἕκαστόν τε ἄνδρα ἰδίᾳ καὶ κοινῇ τὰς πόλεις ὅλας τοῦ Περὶ εἰρήνης λόγου; sempre in riferimento ai
contenuti di un solo discorso, come nel caso del Panatenaico. In Dionigi il richiamo ad un impiego etico e politico, individuale e collettivo, compare a più riprese nel testo, talvolta in riferimento ad una stessa opera, oppure a enumerare più opere che trattano degli argomenti etici e politici, in virtù dei quali la lettura di Isocrate produce l’ordine interiore, lo scopo desiderato, come viene detto in Isocr. 8, 1 a proposito dell’Areopagitico: τίς δὲ τὸν Ἀρεοπαγιτικὸν ἀναγνοὺς λόγον οὐκ ἂν γένοιτο κοσμιώτερος [...]; 46 Sia nella distinzione tra pubblico e privato, che compare per esempio anche nell’A Nicocle, nei passi sopra riportati, sia nell’attenzione per l’ordine interiore e la vita ordinata, che compare per esempio anche nel Nicocle, sopra citato, e più genericamente nello spurio A Demonico, Dionigi si appropria di temi che rinviene nell’etica e nella politica di Isocrate, per i quali egli cita alcune delle opere maggiori, vale a dire di elementi ricorrenti nella paideia isocratea e che vanno definitivamente affermandosi.47 Già Dionigi nella sua assunzione della paideia isocratea e nelle sue formulazioni che 46 Su etica e politica in Dionigi e sulla ripresa delle idee morali e politiche di Isocrate mi limito a rimandare a C.C. de Jonge, Between Grammar and Rhetoric. Dionysius of Halicarnassus on Language, Linguistics and Literature, Leiden-Boston, Brill 2008, pp. 13-14 e passim, con bibliografia. 47 Cfr. infra. Sulla paideia isocratea e sul suo affermarsi cfr. anche M.T. Luzzatto, L’impiego della «chreia» filosofica nell’educazione antica, in Funghi (ed.), Letteratura gnomica II, pp. 157187: 186-187 per Dionigi e Isocrate; M.T. Luzzatto, Filosofia e retorica nel curriculum ellenistico: una convivenza (im)possibile, «Prometheus», XXXIV, 2008, pp. 129-159: 145-147 per Dionigi.
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ne distinguono gli ambiti potrebbe rif lettere una presenza precoce dell’A Demonico aggregato alle opere di Isocrate, come attesteranno in seguito i papiri isocratei e la tradizione indiretta, anche se la formularità delle sue affermazioni non consente di rilevare con certezza il riferimento ad un corpusculum I-III in età augustea.48 3.4. Il corpusculum dei tre parenetici nella cosiddetta Vita anonima: letture neoplatoniche e rifunzionalizzazione ‘per ragazzi’ Tra V e VI secolo i più tardi passi della Vita anonima o commentario neoplatonico con la Vita anonima in apertura (XXXIV 57-XXXV 83 Mathieu – Brémond) mostrano i parenetici aggregati insieme e chiariscono alcune modalità di lettura dei parenetici alla fine dell’antichità nella scuola neoplatonica, con la quale Philippe Hoffmann ha per primo posto in relazione questi materiali: 49 i tre scritti appaiono editorialmente raccolti e uniti nelle funzioni e nello scopo,50 e al tempo stesso in evidenza e singolari all’interno della produzione isocratea: 51 Ἔγραψε δὲ πολλοὺς λόγους, ὧν εἰσιν αἱ παραινέσεις, εἰ καί τινες ἠβουλήθησαν αὐτὰς εἰπεῖν μὴ εἶναι αὐτοῦ διὰ τὸ ἀσθενὲς τῆς φράσεως. ἅς πρῶτον εἰκότως ἀναγινώσκομεν, οὐχ ὡς βελτίονας οὖσας τῶν ἄλλων λόγων, καὶ γὰρ καὶ ὁ Πανηγυρικὸς αὐτῶν προέχει καὶ ἄλλοι πολλοί, ἀλλ᾽ ὅτι περὶ ἠθῶν διαλαμβάνουσιν. Ἀναγκαῖον δὲ τὰ ἤθη πρὸ τῶν λόγων κοσμῆσαι, ὥσπερ ὁ γεωργὸς ὀφείλει πρὸ τῶν σπερμάτων καὶ ἧς μέλλει καταβάλλειν φυτείας ἐκκόπτειν ἀπὸ τῶν χωρίων τὰ λυμαινόμενα τούτοις οἷον ἄγρωστιν καὶ τὰ τούτοις παραπλήσια, δι᾽ ὃ, ὡς καὶ πρὸς παῖδας ταῦτα γράφων, ἠναγκάσθη ταπεινοτέρᾳ χρήσασθαι τῇ φράσει, ὥστ᾽ αὐτοῦ ἂν εἴησαν καὶ αἱ παραινέσεις. ἄξιον δὲ ζητῆσαι διὰ ποίαν αἰτίαν οὕτως αὐτὰς ἀναγινώσκομεν κατὰ τάξιν – πρῶτον τὸν πρὸς Δημόνικον, ἔπειτα τὸν πρὸς Νικοκλέα – καὶ μὴ ἀδιαφόρως ὥσπερ ἐν τοῖς ἄλλοις αὐτοῦ λόγοις. Λέγομεν ὅτι Ἰσοκράτης βουλόμενος κοινωφελὴς γενέσθαι, φορτικὸν δὲ ἡγούμενος τὸ πρὸς πάντας γράφειν τὰς συμβολὰς ἤθελεν ὡς πρὸς τούτους γράφειν, τὸ δὲ ἀληθὲς πᾶσι παραινεῖ διὰ τῶν τριῶν παραινέσεων, ὥσπερ καὶ ὁ Ἡσίοδος ὡς πρὸς τὸν ἀδελφὸν λέγων ἐργάζευ, νήπιε Πέρση, πᾶσι παραινεῖ οὕτω καὶ ὁ Ἰσοκράτης. Τάττει οὖν πρῶτον τὸν πρὸς Δημόνικον ὡς πρὸς ἰδιώτας πρῶτον 48
Il PKellis resta il testimone più antico della aggregazione dei tre parenetici. Cfr. Hoffmann, Bibliothèques, in part. p. 611. Sull’uso neoplatonico di Isocrate cfr. I. Hadot, Le problème du néoplatonisme alexandrin. Hiéroclès et Simplicius, Paris, Études Augustiniennes 1978; I. Hadot, Arts libéraux et philosophie dans la pensée antique, Paris, Études Augustiniennes 1984; D.J. O’Meara, Platonopolis. Platonic Political Philosophy in Late Antiquity, Oxford, Clarendon 2003; cfr. ora anche Menchelli, Scritti; Menchelli, Commentary; Menchelli, Frammenti. 50 Menchelli, Scritti. 51 Per le variazioni rispetto al testo di Mathieu – Brémond, Isocrate, I, si rimanda ancora una volta a Menchelli, Scritti, pp. 289-293. 49
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διαλεγόμενος, εἶτα βασιλεύειν διδάσκων ἐν τῷ πρὸς Νικοκλέα. Πρῶτον γάρ τις ἰδιώτης γενόμενος ὕστερον ἔρχεται ἐπὶ τὴν βασιλείαν. Εἶτα λέγει ἐν τῷ πρὸς Νικοκλέα ἢ συμμαχικῷ πῶς δεῖ καὶ τὸν ἰδιώτην βασιλεύεσθαι.
Nella cosiddetta Vita anonima di ambiente neoplatonico che introduce alla lettura di Isocrate si esprimeva dunque un giudizio negativo, si notava la debolezza di stile (τὸ ἀσθενὲς τῆς φράσεως e di seguito ἠναγκάσθη ταπεινοτέρᾳ χρήσασθαι τῇ φράσει) delle παραινέσεις di autenticità sospetta secondo alcuni (εἰ καί τινες ἠβουλήθησαν αὐτὰς εἰπεῖν μὴ εἶναι αὐτοῦ) e la si giustificava dicendo, rapidamente, che sono rivolte a ragazzi (πρὸς παῖδας ταῦτα γράφων), quando il solo, dei tre, formalmente rivolto a un ragazzo è la raccolta di parenesi a Demonico, in effetti non isocratea. Gli altri due parenetici nelle intenzioni di Isocrate hanno destinazione ben più alta, essendo l’A Nicocle rivolto al re di Cipro e il Nicocle posto sulle labbra del re stesso, dopo il richiamo a Isocrate come redattore dell’A Nicocle (Nic. 11). Anche l’autore del commentario ne è del tutto consapevole, come appare chiaro nelle hypotheseis che riserva ai due parenetici dedicati al re di Cipro. Si potrebbe pensare, per il problema dell’autenticità, ad un dubbio relativo al solo A Demonico, il cui titolo con l’indicazione παραινέσεις al plurale, come si vedrà più avanti, è attestato a più riprese nell’antichità: la stessa spiegazione dell’autore del commentario che fa riferimento ai giovani destinatari sarebbe in questo caso perfettamente corrispondente. Tuttavia il paragrafo che segue nel testo della cosiddetta Vita anonima spiega apertamente che si sta parlando dei tre parenetici (τὸ δὲ ἀληθὲς πᾶσι παραινεῖ διὰ τῶν τριῶν παραινέσεων), dunque i tre discorsi così come trasmessi dal PKellis e dalla tradizione medievale (oltre che da Fozio).52 Anche le osservazioni relative all’etica, che viene prima della retorica, sembrano suggerire che si tratti di considerazioni generali relative ai tre parenetici. Supporre un passaggio o uno slittamento da una osservazione sulle παραινέσεις dell’A Demonico, sospettate di inautenticità e deboli ma in realtà semplicemente rivolte a 52 Per l’ordine interno dei tre discorsi nel passo e la loro lettura prima dell’oratoria per porre in ordine i caratteri cfr. già Menchelli, Scritti, con bibliografia, anche per la trasmissione del testo, smembrato in una sezione biografica (in rapporto con Zosimo di Ascalona o di Gaza e l’opera su Isocrate, Demostene, Eschine) e in hypotheseis ai discorsi. L’opera è stata oggetto di studio in rapporto a Zosimo stesso, cfr. in part. Hohmann, Verfasser, coll. 229-234; Münscher, Isokrates, coll. 2146-2147. Per la biografia isocratea cfr. L. Soverini, ‘Il bell’Isocrate’: alcune note biografiche, «ASNP», s. IV, I, 1996, pp. 1-10. Per la biografia anonima ed Ermippo cfr. ora Vallozza, Τέχνη, pp. 160-162. Sulla tradizione degli Argumenta cf r. Menchelli, Argumentum; M. Menchelli, Isocrate commentato tra manoscritti e stampa. Il Laur. 58, 5 e l’incunabolo di Demetrio Calcondila e Sebastiano da Pontremoli; il Vat. Pal. gr. 135 e l’Aldina di Marco Musuro, «RPL», XXVIII, 2005, pp. 5-34, nonché Fassino, infra, pp. 71-104.
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ragazzi, agli aspetti etici dei parenetici che li pongono in primo piano e alle considerazioni sull’ordine dei tre appare una ricostruzione di fatto meno economica della struttura del passo. Il riferimento, per quanto riguarda la debolezza di stile, sembra coinvolgere dunque i tre discorsi. Anche alla luce di quanto detto sopra, la debolezza dello stile di cui parla la Vita anonima o commentario neoplatonico corrisponde a quella mancanza di coesione che un’opera costituita da una sequenza di consigli in prosa come è l’A Nicocle, o ancora un’opera in gran parte costituita di consigli in prosa, come è il Nicocle nella sua parte finale, non può non avere, e di fatto ha, per volontà dell’autore stesso, che vuole offrire una trasposizione prosastica del genere poetico,53 nel rivolgersi in primo luogo ad un regnante, a fondare il genere degli specula principum, e poi, con un’altra operazione squisitamente politica, ai governati, per bocca del re stesso. Carattere e possibile limite rispetto alle altre opere di Isocrate finiscono qui.54 Il passo della Vita sopra riportato deve essere inteso allora nell’ambito dei livelli di lettura del testo, rivolto a ragazzi perché impiegato nella pratica educativa, nel caso del commentario assunto e ascrivibile al contesto del primo gradino degli studi neoplatonici.55 In conclusione il commentario di V-VI sec., testimone di un corpusculum già aggregato, e già circolante, come conferma il PKellis, ne accomuna le caratteristiche e annota diligentemente come l’autenticità delle παραινέσεις fosse stata posta in dubbio per la debolezza dello stile. L’autore prende in esame una caratteristica formale che accomuna i tre scritti.56 In essa deve essere ravvisata, come si è visto, una precisa scelta di composizione letteraria per capitoli, per kephalaia, nella quale gli scritti propriamente isocratei hanno avuto una funzione paradigmatica. All’epoca della stesura del commentario l’A Demonico è ormai da tempo (basti pensare anche al colofone del PBerol 8935 del II-III sec.) entrato stabilmente nel corpus isocrateo. 53 Isocrate cita Esiodo, Teognide, Focilide (non autori prosastici: sono tutti poeti), pur senza esplicitare l’intenzione come nell’Evagora, ma accomunando poesia e prosa nella poca attenzione che si ha per le gnomai, poiché i più preferiscono Omero e la tragedia. 54 Altra cosa occorre ritenere, come si è detto, l’A Demonico, che per quanto legato all’A Nicocle da legami strutturali, al Nicocle da riecheggiamenti, è, come bene ha argomentato già Mikkola, Isokrates, riassumendo la questione, opera di autore diverso. 55 Per gli studi sul commentario e l’impiego dei parenetici nel neoplatonismo cfr. ancora Menchelli, Commentary, con bibliografia. 56 Sarebbe forse semplicistico pensare che l’autore del commentario si sia semplicemente lasciato trarre in inganno da uno scritto spurio venuto a coinvolgere i due parenetici autentici, pensare pertanto al giudizio riportato secondo la prospettiva del rapporto spurio/autentico all’interno del corpusculum.
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La rifunzionalizzazione didattica fa propri alcuni elementi della paideia isocratea che già Dionigi aveva assorbito: la distinzione del commentario anonimo tra privati e figure del potere (πρῶτον τὸν πρὸς Δημόνικον ὡς πρὸς
ἰδιώτας πρῶτον διαλεγόμενος, εἶτα βασιλεύειν διδάσκων ἐν τῷ πρὸς Νικοκλέα. Πρῶτον γάρ τις ἰδιώτης γενόμενος ὕστερον ἔρχεται ἐπὶ τὴν βασιλείαν), l’ordine della vita e/o l’ordine del discepolo (ἀναγκαῖον δὲ τὰ ἤθη πρὸ τῶν λόγων κοσμῆσαι), curricolare (πρὸ τῶν λόγων, perché viene prima dell’oratoria),
che è lo scopo della preparazione morale e politica del primo gradino degli studi neoplatonici e che verrà applicato alla lettura di scritti di diversa provenienza dottrinale, assunti per il loro valore morale, non solo il Carmen Aureum pitagorico ma anche le opere degli stoici Dione (con Sinesio) ed Epitteto (con Simplicio).57
4. Livelli di lettura, editoria antica e medievale, costituzione del testo In aggregazione con i parenetici di Isocrate o in circolazione isolata, l’A Demonico è tra le opere più lette e trascritte del corpus isocrateo. L’esame delle titolature e di alcuni passi del testo si soffermerà a questo punto soprattutto sullo scritto spurio e sui suoi numerosi testimoni, in particolare sul PKellis, assai significativo per lo stesso Nicocle, anch’esso molto diffuso già nell’antichità e per il quale quattro nuovi testimoni antichi sono di recente usciti nei Papiri di Ossirinco.58 4.1. Il quadro tradizionale tra antichità e medioevo Preformazioni dei rami della tradizione medievale sembrano risalire già all’epoca tardoantica. Le stesse due edizioni delle quali parlava Giorgio Pasquali, superstiti nelle due famiglie dei codici medievali, la prima famiglia, rappresentata dal Vat. Urb. gr. 111 (Γ), e la seconda famiglia, rappre57 Per una riconsiderazione del problema comprendente Sinesio cfr. M. Menchelli, Synesius’ ‘curricular’ Studies. A Neoplatonic Commentary on Isocrates (s. VI) and Synesius’ Reading of Dio Chrysostom, in H. Amirav (ed.), New Themes, New Styles in the Eastern Mediterranean (5th-8th Centuries): Jewish, Christian, and Islamic Encounters, Proceedings I Workshop, Oegstgeest, 13-15 December 2012, Leuven, Peeters in stampa. 58 Dei papiri del Nicocle (POxy 5136-5139) ci è stato possibile vedere l’edizione in anteprima grazie al Prof. Nikolaos Gonis. Cfr. ora W.B. Henry, POxy 5136-5139, pp. 34-40; anche per l’A Nicocle si registrano, com’è noto, nuove acquisizioni: cfr., oltre a D. Colomo, POxy 51335135, F. Maltomini – F. Montanari, PSI 1596, pp. 72-73.
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sentata dal Vat. gr. 65 (Λ), dai codici umanistici, da due codici miscellanei di età paleologa per il solo A Demonico,59 hanno radici antiche.60 Il codice Urbinate è un prodotto dell’editoria costantinopolitana medio-alta della fine del IX secolo. Trova corrispondenza nel formato nella biblioteca di Areta, in particolare appare vicino al formato del Nomocanone.61 Soprattutto la prima delle due mani che vi operano appare accurata e calligrafica e risponde perfettamente alla descrizione della scrittura oblunga e sagomata dei copisti di professione vituperati dall’Anonimo di Londra, nella sua Epistola 53.62 Dunque non è l’Urbinate così come noi lo abbiamo a interessarci, ma la tradizione di cui è portatore, che risale, come è stato detto, al V secolo.63 A f ronte di essa, la seconda famiglia, nelle due sottofamiglie del Vat. gr. 65 e dei codici umanistici, presenta anch’essa un buon numero di accordi con una circolazione tardoantica del testo, diffusa, secondo la testimonianza dei papiri, ad Alessandria e nella chora egizia.64 Una circolazione scolastica, secondo Pasquali, che, come si è detto, conosce livelli plurimi di utilizzazione del testo, a più riprese impiegato nella scuola, secondo quanto rilevato soprattutto da Raffaella Cribiore, e nella quale il rapporto tra libro di scuola ‘alta’ e libro del dotto assume contorni 59 I codici umanistici sono ΠΝSVat per l’A Demonico e il Nicocle, ai quali si aggiunge, per breve parte del Nicocle, il codice di Oxford, Bodleian Library, Ms. Auct. T 1.11 (Misc. 189), sul quale cfr. Fassino, Tradizione, pp. 88-92. Sono due i manoscritti dell’età dei Paleologi del solo A Demonico, Σ, Laur. Plut. 55.7, e Υ, Par. gr. 2010, che hanno lo status di testimoni primari, cfr. infra. 60 Pasquali, Storia, p. 296. Per la discussione cfr. inoltre Martinelli Tempesta, Nota. 61 Per la descrizione del codice nell’ambito della biblioteca di Areta cfr. in part. L. Perria, Arethaea I. Il Codice Vallicelliano di Areta e la Ciropedia dell’Escorial, «RSBN», n.s. XXV, 1988, pp. 41-56; L. Perria, Arethaea II. Impaginazione e scrittura nei codici di Areta, «RSBN», n.s. XXVII, 1990, pp. 55-87. 62 Cfr. A. Markopoulos, Anonymi Professoris Epistulae, Berlin-New York, De Gruyter 2000. Discute la lettera diffusamente P. Orsini, Quale coscienza ebbero i Bizantini della loro cultura grafica?, «MEG», V, 2005, pp. 215-248. Di particolare interesse nella lettera è l’affermazione secondo la quale tali copisti trascrivono sempre gli stessi testi (un aspetto verificabile con le copie in serie da uno stesso autore dei copisti del sec. XVI). 63 Nel Vat. Urb. gr. 111, come è noto, sono presenti al termine delle prime opere contenute nel codice sottoscrizioni fossili che rimandano ad una operazione di revisione del testo compiuta nella cerchia di Eliconio, identificato da Usener con il sofista bizantino al quale fa riferimento la Suda, operante nella Costantinopoli del V sec., cfr. in ultimo Martinelli Tempesta, Nota, e Martinelli Tempesta, Tracce. 64 Tra i testimoni tardoantichi in accordo in errore con i codici medievali è particolarmente significativo per l’A Demonico il POxy 1812, del VI sec., cfr. CPF 21, 13 e tavv., mentre è di singolare interesse per il Nicocle il PSI I 16 ora attribuito alla seconda metà del VI sec. da G. Cavallo – H. Maehler, Greek Bookhands of the Early Byzantine Period, A.D. 300-800, London, Institute of Classical Studies 1987, p. 76, tav. 34c, cfr. CPF 21, 73 e tavv., con accordi in innovazione con il Vat. gr. 65.
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sfumati, secondo le recenti osservazioni di Del Corso alle quali si è fatto riferimento. Anche il passaggio alle scuole di Siria 65 dell’A Demonico rif lette in ogni caso tale circolazione, che sembra riverberarsi in alcune copie di età bizantina. Nella trasmissione a Bisanzio l’A Demonico conserva alcuni tratti dell’impiego tardoantico. Alla continuità nel suo impiego scolastico, corrisponde, o si richiama, un filone supplementare della tradizione medievale, una linea tradizionale, riconducibile alla seconda famiglia, rappresentata dai due testimoni primari sopra evocati, il Laur. Plut. 55.7 (con ogni probabilità risalente ad ambiente planudeo) e il Par. gr. 2010, ad esso legato da numerosi errori congiuntivi, entrambi contenenti l’A Demonico in circolazione isolata e in una recensione frutto di una serie di interventi minuti volontari che risalgono a data assai più alta del secolo XIV; documentati almeno da Gregorio di Corinto nel sec. XII (e forse già dagli Excerpta Parisina del IX sec., mentre più nebuloso è il rapporto con la versione siriaca e con i papiri), gli interventi sono legati all’uso del testo ed alla sua rifunzionalizzazione in àmbito cristiano e in àmbito di scuola, pur con le dovute cautele necessarie nell’impiego di questo termine a Bisanzio.66 Le scelte testuali si trovano dunque a porre a confronto una ricca messe di dati tra antichità e medioevo. 4.2. Le titolature Se si considerano le titolature, il quadro comprende numerosi testimoni papiracei, accanto alle due famiglie dei codici medievali, e diversi testimoni di tradizione indiretta. Il POxy 4B4-4a (CPF 21, 102T), del sec. IIp reca il titolo: [Ἰσοκράτους] [Πρὸς Δ]ημόνικον [παρα]ινέσεις
Il POxy 5B4-G (2-4)b (CPF 21, 101T), della fine del III sec.-inizio del IV,67 si presenta come un sillybos con il titolo: 65 Su questo cfr. ora P. Bettiolo, Scuole e ambienti intellettuali nelle chiese di Siria, in C. D’Ancona (ed.), Storia della filosofia nell’Islam medievale, I-II, Torino, Einaudi 2005, I, pp. 48-100. 66 Cfr. Menchelli, Bibliologia. Sul problema delle raccolte ‘scolastiche’ cfr. Bianconi, Erudizione; P. Canart, Pour un répertoire des anthologies scolaires commentées de la période des Paléologues, in A. Bravo García – I. Pérez Martín (edd.), The Legacy of Bernard de Montfaucon: Three Hundred Years of Studies on Greek Handwriting, Turnhout, Brepols 2010, pp. 449-462. 67 Cfr. T. Dorandi, Marginalia Papyrologica, «PapLup», III, 1994, pp. 229-230. Cfr. inoltre CPF 21, 101T, con bibliografia.
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] Ἰσοκράτους ] Παραινέσεις,
ed è incerto se la titolatura sia riferita alle tre opere come accade nel Commentario tardoantico. Il PBerol 8935 attesta il titolo: ι[σοκ]ράτους [πρὸς δ]η[μ]όν[ι]κον π]αραινε[σις
incerto se al plurale o al singolare (e con alcune lettere dubbie), nel colophon del manufatto, per il solo A Demonico. Il titolo parenetico nelle due forme, al singolare e al plurale, è proprio della seconda famiglia della tradizione medievale dell’opera. Il papiro di Marsiglia dell’A Nicocle reca nel titolo una indicazione relativa ai parenetici, forse ai primi due: 68 la tradizione indiretta attesta la circolazione aggregata forse anche dei primi due discorsi,69 con l’indicazione παραινέσεις, che si addice in particolare alle sequenze di massime dell’A Demonico e dell’A Nicocle.70 Accanto alle numerose testimonianze di un titolo ‘parenetico’, altre due titolature sono attestate per l’A Demonico, il titolo πρὸς Δημόνικον, proprio del Vat. Urb. gr. 111 e dello Stobeo,71 e il titolo ἐπιστολὴ πρὸς Δημόνικον, in hypoth. Ad Dem. (107, 22-23 Dindorf ), τινὲς δὲ ἐπιχειροῦσι λέγειν τὸν λόγον ἐπιστολὴ πρὸς Δημόνικον, al quale dunque fa riferimento il commentario come titolatura proposta da alcuni, titolatura che fa una breve apparizione nel Barocci 50 nel titolo dello Gnomologium Byzantinum (DEI).72 68 Cfr.
Menchelli, Scritti, per la discussione. In un trattato retorico attribuito a Ermogene l’A Demonico viene distinto con l’espressione τῷ πρώτῳ λόγῳ τῶν παραινέσεων (p. 441, 19-20, Rabe). Cfr. Stephens, Ancient Title; inoltre CPF 21, 102T. 70 Per quanto la stessa struttura del Nicocle nella parte finale sia caratterizzata da una mera sequenza di massime esortatorie. Il ricorso di David (Elias) al termine παραινέσεις, del tutto assente dalla famiglia di Γ, sembra ricondurre la sua citazione alla seconda famiglia, alla quale è legata la cosiddetta Vita anonima (e tutto il corredo esegetico smembrato risalente al commentario che iniziava con la biografia); tale linea tradizionale appare del resto la più diffusa nell’antichità e non solo. 71 Cfr. Vallozza, Stobeo, p. 69 n. 64 (e.g. Stob. III 41,10: Ἰσοκράτους ἐκ τοῦ πρὸς Δημόνικον, o ancora Stob. IV 5, 21). 72 Per la descrizione del codice cfr. F. Ronconi, La miscellanea che non divenne mai silloge: il caso del Bodl. Barocci 50, in Piccione – Perkams (edd.), Selecta colligere II, pp. 295-353: 305 (l’opera occupa i ff. 333r-343v del manoscritto), ora in F. Ronconi, I manoscritti greci miscellanei. Ricerche su esemplari dei secoli IX-XII, Spoleto, CISAM 2007, pp. 91-131: 96. 69
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Il titolo nella forma ‘parenetica’ compare, come si è detto, nella seconda famiglia della tradizione medievale, con una variante tra la forma al singolare e la forma al plurale: Ἰσοκράτους πρὸς Δημόνικον παραίνεσις Λ3ΠrecNSVat : Ἰσοκράτους ῥήτορος πρὸς Δημόνικον παραίνεσις Σ : Ἰσοκράτους παραινέσεις πρὸς Δημόνικον Υ. Entrambe le forme, al singolare e al plurale compaiono altresì nella tradizione indiretta: al singolare in Dionigi di Alicarnasso (Rh. 5, 1, 3 = VI 272, 3-7 Usener-Radermacher), al plurale in Arpocrazione (s.v. ἐπακτὸς ὄρκος, 119, 3 Dindorf = ε 75 Keaney) e presumibilmente in Prisciano (XVIII 158 e 185). Si tratta del testo più diffuso.73 In tale circolazione dell’opera, viene resa più chiara già nella titolatura adottata la funzione svolta dai parenetici stessi fin dall’antichità, esplicitata dunque in una delle due famiglie.74 Nel caso dell’A Demonico il titolo ‘parenetico’, attestato con sicurezza da PBerol 8935 e dalla seconda famiglia, oltre che da POxy 4B4-4a, appare tuttavia inferiore, di contro al titolo della prima famiglia e dello Stobeo, perché viene più semplicemente a chiarire una funzione del testo, a definirne l’impiego più diffuso nei diversi gradi dell’educazione antica e della editoria ad essa talvolta legata in modo più o meno stringente.75 73 Secondo Pasquali, Storia, il testo più diffuso, e più adulterato presumibilmente, ha conosciuto l’impiego scolastico. A suggerire il titolo parenetico può avere contribuito anche la presenza del termine all’inizio dell’opera, dal quale il titolo può essere stato desunto, a questo punto nella forma al singolare, per ricevere la forma al plurale nella circolazione più propriamente sentenziosa, attestata di fatto anche dai due codici medievali Laur. Plut. 55.7 e Par. gr. 2010. Anche la tradizione indiretta attesta la forma sia al singolare sia al plurale: per la discussione cfr. CPF 21, 111T. Per la questione dei titoli nell’antichità cfr. E. Nachmanson, Der griechische Buchtitel. Einige Beobachtungen, Göteborg, Elanders Boktryckeri Aktiebolag 1941; cfr. inoltre i preziosi contributi raccolti in J.-C. Fredouille – M.-O. Goulet-Cazé – P. Hoffmann – P. Petitmengin, Titres et articulations du texte dans les oeuvres antiques, Actes du Colloque International, Chantilly, 13-15 décembre 1994, Paris, IEA 1997. 74 Titolature plurime sono attestate anche per il Nicocle e inducono a ricostruire almeno due edizioni antiche, cfr. Menchelli, Scritti. Se l’editoria antica resta assente, l’editoria medievale reca una titolatura Nicocle o Cipri nel Vat. Urb. gr. 111, che trova corrispondenza nello Stobeo, e una titolatura Nicocle o Symmachikos nella seconda famiglia, che trova corrispondenza nel filosofo neoplatonico Ammonio, maestro di Olimpiodoro, e nel commentario a Isocrate più volte citato. Lo stesso commentario sembra attestare un altro titolo, A Nicocle, e Fozio fa riferimento al Nicocle come al secondo scritto A Nicocle. 75 Un significato del testo che permane in parte della sua trasmissione medievale e umanistica e che ha dato origine a impostazioni bibliologiche peculiari poiché alcuni testimoni presentano il testo scandito in sentenze o vari accorgimenti per distinguerne l’articolazione interna sentenziosa. L’impiego scolastico, d’altro canto, e/o l’uso privato ad esso correlato, faranno dell’A Demonico uno degli scritti più copiati, oltre che tradotti, anche dell’Umanesimo italiano, ancora una volta accanto ai due parenetici isocratei: se numerose sono le miscellanee che contengono al loro interno l’A Demonico unito all’A Nicocle, e/o l’A Nicocle unito al Nicocle, manoscritti ed edizioni a stampa del XV e XVI secolo attestano la consistente fortuna dell’A Demonico in circolazione ancora una volta isolata dalla produzione isocratea, e libri di studio
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4.3. L’A Demonico e la costituzione del testo. L’apporto dei papiri: i libri dei professori Per l’A Demonico, la messe di testimoni che è possibile porre a confronto sembra consentire in alcuni casi di compiere scelte testuali che trovano sostegno nei testimoni antichi. Particolarmente significativi a questo proposito, anche per la loro estensione, sono i più volte citati PBerol 8935 del II-III sec. e PKellis del IV sec. Il PBerol 8935 venne preso ampiamente in considerazione già da Drerup che decise di stamparne a testo alcune lezioni singolari. Accanto ad essi anche manufatti di consistenza più ridotta vengono in soccorso dell’editore in alcuni punti del testo: in particolare sono significativi nei passi qui considerati il PBerol 11672 del IV sec., un foglio di codice papiraceo (CPF 21, 2),76 e il PLund I 3 (CPF 21, 5). Per Ad Dem. 12: [...] οὕτω δὲ τὴν γνώμην ἀδύνατον διατεθῆναι τὸν μὴ πολλῶν καὶ καλῶν ἀκουσμάτων πεπληρωμένον
la lezione ἀδύνατον che compare in PKellis e in PBerol 11672, ed è propria della seconda famiglia, è stata autorevolmente difesa dagli editori del PKellis (e stampata di recente da Mandilaras) contro la variante οὐ δυνατὸν comunemente stampata dagli editori e frutto di correzione nel Vat. Urb. gr. 111, ad opera di Γ2, per la lezione δυνατὸν del codice.77 Per Ad Dem. 13: πρῶτον μὲν οὖν εὐσέβει τὰ πρὸς τοὺς θεοὺς μὴ μόνον θύων, ἀλλὰ καὶ τοῖς ὅρκοις ἐμμένων: ἐκεῖνο μὲν γὰρ τῆς χρημάτων εὐπορίας σημεῖον, τοῦτο δὲ τῆς τῶν τρόπων καλοκαγαθίας τεκμήριον. Τίμα τὸ δαιμόνιον ἀεὶ μέν, μάλιστα δὲ μετὰ τῆς πόλεως: οὕτω γὰρ δόξεις ἅμα τε τοῖς θεοῖς θύειν καὶ τοῖς ὅρκοις ἐμμένειν
la lezione di 13.4 ὅρκοις compare nel PKellis, nel PLund I 3 del II sec. d.C.78 (ορ]κοις PLund I 3) e nel Vat. Urb. gr. 111, mentre nella seconda famiglia (e nella traduzione siriaca) compare νόμοις, difeso e talvolta stampato da alcuanche dei secoli seguenti ne confermano la fortuna ininterrotta nel tempo. Su alcuni recenziori dei parenetici e sul loro impiego si sofferma Piccione, Letteratura sentenziosa, p. 434, n. 52 per il manoscritto Lond. BL Harley 6301 di mano di Andrea Dono. Sulle problematiche dei ‘libri di scuola’ a Bisanzio cfr. Bianconi, Erudizione. Sulla miscellanea interfoliata, una cinquecentina della Herzogin Anna Amalia Bibliothek di Weimar (segnat. Oct 141), cfr. Piccione, Letteratura sentenziosa, pp. 431-432. 76 Cfr. CPF 21, 2. 77 Sui correttori del Vat. Urb. gr. 111 cfr. la comparazione delle mani in Seck, Untersuchungen, p. 136 e p. 144, con il rimando all’Ad Dem. (38) per ἀδύνατον con infinito. 78 Cfr. CPF 21, 5. La scrittura del papiro, che conserva resti di due colonne scritte sul verso di un documento, è un’informale rotonda poco curata (ivi, p. 268).
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MARIELLA MENCHELLI
ni degli editori. Ma delle leggi si inizia a parlare soltanto più avanti nel testo (Ad Dem. 16, in una breve sentenza, τοὺς μὲν θεοὺς φοβοῦ, τοὺς δὲ γονεῖς τίμα, τοὺς δὲ φίλους αἰσχύνου, τοῖς δὲ νόμοις πείθου, e Ad Dem. 36 πείθου [...] τοῖς νόμοις), mentre qui sembra che ci troviamo in contesto sacrale, e sembra sia preferibile mantenere il richiamo interno all’inizio del paragrafo che i testimoni antichi vengono a sostenere. D’altro canto, se il confronto con altre opere del corpus isocrateo non è dirimente poiché νόμοις compare sia retto da πείθειν (Areopag. 33 [...] κρίνοντας οὐ ταῖς ἐπιεικείαις χρωμένους ἀλλὰ τοῖς νόμοις πειθομένους, al medio) sia retto da ἐμμένειν (Archidam. 61 καὶ τοῖς τε νόμοις καὶ τοῖς ἐπιτηδεύμασιν ἐμμένοντας, e Panathen. 174 ὥσθ᾽ ἑλέσθαι μᾶλλον αὐτοὺς ἐμμεῖναι τοῖς λόγοις τοῖς ὑπὸ τῆς πόλεως πεμφθεῖσιν ἢ τοῖς νόμοις τοῖς ὑπὸ τοῦ δαιμονίου κατασταθεῖσιν), nell’A Demonico νόμοις compare altrimenti soltanto retto da πείθειν. Per Ad Dem. 18:
[...] ὁμοίως γὰρ αἰσχρὸν ἀκούσαντα χρήσιμον λόγον μὴ μαθεῖν καὶ διδόμενόν τι παρὰ τῶν φίλων ἀγαθόν μὴ λαβεῖν
l’ordo verborum τι παρὰ τῶν φίλων ἀγαθόν compare nel PKellis e in PBerol 8935, di contro a τι ἀγαθόν παρὰ τῶν φίλων della tradizione medievale, mentre Gregorio di Corinto ha τι παρὰ θεοῦ ἀγαθόν. La lezione dei papiri non è stata presa in considerazione dagli editori. Tuttavia l’analoga posizione di παρά con genitivo trova sostegno in Ad Dem. 37 e anche, tra i parenetici isocratei, in Ad Nic. 20: è dunque difendibile e forse preferibile. Per Ad Dem. 25-26: Οὕτως ἄριστα χρήσει τοῖς φίλοις, ἐὰν μὴ προσμένῃς τὰς παρ᾽ἐκείνων δεήσεις, ἀλλ᾽αὐτεπάγγελτος αὐτοῖς ἐν τοῖς καιροῖς βοηθῇς. 26. Ὁμοίως γὰρ αἰσχρὸν εἶναι νόμιζε τῶν ἐχθρῶν νικᾶσθαι ταῖς κακοποιίαις καὶ τῶν φίλων ἡττᾶσθαι ταῖς εὐεργεσίαις
la lezione ὁμοίως γὰρ αἰσχρὸν compare in PBerol. 8935 e in PKellis, oltre che nel codice Laur. Plut. 55.7 della tradizione medievale, mentre la sottofamiglia umanistica ha δέ in luogo di γάρ (in forma elisa o meno) e la maggior parte della tradizione medievale (il Vat. Urb. gr. 111, il Vat. gr. 65, il Par. gr. 2010) omette del tutto la particella. Tuttavia l’espressione ricorre nell’A Demonico nella forma con la particella in modo quasi formulare e la particella stessa coordina in maniera opportuna le argomentazioni relative ai bisogni e ai benefici, argomentazioni spesso correlate tra loro nella letteratura filosofica. Anche in questo caso il testo dei due testimoni antichi appare dunque preferibile e da stampare. In altri casi la testimonianza del PBerol. 8935 o del PKellis consente di recuperare la buona lezione in accordo con testimoni antichi (Aristotele, Porfirio, lo Stobeo) o con una parte della tradizione medievale, oppure, — 64 —
LIVELLI DI LETTURA E CIRCOLAZIONE LIBRARIA DEI DISCORSI PARENETICI
ancora, la lezione può apparire inferiore ma non è isolata nella tradizione diretta e indiretta.79 Al tempo stesso accade che il PBerol 8935 resti isolato in innovazione inferiore, per esempio in Ad Dem. 34: Βουλεύου μὲν βραδέως, ἐπιτέλει δὲ ταχέως τὰ δόξαντα.
In questo caso il resto della tradizione antica e la tradizione medievale isolano due varianti inferiori del papiro, ποίει in luogo di ἐπιτέλει e ταχέως τὰ δοθέντα in luogo di ταχέως τὰ δόξαντα. Le lezioni del papiro sono banalizzanti e il testo si ricostruisce anche in virtù del criterio interno, grazie al confronto con Ad Dem. 39 ἵνα ... ἐπιτελεῖν δύνῃ τὰ δόξαντα, in quel caso autorevolmente tràdito in maniera concorde. Oppure, ancora, può accadere per esempio che il PBerol 8935 consenta di isolare una innovazione del PKellis, comune anche ad una parte della tradizione. Per Ad Dem. 25 i due ampi testimoni antichi si dividono: [...] Δοκίμαζε τοὺς φίλους ἔκ τε τῆς περὶ τὸν βίον ἀτυχίας καὶ τῆς ἐν τοῖς κινδύνοις κοινωνίας· τὸ μὲν γὰρ χρυσίον ἐν τῷ πυρὶ βασανίζομεν, τοὺς δὲ φίλους ἐν ταῖς ἀτυχίαις διαγιγνώσκομεν.
La lezione βασανίζομεν compare in PBerol 8935 e nel Vat. Urb. gr. 111 e appare preferibile di contro a δοκιμάζομεν del PKellis che in questo caso si accorda con la seconda famiglia in una probabile innovazione banalizzante derivata dall’imperativo precedente. Accanto a diversi testimoni antichi che soccorrono l’editore nella costituzione del testo anche i due ampi testimoni di età imperiale sono dunque di grande significato. Per il PKellis appare accertato il legame con il mondo della scuola, e lo stesso PBerol 8935 può essere ricondotto, come si è detto, ad ambiente scolastico, se si considera la copia sul verso del documento di un tempio, istituzione che spesso prevedeva una attività didattica correlata, come ha mostrato Cribiore. Le scritture di ambedue i manufatti sono informali e personali, più mani compaiono nel PKellis che contiene anche glosse a margine di ascendenza ‘alta’, secondo lo studio condotto da McNamee.80 Una preoccupazione filologica si rileva nel PBerol in particolare quando lascia spazi bianchi o integra le perdite di un esemplare molto probabilmente danneggiato dal quale si trovava a copiare. 79
Rimando alla discussione in CPF 21, 7-15; cfr. anche Menchelli, Note. Poiché legate alla circolazione di glossari antichi autorevolmente tràditi e utilizzati anche dalla lessicografia bizantina, cfr. supra, p. 53. 80
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Ambedue i manufatti sono riferibili pertanto ad un livello scolastico elevato, possono forse essere identificati come ‘libri di professori’, sono in ogni caso libri della sfera alta della cultura. Se la valutazione delle varianti in una tale complessità di testimonianze richiede lo studio caso per caso, e se in più casi la tradizione medievale sembra la sola a conservare la buona lezione, i testimoni antichi presentano una facies assai variegata di diffusione e copia del testo, livelli plurimi di lettura e trascrizione che inducono alla cautela anche nella valutazione delle varianti da contesto scolastico, poiché l’eventuale contesto scolastico alto viene a coincidere con la trasmissione del testo tra figure dotte, le figure dei professori. Per l’A Demonico l’apporto del PBerol 8935 e della messe di altri testimoni induce talvolta a isolare la lezione del PKellis insieme alla seconda famiglia ma in diversi casi i due testimoni antichi sono in accordo in lezioni del tutto difendibili di contro alla tradizione medievale. 4.4. Il testo del Nicocle nell’Antidosi e il PKellis Gli editori del PKellis si schierano in più casi a favore del nuovo testimone, soprattutto nella analisi del contributo del papiro al testo del Nicocle, nel quale, se si considera per esempio il caso della autocitazione dell’Antidosi sopra citato, il PKellis reca un apporto significativo. La forma stessa della autocitazione del Nicocle, non esplicitata da Isocrate ma inserita nel tessuto della trattazione, ha permesso la conservazione dei paragrafi verbalmente trasferiti nell’Antidosi nel Vat. Urb. gr. 111, soggetto, per le più ampie citazioni da Panegirico, Sulla pace, A Nicocle, al taglio delle stesse dal testo dell’Antidosi, e presente invece per la più breve citazione del Contro i sofisti.81 Per quanto riguarda la base testuale, il brano del Nicocle è presente, oltre che nel Vat. Urb. gr. 111, nel Laur. Plut. 87.14, mentre nel Vat. gr. 65 il testo è stato inghiottito dalla lacuna che nel manoscritto del notaio Teodoro ha privato l’Antidosi di un’ampia parte (72-309).82 Può essere interessante anche notare il rapporto tra i due codici nelle autocitazioni, ora che per il Nicocle si è aggiunto, come per A Demonico e A Nicocle, il PKellis. Si prenda in esame un breve brano di Nic. 5: 81 Per il problema delle autocitazioni nel Vat. Urb. gr. 111 cfr. ora Pinto, Isocrate. Analisi del codice Urbinate e problema della forma espansa della citazione del Sulla pace in De Leo, Citazione. 82 Cfr. la ricostruzione dello status quaestionis in Pinto, Isocrate. Sulle edizioni a stampa isocratee e il problema dell’Antidosi cfr. anche Martinelli Tempesta, Sofianòs, per l’esemplare di Sofianòs; Martinelli Tempesta, Vicende; Martinelli Tempesta, Notizie; cfr. inoltre Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus».
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[...] οὐκ αἰσθάνονται τοιούτῳ πράγματι δυσμενῶς ἔχοντες, ὃ πάντων τῶν ἐνόντων ἐν τῇ τῶν ἀνθρώπων φύσει πλείστων ἀγαθῶν αἴτιόν ἐστι. Τοῖς μὲν γὰρ ἄλλοις, οἷς ἔχομεν, οὐδὲν τῶν ἄλλων ζῴων διαφέρομεν, ἀλλὰ πολλῶν καὶ τῷ τάχει καὶ τῇ ῥώμῃ καὶ ταῖς ἄλλαις εὐπορίαις καταδεέστεροι τυγχάνομεν ὄντες.83
Tra le varianti presenti nei testimoni (π1 Γ b γ θ, dove b indica il consensus codicum della seconda famiglia) vorrei citare alcuni casi significativi. Al secondo rigo ἐνόντων π1 Γ γ : ὄντων b θ, dove ἐνόντων è necessario, e per il quale il PKellis è schierato con la prima famiglia e con la forma della autocitazione nel codice Urbinate: il preverbo rende più specifica l’affermazione poiché si fa riferimento alle facoltà insite nella natura umana (non semplicemente che sono nella natura umana), concetto ripreso all’inizio di Nic. 6, e l’usus isocrateo viene a sostegno della lezione, concordemente stampata, ora sostenuta anche dal PKellis. Nel passo i testimoni, concordi, isolano nella parte iniziale lezioni singolari della autocitazione nel codice Laur. Plut. 87.14 (al rigo 1 ὃ πάντων ] ἁπάντων θ e τῶν om. θ, al rigo 3 οὐδὲν ] οὐδενὶ θ) e nuovamente i testimoni, concordi, isolano una omissione singolare della autocitazione del codice Urbinate (al rigo 3 ἄλλων om. γ). Al terzo rigo del testo per la lezione πολλῶν π1 Γ γ θ : πολλῷ b, il PKellis, che presenta di fatto un maggior numero di accordi in innovazione con la seconda famiglia, si schiera con il testo della autocitazione e con la prima famiglia venendo a sostenerne la lezione, che appare preferibile.84 Infine con la variante τῇ ῥώμῃ] ταῖς ῥώμαις θ ancora una volta viene isolata una lezione singolare della autocitazione nel codice Laurenziano. Se si considera Nic. 8: [...] καὶ ῥητορικοὺς μὲν καλοῦμεν τοὺς ἐν τῷ πλήθει λέγειν δυναμένους, εὐβούλους δὲ νομίζομεν, οἵτινες ἂν αὐτοὶ πρὸς αὐτοὺς ἄριστα περὶ τῶν πραγμάτων διαλεχθῶσιν 85
i testimoni presentano tra le varianti più significative λέγειν δυναμένους π1 b γ θ : δυναμένους λέγειν Γ, dove ancora una volta la lezione di PKellis, dife83 «[...] e tanto si discostano dal diritto senso, che non si avveggono che essi portano odio a quella facoltà dell’uomo dalla quale nasce una copia di beni maggiore che da qualsivoglia altra. Imperocché nelle altre, come sarebbe a dire la velocità, la forza e simili, non che noi sormontiamo gli altri animali, anzi ne stiamo loro al di sotto» (traduzione di Giacomo Leopardi). 84 Per l’uso di πολλῷ in Isocrate cfr. anche Fassino, Studi, p. 248, che osserva come nella scelta avverbiale Isocrate usi regolarmente πολύ anche davanti a comparativi e superlativi. Il genitivo viene stampato sia da Drerup, Isocratis opera, sia da Mathieu – Brémond, Isocrate. 85 «[...] ed eloquenti sono denominati quelli che sanno favellare nella moltitudine, avveduti poi si stimano coloro che più saviamente parlano seco stessi di quel che occorre» (traduzione di Giacomo Leopardi).
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sa autorevolmente dagli editori del papiro 86 e stampata per il Nicocle dagli editori dell’opera, viene a schierarsi con la autocitazione isocratea dell’Antidosi e, in questo caso, con la seconda famiglia della tradizione di Isocrate, isolando il codice Urbinate. Il caso della autocitazione del Nicocle può gettare luce sul PKellis come testimone, che per i brani esemplificati viene a sostenere la buona lezione di fatto meglio rappresentata nella tradizione, e sulla presenza di corruttele nel Laur. Plut. 87.14 (in particolare per le autocitazioni, dove purtroppo il Vat. Urb. gr. 111 per le estensioni di testo più ampie viene meno), oltre che ribadire la necessità di valutare caso per caso ognuna delle varianti delle due famiglie della tradizione di Isocrate, già in preformazione nelle testimonianze dei papiri.87 Accanto ad una circolazione scolastica propriamente detta, la circolazione cosiddetta scolastica comunque alta, legata a diversi livelli di lettura del testo, e i confini sfumati tra tale circolazione e i libri degli uomini di cultura inducono a rif lettere ancora sui rapporti tra testimoni antichi e tradizione medievale.
86 87
Cfr. anche Worp-Rijksbaron, Kellis, pp. 253-255. Cfr. le già più volte citate parole di Pasquali, Storia, e ora Martinelli Tempesta, Nota.
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PARTE SECONDA
Marco Fassino TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI: L’ESEMPIO DEL PLATAICO
1. La tradizione degli argumenta isocratei: un inquadramento generale Come hanno recentemente messo in luce vari contributi di Mariella Menchelli, i paraphernalia che una parte importante della tradizione manoscritta ha trasmesso accanto al testo di Isocrate – ovvero la cosiddetta Vita anonima, gli argumenta, e probabilmente anche gli scoli – altro non sono che stralci da un unico commentario isocrateo, inf luenzato dal tardo neoplatonismo e attribuibile con buona verosimiglianza a Zosimo di Gaza o Ascalona.1 Dal punto di vista stemmatico,2 gli argumenta sono tràditi esclusivamente dalla seconda famiglia dei manoscritti isocratei, le cui relazioni genetiche possono essere rappresentate dal seguente schema:
* Ricordo con riconoscenza tutti i partecipanti alle piacevoli giornate viterbesi, e in particolare Maddalena Vallozza per il suo generoso impegno di organizzatrice. Sono grato a Mariella Menchelli, Roberto Nicolai e Mauro Tulli per la proficua discussione sulla mia relazione. Ringrazio infine gli amici Stefano Martinelli Tempesta ed Emanuel Zingg per le loro preziose osservazioni ad una prima versione di questo contributo. 1 Menchelli, Scritti; Menchelli, Argumentum, pp. 83-88; Menchelli, Commentary, pp. 16-21; Menchelli, Frammenti. Per l’attribuzione della Vita a Zosimo, cfr. già Westermann, Βιογράφοι, p. xvii. Per l’ipotesi di un unico scritto comprendente Vita, argumenta e scoli, cfr. già Münscher, Isokrates, coll. 2146-2149; cfr. anche Gärtner, Zosimos, col. 793. 2 Le osservazioni che seguono si basano sulla collazione completa dei testimoni dell’Encomio di Elena e del Plataico che ho effettuato per la mia tesi di dottorato (Fassino, Studi), discussa il 31 maggio 2011 presso l’Università degli Studi di Milano e disponibile all’indirizzo . Della prima parte di questa tesi ho pubblicato nel frattempo una versione riveduta e ampliata: Fassino, Tradizione. Sulla stemmatica delle orazioni di Isocrate, cfr. anche Fassino, Nuove acquisizioni; Martinelli Tempesta, «Panegirico»; Martinelli Tempesta, Apografi; Martinelli Tempesta, Nota.
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MARCO FASSINO
a
b
Vat. gr. 65 (Λ) (+ apografi)
c
Laur. 87.14 (Θ)
Par. gr. 2932 (Π)
Laur. 58.5 (Ν)
Salm. 279 (S) Vat. gr. 1383 (Vat) Tol. 101-13 (Tol) Bodl. Auct. T.1.11 (Auct)
Il maggior numero di argumenta è trasmesso dal ramo dei cosiddetti testimoni ‘umanistici’,3 cui appartengono in particolare i seguenti codici: 4 Par. gr. 2932 = Π (1415/1430 circa); 5 Laur. Plut. 58.5 = Ν (sec. XV, ante 12/6/1445) 6 con il suo apografo Toletanus 101-13 = Tol (sec. XV, seconda metà); 7 Salman3 Questa definizione convenzionale va intesa nel senso che il ramo in questione raccoglie tutti i testimoni primari di età umanistica: se invece si considerano anche gli apografi (in particolare quelli del Vat. gr. 65 = Λ e quelli, assai meno numerosi, dell’Urb. gr. 111 = Γ), la tradizione isocratea comprende ovviamente parecchi altri codici umanistici. 4 Tralascio qui di séguito l’Oxon. Bodl. Auct. T. 1. 11 = Auct (descrizione e bibliografia in A. Cataldi Palau, A Catalogue of Greek Manuscripts from the Meerman Collection in the Bodleian Library, Oxford, Bodleian Library 2011, pp. 131-138; Fassino, Tradizione, pp. 88-92), che, pur essendo un testimone primario di questo ramo (cfr. ivi, pp. 172-177, 184-185), non contiene argumenta e non trasmette il Plataico, ma solo frammenti più o meno mutili di Encomio di Elena, Nicocle, A Nicocle ed Evagora (ff. 189r-194v). Per il Laur. Plut. 59.37 = Ο, cfr. infra, n. 7. 5 Descrizioni recenti e bibliografia in Martinelli Tempesta, «Panegirico», p. 107; Menchelli, Scritti, pp. 270-271; Fassino, Tradizione, pp. 104-106. Per la datazione cfr. infra, n. 43. 6 Descrizioni recenti e bibliografia in Martinelli Tempesta, «Panegirico», pp. 107-110; Menchelli, Scritti, pp. 258-260; Fassino, Tradizione, pp. 57-61. 7 Descrizioni recenti e bibliografia in E. Amato, Studi su Favorino. Le orazioni pseudo-crisostomiche, Salerno, Edisud 1995, pp. 93-99; A. Verrengia, Dione di Prusa, In Atene, sull’esilio (or. XIII), Napoli, Lettere italiane 2000, pp. 18-19; Menchelli, Scritti, pp. 266-268; Fassino, Tradizione, pp. 118-119. Un altro apografo di Ν è il Laur. Plut. 59.37 = Ο (per cui cfr. Menchelli, Scritti, pp. 260-279), che riporta solo A Demonico e Contro i sofisti, preceduti dalla Vita anonima e dall’argumentum dell’A Demonico.
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TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI
tinus 279 olim 1-2-15 = S (a. 1447); 8 Vat. gr. 1383 = Vat (sec. XV).9 Conviene notare, però, che l’ultimo (Vat) si discosta dagli altri testimoni ‘umanistici’ per il fatto che in esso gli argumenta non sono preposti alle singole orazioni, ma si trovano raccolti – uno di séguito all’altro – alla fine del manoscritto.10 Poiché questo codice, peraltro, non trasmette le orazioni di cui sto curando l’edizione (Encomio di Elena e Plataico),11 in questa sede non me ne occuperò specificamente. A monte del ramo degli ‘umanistici’ si può riconoscere con sicurezza la presenza di un modello comune, costituito da un’edizione perduta in due tomi, contenenti rispettivamente le prime tredici orazioni (A Demonico, A Nicocle, Nicocle, Panegirico, Encomio di Elena, Evagora, Busiride, Contro i sofisti, Plataico, Areopagitico, Filippo, Sulla pace, Archidamo) e le ultime otto (Panatenaico, Antidosi, Contro Lochite, Contro Eutino, Sulla biga, Eginetico, Trapezitico, Contro Callimaco). La tradizione testuale del secondo tomo è scomparsa senza lasciare traccia. Dal primo tomo, invece, discendono i codici appena ricordati: Π e Ν ne conservano integralmente il contenuto, mentre S riporta solo le prime sette orazioni (fino al Busiride) e Tol le prime cinque (fino all’Encomio di Elena).12 In tutti questi manoscritti ciascun discorso è preceduto dal rispettivo argumentum. Fanno eccezione solo il Nicocle e il Panegirico: nel corso della trasmissione, infatti, l’argumentum del Nicocle fu anteposto per errore non al Nicocle stesso, ma al testo che nell’ordine veniva subito dopo, cioè il Panegirico; con la duplice conseguenza che il Nicocle è l’unica orazione ad avere l’argumentum non in testa ma in coda e che l’argumentum del Panegirico – ormai spodestato da quello del Nicocle – è andato irrimediabilmente perduto. Oltre che nel ramo degli ‘umanistici’, alcuni argumenta compaiono anche in un certo numero di apografi del più antico testimone della seconda famiglia, il Vat. gr. 65 = Λ (sottoscritto il 25 aprile 1063),13 che però allo 8 Descrizioni recenti e bibliografia in Martinelli Tempesta, «Panegirico», pp. 110-115; Menchelli, Scritti, pp. 268-270; T. Martínez Manzano, El texto de Isócrates del Salmanticensis 279, «CFC (G)», XVI, 2006, pp. 211-236; Fassino, Tradizione, pp. 115-117. 9 Descrizione in Menchelli, Scritti, pp. 279-280. 10 Cfr. Menchelli, Argumentum, pp. 76 e 85. 11 Cfr. supra, n. 2. 12 In Vat, invece, sono presenti A Demonico, A Nicocle, Nicocle, Busiride ed Evagora; in Auct Encomio di Elena, Nicocle, A Nicocle ed Evagora, ma senza argumenta (cfr. supra, n. 4); in Ο A Demonico e Contro i sofisti, preceduti dalla Vita e dall’argumentum dell’A Demonico (cfr. supra, n. 7). 13 Descrizioni recenti e bibliografia in Pinto, Isocrate, pp. 42-44; Martinelli Tempesta, «Panegirico», pp. 103-104; Menchelli, Scritti, pp. 287-288; Fassino, Tradizione, pp. 36-40. Per una descrizione dettagliata di tutte le mani del codice, cf r. Menchelli, Argumentum, pp. 67-69.
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MARCO FASSINO
stato attuale ne è completamente sprovvisto.14 È stata tuttavia avanzata l’ipotesi che anche Λ, nel suo assetto originario, contenesse gli argumenta. Gli attuali ff. 1-4, infatti, sono frutto di un restauro realizzato su un autonomo binione palinsesto da due mani, tra loro coeve, del XIII secolo,15 quando ormai i fascicoli iniziali erano caduti nell’incendio che aveva anticamente danneggiato il codice e le cui tracce sono ben evidenti lungo i margini superiori e sugli angoli esterni di ciascun foglio. La numerazione più antica dei fascicoli, visibile nell’angolo superiore interno di ogni primo recto e nell’angolo inferiore interno di ogni ultimo verso, attribuisce all’attuale secondo fascicolo (ff. 5-12) la cifra δ.16 L’estensione del danno iniziale deve perciò corrispondere a tre fascicoli interi. Dal momento che Λ risulta composto quasi solo da quaternioni,17 è verosimile che anche questi tre fascicoli iniziali avessero la medesima consistenza: in origine, dunque, l’attuale f. 5r, che si apre con le parole [τέρ]ψεις εἰλικρινεῖς (Ad Dem. 46), era probabilmente preceduto da altri 24 fogli. È stato notato da tempo come i primi 45 paragrafi e mezzo dell’A Demonico non siano sufficienti a colmare per intero lo spazio a disposizione e si è pertanto ipotizzato che all’inizio del codice si trovassero la Vita anonima e tutti gli argumenta accorpati (Buermann) oppure soltanto la Vita (Drerup).18 In base ai miei calcoli, la prima ricostruzione è quella corretta: l’estensione della porzione mancante di Λ si giustifica solo se in essa erano contenuti 14 Con l’eccezione dell’argumentum dell’Evagora, trasmesso da Λ in una forma molto particolare, come si dirà fra breve. 15 Cfr. Menchelli, Argumentum, p. 68 e n. 15, che cita anche l’opinione di Inmaculada Pérez Martín. 16 Un’altra numerazione, posteriore al restauro dei ff. 1-4, compare invece nell’angolo inferiore esterno di ogni primo recto e inizia dal primo fascicolo con la cifra α. Per ulteriori dettagli, cfr. Buermann, Überlieferung, I, pp. 5-7, che segnala anche alcune discrepanze tra le due serie di numerazioni. 17 Degli attuali 39 fascicoli, presentano una diversa consistenza solo l’iniziale binione di restauro (ff. 1-4), il fascicolo 11 (un ternione, ff. 77-82) e gli ultimi due (ff. 291-299 e 300-304). 18 Buermann, Überlieferung, I, p. 6: «Wir dürfen annehmen, daſs auch der verlorene Teil von Λ nichts weiter als jene Vita mit den Hypothesen, diese aber vielleicht zu sämtlichen Reden, enthielt». Drerup, Isocratis opera, p. xv: «cum pagina scripturae antiquae in Λ (22-23 versuum; manus recentior versus 21-28 habet) versibus fere 24 editionis Teubnerianae respondeat, pars orationis Demoniceae amissa codicis paginas circiter 142/5 complebat. Restant ergo 93/5 paginae, quae Isocratis vitae in codicibus ΠΝ servatae plane conveniunt. Praeterea orationum argumenta, quae Buermannus et ipsa codici tribuit (I p. 6), in eo fuisse nequeunt»; come si può notare, però, il conteggio di Drerup è viziato alla radice dal fatto che lo studioso confonde i folia caduti (che sono 24, pari a 3 quaternioni) e le paginae (che sono ovviamente il doppio), sicché, detratto lo spazio corrispondente alla Vita, di pagine ne restano ancora non 93/5, ma 333/5! Cfr. anche Martinelli Tempesta, Nota, pp. xxiv-xxv.
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sia la Vita sia gli argumenta di tutte le 21 orazioni,19 compresi quelli assenti dal ramo degli ‘umanistici’. Si può infatti stimare in circa 1.900 caratteri la capienza di ciascuno dei fogli (recto + verso) perduti all’inizio di Λ. Questo dato emerge dalla comparazione con i primi fogli originari conservati: l’attuale f. 6rv, infatti, contiene circa 1.915 caratteri,20 il f. 7rv circa 1.881, il f. 8rv circa 1.880, il f. 9rv circa 1.979. Il recto del f. 5 ha circa 964 caratteri disposti su 22 linee, mentre il verso, a causa del titolo dell’A Nicocle, ne presenta solo 813 su 20 linee; ma anche il f. 5v, se avesse 22 linee, conterrebbe in proporzione circa 894 caratteri, per un totale di 1.858. La parte dell’A Demonico caduta prima del f. 5 ammonta a circa 13.852 caratteri; la Vita a circa 7.803; i 12 argumenta trasmessi anche dagli ‘umanistici’ a circa 13.862.21 Tutta la sequenza Vita + 12 argumenta + parte caduta dell’A Demonico avrebbe dunque occupato un’estensione di circa 35.517 caratteri. Con una media di 1.900 caratteri per foglio, questa sequenza corrisponderebbe a 18½-19 fogli. Resta da stabilire cosa contenessero i restanti 5-5½ fogli, pari a circa 9.500-10.450 caratteri. Certo non poteva bastare a riempirli il fatto che la Vita, l’A Demonico e magari ciascun argumentum fossero preceduti da un titolo su due linee, perché si sarebbe trattato di appena 28 linee in totale, ovvero poco più di mezzo foglio. È dunque ragionevole supporre che nell’ulteriore spazio disponibile comparissero anche gli argumenta del Panegirico e delle rimanenti 8 orazioni, di cui gli ‘umanistici’ sono sprovvisti. Se infatti si considera che l’estensione media degli argumenta conservati, pur con le notevoli oscillazioni tra l’uno e l’altro, è di circa 13.862 / 12 = 1.155 caratteri, allora per gli argumenta perduti sarebbero necessari in proporzione circa 1.155 × 9 = 10.395 ca19 Sul fatto che tutte le orazioni, e non soltanto le 12 (13 con il Panegirico) appartenenti al primo tomo del ramo dei testimoni ‘umanistici’, fossero in origine provviste di un proprio argumentum, cfr. anche infra, sezione 3. 20 Per questi calcoli, mi sono basato sul testo digitalizzato in formato Beta Code nel Thesaurus Linguae Graecae online dell’Università della California di Irvine (), tralasciando naturalmente gli spazi di separazione delle parole, i segni diacritici, di punteggiatura e di formattazione. I testi di riferimento, pertanto, sono Mathieu – Brémond, Isocrate, per le orazioni, e Dindorf, Scholia, per la Vita e gli argumenta. Non mi è stato possibile, ovviamente, tener conto delle singole varianti, se non nei casi più macroscopici, che potessero inf luire in modo significativo sui conteggi. Tutte le cifre, dunque, vanno considerate come approssimative. 21 Più in dettaglio, le estensioni dei singoli argumenta sono le seguenti: Ad Dem. 1.175 caratteri, Ad Nic. 580, Nic. 988, Hel. 738, Euag. 1.913, Busir. 2.145, C. soph. 2.000, Plat. 1.065, Areop. 700, Phil. 776, De pace 963 (senza contare l’annotazione marginale presente solo in Ν e riportata indebitamente a testo nelle edizioni a stampa: cfr. Menchelli, Isocrate commentato, pp. 24-26 e 33), Archid. 819.
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ratteri. Si tratta con ogni evidenza di un dato straordinariamente conforme ai valori attesi. A quanto sembra, dunque, il codice Λ presentava in apertura dell’intero corpus isocrateo un’ampia e continua sezione introduttiva formata dalla Vita anonima e dagli argumenta di tutte le orazioni.22 È ben probabile, peraltro, che questo assetto editoriale sia quello originario della seconda famiglia (a), o almeno dell’esemplare comune a Λ stesso e agli ‘umanistici’ (b),23 e sia perciò anteriore alle innovazioni sostanziali che emergono nella testimonianza di questi ultimi: vale a dire la disseminazione dei singoli argumenta in testa a ciascuna orazione,24 nonché la dislocazione dell’argumentum del Nicocle e la conseguente perdita di quello del Panegirico. A questo proposito, è ragionevole supporre che sia stato il primo fenomeno a produrre gli altri due: con ogni verosimiglianza, l’argumentum del Nicocle sarà stato trascritto nella posizione sbagliata proprio durante il confezionamento dell’esemplare che per primo ha disseminato gli argumenta; si può infatti immaginare che il copista di questo esemplare, mentre provvedeva a trascrivere gli argumenta in corrispondenza dell’incipit (e forse sui margini) delle rispettive orazioni, abbia saltato per errore il passaggio tra la fine dell’A Nicocle e l’inizio del Nicocle, finendo così per collocare l’argumentum di quest’ultimo davanti al successivo Panegirico. La caduta dei fascicoli iniziali di Λ, comunque, si produsse troppo presto perché i suoi apografi potessero utilizzarlo come fonte per gli argumenta. Come si vedrà fra breve, la reintroduzione di un certo numero di essi in alcuni rami della discendenza di Λ è un fenomeno successivo e sostanzialmente riconducibile alla memoria testuale degli ‘umanistici’. Un discorso a parte merita solo l’argumentum dell’Evagora,25 che Λ ha eccezionalmente incorporato anche nel proprio corredo scoliastico in 22 Al riguardo, sono significative le formule di raccordo presenti tra la fine della Vita e l’inizio del primo argumentum, dalle quali si ricava che questi testi erano pensati per una lettura in successione: cfr. Menchelli, Scritti, pp. 296-299. 23 Si tenga infatti presente che il Laur. Plut. 87.14 = Θ (sec. XIII, seconda metà; descrizioni recenti e bibliografia in Pinto, Isocrate, pp. 49-51, Martinelli Tempesta, «Panegirico», pp. 105106, J. Diggle, Theophrastus, Characters, Cambridge, CUP 2004, p. 45 n° 11, Fassino, Tradizione, pp. 66-70), il quale sostiene da solo metà del peso stemmatico della seconda famiglia, non riporta gli argumenta. 24 Come si è già detto, tra gli ‘umanistici’ fa eccezione Vat, che curiosamente decide di raggruppare i suoi argumenta (Ad Dem., Ad Nic., Nic., Euag.), l’uno di séguito all’altro, in coda al manoscritto. È però evidente che si tratta di un’operazione seriore, senza alcuna connessione con Λ. 25 La questione è stata studiata molto approfonditamente da Menchelli, Argumentum, cui rinvio per tutti i dettagli. Cfr. anche Martinelli Tempesta, Nota, p. xxiv.
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margine all’inizio dell’orazione (f. 71rv), dove è tuttora possibile leggerlo, pur in forma ridotta rispetto a quella presente in Π Ν S e Vat. La sezione iniziale dell’argumentum, infatti, da ἰστέον ὅτι τὸν λόγον τοῦτον fino a τριάκοντα τάλαντα ὑπὲρ τούτου ἐδέξατο,26 è attualmente trasmessa solo dagli ‘umanistici’; in margine al f. 71r di Λ, invece, essa è stata rimpiazzata da uno scolio relativo ai «tre proemi» dell’orazione: 27 τριῶν προοιμίων ὡς εἴπομεν μελλόντων λέγεσθαι ... πρὸς αὐτὸν τὸν ἀπελθόντα.28 Ora, il testo dell’argumentum, in tutti gli apografi di Λ che lo riportano (Vat. Pal. gr. 135, ff. 4v-5r; Par. gr. 2930, f. 27r; Par. gr. 2990, f. 139rv; Par. gr. 2991, f. 33r; Cremon. 160,29 f. 29r), ha caratteristiche analoghe a quello di Λ stesso, ovvero è annotato sui margini e presenta lo scolio sui «tre proemi» al posto della prima sezione dell’argumentum vero e proprio. È dunque evidente che, limitatamente a questo argumentum (l’unico, del resto, rimasto in parte disponibile anche dopo la caduta dei tre fascicoli iniziali), gli apografi di Λ si sono potuti servire del proprio modello principale, senza ricorrere a fonti esterne.30 2. La tradizione dell’argumentum del Plataico L’argumentum del Plataico è tramandato, oltre che da Π e Ν, da tre apografi di Λ (Par. gr. 2930 = Τ, Par. gr. 2990 = Par.2990, Par. gr. 2991 = Par.2991) e da quattro codici contenenti solo gli argumenta di Contro i sofisti, Plataico e Areopagitico; tra questi quattro si annovera anche il manoscritto appartenuto ad Andreas Mustoxydis, di cui il dotto corcirese dà notizia proprio nella sua editio princeps (1817) della Vita e degli argumenta fino ad 26 Per una trascrizione completa di questa sezione dell’argumentum, cfr. Dindorf, Scholia, p. 112 rr. 16-24; Menchelli, Argumentum, pp. 72 (in alto) e 91 (rr. 2-9 del greco). 27 Il f. 71rv è riprodotto in Menchelli, Argumentum, post p. 80. In Λ lo scolio è graficamente ben distinto rispetto allo stralcio dell’argumentum, che inizia con ζητήσειε δ᾿ ἄν τις; negli apografi di Λ, invece, lo scolio e l’argumentum tendono a succedersi senza soluzione di continuità: cfr. ivi, p. 74. 28 Per una trascrizione completa, cfr. Dindorf, Scholia, p. 121 rr. 7-10; Menchelli, Argumentum, p. 72 (in basso, parte in corsivo). 29 Dalle mie collazioni il Cremon. 160 risulta apografo del Par. gr. 2930 attraverso una Zwischenstufe perduta e contaminata con un’altra fonte: cf r. M. Fassino, Un problema stemmatico in relazione all’Urb. gr. 112 e ad altri codici di Isocrate. Con una nota sulle fonti della versione latina dell’Elena di Martino Filetico, «Accademia Raffaello. Atti e Studi», 2011, 2, pp. 89-105: 99-102. 30 Questa conclusione è già prospettata per il Par. gr. 2930 e, seppur in forma dubitativa, per il Vat. Pal. gr. 135, il Par. gr. 2990 e il Par. gr. 2991 da Menchelli, Argumentum, pp. 74-76.
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allora inediti: 31 tale manoscritto è probabilmente deperdito.32 Nell’indice che segue, la notazione @, posta prima o dopo il titolo dell’orazione, segnala la presenza del relativo argumentum e la sua posizione, rispettivamente in testa o in coda all’orazione stessa; l’eventuale notazione mg specifica che l’argumentum è annotato sui margini. 1) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 58.5, ff. 63v-64r 33 Ν Sec. XV (ante 12/6/1445); 34 cart.; ff. IV + 123 (+ 11bis) + IV’; mm 330 × 238. 31 Mustoxydis, Συλλογή, fasc. 2, pp. 1-8 [talvolta cit. come fasc. 1, pp. 25-32]; fasc. 4 [talvolta cit. come fasc. 3], pp. 22-23. Fino ad allora erano conosciuti solo gli argumenta di Filippo, Sulla pace, Archidamo e Busiride: i primi tre pubblicati da Demetrio Calcondila nell’editio princeps milanese del 1493, l’ultimo aggiunto da Marco Musuro nell’Aldina del 1513 (cfr. Menchelli, Isocrate commentato). Il Mustoxydis nel 1817 pubblicò per la prima volta la Vita e gli altri otto argumenta conservati: per quelli di A Nicocle, Nicocle, Evagora ed Elena si basò unicamente su Ν, le cui lezioni gli furono comunicate da Francesco del Furia (cfr. Συλλογή, fasc. 2, pp. 4-6 e 8 nota 4/α); per quelli di Areopagitico, Contro i sofisti e Plataico utilizzò il proprio manoscritto, ma in un secondo momento si preoccupò di fornire pure le lezioni di Ν (cfr. ivi, fasc. 2, pp. 1-4 e 6 nota 1/α: «τρεῖς ἄλλαι [scil. ὑποθέσεις] σήμερον εἰς τὸ φῶς προκύπτουν ἀπὸ ἓν μικρόν μας χειρόγραφον»; fasc. 4 [3], pp. 22-23: «ἀναγκαῖον πρὸς τούτοις ἐκρίναμεν, πρὸς σαφήνειαν καὶ ἀνόρθωσιν τῶν ἀπὸ τοῦ ἡμετέρου χειρογράφου διεφθαρμένως ἀναγινωσκομένων ὑποθέσεων [...] εἰς μέσον νὰ φέρωμεν τὰς ἀπὸ τῆς λαυρεντιανῆς τῶν αὐτῶν ὀρθοτέρας ἑξῆς γραφὰς»); infine, per la Vita e l’argumentum dell’A Demonico, da lui editi senza soluzione di continuità sotto l’unico titolo ΑΝΟΝΥΜΟΥ ΒΙΟΣ ΙΣΟΚΡΑΤΟΥ (sic), si servì di Ν e del Laur. Plut. 59.37 = Ο (cfr. ivi, fasc. 4 [3], pp. 9-22: spec., sui due manoscritti, p. 16). 32 A meno che non si tratti di un recentissimus, sfuggito, in quanto tale, al vaglio dei testimoni fin qui condotto. Tuttavia, nessun codice dal contenuto compatibile compare nella congerie di recentissimi citati in Mandilaras, Isocrates, pp. 61-89. 33 Secondo la foliazione più antica, cioè quella segnata nel margine superiore esterno di ogni recto. Queste carte corrispondono ai ff. 64v-65r della foliazione moderna, che è stata eseguita a matita su ogni foglio recto (in corrispondenza dell’angolo inferiore destro del testo) e deriva da una dislocazione, poi corretta, dei fascicoli: cfr. le note di Rosario Pintaudi nella tasca aderente alla controguardia posteriore del codice. 34 La datazione discende dall’identificazione del copista con Gian Pietro da Lucca e del manoscritto con l’Isocrate menzionato fra i 43 libri che proprio il 12 giugno 1445 Vittorino da Feltre inviò da Mantova a Verona presso Gian Pietro, la cui lista si conserva all’Archivio di Stato di Mantova: cfr. M. Cortesi, Libri e vicende di Vittorino da Feltre, «Italia medioevale e umanistica», XXIII, 1980, pp. 77-114: 93 no 29; S. Gentile, I codici greci della Biblioteca Medicea privata, in I luoghi della memoria scritta. Manoscritti, incunaboli, libri a stampa delle Biblioteche Statali Italiane, direzione scientifica di G. Cavallo, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato 1994, pp. 115-121: 117, 170, 173; M. Cortesi, Libri greci letti e scritti alla scuola di Vittorino da Feltre: fra mito e realtà, in G. Prato (ed.), I manoscritti greci tra rif lessione e dibattito, Atti del V Colloquio Internazionale di Paleografia Greca, Cremona, 4-10 ottobre 1998), I-III, Firenze, Gonnelli 2000, I, pp. 401-416; ulteriore bibliografia in D. Speranzi, La biblioteca dei Medici. Appunti di storia della formazione del fondo greco della libreria medicea privata, in G. Arbizzoni – C. Bianca – M. Peruzzi (edd.), Principi e signori. Le Biblioteche nella seconda metà del Quattrocento, Atti del Convegno di Urbino, 5-6 giugno 2008, Urbino, Accademia Raffaello 2010, pp. 217-264: 242 n. 59, 244 n. 68.
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Cop.: .35 13 orazioni con Vita anonima e 12 argumenta: Vita, @Ad Dem., @Ad Nic., Nic.@, Paneg., @Hel., @Euag., @Busir., @C. soph., @Plat., @Areop., @Phil., @De pace, @Archid. 2) Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 69 sup. = Gr. 184, ff. 199v-200r C69 Cart.; ff. I + 239. Composito, formato da dieci unità codicologiche: 36 la sesta (ff. 170-205) contiene la sezione isocratea. Ff. 170-205. 1559-1565; 37 mm 238 × 170. Cop.: 38 (anche ai ff. 1-30 e 79-147). Altre mani: (ff. 31-78) ; (ff. 148-169) mano occidentale; (ff. 206-221) ; (ff. 222-227) mano non identificata; (ff. 228-239) ; (ff. 172r, 178r) annotazioni di Michele Sofianòs; pinax (f. Ir) e annotazioni sparse di Gian Vincenzo Pinelli. (ff. 170r-199r) scoli a Luciano; (ff. 199r-200r) argumenta di 3 orazioni isocratee: C. soph., Plat., Areop.; (ff. 200r-202r) lessico di Erodoto. 3) Milano, Biblioteca Ambrosiana, G 88 suss. (già C. S. I. 2) = Gr. 1077, G88 f. 48v Cart.; ff. III + 52; mm 215 × 159. Composito, formato da tre unità codicologiche (ff. 1-21, 22-25, 26-52). Ff. 26-52. 26-28 ottobre 1559.39 Cop.: 40 Teodoro . Altre mani: (ff. 1-21) , (ff. 22-25) mano non identificata. (ff. 26r-46r) scoli a Luciano; (f. 48rv) argumenta di 3 orazioni isocratee: C. soph., Plat., Areop.; (ff. 49r-50r) lessico di Erodoto; (ff. 50v-51v) Costantino Lascaris, προλεγόμενα τοῦ σοφοῦ Ὀρφέως; (ff. 51v-52r) Costantino Lascaris, περὶ ποιητοῦ; (f. 52v) schema intitolato τρόπος ἄριστος τοῦ ἐφευρίσκειν τὰς στάσεις.
35
Cfr. n. 34. Cfr. Géhin, Évagre, pp. 265-313. 37 Cfr. ivi, p. 288. 38 Cfr. n. 36. 39 Cfr. Géhin, Évagre, pp. 284-285. 40 Cfr. ivi, pp. 284-288. 36
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Τ 4) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. gr. 2930, ff. 36v-37r Sec. XIV/XV; 41 cart.; ff. V (A-E) + 169 + V’; mm 280 × 205. Cop.: .42 21 orazioni (ff. 1r-117r) con 8 argumenta: Ad Nic., Nic., Paneg., Ad Dem., Hel., @mgEuag., @Busir., @C. soph., @Plat., @Areop., @Phil., @De pace, @mgArchid., Panath., Antid., C. Loch., In Euth., De big., Aegin., Trapez., In Call. Altri testi: (ff. 118r-165r) Eschine, Contro Timarco, Sull’ambasceria, Contro Ctesifonte; (ff. 168r-169v) Dione di Prusa, Orazioni LIII-LVII [frammentarie].
5) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. gr. 2932, ff. 81v-82r Π 43 1415/1430 circa; cart.; ff. III + 154 + V’; mm 286 × 208. Cop.: (ff. 1r-150v, l. 28 πα|ρακ[ολουθήσουσιν] + 151v-154v) m. 1; (ff. 150v, l. 28 [πα|ρακ]ολουθήσουσιν - 151r) m. 2. 13 orazioni con Vita anonima e 12 argumenta: Vita, @Ad Dem., @Ad Nic., Nic.@, Paneg., @Hel., @Euag., @Busir., @C. soph., @Plat., @Areop., @Phil., @De pace, @Archid. 6) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. gr. 2990, f. 4rv Sec. XIV; 44 cart.; ff. II + 189 + II’; mm 215 × 138. 41 Questa datazione, proposta sulla base degli anni di attività del copista, come ricostruiti a partire dai suoi autografi Par. Coisl. 201 e Neap. II A 31 (cfr. Martinelli Tempesta, Apografi, p. 196 n. 135), è confermata dalle filigrane: 1(ff. 5-44, 57-77, 118-152, 168) simile a Briquet Lion 10487 (Montpellier 1384, Rodez 1386), 10499 (Siena? 1390, Rhijnland 1395), 10506 (Montbrison 1388) e Piccard Raubtiere. Löwe 1542-1554 (1386-1413); 2(ff. 49-54, 61-64, 110-116) simile a Piccard Online () Glocke 40119 (1400); 3(ff. 79-87, 93) simile a Piccard Turm II 534-536 (1400-1408) e Piccard Online Turm 101080-101084 (1400-1403); 4(ff. 8890, 98-109) simile a Briquet Compas 4462 (Siena 1402, Pisa 1403) e Piccard Werkzeug und Waffen IV 1059 = Piccard Online Werkzeug/Waffe. Zirkel 122582 (Barcelona 1397); 5(ff. 137-139, 154161) simile a Piccard Verschiedene Vierfüsser. Bock 321-322 = Piccard Online Vierfüßer. Bock 85701 (Firenze 1395), 85702 (Pisa 1397). 42 Cfr. Menchelli, Frammenti, pp. 261-262. 43 La datazione qui proposta si basa sull’esame delle filigrane: 1(ff. 2-10, 14-16, 24-25, 133137) simile a Piccard Online Dreiberg 150664 (Bologna 1414), 150869 (Bologna 1417), 151050 (Bologna 1414); 2(ff. 11-12, 18, 30) simile a Briquet Cloche 4033 (Fabriano 1387, Perpignan 1397), 4034 (Montpellier 1400, Lucca 1402-1407, Fabriano 1418) e Piccard Online Glocke 40296 (Arnhem 1429-1430), 40303 (Arnhem 1421), 40308 (Arnhem 1430); 3(ff. 23, 29) simile a Piccard Turm II 503-504 (Kamenecz, Leßlau, Wladislavie 1420-1421) e Piccard Online Turm 100743 (Leuven 1420), 100794 (Wladislawie 1421); 4(ff. 31-80) simile a Piccard Online Vogel 42049-42050 (Reden 1431); 5(ff. 76, 114-115, 126-128, 145, 150) altri esempi di Tre monti; 6(ff. 81-139) simile a Briquet Enclume 5954 (Palermo 1416-1424) e Piccard Online Werkzeug/Waffe. Amboss 122618 (Salzburg 1428); 7(ff. 143-) simile a Piccard Online Turm 100744 (Leuven 1420). 44 La retrodatazione al XIV secolo è stata proposta con prudenza da Menchelli, Isocrate commentato, p. 17 e n. 53 (cfr. anche Menchelli, Frammenti, p. 251 e n. 3), che ha segnalato la somiglianza della mano presente ai ff. 187r-189v con quella di Giorgio Galesiota (prima metà
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Par.2990
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Cop.: (ff. 187r-189v) ? 45 15 orazioni (ff. 1r-185r) con 7 argumenta: C. soph., @Plat., @Areop., @Phil. [lacunoso], @De pace, @Archid., Trapez., Aegin., In Call., Ad Nic., Nic., Hel., @mg Euag., @Busir., Paneg. [mutilo]. Altri testi: 46 (f. 4v mg.) Ermogene, Περὶ στάσεων 7 (περὶ πραγματικῆς: fino a Περικλῆς Ὀλύμπιος ἐκλήθη); (ff. 187r-189v) Libanio, Declamazioni XVIII e XVII [frammentarie].47 Par.2991 7) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. gr. 2991, f. 41v Sec. XV, ultimo quarto; 48 cart.; ff. III + 226 (– 119) 49 + VII’; mm 210 × 145. del XIV secolo); a favore della retrodatazione e dell’identificazione con la grafia posata del Galesiota si è poi pronunciato con più nettezza Martinelli Tempesta, Apografi, p. 198 e nn. 149, 152 (cfr. anche Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus», p. 131). In precedenza Par.2990 era datato al XV secolo: cfr. Omont, Inventaire, p. 81; Drerup, Isocratis opera, p. xxx. 45 Cfr. supra, n. 44. 46 A quanto mi risulta, questi testi non sono stati correttamente identificati nel manoscritto prima d’ora: per i frammenti di Libanio, Martinelli Tempesta, Apografi, p. 198 e n. 150, e Menchelli, Frammenti, p. 251, n. 3, dipendono ancora, rispettivamente, da Drerup, Isocratis opera, p. xxx («fragmentum orationis cuiusdam contra Demosthenem») e Omont, Inventaire, p. 81 («Demosthenis orationis in Æschinem fragmentum»). 47 Questi tre fogli finali del codice (ff. 187-189) compaiono in ordine inverso rispetto alla sequenza del testo, la quale – se la Declamazione XVII precedeva la XVIII – richiederebbe invece la seguente successione: f. 189rv = Decl. XVII 15 μεμφόμενον αἰτιώμενον – 24 οὐκ ἀρκοῦντος οὐδ᾿ ἑνὸς διὰ παντὸς, f. 188rv = Decl. XVII 37 δεῖται τραυμάτων (v.l. φαρμάκων) – 44 εἰ δ᾿ οὖν ἄτιμον, f. 187rv = Decl. XVIII 18 ἔκλεψεν οὗτος γένος – 25 ἡγεμόνα δεδειγμένον. In tal caso, tra i ff. 189v e 188r mancherebbe circa un foglio, tra i ff. 188v e 187r circa otto. 48 Sulla datazione dell’attività dello scriba, cfr. Martinelli Tempesta, Fonti, p. 252, n. 77: i manoscritti di Michele Suliardo sono localizzati in Grecia dal 1477 al 1489 e successivamente in Italia tra il 1494 e il 1496; il Par. gr. 1412, tuttavia, è datato a Firenze anno mundi 6994 [«6997» in Martinelli Tempesta, ibid. è un refuso] = anno Domini 1486, ma E. Lobel, The Greek Manuscripts of Aristotle’s Poetics, Oxford, OUP 1933, pp. 54-56, propone di correggere la data in anno Domini 1494 [«1497» in Martinelli Tempesta, ibid. è un refuso]. Sul Suliardo e sul suo trasferimento in Italia negli anni Novanta del Cinquecento, al séguito di Giano Lascaris, cfr. D. Speranzi, Giano Lascari e i suoi copisti. Gli oratori attici minori tra l’Athos e Firenze, «Medioevo e Rinascimento», XXIV, 2010, pp. 337-377: 350-353 e 361-367. Le filigrane risultano compatibili sia con il suo periodo greco sia con quello fiorentino: 1(ff. 2, 41) forse simile a Briquet Balance 2509 (Baviera 1486, Venezia 1487-1491, Nuremberg 1487, Friuli 1487, Brünn 1489) e Piccard Online Waage 116855 (1488); 2(ff. 6, 21-29) vagamente simile a Briquet Arc 812 (Milano 1470); 3 (ff. 10-19) vagamente simile a Briquet Chapeau 3377 (Verona 1478); 4(f. 34) visibile un fiore in cima a una doppia asta, forse compatibile con Piccard Online Waage 117390 (Ravenna 1484); 5 (f. 36) vagamente simile a Piccard Online Werkzeug/Waffe. Armbrust 123839 (Laibach 1494), 123840 (Augsburg 1496); 6(ff. 66-77) variante della precedente in formato maggiore; 7(ff. 3840) simile a Briquet Lettres de l’alphabet. Lettre L 8282 (1471-1485); 8(ff. 42-64, 87-fine) identica a Briquet Balance 2592 (Ferrara 1492-1497, Brescia 1519); 9(ff. 79-84) variante della precedente. 49 La foliazione, per errore, passa direttamente da 118 a 120.
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MARCO FASSINO
Cop.: . 21 orazioni con 8 argumenta: Ad Dem., Nic., Ad Nic., @mgC. soph., Hel., @mg Busir., @mgEuag., (f. 41v in basso) argumentum del Plat., Paneg., Plat., @ Areop., @Phil., @De pace, @Archid., Panath., Antid., C. Loch., In Euth., De big., Aegin., Trapez., In Call. L’argumentum del Plat. è dislocato tra Euag. e Paneg. Tra Ad Dem. e Nic. si trova un’anonima lettera consolatoria ad un amico (cfr. N. Bianchi, «QS», LXXIX, 2014, p. 248, n. 8). 8) Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, 231 = B VI 10, f. 106v Taur Composito, formato da varie unità codicologiche: 50 la prima (ff. 4-44),51 pergamenacea, è databile su base paleografica attorno al sec. XIV ex./XV in.; 52 le successive (ff. 45-172), cartacee, sono databili al sec. XVI, seconda metà. Ff. 79r-120v. Sec. XVI, seconda metà (post 28 ottobre 1559); 53 mm 214 × 170 (ca. 192 × 136).54 Cop.: m. 5, finora non identificata. Altre mani: (ff. 4r-41v) m. 1, (ff. 41v44r) m. 2, (ff. 45r-63v, 65r-77r) m. 3, (f. 64rv) m. 4, (ff. 121r-172v) m. 6; tutte coe ve della m. 5 (sec. XVI, seconda metà), tranne la m. 1 (sec. XIV ex./XV in.). (ff. 79r-106r) scoli a Luciano; (ff. 106r-107r) argumenta di 3 orazioni isocratee: C. soph., Plat., Areop.; (ff. 107r-108v) lessico di Erodoto; (ff. 109r-111r) 50
Cfr. anche Géhin, Évagre, pp. 274-276. manoscritto è stato pesantemente danneggiato dall’incendio del 1904. Quanto sopravvive di ciascun foglio è ora incollato al centro di carte di restauro numerate a matita nell’angolo superiore esterno. Qui, tuttavia, ho utilizzato un’altra foliazione precedente, che compare al centro del margine inferiore di ciascun recto: quest’ultima, infatti, è l’unica completa, anche se ha il difetto di non coincidere con quella del catalogo settecentesco (Codices manuscripti Bibliothecae Regii Taurinensis Ahenaei ..., recensuerunt, & animadversionibus illus trarunt Josephus Pasinus ..., Antonius Rivautella, & Franciscus Berta, Taurini, ex typograhia regia 1749, pp. 374-377, codex CCLXI [lege CCLXXI]) ai ff. 66-79 (= 69-81 del catalogo). Rispetto al catalogo, mancano attualmente nella sezione pergamenacea i ff. 1-3, probabilmente periti nell’incendio. Alla fine della sezione pergamenacea sono legati 4 fogli bianchi cartacei numerati da I a IIII; di questi, i ff. III e IIII sarebbero in realtà, come rivela la numerazione al centro del margine inferiore, i ff. 63 e 78, ora dislocati. 52 Terminus post quem sono Manuele Moscopulo (1265 circa-1316 circa), il cui περὶ παθῶν καὶ λέξεων compare ai ff. 37r-41v, e Isaac Monachus (1310 circa-post 1371: cfr. P. Schreiner, s.v. Isaak Argyros, in LMA, V, 1991, col. 667), il cui περὶ μέτρων ποιητικῶν compare ai ff. 4r-19r. Oltre alla mano principale, cui si riferisce la datazione, compare ai ff. 41v-44r una mano decisamente più tarda, probabilmente cinquecentesca, che ha utilizzato lo spazio rimasto vuoto in fondo al fascicolo. 53 La datazione discende dall’apografia dall’Ambr. G 88 suss.; cfr. n. 37. 54 La prima misura si riferisce alle dimensioni dei fogli attuali, compresa la cornice di restauro; la seconda, approssimativa, a quanto resta dei fogli originali danneggiati dall’incendio. 51 Il
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Costantino Lascaris, προλεγόμενα τοῦ σοφοῦ Ὀρφέως; (ff. 111r-112r) Costantino Lascaris, περὶ ποιητοῦ; (ff. 112v-117) πόθεν εὑρέθησαν τὰ γράμματα; (ff. 117v-120v) toponimi greci con traduzione latina.55 Must 9) Codex Mustoxydis (deperdito?) Cfr. Mustoxydis, Συλλογή, fasc. 2, p. 6 [fasc. 1, p. 30]: ἓν μικρόν μας χειρόγραφον. Le lezioni di questo testimone possono essere ricavate esclusivamente da questa edizione a stampa. Argumenta di 3 orazioni isocratee: C. soph., Plat., Areop. Il contenuto isocrateo del codice deperdito del Mustoxydis (no 9), come si è detto, risulta analogo a quello di altri tre manoscritti conservati, ovvero il Taurinense (no 8) e i due Ambrosiani G 88 suss. e C 69 sup. (ni 2 e 3: entrambi di ambiente pinelliano, come rivela tra l’altro la presenza delle mani di Teodoro Rendios e Manuele Moros): tutti e quattro, infatti, si limitano a trasmettere gli argumenta di Contro i sofisti, Plataico e Areopagitico, senza riportare il testo delle orazioni.56 Dal punto di vista stemmatico, questi quattro testimoni si rivelano immediatamente copie di Τ, di cui recepiscono, accanto ai propri errori peculiari, le innovazioni caratteristiche; 57 possono dunque essere considerati apografi e, come tali, eliminati ai fini della costituzione del testo. Si veda 58 argum. Plat. p. 117, 18 τό δεύτερον coniciendum] τὸ δεύτερον Π Ν Par.2990 : ὅτι δεύτερον Par.2991 : δεύτερον (τὸ om.) Τ G88 C69 Taur Must,
a cui si può aggiungere, p. es., 55 Alla traduzione latina segue un numero in cifre arabe, probabilmente il numero di foglio o pagina dell’edizione a stampa da cui sono tratti i toponimi. 56 Per il resto, il quadro complessivo delle coincidenze tra questi quattro manoscritti, anche all’infuori del contenuto strettamente isocrateo, è riassunto dal seguente schema (cfr. anche Géhin, Évagre, pp. 274-276, 284-288): G88, ff. 26r-50r = C69, ff. 170r-202r = Taur, ff. 79r-108v (scoli a Luciano, argumenta isocratei = Must, lessico erodoteo) G88, ff. 50v-52r = Taur, ff. 109r-112r (Costantino Lascaris) C69, ff. 34v-37r, 40r-41v = Taur, ff. 70v-74r (Erodiano, Giovanni Carace, Giovanni Filopono, Sofrone) C69, ff. 206r-208v = Taur, ff. 19v-26v (Cherobosco) C69, ff. 222r-226r = Taur, ff. 29v-34r (Lesbonatte, de figuris, 2 – fin.) C69, ff. 96r-102v = Taur, ff. 112v-117 (πόθεν εὑρέθησαν τὰ γράμματα). 57 Oltre, naturalmente, agli errori che Τ ha in comune con altri testimoni e che sono registrati negli elenchi di varianti proposti più avanti. 58 Qui e di séguito, i rinvii a pagina e rigo si riferiscono all’edizione di Dindorf, facilmente reperibile anche nel Thesaurus Linguae Graecae online.
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MARCO FASSINO
argum. C. soph. p. 116, 20 περὶ οὗ om. Τ G88 C69 Taur Must; 116, 22 ἐγκωμίων] ἐγκώμιον Τ G88 C69 Taur Must.59
Per amore di completezza, è possibile precisare meglio i rapporti stemmatici tra G88 C69 Taur e Must. Anzitutto, si osserva che i quattro codici si accordano tra loro in errori che mancano in Τ: cfr. p. es. argum. Plat. p. 117, 14-15 πρὸ τοῦ Φιλίππου ἔτη dub. coni. Sauppe : κατὰ τὰ φ. ἔ. Τ Par.2991 : κατὰ τοῦ φ. ἔ. Par.2990 : καὶ τὰ φ. ἔ. Π Ν : κατὰ φ. ἔ. G88 C69 Taur Must (ἔτι G88 C69 Taurac, ἔτει Taurpc); 117, 21 πολεμίους et Τ] πολέμους G88 C69 Taur Must; argum. Areop. p. 111, 4 πάντως ἀποδώσουσι, καταλῦσαι αὐτοὺς ἔπεισαν et Τ] om. G88 C69 Taur Must; argum. C. Soph. p. 115, 17-18 γεγραμμένων ἐστὶν Ἰσοκράτει, εἴ πέρ τις ἄλλος· ἐν τούτῳ γὰρ σχεδὸν ἅπασαν et Τ] ἐν ᾧ σχεδὸν πᾶσαν G88 C69 Taur Must; 116, 24 τις σκοπήσῃ Π Ν : ἐπισκοπήσῃ τις Τ Par.2991 : σκοπήσῃ τις G88 C69 Taur Must.
Pertanto, o uno dei quattro codici è modello degli altri tre, oppure occorre postulare che la loro derivazione da Τ non sia stata diretta, ma filtrata da almeno un anello intermedio. I rapporti tra G88 C69 e Taur sono già stati ricostruiti di recente da Paul Géhin,60 secondo cui G88 è il modello da cui derivano indipendentemente C69 e Taur. Per quanto riguarda la relazione tra i due Ambrosiani, la sua inoppugnabile dimostrazione si basa sul fatto che C69, all’interno del lessico erodoteo (ff. 200r-202r), presenta un errore indotto dalla grafia del G88 e, soprattutto, numerose perturbazioni nell’ordine dei lemmi che si spiegano solo con la particolare distribuzione del testo, propria dello stesso G88, su due colonne: 61 C69, cioè, non ha copiato da G88 una colonna dopo l’altra, 59 L’argumentum del discorso Contro i sofisti, assieme a quello del discorso Sulla pace, è trasmesso per mano di Giorgio Scolario anche dal Riccardiano 12 (f. 56v), ma in una versione parafrasata e abbreviata, che non riporta i due luoghi qui citati né quelli considerati più avanti. Il testo rielaborato di questo argumentum è trascritto da Menchelli, Isocrate commentato, p. 19 (ma al r. 7 il secondo περὶ non compare nel manoscritto). 60 Géhin, Évagre, pp. 275-276, 284-288. 61 Non sembra invece stringente il terzo argomento portato da Géhin a sostegno della dipendenza di C69 da G88. Egli osserva che nel fascicolo contenente gli scoli a Luciano in G88, tra il f. 43v e il f. 48r, compare un binione (ff. 44-47) scritto dal Rendios con una grafia sensibilmente differente rispetto al resto del fascicolo e aggiunto a quest’ultimo solo più tardi (tant’è vero che né C69 né Taur trascrivono il testo contenuto nel binione). Ora, il f. 43v porta in fondo il titolo del dialogo Χαρίδημος ἢ περὶ κάλλους, mentre il f. 48r, subito dopo il binione frapposto, si apre con il nuovo titolo Σίσυφος ἢ περὶ τοῦ βασιλεύεσθαι. Géhin nota che il primo titolo non è dunque seguito da alcuno scolio e ne deduce che lì devono essere caduti uno o più bifogli (poi sostituiti dal binione, il quale però non restituisce la continuità del testo). Quindi, visto che C69 trascrive in successione il titolo del Caridemo e quello del Sisifo al centro della pagina, lo
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ma entrambe le colonne contemporaneamente, trascrivendo prima un rigo da quella di sinistra e subito dopo il corrispondente rigo da quella di destra, sicché la base delle colonne non coincide più con il margine inferiore della pagina e l’ordine alfabetico ne risulta sconvolto. Da tale sconvolgimento, però, è immune l’ordine dei lemmi di Taur, il che esclude senz’altro che C69 e Taur siano stati esemplati su una copia di G88, anziché direttamente su di esso.62 Non può dunque avere valore congiuntivo un errore come argum. Plat. p. 117, 15 ὡς ἀνάγκη et G88 Must] ὃς ἀνάγκη C69 Taur,
ma andrà considerato come un’innovazione prodottasi indipendentemente sia in C69 sia in Taur, e dovuta al particolare tratteggio dell’omega di G88, che lo ha eseguito con un secondo occhiello assai ridotto (ma senza dubbio presente) e con l’impropria apposizione dell’accento grave. Del resto, C69 e Taur aggiungono ciascuno degli errori singolari a tutti quelli già presenti in G88: cfr. rispettivamente argum. Plat. p. 117, 20 Θηβαίοις et G88 Taur Must] Θηβαίους C69; 117, 23 Λεύκτροις et G88 Taur Must] λευκτροῖς C69; 118, 1 Πλαταιέας et G88 Taur Must] πλατεαίας C69
e argum. C. soph. p. 116, 12 κατὰ τῶν σοφιστῶν et G88 C69 Must] κατὰ σοφιστῶν (τῶν om.) Taur.
Nell’argumentum del Plataico, data la ridotta estensione del testo, non si rintracciano errori singolari di Taur, ma, alla luce dei dati fin qui raccolti, un caso come
studioso giunge alla conclusione che C69 è copia di G88, perché ne riproduce fedelmente un danno meccanico. Peraltro anche Taur, come ho potuto verificare, trascrive i due titoli come C69, cioè di seguito sullo stesso rigo a centro pagina. Bisogna però considerare che in G88 l’assenza di scoli dopo il titolo del Caridemo non autorizza affatto a inferire una perdita di testo: nel medesimo f. 43v di G88 si osservi, per es., il titolo πῶς δεῖ κυνικὸν εἶναι φιλόσοφον, che compare appena quattro linee più in alto e risulta anch’esso privo di scoli; eppure in questo caso la presenza di una caduta meccanica di testo è fuori discussione, perché non c’è coincidenza con un cambio di foglio. 62 Infatti, se si ipotizza che C69 e Taur derivino da una stessa copia di G88, si va necessariamente incontro ad una impasse. Supponiamo che lo sconvolgimento dell’ordine alfabetico si fosse già prodotto in questa ipotetica copia: allora esso dovrebbe comparire anche in Taur, il che non accade. D’altro canto, non è assolutamente verosimile che questa copia riproducesse con precisione totale la mise en page di G88 (e, in particolare, la distribuzione dei righi e il conseguente posizionamento della base delle colonne in coincidenza con i margini inferiori); ma così viene a mancare ogni spiegazione plausibile per le perturbazioni presenti in C69.
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MARCO FASSINO
argum. Plat. p. 117, 23 Λεύκτροις et G881pc C69 (λευκτροῖς) Must] λεύκτροις τῆς βοιωτίας G88ac Taur
potrà essere considerato alla stregua di un’innovazione in errore rispetto a G88, il cui depennamento di τῆς βοιωτίας, eseguito con un tratto piuttosto leggero, è evidentemente sfuggito a Taur. C69 e Taur sono dunque due apografi reciprocamente indipendenti di G88. Resta invece ancora da stabilire la posizione di Must. Questo testimone, oltre a presentare varie innovazioni singolari: 63 argum. Plat. p. 117, 9 δυνατὸν] δύναται; 117, 12 κατασκαφὴ] καταγραφὴ; 117, 14 ἰδοὺ πεντήκοντα] ἤγουν π.; 117, 17 ζητήματος coni. Sauppe] ζητημαῖος Π Ν Τ Par.2990 G88 C69 Taur : ζητητέος Must : om. Par.2991,
in alcuni luoghi si mostra immune dagli errori comuni a G88 C69 e Taur: argum. Plat. p. 117, 18 κατεσκάφησαν πλαταιεῖς Π Ν Τ Par.2990 Par.2991 : κατεσκάφησαν οἱ π. Must : κατεσόφισαν π. G88 C69 Taur; argum. C. soph. p. 116, 8 ἂν εἴη Π Ν Τ : εἴη ἂν Must : εἴη G88 C69 Taur : deest Par.2991; 116, 13 σοφιζομένων Π Ν Must : σοφιστευομένων Τ Par.2991 : σοφιστευόντων G88 C69 Taur.
Se a questi errori si attribuisce un valore realmente separativo, allora Must non può essere apografo di G88 e lo stemma deve essere così ricostruito: Τ • G88 C69
Taur
Must
A ben guardare, tuttavia, è senz’altro più verosimile una diversa spiegazione. Questi apparenti errori separativi di G88 rispetto a Must, infatti, hanno tutto l’aspetto di congetture introdotte tacitamente a testo dal Mustoxydis. In tutt’e tre i casi, l’errore è assai facilmente sanabile ope ingenii: non solo in argum. C. soph. p. 116, 8, dove l’aggiunta di ἂν è davvero di poco momento, ma anche negli altri due passi. Nel primo, la correzione di 63 Non si può peraltro escludere con certezza che tutte queste innovazioni siano davvero da attribuire al testo del codice Must e non piuttosto a congetture stampate tacitamente dal Mustoxydis.
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κατεσόφισαν in κατεσκάφησαν è suggerita dalle varie occorrenze, lungo tutto il testo dell’argumentum, del verbo κατασκάπτω (cfr. p. 117, 9-10; 117, 23; 118, 2); nell’ultimo, il nesso corretto, τῶν σοφιζομένων τὴν ἀλήθειαν, compariva appena due righi prima (p. 116, 11 σοφιζομένους τὴν ἀλήθειαν) e poi nuovamente più in basso (p. 116, 20 σοφιζόμενον τὴν ἀλήθειαν). Inoltre, il sospetto di congetturalità di queste letture è rafforzato da alcune circostanze: in argum. Plat. p. 117, 18 Must non si limita a riportare il verbo corretto, ma normalizza anche l’espressione, introducendo l’articolo οἱ davanti a Πλαταιεῖς, contro l’accordo di tutti gli altri testimoni; in argum. C. soph. p. 116, 8 è ripristinato l’indispensabile ἂν, ma non nella posizione in cui lo riportano Π Ν e Τ; in argum. C. soph. p. 116, 13 Must sarebbe immune non solo dall’errore di G88 C69 e Taur, ma anche da quello di Τ (e Par.2991), di cui pure è apografo conclamato. In conclusione, dunque, sembra decisamente più fondata quest’altra ricostruzione: 64 Τ G88 C69
Taur Must
Occorre ora stabilire i rapporti genealogici che intercorrono tra i restanti cinque codici: Π Ν Τ Par.2990 e Par.2991. È appena il caso di segnalare che i dati che seguono scontano necessariamente la limitatezza del testo disponibile per la collazione. È anzitutto possibile confermare la bipartizione dei testimoni in due gruppi, cioè gli ‘umanistici’ (Π e Ν) e gli apografi di Λ (Τ Par.2990 e Par.2991), ciascuno individuato da propri errori peculiari: Π Ν (contro Τ [+ G88 C69 Taur Must] Par.2990 Par.2991) argum. Plat. p. 117, 13 om. πᾶς; 117, 14 ἦρξαν] ἤρξαντο; 117, 20 εἶτα ὅτε ἐπολέμησαν Λακεδαιμόνιοι Θηβαίοις om. propter homoeoteleuton; 117, 22 ἀνῴκισαν] -νοίκ- Π Ν (ἀνοίκησαν Νmg alia m.); 118, 4 Ἀριστείδης] -τίδ- Π Ν Τ [+ G88 C69 Taur Must] Par.2990 Par.2991 (contro Π Ν) argum. Plat. p. 118, 1 ἀνοικίζει] ἐνοικίζει.
64 Si tenga anche presente che non si riscontrano, a quanto pare, accordi in errore tra C69 Taur e Must e neppure tra due di questi codici contro il terzo.
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MARCO FASSINO
A loro volta, Π e Ν non possono essere l’uno copia dell’altro, poiché presentano errori reciprocamente separativi: Π (contro Ν Τ [+ G88 C69 Taur Must] Par.2990 Par.2991) argum. Plat. p. 117, 12 κατασκαφὴ] -ῆ; 117, 16 πρὸς ὃ] προσὸ; 117, 23 Θηβαῖοι] -αί-; 118, 3 ἀναλαβεῖν] -βαλεῖν Ν (contro Π Τ [+ G88 C69 Taur Must] Par.2990 Par.2991) Innovazioni in errore argum. Plat. p. 117, 10 Πελοποννησιακοῦ (-πονη- Τ C69 Par.2990)] πελλο-; 117, 16 ἀδύνατον] -τα; 117, 16 καί τινες] καὶ τίνες; 117, 18 ἔστι] ἐστὶ; 117, 19 Πελοποννησιακῷ (-πονη- Π Τ C69 Par.2990)] πελοπον|σιακῶ (sic); 65 118, 4 ἡ δὲ bis scr. Innovazione in lezione non erronea argum. Plat. p. 117, 23 αὖ τοὺς Ν : αὖθις Par.2991 : αὐτοὺς Π Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990.
Sull’altro versante, nessuno tra gli apografi di Λ che riportano l’argumentum (Τ Par.2990 Par.2991) è copia di uno degli altri, dal momento che ciascuno dei tre è caratterizzato da proprie innovazioni singolari: Τ [+ G88 C69 Taur Must] (contro Π Ν Par.2990 Par.2991) argum. Plat. p. 117, 18 τό δεύτερον conieci : τὸ δεύτερον Π Ν Par.2990 : ὅτι δεύτερον Par.2991 : δεύτερον (τὸ om.) Τ (G88 C69 Taur Must)
Par.2990 (contro Π Ν Τ [+ G88 C69 Taur Must] Par.2991) argum. Plat. p. 117, 9-10 κατασκαφέντων] -στραφέντων; 117, 14-15 †τὰ φιλίππου ἔτη† Π Ν Τ (τὰ om. G88 C69 Taur Must) Par.2991 : †τοῦ φιλίππου ἔτη† Par.2990; 117, 15 Ἰσοκράτην] -τη; 118, 2 κατασκαφέντες] -σκάψαντες
Par.2991 (contro Π Ν Τ [+ G88 C69 Taur Must] Par.2990) argum. Plat. p. 117, 12 coni. Baiter : spatium vacuum Τ : om. Π Ν Par.2990 (G88 C69 Taur Must) : τρίτῳ Par.2991; 117, 13 κ´ καὶ ἑπτὰ ἔτη coni. Sauppe : δύο καὶ ἑπτὰ ἔτη Π Ν Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990 : om. Par.2991; 117, 13 om. καὶ τὰ λοιπὰ; 117, 13 εἴκοσι δύο Ν : εἰκοσιδύο Π : κβ´ Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990 : δύο καὶ εἴκοσιν Par.2991; 117, 14-15 †κατὰ (καὶ Π Ν) τὰ (τοῦ Par.2990 : om. G88 C69 Taur Must) Φιλίππου ἔτη† εἴρηται ὁ λόγος] ὁ δὲ λόγος οὗτος εἴρηται κατὰ τὰ 65 L’omissione della sillaba (ν)η è dovuta al fatto che la parola si trova scritta a cavallo tra i ff. 63v e 64r.
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TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI
φιλίππου ἔτη; 117, 16 post λόγον add. ὡς ἡ περὶ τῶν αὐτοῦ χρόνων ἱστορία δηλοῖ; 117, 17 †ζητημαῖος†] om. Par.2991; 117, 18 τό δεύτερον conieci : τὸ δεύτερον Π Ν Par.2990 : δεύτερον (τὸ om.) Τ (G88 C69 Taur Must) : ὅτι δεύτερον Par.2991; 117, 18 ότε conieci : ὅτε Π Ν Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990 : πρῶτον Par.2991; 117, 23 αὖ τοὺς Ν : αὐτοὺς Π Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990 : αὖθις Par.2991; 118, 1 Πλαταιέας οὓς] πλάταιαν ἣν; 118, 3 διὰ τῶν ἀθηναίων εἰς οὓς Π Ν : διὸ τοῖς ἀθηναίοις Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990 : om. Par.2991; 118, 4-5 ὥς φησιν ὁ Ἀριστείδης (-τίδ- Π Ν) καὶ ἡ μὲν ὑπόθεσις αὕτη· ἡ δὲ (ἡ δὲ bis Ν) στάσις] ὡς καὶ ἀριστείδης φησὶν· εἰς ἣν καὶ οὗτος ὁ λόγος γέγραπται· ἔστι δὲ ἡ στάσις.
Come emerge dall’ultimo quadro, le lezioni caratteristiche di Par.2991 spesso non hanno l’aspetto di innovazioni meccaniche, ma tradiscono il tentativo di sanare i non pochi punti corrotti del testo 66 con emendazioni e riscritture congetturali, probabilmente ad opera dello stesso copista Michele Suliardo.67 Il breve testo di questo argumentum, tuttavia, non fornisce sicuri accordi in errore di due apografi di Λ contro il terzo,68 anche se – come si vedrà – dal confronto con la tradizione delle orazioni ci si attende una parentela più stretta tra Τ e Par.2990, rispetto a Par.2991. La novità più rilevante che emerge dalle collazioni è comunque la presenza certa delle seguenti corruttele comuni tanto al ramo degli ‘umanistici’, quanto agli apografi di Λ: argum. Plat. p. 117, 10-11 τὸν ὕστερον μετὰ πολλὰ ἔτη γενόμενον τῶν Πελοποννησιακῶν corruptum vel delendum; 117, 12 coni. Baiter : τρίτῳ Par.2991 : spatium vacuum Τ : om. rell.; 117, 13 κ´ καὶ ἑπτὰ ἔτη coni. Sauppe : om. Par.2991 : δύο καὶ ἑπτὰ rell.; 117, 14-15 πρὸ τοῦ Φιλίππου ἔτη dub. coni. Sauppe : κατὰ τὰ φιλίππου ἔτη Τ Par.2991 : κατὰ τοῦ φιλίππου ἔτη Par.2990 : καὶ τὰ φιλίππου ἔτη Π Ν : κατὰ φιλίππου ἔτη G88 C69 Taur Must (ἔτι G88 C69 Taurac : 66
Per l’individuazione puntuale delle corruttele, cfr. infra, sez. 4-5. Si tenga presente che il Suliardo potrebbe essere anche l’autore delle integrazioni che nel Par.2991 colmano le lacune (causate dal danno meccanico di Λ) alla fine della Contro Callimaco. Queste stesse integrazioni sono state quindi aggiunte dalla mano di Demetrio Calcondila nel Par. gr. 2931, per poi passare nelle edizioni a stampa a partire dalla Princeps del 1493 (curata dallo stesso Calcondila) e nei manoscritti che da queste ultime dipendono (cioè il Vind. Phil. gr. 3 e l’integrazione di Francesco Zanetti nel Laur. Plut. 58.12): cfr. Martinelli Tempesta, Fonti, pp. 250-252. 68 Un caso come argum. Plat. p. 118, 3 διὰ τῶν ἀθηναίων εἰς οὓς Π Ν: διὸ τοῖς ἀθηναίοις Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990: om. Par.2991 non è risolutivo, perché non è dato sapere quale lezione si celi dietro l’omissione di Par.2991: se il testo omesso coincideva con quello di Π e Ν, allora διὸ τοῖς ἀθηναίοις varrebbe effettivamente come errore separativo comune a Τ e Par.2990; ma non si può neppure escludere che διὸ τοῖς ἀθηναίοις fosse già presente nel modello comune a Τ Par.2990 e Par.2991, rispetto al quale l’omissione di Par.2991 sarebbe solo un’ulteriore innovazione singolare. 67
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MARCO FASSINO
ἔτει Taurpc); 117, 15 †τριῶν†; 117, 18 τό δεύτερον conieci : τὸ δεύτερον Π Ν Par.2990 : ὅτι δεύτερον Par.2991 : δεύτερον (τὸ om.) Τ (G88 C69 Taur Must); 117, 18 ότε conieci : ὅτε Π Ν Τ (G88 C69 Taur Must) Par.2990 : πρῶτον Par.2991; 117, 21 καὶ ἐνίκησαν οἱ Λακεδαιμόνιοι καὶ πολεμίους] καὶ1 aut καὶ2 delendum,
che permettono di individuare, a monte di tutta la tradizione superstite degli argumenta, un unico archetipo. Questo è dunque lo stemma codicum dell’argumentum del Plataico: • •
Τ
Par.2990
G88 C69
•
Par.2991
Π
Ν
Taur Must
3. Rapporti tra la tradizione degli argumenta e quella delle orazioni Le conclusioni fin qui raggiunte possono essere ulteriormente corroborate da alcune considerazioni. In primo luogo, tutti gli argumenta contenuti negli apografi di Λ compaiono, senza eccezione, anche negli ‘umanistici’ Π e Ν, che, d’altra parte, ne trasmettono alcuni in più. D’altro canto, si sa con certezza che in origine gli argumenta erano più numerosi dei 12 conservati da Π e Ν: come si è visto sopra, con ogni probabilità i fascicoli iniziali di Λ, ora perduti, contenevano gli argumenta di tutte le orazioni del corpus isocrateo; e infatti la tradizione indiretta ci ha restituito un f rammento, scoperto da Pasquale Massimo Pinto, che sembra provenire dall’argumentum dell’Antidosi.69 Ma sappiamo anche che nel ramo degli ‘umanistici’ gli ultimi 8 argumenta – con tutte le relative orazioni – mancano a causa di un fatto meccanico, ovvero la perdita del se69 Pinto, ‘Parenti’; cfr. anche Menchelli, Commentary, p. 20; Menchelli, Frammenti, p. 252.
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condo tomo dei due in cui era divisa l’edizione che ne è a modello. Invece gli apografi di Λ, pur ricevendo dalla tradizione di Λ stesso tutte le 21 orazioni,70 mostrano di ignorare completamente gli argumenta scomparsi in séguito al danno meccanico che ha colpito il ramo degli ‘umanistici’. Anzi, le 8 orazioni per cui gli apografi di Λ dispongono degli argumenta 71 corrispondono esattamente alle ultime 8 orazioni conservate da Π e Ν, nello stesso ordine.72 A questo punto, un’ulteriore conclusione sembra inevitabile: gli apografi di Λ, per quanto riguarda gli argumenta, non possono che aver preso a modello un codice perduto appartenente proprio al ramo degli ‘umanistici’, cioè un codice che si colloca, nello stemma della seconda famiglia, a metà strada tra l’esemplare comune a Λ e agli stessi ‘umanistici’ (b nello stemma di p. 72) e l’esemplare comune ai soli ‘umanistici’ (c). Esso è dunque l’archetipo comune a tutta la tradizione superstite degli argumenta. Questo codice non può tuttavia coincidere né con b né con c. Non può coincidere con c, perché in tal caso non si spiegherebbe come gli apografi di Λ possano essere immuni, come si è visto sopra, da vari errori comuni a Π e Ν, e dunque attribuibili a c stesso. Ma non può neppure coincidere con b, perché dimostra di avere già ‘scorporato’ gli argumenta, disseminandoli uno ad uno in posizione incipitaria rispetto alle singole orazioni: sarebbe altrimenti arduo spiegare come mai gli argumenta conservati siano, selettivamente, quelli relativi alle orazioni dalla prima (Ad Dem.) alla tredicesima (Archid.) in Π e Ν,73 e quelli relativi alle orazioni dalla sesta (Evag.) alla tredicesima negli apografi di Λ.74 Come si è già detto, però, in Λ – e a maggior ragione nel suo modello b – i 21 argumenta erano ancora riuniti e collocati in blocco tra la Vita anonima e l’inizio delle orazioni vere e proprie. Ora, se è vero che Π e Ν rif lettono il contenuto del primo volume di un’edizione in due tomi, si può supporre che di questo archetipo perduto 70 Ciò ovviamente non significa che tutti gli apografi di Λ trascrivano tutte le orazioni, ma alcuni, come Τ e Par.2991, lo fanno. 71 Nell’ordine ricavabile da Τ, queste orazioni sono: Euag., Busir., C. soph., Plat., Areop., Phil., De pace e Archid.; Par.2990 e Par.2991 presentano invece un ordine perturbato. 72 Che è appunto l’ordine proprio anche di Λ e, probabilmente, dell’intera seconda famiglia. 73 Con la solita eccezione dell’argumentum del Panegirico, probabilmente caduto – come si è già visto (cfr. supra, sez. 1) – proprio in occasione del passaggio dalla trascrizione continua degli argumenta in apertura di codice alla loro disseminazione davanti alle singole orazioni. 74 Ovvero dalla settima (Busiride) alla tredicesima, se si considera che il testo dell’argumentum dell’Evagora negli apografi di Λ deriva dall’apparato scoliastico di Λ stesso, e non dalla tradizione degli argumenta: cfr. supra, sez. 1.
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MARCO FASSINO
fosse giunta fino agli apografi di Λ solo la seconda parte del medesimo primo tomo, cioè le 8 orazioni dall’Evagora all’Archidamo, o le 7 dal Busiride all’Archidamo.75 Negli apografi di Λ gli argumenta sono dunque riapparsi per un fenomeno di ‘trasmissione orizzontale’, ovvero di ‘contaminazione’, che ha avuto origine a partire dal ramo tradizionale immediatamente a monte degli ‘umanistici’. Ma qual è stato il collettore di questa linea di ‘contaminazione’? In altri termini, qual è stato il manoscritto, copiato da Λ, che per primo ha reincorporato gli argumenta traendoli dal ramo degli ‘umanistici’? Per rispondere a questa domanda è ormai necessario ampliare l’esame dei rapporti genetici tra i codici isocratei alla tradizione delle orazioni. Quello che segue è, in particolare, uno stemma parziale degli apografi di Λ, che si basa principalmente sul testo dell’Encomio di Elena e del Plataico, ma tiene conto anche dei risultati raggiunti per il Panegirico da Stefano Martinelli Tempesta. Per evitare inutili complicazioni, sono stati inclusi solo quei gruppi di codici cui appartengono anche i testimoni degli argumenta (evidenziati in grassetto).76 Sigla 77 Mss. contenenti Panegirico, Encomio di Elena e Plataico: Ξ = Ven. Marc. gr. 415 (coll. 859), Τ = Par. gr. 2930, Canon = Oxon. Bodl. Canon. Gr. 87, Leid = Leid. Scaliger 29, Mon = Monac. gr. 224, Mut = Mutin. α.
P. 6. 12 (Gr. 130), Pal.135 = Vat. Pal. gr. 135, Par.2990 = Par. gr. 2990, Par.2991 = Par. gr. 2991, Reg = Vat. Reg. gr. 93. °Mss. contenenti Panegirico ed Encomio di Elena (ma non Plataico): Crem = Cremon. 160, Ricc = Riccard. 12. ‡ Mss. contenenti Encomio di Elena (ma non Panegirico e Plataico): C.S.83 = Laur. Conv. Soppr. 83, Holk = Oxon. Bodl. Holkham Gr. 76, Par.3024 = Par. gr. 3024, Vat.1392 = Vat. gr. 1392, Vrat = Vrat. Rehdiger. 22.
75 Cfr.
supra, n. 74. stemma completo degli apografi di Λ è invece disponibile, per il Panegirico, in Martinelli Tempesta, Apografi, p. 225; per l’Elena e il Plataico, in Fassino, Tradizione, pp. 226 e 231. In questi due lavori è anche sviluppata la dimostrazione puntuale dei rapporti stemmatici tra i manoscritti sulla base degli errori-guida significativi: tale dimostrazione non può essere qui riportata per evidenti ragioni di spazio. Nello stemma che segue non sono ovviamente inclusi G88 C69 Taur e Must, che non contengono il testo delle orazioni. Non ho riportato, inoltre, le edizioni a stampa, né il Vind. Phil. gr. 3, copiato dall’editio princeps; per le fonti manoscritte degli argumenta nella Princeps e nell’Aldina, cf r. Menchelli, Isocrate commentato, spec. pp. 19-34. 77 Descrizioni recenti e bibliografia di questi codici in Martinelli Tempesta, Apografi, e in Fassino, Tradizione, pp. 16-124. 76 Uno
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TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI
Λ
x (Paneg.)
•
Pal.135B (Paneg., Plat.)
•
•
Pal.135A (Hel.)
•
• Par.2990
Τ • °Crem ‡ ‡
•
Mut
°Ricc Ξ
Vrat
Holk
•
Par.2991B (Paneg., Plat.)
Reg
Leid
‡
•
• ‡
Vat.1392
Par.3024
‡
C.S.83 Canon • Mon
Par.2991A (Hel.)
Questa tabella riassume invece la diffusione e l’ordinamento degli argumenta negli apografi di Λ: 78
78 Benché siano portatori di argumenta, non sono qui presi in considerazione né il Laur. Plut. 55.7 = Σ (con il suo apografo Lond. Burney 75), che tramanda solo l’A Demonico e, pur appartenendo alla seconda famiglia, non è apografo di Λ, ma testimone primario di una recensione cristianizzata (cfr. da ultimo Menchelli, Bibliologia, pp. 62-72), né il Milano, B.N. Braidense, AG. IX. 2, che finora non ho avuto modo di esaminare e che di Isocrate contiene solo tre orazioni mutile (A Nicocle, Nicocle e Busiride), precedute dall’argumentum dell’A Nicocle (cfr. Drerup, Isocratis opera, pp. xxv-xxvi, no 53).
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MARCO FASSINO
Pal.135A
Τ
1) Euag. mg. 1) Euag. mg. 2) Busir.
Crem
Par.2990
Par.2991A+B
1) Euag. mg. 6) Euag. mg. 3) Euag. mg.
2) Busir.
7) Busir.
2) Busir. mg. 1) C.soph. mg.
3) C.soph. 4) Plat.
1) Plat.
4) Plat. mg.
5) Areop.
2) Areop.
5) Areop.
3) Phil.
6) Phil.
7) De pace
4) De pace
7) De pace
8) Archid. mg.
5) Archid.
8) Archid.
6) Phil.
Ricc
2) Phil.
1) C.soph.79
2) De pace
79
Per l’argumentum dell’Evagora il sistematico posizionamento nel margine non stupisce: come si è già ricordato a più riprese,80 infatti, tutti questi codici derivano questo argumentum dalla tradizione degli scoli di Λ e lo riproducono così come esso compare nel loro modello (f. 71rv), cioè in margine e in una versione più breve rispetto a quella tramandata dal ramo degli ‘umanistici’. Nel Par.2991,81 però, è notevole che anche gli altri tre argumenta che compaiono per primi (C. soph., Busir., Plat.) occupino uno spazio avventizio, ricavato sui margini del codice,82 mentre quelli successivi (Areop., Phil., De pace, Archid.) sono collocati regolarmente a testo. Questa situazione può essere spiegata considerando il fatto che, come emerge dalle collazioni, il Par.2991 presenta un cambio di modello: per le prime orazioni (Par.2991A), tra cui l’Encomio di Elena, è infatti copia indiretta di Mut, ma per le successive (Par.2991B), tra cui il Panegirico e il Plataico, attinge ad un diverso apografo perduto di Λ, dal quale derivano anche Ricc Ξ e Leid.83 Anzi, la differente disposizione degli argumenta consente proprio d’individuare il punto dove interviene il cambio: cioè tra la fine dall’Evagora (f. 41v) e l’inizio del Panegirico (f. 42r), nel passaggio dal quarto al quinto fa79 Nel Ricc il testo dell’argumentum di Contro i sofisti, copiato dalla mano di Giorgio Scolario, risulta parafrasato e abbreviato. 80 Cfr. supra, pp. 76-77 e 91-92, nn. 74-75. 81 Cfr. anche la descrizione contenuta in Fassino, Tradizione, pp. 110-113. 82 Più precisamente, gli argumenta di C. soph. e Busir. sono sui margini, mentre quello di Plat. è collocato al f. 41v a cavallo tra lo spazio rimasto bianco dopo la conclusione del testo dell’Evagora e il margine inferiore del foglio. 83 Dimostrazione e variantistica in Fassino, Tradizione, pp. 199-209.
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scicolo del codice. Bisogna infatti immaginare che il Suliardo abbia dapprima copiato i quattro fascicoli iniziali, dall’A Demonico all’Evagora (Par.2991A), sulla base di un modello sprovvisto di argumenta (e in effetti Mut e gli altri suoi apografi ne sono privi). Solo successivamente egli è entrato in possesso di un nuovo modello, completo degli argumenta, decidendo, a questo punto, di aggiungerli anche nei margini delle orazioni che aveva già terminato di copiare e che ne erano rimaste prive. Ha perciò trascritto l’argumentum dell’orazione Contro i sofisti in margine al f. 21v e quello del Busiride in margine al f. 29r. Anche l’argumentum dell’Evagora dev’essere stato copiato in margine al f. 33r solo in questa fase: non poteva infatti averlo già ricavato dal precedente modello, poiché Mut e i suoi apografi non lo contengono.84 Nello spazio rimasto vuoto in fondo all’ultima pagina del quarto fascicolo (f. 41v), ha poi anticipato anche l’argumentum successivo, cioè quello del Plataico, che è così rimasto dislocato rispetto al testo dell’orazione.85 Da ultimo, il nostro scriba ha ripreso la copia sulla base del secondo modello, dal Panegirico fino alla fine (Par.2991B), trascrivendo ora regolarmente a testo gli argumenta di Areopagitico, Filippo, Sulla pace e Archidamo, ma saltando quello del Plataico, che aveva già inserito al f. 41v. A conferma di questa ricostruzione, una forte discontinuità nel passaggio dal f. 41v (quarto fascicolo) al f. 42r (quinto fascicolo) emerge anche dall’esame dei dati codicologici. In primo luogo, cambia sensibilmente la mise en page, che in Par.2991A è più irregolare e oscilla tra 23 e 31 linee, mentre Par.2991B presenta sistematicamente 22 linee per pagina. Inoltre, proprio a partire dal f. 42 e fino al termine del manoscritto, interviene una filigrana piuttosto particolare, in forma di Bilancia accompagnata dalla lettera M maiuscola (Briquet 2592),86 che invece non compare mai nelle carte precedenti. L’utilizzo di due diversi esemplari non caratterizza solo il Par.2991, ma anche il Pal.135: 87 questo codice, infatti, per le orazioni iniziali (Pal.135A), tra cui l’Encomio di Elena, mostra di discendere dallo stesso apografo perduto di Λ da cui deriva pure il modello comune a Τ e Par.2990; invece per Del resto, Mut generalmente tralascia di trascrivere gli scoli di Λ. molto probabile che si sia trattato di un errore involontario: verosimilmente il Suliardo non si è reso conto, in un primo momento, del fatto che il Panegirico fosse privo di argumentum ed è perciò passato direttamente al primo argumentum successivo ai tre che aveva già trascritto sui margini. 86 Le altre filigrane di Par.2991B sono una variante di Bilancia in cui la M è posizionata più in basso ed è sormontata da una croce (ff. 79, 84: fasc. 8), e una Balestra inscritta in un cerchio (ff. 66-77: fasc. 7); anche queste non coincidono con le filigrane di Par.2991A: cfr. supra, n. 48. 87 Per una descrizione recente, cfr. Fassino, Tradizione, pp. 21-23. 84
85 È
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MARCO FASSINO
quelle successive (Pal.135B), tra cui il Panegirico e il Plataico, risulta copia autonoma di Λ.88 Il cambio di esemplare si verifica con ogni probabilità al rigo 26 del f. 17v, in corrispondenza del passaggio tra la fine dell’A Nicocle e l’inizio dell’A Demonico. In quel punto, infatti, interviene un’evidente soluzione di continuità: la mano del copista cambia e, a partire dal foglio successivo, si osservano una variazione nella tipologia della carta e una diminuzione del numero di linee per pagina.89 Come si vedrà anche tra poco, il primo copista (Pal.135A) nel proprio modello trovava le orazioni in quest’ordine: 90 Ad Nic., Nic., Paneg., Ad Dem., Hel., Euag., Busir., e così via, con i restanti discorsi nella stessa successione di Λ. Egli decise tuttavia d’innovare, inaugurando il manoscritto con la terna degli encomi (Hel., Euag., Busir.),91 per ritornare poi all’Ad Nic. A questo punto, però, il secondo copista (Pal.135B), invece di proseguire con Nic., Paneg., Ad Dem., come avrebbe fatto se si fosse ancora basato sul primo modello, si è uniformato alla sequenza del suo nuovo antigrafo, che è poi quella di Λ (Ad Dem., Ad Nic., Nic., Paneg.), ma ha ovviamente evitato di copiare una seconda volta l’Ad Nic. e le altre orazioni già trascritte. Il peculiare ordine delle orazioni che ne risulta nel Pal.135 è dunque Hel., Euag., Busir., Ad Nic., Ad Dem., Nic., Paneg., C. soph., Plat., e poi le restanti come in Λ. Ora, solo nell’esemplare utilizzato dal primo copista erano trasmessi gli argumenta, che mancavano invece nel secondo modello, cioè Λ o, eventualmente, un suo apografo perduto. È dunque perfettamente comprensibile che la presenza di argumenta sia limitata alla parte trascritta dal primo copista (Pal.135A). Anzi, non è certo casuale che, delle quattro orazioni contenute in questa prima parte (Hel., Euag., Busir., Ad Nic.), l’unica ad avere l’argumentum, oltre al caso particolare dell’Evagora, sia il Busiride: né l’Encomio di Elena né l’A 88
Dimostrazione e variantistica in Fassino, Tradizione, pp. 190-198. Stefano Martinelli Tempesta, che ha confermato e integrato con la sua autopsia le valutazioni da me svolte sul microfilm. La prima mano (ff. 1r-17v, l. 26: dall’inizio del codice sino alla fine del testo dell’A Nicocle) utilizza un inchiostro bruno scuro o nero; la seconda mano (ff. 17v, l. 26-166v: dal titoletto finale dell’A Nicocle sino alla fine del codice) utilizza invece un inchiostro marroncino chiaro o rossiccio, che si scurisce a partire dal f. 19v. I ff. 1r-17v presentano da 35 a 42 linee per pagina; i ff. 18r-166v oscillano tra 26 e 33. A partire dal f. 18r la pasta della carta assume un colore più giallo e una consistenza più spessa e rigida. 90 Si tratta dello stesso ordine di Λ, ma con l’A Demonico posposta tra Panegirico ed Encomio di Elena: questa successione è testimoniata anche da Τ e Crem, e riappare in Ξ e Leid. 91 Questo fenomeno non ha probabilmente nessuna relazione diretta con la prima famiglia, il cui ordinamento è sì caratterizzato dalla presenza degli encomi in apertura, ma in un ordine completamente diverso: Hel., Busir., C. soph. ed Euag. nel Vat. Urb. gr. 111 = Γ; Hel., Euag., C. soph. e Busir. nel Vat. gr. 936 = Δ e nell’Ambr. O 144 sup. = Ε. 89 Ringrazio
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Nicocle, infatti, sono compresi nel gruppo dei 7 argumenta (8 con l’Evagora) recepiti dagli apografi di Λ. L’aver ricondotto, seppur parzialmente, anche il Pal.135 al gruppo di manoscritti, esemplati su una stessa copia perduta di Λ, cui appartengono anche Τ e Par.2990 ha delle implicazioni stemmatiche piuttosto significative, che consentono forse di rispondere al quesito da cui abbiamo preso le mosse: è possibile individuare l’apografo di Λ che ha ricoperto il ruolo di collettore della ‘contaminazione’ degli argumenta a partire dal ramo degli ‘umanistici’? Se si osserva lo stemma di p. 93, si noterà una linea tratteggiata che unisce Λ ad un esemplare perduto, designato con la lettera x; questo esemplare risulta a sua volta collegato ai capostipiti (parimenti perduti) dei due gruppi formati rispettivamente da Vrat Holk Pal.135A Τ Crem Par.2990 e da Par.2991B Ricc Ξ Leid. Per il Panegirico, infatti, Stefano Martinelli Tempesta ha riscontrato un significativo numero di innovazioni sicure, comuni tanto a Τ Crem e Par.2990 92 quanto a Par.2991 Ricc Ξ Leid, che rivelano come entrambi i gruppi derivino da un medesimo apografo di Λ.93 Di x, inoltre, si può segnalare anche un altro specifico tratto distintivo, cioè il particolare ordine in cui vi erano trascritte le orazioni: in esso, infatti, l’A Demonico era posticipato in quarta posizione, dopo il Panegirico e prima dell’Encomio di Elena, come dimostra la concorde ed esclusiva presenza di quest’ordine sia in Τ (e nella sua copia Crem) sia in Ξ e Leid.94 Nell’Elena e nel Plataico, invece, non si rintracciano analoghi accordi in innovazione tra questi due gruppi.95 Si deve dunque ritenere che, tra il Panegirico e l’Elena (dunque proprio in coincidenza, forse non casualmente, con la trasposizione dell’A Demonico), almeno uno dei due capostipiti perduti abbia abbandonato il modello comune x e, di lì in avanti, abbia proseguito la copia utilizzando come esemplare un diverso apografo di Λ, ovvero Λ stesso. Sembra tuttavia impossibile stabilire quale dei due gruppi abbia cambiato modello. Ho perciò preferito rappresentare la situazione utilizzando le linee tratteggiate che compaiono nello stemma di p. 93. D’altro 92 Vrat e Holk non contengono il Panegirico; Pal.135, come si è appena visto, per il Panegirico non è riconducibile a questo gruppo. 93 Martinelli Tempesta, Apografi, p. 207; cfr. anche pp. 210-211. 94 Cfr. Buermann, Überlieferung, I, pp. 15-16; Drerup, Isocratis opera, p. xlix; cfr. anche supra, n. 90. 95 Per maggiori dettagli, cfr. Fassino, Tradizione, pp. 200-201.
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MARCO FASSINO
canto, anche questa soluzione grafica presenta degli inconvenienti, perché sembra suggerire che entrambi i capostipiti dei due gruppi abbiano abbandonato x, dopo averlo utilizzato almeno fino al Panegirico, e che entrambi siano poi passati a copiare da Λ (o da un suo apografo diverso da x). In realtà è sufficiente che almeno uno dei due capostipiti lo abbia fatto. Lo stemma potrebbe dunque avere una delle conformazioni seguenti: 96 Λ
Λ Paneg., Hel., Plat.
x
Hel., Plat.
•
•
Paneg.
•
Pal.135A (Hel.)
•
Vrat
‡
Holk
Paneg., Hel., Plat.
Paneg., Hel., Plat.
•
• Par.2990
Τ • °Crem ‡
Paneg., Hel., Plat.
Par.2991B (Paneg., Plat.)
•
•
•
Pal.135A (Hel.)
Ξ
‡ ‡
Leid
•
• Par.2990
Vrat
Holk
Hel., Plat.
Paneg.
Τ • °Crem
• °Ricc
x
Par.2991B (Paneg., Plat.)
•
• °Ricc
Ξ
Leid
Anzi, sarebbe conciliabile con i dati stemmatici fin qui noti persino l’ipotesi che x coincida con il capostipite del primo gruppo: 97
96 Da qui in poi, con la linea tratteggiata senza freccia sarà indicata la trasmissione del Panegirico, con la linea continua senza freccia sarà indicata la trasmissione dell’Encomio di Elena e del Plataico, con la linea tratteggiata con freccia i fenomeni di contaminazione. 97 Tale ipotesi è consentita dal fatto che le innovazioni congiuntive peculiari del primo gruppo (rilevate da Martinelli Tempesta, Apografi, pp. 207-208) coinvolgono solo Τ Crem e Par.2990, dato che Vrat e Holk non contengono il Panegirico e Pal.135 per il Panegirico non appartiene a questo gruppo. Il codice x non può invece coincidere con il capostipite del secondo gruppo, perché in tal caso non si spiegherebbe la presenza di innovazioni congiuntive peculiari di Par.2991 Ricc Ξ Leid (cfr. Martinelli Tempesta, ibid.) e assenti in Τ Crem Par.2990.
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TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI
Λ
Paneg., Hel., Plat.
x
•
•
Pal.135A (Hel.)
Hel., Plat.
•
Paneg.
• Par.2990
Τ • °Crem ‡ ‡
Vrat
Holk
Par.2991B (Paneg., Plat.)
•
• °Ricc
Ξ
Leid
Ora, visto che all’interno di questi due gruppi di manoscritti si collocano tutti gli apografi di Λ portatori di argumenta,98 con ogni probabilità il collettore della ‘contaminazione’ proveniente dal ramo degli ‘umanistici’ potrà essere identificato proprio nel codice perduto x, secondo l’ipotesi già ventilata da Stefano Martinelli Tempesta.99 In particolare, una volta riconosciuto come anche il Pal.135 sia, seppure parzialmente, riconducibile al primo dei due gruppi derivati da x, risulta finalmente superata l’anomalia principale che lo studioso riscontrava rispetto a questa ipotesi.100 Ai fini della tradizione degli argumenta, non deve destare perplessità il fatto che per il testo delle orazioni a partire (almeno) dall’Encomio di Elena i due gruppi di codici mostrino di risalire a Λ l’uno indipendentemente dall’altro, diversamente da ciò che avviene (almeno) fino al Panegirico.101 98
Per il codice Braidense, AG. IX. 2, cfr. supra, n. 78. Martinelli Tempesta, Apografi, pp. 210-211; cfr. anche Martinelli Tempesta, Nota, pp. xxiv-xxv. 100 Cfr. Martinelli Tempesta, Apografi, p. 211, n. 221; Martinelli Tempesta, Nota, p. xxiv. 101 Sarebbe interessante verificare se il comportamento stemmatico dell’A Demonico sia solidale con quello del Panegirico (che lo precede) o con quello dell’Encomio di Elena (che lo segue). 99
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MARCO FASSINO
Infatti, anche se il capostipite di uno dei due gruppi, da un certo punto in avanti, ha preso ad utilizzare un antigrafo diverso da x, è tuttavia verosimile che non abbia mancato di ricavare dal primo modello tutti gli argumenta disponibili. Si spiega in tal modo perché sia trasmesso da testimoni di entrambi i gruppi (Τ e Par.2990 da una parte, Par.2991 dall’altra) anche l’argumentum di un’orazione come il Plataico, per il cui testo solo uno dei due gruppi deriva da x. Tenendo conto della ricostruzione proposta, ho provato qui di séguito a mettere in risalto i rapporti tra i testimoni primari dell’argumentum del Plataico, all’interno dello stemma (semplificato) della seconda famiglia relativo al testo delle orazioni. I codici che contengono argumenta (non necessariamente quello del Plataico) sono evidenziati in grassetto. Come si può ben vedere, non appena si sovrappone lo stemma dell’argumentum del Plataico (cfr. p. 90) allo stemma delle orazioni (cfr. pp. 72 e 93), emergono numerosi snodi, corrispondenti ciascuno ad un manoscritto perduto, che non era stato possibile individuare sulla base della limitata variantistica del solo argumentum. Sotto questo profilo, la principale incertezza riguarda le relazioni tra Τ Par.2990 e Par.2991. Da una parte, infatti, la presenza dell’antenato comune a Par.2991 e Ricc – peraltro coincidente con il capostipite di tutto il gruppo che include anche Ξ e Leid – può essere confermata anche per la tradizione degli argumenta. Si vedano a tal proposito i seguenti accordi in innovazione, tratti dall’argumentum dell’orazione Sulla pace: 102 argum. De pace p. 111, 25-26 συμμαχικὸς πόλεμος Π Ν Τ Par.2990 : συμμαχικὸς κληθεὶς πόλεμος Par.2991 Ricc; 112, 3 ἓν δὲ τὸ coni. Aldina : εἶτα τὸ ἄλλο Ν : εἶτα τῶ ἄλλω Π : εἶτα τῶν ἄλλων Τ Par.2990 : εἶτα καὶ τῶν ἄλλων Par.2991 Ricc.
D’altra parte, si è già rilevata l’assenza di innovazioni comuni a Τ e Par.2990 contro Par.2991 nell’argumentum del Plataico: questa assenza, tuttavia, se si tiene conto dell’esiguità del testo preso in considerazione, non sembra essere realmente problematica. Se si estendessero le collazioni a tutti gli argumenta, tali innovazioni finirebbero probabilmente per emergere. Del resto, si possono escogitare altre ricostruzioni che, presupponendo una circolazione degli argumenta fra questi codici parzialmente indipen102 Questa conferma era preclusa all’argumentum del Plataico, visto che esso non è testimoniato in Ricc. A causa della difficile lettura su microfilm del Par.2991, i due accordi qui registrati sono sfuggiti a Menchelli, Isocrate commentato, pp. 23-24: non è dunque condivisibile, a mio avviso, la sua ricostruzione secondo cui, per l’argumentum dell’orazione Sulla pace, Ricc sarebbe apografo di Τ.
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Pal.135B (Paneg., Plat.)
Θ
‡
Vrat
Holk
‡
•
• • •
°Ricc
Par.2990
Par.2991B (Paneg., Plat.)
Τ • °Crem
Pal.135A (Hel.)
•
Ξ
•
•
x
Leid
Λ
Par.2991A (Hel.)
•
Mut •
a b
Π
Tol
Ν
• c
S
Auct
Vat.1383
2
MARCO FASSINO
dente dalla trasmissione del testo delle orazioni, giungano a render conto anche della mancanza di un errore congiuntivo tra Τ e Par.2290. Per esempio, si può immaginare che gli argumenta siano stati copiati nel modello comune a Par.2991 e Ricc non direttamente da x, cioè non attraverso il percorso seguìto dal testo del Panegirico, ma per contaminazione a partire dal modello comune a Τ e Par.2990, in questo modo: Λ x •
•
•
Pal.135A (Hel.)
•
• Par.2990
Τ • °Crem ‡ ‡
Vrat
Holk
•
• °Ricc Ξ Par.2991B (Paneg., Plat.)
Leid
Con questa ipotesi, anzi, diversamente da quanto si è sostenuto finora, il ‘collettore’ degli argumenta provenienti dagli ‘umanistici’ potrebbe addirittura essere posizionato più in basso nello stemma, per esempio all’altezza dell’antenato comune a Pal.135A Τ e Par.2990 (cfr. p. 103). Tuttavia, pur senza porre limiti troppo angusti al grado di complicazione attingibile dalle vicende della tradizione manoscritta, si deve ammettere che soluzioni di questo tipo, che implicano un ulteriore fenomeno di trasmissione orizzontale, non risultano né economiche né particolarmente attraenti.
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TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI
Λ x •
•
•
Pal.135A (Hel.)
•
• Par.2990
Τ • °Crem ‡ ‡
Vrat
Holk
•
• °Ricc Ξ Par.2991B (Paneg., Plat.)
Leid
4. Edizione critica e traduzione dell’argumentum del Plataico 4.1. Criteri editoriali Per la prima volta l’edizione qui proposta si fonda sulle lezioni di tutti i testimoni primari.103 Questo argumentum, come si vedrà, presenta problemi testuali non facili. In parte essi dipendono da guasti meccanici della tradizione manoscritta, ai quali, trattandosi di una tradizione chiusa, non può che essere applicato il rimedio divinatorio. In parte, però, questi problemi coinvolgono la natura medesima e la complessa gestazione del testo, stadio terminale di una vicenda le cui fasi ricostruibili partono dalle fonti storico-erudite di Zosimo, passano attraverso il suo commentario isocrateo, per giungere infine 103
Per comodità del lettore, elenco qui le precedenti edizioni di questo argumentum: – Mustoxydis, Συλλογή, fasc. 2, pp. 3-4 [fasc. 1, pp. 27-28]; fasc. 4 [3], p. 23; – Baiter – Sauppe, Isocrates, II, p. 7; – Benseler, Isocratis orationes, I, p. iii; – Dindorf, Scholia, pp. 117-118; – Benseler – Blass, Isocratis orationes, II, p. lix; – Mathieu – Brémond, Isocrate, II, p. 73; – Mandilaras, Isocrates, I, p. 236.
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MARCO FASSINO
all’intervento escertorio che ha dato origine all’attuale assetto di Vita e argumenta. Ora, l’‘originale’ che qui ci si prefigge di ricostruire corrisponde non già alle prime due, ma alla terza e più recente fase. Si pone dunque la questione, comune a tutta la letteratura esegetico-erudita, di distinguere gli errori dell’‘originale’, risalenti cioè alla stessa compilazione del testo o ad un’epoca anteriore, dai guasti imputabili alla successiva storia della tradizione.104 La soluzione qui sperimentata 105 consiste nel riservare esclusivamente ai danni più meccanici l’uso dei simboli tradizionali,106 introducendo invece un asterisco (*) come specifico segno diacritico per segnalare l’inizio e la fine delle porzioni testuali che sembrano contenere errori e interpolazioni dell’‘originale’, e demandando poi le considerazioni più specifiche all’apparato critico e alle note di commento. Poiché non è sempre agevole distinguere fra i due tipi di errori, resta ovviamente ampio margine per diverse sensibilità editoriali. Personalmente, ho ritenuto più funzionale per il lettore la scelta di diagnosticare sempre a testo in modo ben evidente i luoghi difficili, privilegiando, ove possibile, il ripristino congetturale dell’intelligibilità del brano, anche a rischio di apparire in qualche caso ipercritico o eccessivamente interventista. 4.2. Edizione critica ὑπόθεσις τοῦ Πλαταϊκοῦ Περὶ τοὺς χρόνους τοῦ λόγου τούτου πολλοὶ πλανῶνται. Ζητοῦσι γὰρ πῶς δυνατὸν εἰρηκέναι τὸν ’Ισοκράτην ὑπὲρ Πλαταιέων κατασκαφέντων ἐν τῇ γ´ Π Ν Τ Par.2990 Par.2991
2-3 Th. III 52, 1-68, 5 Inscriptio ὑπόθεσις τοῦ πλαταικοῦ Τ (valde evanidum) Par.2990 : ὑπόθεσις εἰς τὸν πλαταϊκόν Ν : om. Π Par.2991 2 Πλαταιέων] πλαταίων (ε del.) Par.2991pc καταστραφέντων Par.2990 γ´ Π Ν (τῆιγ̄ Ν, i.e. τῆι γ´ potius quam τῇ ιγ´) : τρίτῃ Τ Par.2990 Par.2991 104
Per una recente e lucida disamina della questione, cfr. Montanari, Errori. Soluzione che, tra le due suggerite da E. Degani, «Gnomon», LIX, 1987, pp. 584-595: 588 (recensione del vol. I del Lessico di Fozio edito da Christos Theodoridis), è poi quella sposata anche da Montanari, Errori, p. 33. 106 Nello specifico, ho preferito utilizzare i segni papirologici del cosiddetto sistema di Leida: oltre alla crux desperationis, dunque, compaiono nel testo le parentesi uncinate < > per le integrazioni. 105
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TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI
ἱστορίᾳ τοῦ Πελοποννησιακοῦ πολέμου *τὸν ὕστερον μετὰ πολλὰ ἔτη γενόμενον τῶν Πελοποννησιακῶν*. ’Εγένετο γὰρ ἡ κατασκαφὴ τῶν Πλαταιέων ἐν τῷ ἔτει τοῦ Πελοποννησιακοῦ, κατέσχε δὲ εἴκοσι καὶ ἑπτὰ ἔτη ὁ πᾶς πόλεμος, καὶ 5 τὰ λοιπὰ εἴκοσι δύο, εἶτα ἐν ᾧ ἦρξαν Λακεδαιμόνιοι τριάκοντα· ἰδοὺ πεντήκοντα δύο †κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη† εἴρηται ὁ λόγος, ὡς ἀνάγκη τὸν ’Ισοκράτην †τριῶν† ἐτῶν ὄντα εἰπεῖν τὸν λόγον, ὅπερ ἀδύνατον. Πρὸς ὃ καί τινες ἀπολογούμενοι λέγουσιν ὅτι πρὸς μελέτην εἴρηται ὁ λόγος *ζητημαῖος*. Οὐκ ἔστι δέ, ἀλλὰ τό δεύτερον κατεσκάφησαν Πλαταιεῖς· ότε 10 μὲν ἐν τῷ Πελοποννησιακῷ πολέμῳ ὑπὸ Λακεδαιμονίων χαριζομένων Θηβαίοις – εἶτα, ὅτε ἐπολέμησαν Λακεδαιμόνιοι Θηβαίοις μετὰ τὸν Πελοποννησιακὸν πόλεμον, *καὶ* ἐνίκησαν οἱ Λακεδαιμόνιοι καὶ πολεμίους ὁμόρους ἀναστῆσαι Θηβαίοις βουλόμενοι ἀνῴκισαν Πλάταιαν – εἶτα ὕστερον νικήσαντες οἱ Θηβαῖοι ἐν Λεύκτροις κατέσκαψαν αὖ τοὺς Πλαταιέας, οὓς ὕστερον ἀνοικίζει πάλιν 15 Φίλιππος κατὰ Θηβαίων. Κατασκαφέντες οὖν νῦν τὴν δευτέραν κατασκαφὴν ἔρχονται εἰς τὰς ’Αθήνας, ἀναλαβεῖν βουλόμενοι τὴν πόλιν διὰ τῶν ’Αθηναίων, εἰς οὓς κατέφυγον, ὥς φησιν ὁ ’Αριστείδης. Καὶ ἡ μὲν ὑπόθεσις αὕτη· ἡ δὲ στάσις πραγματικὴ ἄγραφος. 18 Aristid. I 59 Lenz = p. 111, 19-20 Jebb 3-4 τὸν 3 πελοποννησιακοῦ Π Par.2991 : πελοπονησιακοῦ Τ Par.2990 : πελλοποννησιακοῦ Ν ὕστερον – τῶν Πελοποννησιακῶν non sane quadrat (idem lapsus apud Sud. ι 652), fort. deleverim 4 πελοπονησιακῶν Τ Par.2990 ε´ add. Baiter (apud Baiter – Sauppe, II, p. 7) : spatium vacuum Τ : τρίτῳ Par.2991 : om. Π Ν Par.2990 5 ἔτει] ἔτι Νac, corr. Ν1 inter scrib. πελοπονησιακοῦ Τ Par.2990 εἴκοσι καὶ ἑπτὰ ἔτη om. Par.2991 εἴκοσι scripsi : κ´ coni. Sauppe (apud Baiter – Sauppe, II, p. 7) : δύο Π Ν Τ Par.2990 πᾶς om. Π Ν 5-6 καὶ τὰ λοιπὰ om. Par.2991 6 εἴκοσι δύο Ν : εἰκοσιδύο Π : δύο καὶ εἴκοσιν Par.2991 : κβ´ Τ Par.2990 ἤρξαντο Π Ν 7 †κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη† εἴρηται ὁ λόγος] ὁ δὲ λόγος οὗτος εἴρηται κατὰ τὰ φιλίππου ἔτη Par.2991 κατὰ τὰ Τ Par.2991 : κατὰ τοῦ Par.2990 : καὶ τὰ Π Ν : πρὸ τοῦ dub. coni. Sauppe, l. l. suspicor sub verbis κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη
lacunam latere, ubi dissereretur quantum temporis inter finem principatus Lacedaemoniorum et pugnam contra Philippum apud Chaeroneam intercessisset ac quem annum agens Isocrates mortem obiisset 8 ἰσοκράτη Par.2990 †τριῶν†] fort. δεκατριῶν, i.e. Γ post λόγον add. ὡς ἡ περὶ τῶν αὐτοῦ χρόνων ἱστορία δηλοῖ Par.2991 ἀδύνατα Ν Πρὸς ὃ] προσὸ Π 9 ζητημαῖος Π Ν Τ Par.2990 : ζητήματος coni. Sauppe, l. l. («oratio quaestionis») : om. Par.2991 : fort. deleverim 10 ἀλλὰ τότε (vel ἀλλ’ ὅτε) conieci : ἀλλὰ τὸ Π Ν Par.2990 : ἀλλ’ ὅτι Par.2991 : ἀλλὰ Τ πλαταιοῖς Πac, πρότερον conieci : ὅτε Π Ν Τ Par.2990 : πρῶτον Par.2991 : ὁτὲ coni. Sauppe, l. l. : τότε dub. corr. Π1 coni. Mustoxydis, Συλλογή, fasc. 4 [3], p. 23 11 πελοποννησιακῷ Par.2991 : πελοπονησιακῷ Π Τ 12 εἶτα – Θηβαίοις om. Π Ν propter homoeoteleuton εἶτα δ’ Par.2990 : πελοπονσιακῷ (sic) Ν ὅτε dub. coni. Mustoxydis, l. l. πελοπονησιακὸν Π Τ Par.2990 13 καὶ1 delendum puto καὶ2 14 del. Sauppe, l. l., qui post καὶ ἐνίκησαν οἱ Λακεδαιμόνιοι distinxerat ὁμήρους Νac, corr. Ν1 ἀνῴκισαν Τ (-ώ-) : -ώκη- Par.2990 Par.2991 : -οίκι- Π Νit : -οίκη- Νmg (alia m.) εἶτα δ’ ὕστερον fort. scribendum 15 αὖ τοὺς Ν : αὐτοὺς Π Τ Par.2990 : αὖθις Par.2991 revera prius Plataeae iterum eversae sunt circa anno 373 a. Chr. n., postea apud Leuctra Thebani Lacedaemonios prof ligaverunt anno 371 Πλαταιέας, οὓς] πλάταιαν· ἣν Par.2991 ἐνοικίζει Τ Par.2990 Par.2991 16 κατασκάψαντες Par.2990 17 ἀναβαλεῖν Π 17-18 διὰ τῶν ἀθηναίων, εἰς οὓς κατέφυγον Π Ν : διὸ τοῖς ἀθηναίοις κατέφυγον Τ Par.2990 : om. Par.2991 18 ὥς φησιν ὁ ἀριστείδης] ὡς καὶ ἀριστείδης φησίν Par.2991 ἀριστίδης Π Ν καὶ ἡ μὲν ὑπόθεσις αὕτη] εἰς ἣν καὶ οὗτος ὁ λόγος γέγραπται Par.2991 ἡ δὲ Π Τ Par.2990 : ἡ δὲ· ἡ δὲ (sic) Ν : ἔστι δὲ ἡ Par.2991
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MARCO FASSINO
4.3. Traduzione Riguardo alla data di questa orazione, molti sbagliano. Si chiedono, infatti, come sia possibile che Isocrate abbia parlato in difesa dei Plateesi, dal momento che la loro città fu distrutta nel III libro della Guerra del Peloponneso,107 *lui che nacque (visse?) più tardi, molti anni dopo la guerra del Peloponneso*. La distruzione di Platea, infatti, avvenne nel anno della guerra del Peloponneso,108 l’intera guerra occupò 27 anni e la differenza sono 22; poi l’egemonia spartana ne durò 30: ecco così 52 †negli anni di (del?) Filippo† è stata pronunciata l’orazione,109 sicché ne consegue che Isocrate pronunciò l’orazione quando aveva †tre† (tre?) anni, il che è impossibile. Replicando a questo, alcuni dicono anche che l’orazione *riguardante una controversia(?)* è stata pronunciata per esercizio retorico. Invece non è così, ma per la seconda volta fu distrutta Platea: durante la guerra del Peloponneso per mano dei Lacedemoni,110 che volevano compiacere i Tebani (poi, quando i Lacedemoni combatterono contro i Tebani dopo la guerra del Peloponneso, *e* i Lacedemoni vinsero 111 e, siccome volevano assoldare contro i Tebani dei nemici loro confinanti, ripopolarono Platea); 112 poi più tardi i Tebani, dopo aver vinto a Leuttra, distrussero di nuovo Platea,113 che più tardi Filippo a sua volta ripopolò contro i Tebani.114 Ora, quindi, dopo aver subito la seconda distruzione, giungono ad Atene, con l’intenzione di recuperare la città grazie agli Ateniesi, presso i quali si erano rifugiati, come dice Aristide.115 E questo è l’argomento; la disputa è incentrata sui fatti e senza testo scritto.
107
Th. III 52, 1-68, 5. Nell’estate del 427 a.C. 109 Così Τ e, con una variante non sostanziale (cfr. infra, n. 133), Par.2991. Par.2990 legge invece «52 †anni contro Filippo† è stata pronunciata l’orazione». Il testo di Π e Ν significa «52 †anni e quelli di (del?) Filippo† è stata pronunciata l’orazione» (ma cfr. infra, n. 134). Con la congettura di Sauppe diventa «52 anni prima di (del?) Filippo è stata pronunciata l’orazione» (ma cfr. infra, n. 135). 110 Cfr. supra, n. 108. 111 A Nemea e Coronea (394), nel corso della guerra di Corinto (395-386). 112 Dopo la pace di Antalcida del 386 a.C. (Paus. IX 1, 4). 113 È qui presente un anacronismo: la seconda distruzione di Platea (373 a.C. circa) precede la battaglia di Leuttra (371 a.C.); cfr. Xen. Hell. VI 3, 1 e 5, D.S. XV 46, 4-6, Paus. IX 1, 8. 114 Dopo la battaglia di Cheronea (338 a.C.); cfr. Paus. IX 1, 8. 115 Elio Aristide, I 59 Lenz = p. 111, 19-20 Jebb. 108
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TRADIZIONE MANOSCRITTA E COSTITUZIONE DEL TESTO DEGLI ARGUMENTA ISOCRATEI
5. Note filologiche 3-4 *τὸν ὕστερον μετὰ πολλὰ ἔτη γενόμενον τῶν Πελοποννησιακῶν*] Se si attribuisce a γενόμενον il significato più naturale, cioè quello di γεννηθείς (natus), l’affermazione secondo cui Isocrate sarebbe «nato molti anni dopo la guerra del Peloponneso» 116 non solo è falsa, ma risulta anche in contraddizione con la cronologia (sostanzialmente coincidente con quella delle altre fonti) 117 che Zosimo stesso aveva richiamato in precedenza nella Vita: cfr. XXXV 90-92 Mathieu – Brémond, λέγουσι δέ τινες ὅτι τοῦ Πελοποννησιακοῦ πολέμου πρεσβύτερος ἐγένετο 118 δυσὶ καὶ εἴκοσιν ἔτεσιν e XXXVII 154-158 Mathieu – Brémond, ἐβίωσε δ᾿ οἱ μὲν λέγουσι ὡς ὅτι ἑκατὸν ἔτη, οἱ δὲ ἐνενήκοντα καὶ ὀκτώ. ἀπέθανε δ᾿ ἐπὶ Χαιρώνδου ἄρχοντος μετὰ τὴν ἐν Χαιρωνείᾳ μάχην [...]. ἀποκαρτερήσας δὲ ἐτελεύτησεν, ὡς μὲν Δημήτριός φησιν ἐννέα ἡμέρας, ὡς δὲ Ἀφαρεὺς δεκατέσσερας. Per quanto riguarda il secondo passo, la battaglia di Cheronea è dell’estate del 338 a.C.: pertanto, se all’epoca della morte, avvenuta pochi giorni dopo, Isocrate aveva 100 oppure 98 anni compiuti, la sua nascita per Zosimo deve risalire rispettivamente al 439/438 o al 437/436,119 in ogni caso ben prima della guerra del Peloponneso. La contraddizione, del resto, coinvolgerebbe anche il seguito del ragionamento sviluppato nell’argumentum. Poco oltre, infatti, nonostante una corruttela, si evince chiaramente la presenza dell’argomentazione secondo 116 Non può sussistere alcun dubbio sul fatto che τὰ Πελοποννησιακά designi quella che la storiografia contemporanea (ma non quella antica: cfr. E. Meyer, s.v. Peloponnesos, in RE XIX 1, 1937, coll. 380-391: 381; W. Schmitz, s.v. Peloponnesischer Krieg, in DNP IX, 2000, coll. 501-506: 501-502) considera la ‘seconda’ guerra del Peloponneso, scoppiata, com’è noto, nella primavera del 431 a.C.; cfr. p. es. Schol. Th. 1.23.4 τὰς τριακοντούτεις σπονδάς: μετὰ λϛ´ ἔτη (con approssimazione: dalla battaglia di Platea [estate del 479] alla tregua trentennale [446/445] trascorrono in realtà 33/34 anni) τῶν Μηδικῶν ἐγένοντο αἱ τριακοντούτεις σπονδαί, καὶ ἐφυλάχθησαν ἔτη ιδ´ (fino al 431), ὡς γενέσθαι ἔτη ν´ ἀπὸ τῶν Μηδικῶν ἕως τῶν Πελοποννησιακῶν. 117 Cfr. p. es. D.H. Isocr. 1, 1, [Plut.] Vit. X or. 836f, Phot. Bibl. 260, 486b. Per la Suda (ι 652 Adler), cfr. infra, pp. 108-109. 118 L’integrazione di Sauppe (in Baiter – Sauppe, Isocrates, II, p. 4) può essere considerata pressoché certa sulla base del confronto con D.H. Isocr. 1, 1 Ἰσοκράτης ὁ Ἀθηναῖος ἐγεννήθη μὲν
ἐπὶ τῆς ὀγδοηκοστῆς καὶ ἕκτης Ὀλυμπιάδος ἄρχοντος Ἀθήνησι Λυσιμάχου πέμπτῳ πρότερον ἔτει τοῦ Πελοποννησιακοῦ πολέμου, δυσὶ καὶ εἴκοσιν ἔτεσι νεώτερος Λυσίου. È curioso notare come sia in
questo passo della Vita sia nell’argumentum del Plataico (cfr. rr. 4-6) sembrino ritornare gli stessi numeri, 5 e 22, sempre in relazione con la guerra del Peloponneso. La coincidenza appare tuttavia casuale: nella Vita, si dice (con l’integrazione di Sauppe) che Isocrate nacque 22 anni dopo Lisia e 5 anni prima dello scoppio della guerra del Peloponneso; nell’argumentum, che la prima distruzione di Platea avvenne 5 anni dopo l’inizio della guerra del Peloponneso e 22 anni prima della sua conclusione. 119 Il 437/436 sarebbe sostanzialmente coerente con la datazione della nascita a 5 anni prima dello scoppio della guerra del Peloponneso.
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cui Isocrate sarebbe stato troppo piccolo per pronunciare il Plataico al momento della prima distruzione di Platea (427 a.C.): cfr. rr. 7-8 ὡς ἀνάγκη τὸν Ἰσοκράτην †τριῶν† (fort. δεκατριῶν? cfr. infra) ἐτῶν ὄντα εἰπεῖν τὸν λόγον, ὅπερ ἀδύνατον. Ora, è ovvio che a quella data, per poter essere troppo piccolo, doveva essere almeno già nato. L’unica possibilità di salvare la coerenza interna del testo passa per la soluzione tentata da Georges Mathieu,120 che traduce «alors qu’il a vécu bien des années après ces événements». Ma già Erwin Rohde, in un contributo rimasto fondamentale sull’argomento,121 rilevava come fosse il perfetto γέγονε/γεγονώς ad assumere spesso, nella letteratura biografico-erudita, il valore di ἤκμαζε (f loruit), valore che invece per l’aoristo ἐγένετο/γενόμενος risultava più raro – anche se non del tutto precluso – rispetto al prevalente uso come sinonimo di ἐγεννήθη.122 Nell’argumentum del Plataico, poi, il fatto che γενόμενον si riferisca alla nascita è garantito dal confronto con l’unico altro passo, relativo alla biografia isocratea, in cui compaia il medesimo errore cronologico: Suda ι 652 Adler Ἰσοκράτης, Θεοδώρου αὐλοποιοῦ, Ἀθηναῖος, ῥήτωρ, γενόμενος ἐπὶ τῆς πϛ´ ὀλυμπιάδος, ὅ ἐστι μετὰ 123 τὰ Πελοποννησιακά. Qui l’esatta indicazione dell’olimpiade 124 fa a pugni con l’annotazione ὅ ἐστι μετὰ τὰ Πελοποννησιακά. Una connessione tra il testo della Suda e l’argumentum è difficile da negare: sembra inevitabile concludere che entrambi i testi, così come sono tramandati, contengano l’informazione – erronea e contraddittoria rispetto al contesto – di una nascita di Isocrate successiva alla guerra del Peloponneso. 120
In Mathieu – Brémond, Isocrate, II, p. 72. E. Rohde, Γέγονε in den Biographica des Suidas. Beiträge zu einer Geschichte der litterarhistorischen Forschung der Griechen, «RhM», XXXIII, 1878, pp. 161-220: su γενόμενος, cfr. spec. p. 219, n. 1. 122 Quest’ultimo, del resto, è l’uso che viene fatto di ἐγένετο proprio all’inizio della Vita, XXXIII 1 Mathieu – Brémond: Ἰσοκράτης Θεοδώρου μὲν τοῦ αὐλοποιοῦ ἐγένετο παῖς. Per il diverso valore del perfetto, invece, cfr. p. es. Sud. θ 93 Adler Θεαίτητος, Ἀθηναῖος, ἀστρολόγος, φιλόσοφος, μαθητὴς Σωκράτους, ἐδίδαξεν ἐν Ἡρακλείᾳ. Πρῶτος δὲ τὰ πέντε καλούμενα στερεὰ ἔγραψε. Γέγονε δὲ μετὰ τὰ Πελοποννησιακά: qui γέγονε non si riferisce alla nascita, ma equivale senz’altro a f loruit, dal momento che Teeteto, come si deduce dall’omonimo dialogo platonico, era ancora giovane al momento della morte di Socrate e doveva perciò essere nato proprio durante la guerra del Peloponneso, attorno al 417. 123 Korais, Ἰσοκράτους λόγοι, II, p. νζ, corregge μετὰ τὰ Πελοποννησιακά in κατὰ τὰ Πελοποννησιακά, ma si tratta solo di una normalizzazione che non risolve il problema. Infatti, la lezione tràdita della Suda, per quanto contraddittoria, è validamente sostenuta proprio dal parallelo dell’argumentum del Plataico, la cui formulazione (ὕστερον μετὰ πολλὰ ἔτη ... τῶν Πελοποννησιακῶν) è refrattaria a qualsiasi congettura. 124 L’86a olimpiade corrisponde infatti al 436-432 a.C. 121
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Infine, la connessione sintattica di τὸν ὕστερον μετὰ πολλὰ ἔτη γενόμενον τῶν Πελοποννησιακῶν con ciò che precede è decisamente precaria: τὸν ... γενόμενον è infatti separato da τὸν Ἰσοκράτην da una porzione di testo trop-
po estesa, perché la struttura della frase risulti convincente. Questo colon, insomma, ha tutto l’aspetto di un’annotazione marginale, il cui inserimento a testo risulta piuttosto infelice sia per il contenuto sia per la sintassi. Ho tuttavia ritenuto più prudente l’uso dell’asterisco al posto dell’espunzione, proprio perché un’analoga interpolazione, come si è visto, compare anche nella Suda: non si può dunque escludere che essa abbia avuto una qualche circolazione nella letteratura relativa alla biografia di Isocrate e che fosse perciò già presente nel testo allorché l’escerto che costituisce l’argumentum è stato aggregato al corpus isocrateo.125 4-5 ἐν τῷ ἔτει τοῦ Πελοποννησιακοῦ] Cioè nell’estate del 427 a.C.126 La palmare congettura di Baiter elimina l’errore di aplografia, dovuto alla contiguità tra il numero ε´ e la vocale iniziale di ἔτει: 127 per rendere esplicito il fenomeno, ho preferito stampare la cifra alfabetica, anziché scrivere πέμπτῳ per esteso, differenziando così (un po’ arbitrariamente, per la verità) questo numero e quello del r. 2 rispetto a quelli, contenenti anche le decine, che compaiono più avanti. La variante ἐν τῷ τρίτῳ ἔτει è una congettura del solo Par.2991, forse da attribuire allo stesso copista Michele Suliardo.128 5 εἴκοσι καὶ ἑπτὰ] I codici scrivono δύο καὶ ἑπτὰ, tranne nuovamente Par.2991 che, resosi conto dell’incongruenza del testo tràdito, tenta di aggiustarlo con un κατέσχε δὲ ὁ πᾶς πόλεμος δύο καὶ εἴκοσιν, omettendo nel rigo sia δύο καὶ ἑπτὰ ἔτη sia καὶ τὰ λοιπὰ. L’errore di δύο (β´) per εἴκοσι (κ´), corretto brillantemente da Sauppe, è dovuto ad uno scambio β/κ, più frequente in minuscola, ma non estraneo neppure ad alcuni tipi di maiuscola.129 Questi 27 anni, riferiti alla durata della guerra del Peloponneso, vanno ovviamente dal 431 al 404 a.C. (cfr. la nota seguente). Ho preferito 125 Ritengo invece che non ci siano abbastanza dati per precisare meglio il rapporto genetico tra l’interpolazione nell’argumentum e quella nella Suda: qualunque ipotesi di dipendenza diretta dell’una dall’altra o di derivazione da un modello comune rischia dunque di essere fantasiosa. 126 Cfr. Th. III 25, 2-26, 1 ὅ τε χειμὼν ἐτελεύτα οὗτος, καὶ τέταρτον ἔτος τῷ πολέμῳ ἐτελεύτα τῷδε ὃν Θουκυδίδης ξυνέγραψεν. Τοῦ ἐπιγιγνομένου θέρους κτλ., III 52, 1 ὑπὸ δὲ τοὺς αὐτοὺς χρόνους
τοῦ θέρους τούτου καὶ οἱ Πλαταιῆς οὐκέτι ἔχοντες σῖτον οὐδὲ δυνάμενοι πολιορκεῖσθαι ξυνέβαν τοῖς Πελοποννησίοις τοιῷδε τρόπῳ. 127 Si noti che Τ, unico tra tutti i codici, si è reso conto della caduta del numerale e ha lasciato uno spazio bianco prima di ἔτει. 128 Cfr.
supra, p. 89 e n. 67. A. Carlini, «Prometheus», XX, 1994, pp. 283-285: 285 (recensione di Thucydidis Historiae, II: Libri III-V, recensuit I.B. Alberti, Roma, Istituto Poligrafico 1992). 129 Cfr.
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stampare per esteso εἴκοσι, dal momento che la scrittura κ´ καὶ ἑπτὰ, con cui originariamente Sauppe ha formulato la sua correzione, è un po’ incongruente, sia in sé (semmai si dovrebbe ricorrere a κζ´), sia rispetto alle successive grafie dei rr. 6-7: εἴκοσι δύο (così nella maggioranza dei codici), τριάκοντα e πεντήκοντα δύο (così in tutti i codici). 6 τριάκοντα] Secondo Isocrate, l’egemonia spartana durò solo dieci anni (Panath. 56), cioè dalla fine della guerra del Peloponneso alla battaglia di Cnido del 394 a.C. (cfr. anche Phil. 63); oppure, in alternativa, trentatré anni, cioè fino alla battaglia di Leuttra del 371 a.C. (Phil. 47). Demostene nella terza Filippica (23) parla prima di τριάκονθ᾿ ἑνὸς δέοντα, 29 anni, pari al periodo dalla vittoria di Egospotami (405) alla sconfitta di Nasso (376); 130 subito dopo (25), però, menziona la cifra tonda di trent’anni (ἐν τοῖς τριάκοντ᾿ ἐκείνοις ἔτεσιν). Sulla questione, cfr. H.F. Clinton, Fasti Hellenici. The Civil and Literary Chronology of Greece from the Earliest Accounts to the Death of August, II, Oxford, OUP 18413, pp. 308-309. Nel contesto del nostro argumentum, tuttavia, i trent’anni devono decorrere dal 404 a.C., cioè dallo scadere dei 27 anni della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.: cfr. la nota precedente). In tal modo si giunge all’anno 374 a.C., nel quale non sembra però essere accaduto alcun avvenimento meritevole di segnare la fine dell’egemonia spartana. Probabilmente, questi trent’anni sono dunque frutto di arrotondamento. 6 ἰδοὺ] Come lezione del suo manoscritto, il Mustoxydis 131 registra ἤγουν. Poiché però Must è apografo di Τ,132 si tratta soltanto di un’innovazione isolata, che non merita di essere registrata in apparato. 7 †κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη†] Il testo tràdito (che si presenta in questa forma in Τ e Par.2991,133 mentre Par.2990 sostituisce τοῦ a τὰ e Π Ν introducono καὶ τὰ invece di κατὰ τὰ) 134 sembra significare all’incirca «negli anni di Filippo» o «negli anni del Filippo», ma non fornisce un senso adeguato al contesto. Filippo II di Macedonia, infatti, accede al potere nel 359 a.C., prima come tutore del nipote Aminta IV, poi, pochi anni dopo, come re a tutti gli effetti. Questa data è evidentemente troppo bassa sia in relazione alla prima distruzione di Platea (427) che alla seconda (373 circa). Il Filippo Così anche D.H. I 3, 2 οὐδὲ ὅλα ἔτη τριάκοντα. Mustoxydis, Συλλογή, fasc. 2, p. 3 [fasc. 1, p. 27]; cfr. fasc. 4 [3], p. 23. 132 Cfr. supra, sez. 2. 133 Rispetto a Τ (κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη εἴρηται ὁ λόγος), Par.2991 innova l’ordo verborum e aggiunge un dimostrativo (ὁ δὲ λόγος οὗτος εἴρηται κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη), ma non sposta i termini della questione. 134 Ma καὶ τὰ è senz’altro una corruttela, forse meccanica, di κατὰ. 130 131
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di Isocrate, peraltro, è assegnato da Zosimo, che in ciò si basa sull’autorità di Ermippo di Smirne (F 44a Bollansée), agli ultimi anni della vita dell’oratore (cfr. argum. Phil. p. 110, 3-5 ἔγραψε δὲ ὁ Ἰσοκράτης τὸν λόγον γέρων ὤν, μικρὸν πρὸ τῆς ἑαυτοῦ καὶ Φιλίππου τελευτῆς, ὥς φησιν ὁ Ἕρμιππος), dopo la pace di Filocrate del 346 a.C. (cfr. ivi p. 109, 20-22). Le parole †κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη† compaiono nel punto di snodo di un ragionamento che ha la seguente premessa (rr. 4-6 ’Εγένετο γὰρ ἡ κατασκαφὴ – ἰδοὺ πεντήκοντα δύο): (a) dalla prima distruzione di Platea (427 a.C.) alla fine dell’egemonia spartana trascorrono 27 – 5 = 22 anni di guerra, più i 30 anni dell’egemonia spartana, ovvero in totale 22 + 30 = 52 anni 135 e giunge alla seguente conclusione (rr. 7-8 ὡς ἀνάγκη – ὅπερ ἀδύνατον): (f ) Isocrate avrebbe dovuto pronunciare il Plataico all’età di n anni, il che è impossibile (s’intende: perché sarebbe stato troppo giovane). Nei manoscritti n = 3, ma il testo tràdito è qui sicuramente corrotto (cfr. infra). A me sembra che il solo sviluppo argomentativo in grado di portare in modo consequenziale dalla premessa (a) alla conclusione (f ) sia all’incirca questo: (b) dalla fine dell’egemonia spartana alla battaglia di Cheronea (cui si riferisce forse κατὰ τοῦ Φιλίππου = «contro Filippo» di Par.2990?) intercorrono m anni; 136 135 Risulta dunque poco sensata la congettura πρὸ τοῦ Φιλίππου di Sauppe, tradotta da Mathieu con «Voilà donc un discours prononcé cinquante-deux ans avant le Philippe». I 52 anni conteggiati dall’argumentum, infatti, rappresentano esplicitamente il periodo che intercorre tra la distruzione di Platea e la fine dell’egemonia spartana, non tra la distruzione di Platea e la data di composizione del Filippo. Del resto, se si accoglie per absurdum la premessa che il Plataico precede di 52 anni il Filippo, si pongono problemi insormontabili: (a) se il Plataico riguarda la distruzione del 427, il Filippo sarebbe del 375 a.C., cioè di 16 anni precedente alla presa del potere da parte di Filippo II; (b) se il Plataico riguarda la distruzione del 373 circa, il Filippo sarebbe del 321 circa, cioè successivo di più o meno 17 anni rispetto alla morte di Isocrate! Sull’ambientazione (primavera del 346) e sulla data di composizione del Filippo, cfr. Nicolai, Isocrate, p. 153. 136 A causa del probabile arrotondamento di cui si è detto a proposito di τριάκοντα al r. 6, è difficile indicare esattamente la cifra esatta. Se i «trent’anni» di egemonia spartana (che decorrono dal 404, dopo i 27 anni della guerra del Peloponneso) vanno presi alla lettera, m corrisponde a 36 anni, dal 374 al 338. Se invece i «trent’anni» sono approssimati e la fine dell’egemonia spartana viene fatta coincidere con la battaglia di Nasso (376) o con il rinnovo della koine eirene (375), che impone agli Spartani il ritiro delle guarnigioni dalle poleis greche, m corrisponde a 37 o 38 anni. Del resto, anche m potrebbe essere stato approssimato a 35 anni (cfr. comm. a r. 8 †τριῶν†).
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(c) dalla prima distruzione di Platea alla battaglia di Cheronea intercorrono quindi 52 + m anni; (d) Isocrate morì subito dopo Cheronea all’età di 100 (o 98) anni: cfr. Vita, XXXVII 154-158 Mathieu – Brémond (cit. supra, nota ai rr. 3-4); (e) al tempo della prima distruzione di Platea Isocrate aveva perciò 100 – (52 + m) = n oppure 98 – (52 + m) = n anni di età. Ritengo dunque che dietro le parole †κατὰ τὰ Φιλίππου ἔτη† si celi in realtà un’estesa lacuna, che ha inghiottito i passaggi logici ora mancanti. Anche se ci si muove su un terreno estremamente incerto, è forse più probabile che questa lacuna si sia prodotta in modo meccanico durante la trasmissione del testo già in forma di argumentum: mi sembra infatti meno verosimile che l’escertore dell’opera di Zosimo recepisse così passivamente un ragionamento non consequenziale. In questo caso, pertanto, ho preferito apporre le cruces.137 8 †τριῶν†] Se si considera la notizia relativa all’età di Isocrate (100 o 98 anni) al momento della morte nell’estate del 338 a.C., si può collocare la sua nascita nel 439/438 o nel 437/436 (cfr. supra, nota ai rr. 3-4). Nel primo caso, all’epoca della prima distruzione di Platea (estate del 427) avrebbe avuto 11 o 12 anni; nel secondo caso, 9 o 10. Il τριῶν tramandato da tutti i codici è comunque corrotto. Dal punto di vista paleografico, la correzione più economica consiste nel modificare il 3 in un 13 (cioè, in maiuscola, il Γ in un ΙΓ), a patto che si sia disposti ad ammettere lo scostamento di 1-2 anni rispetto all’ipotesi di una nascita nel 439/438. Questo scostamento si spiegherebbe se il periodo tra la fine dell’egemonia spartana e la battaglia di Cheronea (m) fosse stato approssimato a 35 anni.138 In tal caso, secondo i calcoli proposti dall’argumentum, Isocrate nel 427 a.C. avrebbe avuto proprio 100 – (52 + 35) = 13 anni. Si tenga però presente che il 437/436 ha molte più probabilità di essere la data di nascita corretta.139 9 *ζητημαῖος*] Questa forma, presente in tutti i codici (ad eccezione di Par.2991 che, non comprendendola, la omette) non è altrimenti attestata.140 Sauppe propone di correggerla in ζητήματος, ipotizzando un facile scambio da maiuscola Τ/Ι e intendendo il nesso λόγος ζητήματος come «oratio 137 Non mi sono invece arrischiato a segnalare esplicitamente la lacuna, perché risulta impossibile individuarne la collocazione esatta nel tessuto verbale. 138 Cfr. supra, n. 136. 139 Cfr. supra, nn. 118-119. 140 Cfr. già Mustoxydis, Συλλογή, fasc. 4 [3], p. 23: «ἡ λέξις δὲν εὑρίσκεται εἰς τὰ λεξικὰ, σημαίνει δὲ τὸ κατὰ ζήτησιν».
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quaestionis», cioè – a quanto sembra – «discorso riguardante una questione», «riguardante una controversia». La frase verrebbe così a significare: «il discorso, riguardante una controversia, è stato pronunciato per esercitazione retorica (πρὸς μελέτην)». Mathieu lega invece ζητήματος a μελέτην e traduce: «le discours a été fait comme exercise sur cette question». Qui si è preferito indicare il testo come corrotto: ζητημαῖος potrebbe essere un aggettivo estemporaneo, coniato da un lettore/copista a partire da ζήτημα, annotato in margine come glossa (riferita a λόγος) di πρὸς μελέτην e infine infiltratosi erroneamente nel testo. Preferisco comunque limitarmi a utilizzare gli asterischi, anziché l’espunzione, perché non si può escludere del tutto che questo ζητημαῖος, cui non si può negare una certa aura di termine tecnico e dotto, si sia insinuato già nella tradizione di Zosimo e abbia poi tratto in inganno il compilatore dei nostri argumenta. 10-11 ἀλλὰ τό δεύτερον κατεσκάφησαν Πλαταιεῖς· ότε μὲν] I codici, ad eccezione di Par.2991, scrivono ἀλλὰ τὸ (τὸ om. Τ) δεύτερον ... ὅτε μὲν, che viene accolto a testo dagli editori, a partire da Baiter - Sauppe, con la sola correzione di ὅτε in ὁτὲ. Mathieu traduce: «En réalité Platées fut détruite deux fois: une fois pendant la guerre du Péloponnèse etc.». Il problema è però che (τὸ) δεύτερον non significa «due volte» (bis), ma «una seconda volta» o «in secondo luogo» (iterum),141 come risulta anche da argum. Archid. p. 110, 11 ed argum. Euag. p. 91, 7 Menchelli, dove peraltro δεύτερον non ha l’articolo. Allo stesso modo, ὁτέ non significa «una prima volta» (prius, primum), ma «qualche volta», «a volte» (aliquando, quandoque). Già Par.2991 si era reso conto delle difficoltà del testo tràdito e aveva tentato suo Marte di porvi rimedio scrivendo ἀλλ᾿ ὅτι δεύτερον ... πρῶτον μὲν. Con le congetture qui proposte, il passo va inteso così: secondo alcuni, «l’orazione è stata pronunciata per esercizio retorico, però non è così, ma allora (scil.: quando è stata pronunciata) per la seconda volta 142 la città dei Plateesi fu rasa al suolo: una prima volta (scil.: era stata rasa al suolo) durante la guerra del Peloponneso 143 etc.». Il πρότερον così integrato, non diversamente dal 141 Cfr. LSJ s.v. δεύτερος I.2; DGE s.v. δεύτερος B.I e B.III. Anche l’espressione ἅπαξ καὶ δεύτερον, che pure in italiano può essere tradotta come «una o due volte» (cfr. LSJ s.v. δεύτερος II.2: «once or twice»; DGE s.v. δεύτερος B.III: «una y dos veces»), in realtà equivale verbatim a
«una volta e una seconda volta», come il latino semel aut iterum (p. es. Cic. Brut. 90, 308) o semel atque iterum (p. es. Suet. Aug. 22, 27; spesso però semel atque iterum equivale a «più e più volte», «ripetutamente»). Un esempio isolato e non rilevante per il greco letterario è registrato da DGE s.v. δεύτερος B.III: «δεύτερον τοῦ ἐνιαυτοῦ dos veces por año», tratto dal papiro SB XVIII 14000.7 (Arsinoites, contratto agricolo, VI/VII d.C.). 142 In alternativa, propongo di scrivere ἀλλ᾿ ὅτε δεύτερον κατεσκάφησαν Πλαταιεῖς: «ma (scil.: è stata pronunciata) quando per la seconda volta etc.». 143 Cioè nell’estate del 427 a.C.
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πρῶτον di Par.2991, ma con maggiore verosimiglianza paleografica rispetto al testo tràdito, è da porre in relazione con il precedente δεύτερον e con εἶτα ὕστερον ... αὖ dei rr. 14-15 («poi in séguito ... di nuovo»). Invece la frase dei rr. 12-14 εἶτα ὅτε ἐπολέμησαν ... ἀνῴκισαν Πλάταιαν non è direttamente correlata con questo πρότερον, ma va intesa come incidentale. 10 Πλαταιεῖς] Il Mustoxydis 144 stampa οἱ Πλαταιεῖς con l’articolo, basandosi evidentemente sul manoscritto in suo possesso. In tutti gli altri codici l’articolo manca. La sua presenza, in realtà, non è indispensabile, anche alla luce delle costanti oscillazioni nell’argumentum circa l’uso dell’articolo davanti ai nomi di popolo: r. 2 ὑπὲρ Πλαταιέων, r. 4 τῶν Πλαταιέων, r. 6 Λακεδαιμόνιοι, r. 11 ὑπὸ Λακεδαιμονίων/Θηβαίοις, r. 12 Λακεδαιμόνιοι/ Θηβαίοις, r. 13 οἱ Λακεδαιμόνιοι, r. 14 Θηβαίοις/οἱ Θηβαῖοι, r. 15 τοὺς Πλαταιέας (cum Ν), r. 16 κατὰ Θηβαίων, r. 17 διὰ τῶν Ἀθηναίων (Π Ν : διὸ τοῖς Ἀθηναίοις Τ Par.2990). 13 *καὶ*] L’eliminazione di uno dei due καί presenti al r. 13 è necessaria.145 Sauppe espunge il secondo καί, davanti a πολεμίους, e punteggia dopo καὶ ἐνίκησαν οἱ Λακεδαιμόνιοι, con il seguente risultato: «quando i Lacedemoni combatterono contro i Tebani dopo la guerra del Peloponneso e i Lacedemoni vinsero, volendo assoldare contro i Tebani dei nemici loro confinanti, ripopolarono Platea». In questo modo, però, il soggetto Λακεδαιμόνιοι ritorna due volte nella stessa subordinata, con un risultato particolarmente sgradevole. Si potrebbe migliorare la proposta di Sauppe, interpungendo subito dopo καὶ ἐνίκησαν: la frase diventerebbe, dunque, «quando i Lacedemoni combatterono contro i Tebani dopo la guerra del Peloponneso e vinsero, i Lacedemoni, volendo assoldare contro i Tebani dei nemici 146 loro confinanti, ripopolarono Platea». La prosa degli argumenta, tuttavia, ha una spiccata tendenza ad anticipare il verbo rispetto al soggetto. Si osservi ad esempio l’inizio della frase: ὅτε ἐπολέμησαν Λακεδαιμόνιοι. In ossequio a questa tendenza, proporrei allora di espungere il primo dei due καί, facendo iniziare la principale già con ἐνίκησαν, immediatamente seguìto dal soggetto οἱ Λακεδαιμόνιοι: «quando i Lacedemoni combatterono contro i Tebani dopo la guerra del Peloponneso, i Lacedemoni vinsero 147 Mustoxydis, Συλλογή, fasc. 2, p. 3 [fasc. 1, p. 27]. καί in eccesso sarà stato aggiunto da uno scriba erroneamente convinto che tutt’e tre i verbi (ἐπολέμησαν, ἐνίκησαν e ἀνῴκισαν) fossero coordinati fa loro e retti da ὅτε. Non è improbabile che già l’‘originale’ dell’argumentum contenesse questo errore. 146 L’eventuale tentativo di salvare il secondo καί, attribuendogli il significato di «anche dei nemici», è artificioso e scarsamente giustificato dal senso della frase. 147 Anche in questo caso (cfr. supra, n. 146), un eventuale tentivo di salvare il καί, intendendo: «i Lacedemoni sia vinsero sia ripopolarono ...», convince poco. 144
145 Il
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e, siccome contro i Tebani volevano assoldare dei nemici loro confinanti, ripopolarono Platea». 15 κατέσκαψαν αὖ τοὺς Πλαταιέας] La divisio verborum di Ν (accolta anche da Blass e Mathieu) è superiore rispetto all’αὐτοὺς di Π Τ Par.2990 (accolto invece da Mustoxydis, Baiter – Sauppe, Benseler e Mandilaras), come risulta anche dall’αὖθις di Par.2991 (probabile congettura del Suliardo). La presenza di αὖ è infatti necessaria per sottolineare che si tratta della nuova distruzione, dopo quella già ricordata ai rr. 10-11 con ότε μὲν. Come si è evidenziato anche in apparato, qui l’autore dell’argumentum inverte la sequenza cronologica tra la vittoria dei Tebani a Leuttra (371 a.C.) e la seconda distruzione di Platea (373 circa): cfr. Xen. Hell. VI 3, 1 e 5; D.S. XV 46, 4-6; Paus. IX 1, 8. 15 ἀνοικίζει πάλιν] «ripopolò di nuovo», dopo la battaglia di Cheronea (338 a.C.): cfr. Paus. IX 1, 8. Rispetto ad ἐνοικίζει del ramo Τ Par.2990 Par.2991, ἀνοικίζει del ramo Π Ν è superiore, perché evidenzia meglio la correlazione tra le due ricostruzioni di Platea attraverso la ripetizione dello stesso verbo: r. 14 ἀνῴκισαν, r. 15 ἀνοικίζει πάλιν. 18 ὥς φησιν ὁ Ἀριστείδης] Il riferimento è al Panatenaico: Aristid. Or. I 59 Lenz = p. 111, 19-20 Jebb = p. 180, 1-3 Dindorf αὖθις αὖ Πλαταιέας δεύτερον ἐξοικισθέντας καὶ Θεσπιέας ἅμα ἐκείνοις δέχεται πανοικησίᾳ (il soggetto è Atene; il contesto tratta del soccorso prestato a più riprese dagli Ateniesi alle altre poleis greche su cui incombeva il rischio di essere annientate). Cfr. Oomen, De Zosimo, p. 24. 18-19 καὶ ἡ μὲν ὑπόθεσις αὕτη· ἡ δὲ στάσις πραγματικὴ ἄγραφος] Cfr. argum. Phil. p. 110, 2-3, argum. Archid. p. 110, 22-23, argum. Areop. p. 111, 10-11, argum. De pace p. 112, 5-7; Oomen, De Zosimo, p. 23.
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Maddalena Vallozza LA TRADIZIONE RETORICA NELLA HYPOTHESIS DELL’EVAGORA
1. La cosiddetta Vita anonima,1 gli scoli 2 e soprattutto le ὑποθέσεις, tràdite per dodici fra i ventuno discorsi del corpus di Isocrate,3 sono oggetto di numerosi studi recenti,4 che hanno ripreso e sviluppato ricerche condotte già dagli inizi del Novecento. In particolare Münscher,5 partendo da una analisi attenta della Vita e ampliando l’idea espressa in breve da Westermann,6 sostenuta poi su base linguistica da Hohmann,7 considera la Vita come la parte introduttiva di un commentario a Isocrate perduto: di questo commentario conserverebbero 1 Il testo in Westermann, Βιογράφοι, pp. 253-259, Dindorf, Scholia, pp. 101-106, Mathieu – Brémond, Isocrate, I, pp. xxxiii-xxxviii, presenta interventi arbitrari, che ora segnala Menchelli, Scritti, pp. 249-254. La Vita è anche in Mandilaras, Isocrates, I, pp. 211-216, ma con i limiti messi in luce da Martinelli Tempesta, Rec., p. 590. 2 Il testo in Dindorf, Scholia, pp. 118-124, e in Mandilaras, Isocrates, I, pp. 237-246. Ma cfr. Menchelli, Argumentum, p. 70. 3 Ne sono privi i sei discorsi giudiziari, il Panegirico, l’Antidosi e il Panatenaico. Il testo in Dindorf, Scholia, pp. 107-118, e in Mathieu – Brémond, Isocrate. La ὑπόθεσις di POxy 2537 si riferisce a un discorso di Lisia piuttosto che al Trapezitico di Isocrate secondo J.C. Trevett, P. Oxy 2537 and Isocrates’ Trapeziticus, «ZPE», LXXXI, 1990, pp. 24-26. Ne discute ampiamente S. Martinelli Tempesta, CPF 21, 124T, pp. 970-974. Per l’Antidosi cf r. Pinto, ‘Parenti’. In PKellis III Gr. 95 sono conservate due ὑποθέσεις molto brevi, rispettivamente all’A Demonico (1v) e all’A Nicocle (3v). Cf r. P.M. Pinto, CPF 21, 1, pp. 252-257. L’opinione che siano il prodotto di riduzioni da testi più estesi, dunque siano in rapporto con le ὑποθέσεις conservate dalla tradizione medievale e umanistica, avanzata già da Worp – Rijksbaron, Kellis, p. 30, è accolta da McNamee, Notes, pp. 907-908. Ma ora P.M. Pinto, P. Kellis III Gr. 95 and Evagoras I, «ZPE», CLXVIII, 2009, pp. 213-218, mette in luce nella ὑπόθεσις all’A Nicocle la presenza di numerosi dati indipendenti. 4 Le ὑποθέσεις sono conservate nell’ambito esclusivo della seconda famiglia dei manoscritti di Isocrate. Cfr. Fassino, supra, pp. 71-73, con bibliografia. 5 Münscher, Isokrates, coll. 2146-2147. 6 Westermann, Βιογράφοι, p. xvii, che rinvia peraltro a quanto già affermato in A. Westermann, Plutarchi Vitae decem oratorum, Quedlinburg-Leipzig, Becker 1833, pp. 9 e 21. 7 Hohmann, Verfasser, coll. 229-234.
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la memoria le ὑποθέσεις e il gruppo pur scarno di scoli che costellano il corpus. Münscher suggerisce come autore della Vita, e dunque del commentario, Zosimo, di Ascalona o di Gaza, che nella Suda (s.v. Ζώσιμος, ζ 169 Adler), figura quale autore di lessici di retorica e di uno ὑπόμνημα εἰς τὸν Δημοσθένην καὶ εἰς Λυσίαν.8 La ricostruzione di Münscher trova subito piena conferma nella dissertazione di Oomen 9 ed è accolta in seguito da Gärtner 10 e da Matthaios.11 In base all’esame dei dati cronologici non lineari forniti dalla Suda, già Seitz 12 e poi Downey 13 distinguono in realtà due diverse figure, Zosimo di Gaza, autore dei commentari, morto durante il regno di Zenone (474-491), e Zosimo di Ascalona, autore dei lessici, con f loruit nel regno di Anastasio (491-518). In ogni caso sia Champion 14 sia Geiger 15 inseriscono ora l’attività critica di Zosimo, di Ascalona o di Gaza, nella ricca produzione del vivace e complesso mondo intellettuale che opera a Gaza tra fine V e inizio VI secolo. Un contributo di grande suggestione giunge infine da Hoffmann.16 Dopo aver ricordato, grazie alla testimonianza di Davide-Elia nel commento alle Categorie di Aristotele (118, 25-31 Busse), il ruolo rivestito dalla lettura di Isocrate e dei discorsi parenetici, A Demonico, A Nicocle, Nicocle, nella formazione etica preparatoria del neoplatonismo, momento iniziale del cursus nelle scuole, Hoffmann osserva che le ὑποθέσεις del corpus di Isocrate, e in particolare la ὑπόθεσις dell’A Demonico (107, 5-108, 8 Dindorf ), propongono un ordine di lettura dei discorsi parenetici e una definizione 8 Sul titolo, Λέξις o Λέξεις, cfr. G. Ucciardello, Hypomnemata papiracei e lessicografia. Tra Alessandria e Bisanzio, Messina, DISCAM 2012, p. 40, n. 18. 9 Oomen, De Zosimo, pp. 7-13. 10 Gärtner, Zosimos, col. 793. 11 S. Matthaios, s.v. Zosimos. 6. aus Askalon, in DNP XII 2, 2002, coll. 845-846. 12 K. Seitz, Die Schule von Gaza. Eine litterargeschichtliche Untersuchung, Heidelberg, Winter 1892, pp. 27-30. 13 G. Downey, The Christian Schools in Palestine: A Chapter in Literary History, «HLB», XII, 1958, pp. 297-319: 309 e 313-314. Cfr. R.A. Kaster, Guardians of Language. The Grammarian and Society in Late Antiquity, Berkeley-Los Angeles-London, UC Press 1988, pp. 438-439, F. Paschoud, Zosime. Histoire nouvelle, I, Paris, Les Belles Lettres 20002, pp. xviii-xix. 14 M.W. Champion, Explaining the Cosmos: Creation and Cultural Interaction in Late Antique Gaza, Oxford, OUP 2014, pp. 21-42: 33. 15 J. Geiger, Hellenism in the East. Studies on Greek Intellectuals in Palestine, Wiesbaden, Steiner 2014, pp. 88-108. 16 Hoffmann, Bibliothèques, pp. 611-612. Ne riprende e sviluppa i suggerimenti Menchelli, Scritti, e Menchelli, Argumentum, nonché Menchelli, Frammenti, e Menchelli, supra, pp. 55-58.
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dello σκοπός di ciascun discorso che rif lettono tratti del metodo esegetico proprio del neoplatonismo.17 Una lettura e un’esegesi che, sempre secondo Hoffmann, dovevano investire l’intero corpus di Isocrate. La testimonianza di Damascio, nella Vita di Isidoro (fr. 108, 40-42 Athanassiadi = 282 Zintzen), sembra presentare infatti anche i discorsi più ampi e di contenuto più nettamente politico come oggetto di uno studio al quale Damascio stesso era stato introdotto dal suo maestro, Severiano: 18 ἐμοὶ δὲ καὶ ἐξηγεῖτο λόγους Ἰσοκρατείους τοὺς μείζους καὶ πολιτικωτέρους, οὐ τὸν τεχνικόν τε καὶ σοφιστικόν, ἀλλὰ τὸν ἔμφρονα καὶ φιλόσοφον τρόπον. Per lo studio di Isocrate, Damascio sembra contrapporre due distinti metodi, quello tecnico dei sofisti e quello consapevole, attento al senso, proprio dei filosofi. È possibile constatare anche ad un primo sguardo che molte fra le ὑποθέσεις ai discorsi di Isocrate non hanno la struttura limitata al riassunto con brevi notizie accessorie.19 Talora sono estese, come per l’A Demonico, la Contro i sofisti, il Busiride, il discorso Sulla pace, e anche quando sono brevi possono dare spazio a molti interessi, ad esempio lessico, stile, cronologia. La ὑπόθεσις dell’Evagora è forse fra tutte la più ricca: 20 ai problemi di cronologia si affianca infatti una notizia di carattere nettamente biografico e non manca al termine la proposta di una visione complessiva del discorso, del suo senso e della sua funzione paideutica, che può essere ricondotta al metodo esegetico richiamato da Hoffmann. Nell’insieme dominano però una sensibilità e una perizia tecnica delle quali è possibile mostrare i numerosi, saldi legami con la tradizione retorica. Una analisi in dettaglio è dunque utile per capire la varietà degli interessi che nella ὑπόθεσις conver17 Anche in relazione al doppio titolo, Νικοκλῆς ἢ Συμμαχικός, presente nella ὑπόθεσις del Nicocle (109, 7-8 Dindorf ), citato nella stessa forma da Ammonio nel De interpretatione (207, 2427 Busse). Cfr. Pinto, Isocrate, pp. 100-101. 18 Su Severiano, allievo di Proclo, cfr. P. Hoffmann, Damascius, in DPhA, II, 1994, pp. 541593: 544 e 564. Ne discute il profilo in relazione al giudizio negativo su Callimaco R. Hunter, The Reputation of Callimachus, in D. Obbink – R. Rutherford, Culture In Pieces. Essays on Ancient Texts in Honour of Peter Parsons, Oxford, OUP 2011, pp. 220-223, anche in R. Hunter, On Coming After. Studies in Post-Classical Greek Literature and its Reception, Berlin-New York, De Gruyter 2008, pp. 537-540. 19 Distingue tre tipi, ὑποθέσεις narrative, erudite, descrittive, M. van Rossum-Steenbeek, Greek Readers Digest? Studies on a Selection of Greek Subliterary Papyri, Leiden-New York-Köln, Brill 1998, pp. 1-39. Offre ora un quadro ricco e più articolato M. Dubischar, Typology of Philological Writings, in F. Montanari – S. Matthaios – A. Rengakos, Brill’s Companion to Ancient Greek Scholarship, I-II, Leiden-Boston, Brill 2015, pp. 545-599: 576-581. 20 È l’unica conservata, oltre che in ΠΝSVat, nel codice Λ: compare qui in margine all’inizio dell’orazione (f. 71rv) e in una forma più breve rispetto a quella trasmessa da ΠΝSVat. Cfr. Menchelli, Argumentum, pp. 65-92, e, sulle due famiglie nella tradizione di Isocrate, anche per materiali introduttivi ed esegetici, da ultimo Fassino, Tradizione, pp. 227-229, nonché Fassino, supra, pp. 71-77.
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gono, una varietà che sembra stemperare l’opposizione tra i due metodi di lettura che Hoffmann ricava da Damascio e conciliare retorica e filosofia secondo una linea fertile nel mondo di Gaza tra V e VI secolo, nel quale, come si è detto, la critica oggi inserisce Zosimo e la sua attività esegetica su Isocrate. 2. Il primo problema affrontato è la cronologia (91, 2-8 Menchelli): 21 Ἰστέον ὅτι τὸν λόγον τοῦτον ἔγραψεν Ἰσοκράτης πρὸς τὸν Νικοκλέα μετὰ τὴν παραίνεσιν τὴν πρὸς αὐτόν. Πόθεν δὲ τοῦτο δῆλον; Λέγομεν ἐπειδὴ αὐτὸς φανερὸν ἡμῖν τοῦτο καθίστησι περὶ τὸ τέλος τοῦ λόγου τούτου λέγων ὅτι· “οὐ νῦν σὲ παρακελεύομαι σπουδάζειν περὶ τὴν ἀρετήν, ἀλλὰ καὶ πάλαι”, ὅ ἐστιν ἐν ταῖς παραινέσεσιν. Πρῶτον οὖν ἔγραψεν αὐτῷ τὰς παραινέσεις μετὰ τὸν τοῦ πατρὸς θάνατον, εἶτα δεύτερον τὸν ἐπιτάφιον τοῦτον, ἵνα πλέον καὶ διὰ τούτου εὔνους αὐτῷ φανῇ τιμῶν τὸν Εὐαγόρου θάνατον.
Bisogna sapere che Isocrate ha scritto questo discorso per Nicocle dopo l’esortazione che gli aveva indirizzato. Da dove emerge questa successione? Diciamo che Isocrate stesso ce la rende chiara verso la fine del discorso, quando afferma: «non da oggi ti incito all’impegno per la virtù, ma già da tempo», cioè nelle esortazioni. In un primo momento dunque, dopo la morte del padre, Isocrate ha composto per Nicocle le esortazioni, poi in un secondo momento questo epitafio, per dargli una prova più grande della sua benevolenza anche così, onorando la morte di Evagora.
L’espressione iniziale è molto simile a quella che apre la ὑπόθεσις del Filippo (109, 20-22 Dindorf ): Ἰστέον ὡς ὅτι τὸν λόγον τοῦτον ἔγραψε τῷ Φιλίππῳ ὁ Ἰσοκράτης μετὰ τὴν εἰρήνην τὴν γενομένην ὑπὸ τῶν περὶ τὸν Αἰσχίνην καὶ
Δημοσθένην. Il rapporto tra i due passi non si limita all’uso della stessa formula introduttiva, ἱστέον ὡς ὅτι, come già rilevato da Oomen,22 ma si può riconoscere nel puntuale interesse per la cronologia. La ὑπόθεσις del Filippo indica un problema di cronologia assoluta. La stesura del discorso è infatti collocata subito dopo la pace di Filocrate, definita come la pace stipulata dai gruppi legati sia a Eschine sia a Demostene. Segue l’osservazione che proprio la pace di Filocrate ha offerto a Isocrate il καιρός, l’occasione giusta per scrivere a Filippo, grazie al nuovo clima d’intesa stabilito con Atene (109, 22-23 Dindorf ), διὸ καὶ ἔσχε καιρὸν γράψαι 21 Sul testo fortemente abbreviato della ὑπόθεσις in Dindorf, Scholia, p. 112, e ora in Mandilaras, Isocrates, I, p. 232, cfr. Menchelli, Argumentum, pp. 71-74. Seguo qui per il testo della ὑπόθεσις dell’Evagora Menchelli, Argumentum, pp. 91-92, per il testo delle altre ὑποθέσεις Dindorf, Scholia. 22 Oomen, De Zosimo, pp. 27-33.
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αὐτῷ τῷ Φιλίππῳ, ὡς φίλῳ γενομένῳ τῆς Ἀθηναίων πόλεως.23 Una discussio-
ne sulla cronologia assoluta occupa quasi per intero e con numerosi dettagli di non semplice ricostruzione la ὑπόθεσις del Plataico, che restituisce l’eco di una specifica ζήτησις a più voci, con l’affermazione di apertura (117, 8-9 Dindorf ) per la quale nella ricerca sulla data del discorso molti sono incerti: περὶ τοὺς χρόνους τοῦ λόγου τούτου πολλοὶ πλανῶνται. ζητοῦσι γὰρ ...24 Nella ὑπόθεσις dell’Evagora l’autore presenta invece una cronologia di carattere relativo: il discorso è successivo alla παραίνεσις per Nicocle, o meglio alle παραινέσεις per Nicocle, come specifica nella ripresa della frase. Fonda la sua osservazione sull’esplicito rinvio al testo, introdotto dalla formula πόθεν δὲ τοῦτο δῆλον; che non ricorre nelle altre ὑποθέσεις, ma è sia nella Vita (XXXVII 150-151 Mathieu – Brémond) 25 sia in uno scolio all’Evagora (47 = 123, 14-16 Dindorf ).26 Il rinvio è alla sezione finale del discorso, designata come τέλος, termine usato in senso tecnico, come equivalente di ἐπίλογος.27 Dalla sezione finale (73-81) è tratta infatti la 23 Non è certo da escludere un legame diretto tra questa osservazione e le preziose notizie che Isocrate fornisce in apertura del discorso, quando, rivolgendosi in forma diretta a Filippo, ricorda il suo precedente impegno nella composizione di un discorso su Anfipoli, interrotto proprio a causa della pace di Filocrate, che ha fortemente mutato la scena politica e reso quel tema non più attuale. Per un quadro d’insieme cfr. Usher, Greek Oratory, pp. 305-306. Analisi della pagina in Nicolai, Isocrate, p. 153, che distingue fra data di ambientazione e data di composizione. Blass, Attische Beredsamkeit, pp. 314-315, giunge a supporre che nella composizione del Filippo, in tempi davvero brevi per le abitudini di Isocrate, sia stato ripreso molto materiale già elaborato per il discorso su Anfipoli non più realizzato. Nel passo Isocrate promuove una sua Legitimierung nei confronti di Filippo, primo e diretto destinatario, ma anche nei confronti della cerchia più lontana dei destinatari ai quali si rivolge, alternando poi con accortezza i due registri per l’intero discorso. Cfr. S. Usener, Isokrates und sein Adressatenkreis. Strategien schriftlicher Kommunikation, in W. Orth (ed.), Isokrates. Neue Ansätze zur Bewertung eines politischen Schriftstellers, Trier, WVT 2003, pp. 23-29. 24 Ne discute Fassino, supra, pp. 106-115. 25 La formula interrogativa ricorre nell’elenco delle opere, in particolare nella sezione finale dedicata alle opere spurie, a proposito della τέχνη della quale Isocrate sarebbe autore: λέγεται δ’ ὡς ὅτι καὶ τέχνην ῥητορικὴν ἔγραψε, τῷ δὲ χρόνῳ ἔτυχεν αὐτὴν ἀπολέσθαι. ἐρεῖ δέ τις, καὶ πόθεν δῆλον ὅτι τοῦτο οὕτως ἔχει; λέγομεν ὡς ὅτι Ἀριστοτέλης ὁ φιλόσοφος συναγαγὼν τέχνας ῥητορικὰς ἐμνήσθη καὶ ταύτης (Aristotele f r. 129 Gigon = Isocrate B XXIV 11 Radermacher). Sul problema dell’attribuzione di una τέχνη a Isocrate cf r. ora Vallozza, Τέχνη. 26 A proposito dell’affermazione di Isocrate sulle cattive condizioni culturali di Salamina prima dell’avvento di Evagora, οὔτε τέχνας ἐπισταμένην, nello scolio è affermata la liceità della menzogna nell’ambito della lode: εἴ τις οὖν εἴποι, καὶ πόθεν ἔζων μηδενὶ τούτων κεχρημένοι; λέγομεν ὅτι ἔξεστι τοῖς ἐγκωμίοις ψεύδεσθαι. 27 Su ἐπίλογος e termini equivalenti per designare la parte finale del discorso, cfr. C.F. Laferl, Epilog, in HWdRh II, 1994, coll. 1286-1291: 1287. In particolare Lausberg, Handbuch, p. 879, riconosce per τέλος due significati, Ende, ad es. per la narratio, e Zweck, ad es. per lo sviluppo della quaestio.
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successiva citazione, οὐ νῦν σὲ παρακελεύομαι σπουδάζειν περὶ τὴν ἀρετήν, ἀλλὰ καὶ πάλαι, che riprende la raccomandazione, rivolta in forma diretta da Isocrate a Nicocle (78), a non giudicare come un rimprovero le sue ripetute esortazioni: καὶ μὴ νόμιζε με καταγιγνώσκειν ὡς νῦν ἀμελεῖς, ὅτι πολλάκις σοι διακελεύομαι περὶ τῶν αὐτῶν. La citazione riprende il testo e ad un tempo lo varia non solo nel dettato: ἀλλὰ καὶ πάλαι è meno chiaro di πολλάκις, che nel testo dell’Evagora lascia pensare a più di un discorso già rivolto a Nicocle. Ma subito dopo, con ὅ ἐστιν ἐν ταῖς παραινέσεσιν, anche l’autore considera precedente all’Evagora più di un discorso. Possiamo così pensare che intenda sia l’A Nicocle, con esortazioni e consigli per il buon governo dello Stato, sia il Nicocle, il discorso rivolto da Nicocle stesso ai suoi sudditi. Un giudizio confermato dalla rif lessione successiva, che introduce nella cronologia una distinzione ulteriore: a una prima fase, subito dopo la morte di Evagora, apparterrebbero appunto le παραινέσεις, A Nicocle e Nicocle, a una seconda, forse più lontana dalla morte di Evagora, l’ἐπιτάφιος, l’Evagora appunto, destinato a onorare la memoria del sovrano defunto.28 L’esigenza di fissare una cronologia dei discorsi per i sovrani di Cipro riaffiora nella ὑπόθεσις dell’A Nicocle (108, 16-17 Dindorf ), dove il discorso è considerato un’esortazione al buon governo rivolta di nuovo, πάλιν, al giovane principe, πρὸς τοῦτον γράφει πάλιν ὁ Ἰσοκράτης παραινέσεις, πῶς δεῖ βασιλεῦειν ὀρθῶς.29 In modo ancor più stringente nella ὑπόθεσις del Nicocle (108, 25-109, 3 Dindorf ) è condotto il confronto tra questo discorso e il precedente, ἐν τῷ πρὸ αὐτοῦ λόγῳ, fino alla citazione puntuale (109, 11-17 Dindorf ) del passo tratto dalla parte finale del proemio del Nicocle (11) nel quale Isocrate stesso richiama l’A Nicocle.
28 Anche la critica moderna molto ha discusso sulla cronologia assoluta e relativa dei tre discorsi, per lo più collocati nel primo periodo del regno di Nicocle, cioè negli anni immediatamente successivi al 374/373, data della morte di Evagora. Come si è detto, il Nicocle (11) sembra presupporre l’A Nicocle e l’Evagora (78) ricorda i ripetuti appelli rivolti a Nicocle. Isocrate avrebbe dunque composto prima l’A Nicocle, diretta esortazione alla prassi per il giovane sovrano, poi il Nicocle, documento di questa prassi, infine l’Evagora, che, offrendo al figlio come paradigma la biografia encomiastica del padre, raccoglie le fila e rilancia nel suo insieme il progetto paideutico ed etico-politico di Isocrate. Cfr. Alexiou, «Euagoras», pp. 37-39. 29 Nel gruppo di tre παραινέσεις è qui compreso l’A Demonico. La critica ne discute oggi l’autenticità, negata da Blass, Attische Beredsamkeit, p. 283, o da Mathieu – Brémond, Isocrate, I, p. 106, difesa da Usher, Greek Oratory, pp. 311-312, o da D.C. Mirhady, To Demonicus, in D.C. Mirhady – Y.L. Too, Isocrates, I, Austin, UT Press 2000, p. 19. Avanza l’ipotesi di un testo interpolato e corretto Milazzo, A Demonico, pp. 31-42. Cf r. Menchelli, supra, pp. 41-43.
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3. Fra riflessione sulla cronologia e osservazioni di carattere nettamente retorico s’inserisce una breve, secca notizia, relativa al ricco compenso ricevuto da Isocrate per la composizione del discorso (91, 9 Menchelli): Λέγουσι δέ τινες ὅτι καὶ τριάκοντα τάλαντα ὑπὲρ τούτου ἐδέξατο.
Alcuni dicono che per questo discorso ricevette anche trenta talenti.
La notizia è da leggere in stretta connessione con quella molto simile presente nella ὑπόθεσις dell’A Nicocle, dove però compare un nome, quello di Ermippo (108, 17-22 Dindorf = F 42a Bollansée): Ἕρμιππος δέ φησιν ἐν τῷ περὶ τοῦ Ἰσοκράτους, παρατιθεμένος Εὔανδρόν τινα κατὰ τῶν σοφιστῶν εἰρηκότα, ὡς ὅτι λαβὼν εἴκοσι τάλαντα παρὰ τοῦ Νικοκλέους αὐτὸς ὁ Ἰσοκράτης, ἔπεμψεν αὐτῷ τὸν λόγον τοῦτον, τελευτήσαντος τοῦ Εὐαγόρου, ὥσπερ καὶ τούτῳ βουλόμενος χρήσιμος γενέσθαι μετὰ τὴν τοῦ πατρὸς τελευτήν. Il confronto fra i due passi impone alcune considerazioni. Nella ὑπόθεσις dell’A Nicocle la notizia è più articolata e le cause all’origine della composizione del discorso sono due: una esterna, oggettiva, la considerevole somma ricevuta, e una interna, soggettiva, la volontà di aiutare Nicocle, di offrirgli il sostegno che la scomparsa del padre rendeva, secondo Isocrate, opportuno e forse necessario. Ma è importante soprattutto rilevare che, in luogo del λέγουσι δέ τινες nella ὑπόθεσις dell’Evagora, si ha nella ὑπόθεσις dell’A Nicocle la precisa indicazione di un autore e di un’opera: Ermippo e il suo lavoro Περὶ Ἰσοκράτους (T14, F 42-44 Bollansée),30 un lavoro nel quale Ermippo avrebbe riportato la testimonianza di Evandro, di un suo scritto Contro i sofisti.31 Nel passo Bollansée tende a sottolineare la presenza e il ruolo di Evandro e del suo scritto Contro i sofisti quale fonte di Ermippo.32 Di conse guenza, propone di vedere Evandro, non Ermippo, in λέγουσι δέ τινες ed 30 Bollansée, Biographical Writings, p. 82, riconosce Ermippo come primo autore di un’opera monografica su Isocrate non generata da puro spirito di parte, di attacco o difesa. Ermippo si era interessato anche della scuola di Isocrate, nell’opera Περὶ τῶν Ἰσοκράτους μαθητῶν (T 15, F 45-54, 86?, 89? Bollansée). 31 Secondo il metodo ‘deduttivo’ sul quale insiste Bollansée, Biographical Writings, pp. 154163. Resta incerta l’identificazione di questo Evandro con Evandro di Focea che, intorno al 207, alla morte di Lacide, fu con Telecle alla guida dell’Accademia, secondo la testimonianza ad es. di Diogene Laerzio (4, 60). Cfr. W. Görler, Lakydes und seine Nachfolger, in H. Flashar (ed.), Grundriss der Geschichte der Philosophie. Die Philosophie der Antike, IV 2, Die hellenistische Philosophie, Basel, Schwabe 1994, pp. 834-836, e T. Dorandi, Chronology, in K. Algra – J. Barnes – J. Mansfeld – M. Schofield (edd.), The Cambridge History of Hellenistic Philosophy, Cambridge, CUP 1999, pp. 32-33 e 53, nonché T. Dorandi, Euandros de Phocée, in DPhA, III, 2000, p. 243. 32 Bollansée, Hermippos Fragmente, pp. 367-370, che riprende e sviluppa in questo caso un suggerimento di Wehrli, Schule, p. 83.
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esclude la possibilità di considerare il passo della ὑπόθεσις dell’Evagora quale frammento di Ermippo. Una prudenza forse eccessiva. In primo luogo va infatti sottolineato che il parallelismo tra i due passi è pieno, stringente, sia nella sostanza, la notizia di una elargizione davvero cospicua, venti o trenta talenti, in cambio di un discorso per un componente della famiglia di Salamina di Cipro,33 sia nella forma, come si è già osservato, con λέγουσι δέ τινες da una parte, Ἕρμιππος δέ φησιν dall’altra, nonché τριάκοντα τάλαντα ἐδέξατο da una parte, λαβὼν εἴκοσι τάλαντα dall’altra. Bisogna poi ricordare che il rinvio a Ermippo non è isolato nell’insieme delle ὑποθέσεις conservate per i discorsi di Isocrate. Compare infatti di nuovo al termine della ὑπόθεσις del Filippo (110, 3-5 Dindorf = F 44a Bollansée). Qui a Ermippo è attribuita l’artificiosa sincronia tra la conclusione della redazione del discorso e la morte di Isocrate, del 338, nonché quella di Filippo, in realtà del 336: ἔγραψε δὲ ὁ Ἰσοκράτης τὸν λόγον γέρων ὤν, μικρὸν πρὸ τῆς ἑαυτοῦ καὶ Φιλίππου τελευτῆς, ὥς φησιν ὁ Ἕρμιππος.34 Ma anche nella Vita la critica ha proposto di scorgere Ermippo all’origine della notizia sugli attacchi rivolti a Isocrate dai poeti comici a causa del suo legame con l’etera Lagisca.35 Una notizia presente nella Vita per ben due volte (XXXIV 49-50 e XXXV 80-81 Mathieu – Brémond), la seconda con la preziosa citazione di tre versi dall’Atalanto ο Atalanta di Strattide (3 Kassel – Austin = 3 Orth).36 Un’ipotesi che ora Bollansée tende a respingere,37 ma che assume spessore se si considerano Vita, ὑποθέσεις e scoli quale memoria unitaria di un insieme perduto, un commentario a Isocrate, secondo la ricostruzione che, come si è sottolinea33
Cfr. Blass, Attische Beredsamkeit, pp. 270-271. palese l’incoerenza con la cronologia in stretto legame con la pace di Filocrate del 346, proposta peraltro per il discorso nella prima parte della stessa ὑπόθεσις, come si è visto sopra. Secondo Wehrli, Schule, p. 84, in questo caso Ermippo manipola i dati per stabilire quella connessione con l’impresa di Alessandro che la stessa ὑπόθεσις del Filippo mette in luce. Invece Bollansée, Hermippos Fragmente, p. 368, considera insieme e dunque vicini per data i tre scritti indirizzati a Filippo, discorso e successive lettere, anche in base al passo della Vita dei dieci oratori (837 f = F 44b Bollansée). 35 Rinviano decisamente a Ermippo ad es. Münscher, Isokrates, coll. 2149 e 2154, e Wehrli, Schule, p. 84. 36 Discute ampiamente sia le forme tràdite per il titolo sia i problemi di testo e di esegesi del frammento C. Orth, Strattis. Die Fragmente. Ein Kommentar, Berlin, Antike 2009, pp. 2627 e 61-67. Nell’attacco ὀνομαστί a intellettuali e oratori, inclinazione ai piaceri e desiderio di ricchezza restano peraltro motivi ricorrenti della commedia tra fine V e IV secolo. Cfr. J. Henderson, Comedy in the Fourth Century II: Politics and Domesticity, in M. Fontaine – A.C. Scafuro (edd.), The Oxford Handbook of Greek and Roman Comedy, Oxford, OUP 2014, pp. 181-198: 188-189. 37 Bollansée, Hermippos Fragmente, p. 373, pur dubitativamente, non esclude come fonte un’opera Περὶ τῶν κωμῳδουμένων. 34 È
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to, dopo Münscher, è ripresa oggi con forza dalla critica. Un commentario a Isocrate che poteva certo avere anche Ermippo tra le sue fonti. Tutti questi dati portano a riproporre, pur con la dovuta cautela, uno stretto legame tra la ricostruzione biografica di Ermippo e il dato sul favoloso compenso offerto da Nicocle a Isocrate che compare nella ὑπόθεσις dell’Evagora. 4. Gran parte della ὑπόθεσις, ben 26 righe sul totale di 35, è dominata dalla discussione, squisitamente retorica, sul genere dell’Evagora, epitafio o encomio.38 L’articolata domanda iniziale coglie subito i tratti peculiari del discorso, che sembra non adeguarsi alle rigide regole di struttura diligentemente enunciate (91, 10-14 Menchelli): ζητήσειε δ’ ἄν τις ἐν τῷ λόγῳ τούτῳ, διὰ τί ἐπιταφίου ὄντος καὶ τοῦ ἐπιταφίου ἀπαιτοῦντος παρὰ τὰ ἐγκωμιαστικὰ πάντα κεφάλαια πλέον τό τε θρηνητικὸν ἐν τῇ ἀρχῇ καὶ τὸ παραμυθητικὸν ἐν τῷ τέλει (ἐν γὰρ μόνοις τοῖς δύο τούτοις κεφαλαίοις διαφέρουσιν ὅ τε ἐπιτάφιος λόγος καὶ τὸ ἐγκώμιον) ἐνταῦθα δὲ παρῆκε τὰ δύο κεφάλαια;
Un problema da discutere per questo discorso è il seguente: perché, dato che è un epitafio e che l’epitafio richiede, insieme a tutti i motivi dell’encomio, soprattutto il lamento all’inizio e la consolazione alla fine (l’epitafio e l’encomio si distinguono infatti solo per questi due motivi), l’autore qui ha tralasciato invece i due motivi?
La lunga interrogativa è aperta dalla formula ζητήσειε δ’ ἄν τις che, con variazioni minime, sia nella Vita sia nelle ὑποθέσεις introduce un punto di vista critico che viene poi discusso e confutato.39 L’autore s’inserisce così nel dibattito sul genere dell’Evagora e testimonia il contrapporsi di posizioni diverse. Mostra di conoscere bene gli elementi di struttura che distinguono l’epitafio e che nell’Evagora appunto mancano: la sezione introduttiva dedicata al lamento, τό τε θρηνητικὸν ἐν τῇ ἀρχῇ, e la sezione finale riservata al motivo consolatorio, τὸ παραμυθητικὸν ἐν τῷ τέλει. Esprime poi la necessità della presenza di questi due motivi essenziali in una affermazione sintetica 38 Un’alternativa superata dalla critica moderna, che considera l’Evagora sia nelle ricerche su epidittica ed encomio sia nell’ambito degli studi sulla biografia. Cfr. rispettivamente, con ampia bibliografia, T. Zinsmaier, Epideiktik zwischen Affirmation und Artistik. Die antike Theorie der feiernden Rede im historischen Aufriß, in H. Schanze – J. Kopperschmidt (edd.), Fest und Festrhetorik. Zu Theorie, Geschichte und Praxis der Epideiktik, München, Fink 1999, pp. 375-398, e M. Mause, Panegyrik, in HWRh, VI, 2003, col. 498, nonché T. Hägg, The Art of Biography in Antiquity, Cambridge, CUP 2012, pp. 30-40. Cfr. inoltre Alexiou, «Euagoras», pp. 21-37, e M. Vallozza, Entre poésie et histoire. Aristote, Poétique 1451a36-b11, et l’Evagoras d’Isocrate, in A. Hourcade – R. Lefebvre (edd.), Aristote: rationalités, Rouen PURH 2011, pp. 135-152. 39 Una formula usuale, come già rileva Oomen, De Zosimo, p. 27.
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che assume la struttura di una norma retorica: l’encomio e l’epitafio si distinguono fra loro solo per la presenza o meno di questi due elementi, ἐν γὰρ μόνοις τοῖς δύο τούτοις κεφαλαίοις διαφέρουσιν ὅ τε ἐπιτάφιος λόγος καὶ τὸ ἐγκώμιον.
Il saldo legame fra l’analisi condotta nel passo e la tradizione retorica è evidente. Lo prova la fitta presenza di termini tecnici, da quelli che definiscono i vari tipi di discorso, ἐπιτάφιος λόγος 40 o ἐγκώμιον,41 a τό θρηνητικόν e τὸ παραμυθητικόν per i motivi propri dell’epitafio 42 o ancora ad ἀρχή,43 τέλος,44 κεφάλαιον 45 per le varie parti nelle quali si struttura il discorso. In particolare, saldi punti di contatto si possono rilevare con la rif lessione sviluppata nel secondo dei trattati sul genere epidittico giunti sotto il nome di Menandro Retore.46 Com’è noto, rispetto al primo, che ordina la materia in base agli oggetti dell’elogio, il secondo trattato si distingue perché riconosce e classifica le specie del discorso di lode in base all’occasione, alla concreta circostanza celebrativa per la quale il discorso è composto.47 Al λόγος ἐπιτάφιος Menandro dedica qui un prezioso capitolo, ricco di dati (418, 5-422, 4).48 Ne descrive la struttura come un nucleo centrale, identi40 Sulla tradizione del λόγος ἐπιτάφιος offre una sintesi critica C. Carey, Epideictic Oratory, in I. Worthington (ed.), A Companion to Greek Rhetoric, Oxford, Blackwell 2007, pp. 240-246. 41 Cfr. M. Vallozza, Enkomion, in HWRh, II, 1994, coll. 1152-1160. 42 Cfr. R. Kassel, Untersuchungen zur griechischen und römischen Konsolationsliteratur, München, Beck 1958, pp. 41-42. 43 A lato di προοίμιον. Cfr. Lausberg, Handbuch, pp. 150-152. 44 Qui τέλος è usato nel senso tecnico di ἐπίλογος come già prima (91, 4 Menchelli). Cfr. supra, p. 121 e n. 27. 45 Su κεφάλαιον in ambito retorico, in vari contesti, cfr. Lausberg, Handbuch, pp. 64, 204, 315. 46 Discutono problemi di paternità e datazione dei due trattati conservati, Διαίρεσις τῶν ἐπιδεικτικῶν e Περὶ ἐπιδεικτικῶν, Russell – Wilson, Menander, pp. xxxiv-xl. Novità sul testo sono offerte da F.G. Hernández Muñoz, El texto del rétor Menandro: la aportación de los manuscritos «recentiores», «Eikasmos», XXIV, 2013, pp. 245-254. 47 Per la distanza fra le due opere, sia nella terminologia, sia nel metodo, cfr. F. Gascó, Menander Rhetor and the works attributed to him, in ANRW II. 34.4, vol. 2, Berlin-New York, De Gruyter 1997, pp. 3110-3146. Raccoglie le testimonianze su Menandro e sull’insieme della sua attività, in particolare per il lavoro esegetico su Demostene, M. Heath, Menander. A Rhetor in Context, Oxford, OUP 2004, pp. 93-213, che distingue fra [Menander] e Menander, ma giunge a una prudente sospensione del giudizio nel tentativo di identificare il diverso autore del primo trattato. 48 Fra le numerose specie di discorso epidittico che Menandro individua, ben tre sono legate a momenti e riti funebri: al λόγος ἐπιτάφιος si affiancano infatti la consolazione, τὸ παραμυθητικόν (413, 5-414, 30), e la monodia, μονῳδία (434, 10-437, 4). Analisi in dettaglio dei tre capitoli in J. Soffel, Die Regeln Menanders für die Leichenrede, Meisenheim am Glan, Hain 1974, pp. 6-89. Osservazioni sull’ordine dei capitoli in base ai rinvii interni in Russell – Wilson, Menander, pp. xliv-xlvi e 325.
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ficabile quale vero e proprio ἐγκώμιον (419, 11-421, 10),49 al quale vanno aggiunti il motivo del lamento (421, 10-14), κεφάλαιον θήσεις τὸν θρῆνον, che susciti la pietà e persino le lacrime degli ascoltatori, e, come secondo motivo caratteristico, la consolazione (421, 14-32), κεφάλαιον ἕτερον τὸ παραμυθητικόν, modulata in rapporto sia al destinatario sia agli ascoltatori. La consonanza con la concezione del discorso alla quale si attiene l’autore della ὑπόθεσις è piena. 5. Ma una consonanza ancora più stretta si può ravvisare tra la risposta che l’autore della ὑπόθεσις offre alla sua stessa domanda di apertura e la parte storico-descrittiva del capitolo di Menandro (418, 6-419, 10) che precede la parte precettistica ora ricordata. Nella ὑπόθεσις, la risposta si divide in due parti, rispettivamente dedicate a ciascuno dei due motivi mancanti. La prima è riservata dunque all’assenza del lamento (91, 14-18 Menchelli): Καὶ λέγομεν ὅτι φαίνεται ἐκ πολλοῦ τοῦ χρόνου τετελευτηκὼς Εὐαγόρας· καὶ ὁ Ἰσοκράτης, νῦν πέμψας τὸν λόγον μετὰ πολὺ τοῦ ἐκείνου θανάτου, ἄτοπον ἡγεῖτο θρηνητικὸν τάττειν καὶ ἀναμιμνήσκειν τῶν θρήνων τῶν ὀφειλόντων πρὸ τούτου λεχθῆναι παρ’ αὐτὸν τὸν θάνατον, οὐ μέντοι νῦν μετὰ πολὺν χρόνον.50
Affermiamo che Evagora è certamente morto da molto tempo. E Isocrate, nell’inviare il discorso ora, molto tempo dopo la sua morte, giudicava fuori luogo inserire nella struttura il motivo trenetico e ricordare i lamenti che era giusto pronunciare prima, al momento stesso della morte, ma non ora, dopo molto tempo.
L’autore indica con chiarezza l’assenza del lamento come frutto di una consapevole scelta compositiva di Isocrate, ἄτοπον ἡγεῖτο θρηνητικὸν τάττειν, espressione che di nuovo colpisce per il livello tecnico del linguaggio. Ne dà prova il ricorrere, a lato di θρηνητικόν, di τάττειν, al pari di τάξις usato in retorica, a partire almeno da Aristotele, nella Retorica (1403 b 3), 49 Un nucleo articolato secondo la successione dei motivi della lode, ἀπὸ πάντων τῶν λόγων τῶν ἐγκωμιαστικῶν, dunque famiglia, nascita, natura, crescita ed educazione, azioni compiute.
Cfr. Lausberg, Handbuch, pp. 204-206. È il nucleo dal quale sono tratte le undici citazioni consecutive da Stobeo (IV 7, 48-IV 7, 58). Cfr. Vallozza, Stobeo, pp. 70-72. 50 Nella sua edizione Menchelli, Argumentum, p. 91, interpunge dopo il primo νῦν, dunque unisce νῦν all’imperfetto ἡγεῖτο. Ma è forse preferibile, sia per l’ordo verborum, sia per la consuetudine sintattica, unire νῦν al participio aoristo πέμψας. Come indica Menchelli, Argumentum, p. 91, la forma πρὸ τούτου è forse in Λ, rispetto a πρὸ τούτων di ΠΝSVat. Mandilaras, I, p. 242, con Mathieu – Brémond, II, p. 145, stampa προτοῦ. Infine, la breve sequenza οὐ μέντοι νῦν μετὰ πολὺν χρόνον, presente in ΠΝSVat ma non in Λ, non è stampata da Mathieu – Brémond, II, p. 145.
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a designare la dispositio, la seconda fase di elaborazione del discorso, nella quale l’oratore struttura in un organico insieme idee e parti reperite nella prima fase di εὕρεσις, di inventio.51 Anche ἄτοπον sembra connotare in modo specifico il θρηνητικόν come motivo incongruo, fuori contesto, piuttosto che genericamente come strano o assurdo.52 È importante soprattutto rilevare che a fondamento della scelta compositiva di Isocrate l’autore pone il fattore temporale, il lungo periodo che intercorre tra l’occasione del discorso, il momento della morte di Evagora, e la sua effettiva redazione, il momento della composizione. Nello spazio ristretto della frase, le indicazioni relative a questi due poli si presentano più volte intrecciate e contrapposte, da una parte πρὸ τούτου, con θάνατος o τελευτᾶν, dall’altra νῦν per due volte, con il ripetersi di ἐκ πολλοῦ τοῦ χρόνου, μετὰ πολὺ, μετὰ πολὺν χρόνον. Lo stesso θρῆνος è legato al θάνατος in una definizione di tono prettamente normativo: il lamento va pronunciato al momento stesso della morte, τῶν θρήνων τῶν ὀφειλόντων λεχθῆναι παρ’ αὐτὸν τὸν θάνατον. Simile la prospettiva di carattere temporale in base alla quale Menandro, fin dalle prime linee del capitolo sul λόγος ἐπιτάφιος, giustifica e anzi prescrive l’assenza del lamento. Dopo aver definito l’epitafio come il discorso pronunciato sui caduti in guerra, al momento stesso della loro sepoltura (418, 9), ἐπ’ αὐτῷ τῷ σήματι,53 Menandro conduce un serrato confronto fra l’epitafio di Tucidide, legato all’occasione, e tre epitafi di Elio Aristide, composti a lunga distanza di tempo dagli eventi che intendono celebrare.54 51 L’espressione, πῶς χρὴ τάξαι τὰ μέρη τοῦ λόγου, ricorre nel ben noto passo di apertura del terzo libro della Retorica (1403 b 6-14) che alla εὕρεσις affianca la τάξις e la λέξις, enucleando almeno tre delle cinque fasi di elaborazione del discorso che comporranno il quadro completo della tradizione retorica. Cfr. Lausberg, Handbuch, pp. 139-146, 241-242. 52 Un uso tecnico di ἄτοπος è forse già in Aristotele, nella Retorica, ad es. in opposizione ad ἁρμόττειν (1376 b 15-19). Certo non è facile distinguere fra le due sfumature di significato, con ἄτοπος che giunge a essere quasi equivalente di παράδοξος, almeno a partire da Isocrate, Encomio di Elena (1), εἰσί τινες οἳ μέγα φρονοῦσιν, ἢν ὑπόθεσιν ἄτοπον καὶ παράδοξον ποιησάμενοι περὶ ταύτης ἀνεκτῶς εἰπεῖν δυνηθῶσι. Ma testimonia l’uso retorico di ἀτοπία come difformità, incongruità Dionigi di Alicarnasso, nel De Compositione verborum (12, 3), a proposito della forza insita negli elementi linguistici, δύναμις τῶν τῆς λέξεως μορίων, che rende possibile mascherarne l’eventuale incongruità solo attraverso un accorto e sottile uso di mescolanza, fusione e accostamento, λείπεται τῇ μίξει καὶ κράσει καὶ παραθέσει συγκρύψαι τὴν παρακολουθοῦσαν αὐτῶν τισιν ἀτοπίαν. Intende qui ἀτοπία con «offending qualities» S. Usher, Dionysius of Halicarnassus. Critical Essays, II, Cambridge Mass.-London, HUP 1985, p. 85. 53 Russell – Wilson, Menander, p. 171, colgono bene questo aspetto nel tradurre «over the actual grave». 54 Menandro rinvia qui a discorsi di Elio Aristide che sono andati perduti. Cfr. Russell – Wilson, Menander, p. 332, e C.A. Behr, P. Aelius Aristides, The Complete Works, I, Orations I-XVI. With an Appendix Containing the Fragments and Inscriptions, Leiden, Brill 1986, p. 423, e ora
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Giunge così a formulare una regola di carattere generale (418, 25-26): un lungo intervallo di tempo non offre più adito né al lamento, né alla consolazione, χρόνος πολὺς παρεληλυθὼς οὐκέτι δίδωσι χώραν οὔτε θρήνοις οὔτε παραμυθίαις. Una regola fondata su ragioni di opportunità formale, come chiarisce subito dopo (418, 29-419, 1), affermando che, quando ormai il tempo ha lenito il dolore, κεκοιμισμένης ἤδη τῷ χρόνῳ τῆς λύπης, dopo tanto tempo, μετὰ πολὺν χρόνον, la presenza del θρῆνος sarebbe estranea e davvero fuori luogo, ἄτοπον ... καὶ προσέτι ἄκαιρον. La vicinanza con il giudizio espresso nella ὑπόθεσις è molto stretta. In particolare, anche in Menandro ricorre il termine ἄτοπος per il θρῆνος inserito dopo troppo tempo, dunque ἄτοπος nel senso tecnico di incongruo, fuori contesto, piuttosto che nel senso generico di strano o assurdo. Prova ulteriore di questo significato è lo stretto nesso, quasi una endiadi, con il termine ἄκαιρος,55 che in questo trattato di Menandro è certo da intendere nel senso di inopportuno, fuori luogo, anche in rapporto al significato peculiare che nello stesso trattato assume l’uso costante della giuntura καιρὸν ἔχειν.56 Con καιρὸν ἔχειν l’autore esprime infatti la necessità di dare alla lode una sostanza, un contenuto peculiare, attraverso parti del discorso qualificanti, come la σύγκρισις o l’excursus, d’inserire queste parti e modificare la struttura d’insieme, rispettando appunto il καιρός, la proporzione, l’equilibrio, il giusto spazio e il giusto tempo della lode.57 F. Robert, Les oeuvres perdues d’Aelius Aristide: fragments et témoignages, Paris, de Boccard 2012, pp. 438-445. 55 Solo un breve rinvio al nesso ἀκαίρῳ παρεκβάσει ἐχρήσατο negli scoli a Pindaro (11, 23b Drachmann) per ἀκαίρους διατριβάς in Menandro (338, 32) in Russell – Wilson, Menander, p. 238. Sul peculiare valore semantico che καιρός e derivati assumono nei testi di retorica a partire dal IV secolo, da Alcidamante, nel discorso Contro i sofisti (13 e 16), e da Isocrate, nei numerosi passi nei quali καιρός ricorre fra i valori necessari per costruire un discorso d’alto valore formale, cfr. ad es. A. Ford, The Origins of Criticism. Literary Culture and Poetic Theory in Classical Greece, Princeton-Oxford, PUP 2002, pp. 21-22 e 253-254. Un valore del quale non si mostra consapevole P. Sipiora, The Ancient Concept of Kairos, in P. Sipiora – G.S. Baumlin (edd.), Rhetoric and Kairos: Essays in History, Theory, and Praxis, New York, SUNY Press 2002, pp. 7-15. Ma cfr. Nicolai, Studi su Isocrate, pp. 129-130. 56 Tra gli elementi che distinguono fra loro i due trattati attribuiti a Menandro, Russell – Wilson, Menander, p. xxxviii, pongono in evidenza alcune giunture, frequenti nel secondo, assenti nel primo. Fra queste figura καιρὸν ἔχειν. Non a caso la critica riconosce come aspetto specifico del secondo trattato il tentativo costante di adattare un modello puro del discorso di lode al disegno vario e concreto di ciascuna delle diverse forme che il discorso di lode assume in rapporto al soggetto. Cfr. M.-H. Quet, Conseils de Ménandre le Rhéteur pour l’élaboration d’un «Discours au prince», à la fin du IIIe siècle, in I. Cogitore – F. Goyet (edd.), L’éloge du Prince. De l’Antiquité au temps des Lumières, Grenoble, ELLUG 2003, pp. 81-89. 57 Esame dei passi in M. Vallozza, Καιρός nella teoria del discorso di lode, in Daidalos. Studi e ricerche del Dipartimento di Scienze del mondo antico, III, Viterbo, Università degli Studi della Tuscia 2001, pp. 249-258.
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6. Le osservazioni sull’assenza del motivo consolatorio sono in stretta connessione con l’analisi sull’assenza del motivo trenetico e danno ulteriore conferma del saldo legame con la tradizione retorica (92, 19-24 Menchelli): Εἰ δέ τις εἴποι ὅτι, εἰ διὰ ταύτην τὴν αἰτίαν παρῆκε τὸ θρηνητικόν, διὰ τί καὶ ἐν τῷ τέλει ἐξέστη τοῦ εἰπεῖν τὸ παραμυθητικόν, λέγομεν ὅτι, εἰ τοῦτο ἐπήγαγε μὴ προηγησαμένου τοῦ θρηνητικοῦ, ἔτι πλέον ἀκαιρότερον ἐδόκει ποιεῖν. Ἔνθα γάρ εἰσι θρῆνοι, ἐκεῖ ὀφείλει καὶ ἡ παραμυθία παρέπεσθαι· εἰ δὲ μηδένα ἐθρηνήσαμεν τῷ λόγῳ, ὑπὲρ τίνος ἐμέλλομεν παραμυθεῖσθαι τοὺς τῷ γένει προσήκοντας;
Se poi, dato che per questa ragione ha tralasciato il motivo trenetico, ci si chiedesse perché ha evitato anche di porre nell’epilogo il motivo consolatorio, diciamo che, se avesse inserito questo senza aver collocato prima quello trenetico, avrebbe creato un effetto ancor più disorganico. Dove ci sono i lamenti infatti, lì deve seguire anche la consolazione: se invece non abbiamo pianto nessuno con il discorso, riguardo a chi dovremmo consolare i familiari?
L’inserimento, con εἰ δέ τις εἴποι ... διὰ τί, di una posizione critica alternativa, poi negata in base alla convinzione personale introdotta da λέγομεν ὅτι, è una di quelle strutture argomentative ricorrenti, indagate da Oomen, presenti sia nella Vita sia in altre ὑποθέσεις.58 In particolare, al termine della ὑπόθεσις della Contro i sofisti (117, 3-5 Dindorf ), nel contesto di una discussione sul genere del discorso, è introdotta con εἰ δέ τις εἴποι διὰ τί la proposta di catalogazione nell’ambito del genere giudiziario, fondata sull’attacco che il discorso sviluppa.59 Segue, con λέγομεν, il rifiuto, articolato in due punti: il discorso non può essere considerato nell’ambito del genere giudiziario perché non fu pronunciato in tribunale e non è volto a richiedere una pena. Ancora, nella parte iniziale della ὑπόθεσις del Nicocle (109, 3-7 Dindorf ), il dubbio avanzato con εἰ δέ τις εἴποι διὰ τί investe la struttura peculiare del discorso, rivolto da Isocrate ai sudditi in forma indiretta.60 A λέγομεν ὅτι segue un esame sintetico ma articolato del Nicocle che, nel chiarirne la natura simbuleutica, afferma l’opportunità della forma indiretta, con l’autore che si nasconde dietro il sovrano, in base alla necessità di 58
Oomen, De Zosimo, pp. 25-27. Nel lungo passo che precede (116, 21-117, 3 Dindorf ), il discorso è decisamente annoverato nel gruppo dei quattro encomi, εἷς τῶν τεσσάρων ἐγκωμίων, in quanto attacco, biasimo, ψόγος, sulla base della classificazione di encomio e biasimo come funzioni contrapposte ma strettamente legate nell’ambito del genere epidittico, eco lontana ma chiara della nota pagina sui τρία γένη di Aristotele nel primo libro della Retorica (1358 b). Cfr. Lausberg, Handbuch, p. 55. 60 La critica moderna, ad es. S. Usher, Isocrates. Panegyricus and To Nicocles, Warminster, Aris & Phillips 1990, pp. 117-118, giunge a considerare il discorso disorganico e sommario nella trattazione dei vari temi. 59
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un elemento di paura, φόβος, nel rivolgere consigli alla massa, πλῆθος, per dare alle parole pronunciate la massima efficacia nei confronti della massa stessa, ἵνα πάντως πεισθῇ τοῖς λεγομένοις τὸ πλῆθος.61 Nella ὑπόθεσις dell’Evagora, la simile articolazione di obiezione e risposta per l’assenza del motivo consolatorio si arricchisce di un duplice rinvio all’assenza del motivo trenetico, analizzata già con estrema cura. L’assenza dell’elemento trenetico assume dunque, nell’ottica dell’autore, un ruolo fondamentale nel caratterizzare la struttura peculiare del discorso: determinata da fattori esterni, il rapporto fra discorso e tempo, e insieme il rapporto fra discorso e destinatario, a sua volta condiziona l’equilibrio interno del discorso, tanto che implica e giustifica l’assenza del motivo consolatorio nell’epilogo. Nella fitta trama di termini tecnici,62 a proposito dell’effetto negativo che avrebbe sul discorso l’inserimento del motivo consolatorio pur in assenza di quello trenetico, spicca la presenza di ἄκαιρος. Nel contesto, il termine connota la mancanza di equilibrio, di organicità che un discorso così strutturato verrebbe ad avere. È il significato peculiare che, come si è visto sopra, ἄκαιρος assume in Menandro Retore (418, 29-30), in particolare nella giuntura ἄτοπον ... καὶ προσέτι ἄκαιρον. Un legame con Menandro si può riconoscere anche nell’enunciato che esprime in sintesi l’analisi svolta, un enunciato che assume la forma di una norma retorica e riassume il rapporto fra θρῆνοι e παραμυθία nell’ambito del λόγος ἐπιτάφιος come una sorta di compresenza necessaria e sufficiente: ἔνθα γάρ εἰσι θρῆνοι, ἐκεῖ ὀφείλει καὶ ἡ παραμυθία παρέπεσθαι. In modo simile, nelle considerazioni ricordate prima circa l’inf luenza che il passare del tempo ha sulla struttura dell’epitafio, Menandro (418, 24-25) definisce il θρῆνος e la παραμυθία, i motivi che Elio Aristide avrebbe dovuto inserire nei suoi discorsi se li avesse composti a immediato ridosso della morte dei caduti, come i motivi caratteristici dell’epitafio, quelli che all’epitafio sono propri, connaturati: ἐχρήσατο ἂν τοῖς τοῦ ἐπιταφίου κεφαλαίοις, ὅσα ἐστὶν αὐτῷ οἰκεῖα.63 61 La stessa struttura εἰ δέ τις εἴποι διὰ τί ... λέγομεν ὅτι si ripete negli scoli, ad es., per l’Evagora (13), nel ricco scolio (123, 24-28 Dindorf ) che sottolinea l’assenza nel discorso di un vero e proprio elogio della città nell’ambito della serie dei motivi dell’encomio, tutti presenti secondo i dettami della τέχνη. Raccoglie le giunture ricorrenti negli scoli Oomen, De Zosimo, 35-40. 62 Una trama costituita dal ricorrere della coppia «pianto» e «consolazione», sia nella forma del neutro sostantivato, τὸ θρηνητικόν e τὸ παραμυθητικόν, sia del sostantivo, θρῆνοι e παραμυθία. Di nuovo τέλος è usato in senso tecnico, quale equivalente di ἐπίλογος, come nelle linee precedenti della stessa ὑπόθεσις (91, 4 e 13 Menchelli). Cfr. supra, p. 121 e n. 27. 63 L’uso di οἰκεῖος nel senso tecnico di appropriato, adatto, è già in Aristotele, nella Retorica
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7. Nella sezione conclusiva, dapprima si delinea un breve bilancio dell’analisi condotta sul genere dell’Evagora (92, 24-27 Menchelli): ῞Ωστε οὖν δύναται ὁ λόγος καὶ ἐπιτάφιος λέγεσθαι καὶ ἐγκώμιον· ἐπιτάφιος μέν, διότι εἰς τὸν τετελευτηκότα Εὐαγόραν γράφει τὸν λόγον, ἐγκώμιον δέ, διότι παρῆκε τὰ δύο κεφάλαια τοῦ ἐπιταφίου. Ἐνίκησε δὲ αὐτὸν τὸν λόγον ἐγκώμιον μᾶλλον λέγεσθαι.
Dunque è possibile definire il discorso sia come epitafio sia come encomio: epitafio, perché Isocrate lo scrive per il defunto Evagora, encomio, perché ha eliminato i due motivi dell’epitafio. Ma per il discorso ha prevalso la definizione di encomio.
In estrema sintesi e con piena coerenza l’autore della ὑπόθεσις riprende l’alternativa fra la definizione di epitafio e quella di encomio introdotta fin dalle linee iniziali. Con δύναται λέγεσθαι sembra considerare sullo stesso piano e legittime entrambe le definizioni che di fatto vengono date dell’Evagora, epitafio ed encomio. Ma con ἐνίκησε testimonia che, nello sviluppo di un dibattito non marginale, ha finito con il prevalere la classificazione del discorso come encomio.64 Anche in questo giudizio appare lo stretto rapporto con la tradizione retorica. Non si può infatti non ricordare che Menandro Retore (419, 1-3), sia pure, come si è visto sopra, solo in base allo iato temporale fra evento e redazione del discorso, giunge a menzionare proprio l’Evagora di Isocrate come esempio di puro encomio, καθαρόν ἐστιν ἐγκώμιον, ὡς Ἰσοκράτους ὁ Εὐαγόρας.65 E sempre Menandro (372, 4-9) dall’Evagora (23) trae una puntuale citazione nelle pagine riservate al βασιλικὸς λόγος, o ἐγκώμιον βασιλέως, a proposito della giusta articolazione dell’insieme di ἐπιτηδεύματα, doti o capacità, da porre in rilievo.66 (1415 a 7), nel passo conclusivo dell’analisi sui proemi epidittici, che possono essere o estranei, ξένα, o appropriati, appunto οἰκεῖα, rispetto al soggetto del discorso. Sui numerosi significati che οἰκεῖος può assumere in retorica, da proprium, applicato a ὄνομα, ad aptum, nell’ambito della elocutio, cfr. Lausberg, Handbuch, p. 867. 64 Fozio (159, 102 a 10-11) parla di un Εὐαγόρου ἐγκώμιον, dal titolo Εὐαγόρας, all’interno di un quadro dei discorsi che li raggruppa secondo un criterio retorico, come sottolinea a ragione Pinto, Manoscritto, pp. 76-79. Già in Arpocrazione (139, 1 Dindorf = ε 150 Keaney) l’Evagora è definito ἐγκώμιον Ἰσοκράτους. Da rilevare, infine, che Teone, nei Progymnasmata (68, 20 Spengel), ricorda gli ἐγκώμια di Isocrate. 65 Solo a proposito di questa affermazione Russell – Wilson, Menander, p. 333, registrano il legame tra l’autore della ὑπόθεσις e Menandro Retore. Ma cfr. già Blass, Attische Beredsamkeit, p. 285. 66 Il catalogo delle virtù di Evagora si articola sui due piani dell’età giovanile (22) e della maturità (23). Isocrate riprende la griglia di motivi elaborata dalla poesia di lode, che nei giovani esaltava forza e bellezza, negli uomini maturi sapienza e giustizia. Cfr. Vallozza, Motivi, pp. 43-48.
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8. Ma subito dopo emerge il tentativo di andare oltre il problema dell’alternativa fra encomio ed epitafio (92, 28-35 Menchelli): Ἰστέον δὲ ὡς ὅτι ἀντὶ τῶν δύο τούτων κεφαλαίων ἕτερα δύο ἀντεισήγαγε, τό τε τρίτον προοίμιον, ὅπερ οὐκ ἔστιν εὑρεῖν ἐν ἐγκωμίῳ ὡς προείρηται, καὶ τὸ παραινετικόν. Καὶ τὸ μὲν προσθεῖναι τρίτον προοίμιον ἦν ἀντὶ τοῦ θρηνητικοῦ· τὸ δὲ παραινετικὸν ἐν τῷ τέλει ἀντὶ τοῦ παραμυθητικοῦ ἐν ᾧ αὐτῷ παραινεῖ ὅτι· “Ὀφείλεις ὦ Νικόκλεις μιμήσασθαι τὰς πράξεις τὰς τοῦ πατρός, ἃς νῦν διήλθομεν ἐν τῷ ἐπιταφίῳ.” Διὰ τοῦτο γὰρ καὶ τὸ παραινετικὸν ἐν τῷ τέλει ἔταξε, καὶ οὐκ ἐν τῇ ἀρχῇ, ἐπειδὴ ἔδει πρῶτον ἀποδειχθῆναι τοῦ πατρὸς τὰς πράξεις ἵνα πρὸς ταύτας ὕστερον δυνηθῇ αὐτῷ παραινεῖν βιῶναι.
Bisogna sapere che in luogo di questi due motivi Isocrate ne ha introdotti altri due, il terzo proemio, che non è possibile trovare in un encomio, come si è già detto, e il motivo parenetico. Gli è stato possibile aggiungere il terzo proemio in luogo del lamento, la parenesi alla fine, in luogo della consolazione, e proprio qui esorta affermando: «Devi, o Nicocle, imitare le azioni di tuo padre, che ora abbiamo passato in rassegna nell’epitafio». Per questo motivo ha introdotto anche la parenesi alla fine, e non all’inizio, perché era necessario che prima fossero illustrate le gesta del padre, affinché in rapporto a queste gli fosse possibile in seguito esortarlo a vivere.
La formula introduttiva con ἱστέον è la stessa presente in apertura della ὑπόθεσις (91, 2 Menchelli).67 È sempre fitta la trama di termini tecnici, molti ricorrenti già nella prima parte, come κεφάλαιον, τέλος, τάξειν, τὸ θρηνητικόν e τὸ παραμυθητικόν, ai quali ora si aggiungono τὸ παραινετικόν e παραινεῖν, che introducono la parenesi, l’elemento di maggior rilievo e novità a conclusione dell’analisi.68 Merita attenzione la giuntura τὸ τρίτον προοίμιον, che Brémond rende come «prélude du troisième genre».69 Si può pensare che questa interpretazione sia basata sul rinvio ai tre tipi di proemio che Aristotele nella Retorica (1414 b 30-1415 a 8) giudica possibili per i discorsi epidittici: ἐξ ἐπαίνου, ἐκ προτροπῆς, ἐκ τῶν πρὸς τὸν ἀκροατήν, proemi di elogio, di esortazione o rivolti all’ascoltatore.70 In effetti già Blass e ora Alexiou fanno corrispondere 67 Cfr.
supra, p. 120. nelle prime linee della ὑπόθεσις (91, 3 e 6 Menchelli) il termine παραίνεσις indica il Nicocle e l’A Nicocle. Sui vari usi di παραίνεσις e termini correlati in ambito retorico cfr. A. Grözinger, Paränese, in HWRh, VI, 2003, coll. 552-555, e, in part. sugli sviluppi f ra IV e III secolo, W.W. Fortenbaugh, Παραίνεσις: Isocrates and Theophrastus, «Hyperboreus», XV, 2009, pp. 251-262. 69 In Mathieu – Brémond, Isocrate, II, p. 146. 70 Qui nell’ordine rispettivamente epidittico, deliberativo, giudiziario, in stretto nesso, com’è ovvio, con la ben nota teoria, formulata nella Retorica (1358a 36-b 8), dei tre generi del 68 Già
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MADDALENA VALLOZZA
ai tre tipi di proemio individuati da Aristotele ciascuna delle tre parti nelle quali si articola l’ampio proemio dell’Evagora (1-4, 5-7, 8-11).71 In particolare al terzo tipo, il προοίμιον ἐκ τῶν πρὸς τὸν ἀκροατήν, Blass fa corrispondere la terza parte del proemio (8-11), in quanto indirizzata all’ascoltatore e volta a produrre in lui lo stato d’animo benevolo adeguato alla difficile e innovativa impresa oratoria tentata dall’autore.72 L’ipotesi di un legame diretto fra il τρίτον προοίμιον della ὑπόθεσις e il προοίμιον ἐκ τῶν πρὸς τὸν ἀκροατήν di Aristotele, peraltro non suggerita in modo esplicito da Blass e Alexiou, né da Brémond, potrebbe certo essere suggestiva. Ma le indicazioni fornite nell’immediato contesto della ὑπόθεσις inducono a dare a τὸ τρίτον προοίμιον un senso forse più semplice e più concreto. L’autore stesso infatti caratterizza il τρίτον προοίμιον come impossibile per un encomio, ὅπερ οὐκ ἔστιν εὑρεῖν ἐν ἐγκωμίῳ, di fatto parte sostitutiva del lamento nella struttura del discorso, ἀντὶ τοῦ θρηνητικοῦ, e rimanda con chiarezza a una analisi già svolta, ὡς προείρηται. Di questa analisi nulla resta nella ὑπόθεσις, ma tracce di rilievo si possono rilevare negli scoli, che, come si è ricordato in apertura, conservano con le ὑποθέσεις la memoria di un perduto commentario a Isocrate.73 A più riprese negli scoli la struttura tripartita del proemio è discussa (122, 10 e 11-12, 122, 17, 122, 18 e 19-20 Dindorf ), fin dallo scolio iniziale (121, 7-10 Dindorf ), che a sua volta tratta dei tre proemi, τριῶν προοιμίων, come di un argomento già introdotto, ὠς εἴπομεν, ora ripreso con la distinzione dei diversi destinatari, per il primo un destinatario presente e diretto, Nicocle, per gli altri due un destinatario ormai assente, Evagora. Anzi, precisa uno scolio successivo discorso. Ne indaga ora lo stretto legame con la tripartizione del processo persuasivo C. Rapp, The Nature and Goals of Rhetoric, in G. Anagnostopoulos (ed.), A Companion to Aristotle, Oxford, Blackwell 2009, pp. 579-596: 579-580. 71 Blass, Attische Beredsamkeit, p. 285, Alexiou, «Euagoras», p. 65. Sulla struttura tripartita del proemio insiste la critica moderna, fin dalle pagine che all’Evagora dedica I. Bruns, Das literarische Porträt der Griechen, Berlin, Hertz 1896, rist. an. Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1961, pp. 115-126, alle sottili osservazioni di J. Sykutris, Isokrates’ Euagoras, «Hermes», LXII, 1927, pp. 24-53: 38-43, ora in Seck, Isokrates, pp. 74-105: 88-94, e di K. Münscher, Isokrates’ Euagoras, «PhW», XLVII, 1927, coll. 1063-1070 e 1098-1103: 1064-1070, ora in Seck, Isokrates, pp. 106-121: 107-114. Cfr. C. Brunello, La verità supera la meraviglia: poesia e prosa a confronto nell’Evagora di Isocrate, «Prometheus», XXXIX, 2013, pp. 69-86: 80-83. 72 Blass, Attische Beredsamkeit, p. 285, n. 7, dove è messa in luce l’espressione di Aristotele nella Retorica (1414b39-1415a3), a proposito dei proemi tratti dal genere giudiziario, ἐκ τῶν δικανικῶν, che sono ritenuti adatti in particolare quando il soggetto del discorso può essere, per molti fra i destinatari, paradossale, difficile o scontato, εἰ περὶ παραδόξου λόγος ἢ περὶ χαλεποῦ ἢ περὶ τεθρυλημένου. Cfr. ora S. Gastaldi, Aristotele. Retorica, Roma, Carocci 2014, pp. 604-605. 73 Cfr. supra, pp. 117-118.
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LA TRADIZIONE RETORICA NELLA HYPOTHESIS DELL’EVAGORA
(122, 18), il terzo proemio è rivolto a un defunto, τρίτον προοίμιον, εἰς τὸν τελευτήσαντα. È dunque possibile pensare che il terzo proemio sia non un terzo tipo di proemio, ma semplicemente il terzo proemio nella tripartizione della sezione iniziale dell’Evagora, e che sia proprio questa peculiarità, un destinatario ormai defunto, tratto distintivo dell’epitafio, a rendere impossibile inserire il terzo proemio dell’Evagora in un encomio. Ne offre conferma la successiva notazione della ὑπόθεσις: il terzo proemio sostituisce nella struttura dell’Evagora un motivo tipico dell’epitafio, il lamento, ἀντὶ τοῦ θρηνητικοῦ. Ma l’autore sembra giudicare decisiva nel determinare la struttura peculiare dell’Evagora la sostituzione di un altro motivo tipico dell’epitafio, la consolazione, con la parenesi. A questo proposito, come nella parte iniziale, per la cronologia, aveva inserito una citazione dall’epilogo del discorso (91, 4-5 Menchelli = 78), di nuovo, con παραινεῖ ὅτι, rinvia al testo. La frase che segue, ὀφείλεις, ὦ Νικόκλεις, μιμήσασθαι τὰς πράξεις τὰς τοῦ πατρός, ἃς νῦν διήλθομεν ἐν τῷ ἐπιταφίῳ, non si configura però come una citazione più o meno puntuale, ma piuttosto come una parafrasi, che dell’epilogo riprende e sintetizza in una sola frase i motivi caratterizzanti.74 Così dall’attacco (73) è ripresa l’apostrofe a Nicocle, mentre dal confronto fra prodotti letterari e prodotti delle arti figurative (74-75) è ripreso l’elemento delle πράξεις, che solo il discorso è in grado di raccogliere e illustrare. Soprattutto, infine, sempre da questo centrale e ben noto confronto è tratta l’idea stessa della funzione che ha il discorso, proporre a Nicocle un modello tratto dalla sua stessa famiglia, παραδείγμασιν ... οἰκείοις (77), da imitare, μιμεῖσθαι, nella prassi concreta (75).75 Qui, con la ricerca e la precisa indicazione della finalità più alta, dello σκοπός, la ὑπόθεσις sembra rif lettere quei tratti del metodo esegetico proprio del neoplatonismo che, come si è detto all’inizio, Hoffmann ha colto ad esempio nella ὑπόθεσις dell’A Demonico. Si può dunque concludere che l’autore tenta di andare oltre una troppo netta definizione, determinata dal confronto con la rigida griglia di riferimento di tradizione retorica, che prevede il pieno inserimento in un genere definito, epitafio o encomio. Introducendo la possibilità di pensare a una struttura più duttile, nella quale tratti e motivi caratteristici di più generi possano intrecciarsi dando luogo ad un discorso nuovo, coglie appieno la peculiarità dell’Evagora. Offre così una visione complessiva del discorso che ne indaga a fondo le caratteristiche sia sul piano della struttura retorica sia sul piano della funzione paideutica. 74 Mandilaras, Isocrates, I, p. 242 e II, p. 254, fra l’altro con i problemi di ricostruzione del testo indicati supra, n. 21, riferisce tutta questa sezione della ὑπόθεσις al passo finale dell’Evagora (80). 75 Cfr. Vallozza, Motivi, pp. 55-58.
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PARTE TERZA
Stefano Martinelli Tempesta VICENDE DEL TESTO ISOCRATEO TRA QUATTRO E CINQUECENTO Per uno stemma delle edizioni
Con l’eccezione del testo della Contro Callimaco e della Contro Eutino, per le quali il Vat. gr. 65 costituisce il testis unicus, i meccanismi della trasmissione del testo isocrateo consentono di operare una constitutio textus per lo più sulla base della selectio fra le due edizioni tardoantiche che stanno alla base dei due rami della tradizione medievale, alle quali talora si aggiunge qualche lezione interessante conservata nei frammenti papiracei o pergamenacei.1 Si tratta, cioè, di meccanismi tali da rendere pressoché superf lui gli sforzi compiuti da tutti quei dotti che, a partire dalla comparsa dell’editio princeps ad opera di Demetrio Calcondila per i tipi di Ulrich Scinzenzeler (Milano 1493), hanno cercato di emendare un testo che, nella sostanza, si fondava sul Parigino gr. 2931, un apografo del Vat. gr. 65, rappresentante di un singolo ramo della seconda famiglia della tradizione isocratea. La legittima opera emendatoria dei dotti dei secoli tra la fine del XV e gli inizi del XIX, che lavorarono su una tradizione ridottissima e per di più inficiata dalla grave lacuna nella parte centrale dell’Antidosi, divenne perlopiù vana dopo la scoperta, ad opera di Immanuel Bekker, dell’Urbinate gr. 111, il più antico manoscritto medievale di Isocrate, nonché unico testimone primario della prima famiglia, come pure in seguito agli studi della seconda metà dell’Ottocento e degli inizi del Novecento, grazie ai quali si perfezionò la conoscenza della struttura stemmatica della seconda famiglia, senza dimenticare i contributi offerti dall’abbondante tradizione papiracea. Salvo le rarissime eccezioni in cui il testo necessita di un intervento emendatorio (un esempio possibile infra, Appendice 3), che si spiegano come errori di origine molto antica e non tali da presupporre un archetipo, quasi tutte le 1 Per una sintesi sulla tradizione manoscritta di Isocrate rinvio a Martinelli Tempesta, Missing Archetype, e Martinelli Tempesta, L’«archétype» manquant (con tutta la bibliografia precedente).
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STEFANO MARTINELLI TEMPESTA
congetture concepite dalle menti ingegnose dei secoli dell’Umanesimo, del Rinascimento e oltre subirono una duplice sorte: le più brillanti trovarono conferma nell’Urbinate (o in altri testimoni importanti della seconda famiglia, nella fattispecie il Laurenziano 87.14 = Θ), le altre furono smascherate come erronee o, quanto meno, superf lue (due esempi, fra i molti, infra, Appendice 1 e 2). Se è vero, dunque, che lo studio delle vicende testuali isocratee tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Novecento non contribuisce molto alla costituzione del testo isocrateo, cionondimeno esso ci permette di valutare meglio la sua storia. Il momento cruciale per la formazione della facies testuale o, per meglio dire, delle due facies testuali in cui prese forma la vulgata isocratea è, come di consueto, il secolo XVI. Nel presente contributo, mediante un’appropriata applicazione della stemmatica alle principali edizioni cinquecentesche del corpus isocrateo, mi propongo di chiarire le vie e i meccanismi mediante i quali si sono formate le due vulgate che hanno trasmesso il testo del grande oratore ateniese alle generazioni di studiosi dei secoli XVII e XVIII. Ho utilizzato come case study per la ricostruzione dello stemma il testo del Panegirico, del quale ho avuto occasione di scandagliare l’intera tradizione manoscritta,2 ma prenderò in considerazione soltanto le edizioni dell’intero corpus (Orazioni e Orazioni-Epistole).3 Sondaggi di tipo stemmatico per evidenziare i rapporti genealogici tra le edizioni a stampa di un testo antico sono necessari sia per evitare di semplificare troppo in senso ‘verticale’ i passaggi attraverso i quali si è venuta formando la vulgata (di norma non proprio lineari), sia per verificare le dichiarazioni relative all’uso di fantomatici esemplari (manoscritti o a stampa) che, per rendere più appetibile l’acquisto di un’edizione, ogni editore faceva in sede prefatoria o anche sul frontespizio. L’applicazione del metodo stemmatico alle edizioni a stampa richiede, tuttavia, alcune cautele: per es., non si deve dimenticare che i refusi sono di norma molto facilmente emendabili e gli editori, che erano spesso affiancati da filologi, quando non sintetizzavano in un’unica persona le abilità dello stampatore e le qualità del filologo, praticavano sempre una emendatio del textus receptus per lo più ope editionum e ope ingenii, o, più raramente, ope codicum. In altre parole, dato che la percentuale di errori triviali, e pertanto facilmente emendabili, nella trasmissione a stampa è molto alta, non è 2
Cfr. Martinelli Tempesta, «Panegirico»; Martinelli Tempesta, Apografi. Ho anticipato una breve sintesi di questa indagine nell’ambito di uno studio sulla formazione delle vulgate di testi greci nel Cinquecento: Martinelli Tempesta, Stemmata editionum, pp. 45-50, 53. 3
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VICENDE DEL TESTO ISOCRATEO TRA QUATTRO E CINQUECENTO
possibile trarre conclusioni stemmatiche dalla loro assenza. E, in questo, l’applicazione del metodo non si distingue nella sostanza dal caso di una trasmissione manoscritta: errori facilmente emendabili non hanno valore separativo. D’altra parte, l’accordo in piccoli dettagli o piccole innovazioni (peggiorative), che possono passare inosservate e che in una trasmissione manoscritta non avrebbero, se isolate, alcun valore congiuntivo, nel caso di trasmissioni a stampa possono costituire preziosi indizi di dipendenza. Non bisogna dimenticare, infine, quanto ci hanno insegnato gli studi di ‘bibliografia testuale’ e cioè che nei secoli della stampa a caratteri mobili (dalla metà del XV secolo sino ad oltre la metà del XIX) è sempre possibile che in tipografia il testo venga corretto in corso di composizione, senza che i fogli già stampati vengano gettati via: è dunque possibile che vi siano differenze – talvolta anche significative – tra le copie di una medesima edizione, dovendosi, inoltre, distinguere tra edizione, emissione e tiratura.4 Di ogni edizione bisognerebbe controllare il maggior numero di esemplari possibile, per verificare l’eventuale esistenza di varianti, operazione imprescindibile nel caso di testi che nascono nell’era della stampa e che, quindi, possono essere composti sotto il diretto controllo dell’autore. Il rapporto tra lo sforzo e il tempo necessario per un lavoro del genere e i possibili risultati è, a mio parere, tuttavia, in netta perdita nel caso delle edizioni a stampa di testi greci antichi e non è un caso che la maggior parte degli studiosi della trasmissione di questo genere di testi non tenga conto dei contributi della textual bibliography. Caso diverso, naturalmente, sono le praefationes e tutti i testi nuovi (componimenti poetici etc.) che possono accompagnare le edizioni di un testo antico, come pure le traduzioni latine o i volgarizzamenti: in questo caso si tratta di testi che nascono all’interno dei meccanismi della trasmissione a stampa e andrebbero studiati applicando i metodi della ‘bibliografia testuale’. Dato che il focus del presente contributo è la trasmissione del testo greco e soltanto marginalmente ci occuperemo delle traduzioni latine, ho deciso di limitarmi a segnalare sempre l’esemplare (o gli esemplari) da me visionati, senza neppure tentare un esame esteso di più esemplari per edizione. Pur nella consapevolezza della possibilità che qualche differenza tra gli esemplari ci sia, ritengo che, nella sostanza, queste eventuali divergenze non siano tali da inficiare la struttura dello stemma proposto alla fine del nostro percorso.5 4 Mi limito a rinviare a C. Fahy, Saggi di bibliografia testuale, Padova, Antenore 1988, e a N. Harris, Filologia dei testi a stampa, in A. Stussi (ed.), Fondamenti di critica testuale, Bologna, il Mulino 20062, pp. 181-206. 5 Per ragioni di spazio e di leggibilità, eviterò di proporre elenchi esaurienti di accordi e
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Come si diceva, l’editio princeps delle Orazioni isocratee vide la luce a Milano nel 1493 presso Ulrich Scinzenzeler per le cure di Demetrio Calcondila (Med [Hain 9312; IGI 5241]),6 che utilizzò come testo base quello di un apografo del Vat. gr. 65 (Λ), il Par. gr. 2931, manoscritto copiato da Andrea Leantino alla fine del secolo XIII o all’inizio del XIV sul quale mi è occorso di individuare interventi autografi di Calcondila.7 Il dotto bizantino, che probabilmente iniziò il suo lavoro su Isocrate verso la fine del suo soggiorno fiorentino, ebbe la possibilità di utilizzare soltanto sporadicamente alcuni manoscritti della raccolta dei Medici, cioè il Laur. Plut. 87.14 (Θ), uno dei testimoni della seconda famiglia indipendente da Λ e, forse, anche il Laur. Plut. 59.24, un apografo di Λ copiato da Giorgio Trivizia 8 e imparentato con il bessarioneo Marc. gr. 415 (coll. 859) vergato da Cosma Trapezunzio, ma, come ha di recente dimostrato Emanuel Zingg,9 riuscì a farsi mandare in prestito a Milano un altro manoscritto, da identificarsi con il Laur. 58.5 (Ν), uno dei rappresentanti del ramo umanistico della seconda famiglia, realizzato dallo ‘scriba G’, alias Gian Pietro da Lucca.10 divergenze, limitandomi a riferire i risultati della valutazione delle collazioni e a proporre i dati che mi paiono più interessanti ai fini della discussione. Anche la bibliografia, per non appesantire troppo le note, è ridotta all’essenziale. Per una storia delle edizioni isocratee dalla Princeps a quelle moderne sono tuttora fondamentali, anche se bisognose di qualche correzione e di aggiornamento, le pagine di Drerup, Isocratis opera, pp. clxiv-clxxxix. 6 Colophon: ἐτελειώθη σὺν θεῶ τὸ παρὸν βιβλίον ἰσοκράτους ἐν με|διολάνω διορθωθὲν
μὲν ὑπὸ Δημητρὶου τοῦ χαλ|κονδύλου τυπωθὲν δὲ καὶ συντιθὲν ὑπὸ ἐρρί|κου τοῦ γερμανοῦ καὶ σεβαστιανοῦ τοῦ ἐκ | ποντρεμούλου· τὸ δ᾿ ἀνάλωμα | πεποιήκασιν οἱ τοῦ λαμπρο|τάτου ἡγεμόνοσ με|διολάνου γραμ|ματεῖσ | βαρθολομαῖοσ σκύασοσ· βικέντιοσ ἀλίπραντοσ | βαρθολομαῖοσ ῥόζωνοσ ἔτει τῶ ἀπὸ τῆσ χριστοῦ | γεννήσεωσ χιλιοστῶ τετρακοσιοστῶ ἐνενηκοστῶ | τρίτω μηνὸσ ἰανουαρίου εἰκοστῆ τετάρτη (segue la marca tipografica di Ulrich Scinzenzeler). Alla fine del corpus del-
le orazioni, alla carta CCvi r, di seguito al finale di In Euth., si trova il registro dei fascicoli (secondo il sistema dei catchwords, con indicazione della parola iniziale dei fogli della prima metà di ogni fascicolo). Il volume risulta così composto: un ternione (α), due quaternioni (β e γ), un quinione (δ), undici quaternioni (A-L), tredici ternioni (M-CC). Esemplari consultati: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, D’Elci 179; München, Bayerische Staatsbibliothek, 2° Inc. C.A. 2883 I (due carte, γii e γvii, sono cadute e sono state sostituite, ciascuna, con un bifoglio manoscritto). Per la bibliografia su Scinzenzeler rinvio a Martinelli Tempesta, Fonti, p. 238, n. 2. 7 Martinelli Tempesta, Fonti. 8 Identificazione della mano di Trivizia in S. Martinelli Tempesta, Nuovi manoscritti copiati da Giorgio Trivizia, «SMU», VIII-IX, 2010-2011, pp. 406-436: 417-422. 9 Zingg, Vorlagen. 10 Sul quale vd. da ultimo S. Martinelli Tempesta, Un nuovo codice con marginalia dello scriba G alias Gian Pietro da Lucca: l’Ambr. M 85 sup. Con una postilla sull’Ambr. A 105 sup. e Costantino Lascaris, in G. Albanese – C. Ciociola – M. Cortesi – C. Villa (edd.), Il ritorno dei classici nell’Umanesimo. Studi in memoria di Gianvito Resta, Firenze, Edizioni del Galluzzo 2015, pp. 425448. Per una descrizione aggiornata di questi manoscritti, ad eccezione del Laur. Plut. 59.24, vd. Fassino, Tradizione, ad indicem.
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L’utilizzo di questi esemplari per la collazione non ha impedito, comunque, che il testo della Princeps rimanesse inficiato dalle due lacune materiali che caratterizzano la facies testuale di Λ: la grande lacuna al centro dell’Antidosi (che doveva risalire alla caduta di alcuni fascicoli nel modello) e la perdita delle parole conclusive della Contro Callimaco, provocata da un danno materiale nell’angolo inferiore destro del suo ultimo foglio. In quest’ultimo caso, però, il testo della Princeps e delle seguenti edizioni non si presenta perturbato, poiché riproduce il restauro autografo di Calcondila sul Par. gr. 2931, che a sua volta dipende dalla ricostruzione congetturale proposta da Michele Suliardo nel Par. gr. 2991.11 L’edizione di Calcondila,12 nella quale il corpus delle 21 orazioni, presentate in un ordine che, pur con alcune variazioni, rif lette l’impostazione della seconda famiglia con le parenetiche al principio (Ad Dem., Ad Nic., Nic., Euag., Hel., Busir., C. soph., Paneg., Plat., Areop., Panath., Phil. cum arg., De pace cum arg., Archid. cum arg., Antid., De bigis, Aegin., Trapez., In Call., C. Loch., In Euth.), è preceduto dalle Vitae isocratee dello pseudo-Plutarco, di Filostrato e di Dionigi di Alicarnasso, fornì il testo base per la prima edizione aldina, apparsa a Venezia nel 1513 a cura dello stesso Aldo Manuzio coadiuvato da Marco Musuro (Ald1) [EDIT16: CNCE 37441].13 I due sodali prepararono il testo emendando l’edizione milanese per lo più ope ingenii, ma facendo uso anche di un Korrektivexemplar identificabile, a quanto sembra, con il Vat. Pal. gr. 135, manoscritto che sarebbe poi stato acquistato da Ulrich Fugger probabilmente proprio a Venezia.14 Aldo, inoltre, dietro suggerimento di Musuro,15 al ma11 Martinelli Tempesta, Fonti, pp. 249-252; Martinelli Tempesta, Apografi, p. 224; Martinelli Tempesta, Stemmata editionum, p. 46, n. 43. 12 Sulla quale vd. Menchelli, Isocrate commentato. 13 Su Marco Musuro sono ora da vedere D. Speranzi, Marco Musuro. Scrittura e libri, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato 2014, e Ferreri, Marco Musuro. Del cretese si conserva manoscritto, non autografo, un commento ‘universitario’ all’Ad Dem. e all’Ad Nic. (Vat. lat. 11483), sul quale vd. Gualdo Rosa, Paideia, pp. 73-75 e il volume citato di Ferreri, Marco Musuro, pp. 4-5, 430, n. 6, 449-451. 14 Menchelli, Isocrate commentato, pp. 28-32; Martinelli Tempesta, Fonti, pp. 257-259. 15 Come si evince dall’epistola prefatoria di Aldo a Giovan Battista Egnazio: [...] Addidimus hisce Isocratis orationibus, Musuri nostri hortatu, Alcidamantis orationem contra dicendi magistros, Gorgiae de laudibus Helenae, Aristidis de laudibus Athenarum. Quod ideo factum est, quia cum de iisdem et Isocrates scripserit, operae pretium videbatur si de eadem re diversos, eosdemque doctissimos legendos authores [sic] studiosis simul traderem. Addidimus insuper Aristidis de laudibus urbis Romae orationem, nostra in eam urbem benevolentia, ut, ubi Athenae laudantur, et Roma laudetur, cum de utriusque urbis audibus idem author et docte et accurate scripserit. Vale. Ven. Mense april. M.D.XIII. Cfr. C. Dionisotti – G. Orlandi, Aldo Manuzio editore, I-II, Milano, Edizioni Il Polifilo 1976: I, p. 16, II, p. 206 e N.G. Wilson (ed. and transl.), Aldus Manutius. The Greek Classics, Cambridge Mass.-London, HUP 2016, p. 224. Dalla lettura di queste parole pare potersi dedurre che l’aggiunta dell’Encomio di Roma di Elio Aristide sia da attribuirsi ad Aldo. L’epistola prefatoria si trova a p. 2 ed è seguita
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teriale presente nell’edizione milanese aggiunse l’argumentum al Busiride e, alla fine del corpus delle orazioni isocratee (presentate nel medesimo ordine della Princeps), il discorso Contro i sofisti di Alcidamante, l’Encomio di Elena di Gorgia, nonché il Panatenaico e l’Encomio di Roma di Elio Aristide. Il prestigio e l’abilità imprenditoriale di Aldo Manuzio fecero sì che l’edizione aldina soppiantasse ben presto l’edizione milanese di Scinzenzeler, molti esemplari della quale rimasero invenduti per molto tempo, fino a quando, a Venezia il 20 luglio del 1535, un certo numero di copie fu rimesso in circolazione con un nuovo frontespizio e un nuovo colophon (Ven. 1535) [EDIT16: CNCE 51903],16 operazione che ha prodotto anche la sostituzione delle carte corrispondenti all’ultima del primo quaternione e alla prima dell’ultimo quaternione.17 L’esame dei caratteri greci dei fogli sostituiti ha permesso di identificare, con ogni probabilità, in Andreas Kounadis il responsabile di questa operazione meramente commerciale.18 A partire dalla prima edizione aldina furono allestite l’edizione di Johann Setzer, apparsa a Hagenau nel settembre del 1533, la cosiddetta edizione Seceriana o Haganoensis (Hag) [VD 16 I 389],19 che trasse qualche lezione dal pinax in greco. Nel volume sono presenti due colofoni con due date differenti, preceduti entrambi dal registro, corrispondenti il primo alla prima parte del volume (aa bb cc dd ee ff gg hh ii kk ll mm nn | Omnes quaterniones, preter nn qui duernio), il secondo all’intero volume (aa bb cc dd ee ff gg hh ii kk ll mm nn | AA BB CC DD EE. Quaterniones. | preter nn et EE Duerniones): uno a p. 197, alla fine delle orazioni isocratee (Venetiis apud Aldum, et Andream Socerum mense April. M.D.XIII.), l’altro alla fine della seconda parte del volume, la cui paginazione comincia, dopo un foglio bianco (probabilmente destinato ad essere tagliato), da 98 (anziché da 198), quindi a p. 167 (Venetiis in Aedibus Aldi, et Andreae Soceri. IIII nonarum Maii. M.DXIII.). Esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, Res. 2° A gr. C 19 (con postille di Piero Vettori). 16 All’ultima verifica effettuata (14 luglio 2014) risulta presente nella scheda una svista: bisogna correggere l’indicazione della lingua (‘greco antico’ non ‘latino’). Esemplari consultati: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Inc. 1916; München, Bayerische Staatsbibliothek, 2° A gr. B 171. 17 Martinelli Tempesta, Fonti, p. 239. 18 Nonostante quanto dichiarato sul frontespizio: Ἰσοκράτους λόγοι, κα᾿, πάλαι μὲν ὑπὸ Δημητρίου τοῦ Καλκονδύλου (sic) διορθωθέντες καὶ πρῶτον ἐκδωθέντες ἐν τῷ Μεδιολάνῳ, νῦν δὲ πάλιν ἀκριβῶς ἀνακαθαρμένοι καὶ ἐκτυπώμενοι ἐκδίδονται, con traduzione latina approssimativa sottostante, Isocratis orationes. XXI. alias a Demetrio Calcondulo primum Mediolani correctae, et editae: nunc autem iterum accurate recognitae et impressae emittuntur. Esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, 2° A gr. b 771. Per l’identificazione di Andrea Kounadis come responsabile dei fogli ricomposti vd. E. Layton, The Sixteenth Century Greek Book in Italy. Printers and Publishers for the Greek World, Venice, Istituto Ellenico di studi Bizantini e Post-bizantini 1994, pp. 345-347 con la fig. 193 a p. 346. 19 Isocratis excellentissimi viri ac summi oratoris orationes magna cum diligentia impressae, Haganoe, ex Officina Seceriana, Mense Septembri. Anno MDXXXIII. Esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2008. Massimo Pinto, che ringrazio, ha controllato per me l’esemplare conservato ad Atene presso la Gennadios Library (15583 ΛΔ. 2).
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anche dalla Princeps di Calcondila,20 e quella di Peter Braubach, pubblicata a Francoforte sul Meno nel 1540 (Brub) [VD 16 I 390],21 sul frontespizio della quale si annuncia la presenza di variae lectiones: Ἰσοκράτους λόγοι ἅπαντες; ὧν τά ὀνόματα ἐν τῇ ἑξῆς ἑυρήσεις [sic] σελίδι·μετὰ τῆς πολυπλόκου ἀναγνώσεως. Isocratis orationes omnes, quarum nomina sequenti invenies pagina.22 Addita variae lectionis annotatione. In effetti, dopo il f. 349, sul cui verso si legge il colophon di seguito alla conclusione del discorso Contro Eutino (ἐν τῇ Φραγκωφορίᾳ παρά τὸ μῆνον ποταμόν; παρὰ πέτρῳ τῷ βρουβαχίῳ; ἔτει χιλιοστῷ πεντακοσιοστῷ τεσσαρακοστῷ), è aggiunto un binione non numerato contenente, in quattro pagine a partire dal verso del primo foglio, una Variae lectionis annotatio. Vi si leggono sei proposte congetturali al testo dello pseudo-Plutarco,23 una a Filostrato,24 una a Dionigi di Alicarnasso,25 seguite da poco più di una trentina di note critico-testuali alle orazioni isocratee, in cui, oltre a proposte ope ingenii introdotte dalle seguenti formule fortasse/ forte legendum, malim, non inepte legeretur, rectius fortasse legas, videtur deesse, quid si ... pro ... legas?, vengono menzionate letture di Rodolfo Agricola,26 20 A questo si riduce l’operazione di collazione sottolineata con enfasi dall’editore nell’epistola ad lectorem (c. A2 r): Ad haec contulimus cum Aldino codice et alia exemplaria quae a doctissimis quibusdam viris in hunc usum accepimus, ut dubitare minime queas hanc editionem cum iis quas hactenus videre contigit, sic posse conferri, ut si par esse non queat, certe non multum relinquatur. bene Vale. Cfr. già Drerup, Isocratis opera, p. clxvi. 21 Esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2009. Ho controllato anche l’esemplare conservato a Genova, Biblioteca Universitaria, Sala 3/BB/7 12, che, tuttavia, risulta mutilo del fascicolo finale contenente le Variae lectiones. 22 Sul verso del frontespizio si trova, in effetti, il pinax greco limitato alle orazioni isocratee, senza tenere conto dei materiali introduttivi che le precedono in fogli non numerati (tre quaternioni, comprendenti il frontespizio con numerazione dei fogli dal secondo al quinto [α-γ], più un binione [δ-δ4]), comprendenti le Vitae dello pseudo-Plutarco, di Filostrato e di Dionigi di Alicarnasso. 23 In vita Isoc. per Plutarchum, locus, γενόμενος δὲ κατὰ τὴν ὀγδοηκοστὴν etc. post μυρρινυσίου deesse quidpiam videtur ut infra ex Dionysio apparet. | In eadem, ubi inquit τρὶς προεβλήθη τριήρεις, fortasse τριήραρχος legendum. | ac statim πρὸς δὲ τὸν εἰπόντα etc. usque ad ἠγωίσατε δὲ, aliunde irrepsisse videt(ur). | Item pro ἀνακούσιος, lege ἀνακοῦς υἱός. | Item ubi exemplaria habent λέγεται δὲ καὶ κερητίσαι, fortasse legendum κελητίσαι. | Item pro πομπείω malim πομπηίω, quoniam apud Suidam per ηϊ ubique scribitur. 24 In Philostrati. Pro κεκολασμένην malim κεκλασμένην. 25 In Dionysii. βουλομένοις οὖν ἡμῖν, malim βουλευομένοις. Dall’apparato dell’edizione Usener – Radermacher, D.H. Isocr. 19, 43, p. 88, 8, ricavo che βουλομένοις è lezione (erronea) dell’Ambr. D 119 sup. (M). La si ritrova anche nella Princeps isocratea (Med) e da qui è passata ad Ald1 (Hag, Brub) e Ald2 (Bas1 etc.). Wolf corregge il testo sin dall’edizione oporiniana basileese greco-latina del 1553 (p. 962) e già nella traduzione del 1548 (nobis enim deliberantibus, p. 242) e nelle relative castigationes (col. 37, l. 30) al testo di Braubach. Il testo esatto si trova anche in Steph. 26 A proposito di Ad Dem. 42 (= p. 112, 9 Drerup) (Brub. f. 9v, l. 20), μηδ᾿ ἐν ἑτέροις, si dice
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Erasmo,27 Guillaume Budé.28 Le note relative al testo del Panegirico sono le seguenti: 1) [Paneg. 100] Folio 93. facie secunda, versu 23. malim pro ὑμῶν ἡμῶν, et pro αὐτοῖς
αὐτῆς. Vd. infra, Appendice 2.
2) [Paneg. 131] Folio 99. facie secunda, versu 4. τὰς πρὸς ἡμᾶς ἔχθρας legit Budaeus. Budé, discutendo del significato del verbo διαλύειν nei Commentarii linguae Graecae, cita Isocrate senza specificare l’orazione: significat etiam pacem et foedus icere et componere. Isocrates ἐξ ὧν ἐξέσται τὰς πρὸς ἡμᾶς αὐτοὺς ἔχθρας διαλύσασθαι. (Parisiis, Badius Ascensius, 1529, p. 53 [πρὸς ὑμᾶς αὐτοὺς] = Basileae, Bebel, 1530, col. 74, 37-40 = Parisiis, R. Stephanus, 1548, p. 64 = Basileae, Episcopius, 1556, col. 80, 4-6). Il passo citato da Budé non trova riscontro nel corpus isocrateo ma sembra essere il risultato di una conf lazione mnemonica di In Call. 28 (μετὰ τούτων καὶ τὰ συμβόλαια τὰ πρὸς ἡμᾶς αὐτοὺς ποιούμεθα καὶ τὰς ἰδίας ἔχθρας καὶ τοὺς κοινοὺς πολέμους διαλυόμεθα) con Paneg. 131 (ἐξὸν [Γ Λ1ΘΝΠS : ἐξ ὧν ἔσται Λ2 Par. 2931 Med etc.] αὐτοῖς τὰ πρὸς ἡμᾶς διαλυσαμένοις ἅπαντας τοὺς βαρβάρους περιοίκους ὅλης τῆς Ἑλλάδος καταστῆσαι).
che Agricola, traducendo neutrius esse, sembra aver letto in greco ἐν μηδετέροις, che è lezione della Princeps (nella prima Aldina si trova, invece, di nuovo, μηδ᾿ ἐν ἑτέροις). Le lezioni dei testimoni primari, secondo il nuovo apparato di Mariella Menchelli per l’edizione OCT sono le seguenti: μηδ᾿ ἐν ἑτέροις ὢν κατάδηλος π12 vid. Γ vid. Νpc vid. : μηδε εν ετεροιϲ ων καταδηλοϲ π13 : μη καταδηλοϲ ειναι π11 : μηδ εν ετεροιϲ αυτων διαδηλοϲ π7 : εν μηδ’ εταιροιϲ ων κατ’ αδηλοϲ π1 : μηδὲν ἑτεροις ω. κ. Λ3 Vat : μὴδ’ ἐ ετέροις ω. κ. Π : μηδ’ ἑτέροις ω. κ. S Σ : μηδετέρως ω. κ. Υ : μηδὲ ἐν ἑτέρω κ. Ep (M, F, μὴδετέρω κ. V; ὢν om. Ep). Secondo l’apparato di Drerup la lezione della Princeps (accolta, fra i moderni, da Lange) è correzione dei recentiores. Rodolfo Agricola tradusse Ad Dem. a Ferrara nel 1478; questa versione fu pubblicata a Heidelberg e a Norimberga tra il 1490 e il 1495, poi ristampata a Zwolle, nelle Fiandre, intorno al 1500, ad Anversa nel 1511 (Peter Gilles), a Strasburgo nel 1515 (Martin van Doorp), poi a Lovanio nel 1517 con la revisione di Erasmo (con molte ristampe tra il 1517 e il 1550): su tutto ciò vd. Gualdo Rosa, Paideia, pp. 85-86. 27 Erasmo viene menzionato a proposito di Ad Nic. 34 (= p. 126, 18 Drerup = p. 127, 12 Seck) (Brub f. 18r, l. 7): pro τούτων Erasmus τοῦτο legit. In realtà τοῦτο è la lezione esatta e concordemente tràdita, mentre τούτων è lezione della Princeps, ripetuta da Ald1, ma corretta già da Ald2, nonché stampata dallo stesso Braubach a testo. Un caso del genere induce a sospettare che fonte della variae lectionis adnotatio di Braubach sia un esemplare annotato di Med o, più probabilmente, di Ald1, da cui per altro Brub principalmente deriva. Su Erasmo e Isocrate vd. Gualdo Rosa, Paideia, passim, in particolare pp. 94-97 e il contributo di Zingg, infra, pp. 169-173. 28 A parte i due luoghi del Panegirico esaminati poco oltre, Budé è menzionato a proposito di Panath. 17, dove Γ Θ e Λ2sl leggono παραναγι(γ)νώσκοντες, mentre Λ1it (chiaramente visibile) legge παραγινώσκοντες, che è passato in Med e alle edizioni successive fino a Wolf(1570) e a Steph. La varia lectio, che restituisce la lezione dei manoscritti, è presente, oltre che nelle variae lectiones di Brub (attribuita a Budé), in Wolf(1553)mg, Bas2mg e in WolfCast(1548 e 1570). La varia lectio in Brub, che a testo presenta l’errato παραγινώσκοντες risalente a Λ1 e alla Princeps recita così: Folio 141. facie prima, . Budaeus putat legi posse παραγινώσκοντες, ma l’editore è incappato in una svista, poiché, in effetti, la proposta di Budé (Parisiis, Badius Ascensius, 1429, p. 545 = Basileae, Bebel, 1530, col. 802, 33-40 = Parisiis, R. Stephanus, 1548, p. 646 = Basileae, Episcopius, 1556, col. 902-903) è quella di leggere παραναγινώσκοντες in luogo del receptus (Med e Ald.1, entrambe precedenti la prima edizione dei Commentarii di Budé) παραγινώσκοντες.
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3) [Paneg. 134] Folio 100. facie prima, versu primo. pro ἐκείνου legit ἐκεῖ Budaeus. Budé cita il passo del Panegirico (con ἐκεῖ in luogo del tràdito ἐκεῖ) nei Commentarii linguae Graecae, discutendo del significato del verbo συγκρούειν (Parisiis, Badius Ascensius, 1429, p. 412 = Basileae, Bebel, 1530, coll. 605-606 = Parisiis, R. Stephanus, 1548, pp. 485-486 = Basileae, Episcopius, 1556, col. 674, 32-38).29 4) [Paneg. 149] Folio 103. facie prima, . pro ἐπιμέλειαν forte ἐπ᾿ ἐπιμέλειαν legendum. Vd. infra, Appendice 1.
Non ci sono elementi per stabilire la paternità di queste note criticotestuali, le prime a comparire in una edizione isocratea, ma Wolf si riferisce talora ad esse attribuendole esplicitamente a Braubach stesso.30 L’episodio editoriale destinato ad avere la maggiore inf luenza, prima delle imprese di Hieronymus Wolf e di Henricus Stephanus, fu, tuttavia, quello rappresentato dalla seconda edizione aldina, che vide la luce a Venezia nel luglio del 1534 [EDIT16: CNCE 27219], non tanto per la qualità del suo testo, quanto per il fatto che per la prima volta le Orazioni furono stampate insieme alle Epistole.31 Paolo Manuzio, se è corretta l’ipotesi che ho formulato altrove,32 ha assemblato il volume utilizzando materiale precedentemente uscito dalla stamperia di Aldo: oltre al materiale contenuto nella prima edizione aldina (la lettera prefatoria di Aldo a Egnazio; il pinax; le Vite isocratee dello pseudo-Plutarco, di Filostrato, di Dionigi di Alicarnasso; le 21 orazioni isocratee, quattro delle quali, Phil., De pace, Archid., Busir., precedute dall’argumentum), la voce isocratea della Suda, aggiunta dopo Dionigi di Alicarnasso, le Epistole isocratee dopo le Orazioni, nonché gli excerpta lessicografici tratti da Arpocrazione e dalla Suda aggiunti alla fine del volume. Tutto questo materiale aggiuntivo è stato tratto da precedenti edizioni aldine: la Suda del 1514, il lessico di Arpocrazione apparso, insieme al commentario demostenico di Ulpiano, nel 1503 (poi ristampato da Andrea Asolano nel 1527), le Epistole isocratee apparse nella Princeps degli epistolografi, pubblicata da Aldo nel 1499. Se il contributo testuale di Paolo Manuzio – che del resto era ben più valente come latinista – è assai ridotto, di notevole importanza fu il suo intervento nell’assemblamento e nell’ordinamento del 29 Il passo è esplicitamente riferito al Panegirico soltanto a partire dall’edizione parigina dei Commentarii linguae Graecae del 1548. 30 Per es. WolfCast(1548), col. 30, 33-34 = WolfCast(1570), col. 839, 4-5: Sic ex Dionysio corrigendus hic locus, quod et Brubachius monuit, in riferimento alla prima nota critico-testuale dell’Adnotatio di Brub alla Vita isocratea dello pseudo-Plutarco (cfr. supra, n. 23). 31 Per tutti i dettagli, qui ripresi in sintesi, cfr. Martinelli Tempesta, Equivoco. 32 Ivi, pp. 267-268.
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materiale: a lui si deve la modifica dell’ordine delle otto Epistole isocratee rispetto a quello proposto nella Princeps degli epistolografi, sulla base della sua fonte manoscritta, un apografo perduto del Par. gr. 3054 (1, 6, 2, 3, 5, 4, 7, 8),33 dettata probabilmente dalla volontà di accorpare le quattro epistole che, dopo l’intervento congetturale di Marco Musuro sull’intestazione delle epistole 1 e 4 (rispettivamente a Dionigi e ad Antipatro, ma prive di intestazione nella fonte della Princeps),34 risultavano indirizzate a Filippo (1, 2, 3, 4), nonché l’aggiunta dell’Ep. 76 di Teofilatto Simocatta, tratta dalla medesima raccolta aldina degli epistolografi, alla fine della raccolta. Dalla seconda Aldina dipendono direttamente tre successive edizioni, due delle quali sostanzialmente prive di importanza sul piano testuale: quella stampata a Venezia dai fratelli Farri nel 1542/3 (Farr) [EDIT16: CNCE 37393],35 un tempo sopravvalutata, in quanto da Drerup ritenuta la prima a stampare insieme Orazioni ed Epistole,36 e quella apparsa anch’essa a Venezia per i tipi di Pietro Nicolino Sabiense a spese di Melchiorre Sessa nel 1549 (Sab) [EDIT16: CNCE 32763].37 Di maggiore importanza fu la terza fra le edizioni derivate dalla seconda Aldina, quella cioè stampata a Basilea nel 1546, sicuramente da Oporinus,38 la prima edizione Basiliensis (Bas1); questa edizione, in-Ottavo, 33
Sicherl, Erstausgaben, pp. 235-242. Sicherl, Erstausgaben, p. 238. 35 Isocratis Atheniensis rhetoris orationes et epistolae, Venetiis MDXLII. Colophon: Venetiis, ex Officina Farrea MDXLIII. Esemplare consultato: Genova, Biblioteca Universitaria, Sala 3/B/2 59. Ringrazio l’amico Massimo Pinto per avere controllato per me anche l’esemplare conservato presso la Gennadios Library di Atene (11512 ΛΓ. 4). 36 Drerup, Isocratis opera, pp. clxvi-clxvii. 37 Isocratis Atheniensis rhetoris orationes et epistolae, Venetiis. Colophon: Imprimebat Petrus Nicolinus Sabiensis et Socii, sumptum vero faciebat Melchior Sessa, Venetiis, MDXLIX. Esemplare consultato: Milano, Biblioteca Ambrosiana, I. St. D. VII. 15. 38 Isocratis orationes, partim doctorum virorum opera, partim meliorum exemplarium collatione, nunc demum multo quam antea emendationes excusae. Quibus iam quoque praeter aliorum editionem accesserunt, eiusdem Isocratis Epistolae, atque Harpocrationis et Suidae difficiliorum apud eundem dictionum explicatio, Basileae. Colophon: Basileae, Anno Salutis MDXLVI, Mense Martio. Esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 3614 l. Che questa edizione, priva di indicazione dello stampatore, fosse da attribuirsi a Oporinus è convincente ipotesi di Massimo Pinto in Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus», p. 119, suggerita sulla base della dichiarazione di Wolf nella prefazione alle sue Castigationes (sia nell’edizione del 1548 sia in quella del 1570), secondo la quale c’è una sostanziale corrispondenza testuale tra l’edizione aldina del 1513, quella Brubachiana del 1540 e la Basiliensis Oporiniana da lui utilizzata. In effetti Bas1 è in sostanziale accordo con Ald1, anche se ne deriva via Ald2. La prova sicura di questa già di per sé plausibile ipotesi di identificazione si ricava dalla lettura di una delle Castigationes (1548, col. 30, 41-44 = 1570, col. 839, 11-13), relativa a un passo della Vita isocratea dello pseudo-Plutarco (X orat. vit., 837A): ἐπεὶ δὲ ἠνδρώθη] memineris periodum absolvi demum post πολέμῳ, sed hoc in editione Basiliensi anno 46 recte ab Oporino nostro est distinctum. Da ciò la conferma che 34
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è priva di variae lectiones e note marginali; Michele Isingrino ne produsse, sempre a Basilea, intorno al 1550 una ristampa [VD 16 I 392] (ripetuta nel 1555 [VD 16 I 393] e nel 1561 [VD 16 I 394]) con medesimo frontespizio, ma con l’aggiunta di alcune variae lectiones marginali che una collazione pur parziale dimostra derivate dalle Castigationes di Hieronymus Wolf pubblicate per la prima volta a complemento della sua traduzione latina apparsa presso Oporinus nel 1548. Bas1, insieme a Brub, che conteneva soltanto le Orazioni, fornì il testo base alle fatiche critico-testuali di colui che può essere ritenuto il più inf luente studioso di Isocrate del secolo XVI, Hieronymus Wolf.39 L’esperienza isocratea di Wolf comincia, come ci racconta egli stesso,40 a Tubinga, quando ebbe l’occasione di assistere alle lezioni del medico e filosofo aristotelico Jakob Degen, noto anche come Schegk, sull’Evagora. La storia del rapporto tra Wolf e Isocrate è ben documentata grazie ai numerosi spunti autobiografici presenti nelle varie Praefationes alle sue edizioni isocratee, a quanto si legge nel Commentariolus, e alle testimonianze ricavabili dalla sua ricca corrispondenza, ora edita da Helmut Zäh.41 Di tutto ciò rende conto, nel suo saggio pubblicato in questo volume, Emanuel Zingg. Ci limitiamo, quindi, in questa sede a ripercorrere per sommi capi questa storia, con qualche contributo sui rapporti stemmatici fra gli esemplari considerati. Nell’aprile del 1547 Wolf decide di intraprendere un viaggio a Tubinga, Strasburgo e Basilea, sia per visitare i vecchi maestri e amici, sia con l’intento di affidare a Oporinus per la stampa la sua traduzione di quattro orazioni isocratee, di cui tre dedicate a Christoph Gugel (Archidamo, Filippo e Sulla pace) e una (Areopagitico), insieme a due orazioni demosteniche, al principe Federico, elettore di Heidelberg; queste edizioni, tuttavia, non furono mai realizzate, soprattutto su consiglio di Oporinus, il quale voleva stampare l’intero corpus e non intendeva ἀκεφάλους μύθους excudere.42 la Basilienis Oporiniana citata da Wolf nella Praefatio alle Castigationes è proprio l’edizione basileense anonima del 1546. 39 Sul personaggio vd. le indicazioni bibliografiche fornite in Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus», p. 111, n. 1. Sulla sua esperienza isocratea vd. Gualdo Rosa, Paideia, pp. 166-175, e il saggio di Zingg, infra, pp. 180-189. 40 H. Wolf, De vita Isocratis, et Orationum eius divisione, atque interpretatione sua in Wolflat(1566), pp. 843-862: 850-851 = Wolf(1570), I, col. 685, 9-23 = Steph, f. D2r. 41 Cfr. Wolf, Commentariolus e Wolf, Epistolae. 42 Wolf, Commentariolus, XX 1 Zäh. Cfr. anche Zingg, infra, p. 186, n. 75. Nel 1550 apparve a Basilea presso Oporinus e a Venezia presso Gualterius Scotus la traduzione latina dell’intero corpus Demosthenicum con il commentario di Ulpiano: vd. Zäh, Commentariolus, pp. 305-306, per una descrizione accurata delle due edizioni.
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Nell’agosto del 1548 appare a Basilea presso Oporinus 43 l’edizione inFolio della traduzione dell’intero corpus Isocrateum [VD 16 I 411], con dedica Amplissimis viris, virtute et sapientia praestantissimis, Coss. et Senatui Norimbergensis Reipublicae, seguita da 13 senari giambici di Michael Schütz (Michael Toxites) a Wolf [VD 16 I 411].44 L’ordine con cui sono presentate le Orazioni è quello delle edizioni precedenti, risalente a Med, con l’unica eccezione della collocazione dell’Archidamo prima del Filippo anziché dopo il discorso Sulla pace, che si spiega con l’inserzione del corpuscolo delle tre orazioni tradotte per prime con relativa dedica, cui Wolf evidentemente non aveva voluto rinunciare. Questo corpuscolo, con le tre orazioni precedute dagli argumenta tratti da Dionigi di Alicarnasso e da quelli composti ad hoc dal Wolf, pur non essendo mai stato stampato a sé, in realtà sopravvive inserito all’interno di questa edizione alle pp. 123-166,45 preceduto da una sorta di frontespizio con breve indirizzo al lettore (p. 105),46 dall’epistola prefatoria a Christoph Gugel (pp. 107-118, con data II Cal. Aprilis Anno 1547) e da alcune composizioni di Wolf per personaggi legati alla famiglia Gugel (pp. 119-122). Al corpus delle orazioni, precedute dagli Argumenta tradizionali e da quelli composti ad hoc 43
Sul quale rinvio alle indicazioni bibliografiche fornite da Zingg, infra, p. 181, n. 53. Isocratis Orationes omnes, quae quidem ad nostram aetatem pervenerunt una et viginti numero, una cum novem Epistolis, e Graeco in Latinum conversae per Hieronymum Wolfium Oetigensem. Quid in hac editione praeterea sit spectandum, versa pagina reperies. [segue un’elegia di Wolf ad lectorem] Cum Caes. Maiest. gratia et privilegio ad quinquennium, Basileae per Ioannem Oporinum. Colophon: Basileae, Ex Officina Ioannis Oporini, anno salutis humanae MDXLVIII mense Augusto. Esemplari consultati: Milano, Biblioteca Braidense, &&. 10. 44; München, Bayerische Staatsbibliothek, 2° A gr. B 775. Una precisa descrizione in Zäh, Commentariolus, pp. 305-306. 45 A p. 166, senza soluzione di continuità si legge l’Argumentum di Wolf all’Antidosi, cui seguono la traduzione dell’orazione, a sua volta seguita da quella dei discorsi giudiziari, preceduti dagli Argumenta. 46 Isocratis Atheniensis, viri doctrina et eloquentia praecellentis, Orationes tres sapientissime scriptae, statui horum temporum acomodatae: quarum nomina et argumenta haec sunt, Archidamus, de tundo iure ac libertate patriae. Oratio ad Philippum, de omittendis civilibus bellis, et expeditione contra Barbaros suscipienda. Oratio de Pace, in qua graviter ac liberrime reprehenduntur vitia gubernationum, et ratio indicatur pacate foeliciterque gubernandae reipublicae. Hironymo Wolfio Oetingensi interprete. Interpres ad Lectorem. Initio nihil minus mihi propositum fuit, quam totum Isocratem vertere, sed tres hasce orationes turbulentissimis hisce temporibus, utiliter legi posse quum statuissem, eas seorsim in publicum edendas censui. Deinde, postquam doctissimorum virorum auctoritate motus, onus non tantum difficile gestatu, sed plane gravius, quam mei humeri commode sustinerent, suscepi (qua de re pluribus hic mihi vel conquerendum, vel excusandum non existimo) eum ordine reliqui, non qui est in Graeco textu, sed qui meo instituto tum convenire videbatur. Quum autem Isocraticae orationes non ἀνάγκῃ aliqua λογοραφικῇ cohereant, nec, quae eiusdem generis atque argumenti sunt, sese consequantur, sed singulae fere fortuitam locum occupent, tanquam dinstincti libri, ac se invicem separati, aequos lectores rogatos volo, ne id factum acerbe exagitent, in quo neque piaculi quicquam inest, et fortasse commoditatis aliquid reperietur. 44
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da Wolf, fa seguito la traduzione delle Epistole preceduta da un’epistola prefatoria a Sebald Havenreuter (da casa Havenreuter a Strasburgo, Nonis Aprilis Anno M.D.XXXXVIII). Segue la traduzione delle Vite dello pseudo-Plutarco, di Filostrato e di Dionigi di Alicarnasso, poi, dopo, alcuni componimenti poetici di Wolf in greco e in latino e un’epistola a Iohan Musler (pp. 244252), un Index rerum et verborum. La numerazione ricomincia da capo (per colonne) con la prima edizione delle Castigationes al testo greco dell’edizione brubachiana (di cui Wolf conserverà la numerazione di pagina e rigo anche nell’editio maior del 1470), preceduta da una breve praefatio nella quale Wolf dichiara di avere lavorato in prima istanza avendo a disposizione unicamente Brub e di avere utilizzato Bas1 solo dopo il suo arrivo a Basilea, constatandone il sostanziale accordo con l’Aldina e con Brub, ed espone il suo atteggiamento di rispetto per il testo receptus che non osa mutare, limitandosi a sottoporre al giudizio degli studiosi le sue proposte di emendazione: Quia vero sine certa, aut saltem probabili lectione, et distinctione periodorum, certi nihil vertere poteram, in primis operam dedi, ut, perpensa diligentissime sententia, totiusque orationis contextu, etiam de veritate lectionis vel iudicarem, vel non prorsus inepte divinarem. Quid aequos lectores in optimam partem accepturos esse confido: nec enim scripturam Isocratis muto (quod piaculum esse plerique non temere putant) neque coniecturas meas pro oraculis haberi, sed unicuique suam sententiam liberam esse volo.
Dopo le Castigationes si legge, con relativa prefazione, la prima edizione delle Annotationes, dichiaratamente di taglio scolastico (prevalentemente retorico e grammaticale con alcuni inserti autobiografici).47 Alla fine del volume si trovano, anch’esse fornite di prefazione, le Gnomologiae Isocraticae, seguite da alcuni Testimonia su Isocrate, da un errata-corrige, da un Index verborum et rerum relativo a Castigationes e Annotationes, nonché dal registro e dal colophon. Wolf, come leggiamo nel Commentariolus,48 considerò questa sua prima traduzione non troppo curata dal punto di vista stilistico e, dopo averla sottoposta al parere di Sébastien Castellion, che lo esortava a seguire il modello ciceroniano, si recò a Parigi, dove strinse amicizia con l’editore Michel Vascosan, presso il quale, quando nel febbraio del 1551 fu costretto 47 Accuratamente descritti da Zäh, Commentariolus, p. 306. Sulle caratteristiche della traduzione e del commento wolfiano, oltre a Gualdo Rosa, Paideia, pp. 164-175, si leggano le considerazioni di Zingg, infra, pp. 180-189. 48 Wolf, Commentariolus, XX 3 Zäh. Per un paio di esempi di come Wolf esercitò il labor limae sulla propria traduzione vd. infra, Appendice 1 e 2.
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ad abbandonare in fretta Parigi, lasciò il manoscritto con la nuova traduzione di Isocrate perché la pubblicasse. L’edizione apparve nel 1553,49 ma, come risulta da alcune lettere del 1553 a Ioachim Camerarius e a Iohannes Oporinus, parzialmente pubblicate e commentate da Emanuel Zingg,50 Wolf, disperando che Vascosan avrebbe pubblicato il suo nuovo Isocrate latino, insistette a più riprese con Oporinus perché fosse lui a stampare un’edizione greco-latina, che in effetti apparve nell’agosto del medesimo anno [VD 16 I 399].51 In queste due edizioni l’ordo orationum è nuovo e i discorsi sono raggruppati nelle classi stabilite da Wolf, anche se con alcune differenze reciproche, oltre che rispetto all’editio maior del 1570.52 I margi49 Isocratis rhetoris Atheniensis orationes et epistolae gravitatis et suavitatis plenae de Graeco in Latinum pridem conversae, nunc recognitae, per Hieronymum Wolfium Oetingensem. Eorum quae hoc opere continentur indicem versa pagella, quid hac editione praestitum sit, in praefatione, et duabus elegiis, quae praefationem sequuntur, reperies, Lutetiae, Ex Officina Michaëlis Vascosani, via Iacobaea, ad insigne Fontis. M.D.LIII. Cum privilegio Regis. Esemplari consultati: Milano, Biblioteca Sormani, Vet. G Vet. 149; München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2034. Descrizione dettagliata in Zäh, Commentariolus, pp. 310-311. Questa edizione della sola traduzione latina di Orazioni ed Epistole, con una nuova prefazione ai membri del Senato di Norimberga datata Lutetiae Parisiorum, Calendis Ianuariis, anno restitutae Salutis humanae 1551, con appresso quella del 1547 a Christoph Gugel, contiene molti dei paraphernalia dell’edizione del 1548, anche se in un ordine differente (per es. i testimonia che nell’edizione del 1548 stanno in fondo, qui stanno all’inizio), con l’aggiunta di un carme in distici elegiaci Ad candidum lectorem de recognitione Isocratis (p. bbvi r-bbviii v), che seguono l’elegia in greco Ἱερωνύμου Βολφίου, τοῦ καὶ Λυκίου λεγομένου πρὸς τοὺς ἐντυγχάνοντας, συγγνώμην τῆς ἦττον ἀπηκριβωμένης ἑρμηνείας ἑαυτῷ νέμειν ἀξιοῦντος, στίχοι, che in questa edizione segue immediatamente l’epistola prefatoria a Chris toph Gugel, mentre in quella del 1548 essa si trova a p. 244 (con un titolo più breve e inficiato da un evidente errore: Ἱερωνύμου Λυκίου λεγομένου πρὸς τοὺς ἐντυγχάνοντας, συγγνώμην τῆς ἦττον ἀπηκριβωμένης ἑρμηνείας αὐτοῦντος [sic], στίχοι), dopo la traduzione delle Vite dello pseudoPlutarco, di Filostrato, di Dionigi di Alicarnasso. Essa non contiene, però, né le Castigationes né le Annotationes, che saranno riproposte, completamente riviste e ampliate, soltanto nell’editio maior in-Folio del 1570. 50 Zingg, infra, pp. 191-194. 51 Isocratis scripta, quae nunc extant, omnia, per Hieronymum Vuolfium Oetingensem, summo labore et diligentia correcta, et de integro conversa: utque studiosorum usui magis accomodata essent, non omnium duntaxat orationum Argumentis, sed et marginum Annotationibus adornata: Latinis et Graecis e regione collocatis. Quorum Catalogum versa statim pagina reperies, Basileae, per Ioannem Oporinum. Colophon: Basileae, ex Officina Ioannis Oporini, Anno salutis humanae MDLIII. Mense Augusto. L’epistola prefatoria è quella dell’edizione parigina di Vascosan, datata Lutetiae Parisiorum, Calendis Ianuariis, anno restitutae Salutis humanae 1551. Esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2010. Descrizione dettagliata in Zäh, Commentariolus, pp. 311-313. 52 Utilizzo i nomi delle Classes desumendoli dal secondo tomo dell’editio maior del 1570: Classis I (Admonitiones): Ad Dem., Ad Nic., Nic.; Classis II (Genus deliberativum): Paneg., Areop., Phil., De pace, Archid. (così Oporinus 1553; in Vascosan 1553 e nell’editio maior del 1570: Paneg., Phil., Archid., Areop., De pace); Classis III (Exornationes): Euag., Hel., Busir., Panath., C. soph.; Classis IV (Orationes forenses): Plat., Antid., De bigis, Trapez., In Call., Aegin., C. Loch., In Euth. (così in Oporinus 1553 e nell’editio maior del 1570, mentre in Vascosan 1553 si trova Plat., Antid., De bigis, Aegin., Trapez., In Call., C. Loch., In Euth.).
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nalia presenti nell’edizioni parigina sono soltanto notabilia atti ad aiutare la lettura e il reperimento dei passi. Nei margini dell’edizione greco-latina oporiniana, invece, oltre ai notabilia nella parte latina (peraltro differenti da quelli dell’edizione parigina) tradotti in greco a fronte, accanto al testo greco si trovano anche parecchie varianti contrassegnate da un asterisco. Ecco l’elenco completo delle varianti marginali relative al testo del Panegirico: 1) 33.6 δωρεᾶς τοσαύτης] δωρεὰν τοσαύτην δωρεὰν τοσαύτην Γ : δωρεᾶς τοσαύτης ΘΛΠΝS Par. 2931 (Med Ald1) 2) 33.7 ἐστιν] ἔσται ἐστιν Γ ΘΛΠΝS Par. 2931 Med Ald1 Steph : ἔσται Wolf(1570) 3) 43.8 κοινὰς] καινὰς καινὰς ἑτέρας Γ Θ : καινὰς ἄλλας ΠΝS Bas2 mg Wolf(1570) : κοινὰς ἄλλας Λ (Par.
2931) Med Ald1 Ald2 Bas1 Brub Bas2 it Steph 4) 45.6 ἀλλήλους] ἀλλήλοις ἀλλήλοις codd. Bas2 mg Wolf(1570) : ἀλλήλους Med Ald1 Ald2 Bas1 Bas2 it Steph 5) 75.4-5 ἑκατέρᾳ] ἐν ἑκα. ἑκατέρᾳ ΛΠΝS Med Ald1 Ald2 Bas1 Bas2 it Brub Steph : ἐν ἑκα. Γ Θ λθ Bas2 mg Wolf(1570) 6) 77.4 ἀποθανεῖν] ἀποθνῄσκειν ἀποθνῄσκειν Γ Θ λθ Dionysius : ἀποθανεῖν ΛΠΝS Par. 2931 Med 7) 81.2 ὄρκοις] ἔργοις ὄρκοις codd. Med Wolf(1570) : ἔργοις λ (cfr. quanto accade a 92.7-8) 8) 104.2-3 ἐποιοῦμεν] ἐνεποιοῦμεν ἐνεποιοῦμεν Γ ΠΝS : ἂν ἐποιοῦμεν Θ : ἐποιοῦμεν Λ Par. 2931 Med Ald1 Ald2 9) 111.4 ἡγοῦντο] ᾑροῦντο ἡγοῦντο ΘΛitΠ Par. 2931 Med Ald1 Ald2 : ᾑροῦντο Γ ΛslΝS 10) 112.3 καὶ] κἂν (κᾂν) καὶ codd. edd. [κᾂν accolto a testo in Wolf(1570)] 11) 138.6 πρὸς τὸ πολεμεῖν] προσπολεμεῖν vd. infra Appendice 3 12) 141.4 προδεδυστύχηκεν] προδεδυστυχήκει προδεδυστύχηκεν codd. edd. [fra cui anche Wolf(1570)] 13) 142.2 Ῥόδον] Κνίδον Ῥόδον codd. edd. [Κνίδον è accolto in Wolf(1570)] 14) 142.5 Κίμωνος] Κόνωνος Κίμωνος Γ4 ΘΛΠΝSpc Par. 2931 Med Ald1 Ald2 : κοινωνος Γ1 : κόνωνος Γ2pc ras Wolf(1570) 15) 148.2 ἐπιβουλῆς] ἐπιβολῆς ἐπιβολῆς Γ : ἐπιβουλῆς ΘΛΠΝS Par. 2931 Med Ald1 Ald2 Wolf(1570) 16) 149.2 ἐπιμέλειαν] ἐπὶ μὲν λείαν vd. infra Appendice 1 17) 154.6 ἐπὶ θάνατον] ἐπὶ θανάτῳ
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ἐπὶ θάνατον ΛΠΝS Par. 2931 Med Ald1 Ald2 : ἐπὶ θανάτῳ Γ Θ Wolf(1570) 18) 163.8 ὑπερκειμένην] ὑποκειμένην ὑπερκειμένην codd. edd. [fra cui Wolf(1570)] 19) 167.6 πλεῖον] πλείω πλεῖον ΛΠΝS Par. 2931 Med Ald1 Ald2 : πλείω Γ Θ Wolf(1570) 20) 173.2 ἐπιβολὰς] ἐπιβουλὰς ἐπιβολὰς Hag Brub Bas2it Wolf(1570) : ἐπιβουλὰς codd. et cet. edd. 21) 173.9 πρὸς αὐτοὺς] πρὸς τοὺς αὐτοὺς πρὸς αὐτοὺς ΛΠΝ1S Med Ald1 Ald2 Hag Brub Bas1 Bas2it Farr: πρὸς τοὺς αὐτοὺς Γ Θ Ν2mg Bas2mg Wolf(1570) Steph 22) 174.8 δ᾿ ἂν] γ᾿ ἂν ἂν Γ Θ : δ᾿ ἂν ΛΠΝS edd [et Wolf(1570)] : γ᾿ ἂν Bas2mg Steph 23) 181.1-2 τῶν] τῶν τε τῶν ΘΛΠΝS Par. 2931 edd. : τῶν τε Γ Wolf(1570) 24) 181.6 γιγνομένους] γενομένους γενομένους codd. (γινομένους Par. 2931) Bas2mg Wolf(1570) Steph : γιγνομένους
Med edd.
Tutte queste variae lectiones, oltre ad alcune altre,53 si ritrovano anche nei margini dell’edizione in-Ottavo apparsa a Basilea presso Thomas Guarinus nel 1565 (Bas.2) [VD 16 I 395],54 che si rivela dipendente dall’edizione greco-latina oporiniana del 1553. Colpisce in questo elenco, che aumenta di poco se si considerano le innovazioni in textu dell’edizione greco-latina oporiniana del 1553 (tutte condivise anche da Bas2 e, in qualche caso, pre53 1) 92.6 πρόπλους] πρωτόπλους : πρόπλους codd. edd.; 2) 92.10 ἐπὶ πλέον] ἔτι πλέον : ἔτι Γ Θ λθ : ἐπὶ ΛΠΝS Par. 2931 edd.; 3) 98.1 ἐστιν] εἰσιν : ἐστιν codd. edd. (congett. aberrante dettata dal soggetto neutro plurale); 4) 108.7 κάλλιστ᾿] μάλιστ᾿ : κάλλιστ᾿ Med. (κάλιστ᾿ Par. 2931) edd. : μάλιστ᾿ codd.; 5) 113.2 οὔτω τοσοῦτον] ἐπὶ τοσοῦτον; 6) 125.7-8 νῦν δὲ εἰς] νῦν δὲ ἔτι εἰς. La qua-
lità di alcune di queste proposte congetturali induce a dubitare che debbano essere attribuite anch’esse tutte quante a Wolf. 54 Isocratis Orationes partim virorum doctorum, partim meliorum exemplarium collatione, nunc demum molto quam antea emendatiores excusae. Adiecimus quoque Hieronymi Vuolfii Oetingensis, non omnium modo orationum argumenta, sed et marginum annotationes. Quibus iam quoque praeter aliorum editionem, accesserunt eiusdem Isocratis Epistolae, atque Harpocrationis et Suidae difficiliorum apud eundem dictionum explicatio, Basileae, per Thomam Guarinum, Anno MDLXV. Esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A. gr. B 2013 m. Questa edizione è stata replicata nel 1572 [VD 16 I 396; esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A. gr. B 2015] e nel 1579 [VD 16 I 397; esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A. gr. B 2017]. Ne esistono anche un paio di ristampe di fine secolo apparse a Francoforte sul Meno: una ex Officina Io. Wecheli, impensis Nicolai Bassaei. MDXC (colophon) [VD 16 I 398; esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2020] e una typis Ioannis Saurii, impensis Nicolai Bassei. Anno MDXCVIII (frontespizio) [VD 16 ZV 19116; esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B. 3615 h].
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senti soltanto nell’editio maior del 1570),55 la presenza di lezioni che coincidono con quelle della prima famiglia (a volte in accordo con Θ), le cui lezioni non furono rese di pubblico dominio se non con la riscoperta dell’Urb. gr. 111 (Γ) da parte di Bekker e, per l’Antidosi, del suo apografo Ambr. O 144 sup. (Ε), nonché del Laur. 87.14 (Θ) da parte di Andreas Mustoxydis. Sappiamo però bene che nel corso del Cinquecento si era diffusa la notizia di un Isocrates auctior et emendatior frutto della collazione effettuata da Michele Sofianòs di un importante manoscritto, che è stato possibile identificare proprio con l’Ambr. O 144 sup. Tutta la vicenda è stata ricostruita nei dettagli e ulteriori particolari emergono dall’esame della corrispondenza di Wolf, i cui risultati sono presentati e discussi da Emanuel Zingg in Appendice al suo contributo in questo volume.56 Michele Sofianòs fu il fortunato possessore dell’Ambr. O 144 sup., che, in quanto apografo di Γ, non era inficiato dai difetti del textus receptus – il più evidente dei quali era la grande lacuna al centro dell’Antidosi – risalenti a Med e, per il tramite del Par. gr. 2931, a Λ. Questo felice incontro fece sì che il dotto chiota lavorasse, insieme al sodale della cerchia padovana Nicasio Ellebodio, a un progetto ecdotico di grande respiro e importanza riguardante l’intero corpus isocrateo. Di questa impresa restano le vestigia in due esemplari postillati di Ald1 oggi conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano (S.Q.I.VIII.8 [Alds] e S.Q.I.VII.6 [Alde]). Il contributo della corrispondenza di Wolf permette di collocare l’inizio di questo progetto a prima del gennaio 1553, data in cui lo stesso Wolf fa mostra di avere già notizia dell’impresa ecdotica del dotto chiota – ben prima dell’editio maior del 1570, dove si legge (nella nuova Praefatio alle Castigationes) quello che si credeva essere il suo primo accenno al fantomatico Isocrates auctior di Michele Sofianòs –, e, assai probabilmente, anche prima del no55 Ecco i casi che ho riscontrato nel Panegirico (1-101): 1) 12.5 τοιοῦτον ἐν Γ Θ Πac Wolf(1570 con Cast.) : τοιοῦτο ἐν ΛΠpcΝS Med Ald1 Ald2 Bas1 Bas2 Brub Steph; 2) 28.7 μεμνημένοις Θ Π Brub Bas2 Wolf(1570) : μεμυημένοις Γ ΛΝS Med Ald1 Ald2 Bas1 Steph; 3) 92.7-8 καὶ τὰ κατὰ τὴν πόλιν διοικήσαντες Wolf(1548: et rebus urbanis ordinatis) Wolf(1553) Bas2 Wolf(1570) : καὶ κατασκευάσαντες τὰ περὶ τὴν πόλιν θλ om. codd. Med Ald1 Ald2 Hag Farr Bas1 Brub Steph (ma la traduzione di Wolf a fronte mantiene l’espansione; Wolf parla della questione nelle Castigationes all’Antid.: 1548, col. 25, 1570, col. 834: vd. Pinto, Isocrate, p. 164); 4) 92.9 πολλῶν καλῶν Bas2 Wolf(1570) : πολλῶν καὶ καλῶν codd. Ald1 Ald2 Bas1 Brub Steph; 5) 97.10 ναυμαχούντων Bas2 Wolf(1570) : τῶν ναυμ. codd. Med Ald1 Ald2 Bas1 Steph; 6) 100.2 vd. infra Appendice 2; 7) 101.3 ὑμῖν Bas2 Wolf(1570) : ἡμῖν codd. Med. Ald1 Ald2 Bas1 Steph. 56 Mi limito qui a riassumere i termini della vicenda, anche alla luce dei risultati dello studio di Zingg, infra, pp. 191-202, al quale rimando per i testi delle epistole e per una loro precisa disamina con gli opportuni riferimenti bibliografici relativi ai personaggi menzionati. Cfr. Pinto, Isocrate, pp. 71-85; Martinelli Tempesta Sofianòs; Martinelli Tempesta, Vicende; Martinelli Tempesta, Notizie.
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vembre 1552, se è corretta, come credo, l’interpretazione offerta da Zingg di una ben nota, ma non pienamente intesa, lettera di Sofianòs a Piero Vettori (16 novembre 1552),57 dalla quale si deduce che Sofianòs aveva tentato di trovare a Firenze in Lorenzo Torrentino uno stampatore per la sua nuova edizione.58 Il coinvolgimento di Vettori in queste prime trattative è significativo, se si pensa alla sua menzione nel testamento di Sofianòs quale possibile personaggio cui rivolgersi per la pubblicazione del proprio Isocrate raccomandata all’erede, Nicola Petrococchino, il quale, tuttavia, ben si guardò dal rispettare le volontà del defunto. Dalla corrispondenza analizzata da Zingg, in particolare da una lettera a Oporinus del 13 aprile 1559,59 si desume anche che Sofianòs, prima di tentare un accordo con Oporinus nel 1561, aveva già cercato di far stampare nel 1559 il suo nuovo Isocrate a Henri Estienne, con il quale si era incontrato e al quale aveva mostrato parte del suo materiale. Trova dunque conferma l’ipotesi di un possibile contatto tra lo Stephanus e Sofianòs che avevo dedotto dalla presenza sui margini degli esemplari che conservano le vestigia dell’Isocrate di Sofianòs (Alds e Alde, p. 89) di una correzione a Panath. 17 attribuita all’«esemplare di Enrico» (ἐν τῷ τοῦ ἐρρίκου: non si poteva trattare della sua edizione, apparsa soltanto nel 1593) 60 e che ha lasciato uno sbiadito e impreciso ricordo in una lettera di Jan Gruter (Leida, 21 maggio 1607) a Giuseppe Giusto Scaligero. Interessante è anche il coinvolgimento di un altro personaggio della cerchia padovana, Georg Tanner, il quale doveva avere avuto, proprio in questo milieu, informazioni sul nuovo Isocrate di Sofianòs e sulle sue relazioni con l’ambiente fiorentino (Vettori e Torrentino), presso il quale Sofianòs, probabilmente per mettere a tacere le sue insistenti richieste, gli aveva fatto credere di aver lasciato tutto il materiale.61 Dall’estratto di una lettera di Tanner a Wolf allegata a uno scritto inviato da questi a Oporinus (18 novembre 1554) si desume una notizia interessante per la questione delle numerose coincidenze tra le variae lectiones marginali dell’edizione oporiniana e il testo della prima famiglia dei manoscritti isocratei: 62 secondo Tanner, l’uscita dell’edizione greco-latina oporiniana del 1553 curata da Wolf aveva fatto nascere in Michele il so57 Pubblicata da Meschini, Sofianòs, p. 64 n. II, 1. Su Piero Vettori e la sua attività filologica sul testo isocrateo vd. Martinelli Tempesta, Vicende; Martinelli Tempesta, Versione. 58 Zingg, infra, pp. 195-196. 59 Cfr. Zingg, infra, p. 197, n. 124. 60 Cfr. supra, n. 28. 61 Cfr. Zingg, infra, pp. 191-195, 199-200. 62 Cfr. Zingg, infra, pp. 196-197.
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spetto che quest’ultimo in molte delle sue correzioni fosse stato ispirato da Stephanus al quale Sofianòs aveva mostrato il proprio esemplare emendato e postillato. Alla luce di questa testimonianza, oltre alla conferma di un incontro tra Stephanus e Sofianòs anteriore al 1553 (prima cioè del contatto del 1559), sembra prendere corpo l’ipotesi che le coincidenze tra le variae lectiones wolfiane presenti a partire dall’edizione greco-latina oporiniana del 1553 e il testo della prima famiglia potesse non essere casuale. In realtà, come fa notare Zingg, non ci sono prove documentarie del fatto che Wolf abbia veramente avuto accesso all’Isocrate di Sofianòs e non è di per sé impossibile – anche se devo confessare che qualche dubbio mi resta – che queste lezioni debbano essere considerate frutto dell’ingenium del dotto Oetingensis. Sia come sia, è un dato di fatto che Sofianòs nel 1559 si sia rivolto a Stephanus come possibile editore, il che sembrerebbe presupporre che i sospetti iniziali del chiota non avessero trovato conferma. Un altro dato di fatto è che nessuno dei tentativi esperiti da Sofianòs per pubblicare il suo nuovo Isocrate ebbe successo, come non ebbero esito neppure le ricerche, effettuate anche, tra gli altri, dallo stesso Vettori per il tramite di Gian Vincenzo Pinelli, allo scopo di recuperarne il materiale dopo la sua morte. Ecco perché da un lato Oporinus nel 1570 si decise a stampare l’editio maior di Wolf, non essendo riuscito ad ottenere il testo definitivo da Sofianòs, e dall’altro Henri Estienne si decise a pubblicare la propria edizione soltanto nel 1593, quando ormai le speranze di mettere le mani sui materiali del dotto chiota – che Stephanus aveva visto e di cui aveva ben compreso l’enorme valore – erano difinitivamente sfumati. Nel corso della sua vita Wolf fece stampare altre volte il suo Isocrate, producendo edizioni dal punto di vista critico-testuale non molto importanti,63 fatta eccezione per quella che può essere considerata il cul63 Nel 1558 comparve una ristampa dell’edizione oporiniana del 1553 presso lo stesso Oporinus [VD 16 I 400; esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2012]: vd. la descrizione in Zäh, Commentariolus, p. 319. Nello stesso anno uscì un’edizione ‘pirata’ (Tremoniae, Albertus Sertorius excud. anno salutis humanae 1558) delle tre parenetiche, tratta dall’oporiniana del 1553 [VD 16 I 401]: vd. Zäh, Commentariolus, pp. 319-320. Nel 1566 ad Augusta Wolf fece stampare presso Matteo Franco a spese di Georg Willer la quarta revisione della sua traduzione con dedica all’imperatore Massimiliano II (e con alcuni componimenti in onore degli Asburgo), sperando – cosa che non si realizzò – che il volume fosse pronto in occasione della Dieta del 1566. Cfr. la descrizione di questo esemplare, che non mi è stato possibile vedere, in Zäh, Commentariolus, pp. 328-329. Nel 1567 Wolf fece uscire presso Oporinus, sempre con dedica a Massimiliano II e con i componimenti in onore degli Asburgo, un altro Isocrate greco-latino [VD 16 I 402; esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2014.1-2] con qualche aggiunta nei Testimonia de Isocrate, ma senza le Variae lectiones marginali (ne sono presenti alcune, contrassegnate da asterisco, nell’Isocrate di Dionigi di Alicarnasso): l’ordo orationum è già quello che sarà presentato nella maior del 1570 (vd. supra, n. 52): per le
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mine del suo percorso isocrateo: la monumentale edizione in-Folio in due tomi apparsa presso Oporinus nel marzo del 1570 [VD 16 I 403].64 In questa edizione, introdotta dalla dedica ad scholarchas, Wolf propone, nella prima parte, la sua revisione finale del testo e della traduzione del corpus isocrateo, delle Vite antiche (pseudo-Plutarco, Filostrato, Dionigi di Alicarnasso), seguite dall’insieme delle dediche (Praefationes I-IV) e dei componimenti poetici raccolti all’inizio e alla fine dell’edizione greco-latina del 1553, nonché da un rerum et verborum in Isocrate memorabilium index; nella seconda parte, una nuova edizione, rivista e ampliata, delle Annotationes e delle Castigationes che avevano accompagnato la prima edizione della traduzione latina del 1548. Tutto il materiale critico testuale che aveva arricchito i margini dell’edizione greco-latina del 1553, e che era stato trasmesso (e leggermente arricchito) in Bas2, scompare dai margini, che restano dedicati soltanto ai notabilia ausiliari alla lettura (modificati rispetto a quelli presenti nell’edizione greco-latina del 1553), per conf luire in una versione ampliata delle Castigationes, fornite, inoltre, di una nuova e più lunga Praefatio,65 nella quale Wolf dichiara esplicitamente tutti gli strumenti da lui utilizzacritiche dello stesso Wolf sui ritardi dell’edizione del 1566 e sui suoi difetti tipografici vd. Wolf, Commentariolus, XXIII 32 Zäh. 64 Pars I: Isocratis scripta, quae quidem nunc extant, omnia, Graecolatina, postremo recognita, annotationibus novis et eruditis illustrata, castigationibusque necessariis expolita, Hieronymo Wolfio Oetingensi interprete et auctore. Additi sunt rerum et verborum locupletissimi indices. Cum Caes. Maiest. gratia et privilegio ad annos VI, Basileae, ex Officina Oporiniana, 1570. Pars II: Hieronymi Wolfii Oetingensis in omnia Isocrateis Opera, et Vitam eiusdem a diversis autoribus descriptam, Annotationes quibus et res, et verba, et series, in universum dilucide, breviter ac ingeniose explicantur: paraenesis vero, in utriusque linguae studiosorum adolescentium gratiam, triplici Commentariolo illustratur. Cum rerum et verborum memorabilium locupletissimo indice, cum Caes. Maiest. gratia et privilegio ad annos VI, Basileae, ex Officina Oporiniana, 1570. Colophon: Basileae, ex Officina Oporiniana, per Polycarpum et Hieronymum Gemusaeos, et Balthasarum Han, Anno Salutis humanae MDLXX, Mense Martio. Esemplare consultato: Bari, Biblioteca del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Bari, Inv. nr. 503/2-9023319. Descrizione in Zäh, Commentariolus, pp. 338-339. In questa edizione gli eredi di Oporinus non stamparono la dedica a Massimiliano II delle edizioni del 1566 e 1567, né i componimenti in onore degli Asburgo, e al loro posto pubblicarono, contro la volontà di Wolf (Wolf, Commentariolus, XXXIII 37 Zäh), la dedica ad scholarchas (vd. Gualdo Rosa, Paideia, p. 173); nel 1571 Wolf fece uscire presso la medesima stamperia oporiniana un’edizione in-Ottavo, in cui ripeteva testo e traduzione dell’editio maior del 1570 (comprese, alla fine, le Vitae isocratee antiche, i Testimonia e la Vita isocratea da lui composta e apparsa per la prima volta nell’edizione del 1566), omettendo Annotationes e Castigationes e tutte le Praefationes, ad eccezione di quella a Massimiliano II, collocata all’inizio e seguita dagli altri componimenti in onore degli Asburgo [VD 16 I 404; descrizione in Zäh, Commentariolus, pp. 341-342; esemplare consultato: München, Bayerische Staatsbibliothek, A gr. B 2016]. Questa fu l’ultima edizione isocratea di Wolf prima della sua morte, avvenuta l’11 dicembre 1580. 65 Nuova edizione di questa prefazione con traduzione e commento di Massimo Pinto in Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus», pp. 113-121.
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ti per la constitutio textus: l’Aldina del 1513 (Ald1), l’edizione Haganoensis (Hag; non menzionata nella Praefatio del 1548), la prima edizione di Basilea (Bas1) e quella francofurtana di Braubach (Brub), che continuò a fungere da riferimento per la numerazione di pagina e rigo nelle Castigationes, tutte sostanzialmente d’accordo nel trasmettere un testo in più luoghi problematico; a queste si aggiungono un manipolo di proposte congetturali di Guillaume Budé acquisite da Wolf a Parigi per il tramite di Helie André 66 e, per la prima volta esplicitamente, ma – lo abbiamo visto – già da tempo a sua disposizione, una selezione di lezioni tratte da un testimone vetustissimus di Ulrich Fugger (Fuggeranus ms.) da Edward Henryson e passata a Wolf ad Augusta: il manoscritto è identificabile con l’attuale Vat. Pal. gr. 135.67 Fedele al suo criterio ‘conservatore’, Wolf tende a non introdurre, salvo qualche eccezione, le proprie proposte congetturali nel testo, riservando loro spazio nelle Castigationes, che, come ho più volte ricordato, si riferiscono sempre all’edizione di Braubach, creando qualche incongruenza nei casi in cui Wolf decide di accogliere un testo differente da Brub. Il contributo testuale del Wolf è senza dubbio di notevole valore: gli va riconosciuto il merito di essersi accorto in molti passi dell’insufficienza del textus receptus – che, peraltro in un’ottica tipica della filologia cinquecentesca, conserva, tuttavia, una auctoritas difficilmente intaccabile –, e, d’altro canto, l’autorevolezza della sua Editio maior è ampiamente dimostrata dal grande numero di ristampe (circa una ventina tra il 1581 e il 1686). Ma, come abbiamo già detto al principio del presente lavoro, fu proprio la riscoperta, all’inizio dell’Ottocento, dell’altro ramo della tradizione manoscritta a rivelare da un lato l’abilità di Wolf come congetturatore, ma, dall’altro, a sancirne la sostanziale – e metodologicamente corretta – scomparsa dagli apparati critici delle edizioni moderne. La medesima considerazione vale anche per l’altra grande e autorevole edizione in-Folio della seconda metà del XVI secolo, quella cioè, apparsa dopo lunga esitazione soltanto nel 1593, curata da Henri Estienne.68 66 Tutte le lezioni attribuite a Budé trovano riscontro nei Commentarii linguae Graecae, opera che Wolf ben conosce e menziona nella Praefatio alle Annotationes (Wolf[1570], Pars II, f. 3r). 67 Per la dimostrazione vd. Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus», pp. 127-140. 68 Ἰσοκράτους λόγοι καὶ ἐπιστολαὶ. Isocratis orationes et epistolae cum latina interpretatione Hier. VVolfii, ab ipso postremo recognita. Henr. Steph. in Isocratem Diatribae VII: quarum una observationes Harpocrationis in eundem examinat. Gorgiae et Aristidis quaedam, eiusdem cum Isocraticis argumenti. Guil. Cantero interprete, [Basileae], excudebat Henricus Stephanus, anno M.D.XCIII. Ho consultato l’esemplare della Biblioteca Universitaria di Gent (segnatura: Class. 156), scaricabile da Google Books.
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Come abbiamo visto sopra, Estienne deve avere precocemente avuto contatti con l’Isocrate auctior et emendatior preparato da Sofianòs con l’ausilio dell’Ambr. O 144 sup., ma l’impossibilità di avere accesso diretto a questo materiale nella sua forma definitiva, accanto alla comparsa della monumentale edizione di Wolf nel 1570, devono averlo dissuaso dal pubblicare il suo Isocrate. Che, d’altra parte, lo stesso Estienne avesse dal canto suo cominciato presto a ragionare sul testo isocrateo proponendo emendazioni è testimoniato da Sofianòs che, come abbiamo già ricordato, menziona un suo esemplare (evidentemente uno stampato con emendazioni marginali) a proposito di un passo del Panatenaico. Delle emendazioni stefaniane al testo di Isocrate, tuttavia, rimane ben poco, poiché l’ottava e ultima delle Diatribae che arricchiscono la sua edizione del 1593 (1. Emendationes plurimorum Isocratis locorum: quibus et interpretis [scil. H. Wolf ] nonnullae inseruntur, atque in quasdam earum inquiritur; 2. Expositiones quorundam locorum eiusdem, pleraque emendationibus intermixtae), non fu mai stampata per mancanza di tempo, come dichiara l’editore stesso, il quale, a mo’ di specimen discute tre passi (uno dalla Contro Callimaco e due dal Panatenaico) nella Praefatio lectionis Isocratis studiosis. L’operazione ecdotica dello Stephanus, dunque, si ridusse a una emendatio parziale del textus receptus, che, come nel caso di altri testi greci da lui editi, non è quello delle precedenti edizioni basileesi, bensì quello aldino, nella fattispecie quello di Ald2, più completo di Ald.1, perché includeva anche le Epistole. Questa emendatio non fu realizzata mediante il ricorso a fonti manoscritte, ma si limitò a un intenso utilizzo del testo dell’editio maior del 1570 di Wolf, della quale Estienne ripropose anche le quattro Praefationes 69 – alle quali premise la sua dedica a Marc Fugger e la praefatio Isocratis lectionis studiosis, di cui si è detto –, gli Argumenta e la traduzione,70 oltre ai propri interventi in textu ope ingenii. Che il testo base sia stato quello di Ald2 e non direttamente l’editio maior wolfiana del 1570 non risulta evidente a un primo sguardo, poiché della maior wolfiana Stephanus ripropone anche l’ordo orationum e la divisione in classi, nonché la posizione 69 Secondo Gualdo Rosa, Paideia, p. 173, n. 103, l’omissione della dedica a Massimiliano I e dei carmi in onore degli Asburgo sarebbe dovuta, come nell’edizione oporiniana del 1570, a ragioni politiche. Ciò, se è certo nel caso della maior wolfiana, nella quale la sostituzione con la praefatio ad scholarchas, come abbiamo visto (supra, n. 59), era avvenuta contro la volontà di Wolf, che indusse gli stampatori a pubblicare una minor con la dedica all’imperatore, è a mio parere possibile soltanto nel caso dell’edizione stefaniana: è, infatti, possibile che l’omissione dipenda dal fatto che Stephanus fece uso unicamente della maior wolfiana del 1570. 70 E del quale avrebbe discusso molte delle proposte congetturali nel primo capitolo dell’VIII Diatriba mai stampata.
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finale delle Vite di pseudo-Plutarco, Filostrato e Dionigi di Alicarnasso, cui fa seguito anche la Vita Isocratis composta da Wolf, a sua volta seguita dalle VII Diatribae dello Stephanus. Il sospetto, tuttavia, nasce quando si considera che il corpus isocrateo è accompagnato dalle due orazioni di Elio Aristide, Panatenaico ed Encomio di Roma, e dall’Encomio di Elena di Gorgia, che erano presenti, seppure in un ordine differente e unitamente al discorso di Alcidamante Contro i sofisti (che in Steph non c’è), in Ald1 e Ald2. Un’aggiunta, quindi, che rimanda al milieu aldino. La conferma viene dall’applicazione del metodo stemmatico, utilizzato con quelle precauzioni e cautele di cui si è parlato all’inizio. Accanto, infatti, a molti passi in cui Steph si mostra in accordo (anche non esclusivo) con Wolf(1570), spesso contro innovazioni peculiari di Ald2, come ad es.: Paneg. 75 περὶ codd. Med. Ald1 Ald2 Bas1] om. Brub Bas2 Wolfgr.-lat.(1553), Wolf(1570) Steph; Paneg. 156 ἐπηράσαντο (et Wolf[1570] Steph)] ἐτηράσαντο Ald1, ἐπαράσαντο Ald2; Paneg. 161 οὐδὲ (et Wolf[1570] Steph)] ὀ δὲ Ald1, ὁ δὲ Ald2; Paneg. 169 τὰ δὲ λοιπὰ (et Wolf[1570] Steph)] τὰ λοιπὰ Ald1, τὰ λοιπὰ δὲ Ald2,
capita di cogliere Steph in accordo con una innovazione peggiorativa di Ald2, che sembra permettere di concludere che il testo base non sia stato Wolf(1570), bensì Ald2: Paneg. 127 ὧν (et Wolf[1570])] ὧ Ald1, ᾧ Ald2 Steph.71
Steph mostra, inoltre, di trascurare quasi sempre, in textu, le proposte avanzate da Wolf nelle Castigationes, che, in effetti, aveva in programma di riferire e discutere in un apposito capitolo della mai stampata VIII Diatriba. Si vedano, per es., i seguenti passi: Paneg. 50 περὶ τοῦ φρονεῖν codd. edd. [et Wolf(1570) Steph] περὶ τὸ φρονεῖν WolfCast.; Paneg. 55 περιορᾶν (WolfCast ex Fuggerano ms.)] παρορᾶν Par gr. 2930mg Par. gr. 2931 edd. [et Wolf(1570) et Steph]; Paneg. 82 ἐν τοιούτοις (et WolfCast ex Fuggerano)] om. Med. (edd. et Steph); Paneg. 83 τοιούτοις (et Wolf[1570] Steph)] τοῖς τοιούτοις Pal. gr. 135 (WolfCast ex Fuggerano ms.)
La traduzione di Wolf, non essendo stata adattata alle scelte divergenti di Estienne, in qualche caso non risulta coerente con il testo greco. Mi limito a un unico esempio: Paneg. 92, come è noto, è citato da Isocrate stesso nell’Antidosi (59) con una breve espansione testuale, della quale si è discusso 71
Per questa e altre innovazioni di Ald2 vd. Martinelli Tempesta, Equivoco, p. 267 n. 38.
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se si trattasse di una interpolazione o di una piccola variante d’autore.72 Wolf segnalò il fenomeno già nelle Castigationes che accompagnavano la traduzione latina del 1548, in relazione al passo dell’Antidosi (col. 25, 32-33: «καὶ κατασκευάσαντες τὰ περὶ τὴν πόλιν] haec in Panegyrico desunt» nota ripetuta identica nelle Castigationes dell’editio maior del 1570, II, col. 834, 29-30). Già nella traduzione del 1548 Wolf presuppone un testo del Panegirico con l’espansione, che egli traduce et rebus urbanis ordinatis, traduzione ripetuta nell’edizione greco-latina oporiniana del 1553, nel cui testo greco, però, si trova stampata l’espansione in una forma differente da quella dell’Antidosi e non attestata altrove: καὶ τὰ κατὰ τὴν πόλιν διοικήσαντες. Si tratta, con ogni verosimiglianza, di una congettura di Wolf – stranamente accolta a testo, contro la tendenza conservativa nei confronti del textus receptus –, escogitata a partire dalla testimonianza dell’Antidosi.73 Il medesimo testo si ritrova anche in Bas2 – che, come abbiamo detto, dipende da Wolfgr.-lat.(1553) –, come pure nell’editio maior di Wolf del 1570, con la traduzione leggermente mutata (urbanisque rebus ordinatis). Stephanus scelse di non stampare l’espansione proposta da Wolf, riallineandosi così a tutte le edizioni precedenti, ma non modificò, stampandola nella forma attestata dall’editio maior del 1570, la traduzione del dotto Oetingensis, producendo così un’incoerenza tra testo e traduzione. Il fenomeno del recupero dell’auctoritas aldina in luogo delle precedenti edizioni basileesi, che, invece, tendevano ad ‘emanciparsi’ dal predominio delle edizioni di Aldo e dei suoi eredi,74 trova riscontro negli stemmata editionum di altri autori greci, come ho altrove mostrato nel caso di Platone e dei Moralia di Plutarco,75 ma non si dovrà dimenticare che, nel caso di Isocrate, può avere giocato un ruolo importante anche il fatto che la lontana origine dell’impresa ecdotica dello Stephanus è individuabile nell’incontro con Michele Sofianòs, il cui promettente nuovo Isocrate era stato costruito utilizzando come testo base un esemplare di Ald1 completato con l’aggiunta del fascicolo di Ald2 contenente le Epistole. 72
Vd. la discussione in Pinto, Isocrate, pp. 163-166 (con la bibliografia precedente). Per una piccola svista Pinto, Isocrate, p. 162, attribuisce questa innovazione alla ristampa del 1571 in-Ottavo dell’editio maior. A un intervento congetturale di Wolf pensava già Korais, Ἰσοκράτους λόγοι, II, p. 43. 74 Lo stesso Wolf, quando fa stampare la sua prima edizione della traduzione dell’intero corpus a Oporinus, deve in qualche modo giustificarsi del fatto di non avere utilizzato fin da principio la prima edizione basileese – non firmata, ma certamente di Oporinus – e di essere stato costretto a utilizzare l’edizione francofurtana di Braubach: vd. la praefatio in Wolflat(1548), aa1. 75 Martinelli Tempesta, Stemmata editionum. 73
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Alla fine della complessa vicenda editoriale del corpus isocrateo nel Cinquecento, se osserviamo lo stemma editionum che è possibile tratteggiare, constatiamo che, pur nella sua fondamentale unità – dovuta sostanzialmente al fatto che l’unico contributo veramente rivoluzionario grazie al ritrovamento di un ramo di tradizione fino ad allora ignoto, quello dell’Isocrate di Michele Sofianòs, non vide mai la luce –, si venne formando una duplice vulgata rappresentata da un lato dall’edizione dello Stephanus del 1593, che certamente ambiva a porsi come summa delle edizioni precedenti, mediante il recupero dell’auctoritas aldina superata grazie all’utilizzo dichiarato dell’edizione più importante mai apparsa dopo quelle Aldine, cioè la maior di Wolf, dall’altro proprio da quest’ultima, la cui autorevolezza lo Stephanus, a differenza di quanto accadde nel caso di molti altri autori greci da lui pubblicati, non riuscì mai a soppiantare. Lo stanno a dimostrare le circa venti ristampe del testo della maior wolfiana tra il 1571 e il 1686 a fronte della decina circa di ristampe del testo dello Stephanus tra il 1604 e il 1651. Il contributo dei manoscritti in questa vicenda è pressoché nullo: se si escludono i codici utilizzati accanto al Par. gr. 2931 da Calcondila per l’editio princeps, quelli utilizzati da Aldo Manuzio e Marco Musuro per la prima edizione aldina, e l’Ambr. O 144 sup., il cui apporto, tuttavia, rimase confinato sui margini degli esemplari aldini postillati nella cerchia di Michele Sofianòs e Nicasio Ellebodio, l’unico altro manoscritto che fa capolino in questa storia è il Vat. Pal. gr. 135, un apografo del Vat. gr. 65 (Λ), che non poteva essere di aiuto – cosa di cui Wolf si era perfettamente accorto – per risolvere i problemi critici del textus receptus, con il quale nella sostanza concordava, essendo strettamente imparentato con il suo principale modello, a sua volta apografo di Λ (il Par. gr. 2931). Sarà soltanto nel Settecento, a partire dall’edizione londinese di William Battie (1749), che gli editori si preoccuperanno di collazionare più manoscritti, in genere scelti in base alla vicinanza geografica, inaugurando un percorso che gradualmente condurrà, dapprima all’utilizzo diretto di Λ – che all’epoca si trovava a Parigi in seguito alle razzie napoleoniche – nell’edizione parigina di Adamantios Korais (1807), poi alla ben più importante riscoperta dell’Urb. gr. 111 (Γ) da parte di quell’infaticabile esploratore delle biblioteche europee che fu Immanuel Bekker. Ma questa è tutta un’altra storia.76
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Per la quale si rinvia a Drerup, Isocratis opera, pp. clxxiii-clxxxix.
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APPENDICI 1) Paneg. 149. Κεφάλαιον δὲ τῶν εἰρημένων· ἐκεῖνοι γὰρ οὐκ ἐπὶ λείαν ἐλθόντες, οὐδὲ κώμην καταλαβόντες, ἀλλ᾿ ἐπ᾿ αὐτὸν τὸν βασιλέα στρατεύσαντες, ἀσφαλέστερον κατέβησαν τῶν περὶ φιλίας ὡς αὐτὸν πρεσβευόντων.
«Sintesi di quanto si è detto: quegli uomini che non erano andati per predare né avevano occupato un villaggio, ma che avevano fatto una spedizione contro il Re stesso, ritornarono più sicuramente degli ambasciatori che si recano da lui in missione amichevole» (traduzione di Mario Marzi). (MSS.) ἐπὶ λείαν Θ (ut vid. a.c.) Λpc ras ΝS : ἐπὶ λίαν Θ (ut vid. p.c.) : ἐπὶ πλείαν Π : ἐπὶ λεῖαν Γ : ἐπιμέλειαν Λac (Par. gr. 2931). (EDD.) ἐπὶμελειαν (sic) Med : ἐπὶ μέλειαν Ald1 Hag Brub : ἐπιμέλειαν Ald2 Farr Wolfgr.-lat.(1553)it Bas2 Steph : ἐπ᾿ ἀμέλειαν Bas1 : ἐπὶ μὲν λείαν Wolfgr.-lat.(1553)mg Bas2mg Wolf(1570). (CONG.) fortasse legendum ἐπ᾿ ἐπιμέλειαν Brubv.l. : ἐπὶ μὲν λείαν Wolf: ἐπί (γε) λείαν Iustus Velsius apud Wolfii Cast. 1570 : ἐπὶ Μουσῶν λείαν Korais. WolfCast(1548), col. 11: «103. versu 9. fa. 1 77 οὐκ ἐπὶ μέλειαν) Etiamsi κατ᾿ ἐπιμέλειαν legas, nescio quam conveniat. Quid μέλεια sit, nusquam invenire possum. D. Iustus Velsius legendum putat ἐπὶ λείαν, id est praedatum. et haec est bona lectio, et sententiae conveniens. Oporini editio habet ἐπ᾿ ἀμέλειαν, quod et ipsum ego non intellego». WolfCast(1570), col. 814: «103. versu 9. fa. 1 [si tratta della pagina dell’ed. Brubachiana] οὐκ ἐπὶ μέλειαν) Etiamsi κατ᾿ ἐπιμέλειαν legas (μελία est aliud), nescio quam conveniat. Quid μέλεια sit, nusquam invenire possum. D. Iustus Velsius legendum putat ἐπί γε λείαν, id est praedatum: quae bona lectio est, et sententiae conveniens. Oporini editio habet ἐπ᾿ ἀμέλειαν, quod et ipsum ego non intellego. Amplificatio est audaciae et iniuriae Graecorum, et negligentiae atque ignaviae Barbarorum. Nam praedari, et pagum occupare, levem rem esse ducit, ut et Aeschylus [* Aristophanes in mg.] 78 quodam loco: σὺ γὰρ ἂν κώμην ἀποστήσαις». Wolflat.(1548): Hoc vero summum est eorum quae diximus, quod cum neque praedatum venissent, nec villulam aliquam occupassent: sed infestis armis ipsum regem petiissent, minore periculo descenderunt, quam qui expetendae Persarum amicitiae causa legationes obeunt. Wolfgr.-lat.(1553): Illud autem caput est eorum quae diximus, quod cum neque praedatum venissent, neque villam occupassent, sed infestis armis ipsum regem petiisent: minore periculo descenderunt, quam qui expetendae Persarum amicitiae causa legationes obierunt. 77
Si tratta della pagina dell’edizione brubachiana del 1540. In realtà si tratta di Aeschin. Or. 3 (in Ctesiph.) 167.5, passo citato anche da Alex. Rhet. de fig. 3, 13, 32 Spengel, ma omettendo una parte del testo qui menzionato da Wolf, il quale, dunque, mal ricordava il passo di Eschine, non quello di Alessandro. 78
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Wolf(1570): Illud autem caput est eorum quae diximus, quod cum neque praedas abegissent, neque villam occupassent, sed infestis armis ipsum regem petiissent: minore cum periculo descenderunt, quam qui expetendae Persarum amicitiae causa legationes obierunt. 2) Paneg. 100. Μέχρι μὲν οὖν τούτων οἶδ᾿ ὅτι πάντες ἂν ὁμολογήσειαν πλείστων ἀγαθῶν τὴν πόλιν τὴν ἡμετέραν αἰτίαν γεγενῆσθαι καὶ δικαίως ἂν αὐτῆς τὴν ἡγεμονίαν εἶναι ...
«Fino a questo momento, ben lo so, tutti riconoscerebbero che la nostra città è stata causa di moltissimi benefici, e che l’egemonia le verrebbe di diritto» (traduzione di Mario Marzi). (MSS.) τὴν ἡμετέραν Γ Θ : ἡμῶν ΛΠΝS (Par. gr. 2931) || αὐτῆς Γ ΘΛΠΝS : αὐτοῖς Ξ Τ Par.2931 Par.2990 Par.2991 Leid Crem Ricc (EDD.) ὑμῶν Med Ald1 Ald2 Hag Brub Bas1 Farr Steph : ἡμῶν Brubv.l.(malim) WolfCast(1548) Wolf(1553) Bas2 Wolf(1570) WolfCast(1570) || αὐτοῖς Med Ald1 Ald2 Hag Brub Bas1 Farr Wolf(1553) : αὐτῆς Brubv.l. WolfCast(1548) Bas2 Wolf(1570) WolfCast(1570) Steph Wolflat(1548): Hactenus quidem scio confessuros esse omnes, nostram urbem et plurimorum bonorum autorem (sic) fuisse, et iure sibi principatum vendicare (sic) Wolfgr.-lat.(1553): Hactenus equidem scio confessuros esse omnes, nostram urbem et plurimorum bonorum autorem (sic) fuisse, et iure sibi principatum vendicare (sic) Wolf(1570): Hactenus equidem scio, constare inter omnes, nostram urbem et plurima in Graecia beneficia contulisse et deberi illi principatum. 3) Paneg. 138. εἰ γὰρ ἡμῶν ὁμονοησάντων αὐτὸς ἐν ταραχαῖς ὢν χαλεπὼς ἔσται προσπολεμεῖν, ἤ που σφόδρα χρὴ δεδιέναι τὸν καιρὸν ἐκεῖνον ὅταν τὰ μὲν τῶν βαρβάρων καταστῇ καὶ διὰ μιᾶς γένηται γνώμης, ἡμεῖς δὲ πρὸς ἀλλήλους ὥσπερ νῦν πολεμικῶς ἔχωμεν.
«Se, infatti, una volta che noi ci saremo messi d’accordo, egli, pur tra i disordini interni, sarà difficile da combattere, senza dubbio bisogna temere assai il momento in cui la posizione dei barbari si sarà consolidata e fra loro regnerà la concordia, mentre noi saremo, come ora, in guerra gli uni con gli altri» (traduzione di Mario Marzi). (MSS) πρὸς τὸ πολεμεῖν Γ ΘΛΠΝS pap (P. Alex. inv. 613) (EDD) πρὸς τὸ πολεμεῖν Med Ald1 Ald2 Hag Brub Wolf(1553)i.t. Bas1 Farr Steph : προσπολεμεῖν WolfCast(1548) Wolfgr.-lat.(1553)mg. Bas2 mg Wolf(1570) WolfCast(1570) (CONG.) 79 προσπολεμεῖν WolfCast(1548 [quid si προσπολεμεῖν; oppugnatu = 1570]) Wolf (1553)mg. 79 Si tratta di una congettura attribuita a Korais nelle edizioni di Mathieu – Brémond e di Mandilaras, a Bekker (il quale l’accoglie a testo senza dire alcunché in apparato) in quella di Benseler – Blass, ma in realtà da retrodatare almeno a Wolf(1548) (a Wolf è correttamente attribuita nelle edizioni anteriori a quella di Benseler – Blass). Accolta a testo, dopo Wolf (1570), da Battie e dagli editori da Lange in poi (approvata da Morus, Panegiricus, ad loc., e da D’Orville nella sua edizione di Caritone, come ricavo dalla nota ad locum nell’edizione di Lange) fino a Mathieu – Brémond. È, invece, respinta, forse non a torto, nella recente edizione teubneriana di Mandilaras.
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Isocrates Stemma editionum (case study: Panegyricus [+Epistulae]) Par. gr. 2931 (Laur. 58.5, Laur. 87.14, Laur. 59.24 [?]) Vat. gr. 1461 Vat. Pal. gr. 135 Med (1493) fol. [Orationes] (Ven. 1535)
Par. gr. 3054 x
Aldep (1499) 4to [Epistulae]
Ald1 (1513) fol. [Or.] Hag (1533) 8vo [Or.]
Ald2 (1534) fol. [Or. + Ep.] Farr (1542/3) [Or. + Ep.] 8vo
Brub (1540) 8vo [Or.] Bas1 (1546) 8vo [Or. + Ep.] (1550, 1555, 1561)
Sab (1549) [Or. + Ep.] 8vo
Wolflat(1548) fol. [Or. + Ep.]
Wolfgr.-lat.(1553) 8vo Bas2 (1565) 8vo (1571; 1579 [Francofurti ad Moenum 1590; 1598]) Wolf(1570) fol.
(1571 ... 1686; ca. 20)
Steph (1593) fol. (1604 ... 1651; ca. 10)
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Emanuel Zingg OSSERVAZIONI SULLA RICEZIONE DELL’ARCHIDAMO NELLA GERMANIA DEL CINQUECENTO
1. Introduzione Nell’Italia del Quattrocento Isocrate era noto soprattutto come autore pedagogico. Si recepivano in primo luogo – spesso in traduzione – l’A Demonico e l’A Nicocle, talvolta anche altre orazioni, però non, per quanto sappiamo, l’Archidamo. La ricezione italiana di Isocrate nel Quattrocento, per quanto riguarda la scelta delle orazioni lette, dipende in larga misura dalla tradizione della scuola bizantina, nella quale Isocrate era apprezzato per le sue orazioni pedagogiche e dove si recepivano innanzitutto le due orazioni menzionate, spesso soltanto in forma di singole sentenze nei f lorilegi.1 La ricezione del programma pedagogico di Isocrate, che fu fondamentale per la formazione dell’educazione umanistica 2 e che, arrivando da Sud, nel Cinquecento prese piede anche in Germania, è stata esaminata accuratamente nel contributo La fede nella ‘paideia’. Aspetti della fortuna europea di Isocrate nei secoli XV e XVI di Lucia Gualdo Rosa, pubblicato nel 1984. Oggetto della mia esposizione è l’Archidamo, che non è annoverato fra le orazioni pedagogiche di Isocrate e la cui ricezione ha avuto una propria storia. Ma la ricezione dell’Archidamo nel Cinquecento in area di lingua tedesca 3 va sempre vista in relazione alla coeva ricezione delle altre orazioni nella stessa area, per cui proporrò anche qualche osservazione in merito in aggiunta al contributo di Gualdo Rosa. La ricerca si basa sulle menzioni del nome di Isocrate come indice per la sua ricezione. A causa dell’ampiezza dei testi da esaminare e del numero 1
Per Isocrate a Bisanzio cfr. Gualdo Rosa, Paideia, pp. 11-16, e Menchelli, Bibliologia. Come sottolinea Gualdo Rosa, Paideia, pp. 4-7. 3 Comprendiamo nella ricerca anche l’area oggi di lingua olandese, perché essa intorno al 1500 era ancor più strettamente legata alle vicine regioni del Basso Reno e della Frisia. 2
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ridotto di ricerche finora pubblicate su di essi, non ho potuto tener conto della ricezione implicita. Dato che gli umanisti citano spesso nei loro testi in prosa gli autori antichi sui quali si fondano, i risultati ottenuti con il metodo scelto non saranno forse dei peggiori. 2. Gli inizi della ricezione di Isocrate in area tedesca La constatazione di Erasmo (Ep. 1, 24-25 Allen), secondo cui Rodolphus Agricola primus omnium aurulam quandam melioris litteraturae nobis inuexit ex Italia, vale particolarmente per Isocrate. La ricezione tedesca dell’oratore inizia con Rudolf Agricola (1444-1485), lo studioso tedesco probabilmente più eminente per la diffusione dell’Umanesimo italiano verso Nord e, per quanto sappiamo, il primo non-italiano e non-greco dell’età moderna a leggere Isocrate nel testo originale e a realizzare una traduzione latina di enorme successo dell’A Demonico nonché una meno conosciuta dell’A Nicocle.4 Le caratteristiche della ricezione di Isocrate da parte di Agricola si collocano verosimilmente nella tradizione della scuola di Guarino da Verona e del figlio di questi, Battista, a Ferrara, dove il dotto tedesco soggiornò tra il 1475 e il 1479 per apprendere il greco.5 La predominanza dell’A De4 La traduzione di Agricola dell’A Demonico fu stampata per la prima volta nel 1495 a Heidelberg e ristampata per ben 143 volte fino al 1600, cfr. Cortesi – Fiaschi, Repertorio, pp. 813-832: manca l’edizione dell’officina di Wolfgang Kirchner, Magdeburgo 1578, descritta in R.M. Piccione – C. Sode, Il libro che cresce: il caso di Oct 141 della Herzogin Anna Amalia Bibliothek di Weimar come esempio di libro d’uso a struttura aperta, in Piccione – Perkams (edd.), Selecta colligere II, pp. 445-455: 446-447. La traduzione dell’A Nicocle fu stampata solo nel 1539, cfr. Cortesi – Fiaschi, Repertorio, p. 796 I.a.1. La fede umanistica di Agricola nell’educazione è espressa molto bene in una lettera da Ferrara del 30 novembre 1478 al fratellastro Iohannes, nella quale Agricola fa riferimento alla sua traduzione latina dell’A Demonico e raccomanda vivamente la qualità morale e lo stile della ad Demonicum paraenesis (Ep. 15 van der Laan – Akkerman, in part. 4-9). Dal 1508 la lettera servì come praefatio nelle edizioni dell’A Demonico di Agricola, cfr. Van der Laan – Akkerman, Letters, p. 43. 5 Per l’apprendimento del greco a Ferrara cfr. Iohannes von Plieningen, Commentarii seu index vite Rhodolphi Agricole frisi, cap. 4 Straube; per la relazione di Agricola con Battista Guarini cfr. G. Tonelli, Per una storia della classificazione delle scienze: due prolusioni di Battista Guarino e Rodolfo Agricola, «Filosofia», n.s., XXX, 1979, pp. 311-332: 311-312; per Isocrate nella scuola di Guarino da Verona cfr. Gualdo Rosa, Paideia, pp. 24-25. A Ferrara Agricola strinse amicizia con il suo compatriota Adolf Occo I, il cui autografo di Isocrate, contenente A Nicocle e A Demonico nonché parti del discorso Sulla pace, probabilmente scritto a sua volta a Ferrara, esiste ancor oggi (Monac. gr. 313, ff. 12r-31r), cfr. Van der Laan – Akkerman, Letters, p. 295, n. ad Ep. 14, 1 e B. Mondrain, La collection de manuscripts grecs d’Adolphe Occo (seconde moitié du XVe siècle), «Scriptorium», XLII, 1988, pp. 156-175: 172-173. In una recensione cristianizzata dell’A Demonico, oggi attestata in cinque codici, fra cui il Monacensis (cfr. Drerup, Isocratis opera, p. lxii), si trova una particolarità testuale alla quale rinvia Menchelli, Bibliologia, p. 67: il Monacensis (f. 21v,
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monico, inaugurata da Agricola, sarà mantenuta nella ricezione di Isocrate nelle scuole tedesche anche dopo che l’Umanesimo a Nord delle Alpi iniziò a emanciparsi dalla sua totale dipendenza iniziale dal modello italiano e a svilupparsi come centro di irradiazione della diffusione di Isocrate.6 2.1. Erasmo e Isocrate Quando nel 1493 fu pubblicata l’editio princeps di Demetrio Calcondila, tutte le orazioni di Isocrate divennero facilmente accessibili. Desiderio Erasmo da Rotterdam (1466 oppure 1469-1536) fu il primo ad approfittare della possibilità di un nuovo modo di ricezione e divenne un personaggio chiave per la fortuna tedesca e in generale non-italiana di Isocrate nel Cinquecento.7 Le testimonianze relative al suo rapporto con Isocrate possono essere ripartite in quattro categorie: 8 a. Erasmo contribuisce alla diffusione delle traduzioni di Isocrate. Erasmo allegò la traduzione dell’A Demonico di Agricola alla raccolta di alcuni suoi scritti e contribuì così alla sua diffusione; 9 fu inoltre autore di una traduzione in latino dell’A Nicocle.10 b. Erasmo fa concorrenza a Isocrate. L’Institutio principis Christiani è, nella prima edizione del 1516, dedicata al futuro imperatore Carlo V, mentre nell’edizione di Froben del 1518 Erasmo si rivolge anche al fratello di Carlo, il futuro imperatore Ferdinando I.11 All’Institutio è allegata la traduzione di Erasmo dell’A Nicocle, protorr. 14-15) legge τὰς ἐν τῷ πότῳ συνηθείας in luogo di τὰς ἐν τοῖς πότοις συνουσίας in Ad Dem. 32, 1-3, μάλιστα μὲν εὐλαβοῦ τὰς ἐν τοῖς πότοις συνουσίας· ἐὰν δέ ποτέ σοι συμπέσῃ καιρὸς, ἐξανίστασο πρὸ μέθης. Agricola traduce In primis cave a potandi consuetudine quod siquando tulerit tempus ante ebrietatem surge: il codice in suo possesso aveva dunque un testo simile a quello del Monacensis. 6 Per la prima ricezione delle linee pedagogiche dell’Umanesimo italiano in Germania cfr. A. Buck, Der italienische Humanismus, in N. Hammerstein (ed.), Handbuch der deutschen Bildungsgeschichte, I, München, Beck 1996, pp. 1-56: 39-51. 7 Cfr. Gualdo Rosa, Paideia, pp. 94-138. 8 Questi i rinvii a Isocrate nei testi di Erasmo pubblicati in ASD fino a novembre 2010: I 1-7; II 1-9; IV 1-3; V 1-6; VI 2. 3. 5. 6. 8. 9; VII 6; IX 1-4. 9 La traduzione fu spesso stampata insieme ai Disticha Catonis e ad altri scritti di Erasmo, cfr. Cortesi – Fiaschi, Repertorio, p. 814 I.a.11. Nel 1517 Erasmo rielaborò in modo non sostanziale la traduzione di Agricola, v. Ep. 677 Allen. 10 Stampata per la prima volta nel 1516, cfr. Cortesi – Fiaschi, Repertorio, p. 797 I.e.1. Per le particolarità e la qualità di questa traduzione cfr. E. Rummel, Erasmus as a Translator of the Classics, Toronto-Buffalo-London, UTP 1985, pp. 104-108. 11 Le due edizioni sono descritte in Cortesi – Fiaschi, Repertorio, p. 797 I.e.1 e p. 798 I.e.5.
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tipo di tutti gli specula principum, che grazie a ciò viene divulgata al seguito della famosa Institutio erasmiana presso il pubblico letterario contemporaneo.12 La traduzione di Erasmo dell’A Nicocle nonché la sua Institutio si trovano in relazione agonale con i predecessori: da un lato con la traduzione di Martino Filetico del 1468 per il bisnonno di Carlo, Federico III, che fu stampata per la prima volta due anni prima, nel 1514, a Strasburgo, dall’altro con Isocrate stesso, come è chiarito dalla dedica di Erasmo a Carlo: Isocratis de regno administrando praecepta latinitate donauimus. Ad cuius aemulationem adiecimus nostra velut aphorismis absoluta, quo minus esset tedii legentibus, sed tamen ab illius decretis haud parum dissidentia. Siquidem ille sophista regulum nescio quem seu tyrannum potius instituit, ethnicus ethnicum, ego theo logus inclytum et integerrimum principem, ad haec Christianus Christianum.13
In questo confronto in forma di climax elegante tra l’A Nicocle e l’Institutio, l’epoca moderna si rivela superiore a quella antica in tutti e tre i termini di paragone (professione dello scrittore, tipo di regno del destinatario, religione dello scrittore e del destinatario). L’A Nicocle è già un testo classico della letteratura morale, cui Erasmo con piena sicurezza contrappone, nell’ottica della sua renascentia christiana, l’Institutio a sé stante.14 Anche un altro scritto mostra Erasmo emulo di Isocrate: nella dedica apologetica del Moriae encomium (1511), Erasmo menziona il Busiride come uno dei molti antecedenti antichi della sua lode paradossale.15 Per la dedica a Ferdinando v. Ep. 853, 63-64 Allen; cfr. anche l’introduzione di Herding all’Institutio in ASD IV 1, pp. 101-102. Ferdinando lesse davvero l’Institutio, v. epp. 943, 23-24; 970, 24-25 Allen. 12 La divulgazione ebbe luogo anche con le traduzioni tedesche dell’Institutio e dell’A Nicocle, pubblicate per la prima volta nel 1521, rispettivamente l’una da Leo Jud, collaboratore zurighese di Zwingli, l’altra da Georg Burckhardt, detto lo Spalatino, collaboratore di Lutero. Cfr. O. Herding, Die deutsche Gestalt der Institutio Principis Christiani des Erasmus. Leo Jud und Spalatin, in J. Fleckenstein – K. Schmid (edd.), Adel und Kirche. Gerd Tellenbach zum 65. Geburtstag dargebracht von Freunden und Schülern, Freiburg-Basel-Wien, Herder 1968, pp. 534-551. 13 ASD IV 1, p. 134, 54-59. 14 Per l’antagonismo nella ricezione dell’A Nicocle f ra Erasmo e i suoi immediati predecessori cfr. O. Herding, Isokrates, Erasmus und die Institutio principis christiani, in R. Vierhaus – M. Botzenhart (edd.), Dauer und Wandel der Geschichte. Aspekte europäischer Vergangenheit. Festgabe für Kurt von Raumer zum 15. Dezember 1965, Münster, Aschendorff 1966, pp. 101-143: 101-114. Per il passo citato della lettera dedicatoria di Erasmo a Carlo, un passo chiave per la ricezione di Isocrate, cfr. anche Gualdo Rosa, Paideia, 94-97. 15 ASD IV 3, p. 68, 25-29: Verum quos argumenti leuitas, et ludicrum offendit, cogitent velim, non meum hoc exemplum esse, sed idem iam olim a magnis autoribus factitatum. [...] Busiridem laudarit Polycrates et huius castigator Isocrates [...]. La personificazione della follia rimanda più tardi ancora una volta alla figura di Busiride (ASD IV 3, p. 74, 48).
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c. Erasmo integra nella sua opera letteraria o nei suoi commentari testi di Isocrate o notizie su Isocrate di scrittori antichi. Erasmo fa riferimento a passi del corpus di Isocrate,16 ne critica lo stile,17 offre dati biografici 18 oppure ricorre a Isocrate per chiarire il significato di alcune parole.19 Questo uso dei testi dell’oratore implica che i commenti a Isocrate come autore pedagogico costituiscano ancora un nucleo importante in Erasmo,20 ma non più il solo. D’altra parte, la lode umanistica tra16 De conscribendis epistolis (1522), ASD I 2, p. 477, 4-6: Quare scite Isocrates praecipuum amicitiae conciliandae initium commonstrauit, vt absentem laudemus, apud eos quos renunciaturos suspicemur. Questo tema è trattato in Isocr. Ad Dem. 33. 17 Nel Ciceronianus (1528) lo stile di Gregorio Magno, di Tommaso Moro, di Rudolf Agricola sono paragonati a quello di Isocrate (ASD I 2, pp. 632, 21-27; 633, 13-14; 660, 22-26; 678, 6-9; 682, 9-683, 4); nella dedica di Erasmo per la sua editio princeps di Basilio di Cesarea (1532), lo stile di Isocrate è paragonato a quello di Basilio e di Gregorio Nazianzeno (Ep. 2611, 32-34 e 58-61 Allen). Erasmo ripete il giudizio di Ep. 2611 nella dedica per la traduzione di Willibald Pirckheimer di Gregorio Nazianzeno del 1531 (Nachruf 1, 82-87 Scheible). Nelle Annotationes in Novum Testamentum, il greco volgare di Paolo è contrapposto all’attico puro, coltivato, ad es., da Isocrate, (Annotationes in Novum Testamentum 1. Ep. Cor. 4, 3 [1522], ASD VI 8, p. 84, 725; Annotationes in Novum Testamentum 2. Ep. Cor. 11, 6 [1527], ASD VI 8, p. 448, 52). 18 Isocrate non parlò mai in pubblico: Moriae encomium (1511), ASD IV 3, p. 98, 491; Ecclesiastes (1535), ASD V 4, p. 260, 319-321. Non si può, però, decidere se Erasmo trasse questa informazione da Isocr. Phil 81, Panath. 10, Ep. 8, 7 o da Cic. De or. 2, 10. 19 Per il termine volumen (e non sermo) come traduzione latina di λόγος nel senso di ‘libro (scritto)’ Erasmo fa riferimento a Isocrate: Annotationes in Novum Testamentum Act. Ap. 1, 1 (1516), ASD VI 6, p. 180, 75-80, et Isocrates suos libellos λόγους appellat. Cfr. ad es. Isocr. Ad Dem. 2. 20 Nel Modus orandi deum (1524), è raccomandata ai principi la lettura dell’A Nicocle come testo classico di letteratura politica (ASD V 1, p. 169, 676-680). Nel De pueris instituendis (1529), è tradotto Isocr. Ad Dem. 18, ἐὰν ᾖς φιλομαθής, ἔσει πολυμαθής (ASD I 2, p. 54, 2-3). La sentenza è anche citata nell’Ars notoria, pubblicata nello stesso anno nella serie dei Colloquia. Si tratta di un dialogo fra il giovane Erasmius Froben, il giovane figlioccio di Erasmo, cfr. Halkin – Berlaire – Hoven in ASD I, p. 647, n. 1, ed Erasmo sul fatto che il sapere sia raggiungibile soltanto con l’assiduità (ASD I 3, p. 648, 45-49): Nam quae per se sunt honesta, etiam si initio nonnihil habent molestiae, tamen assuetudine dulcescunt: ita fiet, vt et minus fatiges praeceptorem, et ipsa facilius percipias, iuxta dictum Isocraticum, aureis literis in frontispicio codicis tui pingendum: Ἐὰν ᾖς φιλομαθής, ἔσῃ πολυμαθής. Erasmo seguì egli stesso il consiglio di scrivere la sentenza literis in frontispicio codicis qualche anno prima – anche se non utilizzò inchiostro d’oro: sul frontespizio dell’editio princeps di Isocrate nella Universitätsbibliothek di Basilea (segnatura Bc II 74) si legge: Ἰσοκράτης. ἐὰν ἧς [!] φιλομαθὴς ἔσει πολυμαθὴς, e inoltre la nota di un’altra mano: manus D. Eras. Roterodami. La nota, un’indicazione per gli studi del giovane figlio del possessore Iohannes Amerbach, Bonifacius, risale probabilmente al primo soggiorno di Erasmo a Basilea dal 1514 al 1516: cfr. F. Hieronymus, Ἐν Βασιλείᾳ πόλει τῆς Γερμανίας. Griechischer Geist aus Basler Pressen, Catalogo della mostra, Universitätsbibliothek Basel, 4. Juli - 22. August 1992, Staatsbibliothek zu Berlin, Preussischer Kulturbesitz, 28. Januar - 6. März 1993, Gutenberg-Museum, Mainz, 8. Juni-29. August 1993, Basel, Universitätsbibliothek 1992, p. 308; M.E. Welti, Bonifacius Amerbach, in ContEras I, 1985, p. 42. Per la scrittura aurea come segno dell’ammirazione per Isocrate v. già la praefatio della traduzione tedesca forse più antica, ma solo indiretta (si tratta di una traduzione dell’A Demonico latino di Agricola) di Iohannes Gottfried a Friedrich von Dalberg del 31 dicembre 1494, edita in F.J. Worstbrock, Zur Einbürgerung der Übersetzung antiker Autoren im
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dizionale dell’utilità paideutica di Isocrate – innanzitutto per l’educazione del principe – è espressa da Erasmo nel 1531 nella dedica della sua traduzione degli Apoftegmi di Plutarco, rivolta a Wilhelm, il futuro duca di Cleve, allora quattordicenne.21 d. Gli Adagia sono un caso speciale. In questa raccolta immensa di proverbi, Erasmo si fonda, come abbiamo già visto nella seconda e nella terza categoria, sul testo isocrateo nonché su riferimenti a Isocrate in scritti antichi biografico-aneddotici e retorici. La genesi particolare degli Adagia, che ai tempi di Erasmo furono stampati fra il 1508 e il 1536 in nove edizioni autorizzate e che furono spesso ampliati nelle diverse nuove edizioni, ci permette di dimostrare come Erasmo nel corso del tempo assimilò un numero sempre maggiore di orazioni di Isocrate: nella prima edizione A (1508) soltanto l’A Demonico, dall’edizione E (1523) il Panatenaico, dalla F (1526) il discorso Sulla pace. I riferimenti a Isocrate si possono raggruppare nelle categorie seguenti: citazioni letterali o parafrasi dal corpus,22 testimonianze a proposito del significato di un termine,23 menzioni di Isocrate in autori antichi.24 È notevole che nella sua raccolta di proverbi Erasmo faccia deutschen Humanismus, «ZfdA», XCIX, 1970, pp. 45-81: 79-81. Per l’edizione della traduzione tedesca v. S. Drücke, Humanistische Laienbildung um 1500. Das Übersetzungswerk des rheinischen Humanisten Johann Gottfried, Göttingen, V&R 2001, pp. 116-120, 429-447: «Do von so nement hyn dieß buchlin clein von den wortten, aber vnachtber groiß von den synrichen spruchen vnd fruchtbaren gebotten der dogent vnd ersamen lebens, das noch mynem beduncken wirdigk were mit gulden buchstaben geschriben werden». 21 Ep. 2431, 29-38 Allen: filosofi come Aristotele e Cicerone sono una lettura troppo particolare, gli storici una lettura troppo ampia per giovani principi. Atqui quemadmodum ii qui certant in palaestra certos quosdam prehendendi elabendique modos ad manum habent: ita qui in pacis bellique negociis versantur certas rationes in promptu habere conuenit, quibus admoneantur quid pro re nata sit facto opus, quid non. Hac in parte videmus eruditissimos viros Principum curas sua diligentia subleuare conatos, quorum alii scripsere sententias, veluti Theognis et Isocrates; alii celebrium virorum stratagemata et Apophthegmata, velut Valerius Maximus, et Sextus Iulius Frontinus, qui indicat idem ab aliis nonnullis factitatum. La parabola dei lottatori è già utilizzata nella lettera di Agricola a suo fratello, menzionata supra p. 168, n. 4 (Ep. 15, 5 van der Laan – Akkerman); cfr. anche Sen. ben. 7, 1, 3-4, Quint. inst. 12, 2, 12. 22 N. 474 Quicquid in linguam venit: ASD II 1, p. 546, 637-639 = Isocr. Panath 24; n. 670 Nosce tempus: ASD II 2, p. 196, 481-483 = Isocr. Ad Dem. 31; n. 1074 Purpura iuxta purpuram diiudicanda: ASD II 3, p. 94, 949-952 = Isocr. Panath. 39; n. 1196 Abiecit hastam. Rhipsaspis: ASD II 3, p. 210, 775-776 = Isocr. De pace 143; n. 2100 Animo aegrotanti medicus est oratio: ASD II 5, p. 102, 36-48 = Isocr. De pace 39-40; n. 2934 Quod adest, boni consule: ASD II 6, p. 562, 313-314 = Isocr. De pace 6-7. 23 Al n. 3861 Philosophari ASD II 8, p. 208, 675 Erasmo informa che Isocrate utilizza φιλοσοφεῖν nel senso di ‘considerare sul serio’ (si riferisce a Isocr. De pace 116 [...] καὶ φιλοσοφήσετε καὶ σκέψεσθε τί τὸ ποιῆσάν ἐστι τὼ πόλεε τούτω [...]). 24 N. 1604 Turpe silere: ASD II 4, pp. 89, 66-90, 77 (spiegazione di un aneddoto diffuso su Aristotele, in base a Cic. Att. 6, 8, 5; de or. 3, 141, secondo il quale il filosofo avrebbe affermato
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riferimento a una sentenza isocratea soltanto una volta, benché l’oratore fosse apprezzato a Bisanzio e nell’Umanesimo italiano innanzitutto per il suo stile sentenzioso.25 Sembra che Erasmo non abbia voluto basare gli Adagia su sentenze rigide e che abbia respinto in larga misura questo tratto tipico dell’opera isocratea. Tuttavia, anche per il resto Isocrate è recepito solo in misura alquanto limitata nell’opera immensa degli Adagia; l’importanza relativa del discorso Sulla pace può essere spiegata con la sensibilità di Erasmo verso il tema della pace.26 Erasmo conobbe, dunque, certamente l’A Demonico, l’A Nicocle, il discorso Sulla pace, il Busiride e il Panatenaico. L’Archidamo, invece, non ha lasciato tracce nelle sue opere. Gualdo Rosa ha sottolineato soprattutto il significato di Erasmo per la ricezione umanistica di Isocrate come autore pedagogico. Si possono, tuttavia, individuare due nuovi modi di accostarsi ad Isocrate in Erasmo: da una parte l’integrazione del corpus Isocrateum fra i testi antichi, partendo dai quali Erasmo crea nuova letteratura; dall’altra il rinvio a Isocrate in commentari scientifici, dei quali ci occuperemo in seguito in modo più approfondito. 2.2. Melantone e Isocrate Come Erasmo, anche il collaboratore più importante e dotto di Lutero, Filippo Melantone (1497-1560), coniugò nella sua attività le bonae litterae con le sacrae litterae.27 Oltre a ciò, la pedagogia è importantissima per il praeceptor Germaniae. Melantone considera la padronanza delle tre linche era vergognoso tacere, mentre Isocrate parlava, e cominciò egli stesso a insegnare retorica); n. 4110 Res palestrae et olei: ASD II 8, p. 318, 96-97 (menzione di un riferimento a Isocrate in Cic. de or. 2, 94: [Isocratis] e ludo, tanquam ex equo Troiano, meri principes exierunt; il passo di Cicerone è forse anche alla base di Carmen 53, 19-20 (Encomium Selestadii), ASD I 7, p. 208. 25 N. 670 ASD II 2, p. 196, 481-483: Quin et Isocrates ad Demonicum scribit iniucundum in omni re esse, quicquid intempestiuum sit. Adeo cunctis in negociis plurimum habet momenti temporis et opportunitatis obseruatio. Si riferisce a Isocr. Ad Dem. 31 τὸ γὰρ ἄκαιρον πανταχοῦ λυπηρόν. 26 Cfr. la Querela pacis (1517) e su questa K.E. Nipkow, Der schwere Weg zum Frieden. Geschichte und Theorie der Friedenspädagogik von Erasmus bis zur Gegenwart, Gütersloh, Gütersloher Verlagshaus 2007, pp. 18-24. 27 Erasmo e Melantone, da quando l’attenzione del grande olandese fu richiamata dal giovanissimo umanista nel 1516, intrecciarono un’amichevole corrispondenza, che, però, non rimase senza tensioni a causa del successivo impegno di Melantone a favore di Lutero, cfr. W.P. Eckert, Philipp Melanchthon und Erasmus von Rotterdam – Zwei Humanisten im Ringen um den rechten Glauben und die Einheit der Kirche, in S. Rhein – J. Weiß (edd.), Melanchthon neu entdeckt, Stuttgart, Quell 1997, pp. 190-213.
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gue – latino, greco ed ebraico – nonché la formazione per mezzo dei testi classici pagani come presupposto per la regina delle scienze, la teologia, e promuove l’educazione dei giovani affinché divengano morigerati e pronti ad affrontare gli impegni secolari e religiosi.28 I circa settanta rinvii a Isocrate nella vastissima opera di Melantone 29 si riferiscono – come in Erasmo – a singoli passi, talvolta anche al significato di singole parole nel corpus di Isocrate, allo stile di Isocrate e alla sua vita. Una chiara differenza rispetto a Erasmo è ravvisabile per due aspetti. In primo luogo, il numero delle orazioni isocratee certamente recepite si è raddoppiato: Melantone conosce l’A Demonico, l’A Nicocle, il Filippo, l’Areopagitico, il discorso Sulla pace, l’Evagora, il Panatenaico, il discorso Contro i sofisti, l’Antidosi e il discorso Sulla biga. Tenne tre volte lezione su Isocrate a Wittenberg: sul discorso Sulla biga, sull’Antidosi e sull’Areopagitico, insieme ad alcune altre orazioni purtroppo non menzionate per nome. Sorprendente è soprattutto l’intensa consuetudine con il discorso Sulla biga,30 visto 28 Cfr. H. Scheible, Melanchthons Bildungsprogramm, in H. Boockmann – B. Moeller – K. Stackmann (edd.), Lebenslehren und Weltentwürfe im Übergang vom Mittelalter zur Neuzeit. Politik – Bildung – Naturkunde – Theologie. Bericht über Kolloquien der Kommission zur Erforschung der Kultur des Spätmittelalters 1983-1987, Göttingen, V&R 1989, pp. 233-248; W. Wiater, «Es sollen die Kirch und Schul gleiche Lehr haben». Staat, Kirche und Schule bei Philipp Melanchthon, in R. Golz – W. Mayrhofer (edd.), Luther und Melanchthon im Bildungsdenken Mittel- und Osteuropas, Münster, Lit 1996, pp. 72-84. Cfr. anche il commento di Melantone, infra p. 175, n. 33. Per l’impatto straordinario di Melantone sull’educazione umanistica nelle regioni protestanti cfr. W. Kühlmann, Pädagogische Konzeptionen, in N. Hammerstein (ed.), Handbuch der deutschen Bildungsgeschichte, I, München, Beck 1996, pp. 153-196: 165-166. 29 La ricerca si basa sul Melanchthonis Opera Database dell’Instituut voor Reformatieonderzoek di Apeldoorn. Citazioni dalle opere di Melantone prive di altra indicazione si riferiscono all’edizione di C.G. Bretschneider – H.E. Bindseil, Philippi Melanthonis opera quae supersunt omnia, Halis, Schwetschke 1834-1860, inclusa nel Database. Per le lettere si indica anche la numerazione della nuova edizione (MBW). 30 È conservato l’annuncio della lezione sul discorso Sulla biga (vol. III, p. 186; Epistolarum liber VII, n. 1484, 13 novembre 1536): Studiosis. Intimatio P[hilippi] M[elanchthonis] in orationem Isocratis περὶ ζεύγους. Oratio quaedam Isocratis est περὶ ζεύγους, in qua est defensio Alcibiadis. Hanc pollicitus sum me interpretaturum esse. Continet enim exemplum magni et praestantis civis, qui per invidiam civitate pulsus magna postea varietate consiliorum et fortunae usus est. Quo in exemplo cerni potest non solum expositam virtutem invidiae, sed etiam quantum referat ea cives esse moderatione, ne quid irritati iniuriis secus faciant. Argumentum iucundum est, et lectu dignum. Ideo cras deo dante hora septima interpretationem eius orationis Isocraticae inchoabo et tribuam ei biduum singulis septimanis. Adiungam etiam caeteras meas praelectiones usitatas. Idus Novembris, 1536. L’intimatio dell’Antidosi (vol. X, p. 83; Epistolarum liber XIV, n. 7076) non porta una data, tuttavia può essere datata grazie a una nota del pastore Wolfgang Musculus di Augusta, che l’ascoltò il 22 maggio 1536, cfr. H. Reinhardt, Das Itinerar des Wolfgang Musculus (1536), «ARG», 97, 2006, pp. 28-82: 53, 17-19. La lezione sull’Areopagitico e su alcune altre orazioni non menzionate ebbe luogo in un anno ignoto (vol. X, p. 89; Epistolarum liber XIV, n. 7083): Enarravi aliquot orationes Isocratis, quae continent
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che i discorsi giudiziari (nonché le lettere) di Isocrate sembrano essere stati recepiti appena all’inizio dell’età moderna. Anche in questo caso, quindi, non esistono tracce dell’Archidamo, benché non si possa escludere con certezza che Melantone se ne sia occupato in occasione di quella lezione della quale non conosciamo esattamente il contenuto. In secondo luogo, rispetto a Erasmo, cambia il modo della ricezione. Mancano nell’opus Melanchthonis traduzioni di orazioni complete di Isocrate e mancano, inoltre, opere letterarie del tipo dell’Institutio oppure del Ciceronianus. Melantone si riferisce ad Isocrate – a prescindere dalle lezioni universitarie, per noi non più percepibili nella loro concretezza – da una parte nelle lettere 31 e nelle orazioni che scrive per altri, dall’altra nei commentari sulla Bibbia e su antichi autori pagani. Si tratta in questo caso di una ‘ricezione scientifica’ che, numericamente, supera di molto l’altra. In Melantone scompare la pedagogia umanistica idealistica come motore per la ricezione di Isocrate.32 Al suo posto si incontrano da un lato la teologia, che tramite la morale implica spesso anche in senso lato un aspetto pedagogico,33 dall’altro i commentari filologici ad autori antichi. 3. Isocrate nella scuola In area di lingua tedesca, Isocrate, nel Cinquecento, era uno degli autori greci più celebri perché era nei programmi di studio sia delle scuole cattoliche sia di quelle protestanti. Si leggevano, però, quasi soltanto l’A Demonico locos communes et exempla iucundissima, quae praecipue cuivis sunt utiles cum ad eloquentiam, tum ad iudicandum de communibus casibus, mutationibusque rerum publicarum. Delegi etiam breviores me [recte: ne] prolixitas pareret fastidiam. 31 Sono in particolare degne di nota le informazioni che lo Spalatinus chiese su Isocr. De pace 6-7 (vol. 1, p. 996; Epistolarum liber IV, n. 547, 4 settembre 1528 [= n. 708, 7-15 MBW]). 32 Un secco riferimento a Isocr. Ad Nic. 39 è nella quinta lex degli Statuta collegii facultatis liberalium artium, quas Philosophia continet dell’Università di Wittenberg, scritti da Melantone (vol. X, p. 1013): il tempo dei corsi non va consumato in futili chiacchiere e saepe cogitentur et a docentibus et a discentibus haec dicta, quorum alterum Senecae est: Necessaria ignoramus, quia non necessaria didicimus; alterum vero Isocratis: σοφοὺς νομίζε [!] μὴ τοὺς ἀκριβῶς περὶ μικρῶν ἐριζέονας [recte: ἐρίζοντας], ἀλλὰ τοὺς εὖ περὶ τῶν μεγίστων λέγοντας. 33 Ad es. nelle Postillae, piccole omelie e interpretazioni sull’anno ecclesiastico, in occasione della spiegazione della differenza fra corvée e lavoro pagato (vol. XXV, p. 536; s.v. Exemplum humilitatis in angelis): Isocrates inquit [Isocr. De pace 20]: Magistratus sunt λειτουργίαι non ἐργασίαι: id est, Magistratus sunt ministeria, non sunt quaestus. Debetis propter Dei gloriam discere linguas. Es sol einer ein Pastor oder Burgermeister seyn, non quaestus gratia, sed ut serviat gloriae Dei.
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e l’A Nicocle: 34 il nostro oratore era, quindi, stimato per i suoi valori di tradizione umanistica.35 Anche nella diffusione di Isocrate tramite le traduzioni tedesche, che restavano comunque un fenomeno marginale, si teneva conto soltanto di queste due orazioni.36 Tuttavia, la prima traduzione integrale latina delle orazioni – e quindi la prima anche dell’Archidamo – del luterano, allievo di Melantone, Giovanni Lonicero (1497-1569), pubblicata a Basilea nel 1529, rese accessibile l’intero corpus di Isocrate – fatta eccezione per le lettere – anche ai lettori non in grado di leggere il testo in greco.37 Il Lonicero dedicò la traduzione al suo signore, il conte Filippo I d’Assia, come tardivo omaggio in occasione della fondazione dell’Università protestante di Marburgo (1527), dove insegnava greco. Nella praefatio 38 è lodato il contributo della lettura di Isocrate alla conoscenza della lingua, all’eloquenza nonché allo spirito dell’intera gioventù, non soltanto dei principi. Già Isocrate si era 34 I programmi delle scuole tedesche evangeliche del Cinquecento sono stati raccolti da R. Vormbaum, Die evangelischen Schulordnungen des sechszehnten Jahrhunderts, Gütersloh, Bertelsmann 1862. Quando il greco veniva insegnato, era per lo più prescritto l’A Demonico; così nella Mecklenburgischen Kirchenordnung del 1552 (p. 65), nella Württembergischen Kirchenordnung del 1559 (p. 73, n. 8 e p. 90), nella Kursächsischen Kirchenordnung del 1580 (p. 245; anche nelle scuole d’élite di Meissen, Pforta e Grimma, p. 281). Seifert, Schulwesen, pp. 292-312, offre una visione d’insieme sui ginnasi protestanti del Cinquecento. Il sistema scolastico cattolico cadde nel corso della Riforma in una gravissima crisi, dalla quale si rialzò soltanto con la diffusione delle scuole gesuitiche nella seconda metà del secolo. Nella Ratio studiorum del 1599, con la quale i Gesuiti concepirono un curriculum impegnativo per tutti i ginnasi della società, si raccomandava all’insegnante del quarto anno di scuola la lettura di un’orazione di Isocrate, che egli poteva scegliere a suo piacimento (MPaed V, p. 432). Questo significò nel caso concreto: l’A Demonico, ad es. nel 1558 a Messina (MPaed III, p. 535), oppure l’A Nicocle, ad es. nel 1564 a Napoli (MPaed III, p. 555), nel 1658 a Friburgo/Üechtland (MGermPaedSJ III, p. 245), nel 1742/1743 a Bamberga (MGermPaedSJ IV, p. 46). Per gli inizi delle scuole dei Gesuiti cfr. anche J.W. O’Malley, SJ, Die ersten Jesuiten, Würzburg, Echter 1995 (trad. di The First Jesuits, Cambridge Mass.-London, HUP 1993), pp. 233-281, in part. per i primi Gesuiti in Germania cfr. Seifert, Schulwesen, pp. 317-324. Una ricezione estremamente unilaterale emerge anche dal numero di edizioni delle traduzioni latine di Isocrate, cfr. Cortesi – Fiaschi, Repertorio, pp. 796-836. 35 Per l’A Demonico come testo presupposto in alcuni scritti parenetici di Giovanni Caselio (1533-1613), esponente del tardo Umanesimo tedesco, rivolti ai suoi nobili discepoli, cfr. W. Ludwig, Paideia bei Johannes Caselius und die Rezeption des Isokrates, «WJA», XXVII, 2003, pp. 195-216. 36 F.J. Worstbrock, Deutsche Antikerezeption 1450-1550, I, Boppard am Rhein, Boldt 1976, n. 213-229, registra le traduzioni tedesche fra il 1450 e il 1550, ma non conosce quella dello Spalatino menzionata supra p. 170, n. 12. La prima traduzione di un’orazione isocratea direttamente dal greco al tedesco, l’A Demonico, è dovuta a Willibald Pirckheimer di Norimberga e fu pubblicata nel 1519. Cfr. N. Holzberg, Willibald Pirckheimer. Griechischer Humanismus in Deutschland, Habil., München, Fink 1981, in part. pp. 235 e 241-244. 37 Per Lonicero cfr. I. Guenther, Johannes Lonicerus, in ContEras II, 1986, pp. 345-346. 38 Alle pp. α2r-α2v.
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lamentato, dice il Lonicero, della scarsa considerazione goduta da coloro che non si occupano di attività sportive, ma del bene comune; 39 Filippo, fortunatamente, ora si cura dell’educazione spirituale. Leggendo questa praefatio poco specifica, ma tipica per i tempi nel suo atteggiamento verso Isocrate, appare chiaro che un lettore con attese etico-pedagogiche non aveva ragione di confrontarsi con l’Archidamo, se le orazioni parenetiche erano più utili per i suoi scopi. Le prime due testimonianze di una consuetudine intensa con l’Archidamo si trovano, di consequenza, non tanto nella tradizione scolastica quanto in quella del commentario, che ebbe in Melantone un esponente di rilievo – e forse non è un caso che Victorinus Strigel e Hieronymus Wolf, autori dei primi commentari all’Archidamo in epoca moderna, fossero allievi del grande teologo. Non sorprende neppure che questi due studiosi di Isocrate fossero protestanti, dato che nel secondo quarto del Cinquecento nelle regioni cattoliche del Sacro Romano Impero l’educazione superiore era in grave crisi.40 3.1. Il commentario all’Archidamo di Strigel Victorinus Strigel (1524-1569) fu allievo di Filippo Melantone e come ‘filippista’ fermo difensore della dottrina di questi, secondo la quale la fede non è soltanto un dono di Dio, ma richiede la cooperazione dell’uomo per la propria redenzione, una dottrina in difesa della quale Strigel giunse a subire la prigione.41 Più tardi, nel 1564, egli compose, mentre era professore di teologia protestante e filosofia a Lipsia, il primo commentario specificamente dedicato all’Archidamo,42 nel quale ricordano il vecchio maestro non solo l’idea stessa di scrivere un commentario, ma anche tre passi dei προλεγόμενα, ripresi alla lettera dalle opere di Melantone, nonché, nella parte con le citazioni di Isocrate, due traduzioni attribuite a Melantone.43 39 Isocr.
Paneg. 1. Seifert, Schulwesen, pp. 312-315. 41 Per la biografia e l’attività di Strigel cfr. P. Tschackert, Strigel, Victorinus, in ADB XXXVI, 1893, pp. 590-596; E. Koch, Victorin Strigel (1524-1569). Von Jena nach Heidelberg, in H. Scheible (ed.), Melanchthon in seinen Schülern, Wiesbaden, Harrassowitz 1997, pp. 391-404: 391-398; Koch, Strigel, pp. 252-255. 42 Isocratis oratio quae inscribitur Archidamus, conversa in Latinum sermonem et scholiis illustrata a Victorino Strigelio, Lipsiae, Vögelin [1564] [VD 16 I 556]. L’edizione è datata grazie alla data della postfatio, 5 novembre 1564. Contiene: ὑπόθεσις (p. [A2r]), testo greco (pp. [A3r]-[B8r]), προλεγόμενα (pp. Cr-C5r), traduzione latina (pp. C5v-[E6r]), commentario (pp. [E7r]-F4v), giudizi su Isocrate nonché citazioni dalle sue opere (pp. F5r-[F7r]), postfatio (pp. [F7v]-[F8r]). 43 A p. C2r aduersus Arcades [...] ἀδακρὺς μαχή = Melantone, Chronicon Carionis (vol. XII, 40 Cfr.
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Strigel, nel suo ruolo di decanus Collegii philosophici in Academia Lipsica, declamò la traduzione latina dell’Archidamo in occasione di una promotio di magistri all’Università e la introdusse con un’allocuzione al pubblico che fu poi aggiunta come postfatio alla fine dell’edizione. In questa allocuzione si pronunciava sulle motivazioni che lo avevano portato alla scelta dell’Archidamo: 44 al di là del valore pedagogico, generalmente riconosciuto, di Isocrate come maestro, che non si doveva sottovalutare, l’oratore attico aveva acquistato, per esempio con il Filippo, meriti nei confronti dello stato. Poiché Strigel pensa che Alessandro sia stato mosso alla spedizione contro i Persiani dal Filippo e poiché interpreta l’azione di Alessandro come azione politica di Isocrate, può caratterizzare quest’ultimo come uomo d’azione, cui fu dato aut facere scribenda, aut scribere legenda.45 Con ciò diventa anche chiaro, dove, secondo Strigel, risiede il valore dell’Archidamo per il presente – vale a dire nell’effetto che l’orazione esercita sull’atteggiamento politico degli uditori. Quale effetto, però, l’orazione dovrebbe più precisamente esercitare è spiegato nella postfatio in modo molto conciso con le parole honestas omnibus rebus humanis anteferenda sit, che noi dobbiamo probabilmente interpretare come fermo appoggio alla patria in caso di crisi. Insomma, il tentativo dell’allocuzione di Strigel di assegnare un nuovo Sitz im Leben all’Archidamo rimane indeterminato e non convince. A quella che – per quanto io sappia – è stata la prima ricezione orale nella storia dell’Archidamo, quella che, secondo la postfatio, fu pensata come parte degli esami finali,46 avrebbe dovuto far seguito la lettura del comp. 818); p. C2r ante id [...] ac tranquillam = praefatio a Enrico VIII dei Loci theologici di Melantone nell’edizione del 1535 (vol. II, p. 924; Epistolarum liber VII, n. 1311 [= n. 1555, 91-99 MBW]); p. C2v qui antea Lacedaemonios [...] est psalmi dictum = Melantone, Chronicon Carionis (vol. XII, p. 819). Per quanto riguarda i due passi tradotti da Melantone (pp. [F6r]-[F7r]), si tratta di Isocr. Areopag. 21-22 e Ad Nic. 33. Sull’Areopagitico Melantone tenne una lezione (cfr. supra p. 174, n. 30). Il passo dell’A Nicocle è riferito in una Tischrede di Lutero nel 1538 (WA TR4, n. 3927). Si può supporre che anche Lutero l’abbia conosciuto tramite Melantone, perché questi si riferisce all’A Nicocle nella seconda edizione dei suoi Philosophiae moralis epitomes libri duo (vol. XVI, p. 59) del 1539 (con una formulazione quasi identica a quella di Lutero), nonché in un’orazione che scrisse nel 1539 per Vitus Winsheim (vol. XI, p. 459). Lutero altrimenti, come mostra una ricerca in versione digitale dell’edizione di Weimar su http://luther.chadwyck.co.uk/, cita solo una volta Isocrate, l’Areopagitico (Isocr. Areopag. 25; manoscritto nella sua copia di lavoro del salterio tedesco e latino [Psalter Kunheim, Breslavia Ms. Rhed. 2387], f. 8v = WA DB4, p. 511), che, come sappiamo, fu discusso anche da Melantone. La traduzione stampata in Strigel, che è attribuita a Melantone, si distingue chiaramente dalle traduzioni ovvero dalle parafrasi registrate nei Melanchthonis Opera Database. 44 La postfatio è ristampata in Gualdo Rosa, Paideia, pp. 220-221. 45 Secondo Plin. Ep. 7, 16. 46 Gualdo Rosa, Paideia, p. 221, 1-5: Nunc iis, qui aut bacularii aut magistri fieri volunt, autoritate collegii philosophici severe praecipimus ut exercitii loco huius orationis interpretationem audiant.
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mentario stampato. Anche nel commentario si fa riferimento al presente, ai disordini della riforma, ma solo due volte e senza relazione con l’Archidamo.47 Nei προλεγόμενα Strigel critica addirittura la conclusione principale dell’Archidamo, da lui stesso lodata nella postfatio, secondo cui si dovrebbe preporre l’onorevole all’utile, perché questo non vale nei casi in cui l’onorevole degenera in πολυπραγμοσύνη, come nella Sparta dell’epoca dell’orazione.48 Si pone, dunque, la domanda – e questo ancor più al lettore del commentario di Strigel che al pubblico della promotio – del perché Strigel scelse proprio l’Archidamo. Strigel non si interessa particolarmente al contenuto retorico né a quello pedagogico dell’orazione, malgrado la sua diversa seppur debole dichiarazione nella postfatio, bensì al contenuto storico, visto che il commentario offre quasi soltanto contributi di carattere storico e mitologico, basandosi su un gran numero di fonti.49 La coscienza storica di Strigel viene alla luce anche in un altro discorso che egli tenne similmente in occasione di una promotio e nel quale commentò il Libro di Daniele, esortando il pubblico allo studio degli storici antichi.50 L’Archidamo attrae il lettore interessato alla Qui enim huic mandato non parebit et obediet, is sciat sibi nullum patere aditum ad honoris scholastici petitionem. 47 Nei προλεγόμενα (p. C2r), un’orazione pronunciata da Archidamo in Xen. Hell. 7, 1, 30 (ἄνδρες πολῖται, νῦν ἀγαθοὶ γενόμενοι ἀναβλέψωμεν ὀρθοῖς ὄμμασιν· ἀποδῶμεν τοῖς ἐπιγιγνομένοις τὴν πατρίδα οἵανπερ παρὰ τῶν πατέρων παρελάβομεν) è riferita anche al presente: O generosam vocem et dignam rege Spartano et Agesilai filio, quae testatur magnos et fortes viros debere maximas dimicationes suscipere, vt posteris saluam Rempub. tanquam certam sedem relinquant. Quanto magis decet sic affectos esse Christianos et principes et doctores, vt cupiant posteris relinquere ecclesiam recte constitutam ac tranquillam. Questo passo è, tuttavia, ripreso da Melantone (vol. II, p. 924; Epistolarum liber VII, n. 1311 = n. 1555, 91-99 MBW cfr. supra p. 178, n. 43). Nel commentario a Gilippo (p. F3r ad Isocr. Archid. 53), Strigel loda il comportamento esemplare degli Ateniesi dopo la catastrofe siciliana (appoggiandosi a Thuc. VIII 1, 4 πάντα τε πρὸς τὸ παραχρῆμα περιδεές, ὅπερ φιλεῖ δῆμος ποιεῖν, ἑτοῖμοι ἦσαν εὐτακτεῖν. καὶ ὡς ἔδοξεν αὐτοῖς, καὶ ἐποίουν ταῦτα): Idem nobis in publicis ecclesiae periculis faciendum est. 48 Alle p. C3v-C4r con riferimento alla critica di Plut. Ages. 35, 3-6 sulla scarsa disponibiltà da parte di Agesilao alla pace e alla rinuncia definitiva alla Messenia dopo la battaglia di Mantinea in considerazione della grave situazione economica di Sparta. 49 Nell’Archidamo, Strigel complessivamente rinvia a Vecchio Testamento, Aristotele, Cicerone, Demostene, Erodoto, Euclide, Euripide, Isocrate, Licurgo, Omero, Ovidio, Pausania, Pindaro, Platone, Plinio il Giovane, Plutarco, Quintiliano, Seneca, Senofonte, Sofocle, Strabone, Teopompo (da Plutarco), Tucidide e Virgilio. 50 Oratio de propheta Daniele recitata a Victorino Strigelio cum decerneretur gradus magisterii philosophici aliquot honestis et doctis viris in Academia Lipsica, [Lipsiae, Vögelin] 1565 [VD 16 S 9635]. A p. 39: [...] vos iuniores hortor, vt librum Danielis saepe multumque legatis, et pectora vestra compleatis cum aliarum artium scientia, tum historiarum cognitione. Nam ad intelligendum Danielem, multiplex Graecorum et Latinorum historia necessaria est, Herodoti videlicet, Xenophontis, Diodori Siculi, Polybii, Pausaniae, Iosephi, Liuii, qui Regum Persicorum, Alexandri, et successorum eius res gestas
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storia da una parte per il legame fra le concezioni espresse nell’orazione e la realtà del tempo, dall’altra per il largo spazio occupato dal mito e dalla storia. Questi vantaggi, che le orazioni parenetiche, per esempio, non hanno, indussero probabilmente Strigel a presentare l’Archidamo alla promotio e a commentarlo. Questo approccio nuovo di Strigel a Isocrate, con la particolarità della recitazione, restò con ogni probabilità unico e così pure il suo tentativo di far conoscere l’Archidamo rimase senza grande eco. Ma il metodo di lettura del testo di Isocrate di Strigel è stimolante, anche se non pienamente sviluppato. L’idea di un commentario scientifico all’Archidamo che prenda in considerazione aspetti storici si troverà in una forma più solida anche nel quadro del grande commentario integrale di Wolf.51 3.2. Il commentario all’Archidamo di Wolf Fu per un solo anno (1538/1539) allievo di Melantone a Wittenberg il malinconico, solitario, nervoso, superstizioso, difficile, ma non antipatico filologo di Augusta Hieronymus Wolf (1516-1580).52 La sua pluridecennale frequentazione di Isocrate culminò nella celebre edizione integrale commentata, uscita nel 1570 a Basilea presso l’Officina Oporiniana. Nelle describunt. In occasioni simili a Lipsia, Strigel parlò di Adamo, Giuseppe, Isaia e Geremia: cfr. il contenuto della raccolta della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, segnatura Asc. 1074. Strigel era il più eminente docente di storia tra gli umanisti di Wittenberg a metà del Cinquecento: cfr. Koch, Strigel, p. 254. 51 G.E. Benseler, Isokrates’ Werke. Griechisch und Deutsch, I-II, Leipzig, Engelmann 1854, II, p. 75, menziona un commentario all’Archidamo di Iohannes Posselius (1528-1591), professore di greco a Rostock, che, però, non era riuscito a consultare (e probabilmente non vide mai). Mandilaras, Isocrates, I, p. 104, cita nella sua lista delle edizioni di Isocrate questa opera come «J. Poselius, Isocratis duae orationes. Una περὶ εἰρήνης, seu de Pace, altera quae Archidamus inscribitur. Rostochii 1582. Graece cum praefatione». Malgrado una ricerca sistematica in VD 16 nonché in cataloghi di biblioteche in rete, non sono riuscito a reperire in nessun luogo questo fantomatico commentario. 52 Wolf raggiunse nel 1543 con l’appoggio di Melantone il ruolo di rettore a Mühlhausen. Era, certamente, fierissimo della conoscenza del grande teologo: v. Wolf, Commentariolus, XV, XVII-XVIII 5 Zäh. Evidentemente discussero anche su Isocrate, v. Wolf, Isocrates 1570, II, p. 528, 42-57, ad De pace 58, s.v. Τὸ σωφρονεῖν, τοῦ πολυπραγμονεῖν: Aurea sententia haec est, et perpetuo habenda ob oculos, πολλῷ κρεῖττόν ἐστι τὸ σωφρονεῖν, τοῦ πολυπραγμονεῖν. Qua Melanchton [!] in primis delectatus est, non minimam et sapientiae et felicitatis partem in ea sitam esse iudicauit, et paraphrasi quodam [!] a se explicatam, ad me sua manu descriptam, dum Mylhusae Tyringicae gymnasio praeessem, testandae benevolentiae erga me suae causa misit: cuius ipsius uerba libet ascribere. „Francofordiae uidi picturam puellae texentis coronam e f loribus Je lenger ie leiber [!], cum hac inscriptione: Je lenger ie lieber ich bin allain / Denn trew vnd warhait ist worden klain. Significat se nunc delectari solitudine, etsi haec initio fuerit molesta. Florem uocant uulgo Amarum dulce [cioè Solanum dulcamara, morella rampicante], Graecis Teucrion est. [...].
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numerose praefationes delle sue edizioni di Isocrate, nel Commentariolus de vitae suae ratione ac potius fortuna, dedicato al fedele amico e tipografo Iohannes Oporinus,53 nonché nelle sue lettere,54 Wolf ci informa in modo relativamente dettagliato sul suo amore per Isocrate e sul significato che gli attribuisce per il presente: la ricezione di Isocrate di Wolf è la meglio documentata del Cinquecento. Il maggior esperto tedesco di Isocrate nel Cinquecento fu a sua volta protestante, però non particolarmente zelante. La sua ‘conversione’ fu di altra natura: 55 Transeamus igitur ad conuersionem nostram, deque ea Lectorem paucis moneamus. Ad huius eloquentißimi et sapientißimi scriptoris lectionem aßiduam Tybingae excitatus sum studio et industria Iacobi Scheggii, anno Salutis restitutae M.D.XXXV, aetatis meae XIX. qui [...] Ioanni Scheubelio, Euclidi nostrae aetatis, et mihi, Euagorae laudationem priuatim interpretari non est grauatus. Quae mihi res tantam Isocratis admirationem mouit, ut ex eo tempore uix ullum siue Latinum siue Graecum scriptorem illi anteponam.
Questa esperienza di risveglio quasi religioso, cui è dato ancora maggior peso dalla doppia datazione, marca l’inizio del rapporto di Wolf con Isocrate, un rapporto durato tutta la vita, che lo conduce al dialogo con studiosi come Iustus Velsius, Adriane Turnèbe, Ioachim Camerarius il Vecchio,56 Sébastien Castellio, Giovanni Lonicero, Veit Amerbach, Victori53 Per Iohannes Oporinus (1507-1568), uno dei più importanti tipografi del suo tempo, cfr. M. Steinmann, Johannes Oporinus. Ein Basler Buchdrucker um die Mitte des 16. Jahrhunderts, Diss. Basel-Stuttgart, Helbing und Lichtenhahn 1967, e C. Gilly, Die Manuskripte in der Bibliothek des Johannes Oporinus. Verzeichnis der Manuskripte und Druckvorlagen aus dem Nachlass Oporins anhand des von Theodor Zwinger und Basilius Amerbach erstellten Inventariums, Basel, Schwabe 2001. 54 Il dr. Helmut Zäh ha avuto la gentilezza e la generosità di mettermi a disposizione il manoscritto della sua edizione della corrispondenza di Wolf già prima della pubblicazione in forma definitiva, per cui lo ringrazio di cuore. Zäh, Rektorat, pp. 33-34, offre una sintesi della corrispondenza conservata. Poiché la numerazione non è ancora fissata, le lettere vengono citate secondo le segnature delle biblioteche nelle quali sono conservate, rispettivamente delle Università di Basilea (UB Basel) e di Breslavia (UB Breslau) nonché della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (BSB München). Si conoscono circa 140 lettere della corrispondenza di Wolf nelle quali si fa menzione di Isocrate. 55 Wolf, Isocrates 1570, I, p. 685, 9-23. Questo fu il suo primo incontro con Isocrate, come Wolf racconta nel Commentariolus, XI 8 Zäh: quae mihi prima fuit [...] autoris illius et admirandi et perlegendi, et conuertendi ac denique saepius edendi in publicum, occasio. Durante il periodo di formazione a Norimberga sotto l’insegnante di greco Ioachim Camerarius il Vecchio (IX Zäh), egli non aveva, dunque, letto Isocrate. Su Iacob Schegk (oppure Degen) cfr. A. Richter, Degen, Jakob, in ADB V, 1877, pp. 21-22; sull’eminente matematico Iohannes Scheublin cfr. U. Reich, Scheublin, Johannes, in NDB XXII, 2005, pp. 709-710. 56 I tre studiosi sono nominati in Wolf, Isocrates 1570, II, p. 807, 16-21; su di essi cfr. anche
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nus Strigel,57 Iohannes Oporinus e altri, forse anche Henri Estienne.58 Nel 1548 Wolf pubblica la prima traduzione integrale – tanto delle orazioni quanto delle lettere – di Isocrate presso Oporinus. Ad essa sono già allegate castigationes al testo greco, benché questo non sia stampato, annotationes, il primo commentario integrale ad Isocrate e quindi il primo all’Archidamo, nonché gnomologia in traduzione latina. La traduzione – in seguito anche con il testo greco – fu rivista e riedita parecchie volte, mentre il commentario non fu ristampato fino all’uscita della monumentale editio maior del 1570.59 Il pedagogo pratico e teorico Wolf, che dal 1557 dirige in qualità di Rettore il ginnasio S. Anna di Augusta, considera Isocrate un autore adatto per l’insegnamento del greco nelle scuole: ad Augusta nella classe finale si legge soltanto Isocrate.60 Il suo commentario, con spiegazioni di verbi Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus», p. 121. Il 1 agosto 1559, per iniziativa di Wolf, Camerarius tenne una lezione su Isocrate nel Gymnasium bei St. Anna di Augusta: Zäh, Rektorat, p. 43. 57 I quattro ultimi sono menzionati in Wolf, Isocrates 1570, II, p. 470, 24-47, nel commentario di Archid. 99, s.v. Ἐπὶ μιᾶς ἀσπίδος. 58 Wolf menziona Estienne più volte nelle sue lettere e lo incontrò il 13 novembre 1574 ad Augusta (Wolf, Epistolae, 434 Zäh). Si può supporre che Estienne, sul quale nel 1559 corse la voce che volesse stampare l’Isocrate di Michele Sofianòs (Wolf, Epistolae, 165 Zäh, cfr. infra, Appendice, p. 197), abbia discusso con Wolf sul nostro oratore. 59 L’Isocrate di Wolf uscì, mentre lo studioso era in vita, come traduzione latina o come edizione bilingue, otto volte in tutto, di cui sei edizioni nell’Officina Oporiniana: cfr. l’elenco delle opere di Wolf in Zäh, Commentariolus. Sulla realizzazione di queste edizioni siamo informati molto bene grazie a 78 lettere di Wolf a Oporinus: fra gli argomenti in discussione anche la possibilità di aumentare le vendite con un’edizione a buon mercato in formato in-ottavo (Wolf, Epistolae, 43 Zäh). Wolf scrive che, allo stesso scopo, vuole raccomandare l’inserimento di Isocrate nell’insegnamento scrivendo lettere a docenti e professori (Wolf, Epistolae, 60 Zäh: uno di questi è Camerarius, v. Wolf, Epistolae, 61 Zäh); istruisce su correzioni e sull’ordine delle diverse parti del suo Isocrate (Wolf, Epistolae, 64 e 304 Zäh) e può irritarsi quando ha l’impressione che Oporinus non lavori abbastanza velocemente (Wolf, Epistolae, 57 Zäh). 60 Su Wolf pedagogo, il cui modello scolastico fu seguito soltanto ad Augusta ed è molto meno conosciuto del modello di Iohannes Sturm, cfr. C. Boßler, Hieronymus Wolf, in K.A. Schmid (ed.), Encyklopädie des gesammten Erziehungs- und Unterrichtswesens, X, Gotha, Besser 1875, pp. 433-456: 445-456, e in generale Zäh, Rektorat, pp. 30-52, e le pp. 616-637 della De Augustani Gymnasii ad D. Annae instauratione deliberatio nell’edizione della grammatica latina di Iohannes Rivius fatta da Wolf, Institutionum grammaticarum Ioannis Rivii Atthendoriensis libri octo. Cum libello eiusdem, de ratione docendi, et cum vtilibus quibusdam additamentis de Orthographia Germanica, de Augustanae scholae instauratione. Item alius libellus Anonymi de docendi discendique ratione, Augustae Vindelicorum, Michael Manger 1578 [VD 16 R 2617]. Ad es., p. 628: nella terza classe si deve leggere l’A Demonico oppure lo scritto pseudo-aristotelico Sulle virtù e i vizi; p. 630: nella seconda classe va usata la gnomologia isocratea di Wolf; p. 633: nella prima classe l’insegnante di greco orationes Isocratis non solum κατὰ λέξιν, ἀλλὰ καὶ κατὰ διάνοιαν in classe explicabit. Per una lode tradizionale-umanistica dell’A Demonico da parte di Wolf cfr. il suo argumentum introduttivo a questa orazione in Wolf, Isocrates 1570 (senza impaginazione).
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e strutture sintattiche e note relative agli aspetti retorici e argomentativi, risponde ai bisogni degli alunni e degli insegnanti meglio delle esposizioni di Strigel, più concentrate su mitologia e storia.61 La disposizione delle orazioni di Isocrate nell’ordine ancor oggi valido in una specie di ‘corso pedagogico isocrateo’ può considerarsi come tentativo di Wolf di aumentare il numero di orazioni acquisite nel patrimonio educativo comune: iniziando con le orazioni parenetiche e i valori da esse trasmessi, il lettore dovrebbe poter seguire l’argomentazione di quelle simbuleutiche e infine capire la lode delle azioni giuste nel γένος ἐπιδεικτικόν e la critica di quelle sbagliate nel γένος δικανικόν.62 Wolf si augura, inoltre, che anche i responsabili della politica leggano Isocrate, perché l’antico autore si era rivolto in primo luogo a costoro e presso costoro aveva goduto di alta stima,63 benché sia consapevole del fatto che il suo desiderio non è di necessità destinato a realizzarsi.64 In stretta relazione con questo desiderio è la scoperta di Isocrate come auctoritas contro i Turchi. La paura dell’Impero ottomano produsse in tutta Europa una vasta letteratura in latino e nei diversi volgari, composta di orazioni, poemi e canzoni.65 Sulla base di alcuni scritti presi come esempio perché i loro au61 Wolf definisce il destinatario delle sue traduzioni di Isocrate e di Demostene in una lettera a Oporinus (Wolf, Epistolae, 63 Zäh): Hoc enim certo statuere debes, nos in Isocrate et Demosthene, non magnatibus, qui ocium legendi sibi esse negant, non doctis, qui et graecos autores habent, et conuersiones contemnunt, laborare, sed ludimagistris semidoctis et scholasticis vtriusque linguae studiosis et nondum satis peritis. Per il destinatario e la stringatezza intenzionale riguardo a spiegazioni mitologiche e storiche nell’editio maior v. anche Wolf, Isocrates 1570, II, pp. *2v-*3r. Forse si può leggere l’osservazione di Wolf nel commentario sull’Archidamo (18), s.v. Περσειδῶν (Wolf, Isocrates 1570, II, p. 455, 28-30): patronymicum est, a Perseo Iouis et Danaes filio: cuius genealogiam inquirant alii, qui ocio abundant, come f recciata contro le lunghe spiegazioni in Strigel, Archidamus, pp. E8r-E8v, s.v. περσιδῶν, perché nella prima edizione del commentario di Wolf viene notata soltanto Περσειδῶν: Perseus Iouis ex Danae filius, rex Argiuorum (Wolf, Isocrates 1548, II, p. 148). Il numero degli autori citati nel commentario sull’Archidamo è non di meno impressionante: Agatone (da Aristotele), Aristotele, Cicerone, Crisippo (da Diogene Laerzio), Demostene, Diodoro, Diogene Laerzio, Ermogene, Erodoto, Eschine, Esiodo (da Arpocrazione), Euripide, Filostrato, Focilide, Giustino, gli inni omerici, Isocrate, Licurgo, Livio, Manilio, Manuele Moscopulo, Nemesio, il Nuovo Testamento, Omero, Ovidio, Pausania, Pindaro, Platone, Plauto, Plinio il Vecchio, Plutarco, Properzio, Publilio Siro, Senofonte, Solino, Strabone, la Suda, Telete (da Stobeo), Terenzio, Tucidide, Ulpiano (il commentario su Demostene) e Virgilio. 62 Wolf, Isocrates 1570, I, pp. 684, 44-685, 9. 63 Wolf, Isocrates 1570, I, p. 683, 8-20. 64 Come appare chiaro nello stesso passo citato poco sopra per l’ordine delle orazioni: Wolf, Isocrates 1570, I, pp. 684, 44-685, 9. 65 Per le stampe delle opere del Cinquecento contro i Turchi cfr. C. Göllner, Turcica, I-III, Bukarest-Berlin-Baden-Baden, Editura Academiei 1961-1978. Cfr. W. Schulze, Reich und Türkengefahr im späten 16. Jahrhundert. Studien zu den politischen und gesellschaftlichen
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tori – di certo o almeno probabilmente – conoscevano Isocrate, ho voluto verificare se passi del corpus di Isocrate e in particolare dell’Archidamo siano stati connessi direttamente con la guerra contro i Turchi. Come rappresentante della prima ricezione di Isocrate nel Quattrocento ho scelto il cardinale Bessarione (1402-1472),66 come rappresentanti dell’Umanesimo italiano nell’ambiente di Massimiliano I,67 dopo l’uscita dell’editio princeps di Demetrio Calcondila nel 1493, Giasone del Maino (1435-1519) e Riccardo Bartolini (verso 1470-1528),68 come rappresentanti della ricezione tedegen einer äußeren Bedrohung, Habil., München, Beck 1978, pp. 21-46, che ordina gli scritti antiturchi in lingua tedesca nel Sacro Romano Impero del Cinquecento in un gruppo informativo, un gruppo discorsivo e un gruppo propagandistico e ne separa le ‘esortazioni’ – spesso latine –, alle quali appartengono tutti gli scritti qui esaminati. Degna di menzione è, inoltre, l’ampia raccolta latina di dichiarazioni di uomini importanti sui Turchi che Nikolaus Reusner da Jena pubblicò in diverse edizioni intorno al 1600. 66 Il 14 marzo 1458, Bessarione prese in prestito due codici di Isocrate dalla Biblioteca Vaticana. Cfr. R. Devreesse, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1965, p. 40, nn. 405, 408, il quale congettura che i codici vadano identificati con i Vaticani greci 936 e 65. Alla biblioteca personale di Bessarione appartenne un apografo indiretto del Vat. gr. 65 (Λ), il Marc. gr. 415 (Ξ), copiato da Cosma Trapezunzio tra il sesto e il settimo decennio del XV secolo: i suoi codici datati risalgono agli inizi degli anni Settanta del Quattrocento, ma il manoscritto in questione deve essere stato realizzato prima del 1468, anno della donazione di Bessarione alla Marciana. Cf r. Martinelli Tempesta, Apografi, pp. 202-203, 207-211, e Fassino, Tradizione, pp. 120-121, 199-201. Come reazione al massacro di Negroponte (12 luglio 1470), il cardinale redasse un piccolo corpus di scritti contro i Turchi, stampato nel 1471 (GkWd 4184), che consiste di due lettere ai principi d’Italia e all’abate Bessarione di San Severino a Napoli (PG 161, pp. 647a-c; 647c-651b), due brevi orazioni agli illustrissimi inclytique Italiae principes (pp. 651b-659d; 659d-669c) e una traduzione della prima Olintiaca di Demostene (pp. 669d-676b), fornita di una prefazione e di un epilogo, anch’essa dedicata ai principi italiani. Bessarione istituisce un parallelo f ra la situazione descritta nell’orazione antica e il presente, suggerendo ai suoi lettori di attualizzare il testo di Demostene in questi termini: Ita enim tunc Graeciae Philippus imminebat, ut nunc Turcus Italiae. Sustineat igitur Philippus Turci personam, Itali Atheniensium, nos Demosthenis (PG 161, p. 670b). Oltre a ciò, fa riferimento a Demostene (pp. 647b, 663b), ma mai a Isocrate. Cfr. M. Lentzen, Bellum gerendum est, ut in pace vivamus. Le orazioni del cardinale Bessarione contro i Turchi, in L. Secchi Tarugi (ed.), Oriente e Occidente nel Rinascimento, Atti del XIX Convegno Internazionale, Chianciano Terme-Pienza 16-19 luglio 2007, Firenze, Cesati 2009, pp. 445-455. 67 Massimiliano, che riteneva la guerra contro i Turchi di grande importanza, progettava di narrare un giorno la sua crociata nel Theuerdank, un racconto fittizio con tratti autobiografici parzialmente scritto da lui stesso. Nell’edizione sono, quindi, lasciate tre pagine in bianco per il capitolo 117, che non fu mai redatto. Cfr. S. Füssel, Die Funktionalisierung der ‘Türkenfurcht’ in der Propaganda Kaiser Maximilians I., in F. Fuchs (ed.), Osmanische Expansion und europäischer Humanismus, Akten des interdisziplinären Symposions, Stadtmuseum Wiener Neustadt 29.-30. Mai 2003, Wiesbaden, Harrassowitz 2005, pp. 9-30. 68 Entrambi esortano Massimiliano a una campagna antiturca con frequenti rinvii a paralleli del mondo antico: cfr. rispettivamente per del Maino, Oratio Iasonis nitidissima in sanctis simum matrimonium foelicissimasque nuptias Maximiliani regis et Blancae Mariae Reginae Roma norum, Basileae, Iohannes Bergmann dopo il 17 aprile 1494 [BSB-Ink M-52], orazione recitata
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sca di Isocrate all’inizio del Cinquecento Peter Mosellanus (1493-1524),69 Erasmo 70 e Georg Sabinus (1508-1560),71 infine come importante umanista protestante Ioachim Camerarius il Vecchio (1500-1574).72 In base all’esame durante le nozze di Massimiliano e Bianca Maria Sforza nel 1494 a Innsbruck, e per Bartolini Richardi Bartolini Perusini Oratio, ad Imp. Caes. Maximilianum Aug. ac potentis. Germaniarum Principes, de expeditione contra Turcas suscipienda, Augustae Vindelicorum, Sigismund Grimm e Markus Wirsung 1518 [VD 16 B 570], orazione recitata durante la Dieta dell’Impero nel 1518 ad Augusta. Il Bartolini fu ottimo conoscitore della letteratura greca, cfr. S. Füssel, Riccardus Bartholinus Perusinus. Humanistische Panegyrik am Hofe Kaiser Maximilians I., Diss. Baden-Baden, Koerner 1987, p. 52. 69 Nella dedica alla sua traduzione del discorso Sulla pace (1518) per Federico il Saggio di Sassonia, Mosellanus lamenta che i cristiani conducano guerre contro altri cristiani e afferma che senza queste continue guerre i Turchi non sarebbero mai diventati così minacciosi (Gualdo Rosa, Paideia, p. 201, 1-2): Tum nec in eam necessitatem ventum esset ut communibus armis capiti nostro imminentem hostem Turcam propellere cogeremur. L’unificazione dei Tedeschi contro i Turchi non è, tuttavia, connessa con la conoscenza del discorso Sulla pace. Lo scopo di Mosellanus non è una guerra contro nemici esterni, ma il recupero dei beni della pace interna e della cultura in Germania e a questo scopo traduce (Gualdo Rosa, Paideia, p. 201, 34-35) gravissimi Isocratis oratoris ac philosophi prudentissimam orationem de bello fugiendo et pace servanda. Federico era un ottimo destinatario, visto che cercava di evitare le guerre e non aspirava a una campagna antiturca, cfr. I. Ludolphy, Friedrich der Weise. Kurfürst von Sachsen 1463-1525, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht 1984, pp. 233-234. 70 Su Erasmo e la questione turca cfr., tra l’altro, Weiler in ASD V 3, pp. 3-27. Nelle sue prese di posizione per una guerra contro i Turchi, Erasmo sottolinea, al pari di Mosellanus, che i cristiani dovrebbero comportarsi come cristiani fra loro prima di poter condurre una campagna di successo. Erasmo si batte per una persuasione mite dei Turchi grazie alla superiorità cristiana dimostrata da una vita esemplare dal punto di vista morale. Nel suo contributo principale alla questione turca, la Consultatio de bello Turcico del 1530, parte da un’interpretazione allegorica del Salmo 29 e considera i Turchi come vox Domini (Ps. 29, 3-5, 7-9), che esorta i cristiani a una correctio vitae (ASD V 3, pp. 34, 89-38, 213). 71 Nella praefatio alla sua traduzione del Filippo (1531), dedicata all’arcivescovo di Magonza Albrecht di Brandeburgo, esprime la speranza che Albrecht possa – come ai suoi tempi Isocrate presso Filippo – operare presso Carlo V in favore della pace interna in Germania, affinché il paese acquisti forza contro nemici esterni non meglio determinati (Gualdo Rosa, Paideia, p. 219, 5-8): Nam ut Isocrates Philippo, ita tu Philippi filio Carolo Caesari, qui et imperii fastigio et foelicitate par est illius Philippi filio Alexandro, autor esse soles, ut constituta domi concordia pium et necessarium adversus externos hostes bellum suscipiat. Benché non nominati, i Turchi qui sono sottintesi, come nota Gualdo Rosa, Paideia, p. 100, perché la guerra contro l’impero ottomano fu – oltre alla riforma che mise in pericolo la pace interna – il grande tema della Dieta dell’Impero del 1530, dove Albrecht ebbe il ruolo di arcicancelliere del Sacro Romano Impero. Sabinus, allievo prediletto e genero di Melantone, tradusse il Filippo in onore dell’arcivescovo, sperando di renderlo favorevole ai protestanti e di approfittare della sua generosità: quanto a questo secondo scopo ebbe fortuna, quanto al primo forse meno. Per il rapporto fra il poeta e il suo mecenate cfr. S. von der Gönna, Albrecht von Brandenburg als Büchersammler und Mäzen der gelehrten Welt, in Jürgensmeier (ed.), Albrecht von Brandenburg, pp. 381-477: 436-438, per il ruolo di Albrecht nella Dieta cfr. H. Immenkötter, Albrecht von Brandenburg auf dem Augsburger Reichstag 1530, in Jürgensmeier (ed.), Albrecht von Brandenburg, pp. 132-139. 72 Amico intimo di Melantone, pubblicò nel 1559 una traduzione dell’A Demonico e gli fu chiesta da Wolf l’opinione su Isocr. Soph. 16, Paneg. 8 e 35 (Wolf, Epistolae, 141 Zäh). Ma nel
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di questi esempi, Georg Sabinus sembra essere il primo a connettere Isocrate con la questione dei Turchi, il che non sorprende, dato che fu lui a realizzare – se si eccettua la traduzione integrale del Lonicero – la prima traduzione del Filippo e dato che nelle orazioni di Isocrate diffuse in precedenza il tema della guerra contro i Persiani era, invece, meno preponderante. Questi risultati sono confermati ex silentio dallo studio di Nancy Bisaha sui rapporti tra gli umanisti e l’impero ottomano, uno studio che si fonda su trenta scritti di umanisti, per lo più italiani del Quattrocento, nei quali non si fa alcuna menzione di Isocrate.73 Il collegamento dell’Archidamo con la questione turca fu la ragione per cui Wolf cominciò a pubblicare su Isocrate. Nella praefatio alla traduzione dell’Archidamo, del Filippo e del discorso Sulla pace del 1547, traduzione che per iniziativa di Oporinus, il quale gli aveva raccomandato di realizzare un’edizione integrale, non fu mai stampata,74 Wolf afferma che un periodo di ozio inatteso durante la guerra di Smalcalda lo aveva portato nel 1546 a tradurre come prima orazione l’Archidamo.75 Sorse, poi, il progetto di pubblicare la traduzione: Quum igitur [...] uiderem perturbatissimum nostrae Germaniae statum,76 non tantum neglectu diuini cultus, et licentia petulantiaque morum, sed etiam ciuilibus bellis afflictum, ita, ut imperii et libertatis amittendae metu, boni et prudentes omnes crucientur, magnam habere similitudinem cum illis Graeciae temporibus, quibus hae orationes ab Isocrate scriptae fuerunt: multis bonis patriaeque amantibus uiris, qui graeca fortasse minus assequuntur, existimaui legendis his [...] occasionem datum iri, diligentius de erigenda patria, tuendaque libertate cogitandi.77 1542, nella Oratio senatoria de bello Turcico κατὰ προσωποπιίαμ [!]. Tyrtaei Carmina παραινετικά, que complectuntur hortatrices ad uirtutem et laudem sententias, conuersa de Graecis in Latina, itemque alia quaedam, edita omnia a Joachimo Camerario Pabergen, Francofurti, Chr. Egenolf 1542 [VD 16 C 496], rist. Lipsiae, Henning Gross 1595 [VD 16 C 497], non rinvia a Isocrate (mi fondo sulla ristampa del 1595 perché l’edizione del 1542 non mi è accessibile). 73 Cfr. N. Bisaha, Creating East and West. Renaissance Humanists and the Ottoman Turks, Philadelphia, Penn Press 2004, in part. p. 46, dove la studiosa, trattando gli autori di rilievo per la creazione dell’antagonismo tra Grecia-Europa e Asia, salta direttamente da Erodoto ad Aristotele. Fra gli umanisti da me qui analizzati, Bisaha si occupa soltanto di Bessarione ed Erasmo. 74 Wolf, Commentariolus, XX 1 Zäh. Non esiste, dunque, una «prima edizione perduta» di queste tre orazioni, pubblicata nel 1547 a Strasburgo, come pensa Gualdo Rosa, Paideia, p. 171, n. 98. 75 Praefatio tertia in Wolf, Isocrates 1570, I, p. 713, 27-45, scritta il 31 marzo 1547, cfr. Wolf, Isocrates 1570, I, p. 723, 35-36. 76 Pensa alla guerra di Smalcalda (giugno 1546-aprile 1547). 77 Wolf, Isocrates 1570, I, pp. 713, 59-714, 13.
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Wolf spiega in seguito perché si era deciso a tradurre proprio queste tre orazioni, e in particolare per l’Archidamo afferma: Et primo loco Archidamum posui, ea ratione, qua fortitudinem caeterarum uirtutum quasi principem fecit Aristoteles, quod eius officium sit propugnare (ut ait Cicero 78) pro iusticia. [...] Ac utinam in nostro imperio tandem existat Archidamus aliquis, qui simili studio et ardore connitatur Barbaricum iugum tristissimae seruitutis, quod singulis fere annis, ceruicibus nostris a Turcis immanissimis hostibus intentatur, excutere et depellere, ac laudatissimae olim [...] nationi Germanicae libertatem [...] restituat, quo res nostrae tandem aliquando in tuto collocentur. Atque adeo bona spes est, Carolum V. semper Augustum, cordatissimum principem, et summum Imperatorem, pacata Germania, sopitisque diuturnis hisce ueluti tempestatibus, perfecturum aliquando esse id, quod et uatum praesagia diu iactarunt, et ipse multos iam annos (ut magnanimum heroem et nominis Christiani defensorem decet) animo agitasse fertur, ut Asia non tantum Europae imperium sperare atque inuadere toties desinat, sed de suis opibus atque excidio periclitetur.79
Wolf vede, dunque, un parallelo fra la disperata resistenza degli Spartani contro i Tebani e la guerra difensiva del Sacro Romano Impero contro i Turchi. Egli nutre la speranza che Carlo possa, come un alter Archidamus, guidare i Tedeschi in una resistenza concorde e risoluta.80 È notevole come il protestante Wolf sia conciliante verso il suo imperatore cattolico nel bel mezzo della guerra confessionale. Più tardi, in occasione della Dieta dell’Impero nel 1566 ad Augusta, Wolf farà stampare una traduzione di Isocrate dedicata all’imperatore Massimiliano II e sottolineerà nella praefatio i paralleli fra la situazione descritta da Isocrate e il presente.81 Benché il progetto di presentare Isocrate alla Dieta dell’Impero come autore antiturco fosse fallito perché l’edizione sarebbe uscita solo dopo lo scioglimento 78 Cic.
Off. 1, 62. Wolf, Isocrates 1570, I, pp. 715, 42-716, 12. 80 Carlo dimostrò la sua determinazione nel 1535 con la spedizione di sucesso contro i Turchi a Tunisi, cfr. J.D. Tracy, Emperor Charles V, Impresario of War. Campaign Strategy, International Finance, and Domestic Politics, Cambridge, CUP 2002, pp. 145-149. 81 Isocratis philosophi et oratoris Atheniensis: orationes XXI. et epistolae IX. saluberrimis, cum degendae vitae, tum Reipublicae administrandae praeceptis refertae. Ab Hieronymo Vvolvio Oetingensi, vtriusque linguae in Augustana schola professore publico, de integro conuersae, et quartum nunc editae. Addita est, et vita autoris, et index accuratus, Augustae Vindelicorum, Matthäus Frank 1566 [VD 16 I 412], a3r-v: Illud etiam C. Maiestatem V. delectabit, cum Isocratem videbit ea suadere, et omnibus eloquentiae nervis contendere, quae ipsa iam suscepit, et, Deo fortunante, perficiet, ut et pax atque concordia, in Christiano orbe constituatur, et totius imperii viribus Barbari oppugnentur, et Pannoniae contra illorum insultus, tam coloniis, quam perpetuis praesidiis, veluti muro immortali muniantur. All’evidente parallelo fra la guerra della Grecia, unita contro l’impero persiano, e quella della Germania o dell’Europa, unita contro i Turchi, rinvia anche Wolf, Isocrates 1570, II, p. 390, 17-22 a Isocr. Paneg. 178 s.v. Ὑπὲρ ἐκείνου. 79
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della Dieta,82 l’esemplare di dedica raggiunse il campo militare dell’imperatore in Ungheria – a causa di un naufragio sul Danubio Vlysse, cum apud Phaeaces Nausicaae marinis undis sordens, et foliis utcunque tectus occurreret, deformior[ ] et horridior[ ] – e fu presentato a Massimiliano tramite Iohannes Crato von Krafftheim, il medico imperiale.83 L’imperatore, ritornato dalla sua campagna umiliante, ma anche in parte riuscita per la morte di Solimano il Magnifico, si mostrò riconoscente della dedica, che corrispondeva interamente ai suoi scopi politici, con la somma di trenta fiorini, che Wolf ricevette il 10 dicembre 1566.84 Wolf fu molto contento del denaro, con cui fece fabbricare una coppa dorata con tre Ἰσοκράτους σειρῆνες sul piede – e con ciò trasferì la ricezione di Isocrate anche sul piano delle arti visive.85 Con il tentativo di attribuire rilevanza a Isocrate e, in particolare, all’Archidamo nella situazione politica contemporanea, Wolf ottenne un piccolo successo presso l’imperatore, anche se, per quanto mi è noto, non si 82
Wolf, Commentariolus, XXIII 31 Zäh. Wolf, Cicero, IV, p. AAa2v (praefatio al commentario ai Paradoxa Stoicorum di Cicerone); cfr. anche Wolf, Epistolae, 306 Zäh. Sulla campagna antiturca di Massimiliano cfr. Sutter Fichtner, Maximilian II, pp. 119-134, su Crato, umanista, famoso medico e amico di Massimiliano, dal quale nel 1568 ottenne il titolo di un comes sacri palatii, cfr. M. Jantsch, Crato von Krafftheim, in S. Domandl (ed.), Gestalten und Ideen um Paracelsus. Aus der Arbeit der Internationalen Paracelsusgesellschaft anlässlich ihres zwanzigjährigen Bestehens, Wien, Notring 1972, pp. 99-108. 84 Wolf, Epistolae, 297 e 298 Zäh. Il pagamento dei 30 fiorini fu ordinato cum C M Solymanno mortuo, Barbarisque prof ligatis, re (pro conditione temporum) bene gesta, Viennam rediisset (Wolf, Cicero, p. IV AAa2v), dunque dopo il 29 ottobre. Anche il dottorato honoris causa conferito dall’imperatore a Wolf è probabilmente in rapporto con l’Isocrate dedicato allo stesso imperatore, cfr. loc. cit. 85 Circa un anno dopo Wolf descrive la coppa in una lettera a Crato (Wolf, Epistolae, 314 Zäh): [...] habeo illustre Caesareae Maiestatis μνημόσυνον, perelegantem calicem auratum, trium ferè marcarum pondere, et ea magnitudine, vt [...] sextarium nostratem capiat. In summo operculo sunt insignia Caesarea, coloribus expressa, cum hac inscriptione MAX[imilianus] II. ROM[anorum] IMP[erator] S[emper] A[ugustus] HIERO[nymo] WOLFIO μνημόσυνον. Huic subijcitur meum distichon Hunc calicem, Caesar, mihi, Maximiane, dedisti. / Det tibi perpetuò prospera fata Deus. In ipso calice, praeter caetera emblemata, versus pedem tres Sirenes sunt expressae, cum inscriptione, ἰσοκράτους Σειρήν. Infimum locum fundi exterioris mea occupant insignia. Haec scribo, vt me non semper αὐστηρὸν, sed aliquando etiam φιλόκαλον esse videas. Per la sirena cfr. Philostr. Vitae Soph. 1, 17, 1 ἡ δὲ Σειρὴν ἡ ἐφεστηκυῖα τῷ Ἰσοκράτους τοῦ σοφιστοῦ σήματι, ἐφέστηκε δὲ καὶ οἷον ᾄδουσα, πειθὼ κατηγορεῖ τοῦ ἀνδρός. Cfr. anche [Plut.] Vit. X or. 838cd; Choric. Op. 8, 9. Michele Psello, nel Panegirico I (151-155 Dennis), adottò probabilmente da Filostrato la giuntura Ἰσοκράτους σειρήν come una metafora che divenne popolare in liste di autori antichi nella letteratura dell’epoca dei Comneni (Michele Psello Paneg. 11, 24-31 Dennis; Michele Italico Op. 1, 63, 8-13; Op. 18, 158, 21-22; Op. 43, 256, 17-257, 2 Gautier; Anna Comnena, Alex. 14, 7, 4; Giorgio Tornice Op. 7, 207, 19-20 Darrouzès; Niceta Eugeniano Monod. in Theod. Prodr. 455, 12-15 Petit; Anacarsi 1386-1388 Chrestides; Michele Coniate Op. 1, 10, 158, 11-19; Op. 1, 18, 313, 22-25 Lampros). Dopo il 1204 la metafora non è più documentata nella letteratura bizantina. Sulla sorte della coppa, Helmut Zäh mi ha gentilmente comunicato che non ci sono informazioni. 83
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può dire che abbia ottenuto effetti duraturi.86 Insomma, il suo tentativo di inf luire sulla questione turca condivide il fato di quello di Georg Sabinus, benché Wolf avesse superato il suo predecessore in quanto riuscì a raggiungere non solo l’arcicancelliere, ma persino l’imperatore. Non è, inoltre, chiaro – in Wolf come in Strigel – quanto peso il lettore potesse attribuire ai paralleli fra le vicende del presente e l’Archidamo. Nel commentario all’Archidamo, Wolf rinvia solo una volta alla guerra contro i Turchi.87 Anche per Wolf – come per Strigel – a determinare l’intensa consuetudine con Isocrate sono probabilmente gli interessi personali. Egli stesso parla del fascino esercitato su di lui dalla fortuna di Isocrate nei secoli e dalla veste elegante con la quale Isocrate comunicava i suoi pensieri.88 D’altra parte, anche l’attività filologica 89 con tutti i suoi problemi deve aver attirato Wolf, come attestano le note di critica del testo e lo stesso commentario.90 4. Conclusione Bisogna distinguere due tendenze nella ricezione di Isocrate nella Germania del Cinquecento. In primo luogo, una ricezione ‘pedagogica’, che continua una tradizione umanistica ereditata dal Rinascimento italiano del Quattrocento e che investe soltanto le orazioni parenetiche, fra le quali, in particolare, l’A Demonico e l’A Nicocle; questa modalità di ricezione è diffusa nelle scuole a prescindere dalla confessione religiosa. In secondo luogo, una ricezione ‘innovativa’, che rende accessibili parti sempre maggiori del corpus di Isocrate. La ricezione innovativa è promossa da figure critiche nei confronti della chiesa cattolica oppure da protestanti. Nonostante i suoi parziali successi, questa seconda modalità non raggiungerà mai la diffusione della ricezione pedagogica. La ricezione innovativa, inoltre, non solo 86 Massimiliano concluse già nel 1568 una pace, se non straordinaria, almeno duratura con il sultano, cfr. Sutter Fichtner, Maximilian II, p. 133. 87 Wolf, Isocrates 1570, II, p. 459, 30-33 a Archid. 38 s.v. Τυχὸν καὶ τοῦ συμφέροντος: Firmissimum hoc uidetur totius orationis argumentum, quod periculum sit, ne Thebani fidem frangant: quod idem periculum nostra aetate in Turcicis induciis timendum est. 88 Wolf, Isocrates 1570, I, pp. 681, 53-682, 43 e 683, 21-42. 89 Sugli inizi della filologia come scienza indipendente in questo periodo cfr. Seifert, Schulwesen, p. 342. 90 Sull’amore di Wolf per la letteratura v. anche Wolf, Isocrates 1570, I, p. 710, 45-50; p. 713, 25-27, nonché in part. Wolf, Isocrates 1570, I, p. 702, 14-19: Vt autem verum fatear, peculiaris quaedam admiratio et amor insignis quo prosequor Isocratem (iudicio’ne, an propter arcanas causas, nescio) meam alacritatem non parum excitauit.
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recepisce orazioni fino a quel momento poco o niente affatto considerate, ma permette anche un nuovo accesso ai testi grazie ai commentari scientifici e pone le orazioni da poco rese accessibili in stretto nesso con questioni attuali, allargando l’ambito dei consigli che già si potevano trovare nelle orazioni parenetiche, richiamando l’attenzione sui possibili paralleli fra alcuni discorsi del corpus di Isocrate e problemi attuali, come la pace interna nel Sacro Romano Impero o come la minaccia turca, oppure semplicemente usando Isocrate come fonte antica; è però un punto debole della ricezione innovativa tedesca il fatto di non affrontare mai con serio impegno il lavoro sui manoscritti.91 La ricezione dell’Archidamo ha luogo soltanto nel quadro della modalità innovativa e soltanto in latino e in greco, cosa che presuppone un certo livello di educazione. Questa orazione condivide con la parte non parenetica del corpus di Isocrate la sorte di non aver mai raggiunto una diffusione ampia e capillare. Il suo contenuto è fortemente caratterizzato dal mito degli Eraclidi e da eventi storici della Grecia classica. Dal momento che risultava difficile evidenziare temi, relativi a questioni pedagogiche o politiche di scottante attualità nel Cinquecento, presenti soltanto nell’Archidamo, si dovrà concludere che l’interesse per questa orazione dovette essere prevalentemente di natura storica.
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mus».
Per un timido tentativo di Wolf cfr. Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissi-
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APPENDICE Wolf e l’Isocrates emendatior di Sofianòs Grazie all’esame della corrispondenza di Wolf, credo di poter dimostrare che il filologo tedesco fu a conoscenza molto prima di quanto la critica abbia finora ritenuto dell’Isocrates emendatior di Michele Sofianòs (ca. 15301565), lo studioso originario di Chio residente a Padova per molti anni.92 Dietro l’Isocrates emendatior c’è il codice Ε (Ambr. O 144 sup.), il cui valore consiste nel fatto che esso conteneva il testo della cosiddetta prima famiglia della tradizione isocratea mentre le edizioni a stampa delle orazioni di Isocrate divulgate nella metà del Cinquecento presentavano, in base al Par. gr. 2931 nonché, in misura limitata, al Vat. Pal. gr. 135, a Ν (Laur. 58.5) ed eventualmente ad altri manoscritti, il testo della seconda famiglia.93 Esso inoltre va a colmare la grande lacuna dell’Antidosi riportata in tutte le edizioni.94 Sofianòs stava preparando una nuova edizione, basata su Ε, la pubblicazione della quale fu però impedita dalla sua morte prematura, avvenuta nel 1565. Qui di seguito le prime testimonianze per l’Isocrate di Sofianòs nella corrispondenza di Wolf. 1. Wolf, Epistolae, 53 Zäh a Ioachim Camerarius, 14 gennaio 1553 [...] Itali multa moliri dicuntur. in primis Franciscus Robortelius, qui Patauij Lazaro Bonamico successit, videlicet Aeschyli emendationem cum commentarijs. Item Callimachum et enarrationem Rhetoricorum ad Theodectem. Paulus Iouius secundum historiarum sui temporis tomum edidisse fertur, et Pandectae Florentinae iam editę sunt, si vera ad me scripsit Georgius Tannerus,95 quem tibi notum 92 Per l’Isocrates emendatior cf r. i contributi fondamentali di Martinelli Tempesta, Sofianòs, Martinelli Tempesta, Vicende, Martinelli Tempesta, Notizie, e per Sofianòs la monografia dettagliata di Meschini, Sofianòs. Finora si era potuto datare l’inizio dell’impegno di Sofianòs su Isocrate in modo approssimativo tra il 1549 e il novembre del 1561 e sulla sola base di Wolf, Isocrates 1570, II, p. 805, 15-20, non era stato possibile precisare da quanto tempo, prima della morte di Sofianòs nel 1565, Wolf conoscesse il suo Isocrate, cf r. Pinto, Isocrate, pp. 73-77. 93 Per la dipendenza del testo dell’editio princeps cfr. Martinelli Tempesta, Fonti, Zingg, Vorlagen, per le edizioni di Isocrate del Cinquecento cfr. Martinelli Tempesta, supra, pp. 139166. Soltanto nel 1812 Andreas Mustoxydis, avendo ritrovato Ε, pubblicò la prima versione integrale dell’Antidosi, cfr. Pinto, Isocrate, pp. 82-85. 94 Sulla lacuna in Antid. 72-309, cfr. Martinelli Tempesta, Sofianòs, p. 303, n. 5. 95 Georg Tanner (ca. 1515/1520-1580/1581) fu un filologo austriaco. Le Storie di Giovio e
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esse puto. Paulus Manutius prae manibus habet libros de Romanorum magistratibus. Expectatur Isocrates emendatior a Venetis. Arnoldus Arlenius molitur graecos commentarios in totum Platonem. Ego superiore anno meam interpretationem recognoui, ac totum ferè orationis genus mutaui. Misi ad Oporinum, qui, si promissis stabit, edet breui.96 Lutetiae quidem a Vascosano typographo cui tam Demosthenem quam Isocratem correctos, vt tum licuit, dedi, perfide sum delusus.97 Sed tamen ex eo incommodo id commodi nunc capio, vt succisiuis horis emendarim omnia diligentius, et Criticos minus mihi posthac pertimescendos esse arbitrer: modò Oporinus fidem seruet, et φιλαληθῶς [!] μᾶλλον ἢ τυπογραφικῶς mecum agat. Vtinam verò mensem vnum atque alterum tecum agere, et quaedam vtriusque autoris loca diligentius considerare liceret. Nam per literas tam multa commodè transigi non possunt.98 [...]
2. Wolf, Epistolae, 54 Zäh a Iohannes Oporinus, 19 gennaio 1553 [...] Tanneri literas ad me nihil necesse fuisset mitti. Nam eadem de re ad me quoque scripsit. sed propter fumos Italicos labores meos premi moleste ferrem. Habui et ego hic Isocratis vetustissimum codicem et penè carie confectum, sed nostris impressis multò corruptiorem.99 Neque ego in ijs orationibus et epistolis quas habemus, vltra 4 aut 5 loca esse puto vllius momenti ad corrigendum, etsi ipsius autoris αὐτόγραφον haberemus. Iam ex Plutarcho et Dionysio notum est, olim 60 orationes eius nomine circumferri solitas, quarum praeter 25 aut ad summum 28 reliquae omnes adulterinae sunt iudicatae: 100 et maleuolentiae accusatur Aristoteles, qui δεσμὰς [!] πάνυ πολλὰς δικανικῶν ἰσοκράτους λόγων venditari a Bibliopolis le Pandette uscirono nel 1553 per le stampe di Laurens van den Bleeck (Lorenzo Torrentino) a Firenze, cfr. Moreni, Annali, pp. 222, 227. 96 L’interpretatio è la traduzione di Isocrate di Wolf del 1548, da lui rivista (orationis genus mutaui) e inviata nella versione aggiornata a Oporinus il 27 novembre 1552, v. Wolf, Epistolae, 50 Zäh. 97 Già all’inizio del 1551, Wolf aveva dato allo stampatore Michel Vascosan di Parigi una versione emendata della sua traduzione di Isocrate, che non fu stampata fino al 1553, cfr. l’elenco delle opere di Wolf in Zäh, Commentariolus. Ancora nel gennaio del 1553, nel timore che Vascosan non stampasse più l’Isocrate, Wolf insisteva affinché la versione emendata fosse stampata al più presto presso Oporinus, dove finalmente uscì, nell’agosto del 1553, secondo i dati offerti nel colophon, Wolf, Isocrates 1553. 98 Nonostante questa affermazione, almeno una volta Wolf chiese per litteras l’opinione di Camerarius su alcuni passi di Isocrate, cfr. supra, p. 185, n. 72. 99 Si riferisce al Vat. Pal. gr. 135. Wolf non esaminò mai il codice, che si trovava allora nella biblioteca di Ulrich Fugger, il fratello di Iohannes Iacob Fugger presso il quale Wolf lavorava quando scrisse la lettera, ma si fece comunicare da Edward Henryson, l’insegnante scozzese di greco di Ulrich, alcune lezioni citate poi nell’editio maior del 1570, nelle castigationes, come lezioni del codex Fuggeranus, cfr. Martinelli Tempesta – Pinto, Isocrate «vetustissimus». 100 [Plut.] Vit. X or. 838d: Φέρονται δ’ αὐτοῦ [scil. Ἰσοκράτους] λόγοι ἑξήκοντα, ὧν εἰσι γνήσιοι κατὰ μὲν Διονύσιον εἰκοσιπέντε, κατὰ δὲ Καικίλιον εἰκοσιοκτώ, οἱ δ’ ἄλλοι κατεψευσμένοι. L’affermazione attribuita a Dionigi non si trova nei suoi scritti oggi a noi conosciuti.
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scripserit.101 Verùm esto, sit vaenalis ille et propter venditionem laudatus abunde codex, et emendatior et copiosior nostro: si vera fama est, editum iam esse oportet, atque ad me breui perferetur. Dum igitur tu nostras lucubrationes excudes, relegendi copia, et quae accesserint et annotandi et conuertendi dabitur, vt vel in fine tuae editionis, vel separatim exprimantur: quando ad proximas nondinas edere non poteris. sed si expectas Italicam etiam vel Robortelij 102 vel alterius conuersionem eamqúe meis aerumnis anteponis: equidem non obstabo vel lucro tuo vel publicae vtilitati, modò meos mihi codices quamprimum remittas, vt meis rebus et ipse tempestiue consulam. Cur Brubachiano codice potius quam tuo graeco sim vsus: 103 non aliud in causa fuit, quàm quod hic nullum alium codicem cuius margines vacuae essent, nancisci licuit. eoqúe nomine irasci mihi non debes. In Demosthene, Vlpiano, Aeschine pergo vt caepi, sed vt verum fatear, animo indies magis ac magis remollescente atque abhorrente, cum video cuiusuis Italici corui crocitationem satis esse ad meam existimationem deprimendam atque obliterandam. neque me parum terret Vascosani fides, cui me fidem habuisse ita paenitet, vt dubitem an vlli mortalium posthac sit habenda fides. Haec tibi scribo, Mi Oporine, non iratus, (neque enim irascendi tibi causam habeo, et, vt haberem, scio me nihil proficere) sed partim tui consolandi causa, quanquam mea consolatione non eget prudentia tua, vt videas non tibi soli res minus ex animi sententia succedere, partim leuandi animi mei causa, vt aequam vterque alterius molestiarum partem κατὰ διαδοχὴν feramus, donec tempus ipsum eas concoxerit. Nam ego quidem stomacho sum imbecilliore, tametsi plurima per omnem aetatem mihi parum iucunda deuorarim. [...] Vt Isocrates ad nondinas absolui non possit, velim tamen absolui non multò post, et aliquot exemplaria statim ad me mitti. Sin ne illud quidem facere vis aut potes: peto a te ac f lagito, vt Doctori Cellario 104 cui hac de re scripsi, meos codices tradas. Equidem non ita vrgerem editionem, nisi te autore tantos labores cepissem, et a Vascosano derisus et deceptus essem, ac facile paterer primam editionem penitus interire, ac meum nomen perpetuò ignorari, nisi recognitiones 105 decuplo plus molestiarum mihi attulissent, quas pensari aequum 101
Aristot. fr. 128 Gigon = Dion. Hal. Isocr. 18, 2-4.
102 Cfr. A. Carlini, L’attività filologica di Francesco Robortello, «AASLU», s. VII, n. VII, 1967,
pp. 53-84. 103 La Brubachiana delle orazioni di Isocrate uscì a Francoforte nel 1540 [VD 16 I 390], l’Oporiniana delle orazioni nonché delle lettere a Basilea nel 1546 senza menzione dello stampatore [VD 16 I 391]. Siccome Wolf già nella praefatio delle castigationes, allegate alla sua traduzione di Isocrate del 1548, parla della Oporini nostri editio (Wolf, Isocrates 1548, II, p. 1), l’attribuzione dell’edizione basileese del 1546 a Oporinus è nonostante tutto quasi sicura perché, fra le edizioni basileesi anteriori al 1548, l’unica conosciuta è l’anonima del 1546. Nella praefatio delle castigationes dell’editio maior del 1570, Wolf menziona fra le edizioni da lui utilizzate ancora una volta la Brubachiana e la Oporiniana (Wolf, Isocrates 1570, II, p. 806, 4-6). Sul problema delle fonti del testo dell’Isocrate di Wolf cfr. Martinelli Tempesta, supra, pp. 148-149. 104 Su Martin Cellarius, professore di teologia a Basilea, cfr. F.W. Bautz, Borrhaus, Martin, in BBKL I, 1975, coll. 707-708. 105 Si riferisce alla revisione per la seconda edizione.
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est aliqua saltem accessione famae, quoniam meus Mercurius λόγιος duntaxat est, non etiam ἐριούνιος. Doleo profectò ex animo incommoda tua, eisqúe mederer si possem: neque postulo vt quicquam mea causa facias, quod tibi fraudi sit. illud peto, ne me impedias quo minus opera mea per alios quamprimum edantur. Quòd si Frobenius 106 Isocratem recudere noluerit (nam de eo scripsi ad D. Cellarium) cura quaeso vt quamprimum ad me reportetur. Malo enim apud me esse, ac non recuso ipse Venetias proficere potius quam committere, vt intereat. Si vero nec ipse excudere caeperis, nec Frobenio recepturo tradideris, nec, si is aspernabitur, ad me remiseris: et magnas molestias me capere, et sumptus non paruos facere coges, dum dissipatas archetypi chartas colligo et describendas curo. Quiduis enim perpeti certum est, dum voti mei aequissimi compos fiam. Vtinam verò tibi et libeat et liceat gratificari, atque amicitiam nostram nulla querela contaminatam conseruare. Praefationem remittet Dominus 107 per suorum quendam circa Bachanalia vt habeas. Vale felicissime cum omnibus tuis. 19 Ianuarij Anno 1553. Hiero[nymus] Wolfius T[uus].
Siccome Wolf non era sicuro che Oporinus avesse ricevuto questa lettera, il 5 febbraio ne inviò una seconda nella quale insisteva, con altre parole ma con argomenti simili, affinché si stampasse subito il suo Isocrate e cercava di dissipare i dubbi nati da voci intorno all’Isocrates emendatior.108 La controversia con Oporinus continua in una lettera dell’11 febbraio 109 e si risolve positivamente il 23 marzo,110 quando Wolf, dopo aver ricevuto una prova di stampa da Oporinus, scrive con tono gioviale, scusandosi per il precedente comportamento brusco,111 sottolineando ancora una volta la sua disapprovazione per quanto aveva scritto Tanner sull’Isocrates emendatior: Nam Tanneri fumi cuiusmodi fuerint, si mihi non credidisti, ex eius literis quas ad te mitto intellige: cuius hominis χρηστολογίας καὶ πολυπραγμοσύνην mearum rerum, ut uerum fatear, moleste fero. Nam cum absentem in Gallijs calumniatus sit, nunc sub amicitiae specie phaleratis uerbis me deridere videtur, et rebus meis incommodare velle: cum ego neque bene neque male de eo sim vnquam meritus.
106 Sull’eminente stampatore Hieronymus Froben cfr. F. Hieronymus, Froben, Hieronymus, in HLS IV, 2005, pp. 842-843. 107 Cioè Iohannes Iacob Fugger. 108 Wolf, Epistolae, 56 Zäh. 109 Wolf, Epistolae, 57 Zäh. 110 Wolf, Epistolae, 60 Zäh. 111 Un motivo centrale per Wolf sembra essere stato l’ambizione: famam meam, quae unicum est laborum meorum praemium (nam caeteris quae consecutus sum, sine vlla eruditione ampliora consequi potuissem) non magis mihi negligendam censeo quam uitam (Wolf, Epistolae, 60 Zäh).
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Di questa lettera furono redatti due esemplari. Wolf inviò l’originale scritto di sua mano nonché la menzionata lettera di Tanner a Francoforte, dove si trovava Oporinus, e inviò invece una copia scritta da altri, senza la lettera di Tanner, a Basilea. È conservata soltanto la copia basileese, sul margine della quale Wolf riassunse, di sua mano, il contenuto della lettera di Tanner: Misi Tanneri literas Francofordiam cum meo αὐτογράφῳ, sed summa est, Sophianum Isocratem reliquisse Florentiae, nec excusum iri breui. Oesyander 112 Sophianum illudere hominibus callide credit, ne dare librum inspiciendum cogatur.
La corrispondenza di Wolf ci presenta solo frammentariamente le novità del 1552-1553 sull’Isocrate di Sofianòs, novità che risvegliarono all’epoca un grandissimo interesse nella cerchia dei filologi.113 Ci sono giunte però solo le lettere di Wolf e non quelle dei suoi destinatari: dovremo perciò reperire altri documenti a sostegno della nostra argomentazione. Tanner si iscrisse all’Università di Padova nell’autunno del 1552.114 Può aver ricevuto l’informazione che l’Isocrate di Sofianòs si trovava a Firenze, come già quella sull’Isocrate di Sofianòs documentata il 14 gennaio 1553 nella corrispondenza di Wolf,115 nella cerchia umanistica padovana della quale facevano parte, tra gli altri, Robortello e Sofianòs. La correttezza di questa informazione viene consolidata, se si interpreta in rapporto alla corrispondenza di Wolf la lettera scritta da Sofianòs a Venezia il 16 novembre 1552 al filologo fiorentino Piero Vettori (1499-1585), una lettera finora non pienamente compresa nel suo contenuto: Di quanto mi dice del Torrentino non mi fu nuovo, et io son già stanco, et se non fusse il desiderio che ho di godere la S.V. et conferir con essa lei gli miei dubbi, io ero quasi risoluto di lasciare l’impresa. pure staremo a vedere. Se nella venuta del Scotto 116 sarà fatta qualche deliberatione harrò molto caro che V.S. m’avisi. non altro.117 112 Helmut Zäh mi ha gentilmente comunicato che questo Oesiander non è da identificare con il famoso orientalista Iohannes Albrecht Widmanstetter, per il quale cfr. I. Guenther – P.G. Bietenholz, Johann Albrecht Widmanstetter, in ContEras III, 1987, pp. 443-444, ma con Daniel Widmann di Basilea, un amico di Wolf, menzionato ad es. anche nel Commentariolus, XXI 3 Zäh. 113 Un interesse che già indicava l’autore anonimo dell’oratio funebris di Sofianòs (Ambr. N 156 sup., f. 91r, pubblicata in Meschini, Sofianòs, p. 16): [...] quem [scil. Sophiani Isocratem] omnes qui ubique sunt optimorum studiorum amantes summe expectabant [...]. 114 Cfr. F. Gall, Georg Tanner. Ein Waldviertler Gelehrter des 16. Jahrhunderts, in V. Flieder (ed.), Festschrift Franz Loidl zum 65. Geburtstag, II, Wien, Hollinek 1970, pp. 118-131: 119. 115 In proposito v. la lettera 1: Expectatur Isocrates emendatior a Venetis. 116 Per questo Scotto, identificato da Meschini, Sofianòs, p. 75, con il filologo Henry Scrimgeour, cfr. infra p. 200. 117 Meschini, Sofianòs, p. 64 n. II, 1. Per lo stato attuale della ricerca cfr. Meschini, Sofianòs, p. 75.
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Questa impresa, della quale si parla nella lettera e che Sofianòs progettava di portare a termine con il famoso stampatore fiorentino Lorenzo Torrentino, è facile immaginare che fosse un’edizione. Se mettiamo in relazione questa informazione con quanto scrive Tanner, Sophianum Isocratem reliquisse Florentiae, nec excusum iri breui, del quale Wolf dispose al più tardi quattro mesi dopo, cioè il 23 marzo 1553, ne risulta la ricostruzione seguente: Sofianòs avrebbe preso contatto riguardo a Isocrate (e sembra chiaro che si trattava proprio di Isocrate, perché per quel periodo non abbiamo notizie di un impegno di Sofianòs su altri autori greci) con Torrentino, allora l’unico in grado di stampare a Firenze un’edizione greca di grandi pretese, e Vettori, insieme con un altro grande filologo del tempo, Henry Scrimgeour, sarebbe stato coinvolto in qualche modo in questo progetto. Torrentino invece, che di solito non amava stampare testi greci,118 non profuse il suo impegno, tanto che l’impresa fu sospesa. Le notizie successive sull’Isocrate di Sofianòs nella corrispondenza di Wolf compaiono in una lettera del 18 novembre 1554. Si tratta dell’estratto di una lettera di Tanner a Wolf, che Wolf allega a uno scritto inviato a Oporinus: 119 Michaël Sophianus 120 Chius Francisci Robortelli iuditio omnium Graecorum quos hodie nouit, eruditissimus, conspecto tuo Isocrate graecolatino, putat te ab Henrico Stephano Roberti filio commonefactum, multa σφάλματα sustulisse et emendasse. Ostendit enim illi Venetijs suum Isocratem integerrimum omnium vt D. Robortellus iudicat, exemplarium: et graecis argumentis et scholijs eruditè illustratum: 121 Sed opinor illum postrema editione deterritum esse. Isocrates tuus et graecè et latinè bellissimè loquitur: ipsius vero graecè tantum sonat: neque Sophianus vix tria verba latina facere potest. Quod quidem D. Robortellus in omnibus Graecis vehementer miratur, quo minus sibi tollerabilem scribendi et dicendi facultatem comparare possint, excepto vnico Gaza. Expectamus auidissime tuum 118 F. Slits, Laurentius Torrentinus. Drukker van Cosimo hertog van Florence, Gemert, Heemkundekring «De Kommanderij Gemert» 1995, p. 79. Si può, inoltre, congetturare che l’unico testo greco mai stampato presso Torrentino, il Clemente di Alessandria edito da Vettori nel 1550 (cfr. Moreni, Annali, p. 91), abbia stimolato Sofianòs a prendere contatto con Vettori e Torrentino riguardo al suo Isocrate. 119 Ringrazio Helmut Zäh per avermi spiegato il carattere di questa aggiunta. 120 Si tratta della prima attestazione del nome di Sofianòs nella corrispondenza di Wolf. 121 Deve concernere una stampa con aggiunte manoscritte di Sofianòs l’informazione che l’exemplar di Sofianòs contiene anche argumenta e scholia perché in Ε non si trovano né gli argumenta medievali né scoli sostanziali, cfr. il lemma ad Ε in E. Martini – D. Bassi, Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Ambrosianae, Mediolani, Hoepli 1906, II, pp. 602-603, dove si fa menzione solo di raro in margg. hic illic variae lectiones et scholia in Isocratem. Su due Aldine del 1513 nella Biblioteca Ambrosiana i cui ampi marginalia attestano il progetto editoriale di Sofianòs cfr. Martinelli Tempesta, Sofianòs, pp. 301-316 e infra p. 198.
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OSSERVAZIONI SULLA RICEZIONE DELL’ARCHIDAMO
Graecolatinum Demosthenem. Isocrates tuus passim cupidissimè distrahitur, nec dubito idem in Demosthene euenturum.122
La lettera di Tanner conferma il resoconto un po’ dubbio di Giuseppe Giusto Scaligero a Jan Gruter, secondo il quale un certo Nicola Sofianòs avrebbe fatto vedere il Panatenaico oppure il Panegirico tribus foliis auctiorem (ma non parla dell’Antidosi) a Estienne.123 Qualche anno dopo Sofianòs pare essersi convinto a posteriori dell’innocenza di Estienne o comunque non nutrire rancore, poiché all’inizio del 1559, per quanto sappiamo, vorrà incaricarlo di stampare l’Isocrate.124 Dopo che il progetto di una stampa del suo Isocrate presso Estienne fallì per ragioni a noi oggi sconosciute, Sofianòs programmò un’edizione presso Oporinus. Nella corrispondenza di Wolf, in una lettera del 25 agosto 1561, si trova la breve annotazione Isocratem Sophiani cum accepero, conferam, et quicquid operaeprecium videbitur vel corrigam vel addam.125 L’annotazione deve riferirsi a una lettera non conservata di Oporinus, visto che, da quando si erano diffuse voci su un’imminente stampa dell’Isocrate di Sofianòs nell’officina di Estienne, Wolf non aveva più menzionato il progetto che gli faceva concorrenza. È a fronte di un contatto fra Sofianòs e Oporinus nell’estate del 1561, un contatto finora ignoto e ancor oggi oscuro, ma che certo è sotteso all’annotazione di Wolf, che dobbiamo leggere la lettera del novembre dello stesso anno, finora la più antica testimonianza per l’Isocrate di Sofianòs: 126 Μιχαῆλος Σοφιανὸς Ἰωακείμῳ Καμεραρίῳ εὖ πράττειν. ἐπίστελλε Ὀπωρινῷ, ὡς ἔγωγε, καίπερ πολλῶν τε καὶ ἄλλων ἐγκειμένων, οὐχ ἥκιστα δὲ Παύλου τοῦ Ἄλδου υἱέος, ἐκείνῳ μᾶλλον ὑπισχνοῦμαι δώσειν τὼ βιβλίω, σοί τε μάλιστα χαρίσασθαι 122
Wolf, Epistolae, 83 Zäh.
123 Scaligero, Epistolae, n. 431, pp. 790-791, del 21 maggio 1607. L’oscillazione fra il Panate-
naico e il Panegirico è ovviamente dovuta a un errore dello Scaligero. Per l’equivoco di Michele con Nicola Sofianòs in questa lettera cfr. Pinto, Isocrate, pp. 78-79. Inoltre, la nota ἐν τῷ τοῦ ἐρρίκου εἶχε παραναγι- a margine del testo di Isocr. Panath. 17 nelle due Aldine dell’ambiente di Sofianòs già menzionate si riferisce alla lezione corretta παραναγιγνώσκοντες di Henri Estienne in luogo dell’errore παραγινώσκοντες delle prime edizioni a stampa e attesta il contatto fra il francese ed il chiota, come segnala Martinelli Tempesta, Vicende, p. 294, n. 41. La correzione παραναγινόσκοντες (sic) si trova poi in Wolf, Isocrates 1553, p. 506, e viene attribuita a Guillaume Budé in Wolf, Isocrates 1570, II, p. 827, 7. 124 Wolf, Epistolae, 165 Zäh a Iohannes Oporinus, 13 aprile 1559: Isocratem etiam a Sophiano breui ad Henricum Stephanum missum iri audio, cuius conuersionem nouam inuidebo nemini. L’ipotesi di Martinelli Tempesta, Vicende, p. 294, che Estienne abbia ritardato fino al 1593 la stampa delle opere dell’oratore attico nella speranza di poter stampare un giorno l’Isocrate di Sofianòs, viene confermata da questa lettera. 125 Wolf, Epistolae, 204 Zäh. 126 Pinto, Isocrate, p. 73.
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βουλόμενος κἀκεῖνον πολλῶν ἕνεκα τῶν ἄλλων προτιμῶν· τὰς μὲν οὖν τοῦ Ζωναρᾶ ἱστορίας, εἴγε πάντως ἐκδοῦναι βούλεται τὸ δεύτερον, αὐτὸς κομιεῖς ἀπιέναι μέλλων εἰς Γερμανίαν· οὕτω γὰρ ἄμεινον ἅμα καὶ ἀσφαλέστερον ἕξειν δοκεῖ μοι.127 τοὺς δὲ λόγους τοὺς Ἰσοκρατείους δεῖ με πρότερον ἐπιμελέστερον ἐπελθόντα καὶ τοῖς ἐπιδιορθωθεῖσι τῶν χωρίων ἐπιστήσαντα πραγματείαν καταβαλέσθαι τοιαύτης δή τινος ἐχομένην ὑποθέσεως· δεῖ δή μοι σχολῆς τε καὶ χρόνου, πάντως μέντοι καὶ τούτους ἐνιαυτῷ ὕστερον πέμψαι διανοοῦμαι. τάχιον δ’ οὐ πάνυ τι διϊσχυρισαίμην, ἄλλως τε καὶ νοσώδης ὢν ὡς οἶσθα καὶ κλινήρης τὰ πολλά, ἔτι δὲ φροντίσι τε καὶ συνεχέσι περισπώμενος ἀσχολίαις. ταῦτα μὲν οὖν σύ τε γράφε, κἀγὼ δὲ περὶ τῶν αὐτῶν τούτων ἐπιστολὴν ἐπέθηκα τοῖς περὶ Ὀπωρινόν, ἣν ἀναγνοὺς καὶ σημηνάμενος, ἀπόπεμψον· περὶ δὲ τῶν ἄλλων ὅσα ἐς τὰς ξυμβάσεις ἥκει, διαλήψομαι σοῦ παρόντος. ἔρρωσο. Πυανεψιῶνος ζ’ φθίνοντος ‚αφξα’ ἐκ Παταβίου.128
Ma anche dopo l’anno di proroga che Sofianòs chiese a Oporinus nella lettera, l’Isocrate non arrivò mai a Oporinus e a Wolf. Il progetto si arenò: l’Isocrates emendatior non viene più menzionato nella corrispondenza posteriore di Wolf. E l’Isocrate non fu dato alle stampe nemmeno dopo la morte di Sofianòs nel 1565. Suo zio nonché erede Nicola Petrococchino aveva, infatti, ignorato l’obbligo testamentario esplicito di cercare uno stampatore per l’Isocrate medio et auxilio domini Petri Victorii patritii Florentini aut alterius idonee persone 129 e conservò, per qualche tempo, a Venezia il manoscritto Ε – nonché probabilmente anche la Druckvorlage, che era stata già redatta – severamente protetto dagli occhi curiosi di Gian Vincenzo Pinelli e dello stesso Vettori.130 Più tardi troviamo Ε a Chio e nel 1606 a Milano, dove oggi si trova.131 Non realizzò un’edizione nemmeno il fiammingo Nicasius Ellebodius, collaboratore stretto per l’edizione di Isocrate e possessore di almeno una copia della Druckvorlage di Sofianòs, benché forse non del testo completo dell’Antidosi di Ε.132 127 La prima edizione di Zonara fu realizzata da Wolf nel 1557 [VD 16 J 811], lo Zonara di Sofianòs invece non fu stampato mai, cfr. Meschini, Sofianòs, p. 74. 128 Meschini, Sofianòs, pp. 62-63 n. I 5. 129 Il testamento (Archivio di Stato di Padova, Liber extensionum Gasparis Villani notarii 1562-1564, ff. 87-88) è citato da Meschini, Sofianòs, p. 23. Si consideri che probabilmente già nel 1552 Sofianòs prese contatto con Vettori riguardo al suo Isocrate, cfr. supra, pp. 195-196. 130 Per la custodia di Ε da Petrococchino cfr. Martinelli Tempesta, Notizie, pp. 285-297, soprattutto pp. 291-292, 295-296, con due lettere a Vettori dell’11 gennaio e del 26 dicembre 1578, nelle quali Pinelli riferisce i vani tentativi di vedere Ε. La Druckvorlage, un’Aldina del 1513, è stata scoperta da Stefano Martinelli Tempesta nella Biblioteca Ambrosiana (segnatura S. Q. I. VIII. 8); non è certo, ma possibile, che ci sia giunta insieme ad Ε, cfr. Martinelli Tempesta, Sofianòs, pp. 305-309. 131 Meschini, Sofianòs, pp. 94 e 99. 132 Martinelli Tempesta, Sofianòs, pp. 308-309 e 312-313. Oggi la copia di Ellebodius è ugualmente nella Biblioteca Ambrosiana (segnatura S. Q. I. VII. 6).
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OSSERVAZIONI SULLA RICEZIONE DELL’ARCHIDAMO
L’esame della corrispondenza di Wolf rende possibile trarre sull’Isocrate di Sofianòs le conclusioni seguenti: – Sofianòs lavorò prima di quanto si è finora ritenuto per la sua edizione. La prima attestazione probabile porta la data del 16 novembre 1552,133 la prima certa quella del 14 gennaio 1553.134 – Wolf ebbe conoscenza prima di quanto si è finora ritenuto dell’Isocrate di Sofianòs. La prima attestazione porta la data del 14 gennaio 1553.135 – L’annuncio del progetto in concorrenza di Sofianòs indusse Wolf a parlare per la prima volta a Oporinus del codex Fuggeranus,136 del quale variae lectiones sono menzionate nell’editio maior del 1570. È l’unico manoscritto di Isocrate di cui – almeno in modo indiretto – Wolf fece certamente uso. – Non si può escludere la possibilità che lezioni di Ε siano presenti nell’edizione di Estienne del 1593, visto che Sofianòs mostrò il suo Isocrate a Estienne.137 – Il sospetto, espresso secondo Tanner da Sofianòs, che Estienne abbia comunicato a Wolf lezioni di Ε poi conf luite nell’edizione del 1553, non viene rafforzato dalle fonti oggi conosciute.138 – Non è chiara l’indicazione che offre il riassunto di Wolf di una lettera di Tanner Sophianum Isocratem reliquisse Florentiae, nec excusum iri breui.139 Benché sia stato dimostrato sopra che in quel periodo Sofianòs stava negoziando l’edizione del suo Isocrate con Torrentino, non è certo che abbia lasciato presso lo stampatore fiorentino una Druckvorlage: non è verosimile che Ε stesso con il preziosissimo additamentum all’Antidosi si sia mai trovato incustodito a Firenze, ma forse una stampa con variae lectiones riprese dal manoscritto oppure, e più probabilmente, solo una parte del corpus Isocrateum per una prova di stampa. Se davvero ci furono a Firenze parti dell’Isocrate di Sofianòs, forse portate qui dallo stesso chiota, come risulta dal riassunto di Wolf,140 allora si può considerare se qualcuno le abbia prese 133
Meschini, Sofianòs, p. 64 Nr. II, 1. Lettera 1. 135 Lettera 1. 136 Lettera 2. 137 Wolf, Epistolae, 83 Zäh. 138 Per i contatti fra Estienne e Wolf cfr. supra, p. 182, n. 58. 139 Wolf, Epistolae, 60 Zäh. 140 Una lettera greca di Sofianòs a Vettori attesta almeno una visita del chiota a Firenze, dove Vettori faceva da guida, cfr. Meschini, Sofianòs, p. 57 n. I, 2, 23-27. Poiché la lettera data alla primavera del 1559, non è una prova certa che Sofianòs sia stato a Firenze prima di aver scritto l’epistola italiana a Vettori del novembre 1552 citata supra, p. 195 (Meschini, Sofianòs, p. 64 n. II, 1). Quindi l’informazione di Tanner menzionata da Wolf non viene confermata ma nemmeno confutata. 134
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in esame e ne abbia comunicato lezioni a Wolf. In base allo stato attuale della ricerca, questo ruolo di informatore si può attribuire solo a Henry Scrimgeour.141 Lui, lo Scotto della lettera di Sofianòs a Vettori,142 potrebbe aver colto l’occasione di studiare una Druckvorlage di Sofianòs nell’officina di Torrentino. Scrimgeour, in quanto incaricato di ricercare libri per i Fugger, avrebbe avuto plausibili motivi per comunicare lezioni di Ε al suo quasi collega Wolf, che nel 1553 dirigeva, appunto, la biblioteca di Iohannes Iacob Fugger.143 E la comunicazione potrebbe essere stata diretta o anche mediata tramite il suo amico intimo Henryson, che dal 1547 fino al 1553 lavorò ad Augusta presso Ulrich, il fratello di Iohannes Iacob Fugger.144 Questa ipotesi, però, al pari del sospetto contro Estienne, resta pura speculazione. È invece più verosimile l’ipotesi 145 che Sofianòs abbia tenuto tranquillo Tanner, per non dovergli dare accesso al suo Isocrate, con la verità parziale che il suo Isocrate era a Firenze per essere stampato, mentre in realtà una stampa eventuale era ancora in discussione.146 141 Come informatori di Wolf sono infatti da escludere altri due filologi. L’ungherese András Dudith non avrebbe certo scritto, in una lettera a Wolf del primo settembre 1577, di aver preso visione dell’Isocrate di Sofianòs in una data non specificata, se gli avesse già comunicato variae lectiones quasi 25 anni prima. La lettera è pubblicata parzialmente in Meschini, Sofianòs, pp. 91-92: vidi apud Michaelem Sophianum, ante aliquot annos, amicissimum olim meum, Isocratem et emendatiorem et copiosiorem quam qui vulgo typis tum editi extabant. Ellebodius invece, che nel 1565 forse comunicò il decesso di Sofianòs a Wolf (cfr. Wolf, Isocrates 1570, II, p. 805, 15-20), era ancora studente a Lovanio attorno al 1553 e non conobbe Sofianòs se non nel 1562 a Padova. Cfr. S. Kovács Romano, Nicasius Ellebodius Casletanus tra Padova e Posonio, in L. Rotondi Secchi Tarugi (ed.), Rapporti e scambi tra umanesimo italiano ed umanesimo europeo, Milano, Nuovi Orizzonti 2001, pp. 679-690: 681-682, Martinelli Tempesta, Vicende, p. 289. Ellebodius è qualificato come amicus in Wolf, Isocrates 1570, II, p. 805, 20, ed è chiaro che l’amicizia fu coltivata per litteras, benché il fiammingo non compaia come corrispondente nelle lettere conservate di Wolf. Ellebodius è probabilmente l’autore dell’oratio funebris anonima per Sofianòs (Ambr. N 156 sup., ff. 82r-96v; pubblicata parzialmente da Meschini, Sofianòs, pp. 10-18) perché vi si legge (p. 14 Meschini): Hieronimus (sic) Bolfius doctissimus vir, et humanissimus, quod iudicium de Sophiano habuerit, ne longius petantur argumenta, ex ipsius ad me literis docere possum, e perché l’altro possibile autore menzionato da Meschini, Sofianòs, pp. 25-26, Francesco Davanzati, non sembra aver avuto contatti con Wolf. Su Wolf, Ellebodius e Dudith cfr. anche Pinto, Isocrate, pp. 74-75. 142 Meschini, Sofianòs, p. 64 n. II, 1. 143 Wolf, Commentariolus, XXII 5 Zäh. 144 C’è una sola menzione occasionale di Scrimgeour nella corrispondenza di Wolf, in una lettera del 7 marzo 1561 a Camerarius (Wolf, Epistolae, 193 Zäh). Per Scrimgeour e Henryson cfr. J. Durkan, Henry Scrimgeour, Renaissance Bookman, «Edinburgh Bibliographical Society Transactions», V.1, 1978, pp. 1-31: 2-4; M.-C. Bellot Tucker, Maîtres et étudiants écossais à la faculté de droit de l’Université de Bourges aux XVIe & XVIIe siècles, I-II, Lille, Atelier National de Reproduction des Thèses 1997, pp. 269-270, 337, 414-432. 145 Suggeritami da Stefano Martinelli Tempesta, che ringrazio. 146 Tanner sembra esser stato di carattere difficile. Cfr., oltre al giudizio di Wolf nell’epi-
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– Poiché, stando alla documentazione a nostra conoscenza, non abbiamo prove sicure che Wolf sia stato informato da Estienne o da Scrimgeour su lezioni di Ε, conviene considerare i non rari casi in cui Wolf propone, nella sua edizione del 1553, lezioni conformi a Ε (il totale delle quali aumenterà ancor più nell’editio maior del 1570) 147 come congetture, che attestano la sua grande competenza filologica. – È notevole che, tranne la lettera di Sofianòs del novembre 1552, non ci sia evidenza che Vettori sia stato coinvolto nel progetto isocrateo di Sofianòs: né nel resto della corrispondenza tra Vettori ed il chiota giunta fino a noi,148 né nel passo del suo commento alla Retorica di Aristotele,149 né infine nelle lettere di Pinelli a lui indirizzate.150 In base alle lettere di Pinelli, Vettori, benché avesse utilizzato diversi manoscritti fiorentini di Isocrate per le sue copiae Victorianae,151 sembra non aver mostrato interesse per le correzioni annotate da Sofianòs a margine di una stampa di Isocrate appartenente a Pinelli 152 e aver considerato solo il testo più completo di Ε, forse stola, 60 Zäh, citata supra, p. 194, anche il rapporto tra Scrimgeour e Tanner intorno all’edizione delle Novelle di Giustiniano ricostruito in P. Noailles, Deux manuscrits d’humanistes et l’édition des Novelles de Justinien et de Léon le Sage, «BSAF», 1941, pp. 81-113: 91-100. 147 Cfr. Martinelli Tempesta, supra, pp. 154-157. 148 Edita in Meschini, Sofianòs, pp. 52-69. 149 Si è finora supposto che Vettori avesse avuto tutte le informazioni sull’Isocrate di Sofianòs da Giustiniani e Pinelli in base al passo di Petri Victorii commentarii in tres libros Aristotelis de arte dicendi. Positis ante singulas declarationes, valde studio et nova cura ipsius auctas, Graecis verbis auctoris, ijsque fideliter Latine expressis. Cum vetere exquisitio indice, cui multa addita sunt, modo animadversa, Florentiae, Ex officina Iunctarum 1579, p. 718: [...] commodum mihi est narrare, quod a doctissimis viris, et magna virtute dignitateque praeditis accepi, Angelo Iustiniano episcopo, ac Ioanne Vincentio Pinellio, Michelem Sophianum, Graecum hominem, amicum utriusque horum, et meum quoque non parvum, nactum fuisse vetus exemplar Isocratis, in quo et quae divulgatae sunt huius diserti scriptoris orationes leguntur: et praeterea fragmentum quoddam alius, quae adhuc in occulto latet: cuius, pusillae partis ipsius (vt aiunt) tres loci citati sunt ab Aristotele in hoc libro [scil. nella Retorica]. Ma adesso sappiamo che l’indicazione della fonte fa riferimento solo all’informazione sul fragmentum, mentre il fiorentino era a conoscenza già da tempo dell’esistenza di Ε. Cfr. Pinto, Isocrate, pp. 75-77. 150 Edite in Martinelli Tempesta, Notizie, pp. 291-296. 151 Le copiae Victorianae, postille autografe in un’Aldina, sono oggi conservate presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (segnatura Res. 2° A gr c 19). Sulle sue fonti cfr. Martinelli Tempesta, Vicende, pp. 297-311. 152 Cfr. la lettera di Pinelli a Vettori dell’11 gennaio 1578, edita in Martinelli Tempesta, Notizie, p. 291: «È ben vero che, quando egli si partì per Savoia al servizio di quel Duca, mi forzò a mettere su’ un mio testo alcune delle correttioni di quel suo testo tanto lodato da lui, le quali io ricusava di volere per la caggione sudetta [scil. per un certo rispetto ch’avea di chiederli cosa, ch’egli prometteva di mandare alle stampe], ma, con tutto ciò, non v’erano rimessi quelli pezzi d’orazioni sì che fu un dono artificioso, perché non vi sono cose da stimarle più che tanto.» La stampa con i marginalia di cui parla Pinelli è stata messa in relazione con un esemplare utilizzato da Andreas Mustoxydis agli inizi dell’Ottocento da Martinelli Tempesta, Notizie, p. 293.
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perché aveva a quel tempo già concluso il suo impegno critico sul testo a stampa di Isocrate.153
153 Non sappiamo quando Vettori iniziò le sue indagini sulla tradizione testuale di Isocrate. La traduzione latina dell’Areopagitico (Ambr. D 462 inf., ff. 193r-200r) nonché la digressione già menzionata sull’Isocrate di Sofianòs nella terza edizione del suo commento alla Rhetorica di Aristotele sono scritte nel 1579, v. Martinelli Tempesta, Vicende, 310-311, Martinelli Tempesta, Versione. * Ringrazio di cuore Maddalena Vallozza per l’invito alle giornate di studio a Viterbo e Andreina Le Foche, Stefano Martinelli Tempesta, Riccardo Taiana e Maddalena Vallozza per la correzione del testo italiano e la disponibilità. Gli errori rimasti sono miei.
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Pasquale Massimo Pinto LA RISCOPERTA DELL’ANTIDOSI NEL XIX SECOLO
1. La storia moderna del testo dell’Antidosi è la storia di una riscoperta dopo un lungo periodo di oblio. Oggi conosciamo diciassette manoscritti medievali e umanistici in cui l’opera sopravvive: da una parte i testimoni della prima famiglia della tradizione manoscritta isocratea, l’Urbinate gr. 111 [Γ, IX ex. sec.] e i suoi due discendenti (Vaticano gr. 936 [Δ, ca. 1300] e Ambrosiano O 144 sup. [Ε, XIV in. sec.]); dall’altra il Vaticano gr. 65 [Λ, a. 1063] e dodici suoi discendenti (XIV-XVI sec.), insieme con il Laurenziano Plut. 87.14 [Θ, XIII/XIV sec.], per quanto riguarda la seconda famiglia.1 Di questi manoscritti, solo ΓΔΕ e Θ conservano un testo integrale del discorso, mentre gli altri, Λ e i suoi discendenti, hanno ereditato un’enorme lacuna nell’Antidosi (72-309), un danno materiale prodottosi in un esemplare a monte di Λ che provocò la scomparsa di più di tre quarti dell’opera.2 Il testo mutilato prevalse senz’altro nell’età della stampa, poiché su manoscritti della seconda famiglia furono a lungo fondate le edizioni; 3 i manoscritti * Ringrazio Konstantina Zanou per avere messo a mia disposizione una copia della sua tesi di dottorato, Zanou, Mustoxidi, e per avermi consentito di citarla. 1 Per un quadro generale della tradizione manoscritta isocratea, oltre i fondamentali Bürmann, Überlieferung, Drerup, Isocratis opera, pp. i-xciv e Seck, Untersuchungen, si vedano ora Martinelli Tempesta, Missing ‘Archetype’, e Martinelli Tempesta, L’«archétype» manquant, da cui si possono recuperare i dati relativi ai progressi fatti negli ultimi dieci anni, sostanzialmente dalla filologia italiana. Per una rassegna dei 17 testimoni medievali e umanistici dell’Antidosi cfr. Pinto, Isocrate, pp. 36-60. Per i mss. Γ Δ Ε e Θ cfr. ora anche Fassino, Tradizione, pp. 28-32, 40-43, 66-70, 80-84. 2 Si deve postulare infatti una copia intermedia – quella in cui appunto si produsse il danno – tra Λ (in cui il testo dell’Antidosi non presenta soluzione di continuità) e il capostipite dell’intera seconda famiglia, che era integro poiché integro è l’altro, più tardo testimone primario della famiglia, Θ. Fozio e i suoi collaboratori, dal canto loro, poterono schedare nel IX secolo un codice isocrateo che conteneva un’Antidosi integra, cfr. Pinto, Manoscritto, pp. 80-81. 3 Su un apografo di Λ, il Parigino gr. 2931, si fonda prevalentemente il testo dell’editio princeps di Isocrate a cura di Demetrio Calcondila (Milano 1493), cfr. Martinelli Tempesta, Fonti. Da questa edizione, con apporti di altri manoscritti della seconda famiglia, derivarono in gran parte le edizioni dei secoli successivi.
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PASQUALE MASSIMO PINTO
privi della lacuna rimasero invece ignoti o inaccessibili. Un testimone contenente una redazione molto più ampia dell’Antidosi (Ε) riemerse, in realtà, nel XVI secolo, con la conseguente diffusione di notizie sull’esistenza di testi isocratei inediti. Ne nacque anche un progetto di edizione, che però non fu portato a compimento; di quel manoscritto integro, invece, si persero per molto tempo le tracce.4 Passarono ancora molti anni prima che un’edizione finalmente completa venisse data alle stampe nella Milano napoleonica. Anche nella sua ultima e articolata fase, tuttavia, la storia dell’Antidosi merita di essere ripercorsa. Nell’Italia dei primi decenni dell’Ottocento, la riscoperta di quelle pagine a lungo sconosciute provocò quasi una corsa all’inedito tra studiosi e letterati e fu all’origine di un notevole lavoro filologico, per lo più dimenticato. 2. Je suis bien triste et bien honteux de n’avoir rien à vous dire encore sur Dante. Mustoxidi m’a jusqu’ici donné des promesses tout comme vous. Ne doutez pas de l’intêret qu’il prend à tout ce qui vous interesse, mais le pauvre garçon est bien occupé et hélas bien triste. Il est occupé d’une découverte dont il va faire part au public. C’est une Oraison d’Isocrate (la Panatenaica je crois) qui n’avait êté imprimée jusqu’ici qu’incomplettement, et qu’il a trouvée en totalité dans un manuscrit de la Laurenziana de Florence, et dans un autre de l’Ambrosiana de Milan. Il vient d’annoncer cette trouvaille dans les journaux avec une lettre adressée à Mr. Coray.
Sono righe scritte da Alessandro Manzoni a Claude Fauriel nell’aprile del 1811.5 Il ventiseienne Manzoni si era infatti impegnato con Fauriel a collaborare ad alcune sue ricerche biografiche su Dante, grazie soprattutto all’aiuto dell’amico e coetaneo Andreas Mustoxydis.6 L’impegno, però, era stato fino a 4 Su queste vicende e sul ruolo che vi ebbe Michele Sofianòs si veda la ricostruzione di Martinelli Tempesta, Sofianòs, e Martinelli Tempesta, Vicende, nonché Martinelli Tempesta, supra, pp. 139-166, e Zingg, supra, pp. 167-202. 5 Botta, Carteggio Manzoni Fauriel, pp. 159-161: 160, secondo la grafia dell’edizione (la lettera non è datata: per la datazione cfr. ivi pp. 161-162; i dati qui raccolti contribuiscono a precisarla). La lettera era segnalata già da Gervasoni, Ambiente letterario, p. 11. Per i rapporti tra Mustoxydis e Manzoni e per un orientamento generale sulle carte di Mustoxydis cfr. Zanou, Mustoxidi, in part. pp. 77-81 e K. Zanou, Storia di un archivio: le Carte Mustoxidi a Corfù (con due lettere inedite di Manzoni e Foscolo), «Giornale storico della letteratura italiana», CLXXXIII, fasc. 604, 2006, pp. 556-576. 6 Si veda a proposito una precedente lettera di Manzoni, del febbraio 1811: «J’ai parlé tout de suite à Mustoxidi des notices littéraires dont vous avez besoin, et je dois vous dire que tout ce que vous aurez ce sera par lui, parceque j’ai vu qu’avec mon embarras et mon ignorance je n’aurais pu rien faire; ainsi soyez tranquille, il vous procurera tout ce qu’il sera possible d’avoir. Il fait à present une note des livres imprimés recemment sur Dante, et dont probablement vous n’avez pas connaissance» (Botta, Carteggio Manzoni Fauriel, pp. 148-153: 149). Sulle ricerche di
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quel momento disatteso a causa di vicende familiari e personali di Mustoxydis (tra cui la rottura del fidanzamento con Costanza, la figlia di Vincenzo Monti, cui si allude nel seguito della lettera). Ma soprattutto perché il giovane studioso greco era stato interamente preso da una scoperta importante: il ritrovamento di due manoscritti medievali di Isocrate contenenti il testo integro non già del Panatenaico – come Manzoni scriveva, facendo curiosamente un errore che anche altri in passato avevano fatto –,7 ma dell’Antidosi. I due codici erano, rispettivamente, Θ e Ε, due dei quattro manoscritti che, come si è detto, a tutt’oggi conservano il testo integrale dell’Antidosi; dei due, Ε era il manoscritto per poco tempo già riapparso nel XVI secolo. La lettera con cui Mustoxydis aveva annunciato la scoperta dell’inedito era stata pubblicata il 7 aprile 1811 (ma con la data del 4 aprile) sul primo fascicolo del «Poligrafo»,8 il vivace periodico del neoclassicismo milanese diretto da Luigi Lamberti, al quale Mustoxydis collaborava. Lo scritto era indirizzato a Adamantios Korais, punto di riferimento per gli intellettuali della diaspora greca e curatore, solo pochi anni prima, di un’autorevole edizione isocratea apparsa a Parigi presso Firmin Didot.9 La stessa lettera fu pubblicata poco dopo anche a Vienna, nella traduzione neogreca di Demetrio Schinas, su uno dei periodici più rappresentativi dell’illuminismo e dell’indipendentismo ellenico, Ἑρμῆς ὁ Λόγιος.10 L’annuncio di Mustoxydis Fauriel cfr. P. Giannantonio, Endiadi. Dottrina e poesia nella «Divina commedia», Firenze, Sansoni 1983, pp. 359-360. 7 «Sed codicem Isocratis idem Sophianus habebat, qui Panathenaicum tribus foliis auctiorem continebat» scriveva per es. Giuseppe Giusto Scaligero nel 1607 a proposito del ms. Ε, cfr. Pinto, Isocrate, p. 78. Per la persistenza del malinteso si veda la lettera di Vincenzo Monti citata infra, p. 221. 8 «Il Poligrafo» (Milano, Tip. Veladini), anno I, I, 7 aprile 1811, pp. 6-8. 9 Korais, Ἰσοκράτους λόγοι. L’edizione fu pubblicata nella «Ἑλληνικὴ Βιβλιοθήκη», la collana di scrittori greci diretta dallo stesso Korais. L’Antidosi vi si legge alle pp. 310-346 del I volume, le note sono alle pp. 232-250 del II volume. Per il testo Korais si era potuto giovare dell’antico ma mutilo Vat. gr. 65 (Λ), che era all’epoca nella Bibliothèque Imperiale di Parigi, dove era stato trasferito dopo l’occupazione di Roma da parte dei Francesi nel 1798. L’edizione di Korais fu un lavoro accurato e ampiamente documentato. Includeva, inoltre, non pochi interventi congetturali che furono in seguito confermati dalla scoperta dei mss. della prima famiglia, tra i quali, per quanto riguarda l’Antidosi, si vedano: 17 κακῶς (ed. Korais, I, p. 313; II, p. 234), 33 καταμαρτυρήσων (II, p. 235), 44 δεξαίμην ἄν (II, p. 236), 54 δοξάσαντες (II, p. 237), 312 μείζω (I, p. 344; II p. 247-248), 318 ἀποστῆναι (I, p. 345; II, p. 249). Sull’Isocrate di Korais cfr. Drerup, Isocratis opera, pp. clxxvi-clxxvii e B.G. Mandilaras, Ἡ ἔκδοση τοῦ Ἰσοκράτη ἀπὸ τὸν Ἀδαμάντιο Κοραή, in Πρακτικὰ Συνεδρίου «Κοραῆς καὶ Χίος» (Χίος, 11-15 Μαΐου 1983), I, Athina, Homereion Pneumatikon Kentron 1984, pp. 29-36. La lettera di Mustoxydis a Korais fu ripubblicata nell’edizione dell’epistolario di quest’ultimo: Dimaras – Angelou – Koumarianou – Frankiskos, Κοραής. Αλληλογραφία, pp. 101-102. 10 «Ἑρμῆς ὁ Λόγιος», I, 1 giugno 1811, pp. 173-177. La lettera con cui Schinas inviava la
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suscitò una forte aspettativa nelle cerchie erudite. Nell’estate del 1811, per esempio, il coltissimo gesuita spagnolo Juan Andrés, allora prefetto della Biblioteca Reale di Napoli, scriveva a un suo ex allievo, il bibliografo milanese Gaetano Melzi: Quando si darà alla luce il lungo frammento dell’orazione d’Isocrate trovato costì e in Firenze dal greco Mustoxidi? Il Fabricio dice che Michele Sofianòs aveva il Panatenaico d’Isocrate tribus foliis auctiorem. Il Mustoxidi ha trovate cento facciate incirca di più non nell’orazione Panatenaica, ma in quella De permutatione, dove sembra realmente che dovessero appartenere. Sarà dunque un bel regalo agli amatori della greca letteratura l’edizione di tale frammento.11
Solo nell’autunno del 1812, Mustoxydis riuscì a pubblicare i risultati delle sue scoperte e del suo lavoro a Milano, presso l’editore Destefanis,12 per il quale aveva già pubblicato, l’anno prima, Le illustrazioni corciresi. Il frontespizio della prima edizione completa dell’Antidosi recitava: Ἰσοκράτους / λόγος περὶ τῆς ἀντιδόσεως / ἤδη πρῶτον εἰς τὴν ἀρχαίαν γραφὴν διασκευασθεὶς / καὶ ὀγδοήκοντα περί που σελίδας ἐπαυξηθεὶς / σπουδῇ / Ἀνδρέου Μουστοξύδου / ἱστοριογράφου τῶν Ἰονιῶν νησῶν. / Ἐν Μεδιολάνῳ / Ἐκ τῆς τυπογραφίας Ι. Ι. Δεστεφάνου / ᾳωιβ.
L’opera presentava nell’ordine: una dedicatoria al metropolita di Valacchia Ignazio II 13 (pp. iii-iv); una lettera-prefazione a Korais datata 4 setsua traduzione era datata da Pavia il 26 aprile 1811. Alle pp. 172-173 dello stesso fascicolo si dava conto di una lettera precedente di Schinas, del 15 aprile, che riferiva dell’annuncio di Mustoxydis sul «Poligrafo». Su Schinas cfr. Zanou, Mustoxidi, pp. 97-98, n. 47. Secondo un biografo di Mustoxydis, Schinas sarebbe stato anche colui che tradusse in greco la prefazione e la dedica per l’edizione del 1812 (cfr. infra, pp. 206-207 e n. 14): A. Papadopoulos Vretos, Biografia del Cavaliere Andrea Mustoxidi. Scritta e pubblicata in Venezia nell’anno 1836 da Emilio Tipaldo, corretta dallo stesso Mustoxidi in Corfù nell’anno 1838. Annotata e continuata sino alla sua morte da Andrea Papadopoulo Vreto leucadio. Coll’aggiunta di una interessante Corrispondenza storico-politica-letteraria diretta ad Esso dal Cavaliere Mustoxidi, Atene, Dalla Stamperia di P.A. Sakellarios 1860, p. 27. Non dà giustamente credito alla notizia Manis, Mustoxydis, p. 330. 11 Per la lettera, scritta da Napoli il 28 luglio 1811, cfr. Vianello, Lettere Andrés – Melzi, pp. 84-85; e ora, con un profilo dello studioso, Brunori, Epistolario Andrés, pp. 1563-1564 (è citata anche in Lo Monaco, Palinsesti bobbiesi, p. 677, n. 83). Per Michele Sofianòs cfr. supra, n. 4. L’interesse di Andrés per l’edizione dell’Antidosi integra è testimoniato dai ricorrenti riferimenti nelle sue lettere lungo tutto il 1812, cfr. Brunori, Epistolario Andrés, pp. 1593, 1605, 1606, 1612, 1628, 1637, 1641, 1646, 1648, 1657. 12 Su Giovanni Giuseppe Destefanis cf r. Editori italiani, I, p. 385. Per un inquadramento della sua attività nel contesto culturale dell’epoca cf r. Berengo, Intellettuali e librai, ad indicem. 13 Animatore all’epoca di una società filologica greco-dacica a Bucarest, connessa con il periodico «Ἑρμῆς ὁ Λόγιος», cfr. L. Maier, Ignatios, in BioLexSOE, II, 1976, pp. 216-217.
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tembre 1812 (pp. v-xiii); 14 il testo greco dell’Antidosi fondato largamente su Ε ma con diversi errori 15 e refusi (pp. 1-135); una serie di cosiddetti ‘scoli’, in realtà note marginali manoscritte presenti in esemplari dell’edizione aldina di Isocrate conservati nella Biblioteca Ambrosiana (pp. 137-138); 16 un apparato contenente le varianti di Θ e quelle tratte dall’edizione di Korais, insieme con le congetture di quest’ultimo (pp. 139-163); infine, una lista di errata corrige (pp. [164]-[165]). Nella prefazione, tra l’altro, Mustoxydis ribadiva con nuovi argomenti, tra cui alcuni lemmi schedati come isocratei nel Lessico dei dieci oratori di Arpocrazione e presenti appunto nell’inedito, la genuinità della scoperta.17 Che il nuovo testo fosse autentico non era una constatazione ovvia, dal momento che quarant’anni prima il bibliotecario della Laurenziana, Angelo Maria Bandini, aveva sì individuato in Θ una redazione più lunga dell’Antidosi, ma, fermandosi ad un’analisi superficiale, aveva considerato la parte inedita, di cui stampò nel suo catalogo un estratto, una interpolazione: «Specimen autem paullo longius exhibuimus, ut unusquisque investigare possit, ex qua Isocratis Oratione desumta fue14 Si tratta della lettera già pubblicata sul «Poligrafo», qui in greco e con significative aggiunte. Questa versione ampliata fu poi messa in circolazione in italiano in un opuscolo autonomo: A. Mustoxydis, Epistole che precedono al libro intitolato Discorso d’Isocrate della permutazione, Milano, Destefanis 1813 (e parzialmente in una recensione di Lamberti sul «Poligrafo», vd. infra, n. 22). La stessa fu poi riedita in A. Mustoxydis, Prose varie del cavaliere Andrea Mustoxidi corcirese con aggiunta di alcuni versi, Milano, N. Bettoni 1821, pp. 166-172. Fu anche ripubblicata, con una traduzione tedesca, da Orelli, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, pp. xxvi-xliii; e, in traduzione francese (con tagli), da Havet, Antidosis, pp. cxxv-cxxxii. La lettera e l’intera edizione di Mustoxydis furono inoltre ristampate in coda all’edizione Tauchnitz: Isocratis orationes et epistolae. Ad optimorum librorum fidem accurate editae. Accedit plenior oratio de permutatione ab Andr. Mustoxyde inventa exque eius editione diligenter expressa, II, Leipzig 1829, pp. 281-404. Cfr. anche Manis, Mustoxydis, pp. 325-329. 15 Solo due esempi. 1) Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. 10 (Antid. 28): ἀνεγκλητά, segnalato come testo dell’ed. Mustoxydis in Bekker, Isocrates¹, p. 425 = Bekker, Isocrates², p. 353, e in seguito erroneamente registrato come lezione di Ε da Benseler – Blass, Isocratis orationes, p. xxv, Mathieu – Brémond, Isocrate, III, p. 110, Mandilaras, Isocrates, III, p. 90. In Ε si legge invece ἀνεγκλητεί (f. 152r, r. 6) come in Γ e Δ. 2) Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. 120 (Antid. 274): ἀπορεῖν, stampato anche da Orelli, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. 120, segnalato come testo dell’ed. Mustoxydis in Bekker, Isocrates¹, p. 488 = Bekker, Isocrates², p. 407, e in seguito erroneamente registrato come lezione di Ε e di Θ (che ha invece ἀπαιρεῖν) da Benseler – Blass, Isocratis orationes, p. xxxiv, Mathieu – Brémond, Isocrate, III, p. 170, Mandilaras, Isocrates, III, p. 134. In Ε si legge invece ἀπερεῖν (f. 187v, r. 14), come in Γ e Δ (il modo in cui il copista di Ε scrive ἀπορεῖν si può invece osservare al f. 181v, r. 28 = Antid. 215). 16 Su cui cfr. Martinelli Tempesta, Sofianòs, p. 313 e n. 34. 17 Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, pp. ix-x. Le voci di Arpocrazione menzionate da Mustoxydis sono ἀγωνίαν (9, 5 Dindorf = α 24 Keaney, cfr. Antid. 183 e 302), Ἴων (164, 5 Dindorf = ι 27 Keaney, cfr. Antid. 268), περίστατοι (247, 10 Dindorf = π 60 Keaney, cfr. Antid. 269).
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rint, quae hoc loco leguntur inserta; quod nobis adhuc adsequi minime datum est».18 L’edizione di Mustoxydis, in quanto fondata su Ε, metteva in circolazione per la prima volta, anche se per un solo discorso, un numero consistente di lezioni della prima famiglia dei manoscritti isocratei; 19 e aggiungeva le varianti di Θ,20 un testimone peculiare della seconda famiglia, laddove, all’interno di questa famiglia, la vulgata editoriale impostasi fino a quel momento aveva attinto soprattutto alla discendenza di Λ. Oggi sappiamo che Ε, in quanto apografo di Δ, trasmette in realtà un testo in parte contaminato con un testimone della seconda famiglia, un manoscritto affine a Θ.21 In ogni caso, la nuova edizione ampliava notevolmente, sebbene ancora inconsapevolmente per quanto riguarda la recensio, la base documentaria del testo di Isocrate. Il ritrovamento dell’Antidosi integra fu considerato in seguito il risultato senz’altro più rappresentativo del lavoro filologico di Mustoxydis, quello a cui il suo nome rimase legato nel campo degli studi classici.22 18 Cfr. Bandini, Catalogus, coll. 395-396. Non mancò, del resto, chi volle ridimensionare la scoperta di Mustoxydis e attribuirne l’effettivo merito a Bandini, cfr. Pinto, Isocrate, p. 84, n. 83. Ancora nel novembre 1824, Mustoxydis si preoccupava di correggere questa veduta scrivendo a Emilio Tipaldo, cfr. D. Arvanitakis (ed.), Ἀνδρέας Μουστοξύδης – Αἰμίλιος Τυπάλδος. Αλληλογραφία (1822-1860), Athina, Mousio Benaki 2005, pp. 138 e 143 (con qualche errore di trascrizione). Nel 1825, in appendice alla sua traduzione italiana della Geschichte der griechischen Litteratur di Schoell, Tipaldo dedicò una lunga nota alla questione (F. Schoell, Istoria della letteratura greca profana, vol. II, parte III, Venezia, G. Antonelli 1828, pp. 190-194). 19 Quella costituita, lo ricordiamo, da Γ Δ e Ε. Nuove lezioni comparivano già al principio dell’edizione: γιγνομένοις (p. 1, r. 3 = Antid. 1) ovvero ἔγνων (p. 2, r. 12 = Antid. 4). 20 Compresa la redazione alternativa che Θ presenta per Antid. 222-224, cfr. Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, pp. 157-158. 21 Per la fisionomia testuale di Δ cfr. Fassino, Nuove acquisizioni, pp. 160-181. Una lezione rivelatrice della contaminazione è già in Antid. 1: ἔδει (Ε, f. 149r, r. 23), come in Θ e Λ, laddove il progenitore Γ ha οἶμαι (corretto in ἔδει in Δ e quindi trasmesso a Ε). Si veda anche il caso di Antid. 93 (Ὀνήτωρ ΓΔac : ὁ ῥήτωρ ΔpcΕ Θ), illustrato infra, p. 215 e n. 48. 22 L’edizione fu ampiamente segnalata da Lamberti, «Il Poligrafo», anno II, XLV, 8 novembre 1812, pp. 722-724 e XLVI, 15 novembre 1812, pp. 733-737. Fu poi positivamente recensita da C. Nicolopoulos, «The Classical Journal», VIII, 1813, pp. 124-126. Ma si noti anche l’atteggiamento pregiudiziale dell’editore tedesco Johann A.G. Weigel in una lettera ad Amedeo Peyron del 5 luglio 1813: «J’ai lu dans les journaux de la découverte de Mustoxidi. Sait-il donc lire les manuscrits? Les Néogrecs avec l’exception de Coray ont peu de réputation chez nos philologues», in L. Pesce, Amedeo Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, Treviso, Canova 1997, pp. 81-83: 82. Mustoxydis divenne, di lì a poco, membro della Academie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi, cfr. Zanou, Mustoxidi, p. 48. Cinquant’anni più tardi, Émile Egger, in una seduta congiunta delle cinque Accademie francesi dell’agosto 1866, volle ricordare la scoperta dell’Antidosi integra tra i ritrovamenti più importanti nel campo della filologia classica del XIX secolo: cfr. É. Egger, L’Hellénisme en France, II, Paris, Didier et C.ie 1869, p. 411, nonché il resoconto in greco della seduta in «Χρυσαλλίς», IV, fasc. 91, 15 ottobre 1866, pp. 461-467: 465.
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3. Mustoxydis fece probabilmente recapitare a Korais una bozza dell’edizione, per averne un giudizio e nella speranza di coinvolgere l’autorevole ellenista nel suo lavoro. Ma il tentativo non ebbe successo.23 Lo si ricava dalla lettera di risposta a quell’invio, scritta da Parigi il 14 giugno 1812, in cui Korais volle invece incitare il più giovane collega a procedere al più presto con la stampa, prima che altri (λογοκάπηλοι, come li definiva) avessero potuto mettere le mani sull’inedito: Ἔλαβα ἀπὸ τὸν φίλον σου τὸν Ἰσοκρατικὸν λόγον∙ ἀλλ᾽ εἶναι (σὲ τὸ λέγω μὲ λύπην τῆς καρδίας μου) ἀδύνατον εἰς ἐμὲ νὰ ἀσχοληθῶ τώρα πολὺ ἢ ὀλίγον εἰς αὐτόν. Πνίγομαι ἀπὸ ἄλλας ἀπαραιτήτους ἀσχολίας, καὶ βασανίζομαι ἀπὸ πολλὰς γεροντικὰς ἀσθενείας. Ἔπειτα μήδε χρεία εἶναι τῆς ἰδικῆς μου κρίσεως περὶ τούτου. Ἔκδοσέ το ὡς εἶναι, καὶ τὸ γρηγορώτερον ὅσον εἶναι δυνατόν, μὴ τὸ ἀντιγράψῃ τις ἄλλος λογοκάπηλος, καὶ τὸ δημοσιεύσῃ πρὸ σοῦ.24
La sollecitazione di Korais non era infondata. L’interesse per il nuovo testo aveva cominciato a manifestarsi ben presto. A poco più di un anno di distanza dall’edizione di Mustoxydis vide infatti la luce la prima traduzione integrale, in latino, dell’Antidosi. Fu pubblicata anch’essa a Milano, presso la stamperia di Giovanni Pirotta in società con Destefanis, l’editore di Mustoxydis: 25 Isocratis / oratio / De permutatione / cuius pars ingens primum Graece edita / ab / Andrea Mustoxydo / nunc primum Latine exhibetur / ab / anonymo interprete / qui et notas et appendices adjunxit. / Mediolani / Typis Joannis Pirotae in vico S. Radegundae / MDCCCXIII.
La traduzione appariva anonima, ma era in realtà opera di Angelo Mai, all’epoca uno degli scriptores per le lingue orientali della Biblioteca Ambrosiana, e in seguito celebrato scopritore di testi, in particolare di palinsesti.26 23 Ancora nella prefazione alla sua edizione Mustoxydis si augurava che Korais volesse comunque dedicarsi al commento del testo nuovo, cf r. Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, pp. xii-xiii. 24 Dimaras – Angelou – Koumarianou – Frankiskos, Κοραής. Αλληλογραφία, pp. 205-206: 206. 25 Questo sembra essere stato l’unico prodotto della collaborazione tra Pirotta e Destefanis, cfr. Editori italiani, II, p. 850. Su Pirotta cfr. M. Berengo, Intellettuali e librai, ad indicem. 26 A Mai dedicò molti dei suoi studi Gianni Gervasoni e l’edizione delle lettere rappresenta il punto di arrivo del suo decennale lavoro: Gervasoni, Mai. Epistolario. Per un profilo di Mai studioso rimane imprescindibile Timpanaro, Cultura ottocentesca, pp. 225-271 (già in «A&R», n.s. I, 1956, pp. 1-34, qui con correzioni e aggiunte). Si vedano anche Ferraris, Angelo Mai, e, da ultimo, Spaggiari, «Le dovizie antiquarie» (da cui è possibile ricavare un panorama bibliografico su Mai pressoché completo). La ragione della scelta dell’anonimato per la traduzione dell’Antidosi
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Mai, che si era da poco illustrato nel recupero dell’‘Iliade ambrosiana’ (Ambros. F 205 inf. [già D 88 sup.]), aveva assistito non senza rammarico alla scoperta di Mustoxydis e alla preparazione del suo volume. È quanto si ricava da una lettera scritta dalla biblioteca milanese il 5 febbraio 1812 al suo ex maestro, il già menzionato Juan Andrés, che, come si è visto, da tempo era a conoscenza della scoperta di Mustoxydis: Studia qui spesso il Giovane Mustoxidi. Io fo plauso e mi rallegro cordialmente della sua fortuna nella edizione de’ pezzi Isocratei, ma insieme rif letto che l’Ambrosiana ha lasciato spogliare a uno straniero un suo prezioso Codice Isocrateo, dove non solo è la giunta alla Orazione delle Permutazioni, ma più altri pezzetti e varianti notabili e correzioni degli indirizzi di alcune lettere. Dal che il Mustoxidi riporterà giustamente assai onore.27
Sulla base di quanto sappiamo del carattere dinamico e intraprendente di Mai, non è forse sbagliato pensare che proprio la ‘fortuna’ capitata a Mustoxydis lo inducesse a intensificare, negli anni successivi, la ricerca di inediti.28 Nonostante la data sul frontespizio, sembra che il volume di Mai cominciasse a circolare effettivamente nel gennaio del 1814.29 Nella prefazione, il curatore dichiarava di essere stato incitato ad approntare una traduzione dell’inedito da un altro studioso, un «perillustris Vir doctrinarum omnium amantissimus graecique sermonis cultor eximius», una descrizione che bene adombrerebbe Andrés. «Jam quum magna pars hominum graece nesciat,» non è del tutto chiara: Mai nascose il suo nome «prae nimia modestia», secondo Orelli a p. viii dell’ed. citata infra, n. 53. 27 Cfr. Gervasoni, Mai. Epistolario, I, p. 65. La lettera è citata da Lo Monaco, Palinsesti bobbiesi, p. 677; da Buzzi, Il Collegio dei Dottori, p. 35; e da Zanou, Mustoxidi, pp. 47-48. Si noti l’imprecisione di Mai nel riferire il titolo dell’orazione. 28 La connessione fu adombrata già dall’anonimo autore dell’articolo Abate Mai’s philologische Entdeckungen, «Jahrbücher der Literatur», V, 1819, pp. 183-203: 188: «Mag nun der Isokratische Fund, oder was immer sonst Herrn Mai bewogen haben, planmässig aufs Suchen auszugehen ...» (la notizia fu ripresa, con la firma di Henrichs, dalla «Revue Encyclopédique», VIII, 1820, pp. 461-476 e dal «Classical Journal», XLVI, 1821, pp. 211-222). Cfr. anche Buzzi, Il Collegio dei Dottori, p. 35. Sul ‘dinamismo’ di Mai cfr. Timpanaro, Cultura ottocentesca, pp. 231-232. 29 Si veda l’esordio della prefazione: «Annus jam vertitur ex quo Isocratea Oratio de Permutatione longe fusior ac plenior [...] denique prodiit» (Mai, De permutatione, p. iii), ad un anno dunque dall’autunno 1812, quando apparve l’ed. Mustoxydis. La celerità della pubblicazione è sottolineata da Drerup, Isocratis opera, p. clxxviii: «Hoc munere [i.e. la traduzione] celerius tamen functi sunt alii, cum iam anno post (Mediolani 1813) translationem Latinam praestiterit Anonymus Interpres». L’effettivo inizio della diffusione dell’opera è testimoniato da Johann Caspar von Orelli (su cui vd. infra), al principio delle aggiunte alla sua edizione, cfr. Orelli, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. 447.
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– proseguiva Mai – «multique etiam ex iis qui eam linguam salutarunt, latinas graecorum scriptorum interpretationes non contemnant, visum eidem lectissimo Viro est, quoniam nemo adhuc hanc provinciam attigisset, rem me cunctis ingratam non facturum, si vix idoneus licet ac timidus, Isocratis explicator prodirem».30 Quanto al lavoro di traduzione, Mai si limitò a tradurre solo la parte nuova dell’Antidosi, e riprodusse per il resto la versione latina settecentesca dell’abate francese Athanase Auger.31 L’edizione includeva, dopo la prefazione (pp. iii-x), la traduzione con una serie di note illustrative a piè di pagina (pp. 1-123), un errata corrige degli errori di stampa nell’edizione Mustoxydis (pp. 124-126), e quattro appendici (pp. 127-136), il cui contenuto corrispondeva in parte a quanto Mai segnalava già nella lettera ad Andrés, «altri pezzetti e varianti notabili e correzioni degli indirizzi di alcune lettere».32 Non è possibile dire con certezza se, come è probabile, Mai mise a parte del suo lavoro Mustoxydis o concordò con lui il progetto di traduzione. Le date di pubblicazione lasciano pensare che Mai desse inizio al suo lavoro almeno subito dopo la pubblicazione del libro di Mustoxydis: nella lettera del febbraio 1812 citata sopra, Mai mostrava già di conoscere bene le novità di Ε che avrebbe valorizzato nelle appendici; e di colloqui con Mustoxydis fornisce del resto testimonianza la sua stessa prefazione.33 La traduzione dell’Antidosi fu il primo importante lavoro a stampa di Mai.34 È interessante che nei mesi successivi alla pubblicazione egli si preoccupasse di avere un riscontro autorevole per la sua fatica. Lo testimonia la corrispondenza con l’abate torinese Amedeo Peyron, forse il filologo italiano più consapevole e acuto dell’epoca. Mai gli aveva inviato il suo lavoro con la richiesta di un parere e Peyron rispose con una serie di lettere che diedero corpo a una recensione in più puntate. Il carteggio che, a partire da quell’invio, si dipanò tra il maggio e il luglio del 1814 35 lascia intrave30
Mai, De permutatione, pp. iii-iv. Isocratis opera omnia graece et latine, cum versione nova, triplici indice, variantibus lectionibus, et notis, edidit Athanasius Auger [...], I-III, Paris, F.A. Didot l’ainé 1782. L’Antidosi vi figura nel vol. II alle pp. 66-131, dove tra l’altro Auger già notava l’incompletezza del testo, cfr. p. 121, n. e 130-131, n. La sola traduzione latina era apparsa a Parigi, in tre volumi, presso De Bure e Barrois, nel 1781. Sull’Isocrate di Auger cfr. Drerup, Isocratis opera, pp. clxxiv-clxxv. Su questo instancabile traduttore di classici cfr. M. Prevost, Auger (Athanase), in DBF, IV, 1948, coll. 500-502. 32 I. De Epistola Isocratis quae in Editionibus inscribitur prima Philippo; II. De Epistola Isocratis quae in Editionibus est quarta ad Philippum, et de reliquis Isocratis Epistolis; III. De quodam loco Orationis Aegineticae Isocratis; IV. De lacuna quae dicitur esse in Oratione Panathenaica Isocratis. 33 Cfr. Mai, De permutatione, p. iv, a proposito degli errori di stampa nell’edizione Destefanis: «Qua de re Cl. saepe Editorem querentem audivi». 34 Cfr. Gervasoni, Ambiente letterario, p. 12. 35 Le lettere di Peyron si leggono in Gervasoni, Mai. Epistolario, I, pp. 80-91: 3 maggio, 15 31
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dere il diverso profilo dei due studiosi: l’uno, il Mai, formatosi nell’ambito della tradizione umanistico-gesuitica e, per quanto alacre e intuitivo, in buona parte estraneo alle acquisizioni recenti della filologia europea; l’altro, Peyron, impegnato invece ad aprire la cultura classica italiana ai nuovi orientamenti e ai risultati dell’antichistica tedesca.36 Nella prima delle sue lettere, che rivela anche precedenti comunicazioni da parte di Mustoxydis, Peyron volle insinuare il timore che nell’iniziativa di Mai si potesse scorgere una parziale appropriazione delle scoperte dello studioso greco: Quello però che di più mi colpì si fu l’appendice, in cui il povero Mustoxydi viddesi ritolta una messe, che egli credeva a sè solo nota; egli solo m’aveva comunicata l’iscrizione della Ia lettera a Dionisio, e questa appunto vedo formare il primo articolo della sua appendice. Io però mi andava figurando che quindi sarebbe nato qualche dissapore fra lei e Mustoxydi; questi però non doveva accaggionarne se non la sua solita indolenza e pigrizia.37
Secondo le parole di Peyron, Mustoxydis aveva dunque già notato che la prima delle epistole isocratee (Ad Dionysium), che nelle edizioni, a partire dall’Aldina degli epistolografi del 1499, recava l’intestazione Ἰσοκράτης Φιλίππῳ (Ἰσοκράτης Φιλίππῳ τῷ τῶν Μακεδόνων βασιλεῖ χαίρειν nella seconda Aldina di Isocrate del 1534), in Ε era correttamente indirizzata Ἰσοκράτης Διονυσίῳ χαίρειν.38 Mai però ci tenne a fugare con decisione il sospetto evocato da Peyron: Ella rileverà dalle ultime parole della 4a Appendice, che io ho esaminato tutto per disteso il Codice d’Isocrate. E chi sarebbe così insensato che avendo tra le mani un ms. così raro, non avesse voluto cercarlo da capo a fondo per trarre almeno ciò che vi si trovasse di più singolare e importante? Da ciò siegue per conseguenza, che io necessariamente ho dovuto vedere per me stesso quella diversa correzione della prima lettera d’Isocrate, di cui non avendo parlato il Sig. Mustoxidi, perché maggio, 7 luglio. Quelle di Mai in Ferraris, Angelo Mai: 6 maggio, 20 giugno, 19 luglio (anticipate in L. Cortesi, Epistolario di Angelo Mai. Additamenta all’edizione Gervasoni. Lettere inedite fino al 1819, «Bergomum», LXXVII, 1983, pp. 57-303: 183-190). Il carteggio è segnalato anche da Buzzi, Il Collegio dei Dottori, p. 35. 36 Su Peyron si può rinviare almeno a: Treves, Antichità classica, pp. 871-885; Timpanaro, Leopardi, pp. 131-139; G.F. Gianotti, Amedeo Peyron, in R. Allìo (ed.), Maestri dell’Ateneo torinese dal Settecento al Novecento, Torino, Stamperia artistica nazionale 2004, pp. 145-171. Più di recente, sulla sua attività papirologica, cfr. N. Pellè, Amedeo Peyron (1785-1870), in M. Capasso (ed.), Hermae. Scholars and Scholarship in Papyrology, II, Pisa-Roma, F. Serra 2010, pp. 11-15. 37 Gervasoni, Mai. Epistolario, I, p. 81. 38 Era l’argomento della prima appendice dell’edizione di Mai (vd. supra, n. 32). Sulla questione cfr. Martinelli Tempesta, Equivoco, p. 269 e nn. 46-47.
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doveva tacerne io? Inoltre io ho stesa quella Appendice non tanto per indicare come variante quella iscrizione, quanto per proporre a maniera di congettura la conciliazione coi testi stampati. Quel pensiero su cui versa tutta l’Appendice, cioè che Isocrate abbia scritta la stessa lettera a Dionigi e a Filippo, si può chiedere al Sig. Mustoxidi se mai gli fosse venuto in mente, o se per ventura lo aveva concepito, se anche lo manifestò ad alcuna persona? Sarà per ventura tutta fantasia arbitraria la mia ipotesi, ma io protesto lealmente che non ho fatto alcun plagio. Anzi se ben mi ricordo, credo che il Sig. Mustoxidi mi abbia detto candidamente dopo la stampa del mio libro, che quella ipotesi non era mai passata a lui per la testa.39
Peyron affidò alle sue lettere soprattutto una serie di puntuali interventi miranti a chiarire, nel solco di un’analisi filologico-grammaticale, l’andamento logico del dettato isocrateo. E in diversi casi contribuì al miglioramento dell’interpretazione di Mai.40 Per avere un’idea del tenore di questa erudita discussione epistolare, basterà forse fare un solo esempio. In Antid. 112, Isocrate, dopo aver enumerato una serie di successi militari del suo ex allievo Timoteo, scrive: Καίτοι τοιοῦτον ἔργον ἄν τις ἄλλος φανῇ πεποιηκώς, ὁμολογῶ ληρεῖν, ὅτι διαφερόντως ἐπαινεῖν ἐπιχειρῶ τὸν οὐδὲν περιττότερον τῶν ἄλλων διαπεπραγμένον. Mai traduceva: «Jam siquis alius paria opera fe-
cisse videtur, fateor me nugari: quod singulari modo eum laudare coner, qui nihil praestantius caeteris fecerit».41 E Peyron chiosava (nella lettera del 15 maggio 1814): Vedo che a lei non mai occorse l’occasione di imparare una sottigliezza grammaticale, ma che è però vera verissima, e costantemente osservata dai buoni scrittori Greci. Devesi distinguere la costruzione di φαίνεται πράττειν, dall’altra φαίνεται πράττων. La prima è pare che faccia – facere videtur; la seconda publice constat atque palam est eum facere ecc.; vede che la distinzione è massima dal sembrare soltanto allo esser certo per pubblica azione e testimonianza. Consulti 39 Ferraris, Angelo Mai, pp. 115-116. Mai considerava l’epistola come la lettera accompagnatoria di un discorso e fondava la sua ipotesi sulla scivolosa testimonianza della cosiddetta Lettera di Speusippo a Filippo (Socr. Ep. XXVIII Allacci = XXX Orelli), in cui Isocrate era accusato di aver inviato il medesimo testo a diversi monarchi dell’epoca, cfr. E. Bickermann – J. Sykutris, Speusipps Brief an König Philipp: Text, Übersetzung,Untersuchungen, Leipzig, Hirzel 1928, p. 11. Di conseguenza, Mai argomentava che anche una medesima lettera accompagnatoria avrebbe potuto essere indirizzata a destinatari diversi. 40 Eccetto che per la rettifica di una congettura di Mai (Antid. 100: ἐκείνοις per ἐκείνης, in seguito confermata dal ms. Γ) e qualche segnalazione di refusi, si tratta di interventi relativi alla traduzione di Antid. 97, 107, 108, 112, 120, 121, 133, 138, 161, 174, 182, 184, 195, 197, 222, 224, 225, 230, 236, 240, 248, 264, 270, 285, 290, 292, 297, 305. Sul carattere della discussione scientifica tra Mai e Peyron in occasioni successive, cfr. Treves, Antichità classica, pp. 873-874; Timpanaro, Cultura ottocentesca, pp. 235-236; Spaggiari, «Le dovizie antiquarie», pp. 156-157. 41 Mai, De permutatione, pp. 59-60.
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Wolf in Demosth. contra Leptinem alla pag. 259, e le note a Vigero de Idiot. ling. Graec. sectio XIII. Finalmente eccovi l’autorità d’un Lessico Anonimo Mss.to nella nostra Bibliot. [...] Onde spieghi Iam si constet quempiam alium paria fecisse opera – e – ut venuste et benevole haec omnia facere et dicere palam constet.42
4. Nello stesso 1814 in cui le lettere tra Mai e Peyron viaggiavano tra Milano e Torino, un nuovo tassello venne ad aggiungersi alla storia editoriale dell’Antidosi. Johann Kaspar von Orelli, eclettico filologo svizzero, che sarebbe diventato noto soprattutto come studioso di Cicerone e di Dante e che era allora un giovane pastore della Chiesa Evangelica di Bergamo,43 ripubblicò a Zurigo un testo migliorato dell’edizione di Mustoxydis, accompagnandolo con una serie di accurate note, che formavano il primo vero commento della parte nuova dell’opera. Negli anni precedenti trascorsi in Lombardia, Orelli aveva rapidamente maturato la sua formazione nel campo delle letterature classiche 44 e della letteratura italiana. Aveva potuto conoscere Foscolo, di cui fu traduttore in tedesco, e Manzoni, di cui aveva celebrato il matrimonio calvinista con Enrichetta Blondel nel febbraio 1808.45 A Milano aveva inoltre incontrato sia Mustoxydis che Mai, i quali seguirono e incoraggiarono la pubblicazione del suo Isocrate.46 L’edizione di Orelli si annunciava con questo frontespizio: Ἰσοκράτους / λόγος / περὶ τῆς ἀντιδόσεως / vervollständigt herausgegeben / von / Andreas Mustoxydes / Historiographen der Jonischen Inseln. / Verbessert, / mit Anmerkungen und philologischen Briefen begleitet / von / Johann Kaspar von Orelli / Mitglied der Italienischen Gesellschaft der Wissenschaften, Litteratur / und Künste. / Nebst zwei Anhängen. / Zürich, 1814. / Bey Orell, Füssli und Compagnie.
Il volume, dedicato dallo studioso al suo maestro Johann Jakob Hottinger, conteneva: una prefazione di Orelli (pp. v-xxiv); la lettera di Mu42 Gervasoni, Mai. Epistolario, I, pp. 83-84. Il secondo riferimento di Peyron era ad Antid. 132, dove Mai aveva tradotto: «ut venuste et benevole haec omnia facere et dicere videantur», cfr. Mai, De permutatione, p. 66. 43 Per un inquadramento articolato e approfondito della biografia e dell’opera di Orelli (1787-1849) si veda il volume curato da Ferrari (ed.), Orelli. 44 Sulla formazione di Orelli e la sua attività filologica cfr. Ch. Utzinger, Orelli als Klassischer Philologe, in Ferrari (ed.), Orelli, pp. 131-147. 45 Su questi incontri si veda O. Besomi, Giovanni Gaspare Orelli e la cultura italiana, in Ferrari (ed.) Orelli, pp. 191-215. 46 Cfr. Orelli, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. 448-449. Nell’Archivio della Diocesi di Corfù sono conservate tre lettere di Orelli a Mustoxydis riguardanti la pubblicazione dell’Isocrate, come segnala Zanou, Mustoxidi, p. 48, n. 44. Questi documenti mi risultano al momento (luglio 2017) ancora inaccessibili.
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stoxydis a Korais con la traduzione in tedesco a fronte (pp. xxvi-xliii); il testo dell’orazione con la medesima paginatura dell’edizione di Mustoxydis (pp. 1-138); l’apparato delle varianti (pp. 139-202); le note di commento (203-305); un excursus dedicato ad Antid. 261-269 (pp. 306-320); sei philologische Briefe su passi di autori antichi e su Dante (pp. 321-447); una serie di Nachträge in cui si dava conto del lavoro di Mai e venivano proposte altre congetture ad autori antichi (pp. 447-464). In appendice erano aggiunte l’edizione commentata del discorso De Meneclis hereditate (or. II) di Iseo (pp. 465-502) e una serie di note al Simposio di Senofonte (pp. 503-564), entrambi i lavori a cura di un cugino di Orelli, Johann Conrad von Orelli. Alla fine, un indice degli autori (pp. 565-566) e un errata corrige (567-568). Nella prefazione, dopo essersi diffuso sul proprio interesse per la cultura italiana, Orelli portava alcuni argomenti nuovi, rispetto a quelli già addotti da Mustoxydis, per ribadire la genuinità della Antidosi inedita. Metteva dapprima in rilievo la dipendenza della biografia di Timoteo scritta da Cornelio Nepote dall’ampio excursus dedicato al generale ateniese da Isocrate, una sezione che proprio le nuove pagine avevano riportato alla luce (in particolare: Antid. 109-110 ≈ Nep., Timoth. 2, 1-2; Antid. 111 ≈ Nep., Timoth. 1, 2). Sviluppava poi una serie di considerazioni sul carattere stilistico delle opere tarde di Isocrate. Affrontava, inoltre, i problemi che Mustoxydis aveva lasciato aperti. Come il caso del lemma Ὀνήτωρ, che il lessicografo Arpocrazione dichiarava di trarre dall’Antidosi (223, 7 Dindorf = ο 23 Keaney) e che Mustoxydis si era crucciato di non trovare né in Ε né in Θ,47 ma che si nascondeva in una delle pagine riscoperte, lì dove Isocrate menzionava una serie di suoi ex allievi benemeriti di Atene (Antid. 93). In questo punto, infatti, tanto Ε (f. 169r, r. 4) quanto Θ (f. 116v, r. 5) presentano, prima del nome Ἀντικλῆς, la lezione ὁ ῥήτωρ, che Orelli corresse facilmente in Ὀνήτωρ. La congettura sarebbe stata in seguito confermata dal progenitore di Ε, l’Urb. gr. 111, Γ (f. 316r, r. 5). Come si dirà più avanti, alcuni documenti, tuttavia, mostrano che altri avevano contemporaneamente individuato la lezione di Γ e che la notizia doveva essere già pervenuta almeno a Mustoxyidis.48 Orelli seguitava poi prevenendo eventuali obiezioni sulla genuinità della nuova Antidosi e ribadendo il valore del testo di Ε: «Die genaue Prüfung aller zur Antidosis gesammelten Varianten führte mich nämlich auf die in Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. x. infra, p. 223. Analogamente al caso ricordato supra, n. 21, anche qui era accaduto che Ὀνήτωρ fosse stato corretto in ὁ ῥήτωρ in Δ per collazione con la seconda famiglia; la correzione era poi passata in Ε. La congettura di Orelli è ricordata in apparato da Benseler – Blass, Isocratis orationes, p. xxvii, ma non da Mathieu – Brémond, Isocrate, III, p. 127, né da Mandilaras, Isocrates, III, p. 103. 47
48 Cfr.
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den Anmerkungen mehrmals geäusserte Überzeugung: Die Ambrosianische Handschrift enthalte eine von der gewöhnlichen ursprünglich verschiedene, und im Allgemeinen vorzüglichere Recension der Antidosis».49 In conclusione, dichiarava che la propria edizione offriva, in seguito a congetture e correzioni, un testo diverso da quello di Mustoxydis in circa 260 punti.50 L’edizione di Orelli sembra aver preso corpo in varie fasi. Questo spiegherebbe la data molto alta della prefazione, il 20 marzo 1813, laddove la prefazione al discorso di Iseo pubblicato da Johann Conrad von Orelli nell’appendice dello stesso volume è datata 20 maggio 1814, termine post quem per l’effettiva pubblicazione del libro. In realtà, alla fine del 1813 Orelli probabilmente lavorava ancora alla sua edizione, che doveva essere in bozze, se in una lettera del 13 novembre Mustoxydis gli scriveva di aver ricevuto i «fogli del suo Isocrate».51 Inoltre, nel gennaio del 1814, quando le note erano ormai stampate, era apparsa la traduzione di Mai, di cui Orelli volle a quel punto dar conto nei Nachträge. A questo periodo risalgono probabilmente anche i colloqui con Mai e l’ispezione del ms. Ε: il biglietto di presentazione, con cui Orelli si faceva introdurre nella Biblioteca Ambrosiana, porta la data del 18 febbraio 1814.52 La comparsa del volume di Mai spiega forse anche perché Orelli decise di dar vita nello stesso anno ad una seconda, più snella, edizione del proprio lavoro, con una prefazione latina datata «febbraio 1814», in cui riconosceva l’apporto dell’‘Anonimo’ all’interpretazione del nuovo testo e metteva in rilievo l’autopsia di Ε: «Ipsius igitur Anonymi conjecturas, et, quae futuro praesertim editori maximo usui erunt, emendationes graecae editionis Mediolanensis haustas e Codice Ambrosiano denuo diligentius excusso accurate hic enotavi, insertis quoque novis quibusdam suspicionibus, in quas ipse per saepius repetitam lectionem incideram».53 Orelli, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. xxi. Orelli, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. xxiii. 51 La lettera è edita in L. Donati, Giovanni Gasparo degli Orelli (1787-1849) e le lettere italiane, Zürich, Druck von Zürcher und Furrer 1894 («Programm der Kantonsschule in Zürich 1894»), p. 46: «Rispondo all’ultima e cortese sua lettera del 26 scaduto. I fogli del suo Isocrate mi son capitati, gli [sic] ho letti con infinito piacere, e nuovamente ed assai la ringrazio, riserbandole ad altro tempo una più solenne e migliore testimonianza della mia stima e della mia gratitudine». Per i rapporti con Mustoxydis si veda anche il brano dalle aggiunte di Orelli alla sua edizione citato infra, pp. 218-219 e n. 62. 52 Il documento, conservato nell’Ambrosiano R 246 inf. al f. 61, è segnalato da Lo Monaco, Palinsesti bobbiesi, p. 677, n. 83. 53 Ἰσοκράτους / λόγος / περὶ τῆς ἀντιδόσεως. / Isocratis / Oratio / de permutatione / ex Codd. MSStis suppleta ab Andrea Mustoxyde / Recensuit et varietatem lectionis adjecit / Jo. Casparus Orellius / Societati Ital. Litterarum et artium adscript. / Isaei / Oratio / de / Meneclis heredi49 50
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5. Come raccontava nella sua dedicatoria, Mustoxydis si era messo sulle tracce di un codice isocrateo contenente una versione più lunga del Panatenaico sulla base di un’antica notizia di Scaligero.54 Le indagini non avevano avuto l’esito sperato ma avevano ugualmente condotto a una scoperta importante. A Mustoxydis però non sfuggiva di dover cercare anche nella più grande raccolta di manoscritti greci esistente nella penisola italiana, la Biblioteca Vaticana.55 Un’indagine a distanza era stata avviata per tempo: nella prefazione Mustoxydis scriveva che su sua sollecitazione (διὰ προτροπῆς ἡμετέρας) il testo integrale dell’Antidosi era stato riportato alla luce (ἀνορώρυκται) anche in due manoscritti vaticani da ἄνδρες δεινοὶ καὶ ἔνδοξοι.56 Con questa iniziativa Mustoxydis aveva contribuito a individuare, come vedremo, i restanti testimoni del testo integro dell’orazione nonché gli altri due rappresentanti della prima famiglia di manoscritti isocratei oltre a Ε, vale a dire Γ e Δ, ma il valore ‘stemmatico’ della scoperta sarebbe stato riconosciuto pienamente solo alcuni decenni dopo.57 La notizia dei ritrovamenti vaticani si era però diffusa già diversi mesi prima della prefazione di Mustoxydis (datata settembre 1812). Se ne trova traccia nell’epistolario di Juan Andrés, nel post scriptum di una lettera del 13 dicembre 1811 a Gaetano Melzi: Mi dimenticava d’altra nuova letteraria, che ne corregge una vostra. Il greco Mustoxidi ha cercato da’ codici vaticani il frammento d’Isocrate: si è ritrovato in due, e l’abate Amati n’ha fatta la copia da mandargliela pel mezzo d’Ackerblad. Dunque, non s’è ancora incominciata la stampa.58
tate / Accuratius edidit addita brevi annotatione / Jo. Conradus Orellius / Parochus ad Templum Spiritus Sancti et Collegii Carol. Turic. / Canonicus. / Turici, / Typis Orellii, Fuesslini et Socc. / 1814, p. viii. Precisazioni e nuove letture di Ε erano affidate agli Addenda (pp. ix-xv). 54 Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. V. Cfr. anche supra, n. 7. Secondo Havet, Antidosis, p. cxxv, n. 2, Mustoxydis aveva ricavato la notizia da un articolo di J.R. Vatry, Recherches sur les ouvrages d’Isocrate que nous n’avons plus, «Mémoires de littérature, tirez des registres de l’Academie Royale des Inscriptions et Belles Lettres», XIII, 1740, pp. 162-172: 169. 55 Nell’ottobre 1810 Mustoxydis aveva già svolto indagini su manoscritti di Isocrate nella Biblioteca Imperiale di Vienna, cfr. A. Stouraiti, La Grecia nelle raccolte della Fondazione Querini Stampalia, Venezia, Fondazione Querini Stampalia 2000, pp. 257-258 (citato in Zanou, Mustoxidi, p. 47, n. 41). 56 Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. x. 57 Grazie al lavoro di Buermann, Überlieferung. La discendenza diretta di Δ da Γ è stata dimostrata invece solo recentemente da Fassino, Nuove acquisizioni. 58 Vianello, Lettere Andrés – Melzi, pp. 101-102; Brunori, Epistolario Andrés, p. 1590. L’Åkerblad menzionato è l’orientalista e diplomatico svedese Johann David Åkerblad (17631819), su cui ora si può vedere Thomasson, Åkerblad.
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Il 26 gennaio 1812 la notizia era inoltre apparsa, ancora una volta, sul «Poligrafo»: Il sig. Gerolamo Amati, dietro le indagini che gli sono state commesse dal sig. Mustoxidi, ha trovato anche in due Codici della Vaticana il discorso della Permutazione d’Isocrate così perfetto ed intiero, come il detto Mustoxidi l’avea scoperto nei Codici Isocratici di Firenze e di Milano. Noi stiamo ora aspettando l’edizione promessaci dal letterato Corcirese di questo lunghissimo e classico pezzo.59
La scoperta dei nuovi due testimoni si doveva dunque a Girolamo Amati, valente ellenista romagnolo che lavorava nella Biblioteca Vaticana come scriptor di greco.60 Le tracce delle indagini svolte da Amati sono tuttora visibili nei quattro manoscritti isocratei della Vaticana che contengono l’Antidosi, vale a dire, oltre a Γ e Δ, anche il Vat. Pal. gr. 135 e l’Urb. gr. 112, due discendenti mutili del mutilo Λ. In questi manoscritti, sui fogli di guardia, una serie di note di mano di Amati registra la presenza di una redazione del discorso rispettivamente «integra» o «brevior».61 La comparsa della notizia sul «Poligrafo», la rivista di cui lo stesso Mustoxydis era uno dei principali collaboratori, fa pensare che Mustoxydis fosse fiducioso di potersi avvalere presto dei risultati delle scoperte di Amati (anche la lettera di Andrés prima citata lo lascia pensare: «l’abate Amati n’ha fatta la copia da mandargliela pel mezzo d’Ackerblad»). Ma la collaborazione sperata non si realizzò. Più tardi, nelle aggiunte alla sua edizione, Orelli accennerà a un colloquio avuto con Mustoxydis al principio del 1814, nel quale lo studioso greco si era lamentato delle difficoltà incontrate nell’indagine relativa ai manoscritti vaticani: Er habe sich bemüht die Varianten der Vatikanischen Handschriften zu erhalten. Man mache ihm aber ungemeine Schwierigkeiten dieselben mitzutheilen, mit der Bemerkung, die Abweichungen von seiner Ausgabe seyen sehr bedeutend. Sollte er einst noch zu ihrem Besitze gelangen, und sie besonders wichtig finden, 59
«Il Poligrafo», anno II, IV, 26 gennaio 1812, p. 64. Amati (1768-1834), collazionatore di mss. (spesso a pagamento) per molti studiosi europei, si può vedere in primo luogo il profilo autobiografico pubblicato postumo: Notizie dell’abate Girolamo Amati accademico ordinario e censore scritte da se medesimo lette nell’adunanza del 1.° di maggio 1834 e pubblicate qui con le note del Cav. P.E. Visconti, «Dissertazioni della Pontificia Accademia Romana di archeologia», VII, 1836, pp. 507-529. Cfr. anche G. Gasperoni, La vita e gli studi di Girolamo Amati in alcune lettere inedite di Bartolomeo Borghesi, «La Romagna», s. V, XI, fasc. 1, 3-4, 1914, pp. 34-40, 143-152; Petrucci, Amati. Per i suoi rapporti, non particolarmente amichevoli, con Mai, cfr. Timpanaro, Cultura ottocentesca, pp. 231-233 e p. 269. Segnalò l’interesse di Augusto Campana per Amati Timpanaro, Leopardi, pp. 227-228. 61 Cfr. Pinto, Isocrate, p. 83. Λ non poté invece essere controllato da Amati perché, come si è detto, era all’epoca a Parigi, cfr. supra, n. 9. 60 Su
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so gedenke er selbst eine neue Ausgabe wahrscheinlich mit griechischem Kommentar zu veranstalten; wäre hingegen die Verschiedenheit nicht viel grösser, als in den schon verglichenen Handschriften, so werde er gerne die Ausbeute der Vatikanischen als Gabe der Freundschaft mir zu freier Benutzung überlassen.62
La motivazione con cui a Mustoxydis erano stati negati i risultati dell’indagine sui manoscritti vaticani appare, da questo resoconto, pretestuosa. Le divergenze rispetto al testo di Mustoxydis, vale a dire sostanzialmente le varianti di Γ, non erano tali da renderne impossibile la comunicazione per iscritto da parte di uno studioso disposto a collaborare (ancor più alla luce dell’esistenza, secondo Andrés, di una copia già pronta). In realtà, la ragione di questo impedimento stava nel fatto che Amati, ad un certo momento, aveva deciso di utilizzare egli stesso i risultati delle ricerche intraprese dietro l’impulso di Mustoxydis. Lo rivela una serie di documenti conservati nella Biblioteca Vaticana tra le carte di Amati acquisite dall’istituzione nella quale aveva a lungo lavorato, un fondo che comprende alcuni zibaldoni contenenti note e appunti vari, trascrizioni, collazioni e traduzioni. Una di queste raccolte, il Vat. lat. 9780, riguarda in buona parte Isocrate e in particolare l’Antidosi.63 Il manoscritto include: una collazione del Panatenaico nell’edizione Korais con i mss. Γ e Δ (ff. 26r-38r); una nota sul titolo della prima epistola di Isocrate (Ad Dionysium),64 che nel Vat. gr. 64 [Φ] si presenta nella forma Ἰσοκράτης Λυκόφρονι χαίρειν, nonché la collazione delle nove epistole (nel testo di Korais) con Γ (ff. 39r-45v); la collazione del testo di Korais delle orazioni Sulla biga (ff. 46r-52v), Contro i sofisti (ff. 5354), Panegirico (ff. 54v-63r), Sulla pace (ff. 63r-68v), A Nicocle (ff. 68v-70r) con Γ; la trascrizione di un piccolo numero di scoli e marginalia contenuti nel Vat. Pal. gr. 135 (al f. 71r), oggi in gran parte evanidi e di difficile lettura; la collazione dell’Antidosi (nel testo di Korais) con Γ e Δ (ff. 72r-109r); la trascrizione delle sottoscrizioni presenti in Γ ai ff. 17v, 27v, 32r, 47r, 57v, 67v e una nota tratta dalla Bibliotheca Graeca di Fabricius e Harles (vol. VIII, p. 82) 62 Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, Nachträge, p. 448: «si era dato da fare per ottenere le varianti dei manoscritti della Vaticana, ma gli erano state fatte grandissime difficoltà per potergliele comunicare, con la motivazione che le divergenze rispetto alla sua edizione erano molto consistenti. Quando ne fosse venuto in possesso e le avesse trovate di particolare interesse, allora lui stesso avrebbe preso in considerazione l’idea di allestire una nuova edizione, probabilmente con un commento in greco. Se invece la differenza non fosse stata molto più grande di quella presente nei manoscritti già consultati, egli avrebbe lasciato volentieri a me, come dono d’amicizia, i risultati dei Vaticani, perché ne facessi libero uso». 63 Descrizione in M. Buonocore, Codices Vaticani Latini, Codices 9734-9782 (Codices Amatiani), Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1988, pp. 128-132. 64 È la lettera di cui si occupò anche Mai, vd. supra pp. 212-213 e nn. 38-39.
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relativa a Eliconio e alla voce a lui dedicata nel lessico Suda (ff. 110r-111r); una traduzione latina dell’Antidosi integra (ff. 112r-149r); altre annotazioni sugli argumenta delle orazioni isocratee e sul Vat. gr. 1383 (ff. 150r-151v); infine, una copia dell’opuscolo di Mustoxydis Epistole che precedono al libro intitolato Discorso d’Isocrate della permutazione (ff. 152r-159r). Come si vede, Amati aveva fatto ben più che riscoprire un testo completo dell’Antidosi: aveva collazionato interamente Γ e Δ, e aveva approntato una traduzione latina del discorso, corredata di titoletti laterali, forse già pensata per una stampa. Il lavoro racchiuso nel Vat. lat. 9780 mostra, inoltre, che egli aveva saputo raccogliere i risultati significativi della sua ricognizione dei testimoni isocratei della Vaticana, riconoscendo, per esempio, il valore del Vat. gr. 64 per la tradizione delle Epistole,65 o la singolarità degli scoli e delle annotazioni del Vat. Pal. gr. 135 (che sono ancora da vagliare). Soprattutto, ad Amati non erano sfuggiti il valore di Γ e il lavoro di revisione fatto in età tardoantica sul testo tramandato dal manoscritto, come dimostrano l’attenzione per le preziose sottoscrizioni presenti nel codice e l’appunto relativo a Eliconio, che rivela come Amati avesse individuato per primo l’elemento più solido per datare il lavoro erudito lì testimoniato.66 6. Il lavoro di Amati, già in parte realizzato durante il 1811, come si ricava dalla lettera di Andrés citata prima, si inserì ad un certo momento in un progetto più ampio. Insieme ai materiali contenuti nel Vat. lat. 9780, un gruppo di documenti epistolari editi e inediti ci consente di far luce su una vicenda svoltasi parallelamente a quella raccontata fin qui, ma rimasta in ombra e ignota agli studiosi di Isocrate.67 Una vicenda che oltre ad Amati vide coinvolti due letterati illustri di ambiente pesarese-romagnolo: Vincenzo Monti e suo genero Giulio Perticari (che aveva sposato Costanza Monti nel 1812, dopo la rottura del fidanzamento con Mustoxydis).68 Una 65 Cfr.
Martinelli Tempesta, Equivoco, p. 261 e n. 3. prima dunque di H. Usener, Unser Platontext, «NGG» Phil.-hist. Kl., VI, 1892, pp. 25-50, 181-215: 186-187 (= Kleine Schriften, III, Leipzig-Berlin, Teubner 1914, pp. 104-162: 135). Sulle sottoscrizioni e Eliconio (di cui sappiamo appunto da Suda ε 851 Adler) cfr. ora De Leo, Citazione, pp. 211-213; Menchelli, Scritti, p. 285 e n. 131; Martinelli Tempesta, Tracce, pp. 74-75 e n. 19. 67 Se ne trova rapido cenno in C. Giambelli, Di Giuseppe Biamonti. Cenni bibliografici e critici, «Atti della R. Accademia dei Lincei», Cl. Sc. mor., stor. e filol., X, s. V, CCXCIC, 1902 [1903], pp. 4-52: 18; e in Gervasoni, Ambiente letterario, p. 12. Cf r. anche Zanou, Mustoxidi, p. 48. 68 Sul Monti classicista si può rinviare almeno a Treves, Antichità classica, pp. 179-233. Per un profilo intellettuale di Perticari cfr. S. Romagnoli, Progetto di restauro di Giulio Perticari, in Scuola classica romagnola, Atti del convegno di studi (Faenza, 30 novembre, 1-2 dicembre 1984), 66 Ben
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serie di lettere che i due si scambiarono nella primavera del 1813 contiene, infatti, informazioni su un nuovo progetto di edizione e traduzione dell’Antidosi, che avrebbe dovuto essere realizzato da Perticari in collaborazione con l’amico Amati. Il primo riferimento a questo progetto è in una lettera di Monti a Perticari del 7 aprile 1813: Fermiamoci adesso su la Panatenaica 69 d’Isocrate. Non v’ha dubbio che Mustoxidi mi sia caro e ch’io il tenga in grandissima stima. Ma l’affetto che ho posto in quest’uomo non può per nulla venire al confronto di quello che porto a mio figlio. Il perché se conosci che il lavoro a te proposto dal sig. Amati debba uscire in tua lode, mettivi pure le mani con sicurezza e calore. Basta che nel parlare dell’edizione di Mustoxidi tu nol defraudi della giusta lode che gli si deve siccome a primo scopritore di quell’orazione. Se i codici da lui consultati sono manchevoli, questa non è sua colpa, ma della fortuna, e parmi che sia gran lode per Mustoxidi l’aver egli stesso presentito e apertamente notato il difetto, che ora pel codice vaticano si è fatto palese. E poi di queste cose a suo tempo. Di presente tu non devi badare che a darne una bella versione. Quando la tua fatica sarà a riva, penseremo al modo di metterla in luce senza offender persona.70
Dalla lettera emerge chiaramente che la proposta di dare vita a una nuova edizione era dunque venuta da Amati, che forse intendeva stampare anche un testo dell’Antidosi corretto sulla base di Γ.71 Per questo progetto, Perticari avrebbe dovuto procurare una traduzione, ma in italiano (di «versione italica» parlerà esplicitamente lui stesso in una lettera successiva citata più oltre). Monti ritornava ad esortare Perticari all’impresa in una lettera del 15 aprile: «Sull’Isocrate ti ho risposto e di nuovo ti esorto a porvi la mano».72 E in una lettera della settimana successiva, il 21 aprile 1813, aggiornava il suo corrispondente con una serie di nuovi dettagli, tra cui anche la forte conModena, Mucchi 1988, pp. 19-29; A.M. Di Martino, «Quel divino ingegno». Giulio Perticari. Un intellettuale tra Impero e Restaurazione, Napoli, Liguori 1997; W. Spaggiari, Appunti su Giulio Perticari, in E. Ghidetti – R. Turchi (edd.), Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli, Venezia, Marsilio 1999, pp. 293-315 (ripubbl. in W. Spaggiari, L’eremita degli Appennini. Leopardi e altri studi di primo Ottocento, Milano, Unicopli 2000, pp. 173-192). Manca uno studio sul Perticari classicista: giudizi positivi su questo aspetto si leggono in S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri-Lischi 1969², pp. 6, 11, 49, 62; cfr. anche Timpanaro, Cultura ottocentesca, p. 77, n. 46. Nel 1801, Perticari e Amati, insieme con Bartolomeo Borghesi, avevano fondato l’Accademia Rubiconia Simpemenia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone. 69 Monti faceva lo stesso errore fatto da Manzoni nella lettera a Fauriel citata al principio di questo saggio, vd. supra, p. 205. 70 Bertoldi, Epistolario Monti, p. 113. 71 Si veda la lettera del 12 settembre 1813 citata infra, pp. 225-226, in cui Amati parla di una «Stampa Greca». 72 Bertoldi, Epistolario Monti, p. 115.
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trarietà che Mustoxydis aveva manifestato una volta informato del nuovo progetto di edizione: Persuaso di dare a Mustoxidi un nuovo argomento della mia leale amicizia verso di lui, [...] mi risolvetti di non tenergli occulta la nuova edizione che si medita del suo Isocrate, e gli comunicai il tenore della tua lettera, la quale come piena di sentimenti nobili e generosi io mi sperava che dovesse meritarmi gratitudine e ringraziamenti. Ma la faccenda è ita al contrario. E se non fosse che l’altrui mal procedere non farà mai ch’io mi rimova dal mio sentiero, questa era la volta da romperla del tutto e per sempre con questo greco. La scoperta del passo citato da Arpocrazione, le molte varianti dei codici vaticani, il nome d’Amati, quello di Perticari son tutte cose che l’hanno fatto uscir di se stesso. Un indizio del mal umore che l’ha preso abbilo nella carta che questa mattina mi ha fatto giungere per mezzo d’un comune amico, aggiungendo ch’egli è risoluto di partir per Roma, e colà comparare coi codici vaticani la sua edizione, e notandone le varianti, e pigliandosi alla fonte il passo d’Arpocrazione, dar subita mano egli stesso ad una ristampa, e rapire ad Amati il merito delle sue scoperte, e così farvi a tutti la barba di stoppa. E veramente egli è uomo da mettere ad effetto le sue parole, se Amati nol previene notificando senza dilazione al pubblico i suoi ritrovati. Intanto il greco scrive questa sera medesima al cav. Akerblad, ellenista colà dimorante,73 incaricandolo d’impadronirsi del passo d’Arpocrazione, e di verificare gli errori che Amati suppone (e che Mustoxidi non crede) nell’edizione eseguita su la fede dei codici Laurenziano e Ambrosiano. Tu scriverai ad Amati quel che ti pare, ma nella zuffa che va ad accendersi tra lui e Mustoxidi ti prego e, per quanto il nome di padre può valere, ti comando di non prendere veruna parte palese in questo litigio, avvertendo anche Amati di non mettere per qualsivoglia accidente in campo il tuo nome. Perciocché l’alzarti che tu facessi a viso aperto contro il Mustoxidi tornerebbe in mio biasimo, né l’accorto greco tralascerebbe di vociferare ch’io medesimo ti avessi eccitato a dargli guerra, invece d’impedirla. La somma è che tu devi proseguire con alacrità la traduzione alla quale hai posta la mente e valerti del testo migliore, sia Pietro sia Paolo che te lo presenti. E volendomi tu scrivere qualche cosa su questo articolo, fa che le tue lettere successive non ismentiscano i liberali sentimenti già manifestati rispetto alla persona di Mustoxidi, e con le stesse tue lettere alla mano io il possa confondere de’ suoi maligni sospetti. Di questo io ti prego con molto calore, e avendo pur qualche cosa da non farsi palese, scrivila separata. Né ti storni dal tuo nobile proponimento l’intendere dal foglio che ti accludo di Mustoxidi, ch’egli stesso ha preso a volgere l’orazione d’Isocrate in italiano, poiché questo è falsissimo, siccome falso pur credo il pensiero di darne una nuova edizione in Parigi, avendo egli tuttavia su le spalle la milanese. Macte animo ed ama il tuo aff.mo padre ed amico.74 73 La lettera di risposta di Åkerblad è conservata tra le Carte Mustoxydis nell’Archivio della Diocesi di Corfù, secondo Zanou, Mustoxidi, p. 48, n. 45. Si veda supra, n. 46. 74 Bertoldi, Epistolario Monti, pp. 116-117.
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Come si è detto, attraverso la collazione di Γ, Amati aveva messo a fuoco le molte novità e lezioni inedite di questo manoscritto. La lettera di Perticari di cui Monti aveva riferito a Mustoxydis informava, tra l’altro, che il bibliotecario vaticano aveva trovato nel codice anche il nome di Onetore (Antid. 93), testimoniato da Arpocrazione (223, 7 Dindorf = ο 23 Keaney) ma che Mustoxydis aveva cercato invano in Ε e Θ (e che Orelli aveva nel frattempo, forse autonomamente, ripristinato per congettura). Ecco, infatti, come Amati aveva reso il passo in questione nella sua versione: Vobis orationes nostras nuper legimus. Nunc illos homines, qui a pueritia ad senectutem usque, nostra usi sunt consuetudine, vobis proferam, et testes earum rerum, quae dicturus sum, e vestrum coetu illos adhibebo, | qui aetate mecum suppares fuerunt. Ad me igitur inter primos accedere Eunomus, Lysithides et Callippus cepere. Post hos Onetor, Anticles, Philonides, Philomelus, Charmantides. 75
Al contenuto della lettera di Perticari, comunicatogli da Monti, Mustoxydis aveva dunque reagito con irritazione, sostenendo di aver dato lui stesso avvio a una traduzione italiana del discorso e di meditare una nuova edizione dell’opera a Parigi.76 Da parte sua, Perticari manifestava non poche esitazioni: Prima ch’io pur consentissi alla tentazione di por mano alla traduzione d’Isocrate, ho voluto consultarne l’oracolo vostro e quello di un amico del sig. Mustoxidi. Potete da questo solo comprendere se ho mai avuto in animo di far cosa che possa recar dispiacere a questo eccellente giovine che al sommo stimo ed onoro. Se vi paia adunque ch’egli mal ne soffra una seconda e più perfetta edizione, né amo né debbo togliergli quell’onore a cui egli ha quasi diritto. S’aggiunge a questo ch’io odio per sistema queste hybrigomachie e questi letterari duelli, dai quali, per lo più, traggono vergogna del pari e il vincitore ed il vinto: e che niuna cosa tanto curando nella mia vita quanto quella di esser gentile con tutti, ho sempre molto più procacciato di esserlo colla santissima sacra e suprema gerarchia de’ letterati, alla quale io mi professo sovra ogni gente devoto. Sarò quindi pago se per mio mezzo l’editore di Isocrate avrà scoperta l’esistenza del passo citato da Arpocrazione, e se quindi, consultando i codici vaticani, potrà migliorare il lavoro suo, lusingandomi in questo pensiero di aver fatta cosa non ingrata a lui ed utile alla repubblica delle lettere. La mia versione italica poi si rimarrà ben contenta dell’oscurità del mio scrigno, se il Mustoxidi pubblicherà la sua; ardirà soltanto 75 La lezione Ὀνήτωρ fu registrata chiaramente da Amati al f. 107 del Vat. lat. 9780; la traduzione di Antid. 93 si legge al f. 127r-v. 76 Si trattava forse della sua vecchia idea di dar vita a un’edizione con le note di commento di Korais.
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di mostrarsi alla luce se egli sempre vorrà, come ha fatto finora, lasciarne a men dotta penna la cura.77
Ulteriori sviluppi si leggono in una lettera di Monti di qualche giorno dopo (28 aprile): Se Amati sarà teco alla fine di maggio, io vi sarò alla fine di giugno per darti stimolo al lavoro a cui ti sei risoluto. Dopo l’ultima che ti scrissi io l’ho rotta affatto col greco. La mia condotta con esso è stata onestissima e delicatissima, e veracemente io desiderava che, senza nuocere alla tua impresa, si potesse trovare una via che salvasse la sua convenienza. Ma egli al nome d’Amati e di Perticari si è inferocito ed ha perduto il cervello, né a fargli capir ragione è giovato il discorso di savi amici comuni. Nulladimeno desidero che il nostro procedere seguiti ad essere generoso e civile, e che qualche tua lettera ostensibile manifesti il consiglio che fin da principio ti ho dato di usare a quest’uomo i più liberali riguardi. Egli ha indotto persona autorevole a procurargli, col mezzo del cav. Tambroni,78 incaricato degli affari del regno in Roma, tutto il di più dall’Amati scoperto, onde subito pubblicarlo egli stesso e farsi merito del compimento. Ma se Amati non è baggeo, starà forte nel negarne la comunicazione. E ove una forza superiore a ciò lo stringesse, nessuno potrà impedirgli di annunziar subito ne’ pubblici fogli, ovvero con apposito particolar manifesto, la sua scoperta, col di più che per onore del vero e del fatto gli tornerà in acconcio di dire rispetto agli altri errori dell’edizione milanese, errori di cui il greco nega ostinatamente l’esistenza, affermando essere impossibile che l’Amati ne abbia fatto il confronto, non essendo, dic’egli, andato a Roma verun esemplare della sua stampa a tempo opportuno. Comunque vada l’affare, tu scrivimi ne’ termini riservati che a mia giustificazione desidero, per li quali apparisca che io ti ho esortato (siccome realmente ho fatto) a parlare del greco con ogni discreto rispetto, e che tu non darai nulla alle stampe senza il mio consentimento. Il resto a vivo discorso, quando ci abbracceremo in Pesaro.79
Una lettera di Monti del 9 maggio contiene un ultimo riferimento alla vicenda, e in particolare alla ricomposizione dei rapporti con Mustoxydis: «Il greco in casa di Paradisi mi ha dimandato perdono, e volentieri, per gratificare a Paradisi e a Lamberti, io gliel’ho accordato. E tutto questo cangiamento è stato l’effetto delle tue lettere, delle quali ti rendo grazie. Il resto 77 La minuta della risposta di Perticari è pubblicata in Bertoldi, Epistolario Monti, pp. 117118. Nelle Carte Perticari conservate alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro non sono tuttavia riuscito a trovare traccia di lavori isocratei. 78 Si tratta dello studioso e archeologo Giuseppe Tambroni (1773-1824), all’epoca diplomatico del Regno d’Italia, cfr. S. Rudolph, Giuseppe Tambroni e lo stato delle belle arti in Roma nel 1814, Roma, Istituto di Studi Romani 1982. 79 Bertoldi, Epistolario Monti, pp. 118-119.
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a voce».80 Durante l’estate di quell’anno il rapporto tra i due dovette ulteriormente rasserenarsi e il progetto di Perticari e di Amati dovette essere progressivamente abbandonato. Lo si può evincere da una lettera di Amati a Perticari, finora inedita, scritta da Roma il 12 settembre 1813: 81 Egli è da lungo tempo, che ad un pregiatissimo vostro foglio, tutto ridondante di dolcezza e di tenera amicizia, avrei pur dovuto rispondere. Ed al certo, allora che il ricevetti, un’insolita letizia e vigore infondere mi sentii nell’anima; cosicché da voi eccitato, e con voi al fianco, non che un Corcireo, tutti mi sarei posto ad affrontare gli Alcidi dell’Italiana e dell’Europea letteratura. E già meco stesso il suono di gran tromba guerriera andava meditando, una prefazione cioè al mio Isocrate, in cui avrei fatto risaltare con penna non velenosa, ma forte, la mala fede, la sconsigliatezza, l’ignoranza dell’editor Milanese; avrei mostrato com’egli che si fa bello della scoperta, va debitore di essa, e persino della trascrizione del testo, a’ Bibliotecarj di Firenze, miei amici, i Sigg.ri Del Furia e Bencini; 82 e quindi l’avrei trattato con nobile Italico disprezzo, insieme con un Colonnello Francese, che quest’anno appunto ha pubblicato in Parigi gli Opuscoli equestri di Senofonte.83 80
Bertoldi, Epistolario Monti, p. 121. Biblioteca Oliveriana, ms. 1922 (Carte Perticari), fasc. I, cart. 5, lettera nr. 5 (nella trascrizione è stata normalizzata la punteggiatura e sono stati integrati due punti danneggiati). Si tratta dell’unica lettera di Amati a Perticari, tra le 15 conservate a Pesaro (anni: 1805-1822), che riguardi queste vicende. Ringrazio la Biblioteca Oliveriana per il permesso di pubblicarla qui per la parte che ci interessa. 82 Francesco Del Furia (1777-1886), bibliotecario della Biblioteca Laurenziana, e Gaspare Bencini (1775-1874), bibliotecario della Biblioteca Riccardiana e vicebibliotecario della Laurenziana, su cui cfr., rispettivamente, le voci di M. Scarlino Rolih e A. Petrucci in DBI, 36, 1988, pp. 567-570 e 8, 1966, pp. 207-208. 83 Si tratta di Paul-Louis Courier, autore di Du Commandement de la Cavalerie, et de l’Équitation. Deux livres de Xénophon, traduits par un officier d’Artillerie à Cheval, Paris, Imprimerie de J.M. Eberhart s.d. (ora in P.-L. Courier, Oeuvres Complètes, texte établi et annoté par M. Allem, Paris, Gallimard 1951, pp. 302-344). La lettera di Amati sembra fornire anche un’indicazione cronologica utile (1813) per l’effettiva diffusione dell’opuscolo, che non è datato, cfr. Senofonte, Ipparchico. Manuale per il comandante di cavalleria. Introduzione, traduzione e note di C. Petrocelli, Bari, Edipuglia 2001, p. 187. All’epoca Amati e Courier erano stati già in contatto per le vicende relative alla pubblicazione del romanzo di Longo, cfr. N. Bianchi, Il codice del romanzo, Bari, Dedalo 2006, pp. 153-162. Una lettera di Åkerblad datata da Roma il 21 giugno 1809 fa riferimento in particolare al lavoro fatto per il Senofonte di Courier da Amati e rivela, al tempo stesso, l’apprezzamento per il modo di lavorare di quest’ultimo: «Votre Amati est un peu mécontent de vous, n’ayant pas depuis longtemps palpé de votre argent. Le bonhomme prétend que les dix piastres que vous lui avez données, à votre dernier départ de Rome, n’étaient qu’une ancienne dette, pour certains soins qu’il avait donnés à votre Cavalerie de Xénophon. L’Anabasis est, selon lui, un marché à part, et d’une tout autre importance. En effet, j’ai vu son travail et il faut avouer qu’il s’est surpassé lui-même, tout comme il a surpassé votre attente et vos désirs; car, au lieu de variantes d’un seul manuscrit, vous en avez de quatre, et le tout forme une énorme liasse grand in-folio. Vous trouverez des accens, des virgules, des lettres, des mots, des phrases, enfin des lignes et des périodes entières, qui, pour la première fois, vont prendre 81 Pesaro,
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Ma nello stesso tempo assaltato mi vidi da tanti e sì validi impegni, anche per parte di persone giustamente su di me autorevoli, che incerto io stesso dell’esito, astenermi dovetti dal farvene motto, finché alcuna cosa di positivo scriver ne potessi. Altro in vero non si richiedeva, per vendicar solennemente l’onor mio, se non che i mezzi avessi avuto di sostenere le spese della ; giacché nulla in questi cattivi tipografi, o Ebrei, o spiantati, v’era a confidare. La vostra lontananza, ed il difficile commercio tra i due paesi, mi toglieva ogni lusinga. Alcuni, a’ quali aveva fatto vedere l’utilità dell’impresa, ed in caso estremo la sicurezza di non rimetterci, nulla risolvevano. Frattanto le preghiere e le istanze del transmarino si moltiplicavano. E si era già venuto all’effettiva trasmissione d’una non picciola somma di danaro. Ed io, ciò non ostante, sempre più forte al vostro comando, ed alla voce rispettatissima de’ sommi Italici, mi atteneva. Il diavolo finalmente ha voluto, che gli agenti di colui abbiano, come si suol dire, scovato un Curialaccio Grecolo anch’egli di origine, il quale, per guadagnarsi un tozzo di pane, si è assunto di fare una mala, come confessa, e material copia de’ testi Vaticani. Io non posso impedirgli l’accesso, o l’uso de’ codici. E forse m’avverrebbe di peggio, se mai all’Intendente della Corona fosse presentato su di ciò alcun ricorso. Ho fatto sentire a Milano il poco che v’è da contare sopra un tal meccanismo, il quale di più riuscirebbe lunghissimo. Ma so che i disperati non ammetton ragione. Parrebbe quindi meglio fatto, che io discendessi ad una trattativa col nemico certamente umiliato abbastanza. Ed i Sigg.ri Ackerblad e Biondi,84 tosto che hanno saputo l’arrivo d’un po’ di danaro, hanno detto, che ben mi ci consigliavano, in vista | de’ miei grandi bisogni economici, e del bisogno anche maggiore d’impiegare il mio tempo in tanti altri lavori, e non in una Stampa Greca, tormento e perdita incredibile per chi non l’ha provata. Ricorro dunque a voi, e per vostro mezzo al veneratissimo Sig.r Cav.re, divenuto per me un Nume tutelare, con tanto poco mio merito; acciocché vi piaccia di significarmi, se mi sciogliete dal divieto fattomi. Voglio sperare che sì. Ed in tal guisa il Dolceacetino riconoscerà, sebbene a male in corpo, dalla permission vostra la sospirata grazia di un accomodamento con me, come dallo sdegno vostro ha dovuto riconoscer finora la mia inf lessibilità. Io tratterò con lui (non dubitate), come con un ben conosciuto Sinone. E poscia all’opportunità renderovvi inteso di tutto.
7. È possibile che il progetto patrocinato da Monti fosse alla fine abbandonato anche perché il gruppo venne a conoscenza dei lavori di Mai e leur place dans l’édition que vous nous donnerez un jour de l’expédition de Cyrus. Cela vous fera une gloire immortelle, dit Amati, qui y renonce généreusement en votre faveur, à condition que vous lui donnerez force beaux sequins» (P.-L. Courier, Oeuvres Complètes, p. 1019; la risposta di Courier è alle pp. 805-806). Per i rapporti tra Åkerblad e Amati e tra Åkerblad e Courier cfr. Thomasson, Åkerblad, p. 375, n. 42 e pp. 299-306. 84 Luigi Biondi (1776-1839), archeologo romano, tra le persone più vicine ad Amati, cfr. V. Jemolo, Biondi, Luigi, in DBI, 10, 1968, pp. 534-535.
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di Orelli (la cui realizzazione, si può immaginare a questo punto, lo stesso Mustoxydis probabilmente favorì). Come lascia intendere la lettera di Amati, i risultati delle indagini sui manoscritti vaticani furono alla fine comunicati a Mustoxydis, che ancora per un certo tempo sembra aver meditato di dar vita a una nuova edizione. Lo scriveva Mai a Peyron nel maggio 1814: Pur troppo vi sono nel libro alcuni altri pochi errori di stampa non corretti, e alcuni passi la cui traduzione da me proposta non troppo mi soddisfà. Il Sig. Mustoxidi pensa a una ristampa per gli aiuti de’ Codici Vaticani che già ha ottenuti, e in tal caso mi ha proposto il partito di riprodurvi la mia Traduzione, alla quale io certamente recherei alcuni cangiamenti e ho già divisato quali.85
Alla fine di giugno, tuttavia, in una successiva lettera di Mai allo stesso destinatario, la situazione appariva già mutata: «Certo le rif lessioni, che mi ha comunicato finora, sono dotte, fini, diligenti, e mi gioveranno se mi accaderà che io replichi quella edizione: ciò che peraltro probabilmente non si farà».86 A quanto pare, alcuni anni dopo Mustoxydis fece ancora un nuovo tentativo di realizzare un’edizione, di tutto Isocrate questa volta, presso l’editore torinese Pomba.87 In realtà, una traduzione italiana della ‘nuova’ Antidosi fu nel frattempo pubblicata. Vide la luce a Parigi, nel 1813, presso Pierre Didot «l’ainé», a cura di un altrimenti sconosciuto G.M. Labanti, «Professore di Lingua italiana in Parigi, approvato dall’Università Imperiale», come egli stesso si definiva nel frontespizio dell’opera. La traduzione della parte inedita figura alle pp. 455-530 del II volume come una Giunta all’Aringa della Permutazione d’Isocrate, prima traduzione dal greco di G.M. Labanti: nel Proemio (pp. 45785
Ferraris, Angelo Mai, p. 116. Ferraris, Angelo Mai, p. 117. 87 L’annuncio di Pomba apparve nella rivista «Biblioteca italiana», XLII, CXXIV, aprile 1826, p. 140: Isocrate sarebbe stato il primo volume della nuova serie di «Classici greci»: «Se noi diremo che il testo è quello pubblicato dal celebre Coray, con note e varianti del cav. Andrea Mustoxidi, avremo già detto al certo abbastanza perché ognuno s’immagini, che questo sarà il migliore di quanti Isocrati si conoscan finora». Il progetto non fu però realizzato. Si veda anche la lettera di Leopardi a Karl Bunsen del 1° febbraio 1826: «In tutta Bologna, città di 70 m. anime, si contano tre persone che sanno il greco, e Dio sa come. Nondimeno si voleva intraprendere qui una vasta e bella opera, cioè la stampa di una Collezione completa di tutti i Classici greci Variorum, della quale si voleva che io fossi capo, quanto alla parte letteraria. In tal caso avrei avuto gran bisogno, e fatto gran ricerca, dei di lei consigli ed aiuti. Ma il tipografo Pomba di Torino, che intraprende una Collezione simile, per la quale dice di avere in pronto molte cose inedite, e fra gli altri, d’Isocrate, ha guastata ogni cosa. Io son certo che i Classici greci di Pomba non saranno migliori che i suoi Classici latini». Cfr. G. Leopardi. Epistolario, a cura di F. Brioschi e P. Landi, Torino, Bollati Boringhieri 1998, I, lettera 831, p. 1065 e II, p. 2236, n. alla lettera. 86
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PASQUALE MASSIMO PINTO
458) Labanti dichiarava, infatti, di essere venuto a conoscenza dell’edizione di Mustoxydis quando aveva ormai stampato la traduzione del testo dell’Antidosi fino a quel momento noto (si legge alle pp. 217-279 del II volume) e di aver quindi provveduto subito a realizzarne una versione italiana a beneficio dei suoi lettori. Dalla prefazione di Mustoxydis il curatore riprendeva nel Proemio anche le notizie relative ai codici contenenti la parte nuova dell’orazione (p. 457: «Sarebbe a bramarsi di poter confrontar questi quattro codici, e darne un’edizione greco latina col metodo de’ prestantissimi traduttori Volfio, Battie e Auger»), nonché gli argomenti addotti dallo studioso greco per sostenere l’autenticità dell’integrazione. Ripubblicata in Italia trent’anni dopo, la versione di Labanti sarebbe rimasta per più di un secolo l’unica traduzione italiana a stampa dell’Antidosi integra.88 I rapporti di Mustoxydis con Perticari e Monti rimasero buoni fino alla morte di questi ultimi, rispettivamente nel 1822 e nel 1828.89 Nel 1829 Mustoxydis si ritirò a Corfù. Anche Mai e Orelli non tornarono più ad occuparsi dell’Antidosi. Il lavoro di Amati, che morirà nel 1834, rimase inedito e celato tra le sue carte.90 Anni prima, Immanuel Bekker, nel suo più lungo giro di visita delle biblioteche europee, tra il maggio 1817 e l’agosto 1820, era stato più di una volta a Roma 91 e aveva potuto esaminare Γ e Δ, già collazionati da Amati. La visita dell’instancabile filologo prussiano fu risolutiva: il II volume della sua edizione degli oratori attici, apparso nel 1823 a Oxford e a Berlino,92 mise in circolazione in Europa un nuovo testo di Isocrate fondato su Γ ed ebbe conseguenze determinanti per il testo dell’Antidosi e per 88 Cfr. Opere d’Isocrate, recate dal greco nell’italiano idioma, con annotazioni illustrate, e dedicate alla Maestà di Napoleone il Grande, Imperatore de’ Francesi, Re d’Italia, Protettore della Confederazione Renana, ec. ec. da G.M. Labanti, Professore di Lingua italiana in Parigi, approvato dall’Università Imperiale, in Parigi, da’ torchi di P. Didot il magg., I-II, 1813. Nel 1828 apparve a Milano, presso Sonzogno, il solo I volume di una seconda edizione corredata di «nuove aggiunte ed importanti annotazioni del Brequigny, Cesarotti, Coray, Mustoxidi». L’opera fu poi ripubblicata integralmente nel 1842 a Parma, per i tipi di Pietro Fiaccadori: Opere di Isocrate, tradotte e corredate di annotazioni da G.M. Labanti; qui, in uno dei fogli non numerati che precedono la prefazione, l’editore metteva ancora in rilievo come Labanti avesse recato «pel primo in italiano quell’ampia giunta all’aringa della Permutazione, che per le cure del Mustoxidi vide la luce». L’identità del Labanti e il lavoro da lui realizzato meriterebbero un approfondimento. 89 Lo dimostra, ad es., una cordiale lettera di Mustoxydis del maggio 1822, scritta a Perticari per conto di Monti (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 1923, fasc. II, cart. 98). 90 Sulla reticenza e sulla tendenza di Amati a lasciare comunque inedite le sue scoperte cfr. Petrucci, Amati, p. 675; Timpanaro, Cultura ottocentesca, pp. 231-232. 91 Cfr. W.A. Schröder, Immanuel Bekker - der unermüdliche Herausgeber vornehmlich griechischer Texte, in A.M. Baertschi – C.G. King (edd.), Die modernen Väter der Antike. Die Entwicklung der Altertumswissenschaften an Akademie und Universität im Berlin des 19. Jahrhunderts, Berlin-New York, De Gruyter 2009, pp. 329-368. 92 Bekker, Isocrates¹; Bekker, Isocrates².
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LA RISCOPERTA DELL’ANTIDOSI NEL XIX SECOLO
lo studio dell’intera tradizione manoscritta isocratea.93 Un progresso che, fatalmente, oscurò il lavoro non privo di meriti dei predecessori.94
93 Ben noto è l’esordio della sua asciutta nota critica: «Codicum Isocrateorum duae sunt familiae, quae cum aliis rebus inter se differunt, tum Antidosi aut integra aut mutila» (Bekker, Isocrates¹, p. [iii]; Bekker, Isocrates², p. [3]). L’edizione di Bekker ebbe tuttavia anche conseguenze negative di lunga durata per l’Antidosi, come l’adozione del testo abbreviato delle ampie autocitazioni, mutuato da Γ, cfr. Havet, Antidosis, pp. cxvii-cxix; Pinto, Isocrate, pp. 93-94 e note. 94 Drerup, Isocratis opera, p. clxxx: «editorum priorum lucubrationes oblivioni fere dedit, ut ante Bekkerum in Isocrate vix quidquam bene excogitatum esse posterioribus iniuria visum sit. Quid quod ne Mustoxydis quidem aut Angeli Mai curas ipsas ascivit et ex Orellio cognovisse satis habuit!». Il contributo del lavoro di Mustoxydis, Mai e Orelli, già a suo tempo apprezzato da J.Th. Bergman, Specimen academicum inaugurale, exhibens Isocratis Areopagiticum, Leiden, apud Haak et Socios 1819, pp. xv-xvii, fu riconosciuto anche da Baiter, Panegyricus, pp. xix-xx e Baiter – Sauppe, Isocrates, p. vi. Nell’edizione di Bekker, invece, il nome di Mustoxydis compare solo nella prima nota dell’apparato critico dell’Antidosi, dove si precisa che per quest’orazione l’abbreviazione vulg. indica appunto l’edizione di Mustoxydis. Segnalo, infine, solo un piccolo esempio delle conseguenze di questa rimozione. In Antid. 131, Θ (f. 119v, r. 2) presenta la curiosa variante μισόδικος, in luogo del corretto μισόδημος che si legge in Γ; la variante è utilmente segnalata da Mustoxydis, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. 152 e Orelli, Περὶ τῆς ἀντιδόσεως, p. 179, ma è stata ignorata da Bekker ed è quindi rimasta ignota a tutti gli editori successivi, fino all’ultimo editore teubneriano.
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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le due giornate di studio su Isocrate. Verso la nuova edizione Oxford hanno interessato l’intero arco della storia del testo e della ricezione di Isocrate, dal momento della composizione fino alle prime edizioni a stampa, mettendo in pratica l’insegnamento di Giorgio Pasquali per cui la critica del testo e l’attività ecdotica non sono separabili dallo studio della tradizione, inteso nel senso più ampio del termine. In queste brevi conclusioni non potrò dar conto dei tanti contributi che sono emersi dalle relazioni e dal dibattito: mi limiterò a segnalare alcune linee di ricerca e alcuni problemi su cui si è concentrata l’attenzione. Nel caso di Isocrate, sia le vicende della composizione, sulle quali lui stesso talvolta ci informa, sia quelle della prima ricezione sono fondamentali per comprendere la genesi del corpus e le sue caratteristiche. Isocrate impiegava anni per elaborare le sue opere, almeno le più impegnative. La tradizione biografica sulla composizione del Panegirico, che avrebbe richiesto dieci o quindici anni, cifre probabilmente esagerate, è confermata in parte dalla rappresentazione del processo di stesura dei discorsi, che Isocrate ci offre nel Panatenaico. Si tratta di un processo che coinvolge gli allievi e che può essere interrotto e ripreso dopo lungo tempo. Ci si può chiedere se nella stesura siano sorte delle varianti d’autore, recepite poi dalla tradizione manoscritta. La cura compositiva e l’uso di un lessico della pubblicazione (ἐκδίδωμι, διαδίδωμι) farebbero pensare che tutti i dubbi e i ripensamenti siano rimasti all’interno della scuola e non siano conf luiti nelle copie di cui veniva permessa la diffusione. Proprio la scuola di Isocrate deve aver svolto un ruolo importante nella prima diffusione delle sue opere, attestata anch’essa nel Panatenaico (251, con riferimento a Sparta). La scuola deve aver offerto, per così dire, una prima protezione al corpus, garantendone anzitutto la sopravvivenza e, inoltre, preservandolo, almeno in una prima fase, da eccessive alterazioni. Ma, se la scuola di Isocrate ha protetto il corpus delle opere del maestro, il successivo uso scolastico in età ellenistica e imperiale romana, che pure ne ha permesso la trasmissione, si deve ritenere responsabile di numerose corruttele. Alcune di queste possono essere nate dalla frequenza delle copie (un elevato numero di copie introduce ine— 231 —
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
vitabilmente errori), talvolta realizzate da copisti non professionisti, come erano gli studenti di retorica, altre dal lavorio che i retori e i loro allievi compivano sul testo. Anche per questo ci soccorre la testimonianza dello stesso Isocrate, il quale nel Panatenaico (16-17) presenta la scena dei sofisti che analizzano le opere di Isocrate, le mettono a confronto con le proprie e le sminuzzano a loro piacimento. I numerosi papiri contenenti porzioni più o meno ampie di opere di Isocrate ci permettono di cogliere la situazione del testo in età ellenistica e imperiale romana e di confermare la tesi di Pasquali, per cui le opere avrebbero circolato per lo più riunite in corpuscula, non diversi da quello attestato dal codice di Kellis. Alla trasmissione antica del testo sono dedicati i contributi di Daniela Colomo, che si è soffermata su alcuni passi problematici dell’A Nicocle, e di Mariella Menchelli, che si è occupata della circolazione dei discorsi parenetici. Lo studio dei papiri evidenzia un elevato numero di lezioni equivalenti, che determinano gravi difficoltà per l’editore, in aiuto del quale non possono venire né criteri stemmatici né linguistici. Lo iudicium dell’editore – ma parlerei piuttosto, con Luigi Enrico Rossi, di Fingerspitzengefühl – deve essere in questi casi guidato dalla conoscenza dell’usus scribendi, basata però, inevitabilmente, sulle scelte editoriali. Il corto circuito che si viene a creare non è facile da spezzare, se non individuando quelli che Spitzer chiamava tic stilistici. Uno di questi, nel caso di Isocrate, è la predilezione per il parallelismo, una figura che entra in gioco nei primi due casi dell’A Nicocle (20 e 21) esaminati da Daniela Colomo. Il confronto tra il testo dei papiri, quello della tradizione indiretta e quello dei manoscritti medievali pone il problema della collocazione dei papiri e dei testi usati dagli autori antichi rispetto ai rami della tradizione medievale. Mariella Menchelli ne fornisce alcuni esempi tratti dall’A Demonico. Su scala più ampia lo stesso genere di problemi sorge nel caso delle citazioni del discorso Sulla pace nell’Antidosi, trattato nell’intervento di Stefania De Leo. La soluzione adottata dagli editori della «Collection Budé» non può essere seguita in quanto Isocrate prevedeva certamente che i testi citati venissero letti, con gli adattamenti che aveva predisposto perché fossero ben inseriti nel contesto. Un caso particolarmente interessante è nel discorso Sulla pace (52) ἀλογίστως rispetto a ὀλιγώρως, in un contesto che richiama da vicino il contenuto del discorso di Cleone in Tucidide (III 37, 1-40, 7). Accanto ai problemi di tradizione manoscritta e di costituzione del testo del corpus di Isocrate devono essere affrontate anche le questioni poste dai paratesti, in particolare dalle ὑποθέσεις, sulle quali hanno lavorato Marco Fassino e Maddalena Vallozza. Oltre ai progressi nella definizione dei rapporti stemmatici segnalo anche la difficoltà di intervenire su testi di modesta qualità linguistica e di carattere compilatorio e, per giunta, non — 232 —
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
protetti da quel rispetto che in genere si riserva alle opere dei grandi autori. In questi casi si corre il rischio di normalizzare e di correggere il testo alla luce delle nostre conoscenze, rendendolo artificialmente migliore di quello che era in origine. La ὑπόθεσις dell’Evagora, esaminata da Maddalena Vallozza, si è rivelata un testo di grande interesse soprattutto per l’ampiezza dell’analisi retorica sul problema del genere del discorso (epitafio o encomio). In questo modo la ὑπόθεσις è stata collocata nel contesto della tradizione retorica tardo-antica, e in particolare è stata evidenziata la vicinanza con i metodi esegetici della scuola di Gaza. L’autore della ὑπόθεσις mostra peraltro una sensibilità critica non comune, cogliendo l’intreccio di tratti caratteristici di più generi in una struttura duttile, acquisizione recente negli studi isocratei. La storia del testo del Panegirico viene seguita da Stefano Martinelli Tempesta fin nelle edizioni a stampa del Cinquecento, studiate con la tecnica stemmatica. Emanuel Zingg e Pasquale Massimo Pinto hanno invece delineato due capitoli di storia della ricezione (e delle edizioni moderne), il primo studiando la ricezione dell’Archidamo nella Germania del Cinquecento, il secondo la riscoperta dell’Antidosi nell’Ottocento italiano. Sarebbe limitativo considerare questi studi come ricerche sulla fortuna di un autore, come un tempo si diceva. Da un lato infatti possono contribuire alla ricostruzione delle fasi ultime della tradizione e alla storia delle edizioni moderne, due aspetti importanti anche per la costituzione del testo. Dall’altro vanno a colmare, almeno parzialmente, un vuoto che riguarda la storia della cultura occidentale nel suo complesso. Infatti, malgrado Isocrate sia regolarmente collocato all’origine dell’educazione umanistica, sono mancati quasi del tutto studi sulla sua incidenza sulla storia della cultura europea. In questa chiave i due approcci individuati da Zingg nel Cinquecento tedesco, la ricezione pedagogica di tradizione umanistica italiana e quella che Zingg definisce progressiva, rappresentano due costanti che ritroviamo non soltanto in riferimento a Isocrate. Nel primo caso c’è l’atteggiamento umanistico di chi vede nell’antichità modelli di perfezione morale e formale a cui conformarsi: parlando di Isocrate si fa riferimento soprattutto agli scritti di contenuto parenetico. Nel secondo caso c’è invece l’atteggiamento attualizzante di chi trasporta l’antichità nel mondo moderno, stabilendo analogie tra il conf litto tra Greci e Persiani e quello dell’Occidente con i Turchi. Roberto Nicolai
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INDICE DEI LUOGHI CITATI Aeschines De falsa legatione: 80 In Ctesiphontem: 80 167: 164 n. 78 In Timarchum: 80 Alcidamas Contra sophistas: 144, 161 13: 129 n. 55 16: 129 n. 55 Alexander Rhetor De figuris (Spengel) 3, 13, 32: 164 n. 78 Ammonius De interpretatione (Busse) 207, 24-27: 119 n. 17 Anonymus Professor (Markopoulos) Epistula 53: 59 Argumenta in Isocratem in or. Ad Demonicum (Dindorf ): 72 n. 7, 75 n. 21, 79-80, 91, 119, 135 107, 5-108, 8: 118 107, 22-23: 61 in or. Ad Nicoclem (Dindorf ): 73, 75 n. 21, 78 n. 31, 79, 93 n. 78, 117 n. 3 108, 16-17: 122 108, 17-22: 123 in Archidamum (Dindorf ): 75 n. 21, 78 n. 31, 79-82, 91, 94-95, 143, 147 110, 11: 113 110, 22-23: 115 in Areopagiticum (Dindorf ): 75 n. 21, 77, 78 n. 31, 79-83, 94-95 111, 4: 84 111, 10-11: 115 in Busiridem (Dindorf ): 75 n. 21, 78 n. 31, 7982, 94-95, 119, 147
in or. Contra sophistas (Dindorf ): 75 n. 21, 77, 79-80, 82-83, 84 n. 59, 94-95, 119 115, 17-18: 84 116, 2: 87 116, 8: 86-87 116, 11: 87 116, 12: 85 116, 13: 86-87 116, 20: 84 116, 21-117, 3: 130 n. 59 116, 24: 84 117, 3-5: 130 in or. De pace (Dindorf ): 75 n. 21, 78 n. 31, 7982, 84 n. 59, 94-95, 119, 143, 147 111, 25-26: 100 112, 3: 100 112, 5-7: 115 in Evagoram (Menchelli): 74 n. 14, 75 n. 21, 7677, 78 n. 31, 79-82, 91, 94-95, 117-135, 233 91, 7: 113 91, 2: 133 91, 2-8: 120-122 91, 3: 133 n. 68 91, 4: 126 n. 44, 131 n. 62 91, 4-5: 135 91, 6: 133 n. 68 91, 9: 123-125 91, 13: 131 n. 62 91, 10-14: 125-127 91, 14-18: 127-129 92, 19-24: 130-131 92, 24-27: 132 92, 28-35: 133-135 in Helenae encomium (Dindorf ): 75 n. 21, 78 n. 31, 79 in Nicoclem (Dindorf ): 44 n. 11, 75 n. 21, 78 n. 31, 79, 119 108, 25-109, 3: 122 109, 3-7: 130
* A cura di Marco Donato.
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INDICE DEI LUOGHI CITATI
109, 7-8: 119 n. 17 109, 11-17: 122 in Philippum (Dindorf ): 75 n. 21, 78 n. 31, 7982, 94-95, 143, 147 109, 20-22: 111, 120 109, 22-23: 120-121 110, 2-3: 115 110, 3-5: 111, 124 in Plataicum (Dindorf ): 75 n. 21, 77-83, 94-95, 100, 103-105 117, 8-9: 121 117, 9: 86 117, 9-10: 87-88 117, 10: 88 117, 10-11: 89 117, 12: 86, 88-89 117, 13: 87-89 117, 14: 86-87 117, 14-15: 84, 88-89 117, 15: 85, 88, 90 117, 16: 88-89 117, 17: 86, 89 117, 18: 83, 86-90 117, 19: 88 117, 20: 85, 87 117, 21: 84, 90 117, 22: 87 117, 23: 86-89 118, 1: 87, 89 118, 2: 87-88 118, 3: 88-89 118, 4: 87-88 118, 4-5: 89 Aelius Aristides Orationes (Lenz-Behr) I: 144, 161 59: 105, 106 n. 115, 115 XXVI: 143 n. 15, 144, 161 Aristophanes Acharnenses 630: 27 n. 14 632: 27 n. 14 Aristoteles [Oeconomica] 1350a23-b15: 12 n. 14 Rhetorica: 201-202 1358a36-b8: 133 n. 70 1358b: 130 n. 59 1376b15-19: 128 n. 52 1403b3: 127 1403b6-14: 128 n. 51
1414b30-1415a8: 133 1414b39-1415a3: 134 n. 72 1415a7: 131 n. 63 Fragmenta (Gigon) 128: 193 n. 101 129: 121 n. 25 Athenaeus III 122b: 42 n. 4 Michael Choniates (Lampros) I 10, 158, 11-19: 188 n. 85 I 18, 313, 22-25: 188 n. 85 Choricius VIII 9: 188 n. 85 Cicero Brutus 308: 113 n. 141 De officiis I 62: 187 n. 78 De oratore II 10: 171 n. 18 II 94: 172 n. 24 III 141: 172 n. 24 Epistulae ad Atticum VI 8, 5: 172 n. 24 Paradoxa Stoicorum: 188 n. 83 Anna Comnena Alexias XIV 7, 4: 188 n. 85 Corpus Iuris Civilis Digesta: 191 n. 95 Damascius Vita Isidori (Athanassiadi = Zintzen) 108, 40-42 = 282: 119 David (Elias) In Aristotelis Categorias (Busse) 118, 25-31: 118 Demosthenes Adversus Leptinem: 214 Olynthiaca I: 184 n. 66 Philippica III 23: 110 25: 110 Dio Chrysostomus I: 44 n. 13 II: 46 n. 19 XXXVI: 46 n. 19 LIII-LVII: 80
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INDICE DEI LUOGHI CITATI
Diodorus Siculus XV 46, 4-6: 106 n. 113, 115 Dionysius Halicarnassensis Antiquitates Romanae I 3, 2: 110 n. 130 [Ars rhetorica] V 1, 3: 62 De compositione verborum 12, 3: 128 n. 52 De Demosthene: 22, 38 17: 22 n. 3, 23-25, 31-32, 39 19: 22 n. 3, 31-32 20: 22 n. 3, 25 De Isocrate: 22, 38, 143, 145, 147, 150-151, 152 n. 49, 157 n. 63, 158, 161 1, 1: 107 nn. 117-118 1, 3: 54 4, 3: 54 7, 1: 54 7, 1-5: 22 8, 1: 54 10, 1: 53 16-17: 22 n.3, 26, 31, 36 18, 2-4: 193 n. 101 19: 145 n. 25 Disticha Catonis: 169 n. 9 Nicetas Eugenianus Anacharsis (Chrestides) 1386-1388: 188 n. 85 Monodia in Theodorum Prodromum (Petit) 455, 12-15: 188 n. 85 Excerpta Parisina: 60 Gorgias Helenae encomium: 144, 161 Hermippus Smyrnaeus (FGrHist Bollansée) T 14: 123 T 15: 123 n. 30 F 42a: 123 F 42-44: 123 F 44a: 111, 124 F 44b: 124 n. 34 F 45-54: 123 n. 30 F 86?: 123 n. 30 F 89?: 123 n. 30 Herodotus VI 95, 2: 26 n. 12 IX 75, 10: 35 Harpocratio Lexicon in decem oratores Atticos (Dindorf = Keaney): 207
9, 5 = α 24: 207 n. 17 119, 3 = ε 75: 62 139, 1 = ε 150: 132 n. 64 164, 5 = ι 27: 207 n. 17 223, 7 = ο 23: 215, 223 247, 10 = π 60: 207 n. 17
Hermogenes De statibus 7: 81 Flavius Iosephus Antiquitates Iudaicae XIII 310: 7 n. 8 Isaeus De Meneclis hereditate: 215 Isocrates [Ad Demonicum]: VIII, 41-42, 72 n. 7, 73, 75, 80, 82. 91, 95-97, 99 n. 101, 100, 118, 122 n. 29, 143, 152 n. 52, 167-169, 172-175, 176 n. 34, 185 n. 72, 189, 232 2: 171 n. 19 11: 33-34 12: 43 13: 63-64 16: 64 18: 64, 171 n. 20 18-52: 52 25: 65 25-26: 64 31: 172 n. 22, 173 n. 25 32: 168 n. 5 33: 171 n. 16 34: 65 36: 64 37: 64 38: 42, 45, 63 n. 77 39: 65 42: 145 n. 26 44: 46 46: 43, 74 50: 4 n. 2 51-52: 49 Ad Nicoclem: VIII, 3, 41-42, 72 n. 4, 73, 75-76, 80-82, 93 n. 78, 96-97, 118, 122, 133 n. 68, 143, 152 n. 52, 167-170, 173-174, 176, 189, 219, 232 1: 18-19 3: 46 5: 6 11: 17 14-39: 44, 50 15: 45
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INDICE DEI LUOGHI CITATI
20: 3-8, 64 20-21: 232 21: 8-15 30: 5, 8, 45 31: 45 n. 16 33: 177 n. 43 34: 146 n. 27 39: 49, 175 n. 32 40: 46 41: 47-49 43: 46 43-44: 46 48-49: 15-18 Aegineticus: 73, 80-82, 143, 152 n. 52 Antidosis: VII-IX, 23-24, 27-29, 66, 73, 80, 82, 90, 117 n. 3, 139, 143, 150 n. 45, 152 n. 52, 155, 174, 191 n. 93, 197-198, 203-229, 233 1: 208 n. 19, 208 n. 21 4: 208 n. 19 5: 26 8: 33 17: 205 n. 9 24: 45 n. 16 25-26: 21 28: 207 n. 15 33: 205 n. 9 44: 205 n. 9 46: 33 54: 205 n. 9 59: 50, 162 66: 50 67: 43 n. 9, 48, 50, 51 n. 31 72-309: 191 n. 94, 203 73: 44, 50 74: 44 85: 32 93: 208 n. 21, 215, 223 97: 213 n. 40 100: 213 n. 40 107: 213 n. 40 108: 213 n. 40 109-110: 215 111: 215 112: 213 113: 10 120: 213 n. 40 121: 213 n. 40 131: 229 n. 94 132: 214 n. 42 132-145: 21 133: 213 n. 40 138: 213 n. 40
143: 25 161: 213 n. 40 174: 213 n. 40 182: 213 n. 40 183: 207 n. 17 184: 213 n. 40 194: 50 195: 213 n. 40 197: 213 n. 40 215: 207 n. 15 222: 213 n. 40 222-224: 208 n. 20 224: 213 n. 40 225: 10, 213 n. 40 230: 213 n. 40 236: 213 n. 40 240: 213 n. 40 248: 213 n. 40 253-257: 44, 50 261-269: 215 264: 213 n. 40 268: 207 n. 17 269: 207 n. 17 270: 213 n. 40 274: 207 n. 15 285: 213 n. 40 289: 10 290: 213 n. 40 292: 213 n. 40 297: 213 n. 40 298: 33 302: 207 n. 17 304: 26 305: 213 n. 40 312: 205 n. 9 318: 205 n. 9 Archidamus: IX, 73, 91-92, 143, 147, 149-150, 152 n. 52, 167, 173, 175-202, 233 18: 183 n. 61 38: 189 n. 87 53: 179 n. 47 61: 64 81: 33-34 82: 34 83: 31, 39 n. 43 85: 4 n. 2 99: 182 n. 57 108: 27 Areopagiticus: 73, 91 n. 71, 143, 149, 152 n. 52, 174, 202 n. 153 5: 32 19: 27 21-22: 177 n. 43
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INDICE DEI LUOGHI CITATI
25: 177 n. 43 33: 64 72-73: 32 Busiris: 73, 91 n. 71, 92-93, 96, 143, 147, 152 n. 52, 170, 173 39: 4 n. 2 50: 7 Contra sophistas: 66, 72 n. 7, 73, 81, 91 n. 71, 96 n. 91, 143, 152 n. 52, 174, 219 7: 13 14-18: 50 16: 185 n. 72 De bigis: 73, 80, 82, 143, 152 n. 52, 174, 219 9: 30 42: 30 De pace: VIII, 21, 66, 73, 91 n. 71, 143, 147, 149150, 152 n. 52, 168 n. 5, 172-174, 185 n. 69, 186, 219 1-16: 22 n. 3 6-7: 172 n. 22, 175 n. 31 7: 36 13: 32 20: 32, 175 n. 33 25-56: 50 26: 36 27: 31 29: 25 31: 23 n. 6 32: 22-23 39-40: 172 n. 22 41: 31, 22 n. 3, 39 41-50: 22 n. 3 41-52: 22 n. 3 42: 22 n. 3 42-43: 31-32 43: 22 n. 3, 31-32, 38-39 45: 23 46: 24-25, 26, 27, 39 47: 22 n. 3 48: 22 n. 3, 25-26, 29, 39 50: 22 n. 3, 36 52: 26-27, 29, 36-37, 232 56: 33-34 57: 37 58: 180 n. 52 64: 32 76: 36 84: 23, 26, 34-35 85-86: 35 86: 34-36 88: 17 95-105: 35 96: 32
99: 23 100: 26 106: 36 112: 4 n. 2 116: 172 n. 23 119: 32 125: 25 128: 28 132: 34 135: 27, 29 137: 30 138: 30 141: 31 142: 28-31 143: 28-30, 172 n. 22 Epistulae: 147, 151, 160, 162 I Ad Dionysium: 148, 212, 219 7: 31 II Ad Philippum: 148 6: 29 11: 6 19: 11 21: 6 n. 7 III Ad Philippum: 148 IV Ad Antipatrum: 148 V Ad Alexandrum: 148 VI Ad Iasonis filios: 148 2: 33 VII Ad Timotheum: 148 4: 25 VIII Ad reges Mytilenaeos: 148 7: 171 n. 18 Evagoras: VIII, 57 n. 53, 72 n. 4, 73, 91-92, 94 n. 82, 95-96, 143, 149, 152 n. 52, 174 1-11: 134 8: 47 13: 131 n. 61 22-23: 132 n. 66 23: 132 31: 30 39: 33 73: 135 73-81: 121-122 74-75: 135 75: 135 77: 135 78: 122, 135 80: 135 n. 74 Helenae encomium: 71 n. 2, 72 n. 4, 73, 80-82, 92, 94-97, 98 n. 96, 99, 143, 152 n. 52 1: 128 n. 52 33: 6 39: 34
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INDICE DEI LUOGHI CITATI
In Callimachum: 73, 80-82, 139, 143, 152 n. 52, 160 24: 24 28: 146 63: 10, 11 n. 12 In Euthynum: 73, 80, 82, 139, 142 n. 6, 143, 145, 152 n. 52 In Lochitem: 73, 80, 82, 143, 152 n. 52 Nicocles: VIII, 41-42, 72 n. 4, 76, 79-82, 93 n. 78, 96, 118, 122, 133 n. 68, 143, 152 n. 52 4: 42 5: 66-67 5-9: 44, 50 6: 67 8: 67-68 10: 48 11: 44, 56, 122 15: 42 17: 33 32: 32 38: 45 43: 45 46: 45 n. 16 Panathenaicus: 73, 80, 82, 117 n. 3, 143, 152 n. 52, 172-174, 197, 205, 217, 219 10: 171 n. 18 12: 10, 11 n. 12, 12 16-17: 232 17: 146 n. 28, 156, 160, 197 n. 123 24: 172 n. 22 39: 172 n. 22 56: 110 82: 31 88: 34 122: 4 n. 2 142: 33 174: 64 244: 4 n. 2 251: 231 Panegyricus: VII, 66, 73, 76, 79-81, 92, 94-99, 102, 117 n. 3, 140, 143, 152 n. 52, 197, 219, 233 8: 185 n. 72 12: 155 n. 55 24: 4 n. 2 28: 155 n. 55 33: 153 35: 185 n. 72 43: 153 45: 153 50: 161 51-99: 50 52: 31
55: 161 63: 34 68: 24 75: 153, 161 77: 153 81: 153 82: 161 83: 161 91: 31 92: 154 n. 53, 155 n. 55, 161-162 97: 155 n. 55 98: 154 n. 53 99: 31 100: 146, 155 n. 55, 165 101: 24 n. 8 103: 31 104: 24, 153 108: 154 n. 53 111: 153 112: 153 113: 154 n. 53 125: 154 n. 53 127: 161 131: 146 132: 14 134: 147 134-135: 43 138: 153, 165 141: 43, 153 142: 153 148: 153 149: 147, 153, 164 154: 153 156: 161 161: 161 163: 154 167: 154 169: 161 173: 154 174: 154 178: 187 n. 81 181: 24, 154 Philippus: 73, 91 n. 71, 111, 121 n. 23, 143, 147, 149-150, 152 n. 52, 174, 178, 185 n. 71, 186 47: 110 59: 33 63: 110 70: 26 81: 46, 171 n. 18 93-94: 44-45 110: 34 116: 46
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INDICE DEI LUOGHI CITATI
117: 32 147: 31 Plataicus: VIII, 71, 73, 82, 91 n. 71, 92, 94, 9697, 98 n. 96, 143, 152 n. 52 22: 24 36: 34 51: 7 n. 8 Trapeziticus: 73, 80-82, 117 n. 3, 143, 152 n. 52 9: 33 Michael Italicus (Gautier) I 63, 8-13: 188 n. 85 XVIII 158, 21-22: 188 n. 85 XLIII 256, 17-257, 2: 188 n. 85
Photius Bibliotheca 159, 102a10-11: 132 n. 64 260, 486b: 107 n. 117 Plato Cratylus 405d: 28 n. 17 [Definitiones] 413b: 7 n. 8 Phaedrus 261c: 42 266e: 42 Plinius Iunior Epistulae VII 16: 178 n. 45
Constantinus Lascaris De poeta: 79 Prolegomena in Orpheum: 79
Plutarchus Agesilaus 35, 3-6: 179 n. 48 Regum et imperatorum apophthegmata: 172 [Vitae decem oratorum] 836e-839d: 143, 145, 147, 151, 152 n. 49, 158, 161 836f: 107 n. 117 837a: 148 n. 38 837f: 124 n. 34 838c-d: 188 n. 85 838d: 192 n. 100
Lexicon Herodoteum: 79, 82 Libanius Declamationes XVII-XVIII: 81 Menander Rhetor (Spengel) 338, 32: 129 n. 55 372, 4-9: 132 413, 5-414, 30: 126 n. 48 418, 5-422, 4: 126 418, 9: 128 n. 52 418, 24-25: 131 418, 25-26: 129 418, 29-419, 1: 129 418, 29-30: 131 419, 1-3: 132 419, 11-421, 10: 127 421, 10-14: 127 421, 14-32: 127 434, 10-437, 4: 126 n. 48
Priscianus Institutiones XVIII 158: 62 XVIII 185: 62 XVIII 296: 28 Proclus In Platonis Timaeum (Diehl) I 6, 5-6: 45 n. 16 Michael Psellus Panegyricus (Dennis) 1, 151-155: 188 n. 85 11, 24-31: 188 n. 85
Cornelius Nepos Timotheus 1, 2: 215 2, 1-2: 215
Pythagoras [Aurea carmina]: 58
Pausanias IX 1, 4: 106 n. 112 IX 1, 8: 106 n. 113, 115 Flavius Philostratus Vitae sophistarum I 17: 143, 145, 151, 152 n. 49, 158, 161 I 17, 1: 188 n. 85
Quintilianus Institutio oratoria XII 2, 12: 172 n. 21 Scholia in Isocratem in Evagoram (Dindorf ) 121, 7-10: 134
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INDICE DEI LUOGHI CITATI
122, 10: 134 122, 11-12: 134 122, 17: 134 122, 18: 134-135 122, 19-20: 134 123, 14-16: 121 123, 24-28: 131 n. 61
Scholia in Lucianum: 79, 82, 84 n. 61 Scholia in Thucydidem (Hude) In I 23, 4: 107 n. 116 Scholia in Pindarum (Drachmann) 11, 23b: 129 n. 55 Seneca De beneficiis VII 1, 3-4: 172 n. 21 Speusippus Epistula ad Philippum: 213 n. 39 Ioannes Stobaeus III 41, 10: 61 n. 71 IV 5, 21: 61 n. 71 IV 7, 48 – 58: 127 n. 49 Strattis (Kassel – Austin = Orth) fr. 3 = 3: 124 Suda (Adler) ε 851: 220 n. 66 ζ 169: 118 θ 93: 108 n. 122 ι 652: 107 n. 117, 108-109, 147 Suetonius Vita Augusti 22, 27: 113 n. 141 Aelius Theon Progymnasmata (Spengel) 68, 20: 132 n. 64 Testamenta Acta Apostolorum: 171 n. 19
Liber Danieli: 179 Psalmi 29, 3-5: 185 n. 70 29, 7-9: 185 n. 70 Theophylactus Simocatta Epistula 76: 148 Thucydides I 100, 3: 35 III 25, 2-26, 1: 109 n. 126 III 37, 1-40, 7: 232 III 52, 1: 109 n. 126 III 52, 1-68, 5: 104, 106 n. 107 VII 60, 2: 26 n. 12 VIII 1, 4: 179 n. 47 Georgius Tornices (Darrouzès) VII 207, 19-20: 188 n. 85 Vergilius Aeneis X 527: 19 Vita Isocratis (Mathieu – Brémond): 72 n. 7, 74-77, 78 n. 31, 79-80, 117 XXXIII 1: 108 n. 122 XXXIV 5-XXXV 83: 55-58 XXXIV 49-50: 124 XXXV 80-81: 124 XXXV 90-92: 107 XXXVII 150-151: 121 XXXVII 154-158: 107, 112 Xenophon Anabasis I 1, 8: 13 n. 15 V 3, 1: 26 n. 12 De re equestri: 225 n. 83 Hellenica VI 3, 1-5: 106 n. 113, 115 VII 1, 30: 179 n. 47 Hipparchicus: 225 n. 83 Symposium: 215
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INDICE DEI MANOSCRITTI Papiri Isocratei Cod. Glazier 67 (π105T) 51 n. 32 OBerol inv. 10747 (π114T) 51 n. 32 PAlex inv. 613 (π93) 165 PAmh 25 (π15) 51 n. 32, 65 n. 79 PAmst 11 (π8) 51 n. 32, 65 n. 79 PBerol inv. 7426v (π115T) 51 n. 32 PBerol inv. 8935 (π7) 6 n. 5, 42 n. 4, 51 n. 32, 52, 52 n. 39, 57, 6166, 145 n. 26 PBerol inv. 11672 (π2) 51 n. 32, 63 PBerol inv. 13891 (π8bis) 51 n. 33 PBerol inv. 21245 (π116T = π119T) 51 n. 32, 51 n. 35 PBodl MS. Gr. class. d 163 (P) (π11) 51 n. 32, 52, 52 n. 38, 65 n. 79, 145 n. 26 PBodm LII (π25) 4-6 PCtYBR inv. 3678 (π105T) 51 n. 32 PHeid 208 (π50) 33, 37, 39 PIbscher 4 (π10) 51 n. 32, 65 n. 79 PKell III Gr. 95 (π1 = π16) 4-5, 9-18, 41, 51 n. 32, 52-53, 55 n. 48, 57-58, 63-68, 117 n. 3, 145 n. 27 PKöln 308 (π6) 51 n. 32
PLeidInst 15 (π106T) 51 n. 32 PLips 158 (π74) 52 n. 36 PLips inv. 1027r (π107T) 51 n. 32 PLondLit 131 (π46) VIII, 22-39 PLondLit 255 (π113T) 51 n. 32 PLund I 3 (π5) 51 n. 32, 63, 63 n. 77 PMass (π17) 4-5, 6 n. 5, 9, 11, 18, 61 PMich inv. 1216b (π9bis) 51 n. 32, 65 n. 79 PMich inv. 5299 (π9) 51 n. 32, 65 n. 79 POxy 1095 (π12) 51 n. 32, 65 n. 79, 145 n. 26 POxy 1812 (π13) 51 n. 32, 59 n. 64, 65 n. 79, 145 n. 26 POxy 4717 (π18) 18-19 POxy 4719 (π26) 4, 9 POxy 4728 (π48) 32 n. 26, 39 POxy 4729 (π49) 32 n. 26, 39 POxy 5133 (π21bis) 58 n. 58 POxy 5134 (π33bis) 58 n. 58 POxy 5135 (π33ter) 58 n. 58 POxy 5136 (π67bis) 58 n. 58
* A cura di Marco Donato.
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INDICE DEI MANOSCRITTI
POxy 5137 (π75bis) 58 n. 58 POxy 5138 (π75ter) 58 n. 58 POxy 5139 (π75quater) 58 n. 58 POxy inv. 4B4/4° (π102T) 51 n. 32, 53 n. 45, 60, 61 n. 69, 62, 62 n. 73 POxy inv. 5B4/G(2-4)b (π101T) 51 n. 32, 53 n. 45, 60-61 PRein 79 (π4) 51 n. 32 PRossGeorg 16 (π3) 51 n. 32 PSchøyen I 11 (π108T) 51 n. 32 PSI 16 (π73) 51 n. 32, 59 n. 64 PSI 120 (π111T) 51 n. 32, 52, 52 n. 37 PSI 973 (π117T) 51 n. 32
PSI 1198 (π19) 18 PSI 1596 (inv 1961) (π25bis) 58 n. 58 PStras inv. G 92r (π14) 51 n. 32, 65 n. 79 PTura III 42.27-29; 148.8-11 (π110T) 51 n. 32 PVindob G 39879 (π15) 51 n. 32, 65 n. 79 PVindob G 39977 (π125T) 52 n. 36
Non isocratei POxy 2537 117 n. 3 SB XVIII 14000.7 113 n. 41
Codici medievali e umanistici Isocratei Cremona Biblioteca Statale Cremonensis 160 (Crem) 77 n. 29, 92-94, 96 n. 90, 97-99, 101-103, 165 Firenze Biblioteca Medicea Laurenziana Laurentianus Conventi Soppressi 83 (C.S.83) 92-93 Laurentianus Pluteus 55. 7 (Σ) 59 n. 59, 60, 62, 64, 93 n. 78, 145 n. 26 Laurentianus Pluteus 58. 5 (Ν) 3 n. 1, 9, 15, 27-28, 30, 32-33, 38, 56 n. 52, 59 n. 59, 62, 72-73, 75 n. 21, 77-78, 87-91, 101, 104-105, 106 n. 109, 110, 115, 119 n. 20, 127 n. 50, 142, 145 n. 26, 146, 153-154, 164-166, 191 Laurentianus Pluteus 59. 24 142, 166 Laurentianus Pluteus 59. 37 (O) 72 n. 4, 72 n. 7, 78 n. 31 Laurentianus Pluteus 87. 14 (Θ) VIII, 21-26, 28-31, 33-34, 38, 66-68, 72, 76 n. 23, 101, 140, 142, 146, 153-155, 164-166, 203, 205, 207-208, 215, 223, 229 n. 94
Biblioteca Riccardiana Riccardianus 12 (Ricc) 92-94, 97-103, 165 Leiden Universiteitsbibliotheek Leidensis Scaligeranus Graecus 29 (Leid) 92-94, 96 n. 90, 97-103, 165 London British Library Londiniensis BL Burney 75 93 n. 78 Milano Biblioteca Ambrosiana Ambrosianus C 69 sup. (C69) 79, 83-90, 92 n. 76 Ambrosianus G 88 suss. (G88) 79, 83-90, 92 n. 76 Ambrosianus O 144 sup. (Ε) 96 n. 91, 155, 160, 163, 191-199, 201-202, 203-208, 211, 215-217, 223 Biblioteca Nazionale Braidense Mediolanensis Braidensis AG IX 2 93 n. 78, 99 n. 98
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INDICE DEI MANOSCRITTI
Modena Biblioteca Estense Universitaria Mutinensis α. P. 6. 12 = Gr. 130 (Mut) 92-93, 95, 101
9, 15, 59 n. 59, 62, 72-73, 77, 101, 119 n. 20, 127 n. 50, 145 n. 26, 146, 153-154, 164-165 Toledo Archivo y Biblioteca Capitulares Toletanus 101-13 (Tol) 72-73, 101
München Bayerische Staatsbibliothek Monacensis Graecus 224 (Mon) 92-93 Monacensis Graecus 313 168 n. 5 Oxford Bodleian Library Oxoniensis Bodleianus Auct. T. 1.11 (Misc. 189) (Auct) 59 n. 59, 72, 101 Oxoniensis Bodleianus Canonicianus Graecus 87 (Canon) 92-93 Oxoniensis Bodleianus Holkham Graecus 76 (Holk) 92-93, 97 n. 92, 98-99, 101-103 Paris Bibliothèque Nationale Parisinus Graecus 2010 (Υ) 59 n. 59, 60, 62, 64, 145 n. 26 Parisinus Graecus 2930 (Τ) 77, 80, 83-84, 86-90, 91 n. 70, 91 n. 71, 9295, 96 n. 90, 97-105, 106 n. 109, 109 n. 127, 110, 115, 161 Parisinus Graecus 2931 (Par.2931) 139, 142-143, 146, 153-155, 161, 163-166, 191, 203 n. 3 Parisinus Graecus 2932 (Π) 9, 15, 23, 26, 27, 30, 32-33, 38, 59 n. 59, 62, 72-73, 77, 80, 87-91, 101, 104-105, 106 n. 109, 110, 115, 119 n. 20, 127 n. 50, 145 n. 26, 146, 153-154, 164-165 Parisinus Graecus 2990 (Par.2990) 77, 80-81, 87-90, 91 n. 71, 92-95, 97-105, 106 n. 109, 110, 115, 165 Parisinus Graecus 2991 (Par.2991) 77, 81-82, 87-90, 91 n. 70, 91 n. 71, 92-95, 97-105, 106 n. 109, 109-110, 113-115, 143, 165 Parisinus Graecus 3024 (Par.3024) 92-93 Parisinus Graecus 3054 148, 166 Salamanca Biblioteca Universitaria Salmantinus 279 (Salm vel S)
Torino Biblioteca Nazionale Universitaria Taurinensis 231 = B VI 10 (Taur) 82-90, 92 n. 76 Vaticano (Città del Vaticano) Biblioteca Apostolica Vaticana Vaticanus Graecus 64 (Φ) 219-220 Vaticanus Graecus 65 (Λ) VIII, 4-5, 9, 15-16, 21-34, 38, 59, 62, 64, 66, 72-77, 87-93, 95-99, 101-103, 119 n. 20, 127 n. 50, 139, 142-143, 145 n. 26, 146, 153-155, 163-165, 184 n. 66, 203, 208, 218 n. 61 Vaticanus Graecus 936 (Δ) 21-22, 24, 29, 31, 96 n. 91, 184 n. 66, 203, 207 n. 15, 208, 217-220, 228 Vaticanus Graecus 1383 (Vat) 9, 15, 59 n. 59, 62, 72-73, 76 n. 24, 77, 101, 119 n. 20, 127 n. 50, 145 n. 26, 220 Vaticanus Graecus 1392 (Vat.1392) 92-93 Vaticanus Graecus 1461 166 Vaticanus Palatinus Graecus 135 (Pal.135) 56 n. 52, 77 n. 30, 92-99, 143, 159, 161, 163, 166, 191, 192 n. 99, 218-220 Vaticanus Regius Graecus 93 (Reg) 92-93 Vaticanus Urbinas Graecus 111 (Γ) 4-10, 15, 17-18, 21-39, 58-59, 61, 62 n. 64, 6368, 72 n. 3, 96 n. 91, 139, 145 n. 26, 146, 153155, 163-165, 203, 207 n. 15, 208 n. 19, 208 n. 21, 213 n. 40, 215, 217-221, 223, 228-229 Vaticanus Urbinas Graecus 112 77 n. 29, 218 Venezia Biblioteca Nazionale Marciana Marcianus Graecus 415 (Ξ) 92-94, 96 n. 90, 97-103, 142, 165, 184 n. 66 Wien Österreichische Nationalbibliothek Vindobonensis Philosophicus Graecus 3 89 n. 67, 92 n. 76
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INDICE DEI MANOSCRITTI
Wrocław Biblioteka Uniwersytecka Vratislaviensis Rehdigerianus 22 (Vrat) 92-93, 97 n. 92, 98-99, 101-103 Deperditi Codex Mustoxydis (Must) 83-84, 86-90, 92 n. 76, 110
Non isocratei London British Library Londiniensis BL Harley 6301 62 n. 75 Milano Biblioteca Ambrosiana Ambrosianus A 105 sup. 142 n. 10 Ambrosianus D 119 sup. 145 n. 25, 145 n. 26 Ambrosianus D 452 inf. 202 n. 153 Ambrosianus F 205 inf. (olim D 88 sup.) 210
Ambrosianus M 85 sup. 142 n. 10 Ambrosianus N 156 sup. 195 n. 113, 200 n. 141 Ambrosianus R 246 inf. 216 n. 52 Napoli Biblioteca Nazionale Neapolitanus II A 31 80 n. 41 Oxford Bodleian Library Oxoniensis Bodleianus Barocci 50 61 Paris Bibliothèque Nationale Parisinus Coislinianus 201 80 n. 41 Parisinus Graecus 1412 81 n. 48 Vaticano (Città del Vaticano) Biblioteca Apostolica Vaticana Vaticanus Latinus 9780 219-220, 223 n. 75
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INDICE Avvertenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. v Presentazione, di A. Carlini – D. Manetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » vii Abbreviazioni bibliografiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » xi xxvii Conspectus siglorum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » PARTE PRIMA D. Colomo, Alcuni passi problematici dell’A Nicocle e il contributo dei papiri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 3 S. De Leo, Questioni testuali nell’orazione Sulla pace . . . . . . . . . . . » 21 M. Menchelli, Livelli di lettura e circolazione libraria dei discorsi parenetici. L’A Demonico e il Nicocle all’interno del corpus di Isocrate e in alcuni testimoni antichi e medievali . . . . . . . . . . . . . » 41 PARTE SECONDA M. Fassino, Tradizione manoscritta e costituzione del testo degli argumenta isocratei: l’esempio del Plataico . . . . . . . . . . . . . . . . » 71 M. Vallozza, La tradizione retorica nella ὑπόθεσις dell’Evagora . . » 117 PARTE TERZA S. Martinelli Tempesta, Vicende del testo isocrateo tra Quattro e Cinquecento. Per uno stemma delle edizioni . . . . . . . . . . . . . . . . » 139 E. Zingg, Osservazioni sulla ricezione dell’Archidamo nella Germania del Cinquecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 167 — 247 —
INDICE
P.M. Pinto, La riscoperta dell’Antidosi nel XIX secolo . . . . . . . . . . . Pag. 203 Considerazioni conclusive, di R. Nicolai . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 231 Indice dei luoghi citati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 235 Indice dei manoscritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 243
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FINITO DI STAMPARE PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI) NEL MESE DI DICEMBRE 2017
ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA» «Studi»
1. Minto, A., Le vite dei pittori antichi di Carlo Roberto Dati e gli studi erudito-antiquari nel Seicento. 1953, 132 pp. con 1 ritratto. 2. Studi baltici, vol. IX (nuova serie: vol. I). 1952, 252 pp. con 1 ritratto e 2 riproduzioni. 3-4. Atti del Convegno di studi vinciani indetto dalla Unione regionale delle province toscane e dalle Università di Firenze, Pisa e Siena. 15-18 gennaio 1953. 1954, XX-482 pp. con 19 tavv. f.t. Esaurito 5. Botti, G., Le casse di mummie e i sarcofagi da El Hibeh nel Museo Egizio di Firenze. 1958, 212 pp., 56 tavv. f.t. e 2 a colori. 6. Minto, A., Il vaso François. 1960, 184 pp. con 33 tavv. f.t. Esaurito 7. Rigaut de Barbezieux, Le canzoni. 1961, 144 pp. 8. Barocchi, P., Michelangelo e la sua scuola. I disegni di Casa Buonarroti e degli Uffizi. 1962, vol. I: testo, XVI-328 pp.; vol. II: tavole, 374. Esaurito – I disegni dell’Archivio Buonarroti. 1964, vol. III (Testo e tavole), XVI-184 pp.; 144 tavv. f.t. 9. Botti G., Cimeli egizi del Museo di antichità di Parma. 1964, 136 pp., 28 tavv. f.t. con 191 ill. Esaurito 10. Parronchi, A., Opere giovanili di Michelangelo. 1968, XVI-238 pp., 134 tavv. f.t. e 1 ill. a colori. 11. Pellegrini, A., Wieland e la classicità tedesca. 1968, 136 pp. 12. Studi baltici, vol. X (comprendente gli Indici dei volumi 1-10 di Studi baltici). 1969, VIII-260 pp., 16 tavv. f.t. e 21 ill. 13. Carandini, A., Vibia Sabina. Funzione politica, iconografia e il problema del classicismo adrianeo. 1969, 444 pp. con 120 tavv. f.t. 14. La comunità europea. Storia e problemi. 1969, 256 pp. 15. Mosiici, L., Le carte del monastero di S. Felicita di Firenze. 1969, 216 pp. 16. Spagnesi, E., Wernerius Bononiensis Judex. La figura storica di Irnerio. 1970, 208 pp. con 10 tavv. f.t. 17. Francescato, G., Studi linguistici sul friulano. 1970, X-200 pp. 18. von Hessen, O., Primo contributo all’archeologia longobarda in Toscana. Le Necropoli. 1971, 80 pp. con 10 figg. n.t. e 49 tavv. f.t.
19. Peroni, T., L’età del bronzo nella penisola italiana. I - L’antica età del bronzo. 1971, 372 pp. con 73 figg. n.t. e 12 tavv. f.t. Esaurito 20. Weise, G., Il manierismo. Bilancio critico del problema stilistico e culturale. 1971, XII-240 pp. con 80 tavv. f.t. 21. Camporeale, G., Buccheri a cilindretto di fabbrica orvietana. 1972, 140 pp. con 42 tavv. f.t. 22. Klajn, I., Influssi inglesi nella lingua italiana. 1972, 216 pp. 23. Magalotti, L., Relazioni d’Inghilterra (16681688). 1972, 250 pp. con 16 tavv. f.t. 24. Herczeg, G., Saggi linguistici e stilistici. 1972, 628 pp. 25. Chiostri, F., La Petraja. Villa e giardino - 700 anni di storia. 1972, IV-84 pp. con 29 tavv. f.t. 26. Tondo, S., Leges Regiae e Paricidas. 1973, 216 pp. 27. Rime di Filenio Gallo. 1973, 448 pp. 28. Linguistica matematica e calcolatori. Atti del Convegno e della prima Scuola internazionale. Pisa 16/viii-6/ix 1970. 1973, XVI-672 pp. 29. Diego De San Pedro, Il Tractado de Amores de Arnalte e Lucenda nella traduzione inglese di John Clerk. 1974, 128 pp. e 9 ill. 30. Federici Vescovini, G., Le Quaestiones de anima di Biagio Pelacani da Parma. 1974, 180 pp. 31. Ariani, M., Tra classicismo e manierismo. Il teatro tragico del Cinquecento. 1974, 344 pp. 32. Bastianelli, G., «La musica pura», Commentari e altri scritti. 1974, IV-376 pp., con 2 tavv. f.t. 33. Benedetti, A., Le traduzioni italiane da Walter Scott e i loro anglicismi. 1974, 184 pp. 34. Valletta, G., Opere filosofiche. 1975, IV626 pp. 35. Tolomei, C., Il Cesano de la lingua toscana. 1974, 192 pp., con 4 tavv. f.t. 36. Parronchi, A., Opere giovanili di Michelangelo. Vol. II - Il paragone con l’antico. 1975, 306 pp. con 1 ill. a colori, ill. n.t. e 132 tavv. f.t. 37. Perugi, M., Il «Sermo» di Ramon Muntaner e la versificazione romanza delle origini. 1975, 168 pp.
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ISSN 0065-0781
ISBN 978 88 222 6455 8