Intorno a Leopardi 8870181820, 9788870181821


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Italian Pages 200 [98] Year 1992

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Intorno a Leopardi
 8870181820, 9788870181821

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Friedrich Nietzsche

Intorno a Leopardi testo originale a fronte

Walter F. Otto

Leopardi e Nietzsche A cura di CESARE GALIMBERTI Postfazione di GIANNI SCALIA

,

il melangolo

Per il saggio di Walter F. Otto Titolo originale

Leopardi und Nietzsche

LA SPERANZA NELL'OPERA

Traduzione di Gio. Batta Buccio!

di Cesare Galimberti

... colla terza pane, il povero Zarathustra càpita davvero nel tetro; tanto che Schopen­ hauer e Leopardi sembreranno null'altro che principianti e novellini nel confronto col suo "pessimismo". Così vuole il piano. Ma per poter fare codesta parte, prima ho bisogno io stesso d'una allegria profonda, celeste: poiché un patetico della più alta qualità mi ri,uscirà solamente quale giuoco. Alla fine tutto diventa luminoso. da una lettera a Peter Gast, 3 settembre 1883.

FRIEDRICH NIETZSCHE,

La speranza è nell'opera. I testi e le traduzioni delle opere di Friedrich Nietzsche sono pubblicati per gentile concessione dell'Editore Adelphi Per il saggio di Walter F. Otto Copyright © Ernst Klett Verlag, Stuttgart Copyright © 1992, il melangolo s.r.l. 16123 Genova - Via di Porta Soprana, 3�1 ISBN 88-7018-182-0

VINCENZO CARDARELLI,

Poesie.

De Ciceronis Libris de Republica, Porphyrii Vita Ploti­ ni, Discorso sopra la Batracomiomachia: sono tre degli scrit­

ti filologici che Louis de Sinner elenca presentando quattor­ dici Excerpta ex schedis comìtis lacobi Leopardi ("Rheini­ sches Museum fiir Philologie", 1835). E il lettore di Leopar­ di poeta è tuttora tentato - benché sappia che la sua filolo­ gia conta anche per se stessa1 - di sentirvi i primi impulsi verso tutt'altre prove, dalla canzone Ad Angelo Mai, al Dia­ logo di Plotino e di Porfirio e ai Paralipomeni. Dove l'aura dei secoli scomparsi è divenuta motivo di meditazione così ricco da suscitare sentenze folgoranti e memorabili cadenze e immagini. Punto d'arrivo esemplare può apparire la canzone del 1820. Dal lungo titolo - Ad Angelo Mai quand'ebbe trovato i li­ bri di Cicerone della Repubblica - all'encomio del celebre dotto e all'aprirsi di una digressione che finirà con l'esauri­ re, o quasi, spazio e senso del testo: elogio dei grandi morti, nostalgia di un'età animata dai vitali "errori" della immagi­ nazione, orrore per l'irreparabile progredire delle scienze, stru-

I; Come ha ineccepibilmente dimostrato S. Timpanaro (La filologia

di Giacomo Leopardi, Firenze, Le Monnier, 1955).

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menti perfezionati della ragione che nella vita discoprono il nulla come sola entità ''reale e salda". Due facce di un uni­ co pensiero si rivelano il rimpianto per l'antica pienezza vita­ le e la condanna del presente, razionalistico e utilitaristico; 0 forse di tutta la storia che non sia remotissima o, meglio, che non si dissolva nella dimensione del mito (e questo mo­ streranno di lì a poco Inno ai Patriarchi e canzone Alla Primavera). D'altra parte, è pensiero - occorre aggiungere subito - che si esprime anche e soprattutto attraverso quelle fi­ gure e quelle scansioni. Sicché le punte più acute della n�chi­ listica meditazione coincidono con i più rapinosi momenti del Canto. Così, sette anni dopo, Plotino e Porfirio sembreranno uscire dalla Vita del maestro scritta dal discepolo o dalla bio­ grafia di questo composta da Eunapio, "il quale aggiunse che Plotino distese in un libro i ragionamenti avuti con Porfirio in quella occasione''.2 Sembreranno riapparire, i due filoso­ fi, per riprendere i colloqui svaniti con quei libri. Di nuovo la passione filologica di Leopardi, nata come lavorio erudito esegetico traduttorio, apre la via anche a una reinvenzione del passato, a una personale interpretazione di idee e senti­ menti, attribuiti in modo liberissimo, ma non arbitrario né casuale, agli antichi saggi. E lo scatto emotivo sorto dalla evo­ cazione di quel mondo si prolunga anche qui in vibrazioni stilistiche che arricchiscono o addirittura spostano i signifi­ cati del dialogo. Non, come nella canzone, attraverso gorghi fonici e figure spettrali, ma captando in distaccate lentezze un'eco di sapienza perduta: " ... E credi a me, che non è fastidio della vita, non disperazione, non senso della nullità delle cose, della solitudine dell'uomo; non odio del mondo e di se medesimo; che possa durare assai... ".3 (Quanto infine_ a\ Di­ scorso sopra la Batracomiomachia, potrà esso pure apparire

come un "primo tempo" in un'altra linea di ricerca­ invenzione; nella quale rientrano ben tre volgarizzamenti del poemetto distanziati negli anni e da ultimo, con stacco deci­ sivo, la ''continuazione" dei Paralipomeni.) I lettori di quella presentazione sinneriana non sprovve­ duti di qualche conoscenza di Canti e Operette morali pote­ vano già da quei cenni sospettare la qualità di Leopardi filologo-poeta, conoscitore dottissimo dell'antichità pronto a trarne, anche, slanci inventivi; desideroso non solo di analiz­ zare interpretare tradurre, ma anche - dirà Nietzsche - di fare: più concretamente, di nott'ìv in quel senso assoluto che ha anche in Platone, di fare poesia. 4 Per tale idea larghissi­ ma della filologia come cognizione dell'antico perseguìta co­ me premessa a nuove espressioni, Leopardi apparirà a Nietz­ sche simile al sommo Goethe, prima di urta ulteriore, defini­ tiva fase della tensione moderna verso gli antichi, rappresen­ tata da Wagner: artista rivolto tutto e soltanto a rivivere con forza creativa la visione greca della vita ("I più grandi avve- · nimenti; che abbiano toccato la filologia, sono l'apparizione di Goethe, di Schopenhauer e di Wagner: di qui si può trarre una prospettiva che giunge lontano... ").5

*** La lettura nietzschiana di Leopardi come ultimo filologo­ poeta presuppone peraltro la linea sottile ma intensa di una breve tradizione;6 a partire dal 1823 e fino alla morte una re­ te di rapporti, talvolta d'amicizia e reciproca stima, s'intrec­ cia fra Leopardi e alcuni scrittori e dotti dell'area centroeu­ ropea. Prima i prussiani Bunsen e Niebuhr, poi lo svizzero

2. G. Leopardi, Dialogo di Plotino e di Porfirio nelle Operette morali (premessa al dialogo tra i due personaggi). 3. lbid., nel conclusivo intervento di Plotino.

4. Cfr. per es. Rsp. 383: ...m:pì 01,cì:>v ì..tyi,iv Kaì 1to1dv. 5. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1875-1876, in IV I, p. 105. 6. Se ne occupò per primq G. Mestica (li Leopardi davanti alla criti­ . ca, in Studi leopardiani, Firenze, Le Monnier, 1901), insistendo. in partico­ lare sul contributo di H. W. Schultz.

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de Sinner, quindi August von Platen s'interessano in vario modo alla sua attività filologica e letteraria. Soprattutto Sin­ ner diffonde il suo nome a nord delle Alpi, anche con la ci­ tata pubblicazion� destinata a una cerchia di dotti relativa­ mente larga. Le Opere infine, nella edizione curata nel 1845 da Antonio Ranieri e nelle successive ristampe, ampliano certo anche fra i lettori tedeschi interessati alle cose d'Italia la co­ noscenza di Leopardi nella complessità dei suoi scritti. E forse più incisiva poté riuscire, per questo aspetto, la pubblicazione degli Scritti filologici curata da Pietro Pelle­ grini e Pietro Giordani. Che in realtà presentano una varie­ gatissima gamma di testi, a testimoniare la straordinaria na. tura di un filologo che è stato anche poeta e filosofo: "som­ mo filologo, sommo poeta, sommo filosofo", secondo .il la­ pidario elogio· giordaniano all'inizio del Proemio alla raccol­ ta. Nel volume, terzo delle Opere, all'ombra di un contro­ frontespizio che riproduce in fac-sirnile l'autografo de L 'infinito si susseguono scritti che sono "filologici" nell'accezio­ Uì- più ampia, se non più vaga, del termine. Più precisamen­ te sono scritti letterari ed eruditi composti, secondo l'indica­ zione dei curatori, negli anni dell'adolescenza 7 (certo da in­ tendersi, latinamente, nel senso di giovinezza). Si passa da "discorsi" (su Mosco, sulla Batracomiomachia, su Orazio) a traduzioni in versi ( da Mosco, Esiodo, Òmero, Virgilio), dalla evocazione fantastica di un Classico in forma di perso­ naggio (Dialogo di Sallustio e di un lettore di umanità) alla "versione" di un inesistente Inno a Nettuno. E con le Anno­ tazioni alle dieci canzoni pubblicate nel 1824 si ripresenta per­ sino un Leopardi commentatore di se stesso poeta civile e me­ tafisico: armato di formidabile preparazione linguistica e re­ torica; anche però - come risulta meglio da qualche dichia­ razione fatta seguire nel 1825 - non schivo dal riveJai:e di

7. Cfr. p. V.

scorcio il cuore della sua filosofia-poesia: "Sono dieci can­ zoni, e più di dieci stravaganze... quasi tante stranezze quan­ te sentenze. Verbigrazia: che dopo scoperta l'America, la terra ci par più piccola che non pareva prima; che la Natura parlò agli antichi, cioè g]'ispirò ma senza svelarsi; che più scoperte j si fanno nelle cose naturali, e più si accresce nella nostrafini'-l :· \ �)a nullità dell'Universo; che tutto· è vano afm"o-naofuor cfieil dolore; che il dolore è meglio che la noia...''. _..1 • ' · E se la ripresa della Epistola Al Pepo/i corredata di varianti riporta a una ragionatissima prova d'invenzione, una esplicita idea della vita è offerta con disperata nonchalance dal Preambolo a ''Lo Spettatore fiorentino'', giornale progetta� to da un gruppo di amici che aborrono il nome di letterato, né sono filosofi: "Non sono filosofi; non conoscono propria­ mente parlando nessuna scienza; non amano la politica, né la statistica, né l'economia pubblica e privata ..."; non mirano "né all'aumento dell'industria, né al miglioramento degli ordini sociali, né al perfezionamento dell'uomo".8 Pensano soltanto, in contrasto col "gravissimo secolo decimonono, che fin qui non è il più felice di cui s'abbia memoria", che "il dilettevole sia più utile dell'utile" e che perciò sia giusto "leggere per diletto, e per avere dalla letteratura qualche piccola consolazi�ne a grandi calamità".

* * * Uno scritto come il Preambolo, in apparenza svagato e in realtà fieramente ribelle a cultura e costume dominanti sia nell'età di Leopardi sia nell'età di Nietzsche e oltre,.mostra più nettamente isolata quella componente filosofica che in Canti e Operette s'interseca con emozioni sogni ricordi - e immagi­ ni e ritmi - e più spesso s'identifica con questi moti, anche se a qualcuno poté sembrare che li ostacolasse. In verità la se­ parazione del filosofo dal poeta, avviata poi da De Sanctis 8. Corsivi nostri.

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ed esasperata da Croce, non s'incontra, di norma, nei primi lettori di Leopardi. Che non saranno stati dei "critici" nel­ l'accezione più tardi corrente, ma che - da Giordani a Gio­ berti e al Ranieri stesso della Notizia premessa al I volume (quantum mutatus poi, negli infelici Sette anni di sodalizio!) - mostrano di possedere il senso della solidarietà, in Leo­ pardi, di filologia e poesia; e della presenza, accanto alla poe­ sia, della riflessione filosofica. Accanto o anche nella poesia se, oltre che alle probabili suggestioni trasmesse per i tramiti ·ora indicati, si pensa al fascino fortissimo - estetico e spe­ culativo insieme - esercitato su di loro non dallo sconosciu­ to Zibaldone ma dalle Operette, dai centoundici Pensieri, dai Canti stessi. Dalle prose ai Canti si svolge nel 1858 il percorso di let­ ture leopardiane di Schopenhauer, che nei Supplementi al quarto libro del Mondo consacra l'eccellenza del pensatore, giunto più a fondo di tutti gli scrittori e filosofi moderni nel meditare su "la beffa e la miseria di quest'esistenza", "rap­ presentate ... con una tale varietà di forme e di espressioni, con una tale ricchezza di immagini" ,9 che quel tema non vie­ ne mai a noia: conosciute dunque, essenzialmente, con la forza della poesia, che per via intuitiva giunge alle Idee. 10 Consenso filosofico, commozione, ammirazione s'intrec­ ciano nel giudizio dell'eccezionale lettore. Così come, di cer­ to, nelle parole del dottissimo Erwin Rohde in una lettera dal1' Italia a Nietzsche (1869).11 E come nel racconto che fa Nietzsche stesso di ore trascorse con Gersdorff e Romundt sul lago di Couma: '' ... Leggemmo Le ricordanze e A un vin-

Siamo, a questo punto, più che a un secondo momento a un secondo aspetto dell'avvicinamento di Nietzsche a Leo­ pardi. Dalla esaltazione di quella filologia apertissima si enu­ clea l'ammirazione per il pensatore-poeta "sovrastorico", si­ mile a chi "sa mettersi a sedere sulla soglia dell'attimo di­ menticando tutte le cose passate ... capace di star ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria "; 14 paradossalmente capace, pertanto, di conoscere la felicità e di fare qualcosa che renda felici gli altri. Nella memoria del filologo-filosofo si rifrangeva l'onda de L'infinito - espres­ samente ricordato poi in un appunto del 1880 - e de La vita solitaria:

9. Il mondo come volorJtà e rappresentazione, a cura di A. Vigliani, Milano, Mondadori, 1989, p. 1507. 10. Cfr. ibid., pp. 1293-1294: "L'intenzione che il poeta persegue, quan­ do mette in moto la nostra fantasia, è quella di svelarci le idee, ossia di mo­ strarci mediante un esempio che cosa sia la vita e che cosa sia il mondo". 11. Citata da G. Gabetti (Niet7,5che e Leopardi, in "Il Convegno", 1923, p. 442, n.).

12. lbid. 13. All'immagine heideggeriana (cfr. Che cos'è la metaftsica?, tr. di E. Paci, Milano, Bocca, 1942, pp. 81 sgg.) rinviò Giovanni Amelotti inter­ pretando il "notturno" che apre La sera del dì di festa (Filosofia del Leo­ pardi, Genova, Fabris, 1937, pp. 328-329). . 14. Sull'utilità e il danno della storia per la vita (qui a p. 35). La pri­ ma parte della II Inattuale è tutta concepita e condotta come un silenzioso (non sempre!) dialogo con Leopardi: si veda il commento da p. I 19 a p. 128.

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citare nel pallone. La sera era divinamente limpida e chia­ ra... Una giornata indimenticabile...".12 Divinamente chia­ ra, quella sera d'estate del 1873, come le sere evocate ne Le ricordanze, come la notte che avanza ne La sera del dì di fe­ sta e nel Sabato del villaggio o .che si dilegua ne L'ultimo canto di Saffo e nel Tramonto della luna. Si avverte nelle parole di Nietzsche il senso di un incontro perfetto tra esperienza vissuta e operante memoria della poesia leopardiana. Nella qu ale egli coglie certo, attraverso le immagini, una tensione conoscitiva; forse, attraverso quel lume di crepuscolo, uno specchio della "chiara notte del nulla". 13 E non a caso l'an­ no dopo, nel meditatissimo attacco della seconda Inattuale si avvertirà l'eco anche delle Ricordanze e del Vincitore.

* * *

È uno stat� di conoscenza simbiotica, su cui Leopardi ha già meditato, ventenne, in un rapita pagina del Discorso di un

Italiano intorno alla poesia romantica (rimasto inedito fino al 1906!), trattando del modo d'essere dei fanciulli, solo pa­ ragonabile oggi a quello degli antichi: "... Imperocché quel� lo che furono gli antichi, siamo stati noi tutti, e quello che fu il mondo per qualche secolo, siamo stati noi per qualche anno... ; quando il tuono e il vento e il sole e gli astri e gli animali e le piante e le mura de' nostri alberghi, ogni cosa ci appariva amica o nemica nostra, indifferente nessuna, in­ sensata nessuna; quando ciascun oggetto che vedevamo ci pa­ reva che in certo modo accennando, quasi mostrasse di vo­ lerci favellare ... " . 16 Il punto di vista pare già quello di un frammento nietzschiano del 1875: "L'apparire di dèi in car­ ne ed ossa, come nel caso di Afrodite, all'invocazione di Saf­ fo, non deve essere inteso come licenza poetica: si tratta di frequenti allucinazioni..."; perché, "rispetto agli altri popo­ li, i Greci si presentano come il genio. Natura fanciullesca, credula". 17 Illusione fanciullesca che le cose in certo modo accenni­ no e vogliano parlarci, favole antiche nate dal senso di una Natura tutta animata e immaginazione poetica simile a uno stato di frenesia convertuntur nelle pagine del Discorso di uri Italiano e nel Canto del '22. E un atteggiamento non diffor­ me resisterà in Nietzsche fino agli anni estremi: "... Il con­ cetto di rivelazione, nel senso di qualcosa che, subitamente, con indicibile sicurezza e sottigliezza si fa visibile, udibile, qualcosa che ci scuote e sconvolge nel più profondo, è una semplice descrizione dell'evidenza di fatto. Si ode, non si cer­ ca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con necessità senza esitazioni nella for­ ma - io non ho mai avuto scelta. Un rapimento, la cui enor-

15. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, ediz. critica di G. Pacella, Mi­ lano, Garzami, 1992; "... \a poesia sta essenzialmente in un impeto" (435?; agosto 1828); "... quantunque chi non h>, edizione italiana diretta dagli stessi Colli e Monti­ nari per l'editore Adelphi di Milano a partire dal 1964. Dopo il titolo tede­ sco, che compare alla fine di ciascun passo, e dopo ii titolo tradotto, ripor� tato in nota, un numero romano indica il volume, seguito (senza virgola) da un numero arabico che indica il tomo e, dopo una virgola. da uno o più numeri arabici, che si riferiscono alle pagine. I traduttori .dei' singoli passi sono: S. Giametta (1,V,XII,XXIV-XXVIH), G. Colli e M. Montinari (H­ IV,VIII,IX,XVII), G. Colli e C. Colli Staude (VI,X), M. Montinari (XIII, XIV,XVIII-XX,XXIII), F. Masini (XV,XVI,XXI,XXII). Per i frammenti contrassegnati con i numeri VII e XI, appartenenti a scritti non ancora ripubblicati nelle citate edizioni, si sono usati i Gesam-

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I passi leopardiani sono tratti, saivo diversa avvertenza, dalle edizioni seguenti: G. Leopardi, Poesie e prose, a cura di R. Damiani e M. A. Rigo­ ni, con un saggio di C. Galimberti, Milano, Mondadori, 1987-88 (voi. I: Poe­ sie, a cura di M. A. R.; voi. II: Prose, a cura di R. D.); Zibaldone di pen­ sieri, edizione critica e annotata a cura di G. Pacella, Milano, Garzanti, 1991: le pagine citate sono quelle dell'autografo leopardiano; Lettere, a cura di F. Rm,-a, Milano, Mondadori, 1949. (Nelle note si è preferito rimandare, ogni volta che è parso possibile, ai Canti, alle Operette morali, ai Centoundici Pensieri, opere che Nietzsche conobbe, piuttosto che allo Zibaldone, rimasto inedito fino al 1898-1900. Qualche rinvio anche a questo testo, sconosciuto a Nietzsche, è però impo­ sto dalla possibilità di far rilevare straordinarie coincidenze). Nella prefazione e nelle note la indicazione corsivo nostro è stata limi­ tata ai casi in cui pareva indispensabile.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Tra ì contributi più significativi: R. GIANI, L'estetica nei ''Pensieri" di Giacomo Leopardi, Torino, Bocca, 1904, pp. 34-36, 43, 54, 56-57, 59-60, 237-238, 252-253 [raffronti tra pensie­ ri dello Zibaldone e posizioni nìetzschiane: sulla necessità della vita intensa, dell'oblio di sé, dell'errore vitale, dell'ebbrezza estetica]; Nietzsche e Leo� pardi. Da carte edite e inedite di Nietzsche, ne «La Ronda», a. IV, n. 6, giugno 1922, pp. 361-373 [21 passi dìstribuiti in 18 gruppi, tradotti da Mar­ cello Cora e preceduti da una notizia ìntroduttiva. Sul Cora - l'ungherese .Mòr Korach - v, c. bI BIASE, La Ronda e l'impegno, Napoli, Liguori, 1971 e s. SOLMI, Leopardi e la Ronda, in Leopardi e il Novecento. Atti del Ill Convegno intemaz. dì Studì leopardiani, 2-5 ottobre 1972, Firenze, Olschki, 1974, pp. 140-141, 147]; G. GABEITI, Nietzsche e Leopardi, in «Il Convegno»,. a. IV, n. 10, ottobre 1923, pp. 441-461; nn. 11-12, novembre-dicembre 1923, pp. 513-531; a. V, nn. 1-2, gennaio-febbraio 1924, pp. 5-30 [ricco e organi­ co studìo sulla dìffusione di Leopardì in Germania prima di Nietzsche, sul­ l'avvicinarsi dì Nietzsche a Leopardì, su affinità di pensiero (esaltazione del­ le illusionì, senso della vita unìversa come infinita attività irrazionale) e di stile (inclinazione al frammento lirico). Leopardì come punto dì riferimento per Nietzsche nel processo dì liberazione daU'inìziale wagnerismo. Analisi dì giudìzi nietzschiani su Leopardi]; v. CARDARELLI, Le opere e i giornl, in Pa­ role all'orecchio, Lanciano, Carabba, 1929; poi in Solitario in Arcadia, Mi­ lano, Mondadori, 1947, p. 80 [«... tuttala morale e la filologia di Nietzsche non sono, a parer nostro, che poche briciole cadute dalla mensa di Leopar­ dì». Sull'interesse dei rondìsti per Leopardì e per Nietzsche cfr. R. BACCHELLI, ne «L'Approdo letterario», n. 46, 1969, p. 98: «... tendevamo a interpreta-

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re Leopirrdì alla luce di certa estetica e dì certa critica luminosa dì Federico Nietzsche»); w. F. ono, Leopardi und Nietzsche, cit. [v. supra la Nota ai testi e in fondo al presente vol. la postfazione di G. sèALIA]; s. SOLMI, art. cit. pp. 136-138, ora in .Studi leopardiani. Note su ai:tori classici italiani e stranieri, a cura di G. Pacchiano, Milano. Adelphi, 1987, pp. 178-181 [«,.. non si vede quale "insegnamento" potesse trarre» dai Canti e dalle Operet­ te, «fuori di qualche vaga spinta e suggestione. I veri e profondì punti di contatto... si trovano nello Zibaldone». Nella sezione Dal carteggio Solmi­ Timpanaro è riportata anche una lettera del 22 novembre 1972 (pp. 223-227): rispondendo ad alcuni .quesiti, Timpanaro respinge ìl paradossale giudizio di Cardarelli; d'altra parte non gli appare «per nulla inverosimile» che Nietz­ sche, inizialmente filologo anche in senso accademico, abbia conosciuto e valutato con sicurezza dì esperto gli Excerpta pubblièati da Louis de Sinner nel gioco" (vv. 44 sgg.). E in qualche istante di grazia il poeta pare davvero saper "mettersi a sedere sulla soglia dell'attimo": o meditando sul tempo sospeso, come nei vv. 23 sgg. del medesimo Canto ( cfr. la nostra prefazione a pp. 15-16); o, viceversa, abbandonandosi all'ebbrezza del rischio, come nel prenietzschiano finale della canzone A un vincitore nel pal­ lone (1821): "Nostra vita a che val? solo a spregiarla: / Beata allor che ne' perigli avvolta, / Se stessa obb/ia, né delle putri e lente / Ore il danno misura e il flutto ascolta; / Beata allor che il piede / Spinto al varco leteo, più grata riede" (vv. 60 sgg.). 9. Perché si sentirebbe coinvolto in un totale divenire, dove "la strada all'in su e all'in giù è una sola e la medesima"; perché "negli stessi fiumi tanto entriamo quanto non entriamo, tanto siamo quanto non siamo" (22 B 60 e 22 E 49 OK; tr. it. di G. Colli in La sapien­ za greca, vol. III, Eraclito, Milano, Adelphi, 1980, pp. 49, 57). Su Eraclito e sull'eracliteo Cratilo annota Nietzsche nella Einleitung in das Studium der platonischen Dialoge (tra i corsi tenuti a Basilea dal 1871 al '76): "Enorme effetto del grande Eraclito. Non c'è nes­ sun essere: il divenire eterno è come un non-essere eterno. Cratilo superò il maestro... La conseguenza estrema di questo punto di vi­ sta sarebbe (secondo Aristotele) che Cratilo avrebbe creduto di non poter dire più niente e si sarebbe limitato a indicare col dito" (Pia� to amicus sed. Introduzione ai dialoghi platonici, tr. it., a cura d1 P. De Giovanni, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 55). 10. M.A. Rigoni (op. cit., p. 82, n.) rinvia a una pagina della Nascita della tragedia (Opere, III 1, 264) sul "poter dimenticare" come condizione alla felicità, e a un luogo dello Zibaldone (4074; 20 aprile 1824) sul piacere identificato con "un abbandono una non­ curanza una negligenza una specie di dimenticanza d'ogni cosa". Sulla dimenticanza e noncuranza di cautele, di scopi e quasi di se stessi come condizione all'agire si veda di nuovo il finale della can­ zone A un vincitore nel pallone e anche il Dialogò di Cristoforo Co­ lombo e di Pietro Gutierrez nelle Operette morali: "Gutierrez :-.. tu, in sostanza, hai posto la tua vita, e quella de' tuoi compagni, in sul fondamento di una semplice opinione speculativa [cioè di una pura ipotesi]. Colombo. Così è: non posso negare...". (Cfr. Zib. 2529: "Bisogna vivere dKij, témere, au hasard, alla ventura"). E "una vita a caso, e non saperne altro avanti" vorrebbe il vendi122

tore d'almanacchi, e così il passeggere, "e così tutti" nella penulti­ ma delle Operette. 11. Dalla formulazione in_determinata e radicale ("Per ogni agire ci vuole oblio") Nietzsche è passato a precisare i termini della que­ stione in modo più definito ("c'è un grado di insonnia..."), per giun­ gere alla provvisoria conclusione: "ciò che è n9n storico e ciò che è storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo e di una civiltà". Ma su,bito eviterà il rischio del gene­ rico e dell'ovvio impliciti in tanta moderazione riproponendo "ciò che non è storico" come fattore propulsivo e come "involucro" che protegga dal peso della storia passata. Un analogo oscillare si può scorgere, almeno per le intenzioni, nella prima stagione poetica leo­ pardiana, tra il 1818 e il '23. Mentre negli Idilli il poeta si libera talora dal tedio per la via di un totale smemorarsi, nelle Canzoni il suo sguardo spazia spesso nel passato (per eccellenza nell'antichi­ tà greca e romana) alla ricerca di modelli di vita anche civile da "ri­ plasmare" per il presente. Si pensi al saluto iniziale e alla invoca­ zione conclusiva della canzone Ad Angelo Mai (1820), peraltro can­ cellati, nel cuore del testo, dalla rappresentazione del nulla progre­ diente attraverso i secoli. Vero è che anche Leopardi gu,arda al pas­ sato da "un'atmosfera avvolgente'\ proiettando in esso i fantasmi amorosi ed eroici della sua immaginazione. 12. Nell'Inno ai Patriarchi (1822) sono i selvaggi della Califor­ nia, incalzati, ahimè, dall'avanzante "civiltà", a suggerire un ana­ logo contrasto: " ... fra le vaste californie selve/ Nasce beata prole, a cui non sugge I Pallida cura il petto, a cui le membra/ Fera tabe non doma; e vitto il bosco, / Nidi l'intima rupe, onde ministra / 'L'irrigua valle, inopinato il giorno / Dell'atra morte incombe..." (vv. 104 sgg.). 13. Nel leopardiano paradiso perduto delle "illusioni" sovra­ no è l'amore. Come tale è annunciato alla fine della Storia del ge­ nere umano (1824), la prima delle Operette morali. E soltanto tar­ di, tra 1833 e '35, il poeta rifiuterà in A se stesso anche quell'"in­ ganno estremo" che si era immaginato eterno. Questo Canto san­ zionava la fine di una intensissima, anche se unilaterale, esperienza amorosa, poeticamente testimoniata fra il 1831 e il '32 dal Pensiero. dominante e da Amore e Morte, e nel 1834 commemorata in forma 123

di palino dia in Aspasia. Nel Pensiero d? t�in�� te lo sta�o �ell'an�m� innamor ata è presentato in modi non dissimili da quelh n�etz�hiam di queste pagine: ". _. Co me solinga è fatta/ La m��te mia � allora ; Che tu quivi prendesti a far dimora! / Ratt� � i� torn� mt? rno al par del lampo / Gli altri pensieri mie�/ Tutti. si d1leg�ar. Sicco­ me torre ; In solitario campo, / Tu stai solo, gigante, m mezzo a lei. // Che divenute son, fuor di te solo, / Tutte �• opr� terre�e, � Tutta intera la vita al guardo mio ! / Che intollerabil no ia/ Gh ozi, i c ommerci usati,/ E di vano piacer la va na speme,/ Allat?_ a que� ­ la gi oia,/ Gioia celeste che da te mi viene! // _- ...// Qu_�s1 mcredi­ bil parmi ; Che la vita infelice e il mon�? sc1occo I G1a per gran temp o assai/ Senza te sopportai; / Quasi mtende� non _P?ss o I Co­ I me d'altri desiri, / Fuor ch'a te somiglianti, altn so_spm. Pregio non ha, non ha ragion la vita / Se non per _Im, per ��1 eh al­ l'uomo è tutto; / Sola discolpa al fat o, / Che noi. mortali m terra ; Po se a tanto patir senz'altro frutto; / Solo per cm talv?lt� I No? : alla gente stolta, al cor non vile / La vita della morte e �m gen_t1le... " (vv. 13 sgg.). Sono le ma nifestazioni suscitate dall ap?anre _ di "un chiar o e lampeggiante raggio di luce" �c?me m Asf!asra, � _ : 26 sgg. "... Apparve/ ... quasi un raggio/ D1vmo al pens1er m:� , , "Raggi o divin o al mio pensiero apparve, / D onna, _la tua bel�a ), "dentro quella avvolgente nuvola di vapore" (ted. "mner?alb Jene� _ umschliessenden Dunstwolke"). E in Amore e Morte l az1 o�e �1 Amore è rapprese ntata come quella di una suprema �orz� che simi!: _ mente circonda l'anima: "... tutto avvolge I La form1dabil possa... (vv. 45 sg.).

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14. Già nella canzone Alla sua Donna (1823), inno all'amat_ a che non si trova: "E ben chiaro vegg'io siccome ancora / Segmr l oda e virtù qual ne' prim'a nni / L'amor tuo mi farebbe ... " (vv. 28 sgg.). È peraltro motivo ricorrente nella poesia d'amo re fin dal Medi oevo cortese.

numerose note dello Zibaldone. S oprattutt o imp o rtante, anche i n rapporto a quella che sarà l'idea nietzschiana di filol ogia, è ciò che Leopardi scrive in una lettera del 5 settembre 1829 a Carlo Bunsen: . "... questa storia. . farà epoca negli annali della filosofia applicata alla filologia ed alla cognizione del mondo antico". 17. Sono considerazioni da c onfrontare col LXXIV dei Pensi e­ ri: "Verso gli uomini grandi, e specialmente verso quelli in cui ri­ splende una straordinaria virilità, il mondo è c ome don na. No n gli ammira solo ; ma gli ama: perché quella forza l'innamora. Spesso, come nelle donne, l'amore verso questi tali è maggiore per conto ed in proporzione del disprezzo che essi mostrano, dei mali tratta­ menti che fanno, e dello stesso timore che ispirano agli uomini. Co­ sì Napoleone fu amatissimo dalla Francia, ed o ggetto, per dir così, di culto ai soldati, che egli chiamò carne da cann one, e trattò come · tali. Così tanti capitani...". 18. In una serie di appunti dell'estate-autunno 1875 Nietzsche cita dai Dialogues concerning natural Religion (1779) di Hume an­ che le parole che precedono i due versi ripresi nella Inattuale: "Chie­ dete a voi stessi ... o a un o qualsiasi dei vostri conoscenti se vorreb. bero rivivere gli ultimi dieci o vent'anni della vostra vita. No ! rna i prossimi venti saranno miglio ri, dicono loro" (III 3, parte Il, 268). Domanda e rispo sta sono poi le stesse che s'incrociano nel Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere (1832): " ... Pas­ seggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'a nni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste? Venditore. Eh, ca­ ro signore, piacesse a Di o che si potesse. Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati? Venditore. Questo non vorrei ..."; e " nessuno - insiste il passeggere, convincendo l'interlocut ore vorrebbe tornare indietro".

15. "Cfr. Goethe, Maximen und Rejlexionen, 241" � C�lli­ Mo ntinari).

19. "E dagli avanzi della vita sperano di ricevere/ Ciò che non poté dar loro il primo impetuoso slancio". Da vid H urne (1711-1776): il filosofo sensista autore, fra l'altro, del Trattato sulla natura umana.

16. Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), st o rico e fi�ologo clas­ sic o, fu ambasciatore di Prussia a Roma, dove Le�pard1 lo �onob­ be nel 1823. Scrisse fra !;altro una Romische Gesch1chte, che 11 poe­ _ ta lesse molto attentamente nella traduzione inglese, come nsulta da

20. La "diversa motivazione" del rifiuto di rivivere il passato compare (ma non sfugga la intonazione ironica) nella battuta, pre­ sa alla lettera, del Passeggere, _che conclude il rapido dial ogo: " ...

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Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce, non la vita passata, ma la futura". 21. Conoscenza e vita appaiono infine come termini struttural­ mente antitetici dell'esistere (e la storia scompare come dimensione autonoma). Nietzsche tende già verso la vita come totalità di senti­ re, pronta tutta a trasfigurarsi in sogno: "... Basta amare, odiare, desiderare, in generale sentire e subito sopraggiunge in noi lo spiri­ to e la forza del sogno... " (La gaia scienza, I. II, af. 59, in V 2, 80). In Leopardi la esaltazione della vita come tale è assai meno fre­ quente dell'aspirazione alla vita/e/ice: "Per me, dico che la vita fe­ lice, saria bene senza fallo; ma come felice, non come vita" (Dialo­ go di un Fisico e di un MetaflSico). La differenza non è soltanto d'indole lessicale. È impensabile, per Leopardi, un canto alla vita come quello di Zarathustra: "... Avete mai detto di sì a un solo pia­ cere? Amici miei, allora dite di sì anche a tutta la sofferenza. Tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate... Perché ogni pia­ cere vuole sé, perciò vuole anche sofferenza! Oh felicità, oh dolore! Oh, spezzati cuore!... " (Il canto del nottambulo, in Così parlò Za­ rathustra, in VI l, 392-393).

23. bi qui gli accostamenti operati, per es. da Gioberti, tra Leo­ pardi e l' Ecclesiaste e Pascal e gli "ipermistici" (cfr. Pensieri e giu­ dizi di Vincenzo Gioberti sulla letteratura italiana e straniera rac­ colti da tutte le sue opere ed ordinati da F. U golini, Firenze, Barbè­ ra Bianchi e C., 1856, pp. 399, 402, 409). Il senso della vanitas do­ mina, in realtà, sia nell'Ecclesiaste sia in Leopardi, soprattutto nei suoi ultimi anni. "Leopardi visse imbevuto di Ecclesiaste, e lunghi Ecclesiasti sono i Canti e le Operette. Lo chiamerei Ecclesiastes no­ ster... " (G. Ceronetti, Leopardi e Qohélet, in Qohélet o !'Ecclesia­ ste, a cura di G. C., Torino, Einaudi, 1970, p. 70). Nel Canto A se stesso, non a caso qui citato da Nietzsche, l'ultimo verso traduce liberamente la vanitas vanitatum qoheletica. 24. A se stesso, vv. 7 sgg. Fin qui covata dal discorso nietz­ schiano, la suggestione leopardiana esplode infine in una citazione dal più nichilistico dei Canti. "È forse interessante osservare che Nietzsche si serve per la citazione della traduzione tedesca dello Ha­ merling, che però modifica leggermente... Nietzsche cita: 'Nichts lebt, das wiirdig I Wa.r' deiner Regungen, und keinen Seufzer verdient die Erde. / Schmerz und Langeweile ist unser Sein und Kot die Welt - nichts andres. / Beruhige dich'. Ora lo Hamerling non si era ser­ vito nella sua versione per tradurre i due concetti di 'amaro' e 'noia' di due sostantivi, bensì aveva sciolto la vigorosa endiadi leopardia­ na sostituendola con la più usuale ma debole forma della coppia aggettivo più sostantivo: 'amara noia' (bittere Langeweile) appun­ to. Nietzsche, che cita forse a memoria, come una diversa divisione dei versi sembrerebbe dimostrare, istintivamente e genialmente di­ ce: 'dolore e noia' (Schmerz und Langeweile) e in questo modo pa­ re voglia, interpretandolo, dare un maggior rilievo al concetto leo­ pardiano di noia riportandolo alla sua radice pessimistica" (F. Ja­ nowski, F. Nietzsche e Leopardi, in AA.VV., Nietzsche und ltalien, Tiibingen 1990, p. 61) •

22. Davvero una "struttura immobile" finiscono con l'apparire passato e presente soprattutto al Leopardi degli ultimi anni; e di valo­ re, per di più, assolutamente negativo. Basti citare un passo dalla Pali­ nodia. Al Marchese Gino Capponi (1835): "Valor vero e virtù, mode­ stia e fede/ E di giustizia amor, sempre, in qualunque/ Pubblico sta­ to, alieni in tutto e lungi/ Da' comuni negozi, ovvero in tutto/ Sfortu­ nati saranno, afflitti e vinti; / Perché diè lor natura, in ogni tempo I Starsene in fondo. Ardir protervo e frode,/ Con mediocrità, regneran sempre, I A galleggiar sortiti. Imperio e forze, / Quanto più vagli o cumulate o sparse, / Abuserà chiunque avralle, e sotto/ Qualunque nome. Questa legge in pria / Scrisser natura e il fato in adamante; / .... I Sempre il buono in tristezza, il vile in festa/ Sempre e il ribaldo: incontro all'alme eccelse/ In anne tutti congiurati i mondi I Fieno in perpetuo ... " (vv. 69 sgg.); o si veda il XXVIII dei centoundici Pensie­ ri, sulla perennità della divisione tra oppressori e oppressi, che "né leg­ ge né forza alcuna, né progresso di filosofia né di civiltà" potranno mai impedire. Paradossalmente, persino l'appello alla solidarietà nei vv. 145-157 de La ginestra scaturisce dalla speranza che tutti condivi­ dano infine la consapevolezza che il male è realtà immutabile.

25. Non è senza significato che la svolta del ragionamento, dal pessimismo "sovrastorico" a un appello alla vita si verifichi subito dopo la citazione dal Leopardi più disperato e, in certo modo, più ''saggio" (di quella "saggezza di tutti i saggi da Brahma a Leopar­ di, la saggezza che consiste non già nella soddisfazione, ma nell'o­ blazione del desiderio: In noi di cari inganni I Non che la speme,

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il desiderio è spento". Così Samuel Beckett nel suo Proust, tr. it., Milano, Sugar, 1962, p. 27, citando i vv. 4-5 di A se stesso). 26. Uno spunto, almeno, nella direzio ne qui indicata da Nietz­ sche s'incontra, in realtà, nello Zibaldone (3990, 17 dicembre 1823): "Tutto è follia in questo mondo fuorché il folleggiare. Tutto è de­ gno di riso' fuorché il ridersi di tutto. Tutto è vanità fuorché le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze". Ma certo in Leopardi non vien e mai meno la ricerca di una disperata saggezza. Si pen si all'estremo elogio alla ginestra "contenta dei deserti": "... Ma più saggia, ma tanto I Meno inferma dell'uom, quanto le frati / Tue stirpi non cre­ desti / O dal fato o da te fatte immortali" (vv. 314- fine). Purché la sua scelta della vita non si veda in quella superiore "mancanza di saggezza" (effetto e fonte insieme di superiore letizia) che fu l'a­ ver poetato fino agli ultimi giorni.

II Nel 1875, fino all'estate, Nietzsche fissò appun ti per Noi filo-· logi, saggio pensato come quarta delle Inattuali e non portato a ter­ mine (si leggono ora tra i Frammenti postumi 1875-1876, in IV 1). Autore nel 1867 di un lavoro filologico su Teognide di Mega­ ra, nel 1868 di una in dagine sulle Fonti di Diogene Laerzio poi (dal 1869 al '79) professore di filologia classica all'Università di Basilea, dove tiene corsi su Omero, Esiodo, Eschilo, Sofocle, Platone, i liri­ ci, Nietzsche manifesta subito avversione durissima al metodo e al costume dominanti in quegli studi. Oi Friedrich August Wolf (1759-1824) condivide la convinzione che "solo la capacità di scri­ vere come gli antichi, solo un person ale talento produttivo ci met­ tono in grado di comprendere prodotti della stessa specie e di co­ gliervi qualcosa di più che certi pregi secondari" (IV 1, 97). In ter­ min i più generali anche Leopardi aveva affermato, dal can to -suo, che, "a conoscere perfettamenté i pregi di un'opera perfetta o vici­ na alla perfezion e, e capace veramente dell'immortalità, non basta essere assuefatto a scrivere, ,1ma bisogna saperlo fare quasi così per­ fettam ente come lo scrittore medesimo che hassi a giudicare... Di man iera che l'uomo non giun ge a poter discernere e gustare com128

piutame�te !'eccellen za degli scrittori ottimi, prima che egli acquisti la facolta d1 pot rla rappresentare negli scrit � ti suoi. .. "· (Il Parini, ovvero della glona, nel_le Operette morali, 1824 ). Da quel c�nvin ci­ m�nto nascev�no gb_ foghi di Nietzsche co n tro l'ottusità dei colle� ghi e 1, esaltazione dei filologi-poeti del Rin . ascimento e dei· poc h1, , anch e P.m recenti,. fedeli a una idea dell'antico an imata da un dram. _ matico mteresse per il presente e da sensibilit à per l"'elemento sim. . bol"ico".· atta, esseilZ!almente, a suscitare nuova attività creat iva. Sulla b'.15e d�. ques�e premesse, ultimi filologi-po eti gli appaiono, al di là _ d1 ogm spec1absmo, Goethe e. Leopardi. Questi frammenti risalgono al marzo 1875 (IV 1, 92-94). I. Johann Hein rich Voss (1751-I826) fu filolo go illustre (curò fra l'altro una traduzione di Omero: Homers Werke, 1793), ma com­ pose anche poemetti idillici in esametri, fra i quali è famoso Luisa 0!83). L'app�n to chiuso tra parentesi ha l'aria di un richiam o che Nietzsche faccia a se stesso dopo quanto ha affer · mato slll· fil 1 0Iogi· tedeschi.

III Dai Frammenti postumi 1875-1876, marzo e primavera-estate 1875 (IV I, 91 e 114). 1. La �c�ola retorica resa celebre da Erode Attic o (101-177) e _ da Elio AnstJde (129-189 ca.). 2. � a_lla radice di ogni ricerca umanistica dev' esserci, in vece, una fo�1ss1ma te pra umana: "Bentley era al tempo stesso defen­ � sor fide1; e lo Scaligero fu certamente un nemic o dei gesuiti' molto attaccato" (IV I, 135).

IV Ancora dai citati Frammenti, primavera-estate 1875 129

(IV I, 124).

1. In una prima stesura dell'appunto riportata da Colli e Mon­ tinari (IV 1, 382), sui filologi che s'impongono come insegnanti per antonomasia, si legge: "... la pretesa dei filologi di essere insegnan­ ti è molto stupefacente: perché proprio loro! Ciò non risulta affat­ to evidente... Che cosa significa la pretesa del filologo classico di essere insegnante in un senso superiore, tanto da educare non solo tutti gli scienziati ma anche tutte le persone colte? In ogni caso egli deve attribuire questa forza ali' antichità. - Ma, se di fatto il livello culturale delle nostre persone colte è così basso, ciò sarà da attri­ buire a colpa deil'antichità oppure degli interpreti dell'antichità: que­ sta è la necessaria alternativa. O l'antichità non è in grado di edu­ care, o i filologi non intendono l'antichità - o ambedue le cose. - La prima cosa affermano gli insegnanti delle scuole tecniche... "

V

Dai Frammenti postumi 1875-1876 (IV 1, 135), primavera-estate 1875, e dalla quarta delle lnalluali: Richard Wagner a Bayreuth, 1876 (IV 1, 74). Nei frammenti del 1875 (ibid. p. 119) si legge fra l'altro: "Io compiango un'educctzione, che non è riuscita a comprendere Wa­ gner, e ai cui orecchi Schopenhauer suona roco e stonato: tale edu­ cazione è fallita"; e: "Quale sia la situazione dei filologi risulta dal­ la loro indifferenza all'apparire di Wagner. Da lui essi avrebbero potuto imparare ancora più che non da Goethe..." (p. 123). E an­ che: "Si suole credere che la filologia sia giunta alla fine, ed io cre­ do invece che essa non sia ancora incominciata. I più grandi avve­ nimenti,. che abbiano toccato la filologia, sono l'apparizione di Goe­ the, di Schopenhauer e di Wagner..." (p. 105). La lettura del Mondo come volontà e rappresentazione e l'in­ contro col musicista finirono di convincere Nietzsche che stessé'ap­ parendo unà sorta di nuova "filologia" e che, "per la produzione dei grandi spiriti", l'antichità fosse "più che mai efficiente".

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VI Dai Frammenti postumi 1869-1874 (III 3, Parte II, 361). Inizio del 1874. Gli appunti sembrano rivelare ammirazione verso Cicerone per l'intento di rifarsi ai Greci, smorzata dalla individuazione di un li­ mite, rispetto a quei modelli, già proprio del suo tempo (alle neui­ ren Zeiten si traduce forse meglio con tutti i tempi moderni che non con tutte le epoche più recenti). Rinviando a Leopardi Nietzsche s:mbra indi �are un modo di "lottare coi Greci" più ricc� di energia v1t� le � poetica. Da notarsi che tutto quanto segue al nome Leopar­ _ _ di e d1 nuovo nferito a Cicerone. Può interessare, d'altro canto, qualche giudizio leopardiano su . 1cerone, a cominciare dalla Lettera al eh. Pietro Giordani sopra � ti Frontone del Mai del 1818, dove la differenza tra Demostene e Cicerone è fatta provenire "più specialmente dalla diversità delle na­ zioni, e sopra ogni cosa, dell'età", e Cicerone è giudicato "più or­ nato" di Demostene, "come Virgilio più elegante e artifizioso d'O­ �ero e Orazio di Pindaro e Livio di Tucidide". Sono confronti da I�qua�are in una visione generale delle due civiltà, viste come espres­ _ SIOill I una della "natura", l'altra dell"'arte" (Prose, ed. cit., pp. 958 sgg.). Già nella Lelte :a, '.'non intendo in nessunissimo modo� pro­ _ testa Leop�d1 - d1 mettere Cicerone sopra Demostene, o di para­ g??are la �1erezza colla pompa né la negligenza magnanima colla diligenza ne la natura coll'arte". E nello Zibaldone tornerà più vol­ te � contra �porre le due nazioni, le due letterature, le due lingue: la lingua latma apparendogli "come lingua formata, la più moder­ �a de!le antiche" e, dopo Cicerone e anche per opera sua, priva di hberta (2014-2015; 30 ottobre 1821). Cioè, come affermerà Nietz­ sche, in essa "si profila la possibilità di civilizzare".

VII "Da una conferenza Storia dell'eloquenza greca" (tr. Cora), 1872-73. Le Operefte morali d'Isocrate, tradotte fra il 1824 e il '25 e pre131

cedute da un Preambolo del vo!garizza!ore scritto nel '26, furono pubblicate per la prima volta nell'edizione fiorentina del 1845 cura­ ta dal Ranieri. "Diceva Isocrate - afferma Leopardi nel preambo­ lo - che nei ragionamenti degl'instituti e degli uffici, non sono da cercare le novità, perché nulla vi si può trovare d'inaspettato né d'in­ credibile né d'insolito; ma quello è da dputare di cotali scritti il più bello, nel quale siano raccolti in sulla materia la più p:zrte dei con­ cetti che erano dispersi nelle menti degli uomini, e questi più leggia­ dramente esposti che in alcuno altro" (Prose, ed. cit., p. 1075). Nello Zibaldone insiste soprattutto sulla naturalezza e sulla "singolare chia­ rezza" ottenute con somma cura stilistica dall'oratore. La similitudine attribuita a Leopardi risale all'antichità. Si ve­ da infatti il cit. Proemio di Pietro Giordani agli Studi filologici di Leopardi: ''Vestìti signorilmente i prìncipi della eloquenza latina: ma quanto li sorpassa la nudità degli antichi greci! Della loro scul­ tura disse il vecchio Plinio, graeca simplicitas est nihil velare. L'in­ gombro dell'abito è ben più inutile ai pensieri che alle statue. E Ci­ cerone, tanto maestro di addobbi, esaltò (e forse invidiò) ne' Com­ mentarii del grand'emulo [cioè di Cesare] il sublime disprezzo d'o­ gni visibile artificio. Da Leopardi abito ricco splendido, benché vi­ rile, talvolta guerriero alle poesie; tutto ignude le prose..." (p. XIII). La definizione pliniana della scultura è citata da Nietz�he stesso su­ bito dopo le righe riportate ed è riferita allo stile di Isocrate.

VIII

Dai Frammenti postumi 1875-1876 (IV I, 105). Marzo 1875.

te). Ma il carattere "greco" di Leopardi (soprattutto del prosatore) era già stato affermato - si è visto - da Pietro Giordani. Si vedano, d'altra parte, questi passi di due lettere di Leopardi stesso a Giordani, rispettivamente del 30 maggio 1817 e del 12 mag­ gio 1820: "... Dopo che ella mi ha fatto notare l'amicizia che è tra la lingua nostra e la greca, ho preso a riflettervi sopra seriamente e aperto qualche prosatore greco, ho trovato con grandissimo pia­ cere che la sua osservazione è verissima e maestrevole, tantoché qual­ che passo di autore trecentista mi è paruto aver sembianza di tradu­ zione dal greco ..."; e: "L'arte di rompere il discorso, senza però slegarlo, come fanno i francesi, conviene impararla dai greci e dai trecentisti...". In un 'altra lettera al medesimo destinatario, del 21 n?vembre 1817, diceva "bella e deliziosissima compagnia" quella d1 Demostene (e, per la verità, di Cicerone, Segneri e Tasso). La "gagliardia" (ma non "pompa"!) dell'oratore greco - scrisse pe­ raltro nel 1818 -:-• il suo impeto e fervore fanno sì che "alcuno già _ pratico dello scnvere dei Greci... crede subito di trovarci un non so che di non greco o di più che greco" (Lettera al eh.mo Pietro Gior­ dani sopra il Frontone del Mai, in Prose, ed. cit., p. 958): osserva­ zione che implica il rifiuto di modelli greci sentiti con frigidità neo­ classica. Quel più che greco è spia della idea leopardiana di una gre­ cità trascendentale. I: L'esaltazione di Leopardi come som:ino stilista non implica che Nietzsche non abbia avvertito la sua forza filosofica. Vedi in­ fatti, subito, i nn. IX e XI.

IX Dai Frammenti postumi 1875-1876, estate 1875 (IV I, 187).

"Nietzsche scriveva a Hans von Biilow il 2 gennaio 1875: «Co­ nosco le sue [di Leopardi] prose solo in minima parte; uno dei miei amici che abita con me a Basilea [Romundt?] me ne ha traaotfo e letto singoli brani, sempre con mia grande sorpresa e ammirazio­ ne...»" (Colli-Montinari). L'invito a coltivare lo stile greco va inquadrato anche nella ten­ denza a stabilire un rapporto diretto fra civiltà greca e civiltà ger­ manica (la razionalistica romanità apparendo un fenomeno devian-

2. Perché, evidentemente, Goethe è un poeta che ha "anche dei pensieri" (v. sotto).

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I. Eduard Morike (1804-1875) fu autore, fra l'altro, della no­ vella M o_zart in viaggio per Praga e di lieder e ballate di gusto po­ polareggiante. Alcune liriche sue furono musicate da Schumann Brahms, Hugo Wolf.

I. ��po le parole "Solo esso (il pensiero della bellezza)" sono _ 1Qtr�dott11vv. 8 �-87 del �ensiero dominante, Canto composto, pro­ babilmente, fra Il 1833 e 11 '35. In realtà Leopardi esalta il pensiero d'�ore; ?1a l'interpretazione nietzschiana non si può definire arbi­ t�ar1a se s1 pensa alla inscindibilità, nell'animo di Leopardi, del sen­ timento amoroso dall'adorazione della bellezza. "lo cominciando a sentire l'impero della bellezza, da più d'un anno desiderava di par­ l�re e conversare, come tutti fanno, con donne avvenenti... ": così s� apre il cosiddetto Diario del primo amore, composto dal poeta _ _ g1ovam �s1mo �in Prose, ed. cit., p. 1171); e il motivo tornerà più v�lte nei Cantt, con spicco più forte in Aspasia e in Sopra il ritratto dt una bella donna.

3. Nella Nascita della tragedia (1872), sulle orme di Schopen� hauer e nel più acceso entusiasmo per Wagner, Nietzsche aveva con­ cepito la musica come apparizione diretta della Volòntà, in antitesi alla "disposfuone estetica", e aveva riferito il suo "simbolismo co­ smico" alla "contraddizione e al dolore originari dell'uno primor� diale". Nel Caso Wagner (1888) irriderà al musicista già idolatrato, che giudicherà noncurante di verità e bellezza e interprete massimo della décadence. 4. Nel presente passo Nietzsche afferma con forza la esigenza di "chiarezza nell'intuizione" in un genere che aveva considerato diretta folgorazione della musica: chiarezza che sia il correlativo for­ male di pensieri come quelli immanenti nel canto di poeti lontanis­ simi - si noti - dal combinare "parolette" e "pensierini" e inve­ ce, come Pindaro e Leopardi, limpidamente· visionari. {L'elogio del classicista e latino Orazio è presentato come caso-limite. Più com­ plesso era stato il giudizio leopardiano sul poeta augusteo, "il qua­ le alla fine non è poeta lirico che per lo stile"; e tuttavia: "Ecco come lo stile anche separato dalle cose, possa pur essere una cosa, e grande; tanto che uno può esser poeta, non avendo altro di poeti­ co che lo stile: e poeta vero, e universale, e per ragioni intime, è qualità profondissime, ed elementari, e però universali dello spiritò umano": Zib. 2050-2051; 4 novembre 1821).

X Dai Frammenti postumi 1869-1874. Primavera-estate 1874 (III 3, parte Il, 424). L'accostamento di Schopenhauer a Leopardi, autorizzato dal­ l'ammirazione del filosofo tedesco per il poeta italiano, rimarrà un punto fermo nel pensiero cli Nietzsche. Col rifiuto del pessimisino romantico egli li accomunerà nella condanna. In questa fase, inve­ ce, gli appaiono uniti nella luce dell'amore per la bellezza, invisa alla volgarità tedesca. Centro della poesia leopardiana gli appare sem­ pre, d'altronde, il pensiero che la anima. 134

XI ·

Da una Annotazione sull'importanza del ritmo per fa vita (tr. Cora) del 1875.

1. Nietzsche si riferisce forse a Rsp. VII 514 a-b, dove· Platone all �d � all'apparire deg!i eventi umani nella caverna, simile a spetta­ _ c �h � om?re o d1 manonette ("Bisogna pensare ai rudimentali tea­ tn d1 manonette, col burattinaio appiattato dietro l'alta scena e che dal basso vi fa apparire e scomparire gli attori": nota a p. 243 in Platone, La Repubblica, tr. di F. Gabrieli, intr. di F. Adorno Mi­ l�n �, Rizzoli, 1981). In quel passo platonico manca, peraltro, �ual­ s1as1 accenno alla bellezza dello spettacolo. 2. "Un vero pensatore", Leopardi: non a caso avvicinato, e cont�ap�ost� a Pl�tone. Quanto al "che cosa dice" Leopardi, non : consiste m c10 che immediatamente segue ("Sarebbe veramente de­ siderabile ... ") ma in ciò che immediatamente precede: basti pensa­ re a qualche affermazione più diretta espressa, anche nei Canti 0 nelle Operette o nei Paralipomeni, dal "pensatore''; come "Amaro e noia / La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo" (A se stesso vv. 9-10). Non si finirebbe mai di citare altri esempi. Diversamente sembra interpretare Cora (D,B, RA!4=R=,!6J B==!R6!//4,B8R !//RE,A,86!R8BB,6R !//R !$*+ R !//R=!I /,*,86!R8/,4;,R!R !/2RB!8%7.R8A4, R !R,6R