Intenzionalità, regole, funzioni. I fondamenti delle scienze sociali in Searle 8857518515, 9788857518510

La costruzione della realtà sociale di John Searle - il libro a cui sono prevalentemente dedicate le analisi di questo s

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Intenzionalità, regole, funzioni. I fondamenti delle scienze sociali in Searle
 8857518515, 9788857518510

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MIMESIS

ETEROTOPIE N.225 Collana diretta da Salvo Vaccaro e Pierre Dalla Vigna

COMITATO SCIENTIFICO

Pierandrea Amato (Università degli Studi di Messina) Pierre Dalla Vigna (Università degli Studi "lnsubria" Varese) Giuseppe Di Giacomo (Università di Roma La Sapienza) Maurizio Guerri (Università degli Studi di Milano) Salvo Vaccaro (Università degli Studi di Palermo) José Luis Villacaiias Berlanga (Universidad Complutense de Madrid) Valentina Tirloni (Université N ice Sophia Antipolis) Jean-Jacques Wunemburger (Université Jean-Moulin Lyon

3)

RoBERTO MIRAGLIA '

INTENZIONALITA, REGOLE, FUNZIONI I fondamenti delle scienze sociali in Searle

MIMESIS

Eterotopie

Il volume è pubblicato con un contributo dell ' Università degli Studi di Milano­ Bicocca , Dipa1timento di Sociologia e Ricerca Sociale .

© 2013 - MlMESIS EDIZIONI (Milano - Udine) Eterotopie n. 225 Isbn: 9788857518510 Collana

www.mimesisedizioni .it Via Risorgimento, 33 - 20099 Sesto San Giovanni (MI)

Telefono +39 02 24861657 l 02 24416383 Fax: +39 02 89403935

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INDICE

INTRODUZIONE

9

l. LE BASI DELL'ONTOLOGIA SOCIALE IN SEARLE Il realismo esterno Il mondo naturale e l'intenzionalità collettiva I fatti istituzionali

17 17 26 28

Il. 0NTOLOGIA E SOCIETÀ La classificazione delle funzioni Le regole costitutive e i fatti istituzionali Per una teoria generale dei fatti istituzionali Sfondo e fatti sociali

39 39 42 48 59

III. CONSIDERAZIONI CRfTICHE Ontologia generale e oggetti puramente intenzionali: Husserl Gli oggetti intenzionali secondo Ingarden Intenzionalità collettiva e fatti sociali Sociologia e ontologia: Durkheim e Weber Sfondo, intenzionalità e linguaggio

65 65 71 74 82 91

IV. POUTICA E INTENZIONALITÀ COLLETTIVA Il potere politico in Searle Poteri bruti e poteri deontici Normatività e valutatività Lo spazio della politica Ontologia e storia

95 95 102 105 109 1 12

INDICE DELLE OPERE CITATE

1 15

«Hence! What cares these roarers for the name of King» Shakespeare , The Tempest, Atto primo , Scena prima

9

INTRODUZIONE

La costruzione della realtà sociale di John Searle1- il libro a cui sono prevalentemente dedicate le analisi di questo saggio- è un li­ bro molto discutibile, ma anche molto coraggioso, rigoroso e ricco di spunti. È coraggioso perché si propone di ricondurre l'esistenza dell'intero mondo sociale, con tutta la sua complessità, a pochissimi fenomeni. Sostanzialmente, e salvo alcune complicazioni, tutto vie­ ne fatto risalire, infatti, a tre caratteristiche ritenute tipiche di esseri che, come noi, abbiano stati intenzionali (percezioni, pensieri, inten­ zioni motorie, ecc.): 1) la capacità di assegnare funzioni alle cose o alle persone ; 2) la capacità di avere stati intenzionali collettivi (''noi crediamo", "noi facciamo", ecc.) e quindi di coordinarsi con altri e di assegnare alle cose o alle persone funzioni sociali ; 3) la capacità di stipulare e seguire regole costitutive, cioè regole come quelle de­ gli scacchi che- a differenza ad esempio dell'obbligo di guida a de­ stra (o a sinistra)- non si limitano a disciplinare attività presistenti, ma definiscono queste stesse attività e ne fissano l'identità. Questo tipo di regole interviene nel ritagliare nell'insieme dei fatti sociali quel sottoinsieme rilevantissimo che sono i fatti istituzionali. Il testo di Searle cerca anche di difendere una tesi ontologica ge­ nerale (dall'attenzione a tale aspetto, deriva l'espressione "ontolo­ gia sociale" che caratterizza questo filone di studi), una tesi coeren­ te con la natura soggettiva dei tre fenomeni-base appena elencati: i fatti sociali sono intrinsecamente dipendenti dall' intenzionalità e quindi di natura intrinsecamente soggettiva. Per illustrare prelimi­ narmente questo punto riprendiamo la citazione da La tempesta . Nel dr amma di Shakespeare la prima scena si apre su un gruppo di mal

Searle J R . , The Constntction oj Social Reality , New York , The Free Pre ss; Harmondsworth , Middlesex , Penguin B ooks , 1 9 95 (edizione italiana: La costruzione della realtà sociale , Milano, Edizioni di Comunità , 1 996) .

lO

Intenzionalità, Regole, Funzioni

rinai che manovrano sotto la guida del nostromo nel tentativo dispe­ rato di salvare la loro nave dalla furia del mare. Ad un certo punto sul ponte appaiono i nobili passeggeri che l'imbarcazione sta tra­ sportando, fra i quali Alonso, Re di Napoli. Incuranti della concitazione gli ospiti chiedono insistentemente del capitano. Più volte il nostromo ingiunge loro di tornare in cabina e di non distur­ bare, facendo notare che non è il momento di creare interferenze con la manovra. Ma i nobili passeggeri insistono facendo valere la loro autorità, e il nostromo spazientito li liquida finalmente con le parole del passo citato: "cosa importa a questi cavalloni urlanti del nome di Re?" . n nodo è chiaro: il re non può nulla contro il muro del mare in tempesta ; perché il suo potere è interamente basato sul fatto che a qualcuno "importi del nome di re", ossia che altri esseri siano in gra­ do di comprendere, accettare ed eseguire i suoi ordini. In estrema sintesi, la tesi antologico-generale di Searle è in un certo senso un modo per consolidare questa intuizione, in sé non nuova, con degli strumenti filosofici sofisticati. Le entità che hanno natura istituzionale- il "re", "la moneta", "gli eredi"- o i ruoli so­ ciali come "padre", "collega" ecc., (al di là degli aspetti fisici), sono quanto a genere prossimo entità antologicamente soggettive ossia entità la cui esistenza dipende dali'esistenza di un soggetto, e in que­ sto sono del tutto simili, ad esempio, al mal di denti, che in quanto dolore (distinto dallo stato del corpo che lo provoca) ha come con­ dizione di esistenza quella di essere provato da qualcuno. La diffe­ renza specifica, è invece che si tratta di entità dipendenti non gene­ ricamente da soggetti con capacità sensoriali (come nel caso del dolore), ma, per l 'appunto, da soggetti con capacità intenzionali nel senso tecnico del termine, ossia con la capacità di credere, percepi­ re, pensare, collegare, ecc. n rapporto fra "credenza" e "realtà" è qui invertito rispetto alla norma: qualcuno è il re e un pezzo di carta è una "banconota", se e solo se noi lo trattiamo come tale, dato che non sono, o non sono solo, le proprietà fisiche o le capacità causali a fare di qualcosa una banconota o un re, ecc. A questa tesi soggettivistica in antologia si accompagna una presa di posizione oggettivistica in ambito epistemologico. L'obbedire o meno al "re" e l'accettare o meno una banconota come mezzo di pa­ gamento da parte di una collettività sono, per Searle, eventi oggettivi indipendenti dagli stati soggettivi dell'osservatore. Quindi parole come "re", "banconota" fanno riferimento a fatti antologicamente soggettivi che non per questo sono meno epistemologicamente ogget-

Introduzione

11

tivi del fatto che l'Everest è il monte più alto del pianeta. Vedremo, quindi, con un certo dettaglio che a questa insistenza sulla dipenden­ za soggettiva dei fatti sociali fa riscontro una polemica antiscettica e antirelativistica, con il risultato di creare una congiunzione fra due elementi apparentemente antitetici che è uno dei marchi di fabbrica dell'intero libro. 2) Quanto al rigore, il libro si inserisce in una tradizione anglo­ americana che viene spesso qualificata come "analitica" proprio perché antepone il rigore delle analisi ai tentativi di delineare qua­ dri di sintesi. Sarebbe perciò inutile cercare una descrizione di grandi fenomeni o una teoria già utilizzabile per affrontare fatti so­ ciali complessi. La stessa constatazione della dipendenza soggetti­ va dei fatti sociali nei suoi termini generali può essere considerata ovvia (anche se spesso ad essa fa riscontro una concezione sogget­ tistica in epistemologia), come ovvie sembreranno molte delle tesi fin qui anticipate. Tuttavia non è il "domino della complessità" o la scoperta di fatti nuovi ciò che il testo di Searle intende offrire giacché l'attenzione è interamente focalizzata sulla chiarezza nell'identificazione dei fondamenti del mondo sociale e nell'espo­ sizione del contenuto concettuale delle nozioni elementari con cui lo affrontiamo (funzione, ruolo, fatto sociale, fatto istituzionale, status, ecc.). Così appunto, se può essere banale osservare che una banconota è tale solo se tutti la trattano come banconota, meno ba­ nale è chiedersi come possa accadere ciò, ovvero quali capacità cognitive e pratiche siano esattamente richieste e quale ruolo spet­ ti a ciascuna di esse. Meno banale, per fare un altro esempio, è chiedersi quali condizioni devono essere sodisfatte perché un og­ getto assuma una funzione o quale tipo di rapporto sussiste esatta­ mente e in generale fra le sue proprietà fisiche e l'eventuale ruolo sociale che viene ad assumere. Di rigore si può parlare naturalmente anche nel senso che Searle de­ dica (spesso, ma non sempre) alle prove a favore delle tesi che sostie­ ne uno spazio che altri preferiscono utilizzare per far intravedere qua­ li risultati permetterebbe la loro teoria se fosse vera. Abbiamo prove della dipendenza soggettiva di alcuni o tutti i fenomeni sociali? Abbia­ mo argomenti a favore del fatto che ubi societas ivi ius, o lo diamo per scontato perché ci sembra plausibile? Abbiamo prove dell'impossibi­ lità di una società di esseri incapaci di intenzionalità? Abbiamo prove del fatto che una regola può creare un fenomeno e non solo regolarlo?

12

Intenzionalità, Regole, Funzioni

Rifiutiamo una concezione relativistica della realtà (non della cono­ scenza). Abbiamo ragioni per farlo? Nel dire che i fenomeni sociali di­ pendono dalla soggettività affermiamo implicitamente che altri feno­ meni potrebbero non dipendere da essa. Possiamo sostenere questa tesi con qualche argomento ? Searle non si sottrae insomma a quell'o­ nere degli "argomenti" che caratterizza tutta la tradizione fùosofica. La costruzione della realtà sociale non è però solo un libro "ana­ litico" (nel senso letterale del termine), ma si pone anche esplicita­ mente un problema di sistematicità. La riduzione dell'intero mondo sociale a pochi fenomeni non è infatti solo una pretesa, ma anche un'operazione teorica per la quale vengono fornite, in parte, giusti­ ficazioni rigorose. Come vederemo, ciò non avviene, ad esempio, nel caso della definizione di fatto sociale. Searle qui è particolar­ mente sommario e non offre alcun tentativo di mostrare l'adeguatez­ za materiale della sua definzione. Proporremo anzi alcune conside­ razioni per sostenere che è troppo restrittiva. Nello stesso tempo però il problema della capacità sistematica di altri aspetti della sua teoria riceve ampie considerazioni. In particolare molte pagine - di cui daremo ampiamente conto- vengono dedicate al problema del­ la completezza della cosiddetta logica anancastica, ossia di quella logica che regola le attribuzioni di obblighi o prerogative (sociali), requisiti e facoltà, ecc. Se si rivelasse completa Searle potrebbe in­ fatti affermare che la sua nozione di fatto istituzionale, fondamental­ mente definita in termini di obblighi e facoltà, è concettualmente completa, ossia in grado di catturare tutti e soli i fenomeni che sono effettivamente fatti istituzionali. 3) Infine La costruzione della realtà sociale è un libro ricco di spunti lungo due direzioni . È ricco di spunti a valle, dato che nozioni come quella di regola costituitiva, stato intenzionale collettivo, fun­ zioni di status, ecc ., possono essere- e talvolta sono state- sviluppa­ te molto al di là delle analisi contenute ne La costruzione della realtà sociale . Ma è ricco di spunti anche a monte dato che, come abbiamo visto, tutte queste nozioni si riferiscono in ultima analisi a stati inten­ zionali, e come tali chiamano in causa ambiti disciplinari come la fi­ losofia della mente, la fùosofia del linguaggio post-fregeana, la prag­ matica del linguaggio, ecc. Nell'ambito della riflessione sui fondamenti delle scienze sociali, il libro di Searle rappresenta quindi una cornice che permette l'importazione di temi, problemi e strumen­ ti che la filosofia angloamericana, o di ispirazione angloamericana, ha

13

Introduzione

saputo offrire nell'ultimo secolo e mezzo. Per suo tramite porta con sé l'ulteriore opportunità di inserire nell'orizzonte delle scienze sociali in forma sistematica - anche le discipline scientifiche che si sono pro­ gressivamente intrecciate con le branche della filosofia appena indi­ cate, ossia le scienze cognitive e le neuroscienze. Da questo punto di vista La

costruzione della realtà sociale è

anche un'occasione per

portare al centro della riflessioni questioni come quella del rapporto mente-cervello che hanno una rilevanza

diretta nella discussione cir­

ca lo statuto, l'oggetto e il metodo delle scienze sociali. 4) Alla luce di queste considerazioni questo saggio - che rappre­ senta l'elaborazione e lo sviluppo di pubblicazioni precedenti - si propone innanzitutto di illustrare approfonditamente gli snodi teori­ ci fondamentali della teoria di Searle. Anche nella sua parte esposi­ tiva non si limita però alla pura esegesi. Cerca anzi, in prima battu­ ta, di sostenere le tesi dell'autore laddove sono in grado, con poche modifiche o pochi chiarimenti, di superare alcune critiche diffuse nella letteratura secondaria e, soprattutto, laddove tali modifiche hanno un impatto pressoché nullo sull'impianto generale. A tale sco­ po sono dedicati il primo e il secondo capitolo. Il terzo e il quarto capitolo sono invece dedicati a rifessioni criti­ che. Particolare attenzione è stata dedicata ad analizzare i problemi che affliggono proprio la nozione cruciale di intenzionalità colletti­ va o quella di "sfondo" che, come vederemo si carica via via di com­ piti sempre più gravosi. Ma anche altre nozioni meno generali ven­ gono sottoposte a considerazioni critiche laddove, come ad esempio nel caso della nozione di "politica", sembrano emergere lacune si­ gnificative. In alcuni casi riceveranno una certa attenzione i contri­ buti che potrebbero giungere alle tematiche searliane dalla tradizio­ ne husserliana, una tradizione filosofica che non solo ha elaborato strumenti teorici fondamentali per lo stesso Searle - come la nozio­ ne di intenzionalità - ma che ha anche inaugurato la riflessione di ontologia sociale. Si deve proprio a Husserl, infatti, la prima com­ parsa dell'espressione stessa "ontologia sociale", nel suo testo del

1910 dal titolo "Soziale Ontologie und Descriptive Soziologie"2•

2

Husserl E . , "Soziale Ontologie und Descriptive Soziologie" ( 1 9 1 0), in Zur Phiin omenologie der Illtersubjectivitiit. Erstes Teil, a cura di Kem I . , Martinus, Den Haag , Nijhof, 1 973 .

14

Intenzionalità, Regole, Funzioni

5) Le riflessioni critiche presenti in questo saggio si soffermeran­ no anche sull'approccio di fondo, sull'impianto antologico generale e in particolare proprio su quella questione del rapporto mente-cer­ vello che ha per lo statuto delle scienze sociali un'importanza cru­ ciale. Nella forma in cui sono presentate le tesi di Searle fanno infat­ ti riferimento a stati mentali come il "credere", il "volere", ecc. Perciò sembrano avere un'implicazione mentalistica e in prospetti­ va dualistica. Sembrano cioè implicare che esiste un livello mentale irriducibile a quello neurofisiologico (anche se ad esso ovviamente collegato). Come vederemo, lo stesso Searle parla di "pretesa intrin­ secamente antisificalistica e anticomportamentistica" dei fatti socia­ li. Le nostre considerazioni vogliono mostrare che questa implica­ zione mentalistica o addirittura

dualistica non è necessaria se si

assume l'operazione di Searle non come una antologia, ma come una

fenomenologia

del mondo sociale orientata innanzitutto da

compiti di identificazione, classificazione e analisi della struttura in­ tema dei fenomeni sociali, in ciò che li distingue e li caratterizza pri­

ma facie

rispetto ad altri fenomeni come quelli fisici o psicologico­

individuali. Su

questo

piano è difficile negare la necessità di

riferirsi a "intenzioni", "credenze", "decisioni", "conoscenze pub­ bliche", ecc., se il nostro compito è capire che cosa permette

di rico­

noscere (sempre prima facie) un comportamento umano nel mondo circostante e distinguerlo da un comportamento fisico come il cade­ re di un fulmine. L'identificazione (distinzione, analisi, ecc.) dei fe­

nomeni

sociali

come tali

è un'operazione di natura semantico-con­

cettuale che in una certa misura è logicamente prioritaria, e quindi può e deve essere condotta in larga misura in modo indipendente da questioni di spiegazione ultima e più in generale da questioni relati­ ve al tipo

di entità a cui i fenomeni in questione devono o non devo­ no essere in ultima analisi ricondotti. Si tratta insomma di stabilire di quali porzioni del mondo che ci sta di fronte parliamo quando parliamo di fatti sociali e quale struttura presentano prima facie , un'operazione chiaramente preliminare a ogni tentativo di spiegare

perché presentano tale struttura e peraltro tutt'altro che irrilevante in discipline nelle quali è appunto controverso persino quale sia l'og­ getto della spiegazione. Questo saggio non ha ambizioni di completezza dal punto di vi­ sta critico, e neppure da quello esegetico.

È stato anzi contenuto de­

liberatamente nella sua estensione per soddisfare il suo scopo di fon-

Introduzione

15

do: quello di cercare di mostrare, anche i n modo critico, l'interesse intrinseco dei temi presenti nella La

costruzione della realtà sociale

e le loro potenzialità nel dibattito relativo allo status delle scienze sociali.

Dovrei ringraziare troppe persone e quindi mi limito a quelle con le quali ho maggiormente ragionato su questi argomenti e da cui ho avuto suggerimenti e indicazioni preziose (del cui esito, ovviamen­ te, porto per intero la responsabilità): lan Carter, Paolo di Lucia e Mario Ricciardi.

17

I LE BASI DELL'ONTOLOGIA SOCIALE IN SEARLE

Il realismo esterno 1.

Gli ultimi tre capitoli d e La

costruzione della realtà sociale

-

il VII, il VIII e il IX- sono logicamente anteriori a quelli dedicati al tema dei fatti sociali, dato che il realismo - difeso nei capitoli VII e VIII - costituisce per Searle la premessa necessaria a una antologia che si faccia carico della filosofia sociale a livello fondazionale. Se, infatti, si teorizza, come accade in questo libro, che i fatti sociali sono intrinsecamente dipendenti da rappresentazioni, allora si è te­ nuti a mostrare che esistono invece oggetti determinati

logicamente indipendenti da qualunque rappresentazione se ne abbia, tesi che qui prende il nome di "realismo esterno". Il problema è vecchio come la filosofia, ed ha avuto sviluppi no­

tevoli in epoche recenti all'interno di un dibattito "tecnico" in anto­ logia e in filosofia della scienza - con tutto lo spettro delle questio­ ni classiche relative ai vari tipi di realismo, alla sottoderminazione delle teorie, ecc. Ha mostrato però toni più accesi e ricadute che si sono estese anche al dibattito culturale generale proprio nell'ambito delle scienze sociali, e proprio per la forte presenza di posizioni note come "costruttivismo sociale" secondo le quali quella che chiamia­ mo "realtà" non è qualcosa di almeno in parte indipendente dalle no­ stre rappresentazioni ma

solo

una costruzione collettiva (sociale)

degli esseri umani. Tale posizione e i suoi sostenitori hanno attirato su di loro critiche molto serrate e rigorose1, ma anche vere e proprie trappole a sfondo canzonatorio2• Vale quindi la pena di approfondi-

l

2

Cfr. ad esempio Paul A. Boghossian , Paura di conoscere . Contro il relati­ vismo e il costruttivismo , Roma , Carocci , 2006 . Ci si riferisce al celeberrimo caso Sokal , un fisico che tiuscì a pubblicare in una rivista "postmodemista" uno scritto che conteneva tesi relativisti­ che che l ' autore stesso riteneva non sostenibili ma che seguivano i canoni

18

Intenzionalità, Regole, Funzioni

re il contributo che

La costruzione della realtà sociale

ha voluto

dare a questo ordine di problemi. Per esplicita dichiarazione di Searle, il realismo esterno va inte­ so come una tesi "puramente formale", ossia come una pura "dimo­ strazione di esistenza": essere realisti esterni significa insomma ammettere

che

esistono entità indipendenti dalle rappresentazioni,

senza per questo essere tenuti a specificare

quali

siano queste enti­

tà. Per gli scopi del libro questo solo nucleo sembra del resto a tut­ ta prima sufficiente.

È

quanto basta infatti per mostrare che la di­

stinzione cruciale, che esamineremo più avanti, fra oggetti dipendenti dalla rappresentazione e indipendenti dalla rappresenta­ zione è una partizione effettiva (in due sottoinsiemi non vuoti) dell'essere. Il realismo esterno costituisce inoltre una tesi ontologica, non epistemologica né semantica. Non essendo una tesi epistemologica, non ha l'onere di mostrare quale sia l'accesso soggettivo corretto alla realtà indipendente dalla rappresentazione, né, a rigore, che un tale accesso corretto esista. Esso implica soltanto che vi sia una re­ altà, che può essere eventualmente rappresentata in diversi modi, ma che in se stessa è indipendente da queste rappresentazioni. In particolare, quindi, il realismo esterno è perfettamente compatibile con il relativismo concettuale, ossia con la tesi che vi siano modi al­ ternativi di rappresentare una medesima realtà. Esso è in realtà com­ patibile con qualunque tesi epistemologica, semantica, ecc., purché non intacchi il livello ontologico: purché appunto non giunga ad am­ mettere che

ogni realtà è logicamente

dipendente dalle rappresenta­

zioni, ovvero, in altre parole ancora, che è contraddittorio pensare che esista senza di esse. Dopo aver circoscritto la tesi al solo livello formale-ontologico, Searle ha naturalmente buon gioco nel mostrare i problemi che af­ fliggono tutti quegli argomenti antirealistici che sono basati sulla confusione ingenua fra ontologia ed epistemologia. Così ad esempio non vi è ragione per sostenere una forma di antirealismo "biologico", fondato cioè sul fatto che la nostra conoscenza della realtà è necessa­ riamente determinata dalle caratteristiche del cervello. Da questa cir­ costanza non segue infatti

logicamente

che la realtà di cui abbiamo

della tTadizione filosofica presa a bersaglio . Si veda : (http://www.physic s . nyu .edu/sokall) .

19

Le basi dell 'ontologia sociale in Searle

conoscenza sia

noscenza

sia

costruita dal cervello umano3 m a solo che la sua co­ elaborata conformemente alla struttura dell'apparato

neurofisciologico - e peraltro il riferimento alle caratteristiche del cervello umano porta con sé un realismo implicito. Analogamente dal fatto che il modo in cui concettualizziamo la realtà dipenda dai nostri interessi non segue che la realtà rappresentata sia essa stessa relativa ai nostri interessi: "essere relativo ai nostri interessi" è una proprietà della concettualizzazione, non della realtà. Lo stesso argo­ mento di fondo può ovviamente essere riproposto per ogni relativiz­ zazione della conoscenza alla storia, alla cultura, ecc. Anche l'incommensurabilità, la vaghezza, ecc., delle teorie di per sé non confutano il realismo esterno, dato che

queste sono tutte caratteristiche dei nostri sistemi di rappresentazio­ ne e non della realtà . . 4• .

Il realismo esterno è negato solo qualora si ritenga

[ . . . ] che la stessa asserzione (non lo stesso enunciato , ma la stessa as­ serzione) possa essere vera riguardo al mondo in un sistema concettua­ le ma falsa riguardo al mondo in un altro5 . In altre parole non siamo antirealisti se diciamo - ad esempio che una malattia come il tumore o un fatto storico come il crollo dell'impero romano riceve rappresentazioni diverse (ovvero "viene socialmente costruita" in modo diverso). Non si è antirealisti nep­ pure se si sostiene che si potrebbe rivelare falsa la nostra convinzio­ ne che il tumore dipenda anche da fatti genetici o che la caduta dell'impero romano sia dipesa da una combinazione di fatti esoge­ ni (migrazioni) e endogeni (indebolimento progressivo della socie­ tà). Questo è infatti un problema epistemologico. Cessiamo di esse­ re realisti invece, secondo Searle, se sosteniamo che queste convinzioni sono

in loro stesse sia vere, sia false a

seconda del si­

stema di riferimento. Di una simile opinione Searle dichiara di riuscire a trovare solo prove che dopo brevi analisi si dimostrano del tutto prive di consi-

3 4 5

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 8 0 . Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 8 9 . Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 8 8 .

20

Intenzionalità, Regole, Funzioni

stenza. Emblematica è l'analisi dell'esempio di Putnam. Questi6 ipotizza un mondo in cui c'è solo quanto qui raffigurato *

*

*

A

B

c

e fa osservare che secondo il sistema aritmetico di Carnap (e quello usuale) in questo mondo ci sono tre oggetti, mentre per Lesniewski e i logici polacchi vi sono sette oggetti, cioè l =A, 2=B, 3=C, 4=A +B, 5=A+C, 6=B+C, 7=A+B+C. Bene, secondo Searle l'esempio mo­ stra ad oculos che il mondo (il disegno) rimane sempre quello che è a prescindere dalle nostre descrizioni e che le proposizioni "ci sono tre oggetti nel mondo se si conta nel modo usuale" e "ci sono sette oggetti nel mondo se si conta nell'altro modo" sono entrambe vere sotto entrambe le descrizioni. Non solo: [ . . . ] la relatività concettuale [ . ] sembra presupporre il realismo , perché presuppone una realtà indipendente dal linguaggio che può esse­ re ritagliata o divisa in modi differenti , per mezzo di vocabolari diffe­ renti . Si pensi all ' esempio dell'aritmetica alternativa . Putnam mette in evidenza che un modo di descrivere il minimondo è quello di dire che ci sono tre oggetti , un altro è quello di dire che ci sono sette oggetti . Ma si noti che proprio questa tesi presuppone qualcosa che deve essere de­ scritto prima dell ' applicazione della descrizione ; altrimenti non c ' è modo di comprendere l'esempio7 . .

.

2. Quali che siano le intenzioni dell'autore, quel che l'esempio ri­ esce probabilmente a dimostrare non è tanto l'esistenza di caratteri­ stiche indipendenti dalla soggettività in generale, ma solo l'indipen­ denza dell'apparato percettivo e quindi degli oggetti sensibili (quelli utilizzati nel disegno) dalla dimensione linguistico-concet­ tuale delle descrizioni che ne forniamo. Si tratta di fatti empirici che hanno grande rilievo psicologico cognitivo, ma non provano che il mondo è indipendente dal nostro apparato cognitivo. Al più, provano che una parte di tale apparato è indipendente da altre parti. A Searle si potrebbe quindi obiettare che il mondo è comunque relativo all'apparato percettivo e in ge-

6 7

Putnam H . , Realism with a Human Face , Cambridge , Mass . , Harvard U .P. , 1 990 , pp. 69 e sgg . Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 8 7 .

Le basi dell 'ontologia sociale in Searle

21

nerale all'apparato cognitivo di qualcuno, ovvero che comunque, appena si esce da una formulazione vuotamente generale, il reali­ smo va difeso integrandolo con l'indicazione epistemologica del modo in cui si rende (affidabilmente) accessibile il mondo. Si trat­ ta, in nuce , di un'argomentazione antirealista basata, secondo Se­ ade, sull'istanza verificazionista. In base ad essa il concetto stesso di realtà è costituito (anche) dalla "facoltà soggettiva" che di volta in volta si ritiene lo renda accessibile (di solito la percezione). Come osserva giustamente Searle vi è in ciò un fondamentale in­ tento anti-scettico: Credo che la motivazione filosofica fondamentale alla base dell' ar­ gomentazione verificazionista contro il realismo consista nel tentativo di eliminare la possibilità dello scetticismo , rimuovendo il divario fra apparenza e realtà che lo rende in primo luogo possibile . Se [ . . . ] le no­ stre esperienze sono in qualche modo costitutive della realtà , allora la forma delle scetticismo che dice che non possiamo mai passare dalle nostre esperienze alla realtà che vi sta dietro viene confutata .8

In effetti, il nucleo dell'argomentazione scettica consiste pro­ prio nel far notare che siamo confinati all'interno di un "mondo per noi" - un mondo interno alla gittata delle nostre capacità co­ gnitive - e non possiamo mai assumere un punto di vista esterno per controllare se questo "mondo per noi" "corrisponde" ad un "mondo in sé". Una strategia apparentemente vincente è quindi quella di collegare comunque il concetto di realtà alle nostre capa­ cità conoscitive affermando che la stessa differenza fra illusione e realtà è una differenza fra oggetti di esperienze illusorie e oggetti di esperienze non illusorie. Ad esempio questa posizione, secondo Searle, accomuna, anche se con grandi differenze interne, Berke­ ley e Kant, Hume e Mill, e in generale tutti coloro per i quali vale questo argomento: l) Tutto ciò a cui noi abbiamo accesso nella percezione sono i con­ tenuti delle nostre esperienze . 2) La sola base epistemica che possiamo avere per le tesi riguardo al mondo esterno sono le nostre esperienze percettive . Perciò 3) La sola realtà di cui possiamo parlare in modo sen­ sato è la realtà dell'esperienza percettiva9 .

8 9

Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale, p. 1 90 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 94 .

22

Intenzionalità, Regole, Funzioni

Ora, secondo Searle, la l) è una tesi falsa. Percepire una scrivania non significa di norma avere accesso alla propria percezione della scrivania, ma vedere una scrivania di fronte a sé nella stanza, reale o allucinatoria che essa sia. L'asserzione 2) invece è secondo Searle corretta. Ma da essa non segue logicamente la conclusione 3). Infat­ ti, dal fatto che le uniche basi epistemiche possibili siano le espe­ rienze non segue che la conoscenza sia conoscenza di esperienze e non di cose esperite, indipendenti in loro stesse da tale esperienza. La falsità della tesi l) apre infatti proprio a questa seconda possibi­ lità. La possibilità dell'allucinazione naturalmente sussiste in ogni caso e si può anche generalizzarla cartesianamente ipotizzando che l'intero mondo sia illusorio, Ma non ne segue che la mia affermazione che c ' è una scrivania di fronte a me sia semplicemente una somma di esperienze che mi spingo­ no a formulare questa affermazione . Cioè , anche se lo scetticismo è giu­ sto e io sto sistematicamente sbagliando , ciò su cui sto sbagliando sono

le caratteristiche del mondo reale10• Come era prevedibile a farsi valere qui è forse la più caratteriz­ zante delle prese di posizione tipiche di ogni modello intenzionali­ sta di coscienza: la mente non è innanzitutto un contenitore di dati soggettivi, ma un "prendere di mira", un "rivolgersi verso" qualco­ sa d'altro da sé, a prescindere dal fatto che questo qualcosa d'altro poi esista o meno. Per usare un'espressione husserliana, ciò che noi vediamo non sono le manifestazioni di una cosa, ma la cosa che si manifesta: solo un pregiudizio filosofico può portarmi a dire che mentre giro intorno ad una statua l'oggetto della mia coscienza sono le manifestazioni prospettiche della statua e non la statua che si ma­ nifesta (prospetticamente). Solo un pregiudizio filosofico può farmi dire che quando penso ad essa, l'oggetto della mia coscienza sono i miei stessi pensieri e non ciò a cui penso grazie ad essi. Il senso di atti intenzionali come questi è quello di porci di fronte a qualcosa di "esterno" agli atti stessi, anche se poi questo senso non trova riscon­ tro nella realtà. In estrema sintesi un modello intenzionalista di co­ scienza rifiuta la tesi fenomenista (l'oggetto è composto dalle sue manifestazioni soggettive) già a livello piscologico. Questo livello, come tale, non fornisce ancora prove sufficienti per una posizione

10

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p . 1 94 .

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antiscettica. Ma in ogni caso ha perfettamente ragione Searle nel dire che se vale un modello intenzionalista dell'esperienza ciò di cui stiamo discutendo sono gli oggetti delle esperienze e non le espe­ rienze stesse. 3. Seguiamo ora la strategia che Searle adotta nel cercare una giu­ stificazione positiva al realismo esterno, perché essa fa leva su un elemento che assumerà un ruolo rilevante anche nella parte del libro dedicata specificamente ai fatti sociali, istituzionali e politici. Sear­ le mostra di considerare non intenzionali una serie di abilità, com­ portamenti, ecc., o "innati" o acquisiti. Essi costituiscono invece quello che chiama lo "sfondo non intenzionale", e giocano un ruolo decisivo per la stessa possibilità di stati intenzionali11• L a prova mi­ gliore dell'esistenza di questo sfondo è, secondo Searle, il fenome­ no della corretta comprensione del linguaggio nonostante la sua sot­ todeterminazione. L'enunciato "lei diede a lui la sua chiave ed egli aprì la porta", è inteso da tutti come una descrizione del fatto che lui aprì la porta con la chiave che lei gli aveva dato, mentre alla lettera l'enunciato non esclude, ad esempio, che lei gli abbia dato la chiave e lui abbia aperto la porta in altro modo. O ancora chi riceve l'istru­ zione di tagliare una torta o l'erba, compie ogni volta un'azione di­ versa: ad esempio non taglia la torta orizzontalmente in due parti come farebbe con l'erba né taglia il filo d'erba verticalmente in al­ cune parti come farebbe con una torta. Ma entrambe le espressioni a rigore permetterebbero tutte queste possibilità dato che si limitano a richiedere l'azione generica del tagliare- mantenendo in ogni caso un significato comune- e a specificare un oggetto su cui deve esse­ re esercitata. La riuscita della comunicazione ci porta al di fuori del contenuto semantico letterale delle espressioni, e siccome quest'ul­ timo coincide per Searle (ma non per altri) con il contenuto intenzio­ nale complessivo, implica come fattore integrativo per l'appunto procedure, comportamenti, una serie di abilità, capacità, abitudini, ecc.- come il saper tagliare ciascuna cosa in modo "appropriato"­ che restano "sullo sfondo" dell'esplicita comunicazione intenziona­ le e che appunto, per Searle non hanno la caratteristica dell'intenzio­ nalità, pur essendo delle sue condizioni necessarie. Proprio a questo sfondo dobbiamo, secondo Searle, l'argomento più convincente a favore del realismo esterno. Una prova della veri11

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 147 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

tà del realismo esterno, nel senso rigoroso del termine, non è per Se­ arie possibile. Secondo lui la situazione è, infatti, del tutto analoga a una serie di casi paradigmatici di impossibilità. Ad esempio non si può dare una prova razionale della razionalità delle prove che nor­ malmente utilizziamo, dato che ogni prova razionale può avere luo­ go solo entro i canoni della razionalità. Allo stesso modo non ha sen­ so chiedersi se l'italiano è una lingua corretta, ma solo se una certa frase è corretta in italiano. Ora, esattamente come in questi casi: non si può mostrare che l'affermazione che esiste un mondo esterno corrisponda al modo in cui le cose sono nel mondo esterno , perché qualsiasi questione di corrispondenza o di mancata corrispondenza con il mondo esterno presuppone già l'esistenza di un mondo esterno al quale l'affermazione corrisponde o non corrisponde . n realismo esterno è in questo modo non una tesi o un' ipotesi , ma la condizione per avere certi tipi di tesi o di ipotesiP

La strada corretta, a suo avviso, è invece quella di considerare il realismo esterno una condizione trascendentale, una condizione di possibilità, della comprensione normale di un certo tipo di enuncia­ ti, una condizione collocata appunto nello sfondo. Una delle funzio­ ni dello sfondo, come abbiamo visto nell'esempio del "tagliare", è quella di fornire condizioni di intelligibilità degli enunciati e in par­ ticolare condizioni per la loro comprensione normale , ossia la com­ prensione condivisa da quel parlante e quell'interlocutore che con­ dividano una competenza linguistica. Ma tali condizioni di intelligibilità collocate sullo sfondo secondo Searle non possono essere pensate come condizioni di verità dell' enuncia­ to senza una considerevole distorsione . Queste sono il tipo di condizio­ ni che ci aiutano ajissare le condizioni di verità dei nostri enunciati . Esse non sono parte di quelle condizioni di verità .13

Sbaglia quindi ad esempio Moore quando dice che la verità, da lui dichiarata ovvia, dell'enunciato "ho due mani" implica la verità dell'enunciato "esiste qualcosa nello spazio". Un fenomenista alla Berkeley del resto accetterebbe la verità del primo enunciato, ma lo interpreterebbe in modo tale da dichiarare falso il secondo. Direbbe

12 13

Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale , p. 200 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 208 .

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insomma che nello spazio non esiste nulla e il fatto che io abbia due mani o vi siano delle pietre sta a indicare in realtà il fatto che Dio immette in alcuni spiriti (il mio e quello di coloro che mi incontra­ no) la rappresentazione delle due mani. Il punto fondamentale è in­ vece che l) un linguaggio è pubblico se vi è la pretesa che esista una "comprensione normale" dei suoi enunciati raggiungibile sia dal parlante che dali'interlocutore e che 2) un ampio insieme di espres­ sioni pretende di fare riferimento a fenomeni che esistono indipen­ dentemente da qualunque rappresentazione umana. Ma allora 3) le condizioni di verità degli enunciati che hanno la pretesa di cui al punto 2), quali che esse siano , saranno comprese come condizioni relative a fenomeni pubblici, fenomeni, cioè, che sono ciò che sono indipendentemente da ogni rappresentazione. Naturalmente gli enunciati relativi a sassi, pietre o monti possono risultare falsi e ciò di cui parlano può risultare inesistente. Ma in questo caso si ripropone la pretesa di una comprensione normale (degli enunciati che dichiarano falsità o inesistenza) e quindi il ri­ ferimento a una realtà pubblicamente accessibile nella quale certe cose non esistono, oppure non sono come avevamo supposto che fossero. Il test che Searle ci propone mette in evidenza proprio que­ sto ruolo di sfondo neutrale. Se dico "il monte Everest è innevato e non innevato" si ha una normale contraddizione. Ma se dico "il monte Everest è innevato e non esiste il mondo esterno" manca la contraddizione, ma la congiunzione è semplicemente sconcertante perché viola le condizioni di normale intelligibilità del primo dei due congiunti da parte di qualunque comunità di parlanti che voglia­ no fare riferimento a entità come il monte Everest. Resta natural­ mente il fatto che tale congiunzione potrebbe essere vera (o falsa). Come non dimostra la verità del realismo così questo argomento non confuta un'interpretazione antirealistica della realtà. Sottolinea solo che qualunque interpretazione non realistica della realtà ester­ na deve tagliare i ponti con la normale comprensione del linguaggio. Anche l'ateo parla, infatti, di tavoli, sedie, ecc. ma Berkeley gli di­ rebbe che, contro le sue stesse convinzioni, in realtà sta parlando di un dio che suona con la tastiera delle rappresentazioni14•

14

Questa difesa del realismo , e la stessa nozione di sfondo , presentano in­ dubbie affinità con l 'epistemologia di Wittgenstein . Cfr. Wittgenstein L . , Della certezza, Torino , Einaudi, 1 978 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

Il mondo naturale e l 'intenzionalità collettiva Searle non si trattiene a lungo entro la cornice puramente formale nella quale ha introdotto il suo realismo esterno. Anzi, all'inizio del li­ bro propone una visione della natura molto precisa che ci chiede di ac­ cettare in via preliminare e che delinea solo con rapide pennellate. Che cosa sia la natura va chiesto direttamente alla scienza e in parti­ colare a due teorie: la teoria atomica della materia e la teoria dell'evo­ luzione in biologia. Su questo punto tuttavia nel testo non si trova al­ cuna giustificazione più forte di quella che si legge in questo passo e che ha, almeno come veste, un tenore relativistico e storicizzante: [queste] due caratteristiche della nostra concezione della realtà non sono affatto discutibili . Esse non sono , per così dire , facoltative per noi in quanto cittadini della fine del XX secolo e dell 'inizio del XXI. È pro­ prio della nostra condizione di persone istruite nella nostra epoca che si conoscano queste due teorie 1 5 .

In ogni caso la stessa nozione chiave dell'operazione teorica che l'autore si propone, cioè la nozione di intenzionalità, va inserita in que­ sta cornice naturalistica - ovviamente dal lato biologico-darwiniano come una caratteristica di alcuni organismi viventi capaci di coscien­ za. Anch'essa va accettata come un dato di fatto preliminare, ed è: La caratteristica delle rappresentazioni grazie alla quale esse sono ri­ guardo a qualcosa o dirette a qualcosa. Le credenze e i desideri sono in­ tenzionali in questo senso perché per avere una credenza o un desiderio dobbiamo credere che questo e quest' altro accade o desiderare che que­ sto o quest' altro accada . L'intenzionalità così definita non ha nessuna speciale connessione con l ' avere intenzione . Avere l' intenzione , per esempio, di andare al cinema è soltanto un tipo di intenzionalità 1 6 .

Come sappiamo da altri scritti, per Searle uno stato soggettivo è intenzionale quando prevede delle condizioni di soddisfazione, una nozione che costituisce una generalizzazione della nozione di "condizioni di verità". Nella tradizione fregeana una proposizione è sensata quando ammette delle condizioni di verità. La proposi­ zione "Oggi piove a Amsterdam" è sensata ad esempio perché sta-

15 16

Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale , p . 1 2 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 3 .

Le basi dell 'ontologia sociale in Searle

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bilisce come devono andare le cose perché sia vera. Allo stesso modo lo stato che chiamiamo "percezione della parete nord dell'Ei­ ger"- ad esempio- è sensato perché stabilisce di essere tale (di es­ sere soddisfatto) solo se a) la parete nord dell'Eiger è realmente di fronte al soggetto percipiente e b) è la parete stessa la causa dello stato soggettivo17 Sempre nel mondo fisico-naturale Searle ci chiede di inserire- e sempre procedendo con ampi passi- oltre all'intenzionalità indivi­ duale, anche l'intenzionalità collettiva: non solo cioè un "io rap­ presento, voglio, desidero, faccio, ecc.", ma anche un "noi rappre­ sentiamo, vogliamo, facciamo, ecc., questo o quello". Per utilizzare le sintetiche espressioni utilizzate nel dibattito di lingua inglese, ac­ canto alle 1-intention dobbiamo ammettere delle vere e proprie we­ intention , e quindi la circostanza per cui gli individui di molte spe­ cie animali: non solo [ . . . ] si impegnano in un comportamento cooperativo , ma [ . . . ] condividono stati intenzionali come credenze , desideri e intenzio­ ni [ _ps .

.

Ci sono cioè individui di alcune specie che non cooperano solo sulla base dell'istinto o di altri meccanismi "ciechi", ma sono consa­ pevoli di partecipare a una stessa fondamentale "direzione" verso il mondo, pratica o teorica che sia. Così: Ogni volta che due o più soggetti condividono un' opinione , un desi­ derio , un' intenzione o un altro stato intenzionale , e ogni volta che sono consapevoli di tale condivisione , essi realizzano una forma di inten­ zionalità collettiva 1 9 •

Nel caso delle azioni Esempi ovvi sono i casi in cui io sto facendo qualcosa solo come par­ te del nostro fare qualcos a . Così se sono un uomo della linea d' attacco che gioca in una partita di football americano , potrei bloccare la linea 17 18 19

Cfr. Searle J .R . , Intentionality , Cambridge U . P. , Cambridge , (Reprint 1 999); Dell 'intenzionalità, tr. it . di D . Barbieri , Milano , Bompiani , 1985 . Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p . 3 1 . Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" i n Ontologia sociale, po­ tere deontico e regole costitutive , a cura di De Lucia P. , Macerata , Quodli­ bet , 2003 , p . 30

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

difensiva ma solo come parte del nostro eseguire un gioco di passaggi . Se sono un violinista in un' orchestra io suono la mia parte nella nostra esecuzione20 .

La nozione di intenzionalità collettiva è il primo dei pilastri dell'operazione di Searle ad avere diretta rilevanza a livello di filo­ sofia della società. Ad essa infatti, secondo Searle, si riduce, almeno nei suoi tratti fondamentali, addirittura la nozione di fatto sociale: Per convenzione [ . . ] userò l ' espressione "Fatto sociale" per riferir­ mi a ogni fatto che chiami in causa (involving ) l 'intenzionalità colletti­ va .2I .

I fatti sociali dunque sono del tutto naturali , tanto quanto è natu­ rale per l'appunto l'intenzionalità collettiva.

Ifatti istituzionali l. Fino a questo momento la scena è interamente occupata da en­ tità reali nel senso del realismo esterno: cose materiali, animali e soggetti umani con i loro stati, in particolare intenzionali, e con i loro comportamenti individuali o sociali. Ma . . .ci sono parti del mondo reale , fatti oggettivi del mondo , che sono fatti soltanto grazie ad un accordo fra esseri umani [ . . ] , ci sono cose che esistono soltanto perché noi crediamo che esistano .22 .

Si parla di fatti, e i fatti sono in Searle ciò che nel mondo rende vera o falsa una proposizione. La loro oggettività va intesa in senso pregnante. [ . . . ] Molti dei fatti che riguardano queste cose sono "oggettivi" nel senso che non sono una questione connessa alle vostre o alle mie prefe­ renze , valutazioni o atteggiamenti morali . Mi riferisco a fatti di questo genere: il "fatto" che io sono un cittadino degli Stati Uniti , che il pezzo di carta che ho in tasca è una banconota da cinque dollari , che mia so­ rella più giovane si è sposata il 14 dicembre . . .23 .

20 21 22 23

Searle Searle Searle Searle

J . R . , La J.R., La J.R., La J.R., La

costruzione costruzione costruzione costruzione

della realtà sociale , p. della realtà sociale , p. della realtà sociale , p . della realtà sociale , p .

33. 36. 7. 8.

Le basi dell 'ontologia sociale in Searle

29

Inoltre si tratta di fatti e oggetti che si dissolverebbero se si faces­ se valere fino in fondo un'istanza fisicalistica che non tenga conto del riferimento al soggetto. Così dopo aver descritto una scena in cui qualcuno ordina cibo e bevande e poi paga il conto in un ristorante di Parigi, Searle osserva: Non c ' è nessuna descrizione fisico-chimica adeguata per definire "ristorante" , "cameriere" , "frase in francese" , "denaro" o anche "sedia" e "tavolo" , sebbene tutti i ristoranti , i camerieri , le frasi in francese , il denaro e le sedie e i tavoli siano fenomeni fisici24 .

n ristorante, il cameriere, il denaro, ecc. sono dal punto di vista fi­ sico-chimico porzioni di spazio che in un certo tempo sono occupate da determinate strutture di particelle materiali. La frase in francese è semplicemente un evento acustico, una vibrazione che si propaga nello spazio e il comportamento del cameriere non è un "servire" ai "tavoli" di un "ristorante", ma semplicemente un insieme di movi­ menti di un corpo fisico descrivibile in termini di velocità, direzione, verso, ecc. Perciò, se è vero che qualcuno ha ordinato una birra a un cameriere in un bar, allora è anche vero che esiste un livello antolo­ gico irriducibile a soli fatti fisici senza soggetto cosciente. La prete­ sa di un linguaggio descrittivo che contenga termini come "ristoran­ te" o "parlamento" è, secondo Searle, intrinsecamente antifisicalista e anticomportamentista25• Anzi, descrivere l'evento in termini di "ri­ storante", "ordinazione", "pagamento" in "denaro", "lavoro" del "cameriere", significa impegnarsi in una «enorme ontologia invi­ sibile»26. Le "entità" che appartengono alla sequenza dell'ordi­ nazione al ristorante implicano infatti, nonostante la loro relativa semplicità ed esiguità, un complesso intreccio di relazioni con ulte­ riori entità che le rendono possibili. n ristorante ad esempio è tale perché ha "l'autorizzazione" del "governo" "francese" e ha "l'obbli­ go" di esporre i "prezzi", cioè il "dovuto" "in cambio" della "merce" in un "menù" (che come il denaro fisicamente è solo un pezzo di car­ ta con delle macchie di inchiostro). In breve, se immaginiamo l'insie­ me di attività anche solo di una banale giornata di vacanza,

24 25 26

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 9 . Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 1 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale, p. 9 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

la dimensione dell' onere metafisico che sto sopportando non fa che crescere; e talvolta ci si può chiedere in che modo lo si possa sopporta­ re 27 .

Il problema si complica ulteriormente se si considera che, nono­ stante qualunque sforzo in direzione di una descrizione neutrale n vocabolario introduce automaticamente criteri normativi di valu­ tazione . I camerieri possono essere competenti o incompetenti , onesti o disonesti , sgarbati o gentili28 .

Ciò che chiamiamo "cameriere" è qualcuno che assolve la sua funzione "bene" o "male", esattamente come possiamo dire che un certo oggetto è un "buon martello" o un "cattivo martello"29• Nulla di tutto questo accade in natura, dove le cose vanno semplicemente come di fatto vanno, anche se estrinsecamente , cioè rispetto a noi, possono andare "bene" o "male". Come intendere allora questa di­ mensione valutativa ? Si tratta di qualcosa che deriva direttamente dalle caratteristiche antologiche di entità di questo tipo? Proprio a questo punto cominciano i problemi . Se questi fatti sus­ sistono e se queste entità esistono, allora sono irriducibili a fatti fisi­ ci. In altre parole, secondo Searle, un riduzionista dovrà presentare delle ragioni per negare che una proposizione come "qualcuno ha ordinato una birra in un bar" non solo sia, ma addirittura possa mai essere vera alla lettera . Ma chi sostiene che possa esserlo a sua vol­ ta dovrà farsi carico di tutto l ' onere ontologico che grava su una re­ altà nello stesso tempo così complessa e stratificata ma anche «sen­ za peso e invisibile»30 • 2 . Il primo passo nella direzione di una soluzione consiste nell 'introdurre la distinzione del tutto generale fra due casi di op­ posizione soggettivo-oggettivo, cioè quello ontologico e quello epistemologico.

27 28 29

30

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p . 10 Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p . 10. Cfr. Searle J .R . , "Collective Intentions and Actions" , p . 4 1 3 . Per l ' appro­ fondimento di questa tematica cfr. Ricciardi M . , "Artefatti, intenzione , e imposizione di funzione" , in AA . VV. , Ontologia sociale, poteri deontici e regole costitutive, pp . 109- 124. Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale, p . 10.

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Le basi dell 'ontologia sociale in Searle

Parlando epistemologicamente , "oggettivo" e "soggettivo" sono principalmente predicati di giudizi [ . ] Per [ . ] i giudizi oggettivi , i fatti del mondo che li rendono veri o falsi sono indipendenti dall 'atteg­ giamento o dai sentimenti di chiunque nei loro confronti3 1 . .

.

.

.

Tutto è reso vago dall'indeterminatezza semantica dei termini "atteggiamento" e "sentimento", ma esempio paradigmatico di giu­ dizi epistemologicamente soggettivi sono per Searle i giudizi di gu­ sto, nei quali il sentimento o l'atteggiamento del soggetto giudican­ te è costitutivo del fatto stesso. Per quanto riguarda invece la distinzione antologica, qui " Soggettivo" e "oggettivo" sono predicati di entità e tipi di entità ed essi attribuiscono forme di esistenza. In senso antologico i dolori sono entità soggettive , perché le loro forme di esistenza dipendono dall' esse­ re provati dai soggettP2 .

I dolori provano quindi, secondo Searle (e secondo una vecchia tradizione), l'esistenza di oggetti che, a differenza delle montagne, ecc., sono logicamente non indipendenti dalla rappresentazione : per essi sarebbe contraddittorio pensare che esistano senza essere avver­ titi da qualcuno. Nello stesso tempo tuttavia il fatto che un soggetto stia provando un dolore è qualcosa di epistemologicamente oggetti­ vo nel senso che, anche se non è necessariamente accertabile da al­ tri, la relativa proposizione è vera o falsa a prescindere dall'"atteg­ giamento" e dai "sentimenti" di chiunque. Il dolore fornisce dunque implicitamente una prova di esistenza e di oggettività epistemologica di oggetti che sono tuttavia antologicamente soggettivi. Ora, se si congiunge la tesi dell'esistenza di oggetti antologica­ mente soggettivi ed epistemologicamente oggettivi con le tesi soste­ nute dall'autore riguardo all'esistenza dell' intenzionalità e dell'intenzionalità collettiva, in pochi passaggi è possibile compiere la mossa di fondo nella soluzione del problema dell'esistenza di og­ getti sociali. Si tratta infatti di osservare che fra i dati antologi­ camente soggettivi, cioè la cui esistenza implica una coscienza, ne esistono alcuni che implicano non la coscienza in generale ma la co­ scienza intenzionale e che, però, possono essere oggetto di giudizi epistemologicamente oggettivi. 31 32

Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale , pp. 14- 1 5 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale, p. 1 5 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

[ . . . ] c ' è una distinzione fra quelle caratteristiche che potremmo chiamare intrinseche alla natura e quelle caratteristiche che esistono re­ lativamente all 'intenzionalità degli osservatori, utilizzatori , ecc .33 .

L'esempio paradigmatico che Searle ci offre è quello di un oggetto che ha determinate caratteristiche intrinseche di forma, massa, resi­ stenza, flessibilità, ecc., ma che è anche oggettivamente (in senso epi­ stemologico) un "cacciavite" . Tale oggetto è infatti un "cacciavite" . . .perché la gente lo usa come (o lo costruisce perché funzioni come , o lo considera come) un cacciavite34.

"Questo è un cacciavite" è un enunciato che va ridotto ad altro, ma non ad un linguaggio solo fisicalistico, bensì al linguaggio di una biologia che includa l'intenzionalità fra le proprietà naturali di alcuni degli esseri viventi, e quindi a qualcosa come "questo ogget­ to materiale è oggetto di stati intenzionali percettivi, pratici, ecc., di questo e quel tipo da parte di un soggetto naturale". A rigore, molti dei tratti che qualificano le entità sociali e politi­ che stanno già nel modesto esempio del cacciavite. Dal punto di vi­ sta ontologico, il più importante di quelli che Searle menziona in questi passi è che L'esistenza di caratteristiche relative all'osservatore non aggiunge nessun nuovo oggetto materiale alla realtà, ma può aggiungere ad essa caratteristiche epistemicamente oggettive .35

Il cacciavite è in effetti un ulteriore esempio di soggettività onto­ logica e oggettività epistemologica. Qualcosa è un cacciavite indi­ pendentemente dai sentimenti dell'osservatore (e anche dall "'atteg­ giamento" se si assume il termine in un'accezione molto ristretta), ed è tale sulla base dell'eventualità che esso sia oggettivamente usa­ to o meno come cacciavite. Ma questo significa anche che resta (og­ gettivamente) un cacciavite solo relativamente a un potenziale o at­ tuale utilizzatore. L'esempio mostra che l'ontologia invisibile che si sta aprendo in questi esempi elementari non moltiplica gli enti pra­ eter necessitate , ed elimina quindi la maggior fonte di perplessità. Il 33 34 35

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 7 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 7 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 7 .

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Le basi dell 'ontologia sociale in Searle

cacciavite, per Searle, non è infatti qualcosa di diverso dall'oggetto metallico che ho ora fra le mani, ma solo una nuova caratteristica che tale oggetto viene ad assumere nelle mani di un soggetto capace di intenzionalità. Perciò resta il fatto che Dio non potrebbe vedere un cacciavite , perché intrinsecamente par­ lando non ci sono cose del genere . Piuttosto Dio vedrebbe noi trattare certi oggetti come cacciavite , auto , vasche da bagno , ecc . Ma dal nostro punto di vista , il punto di vista di esseri che non sono dei , ma che sono nel mondo che ci include come agenti attivi , abbiamo bisogno di di­ stinguere quelle asserzioni vere [ . ] le quali attribuiscono caratteristi­ che al mondo che esistono del tutto indipendentemente da ogni nostra attitudine o atteggiamento , e quelle asserzioni che attribuiscono caratte­ ristiche che esistono soltanto relativamente ai nostri interessi , attitudini , atteggiamenti , scopi , ecc .36 . .

.

A rigore dunque il termine "cacciavite", appartenente all ' antolo­ gia invisibile, dovrebbe poter essere sostituito in ogni sua occorren­ za dal sintagma nominale "oggetto materiale utilizzato da esseri che hanno la caratteristica (intrinseca) dell'intenzionalità per ottenere l 'effetto di far ruotare e quindi avanzare un pezzo di metallo al­ lungato e filettato a spirale", espressione che fa riferimento solo a entità "visibili". Così, anche gli oggetti "culturali" sono in realtà "naturali" (se si include nel concetto di natura anche la natura uma­ na), ed è la stessa opposizione fra "natura" e "cultura" a essere mes­ sa in discussione da queste considerazioni. Le "proprietà intenzio­ nali" come "essere un cacciavite" sono proprietà re/azionali e quindi, per una robusta tradizione antologica a cui Searle di fatto si conforma, non aggiungono ulteriori porzioni di realtà ma si limitano a indicare collegamenti fra quelle che già esistono e che, come ab­ biamo visto all'inzio sono solo quelle della fisica e della biologia darwiniana. Già a questo punto il mistero costituito da oggetti che esistono solo perché "in un certo senso" noi crediamo che esistano comincia a rivelarsi molto meno sorprendente di quanto poteva sembrare a tutta prima. Usualmente diremmo che un pezzo di ferro è rigido e quindi appare rigido a qualcuno. Seguendo questo schema dovrem­ mo allora dire che il cacciavite, il denaro, ecc. appaiono come cac­ ciaviti o denaro senza esserlo in realtà. Invece il riconoscimento 36

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale p. 1 9 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

dell'oggettività epistemologica di oggetti come il cacciavite richie­ de che si ribalti la prospettiva che verrebbe naturale assumere:

È una conseguenza logica della spiegazione della distinzione così come esposta finora [quella fra epistemicamente e antologicamente soggettivo e oggettivo] che per ogni caratteristica F relativa all 'osserva­ tore il sembrare di essere F sia logicamente precedente rispetto all' esse­ re F, perché - compreso correttamente - il sembrare di essere F è una condizione necessaria dell' essere F. Se comprendiamo questo punto siamo sulla strada giusta per comprendere l' ontologia della realtà crea­ ta socialmente37 . il che è peraltro un modo per ribadire che tali caratteristiche non sono logicamente indipendenti dalle rappresentazioni. 3 . Se si pensa agli esempi fin qui fatti è evidente che esiste un'e­ spressione molto più precisa di "caratteristiche relative all'intenzio­ nalità" per qualificare, oltre che segnalare, l'aggiunta di un nuovo li­ vello ontologico. Questa espressione è "funzione": un oggetto materiale "diviene" un cacciavite nel senso che funge da mezzo per avvitare. L'indagine sulla natura dei fatti sociali può essere fonda­ mentalmente ricondotta a quella che Searle chiama l'imposizione (o assegnazione) di funzioni. Non è solo il termine "cacciavite" ad al­ ludere ad una funzione ma chiaramente anche la proprietà di "esse­ re un bar" indica una serie di funzioni assegnate ad un certo luogo ed "essere cameriere" una serie di funzioni assegnate ad una perso­ na così come "professore", "poliziotto" o "genitore" (a parte l'aspet­ to strettamente riproduttivo). Si può dire che ogni ruolo sociale o giuridico consiste in una serie di funzioni che si ritiene che una per­ sona o una cosa debba svolgere, e così via. Si tratta appunto di ogni caso in cui un oggetto o preesistente o artefatto, o un soggetto, vie­ ne utilizzato (considerato, ecc.) per qualche scopo. Ma possiamo sostenere che le funzioni siano qualcosa di antolo­ gicamente soggettivo e in particolare di interamente relativo all'in­ tenzionalità? La risposta per Searle è senz'altro positiva a condizio­ ne di ammettere quello che abbiamo visto essere un suo presupposto mai discusso anche se estremamente impegnativo: il riferimento, ol­ tre alla fisica delle particelle, anche alla teoria evoluzionistica, che,

37

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale, pp. 20-2 1 .

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come noto, elimina ogni "teleologismo dal mondo vivente"38, facen­ do a meno delle peraltro problematicissime "cause finali" aristoteli­ che. Esattamente come le stagioni non hanno la funzione di rendere possibile la vita, così il cuore non ha la funzione di pompare il san­ gue. Il cuore pompa il sangue secondo un processo causale nel qua­ le non è presente alcuna intenzione o scopo. Chi dice che il cuore ha la funzione di pompare il sangue sta già assumendo un sistema di scopi e di valori come riferimento, esattamente come accade quan­ do si parla di cuori migliori o peggiori o di cardiopatie . Sul decorso causale della natura fisica, che è in sé del tutto indifferente e avvie­ ne in ogni caso in base alle stesse leggi, si proietta infatti una valu­ tazione basata sul fine del sopravvivere e del vivere bene e sul fatto che, una volta che noi poniamo questo fine , il cuore si presenta ora come uno dei mezzi per realizzarlo39• Più in generale : Se la funzione di X è di Y-are , X e Y sono parti di un sistema che è parzialmente definito da scopi, obiettivi, e in generale valori . Questo è il motivo per cui vi sono funzioni di poliziotto e professore , ma non di funzioni di umani in quanto tali [ . . . ]40. Il fatto che qualcosa produca quel che produce causalmente non è condizione sufficiente per poter sostenere che esso ha anche la funzio­ ne di produrlo. Serve anche il riferimento- tutto intenzionale e quin­ di antologicamente soggettivo- agli scopi. La capacità causale di pro­ durre l'effetto desiderato non è però, a rigore, neppure una condizione necessaria perché si abbia una funzione proprio per il ruolo in realtà determinante che ha il momento finalistico-normativa.

Se la funzione di X è di Y-are , allora si suppone che X causi o altri­ menti si concluda in Y. Questa componente normativa [corsivo mio] nelle funzioni non può essere ridotta alla sola causazione [ . . . ] perché X può avere la funzione di Y-are anche nei casi in cui X non riesce a cau­ sare Y sempre o anche la maggior parte delle volte . Così la funzione delle valvole di sicurezza è quella di prevenire le esplosioni , e ciò è vero anche per le valvole [ . . . ] che funzionano male .41

38 39 40 41

Cfr. Searle J R., La costruzione della realtà sociale , p. 24 . Cfr. Searle J R., La costruzione della realtà sociale , p. 23 . Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale , p. 2 8 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale p . 28 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

Le funzioni sono appunto assegnate, o con espressione più felice in questo senso, imposte . Il caso estremo di un oggetto che non ha assolutamente la capacità di fare quanto gli sarebbe richiesto dissol­ ve l 'idea di "funzione", ma lo fa in un modo che mette in luce mol­ to bene in cosa consista la dimensione funzionale in Searle. Qualcu­ no può ad esempio scegliere per la valvola di sicurezza di una pentola a pressione un materiale più resistente di quello del resto della pentola. Egli avrà allora assegnato a questo pezzo di materiale una funzione che resta solo nelle intenzioni, e non trova alcun ri­ scontro nei poteri causali degli oggetti materiali scelti come valvo­ le. Qui vi è pura normatività senza poteri causali. Dal lato opposto se un oggetto produce infallibilmente un certo effetto ma non gli viene imposta la funzione di farlo, restano solo poteri causali privi di valenze funzionali. La nozione di funzione si colloca quindi fra il polo fattuale delle capacità causali e quello normativo (e quindi va­ lutativo) delle intenzioni, e cessa di essere applicabile quando si giunge a uno dei due. La componente normativa e valutati va rende conto dell'impossibilità- già suggerita nelle considerazioni relative all'ordinazione al ristorante - di un linguaggio descrittivo neutrale dei fatti sociali e politici: laddove ciò a cui ci si riferisce ha natura di funzione - dal cacciavite al parlamento - è anche necessariamente vero che questa funzione può essere assolta bene o male, meglio o peggio. A riprova della relatività all'osservatore delle funzioni Searle sot­ topone le espressioni che descrivono le funzioni a un test di esten­ sionalità. Come è noto sono estensionali quelle proposizioni nelle quali la sostituzione di termini coreferenziali o coestensivi non muta il valore di verità. Ad esempio, supposta l'equivalenza di "trian­ golo", "figura chiusa con tre lati" e "figura la cui somma degli ango­ li interni è uguale a due piatti", la proposizione "il triangolo ha tre altezze" risulta essere estensionale, dato che sostituendo a "trian­ golo" una delle due espressioni equivalenti il valore di verità non muta. Diversamente vanno le cose nel caso di proposizioni che espri­ mono "atteggiamenti" soggettivi. Ad esempio anche se "Shakespea­ re" e "l'autore dell'Amleto" sono la stessa persona, non è detto che da "X crede che Shakespeare sia un autore di teatro elisabettiano" segua che "X crede che l'autore dell'Amleto sia un autore di teatro elisabettiano", dato che X potrebbe non essere a conoscenza del fat­ to che l'uno e l'altro sono la stessa persona. La verità della proposi-

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zione non dipende solo da come stanno le cose ma da come X crede che esse stiano . Allo stesso modo, come osserva Searle "remare" ed "esercitare una pressione sull'acqua mediante un fulcro fisso" sono espressioni equivalenti, ma ciò non significa che "la funzione dei remi sia quella di esercitare una pressione sull'acqua rispetto a un fulcro fisso": la funzione dei remi è quella di spingere la barca in avanti.

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II ONTOLOGIA E SOCIETÀ

La

classificazione delle funzioni

Esiste un solo tipo di funzione o sono possibili molti tipi diversi? Se esistono diversi tipi di funzione ve n'è qualcuno eminentemente sociale o comunque con un ruolo fondamentale per la comprensione del mondo sociale ? Per rispondere a queste domande Searle elabora ne La costruzione della realtà sociale una articolata classificazione delle funzioni. Il caso della "funzione" del cuore o dei polmoni o delle nuvole (di portare la pioggia) e il caso del cacciavite presenta­ no una differenza significativa. In entrambi i casi si parla di "funzio­ ne" in riferimento a un soggetto capace di intenzionalità, dato che un osservatore neutrale non vederebbe queste funzioni (a meno di far suoi i nostri scopi). Tuttavia nel primo caso la funzione è esercitata tramite un decorso causale che l'oggetto determina in assoluta auto­ nomia. Il cuore pompa sangue di per se stesso, e quando sosteniamo che ha la funzione di farlo esso non fa nulla che non facesse prima e non richiede alcuna attività da parte nostra che non sia il riferirne il funzionamento a un sistema di valori e di scopi. Il cacciavite invece non avvita senza un nostro intervento. La funzione non chiama in causa solo un valutante ma anche un agente quantomeno potenziale. Searle distingue quindi le funzioni in funzioni non-agentive (come quella del cuore) e in funzioni agentive (come nel caso del cacciavi­ te) e specifica: Accade generalmente , anche se non certo sempre , che le funzioni agentive richiedano un'intenzionalità continuata da parte degli utilizzato­ ti per il loro mantenimento , laddove le funzioni non-agentive continuano ad andare avanti funzionalmente senza nessuno sforzo da parte nostra1 .

l

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , pp. 29-30 .

40

Intenzionalità, Regole, Funzioni

In qualche modo le funzioni agentive, sin dai casi elementari come i cacciavite e le vasche da bagno, vanno non solo create asse­ gnando loro una funzione, ma vanno anche mantenute dalla stabili­ tà dell'intenzionalità che ha imposto loro la funzione. Evidentemen­ te una funzione non è necessariamente un fatto sociale. Possiamo infatti immaginare un essere solitario e non socievole per natura, ma dotato di intenzionalità, che assegna scopi e quindi funzioni agli og­ getti sulla base di stati intenzionali non collettivi. Anzi, talvolta, un individuo può usare come cacciavite oggetti che per gli altri hanno altre funzioni (ad esempio un coltello). Avremo quindi un cacciavi­ te-per-lui (e solo per lui) laddove abbiamo un coltello-per-noi. Ma molto più spesso le funzioni, anche banali, indicano fatti sociali e fanno riferimento all'intenzionalità collettiva. Coltelli, cacciaviti, ecc., sono di norma oggetto di we-intention , hanno forme canoniche e in ogni caso una dimensione pubblica. Bene, questa osservazione sembra suggerire che in qualche modo la condivisione sociale è in­ vocata dalle funzioni agentive con più forza di quanto non sia invo­ cata da quelle non-agentive. È ragionevole infatti pensare che la sta­ bilità nel mantenimento della funzione avviene in condizioni ottimali quando l'intenzionalità è collettiva. In qualche modo lo strumento invoca la socialità. Fra le funzioni agentive una sottoclasse particolare è quella in re­ altà cruciale per la comprensione dei fenomeni sociali. Quell'ogget­ to materiale a cui è assegnata la funzione "cacciavite" presenta una serie di caratteristiche fisiche che da sole sono sufficienti a fargli as­ solvere quella funzione (dato un agente). Sia pure restando nell'am­ bito dell'ontologicamente soggettivo, la funzione è interamente as­ solta grazie allo sfruttamento di (alcune delle) capacità causali dell'oggetto da parte di un agente, e l'intenzionalità si limita ad ag­ giungere il momento funzionale in quanto tale. Diverso è il caso del denaro a circolazione legale, del capo dell'esercito, dei confini, ecc. In questi casi le caratteristiche fisiche e le capacità causali della ban­ conota, dell'essere umano che funge da comandante delle forze ar­ mate, e del cartello o del reticolato che funge da confine non sono palesemente sufficienti a espletare le relative funzioni. L'esercizio della funzione dipende interamente, o quantomeno in misura molto maggiore, dall'intenzionalità. In altre parole qualcosa non è denaro se nessuno lo accetta in cambio di merci ; qualcosa non è un confine se tutti lo valichiamo bellamente ; qualcuno non è il capo dell'eser­ cito se nessun soldato gli ha mai obbedito. A sua volta questo equi-

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vale a dire che l 'assegnazione della funzione passa per i l riconosci­ mento soggettivo di uno status dell 'ente a cui viene assegnata, status che è parte integrante della possibilità stessa dell 'esercizio della funzione e quindi- nel caso che la funzione sia assegnata a persone - degli eventuali poteri a essa connessi. In questi casi si parlerà allo­ ra semplicemente di funzioni di status2 • n passaggio dall 'impiego di una merce fra le altre come mezzo di scambio al denaro a corso le­ gale, che in sé è solo un pezzo di carta senza valore, o da un bastio­ ne difensivo, capace di impedire causalmente l 'ingresso di individui indesiderati in un territorio, a un confine nel senso del diritto inter­ nazionale, mostra bene il passaggio della stessa funzione fondamen­ tale da funzione agentiva causale a funzione di status. L 'indebolirsi dell 'efficacia causale - nel passaggio dal bastione al confine pura­ mente giuridico - mostra altrettanto bene che nello spazio proprio della funzione, circoscritto dai due poli dell 'efficacia causale e del­ la normatività, le funzioni di status si collocano dal lato della secon­ da. Anzi la normatività regola in questo caso direttamente il com­ portamento soggettivo in termini di obblighi e divieti: attendere l 'autorizzazione a varcare un confine (se la si attende) è cosa com­ pletamente diversa dall 'attendere l 'apertura di una porta per poter entrare da qualche parte. La prima implica l 'accettazione di divieti e obblighi che discendono dall 'accettazione di uno scopo - e quindi di un elemento normativa- e che sono assenti nella seconda. La differenza fra funzioni agentive causali e funzioni agentive di status viene riproposta da Searle anche in questi termini: la funzio­ ne agentiva causale comporta sempre vincoli relativi alle proprietà fisiche dell 'oggetto che la assolve, a differenza della funzione di sta­ tus che invece può essere assegnata a qualunque oggetto. Ad esem­ pio tutto può fungere da denaro, mentre solo un tipo di cose può fun­ gere da cacciavite e sulla base di proprietà causali specifiche. Messa in questi termini la distinzione va però incontro a una critica: ogni funzione richiede comunque qualche caratteristica dell 'oggetto che la assolve. Il denaro deve essere trasportabile facilmente, leggero, ecc. Il presidente del Consiglio può essere chiunque, ma deve esse­ re una persona e non un animale, ecc.3 Effettivamente questa è una distinzione di grado dei vincoli causali che una funzione richiede e 2 3

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 5 1 . Questa critica si ritrova in Azzoni G . , "Il cavallo di Caligola" , in AA .VV. Ontologia Sociale, potere politico e regole costitutive, pp. 45-54.

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

non di genere. In altre parole sembra che una funzione di status ri­ chieda meno vincoli relativi ai poteri causali di una funzione agenti­ va non di status, ma non che non li richieda affatto. Che ne è allora della distinzione assoluta fra i due tipi di funzioni agentive? Una possibile soluzione a questo problema che il testo di Searle pone è questa. La seconda formulazione, in termini di vincoli relativi alle proprietà causali, poiché genera una differenza di grado, allora non è equivalente a quella in termini di sufficienza o insufficienza dei poteri causali che è invece dicotomica. Che le cose stiano verosimil­ mente così è suggerito dalla seguente considerazione. La distinzione in termini di sufficienza o insufficienza prevede che nel caso delle fun­ zioni di status i poteri causali non siano sufficienti, ma non implica che qualcuno di essi non sia necessario. Così è evidente che il capo di un esercito non può solo con le sue forze ridurre all'obbedienza tutti i suoi sottoposti, ma è anche evidente che deve avere almeno la capaci­ tà di dare ordini. In caso contrario la funzione di status, come può ac­ cadere a ogni funzione, si dissolve nel polo della pura normatività per­ dendo ogni efficacia causale. Allo stesso modo un pezzo di carta non ha in sé la capacità causale di farsi accettare come equivalente univer­ sale di tutte le merci. Tuttavia deve essere trasportabile altrimenti la funzione di status si dissolve nella pura normatività priva di capacità di incidere nel mondo reale (normatività inefficace), come ogni altra funzione. Una lettura di Searle basta sul principio di carità non do­ vrebbe scagliarsi sulla distinzione fra presenza o assenza di vincoli re­ lativi ai poteri causali, ma !asciarla cadere tenendo ferma quella da essa indipendente fra sufficienza o insufficienza dei poteri causali. Molto in generale, se le osservazioni di Searle sono corrette, avremmo qui una prova del fatto che l 'intero mondo culturale è "na­ turale" non solo nel senso che tutta la varietà di forme storiche e cul­ turali che esibisce è il prodotto di un fatto naturale quali sono gli sta­ ti intenzionali, ma anche nel senso che tale varietà trova un vincolo nella necessità di tenere conto dei poteri causali effettivi delle cose e delle persone.

Le regole costitutive e i fatti istituzionali l . Per completare la caratterizzazione della nozione di "funzione di status" resta da esporre l 'ultimo dei tre elementi fondamentali della filosofia sociale di Searle, oltre all 'intenzionalità collettiva e

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all 'assegnazione di funzioni, e cioè la nozione di regola costitutiva. Nel senso usuale una regola consiste in una serie di prescrizioni o divieti relativi ad attività che possono preesisterle. Ad esempio la re­ gola che impone di tenere la destra per strada stabilisce il modo di guidare l 'automobile. Ma il guidare l 'automobile può esistere prima di quella regola e continuare a esistere anche se la regola cessa o cambia. Si può dire la stessa cosa sostenendo che la regola non è parte dell 'essenza del guidare. Non è difficile tuttavia, secondo Se­ arie, constatare che queste regole- che chiama "regole regolative" - non esauriscono l 'ambito delle regole in generale. n caso delle re­ gole degli scacchi mostra chiaramente che vi sono regole che crea­ no la possibilità stessa delle attività che regolano : Le regole sono costitutive degli scacchi nel senso che il giocare a scacchi è costituito in parte dall ' agire in accordo con le regole .4

Mentre cioè chi guida a sinistra sta violando una regola ma sta an­ cora guidando, chi muove i pezzi in violazione di regole degli scac­ chi con ciò cessa anche di giocare a questo gioco. Ovviamente tutti i giochi, dalla dama fino a nascondino, fornisco­ no esempi di regole costitutive, dato che se uno non chiude gli occhi mentre gli altri si nascondono quel che ne risulta è che non si gioca a nascondino. Ma in realtà gli esempi sono tantissimi e si può anzi dire che quasi ogni norma giuridica o sociale ha un aspetto che la rende costitutiva, dato che, ad esempio, l ' "esser un padre di fami­ glia" si riferisce ad un insieme di regole (in parte sociali e in parte giuridiche) che certamente regolano il comportamento di una certa persona nei confronti di altre (i figli), ma nello stesso tempo costitu­ iscono ciò che un padre è per una certa cultura e una certa società, nel senso che se non sono rispettate la persona è considerata padre in senso biologico, ma non più in senso morale o giuridico. Un chia­ rimento essenziale in questo senso può essere fornito osservando cosa non funziona in una obiezione di Giddens a Searle. Nel suo The Constitution of Society Giddens presenta i seguenti quattro esempi di regole: l) "La regola che definisce lo scacco matto a scacchi è . .." ; 2) "La formula an = n2+(n- 1)"; 3) "Di regola R si alza alle sei del mattino ogni giorno" ; 4) "È una regola che tutti i lavoratori devono

4

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 37 .

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timbrare il cartellino alle otto del mattino". A questo punto Giddens obietta esplicitamente a Searle: Direi che l) e 4) esprimono due aspetti delle regole piuttosto che due diversi tipi di regole . l) è certamente parte di ciò che il gioco degli scac­ chi è, ma per coloro che giocano a scacchi ha proprietà sanzionatorie o "regolative" . Ma 4) ha anche proprietà costitutive . Forse non interviene nella definizione di che cosa sia il lavoro , ma entra in quella di un con­ cetto come "burocrazia industriale" ciò su cui l) e 4) dirigono la nostra attenzione sono due aspetti delle regole: il loro ruolo nella costruzione del significato , e la loro stretta connessione con le sanzionP .

Quando Giddens scrive questa obiezione non si riferisce a La co­ struzione della realtà sociale e il fatto su cui attira l'attenzione è dif­ ficilmente negabile. Tuttavia in riferimento a La costruzione della realtà sociale questa non è un'obiezione pertinente. Ad esempio nella teoria di Searle il diritto penale ha valenza regolativa di comportamenti come il causare intenzionalmente la morte di qual­ cuno, ma è costitutiva della funzione "reo di omicidio", che è chia­ ramente una funzione di status . Perciò come nell'esempio 4) la re­ gola è costitutiva di una realtà diversa da quella rispetto a cui è regolativa. Quanto poi al fatto che anche le regole costitutive sono regolative essa è addirittura implicita nel fatto che tali regole "costituiscono" uno status a cui sono associate "funzioni" che han­ no sempre una componente normativa, e che a fortiori la possiedono quando sono funzioni agentive e funzioni di status. Ciò è evidente nel caso del denaro che per essere tale deve essere accettato da chiunque come mezzo di scambio sulla base delle regole costitutive del mezzo di scambio universale come tale. Resta dunque la distin­ zione fra regole che entrano nell'essenza di qualcosa e regole che re­ golano qualcosa senza stabilire che cosa essa sia, distinzione, che come si vede è accettata dallo stesso Giddens. 2. Con l'introduzione delle regole costitutive è ora possibile defi­ nire l'espressione "fatto (sociale) istituzionale" . I fatti istituzionali esistono soltanto all ' interno di sistemi di regole costitutive . I sistemi di regole creano la possibilità di fatti di questo tipo.

5

Giddens A . , The Constitution oj Society, California U . P. Berkeley e Los Angele s , 1 98 6 , p. 20 .

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Ed esempi specifici di fatti istituzionali, come il fatto che io ho vinto la partita a scacchi o che Clinton sia presidente degli Stati Uniti, sono cre­ ati dall ' applicazione di regole specifiche, regole per lo scacco matto, o per l ' elezione e il giuramento dei presidenti per esempio6 .

La presenza di regole costitutive (non solo regolative) è quindi l 'elemento che differenzia la sottospecie dei fatti istituzionali dalla specie dei fatti sociali a cui appartiene: Ho già stipulato che ogni fatto che chiami in causa l ' intenzionalità collettiva è un fatto sociale : così per esempio le iene che cacciano un le­ one e il Congresso che approva una legge sono entrambi casi di fatti so­ ciali. I fatti istituzionali [ . . . ] sono una sottoclasse speciale dei fatti so­ ciali. L' approvazione di una legge del Congresso è un fatto istituzionale; le iene a caccia di un leone no7•

I fatti bruti sono invece quei fatti che non sono relativi all 'osser­ vatore e all ' intenzionalità, come appunto il fatto che il monte Eve­ rest è innevato sulla cima. Mentre per quanto riguarda i fatti sociali Searle si richiama a Durkheim, Weber e Simmel, per quanto riguar­ da i fatti istituzionali rivendica una priorità: La domanda che questi autori non hanno formulato (e che sono ora io a formulare) è, invece, la seguente : Come si passa dai fatti sociali ai fatti istituzionali?8.

3. Nonostante l 'enorme varietà che si presenta al cospetto dell ' os­ servatore dei fenomeni sociali, l 'abbinamento fra funzioni di status e regole costitutive trova la sua espressione in una formula unica, che sarà per Searle il grimaldello per la ricostruzione antologica del­ la realtà sociale. La formula è :

" X conta come Y " o " X conta come Y nel contesto C"9 . Così ad esempio "questo tipo di disposizione dei pezzi sulla scac­ chiera (X) conta come scacco matto (Y) in base alle regole degli scacchi (C). Questa successione di eventi (X) conta come nomina 6 7 8 9

Searle Searle Searle Searle

J . R . , La costruzione della realtà sociale , p . 3 8 . J .R . , La costruzione della realtà sociale , p . 48 . J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 30 . J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 3 8 .

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del presidente degli Stati Uniti" (Y) in base alla legge (C)- dove il ruolo delle regole costitutive è evidentemente quello di determinare il contesto C. La coerenza della formula con l'impianto antologico globale è evidente. Come abbiamo visto, per Searle Dio non vede "cacciaviti" ma vede noi trattare qualcosa come un cacciavite. Per­ ciò, abbiamo osservato, a rigore, nel quadro che Searle ci propone, il sostantivo "cacciavite" deve poter essere ridotto a "oggetto mate­ riale utilizzato da esseri che hanno la caratteristica (intrinseca) dell'intenzionalità per ottenere l'effetto di far ruotare e quindi avan­ zare un pezzo di metallo allungato e filettato a spirale". Lo ste sso ri­ sultato è reso possibile dalla formula appena proposta per le funzio­ ni di status. Ciò che avviene non è l'aggiunta di un pezzo di realtà ma l'aggiunta di una serie di caratteristiche agli oggetti esistenti che per l'occhio di Dio consisterebbero sempre nel fatto che noi trat­ tiamo qualcosa come strumento di scambio universale nel contesto delle regole delle transazioni economiche, come autorità preposta a una certa azione nel contesto delle regole costituzionali, ecc., laddo­ ve evidentemente le regole delle transazioni economiche e le regole costituzionali non sono pezzi della realtà fisca ma contenuti del no­ stro comportamento intenzionale e quindi, fondamentalmente, bio­ logico. Il fatto che la formula si applichi solo alle funzioni agentive di status comporta, rispetto alle funzioni in generale, una serie di restri­ zioni che sono nello stesso tempo, per Searle, prove rigorose di una serie di caratteristiche dei fatti sociali. Innanzitutto: n tennine Y deve assegnare un nuovo status che l ' oggetto non ha già solo in virtù del fatto di soddisfare il tennine X10 .

Pertanto la proposizione "gli oggetti utilizzati per sedersi (X) contano come sedia (Y)" non è un'applicazione della formula dato che qui Y non aggiunge nulla a X , che ne è anzi la definizione. Ma non lo è neppure "gli oggetti di una certa forma contano come se­ die", che è invece adatta a descrivere una funzione agentiva non di status. Sedie e cacciaviti po ssono essere, infatti, tali anche per un uomo in isolamento, dato che bastano capacità causali come la resi­ stenza. In questi casi l'intenzionalità collettiva può intervenire, ma solo per rendere un certo tipo di co se "sedie" e "cacciaviti" in un lO

Searle J .R . La costruzione della realtà sociale , p . 54. .

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senso stabile e non occasionate. Parimenti, un insieme di regole co­ stitutive nel caso delle funzioni causali non è necessario. Nel fare di qualcosa una sedia o un cacciavite, almeno in un senso elementare dei termini, non è cioè necessaria una regola costitutiva. D cacciavi­ te può divenire al più un fatto sociale, ma non istituzionale (altro di­ scorso riguarda un'eventuale prassi sociale dell "'avvitare corretto" o del "costruire un cacciavite a regola d'arte" con relative regole co­ stitutive). Se invece prendiamo il caso del denaro, del presidente de­ gli Stati Uniti, della acquisizione di proprietà privata, ecc.- casi in cui le capacità causali recedono sullo sfondo- ciò che diviene dav­ vero essenziale è che l'intenzionalità (che assegna la funzione) sia un'intenzionalità collettiva, cioè che il "conta come" sia un "conta come" per tutti noi e stabilmente . Dunque, nel caso delle funzioni di status, oltre al fatto che il termine Y deve assegnare a X uno status irriducibile alla proprietà X , abbiamo la prova che: Ci deve essere un accordo , o almeno un' accettazione collettiva sia nell' imposizione di quello status sulla cosa a cui si riferisce il termine X che riguardo alla funzione che accompagna quello status . Inoltre , dal momento che le caratteristiche fisiche specificate dal termine X sono insufficienti di per se stesse a garantire il compimento della funzione assegnata dal termine Y, il nuovo status e le sue funzioni connesse de­ vono essere il tipo di cose che possono essere costituite dall' accordo o dall' accettazione collettiva . Inoltre , dal momento che le caratteristiche fisiche specificate dal termine X sono insufficienti a garantire il succes­ so nel compimento della funzione assegnata, ci deve essere un' accetta­ zione collettiva continuata o il riconoscimento della validità della fun­ zione as segnata; altrimenti essa non potrebbe essere svolta con successo11 .

Detto in termini generali, l'intenzionalità collettiva e l'esistenza di regole costitutive da essa accettate sono le due condizioni di esi­ stenza di un fatto istituzionale. Qualche forma di consenso , dall'a­ desione entusiasta e consapevole fino all'accettazione rassegnata o figlia della mera abitudine, se non della paura, è comunque ontolo­ gicamente necessaria, cioè necessaria all'esercizio e anzi all'esi­ stenza stessa di queste funzioni regolate costitutivamente, che ecce­ dono le capacità causali dell'ente a cui sono assegnate.

11

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 55 .

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Infine, sebbene su questo Searle non sia esplicito, questa stessa considerazione mostra che fra funzioni di status e regole costitutive esiste un nesso intrinseco . Qualcosa è denaro se e fintanto che viene accettato come mezzo di scambio universale, e qualcuno è capo dell 'esercito finché si accetta l 'idea che ai suoi ordini qualunque sol­ dato debba ubbidire. Altrimenti l'uno non funge da mezzo di scam­ bio universale e l 'altro non è in condizioni da solo di imporre la sua volontà . Dunque in cosa consista lo status, non è stabilito da leggi fi­ siche (con la sola aggiunta di scopi o valori di riferimento). Fra leggi fisiche e scopi devono frapporsi una serie di elementi che determina­ no quale sia lo status e il relativo insieme di poteri (cioè quali siano gli obblighi e le facoltà che ci assegna il possesso di denaro, l 'essere padre, amico, fratello, presidente del consiglio, l 'avere un certificato di battesimo, ecc .) . Dunque, ovunque si possa parlare di uno status come di qualcosa di sufficientemente stabile e determinato- sia pure con ampi margini di vaghezza- questa determinatezza e stabilità non possono che derivare da regole costitutive (e intenzionalità).

Per una teoria generale dei fatti istituzionali l. Con gli elementi delineati nel paragrafo precedente Searle ri­ tiene di poter ricostruire le strutture fondamentali di qualunque real­ tà sociale, in particolare nel suo aspetto istituzionale. Siamo giunti cioè a quel problema della completezza della teoria di cui abbiamo sottolineato l 'importanza già nell 'introduzione. Per avviarsi su que­ sta strada l 'autore mostra alcune caratteristiche eminenti di questa realtà . Innanzitutto i concetti che descrivono i fatti sociali sembrano es­ sere autoreferenziali . Ad esempio nella definizione "X è denaro" si è obbligati a dire che X è denaro se tutti lo trattano come denaro, dato che nulla in natura ha carattere di denaro. Ma la cosa non crea nessun problema ontologico proprio perché questo non è un limite ma una caratteristica eminente del denaro e in generale delle fun­ zioni di status: il credere che qualcosa sia una certa cosa rende qui effettivamente l 'oggetto ciò che è creduto essere . Quanto al proble­ ma di una possibile circolarità nelle definizioni, si tratta semplice­ mente di dire che "denaro" significa "mezzo di scambio o di accu­ mulazione del valore" e che quindi la definizione può essere riformulata in questi termini: "X conta come denaro se e solo se X

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conta come mezzo di scambio e di accumulazione del valore". Estendendo la procedura a tutti gli altri casi le eventuali circolarità si dissolvono. Searle non formula in termini generali il fattore che rende possibile sciogliere il circolo. Ma l'eliminazione della circola­ rità, nel caso del denaro, fa leva su un fatto immediatamente generalizzabile: "denaro" indica uno status, e "mezzo di scambio" indica la funzione associata allo status. Ma la distinzione fra status e funzione non elimina il fatto che avere un certo status significa ave­ re una certa funzione e che quindi il primo può sempre essere defi­ nito nei termini del secondo. Così, ad esempio, l'indicatore di status "presidente degli Stati Uniti" è definito dall'insieme delle funzioni costituzionalmente assegnate a colui al quale l'indicatore si applica. Ma "scambio", "accumulazione del valore", "possedere" sono a loro volta concetti relativi a fatti istituzionali. Perciò, come osserva ripetutamente lo stesso Searle, il circolo non può mai essere risolto scendendo a livello di fatti bruti, bensì solo allargandolo, includen­ dovi altri fatti istituzionali o altre funzioni agentive12 • In secondo luogo un gran numero di fatti istituzionali può essere creato mediante enunciati performativi espliciti. L'emissione foneti­ ca "la seduta è aggiornata", se pronunciata dal presidente nelle cir­ costanze previste, non descrive un dato di fatto ma è l'atto che rende eo ipso aggiornata la seduta. Tale emissione fonetica (X) conta cioè come aggiornamento della seduta (Y) . E la cosa è perfettamente spie­ gabile nel senso che l'emissione fonetica esprime l'esercizio della fa­ coltà presidenziale, accettata da tutti, di aggiornare la seduta. In terzo luogo i fatti istituzionali sono dipendenti da fatti bruti. Non vi è denaro, parlamento, presidente della Repubblica, aggiorna­ mento della seduta ecc., senza un supporto antologicamente ogget­ tivo (rispettivamente, pezzi di carta, un'aula con un gruppo di perso­ ne, una singola persona e, nell'ultimo caso, un'emissione fonetica). Anche in questo caso la conclusione discende direttamente dalla struttura dell'assegnazione di funzione perché se si assegna una fun­ zione, deve esistere qualcosa a cui la funzione viene assegnata. Pos­ siamo pensare a funzioni assegnate a funzioni come quando un rogi­ to conta come titolo valido per ottenere un mutuo. Ma retrocedendo si giunge a funzioni di status per così dire di primo livello che devo­ no far presa su fatti bruti. È così possibile, secondo Searle, liquidare in breve il cosiddetto "costruzionismo sociale" (o "costruttivismo 12

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p . 64 .

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sociale") . Se quest 'ultimo viene inteso come la dottrina secondo cui ogni descrizione della realtà è condizionata socialmente, esso rap­ presenta allora una forma di relativismo concettuale perfettamente compatibile con il realismo esterno e con l 'esistenza di oggetti onto­ logicamente soggettivi ma epistemologicamente oggettivi (anche se in realtà è meno compatibile con l 'impiego fondazionale della fisica delle particelle e della biologia darwiniana) . Se viene invece inteso come la dottrina che ogni oggetto è non indipendente dalla rappre­ sentazione sociale che se ne dà, ricade in una forma di antirealismo a cui si può nuovamente opporre l 'argomentazione trascendentale a favore del realismo esterno . Se invece viene inteso come la dottrina che afferma che esistono solo fatti sociali allora si potrà invece far leva su quanto appena sostenuto. Persino quel livello superiore di socialità che sono i fatti istituzionali implica per la sua stessa strut­ tura l 'esistenza di un mondo ontologicamente oggettivo . In quarto luogo un fatto istituzionale non può esistere in isola­ mento. Il denaro presuppone il sistema di regole costitutive della proprietà, dello scambio legittimo, ecc . E la spiegazione non richie­ de a Searle l 'impiego diretto del suo apparato . Si tratta sempli­ cemente di prendere atto13 che tali fatti convergono nel regolare le nostre vite e devono in qualche modo quindi organizzarsi gli uni su­ gli altri . La spiegazione è fra le più frettolose e meno chiare del li­ bro, nonostante si tratti di un dato di fatto interessantissimo . Esatta­ mente come accade nel caso dei numeri ogni oggettività sembra spettare ai fatti istituzionali solo in una dimensione relazionale. Come cioè proprietà quali l ' "essere pari" sono in realtà relazioni, (nella fattispecie la relazione "divisibile per due"), così i fatti istitu­ zionali si determinano reciprocamente . L'interesse della circostanza è tanto più grande quanto più in realtà questa osservazione di Searle si dovrebbe collegare ad un 'altra: quella che mostrava che la circo­ larità nel definire le funzioni di status si scioglie solo allargandola ad altri fatti istituzionali. Anche questa circostanza infatti converge nel mettere in luce l 'impossibilità di uscire dalla dimensione rela­ zionale. Una possibile spiegazione ontologica è che nonostante i fat­ ti istituzionali abbiano nei fatti bruti una loro condizione necessaria, in Searle restano a essi irriducibili e non possono quindi che essere definiti dal sistema delle loro reciproche relazioni.

13

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 68 .

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In quinto luogo Searle presenta come una caratteristica evidente

prima facie il fatto che gli atti sociali sono prioritari rispetto agli og­ getti sociali . Gli oggetti sociali sono sempre [ . . . ] costituiti da atti sociali; e , in un certo senso , l 'oggetto è soltanto la possibilità continua dell 'attività . Un biglietto da venti dollari , per esempio, è una possibilità sussistente di pagare qualcosa14.

In effetti se si accettano le premesse di Searle, la conclusione è semplicemente ovvia. Infatti gli oggetti sociali sono pensati realmente per servire a funzioni agentive , e altrimenti hanno per noi poco interesse [ . . . ] . Quindi il nostro interesse non è ver­ so l' oggetto ma verso i processi e gli eventi in cui le funzioni sono ma­ nifestate15 .

Così appunto il denaro è per regola costitutiva ciò che assolve lo scopo di effettuare scambi e il presidente della Repubblica è colui che per regola costitutiva ha, fra l'altro, il potere di grazia, ed è in questo che l'una e l'altra funzione si presentano per così dire in car­ ne e ossa. Il piano dell'attività è quello cioè in cui gli oggetti e socia­ li si rivelano in ciò che sono intesi propriamente (dover) essere16• Come avevamo osservato, la normatività delle funzioni di status re­ gola direttamente il comportamento umano. L'ultimo tratto saliente della società chiama in causa una questio­ ne così importante e complessa che Searle vi dedica un intero capi­ tolo. La sua tesi è che il linguaggio non solo gioca un ruolo fonda­ mentale nell'interazione fra attori sociali e nel rendere possibile comportamenti cooperativi superiori a un certo grado di necessità, ma che è costitutivo anch'esso, insieme all'intenzionalità, dei fatti istituzionali, che è cioè una loro condizione di esistenza. In questo senso i fatti istituzionali sono un caso particolare di una specie del genere "caratteristiche relative all 'intenzionalità", cioè la specie dei 14 15 16

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 46 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , pp . 68-69 . Del resto «La priorità del processo sul prodotto spiega anche perché , come diversi teorici sociali hanno sottolineato , le istituzioni non sono lo­ gorate dall 'uso continuo , ma ogni uso dell ' istituzione è in un certo senso un suo rinnovamento» . Cfr. Searle J .R . , La costruzione della realtà socia­ le , p . 69 .

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fatti relativi al linguaggio. Ad esempio il fatto designato da " 'cane' è una parola di quattro lettere" è un fatto essenzialmente dipendente dal linguaggio , come lo è il pensiero espresso dallo stesso enuncia­ to per chi lo formula. L'uno e l'altro non potrebbero infatti esistere se non vi fosse la parola "cane" e quindi il linguaggio entro cui essa ha senso. Ora la [ . . . ] tesi che il linguaggio sia parzialmente costitutivo dei fatti isti­ tuzionali equivale alla tesi che i fatti istituzionali contengano essenzial­ mente alcuni elementi simbolici nel senso di "simbolico" [per cui] pa­ role , simboli , o altri strumenti convenzionali [ . . . ] significano qualcosa o esprimono qualcosa o rappresentano o simboleggiano qualcosa al di là di loro stessi in un modo che è pubblicamente comprensibile17 .

Parliamo di linguaggio quindi in un senso molto lato , che include non solo elementi verbali stictu sensu , ma anche contrassegni come marchi e uniformi , segnali , ecc. E a questo punto , la tesi risulta es­ sere solo una conseguenza logica delle premesse di Searle , dato che nel caso delle funzioni di status , non c ' è nessuna caratteristica strut­ turale dell 'elemento X sufficiente di per se stessa a determinarne la fun­ zione Y [ . . . ] . La sola differenza è che abbiamo imposto uno status sull 'elemento X, e questo nuovo status ha bisogno di contrassegni , per­ ché empiricamente parlando non c ' è nient' altro18 _

Ad esempio , mentre per un "funtore" agentivo causale come "il cacciavite" la capacità di assolvere la funzione è segnalata sufficien­ temente dalle proprietà materiali , nel caso di "funtori" di status , come il denaro , il passaggio dalla X (un pezzo di carta o quant'altro) alla Y (il denaro) richiede essenzialmente un segno di riconoscimen­ to pubblico. n "segno" in questi casi è quindi parte dell'esistenza stessa della cosa "designata". 2. La teoria delle funzioni di status e delle regole costitutive di Searle è in grado di fornire uno strumento completo di analisi di qualunque realtà politico-istituzionale concreta (con l'esclusione di quei fatti sociali che non sono istituzionali)? È cioè idealmente pos­ sibile identificare grazie ad essa ogni fatto sociale istituzionale rico-

17 18

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , pp . 7 1 -7 2 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p . 8 2 .

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noscendone la struttura. Nel capitolo IV, dal titolo "La teoria gene­ rale dei fatti istituzionali"19, Searle giunge a proporre, sia pure in via ipotetica, quantomeno i lineamenti di una sorta di "logica istitu­ zionale" che dovrebbe, se sviluppata ulteriormente, raggiungere proprio questo risultato. A fare da chiave di volta dell'operazione sono due considerazioni. lnnanzitutto l'assegnazione di funzioni di status è indefinitamente ite­ rabile, ossia è sempre possibile imporre una funzione di status a qual­ cosa che ha già una funzione di status. Ad esempio la funzione "pre­ sidente degli Stati Uniti" viene assegnata a qualcuno a cui è già stata assegnata la funzione "cittadino americano" ed è quindi una funzione di status che viene assegnata a un livello superiore rispetto a quello della funzione a cui viene assegnata . La seconda considerazione è che ogni assegnazione di funzioni di status, ogni far contare un X come Y, consiste in un riconoscimento di poteri descritto da una formula nella quale possono intervenire eventualmente connettivi logici. Ciò è im­ mediatamente evidente nel caso in cui le funzioni sono assegnate a persone. Se la funzione comporta un potere positivo (una facoltà) avremo la formula più semplice possibile cioè Noi accettiamo ( S ha il potere ( S fa A) )20 .

L'operatore "ha il potere..." ha come argomenti l'esecuzione di un tipo di azione (A) e un soggetto S che può essere un individuo o un gruppo. L'operatore "Noi accettiamo..." ha come variabili il col­ lettivo denotato dal "noi" e il potere in questione nella sua interezza (si noti la doppia parentesi alla fine della formula). Indica quindi l'accettazione di tale potere grazie all'intenzionalità collettiva di un certo gruppo e quindi l'imposizione vera e propria della funzione di status in questione a S. L'applicazione dell'operatore della nega­ zione rende poi possibile anche una formula derivata per i requisiti (requirement, nel senso di cose che si richiede in senso normativo che qualcuno o qualcosa faccia). La formula "noi accettiamo (S è ri­ chiesto (S fa A))" è cioè riducibile a "noi accettiamo (S non ha il po­ tere (non S fa A))". In altre parole l'intenzionalità collettiva assegna a S la funzione di non poter non fare A (ad esempio accetta che non possa non pagare le tasse). 19 20

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , pp. 92- 1 27 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 128 .

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Ci sono però da superare alcune difficoltà. lnnanzitutto la rifor­ mulazione in termini di potere non è completa se non vi si includo­ no anche i casi in cui le funzioni di status sono assegnate a cose o a eventi. Ma questo non costituisce per Searle un problema dato che, come abbiamo appena visto, in ambito istituzionale vige il primato degli atti sugli oggetti e che questi ultimi vanno intesi come possibi­ lità permanenti di azione. Perciò l 'assegnazione di funzioni di status a un oggetto sarà in generale espressa dali ' assegnazione di un pote­ re positivo (facoltà) o negativo (requisito) a chi lo possiede. Così l 'assegnazione della funzione di banconota da cinque dollari (Y) a un pezzo di carta disegnato in un certo modo (X) sarà espressa da Noi accettiamo (S il portatore di X, ha la facoltà di , (S compra con X fino al valore di cinque dollari)) .2 1

Analoghe considerazione possono essere fatte per la categoria antologica residua degli eventi. La difficoltà principale è invece costituita dall 'effettiva possibilità di ridurre a un primitivo più la negazione l 'alternativa fra poteri positivi (facoltà) e poteri negativi (requirements) . Questa riduzione riesce senz 'altro nell'ambito della logica modale dove "è necessario che" può essere definito come "non è possibile che non", e riesce anche nell ' am­ bito della logica deontica nella quale è possibile definire "è obbligato­ rio che" in termini di "non è permesso che non". Invece, secondo Sear­ le, a ben riflettere la possibilità di definire il requisito (il potere negativo) in termini di "non poter non fare una certa cosa", e quindi come il non avere la facoltà di non farla, va incontro alla seguente difficoltà: L' assenza di un requisito di non fare qualcosa non costituisce di per sé una facoltà istituzionale di farlo . Nella logica deontica classica l' as­ senza dell' obbligatorietà di non fare qualcosa è equivalente all ' ammis­ sibilità di farla : ma non c'è una tale equivalenza ovvia per i poteri convenzionali , perché ci sono un mucchio di cose che non mi viene ri­ chiesto di fare (cioè esse non sono proibite) , ma che non sono stato istituzionalmente autorizzato a fare22 •

Ad esempio il fatto che non vi sia stata una richiesta istituzionale di non fare una scalata non equivale a dire che sono stato investito istituzionalmente della facoltà di scalare le pareti. 21 22

Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale , p. 1 2 1 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 24 .

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Questa osservazione in realtà è problematica. Essa presuppone infatti che la sfera di libertà individuale non sia parte costitutiva del­ la funzione di status "cittadinanza" e delle sue regole costitutive. Ma, ad esempio, il supremo principio dell'ordinamento giuridico "ciò che non è obbligatorio o vietato è permesso" in realtà prospetta proprio la situazione contraria dato che regola i comportamenti che non sono oggetto di altre regole. Questa difficoltà passa tuttavia del tutto inosservata in Searle, e perciò l'autore ha buon gioco nel se­ gnalare che questa asimmetria fra potere positivo e negativo costitu­ isce un modo per approfondire ulteriormente la natura dei poteri so­ ciali e politici. Se infatti restringiamo il campo dell'opposizione fra poteri negativi e positivi al dominio dell'operatore di accettazione allora tutto funziona. In altre parole la corretta interpretazione non è che l'enunciato "S ha la facoltà istituzionale di fare A" è equivalen­ te a "S non è oggetto del requisito di non fare A". La corretta inter­ pretazione è che l'enunciato "Noi accettiamo (S ha la facoltà di fare A)" è equivalente a "Noi accettiamo (S non è richiesto di non fare A)". Ed effettivamente accettare che il presidente degli Stati Uniti abbia il potere di veto equivale ad accettare che non gli sia richiesto di non esercitarlo. Mentre nel caso dello scalatore- direbbe Searle - noi non abbiamo mai accettato né che a S fosse richiesto di non scalare né che S avesse la facoltà di farlo. Lo scalare semplicemente cadeva al di fuori dell'intero piano delle funzioni di status e quindi dei poteri positivi e negativi assegnati alle persone. La correttezza di questa seconda equivalenza è dunque, per Sear­ le, una ulteriore prova della necessità dell'operatore di accettazione e quindi del ruolo dell'intenzionalità collettiva nell'esistenza stessa dei fatti istituzionali: C ' è un aspetto profondo implicito in ciò riguardo alla natura dei po­ teri convenzionali : essi esistono solo laddove c ' è qualche atto o proces­ so di creazione . Così la mera assenza di un potere convenzionale , contrassegnato negativamente [quindi un requisito] non è equivalente alla presenza di qualche altro genere di potere convenzionale , ma pos­ siamo ancora definire entrambe le forme di potere convenzionale nei termini di un potere più la negazione purché entrambi siano compresi come creazioni secondo la formula23 .

23

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , pp. 1 24- 1 25 .

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In questa prospettiva l'eliminazione di un potere positivo o nega­ tivo (di una facoltà o di un requisito) non dovrà consistere in se stes­ sa nell'assegnazione di un nuovo status, ma nella fine dello status in questione. La negazione sarà cioè applicata all'operatore di accet­ tazione. Così ad esempio la cessazione di un matrimonio in se stes­ sa (cioè a prescindere dal nuovo status di divorziato con relativi di­ ritti e doveri) non consiste nella formula "Noi accettiamo (S e S' non sono più sposati)" bensì in "Noi non accettiamo più (S e S' sono sposati)" La soluzione che Searle ci offre è compatibile con la sua soluzio­ ne della questione del rapporto fra poteri positivi e negativi. Con la sola cessazione del matrimonio (sempre escludendo l'imposizione della funzione di status "divorziato") cessano infatti semplicemente degli obblighi, senza che per questo gli ex coniugi acquisiscano nuovi poteri istituzionali (eventualmente recuperano quelli che ave­ vano già ed erano incompatibili con il matrimonio). Lo stesso vale per la cessazione di un potere positivo come quello della grazia per un presidente destituito. Qui non nasce un potere negativo (un obbli­ go di non graziare) ma semplicemente cessa l'accordo collettivo re­ lativo a quel potere per quella persona, col che cessa il potere stesso che non è dovuto a capacità causali. Ma oltre a essere compatibile con la soluzione della cessazione del potere in termini di negazione applicata all'operatore dell'accet­ tazione, la proposta di Searle ha anche motivazioni indipendenti che rafforzano ulteriormente il quadro: L' argomento fondamentale per considerare la struttura logica della distruzione di un potere convenzionale in termini di negazioni dell' ac­ cettazione collettiva piuttosto che come negazioni del contenuto del­ l' accettazione è che esse non richiedono il mantenimento continuato della funzione di status nel modo in cui il potere convenzionale tipica­ mente richiede tale mantenimento . Così il matrimonio richiede un mantenimento continuo in un modo che il divorzio non richiede24 .

24

Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p . 1 25 . Al posto del nostro esempio dell' annullamento del matrimonio in sé distinto dal di vor­ zio , Searle fa direttamente quello del divorzio che è però in parte infelice perché il passaggio dalla condizione di "coniugato" a quella di "divorzia­ to" è un passaggio di status, cioè lUla sostituzione di Wl insieme di poteri con Wl altro insieme .

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Resta naturalmente la riserva generale esposta in precedenza che fa leva sull'interpretazione pervasiva del concetto di cittadinanza, riserva che qui si ripropone considerando che la fine della funzione di status di "coniugato" è ottenibile solo grazie all'assunzione dello status di "divorziato" . 3. Una volta stabilito che le funzioni di status di cose ed eventi sono sempre riconducibili a poteri delle persone, si tratta anche di dimostrare che tali poteri sono sempre riconducibili a obblighi o fa­ coltà delle persone, ossia a quelli che Searle chiama poteri deontici . La cosa non è affatto ovvia . Oltre ai poteri deontici una classifi­ cazione prima facie delle funzioni di status dovrebbe includere, se­ condo Searle, anche le categorie delle l) funzioni simboliche (quel­ le ad esempio delle parole, delle uniformi, dello scettro ecc .), 2) funzioni onorifiche (funzioni di status senza conseguenze sul­ l'azione), e 3) funzioni procedurali (che rendono possibile l'asse­ gnazione di funzioni di status, come ad esempio le elezioni che as­ segnano a qualcuno i poteri deontici di "parlamentare") . Il problema più complesso è posto dalle funzioni procedurali . Certamente "ele­ zione" non indica il mero fatto bruto che molte persone vanno in un certo posto e disegnano qualcosa su un pezzo di carta . Ma in sé qua­ le potere deontico nasce dall'essere ad esempio "candidato" in quan­ to tale? La soluzione di Searle fa leva sia sulla iterabilità delle funzioni di status sia sulla possibilità di applicare connettivi logici . Le funzioni di status procedurali possono infatti secondo lui essere ricondotte ad assegnazioni iterate di funzioni di livello sempre più alto ciascuna delle quali- esclusa quella finale a cui la procedura tende- consiste in un potere deontico condizionale . Per mettere alla prova questa idea dell'autore proviamo a immaginare (ma non è l'esempio di Se­ arie) una serie di passi istituzionalizzati in una procedura per l'ele­ zione di un Senato: il candidato deve essere innanzitutto un "candi­ dato di partito" che è tale se viene proposto da qualche sezione e ottiene la maggioranza a favore della sua candidatura dagli iscritti al partito di appartenenza dell'intera circoscrizione. Solo un candidato di partito può essere anche candidato al Senato . Fra i candidati al Se­ nato diviene poi "eletto" colui il quale ottiene la maggioranza nella circoscrizione. L"'eletto" diviene poi "senatore" a pieno titolo se ot­ tiene l'autorizzazione dalla commissione che si occupa di eleggi­ bilità. Verosimilmente lo status di "candidato di partito" sarà espres-

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so, applicando le tesi di Searle, da questa formula specifica: "Noi accettiamo (se S raccoglie più voti complessivi dei concorrenti pro­ posti dalle altre sezioni del partito dello stesso collegio, allora S è il candidato di partito al Senato)". Essere il "candidato di partito" al Senato dovrebbe allora significare "Noi accettiamo (se un candida­ to di partito S ha la maggioranza dei voti nel suo collegio, allora S è l'eletto)." Essere "eletto" significherà: "Noi accettiamo (se l'elet­ to S supera l'esame della commissione preposta, allora S è senato­ re) ." E qui evidentemente, se questa ricostruzione è corretta e accu­ rata, vi è un'iterazione di assegnazioni di funzioni candidato di partito-candidato al Senato-eletto-senatore che il soggetto indivi­ duale S riceve progressivamente se soddisfa ogni antecedente di condizionale. Diviene cioè candidato al Senato se raggiunge davve­ ro la maggioranza nel suo partito ; diviene eletto se davvero ha la maggioranza dei voti, e diviene senatore se davvero supera l'esame della commissione sull'eleggibilità. Infine anche i poteri simbolici sono per Searle poteri deontici dato il primato degli atti sugli oggetti e dato che l'assegnazione dei significati alle parole crea il potere nei parlanti di compiere atti lin­ guistici e quindi di chiedere, affermare, rifiutare, aprire o aggiorna­ re una seduta, ecc. I poteri onorifici sfuggono a questa riduzione, dato che non assegnano alcuna facoltà o requisito, ma Searle propo­ ne di considerarli casi limite, esattamente come il numero zero in aritmetica può essere considerato un caso degenere di numero25. Se­ arie chiude il capitolo segnalando che la correttezza di questa opera­ zione suggerirebbe una prospettiva di enorme significato in termini di unitarietà. La struttura dei fatti istituzionali, dei fatti sociali più o meno codificati, sarebbe infatti catturata da una logica basata solo su una forma fondamentale- "Noi accettiamo (S ha il potere (S fa A))"- e sull'applicazione dei connettivi logici (''e", "o", "se... allo­ ra", "non"). Può sembrare una semplificazione troppo drastica di una realtà complessa, ma, se è corretta la prospettiva, la semplicità di questa logica trova riscontro nella esiguità dei materiali a disposi­ zione per costruire la realtà socio-politica: lo credo che la nostra ricerca delle caratteristiche logiche del conte­ nuto intenzionale della funzione di status Y, nella formula "X conta

25

Cfr. Miraglia R . , "Zero , uno e gli ' alni ' numeri: Husserl e la tradizione empirista" , in Iride , Anno XV, 37 , Dicembre 2002 , pp , 65 1 -657 .

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come Y" , abbia iniziato a mostrare come l' enorme complessità del c or­ po della realtà istituzionale abbia una struttura essenziale piuttosto sem­ plice . Ciò non è sorprendente , dato l ' apparato rudimentale con cui dobbiamo lavorare . Noi non abbiamo altro se non l ' abilità di imporre uno status , e con esso una funzione , per mezzo dell ' accordo collettivo o dell ' accettazione26 .

Sfondo e fatti sociali Su tutta questa ricostruzione pesa un'obiezione di fondo. La di­ mensione di trasparenza razionale nella quale si muove la teoria, se presa alla lettera, non sembra adeguata a una descrizione delle di­ namiche sociali e istituzionali per come esse si svolgono ef­ fettivamente. In particolare essa sembra prevedere che ogni attore sociale, per agire in modo conforme alle istituzioni, si rappresenti esplicitamente le regole costitutive di volta in volta pertinenti e in­ tenda esplicitamente applicarle: in breve che ogni agente segua in­ tenzionalmente le regole costitutive. Le cose invece stanno in que­ sto modo in pochissimi casi, ad esempio nella prima fase di apprendimento di un nuovo gioco, qualora l'istruttore comunichi esplicitamente le regole e proponga esercizi che consistono nel de­ cidere come comportarsi in base a esse. Ma già in casi più usuali l'apprendimento di un gioco non sempre avviene con riferimento esplicito a regole, bensì con esempi di comportamenti vietati o per­ messi. Per di più, quando il giocatore è sufficientemente esperto, il contenuto dei suoi stati intenzionali, in ogni fase di gioco, non in­ clude più le regole costitutive ma solo le mosse che intende com­ piere e i risultati che intende ottenere grazie a esse. In generale que­ sto vale per molti comportamenti sociali: la consapevolezza delle regole non è parte del contenuto degli stati intenzionali degli attori. Le regole sono cioè in (gran) parte ignote e comunque di norma non rappresentate durante l'azione. Pochi ad esempio conoscono le re­ gole costitutive che fanno di qualcosa del denaro, o il capo dell'e­ sercito, o un padre, un marito, un fratello, ecc., e chi anche le cono­ sce quando dà del denaro per avere un bene non ha l'intenzione di soddisfare le regole costitutive dell'istituzione denaro, ma quella di ottenere un bene tramite esse.

26

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 29 .

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Detto in altri termini la socializzazione non avviene se non per pochi tratti tramite trasmissione esplicita di regole costitutive nella loro formulazione generale , e anche per quei pochi tratti le regole apprese sono comunque nuovamente sedimentate in comportamen­ ti. Il caso paradigmatico è del resto la competenza linguistica che non consiste di norma nel possesso di una teoria sintattica e seman­ tica adeguata. Anche a livello politico : Affinché Bush sia presidente , le persone non devono necessariamen­ te pensare "Noi abbiamo imposto una funzione di status secondo la for­ mula X ha valore di Y in C", anche se ciò è esattamente quanto esse hanno compiuto . Thttavia esse devono necessariamente essere in grado di pensare qualcosa . Per esempio normalmente pensano "Egli è il pre­ sidente" e simili pensieri sono sufficienti a mantenere la funzione di sta­ tus27 _

Se è così ha senso assegnare un ruolo effettivo alle regole costitu­ tive? O si tratta solo di elementi che hanno valore descrittivo? E se ha senso farlo , come avviene allora che esse abbiano la capacità cau­ sale di determinare il comportamento di chi , almeno esplicitamente , non le segue? Una soluzione logicamente possibile è quella di chi sostiene che le regole sono sì seguite , ma in modo inconscio . Un'altra consiste inve­ ce proprio nel negare che le regole abbiano alcuna efficacia causale e alcun potere esplicativo del comportamento. E in questo caso ci si tro­ va di fronte a un ampio spettro di posizioni che vanno dal ridu­ zionismo fisicalista (esistono solo cause fisiche e le regole costitutive sono un modo sintetico per descrivere le leggi di causazione fisica che regolano il comportamento degli attori) fino all'idea di Wittgenstein­ la cui nozione di "forma di vita" è uno degli antecedenti dello "sfon­ do" di Searle- che alla fine il seguire una regola poggi sul fatto che le persone , di fronte a certe situazioni , agiscono come di fatto agiscono , ma in modo del tutto infondato e inesplicabile. Entrambe le soluzioni sono però secondo Searle insoddisfacenti per questioni di principio. Il ricorso all'inconscio produce una condizione di tale vaghezza da per­ dere qualunque capacità esplicativa : Da Freud in avanti abbiamo ritenuto utile e conveniente parlare con facilità della mente inconscia senza pagare lo scotto dello spiegare esat27

Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 42 .

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tamente che cosa intendessimo . L a nostra immagine degli stati mentali inconsci è che essi sono come gli stati consci , meno la coscienza. Ma che cosa si suppone esattamente che questo significhi? Non ho trovato una risposta soddisfacente a questa domanda , certamente non in Chom­ sky o in Fodor e neppure in Freud28 .

Quanto a forme di riduzionismo fisicalista o comunque a posizio­ ni che tendono a sottrarre ogni ruolo ali' intenzionalità e alle regole costitutive, Searle non ripropone alcun argomento ma si limita a ri­ badire quanto aveva già detto circa le pretese anticomportamentiste e antiriduzioniste intrinseche al parlare di "sedie", "parlamento", "ristorante", ecc. Anche se non in modo conclusivo si deve almeno "proporre una forma alternativa di spiegazione"29 • La chiave dell 'operazione è an­ cora una volta lo "sfondo" che per Searle agisce in uno spettro mol­ to ampio di comportamenti, ben al di là della sfera linguistica in cui lo abbiamo incontrato per la prima volta . Oltre a intervenire nel­ l ' interpretazione lingui stica esso agi sce a livello percettivo, ad esempio, nel carattere di familiarità con cui ci si presentano le cose, sempre come sedie, tavoli, ripari, ecc., ma non grazie a espliciti atti intenzionali di riconoscimento. Lo sfondo è anche il luogo di una se­ rie di abilità pratiche non intenzionali come, ad esempio, quelle del tagliare, aprire, ecc., in modo appropriato diversi tipi di cose, ed è responsabile di molti comportamenti sociali, fra cui la distanza a cui ci si colloca dai propri interlocutori, ecc . Come si vede da quest 'ultimo esempio, ma anche da quello del "tagliare", lo sfondo può contenere per Searle abilità, disposizioni, ecc . acquisite , ed è questo il perno su cui l 'autore fa leva, chiedendo­ ci semplicemente di accettare lo schema darwiniano del rapporto fra forma e funzione e di applicarlo ai comportamenti sociali . Nella teo­ ria darwiniana non è corretto dire che un pesce ha una certa forma perché ciò aumenta le sue capacità di sopravvivenza, ma è corretto dire che un pesce ha una certa forma per questioni genetiche e che questa forma gli ha garantito la sopravvivenza rispetto ad altre spe­ cie. La spiegazione è cioè invertita: non è la sopravvivenza a spiega­ re la forma ma è la forma a spiegare la sopravvivenza. Quest 'ultima

28 29

Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale , p. 146 . Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , p. 146.

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funziona quindi ancora come elemento esplicativo del fatto che gli animali abbiano certe forme, ma lo fa in modo diacronico. Ora un'inversione simile dovrebbe essere applicata alle capacità di sfon­ do umane per interagire con i fenomeni sociali . Invece di dire che la per­ sona si comporta così perché sta seguendo le regole dell 'istituzione , dovremmo dire : primo (livello causale) : la persona si comporta così , perché ha una struttura che la dispone a comportarsi in quel modo , per­ ché quello è il modo che si conforma alle regole dell' istituzione; e se­ condo (livello funzionale) : egli è giunto a comportarsi in quel modo , perché è quello che si conforma alle regole dell' istituzione [ . . ] . Per esemplificare con un caso concreto , non dovremmo dire che il giocatore di baseball esperto corre in prima base perché vuole seguire le regole del baseball , ma che , dal momento che le regole richiedono che corra in pri­ ma base , egli acquisisce una serie di abitudini , competenze , disposizioni di sfondo , tali che quando colpisce la palla corre in prima base30 . .

E naturalmente a determinare questo comportamento conforme all 'istituzione ma non regolato su di essa può contribuire la forma­ zione, l'esempio, anche se nessuno di questi fattori adatta il compor­ tamento dell'individuo all'istituzione mediante un esplicito inse­ gnamento delle regole costitutive unito alla prescrizione di rispettarle. Dunque più in generale: Si può far evolvere un insieme di abilità che sono sensibili a struttu­ re specifiche dell' intenzionalità , senza che effettivamente siano costitu­ ite da quell 'intenzionalità . Si sviluppano capacità e abilità che sono , per così dire , funzionalmente equivalenti al sistema di regole , senza effetti­ vamente contenere nessuna rappresentazione o intemalizzazione di quelle regole31 .

Il che peraltro rende possibile, anche se Searle non lo dice esplicita­ mente, l'esistenza di "derive comportamentali" che possono alla lunga risultare in una trasformazione delle regole costituitive, senza alcuna esplicita decisione in questo senso. Ma a questo punto si può ancora parlare di accettazione intenzio­ nale come elemento costitutivo dei fatti istituzionali? Non resta il semplice dato di fatto che le persone si comportano in un certo modo per abitudine? Le regole costitutive, invece di essere costitu-

30 31

Searle J .R . , La costntzione della realtà sociale , p. 1 64 . Searle J .R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 6 1 .

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tive delle istituzioni, non diventano solo regole descrittive del com­ portamento degli attori sociali? Non ha ragione il comportamentismo o qualche forma di riduzionismo fiscalista ? A impedire questa rispo­ sta resta l'ineliminabile momento della componente normativa del­ le istituzioni: Noi accettiamo che ci sia qualcosa di sbagliato [ . . ] nella persona che non ne vuole sapere di fare una cosa quando ha promesso di farla, qualcosa di sbagliato nella persona che se ne va in giro declamando fra­ si sgrammaticate . E ognuno di questi casi implica qualcosa di sbagliato in un modo che è differente dal modo in cui c ' è qualcosa di sbagliato nell'uomo che incespica quando cammina; cioè c ' è una componente normativa creata socialmente nella struttura intenzionale , e ciò è spie­ gato solo dal fatto che la struttura istituzionale è una struttura di regole , e le regole effettive che specifichiamo nel descrivere l ' istituzione deter­ mineranno quegli aspetti in base ai quali il sistema è normativo32 . .

Se il giocatore di baseball non corre in prima base e l'arbitro in­ terviene, il giocatore si pone il problema della correttezza o scorret­ tezza del suo comportamento, e con ciò, secondo Searle, riafferma implicitamente sia il ruolo generale dell'intenzionalità, sia quello delle regole costitutive33•

32 33

Searle J . R . , La costruzione della realtà sociale , p. 1 67 . Queste considerazioni a l d i là d i qualunque valutazione, sono applicabili al problema dello status del contrattualismo : il "contratto sociale" è una finzione? Un "come-se"? Un elemento reale?

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ITI CONSIDERAZIONI CRITICHE

Ontologia generale e oggetti puramente intenzionali: Husserl Nel precedente capitolo le tesi fondamentali dell ' antologia socia­ le di Searle sono state oggetto di analisi volte a far emergere una se­ rie di nodi problematici . Si tratta ora di prendere in considerazione i più significativi senza essere più vincolati da concomitanti esigenze espositive .

l . n primo nodo cruciale riguarda l'impianto generale del libro e può prendere spunto da un problema che viene accuratamente tenuto ai margini ma la cui soluzione sarebbe a rigore inaggirabile . È davve­ ro neccessario chiedere al lettore di accettare l ' assunzione in blocco della fisica delle particelle e della teoria darwiniana? L' argomento proposto (non possiamo non accettare queste due discipline noi uomi­ ni istruiti di quest'epoca) nella suo relativismo e nel suo tono larvata­ mente autoritario ha come effetto quello di acuire , non certo di soddi­ sfare . l ' esigenza di qualche argomentazione , o almeno di qulche considerazione . Non si tratta naturalmente di mettere in dubbio questi due gioelli della ricerca scientifica, ma semplicemente di non lasciar passare questa applicazione del principio di autorità e di sollevare la questione di quale sia il ruolo che queste due discipline effettivamen­ te svolgono . Diciamo subito che il riferimento alla biologia o alla fisi­ ca delle particelle , o persino alla neurofisiologia non è necessario per fornire un sostegno alla tesi secondo cui l' intenzionalità è ciò che dif­ ferenzia esseri come noi capaci di vita "mentale" dagli alberi o dalle pietre . Anzi , questa è una tesi che non è emersa in biologia e neppure nella neurofisiologia , ma in filosofia e al più nella psicologia e che , anzi , attende ancora riscontri . Ciò che fornisce credibilità a questa tesi è solamente l 'eventualità che si tratti un modo efficace per circoscri­ vere la sfera psicologica: cioè che ciò che distingue , ad esempio , un

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tuffo a mare di un tuffatore dalla concomitante e parallela caduta di un sasso in acqua è che , prima facie, nel primo caso vi è un' intenzione che nel secondo caso manca . Quando poi Searle afferma che l ' inten­ zionalità è un fenomeno biologico vuole solo prevenire una lettura spiritualista dell 'intenzionalità e conseguentemente rifiutare l ' idea che vi sia un' opposizione fra "mondo naturale" e "mondo storico-so­ ciale", non vuol certo dire che ha di fatto mutuato il concetto dalla ri­ cerca biologica. Quanto alla fisica delle particelle , tale disciplina in realtà non ci serve per provare che esistono oggetti ontologicamente oggettivi per­ chè questa prova è stata condotta autonomamente difendendo il "rea­ lismo esterno" . Insomma in tutto il libro non si trova in realtà alcun ri­ ferimento esplicito o implicito a qualche contenuto proprio della teoria darwiniana e della fisica delle particelle se non , implicitamente , per due tesi in realtà molto generali e tutt' altro che peculiari di queste due discipline: l) l' affermazione che la realtà (quantomeno extramen­ tale) è costituita in ultima analisi solo di materia, e quindi che l' imma­ terialità dei fenomeni istituzionali preclude una spiegazione in termi­ ni puramente fisici e 2) l ' affermazione che in natura non esistono cause finali e quindi che il riferimento a scopi , che è contenuto nel concetto di funzione , chiama in causa esseri capaciti di porsi dei fini e identificare dei mezzi. Insomma il riferimento alle due discipline che "non possiamo non accettare come uomini istruiti del nostro tempo" serve a rappresentare una realtà materiale priva di fmalismi interni che rende necessario il riferimento all' intenzionalità nell' interpretazione ontologica dei fenomeni sociali . Dal punto di vista del rigore argomentativo e della trasparenza ra­ zionale , sarebbe dunque stato verosimilmente meglio semplicemen­ te affiancare all' argomento a favore del realismo esterno le classiche argomentazione contro le causa finali , all' interno di un classico di­ scorso filosofico privo di appello all' autorità . A maggior ragione sa­ rebbe stata una strategia vincente se si considera che il rifiuto delle cause finali non solo può essere indipendente dall ' adozione della spiegazione di carattere darwiniano , ma né è addirittura un presuppo­ sto , per quanto poi il successo della spiegazione non finalistica pro­ posta da Darwin consolidi tale rifiuto . In altre parole noi riteniamo che la spiegazione del collo lungo delle giraffe sia la mutazione cau­ sale che ha generato individui con il collo più lungo di altri e la sele­ zione naturale che ha determinato il fatto che solo tali individui sono sopravvissuti e si sono riprodotti trasmettendo ai figli i loro caratteri

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in un ambiente in cui il cibo è più abbonante in cima agli alberi . Non sappiamo se un giorno si troveranno spiegazioni migliori . S appiamo però che questa spiegazione è migliore di quella secondo cui il collo "si allunga" al fine di raggiungere il cibo in alto perché in generale questa seconda spiegazione (fra l' altro) non spiega come si arriva nel tempo all' allungamento , peché ci obbliga ad affrontare la sabbiosa questione di stabilire se e chi si pone i fini o se la parola fine va usa­ ta in modo diverso da quello che vale per un essere personale . La spiegazione dawiniana ci sembra insomma migliore (anche) perché una qualunque spiegazione dei fenomeni naturali che non faccia ri­ corso a cause finali ci sembra in generale (e a parità di altri fattori) migliore di una qualunque spiegazione che faccia ricorso a fmi . Gli aspetti della natura umana rilevanti per l ' antologia sociale sono fondamentalmente , oltre all ' intenzionalità e all ' intenzionalità collettiva, e oltre a uno sfondo di bisogni che resta però praticamen­ te inindagato , la capacità di agire in base a motivazioni indipenden­ ti dal desiderio , il possesso o la capacità di acquisire abilità pratiche e comportamentali pre-intenzionali , ecc . Ma - questa è la conclusio­ ne che vorremmo suggerire - si tratta di elementi che non si legano necessariamente ali ' accettazione di discipline scientifiche particola­ ri e che possono essere introdotti - e peraltro vengono di fatto intro­ dotti da Searle - in modo puramente descrittivo o sulla base di argo­ menti indipendenti e originali . In altre parole , la teoria di Searle sarebbe riproponibile , almeno nei suoi aspetti specifici di teoria del­ la società , anche senza un carico antologico così ampio . 2 . La seconda ipotesi che si deve valutare è se la teoria di Searle non sia compatibile con qualche forma di realismo non solo esterno ma anche critico ("verificazionismo" , nel linguaggio di Searle) . Ri­ consideriamo l ' argomento di Searle contro questa posizione . La tesi del verificazionista , nella ricostruzione che ci propone , ha questa os­ satura: l) Thtto ciò a cui noi abbiamo accesso nella percezione sono i con­ tenuti delle nostre esperienze . 2) La sola base epistemica che possiamo avere per le tesi riguardo al mondo esterno sono le nostre esperienze percettive . Perciò 3) La sola realtà di cui possiamo parlare in modo sen­ sato è la realtà dell'esperienza percettiva . 1

l

Searle , J R . , La costmzione della realtà sociale , p. 194.

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Come abbiamo visto Searle accetta la 2) ma rifiuta la 1 ) , soste­ nendo che la nostra esperienza non è esperienza di esperienze , ma di oggetti di queste esperienze , non della percezione di scrivanie (a meno di una riflessione) ma della scrivania stessa, reale o allucina­ toria che sia . Ne conclude che la 3) è falsa perché ciò su cui faccia­ mo affermazioni e a cui le nostre esperienze ci rivolgono , non im­ porta se in modo corretto o scoretto , s ono gli oggetti della percezione e non gli stati del soggetto percipiente . Il ragionamento è corretto e il rifiuto della l ) è , come abbiamo visto , il marchio di fabbrica delle concezioni intenzionaliste delle mente . Tuttavia esi­ stono forme di "verificazionismo" o meglio di "realismo critico" che rifiutano la l ) per la stessa ragione per cui la rifiuta Searle ma accettano la 2) e l' intero ragionamento modificando la 3) in modo coerente con il rifiuto della 1 ) . In particolare , Husserl , a cui abbiamo già fatto cenno , sarebbe perfettamente d' accordo con il rifiuto della 1 ) , come mostra questo passo delle Ricerche Logiche : I contenuti veramente immanenti , che appartengono alla compagine reale dei vissuti intenzionali , non sono intenzionali: essi costituiscono l ' atto , rendono possibile l ' intenzione come sostegni necessarii , ma non sono essi stessi intenzionati , non sono gli oggetti rappresentati nell' at­ to . Io non vedo le sensazioni di colore , ma le cose colorate , non odo le sensazioni sonore ma il canto della cantante , ecc 2 ..

Uno dei grandi temi della quinta delle sue "ricerche logiche" - da cui è tratto questo passo - è proprio la "trascendenza" dell ' oggetto del "vissuto" intenzionale , nel senso tecnico secondo cui tale ogget­ to non è riducibile a stati intenzionali , i quali sono invece il modo in cui l ' oggetto si manifesta a qualcuno . Così ad esempio se giro intor­ no a una collina , io vedo sempre lo stesso oggetto , sia pure da lati di­ versi, ma ogni singola percezione , nella quale può essere idealmente suddivisa la mia esperienza , è sempre diversa . Ogni singola perce­ zione della collina, se è tale , trascende quindi il dato immediato e si proietta sui lati non visti . Anche nel caso di Husserl si amemtte inol­ tre quanto richiesto dal punto 2) dell ' argomento di Searle , cioè che ogni discorso sensato sul mondo abbia come base epistemica qual­ che stato intenzionale . La compatibilità del rifiuto della l ) e dell ' ac­ cettazione della 2) con un impianto "verificazionista" (sempre nel

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Husserl , Ricerche logiche , Milano , Il s aggiatore 1 968 , Vol . Il , p. 1 64 . ,

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senso di Searle) discende solo da un' ulteriore mossa: la mossa con la quale si richiede che qualunque discorso sensato sulla mondo de­ gli oggetti ("trascendenti") dello stato intenzionale e non riducibili a composizioni di stati intenzionali (come da l ) non sia separato dal modo in cui questi oggetti si rendono accessibili . In altre parole si ri­ chiede che distinzioni come reale/illusorio , ecc . , facciano riferimen­ to comunque a differenze nelle strutture dell ' esperienza a cui si cor­ relano . n difetto nell ' argomentazione di Searle , sta nel pensare che questa correlazione sia per forza una riduzione e che la 2) combina­ ta con la negazione della l ) possa portare esclusivamente al reali­ smo esterno . Invece , semplicemente , ontologia e semantica da un lato , ed epistemologia dall ' altro sono in "intenzionalisti" come Hus­ serl legate a doppio filo , a differenza di quanto accade nella tradizio­ ne post-fregeana a cui Searle appartiene . Per questo l ' analisi dell ' in­ tenzionalità , non ha solo un significato psicologico ma anche filosofico generale : non solo , cioè , perché l ' atto intenzionale prende di mira qualcosa che va al di là di se stesso - quale che sia poi il de­ stino ontologico di questo qualcosa - ma anche perché un mondo "fuori dal nostro mondo" , un mondo per principio al di là della por­ tata di almeno una delle coscienze intenzionali è "un ' assurdità effettiva"3 , un controsenso materiale nel senso tecnico del termine , ossia qualcosa di non contraddittorio logicamente ma concettual­ mente inconsistente esattamente come un colore inesteso nello spa­ zio o un suono senza durata . Se accettiamo questo principio potrem­ mo dunque riproporre l ' operazione di Searle come una descrizione e un' analisi delle esperienze - stati intenzionali collettivi , accetta­ zione di regole costitutive , ecc . - attraverso cui si manifesta la socia­ lità in vista di una comprensione di ciò che è in se stessa , ma senza impegnarsi ancora in questo senso. 3. Se tutte queste considerazioni sono corrette , la distinzione fra mondo materiale e mondo umano quale Searle ce la propone potreb­ be dunque essere ricompresa all ' interno di un impianto molto meno impegnativo dal punto di vista degli impegni ontologici e molto più trasparente dal punto di vista argomentativo : non richiederebbe più

3

"Possibilità logica ed assurdità effettiva di un mondo fuori dal nostro mondo" è il titolo dell ' importantissimo paragrafo 48 di Ideen I di Husserl . Cfr. Husserl E . , Idee per una fenomenologia pura ed una filosofia fenome­ nologica , Libro Primo , Torino , Einaudi, 1 970 , pp . 105- 1 0 6 .

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l ' assunzione della fisica delle particelle e simili , ma solo argomen­ tazioni a favore de11la correlazione fra realtà ed esperienza, argo­ mentazioni contro le cause finali (nella sfera extraintenzionale) , ar­ gomentazioni anti scettiche e antirelativiste e per il re sto le distinzioni puramente descrittive fra fenomeni intenzionali , fra tipi di funzioni , ecc . , che già troviamo nel testo ma che ora si ripropor­ rebbero non appesantite da oneri ontologici . È evidente che una si­ mile scelta indebolirebbe la teoria dal punto di vista del contentuo ma la rafforzerebbe dal punto di vista fondazionale e farebbe de La costruzione della realtà sociale un libro più autosufficiente . Avreb­ be tuttavia anche il vantaggio di rendere il discorso neutrale dal pun­ to di vista dei presupposti che le scienze sociali assumono ( consape­ volmente o non consapevolmente) dalla filosofia della mente . È noto che un pezzo consistente della sociologia , ad esempio , fa ricor­ so a spiegazioni mentalistiche , cioè c aratterizzate dal ricorso a "rap­ presentazioni" , "intenzioni" , ecc . , degli attori sociali . Questo tipo di spiegazione ha del resto dalla sua una tradizione veneranda che ha fra i suoi più illustri esponenti Max Weber. D ' altro c anto anche nell ' ambito sociologico si sono sentiti gli effetti di tanti anni di avanzamenti nello studio della fisiologia del cervello e anche qui quindi si sono affacciate posizioni di c arattere "riduzionista" o eli­ minativista" . Come noto , secondo queste posizioni il livello menta­ le va ridotto al - o eliminato a favore del - livello neurofisiologico . In altre parole la spiegazione ontologicamente corretta di un feno­ meno sociale sarebbe in ultima analisi da rintracciarsi in processi che avvengono nel cranio degli attori sociali mentre le spiegazioni mentalistiche indicherebbero al più il modo in cui questi processi si rivelano agli attori stessi. S appiamo che le spiegazioni mentalistiche presentano problemi molto spinosi , mentre quelle riduzionistiche hanno il principale di­ fetto di mostrarsi "controintuitive" , esattamente come la tesi che so­ stiene che non sono gli astri a muoversi , ma la terra a ruotare su se stessa. Se però accettiamo l ' idea di indebolire la teoria nel modo in­ dicato un altro vantaggio indubbio sarebbe una maggiore , se non to­ tale , neutralità rispetto alle varie opzioni di filosofia della mente e alle loro ricadute nell ' ambito delle scienze sociali . Infatti , possiamo ben sostenere che la c aratteristica attraverso cui riconosciamo , iden­ tifichiamo , individuiamo , un fatto istituzionale è che esso è relativo agli stati intenzionali , che "essere il presidente" della repubblica si­ gnifica prima facie "essere trattato come il presidente della repub-

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blica" . Ciò non significa però né affermare né negare che questo "essere trattato come" sia un fatto mentale irriducibile ai concomi­ tanti processi cerebrali o all ' interazione cognitiva dei processi cere­ brali di diversi attori . Come abbiamo visto , parlare di "ristoranti , "camerieri" , ecc . , significa per Searle avanzare una pretesa antifisi­ calistica . Tale pretesa non va necessariamente intesa in un senso for­ te , ma anche in un' accezione più debole . Siamo cioè antifisicalisti perché riteniamo che non si possa ridurre il ristorante alle caratteri­ stiche fisiche dell ' edificio , pur non escludendo che il fenomeno "ri­ storante" sia riducibile a qualcosa che ha luogo all ' interesezione fra fenomeni fisici e fenomeni neurofisicologici . In questa interpretazione prudenziale , la filosofia di Searle avreb­ be attirato l ' attenzione sui fenomeni cognitivi necessari alla costitu­ zione dei fenomeni sociali prima di ogni decisione relativa al pro­ blema mente-cervello . Il riferimento al nostro "trattare qualcuno come presidente" significa solo affermare che qualunque sia la spie­ gazione o l' interpretazione antologicamente corretta dei fatti socia­ li essa deve essere spiegazione o interpretazione antologicamente corretta di fatti quali appunto "l ' essere trattato come" , o quali "il no­ stro eseguire un gioco di passaggi a football" , ecc . Con ciò l' antolo­ gia sociale di Searle diverrebbe una fenomenologia del mondo so­ ciale meno problematica dal punto di vista fondazionale e molto più ampiamente accettabile nella ricchezza dei suoi spunti insieme ad ogni altra analisi dell ' intenzionalità collettiva compiuta anche da al­ tri autori . Il compito che assolverebbe Searle cioè non sarebbe tanto quello di mostrare gli effettivi costituenti ultimi del mondo sociale , ma quello di descrivere/i e classificarli correttamente per come si presentano nel mondo che ci sta intorno , un problema tutt' altro che secondario - per ripetere quanto accennato nell ' introduzione - spe­ cie in discipline nelle quali vi sono controversie relative allo status , al metodo e persino al tema della ricerca.

Gli oggetti intenzionali secondo lngarden La nozione di "oggetto puramente intenzionale" , di un oggetto , cioè , che esiste solo in quanto è inteso , è una nozione che compare per la prima volta proprio nella tradizione fenomenologica e trova il suo più acceso sostenitore in Roman Ingarden . L' analisi di Ingarden converge almeno per alcuni aspetti con quella di Searle , ma non su-

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pera , appunto , il livello delle considerazioni fenomenologico-de­ scrittive . Un "oggetto puramente intenzionale" - e l'esempio forse più felice fatto dall ' autore è quello del brano musicale - è innanzi­ tutto un oggetto non-indipendente da ciò che gli attribuisce la sog­ gettività intenzionale . Ciò che ascoltiamo durante un concerto cessa di essere una mera sequenza di fenomeni sonori , o un segnale ad esempio del fatto che il concerto stesso , inteso come evento , è ini­ ziato , e diviene opera d' arte musicale solo se i soggetti lo intendono come tale , ossia solo se assumono nei suoi confronti un determinato atteggiamento che dovrà essere descritto in modo analitico . A diffe­ renza degli oggetti reali , l ' opera musicale non è appunto nulla di fi­ sico , ma nello stesso tempo non è neppure un oggetto ideale come un numero cardinale , dato che ha un inizio nel tempo (e nel caso del­ le istituzioni , almeno finora , anche una fine) . Nello stesso tempo l ' opera non è riducibile ai vissuti intenzionali del suo creatore e nep­ pure a quello di ciascuno dei suoi singoli ascoltatori . Tanto è vero che esiste anche quando il suo creatore è morto e anche quando non viene ascoltata , e si ripresenta identica a ognuno di essi in ciascuna esecuzione (tutti ascoltano sempre e solo la settima sinfonia di Bee­ thoven sia pure "in" esecuzioni diverse) . Perciò essa è pubblica e intersoggettiva. Nello stesso tempo , tuttavia , essa, come un fatto re­ lativo all ' intenzionalità deve avere un sostrato reale che la fonda (nel caso di un' opera musicale appartenente alla nostra tradizione , que sto sostrato reale è fornito dalla partitura) . Si può ritenere che il lavoro di Ingarden abbia un aspetto troppo descrittivo-classificatorio , mentre quello di Searle sia più robusto dal punto di vista esplicativo , ma la sua affermazione che Dio non potrebbe vedere dei cacciavite , bensì solo noi che usiamo qualcosa come un cacciavite mette duramente in crisi non tanto l ' oggettività epistemologica dei fatti sociali quanto l' idea che tale oggettività non resti comunque confinata entro la sfera puramente psicologica. L' opera in cui Ingarden propone queste riflessioni4 è interessan­ te , alla luce delle considerazioni proposte nel paragrafo precedente , proprio perché richiede una serie di presuppo sti generali molto meno specifici di quelli di Searle . Ma anche a livello di contenuti è in grado di fornire integrazioni intere ssanti . Ad esempio , come mai l ' identità di un ' opera si pre serva nonostante la varietà delle sue 4

Ingarden R . , L 'opera musicale e il problema della sua identità , Pale1mo , Aaccovio , 1 966.

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esecuzioni? Le esecuzioni sono senz ' altro simili fra loro , ma noi di­ ciamo che sono esecuzioni diverse della stessa opera . Abbiamo qualche buona ragione per farlo? L' abbiamo se riteniamo che l ' o­ pera abbia al suo interno dei "punti di indeterminatezza" . In un ' o­ pera della nostra tradizione , ad esempio , sono perfettamente deter­ minate le altezze dei suoni , anche se in realtà s ono amme sse oscillazioni dovute alle diverse accordature degli strumenti . n tim­ bro è determinato ma solo quanto al genere (l ' indicazione dello strumento , ma non del timbro che deve specificamente avere) . La durata relativa delle note è in parte determinata e in parte lasciata alla capacità espressiva degli interpreti ("ritardando" , ecc .) , e così via . La parziale indeterminazione è quindi un ulteriore fattore di di­ stinzione degli "oggetti puramente intenzionali" da quelli reali e concreti che sono (almeno nella tradizione filosofica prevalente) pienamente determinati . Ma questa è una prospettiva che si può proiettare anche sugli og­ getti istituzionali di Searle nei termini della maggiore o minore com­ pletezza delle regole costitutive e quindi del maggiore o minore nu­ mero di "punti di indeterminazione" delle funzioni di status . Abbiamo osservato che la funzione di status non ha come sua con­ dizione sufficiente determinate proprietà causali dell ' oggetto fisico a cui viene assegnata la funzione , e che dunque la sua determinatez­ za si basa unicamente sul fatto che l ' intenzionalità collettiva " sostie­ ne" continuativamente lo status e obbedisce alle regole costitutive che definiscono la funzione stessa. Ma allora anche in Searle posso­ no esistere "punti di indeterminazione" legati all ' incompletezza (nel senso logico del termine) delle regole costitutive . Anzi , questi punti esistono e sono quelli messi in luce dalla "logica dei fatti istituzio­ nali" . Come abbiamo visto , infatti , il principio del terzo escluso fra poteri positivi e negativi (o si ha la facoltà di fare qualcosa o non si ha la facoltà di farla , ovvero o si ha una facoltà o un obbligo) vale solo all ' interno dell ' operatore di accettazione , che , nel caso delle funzioni di status , è (anche) accettazione di regole costitutive . Tutto il resto rappresenta proprio un insieme di punti di indeterminatezza nel senso di Ingarden. Ma ciò non significa che tutto ciò che risulta indeterminato dalle regole costitutive risulti nello stesso tempo so­ cialmente o politicamente indifferente . Non è indifferente ad esem­ pio il modo in cui un presidente della Repubblica interpreta la sua facoltà di rimandare una legge alle camere , o anche semplicemente di mandare il suo messaggio al paese a fine anno . La prospettiva di

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Searle , come spesso accade nell ' ontologia, è essenzialmente statico­ classificatoria , non cerca cioè di catturare i fenomeni socio-politici nella loro dinamica concretezza storica. L' introduzione di una no­ zione affine a quella di "punto di indeterminatezza" e il confronto con i modi in cui si determina darebbe invece un contributo in que­ sta direzione , esattamente per la stessa ragione per cui in Ingarden permette di aprire la riflessione ontologico-generale alla storia del­ l' interpretazione musicale , cioè delle esecuzioni concrete delle ope­ re , senza però uscire dall ' ambito ontologico-fondazionale e teorico­ generale .

Intenzionalità collettiva e fatti sociali l . Un passaggio notevolmente problematico in Searle è quello relativo alla caratterizzazione dell ' intenzionalità collettiva e alla definizione di fatto sociale che ne discende . La nozione , infatti , non è mai del tutto chiara . Nessuna analisi da lui tentata viene dichiara­ ta conclusiva e lo spazio dedicato a questo tipo di intenzionalità è incommensurabilmente meno ampio di quello dedicato a nozioni sulla carta anche meno basilari: fondamentalmente quattro pagine e qualche riga in La costruzione della realtà sociale e , in precedenza , solo un breve articolo del 1 990 dal titolo "Collective Intentions and Actions"5 , salvo alcune osservazioni di pass aggio in scritti poste­ non . Quanto alla mancanza di chiarezza, già le descrizioni di massima del fenomeno fanno uso di espressioni che non sono meno vaghe di quelle che vorrebbero illuminare . Per parlare di intenzionalità col­ lettiva , secondo Searle , si richiede , che gli attori abbiano un com­ portamento cooperativo (cooperative behavior)6 e addirittura , come abbiamo visto nel primo capitolo , che condividano (share) stati in­ tenzionali . Ma cosa si intende con "cooperativo" e soprattutto che cosa si intende con un 'espressione così ontologicamente impegnati­ va come "condivisione di stati intenzionali"? L' esigenza di un chia­ rimento è tanto più cogente se si considera che a fronte di questi po5

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Searle J .R . , "Collective Intentions and Actions" , in P. Cohen, J. Morgan , M . E . Pollack. (a c . di) , Intentions in communication , Cambridge (Ma) , 1 990 , MIT Press . Searle J. R . , La costmzione della realtà sociale , p. 25 .

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chi cenni la nozione di intenzionalità collettiva ha ricevuto una notevole attenzione nel panorama filosofico angloamericano e altri autori hanno proposto analisi estese di molte delle nozioni che risul­ tano dalla sua analisF . Searle parla poi di rapporto intero-parti . Ma in che senso un ' in­ tenzionalità individuale può essere detta parte di un ' intenzionalità collettiva e che tipo di relazione la lega alle altre parti di questo tut­ to sociale ? Infine Searle dice anche che nei casi di intenzionalità collettiva il mio stato intenzionale individuale è derivato dalla we­ intention che condivido con gli altri8 • Ma questa affermazione non ci mette in una posizione migliore . Che cosa significa, infatti , "deriva­ re" nel caso di rapporti tutto-parti fra due stati intenzionali , di cui quello da cui l ' altro deriva è , per di più , "collettivo"? 2. Alla vaghezza e alla sommarietà delle analisi si aggiunge la compresenza di due ordini di vincoli apparentemente antitetici . Da un lato Searle intende far valere i requisiti dell ' individualismo me­ todologico nell ' analisi del mondo sociale e addirittura del solipsi­ smo metodologico nell ' analisi dell ' intenzionalità. Una ricostruzio­ ne del mondo sociale deve quindi muoversi nel presupposto che le uniche entità ammissibili siano gli individui e i loro stati , il ché com­ porta, ovviamente , l'esclusione di entità soggettive collettive e l' af­ fermazione decisa che ogni stato intenzionale è stato di un indivi­ duo9 . Addirittura - e questo è il portato del requisito del solipsismo - nell ' analisi di questi stati intenzionali individuali non si può pre­ supporre l ' esistenza di ciò che uno stato intenzionale rappresenta, e quindi , nel caso dell ' intenzionalità collettiva , neppure l ' e sistenza degli altri attori : se io e i miei amici spingiamo un auto in panne , l ' a­ nalisi della mia we-intention "noi spingiamo la macchina" deve es-

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Il tema dell 'intenzionalità collettiva non è affatto ristretto a Searle e ai suoi critici . Come è noto si sono occupati di questo tema in modo origina­ le studiosi come Raimo Tuomela, Michael Bratman , Margaret Gilbert , ecc . , solo per citare i più famosi . Per un primo inquadramento del proble­ ma si veda la voce "Collective intentions" della Internet Encyclopedia of Plzilosoplzy (http : //www.iep .utm .edu/coll-int/) o l ' analoga voce della Stanford Encyclopedia of Philosoplzy (http ://plato .stanford .edu/entries/ collective-intentionality/) . Searle J. R . , La costrnzione della realtà sociale , p . 25 . Searle J. R . , La costrnzione della realtà sociale , p . 25 .

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sere del tutto indifferente persino all ' eventualità che i miei amici , la macchina , la strada e il resto siano pure allucinazioni10• D ' altra parte , mentre fa valere questo individualismo-solipsismo metodologico , Searle sostiene che l ' intenzionalità collettiva è un fe­ nomeno biologicamente primitivo , e in particolare irriducibile a in­ tenzionalità individuali collegate a credenze relative agli stati al­ trui11 . Così , ad esempio , il "noi spingiamo insieme l ' automobile" non può essere scomposto in un "io spingo" , "tu spingi" , "io so che tu sai che anche io spingo" , ecc . Tutte queste credenze , infatti , pos­ sono , secondo Searle , aggiungere alla situazione consapevolezza, ma non collettività12: n problema del mio credere che tu creda che i creda , ecc . , e del tuo credere che io creda che tu creda , ecc . , è che non viene mai ad ammon­ tare ad un senso di collettività . D controesempio più efficace che Searle ci presenta contro una

concezione riduzionista-sommativa di questo tipo - che tenti cioè di ricondurre l'intenzionalità collettiva a quella individuale - è quello degli ex-studenti di una business school liberista nella quale si inse­ gna che solo perseguendo il proprio interesse egoistico si concorre alla ricchezza dell'umanità . Divenuto uomo d' affari , ciascun singolo ex studente cerca di mettere in pratica questo insegnamento ; ciascun ex studente crede , inoltre , con ottime ragioni , che ciascun altro ex stu­ dente stia facendo altrettanto ; ciascun ex studente crede che ciascun altro ex studente sappia che cosa ogni altro ex studente , lui incluso , sta facendo , e così via . Non ne segue però , secondo Searle , che questi at­ tori sociali abbiano l 'intenzione collettiva di fare il bene dell'umanità perseguendo il proprio interesse egoistico . Se ci fosse stato invece un giuramento in questo senso il giorno della laurea - osserva Searle - gli imprenditori avrebbero davvero cooperato - sia pure attraverso atti concorrenziali - in vista di uno scopo non solo uguale per ciascuno , e noto come tale , ma davvero comune . Almeno nel caso delle azioni , il momento della cooperazione ascritto alla we-intention consiste dun­ que per Searle nel mirare ad almeno uno scopo non solo identico , ma anche pienamente condiviso , e il problema diviene quindi quello di

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Searle J .R . , Collective Intentions and Actions , pp. 407-408 . Searle J . R . , La costmzione della realtà sociale , p. 24 . Searle J . R . , La costmzione della realtà sociale , p . 24 .

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stabilire che cosa sia la condivisione dello scopo e in cosa si differen­ zi dalla mera coincidenza dello scopo . 3 . La tensione che si crea fra solipsismo metodo logico e irriduci­ bilità dell ' intenzionalità collettiva, almeno nella sua forma più vi­ stosa , è , secondo Searle , solo apparente . Come precisa in anni suc­ cessivi , la "collettività" di uno stato intenzionale non va ascritta al suo "portatore" (alla "sostanza" che ha quello "stato") , ma al suo contenuto (intendendo la parola "contenuto" nel senso più generico possibile) . Uno stato intenzionale è cioè collettivo perché esibisce al suo interno un rimando ad altri soggetti che lo condividano , a pre­ scindere quindi dal fatto che questo rimando trovi riscontro o meno nella realtà. n collettivo sociale effettivo consiste interamente di attori individua­ li dotati di intenzionalità collettiva nelle loro menti , e da nulla di più . Dal punto di vista epistemologico [ . ] potrei avere quanta intenziona­ lità collettiva voglio nella mia testa ed essere tuttavia radialmente in er­ rore . Il fatto che io abbia una we-intention non implica di per se stesso che altre persone la condividano o che ci sia un "noi" a cui la mia inten­ zione si riferisce13 . .

.

L' individuo che spinge la macchina insieme ad altri con l ' inten­ zione di portarla fino ad un parcheggio ha lo stato "noi spingiamo insieme la macchina fino ad un parcheggio" , che è interamente con­ finato nella sua soggettività individuale . Se gli altri non esistono , o se esistono ma fanno solo finta di spingere , o ancora , se esistono , spingono davvero , ma lo fanno solo per fare - poniamo - esercizio fisico , allora lo stato intenzionale collettivo (individuale) in questio­ ne è illusorio o allucinatorio , esattamente nel senso in cui può esser­ lo un' intenzione non collettiva. Come possiamo allora conciliare , alla luce di questa precisazio­ ne , irriducibilità da un lato e individualismo-solispismo metodologi­ co dall ' altro? Secondo Searle basta comprendere che tale irriducibi­ lità non è una proprietà del fenomeno collettivo , bensì solo dello stato intenzionale (individuale) collettivo . La tesi antiriduzionista di Searle può essere riformulata in modo compatibile con l ' individua13

Searle J . R . , Responses to Critics of Tlze construction of Social Reality , "Philosophy and phenomenological Research" , 1 997 , LVII/2 : 449-45 8 , pp . 449-450.

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lismo e il solipsismo metodologico in questo modo : uno stato inten­ zionale individuale collettivo non può essere risolto in un qualsivo­ glia complesso di stati intenzionali individuali singolari . Le stesse caratterizzazioni delle we-intention come interi di cui le intenzioni singolari sono parti derivate vanno intese come descrizioni della struttura mereologica interna degli stati di un individuo . Se questa è la soluzione , Searle dovrebbe allora ammettere che la definizione di fatto sociale presente ne La costruzione de la realtà sociale deve essere resa coerente con le riflessioni posteriori . Il solo "chiamare in causa" un ' intenzione collettiva si rivela ora una condi­ zione non sufficiente di socialità, giacché è sempre possibile che l ' individuo si inganni circa la presenza di altri e circa la condivisio­ ne delle intenzioni: nessuno potrà ragionevolmente chiamare fatto sociale il fatto che qualcuno in preda al delirio creda di spingere un ' automobile insieme ad altri mentre in realtà sta perdendo i sensi in un deserto infuocato . Tuttavia potremo dire che ogni fatto sociale "chiama in causa" un' intenzione collettiva soddisfatta , un' intenzio­ ne le cui condizioni di soddisfazione hanno trovato riscontro effetti­ vo: nel caso dell ' automobile per avere un fatto sociale basta che tut­ ti c oloro che sono pre s entati c ome cooperanti e s i s tano effettivamente ed effettivamente cooperino nello spingere la mac­ china . Potremmo insomma ammettere , se concediamo a Searle quanto osservato fin qui , che un ' intenzione collettiva soddisfatta sia condizione sufficiente di socialità . 4. I chiarimenti di Searle, opportunamente trattati , portano la no­ zione di intenzionalità collettiva ad un grado di robustezza maggiore di quello che può risultare dai pochi cenni de La costruzione della re­ altà sociale . Tuttavia basta allargare appena l ' orizzonte per ritrovare i termini fondamentali dei problemi già messi sul tappeto . In "Collecti­ ve Intentions and Actions" del 1 990 si afferma che lo stato intenzio­ nale collettivo contraddice l' idea cartesiana dell 'indubitabilità dell ' au­ toattribuzione . Se gli altri fingono di spingere la macchina, io non mi inganno solo sulle azioni e sugli stati intenzionali degli altri , ma mi in­ ganno anche sul senso di quel che sto facendo , ossia sul mio stato in­ tenzionale , giacché mentre sono nello stato "io spingo come parte del nostro spingere" in realtà spingo e basta . Se questo è vero , allora l'in­ tenzionalità collettiva appartiene a quel tipo di stati soggettivi che sono indicati dai cosiddetti verbi "di successo" o di "conseguimento" come , paradigmaticamente , il verbo "sapere" . Come è noto , mentre

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nel caso di una conoscenza falsa ha senso dire "credevo di sapere" , nel caso di una convinzione falsa non ha senso dire "credevo di crede­ re" . A differenza del "credere" il "sapere" implica la verità di ciò che si sa e per questo la possibilità dell' errore nell' autoattribuzione . Ma perché la possibilità dell 'errore sussiste anche per le we-intention ? Su questo Searle tace ma la risposta più ragionevole è che una we-inten­ tion esattamente , come uno stato epistemico quale il sapere , ha impli­ cazioni relative alla realtà fra cui quelle relative all ' esistenza degli al­ tri e ai loro stati intenzionali collettivi e individuali . Ma se è così le tesi del 1 990 dovrebbero essere meglio conciliate con le precisazioni del 1 99714• In queste ultime , proprio per difendere la possibilità di un' a­ nalisi metodologicamente solipsistica, la mancanza di riscontri allo stato intenzionale individuale collettivo elimina dalla scena il fatto so­ ciale - l' esistenza del collettivo - ma non sembra eliminare lo stato in­ tenzionale collettivo stesso . Nell ' articolo del 1 990 invece , laddove vi è da insistere sull ' irriducibilità , si afferma a chiare lettere che la man­ canza di riscontri , e la conseguente insussistenza del fatto sociale , to­ glie allo stato intenzionale la sua condizione di stato intenzionale in­ dividuale collettivo . Per risolvere questo problema possiamo ragionevolmente soste­ nere che la rappresentazione del collettivo , ossia del soggetto dell ' a­ scrizione di intenzionalità collettiva - reale o allucinatoria che sia deve precedere l ' ascrizione stessa? Possiamo cioè cavarcela dicendo che uno stato intenzionale è collettivo quando il soggetto si rappre­ senta una collettività , un "noi" , prima e indipendentemente dallo stato intenzionale collettivo in questione? Muoversi in questa dire­ zione significa incontrare un ulteriore problema. Innanzitutto , su che base possiamo parlare di un "noi" o di un "loro" se non per il fat­ to che alcuni individui manifestano qualche forma di azione , cre­ denza, desiderio , ecc . , collettivo? Fra il we e la we-intention sembra delinearsi dunque una qualche circolarità . In realtà , nel suo articolo del 1 990 Searle fornisce delle indicazioni che cercano di spezzarla chiamando in causa capacità cognitive (minimali) . Per agire collet­ tivamente noi dobbiamo avere (anche) la capacità biologica di riconoscere le altre persone come significa­ tivamente simili a noi . . . [e] . . .un senso pre-intenzionale dell '"altro" qua-

14

Searle J . R., Responses to Critics oj Tlze construction oj Social Reality, p. 450 .

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le agente attuale o potenziale in attività cooperative , come lo siamo noi stessi15 . Questo senso pre-intenzionale addirittura definisce i confini del collettivo

n comportamento collettivo incrementa sicuramente il senso degli altri come attori cooperativi , ma questo senso può esistere senza alcuna intenzionalità collettiva e - cosa ancora più interessante - l 'intenziona­ lità collettiva sembra presupporre qualche livello di senso di comunan­ za prima di poter f1mzionare . 16 Quest'ultimo fattore si attualizza sempre come capacità di assu­ mere identità di gruppo più o meno ampie:

La squadra di football ha un senso di "noi contro di loro" e ha que­ sto senso sullo sfondo di un senso del più ampio "noi squadre che di­ sputano la partita"17. Anche i n questo caso c i ritroviamo, tuttavia, con considerazioni sproporzionatamente esigue rispetto alla complessità del problema (nel testo non vi è nulla di sostanziale in più rispetto a quanto riporta­ to dalle citazioni) e le capacità cognitive, pur menzionate, restano non analizzate. Risulta quindi innanzitutto difficile stabilire con chiarezza di cosa si parla, soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra

we-intention .

we

e

Di certo, ancora una volta, laddove il problema è mo­

strare l'irriducibilità, sembra ribaltata la tesi del 1 997 in base a cui sono le intenzioni collettive, se soddisfatte, a creare il collettivo - la tesi cioè più compatibile con il solipsismo metodologico e la centrali­ tà degli atti intenzionali individuali. Espressioni come "senso della comunità" aggiungono vaghezza a vaghezza. Ma qualunque interpre­ tazione se ne offra, resta da chiedersi se il circolo è stato spezzato o se, nonostante il ricorso alla pre-intenzionalità, non rimanga comunque problematico supporre un "senso della collettività" anteriore a qual­ che evento intenzionale collettivo, sia pure minimale. Si aggiunge peraltro un problema altrettanto interessante per una "fenomenologia" del mondo sociale. Possiamo assegnare davvero

15 16 17

Searle J .R . , "Collective Intentions and Actions", p . 4 1 3 . Searle J .R . , "Collective Intentions and Actions", p . 4 1 3 . Searle J .R . , "Collective Intentions and Actions", p . 4 1 4 .

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ad uno sfondo pre-intenzionale l ' esperienza e il riconoscimento dell ' altro come soggetto potenzialmente o attualmente cooperativo? Si può certo concedere che questo riconoscimento non sia uno stato intenzionale collettivo . Ma si può ammettere che non sia uno stato rappresentazionale - e quindi intenzionale - di alcun tipo? Siamo in una foresta e vediamo qualcosa che si muove . Osserviamo con at­ tenzione e riconosciamo un uomo fra le piante mosse dal vento . Op­ pure , tanto per variare un celebre esempio di Husserl , in un museo delle cere ad un certo punto una figura immobile si mette in movi­ mento e riconosciamo , al posto di un manichino , l ' elettricista che si rialza dopo aver riparato una presa. Su che base sostenere che que­ ste sono esperienze non intenzionali o non pienamente intenzionali? In assenza di indicazioni esaurienti l ' idea di un senso pre-intenzio­ nale dell' altro resta poco più che una strada da esplorare , ma non certo una soluzione al problema del rapporto fra we e we-intention . In generale , si avverte in Searle una mancanza di attenzione per gli aspetti cognitivi delle interazioni fra individui - una lacuna nascosta ma non colmata dalla dichiarazione della loro insufficienza a creare socialità e dagli scopi "antologici" e non "epistemologici" che l ' au­ tore si è posto . In particolare , però , la questione del "senso del noi" fa emergere l' assenza di una filosofia dell ' empatia intesa come af­ ferramento dell ' altro come "potenziale cooperatore" e del senso del suo comportamento e delle sue espre ssioni18 • Se questi problemi affliggono la nozione di intenzionalità colletti­ va dall' interno , una ulteriore serie di questioni nasce se si allarga il quadro e si considera il ruolo che le viene assegnato nell' impianto globale dell' antologia sociale . In particolare c ' è da dubitare che essa sia in grado di fornire una definizione materialmente adeguata della nozione di fatto sociale . Uno degli elementi caratteristici del dibattito è che Searle tiene saldamente in mano la palla semantica , monopoliz­ zando la scelta di cosa debba contare come we-intention o meno , e quindi controllando di fatto l ' ambito degli esempi e dei controesempi ammissibitil9 • Forte di questo monopolio , come abbiamo visto , quan18

19

Per lo sviluppo di questi e di altri temi sia consentito il rimando a Mira­ glia R. "Osservazioni per una fenomenologia delle we-intention: cono­ scenza pubblica e azione collettiva" , Rivista di estetica , n . s . , 39 (3/2008) , Anno XLVIII, pp . 1 7 1 - 1 87 , saggio sulla cui parte analitica si basano que­ ste pagine . Searle nella sua definzione di fatto sociale segnala che sta introducendo una stipulazione tenninologica (cfr. supra) . Ma propone comunque la sua

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to più rivolge esempi contro le teorie riduzioniste , tanto più aumenta il carico semantico , chiedendo via via non solo qualche forma di co­ ordinamento , ma anche cooperazione e poi addirittura comunanza di scopo o di stati intenzionali , "senso della collettività" , ecc . Si aggiun­ ga una visione dicotomica per cui o si hanno intenzioni collettive in senso pregnante oppure non si hanno affatto . Non ne risulta forse un vincolo inaccettabilmente restrittivo posto all' ambito dei fatti che po­ tremmo legittimamente chiamare sociali? Un concetto così impegna­ tivo di we-intention probabilmente non catturerebbe neppure la tota­ lità degli impieghi appropriati della prima persona plurale che non sempre implicano uno scopo comune , come nel caso di fenomeni di odio , antipatia, ecc . . Ci troveremmo inoltre nella condizione di dover dichiarare non sociali fatti come l' evitarsi di due ciclisti o lo scansar­ si reciproco di pedoni che camminano su un marciapiede in direzioni opposte , ecc . Dovremmo dichiarare non sociale - stando all' esempio di Searle - l'interazione degli ex-studenti della business school nel quadro dell ' economia del pianeta o del mercato in cui operano - da lui esplicitamente escluso dai casi di intenzionalità collettiva - e ogni fenomeno di massa non intenzionalmente coordinato come l 'esodo degli abitanti di una città verso il mare nei fine settimana o la disaffe­ zione diffusa degli elettori verso il voto . Abbiamo trovato ragioni per dubitare che l' intenzionalità collettiva sia una condizione sufficiente di socialità . Ci sono ragioni forse ancora più stringenti per dubitare che sia necessaria , pur essendo evidentemente importante . La nozio­ ne di we-intention risulta insomma mal sopportare , in Searle, le solle­ citazioni che le derivano dalla tripla necessità a cui è sottoposta: l ) soddisfare i requisiti del solipsismo metodologico e dell' individuali­ smo , 2) precludere ogni interpretazione riduzionisitica e "sommati­ va" e 3) permettere una definzione adeguata di fatto sociale .

Sociologia e ontologia : Durkheim e Weber l . Subito dopo aver ribadito la tesi che un fatto sociale è un fatto che chiama in causa l' intenzionalità collettiva, Searle aggiunge :

teoria come una teoria che vuole rendere conto dei fatti sociali nel senso usuale del termine e la sua definizione non può quindi differire troppo da questo senso .

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Questa tesi appare in forme differenti in tre teorici della società: Émile Durkheim, Georg Simmel, Max Weber. Sebbene tali autori non usassero il mio lessico e sebbene essi non avessero una teoria del­ l ' intenzionalità , credo che abbiano formulato questa tesi (se pure nel vocabolario del diciannovesimo secolo) . La domanda che questi autori non hanno formulato (e sono ora io a formulare) è , invece , la seguente: Come si passa dai fatti sociali ai fatti istituzionali ?20

Si tratta degli unici sociologi citati e sono evidenti tre punti. In pri­ mo luogo Searle ha la pretesa di aver fornito un impianto che coglie quel che vi è di comune (e di vero) in autori per molti aspetti contrap­ ponibili come Durkheim e Weber. In secondo luogo questo stesso im­ pianto permette - secondo Searle - di formulare e approfondire que­ sta tesi "in un linguaggio più adeguato" . In terzo luogo Durkheim e Weber vengono accusati di non aver saputo rendere conto delle dif­ ferenze fra fatto sociale in generale e fatto sociale istituzionale . Cominciamo dal secondo punto: quali sono gli elementi di novi­ tà che Searle rivendica per sé pur nella continuità con la riflessione classica della sociologia? Purtroppo l ' autore ci fornisce un' unica in­ dicazione che tuttavia , letta in filigrana , fornisce comunque una traccia piuttosto precisa: Noi abbiamo un grande debito con i grandi filosofi-sociologi del XIX secolo e dell' inizio del XX - penso a Weber, Simmel e Durkheim - ma dalla frequentazione che ho della loro opera mi sembra che essi non fos­ sero nella posizione di rispondere alle domande che per me sono proble­ matiche , dal momento che essi non avevano gli strumenti necessari . Ciò significa che , senza addebitare loro nessuna colpa , essi erano privi di una teoria adeguata degli atti linguistici , dei performativi , dell' intenzionalità collettiva , del comportamento governato da regole , ecc .2 1

Tolta l 'intenzionalità collettiva questo elenco di lacune può rica­ dere sotto un unico titolo generale : filosofia della mente e filosofia del linguaggio . Ai sociologi classici evidentemente Searle attribuisce una serie di lacune dovute all ' impossibilità di reperire , ai tempi, gli strumenti per rendere conto del ruolo costitutivo del linguaggio e de­ gli atti linguistici e una psicologica cognitiva largamente insufficien-

20

21

Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , in AA . VV. , Ontologia sociale, potere deontico e regole costitutive , a cura di Di Lucia P. , Mace­ rata , Quodlibet , 2003 , pp . 27-44 , p. 30 . Searle J . R . , La costmzione della realtà sociale , p . 4 .

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te . L' intenzionalità , e in particolare l ' intenzionalità collettiva anch' esse da aggiungersi all' elenco delle incolpevoli mancanze - non rientra nel quadro perché può essere non linguistica e generare fatti sociali come la battuta di caccia di un branco , nella quale non inter­ vengono fenomeni linguistici . Ma questa circostanza è perfettamen­ te coerente con il quadro che stiamo proponendo . Anzi ci fornisce la chiave per comprendere il secondo punto . Il ruolo del linguaggio e degli atti linguistici in generale è ineludibile , come abbiamo visto nei precedenti capitoli , non per i fatti sociali in generale , bensì per i fatti sociali istituzionali . Essi sono dipendenti non solo dall ' intenzionali­ là in generale , ma in particolare dal linguaggio , dato che , come ab­ biamo visto , devono essere pubblicamente identificabili in assenza di contrassegni oggettivo-causali sufficienti . Da qui dunque , verosimil­ mente , la ragione profonda per cui Searle ritiene che alla sostanziale capacità di cogliere cosa sia un fatto sociale in generale - sia pure senza aver elaborato una teoria dell ' intenzionalità collettiva - in We­ ber e in Durkheim non si accompagni un' altrettanto soddisfacente capacità di cogliere la natura dei fatti istituzionali . Se a questo si ag­ giunge che nell ' elenco delle lacune compare anche l ' assenza nei classici di una teoria di cosa significhi seguire una regola, e se si con­ sidera che i fatti istituzionali sono caratterizzati da regole costitutive che devono essere seguite , allora il quadro è a grandi linee completo , e si può quindi ripercorrere l ' arco espositivo e argomentativo di Se­ arie per identificare nello specifico i punti in cui , su questa base, l ' au­ tore potrà rivendicare miglioramenti sostanziali . A partire dalle ana­ lisi dell' intenzionalità collettiva si giungerà alla teoria delle funzioni di status , alla descrizione del come e del perché esse dipendono dal linguaggio , alla teoria per la quale l ' osservanza delle regole costitu­ tive non avviene necessariamente perché le si segue , ma perché si è acquisito l 'habitus tramite l ' educazione . D ' altro canto su un punto Searle ha certamente torto . La riflessio­ ne sociologica e filosofica aveva già proposto la nozione , anche se non l'espressione , di regola costitutiva in un senso molto prossimo al suo . Lo si vede bene in un autore come Felix Kaufmann che è in­ fluenzato sia da Husserl che da Weber e da Schiitz . Nel suo articolo dal titolo "Soziale Kollektiva"22 , che funge da ossatura per il capito-

22

Kaufmann F. , "Soziale Kollektiva" , Zeitschrift fiir Nationa/Okonomie , I , 1 93 0 .

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lo quinto della sua "Methodenlehre"23 , vi è un ambito di riflessioni che viene esplicitamente collocato sotto il titolo di "Ontologia degli oggetti sociali"24 • I collettivi sociali di cui Kaufmann intende parlar­ ci sono indicati da concetti come società , stato , ecc . , e hanno come caratteristica comune n fatto che in essi una pluralità di uomini viene considerata dal pun­ to di vista di specifiche relazioni che sussistono fra loro25 .

Di intenzionalità non si parla, ma il problema correttamente iden­ tificato è proprio quello di chiarire che rapporto sussista fra tali col­ lettivi e i loro elementi . L'errore fondamentale consiste naturalmen­ te anche per Kaufmann nel trasformare questi collettivi in sostanze sovraindividuali sussistenti in loro stesse . Parole come " società" in­ dicano invece , a suo parere , degli oggetti fondati negli individui nel­ lo stesso senso husserliano in cui il colore si dice fondato in una cosa materiale estesa (non vi è colore che non sia colore di un oggetto esteso) . D ' altro canto se non vi sono ipostatizzazioni , l' astrazione del colore dalla cosa è lecita perché il legame indissolubile sussiste solo fra il genere "colore" e il genere "estensione" , mentre una stes­ sa estensione può avere colori (specie del genere "colore") diversi e uno stesso colore può ricoprire estensioni variabili . Perciò : Questa invarianza di momenti determinati rispetto alla variazione di altri momenti costituisce il fondamento casale di quella astrazione con­ cettuale il cui senso consiste quindi non in una eliminazione ma in un rendere costanti quei momenti da cui si astrae26 .

Esattamente questo è il caso quando si considerano collettivi so­ ciali . Se è possibile parlare di associazioni , stato , ecc . , è perché vi è una qualche invarianza che si afferma nel variare degli individui . Ma quali sono tali invarianze? Sono fondamentalmente le funzioni che gli individui assumono . Kaufmann ci presenta a questo riguardo l ' esempio del concetto di persona giuridica e in particolare di quel-

23 24 25 26

Kaufmaun F. , Metlzodenlelzre der Sozialwissenschajten , Wien , Springer Verlag , 1 9 3 6 . Kaufmann F. , Metlwdenlehre der Sozialwissenschaften , nota 1 1 al cap . V, p . 3 1 7 . Qui compare l'espressione "Ontologie del sozialer Gegenstande" . Kaufmann F. , "Soziale Kollektiva" , p. 294 . Kaufmann F. , "Soziale Kollektiva" , p . 295 .

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la persona giuridica che è una società per azioni . Una società per azioni è fondata in individui nel senso che non esiste senza di essi. Eppure , ha un ' identità che si prolunga nel tempo a prescindere dal­ la loro variazione . La chiave esplicativa è questa: Se dei nomi collettivi prendono il posto di individui psicofisici , "per­ sone fisiche" , allora queste persone non sono determinate individual­ mente , ma attraverso l ' indicazione di una determinata legge costitutiva (Bildungsgesetz) , ossia lo statuto della persona giuridica27 .

Dunque la persona giuridica costituisce il domiuio di applicazione di deter­ minate regole generali28 .

Poco dopo , per generalizzare , Kaufmann torna a fare riferimento a We ber e parla della società come dominio di applicazione di rego­ le di interpretazione del comportamento . Ma finché ci si attiene all ' esempio della società per azioni , allora è evidente sia la presen­ za di una nozione come quella di legge costitutiva molto vicina a quella di regola costitutiva , sia l ' assegnazione per suo tramite di funzioni di status a individui (i rappresentanti della società per azio­ ni) , sia il fatto che in ultima analisi tali funzioni determinano poteri positivi o negativi per tali persone . 2 . Resta ancora da considerare il primo punto . La definizione di fatto sociale di Searle è realmente equivalente (coestensiva) a quel­ la di Weber e Durkheim , anche se - secondo lo stesso autore de La costruzione della realtà sociale fondazionalmente più adeguata della loro ? E, per semplice conseguenza logica - è quindi proprio vero che le definizioni di entrambi questi autori classici sono equi­ valenti fra loro? Se prendiamo in considerazione Durkheim si dovrà giungere a una risposta non conclusiva . Nel percorso che lo porta alla sua definizione di fatto sociale il sociologo propone una serie di esempi a partire da quelli relativi all "'assolvere il compito" di "fra­ tello" , "cittadino" , ecc . , che ingabbiano l ' individuo in una serie di responsabilità e di obblighi . Continua con i sistemi di credenze reli-

27 28

Kaufmann F. , "Soziale Kollectiva" , p. 297 . Kaufmann F. , "Soziale Kollectiva" , p. 297 .

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giose trasmessi ai membri della società , per poi proporre una prima ben nota definizione : Ecco dunque un ordine di fatti che presentano caratteri molto speci­ fici: essi consistono di modi di agire , di pensare e di sentire esterni all' individuo e dotati di un potere di coercizione in virtù del quale si im­ pongono ad esso . Di conseguenza essi non possono venir confusi né con i fenomeni organici , in quanto consistono di rappresentazioni e di azioni , né con i fenomeni psichici, i quali esistono soltanto nella e me­ diante la coscienza individuale . Essi costituiscono quindi una nuova specie , e ad essi soltanto deve essere data e riservata la qualifica di so­ ciali . Essa conviene loro; è infatti chiaro che il loro substrato non essen­ do l ' individuo , può essere soltanto la società [ . . . F9 .

Ma lo stesso Durkheim ritiene di dover migliorare la definizione sulla base di due ordini di osservazioni: Innanzitutto gli esempi pro­ posti erano tutti c asi di credenze e pratiche costituite (quelli che per Searle sarebbero quindi fatti istituzionali determinati da regole co­ stitutive) . Fatti sociali sono però anche i grandi movimenti di entu­ siasmo collettivo , lo scatenarsi di comportamenti violenti , ecc . , che travolgono l 'individuo e lo spingono al di là di quelle che sarebbero state le sue stesse intenzioni . Perciò il criterio di identificazione dei fatti sociali non sarà la capacità coercitiva sull ' individuo di fenome­ ni governati da regole esplicite o stabili , ma la capacità coercitiva in generale , purché faccia presa sulle rappresentazioni e quindi non sia coercizione dovuta alla natura fisica dei corpi . In secondo luogo ­ osserva Durkheim - vi sono fenomeni nei quali l ' esistenza di spinte coercitive , sanzioni , ecc . , non è riscontrabile , ma che sono inequivo­ cabilmente fenomeni diffusi , identificabili nella loro dimensione so­ ciale , al di là delle forme individuali che assumono . Cioè , secondo Durkheim un fatto sociale si può anche riconoscere , in assenza di forze coercitive osservabili , sulla base del fatto che : Esso esiste indipendentemente dalle forme individuali che assume diffondendosi30 .

E la sua socialità è dimostrata dal fatto che :

29 30

Dmkheim E . , Le regole del metodo sociologico , Milano , Edizioni di Co­ munità , 1 963 , p. 2 6 . Dmkheim E . , Le regole del metodo sociologico , p . 3 1 .

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se un modo di condotta esistente al di fuori delle coscienze indivi­ duali si generalizza , può farlo soltanto imponendosil 1 .

Dunque , tenendo conto di queste due osservazioni , s i potrà dire che : [ . . . ] è un fatto sociale ogni modo di fare , più o meno fissato , capace di esercitare sull 'individuo una costrizione esterna - oppure un modo di fare che è generale nell' estensione di una società data , pur avendo esi­ stenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali32 .

L'indipendenza dalle manifestazioni individuali e più ancora la "resistenza specifica" che il fatto sociale oppone alle volontà indivi­ duali , esattamente come accade nel caso degli oggetti materiali , è poi il contras segno della sua oggettività . Il senso di questa de­ finizione si precisa ulteriormente con la prima regola che impone di trattare i fatti sociali come cose , e cioè dati , in ogni caso : Perfino i fenomeni che sembrano maggiormente consistere in asset­ ti artificiali devono venir considerati da questo punto di vista . n carat­ tere convenzionale di una pratica o di una istituzione non deve mai ve­ nir presupposto33 .

Nel parlare di "fatti sociali" e non di "comportamenti" , Searle sembra assumere , almeno nel linguaggio , una posizione vicina a Durkheim. Nella stessa direzione durkheimiana va anche la tesi dell ' oggettività (epistemologica) dei fatti sociali e nella stessa dire­ zione va anche l' introduzione della nozione di sfondo . Il ruolo che in quest' ultimo giocano disposizioni e abilità acquisite socialmente , richiama infatti il tema della forza coercitiva della società su un in­ dividuo di cui si sottolinea il proce sso di adattamento . Ma in una di­ rezione diversa vanno invece altrettanti elementi fondamentali . Na­ turalmente il problema più generale è anche quello più evidente . Il linguaggio di Durkheim evoca a sufficienza lo spettro di entità so­ vraindividuali dotate di mente che Searle vuole tenere lontane . La distinzione fra l ' accezione antologica da un lato ed epistemologica dall ' altro dell' opposizione soggettivo-oggettivo , unita alla nozione

31 32 33

Dmkheim E . , Le regole del metodo sociologico , p . 3 1 . Dmkheim E., Le regole del metodo sociologico , p. 3 3 . Dmkheim E . , L e regole del metodo sociologico , p . 45 .

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di caratteristiche relative all ' intenzionalità (collettiva) , è il modo in cui Searle cerca insomma di rendere antologicamente accettabile il problema del senso in cui i fatti sociali sono oggettivi (cioè solo epi­ stemologicamente) rispetto ai fatti fisici , o biologici , ecc . Insomma , la teoria di Searle conserva la stessa intuizione di fondo circa la og­ gettività dei fatti sociali , ma pretende di perfezionarla nella sua con­ sistenza antologica e concettuale . L' oggettività che Durkheim ha di mira dovrà essere inte sa infatti come un ' oggettività epistemica e non antologica, come sembra fare Durkheim stesso , e l ' intenziona­ lità collettiva che sta alla base di tutto è sì un fenomeno che collega le intenzioni degli individui fra loro come le parti all ' intero , ma non crea una realtà dotata di caratteristiche intrinseche che "esista al di fuori delle coscienze individuali" . 3 . La divergenza apparentemente più grave - almeno se ci si pone un problema di coestensività - è che la definizione di Durkheim fa ri­ entrare fra i fatti sociali anche fenomeni non legati all 'intenzionalità collettiva - il ché ci riporta ad un problemagià affrontato . Anche nel linguaggio comune riterremmo fatti sociali eventi o comportamenti diffusi anche se non necessariamente cooperativi . Le persone che si avviano in autostrada per un fine settimana senz' altro cooperano nel guidare o anche solo nel competere per superare la coda o nell ' avere un diverbio stradale , ma non realizzano l' intenzione collettiva di sta­ re lontano dalle città. Nei termini di Searle vi sono qui solo intenzioni individuali diffuse (che possono poi generare comportamenti coope­ rativi) . Ma chiameremmo "fatto sociale" solo la cooperazione (colla­ borativa o conflittuale che sia) e non il fenomeno di massa dei fine set­ timana? Inoltre fatti istituzionali come il denaro possono avere influssi sulla vita degli uomini , e anche sulla vita sociale , che vanno ben oltre l' ambito delle regole costitutive che li caratterizzano . Si trat­ ta di fatti che non dovremmo chiamare sociali? In realtà Searle non nega affatto che vi possano essere dinamiche della vita collettiva non relative all' intenzionalità: Supponiamo che qualcuno dica che la funzione agentiva stabilita del denaro sia quella di servire come mezzo di scambio e riserva di valore , ma che il denaro serva anche alla funzione segreta , nascosta , non pre­ stabilita , di mantenere il sistema di relazioni di potere nella società . La prima affermazione riguarda l ' intenzionalità della funzione agentiva . L a seconda riguarda l a funzione non agenti va . [ . ] L a prima è resa vera dall' intenzionalità con cui gli agenti usano oggetti come denaro [ . ] la .

.

.

.

90

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seconda affermazione , come la tesi che il cuore funzioni per pompare il sangue , sarebbe vera se e solo se vi fosse un insieme di relazioni causa­ li non prestabilite e queste servissero una qualche teleologia , anche se non fosse una teleologia condivisa dal parlante34 .

Con questa ammissione si potrebbe dunque risolvere la questione sostenendo che la sociologia, almeno nella sua accezione durkhei­ miana, non coincide estensionalmente con l ' ontologia sociale , dato che si occupa anche di funzioni non agentive degli oggetti sociali . Ma in questo caso si dovrà anche aggiungere che - stando a quanto dice Searle - la presuppone , dato che , nell ' e sempio prescelto , il de­ naro può avere l ' ipotetica funzione non agentiva di mantenere il si­ stema di relazioni di potere solo perché ha la funzione di status di es­ sere mezzo di scambio e di accumulazione . In generale , cioè , se è vero che il mondo sociale esiste solo perché esistono funzioni agen­ tive legate all ' intenzionalità collettiva, allora eventuali decorsi cau­ s ali o motivazionali ontologicamente oggettivi presuppongono come livello inferiore la dimensione ontologicamente soggettiva dei fatti relativi all 'intenzionalità . Se è così , allora la norma che richie­ de di considerare come un dato persino le creazioni sociali più pale­ semente artificiali può avere al più un valore euristico , ma mai dar luogo all ' analisi completa di un fenomeno collettivo . 4. Come è noto , mentre Durkheim parla di "fatto sociale" , per Weber la sociologia è invece scienza dell ' agire sociale , dove l ' agire in generale è qualunque comportamento a cui l' attore congiunge un senso , e l ' agire sociale è un agire che sia riferito - secondo il suo senso , intenzionato dall ' a­ gente o dagli agenti - all ' atteggiamento di altri individui , e orientato ad essP5 .

Anche questa definizione , tuttavia , stando alla lettera , non coinci­ de con quella di Searle . Supponiamo che qualcuno , in montagna , os­ servi non visto un gruppo di gitanti e si muova in modo da evitarli . Questo si può ben dire un agire orientato verso altri individui . Eppu­ re non costituirebbe per Searle un fatto sociale dato che l "'io evito gli altri" in questo caso non sarebbe in nessun modo assimilabile a 34 35

Searle J. R . , La costmzione della realtà sociale , p. 3 2 . Weber M . , Economia e società , Milano , Edizioni di Comunità , 1 96 1 , p. 4 .

Considerazioni critiche

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u n caso di intenzionalità collettiva, a differenza di quanto accadreb­ be se anche il gruppo vedesse il nostro individuo solitario e cercas­ se a sua volta di evitarlo . Se si aggiunge poi l ' irriducibilità dell ' in­ tenzionalità collettiva a intenzioni individuali aggiunte a credenze relative agli stati intenzionali degli altri , allora la distanza si incre­ menta . Del resto Searle lo osserva esplicitamente quando dice che : I requisiti dell 'individualismo metodologico sembrano forzarci a ri­ durre l 'intenzionalità collettiva ali 'intenzionalità individuale36.

Ci ritroviamo dunque nel labirinto della nozione searliana di in­ tenzionalità collettiva e la pre sunta "conciliazione" di Weber e Durkheim sembra più un portato delle ambiguità in cui versa questa nozione che un ' operazione effettivamente riuscita o anche solo effi­ cacemente impostata.

Sfondo, intenzionalità e linguaggio Vi è poi quel gruppo di problemi sollevati dall ' introduzione dello sfondo . Anche a una lettura superficiale si ha spesso l ' impressione che lo sfondo sia un comodo espediente per evitare ulteriori analisi . Nel formulare questa obiezione non si tratta naturalmente di negare che la soggettività abbia un fondo , come si usa dire , "opaco" , ossia non intenzionale . Né si tratta di negare che a un certo punto si giun­ ge a una "forma di vita" (il vero antecedente della nozione searliana di sfondo) . Si tratta semplicemente di chiedersi se tale sfondo ha e sattamente l ' estensione che sembra delinearsi ne La costruzione della realtà sociale . A sua volta questo problema viene a dipendere da come interpretiamo il concetto di intenzionalità . Fondamen­ talmente si aprono due possibilità . In una prima accezione si tende­ rà a far coincidere l ' area dell ' intenzionalità con ogni momento del­ la vita di coscienza che sia intrinsecamente sensato , cioè che abbia una "direzione" , abbia "di mira" qualcosa - che sia l ' oggetto sensi­ bile come nel caso della percezione , l ' oggetto astratto nel c aso degli atti di astrazione , un risultato nel c aso dell ' intenzionalità pratica, ecc . In questa accezione l 'intenzionalità si estende a tutto ciò che ca­ ratterizza normalmente la sfera psicologica ("inconscio" incluso) , 36

Searle J . R., La costmzione della realtà sociale , p. 35 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

ad esempio , al percepire , al camminare , al tagliare il pane o l' erba, allo scordarsi di andare a prendere una persona (nel senso di un atto mancato) , al proteggersi il volto da un oggetto in arrivo con il brac­ cio , anche se ciò che innesca la reazione è anche un fattore istintivo . Si tratta di atti intenzionali , anche se in alcuni casi non vi è la mini­ ma traccia di attività (come nella percezione) , o in altri l ' azione è in parte meccanica , vuoi per abitudine (cambiare marcia) vuoi per ca­ ratteristiche biologiche (camminare) . Questo è ad esempio per mol­ ti tratti , e sia pure al prezzo di una certa approssimazione , il concet­ to fenomenologico di intenzionalità37 • Con il secondo modo di impostare il tema si tenderà invece ad as­ sumere come paradigmatica quell ' intenzionalità che caratterizza la sfera degli atti linguistici e che è esplicitabile , per intendersi , in ter­ mini lessicali . In questa seconda accezione l ' intenzionalità non si li­ mita certo agli atti intenzionali nel senso comune del termine inten­ zionale , e ad esempio potrà ancora essere riferita a un atto di osservazione esplicita di un oggetto , ma tenderà a ritirarsi dalle zone grigie in cui dominano comportamento meccanico , abitudine , istinto , passività , ecc . , per attestarsi nella sfera dell ' attività e della consape­ volezza . Fatto salvo che , come sottolinea a più riprese , per lui uno stato intenzionale può anche essere solo potenzialmente cosciente , questa seconda è , sempre con una certa approssimazione , l ' accezio­ ne che Searle tende ad assegnare al termine intenzionalità. Non si spiegherebbe altrimenti perché la sottodeterminazione semantica di espressioni come "tagliare l ' erba" o "tagliare una torta" dovrebbe portarci al di là della sfera intenzionale . Che abbia acquisito l ' abilità di tagliare l' erba o la torta nel modo in cui ciò avviene "normalmente" , consapevolmente o meno , comunque io s o come tagliare l ' erba o la torta e questo "come" può essere oggetto di una rappresentazione o di un' azione che ha tutte le caratteristiche dell ' intenzionalità . La stessa cosa si può dire riguardo al successivo punto notevole in cui la nozione di sfondo interviene per salvare la situazione , ossia nel caso dell ' intenzionalità collettiva . Nell ' ipotesi di Searle , non è intenzionale né il riconoscimento dell ' altro in quanto "simile a noi" e potenziale cooperatore né , presumibilmente , la capacità di assu­ mere identità collettive da parte degli individui . Ma è possibile dire che un atto di riconoscimento non è un atto intenzionale , quando in37

Cfr. ad esempio Merleau-Ponty M . , Fenomenologia della percezione , Mi­ lano , Il Saggiatore , 1980, pp . 35-44.

Considerazioni critiche

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vece presuppone quantomeno la percezione di un oggetto e la perce­ zione di una somiglianza con un ' altra cosa. Ci può essere qualcosa di irriducibilmente opaco . Ma se avesse ragione Searle nel dire che l ' intero riconoscimento dell ' altro è pre-intenzionale , allora sarebbe­ ro state non solo scorrette , ma addirittura del tutto prive di senso non solo le analisi che Husserl dedica al riconoscimento dell ' altro ad esempio nella "quinta meditazione cartesiana"38 , ma anche l ' intero progr amma di Schiitz di integrare a un più "basso livello" (nel sen­ so informatico del termine) le analisi di Max Weber39 • Eppure parla­ re di insensatezza totale in questi due casi è piuttosto problematico . Connesso a questo ordine di problemi vi è poi quello dell' effettivo ruolo che assume il linguaggio nel quadro dell' antologia sociale . La fondamentalità che Searle gli attribuisce nella creazione di fatti istitu­ zionali si scontra con una difficoltà sulle cui tracce ci colloca lo stes­ so Searle . In natura non esistono segni . Un segno esiste se qualcuno lo intende come tale , ossia gli attribuisce questa .funzione (segno , con­ trassegno , segnale , indice , icona , ecc . , che sia) . Ma se un indice o un segnale possono avere qualche rapporto causale con ciò che designa­ no , e se l ' icona può avere un rapporto di somiglianza con la cosa, i se­ gni verbali o i simbolismi , e i contrassegni convenzionali hanno inve­ ce la natura di funzioni di status , ossia di funzioni che non dipendono solo dai poteri causali o da altre caratteristiche fisiche dei suoni o de­ gli oggetti visivi a cui sono imposte . Ma siccome ogni funzione di sta­ tus richiede un qualche elemento che la renda pubblicamente ricono­ scibile , allora il segno richiederebbe un segno del suo essere segno , il quale a sua volta richiederebbe un segno del suo essere segno di un essere segno e così via . Per uscire dal regresso Searle propone allora di considerare il linguaggio come qualcosa di autointerpretante , come cioè qualcosa in cui il fatto che vi sia stata assegnazione di funzioni di status risulta immediatamente coglibile40 . Si tratta di una soluzione che presenta evidentemente notevoli problemi , che non possono esse­ re qui discussi dato che aprirebbero una serie di questioni complesse di filosofia del linguaggio , ma di cui si deve tenere conto in una valu­ tazione complessiva dell' operazione teorica di Searle .

38 39 40

Cfr. Husserl E., Meditazioni cartesiane , Milano , B ompiani , 1 960 , pp . 1 1 3 - 1 72 . Cfr. Economia e società e. Schiitz A. , Lafenomenologia del mondo socia­ le , Bologna , il Mulino , 1 960 , pp . 7-62 . Cfr. Searle J R . , La costruzione della realtà sociale , pp . 84-89 .

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IV POLITICA E INTENZIONALIT À COLLETTIVA

Il potere politico in Searle Ne La costruzione della realtà sociale i "fatti politici" sono inclu­ si nella trattazione generale dei fatti sociali e in particolare istituzio­ nali , ma non nelle loro specificità rispetto a fatti economici o socia­ li (nel senso in cui "sociale" viene distinto da "politico") . Quel che troviamo in questo libro sono cioè fenomeni politici proposti come esempi di fatti istituzionali , ma mai oggetto di una trattazione sepa­ rata. Un abbozzo di esame separato ha luogo invece nel saggio "On­ tologia sociale e potere politico"' . Anche in questo caso , come in quello dell ' avvio delle considerazioni antologico-generali , Searle si muove a grandi falcate , formulando da subito una serie di assunzio­ ni molto impegnative , elencando e discutendo brevemente sette ca­ ratteristiche del potere politico . Quella decisiva è proprio la prima . A giudizio di Searle il potere politico consta interamente di funzio­ ni di status accettate dall 'intenzionalità collettiva . Così , ad esempio , il potere di un paese occupante sulla popolazione di un paese occu­ pato non è un potere di natura politica , a meno che tale popolazione non assegni , sia pure solo per rassegnazione , agli occupanti una qualche funzione di status . Un potere accettato solo per paura o per prudenza non , per Searle , è un potere politico . Si tratta di una mossa decisiva perché molte delle altre caratteri­ stiche indicate da Searle discendono da questa presa di posizione di fondo2 • La seconda c aratteristica del potere politico è che , poiché l

2

Searle J . R . , "Ontologia sociale e potere politico" . In realtà nel testo ne vengono elencate otto ma una , la se sta , consiste nel fatto che i poteri politici sono costituiti linguisticamente . Questa è una ca­ ratteristica di tutti i fatti istituzionali ed è già stata trattata a livello gene­ rale .

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consta interamente di funzioni di status, esso proviene interamente dal basso , cioè dall ' accettazione tramite intenzionalità collettiva. La cosa vale sia per le democrazie che per le dittature , a meno che non si riducano a regimi basati esclusivamente sulla paura. Ma Searle sembra quasi suggerire che la democrazia è quella forma che meglio si adegua alle condizioni di esistenza dei fatti istituzionali come tali , dato che include istituzionalmente il consenso fra le sue regole co­ stitutive . O almeno questo sembra di capire dal passo che segue immediatamente all'osservazione che l' accettazione è necessaria sia nelle democrazie che nelle dittature : Hitler e Stalin , per esempio , erano entrambi costantemente ossessio­ nati dal bisogno di sicurezza . Essi non avrebbero mai potuto contare su un sistema di funzioni di status riconosciuto e accettato . Il potere poli­ tico doveva essere costantemente mantenuto da un sistema di premi e di punizioni , e, in ultima analisi , dal terrore3 .

Dunque una dittatura tende per sua natura a perdere lo statuto di potere politico nel senso di Searle , per diventare un dominio causale basato sulla forza e sulla paura , e in ciò risiede anche la sua intrinseca instabilità , quella instabilità che fa dormire sonni poco tranquilli ai dittatori . Anche se Searle non lo dice esplicitamente, nella sua descri­ zione l'intero apparato propagandistico sembra delinearsi come un tentativo intrinsecamente difettivo di mantenere vive le funzioni di status surrogando in qualche modo l ' assenza di un effettivo atto di ac­ cettazione collettiva, quale è ad esempio la libera elezione . La terza caratteristica del potere politico è che , sebbene proven­ ga interamente dall ' intenzionalità collettiva e quindi dal basso , l ' individuo si sente nei suoi confronti impotente . Non si tratta solo di constatare un ' ovvietà , o un dato di fatto psicologico, ma di iden­ tificare un meccanismo che è fondamentale per la comprensione della natura stessa dei poteri deontici e della loro efficacia. L' impo­ tenza caratterizza anche l ' individuo di un paese brutalmente occu­ pato da un e sercito , o di un paese governato da un dittatore san­ guinario . Qual è invece la specificità dell' "impotenza" del cittadino di un regime politico?

È una caratteristica specifica ed unica degli esseri umani il fatto che essi possano creare (e agire secondo) ragioni per l ' azione indipendenti 3

Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 3 9 .

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dal desiderio. Per quel che ne sappiamo , neppure i maggiori primati hanno questa capacità . Credo che questa sia una delle chiavi per com­ prendere l' ontologia politica4 .

L' e sempio paradigmatico di creazione di ragioni indipendenti dal desiderio è quel fatto istituzionale eminente costituito dalla promes­ sa. Chi fa una promessa (a prescindere dal fatto che l ' abbia fatta per­ ché lo desidera) , da quel momento ha una ragione per fare quanto promesso che risiede nel fatto stesso che l'ha promesso , a prescinde­ re da quali siano i suoi desideri successivi: Pertanto nella società umana , diversamente da quanto avviene nelle società animali , le ragioni possono motivare i desideri , ma non tutte le ragioni , e non necessariamente , devono trarre origine dai desideri5 .

Si giunge così direttamente alla quarta caratteristica, cioè al fatto che la dimensione politica funziona, almeno in parte , proprio perché i poteri deontici riconosciuti forniscono agli individui ragioni per l ' azione indipendenti dal desiderio . In altre parole : n riconoscimento di una funzione di status da parte di un agente [ . . . ] , conferisce a quell ' agente una ragione per fare qualcosa di indipen­ dente dal desiderio . Senza di ciò non esisterebbe una realtà politica e istituzionale organizzata6 .

La paura per la propria vita , i propri beni , ecc . , che motiva l ' ub­ bidienza degli individui di un paese occupato , non è una ragione per l ' azione indipendente dal desiderio e quindi non è per Searle una ra­ gione politica . Non solo , essa è condizione stessa di esistenza di organizzazioni collettive di una certa complessità e proprio in vista della loro stabilità e della prevedibilità delle interazioni sociali . In La razionalità dell 'azione7 Searle prova que sta circostanza facendo vedere che in realtà noi stabiliamo ragioni per l ' azione in­ dipendenti dal nostro desiderio persino in ogni circostanza in cui semplicemente formuliamo un qualunque giudizio apofantico. Se­ arie fa l ' e sempio di una semplice asserzione come "sta piovendo" ,

4 5 6 7

Searle Searle Searle Searle

J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 3 9 . J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 40 . J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 40 . J .R . , La razionalità dell'azione , Milano , Cortina, 2003 .

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detta da qualcuno con l' intenzione di affermare ciò che l' enuncia­ to significa e di comunicarlo ad altri . Una parte della sua intenzio­ ne sarà allora quella di produrre l ' espre ssione "sta piovendo" , e dunque l ' espressione stessa, come tale , sarà una delle condizioni di soddisfazione della sua intenzione . Ma - osserva Searle - se chi parla non vuole solo emettere i suoni dell ' enunciato ma vuole an­ che dire che effettivamente sta piovendo , allora deve intendere an­ che che l ' espres sione sia vera , cioè che essa abbia effettivamente le sue condizioni di soddisfazione (il fatto che sta piovendo) . Ma allora: n significato della sua intenzione è di imporre delle condizioni di soddisfazione (per esempio , le condizioni di verità) ad altre condizioni di soddisfazione (l' espressione) . n suo enunciato ha ora una funzione di status ; rappresenta , in maniera vera o falsa, lo stato del tempo atmosfe­ rico . E il parlante non è neutrale di fronte alla verità o alla falsità , per­ ché la sua affermazione è un' affermazione di verità . Tale imposizione di questo tipo di funzione di status , di condizioni di soddisfazione a condizioni di soddisfazione , è già un impegno . Perché? Perché l ' asser­ zione era un' azione libera , intenzionale , del parlante . Egli si è assunto la responsabilità di sostenere che sta piovendo e si impegna così alla ve­ rità della proposizione asserita [ . ] . n parlante ha creato in questo caso una ragione [indipendente dal desiderio] per accettare le conseguenze logiche della sua asserzione , per non negare ciò che ha detto , per esse­ re in grado di fornire evidenza o giustificazione di quanto ha detto e per parlare in modo sincero [ . ] . L' impegno è già insito nella struttura dell' atto linguistico8 . .

.

.

.

Il gioco degli obblighi e degli impegni è condizione di possibilità della stessa comunicazione linguistica . E il linguaggio , come abbia­ mo visto , è condizione di esistenza della società dato che i fatti isti­ tuzionali sono fatti relativi al linguaggio . Perché sono importanti le ragioni per l ' azione indipendenti dal desiderio? Perché esse sono un altro modo per prendere in conside­ razione la natura deontica del potere politico , e precisamente dal punto di vista del singolo individuo o dei gruppi sociali istituziona­ lizzati . Se il sistema dei poteri è costituito solo da poteri deontici , al­ lora ognuno di essi ha un sistema di impegni (obblighi) che è tenuto a rispettare . Il cosiddetto "obbligo politico" è a sua volta un impe­ gno , o meglio un sistema di impegni , che l ' individuo contrae in li8

Searle J .R . , La razionalità dell'azione , pp. 1 62- 1 63 .

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nea di principio liberamente , quando accetta di essere investito del­ la funzione di status "cittadino" . Tale impegno è qualcosa che il cittadino deve intrinsecamente rispettare e che gli può essere quindi rinfacciato nel caso di inadempimento . Sembrerebbe quindi che l ' accettazione di ragioni indipendenti dal desiderio per l ' azione da parte dei membri di una collettività, spieghi la possibilità dell 'uso della forza contro ciascuno di essi. A giustificare questo sviluppo non è una dichiarazione diretta di Searle , che su questo punto tace , quanto un interessante richiamo a una delle grandi tradizioni della filosofia politica . Dalla combina­ zione della seconda e della terza caratteristica, cioè dalla combina­ zione di legittimità dal basso e sussistere ciononostante del cosid­ detto obbligo politico , trae infatti il suo senso il richiamo che Searle può fare alla verità di quanto sostenevano i contrattualisti: Essi pensavano che non fosse possibile avere un sistema di obblighi politici , né , per la verità , una società politica senza qualcosa come una promessa (un' originaria promessa) , che creasse un sistema deontico ne­ cessario a mantenere la realtà politica9 .

La formula del contratto sociale , a prescindere dal contenuto che assume nei diversi autori del contrattualismo , ha questo in comune : che si tratta di una promessa con cui ci si impegna a fare qualcosa di fondamentale per la costituzione di una società e di un regime poli­ tico , ad esempio , in Rousseau , a decidere da ora in poi insieme agli altri . Chi ha "stipulato" il "contratto sociale" ha promesso di fare qualcosa per dovere (subordinatamente al rispetto di alcune condi­ zioni di fondo) , un dovere che legittima quindi l ' esercizio della co­ ercizione nei suoi confronti . Il richiamo al contrattualismo non termina qui , ma si muove an­ che a ritroso fino alla distinzione del potere politico da quello basa­ to solo sulla forza . Come osserva Rousseau ne Il contratto sociale: Cedere alla forza è un atto di necessità , non di volontà; tutt' al più è un atto di prudenza . In che senso potrà essere un dovere? 10 .

E ancora a proposito del diritto del più forte :

9 10

Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 3 8 . Rousseau J . J . , Il contratto sociale , Torino , Einaudi, 1 994, p . 1 3 .

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[ . . . ] Essendo la forza a determinare il diritto , l 'effetto cambia insie­ me alla causa : ogni forza che superi la prima la sostituisce nel suo dirit­ to . Appena si possa disobbedire impunemente , si ha il diritto di farlo; e dato che il più forte ha sempre ragione , altro non resta che fare in modo di essere il più forte [ . . ] . Si vede dunque che questa parola "diritto" non aggiunge niente alla forza; non significa qui assolutamente nulla 11 . .

Senza consenso non vi sono doveri e senza doveri vi sono solo le dinamiche instabili delle pulsioni e della forza . Da ciò segue secon­ do Searle che non tutte le motivazioni politiche sono basate sull ' in­ teresse personale o sulla prudenza , e che ciò differenzia la sfera po­ litica soprattutto dalla sfera economica. Ad esempio , perseguire il proprio interesse è economia , farlo restando nel quadro di regole condivise è un fatto politico . I l quinto punto che Searle tratta è che potere politico e capacità di leadership politica vanno accuratamente distinti : Per dirla in maniera grossolana , il potere è la capacità di far fare alle persone qualcosa sia che esse la vogliano fare sia che non la vogliano fare . La leadership è, invece , la capacità di indurre le persone a voler fare qualcosa che altrimenti non vorrebbero fare . Quindi due persone diverse , con lo stesso ruolo politico (con la stessa funzione di status uf­ ficiale) possono avere una differente capacità di determinare effettiva­ mente il comportamento delle persone 1 2 .

Il che a sua volta permette di distinguere un potere deontico uffi­ ciale e un potere deontico effettivo . Quest'ultimo è ciò che aumenta o diminuisce proprio in rapporto alla capacità di leadership di chi è investito del primo tipo di potere . La sesta caratteristica è in realtà una tema cruciale di caratteristi­ che perché stabilisce la differenza specifica del potere politico ri­ spetto ad altri poteri deontici affini . Osserva, infatti , lo stesso Searle che quanto detto fin qui non caratterizza solo il potere politico . An­ che il potere di un arbitro durante una partita di calcio , ad esempio , è sia un potere deontico , sia un potere che viene dal basso , dall ' ac­ cettazione collettiva , sia un potere che si sostiene sul fatto che i gio­ catori hanno ragioni per l ' azione indipendenti dal desiderio (ad esempio devono lasciar tirare un calcio di rigore alla squadra avver-

11 12

Rousseau J J Il contratto sociale , p . 1 3 . Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 4 1 . .

. ,

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101

saria) . E anche un arbitro può essere più o meno carismatico . Cosa manca dunque ? Per Searle , perché si abbia una sfera politica vera e propria, è necessario che esista anche una distinzione fra sfera pub­ blica e sfera privata - anche se Searle non ci dà la minima indicazio­ ne su come tracciare il confine fra le due (naturalmente l ' attività po­ litica è paradigmatica dell ' attività che si svolge nella sfera pubblica) . In secondo luogo il concetto di politica richiede il concetto di con­ flitto , ma in una sua specie particolare , dato che anche il concetto di "basket" richiede il concetto di conflitto . Innanzitutto , dato che la sfera politica si muove all ' interno di funzioni di status riconosciute , deve trattarsi di un conflitto non violento . In secondo luogo L'essenza del conflitto politico è che si tratta di un conflitto che ri­ guarda beni sociali [social goods] , e molti di questi beni sociali com­ portano poteri deontici . Così , per esempio , il diritto all ' aborto è una questione che ha natura politica perché riguarda un potere deontico: il diritto legale della donna ad abortire13 .

Anche in questo caso , tuttavia, non vi è la minima indicazione circa il significato preciso che Searle intende assegnare all 'espres­ sione "beni sociali" . L'ultima caratteristica non è una novità se si considera che la no­ zione di "potere politico" è fortemente legata a quella di potere so­ vrano : il potere politico deve avere il monopolio della violenza ar­ mata che in questo contesto andrà interpretato come un sostegno indispensabile all ' esercizio delle funzioni di status . La ragione per cui l' autorità politica può sostenere se stessa come si­ stema supremo e ultimo di funzioni di status è che essa esercita una co­ stante minaccia dell 'uso della forza fisica14 .

Ma nello stesso tempo tale minaccia è compatibile con la natura politica del potere che la esercita solo se è subordinata comunque all ' accettazione . Come abbiamo appena visto a proposito del richia­ mo al contrattualismo , il monopolio della forza dipende dall ' ac­ cettazione dal basso e dall ' assunzione di ragioni per l ' azione indi­ pendenti dal de siderio da parte dei cittadini , non viceversa. Da queste considerazioni si genera allora una prova a sostegno della su13 14

Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 43 . Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 43 .

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periorità della democrazia . In essa la gerarchia fra forza e consenso , che per Searle ha una giustificazione addirittura ontologica , è piena­ mente rispettata . n miracolo , per così dire , delle società democratiche è che il sistema di funzioni di status dell' autorità politica è stato in grado (attraverso l ' esercizio dei poteri deontici) , di esercitare un controllo su quei sistemi di funzioni di status stessi che sono l ' esercito e la polizia15 .

In conclusione: Vi è un senso in cui nelle società più evolute , l ' autorità politica è la suprema e ultima [ultimate] struttura istituzionale . Senza dubbio il po­ tere dell ' autorità politica varia enormemente dalle democrazie liberali agli stati totalitari; tutte le autorità politiche , però , hanno la caratteristi­ ca di regolare le altre strutture istituzionali come la famiglia , l' educa­ zione , il denaro , l 'economia in generale , la proprietà privata e persino la chiesa. D ' altronde le autorità politiche tendono ad essere i sistemi di funzioni di status più altamente accettati , in competizione con la fami­ glia e la chiesa 1 6.

L' espressione "autorità suprema e ultima" allude naturalmente a ciò che usualmente prende il nome di " sovranità" . Ma l ' espressione "potere deontico supremo e ultimo" viene sostituta a tale espressio­ ne deliberatamente . Penso che il concetto di sovranità sia un concetto relativamente con­ fuso perché implica la transitività . Ma nella maggior parte dei sistemi di sovranità , almeno nelle società democratiche , la sovranità non è una re­ lazione transitiva . In una dittatura se A ha il potere su B e B ha il potere su C , allora A ha il potere su C , ma questo non è vero in democrazia 1 7 .

Poteri bruti e poteri deontici Come abbiamo appena visto alla base del modo in cui Searle imposta la sua filosofia politica vi è l ' affermazione che il potere politico consta interamente di funzioni di status , e che costituisce

15 16 17

Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p. 43 . Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , pp . 36-37 . Searle J .R . , "Ontologia sociale e potere politico" , p . 3 7 .

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un potere deontico (consta di obblighi o facoltà accettate dall ' in­ tenzionalità collettiva) . La dimensione politica ruota insomma at­ torno a fatti istituzionali nel senso searliano del termine , di fatti re­ lativi ali ' intenzionalità collettiva e c aratteriz z ati da regole costitutive . S appiamo che questa caratterizzazione non è sufficien­ te , dato che non distingue il potere politico da quello di un arbitro di calcio . Tuttavia è necessaria . Eppure è molto impegnativa e anzi così impegnativa da offrire il fianco , nel modo in cui è stata finora formulata , a molti controesempi , i quali sono costituiti in realtà da molti dei casi che Searle stesso esclude coerentemente dalla sfera della politica . Sulla base della sua tesi di fondo , una feroce dittatu­ ra , basata solo sulla forza e sulla paura , incapace di sostenersi me­ diante il fatto che i cittadini hanno contratto obblighi (ragioni per l ' azione indipendenti dal desiderio) non è un potere politico . Il po­ tere di un occupante , se non è accettato e quindi investito di fun­ zioni di status , non è un potere politico . Sempre sulla base del suo assunto di fondo , Searle sostiene che un conflitto è politico solo se non violento , solo se avviene entro "regole del gioco" condivise . Ma si può sostenere che il terrorismo e i tentativi di reprimerlo non creano un conflitto di natura politica? Sono accettabili queste e al­ tre conseguenze se si vuole adeguare la definizione di "politico" agli usi del termine nel linguaggio ? In sintesi , si possono esclude­ re dalla sfera politica i casi in cui emerge il potere bruto , il potere basato solo o principalmente sulla forza , sulla paura e su altre ra­ gioni dipendenti dal de siderio ? Se stiamo agli usi del termine "politico" diffu si la risposta è evi­ dentemente negativa ed è merito di Felix Oppenheim l' aver attirato l ' attenzione su questo punto18 , con numerosi altri controesempi fra cui i conflitti etnici e religiosi , la violenza generata dalle ideologie , il terrorismo internazionale , le guerre non dichiarate fra stati19•

Oppenheim osserva giustamente che Esse comportano delle intenzioni , non , però le intenzioni degli os­ servatori , ma soltanto le intenzioni di coloro che esercitano il potere e di coloro che lo subiscono reagendo ad esso . L'uso del linguaggio è il 18 19

Cfr. Oppenheim F. , "Potere bruto e potere deontico" , in AA. VV. , On ­ tologia sociale, potere deontico e regole costitutive , pp . 105- 1 07 . Oppenheim F. , "Potere bruto e potere deontico" , p . 1 06 .

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solo elemento istituzionale che le relazioni di potere bruto hanno in co­ mune con le relazioni costituzionalizzate20 .

E la sua conclusione è che n potere politico può anche essere una questione di fatti bruti , sia alla lettera , sia nel senso che questa espressione ha in Searle , ossia di fatti che accadono al di fuori delle istituzioni umane21 •

S i potrebbe replicare che per Searle il potere politico deve soddi­ sfare ulteriori condizioni per essere tale . Ad esempio , come abbiamo visto , deve essere il potere supremo , avere il monopolio della forza , ecc . U n regime autoritario basato solo sulla forza , s e non u n regime totalitario , potrebbe in effetti soddisfare queste condizioni . In qual­ che modo quindi l ' apparato concettuale di Searle è in grado di cat­ turare fenomeni di questo genere . Ma proprio per questo emerge con ancora maggiore chiarezza il ruolo cruciale e qualificante che ha nell ' impianto di Searle la deonticità come condizione necessaria di politicità . Ma vi è un altro fronte su cui la teoria di Searle sembra essere af­ flitta da una serie di ingenuità . Come abbiamo visto la politica av­ viene nella sfera pubblica e presuppone che quest'ultima sia distin­ ta da quella privata . Non solo , essa riguarda "beni sociali" , e ciò che la differenzia da quella ad esempio economica è che la prima non è esaurita da motivazioni egoistiche . Come abbiamo osservato , perse­ guire il proprio interesse è economia, farlo restando nel quadro di re­ gole condivise è un fatto politico . Ma il fatto che queste regole del gioco siano condivise (o comunque accettate) basta per sostenere che esse non sono totalmente riconducibili a interessi di parte? E il fatto che un potere politico sia stato in grado di far accettare obbli­ ghi (oltre che diritti) ai cittadini garantisce che esso non abbia natu­ ra di parte? In realtà , a ben riflettere , fra le due cose non vi è un nes­ so di principio , soprattutto se si considera che , stando all ' impianto di Searle , non vi sono limiti a ciò che un individuo può accettare come obbligo . Anche in questo c aso , dunque , le osservazioni di Op­ penheim sembrano piuttosto pertinenti .

20 21

Oppenheim F. , "Potere bruto e potere deontico" , p. 1 06 . Oppenheim F. , "Potere bruto e potere deontico" , p . 1 06 .

Politica e illfenzionalità collettiva

1 05

Anche le relazioni di potere istituzionale spesso comportano l ' inte­ resse personale . Questo è vero specialmente per il potere politico eser­ citato dall ' autorità politica [government] sui cittadini . Questi ultimi possono adempiere , e .g . , le norme giuridiche semplicemente perché le riconoscono dotate di autorità . O per evitare sanzioni o perché il diritto coincide con (o addirittura promuove) l 'interesse personale22 .

Oppenheim formula dunque la sua diagnosi: Credo che la caratterizzazione di Searle del potere politico come es­ senzialmente deontico , non violento , non egoista [unselfish] sia una rappresentazione idealizzata delle democrazie occidentali23 •

Normatività e valutatività Se si potesse affermare che la teoria di Searle ha la pretesa di es­ sere normativa , se non si trattasse per lui di stabilire cosa sia la poli­ tica, bensì cosa debba essere , allora si aprirebbero nuovi problemi , ma certamente l' insieme di problemi appena delineato troverebbe una risposta di principio . Attribuire a Searle una pretesa normativa diretta significherebbe tuttavia tradirlo in uno degli elementi più profondi del suo programma di filosofia sociale e politica. L' ontolo­ gia che ci propone è infatti palesemente teoretica e non normativa , dato che mira a identificare solo le condizioni di esistenza della so­ cietà e della politica come tali . Del resto la cosa non accade solo di fatto ma assume una valenza programmatica esplicita, che porta l ' autore a prendere le distanze dalla filosofia politica tradizionale . Lo mostra con chiarezza questo lungo passo che merita di essere ci­ tato per esteso, essendo uno dei pochi del suo genere : I classici della filosofia politica, dalla Repubblica di Platone alla Te­ oria della giustizia di John Rawls , hanno per la nostra cultura un 'im­ portanza che supera di gran lunga altri classici della filosofia . Gli argo­ menti discussi in queste opere sono : la descrizione della società ideale , la natura della giustizia , le fonti della sovranità , le origini dell 'obbligo politico e i requisiti per un' effettiva leadership politica . Si potrebbe ad­ dirittura sostenere che il filone più influente della tradizione filosofica occidentale sia proprio quello della filosofia politica . Quest'ultima in-

22 23

Oppenheim F. , "Potere bruto e potere deontico" , p. 1 07 . Oppenheim F. , "Potere bruto e potere deontico" , p . 1 07 .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

fatti ha uno straordinario valore poiché ha influenzato in diversi mo­ menti storici gli eventi politici . La Costituzione degli Stati Uniti , per fare un esempio eclatante , è l'espressione delle concezioni filosofiche di alcuni pensatori dell'Illuminismo , alcuni dei quali sono considerati i padri di essa . Eppure , nonostante gli impressionanti risultati conseguiti , ho spesso trovato qualcosa di poco realistico nella filosofia politica tradizionale . Il suo persistente utopismo , il suo ricorso ad invenzioni fantastiche come il contratto sociale , la sua sopravvalutazione della razionalità umana mi sono spesso sembrati dei seri limiti . La mia impressione complessiva è che , nella filosofia politica , la nostra tradizione filosofi­ ca occidentale non sia stata abbastanza incisiva nel descrivere il mondo reale . n problema non è che essa formuli risposte sbagliate alle domande che pone , ma piuttosto che non sempre essa risponde alle domande alle quali sarebbe necessario rispondere . Prima di rispondere a domande come : Che cos ' è una società giusta? , Qual è il giusto esercizio del pote­ re politico? , mi sembra necessario porre fondamentali domande come: Che cos ' è innanzitutto una società?, Che tipo di potere è , esattamente , il potere politico?24 .

Sia pure cautelandosi con il parlare di un"'impressione comples­ siva" , Searle ritiene dunque che la tradizione (nel suo complesso) della riflessione sulla politica tenda a far valere sistemi normativi , o addirittura utopie , privi di fondamento . A essere più generosi, e ri­ cordando quanto detto da Searle a proposito delle lacune di Weber e Durkheim in termini di strumenti di filosofia del linguaggio e della mente , l ' accusa potrebbe essere attenuata dicendo che dal punto di vista di Searle la filosofia politica "tradizionale" non assegna al ten­ tativo di raggiungere un adeguato spessore fondazionale la stessa at­ tenzione che assegna alla dimensione normativa . Implicitamente viene quindi ribadita l ' importanza di un programma radicalmente fondazionale e descrittivo come quello dell ' antologia sociale . Non bisogna a questo proposito lasciarsi ingannare dal fatto che Searle , a partire dall'esempio dell' ordinazione in un ristorante , affer­ ma con decisione l'esistenza di un aspetto normativa , per di più ne­ cessario , a livello di fatti sociali e culturali in genere . Si tratta infatti di una normatività interna ali ' oggetto di studio e non di una normatività che lo investe dall'esterno. Le funzioni in generale , e quindi anche le funzioni di status , salvo forse quelle onorifiche , contengono intrinse-

24

Oppenheim F. , "Ontologia sociale e potere politico" , p. 27 .

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1 07

camente il riferimento a scopi e a valori . Di conseguenza l ' entità che le assolve è sottoposta eo ipso a una valutazione . Così , come abbiamo visto , si può già parlare di un buon cuore , e a fortiori di un buon cac­ ciavite , o di un cattivo cacciavite , o di un buon soldato , ma sempre in riferimento allo scopo di far circolare il sangue o avvitare le viti o di combattere battaglie . La persona che assume liberamente il ruolo di soldato , primo ministro , ecc . , o anche solo cittadino , assume con ciò stesso , come ragioni per l' azione indipendenti dal desiderio , tutto ciò che la funzione assunta prescrive . Tuttavia , con gli strumenti teorici dell ' antologia di Searle , non si potrà in nessun modo dire se è un bene che vi siano cacciavite . Que­ sta valutazione richiede infatti il riferimento a scopi o a valori ester­ ni alla funzione stessa , riguarda per così dire le vicende interne all ' assolvimento della funzione . Lo stesso si può dire naturalmente anche per le funzioni di status , e anzi in misura ancora più significa­ tiva. Come sappiamo , infatti , tali funzioni sono determinate dalle re­ gole costitutive e non dai poteri c asuali dell ' ente che le assolve . Quale funzione abbia un avvocato difensore , un reo , un presidente della Repubblica in quanto tale , non è cioè stabilito (solo) da ciò che essi sono in grado naturalmente di fare , ma dal tipo di regole che sono state accettate da chi ha a che fare attivamente o passivamente con il ruolo . Le funzioni di status vanno quindi incontro a una dop­ pia indeterminatezza valutativa. Da un lato , come nel caso del cac­ ciavite non sarà a rigore possibile , sempre con gli strumenti che Se­ arie ci offre , valutare la bontà dell ' esistenza stessa della funzione , e quindi , ad esempio la bontà dell ' esistenza di avvocati difensori , pre­ sidenti della Repubblica , primi ministri , parlamenti , rei , ecc . Dall ' al­ tro lato la valutazione interna potrà avvenire solo in riferimento alle regole costitutive , ovvero al fatto che queste ultime vengano o meno rispettate . Resterà valutativamente indeterminato quel che accade nella sfera lasciata indeterminata dalle regole . Ma le funzioni di sta­ tus riguardano in ultima analisi poteri positivi o negativi di persone su altre persone . Persino la funzione di status "denaro" , che si impo­ ne solo su un oggetto materiale , si traduce , come abbiamo visto , nel­ la possibilità per la persona che lo possiede di fare certe cose . Dun­ que questo spazio di indeterminatezza è nello stesso tempo uno spazio di indeterminatezza valutativa nell ' esercizio concreto del po­ tere assegnato dalla funzione da parte delle persone o dei gruppi a cui è stata assegnata . Ma questo esercizio nella sfera politica e socia­ le non è meno importante e non è meno valutabile di quanto lo sia

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l ' esistenza della funzione in se stessa. Perciò , ad esempio , potrem­ mo dire che un primo ministro è un cattivo primo ministro se , ad esempio , abusa dei suoi poteri , o non esercita le sue facoltà . Ma non potremmo dire se è bene che esista un primo ministro , o un parla­ mento , ecc . , né - ed ecco la seconda indeterminatezza - potremmo dare una valutazione intrinseca di una politica economica o di una politica fiscale . Del resto il problema si pone anche da un altro punto di vista. In Searle l ' impostazione del problema in termini di condizioni di esi­ stenza fa sì che non vi sia alcuna articolata discussione degli scopi che la società e la politica dovrebbero assolvere , al di là del fatto di rendere possibile il continuarsi della società stessa. Né vi è una teo­ ria del perché sia un bene , o un male , il fatto che gli uomini vivano in società . O ancora: La teoria di Searle , come quella di Aristotele , ha un forte fondamento antropologico . Ma nello stesso tempo , e a differenza di Aristotele , ciò che Searle prende in considerazione dell 'uomo sono solo quegli elementi che a loro volta rendono possi­ bile la società , cioè , in sostanza, l' avere stati intenzionali collettivi , e una serie di capacità o abilità di sfondo fra cui quella di seguire una regola. Poco spazio riceve invece la tematica dei bisogni , delle pulsioni , degli istinti , ecc . , che dovrebbero essere soddisfatti dalla vita sociale e dalla dimensione politica , se non quando si dice che vi è una sfera privata e una ricerca egoistica di soddisfare preferenze individuali che regola la sfera economica a differenza di quella po­ litica . Naturalmente s u una delimitazione tematica come tale è sempre difficile fare obiezioni , come è difficile negare , che , se esistono condizioni generali di esistenza dei fatti sociali , allora la loro iden­ tificazione è prioritaria rispetto a qualunque altro livello di analisi , esattamente come in matematica una dimostrazione di esistenza quale che sia il criterio di esistenza proposto - precede idealmente qualunque teorema sulle proprietà di un certo oggetto . Ma questa impostazione funziona molto meglio per quanto riguarda la socie­ tà che per quanto riguarda la politica , che sembra invocare da sé , come noto , considerazioni valutative . Non è un caso del resto se alla fine una qualche considerazione valutativa compare anche in Searle . In particolare , come abbiamo visto , si afferma a chiare let­ tere che la democrazia ha compiuto il miracolo di porre polizia ed esercito sotto il controllo dell ' autorità politica , e si parla chiara­ mente di "società più evolute" , un ' espressione che va presa sul se-

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rio e interpretata proprio in senso valutativo . Almeno per quanto riguarda questo aspetto dunque Searle è pienamente consapevole di dire qualcos a - cioè che è bene che la forza stia sotto il control­ lo della politica - che vale eminentemente per le democrazie occi­ dentali , e l ' os servazione di Oppenheim che gli oppone proprio questa circostanza come un limite di principio non può essere in­ tesa nel senso della demistificazione di un ' ideologia .

L o spazio della politica Su un punto Oppenheim ha sicuramente ragione quando muove le sue critiche . Searle dice poco o nulla per provare di avere ragione nella valutazione della superiorità della democrazia. Ma un'osserva­ zione che abbiamo già proposto potrebbe aprire una chiave di lettu­ ra. Abbiamo visto che Searle sembra quasi suggerire che la demo­ crazia è superiore in quanto regime che meglio si ade gua alle condizioni di esistenza dei fatti istituzionali come tali , e in partico­ lare con l ' origine dal basso del potere politico . Naturalmente l ' affer­ mazione , a rigore , va intesa innanzitutto nel senso che il consenso in generale è condizione di esistenza del potere politico come tale . Tut­ tavia la democrazia appare evidentemente come il regime nel quale l ' attenzione al ruolo del consenso riceve lo spazio più ampio . Qui vi s arebbe quindi un punto di passaggio diretto da considerazioni ontologico-descrittive a considerazioni normativo-valutative . Si tratta ora di approfondire brevemente questo punto e di vedeme i possibili sviluppi . L' argomento potrebbe avere grossomodo la seguente ossatura . Se è vero che ogni potere politico proviene dal basso , allora sarà mi­ gliore quel regime che tiene in conto questo fattore legando al me­ glio tale potere al suo effettivo sostegno ontologico . Se questo è il caso delle democrazie occidentali , allora esse saranno superiori agli altri regimi . La descrizione dello sforzo che devono fare le dittature per preservarsi , alternando propaganda e premi a minacce di puni­ zioni , ma restando comunque un regime precario , rende bene l ' idea di questo aspetto "controtendenziale" che la dittatura assume per Searle . Allo stesso modo , se è vero che ogni potere politico si fonda sul fatto che coloro che gli sono sottoposti hanno ragioni indipen­ denti dal desiderio per agire , allora un potere politico sarà tanto mi­ gliore quanto più sono forti le ragioni indipendenti dal desiderio

l lO

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come motivazione per l ' azione dei suoi sottoposti . Ma allora , se è vero che le democrazie rendono più partecipi i cittadini agli impegni di cittadinanza , ne seguirà che le democrazie si riveleranno migliori di altri regimi . O ancora, se è vero che le società (complesse) stanno insieme solo grazie a funzioni di status e quindi al rispetto di regole costitutive , allora un regime sarà tanto migliore quanto più tali rego­ le saranno chiare . Ma allora , se è vero che la democrazia costituzio­ nale e lo stato di diritto sono il tipo di regime che massimizza la chiarezza delle regole , ne seguirà che essi realizzeranno condizioni di vita associata migliori di quelle realizzate da un regime non costi­ tuzionale . Dunque , in generale , se l ) Searle ha ragione circa le condizioni di esistenza della società , se 2) effettivamente ci sono regimi che le soddisfano in diversa misura, e se, infine , 3) la democrazia è quella che le soddisfa al meglio , allora la preferenza per la democrazia po­ trebbe avere ragioni teoretiche a suo sostegno . In questo caso ob­ biettargli di aver preso a modello le democrazie occidentali signifi­ cherebbe cadere in una mera petitio principi. Consideriamo l a cosa i n modo più analitico m a anche più genera­ le , e senza riferimento alla democrazia . Sebbene l ' autore non lo dica esplicitamente , la sua antologia sociale sembra avere esiti fondativi rispetto a discorsi normativi quantomeno in un senso minimale : nel senso , appunto , che essa giustifica e precisa le condizioni di esisten­ za dell ' oggetto delle norme e quindi la cornice entro la quale un di­ scorso normativa è in linea di principio possibile , cioè , nel nostro caso , compatibile con l ' esistenza di una società in generale . Se la norma che si vuole proporre viola le condizioni di esistenza della so­ cietà , essa non ha senso come norma per la società . In altre parole non vi è società "giusta" , "buona" , ecc . , che non sia società di fun­ zioni di status e regole costitutive accettate - e accettabili - dall ' in­ tenzionalità collettiva , semplicemente perché senza questa compo­ nente , non vi è società in generale . Naturalmente un simile approccio renderebbe "normativamente accettabili" tutti quei regimi che non comportano la disgregazione totale , una condizione accettabile anche da Hobbes e realizzabile anche da un sovrano assoluto . Ma una difesa della superiorità della democrazia liberale avrà uno spazio di gioco sfruttando un possibi­ le meccanismo teorico che si può desumere dal riferimento alle con­ dizioni di esistenza . Se nessun regime può violare tali condizioni , vi possono tuttavia essere regimi che le garantiscono in diversa misu-

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ra, e , dati due regimi , risulterebbe allora preferibile quello che le ga­ rantisce in misura maggiore . Se le cose stessero in questo modo , e , per l ' appunto , s e questo fosse il caso per le democrazie liberali oc­ cidentali , almeno intese come tipo ideale , allora la preferibilità di queste ultime sarebbe effettivamente provata , senza escludere natu­ ralmente che esistano altri tipi , meno preferibili , di regimi in grado di governare collettività umane . Ma per portare a compimento questa operazione teorica i passag­ gi sarebbero molto numerosi ed estremamente impegnativi . Oltre a tutto quanto già messo in luce in precedenza, si dovrebbe dimostra­ re soprattutto che le condizioni di esistenza delle società ammettono gradi (anche se non necessariamente una continuità di gradi) e che vi è una soglia minima . Ad esempio , si dovrebbe ammettere che a partire da una soglia minima di accettazione rassegnata delle funzio­ ni di status si possa arrivare a un massimo , poniamo , di accettazione profondamente motivata. Lungo un altro asse si dovrebbe aggiunge­ re , ad esempio , un minimo che è la capacità di tenere a bada i con­ flitti fino a un massimo in cui le regole costitutive permettono alle società di funzionare risolvendo sistematicamente i conflitti . Lungo un ulteriore asse - sempre ipoteticamente e sempre solo per dare un' idea del meccanismo - si potrebbe collocare la coerenza del si­ stema di funzioni di status , e lungo un altro asse ancora il loro grado di determinazione e di chiarezza, e così via. Se tutto ciò fosse corret­ to , se fos sero stati cioè individuati i fattori decisivi , e se essi ammet­ tessero gradi , la dimensione politica sarebbe dunque uno spazio n­ dimensionale , continuo o discreto che sia , e la valutazione di un regime politico dipenderebbe allora, per così dire , dalla sua colloca­ zione entro questo spazio , dalla sua distanza dall ' origine di questi assi che riportano i gradi di soddisfazione delle diverse condizioni di esistenza della società . Due regimi "equidistanti" dall ' origine degli assi sarebbero ugualmente preferibili , e così via . Ma è allora chiaro che una prova rigorosa del primato della democrazia richiederebbe considerazioni molto più analitiche e articolate di quelle che Searle ci ha finora offerto . Si tratterebbe di identificare tutti i fattori perti­ nenti , ma anche di stabilire il "peso" di ciascuno e quindi la metrica di ciascun asse , senza contare poi tutti i problemi di applicazione di questo modello all ' analisi dei regimi storicamente dati25 • 25

Mario Ricciardi mi ha segnalato a suo tempo alcune affinità e parallelismi fra queste considerazioni e quelle di H L.A . Hart relative al contenuto mi-

1 12

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Resta poi sempre vivo , a rigore , il problema di stabilire se è un bene che gli uomini vivano in collettività , dato che , anche ammesso il successo dell ' impresa, quel che si potrebbe mostrare è al più in che modo si potrebbe vivere al meglio insieme agli altri .

antologia

e

storia

È perfettamente vero che la nozione di politica che Searle propone lascia fuori troppi fenomeni che non è possibile non chiamare "politi­ ci" nel senso diffuso del termine . Ma è anche vero che qui è in gioco anche un limite del tutto generale delle considerazioni antologiche come tali . In particolare sono evidenti i problemi che un atteggiamen­ to statico-classificatorio genera quando affronta una realtà essenzial­ mente dinamica come quella della società e della politica. C ' è una possibilità di attenuare questo limite e di riproporre le tesi di Searle in un modo coerente , ma nello stesso tempo più vicino alle dinamiche storiche delle concrete vicende politiche e sociali? Una possibilità di "dinamizzare" , potrebbe forse nascere dalla ri­ traduzione della tematica dell 'essenza della politica e della società nei termini delle tendenze che caratterizzano , sempre per essenza, l ' una e l ' altra sfera . In questo caso , non si dovrà più dire che ogni fe­ nomeno politico è un fenomeno istituzionale , ma che la dimensione della politica tende per sua natura all ' istituzionale . Parimenti , inve­ ce di dire che ogni potere politico è potere deontico , si dovrà dire che ogni potere politico tende per sua natura a divenire un potere de­ ontico . Invece di dire che non vi è politica o società senza regole condivise che determinano funzioni di status , si dovrà dire che la politica e la società tendono a regole condivise , e così via . Questa riformulazione del resto è perfettamente compatibile con quella proposta in termini di "spazio n-dimensionale" . La differen­ za più evidente sarà che in questo caso sono assenti valutazioni , an­ che se la direzione delle tendenze sarà quella dei singoli assi di va­ lutazione . Questa circostanza , del resto , non costituisce una sorpresa dato che a sua volta la direzione di questi assi esprime l ' incremento della capacità di un regime di funzionare in base alle sue stesse connimo del diritto naturale , per le quali si rimanda a: Ricciardi M . , "Diritto naturale minimo" , in AA . VV. , Virtù e natura , a cura di De Anna G . , Pa­ dova , Il Poligrafo , 2004 .

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113

dizioni di esistenz a . Un ' altra differenza altrettanto significativa sarà , inoltre , che mentre lungo la scala di valutazione si prospetta , almeno al limite , un massimo di preferibilità , nel caso delle "tenden­ ze" naturali ai sistemi politici e sociali , sarà sufficiente un punto di equilibrio accettabile per gli attori nelle diverse contingenze stori­ che , anche se comunque al di sopra della soglia minima che garanti­ sce l ' esistenza della società in generale . Una teoria generale e l' af­ fermazione dell ' esistenza di condizioni astoriche di esistenza della società e della politica sarebbero quindi meno distanti dalla storicità delle società e delle dinamiche politiche e dalle contingenze dei bi­ sogni umani che le une e le altre dovrebbero soddisfare . In concreto si tratterà di dire che i conflitti violenti non sono prose­ guibili all' infinito compatibilmente con l ' esistenza di una società , mentre può proseguire all' infinito una situazione in cui i conflitti ven­ gono gestiti e risolti in modo non violento . Perciò il conflitto violento prima o poi lascia il posto a regole del gioco condivise in grado di ga­ rantire una convivenza in generale e una convivenza accettabile da un certo gruppo sociale storicamente individuato in particolare , e così via per gli altri fattori. Una dittatura feroce sarà , come abbiamo già osser­ vato , un regime intrinsecamente instabile , ma possibile in determinate circostanze . Una rivoluzione potrà essere detta un fenomeno politico , nel senso però che essa parte dalla distruzione di un sistema di funzio­ ni di status precedentemente accettate e tende verso l'instaurazione di un altro sistema di funzioni di status accettate . Ciascuno dei due stati coinvolti in una guerra non dichiarata ha di mira l' imposizione o la di­ fesa del proprio potere deontico , e se è invece una brutale dittatura ha in sé i germi della propria instabilità . L'eventuale vincitore , se vuole essere in grado di gestire la situazione con un minimo di stabilità, do­ vrà cioè imporre in qualche modo regole costitutive condivise . Gli stati intermedi sarebbero quindi stati di instabilità la cui politicità di­ pende dalla politicità dello stato di partenza e di quello di arrivo .

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INDICE DELLE OPERE CITATE'

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Idee per una fenomenologia pura ed una filosofia fenomenolog i­ ca , Torino , Einaudi , 1 970) Husserl E. Logische Untersuchungen , Niemeyer, Halle , 1 922 (edi­ zione italiana: Ricerche logiche , Milano , Il S aggiatore , 1 968)

l

In ordine alfabetico per autore e poi per titolo .

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Intenzionalità, Regole, Funzioni

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Indice delle opere citate

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ETEROTOPIE Collana diretta da Pierre Dalla Vigna e Salvo Vaccaro l.

2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20 . 21 . 22 . 23 . 24. 25 . 26. 27 . 28. 29 .

Nerozzi Bellman Patrizia (a cura di) , Internet e le muse . La rivoluzione digitale nella cultura umanistica Vaccaro Salvo ( a cura di) , Il secolo deleuziano Berni Stefano , Soggetti a l potere. Per una genealogia del pensiero di Michef Foucault Carbone Paola ( a cura di) , Congenialità e traduzione Marzocca Ottavio , Transizioni senza meta . Oltremarxismo e antieconomia Carbone Paola ( a cura di) , L e comunità virtuali Fadini Ubaldo , Principio metamorfosi. Verso un 'antropologia dell 'artificiale Mello Patrizia ( a cura di) , Spazi della patologia, patologia degli spazi Petrilli Susan , Ponzio Augusto , Fuori campo . I segni del corpo tra rap­ presentazione ed eccedenza Carmagnola Fulvio , La specie poetica . Teorie della mente e intelligenza sociale Deleuze Gille s , La passione dell'immaginazione . L 'idea della genesi nell 'estetica di Kant De Michele Girolamo , Tiri Mancini. Walter Benjamin e la critica italiana Riccio Franco , Vaccaro Salvo (a cura di) , Nietzsche in lingua minore Carbone Paola , Patchwork 17zeory. Dalla letteratura postmoderna all 'ipertesto Ferri Paolo , La rivoluzione digitale . Comunità, individuo e testo nell'era di Internet Foucault Miche!, Spazi altri . I luoghi delle eterotopie Bataille Georges , La condizione del peccato Carbone Paola (a cura di) , eLiterature in ePublishing Dal Bo Federico , Società e discorso. L 'etica della comunicazione in Karl Otto Ape l e Jacques Derrida Deleuze Gilles , Istinti e istituzioni Paquot lbierry, L 'utopia ovvero un ideale equivoco Pinone Marco Antonio , Approdi e scogli . Le migrazioni internazionali nel Mediterraneo Ponzio Augusto , Individuo umano, linguaggio e globalizzazione nella fi­ losofia di Adam Scha.ff Simone Anna , Divenire sans papiers . Sociologia dei dissensi metropolitani Vaccaro Salvo (a cura di) , La censura infinita . Informazione in guerra, guerra all 'informazione Artaud Antonin , CsO. Il corpo senz 'Organi Moulian Tomas , Una rivoluzione capitalista . Il Cile, primo laboratorio mondiale del neo/iberismo Thea Paolo , Il vero cioè il falso . Invenzione, riconoscimento e rivelazione nell 'arte Amato Pierandrea (a cura di) , La biopolitica . fl potere e la costituzione della soggettività

30 . Bertuccioli Manolo , Carlos Castaneda e i navigatori dell 'infinito 3 1 . Bonaiuti Gianluca , Sirnoncini Alessandro (a cura di) , La catastrofe e il parassita . Scenari della transizione globale 3 2 . Buchbinder David, Sii uomo! Studio sulle identità maschili 33 . Cozzo Andrea, Conflittualità nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta co­ mzmicativa 34. Deleuze Gilles , Fuori dai cardini del tempo, Lezioni su Kant 3 5 . Galluzzi Francesco , Roba di cui sono fatti i sogni. Arte e scrittura nella modernità 3 6 . Le ghi ssa Giovanni , Il gioco dell 'identità . Differenza, alterità, rappresentazione 3 7 . Maistrini Maria, Il figurale in J.-F. Lyotard 3 8 . Montanari Mareno , Il Tao di Nietzsche 3 9 . Vaccaro Salvo , Globalizzazione e diritti umani. Filosofia e politica della modernità 40 . Bazzanella Emiliano , Il ritornello . La questione del senso in Deleuze­ Guattari 4 1 . Fabbri Lorenzo , L 'addomesticamento di Derrida . Pragmatismo/ De­ costruzione 42 . Marcenò Serena, Le tecnologie politiche dell'acqua . Governance e con­ flitti in Palestina 43 . Piana Gabriele , Conoscenza e riconoscimento del corpo 44 . Prebisch Raul , La crisi dello sviluppo argentino. Dalla frustrazione alla crescita vigorosa 45 . Scopelliti Paolo , Psicanalisi surrealista . L 'influenza del surrealismo su Hesnard, Lacan, Deleuze e Guattari 46. Vaccaro Salvo , Biopolitica e disciplina . Miche! Foucault e l 'esperienza del GIP (Group d 'Information sur !es prisons) 47 . Vercelloni Luca, Viaggio intorno al gusto . L 'odisseo della sensibilità oc­ cidentale dalla società di corte all 'edonismo di massa 4 8 . Caronia Antonio , Livraghi Enrico , Pezzana Simona , L 'arte nell 'era della producibilità digitale 49 . Dino Alessandra (a cura di) , La violenza tollerata . Mafia, poteri, disobbedienza 50 . Rodda Fabio , Cioran , l 'antiprofeta. Fisionomia di un fallimento 5 1 . Scolru.i Raffaele , Paesaggi senza spettatori . Territori e luoghi del presente 5 2 . Pastore Luigi , Limnatis G. Nectarios (a cura di) , Prospettive del postmod­ erno Vol.! . Profili epistemici 5 3 . Poidimani Nicoletta, Oltre le monocolture del genere 5 4 . Pastore Luigi , Limnatis G. Nectarios (a cura di) , Prospettive del postmod­ erno Vo/ .2 . Profili epistemici 5 5 . Bellini Paolo , Cyberfilosofia del potere . Immaginari, ideologie e conflitti della civiltà 5 6 . Bazzanella Emiliano, Etica del tardocapitalismo 5 7 . Cuttita Paolo , Segnali di confine . Il controllo dell ' immigrazione nel mon ­ do-frontiera 5 8 . De Conciliis Eleonora (a cura di) , Dopo Foucault. Genealogie del post­ moderno

5 9 . Di Benedetto Giovanni , Il naufragio e la notte . La questione migrante tra accoglienza, indiffernza ed ostilità 60 . Pagliani Piero , Naxalbari-India . L 'insurrezione nella futura "terza potenza mondiale " 6 1 . Vaccaro Giovanbattista , Per la critica della società della merce 62 . Vinale Adriano (a cma di) , Biopolitica e democrazia 63 . Demichelis Lelio, Leghissa Giovanni (a cma di) , Biopolitiche del lavoro 64 . Corradi Luca, Perocco Fabio (a cma di) , Sociologia e globalizzazione 65 . Bellini Paolo (a cma di) , La rete e il labirinto . Tecnologia , identità e sim­ bolica politica 66 . Dalla Vigna Pierre , A partire da Merleau-Ponty. L'evoluzione delle con ­ cezioni estetiche merleau-pontyane nella filosofia francese e negli stili dell 'età contemporanea 67 . Riccioni ilaria (a cma di) , Comunicazione, cultura, territorio . Contributi della sociologia contemporanea , 68 . Pasquino Monica , Plastina Sandra (a cma di) , Fare e disfare . Otto saggi a partire da Judith Butler 69 . Bertoldo Robe1to , Anarchismo senza anarchia . Idee per una democrazia anarchica 70 . Del Bono Serena , Foucault, pensare l 'infinito . Dall 'età della rappresen ­ tazione all 'età del simulacro 7 1 . Dino Alessandro e Licia A . Callari (a cura di) , Coscienza e potere . Nar­ razioni attraverso il mito 72 . Farci Manolo , Pezzana Simona (a cura di) , Blue lit stage . Realtà e rap­ presentazione mediatica della tortura 73 . La Grassa Gianfranco , Tutto torna ma diverso. Capitalismo o capitalismi? 74 . Dalla Vigna Pierre , La Pattumiera della storia . Beni culturali e società dello spettacolo 75 . Palumbo Antonino , Vaccaro Salvo (a cura di) , Governance e democrazia. Tecniche del potere e legittimità dei processi di globalizzazione 7 6 . Vaccaro Giovanbattista (a cma di) , Al di là dell 'economico . Per una criti­ ca filosofica de/l ' economia 77 . Meattini Valeria , Pastore Luigi (a cura di) , Identità, individuo, soggetto tra moderno e postmoderno 78 . Dino Alessandra (a cura di) , Criminalità dei potenti e metodo mafioso 79 . Scolari Raffaele , Filosofi e del mastodontico . Figure contemporanee del sublime della grande dimensione 80. Trasatti Filippo, Leggere Deleuze attraverso Millepiani 8 1 . Manicardi Enrico , Liberi dalla civiltà. Spunti per una critica radicale ai fondamenti della civilizzazione : dominio , cultura, paura , economia, tec­ nologia 8 2 . Vaccaro Gianbattista , Antropologia e utopia . Saggio su Herbert Marcuse 8 3 . Trasatti Filippo , Filippi Massimo (a cura di) , Nell'albergo di Adamo . Gli animali, la questione animale e la filosofia 84. Franck Giorgio, Il feticcio e la rovina . Società dello spettacolo e destino dell 'arte 85 . Marzocca Ottavio (a cura di) , Governare lfambiente ? La crisi ecologica tra poteri, saperi e conflitti

8 6 . Grossmann Hemyk, /1 crollo del capitalismo . La legge dell 'accumulazione e del crollo del sistema capitalista 87 . Pullia Francesco, Dimenticare Cartesio . Ecosofia per la compresenza 88 . Bazzanella Emiliano , Religio l. Senso e fede nel tardocapitalismo 89 . Foucault Michel , La società disciplinare 90 . Paiano Damiano, Volti della paura . Figure del disordine all 'alba dell 'era biopolitica 9 1 . Simone Anna , I corp i del reato . Sessualità e sicurezza nelle società del rischio 92 . De Gaspari Mario , Malacittà . La finanza immobiliare contro la società civile 93 . Ruta Carlo, Guerre solo ingiuste . La legittimazione dei conflitti e l 'America dall ' Vietnam all 'Afghanistan 94 . Frazzetto Giuseppe, Molte vite in multiversi . Nuovi media e arte quotidi­ ana 95 . Bazzane Ila Emiliano , Re ligio Il. La religione del soggetto 96. Brindisi Gianvito , de Conciliis Eleonora (a cura di) , Lavoro, merce, desiderio 97 . Casiccia Alessandro , I paradossi della società competitiva 98 . Castanò Ermanno , Ecologia e potere . Un saggio su Murray Bookchin 99 . d' Enico Stefano , Il socialismo libertario ed umanista oggi fra politica ed antipolitica 100 . Tursi Antonio, Politica 2 .0. Blog, Facebook, YouTube, WikiLeaks: ripen ­ sare la sfera pubblica 10 1 . Lombardi Chiara , Mondi nuovi a teatro . L 'immagine del mondo sulle scene europee di Cinquecento e Seicento: spazi, economia , società 102 . Petrillo Antonello (a cura di) , Società civile in Iraq. Retoriche sullo "scon ­ tro di civiltà " nella terra tra i due fiumi 103 . Paolo Bellini , Mitopie tecnopolitiche. Stato, nazione, impero e globaliz­ zazione 104. Palumbo Antonino , Segreto Viviana (a cura di) , Globalizzazione e gover­ nance delle società multiculturali 105 . Bertoldo Roberto , Nullismo e letteratura . Al di là del nichilismo e del post­ moderno debole . Saggio sulla scientificità dell 'opera letteraria 106. Ruggero D' Alessandro , La comunità possibile . La democrazia consiliare in Rosa Luxemburg e Hannah Arendt, 107 . Tessari Alessandro (a cura di) , Sindrome g iapponese . La catastrofe nucle­ are da Chernobyl a Fukushima 108 . Bonazzi Matteo, Carmagnola Fulvio , Il fantasma della libertà . Inconscio e politica al tempo di Berlusconi , 20 1 1 109 . Mario De Gaspari , La Bolla immobiliare . Le conseguenze economiche delle politiche urbane speculative , 20 1 1 1 10 . Bruni Sara Elena Anna , Colavero Paolo , Nettuno Antonio (a cura di) , L'animale di gruppo. Etologia e psicanalisi di gruppo . Riflessioni grup­ pali da u n seminario urbinate , 20 1 1 1 1 1 . Segreto Viviana, «Il padre di tutte le cose» Appunti per una pedagogia del conflitto , 20 1 1

1 1 2 . Alessandra Dino (a cura di) , Poteri criminali e crisi della democrazia , 20 1 1 1 1 3 . Serena Marcenò , Biopolitica e sovranità . Concetti e pratiche di governo alle soglie della modernità 1 14. Cosimo Degli Atti , Soggetto e verità . Miche[ Foucault e l 'Etica della cura di sé 1 1 5 . Pasca! Boniface , Verso la quarta guerra mondiale 1 1 6 . Guido Dalla Casa, L 'eco/o gia profonda . Lineamenti per una nuova visione del mondo 1 1 7 . R clown . Il meglio di Wìkileaks sull 'anomalia italiana, introduzione di Marco Marsili 1 1 8 . Carlo Grassi , Sociologia della cultura tra critica e clinica . Battaile, Barthes, Lyotard 1 1 9 . Fliedrich Georg Jiinger, Emst Jiinger, Guerra e guerrieri . Discorso 1 20 . Emma Palese , Benvenuti a Gattaca . Corpo liquido , pedicopolitica, genet­ ocrazia 1 2 1 . Anna Simone (a cura di) , Sessismo democratico . L'uso strumentale delle donne nel neo liberismo 1 2 2 . Matthew Calarco, Zoografie. La questione dell'animale da Heidegger a Derrida 1 2 3 . Luigi Vergallo , Economia reale ed economia sommersa nel riminese in prospettiva storica 1 24 . Salvo Vaccaro (a cura di) , L 'onda araba . I documento delle rivolte 1 25 . Valetia Nuzzo, L ' immagine per il paesaggio e l 'architettura . Percorsi didattici per la scuola 1 26 . Félix Guattari , Una tomba per Edipo . Introduzione di Gilles Deleuze 1 27 . Raffaele Federici , Sociologie del segreto 1 28 . Luca Taddio , Global revolution . Da Occupy Wall Street a una nuova democrazia 1 29 . Enrique Dussel, Indignados 1 30 . J ames Tobin, Tobin Tax 1 3 1 . Jean-François Lyotard, Istruzioni pagane 1 32 . Delfo Cecchi , Cibo, corpo, narrazione . Sondaggi estetici 1 3 3 . Mario Giorgetti Fume l, Federico Chicchi (a cura di) , Il tempo della preca­ rietà Sofferenza soggettiva e disagio della postmodernità 1 34 . Spattaco Pupo , Robert Nisbet e il conservatorismo sociale 1 3 5 . Giuseppina Tumminelli, Strategie di ri-produzione . Aziende agricole e strutture familiari nella Sicilia centro-occidentale 1 36 . Iris Gavazzi , Il vampiresco . Percorsi nel brutto 1 37 . Ferruccio Capelli , Indignarsi è giusto 1 3 8 . Enrico Manicardi , L 'ultima era . Comparsa, decorso, effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata civiltà 1 39 . Manuele Bellini , Corpo e rivoluzione . Sulla filosofia di Luciano Parinetto 1 40 . Giovan B attista Vaccaro , Le idee degli anni Sessanta 1 4 1 . Milena Meo , Il corpo politico . Biopotere , generazione e produzione di soggettività femminili 142. Massimiliano Vaghi , L 'idea dell'India nell 'Europa moderna (secoli XVII­

XX)

143 . Gianluca Cuozzo, Mr. Steve Jobs . Sognatore di computer 144 . Paolo Cuttitta, Lo spettacolo del confine . Lampedusa tra produzione e messa in scena della frontiera 145 . Emiliano Bazzanella , Religio III. Logica e follia 146. Emma Palese , La filosofia politica di Zygmut Bauman . Individuo, società, potere, etica, religione nella liquidità del nostro tempo 147 . Emma Palese , Mo s tri, draghi e vampiri . Dal meraviglioso totalizzante alla naturalizzazione delle differenze 148 . Matteo Bonazzi , Lacan e le politiche dell 'inconscio . Clinica dell 'immaginario contemporaneo 149 . Eleonora de Conciliis , /1 potere della comparazione. Un gioco sociologico 1 5 0 . L 'apartheid in Palestina . Il rapporto Human Riglzts Watclz sui territori arabi occupati da Israele 1 5 1 . Fulvio C annagnola, Clinamen. Lo spazio estetico nell 'immaginario contem­ poraneo 1 5 2 . Francesco Pullia, Al punto di arrivo comune . Per una critica della filosofia del mattatoio 1 5 3 . Maurizio Soldini, Hume e la bioetica 1 5 4 . Gianluca Cuozzo, Gioco d 'azzardo . La società dello spreco e i suoi miti 1 5 5 . Andrea Gilardoni , Distruzioni . Potere & Dominio I 1 5 6 . Andrea Gilardoni , (Dis)obbedienza . Meccan ismi, strategie, argomenti . Potere & Dominio II

1 5 7 . Nicoletta Vallorani , Millennium London, Of Other Spaces and the Metropolis 1 5 8 . Giuseppe Armocida , Gaetana S . Rigo (a cura di) , Dove mi ammalavo . La geografia medica nel pensiero scientifico del XIX secolo

1 5 9 . Salvo Torre , Dominio, natura, democrazia . Comunità umane e comunità ecologiche 1 60 . Tindaro Bellinvia , Xenofobia , sicurezze, resistenza . L 'ordine pubblico in una città "rossa " (il caso Pisa) 1 6 1 . Amalia Rossi , Lorenzo D ' Angelo (a cura di) , Antropologia , risorse naturali e conflitti ambientali

1 6 2 . Augusto Illuminati , Teologia dei quattro elementi, Manifesto per un politeismo politico 1 6 3 . Giovanni Leghissa, Neoliberalismo, Un 'introduzione critica

1 64 . Anna Sica , Alison Wilson , The Murray Edwards Duse Collection 1 65 . Stefano Cardini (a cura di) , Piazza Fontana . 43 anni dopo . Le verità di cui abbiamo bisogno 1 6 6 . !sacco Turina , Chiesa e biopolitica . Il discorso cattolico su famiglia, sessualità e vita umana da Pio Xl a Benedetto XVI 1 67 . Felice Papparo , Perdere tempo 1 6 8 . Ugo Maria Olivieri, Il dono della servitù . étienne de La Boétie tra Maclziavelli e Montaigne 1 6 9 . Giovanna D 'Arnia, Milano e Parigi. Sguardi incrociati . 1 70 . Vittorio Morfino (a cura di) Machiavelli: tempo e conflitto

1 7 1 . Andrea Gilardoni, Potere potenziale 1 7 2 . Laura Sanò , Donne e violenza 173 . Marilena Parlati, Oltre il moderno . Orrori e tesori del lungo Ottocento inglese 17 4. Damiano Paiano, La democrazia e il nemico 17 5 . Andrea Rabbito , Il moderno e la crepa 1 7 6 . Pierre Dalla Vigna , Estetica e ideologia 1 7 7 . Paola Gandolfi , Rivolte in atto 1 7 8 . Chiara Simonigh (a cura di) Pensare la complessità. Per un umanesimo planetario 179 . Carmelo Buscema , L' epocalisse finanziaria . Rivelazioni (e rivoluzione) nel mondo digitalizzato 1 8 0 . Lidia Lo schiavo , Governance Globale, Governamentalità, Democrazia

1 8 1 . Alessandra Vicentini, Anglomanie settecentesche 1 8 2 . Francesco Saverio Festa , Un 'altra "teologia politica " ? 1 8 3 . Daniela Calabrò , L' ora meridiana . Il pensiero inoperoso di Jean-Luc Nancy tra antologia, estetica e politica 1 84 . Mimmo Pesare , Comunicare Lacan . Attualità del pensiero lacaniano per le scienze sociali

1 8 5 . Riccardo Ciavolella, Antropologia politica e contemporaneità. Un 'indagine critica sul potere presente 1 8 6 . Carlo Calcagno , Impotenza . Storia di un 'ossessione 1 8 7 . Marta S ironi , Ridere dell 'arte . L 'arte moderna nella grafica satirica europea tra Otto e Novecento

1 8 8 . Gianpaolo Di Costanzo , Assi mediani. Per una topografia sociale della provincia di Napoli 1 8 9 . Terrence Des Pres , Il sopravvivente . Anatomia della vita nei campi di morte , a cura di Adelmina Albini e Stefanie Golisch 1 90 . Francesca Nicoli , Giù le mani dalla modernità 1 9 1 . Leonardo Vittorio Arena , La durata infinita del non suono 1 9 2 . Anselm Jappe , Contro il denaro 1 9 3 . Giovanni Comboni, Marco Fmsca, Andrea Tornago (a cura di) , L'abitare e lo scambio . Limiti, confini, passaggi, 1 94 . Gianluca Cuozzo , Regno senza grazia. Oikos e natura nell 'era della tec­ nica 1 95 . Elisa Virgili , Ermafroditi 1 9 6 . Flavia Conte (a cura di) , Conversazioni sul postmoderno . Letture critiche del nostro tempo 1 97 . Alessandra MR D ' Agostino , Sesso mutante . I transgender si raccontano 1 9 8 . Gianfranco La Grassa , L 'altra strada . Per uscire dall 'impasse teorica 1 9 9 . Paolo Mottana (a cura di) , Spacco tutto! Violenza e educazione 200 . Licia Michelangeli e Vittorio Ugo Vicari (a cura di) , Mode società e cul­ tura nella Sicilia del secolo d'oro 20 1 . Roberto Bertoldo , Istinto e logica della mente . Una prospettiva oltre la fenomenologia

202 . Giuseppe Raciti , Ho visto Jiinger nel Caucaso . Jonathan Littell, Max Aue e Ernst Jiinger 203 . Furio Semerari (a cura di) , Etica ed estetica del volto 204 . Leonardo Grimoldi , Storia e utopia . Saggio sul pensiero di Ignazio Sifone 205 . Laura Bazzicalupo, Dispositivi e soggettivazione 206 . Oscar Ricci , Celebrità 2 .0. Sociologia delle star nell 'epoca dei new media 207 . Rosanna Castorina , Gabriele Roccheggiani , Paradossi della fragilità. Critica della normalizzazione sociale, tra neuroscienze e filosofia politica 208 . Antonio Tursi , Non solo cyber. Frammenti di un discorso mediologico 209 . Roberto Festa e Gustavo Cevolani , Giochi di società . Teoria dei g iochi e metodo delle scienze sociali 2 1 0 . Fiammetta Ricci e Giuseppe Sorgi (a cura di) , Miti del potere . Potere sen ­ za miti . Simbolica e critica della politica tra modernità e postmodemità 2 1 1 . Viola Carofalo , Un pensiero dannato . Frantz Fanon e la politica del ri­ conoscimento 2 1 2 . Gary Snyder, Nel mondo poroso . Saggi e interviste su Luogo, Mente e Wilderness,

a cura

di Giuseppe Moretti

2 1 3 . Luisella Feroldi , Tutta la realtà che possiamo . Immaginazione e simbolo nelle marche e nei media 2 1 4 . Giovanni De Zorzi, Con i dervisci . Otto incontri sul campo 2 1 5 . Raffaele Ariano , Vittorio Azzoni , Michele Maglio (a cura di) , Che cos 'è un soggetto . Tra comune e singolare 2 1 6 . Letizia Bianchi , Le mamme vengono prima . Il lavoro e gli affetti delle educatrici di nido 2 1 7 . Luisa Muraro , /! lavoro della creatura piccola . Continuare il lavoro della madre 2 1 8 . Massimiliano Ft·atter, Biglietto di andata . Autocoscienza maschile , a cura di Marco Deriu e Gabriele Galbiati 2 1 9 . Anna Sica, La Drammatica metodo italiano . Trattati normativi, trattati teorici 220 . Andrea De Benedittis , Iconografie dell'aldilà. La ricostruzione della per­ cezione della morte nel regno di Koguryo attraverso le sue pitture pari­ etali (N-VII secolo) 22 1 . Antonio Tucci (a cura di) , Disaggregazion i . Forme e spazi di govemance 222 . Didier Alessio Contadini , Il compimento dell 'umano . Saggio sul pensiero di Walter Benjamin 223 . Didier Contadini, Scioccanti verità . La critica della modernità in Poe e Baudelaire

224 . Delio Salottolo , Una vita radicalmente altra . Saggio sulla .filosofia di Mi­ chef Foucault

Finito di stampare nel mese di ottobre 2013 da Digitai Team , Fano (PU)