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Italian Pages 336 Year 2012
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CIACK SI SCRIVE / LE BIOGRAFIE a cura di Francesco Festuccia
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Francesca Picozza
INGMAR BERGMAN Il maestro raccontato
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«Creazione di valore è parte integrante di ciò che significa essere uomini. Gli esseri umani non hanno la capacità di creare materia; però possono creare valore ed è nella creazione del valore che risiede l’unico senso della vita umana» T. Makiguchi
A Sensei Daisaku Ikeda mia maestro, a Paolo, Anna, Maria e Carmine presenze fondamentali della mia vita e compagni insostituibili per la creazione di valore. Grazie
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INDICE
Nota personale Introduzione
PARTE PRIMA IL MONDO DI INGMAR BERGMAN 1. Ingmar Bergman: profilo biografico 2. Bergman e la Svezia 3. La carriera teatrale di Bergman 4. Ingmar Bergman: teatro di attori o di teatro di regia? 5. Bergman e la musica 6. Strindberg e Bergman: affinità e contrasti nel loro itinerario artistico PARTE SECONDA CONVERSAZIONI PRIVATE Interviste a:
Börje Ahlstedt Margaretha Byström Lena Endre Mathias Henrikson Erland Josephson Gunnel Lindblom Irene Lindh Jonas Malmsjö Per Myrberg GöranWassberg
11
13 17 24 31 42 47 53
69 81 91 101 111 119 129 139 149 157 7
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...TRE ANNI DOPO... Gunnel Lindblom Harriet Andersson Stig Björkman Jan Malmsjö PARTE TERZA IMMAGINI
Galleria Fotografica:
167 181 197 213
Tre coltelli da Wei di Henry Martinson, Dramaten, 04/06/1964 Hedda Gabler di Henrik Ibsen, Dramaten, 17/10/1964 Woyzeck di George Büchner, Dramaten, 14/03/1969 Il Sogno di August Strindberg, Dramaten, 14/03/1070 L’anatra selvatica di Henrik Ibsen, Dramaten, 17/03/1972 Verso Damasco di August Strindberg, Dramaten, 02/01/1974 La signorina Julie di August Strindberg, Dramaten, 07/12/1985 (le due versioni) Amleto di William Shakespeare, Dramaten, 20/12/1986 Lungo viaggio al termine della notte di Eugene O’Neill, Dramaten, 16/04/1988 Casa di bambola di Henrik Ibsen, Dramaten, 17/11/1989 Peer Gynt di Henrik Ibsen, Dramaten, 27/04/1991 Racconto d’Inverno di William Shakespeare, Dramaten, 29/04/1994 Il costruttore d’immagini di Per Olov Enqvist, Dramaten, 12/02/1998 La sonata degli spettri di August Strindberg, Dramaten, 11/02/2000 Spettri di Henrik Ibsen, Dramaten, 09/02/2002
223 224 226 227 229 232
BIBLIOGRAFIA
328
236 244
255 262 269
277
284
290 311
Allestimenti bergmaniani 1938-2002
323
FONTI
328
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PARTE PRIMA
IL MONDO DI INGMAR BERGMAN
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Nota personale
Ingmar Bergman: un maestro di vita nell’Arte. Durante la mia adolescenza Bergman è stato fondamentale. Leggere i suoi libri di memorie, vedere i suoi film e poi scoprire la sua meravigliosa vita teatrale mi hanno dato il coraggio di addentrarmi nei mondi più intricati del mio subconscio, senza per questo temerli o averne paura. Mi sono sentita capita, “a casa” in un certo senso. Grazie a lui ho potuto apprezzare l’unicità dell’essere umano nelle sue molteplici sfaccettature e contraddizioni. Ho voluto scrivere questo libro perché credo che le testimonianze degli attori che hanno collaborato con lui rendano in maniera autentica, diretta, forte e viva, il suo modo di concepire e vivere il teatro. Rispetto, fiducia, gioco, collaborazione sono le parole che emergono maggiormente da quasi tutte le interviste. Anche tramite i suoi film, Ingmar ci ha presentato più volte la sua visione dell’arte con una impronta fortemente teatrale e con una valorizzazione assoluta della figura dell’ “artista” nelle sue molteplici forme espressive. Ciò che si evince da tutto il libro non è qualcosa di nuovo, di sensazionale... tutt’altro. Questa è solo un’opportunità per riscoprire l’etica e l’anima teatrale che ognuno di noi, anche se non è “un artista”, possiede.
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Introduzione
Il Maestro raccontato vuole essere una testimonianza, un documento sul grande apporto artistico che Bergman ha donato non solo al Teatro svedese ma al Teatro in generale. I suoi attori sono stati parte fondante, organica e costitutiva di tutto questo. Le interviste di seguito riportate offrono la possibilità di calarsi nella dimensione più viva e autentica del teatro bergmaniano, dando a tutti la possibilità di coglierne profondamente lo spirito. Poco importa quindi se non si è propriamente “addetti ai lavori”. Il libro è suddiviso in tre parti. La prima parte è un’introduzione alla vita personale, artistica, sociale e culturale di Ingmar Bergman. Ho ritenuto necessario offrire un quadro generale dell’ambiente in cui il Maestro ha operato per fare in modo che le interviste ai suoi attori, riportate nella seconda parte del libro, fossero maggiormente calate e comprese nel loro contesto specifico. Riguardo alle interviste, è necessario fare subito una precisazione: il primo gruppo, più copioso, è datato 2005/2006 e gli attori intervistati, facendo riferimento al Maestro, usano il tempo presente essendo Bergman ancora vivo. Quelle successive sono state invece realizzate nel maggio e nel settembre del 2008, a circa un anno dalla sua morte. Ogni incontro con ciascun attore rivela un mondo: quello intimo dell’uomo, dell’artista, del protagonista unico e indiscusso delle messinscene bergmaniane. La terza ed ultima parte del libro offre una galleria fotografica di Bergman con i suoi attori durante le prove e le mes13 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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sinscene di alcuni spettacoli. Dall’insieme emerge come il vero protagonista del libro non sia solo Bergman, ma anche il suo Ensemble. Il teatro di Bergman, come avremo modo di scoprire, è stato un teatro di attori, quindi è proprio tramite le esperienze e il vissuto di questi ultimi che ci viene data la possibilità di addentrarci nella sua poetica teatrale: improvvisamente si aprono le porte di un mondo multicolore, magico, infantile, pieno di fantasia e umanità. Non molti sanno che Bergman fu prima di tutto un regista di teatro. Mosse infatti i suoi primi passi da bambino con un teatrino di carta, con l’organizzazione di piccole recite familiari e con il teatro amatoriale. La sua esperienza teatrale diede in parte l’impronta anche al suo stile cinematografico con il quale Bergman si distinse in seguito dando voce a tutti i suoi sentimenti, pensieri e “demoni” più intimi, rivoluzionando così anche il modo di fare cinema nel mondo. All’interno della sua poliedricità artistica, lungo il corso della sua carriera, si rileva con sempre maggior forza e presenza la multimedialità e interrelazione dei differenti mezzi artistici: musica, cinema, teatro e scrittura si contemperano e si influenzano reciprocamente. Ci sono poi degli elementi che ricorrono e divengono presenze fisse sia nelle sue ambientazioni cinematografiche che in quelle teatrali; in questo modo esse si caricano di significato, divenendo la scena, la base, “il fondamento” per esprimere la poetica bergmaniana1. Pur essendosi definito egli stesso un autodidatta, Bergman si è fatto anche portavoce della grande tradizione teatrale svedese. Lungo la sua carriera teatrale, infatti, ebbe modo di incontrare grandi registi quali Hammarén, Molander, Sjöberg e Levì-Laestaedius che all’epoca avevano segnato la storia del teatro svedese. Da loro Bergman imparò molto e fece propri i loro insegnamenti per rielaborarli in seguito con un gusto, un’ottica ed estetica teatrali tutti suoi. Ad Hammarén, ad esempio, fu debitore di tutto l’insegnamento della tecnologia teatrale, dall’impianto delle luci alla disposizione sceno1 Cfr. L. De Giusti, L’Opera Multiforme di Bergman oltre il commiato: 1982-2003, Milano, Il Castoro, 2005.
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grafica e all’impostazione delle scene corali. Da Sjöberg e Molander prese invece il concetto dell’osservatore muto2 e un modo di allestire la scena tramite la compenetrazione tra realtà e finzione, affiancandovi un suo personale concetto di straniamento assai diverso da quello brechtiano3. La multimedialità bergmaniana ha sempre avuto come collante gli attori e la musica. I primi, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, sono stati la sua grande famiglia che è rimasta sempre la stessa, sia in cinema che in teatro e televisione. La musica è stata invece la sua compagna fedele che ha supportato le sue interpretazioni e relative messinscene dell’animo umano. Ingmar Bergman aveva due doti speciali: una grande sensibilità e la capacità di dare fiducia ai suoi collaboratori, attori, tecnici, aiuti regia. I suoi attori hanno tirato fuori il meglio da se stessi dando vita a grandi interpretazioni proprio perché si sentivano accettati e sostenuti da lui, e non vincolati, oppressi e intimoriti. Bergman è stato la presenza determinante seppur silenziosa, che, sul set o durante le prove, ha dato l’opportunità all’attore di trasformare l’impossibile in possibile, creando personaggi indimenticabili. In sintesi, Ingmar Bergman è stato l’osservatore muto4 del suo mondo teatrale. Si potrebbe considerare il teatro bergmaniano come progenitore del suo cinema, essendo stato il principale luogo di scambio sinergetico, emotivo ed umano. In Italia, l’attività teatrale di Bergman è poco conosciuta. Alcuni suoi spettacoli sono stati ospitati molte volte al Piccolo Teatro di Milano, a Firenze e in qualche altra città italiana durante le tournée europee, ma sempre e solo per brevi periodi. Questo non ha dato forse a tutti la possibilità di comprendere appieno la poetica del Maestro. Il teatro di Bergman è essenziale. Come Peter Brook, Il paradosso dell’attore: dietro ogni personaggio si nasconde un interprete e perciò ogni volta che compare un personaggio sul palcoscenico, lo spettatore non vede una sola persona, ma in realtà ne vede due. 3 Cfr. A. Motta, Il volto del poeta dietro la maschera dell’architetto, gli allestimenti ibseniani di I. Bergman, Stoccolma, Stockholm Universitet, 2007. 4 Ibid. 2
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pur se con una poetica diversa, presenta scene vuote, non sovraccariche di scenografie ingombranti5, con un utilizzo sapiente e suggestivo delle luci, delle proiezioni per far risaltare i suoi attori imprevedibili e umanissimi nei loro costumi sgargianti e festosi6. Bergman è stato un grande dispensatore di fiducia e un regista in un’accezione tutta particolare: non impositivo ma propositivo; un artista visionario che ha realizzato, sulla tela/palcoscenico multiforme e dalle infinite possibilità, tantissimi disegni a china, completati e fatti vivere fino in fondo grazie solo alle diverse pennellate dei suoi pittori/attori, ciascuno con un proprio stile e senso del colore. “Penso che tutti gli attori, tutti i veri attori, siano sensuali. Ovviamente non c’è nulla di osceno, erotico o volgare in questo aggettivo. Intendo dire che gli attori veri, quando sono sul palco e tu te ne stai lì ad osservarli, rendono tutto meraviglioso: parlano, parlano, si dannano l’anima ma, mentre lo fanno, l’attore è lontano da dove si trova, molto lontano e anche se tu cerchi di vederlo non puoi. È una sorta di mistero. Alcuni attori hanno questo dono, altri invece sembrano di plastica, magari sono anche dei buoni professionisti, ma non sono veri attori”7.
Cfr. Intervista a G. Wasserberg presente in questo libro. Cfr. sezione fotografica nel libro stesso. 7 L’opera multiforme di Bergman, oltre il commiato 1982-2003, Milano, Novembre 2005, Il Castoro, p. 286. 5 6
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Ingmar Bergman: profilo biografico
Bergman è stato una figura di primo piano del teatro moderno svedese, sebbene la sua fama in Italia sia maggiormente legata alla produzione cinematografica. La sua carriera comprende più di un centinaio di allestimenti teatrali, una quarantina di radiodrammi e quindici produzioni televisive. Come sceneggiatore ha realizzato diciassette opere, oltre alle sceneggiature relative alla sua produzione cinematografica e televisiva. Ingmar Bergman è nato ad Uppsala il 14 luglio del 1918, di domenica. Questo è un dato temporale da non trascurare per comprendere la sua personalità, in quanto si dice che chi sia nato di domenica abbia una spiccata sensibilità e capacità percettiva di presenze ultraterrene. Bergman era figlio di Erik, pastore luterano, e di Karin Åkerblom. L’ambiente in cui visse era un misto di rigorosità luterana, legato ai concetti di «peccato, confessione, punizione, perdono e grazia»8, alternato ad alcuni momenti di gioiosa condivisione familiare, soprattutto durante le feste come il Natale. L’infanzia è stata fondamentale per Bergman, non l’ha mai rimossa, anzi le è rimasto sempre profondamente legato: oltre che nel film conclusivo della sua stagione cinematografica, Fanny e Alexander, dove alla fantasia viene aggiunta una buona dose di realtà vissuta dal suo auOltretutto non era infrequente che, a scopo punitivo, da bambino venisse rinchiuso nell’armadio, luogo in cui, rannicchiato, maturava il suo odio per il padre e la sua rabbia contro il Dio-padrone falsamente introiettato in quel clima culturale. Cfr. Igmar Bergman, Lanterna Magica, Milano, Garzanti, 1990 e il film Fanny e Alexander (1982), Edizione speciale Multimedia San Paolo, 2003. 8
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tore, Bergman ha fatto sovente riferimento alla sua infanzia in alcuni scritti autobiografici quali Lanterna Magica (1990 Garzanti), Immagini (1992 Garzanti) e Con le Migliori Intenzioni (1994 Garzanti). Quest’ultimo è un romanzo che rivisita la storia d’amore tra i suoi genitori, rivelandone aspetti caratteriali quali la durezza, il rigore e la continua sofferenza del padre, la dolcezza, la spontaneità e l’amorevolezza della madre. Questo libro ci aiuta a comprendere meglio in quale circostanze affettive sia nato e cresciuto il piccolo Ingmar. Dopo gli studi superiori e il servizio militare, a diciannove anni si iscrisse all’Università di Stoccolma dove si stabilì per frequentare un corso di Storia della Letteratura. S’interessò anche di teatro e musica. La sua tesi di laurea ebbe come oggetto August Strindberg, un autore molto amato e sentito dal Maestro fin dalla tenera età. Egli condusse uno stile di vita sregolato, scapestrato e instabile a causa della sua tendenza al disagio esistenziale, dovuto in parte alla mancanza di mezzi economici: ciò lo portò a condurre la vita bohémien. Coltivò con grande entusiasmo e passione il teatro e la musica che aveva scelto come materie di studi universitari. In questo periodo incominciò ad occuparsi del teatro studentesco, il Norra Latin Teater, e a scrivere i suoi primi drammi. Nel contempo iniziò a lavorare al Teatro dell’Opera come aiuto volontario, ottenendo in seguito l’incarico di suggeritore. Fu allora che Bergman iniziò ad essere stimato per le sue capacità non comuni. Il suo nome incominciò a circolare, dandogli in seguito la possibilità di accedere a palcoscenici prestigiosi: iniziò a collaborare infatti con i teatri più importanti della città, quali il Mäster Olofsgården. Nel 1942 Bergman scrisse una commedia satirico/oscena, basata sulla relazione indecente tra un prete e una spogliarellista. Questo testo provocò uno scandalo enorme, accrescendo però la sua fama. Avendo ottenuto dal direttore del teatro studentesco la possibilità di mettere in scena un suo testo dal titolo La Morte di Casper, di chiara derivazione strindberghiana, fu notato da alcuni membri della Svenska Filmindustri presenti alla rappresentazione, che rimasero colpiti dall’opera e decisero di assumerlo. Era il 1942. Bergman cominciò allora un duro lavoro 18 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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a tavolino per la ripulitura delle sceneggiature e per la scrittura di dialoghi9. Nel 1943 sposò Else Fischer, ballerina e coreografa. Nacque la sua prima figlia, Lena, futura scrittrice. Nel 1944 un’altra sua opera dal titolo Hets (allegoria contro il Nazismo che in quel periodo dilagava nel Continente e nella vicina Norvegia), venne acquistata dalla Svenska Filmindustri e trasformata in un film, per la regia di A. Sjöberg. A Bergman venne assegnato il ruolo di assistente alla regia. Questa fu la sua prima esperienza su un set cinematografico. Qualche mese più tardi il direttore della Svensk Filmindustri chiese a Bergman di fare una trasposizione cinematografica della commedia danese La Bestia Madre di L. Fischer, con la promessa di affidargli la regia. Bergman eseguì la richiesta in soli quattordici giorni. Famosa fu l’espressione che il Maestro utilizzò nel ricordare quell’esperienza «Se me lo avessero chiesto, avrei tratto un film anche dall’elenco del telefono»10. Il film s’intitolava Crisi (1945) e fu un grande flop. Allora in un momento particolarmente difficile gli venne incontro il produttore indipendente Lorens Marmsted finanziandogli il film Piove sul nostro Amore. Era il 1946. In quello stesso anno Bergman si trasferì a Göteborg dove venne nominato primo regista del teatro. Debuttò con Caligola di Camus e in seguito mise in scena diversi drammi di quest’autore. Grazie alla fiducia e al sostegno del produttore Marmsted, Bergman riuscì a realizzare altri due film: La Terra del Desiderio e Musica nel buio, entrambi del 1947. Il successo di quest’ultimo spinse la Sveska Filmindustri a ricontattarlo per commissionargli una sceneggiatura, La Furia del Peccato di Eva, film diretto in seguito da Molander, e la regia del film Città Portuale, tratto da un romanzo di Olle Lansberg, film che fu un insuccesso. 9 Cfr. Ingmar Bergman, Lanterna Magica, Milano, Garzanti, 1990 e Immagini, Milano, Garzanti, 1992. 10 Ingmar Bergman, Lanterna Magica, Milano, Garzanti, 1990, p. 156.
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Grazie ad un altro tempestivo aiuto di Marmsted, Bergman realizzò Prigione (1949), tratto da un suo soggetto, primo film importante della sua carriera. Il parziale successo lo riavvicinò alla Svenska Filmindustri, per la quale realizzò quattro film in soli due anni: Sete, tratto da un racconto di B. Tengroth, Verso la Gioia, Ciò non accadrebbe qui e Un’Estate d’Amore (1950). In questo periodo Bergman incontrò il famoso regista Victor Sjöström che divenne il suo “mecenate”, oltre che amico, e che accettò di recitare in alcuni suoi film. Nello stesso anno il cinema svedese attraversò un momento di crisi. Bergman venne licenziato. Marmstedt gli affidò la direzione artistica del suo teatro ma, dopo alcuni fiaschi, dovette rinunciare. In quel periodo Bergman strinse una relazione con la giornalista Gun Hagberg che sposò in seguito e dalla quale nacque una figlia. La giovane coppia incominciò a convivere e Bergman si ritrovò nella pesante situazione di dover provvedere al mantenimento di due mogli e cinque figli. Era di questo periodo Donne in Attesa (1952), prodotto dalla Filmindustri, ispirato dalla sua relazione con Gun. L’anno successivo (1953) venne assunto allo Stadsteater di Malmö, dove restò per otto anni (1960). Incominciò qui la sua collaborazione con un gruppo di attori, Max von Sydow, Ingrid Thulin, Gunnel Lindblom, Harriet e Bibi Andersson ed altri che divennero presenze fisse in quasi tutte le sue produzioni cinematografiche e teatrali. Oltre ad interessanti messinscene di successo, in questo periodo videro la luce alcuni dei suoi film più importanti, la maggioranza dei quali girati durante il periodo estivo: Una Vampata d’Amore (1953), Una Lezione d’Amore (1954), Sogni di Donna (1955). Il suo primo vero successo europeo arrivò con Sorrisi di Una Notte d’Estate (1955), premiato a Cannes. Questo spinse la Filmindustri a finanziare il successivo progetto di Bergman, concedendogli però solo trenta giorni per la realizzazione di uno dei suoi più importanti film: Il Settimo Sigillo (1956), tratto da Pittura su Legno, testo teatrale scritto da Bergman come saggio per i giovani allievi di Malmö. Con questo film il Maestro vinse il Premio Speciale a Cannes, l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e il premio della critica al Festival di Venezia. 20 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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È di questo periodo la sua riflessione sulla questione religiosa. Nel 1957 realizzò un altro capolavoro: Il Posto delle Fragole, protagonista il suo amato V. Sjöström. Fu premiato con un altro Orso d’Oro a Berlino e il Premio della Critica a Venezia. Nello stesso anno usciva Alle Soglie della Vita, sceneggiatura di U. Isaksson, premiato a Cannes per la migliore regia. Nel 1959 Il Volto, film incentrato sul teatro, la maschera, la finzione e l’illusione, vinse il Premio Speciale per la Regia a Venezia. Nello stesso anno, Bergman si sposò per la quarta volta con la pianista Käbi Laretei. Nel 1960 Bergman ottenne l’Oscar con La Fontana della Vergine, Miglior Film Straniero. La commedia L’Occhio del Diavolo è dello stesso anno. Ormai famoso, venne assunto come regista al Dramatiska Teater di Stoccolma, il Dramaten, per poi diventarne direttore nel 1961. Nello stesso anno realizzò Come in Uno Specchio, girato sull’isola di Fårö, dove Bergman si stabilì di lì a poco definitivamente, prima opera di una discussa trilogia religiosa. Anche questo film vinse l’Oscar come Miglior Film Straniero e venne premiato a Berlino. Seguirono Luci d’Inverno (1962), premiato a Berlino e a Vienna, e Il Silenzio (1963). La commedia A proposito di tutte queste signore (1964) spezzò il filone drammatico.
In questo periodo Bergman venne colpito da una grave depressione e ricoverato in ospedale. Durante la convalescenza scrisse il dramma Persona (1962) e iniziò una relazione con Liv Ullman, dalla quale nacque Lynn, apprezzata scrittrice e giornalista norvegese. Girando un film all’anno, in questo periodo furono realizzate le seguenti pellicole: L’Ora del Lupo (1966), La Vergogna (1967), Il Rito (1968, film per la televisione), Passione (1969, primo lungometraggio a colori) e L’Adultera (1971). Finita la sua relazione con Liv Ullman, Bergman si sposò per la quinta volta con Ingrid Von Rosen, che rimase sua moglie fino al 1995, anno della sua morte11: i due ebbero una figlia, Maria. 11
I. Bergman e M. Von Rosen, Tre diari, Milano, Iperborea, 2008.
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Dopo un nuovo periodo di difficoltà finanziarie, Bergman riuscì a risollevarsi con l’inaspettato successo mondiale di Sussurri e Grida (1972), vincitore di numerosi premi. Nel 1973 girò il celeberrimo Scene da un Matrimonio, inizialmente concepito come film ad episodi per la televisione svedese ed in seguito trasformato in un film vero e proprio della durata di tre ore. Nel 1974 girò Il Flauto Magico. Seguì poi il dramma psicologico L’Immagine allo Specchio del 1976 e L’Uovo del Serpente, commissionato e prodotto da Dino De Laurentis sempre nello stesso anno. Il 1976 fu un anno doloroso e traumatico per Bergman, poiché si vide implicato, ingiustamente, in un processo di accusa di evasione fiscale: per questo motivo fu ricoverato in un ospedale psichiatrico. In seguito, dopo una breve parentesi americana, decise di “autoesiliarsi” in Germania, a Monaco, dove portò avanti la sua attività al Residenzteater con l’Ensemble del luogo. Di tanto in tanto faceva ritorno in Svezia, ma solo per trascorrere le sue vacanze nell’amata isola di Fårö, dove scrisse la sceneggiatura di Sinfonia d’Autunno, cui seguì il film nel 1978, con il duetto, Ingrid Bergman/Liv Ullman. Per la televisione tedesca realizzò Un Mondo di Marionette nel 1980. L’anno successivo venne trasmesso alla televisione Fanny e Alexander, film autobiografico di quasi cinque ore, ridotto poi a tre per la versione cinematografica. L’opera gli valse quattro premi Oscar e segnò la conclusione della sua carriera come regista cinematografico. Per la Televisione Svedese realizzò altre opere, quali: Dopo la Prova (1983) che viene considerato il suo “testamento teatrale”, Il Segno (1985) e Il Volto di Karin (1986). Da quel momento Bergman decise di dedicarsi quasi esclusivamente al teatro e realizzò al Dramaten una serie di allestimenti interessanti, soprattutto quelli shakespeariani, strindberghiani e di drammaturgia contemporanea. Continuava però nel frattempo a scrivere sceneggiature per film realizzati poi da altri: Con Le Migliori Intenzioni (regia di Billie August, 1991) e Conversazioni Private (regia di Liv Ullman, 1998). Nel 1997 tornò a dirigere un film per la televisione svedese dal titolo Vanità e Affanni, un altro atto d’amore nei confronti del teatro. Nel 22 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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1999 propose a Liv Ullman di realizzare il film L’Infedele tratto dalla sua sceneggiatura. Nel frattempo continuava ad essere attivo come regista al Dramaten fino al 2002. Spettri di Ibsen è stato il suo ultimo spettacolo teatrale, mentre Sarabanda (2003) è stato il suo ultimo film per la televisione svedese. In una delle sue ultime interviste alla radio12, Bergman aveva affermato di essere soddisfatto del suo operato e di non sentire la mancanza del mezzo cinematografico. L’unico suo cruccio era quello di non avere sufficiente forza fisica per continuare a fare teatro e a passare le giornate con i “suoi amati attori”. Il 20 gennaio 2005 Bergman ricevette il Premio Federico Fellini per l’eccellenza cinematografica. A maggio dello stesso anno venne organizzato a Stoccolma un Symposium di tre giorni in suo onore al quale però mancava la presenza del Maestro. È oggi disponibile un archivio di consultazione dei suoi scritti ed opere affidato alla fondazione Bergman che, tra i suoi membri, vede la partecipazione e presenza attenta di Maaret Koskinen13, professoressa di cinema all’Università di Stoccolma. Qualche anno fa, la Professoressa Maaret ha ricevuto direttamente dal Maestro tutto il suo materiale con l’impegno di custodirlo e farlo conoscere nel miglior modo possibile. Ogni esatate nell’isola di Fårö viene organizzata la Bergmans Veckan, una settimana bergmaniana in omaggio al Maestro dove vengono invitate e premiate diverse personalità di spicco del cinema mondiale. Ingmar Bergman è morto a Fårö il 30 luglio 2007.
Aprile 2005, Intervista ad I. Bergman per SR (Sveriges Radio). Maaret Koskinen è Professore di Studi Cinematografici presso la Stockholms Universitet. Studiosa riconosciuta di Bergman, ha pubblicato svariate opere sull’estetica cinematografica e teatrale del regista. Durante una conversazione telefonica con il Maestro, relativa alle sue prime opere in prosa, Bergman le disse: “Ascolti, ho una stanza qui a Fårö, di cinque metri per cinque, dove ho collezionato tutto il mio materiale. Ha voglia di prendersene cura?” Cfr. sito www.IngmarBergman Foundation.se. 12 13
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Bergman e la Svezia
Si vuole essere amati, in mancanza di questo ammirati, in mancanza di questo temuti, in mancanza di questo detestati e disprezzati. Si vuole ispirare agli uomini qualche genere di sentimento. L’anima trema di fronte al vuoto e vuole un contatto a qualunque prezzo. Hjalmar Söderberg da Doktor Glas
La Svezia è un paese apparentemente democratico, c’è spazio per tutti e per nessuno. La gente viene spronata a partecipare a qualsivoglia attività sociale, teatro incluso. Il Teatro è, da sempre, una tradizione radicata nel tempo che non ha logorato il suo fascino; non deve però oltrepassare un certo limite. La voce fuori dal coro, infatti, è malvista e, in un certo senso, soffocata, per non dire censurata. Il partito socialdemocratico, che è stato per anni alla guida del governo, vigilava su tutto, cartellone teatrale incluso. Perché dire tutto questo? E, soprattutto, cosa c’entra con Bergman e il teatro? Molto più di quanto si possa pensare. Bergman è stato un unicum nella sua nazione, ha contribuito a renderla nota, anche se non nel modo propriamente idilliaco che avrebbero voluto i governanti socialdemocratici. Sarebbe quindi azzardato e improprio, soprattutto dal punto di vista svedese, ritenere l’opera bergmaniana come portavoce del Paese. Questa prudenza e freno svedesi sono stati e sono tutt’ora caratteristiche costitutive di natura sociale e politica. 24 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bergman, infatti, nega e, nello stesso tempo, afferma la sua cultura. È svedese per il suo forte intimismo, per il misticismo, per l’affannosa ricerca di un contatto umano soffocato sul nascere, per un forte senso e rispetto della natura. È antisvedese per il suo coraggio ad uscire fuori alla luce del giorno, a scoperchiare la pentola bollente di un’anima scandinava apparentemente congelata. Per questo motivo, pur se riconosciuto a livello mondiale, Bergman ha ricevuto anche delle critiche negative da alcuni intellettuali svedesi, appartenenti a scuole di pensiero politico e culturale differenti. Uno dei suoi più noti detrattori è Olof Lagercrantz14, critico e redattore del «Dagens Nyheter», oltre che famoso poeta. In una sua recensione per uno dei primi successi cinematografici di Bergman, Sommarnattens leende (Sorrisi di una notte d’estate), affermò: La scarsa fantasia di un adolescente acneico, gli sfacciati sogni di un cuore immaturo, un disprezzo immenso per la verità umana ed artistica sono le forze che hanno creato questa commedia. Mi vergogno di averla vista15.
Un altro critico, dopo aver visto Gyklarnas afton (La Sera dei Giullari), affermava: «Mi rifiuto di vedere l’ultimo vomito del signor Bergman». Considerazioni pesanti e denigratorie che non provengono esclusivamente dalle classi “alte e intellettuali”. Una delle sferzate più dure, infatti, venne inferta negli anni Sessanta anche dal regista Bo Widerberg16, che attaccò il mondo di Bergman con l’accusa di essere «un mondo borghese e distaccato, che non aveva niente a che fare con la vita delle persone vere»; il suo “credo cinematografico”, infatti, era d’impostazione proletaria e popolare17. O. Lagercrantz è l’autore della biografia più famosa su A. Strindberg. Cfr. recensione di O. Lagercrantz in «Dagens Nyther», 3 marzo 1956. 16 Regista svedese scomparso nel 1997. Critico letterario e cinematografico collabora con la rivista «Expressen», diviene in seguito regista. Apre un ciclo di film di denuncia storico- sociale di analisi delle lotte del proletariato e di ricerca delle radici della sua nazione. Questo ciclo gli diede la fama tra gli antibergmaniani della giovane generazione. 17 B. Winderberg, Visionen i Svensk Film, Stockholm, Albert Bonniers, 1962 «Individen i förhållande till kollektivet, miljöer dräktiga av liv, dofter och kulörer. Verklinghetsproblem, in14 15
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Dopo la pubblicazione dell’articolo di Widerberg sorsero innumerevoli polemiche e schieramenti pro e contro Bergman. Nonostante tutto, il Maestro continuò ad andare avanti, nutrendo, rispettando, privilegiando e mettendo sempre in primo piano il suo rapporto con il Paese. Già dalla fine degli anni Cinquanta fino all’inizio degli anni Settanta, poco prima dello scandalo fiscale del 1976, infatti, Bergman rifiutò varie offerte di lavoro all’estero. Sosteneva di sentirsi fortemente legato alla sua terra, alla sua gente con le proprie tradizioni e la propria cultura: «Soltanto in Svezia mi sento felice e sereno»18. Inoltre, un po’ come Strindberg su altri versanti, nutriva forti dubbi sulla sua capacità di dirigere un film in una lingua che non fosse quella svedese. L’ostilità nei suoi confronti continuava comunque a crescere in modo impressionante verso la fine degli anni Sessanta e durante il corso degli anni Settanta. Il clima culturale svedese di allora era assai politicizzato, un po’ come in tutta Europa, d’altronde, per via della rivoluzione sessantottina, e il bersaglio privilegiato era proprio Ingmar Bergman, l’unico artista svedese che aveva raggiunto una fama mondiale e aveva dato prestigio al suo Paese. In quel periodo Bergman avvertiva l’ostilità, l’emarginazione e, in alcuni casi, l’odio dei suoi connazionali; nonostante tutto, però, continuava a fare film per il suo pubblico internazionale. Il suo radicalismo cinematografico, pur avendo avuto simpatie politiche di destra, lo portò a raccontare apertamente la più intima e scomoda verità dell’anima svedese: la solitudine, la malinconia e un luteranesimo nelle sue tinte più fosche. te filmproblem, en dialog so minte är skriven utan som känns talad, en verklighet som inte är konstruerad men som känns studerad» (La relazione tra l’individuo e la collettività, ambienti pregni di vita, odori e colori. Problemi reali, non finti problemi cinematografici, con un dialogo che non è scritto ma sembra parlato, vissuto davvero, in una realtà non costruita ma studiata) e «Si deve essere straniero per apprezzare Bergman, specialmente quel dialogo teatrale!». 18 I. Bergman, A Page from my diary (1959), materiale per i media Fontana della Vergine.
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In questo senso il luteranesimo, più che essere sentito come una chiesa e un dogma religioso, rappresenta proprio un modo di pensare e di essere tipicamente svedesi. La ritrosia degli svedesi a manifestare se stessi è causata soprattutto dalla paura del confronto con la società e, quindi, dall’incapacità di rapportarsi a viso aperto con i propri simili. In Svezia, infatti, si tende a reprimere in continuazione la propria aggressività, la libido, le debolezze e le paure individuali. Mostrare i propri sentimenti, manifestarli apertamente, in Svezia, viene considerato un segno di debolezza morale e caratteriale nei confronti del quale non può esistere comprensione o indulgenza. Molti personaggi bergmaniani incarnano proprio questa ambivalenza. Da una parte c’è la lotta nei confronti del proprio sé che deve essere controllato a scapito della sofferenza dell’Anima, che non può esprimere le sue paure, i suoi sentimenti e la propria sessualità, dall’altra alcuni personaggi rappresentano proprio la perdita di questo controllo, con il conseguente soccombere ed essere vittima dei propri fantasmi e del disprezzo degli altri. Tra i due estremi vi sono i ribelli che si oppongono a questa sorta di autoritarismo, alle varie figure del padre/padrone, nonostante il rischio effettivo a cui si espongono. Quest’ultima tipologia di personaggi, “i ribelli”, sono spesso rappresentati dagli artisti che vengono disprezzati e, allo stesso tempo, segretamente invidiati. La sinistra ha sempre ritenuto Bergman un regista borghese e, se si guarda superficialmente la sua opera, può a prima vista apparire così. Se, invece, il tipo di approccio che viene utilizzato è più profondo e acuto, allora se ne scopre la tendenza rivoluzionaria, in quanto nessun altro artista dall’epoca di Strindberg è stato in grado di raccontare e mostrare l’essenza delle caratteristiche nazionali svedesi e le loro conseguenze sulle persone che ne soffrono. Io ritengo che questa sia una delle ragioni fondamentali che hanno suscitato e alimentato l’astio nei confronti di Bergman durante gli anni in Svezia, in quanto, per la prima volta, ci ha
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messo davanti ad uno specchio vero e ci ha mostrato come siamo. A noi chiaramente non è piaciuta l’immagine che ne è risultata19.
Forse potrebbe essere interpretato in questa luce lo scandalo di evasione fiscale cui fu sottoposto Bergman nel 1976. Come ricorda lui stesso in Lanterna Magica20, fu arrestato platealmente e in modo mortificante al Dramaten, durante il corso di alcune prove, con l’accusa di evasione fiscale. La situazione sollevò un vero e proprio polverone, con il conseguente autoesilio del Maestro in Germania, a Monaco, per otto anni circa. In seguito venne riconosciuto l’errore dal governo vigente, ma l’umiliazione infertagli fu troppo forte per il sensibile Ingmar. Il suo ritorno in Svezia è datato 1984. Con Fanny e Alexander si nota un rapporto più pacifico tra Bergman e la Svezia. Ingmar Bergman ha, quindi, accompagnato se stesso e generazioni lungo il secolo scorso verso il nuovo millennio, non temendo di mettere a nudo l’uomo nella sua realtà interiore che poi combacia con quello che è nella vita quotidiana. Egli ha portato avanti, in questo modo, il testimone della tradizione letteraria, teatrale e visionaria scandinava che si è fatta strada nel tempo. Lungo questo tragitto, il cordone ombelicale con Strindberg, un altro grandissimo autore dell’Ottocento amato/odiato dal Paese, non è stato mai reciso: In generale, Strindberg è stato il mio compagno per tutta la vita, di volta in volta attraendomi o nauseandomi (...) questo semplicemente perché ha espresso certe cose nel modo in cui io stesso le ho provate dentro di me, pur non essendo in grado di descriverle21.
Da un’intervista a P. Birro, Stoccolma, Kulturhuset Aprile 2005, materiale privato. I. Bergman, Lanterna Magica, Milano, Garzanti, 1987, pp. 82, 83, 84, 85. 21 L. L. e F. Marker, Ingmar Bergman A Life in Theatre, Cambridge, Cambridge University Press, 1982, pag. 59. 19 20
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Questa empatia riguarda in particolare lo svelamento della realtà, soprattutto nei suoi aspetti più crudi e dolorosi. Anche se, come abbiamo visto prima, fu attaccato da più fronti, Ingmar Bergman è stato e rimane un mito vivente, un leader che non ha mai conosciuto né conoscerà il momento del declino. I suoi temporanei momenti di arresto, ritiro o esilio, non hanno mai rappresentato una discesa o un inaridimento della sua carriera. Ingmar Bergman ha sondato nell’animo di tutti noi esseri umani, non solo svedesi, mostrando con semplicità le nostre debolezze, le curiosità mai assopite dell’infanzia, il disperato bisogno di comunicazione e quindi di amore; non ultimo, la condizione di solitudine dell’essere umano. A questo proposito, Vernon Young, in un suo saggio sul cinema di Bergman, esprime chiaramente la conformazione ontologica della Svezia e del suo anomalo rappresentante quando, commentando il film Il Posto delle Fragole, scrive: In tutti i paesi, senza dubbio, ci sono persone che hanno abdicato alla vita, “dimentichi del mondo e dimenticati dal mondo”. Ma in nessun altro paese, per quanto ne sappia io, ci sono così tante persone che hanno voltato le spalle alla società pur rimanendo all’interno di essa. Questo vecchio rudere, la signora Borg, abbandonata dal figlio ed ignorata dai suoi nipoti, questo padre avaro che ha fatto dei prestiti a suo figlio a tassi d’interesse esorbitanti, e questo figlio che dichiara alla propria moglie, “Quello di cui ho bisogno è di essere morto. Assolutamente, totalmente morto”, sono tutte figure svedesi caratteristiche. Così, alla fine, Isaak Borg è condannato alla solitudine... Per nessuno svedese l’isolamento può costituire una punizione capitale. Ensamhet: la solitudine. Il tormento prediletto di ogni svedese. La amano, l’abbracciano, scrivono odi in suo onore...22
22 V. Young, Cinema Borealis: Ingmar Bergman and the Swedish Ethos, New York, 1971, p. 216.
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Ancora:
Quando pensiamo all’Inferno, non facciamo altro che peggiorare ciò che abbiamo. La maggior parte di noi occidentali potrebbe farlo coincidere, nella sua immaginazione, con il caos sociale. Chi, se non uno svedese, potrebbe immaginarselo nella forza di un corpo e di una mente del tutto incompatibili, scagliati in un ambiente ridotto a poco meno di una dozzina di persone che non si parlano e con il sole che tramonta alle due del pomeriggio?23
Anche la Natura per Bergman è intima e spirituale. In tutti i primi film degli anni Cinquanta ambientati sull’arcipelago, ma anche nelle produzioni successive, è sempre presente un forte richiamo alla irresistibile e intensa natura svedese. Essa sembra colorarsi a seconda degli stati d’animo dei personaggi che la attraversano, la contemplano o la ignorano. Il mondo, nonostante le incomprensioni e le polemiche locali, lo ha riconosciuto e lo riconosce tutt’ora come una delle maggiori personalità che ha contribuito con il suo inimitabile stile alla storia del cinema. Relegarlo in questo ruolo sarebbe, però, ingiusto e svilente. Ingmar Bergman è stato un artista a 360 gradi, essendo stato scrittore, regista per il teatro, il cinema, la radio e la televisione. Egli, infatti, non si è mai tirato indietro di fronte alle “novità”: ha sempre mantenuto all’interno di se stesso una grande curiosità e una moderna apertura nei confronti della vita, senza pregiudicare o perdere per questo la sua identità.
23
Ibid. p. 215.
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La carriera teatrale di Bergman
La zia Claire era una signora molto gentile, aveva addosso un profumo fantastico. Una volta mi chiese: “Caro piccolo Ingmar, che cosa vuoi diventare da grande?”. Io replicai con fermezza: “Voglio diventare un regista”. A quel punto la zia mi disse: “Vuoi dire un ingegnere?”, pensando che avessi fatto un errore. Non sapeva che cosa fosse un regista24.
Questo è uno dei primissimi ricordi di Bergman a proposito della vita e della professione che voleva intraprendere. Pur giovanissimo, aveva già le idee molto chiare, la sua determinazione era evidente. Ingmar Bergman è stato un vero uomo di teatro: il palcoscenico ha fatto parte della sua vita come un organo vitale. Sin da piccolo era solito giocare con il teatro di marionette, a quell’epoca realizzato con la carta. Le marionette erano ricavate da alcuni ritagli stampati che venivano incollati su un compensato, segato in seguito per costruire il teatrino vero e proprio con i suoi personaggi25. Il senso della regia era in lui già molto spiccato fin da bambino. Bergman, infatti, era solito organizzare piccole rappresentazioni ad uso M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer om film, teater, Fårö och Livet, Sveriges television AB, 2003 (in svedese le due parole hanno un’assonanza fonetica: ingenör/regissör). 25 Nel film Fanny e Alexander viene fatto un omaggio a questo suo ricordo d’infanzia dallo stesso Alexander, intento ad armeggiare con un teatrino di marionette in una delle prime sequenze del film. Cfr. Fanny e Alexander (1982), Edizione speciale Multimedia San Paolo, 2000. 24
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e consumo familiare insieme ai suoi fratelli e ad alcuni amici; scriveva i testi teatrali e realizzava le scenografie26. Ingmar Bergman, come regista teatrale, ha diretto lungo la sua carriera, tra il 1938 e il 2002, ben 125 produzioni. Tutto ebbe inizio al Royal Dramatic Theatre, familiarmente chiamato Dramaten, la vera casa del teatro svedese. Bergman era poco più che un ragazzo quando si recò al Dramaten per assistere ad una delle prime produzioni di Alf Sjöberg27: era uno spettacolo per ragazzi, Il grande Clas e il piccolo Clas di Gejërstam. Si trovava in galleria e la visione di questa meraviglia lo scosse profondamente: «Quando tornai a casa cominciai ad avere la febbre. Rimasi con la febbre per diversi giorni, perché ero stato in un vero teatro per la prima volta in assoluto»28. Il Dramaten ha significato per Bergman l’inizio, il mezzo e la fine della carriera teatrale. Il teatro è stato il primo amore che non ha mai tradito. Il suo riconoscimento internazionale, però, è avvenuto più per la sua opera cinematografica che per quella teatrale, con suo disappunto, poiché «quello che io considero più importante è il mio lavoro nel teatro, principalmente il tempo che ho speso qui in questo edificio»29. Prima di incominciare la sua carriera teatrale come professionista, Bergman ha messo in scena un buon numero di produzioni amatoriali presso il teatro Mäster Olofsgården a Stoccolma e il teatro studentesco, che vide anche il suo debutto di drammaturgo con il dramma La morte di Punch (1942). 26 M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer Cit. “Poi mia sorella recitava e il mio amico Rolf la seguiva; lo stesso Liliale, la sorella del mio migliore amico. Eravamo i soli che mettevano in scena spettacoli di marionette. Non ho un vero ricordo di aver dominato gli spettacoli, ma credo di aver deciso quali testi dovevamo recitare. Il pubblico era sempre... era sempre costituito di zie e zii, parenti di tutti i tipi. In genere, avevamo un pubblico di cinque o sei persone, che stavano sedute pazientemente lì e seguivano i nostri spettacoli. In realtà, continuammo a fare tutto questo fino a quando presi il diploma del livello A. A quel punto io e Rolf intraprendemmo strade diverse. Fu la morte di quel teatro. Ma fu l’inizio reale”. 27 Regista teatrale e cinematografico svedese (1903-1980). 28 M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer Cit. 29 Ibid.
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A quegli anni risale l’incontro con uno dei suoi attori più importanti, Erland Josepshon, con il quale strinse una profonda collaborazione e amicizia. Nel 1938 Bergman lavorava al teatro Norra Latin con uno spettacolo dal titolo La Sesta Forma. Qui si realizzavano piccoli lavori teatrali di cui Bergman curava la regia; lo stesso al teatro studentesco. L’impressione che suscitò ad Erland fu di grande sicurezza e dimestichezza nei confronti degli attori, del testo, della regia. Il Mäster Olofsgården si trovava invece nella città vecchia, “Gamla Stan”, di Stoccolma. Il primo spettacolo che Bergman vi realizzò s’intitolava Verso i porti stranieri, il secondo Il viaggio di Per il Fortunato di A. Strindberg. Pur non avendo ricevuto nessun tipo di formazione professionale come regista, Bergman si lanciò con entusiasmo, spregiudicatezza e determinazione nell’impresa30. La sua carriera professionale vera e propria è incominciata, però, al Teatro Municipale di Helsinborg, in una piccola cittadina del sud della Svezia, dove venne chiamato, alla giovane età di ventisei anni, ad indossarne le vesti di direttore. Ingmar decise di rischiare e si lanciò in un’opera di salvataggio di questa struttura in declino, andando oltre le aspettative. Portò Erland Josephson con sé e propose un repertorio nuovo e provocatorio per quell’epoca, con opere quali This child is mine di L. Fischer e R. Moberg, Lowering the Morals, Kriss-Krass filibom, Without a Thread. Durante due brevi stagioni, Bergman diresse circa nove produzioni, tra cui il Macbeth di W. Shakespeare (1944) dove il protagonista incarnava il Nazismo e il Totalitarismo. Bergman apprese però il “mestiere” teatrale al Teatro Civico di Göteborg, dove venne assunto come regista dal ‘46 al ‘49. Il suo maestro riconosciuto è Torsten Hammarén31, un regista che contribuì non poco M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer Cit. Torsten Hammarén (Stoccolma 07/05/1884 - Göteborg 24/02/1962), regista, attore e direttore artistico svedese. Studia drammaturgia presso l’Operasångaren con Signe Hebbe. Inizialmente attivo come caratterista e attore di farse tra il 1912 e 1922 presso il Teatro Svedese di Stoccolma. Diventa direttore dello Stadteater di Helsinborg insieme a Gerda Lundeqvist (1923-26). È direttore del Lorensbergteatern dal 1926 al 1950, e allo Stadsteater dal 1934 al 1950, entrambi a Göteborg. 30 31
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all’evoluzione del teatro in Svezia, che utilizzò il palcoscenico anche come strumento di lotta e protesta negli anni così difficili della seconda guerra mondiale32. Rispetto al modesto teatro di Helsinborg, il Teatro Civico di Göteborg offriva una serie di mezzi e macchinari che Bergman imparò ad utilizzare. Il Caligola33 di Camus è un esempio di produzione esplosiva e ricca di effetti speciali mentre le sue ultime produzioni in questo teatro mostravano più equilibrio e senso della misura. A Göteborg, Bergman fu il primo a mettere in scena il dramma americano di Tennessee Williams Un Tram che si chiama Desiderio. Questo spettacolo, che presentava un forte realismo e una predisposizione ad un’accentuata inquadratura psicologica, potrebbe essere considerato l’inizio di uno stile orientato alla valorizzazione della capacità interpretativa degli attori. Nel 1952 Bergman venne assunto allo Stadsteater di Malmö dal direttore Lars Levi Laestadius per rimanervi fino al 1958. Come ricorda lo stesso Bergman: All’epoca non avevo un lavoro, ma tante famiglie e bambini a cui provvedere. Ero in una situazione miserabile. Poi, improvvisamente, apparve Lars Levi Laestadius. Era il direttore dello Stadsteater di Malmö. Mi invitò a cena fuori e diventammo entrambi piuttosto brilli. Mi chiese se volevo diventare un regista dello Stadsteater di Malmö. Se consi-
I. Bergman, Lanterna Magica, Milano, Garzanti, 1986, p. 138 (Torsten Hammarén aveva sessantadue anni ed era stato direttore dello Stadsteater fin dall’inaugurazione, nel 1934. (...) Torsten godeva di molta considerazione, la compagnia era ritenuta la migliore di tutto il paese). 33 Ibid, p. 141, (La mia prima lezione è stata l’intervento di Hammrén nel Caligola. La scena dev’essere chiara, ben definita. Le oscurità nei sentimenti e nelle intenzioni devono essere bandite. I messaggi degli attori agli spettatori devono essere semplici e chiari. Sempre uno alla volta, magari della durata di un secondo, un’impressione può contraddire l’altra, ma intenzionalmente, allora sorge un’illusione di contemporaneità e profondità, un effetto stereofonico). 32
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deri tutta la cosa cinicamente, credo che potresti dire che per il lavoro in teatro, è stato il periodo migliore nella mia vita, quella professionale. Questo perché avevo le mani completamente libere. Il fatto era che facevo i film durante l’estate. Prendevo gli attori dallo Stadsteater di Malmö e li facevo partecipare a questi film. E questo è perché alla fine, dopo pochi anni, forse non è stata la stessa cosa al Dramaten. A Malmö abbiamo avuto uno degli ensemble più belli della Svezia. È stato veramente... È stato un periodo meraviglioso34.
Durante questi sei anni, diresse dieci film, ventidue produzioni teatrali e ventiquattro radiodrammi. Fu proprio in questo periodo che si costituì il famoso “Ensemble bergmaniano”: Bibi Andersson, Harriet Andersson, Naima Wifstrad, Ingrid Thulin, Max von Sydow, Gunnel Lindblom, Erland Josephson ed altri, che divennero parte integrante e stabile della sua “famiglia”. Questo teatro è stato, per alcuni di loro, una vera e propria scuola: furono anni segnati dalla sperimentazione, dall’eclettismo del repertorio, ma soprattutto da un’importante rivisitazione ironica e distanziata di classici come Molière (Don Juan), Goethe (Ur-Faust), Strindberg (Ghost-Sonata), Ibsen (Peer Gynt). Come sostiene Sven Åke Heed35, si può considerare lo Stadsteater di Malmö come il primo Teatro d’Arte in Svezia secondo il modello di Stanivslaskij36. In questo periodo Bergman incominciò a creare il proprio repertorio composto da classici internazionali, quali Kafka, Pirandello, Moliére, Ostrovskj, Goethe, dalla drammaturgia scandinava, tra cui Strindberg, H. Bergman, Moberg, Ibsen, e anche dalla moderna e realistica drammaturgia americana contemporanea, T. Williams e altri. M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer Cit. Studioso svedese di Storia del Teatro al dipartimento di Musica, Arti e Spettacolo alla Stockholms Universitetet. 36 Sven Åke Heed, Ny svensk teater Historia 3, 1900 talets- teater, Stockholm, 2007. «Un teatro d’arte segue i seguenti criteri: crea un repertorio, crea un Ensemble, presenta un’estetica comune, il suo metodo viene insegnato in una scuola». 34 35
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Iniziò quindi a delinearsi l’estetica bergmaniana con i suoi fondamentali principi drammatrurgici: si attuò una rielaborazione dei testi in modo alquanto libero, seguendo una delle regole di Strindberg «Cercare di tagliare il più possibile i doppi ruoli o i personaggi secondari»37; gli attori, infatti, incominciarono ad essere utilizzati in modo stabile per alcuni ruoli, come, ad esempio, quello dell’eroe, della giovane ragazza, ecc. La scelta del repertorio, come dichiarò lo stesso Bergman, fu sempre varia e non stabilita solo secondo le sue preferenze. Nella prima parte della sua carriera, la scelta ha sempre oscillato tra Camus, la commedia, la nuova drammaturgia svedese e il realismo americano. In seguito è tornato spesso ad autori classici, come Ibsen, Strindberg e Moliére. Riguardo agli effetti visivi, si lavorava con le immagini esattamente come nei film: nella messinscena di Faust a Malmö, ad esempio, i volti di Faust e Mefistofele diventavano simili nel finale esattamente come quello di Alma ed Elisabeth nel film Persona. Nel 1959 Bergman giunse al Dramaten, per diventarne direttore nel 1963. Fino al 2004, ha mantenuto la stessa stanza di lavoro che gli era stata assegnata inizialmente. «Fu una cosa veramente fantastica», come ricorda lo stesso Bergman38. Con Ingmar Bergman il Dramaten subisce un’autentica rivoluzione. Ogni mese venivano presentate almeno due prime, alcune produzioni per le scuole recitate nella lingua originale. Fu costituito, inoltre, un collegio di attori con il compito di scegliere il repertorio per ogni staPerrelli Franco, Vita attraverso le lettere, Torino, Costa & Nolan, 1999 Lettera aperta all’Intima Teatern. 38 M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer Cit. È stata veramente una cosa fantastica quando, come si chiama?, il Ministro di Diritto Ecclesiastico, Ragnar Edenman, mi chiamò. Io stavo montando un film alla Filmstaden. Lui mi chiamò e disse: “Vuoi diventare il direttore del Dramaten?”. La mia testa ha incominciato a correre. Ero sposato all’epoca. Ritornai a casa e parlai a mia moglie della cosa. E lei disse in modo molto saggio: “Questa è la fine del nostro matrimonio”. Aveva ragione. Come direttore incominciavo a lavorare qui ogni giorno alle 7.45 del mattino e ci rimanevo tutto il giorno fino a quando gli spettacoli non erano finiti. Tornavo a casa alle undici della sera. 37
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gione. Vennero intraprese delle tournée con alcuni spettacoli per tutta la Svezia. Bergman portò nuove idee alla Stora Scenen, il teatro grande del Dramaten: fece accedere il pubblico alle prove e gli permise di seguirle sia dalla platea che dallo stesso palcoscenico sul quale potevano sedersi. La gente faceva la fila per assistere alle prove e il biglietto di entrata consisteva, come nel caso del Woyzeck, nell’apporre la propria firma sul guestbook. Ingmar Bergman viene considerato anche per questo motivo un direttore di teatro radicale. Ad una domanda diretta sulle sue idee al riguardo in un’intervista televisiva del 1964, Bergman replicò: In realtà per me la cosa importante era che avevamo 724 posti. E la cosa importante per me era che la gente venisse in questo teatro. Qui c’è un buon accordo tra una indolenza culturale e una grande quantità di indifferenza nei confronti delle manifestazioni culturali in questo Paese. Mi piacerebbe che il Dramaten scendesse in campo per combattere nuovamente l’indolenza e la passività39.
Al Dramaten, quindi, Bergman continuò ad interpretare e reinterpretare i classici. L’Hedda Gabbler di Ibsen del 1964, con la sua forma stilizzata ed estremamente semplificata, viene considerata una delle sue regie più memorabili. Lo stesso si può dire per Il Sogno di Strindberg del 1970, dove si focalizzava particolarmente l’attenzione sugli attori. Mise poi in scena diversi spettacoli dello stesso autore quali La sonata degli Spettri e Verso Damasco. Strindberg, infatti, è l’autore a cui Bergman è ritornato maggiormente durante questi anni. Si era occupato, inoltre, anche di radiodrammi e di teatro per la televisione, mezzo di comunicazione dal quale era completamente catturato e affascinato. Poi, nel 1976, ci fu la rottura con il teatro svedese a 39
Ibid.
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causa dello scandalo relativo alla presunta evasione fiscale. Mentre Bergman stava provando Danza di Morte di Strindberg in una sala del Dramaten, due poliziotti vennero a prelevarlo in modo “grezzo” per condurlo alla centrale di polizia. Bergman rimase scioccato: si ammalò e, anche dopo essere stato scagionato da quelle ingiuste e degradanti accuse, decise di partire in esilio per la Germania, a Monaco, dove lavorò al Residenzteater per circa otto anni. Ma nonostante gli attori tedeschi fossero molto dotati, Bergman non si ritrovava, soprattutto quando «stupidamente»40 decise di mettere in scena Il Sogno di Strindberg. Ci sono, infatti, degli elementi poetici di questo autore che possono essere compresi e recitati esclusivamente in lingua svedese41. Durante la sua permanenza al Residenzteater, mise in scena una “triangle production” dal titolo Nora-Julie, una frammistione di Casa di Bambola di Ibsen, La Signorina Giulia di Strindberg e l’adattamento teatrale di Scene da un Matrimonio.
Bergman ritornò in Svezia, al Dramaten di Stoccolma, nel 1984 e mise in scena il King Lear; diresse nello stesso anno un suo dramma per la TV: Dopo la Prova, il suo testamento42. La scelta del King Lear È Bergman stesso che lo dice. M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer Cit., Quando giunsi a Monaco ero una sorta di leggenda. Volevo fare... Suggerii stupidamente che avremmo fatto Il Sogno. C’erano 42 ruoli. Gli attori di lì erano meravigliosi, ma non li conoscevo. Ci sedemmo qui per la prima lettura, al nostro primo incontro. Fu un inferno. Pensai: come posso spiegare a queste 42 persone che cosa voleva dire Strindberg con “Che pena mi fanno gli uomini”? Non è mai esistito in Germania. Loro dicono: “Es ist schade um den Menschen”. È molto diverso. Sebbene io parli tedesco fluentemente, era difficile dirigere come regista in Germania perché... Ma con gli attori tu puoi anche avere un profondo dialogo non verbale e alla fine fondai un ensemble al Residenzteater, con il quale ho avuto a che fare a lungo e molto bene. 42 I. Bergman, Dopo la Prova, in Il Quinto Atto, Milano, Garzanti, 2000, p. 43 Ce ne stiamo seduti composti su questo divano che ha l’aria così invitante ma è in realtà predisposto in maniera tale da al non far sprofondare troppo la gente... La poltrona laggiù è comparsa in Hedda Gabler, e il divano ne Il Padre. Quel tavolo l’ho usato nel Tartufo, le sedie nell’ultima edizione de Il Sogno. Li conosco come le mie tasche e li saluto come se fossero vecchi amici. Mi dà un senso di sicurezza il fatto che ci siano e che si lascino usa40 41
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è significativa se si considera la simbologia del testo: un uomo anziano che chiede di essere amato, ma ha talmente paura di guardare in faccia la realtà che si nasconde dietro il velo dell’illusione facendosi ingannare ed autoingannandosi. Come ricorda lo stesso Bergman: Fu molto commovente. Non ho mai partecipato all’ordine dei saluti, poiché credo che sia una cosa esclusiva per gli attori. Ma quella volta partecipai. E all’improvviso ricevetti un bouquet da Jarl Kulle, che stava accanto a me e che disse: “Bentornato a casa!”. Ne rimasi fortemente commosso43.
Durante gli anni Ottanta Bergman realizzò alcuni dei più grandi allestimenti teatrali al Dramaten. Ritornando al suo amato Strindberg, nel 1986 realizzò La Signorina Giulia e una seconda edizione teatrale de Il Sogno, nel 1989 Casa di Bambola di Ibsen, un grande desiderio del Maestro finalmente divenuto realtà, avendo trovato l’attrice giusta per Nora: Pernilla August44. Infine, un emozionante Peer Gynt nel 1993. re da una messa in scena all’altra. Ma più di tutto mi piacciono le quinte per le prove. Mi ricordano la mia infanzia. Avevo una grande cassa piena di cubetti del tipo più semplice. Rappresentavano tutto ciò che desideravo. Per me non c’è niente di meglio: tavolo, sedia, quinte, palcoscenico, luci, attori in abiti di tutti i giorni, voci, gesti, visi, silenzio. Magia. Tutto rappresenta, niente è. L’accordo tra attore e spettatore. Il miglior teatro mai esistito è la scena shakesperiana. Si recitava alla luce del giorno, quando si doveva dare l’idea della notte si portavano delle fiaccole in scena e gli oboi suonavano una breve melodia. Notte: oboi, fiaccole. Tutte queste cianfrusaglie che ci trasciniamo sulla scena! Ogni volta decido che... È brutto, Anna! Brutto! Io amo questi vecchi teatri, sono come violini, infinitamente delicati, raffinati, definitivi. Ma ci vincolano. Una rappresentazione teatrale è tale se sono presenti tre elementi: la parola, l’attore, lo spettatore. Non è necessario nient’altro, sono le uniche cose che servono perché il miracolo accada. Questa è la mia convinzione, la mia più intima convinzione, ma non l’ho mai seguita. Sono troppo legato a questo strumento depravato, polveroso e sporco. (Fa un gesto verso il palcoscenico). Così è e così è sempre stato. 43 M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer Cit. 44 Ibid. Ho una valigia di testi teatrali. Poi arriva il fattore decisivo. Ed è quanto ti senti di avere
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Mise poi in scena alcuni testi di Shakespeare, autore che aveva allestito raramente perché condizionato dai precedenti allestimenti shakespeariani di Alf Sjöberg, uno dei massimi registi dell’epoca. Egli stesso affermò:
Io non entrai mai in competizione con Sjöberg. A teatro mi era superiore: le sue interpretazioni di Shakespeare erano perfette, secondo me. Non avevo niente da aggiungere, lui ne sapeva più di me, il suo sguardo era penetrato più a fondo, e sapeva ricreare ciò che aveva visto45.
L’Amleto del 1986 è uno spettacolo moderno e in parte controverso per il finale con l’arrivo “spaziale” di Fortebraccio, supportato da musica rock. Particolarmente magico fu il sontuoso allestimento del Racconto d’Inverno, molto caro a Bergman e considerato dalla critica e dal pubblico una delle produzioni migliori, soprattutto per la presenza di «un Ensemble meraviglioso, con Pernilla (August) e Börje (Ahlstedt) nei ruoli principali»46. Negli ultimi tempi Bergman ha lavorato molto anche con la drammaturgia moderna: Lungo Viaggio al Termine della Notte di E. O’Neill nel 1988, Il Marchese De Sade di Yukio Mishima nel 1989, Il Tempo e la Stanza di Botho Strauss nel 1993, considerato sia dal pubblico che dagli attori uno spettacolo meraviglioso e toccante, Le Variazioni Goldberg di G. Tabori nel 1994, Ivonne, Principessa di Burgundy di W. Gombrowicz nel 1995. Nel 1991 Bergman ha curato la regia delle Baccanti di Euripide all’Opera di Stoccolma con la nuova composizione musicale di Daniel gli attori giusti per i ruoli. Per esempio, ero estremamente ansioso di fare Casa di Bambola di Ibsen, ma non ritenevo che avessimo una Nora. Poi, ho realizzato Il Sogno al Dramaten. All’epoca Pernilla August era abbastanza nuova, fresca di accademia. Pensai tra me e me: Fantastico! Adesso abbiamo Nora! E qualche anno più tardi facemmo Casa di Bambola”. 45 R. Oliver, Ingmar Bergman: Il Cinema, Il Teatro, I Libri, Roma, Gremese, 1999. 46 M. Nyreröd, Bergman och teater op. Cit.
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Börtz47. Le sue ultime produzioni teatrali sono state Bildmakarna di Per Olov Enquist, famoso autore postmodernista, La Sonata degli Spettri di Strindberg nel 2000, uno dei suoi testi prediletti. La scena era semplice e suggestiva allo stesso tempo: quinte e fondali neri sui quali venivano proiettate delle immagini; semplici sedie intorno alle quali gli attori si muovevano e si picchiavano. Un altro allestimento famoso di quella stagione è Maria Stuarda di F. Schiller con Lena Endre e Pernilla August. L’ultimo lavoro teatrale di Bergman fu Spettri di Ibsen nel 2002. Bergman ha sempre realizzato ottime regie, sia con i grandi testi che con i drammi da camera. Ciò che ha sempre reso grande il suo operato nel teatro è stato l’enorme rispetto per gli autori dei testi; come lo stesso Bergman ha sempre sostenuto: «Io non posso e non voglio allestire uno spettacolo contro le intenzioni dello scrittore. E non l’ho mai fatto. Deliberatamente. Mi sono sempre ritenuto un interprete, un ricreatore»48.
47 Bergman aveva collaborato precedentemente con l’Opera di Stoccolma. Iniziò nel 1941 come aiuto non pagato per la stagione, poi nel 1961 ed infine nel 1991. 48 M. Nyreröd, Bergman och teater op. Cit.
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Ingmar Bergman: teatro di attori o teatro di regia?
In Svezia il Teatro si fa principalmente con gli attori e vive tramite gli attori. Il regista non è la figura principale, forse è quella dominante ma non certo la più importante. Quando Bergman decideva di allestire un’opera teatrale non partiva solo con l’idea di un determinato allestimento, egli aveva già in mente l’attore in grado di interpretare il ruolo che gli avrebbe assegnato. Come asserì lo stesso Bergman in un’intervista: «I have the actors in mind, always, when I prepare; I always have actors in mind. What can this actor do, and what can he not do? What are his limitations? What are his difficulties? What his strength?»49. Incominciava poi l’avventura collettiva fatta di scambio, rispetto e scoperta. Per Bergman il teatro è stato sempre “un modo di vivere”50, 49 L. L. e F. Marker, da Talking about the theatre: a conversation with Ingmar Bergman in Ingmar Bergman, a Life in the Theatrer, Cambridge University Press, 1982, p. 10. Penso sempre agli attori in fase di studio; sono sempre presenti nella mia testa. Cosa può fare questo attore, e cosa non può? Quali sono i suoi limiti? Quali le sue difficoltà? In che cosa consiste la sua forza? 50 Ibid., p.7 The reason why I am much more a man of theatre than a man of the film is because theatre is to me always... To work in the theatre is a way of living... to go to the theatre in the morning, to go to the rehearsal room, to come togheter with the actors and sit down, and to work with them... learning to listen to the playwright’s words and to his heart togheter with the actors... That is a way of living; that is the best of all. (Il motivo per cui io mi considero più un uomo di teatro che di cinema è che il teatro è sempre... lavorare in teatro... è un modo di vivere... Recarsi in teatro di mattina, andare in sala prove, trovarsi con gli attori e mettersi a lavorare con loro... Imparare ad ascoltare insieme agli attori, le parole e il cuore del drammaturgo... Questo è un modo di vivere, il migliore).
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una presenza assidua e costante lungo tutta la sua vita, non solo artistica. Pochi, semplici ma fondamentali elementi hanno costituito la base del suo lavoro: un testo, gli attori e il pubblico. La preparazione è necessaria ma non deve irrigidire il regista in una tensione che gli impedisca di captare le evoluzioni naturali che possono scaturire dagli attori durante le prove. Per Bergman, infatti, le prove in teatro significavano contatto, ascolto, dolcezza, amore, senso di sicurezza. Questi sono gli elementi che permettevano al regista e agli attori di dare il via ad un’atmosfera creativa che era viva e alle volte “miracolosa”!51 Negli allestimenti di grandi registi come Bergman, Peter Brook, Strehler, ecc... si percepisce il loro tocco che è incisivo ma delicato al tempo stesso. Come ricorda lo stesso Josephson, che ha lavorato anche con Peter Brook, «Peter Brook and Ingmar are extremely good readers who do not violate the text but fetch, from their fantasy and experiences, things from the text without twisting it for a moment»52. Bergman ha realizzato un teatro che è stato al contempo di Regia e di Ensemble53. Quando incominciava a lavorare con gli attori il suo approccio con il testo da mettere in scena non era iperanalitico: la cosa più importante per il Maestro era quella di stimolare la loro immaginazione senza dare indicazioni troppo vincolanti: «The Director’s job is first, I believe, to indicate the concepts for the productions and then the functions as ear and eye, security factor, stimulator, coordinator supervisor and, to a certain degree, teacher»54. 51 52
p. 24.
Ibid., p. 9. B. Gyllenpalm, Ingmar Bergman and Creative Leadership, Stockholm, STABIM, 1995,
La tradizione del teatro d’Ensemble esisteva già da prima di Bergman. Nella metà del Novecento si è consolidata maggiormente secondo la linea social-democratica del paese, che richiama i suoi cittadini ad una collaborazione continua per un bene comune, anziché ad una lotta di affermazione personale. 54 B. Gyllenpalm, Ingmar Bergman and Creative cit., p. 39 Io credo che il primo compito di un regista sia quello di indicare le idee per gli allestimenti e poi di assolvere le funzioni di 53
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Per Bergman, quindi, in teatro la funzione di un regista è sempre stata quella di mediatore, osservatore ed orecchio esterno degli attori, dove la preparazione e l’equilibrio sono requisiti fondamentali. Bergman, infatti, non calava mai la maschera del regista per esprimere le proprie considerazioni personali, in quanto ciò sarebbe stato disastroso per il lavoro degli attori. Come scrisse in Lanterna Magica55, egli era sempre presente e la maschera che portava era una sorta di filtro e non di travestimento, che gli permetteva una dedizione totale e un’efficienza nel suo lavoro56. Il punto di partenza di Bergman era una chiara comprensione del testo che mirava ad arrivare al pubblico nel modo più immediato possibile. La sfera emotiva non era mai scissa da quella razionale e tutto, nell’allestimento, doveva essere funzionale e agevole nei confronti degli attori che avevano il compito di interpretare il testo drammatico con la loro particolare sensibilità e condivisione di gruppo. Bergman ha avuto sempre un approccio democratico non solo nei confronti del pubblico, ma anche nel modo di lavorare con gli attori. Il suo essere regista consisteva nell’estrema preparazione, nella capacità di comunicare la sua visione del testo e nell’avere una direzione da indicare ai suoi attori, nei confronti dei quali rimaneva aperto e dialogante. L’attore, in questo modo, si sentiva considerato per la sua unicità e gli veniva instillata una fiducia tale che lo portava a dare il meglio di sé. ascolto e osservazione, di fattori di sicurezza, di stimolo, di supervisone coordinatrice e, in un certo modo, d’insegnamento. 55 I. Bergman, Lanterna Magica, Milano, Garzanti, 1986, p. 37 La mia professione consiste dunque nell’amministrare tempi e testi di lavoro. (...) Non sono mai personale. Osservo, registro, constato, controllo. Sono l’occhio e l’orecchio sostitutivo dell’attore. Propongo, suggerisco, incito o disapprovo. Non sono spontaneo, impulsivo, partecipe. Lo sembro soltanto. Se per un istante mi levassi la maschera e rivelassi i miei veri sentimenti, i miei compagni si volgerebbero contro di me, mi farebbero a pezzi e mi butterebbero fuoti dalla finestra. Nonostante la maschera, la mia non è una finzione. Il mio intuito parla con rapidità e chiarezza, io sono totalmente presente, la maschera è un filtro. 56 B. Gyllenpalm, Ingmar Bergman and Creative cit., p.24.
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Non esistevano codici precostituiti nella recitazione con Bergman. La competenza tecnica era un conto, il codice stilistico un altro. Sebbene Bergman non sia mai stato un attore, salvo qualche piccolo cammeo all’interno di alcuni suoi primi allestimenti, aveva una spiccata sensibilità e connessione telepatica nei confronti dei suoi attori, dei quali comprendeva le difficoltà e capacità:
He’s very flexible and open, allowing his actors to feel they are creating too, and are not just marionettes in his hands”57. Come affermava lo stesso Bergman,
It is so important that the actors feel that they are completely independently creating and that the director is more of an atmosphere, a registering safety factor, a stimulator and to a certain extent the one who keeps the field togheter58.
Riguardo poi alla visione dello spazio scenico e al suo approccio, il Maestro partiva dalla ricerca del “punto magico”, un punto particolare del palco dove potevano avvenire le azioni, dove l’attenzione del pubblico era attirata e l’attore poteva rendere il massimo. «You have to look for it, and you have to find the point where the actor is best and most effectively located. Approach and withdrawal effects are all created in relation to this point»59.
B. Gyllenpalm, Ingmar Bergman and Creative Cit., p. 34 (...) È molto flessibile e aperto, conduce gli attori a farli sentire creatori anch’essi e non delle semplici marionette nelle sue mani. 58 Ibid. p. 35. È veramente importante che gli attori sentano di essere completamente autonomi nella creazione e che il regista sia più di un’atmosfera, un fattore depositario di sicurezza, uno stimolatore e colui che, in un certo senso, tiene uniti tutti. 59 Ibid., p. 32. 57
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Le sue scenografie erano essenziali e realizzate con l’intento di essere d’aiuto all’attore nel raccontare la storia60. Bergman, pur essendo un regista dalla forte personalità, nel momento di una messinscena tendeva sempre ad agevolare l’attore, ad ascoltarlo, ad infondergli fiducia, a lasciarlo esprimere. In questo senso si potrebbe considerare il suo teatro come “ teatro di attori”. La mano del regista, però, è presente nella chiara analisi e studio del testo, nella capacità manageriale della gestione delle varie competenze tecniche e nell’assoluto rispetto del destinatario, al quale si offre la rappresentazione di un testo dove è presente un insieme di energie che non possono lasciarlo indifferente. Tutte le persone che andavano ad assistere ad una rappresentazione di Bergman riponevano grandi aspettative che non venivano mai deluse, essendo gli elementi cardine della sua etica teatrale universali, semplici e, per questo, efficaci. Devi cercarlo, e quando l’hai trovato – il punto dove l’attore è situato nel modo migliore, l’avvicinarsi e il ritirarsi sono conseguenze tutte create in relazione a questo punto.
60
Cfr. intervista allo scenografo G. Wassberg nella seconda parte del libro.
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Bergman e la musica
“Om Jag tvingade välja mellan att mista ögon eller öron så skulle jag behålla öronen. Jag kan inte fòreställa mig något värre än att musiken en tog ifrån mig”61. I. Bergman
«Per tutta la mia vita cosciente ho vissuto con quella che Bach chiamava la sua gioia. Mi ha salvato durante la crisi e periodi d’infelicità, è stata efficace e fedele come il mio cuore. A volte soggiogante e difficile da governare, mai però ostile o distruttiva. Bach chiamava gioia questa condizione. Una gioia che viene da Dio. Buon Dio, fa ch’io non perda la mia gioia»62. I. Bergman
«Il Maestro (Karajan)... (...) Improvvisamente s’interruppe: ho visto la sua messinscena de Il Sogno: Lei dirige come un musicista, ha senso del ritmo, della musicalità, del tono»63. La Musica è stata una compagna costante di Bergman non solo nella vita, ma anche nella produzione artistica teatrale e cinematografica. 61 Se dovessi scegliere tra il perdere un occhio e un orecchio, allora vorrei salvare l’orecchio, perché non potrei mai immaginarmi un mondo senza la musica. 62 I. Bergman, Lanterna Magica, Milano, Garzanti, 1987, p. 45. 63 Ibid., p. 220.
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Alcuni grandi compositori hanno accompagnato fedelmente il Maestro lungo la sua carriera: Bach in film come Il Silenzio e Sarabanda, Mozart ne Il Flauto Magico, Chopin, Schubert, Stravinsky in Luci d’Inverno, ed altri ancora. Il modo di lavorare di Bergman è sempre stato musicale. Se tutto è ritmo nella vita, questo stesso ritmo è la condizione necessaria affinché la musica possa nascere e propagarsi. Nel cinema, molti dei suoi film sono stati orchestrati come partiture musicali, ad esempio l’ultimo film Sarabanda; spesso lo erano anche nel titolo, come Sinfonia d’Autunno. Molti momenti, nella sua produzione cinematografica, sono stati dedicati ad uno strumento: il flauto traverso in Fanny e Alexander, l’esecuzione al pianoforte di Chopin in Sinfonia d’Autunno, il piffero ne Il Settimo Sigillo, per fare solo qualche esempio. Nel film L’Immagine allo Specchio c’è una scena dove Liv Ulmann e Erland Josephson assistono ad un concerto di pianoforte, eseguito dalla grande pianista, ex moglie di Bergman, Käbi Laterelei, dove alle note della musica vengono associati i primi piani degli astanti64. Ognuno assume un’espressione diversa: gioia, tristezza, malinconia, amore. Questo voleva essere un omaggio alla musica e ai sentimenti che Bergman provava per essa. La musica pura, non associata ad altro, ci mette in contatto con la nostra sfera emotiva, irrazionale più vera. Non permette a niente di filtrare, riesce ad entrare nelle fessure più strette e resistenti dell’anima. Se il cinema è l’arte che direttamente parla ai sensi, la musica non può che esserne la compagna più giusta. Lo stesso può valere, in parte, anche per il teatro dove la preminenza è della parola, del gesto, delle energie che si interscambiano in sala, come accadeva negli allestimenti di Bergman. Molto spesso nei suoi spettacoli, e qui facciamo un riferimento particolare a Il Sogno di A. Strindberg nei suoi allestimenti del 1970 e del 1986, la musica si presentava come prologo dello spettacolo: silenzio, buio completo in sala, fievoli luci sul palcoscenico e solo una nota del pianoforte che si ripeteva ritmicamente per dare il senso del tempo e la possibilità di tramu64
Cfr. Il Flauto Magico, l’Overture presenta una situazione analoga.
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tarsi in melodia, creando l’atmosfera desiderata che veniva poi condivisa e portata avanti insieme con gli attori. La musica è una parte vitale della rappresentazione teatrale, aiuta il pubblico a comprendere a più livelli ciò che accade sulla scena. Nella magia e fascino misterioso del teatro la musica diviene il vento che trascina con sé gli spettatori. Bergman musicalizzava immediatamente le sue rappresentazioni. Quando per la prima volta parlava di un nuovo progetto ai suoi attori, «He often compares the play with symphonies, with their different movements, and uses musical terms when he is expressing himself»65. In teatro il Maestro si serviva della musica soprattutto in momenti fortemente emotivi; ne Il Sogno ad esempio, “rubò” a Molander, che aveva fatto un allestimento storico dello stesso dramma, la Marcia Funebre di Chopin che, supportando la pantomima di tutta la scena della promozione, rafforzava il senso di umiliazione e di pena nei confronti del personaggio dell’Avvocato. La musica non veniva solo utilizzata ma anche resa presente sul palcoscenico con lo strumento ed il musicista chiaramente visibili. Nei suoi allestimenti shakespeariani, molto spesso, infatti, i musicisti erano presenti sul palco, essendo parte integrante dello spettacolo: La dodicesima notte, Re Lear, Amleto, Racconto d’Inverno, per fare solo qualche esempio. Ogni sua produzione teatrale, quindi, faceva parte di un processo di musicalizzazione, dove era presente un ritmo e dove l’opera diveniva partitura, suonata dai suoi interpreti, per dare vita, come ne Il Sogno sovracitato, ad un assolo, il Poeta, a un duetto, Agnes e l’Avvocato, ad una sinfonia, come nella scena del corridoio del teatro, a un quartetto d’archi, nelle scene con i benpensanti, ad un requiem, nella scena finale dell’opera. Ma da dove nasce la sua passione per la musica? Sin dall’infanzia, essendo figlio di un pastore, Bergman ha respirato le sacre note dell’organo alla messa domenicale per continuare poi, da solo, a coltivare 65 B. Gyllenpalm, Ingmar Bergman and Creative Leadership, Stockholm, STABIM, p.30 “Spesso paragona i testi drammatici a delle sinfonie, con i loro movimenti differenti, e utilizza termini musicali quando si vuole esprimere”.
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il suo amore per la musica. Nel 1941 incominciò a collaborare con l’Opera di Stoccolma che all’epoca era ancora il Teatro Reale66. Fece l’aiuto regia da volontario e qui cominciò anche a fare esperienza con le luci; studiò il balletto, ma soprattutto visse nell’Olimpo musicale67. Vi ritornò una seconda volta nel 1961 e una terza nel 1991 per allestire una nuova messinscena delle Baccanti di Euripide. Daniel Börtz, che ne aveva curato le musiche, ricorda la loro collaborazione come una “Love Story”: negli anni Ottanta, infatti, Bergman incominciò ad ascoltare la sua musica e se ne innamorò68. Bergman ha curato la regia di tre Opere liriche: The RakÈs Progress, Le Baccanti e il Flauto Magico. Il suo unico cruccio, o progetto sospeso, era stato quello di «non poter realizzare le Avventure di Hoffman come opera»69. La musica è presente nell’Arte come nella Vita. In teatro Bergman non utilizzava solo la musica classica, ma anche quella popolare (il canto ne La Signorina Giulia del 1985), di organetto (la prima edizione de Il Sogno del 1970), per arrivare a quella rock nella scena finale di Fortebraccio dell’Amleto del 1986. Un suo fedele e costante collaboratore per le musiche, sia in teatro che nel cinema, è stato lo scozzese Daniel Bell che ha curato, tra l’altro, la colonna sonora di Fanny e Alexander70. Il musicista e Bergman Per quarantacinque anni Opera e Teatro erano compresi in un unico edificio. Quando Bergman vi arrivò nel 1941, trovò ancora delle persone testimoni della precedente convivenza “forzata”. 67 Fu un periodo importante; in Europa c’era la guerra, mentre Stoccolma era salva. Tutte le opere vennero tradotte in svedese, ad eccezione di Così fan tutte. 68 Koskinen Maaret, Ingmar Bergman revisited, Performance, Cinema and the Arts, London, Wallflower Press, 2008. 69 M. Nyreröd, Bergman och teater in Ingmar Bergman, 3 Dokumentärer om film, teater, Fårö och Livet, Sveriges television AB, 2003. 70 In Svezia dal 1963. Ha studiato musicologia con I. Milveden all’Università di Uppsala (1964/66). Dal 1967 è stato direttore di Musica al Teatro Drammatico di Stoccolma. Per nove anni ha diretto la Huddinge Orchestral Association Daniel Bell è nato a Glasgow, il 20 Agosto 1928. Ha Studiato al Trinità College a Londra, dove gli fu insegnata composizione da R. Rodney Bennet. Ha studiato anche con S. Celibidache. Vive e per tre la Chamber Orchestra a Gromma, dove è stato anche ospite conduttore della Norrköping Symphony Orchestra, The Örebro Symphony Orchestra e la Zagreb Biennial nel 1972. 66
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sentivano di avere la stessa concezione della musica, intesa come colei che dà il tempo, la ragione e il senso alla recitazione. Quando nel 1984 Bergman fece ritorno al Dramaten mise in scena il King Lear. Anche in questo allestimento la musica mantenne il suo ruolo, ma qualcosa era cambiato: la rappresentazione del King Lear, infatti, aveva inizio con una danza d’apertura accompagnata da un canto. Da allora la musica nelle successive produzioni venne sperimentata in più direzioni. Si incominciò, ad esempio, ad utilizzare la musica elettronica che aveva anche la funzione di Clashing Style. Presenza fissa dei suoi allestimenti rimaneva comunque il pianoforte. Nel finale dell’Amleto l’utilizzo della musica rock voleva scioccare il pubblico e contribuire a rappresentare in modo evidente la corruzione della società, ormai dominata da pistole, armi e violenza. La musica si faceva quindi interprete del ritmo più o meno forsennato dei tempi odierni ed era specchio e metafora dell’andamento generale della società. In Racconto d’Inverno del 1994, la musica veniva utilizzata per tutto il tempo della rappresentazione, in quanto era ritenuta l’elemento di raccordo per l’interpretazione del testo. Anche nelle note di regia di Bergman si manifestava l’esigenza di musiche suggestive. Erano state eseguite, infatti, al pianoforte, by harmonium, cioè con una melodia da flauto. Il canto iniziale dell’attrice apriva le danze con un ballo popolare, eseguito al piano. Vi era una sorta di comparazione tra il copione e la musica. In varie produzioni teatrali si era chiaramente evidenziata la partitura del testo, È stato direttore del Havas Festival of Music a Londra negli anni 1976/79. La produzione musicale di Daniel Bell è dominata da musica per il teatro per le produzioni teatrali di Alf Sjöberg ed Ingmar Bergman fra tutti. Ha anche contribuito a diversi arrangiamenti per la radio e per delle produzioni televisive, che ha in genere condotto bene. La musica per bambini è un altro importante aspetto della sua carriera. Si ricordano: “När man träffar ett spöke” (C. O. Lång) per un coro, un orchestra e un pubblico di bambini (1971), “Springfjord” (A. Schverner) nel 1974 ecc...
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sia a livello recitativo che a livello sonoro e di illuminazione. Questi tre elementi sono inscindibili, e comunque retti, in un modo o nell’altro, dal ritmo, elemento basilare della vita e della musica stessa. Da qui la sua preminenza e indiscutibile importanza. In questo senso si può, quindi, asserire come il teatro di Bergman sia stato fondamentalmente “musica”.
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Strindberg e Bergman: affinità e contrasti nel loro itinerario artistico
Nel tentativo di avvicinare i lettori alla poetica teatrale bergmaniana, ritengo fondamentale introdurre anche un’altra grande figura svedese a cui Bergman è stato fortemente legato: August Strindberg. Nonostante i due grandi artisti siano appartenuti a due epoche diverse, c’è una profonda assonanza sia tra le reciproche Weltanschauung sia tra il loro modo di vivere il teatro. Il loro relazionarsi alla vita, alle persone, alle cose è sempre stato di Amore ed Odio, peculiarità tipicamente svedesi: «Senti sempre che allo svedese, anche quando ti ama profondamente, può sempre scattare l’odio in ogni momento»71. Strindberg lo espresse chiaramente nei suoi romanzi come, ad esempio, in Autodifesa di un Folle, ma anche nel suo teatro: Il Padre, in questo senso, è un testo esemplare. C’è, infatti, in questo dramma una battuta del protagonista che esprime proprio il senso di rabbia e odio nei confronti della donna e l’incertezza della paternità: «Il problema dell’uomo è che non c’è nessun bambino che sia nato da un uomo»72. Bergman ha portato tutto questo dentro di sé, nei suoi film, nelle sue sceneggiature: «If you live in a Strindberg tradition, you are breathing Strindberg air. After all, I have been seeing Strindberg at the theatre since I was ten years old, so it is difficult to say, what belongs to him and what to me»73. Da un’intervista a Vanda Monaco Westersthål realizzata da me medesima, materiale privato, Stoccolma, dicembre 2006. 72 A. Strindberg, Il meglio del teatro per la prima volta tradotto dall’originale svedese, Torino, SET, 1951, 7. 73 C. T. Samuels, Ingmar Bergman An Interview, New York, Capricorns Books, 1972, p.130: Se tu vivi all’interno di una tradizione strindberghiana, respiri aria strindberghiana. 71
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Il Maestro era convinto, infatti, che tutti i rapporti si potevano incrinare, naufragare, come in Scene da un Matrimonio, non solo tra i due sessi, ma anche quelli tra i membri della famiglia. Per Strindberg basti pensare a Il Figlio della Serva, per Bergman a Sinfonia d’Autunno e a Fanny e Alexander. Tutto questo è conforme alla visione dominante ed esistenziale svedese per cui “se due persone si avvicinano troppo, si sbranano”. Nelle sue opere, infatti, Strindberg rileva molto spesso la mancanza di una comunicazione autentica tra gli individui.
Strindberg e Bergman si sono occupati di temi molto importanti, quali la lotta dell’individuo contro Dio e contro se stesso, l’incapacità dell’essere umano di comunicare con i suoi simili, il conflitto tra i sessi e un forte disagio interiore che incrementano il disprezzo verso se stessi e possono portare al blocco sessuale e alla malattia. Nei Drammi da Camera di Strindberg molto spesso i personaggi rivestono un ruolo che la società o loro stessi si impongono. L’eroe delle pièce è il più delle volte “un Figlio della Domenica”, una personalità capace di percepire i fenomeni sovrannaturali, di tuffarsi nella verità e, quindi, di strappare la facciata di menzogna e inganno che gli altri portano dentro se stessi74. Il momento della verità coincide infatti con il momento della morte, per cui «När man ser sig själv, så dör man»75. Se prendiamo in considerazione un’altra opera di Strindberg, La Sonata degli Spettri, Hummel, l’anziano Figlio della Domenica, gestisce gli eventi e decide di strappare la maschera al Colonnello per sbatterlo di fronte alla sua terribile e cruda verità; in seguito, gli impone di rivestire i suoi panni posticci per continuare a giocare il suo Dopo aver visto Strindberg a teatro da quando avevo dieci anni, è moto difficile per me dire che cosa appartiene a lui e che cosa appartiene a me. 74 M. Johns Blackwell, The Chamber Plays and The Trilogy: A Revaluation of the Case of Strindberg and Bergman, Chapel Hill, 1981 p. 51. 75 A. Strindberg, La Casa Bruciata (1907) in Teatro da Camera, Milano, Adelphi, 1996, Quando uno vede se stesso, muore.
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ruolo all’interno della società. Lo Studente, il vero Figlio della Domenica, intraprende un suo viaggio all’interno del dramma, dove ad ogni atto corrisponde un livello ultraterreno: Paradiso, Purgatorio, Inferno76. Bergman aveva allestito La Sonata degli Spettri molte volte ed era sempre rimasto affascinato da questo testo “magico”, poiché era quasi impossibile offrirne un’esauriente comprensione e rappresentabilità. Il tema della maschera e dello smascheramento è stato molto presente nell’opera di Bergman. Il Volto è un film tutto giocato sui doppi ruoli che l’artista e le persone si attribuiscono, indossando una maschera che diviene simbolo di riconoscimento sociale più che di camuffamento. Se Strindberg sottolineava la mancanza di comunicazione, Bergman esprimeva un forte senso dell’impegno umano e spingeva le sue storie, soprattutto cinematografiche, verso una comunicazione non verbale, non intellettuale. Nella Trilogia, Come in uno specchio, Luci d’inverno, Il silenzio, Bergman diede spazio all’espressività del volto umano che il suo cinema ha sempre avuto il merito impareggiabile di restituire in tutte le sue sfumature. Per Bergman il linguaggio filmico assumeva una nuova dimensione e importanza: quello della fisicità e della non verbalità. Le parole infatti coprono da sempre le nostre paure e le realtà nascoste. Se il momento della verità avveniva in Strindberg con lo smascheramento, con Bergman si realizzava tramite il dialogo intenso tra volti silenziosi. Entrambi abbracciavano però l’idea che, solo dopo un vero riconoscimento e accettazione dell’abisso presente nelle nostre anime, si può sperare di ricostruire o migliorare le nostre vite. A questo punto però i due sono giunti a soluzioni differenti. E. Törnqvist, Bergman och Strindbeg, Stockholm, Prisma, 1963, p. 37 Om Studenten kann man snarare säga att han instiger i helvete: hans väg inåt från gatan (akt I) genom runda salongen (Akt II) till hyacintrummet (Akt III) är en vandrig från Paradiso via Purgatorio till Inferno. (Dello Studente si può piuttosto dire che entra all’Inferno: il suo percorso muove dalla strada - atto primo- attraverso la sala ovale - atto secondo - alla stanza del Giacinto - atto terzo. È un viaggio dal Paradiso verso l’Inferno, passando per il Purgatorio). 76
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Strindberg ha considerato la ricostruzione personale come una rassegnata accettazione del grande ordine divino che gestisce la vita degli individui: è una sorta di riconoscimento del proprio Karma e di un mondo caotico e incomprensibile e questo è evidente soprattutto nelle opere Post Inferno. Per Bergman la ricostruzione è stata di natura sociale, per cui bisognava raccomandare se stessi all’umanità, all’emozione condivisa con gli altri uomini. Bergman nutriva una grande speranza nei confronti dell’alto «potere della gioia condivisa»77. Un’altra analogia tra i due artisti è il rapporto che instauravano tra i personaggi e l’ambiente. L’ambientazione è sempre stata il riflesso della desolazione personale e spirituale dei personaggi: The degree to which an individual is in harmony with his surroundings is dictaded by the extent to which he is capable of communicanting with his fellow man and the extent to which he is conscious of the subliminal dictates of his life78. Entrambi hanno descritto l’inadeguatezza umana e il senso di solitudine, avvalendosi di metafore fisiche in modo da attuare un passaggio dall’emozione alla sensazione, in quanto nutrivano un forte desiderio del contatto e della responsabilità condivisa. Il tatto, non le parole, veniva considerato da Bergman il vero mezzo di comunicazione. Se si pensa ai suoi film, molto spesso ci sono delle inquadrature su mani intrecciate o su particolari del corpo al momento del contatto fisico. Anche nelle sue messinscene teatrali veniva dato largo spazio alla fisicità, sempre misurata, ma densa di significato. I. Bergman, Den fria, skamlösa, oansvariga konsten, «Expressen», 1 August 1965. Behovet att få människor att lyssna, att korrespondera, att leva i värmen av en gemenskap kvarstod. Det blev allt starkare ju mer ensamhetens fängelse slöt sig omkring mig. (Resta la necessità di far ascoltare le persone, di metterle in contatto tra loro, di farle vivere in una calda sensazione di comunità. Diventa più duro se mi rinchiudo in una prigione di solitudine). 78 M. Johns Blackwell, The Chamber Palys and The Trilogy cit., p. 53: La capacità dell’individuo di essere in armonia con il suo ambiente è dettata dalla sua capacità di comunicare con i suoi simili e dall’estendersi della sua consapevolezza sui richiami sublimi della sua vita. 77
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Anche la visione della sessualità era comune ai due grandi svedesi. Strindberg l’ha espressa tramite il conflitto tra i sessi di cui rivelava il sostrato di disgusto e degrado all’interno della vita dei personaggi. Per Strindberg, solo puntando lo sguardo oltre la sfera fisica, quindi verso qualcosa di più spirituale, si può sperare di raggiungere qualche tipo di salvezza secolare o religiosa79. Bergman è giunto a conclusioni diverse, sottolineando in modo esasperato la sessualità insana. Qui ci si riferisce per larga parte alla sua produzione cinematografica, Il Silenzio ad esempio, dove il rapporto fisico viene presentato come una brutta e perversa copulazione animale che si dirama in più direzioni: autoerotismo (Sussurri e Grida), incesto (King Lear del 1984, Sarabanda) e un implicito lesbismo (Il Silenzio). Sul tema del soggettivismo e della spiritualità, invece, Strindberg e Bergman hanno percorso vie diverse, pur partendo da una comune visione kierkegaardiana dell’esistenza. La diversità di approccio tra i due grandi svedesi riguarda soprattutto la sfera spirituale e religiosa. Strindberg era un uomo esoterico che, seguendo un cammino personale, dalla formazione pietista alla teosofia, all’alchimia, al buddismo, all’Induismo e al Cristianesimo, ha sempre creduto nell’esistenza di una vita ultraterrena. Strindberg dopo la crisi d’Inferno, si è indirizzato verso un orientamento più o meno cristiano. Bergman, invece, è rimasto decisamente legato ad una visione terrena, essendo convinto che solo l’amore tra gli uomini può essere considerato un tipo di religiosità. Sarebbe comunque riduttivo definirlo ateo, perché era presente in lui una grande spiritualità. Se c’è, quindi, una differenza da rilevare tra i due Grandi Svedesi, dopo tante assonanze, è proprio il diverso approccio alla sfera spirituale: nettamente mistica e trascendente quella di Strindberg che, alle domande sull’esistenza, non trovando risposte all’interno dell’essere umano, andò alla ricerca di una figura divina; concretamente umana e 79
Ibid., p. 5.
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immanente quella di Bergman che, dalla sua iniziale formazione luterana, dispensatrice di grazia e di ira, passò a cercare, insieme ai suoi simili, delle risposte “terrene” alle domande che l’uomo da sempre si pone. La visione di Bergman emerge in diverse messinscene strindberghiane; per esempio, negli allestimenti de Il Sogno che realizzò nel 1970 e nel 1986 c’è una chiara presa di distanza dalle scene più mistiche che vengono, il più delle volte, ridicolizzate se non omesse all’interno del copione. Strindberg e Bergman furono dei pensatori soggettivi, attenti alla dialettica della comunicazione, positivi o negativi nel loro rapporto esistenziale con la verità, ricchi di senso comico e ironico. Il problema della Soggettività di Strindberg, “Vi leva ju icke i verkligheten utan i våra föreställingar av verkligheten”80, venne ripreso da Bergman utilizzando mezzi di comunicazione differenti, soprattutto il cinema e la televisione. Senza avventurarci troppo all’interno di questa analisi che ha condotto esaurientemente Vreni Hockenjos81, quello che interessa rilevare al riguardo del concetto di Soggettività, è la metafora comune che i due grandi svedesi hanno utilizzato per descrivere la loro percezione del mondo e dell’arte, che è quella de Il Sogno82. Nel momento in cui però Kierkegaard asserisce che la finalità ulti80 A. Strindberg. Noi non viviamo nella realtà, ma nella nostra rappresentazione della realtà. 81 V. Hockenjos, Strindberg through Bergman A Case of Mutation in Strindberg, Sjöberg and Bergman, Maastricht, Harry Perridon, 1999, p. 46. 82 Negli allestimenti bergmaniani de Il Sogno di Strindberg non solo su chi sia il sognatore in questione che detiene il ruolo di coscienza, ma anche sul tipo mondo onirico che crea e domina per carpirne il significato etico/estetico bergmaniano/strindberghiano. Nell’Introduzione a Il Sogno, c’è un passaggio molto importante dove al sognatore si attribuisce la totale comprensione di ciò che accade e che indica la prospettiva soggettiva: «Men ett medvetande står över alla, det är drömmarens». Negli allestimenti bergmaniani presi in esame, il ruolo di coscienza è attribuito al Poeta, che diviene significativamente elemento di connessione tra il Sognatore (l’emotività) e il Creatore (l’Artista). Il testo viene presentato come una fantasia soggettiva dell’autore riconosciuto (sia nella sua valenza particolare, Strindberg e Bergman, che nella sua valenza universale, l’Artista) nel personaggio del Poeta.
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ma della comunicazione esistenziale è di tipo religioso e considera il cristianesimo come una “comunicazione d’esistenza” e non una “dottrina”, le strade di August e Ingmar si separano. La loro visione mistica fu inversamente proporzionale (trascendenza/immanenza). Secondo le nozioni di “scelta” e “possibilità” però, entrambi hanno espresso una “verità per me” contro quella oggettiva; una verità per cui vivere e morire, che informi di sé l’esistenza nei termini di impegno, scelta e progetto. Tra Strindberg e Bergman c’è stato un altro punto in comune molto forte: la lingua svedese. Strindberg è stato colui che nell’Ottocento ha trasformato la lingua svedese in una grande lingua poetica e di letteratura. La sua è stata ed è tuttora una lingua dai suoni straordinari, soprattutto per quanto riguarda il teatro e la letteratura. La chiave di accesso per un attore che vuole recitare un personaggio di Strindberg, infatti, non è di tipo psicologico, bensì di ascolto del suono, del ritmo e del tempo che quella lingua stabilisce. Qualsiasi cosa faccia, quando scrive, Strindberg è inesorabilmente vicino. Pur inchiodato alla scrivania, dà all’attore la massima libertà, quel tono infallibilmente strindberghiano si presta a ogni stile, a ogni tipo di verità. Dopo un attimo ci si ritrova in un fruttuoso scambio di idee con lui (...) Strindberg si rivolge alla nostra più sana follia con una funzione liberatrice83.
Per Erland Josephson:
Non si entra in Strindberg senza esserne puniti o premiati. Credo che la sua esperienza vissuta sia talmente aperta in ogni direzione, che non ci si libera più di lui dall’attimo in cui lui stesso ci ha afferrati. Strindberg è inesorabilmente
83
V. Monaco Wersterståhl, Memorie di un Attore, Bulzoni Editore, Roma, 2002, p. 237.
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invadente. Come che sia: ripugnante o meraviglioso, meschino o titanico. Stranamente fa in modo che sia impossibile negare la propria individualità. Le menzogne si trasformano in verità perché sono rivelatrici, spaccano in due, e raccontano e confessano, e attaccano e difendono. Poi anche nella sofferenza e nello spavento più profondo c’è sempre un maledetto buon umore, in Strindberg. Irresistibilmente sedotti ci lasciamo contagiare, influenzare, perfino trasformare84.
La lingua svedese è una lingua strutturata in modo diverso dalla nostra. Ci sono ventuno/ventidue vocali contro le nostre cinque, tutte distintive tra di loro, a tal punto che una pronuncia errata compromette il significato della parola. Il contesto non aiuta come nella nostra lingua, dove un errore di pronuncia non allontana completamente dal significato della parola. «Strindberg ha avuto la straordinaria capacità di fare dello svedese una grande lingua letteraria e di teatro basata sui suoni, sui ritmi e sui tempi»85. Bergman ha fatto lo stesso per il teatro.
Quando fondò a Malmö la sua compagnia di attori, il teatro che lui proponeva, e che del resto faceva tutto il teatro svedese, era un teatro di testo. Testo in questo caso significa Strindberg, in quanto è per gli svedesi un unicum nel panorama artistico/letterario. Bergman, quindi, si “Strindberghizza”. Quando infatti il Maestro giunse al Dramaten, portò avanti la tradizione del teatro di testo di Strindberg, fondata sul suono, il ritmo e il tempo. Lo stesso Josephson continua: “Le famose istruzioni di Strindberg agli attori acquistano un significato molto diverso se messe in relazione alla scrittura in svedese dello Strindberg autore drammatico. Già in esse il testo è considerato quasi come una partitura. E proprio questo sarà un elemento de84 85
Ibid., p. 256. Intervista a Vanda Monaco Wersterståhl cit.
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cisivo del lavoro di Bergman con gli attori, sia a teatro che al cinema”86. Quando si facevano le prove con Bergman ciò che era importante era il ritmo che si dava alle battute, il tempo che si dava al personaggio e i suoni della parole, per cui la dizione era fondamentale. Oggi questa tradizione si è interrotta in un certo senso.87 La Svezia è un Paese che lascia spazio ai giovani, tagliando bruscamente con il passato, con ciò che è stato, quando è invece importante mantenere una linea di continuità. Per i giovani registi la linea si è spezzata. Questo vale anche per gli attori della nuova generazione che, non essendo cresciuti a “Pane e Strindberg”, quindi con il gusto della parola, del suono, dei ritmi e dei tempi, non riescono a restituire quella profondità, grandezza e magia degli attori “vecchia maniera”88. Anche la musica è un elemento molto importante all’interno delle produzioni dei due grandi Svedesi. Le affinità si fondano sull’utilizzazione della stessa struttura musi-
V. Monaco Wersterståhl, Memorie di cit., p. 19. Intervista a Vanda Monaco Werstersthål cit. Per la drammaturgia è già diverso, in quanto Lars Norén potrebbe essere considerato il più strindberghiano di tutti in questo senso, con i suoi testi intrisi di incontri e scontri familiari e sociali. 88 V. Monaco Wersterståhl, Memorie di cit., p. 19. Come afferma lo stesso Erland Josephon: “Ci vuole ordine perché ci sia una possessione. Un ordine creato dalla lingua e dai personaggi e dall’orologio interno dell’attore. Si potrebbe dire di più su tutto questo. Vorrei citare invece alcune frasi da Venus Armar (Le Braccia di Venere) un libro del maggior critico svedese, Leif Zern: A teatro, uno degli equivoci più frequenti sulla lingua è che la si può mettere di fianco, più o meno come si fa con il coperchio quando vogliamo guardare in fondo ad un pozzo. Che cerchiamo? L’azione, il conflitto, i caratteri? È così che la paura della lingua si mostra in palcoscenico, e il concetto assai diffuso di sottotesto indica come gli attori vogliano rappresentarsi il testo come qualcosa che nasconda un altro testo: un terreno più solido. Dovremmo capovolgere l’immagine: è la lingua che viene lanciata in alto dal fondo del pozzo, come una inesauribile pioggia di stelle. Louis Jouvet dice qualcosa del genere nei suoi consigli agli attori: concentratevi interamente sulla lingua, il resto verrà da sè. 86 87
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cale che, presa in prestito da Strindberg con il suo Teatro da Camera, è stata introdotta nuovamente da Bergman nella sua produzione cinematografica. Un altro punto di forte contatto riguarda la visione del teatro e dello spettatore. Nel Memorandum del regista ai membri del teatro Intimo (1908) di Strindberg, c’è un passaggio che può far capire esattamente la visione che entrambi avevano dell’Arte: Se ora ci si chiede, che cosa vuole un Teatro Intimo e che cosa significa un Teatro da Camera, posso rispondere così: nel dramma noi cerchiamo il motivo forte e pieno di significato, ma con un limite. Nel mettervi mano evitiamo il superfluo, ogni effetto calcolato, lo spazio per l’applauso, e i pezzi di bravura, i numeri da solista. Nessuna forma prestabilita deve vincolare l’autore, perché è il motivo che condiziona la forma. Libertà di svolgimento, dunque, limitata soltanto dall’unità della concezione, dal senso dello stile89.
Il primo maestro di Bergman fu dunque August Strindberg, col suo studio dell’anima nordica e con la sua teoria del “Teatro da Camera”: tecnica sobria, scenografia lineare, recitazione discreta, per un’analisi sfumata dei processi psicologici. Bergman riportò nel cinema l’estetica del Teatro da Camera. Diresse più volte in teatro, alla radio, alla televisione, La Tempesta, La Sonata degli Spettri, Casa Bruciata, Il Pellicano: i quattro atti unici, dove Strindberg ha espresso maggiormente la sua poetica. Oltre a questi aspetti estetico/filosofici che accomunano i due grandi svedesi, vorrei sottolineare anche il rapporto di filiazione che Bergman ha avuto con il suo Maestro e l’atmosfera di magia e presenza costante percepita dal regista. Il primo incontro con Strindberg è stato molto precoce: aveva tredici, quattordici anni quando lesse per la pri89 T.
Dubois Janni, August Strindberg una biografia, Milano, Mazzotta, 1970, pp. 283, 284.
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ma volta i suoi Drammi da Camera e ne fu catturato, pur non comprendendone il significato. Soprattutto lo impressionò Il Pellicano. Quello che lo colpì fu la rabbia presente nell’opera. Come afferma lo stesso Bergman: Mi ero così riempito di aggressività. Non era che io comprendessi di che cosa parlassero quei drammi. Se pensi a La Sonata degli Spettri, che cosa ne può pensare un quattordicenne?! Ma ne avevo compreso il tono, l’aggressività, la rabbia90.
Quando era bambino, Bergman riuscì a comprarsi l’Opera Omnia di Strindberg di 55 volumi curata da Landqvist, grazie ad una generosa offerta di una sua zia. «Li misi nella mia libreria a casa e mi sdraiai sul letto e incominciai a guardarli. Attraverso gli anni, da allora questi drammi hanno sortito degli effetti variabili su di me»91. Bergman raramente veniva ostacolato nelle sue inclinazioni artistiche, ma «quando raggiante di felicità, portai i 55 volumi a casa, perché già allora era il mio idolo, e mio padre entrò, vide tutti quei libri e disse: “Mettili via, niente Strindberg in questa casa!”. Li misi via, ma nessuno mai provò ad impedirmi di leggere Strindberg. Non esisteva questo tipo di censura»92. Bergman avvertì sempre la presenza di Strindberg durante la sua vita. Uno spirito beffardo e guastafeste che a volte gli fece qualche “dispetto”; come quando preparava Il Sogno e, puntualmente, tutte le sue attrici che interpretavano Agnes rimanevano incinte. Il Dramaten stesso è un luogo misterioso, intriso di presenze. Bergman una volta vide lo spirito di Harriet Bosse, famosa attrice e ultima moglie di Strindberg. Anche Erland Josephson avvertì la presenza di M. Nyreröd, Ingmar Bergman 3 Dokumrntar om Film, Teater, Fårö och Livet, Sveriges Television, Stockholm, 2003. 91 Ibid. 92 Contenuti Entra dvd Fanny och Alexander (1982), Edizione speciale Multimedia San Paolo, 2003. 90
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Strindberg in camerino. Bergman mise in scena Il Sogno per ben quattro volte. Durante le prove della sua ultima messinscena, gli capitò di sognarlo: Una notte ho sognato che Strindberg mi chiamava al telefono. Voleva incontrarmi e fare una passeggiata su Karlavägen. Io vivo dove aveva abitato Strindberg, a Karlaplan 10. Abitava al mio stesso indirizzo. Ricordo il mio essere estremamente ansioso, ero spaventato e rigido all’idea di incontrarlo. Realizzai che avevamo discusso sul mio aver giocato attorno l’ultima parte della Grotta di Fingal. La cosa più importante per me è stata quella di ricordare che il suo nome era “Ougust”. Diventava furioso quando la gente lo chiamava “Aaaaugust”! L’ho amato come la musica. Il suo modo di trattare la lingua svedese è ineguagliabile93.
Il rapporto che Bergman ebbe con Strindberg fu di tipo viscerale, ma, lungo il corso della sua attività teatrale, ecco che “il bambino Bergman” cresce e modifica continuamente il suo rapporto con “mamma Strindberg”, che viene interrogata con più distacco, con una maggiore maturità e differenti richieste. Nel suo curriculum di allestimenti strinberghiani risalta l’interesse per le opere dell’ultimo periodo, quello simbolico/esistenzialista/surreale rispetto al periodo detto, impropriamente, naturalistico. Drammi come Il Sogno, Il pellicano, La cena degli Spettri tornano a singhiozzi, come rintocchi di un orologio che segna le fasi del tempo dell’uomo Bergman che cresce e si pone diversamente nei confronti di alcune tematiche: prima di tutto l’umanità di ogni individuo e la sua impossibilità di essere Dio, quindi indipendente, unico e intoccabile.
93
M. Nyreröd, Ingmar Bergman 3 Dokumrntar cit.
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“Mi piace vivere. Vivo la vita divertendomi. Mi piace il cibo, il buon vino, la musica, le donne, la natura, ma sono anche nato con qualcosa dentro, qualcosa che mi porto dentro dalla mia primissima infanzia, che mi ricordo di aver avuto fin da quando ero piccolissimo: la paura. Una paura che può essere grandissima. Può trattarsi di paura per la mia esistenza, di paura della morte, di paura ‘politica’ per il futuro nostro e dei nostri figli. Può trattarsi anche di una paura ridicola: per esempio ho paura dei cani, delle conferenze stampa... L’unica cosa di cui non ho paura sono le mie prove, che siano a teatro o sul set di un film. La mattina, in genere, sono spaventato dal fatto che se la giornata precedente è stata buona, quella che mi aspetta potrebbe non esserlo. Tutta la mia vita è dominata da questa dicotomia: da una parte la gioia, l’entusiasmo che provo nei confronti del vivere e dall’altra questa paura”. Ingmar Bergman
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PARTE SECONDA
CONVERSAZIONI PRIVATE
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BÖRJE AHLSTEDT
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La formazione professionale di Börje Ahlstedt è avvenuta presso la “Elevskola” (scuola degli studenti) del Dramaten negli anni 1962/65; in seguito è stato assunto nell’Ensemble del Dramaten. Presso lo stesso teatro ha interpretato oltre settanta ruoli, tra cui:
ROMEO in Romeo e Giulietta nel 1970, regia di Mats Ek JEAN in Fröken Julie nel 1974, regia di L. Göran Carlsson GÖRAN PERSSON in Enrico XIV nel 1977, regia di Alf Sjöberg
Il ruolo di protagonista in Jeppe e la montagna del 1986
CLAUDIO in Hamlet nel 1986, regia di Ingmar Bergman PER in Per Gynt nel 1991 (Premio O’Neill), regia di Ingmar Bergman LEONTE in Racconto d’Inverno nel 1994, regia di Ingmar Bergman ALCANDRE ne L’Illusione di Corneille nel 1995, regia di P. Oskar Son
Il ruolo di protagonista in Puntila di B. Brecht nel 1996, regia di Thorsten Flinck MARKURELL in Markurell i Vadköping nel 1999, regia di Peter Dalle
Il ruolo di protagonista nel monologo Scheherzad di Jonas Gardell nel 1999, regia di Jonas Gardell
LORD BURLEIGH in Maria Stuart di Schiller nel 2000, regia di Ingmar
Bergman
Ha partecipato ad Un rischio del figlio di Alfred Bellman nel 2001 ARNOLPHE in La Scuola delle Mogli di Molière nel 2001, regia di Peter Langdal Sogno d’Autunno di Jan Fosse nel 2002 Woyzeck di Buchner nel 2003, regia di Steffan Larsson Re Lear di W. Shakespeare nel 2003, regia di Steffan Larsson Arbetar Klassens Sista Hjältar di Peter Birro, nel 2004, regia di Stig Larsson I Congiurati di T. Bernhard, nel 2005, regia di Gunnel Lindblom Börje Ahlstedt ha lavorato moltissimo anche per la Televisione e per il 70 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Cinema sia come attore che come regista. Tra i numerosi film ai quali ha collaborato, ne citiamo qualcuno tra i più significativi: Fanny e Alexander, di I. Bergman, nel ruolo di CARL EKDAHL (1982) Con le migliori intenzioni, regia di B. August, nel ruolo di CARL ÅKERBLOM (1992) Il Figlio della Domenica, di I. Bergman, nel ruolo di ZIO CARL (1992) Per la Televisione ha interpretato i seguenti ruoli:
ZIO CARL in Verità e Affanni, 1997, regia di Ingmar Bergman HENRIK in Sarabanda, 2003, regia di Ingmar Bergman
Börje Ahlstedt mi riceve nel suo camerino in un pomeriggio primaverile, qualche ora prima dello spettacolo di Bernhard I Congiurati che è in scena in questa stagione. Ho avuto l’occasione di ammirare la sua bravura anche in un precedente spettacolo della stagione invernale, scritto da Peter Birro. Il suo camerino è evocativo del teatro glorioso e perduto di qualche decennio fa: una radiolina accesa che trasmette musica swing, mensole cariche di vecchi cappelli e “cimeli” di passate e gloriose imprese teatrali, colonne instabili di libri e copioni accatastate alla rinfusa praticamente ovunque, tanto che ho una seria difficoltà a trovarmi una collocazione. Questo incontro è stato per me uno dei più significativi, non soltanto perché ha rivelato aspetti interessanti del lavoro del Maestro, ma anche perché mi ha dato la possibilità di conoscere una persona generosa e sensibile, disponibile nel darmi consigli preziosi non solo per la mia personale attività artistica, ma anche per la vita.
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Intervista a Börje Ahlstedt, Dramaten, Aprile 2005
B. A. Sto recitando Thomas Bernhard, l’hai visto? F. P. Sì certo, perché è un autore che io amo molto; ho letto anche
diversi suoi romanzi, come Cemento e A colpi d’ascia. B. A. Thomas Bernhard è meraviglioso! F. P. Sì e non capisco perché non gli sia mai stato dato il Premio Nobel. Prima di incominciare a chiederle del Maestro, vorrei farle qualche domanda a proposito di questo spettacolo. Quando ho assistito ad una delle repliche, mi ha meravigliato che a fine spettacolo il pubblico sia rimasto in silenzio, probabilmente era scioccato... Secondo Lei, è necessario oggi dare agli spettatori questo tipo di impulso? B. A. Assolutamente. È veramente molto importante. È veramente necessario recitare questo tipo di pièce, perché non dobbiamo mai dimenticare che cosa è successo sessanta anni fa. Nel dramma si esprime proprio questo ottundimento nel non voler vedere e nel non voler sentire, il tenere tutto segreto, e questo non deve assolutamente essere permesso tra gli uomini. Sessanta milioni di persone sono state uccise durante la Seconda Guerra Mondiale. Quindi è molto, molto importante recitare questo spettacolo. F. P. Ma la gente forse non vuole questo, rifiuta di pensare... Probabilmente viene a teatro solo per ridere e distrarsi. In questo spettacolo a volte si ride, ma il fondo è veramente duro. B. A. Certo, si ride ma la storia è terribile. Questo (mi mostra il bozzetto del suo personaggio, un gerarca nazista) è un uomo malato e queste (mi mostra su un altro bozzetto) sono le sorelle. Ogni anno si ritrovano nella loro casa per festeggiare il compleanno di Himmler che cade il sette ottobre. Una delle due sorelle è malata, costretta su una se72 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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dia a rotelle: è socialista ed è odiata dagli altri due fratelli che hanno una relazione incestuosa tra di loro. Essa è la loro vittima, essendo indifesa. Thomas Bernhard è un autore geniale. (Si gira, prende il copione dalla scrivania e me lo porge) Questo è il copione (lo sfoglia), questo è il secondo atto... vedi? F. P. Come ha lavorato sul suo personaggio, con il gruppo e con la regista Gunnel Lindblom? Primo giorno di prove: voi, il tavolino, immagino, il copione e... B. A. Leggere, leggere in continuazione e ripetutamente ogni singola scena; l’abbiamo fatto per più di cento volte, e soprattutto ci siamo guardati negli occhi reciprocamente. Tu leggi, io ascolto e ti guardo, tu mi guardi e io leggo... ecc. Dopo circa quattro settimane si può andare in piedi ed incominciare a provare le scene, ma il primo periodo è dedicato tutto alla lettura e all’ascolto del testo e degli altri: leggo e ti guardo..., leggo, e ti guardo... per circa tre, quattro settimane. Poi, improvvisamente, un giorno dici: “ok, voglio alzarmi e provare in piedi”. “Sì, fallo” mi dice Tunnel, la regista. Io mi alzo e le dico: “Ok, ora mi lavo la faccia come mi avevi chiesto”. Lei replica: “No, non voglio che ti lavi il volto adesso, questo deve avvenire fra tre, quattro pagine”. “No”, le dico, “non posso fare questo ora, lo devo fare prima...”. Così questo è stato il nostro primo conflitto. F. P. Per te questo spettacolo ha significato molto? B. A. Per me il Teatro è una domanda sulla Vita e la Morte... È così importante, non ho niente di più oltre il mio teatro, niente... Quindi, dicevo prima, che tra me e Gunnel si era instaurato un conflitto, una piccola guerra a proposito di questa azione scenica, che poi è stata risolta con un’altra piccola provocazione da parte sua. Un giorno mi chiese: “Vuoi che tua sorella ti lavi i piedi in questa scena?”. “No”, le risposi. “Bene” continuò lei “In questo punto voglio che ti si lavino i piedi” e così abbiamo continuato giorno dopo giorno (ride). F. P. Ma la gente a fine spettacolo rimane in silenzio tutte le sere? B. A. Sì, sì... F. P. Come si sente Lei quando ha terminato la replica con questo silenzio pieno degli spettatori? 73 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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B. A. Mi sento pulito, felice, vuoto e sento la mia anima così vicina a Dio come non mai. F. P. Mi ricordo che quando sono venuta quest’inverno a vederla nello spettacolo di Peter Birro, la gente alla fine era così entusiasta e travolta dalla sua interpretazione, che le ha fatto la standing ovation. Quando questo accade è perché si è riusciti ad entrare nel cuore della gente... B. A. Sì, è meraviglioso, ma non è così necessario. È molto più importante se ti stanno ascoltando. Il grande ascolto è la cosa fondamentale. Stavo recitando l’Hamlet di Ingmar Bergman a Tokio, nel ruolo di Claudio, insieme a Peter Stormare, Gunnel Lindblom e il pubblico giapponese ha assistito alla rappresentazione nel più assoluto silenzio e nella più completa immobilità espressiva. Quando è calato il sipario, si sono messi ad applaudire senza alcuna espressione e poi sono andati via. F. P. Forse perché quello è il loro modo di partecipare, appartenendo ad una cultura così differente dalla nostra... B. A. Certo, sicuramente, ma quello che volevo dire è che era comunque presente un grande ascolto. Quando io sto recitando, prendo delle pause, entro dentro me stesso, dialogo con l’altro personaggio, ma nel contempo ho sempre attivo un canale ricettivo che mi permette di percepire se il pubblico sta ascoltando e, quando questo avviene, riesco a comunicarlo con lo sguardo al collega. Se uno spettatore della prima fila è disattento, devo cercare di riacchiapparlo subito, perché dietro di lui ci sono file e file di altra gente e la mia recitazione parte dal palcoscenico per quella persona e tramite di essa si propaga dalla prima fila alle successive, quindi è assolutamente necessario “sentire” il pubblico e riportare all’attenzione chi si è distratto. Scelgo qualcuno del pubblico che è molto vicino al palco, e tramite lui ricomincio. Questo è importante anche quando lavoro con Bergman. Io recito solo per Bergman e tramite Ingmar Bergman, attraverso il suo ascolto, il suo cuore e il suo stomaco. Allora Ingmar Bergman trasmette agli altri la forza e l’intensità della mia interpretazione. Basta recitare sempre per una persona, che hai raggiunto tutte le altre. Questo è molto importante. A quel punto puoi andare per la tua stra74 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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da come i cavalli che non si guardano attorno e non vengono distratti, ma procedono dritti verso la loro meta. Dritti, “Bum!”, potere, potere, potere. F. P. Quando Lei ha interpretato Re Lear per la regia di I. Bergman, come si è sentito? È un ruolo molto importante per la carriera di un attore, oltre ad essere un testo assai complesso. B. A. È una domanda difficile. Se tu reciti Re Lear, devi usare tutta la tua esperienza precedente nella vita, non solo artistica: tutti i pensieri, le donne e gli uomini che hai conosciuto, ciò che hai ascoltato e letto, tutto quello che è stato ed è importante per la tua vita personale. Tirare fuori il proprio bagaglio di esperienze, aprirlo e guardarci dentro: cos’è la gelosia? Chi è la moglie di Lear...? Voglio dire, la moglie non è presente nel testo, ma forse lui l’ha uccisa. C’è l’incesto in un certo senso, con le prime due figlie e con Cordelia che ama in maniera distorta. C’è un punto dove Re Lear bacia Gonerild, forse non tutto il pubblico se ne è accorto... (si ferma pensieroso, poi si alza e va a prendere qualcosa su una mensola, nel mentre mi chiede:) Hai visto Sarabanda di I. Bergman? F. P. Certo, e al riguardo avrei qualche domanda da porle. B. A. Peter Birro, che attualmente sta lavorando con me ad un progetto dal titolo Neil Amstrong var aldrig på månen dove io sarò l’interprete principale ed il regista, mi ha raccontato che un canale italiano l’ha recentemente mandato in onda, rai due credo, ad un’ora molto tarda e questo perché il tipo di rapporto incestuoso tra il mio personaggio e quello della figlia era malvisto... F. P. Riguardo a Sarabanda sarei curiosa di sapere che tipo di feeling, di sensibilità, Lei ha instaurato con il personaggio di Henrik. Inoltre mi piacerebbe sapere che tipo di sensazioni Lei e il Signor Josephsson avete provato nel girare la scena tra il padre e il figlio, una delle più belle e terribili di tutto il film. Cosa è successo quando avete incominciato a girare Sarabanda? Può raccontarlo? B. A. Mi ricordo che ero in Grecia, quando ricevetti una telefonata di Ingmar dove mi diceva: “Non sono razzista, ma non ho mai pensato che Henrik fosse un negro”. Così io e lui entrammo subito in conflitto per via della mia abbronzatura, ma ci piacciamo e ci stimiamo vicen75 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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devolmente, quindi abbiamo incominciato e il secondo giorno abbiamo girato la scena a cui ti riferivi nella domanda, quando chiedo a mio padre dei soldi. Rimasi sorpreso nel rilevare quanto Ingmar e Erland potessero essere odiosi. Mi piace questo. Facemmo questa scena per circa un’ora (rimane sospeso tra i suoi pensieri). Facciamo finta che tu sei Josephsson ed io Henrik. Bergman si trova tra noi due che leggiamo: leggiamo la sceneggiatura, la mettiamo da parte, poi ci guardiamo negli occhi, ci ascoltiamo... Improvvisamente tu incominci volgendo gli occhi dentro di te. Bergman ti guarda, poi volge il suo sguardo su di me, il tutto senza cinepresa... Ad un certo punto mi dice: “Börje, più vicino, più vicino...”. Tu ricominci a parlare ed io mi lascio avvicinare e attraversare dalle tue parole. È così semplice, semplice... Solo parlare, guardarsi, ascoltare e usare i propri occhi (sorride). Silenzio, guardare dentro l’altro e viceversa e Ingmar Bergman che guarda dentro a tutti e due... Siamo un gruppo che condivide una forte emozione ed un silenzio carico di un mondo di significati. È così semplice, ma si deve... Quando ho fatto Lungo viaggio al termine della notte di O’Neill, recitavo la parte dell’attore e mia moglie era interpretata da Lena Nyman che è un’attrice geniale, molto amata da Bergman. Sia io che lei durante le prove abbiamo chiamato più volte alla settimana Ingmar a Fårö solo per ascoltare il silenzio. Chiudi i tuoi occhi e ascolta te stesso, chiudi gli occhi e ascolta il tuo personaggio, chiudi gli occhi e ascolta Mikael Pressbrandt e Peter Birro... e quando senti, tu rispondi e si crea un flusso continuo e circolare. Tu non sei mai da solo, mai. Ibsen una volta disse: “Non posso parlare di me senza di te”. Leggiamo, parliamo tanto e poi ascoltiamo... ed è fantastico, è Dio! Ma devi ascoltare te stesso e gli altri. È facile ma allo stesso tempo è così difficile capirne la semplicità . F. P. Quando lei ha recitato il Peer Gynt, quale era il punto di vista di Bergman sul personaggio? Puoi raccontarmi la sua esperienza? B. A. Ci sono tre Peer Gynt: il giovane, l’adulto e l’anziano. Ho recitato tutti e tre perché Bergman mi disse che avevo un’anima così forte che non capiva da dove provenisse... Io gli risposi che forse era Talia, il mio amore, la causa di questo ta76 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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lento, e Ingmar mi rispose che era lo stesso anche per lui. Devi “fottere” Talia, farci l’amore... “Ci sono tre Peer Gynt, da dove devo incominciare?” chiesi a Bergman, “quale dei tre? O forse devo partire da Ibsen, da Talia, da Bergman o da me stesso?”. Lui mi disse: “Comincia dall’inizio”. E l’inizio era il mondo, lo spazio. “Leggi la prima battuta, buttati sul pavimento, fallo! Alzati! Silenzio, guardati intorno, senti la grandezza del mondo, dell’amore, della vita. Qui c’è il giovane Peer... Ascoltalo, ascoltalo: forte, pieno di potenza, giovane, un grande menzognero, pieno di fantasia che gli dà potere”. Se tu incontri un mondo, lui ti dice: “È tuo!”. Se tu sei molto aperto, puoi dire: “Vieni da me, vieni Amore, vieni Fortuna, che tutto venga, prendetemi!!!”. E il mondo lo fa; ma se ti senti spaventato dal mondo e dalla vita, questo non avviene. Peer è così meraviglioso, però poi diventa molto più egoista. Quando Peer chiede alla madre “Mi ami?” e lei gli risponde “Sì”, lui le dice che vuole vivere in Norvegia e andare a visitare il mondo per un mese e così può decidere di volare, chiedendole di aspettarla perché lui sarebbe tornato. Non so quanti anni siano passati dalla sua partenza, forse quaranta anni... e si è portato via tutto, soldi, oro... Peer non capisce che perdere l’amore è il peggior crimine che si può fare. Egli abbandona e tradisce l’amore di sua madre. Promette e non mantiene: mentre lui vive per il mondo, Åsa lo aspetta e piange, ma non gliene importa. F. P. È una sorta di parabola sull’uomo... B. A. Sì, proprio così. Peer non capisce che la vita è breve. F. P. Le piace molto Ibsen? B. A. Sì, perché è un grande uomo, pieno di vita. Bergman lo stesso. Un giorno lui mi chiese: “Da dove stai prendendo tutta questa forza?”, ed io gli risposi “Da Talia”. F. P. Cosa ne pensa di Strindberg? Lei ha recitato diversi ruoli sia in teatro che in tv. C’è qualche differenza a recitarlo con mezzi diversi? B. A. No, non c’è nessuna differenza. Credo che Strindberg sia molto divertente, è uno scrittore umoristico; nella sua drammaturgia è la situazione che ti prende e non viceversa. La situazione si prende cura di te. Se tu cogli questo aspetto di 77 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Strindberg, tu puoi giusto ESSERE, è la situazione. Noi pensiamo di creare la situazione, ma non è così. Questo accade solo in Strindberg. F. P. Chi è il Sognatore per Lei ne Il Sogno? B. A: Difficile dirlo... In Sarabanda ogni attore era una parte di Bergman. Ne Il Sogno io avevo interpretato il ruolo dell’Avvocato... (qui l’attore non risponde in modo preciso alla domanda). Strindberg è veramente molto divertente, ma la cosa più importante è la sua fluidità: non ci sono rotture nella sua drammaturgia che è asciutta, corta. F. P. Tra Strindberg e Ibsen c’è una differenza... B. A. Sì, ma molto piccola. Entrambi sono scrittori nordici e parlano della solitudine e rispettano l’amore, l’amare e l’essere amati: Ibsen con Solveig, Strindberg con Julie, Jean... Shakespeare lo stesso...Tutto nella vita è amore tra le persone! F. P. Che cosa ha imparato da Bergman? B. A. Di venire puntuale e preparato alle prove. Shakespeare esprime qualcosa di simile per bocca di Amleto: “Tutto deve essere preparato... ecc.”. Questo è Bergman, questo sono io. Quando abbiamo fatto il Peer Gynt, io mi ero studiato a casa tutto il copione, in modo tale da poter ascoltare e guardare i miei colleghi quando provavano al tavolino. Bergman si accorse di questo e mi invitò a gettare via il copione dalla finestra, vista la mia preparazione. Questo mi permette di essere aperto e concentrato sulla mente e il cuore del collega e questo rende forti e potenti. Bisogna essere preparati, preparati, preparati! F. P. Pensa che Bergman quando lavora con gli attori, gli insegna a creare e ad ascoltare il silenzio, a rispettare se stessi e gli altri, dandogli la sensibilità per poter essere liberi? B. A. Sì, è così, anche se ci sono degli attori che a volte non capiscono che Bergman crea solo una cornice di un quadro che va poi dipinto da loro. Ingmar Bergman ama gli attori che bucano la scena, rompono la sua cornice e prendono la libertà e lo spazio e sono generosi, pieni di amore, potere e sensualità, fantasia, sguardo!!!! Li ama!!!! E tu hai conquistato la libertà. A quel punto puoi chiedere ad Ingmar: “È troppo quello che sto facendo?” e lui ti guida. Ma incominci partendo da te stesso, dai, dai e dai... Sei autonomo e quindi in condizione di se78 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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guirlo. Alcuni attori a volte dicono che non si possono fare delle cose perché “Bergman ha detto di fare un’altra cosa, devi rispettare il suo schema...”. “No!” replico, “lui vuole che tu rompa quella cornice e che ti espanda e la oltrepassi con il tuo potere!” e a quel punto lui ti ringrazia. Ogni regista ti ringrazia se incominci a fargli vedere che cosa è la vita. E tu ti senti così forte e felice... Il prezzo è un duro lavoro quando nessuno ti vede, nella tua solitudine. Devi stare molto con te stesso e non essere molto socievole, come andare a bere una birra dopo le prove o lo spettacolo insieme agli altri e chiacchierare... è pericoloso! Bisogna essere molto gentili e delicati nei riguardi della propria sensibilità e ascoltarla. Cosa vuoi da te stesso? Essere un attore e interprete, o stare seduto ad un caffè? Questo è il prezzo.
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MARGARETHA BYSTRÖM
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Margaretha Byström si è formata professionalmente presso l’accademia “Elevskola” del Dramaten negli anni 1962/64. Tra i numerosi ruoli che ha interpretato, possiamo ricordare:
MEDEA in Mbong di W. Kyrklunds, regia di L. Amble, 1967 SONJA in Zio Vanja di A. Cechov, regia di P. Weiss, 1982 LA SIGNORA BURNSTER nel Nuovo Processo di P. Weiss, regia di P.
Weiss, 1982
MARGHERITA nel Maestro e Margherita di M. Bulgalkov, regia di P.
Luckhaus, 1982 ELIN in La Notte è Madre del Giorno di L. Norén, regia di G. Graffman, 1983 GONERIL in Re Lear di W. Shakespeare, regia di I. Bergman, 1984 LA RAGAZZA in Fiori Bianchi di K. Boldemanns, regia di P. Luckhaus, 1985 LA BARONESSA DE SIMIANE in Il Marchese De Sade di Y. Mishima, regia di I. Bergman, 1989 KATE in Vicino Broadway di N. Simon, regia di S. Roos, 1991 LA SIGNORA GUNILD BORKMAN in John Gabriel Borkman di H. Ibsen, regia di T. Merli, 1994 LA MADRE in Glasmenageriet di T. Williams, regia di A. Ehrensvärd, 1995 IL RUOLO PRINCIPALE in Molly Sweeney di B. Friel, regia di P. Luckhaus, 1997 LOUISE BOIJE in Louise Boije di G. Bestseller, regia di A. Ehrensvärd, 2001
Ha recitato anche presso il Fölkteater di Göteborg e presso il Teater Brunnsgatan Fyra, dove ha recitato Solange di W. Kyrklund nel 1997. Ha lavorato anche per il Cinema, la Radio e la Televisione. Come sceneggiatrice, ha collaborato con H. Bramsjö, Lubbe Nordström e Marika Stiernstedt su dei diari, per la messinscena di Lubbe e Marika, dove ha interpretato il ruolo di Marika (1990). Ha curato la regia di Augustindansen di B. Friels nel 1992. Nel 1984, le viene assegnato il Premio O’Neill. Nel 2003, ha recita82
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to nelle chiese svedesi Birgitta, 8-barnsmor, politiker och helgon, uno spettacolo di Agneta Pleijels con le musiche di Mattias Wagner. È attualmente in scena al Dramaten con I Congiurati di T. Bernhard, regia di Gunnel Lindblom.
Margaretha Byström è una donna molto sveglia e in gamba, l’arte l’abbraccia a tuttotondo: è attrice, regista, sceneggiatrice, musicista. È molto pratica e concreta nel suo lavoro. Gentile, disponibile e di una intelligenza “virile” per certi aspetti. Ne I Congiurati colpisce la sua interpretazione tragi/comica. Discorriamo piacevolmente su un divanetto di velluto verde in una stanza di “riposo” del Dramaten.
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Intervista a Margaretha Byström, Dramaten, Aprile 2005
F. P. Penso che potremmo incominciare a parlare di Bernhard, e poi di Ingmar Bergman. Può raccontarmi la sua esperienza lavorativa ne I Congiurati di T. Bernhard con gli attori, il regista, ecc.? M. B. Beh, se mi puoi capire, è stato veramente un viaggio interessante. È stata la prima cosa di Bernhard che ho fatto. Prima non avevo mai visto né letto assolutamente niente di lui prima di questo lavoro. Ma certo, quando abbiamo incominciato a lavorare su questo testo, mi sono ben documentata: ho letto i cinque volumi della sua autobiografia dove parla della sua infanzia e della sua vita. La prima volta che ho aperto il suo libro, sono stata spaventata dal suo tipo di scrittura: ogni frase consegue all’altra ininterrottamente fino alla fine della pagina, quasi senza punteggiatura. Questo mi aveva spaventato veramente molto e ho pensato “Sarà dura!”. Ma quando ho incominciato, mi ha preso direttamente al cuore, perché il suo modo di scrivere è molto affascinante e quindi mi sono “divorata” i cinque volumi in pochissimo tempo. In seguito ho letto molte altre cose scritte da lui e su di lui. Questo testo che abbiamo messo in scena è molto speciale per me, forse non tanto per Bernhard, visto che molto spesso crea personaggi che parlano tantissimo, come nel mio caso. Quando ho letto il copione mi sono preoccupata non tanto per il tipo di personaggio, quanto come trovare il modo per far interessare il pubblico ad un carattere così logorroico. Questo è stato un problema per tutti e tre gli attori e il regista: come prendere i flash e il sangue in questo fiume di parole? Ma lo scrittore era anche un musicista come tu saprai, e il testo è così musicale, così facile da dire... Abbiamo avuto un’ottima traduzione a cura di Bodil Malmsten che è riuscito a fare una meravigliosa trasposizione linguistica, molto musicale. Come abbiamo incominciato, siamo rimasti af84 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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fascinati, il testo ha preso sia noi attori che il pubblico: la gente rimane appesa, attenta e coinvolta; questo perché Bernhard non permette a nessuno di andarsene, “tiene” l’attenzione delle persone. Il soggetto, la storia è molto triste e dura per gli svedesi, forse nel senso di un confronto. La loro reazione varia da sera a sera, ma per noi attori è molto eccitante recitare questo testo, lo facciamo con piacere, perché ci emoziona veramente ogni sera. Sono molto orgogliosa di fare questo spettacolo. Sfortunatamente la gente non si “precipita” a vederlo, molto probabilmente per il soggetto trattato che li spaventa. Non vogliono confrontarsi. Questo di certo non vale per noi attori che lo recitiamo. F. P. Mi può raccontare della sua prima esperienza di lavoro con I. Bergman? M. B. Ero studentessa nella scuola di questo teatro, era il 1964, l’anno conclusivo della scuola. Lo stesso anno il teatro cambiò direttore. Il nuovo direttore era Ingmar Bergman. Venne a guardare noi allievi; in seguito mi scritturò come attrice in questo teatro dove sono rimasta per tutta la mia vita fino a nove anni fa, quando mi hanno “licenziata”. Questo perché dopo cinquantanove anni il teatro ha avuto dei problemi economici e quindi è stato costretto ad operare dei tagli. In seguito ho continuato a lavorare al Dramaten saltuariamente, come ospite. Il primo spettacolo che ho fatto con Ingmar era Woyzeck di Büchner; non interpretavo Maria, la protagonista; essendo molto giovane ho ricoperto un piccolo ruolo. Fu interessante, ma l’esperienza più bella e stimolante con Bergman venne molto più tardi: fu il primo spettacolo che egli fece di ritorno dal suo “esilio” in Germania. Quando tornò, fece al Dramaten il Re Lear; io interpretavo Gonerild, la sorella più anziana. Fu una grande esperienza per me; ha condotto le prove in un modo molto particolare e speciale con un grande Ensemble. Eravamo tanti e sempre presenti tutti i giorni, anche quando non dovevamo provare personalmente: stavamo seduti e guardavamo le prove con gli altri attori. Questa è stata una scuola molto interessante, perché ti permetteva di osservare Bergman mentre lavorava con gli altri attori, esattamente come fa con te. F. P. Come lavora Bergman con gli attori? In questo caso con Lei, nella parte di Gonerild. Ha avuto libertà o no? 85 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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M. B. Mi sono fatta questa idea sul lavoro di Ingmar. Dopo essersi preparato estremamente bene, fa una riunione con tutti gli attori. Lui è seduto su una sedia di fronte a noi che stiamo molto attenti. A quel punto incomincia a spiegarci il perché vuole mettere in scena quel testo. Questo è in assoluto il suo più grande spettacolo: quando riunisce gli attori, li confronta e descrive i suoi sentimenti. Eravamo tantissime persone, c’erano anche molti giovani attori che facevano le comparse. Una volta, un ragazzo molto giovane e alto sbadigliò e fu la catastrofe! Assolutamente! Questo uccise Ingmar Bergman che si sentì completamente perso. A quel punto si fermò e disse: “Non posso andare avanti. Quando tu fai una cosa del genere, sbadigli, mi uccidi!”. Povero ragazzo! Si sentì assolutamente mortificato! Ma dopo Bergman lo tranquillizzò. Il giorno successivo incominciammo a provare. A quel punto Ingmar Bergman ebbe un piano per ogni secondo del dramma, per tutti i personaggi: come si muovono, come devono stare in scena, il tutto in maniera molto dettagliata: “cammini, ti fermi, ti guardi intorno, poi a sinistra e te ne vai”. Ci vogliono circa quaranta giorni per scorrere tutto il testo. Dopo di questo, puoi dire che lo spettacolo è già lì, perché è così estremamente sensibile nei riguardi di tutti i personaggi e dei loro movimenti... Continuiamo a provare per due mesi e lui non dice assolutamente più nulla, ma ci osserva così attentamente che ogni attore pensa “oh, mi sta guardando!”. Questo è fantastico per un attore: lui riesce a creare un clima molto speciale che ti fa sentire creativo e ricco di talento. All’interno di questo suo piano “codificato” tu cresci e scopri mano a mano la parte, rimanendo sempre dentro lo schema: l’attore dà vita al personaggio in maniera del tutto personale, soggettiva. Bergman intanto ti osserva e sembra che pensi: “Oh, questo attore adesso sta andando da qualche parte, non me l’aspettavo!” A volte gli va bene, a volte no. Ma lui ti guarda e osserva in continuazione per vedere dove stai andando, che mondo hai dentro di te e in che modo stai per farlo uscire fuori... Sembra che Bergman si chieda: “Cosa sta uscendo fuori da lui?”. A quel punto, vuole dire qualcosa, ma aspetta il momento giusto per dire la parola giusta alla persona giusta e niente di più di questo. Questo è il suo segreto: non parla, è molto concreto. Per esempio, se un attore deve interpretare il ruolo di un Re o un’autorità, 86 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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quindi deve esprimere il potere, deve stare sul palco e “devi sentirti pieno di potere, pesante...” e l’attore non lo immagina... Litiga e incomincia a sforzarsi e prova con gesti e la voce. La cosa chiaramente non funziona, perché non è reale; a quel punto Bergman dice soltanto “Stai sulle tue ginocchia”. L’attore rimane perplesso e dice: “Cosa?”, “Stai sulle tue gambe, fermo”. È abbastanza. Sono brevi interventi molto semplici e concreti. F. P. Come si è trovata ad interpretare il teatro strindberghiano? M. B. Non ho recitato molte pièce di Strindberg. In tv ho fatto La più forte, mentre in teatro ho interpretato il ruolo di Cristina ne La Signorina Giulia... ma altre cose non me le ricordo... Devi scusarmi! F. P. Le chiedo di Strindberg, perché, essendo Lei anche una scrittrice, vorrei sapere se l’ha influenzata nella sua attività! M. B. Certamente tutti noi siamo “catturati” da Strindberg in un certo senso... Adoro il suo modo di scrivere. A casa ho la sua opera completa! Si può prendere qualsiasi sua opera, aprirla e vederla “fiammeggiare” come un essere “Maledetto”! (Sorride). La sua opera più straordinaria sono i suoi drammi che sono intrisi del suo “furore”! È magnifico! E in questo furore c’è molto umorismo e tanti pensieri divertenti. Credo che sia estremamente divertente, mi piace veramente molto! Io, Irene Lindh e Bibi Andersson abbiamo fatto uno spettacolo sulle sue tre mogli, Siri Von Essen, Frida Uhl e Harriet Bosse... L’abbiamo recitato per molti anni a Stoccolma e all’estero. Il testo l’abbiamo scritto noi, sono tre monologhi. Io interpretavo Siri Von Hessen. Ti racconto questo perché credo che la sua prima moglie sia stata un personaggio molto interessante che ha ispirato Strindberg nei primi tempi in molte sue opere. Ma lei non ha mai detto nulla di se stessa! Strindberg l’ha amata, odiata, ne ha sentito la mancanza... e ha riversato tutto nella sua opera. Siri non ha mai replicato, né detto nulla. È stato interessante scrivere ed interpretare il suo monologo e pensare a come si dovesse sentire... F. P. Come ha incominciato a scrivere? M. B. Prima ero un’attrice ed in seguito ho incominciato a scrivere, ma non è molto quello che ho fatto. Diciamo che il mio interesse per la scrittura rientra nella mia curiosità di avvicinare tutti gli aspetti del tea87 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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tro e quindi della drammaturgia. Per prima cosa sono comunque un’attrice, ma mi piace tradurre autori interessanti e a volte dirigere degli spettacoli come regista. Mi piace molto Brian Frear, un autore irlandese, ormai molto anziano ma comunque molto interessante! F. P. Ho visto un suo dramma all’Intima Teater, molto bello! M. B. Sì, me l’hanno detto, ma ancora non ho fatto a tempo a vederlo! F. P. Cosa ne pensa dei nuovi drammaturghi? Peter Birro, Lucas Svensson... M. B. Ho visto Arbetar sista klasser hjältar di Peter Birro e credo che fosse molto buono. Non ho visto tanto di Lucas Svensson, ma penso che abbia molto talento. Ma non posso dire molto al riguardo... F. P. Crede che gli scrittori contemporanei siano molto differenti rispetto a quelli del primo Novecento? È stata rotta una tradizione o si può trovare una linea di “continuità”? M. B. Mhmmmm... Per esempio, Lars Norén prende molto da Bernhard, Strindberg e Checov, ne è stato molto influenzato. Molti giovani drammaturghi sono a loro volta influenzati da Lars Norén... Quindi in un certo senso la tradizione è portata avanti. Ma i tempi cambiano e i giovani scrittori sono figli dei vecchi tempi! Questo significa che prendono dalla tradizione, ma allo stesso tempo la infrangono. Niente è più “legato”, per usare un termine musicale, nel tempo, sono tutti frammenti... Questo per l’arte in genere. C’è un altro ritmo. Questo riguarda un po’ tutto il mondo. F. P. Quando Lei ha interpretato il ruolo della Madre in La Notte è Madre del Giorno di L. Norèn, come si è sentita ad interpretarlo? M. B. Uh, è stato eccitante! Anche perché fu la prima volta che si rappresentò Norèn al Dramaten. Per il pubblico fu un “cazzotto”, si spaventarono fino alla morte. Fu veramente un ottimo spettacolo, che spaventò realmente il pubblico che comunque lo apprezzò moltissimo. Dopo di questo spettacolo si incominciò a rappresentarlo ovunque! F. P. Quindi in un certo senso, Lei è stata testimone di “un evento”! M. B. Sì! Ma il suo modo di scrivere i personaggi è fantastico! Pensa al personaggio del Padre! L’attore che lo interpretò all’epoca fu straordinario! 88 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Secondo Lei qual è la differenza tra Strindberg e Ibsen? M. B. Strindberg è molto più espressivo, Ibsen è un grande “costrut-
tore”: Costruisce piano dopo piano meravigliose storie! Vedi Casa di Bambola... Le sue sono solide costruzioni. Strindberg è molto meno realistico, molto più moderno. F. P. Un’ultima domanda. Oggi al Dramaten, convivono entrambe le tradizioni di Tetro di Regia e teatro di Ensemble? M. B. Quando ero una giovane attrice, c’era il teatro di Regia, perché vi erano due grandi figli di una divinità: Ingmar Bergman e Alf Sjöberg. Erano due saldi pilastri del teatro che avevano alle spalle una forte tradizione di grandi registi. Come giovane attrice, mi ricordo che sentivo molto intensamente come era meraviglioso lavorare con questi due “mostri” e allo stesso tempo come fosse straordinaria la possibilità di fare teatro anche senza di loro. Quindi, mi hanno ispirato per lavorare con loro, ma anche autonomamente. La maggioranza dei lavori che ho fatto si sono basati sulle mie forze. Credo che la cosa che caratterizzi il Dramaten e lo renda famoso all’estero, è il fatto di aver costituito un Ensemble grande e forte. Questo è quello che vogliamo. F. P. In Europa ci sono realtà simili, ma il Dramaten è famoso per essere l’unica “casa degli attori”... M. B. Sì, in questo senso è l’unico. Lo posso immaginare e sono d’accordo: questo è quello che vogliamo essere! Quindi quando viene qualcuno con un punto di vista diverso, non ci piace granché: noi vogliamo essere un grande Ensemble teatrale dove ogni cosa è fatta veramente con amore e destrezza, abilità. F. P. ... Che poi è l’essenza del teatro! M. B. Sì, certamente ogni attore vuole interpretare grandi ruoli, ma la bellezza del Dramaten risiede nella gioia dei suoi componenti di partecipare a qualcosa che veramente amiamo.
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LENA ENDRE
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Lena Endre si è formata professionalmente presso il Teaterhögskolan di Stoccolma. Nel 1987 è stata assunta al Dramaten. I ruoli che ha interpretato sono: MADAME DE TOURVEILLE in Färliga Förbildenser, 1989 SOLVEIG in Peer Gynt, regia di I. Bergman, 1991 GIULIETTA in Romeo e Giulietta, regia di P. Langdale, 1991 MARIE STEUBER in Il Tempo e la Stanza, regia di I. Bergman, 1993 CELIMENE nel Misantropo, regia di I. Bergman, 1995 MALEDON/ SIV CARITA FALK nella Finestra Francese, regia di T. Berggen, 1996 SHEN TE/ SHUI TA ne L’anima buona di Seuzan, regia di T. Flinck, 1998 RUOLO PRINCIPALE in Emilia Galotti di Lessino, regia di W. Carlsson, 1998 ELISABETTA in Maria Stuart, regia di I. Bergman, 2002 SILKE in Det kalla barnet di Von Mayenburgs, regia di S. Valdemar Holm, 2004 RUOLO FEMMINILE in Love Bombing di J. Waldenkranz, regia dello scrittore e di S. Larsson Platonov di Chechov, regia di K. Duner, 2005 CINEMA E TELEVISIONE
Lorry di P. Dalle, 1989 Con le Migliori Intenzioni di B. August, 1991 Hedda Gabbler di M. Garpe, 1993 Jerusalem di B. August, 1996 (per il quale ha vinto un GULDBAGGE) Kristin Lavransdotter di Liv Ullman, 1996 Vanità e Affanni di I. Bergman, 1997 Spring för Livet di R. Hobert, 1997 Ogifta Par di P. Dalle, 1997 Från Regnormarnas liv di P. O. Enqvist, 1998 Ögat di R. Hobert, 1998 Sanna Ögonblick di L. Koppel, 1999 Födelsedagen di R. Hobert, 1999 92
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L’Infedele di Liv Ullman, 2000 (per il quale ha vinto un GULDBAGGE) Musik för Bröllop och Begravingar di V. Straume, 2001 Alla älskar Alice di R. Hobert, 2002
Poco prima di Natale la grande attrice mi concede un incontro. Viene lei stessa ad accogliermi all’ingresso degli artisti e mi conduce nel suo camerino che si trova al primo piano. I suoi “vicini” sono tutti grandissimi attori, per cui mi guardo attorno con entusiasmo. Il suo camerino sembra una piccola suite; mi fa accomodare e per la prima volta la guardo attentamente... Ma quanti anni potrà avere? Il suo fascino è imperituro e confonde: tutto è mescolato, dalla freschezza infantile al sapiente fascino maturo di donna adulta e consapevole. È lei stessa a prendere l’iniziativa e ad aiutarmi.
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Intervista a Lena Endre, Dramaten, Dicembre 2004
F. P. Vorrei incominciare questa intervista col chiederLe in che cosa
consiste il metodo di lavoro di Bergman con i suoi attori e se mi può dire qualcosa sulla sua personale esperienza con il Maestro. L. E. Il primo giorno di lavoro ci sediamo tutti intorno ad un tavolo, leggiamo il testo e Bergman racconta tutto quello che lui si immagina al riguardo, dalla scenografia a tutto il resto. In genere il Maestro prende accordi con te molto tempo prima della realizzazione del progetto, anche uno o due anni prima. Egli è estremamente preparato su tutto, quindi credo che esiga altrettanto dagli attori. Quando si fa la lettura, tutti gli attori hanno già studiato il copione, perché si sentono un po’ nervosi per il fatto di lavorare con un grande come lui. Le prime due settimane Bergman incomincia sempre a camminare con te sul palcoscenico, facendo “i blockings”94. Poi rimani affascinato quando espone tutte le sue idee e considerazioni sul testo; prendi nota dei suoi consigli su come dovrebbe essere la messinscena del testo. Avendo lavorato con Ingmar tante volte, ho imparato che è estremamente importante concentrarsi su quello che dice le prime due settimane, perché ti dice moltissime cose: come ci si muove, come vede i personaggi, perché agiscono e si muovono proprio in quel modo... Dopo queste due settimane, il Maestro diviene un poco assente, perché si ammala sempre un po’. Quindi è solito “sparire” per una settimana... Si dà per malato ma spesso non lo è... Trova solo noioso e faticoso doversi ricordare i movimenti e le spiegazioni date precedente94
La costruzione dei movimenti delle scene.
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mente. In questo senso ciò è positivo, perché dà all’attore la possibilità di assimilare quello che ha detto. Poi diventa estremamente umile e paziente quando stai incominciando a costruire il personaggio e a stabilire i collegamenti con gli altri attori. È sempre molto attento a quello che fai e come attore ti senti importante e gratificato. Alcune leggende vogliono che Bergman tratti male i suoi attori e li maledica: questo non è assolutamente vero! Può “impazzire” se qualcuno sta disturbando nella stanza attigua a quella delle prove, perché per lui è un momento creativo molto importante quello delle prove, quindi ti protegge un po’ come una madre. È veramente bello lavorare con Ingmar perché sai che ti vede, ti considera, si prende cura di te. Quando stavamo lavorando ad un allestimento di Botho Strauss, per un po’ di tempo non abbiamo avuto la possibilità o la necessità di confrontarci in quanto “parlava” il testo. Quando mi dava indicazioni, infatti, non mi diceva mai la parola esatta perché aveva fiducia nella mia comprensione intuitiva. Nel momento in cui analizzavamo un testo e, per esempio, c’era una situazione di forte esplosione e di rabbia, Ingmar mi invitava a prendere tempo, a non forzarmi per soddisfarlo. Questo per lui non deve mai accadere. “Io ti credo, so che arriverà da sé, ma, per favore, vedi di farlo uscire fuori prima del debutto!”. Bergman è un regista molto paziente, aspetta fino ad una settimana prima del debutto ed è solito dire: “Se deve venire, verrà, non forzarti mai!”. Detesta gli attori che si sforzano per soddisfarlo, perché il nostro lavoro ha come fine sempre e solo il pubblico! Penso che Ingmar in questo sia veramente saggio, non è mai dentro di me a raccontarmi cosa devo provare, non se lo è mai sognato. Semmai è interessato a seguirmi, mostrandomi la direzione e l’obiettivo. F. P. È un grande! L. E. Sì, è veramente grande. Io lo amo proprio perché rispetta moltissimo gli attori e ti senti veramente un artista quando lavori con lui. Agli attori chiede una forte presenza e sconsiglia una eccessiva umiltà. Ha una grandissima cultura nel campo della psicologia e ti può aiutare a capire molte cose. 95 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Una volta gli ho chiesto: “Ma come riesci ad entrare nella mente di una giovane donna?”. Lui mi ha risposto: “Sai bene che ognuno di noi è al cinquanta per cento un uomo e al cinquanta per cento una donna; io non ho nessuna difficoltà a passare da una sessualità all’altra”. Bergman ha un grande intuito e conoscenza della donna. Ok, certo ne ha avute molte nel corso della sua vita (ride), ma è sempre molto incuriosito dalla dimensione femminile. Ecco perché qui al Dramaten ha realizzato sempre eccellenti produzioni con personaggi femminili. Naturalmente ha poi allestito anche l’Amleto e il Peer Gynt. F. P. A proposito di queste grandi produzioni, vorrei chiederLe come opera Bergman quando si trova a montare delle scene con molti attori sul palco. Penso sia alquanto difficile e complicato... L. E. Sì, lo è senza dubbio! Quando si trova a dover lavorare con gli attori e con i figuranti, parte proprio da questi ultimi per farli sentire veramente importanti e necessari sulla scena e gli racconta perché sono lì ecc. Li motiva per farli sentire vivi e veramente presenti. Incomincia prima a lavorare sui piccoli personaggi per costruirli; non inizia certo con quelli più grandi che necessitano di maggior tempo di maturazione. La cosa fondamentale che fa sempre è quella di motivare tutte le persone che si trovano sul palco, perché anche se una sola è annoiata o non motivata, contagia l’atmosfera e la scena casca. Bergman deve essere sicuro che le persone siano stimolate e motivate dal lavoro sul palcoscenico. Diversamente, se questo non accade, vedi sul palco una persona e ti domandi : “Cosa sta facendo?”. Con il tuo sguardo umano capisci che nel dialogo ha perso il contatto con se stesso e con gli altri. Quindi è veramente molto importante motivare la grande folla sul palco. F. P. Cosa ne pensa di Strindberg e Ibsen messi in scena da Bergman? L. E. Certamente Strindberg è il più grande, ma personalmente credo che Ibsen sia uno scrittore migliore. Quando Bergman mise in scena Fröken Julie con P. Stormare e L.Olin, rimasi impressionata: era fantastico ed estremo. Io ho partecipato al Peer Gynt nel ruolo di Solveig, e poiché i miei interventi non erano continui, avevo la possibilità di seguire le prove da esterna. Anche lì rimasi impressionata: era estre96 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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mo in tutti i sensi, incredibile, uno spettacolo che durava più di quattro ore e conteneva tutto: c’era la danza con gli zoccoli di legno, una grande folla e conteneva anche piccoli e delicati segni psicologici veramente molto belli. Credo che la sua idea principale fosse che “tutto poteva prendere posto nella cucina di Åsa: Peer nasce e muore lì. Questa è la scenografia”. Lo spettacolo incomincia con Peer che si alza dal letto e racconta la sua prodigiosa avventura con la renna, dando spazio alla sua grande fantasia con le sue avventure... Tutto nella cucina con un minimo e semplice cambiamento di scena (un praticabile inclinato diversamente a seconda delle situazioni) diventa l’Egitto o qualsiasi altro luogo dove Peer si reca. Credo che sia stata un’idea brillante quella di far accadere qualsiasi cosa in questa piccola cucina, dove poi Peer tornerà, troverà Solveig anziana e malata e egli morirà lì. Penso che questa sia stata l’idea più bella del Peer Gynt. F. P. C’è un quadro di Giorgio de Chirico dal titolo Il Ritorno di Ulisse del 1968 che si rifà al Viaggio intorno alla mia stanza di De Maistre che esprime proprio questa idea: in una stanza c’è Ulisse sulla barca che intraprende il viaggio per il mondo solo nella sua stanza. L. E. È esattamente quello che fa Bergman: lei è nella cucina, un luogo dal quale si propaga ed espande tutta la sua vita. È stato veramente uno spettacolo meraviglioso che abbiamo portato in giro per il mondo per più di tre anni. Qui al Dramaten l’abbiamo recitato al Målarsalen, un ambiente veramente piccolo. Mi ricordo che il direttore del teatro dell’epoca era preoccupato di dare questo piccolo spazio a Bergman. Inoltre i posti erano pochissimi, quindi ci sono state prenotazioni continue. Per noi attori è stato faticoso: eravamo una quarantina e il pubblico ci era attaccato. L’anno successivo ci siamo spostati in una sala più grande. Ma per il pubblico del Målarsalen è stata un’esperienza straordinaria, perché veniva letteralmente investito dalla scena e si poteva sentire lui stesso nella cucina. Bergman sente tutti gli scrittori nordici nel suo corpo, ma non solo. Mi ricordo quando mise in scena Botho Strauss; lì ho avuto la sensazione di lavorare con Ingmar quando era giovane. Era qualcosa di completamente diverso, nuovo e moderno, non solo per il testo, ma an97 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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che per la regia, se lo paragoni con il Peer Gynt o Il Misantropo... Non so se riesco a descriverlo... Estremamente creativo e molto più sorprendente. F. P. E perché l’ha sorpresa? L. E. Perché mi sorprendeva ogni giorno con la sua sconfinata vitalità. Mi innamorai di lui quando feci Il Misantropo... Mi ricordo che in quell’occasione doveva mostrare ad un attore come toccarmi e, nonostante la sua età, era così vitale e pieno di passione che non potei non subirne il fascino. È un uomo appassionato e mi conquistò la sua intensità. F. P. Questo accade solo in Teatro o anche quando fate cinema e televisione? L. E. È lo stesso: sempre molto sensuale e vicino, anche se, certo, di fronte alla cinepresa è diverso: sei più vicino e quindi ancora più intenso. Con lui ho lavorato solo in tv, non al cinema. F. P. Lei ha lavorato con Liv Ullmann al cinema per L’Infedele. Mi può raccontare qualcosa di lei e del film? L. E. Liv è una persona molto dolce, pazza e simpatica. Credo che lei e Ingmar debbano aver fatto una bella coppia. Entrambi dalla forte personalità. Quando abbiamo incominciato a girare il film, chiedevo spesso a Liv se Ingmar sarebbe venuto a trovarci e lei mi rispondeva che l’avrebbe fatto. Nell’ultima settimana di riprese, eravamo tornati di nuovo negli Studios di Stoccolma e dovevamo girare una scena d’amore con il mio nuovo amante nel letto dove mi svegliavo avvolta da una vestaglia. A quel punto Liv ha chiamato Ingmar chiedendo di venire sul set e di fare l’amante nel letto. Non so se l’idea sia stata sua o di Ingmar, sta di fatto che si è nascosto sotto le lenzuola, mentre l’altro attore era seduto a torso nudo sul letto. Prima non lo sapevo, ma quando l’ho trovato nel letto mi sono spaventata! Volevano solo giocare un po’, come al loro solito. In questo modo esprimono il loro humor e temperamento, è divertente. F. P. Come è stato per te interpretare questo personaggio? L. E. Molto duro: è un personaggio pesante che vive situazioni terribili. F. P. Come è riuscita a “proteggersi” e a darsi nello stesso tempo? L. E. Non ti puoi proteggere in questi casi, è impossibile. Certamente ho avuto un lungo periodo di preparazione, avevo tanti monolo98 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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ghi. Mentre studiavo, scoppiavo a piangere e mi domandavo come sarebbe stato possibile recitare quel ruolo. La sceneggiatura è scritta superbamente. È successa la stessa cosa anche Con le migliori intenzioni, bellissimo... È come se fosse una novella, assume più quelle fattezze che quelle di una sceneggiatura. F. P. Per ritornare al Teatro, volevo esprimerLe la mia ammirazione per il vostro modo di lavorare, fatto di grande impegno, rispetto e ascolto dei colleghi! L. E. Questo teatro, il Dramaten, ha una lunga e antica tradizione: in un certo senso ha un metodo di recitazione naturalistico da Stanivslaskj a O’Neill. Gli attori devono veramente stare tra di loro, essere in forte contatto l’uno con l’altro ed essere molto veri... È una grande e antica tradizione. Certamente poi negli anni Sessanta/Settanta c’è stata una grande influenza del teatro fisico e di quello sperimentale. Il teatro deve essere una scoperta continua, altrimenti morirebbe! Un momento morto in teatro è veramente noioso e letale. Quando vedi dei grandi film con grandi attori sullo schermo, tu puoi entrare facilmente dentro di loro. Poi decidi di andare a teatro ed è diverso: è un salto abbastanza grande, eppure la gente ci viene, fa la fila per prendere i biglietti! A Stoccolma ci sono più di sessanta teatri. La gente va a teatro ed è una cosa seria. Perché ci vanno? Vogliono vedere altre persone vivere e risolvere i problemi. Noi attori dobbiamo essere come dei bambini che sono in grado di giocare per ore senza stancarsi. Il pubblico è in contatto e vive insieme a noi. A volte può accadere che essi ricevano delle risposte e nuovi punti di vista sulle loro vite. Rappresentiamo una sorta di sogno che non deve essere interrotto. Se tu svegli qualcuno, si arrabbia perché lo hai allontanato dal suo sogno. Questo è un gioco che va ripetuto in continuazione e al meglio. Se passeggi per la strada, spesso ti capita di captare frammenti di conversazione che per la maggior parte vertono sulle relazioni. La gente cerca una soluzione per migliorarsi ed essere qualcosa di diverso o si chiede come migliorare la propria vita per comprendersi meglio. Per questo il teatro è così importante. Ingmar Bergman tiene questo molto presente. 99 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Se nel testo a volte capitano passaggi poco comprensibili e si suggerisce un taglio, Ingmar scioglie il nodo e spiega il loro significato. Riesce sempre a trovare aspetti umani riconoscibili per l’approccio al testo. Vuole fare qualcosa che sia comprensibile a tutti. Rende chiaro il perché del testo: se c’è qualcosa che non è scritto bene lo toglie subito. Non tiene cose di cui non trova il senso. Tutto quello che facciamo insieme parte da situazioni che lui conosce molto bene. Non è come per alcuni registi che spesso svicolano da certi punti ostici di un dramma tagliandoli perché incomprensibili. Questo con Bergman non accade mai!
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MATHIAS HENRIKSON
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Incontro il Signor Henrikson nella sua villetta in un quartiere pacifico e verdeggiante appena fuori Stoccolma. La sua casa, come lui stesso del resto, rievoca tempi antichi, ormai vivi solo nei ricordi. È un bel signore distinto, molto pacato. Vive solo e ormai è “fuori dal giro”, anche se dai discorsi che abbiamo fatto trapela una grande voglia di tornare sul palcoscenico, nonostante i suoi ottant’anni. Un tempo era un gran bel ragazzo, tanto che gli venivano assegnati quasi sempre i ruoli da attore giovane. È l’unico superstite dell’edizione di Spöksonaten di Bergman degli anni Settanta; gli altri attori sono tutti morti. Ha interpretato il ruolo del Poeta nell’ultimo allestimento bergmaniano de Il Sogno di Strindberg del 1986. È figlio d’arte. Quando ho lasciato la sua abitazione, sono stata assalita da una dolce malinconia dei “tempi che furono” che non ho mai avuto l’onore di vivere, se non tramite le sue testimonianze appassionate.
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Intervista a Mathias Herikson, Stoccolma, Aprile 2005
F. P. Qual è stato il suo impatto con Ingmar Bergman quando lavorò
con lui per la prima volta? M. H. Quale è stato il mio primo impatto... mhm... Sapevo che era molto pesante e che lavorava secondo regole molto severe, rigide, austere durante le prove: ognuno doveva essere assolutamente in orario, quindi dovevi essere in teatro almeno una mezz’ora prima dell’inizio delle prove. Il primo spettacolo che ho fatto con lui era di un autore svedese che si chiamava Lars Forsell. F. P. In che anni era? M. H. Negli anni Sessanta credo. Era uno spettacolo su Lady Blos, e il successivo credo che fosse Spöksonaten... Sì. A quel tempo Ingmar poteva essere molto dolce e molto duro. Non gli piaceva la pigrizia e per certo non sopportava quando qualcuno gli prometteva qualcosa per “un evento speciale” e poi non lo manteneva; a quel punto gli diceva: “Stai zitto!”. In quei casi poteva diventare veramente furioso, soprattutto se qualcuno gli negava la disponibilità accordata precedentemente per una data particolare, ad esempio il 15 dicembre. Penso che se non hai mai lavorato con Ingmar Bergman precedentemente, ti senti molto nervoso perché è un grande di altissimo livello e stile. F. P. Quando Bergman l’ha diretta in Spöksonaten, come ha lavorato sul personaggio dello Studente? M. H. Era tanto tempo fa, non ricordo... Ricordo però una cosa, e cioè che sono stato lasciato abbastanza da solo, perché Toiwlo Pawlo, che interpretava Hummel, aveva dei problemi personali in quel periodo: stava divorziando dalla moglie. Quindi non si sentiva molto bene. Mi 103 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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ricordo che Ingmar una volta mi disse: “Devi scusarmi se non ti seguo troppo, ma in questo momento particolare devo aiutare Toiwlo a interpretare il ruolo”. Credo che questa sia una delle sue strane abilità: quella di aiutare le persone a vivere, a far sentire loro il valore di quello che stanno facendo o di quello che sono in grado di poter fare in un determinato momento: li fa sentire “grandi attori” che stanno recitando molto bene, anche se non riescono a dare tutto quello che lui vorrebbe da loro. Capisci quello che voglio dire? Ingmar pensa a quello che si può fare in quel momento e ti fa sentire sicuro in quello che stai facendo. Questo perché così l’attore può uscire fuori e dare il meglio se stesso. Capisci? F. P. È un dispensatore di fiducia... M. H. Sì, Ingmar dà la fiducia necessaria agli attori affinché riescano a fare del loro meglio anche nelle situazioni personali più difficili. F. P. Quando Bergman decide di allestire uno spettacolo, per esempio Spöksonaten, cosa succede nei primi giorni di lavoro? Lui ha un’idea e... M. H. Oh sì! (Pensa) Non credo che in questo differisca dagli altri registi con cui ho lavorato, come Alf Sjöberg per esempio, che realizzava imponenti allestimenti. Non credo sia diverso dagli altri quando ci si incontra i primi giorni: si parla del testo, delle parti, dell’allestimento e tutto quello che è dentro, costumi, trucco ecc. F. P. Sa dirmi perché all’epoca aveva deciso di rimettere in scena Spöksonaten? M. H. Non lo so veramente. So che più volte ha rimesso in scena alcuni testi, tra i quali Spöksonaten e Il Sogno di Strindberg. Accadeva però, che ogni volta che un’attrice interpretava il ruolo di Agnes ne Il Sogno, rimaneva incinta (sorride): nel 1970, Agnes era interpretata da Malin Ek, che rimase incinta, e lo stesso avvenne a Lena Olin nel 1986. F. P. A proposito de Il Sogno vorrei farle qualche domanda. Lei ha interpretato il ruolo del Poeta nell’edizione del 1986. Io ho visto i video di entrambe le produzioni. Ma mentre nel ’70 il Poeta si trovava dentro lo spettacolo, nell’86 era.... M. H. Fuori! F. P. Sì, esattamente quello che stavo per dire! Mi sa spiegare il perché? 104 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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M. H. Io ero seduto al mio angolo a scrivere e mentre scrivevo il dramma prendeva spazio sul palco e qualche volta entravo dentro la mia creazione. Penso fosse questa la sua idea. F. P. E lei guidava Agnes, un po’ come Virgilio fa con Dante... M. H. Sì, credo che fosse “Metaletteratura”, dove ci si riferisce al lavoro di un autore o al tuo stesso lavoro e credo che Ingmar abbia voluto fare esattamente questo nell’ultima edizione de Il Sogno. F. P. Bergman rimase soddisfatto della sua ultima produzione? M. H. Non lo so, credo che fosse molto contrariato dal fatto che Lena Olin fosse incinta, veramente molto. Voglio dire, era la seconda volta che accadeva un fatto simile! Aveva cercato di intraprendere un’altra strada in questo allestimento e di nuovo Agnes era incinta! Quindi era veramente amareggiato. F. P. Pensa che Il Sogno sia un testo difficile da rappresentare? M. H. Sì, penso proprio di sì. Voglio dire, è un sogno. Oggi lo si può realizzare al cinema o in tv con tutte le nuove tecnologie. Il castello che cresce... Sì, è un testo terribilmente difficile e complesso da mettere in scena per un regista. Ma non credo che i ruoli siano altrettanto difficili da interpretare per un attore. Tutti i suoi attori sono stati eccellenti, ma nessun regista potrebbe essere completamente soddisfatto di un allestimento de Il Sogno. F. P. Può spiegarmi perché negli allestimenti di uno stesso testo che Bergman realizza, c’è una linea di continuità con i precedenti? Voglio dire, dei punti in comune, nella musica ad esempio.... M. H. Non saprei dire... Però mi ricordo che Ingmar una volta disse “La musica è la sola cosa che riesce ad entrare profondamente e direttamente nella tua anima”. Questo è vero. Quando Bergman in un testo trova qualcosa di “penetrante”, continua a fare lo stesso testo più volte per cercare nuove strade che lo aiutino a risolvere tutti i problemi presenti nel dramma. F. P. Quando Lei ha interpretato il ruolo del Poeta, cosa le ha detto Bergman? Sentiti come Strindberg o trova la tua personale linea interpretativa? M. H. Se non ricordo male, avevamo fatto del poeta un ritratto di Strindberg: infatti aveva i baffi e la capigliatura folta. Scusami se non 105 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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ricordo tutto, ma è stato tanto tempo fa, e quando si termina di recitare in uno spettacolo il “disco” esce fuori in un certo senso... (ride). F. P. Sì, capisco. Volevo dirle che sono rimasta molto impressionata dall’interpretazione degli attori di Spöksonaten del ’73: Lei, ma anche l’attrice che recitava contemporaneamente il ruolo della mummia e della giovane ragazza... Credo che questo testo di Strindberg sia molto più complicato da comprendere de Il Sogno stesso... M. H. Sì, Spöksonaten è realmente molto più complesso, soprattutto la scena del terzo atto con la giovane ragazza. Il primo atto è più semplice da recitare del secondo. Credo che chi abbia incontrato più difficoltà sia stato il sottoscritto: tutti gli attori erano molto più grandi di me, compresa l’attrice che interpretava sia la Mummia che la giovane ragazza che, pur avendo la stessa maschera e lo stesso trucco, appariva differente a seconda dell’illuminazione. Credo che sia veramente difficile recitare con una donna molto più grande di te. F. P. Può spiegarmi il senso del terzo atto, che cosa ha capito Lei della relazione fra i due giovani? Quando uccide la ragazza fa un gesto molto forte, che è quello di colpirla sul suo sesso... M. H. Sì, mi ricordo. Cosa è successo? Credo che in un certo senso Hummel abbia preso la vita dello studente, impossessandosi di lui. Lo Studente all’inizio della pièce è näif, mentre alla fine è diventato un cinico. Questa è proprio la caratteristica del personaggio: quando le cose positive si allontanano, allora è costretto a vedere la cattiveria della vita. F. P. In ogni modo, credo che sia stato uno spettacolo emozionante sia per gli attori che per il pubblico. Io stessa mi sono emozionata, pur vedendo soltanto il video! Mi è arrivata la vostra energia! M. H. C’è una cosa da dire sugli spettacoli di Ingmar Bergman: il pubblico si aspetta sempre moltissimo e lui dà veramente tanto! Credo che il responso più grande sia dato dal pubblico all’estero. Con Spöksonaten siamo stati anche a Firenze e in giro per l’Europa con King Lear e Il Sogno... Non credo che gli svedesi realizzino quanto sia considerato grande Bergman all’estero: in Francia lo amano! Quante volte il pubblico lo ha aspettato fuori dall’ingresso artisti sperando d’incontrarlo e rimanendo spesso deluso. F. P. Che cosa ha imparato da Ingmar Bergman? 106 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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M. H. Ho imparato una cosa che poi ho usato molto più tardi. Nel teatro svedese molto spesso si recita piano, troppo piano secondo me. Mi ricordo che una volta in Spöksonaten Bergman mi chiese: “Perché fai quella pausa dopo quella battuta?” e un attore prima di me aveva una battuta lunghissima. “Tu devi rispondere al primo significato della battuta, non devi fare quella pausa, hai quattro minuti per pensare a quello che sta dicendo l’altro attore!”. Il teatro svedese ha questo modo di recitazione “lenta”: un attore parla, poi segue una pausa durante la quale chi è in scena riflette su quello che è stato appena detto, segue la replica... e così via. Intanto lo spettatore si addormenta! F. P. Lei ha vissuto il grande teatro svedese di un tempo. Mi sa dire la differenza rispetto ad oggi? M. H. È da tanti anni che non recito più ed è da parecchio che non vedo una produzione al Dramaten. Credo che la particolarità e la grandezza del Dramaten sia sparita per sempre. Quello che, infatti, aveva reso famoso il Dramaten negli anni Cinquanta/Sassanta/Settanta era lo spettacolo d’Ensemble. C’era un grande Ensemble e prima che l’accademia drammatica chiudesse, c’era la possibilità per gli allievi/attori di fare pratica sul palco, prendere parte a grandi produzioni con piccoli ruoli e quindi imparare molto. Credo che il mestiere d’attore, come tutti quelli in campo artistico, sia pittura che scultura ecc., si imparano facendoli, praticandoli! Tu devi essere vicino al mondo che hai scelto e osservare... Lo so perché mio padre era un attore, uno dei più grandi prima del 1960, periodo altresì chiamato “La Grande Morte”, perché avvenne il cambio della guardia con una nuova generazione di artisti. Mio padre mi diceva spesso: “Devi vedere non il buon teatro ma il cattivo, in modo da essere consapevole di quello che non va fatto!”. Questa era la tradizione strana e solitaria del Dramaten, che portava avanti il buon teatro con un grande Ensemble. Ora non è più così e credo che sia alquanto impossibile un suo ritorno a quel tipo di tradizione. Questo perché non c’è il “tungact”, una lingua comune, come in una sinfonia. Quindi è molto difficile far recitare tutti questi attori insieme, senza un raccordo. In teatro è generalmente 107 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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difficile. È molto più semplice fare piccoli spettacoli con pochi personaggi! Alf Sjöberg, invece, era solito fare grandi e fantastici spettacoli su grandi palcoscenici con scenografie suggestive. Shakespeare, Brecht, ..ecc. Io ho lavorato molto con lui. Ma credo che le sue produzioni più riuscite siano state quelle che non avevano molti personaggi: L’Anitra Selvatica di Ibsen, per esempio, realizzata su un piccolo palcoscenico con pochi attori. Quando si fanno le grandi produzioni, invece, è difficile raccordare su una stessa linea tutti gli attori coinvolti! Credo che questa capacità si sia esaurita oggi al Dramaten e che non tornerà senza un grande Ensemble. Oggi c’è un piccolo Ensemble che chiama altri attori da ogni luogo per collaborazioni sporadiche... Non è più la stessa cosa e quindi tutto è molto più difficile! F. P. Forse anche perché non ci sono più grandi registi? Al tempo c’erano Bergman, Sjöberg... grandi registi che però lasciavano la libertà agli attori in qualche modo... M. H. Sì, se hai la possibilità di lavorare con Bergman e Sjöberg, allora potrebbe diventare molto duro lavorare se non si è sulla stessa linea, ma se si è in sintonia allora si può fare tutto ciò che piace e con libertà. È una questione di fiducia dei registi nei confronti degli attori: quando sentono il feeling, li lasciano fare e sperimentare... F. P. Durante la sua carriera, la sua vita, Strindberg è stata una figura importante? M. H. Mi ricordo che quando stavo lavorando su un suo testo e provai a cambiarne la lingua, a modernizzarla, il dramma non funzionava. Quindi è un autore grandissimo. Per certi versi è abbastanza facile imparare i suoi testi. F. P. Come lavora su un personaggio? M. H. Per moltissimo tempo ho scritto la parte a macchina. Me lo aveva insegnato mio padre. Quindi si incomincia a scrivere le battute sulla carta e, quando si arriva alla fine del foglio, si riavvolge e si ricomincia a scriverci sopra fino a quando la carta è completamente nera e così via con un altro foglio. Questo permette di assorbire ogni singola parola dentro se stessi. F. P. In questo modo Lei arriva alle prove preparato. M. H. Sì, è così. 108 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Non si corre il rischio di assumere delle intonazioni sbagliate quando si impara la parte a memoria da soli? M. H. Tu ti riferisci al fatto che il regista possa avere un’altra idea rispetto alla tua. Non vuole che tu faccia quello che vuoi, semmai quello che lui vuole. F. P. In genere si cerca insieme il personaggio? M. H. Sì, certo che bisogna trovare le cose insieme; qualche volta però non è proprio così. Mi ricordo che Alf Sjöberg, durante le prove di uno spettacolo non mi diceva assolutamente nulla, neanche una parola! Era molto strano e tutti gli altri attori si chiedevano il perché. Durante le prove luci, Alf venne da me, mi battè sulla spalla e mi disse: “Ti ho sentito il primo giorno!” e fece cenni di assenso con la testa. Questo voleva dire che sin dalla prima lettura al tavolino gli andavo bene e non aveva da lavorare ulteriormente con me. F. P. Fantastico! M. H. Sì! Ci fu anche una seconda volta dove accadde qualcosa di simile: dopo la prima lettura di un altro spettacolo, durante la pausa pranzo abbiamo parlato e io gli ho spiegato la mia visione del personaggio. Sjöberg mi ascoltò, e alla fine fece nuovamente cenni di assenso con il capo, e poi mi disse: “Ok, questo è esattamente quello che voglio, quindi non devo fare niente con te!”. F. P. Mi scusi la domanda personale, ma Lei non recita più? M. H. No. È già qualche anno. F. P. Non le manca? M. H. Eccome! Sai meglio di me che in questo lavoro “si muore” abbastanza velocemente. Ora ci sono nuovi tempi, nuovi drammi, un modo inusuale di rappresentarli e recitarli... Quindi io sono considerato “Old Fasching”, vecchio stile. Sono ormai quattro anni che non recito. Mi manca molto! F. P. Mai dire mai! M. H. Certo. Ho lavorato in piccole produzioni televisive, ma al teatro non più. F. P. Ma il palcoscenico rimane comunque il primo amore. M. H. Sì, se pensi che ho recitato per più di quaranta anni... Ho incominciato nel ’59! 109 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Forse, visti i brutti tempi, non è poi così male non recitare, visto che Lei ha recitato nei bei tempi. M. H. Sì, ma come attore si può essere sempre attivo. Prendi Erland Josephson... F. P. Secondo Lei, perché Bergman ha deciso di fermarsi? M. H. Io penso perché è veramente devoto a questo lavoro come regista. Egli ha messo nel suo lavoro tutto se stesso. È talmente preciso nell’essere puntuali e preparati alle prove, che per serietà lo ritiene insostenibile per un uomo anziano. Bergman è molto saggio: “È troppo, non penso di poterlo fare. Vorrei, ma non lo posso fare”. F. P. Sotto Pasqua, la radio svedese ha trasmesso un’intervista di Bergman dove dichiarava di sentire una fortissima mancanza per i suoi attori. Vi ama molto! M. H. Sì, certo. Bergman è stato ed è molto saggio. Ci sono tanti artisti che continuano a lavorare fino a quando qualcun altro non li ferma esplicitamente. Questo è patetico! Credo che bisogna avere la saggezza di dirsi ad un certo punto “Va bene, mi fermo qui, non posso mettere queste energie per realizzare quello che voglio!”. Credo che sia giusto. Bergman non si è sentito di portare avanti un lavoro al quale non avrebbe potuto contribuire con l’alta qualità, aspettative e impegno che è sempre stato solito mettere nella sua attività e vita. F. P. Cosa pensa di Bergman come regista cinematografico? M. H. Non ho mai lavorato con lui nel cinema. Come spettatore, ho sempre trovato i suoi film troppo scuri. F. P. Ma le prime commedie degli anni Cinquanta non erano così! Erano ironiche... M. H. Oh sì, ma anche quando fa le commedie riesce ad essere dark in qualche cosa! Credo che a volte Ingmar Bergman sia troppo cupo per me! F. P. Pensa che Bergman in fondo sia un bambino nel teatro e un uomo cupo e adulto nel cinema? M. H. No, non credo che sia un bambino. Credo che sia un uomo che cerca di controllare i suoi “demoni”. Credo che sia quello che fa in continuazione nella sua vita. 110 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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ERLAND JOSEPHSON
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Erland Josephson è nato nel 1923 a Stoccolma. Ha incominciato a recitare presso lo Stadsteater di Helsinborg quando Ingmar Bergman vi era direttore. In seguito ha lavorato allo Stadsteater di Göteborg e nel 1956 è arrivato al Dramaten. Presso il Dramaten ha interpretato ben oltre sessanta ruoli, tra i quali ricordiamo: IL MARCHESE DE SADE in L’Assassinio di Marat di P. Weiss, regia di F. Sundström FAUST nel Faust di Goethe, regia di L. G. Carlsson, 1972 JOHN in Comunione di L. Norèn, regia di C. Tomner, 1985 DOKTOR RANK in Casa di Bambola di H. Ibsen, regia di I. Bergman, 1989 IL SIGNORE nel Temporale di A. Strindberg, regia di W. Carlsson, 1992 IL RE in Yvonne di Gömbrowicz, regia di I. Bergman, 1995 CADMO in Le Baccanti di Euripide, regia di I. Bergman, 1996 PLEBEIRO in La Celestina di F. De Rojas, regia di R. Lepagè, 1998 BENGTSSON in Spöksonaten di A. Strindberg, regia di I. Bergman, 1999 LINDQVIST in Påsk di A. Strindberg, regia di K. Mitchell, 2001 Ha preso parte inoltre ai seguenti spettacoli: Maria Stuarda di F. Schiller, regia di I. Bergman, 2000 (Nella Primavera del 2002 è stato uno spettacolo ospite a New York) Il Malato Immaginario di Molière, regia di T. Merli Rissatornet di Stagnelius, regia di K. Dunèr Natt och Drömmar di S. Beckett, regia di K. Mitchell, 2004 CINEMA
Erland Jopsephson ha interpretato dei ruoli al Cinema in numerosi film. Per la regia di I. Bergman: Una Passione, Sussurri e Grida, Fanny e Alexander Montenegro Amorosa Per la regia di A. Tarkovskij: Nostalgia e Sacrificio Hanussen 112
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Per la regia di I. Szabò: Incontro a Venezia Per la regia di T. Angelopolus: Lo Sguardo di Ulisse Per la regia di Liv Ullman: L’Infedele TELEVISIONE
Per la regia di I. Bergman: Scene da un Matrimonio, L’Immagine allo Specchio, La Riserva, Dopo la Prova, Verità e Affanni, Sarabanda
Ha pubblicato una serie di romanzi e libri autobiografici, due raccolte di poesie, una quarantina di testi teatrali per il teatro, la radio e la tv. L’ultimo si intitola Un Pezzo di Teatro ed è stato rappresentato a Brunnsgatan 4. Dal 1963 al 1966 è stato il Presidente della Federazione Teatro. Dal 1966 al 1975 è stato il Direttore del Dramaten. Dal 1972 al 1975 è stato il Presidente nella Federazione Nazionale dei Teatri. Ha ricevuto una laurea Honoris Causa presso l’Università di Stoccolma. Nel 1988 ha interpretato il ruolo di GAJEV nel Giardino dei Ciliegi di A. Cechov, regia di P. Brook, Brookling Academy of Music. Per questa interpretazione ha ricevuto il premio Orbie come miglior attore. Erland Josephson è una leggenda ma, contemporaneamente, un uomo del popolo. Si lascia avvicinare con facilità, è molto affabile e semplice, non mette per nulla in soggezione ed esercita ancora un fascino non indifferente, nonostante l’età di ottantadue anni. Ho aspettato un bel po’ di tempo prima di intervistarlo, perché, essendo Erland un uomo molto colto e saggio, non volevo rischiare brutte figure. Non si è mai pronti ma, ad un certo punto, ho dovuto farmi coraggio: quella che segue non è una vera e propria intervista, semmai un’amichevole chiacchierata, svoltasi nelle soffitte “intellettuali” del Dramaten, nello studio del giovane drammaturgo Lucas Svensson. 113 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Intervista a Erland Josephson, Dramaten
F. P. Allora Mr. Josephson, ho letto questo suo libro, Memorie di un Attore a cura di Vanda Monaco Werstersthål... E. J. Sì, riguarda me stesso e i testi che ho scritto; c’è molto di me. F. P. Va bene. Proprio perché ho letto il suo libro, ho molte domande da farle! Cosa pensa del Dramaten oggi e, andando a ritroso, può raccontarmi che cosa ha significato il Dramaten per Lei nei tempi passati, come attore, direttore? Che cosa hanno significato le sue esperienze con I. Bergman e gli altri grandi registi? E. J. Non è una domanda facile. Sono successe molte cose. La situazione è molto diversa oggi da quando sono entrato in questo teatro nel 1956. Quando tu vivi così a stretto contatto con il teatro, non riesci a vederne tanto i cambiamenti, semmai vedi... Lo so, perché il Dramaten... È un pò sciocco essere stati in questo teatro quanto sono stato io: ci sono stato per quasi cinquant’anni! Nel frattempo ho fatto anche molto cinema. A volte mi sono chiesto “Perché non andare in altri teatri?”. Ma non l’ho fatto. Il Dramaten è veramente unico nel suo genere come teatro nazionale. È interessante il repertorio che vi si propone. Come attore, qui al Dramaten, hai la possibilità di lavorare con testi differenti: i classici, la drammaturgia svedese, francese... Tu puoi recitare tantissimo Strindberg... Ma siamo liberi, abbiamo una tradizione, ma non è così... non è la “sola signora” che abbiamo! Sono successe tante cose in questo teatro, troppe! Tu mi chiedevi dei cambiamenti... Quando fui direttore di questo teatro negli anni 1966/’75, avevamo una compagnia di ottanta attori, dieci registi, alcuni scenografi; c’era un altro tipo di organizzazione. 114 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Ora l’Ensemble non è più così grande, è assai ridotto e molti attori fanno diversi tipi di lavori e mansioni all’interno e al di fuori di questo teatro. Ciò va bene, ma ora c’è un altro tipo di clima rispetto a quello che dovrebbe essere dopo cinquanta anni. Al riguardo sono molto confuso, perché... (gesticola). Capisci? F. P. Sempre nel suo libro, parlando di Strindberg, lei afferma che questo scrittore «ci insegna a parlare... Che la sua lingua è come una partitura musicale». Lo stesso Bergman parte da questa considerazione lavorando con i suoi attori... La mia domanda è la seguente: quando ci si approccia ad un testo, lo si può imparare come una partitura, ma c’è molto di più! Cosa ne pensa? E. J. Per me è veramente molto importante “avvicinarsi” al testo mentre lo si legge, lo si impara. Una lettura di avvicinamento. Il testo è molto importante. Noi abbiamo fatto e facciamo molti esercizi con il testo. Tanti giovani attori oggi sono pigri e non si esercitano abbastanza. Penso che solo i vecchi e grandi registi raccontino le storie aderendo profondamente al testo: mi viene da pensare a Peter Brook, Ingmar Bergman, Peter Stein... mhmmmm (ride)... ce ne sono tanti! Loro leggono il testo molto attentamente. Le giovani generazioni, qui ora al Dramaten, stanno ricominciando un’altra volta a leggere e ad aver rispetto del testo. Negli anni Settanta si erano disperse veramente molte energie. F. P. Lei si è cimentato in molti generi letterari... Mi può raccontare quando ha incominciato a scrivere e che significato assume per Lei la scrittura? E. J. Perché?... Non c’è nessun motivo, mi piace e basta. Sono così orgoglioso quando ho la possibilità di esprimere la mia fede e parlare di cose per me molto importanti. Non ho mai preso la “decisione” di diventare scrittore! Ho incominciato a scrivere perché è stata una necessità: se non mi hanno ucciso... Voglio dire, è un buon lavoro in questo senso. Quando non hai una buona parte a teatro, la puoi scrivere; nella tua vita puoi raccontare... Quando hai una parte, hai una parte, quando hai un ruolo, hai un ruolo. Tutto è impegno. Sono una persona pigra, ma lavoro molto anche nelle piccole cose. (È titubante). No, io scrivo, è una necessità per me, non posso farne a meno... non tanto per giocare con le le parole, quanto perché amo molto scrivere. 115 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Cosa ne pensa di Strindberg? E. J. Strindberg? Penso che una delle cose più difficili sia quella di
tradurre Strindberg in altre lingue perché il suo linguaggio è assolutamente concreto, così espressivo, così bello e pieno di ritmo. Egli è estremamente libero. Questo gli ha permesso di fare delle cose bellissime per il teatro. Pensiamo alla storia della drammaturgia, al simbolismo, al naturalismo, ai drammi storici... Nella maggioranza delle pièce di Strindberg, tu puoi utilizzare una delle lingue teatrali più belle che si possa immaginare per sperimentare artisticamente il mondo delle sue esperienze. Perché su Strindberg non si può mai dire! Questo tipo di teatro è molto aperto. In Inghilterra il teatro è dominato da Shakespeare, in Francia da Molière, qui in Svezia da Strindberg; quello di Strindberg è un teatro molto sociale... anche se io amo Shakespeare! F. P. Cosa ne pensa de Il Sogno di Strindberg? È un testo da leggere o da rappresentare? E. J. Penso che Il Sogno sia un testo... Non è molto facile esprimersi al riguardo... La prima parte è una fantastica pièce moderna, uno dei pezzi teatrali più belli della storia. La seconda parte è un po’ ridicola credo, quindi presenta delle difficoltà... Hai mai visto una sua rappresentazione? F. P. Sì, in Italia ho visto un’edizione di Luca Ronconi, mentre qui ho visto il video dei due allestimenti che Bergman ha fatto nel 1970 e nel 1986. E. J. Sì, sì... I video sono pessimi ma le produzioni ottime. Come era la produzione di Ronconi? F. P. Molto buona ma di un genere completamente diverso dal vostro. E. J. Ho visto tanti anni fa qui a Stoccolma L’Orlando Furioso; molto bello. Mi era piaciuto tanto. Come era il suo allestimento? F. P. Molto ricco di immaginazione, con scenografie suggestive, ma il modo di recitare è particolare, lo so perché vengo dalla sua scuola. E. J. Dove? F. P. A Torino. Quella è stata la sua prima scuola. Ora è a Milano, al Piccolo Teatro. Dopo la morte di Strehler ha preso il suo posto. 116 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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E. J. Credo che Strehler abbia fatto delle produzioni magiche. Ha realizzato un meraviglioso Temporale di Strindberg! F. P. Per riprendere il discorso precedente, stava dicendo che la seconda parte de Il Sogno è ridicola e difficile da rappresentare. Effettivamente lo stesso Bergman ha messo più volte in scena il testo e non ne è mai rimasto soddisfatto. E. J. L’allestimento de Il Sogno più importante fu fatto da Molander negli anni trenta. Ne fece un allestimento molto realistico: c’era Stoccolma con i suoi paesaggi e tante altre cose. La recitazione era espressionista perché era una strana forma di realtà quella da rappresentare. Poi abbiamo avuto una fantastica scena coniugale tra l’Avvocato e Agnes... ed è abbastanza naturalistica come scena. C’è inoltre il leitmotiv “Che pena mi fanno gli uomini!”. Uno degli allestimenti più importanti che sono stati fatti in questo teatro era di Alf Sjöberg, uno dei più grandi registi che abbiamo avuto. Tutti i grandi attori che sono qui devono aver fatto Il Sogno. Era una buona idea, ma era il 1968/’70 quando io suggerii a Sjöberg di fare questo spettacolo. Lui mi disse che era una buona idea, ma che non gli sembrava il momento di dire “Che pena mi fanno gli uomini!”.
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GUNNEL LINDBLOM
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Gunnel Lindblom ha studiato arte drammatica presso la scuola teatrale di Göteborg. In questa città ha lavorato per un paio d’anni; in seguito è andata a Malmö, dove ha incominciato a lavorare con I. Bergman: ha interpretato SOLVEIG nel Peer Gynt e MARGHERITA nel Faust. Ha preso parte a numerosi film di Bergman, tra i quali ricordiamo Il Settimo Sigillo, La Fontana della Vergine e Il Silenzio. Nel 1968 viene scritturata al Dramaten di Stoccolma e incomincia ad interpretare i grandi ruoli delle pièce di Strindberg, Ibsen e Chechov. Piano piano incomincia a dirigere alcuni spettacoli, diventando regista; fra l’altro ha messo in scena Zio Vanja, Il Giardino dei Ciliegi, Il Gabbiano di Cechov, La Donna del Mare di Ibsen. Regie degli anni Ottanta: Il Padre di Strindberg e Trettondagsafton a Copenaghen; L’Anima Buona di Seuzan ad Oslo. Negli ultimi anni ha messo in scena: Un Giorno d’Estate di J. Fosse al Norsketeatret di Oslo e La Signora in Bianco all’Opera. Ha anche diretto alcuni film, come ad es.: Paradistorg (1977), Sally och Friheten (1981) e Sommarkvällar på Jorden (1985). Al Dramaten, negli ultimi anni, ha partecipato come attrice ai seguenti spettacoli: Spöksonaten di A. Strindberg, regia di I. Bergman; Maria Stuarda di F. Schiller, regia di I. Bergman; Påsk di A. Strindberg, regia di K. Mitchell; Dröm om Hösten di J. Fosse, regia di S. Larsson Niklas Rådströms Kvartett Stravinskijs Näktergalen alla Kungluga Opera di Stoccolma; Prima dell’Armistizio di T. Bernhard, regia di G. Lindblom; Tre Knivar från Wei di H. Martinson, regia di S. Valdemar Holm Aiutoregia di K. Mitchell per Natt och Drömmar di S. Beckett Regia de I Congiurati di T. Bernhard.
Sento la Signora Lindblom un paio di volte per telefono, ma pare impossibile incontrarsi: una volta si trova a Londra, un’altra ha da fare riunioni per progetti futuri ecc. Quindi fissiamo un appuntamento “alla svedese” per il mese successivo; quando l’atteso giorno si avvicina, non nascondo la mia emozione nell’accostarmi ad un pezzo straordina120
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rio del cinema e teatro bergmaniano. Ne ho potuto anche apprezzare le doti registiche: I Congiurati di Bernhard è stato diretto da lei. Quando la incontro nella hall del Dramaten, appare una signora “alternativa”: scoppoletta in testa, occhiali scuri, camicia abbondante e pantaloni. Mi “preleva” e porta subito al caffè del teatro; insiste per offrirmi qualcosa (un succo, un dolce...), a quel punto accetto un caffè. Sono in evidente tempesta emotiva, ma cerco di dominarmi e incominciare l’intervista. Quello che mi colpisce di questa donna, oltre alla sua vivida intelligenza, è il candore e la semplicità attraverso cui emana la sua sensualità di donna affascinante “evergreen”.
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Intervista a Gunnel Lindblom, Dramaten
F. P. Che cosa significa per lei essere una regista teatrale oggi? G. L. Per prima cosa posso scegliere la storia, i drammaturghi, gli at-
tori, posso decidere da sola con chi voglio lavorare. Come attrice impegnata, come artista prima, come regista ora, confronto le diverse capacità artistiche di ciascun attore. Quello che si cerca di fare insieme è un lavoro comune, e forse a volte il regista può tirare fuori un’esperienza particolare, positiva e speciale. Quindi come regista posso lavorare con quello che so. F. P. Cosa ne pensa di A. Strindberg? G. L. Strindberg è un uomo che a volte puoi amare e a volte puoi odiare. Io ho preso da Strindberg solo le cose migliori che ha detto; sono innamorata di lui, mi piace molto. Lui oscilla, è diviso tra un odio maledetto per le donne e un momento dopo ne è fortemente attratto e innamorato. Questo oscillare è evidente nel suo teatro. F. P. Secondo Lei, qual è il testo di Strindberg più complicato da un punto di vista scenico? G. L. Il Sogno. È un testo veramente complesso, in un certo senso “irrappresentabile”. F. P. Cosa ne pensa de Il Sogno ? G. L. Penso che ci siano delle tematiche religiose molto complesse e nel contempo pensieri incredibilmente profondi e forti che sono possibili da rappresentare grazie alla forte drammaticità presente nel testo. Per un regista è molto difficile trovare la giusta chiave d’accesso per mettere in scena questo dramma. È una storia fantastica, difficile da costruire, da analizzare, bisogna studiare moltissimo il testo, bisogna provare, fare l’esperienza di tutti i suoi aspetti. A Londra K. Mitchell l’ha 122 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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messo in scena al National Theatre ed era un allestimento magico che ha avuto molte repliche. Questa regista ha sottolineato molto bene l’aspetto onirico, di sogno, ma non era Il Sogno, era solo una sua idea... F. P. Quando Bergman l’ha messo in scena... G. L. Ingmar l’ha messo in scena più volte. Quattro credo. F. P. Io ne ho viste solo due: quella del 1970 e del 1986. Cosa ne pensa degli allestimenti di Bergman? G. L. Penso che la penultima rappresentazione sia stata la migliore; quella con Malin Ek. È sorprendente come Igmar volesse fare l’impossibile per rendere esaustivamente il testo; ogni volta che ha provato a rimettere in scena Il Sogno, era perché ne coglieva sempre nuovi aspetti “Ora ci sono, sì!”... e non era mai abbastanza; un po’ come il personaggio dell’attacchino che sogna una rete da pesca verde, ma non ne è soddisfatto perché non è verde come pensava! (Sorride) F. P. Secondo Lei, chi è il Sognatore ne Il Sogno? G. L. Il Sognatore? Per me è l’Ufficiale. Ma anche il pubblico e Strindberg. F. P. Lei ha interpretato il ruolo della Mummia in Spöksonaten. Mi racconta il tipo di lavoro che ha fatto sul personaggio? Cosa pensa del testo? G. L. Credo che sia assolutamente il suo testo più grande e forte. Credo che Strindberg abbia cercato di rendere veramente evidente come non ci si voglia svegliare, o come si rida di certe situazioni di cui si ha paura e che quindi non si vogliono affrontare seriamente. Il suo è un tentativo di aderire alla conoscenza. Quindi la Mummia ha una chiusura nei confronti di tutto il mondo. F. P. C’è un suo monologo molto bello nel secondo atto, dove si invita Hummel a non giudicare le persone, perché ognuno di noi nella vita ha inflitto dei torti. G. L. Sì, è un monologo fantastico. È una decisione del personaggio di uscire dal palco che si era costruito e recitare la parte della giovane donna: non vuole avere niente a che fare con il mondo reale, e con se stessa e con l’uomo odioso che la toccava. Esce fuori dalla sua chiusura da un punto di vista mentale, lascia tutto questo e presenta una mente molto saggia e intelligente. Capisci che ha visto tutto e non è ancora 123 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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impazzita, ha scelto di esserlo prima. Si stacca dalla prima immagine che ha dato di sé. F. P. Per Lei è stato difficile, all’inizio delle prove, calarsi in questo ruolo? G. L. No, ho solo dovuto credere alle mie intuizioni. A volte uno si sforza di essere logico... Quando posso dimenticare la logica e il giudizio, la parte arriva perché l’intuizione ti porta a vedere chiaramente le cose. Bergman mi ha supportato, ha accettato questo mio modo di vivere la parte . A volte non è facile rispondere alle domande che ci si pone, descrivere quello che si fa, esattamente come sto facendo adesso in quest’intervista: all’epoca non potevo farlo. Bisogna avere in questi casi un regista che sia in grado di osservarti e non di chiederti il perché tu stia facendo una determinata cosa. Bergman è sempre stato così, non mi ha mai chiesto nulla, ha accettato il mio modo di sperimentare e avvicinarmi al personaggio. F. P. Bergman ha questo approccio con tutti i suoi attori? Li sostiene e gli lascia il loro tempo? G. L. Sì, credo che questo sia uno degli aspetti più belli di Ingmar. In genere è solito scegliere determinati attori che conosce; questo è un buon punto di partenza, perché l’attore si sente investito di stima e fiducia, sente che il regista crede in te. È per questo che abbiamo lavorato tanto insieme: abbiamo incominciato nel 1954 e da lì abbiamo fatto tantissimi spettacoli, oltre che il cinema. F. P. Può raccontarmi l’evoluzione di Bergman in teatro da quando ha incominciato ad oggi? È molto cambiato? G. L. Per quello che ho potuto osservare, non è cambiato molto, è sempre stato molto sicuro su quello che voleva fare: nella drammaturgia, nel teatro e nella vita. Anche quando era giovane ha fatto quello che voleva e sapeva cosa fare nel Teatro. Ha dato tutto se stesso. I primi anni io ero un po’ bloccata, perché Ingmar era così esplosivo, arrabbiato e irritabile... Io non ero abituata. Ecco, sotto questo aspetto è cambiato molto: è diventato più tollerante e mite nel suo modo di lavorare con gli attori negli ultimi dieci/venti anni. Oddio, quanti anni abbiamo lavorato insieme! Ma all’inizio era veramente molto furente e focoso. 124 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Crede che il Teatro di oggi sia abbastanza cambiato rispetto ai tempi di Malmö? G. L. Non so se sia cambiato, ma ricordo quello che avevamo fatto a Malmö: era un buon teatro e devo dire che lo è tutt’oggi. Il modo di recitare negli anni Settanta era assolutamente cambiato, in seguito alle rivoluzioni del ’68. Gli attori non seguivano più i registi e creavano da soli, portavano in scena quello che erano nella vita, anche tecnicamente parlando, la voce, i movimenti... Quindi la “grande recitazione”, con grandi toni e movimenti, fu messa al bando in un certo senso. Questo nelle scuole non viene più insegnato ed è male, perché quando sei sul palcoscenico, devi avere voce, presenza fisica, massa, corpo, e devi saper esprimere te stesso; non c’è quella “vicinanza” come nel cinema con la cinepresa. Gli anni Settanta hanno distrutto questa espressività del teatro. F. P. Lei non ha seguito questa rivoluzione: l’ha sempre deprecata? G. L. No, in un certo senso è stata anche positiva perché ha lasciato spazio ad una drammaturgia, recitazione e movimento “folli”, ma non può essere sempre possibile. Non si può fare tutto quello che passa per la testa, bisogna essere veri, scegliere un modo di esprimersi e costruire la realtà. C’è una bella differenza se si recita per 18 persone o 280! Bisogna sapere cambiare le forme espressive a seconda delle circostanze. F. P. Ritornando ad Ingmar Bergman, in che modo lo definirebbe come regista? Sa quello che vuole, ma allo stesso tempo ama l’Ensemble, rispetta i suoi attori, gli dà spazio... G. L. Beh, alcuni credono che Ingmar non lasci molta libertà, si sentono ingabbiati, guidati, costretti. Alcuni la pensano così, non io: credo che sia facile trovare la libertà nel lavorare con lui. È un vero regista, ma credo che sia molto facile fraintendere la sua visione sull’attore. Bergman è una persona piena di autorità e potere. Certo, ha potere nel teatro e cinema svedesi, ma è il suo carattere ad emanare questo potere. È facile avere paura di lui, esserne spaventati, perché desta timore, e tu forse vuoi pregarlo... In quel caso bisogna mettere da parte la soggezione, perché diversamente diventi troppo ansioso di compiacerlo; questo è pericoloso, perché come attore devi essere te stesso e reagire 125 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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con la tua personale sensibilità artistica. Come fare, però, quando si vuole compiacere il regista e fare quello che si pensa lui voglia?! Non bisogna mai lasciare se stessi, anzi, bisogna darsi autonomamente il maggior supporto possibile. F. P. Crede che Bergman come regista cinematografico sia molto diverso da come lavora in teatro? G. L. Credo che in teatro abbia molta più libertà con gli attori. Nel cinema, per via dei costi, si deve lavorare molto più velocemente e trovare al più presto la giusta espressione. F. P. La studiosa Marilyn Johns compara la trilogia cinematografica di Bergman con i drammi da camera di Strindberg. È inoltre molto comune associare i due “grandi svedesi” come gemelli. Cosa ne pensa? G. L. No, non posso commentare questa cosa. Non credo; ci sono tante opinioni riguardo ai suoi film... So che Ingmar ha sempre amato Strindberg e, certo, ne è molto influenzato, ma non credo che sia possibile una comparazione di questo tipo! F. P. Lei è stata un’attrice di Bergman, ha fatto anche il suo aiuto regista: cosa ha imparato da lui? G. L. Ho imparato una cosa molto importante e cioè che il lavoro che fai è molto importante e si deve prenderlo seriamente. Ingmar è stato sempre molto disciplinato e pieno di passione nel suo lavoro. Mi ha insegnato ad essere molto preparata quando si incomincia a fare la regia di uno spettacolo o si lavora con gli attori. Credo che sia bellissimo quello che Bergman alimenta dentro se stesso: è un reale contatto, è così devoto... Questo è quello che vorrei diventare per me stessa. F. P. Quando lei ha fatto la regia dei Congiurati di Bernhard, come ha lavorato? G. L. Credo che questo sia il suo miglior testo drammatico, lo amo sopra tutti gli altri: è così strano ed è importante il resoconto che fa sulla società umana. C’è una forte e reale chiusura e si crede nelle assurdità. I tre fratelli sono vittime assolute dell’educazione dei genitori che gli hanno insegnato a pensare e a guardare le persone in senso fascista. Loro, quindi, non hanno mai abbandonato quel modo di pensare. Vivono ancora nella vecchia casa dei genitori e vivono ancora come trenta anni prima, in quella malata società nazista. Tutto è giusto e vero; nien126 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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te è sbagliato. Tutto potrebbe essere di nuovo possibile se tornasse Hitler... Riavere la vecchia Germania! Il motivo per cui ho voluto evitare di rendere i personaggi delle caricature, è perché ognuno avverta la responsabilità di queste persone e di quello che fanno. Quindi questo è un forte segnale. Bernhard è molto grottesco in questo testo: vi aleggia un humor strano come se volesse dire “Non li puoi aiutare, puoi solo deriderli!”. Ti ricordi il passaggio in cui il fratello imita Hitler? È pazzo di lui e si comporta come il dittatore. È geniale come Bernhard ti faccia ridere di questo personaggio e allo stesso tempo te lo faccia temere, perché non sai mai cosa dirà o farà. In una battuta è logico, nella successiva è completamente pazzo. Il pubblico ha trovato questa produzione molto moderna e contemporanea. F. P. È la prima volta che il Dramaten mette in scena un testo di Bernhard? G. L. No, venti anni fa ne ha allestito un altro. In Svezia Bernhard non è così conosciuto. Quindi ho faticato un po’ a farmelo approvare. In Svezia non si è molto interessati al teatro tedesco, molto di più a quello inglese. Guardiamo di più l’occidente che l’est. Prima, negli anni ’50/’60 si recitava molto di più il teatro tedesco. F. P. Pensa di mettere in scena altre pièce di quest’autore? G. L. Sì, mi piacerebbe, ma non dipende da me. È il direttore del teatro che decide il cartellone. Per realizzare questo spettacolo ho dovuto insistere per più di diciassette anni. Questo direttore mi ha approvato, ma non i precedenti. Probabilmente perché S. Valdemar Holm ha avuto una formazione tedesca e quindi conosceva bene l’autore. F. P. Cosa pensa degli scrittori nordici contemporanei? G. L. Credo che siano molto interessanti: ci sono anche molte scrittrici donne, coraggiose e originali. Prima ce n’erano poche che scrivevano per il teatro. F. P. Per esempio? G. L. J. Fosse è uno scrittore norvegese molto interessante. Ho provato a proporlo qui al Dramaten ma, per il momento, ho soltanto recitato in una sua pièce in Norvegia, ad Oslo. Mi piace molto... Hai visto qualcosa di lui? 127 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Sì, a Roma è abbastanza conosciuto. Io la ringrazio molto e spero di vedere al più presto un altro Bernhard in questo teatro! G. L. Grazie e le farò sapere.
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IRENE LINDH
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Irene Lindh ha studiato presso la scuola d’Arte Drammatica del Dramaten negli anni 1964/’67 ed in seguito è entrata a far parte dell’Ensemble. Ha interpretato innumerevoli ruoli, in opere sia classiche che moderne come, ad esempio, Shekespeare, Molière, Chechov, Feydeau, Strindberg, Pinter, Kristina Lugn, Lars Norèn. Ha lavorato in teatro e in televisione con registi importanti, quali: Alf Sjöberg, Ingmar Bergman, Erland Josephson, Gunnel Lindblom, Lars Norèn, Bo Widerberg, Robert Lepade, Christian Tomner ecc. Ha lavorato più volte fuori dal Dramaten. Irene Lindh è anche una cantante ed ha inciso con Jonas Almqvists delle canzoni, che ha poi eseguito nello spettacolo Racconto d’Inverno per la regia di I. Bergman (1994). Negli ultimi tempi, si è distinta in Vintenberg/Rukovs Festen per la regia di C. Tomner; La Sbornia di Strindberg per la regia di S. Larsson; Hedda Gabler di Ibsen per la regia di C. Tomner; Nella stagione autunnale del 2003, ha recitato S. Brigitta dallo scritto sacro L’Avvocato del Diavolo; I tre coltelli da Wei di H. Martinssons, per la regia di S. Valdemar Holm; Black Comedy di P. Schaffer, regia di S. Roos; Nel 2004 ha vinto il premio O’Neill; I Congiurati di T. Bernhard, regia di Gunnel Lindblom (2005). Irene Lindh è un’attrice “distinta”, impeccabile quanto a stile, maniere e recitazione. Riusciamo finalmente ad incontrarci in un primo pomeriggio di aprile. Il suo sguardo può, in un primo momento, incutere soggezione, per via di quegli occhi azzurri come l’acqua marina, ma è solo un’impressione.
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Intervista a Irene Lindh, Dramaten, Maggio 2005
F. P. Buongiorno, Signora Lindh; ho delle domande da farle che ho
formulato in inglese, ma se preferisce, possiamo provare a parlare in svedese. I. L. Per me sarebbe meglio lo svedese; qualora non ci dovessimo proprio comprendere, potremmo usare l’inglese. F. P. Mi piacerebbe sapere quale è stata la sua sensazione quando ha incontrato I. Bergman per la prima volta. I. L. Ero molto giovane, era il 1970, e stavamo lavorando a Il Sogno di A. Strindberg dove intepretavo il ruolo di Hon (Lei) ed altri ancora. È stata un’esperienza fantastica: ricordo Ingmar pieno di entusiasmo ed amore per i suoi attori. Eravamo attori di tutte le età: da me, che avevo venti/ventidue anni, a gente di ottanta anni: interpreti tutti pieni di talento. Abbiamo girato in tournée per circa due anni in Europa: Austria, Germania, Inghilterra, in Italia... F. P. Lei ha partecipato ad entrambe le edizioni de Il Sogno di Bergman nel 1970 e nel 1986. Può raccontarmi la sua esperienza e la sua visione di Bergman nei due allestimenti? I. L. Non credo che ad Ingmar sia piaciuta l’edizione del 1986; non ne era soddisfatto. Lo spettacolo veniva chiamato “Jugendplay” o Jugendstyle. Il primo invece l’ha amato molto, come noi del resto, ma il secondo aveva qualcosa che non andava... Nell’intervallo tra le due produzioni, Bergman era stato in Germania per un po’ di anni. Ad un certo punto sentì la necessità di tornare al suo Paese, alla sua lingua, ai suoi attori, al suo Strindberg. Egli allestì Il Sogno anche a Monaco, ma non riuscì a far incontrare la lingua svedese con questi attori tedeschi. Questo è stato un motivo che l’ha spinto a rimettere in 131 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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scena Il Sogno nel 1986 a Stoccolma. Almeno credo. In un suo libro ne ha parlato apertamente. F. P. Nella prima edizione de Il Sogno, come sono andate le prove? Vi ha chiarito le idee sul testo e sul tipo di spettacolo che voleva fare? I. L. Non ha spiegato nulla. Con Bergman non sentirai mai affermazioni di questo tipo “voglio fare lo spettacolo in questo modo” o “questa è la mia idea”. È chiaro che nella sua testa ha una visione precisa e sa tutto quello che vuole fare, ma è molto gentile e delicato con i suoi attori, per cui durante le prove si parla e si cerca insieme. Bergman accompagna dolcemente i suoi attori: la sua non è una produzione pronta. F. P. Ma ha un suo schema dello spettacolo? I. L. Lui sa tutto. F. P. Nell’edizione del ’70, il Poeta era seduto ad un tavolo al centro della scena... I. L. Sì, scriveva i nomi di tutti i personaggi ed essi entravano in scena. Appena il Poeta iniziava a scrivere, incominciava lo spettacolo: il Poeta comandava tutto! F. P. Mentre nel 1986 questo personaggio che funzione aveva? I. L. Il Sogno è un testo molto problematico, perché tutta la religiosità parte dalla divinità Indra e da sua Figlia. Non credo che ad Ingmar piacesse questo aspetto mistico del testo; credo che abbia ironizzato, manomesso o tagliato il prologo nella grotta di Fingal. F. P. Penso che abbia voluto prendere le distanze da questi aspetti religiosi, mistici in entrambe le produzioni: nel 1970 c’era un praticabile in fondo alla scena dove venivano dichiaratamente “rappresentate” queste scene soprannaturali. Una sorta di Teatro nel Teatro. Mentre nel 1986, la grotta di Fingal veniva rappresentata come un gioco tra lo scrittore e la sua attrice, che recitano volutamente nello stile “aulico” e näif... I. L. Ogni spettatore ha il suo personale punto di vista su Il Sogno. Per quello che mi riguarda, credo che Il Sogno sia il dramma preferito di Ingmar perché rimane sempre aperto ad infinite rappresentazioni e non può essere mai recitato compiutamente. Non si può dire che un allestimento sia quello assoluto e ultimo. Non si finisce mai di rappre132 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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sentarlo. Ogni età stimola a rappresentarlo in maniera diversa. Non posso dire di aver mai assistito ad una rappresentazione completa ed esaustiva. Penso che sia uno dei testi teatrali migliori nel mondo. C’è sempre qualcosa da fare su quel testo. F. P. Come si è trovata a lavorare nelle due edizioni? Che tipo di sensazioni ha provato? I. L. Nel 1970 per me è stato fantastico tutto quello che è accaduto, sia come giovane attrice che come giovane madre. È uno di quei casi in cui il teatro viene da te. C’era una sorta di gioia e felicità nel farlo. Ero felice di essere un’attrice e di fare questo mestiere. “Oh, questo è così bello, sono felice di recitare questo spettacolo!”, avevo la sensazione di stare ad un party. Il Sogno del 1986 è stato più piatto. Ingmar non era entusiasta durante quel periodo, ha provato a cambiare varie cose rispetto a quello che aveva pensato all’inizio. F. P. Nel 1986 Lei ha recitato il ruolo della Madre, un bellissimo personaggio... I. L. Penso che quella sia stata una parte meravigliosa. Io mi ero sposata da poco a quell’epoca e ho un marito molto più anziano di me. Comunque, il ruolo della Madre è stato realizzato in maniera più complessa rispetto a quello che si può leggere nel testo, perché questa madre certamente sta per morire, ma ha anche la tosse e ad un certo punto scorge il sangue sulla sua mano. Abbiamo fatto questo in scena: ho tossito e visto il sangue. È stato molto più creativo che nel testo. Guardo il sangue, poi i miei figli, e a quel punto realizzo che sto per morire. F. P. È un testo veramente difficile, perché è composto da brevissime scene simili a tanti quadri della vita, e un attore deve essere in grado di calarsi velocemente e dare il massimo in pochissimi minuti. I. L. Sì, ho dovuto fare tutto nella maniera più chiara possibile, ed essere molto precisa, veloce. Tutti possono vederlo: sono rapide apparizioni prese dalla vita, in tutte le possibili situazioni. Ed è per questo che secondo me è uno dei testi migliori che conosca. Ognuno può riconoscervi delle cose dentro: chiunque tu sia e qualsiasi cosa stia facendo, puoi riconoscerti. Uno dei punti migliori è quando la Figlia di 133 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Indra prende il fuoco. In quel monologo c’è tutto. È così pieno di saggezza ed è un po’ come se dicesse: “Questa è la Vita”. Il Sogno è in assoluto il capolavoro di Strindberg. F. P. Chi è il Sognatore secondo lei? I. L. Credo che tutti siano i sognatori. È l’essere umano che guarda alla vita. Agnes viene sulla terra solo per guardare che cosa è l’umanità, perché gli uomini piangono e sono complicati. Quando scende sulla terra, incontra l’Avvocato con cui poi si sposa, il Poeta, tutte le persone di Skamsund, i Carbonai... Credo che Agnes sia una sorta di Moralitet, uno spirito del giorno del Giudizio Universale. Il Sogno non è un testo che parte da “A” per arrivare alla “Z”, è la vita dell’umanità e ci si chiede “Come si può essere madre se si sta per morire?”, “Com’ è l’amore?”, “Cos’è il matrimonio?”, insomma è la vita che è differente e sempre la stessa. F. P. Forse Agnes rappresenta la fanciullezza, la purezza che viene poi man mano corrotta con la crescita... I. L. Sì, è molto ingenua e infantile perché non ha mai vissuto nella realtà, bisogna affrontare la realtà; fare il proprio meglio. F. P. Cosa pensa di Strindberg? I. L. Mi piacciono i suoi testi, perché scrive in maniera molto tagliente ed è molto chiaro nel delineare i personaggi. Ma certamente, capisco in che senso verte la tua domanda. Strindberg non è stato molto gentile con i personaggi femminili, ma io ho recitato uno spettacolo insieme ad altre due attrici dove si rappresentava l’incontro delle sue tre ex-mogli che parlavano di lui. Credo che sia stata un’idea molto divertente, no? Comunque sia, Strinberg è un autore molto moderno. Se guardi oggi, quanti autori possono essere definiti allo stesso modo? Ibsen in parte, ma non completamente.... F. P. Qual è la differenza tra Ibsen e Strindberg, secondo lei? I. L. Strindberg è molto più moderno, ti colpisce allo stomaco ed è anche molto divertente, è arrabbiato, pieno d’odio, ed è molto più appassionato. Ibsen è molto più tranquillo e pacifico. Con questo non voglio dire che non lo apprezzi, però oggi alcuni suoi spettacoli non si 134 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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possono più rappresentare, come Camerati ad esempio Ma sono imperituri Casa di Bambola, L’Anatra Selvatica, ecc. Su Spettri bisognerebbe cambiare qualcosa... F. P. Però anche Nemico del Popolo può avere una sua attualità... Comunque, lei preferisce interpretare i personaggi femminili strindberghiani! I. L. Sì, perché è molto più appassionante. Posso confermarlo. F. P. Qui al Dramaten c’è una tradizione di “Ensemblespel” dove si dà molta considerazione agli attori, ma ci sono anche dei veri e propri “registi”? I. L. Sì, c’è un’antica tradizione. Io ho frequentato questa scuola nel 1967, da allora sono cambiate molte cose. Ma quando ho incominciato io, era tutto Teatro di Regia. All’epoca c’erano: Alf Sjöberg, Olof Molander (con il quale però non ho lavorato) che è stato un grandissimo regista, e naturalmente Ingmar Bergman. Quindi c’è stata una tradizione che conferiva molta importanza alla figura del regista. F. P. E oggi? I. L. Oggi... Penso che sia un po’ cambiato. Non abbiamo registi così importanti. Alf Sjöberg al suo tempo aveva fatto dei magnifici e imponenti allestimenti shakespeariani. Oggi non avviene nulla di tutto questo. Sì, c’è Mats Ek, ma lui opera con forme minimali, più delicate. Oggi non abbiamo talenti registici, ad eccetto di S. Valdemar Holm che però non possiede la stessa dinamicità dirompente di Alf Sjöberg. Valdemar Holm è molto moderno e democratico, ma è un altro tipo di regista. Comunque, abbiamo avuto una forte tradizione di registi. F. P. Le mancano? I. L. No, perché avendo fatto tantissimi personaggi, penso di poter dirigermi da sola. Un tempo ne ho avuto necessità. Con questo non voglio sembrare presuntuosa, voglio solo dire che non ho necessità di un regista che mi faccia da guida. È bello constatare di essere in grado di gestirsi da soli in un ruolo. Capisci? È molto importante lavorare in mezzo a persone in gamba e di qualità, siano esse registi o attori. Qui c’è un fantastico Ensemble che dà la possibilità di fare pratica continua e imparare. Una volta quando venivi scritturato dal Dramaten era a tempo indeterminato. Ultimamente, per mancanza di soldi, sono stati 135 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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fatti parecchi tagli. Oggi chi viene assunto lo è solo temporaneamente e quindi non ha la possibilità di “crescere artisticamente” come nei tempi passati. F. P. Lei sta recitando I Congiurati di Bernhard in questi giorni. Interpreta il ruolo della sorella paralitica. Mi può raccontare come ha lavorato sul personaggio? I. L. Dieci anni fa io e Gunnel Lindblom avevamo parlato della possibilità di mettere in scena questo testo di Bernhard ma siamo riuscite a realizzare questo progetto solo ora. Prima di S. Valdemar Holm, questo autore è stato rappresentato pochissimo. È fantastico! La prima volta che lo lessi, rimasi scioccata: “Non si può dire questo! Non si può!”. Questo dramma è tuttora molto attuale. Il mio ruolo è quello di Clara, mentre Margaretha Byström interpreta mia sorella, Vera. Durante le prove, ho osservato molto i miei partner e questo mi ha permesso di recitare il ruolo di questa donna vittima, in un certo senso, dei suoi fratelli e della vita. È loro ostaggio. Clara è l’esatto opposto dei fratelli, umanamente e da un punto di vista politico. È un personaggio molto dark, non si ama per nulla; d’altronde nella sua vita tutto è andato storto. Nel primo atto, discute con la sorella sull’avere dei figli: mentre per quest’ultima sarebbe fantastico, lei lo trova orribile. Probabilmente, nessuna delle due ha ragione. Entrambe sono delle bugiarde. Vera mente in continuazione per sopravvivere in qualche modo; Clara non mente, ma respinge tutto, odia tutto: non dice “Non mi piaci”, ma “Ti odio”. La grandezza di Thomas Bernhard risiede nell’espressività del suo linguaggio. F. P. Il canto che lei esegue con la Byström nel primo atto era nel testo? I. L. No. L’abbiamo introdotto noi. Ti spiego perché: Bernhard era un musicista ed era molto in contatto con Wittgenstein che proveniva da una famiglia di musicisti. Una volta hanno trasmesso in radio un programma musicale su di loro. Gunnel mi propose di cantare e, poiché Marghareta è una brava pianista, abbiamo inserito un Lieder tedesco di Mendhellson, nonostante le mie prime reticenze vista la tristezza del personaggio. Alla fine questo Lieder è quasi una reminiscenza dell’infanzia delle due sorelle. 136 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Come reagisce il pubblico allo spettacolo? I. L. Varia da sera a sera, dal silenzio totale alle più grasse risate.
Bernhard, lo ripeto, è molto divertente e salace. La gente a volte rimane scioccata, a volte cinicamente divertita. Sai, in Svezia il pubblico si vergogna un po’ a manifestare liberamente le sue emozioni.
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JONAS MALMSJÖ
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Jonas Malmsjö ha incominciato a fare teatro in Inghilterra con un corso di Scrittura Creativa nel 1991. Nel 1993 è stato scritturato da Thorsten Flinck per la messinscena di Gertrud di H. Söderberg. Il suo “debutto” al Dramaten è avvenuto nel 1994 con il Racconto d’inverno di W. Shakespeare, regia di I. Bergman. Seguono:
JIM O’CONNOR in Glasmenageriet di T. Williams, regia di Agneta Eh-
rensvärd, 1995 LELIO nei Gemelli Veneziani di Goldoni, regia di Agneta Ehrensvärd, 1995 WILHEM in Blackrider di Wilson, Waits, Burroghs, regia di Rickard Gunther, 1997 PARMENO nella Celestina di F. De Rojas, regia di R. Lepade, 1998 PERDICAN in Gioco d’Amore di A. De Musset, regia di S. Valdemar Holm, 1998 JOHAN in Markurells i Wadköping di H. Bergman, regia di P. Dalle, 1999 LO STUDENTE in Spöksonaten di A. Strindberg, regia di I. Bergman, 2000 LISANDRO nel Sogno di una notte di mezza estate di W. Shakespeare, regia di J. Caird, 2000 CLIFF BRADSHAW in Cabaret di Ebb/Masterhoff, regia di R. Tupin, 2001 OSVALD in Spettri di H. Ibsen, regia di Ingmar Bergman, 2002 KNUT in Gioca col fuoco di A. Strindberg, regia di S. Valdemar Holm, 2002 Re Lear di W. Shakespeare, regia di S. Larsson, 2004 Il Mercante di Venezia di W. Shakespeare, regia di Mats Ek, 2004/2005
Incontro Jonas Malmsjö in un elegante salotto verde al primo piano del settore artisti del Dramaten. In quelle stanze, Ingmar Bergman diede il suo addio ufficiale al Teatro nel 2002, comunicandolo in esclusi140 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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va ai suoi attori che all’epoca stavano provando Spettri. Jonas, che aveva il ruolo di Osvald, si è trovato a dover consolare inaspettatamente la Signora Alving, la magnetica Pernilla August, che era scoppiata in un pianto dirotto alla comunicazione del suo amato Maestro. Jonas rappresenta il trionfo della bellezza statuaria greca: un corpo imponente e sano, un bel sorriso ed una enorme solarità. A lui è stato lasciato il testimone di tirocinio bergmaniano come attore.
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Intervista a Jonas Malmsjö, Dramaten, Marzo 2005
J. M. Mi sembra di essere nel film Sesso, Bugie e Videotape! F. P. Per via della videocamera! La imbarazza? J. M. No assolutamente, scherzavo. F. P. So che Lei ha incominciato la sua formazione teatrale in Inghil-
terra con un corso di Scrittura Creativa se non sbaglio... In cosa consisteva esattamente? J. M. Era un corso molto divertente, basato tutto sulla fantasia dello scrittore che creava un plot che si sarebbe dovuto sviluppare in seguito tramite la recitazione degli attori. F. P. Può raccontarmi del suo primo impatto con il teatro? J. M. Mah, ho incominciato relativamente tardi, se faccio un paragone con gli altri; nei fatti ho avuto la mia prima esperienza in Inghilterra, ma non la calcolo. Qui in Svezia, invece, ho debuttato all’età di ventuno anni. Ero abbastanza “vecchio”, voglio dire, qui gli attori incominciano prima. F. P. Vorrei sapere qual è stato il suo primo impatto con Bergman quando ha lavorato con lui in Racconto d’Inverno nel 1995. J. M. Nel 1995 non ho proprio lavorato con lui, perché in quella produzione facevo il figurante. Bergman lavorava con gli attori, mentre il suo coreografo lavorava sui movimenti con me ed altre diciassette persone. Noi “extra” eravamo all’epoca tutti aspiranti attori e registi, quello che siamo diventati oggi. Quindi, nei fatti, non ho avuto alcun contatto con Ingmar in quella occasione. Sfortunatamente. F. P. Ma in seguito avete lavorato molto insieme. Come l’ha scoperta, come l’ha trovata? J. M. Mi vide recitare in Blackrider e gli piacqui. In seguito mi chia142 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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mò e mi disse (si mette ad imitarlo): “Sono Ingmar Bergman e mi piacerebbe lavorare con te, ti trovo perfetto”. Dopo un paio di anni trovò il ruolo giusto per me, che poi era quello dello Studente in Spöksonaten. Quindi mi ha “scovato” così, perché lui vede tutte le produzioni del Dramaten e conosce tutti gli attori. F. P. Che tipo di lavoro ha fatto sul personaggio dello Studente in Spöksonaten? J. M. Oddio (ride)! Ma intendi come abbiamo lavorato o quello che ho fatto da solo? F. P. Da solo. J. M. Il fatto è che quando lavori con Bergman, lui non ti lascia mai. È sempre qui. In Svezia noi abbiamo un qualcosa come sette, otto settimane di prove; durante questo periodo, una volta che Ingmar ti ha preso, non ti molla mai. Quindi il lavoro personale è impossibile e inesistente. Quella produzione è stata una delle esperienze più eccitanti e belle a cui ho partecipato. È duro spiegarlo... Sono successe molte cose. Il modo in cui ha diretto me ed Elin Klinga, che faceva la Figlia, è stato particolare. All’epoca aveva ottantadue anni ed era molto incuriosito dalla vita e dai giovani come mai nessuno delle persone che ho incontrato. Il modo in cui ha provato con noi è stato particolare: eravamo soli in una stanza, Ingmar, io ed Elin; lui amava sdraiarsi per terra e dirigerci da lì. Riesci ad immaginare? Una persona di quell’età, che sta per terra a dirigerci più vivace di un ragazzino! L’elemento centrale di quella produzione è stata la sua stupefacente vitalità. Come ho lavorato con me stesso? (Ci riflette) Non lo so, è una domanda difficile (ride)! È veramente duro risponderti... Quello che posso dirti è che Bergman mi ha dato gli strumenti, questo l’ho realizzato molto più tardi, si può dire oggi! Dicevo...? Allora mi ha dato gli strumenti per essere un attore molto più indipendente. Perché quello che fa Ingmar è solo di insegnarti i tuoi pensieri, magari in quel momento non realizzi cosa ti sta insegnando, ma più tardi capisci che stai lavorando in una maniera differente e dopo ti sembra più facile focalizzarti sugli aspetti essenziali, giusti del tuo personaggio ed improvvisamente pensi: “Questo è quello che mi ha detto Ingmar!”. 143 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Quindi in un certo senso Bergman mette gli attori in una condizione di indipendenza che gli permette di avere una libertà creativa nel costruire il proprio personaggio. Può raccontare come incomincia a provare con voi? Salite sul palco e improvvisate... J. M. Aspetta, prima vorrei dire una cosa. C’è una falsa credenza nei riguardi di Bergman. Prima di lavorare con lui, avevo sentito dire che non era possibile essere liberi sotto la sua direzione, perché tutto era stabilito e ti diceva esattamente quello che dovevi fare. In seguito ho capito che chi spargeva quelle voci era gente che non aveva mai lavorato con lui. Ma cosa succede quando incominci a lavorare con Bergman? Lui ha delle linee che chiama “scheletro”. Questo è quello che succede durante la prima settimana: scopre il suo “scheletro”, ma questo è solo un suggerimento, la sua proposta. Ti fa vedere come cammina il personaggio, ma non è una cosa imposta. Puoi notare sul suo copione tutte le linee che traccia e le varianti. Questo è quello che succede all’inizio. F. P. Quando arrivate al debutto, se qualcuno degli attori si sente insicuro o ancora non entrato nella parte, che tipo di atteggiamento assume Bergman nei vostri confronti? J. M. Dipende, è molto diverso, cambia di volta in volta. Quando ho fatto Spöksonaten, Bergman non mi ha fatto alcuna pressione, non è stato per niente isterico; quello che chiedeva era di essere veri e reali. Quando però abbiamo fatto Spettri di Ibsen, le cose sono andate in maniera differente. Per me è stato il diavolo! Io interpretavo il personaggio di Osvald, e se hai presente il dramma e come si conclude, sai che si tratta di cose alquanto pesanti e non si può pretendere di interpretarle con facilità. Bergman è stato terribile, mi buttava sempre giù, mi trascinava nell’inferno per rendermi capace di farlo sul serio, realmente, di morire ogni notte. Ora penso che sia stata una fantastica esperienza, ma non a quel tempo, troppa realtà... è stato orribile! Mi sono profondamente depresso, sul serio, non approvavo la cosa; mi sono anche ammalato fisicamente e se pensi che abbiamo girato nel mondo con questo spettacolo per due anni... F. P. Osvald è un personaggio molto impegnativo e complesso... J. M. Sì, è così. All’epoca ero veramente arrabbiato con Ingmar e lo 144 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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sono ancora in un certo senso. Credo che egli non si sia assunto la responsabilità su di me, poiché ha completamente lacerato una parte di me stesso per costruire il personaggio; inoltre lui aveva visto che non mi sentivo bene, ma è passato oltre, pensava solo allo spettacolo e in un certo senso mi ha “sacrificato”. F. P. Ma non ha provato a parlare con lui e a chiedere il motivo di tutto questo? J. M. Sì, mi ero preparato un gran discorso, ma mi ha preceduto. Ingmar è venuto a parlare con me e mi ha detto: “So di non essermi preso cura di te come avrei dovuto, ma quello che posso dirti è che mi puoi chiamare a qualsiasi ora del giorno e della notte. Quando ti senti depresso o triste, chiamami e ne parliamo”. F. P. Vorrei fare un passo indietro e ritornare su Spöksonaten... J. M. Va benissimo, anche perché credo che sia stata la migliore produzione. F. P. Vorrei sapere quale è stato per Lei il punto del dramma più difficile da recitare. J. M. Il ruolo dello Studente è presente soprattutto nel primo atto e nel terzo. Nel primo atto ho recitato con mio padre che interpretava Hummel; voglio dire che è stato anche lì un inferno, lo puoi capire, no? Quando avevo dieci anni adoravo mio padre, ma dopo abbiamo rotto i rapporti per un po’... Voglio dire, queste cose succedono, sono comuni nel mondo. Quindi è stato molto difficile in un certo senso. Mi ricordo quando Ingmar mi disse che aveva in mente di fare questo spettacolo con me e mio padre. Subito ho pensato: “O è un genio, o sta facendo un errore madornale, ma vedremo”. Io e mio padre ci siamo ritrovati lavorando a questo spettacolo; è stato un lavoro duro, eravamo entrambi nervosi... questa è stata la difficoltà. Nel terzo atto ho incontrato ancora più difficoltà, perché quello che Strindberg ha scritto è quasi impossibile da recitare. Se devo scegliere quale tra i due atti è il più difficoltoso, è impossibile da stabilire! Però è stata una esperienza fantastica: lavoravo con mio padre, Ingmar mi trascinava con il suo entusiasmo ed io lo ricambiavo con altrettanta gioia e stupore. È stato semplice in un certo senso... 145 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Ha visto il video della precedente produzione di Spöksonaten? J. M. No. Tu l’hai visto? F. P. Sì, e ho riscontrato una continuità tra le due produzioni, anche
se nell’ultima ci sono nuovi aspetti molto interessanti. J. M. Sicuramente lo sai già, ma credo che lo spettacolo che Ingmar ha fatto con me, era qualcosa come il sesto o settimo allestimento di Spöksonaten. Credo che questo sia uno dei suoi drammi preferiti in assoluto e che ha messo in scena il maggior numero di volte. Questo perché ogni volta sentiva di aver mancato qualcosa, di non aver sviscerato bene tutti i punti... Penso che nell’ultima edizione, abbia voluto considerare lo Studente come figlio di Hummel e vedere l’evoluzione dei rapporti. F. P. Perché ha sentito la necessità di rimettere in scena Spoöksonaten? J. M. Perché è un testo che ama e che non lo soddisfa mai. Credo che passi spesso il suo tempo davanti ai video delle precedenti edizioni, come stai facendo tu ora, ad analizzare e a rilevarne le imperfezioni. È il suo dramma preferito. F. M. Qual è il suo rapporto con Strindberg? J. M. Oh, è il mio autore preferito, penso che sia il più grande al mondo! Amo Strindberg, così come odio Ibsen. No, non è proprio così: diciamo che non mi piace molto, perché impiega due ore e mezzo per dire quello che Strindberg dice in una tempesta emotiva. “Io non ti amo e tu neppure! Ti ucciderò!...” Questo è quello che accade, questo è Strindberg: Puff! Lo amo. Quando lo leggo, piango, rido... Ibsen invece è piatto, noioso, fino a che si arriva ad un fantastico finale; ma ci mette tre ore per arrivarci! Strindberg è immediato. F. P. Quale è il suo dramma preferito di Strindberg, Spöksonaten? J. M. Attualmente no. Adoro il suo teatro da camera... Adoro Il Pellicano, che ho fatto insieme a Bergman per la radio. F. P. In radio è tutto diverso: si usa il microfono... Non credo sia molto facile per un attore che è abituato a recitare sul palco, no? J. M. Adoro la radio. Se sei un bravo attore, lo puoi fare. Voglio dire, in radio ti concentri esclusivamente sul testo, non devi pensare ai movimenti. E Strindberg alla radio è fantastico. F. P. Bergman lavora in maniera differente alla radio? 146 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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J. M. Sì. Lo scheletro dei movimenti chiaramente non c’è, non si lavora più con il visivo, ma è molto più meticoloso sulle singole parole e sulla loro pronuncia e articolazione. Ma il tutto è molto più rilassato e divertente; lui stesso è più tranquillo e può raccontare innumerevoli storie per ore. Magari la stessa più volte. È bello lavorare con lui in radio, perché ne puoi conoscere l’aspetto più disteso e ironico. Però io ho conosciuto l’Ingmar anziano, non so nulla di “Bergman il giovane” o del “Bergman maturo”. Come uomo anziano è molto dolce. Se si stanno ad ascoltare le storie su di lui quando era giovane, passava per il diavolo di se stesso. Io non l’ho mai conosciuto sotto questo aspetto. Per me è un uomo gentile che ama i giovani. Su questo ci sarebbe da riflettere... Ad essere onesti, mi sono vergognato di non avere lo stesso interesse verso le persone anziane; forse dovrei incominciare ad averlo. Quante cose loro sanno che noi non sappiamo?! Soprattutto nel Teatro, qui al Dramaten. F. P. Cosa ha imparato da Ingmar Bergman? J. M. Non sono cresciuto con i suoi film, per me non era una leggenda, ma soltanto un nome. Però posso dire che ha un’aura positiva e una grande fantasia. Sono molto felice delle esperienze vissute con lui perché sono state le ultime. F. P. Perché non ha voluto continuare? J. M. Perché è vecchio e malato. In teatro non ha lavorato tutti i giorni, solo il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Gli altri giorni lavoravamo da soli. In Spettri non ha lavorato veramente. Mi ricordo che eravamo seduti qui quando ci comunicò che questa sarebbe stata la sua ultima produzione. Molti attori cominciarono a piangere, alcuni non lo presero sul serio perché più volte se ne era uscito con affermazioni di questo tipo. Ma questa volta era vero e lo si poteva capire dalla sua serietà: “Non smetto di fare teatro perché sono stanco o perché ho perso l’amore, solo perché non ce la faccio fisicamente: io vorrei essere qui ogni giorno e non ce la faccio”. È troppo malato, prende alcune medicine per lo stomaco. Ora è a Fårö. Non so se mai tornerà, magari a lavorare in radio... F. P. Tutto è possibile... 147 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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J. M. Tutto è possibile, forse però è più probabile che noi andiamo da lui e non viceversa. F. P. Perché non vuole incontrare la gente? J. M. È molto timido e gli piace mantenere i contatti con le poche persone che conosce. Una volta ci raccontò di Fellini: erano molto amici pur essendo due persone completamente diverse, non avevano niente in comune. Ingmar ci raccontò di quando lo andò a trovare sul set. Rimase sorpreso nel vedere una grande apertura e un via vai continuo di gente; tutto il suo opposto! Bergman si domandò: “Ma cos’è questo? È un caos infernale!”. F. P. Quale parte desidererebbe interpretare attualmente? J. M. È una risposta un po’ banale ma è la verità: Amleto e il Figlio di Lungo viaggio verso la notte di Williams. F. P. In bocca al lupo allora e grazie per la generosa disponibilità. J. M. Crepi e ci vediamo a Roma quest’autunno!
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PER MYRBERG
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Per Myrberg si è formato presso la Elevskola del Dramaten negli anni 1955/57. Allo Stadsteater ha recitato il ruolo del protagonista nella Saga di Gösta Berling. Presso il Dramaten ha interpretato i seguenti ruoli: KOSTJA nel Gabbiano di Cechov, regia di I. Bergman, 1961 ORLANDO in Come vi piace di Shakespeare, regia di A. Sjöberg, 1964 MAJAKOVSKIJ in Kollontaj di A. Pleijels, regia di A. Sjöberg, 1979 SLIFT in Johanna från Slakthusen, regia di I. Bergman, 1981 GLOUCESTER in Re Lear di Shakespeare, regia di I. Bergman, 1984 L’AVVOCATO ne Il Sogno di Strindberg, regia di I. Bergman, 1986 Il FANTASMA in Amleto di Shakespeare, regia di I. Bergman, 1986 IL VECCHIO ne Il Guanto nero di Strindberg, regia di P. Stormare, 1988 ORLANDO GALOTTI in Emilia Galotti di Lesing, regia di P. Stormare, 1988 WOLAND ne Il Maestro e Margherita di Bulgalkov, regia di P. Stormare, 1988 IL CACCIATORE nel La Grande Strada Maestra di A. Strindberg, regia di P. Stormare, 1989 Anni Novanta
SEREBRJAKOV in Zio Vanja di Cechov LIBIUS in Amorina di Almqvist STRAFFÅNGENG in Straffångens återkomst di S. Larsson HENRIK in Tutti i giorni, tutte le notti di M. Garpe L’UOMO in Tupilak di P. Olov Enqvist WHILEM FOLDAL in John Gabriel Borkman di Ibsen IL PADRE ne Il Matrimonio di Gömbrowicz BUDBÄRAREN in Backanterna di Euripide, 1996 BERTRAM in Blackrider, 1997
Ha vinto i seguenti premi: Litteris et artibus, 1988 O’Neill stipendiet, 1996 150
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Spöksonaten di A. Strindberg, regia di I. Bergman, 2000 Maria Stuarda di F. Schiller, regia di I. Bergman, 2000 Herr Arnes Penningar di Selma Lagerlöf, regia di B. Englin, 2005
Continua ad essere presente come attore di musical, in radio, film e tv. Ha partecipato a molti film, come Paradis-Torg (1977) e Il figlio della Domenica (1992) di D. Bergman. Ha partecipato ad alcune serie televisive quali: Hedebyborna e Det Vardå. Nel 2002/2003 ha partecipato al musical Chess. Per Myrberg abita appena fuori Stoccolma; ormai lavora sporadicamente al Dramaten. Lo contatto telefonicamente e ci diamo appuntamento al foyer del Dramaten. Ci incontriamo fuori dal teatro; arriva in vespa e, nonostante la sua età matura, si possono rintracciare ancora nei suoi tratti il fascino di un attore da sempre considerato un bello e un “inguaribile Don Giovanni”. La sua signorilità mi ha colpito molto.
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Intervista a Per Myrberg, Dramaten, Maggio 2005
F. P. Cosa pensa di Strindberg? P. M. Persona complicata. Ha scritto un dramma perfetto come La
Signorina Julie e il fantastico Il Sogno; poi ancora altri drammi molto validi, altri un po’ meno. La Danza dei Morti, ad esempio, è un testo “impossibile”. Ha molto temperamento ed è estremo: va su e giù. Strindberg offre il suo temperamento. Lo stesso Ibsen che parte e arriva fino alla meta con un grande equilibrio. F. P. Secondo Lei, qual è il testo di Strindberg più difficile da mettere in scena? P. M. Tutti. F. P. Che difficoltà ha incontrato nei testi che ha interpretato? P. M. Io ho recitato Il Sogno, La Sonata degli Spettri, La Grande Strada Maestra, ecc. Quest’ultimo è pieno di autocompassione, ma ci sono anche cose positive. F. P. Lei ha lavorato con Bergman nella sua ultima edizione de Il Sogno nel ruolo dell’Avvocato; può raccontarmi la sua esperienza? P. M. Quella è stata l’ultima edizione che Bergman ha fatto de Il Sogno. Lui stesso ne era consapevole e ce lo comunicò. Fu un’ esperienza abbastanza dura perché lui era molto teso: era visibile da come seguiva le prove, tutto il volto tirato. È stato molto diverso rispetto alle altre volte in cui ho lavorato con lui: era come se ti volesse costringere a recitare in un determinato modo. F. P. E perché questo? P. M. Perché voleva troppo da questo ultimo allestimento. Personalmente questa versione era eccessivamente colorata: dalla scenografia ai costumi, tranne l’Avvocato che era vestito di nero. 152 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Quindi Bergman non è rimasto soddisfatto di questo allesti-
mento?
P. M. No. Non credo proprio. F. P. Come ha lavorato sul suo personaggio? Bergman l’ha lasciata
libera?
P. M. No, nessuna libertà in questo caso. Per me è stata dura. Bergman era veramente molto teso, voleva delle cose in un modo particolare. Solo verso la fine è cambiato e ha dato più libertà. F. P. Per Lei è stato difficile interpretare il ruolo dell’Avvocato? P. M. All’inizio veramente molto, ma dopo alcune settimane tutto è risultato più facile, anche perché Ingmar ci ha dato più libertà. Primo era molto costrittivo: “Devi fare: questo, questo e questo...”. F. P. Che tipo di allestimento era quello del 1986? Realistico o.... P. M. Assolutamente meno realistico di quello del 1970, se si può parlare di realismo ne Il Sogno. F. P. Veramente? L’allestimento del 1970 sembrava molto più simbolista, vista la stilizzazione dei movimenti e della scenografia. P. M. Beh, io ho fatto l’ultima produzione e non vi ho assistito come pubblico: penso fosse una crudele fantasia, mentre ritengo Il Sogno del 1970 molto più realistico. Questo perché lì era tutto molto in bianco e nero, mentre questa edizione era piena di colori. In genere le persone sognano in bianco e nero, qui si sogna a colori! F. P. Può raccontarmi chi è l’Avvocato? P. M. È un uomo sgradevole e infelice. Quando arriva la Figlia di Indra se ne innamora molto, ma non può cambiare se stesso perché vive in una guerra continua, soprattutto nel momento in cui lui sente che Agnes sta andando via. La prima volta diventa molto iracondo e pensa che la vita sia solo una “merda”! F. P. Pensa che la maggioranza delle persone siano così come l’Avvocato? P. M. Spero proprio di no, per quanto sia un atteggiamento comune. Il senso del dovere appartiene più alla chiesa cattolica che a quella protestante. F. P. Lei ha partecipato anche ad uno degli ultimi allestimenti di Bergman, Spöksonaten. Come era in quel periodo? 153 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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P. M. Perfetto. Un grande. È stato veramente geniale. Riesce sempre a realizzare cose semplici e chiare quando lavora con testi drammaturgici complicati. Ad esempio, la parte che interpretava Gunnel Lindblom, la Mummia, in genere viene rappresentata come una persona triste e seria; Bergman invece le disse: “Quando esci dallo sgabuzzino, balla!”. “Cosa?!” gli replicò Gunnel. “Sì, sì, hai capito bene!”. Ed era perfetto, molto azzeccato. Credo che sia stato uno dei suoi allestimenti più belli. E non l’ho visto da fuori! L’aria che si respirava era meravigliosa. Molta gente non ha capito quanto questo spettacolo fosse fantastico per la sua semplicità. È stato veramente un lavoro geniale. F. P. In questo caso le ha lasciato molta più libertà? P. M. Sì, assolutamente. F. P. Come ha lavorato con voi attori? P. M. Dipende, cambia di volta in volta. Nelle Baccanti, che ha debuttato all’Opera e poi ha avuto le repliche al Dramaten, interpretavo il ruolo di quello che porta le “cattive notizie”. Avevo un monologo di circa dieci minuti; prima delle prove l’ho imparato “col cuore”. Alla prima prova ho incominciato a leggere il monologo; quando finii, Ingmar mi disse: “Sai? Ho fatto tante scene per te, ma quello che tu hai fatto, saltalo! Passiamoci sopra, come dire: è perfetto”. Era un complimento. Avevo molte domande da fare sulla traduzione. In seguito, per comodità, rimpicciolii il copione ribattendolo a macchina. Quando Bergman lo vide, mi chiese: “Puoi leggere?” ed io gli risposi “Non con gli occhi, ma posso con il cuore”. A quel punto mi abbracciò. F. P. Chi è Ingmar Bergman in teatro? Quanto è cambiato lungo la sua carriera? E Lei? P. M. Sai, io sono praticamente cresciuto con lui. La prima cosa che abbiamo fatto insieme è stata negli anni Sessanta: ero molto giovane ed egli era al Dramaten. In seguito, poiché gli piacevo, mi volle in molti film che produsse. Lui si trovava a Malmö. Dopo smisi di lavorare qui al Dramaten ed andai a lavorare in un altro teatro per un anno. Quando venne nominato capo del Dramaten, mi chiamò e mi propose di tornare dicendo che avrebbe alzato il salario a me, Bibi Andersson e Björn Gustafsson. Ha alzato il salario degli attori. È stato un ottimo direttore 154 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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di teatro. Poi me ne andai via dal Dramaten per circa dieci anni; ho incominciato a fare il protagonista in alcune serie televisive, poi tornai e feci Re Lear, Il Sogno ecc. Fu veramente un bel periodo e Ingmar era grande e produttivo come sempre. F. P. Dopo l’esperienza di Monaco, crede che Bergman sia cambiato in qualche cosa? P. M. No. È invecchiato, ma non la sua mente che rimane quella di sempre: perspicace, sensibile e attiva. Una mente flessibile e pericolosa... sotto molti aspetti (ride). F. P. Che cosa le ha insegnato Bergman? P. M. Oddio... Non saprei... No, aspetta! Una cosa l’ho imparata: Non arrivare in ritardo alle prove, essere sempre puntuale. Bergman odia i ritardatari. È, o era, un fanatico della puntualità. Questa è una cosa concreta che posso dirti, ma certo ce ne sono anche di astratte. Quando tu prima hai chiesto come lavoro con il personaggio, non saprei cosa rispondere, perché non lo so spiegare. Una volta Marghareta Krook, in una intervista, alla stessa domanda rispose bruscamente: “Non lo so!”. (Ride). F. P. Quanto è cambiato il teatro oggi rispetto ai tempi di Bergman, Sjöberg...? P. M. Quando ero in Accademia, tutto era molto più piccolo e tradizionale. Ma il Teatro cambia, come il resto del Mondo... Quando Bergman venne, fu un periodo di vera novità, una nuova era del Teatro: si incominciava a recitare Brecht per la prima volta grazie ad Alf Sjöberg, lo conosci? Io fui in un suo spettacolo Schweik; era tutto molto diverso rispetto a Bergman, più aperto, grande, diretto. Era una persona molto gentile. Mentre Ingmar può entrare dentro di te, Sjöberg dirige tutto in maniera grandiosa, ma esterna. All’epoca Ingmar affittò un teatro per recitare spettacoli per bambini e aprì nuove sale teatrali qui al Dramaten. Fece veramente molte cose nuove! Incominciò a intraprendere nuove strade di pensiero. Mise in scena L’Istruttoria di P. Weiss. Io vi ho recitato e mi ricordo che disse: “Sto per mettere delle luci così forti, che non devi guardarle”; Bum! Mise questa luce bianca ed io decisi che avrei provato a guardarla. Poi mi chiesi: “Cosa sta pensando questo ragazzo? Non è un tedesco, forse ha preso l’insolazione perché è 155 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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fermo da molto...!” (Ride). Ritornando alla tua domanda, il teatro di oggi è in parte buono e in parte no. F. P. Non le mancano i grandi registi di un tempo? O le piacciono questi nuovi? Non crede che sia cambiato qualcosa e che lo stesso lavoro dell’attore sia svolto in maniera diversa? P. M. Sì, abbiamo perso molto rispetto a prima. Bergman, Sjöberg ci hanno aperto ad un nuovo Teatro e ad un nuovo mondo. Non capitano spesso personaggi di questo genere. F. P. Che cosa significa per Lei essere un attore? P. M. È stata la mia vita, è veramente tutto. (Sorride) F. P. Pensa che oggi ci sia una tradizione di Ensemble più forte rispetto ai tempi passati, o è una peculiarità del Teatro Svedese? Cosa pensa del Vostro Teatro? P. M. Se prendi ad esempio questo teatro, è molto decaduto anche da un punto di vista economico, non ha più i finanziamenti di un tempo. Prima esisteva un grande e forte Ensemble, ora sembra una stazione ferroviaria: gente che va e gente che viene. Le cose sono cambiate, è un tempo strano. Se vedi il pericolo che sta dilagando nel mondo, non si può non essere confusi e impauriti. E c’è veramente da esserlo. Il Teatro sopravvive, ma ha perso la sua identità. F. P. Forse questo Teatro è più individualista? Non ha l’urgenza di comunicare da un punto di vista sociale? P. M. Questo è chiaramente un periodo di reazione agli anni Settanta, però il Teatro è attualmente confuso. F. P. Che tipo di Teatro le piacerebbe che ci fosse? P. M. Il Teatro deve essere sempre pieno di vita, interesse, desiderio ed espressione di felicità. Interesse per la gente, il pubblico, la catarsi... Questo è molto importante, qualsiasi cosa si stia recitando... Dovrebbe essere il nuovo punto da cui partire. Si deve invogliare la gente, offrirgli il massimo.
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GÖRAN WASSBERG
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Göran Wassberg è uno scenografo. Si è formato presso l’Ateliéer dell’Opera. Dal 1964 ha incominciato a lavorare come scenografo in diversi teatri in Svezia e all’Estero. Ha lavorato al Riksteater di Stoccolma, realizzando 120 allestimenti circa, dal Riccardo III alla Piccola bottega degli orrori, a Cabaret... Nel 1980, presso il Dramaten, ha curato la scenografia della Scuola delle mogli di Molière per la regia di Alf Sjöberg. Dal 1986 lavora stabilmente per il Dramaten, collaborando in seguito con Ingmar Bergman per la realizzazione di alcune scenografie, quali: Hamlet di W. Shakespeare; Le Varianti di Goldberg di Tabori Yvonne di Gömbrowicz; Bildmakarna di Per Olov Enqvist Spöksonaten di A. Strindberg Maria Stuarda di Schiller Spettri di H. Ibsen Valpen di Henning Mankell, regia di Ellen Lamm, presso l’Intima Teater Al Dramaten ha collaborato anche con altri registi, da Hans Klinga (Idlaflickorna, Pippi Långstrump) a Lars Amble (Morte di un commesso viaggiatore di Miller). Ha realizzato anche degli allestimenti per l’Opera a Monaco, Zurigo, Houston e Chicago. Ha collaborato ad alcune produzioni televisive in cui si è distinto, tra le quali Larmar och gör sig till e Sarabanda di I. Bergman e al lungometraggio L’Infedele. L’ultimo lavoro è stato Black Comedy di Peter Schaffer, regia di Staffan Roos.
Göran è un signore molto solare e positivo. Mi accoglie nel suo studio che sembra una stanza da giochi. La dimensione ludica fa parte integrante della sua esistenza non solo professionale. Guardandomi intorno, scorgo infatti vari pupazzetti di legno, che lo scenografo ha prodotto lungo il corso delle prove di vari spettacoli e che ritraggono gli attori in alcuni particolari momenti. Questi pezzi di legno hanno un’anima, vibrano di forti sentimenti e più volte gli è stato consigliato di venderli o farne addirittura una mostra, vista la loro bellezza e forte valenza artistica. A Göran, però, ciò non interessa, è un uomo semplice e gioioso che fa le cose con entusiasmo. 158
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Intervista a Göran Wassberg, Dramaten, Maggio 2005
F. P. Che cosa significa per Lei essere uno scenografo? G. W. Avevo otto anni quando andai per la prima volta all’Opera con
la mia famiglia a vedere uno spettacolo per ragazzi. Non mi ricordo molto, se non che c’erano tante persone, i musicisti e un grande muro. Quando i musicisti cominciavano a suonare, il muro, il sipario, si alzava e davanti si apriva un grande spazio, veramente “sexy”, attraente. Qualche anno più tardi, tornai nuovamente all’Opera e rimasi sorpreso nel vedere qualcosa di differente dietro a quel muro/sipario. Mi ricordo che sentii una forte scossa per la mia colonna vertebrale, proprio come oggi: ogni volta che il sipario si alza, provo una sensazione estremamente eccitante. Ero veramente piccolo all’epoca, ma avevo capito che qualcuno doveva essere lì. Così ho incominciato ad essere un “creatore del teatro” per tutta la mia vita e mi sento molto privilegiato e felice per questo. Ne sono consapevole e ogni giorno me lo ripeto. F. P. Crede che negli ultimi tempi, rispetto a quando Lei ha incominciato, sia cambiato il modo di concepire e vivere la scenografia? Anche per Lei? G. W. Tutto è cambiato, sì. Noi stessi cambiamo con il tempo: la vita, le cose, si divorzia... Voglio dire, accadono sempre tante cose, quindi cambi il tuo punto di vista e certo, forse sono le persone che ti circondano che ti fanno cambiare la visione delle cose, il punto di vista, giusto? Voglio dire, quando lavori con Ingmar Bergman che è solito sedere su quella sedia (indica la sedia ridendo), sei qualcun altro, non sei la stessa persona di quando avevi venti/venticinque anni: voglio dire, tutto cambia, solo il teatro è qui, rimane lo stesso. Il teatro è qui e ovunque. 159 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Può raccontarmi la prima volta che ha incontrato Bergman, qual è stato il suo impatto e in che modo si lavora con lui? Se Bergman ha già una sua personale idea della scenografia, o se lascia un margine di libertà... G. W. Per prima cosa, è molto preparato: ha letto il testo e sa tutto. Quando va dal suo designer, ha circa una ventina di idee nella sua tasca. Quando lo si incontra, si deve essere avveduti, bisogna essere altrettanto preparati. Le discussioni non portano ad una vera comunicazione, per cui bisogna essere veramente preparati. Se io ho un’idea, che sarebbe la ventunesima, comparata con le altre viene considerata un’ottima idea, e questo senza perdere il suo prestigio. Però puoi prenderla e lavorarci. Capisci quello che voglio dire? Un altro regista, che magari ha una sola idea, non può sentire il tuo punto di vista, perché non vuole perdere l’unica idea che ha. Puoi vedere la differenza? E questo è il motivo che ti fa comunicare con lui perché Bergman è preparato così bene da poter essere libero. Non puoi proporre nulla se non sei libero, capisci? Quando vedi i suoi film, potresti pensare che sia una persona molto seria, profonda e depressa... Non è assolutamente così! È molto divertente lavorare con lui, è gioioso. La prima cosa che Bergman è solito dire riguarda la gioia di avere questo lavoro, la possibilità di farlo. Pensa molto a te e alle tue esigenze; puoi parlare con lui, scambiare idee e divertirti. F. P. Quando Lei e Bergman mettete in scena un testo, da che cosa partite, che tipo di strada intraprendete? G. W. La prima cosa che Bergman fa e vuole dai suoi collaboratori è focalizzarsi al cento per cento sugli attori; quindi costruisco delle piccole figure di legno che rappresentano i personaggi del testo, per cui la scenografia non viene ideata e costruita come cosa a sé stante, in separata sede, è una cosa pessima da fare! Si seguono le prove con gli attori, e intanto si cerca di pensare e costruire qualcosa che possa aiutarli a creare i ruoli e a raccontare la storia il prima possibile. Questo per evitare che la scenografia li disturbi nel loro lavoro. F. P. Quindi Lei assiste alle prove? G. W. Certo, assolutamente. Io non sono molto interessato alle grandi costruzioni in generale, ma l’idea principale e fondamentale è quel160 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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la di aiutare gli attori a entrare nel ruolo e raccontare la storia: è tutto. Quando si discute sulle luci con Ingmar Bergman, dice sempre che bisogna illuminare gli attori in modo da far vedere cosa stanno pensando. Molto bello e giusto. Voglio dire, è molto più interessante che vedere grandi spazi illuminati dal “sole” e non sai di cosa “parlano”. Quello che intraprende Bergman è un feeling mentale. Quello che Ingmar Bergman non fa molto spesso è un allestimento realistico, semmai fa cose più simili a questo (indica un plastico), la scenografia di Spettri, il suo ultimo spettacolo. Focus sugli attori, una pedana girevole, nessun cambio di scena, ma cambiamento del focus sugli attori. F. P. Avevo visto un video di Spöksonaten precedente all’ultimo dove Lei ha collaborato e ho notato, come in altri suoi spettacoli, che Bergman mantiene una linea di continuità nei suoi allestimenti. Come si trova ad operare quando riallestite uno spettacolo, tra le indicazioni del drammaturgo, in questo caso Strindberg, e del regista? Riesce ad avere un po’ di libertà creativa tra i due? G. W. Sì, io e Ingmar progettiamo in maniera molto attenta, veramente molto attenta cosa vogliamo fare questa volta, perché lui ha realizzato quel testo precedentemente; quindi discutiamo tutti i nuovi aspetti che lui vuole mettere in scena, e poi senza “prestigio”, cioè senza darci arie, facciamo le cose semplicemente. Per esempio Spöksonaten è molto semplice, voglio dire, ha solo quinte nere, ma ci sono anche piccole cose molto carine, come ad esempio le sedie... e allo stesso tempo cose difficili che non credo si possano cogliere dal video. Io non sento di non avere prestigio, perché ho fatto queste cose (indica i plastici), ma quando lavori con Bergman, è Bergman! Ci si diverte molto a fare questo con lui. È veramente facile lavorare con Ingmar Bergman, perché lui ha un’idea. In svedese la parola “regista” è REGISSÖR ma non rende bene l’idea, quanto la parola inglese DIRECTOR, “stabilire una direzione”. Questo è esattamente quello che fa Bergman, che è un genio nello spiegare la direzione, dove stiamo andando e il punto di arrivo. Se penso rosso e mi fisso un percorso, lo seguo, non prendo un’altra strada che mi porta ad in colore diverso, no? È molto più facile lavorare con Bergman; certo, lui è sopra e oltre a tutto... 161 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La prima volta che ho lavorato con lui mi ricordo di essere stato molto nervoso per questo motivo; ma è più facile lavorare con i grandi, segui una direzione e sai cosa fare, mentre quando ti capitano dei registi che ti lasciano completamente libero, “fai quello che vuoi”, tu non sai cosa fare e verso dove andare. Quindi è molto più facile lavorare con un uomo forte come Ingmar: è più semplice, più apprezzato, perché ogni cosa che dici lui la prende seriamente e lavora con essa... F. P. Lei segue una linea, ma viene rispettato nel suo lavoro e nelle sue considerazioni. G. W. Sì, e non è vero quello che la gente dice, come che “con Bergman non si può lavorare veramente perché decide tutto lui...”. Si incomincia insieme, si lavora insieme, si segue una direzione INSIEME. Spesso Ingmar dice: “...oh, oh, oh gioca! Gioca come i bambini!”. Lui adora vedermi mentre disegno al tavolo e gli piace guardare questi plastici (li indica). Così, è molto più divertente lavorare in questo modo, molto più facile perché sai cosa fare. Certo, se tu guardi quel plastico (indica dietro alle mie spalle), è il primo di Maria Stuart abbozzato velocemente, al quale si sono susseguiti circa dieci/undici plastici, prima di arrivare a quello definitivo che è completamente differente da quello che stai osservando ora. F. P. Lei ha collaborato con Bergman anche per le sue produzioni cinematografiche e televisive, come Sarabanda. Essendo mezzi di comunicazione diversi, anche l’impostazione del suo lavoro con Ingmar è diversa? G. W. Sì, c’è una grandissima differenza. Quando lavori in Teatro, puoi sederti in platea e osservare la scena come poi lo spettatore farà in seguito e decidere autonomamente la sua impostazione. Ma in televisione o nel cinema ci sono molte cose da fare e si è in tanti: chi guarda le luci, gli spostamenti di macchina, ecc. Tutto si risolve con la tecnica e se fai, per esempio, un primo piano, spesso la scenografia non è necessaria. Per esempio in Sarabanda tutti i singoli set si trovavano nello stesso ambiente. Quando si era in fase di progettazione, la cosa si è realizzata in maniera strana, perché Ingmar si trovava a Fårö, e per me era molto complicato da qui costruire dei prototipi che lui non poteva 162 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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vedere. Quindi ho fatto più disegni, che poi in seguito ho spedito numerati ad Ingmar per discuterli insieme al telefono. F. P. Ma perché non vi ha raggiunto a Stoccolma? G. W. Preferiva rimanere nella sua amata isola, è stato più complicato, ma ce l’abbiamo fatta (guarda tra i suoi fascicoli e tira fuori quello relativo a Sarabanda che incomincia a sfogliare e a mostrarmi). Se tu vedi questi disegni, ce ne sono alcuni... come questo ad esempio, quando Liv Ullman entra nella veranda della casa estiva dove sta riposando Josephson o la chiesa, la biblioteca dove avviene il terribile dialogo tra il padre e il figlio, la cucina. Tutto era un metro per uno, quindi spazi molto ristretti. F. P. Avete girato Sarabanda a Stoccolma? G. W. Sì. Ma non riesco a trovare quello che volevo.... Questo è un prototipo della chiesa... F. P. Il tutto è stato realizzato in un unico e grande studios? G. W. Sì, è stato un po’ complicato, ma sì. La fatica è stata quella di montare e smontare continuamente i diversi set per problemi di spazio, comunque lo spazio era unico. F. P. Questo bozzetto fa riferimento ad una chiesa particolare? G. W. No. Nei dintorni di Stoccolma si trovano tantissime chiese di questo tipo, io ne ho visitate un qualcosa come venticinque, e poi ho creato la mia “chiesa personale”, divertente, no? (Ride). F. P. Poi però Bergman è venuto a girare il film. G. W. Sì, certo. Insieme ai vari bozzetti gli avevo mandato un programma di successione e di possibilità pratica per i movimenti di macchina, anche se da questi disegni non si può vedere. Parte della scenografia è presente nel film, ma è nei movimenti di macchina operati da Bergman che questa ha cominciato a vivere, a seconda dei tagli che ne dava. F. P. Lei ha praticamente collaborato con Bergman nelle sue ultime produzioni a Teatro e in Televisione. Come era Bergman in queste circostanze ? Perché non vuole fare niente altro? G. W. Voglio dire, all’epoca aveva ottantaquattro anni, era molto anziano, oggi ne ha ottantasei. Fino ad ora ha realizzato moltissime cose, per cui bastano. 163 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Che cosa ha imparato da Ingmar Bergman? G. W. Tutto e niente. Per quello che mi riguarda, ho provato a valo-
rizzare il lavoro che i miei collaboratori hanno realizzato, apprezzando in primis le cose buone che hanno fatto e non quelle che non vanno bene, come spesso accade, e cercando di creare un’atmosfera divertente nel lavorare insieme. DIVERTIRSI E VEDERE QUELLO CHE VA BENE. Bergman dice spesso ai suoi attori: “Non cambiare le cose buone, ma quelle cattive che fai”. Capisci? Suona molto facile, ma è una cosa molto complicata. Tu devi essere interessato a vedere le cose buone e non puntualizzare le negative, questo è inutile. È più importante notare che dieci persone vanno bene, piuttosto che vedere altre dieci che vanno male. È veramente molto, molto, molto importante fare così quando lavori nel mondo della cultura, nel Teatro o nel Cinema; non fare il critico, c’è già chi scrive sui giornali! Nel fare arte questo non serve. F. P. Dare fiducia. G. W. Sì, esattamente. È quello che cerco di fare: “questo va bene! Parti da qui” e loro sanno cosa fare. Quando Bergman prova con gli attori non li demoralizza con commenti spregiativi e svalutanti; semmai può dire frasi del tipo “... quando entri in questa stanza, e vedi quell’uomo seduto sulla sedia, dovresti essere molto triste e dispiaciuto...”. E tu vedi negli occhi di questi attori l’espressione che comunica “lo posso fare!”. Sono felici di poter essere in grado di essere tristi per cinque minuti (ride). Bergman riesce a girare delle chiavi psicologiche con cose molto semplici. Gli attori devono essere in grado di fare le cose semplici. Un’altra frase ricorrente di Bergman è “Le cose semplici sono le più difficili”. Fare cose complicate con molte simbologie è molto più facile. Così ogni volta che propongo qualche simbologia, Ingmar mi dice di toglierle perché non vuole comprensioni profonde. Molte persone provano a leggere nei simboli, a rendere le cose più complicate ed egli replica dicendo che le cose sono già abbastanza complesse di loro. Quando legge il copione, si ferma su alcune frasi e chiede: “Cos’è questo? Che cosa c’è in questa battuta?” e non “qui c’è il simbolo della società postindustriale”. Non ragiona in questo modo, pensa in maniera veramente semplice. Forse è per questo che uno si sorprende ed è capace di fare le cose. 164 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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...TRE ANNI DOPO...
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GUNNEL LINDBLOM
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Oggi ho rincontrato la leggendaria grande attrice Gunnel Lindblom. Abbiamo avuto una lunga conversazione nel suo camerino, al primo piano del Dramaten accanto a quello degli altri “Big”. L’ho incontrata a neanche un anno di distanza dalla morte del Maestro. Quello che maggiormente le manca di Bergman è quel forte amore e rispetto per gli autori teatrali e la loro drammaturgia. Oggi troppo spesso molti registi violano un testo teatrale per esprimere il loro ego. Un regista, quale è stato Bergman, è capace di interpretare un autore tramite la sua sensibilità e quella dei suoi attori dando vita a un mondo a volte fantastico, a volte tragico o surreale. Gunnel ha sempre risposto in modo sincero a tutti i miei interrogativi.
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Intervista a Gunnel Lindblom, Dramaten, 21 Maggio 2008, Stoccolma
F. P. Allora Signora Lindblom, noi ci siamo già incontrate tre anni fa
per via della mia tesi di laurea su I. Bergman. G. L. Sì, mi ricordo. F. P. Adesso mi sto occupando di raccogliere altre testimonianze per dare la possibilità al lettore italiano di conoscere meglio Ingmar Bergman. G. L. Ho recitato una volta in Italia a Firenze; lo spettacolo era l’Amleto, ed eravamo in un teatro molto grande e antico. Com’è che si chiama?... F. P. Forse La Pergola? G. L. Sì, esatto. Un teatro enorme, con una scena di 13, 14, 15, 20 metri di larghezza e di profondità. Quella è stata la replica più bella che abbiamo fatto dell’Amleto, perché era incredibilmente entusiasmante recitare in quel teatro. Poi sono ritornata a Firenze con Ingmar, come assistente alla regia per lo spettacolo Spöksonaten di Strindberg. F. P. Negli anni Settanta? G. L. Sì. Poi sono stata un’altra volta in Italia, a Venezia per la precisione, e abbiamo recitato... Come si chiama? (ci pensa un po’). F. P. Come ha trovato il pubblico italiano? Quali emozioni recepiva dalla gente? G. L. Tutti erano incredibilmente entusiasti e .... e .... (ricorda) osannavano Ingmar, i suoi spettacoli! La prima volta che siamo stati in Italia era con lo spettacolo L’anatra selvatica di Ibsen dove facevo sempre assistente alla regia. F. P. C’era Lena Nyman che interpretava la parte di Edvig? 169 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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G. L. Sì, c’era Lena Nyman. F. P. Può raccontarmi alcune delle sue esperienze con I. Bergman,
sia come attrice che come assistente alla regia? G. L. Come assistente alla regia ho lavorato in un secondo tempo. La prima volta che ho incontrato Ingmar è stato nel 1954; faceva la regia di una sua pièce, Tre målning... F. P. Dove? A Malmö? G. L. Sì, Bergman fece Tre målning che poi, per il cinema, divenne Il settimo sigillo. Quindi io partecipai per la prima volta a questa pièce allo Stasdsteater di Malmö, Tre målning per l’appunto... Capisci il significato del titolo? F. P. Sì. G. L. Tre målning, tre grandi quadri, tre tarsie del 1300 (mima tre quadri). Sì, la pièce s’intitolava così e, dopo, il film ha preso il titolo Il settimo sigillo; il film è stato girato nel 1956. Comunque, dal 1954 in poi abbiamo sempre lavorato insieme (sorride malinconica guardando un punto sul soffitto). Quindi, per me è incredibile che lui non ci sia più, perché è stata veramente una parte grandissima della mia nascita, esperienza, intelligenza ed educazione teatrale; sì, voglio dire il mio senso, la mia ragione del teatro e come l’ho vissuto. Noi abbiamo lavorato insieme molto di più in teatro che con i film; di film ne ho girati cinque, sei..., ma in teatro abbiamo realizzato quindici/venti allestimenti insieme (si perde nei ricordi). F. P. A Malmö com’era l’atmosfera? Bergman aveva creato insieme a voi un grande Ensemble, si recitava a teatro, e poi in contemporanea giravate i film durante l’estate. È stata una forte esperienza per tutti... Bergman era libero di fare quello che voleva... G. L. Sì, era veramente così. Malmö è stato il periodo migliore. Poi, quando Ingmar ha lasciato Malmö ed è andato a Stoccolma per diventare Direttore di questo teatro, il Dramaten, era... Lo è stato per due anni ma, ad ogni modo, ha continuato a fare le regie qui per tutto il tempo. Ma a Malmö, non riesco a capire come lui abbia potuto lavorare con questo ritmo spaventoso, ha fatto veramente tantissimo lì: allestiva spettacoli, insegnava, faceva le regie di almeno due spettacoli all’anno, scriveva le sceneggiature dei film e poi il girava un film all’anno. Quin170 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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di dico, se tu pensi a tutto quello che lui riusciva a fare in un anno... (fa un gesto con la mano che alza molto in alto). Era davvero impressionante. È stato un periodo molto ricco, molto riuscito. E sempre, come regista, ha preparato gli spettacoli in modo incredibile. Lui... ha realizzato scenari precisi ed era un tecnico magnifico! La sua impostazione delle luci... era un light-designer, anche se aveva un tecnico luci, posizionava le luci da solo. F. P. Bergman faceva questo da solo? G. L. Sì, non è che si arrampicasse fin sopra il tetto a posizionare personalmente le luci, ma sapeva esattamente dove e come dovevano essere posizionate per ricavare l’effetto desiderato. Sapeva esattamente che tipo di riflettori servivano per ciascuna parte della scena. Quindi sapeva in modo preciso quello che voleva (gesticola imitando). Se c’erano tre fari e voleva illuminare tre precise parti della scena, qui, lì e là, lo realizzava... Ma tu lo capisci, no?! F. P. Sì, capisco bene. G. L. E poi dava direttive precise ai tecnici che collaboravano con lui. “Tu devi fare questo, questo e questo...”. E quindi lui non ha mai utilizzato un light-designer, mestiere importantissimo, un contributo fondamentale per le messinscene, ma Ingmar non lo ha mai voluto usare. F. P. A Malmö avete quindi lavorato molto insieme in tanti spettacoli. Qual è stata la messinscena più significativa per lei e perché? G. L. (Ci riflette) Lo spettacolo più importante per me è stato il Faust di Goethe. Max von Sydow interpretava Faust ed io Margherita. Secondo me questo è stato uno dei suoi migliori allestimenti. Noi recitavamo l’Urfaust, la versione originale, ma c’era anche un’altra versione che dura otto/dieci ore; questo Urfaust durava complessivamente circa due ore e mezzo. In quest’ultima versione non ci sono tutte quelle scene con gli angeli e quel che accade in Paradiso. Un altro spettacolo bellissimo che realizzò a Malmö fu il Peer Gynt . Lo allestì con un’imponente scenografia nella grande sala del teatro che poteva ospitare fino a 1200 persone. F. P. Com’era la scenografia? G. L. Ha usato questo palco enorme ricavandone al suo interno grandi spazi: a volte c’era una cima di montagna, a volte prendeva le fat171 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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tezze di una steppa ghiacciata... La scenografia era davvero molto bella! Peer Gynt era interpretato da Max von Sydow, mentre io interpretavo il ruolo di Solveig. Malmö fu un teatro storico di cui scrissero i giornali: “Se volete vedere del buon teatro, andate a Malmö!”; quindi il grande teatro non si trovava né al Dramaten di Stoccolma, né a Göteborg, ma a Malmö, che visse un’era di grandezza. Io rimasi lì cinque anni, Ingmar sei. F. P. Lei ha lavorato con Bergman sia al cinema che al teatro. Il suo modo di dirigerla in entrambe le situazioni era molto diverso? G. L. C’era una grande differenza quando girava un film, ma credo che comunque mantenesse sempre la sua energia teatrale. Non aveva paura della teatralità, anzi spesso la utilizzava nei suoi film; allo stesso tempo metteva nelle sue opere teatrali i suoi sentimenti filmici, la sua poetica cinematografica. Quindi in lui c’è sempre stata una sinergia assoluta tra le due arti, teatrale e cinematografica. A volte, quando recitavo a teatro, mi sentivo come in un primo piano cinematografico: questo è il close-up. Il suo modo di creare il focus a teatro era fenomenale! Il suo primo piano cinematografico si trovava anche nelle messinscene e questo altro non è che il focus, che è sempre necessario individuare quando si racconta una storia. Qui entra il discorso sull’attore, il principale elemento del racconto: tutta l’attenzione si concentra su di lui. Io interpreto così il suo modo di fare teatro e di girare i film. Ingmar ha lavorato tantissimo con il ritmo: aveva un possente senso del ritmo, della musica. Nel montaggio si occupava personalmente dei tagli. Nel cinema questo fenomenale senso del ritmo si coglieva nel montaggio, nel teatro con la disposizione scenica degli attori e i movimenti. Ingmar diceva: “Bene! Corri rapidamente verso quell’angolo dello scena!”; indicava agli attori i movimenti, che in svedese si chiamano blocking. Lui aveva un’enorme talento in questo, credo che i suoi blocking, lo scenario che lui realizzava, fossero come una coreografia. Ingmar era come un coreografo. (Ride con tenerezza). F. P. Può raccontarmi un poco della sua esperienza con Igmar Bergman come assistente alla regia? G. L. (Quasi assente) Scusa, puoi ripetermi la domanda? 172 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Se può raccontare qualcosa sul suo vissuto, le sue esperienze come aiuto regia. Prima accennava a L’Anatra Selvatica... G. L. Sì, sì... F. P. La sua collaborazione con Bergman è stata completamente diversa, voglio dire, è un’altra prospettiva rispetto alla recitazione, si trovava “dall’altro lato” in un certo senso, e dopo è diventata lei stessa regista... Quindi come fu lavorare con lui dall’altro lato e a così stretto contatto? G. L. Fu... fu... (Guarda un punto imprecisato del soffitto cercando di tornare indietro con i ricordi. Lunga pausa, poi trova le parole). Fu una esperienza enormemente formativa, poiché, dopo essere stata dall’altra parte, compresi molto meglio il mio lavoro come attrice. Quando ero con Ingmar mentre faceva la regia, capivo (si batte il petto e ride felice, divertita) meglio il mio compito di attrice. Come attore puoi diventare molto (si mette le mani davanti agli occhi)... egocentrico! Ma quando io... quando io divenni il suo aiuto regia, compresi quanto fosse di primaria importanza sentire l’interazione con il regista: quello che facevo come attrice dipendeva soprattutto da dove lui mi collocava; era molto importante come e dove puntava il focus nelle scene. Prima, invece, quando recitavo, volevo avere il focus su di me tutto il tempo (sorride), ma non è così, dobbiamo fare le cose insieme, come Ensemble, ed è veramente difficile. Dobbiamo raccontare insieme una storia e non si possono dire cinque cose in contemporanea! Quindi si deve (incomincia a gesticolare come un regista) focalizzare una parte, poi un’altra... e così via. A volte si possono raccontare due cose insieme, come nel Peer Gynt. Ho anche imparato... (riflette nuovamente guardando il soffitto) l’impressionante capacità tecnica che lui aveva. Questo sempre quando gli facevo da assistente. F. P. Lei ha deciso di diventare regista dopo la sua prima esperienza come aiuto regia con Bergman, o era un’esigenza che aveva già prima? G. L. No, io volevo fare già la regista. F. P. E perché? G. L. Credo che fosse perché avevo interpretato molti grandi ruoli 173 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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per tanti anni da non avere più nessuna curiosità su me stessa. Volevo provare qualche altra cosa, quindi chiesi a due registi di questo teatro di poter fare loro da aiuto anche se ero scritturata come attrice. Uno di questi era Mimi Pollack, l’unica regista femminile all’epoca in Svezia, e poi Alf Sjöberg, un grande regista. F. P. Sì, lo conosco! G. L. E lui mi rispose (lo imita): “No Gunnel! No!!!! Tu sei un’attrice, tu devi continuare a fare l’attrice...”, ed era da stimare per quello che diceva, ma non era ciò che volevo fare in quel momento. E poi aggiunse: “Io ho bisogno di un assistente che sappia già fare le cose”. Mi rivolsi dunque a Bergman: “Puoi pensare di avermi come aiutoregista per la tua prossima produzione teatrale?”, e così... (rivive la scena) Ingmar mi guardò fisso negli occhi e mi rispose: “Certo! Perché no?! Io penso che sia una buona idea, fallo” . Erland Josephson all’epoca era il direttore artistico del teatro, quindi cercai il modo per interessarlo a farmi fare regia; in seguito feci tre esperienze in questo senso: Spöksonaten, L’Anatra selvatica per Bergman come assistente e poi Erland mi ha dato il mio primo incarico come regista. F. P. Spöksonaten fu uno spettacolo straordinario! Ho visto una ripresa video un po’ malandata ma che riportava il forte impatto emotivo e visivo della storia. G. L. Sì era bellissimo. Ma hai visto anche il video dell’ultima versione di Spöksonaten? F. P. Sì, e anche quella mi è piaciuta moltissimo! Molto diversa da quella degli anni Settanta se vogliamo fare un paragone. Lei che ne pensa? G. L. Mah, credo che l’ultima produzione non fosse molto bella. Comunque allestimmo quello spettacolo quando lui era già malato. F. P. Quindi non le è piaciuta? Mi riferisco all’ultima produzione dove Lei recitava. G. L. No, credo che l’allestimento scenico non avesse grande qualità, forse perché tutto l’allestimento venne costretto in un piccolo spazio dove l’ambientazione rimaneva sempre la stessa. Io non sono la persona giusta per dare un giudizio su quello spettacolo, forse ero troppo coinvolta quando recitavo per dare un giudizio d’insieme. 174 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Cosa ne pensa di I. Bergman come regista di teatro? Può fare una sua sintesi personale? Voglio dire la sua prospettiva, la sua opera... G. L. Non posso pensare che esista un paese o una cultura in cui gli spettacoli di Ingmar non penetrino profondamente nel pubblico. Lui è veramente... grande... ha realizzato messinscene straordinarie (si asciuga una lacrima). Credo che sia stato veramente un regista straordinario. F. P. Quali sono stati i suoi allestimenti preferiti? Anche quando era spettatrice... G. L. Intendi il teatro? F. P. Sì. Se si parla del teatro di Bergman, quali sono i primi spettacoli che Le vengono in mente? G. L. (Ci pensa) F. P. Quelli che Le sono rimasti nel cuore. G. L. È veramente difficile rispondere. (Ci pensa nuovamente). Sono stati così tanti, e tanti sono stati così belli. F. P. Mi dica anche tre o quattro spettacoli che le sono particolarmente piaciuti. G. L. Sì, credo che il primo Peer Gynt e... (si rimmerge nei ricordi in modo così intenso che sembra rivivere gli spettacoli) e... Spöksonaten e... però Checov non gli riusciva molto bene, era un autore che amava molto ma non si prendevano in un certo senso... Quale era quello... F. P. Forse Il Gabbiano? G. L. Ingmar però era meraviglioso quando faceva Ibsen e Strindberg... F. P. Capisco che Le risulti molto difficile rispondere in questo caso... G. L. Sì. F. P. Ma... G. L. Anche Hamlet era meraviglioso! F. P. Bene. Ora, cosa crede che abbia imparato da Bergman e cosa crede che Bergman abbia imparato da Lei? G. L. (Fissa un punto sul muro e riflette). Beh, sì, ...Io ho... (riflette ulteriormente) Mi ha insegnato a seguire la mia personale intuizione, che era qualcosa che aveva notato a Malmö quando lavorammo insie175 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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me “Quindi, Gunnel! Tu devi imparare a fidarti del tuo intuito” e questo era di un’intelligenza colossale e per me molto incoraggiante. Quello che faceva era venire da te a darti consigli sempre limpidi e saggi... (cerca il termine giusto) delle vere e proprie illuminazioni! Noi non abbiamo mai avuto lunghe discussioni sulla costruzione di un personaggio con riferimenti psicologici del tipo “Qual era l’infanzia di quest’uomo?”, ecc. In genere quando si fa il regista si tende a rappresentare il proprio mondo, la propria visione delle cose, ma Ingmar si fidava totalmente della personale sensibilità degli attori e della loro capacità espressiva: esigeva moltissimo dagli attori. Era veramente... (ripensa) lui esigeva il massimo impegno da tutti e chi lavorava con lui lo percepiva, anche i tecnici, tutti erano come... Avevano un’energia speciale quando lavoravano con lui. Nessuno chiedeva nulla, ma cercava di fare assolutamente del suo meglio. E alla gente piaceva di diventare..., di affrontare i propri compiti come delle sfide. (Sorride) Voglio dire se tu sei un gran lavoratore, vuoi avere qualcuno che, vedendo il tuo lavoro, lo apprezzi, e che ti stimoli ad andare ancora più in là, oltre i tuoi limiti. Qualcuno come Ingmar che ti dica “Tu puoi fare anche quello!” , “Davvero?” rispondeva, “Se tu ci credi, ci credo anch’io” replicava il lavoratore, e così si faceva il massimo e tutto diventava buono, di qualità. Quindi credo che avesse una capacità straordinaria a tirare fuori la fiducia in tutti quelli che collaboravano con lui. (Guarda il soffitto) E poi lui era... Gli piacevano gli attori che avevano idee, che avevano... che non erano spaventati, questo è quello che penso. Lui poteva anche intimidirli, spaventarli, poteva... F. P. Urlare? G. L. Poteva mettere paura, urlare, e così via. E questo era vero all’inizio, a Malmö era proprio così, il suo temperamento (gesticola nervosamente imitandolo) era un fuoco “uahh!”, era irascibile, e quando questo accadeva era importante per gli attori stare ben piantati sulle gambe e non avere paura, perché un attore spaventato è inutilizzabile, non è più creativo. Un attore non può, non deve avere paura. L’attore deve andare oltre la situazione, capire il momento di rabbia del regista, la sua mente che bolle..., quindi io penso come attrice “Stai tranquilla, 176 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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la cosa passa, stai tranquilla, presto tornerà ad essere di nuovo gentile” (sorride con un’enorme dolcezza). Quindi ci si sentiva di... (cerca di trovare la giusta espressione) credo non gli piacesse che un attore mostrasse di essere spaventato. Questo è il mio parere (sorride divertita e sorniona). F. P. E cosa ha imparato Bergman da Lei? G. L. Cosa? (E si asciuga una lacrima, era persa completamente nel ricordo) F. P. Che cosa crede che Bergman abbia imparato da Lei? G. L. È difficile da dire. F. P. In base a quello che mi ha appena raccontato, come crede che sia cambiato Bergman? Dopo tanti anni di lavoro insieme, il suo temperamento estremo è maturato... G. L. Sì, lui è diventato meno aggressivo con gli anni. Quando invecchi diventi più tranquillo, e lui diventò più tranquillo, ma... quando era più giovane... (fa mente locale), a quaranta o forse trent’anni, quando abbiamo incominciato a lavorare insieme qui al Dramaten , aveva imparato che non si raggiungono i traguardi urlando. Credo che fosse stanco di questo. Che cosa ha imparato lui dagli attori? Credo che abbia imparato veramente molto. Mmmmmm... F. P. E da Lei? G. L. Da me? F. P. Avendo lavorato molto insieme sotto più punti di vista, immagino che avrà preso tante cose da Lei... G. L. (Gunnel pensa, è molto assorta) F. P. Lei ha dato tutta se stessa... (Gunnel continua a riflettere). Parlavate... G. L. Io posso solo dire (si asciuga un’altra lacrima) che poteva ascoltare come nessun altro, era un ascoltatore fenomenale. Quindi ascoltava sempre quello che si diceva, ascoltava sempre quello che uno cercava e questa abilità l’ha sviluppata sempre di più con gli anni. Piuttosto che dire “adesso quell’attore si sta comportando male”, lui si chiedeva: “Ma perché quell’attore fa così?” e quindi... cercava di andare oltre l’apparenza: vedeva quello che l’attore cercava di voler esprimere veramente. Diceva: “Se tu metti da parte quello che stai fa177 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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cendo e invece provi a fare quello che dico io, forse troverai quello che stai cercando!” O poteva anche dire... “Dopo questa battuta, se fai una pausa, aspetta quei cinque secondi prima di rispondere e poi vai”. E quindi è ovvio, diventava subito e ragionevolmente chiaro quello che voleva dire, è quello che penso io (si batte il petto con l’indice della mano destra). Io capivo immediatamente cosa voleva quando diceva “metti una pausa tra queste due frasi”, o quando poteva dire “Girati, dagli semplicemente le spalle e poi quando ti rigirerai nuovamente, dì la tua battuta”. E questo che ti diceva valeva molto di più di una lunga analisi psicologica sul personaggio. Capisci? F. P. Sì. G. L. Il suo metodo e il suo modo insegnavano qualcosa di diverso rispetto ad altri registi che ritengo invece siano soliti “tenere una conferenza” sul personaggio, la personalità e questo e questo ecc. “Perché qui non puoi ridere, devi piangere!” per esempio. (Si mette le mani tra i capelli e se li tira su). Io credo che lui avesse veramente un’alta... un’alta opinione sugli attori, e non sono tutti così i registi, molto spesso non lo fanno. (Sorride) Ma lui... (riflette con molta profondità) creò una doppia fiducia. F. P. Da quello che dice, il modo di Bergman di lavorare con gli attori, la sua prospettiva ha rivoluzionato il modo di fare e vivere il teatro? Tanto quanto hanno fatto a modo loro altri famosissimi registi, quali Strehler, P. Brook, P. Stein... G. L. Sì, appartiene a quel gruppo. Esattamente P. Brook, P. Stein, Strehler... e così via. F. P. Che cosa le manca di Bergman oggi? Se posso chiederlo, se vuole rispondere... G. L. (Ci riflette un momento e poi risponde decisa) Sì, so che cosa mi manca, mi manca il suo enorme e forte amore per gli scrittori sui quali ha lavorato. Per esempio Ibsen o Strindberg o Schiller o... F. P. Molière. G. L. Goethe o Molière... Lui (alza un braccio verso l’alto e incomincia a ritmare in modo vigoroso quello che dice), lui realizzava la pièce per amore della pièce e per amore di quello scrittore e non per178 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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ché amava se stesso e non perché voleva mostrare la sua propria... Mmmmm... “sensazionale invenzione”, non è mai stato per mostrare come le sue invenzioni erano fantastiche, per avere il proprio vantaggio, mai!!!! (Si agita con orgoglio). F. P. Capisco. Un po’ quello che invece succede oggi quando si va a teatro dove spesso il testo viene strumentalizzato per esprimere se stessi. G. L. Esatto! Proprio come oggi! F. P. Può parlare un poco sul modo di fare teatro in Svezia oggi? È abbastanza diverso... Perché? G. L. Sì... (congiunge le mani) F. P. Oggi non si rispettano più tanto gli autori... G. L. No, i registi oggi vogliono solo fare mostra di sé. Ma con Bergman non era mai così. Lui voleva che la gente capisse, vedesse, sentisse realmente i personaggi della storia che stava per raccontare (s’infervora). Non ha mai voluto dire “Ma guarda come sono bravo io!” o “Guarda che bella cosa ho inventato io su questo testo!”. E questo è quello che mi manca veramente di Ingmar, il suo rispetto per gli autori; oggi tutti rimangono molto alla superficie del testo. Veramente tantissimi registi fanno così oggi, vogliono ottenere, ottenere qualcosa per forza, si perdono nelle loro invenzioni, nei loro fuochi d’artificio nelle loro imprese rocambolesche... (è amareggiata). F. P. Quindi che cosa manca al teatro oggi? G. L. Io credo che si debbano... si debbano amare gli autori, i drammaturghi, il teatro, le espressioni teatrali, e... Ci sono molti che sopravvalutano il naturalismo nel teatro, negano la teatralità e pensano che il teatro debba assomigliare alla vita (ci riflette in modo un po’ accigliato guardando il pavimento). A me piacciono di più quei registi che hanno il coraggio di non rinnegare la teatralità nella sua forma più vera e che dicono: “Il teatro che facciamo noi è teatro e non è un film, non è televisione”... F. P. Può darmi un ricordo su Bergman, il primo che le viene in mente? G. L. Mmmmm (sorride, il suo sorriso si fa più intenso e solare, i suoi sentimenti si fanno visibilmente più intensi, da quel silenzio pro179 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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lungato traspare tutto il suo amore e il forte legame che ha avuto con Bergman, poi sospira lungamente) Eh! F. P. Non si sente? G. L. No. È assolutamente impossibile. Ce ne sono troppi di ricordi, non saprei quale scegliere. F. P. Il primo che le viene in mente. G. L. Che dici? F. P. Il primo che le viene in mente, non deve sceglierlo. G. L. (Sorride ed è completamente persa nei ricordi). Uno dei momenti più forti è stato quando abbiamo fatto Spöksonaten nel 2000. Mi ricordo che ci riunì tutti il giorno della generale, infatti Ingmar non veniva mai alla prima. Così quello era il suo ultimo giorno con noi e in quella occasione ci diede l’addio dicendo: “Questa è l’ultima pièce che faccio. Io non posso pensare di trascorrere la mia ultima giornata qui al teatro Dramaten in modo migliore se non stando con voi. Stando con voi, con Strindberg e con questi personaggi e in questo bellissimo spazio che è il Målarsalen”. La Målarsalen la conosci? È una piccola sala che ospitava a malapena 200 persone. È stato un congedo bellissimo, anche se in realtà non fu così, poiché l’ultimo spettacolo che fece per il teatro fu Spettri di Ibsen. Mentre Fanny e Alexander fu il suo ultimo film (inizia a commuoversi, intervengo). F. P. Quale sarà la sua prossima regia? G. L. Non saprei. So soltanto che reciterò in Zio Vanya come attrice. Edipo... F. P. Non c’è nessun testo di cui sente l’urgenza di rappresentare? Un po’ come Bergman... G. L. Fammi pensare... Sì, in effetti c’è una pièce che voglio assolutamente fare ed è di Ibsen, s’intitola I pilastri della società. È da tantissimo tempo che non è stata messa in scena, veramente tantissimo. Io la voglio fare. F. P. Allora in bocca al lupo e grazie di tutto. G. L. (Fa un sorriso bellissimo).
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HARRIET ANDERSSON
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Harriet Andersson è entrata nella scuola teatrale di Calle Flygare all’età di quindici anni; successivamente ha lavorato presso l’Oskarteater con matinee per bambini Annie get your gun, Oskarsteater, 1949; Snow White, Oscarsteater, 1949. In seguito ha iniziato un’intensa collaborazione con I. Bergman al cinema e in teatro. Questi sono gli allestimenti teatrali e cinematografici con I. Bergman: ELSIE, UNA DELLA BANDA, While the city sleeps (film), 1950
Divorced (film), 1951 Sawdust and Tinsel (film), 1953 L’Estate con Monica (film), 1953 Sei Personaggi in cerca d’autore di L. Pirandello, Stadsteater di Malmö, 1953 AMALIA, The Castle di F. Kafka, Stadsteater di Malmö, 1953 LA LATTAIA, La Sonata degli spettri di A. Strindberg, 1954 Una lezione d’amore (film), 1954 ANNA, The apple - Tree table, 1954 CHARLOTTE, Don Giovanni, 1955 Dreams (film), 1955 RACHELE, Lea e Rachele, 1955 Sorrisi di una notte d’estate (film), 1955 Last Couple out (film), 1956 Come in uno specchio (film), 1961 A proposito di tutte queste signore (film), 1964 ANNA, Show, 1971 LA SIGNORA SÖRBY, L’Anatra selvatica di Ibsen, 1972 LA DONNA VESTITA DI NERO, La Sonata degli spettri di A. Strindberg, 1973 Sussurri e Grida (film), 1973 JUSTINA Fanny e Alexander (film), 1982 The Blessed ones (film), 1986
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Harriet Adersson abita al quinto piano di un palazzo di una zona residenziale di Stoccolma. Il suo appartamento è luminoso, come lei stessa del resto, che mi ha accolto con grande apertura, disponibilità e curiosità. Abbiamo parlato del teatro che lei ha fatto, anche se principalmente è un’attrice di cinema. Per Harriet, il teatro deve soprattutto divertire, non nel senso superficiale del vaudeville, bensì nella capacità di catturare e travolgere lo spettatore come su una giostra del Luna Park. Il suo rapporto con Bergman è stato aperto, curioso, divertente. Mi ha raccontato di alcuni momenti intimi quando, nel 1953, era la sua compagna: la prima volta che l’ha incontrato ad un’audizione, il suo modo di lavorare con lei e gli altri attori... Durante la nostra intervista ho avuto un piccolo “incidente di percorso” con la videocamera ed è stato molto divertente trovarci insieme in un istante nella sua cucina cercando di aprire una nuova videocassetta incastrata nella sua custodia. Quando finalmente siamo riuscite nel nostro intento, cioè ad aprire la videocassetta, Harriet ha detto: “Questo è Ingmar che ci ha diretto e visionato da lassù” ed è partita una nostra sonora, viva risata. Anche se Ingmar Bergman è morto, sembra che sia ancora tra i suoi attori, in quanto la sua presenza è ancora molto forte.
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Intervista a Harriet Andersson, 19 Maggio 2008, Stoccolma,
Roslagsgatan
F. P. Innanzitutto mi scuso per il mio svedese mal pronunciato e impreciso. H. A. Ma tu parli un buono svedese da quello che sento. Dove l’hai imparato? F. P. Qui a Stoccolma quando sono venuta a fare le mie ricerche un paio di anni fa. La prima cosa che ho fatto è stata quella di andare a vedere molti spettacoli a teatro. La vostra lingua è meravigliosa e si presta molto alla recitazione. Credo che voi attori svedesi siate tra i più bravi in Europa. Adoro il vostro teatro. H. A. Sarà, anche se io non vado quasi mai a teatro ultimamente. Gli spettacoli sono lunghissimi, durano quasi sempre tre o quattro ore. Sono lunghi. Mi si stanca la schiena e poi penso che sia noioso. F. P. La capisco. Noi abbiamo lo stesso problema in Italia, perché a volte anche in Italia le performance sono abbastanza lunghe. H. A. ohi, ohi, uff! F. P. Ad ogni modo, ho qualche domanda da farle sul teatro. H. A. Va bene. F. P. Per prima cosa, mi può raccontare della sua esperienza lavorativa con I. Bergman come regista teatrale? H. A. L’ho incontrato nel 1952 e abbiamo girato insieme il film Un’estate con Monica; poi nel 1953 abbiamo fatto Nycklars afton e nello stesso anno Ingmar divenne direttore artistico del teatro Stadsteatern di Malmö e quindi mi portò là con lui. Lì sarei approdata nel teatro vero, perché prima lavoravo nella Rivista, che non era considerata una vera forma artistica. 184 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Così andai a Malmö con Ingmar: per me fu abbastanza difficile, perché tutti gli attori credevano che lui mi avrebbe dato grandi ruoli, cosa assurda da pensare. La prima produzione a cui ho partecipato era Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello, dove avevo un piccolo ruolo, sei battute in tutto. Così quella è stata la mia prima apparizione, come posso dire, rappresentazione allo Stadsteater di Malmö. Poi ho recitato nell’allestimento Il Castello di Kafka, dove avevo anche qui un ruolo piccolissimo. Ho partecipato anche alla messinscena di Lea e Rachele di Moberg, un testo poco conosciuto. Ho interpretato il ruolo di Rachele, un personaggio di maggior rilievo. E poi ho collaborato al suo Don Juan con un piccolo ruolo. Ho fatto anche un grande personaggio allo Stadsteater, ma non con una regia di Ingmar, bensì con quella di Lars Levi-Laestadius, precisamente L’anatra selvatica, dove io interpretavo Hedvig. Fu abbastanza affascinante. Comunque tutto dipendeva anche dal fatto che all’epoca io stavo insieme ad Ingmar. Questi erano i ruoli erano che mi erano stati assegnati; non so se lui non voleva darmi ruoli più importanti per paura che gli altri attori mi ritenessero una privilegiata, per non dire raccomandata, o forse perché non mi riteneva così dotata per il teatro. Non saprei... Non gliel’ho mai chiesto. Chissà perché... Comunque, questo è quello che ho fatto a Malmö. Poi è passato tanto tempo... Sono venuta a Stoccolma dove ho recitato Il diario di Anna Frank all’Intima Teater, ma non era una produzione di Ingmar. È passato del tempo prima che tornassimo a lavorare nuovamente insieme. Ingmar mi ha ingaggiato al Dramaten, era il 1968 o 1969, e anche lì ho recitato piccoli ruoli, come nella sua Anatra selvatica dove interpretavo la signora Sorby; con questa produzione siamo andati in giro per tutta Europa. Questo è stato il primo spettacolo ad aver avuto una tournée internazionale. F. P. Per Lei il periodo di Malmö ha significato molto? È stata un’esperienza forte? Delle tre pièce che ha interpretato, Pirandello, Kafka e Moberg, quale Le è rimasta più impressa nella memoria e perché? H. A. Ma sai, io ero, in un certo senso, così nuova a questo tipo di teatro. C’è una grande differenza tra il recitare il teatro drammatico e il recitare la Rivista, quindi... (rimane assorta un momento)... per me fu 185 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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dura recitare a Malmö il primo anno poiché tutti erano molto sospettosi nei miei confronti per il fatto che io vivevo insieme ad Ingmar. Sai, molti non stabilivano grandi contatti con me. Forse pensavano che avrei raccontato tutte le loro cose a Ingmar quando eravamo a casa. Non lo so... (Sorride). Il secondo anno, però, andò meglio, perché avevano capito che non ero un tipo di donna pettegola. Ad ogni modo, la mia era una posizione difficile e poi ero così giovane: avevo ventuno anni e, da un certo punto di vista ero abbastanza ingenua, da un altro molto scaltra e allo stesso tempo mi sentivo inquieta e isolata in quell’ambiente. E poi non mi trovavo bene a Malmö. F. P. Ma quello era un periodo splendido, no? Giravate film l’estate, recitavate a teatro l’inverno... H. A. Questo sicuramente, ma la città di Malmö... non era altrettanto divertente. Veramente una città piatta e poi soffiava sempre, sempre, il vento e c’era la pioggia! Quindi fu tremendo, veramente, voglio dire, vivere lì per alcuni anni... (si mette a ridere). F. P. Posso capire, farmene un’idea. H. A. Poi arrivò l’esperienza al Dramaten, come accennavo prima e ci fu un allestimento di Strindberg con la regia di Ingmar che mi piacque molto... (Ricorda) c’era un personaggio muto molto interessante, il testo s’intitolava La più forte. Mi andava sempre così, mi davano sempre questi piccoli ruoli! Non era bello per me, anche se facevo anche altre cose al Dramaten... Non ho mai amato molto fare teatro, credo che con il passare degli anni... Quando ero lì, chiesi un congedo per sei mesi, senza paga, per avere la possibilità di fare televisione e cinema, cosa impossibile da fare al Dramaten quando si era scritturati al teatro: prove la mattina, recite la sera, fare altro era veramente impossibile. Così, ho fatto questo “compromesso” abbastanza spesso (ride). No, a me non è mai piaciuto veramente il teatro. Capisci? C’è qualcosa... mi rende... io divento nervosa... Quando avevo lo spettacolo di sera, già la mattina incominciavo ad agitarmi, il pomeriggio cercavo di dormire un po’ e poi andavo al teatro. Tutta la giornata si consumava nell’attesa della replica serale, dovevo ripassare la parte, infatti ero talmente 186 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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preoccupata di avere un vuoto di memoria durante lo spettacolo... Non mi hai mai procurato tanta gioia recitare a teatro. F. P. Ok. H. A. C’è invece per me una grande differenza tra il teatro e il cinema e la televisione. Quando faccio un film, quando sono un set, mi sento incredibilmente a casa, sarà anche perché, se tutto dovesse andare male mentre si gira una scena, hai sempre la possibilità di rifarla. Questo è possibile anche nella televisione. Prima non si poteva fare questo in televisione, perché c’era questo grande apparato in cui noi recitavamo; quando iniziavamo a girare dovevamo andare fino in fondo, e poi se qualcosa non andava, bisognava riprendere tutto dall’inizio; non si potevano spezzare le scene. C’era una cosa che era allarmante nella televisione; se si doveva entrare alla fine del primo atto per dire una battuta e poi si sbagliava, si rovinava tutto il lavoro e bisognava ricominciare tutto daccapo per questo piccolo errore. (Ride) Capisci? F. P. Eh, sì. H. A. Ah, ah! Ma comunque era divertente lavorare in televisone e al cinema. F. P. Lei ha lavorato molto con Bergman nei film, ma quando avete lavorato insieme a teatro, qual è stato il suo modo di lavorare con Lei? Era diverso rispetto a quando La dirigeva su un set? H. A. Quando si è a teatro c’è più tempo per lavorare, quindi durante le prove escono fuori cose differenti che si ha la possibilità di elaborare: ciò non accade quasi mai nei film. Girare un film costa molti soldi e quindi non si può sprecare il tempo, non se ne hanno mai in eccesso. No, lui era... oddio la memoria vacilla (sorride). Siccome io non avevo mai interpretato grandi ruoli lavorando con lui, comunque so che Ingmar stava sempre con gli attori protagonisti; loro avevano più familiarità con il regista; chi, invece, ricopriva i ruoli minori o secondari, poteva sentirsi un poco estraneo o tagliato fuori per certi versi... Quindi a volte questo mi faceva soffrire. Ovviamente parlo per me stessa, per altri sarà stato diverso. F. P. Ad ogni modo cosa ne pensa di I. Bergman come regista teatrale? H. A. Ha fatto degli allestimenti fantastici, almeno quelli che ho visto. Ed erano veramente significativi. Non scorderò mai quando a 187 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Malmö fece La vedova allegra. Quella fu veramente, nel modo più assoluto, una fantastica messinscena: era esuberante, vivace, tanto che molti pensavano che fosse strano che I. Bergman potesse mettere in scena un’operetta. E gli altri: “Ma perché no?! Alla fine lui ama anche la musica!”. Era uno spettacolo magnifico, andava dritto al pubblico. Fu un grande successo e la gente faceva la fila al botteghino per vederlo! Anche perché il pubblico di Malmö ama molto il genere dell’operetta. Non so per quanto tempo andò in scena, ma fu fantastica. F. P. In che modo Bergman utilizzava la musica nei suoi spettacoli teatrali? H. A. Non credo che abbia usato molta musica negli allestimenti teatrali, almeno non che io mi ricordi. Ma che cattiva memoria ho! (Ride). Nei film però ne ha usata veramente molta. Lui ha anche lavorato all’Opera da giovane come assistente. Quindi la musica divenne la sua più grande gioia, anche quando si trasferì a Fårö e poi anche durante la vecchiaia, soprattutto negli ultimi anni, quando non lavorava più tanto. Guardava molti film nel suo cinema privato e ascoltava tantissima musica. E ha parlato del suo amore per essa nelle sue autobiografie... (Fissa un punto nel vuoto). F. P. Quali sono gli spettacoli che Le sono rimasti più impressi, che l’hanno colpita di più, sia come attrice che come spettatrice? H. A. Ohi, ohi, ohi ! Questa è una domanda difficile alla quale rispondere. È come quando qualcuno mi chiede di scegliere tra i film o i ruoli che ho preferito maggiormente. Io non posso dirlo poiché sono tutti diversi. Comunque... Ingmar fece Spöksonaten al Dramaten che fu un allestimento incredibile con attori fantastici; poi... F. P. Ma si riferisce all’ultima edizione? Quella con Erland Josephson e Gunnel Lindblom? H. A. Sì. F. P. Anche io l’ho vista. Fantastica! H. A. C’era anche Jan Malmsjö... Tutti erano bravissimi! Ma, ma... No, non posso proprio dire quale è stato lo spettacolo più impressionante, non posso... E poi non ho visto tutti i suoi allestimenti. Io vado veramente pochissimo a teatro. E quando ci vado voglio ridere, divertirmi, sentirmi felice, e non appoggiarmi su un bracciolo per poi ad188 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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dormentarmi e magari cadere dalla poltrona per la noia e la pesantezza. Voglio altro dal teatro... F. P. Ma a volte può accadere questo. Anche Bergman ha fatto degli allestimenti pieni di vita e divertenti. H. A. Ah sì! Ingmar ha veramente tanto humor a teatro ma un humor molto particolare, anche un po’ assurdo per certi versi. F. P. Questo a teatro, ma nei film? H. A. Sì a teatro, nelle sue messinscene. Per esempio Strindberg... Ha realizzato degli spettacoli di Strindberg strani e belli. Ha interpretato questo autore con humor e con un approccio diverso, offrendoci una visone più ampia sulla drammaturgia strindberghiana e il suo autore stesso che non è stato soltanto un uomo terribile e misogino, assolutamente! Anche Strindberg aveva il suo humor. O forse lo aveva ma non voleva farlo vedere e lo teneva per sé dentro la sua stanza (ridiamo tutte e due). F. P. Anche se non ha fatto tanto teatro, vorrei porLe qualche domanda al riguardo. Che cosa significa per Lei essere un’attrice? Si sente decisamente un’attrice cinematografica, da quello che mi è parso di capire finora. Oppure dà un valore assoluto a questo mestiere, senza distinzioni? H. A. Sì, credo questo, anche se quando ho incominciato a recitare è stato con la Rivista; avevo tanta energia, non avevo ansia o angoscia... Forse ero troppo giovane per capire... però amavo fare la Rivista, lo ritenevo pazzamente divertente. Poi forse ho creduto di essermi fatta una idea sbagliata poiché la gente del mondo teatrale riteneva che la Rivista non fosse vero teatro; dopo ho incontrato Ingmar e insieme siamo andati allo Stadsteater di Malmö... Così credo che tutto questo mi abbia procurato un blocco mentale e dentro di me pensavo: “Oh! Adesso devo recitare il vero teatro, quello serio!”. E siccome non mi ritenevo preparata ad affrontare questo tipo di “teatro serio”, penso di essermi sentita un po’ scissa, lì la mia vera gioia di recitare sparì. F. P. Davvero?! H. A. Sì, sì. Questa è la vera, vera ragione. Però ci sono stati alcuni allestimenti in cui non mi sentivo così. Poi sono diventata più “varmare i kladerna”, ci ho preso la mano, sono diventata molto più esperta, e 189 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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quindi a quel punto potevo ugualmente provare allegria e sentire gioia. Ma.... c’era qualcosa, non so bene cosa che... (perplessa). F. P. Credo di capire. H. A. Hai capito quello che voglio dire? F. P. Sì. H. A. C’era qualche cosa che si era spezzato. F. P. Cosa ne pensa quindi del teatro di oggi? In parte aveva accennato qualcosa all’inizio, sul fatto che era pesante... H. A. Sì, molti spettacoli sono così, anche se allo Stadsteater avevo visto Arsenico e vecchi merletti, molto bello. Questa si che è una commedia con attori meravigliosi e quindi mi sono divertita, ho riso. F. P. E al Dramaten non va mai? H. A. No, non vado. È anche duro andare lì. F. P. Perché? H. A. Non lo so F. P. Ok, forse non si sente dell’umore giusto... H. A. Quando sono uscita da lì, sono andata in pensione e da allora ho deciso di fare solo cose divertenti. E le ho fatte. Ma non sento nulla quando mi capita di passare davanti al Dramaten, nessuna sofferenza o nostalgia, oppure non sento che forse dovrei andare a salutare tutti. E comunque non ci sono più gli attori con cui un tempo lavoravo. È passato tanto tempo! Sono anche passati quindici anni da quando ho terminato la mia collaborazione con il Dramaten e poi si viene facilmente dimenticati. Almeno questo è il mio caso. E poi vengono nuovi attori e nessuno ti ricorda più e questa sensazione non la voglio provare. È per questo che non entro al Dramaten. (Ride). F. P. Per Lei che differenza c’è tra il teatro di Bergman, Sjöberg e Molander e quello di oggi? H. A. Certo che c’è una grande differenza, lo credo! Sono anche arrivati registi più giovani e anche gli attori sono diversi. Una cosa c’è da dire: molti giovani attori hanno una brutta pronuncia, parlano male sul palco; prima gli attori avevano una pronuncia esagerata, iperscandita e trombona (si mette a fare l’imitazione)... Ma ora è tutto sbiascicato, nessuno articola più nel modo giusto. Un attore deve saper usare la voce, appoggiarla e saperla portare al pubblico. È il suo dovere. Poiché quando 190 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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noi andiamo a teatro lo facciamo sì per vedere, ma anche per sentire, per SENTIRE! Vedere e ascoltare una pièce. Quindi l’attore ha il dovere di articolare bene per rendere comprensibile quello che sta dicendo. F. P. Il signor Erland Josephson mi ha detto che Strindberg ha dato un’identità alla lingua svedese, soprattutto grazie alla drammaturgia. E quindi la sua lingua è molto importante per un attore. È necessario che ci si alleni con essa. È vero anche per Lei? H. A. Sì, sì. F. P. Forse oggi gli attori non studiano più la lingua di Strindberg, non seguono la tradizione? H. A. Il fatto è che ci sono troppi attori giovani che vengono dalle accademie di tutto il paese. Sono troppi e non si riesce a scritturarli tutti; quindi molti si perdono. Quando io ero al Dramaten, si potevano ingaggiare più attori giovani che potevano avere un piccolissimo ruolo e così imparare dagli attori più grandi guardandoli e ascoltandoli. Oggi questo non esiste più. Oggi gli attori interrompono troppo presto la loro formazione professionale. Non so come possano recitare oggi, non saprei, veramente, ma credo che la pena più grande per la maggioranza di loro è la difficoltà di trovare lavoro. F. P. Noi abbiamo lo stesso problema. H. A. Certo, questo è lo stesso problema per tutti, sicuro! F. P. Che cosa ha imparato da I. Bergman e cosa crede che Bergman abbia imparato da lei? H. A. Che cosa ho imparato da Ingmar? F. P. Sì e anche cosa Ingmar ha imparato da Lei. H. A. (Pensa un momento con gli occhi rivolti al cielo, sorride come una bambina) Io... meravigliosa domanda! Beh, mi ha insegnato soprattutto l’importanza della puntualità. Ma questo in parte lo facevo anche prima, quando ero piccola, infatti, io non sono mai arrivata in ritardo. Non lo facevo comunque. Ma... (si cambia di posizione sulla poltrona e guarda fuori la finestra, sorridendo ripete tra sé ) Che cosa io ho imparato da Ingmar? (ride divertita) Sicuramente mi ha insegnato tantissimo attraverso i film per tutte le sue fantastiche capacità, anche tecniche. E poi come regista teatrale aveva una fantastica concezione dello spazio, delle luci, ecc. 191 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Può parlare della sua esperienza con Ingmar al cinema se vuo-
le...
H. A. Sì, Ingmar come regista cinematografico era fantastico, sotto tanti punti di vista, ma quello che lo rendeva veramente straordinario era la sua capacità di dirigere tutti gli attori in modo diverso, in modo molto personale; era veramente intimo con ciascuno, quindi era unico in questo senso. Ci sono molti registi che ti trascinano, ti usano come una bambola, una marionetta... ma questo non era Ingmar, capisci? F. P. Sì. H. A. Straordinario era... Non parlava così tanto con noi, adesso che ci penso. Quando parlavamo... (cerca le parole) Io credo che i ruoli che ho interpretato e le sue sceneggiature fossero fantastici, si trovava già tutto lì! Non c’era bisogno di parlare così tanto. Ora si parla anche troppo, si uccide tutto con le parole; adesso i registi vogliono che tu scavi, scavi... e devi rifare e rifare..., prendere qualcosa qui, togliere qualcosa là, cercare... Alla fine tu ti senti completamente spolpato come un cocomero appena divorato. Quindi non rimane più nulla, solo la buccia. Si toglie la magia, il mistero... F. P. (Rido) H. A. Ma capisci? Per me è tremendamente difficile lavorare così, io voglio caricarmi, prendere l’energia e investirla nelle cose, ma poi ci sono quei registi che vogliono che io rifaccia la stessa cosa dieci volte, io muoio, tutta la mia energia creativa sparisce, sprofonda da qualche parte. Credo che sia così per la maggior parte degli attori. Perché io non ho la forza di rifare tutto e il risultato comunque non migliora ripetendo così tanto le cose. (Gesticola sempre più animatamente). E poi succede spesso che dopo che ti hanno costretto a rifare una scena tante volte, il regista dice allo scripta che sono i primi ciak ad essere i migliori. E quand’è così ti viene voglia di sparargli. (E, ridendo, fa un gesto come per sparargli). F. P. (Rido) H. A. Credo che siano sadici, sentono che hanno “il potere” (e li imita con gesti e voce) “ Io sono il regista, sono io che decido!” e giù sferzate, frustate, frustate (fa finta di frustare qualcuno). Ingmar poteva essere duro, ma non così. Non rovinava mai l’atmosfera agli attori, al192 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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meno non con me. Lui capiva gli attori veramente, anche intellettualmente; mi ha sempre capita... Con Ingmar ho realizzato delle cose veramente belle, anche con altri registi, non voglio sembrare di parte, ma ci sono alcuni ruoli che sono stati unici... F. P. Per esempio? H. A. Ah... sono così tanti... Gyclarnas afton era molto bello, poi mi era piaciuto tanto Una lezione d’amore dove io interpretavo la ragazzina, la figlia. O... beh, poi c’è stato Sommarsnatten leende, l’ho amato veramente molto; io ero così divertente e dolce. Eppoi è straordinario come un film diventasse meravigliosamente di qualità. Ingmar si sentiva male per questa ripresa cinematografica. (Lo imita) Era arrabbiatissimo come una vespa, era così stizzito, furente. Eppoi nel film noi attori siamo tutti così allegri... E quindi questo è il contrasto in un certo senso... F. P. E cosa crede che Bergman abbia imparato da Lei? H. A. Cosa ha imparato Bergman da me? Mmmmm... A questo punto la cassetta finisce, cerco di metterne un’altra ma è impossibile togliere la custodia. Io e Harriet andiamo in cucina e cerchiamo di aprirla in vari modi. Solo con un coltello da cucina finalmente riusciamo ad aprirla. Continuiamo l’intervista. L’intera operazione ci prende dieci minuti. H. A. (Ride) Funziona? Questo è Ingmar che fa la regia dall’alto. F. P. Stavamo parlando di Bergman. Quale è il primo ricordo che Le
viene in mente ? H. A. Il primo... il primo ricordo che ho di lui è quando doveva girare Prigione; venne al Teater Privata Skola per incontrare delle giovani ragazze cui affidare il ruolo principale: Birgitta Carolina. Io salgo sul palco e intanto Ingmar era seduto su una sedia con i piedi su un mobile, il basco in testa che gli copriva gli occhi e diceva (lo imita): “Ah, Ah! Mmmm... Nästa! La prossima”. Io avevo sentito dire dagli altri che Ingmar era terribile e che lanciava le cose addosso agli attori ecc. All’epoca avevo sedici anni. Lui non sapeva chi io fossi, c’erano tante ragazze. Ma questo è stato il mio primo ricordo. Nel 1952, poi, sono an193
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data con Lars Ekborg alla Filmstaden per fare il provino per il film Un’estate con Monica. Eravamo abbastanza impauriti, ma... mi ricordo che mi fece un provino lunghissimo, di 7/8 minuti. Poi... è andata come è andata! F. P. Quale dei film che ha fatto con Bergman Le è rimasto maggiormente nel cuore e perché? H. A. Sussurri e Grida. Perché Agnes, che io interpretavo, era così malata... Agnes muore della stessa malattia per cui morì mio padre. L’avevo visto quando era veramente malato, era spaventato, soffriva tantissimo. Aveva il cancro allo stomaco. L’avevano anche operato come meglio potevano. Era il 1950. Quindi questo ricordo emotivo mi è ritornato mentre giravo il film. Ed è quello che provavo quando Agnes era distesa sul letto e urlava. Quello è stato l’unico film che ho ancora difficoltà a rivedere, perché mi sentivo veramente male dentro. Nessun altro film mi ha preso così visceralmente, solo questo. Per me è stato il più strano. F. P. Ritornando al teatro, crede che Bergman abbia rivoluzionato anche il teatro a livello mondiale come ha fatto con il cinema? Il suo punto di vista. H. A. Beh, certo ha capovolto le cose qualche volta. Innegabile. Però quanto ha inciso... Alcuni dei suoi spettacoli sono stati in giro per il mondo, a New York ad esempio, e naturalmente hanno suscitato qualche scalpore, ma non posso specificare in che modo abbiano inciso perché è passato tanto tempo da quando lavoravo con lui in teatro. Si può capire però, leggendo certe interviste che ha rilasciato all’estero, che ha avuto un grande successo di pubblico. Quindi è ovvio che è stato un grande regista a teatro! F. P. Secondo Lei, il teatro di Bergman è un teatro di regia, di attori o entrambe le cose? H. A. Io credo che sia entrambe le cose, perché lui si circondava di attori verso i quali era molto premuroso; per lui era importante che gli attori si trovassero a proprio agio, poi naturalmente era molto esigente sui risultati... Quindi ci doveva essere serenità, l’atmosfera doveva essere delle più tranquille per permetterci di lavorare. A nessuno era concesso di alterarsi, solo lui aveva il diritto di gridare (scoppia in una ri194 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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sata fragorosa). E poi sai, quando qualche anno fa Ingmar si è trasferito a Fårö e quando gli chiedevo che cosa gli mancasse, il Dramaten o quant’altro ad esempio, lui rispondeva che gli mancava solo di lavorare con i suoi attori. Ma a parte questo, non voleva avere niente a che fare con la vita di Stoccolma. F. P. Che cosa le manca di I. Bergman ora che non c’è più? H. A. Sai, l’ultima volta l’ho incontrato proprio a Fårö tre estati fa durante la settimana bergmaniana. F. P. Quando c’era Ang Lee? H. A. Sì. Ho anche incontrato Ang Lee a Visby; abbiamo pranzato insieme con un altro paio di persone. È stato molto divertente incontrarlo. Poi c’è stata una grande conferenza al Bygdegården e lì ho incontrato proprio Ingmar dopo molti anni che non ci vedevamo. In genere ci sentivamo solo al telefono e facevamo lunghe conversazioni di tante ore. Ci siamo abbracciati. Certo, era invecchiato molto, ma abbiamo avuto lo stesso feeling di un tempo e le stesse belle risate. Poi ho partecipato alla conferenza e ad un certo punto si è vista una mano alzata e una voce che diceva: “Posso dire una cosa?”. Era Ingmar. “Ma certo che puoi dire qualcosa!”. E quindi è incominciato un dialogo tra noi due in mezzo al pubblico. È stato divertente. È stato come un “dolcetto extra” in qualche modo. Quindi quella fu l’ultima volta che l’ho incontrato. Ma comunque era abbastanza vispo. Ora che è morto, sento in parte la sua mancanza, ma non voglio stare a soffrire tutto il tempo. Uno dei miei migliori amici che lavorava come costumista, per esempio, è morto di recente e noi ci conoscevamo da più di sessanta anni. È ovvio che mancano lo stesso gli amici che se ne sono andati, però non c’è niente da fare. Ma non posso continuare a soffrire tutto il tempo per questo. Quindi non posso dire che rimpiango Bergman in quel senso. Io penso a lui e sento un’immensa gratitudine nei suoi confronti per quello che mi ha fatto fare, per il periodo bello e divertente che abbiamo vissuto insieme... e poi nessuna convivenza successiva è stata così. F. P. Per quanto tempo avete vissuto insieme? H. A. Due anni e mezzo. Era incredibilmente geloso. (Scoppia a ri195 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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dere) Chedi a Liv Ullman. Ti può raccontare sicuramente molto meglio di me. Per esempio quando lui ha sfondato la porta del bagno... (ride) Io ed Ingmar non ci picchiavamo mai perché mi sembrava troppo fragile, io ero forte eh! (Ride come una pazza). Forse se l’avessi picchiato l’avrei ucciso. (Ride sempre più senza freno). Diventa fantastico tutto questo, io la penso così. Noi non potevamo immaginare quando stavamo girando Un’estate con Monica che il film sarebbe andato e va ancora in giro in tutto il mondo o che Ingmar sarebbe diventato quel famosissimo regista a livello mondiale che poi è diventato. Era impensabile allora. Quindi è fantastico di aver vissuto anche questo. E quindi non morirà mai. (Piange e ride per i ricordi). F. P. Grazie per la sua bellissima apertura e disponibilità. Veramente un bel contatto umano. H. A. Grazie a te Francesca.
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STIG BJÖRKMAN
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Stig Björkman è nato il 2 ottobre del 1938. È uno scrittore, regista e critico cinematografico svedese. Tra il 1964 e il 1972 è stato il direttore della rivista cinematografica Chaplin. Nel 2004 Elisabeth Sörensons Minnesfond gli ha conferito una borsa di studio con la seguente motivazione: “Stig Björkman è uno scrittore e critico cinematografico dalla personalità ecleticca e aperta a vari generi cinematografici. Stig Björkman lo stesso spirito di Elisabeth Sörensons Minnesfond”. FILMOGRAFIA
Letitia (1964) Jag älskar, du älskar (1968) Georgia, Georgia (1972) Två kvinnor (1975) Den vita väggen (1975) Gå på vattnet om du kan (1979) Kvindesind (1980) Bakom jalusin (1984) Vad hände katten i råttans år? (1985) Imorron och imorron och imorron (1989) Alla våra morgondagar (1994) I am Curios, Film (1995) Tranceformer - A portrait of Lars von Trier (1997) BIBLIOGRAFIA SCELTA
Woody om Allen - Med egna ord. Samtal med Stig Björkman (1993) Trier om von Trier - Samtal med Stig Björkman (1999) Fucking film - Den nya svenska filmen (2002) Joyce Carol Oates - Samtal med Stig Björkman (2003) Some Americans - De gav sina liv för Hollywood (2008)
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Intervista a Stig Björkman, Maggio 2008, Stoccolma, Filmhuset
F. P. Allora Stig, come vogliamo fare questa intervista in svedese o italiano? S. B. Meglio usare lo svedese e, se qualche cosa non dovesse essere chiara, vorrà dire che ricorreremo all’italiano. Come è andato l’incontro con Harriet Andersson? F. P. Benissimo! È una donna molto allegra e disponibile. Durante l’intervista, è successo un piccolo imprevisto con un nastro sigillato nella sua custodia ed Harriet mi ha aiutata ad aprirlo. È stato un episodio divertente, abbiamo riso tanto. Come sai, Stig, sto raccogliendo varie testimonianze di attori che hanno lavorato con Bergman per poter poi raccontare e rivelare aspetti inediti del Maestro e del suo particolarissimo modo di intendere l’arte e fare teatro. L’incontro con te è diverso in un certo senso: tu sei principalmente un regista e un famosissimo critico cinematorgrafico che ha avuto più volte incontri/interviste con Ingmar lungo la sua carriera. Proprio per questo credo che sia interessante avere una tua testimonianza sul teatro di Bergman. Mi puoi raccontare qualcosa sui punti in comune tra i suoi film e il teatro? S. B. Ci devo riflettere, pensarci... Ma ci proviamo anche se non ho visto moltissimi allestimenti di Ingmar. Va bene? F. P. Certo! Incomiciamo con questo ma poi estenderemo sicuramente la conversazione sui film e sulle tue esperienze personali con Ingmar e la tua attività registica. S. B. Benissimo! F. P. Anche perché tu hai diretto in alcuni tuoi film molti attori di Bergman quali E. Josephson, G. Lindblom, ecc... S. B. Sì, sì. 199 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Quindi, parti come vuoi! S. B. Mmmmm... Ok... Da che cosa possiamo incominciare quindi?
Io ho imparato a conoscere Ingmar nel 1967, 1968... Erano comunque gli anni Sessanta quando dovevo scrivere il libro Bergman om Bergman. Stavo lavorando con due colleghi per una famosa rivista cinematografica “Chaplin”, quando ci venne in mente di attuare con Bergman la stessa idea che ebbe F. Truffaut quando fece il suo libro su Hitchock, il primo grande libro/intervista realizzato tra “creatori di film”, cioè tra autori cinematografici. Il libro ebbe una grande eco: loro parlarono di tutta la carriera di Hitchock, dai primi film agli ultimi, e quindi noi pensammo di fare la stessa cosa con Bergman e lui disse sì. Credo che fosse il ’69 quando abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto... Eravamo andati alla Filmstaden a Solna, dove Bergman aveva il suo ufficio. Avemmo varie sedute, ciascuna della durata di quattro ore, quindi un tempo abbastanza lungo; interrompevamo la conversazione solo per il pranzo, poi continuavamo per altre due ore. In tutto incontrammo il Maestro una decina di volte o forse qualcosa di più. Avevamo accumulato un’ incredibile quantità di materiale, che poi tagliammo in maniera adeguata per poter arrivare al risultato finale, questo libro per l’appunto. Io credo... che fu molto interessante come risultato, ma nonostante ciò, Bergman non ne fu soddisfatto. Non so dirti il perché; lui voleva scrivere il proprio libro, infatti molti anni dopo realizzò Immagini, dove fu abbastanza critico. Ad ogni modo, Ingmar pensava che fosse interessante parlare con me perché io ero in grado di fare film: avevo infatti realizzato il mio primo lungometraggio all’epoca, mentre precedentemente avevo girato solo corti. Quindi, poiché anch’io facevo film, lui pensava che noi potessimo parlare in un modo differente dagli altri intervistatori. Il libro comunque fu pubblicato in svedese e poi tradotto in altre lingue. Negli anni successivi si era anche pensato di pubblicare il libro in versione tascabile per renderlo accessibile ad una fascia più ampia di lettori, Bergman però si oppose. (Beve un sorso di birra) Fu strano. Tuttavia mantenemmo i contatti. Nel 1971 Bergman doveva fare un film svedese/americano The touch, e all’epoca chiese di me alla Filmhuset; mi chiese se volevo fare il documentario del film, il back200 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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stage, durante le riprese. E lo feci. Realizzai un documentario dall’inizio delle riprese sino alla fine. Seguii i preparativi, lo sai no...? Lessi la sceneggiatura, seguii gli attori, le prove trucco, le prove costumi, la ricerca delle locations... ecc. Seguii tutto dall’inizio alla fine. Questo documentario era diventato un lungometraggio della durata di un’ora. Andò sia nelle sale cinematografiche che in televisione. Il documentario, comunque, era un ritratto di Bergman come regista. F. P. E quindi in quell’occasione è stato testimone diretto del suo modo di lavorare con gli attori? S. B. Certo! Anche se, per quanto riguarda gli attori, mi sono focalizzato maggiormente su una scena apparentemente molto semplice: quando Bibi Andersson era da sola in una stanza. La trama del film è una specie di drammatico triangolo amoroso tra la moglie, l’amante e il marito. Bibi è sposata con Max von Sydow, ma allo stesso tempo ha una storia d’amore con un americano interpretato da Elliot Guld. Improvvisamente lui lascia la città dove vivono senza avvertirla, senza lasciare nessun messaggio, e lei arriva in quell’appartamento vuoto e l’unica cosa che è rimasta è un mazzo di chiavi sul tavolo, mentre tutto è stato portato via. La scena era molto semplice anche se occupava circa venti minuti nel mio film: seguii, infatti, molto scrupolosamente il modo di Bergman di dirigere Bibi e gli altri attori, quando ad esempio parlavano durante le pause delle riprese. Avevo scelto questa scena perché sembrava così semplice e perché rappresentava in maniera esauriente il suo modo di lavorare con gli attori. Ci sono anche altre scene del film dove Bergman ha lavorato con più attori. F. P. Parlando con gli attori, è emersa un po’ da tutti la convinzione di una magia speciale che veniva a crearsi durante le prove di uno spettacolo: Bergman li lasciava liberi di agire, infondeva loro una grande fiducia, pur sapendo precisamente cosa voleva. S. B. Sì, sì, è assolutamente così. F. P. Puoi raccontarmi? S.B. Certo! Ingmar ha fatto in modo che gli attori fossero condotti in quella direzione. Prendeva... c’è una cosa che penso al riguardo e di cui ho anche scritto. Se tu guardi le foto delle riprese cinematografiche 201 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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con Bergman e gli attori, molto spesso, e poco importa se erano uomo o donna, gli attori erano sempre molto vicini ad Igmar, per esempio seduti vicini su un divano, Bergman con un braccio sulla spalla di un attore.... Insomma, c’era veramente una grande intimità tra loro. F. P. E questo è abbastanza strano... Voglio dire, che non è solito dei registi avere questo tipo di atteggiamento... S. B. No, non c’è questo tipo di vicinanza. In altri film che ho visto.... Io sono stato sul set di Antonioni, Alosio, Woody Allen... Non c’è quel tipo di contatto con gli attori. Io credo che in questo Bergman fosse veramente unico. Io, come altri, avevo mantenuto i contatti con il Maestro anche quando si era trasferito a Fårö, tramite conversazioni telefoniche il sabato o la domenica tra le 11 e l’una. Le conversazioni telefoniche più lunghe le aveva con Erland Josephson. Bergman e Erland avevano infatti conversazioni lunghissime. Erland era solito chiamare alle 11, e quindi io di solito provavo a chiamare alle 12 ma era occupato, alle 12 e 30 pure, e se ero fortunato forse riuscivo a parlarci all’una meno un quarto... perché all’una Bergman non rispondeva più e c’era una segreteria telefonica che diceva (la imita): “Bergman, prego!” (sorride) Era tutto quello che diceva. E poi tu dovevi lasciare il tuo nome e numero di telefono e forse ti richiamava. Solo un “Bergman, prego!”(sorride nuovamente). Ma comunque, quando si trasferì a Fårö, e ci sono molti che possono testimoniare questo, non gli mancava Stoccolma, non gli mancava il teatro... L’unica cosa che gli mancava veramente erano gli attori (sorride in modo tenero). F. P. E quindi anche il teatro, no? S. B. Sì e no: gli attori prima di tutto. Non importa se di cinema o di teatro. Lassù più volte diceva questo, tanto che un suo figlio una volta gli disse: “Ma perché non dici mai che ti manchiamo noi?” (Sorride). Bergman non diceva mai che i figli gli mancavano. Però gli mancavano gli attori. Forse per lui i suoi veri figli erano proprio gli attori perché li sentiva più vicini dei figli stessi (beve un altro sorso di birra). F. P. Ti sono piaciuti i suoi allestimenti teatrali? Quali hai visto? S. B. Non li ho visti tutti. Non ho avuto sempre l’occasione di andare alle sue rappresentazioni. Ho perso molte prime di spettacoli importantissimi, come quando all’Opera ha realizzato rucklarens väg, un 202 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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grande allestimento. Ma ho visto altre messinscene, Le Baccanti ad esempio. Uno degli allestimenti che mi è rimasto fortemente impresso nella memoria a livello visivo è stato quello di Hedda Gabler di Ibsen, dove il ruolo di Hedda era interpretato da Gertud Fridh. F. P. Ho visto un vecchio video dello spettacolo... S. B. Ah sì? Bene. Comunque Gertrud aveva partecipato ai film di Ingmar ma non con grandi ruoli, anche se a teatro era stata una stella del Dramaten. Gertrud era una attrice vecchio stile, una diva... e poi aveva una voce fantastica, veramente... F. P. Ti stai riferendo alla voce dell’attrice? S. B. Sì, precisamente. Alla voce di Gertrud Fridh, che era bassa, roca come quella di una fumatrice, ma allo stesso tempo trasudava sensualità. Era... era il suo strumento principale. Quindi fu bellissimo ed era speciale, particolare... Non era classica, ma selvaggia e sensuale. Lei fu nei primi film di Bergman, per esempio in Skepp till Indialand ed ebbe anche un piccolo ruolo ne L’Ora del Lupo, dove interpretava uno dei personaggi che abitavano nel castello. Non fece molti film con Ingmar come ti accennavo prima, ma al Dramaten interpretava tutti i grandi ruoli. Era un po’ nevrotica. Quando fece Hedda Gabler, mi ricordo che indossava un vestito rosso scuro, esattamente come le pareti della scenografia che richiamava molto quella del film Sussurri e Grida. Gertrudh era molto elegante e affascinante... (ricorda divertito) divertente... F. P. Hai visto l’edizione degli anni Settanta de Il Sogno ? S. B. Sì, ne ho viste due: quella del ’70 e quella dell’86. F. P. E cosa ne pensi? S. B. La prima era con Malin Ek, mi sembra... F. P. Quale allestimento ti è piaciuto di più? Forse quello dell’86? S. B. Si può dire che era molto più cinematografico, di forte impatto visivo, mentre l’altro era più semplice. Quello dell’86 fu rappresentato alla Lilla Scenen, mentre quello del ’70 nella Stora Scenen ed quindi era più spettacolare nella messinscena. Nel primo allestimento invece aveva elaborato maggiormente i ruoli, ma aveva anche tolto qualche personaggio per concentrare maggiormente la storia. Quindi, due grandi, diversi, affascinanti spettacoli. 203 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Ingmar ha allestito molte volte Il Sogno, anche in Germania con gli attori tedeschi. F. P. Hai mai incontrato Ingmar quando era a Monaco? S. B. No. Solo in Svezia. Quando era a Monaco non abbiamo mai avuto contatti. F. P. Hai visto Racconto d’Inverno? S. B. No, purtroppo non l’ho visto. Lo stesso con Amleto. Ho visto solo il suo ultimo spettacolo Spettri di Ibsen, con P. August e J. Malmsjö. Anche questo spettacolo era molto essenziale, semplice, come se Ingmar tirasse fuori l’essenza dalle storie. Quindi toglieva tutto quello che non riteneva necessario per raggiungere il nucleo. Si toglieva il superfluo e si andava al sodo. C’era una forma espressiva molto semplice. È sempre difficile analizzare degli allestimenti teatrali; da un certo punto di vista scompaiono dopo che li hai visti, invece i film rimangono (sorride). Puoi mandarli indietro e controllare nuovamente se erano come te li ricordavi. Qualche volta puoi anche essere ingannato da un film; magari l’hai già visto, ma quando lo guardi nuovamente non era come te lo ricordavi. Per questo credo sia difficilissimo scrivere per e sul teatro. Se avessi scritto su tutto quello che ho visto a teatro, il ricordo degli spettacoli sarebbe più vivo. Devi avere tutto impresso nella memoria per poter formulare una recensione o un commento su una pièce teatrale. Per questo Hedda Gabler è in parte veramente unica, poiché rimane nella memoria in modo così forte, vivo, intelligente e particolare: c’era una forte stilizzazione ma anche una grande espressività dell’azione e della drammaturgia. F. P. Come sai, molti critici hanno rilevato la multimedialità tra i film e le messinscene teatrali di Bergman. Che ne pensi? È un’affermazione forzata? S. B. È difficile rispondere, ma si può dire che gli attori che hanno lavorato con lui durante le pièce, venivano utilizzati spesso per l’estate a venire... F. P. Come a Malmö? S. B. Sì, esatto. Se tu pensi a Bibi Andersson, Ingrid Thulin, Max von Sydow... Loro hanno lavorato anche a Malmö. Gunnel invece ha incominciato... (ci pensa). 204 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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F. P. Anche lei a Malmö. S. B. Precisamente. E poi loro hanno fatto i film durante l’estate co-
me Harriet in Nycklars Afton, e poi a seguire Max von Sydow, Gunnel Lindblom, Bibi Andersson ne Il Settimo Sigillo e così via. Anche Ingrid Thulin nel Il Posto delle Fragole. Insomma, venivano tutti scritturati per l’estate da Ingmar e per loro girare i film d’estate con Bergman aveva il sapore di una avventura estiva. F. P. Hai mai visto qualche spettacolo a Malmö? S. B. No, non sono mai stato là. Ho visto i suoi spettacoli teatrali a Stoccolma, ma non quelli che ha realizzato fuori. F. P. Tu hai conosciuto da vicino alcuni attori bergmaniani come E. Josephson, G. Lindblom, H. Anderrson, avendoli diretti in alcuni film. Puoi raccontare qualcosa della tua personale esperienza con loro? S. B. Sì... Harriet è un unicum nel senso che è un’incredibile attrice professionista in tutti i sensi... La prima volta che ho lavorato con lei era per il mio primo film dove Harriet aveva una piccola parte, ma poi in questo film Den vita vagen (La parete bianca), ebbe uno spazio enorme perché era presente in ogni inquadratura del film. Il film tratta di una donna appena divorziata e racconta di venti ore della sua vita, dalla mattina alla sera tardi nello stesso giorno. Quando tu hai sul set un’attrice dall’alta professionalità, tutti gli elementi del set ne sono contagiati. La sua professionalità è unica: se si inizia a girare il film alle otto del mattino, Harriet è già lì dieci minuti prima. Non arrivava mai in ritardo, come invece capita con qualche altro attore e quando questo accadeva, era Harriet stessa a rimproverarlo. Quindi era molto dura. In altre circostanze è il produttore che rimprovera il ritardatario; ma quando c’è Harriet sul set, è lei che impone la disciplina, poiché ama e rispetta a tal punto questo lavoro che non tollera la mancanza di professionalità e impegno. E questa è una delle sue grandi qualità; chiaramente ne ha tante altre. Lei può fare qualsiasi cosa. F. P. Infatti Harriet ha raccontato di non essere mai arrivata in ritardo sul set di Bergman e questa era una delle cose che aveva imparato da lui: la puntualità. S. B. (Beve un sorso di birra) Esattamente! Con Bergman nessuno si permetteva di arrivare in ritardo alle prove. C’erano una disciplina e ri205 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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spetto assoluti. Ma poi ha anche una dote fantastica che si chiama presenza... presenza scenica. È una cosa difficile da spiegare a parole, perché qualche attore buca lo schermo senza nessun merito razionale. Altri attori bravissimi non hanno lo stesso magnetismo. Tu puoi dire “Sì, è un bravo attore, però...”, e poi ci sono degli attori che possono fare qualsiasi cosa: Harriet, Jean Moreau, Geena Roolands, Katrine Hepburne... Qualsiasi cosa facciano, come leggere l’orario dei treni, diventa comunque una cosa affascinante. Tanto per darti un’idea (gli si illuminano gli occhi). Ed è qualcosa di veramente speciale che è difficile raccontare. Probabilmente è una cosa soggettiva, però, per come la vedo io, ci sono degli attori che sembra siano stati messi al mondo apposta per fare film, per essere dei veri attori di cinema (sorride soddisfatto). F. P. Che ne pensi di E. Josephson e di G. Lindblom? S. B. Come attori? F. P. Sì. Loro hanno lavorato con te in alcuni film. S. B. Certo! Erland era molto divertente, era anche un attore molto intellettuale, molto analitico; anche nel privato, ha una personalità brillante, intellettuale. Non so se tu hai letto i suoi libri, ma lui ha anche scritto molto sul mestiere dell’attore. C’è un libro che si chiama “Rollen”, un altro “Föreställningar”. Ha scritto dei piccoli ritratti sui suoi colleghi tipo P. Brook, S. Tarkovskjii con i quali ha lavorato. Erland è anche un brillante conversatore (sorride). Quando girammo insieme il film “sulla gelosia” (bakom jealuise), una grande parte del film fu ambientata in Marocco; stavamo nello stesso albergo e spesso cenavamo insieme; a volte, quando eravamo liberi dal lavoro la domenica, parlavamo e lui raccontava storie fantastiche... e così... è un uomo molto divertente (sorride divertito ricordando)!!! Ma Erland... io credo che lui abbia messo tutto se stesso per migliorarsi sempre e sempre di più come attore. All’inizio forse non ha avuto le stesse motivazioni importanti o presenza come altri attori tipo H. Andersson, E. Dahlbeck.... Ma comunque Erland ha sviluppato durante gli anni il suo modo di essere attore, raffinando il suo strumento. F. P. Perché hai deciso di fare il regista di cinema? S. B. Non volevo farlo; all’inizio volevo diventare un attore, ma poi 206 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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volevo realizzare qualche altra cosa. Sicuramente volevo fare film, tanti film; credo che questo sia di per sè un meraviglioso lavoro, a volte faticoso, e anche impegnativo, ma il fatto di lavorare con gli attori... questo è molto divertente. E anche quando si scrive la sceneggiatura... C’è una specie di magia nel creare un testo e improvvisamente gli attori lo incarnano. Ed è bello quando prendi una parola, improvvisamente non è più mia, la prendono subito loro ed essa diventa i loro pensieri, i loro ricordi, i loro sentimenti raccontati che escono fuori... Io credo che sia magico; e questo mi è successo con attori quali Harriet, Erland... F. P. Ma quando hai deciso di fare il regista? S. B. Fu... Quando avevo vent’anni. F. P. C’è stato qualche film che ti aveva colpito all’epoca e che ti spinse a fare il regista? S. B. No. Io sono sempre stato un inguaribile cinefilo; all’inizio ho visto veramente di tutto, senza un criterio. All’inizio ho visto film scadenti, i classici e altre cose... (ride), questo naturalmente prima di essermi fatto un gusto personale sul cinema e prima di capire che esistevano film migliori di altri, e che alcune persone erano più talentuose di altre... C’è voluto un po’ di tempo! Poi, all’età di ventuno anni, ho iniziato a scrivere sui film, e a saperne sempre di più. F. P. Molto giovane, davvero! Puoi raccontarmi qualcosa su Tarkovskij? Cosa ne pensi? Puoi fare un parallelo tra il regista russo e Bergman? S. B. Io ho lavorato al film di Tarkovskij Offret nella fase finale. Facevo il regista dei dialoghi, il direttore di doppiaggio. Tutto il film fu sincronizzato in un secondo momento alla Filmhuset. E tutti gli attori, compreso Erland Josepshon, si dovevano doppiare: c’era un’attrice islandese, un’altra inglese, per cui servivano dei doppiatori svedesi. Io facevo il regista in svedese, però Tarkovskij è stato accanto a me tutto il tempo, ascoltando, esprimendo il suo punto di vista e fu molto interessante ma anche molto difficile. Eravamo sotto pressione perché avevamo una scadenza, e poi credo che lui a quel tempo era consapevole di essere molto ammalato. Era seriamente malato... e... andava anche dal dottore a fare degli esami a Stoccolma.. Aveva il cancro allora; lui 207 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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morì a Parigi poco dopo che il film era terminato. Quindi Tarkovskij sentiva che dovevamo finire il film, che doveva essere un film bello, perfetto... Lui era molto esigente come supervisor, e questo modo di essere è necessario per ottenere un grande risultato. E così fu. Però, lui girò a Gotland, non so se a Fårö, ma è ovvio che in un certo senso cercava qualcosa che era anche il paesaggio di Bergman. E poi lavorava con Erland, con Allan Edvall; e anche con Sven Nykvist che era il direttore della fotografia di Bergman. E poi altri ancora, ad esempio Katinka Faragò, che aveva iniziato con Bergman come segretaria di edizione per poi diventare inspelningsledare; in questa occasione fu la produttrice del film di Tarkovskij. Quindi questo grande regista sentiva una grande appartenenza a I. Bergman e i suoi film. Ma Ingmar... Io credo che anche lui ammirasse Tarkovskij e il suo... come posso dire?... il suo modo di vedere il cinema come un linguaggio a sé stante, realizzando poi dei film unici, dei veri e propri capolavori. Bergman si espresse in modo molto positivo sull’operato artistico di Tarkovskij, malgrado nutrisse un forte sentimento di competitività. Anche quando arrivò al Dramaten aveva un forte ed enorme senso di concorrenzialità nei confronti di Alf Sjöberg, all’epoca il più grande specialista di Shakespeare e Brecht. Per questo motivo quindi Ingmar non fece mai una regia shakespeariana prima della morte di Sjöberg. Non aveva osato farlo prima, poiché sapeva che c’era qualcun altro capace di realizzarlo molto meglio di lui. F. P. Comunque gli allestimenti shakespeariani di Bergman furono molto interessanti: penso ad Hamlet, King Lear... S. B. Sì, io ho visto King Lear insieme all’attrice Domiziana Giordano, una mia grande amica, che si trovava a Stoccolma a girare un film. F. P. Puoi raccontarmi un po’ dello spettacolo? S. B. Mi piacque molto. E poi ho visto Maria Stuart con P. August e L. Endre. F. P. Quando hai visto King Lear che emozioni hai provato? Hai avuto un forte un impatto emotivo? C’era spazio anche per la critica sociale? Voglio dire, riusciva a colpire emotivamente lo spettatore pur facendolo riflettere, senza essere intellettuale? 208 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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S. B. Oddio! (sorride divertito) È dura risponderti. È stato tanti anni fa... Era il 1984... F. P. Quello che ti ricordi, le tue emozioni, se ne hai avute... S. B. (Ride) Le ho avute, sì! Mi ricordo in modo molto netto la resa dei conti tra L. Olin e J. Kulle. Una scena veramente molto forte. Comunque c’era un bellissimo cast: L. Olin, J. Kulle, P. Stormare, B. Ahlstedt... E. Fröling, M. Byrström... B. Ahlstedt, a dire la verità, è un attore che ho apprezzato maggiormente nelle pièce di P. Birro, nei classici lo trovavo noioso. Nel King Lear c’era un piccola coreografia all’inizio, molti figuranti che si rotolavano per terra e si trasformavano in sedie umane, come per materializzare l’asservimento al potere. C’erano diversi ingressi. Il personaggio di Lear è stato reso in modo particolare: un bambino viziato che a volte può essere un attore che viene sempre assecondato ma che comunque deve fare i conti con se stesso al momento del crollo. F. P. Io ho visto lo spettacolo in una riproduzione audiovisiva ed è pazzesco come l’impatto scenico ed emotivo riesca a colpire ugualmente. Anche se hai visto poco del suo teatro, pensi che si possa ritenere Bergman un grande regista a livello europeo? S. B. Sì, lo credo, per le sue interpretazioni e quello che è stato in grado di tirar fuori dagli attori sul palcoscenico. Lui è unico in questo senso: riesce a far uscire delle cose incredibili dai suoi attori; ce ne sono alcuni veramente straordinari: penso a P. August, Jarl Kulle e... forse Tommy Bergrren all’inizio e Allan Edvall. F. P. Allan Edvall era veramente emozionante nel ruolo dell’Avvocato ne Il Sogno. Anche Tommy Berggeren ha lavorato con Bergman, anche se da alcune dichiarazioni risulta che non si sia trovato sempre bene... S. B. Penso che sia vero solo in parte. Ho visto Lungo viaggio al termine della notte con lui e P. Stormare, J.Kulle e B. Andersson. Credo che Tommy e Peter fossero veramente bravi mentre Bibi era troppo giovane all’epoca per il ruolo della Madre. Comunque vidi la Prima, quella classica, nel 1956 con I. Tidblad, L. Hanson, U. Palme, J. Kulle; una performance straordinaria. Quindi è difficile fare un paragone tra i due allestimenti. Credo che quello di Bergman fosse più arido ri209 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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spetto a quella del ’56. Ero giovane all’epoca, avevo diciasette anni, ma mi rimase impressa nella memoria. Non posso dire lo stesso dello spettacolo di Ingmar, soprattutto per l’impatto visivo delle immagini. Devo dire che il suo allestimento è stato più secco. F. P. Sotto tutti i punti di vista? S. B. Non è stato coinvolgente allo stesso modo; era un allestimento ben fatto però... in quello era il rapporto tra i due fratelli (Peter e Tommy) che faceva commuovere: era molto azzeccato, approfondito. Nell’altra produzione, invece, da una parte c’era un ensemble perfetto, I. Tidblad e L. Hanson erano molto commoventi nelle rispettive interpretazioni, e lei era eccezionalmente toccante come madre tossicodipendente. F. P. Gli allestimenti scenografici degli spettacoli di Bergman presentano pochi oggetti e un uso frequente delle proiezioni. In Italia noi abbiamo un grande regista, Luca Ronconi, che ha invece un approccio molto ricco al livello scenografico. S. B. Sì, lo conosco. Anni fa vidi insieme a Bertolucci a Firenze, è un mio caro amico, Il Nabucco con la sua regia: bellissimo! E questo spettacolo me lo ricordo benissimo; le scenografie erano straordinarie. F. P. Ronconi ha fatto molta prosa con una scenografia ricca e suggestiva; negli allestimenti di Bergman, invece, regna una sorta di essenzialità. S. B. Sì, è proprio così. Soprattutto nelle scenografie si rileva la sua essenzialità. Bergman non ama gli eccessi nel decoro. In questo modo ha affrontato tanti spettacoli dove tagliava pezzi di testo per estrapolarne l’essenza. Con il passare degli anni, Bergman si permetteva di rivisitare i testi con un approccio più personale che fedele. Ad esempio, ne Il Sogno, la prima volta era presente tutto il testo, mentre nell’edizione dell’86 aveva tagliato parte del testo... F. P. Bergman lavorava tantissimo sul copione. S. B. Esattamente. Cercava di arrivare al cuore della pièce e di togliere “il superfluo”. F. P. Anche in Casa di Bambola aveva realizzato una sorta di pastiche con il copione, prendendo in prestito delle frasi da pièce di Strindberg. 210 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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S. B. Proprio così. Ho visto Casa di Bambola alla Stora Scenen. C’era una scenografia molto strana, poiché su questo grande palco avevano costruito una piccola scenografia al centro, una pedana. E quindi intorno c’erano solo bui e spazi vuoti. Si creava un effetto d’intimità, ma nello stesso tempo anche di straniamento essendo lo spazio circostante molto grande e vuoto. La scenografia era solo al centro della scena e tutti gli attori sedevano fuori dalla scena ai lati del palcoscenico, presenziando nella loro veste di attori per tutto il tempo della rappresentazione e intervenendo solo quando era il loro turno. E anche questo era insolito. F. P. È particolare il suo modo di operare in teatro, poiché non si riconosceva nel distanziamento brechtiano, ma neanche nella catarsi del pubblico. Bergman, infatti, voleva che il pubblico tenesse sempre a mente di essere in un teatro e di assistere a una rappresentazione. Sei d’accordo? S. B. Sicuramente, d’accordissimo. Ingmar aveva un suo metodo tutto particolare, antinaturalista per certi versi, anche se non completamente. F. P. Quindi non possiamo definire il suo metodo di lavoro? S. B. Ha preso sicuramente qualcosa dal programma di Brecht, come gli attori presenti in scena nelle loro vesti di interpreti; c’è però anche qualcosa di più intuitivo nel suo modo di lavorare e questo si può notare anche nei film: a volte può essere molto stilizzato, altre volte molto naturalista... F. P. Naturalista come nel caso de La Signorina Giulia? S. B. Giusto. Questo è un esempio appropriato. Io ho visto l’edizione con L. Olin e P. Stormare. L’allestimento era classico in tutto, anche nei costumi. Ma anche se classico, aveva una forza erotica pazzesca e non solo quello... Quando L. Olin faceva il suo ingresso con quel vestito rosso... Era di forte impatto visivo ed emotivo in quanto si suole rappresentare il personaggio de La Signorina Giulia con un vestito bianco. F. P. Caro Stig, un ultima domanda: il rapporto drammaturgico di Bergman con Strindberg. Sei d’accordo nel riconoscere il suo grande rispetto nei confronti di Strindberg? Non osava operare tagli... 211 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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S. B. I suoi ultimi allestimenti strinberghiani presentano dei tagli: mi riferisco a Il Sogno del 1986 e all’ultima edizione di Spöksonaten dove secondo me aveva tagliato non poco. Questo allestimento era veramente bellissimo. Una fantastica G. Lindblom. F. P. Gunnel ha detto che questo allestimento non è stato dei migliori. S. B. Forse perché è stato rappresentato in un modo molto più strano e concentrato. F. P. Per chiudere: qual è il primo ricordo che ti viene in mente su Bergman? S. B. Mi ricordo quando tantissimi anni fa andai a vedere il suo film Giochi d’estate; mi colpì moltissimo: la storia in sé, la bravura degli attori. C’era Maj-Britt Nilsson... Da una parte quel film era molto strano, perché in un certo momento appariva la morte interpretata da questa vecchia donna, Mimi Pollack. È la prima volta che appariva la morte in un film di Bergman. Questo film presentava già degli elementi sovrannaturali che poi diventeranno un segno distintivo di Bergman. Ma era anche un film bellissimo, veramente bellissimo. Anche perché questi attori, Birger Malmsten, Maj-Britt Nilsson, Alf Kjellin all’epoca erano grandissime stelle del cinema svedese. Questo me lo ricordo bene, perché fu un film che mi colpì tantissimo. Per molto tempo mi è rimasto nel cuore come il film più bello che avessi mai visto, ma quando ho visto gli altri suoi film, ovviamente sono rimasto colpito anche dalle altre sue opere. Quindi, questa è stata la mia prima forte esperienza: i film di Bergman. F. P. Bergman ha mai visto i tuoi film? Ti ha mai detto che cosa ne pensava? S. B. Sì, li ha visti tutti. Era un uomo incredibilmente curioso. Spesso Filminstitutet glieli mandava. Parlavamo spesso ed è sempre stato positivo al riguardo. Avevamo un terreno comune nel quale potevamo confrontarci sul significato di fare film e su quello che comporta. Così potevamo parlarne in modo più dettagliato, senza che lui fosse costretto a spiegare come a volte era costretto a fare con altri giornalisti. F. P. Grazie Stig. 212 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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JAN MALMSJÖ
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Jan Malmsjö è nato il 29 Maggio del 1932 a Lund. Oltre ad essere un bravissimo attore e cantante, è uno dei più famosi intrattenitori svedesi. Ha iniziato a recitare sin da bambino ed ha interpretato un’enorme quantità di ruoli a teatro, dalla drammaturgia di Lars Norén al Dramaten ai grandi musical. Si è sposato la prima volta con la ballerina Lena Malmsjö, poi con la ballerina americana Barrie Chase. Nel 1971 si è sposato con l’attrice Marie Göranzon. È il padre di Jonas e Peter Malmsjö. Di tutte le collaborazioni avute con Ingmar Bergman, quella che viene ricordata maggiormente è la parte del vescovo in Fanny e Alexander. Collaborazioni con Ingmar Bergman
CINEMA PETER, Scene da un matrimonio (1973) FREDERIK EGEMAN, A little night music- Stockholm (1978) IL VESCOVO EDVARD VERGÉRUS, Fanny e Alexander (1982)
TEATRO HUMMEL, Sonata degli spettri di A. Strindberg, Dramaten (2000) PASTORE MANDERS, Spettri di H. Ibsen, Dramaten (2002)
Incontro il “Sinatra” di Svezia nei camerini del Dramaten, il teatro reale di Stoccolma. Ormai gli ambienti mi sono familiari avendo incontrato qui diversi attori. Il camerino di un artista rappresenta il suo mondo. Jan Malmsjö condivide il camerino con la moglie Maria Göranzon, un’altra famosissima attrice. I tavoli e le pareti sono pieni di manifesti, foto di scena di alcuni spettacoli e ritratti del figlio Jonas, vera star del momento sia in cinema che teatro. Jan Malmsjö è un self-made-man e questa intervista lo evidenzia in modo particolare.
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Intervista a Jan Malmsjö, Dramaten, 16 Settembre 2008, Stoccolma
F. P. Sappiamo tutti che Lei non è solo un famosissimo attore, ma anche un cantante e showman rinomatissimo in Svezia. Si può dire che “ha fatto epoca”. Tra la musica e il teatro, quale viene prima di tutte per Lei? J. M. La musica senz’altro, c’è sempre stata nella mia vita, soprattutto quella classica. È veramente bellissima. Sono troppo vecchio per apprezzare quella da discoteca “dung, dung, dung” (la imita). Non la sopporto. Adoro la musica melodica degli anni Venti, Trenta, Quaranta, Cinquanta. Questo è stato un vantaggio quando sono arrivato al Dramaten. Nelle operette c’era sempre una overture. Si usava spesso la musica negli spettacoli al Dramaten. Proprio adesso... Questo è il mio camerino. Lì siede mia moglie (indica il tavolo della moglie) e questo è mio figlio che attualmente sta recitando Amleto nella Stora Scenen del Dramaten (fa vedere una foto di lui da giovane mentre bacia il figlio di pochi mesi). Lo conosci? F. P. Sì, ci siamo incontrati un paio di anni fa. Vorrei farle molte domande su suo figlio; prima però può raccontarmi della sua esperienza con I. Bergman come regista teatrale? J. M. In teatro? F. P. Sì. J. M. Sì... (ci pensa) Non ho avuto delle grandi esperienze teatrali con Bergman, quindi non posso pontificare su questo argomento; e poi io mi tenevo sempre da parte quando lavoravamo insieme, perché Bergman voleva abbracciare tutti gli attori, a me non andava e questo lo irritava. Però lo faceva lo stesso. Comunque, la prima volta che ho lavorato con Ingmar a teatro è stato con... Il papero... (ride tra sé borbottando), come si chiamava... 215 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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L’Anatra Selvatica! L’Anatra Selvatica di Ibsen dove io interpretavo l’ubriacone. F. P. Era l’edizione con Lena Nyman? J. M. Esatto! F. P. Ho visto il video dello spettacolo... J. M. Davvero? Esiste? F. P. Sì, è molto rovinato ma comunque... Ho visto i video di diversi spettacoli di Bergman. Quindi, diceva? J. M. Avevo i capelli ben pettinati (fa un gesto), io interpretavo il ruolo di... sto diventando vecchio... non mi ricordo più il ruolo e l’anno... F. P. Nel cast c’erano anche Harriet Andersson e Max von Sydow? J. M. Esattamente. Lui recitava il ruolo di quello che dice sempre la verità, in Svezia noi lo definiamo “Sanningssägare”. Fu abbastanza divertente anche se avevo un ruolo piccolo. Avevo pochissime battute, quattro per la precisione. L’interfono annuncia le riprese delle prove dello Zio Vanja interrompendoci un istante.
J. M. Fu divertente perché ad Oslo... I norvegesi conoscono il “loro” Ibsen, avevo due battute nel primo atto ed altre due nell’ultimo; il personaggio cercava di contenersi per non far vedere che aveva bevuto, nonostante fosse fracido di alcool nella profondità del suo essere. Quindi il pubblico mi acclamava con grandi applausi nonostante il mio piccolo ruolo, perché conoscevano il loro Ibsen e la mia interpretazione rientrava nel loro immaginario. Quindi non ho avuto una grande esperienza con Ingmar a Teatro... Poi c’è stato Fanny e Alexander. Alla fine sono tornato a lavorare con lui nelle sue due ultime messinscene al Dramaten. Le ultime due... Una volta Ingmar mi chiamò e... (lo imita): “...oh, oh, pensi di poter recitare ne La Sonata degli Spettri di Strindberg...”. Mi aveva telefonato a casa. “Ma certo”, risposi. E lui: “Vorrei che tu facessi il vecchio Hummel”. “Il vecchio Hummel? Sarebbe il personaggio per me?!”, dissi. E quello fu veramente un periodo divertentissimo, lui era allegro, e noi abbiamo percorso anche le par216 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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ti nere e pesanti con humor. Fu divertente, ma... Non so se Ingmar nutrisse del risentimento nei miei confronti per una certa cosa... sì, infatti era proprio così. Il vecchio Hummel ha un lungo monologo verso la fine, prima di essere impiccato. Dovrebbe essere una scena che richiede un silenzio intorno, però Bergman aveva disposto tutti gli attori in una specie di fila orizzontale sfalzata, gli uni accanto agli altri come in una parata. Un personaggio aveva una ferita sulle labbra e se la leccava tutto il tempo emettendo dei versi rumorosi; la gente guarda queste cose! Un altro personaggio, invece, veniva colto da spasmi... tutto questo avveniva durante il mio monologo, mentre stavo recitando, ed io mi sono detto “No, io voglio superare questo ostacolo, non voglio che questo per me sia un problema!”. Era difficile, ma mi è venuto bene lo stesso! (Guarda una fotografia del figlio appesa alla parete). Mio figlio Jonas ha recitato nello spettacolo; interpretava il ruolo dello Studente, quindi abbiamo avuto per noi quasi tutto il primo atto. Tutti sono soliti chiedere: “Come è stato lavorare con tuo figlio?”. No, lui non è mio figlio quando siamo in scena. È un compagno di scena maledettamente bravo. Lo stesso vale con mia moglie quando lavoriamo insieme. E poi ci fu la mia seconda esperienza con Ibsen che era il suo ultimo spettacolo teatrale. Ingmar era vitale... vitale e divertente, ci siamo divertiti tutto il tempo, anche se la storia era molto cupa. E questo era merito anche di Erland Josephson che aveva uno stato vitale alto, era molto allegro ed energico. Ingmar ed Erland si conoscevano da una vita, sin dalla prima gioventù. Comunque con questo spettacolo abbiamo fatto una lunga tournée, siamo stati anche in America a New York al teatro Bam. Loro volevano sempre tutti gli spettacoli di Ingmar. Ci siamo anche andati con Spettri in quel teatro. L’interfono ci interrompe nuovamente. Jan si alza bestemmiando e toglie dal muro tutto l’impianto elettrico! Poi torna a sedere. J. M. Dunque, avevo visto un video della messinscena di Spöksona-
ten con Toivo Pawlo che interpretava Hummel. Ho guardato molto attentamente il momento in cui teneva quel famoso monologo di cui ti stavo dicendo prima e... beh, intorno tutto era silenzioso e il focus era 217
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puntato esclusivamente su di lui. Ingmar invece mi ha completamente rovinato quella scena in questa versione e ne era consapevole. Comunque, a parte questo, abbiamo avuto delle prove molto divertenti; era veramente preciso e attento. Non è stato così quando abbiamo fatto Spettri di Ibsen... F. P. La sua ultima messinscena. J. M. Sì, esatto. In quello spettacolo io interpretavo il pastore Manders. Io vedevo come la stanchezza s’impossessava di lui, ormai era diventato vecchio e non c’era quella energia che lo aveva sempre caratterizzato. Io sono stato addirittura costretto a correggerlo qualche volta. Alla fine la stanchezza si era appropriata di lui, aveva quell’atteggiamento mansueto degli anziani che dicono: “Va bene, adesso va bene, adesso ho fatto il mio dovere e posso ritirarmi”. Quindi la mia esperienza con Bergman si esaurisce qui. Noi due non ci siamo mai seduti uno di fronte all’altro per parlarci. Solo una volta è successo con le riprese di Fanny e Alexander e in quell’occasione ho avuto la prova di quanto fosse ricettivo; c’è una scena nel film dove Jarl Kulle e Börje Ahlstedt vengono da me in canonica per chiedermi di lasciare andare via mia moglie, Eva Fröling; Jarl e Börje siedono uno accanto all’altro davanti a me e Bergman voleva girare questa scena con noi tre completamente immobili nelle nostre posizioni. Dovevamo stare seduti tutto il tempo ed io dovevo offrire loro un bicchiere di Sherry. A quel punto ho parlato con lui: “La superiorità del vescovo”, gli ho detto, “si può sottolineare maggiormente se lui si alza, va alla finestra e poi gira intorno a loro per attaccarli alle spalle”. E Bergman ha accettato la mia proposta; l’ha ascoltata e l’ha accettata. Questa è una dimostrazione di quanto fosse aperto nei confronti degli attori. F. P. Quindi vi lasciava abbastanza liberi... J. M. Certo, ma solo se gli si proponevano spunti interessanti, validi. F. P. Cosa pensa di avere imparato da Ingmar Bergman e cosa crede che Bergman abbia imparato da Lei? J. M. (Stimolato) Sì, sì... Io non ho imparato tanto da Ingmar Bergman, perché avevo una vasta esperienza già prima di incontrarlo; avevo lavorato nei teatri privati, avevo fatto operette, l’entertaiment, il cantautore... Poi avevo già recitato l’Amleto qui al Dramaten (guarda 218 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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la parete, si blocca per un istante). Mio figlio Jonas stava recitando Amleto proprio adesso qui, in questo teatro; lo sapevi? E mia moglie all’epoca recitava Ofelia. Quindi io avevo già una grandissima esperienza prima di incontrare Ingmar, però è ovvio che non si finisce mai d’imparare; e questo è il motivo che mi ha spinto a cambiare spesso, a fare tante cose; come il contadino che non può coltivare sempre la stessa cosa: un anno semina patate, un altro anno carote, ecc. questa scena fa parte della versione lunga che non è stata presentata in Italia. Non si possono coltivare ogni anno patate, bisogna intervallare con qualche altra cosa per poi tornare a coltivarle nuovamente. Capisci cosa intendo? È così che io vedo il mio lavoro. Ho fatto così tanto teatro “impegnato” che adesso mi viene la voglia di far saltare le gambe, di zampettare sul palco con l’operetta, la commedia... Infatti adesso sto facendo Dolittle al teatro Oskar. Un critico ha recensito così lo spettacolo “siamo entrati nella storia dell’operetta con Jan Malmsjö...”. Nel passato avevo recitato il ruolo di Freddy nel Pigmalione qui al Dramaten, poi il Dottor Higgins a Malmö e adesso Dolittle”. F. P. Che cosa rappresenta per Lei il teatro, fare l’attore? Crede che il teatro sia cambiato rispetto ad un tempo? J. M. Qualche volta devo ammettere che ho qualche problema a vedere un certo tipo di teatro che io definisco “teatro che si autoinventa”. I critici spesso si esaltano quando vedono cose strane, “originali”, forse perché sono stanchi del teatro stesso. Per esempio in Svezia esiste un gruppo teatrale che si chiama Cirko Cirkorum che è molto amato per le loro acrobazie. Poi però c’è anche Mats Ek, un coreografo, regista, attore e ballerino; in tutti i suoi spettacoli si balla, si canta... Mats mi piace molto, amo questo tipo di teatro, il resto non mi piace affatto. Non mi piace quel teatro “hitta på” - teatro invenzione dove bisogna sorprendere e inventare cose nuove ad ogni costo. Questo è solo esibizionismo e sensazionalismo. Comunque... anche nel passato si sperimentava... penso a Sjöberg... lui sperimentava tanto... nelle sue pièce; penso a tutta la drammaturgia polacca che ha messo in scena qui in Svezia, Gombrowich ad esempio. F. P. E Molander? 219 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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J. M. Io ho recitato anche nei suoi spettacoli. Mi stava antipatico; alcuni attori che avevano lavorato con lui tremavano, tutti tranne Lars Hansson, perché erano due giganti che si affrontavano. Secondo me è stato l’attore più grande di Svezia, della mia generazione. F. P. Ma che differenza c’è per Lei tra le due epoche? J. M. Adesso c’è un altro tipo di fantasia. Per esempio, quando abbiamo fatto Il Gabbiano con Stefan Larsson non l’abbiamo fatto in modo canonico, classico, bensì in un modo atipico che rischiava di sfiorare il teatro hitt-på, però la gente l’ha accettato. Io ho sempre fatto una rotazione agraria nella mia vita, ho cambiato i generi e le forme di comunicazione, dal teatro impegnato all’operetta per divertire la gente. F. P. Insomma, voi siete una famiglia di artisti. Suo figlio Jonas da chi ha preso di più: da lei o dalla madre...? J. M. Jonas è un individuo a sé ed è maledettamente bravo!
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PARTE TERZA IMMAGINI
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Tre coltelli da Wei di Henry Martinson 04/06/1964 Regia di Ingmar Bergman
Tre attrici di Bergman durante le prove 223 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Hedda Gabler di H. Ibsen 17/10/1964 Regia di I. Bergman
A sinistra: Gertrud Fridh è Hedda Gabler 224 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La scenografia 225 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Woyzeck di G. Büchner, 14/03/1969 Regia di I. Bergman
Foto di scena 226 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Il Sogno di August Strindberg, 14/03/1970 Regia di Ingmar Bergman
Ingmar Bergman durante le prove de Il Sogno mentre parla al suo ensemble 227 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bergman parla agli attori de Il Sogno durante le prove 228 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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L’Anatra Selvatica di Henrik Ibsen 17/03/1972 Regia di Ingmar Bergman
Foto di scena 229 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Harriet Andersson (al centro) ed Erland Josephson (a destra) durante una prova de L’anatra selvatica 230 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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L’anatra selvatica, un’altra foto di scena: in primo piano Hedvig (Lena Nyman) e Gina (Gertrud Fridh) mentre si abbracciano nella soffitta (il proscenio) 231 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Verso Damasco di August Strindberg 02/01/1974 Regia di Ingmar Bergman
Foto di scena 232 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena 233 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena 234 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena 235 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La signorina Julie di August Strindberg Versione con Lena Olin 07/12/1985 Regia di Ingmar Bergman
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La Signorina Julie di August Strindberg Versione con Maria Goranzon 07/12/1985 Regia di Ingmar Bergman
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Peter Stormare (Jean) e Lena Olin (Julie) 238 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La signorina Julie - Foto di scena. Peter Stormare (Jean) e Maria Goranzon (Julie) 239 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La signorina Julie - Foto di scena. Peter Stormare (Jean) e Maria Goranzon (Julie) 240 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Ingmar Bergman con L. Olin durante una prova de La signorina Julie 241 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Kristina (Gerthie Kulle) e Jean (Peter Stormare) 242 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Jean (Peter Stormare) e Julie (Maria Goranzon) 243 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Amleto di W. Shakespeare 20/12/1986 Regia di I. Bergman
A sinistra I. Bergman; al centro P. August (Ofelia); a destra P. Stormare (Amleto) - una foto delle prove 244 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena dell’Amleto. A sinistra Börje Ahlstedt (Claudio); a destra Gunnel Lindblom (Gertrud); al centro Peter Stormare (Amleto) 245 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Una foto delle prove dell’Amleto, il duello finale. A sinistra B. Ahlstedt (Claudio); a destra P. Stormare (Amleto); al centro I. Bergman 246 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena dell’Amleto. Ofelia (P. August) e Amleto (P. Stormare) 247 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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A sinistra Claudio (B. Ahlstedt); a destra Gertrud (G. Lindblom); al centro Amleto (P. Stormare) 248 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Amleto - Foto di scena. Il duello finale 249 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Pernilla August (Ofelia) e Peter Stormare (Amleto) 250 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Lo spettro (Per Myrberg) e Amleto (Peter Stormare) 251 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Amleto (Peter Stormare) durante un monologo 252 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Amleto - foto di scena. L’irruzione di Fortebraccio nel castello 253 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Amleto - Foto di scena. L’irruzione di Fortebraccio 254 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Lungo viaggio al termine della notte di Eugene O’Neill, Dramaten, 16/04/1988 Regia di I. Bergman
Jarl Kulle (James Tyrone) e Peter Stormare (Edmund Tyrone) 255 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La scenografia di un momento dello spettacolo. A sinistra della scena Peter Stormare (Edmund Tyrone) 256 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Jarl Kulle e Ingmar Bergman durante le prove 257 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Da sinistra a destra: Thommy Berggren, Peter Stormare e Ingmar Bergman durante le prove 258 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Al centro, di spalle, Bibi Andersson (Mary Tyrone) fa vedere il costume di scena ad Ingmar Bergman durante una pausa 259 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bibi Andersson (Mary Tyrone) e Jarl Kulle (James Tyrone) 260 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Thommy Berggren (JamieTyrone) e Peter Stormare (Edmund Tyrone) interpretano i due fratelli 261 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Casa di Bambola di H. Ibsen 17/11/1989 regia di I. Bergman
La scenografia 262 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Casa di Bambola: scena finale. Pernilla August (Nora) al centro 263 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Pernilla August è la Nora di Bergman 264 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Nora e il marito 265 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bergman scherza con i due attori durante una prova 266 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bergman e i tecnici durante una pausa dalle prove di Casa di bambola 267 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Pernilla August e Ingmar Bergman durante una pausa 268 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Peer Gynt di H. Ibsen 27/04/1991 regia di I. Bergman
Foto di una prova 269 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bergman durante una prova del Peer Gynt 270 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Al centro Ingmar Bergman mostra un movimento a Börje Ahlstedt (sul fondo) durante le prove 271 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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°sa), Ingmar Bergman e Börje Ahlstedt (Peer Gynt) durante una Bibi Andersson (A prova 272 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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I. Bergman, B. Andersson e B. Ahlstedt scherzano durante una pausa 273 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Börje Ahlstedt (Peer Gynt) e sullo sfondo Bibi Andersson (Åsa) 274 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Lena Endre è Solveig 275 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena - Börje Ahlstedt è Peer Gynt 276 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Racconto d’inverno di W. Shakespeare 29/04/1994 regia di I. Bergman
Foto di scena 277 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Scenografia de Il racconto d’inverno - scena iniziale dello spettacolo 278 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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I. Bergman con una comparsa durante la prova costumi 279 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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I. Bergman aggiusta la posizione di un’attrice durante una scena con Börje Ahlstedt (Leonte) 280 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Al centro P. August (Ermione); a sinistra B. Ahlstedt (Leonte); a destra K. Henriksson (Polissene) con i “figli” Fanny e Alexander 281 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Il racconto d’inverno. Foto di scena, scena finale 282 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Il racconto d’inverno. Foto di scena 283 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Il costruttore d’immagini di P. O. Enqvist 12/02/1998 regia di I. Bergman
Ingmar Bergman davanti al sipario della sala Lilla Scenen del Dramaten 284 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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I. Bergman, E. Klinga e L. Hjulström durante una prova 285 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Da sinistra: L. Hjulström, E. Klinga e I. Bergman durante una prova 286 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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I. Bergman dà un’indicazione all’attrice Anita Björk 287 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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I. Bergman in riunione con la compagnia 288 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La scenografia di Göran Wassberg 289 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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La sonata degli spettri di A. Strindberg 11/02/2000 regia di I. Bergman
I. Bergman durante una prova con Jan Malmsjö (Hummel) e Örjan Ramberg (Johansson) 290 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Erland Josephson (Bengtsson) e Jan Malmsjö (Hummel) e Örjan Ramberg (Johansson) 291 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Erland Josephson (Bengtsson) e Ingmar Bergman durante una prova 292 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Ingmar Bergman e Jan Malmsjö durante una prova 293 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. A sinistra G. Lindblom (La mummia); al centro E. Klinga (Fröken); a destra J. Malmsjö (Hummel) 294 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. In primo piano Gunnel Lindblom (La mummia) e Jan Malmsjö (Hummel) 295 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bergman spiega una scena a Jan Malmsjö 296 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Gunnel Lindblom è la Mummia 297 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Bergman spiega una scena a Gunnel Lindblom e Jan Malmsjö 298 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Gunnel Lindblom (La mummia) e Jan Malmsjö (Hummel) 299 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Jan Malmsjö interpreta Hummel nel momento dell’impiccaggione 300 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Jonas Malmsjö è lo Studente 301 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Virpi Pahkinen (la lattaia) 302 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Jonas Malmsjö (lo studente) 303 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena del primo atto Jonas Malmsjö insieme a dei figuranti 304 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Per Myrberg, Jonas Malmsjö ed Elin Klinga 305 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Elin Klinga (Fröken) e Jonas Malmsjö (lo studente) 306 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Gunnel Lindblom (La Mummia) e Jan Malmsjö (Hummel) 307 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Jan Malmsjö (Hummel) e Jonas Malmsjö (lo studente) 308 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Jan Malmsjö (Hummel) e Per Myrberg (Oversten) 309 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena atto primo J. Malmsjö (Hummel) con Virpi Pahkinen (la lattaia) e dei figuranti 310 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Spettri di H. Ibsen, Dramaten, 09/02/2002 regia di I. Bergman
Foto di scena. A sinistra Jonas Malmsjö è Osvald; al centro Pernilla August è la signora Alving; a destra Jan Malmsjö è il pastore Manders 311 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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I. Bergman prova una scena con Pernilla August 312 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena La signora Alving (Pernilla August) e il pastore Manders (Jan Malmsjö) 313 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Angela Kova´cs è Regina, Örjan Ramberg è il falegname Engstrand 314 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Angela Kova´cs (Regina) e Jonas Malmsjö (Osvald) 315 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Jonas Malmsjö (Osvald) e Pernilla August (Signora Alving) 316 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Örjan Ramberg è il falegname Engstrand 317 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Angela Kova´cs (Regina) e Jonas Malmsjö (Osvald) 318 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. P. August (Signora Alving) e J. Malmsjö (pastore Manders) 319 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Pernilla August (Signora Alving) e Jonas Malmsjö (Osvald) 320 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Il pastore Manders (J. Malmsjö) e Regina (A. Kova´cs) 321 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Foto di scena. Da sinistra: Regina (Angela Kova´cs), la Signora Alving (Pernilla August), il pastore Manders (Jan Malmsjö) e Osvald (Jonas Malmsjö) 322 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Allestimenti Bergmaniani 1938/2002
1. Rosmersholm di H. Ibsen, 2004 (radiodramma) 2. Il Pellicano / L’isola dei morti di A. Strindberg, 2003 (radiodramma) 3. Spettri di H. Ibsen, 2002 (DT) 4. John Gabriel Borkman di H. Ibsen, 2001, 5. Maria Stuarta di F. Schiller, 2000 (DT) 6. La sonata degli spettri di A. Strindberg, 2000 (DT) 7. Storm Weather (1999) 8. Il costruttore d’immagini di P. O. Enqvist, 1998 (DT) 9. Le Baccanti di Euripide,1996 (DT) 10. Harald & Harald (1996) 11. Yvonne, principessa di Lussemburgo di W. Gombrowicz, 1995 (DT) 12. Il Misantropo di Molière, 1995 (DT) 13. Racconto d’inverno di W. Shakespeare, 1994 (DT) 14. Le variazioni di Goldberg di G. Tabori, 1994 (DT) 15. Il tempo e la stanza di B. Strauss, 1993 (DT) 16. The Last Gasp (1993) 17. Le Baccanti di Euripide/Börtz, 1991 (O) 18. Peer Gynt di H. Ibsen, 1991 (DT) 19. A Spiritual Matter (1990) 20. Una casa di bambola di H. Ibsen, 1989 (DT) 21. Madame de Sade di Y. Mishima, 1989 (DT) 22. Lungo viaggio al termine della notte di E. O’Neill, 1988 (DT) 23. Amleto di W. Shakespeare, 1986 (DT) 24. Il Sogno di A. Strindberg, 1986 (DT) 25. La signorina Giulia di A. Strindberg, 1985 (DT) 26. John Gabriel Borkman di H. Ibsen, 1985 (RT) 27. A Hearsay (1984) 28. Aus dem Leben der Regenwürmer (The Dance of the Rainsnakes) di P. O. Enqvist, 1984 (RT) 29. Re Lear di W. Shakespeare, 1984 (DT) 30. Dom Juan di Molière, 1983 (FS-NT) 31. Nora/Julie/Scenes from a Marriage /Trilogia bergmaniana, 1981 (RT) 32. Yvonne, Principessa di Borgogna di W. Gombrowitcz, 1980 (RT) 33. Hedda Gabler di H. Ibsen, 1979, (RT) 34. Il Tartufo di Molière, 1979 (RT) 35. Tre sorelle di A. Checov, 1978 (RT) 36. Il Sogno di A. Strindberg, 1977 (RT) 323 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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37. La dodicesima notte di W. Shakespeare, 1975 (RT) 38. Verso Damasco di A. Strindberg, 1974 (DT) 39. Il Misantropo di Molière, 1973 (DT) 40. La sonata degli Spettri di A. Strindberg, 1973 (DT) 41. L’anatra selvatica di H. Ibsen, 1972 (DT) 42. Show di L. Forsell, 1971 (DT) 43. Hedda Gabler di H. Ibsen, 1970 (NTL) 44. Il Sogno di A. Strindberg,1970 (DT) 45. Woyzeck di G. Büchner, 1969 (DT) 46. Sei personaggi in cerca di autore di L. Pirandello, 1967 (NO) 47. La scuola delle mogli di Molière, 1966 (DT) 48. L’Istruttoria di P. Weiss, 1966 (DT) 49. La piccola Alice di E. Albee, 1965 (DT) 50. Don Giovanni di Molière, 1965 (DT) 51. Hedda Gabler di H. Ibsen, 1964 (DT) 52. Tre coltelli da Wei di H. Martinson, 1964 (DT) 53. La Leggenda di H. Bergman, 1963 (DT) 54. Chi ha paura di Virginia Woolf? di E. Albee, 1963 (DT) 55. The RakÈs Progress (1961) 56. Playing with Fire (1961) 57. The Seagull (1961) 58. The First Warning (1960) 59. La gente del Värmland di F. A. Dahlgren, 1958 (MS) 60. He Who Nothing Owns (1958) 61. Ur-Faust di W. Goethe, 1958 (MS) 62. La Leggenda di H. Bergman, 1958 (MS) 63. Il Misantropo di Molière, 1957 (MS) 64. Counterfeiters (1957) 65. The Prisoner (1957) 66. Peer Gynt di H. Ibsen, 1957 (MS) 67. Erik XIV di Strindberg, 1956 (MS) 68. La gatta sul tetto che scotta di T. Williams, 1956 (MS) 69. The Tunnel (1956) 70. Everyman (1956) 71. Vox humana (1956) 72. Portrait of a Madonna (1956) 73. The Poor Bride (1956) 74. Grandma and Our Lord (1956) 75. Leah e Rachele di V. Moberg, 1955 (MS) 76. The Monk Strolls in the Meadow (1955) 324 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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77. The Ball (1955) 78. Pittura su legno di I. Bergman, 1955 (MS) 79. The Tea House of the August Moon di J. Patrick, 1955 (MS) 80. Don Juan di Molière, 1955 (MS) 81. The Apple-Tree Table (1954) 82. Twilight Games (1954) 83. The Merry Widow (1954) 84. Pittura su legno di I. Bergman, 1954 (MS) 85. La sonata degli spettri di A. Strindberg, 1954 (MS) 86. Il Castello di F. Kafka, 1953 (MS) 87. Sei personaggi in cerca d’autore di L. Pirandello, 1953 (MS) 88. The Dutchman (1953) 89. A Caprice (1953) 90. Unto My Fear (1953) 91. The Restless Heart, 1952 92. The Crown Bride di A. Strindberg, 1952 (MS) 93. The Day Ends Early, 1952 94. Pasqua di A. Strindberg, 1952 95. Nozze di sangue di G. Lòrca, 1952 96. Murder at Barjärna di I. Bergman, 1952 (MS) 97. Crimes and Crimes (1952) 98. The Guiltburden of the Night (1952) 99. The People of Värmland (1951) 100. La Rosa Tatuata di T. Williamsm, 1951 (NLS) 101. Summer (1951) 102. The Country Girl (1951) 103. The City (1951) 104. Light in the Schack (1951) 105. Un’ombra/ Medea di H. Bergman e J. Anouihl, 1950 (GS) 106. L’Opera da tre soldi di B. Brecht, 1950 (IS) 107. Parole divine di R. de Vallè- Inclàn, 1950 (GS) 108. Come Up Empty (1949) 109. Un treno chiamato desiderio di T. Williams, 1949 (GS) 110. The Restless Heart (1949) 111. Macbeth (1948) 112. Mother Love (1948) 113. Thieves’ Carnival di J. Anhouil, 1948 (GS) 114. Lodolezzi Sings (1948) 115. Dancing on the Pier (1948) 116. Giocando col fuoco (1947) 325 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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117. Into My Fear (1947) 118. The waves (1947) 119. Magia diG. K. Chesterton, 1947 (GS) 120. The Dutchman (1947) 121. Il giorno finisce presto di I. Bergman, 1947 (GS) 122. Summer (1946) 123. Caligula di A. Camus, 1946 (GS) 124. Rachel and the Cinema Doorman di I. Bergman, 1946 (MS) 125. Requiem di B.E. Höijer, 1946,(HS) 126. Il Pellicano di A. Strindberg, 1945 (HS) 127. Rabies di O. Hedberg, 1945 (HS) 128. Jacobowsky e il colonnello di F. Werfel, 1945 (GS) 129. Reduce Morals di S. Bergström,1945 (HS) 130. La leggenda di H. Bergman,1945 (HS) 131. Kriss-Krass-Filibom: New Year’s Cabaret di Autori vari, 1945 (HS) 132. The Tinder Box (1944) 133. Macbeth di W. Shakespeare, 1944 (HS) 134. When the Devil Makes an Offer (1944) 135. The Ascheberg Widow at Wittskövle di B. von Horn e E. Collin, 1944 (HS) 136. Little Red Riding Hood (1944) 137. The Gambling Hall/Mr. Sleeman Cometh (1944) 138. La stanza d’albergo di P. Rocher, 1944, (BT) 139. Tivoli di I. Bergman, 1943 (Student) 140. Niels Ebbesen di K. Munk, 1943 (DS) 141. En däjlig rosa (A beautiful rose) (1943) 142. Geografia e amore di B. Bjornson, 1943 (FP) 143. Just Before Awakening di B. O. Vos, 1943 (STUDENT) 144. U-boat 39 di R. Värnlund, 1943 (DS) 145. Quando il diavolo fa un’offerta di Soya, 1943 (Student) 146. Sogno di una notte di mezza estate di W. Shakespeare, 1942 (NL) 147. La morte di Punch di I. Bergman, 1942 (Student) 148. Beppo il Clown di Else Fischer, 1942 (Sago) 149. Little Red Riding Hood di Bürchner, 1942 (Sago) 150. Sniggel snuggel / The Three Stupidities di T. Munthe, 1942 (Sago) 151. L’uccello blu di Z. Topelius, 1941 (SAGO) 152. Sogno di una notte di mezza estate di W. Shakespeare, 1941 (Sago) 153. La sonata degli spettri di A. Strindberg, 1941 (MT) 154. The Tinder Box di H. C. Andersen, 1941 (Sago) 155. Il Padre di A. Strindberg, 1941 (FW) 156. Svanevit di A. Strindberg, 1940 (MO) 326 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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157. Il mercante di Venezia di W. Shakespeare, 1940 (NL) 158. The Melody that Disappeared (1940) 159. Il Pellicano di A. Strindberg, 1940 (Student) 160. Return (1940) 161. The Hour Glass/The Pot of Broth di W. B. Yeats, 1940 (MO) 162. Macbeth di W. Shakespeare, 1940 (MO) 163. Il guanto nero di A. Strindberg, 1940 (MO) 164. In Bethlehem (1940) 165. L’uomo che rivisse la sua vita di P. Lagerkvist (1939) 166. Christmas/Advent (1939) 167. Autumn Rhapsody/The Romantics di D. Rönqvist, 1939 (MO) 168. Evening Cabaret For the Entire Family (1939) 169. Il viaggio di Lyco Per di A. Strindberg, 1939 (MO) 170. L’Impiccato/Il carro dorato, 1939 (MO) 171. Outward Bound, 1938 (MO) Legenda
MO NL STUDENT FW SAGO MT DS FP BT HS GS DT O NO NTL DKT RT FS
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Mäster Olofs-gården Norra Latin Studenteatern Folke Walders turn Sagoteatern Medborgarteatern Dramatikerstudion Folkparksteatern Boulevardteatern Hälsinborgs stadsteater Göteborgs stadsteater Drmaten Operan Nationalthetret Oslo National Theatre London Det kgl Teater Köpenhamn Residenztheater München Festspelen Salzburg
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BIBLIOGRAFIA
Opere di Ingmar Bergman
Lanterna Magica (1987), Milano, Garzanti, 1986 Traduzione di Fulvio Ferrari Immagini (1992), Milano, Garzanti, 1992 Traduzione di Renzo Pavese Il Settimo Sigillo , Milano, Iperborea, 1994 Conversazioni Private (1996), Milano, Garzanti, 1996 Il Quinto Atto, Milano, Garzanti, 2000 Pittura su Legno (1955), Torino, Einaudi, 2001 Con le migliori intenzioni (1991), Milano, Garzanti, 2001 Il posto delle fragole (1957), Milano, Iperborea, 2004 Sarabanda (2002), Milano, Iperborea, 2005, Traduzione di Renato Zatti Tre Diari (e di Ingrid von Rosen), Milano, Iperborea, 2008, Traduzione di Renato Zatti Opere su Ingmar Bergman
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Opere di August Strindberg
ROMANZI Il Figlio della Serva (1886), Milano, Mondadori, 1991 La storia di un’anima (1886), Firenze, Sansoni, 1988, a cura di Franco Perrelli La Sala Rossa (1879), Milano, BUR, 1986 Introduzione di F. Perrelli Autodifesa di un folle (1887-88), Milano, SE, 1989, con uno scritto di Franco Perrelli Gli Abitanti di Hemsö (1887), Roma, La Biblioteca di Repubblica, 2004 Introduzione di Anna Maria Segala Ciandala (1888), Milano, SE, 1995, a cura di F. Perrelli Inferno, Leggende, Giacobbe lotta (1897) Milano, Adelphi 2005, a cura e con un saggio di L. Codignola Solo (1903), Roma, Salerno editrice, 1992, a cura di A. Petracca Bandiere Nere (1904), Milano, Meridiani Mondadori L’Olandese (1902/uscito nel 1918), Milano, Iperborea, 1991, traduzione e introduzione di Franco Perrelli
POESIE Notti di sonnambulo ad occhi aperti (1884), Firenze, Passigli, 1997, a cura di G. Oreglia TEATRO
TEATRO NATURALISTICO: I Predatori (1888), la Signorina Julie (1888),
Milano, Adelphi, 1982, a cura di Luciano Codignola Da TUTTO IL TEATRO Vol. II (1888-1889): La più forte (1889), Verso Damasco I (1898), Verso Damasco II (1898), Milano, Mursia, 1985 Pasqua (1901), Roma, Gremesse, 1993, introduzione di F. Perrelli Il Sogno (1902), Milano, Adelphi, 1994, a cura di G. Zampa Till Damaskus, Ett Drömspel, Stockholm, Natur och Kultur, 2005 TEATRO DA CAMERA, Temporale (1907), Casa Bruciata (1907), Sonata di Fantasmi (1907), Il Pellicano (1907), L’Isola dei Morti, Il Guanto Nero (1907-1908), Milano, Adelphi, 1996, Note di L. Codignola Strindberg, Il meglio del teatro per la prima volta tradotto dall’originale svedese, Torino, SET, 1951 La grande strada maestra (1909), Milano, Il Formichiere, 1980, a cura di Franco Perrelli 330 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Opere su August Strindberg
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Opere di Carattere Generale
AA.VV. Obiettivo sulla Svezia. Gli Italiani parlano agli Italiani un’antologia degli scritti più recenti sulla democrazia svedese pubblicati dai giornali italiani e raccolti dall’Ambasciata di Svezia a Roma, Roma, Bulzoni, 1972 Alonge Roberto, Davico Bonino Guido, Il grande teatro borghese: Settecento-Ottocento Volume XIV Perrelli Franco, La grande stagione del Teatro Scandinavo, Torino, Il Giornale, 2000 Englund Claes, Janzon Leif, Theatre in Sweden, Solna, Svenska Institutet, 1997 Ferrari Fulvio, Il Nord Europa: Ibsen e Strindberg della collana Il Teatro volume XVII, Torino, Il Giornale, 2000 Hammergren Lena, Helander Karin, Sauter Wilmar, Svenska Teaterhändelser 1946-1996, Stockholm, Natur och Kultur, 1996 Hammergren Lena, Helander Karin, Rosenberg Tiina, Sauter Wilmar, TEATER i SVERIGE, Södertälje, GIDLUNDS FÖRLAG, 2004 Löfgren Lars, Svensk Teater, Stockholm, Natur och Kultur, 2003 Novellino Michele, Psicoanalisi Transazionale Manuale di psicodinamica relazionale per psicoterapeuti e counsellor, Milano, Franco Angeli, 2004 Szondi Peter, Teoria del Dramma Moderno 1880-1950, Torino, Einaudi, 1962 Tigestedt E. N., Svensk litteraturhistoria, Stockholm 1971 Tranströmer Tomas, Poesia dal Silenzio, Milano, Crocetti, 2001, a cura di Maria Cristina Lombardi Westerståhl Vanda Monaco, Erland Josephson Memorie di un Attore, Roma, Bulzoni, 2002 RIVISTE «Il Castello di Elsinore», n.52, 2005
FONTI CONVEGNI Ingmar Bergman Symposium 2005 (30, 31 Maggio e 1 Giugno) a cura di Maaret Koskinen, atti in corso di pubblicazione
MUSEI E BIBLIOTECHE Kungliga Biblioteket, Biblioteca Reale di Stoccolma Consultazione dell’autografo originale de Il Sogno di A. Strindberg La biblioteca del Teatro Reale Drammatico, “Dramaten”, di Stoccolma Bildarkiv e Biblioteket del Dramaten: foto di scena delle produzioni bergmaniane de Il Sogno del 1970 e del 1986. Consultazione dei copioni originali di I. Bergman delle stesse produzioni 332
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Riviste teatrali Programmi teatrali Programme details (riferimento ai registi, al cast delle produzioni, agli scenografi) Fotografie degli spettacoli Teatervetenskapliga Istitutionen, Stockholms Universitet (Dipartimento degli studi teatrali presso l’Università di Stoccolma)
Risorse Video
Videoteca di Karlavägen: Statene Ljud-och Bildarkiv Archiv: Il Sogno di A. Strindberg, regia di I. Bergman 1962, per SVT1 Il Sogno di A. Strindberg, regia di I. Bergman 14/03/1970 (Lilla Scenen) Hedda Gabler di H. Ibsen, regia di I. Bergman, 1964 L’Anatra Selvatica di H. Ibsen, regia di I. Bergman, 1977
Videoteca del Dramaten, Stoccolma: Il Sogno di August Strindberg, regia di I. Bergman 25/04/1986 (Lilla Scenen) Peer Gynt di H. Ibsen, regia di I. Bergman 27/04/1991 (Målarsalen – Stora Scenen - Tournée) La sonata degli Spettri di August Strindberg, regia di I. Bergman 13/01/1973 (Stora Scenen) La Sonata degli Spettri di August Strindberg, regia di I. Bergman, 12/02/2000 (Målarsalen - Lilla Scenen - Tournée) La Signorina Julie di A. Strindberg, regia di I. Bergman - tournée 07/12/1985 (Lilla Scenen - Tourneé) Hamlet di W. Shakespeare, regia di I. Bergman, 20/12/1986 (Stora Scenen - Tourneé) Casa di Bambola di H. Ibsen, regia di I. Bergman, 17/11/1989 (Stora Scenen -Tourneé) Lungo viaggio verso la notte di T. Williams, regia di I. Bergman, 16/04/1988 (Stora Scenen - Tournée) Marchesa De Sade di Y. Mishima, regia di I. Bergman, 1989 Spettri di H. Ibsen, regia di I. Bergman, 2002 Racconto d’Inverno di W. Shakespeare, regia di I. Bergman, 1994 333 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Film
Ingmar Bergman La città nella nebbia (1948) Bergman Collection contenuti extra, distribuzione BIM, 2005 Sete (1949) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Un’Estate d’amore (1951) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Donne in attesa (1952) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Monica e il desiderio (1953) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Sorrisi di una notte d’estate (1955) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Il posto delle fragole (1958) Multimedia San Paolo, 2002 L’occhio del diavolo (1959) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 La fontana della vergine (1959) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Luci d’inverno (1961) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Persona (1966) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Sussurri e grida (1972) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Scene da un matrimonio (1972) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Sinfonia d’Autunno (1977) Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Fanny e Alexander (1982) Edizione speciale Multimedia San Paolo, 2003 Dopo la prova (1983) Contenuti extra del DVD “Scene da un Matrimonio”, Bergman Collection, distribuzione BIM, 2005 Il Flauto Magico (1975) Beta Film 334 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.
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Liv Ullmann L’Infedele, sceneggiatura di I. Bergman (2000), edizioni Multimedia San Paolo, 2001 Tarkovskij Sacrificio, Andreij Rublëv, Lo Specchio, Nostalgia, Stalker
Documentari e Interviste Televisive
Ingmar Bergman 3 dokumentar om film, teater, Fårö och livet av Marie Nyreröd, Regi och Produktion: Marie Nyreröd Foto: Arne Carlsson Mfl. Klipping: Kurt Berkmark. Svenska Filmindistri 2003 Sélection oficielle Festival de Cannes 2005 Muraren, Ett Pörtratt av skådespelaren Thommy Bereggren. En Dokumentar av Stefan Jarl. Sverige 2002 - Färg/Svartvit - 1 tim 35 min- Cine Magi Belönad med Nordiska Filmpriset 2002
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