Conversazione con Ingmar Bergman 8867089390, 9788867089390

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Conversazione con Ingmar Bergman
 8867089390, 9788867089390

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Mikkì Nazionali dcl Gnima, Tonno Onvtwca ml Comuni cm Rtmogna Svwjka PcLMXNsmvrrr, Stoccolma

Tltuh» originale. CentKTMtfon «ver tergifum © IWO Edition* de ITwUe/Cahlcr* du Clnéxna

Traduzione dal francete di Daniela Giuffrida 01994 UmUu Via Bernardino Galllari 15 bit -10125 Torino TeL 0ll/6WJ9.10-f>* 011/AM 99.99 http://www.Undau.h e-maiE Undau«indau4t

ISBN ta-TltO-394-a

Olivier Assayas e Stig Bjorkman

CONVERSAZIONE CON INGMAR BERGMAN

Il tvluntflpvhhlii^to in nctMMudtlli rttrMpdiiM: Il cinema di Ingmar Bergman Bclugiia, 8 uiarzu - 10 aprile 1994 Torino, 25 marzo - 25 aprile 1994 Catalogo: a cura di Sergio Toltati e Andrea Mnrini

Fonti iconografiche: Museo Nazionale del Cinema Cineteca del Comune di Bologna •Caldera du cinema*.

Si ringrazia per la collaborazione: Gianna Chiapellu, Munti Nazionale del Cinema, Torino; Claudine Paquot e Catherine Frochen, «Cahier» du cinéma». Parigi.

Rctraspritfce a cura di Andrea Morirti c Sergio Toiletti Hanno cotlabomlo: Rolf Lindfor», Svenska Fllminstitutct, Susanne Bige, Svenska Institute; Manrico Mattioli, Cineteca del Comune di Bologna; Claudia Gianetto, Mu­ sco Nazionale del Cinema.

Si ringrazia per ia collaborazione: Svenska Institute; Swedish TV « Channel 1; Sandrew Film Distribution (Stoccolma); Filmbank Distribution; MO4-UIP (Londra); Mediateca Regio­ nale Toscana (Firenze): Comune di Pisa, Assessorato alla Cultura; Cineclub Areenale (Pisa).

CONVERSAZIONE CON INGMAR BERGMAN

Tre conversazioni Olivier Assayas e Stig Bjdrkman

Stoccolma. Primavera 1990. C'è il sole ma fa freddo. Là città è trasparente, luminosa. Piccoli battelli in partenza per l'arcipelago vanno a zigzag fra le isole. Non lontano dal lungomare, il Teatro Reale Drammatico con il suo aspetto massiccio di istituzione fuo­ ri dal tempo, nel tempo immobile delle città scandinave. Al piano del teatro, l'ampio salone per fumatori, con i suoi velluti e le sue colonne, avvolto nella penombra. Non un rumore. Qui, ogni giorno, Bergman ci aspettava quasi in agguato. Seduto, solo nella sala deserta, sembrava lasciarsi penetrare dalla pace del luogo, dal suo silenzio popolato di presenze. A11'improvviso, si alzava per accoglierci, fragile sulle lunghe gambe - ha da poco subito un'operazione all'anca - i suoi linea­ menti familiari appena appesantiti dall'età, sempre Illuminati da una grande vivacità d'espressione. Ai lati del salone, due balconate frontali dominano l'ingresso. Egli ce ne indica una: «C'è una "presenza" in questo luogo. Se si guarda bene, in certe serate, appare il fantasma di Harriet Bos­ se... Un'attrice molto amata da Strindberg... È vero. Io l'ho vista».

Abbiamo incontrato Bergman tre volte, il 14, 15 e 16 marzo dalie quattordici alle sedici; il rituale era sempre lo stesso: Berg­ man ci faceva da guida fra i meandri del teatro fino alla piccola anticamera del suo ufficio con trassegna la da una piccola targa in cuoio «Ingmar Bergman - RegissÓr». Qui, ci sedevamo intorno a un tavolo basso e chiacchieravamo di tutto un po'. Conosceva Stig da vent'anni, ma era il suo primo incontro con Olivier, di cui aveva visto alla vigilia del nostra prima incontro Il bambino d'inverno. Interessato al cinema francese, sondava i nostri punti di vista, 7

CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

ri interrogava su alcuni film recenti, ci parlava dei suoi progetti teatrali. Poi, tacevamo partire i registratori, due piccoli mangiacassette antidiluviani che entrambi osservavamo di tanto in tanto con i sudori freddi. Lui distendeva i piedi su uno sgabello, si allungava all'indietro e rispondeva - o evitava di rispondere con molta attenzione e precisione. Tanto più che, per evitare il peso di un interprete, avevamo deciso di parlare in inglese, cosa che obbligava tutti noi a comu­ nicare in un esperanto che esponeva la nostra conversazione al rischio dell'approssimazione. Dei lunghi bianchi, spesso delle enormi pause tra le frasi. Per questo il suo modo di parlare non è quello naturale, più esuberante, punteggiato da un riso sonoro, a tratti comunicativo, a tratti raggelante. 1j» conversazioni terminavano immancabilmente all'ora stabi­ lita (era lui a dare il segnale) eccetto l'ultimo giorno, il venerdì, quando, in vena di confidenze, aveva lasciato girare l'orologio. Poi ci riaccompagnava, attraversava con noi la hall e ci lasciava­ mo fino airindomanl.

Olivier si è fermato per tutta la settimana a Stoccolma, all'Hotel Stockolm - questo divertiva Bergman perché è un vecchio po­ stribolo —, ospite dell'istituto di Cinema svedese che, tutte le mattine, organizzava le proiezioni che noi richiedevamo. Abbia­ mo così potuto vedere i suoi primi film, ormai rari, e rinfrescare la memoria degli altri un po' dispersi fra le nebbie del ricordo. Erano ormai parecchi mesi che Bergman aveva accettato, gra­ zie all'intervento di Stig, di rilasciare una lunga intervista ai «Cahiers du cinéma». Le formule erano state più volte modificate e le date anche. Estate, autunno '89, poi febbraio, infine marzo '9U. Con il passare del tempo il progetto si trasformava. Un'inter­ vista, più interviste, uno sguardo retrospettivo sulla sua opera, una riflessione film per film, un libro. Abbiamo trascorso sei ore davanti a Bergman e quest'opera rappresenta la fedele c accurata trascrizione di questi incontri: nessun aggiustamento nella cronologia, nessun taglio, soltanto la preoccupazione di chiarire quei concetti che il tono parlato pote­ va rendere confusi, eliminare le ripetizioni, ma prima di tutto il desiderio di restituire la fluidità della conversazione, ivi compre­ si, e soprattutto, i suoi giri di parole c le sue digressioni. Attenti, 8

TRE CONVERSAZIONI

come si vedrà, a piegarci all'intento biografico che aveva provo­ cato questo incontro, ci siamo sforzati prima di tutto, contro l'evidenza, e talvolta anche contro il nostro gusto, di ottenere una conversazione ordinata, una passeggiata guidata attraverso la sua carriera. Ci abbiamo presto rinunciato: e dobbiamo dire che Bergman ci ha incoraggiati su questa strada. Molti cineasti che hanno messo tanto di sé nella loro opera, si sono anche preoccupati di proteggersi, di dissimularsi. Bergman ha messo tutto nei suoi film. C'è per intero: nudo. Al tempo stesso illusionista e reo confesso di questa illusione, vul­ nerabile e inaccessìbile, umano e insondabile. La sua opera è chiusa, non parla che di lui e il ritratto è già tutto compiuto, come Bergman ricorda spesso, con una sfuma tu ra di soddisfazione, come se di là passasse qualcosa del suo pote­ re sovrano. Quest'uomo di teatro ha firmato la sua uscita di scena ritiran­ dosi con la corona: un capolavoro di cinque ore e mezzo in cui si dipana tutta la sua esistenza, con tutti i suoi meccanismi segreti; un film più grande del cinema contemporaneo, che ne fa barcol­ lare i pregiudizi e i limiti. Con Fanny e Alexander trionfano il so­ gno, l'infanzia e la libertà. Poi, ha ancora voluto aggiungere un post-scriptum teorico, Dopo la prova, e un commento, Lanterna magica. Ha detto tutto, non resta più nulla da aggiungere. E oggi,.riconciliato, in pace con se stesso, non è paragonabile a chi ha portato a termine la sua opera, ma a qualcuno che se ne sia liberato. Proprio così, liberato dalla sua opera, liberato dai demoni che l'hanno ossessionato per tanto tempo, può finalmen­ te approfittare del silenzio. Oppure, del piacere di una conversa­ zione «incoerente». Nella quale, anziché ripetere ciò che già è stato troppo formulato, troppo sovente violato e che fa ormai parte del lontano passato di qualcuno che non è più lui, ha final­ mente la libertà di parlare, di saltare di palo in frasca, a seconda degli sbalzi d'umore e di voglia, abbandonandosi all'interesse spontaneo che nasce e che, solo, può dargli la pazienza di riper­ correre una volta di più un passato con il quale ha definitiva­ mente chiuso. Non ci sono più enigmi da risolvere. O vi è quello di una fotografia trasparente, che lui stesso ci in­ dica quando, dopo il nostro ultimo incontro, alzandosi, ci mostra l'immagine di una giovane attrice, Perniila Òstergren, che ha di­

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retto in Casa di bambola la stagione passata e che ha scelto per la parte di sua madre in un Him che ha scritto c che non realizzerò. Lei è ritratta in un movimento di danza, e più volte Bergman na segue col dito l'incurvatura dei fianchi come per mostrarci qualcosa: lì, c'è ancora qualcosa di misterioso.

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Mercoledì 14 marzo 1990

5hg Bjorkman. La suo attività artistico, tanto la scrittura, che il tea­ tro o il ciurma, ha infoio per lei alla fine dell’adolescenza o con l’esordio alla Mcdborgerskolan '? È difficile dirlo perché, per quanto posso ricordarmi* ho crea­ to per tutta la mia vita. Non c’è alcuna differenza rispetto a uggì* quando salgo sul palcoscenico di questo teatro per delle prove, oppure lume ho fatto questa mattina* quando vado a discutere con il mio scenografo del Peer Gynt che stiamo per mettere m cantiere. È esattamente lo stesso sentimento di quando ero bam­ bino* ben prima di andare a scuola, e dopo la colazione aprivo le porte della camera dove tenevo i giocattoli e decidevo come avrei passato il tempo la mattina, n sentimento non è cambiato* non lo dico per razionalizzare le cose, né per civetteria* è esatta­ mente c precisamente cosi. Divertirmi con i miei giochi, alcuni dei quali molto semplici* sul pavimento della mia temerà die era piena di sole, e calcare la scena. La qualità del mio sentimento è rimasta identica* sono i gesti a essere cambiati, la scala di valori* il contesto.

Olivier Assayas. Sono rimasto molto colpito del mi IHw, Lanterna magicaJ. in cui pii volle lei Ja riferimento al suo diario di lavoro. Quando he cominciato a scrivere e quale importanza ha per lei la scrittura, già du­ rante la giovinezza f La consapevolezza della scrittura è siala per ine molto tardiva* non so perché. Dovevo avere vent'anni* credo. La cosa strana è che non provavo alcun interesse per la scrittura. Amavo molto leggere* ma scrivere non mi attirava. È stata una cosa improvvisa. 11

CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

C'era la guerra, dovevo partire militare, avevo diciannove anni e la mia vita privata era già molto complicata. Durante la leva ave­ vo avuto un'ulcera, così mi hanno congedato e sono andato a casa di mia nonna, a Dalama, in Dalecarlia. A quell'epoca mia madre viveva lì e mi sono sentito molto lontano dalle tensioni e dalle complicazioni nelle quali mi ero dibattuto. Per distrarmi, ho co­ minciato a scrivere una piccola pièce teatrale e ho trovato la cosa molto divertente. Allora ne ho scritta un'altra e nel giro di quattro mesi sono arrivato a una dozzina. È cominciata così. Allora ave­ vamo un gruppo che si chiamava Teatro studentesco, ho portato loro uno dei miei lavori; «Vi andrebbe di recitarlo? Io posso occu­ parmi della messa in scena...», ho detto. Loro hanno risposto di sì ed è così che ho cominciato. Dunque, si è trattato di una cosa im­ provvisa e Incosciente. Non so perché, mi piaceva. Era un senti­ mento nuovo che non avevo mai provato prima. Sedermi, scrivere e vedere le parole scaturire. Semplicemente. Mi piaceva molto.

Olivier Assayas. Di quelle prime pièces, ne ha messe in scena altre?

Una sola. Le altre sono andate perdute. La mia vita è stata molto movimentata e ho perso praticamente tutto. Non ho più le sceneggiature, non ho i manoscritti - dovrebbe essercene qualcu­ no al Filminstitutet3 -, non ho le fotografie, insomma praticamen­ te niente. Nessun quaderno di regia. Quando finisco, ho bisogno di prendere le distanze, lascio tutto e non mi volto indietro.

Olivier Assayas. Che cosa ispirava quelle prime pièces? Nulla, era solo un enorme... sollievo. La mia vita era compli­ cata, ero molto infelice e all'improvviso la tensione scompariva. Mi sentivo bene, mi sentivo a casa e forse mi sentivo di nuovo bambino. Rivedevo i luoghi della mia infanzia. All'improvviso, erro, qualcosa si apre e quello che ne usciva era molto strano Non so che valore avessero quelle pièces, e le ho perdute tutte. Olivier Assayas. Quando le ha scritte, aveva in mente di metterle in scena oppure ciò che le interessava di più era la scrittura?

Avevo bisogno di scrivere... Stig Bjorkman. Secondo lei, è un caso che questa necessità si sia espressa attraverso dei lavori teatrali? 12

MERCOLEDÌ 14 MARZO 1990

No. Perché facevo teatro già da parecchi anni, teatro amato­ riale, teatro di marionette, qualsiasi genere di teatro... Avevo fat­ to Pattare, il regista... Avevo dodici anni quando ho avuto il pri­ mo contatto con Strindberg. È stata un'esperienza straordinaria e penso che i miei lavori fossero... insomma, copiavo Strindberg. Cercavo di scrivere come lui, i dialoghi, le scene, tutto... Non vo­ glio fare dei paragoni ma Strindberg era il mio Dio e la sua vita­ lità, la sua rabbia, io le sentivo dentro di me, credo davvero di aver scritto una serie di pièces strindberghiane. Olivier Assayas. Qual era per lei all'epoca l'importanza di Strindberg da un punto di vista personale e professionale? È molto difficile da spiegare a un giovane francese, perché per tradizione voi avete una sorta di equilibrio fra ragione e senti­ mento. È una grande tradizione. E ve la portate dentro. Ma noi... Vede, io non capivo di che cosa parlasse Strindberg. Ma lo senti­ vo, come un animale, sentivo la sua rabbia e la sua aggressività era la mia. Riconoscevo la melodia. Condividevo i suoi sentimen­ ti. Non ne comprendevo il senso, ma percepivo la musica della sua scrittura. Anni dopo, quando stavo per mettere in scena un suo lavoro, mi dicevo: «Dio mio, l'ho già letto quando avevo do­ dici o quattordici anni e non ho capito una sola parolai». Ma mi piaceva e ne comprendevo la rabbia, la furia, l'aggressività, le la­ crime. Queste erano le cose che capivo.

Stig Bjorkman. Di Strindberg leggeva anche i romanzi o soltanto t la­ vori teatrali? No, tutto. Non potete capirlo, ma la lingua di Strindberg è lo svedese più bello che si possa immaginare! Noi abbiamo dei grandi autori, Almqvist, Stagnelius*... Ma la lingua di Strindberg non può essere paragonata a nessun'altra. È talmente completa. In francese non saprei a chi paragonarlo... Balzac? Proust? Bal­ zac, forse, perché è universale, il suo linguaggio è così comple­ to... Ma è difficile trovare delle equivalenze... Olivier Assayas. E poi Strindberg era un ribelle..

Eccome! E per un giovane era importante incontrare un ribel­ le che possedesse le parole! Io non le avevo, e in lui potevo tro­ vare Lutto ciò che desideravo. Era meraviglioso! E poi in lui c'era

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CONVERSAZIONE CON 1. BERGMAN

la contraddizione. Poteva affermare una cosa e all'indomani 11 suo contrario. Detestava le donne, e le amava; nel corso dello stesso giorno di una donna poteva dire le cose più terribili e po­ co dopo scriverne le cose più belle. Beh, per un adolescente, po­ tete immaginare...

Olivier Assayas. Strindberg è presente in tutta la sua opera, in tutti i periodi della sua vita, fino all'inquadratura finale del suo ultimo film, Fanny e Alexander... Certamente. È un omaggio.

Olivier Assayas. Quando lei era un giovane regista teatrale, riteneva che montare Strindberg fosse anche un modo di esprimere se stesso? Certamente. Sa, da bambino, avevo un teatrino di marionette, e non si trattava dì una cosa senza importanza, non era soltanto un gioco. Inoltre, andavo a teatro praticamente ogni settimana. Quando ho visto per la prima volta questo teatro, lo stesso in cui ora ci troviamo, avevo dieci anni. So esattamente dove ero sedu­ to. Posso andare in sala e sedermi esattamente nello stesso posto. È abbastanza strano, ho vissuto tutta la mia vita con questo tea­ tro. Il palcoscenico in sé era per me un'ossessione... l'attore in scena, e non soltanto l'attore, ma ciò che creava intorno a sé, l'aura, la complicità... Un vero attore ha sempre una sorta di pat­ to segreto, di complicità con il teatro. È una cosa molto strana, lo l'ho capita dal primo istante. E ovviamente ho cercato di ricreare nel mio teatro di marionette quella stessa magia della scena. Per me era vera, forse non così per gli altri, ma per me ricreare l'at­ mosfera del palcoscenico era importante.

Stig Bjòrkman. Una parentesi: lei afferma che un grande attore teatra­ le ha un rapporto di complicità con il palcoscenico, io penso che anche un grande attore cinematografico ha lo stesso rapporto con la cinepresa. È vero. Ed è multo strano. La cinepresa si innamora dei veri attori cinematografici, mentre ne detesta altri che a teatro posso­ no essere molto efficaci. Possono agitarsi quanto vogliono, per quanto siano geniali, è come se non piacessero alla cinepresa, che non li ama e li rifiuta. E non se ne conosce mai la ragione. È un vero mistero, ina è così.

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MERCOLEDÌ 14 MARZO 1990

Stig Bjorkman. Insomma ci sono due forme di compitata. Una volta ho tentato di scrivere di Harriet Andersson e della sua complicità con la cinepresa Sì, è molto affascinante. Olivier Assayas. Quando metteva in scena i classici, aveva il deside­ rio di scrivere dei testi suoi? Ed era importante per lei mettere in scena i suoi lavori? È una cosa che detesto. Non ho messo in scena frequentemen­

te i miei lavori *. Non mi piacciono affatto, e non autorizzo la loro rappresentazione. Sono privi di valore. Qualcuno, forse uno o due, o tre, non è così male. Ma «mettersi in scena da sé» è una specie di masturbazione insostenibile. Rifletta: al cinema uno scrive la sceneggiatura, scrive i dialoghi, poi tocca all'attore. Ci sono le prove, le riprese, tempo un'ora o due ed è tutto fatto. È OK, è nella scatola, ce ne si può dimenticare, resta soltanto il montaggio. Ma a teatro si riprende ogni volta dall'inizio e si de­ vono ascoltare le proprie parole per quaranta o cinquanta prove. Può immaginare che inferno può essere? Penso che all'inferno dovrò sedermi in una sala di proiezione e vedere i miei film per due o tre eternità. Penso che questa sarà la mia punizione.

Olivier Assayas. Quando realizza un film, in fase di post produzione, è infastidito dal dover ascoltare e riascoltare ancora i suoi dialoghi? È un'altra cosa. È una cosa già fatta. Il momento della creazio­

ne è concluso. Quando i «giornalieri» sono nella scatola è finito, non si può più cambiare nulla. Si vedono sullo schermo o al ban­ co di montaggio; si tratta di un oggetto con cui non si ha più re lazione. C'è ancora un rapporto concreto, professionale, ma i le­ gami emozionali sono terminati. Certamente, quando si gira la scena, nel tempo in cui si lavora, si è completamente coinvolti. Olivier Assayas. Comunque, lei ha scritto dei lavori per il teatro e li ha anche messi in scena...

Due o tre volte, ho dovuto farlo. Fin da quando ero molto gio­ vane ero un po' conosciuto come regista, così la gente si diceva: «Ingomma, i suoi lavori non sono gran che, ma se li facciamo di­ rigere da lui, forse riesce a cavarne fuori qualche cosa». Questo era il motivo. Oggi, non è più così.

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CONVERSAZIONE CON 1. BERGMAN

Stig Bjorkman. Quando ha cominciato doveva mettere in scena ciò che le assegnavano o poteva scegliere? Al Teatro studentesco, in certa misura, potevo scegliere. Ma quando ho cominciato la carriera professionale nel teatro istitu­ zionale, non ho più potuto farlo. Mi dicevano: «"Faccia questo, faccia Macbeth, abbiamo in programma per lei La Selvaggia di Anouilh!". "Ma non mi piace...". "Oh, le piacerà, sono sicuro che le piacerà!"». Non c'era scelta. Certo, oggi posso dire che voglio fare Peer Cynt e mi dicono che va bene, ma quando ero giovane non avevo questa possibilità. E in certa misura, era una cosa po­ sitiva perché dovevo lavorare sodo: tre, quattro, cinque lavori per stagione, un film, o due, e poi la radio6.

Olivier Assayas. Era obbligato a farlo? Sì, perché avevo tre mogli e sei bambini e dovevo portare a casa dei soldi. E inoltre quando si lavora per un teatro si devono montare tre o quattro spettacoli all'anno, per contratto Hai una piccola, piccolissima possibilità di scegliere e non più di sei setti­ mane per le prove. Oggi un giovane regista teatrale lavora nel corso di un anno a un solo spettacolo, e c'è un anno di tempo per prepararlo - lei può ben immaginare, Olivier, come questa situa­ zione possa diventare terribilmente nevrotica. Quando si è gio­ vani e quando si è zeppi di idee, in piena evoluzione, è meravi­ glioso avere tante cose da fare e non avere il tempo di pensare! Perché se ci si mette a pensare, si dice: «Andrà bene, andrà ma­ le... che cosa ho fatto...?». Era formidabile, la prima era prevista per il venerdì, e il lunedì cominciavi lo spettacolo successivo sen­ za avere il tempo di chiederti se era stato un successo, un fiasco o un disastro...

Olivier Assayas. Quali erano i suoi spettacoli preferiti a quell'epoca? Non mi ricordo. Non so più quanti lavori ho montato in quel periodo: centoventi, centotrenta, non so più. Molti. Sicuramente Strindberg è sempre stato fra i miei preferiti. Olivier Assayas. Quali di quei lavori la attiravano di più? Tùttl. Sonata di fantasmi, Il sogno, Verso Damasco, il padre. Met­ terli in scena era davvero un piacere.

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MERCOLEDÌ U MARZO 1990

Olivier Assayas. Si trattava di tenti che le chiedevano di mettere in scena oppure poteva imporli lei?

Col tempo ho avuto la possibilità di dire: «Ho voglia di diri gene quel testo...». Nel 1952 sono arrivato al Teatro di Malmb, una grande città con un grande teatro di 1500 posti di cui sono poi divenuto direttore artistico. Ovviamente ho potuto fare le mie scelte. Ma prima, dovevo prendere ciò che mi davano.

Stig Bjòrkman. Come è avvenuto il passaggio al cinema? È stato per­ ché il teatro le dava la possibilità di realizzare film durante l'estate? O per­ ché era un suo desiderio, presente fin dall'inizio? Lo è sempre stato, tutta la vita! Se l'origine del mio desiderio di fare cinema vi interessa, leggete Lanterna magica. Credo di aver scritto tutto a questo riguardo. Ero talmente ossessionato dalla semplice idea di fare del cinema che mi potevano dare qualsiasi merda e dirmi: «Falla» e io la facevo, non so perché. Era quello strano modo di vivere, semplicemente di essere là con la cinepre­ sa, e la troupe, e l'atmosfera, e la luce, e gli attori. Olivier Assayas. Quando ha cominciato a fare film, desiderava anche scriverli?

Ho cominciato come sceneggiatore. C'era una compagnia, la Svensk Filmindustri, con un dipartimento sceneggiatura ’. Erava­ mo sei schiavi a lavorare in questo dipartimento. Dopo il mio primo lavoro teatrale hanno pensato che potevo avere talento co­ me dialoghista c questo è stato il mio primo contatto con il cine­ ma. Mi davano dei romanzi oppure dei racconti, da cui dovevo trarr*» delle sceneggiature.

Olivier Assayas. Le piaceva? Non posso dire che mi piacesse, ma ero più vicino al mestiere, agli «tildi, a tutto ciò che amavo, ero davvero molto vicino. Que­ sta compagnia aveva gli uffici nel centro di Stoccolma, Kungsgatan 36. Avevano tre piani del palazzo, enormi, e noialtri, i sei schiavi, stavamo all'ultimo con una splendida vista sulla città. Sotto il nostro piano, erano dislocate una dopo l'altra le tre sale della compagnia che cambiavano programma ogni giorno. Così, appena potevamo, ci precipitavamo sotto. Ma, una volta seduti,

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CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

poteva capitare che all'improvviso una voce dicesse: «Ingmar! Sei ancora li! Vieni! Allo studio vogliono i dialoghi, va' immedia­ tamente sul set!» (risa). Questo, ovviamente, era fantastico. E lo studia era un posto molto bello, subito fuori Stoccolma. Credo esista ancora, ina non è più uno studio, è un mucchio di rovine. Durante le riprese di un film dicevano: «Questo dialogo non si può fare», così chiamavano il dipartimento sceneggiatura: «Man dateci qualcuno che sappia riscriverlo...».

Olivier Assayas. AM'epoui lei scriveva delle sceneggiature multo precise? Certamente! Imparavamo tutto dal metodo americano. Era il solo modo di fare dei film. Dunque dovevamo scrivere le sceneg­ giature esattamente alla maniera degli americani. Con gli assi, le focali, ecc., era molto importante. Non era una cattiva scuola, bi­ sognava assimilarla. In quegli anni, 1937, 1938 e 1939, sono arri­ vati i film francesi. La nostra compagnia li detestava. Sa, i film di Marcel Carnè, quelli di julien Duvivier, // traudito della castrali, Il porto delle nebbie. Alba tragica, tutti quei film...

Stig Bjorkman. E a lei piacevano? Sì, ma il mio era un amore segreto. Era assolutamente proibi­ to, perché lo stile era quello americano, il modo americano di raccontare le storie era la sola maniera possibile di fare il cinema. Olivier Assayas. È curioso che lei parli di Julien Duvivier perché è un cineasta molto interessante e, oggi, lo si guarda un po' dall'alto in basso. L'ha per caso...

Influenzato? Olivier Assayas. Sì.

Certamente! Devo aver visto il suo Bandito della casbah almeno venticinque volte. Amo quel film! Posso ancora rivederlo con lo stesso entusiasmo. E sempre Duvivier deve aver fatto un film che si intitola Panico... Olivier Assayas. Sì, Panico...

Lo conosce?

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MERCOLEDÌ 14 MARZO 1990

Olivier Assayas. Si.

L'ho cercato ovunque, e non .sono riuscito a trovarlo. Mi pia­ cerebbe davvero...

Olivier Assayas. Panico è passato alla televisione francese qualche anno fa, qualcuno l'avrà sicuramente registrato. Inoltre di recente ne è stato fatto un remake: L'insolito caso di Mr. I lire di Patrice Leconte. La versione di Duvivier, era un capolavoro. E Renoir, mio Dio!

Olivier Assayas. Renoir è molto diverso da Duvivier... Sì, ma sa, quei film francesi erano così diversi dai film ameri­ cani... E io sentivo il metodo francese molto più vicino a me di quello americano. Se qualcuno mi avesse chiesto il perché, sarei stato incapace di spiegarlo, ma, a partire dal momento in cui ho potuto, ho cercato di fare i miei film in stile francese, senza molto successo, del resto. Vuole dire che oggi Duvivier è considerato fuori moda?

Olivier Assayas. Sì. Lei cosa ne pensa? Olivier Assayas. Personalmente amo molti dei suoi film. Se dovessi scegliere, per diverse ragioni preferisco Renoir, ma Duvivier è sicuramente uno dei cineasti francesi che contano. Il suo cinema è stato associato a una forma di accademismo che la Nouvelle Vague dispreizava. E in fondo è pro­ prio fa Nouvelle Vague che ha stabilito la scala di valori ancora oggi in vi­ gore. Vale lo stesso per Carnè che non è molto ben visto dai cinefili anche se resta molto popolare. Amanti perduti c L'amore e il diavolo vengono continuamente trasmessi per televisione.

Strano! Il suo capolavoro è II porto delle nebbie. Alba tragica e II porto delle nebbie sono dei veri capolavori. Sono come pervasi da una luce eterna, in un certo senso sono assolutamente perfetti.

Olivier Assayas. La Nouvelle Vague era ostile al realismo poetico. Bi­ sogna dire che, allora, era il gusto dominante, al punto da diventare soffo­ cante. E la reazione è stata violenta. Duvivier è rimasto un po' in disparte.

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multo estraneo a tutto questo. E poi aveva già dato il meglio di sé, negli an­ ni '50 e '60 era ben lontano dall'essere al suo meglio. É morto un po' di­ menticato, ma, prima o poi, penso che lo si rivaluterà. Capisco... capisco... In Francia si è di moda e all'improvviso non io si è più, e poi si ritorna a esserlo, l'ho provato anch'io. So esattamente cosa succede da voi, capisco molto bene. (Una pausa). Allora a domani. Stessa ora.

1 La Medborgarskolan (Scuola dei cittadini) era una scuola serale, dove si tenevano anche corsi di teatro per giovani attori. Bergman vi esordisce co­ me regista negli anni '40* Laterna magica, NOrdstedt Fòrlag, Stockolm 1987; edizione italiana: Lan­ terna magica. Garzanti, Milano 1987, trad. Fulvio Ferrari. JLo Svenska Filminstitutet, fondato nel 1964 da Harry Schein, è un organi­ smo indipendente finanziato da una tassa sui biglietti cinematografici e sulle cassette video, e si occupa di promuovere il cinema svedese e di cu­ rarne la diffusione a livello intemazionale. Lo Svenska Filminstitutet gesti­ sce inoltre una cineteca e cura l'edizione di pubblicazioni specializzate 4Carl-Jonas Love Almqvist (1793-1866), Erik Johan Stagnclius (1793-1823). ’Bergman ha messo in scena alcuni dei suoi lavori teatrali: La martedì Pulci­ nella (1942); Rachel e l'uomo che apriva il cinema (1945), che è un abbozzo del primo episodio di Donne in attesa: Il giorno si alza presto (1947); Tormenti (1947) da una sceneggiatura scritta per Alf Sjòberg; Risultato zero (1948); Omicidio a Barjdma (1952); Gioco al crepuscolo (1954), un balletto; e Piliuru su legno (1955), un abbozzo del Settimo sigillo, scritto per gli allievi di un corso di arte drammatica. Nel 1981, al Residenztheater di Monaco, Bergman ha inoltre montato simultaneamente in forma di trittico Casa di bambola di Ibsen, Ln si­ gnorina Giulia di Strindberg c una versione teatrale di Scene da un matrimonio. 6Negli anni compresi fra il 1947 e il 1953 Bergman realizza alcuni adatta­ menti radiofonici: Giocare col fuoco, L'olandese, L'amore di una madre di Strind­ berg (1947); La città di cui è anche autore (1951); Crimine e crimine e Pasqua di Strindberg, Nozze di sangue di Garcia Lorca (1952). 7 Per la Svensk Filmindustri, la più importante società di produzione e di­ stribuzione svedese, Bergman scrive le sceneggiature di Hets (t. 1. Spasimo, 1944) di Alf Sjdberg, Kvinna utan ansikte (La furia del peccato, 1947) di Gu­ stav Molander, Èva (1948) di Gustav Molander, Medan staden saver (La ban­ da della città vecchia, 1950) di Lars-Ric Kjellgren, Frànskild (t. 1. I divorziali, 1950) di Gustav Molander, Sista paret ut (t. 1. La sesta coppia fuori, 1956) di Alf Sjdberg, Lustgàrden (t. 1. Parco dei divertimenti, 1961) di Alf Kjellin in collaborazione con Erland Josephson. Nel 1970 è inoltre autore di uno sce­ neggiato televisivo, Lognen, realizzato da lan Molander in Svezia, da Alan Bridges in Inghilterra e da Alex Segai negli Stati Uniti.

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Giovedì 15 marzo 1990

Al cinema come a teatro ri sono dei momenti di grazia, ma sul palcoscenico tutto accade proprio davanti ai tuoi occhi e non te lo riesci a spiegare. È una magia. Olivier Assayas. E questo quando succede?

A volte. A volte capita, stai guardando e ti si riempiono gli occhi di lacrime. Dopo tutti questi anni, dopo cinquantanni di mestiere, proprio lacrime, come se il tempo non esistesse più, hai come l'impressione di respirare dei pezzi di ghiaccio e non riesci a spiegarti che cosa sia. Al cinema, a volte, te lo puoi spiegare...

Stig Bjòrkman. Ognuno ha ricordi differenti, si dice: «Quell'interpre­ tazione mi ha davvero colpito...», si rivedono le scene, si sentono gli odori, l'atmosfera... uno di questi momenti per me è legato a Hedda Gabler inter­ pretato da Gertrud Fridh Mi ritorna in mente di tanto in tanto, la rivedo muoversi sulla scena, ritrovo il sentimento della sua presenza... e la sua...

Come attrice era un enigma e assolutamente... (pausa). È im­ possibile spiegare quello che capitava a quella donna quando sa­ liva sul palcoscenico. Nella realtà non era niente di particolare, non aveva voce, era ignorante, anche poco intelligente. Aveva molto senso dell'umorismo, un umorismo sinistro, strano. Era anche infelice, beveva. E d'un tratto, sul palcoscenico, quasi ogni volta, qualcosa capitava dentro di lei. Molto curioso. Ha visto il mio film Dopo la prova?

Olivier Assayas. Ovviamente. 21

CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

Ma come, non ovviamente! (risa). Forse lei ricorda che c'è una vecchia attrice, è morta e «ritorna». La interpreta Ingrid Thuiin. Ho scritto questa parte come un monumento ai mio amore per Gertrud Fridh.

Stig Bjòrkman. Ilo rivisto il film questa mattina. Volevo vederlo pri­ ma del nostro incontro, perché, quando lei ieri parlava di teatro, ho avuto l'impressione che alcune delle cose che abbiamo evocato facessero parte di quel film. Anche se seguiamo la cronologia, nulla ci impedisce di fare dei salti nel tempo. E credo che proprio lì stia ciò che per lei è il ruolo del regi­ sta, il suo putito di vista sul teatro e sulla recitazione. Era cominciato come una conversazione, senza schemi. O me glio, si trattava delle lettere di una giovane attrice a un regista e delle sue risposte. Ho trovato il tutto molto noioso, così ho ini­ zialo a farne un dialogo. La seconda lappa è siala; «Cerio che sa­ rebbe bello fame un dialogo fra Erland Josephson e Lena Olin!». La conoscevo da quando era bambina. Sua madre era la moglie di un attore con cui avevo lavorato molto quando ero giovane, Stig Olin2. I .'avevo già vista alla scuola d'arte drammatica e ave­ vo avulo la sensazione che sarebbe diventata un'attrice meravi­ gliosa. Una delle nostre grandi attrici. Così l'ho seguita, l'ho os­ servata. Sua madre lavora qui in teatro, è suggeritrice; da giova­ ne aveva fatto l'attrice, una bellissima donna. Cosi ero già un po' interessato; Erland Josephson, inoltre, è uno dei miei pili vecchi amici. Quando abbiamo fatto Casa di bambola, di recente, ci siamo detti: «Lavoriamo insieme da quasi cinquantanni...». Il nostro primo spettacolo era stato II mercante di Venezia nel 1939. L'avevo realizzato nella sua scuola, lui frequentava l'ultimo anno, aveva interpretato il ruolo di Antonio. Dunque, ho trovato molto stimo­ lante avere Erland e Lena per queste parli. E poi, un giorno, all'improvviso, non so come, questa attrice morta è apparsa. Mi si è imposta. La cosa mi ha molto turbato. Mi è piaciuto molto scrivere questo film ma durante le riprese abbiamo avuto grandi difficoltà.

Olivier Assayas. Perché? Molto aveva a che vedere con Ingrid, che era molto stanca e... ma non ho troppa voglia di parlarne... Il film durava un'ora e quaranta e ho dovuto tagliare circa trentacinque minuti. Abbia­ mo tutti sofferto di queste difficoltà, è sempre dura quando si è

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tanto vicini: tre attori appena, una piccola équipe e si è anche au­ tori della sceneggiatura. Mio Dio, quanti problemi abbiamo avu­ to! Il risultato, credo, è che il film è un po' monco.

Stig Bjòrkman. A vederlo non si direbbe. Avrebbe potuto essere migliore, invece non è una gran cosa. È passabile.

Stig Bjòrkman. £ molto bello, questo gioco fra la madre scomparsa e lei, la ragazzina... Questo mi piaceva anche molto, ma penso che Ingrid non fosse in gran forma all'epoca. Credo si sia troppo identificata nel ruolo. Olivier Assayas. Era stato scritto per lei? No. Non avevo in testa un'attrice per questo ruolo. E poi, ave­ vo pensato a un'altra attrice, ma si sentiva troppo giovane per quella parte (risa). Non ci sono stati conflitti, ma ha rifiutato quattro settimane prima dell'inizio delle riprese. Ingrid, che è una vecchia amica, mi ha detto: «Spero di essere capace a farlo». E ritengo che abbia ottenuto ottimi risultati. Stig Bjòrkman. Ma gli altri due ruoli erano chiaramente scritti pen­ sando a Erland e Lena. Sì, certo. Dopo la prova ha molto a che vedere con il mio modo di essere, il mio rapporto con la scena, con questo mestiere spor co, losco e crudele. C'è tutto.

Olivier Assayas. Quando è uscito, il film è stato accolto come una sorta di post-scriptum alla sua opera, poiché, dopo Fanny e Alexander, lei aveva dichiarato che non avrebbe più fatto film. Si trattava di un lavoro per la televisione, poi i distributori non hanno mantenuto gli accordi e il film è uscito nelle sale. Non ho mai pensato di farlo per il cinema. Ha una drammaturgia co­ struita per la televisione. Olivier Assayas. Dunque non lo considera un film post-Fanny e Alexander?

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CONVERSAZIONE CON 1. BERCMAN

Assolutamente no. Avevo anche pensato di realizzarlo su sup­ porto magnetico perché se si gira in video difficilmente si può mostrare al cinema. Ma Sven3 si è rifiutato e io volevo lavorare con lui. Con il video, con la sua luce, non si sentiva a proprio agio, cosi l'abbiamo girato in 16 millimetri. Olivier Assayas. Le è mai capitalo di girare in eleltrunicu?

In seguito, sì. Qualche film per la televisione4 e devo confes­ sare che non mi piace molto. Harriet una volta ha detto: «Non mi piacciono le riprese in elettronico perché non si sente la cinepre­ sa». Ci sono troppe macchine. Olivier, la cosa più fantastica, con la cinepresa e il film, è che la tecnica è rimasta esattamente quel­ la del 1895 al Grand Café di Parigi. Ha visto il Museo di Londra? Mi piacerebbe andarci, mi hanno detto che è appassionante. Che ci si può star dentro ore e ore. È molto curioso che l'abbiano rea­ lizzalo in Inghilterra, perché tutto ciò che concerne la storia degli esordi del cinema appartiene alla Francia. Quello che è meravi­ glioso con la tecnica cinematografica, sono le ombre, lo schermo, il proiettore, la croce di Malta e nient'altro. lutto qui, ed è tutto ciò che serve.

Stig Bjòrkman. Si può cioè sentire il materiale, guardarlo...

E poi, sapete, quando si monta in elettronico si sta in una spe­ cie di sottomarino e fanno così e fanno cosà e non si sente niente, non si può togliere la pellicola, toccarla, guardarla... (fa il gesto di scorrerla fra le mani davanti alla luce del giorno). Il montaggio è molto erotico... Non trovate?

Olivier Assayas. Certa... E poi, co! video non si riescono ad attere ta­ gli netti, acuti. Non ha energia. Esattamente. Dicono che si potrebbe fare, ma non c possibile. Certamente, ha a che vedere con l'insieme del sistema. (Una pau­ sa). No, Dopo la prova non è un epilogo di Fanny e Alexander, è un epilogo in sé. È la fine ed è finito*.

Stig Bjòrkman. Ma è una riflessione sul suo lavoro, sulla sua situazione...

Sì, se vuole... 24

C.IOVEDI 15 MARZO 199(1

Stig Bjorkman. Perché, in Dopo la prova, c'è una scena che rinvia direttamente a Fanny c Alexander e a ciò di cui si parlava ieri: il regista parla del suo primo ricordo teatrale, quando a dodici anni scopre 11 sogno di Strindberg e attraverso gli attori si sente capace di vedere I'invisihile, di sentire l'impossibile... «È lì che tutto è cominciato», si dice. E noi lo vedia­ mo ragazzo - impersonato dallo stesso attore che è stato l'interprete di Alexander - dietro la ribalta, in questo ricordo fugace.

Sì. Esattamente. È vero.

Olivier Assayas. Vorrei farle ancora una domanda su chi e cosa l'ha influenzata. Ci ha detto che i flint francesi l’hanno segnata. Da quale punto di vista? E in che cosa si differenziavano tanto dai film americani? Guar­ dando i suoi primi film, si ha la sensazione che lei sia altrettanto in sintonia con il cinema americano. Sono in sintonia con il cinema perché sono uno dei pochi ci­ neasti al mondo che ama vedere i film degli altri. È difficile da spiegare perché non avete conosciuto il muto. Sono cresciuto con il cinema muto e, sembra banale a dirsi, ma il muto stava per di­ ventare un'arte, perché l'arte cinematografica faceva vedere la più straordinaria scena di teatro: il volto umano. Già nel 1910 Griffith lavorava con i primi piani. Molto presto li hanno usati in Danimarca, ed è stato quello il grande momento dei danesi. Poi, nel 1913, è stato il turno degli svedesi. Era interessante osservare come il dispositivo fosse ancora quello teatrale, ma avevano già cominciato a immaginare un eccellente impianto scenico. Recita­ vano davanti alla cinepresa e sullo sfondo dell'inquadratura si vedevano altre cose capitare simultaneamente. Dovreste vedere un film che per me è stato molto importante, Ingeborg HulmÈ stato girato nel 1913. Volete sapere quali sono le prime cose che mi hanno influenzato: c'è stato 11 carretto fantasma girato nel 1921, l'ho visto all'età di tredici anni, e oggi ne possiedo una copia molto bella. Almeno una volta all'anno ho bisogno di vederlo, è uno dei film più belli che ho visto nell'arco della mia vita. Il vol­ to umano nel cinema muto... un volto, un'ombra sullo schermo, che all'improvviso si volta c ti guarda... È la cosa più importante dell'arte del cinema. Puoi vedere gli occhi, le migliaia di piccoli muscoli, la pelle, il naso. E non sei disturbato dal suono, puoi es­ sere tu stesso creatore... Quando era a Stoccolma, il responsabile dell'Unione dei cineasti sovietici. Andrei Smirnov, mi ha dato tre cassette di film russi girati fra il 1915 e gli inizi della Rivoluzio-

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CONVERSAZIONE CON 1. BERGMAN

ne, all'incirca intorno al 1918. È una persona molto gentile. Mi ha detto: «Capisco molto bene ciò che intende dire quando parla dei film muti e le darò qualcosa di molto divertente. Ecco tre cassette con sei film muti. Abbiamo perduto le sceneggiature, non abbia­ mo i titoli, non sappiamo di che cosa parlino, non sappiamo che cosa capita, ma sono affascinanti. Le prenda». Guardandoli, ti rendi conto di come siano fatti bene, hanno una tecnica assolutamente stupefacente - la luce, i costumi, le scenografie - tutto straordinariamente fluido. Si tratta di semplici soap-opera, ma non fa nulla. Le donne sono splendide, gli uomini molto belli, anche i cattivi. Guardi e dici: «Ho capito, è stata violentata da lui!». E cinque minuti dopo: «No, non è possibile! Si abbracciano, sembrano due che si amano molto! Certo, è morto! L'ho visto!». E cinque minuti più tardi lui ritorna e pensi: «No, è un errore, non è morto, ha fatto solo finta!». È talmente affascinante immaginare quello che si dicono, di che si tratta. Vi rendete conto? E poi devo confessarlo, amo Judex7, uno dei film più belli che esistano. Alcu­ ni dei miei figli lavorano nel settore cinematografico; sulla mia isola ho sette case; loro hanno l'abitudine di venire a trascorrervi qualche settimana durante l'estate, ci ritroviamo e passiamo dei bei momenti insieme. Ho il mio cinema e tutte le sere vediamo un film. Quest'estate abbiamo visto Judex. È meraviglioso! Guar­ dandolo si capisce qualche cosa della magia del cinema. È molto ben fatto. Penso che anche i primi burlesque francesi siano formi­ dabili... in Méliès si pronuncia la «s»?

Olivier Assayas. Sì, si pronuncia. Méliès è uno dei miei preferiti. Olivier Assayas. in Prigione, lei ha inserito il suo film di Méliès... Sì, era giusto per divertirmi, un omaggio. Quando ero giova­ ne, ho scritto un testo teatrale su Méliès. Trovavo talmente affa­ scinante che possedesse un suo studio, che facesse cinquanta film all'anno e poi, di colpo, nel 1914 tutto era finito. Quando è tornato dalla guerra, avevano rubato i suoi film, i negativi erano scomparsi, la pellicola era stata trasformata in lucido da scarpe. E poi gestiva con la moglie quel chiosco di giocattoli, alla stazio­ ne Montparnasse. Lo sapevate che aveva incontrato Lumière? Aveva quel teatrino Robert-Houdin, era socio con un altro di cui non ricordo il nome, ed era là ir» quel momento meraviglioso

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dell'anno 1895, era andato a vedere Lumière, voleva comprare la sua invenzione! Méliès... E Lumière gli ha risposto: «Oh, non è nulla! È solo un giocattolo! Lo dimentichi, amico! Non perda il suo lavoro... e neanche il suo tempo! Non ha futuro!». Il cinema muto è stato per me molto importante.

Stig Bjòrkman. Ovviamente ha visto t film di Murnau...

Certo. Ho diverse copie del film di Murnau. Amo molto L'ulti­ ma risata*; il cinema muto stava per diventare un'arte adulta. Olivier Assayas. C’erano sempre meno didascalie.

Sì. Anche Aurora è un film molto bello e ci sono pochissime didascalie, non ce n'è bisogno. Ha veramente sviluppato il suo stile nel senso della loro eliminazione, in modo molto cosciente. Tabu... Aurora è un film bellissimo. Uno dei miei preferiti.

Olivier Assayas. Lei amava il silenzio del cinema e le parole del teatro.

Sì. E poi, ovviamente, tutto ciò aveva a che fare con le sale ci nematografiche della mia infanzia. Il cinema era un luogo mera­ viglioso, la qualità dell'immagine, l'atmosfera irreale, si ricorda di tutto questo, Stig... Stig Bjòrkman. Sì. Le domeniche pomeriggio... Stig Bjòrkman. Sì. Dall'una alle tre, dalle tre alle cinque...

Stig Bjòrkman. Sì, cerio. Anch’io correvo continuamente da un cine­ ma all'altro... Quali erano i suoi preferiti?

Stig Bjòrkman. Me ne piacevano diversi. Uno era da queste parti, sul­ la Sibyllegatan, il Miascot... IL Mascot! 27

convex*

con

i

bergman

Stig Bjorkman.... E anche il Maxim...

Il Maxim!

Stig Bjorkman. Più tardi, 1‘Apollo per vedere i film, quando ero #4 adulto. Ce n'erano tanti, il Linné... Il Linné!

Stig Bjorkman. E poi E Espianaci, il Fagel Bla, il Puck... Il Puck!

Stig Bjòrkman. Il Paraden... II Paraden! (risa).

Stig Bjòrkman. Sono tutti qui vicino... l’Artist... Il Karla...

Stig Bjòrkman. Il Karla...

Olivier Assayas. Ci sono ancora? Esistevano ancora quando Stig era bambino, non è vero?

Stig Bjòrkman. Sì. Abbiamo frequentato le stesse sale. Ma sono tutti scomparsi. Olivier Assayas. Perché scomparsi, qui nel quartiere ci sono moltissi­ me sale...

Slig Bjòrkman. Credo che di quelli là ne esista soltanto più uno, il Fagel Bla. Il Puck ha chiuso da poco. Per un certo periodo è stato un teatro, ora è diventato una società di golf...

Il Fagel Bla esiste ancora, ahimè! È di proprietà del Filminstitutet. È il mio cinema preferito perché la mia scuola si trovava dall'altra parte della strada. Sono arrivato in questa scuola nel 1927, il Fagel Bla era stato aperto nel 1926 ed è rimasto pratica28

GIOVEDÌ IS MARZO J990

mente uguale a se stesso. Stìg Bjòrkman. Èliche tutti i lunedì sera proiettano ifilm di Ingmar.

Questo non mi fa molto piacere. Slig Bjòrkman. Perché?

A causa della cattiva qualità tecnica. Si fanno arrivare le copie dalla Svenska Filmindustri e non dal Filminstitutet... Olivier Assayas. Mi piacerebbe parlare dei suoi primissimi film, e...

Senta Olivier, non è una cosa semplice... mentre è talmente piacevole essere qui e chiacchierare così di cinema... Spero che lei non sia troppo impaziente... Olivier Assayas. Assolutamente no...

È cosi complicato fare dichiarazioni a proposito dei propri film. Mi dà fastidio ma cercherò di farlo, farò del mio meglio, soltanto non sia impaziente... Stig Bjòrkman. È vero, è piacevole parlare così, senza dover fare di chiaraziont definitive su ogni film, e perché, e come... Siamo lutti degli aficionados. Ognuno di noi appartiene a una generazione diversa, ma siamo tutti degli ossessionati.

Stig Bjorkman. È proprio così...

Olivier Assayas. La ragione della mia domanda è che ho sempre avuto l'impressione - e del resto non si tratta soltanto di un'impressione, ma di un fatto - che lei fosse estremamente reticente a parlare dei suoi primissimi film. Li ho visti di recente e vi ho trovato cose appassionanti. Per esempio in Nave per l'india ci sono delle scene sorprendenti. Qual è la sua opinione su questi film? (Profondo silenzio) Li ho dimenticati... Non me ne ricordo più. Quando ho avuto l'opportunità di scrivere la mia prima sceneg­ giatura, è stato per un film che si intitolava Prigione9. In qualche modo amo questo film. Non è gran che, ma è un film strambo,

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CONVERSAZIONE CON 1. BERCMAN

con una sua vitalità. Mi piace perché era la prima volta. La prima volta in cui ho avuto la sensazione che lo strumento mi obbedis­ se, che potevo fare esattamente ciò che volevo. Si è trattato di un momento piacevole. L'abbiamo girato in diciotto giorni. Olivier Assayas. È un film molto cupo. Era il suo stalo d'animo all’epoca?

Mio caro amico... Olivier... non si potrebbe dire la stessa cosa riguardo al suo film, Il bambino d'inverno? Quando si è molto gio­ vani, si è molto pessimisti. Si ama il pessimismo... e anche qual­ cosa di più... «le plaisir du pessimisme». Olivier Assayas. In (fucato film ho avuto l'impressione che uno dei te­ mi sta il rapporto che lei, in quanto autore, ha con la realtà. Prigione è di­ verso dagli altri suoi film perché in esso si avverte come la preoccupazione di esporsi, lei e il suo mundo, alla realtà...

Per la prima volta, avevo avuto l'occasione di esprimermi e l'ho davvero apprezzato. Non è stato cosi per tutti (risa) ma io l'ho molto apprezzato, penso che si tratti di un buon film. E ne sono riconoscente al produttore, Lorens Marmsted. Tutti gli anni, andava a Cannes, a Nizza e perdeva enormi somme di denaro nei casinò. Io ero un giovane regista teatrale di talento, avevo realizzato tre o quattro film, non molto buoni, e lui ha pensato che quella volta, forse.. Si gioca, si perde, prima o poi si finisce per vincere... Ma non era ancora quella la volta buona... Era os­ sessionato dai suoi progetti fin dal primo giorno, a cominciare dalla prima pagina della sceneggiatura, fin dalle prime idee. Era molto stimolante, un uomo saggio e leale nei confronti degli arti­ sti. Era anche molto duro...

Olivier Assayas. È un film sorprendente. Come è stato accolto? Non so, non me ne ricordo più. Credo non troppo male. Ma il pubblico non è venuto. (Rivolgendosi a Stig Bjòrkman) E lei, lo sa?

Stig Bjòrkman. Ho letto le critiche, alcune erano molto positive, altre finivano col parlare d'altro... Vorrei chiederle un'altra cosa riguardo al suo esordio. Lei ha parlato molto delle sue prime esperienze in teatro, e poi di come ha ricevuto, ancora bambino, il suo primo proiettore. Che cosa ha pro­ vato allora? Si ricorda del suo primo giorno di riprese? Con quale scena ha

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cominciato Crisi e che cosa ha sentito? Come ha risolto il fatto di essere re­ gista il primo giorno di lavoro...

Non ci sono molte cose da dire. Ho scritto tutto in Lanterna magica. Mi ricordo del mio primo giorno; è stato un incubo. 1 Io pre­ sto capito che non sapevo niente del cinema. E questo non era il so­ lo problema. L'altro, era che tutti quanti, la troupe, gli attori, ave­ vano ugualmente compreso che di cinema non sapevo nulla. Quin­ di è stata dura. All'epoca, me lo ricordo, dovevo fare otto inqua­ drature in otto ore. Il primo giorno ne ho falla una... in otto ore. Stig Bjòrkman. Forse era perche voleva cominciare con qualcosa di molto complicato? Sì. Il calore nello studio era insopportabile, era una giornata di piena estate in un piccolo studio a Filmstaden, uno di quei vecchi set che aveva conservato il tetto in vetro. L'avevano co­ perto alla beli'e meglio, ma faceva comunque molto caldo. L'at­ trice principale non sapeva nulla di cinema, credo che non avesse mai recitato in un film prima. Dagny Lind, sì, aveva interpretato una parte in un film nel 1926. L'operatore era un documentarista. Uno che adorava partire con la sua piccola Arriflcx alla ricerca di belle nuvole, alberi e non so che altro, ma della luce non sapeva nulla Tutti mi detestavano e in li detestavo tutti. Era una situa­ zione stramba, non sgradevole. Le prime Ire sellimane sono state un disastro totale, poi il padrone della compagnia ha visto il gi­ rato e molto gentilmente ci ha detto: «Ricominciate da capo». Ab­ biamo ricominciato tutto. Tutti mi odiavano perché io avevo tal­ mente paura, ed ero talmente ambizioso e così disperatamente invischiato nella mia assoluta ignoranza. Gli attori, la troupe, l'operatore, quelli del laboratorio e l'amministrazione non mi po­ tevano soffrire. E li capisco, siccome avevo paura, mancavo di si­ curezza, e questo mi rendeva aggressivo.

Olivier Assayas. Quando ha cominciato ad andare un po' meglio? Quando ha avuto la sensazione di aver imparato a conoscere il cinema?

Credo sia stato durante le riprese di Prigione. Ma avevo anco­ ra molta paura. Mi ricordo che la prima volta che mi sono sentito tranquillo è stato con Estate d'amore. Per la prima volta mi senti vo parzialmente soddisfatto del mio lavoro. Questo dipendeva molto dal fatto che l'attrice non era innamorata di me perché 51

CONVERSAZIONE CON t. BERGMAN

aveva un altro uomo. Era molto gentile, tenera, e io mi sentivo equilibrato e soddisfatto del mio lavoro. A volte, amare l'attrice principale e non poterci fare Taiiiore può essere una cosa positi­ va. Diciamo, un'ottima terapia per un regista ansioso. Olivier Assayas. Estate d'amore è il primo dei suoi film in cui una donna si trova al centro detrazione, il suo primo ritratto di donna...

È possibile... Non saprei... Olivier Assayas. All'inìzio della sua carriera, lei lavorava sempre con la stessa équipe. Aveva formato un gruppo di tecnici che la seguiva di film in film. I tecnici con cui ha lavorato le hanno insegnato qualcosa? Si sente debitore?

No. Il solo che mi ha insegnato qualcosa, è un montatore, Oscar Rosander ,0, un vecchio strambo. Era una persona moravi gllosa. No, non credo di aver imparato da loro. Ho imparato da Victor Sjóstrom ”, Allora, era il direttore artistico dello studio, ogni tanto mi veniva a trovare ed era molto benevolo verso di me. Vedeva i «giornalieri», era una persona molto, molto intelli­ gente e astuta. Arrivava, mai sul set né durante le riprese, e mi diceva: «Ciao... come va Ingmar?... Tutto bene?». «Si. Tutto bene. Sto lavorando al mio film». «Lo so... ho visto qualcosa » Face­ vamo due passi, intorno allo studio. Era un bel posto, in mezzo alla foresta, passeggiavamo in silenzio e all'improvviso diceva qualcosa come: «Non fare delle costruzioni troppo elaborate, il tuo direttore della fotografia non è capace, ai tuoi attori non pia­ ce e anche per te è troppo complicato. Metti la cinepresa davanti all'attore, lui sarà soddisfatto». Mi ha dato ottimi consigli. Prova­ vo molta ammirazione per lui. Mi piacevano i suoi film, Il carretto fantasma e anche gli altri. Lo ammiravo anche come attore, quindi non avevo difficoltà a seguire 1 suol consigli... Olivier Assayas. È lui che le ha ispirato il personaggio del direttole d'or­ chestra in Verso la gioia, che peraltro è lui stesso a interpretare?

No. I nostri rapporti in quel periodo non erano dei migliori. L'ha fatto perché glielo avevo chiesto e lui era d'accordo. Pensa­ va che potesse essere divertente, un tempo era un grande attore e pud darsi che abbia pensato che era una bella parte. Ma non ave­ vamo rapporti in quel periodo. Invece, quando anni dopo ha re­

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citato ne II posto delle fragole la situazione era molto diversa. Si era ritirato, aveva sessantasei anni, non era in perfetta salute ma amava il personaggio. Io, che conoscevo meglio il cinema perché avevo più esperienza, avevo più tempo e più curiosità per amar­ lo ed essere affettuoso con lui. All'inizio avevamo avuto non po che difficoltà perché recitava sopra le righe e quando gliel'ho detto, si è molto seccato: «Se non mi vuoi, Ingmar, posso andar­ mene immediatamente, tanto più che il dottore mi ha detto che sto poco bene, non mi giova stare qui, inoltre non ti piace quello che faccio. Ingmar, non dico che me nc vado, ma se tu vuoi me ne vado e sarò contento di farlo!», tiravamo soltanto agli inizi. Era il primo giorno. Potete immaginare... Ma giorno dopo gior­ no, abbiamo finito per trovare un modo di comunicare... e poi gli piacevano le ragazze, gli piaceva Bibi, sapete, era un vecchio leo­ ne... Ingrid Thulin era alla sua prima grande interpretazione, era molto discreta, molto bella e spirituale; Bibi era giovanissima, gentilissima, affascinante e carina. Le ragazze flirtavano con lui, era molto commovente. Così, quando la mattina arrivava ed era di cattivo umore, scherzavano fino a farlo ridere e a farlo sentire bene. E io stavo là, in disparte... (risa). Ovviamente trovavo an che il tempo per sedermi con lui e farlo parlare del passato, come aveva realizzato i suoi film, le sue impressioni, il suo primo gior­ no di riprese, i rapporti col suo operatore, i suoi attori, e le sue attrici... Ci ha raccontato de / proscritti, un film bellissimo, duran­ te il quale ha incontrato l'affascinante attrice che ha sposato c amato, con cui è vissuto e che è poi morta all'improvviso. Era un uomo molto solo, non troppo amichevole, ma era un genio. Ir» gli chiesi: «Quando ha girato II carretto fantasma, sapeva di realizzare un capolavoro?». «No, mi limitavo a fare un film. È tutto. C'era poco tempo, molte difficoltà, molte cose da sperimentare e io fa­ cevo la parte del protagonista. Mi ricordo soltanto che non vole­ vo vedere il girato e che non l'ho visto fino alla fine delle riprese. Avevo fiducia nel mio operatore. Stavo semplicemente facendo un film». Era un bel modo di fare un capolavoro!

Olivier Assayas. Ha realizzato II carretto fantasma in Svezia?

Sì. Credo sia andato a Hollywood nel 1923 dove ha fatto dei film meravigliosi. I nostri due grandi registi, Stiller " e Sjòstróm, sono entrambi emigrati a Hollywood; Stiller ha subito iniziato un film ma si è fatto cacciare e ha poi avuto una carriera difficile. Ma Sjóstrom ha fatto diversi film, alcuni dei quali sono capolavo33

CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

ri... He Who Gets Slapped, La lettera rossa, Il vento... E poi quel film con la Garbo, La donna divina, che purtroppo non ho mai visto... Stig Bjòrkman. Credo di averlo visto molti anni fa... L'hanno girato qui. E in Svezia non ne esiste neanche una co­ pia, la MGM non è stata in grado di procurarcene una. Non è in­ credibile? Stig Bjòrkman. Non ho mai visto He Who Gets Slapped, non cre­ do ne esista una copia in Svezia.

Io ne ho una. Stig Bjòrkman. Davvero?

Ne posseggo una copia molto bella, e anche de II vento, un al­ tro film molto bello. Ciò che si è dimenticato, e questo è tipica­ mente svedese, è che Sjòstròm era uno dei più grandi registi del suo tempo. Da qualche anno tutti parlano di Stiller come di un genio. Certamente Stiller era un grande regista, ma Sjòstròm era un genio, un maestro. Il rapporto con Sjòstròm è stato per me molto importante. Olivier Assayas. Ma Verso la gioia non è uno dei film a cui lei è molto legato...

No, no... È un film della giovinezza, molto immaturo, che cer­ ca di esprimere troppe cose insieme. Devono esserci due o tre belle scene, ma è sentimentale... e un po' pazzo (risa). Stig Bjòrkman. F. davvero paradossale far dire al personaggio inter­ pretato da Victor Sjostrdm che è meglio fare parte dell’orchestra piuttosto che essere solista...

È un po' una menzogna. Non ho mai avuto dubbi sul mio ta­ lento. Sono un nevrotico, ma il rapporto con il mio lavoro è asso­ lutamente privo di nevrosi. Questo non mi ha mai impedito di essere creativo. Per ciò che mi riguarda l'autocritica non è mai stata distruttiva. È sempre stata obiettiva, senza compiacimento. Non mi sono mai lasciato prendere dalla rabbia. Semplicemente mi dico : «Non funziona. Non è neanche bello... E non importa».

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GIOVEDÌ 15 MARZO 199C

Quando si lavora a lungo in modo continuativo - ho diretto qua­ si cinquanta film tenendo conto degli originali televisivi e non so quante regie teatrali - bisogna avere questo distacco. Olivier Assayas. Lei considera i suoi film come un insieme coerente? No, no...

Olivier Assayas. ... da un film all'altro sembra un'ininterrotta rifles­ sione...

Assolutamente no. 1 miei film non nascono mai dalla riflessio­ ne. C'è sempre una componente emozionale.

Olivier Assayas. È l'impressione che ho avuto vedendo Verso la gioia. Non è che lei abbia dubbi sul suo talento, quanto piuttosto suìl'influenza che ha avuto la sua vita familiare sul suo lavoro. Come se avere una famiglia la portasse a non sentirsi più che un componente dell'orchestra. Non saprei, Olivier, non saprei... Credo di aver fatto questo film... perché ero molto fiero di essere sposato, sposato per la se conda volta. E credo anche che fossimo molto innamorati, viveva­ mo insieme a Helsingborg. Lavoravamo al Teatro Municipale, lei era ballerina e attrice, io ero il direttore del teatro. Abbiamo avuto grosse difficoltà, ci siamo separati e io ho tentato una sorta di ri­ conciliazione, le ho scritto per giustificarmi... e, per scusarmi della mia condotta, ho fatto questo film, per dimostrarle che avevo dei rimorsi... La protagonista è nobile e bella, ha talento, molta perso­ nalità, mentre lui è un disgraziato, un mediocre, un debuie, un porco... Era soltanto un regalo, per lei, questa è la ragione per la quale ho fatto questo film. E poi, se ci penso, è divertente: c'era stata molto aggressività dietro a tutta quella storia, e alla fine que­ sta non comune, meravigliosa, bella, promettente, intelligente e af­ fascinante giovane donna, dovevo uccide ila (risa). Per poi potermi sentire infelice e malinconico e... Dio mio, quanta confusione...

Stig Bjorkman. Ci si può anche vedere un finale abbastanza triste, quando il bambino entra nella sala da concerta e si siede... Basta parlare di questa robaccia...

Stig Bjòrkman.... si sente il personaggio schiacciato dalla responsabi-

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CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

litd. consapevole che per penitenza dcmrà rimanere, tutta la vita una pedina in mezzo all'orchestra... È Stig Olii» il vero protagonista, aveva già recitato nel suo primo film. Crisi, e lo ritroveremo in seguito... Nei suoi primi film egli interpreta personaggi molto simili, un po' ribelli, è un ribelle, pieno di fascino, piuttosto capriccioso... Rivedendo oggi Dopo la prova, dove si parla del padre della ragazzina... certamente Stig Olin è il padre di Lena... ma ciò che mi è fumato alfa mente è che nun si tratti di Stig Olin ma di uno di quei personaggi che interpretava nei suoi film degli anni '40 e '50... Era­ vate amici, credo.

Eravamo amici di vecchia data e avevamo anche un po' litiga­ to. A volte non è stato semplice. Stig Olin interpretava il ruolo principale. Penso che avrebbe dovuto essere il contrario, che avrebbe dovuto fare la parte del cattivo. Ma sapete, si è insieme al ristorante, tutti a proprio agio, poi dici: «Allora, devi fare tu quella parte, hai sempre fatto il ruolo del cattivo, ora avrai la parte principale, e tu... tu sarai il cattivo...» (risa). È il cast da ri­ storante. È sempre esistito, anche a Parigi! Olivier Assayas. È stato lo stesso con Birger Malmsten per Un'esta­ te d'amore? Nei suoi film era sempre stato il protagonista, in Un'estate d’amore, che è un film molto diverso, invece ha un ruulu differente... Nel cinema svedese, all'epoca, era una grande star. Avevamo lavorato insieme per il Teatro studentesco; era una persona che si faceva voler bene, forse non tanto intelligente, ma molto gentile, umanamente ricca e piena di calore. In seguito avevamo lavorato insieme al teatro di Helsingborg e quando l'ho lasciato per il tea­ tro di Goteborg, lui è rimasto lì. Gli dicevo sempre: «Bisogna che studi dizione», per usare un eufemismo, perché era un dilettante assoluto. Non aveva mai studiato. E c'era un altro giovane regi­ sta m quel periodo che gli diceva. «Soprattutto non fare nulla, sei perfetto come sei...»; si è ritrovato così ad essere influenzato da questa persona, ma la mancanza di tecnica è per un attore una cosa molto, molto pericolosa. Voglio dire che un attore dotato, sprovvisto di tecnica, è completamente perduto, perché ha tante cose da dare ma non sa come darle. Non ha imparato la tecnica per spendere le proprie qualità. Per un attore mediocre è molto più facile perché ha meno qualità da spendere. Questa mancanza di tecnica gli ha distrutto la carriera. Perduto il fascino della gio­ vinezza, se ne è persa ogni traccia!

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Stig Bjòrkman. Lui e Maj Dritt allora erano gli attori più popolari. Nei primi anni '50... Olivier Assayas. Un'estate d'amore è il suo primo capolavoro. Penso sia un grande film e anche molto moderno.

Io non trovo. Lo erede davvero? Olivier Assayas. Sì. Penso che anticipi tutto ciò che c'è di davvero moderno nei film che vengono dopo. Inoltre è un film che possiede una sua magia...

Per la prima volta mi sentivo bene, in equilibrio... beh, insom­ ma, non del tutto, ma un po' sì... Mi sentivo più sicuro, ero me­ no aggressivo, potevo lavorare meglio con l'operatore e l'équipe, non li insultavo più di continuo e per la prima volta sentivo che quello era il mio film. Non proprio esattamente, ma era quasi esattamente ciò che desideravo tare. Olivier Assayas. Le immagini sull'isola che evocano la felicitò, sono molto convincenti... Non ho ricordi precisi di questo film. Stig Bjòrkman. Il suu realismo è puro. Godard, molto tempofa, ha scritto un articolo su di lei*2. Diceva che esistono film di cui non si può dire nulla, se non affermarne la bellezza; cita qualche classico francese e americano e Un'estate d'amore... È come un bicchier d'acqua, c'è una tate purezza... Forse Godard non è un cattivo regista come pensavo... Forse è molto, molto bravo...

Stig Bjòrkman. E aveva ragione. È questa purezza a comunicare il senti­ mento dell'innocenza, ma anche la fragilità di questa innocenza. È curioso. Esito a rivederlo. L'ho scritto quando avevo diciotto anni...

Olivier Assayas. In forma di sceneggiatura? No, di novella. Un sentimento fugace, un'impressione. Era il

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CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

periodo trascorso a casa di mia nonna di cui vi parlavo ieri. Dieci anni dopo avevo un gran bisogno di denaro, mi sono chiesto che cosa potevo fare e ho riesumato quel racconto. L'ho riscritto e trasformato in sceneggiatura, ma il risultato era un po' infelice. Allora ho chiesto a un amico di leggerlo. Mi ha aiutato moltoIJ. È l'eccezione che conferma la regola: malgrado tutto si può essere amici di un critico. Ha eliminato tutte le nuove aggiunte, conser­ vando solo l'originale. «Questa è la storia. Scrivila com'è». E io l'ho fatto.

Olivier Assayas. È lui ad averle suggerito l'idea della struttura per flash-back? Si e no. All'epoca i flash-back erano di moda, roba che piace­ va. All'improvviso l'eroe (o l'eroina) guardava come se fosse co­ stipato, la cinepresa avanzava verso di lui. Il gusto dell'epoca. La storia originale era raccontata in ordine cronologico: l'estate, la ragazza, la storia d'amore e poi il seguito, quando la ritroviamo ballerina. Di fatto, erano tre parti: l'amore della gioventù, lo zio vizioso e il giornalista. Tre atti.

Olivier Assayas. Nel film, a parer mio, la cosa bizzarra, è {'epilogo con quel monologo di Stig Olin... E com'è stato complicato! (risa).

Olivier Assayas. Trovo la relazione fra Un'estate d'amore e Monica e il desiderio molto interessante. Si tratta di due film a un tem­ po molto simili e molto diversi...

Sì.

Olivier Assayas. In Un'estate d'amore sopravvivono alcuni ele­ menti di drammaturgia tradizionale, mentre Monica e il desiderio, con la sua libertà, sente l'influenza del neorealismo. Sì, ma non così fortemente.

Olivier Assayas.... in un certo senso è un film che va un passo più in là. Devo dire che Monica e il desiderio è un film fatto per gioco Ho incontrato l'autore per strada, gli ho chiesto che cosa faceva. 38

GIOVEDÌ 15 MARZO 1990

Mi ha risposto «E tu?». Ci siamo detti quel che facevamo. Lui scriveva la storia di una ragazza che seduce un uomo, fuggono, trascorrono insieme l'estate al limite della legalità e, giunto l'in­ verno, tornati in città, hanno dei problemi e si lasciano. Mi sono detto «È un film’». Così l'abbiamo scritto insieme prima che lui finisse il romanzo. Credo che l'abbia scritto molto velocemente. Ecco com'è andata, lutto il contorno di Monica e il desiderio era piacevole: non c'erano ostacoli né difficoltà. E poi era talmente povero, non è costato praticamente nulla! Soltanto una piccola troupe, qualche attore con un cachet molto basso. Inoltre avevo appena scoperto Harriet... Lei aveva già recitato in qualche film, cosi ho chiesto a un regista che aveva lavorato con lei se pensava che avrei potuto assegnarle la parte. «Non credo - rispose — Se Io fa, sarà a suo rischio e pericolo». Ero affascinato da quella ragaz­ za. Lei lavorava in un music-hall con una compagnia incredibile: cantava, ballava, raccontava storielle sconce. Vi ricordate di Las­ se Krantz ’•?

Stig BjOrkman. Sì, e Harriet aveva tutto: calze di seta e corsetto, tipo Vedova allegra...

Harriet era molto bella. Aveva diciannove anni. Abbiamo fat­ to il film. Quello è stato un periodo bellissimo.

Olivier Assayas. Il film risplende di felicità... È vero.

Olivier Assayas. ... e dei semplice piacere di realizzarlo, di raccontare quella storia. Vi succede veramente qualcosa di eccezionale, di unico nella storia del cinema... In parte è vero. Sa, il film è stato censurato... e volevano ta­ gliare ancora di più...

Olivier Assayas. Molto di più? Hanno tagliato qualche scena di litigio e qualche scena eroti­ ca... Monica e il desiderio, che bel periodo è stato...

Olivier Assayas. Uno degli elementi straordinari del film è Harriet Andersson. Sicuramente una delle più grandi attrici mai esistite. 39

CONVERSAZIONE CON I. BERCMAN

È vero.

Olivier Assayas. Non avevo mai visto Monica e il desiderio. L'ho visto sei mesi fa ed è stato uno choc. Se lei la vede in Monica e il desiderio c poi in Sussurri e grida... Io credo che lei... insomma... che lei sia una delle più grandi at­ trici del mondo...

Olivier Assayas. E quella di Harriet Andersson, in Monica e il desiderio, è una delle più grandi performance d'attrice... Sì. È curioso. Ne parlavamo ieri. La macchina da presa si in­ namora di quella ragazza. Lei ha una storia d'amore con la mac­ china da presa. I.a macchina da presa la stimola e lei se ne sente estremamente stimolata. Una relazione molto strana...

Stig Bjòrkman. È come uno specchio in cui lei diventa un'altra se stessa... Non so spiegarlo... Non so spiegarlo... Ma era meraviglioso lavorare con lei perché è una persona piena di vita. Tecnicamente perfetta... Per oggi d dobbiamo fermare qui. Mi dispiace... Purtroppo ho altre cose da fare (risa).

1 Nel 1964 al Teatro Drammatico di Stoccolma. 1Stig Olin, interprete di quattro film di Bergman tra il 1945 e il 1950: Crisi, Prigione, Verso la gioia, Un’estate d’amore. ’Sven Nykvist, direttore della fotografia di tutti i film di Bergman a partire da Come in uno specchio (1961). 'Successivamente a Dopo la prova, Bergman ha girato pei la televisione un film intitolato De tva saliga (I due beati), con Harriet Andersson e Par Merberg, la storia del progressivo isolamento di una coppia tratta da un ro­ manzo di Ulla Isaksson. 'In seguito Bergman ha ancora sci ilio il soggetto di una serie televisiva de­ dicata ai suoi genitori e realizzata da Bille August, Con le migliori intenzioni (Den gova viljan); e la sceneggiatura di Sdndagsbarn (t.l. Il figlio della do­ menica), primo lungometraggio del figlio Daniel* la storia di un padre e di un figlio che si avvicinano l'un l'altro durante un viaggio in automobile. 6 Ingeborg Holm (1913) di Victor Sjòstròm. Attore e regista, Sjòstròm (18791960) è uno dei fondatori del cinema svedese, tra i suoi film ricordiamo: t

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proscritti (Berg Ejvind och Hans hustru, 1917), // carretto fantasma (Korkarlen, 1923); e, girati negli Stati Uniti prima per la Goldwin Company poi por lo MCM: He Who Gets Slapped (1924), La lettera rossa (The Scarlet Letter, 1926), La donna divina (The Divine Woman, 1928); Il vento (The Wind, 1928). Ritornato in patria nel 1928, Sjostròm dirige ancora due film, Vater und Soli­ ne (Padre e figlio, 1930’1931) in Svezia, e Under the Red Rnhe (Il manto ros­ so, 1937) in Inghilterra; per poi diventare, durante la seconda guerra mon­ diale, responsabile della produzione della Svenska Filmindustri. ' fudex girato nel 1916 in dodici episodi da Louis Feuillade, che ne realizza l'anno successivo una continuazione in altri dodici episodi: La nnuvelle mis­ sion de Judex. * L’ultima risata (Der Letzte Man, Germania, 1927); Aurora (Sunrise, Stati Uniti, 1927); Tabu (id., Stati Uniti, 1931, co-regia di Robert Flaherty). 9 Prigione è il primo film realizzato da Bergman a partire da una sua sce­ neggiatura originale. 10 Oscar Rosander ha montato la maggior parte dei film di Dergman fino a L'occhio dei diavolo (196U). 11 Ma uri tz Stiller (1883-1928) è con Sjostròm l'altro grande regista del cine­ ma muto in Svezia, dove realizza II tesoro di Arne (Her Ames pengar, 1919), Verso la felicità (Erotikon, 1920) e La leggenda di Gosta Dcrling (Gdsta Berling Saga, 1924), che rivela la giovane Greta Garbo. Nel 1924, invitato da Louis B. Mayer, segue a Hollywood la Garbo che lo impone nel suo secondo film, Im tentatrice (The Temptress, 1926), dove viene tuttavia sostituito da Fred Nibk» per contrasti con la produzione. Dopo due film per la Paramount con Fola Negri, inizia a dirigere La via del male (Street of Sin, 1928), ma nuovi contrasti con lo studio lo obbligano a lasciare il set ed è sostituito da losef von Sternberg. Scoraggiato e malato ritorna in Svezia, per morirvi qualche mese dopo all'età di quarantacinque anni. 11 Jean-Luc Godard, Dergmanorama, «Cahiers du cinéma» n. 85, luglio 1958. “ Herbert Grevenius, è stato co-sceneggiatore di molti fra i pnmi film di Bergman. w Lasse Krantz, artista di cabaret molto popolare in Svezia negli anni '5-0.

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Venerdì 16 marzo 1990

Olivier Assayas. Ieri abbiamo parlato del silenzio al cinema. Vorrei parlare anche dell’uso del bianco e nero e di ciò che lei ha provato passando dal bianco e nero al colore. Il sentimento è analogo. Inviti il pubblico a creare con te. Con un film muto, chiedi allo spettatore di udire le voci dentro di sé e di crearle insieme con te. Quando fai un film in bianco e nero, che è ciò che esiste di più bello, inviti il pubblico a veder­ ne i colori. Penso che questa sia anche la differenza fra il teatro e il cinema. Lei forse ricorda che Allan Edwall, il padre in Fanny c Alexander, fa questo discorso ai bambini a proposito di una se­ dia, la più bella, la più preziosa sedia esistente al mondo. Si tro­ va là, in un angolo, nella stanza dei bambini. Questo è il segreto del teatro; qualcuno sale sulla scena, prende una sedia e dice: «Questa sedia è la più cara, il capolavoro del più grande mobi­ liere del mondo! Ha duemila anni1». Venendo a teatro il pubbli­ co contrae un impegno con gli attori; crederemo a ciò che ci di­ rete, sogneremo insieme a voi, piangeremo e poi saremo felici. Penso che al cinema sia molto importante far comunicare il pubblico, farlo partecipare.

Stig BjOrkman. £ lei pensa che il colore lo impedisca...? Il colore sottrae qualcosa. Certo, è strano, a volte parlando di Sorrisi in una notte d'estate qualcuno dice: «Che bei colori!». Non c'è colore in quel film, è stato girato in bianco e nero. Ma ci sia­ mo comportati come se fosse a colori. Abbiamo lavorato su una gamma che andava dal nero più intenso al bianco più sparato. Si è trattato di un lavoro molto accurato. Che cosa ha fatto ieri sera?

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CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

Olivier Assayas. Ho cenato con Stig.

Stig Bjorkman. E poi abbiamo visto un pezzo de 11 volto. Buon Dio! (risa).

Stig Bjòrkman. È stato belìo rivederlo. Che straordinario gruppo di interpreti! È vero. Era un cast fantastico. La maggior parie degli attori proveniva dalla compagnia del teatro di Malmó. Sono legato a quel film. Ancora oggi, è uno strano film e poi ci siamo tanto di­ vertiti a farlo.

Olivier Assayas. Non voglio paragonarlo a Fanny e Alexander, anche se penso che ci siano dei legami, ma è uno di quei film in cui lei uni­ sce diversi temi che le sono cari, quasi a volerfare il punto... Forse sì. Era un bel momento. Stavo bene. Eravamo tutti uniti. È stato molto piacevole... Stig Bjòrkman. Una specie di «film delle vacanze» del Teatro di MalmO, dove lavoravate tutti insieme...

Durante l'inverno lavoravamo in teatro e in estate facevamo i film. Anche per 11 settimo sigillo, tutti gli attori venivano dal teatro. Olivier Assayas. Non trovo che II volto trasmetta questa atmosfera di pace di cui lei parla, trovo che sia un film, per molti versi, perturbante...

Sì, sì. Stig Bjòrkman. Quando parlava del colore, ho pensato a Un mon­ do di marionette *, che comincia a colori per poi passare al bianco e nero... Non c'è una ragione vera. L'ho fatto per la ZDF, la seconda re­ te televisiva tedesca. Erano loro a mettere i soldi. Quando ho det­ to che volevo girarlo in bianco e nero, non ne erano affatto entu­ siasti e mi hanno risposto: «Certamente Maestro. Faccia come vuole, ma i telespettatori penseranno che il loro televisore è gua sto, oppure, in alternativa, saremo costretti a fare un annuncio prima del film... La gente si dirà: "È in bianco e nero!" e cam­ 44

VENERDÌ 16 MARZO 1990

bierà canale. Quindi, per favore, potrebbe farlo a colori? Le sarem­ mo molto riconoscenti. Ma, ovviamente, spetta a lei decidere». Così, mi sono detto che potevo cominciare il film a colori, senza nessun problema, e poi passare al bianco e nero... nessuno ci farà caso. Ecco. È mollo semplice.

Olivier Assayas. £ perché ha voluta farlo in bianco e nero? Perché è un film in bianco e nero. Non so perché, ma è così. Onestamente, devo dire che mi piace molto ancora oggi. So che in Francia la critica ha provato un piacere particolare a farlo a pezzi...

Olivier Assayas. No, non credo...

Ma c'è stato un critico, molto, molto maligno... anche se, ora ricordo, non si trattava di Un mondo di marionette, ma di Sinfonia d'autunno, a proposito del quale aveva scritto un articolo molto malizioso. Si tratta sicuramente di una persona molto sottile. Non gli era piaciuto il film e a me non piaceva lui. Ha scritto qualcosa del tipo: «Ho l'impressione che il signor Bergman abbia cominciato a fare Bcrgman» c questo era piaciuto molto. Il disa­ stro per Tarkovskij è iniziato quando ha cominciato a fare Tarkovskij. A parte qualche eccezione, in questi ultimi anni, Fel­ lini ha fallo Fellini. E Bunuel negli ultimi venl'anni di vita non ha fatto che Bunuel. Purtroppo, penso che quel critico avesse ra­ gione, perché avevo fatto Bergman. Detesto quel film. Bergman detesta fare Bergman, e credo sia il solo... No, non credo che in Francia sia piaciuto Un monda di marionette. Allora ero ancora fuori moda. Non so con precisione come sia sialo accollo Fanny e Alexander, forse abbastanza bene, non so­ di vier Assayas. Prima di venire (fui, ho dato un'occhiata ai vecchi numeri dei «Cahier* du cinema». All'epoca di Un mondo di marionet­ te, non scrivevo ancora. So che prima molti dei suoi film erano stati ignora­ ti, ma non questo. C'è un bell'articolo. £ stato subito considerato un film importante1.

Davvero? Olivier Assayas. Assolutamente. Credo sia un film che ha lasciato un segno profóndo.

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CC1NVERSA7.1ONF. CON I. BERGMAN

Ovviamente non potevo impedire rhe fosse distribuito nelle sale, poiché la ZDF e la Taurus Film vi avevano investito molto denaro. Ma la differenza fra Dopo la prova e Un mondo di marionette è enorme. Quanto la distribuzione nei cinema mi aveva rattrista­ to per il primo, tanto poco mi è dispiaciuta per il secondo. Ma entrambi sono stati realizzati unicamente per la televisione. Stig Bjòrkman. Personalmente ritengo che Un mondo di mario­ nette sia uno dei suoi film migliori...

Quando penso ai miei film, è uno fra quelli che amo di più. Non ce ne sono molti. Soltanto qualcuno... Stig Bjòrkman. Per alcuni aspetti è un film sorprendente, in particola­ re per il modo in cui racconta la storia... La cosa importante è che ero depresso, mi trovavo in una si­ tuazione difficile, lontano dal mio paese, dove non volevo torna­ re. In L'uovo de! serpente avevo giù tentato di distillare questa sof­ ferenza ma era stato impossibile, lutto il film era stato un enor­ me equivoco. Ma in Un mondo di marionette avevo trovato un mo­ do, una forma mollo precisa per trasformare la mia sofferenza in qualcos'altro, l'ansia e tutte le mie difficoltà in una forma preci­ sa. Amo questo film. Olivier Assayas. Non l'ha disturbata il fatto di dover ricorrere a un'altra lingua?

Non è stato un problema. Certo, è sempre un problema lavo­ rare in un'altra lingua, ma erano cinque, sei anni che abitavo in Germania, e quando vi ero arrivato parlavo già correntemente il tedesco perché da giovane, prima della maturità, ero stato a Ber­ lino. Conosco anche alcune parole francesi! Cercueil (Sepolcro)! Fourtnilion (formicaleone)! Lei lo sa che cos'è un formicaleone? Olivier Assayas. No.

11 formicaleone è un minuscolo insetto che scava nella sabbia una piccola tomba e ci si nasconde dentro. E quando le formi­ che vi scivolano all'intemo non riescono più a uscire, così lui le cattura!... Formicaleone! (risa). Ma è solo qualche parola. Sono stato in Francia diverse volte, purtroppo non quando ero giova46

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ne, era già troppo tardi...

Olivier Assayas. Lei ha anche girato a Parigi... Sì. Due volte, no, solo una, credo3. Nel 1949 ho trascorso diver­ si mesi in Francia. Mi trovavo bene. Ma quando poi ci sono ritor­ nato, ero più vecchio e Parigi era così cambiata. Nel 1949 era anco­ ra, non dico un paese, ma un insieme di paesi. C'era gente che non lasciava mai il proprio quartiere. E potevi girarla tranquillamente. Ritrovavi sempre la strada c la gente era più gentile. Meno dura. Lei non ha vissuto quel periodo. Non era neanche nato. Sto leg­ gendo un libro su Hemingway e ne ho letto un altro su James Joy­ ce, quello di Maddox. Il libro su Hemingway è molto distensivo. Entrambi sono interessanti perché danno un'immagine di Parigi dopo la prima guerra mondiale. Doveva essere incredibile! Che cosa hanno fatto, cos'ha prodotto quella città negli anni '20!

Stig Bjòrkman. L'arte, la letteratura, la musica... Il teatro... tutto! Una vera esplosione!

Olivier Assayas. Credo che la città sia rimasta la stessa fino alla fine degli anni ’50, pvi è cominciata l'urbtmizzaziune... È sempre una bellissima città, ma terrificante... terrificante... Parigi, a quel tempo, nel 1949, non era così... Ci si sentiva davve­ ro a casa.

Stig Bjòrkman. A proposito di Un mondo di marionette... In Svezia, lei ha da molti anni il suo gruppo di attori con cui lavora tanto a teatro che al cinema. Poi ha lavorato a Monaco*. Al Residenzthealer.

Stig Bjòrkman. Non ho avuto occasione di vedere neanche un suo spettacolo ma, dalle recensioni che ho letto, ho capito che impiegava con re­ golarità un piccolo gruppo di attori... Sì.

Stig Bjòrkman. Che sono gli stessi che si trovano nei suoi film. Quan­ do si è stabilito a Monaco come ha creato questo gruppo? 47

CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

Non è stàio difficile. Arrivavano un po' dappertutto. Lei sa che il Residenztheater è più o meno l'equivalente di questo tea­ tro. Solo che è stato bombardato durante la guerra e poi rico­ struito e in quel periodo i materiali da costruzione erano di pes­ sima qualità. Così oggi l'edificio è in brutte condizioni. Ma il suo livello artistico è molto alto e la sua compagnia è paragonabile a quella che abbiamo qui, ottantacinque attori circa. Purtroppo ho iniziato con II sogno di Strindberg. Era la mia prima stagione e avevo appena terminato L'uovo del serpente. Stig Bjbrkman. L'aveva diretto poco prima di assumere il nuovo inca­ rico per il teatro... Si, certo. Avevo sistemato ogni cosa prima delle riprese. La compagnia del Sogno era notevole, c'erano quattordici personag­ gi. Così, un giorno, sedevo al tavolo con quel quattordici meravi­ gliosi attori quando, a un tratto, ho capito che il mio tedesco non era quello che credevo, perché una cosa è fare una conversazione, un'altra è spiegare II sogno a quattordici attori. Di punto in bianco ho scordato il tedesco, non lo parlavo più correntemente, balbet­ tavo, non sapevo cosa dire. Inoltre, il metodo di lavoro degli atto­ ri tedeschi è molto diverso dal nostro. Così il lavoro non è riusci­ to. Non c stata una buona regìa. Ma col tempo, ovviamente, ho trovato attori che capivano e amavano il mio modo di lavorare. Siamo diventati amici e ho cominciato a sentirmi più a mio agio... Quando ho iniziato a lavorare a Un mondo di marionette, non avevo nessun'idea di ritornare in Svezia, così mi sono detto: «Farò di nuovo come a Malmò: d'inverno lavoriamo in teatro e d'estate, li­ beri dagli impegni, faremo i film». Alcuni degli attori del Residenztheater sono ancora amici carissimi. Lei capisce il tedesco?

Olivier Assayas. Neanche una parola. Era talmente buffo. Un giorno arrivo in sala prove, stavo die­ tro una quinta — ce n'erano ovunque - e dall'altra parte c'erano due attori che chiacchieravano prima di andare in scena, stavano seduti sul bordo del palcoscenico e l'uno diceva all'altro: «Mein Cotti Dieser Skandinave! Er sagt uberhaupt nichts! Heute Morgen hat er Guten Morgen gesagt aber es war ja auch nicht so genial!». «Per Dio! Quello scandinavo! - quando parlavano di me mi chiamavano sempre lo scandinavo - Non dice gran che! Certo, stamattina mi ha dato il buon giorno, ma non è mica una cosa particolarmente

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VENERDÌ U MARZO 1990

geniale!». Le condizioni sóno molte dure per gli attori in Germa­ nia, poiché sono sottoposti a pressioni molto forti. Ma, con i rus­ si, sono i migliori del mondo. Stig Bjòrkman. Pressioni professionali, economiche o le due cose insieme?

Sono molto ben pagati, molto meglio che in Svezia, ma non hanno alcuna garanzia sociale. Li si può cacciare da un anno all'altro. Qui, non possiamo mandarli via, sono garantiti. In Ger­ mania se arriva un nuovo padione può liquidare l'intera compa­ gnia e scegliere gente di suo gusto. È una situazione precaria, ma ben retribuita. A Berlino, Amburgo, Dusseldorf, Monaco si trova­ no gli attori migliori. Anche a Vienna e Zurigo, ovviamente. Ma la Germania ha centoventi teatri municipali. Vi immaginate la concorrenza! Ho amato molto Monaco per la vivacità della sua straordinaria vita culturale. Due teatri d'opera per una città non più grande di Stoccolma, tre orchestre sinfoniche, trentacinque teatri, molti musei e una vita intellettuale incredibilmente inten­ sa. Molto interessante E poi c'è anche la moda. Perché Monaco è un centro. Da Parigi, dall'Ilalia, dall'Austria, dall'Est, da Berlino, tutto converge su Monaco. È stato uno strano periodo. Un perio­ do non felice, ma divertente c soprattutto stimolante. Oli vier Assayas.

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considera l'esilio come un'esperienza creativa?

Sì e no. È molto difficile dire se sarebbe stato meglio restare a casa mia, rimanere qui. Parlando del disastro che mi era capitato talvolta dicevo a mia moglie: «Tutto questo può uccidermi o, for­ se, servirmi anche da stimolo». Oggi non saprei dirlo, credo di aver perduto almeno tre anni del mio periodo più creativo. Ma non ne sono amareggiato. Ho imparato molto. Voglio raccontarvi una cosa. Prima di questo problema con il fisco, che per me è sta­ to una completa catastrofe, da un punto di vista umano - non potete neanche immaginare che cosa abbia significato’... Due me­ si prima, non ne sapevo niente... Non ne sapevamo niente... Non dubitavamo di nulla... Tutto era in ordine, tutto procedeva ma­ gnificamente... Eravamo un gruppo di amici e avevamo l'abitudi ne di vederci a casa di Bibi Andersson. Lei possedeva una grande casa, eravamo in dieci, dodici persone, ci ritrovavamo ogni due mesi, sei volte all'anno. Una volta, avevamo deciso di invitare luì medium perché avevamo discusso molto di spiritismo. Socialmen­ te eravamo tutti molto diversi. Fra di noi c'era un religioso molto 49

CONVFRSA71ONF. CON I. BERGMAN

conosciuto, attori, musicisti, insomma persone di ogni genere. II medium è arrivato e abbiamo fatto una seduta. Il tutto era un po' scemo ma anche interessante e alcune delle cose che si sono verifi­ cate sono impossibili da spiegare Alla fine il medium - era un'an­ ziana signora grassa, piccola piccola, con un viso molto curioso, che non avevo mai visto prima - mi ha preso per il braccio e mi ha condotto in cucina dove mi ha detto: «Entri, signor Bergman»», e poi gentilmente, molto timidamente: «Signor Bergman, io non so se devo parlargliene, ma ho come la sensazione che lei vogl ia sa­ pere. Il tempo che le rimane è breve, due u tie mesi al massimo, poi se ne andrà... lascerà questa esistenza». Ed io, in piedi, le ho ri­ sposto: «Grazie. Molto... davvero interessante» (risa). Non sapevo cosa dire... Non si trattava di una semplice ciarlatana, c'era qual­ cosa di molto strano in questa donna. Ad alcune persone che si trovavano là ha detto cose che non poteva sapere. Tuttavia, in un certo senso, non l'ho presa sul serio... però... era intrigante, biz­ zarra. E Ire mesi più tardi, la catastrofe che ha completamente cambiato la mia esistenza. Ho lasciato ogni cosa. Ero talmente fu­ rioso che ho voluto lasciarmi tutto alle spalle.

Olivier Assayas. Aveva comunicato con gli spiriti? No, no, questo non mi interessa affatto...

Olivier Assayas. Lei non ci crede...

Sì e no. Penso che ci siano persone che hanno intorno a sé una sorta di parabola e che tutti abbiamo attorno a noi come un'atmosfera e che il tempo non esiste: quello che rapita, il pre­ sente e il futuro, fa parte dello stesso istante, un attimo. Noi ci portiamo dietro milioni, miliardi di piccole particelle. Sicuro...! È troppo diffìcile da spiegare in una lingua straniera. Ma è un'evidenza. Alcune persone sono fatte in modo tale che la loro parabola gli consente di scegliere alcune di queste particelle e di poterne parlare. Nel mio caso, io non ne sapevo assolutamente nulla. Ero talmente preoccupato di avere una situazione finan­ ziaria assolutamente perfetta, che pagavo e facevo in modo di avere i migliori commercialisti. Non potevo sospettare nulla. È stato tutto così imprevedibile. Ma se si guarda al tutto come un solo attimo, quella donna aveva sentito che qualcosa sarebbe ca pitato, lei lo ha visto, l'ha anticipato, istintivamente. In questo non c'è nulla di strano. 50

VFNFROt 16 MAR7.O 1990

Olivier Assayas. lei pensa che il cinema riesca a cogliere tutto ciò? No. O forse sì. Probabilmente, si può riuscire a catturare qual­ siasi cosa, ma bisogna trasporla. Si può trame un racconto di fa­ te, un film dell'orrore, o quello che vuole lei, ma metterlo giù sul serio, proprio non si può Se provassi a rifare al cinema ciò che mi è capitato, non ci riuscirei, sarebbe impossibile.

Olivier Assayas. Ma insomma lei pensa che il cinema possa trascrive­ re le particelle che circondano la gente?

Abbiamo parlato di Harriet Andersson. Penso che la cinepre­ sa ami le particelle intorno ad Harriet e che lei le accetti. È il solo modo. Ma è troppo complicato discutere di questo... (una pausa). li cinematografo è... È al tempo stesso molto facile e molto diffi­ cile creare sogni al cinema. Qualche volta io ci sono riuscito, e questo mi affascina molto. Tarkovskij, quando non faceva Tarkovskij, ci riusciva meravigliosamente. Lo specchio5 è uno dei film più straordinari che siano mai stati fatti. Ieri parlavamo di Aurora. Aurora è al tempo stesso un racconto di fate, una soap-ope­ ra e un sogno. E ciò che affascina non è la soap-opera, non è la fia­ ba, ma il sogno. Io penso che se decidi di mettere in scena un so­ gno e ti dici: «Con la cinepresa e con tutte le macchine di cui di­ spongo, creerò un sogno», non ci riuscirai mai. Ma se racconti semplicemente la tua storia, questa può essere un sogno meravi­ glioso. Quando ho cominciato a prendere appunti per scrivere Sinfonia d'autunnu, si trattava del sogno di una madre e di una fi­ glia visti attraverso tre luci differenti: la luce del giorno, quella della notte e quella del mattino. 11 dispositivo era tutto qui. Sol­ tanto loro due, soltanto le tre luci, nessuna spiegazione, nessuna storia. Un movimento, o piuttosto tre movimenti come in una so­ nata. Questo era il punto di partenza ed era un sogno. E poi, sa­ pete come va, man mano si cambia, la prima idea, ottima, si tra­ sforma un po' c aH'improvviso si ha per le mani una storia vol­ gare, con tutte le spiegazioni, le scene... è strano. Si lavora contro la propria intuizione, contro il proprio istinto perché il film è un medium cosi pesante, il lavoro è così faticoso, che si ha come la sensazione di avere bisogno di una base molto solida. Nel suo film 11 bambino d'inverno ci sono dei passaggi bellissimi, molto onirici e penso che lei sia dotato per questo. Ma stia attento! Olivier Assayas. Ho sempre pensato che qualsiasi film fòsse, in un 51

CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

modo o nell'altro, un sogno... Alcuni sì. E forse ancora più di quanti lei immagini. Ma pur­ troppo, quella volta, avevo trasformato il mio sogno in una stupida realtà e quella è stata una vera sconfitta. Tra i miei film ce n'è un al­ tro, sicuramente non l'avete visto, L'immagine allo specchio...

Olivier Assayas. L'ho visto quando è uscito, ma da allora non l'ho più rivifitn. Non era molto riuscito. C'era uno splendido punto di parten­ za, una bella idea: pensavo che nella prima parte del film la no­ stra eroina vivesse due realtà - quella vera e quella del sogno. La prima si svolgeva nella luce reale, poiché la realtà vera era per lei, come per tulli noi, la sua vita. Nella seconda parte del film, dopo un tentativo di suicidio, i sogni prendevano il sopravvento in modo che la vera realtà non fosse più così vera; i sogni, invece, quelli sì, erano veri. Riuscite a immaginarlo? E la luce del sogno invadeva 1a sua esistenza reale Ho cercato, ho tentato ancora e non ci sono riuscito. Era molto strano. Olivier Assayas. In film come La vergogna, o Passione, c altri an­ cora di quel periodo, si Ita come l'impressione che ci sta una realtà, quella dei rapporti di coppia, e contemporaneamente il loro immaginario che contamina l'universo che li circonda... Ho sempre pensalo, ad esempio, che la guerra in La vergogna non fosse che la proiezione del malessere di coppia... Come l'uccisione degli animali in Passione *...

Passione... vede, ecco... la vergogna è stato il mio primo tentati­ vo di fare ciò che lei ha appena descritto. Ma avevo bisogno di ri­ tornarci su una seconda volta, e con Passione credo di aver otte­ nuto ciò che volevo. Pensavo di non esserci riuscito con La vergo gna e ho voluto tentare ancora. In Passione ci sono dei momenti... non è del tutto riuscito, ma nell'insieme ho fatto quel che volevo.

Olivier Assayas. Penso che La vergogna sia un bel film. Lei è molto gentile. Olivier Assayas. Non lo dico per farle piacere, ho visto La vergo­ gna due volte e ne sono rimasto stupefatto. È davvero un grande film.

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Un film davvero curioso... L'ho rivisto quest'estate dopo anni e anni... L'ultima volta, l'avevo visto nel 1969, quando lavorava­ mo insieme a quel libro di interviste7... Stig Bjòrkman. Sì, nel '69..,

Era il mio ultimo film? Stig Bjòrkman. Credo di sì... certamente.

Fra appena finito quando l'ha visto con i suoi amici. Mi ricor do le vostre facce dopo la proiezione... nessuno di voi ne era en­ tusiasta. Ma a quel tempo, Stig, lei lo sa, io credevo fosse il mio film migliore. Oggi, vent'anni dopo, posso vedere mollo chiara­ mente che era diviso in due parti molto diverse. La prima, quella sulla guerra, era la peggiore. È troppo costruita. Ma la seconda, dopo la guerra, l'inizio del dopoguerra, quando la distruzione diventa interiore, diventa un bel film, bello davvero. Olivier Assayas. Sì.

Ù strano perché la prima parte, così come la vedo oggi, è un brutto film, ingenuo, maldestro, ma la seconda è assolutamente perfetta. Olivier Assayas. Il monologo di Liv Ullman era molto bello. .

In Passione...

Olivier Assayas. No, in La vergogna. All'inizio, lei si rivolge... no, non si rivolge proprio alla marchina da presa, ma la fronteggia, è un'inqua­ dratura lunghissima... Credo che lei pensi a Passione...

Olivier Assayas. No, assolutamente no. Stig Bjòrkman. Non mi ricordo bene...

Non ci suno monologhi in La vergogna. Olivier Assayas. La donna si rivolge a Max von Sidout, sono saiuti

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CONVERSATONE CON I. BERGMAN

davanti alla casa di lei...

Ah sì, sì, sì— (risa). Liv è, o piuttosto era, perché oggi non re­ cita più... Questo è molto triste, è un vero peccato... Stig Bjorkman. Davvero... ... adesso lei dice: «Scrivo i miei testi, faccio le mie performan­ ce». Lavora per l'LJnesco, gira il mondo, organizza seminari, tro­ vo che faccia tutto ciò magnificamente, ma è un peccato! Anche lei, con le sue particelle, la cinepresa l'amava. Stig Bjòrkman. Anche il suo monologo in Passione era davvero no­ tevole...

Ricorda quando I'ahbiamo incontrata insieme? Stig Bjòrkman. Certamente!

Channel Four aveva organizzato una serie di seminari su Sussurri e grida; alla fine ne hanno ricavato quattro programmi, lo sapeva? Stig Bjòrkman. No, non lo sapevo.

C'era un professore entusiasta, fin troppo, perché così gli al­ lievi non potevano intervenire, mentre, in realtà, avrebbe dovuto trattarsi di una discussione. I programmi erano validi, fatti molto bene. Peccato che il professore fosse un po' troppo esuberante. Ha fatto vedere delle sequenze di Sussurri e grida, e c'era quella scena con Erland Josephson e Liv davanti allo specchio, e poi la scena d'amore dietro la porta con il sole che bruciava il suo viso. Quando l'ho vista mi sono detto: «Mio Dio, che attrice!». Davanti allo specchio, sul suo viso non si muoveva nulla ma ci doveva essere qualcosa dentro a quel volto, non so che cosa... le misterio­ se particelle... Olivier Assayas. All'epoca di quella serie di interviste fatte con Stig, nel 1969, si era nel pieno dei movimenti radicali... Sì. Era proprio l'inizio... In Francia... Come si chiamava quel tizio tedesco?... Cohn-Bendit... Aveva già acquistato la sua Por-

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VENERDÌ 16 MARZO 1990

sche e tutti i sabati pomeriggio la parcheggiava vicino al cancello dell'università e faceva la rivoluzione a Dusseldorf! Tutti i sabati alle tre del pomeriggio, tra l'inizio. Olivier Assayas. Che cosa pensa di quel periodo, del cinema realizzato allora, degli ideali rivoluzionari dell'epoca? In questo paese è stato un po' difficile perché nel nostro carat­ tere noi abbiamo qualcosa di tipicamente svedese: possiamo es­ sere molto intelligenti, ma sappiamo pensare soltanto a una cosa alla volta. All'improvviso, la rivoluzione é arrivata anche in Sve­ zia e i giovani, tulli quanli, pensavano soltanto più a Mao. In quel periodo insegnavo qui, alla scuola di teatro... Uno dei miei figli, che oggi fa l'attore, studiava qui, era il 1969. Avevano vent'anni e io ho detto loro: «Cercate di capire. Voi dovete impa­ rare la tecnica Se non imparate la dizione, se non imparate a sta­ le sul palcoscenico, a padroneggiare i vostri ruoli, non potrete trasmettere la vostra rivoluzione al pubblico perché il pubblico non vi ascolterà. Non verrà a vedervi perché voi non saprete comportarvi come dovreste. Noi questo dobbiamo insegnarvelo. Vói dovete studiare la tecnica per sapervi muovere, controllarvi, parlare». Mi hanno fischiato, hanno agitato il libretto tosso e hanno detto: «Leggiamo qualcosa. Leggiamo che cosa ha da dirci Mao!...». Questa era la situazione. Così mi hanno messo alla por­ ta, con gli applausi del direttore, Niclas Brunius. Era davvero in­ credibile Erano dappertutto, in tutti i paesi. Alla televisione, nei giornali, ovunque. Ed erano anche molto ben organizzati, molto furbi, avevano una risposta per tutte le domande e alcuni erano anche in grado di fare ragionamenti sofisticati. Ma dimenticava­ no una cosa, che in una cultura possono esserci grandi, enormi tensioni, ma è necessario che ci siano almeno due idee diverse al tempo slesso...

Stig Bjòrkman. Un dialogo... Un dialogo. F. quella è stata una vera catastrofe per la nostra vita culturale, le scuole di teatro ne pagano ancora le conse­ guenze. Quando ho messo in scena Re Lear, per il ruolo di Al­ bany — una parte molto importante - avevo un giovane di trentacinque anni, multo dotato. Ma poi mi sono reso conto che non aveva mai studiato i versi shakespeariani, che non aveva mai la­ vorato su un testo di Shakespeare. Non aveva mai imparato a te

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CONVERSAZIONE CON 1. BERGMAN

nere una spada. Non sapeva portare il costume. Molto talento, trcntacinquc anni, c non sapeva niente di niente. Vi rendete con to... Ci sono autori in questo paese che hanno smesso di scrivere perché sapevano che, se i loro romanzi o le loro novelle fossero stati pubblicati, la critica li avrebbe bruciati vivi. Come ad esem­ pio Ulla Isaksson »... E poi, come si chiamava quel vecchio poeta c critico di «Aftonbladet»? Stig Bjòrkman. Karl Vennberg...

Già, Vennberg... ha smesso di scrivere. (Pausa). In quel periodo eravamo in due a dirigere questo teatro, Alf Sjóberg * - forse ne ha sentito parlare - e io. Proprio qui sotto, all'angolo della strada, c'era un celebre orologio a due teste. Ora, un'importante rivista culturale scriveva: «È tempo di impiccare Ingmar Bergman e Alf Sjòberg a Nybroplan!». A ogni modo, me ne infischiavo perché fa­ cevo i mici film c i miei spettacoli, il resto mi era indifferente. Ma certamente, trovavo tutto questo davvero demenziale.

Olivier Assayas. Duranti; quel periodo lei si era impegnato in una delle esperienze più audaci e radicali del cinema moderno. Molto più radica­ le, a mio avviso, degli estremismi delì'epoca: lei si confrontava con questioni molto violente, profonde e pericolose. È anche partendo da questo punto di vista che volevo sapere come ha vissuto il malinteso che si era creato in quel periodo intorno alla sua opera. Mi era del tutto indifferente. Non ho vocazione per l'amarcz za. Per me, quello era il regno della follia e ovviamente ho assi­ stito alla distruzione di questo teatro; il rapidissimo declino di questo posto, questo sì mi ha reso infelice. Io l'avevo diretto e Er­ land Josephson, che era stato il mio successore, si era battuto co­ me un leone per mantenerlo a un livello dignitoso. Ma era im­ possibile. All'improvviso, la tradizione era diventata qualcosa di sospetto, la tradizione era fuori gioco, e io ne soffrivo, perché provavo una grande pena pei la «nostra casa» e pei quegli attori che non seguendo la corrente presto non avrebbero più avuto la­ voro. L'atmosfera era quella della più assoluta intolleranza. Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera e un librò di Maria Bergom-Larsson

Stig Bjòrkman. Ah... 5b

VCNCRDl 16 MARZO 1990

Ha scritto un libro su di me... (risa) intitolato Ingmar Bergman e l'ideologia borghese... Erland Josephson mi ha detto: «Chiedere a Maria Bergom-Larsson di scrivere un libro su Bergman equivale a chiedere a Fellini di scrivere un libro su Stoccolma...» (risa). Ma si tratta di una ragazza in buona fede, e il suo libro non mi è di* spiaciuto perché lei ha espresso il suo punto di vista che c quello di una persona intelligente. Penso che abbia molti più problemi oggi di allora...

Stig Bjòrkman. Ed è diventata anche molto più interessante, non tro­ va? È passata dall'attività politica e dal femminismo militante a un serio impegno nel movimento pacifista e a un profondo ritorno alla fede.

Sì, sì... Ha avuto la rivelazione della fede, prega nei templi. Non può diventare pastore perché è troppo vecchia... Stig Bjòrkman. Quando il diavolo invecchia, si fa frate... (risa). Ma tutto ciò non ha avuto alcuna influenza su di lei, che ha continuato a fare i suoi film e i suoi spettacoli...

Durante questa «rivoluzione» mi è parso importante occupar­ mi degli affari miei... Non ho mai seguito le mode! Sono troppo veloci per me. Anche se ci provassi, non ci riuscirei.

Stig Bjòrkman. £ stato in quel momento o più tardi che ha messo in scena quel lavoro di Peter Weiss? Eravamo già nel 1964 o nel 1965... L'istruttoria... Da questo momento abbiamo una mezz'ora per parlare di tutto il resto... (risa). Abbiamo parlato di molte cose, alcune importanti, altre meno. Ma è giusto. È la sola maniera. Non si può partire con Crisi per finire con Dopo la prova e Fanny e Alexander...

Stig Bjòrkman. Perché ha messo la cinepresa su quell'asse, a quell'al­ tezza, quando girava quel film nel 1949? (Risa)

Ho riletto il libro di TYuffaut su Hitchcock. Mi piace molto. L'unico problema è che un personaggio arrogante, sgradevole, cattivo e molto intelligente come Hitchcock, quando si trova fac­ cia a faccia con Truffaut è un po' spaventato. Esattamente come lo ero io quando facevamo quelle interviste: erano in tre, due idioti e uno un po' più furbetto... No, non si trattava di idioti, ma 57

CONVERSAZIONE CON I. BERCMAN

di estranei. A ogni modo la combinazione non era molto riuscita. Truffa ut passa il suo tempo a cercare di dire la sua opinione, pagi­ na dopo pagina, e qualche volta viene da chiedersi: «Dov'ò Hitch­ cock?». Lui diceva a Hitchcock ciò che questi doveva dire... È inte­ ressante rileggerlo oggi. Truffaut ha giustamente una grande am­ mirazione per Hitchcock. Lo considera il genio che è stato. Ma ccr ca senza sosta di spiegare a Hitchcock che lui lo ha capito meglio di quanto abbia fatto Hitchcock stesso E questo colpisce molto. Olivier Assayas. Ho sempre ammirato molto Hitchcock ma oggi è co­ me se tutti i cineasti fossero ossessionati da lui. Qualche anno fa, quando si vedevano i film americani, si aveva l'impressione che tutti fossero influen­ zati da John Ford. Oggi, neanche più uno. . Hitchcock ha in iviso tutto il ci­ nema americano che soffoca sotto di lui...

Ma non è colpa sua...

Olivier Assayas Certamente questo non sminuisce il suo valore di ci­ neasta. È stato un regista magnifico perché ha saputo sperimentare molto all'interno di un'industria interamente commerciale. È molto difficile. Era molto difficile E se si vede - io posso vederlo e rivederlo - Psycho, quel bizzarro film che amo tanto, è incredi­ bile... Quell'uomo avido l'ha fatto con soldi suoi, vi rendete con­ to, una piccola troupe, e una tale logica, una tale precisione, una tale ossessione della qualità cinematografica. Ammiro molto Psycho. E anche Nndn alla gola, tecnicamente parlando non è del tutto riuscito, ma l'idea è assolutamente geniale.

Olivier Assayas. Una cosa essenziale per Hitchcock, era la sua preoc­ cupazione di un rapporto diretto con il pubblico. Quando parlava dei suoi film, diceva sempre: «Là ho ingannata il pubblico perché gli ho fatto credere questo mostrandogli la tal cosa, mentre avrebbe dovuto guardare quell'altra...*. Gli è sempre piaciuto giocare con lo spettatore. Che rapporto ha lei con U pubblico dei suoi film? Amo molto il pubblico. Mi sono sempre detto: «Devo essere molto chiaro, devono capire ciò che dico, non è difficile» e inulte volte mi sono reso conto di non essere stato abbastanza semplice, abbastanza chiaro. Ma in tutta la mia vita, ho sempre lavorato per il pubblico. 58

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Olivier Assayas. Quello che volevo chiederle era se scrivendo si è mai punto la domanda: «Qui rischio di essere un pv' noioso, oscuro... qui di esse­ re frainteso...». Certo mi viene naturale. A volte, questo può essere molto pe­ ricoloso, come lei diceva a proposito di Sinfonia d'autunno. Ed è proprio quel che si è verificato... Volevo essere chiaro, dovevo es­ sere capito, dovevo semplificare. Tutto questo era pericoloso per il film. In teatro, il rapporto è talmente diretto... Gli attori sono lì davanti al pubblico e tu devi muoverli, aiutarli, dare loro tutte le possibilità affinché siano il più possibile efficaci e comprensibili. In caso contrario, il pubblico si infurierà, oppure non verrà, o an­ cora farà a meno di guardarli. F. l'errore sarà soltanto tuo. A vol­ te, con L'ora del lupo o con Luci d'inverno mi sono ribellato al mio amore per il pubblico dicendomi: «Me ne infischio!».

Stig Bjòrkman. Farò come mi pare... Beh, ovviamente anche in altri film...

Stig Bjòrkman. Le capita mai di vedere i suoi film in sala, con il pub­ blico? Sempre. Mai alla prima proiezione, dopo sempre. Olivier Assayas. Ci sono molti momenti di rottura nella sua carriera, momenti in cui lei ha radicalmente modificato il suo rapporto con il cinema, il suo modo di fare film. E uno fra i più importanti è quello di Come in uno specchio. È il primo dei «film da camera», con l'ennesimo riferimen­ to a Strindberg. Qui lei inventa un nuovo modo di fare cinema...

Olivier... una cosa è importante e io l'ho capita molto tardi: Come in uno specchio appartiene a un periodo anteriore. La vera rottura si colloca fra Come in uno specchio c Luci d'inverno. Pur troppo ho creato io stesso questo malinteso: Come m uno specchio, Luci d'inz>emo e II silenzio non costituiscono una trilogia Come in uno specchio appartiene al periodo precedente, poi viene la rottu­ ra. Ho rivisto i miei primi film, in particolare Come in uno specchio c ho dovuto accettare il fatto che questo film era stato per me una sconfitta morale, un completo disastro e che dovevo cambia­ re tutto, rivoluzionare tutta la prima parte della mia opera e rico­ minciare dall'inizio. E questo inizio è rappresentato da Luci d'ifi59

CONVERSAZIONE CON /. BERCMAN

verno e II Silenzio. È sicuramente venuto il momento di separare questi due film. Perché Come in uno specchio è molto superato, molto sentimentale, romantico. Ci sono cose meravigliose, con Harriet, ma tutto questo appartiene agli anni '50.

Olivier Assayas. Ci sono scene straordinarie... Sì, ma anche la tecnica appartiene al periodo precedente. Do­ po questo primo periodo, Sven Nykvisl e io ci siamo delti che non potevamo continuare in quel modo...

Stig Bjòrkman. È vero, c’è una trasformazione radicale e anche stilistica. Si ha came l'impressione che a partire da Luci d'inverno lei si orienti verso un'estetica al tempo stesso più semplice e più poetica. È un cambiamento totale e la rottura si colloca fra questi due film. Dunque non c'è trilogia. Quella della trilogia era un'inven­ zione per i media. Vi sto rivelando un segreto. Non l'ho mai det­ to a nessuno, ma è la verità.

Olivier Assayas. Quando ha scritto Luci d'inverno? Come e quan­ do le è venuta l’idea di questo film e come si è articolata? Tutto aveva molto a che vedere con mio padre. Ilo cercato di capire le difficoltà che aveva avuto nel corso della sua vita. Per me era giunto il momento di sbarazzarmi di tutta quella confu­ sione religiosa e di essere onesto con me stesso. In Lanterna magica ho scritto come mi era venuto il finale di Luci d'inverno. Era di domenica, ero con mio padre, stavamo per prendere la macchina, dovevo accompagnarlo a fare il suo giro, ascoltavo i suoi sermo­ ni. Nel mio libro c'è scritto tutto, potete leggerlo... Ho lavorato molto su Luci d'inverno. Il film ha avuto svariate forme e ha subi­ to diverse metamorfosi. È stato un combattimento, quando si è una vecchia puttana, è difficile togliersi tutto il trucco di dosso. Ma era necessario, e dovevo farlo.

Olivier Assayas. Qual è stata la reazione di suu padre riguardo alla sua opera e a quel film in particolare? Penso che mio padre e mia madre abbiano visto i miei film. O almeno alcuni. In genere ero io che dicevo- «Quel film potete ve­ derlo», oppure: «Per favore quello non andatelo a vedere». Ma mia 60

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madre era così curiosa che credo andasse a vedere anche quelli che non volevo vedesse. Non ne parlavamo molto. Con i miei genitori ho cominciato a comunicare molto tardi. Mia madre è morta prima di mio padre che ha vissuto da solo per quattro anni. Prima di mo rire lei è stata molto malata, ha avuto tre infarti. Abbiamo avuto molto tempo. Andavo a trovarla in ospedale e parlavamo molto. Nonostante tutto il pudore della moglie di un pasture, era una don­ na molto curiosa, forte ed emotiva. Negli ultimi tre anni della sua vita ci siamo avvicinati tantissimo. Poi, quando mio padre è rima­ sto solo, ho dovuto aiutarlo su cose pratiche, aiutarlo anche finan­ ziariamente... Siamo diventati amici Mio padre, al contrario di mia madie, era multo timido. Timidissimo... Ma non nel suo lavoro... Nel suo lavoro, credo fosse un genio, ma nella vita era nervoso, molto silenzioso e riservato. Ma ci volevamo bene. Ho passato una vita intera a odiarlo e, negli ultimi anni della sua vita, ci siamo riavvicinati, abbiamo fatto amicizia. Ho cercato di trovare dei punti di contatto, degli argomenti di cui parlare... La sua onestà mi emo­ zionava, mi toccava, poi, all'improvviso, è stato con me di una franchezza brutale. Quando si è tolto la maschera e abbiamo potu­ to sederci e parlare delle nostre vite mi sono molto commosso. Ma non penso che i miei film abbiamo divertito gran che i miei genito­ ri. Certo, erano contenti del fatto che fossi famoso, che la gente an­ dasse da mia madre a chiederle come si sentiva a essere madre di un grande uomo. Le piaceva molto questo... (risa). Ma quando ero ancora ragazzino, ero già molto solo, il nostro era un rapporto mol­ to complicato, ne parlo in lanterna magica. Era una donna affasci­ nante, c'è voluta una vita intera... Quando ci siamo separali, credo che lei mi odiasse, io anche, avevamo molte difficoltà l'uno verso l'altra. In seguito abbiamo cercato di comprenderci, di ritrovarci, ma soltanto negli ultimi tre anni della sua vita la situazione si è ca­ povolta perché ormai io ero adulto e lei poteva lasciarsi andare e tornare a essere una bambina. Questo era mollo bello. Ai suoi tem­ pi era stata una bellissima donna. Sapete, nella vita è una gran cosa diventare amici dei propri genitori. Se muoiono prima che tu capi­ sca che anche loro sono esseri umani, prima che tu diventi loro amico, resteranno dei personaggi per tutta la durata della tua vita. E nella tua vita ci sarà sempre qualche cosa di irrisolto.

Olivier Assayas. Questa riconciliazione tardiva con i suoi genitori ha avuto qualche influenza sulla sua ispirazione? Olivier, sono circa tre o quattro volte che lei usa*la parola ispi­

di

CONVERSAZIONE CON I. BERGMAN

razione. Non credo nell'ispirazione. Lei proviene da un'altra cul­ tura ed è giovane. Credo che l'ispirazione sia un'idea romantica, l'idea che le cose vengano da Dio. Ma se non si crede in nessun Dio, se si crede semplicemente nel proprio lavoro e non nell'ispi­ razione, si crede nella propria personale capacità creatrice, nell'esperienza, nell'applicarsi. Io credo nell'applicazione. Sono molto pedante e cerco, almeno nel mio lavoro, di essere onesto. Stig Bjòrkman. Ma allora lei si applica anche la notte, perché sogna e talvolta i sogni diventano...

No. Questo sta sotto, è la cucina. È l'inconscio che lavora la notte, quando si sogna... Non si tratta di applicazione. È un'altra cosa quella che si verifica Ma l'ispirazione A qualcosa che pro­ viene dall'esterno mentre ciò che io faccio viene da dentro. Può nascere da riflessioni provocate dalla vita, da cose che capitano, da cose che la gente racconta, tutta questa straordinaria qualità del reale... Dunque, nessuna ispirazione! Soltanto applicazione! Stig Bjòrkman. Stiamo parlando dei film più cari alla sua memoria... Penso che Persona sia uno di questi... 1 film che amo... In un certo senso sì, tra i miei film ce ne sono alcuni che amo molto E Persona è uno di questi.

Olivier Assayas. Quali sono gli altri? Difficile a dirsi. Ci sono alcuni fra i miei film che posso rive­ dere, o anche non rivedere, ma quando ri penso posso dirmi che vaiuiu bene, anche se non sono gran che. Ad esempio, Il settimo si­ gillo non è un grande film, ma io ci sono affezionato, mi è caro perché l'ho fatto talmente in fretta, investendolo di tanto amore e immaginazione... era molto ingenuo e non doveva costare nulla. Anche Sussurri e grida è un buon film... sì, sono orgoglioso di Sussurri e grida. Anche di Persona. E di Luci d'inverno. Ecco. Sono tutti qui. Stig Bjorkman. E Vampata d'amore?

Anche, ma è un'altra cosa...

Olivier Assayas. È un film diverso da tutti gli altri

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VENERDÌ 16 MARZO 1990

Sì, è vero, però mi piace. Poi vengono Monica e il desiderio, Farmi/ e Alexander, Un mondo di marionette. Prigione... e ovviamen­ te II volto e anche L'ora del lupo...

Stig Bjòrkman. t Passione?

No. Lo accetto ma non lo amo. È lontano da me. Forse perché le riprese sono state devastanti, talmente complesse... Olivier Assayas. C'è uno dei suoi film di cui non parla mai e sono si­ curo che lei ne parlerà come di qualcosa di molto lontano, di totalmente di­ menticato: Sogni di donna.

Sì, è molto lontano... Olivier Assayas. Trovo le due storie molto belle. Un po' come i rac­ conti di Schnitzler...

Lei conosce Schnitzler? Olivier Assayas. Sì, mi piace Schnitzler.

La sua opera è tradotta in francese? Olivier Assayas. Sì, molte cose sono state tradotte in questi ultimi anni...

Amo molto Schnitzler. Quando è al suo meglio, supera anche Cechov. Sono allo stesso livello. Ci sono molte cose che li acco­ munano... Olivier Assayas. Entrambi medici...

Sì, molto solitari... intorno a loro molte donne ina nessuna dav­ vero vicina... E poi il loro modo di costruire le storie, come se non fossero costruite. C'è un bellissimo film di Max Ophuls, tratto da Amoretto “ Il testo è meraviglioso, ma il film è un vero capolavoro. Olivier Assayas. Personalmente ho un debole per le sue opere più tardive...

Sa quante opere ha scritto Sclinitzler? 63

CCMWF.RSA7tGtàF. CON I. RFRGMAN

Olivier Assayas. No. Alcune Trentasei. Come Shakespeare.

Olivier Assayas. Ce n'è una in scena a Parigi in questo periodo. Non sono certo che sìa stata realizzata in modo corretto. Ma il testo è uno dei più belli: La strada solitaria. Ah, ma è meravigliosa, Dcr Einsamcr Wcg! Saranno cinque an­ ni che cerchiamo di metterla in scena qui. Oggi/ infatti, abbiamo gli attori giusti. Ho tentato a più riprese di farla. C'è una bellissi­ ma messa in scena fatta qualche anno fa a Monaco, con alcuni dei più bravi attori tedeschi. Non è la sua opera migliore, ma una tra le migliori, una delle più sorprendenti. Che cosa non le è pia­ ciuto del lavoro a Parigi?

Olivier Assayas. Ho trovato la messa in scena un po’ rigida. I perso­ naggi e le situazioni perdono di modernità e di vigore. Le ragazze sono sempre un problema in Francia, in teatro co­ me al cinema. Non so perché, nei film francesi le ragazzine inter­ pretano sempre se stesse. Questo nel suo film mi è piaciuto per­ ché le due protagoniste sono così belle. Ma è difficile. In Svezia, è meno complicato, è diverso. Per la parte della giovane donna in La strada solitaria abbiamo sei attrici. Anche i ruoli dei due uomi­ ni, il barone Von Sala e Julius Fichtner sono straordinari! Chi era l'attrice?

Olivier Assayas. Bulle Ogier, straordinaria.

Ah sì! Ne sono certo! È talmente una bella parte... Così lei ama Schnitzler. Ha scritto tutta la sua vita. Esiste in inglese un'ottima biografia. Non crede che La strada solitaria potrebbe es­ sere un gran bel film? Olivier Assayas. Ne sono certo.

Perché non lo fa? Olivier Assayas. Quando non avrò più mie storie da raccontare... Uno dei piaceri difare film è...

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Doris Zvedhmd, "Prigione" Birger Malmsten, Mtij-Hntt Nilsson, "Un'estate dainore''

Fuu Diddboi k v (ìufiimi llfbt nsli ithJ, "Donne in idtcsu Harriet Andersson, Ijirs Ebborg, 'Montca e il desiderio"

/ larnct AnderAkt Gfunbcr^, ,JUriu vampata d'amorc"

Gunnar Bjdmstrand, Eva Dahl beck, "Sorrisi di una notte d'estate'

Hibi Andersson, Nils Poyye, “I! setti mu si^ìllu"

"li setti mu spilli'"

Beng Ekerot. “Il settimo sigillo" htgfiinr Bergumn, Bibi Andersson, Victor Sjflstrbm,

// posto delle fragole

Birgitta Valberg, Birgitta Pettersson, "La fontana della vergine" Harriet Andersson, Cannar Rpirn>trnndf "Come in uno specchio''

Ingrid Titillili, Gunnel Lindblom, Birger Malmsten, ‘7/ silenzio" Bibi Andersson, Kurin Knvii. Jari Kullc. "A proposito di Udir

signori"

Liv Lllbwii "Perdona"

Bibi Andersson, Persona'’

Bibi Andersson. "Persona" Ingrid Timlin, Max von Sidow, "L'ora del lupo"

Lìv Ullman. 'Li Ander.- Fk, Gnnftor fyorri^fniftd, Erik Hell, “lì riio

Bibi Andersson, Llliott Could, ‘7.'adultera

biy.fthìr Rery/iwii. Liv LUlmnn, ‘'Sussurri e gridìi''

bt^nuir Hergnuiu< Httrnei Andersson, l.tv UUntan. Sussurri e gridìi'

bigninr tiergnum, Liv Ullnian, bigrid Thulin,

'Si^szpti

e ^rida"

Inumili BeLie Lllhrttitt, F.rhtnd li»eftfi>itfi. "Sirnc da itti trini f itrtùtttcj

Ingrid Bergnum, Liv UUman, "Sinfonia d'autunno"

Robert Atzorn, Christine Buehegger. “Un montio di marionette" "I anntf e Alexander"

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