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Italian Pages 366 [390] Year 1997
REMI HESS
IL VALZER RIVOLUZIONE DELLA COPPIA IN EUROPA
EINAUDI
«Un, due, tre; un, due tre; un, due... Su un ritmo a tre tempi, triste, altero, serrato, un gruppo di ballerini volteggia sempre più in fretta. Ai bordi della pista, alcune donne anziane sedute su delle pan chine, guardano le evoluzioni delle coppie con aria invidiosa o critica. Vi sono anche alcuni bambini, piu o meno piccoli, con gli occhi spalancati». Con passo lieve, Remi Hess conduce il lettore all’interno di una storia in forma di danza che attraversa almeno gli ultimi due secoli e trova oggi nuovo e inaspetta to vigore. In realtà, il valzer nasce molto prima, almeno dalla volta cinquecentesca, ma è con la Rivoluzione francese che si diffon de come danza dello scandalo - si tocca e si conduce sempre la stessa donna -, per poi addomesticarsi e adattarsi ai gusti del la borghesia ottocentesca. Di volta in volta storico, etnologo e so ciologo, Remi Hess ricostruisce il percor so del valzer dagli interdetti della Chiesa, che vi vedeva una ispirazione demoniaca oltre che un’eccessiva affermazione della coppia rispetto al gruppo sociale, ai fasti della Vienna di Strauss e oltre, fino ai giorni nostri.
In sopracoperta: Wilhelm Gause. Ballo* corte, acquarello su carta» 1900. Particolare.
Remi Hess è autore di diversi studi di analisi istituzionale e sociologica, fra cui: Centre et périphérie (1978) e Henri Lefebwe et roventare du riécle (1988).
Rèmi Hess
Il valzer Rivoluzione della coppia in Europa
Einaudi
Editore
SAGGI
776
© 1989 Éditions A. M. Métailié, Paris
© *993 Giulio Einaudi editore s. p. a.» Torino
Traduzione di Eliana Vicari
ISBN 88'06-12235-5
Remi Hess
Il valzer Rivoluzione della coppia in Europa
Giulio Einaudi editore
Indice
p. xvn
Ringraziamenti
Il valzer 3
Entrare nella danza
4 5 6
Saper ballare il valzer Una questione di péso Entrare in sintonia La componente del piacere Una logica di coppia La riproduzione di un rituale Borghese o satanico? Il libro anziché il valzer?
7 9 io ii 12
Il problema delle origini 15 18 21 22
Una storia diffìcile da costruire La disputa franco-tedesca per la paternità del valzer Sui problemi di traduzione Una tesi discutibile
25 29
Il dubbio come problematica
1 nazisti si impadroniscono dd valzer
PARTE PRIMA
La rivelazione della danza di coppia chiusa 35 36 38 40 42 45 47
1. La volta Un ballo sportivo H manierismo italiano Il successo della volta Sulle tracce della volta La Pleiade e la volta La volta nelle suite
vin p.
Indice 48
59 60
Il contributo di Thoinot Arbeau La musica della volta Il ballo del diavolo I ballerini di volta vanno messi al rogo? La volta entra nella clandestinità La provenzale fa furore
69
il. La genesi germanica del valzer
50 53 56
72
75 78 79 81 83 84
Nel Cinquecento: un ballo tenuto sotto stretta sorveglianza Il Seicento e i diritti dell’uomo sulla donna Un periodo incerto Lieber Augustin dà la melodia L’allemanda Il làndler E il valzer fu
PARTE SECONDA
La mania del valzer 9i 92 93 96
97 99 103
103 107 IIO 112 XI3 114 119
120 121 123 125 127 Bi B4
in. La rivoluzione del valzer La fine del minuetto L’improvviso fiorire del valzer Un ballo rivoluzionario «Qui si balla» Il valzer egualitario
iv. L’Impero del valzer La mania del ballo Un valzer lento L’Impero balla il valzer Le guerre diffondono il valzer A ciascuno il suo valzer I balli vengono regolamentati
v. Vienna e il Congresso Dolce Vienna Il parquet francese Arie molto romantiche H Congresso balla il valzer Strauss contro Lanner H re Strauss Il valzer viennese conquista l’Europa
Indice
vi. La restaurazione impossibile p- 137 140 141 142 145
I balli tettò della vecchia aristocrazia I balli delle ambasciate I locali da ballo pubblici L’epoca di Musard I balli in campagna
vii. H valzer nel movimento romantico 149 132 154 155 157 159
Un'esaltazione romantica Musset si sente svenire Il dolore di Hugo Un ballo divino Strauss sale a Parigi Berlioz critico
vm. La versione inglese del valzer 163 164 168 170
171
I balli di società L'ostilità al valzer A Vittoria piace il valzer Strauss attraversa la Manica Il valzer a due tempi
PARTE TERZA
Il riconoscimento ufficiale ix. I nuovi maestri 179 181
183
L'opposizione dei maestri Le pratiche fuorviami La mania della polca
187 189 191 192
L’era di Cellarius La danza dei salotti contro la danza dei teatri Una nuova pedagogia Le scuole di ballo
197
198 200 203 206 208 210
x. H valzer riconosciuto grazie alla musica: gli Strauss H tìglio contro il padre La rivoluzione del 1848 Johann Strauss junior Joseph ed Eduard Strauss D valzer diventa classico Sul bel Danubio blu
IX
x
Indice
p. 213
214 215 219
xi. Il valzer universale Jacques Offenbach Il «re» Binile La festa mondiale del valzer a Parigi
xn. Il trionfo di Strauss 226 230
232
235 236 238 241 242 243 244 244 246
Strauss negli Stati Uniti d’America L’avventura dell’operetta La fine di Johann Strauss
xm. La fine del secolo: ancora rivoluzioni La fioritura dei balli Cotillon e ballerini di cotillon Ballerini di valzer e di boston «Educatori» e danza I! valzer a scuola La federazione della danza Ottantanovemilioni e sessantamila giri Valzer e strategia
PARTE QUARTA
Rilancio e crisi di un’istituzione xiv. La nascita di una critica teologica del ballo di coppia 253 255 237
La Chiesa contro la coppia H ballo non è poi cosi peccaminoso Danza e teologia
xv. Il valzer è immorale? 261 265 267 268
274
Un problema di classificazione Gli « amplexus» del valzer La tecnica allontana il pericolo del peccato Mutande e scollature Una questione di luogo e di tempo
xvi. Il valzer e il parroco 277 279 282
Un pericolo relativo H peccato può essere evitato H potere dei parroci
xvii. Il valzer musette 289 291
L’invenzione del valzer musette parigino Una musica urbana
Indice p. 292 294 296 298 299 300
XI
Una cultura alternativa La definizione musicale della musette I diritti d'autore Il declino della musette La crisi della città La musette italiana
xviii. Il valzer della crisi 303 305 306 309 311
La diagnosi di McLuhan Il coinvolgimento contro gli universali Il valzer sovietico Goebbels e Strauss La contestazione dell’Opernball
3r7
Nuovi orizzonti
318 319 320 321 3^5
Danza e filosofia Un’esperienza interculturale Vertigini europee Oltre il nazionalismo H fascino dei molteplici influssi
3^9
Notizie biografiche su autori, compositori e ballerini citati nel corpo dell'opera
333
Nota sull'origine delle parole «valse» e «walzer»
339
Bibliografia
Indice delle illustrazioni nel testo
p. 40 41 52 104 106 247
Queen Elisabeth dancing « la volta » with the Earl ofLeicester, anonimo della fine del Cinquecento. Théodore de Bty, Danze contadine, 1535. Tratto à^Orchésographie, di Th. Arbeau, 1589. La sauteuse, «Le bon genre», Paris. La Trénis, contredanse, «Le bon genre», Paris. Man and woman dancing a waltz, analisi del movimento del valzer, fotografia di Muybridge, 1830-1904, Animal Locomotion, Stati Uniti 1887.
Elenco delle illustrazioni fuori testo
i.
Eugène Lami, Quattro studi di una coppia danzante, disegno. Parigi, Louvre, Cabinet des dessins.
2.
Il moderno galoppo o «danza verso l'eternità», dettaglio di una stampa pub blicata nella rivista «Hans Jorgl». Vienna, Historisches Museum dor Stadt. (Foto del Museo).
3.
A. Geiger, Il gran galoppo ballato con la musica di Johann Strauss il padre, incisio ne pubblicata nella «Wiener Theater Zeitung» del 26 giugno 1839. Ibidem.
4.
Il valzer, stampa da un quadro di V. Gilbert, 1840. (Archivio Fabbri, Milano).
5.
Franz Wolf, La sala da ballo nel vecchio Eliseo a Vienna, litografìa. Vienna, Historisches Museum der Stadt. (Foto del Museo).
6.
Franz Wolf, Ballando il valzer nella sala dell'Eliseo a Vienna, litografia, ca 1850. New York, The Metropolitan Museum of Art. (Foto del Museo).
7.
Ballando il valzer alla moda, a Londra, litografìa, ca 1850. Vienna, Historisdies Museum der Stadt. (Foto del Musco).
8.
Il gran ballo allo Speri di Vienna, litografìa, ca 1850. New York, The Bettmann Archive. (Foto delTArdiivio).
9.
Johann Strauss dirige il suo valzer preferito a Boston, incisione su legno, ca 1872. Ibidem.
io.
Le Contretems... Il valzer, litografia francese, xix secolo. Ibidem.
ii.
Johann Strauss figlio, Gartenlaube-Valxer, frontespizio. Vienna, Òsterreichische Nationalbibliothek. (Archivio Fabbri, Milano).
12.
A. Schmidhammer, Disegno ispirato alle Storie del bosco viennese di Johann Strauss, dal giornale «Jugend», 1901. Vienna, Gesellschaft der Musikfreunde. (Ardiivio Fabbri, Milauo).
13.
Johann Strauss figlio, Wiener Blut Walzer, frontespizio. Vienna, òsterreichische Nationalbibliothek (Archivio Fabbri, Milano).
14.
Johann Strauss figlio, Odeon-tdnze, frontespizio. Ibidem.
xvi 15.
Elenco delle illustrazioni fuori testo Johann Strauss figlio, Sul bel Danubio blu, frontespizio. Ibidem.
16.
Theo Zasche, Johann Strauss incoronalo re del valzer, incisione, 1899. Vienna, ósterreichiache Nationalbibliothek. (Poto del Museo).
17.
Wilhelm Gause, Ballo a corte, acquarello su carta, 1900. Vienna, Historisches Museum der Stadt. (Foto del Museo).
18.
Coppia che balla il valzer. Milano, Raccolte delle Stampe Achille Bertarelli. (Archivio Fabbri, Milano).
Ringraziamenti
Fra le persone che mi hanno aiutato a creare questo libro desidero innanzi tutto ringraziare gli abitanti di Piolcourt-Sidney (Ardenne), paesino in cui negli anni Cin quanta imparai a ballare il valzer, all’età di sei anni, nel corso delle feste del patrono e di quelle che seguono la mietitura. Voglio poi ringraziare Gisèle Baudrion che mi fece scoprire Salisburgo e l’Austria nel 1966, in occasione del Festival europeo della danza, dove il nostro gruppo della Champagne fu accolto con tanto calore. I miei ringrazia menti vanno anche ai signori Ricardo di Reims, miei maestri di danza, e a mia sorella Odile, che mi aiutò ad animare tante serate e corsi. Ringrazio tutte le mie dame, che seppero condividere con me la più grande gioia che l’uomo possa provare. Ringrazio ugualmente Heike e Gerald Prein di Dortmund, che collaborarono fin dall’inizio alle mie ricerche; mio fratello Benoìt, musicista e compositore di valzer; Lucette Colin, che mi accompagnò e mi aiutò nelle mie ricerche; Marco Brunampnti, direttore d’orchestra e insegnante al Conservatorio di Milano; Franz e Martin Herzhoff di Kòln, musicisti appassionati di folclore, che mi stimolarono a dare un respiro europeo ai miei primi lavori. Ringrazio i duecento studenti dell’università Paris VIIIVincennes, che nel 1979 frequentarono con entusiasmo il mio primo corso sull’etnolo gia e sulla sociologia del valzer. Ringrazio Ewald Brass dell’Office franco-allemand pour la jeunesse, che mi diede modo di organizzare vari incontri internazionali sul ballo a partire dal 1980. Ringrazio inoltre Michel Cullin, docente all’Università di Vienna, che mi permise - quand’era direttore dell’Institut frangais della capitale au striaca - di accedere alla Musiksammlung; i padri della biblioteca les Fontaines a Chantilly, dov’è agevole consultare anche i libri più rari; mia sorella Geneviève, vien nese d’adozione, che mi forni molte informazioni; Lorenzo Giaparizze e Diana De Vi gili che mi invitarono a Milano; Michael e Bridget Smith che mi ospitarono a Londra durante le mie ricerche; Freddy Le Saux e gli amici del castello di Ligoure (Limosino), dove si sono svolti i miei stage di ricerca sul ballo a partire dal 1981. I miei ringraziamenti vanno poi ad Anne-Marie Métailié che, durante un valzer bal lato assieme in Borgogna, mi propose di scrivere quest’opera, e che mi incoraggiò re golarmente a proseguirne la stesura. Desidero inoltre ringraziare Michel Authier; Britt Marie Barth, ballerina di valzer svedese, docente all’Institut supérieur de péda gogie a Parigi; Guy Berger, professore all’Università Paris-VHI; Michel Bernard, do cente di teatro prima ad Avignone e poi a Paris-VIH; Ingrid Bresnik di Vienna; Jean-
xvni
Ringraziamenti
Marie Brohm, docente all’università di Caen; Joseph Cevello di Los Angeles, tenore e insegnante al Conservatorio di Vienna; Gilberte Cournand, a lungo animatrice della libreria «La Z danse », in rue de Beaune a Parigi; Christine Lamazières di FranceInter; Cornelia Larrouy; Jacques Demorgon dell’università di Reims; Henri Lefeb vre, mio maestro di «ritmoanalisi»; Georges Lapassade; Serge Moscovici e Gaby Weigand di Wurzburg, che presero in considerazione le mie ipotesi e mi incitarono a svilupparle; Christian Pociello, docente a Paris-IX; Claude Pujade-Renaud, docente a Paris-Vni; Francois Raffinot, coreografo; Anne Sautereau, libraia al quai Malaquais e profonda conoscitrice della danza; Jean-Claude Serre, responsabile del corso di studi superiori di danza a Paris-IV; Jean e Monique Sicard (CNRS); Denis Taffanel, ballerino; Georges Vigarello, docente alla Sorbona; Fran^oise Petitot e Frangoise Duroux del Collège international de philosophic; e Thylda Moubayed, insegnante di danza a Beirut. Con tutte queste persone ebbi spesso modo di parlare e discutere di questo libro ancor prima di scriverlo. Dal punto di vista psicologico, devo molto a Thoinot Arbeau, come me originario della Champagne, cui volevo rendere omaggio in occasione del quarto centenario del\'Orchésographte> opera briosa, senza dubbio una delle piu importanti che siano mai state scritte sulla danza. Dal punto divista tecnico, ringrazio quanti mi aiutarono a leggere e a tradurre i testi in lingua straniera, e in particolar modo: Marina Rauber, Andreas Muller e Christine Delory per il tedesco; Elisabeth Drogosz per il polacco; mia figlia Hélène Hess per il provenzale; e Lorenzo Giaparizze per l’italiano. Per finire vorrei ringraziare Pascal Dibie, Nelly Zeitlin, Maria Simao, Stephane Bouyer e Gaby Weigand che alla fine mi aiutarono nel lavoro di revisione formale.
Il valzer
Entrare nella danza
«Le tre cose più belle del mondo sono: il cavallo che ga loppa, la nave che veleggia, la donna che balla il valzer».
E. Giraudet,24pAcw7rwer sur la danset in La danse, la tenue, le maintien, l'hygiène et l’éducation, Paris 1900, p. 19.
Un, due, tre; un, due, tre; un, due... Su un ritmo a tre tempi, triste, altero, serrato, un gruppo di ballerini volteggia sempre più in fretta. Ai bordi della pista, alcune donne anziane, sedute su delle panchine, guardano le evoluzioni delle coppie con aria invidiosa o critica. Vi so no anche alcuni bambini, più o meno piccoli, con gli occhi spalancati. Sembrano tutti stregati dalla musica e dal movimento che crea. Sot traendosi al vortice della danza, alcuni ballerini vengono ad accostar si alla riva. La coppia barcolla cercando di riprendere fiato ed equili brio, si aggrappa, si afferra, si trascina, si trasporta, per rimettersi dal le circonvoluzioni appena eseguite, senza rinunciare tuttavia ad asse condare il movimento di rivoluzione che domina il tempo e lo spazio della danza. La musica si è fatta più impetuosa dopo la loro uscita e le coppie ancora in pista girano come trottole. Non è più possibile di stinguere i ballerini. Uomini e donne paiono essersi dissolti in una nuova unità: la coppia. La musica diventa sempre più veloce. Le cop pie si fondono in un turbinio sino a non toccare più terra. H ritmo non è più ternario. La rotazione dei ballerini viene ormai cadenzata sol tanto da un suono martellante: un, due, un, due... e questo ritmo bi nario subisce a sua volta un’accelerazione nel parossismo del movi mento. A un tratto la musica cessa. Il gruppo resta sospeso. Un cavaliere ha sollevato in alto la dama. I ballerini sorridono felici. Per pochi istanti sembrano quasi trovarsi in uno stato alterato di coscienza o sotto l’effetto di qualche eccitante. Nei loro occhi una sorta di pro fondo appagamento e un’espressione palese di riconoscenza nei con fronti del partner. Taluni abbozzano un saluto. Altri si abbracciano... L’orchestra tace. Finalmente il gruppo si disperde. Ognuno toma al
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Entrare nella danza
suo posto, dalla sua compagna o dal legittimo compagno. La pista da ballo rimane per un attimo vuota e viene tutta invasa dalla luce che la materializza. L’orchestra accorda gli strumenti preannunciando la ri presa della musica: il valzer sta per ricominciare. I giovanotti invitano le ragazze. Alcune, con il fiato corto e la testa che gira ancora, rifiuta no. Poi però finiscono per cedere alle loro insistenze. Altre ragazze si invitano fra loro. L’orchestra attacca piano la melodia, sempre su un ritmo a due tempi, per consentire alle coppie di prendere posizione, al cavaliere di segnare il passo con la dama, di mettersi in sintonia e di entrare nella danza. Le persone si sfiorano, esitano, poi il gruppo si compone e trova una giusta cadenza: il valzer prende forma. Fare uno studio sociologico sul valzer significa anche prendere la misura o meglio le misure necessarie per capire quell’ordine cosmico che con esso si crea. Grazie al valzer si realizza una fusione del gruppo sociale con il movimento dei pianeti. Per dar senso a qualcosa che consiste proprio nella ricerca di una perdita di senso, a quel piacere infinito suscitato dal valzer attraverso un’alterazione fìsica della co scienza, bisogna, dopo aver praticato a lungo questo ballo, porre o meglio tornare a porre le domande che riguardano tale «evento».
Saper ballare il valzer. Una descrizione fenomenologica del valzer potrà forse stupire i lettori che praticano questa danza. Accade spesso infatti che ne ab biano assimilato le movenze così a fondo da renderle automatiche. Possono dunque credere che i loro riflessi acquisiti siano istintivi. In realtà saper ballare il valzer è un fatto culturale, frutto di un lungo ap prendimento, di una lenta progressione iniziata con tentativi piu o meno felici. Quello che rende facile e piacevole l’apprendimento è il suo carattere interattivo. Imparare significa riconoscere l’autorità dell’altro. Aver imparato equivale a essere stati introdotti, iniziati al movimento da un altro che trasmette il suo sapere in modo molto per sonale. Per una ragazza, il cui padre sia stato un accanito ballerino, il primo valzer rappresenta spesso un momento edipico particolare. Il ragazzo può aver imparato con sua madre o con qualche sconosciuta
Entrare nella danza
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incontrata occasionalmente durante l’adolescenza. Una donna, rima sta senza cavaliere per un ballo, ha invitato il giovanotto foruncoloso che guardava con invidia le coppie danzanti. Per lui il primo valzer ha assunto il valore di una scena di seduzione, per la prima volta ha potu to tenere una donna fra le braccia. Ha imparato allora a volteggiare in preda a un senso di vertigine, in cui si mescolano angoscia e piacere. Ma prima ancora di imparare, è stato necessario trovare il corag gio di lanciarsi, di entrare nella danza. A ogni festa c’è qualche adole scente pronto a giustificarsi spiegando che si diverte di più a guardare gli altri che a ballare. È la forma più tipica di resistenza. Per masche rare il rifiuto della danza vengono spesso addotti i pretesti più incre dibili. In realtà dietro a questi pretesti si nasconde proprio la paura di esporsi. Se il giovane proviene poi da un ambiente in cui la sessualità è in qualche modo repressa, si costruisce difese ancor più elaborate. Può motivare con lunghi discorsi il suo rifiuto di partecipare a quel piacere da adulti, che pur desidera. Resta allora a guardare le coppie di ballerini, incantato, e lascia la festa profondamente deluso di esser ne rimasto ai margini.
Una questione di peso.
Come mettersi? A seconda dell’altezza e del peso, i ballerini trova no pian piano il modo di entrare in sintonia. Dal punto di vista fisico il valzer è una coppia. Il peso di ambedue i membri della coppia viene aumentato sia per effetto della velocità di rotazione sia perché il peso di ognuno dei due ballerini tende a sbilanciare indietro l’altro. La coppia diventa cosi una massa con forza e potenza proporzionali alla velocità. Nella coppia che si costituisce, più un partner è pesante ri spètto all’altro, più si trova vicino al baricentro della coppia, assicu randone quindi la stabilità. Al contrario il più leggero dei due, pro prio perché esterno al centro di gravità, può guidare i movimenti del la coppia. Nella fase di «rodaggio», il dondolio lento permette ai bal lerini di soppesarsi, di trovare una tacita intesa, di operare un misura to corpo a corpo. Contrariamente a quanto potrebbe pensare chi non balla, nel vai-
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Entrare nella danza
zer non è sempre l’uomo a condurre la danza. Anche se la dama può voler far credere che sia il cavaliere a portarla, quel che conta in realtà è riuscire a gestire la dinamica della coppia. Se la donna pesa qualche chilo più del partner e possiede inoltre una buona padronanza tecni ca, sa di dover essere soprattutto lei il perno, il pilastro della coppia. Infatti, durante le prime battute, i ballerini valutano anche le rispetti ve capacità tecniche. Per realizzare in due il movimento di rivoluzio ne, è necessario capire subito se l’altro balla bene o male. I valzer pre cedenti possono fornire un’idea in proposito - in genere un buon bal lerino rimane tale anche cambiando partner-, ma non costituiscono una certezza assoluta. Ogni coppia è un’avventura. Bisogna instaura re un rapporto di complementarità. Il connubio può rivelarsi perfetto fra due ballerini mediocri, e mediocre fra due provetti ballerini... Il mistero del valzer produce addirittura miracoli: può succedere anche che due pessimi ballerini costituiscano un abbinamento accettabile. Le prime battute sono caratterizzate dalla ricerca di un accordo che permetta di creare assieme una dinamica a due, tenendo conto dello stile di entrambi. L’arte di certi bravi ballerini consiste proprio nel sa per assecondare il passo sbagliato del compagno per potervi porre ri medio. Alla questione determinante del peso, si aggiunge perciò quella della valutazione tecnica. Vi sono tanti modi di ballare il valzer quanti sono i ballerini.
Entrare in sintonia. Ogni nuova coppia è un’invenzione, una creazione nuova e inte rattiva, formata proprio durante le prime battute. Ciò che vive ognu na di queste coppie non ha nulla a che vedere con l’impressione che ne hanno gli spettatori. Gli effetti di compensazione, pattuiti in que sto primo corpo a corpo, sfuggono alla percezione esterna. Per entra re nella danza bisogna aver trovato la posizione giusta, la maniera di conservarla e di «aggrapparsi» l’un l’altra! Il ruolo delle braccia è tanto più importante quanto più è incerto uno dei due partner. È si gnificativo anche il modo in cui viene tenuta la testa. Se durante que sto primo incontro i ballerini scoprono di essere affiatati, possono
Entrare nella danza
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scegliere di volteggiare più rapidamente. In questo caso gireranno la testa nel senso del movimento per accompagnare con le spalle la rota zione. Se invece la coppia mira soltanto a salvare il salvabile, dando l’impressione di una disinvoltura soltanto apparente e difficile da ac quisire, la dama o il cavaliere tenderanno a frenare la velocità di rota zione della coppia. Allora testa e spalle resteranno dritte, perpendi colari al senso di marcia, opponendosi cioè al movimento. La ricerca del punto d’appoggio è della massima importanza. Do ve cercarlo con il piede d’attacco? Per assicurare la stabilità della cop pia, nel valzer, il piede d’attacco deve porsi fra le gambe del partner. Cercare altrove il punto d’appoggio avrebbe effetti disastrosi: il bari centro della coppia si sposterebbe rapidamente verso l’esterno, pro vocando un’inevitabile caduta. Dove cercare dunque il proprio pun to d’appoggio? Bisogna spingere il piede destro il più avanti possibile fra le gambe della dama? Anche in questo caso si stabilisce un tacito accordo. Molto dipende dalla lunghezza delle gambe dei due partner. Se uno è molto più alto dell’altro dovrà sforzarsi di non fare passi troppo lunghi. Dovrà trovare la «marcia» adatta, la combinazione giusta che eviterà al partner di compiere passi sproporzionati e quin di goffi. È necessario inoltre concordare la giusta distanza dall’altro. A corte e nei salotti dell’alta borghesia la distanza poteva essere rego lata da norme ben precise. Ma in campagna sono sempre stati e sono tuttora i ballerini a decidere. La vicinanza è frutto di una negoziazio ne che tiene conto sia dei fattori tecnici sia dell’immagine che la cop pia vuole dare di sé stessa nel contesto in cui si svolge la danza ’.
La componente del piacere.
Il fatto di provare piacere ballando è subordinato alla possibilità pratica di trovare un accordo fra tutti questi fattori. Danzare con pia cere equivale a trovare un’armonia, a creare assieme una sorta di auctoritas che gioca con la forza di gravità e con l’equilibrio. Provare pia cere ballando implica anche che si riesca a fare della coppia una nuo va entità, in grado di apparire allo sguardo di una terza persona come un’entità a sé stante, che trascende l’identità e l’abilità personale del
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Entrare nella danza
singolo ballerino. Bisogna dunque prendere in considerazione il con testo: il luogo dove ci si trova, le persone che guardano e quelle che commentano. H valzer è un sistema di rappresentazione di sé stessi davanti agli altri! Spesso un ballerino principiante approfitta del tempo delle prime battute per confidare la sua paura e la sua inesperienza. Quest’umiltà, di cui l’altro tiene sempre conto, è decisamente preferibile a un’ecces siva sicurezza. Non c’è niente di più spiacevole che ballare con qual cuno sicuro di sé ancor prima di aver provato. Quando due persone ballano assieme per la prima volta, non si può mai essere sicuri del ri sultato. Perché, lo ribadiamo, nel valzer ogni nuova coppia è un’in venzione, una creazione, una realizzazione pratica, il frutto di un’in terazione, in cui i protagonisti cercano di trarre il meglio dal poten ziale comune. Esistono poche situazioni sociali in cui il soggetto di venta oggetto dell’altro fino a questo punto - cosa che gli permette di essere ancor più sé stesso - e in cui, viceversa, l’altro è un oggetto che il soggetto deve guidare, gestire, sorvegliare e qualche volta soggioga re nel caso in cui si lasci prendere dalla foga e rischi di far scontrare la sua coppia con le altre. Nel valzer ciascuno è a pieno titolo soggetto e al tempo stesso oggetto dell’altro. Da questa dialettica emerge l’iden tità del soggetto nella coppia. H valzer esige un duplice movimento. Alla rotazione della coppia su sé stessa, viene ad aggiungersi un movimento della coppia nel gruppo. Ogni coppia deve trovare il suo posto in un insieme più va sto. A differenza di altri balli, in cui i movimenti da fermi prevalgono sugli spostamenti, il valzer provoca un’ulteriore dinamica del gruppo su sé stesso: in questo consiste la sua dimensione cosmica. La coppia gira su sé stessa come un pianeta, ma i pianeti compiono a loro volta un movimento circolare attorno a un punto immaginario, suscettibile di mutare continuamente, in funzione di una logica di forze prodotte dai pianeti stessi. Quando l’orchestra attacca con le prime misure a tre tempi, la coppia è riuscita a effettuare quella che, in termini sociologici, viene definita la propria «autovalutazione». A quel punto si volta verso il gruppo. A seconda del numero di coppie presenti in pista, dello spa zio disponibile per la danza e del genere di musica - più o meno velo
Entrare nella danza
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ce -, la coppia deve trovare la sua dinamica in quella più vasta del gruppo. I ballerini provetti tenderanno a volteggiare più in fretta dei principianti, e questi dovranno essere identificati per evitare gli scon tri e gli urti. Ogni coppia deve essere costantemente cosciente dello spazio e cercare di inserirsi nei posti che via via si rendono liberi. I bravi ballerini si lasciano aspirare dal vuoto. In certi momenti parec chie coppie possono trovarsi raggruppate nello spazio riservato al ballo. Bisogna allora cercare di spostarsi nelle zone libere con un mo vimento che tenga conto della velocità di rotazione di ogni coppia.
Una logica di coppia. La logica della coppia che balla il valzer è di fondere il proprio movimento con il movimento più vasto dell’insieme dei ballerini. Di fronte all’armonia che si crea, uno spettatore esterno non può che re stare stupito, meravigliato. Gli uomini ci hanno messo centinaia di anni per riuscire a raggiungere questa specie di controllo collettivo sulla dinamica di un ballo. Moltissimo tempo fa, quando la danza di coppia era agli albori, nei balli regnavano confusione e baccano, i bal lerini si urtavano e si scontravano violentemente gli uni con gli altri. Alle volte c’erano persino dei feriti; si arrivava alla rissa perché non era concepibile accettare le spinte senza reagire; così, talvolta il ballo si trasformava in un campo di battaglia. Gli atti dei tribunali dei secoli scorsi riportano varie descrizioni di queste feste, in cui il valzer cerca va di conquistare una sua precisa identità. Quando adesso si ha la fortuna di poter ammirare un valzer, balla to da centinaia di persone, durante una manifestazione in grande stile o un ritrovo popolare, non si può non provare stupore davanti alle splendide combinazioni personali, interpersonali e di gruppo che sembrano inventare, generare un sistema di relazioni spontanee, e che allo stesso tempo appaiono calcolate, acquisite, in un contesto sempre nuovo. Spesso i politici dicono che sulle strade si verificano troppi incidenti. Nessuno pensa a quanto siano poco numerosi ri spetto alle migliaia e migliaia di automobili che percorrono la città sorpassandosi e incrociandosi in tutte le direzioni. Attorno alla civiltà
IO
Entrare nella danza
automobilistica si è sviluppata una sorta di enorme cultura di gruppo. Questa cultura presuppone che ognuno tenga conto di una certa quantità di variabili, e che tutti le rispettino. Accade lo stesso nel val zer. A differenza del balletto, studiato e preparato a lungo, il ballo è uno spettacolo che viene improvvisato, inventato in un certo momen to e in un determinato luogo, e i cui protagonisti possono avere acqui sito le loro competenze nei contesti più diversi.
La riproduzione di un rituale. Dal punto di vista sociologico, la bellezza del valzer consiste nello spettacolo offerto da una società capace di produrre e riprodurre un rituale, che ogni volta sembra inventato di sana pianta. Uguale eppu re diverso. Ogni mattina l’automobilista che prende l’auto per recarsi al lavoro, rifà lo stesso percorso. Ciò nonostante il contesto muta ogni giorno. Non incontra mai le stesse vetture nelle circonvallazioni. Ogni giorno rivive la stessa esperienza, eppure ogni giorno si tratta di un’esperienza diversa. Nella danza si realizza un po’ lo stesso tipo di mistero umano. Ma in più ogni ballo offre la possibilità di scoprire un nuovo partner con cui bisogna entrare in sintonia. Ci si può affezio nare alla propria automobile; similmente esistono coppie fisse, perso ne che ballano soltanto assieme. La bellezza della danza consiste però nell’apertura, nella moltitudine delle possibilità, nella necessità asso luta di dover reinventare tutto ogni volta. Una coppia che si inventa è una coppia che mette in comune tutte le esperienze precedenti, tutte le emozioni già provate in luoghi e contesti diversi. Ballare significa far riaffiorare tutte le emozioni vissute precedentemente. Forse una delle caratteristiche peculiari del valzer è che il balleri no è intuitivamente conscio dello spessore culturale dell’evento cui partecipa. Il valzer è impregnato di cultura: cultura del corpo, cultura della coppia, cultura costruita su una dialettica fra divieto e trasgres sione, fra legge e peccato, fra ordine e disordine, fra organizzazione e disorganizzazione. Il valzer ha anche un importantissimo valore sim bolico, e oggi non ha lo stesso significato che aveva una volta. Il codi ce - il ritmo, la musica - è stato sottoposto a varie revisioni, acquisen
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do un peso e uno spessore maggiori. Benché le sue regole siano fissate ormai da molto tempo, questa danza continua a evolversi grazie ai suoi diversi significati simbolici, che fanno sì che ballare il valzer adesso a Parigi assuma un significato totalmente diverso da quello che aveva nel 1789. Ai nostri giorni il valzer detiene un attivo, ma an che un passivo simbolico, di cui bisogna tener conto. Nel 1789, ad esempio, questo ballo era l’emblema di una nuova società. Rappre sentava la liquidazione del minuetto, e con esso della morale sociale e dei valori di una nobiltà in completa decadenza.
Borghese o satanico?
Per molti oggi il valzer ha il significato che poteva avere due secoli fa il minuetto. La danza rivoluzionaria che i sanculotti ballavano nei monasteri è stata riveduta e corretta, addomesticata e adattata dalla borghesia dell’ottocento. Le classi dominanti europee hanno cristal lizzato il ritmo a tre tempi in una musica, quella di Strauss, che di po polare non ha più nulla. Il valzer è entrato nel balletto, nel cinema, nella grande musica. È ormai un prodotto culturale che ha rimosso profondamente le sue origini di danza vietata dalla Chiesa e dallo Sta to. La mistificazione è tale che adesso la gioventù viennese vede nel ballo annuale del teatro dell’opera il simbolo della ricchezza ostenta ta dai grandi capitalisti, e quindi qualcosa da distruggere con le armi. Infatti, a partire dal 1987, a Vienna si verificano ogni anno scontri fra polizia ed estremisti di sinistra che vogliono impedire lo svolgimento della solenne celebrazione del valzer. Il fatto che il valzer sia diventa to il simbolo del ballo borghese per eccellenza ne spiega il rifiuto da parte di una gioventù che in esso scorge il segno di una società in de cadenza. Eppure il valzer non è soltanto «borghese»; anche il popolo con tinua a ballarlo su ritmi a tre tempi. Benché alla generazione rock pos sa sembrare un po’ superata, la musette - ancora diffusa a livello po polare ed europeo - dimostra che il valzer non può essere limitato al rigido simbolo di appartenenza di classe che ne ha voluto fare la bor ghesia. In ogni valzer resta vivo lo spirito della volta, quel valzer con-
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dannato da alcuni teologi come danza satanica, descritto cosi bene nel 1589 da Thoinot Arbeau ’. Attraverso il valzer entrano in scena an che la storia dell’Europa, la storia dei popoli, la storia delle credenze, del peccato e della rivolta. La coppia che accenna i passi di un valzer si rende conto dello spessore sociale di questo tipo di danza? Se que sto ballo, nonostante il pesante passivo, continua a resistere agli attac chi dei ritmi a due tempi, la ragione va probabilmente cercata nel suo essere profondamente radicato nella cultura europea. Questa rivisitazione della storia del valzer non è quindi neutra. Ci troviamo in un periodo segnato da un lato dalla commemorazione della Rivoluzione francese, e dall’altro dall’attesa più o meno parteci pe della futura integrazione europea. Cercare di mostrare ciò che im plica l’affermazione del valzer, in quanto pratica corporea, equivale anche a sondare una delle dimensioni che, nella cultura europea, si tende a dimenticare con più facilità.
1/ libro anziché il valzer?
Nonostante questi argomenti, forse certi critici continueranno a ritenere paradossale che nel 1989 un docente, un ricercatore di scien ze dell’educazione si interroghi su una pratica corporea e sociale che a molti contemporanei potrebbe sembrare un po’ superata. In Fran cia, al giorno d’oggi, è considerato molto più serio interrogarsi sulla lettura, sulla scrittura e sulla loro trasmissione culturale a scuola, piuttosto che sulla danza di coppia e sul modo in cui viene appresa in società. Tuttavia, come accade per la lettura e la scrittura, imparare a ballare in coppia non è affatto qualcosa di automatico. Danzare il valzer è una vera e propria forma di sapere che divide la società, o meglio le società, in due gruppi. C’è chi balla il valzer e chi non lo balla, come ci sono quelli che sanno scrivere e quelli che non lo sanno fare. Mentre l’insegnamento della lettura e della scrittura è stato isti tuzionalizzato in tutte le società da circa un secolo, ed è considerato d’importanza fondamentale, l’insegnamento della danza non è previ sto nei programmi educativi di tutti i paesi. Se alcuni stati si sono resi
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conto delle implicazioni connesse alla trasmissione di questo tipo di sapere, altri non ne hanno ancora colto l’importanza. In Europa si riscontra una netta divisione in questo campo. In al cuni paesi queste pratiche corporee assumono un ruolo centrale, al contrario di quanto accade in altri. In Polonia il valzer e tutti i balli «nazionali» vengono insegnati a scuola dai professori di ginnastica. In questo stato per poter insegnare educazione fìsica bisogna aver so stenuto un esame di «balli nazionali». All’estremo opposto si trovala Francia, dove in genere i docenti non sanno ballare e privilegiano la cultura libresca. Spesso non sono particolarmente abili nelle attività puramente fisiche e comunque non si rendono conto di che cosa im plichi la trasmissione delle pratiche sociali e culturali antiche in cui il corpo occupa un posto centrale. L’educazione fisica si iscrive di con seguenza in una logica meramente sportiva, come è stato sottolineato da Jean-Marie Brohm ’. La diffusione su scala mondiale delle pratiche sportive codificate rende marginali le culture corporee locali o regio nali, anche quando racchiudono in sé la storia di una cultura o di una civiltà. In concreto, riguardo all’argomento che ci interessa, nella nostra società scegliere di non insegnare il valzer e i balli di coppia alle gene razioni più giovani equivale a negare un’esperienza individuale, inter personale, di gruppo e sociale carica di storia, una storia ricca che vorremmo cercare di evocare in quest’opera. Oggi i giovani tendono a ballare su ritmi binari e in modo totalmente disarticolato, e sembra che si vada verso la disintegrazione della danza di coppia. Il ballo dei secoli e dei decenni passati vedeva convergere e mescolarsi i sessi, le classi sociali e le generazioni; ora la sua esistenza è minacciata, forse sul punto di scomparire; e con esso può dissolversi uno dei fenomeni più importanti per la creazione del tessuto sociale. Tuttavia, in occa sione del 14 luglio 1989, la Francia si è rimessa a danzare. Il bicentena rio della Rivoluzione è stato caratterizzato da migliaia e migliaia di balli. Nei balli delle grandi città, come in quelli dei paesini, si sono spesso alternate la disco music e la musette. Ci si è cosi accorti che centinaia di migliaia di francesi danzano ancora il valzer. Quattordici ballerine di valzer - alte tre metri e mezzo - portavano in braccio bambini di tutte le nazionalità, durante la sfilata degli Champs-
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Élysées... Il fatto che simboleggiassero la diffusione degli ideali rivo luzionari su scala mondiale non deve però farci dimenticare che il val zer è essenzialmente europeo. Tanto che potrebbe benissimo essere il ballo scelto per i festeggiamenti dell’Europa unita. Il 1992 potrebbe essere l’occasione per un «revival» collettivo di uno degli elementi più ricchi del nostro patrimonio europeo. Quest’opera si propone dunque di indagare nel presente a partire da un’esperienza sociale ancora viva, benché marginale, e di esplora re al contempo i fondamenti storici del ballo a tre tempi. Di conse guenza questo libro potrebbe essere letto come un manifesto cultura le europeo, come un invito agli europei a rivisitare assieme la loro sto ria, ma anche le musiche e le danze che stanno alla base della struttu razione di un’identità culturale europea.
1 Dal punto di vista tecnico nulla vieta ai ballerini di starsene appiccicati l’uno all’altra come in un lento; ma in tal caso devono limitarsi ad abbozzare i passi. 2 Th. Arbeau, Orcbésographie, Langres 1589. 5 J.-M. Brohm, Sociologie politique du sport, Paris 1976.
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«Il valzer che abbiamo ripreso dai tedeschi nel 1795 era un ballo francese da quattrocento anni».
Castil Blaze, L'académie de musique, libro XVHI, to mo n, p. 71.
Quando l’antropologo esamina i testi di danza popolare è colpito dal loro tono «nazionalista»; la maggior parte degli autori dà infatti per scontato che il ballo sia «nazionale». Nella sua Grammar of the Art ofDancing, Friedrich Zorn spiega, ad esempio, che ogni qual vol ta si parla di valzer si pensa sempre «al ballo della società nazionale tedesca»1. L’unico scopo di molti storici della danza sembra essere quello di dimostrare che un ballo è nato in un certo paese. Oggi que sta posizione sorprende chi, oltre a saper ballare, conosce l’importan za delle dimensioni interculturali. In realtà la danza, essenzialmente non verbale al pari della musica, passa le frontiere molto più facil mente di qualsiasi altro prodotto culturale. Del resto è raro che un ballo rappresenti un elemento di coesione nazionale; il ballo serve piuttosto a differenziare in certi momenti alcune classi sociali, alcune regioni. Ci vuole parecchio tempo perché si diffonda su tutto il terri torio di un paese, dopo averne attraversato le frontiere. Ciò nono stante gli autori hanno spesso cercato di provare l’origine nazionale di una danza anziché la sua appartenenza a un determinato gruppo o classe sociale. Stranamente, a partire dal secolo scorso, si può notare che le storie della danza più impegnate e anche quelle più documen tate sono state scritte in un contesto di grandi fermenti nazionalisti, come quello della Francia dopo la sconfitta del 1870 o della Germania degli anni 1930-40.
Una storia difficile da costruire. Una difficoltà che si incontra nello studio della danza, e che forse può spiegare l’approccio storico riduttivamente, nazionalista, consi
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ste nel fatto che le tracce storiche più antiche della cultura popolare sono andate praticamente perdute. Sei o sette secoli fa l’attenzione degli autori si concentrava sulla carriera dei principi. È dunque diffi cile ricostruire la storia della danza a partire dai dati che abbiamo a disposizione, perché se in certi periodi può verificarsi un’osmosi tra i balli popolari e quelli di corte, molto più spesso le forme popolari e quelle aristocratiche sono in netto contrasto. A ogni modo, un’illustrazione esemplare dell’approccio riduttivamente nazionalista applicato alla danza ci viene offerto proprio dalla ricostruzione delle origini del ballo di coppia chiusa a tre tempi. Que sto ballo che oggi chiamiamo valzer sembra aver rivestito un’impor tanza del tutto particolare nelle rivendicazioni nazionaliste. Le storie della volta e del valzer mostrano inequivocabilmente il coinvolgimen to nazionalista degli studiosi del ballo. Del resto anche le opere recenti si interessano al problema delle origini nazionali della volta. In un libro pubblicato nel 1983, Luciana Porte-Marron sostiene che «La Provenza è la patria della volta o ‘vouta’. Su questa affermazione concordano ormai tutti, dopo la lun ga polemica che vide contrapporsi la tesi dell’origine provenzale e quella dell’origine italiana»’. Negli Handbooks of European National Dances, l’articolo sui «balli in Francia» precisa che «Gli italiani rivendicano l’invenzione della volta assieme a quella di altre danze come la gagliarda o romane sca, la sissaye, la furlana e cosi via; ma a questo popolo innamorato del ballo piaceva anche ‘dansar a la provenzalesgale’. L’opinione più diffusa resta pertanto quella che sostiene l’origine provenzale della volta»’. Di quest’idea è anche Marcelle Mourgues4, che a sostegno della sua tesi cita il Dictionnaire di Desrat e ^Encyclopedic di Chas d’Albert’. L’autrice affronta poi il problema della genesi del valzer, per cui rivendica ugualmente la discendenza provenzale. Marcelle Mourgues scrive infatti: « Se in Germania è ammessa l’origine pro venzale della volta [cita in proposito Curt Sachs], si sostiene però che il valzer deriva, non dalla volta, ma da un’antica danza campestre, l’allemanda. Tuttavia lo studio comparato del passo della volta, scomposto da Thoinot Arbeau, presenta una perfetta analogia con il
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passo del valzer e dell’allemanda descritti dallo stesso autore e non la scia dubbi al riguardo»4. Effettivamente Thoinot Arbeau dice dell’allemanda: «Potrete ballarla in compagnia: terrete per mano una signorina, mentre altri potranno prendere posto alle vostre spalle, sempre tenendosi per ma no, e danzerete tutti assieme, avanzando o quando vorrete retroce dendo, secondo un ritmo binario, tre passi e una grue, effettuata te nendo il piede in aria senza saltare, e allorché sarete arrivati in fondo alla sala, potrete girarvi senza lasciare la dama e senza smettere di bal lare. Gli altri vi seguiranno da vicino, e quando i musici finiranno la prima parte, ognuno si fermerà e si intratterrà con la propria dama per poi ricominciare daccapo, allo stesso modo, nella seconda parte; la terza la ballerete su un ritmo binario più leggero e rapido aggiun gendo alcuni saltelli come si fa nella corrente»'. Marcelle Mourgues si basa su questa citazione per proseguire il suo ragionamento: «Nel 1565 l’allemanda veniva ballata da un uomo e due donne: il cavaliere lasciava che una ballerina gli passasse sotto il braccio e passava a sua volta sotto quello della propria dama, quindi avanzavano, indietreggiavano, dopodiché il cavaliere ripeteva gli stessi rapidi movimenti con l’altra dama. In seguito le figure di questo brando si trasformarono, le descrizioni tedesche e svizzere mostrano delle coppie che formano un girotondo, girano a destra e poi a sini stra, dopodiché smettono di tenersi per mano, gli uomini restano fer mi e le dame girano sotto il braccio alzato dei cavalieri. Nell’alleman da moderna soltanto le ballerine eseguono il moulinet e i cavalieri fanno girare le dame sotto il braccio destro e sotto quello sinistro». Per concludere la sua dimostrazione Marcelle Mourgues dice in sostanza che: «Rispetto all’allemanda, mera danza collettiva con moulinet, dove il ballo di coppia rimane aperto, è evidente che la vol ta è stata la prima a far sì che la coppia si abbracciasse nell’incantevole dondolio del ritmo a tre tempi, nell’ebbrezza di un turbinio tipico del valzer»'. Klingenbeck tuttavia, in un libro non più recentissimo ma tuttora in vendita a Vienna, arriva addirittura a ipotizzare la paternità tedesca della volta: «Vengono proposte parecchie spiegazioni sulla storia della coreografia del valzer. La volta può essere vista come il primo
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ballo di coppia, costituendo dunque la matrice del valzer, oppure può essere considerata come il risultato di un processo che parte dalla gagliarda. Quel che è certo è che questo ballo nasce da un desiderio di volteggiare del tutto nuovo nella danza. All’inizio il movimento era piuttosto rozzo, quasi primitivo. L’origine di questa volta viene fatta risalire a vari paesi: l’Italia, la Francia, ma anche la Germania. E ben ché taluni neghino l’esistenza di un’affinità tra la volta e il valzer, altri ne sottolineano le profonde somiglianze»’. Marcelle Mourgues, che conosce bene la storia della volta, non ha mai sentito parlare di tesi che rivendichino l’origine tedesca di questo ballo. Quindi per lei il valzer è sicuramente di matrice provenzale: «È motivo di vanto per l’arte coreografica provenzale essere all’origine del ritmo languido e coinvolgente del valzer, che ha sedotto intere ge nerazioni e continua a mandare in estasi i suoi fedeli adepti» ".
La disputa franco-tedesca per la paternità del valzer.
Secondo gli autori francesi dell’ottocento e della prima metà del Novecento, il valzer è di origine francese. Cosi, sotto la voce «volta» del suo Dictionnaire de la danse, Desrat scrive: «Il Dictionnaire de Trévoux e VOrchésographie ci hanno lasciato documenti del massimo interesse sulla volta, da cui deriva il nostro valzer nazionale, docu menti che ci permettono di confutarne l’origine tedesca che gode di troppo credito... » E più avanti, alla voce «valzer», Desrat aggiunge: «Non tornerò sull’origine francese del valzer. Non mi soffermerò nemmeno sugli articoli del Dictionnaire de la conversation di Bouillet e di Larousse, che sembrano copiati uno dall’altro e diffondono un errore contrario alla verità storica; queste opere trattano con legge rezza i problemi relativi alla danza e gli articoli che la riguardano non sono certo stati scritti da specialisti. Potrei rimandare gli autori dei suddetti articoli al giornale «La Patrie» del 17 gennaio 1882, dove tro verebbero che la volta o valzer fu ballato a partire dall’anno 1178» ". In realtà, Georges Desrat fornisce una data sbagliata: si tratta in fatti del numero di «La Patrie» dell’n gennaio 1882, dove possiamo leggere quanto segue: «Di recente un erudito ha demolito la leggen
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da che attribuiva il valzer ai tedeschi. Questo ballo [...] sarebbe di ori gine francese [...] H valzer arrivò a Parigi dalla Provenza, fu di moda durante tutto il Cinquecento e fece impazzire la corte dei Valois. I te deschi lo adottarono successivamente e la volta diventò il Waltzer germanico». A commento di questo brano, Desrat scrive: «Di conse guenza, se la Provenza è in Germania, sono disposte? a schierarmi dal la parte di chi mi contraddice»". Nel 1900 gli autori francesi optano per la tesi che sostiene che il valzer deriva dalla volta. Secondo Félicien de Ménil « il valzer non è di origine tedesca»". Eugène Giraudet, dopo aver esposto la versione storica di Desrat, sembra più cauto: « Non può certo dispiacermi che il valzer, principe dei balli, sia francese. Per amor di giustizia, convie ne comunque dire che la Germania ha fornito illustri compositori di valzer... I più importanti autori contemporanei sono gli Strauss, Gungl, Labitzky e Métra» Il punto di vista di Desrat è comunque ripreso da una lunga serie di autori francesi. Ne citeremo uno per tutti: «Quanto alla volta, essa è semplicemente - e senza alcuna modificazione - il valzer, il bel vec chio valzer a tre tempi delle nostre nonne, che abbiamo creduto a lun go originario della Germania, ma che in realtà veniva dalla Provenza e che scatenò un enorme entusiasmo alla corte dei Valois, dopo che l’ebbe ballato Enrico IH»1’. Secondo gli autori tedeschi, il valzer è senza ombra di dubbio ger manico; secondo gli austriaci, viennese. Per i polacchi il valzer è natu ralmente un ballo nazionale polacco... Che la soluzione si trovi leg gendo autori di paesi «neutrali» , che non rivendicano l’invenzione di questa danza? Adolfo Salazar, storico messicano del ballo, cui si devono nume rose opere, cita come fonti del valzer la volta, il dreher, il làndler “. Nel 1816, l’inglese Thomas Wilson parla del valzer come di una danza «tedesca e francese». Poco dopo afferma che il valzer è un tipo di ballo di origine tedesca, essendo stato introdotto in Svevia, una delle nove regioni della Germania ". Nel 1830 Charles Blasis presen tando la « walse » nel suo Manuel de danse, ne sostiene la provenienza svizzera: «È stato modificato e abbellito nei diversi passaggi da un gruppo all’altro, per renderlo più vario ed eliminarne l’aspetto mono
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tono»1*. Philippe Richardson concepisce invece il valzer «nella sua forma tedesca», caratterizzata cioè dall’abbraccio e dallo stretto con tatto £ra i due partner”. Questo autore ricorda che oltre un secolo fa molti saggisti francesi, seguiti da Castil Blaze, ritenevano che esso di scendesse verosimilmente dalla gagliarda o ancor più probabilmente dalla volta. Egli segnala quindi l’origine provenzale della volta e men ziona Thoinot Arbeau. Fa inoltre presente che la regina Elisabetta I e Maria, regina di Scozia, la praticavano con grande entusiasmo... Co munque, nonostante le rivendicazioni francesi, Richardson asserisce che « è ormai opinione generale che il precursore immediato del val zer moderno vada ricercato fra le danze allora dominanti in Germa nia (il dreher, proveniente dalla Baviera, il làndler, nato in una zona situata fra l’Austria occidentale, la Svizzera e l’Alsazia) ». Richardson cita inoltre Edwin Evans che, nel libro Music and the Danse, afferma che a Vienna il valzer veniva inizialmente ballato sol tanto dal popolo - le persone di una certa educazione se ne asteneva no per ovvi motivi - mentre godeva di una maggior diffusione a Pra ga, almeno fino a quando non fu vietato da un editto imperiale del 1785. Secondo Evans, Vienna è veramente la città dove il valzer nasce come ballo urbano. Ma precisa che a quell’epoca era conosciuto con il nome di allemanda: «Vienna fu la prima a sviluppare la musica del valzer, di cui, per un secolo, produsse i migliori esempi». Ci informa anche del fatto che nel 1787 Mozart fu ingaggiato e stipendiato dal l’imperatore e che non compose valzer. Ciò è inesatto, perché Mozart scrisse cinquanta allemande e sei làndler, balli che hanno lo stesso rit mo del valzer, pur non avendone il nome. Nel 1795 Beethoven com pose a sua volta dodici allemande per la Redoutensaal". Richardson, come molti altri, ritiene che il valzer appaia per la pri ma volta a teatro nell’opera di Vincent Martin - rappresentata a Vien na nel 1787 -, e che il suo primo inserimento in un balletto risalga al 1800 (Gardel, in La dansomanie). L’autore, concludendo la sua dimo strazione sulle origini del valzer, osserva che inizialmente questa dan za veniva ballata soltanto dal volgo e in modo cosi sconveniente da in durre i governanti a vietarla in parecchi paesi. Questa versione stori ca, però, non è del tutto attendibile.
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Sui problemi di traduzione. Seguiremo ora il ragionamento del musicologo tedesco Curt Sachs sulla danza di coppia. Nella sua opera pubblicata nel 1933, egli rifiuta la teoria secondo cui il valzer deriverebbe dalla volta e fa nota re che: « [...] ancora più strana è la sua prima comparsa in Germania. Nel 1553, quando il fratello maggiore di Thomas Platter, Félix, stu diava medicina a Montpellier, raccontava ai suoi conoscenti in Basi lea della volta come di un argomento a loro molto familiare. Effettiva mente già nel 1538 un incisore della Vestfalia, Heinrich Aldegrever, in una serie di soggetti di danze nuziali ritrae proprio questa danza, rico noscibile almeno per il particolare dell’uomo che afferra la dama per il busto. Gli scrittori francesi rivendicano continuamente alla Francia l’origine del valzer poiché si dice che esso sia nato dalla volta. Senonché, il motivo coreutico del sollevare in alto la dama si può riscontrare nella Germania di molti secoli prima; il girare strettamente allacciati colpisce, come vedremo nel prossimo paragrafo, il saggista francese Montaigne, quando lo vede in Germania come qualcosa fuori dell’or dinario; e l’afferrare la dama per il busto, cosa che non fa parte né del valzer né del Làndler, era comune in Vestfalia decine di anni prima che la volta prendesse la via dalla Provenza verso Parigi, e nessuno potrebbe attribuire alla Vestfalia una particolare inclinazione per i costumi della Provenza. Che cosa rimane allora? Da parte nostra, ci guarderemo dal dar fiato alle trombe tedesche: in realtà la radice di tutte le danze con movimenti circolari affonda nell’oscurità dei riti di vegetazione del periodo neolitico. La volta però non vivrà fino a vede re la discendenza attribuitale: Mersenne la menziona per l’ultima vol ta tra le danze ancora in uso nel 1636. Essa deve essere scomparsa su bito dopo questa data»11. Questo brano di Curt Sachs, che conclude le sue considerazioni sulla volta e apre il paragrafo dedicato alle «danze a coppia chiusa», ci sembra particolarmente interessante per parecchi motivi. In primo luogo perché non figura nella traduzione francese - fatta da L. Kerr e pubblicata da Gallimard nel 1938 - dell’opera dell’autore tedesco. Dal confronto dell’edizione tedesca, inglese e francese, emerge in
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nanzi tutto che il traduttore francese ha «saltato» in blocco i passi sulla musica, senza fornire alcuna spiegazione al lettore. Perché? Che non si intendesse di musica e non capisse l’originale? Ma ben più sor prendente e problematica dal punto di vista ideologico, è la sua deci sione di «saltare» tutte le parti del libro di Curt Sachs d’impostazio ne «nazionalista». L. Kerr dà, in sostanza, una versione che può far credere al lettore francese che Curt Sachs accetti l’origine provenzale della volta, mentre in realtà giunge a contestarla. Per di più sopprime interamente la discussione sulle origini del valzer”. Quest’omissione del paragrafo, di cui abbiamo fornito noi stessi la traduzione in fran cese, corrisponde dunque a un progetto teorico di falsificazione del testo originale da parte del traduttore (che ne avesse discusso con l’autore?). Comunque sia, questa scelta ha finito con l’influenzare le successive presentazioni dei balli tedeschi. In sostanza, questa traduzione falsificata ha condizionato tutti gli studi francesi posteriori. Infatti, questi brani decisivi di Curt Sachs considerato, da più di cinquantanni, un’autorità scientifica25 nel mondo degli storici della musica e del ballo - sono universalmente conosciuti (la versione inglese del testo è stata ripubblicata parecchie volte), tranne che dal pubblico francese, che li ignora. Da cinquan tanni gli storici francesi, che credono di poter conoscere Curt Sachs attraverso la traduzione di Kerr, cadono nel tranello della falsificazio ne (cfr. Mourgues, supra) e non sanno che la tesi francese, per loro in discussa da Desrat in poi, in realtà è stata contestata. Tra il 1938 e il 1989 a nessun francese è venuta l’idea di andare a consultare l’origina le e di riaprire quindi il caso relativo alle «origini» del valzer, che Curt Sachs aveva annunciato di aver chiuso una volta per tutte.
Una tesi discutibile.
Tuttavia, nel ragionamento di Curt Sachs molti punti restano oscuri. In primo luogo l’autore, dopo aver affermato: «i francesi pro clamano che la volta è stata all’origine del valzer», cerca di demolire la loro teoria fornendo tre tipi di argomentazioni:
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- da una parte fa iniziare la storia della volta nel 1553 (con la testi monianza di Platter, un « germanico » che aveva familiarità con questa danza, sconosciuta invece a Montaigne nel 1580), e insi ste molto sul fatto che la volta arriva a corte soltanto nel 1556. Preferisce dunque ignorare le tracce scritte che attestano resi stenza della volta fin dal 1178, su cui si basa la tesi «francese» della fine dell’ottocento. Non solo non tiene conto di questi riferimenti, ma prende spunto dall’incisione di Aldegrever per lasciare intendere che il ballo con movimenti circolari veniva praticato in Germania già nel 1538, vale a dire parecchi decen ni «prima che la volta prendesse la via dalla Provenza verso Parigi»; - d’altra parte Curt Sachs - considerato generalmente un autore serio - dichiara di non voler dar fiato alle trombe tedesche e af ferma che le radici della danza con movimenti circolari devono essere cercate nel neolitico; - e alla fine asserisce che la volta è scomparsa subito dopo la testi monianza di Mersenne ( quindi verso il 1650) e che di conse guenza non sussiste un legame fra la volta e il valzer, nato sol tanto nel decennio fra il 1750 e il 1760. Ora, se si riprende l’intera articolazione del discorso, il ragiona mento di Sachs non risulta «soddisfacente». Innanzi tutto perché, vi sto che parla della volta non può assolutamente sorvolare sul testo di Thoinot Arbeau - che cita abbondantemente altrove quest’opera resta infatti la fonte principale dell’epoca per la storia della danza. Il fatto di aver menzionato la volta avrebbe dovuto indurlo - in quanto storico - a fornire maggiori informazioni sulla nascita di questo ballo. Invece omette perfino di dire che la volta veniva danzata ben prima di tornare in auge alla corte francese nel 1556. In secondo luogo, dall’incisione di Aldegrever - pubblicata da Curt Sachs e di grande interesse per la danza di coppia chiusa - non è affatto possibile dedurre che il ballo nuziale riprodotto fosse a tre tempi (com’era al contrario la volta ) e tantomeno che comportasse dei volteggi. L’incisione potrebbe benissimo rappresentare quel che oggi chiamiamo un «lento» o una «marcia» o addirittura un mo mento del «paso doble»!
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La congettura sulle «origini» neolitiche della danza con movi menti circolari, contiene con tutta evidenza una delle posizioni «ideologiche» più interessanti, dal punto di vista teorico, del discor so di Curt Sachs. L’autore sottintende che le « radici » del valzer risal gono al neolitico, supposizione che non è affatto suffragata da docu menti. Lo storico veste quindi i panni del filosofo. E nella fattispecie, Sachs dimostra di affrontare una problematica di ordine filosofico identica a quella che troviamo nello stesso periodo in Heidegger, re lativamente alla ricerca delle origini. Quale interesse può rivestire il problema delle origini visto che non siamo in grado di dime molto? Curt Sachs abbandona allora la descrizione storica per lanciarsi nel discorso ontologico. Sul versante francese la base della ricerca storica non è tanto il problema dell’« origine», quanto piuttosto quello della nascita. Per i francesi un’indagine sul passato diventa interessante soltanto quando serve a valutare il presente". Gli studi francesi della fine dell’Ottocento non si interessano al mito dell’origine, ma al problema della nasata, cioè al momento in cui cominciano ad affiorare le testimo nianze. Non tutte le danze con volteggi sono danze di coppia chiusa a tre tempi. La volta, invece, lo è. Il salto, che nel valzer sparisce, mettereb be in dubbio il legame con la volta. Ora, Curt Sachs, proprio a tale proposito, rivendica l’esistenza di quel tipo di salto in Germania! Il spo discorso è dunque totalmente incanalato in una logica «anti francese». Lo studioso rifiuta di ammettere che molti elementi del valzer si trovano già nella volta, cosa innegabile per chiunque legga attentamente le testimonianze su questo ballo (reperibili in Arbeau e in tutti gli altri autori che segnaleremo via via in questo saggio). Nell’ultimo punto del suo ragionamento, Curt Sachs parte dall’i dea che la volta sia scomparsa totalmente dopo Mersenne, per soste nere il conseguente e completo declino, durante un secolo, della dan za a tre tempi, ballata in Francia e in Europa fra il xn e il xiv secolo. II valzer è dunque considerato un ballo nuovo, benché ne vengano evi denziate le affinità con altre danze di coppia. La tesi di Curt Sachs ri mane tutto sommato dubbia. Non è certo che la volta sia scomparsa: nella storia della danza, il reperimento di documenti può portare ad
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affermare, con relativa sicurezza, la presenza di un ballo in un dato periodo; viceversa, il fatto che chi scrive ignori l’esistenza di testimo nianze al riguardo, non lo autorizza a trarre conclusioni opposte.
I nazisti si impadroniscono del valzer.
Nell’ottica della storia del valzer e dal punto di vista strutturalista, si potrebbe dire che ciò che conta è l’emergere della struttura, della logica, dell’istituzione del valzer, prima ancora della sua egemonia nell’ottocento. L’idea che la volta sia scomparsa non costituirebbe un argomento sufficiente a scartare l’ipotesi secondo cui tale ballo ha contribuito alla genesi del valzer. Allo stato attuale della ricerca, esi stono rari indizi sulla danza di coppia a tre tempi fra il 1650 e il 1750. Tuttavia è lecito supporre che la danza di coppia chiusa a tre tempi non sia mai sparita del tutto. Ipotesi plausibile, tanto più che in quel periodo questo tipo di ballo veniva perseguitato, e chi lo praticava ri schiava il rogo. È dunque probabile che, per un secolo, il ballo in que stione sia diventato clandestino, pur continuando a essere danzato e subendo varie trasformazioni. Del resto abbiamo trovato alcune testi monianze in proposito. Dall’esame delle fonti di cui disponeva Curt Sachs, risulta inoltre che non vi è traccia del ballo di coppia a tre tem pi soltanto per qualche decennio. È verosimile che in questo periodo la volta si sia rifugiata ai margi ni del sistema sociale, ritornando a essere praticata dalle classi dalle quali proveniva. Un lungo lavoro di spoglio degli archivi, forse, por terebbe alla luce documenti in grado di confermare questa tesi. Pur troppo la maggior parte degli autori - tedeschi, inglesi e perfino fran cesi - si è accontentata di copiare il discorso di Curt Sachs, spesso estremizzandone le posizioni. Grazie ad alcuni nuovi documenti, ci è possibile avanzare l’ipotesi che la danza di coppia chiusa con volteggi a tre tempi - vale a dire il valzer - non sia caduta in disuso e si sia invece mantenuta viva in Europa sotto diverse forme. D’altronde la parola «valzer» fa molto presto la sua comparsa in francese ”, e il fatto che una danza abbia perso la sua prerogativa di «ballo dominante» in un determinato periodo non ne implica il totale declino. Anche in questo
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caso non si può prescindere dai « contesti », come direbbe Henri Le febvre3*. Perché nel 1933 - data della pubblicazione del libro di Curt Sachs in Germania - uno storico tedesco sente il bisogno di provare che il valzer non è minimamente debitore della tradizione latina, sia essa provenzale, italiana o francese? Che il contesto del nazionalsociali smo abbia condizionato il lavoro di questo autore, benché fosse stato fino ad allora un ricercatore esemplare? Il fatto di aver beneficiato di una vasta diffusione a opera del nazionalsocialismo - in qualità di «storia culturale ufficiale» - deve ben aver influito in qualche modo sugli sviluppi del discorso sachsiano. Quest’influenza è assolutamen te evidente nel saggio di Fritz Klingenbeck, pubblicato a Vienna, nel 1940, e poi ristampato nel 1943 con il titolo: Unsterblicher Walzer, die geschichte des deutschen Nationaltanzes {L’immortale valzer, storia della danza nazionale tedesca). Avremo modo di esaminare questo te sto più da vicino; per il moménto ci limiteremo ad analizzarne la posi zione sul problema delle origini ”. Nel saggio del 1943, Klingenbeck scrive: «La storia del valzer è una delle storie più belle dell’arte della danza» e poi soggiunge: «An che se gli scritti sulla nascita di questo ballo sono in gran parte frutto di mere supposizioni, ciò non toglie che molte testimonianze av valorino la tesi secondo cui il valzer, in quanto ballo nazionale tede sco, è nato nel nostro paese e appartiene alla nostra cultura allo stesso modo di un vecchio canto popolare. Proprio come avviene per i canti popolari, è impossibile reperirne la vera origine, ma questo non ha im portanza perché il valzer è tedesco nella sua intima essenza. Ed è nella nostra stessa sensibilità che vogliamo trovare le tracce perdute delle sue origini»2*. Questo discorso, spesso riprodotto nei testi di provenienza ger manica, crea ovvi problemi allo storico; lo stesso si può dire per gli ar gomenti forniti a sostegno della profonda convinzione che il valzer sia di matrice tedesca. Sul versante della tradizione della volta le prove esistenti, relative alla nascita-di questo ballo, sono più numerose. Ciò nonostante Klingenbeck non ritiene nemmeno necessario confutare la tradizione critica latina; si limita ad asserire: «È erroneo affermare che il valzer sia derivato dai balli francesi a tre tempi: il vero valzer è
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stato introdotto in Francia soltanto dopo essersi ampiamente diffuso in Germania, e i maestri di danza francesi, che in quell’epoca lancia vano le mode, non gli riservarono affatto una buona accoglienza. Il successivo entusiasmo generale fu l’espressione del rifiuto di balla re alla francese: il rifiuto di un atteggiamento rigido allora domi nante»”. Quest’opinione viene ribadita nell’edizione del 1952: «Ad ogni modo non è vero che il valzer discenda dal ballo francese a tre tempi. L’origine di questo errore è imputabile al fàtto che tale ballo, subito dopo la sua propagazione in Germania, fu ripreso in Francia dai mae stri di danza francesi che lo diffusero, senza però riservargli un’acco glienza molto calorosa [...] Il trasporto con cui tutti si dedicarono al valzer va letto anche come un rifiuto della rigidità dello stile francese fino ad allora dominante»50. Klingenbeck torna a insistere sullo stesso registro: «La sensibilità popolare era abbastanza forte per affrancarsi dalle figure e dai passi ormai stereotipati [del minuetto] e per sostituirli con un ballo libera torio, ovvero con il turbinio del valzer. I maestri di danza furono co stretti a congedarsi dallo straniero, se non altro per motivi di affari, e ad arrendersi all’evidenza: il valzer, che era molto più vicino alla men talità tedesca, meritava di essere preso in considerazione. Questa dan za passa cosi, dalla piazza del paese, sotto i tigli, alle splendide sale da ballo, dove si insedia a furor di popolo. Il valzer vi occupava infatti un posto di primo piano, poiché sappiamo - grazie ai registri dell’epoca, in cui veniva annotato ogni ballo - che una danza su due era un valzer, la cui incredibile lunghezza lascia sgomenti noi per primi. La frenesia del valzer varcò ben presto le frontiere della Germania per conquistare altri stati, dove questo ballo liberatorio non tardò a trovare ferventi adepti. All’estero non mancarono certo le levate di scudi contro l’in decenza di questa danza tumultuosa e pericolosa. La Francia protestò in tutto il mondo contro l’invasione del valzer, demonizzandolo com pletamente per mezzo di opuscoletti satirici. In Inghilterra, dove giunse tardivamente, il valzer fu condannato con severità dal poeta Lord Byron [...] in un veroeproprio libello in cui il valzer tedesco vie ne accusato di essere opera del diavolo e quindi origine di ogni male
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[...]. La rigidità, un tempo d’obbligo, era passata di moda e doveva la sciare il posto allo stile nuovo del valzer tedesco, vivace e frenetico » La tesi di Klingenbeck è semplice. La Germania fu trascinata nella schiavitù del minuetto, simbolo della dominazione straniera. La Ger mania, da sempre - o quasi - detentrice del valzer, lo usò come arma di liberazione dei popoli. Gli stranieri reazionari cercarono di resiste re; ma ogni tentativo fu vano. A questo punto l’autore elabora il suo discorso attorno al minuetto «francese», dimenticando però che in Francia buona parte del popolo rifiutava la danza della nobiltà, e che d’altro canto in Germania alcuni gruppi di nobili, assieme alla stra grande maggioranza dei maestri di danza, continuavano a rifiutare il valzer! Lo storico viennese del «valzer in quanto ballo nazionale tede sco» aggiunge: «Secondo un’altra interpretazione, il valzer sarebbe originario della Svevia. Tuttavia l’opinione più comunemente am messa è che la culla del valzer sia stata la Germania meridionale. Le maggiori affinità con il valzer vengono attribuite, in particolare, alla città di Vienna. Parentela del resto provata da alcuni vecchi docu menti sulla storia del valzer»”. Avremo modo di esaminare questi «vecchi documenti» da vicino. Ma la cosa che più ci pare strana è che fino ad oggi gli autori inglesi, ignorando apparentemente il particolare contesto del decennio tra il 1933 e il 1943, abbiano ripreso senza alcuna riserva questo discorso, o meglio quest’ideologia trasmessa loro da autori di lingua inglese e tut tavia di parte - come Mosco Camer, direttóre dell’orchestra di Vien na, prima di stabilirsi a Londra, o Netti, anche lui autore tedesco, pri ma di diventare americano -, che sull’argomento in questione si limi tano, pur apponendo la loro firma, a tradurre in inglese Sachs o Klin genbeck. Il libro dello stesso Sachs, pubblicato in inglese nel 1937, non fa che rafforzare questa teoria data in genere per scontata, e ri corrente negli scritti inglesi. Basti pensare, ad esempio, al passo di Ri chardson già citato: «Nonostante le rivendicazioni francesi, è ormai opinione generale che il precursore immediato del valzer moderno va da ricercato fra le danze allora dominanti in Germania (la dreher, proveniente dalla Baviera, il làndler, nato in una zona situata fra l’Au stria occidentale, la Svizzera e l’Alsazia) » ”.
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Il dubbio come problematica. Arthur Franks fu il primo inglese a interrogarsi e a mettere in dub bio nel 1963 queste idee date ormai per scontate. Dopo aver affermato che furono i contadini tedeschi e austriaci a ballare per primi una for ma di valzer, prosegue: «Per un certo periodo pare che ci sia stata una sorta di lotta tra i francesi e i tedeschi riguardo alle origini del val zer. A quei tempi i francesi proclamavano che il valzer discendeva dalla volta, mentre i tedeschi asserivano che derivava dalla dreher, una danza con volteggi, in cui le coppie ballano una di fronte all’altra tenendosi per mano. L’aspetto più sorprendente di questa controversia è che la maggior parte dei vocabolarifrancesi contemporanei, ivi com preso il Larousse, fanno riferimento unicamente alle origini tedesche di questo ballo»’'. Franks si rese dunque perfettamente conto che c’era qualcosa di strano. Non poteva sapere che il caso era stato àrchiviato per colpa di una traduzione che falsificava l’originale. Un altro fattore che forse ha impedito ai ricercatori francesi di spingersi oltre nel dibattito è la data erronea fornita da Desrat relativamente all’articolo della Patrie da lui citato. Quando ci siamo recati personalmente a consultare il giornale in questione alla Bibliothèque nationale di Parigi, siamo rimasti delu si e abbiamo temuto che Desrat si fosse «inventato» tutto. Probabil mente non eravamo stati i primi ad avere questo dubbio, visto che i numeri del gennaio del 1882 erano stati visibilmente esaminati da al tri. Trascorsero parecchi mesi prima che ci convincessimo che il Dictionnaire di Desrat doveva contenere un refuso, e che bisognava rileg gere l’intera raccolta del gennaio 1882. Ad ogni modo, ora la lettura di Franks ci obbliga a tentare di rior ganizzare un reticolo di dati estremamente complessi. Non siamo spinti da motivazioni di carattere «nazionalista», bensì di tipo inter culturale e internazionale. H nostro obiettivo non è quello di dimostra re la paternità francese del valzer, ma piuttosto di evidenziare la molte plicità degli apporti necessari affinché emergesse una nuova socialità di coppia, all’epoca della Rivoluzione del 1789, che pur essendo scop piata in Francia fu preparata da fermenti diffusi in tutta Europa. La
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danza di coppia è infatti il risultato di un movimento europeo della durata di quattro secoli. Probabilmente il fatto che la Germania si fosse ripiegata su sé stessa durante il Cinquecento e il Seicento, per mise a una forma sociale di danza - perseguitata in particolar modo in Francia - di conservarsi evolvendosi. Comunque, quel che ci preme sapere è se sia possibile considerare la danza di coppia a tre tempi semplicemente come una componente del patrimonio europeo. Con dividiamo la posizione assunta da Eugène Enriquez quando scrive: «Come riconoscere contemporaneamente l’altro e noi stessi, come definire i nostri ruoli, la nostra collocazione, le nostre relazioni, in che modo affrontare i rapporti di forza come i rapporti d’amore?»”. Questo lavoro si situa per l’appunto nell’ottica del riconoscimento dell’alterità. Non si prefigge di raggiungere la verità assoluta e defini tiva poiché il ricercatore è sempre implicato nell’oggetto che costrui sce. Da ciò deriva un atteggiamento « situazionista » complesso, in cui « competenza e appetenza procedono di pari passo » “. « Se si cammi na su un terreno malsicuro, bisogna adottare un’andatura appropria ta e non vi è nulla di vergognoso nel praticare il surf sulle onde della socialità»”. Al giorno d’oggi, la rilettura delle opere sul valzer non può che partire dalla consapevolezza che qualunque discorso porta in sé «li miti di interpretazione interna ed esterna»”.
1 F. A. Zorn, Grammar ofthe Art of Dancings Boston 1905, p. 779. Affermazione discutibile, vi sto che ancora oggi molti francesi o italiani associano il valzer alla musette. 2 L. Porte-Marrou, Dannar au Pass, danses occitanes en Provence, Avignon 1983, p. 173. ’ Dances of Prance, vol. II, Provence and Alsace, in Handbooks ofEuropean National Dances, a cura di Violet Alford. 4 M. Mourgues, La danse provengale, ses origines, ses symboles, Raphèle-lès-Arles 1985, p. 160. 5 Chas d’Albert, The Encyclopaedia of Dancing, London, p. 141. 6 Mourgues, La danse provengale cit., p. 162. 1 Arbeau, Orchésographie cit., p. 67. 8 Mourgues, La danse provengale cit., p. 162. ’ F. Klingenbeck, Das Walzerbuch, Wien 1952, p. 49. 10 Mourgues, La danse provengale cit., p. 167. 11 G. Desrat, Dictionnaire de la danse, Paris 1895, pp. 370-73. “ Ibid., p. 374.
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° F. de Ménti, Histoire de la danse à travers les dges, Paris, p. 191. M E. Giraudet, La danse, la tenue cit., p. 96. * 5 F. de Miomandre, Danse, Paris 1947, p. 28. Questo è anche il punto di vista espresso da J. Ba ril, Dictionnaire de la danse, Paris 1964, p. 48. 16 A. Salazar, La danza y el ballet, Mexico 1949 (19502), pp. 95-96. L’autore cita nella bibliografìa Th. Arbeau e C. Sachs. 17 Th. Wilson, A Description of the Correct Method of Waltzing, in A Companion to the Ball Room, London 1816: «Waltzing is a specy of dancing that owes its origin to the Germans, having been introduced in Swabia, one of the nine circles of Germany». 18 Cfr. Ch. Blasis, Manuel complet de la danse, Paris 1830, pp. 366-69. 19 Ph. J. S. Richardson, The Social Dances of tbe Nineteenth Century, London i960, p. 42. 20 Ibid., p. 44. 71 G Sachs, Storia della danza, Milano 1966, pp. 411-12, 72 Da una ventina d’anni a questa parte, la teoria della traduzione ha compiuto grandi progres si. A questo proposito sarà utile consultare J.-R. Ladmiral, Traduire: theorèmes pour la tra duction, Paris, pp. 233 sgg., oppure i capitoli da lui consacrati alla traduzione in La communi cation interculturelle, in Bibliotbèque européenne des sciences de ^education, Paris 1989. Ad ogni modo, anche se l’opera risale a prima del 1940, per il lettore è diffìcile accettare che il tra duttore tagli interi brani di un testo, senza nemmeno segnalarlo. y Nella bibliografia ragionata del suo libro, A. H. Franks, Social Dance, a Short History, Lon don 1963, p. 196, scrive, per esempio, a proposito del volume di Sachs: «È l’opera più com pleta e approfondita, in chiave storica, sui balli di numerosi paesi. Qualche rara affermazione sbagliata ha indotto in errore alcuni ricercatori e ha fatto si che si mettesse in dubbio l’indi scussa autorità di quest’autore. Testo indispensabile per chiunque desideri studiare seria mente la danza da un punto di vista storico ed etnologico». M Cfr. R. Hess, Henri Lefebvre et Laventure du siede, Paris 1988, pp. 193 sgg. 25 E ciò avviene proprio quando diventa difficile seguire le tracce della volta. 26 H. Lefebvre, La somme et le reste, 1959; riedizione Paris 1989. 27 Questo libro presenta notevoli differenze rispetto alla sopracitata versione del 1952. 28 F. Klingenbeck, Unsterblicher Walzer, die geschichte des deutschen Nationaltanzes, Wien 1940 (19432), p. 12. 29 Ibid. 30 Id., Das Walzerbuch cit., p. 42. 31 Id., Unsterblicher Walzer cit., p. 33. ” Ibid., pp. 12-13. 33 Richardson, The Social Dances cit., p. 42. 34 Franks, Social Dance cit., p. 128. 35 E. Enriquez, De la horde à l’Etat, Paris, p. 182. 36 M. Maffesoli, Le temps des tribus, Paris 1988, p. 16. 37 Ibid., p. 17. 38 A. Schutz, Le chercheur et le quotidien, p. 9.
PARTE PRIMA
La rivelazione della danza di coppia chiusa
Capitolo primo
La volta
«Gli esseri primitivi erano nati androgini; Giove, spa ventato dalle loro forme mostruose, separò i due sessi. Ma divisi in quel modo, l’uomo e la donna cominciarono a deperire. Allora Venere, mossa a compassione, insegnò loro la volta affinché i due esseri potessero unirsi nuova mente». A. Jamyn, La volta, 1580.
Non esistono prove tangibili in grado di dimostrare l’esistenza di un legame diretto o di un rapporto di discendenza fra volta e valzer; tuttavia non ci sembra possibile separare questi due balli, se non altro nel presente saggio sul valzer che si propone, in definitiva, di tracciare la storia della danza di coppia chiusa. La volta - che gli italiani chia mano anche «rivolta», «voltatonda» come pure «mezza volta», i francesi «volte», i provenzali «vouta», i tedeschi «Wolte» e gli in glesi semplicemente «volta» - costituisce innegabilmente una gran de tappa nell’invenzione della danza di coppia chiusa, come intendia mo dimostrare in questo capitolo. ' Nella Storia della danza, Curt Sachs osserva che «Tra le danze di corte del mondo romanzo, la volta occupa un posto tutto speciale». Prima di introdursi a corte si era diffusa in campagna. Lo storico si ispira all’opera magistrale di Thoinot Arbeau, pubblicata nel Cinque cento, per precisare: «I danzatori non si dispongono più fianco a fianco o l’uno di fronte all’altro, sfiorandosi appena in una pallida raf figurazione, solo abbozzata dell’accoppiamento con qualche passo in avanti e indietro, a destra e a sinistra; strettamente allacciati ora essi girano senza posa su se stessi, eseguono insieme e senza lasciare la stretta dei veri e propri salti e fanno passare nell’atmosfera calma e raffinata della sala un soffio fino ad allora sconosciuto di forza e di na turalezza, di impetuoso vigore, di meridionale gaillardise e di fiducio sa franchezza» '. Detto questo Curt Sachs soggiunge: «Mentre porta vano in alto il piede destro, i danzatori saltellavano sul piede sinistro, giravano disegnando un angolo di 90°, facevano quindi un passo lun-
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go e di nuovo giravano per un quarto di circolo, poi saltavano ese guendo ancora un quarto di giro. Così per un giro di danza si aveva una rotazione di tre quarti e di conseguenza i danzatori si ritiravano nelle loro posizioni di partenza dopo quattro giri» ’. In seguito avremo modo di affrontare la descrizione tecnica di questo ballo; per il momento ci basta sottolineare che si tratta di una danza di coppia chiusa con volteggi. Infatti il movimento di rotazione «rendeva impossibile ai danzatori stare fianco a fianco. Essi doveva no muoversi come una sola persona, altrimenti la dama sarebbe stata costretta a eseguire tutti i suoi movimenti all’indietro»’. Per questo motivo la ballerina posa la mano destra sul collo del cavaliere, e regge con la sinistra le pieghe del vestito onde evitare che si sollevi troppo. Il cavaliere, dal canto suo, tiene «il braccio sinistro sul fianco destro della dama, la gamba sinistra preme come un timone contro la gamba destra della dama; la mano destra per sostenere quest’ultima, mentre salta, deve poggiare sotto il busto, cioè sotto quella parte che forma il davanti del corsetto»".
Un ballo sportivo.
Se si considera che la volta viene ballata ruotando indifferente mente a destra o a sinistra, sarà facile cogliere la somiglianza - fatta eccezione per il salto - con il nostro valzer. «Quale istinto condusse i provenzali a trovare il dondolio del valzer corrispondente alle note del ritmo a tre tempi? Che questo movimento impetuoso derivi dal brando alpino, il tamburino, che prevede oscillazioni del piede indie tro e in avanti, nonché vari moulinet?» Dopo essersi posta questi in terrogativi Marcelle Mourgues conclude: «Ad ogni modo le prodez ze dei ballerini di volta provano che, nella difficile arte della danza, i provenzali furono sempre stimolati a vincere gli ostacoli. Nella volta, già di per sé rapida e animata dal vertiginoso turbinio della dama, l’uomo si esibiva in una serie di entrechat. Tanta impetuosità faceva sì che gli italiani applicassero a questo ballo il famoso titolo dell’aria della gagliarda: ‘La traditora my [sic] fa morire!’»’. Quando inizia a parlare delle caratteristiche generali del ballo,
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Curt Sachs spiega che in certe danze il ballerino viene stimolato sen tendosi «al centro dell’ammirazione soprattutto dell’altro sesso ed è portato così a intensificare i suoi sforzi indipendentemente da ogni si gnificato magico; tutto rientra in un ordine puramente fìsico con ma nifestazioni di forza, di resistenza e di abilità. Questi elementi di forza e di resistenza fanno ancor oggi parte dell’ideale coreutico dei giovani villici dell’Europa e potevano essere sfoggiati persino nei locali da ballo nelle forme della volta e della nizzarda». L’autore commenta poi queste considerazioni affermando che: «Indubbiamente le danze con manifestazione di forza sono, in origine, subordinate a fini cultu rali; in seguito, però, diventano necessariamente per l’uomo giovane, vigoroso, che trae gioia da questa sua stessa forza, un’occasione per far mostra delle proprie capacità atletiche» Dal punto di vista etimologico esiste un rapporto fra «volta» e «volteggiare». Pansier ha trovato questa parola in un’espressione provenzale del 1411: si apreza la volta, che vuol dire « ha fatto un mez zo giro»’. « Volter» significa dunque girare, fare un giro. Tuttavia, in provenzale viene usata anche la variante « vouta » che contiene la stes sa radice presente nel lessema francese «envoutement», che corri sponde a incantesimo, sortilegio, malia. Desrat sostiene che la più antica testimonianza sulla volta risale al 1178: «Un manoscritto ritrovato da un erudito dell’Ottocento, citato nel numero del 17 gennaio del 1882 di «La Patrie», ci informa che questa danza fu ballata per la prima volta a Parigi il 9 novembre 1178. A quell’epoca la volta era già conosciuta in Provenza e il canto che l’accompagnava veniva designato con il nome di pallada. Dalla Pro venza arrivò dunque a Parigi restando di moda durante tutto il Cin quecento e facendo impazzire la corte dei Valois ». L’autore si rifa qui abbondantemente agli articoli di Bouillet e Larousse*. Le tappe di questa genesi sono riprese inoltre da Pierre Tugal - direttore del Muséb de la danse è responsabile delle Archives internationales de la danse - che accetta la data del 1178 come prima testimonianza cono sciuta della volta’. Sembra che in Italia il più antico documento citato risalga al 1465. Si tratterebbe del Libro dell’arte del danzare di Antonio Cornazzano che in effetti cita la «voltatonda» e la «mezza volta» ".
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La danza di coppia con volteggi («duorum in gyrum saltatio») non è comunque una novità: la praticavano già i greci e i latini. Se in quel periodo la volta andava di moda, era perché costituiva uno stru mento per opporsi alla bassadanza durante la quale il cavaliere, con tanto di cappa e spada, e la dama, in abito da sera lungo con strascico, si tenevano per la punta delle dita, fasciate nei guanti, ed eseguivano assieme una pomposa promenade, abbellita da una serie di passi stri sciati, lenti e misurati, inframmezzati da riverenze. La volta è dunque un modo di reagire alla monotonia e alla rigidità di un simile conte gno. È risaputo che per ballare la volta gli italiani si tolsero la cappa e la spada. Cominciarono a portare calzature bianche e leggere, mentre le dame si sbarazzavano spesso delle scarpe". L’aspetto innovativo della volta consiste nel fatto che i ballerini devono restare abbracciati, e di conseguenza compiere movimenti sincronizzati per girare assie me. La difficoltà principale risiede nel salto, per il quale sono necessa rie agilità e forza. Il salto è una vera e propria performance, capace di stimolare i giovani - a quei tempi ben allenati a effettuare qualunque tipo di esercizio - e che, come spiega Brossard, richiede una certa prestanza fìsica poiché: «L’uomo fa girare più volte la dama e poi l’aiuta a saltare»".
Il manierismo italiano.
Il Rinascimento riveste un ruolo importante nel rinnovamento della danza. Come in tutti i campi della cultura - avverte Max von Boehn - il Cinquecento porta grandi cambiamenti anche nel ballo. Lo stile della società muta per esprimere altre forme di pensiero e mo di di sentire. L’inizio di questo cambiamento risale al Quattrocento e coincide con la nascita del Rinascimento, che ha origine in Italia. La nuova cultura del corpo si diffonde presso i barbari con la stessa velo cità con cui l’arte, la lingua e la cultura italiana varcano le Alpi, dirette verso il nord e l’occidente. Nelle corti dei piccoli tiranni dell’Italia settentrionale e centrale veniva apprezzato tutto ciò che rendeva la vi ta più bella e seducente, secondo i dettami della moda di allora. A quei tempi era quindi apprezzata anche l’arte dei movimenti". I Vi
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sconti, i Medici, gli Este, i Gonzaga non avevano un forte potere poli tico, ma in compenso esercitavano un’enorme influenza dal punto di vista culturale. Già verso la metà del Quattrocento, molte danze ita liane furono così introdotte nei balli organizzati a Nancy dal buon re Renato. Pertanto l’influenza italiana nelle sale da ballo sarebbe stata determinante anche senza il matrimonio di Caterina de’ Medici con Enrico II. La particolarità dello stile italiano è di manierare il ballo, ottenen do effetti positivi perché, secondo Boehn, in questo modo si attenua no «la rozzezza dei costumi e la brutalità maschile allora in voga». H manierismo insegna alle dame e ai cavalieri ad assumere un compor tamento più fine, soprattutto grazie a una migliore padronanza del corpo. Il manuale di danza di Fabritio Garoso, pubblicato a Venezia nel 1581, illustra perfettamente quest’idea. Ad esempio, l’autore spie ga al cavaliere con estrema precisione come deve portare il coprica po: non deve tenerlo sempre in testa, ma talvolta lo deve prendere in mano. Bisogna inoltre che l’interno del copricapo non sia presentato verso l’esterno, ma rimanga appoggiato al corpo. Tale consuetudine si è mantenuta attraverso i secoli fino ai nostri giorni. Oskar BieM ci avverte che il ballo della buona società si risolve an cora in una «passeggiata», e prevede saluti e complimenti di ogni ti po. La dama e il cavaliere compiono passi brevi e devono continuamente salutarsi ed effettuare profondi inchini. Si avvicinano l’un l’al tra, si salutano, si allontanano, riprendono a passeggiare. Si dilunga no in infinite riverenze. Il cavaliere si toglie il copricapo con la mano sinistra e con la gamba sinistra esegue una riverenza per mostrare alla compagna che la saluta dalla parte del cuore. La coppia si tocca il braccio, la mano, poi entrambe le mani, le incrocia, dopodiché si ab braccia secondo un rituale accuratamente prestabilito. Per di più i balli italiani sono punteggiati di innumerevoli baci. Esistono danze durante le quali i cavalieri baciano una dopo l’altra tutte le dame, che a loro volta baciano tutti i cavalieri. Questo stile ri scuote un grande successo in Francia e oltremanica, tanto che En rico VHI rivolgendosi ad Anna Bolena, nella celebre opera di Shake speare, le dice: « sarei scortese se vi offrissi il braccio senza darvi un bacio»”.
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La regina Elisabetta danza la volta con il conte di Leicester.
Il successo della volta. II successo della volta in epoca rinascimentale - quando si diffon de ovunque in Europa - nasce quindi dalla reazione al disprezzo in cui erano tenute bellezza e forza fisica durante tutto il Medioevo. Ai movimenti limitati della bassadanza si sostituiscono quelli ampi della volta. I ballerini entrano in una maggiore intimità: si danno la mano nuda, indossano abiti piu leggeri; le coppie danzano in modo più vi-
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Danze contadine.
vace, saltellando a destra e poi a sinistra, mostrando entrambe le gam be. Appaiono già alcuni elementi che in seguito caratterizzeranno il valzer: anche questo è infatti un ballo a tre tempi, che viene eseguito come segnala Thoinot Arbeau - alternativamente in un senso e nel l’altro, non soltanto per lasciare vedere entrambe le gambe della da ma, ma anche per riacquistare l’equilibrio e non essere travolti dal senso di vertigini. In Inghilterra la volta è famosa, tra l’altro, grazie al salto di Elisabetta I (1533-1603). Questa sovrana intelligente e colta, regina dal 1558 al 1603, fu una grande appassionata di danza e un’otti ma ballerina, pur essendo sempre attentissima ai problemi del suo re gno. Come sottolinea Melusine Wood, si mostrava molto esigente nei confronti di sé stessa e del suo seguito in tutti i campi. Se una dama d’onore si muoveva male, glielo faceva notare davanti a tutta la corte. A quanto afferma Wedel la regina Elisabetta faceva aprire le danze da una pavana per consentire alle « persone illustri, ma non più giova nissime, di partecipare ai balli». Seguivano poi le gagliarde. In certe danze, i partner di Elisabetta erano donne, ma la regina eseguiva la volta e la gagliarda soltanto con uomini, vista la forza richiesta da que sti tipi di ballo". Per concludere, la volta risulta quindi essere la prima danza di coppia chiusa, a tre tempi, basata su un movimento di rotazione della coppia su sé stessa (a destra e a sinistra). Inoltre, rispetto alla dinami ca del gruppo, la volta determina un movimento di rivoluzione delle diverse coppie, nello spazio della danza. Grazie a tutti questi elemen ti, tale ballo preannuncia indubbiamente il valzer.
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L’incisione di Theodore de Bry del 1538 raffigura invece un ballo di coppia chiusa, che sembra molto diverso dalla volta ",
Sulle tracce della volta. Testimonianze sulla volta si trovano facilmente a partire dal 1538, data'in cui la sua storia coincide con quella dei principi. H 20 maggio di quell’anno fu ballata a Brignoles in onore di Francesco I, della regi na di Navarra e del loro numeroso seguito. Il re venne accolto con le grida di «Vivo Franco! » Affinché potesse ricevere le albate di tutti i suonatori di tamburello accorsi da Bras, Six-Fours, Signes, Aups, gli artigiani del posto furono costretti a costruire in fretta parecchi stru menti”. Questa è una prima «legittimazione», un primo «riconosci mento» della volta da parte del potere politico, mentre il potere reli gioso le è ancora apertamente contrario * Enrico II, re di Francia dal 1547 al 1559, tollera questo ballo". Il moralista italiano Zuccolo parla della volta in un’opera pubbli cata a Padova nel 1549: «Già si solea ballando non prenderai per la mano l’huomo et la donna [...] Hoggi le donne non solamente porgo no agli huomini lo lor mani tutte ignude ma le braccia appresso le spalle, il petto e tutte l’altre membra loro cortegianesche [...] da tanta turba di lascivi amanti à garra richieste à ballare, et poi tirate schizzate spinte travolte e dimenate in ogni lato» ". A quanto afferma Felix Platter, studente di medicina a Mont pellier e originario di Basilea, la volta è il ballo più diffuso nel 1553, as sieme al brando, alla gagliarda e alla corrente21. In quello stesso anno il giovane parla ai suoi familiari della volta in termini tali che si presu me la conoscessero bene anch’essi". In A Montpellier, Thomas Plat ter descrive un ballo svoltosi a Marsiglia: «Si ballava nel palazzo del ViguierB. Inutile cercare di evocare il fasto degli abiti e l’ottima quali tà della musica in una città cosi opulenta e nella dimora di un principe non ancora ammogliato. In pista non c’erano mai più di sei ballerini, che si avvicendavano alzandosi a turno, abbracciavano la dama e tor navano a sedersi dopo essersi profusi in inchini. H loro modo di balla re la volta è piuttosto singolare. Dopo aver saltato un po’ in tondo con
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la dama, anziché lasciarla, continuano a danzare con lei, ripetendo varie volte gli stessi movimenti»2*. Secondo Varloix, segretario di Vieilleville, la volta viene introdot ta a corte soltanto nel 1556, ad opera del conte di Sault. Diana di Poi tiers la danzò in occasione di un ballo mascherato su un’aria del «De profundis»2'. Fu poi portata in auge da Carlo IX, che l’aveva vista ballare a Bri gades. Effettivamente il 25 novembre 1564 a Carlo IX furono mostra te la volta e la matergale nella piazza Caramy di Brignoles, dove per l’appunto alloggiava il re. I balli furono eseguiti «da fanciulle venute da Collobrières, vestite di taffettà verde e bianco, con grande piacere di Sua Maestà». Danzarono dalle dieci di mattina fino alle cinque di sera. Il re fece «distribuire alle giovani ballerine leccornie a base di frutta, marmellata e rinfreschi»2*. Nel 1565 i provenzali tornarono a danzare la volta accompagnandosi con cimbali e olivettes, in onore di Caterina de’ Medici, allora reggente, in occasione del raduno delle province francesi a Baiona. Durante il pranzo si esibirono gruppi pro venienti dalle diverse province francesi e ognuno ballò «secondo gli usi del suo paese: le giovani di Poitiers al suono della cornamusa; le provenzali sulle note della volta prodotte dai cimbali; le fanciulle del la Borgogna e della Champagne sulla musica del piccolo oboe, del violino e dei tamburelli locali; le bretoni effettuarono i passapiedi e i brandi... » A questa festa parteciparono, tra l’altro, la figlia della regi na di Navarra, moglie di Filippo II, re di Spagna, e il duca d’Alba, go vernatore dei Paesi Bassi. A quanto afferma Bonnet, queste feste fun gevano da pretesto per importanti maneggi politici e, nella fattispe cie, sarebbe stato organizzato il massacro di san Bartolomeo. Quel che è certo è che contribuivano a diffondere le danze: ogni gruppo poteva riportare nella provincia d’origine i balli eseguiti dagli altri ”. A Enrico III (1551-89) la volta piaceva moltissimo e il famoso rac conto del matrimonio del 14 agosto del 1572 ci dimostra come questa passione fosse condivisa dalle nobildonne del tempo”. Netti cita an che il ballo dato in onore della celebrazione di due matrimoni: quello del principe Condé con Maria de Clèves e quello del re di Navarra con Margherita di Valois, la futura regina Margot. Maria danzò la vol ta con tanto trasporto che Caterina de’ Medici la condusse in una sa-
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letta privata per farle cambiare la camicia. Alcuni attimi dopo, En rico, a quel tempo ancora duca di Angiò, tutto accaldato dai movi menti della volta, si introdusse nella medesima stanzetta per ravviarsi i capelli. Vide sulla sedia un indumento di stoffa leggera e lo prese per asciugarsi il viso: era la camiciola di Maria de Clèves. Secondo una diffusa credenza popolare, è possibile gettare il malocchio tramite la danza, e cosi avvenne che il futuro re, venendo a contatto con la bian cheria della sorella, non potesse più liberarsi dall’ardente passione che gli aveva ispirato quella sposa, innamorata come lui della volta ”, Si trattava di un ballo mascherato. Quel giorno Maria de Clèves impersonava la Carità. La sua tecnica nel danzare la volta aveva rag giunto una tale fama che la principessa «passava per essere la miglio re ballerina d’Europa » ”. Quel giorno don Giovanni d’Austria, viceré dei Paesi Bassi, allora distaccato a Bruxelles, fece il viaggio per veder la ballare. Come racconta Bonnet, si presentò «in incognito» e cioè «avvolto in un mantello», segno che era andato là per guardare e non per danzare. Maria de Clèves, provetta ballerina, trasformava la volta da danza di società in spettacolo. Ne è testimone Ronsard: Non come una donna lei camminava Ma il passo divinamente snodava L’agile piede strisciava e la cadenza modulava, E il re danzando la volta provenzale Faceva saltare sua sorella Carità, Lei lo seguiva con gran docilità, E con balzi leggeri volava nelle sale.
Da questi versi risulta che Maria striscia il piede nel passo di base: alterna passi strisciati - il passo di base del valzer - ai salti caratteristi ci della volta. La presa «in un posto discreto», «l’indiscreto volo in aria delle gonne» rendono il ballo estremamente provocante per quei tempi. Una vera manna per Brantòme, cronista delle depravazioni della corte francese verso il 1570. L’autore esprime il proprio entusia smo per questo ballo: «La volta, facendo svolazzare il vestito, non mancava mai di mostrare qualcosa di piacevole, e vidi molte persone restare smarrite e bearsi in cuor loro»”. Se la stampa di Theodore de Bry non fornisce una testimonianza sulla rotazione di coppia, un qua dro di Herman van der Mast - che risale pressappoco al 1570 e appar
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tiene al museo di Rennes - raffigura chiaramente una coppia di balle rini, in abito da parata, alla corte dei Valois, intenti a effettuare il gran salto con volteggio che ornava la volta. Le figure della volta tornano altresì in due dipinti fiamminghi, della collezione di Jeanne Chasles, pubblicati nel numero di Natale della rivista «Musica».
La Plèiade e la volta. Amadis Jamyn, membro della Plèiade, movimento poetico fonda to da Ronsard nel 1556, intitola uno dei suoi scritti La volta. Jamyn, originario della Champagne, nato probabilmente nel 1541, a Chaource nei pressi di Troie, fu segretario di Ronsard e fece una bella carrie ra alla corte di Carlo IX e di Enrico III, prima di tornare nel 1580 al paese natio, dove mori nel 1593 Ispirato dalla volta, il poeta dà a questa danza un’origine mitica: «Gli esseri primitivi erano nati an drogini; Giove, spaventato dalle loro forme mostruose, separò i due sessi. Ma divisi in quel modo, l’uomo e la donna cominciarono a de perire. Allora Venere, mossa a compassione, insegnò loro la volta af finché i due esseri potessero unirsi nuovamente»”. Nel Dictionnaire de la danse, Desrat giunge ad affermare che Amadis Jamyn «cerca di imitare nel ritmo dei suoi versi il turbinio dei ballerini di valzer» Con fiori sfiorò le anella sue allora E ordinò la volta di Provenza, Che infausto laccio è ancora Dell’Androgino, dolce, dolce sofferenza. Marte, fianco a fianco, per primo ella abbracciò; Egli, ebbro dell’amor che gli mostrò, Senza esser lasso, tutta una sera la danzò, Con divina grazia, girando e volteggiando.
Nello stesso poema Amadis Jamyn fornisce ulteriori particolari sulla forma di questo ballo. Precisa, fra l’altro, che durante la volta «l’uomo e la donna volteggiano abbracciati saltellando» ” e ci rivela che ai suoi tempi questa danza prese il nome di «provenzale»: Dalla Provenza, a Venere cara, L’amor di Cipro la portò E ogni amante vi si cimentò Se per nominarli, il nome di provenzale si usò.
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In un testo del 1582, Balthasar de Beaujoyeux, cui Caterina de’ Medici aveva affidato l’organizzazione delle feste, osserva che a corte «perfino i balletti finivano con il trasformarsi in ballo» * Intendeva forse dire che veniva danzata la volta? Secondo Thomas Platter di Basilea, fratello minore di Felix, nel 1595 la volta, la corrente e la gagliarda erano ancora «balli stranieri» nei paesi germanici”. Nel 1596 Thomas Platter partecipa a una festa di carnevale a Montpellier, durante la quale alcune coppie danzavano una sola figura con una rotazione di tre quarti di giro in un tempo, mentre altre restavano ferme, aspettando che le prime avessero finito per dar loro il cambio. Curt Sachs commenta questa descrizione di cendo che il turbinio della volta era talmente estenuante che era im possibile danzare senza interruzioni Pare che negli ultimi anni del secolo la volta fosse molto diffusa a Londra. Nel 1596 sir John Davies (1569-1626), giureconsulto, diplo matico e poeta inglese, la descrisse in questi termini: Una coppia si stringe Girando in tondo, Ritma, con i piedi, un anapesto11.
Mentre Shakespeare fa dire a Borbone: Ci invitano nelle loro scuole di ballo inglesi a insegnare le alte piroette della volta e la briosa corrente, dicendo che ogni nostro merito sta nei calcagni e che siamo abilissimi a scappare12.
Con questo invito beffardo le donne di Francia consigliano ai ca valieri loro connazionali, sconfìtti durante la battaglia di Azincourt (1415), di andare a insegnare i balli francesi allora di moda - la volta e la corrente -, nelle scuole di danza inglesi, anziché perseverare nei lo ro intenti bellicosi. La volta, cantata dalla Plèiade, si diffuse dunque in tutta Europa. Le incisioni e i dipinti dell’epoca ci permettono di avanzare l’ipotesi che la volta sia stata con ogni verosimiglianza una delle primissime danze popolari, di estrazione contadina, a introdursi nell’alta società. I ballerini si stringevano girando, e una delle figure consisteva nel far volteggiare in aria la dama. Questa figura veniva eseguita senza smet
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tere di saltare e di piroettare. Per evitare di cadere, nella confusione generale, il cavaliere afferrava saldamente la dama e la teneva solleva ta sopra la testa. Dopo quella di Jamyn si trovano altre descrizioni della volta, chia mata «provenzale» o «nizzarda» (la volta proveniente da Nizza). In una lettera del 17 dicembre del 1600, conservata nella biblioteca di Modena®, silegge che la volta veniva preceduta da «brandi» o «niz zarde»: un cavaliere e una dama facevano il giro della sala tenendosi per mano, per ricominciare poi seguiti da altre coppie. Finito il ritor nello, si mettevano in coda, mentre la coppia successiva si preparava a condurre la danza e cosi via 44. Secondo Negri, questo brando non os servava regole precise4’.
La volta nelle suite. Nelle suite la volta è spesso preceduta dai passi della gagliarda. I provenzali conoscono la gagliarda, come risulta da uno dei Natali di Notre-Dame-des-Doms: Nautre deven ben Dama uno Gailhardo •.
Nel Glossario medioevale Ligure, Rossi descrive una «nizzarda» ballata nel 1606 alla corte di Carlo Emanuele I. Da tale descrizione si può dedurre che in quel periodo non c’era una netta distinzione fra volta e nizzarda, e che quest’ultima costituiva inizialmente per i balle rini una sorta di pausa « di riposo », ed era quindi inserita fra due vol te. Il quadro fornito da Rossi è molto preciso. Il cavaliere si presenta per invitare la dama con quell’urbanità che la corte insegna ai corti giani. La prende per mano e, seguendo la musica, comincia a eseguire la corrente. Dopo tre giri di pista, l’abbraccia, posandole la mano si nistra sulla schiena; con la destra afferra, invece, il braccio e la mano della compagna, che solleva stringendola a sé. Le fa compiere un giro su sé stessa, inducendola a effettuare sei o dieci salti attraverso la sala. La ballerina più brillante e affascinante è quella che riesce ad assecon dare meglio quei giri e quei salti. Il cavaliere più aitante e più vigoroso
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è quello che ottiene i salti più alti, più perpendicolari e che alla fine supera sé stesso soltanto grazie alla forza delle braccia: facendo leva sul suo ginocchio e su quello della dama, la solleva così in alto che la donna supera la testa del compagno con tutto il busto. A quel punto è consuetudine che la dama si lasci rubare un bacio"’. Per Marcelle Mourgues, questo testo costituisce la prova che la volta provenzale si è diffusa in Italia attraverso la Contea di Nizza, con il nome di brando nizzardo. Rodochanachi afferma infatti che in quel periodo la nizzar da era conosciuta nell’Italia del nord”. Nell’Adone di Giambattista Marino, poema diviso in venti canti, pubblicato a Parigi nel 1623, si trova una descrizione della volta italia na. Il poema, che può essere anche considerato una parodia della Di vina Commedia, presenta una struttura complessa e intende raffigu rare l’itinerario di Venere attraverso cinque giardini che simbolizza no i cinque sensi. L’autore, indicando la progressione dei piaceri sen suali, scrive: Sul sinistro sostiensi, in forme nove L’agii corpo si ratto aggira intorno, Che con fretta minor si volge e move Il volubil palco, l’agevol torno, Con grazia poi non piu veduta altrove Fa gentilmente, onde parti ritorno. Si erge, e sospende, e rimbalzando in alto Rompe l’aria per mezzo, e trincia il salto
La nizzarda venne ballata durante le feste della Primavera a Firen ze, sotto gli occhi di Sandro Botticelli e di Benozzo Gozzoli *. Per di più esiste un vecchio detto popolare, secondo cui chi non sa ballare la nizzarda non è né un uomo, né un gentiluomo, né un vero piemontese «né signore, né gentiluome, né piemontese vero».
Il contributo di Thoinot Arbeau.
A Thoinot Arbeau dobbiamo la descrizione tecnica più precisa della volta: il testo Orchésographie, scritto nel 1588 e pubblicato nel 1589, segna infatti una tappa importante nella trascrizione tecnica dei
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balli- L’autore cerca di fornire un’idea precisa delle danze del tempo, rivolgendosi a un pubblico che si presume le ignori totalmente. An nota quindi la successione dei passi rispetto alla musica, in modo mi nuziosissimo e con dovizia di particolari. Prima di lui, ci aveva prova to nel 1566 Guillaume Paradin, ma la sua ostilità nei confronti della danza gli aveva impedito di osservarla in modo obiettivo ”. [JOrchésograpbie è un’opera scritta in forma di dialogo. Arbeau spiega i balli dell’epoca a Capriol, una specie di allievo che, rivolgen dogli una serie di domande, lo induce a continue precisazioni. Ar beau consacra così alla volta ben cinque pagine, di cui citeremo i passi salienti. Secondo quest’autore, una fanciulla che si lancia nella volta caratterizzata da passi molto lunghi - dà prova di cattivo gusto perché rischia di essere presa da un senso di vertigine. Ma ecco la descrizio ne: «La volta è una specie di gagliarda, familiare ai provenzali, che viene ballata allo stesso modo del tordion, secondo una misura terna ria. I movimenti e i passi di questa danza sono effettuati girando il corpo, e prevedono l’esecuzione di due passi e un sospiro prima del salto più alto, un ritorno a piedi uniti e alla fine due sospiri e una pau sa. Per capire quanto detto, immagini di trovarsi di fronte a me, a pie di uniti, faccia per il primo passo un plié in aria piuttosto corto, sal tando sul piede sinistro e flettendo in aria l’altra gamba; e così facen do mi mostrerà le spalle. Esegua poi il salto più alto, girando il corpo e ricadendo a piedi uniti; e così facendo mi mostrerà la spalla destra. In tal modo avrà realizzato il primo giro” [...] Questo implica una rota zione di tutto il corpo, e il ritorno quindi alla posizione di partenza, pressappoco al medesimo posto. Dopo questo primo giro di tre quar ti del corpo, per il secondo dovrà flettere una gamba in aria, compien do un primo passo abbastanza corto, saltando, come prima, sul piede sinistro; e così facendo mi mostrerà lo stomaco. Effettuerà quindi il secondo passo più lungo con il piede destro, senza saltare; e così fa cendo mi mostrerà la spalla sinistra. A questo punto eseguirà il salto più alto con una torsione del corpo e ricadrà a piedi uniti; e così fa cendo mi mostrerà le spalle. Per il terzo giro e cadenza, compirà il pri mo passo, abbastanza breve, saltando sul piede sinistro e flettendo l’altra gamba in aria; e così facendo mi mostrerà il fianco destro. Do podiché effettuerà il secondo passo più lungo con il piede destro; e
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così facendo mi mostrerà lo stomaco. Realizzerà quindi il salto piu al to con una torsione del corpo, ricadendo a piedi uniti; e cosi facendo mi mostrerà la spalla sinistra. Per il quarto giro, porterà il piede in aria per il primo passo, piuttosto corto, saltando sul piede sinistro; e cosi facendo mi mostrerà la schiena; effettuerà allora il secondo passo piu lungo con il piede destro, senza saltare; e così facendo mi mostrerà la spaDa destra. Eseguirà poi il passo piu alto con torsione del corpo, ri cadendo a piedi uniti; e così facendo mi mostrerà lo stomaco, come nella posizione in cui si trovava inizialmente»”. La descrizione continua e poco oltre leggiamo: «quando vorrà volteggiare, lasci libera la mano sinistra della dama e le passi il braccio sinistro sulla spalla, afferrandola e stringendola con la mano sinistra per il corpetto, sopra il fianco destro; le ponga contemporaneamente la mano destra sopra la stecca di balena, onde aiutarla a saltare quan do la spingerà in avanti con la coscia sinistra. La dama, invece, le appoggerà la mano destra sulla spalla o sul collo, mentre con quella sini stra, posata sulla coscia, si terrà fermo il vestito o la gonna, onde evita re che l’aria li gonfi lasciando vedere la camiciola o la coscia nuda. Dopodiché eseguirete assieme i giri di volta secondo la descrizione fornita poc’anzi e, quando avrete volteggiato a piacere, riaccompa gnerà al suo posto la dama che (per quanto cerchi di darsi un conte gno) si sentirà tutta frastornata, in preda alle vertigini e ai giramenti di testa; e forse sarà lo stesso per lei. Tragga da solo le sue conclusioni, e mediti sull’opportunità per una fanciulla di compiere passi così lun ghi, divaricando tanto le gambe; mi saprà poi dire se la volta non met te a repentaglio sia l’onore sia la salute. Dal canto mio, le ho già espresso la mia opinione al riguardo» ". In seguito Arbeau suggerisce al cavaliere di « afferrare e stringere a sé la dama» ”, sottolineando co sì l’importanza della presa fra i partner.
La musica della volta.
Dagli autori di quel tempo, il canto medievale che accompagnava la danza veniva chiamato cantilena. Consisteva in un’alternanza di versetti, designati con il nome di versus o pes, e di un ritornello chia
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mato responsorium, refractorium, ripresa o volta. Vorremmo ricorda re chela parola volta significa «girare», mentrepes (o verso) designa il passo con volteggio. Da questo si può dedurre, fra l’altro, che le mo derne definizioni della poesia traggono origine dalla danza. Il ritor nello è lasciato al gruppo di ballerini, i pedes sono invece riservati al l’animatore del canto o del ballo*. All’inizio la volta era accompagnata semplicemente da un canto chiamato pallada opablada, punteggiato dal suono dei cimbali. Tale melodia, debitamente riadattata, servì a mettere in musica i salmi di Clement Marot. La volta è un ballo a tre tempi, e il ritmo a tre tempi ha radici antiche nella canzone francese”. Paul Netti, oltre a segnala re l’affinità musicale fra gagliarda e volta, riproduce «La volta del re», scritta da Michael Praetorius. Si tratta di una delle volte più gra dite al re di Francia - che la danzò con grande entusiasmo nel 1577 Bernhard Schmid il Vecchio la pubblicò nel suo libro di musica per organo in 2/8. Netti ci fa tuttavia notare che il passaggio dai due tem pi ai tre tempi era frequente, soprattutto quando si cercava di rendere il ritmo più rapido*. Anche Thoinot Arbeau ci fornisce la melodia della volta, ma in tre tempi (vedere l’illustrazione). In Le trésor d’Orphée, opera del liutista Francisque, edita nel 1600, si trovano ugualmente numerose arie di volta che furono trascritte e arrangiate da J. N. Clamon per consentire all’Académie provengale di ricostruire la danza in questione ”. Sull’an tico tema della volta 63, adattato per il flauto provenzale, nel 1933 l’Acàdémie provengale organizzò uno spettacolo al teatro dell’opera di Marsiglia, che prevedeva un’esatta ricostruzione dell’antica volta con salti prodigiosi compiuti dalla principessa S... e da Georges Rieu “. In una suite di danze di Monteverdi che risale al 1607, pubblicata in Scherzi Musicali con il titolo di Balletto, dopo l’introduzione pura mente strumentale segue una serie di balli cantati: una pavana, una gagliarda, una corrente, una volta, un’allemanda e una giga". Nel i6n, l’inglese Thomas Simpson pubblicò a Francoforte un grosso volume di musica da ballo - Opus neuer Pavanen, Gaillarden, Intraden, Canzonen, Ricercare», Fantasie», Balleten, Allemande», Couranten, Volte» und Passamezzen - dove vengono combinate in suite danze provviste della stessa chiave, senza che siano osservate re
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gole troppo rigorose. Dello stesso autore sono stati peraltro stampati altri testi0. Parecchie volte compaiono inoltre nel Troisième livre d’airs de cour de différents auteurs, pubblicato nel 1619 (F° 58) in La tablature de Mandare di Chancy". Infine, riguardo alla musica per spinetta - strumento diffusissimo a livello domestico, a partire dall'epoca elisabettiana - sono state con servate in Inghilterra numerose partiture di danze (pavane, gagliarde, correnti, gighe, volte). A differenza di quanto accadeva tradizional mente in Germania, dove questi balli venivano combinati in suite come in Bach e Hàndel - e accompagnati dall’organo in presenza di un folto pubblico, le danze inglesi erano eseguite separatamente, in qualsiasi dimora di campagna, dove ciascuno faceva della propria ca sa un castello: «Every man’s home is his castle»".
Aria di una volta.
Movimenti che devono fare i ballerini danzando la volta. Un passetto saltando sul piede sinistro sollevando in aria quello destro. Piu lungo il passo con il destro. Salto in alto. Posizione a piedi uniti. Un passetto saltando sul piede sinistro sollevando in aria quello destro. Più lungo il passo con il destro. Salto in alto. Posizione a piedi uniti.
Un passetto saltando sul piede sinistro sollevando in aria quello destro. Più lungo il passo con il destro. Salto in alto. Posizione a piedi uniti.
Un passetto saltando sul piede sinistro sollevando in aria quello destro. Più lungo il passo con il destro. Salto in alto. Posizione a piedi uniti.
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Il ballo del diavolo. La maggior parte degli storici della danza del Novecento, citando le opere del Quattrocento, del Cinquecento o del Seicento, insiste sul carattere sconveniente della volta; non mancano infatti le invettive dei contemporanei contro questo ballo, considerato da molti lascivo e immorale. Marcelle Mourgues afferma che, dal punto di vista simbolico, il «salto in alto della volta deriva dalla stilizzazione del movimento di massima elevazione impresso al personaggio raffigurante la Natura nelle sacre rappresentazioni della Morte e Resurrezione, cosi diffuse in Europa»". E continua: «È lecito ipotizzare che, con l’indebolirsi del rito, la danza cominciasse a evolversi verso la gestualità amorosa, perfezionandosi in Provenza nella forma della piroetta volante. Que ste basi, comuni a parecchi popoli, facilitarono le compenetrazioni; cosi, ad esempio, l’ampio salto con volteggio dei ballerini provenzali di volta si ritrova a Pieve di Cadore, in Italia, con le stesse caratteristi che »“. Accade raramente che gli autori contemporanei evochino la di mensione «satanica della volta». E tuttavia alcuni chierici e giuristi del Cinquecento consideravano questo ballo una stregoneria ", sim bolo dell’unione con Satana, poiché provocava uno stato di trance in dividuale e collettivo. Ben presto si scatenò una lotta fra i sostenitori della volta e la Chiesa, spesso appoggiata dal potere secolare. Il fatto che in Francia la volta penetrasse alla corte del re, e venisse quindi protetta dal potere politico, spinse la Chiesa - forza istituzionale, in dipendente dai poteri politici locali - a intraprendere una campagna contro questo ballo, definito «danza satanica», «danza che provoca trance», «danza sensuale», praticata nei sabba. Fino a quel periodo la posizione della Chiesa sulla danza non era ancora del tutto esplicita. Alcuni autori ritengono addirittura che, nonostante le prese di posizione relativamente dure, in molti casi la Chiesa fosse pronta a scendere a compromessi con i ballerini, in spe cial modo se ricompensata finanziariamente. Prova ne sia il seguente testo, da noi tradotto dalla lingua occitanica: «Informiamo il suddet
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to vescovo in visita che la domenica, quando si recita l’ufficio divino, si organizzano feste e si svolgono balli che costituiscono un attentato al pudore. Viene praticata una danza, chiamata volta, durante la qua le l’uomo e la donna si abbracciano, cosa contraria al buoncostume. Il vescovo ha vietato e vieta ai suoi parrocchiani, maschi e femmine, di abbracciarsi per eseguire qualsiasi tipo di ballo che intendano e osino voler danzare. Pena la scomunica. Allo stesso modo è proibito ai suo natori di tamburello e agli altri musicisti suonare simili danze, pena la scomunica. Le autorità ecclesiastiche o le persone da esse delegate esigono, ora e in futuro, il versamento alla suddetta Chiesa di una multa di venticinque corone»". Questo brano è tratto da un’ordinanza del 16 marzo 1541, emessa dal vescovo di Troie, coadiutore del vescovo di Marsiglia. L’obiettivo di tale divieto sembra essere quello di reperire i mezzi finanziari ne cessari per poter proseguire la costruzione della chiesa parrocchiale. La repressione della musica e della danza permette quindi di trovare fondi, minacciando musicisti e ballerini di scomunica, sanzione estre mamente severa, ma che in pratica non viene applicata, poiché si mira innanzi tutto alla raccolta di denaro. Come sottolinea Porte-Marrou, a quei tempi la passione per la musica e la danza era tale da costituire una fonte di entrate sicure per i diversi tipi di potere. In quest’ordi nanza risulta evidente che il divieto morale è dettato da esigenze me ramente economiche, ma in altre diocesi l’integralismo religioso è più rigido: il vescovo crede davvero che sia suo dovere combattere e sra dicare i balli di coppia in questione. Prova he sia l’ostracismo dimostrato dal clèro di Sospel di fronte alla danza di coppia, cinque anni prima dell’ordinanza di La Ciotat. Il 31 agosto del 1536, il vescovo di Ventimiglia, monsignor Garibaldi, dovette recarsi di persona a Sospel per togliere la scomunica che gra vava sui giovani del posto, colpevoli di aver ballato «alla nizzarda», malgrado i divieti. Quanti avevano peccato furono costretti a fare il «giro della città» a piedi nudi, e le fanciulle obbligate a portare i capelli sciolti sulle spalle. Subita quest’umiliazione, i trasgressori im plorarono l’assoluzione del prelato, schierati in fila davanti alla cat tedrale. Subito dopo la pubblicazione del libro di Thoinot Arbeau, venne
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lanciata una campagna, a livello europeo, che vide uniti contro la vol ta chierici e giuristi. L’idea della scomunica non era piu soltanto una minaccia. Contro il ballo di coppia fu organizzata una repressione si stematica. Il tentativo di imporre delle norme implicava la repressio ne di qualunque tipo di «trance» sociale. Relativamente alla danza, quest’operazione consisteva in primo luogo nel considerare la volta un ballo demoniaco a. Jean Bodin di Angers (1530-96), dotto giurista del Cinquecento, autore di un testo famoso come Lev six livres de la république (1576), dimostra di conoscere gli atti di numerosi processi intentati in Ger mania, Francia, Italia e Spagna. Nella sua opera egli sottolinea che presso gli adepti della stregoneria «non vi è raduno in cui non si bal li»”, e quest’affermazione viene poi documentata attraverso la cita zione di una serie di casi. L’autore si dilunga inoltre nella descrizione di alcune danze con volteggi71, prese particolarmente di mira dagli esorcisti. Questi balli in cerchio, in un primo momento praticati nelle chiese, sono poi associati agli incontri con Satana. Cosi a poco a poco il clero, memore della lunga tradizione di trance legate al ballo, rifiuta che le danze abbiano luogo nelle chiese e nei cimiteri. Bodin constata che, a prescindere dai diversi movimenti, passi o atteggiamenti, tutti coloro che sono incriminati per stregoneria con cordano nel confessare di aver danzato attorno al re delle tenebre, do po avergli reso omaggio, durante le cerimonie cui avevano assistito. Alcune streghe ammettono perfino di aver detto: «ballando har, har, diavolo, diavolo, salta qui, salta là, va di qui, va di là. Mentre le altre dicevano Sabba, Sabba cioè festa, giorno di riposo, alzando le mani e le scope in alto in segno di esultanza per dimostrare che servono e adorano volentieri il diavolo, e al tempo stesso per parodiare l’adora zione dovuta a Dio»”. L’ingenuità dell’autore di La république, oggi, può sorprendere. Effettivamente, suscita in noi una certa meraviglia il fatto che fosse considerato sufficiente ballare in cerchio per essere posseduti dal dia volo”. Ad ogni modo, scrivendo: «Non si può trascurare il fatto che un solo stregone basta a crearne cinquecento » Jean Bodin dimostra di aver capito che questa trance è contagiosa, che si propaga facil mente.
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La distinzione proposta da Bodin fra balli «buoni», in cui si rende grazia a Dio, e danze che appartengono al culto del diavolo, lascerà piu tardi il posto a riflessioni e a considerazioni meno radicali. Co munque Bodin, che è indubbiamente manicheo, inserisce la volta fra i balli satanici. La lettura della sua opera ci consente di capire la posi zione della Chiesa nella lotta contro la volta: «Gli antichi ebrei, re candosi al Tempio pieni di gratitudine, danzavano avvicinandosi al l’altare [...] In segno di grande giubilo [...] Davide ballava e suonava l’arpa davanti all’arca santa. E allo stesso modo leggiamo che Samue le mandò Saul dai profeti riuniti che danzavano lodando Dio e ac compagnandosi con strumenti musicali [...], ma i movimenti del cor po non avevano in sé nulla di insolente, anzi i movimenti armoniosi del corpo innalzavano il cuore al cielo, cosa graditissima a Dio. Per ché chi canta lode a Dio giubilando non può non sentire un trasporto di amore e zelo nei confronti del Creatore [...] Le processioni che vengono fatte ai giorni nostri sembrerebbero perpetuare lo spirito delle danze antiche. Queste erano del resto in uso presso tutti i popo li, che le praticavano in occasione dei sacrifici e delle feste solenni. Mose Maymon scrive che, per adorare il sole, le fanciulle persiane ballavano completamente nude cantando e accompagnandosi con vari strumenti. Ma le danze legate alla stregoneria rendono gli uomini furiosi efanno abortire le donne; questo vale per la volta che gli stregoni hanno portato in Francia dall’Italia, e che oltre a comportare movimen ti insolenti e impudichi, è disgraziatamente causa di un’infinità di omicidi e di aborti. Fatto della massima rilevanza nella Repubblica, per cui dovrebbe essere vietata nel modo piu rigoroso» ”.
I ballerini di volta vanno messi al rogo? Vietare « nel modo più rigoroso » in materia di stregoneria equiva le, per l’inquisizione, a parlare di rogo. Che sia stata quindi bruciata qualche donna, colpevole soltanto di aver ballato la volta? Jean Bo din, membro della Chiesa riformata prima di schierarsi con i cattolici, nel 1589, propone questo tipo di pena. Fa sì che la città di Laon, dov’è procuratore del re, prenda posizione a favore della Lega *. La sua
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azione, estremamente severa, è tutta volta al risanamento dei costu mi. Il suo libro, che costituisce del resto un punto di riferimento per esorcisti e chierici, segna l’inizio di una lunga battaglia, che continue rà l’anno successivo e poi nei decenni e nei secoli seguenti, a riprova della complessità di questa lotta in cui si scontrano la Chiesa, le aspi razioni popolari e il potere politico. Philippe de Félice dimostra che si verifica un vero e proprio brac cio di ferro, durante il quale la Chiesa si organizza contro la danza e «la danza contro la Chiesa». Ballare diventa infatti una pratica sovversiva, una forma di contestazione nei confronti del potere re ligioso77. Jean Bodin non è l’unico ad affermare esplicitamente che i balleri ni di volta, danza di coppia a tre tempi con volteggi, sono posseduti dal diavolo. Anche secondo Guillaume Bouchet - signore di Brocourt, che passa tutta la sua vita a Poitiers (1513-94) dove fa il giudiceconsole per i commercianti e il tipografo libraio di fama - la volta è un b^llo legato alla stregoneria:«La volta, la corrente, la fissaye, che gli stregoni hanno portato in Francia dall’Italia, oltre a comportare mo vimenti insolenti e impudichi, cagionano disgraziatamente un’infini tà di omicidi e aborti, facendo morire e uccidendo tutti coloro che non sono ancora in vita»™. Gli scritti di teologia forniscono allo storico della volta una pre ziosissima fonte di descrizioni. Cosi ad esempio, Johann von Miinster - alto funzionario e procuratore del re a Pforzheim, nella zona di Ba den - è l’autore di Un trattato pio su una danza empia, in cui parla a lungo della volta, ballo «dall’animo ateo». Egli racconta di aver assi stito, spaventato, all’esecuzione di una volta, nel 1582, alla corte del re Enrico IH. E si stupisce, assieme ad altri benpensanti, che una danza grossolana e impudica riceva in quel modo un’autorizzazione ufficia le, che sia praticata senza vergogna, e soprattutto che il re in persona conduca le danze”. Johann von Miinster si sofferma poi a descrivere «il ballo grosso lano conosciuto col nome di volta: una danza durante la quale i balle rini girano volando in un turbinio» e spiega che « in questo ballo il ca valiere si avvicina alla giovane vergine che, a sua volta, si avvicina al cavaliere compiendo un salto altissimo, trascinata dalla musica. Ma la
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cosa peggiore è che l’uomo la prende in un posto sconveniente, dove la dama si è messa un oggetto di legno o di altro materiale, per poi lan ciarsi in aria assieme a lei, generalmente in modo del tutto artificioso, il più lontano possibile da terra. Gli spettatori non possono trattener si dal pensare che il ballerino non riuscirà mai a tornare a terra con la dama e che entrambi si romperanno il collo e le gambe» ". Combattere la volta non è un’impresa facile; ormai è penetrata ovunque. Secondo Michael Praetorius, a Parigi, all’inizio del Seicen to, ci seno-trecento maestri di danza, e quelli più apprezzati accumu lano vere e proprie fortune. Oltre alla volta, nella capitale francese so no allora di moda anche molti balli italiani. I maestri di danza rendo no poi più raffinati i balli popolari francesi, che così vengono accettati nei salotti. La Germania segue l’esempio facendo altrettanto ”. Tuttavia l’azione della Chiesa contro la volta finisce con l’ottenere qualche successo, anche se alcuni chierici - come don Agechia, segre tario del cardinale Aldobrandi, che nel 1601 trova la nizzarda «vera mente aggraziata» - sono più indulgenti. Il potere politico parigino, che in un primo momento in pratica non si cura delle ingiunzioni del clero, cede a poco a poco. La situazione si evolve in modo paradossa le. Mentre da un lato si assiste a una cristianizzazione di massa, dal l’altro i magistrati del Seicento sembrano più critici, e paiono prende re le distanze dal cristianesimo. La loro intelligenza non può accettare le accuse di stregoneria che colpiscono i ballerini. Si stabilisce una sorta di status quo. H ballo non è più punito con la morte, ma in com penso deve essere praticato di nascosto per evitare persecuzioni ”. Dopo Curt Sachs, anche Richardson afferma che la volta fu bandi ta dalla corte francese verso il 1650. Da questa affermazione molti au tori hanno tratto la conclusione frettolosa che la danza fosse scom parsa del tutto. Il persistere di discorsi moralisti dimostra al contrario che essa resta viva; possiamo addirittura seguirne la traccia. Nel libro Blocksberg Verrichtungen, incentrato sulle pratiche di stregoneria, Johannes Praetorius parla di un nuovo tipo di «volta ga gliarda», o di «gagliarda con volteggi», una danza welche durante la quale i ballerini si prendono in « posti vergognosi per girare come vasi che rotolano impazziti». L’autore precisa poi che gli stregoni porta rono questo ballo in Francia dall’Italia, e insiste sul fatto che, nel cor
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so della danza in questione, il cavaliere e la dama si toccano l’un l’al tra, assumendo atteggiamenti scandalosi e volteggiando assieme co me trottole. Ma non è tutto, poiché: «l’aspetto più funesto di que sto ballo consiste nei numerosissimi assassini e aborti che ha pro vocato»”. Nonostante siano passati settantanni, in questo brano ritornano i principali argomenti sviluppati contro la volta da Bodin e da altri au tori dell’epoca.
La volta entra nella clandestinità.
Nella lotta contro la volta, la Chiesa trova in Luigi XIII, re purita no e di temperamento malinconico, un importante alleato. Alla morte di suo padre (1610), il principino ha soltanto nove anni. Ciò consente una tregua, ma a partire dal 1620 Luigi XHI impone la sua personalità e i suoi valori. Come dimostra Curt Sachs, per la danza si apre una nuova fase, in cui: «Ogni violenza, ogni sforzo, ogni angolosità sono bandite [...] il [...] portamento è calmo, maestoso, solenne; non vi è l’agitazione di un brusco movimento, tutto l’aspetto del corpo con serva fermezza senza tensione. Le danze a movimenti ampi, come la volta e la canaria, vanno perdendo terreno [...] il movimento chiuso entra a far parte in maniera stabile della danza e la douce manier, per usare l’espressione dei maestri di danza tedeschi, diventa dopo il 1650 la legge dominante di tutta la danza»". Tuttavia, dal punto di vista ritmico, l’emergere del tempo ternario caratteristico della volta si estende a numerosi balli. Nel Quattrocen to e nel Trecento il ritmo ternario si trovava soltanto nel tourdion, nella gagliarda e nella volta, mentre i quattro tempi costituivano la norma per le altre danze (la bassadanza, la pavana, il passamezzo, la canaria, la corrente, i bouffons e la maggior parte dei brandi). Alla fi ne del Cinquecento la situazione si rovescia: la corrente cambia, op tando per i 6/4, il passapiede per i 3/8. Padovana, sarabanda e mi nuetto sono composti in 3/4. Persino l’intrada e la polacca, a dispetto del loro stile affine alla marcia, seguono la tendenza generale e vengo no scritte in tempo ternario. Curt Sachs osserva che « Solo la bourrée,
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la gigue, il rigaudon e alcuni branles conservano il tempo di 2/4 o 4/4»”. Bisogna del resto sottolineare che se a corte la bourrée è bal lata in 2/4, nella campagna dell’Alvemia esiste una variante in 3/4. Il tempo ternario esercita un influsso non trascurabile sull’evolu zione della danza. La Chiesa ha condotto una battaglia contro il ballo di coppia chiusa uscendone, in un certo senso, vittoriosa. In seguito però numerosissime danze assumono la misura della volta. Resta da chiedersi se questo ballo scompaia completamente con raffermarsi in Francia del classicismo, che elegge il minuetto a suo ballo preferito. Nel 1704 il Dictionnaire de Trévoux fornisce la seguente definizio ne della volta: «Danza nel corso della quale il cavaliere fa girare più volte la dama e l’aiuta a compiere un salto o una capriola in aria. Duorum in gyrum saltatio. Si tratta di una specie di gagliarda che veniva ballata come il tordion, seguendo una misura ternaria e girando il cor po». In questa spiegazione l’autore usa a tratti il presente e a tratti l’imperfetto, e questo può portare il lettore a credere che nel 1700 questa danza non fosse più praticata. La volta è invece ancora viva, malgrado il declino, soprattutto a corte. Nel 1704 Jacques Bonnet ne parla infatti come di un ballo attua le “, simile al cordace, una danza bacchica dell’antichità: «Il cordace corrisponde alle nostre gagliarde, volte, passapiedi e gavotte». Al momento della pubblicazione del libro, Bonnet è vicino agli ottant’anni. Nel mondo degli specialisti " la sua opera è più apprezzata per le descrizioni dei balli, di cui lo studioso è stato testimone ocula re, che per le sue analisi sulle danze antiche... D’altronde l’idea che la volta sia ancora viva in Francia, benché in regresso rispetto ai balli in auge a corte, si trova anche negli scritti di un esperto estremamente serio come Conté. Rimandiamo al quadro storico da lui tracciato sul le danze”.
La provenzale fa furore.
Con Luigi XIH, comunque lo stile della corte diventa più pesante. Gli abiti di quel periodo impediscono ai cortigiani di eseguire i passi saltati. I ballerini sono quindi costretti a privilegiare i movimenti rav
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vicinati delle correnti e delle pavane. Per sopravvivere la volta deve adattarsi, attenuare le sue caratteristiche sportive. Rispetto alla de scrizione fornita da Thoinot Arbeau, la volta subisce numerose va rianti che ne accentuano l’aspetto collettivo (l’evoluzione va verso il ballo di gruppo). Inoltre viene incorporata in alcune serie di danze, dove di norma precede il rigaudon, almeno secondo quanto afferma Berenger-Feraud ”, che descrive benissimo la volta classica. Per di più la volta viene spesso chiamata «provenzale», dai tempi di Amadis Jamyn. Un tipo di provenzale (resta però da stabilire se sia il ballo a tempo ternario che ci interessa) fa furore a Versailles e a Parigi dopo la conquista della fortezza di Mahon da parte di Richelieu. A quei tempi un medico, cui non piacevano gli intrugli, si limitava a ordinare ai suoi malati di assistere a spettacoli che comprendessero la «pro venzale» e il «rigodoni »”. Desrat presenta la «provenzale» come una contraddanza della Provenza, «allegra e coinvolgente, ballata da quante persone lo desi derano»’1. Non ci dà alcuna informazione sui passi di questa danza, che tuttavia rese celebre Vestri e venne ballata durante la Rivoluzione francese. Secondo Millin, «la provenzale è una specie di bolero o di danza mimica che intende esprimere il fascino e la seduzione dell’amore. In Provenza il cavaliere e la dama vogliono dimostrare in nanzi tutto di avere fianchi forti e piedi agili, e per questo compiono spesso passi sorprendenti»”. Disponiamo di un documento iconografico interessante che illu stra una delle tappe salienti della trasformazione della volta verso il valzer, in seguito ai divieti e alla pressione esercitata dai nuovi valori della corte. Si tratta di un dipinto del parigino Nicolas Lancret (16901742): La danse dans un pavilion, che si trova al museo di Potsdam. Questa tela mostra un possibile mutamento della danza di coppia in quel periodo: i ballerini stanno uno di fronte all’altra; non sono più abbracciati, ma si tengono per mano, con le braccia tese e i piedi in posizione molto ravvicinata, mentre il busto ricade all’indietro. Visto il modo in cui sono messi, è chiaro che stanno girando. Se è difficile intuire il movimento dei piedi della dama, nascosti dal vestito, è inve ce evidente che quelli del cavaliere si trovano in una posizione tipica del valzer: l’uomo si regge sulla gamba sinistra e cerca il punto d’ap
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poggio in avanti, verso destra. Si potrebbe addirittura azzardare l’i potesi che si tratti di un ballo a tempo ternario poiché il cavaliere, per assicurarsi l’equilibrio, è costretto a riportare la gamba sinistra vicino a quella destra (secondo tempo, appoggio sulla gamba destra) e a rie quilibrare poi i punti di appoggio (terzo tempo, piedi uniti). A questo punto, per proseguire la rotazione si impone per motivi tecnici il pas so del valzer. Se la mia supposizione è esatta, questo quadro costituisce un’inte ressante illustrazione dell’evoluzione del passo saltato verso quello strisciato. In La danse dans un pavilion, i ballerini assumono ima posa languida: ogni frenesia è stata bandita. Comunque, benché vengano rispettate le distanze volute probabilmente dalla Chiesa e dal nuovo protocollo di corte, i ballerini formano una vera e propria coppia chiusa, anche se, in un certo senso, mettono la maggior distanza pos sibile fra di loro. Eseguono inoltre la rotazione tipica della volta, che diventerà presto valzer. La danza di coppia chiusa subisce trasformazioni multiple che vanno in diverse direzioni. Tenendo conto della repressione esercita ta sul ballo, non c’è da stupirsi se le testimonianze al riguardo sono scarse. Per quanto concerne la volta, è tuttavia verosimile ipotizzare che in Provenza - una delle sue principali roccheforti - questa danza non sia mai scomparsa del tutto, anche se una ricerca sistematica in proposito non è ancora stata effettuata. Nel Settecento il ballo diven ta motivo di lotta quotidiana fra il popolo e i signori, come attesta un processo la cui controversia iniziata nel 1735 è giudicata in prima istanza solamente nel 1782. La disputa vede schierati contadini, arti giani e borghesi di Seillans contro una famiglia di signori che intende vietare questa pratica. La causa non dice nulla di preciso sulla volta, e tuttavia gli atti del processo rivelano che, in certi periodi dell’anno, gli abitanti organizzano quasi ogni giorno balli «con strane danze»”. Questo caso dimostra quanto sia vitale la danza popolare in Proven za, durante tutto il periodo in cui è osteggiata da Stato e Chiesa. Ci in forma anche sui disordini provocati dai balli popolari (rumori, schia mazzi, ecc.), che rappresentano i momenti trasgressivi di una vita resa difficile soprattutto dalla mancanza di grano. In Provenza i ritmi a tre tempi restano sempre molto presenti, co
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me testimoniano alcune partiture di balli con volteggi”. In questa re gione il valzer è entrato a pieno titolo e abbastanza presto nei balli e nelle feste del patrono: lo prova la descrizione di un ballo fatta da La Sinse, nel capitolo dedicato alla festa del patrono del paese Ciò non toglie che la volta continui ad essere ballata anche nell’ottocento, epoca dell’egemonia del valzer. A quanto afferma E. Savournin, ver so il 1830 nella zona di Draguignan la piroettta in aria della volta si è notevolmente ridimensionata, e quella che effettuano le giovani arti giane si è ormai ridotta soltanto a « una mezza piroetta tramite cui, co me avviene nella ‘vuelta’ del bolero spagnolo, i ballerini ruotano sul piede destro per invertire le loro posizioni» *. Del resto, alcune danze folcloristiche regionali (abbiamo avuto modo di constatarlo perso nalmente per il valzer, ad esempio, in Champagne) comprendono sia il passo di base a tempo ternario, sia quello saltato (proiezione della dama verso l’alto ad opera del cavaliere), sia alcune figure tipiche del ballo collettivo, come nella volta. E dunque possibile rilevare l’esi stenza di un’affinità tra la volta e il valzer della Champagne”. Il passo saltato è presente anche nella tradizione tedesca. Al festi val europeo di danze folcloristiche che si è svolto a Salisburgo nel 1966, abbiamo visto ballare alcuni contadini austriaci, alti e robusti, che tendendo le braccia alzavano il più in alto possibile le dame. Le giovani della Champagne che hanno danzato con loro in quell’occa sione, ne conservano un ricordo nitidissimo. Questo spettacolo ci ha dato la certezza che il salto della volta non è di per sé sufficiente a scartare la possibilità che tale danza sia la matrice del valzer: il salto in questione si trova infatti anche in alcune forme popolari del valzer,
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Sachs, Stona della danza eie., p. 409. Ibid. Ibid. Ibid., p. 410. Mourgues, La danse provengale cit., p. 167. Sachs, Storia della danza cit., p. 253, P. Pansier, Histoire de la langue provengale à Avignon du xif au NIX' siede, tomo DI, p. 178. II riferimento che costituisce il punto di partenza del ragionamento di Desrat, si trova alla vo ce «Walse et valse» del Dictionnaire de la danse cit., p. 373, mai citato o discusso in alcuna
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opera di origine germanica. La musica del suddetto valzer del 9 novembre 1178 fu copiata a mano da Giraudct, che nel 1898 ne vendette la partitura con il titolo di La valce al prezzo di due franchi (cfr. il catalogo in E. Giràudet, Traiti de la danse, Paris 1900, p. 612). 9 P. Tugal, La danse et les danseurs, Paris, opera priva di data ma riedita piu volte negli anni Cinquanta. 10 A. Comazzano, Il libro dell’arte del danzare. Vedere anche A. G. Bragaglia, Danze popolari italiane, p. 112. » Mourgues, La danse provengale cit., p. 159.
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Ibid. M. von Boehn, Ver Tanz, Berlin 1925, pp. 74-75. O. Bie, Der Tanz, Berlin 1906 (19192). W. Shakespeare, Enrico Vili, atto I, scena m, in Teatro, Firenze 1946-51, voi. HI, p. 1099 [N.d.T.1. Von Wcdel 1589. Queen Elisabeth and some Foreigners, a cura di V. von Kearwill, 1589. M. Wood, Historical Dances, London 1952, p. 94. Questa riproduzione si trova nell’edizione francese dell’opera di Sachs, Histoire de la danse, Paris 1938, p. 200. A. Jaubert, Brignoles, citato dagli autori provenzali. Come dimostra piu avanti l’ordinanza del 1541 del vescovo di Troie, coadiutore del vescovo di Marsiglia. Questo è quanto afferma J. Bense, Les danses en vogue, Paris 1978, tomo I, p. 92. S. Zuccolo, La pazzia del ballo, Padova 1549. F. e Th. Platter, Zur Sittengeschichte des xw ]ahrhunderis Leipzig 1878, p. 219. Sachs, Storia della danza cit., pp. 410-n. Nella Francia meridionale, in epoca anteriore alla Rivoluzione, veniva cosi chiamato il giudi ce che amministrava la giustizia come vicario del re o dei conti. [N. d. T. ]. Th. Platter, A Montpellier, Montpellier 1892, pp. 219, 259. Cfr. in proposito il documento sulla volta prodotto da R. F. dou Pichoun Bousquet, Marseil le s.d., citato da V. de Saint-Aubert, in Lesgroupesfolkloriques de La Ciotat et Ceyreste, tesi di laurea in etnologia, Aix-en-Provence. Bouche, citato da Lambert, in Bulletin de la société académique du Var, 1869, p. 75. Questa festa è stata descritta a partire dai Mémoires de la reine de Navarre da M. Bonnet, in Histoire générale de la danse sacrée et profane, Paris 1724, pp. 122-26, e viene citata da Curt Sachs. P. Netti, The Story of Danse Music, Greenwood 1947, pp. no-u. Id., Histoire de la danse et de la musique de ballet, Paris 1966, p. 64. Bonnet, Histoire générale de la danse cit., p. 119. Ci è stato spesso impossibile riprodurre una versione italiana già edita dei versi che figurano nel presente saggio; vista la funzione delle ci tazioni poetiche, non c’è parso tuttavia necessario tentare di ricreare nella traduzione la com plessità dell’originale. P. de Brantóme, Les danses galantes (1570), Paris 1864, ripreso in Brantòme, Vie des dames ga laxies, discorso HI, citato da Sachs, in Storia della danza cit., p. 410, nonché da E. Reeser, De Gescbiedenis van de Walt, Amsterdam 1940, p. 3. Su Jainyn cfr. M. M. Fontaine, in J. P. de Beaumarchais et al., Dictionnaire des littiratures de langue francaise, Paris 1983, tomo II, pp. 1102-1103. Toma in questo passo l’ipotesi della bisessualità umana, immagine ricorrente nella letteratu ra greca, come dimostra Platone nel Simposio. Desrat, Dictionnaire de la danse cit., p. 374. Citato da La Come de Sainte-Palaye, Dictionnaire historique de Vancien langage francois, 1881, voli. IX-X.
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» Balthasar de Beaujoyeux è l’adattamento francese di Baltazarini di Belgìojoso, un italiano ar rivato a Parigi assieme a un’orchestra di violinisti. Fu valletto di Caterina de’ Medici e nel 1582 pubblicò a Parigi il libro Ballet comique de Ut Royne, opera commentata da M.-J. Cowell in S. J. Cohen, Dance as Theatre Art, London 1974 (19772), pp. 19 sgg. » Platter, Zur Sittengescbicbte des xvi, Jahrhunderts cit., p. 285. A quest’opera fa riferimento anche Curt Sachs. Per quanto ci riguarda, tanto crediamo alla testimonianza di fatti visti, quanto diffidiamo di affermazioni del tipo: «questi balli non esistevano in un certo paese, in un determinato periodo». 40 Sachs, Storia della danza cit., p. 411. 41 J. Davies Poem ofOrchestra, in Orchestra: a Poem ofDancing, 1596, ristampato a cura di E. W. M. Tillyard, London 1945. 42 W. Shakespeare, Enrico V, in Teatro cit., vol. II, p. 519. La versione originale di Shakespeare, Enrico V (atto m, scena v), opera teatrale che risale al 1598-99, è la seguente: «They bid us to their English dancing-schools | And tbeach lavoltas high and swift corantos; | Saying our gra ce is only in our heels, | And that we are most lofty runaways». [N. d. T.]. 45 Pubblicata da d’Ancone, Mélanges offerts, Paris 1913. 44 Fragaglia, Danze popolati italiane cit., p. 34. 45 Negri, Nuove invenzioni di ballo, 1604. 46 J. Clamon e P. Pansier, Les Noè'ls provengaux de Notre-Dame-des-Doms (1570-1610), Avignon 1925. 47 L’intera descrizione è riprodotta da Mourgues, La danse provengale cit., p. 161. 48 Rodochanachi, La femme italienne, Paris 191749 G. Marino, Adone, Paris 1623. 50 Cfr. «Le temps » (15 febbraio 1914). 51 G. Paradin, blason des dances Beaujeu 1566, vol. I: «où se voient les malheurs et ruines ve nant des dances dont jamais homme ne revient plus sage, ni femme plus pudique». È un vero peccato che il quarto centenario della succitata Orchésograpbie non sia stato oggetto di alcu na celebrazione specifica. Nel 1888 l’Opcra di Parigi aveva invece organizzato una grande fe sta. Anche questo è un segno del ritardo accumulato dalla Francia in materia di ballo.
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Arbeau, Orchésograpbie cit., p. 64-1. Ibid., p. 64-2. Ibid., p. 65-1 e 2. Ibid., p. 66-1. Sachs, Storia della danza cit., p. 321. Questo brano fa stranamente parte delle cinque pagine non tradotte in francese. H suo contenuto viene comunque ripreso da Netti in The Story of Dance Music cit., p. 57. 57 Si vedano ad esempio Merci Clamant, canzone del castellano di Coucy (n8o); Pour mal temps, ni pour gelée, canzone di Thibaut de Champagne (1235); Robins m'aime, rondò di Adam de la Halle (1285); Douce damefolte, canzone di Guillaume de Machault (1350); Dieu qu’ il fait bon regarder, canzone del duca Charles d’Orléans (1415), ecc. riportate da Werkerlin, in Echos du temps passe, Paris (opera pubblicata verosimilmente nel t86o). Fra queste canzoni alcune venivano forse impiegate per ballare la volta. M Netti, The Story of Dance Music cit., p. 112. ” Mourgues, La danse provengale cit., p. 165. 40 ìbid., p. 167. 61 Cfr. la nota di H. Rieman nel suo libro Handbuch der Musikgeschichte. 63 Netti, The Story of Dance Music cit., p. 130. " Chancy, La tablature de Mandore, Paris 1629.
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Netti, The Story of Dance Music cit., p. 199. Mourgues, La danse provengale cit., p. 163. Ibid. Questo fatto è comunque segnalato in un documento sulla volta, riprodotto da R. F. Pichoun Bousquet, citato da Saint-Aubert, in Les groupes folkloriques de La dotai et Ceyreste cit. 68 Ordinanza conservata presso gli archivi comunali di La Ciotat, vicino a Marsiglia (fascicolo GG122). Porte-Marrou, in Dangarau Pats cit., p. 175, riporta la versione provenzale del testo in questione. Dal punto di vista storico risulta curioso che la lingua occitanica sia impiegata a scopi amministrativi due anni dopo l’editto di Villers-Cottérets (agosto 1539). Con questo editto Francesco I imponeva innanzi tutto l’uso del francese, al posto del latino, negli atti giu diziari e notarili. 69 J. Bodin l’Angevin, De la démonomanie des sorciers, Anvers 1593, pp. 178 sgg. 70 Ibid. 71 Marcelle Mourgues spiega che nella contea di Nizza, la parola.* vouta » (sinonimo e variante grafica di volta) designa ancora oggi il cerchio che formano i pellegrini attorno al santuario prescelto, al momento del loro arrivo. «Per esempio, a Notre-Dame di Laghet, fare ‘li vouta’ significa fare dei giri, in genere nove (in ricordo dei nove viaggi della Vergine) c indica i giri compiuti dalle diverse confraternite nel portico, pieno di ex voto, che circonda la chiesa, do ve i fedeli domandano la guarigione o altre grazie». Cfr. in proposito M. Mourgues, La danse provengale cit., p. 139. 72 Bodin, De la démonomanie cit., pp, 168-70 e 172-73. 73 In G. Lapassade, La franse, viene introdotta la distinzione tra danze di possesso e danze estatiche. La volta non è una danza di possesso: nessuno spirito abita il ballerino, a differenza di quanto avviene, ad esempio, nei rituali gnaouas. Si tratta invece di una danza estatica. Se condo la maggior parte dei grandi autori (Rouget, ad esempio) queste due forme di danza rientrano nella stessa categoria. 74 Bodin, De la détnonomanie cit., p. 165. 75 Ibid., pp. 178-79. 76 Movimento religioso e politico costituito in Francia dai cattolici per combattere i protestanti durante le guerre di religione. [N. d. T.J. 77 Ph. de Felice, L’enchantement des danses et la magie du verbe, in Essai sur quelques formes inférieures de la mystique, Paris 1957, tomo Ili, pp. 247-65. Cfr. ugualmente tomo II, Foule en délire, extases collectives. 78 G. Bouchet, Serées (pubblicato nel 1584; riedito nel 1608), p. 136. Citato da Sachs Storia della danza cit., p. 174. Segnaliamo che Sachs si sbaglia nel fornire la data di nascita e di morte di G. Bouchet (1526-1606). ” J. von Munster, Ein Gottseliger Tractat von dem ungottseligen Tanz, Hanau 1594 (16022): «Ich hab diesen Tantz an Kònigs Henrici des HI kòniglichem Hoffe offtmal mit schrecken Anno 1582 angesehen und mich vil-mal | neben andern redlichen Leuten | Verwundert | uber der otfentlichen Zulassung, und riimliche Gebrauch eines so unfletigen und unkeuschen Tantzes, in welchem Tantz der Kónig hochgedachter selbst der oberst Meister und Fuhrgenger war». 80 Ibid.-. «Unfletiger Tanz, la volte geheissen in einen wirbel herumb fliegen. In diesem Tanzt nimpt der tantzer mit eine Sprung der Jungfrau - die auch mit einem hohe Sprung | Auss an leytug der Musik | heran komt - wahr und greiffet sie an eine ungeburlichen ort da sie etwas von holtze oder anderer Materien hat mache lassen | un wirft die Jungfrau selbst | und sich met ir | etlich vilmal sehr kunstlich und hoch uber dieErden herumb also auch I dass der Zuseher bissweilen meynen sol | dass der Tantzer mit den Tantzerinnen nicht wider zur Erden kommen konne: sie haben dann beyde ihre Haise und Beine zubrochen». Abbiamo preferi to fornire una traduzione vicinissima all’originale, anche a costo di dare una versione poco
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elegante e poco «letteraria» di questo brano in tedesco antico. Ma il lettore francese dispo neva soltanto di una frase di Munster, nell'unica traduzione di Netti: «In particolare esiste una danza molto grossolana chiamata volta il cui nome trae origine dal francese ‘voltiger’, volteggiare. Il ballerino afferra la fanciulla in un posto sconveniente (sotto il corsetto), dove si è fatta mettere un oggetto di legno o di qualche altro materiale, per poi lanciarsi in aria assie me a lei, a piu riprese». 81 M. Praetorius, Syntagma Musicum, Wolfenbuttel 1619, voi. IH, citato da Boehn, Der Tanz cit., p. 82. ” A proposito di questo duplice movimento, vedere R. Mandrou, Magistrati et sorciers en Fran ce au xvn* siede, une analyse de psychologic historique, Paris; nonché M. de Certeau, La magi strature devant la sorcellerie au xvif siècle, in L’absent de Vhistoire, Paris 1973, pp. 13-39. w J. Praetorius, Blocksberg Verrichtungen (1668): «Neuen Gai 11 ardi sc hen Volta, einem welschen Tanze, da man einander an schamigen Orten fasset und wic cin getriebener Topf henmterhaspet und wirbelt und welcher durch die Zauberer aus Italien nach Frankretch ist gebracht worden [...] Wirbeltanz voller schàndltcher unflatiger Geberden und unziichtiger Bewegungen auch das Ungliick auf sicb trage, dass unzàhlig viel Morde und Missgeburten daraus entstehen». In tedesco, «wclsche» significa «straniera», ma con una connotazione romanza, se non francese. Reeder fa riferimento a questo autore in De Geschiedenis van de Wals cit., p. 5; come pure Netti in The Story ofDance Music cit., p. m nonché in Histoire de la danse et de la musique de ballet cit., p. 64. Sachs invece non lo cita: questo riferimento avreb be dimostrato che la volta continua a essere ballata dopo Mersenne. 84 Sachs, Storia della danza cit., pp. 386-87. *> Ibid. 86 Bonnet, Histoire generale de la danse sacrée et prophane cit., p. 16. 87 Cfr. soprattutto Grove, edizione del 1980. 88 Conte, Danses anciennes de couret de théàtre en France. Eléments de composition, Paris 1974, PP- *5-38. Berenger-Feraud, Traditions de Provence, Paris 1885; ristampa Marseille 1983. Aneddoto riportato da Mourgues, /> danse provengale cit., p. 163. 91 Desrat, Dictionnaire cit., p. 302. 92 Brano citato da Mourgues, La danse provengale cit., p. 163. w A. J. Parès (archivista della città di Tolone), Les dansespubliques àSeillans, échos d'un procès, fascicolo non datato. Documento reso noto da C. Laurent. w Cfr. in proposito soprattutto la musica annotata da Galoubet, nel 1834 ed esposta al Museon Arlaten di Arles, di cui abbiamo ricopiato le prime otto misure, ma che è composta da 3 x 8 misure. 95 La Sinse, La vie provengale, scène populaire, Toulon 1874, PP-126-27• % Passo citato da Mourgues, La danse provengale cit., p. 164. 91 Sugli sviluppi della volta (soprattutto a livello tecnico), si veda Porte-Marrou, Danger au paìs cit., pp. 172-92.
Capitolo secondo
La genesi germanica del valzer
«H valzer è di origine tedesca...»
Fétis, voce «Valse», in Dictionnaire de musique. «Sembra difficile far derivare il nome del valzer da quello della vecchia volta. Il valzer, in quanto ballo a tempo ternario con volteggi, nascerebbe dai Tanzlieder del Cinquecento e del Seicento, dai Làndler popolari e da un certo tipo di allemanda a tempo ternario». B. Weigl, Geschichte des Walzer, 1910.
«Larum! Eb Walze, wer Ohren hat Und ein gesundes Pedal! » («E op là! Che tutti quelli che hanno orecchie e un buon piede si mettano a ballare il valzer»).
H. Walzlied, Neuer Tanz-und Ball-Kalender auf das Jahr 1801.
Per la maggior parte degli studiosi di origine tedesca, il valzer non trae origine dalla volta, che spesso non viene neppure menzionata. In effetti gli storici della danza tedeschi danno del valzer una genealogia tendenzialmente «germanica», con radici che affondano nella notte dei tempi. La storia di stampo «germanico» non è però omogenea. Anche riferendoci unicamente ad autori del Novecento, si riscontra no contraddizioni; in primo luogo fra scrittori tedeschi, come Boehn o Sachs, e austriaci, come Klingenbeck; e in secondo luogo fra autori che scrivono in periodi diversi, come Boehn e Sachs. Talvolta abbia mo l’impressione che la storia tedesca della danza di coppia chiusa sconfini un po’ nel mito. Ma è proprio questo mito che viene rivendi cato. Attraverso la storia germanica del valzer, si costruisce l’identità della nazione. Anziché fondere i dati storici tedeschi con quelli francesi per cer care di tracciare subito ima «storia europea», abbiamo preferito la sciar coesistere queste due tradizioni - in realtà soprattutto linguisti che. Forniremo ora un quadro della storia germanica, così come emerge dalla lettura dei piu importanti specialisti tedeschi del settore.
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Come abbiamo già visto, secondo Klingenbeck l’origine tedesca del valzer si desume innanzi tutto dal fatto che «ogni tedesco sente che questo ballo è tedesco». Quest’autore sviluppa comunque altri argomenti a sostegno della sua tesi. È interessante analizzare su quale tipo di documenti si fondi la sua teoria. Klingenbeck trova il ritmo del valzer nelle canzoni per il ballo di Neithart von Reuenthal, vissuto alla corte di Vienna nel Duecento. A questo proposito scrive: «Una delle piu antiche tracce del valzer porta a Vienna, al centro della Germania del sud. II ritmo del valzer riecheggiò per la prima volta alla corte di Federico, nelle canzoni da ballo del trovatore (Minnesanger) Neithart von Reuenthal». Klingenbeck ci informa poi che Neithart, l’invento re della «poesia bucolica di corte», proviene «da una famiglia della piccola nobiltà bavarese e che il nome Reuenthal deriva da quello di una piccola proprietà vicino a Landshut, ereditata dalla madre». Il suo nome viene menzionato per la prima volta nel 1216. Dal 1217 al 1219 partecipa alla crociata di Leopoldo VII d’Austria. Federico II gli fa dono di un feudo. La sua morte dovrebbe essere avvenuta intorno al 1245. Klingenbeck cita le cronache contemporanee secondo cui «negli ambienti dèlia danza e soprattutto presso le fanciulle, Neithart gode va di un prestigio analogo a quello che, nello stesso campo, dovevano conoscere seicento anni dopo Lanner e Strauss. Amava con slancio il suo paese e la foresta di Vienna, di cui diventò il cantore piu impor tante. Le sue canzoni sono ritmate in modo tale da annunciare già il valzer»1. L’idea che il valzer sia molto antico viene sostenuta, verso il 1920, anche da Max von Boehn: «È talmente antico che se ne perdono le tracce nella notte dei tempi». Boehme, autore dell’ottocento, lo fa ceva risalire già al xn e al xni secolo, ritenendo che il valzer derivasse dai balli saltati dei trovatori1. Boehn commenta questa tesi afferman do che: «Visto che non sappiamo piu come fossero ballate queste danze, è impossibile contraddirlo»’. Allora il problema consiste nello stabilire se i trovatori tedeschi ballavano il valzer? Sistemate sedie e sgabelli Danziamo fino a crollare
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Aprite le porte che entri aria fresca Che soffi un pò* il vento sui corsetti leggeri...
Secondo Klingenbeck, questi versi che contengono un invito a ballare preannunciano il ritmo del valzer: «Rispetto ai canti dei suoi amici trovatori, lo stile e il ritmo delle canzoni da ballo di Neithart co stituiscono una novità assoluta. Questo è quanto pensano i ballerini, perché le sue melodie incitano a danzare in modo più allegro e vivace che mai»4. Risulta difficile seguire il ragionamento di Klingenbeck nella par te conclusiva. Questa poesia prova infatti l’esistenza di una tradizione del ballo, ma non fornisce alcuna informazione sulla natura della dan za di cui parla. Non ci dice nemmeno se si tratta di un ballo di coppia. Quanto al ritmo ternario, non ci pare che le parole lo implichino ne cessariamente. Ad ogni modo, Klingenbeck prosegue così il suo discorso: «Se la danza possiede abbastanza elementi autonomi per essere considerata un’arte indipendente, la musica è sempre stata una componente im portante della musa Tersicore e spesso è stato arduo definire con esattezza quale delle due abbia maggiormente influenzato l’altra. Quando la musica da ballo è fine a sé stessa, si pensa che la danza sia sicuramente subordinata alla musica. Lo stato di sudditanza della musica al ballo si evidenzia soprattutto quando i ballerini e le balleri ne hanno pochi mezzi e quindi nelle feste di paese, ma talvolta anche nelle corti»’. A quei tempi bastavano un piffero e un tamburo a dare il via alla danza e se la musica si fermava erano gli stessi ballerini a creare l’ac compagnamento sonoro. Klingenbeck cita il testo di qualche can zone: I cavalieri danzavano e saltavano Assieme alle dame e mentre ballavano Cantavano tante belle canzoni.
L’autore spiega che la canzone viene intonata dal primo ballerino che, nella fattispecie, è anche il primo cantante, e poi ripresa dagli al tri. In certi casi, però, i ballerini si danno il cambio per dirigere i cori. Perfino l’alta nobiltà, che ha favorito la diffusione del Minnesang, si
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presta talvolta a cantare per fornire l’accompagnatnento sonoro del ballo. A quanto afferma Neithart von Reuenthal, Leopoldo VH d’Au stria non disdegnava il ruolo di primo cantante, tanto che quando mori i viennesi cantarono: Chi darà mai il tono Al coro, adesso, a Vienna Com’egli era solito fare? Chi formerà il girotondo In autunno o in maggio?
Klingenbeck cita poi un vecchio storico del valzer, un viennese di cui non riporta il nome, il quale descrive in questi termini il piacere che si prova ballando su canti semplicissimi: «Si scivola saltellando con il pensiero costante di fuggire per una porticina e spiccare il volo verso il cielo. Idee divertenti e ingenue da eterni bambini! Eppure sembra che in cielo ai musicisti non sia permesso entrare [...] nono stante la loro splendida musica arrivi fino al cielo ». Klingenbeck con stata che di questa musica tanto apprezzata non resta traccia. Che non venisse trascritta? L’autore precisa comunque che gli austriaci hanno invece conservato molte canzoni che accompagnavano la danza, e che possiamo considerare come «l’anima dei balli di un tempo» ‘.
Nel Cinquecento: un ballo tenuto sotto stretta sorveglianza.
Max von Boehn, dal canto suo, preferisce far riferimento a testi monianze già note sul ballo. Insiste sull’influenza esercitata dal Rina scimento italiano sulla danza tedesca. Per quel che riguarda il ballo di coppia, dopo aver presentato la volta francese, scrive che: «Anche i tedeschi riprendono questo modo di ballare». In proposito, cita Hans von Schweinichen di Augusta: «È tradizione che due persone vestite con lunghi abiti interamente rossi, tranne che per una manica bianca, ballino stringendosi l’un l’altra. I ballerini volteggiano av vinghiati e accade molto spesso che il giovane, per poter tenere stretta al petto la propria dama, la paghi e la corrompa dandole un mezzo tallero. In questo modo può starle appiccicato durante tutto il bai
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lo»’. Quindi prosegue dicendo che: «La danza di società tedesca di pende dalla riforma effettuata in Francia. In occasione del matrimo nio di Wilhelms von Rosenberg a Krummau nel 1555, vengono ballati numerosi ‘Wàlsche Tanz’. È comunque difficile stabilire fino a che punto i modelli francesi e italiani siano seguiti esattamente in Germa nia»’. Boehn spiega poi che, in Germania come in Francia, i ballerini restavano abbracciati e che le danze erano organizzate per permette re di verificare se gli innamorati fossero in buona salute e se i loro arti funzionassero bene. Aggiunge inoltre che al cavaliere era consentito alla fine baciare la dama, il che dava modo alla coppia di annusarsi re ciprocamente e di scoprire cosi se il partner avesse l’alito profumato o se invece « puzzasse » ! La stessa usanza era già stata descritta da Thoinot Arbeau. «A ogni modo questa pratica, accettata per i giovani, è proibita alla gente anziana. È considerato infatti scandaloso che i vec chi si tocchino e volteggino. Le autorità amministrative sono sempre pronte a intervenire e a punire. Nel 1550 Andreas Osiander scrive a Hieron e gli spiega che, al matrimonio di sua figlia, chi ballava volteg giando doveva pagare una multa»’. I padri della Riforma sono liberali in materia di ballo. Lutero si è sempre espresso in modo comprensivo e misurato nei confronti della danza. Nel 1540 dichiara che: «I balli sono stati inventati per consen tire ai giovani di imparare come comportarsi gli uni con gli altri». In uno dei suoi sermoni precisa che: « Se ti mantieni riservato e modera to, potrai praticare la danza senza offendere né la religione né l’amo re. I bimbi ballano senza peccare, e a chi balla come un bimbo, la dan za non farà alcun male. Se per il bambino il ballo è un peccato, allora bisogna vietarlo anche ai bambini». Come Lutero, anche Melantone “ balla con grande piacere, malgrado i rimproveri che gli muovono alcune persone. Tuttavia la maggior parte dei continuatori dell’opera di Lutero esprime giudizi più severi. Boehn si chiede: «Che questo sia dovuto al diffondersi della rilassatezza dei costumi? » ", Sta di fatto che la spi ritualità protestante rifiuta il ballo per duecento anni. Alcuni teologi protestanti dimostrano che nella Bibbia la danza viene denunciata co me peccato e che porta agli inferi; altri si attengono a quanto sosten gono di aver visto con i loro occhi. Secondo Boehn, l’atteggiamento
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dei teologi e i loro discorsi di monito ai cristiani contro il ballo devono trovare una giustificazione nel contesto. ■ Se i sermoni non impediscono al popolo di ballare, influenzano però il giudizio delle autorità. A quei tempi i responsabili politici che occupano i posti di prestigio e di potere hanno una certa età. Non provano più grande simpatia per i giovani né per le attività fisiche. Boehn non si stupisce che si scandalizzino di fronte alla gioia di vivere un po’ chiassosa e irrequieta della gioventù. Le autorità cercano in tutti i modi di ostacolare i giovani, di soffocarne le aspirazioni e di im pedire i balli. «Nel corso degli anni i divieti aumentano e si moltipli cano, grazie al ricambio della burocrazia dei giuristi. Moltissimi usi e costumi sono repressi senza alcuna contropartita. Le pulsioni popo lari vanno irregimentate (regiert) a qualunque costo»". Klingenbeck osserva inoltre che, in campagna, il passaggio dalla coppia «libera» alla coppia che resta abbracciata ha sollevato un’on data di protesta fra le autorità religiose e civili. A Norimberga non si tollera che la dama sia stretta al cavaliere in quelli che vengono chia mati balli del sesso (Geschlechtertànzen). Tra le varie definizioni che costellano gli scritti di teologi e giuristi, si trova anche quella di «dan za che fa vomitare». Sempre a Norimberga, ai vecchi è proibito prati care questi balli, che sono invece tollerati per i giovani. Nel 1555 Aloisius Orelli vieta qualsiasi tipo di danza, il divertimen to più popolare in assoluto. È consentito ballare soltanto in occasione dei matrimoni, a condizione che si smetta la sera. I momenti di piace re diventano quindi rari e di conseguenza sono ancor più apprezzati. I giovani si impegnano al massimo per saltare il più in alto possibile e cosi capita piuttosto spesso che qualcuno cada, trascinando con sé la dama, in una posa non troppo decorosa che suscita le risate generali, nuocendo alla reputazione della ballerina. Le cadute allora sono proi bite, ma nella foga dell’azione si dimentica il divieto. Quando un ca valiere ne butta per terra un altro si innesca un meccanismo a catena, perché chi ha subito il torto cerca di vendicarsi con qualche abile mossa. Per mettere fine a queste brutte abitudini le autorità mandano dei censori incaricati di far cessare la musica all’insorgere del minimo incidente. Il piacere del ballo, però, ha sempre il sopravvento e le au torità devono ammorbidire i divieti troppo rigidi. In molte città è
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proibito far volteggiare la ballerina anche «in piena buona fede». «Per calmare gli eccessivi ardori una coppia modello è incaricata di aprire le danze e di mostrare i movimenti autorizzati. Ma poiché alcu ni di questi ballerini si lasciano comprare, vengono stabilite regole uf ficiali»Il *15. La battaglia è identica nelle aree cattoliche. Da tutti i pulpiti i sa cerdoti predicano contro la danza, la maledicono, minacciano di ri fiutare l’assoluzione a chi trasgredisce. Gli impiegati comunali hanno il loro bel da fare per imporre il rispetto degli interdetti. Quello della città di Belgern, che porta la data del 1572, recita: « Le donne e le fan ciulle che ballano devono comportarsi in modo virtuoso e rispettabi le, gli uomini devono astenersi dal compiere.frivolezze, come ad esempio far volteggiare la dama. Chiunque aggiri questa legge o non ascolti gli ammonimenti dell’impiegato sarà subito messo in prigione e punito con una multa di venti Groschen»". Klingenbeck osserva che i divieti riguardano sempre la danza «in cerchio» o con «volteggi», e ritiene, probabilmente a ragione, che siano stati emanati in concomitanza con la nascita di questo tipo di ballo. Prosegue poi notando : «Ma a che servono tutti questi divieti, queste minacce, queste punizioni in una società dove le regole ma schili permettono che si possa ‘pestare’ una donna o una ragazza che si rifiuta di ballare con un uomo rispettabile. In un contesto simile, chi pratica ‘la danza nuova e irriverente’ e viene colto in flagrante rea to, non soltanto accetta tranquillamente di pagare le multe, ma ha an cora piu voglia di ballare e volteggiare» “.
Il Seicento e i diritti dell’uomo sulla donna. Nel 1594 Johann von Miinster descrive in maniera molto vivace l’arte e il modo di danzare in Germania: «Le forme di ballo tedesche sono tali da permettere al cavaliere di scegliere la dama secondo le sue inclinazioni. Di norma la dama accetta l’invito, a meno che il cavaliere non sia un mascalzone o un asino. La ragazza può rifiutare anche se è in lutto o incinta, oppure se fa parte dell’aristocrazia e il pretendente appartiene a un’altra classe sociale. In casi simili il cavaliere capisce e
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accetta il rifiuto. Se l’uomo è particolarmente determinato e vuole co munque ballare, la ragazza dovrà sottomettersi, ma potrà allora aste nersi dal ridere durante le danze, saltellare senza allegria o addirittura piangere, assumere un’espressione triste o stizzita. Allora il cavaliere, che non potrà lasciarla, la terrà per mano cercando di guidarla nel ballo. La scena è comica. La dama trascinata a ballare pare un ariete trascinato al macello. La gente ride guardando lo spettacolo, tranne i parenti della dama che hanno il diritto di reagire, di intervenire per fermare le danze. Se invece la fanciulla invitata odia il ballo e si rifiuta di seguire il cavaliere per motivi religiosi, morali o per altre ragioni, allora la frittata è fatta. Questo atteggiamento è inammissibile. Si trat ta di un caso limite. Il cavaliere perde ogni ritegno. Comincia a inda gare. Manda i suoi amici dalla dama per chiederle i veri motivi per cui lo ha rifiutato. Non lo ritiene forse alla sua altezza? Non sempre aspetta di sentire la risposta della fanciulla per diventare aggressivo. La guerra è dichiarata. Può picchiarla (scblagen). Molti prendono le parti del cavaliere e lo difendono dicendo: ‘Non si deve rifiutare un ballo a un uomo onesto’... È un affronto. Altri ritengono che chi si comporta in modo così tirannico e poco intelligente meriti di essere escluso e punito da tutti gli astanti, senza che vi sia però spargimento di sangue. Se la dama è d’accordo e accetta di ballare con il cavaliere, si diri gono entrambi verso lo spazio riservato alla danza. Si danno la mano, si prendono a braccetto e si baciano secondo l’uso locale, talvolta sul la bocca. In questo modo si provano, si dimostrano, con parole e ge sti, l’affetto che desideravano manifestarsi l’un l'altra da un periodo di tempo più o meno lungo. Dopodiché eseguono una danza prelimi nare, solenne, durante la quale possono parlare, prima di dar avvio al ballo vero e proprio, meno grave, vivace e punteggiato di salti». Johann von Miinster, che è molto preciso sui preliminari, fornisce invece una descrizione del ballo un po’ confusa: «L’elemento comu ne fra queste due danze, spiega, consiste nel fatto che quando i balle rini arrivano in fondo alla sala si voltano, poi si girano sui due lati, a destra e a sinistra, quindi vanno avanti e proseguono finché il musici sta non smette di suonare annunciando così la fine del ballo prelimi nare. Allora la coppia si riposa per un attimo. Se i ballerini sono in
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buoni rapporti si scambiano qualche parola; altrimenti stanno zitti e aspettano che il fischio del suonatore li inviti a riprendere. Il ballo ve ro e proprio è scatenato e frenetico. Le coppie corrono, saltano, gri dano, si stringono le mani, si spingono e fanno altre cose che è meglio tacere, sino al momento in cui il musicista ordina di fermarsi. Spessis simo la fine del ballo è accompagnata da ima bordata di insulti rivolti al suonatore, colpevole di averlo interrotto troppo presto o, vicever sa, di averlo protratto eccessivamente. In effetti in certi casi i balleri ni, benché desiderino smettere di danzare, si vergognano di fermarsi prima che lo ordini il musicista. Quest’ultimo per punizione viene co stretto a suonare di nuovo per gli stessi soldi. E il ballo ricomincia. Quando tutto è finito il cavaliere riaccompagna la dama al suo posto, si accomiata da lei facendole delle riverenze, oppure le resta accanto e le parla. Il ballo rappresenta infatti l’occasione migliore per av vicinare una ragazza che si vuole conoscere» ". Boehn, commentando questo testo, ricorda che Miinster è un nemico della danza. Ritiene pertanto che queste pagine siano piene di esagerazioni ", Personal mente le troviamo invece magnifiche. Costituiscono una vera e pro pria descrizione fenomenologica del ballo in campagna, cosi come lo si poteva trovare in Francia verso il 1950 e così come si svolge ancor oggi in certe regioni italiane. Tutto è osservato in modo minuzioso ed è paradossale che persone ostili alla danza ci lascino descrizioni di una simile qualità. Anche il pastore Melchior Ambach di Francoforte inveisce contro i balli «aristocratici, scatenati, licenziosi, indecenti»1*. Boehn scrive che: « Quando si pensa che in Italia, per invitare una signora a ballare, l’uomo posa le labbra su un fiore prima di darglielo, e che Montaigne dà un ballo a Lucca durante il quale una donna danza tenendo una coppa d’acqua sulla testa senza rovesciarne una sola goccia, allora ci si rende conto che in Germania i costumi sono molto più rozzi e gros solani»". Nella cronaca di Zimmer si racconta che un francese uscì da un ballo a Strasburgo, convinto che i ballerini fossero pazzi, indemoniati e avessero perso la ragione. Ciò nonostante, malgrado tutte le critiche e le condanne, il popolo continua a ballare secondo le sue abitudini. Nelle opere di Diirer, di Beham o di altri pittori tedeschi che raffigu
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rano i contadini intenti a ballare, è facile riconoscere le danze, costel late da vari tipi di salti, in auge in quel periodo. Non sempre lo spetta colo è elegante, ma la gente pare divertirsi. • Nel Seicento non vi sono cambiamenti di rilievo. Attratti dalla vita e dalle usanze rustiche, Teniers, Ostade e altri, si sono compiaciuti a rappresentare la danza con i suoi bisticci. Nei loro quadri si trovano sempre gli stessi balli. «Alla fine le autorità dovettero rassegnarsi, ac contentandosi di intervenire soltanto quando l’esuberanza diventava eccessiva. È vero che nel frattempo il modo di ballare un po’ rude mente si è raffinato. Ma, tutto sommato, questi precursori ‘sconve nienti’ del valzer sono usciti vittoriosi da una lotta impari»”. Segna liamo, infine, che a quei tempi si danzava ancora alla vecchia maniera, con l’accompagnamento di un solista e di un coro per il ritornello.
Un periodo incerto. L’accompagnamento musicale viene meno soltanto alla fine del Seicento. Gli orrori della guerra dei Trent’anni disgustano il popolo tedesco e lo convincono che tutto ciò che viene dall’estero è migliore. Le nostre conoscenze sulla danza popolare di questo periodo si limi tano in pratica a dei nomi. Fischart, nella traduzione del Gargantua di Rabelais, cita i balli preferiti di quel periodo, alcuni dei quali risalgo no già a tempi più remoti. Nell’elenco figurano: Scharrer, Zaiiner, Kotzendantz («danza che fa venir voglia di vomitare»), Moriskendantz, Schwarze Knabe, Todtentanz, Tuteley, Sprisinger, Firlefey (fare sciocchezze), Hiifelrei (danza con salti). Boehn pensa che Fi schart abbia creato nuovi nomi grazie alla sua fervidissima fantasia e che lo scopo delle sue invenzioni linguistiche sia quello di divertire i lettori. Quel che è certo è che alla gente piace sempre ballare e in qua lunque occasione. Prova ne siano gli attacchi del clero e i divieti delle autorità amministrative. Tuttavia, come spiega Boehn, «non sappia mo esattamente come si eseguissero queste danze»2I. La vecchia maniera di ballare saltando costituisce la base, su cui però si innestano varianti regionali. Pochissimi cronisti si sono presi la briga di lasciarci descrizioni precise. Esiste tuttavia un’eccezione,
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quella del pastore Johan Adolf Kòster, soprannominato Neocorus, che redige la cronaca della zona di Dithmarschen fra il 1590 e il 1600, soffermandosi anche sui balli dei suoi compaesani. Al riguardo, parla della Trimmenkentanz, sorta di pantomima, e della Springeltanz (un ballo con salti), entrambe accompagnate da canti. Il solista intona la canzone, ripresa, un verso dopo l’altro, dall’insieme dei ballerini, che si alternano a turno nel ruolo di solista. Nella seconda metà del Seicento, la danza di coppia fa la sua com parsa nello Schleswig. Il pastore della Frisia Cadovius Miiller ci ha tramandato il testo di un motivo frisone, su cui gli abitanti del posto erano soliti eseguire la loro unica danza, diventata a poco a poco diffi cilissima. Sembra che questo ballo fosse già scomparso nel 1691, data della pubblicazione di un’opera sulla lingua frisona. Le danze popo lari sono il Jungbrunnen, che rinnova il ballo di società, il minuetto, l’allemanda e il valzer, frutto di un’elaborazione formale durata tre secoli. La matrice di tutti questi balli è popolare. Il popolo inventa danze di cui in seguito si appropria la «buona società». In Germania «il minuetto si è imposto nei balli di corte, a partire dalla seconda me tà del Seicento fino alla fine del Settecento» a.
Lieber Augustin dà la melodia. Nella sua genesi del valzer, abbiamo visto che Klingenbeck fa risa lire la musica di questa danza alle canzoni dei trovatori. Salta poi i quattrocento anni di cui ci ha parlato Boehn, per passare a esaminare ancora una volta un brano di un cantante viennese, che rappresenta, a parer suo, il primo motivo ballabile, ritmato su un tempo ternario, ti pico del valzer.
0 duliebtr Augustin,Augustin,Augustin! 0 du heher Augustin, Àl-les ist bin !
'sWeib islhin, 'sGeld isl bin ,'sWeib isL hin: 0 du He-ber
'sGeld ist hin,
Au-gu-sttn, ÀI-lesisi hin.
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In proposito egli scrive: «Il primo cantante che si esibisce per strada - Marx Augustin - suonatore di cornamusa, è senza dubbio uno dei precursori del valzer. Viene ovunque soprannominato ‘il caro Augustin’. Come il re del valzer Johann Strauss, è figlio di un alberga tore viennese, nato nel 1643. Da buon austriaco qual è, non fa altro che cantare e suonare musica vagando da una taverna all’altra, ad esempio, da quella ‘AH’agneUo’ a quella ‘Al gallo rosso’, o ‘Al cappo ne d’oro’ oppure ‘Alle tre lepri’. Diventa presto vittima dell’alcol e sprofonda nella miseria. Si racconta al riguardo un aneddoto av venuto a Vienna ai tempi della peste. Una sera, cade nella fossa dei morti appestati e si addormenta, ubriaco fradicio, risvegliandosi sol tanto il giorno dopo. Alla fine, qualcuno va a ripescarlo, attirato dalle continue grida»”. Klingenbeck riporta anche un’altra versione di questa storia: «Augustin trovato addormentato per strada, viene creduto morto e buttato nella fossa degli appestati, cosa di cui non si rende conto fino al giorno successivo. Il cronista del 1694 che racconta questo fatto, lo commenta cosi: ‘Quest’episodio notturno non gli ha procurato alcun fastidio’. Dall’avventura Augustin ricava una ballata che canta nelle taverne, per la gioia del suo pubblico. Morto il io ottobre del 1705, è sepolto nel cimitero di San Nicola, accanto al collega Georg Staben, il ballerino musicista piu amato dei suoi tempi». Dopo aver presentato questo cantante, Klingenbeck trae le se guenti conclusioni: «Per la storia del valzer, quest’unica canzone di Marx Augustin è importante per il ritmo e la melodia che non lascia no dubbi circa il suo uso come accompagnamento sonoro del ballo: un ballo in cerchio (Dreher), che annuncia già il valzer. È vero che se condo alcuni la canzone di Augustin deriverebbe da un vecchio canto popolare boemo, ma oggi non siamo più in grado di verificare quest’i potesi, pur plausibile. Ad ogni modo il motivo è diventato famoso con le parole del ‘Lieber Augustin’ e per noi fa parte del patrimonio viennese. In seguito il testo originale ha subito alcune modifiche» Klingenbeck riproduce le parole della canzone, prima di ribadire: «Non ci sono state tramandate altre opere di questo primo cantante popolare. Basta però quest’unica canzone a fare di Augustin il proto tipo del mito viennese e a farci capire che quest’uomo è sensibile al
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valzer (Walzerempfinden-, ispirato dalla sensibilità al valzer). I vienne si gli hanno innalzato un monumento alla memoria, che ce lo mostra proprio come lo immaginiamo: sempre assetato, intento a guardare, stupito e allo stesso tempo incantato, l’acqua che sgorga da una fonta na. Tutta là sua persona esprime quell’aria di strana rassegnazione che pervade anche il suo componimento. Si ha l’impressione che se po tesse ballare, sceglierebbe un ritmo a tempo ternario »°. Questo com mento è opinabile. Per quel che ci riguarda, osservando il medesimo monumento non siamo riusciti a condividere l’impressione dell’auto re austriaco.
L’allemanda. Klingenbeck, pur concentrando i suoi sforzi e le sue ricerche sul l’origine musicale del valzer, non può esimersi dall’affrontare la que stione dal punto di vista tecnico. A questo proposito scrive: «Riguar do all’evoluzione coreografica del valzer, le opinioni sono discordan ti: si deve considerare la volta (da voltare o vertere-, volgere) come l’antecedente del valzer, in qualità di prima danza di coppia, o piu semplicemente come il risultato finale della trasformazione della ga gliarda? » Lo studioso accetta comunque l’idea che con la volta sia na to «il desiderio di rotazione», e quindi di volteggiare26. Tuttavia egli prosegue affermando: «La nascita di questo ballo, che risale al Cinquecento, viene attribuita ai paesi più diversi: alla Francia e all’Italia, ma spesso anche alla Germania». Dobbiamo am mettere che quest’affermazione ci ha sorpreso non poco. Prima di leggere quest’opera non avevamo mai sentito parlare di un’origine te desca della volta! Klingenbeck stesso deve essersi reso conto della fragilità dei suoi argomenti, visto che preferisce cambiare strategia: «Benché in genere tutti concordino nel negare l’esistenza di una pa rentela fra volta e valzer, ciò nonostante alcuni colgono delle affinità fra questi due balli». Detto questo, l’autore conclude la sua analisi: «L’ipotesi più diffusa è che la volta derivi direttamente dall’alleman da. Furono i francesi a chiamare ‘allemanda’ una danza popolare sco perta in Germania. Grazie a questa denominazione è possibile rico
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noscere l’origine tedesca del ballo con ‘movimenti circolari’ o con ‘passo strisciato’. I soldati francesi importarono questa danza dall’Al sazia tedesca durante la guerra dei Sette anni e i loro connazionali le riservarono un’accoglienza calorosa. All’inizio 1‘allemanda aveva un ritmo binario ed era ballata girando lentamente. In seguito fu danzata in coppia, su un ritmo a tempo ternario molto più vivace. La sua gra zia particolare procedeva dal fatto che i ballerini stavano abbracciati, il che conferiva ai passi, fino ad allora troppo marcati, una grande leg gerezza»”. Come la contraddanza, l’allemanda viene adottata dalla buona so cietà . Durante la guerra dei Sette anni, gli eserciti francesi occuparo no il suolo tedesco in qualità di alleati di tedeschi in lotta contro altri tedeschi. Scoprirono l’allemanda, danza allegra e assieme misurata, e la portarono con loro in Francia, dove il nome di questo ballo era co nosciuto fin dai tempi di Thoinot Arbeau, anche se la coreografìa era diversa. Fra le danze citate da Fischart si trova anche un’« allemanda d’amore». Questo stesso nome doveva dunque designare vari tipi di balli, in opposizione alla pavana, accomunati dalla semplicità dei mo vimenti e dall’origine popolare". Nei balli di corte del Seicento e del Settecento, non si può ballare come si vuole né si è più liberi di scegliere la dama. In genere la coppia può ballare soltanto quando viene invitata dal maestro di sala, che in dica al cavaliere la persona con cui gli è concesso danzare. Quando la coppia ha finito di esibirsi, viene sostituita dalla successiva, mentre tutti gli altri rimangono a guardare2*. La descrizione dell’allemanda di Klingenbeck o di Boehn non dà alcuna informazione certa sulla struttura di questa danza; nulla che ci permetta di affermare l’esistenza di un ballo più complesso, praticato in Germania tra il 1550 e il 1700. Sicuramente la danza di coppia non è caduta in disuso. Anzi è ben viva fra il popolo che lotta contro il clero e i giuristi in modo più tenace e deciso di quanto non avvenga in Fran cia. La fortuna del ballo di coppia, in questo paese, è dovuta al fatto che non esiste ancora uno stato tedesco: la dispersione politica con sente alla danza di rifugiarsi via via nelle zone più tolleranti, a seconda dei periodi, mentre in Francia lo stato centralizzato esercita un con trollo su tutto il territorio a partire dal regno di Luigi XIII.
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Per finire Klingenbeck afferma che: «Qualche vecchia stampa del Settecento ci dà un’idea della maniera di ballare in quei tempi [...] Le figure specifiche portano bei nomi pittoreschi come: gioco d’onde, arcate, arco di trionfo, cascata, finestra, specchio. In una forma più raffinata e con nomi francesi, questa danza di origine tedesca si diffu se attraverso tutti i paesi e in primo luogo in Germania, dove la gente tornò ad apprezzarla oltremodo. Nel dondolio aggraziato delle cop pie, nel loro volteggiare leggero, si è visto un primo abbozzo dell’at tuale valzer»”.
Il làndler. Secondo la tradizione tedesca della storia del ballo, il valzer nasce rebbe dunque dall’allemanda. Klingenbeck propone però anche un’altra origine: «Il valzer può benissimo derivare ugualmente e pa rallelamente dal làndler, soprattutto per quel che riguarda Vienna e l’Austria ». Nelle zone alpine il làndler (o landerer) era - ed è tuttora in voga. Klingenbeck arriva alla conclusione che il valzer si è svilup pato nelle società di ballo cittadine a partire dall’allemanda e in cam pagna a partire dal làndler. Il làndler, vera danza tedesca a tre tempi o con un ritmo di 3/8, è di andamento piuttosto rapido. Come nell’allemanda, anche se in modo meno elegante, i ballerini si abbracciano. Queste indicazioni suggeri scono che il valzer possa trarre origine da altri balli in coppia chiusa con volteggi, praticati in epoche precedenti. Vi sono molte testimo nianze relative a danze durante le quali le coppie volteggiano abbrac ciandosi, in modo più o meno aggraziato, secondo un ritmo binario o ternario. Cosi avveniva nell’«Hoppaldei», il primo ballo eseguito in coppia, il più antico a cui si possa paragonare il valzer, in Austria. Ma non va dimenticato neanche il « Dreher » (drehen = girare) né lo «Schleifer» (Schleìfe = volteggio, laccio) né tantomeno il «Deutschen», nome con cui Schubert e Lanner designavano i loro primi valzer. In rapporto diretto con il valzer, si trova il «Langaus» - l’ac cento tonico di questa parola cade sulla seconda sillaba -, ballato a Vienna fino all’esasperazione, su un ritmo indiavolato, a due passi e
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in tempo ternario. Questa danza provocava tubercolosi e embolie polmonari. Il « Langaus », praticato in tutta la Germania, ma anche in Francia e in Russia, è quindi l’ultimo anello della catena che porta alla nascita del valzer, dal ritmo più lento ”.
E il valzer fu.
Anche se alla fine del Settecento la parola «Walzer» è ancora po co usata in tedesco per indicare il ballo in sé, questo termine esiste già da qualche tempo. Prova ne sia la commedia di Josef Kurz del 1754, dove il vocabolo compare nella canzone di Bernardon (su una musica in 3/8):
E canti e salti, E bevi e mangi, E suoni e balli Alla stiriana, alla sveva, All’ungherese, alla slovacca, E balli il valzer qua e là E ti batti le cosce, e op là ”.
Le origini tedesche del valzer non sono più convincenti di quelle provenzali. Quel che è certo è che l’invenzione del ballo di coppia av viene simultaneamente in diverse zone d’Europa, suscitando ovun que lo stesso rifiuto da parte delle forze sociali dominanti (la Chiesa e i poteri politici). Per le autorità civili, nei paesi germanici come in Francia, il divieto di ballare rappresenta in primo luogo un modo per impedire al popolo di esprimere il suo scontento attraverso le canzo ni; mentre per molto tempo le autorità religiose considerano questo ballo di coppia addirittura come opera del demonio. Si cita spesso sant’Agostino: «La danza è un cerchio con il diavolo in mezzo».
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All’inizio della seconda metà del Settecento, lo «Schleifer» è an cora vietato in Baviera. Nello stesso periodo invece, il giovane Goe the, allora studente a Strasburgo, è costretto a imparare il valzer per essere ammesso in società. Descrive i ballerini intenti a danzare come sfere che girano le une nelle altre. Klingenbeck ci ricorda che a.quei tempi, ballando, si cantano ancora: Lieber Augustin, Ais der Grossvaterdie Grossmutter nah am, Lott’ist tot, Jule liegt im Sterben, e motivi simili”. Qualche decina d’anni dopo, in un contesto di maggiore libertà politica, si registra un rilassamento dei costumi. Tutti si lasciano prendere dal vortice del valzer. Al tempo stesso, però, spuntano nuo vi nemici. I conservatori non tollerano la componente briosa, anzi passionale, espressa da questo ballo. Questi moralisti hanno assimila to l’idea di negazione della vita, trasmessa loro come valore, e sosten gono la necessità del controllo sociale perfino nella danza. Sono scon certati di fronte al crollo di tante barriere sociali. Altri cercano di mantenersi su posizioni meno intransigenti. Così ad esempio lo scrit tore tedesco Weber, che pure non nega l’aspetto sensuale del valzer: «Una coppia stretta nell’abbraccio: quando i corpi si toccano, gli oc chi negli occhi, la mano della fanciulla sulla spalla del giovanotto e quella del giovanotto sui fianchi pieni della fanciulla, quando l’alito caldo della bella lo sfiora e si sentono il calore delle guance e il cuore battere, come impedire allora ai desideri e alle fantasticherie di risve gliarsi?»”. Chi pensa di risolvere la questione del valzer con la forza non ha capito il nuovo spirito dell’epoca. In realtà a essere combattuto è l’e mergere della coppia a livello sociale. Non viene capita l’ebbrezza del valzer che dura più a lungo di tutti gli altri balli rigidi e controllati, portando i ballerini fino all’estasi. Ci si può chiedere se il valzer sia diventato un ballo di società dal momento in cui compare in Una cosa rara, opera di Vincent Martin — allestita al Theater an der Wien nel 1787 - che soppianta Le nozze di Figaro di Mozart. Klingenbeck lo nega. È vero che alla fine del secon do atto di quest’opera c’è un valzer, ma, secondo Klingenbeck, il suc cesso dello spettacolo deve essere attribuito agli splendidi costumi neri e rosa dei personaggi principali: Lubia, Tita, Chita e Lilla. Resta
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il fatto che è la prima volta che questa danza arriva su un palcoscenico viennese. Klingenbeck rifiuta comunque l’idea che l’«invenzione» del valzer vada attribuita al compositore spagnolo di quest’opera. «Il valzer, cosi come lo conosciamo ai giorni nostri, e cioè come ballo na zionale tedesco, giunto alla piena maturità nel secolo scorso, non può essere frutto di un’invenzione. E il risultato di una lunga preparazio ne ed è il popolo stesso che ne ha determinato lo sviluppo, traendo ispirazione da altre forme di ballo. Non è possibile parlare di ‘inven zione’ per le danze popolari e questo vale anche per il valzer. Si può dire piuttosto che questo ballo si sia fatto strada eliminando gli osta coli e suscitando quella frenesia che lo contraddistingue. E un caso dunque - o forse un’abile manovra - se una delle prime ondate di en tusiasmo coincide con la prima rappresentazione dell’opera Una cosa rara. In quel periodo, la gente appassionata di valzer aveva poco a che fare con quello spettacolo, ammesso che lo conoscesse»”. U popolo viennese non tiene alcun conto degli ammonimenti sui pericoli del valzer. I ballerini di certo non leggono Sulla prova che il valzer è la causa principale della debolezzafisica e spirituale dell’attuale generazione (caldamente raccomandato ai figli e alle figlie della Ger mania). Nessuna minaccia basata sulla paura della morte è a quel punto in grado di arrestare l’avanzata di questa danza, che trascina come un principio liberatore. « Quando si sa ballare il valzer, va tutto bene », si dice a quei tempi. È « di gran moda », provoca grande entu siasmo. «Impossibile prevedere se la passione per questo ballo dure rà, ma tutti sentono in cuor loro la magica forza che da esso si sprigio na. H valzer è l’espressione tenace e immortale di un desiderio insop primibile, profondamente radicato nell’uomo: quello di ballare. Vi ste da un osservatore esterno, le coppie girano in tondo e gli abiti del le fanciulle volteggiano come onde. Ma la rivoluzione è in primo luo go interiore: rappresenta una liberazione dalle vecchie buone maniere, dal comportamento ‘civile’, dalla profonda rigidità del rigo re, dalla riservatezza e dal bon ton. E la danza fiorisce liberamente, come un bocciolo rimasto chiuso troppo a lungo. Un soffio vitale pas sa attraverso il corpo dei ballerini, con una forza esaltata da quella doppia rotazione su sé stessi e attorno alla sala. A questo si aggiunge il piacere di danzare con il partner prescelto. Le coppie si esibiscono in
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libere evoluzioni, tracciando la figura più perfetta del mondo. Tutto è vita, gioia, infinita beatitudine Questo quadro idilliaco non deve però farci dimenticare che è già iniziato quel movimento rivoluziona rio che, alla fine del Settecento, creerà una frattura in Europa.
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Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 14. F. M. Bóhme, Geschichte des Tanzes in Deutschland, 2 voli., Leipzig 1886. Boehn, Der Tanz cit, p. no. Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit, p. 14. Ibid., p. 26. Brano citato da Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 26. Boehn, Der Tanz cit., p. 77. Ibid., p. 78. Ibid., p. 82. Philipp Schwarzerd, conosciuto con il nome di Melantone (1497-1560), è uno dei più impor tanti riformatori. Alla morte di Lutero (1546) diventa il capo principale del luteranesimo.
Boehn, Der Tanz cit., p. 86. Ibid., p. 87. Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 22. Ibid., p. 23. Ibid. J. Miinster, Ein Gottseliger Tractat von dem ungottseligen Taniz cit., brani riportati da Boehn, Der Tanz cit., p. 85. 17 Ibid. 18 M. Ambach, Von Tantzen, Frankfurt 1543. 19 Boehn, Der Tanz cit., p. 86. A questo proposito, nell’estate del 1989, abbiamo assistito in Ita lia a scene contraddittorie. In Liguria si può ancora vedere una donna ballare un valzer lento portando sul capo, ad «empio, una bottiglia di vino bianco delle Cinque Terre, Sempre a Volastra, nel corso dello stesso ballo popolare - musette - del 15 agosto, abbiamo però potu to osservare pratiche, che senza comportare cattiveria, erano nondimeno brutali, vicine a quelle descritte da M. Ambach. Con questo vogliamo dimostrare che nello stesso posto pos sono coesistere il piacere della distinzione e quello più grossolano, ma altrettanto ludico, del lo scontro fra coppie che ballano. 20 Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 23. 21 Boehn, Der Tanz cit., p. 89. 22 Ibid., p. 90; 23 Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 14. 24 Ibid. 25 Ibid. “ Ibid., p. 15. 27 Ibid., p. 19.
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2 ® Boehn, Der Tanz eie., p. 91. 29 Ibid, p. 93. 30 Klingenbeck, UnsterbUcher Walzer cit., p. 19. 31 Ibid, p. 20. 32 J. Kurz, Der aufdas neue begeislerte und belebte Bemardon, 1754 atto II, scena v: «Bald Singen, bald Springen, | Bald sauffen, bald ranzen, | Bald spielen, bald tanzen, | Bald steyrisch, bald schwabish | Hanakish, schlowakish | Bald walzen umatum | Heisza rum-rum». ” Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 24, 34 Ibid., p. 25. 35 Ibid., p. 29. 36 Ibid, p. 30.
PARTE SECONDA
La mania del valzer
Capitolo terzo
La rivoluzione del valzer
« La forza di penetrazione del valzer è in relazione di retta con le ripercussioni sociologiche della Rivoluzione francese e con la ristrutturazione storica e sociale av venuta nell’ottocento». H. Reiman, Musik-Lexicon voce «Walzer», p. 1061. « Il valzer, soltanto il valzer. È cosi di moda che, ai bal li, adesso non si vede nient’altro. Basta conoscere il val zer e tutto va per il meglio». «Journal des Luxus und der Moden», Berlin (marzo 1792).
Qualsiasi comportamento sociale si basa sulla definizione, ben precisa e comunemente accettata, del lecito e dell’illecito. I diversi in terlocutori sanno che cosa possono aspettarsi gli uni dagli altri, anche se il conformarsi all’etichetta «non implica tanto un accordo su aspetti concreti, quanto piuttosto sul fatto di sapere chi ha il diritto di parlare c di che cosa»1. Si impone anche un’etichetta che regola il comportamento del corpo e che, fra l’altro, varia a seconda della posi zione sociale dell’interlocutore, del grado di parentela o di familiarità e dèlia cornice in cui avviene l’incontro. «Qualunque atteggiamento in contraddizione con la norma rischia di essere sconveniente: di pro vocare vergogna in chi si rende conto di aver infranto le convenzioni prestabilite e disagio in chi riconosce tale scarto, fosse anche mini mo »2. Tuttavia, in certe situazioni sociali, le prescrizioni possono en trare in aperto conflitto. L’avventura della Rivoluzione francese con siste innanzi tutto in un conflitto di norme, che scoppia improv visamente sotto forma di rivoluzione, ma che, come ha dimostrato Tocqueville’, era già presente ben prima della sua esplosione il 14 lu glio. In materia di ballo, per valutare il cambiamento, o meglio la bru sca rottura verificatasi nel 1789, bisogna contrapporre - come sugge risce Richardson * - il minuetto, caratterizzato da una fredda linearità, e il valzer, contraddistinto da un movimento vorticoso e coinvolgente.
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La fine del minuetto. Alla corte di Luigi XVI e di Maria Antonietta, prima della Rivolu zione, il minuetto è al centro di ogni festa, di ognuno dei magnifici balli dati a Versailles o altrove. Questa danza è ormai nota da un cen tinaio d’anni e nulla ne lascia presagire un rapido declino. H minuetto è diventato però il simbolo della cortesia affettata, dell’eccessivo fasto degli abiti alla corte dei Borboni. Inoltre è lontanissimo dallo spirito del romanticismo, che comincia a svilupparsi in seno alla borghesia europea. Il minuetto viene danzato su canzoni di ispirazione contadi na. La corte5 apprezza anche balli piu vivaci, coinvolgenti e favorevoli alla socializzazione, come la contraddanza, già praticata dal popolo nelle case borghesi. Lo «stile» rigoroso della nobiltà francese riscuo te comunque un grande successo nelle corti europee, fra l’altro grazie alla bravura e all’esperienza del maestro di danza Vestri. In La danse ou la guerre des dieux de l’opéra - un racconto epico in versi di centocinquanta pagine - Berchoux descrive lo scontro fra la vecchia scuola di Vestri e quella del nuovo idolo in ascesa, Duport. H poeta sceglie di rendere omaggio al primo, che tanto contribuì al pre stigio della danza francese. Vestri diventa così l’eroe della grandeur. Adesso l’Europa confessa senza sforzo... Che dico! L’universo intero è oggi d’accordo Che sulla terra forse non c’è mai stata Una nazione più leggera e più emancipata. Il francese, nato volubile e per il piacere fatto, Del silfo o meglio dello zefiro pare il ritratto.
Nel brano che segue, di un nazionalismo esasperato, Berchoux contrappone poi all’arte francese, difesa da Vestri, la goffaggine bri tannica: A Sua Maestà domando scusa; ' Ma questi uomini tanto bravi in marina e finanza, Fanno proprio pena in una contraddanza... *
La solennità dello stile francese verso il 1760 contrasta ugualmente con quello degli abitanti del nord, degli svizzeri, dei tedeschi, che «sono ancora oggi gli esseri umani piu pesanti». Questo stesso stile
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non resiste però all’avanzata delle danze con volteggi. La battaglia de cisiva non avviene a teatro, sul palcoscenico, ma durante un ballo, quando «in trenta giri rapidi e incalzanti», il giovane ballerino Duport sconfigge Vestri-Ulisse, uscendo vittorioso da quella lotta impa ri, sotto gli occhi di Venere Il poema dimostra in modo inequivoca bile che, in questo periodo, i ballerini del teatro dell’opera non disde gnano di partecipare ai balli, dove tutti li ammirano (la stessa cosa ac cadrà a Londra una decina d’anni dopo). Per quel che riguarda la sto ria del valzer, il poema conferma invece che la battaglia fra la nuova e la vecchia maniera di ballare coinvolge l’intera Parigi. Si scontrano due scuole, due stili, due forme di danza. La contraddanza rappresenta incontestabilmente una fase di tran sizione che permette alla nobiltà di riappropriarsi del valzer, vale a di re di un ballo che reintroduce quell’intimità di coppia scoperta ai tempi della volta, ma che le Chiese erano riuscite a ricacciare ai margi ni della società europea, facendone il simbolo del peccato più grave. Se l’aristocrazia francese riesce a imporre il suo stile all’estero, non tutta la Francia danza però il minuetto. La contraddanza è ben radi cata fra le classi medie; e il popolo, dal canto suo, si è già riappropria to del ballo di coppia. Risulta sempre pericoloso ridurre le attività so ciali di un popolo - e fra queste vi è anche la danza - a ciò che avviene a corte. A quei tempi il popolo non ha i mezzi per organizzare feste sontuose, cosi i balli si risolvono spesso in una riunione fra amici che trovano per strada un suonatore di viola, mercanteggiano il prezzo con un oste e organizzano una festicciola nell’angolo del cortile che viene loro concesso*. In genere, dunque, il ballo popolare è frutto dell’improvvisazione, ed è proprio durante queste feste che il valzer rinasce.
L’improvviso fiorire del valzer. Prima ancora che scoppiasse la Rivoluzione francese, alcuni mae stri di ballo, stimati dall’aristocrazia, prendono la penna per condan nare le danze «volgari» che paiono essersi diffuse. Il valzer è oggetto di critiche a Parigi a partire dal 1767, e questo ne attesta la vitalità ’. La
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società francese è minata al suo stesso interno. Trasformazioni av vengono in tutti i campi, anche in quello dell’abbigliamento, dove il vestito semplice e senza pretese dei borghesi guadagna ogni giorno terreno. Tutto ciò si ripercuote sugli usi e sui costumi: Max von Boehn scrive in proposito che «La sala da ballo può essere considera ta il barometro di questa evoluzione. Le forme manierate delle danze di corte non corrispondono più a un’epoca permeata dallo spirito ri voluzionario (‘Sturm und Drang’). Nessuno ha più voglia di stare a guardare come ballano gli altri; tutti aspirano a partecipare e la conse guenza naturale di questo desiderio è che la danza assume la forma voluta dal ballerino. Visto che molte persone desiderano ballare con temporaneamente, i passi della danza devono diventare più semplici ed è necessario che la scelta del partner sia libera. Non si ha più il tem po né la voglia di imparare balli complicati» Ciò spiega il successo del valzer. Il fenomeno del resto oltrepassa le frontiere nazionali. Goethe, per esempio, scopre il valzer a Strasburgo, a ventitré anni, vale a dire nel 1772, anno in cui incontra Charlotte Buff. Ne I dolori del giovane Werther (1774) > il romanzo che racconta l’iniziazione all’a more per Charlotte, lo scrittore ci informa, fra l’altro, del posto occu pato dal valzer nei balli di quell’epoca. Nella stessa opera descrive inoltre un ballo, in cui coesistono minuetto e valzer, sul quale ci sem bra interessante soffermarci. Qualche parola per contestualizzare brevemente la scena: Werther, invitato a un ballo in campagna, per raggiungere il luogo della festa affitta una carrozza con cui accompa gna alcune giovani, una di queste è Charlotte. Werther che la vede per la prima volta, racconta: «Il discorso cadde [...] sul gusto del ballo. - Se questa passione è una colpa, - disse Lotte, - io devo con tutta sincerità confessare che a me nulla piace di più che la danza. E quan do ho qualche pensiero per il capo, strimpello una contraddanza e tutto mi passa. Come mi deliziavo, mentre discorreva, di quei suoi occhi neri! Come attraevano tutta l’anima mia quelle sue labbra vive e quelle guance fresche e liete! Come, tutto immerso nel meraviglioso fluire della sua parola, a volte neppure udivo i termini con cui si esprimeva! Tu, che mi conosci, puoi fartene un’idea! Insomma, io scesi dalla car-
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rozza come se sognassi, quando ci fermammo davanti alla villa, e, in quel mondo crepuscolare che stava intorno a me, ero cosi perduto che neppure feci attenzione alla musica che, dalla sala illuminata, scendeva a incontrarci. I due signori: Audran e un certo N. N. - chi può ricordare tutti i nomi? - che erano i cavalieri della cugina e di Lotte, vennero a rice verci allo sportello, s’impadronirono delle loro dame, e io condussi di sopra la mia. Ci rigirammo gli uni intorno agli altri nei minuetti; io invitai una dama dopo l’altra, e proprio le meno sopportabili non si risolvevano mai a porgermi la mano e a congedarmi. Lotte e il suo ballerino attac carono un’«inglese», e puoi immaginare come mi rallegrai quando anche lei venne a fare una «figura» nella nostra fila. Bisogna vederla ballare! Ecco: lei ci mette tutto il cuore e tutta l’anima; tutto il suo corpo è una sola armonia, così spensierata, così spontanea come se non esistesse altro per lei, come se non avesse altri pensieri e non provasse altro. Certo, in quel momento, ogni altra cosa le sparisce dinanzi. La invitai alla seconda contraddanza. Mi accordò la terza e poi, con la più amabile schiettezza, mi dichiarò che ballava molto volen tieri la tedesca. - Qui è costume, - aggiunse, - che ciascuna delle coppie giunte in sieme, resti poi unita nella tedesca; ma il mio cavaliere volteggia male e mi sarà grato se gli risparmierò questa fatica. Anche la sua dama non è molto esperta in questo e io ho visto che lei, nell’inglese volteggia bene. Perciò, se vuole essere con me nella tedesca, vada a chiedermi al mio cavaliere e io andrò dalla sua dama. Io le strisi la mano in segno di conferma e convenimmo che, intan to, il suo cavaliere avrebbe tenuto compagnia alla mia ballerina. Così attaccammo e per un po’ ci divertimmo con i più svariati al lacciamenti delle braccia. Con quanta grazia e con quanta leggerezza si moveva! Poi, quando arrivammo al valzer e girammo l’uno intorno all’altra come le sfere celesti, da principio le cose andarono un po’ alla rinfusa perché erano in pochi quelli che ci sapevano fare. Noi fummo avveduti e lasciammo che si sfogassero e, quando gli inesperti ebbero sgombrato il campo, entrammo in scena e resistemmo bravamente in-
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sieme con un’altra coppia soltanto: Audran e la sua dama. Mai mi era andata cosi bene. Non ero più un essere umano» ". Questo ballo in campagna descritto da Goethe ci mostra quindi la successione di quattro danze: un minuetto, una contraddanza ingle se, una allemanda con movimenti delle braccia, e per finire un valzer.
Un ballo rivoluzionario. Se l’Ancien Regime resta fedele al minuetto, la rivoluzione sociale, che inizia ben prima del 14 luglio 1789, darà il colpo di grazia a questo ballo come agli altri praticati a corte. I ritmi solenni vengono spazzati via dalle grida di canzoni come fy ira o La carmagnole e, la sera, da motivi in tempo ternario, «arie per valzer», che un certo numero di musicisti suonava già da qualche anno12. Scrive Max von Boehn: «L’Ottocento sarà il secolo della democrazia. Benché l’assolutismo sia ancora saldo ovunque, tutti quelli che hanno occhi per vedere e orecchie per intendere non possono non aver notato, molto prima che risonassero i colpi di cannone della Rivoluzione francese, che era già iniziata un’altra epoca» “. A Parigi la danza con volteggi esce dun que dalle catacombe per tornare alla ribalta. Abbasso la cripta! Viva l’agorà! Come spiega con altre parole Boulenger l’esuberanza, la vi vacità del valzer divertono la gente, abituata fino ad allora soltanto ai passi nobili e aggraziati, ma al tempo stesso misurati, studiati, tipici della coreografìa complessa e sobria dell’Ancien Regime. È piuttosto strano che gli storici del ballo non abbiano approfon dito questo aspetto della Rivoluzione francese. La ragione è che molti - in particolar modo gli agiografi del valzer di Vienna - pensano die, una volta eliminato il minuetto francese, il rinnovamento non possa essere partito da Parigi. A noi sembra invece che il valzer, frutto di numerose interazioni avvenute in tutta Europa dal 1600 al 1789 (che coinvolgono nella maggior parte dei casi ambienti rurali o poveri, ai margini del sistema e spesso in opposizione alle istituzioni), trovi nel la Rivoluzione francese una cassa di risonanza che lo legittima e ne diffonde la pratica. L’espansione europea del valzer è strettamente connessa al movimento rivoluzionario. Per spiegare la nascita di tale
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movimento Georges Lefebvre sottolinea l’importanza delle rivolte contadine che, tra il 1788 e il 1789, si irradiarono in tutta la Francia. Lo storico fa inoltre notare che, nell’aprile del 1788, «le feste votive e baladoires»15 costituiscono il luogo di fermento per eccellenza prima in Provenza e poi nel Delfìnato. Gli specialisti del settore si sono occupati delle feste rivoluziona rie, senza però interessarsi molto alla danza. Ad esempio, Mona Ozouf si accontenta di rilevare che: «Cercando bene, si scoprirebbe anche l’esistenza di feste notturne, durante le quali le torce, che ac compagnano la bara della monarchia, creano un effetto drammatico; i falò brillano in tutto il loro splendore e il ballo dura fino alle due di mattina. Durante queste feste la gente oltrepassa in massa le frontiere territoriali, tenta di uscire al di fuori dei limiti comunali e si impadro nisce di luoghi insoliti, come le chiese, dove mangia e balla» “.
«Quisi balla». Nella Storia del valzer, Roman Vlad ci informa che il 14 luglio 1789, dopo aver preso la Bastiglia, il popolo attaccò un cartello in cui si po teva leggere «Qui si balla» ". Lo storico Jacques Marseille ha pubbli cato di recente una stampa - Les canonniers dansent avec les femmes au Palais-Royala -, che fa parte di una collezione privata e che dimo stra che i balli erano già iniziati il io luglio. Quel che è certo è che i francesi ballarono durante tutta la Rivolu zione. Quando si conosce la storia della lotta sostenuta dai ballerini di volta per resistere al clero e quella della battaglia condotta dalla Chie sa contro la volta e le altre danze di coppia o con volteggi - e più in ge nerale contro qualunque danza estatica -, nel corso dei secoli prece denti, allora risulta facile capire perché, a partire dal 1789, le chiese vengono occupate dalla massa dei discendenti delle « streghe » e degli «stregoni», colpevoli di aver ballato la volta satanica, e per questo condannati dall’inquisizione e bruciati nelle pubbliche piazze. Raoul Charbonnel parla delle metamorfosi subite dai monasteri, dopo che le ghigliottine della Rivoluzione ne avevano eliminato gli abitanti: fu rono saccheggiati e trasformati in sale da ballo. Nel cortile di Saint-
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Sulpice la gente ballava in mezzo alle tombe; «A Saint-Eustache, l’a gnello pasquale era preparato sull’altare, stracarico di salsicciotti e prosciutti; fra un piatto e l’altro i commensali si potevano godere le scene silvestri e campestri dello sfondo della chiesa, e sentire scric chiolare le travi sotto i passi dei satiri ubriachi, occupati a inseguire le donne». Queste sordide orge, questi saturnali plebei ebbero vita bre ve^ Si continuò invece a ballare sempre di più. Secondo numerosi documenti, subito dopo il Terrore, per danza re le donne si vestivano alla greca o alla selvaggia. Il che significa che andavano a ballare praticamente svestite. Charbonnel cita la testimo nianza di Chaussard che descrive il valzer rivoluzionario, a parer suo, tutto imbevuto di un erotismo di sapore antico: «Una donna quasi nuda, acconciata come Flora o Venere, vestita o meglio svestita come Psiche, che non sottrae per cosi dire nulla agli sguardi o al contatto gamba sottile, piede malizioso, corpetto elegante, mano sempre in movimento, seno di Armida, forme di Callipigia - si appoggia a un giovine con il volto di Adone e la vita di Ercole, che mostra con grazia un garretto d’acciaio, una coscia ben tesa, dai contorni nitidissimi sotto il morbido nanchino. Si stringono, piroettano su sé stessi, con movimenti rapidi e voluttuosi. La vigna innamorata non avvolge le sue spire con più dolcezza per abbracciare l’esile olmo». Charbonnel riproduce anche un’altra testimonianza a conferma della precedente. La viscontessa di Beauharnais - meno di un anno dopo il io termido ro; data in cui doveva comparire davanti al tribunale rivoluzionario scrive alla signora Tallien soffermandosi su alcuni aspetti dell’abbi gliamento: « Si tratta di una magnifica serata a Thélusson [...] Non so se alle ballerine piacciano davvero le forme repubblicane dei governi greci, ma per i loro vestiti si sono ispirate a quello di Aspasia: braccia nude, seno scoperto, sandali ai piedi, capelli divisi in trecce, raccolte attorno alla testa [...] Provi a indovinare dove hanno le tasche queste ballerine? Non le hanno proprio. Si ficcano il ventaglio nella cintura, custodiscono nel seno una borsettina di marocchino [...], il corpetto di maglina di seta color carne, aderentissimo in vita, non lascia più immaginare niente, facendo scorgere ogni bellezza nascosta. Ecco che cosa si intende con l’espressione essere vestita alla ‘selvaggia’» ’. All’Hótel Richelieu, si svolge invece il «Ballo delle vittime» - un
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grande avvenimento aristocratico - cui vengono ammessi coloro che hanno perso i genitori o i fratelli sotto la mannaia della ghigliottina. Sono invece scartati quanti possono annoverare fra i loro morti sol tanto uno zio o una zia. Nell’HàZo/re des salons de Paris, la signora Junot, diventata in seguito duchessa d’Abrantès, afferma che durante questo ballo «ci si preoccupava di organizzare la contraddanza nel modo seguente: gli orfani, cui erano toccate le disgrazie più grandi, venivano raggruppati assieme; chi era morto soltanto in prigione non si trovava molto favorito da questa nuova legge e non poteva ambire al primo posto per suo figlio o per sua figlia. Eppure il padre o la ma dre non avevano certo colpa se erano morti soltanto in prigione... » * Non risulta che nel corso di questi balli si danzasse il valzer. Tuttavia questa danza faceva furore. Numerosi autori sostengono che, nel 1789, ci fossero settecento locali dove si ballava il valzer, uni camente nella città di Parigi21. Si tratta in certi casi di spazi piuttosto ampi, riadattati per servire a nuovi usi. Con l’invenzione del parquet, che risale proprio a quest’epoca, il modo di ballare subisce inoltre una rapida evoluzione.
Il valzer egualitario.
L’abolizione dei privilegi fa si che venga concessa la licenza - que sta è la parola appropriata - a un’enorme quantità di pubblici eserci zi. A Parigi ammontano a un numero incredibile. Secondo l’«Almanach des spectacles» del 1791 sono più di quattrocento. Questa pas sione sfrenata si placa durante il Terrore per tornare a scatenarsi con il Direttorio. Nel 1795 vengono realizzati le Folies de Chartres, al par co Monceau, l’Elysée del giardino Bourbon, il Paphos, l’Idalie (giar dino Marbeuf), il Pavilion de Hanovre, il Jardin Beaujon, il Ballo di Sceaux-Penthièvre, il Ballo del Palais-Royal, il Tivoli, i Jardins di Bi ron, senza contare tutti i locali da ballo organizzati dai privati22. In una stampa del 1793, che ritrae senza dubbio alcuni «rivoluzio nari » francesi intenti a ballare « il valzer con il fazzoletto », il caricatu rista - che non deve essere stato un grande ammiratore del nuovo bal lo a giudicare dai lineamenti arcigni dei suoi personaggi - ci mostra la
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nuova danza popolare allora di moda. Questo disegno, benché gros solano, è di grande interesse perché raffigura un valzer molto vicino a quello che conosciamo ancor oggi grazie alla musette. Contrariamen te al valzer nobile, creato dagli Strauss, questo ballo è caratterizzato da una sorta di mistica dell’egualitarismo. La coppia si impone supe rando forme e immagini individuali. La grassona, che il cavaliere può abbracciare soltanto aiutandosi con un fazzoletto, dimostra quale sia il rapporto di forze determinato dal peso in questo ballo, in cui la po sizione della donna è molto meno subalterna che in tutte le altre dan ze di coppia. La natura « egualitaria » del valzer è stata del resto sotto lineata da Ruth Katz, secondo cui la differenza fra minuetto e valzer consiste nel fatto che questi due modi di ballare riflettono atteggia menti sociali e politici opposti, e sono l’espressione profonda di que sto contrasto25. In un’opera consacrata alla «vita quotidiana» nel periodo rivolu zionario, Jean-Paul Bertaud dedica una pagina del capitolo intitolato La liberté en fète ai «balli del 14 luglio». L’autore afferma che: «Per evitare che si ammassasse troppa gente nello stesso posto, in città, si moltiplicarono le sale da ballo. Agli Champs-Elysées la polizia dava la caccia alle ragazze e a chi si batteva in duello: era ormai consuetudine recarsi là per sbrigare beghe e dispute, spesso di matrice politica » ”. Il marchese di Ferrières, deputato alla Camera, scrisse a sua moglie che, a Parigi, i festeggiamenti si erano susseguiti per una settimana in mo do peraltro «decente e ordinato», malgrado qualche canzone scon veniente per un orecchio aristocratico ”. Ernst Moritz Arndt, un viaggiatore tedesco, parla del successo del valzer a Parigi verso il 1790: «La gente impazzisce per i valzer o gli Schleifer - in genere il passo è leggermente scivolato e vi è un’alter nanza regolare con la quadriglia - e non se ne stanca mai. ‘Un valzer! Un altro valzer!’, si sente in continuazione. La passione sfrenata per il valzer e la diffusione di questo ballo tedesco in tutta la nazione sono fatti recentissimi. Dall’ultima guerra il valzer è diventato una cosa consueta, come l’uso del tabacco o come altre mode diventate patri monio comune»26.
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1
E. Goffman, La mise en scène de la vie quotidienne, Paris 1973, tomo I, p. 18.
2
D. Lebreton, Corps et sociétés, Paris 1985, p. 131.
IOI
J A. de Tocqueville, L’Ancien Régime et la Revolution, Paris. < Richardson, The Social Dances cit., p. 41. 5 Maria Antonietta è un'eccellente ballerina di minuetto. Grazie a lei, la gavotta diventa di mo da, come segnala P. Agnel in La passion du jour, in « Revue des indépendants », Paris (1927), p. 34. Nonostante arrivasse in Francia dall'Austria (1770), pare che alla regina, la quale non aveva contatti con il popolo, non fosse noto il valzer.
4 J. Berchoux, La danse ou la guerre des dieux de l’opera (1806), Paris 1829, p. 68.
7 Ibid., pp. 146-30. • M. H. de la Rivière de la Mure, Le cabaret parisien à la velile de la Révolution, in Positions des thèses de Fècole des Charles, Paris 1979. 9
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Nei Principes du menuet (1767), Chavanne sostiene che il valzer non ha nulla a che vedere con «la buona danza».
Boehn, Der Tanz cit., p. no. Goethe, I dolori del giovane Werther, trad. it. di C. Picchio, Milano (19805), pp. 26-28. [Se gnaliamo che il ballo designato con d nome di tedesca equivale all'allemanda. N. d. T.].
“ Nel 1784 André E. M. Grétry intitola uno dei suoi brani in tempo ternario Aria per ballare il valzer. D Boehn, Der Tanz cit., p. 109.
M J. Boulenger, De la walse au tango, 1920, p. 3.
° G. Lefebvre, La grandepeur de 1789, Paris 1932; trad. it. La grande paura del 1789, Torino 1973; Id., Les joules révolutionnaires, Paris 1988. {Folle rivoluzione, Roma 1989]. Cfr. inoltre J. Y. Ribault Divertissement poptdaire et turbulence sociale: lesfètes baladoires dans la région de Thaumiers au xvnf siècle, in «Cahiers archéologiques et historiques du Bercy » (1967). 16 17
M. Ozouf, La fètc révolutionnaire 1789-1799, Paris 1976, pp. 102-3.
R. Vlad, Storia del valzer, in «Musica e Dossier», Firenze (1989), n. 25, p. 31. Secondo quanto afferma R. Charbonnel, in La danse, Paris, p. 223, quest'iscrizione risalirebbe invece al 14 lu glio 1790.
” Cfr. J. Marseille e D. Margairaz, 1789, aujourd’hui, 1988, p. n6. 19
Passo citato da Charbonnel, La danse cit., p. 242 e pp. 234-33. Quest’opera consacra piu di venti pagine alla danza durante la Rivoluzione (pp. 221-44)e riproduce testimonianze molto interessanti, una delle quali dimostra che i fratelli Goncourt non sottovalutarono il molo del la danza durante questo periodo.
20
Charbonnel, in La danse cit., pp. 229-32, descrive l’origine e l'atmosfera del Ballo delle vitti me, partendo dalla testimonianza della duchessa d’Abrantès.
21
Franks, Social Dance cit., p. 130.
22
Ménil, Histoire de la danse cit., p. 206.
2> R. Katz, The Egalitarian Waltz, 1973, ripreso in R. Copeland e M. Cohen (a cura di), What is Dance?, New York 1983, citato da F. Sparshott, Offthe Ground, First Steps to a Philosophical Consideration of the Dance, Princeton 1988. 24
J.-P. Bertaud, La France au temps de la Revolution, Paris 1983.
25
Correspondence del marchese di Ferrières, Paris 1932.
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26 E. M, Arndt, Reisen durch einen Teil Teutscblands, Ungams, Italiens und Frankreicb, Leipzig 1804. Osservando il titolo dell’opera, si può notare che in quel periodo la Germania veniva chiamata Teutschland anziché Deutschland. Con il nome di «Teutsch» veniva designato un ballo di coppia, in tempo ternario, vicino al landler.
Capitolo quarto L’Impero del valzer
«Il valzer è un ballo preciso, meccanico e militare, co me dimostra la sua storia. Senza le uniformi militari, il valzer non può assumere appieno il suo significato. 'Nel l’oscurità c’era un rumore di festa’, scriveva Lord Byron a proposito di un ballo dato alla vigilia di Waterloo. Nel Settecento e nell’epoca napoleonica, gli eserciti di citta dini erano accolti come una liberazione individuale dalle strutture feudali e dalla gerarchia nobiliare».
M. McLuhan, Pour comprenda les médìas, Paris 1968, p. 306.
Per capire la storia del valzer, bisogna ricordare che in Francia l’e sercito si è schierato con la Rivoluzione. È raro che una nazione abbia un esercito «di sinistra»; eppure l’«esercito dei cittadini», per ri prendere l’espressione di McLuhan, è il vettore tanto della Rivoluzio ne quanto del valzer. Tra i soldati, la passione per il nuovo ballo è così forte che, all’indomani del 1789, la Convenzione deve creare una scuola di danza in ogni caserma1. Quello del Direttorio e poi quello dellTmpero saranno periodi propizi allo sviluppo del valzer. A Pari gi, sotto il Direttorio, il numero dei locali da ballo ammonta a duecentosessantasette. I più fastosi sono: il ballo di Mousseaux del parco Monceau e quelli di Bagatelle, dell’EIysée-Bourbon a Chantilly e di Tivoli, organizzati nel luogo dov’è attualmente ubicata la chiesa della Trinité. «Si balla ai Cannes, dove sgozzano la gente; si balla al novi ziato dei gesuiti; si balla al seminario Saint-Sulpice, dalle Filles de Sainte-Marie, si balla nelle tre chiese in rovina della mia sezione»2, scrive Mercia.
La mania del ballo. A quanto affermano gli osservatori contemporanei, a Parigi i balli sono oltremodo piacevoli. I ritrovi della capitale che suscitano mag giore entusiasmo fra i ballerini sono: il Frascati, il parco Monceau, il
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«La sauteuse».
Jardin Biron, l’Hòtel de Richelieu, il Jardin Beaujon, l’Hòtel Marbeuf, il Jardin du Delta e il Tivoli. L’immenso parco di Tivoli copriva più o meno l’area che è attualmente compresa fra rue Saint-Lazare e tue de Berlin. Nel 1802 vi si potevano trovare tutte le «attrazioni» che andavano di moda a quei tempi: le ombre cinesi, le prove di forza, i fuochi d’artificio, gli automi, presentati dal cittadino Préjean, gli «esperimenti sulla combinazione di fuoco e acqua», a opera del citta dino Lolive, meccanico, e perfino La chasse di Méhul, con tanto di bombe, esplosioni, girandole luminose; e al centro di tutto questo, ballato su una grande pista di legno, il valzer, che iniziava così la sua ascesa prestigiosa. Sir John Dean Paul, che visitò Parigi nell’agosto del 1802, non mancò di recarsi a Tivoli, il luogo di maggior richiamo in quel periodo. Dopo aver assistito a un valzer, il nuovo ballo che si era impadronito di tutta la città, lo descrive in questi termini: «Parte cipano circa duecento coppie, accompagnate da una musica lentissi ma, volteggiando contemporaneamente attornio a una piattaforma. L’atteggiamento delle donne è amabile e seducente, per non dire di più». Sir John Dean Paul aggiunge poi: «Non credo che questo bai
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lo, molto divertente per gli spettatori e sicuramente anche per chi lo pratica, sarà mai di moda in Inghilterra»’. Il ricco materiale iconografico dell’epoca mostra che il valzer con tinua a essere ballato nei modi più diversi. Spesso viene danzato in coppia, ma prevede numerose varianti che implicano lo scioglimento della coppia stessa e la realizzazione di numerose figure con le brac cia, come nell’allemanda. Nel 1801, la rivista «Le Bon Genre» pubbli ca una stampa intitolata La Wake, che raffigura sia una coppia chiusa sia una coppia aperta. Nel 1805 nella stessa rivista compare il disegno di una contraddanza: La trénis. Nel 1806 si trova invece La sauteuse, che rappresenta due coppie di ballerini, una delle quali in posizione conforme allo stile del valzer (coppia chiusa, piede destro della dama fra i piedi del cavaliere). La posa dei ballerini, molto naturale e spon tanea (il cavaliere tiene la dama per la vita), è simile a quella che in contreremo ben più tardi nella giava. . Anche l’aristocrazia viene contagiata dalla mania del ballo. Il ba rone di Frénilly sostiene che, durante il Direttorio, il valzer riesce a penetrare a Parigi attraverso il salotto della signora di Esquelbecq. Forse con questo il barone intende dire che, prima del Direttorio, il valzer non veniva ammesso nei salotti borghesi. Comunque sia, Berchoux fornisce una descrizione «epica» del locale da ballo Champétre Elysée: ... Appena si distingue fra la verzura, Sempre pronto a rientrare in grembo alla pianura; Qualche tetto che imita il tetto dei contadini, Sotto la paglia mendace nasconde i cittadini: Invano vi cerca la massa piaceri solitari, La pace delle capanne e l’innocenza dei campi. Gruppi di ballerini invadono ogni luogo, Coprendosi a gara di polvere e sudore4.
Non si balla però soltanto in campagna e nelle vicinanze della cit tà. In Francia come in Inghilterra, si organizzano locali da ballo pub blici a partire dalla seconda metà del Settecento, e la loro diffusione è còsi massiccia che il legislatore si vede costretto a intervenire. In que sto periodo «i muri sono interamente coperti di manifesti che annun ciano balli di tutti i tipi, alcuni così a buon mercato da essere alla por-
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«La trénis».
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tata anche di una serva»’. Questo è uno degli effetti del movimento rivoluzionario. Come osserva Francois Gasnault, i balli della Repub blica termidoriana si svolgono in tutti i luoghi che ospitarono le ulti me feste della monarchia4. Grazie alle circostanze favorevoli, gli spe culatori poterono disporre di una gran quantità di palazzi e magnifici giardini. «Ogni anno si assisteva all’apertura, e spesso alla chiusura, di nuove attività e feste pubbliche» ’. Si comincia a parlare di «guinguette» non piu nel senso di riven dita di bevande, situata nei sobborghi della capitale, dove si va a bere il vino nuovo, ma anche per indicare una specie di balera. In queste balere di periferia gli operai vanno spesso a ballare, sebbene non manchino balli popolari organizzati a Parigi da osti e vinai*. Nei primi tempi della Rivoluzione le pressioni popolari riescono a far sopprimere sia il divieto di ballare — ancora diffuso in tutto il terri torio nazionale, benché in forme diverse—sia la cosiddetta « tassa per i poveri», cui erano soggetti balli e divertimenti, a vantaggio dei biso gnosi. In Francia la tassa per i poveri esisteva già nel Quattrocento e la sua abolizione non durò a lungo. H 7 frimaio dell’anno V, di fronte al l’incremento di feste e balli, i contabili del Direttorio fecero votare una legge, che imponeva il pagamento di una tassa ai frequentatori dei locali da ballo pubblici. Nel caso di Parigi, il tributo era versato al la cassa dei ricoveri per i civili. Gasnault trova il materiale documen tario del suo libro sui balli parigini proprio studiando gli archivi di questi ricoveri... H decreto del 21 agosto del 1806 stabilisce che vepga prelevato un quarto degli incassi lordi da « tutti i balli e tutte le feste pubbliche dove si è ammessi versando il compenso richiesto, o tramite il pagamento di una certa somma o l’acquisto di un biglietto o di un abbonamento»’.
Un valzer lento. Il ritmo del valzer è meno veloce rispetto a quello che conosciamo ai nostri giorni (tempo di sessanta al metronomo, lo stesso di quello della volta). Bisognerà attendere il 1819 con Weber, e poi il 1840 con Johann Strauss figlio, perché il ritmo subisca una sensibile accelera-
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zione. Ad ogni modo in Francia, tra il 1780 e il 1810, il valzer è piutto sto lento e designa in realtà due tipi di balli: uno è quello popolare di coppia chiusa che costituisce il prolungamento diretto della volta, del weller o del làndler; l’altro corrisponde a quella forma mondana di valzer, ancora raccomandata dai maestri di danza, ampiamente raffi gurata nelle stampe dell’epoca, è ammessa ufficialmente anche in In ghilterra a partire del 1815. In realtà questa variante, nonostante il no me, è in tutto e per tutto un’allemanda con una varietà di passi e pose maggiore rispetto al valzer popolare: il cavaliere e la dama si tengono, ora per le mani, ora per la vita, e percorrendo la pista compiono ben pochi volteggi. Anche il ritmo è diverso da quello cui siamo abituati: la musica comporta infatti due parti, ciascuna di otto misure, come spiega J. Boulenger commentando le stampe di questo periodo. Resta il fatto che questi due tipi di danze coesistono durante tutto il primo Impero. La gente continua a ballare in modo complicato effettuando « entrechats e jetés-battus » nelle quadriglie, sorta di « balletti su scala ridotta, eseguiti da parecchie coppie che si muovono in sintonia» ". La reazione dei perbenisti davanti alla rinascita del ballo di coppia chiusa è analoga a quella che ebbero i puritani di fronte alla volta, ai tempi di Enrico HI. Ormai il valzer dà a ogni coppia un’indipendenza e una libertà d’azione fino ad allora sconosciute. In effetti nulla vieta alla coppia di girare rapidamente anche su un ritmo lento: basta effet tuare una rotazione completa in tre misure anziché in quattro. I buoni ballerini di valzer sanno che il cavaliere, andando a cercare il punto d’appoggio per il tempo d’attacco fra le gambe della dama, può dare avvio a una rotazione rapida terminando il movimento con un’incli nazione molto a destra del piede destro (valzer sul posto). Il piede si nistro, dopo essere stato riportato, può rilanciare a sua volta la rota zione, portando all’esterno il tallone nel momento in cui i piedi si riavvicinano. La coppia effettua allora una rotazione più rapida, a prescindere dalla velocità della musica. Viceversa, nulla impedisce a una coppia alle prime armi (o nella quale un partner lamenti giramen ti di testa) di rallentare il movimento di rotazione, facendo ad esem pio un giro in sei misure. Grazie a queste variazioni ogni coppia ha quindi ima libertà e un’indipendenza totale.
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Inoltre, la natura sovversiva del valzer, già presente nella volta, consiste nella sensualità che lo caratterizza; sensualità così marcata da indurre per molto tempo soltanto le donne sposate, e non troppo per beniste, a cimentarsi in questo ballo. Frénilly riferisce che «La signo rina Titon, sorella della marchesa di Marconnay, era l’unica ragazza a danzarlo», ma aggiunge che «si presumeva che fosse sposata». Boulenger, che lo cita, commenta: « Non era di certo a lei che si riferiva il cavaliere di Ségur pronunciando una sera questa bella battuta: ‘È ver gine, non fosse che per il valzer’ » “. Jean-Michel Guilcher non capisce la componente rivoluzionaria del valzer poiché vede nelle danze di coppia un mero ripiegamento su sé stessi: «Il valzer e la polca non hanno la pretesa di esprimere alcun ché. La coppia è richiusa in sé stessa e balla soltanto per sé stessa. La danza non esprime più un accordo unanime, ma giustappone solitu dini » u. A Guilcher sfugge la doppia dimensione del vissuto dei balle rini, presente in questo fenomeno: è vero che da un lato questa danza implica la formazione e la dinamica della coppia in sé, ma dall’altro prevede l’inserimento e la gestione della coppia in un gruppo più am pio. Ogni coppia ha una sua dinamica specifica, che deve però entra re in sintonia con quella generale. Quest’armonia con la dinamica del gruppo è difficile da trovare soprattutto perché molte persone si get tano nella mischia e si mettono a ballare senza saperlo fare, trasfor mando così il valzer in baraonda. I ballerini si scontrano; tutta l’atten zione si incentra sulla gestione della coppia, eppure, malgrado le pre cauzioni, si producono troppo spesso disordini, collisioni, cadute, risse. Situazioni simili sono quelle che la forza pubblica teme di più e così si ricomincia a parlare di «danza proibita». Un altro aspetto, già presente nella volta e ricorrente nel valzer in coppia chiusa d’epoca imperiale, è quello della trance. Il valzer eser cita un grande potere di attrazione sui suoi adepti che ne sono quasi stregati. Si tratta di un fenomeno individuale e assieme collettivo. In proposito, già ai tempi dell’impero, il poeta Charles-Hubert Millevoye (1782-1816), morto di tisi all’età di trentatré anni, parla della sof ferenza dei bimbi dimenticati dalle madri, «prese», o meglio travolte dal vortice del valzer:
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La mania del valzer Soffre... questo bimbo; nessuno gli canta la ninnananna. Chiama la mamma... ma al ballo è andata la mamma. Mamma! non è piu tale! voluttuosa, ardente, Guardatela, soggiogata interamente dal valzer seducente ”...
L’Impero balla il valzer.
Durante la Rivoluzione il popolo si impadronisce del valzer. Sotto Napoleone I, il susseguirsi delle guerre non impedisce il ritorno dei grandi balli; il popolo vive in un’atmosfera festosa e il primo console desidera veder rinascere la vita mondana. Egli sa inoltre perfettamen te che il lusso è il motore del commercio. Si comporta quindi in modo molto generoso con i suoi marescialli e dignitari, ma chiede loro, in cambio, di essere prodighi di feste. Nel 1804 in Europa inizia quel pe riodo che gli storici chiamano Impero. Quest’epoca dura soltanto una decina d’anni, però, sebbene passi come una meteora, influenza profondamente tutti i contemporanei. Con l’impero, i principi mece nati del Settecento devono rinunciare ai loro privilegi; ormai è la bor ghesia a patrocinare le arti, la musica e la danza. Nell’era napoleonica, la nuova borghesia emergente, che deve tutto al grande stratega cor so, è la burocrazia militare parigina. Tuttavia, alle spalle di questa ca sta, una nuova classe sociale fa già capolino: quella degli industriali o, come si diceva a quei tempi, dei fabbricanti. La nobiltà più recente, creata dall’imperatore, è formata da figli di borghesi, avvocati oppure artigiani, uomini che si chiamano Murat, Berthier, Bernadotte. Que sti nuovi principi e duchi ammucchiano rapidamente immense fortu ne, e si trovano perciò ammantati di prestigio non soltanto militare, ma anche finanziario. Il loro dinamismo contagia tutte le borghe sie europee. Questa nuova classe brilla e si impone proprio grazie al le feste. Nei suoi Mémoires, la duchessa d’Abrantès racconta di come il primo console la inviti a ricevere regolarmente. Su suo ordine, nel gennaio del 1803 vengono ripristinati i festeggiamenti di capodanno, soppressi in precedenza perché ritenuti contrari al senso civico. Ri torna altresì il carnevale, con i piaceri popolari:
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La piroetta si limitava a tre giri prima di me; Adesso non ha piu limiti: si girerebbe incessantemente, E nulla fermerebbe questa foga circolare, Se si dovesse limitare il piacere popolare w.
Il 20 aprile 1806 si svolge alle Tuileries il primo grande ballo del l’impero, durante il quale si danza il valzer °. Vengono recapitati duemilacinquecento inviti; per evitare la confusione si stabilisce che sia no effettuati contemporaneamente due balli, ognuno dei quali diviso in due parti. All’inizio le quadriglie, poi la danza libera. Durante la prima parte cortigiani e dame ballano alcune quadriglie apprese con cura e provate ripetutamente. Si potrebbe quasi parlare di balletti, composti da passi estremamente complicati; entrechats, jetés-battus, garguillades, flic-flacs, queues du chat... Ogni quadriglia comprende sedici coppie. La prima viene aperta dalla regina Ortensia di Beauharnais, la seconda dalla signora Murat. Napoleone assiste alla prima quadriglia del primo ballo e poi alla seconda quadriglia del secondo ballo. Dopodiché se ne va. Ai duemilacinquecento invitati è concesso ballare il valzer! Per farsi un’idea del lusso, finalmente riesploso, ci li miteremo a citare parte del menù, davvero pantagruelico: «sedici prosciutti, sedici stufati, sedici pàtés, sedici lombate di vitello; nove biscotti savoiardi, nove brioche, nove babà, nove dolci di Compiè gne; dodici portate di cappone al riso, dodici di pernici in salmi, do dici di pernici in insalata, ecc. (in tutto sessanta portate iniziali); ses santa arrosti: pollastre, polli, galline di Campine; duecento entre mets: biancomangiare, gelatine d’arancia e di limone, creme, pastic ceria; settantadue piatti di caramelle; cento di pere, mele e arance; tremila gelati; mille bottiglie di vino di Beaune; cento di champagne, altrettante di bordeaux e di vino da dessert, venti di rum; gassosa, punch, orzata e aranciata »“. Dopo le quadriglie è il turno dei valzer, delle contraddanze e delle gavotte. Tutti questi balli hanno le loro stelle. « Che successo quando quel grand’uomo di Vestri II accettava di ballare! Tuttavia, benché non fosse un professionista, Trénis poteva sostituirlo degnamente. Lo si doveva supplicare a lungo perché prendesse parte a una quadri glia, ma se acconsentiva, la gente si accalcava alle porte per ammirare i suoi ronds de jambes » ". Questi ballerini di quadriglia apprezzavano
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il valzer, quello vero, quello durante il quale la coppia balla abbrac ciata, quel valzer che, secondo il famoso Trénis, «Richiede la fusio ne dei due ballerini e deve scivolare come olio su marmo levigato» Nel «poema epico» testé citato, dove si combinano mitologia e descrizioni di danze contemporanee, punteggiate dei ritratti dei gran di ballerini dell’epoca, Berchoux parla del successo incontrato allora da Trénis e soprattutto del suo atteggiamento fatuo davanti alla folla, ammassata per ammirarlo, e alle donne che, per vederlo meglio, sal gono sulle sedie: Trénis si fece un nome brillante e rispettato. Diceva alle bellezze da cui era circondato: Per vedermi, signore, un buon posto avevate trovato? Avete potuto notare il polpaccio vivace, Il piede provocante e la gamba audace "?
Le guerre diffondono il valzer. Con le guerre napoleoniche, il valzer si propaga in tutta Europa vincendo ogni resistenza. Durante i balli di Monaco del 1810, in una serata, si danzano fino a nove valzer. Il ballo di coppia « si addice alla perfezione a quest’epoca che non è mai sazia di divertimenti, - spiega Max von Boehn. - Questa frenesia della danza, raffigurata in varie ca ricature mordaci, è stata diffusa e trasmessa in tutta l’Europa dagli eserciti francesi»”. Lo stesso autore fornisce un certo numero di aneddoti su fatti avvenuti in Germania in quel periodo. Nel 1806 Friedrich von Raumer organizza alcuni balli a Kónigswursterhaussen; gli osti, incaricati di rifornire gli eserciti di occupa zione, provvedono al mangiare, mentre i francesi pagano le bevande e la musica. Nel dicembre del 1806, soltanto tre mesi dopo la battaglia di Iena, che fece vacillare tragicamente lo stato prussiano, Scharnhorst scrive alla sua famiglia a Konigsberg im Preslau che i balli si sus seguono uno dopo l’altro, e che le regine delle feste sono le figlie dei pastori e degli ufficiali. «Questo non può stupirci, - commenta Boehn, - poiché abbiamo noi stessi sperimentato che qualsiasi tipo di catastrofe è seguita da una ricerca frenetica del piacere»11.
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La cosa più sorprendente di quei tempi è la partecipazione dei bambini ai balli degli adulti. La signora Tallien piange per l’emozione vedendo danzare sua figlia di dodici anni, e altrettanto fa la signora Humbolt, quando si rende conto che le sue piccine di otto e dieci an ni sono ovunque le ballerine più ricercate. Per essere ammessi ai balli parigini bisogna invece avere qualche anno in più»22. Nel 1807, il prezzo d’entrata dei balli mascherati e dei locali da bal lo pubblici di Francoforte viene raddoppiato, nel tentativo di ridurre l’afflusso degli invasori. «Da quando conosco Brunschwig, - scrive Friedrich Karl von Stromberg, - non si era mai vissuto un periodo splendido come quello dell’occupazione francese. I balli si susseguo no uno dopo l’altro. Le donne sono radiose, nei loro abiti più belli, e non sembrano considerare i francesi nemici»25. «I giovani, - osserva poi Justus Gruner a Miinster, - adorano dan zare. Ballano il valzer per ore e ore, in preda a una sorta di trance. Danzano in modo frenetico, travolti da un ritmo infernale» M. A. H. von Lang dichiara inoltre che perfino il maresciallo Davout - chiamato dai tedeschi il «boia di Amburgo» e che aveva, in prece denza, il comando a Ansbach - «era un ometto che non si stancava mai di ballare il valzer... » °.
A ciascuno il suo valzer.
Spinte dall’immenso successo del valzer e probabilmente travolte dal suo vortice tumultuoso, molte persone, che altrimenti non ci avrebbero mai pensato, si mettono a comporre musiche per questo ballo. Colgono l’occasione per scrivere dichiarazioni d’amore, farle stampare e rivolgersi quindi pubblicamente alla donna amata. Senti menti e pensieri sono regolati dal tempo ternario, e quando il tema è amoroso, a seconda dell’umore e dell’ispirazione, l’autore lo mette in musica per orchestra, per piano... o addirittura per chitarra. Pur non avendo un gran valore, sono molte le composizioni che nascono in questa maniera e che servono a provare, se non altro, fino a che punto il valzer abbia colpito gli animi. La smania di comporre spiega anche la nascita di strane opere, forse di natura meramente commerciale.
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Rellstab, editore a Berlino, pubblica ad esempio un Metodo per creare quanti valzer si desiderano, servendosi dei dadi, senza conoscere nulla sulla musica né sulla composizione. L’autore illustra coscienziosamente il suo metodo: «Molto tempo fa Kirnberger stampò un manuale di composizione per minuetti e po lacche, a uso e consumo di chi non conosceva la musica. Questo testo, straordinario nel suo genere, fu a lungo motivo di divertimento e fu seguito da un altro, pubblicato a Wiedeburg, che consentiva di com porre preludi d’organo, per la gioia degli organisti inesperti. Nel 1787, venne stampato un manuale identico per il minuetto e, visto che nes suno ci ha ancora pensato, adesso ne pubblichiamo uno per il valzer. Ecco le istruzioni: 1) Le lettere maiuscole da A a H, che si trovano sulle otto colonne del quadro numerato, indicano le otto misure di ogni parte del valzer. Per esempio, A la prima, B la seconda, C la terza e così via. I numeri delle colonne indicano invece il numero della mi sura nelle note. 2) I numeri da 2 a 12 indicano la somma totale che si può ottenere lanciando entrambi i dadi. 3) Si ricava ad esempio 6 per la prima misura della prima parte del valzer. Ci si riporta allora al 6 della colonna A e nel quadro si trova 148. Scrivendo questa misura si ottiene l’inizio del val zer. Si rilanciano poi i dadi e si ricava, ad esempio, il numero 9. Ci si riporta quindi al numero 9 della colonna B, che nel qua dro della musica corrisponde al numero 84. Per avere la prima parte del valzer, basta riportare questa misura accanto all’altra ripetendo l’operazione otto volte. Si scrive otto bis e si passa alla seconda parte. Per ottenere un valzer più lungo, è suffi ciente ricominciare tutto daccapo, partendo dall’inizio e pro cedendo allo stesso modo...»24.
1 balli vengono regolamentati.
I regolamenti dei balli di questo periodo sono interessanti e signi ficativi sotto vari aspetti. Alcuni paragrafi mettono in guardia contro
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la mancanza di disciplina. Viene sempre richiesto di limitare la durata del valzer a quindici minuti, seguiti da dieci minuti di pausa, dopo due danze. La regola vuole che dopo ogni valzer, o al massimo do po due, si suoni un altro tipo di musica. Tale consuetudine vale per tutti i paesi europei. Klingenbeck cita una serie di balli che si alterna vano al valzer: scozzese, quadriglia, dodici, sedici, conversazione, ter zina, tempesta, kreuz-scozzese, danza delle signore, e così via. I regolamenti avvertono anche che gli spettatori non devono in tralciare i ballerini i quali, a loro volta, non devono creare noie agli spettatori. Naturalmente la musica non deve essere troppo rapida e nessuno, al di fuori del primo ballerino, può battere le mani per indi care l’inizio o la fine del ballo. Un paragrafo che stabilisce che «biso gna regolare gli eventuali incidenti, non nella sala da ballo, ma fuori» permette di dedurre che le liti, o addirittura le risse, non erano infre quenti. È inoltre precisato che, per danzare non si possono mettere gli stivali mentre si devono portare i guanti. A tutti i ballerini viene sempre ricordato il rispetto del regolamento2’. Paradossalmente, malgrado le sciagure della guerra, i festeggia menti proseguono. Il valzer si impone ovunque. « Non c’è da stupirsi se i moralisti arricciavano il naso davanti a questa vera e propria ma nia delle feste», afferma Elzbieta Kowecka citando, a sostegno di tale osservazione, alcuni versi del poeta Kajetan Kormian, scritti nel 1813 : Oh, tu bel sesso, non hai motivo d’esser triste, Tutte le nazioni amano il ballo Il moscovita o il tedesco vuole impadronirsi della nostra terra, Distruggere la nostra lingua e i nostri diritti, ma non si smette di danzare il valzer. Non posso fare a meno di sospirare, quando vedo, tra le polacche, Ballare dei figli, incuranti dell’agonia della loro madrepatria28.
Qualche anno più tardi, Kazimierz rilevava con cinismo che ai po lacchi piaceva ballare sulla loro tomba. Elzbieta Kowecka riferisce inoltre che questa situazione si protrasse anche dopo il 1815. Si rifa in proposito alla testimonianza di Ksawery Prete, secondo cui, verso il 1820, a Putawy, si svolgeva quasi ogni giorno un ballo, talvolta in ma schera. Questi balli venivano ravvivati da pantomime, sciarade e per fino da opere teatrali. Il cronachista Artur Potocki di Cracovia dice di poter fare il resoconto soltanto dei balli particolari, poiché ne vengo-
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no organizzati talmente tanti che gli sarebbe impossibile descriverli tutti”. A Parigi, nel primo decennio dell’Ottocento, le vecchie danze ese guite camminando, come il minuetto, sono completamente cadute nel dimenticatoio, al punto che - con grande stupore di Reichhardts bisogna insegnarne di nuovo le figure, che nessuno ricorda piu”. L’ultimo grande ballo parigino dell’impero è quello del carnevale del 1813. Nel 1814 e nel 1815 «le signore non pensano piu al valzer» (Boulenger), occupate come sono a sostenere gli sforzi della guerra. In questo periodo il centro di gravità del valzer si è già spostato nella zo na di Vienna.
Giraudet, La danse, la tenue cit., p. io. In Le nouveau Parts, citato in La nouvelle histoire de Prance, vol. XXHI, p. 2828, La crise de la République, I’ascension de Bonaparte, 1795-1804. 5 Brano citato da Boulenger, De la walse au tango cit., p. 2. 4 Berchoux, La danse ou la guerre des dieux de l’opéra cit., p. 126. 5 S. Mercier,* Le tableau de Paris, tomo I, p. 381. 6 F. Gasnault, Guinguettes et lorettes, bals publics à Paris au XIX* siede, Paris 1986, p. 14. 7 C. Ruggiéri, Précis historique sur lesfetes, les spectacles et les réjouissances publiquesjusqu'au sacre de Charles X, Paris 1830, pp. 77-107. 9 La nouvelle histoire de France cit., p. 2828, La crise de la République, Iascension de Bonaparte 1795-1804. 9 F. Worms, Le droit despauvres sur les spectacles, thédtres législation, doctrine, jurispru dence, Paris 1900, citato da Gasnault, Guinguettes et lorettes cit., p. 20. Giraudet, nel Traité de danse cit., segnala che questa tassa veniva ancora riscossa nel 1898 ed equivaleva al 9% del le entrate dei balli. w Boulenger, De la walse au tango cit., p. 3. 11 Ibid. “ J.-M. Guilcher, La contredanse et les renouvellements de la danse fran^aise, Paris - Den Haag 1967, p. 174. ° Ch.-H. Millevoye, Oeuvres, 3 voli., Quantin 1880. M Berchoux, Le danse ou la guerre des dieux de l’opéra cit., p. 83. 15 Cfr. La valse à Paris en 1806, in «The Graphic» (24 giugno 1899). 16 Boulenger, De la walse au tango cit., pp. 6-7. 17 Ibid., p. 8. « Ibid. w Berchoux, La danse ou la guerre des dieux de l’opéra cit., p. 87. 20 Boehn, Der Tanz cit., p. 112. 21 Ibid., p. 113. 1 2
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Abbiamo avuto modo di animare alcuni incontri di iniziazione al valzer, riservati agli allievi delle ultime classi delle elementari. Anche ai nostri giorni, tra i bambini di una decina d’anni, si trovano dei provetti ballerini di valzer. Passo riportato da Boehn, Der Tanz cit., p. 113. Ibid. Ibid., p. ET2. Brano riprodotto da Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 32. Ibid., p. 39. E. Kowecka, Wsalonie, Iwkuchni, Opowiesc o kulturze materialnej palacow i dworow polskich w XIX w., p. 172’ Ibid., p. 171. Boehn, Der Tanz cit., p. 113.
Capitolo quinto
Vienna e il Congresso
«Il Congresso balla, ma non va avanti». Talleyrand.
«Per conquistare gradi o titoli, sci ore di danza sono talvolta preferibili a sei campagne».
Napoleone I, citato da Giraudet, La danse, la tenue cit., p. 19.
Se il valzer non è stato inventato a Vienna, questa città ha avuto un ruolo molto importante nella sua storia. Quando il valzer conquista Vienna, la città al centro dell’Europa vive già da parecchio tempo in stretto contatto con la musica e con il ballo. Per secoli i sovrani asbur gici, che hanno conservato rigidamente le gerarchie sociali, erano sta ti i protettori tradizionali delle arti. Il teatro veniva incoraggiato dalla corte purché si limitasse a essere una mera distrazione e non diventas se un trampolino di lancio per le idee sovversive. Lo stesso dicasi per la pittura paesaggistica, la scultura, l’architettura e in particolar modo la musica. La politica interna degli Asburgo può essere condensata in questo principio: la bellezza genera piacere e questo genera serenità. Tutti i grandi centri dell’impero austriaco - Vienna, Praga, Salisbur go, Budapest - sono modellati su questo canone politico, secondo cui la pace della città nasce dalla bellezza. In Austria sopravvive ancora oggi un po’ di quest’atmosfera. E ancora oggi, spesso, la musica e il valzer rappresentano una risposta ai problemi più diversi, anche se l’equilibrio sociale della prima metà dell’ottocento è stato messo in discussione dal pensiero critico. Mentre in Francia e in Germania il valzer è un ballo rivoluzionario che per imporsi deve combattere non soltanto contro il potere della Chiesa, cattolica e protestante, ma anche contro quello politico, a Vienna, paradossalmente, l’integrazione della danza di coppia ha luogo con la complicità della Chiesa cattolica e soprattutto con il so stegno del potere politico. Altrove, viceversa, l’aristocrazia osteggia
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questo ballo indecente. Nel suo diario, la principessa Luisa Radziwill racconta di come due altre principesse del Meclemburgo - la futura regina Luisa e sua sorella - avessero avuto l’ardire di danzare il valzer la notte di Natale del 1794, a un ballo nel castello di Berlino, al cospet to della coppia reale; per la gioia del re, è vero, ma suscitando la più viva indignazione nella regina, che proibì alle sue figlie di imitare le cognate. Da quel giorno, a Berlino, viene vietato il valzer, divieto che varrà anche ai tempi di Guglielmo IL Chi danza il valzer è escluso dai balli di corte. Allo stesso modo, per essere ammessa alla corte di Pie troburgo, questa danza dovrà aspettare la morte di Caterina I. Soltan to nel 1798 il ballo proibito sarà introdotto dalla principessa Anna Lapuchin, amante di Paolo I '.
Dolce Vienna. A Vienna, invece, all’inizio dell’ottocento, la musica riecheggia ovunque. Eduard Bauernfeld, un osservatore dell’epoca, ci informa che: «Ogni angolo è pieno di musicisti che suonano per la gente. Nes suno vuole mangiare il Bratl all’osteria se non c’è un po’ di musica»2. Ogni domenica, nelle chiese, si odono poi nuove «opere per gli ange li » (Mozart). Le musiche di Haydn, Schubert e Mozart vengono suo nate sia all’interno sia all’esterno delle chiese; il clero non si oppone affatto a questa mescolanza di religiosità e di piacere profano. Gli stessi monasteri possiedono i vigneti più rinomati e taverne dove si vendono i loro prodotti. Per questo, forse, il cattolicesimo austriaco è stato risparmiato dalla nozione puritana di peccato o dagli eccessi della Riforma e della Controriforma: Vienna è uno dei pochissimi luòghi in cui la religióne non entra mai in conflitto con il vino, le don ne e le canzoni. I viennesi sono del resto poco portati per la filosofia e le idee astratte e vivono quella «Gemiitlichkeit», tipico prodotto del la bonarietà locale. Una simile atmosfera nasce dall’equilibrio dovuto alla relativa agiatezza della città, dove ovviamente esiste la povertà, ma non la mi seria più nera. Ciò che accade a Parigi, a partire dal 1789, non ha alcu na ripercussione a Vienna, dove tutti possono mangiare, bere vino o birra, ascoltare musica. Il valzer conquista i viennesi in modo del tut-
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to naturale e al punto tale che, nel 1787, questi abbandonano Le nozze di Figaro di Mozart per andare ad applaudire l’opera dello spagnolo Vincent, Una cosa rara, dove si balla un valzer. I viennesi si lanciano dunque a capofitto nella danza di coppia in tempo ternario, senza ri mettere in causa la loro tradizione culturale. Del resto, dalle loro par ti, il làndler è di moda da un bel pezzo. Ballato inizialmente all’aperto o sul pavimento rustico delle osterie di paese, è caratterizzato da un tempo ternario che è poi l’equivalente del ritmo del valzer. Quando viene introdotto nelle sale da ballo, subisce però una leggera modifi cazione che gli conferisce tutto il suo fascino: una lieve accentuazione della prima misura, a discapito della seconda, gli permette di realizza re un’armonia nuovissima, capace di esprimere l’estasi e il trasporto. Questa piccola variazione rappresenta il punto di partenza per la creazione di melodie più delicate. Grazie al ritmo più rapido, il valzer acquista quel carattere passionale che, nel 1800, indusse uno scono sciuto a scrivere al riguardo: «Immagino due innamorati ebbri di gioia»’. Il fatto che Vienna diventi istituzionalmente «la capitale eu ropea» del valzer è quindi dovuto alla convergenza di vari fattori tra cui: un’atmosfera religiosa e politica favorevole, uno sviluppo delle sale da ballo su scala imprenditoriale e, per finire, un contesto musi cale che permette alla dinastia degli Strauss di emergere ’. In effetti, con il nuovo secolo, la borghesia viennese subisce una profonda trasformazione, «trasformazione che, come molti altri cambiamenti nella sua storia, parte da Parigi»5. Come osserva Hein rich Eduard Jacob, Strauss nasce proprio quando in Europa si entra nel periodo che gli storici chiamano Impero. Questi dieci anni segna no i contemporanei, anche se vivono lontano da Parigi. Nel momento in cui Strauss, all’età di dieci anni, inizia a suonare nell’orchestra Pramer, i mecenati di sangue blu del Settecento cominciano a perdere i loro privilegi. Sarà ormai la borghesia a patrocinare le arti e la musica. E la nuova borghesia napoleonica influenza quella viennese*.
Il parquet francese. Nel 1805 l’Austria è in pessimi rapporti con la Francia. I suoi eser citi sono stati da poco sconfitti a Ulm e Austerlitz. La capitale è stata
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addirittura occupata. Tuttavia, già qualche mese più tardi, i viennesi sono di ottimo umore: sono riusciti a negoziare un trattato di pace. La guerra, per nulla popolare a Vienna, è così evitata. Proprio in questo contesto, i viennesi si lasciano prendere dalla smania di divertimenti che consente loro di dimenticare l’amarezza della sconfìtta. Le salette fumose, in cui si ballava ai tempi di Giuseppe II, risultano troppo esi gue e troppo tristi; e visto che la borghesia si è arricchita, per non dire ingrassata, alcuni audaci speculatori danno vita a locali da ballo favo losi, vere e proprie fabbriche di piacere: vengono così creati locali ti picamente viennesi, ma che imitano in modo lampante il nuovo lusso parigino. In effetti già nel 1805, Jean Beaucousin - un ristoratore lionese stabilitosi a Vienna - trasforma la Sala del Chiaro di Luna per adattarla al gusto della capitale francese. L’anno successivo, un altro francese, Pierre Meunier, apre il Ballo del Nuovo Mondo, un palaz zo, illuminato a giorno da lampadari e lampade fissate alle pareti, con il pavimento rivestito di parquet. Il parquet rappresenta un’innova zione importantissima: a Vienna, fino ad allora si ballava il valzer sal tellando, e quindi conformemente agli usi contadini. Da quel mo mento è possibile danzarlo scivolando su una pista luccicante ’. In questo periodò nasce anche la terza grande sala della città, la birreria Speri, che conquista la notorietà un po’ piu tardi rispetto alle altre due, e che scrittura l’orchestra Pramer, dove esordisce Johann Strauss. Ma è l’Apollo, con il suo fasto e il suo splendore, che segna il passaggio, a Vienna, dallo stile di danza rurale a quello urbano. Il lo cale viene fondato da Sigmund Wolfsohn, un medico inglese nato a Londra nel 1767 e approdato a Vienna nel 1797, dove apre un labora torio di protesi. La produzione di « arti articolati» in tempo di guerra gli permette di arricchirsi rapidamente. In seguito investe i soldi nell’Apollo, che diventa uno dei templi della danza. Il locale si sviluppa attorno a una sala da pranzo di un lusso sfrenato (le stoviglie sono tut te d’argento), che comprende più di un centinaio di tavoli. È anche provvisto di un magnifico giardino, con parecchi gazebo, e soprattut to di un’immensa sala da ballo. I borghesi viennesi, fino ad allora abi tuati ai costumi austeri di Maria Teresa, fanno la coda, sbalorditi, per ammirare tutte queste meraviglie. Nemmeno Parigi può vantare una simile attrazione. Vienna, ormai, vive soltanto per divertirsi.
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Nel 1809 Napoleone invade l’Austria e, dopo la vittoria di Wa gram, va ad acquartierarsi alle porte della capitale. Il corrispondente di un giornale tedesco calcola che circa cinquantamila persone si ri versano ogni sera negli innumerevoli locali da ballo, la cui gamma va dal famoso Apollo alle più umili balere di periferia. In quell’epoca, il numero degli abitanti di Vienna ammonta a malapena a duecentomi la; ciò significa che un viennese su quattro è impegnato a danzare! Nonostante la catastrofe la gente non si abbatte: riserva una buona accoglienza all’«orco corso», lo riceve come un invitato. In cambio, l’imperatore si mostra pieno di riguardi nei confronti dei viennesi, che sa sedurre grazie al suo gusto per la musica ad esempio, fa appo stare una guardia d’onore davanti alla casa di Haydn, allora ottantenne. Nel i8n, una brusca svalutazione, legata alle spese di guerra, pro voca il fallimento dell’Apollo e di parecchi altri locali. Tuttavia l’e sempio di uomini come Beaucousin, Meunier, Wolfsohn consentirà lo sviluppo dello spirito imprenditoriale e farà entrare il capitalismo nel mondo della musica e della danza. Ormai «il proprietario di una sala da ballo è anche il proprietario della sua clientela, cosa che gli permette di dare ordini ai direttori d’orchestra e perfino ai composi tori, proprio come i principi del Settecento comandavano i loro musi cisti»’. Soltanto valutando correttamente l’importanza di questo fe nomeno è possibile capire l’opera di Strauss e la storia della sua vita.
Arie molto romantiche.
Durante i cinque mesi del Congresso di Vienna, la città ritrova lo splendore perduto ai tempi della svalutazione del i8n. Più di centomila stranieri invadono la capitale austriaca, fieri di celebrare il trion fo ottenuto su Napoleone. H congresso è scandito da un susseguirsi ininterrotto di feste popolari, sfilate militari e banchetti. Il popolino deve però stringere la cinghia perché la presenza di tanti imperatori, re e signorotti scatena un aumento dei prezzi, come accade ai nostri giorni nelle località turistiche. Quanti partecipano al Congresso dividono il loro tempo fra la spartizione dell’Europa e i balli. «Il Congresso non marcia, danza»,
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si sente dire. Comunque, nonostante i discorsi e le prese di posizione, tutte quelle teste coronate non ripristinano le norme prerivoluziona rie, come si proponevano invece di fare. Anzi, il congresso del 1815 rappresenta, in un certo senso, il riconoscimento ufficiale a livello eu ropeo dei valori rivoluzionari già filtrati dal regime napoleonico. La danza stessa costituisce il termometro di questa evoluzione. A Vien na, non torna ad affermarsi il minuetto, ma viene adottato il nuovo ballo borghese, frutto dell’elaborazione di pratiche corporee, conte statrici e provocatorie, del volgo europeo: quello stesso valzer che gli eserciti napoleonici avevano diffuso in tutta Europa. Anche i nobili piu refrattari alla, nuova danza finiscono col cedere. Così succede a Lord Caslereagh, primo ministro degli Affari Esteri inglesi, che rendendosi conto di non potersi esimere dal ballare il valzer, non soltanto prende qualche lezione, ma si esercita a volteggiare anche abbracciando una sedia, visto che sua moglie si ostina a rifiutare que sta danza". Dal punto di vista musicale, non restano tracce dei motivi suonati in questo periodo. Sembra proprio che il ballo avesse il sopravvento sulla musica. I pezzi suonati sono di «una piattezza stupefacente, as solutamente privi di nuovi spunti, imprigionati in una banalità gre ve» 11. Il Congresso comunque, pur non avendo creato nulla di nuovo in campo musicale, continua a ballare il valzer dalla mattina alla sera, nel fasto e nel lusso. Il ritmo in tempo ternario diventa una specie di insipido ritornello, con misure sempre identiche, una prima nota ac centata e le altre due più deboli. «Bum, ciuf ciuf, bum, ciuf ciuf»: la ripetitività è imperante. Personaggi come Hofrichter, Preissinger, Diabelli, che compongono questi brani, si preoccupano innanzi tutto di fornire il ritmo ai ballerini. Come a Parigi - a dispetto della tradi zione viennese - la musica dei valzer ai tempi del Congresso è essen zialmente popolare e parzialmente volgare, rappresentando una ca duta di stile rispetto ai meravigliosi minuetti ideati da musicisti del ca libro di Gluck, Rameau, Lulli, Mozart, Haydn o Beethoven. Fra i grandi compositori viennesi, nessuno si è azzardato a scrivere veri e propri valzer, tranne Schubert. In genere i musicisti viennesi preferi scono usare il termine « Deutsch », oppure - ma più raramente - si servono di nomi francesi, intitolando ad esempio le loro composizio
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ni: Vaises sentimentales, Hommages aux belles Viennoises, Vaises no bles, come ricorda Klingenbeck Può darsi che i nomi francesi siano giustificati dalle origini stesse di questa danza; comunque sia, questi titoli sembrano destinati a evocare un’atmosfera romantica più che a invitare esplicitamente al ballo. Ciò non toglie che questi valzer siano deliziosi e che a Vienna tutti si divertano a canticchiarli. I conoscitori si incantano di fronte ai loro repentini mutamenti di tono, dal mag giore al minore - o viceversa -, spesso contemplati nella medesima misura. Ma per danzare il valzer, queste melodie risultano troppo pa cate. La musica è troppo grave, troppo solenne per essere davvero ballabile. «La malinconia poetica, i fremiti autunnali, le delicate tinte da bosco incantato dei valzer di Schubert invitano a fantasticare, piuttosto che a volteggiare» “.
Il Congresso balla il valzer. Ai tempi del Congresso di Vienna, la danza riveste una grandissi ma importanza. I nobili europei sono ben decisi a riprendere al popo lo tutte le libertà che ha conquistato dal 1789; ma al tempo stesso, bal lando il valzer, assaporano il piacere di trasgredire alle regole della lo ro classe. Ne deriva un atteggiamento democratico di facciata, che pa re abolire le distinzioni fra le categorie sociali. Il popolo europeo, me ravigliato, applaude a più non posso. A Vienna, l’aristocrazia europea si adatta allo stile di vita borghese: il re Massimiliano Giuseppe di Ba viera, a cena con amici in una grande birreria, si accorge di aver di menticato i soldi e fa aspettare il caposala che gli presenta ugualmente il conto, per la gioia dei clienti dei tavoli vicini e con suo grande imba razzo... Lo zar e il re della Danimarca che vengono urtati dalla gente, come semplici borghesi, finché si recano all’Apollo, non protestano nemmeno. Nelle locande e nelle sale da ballo, stanno gomito a gomito sovrani, giornalisti, banchieri, spie, vecchi nobili e intriganti. L’unio ne di queste persone eterogenee si compie grazie al valzer. Una volta qualcuno prova a suonare un minuetto: il conte francese di La Garde vuol far rivivere all’aristocrazia « la bellezza severa di questa danza de gna delle tradizioni antiche». Balla con una principessa tedesca; il
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pubblico lo guarda, lo applaude, nessuno però segue il suo esempio; è chiaro che il minuetto non corrisponde più allo spirito del tempo. Lo stesso conte di La Garde ci ha lasciato del resto alcune pagine molto belle sul valzer, all’epoca del congresso di Vienna. Nel brano che segue ci racconta di una serata al palazzo imperiale: «Dopo la partenza dei sovrani le orchestre si misero a eseguire qualche valzer. Parve subito che una scossa elettrica colpisse la massa dei presenti [...] Non appena cominciano a riecheggiare le prime misure i visi si il luminano, gli occhi si animano, un fremito percorre tutti gli astanti. I vortici leggiadri si organizzano, si mettono in moto, si incrociano, si superano, mentre gli spettatori costretti dagli anni a restare immobili, battono il tempo, partecipando con il pensiero e il ricordo al piacere che viene loro negato. Bisognava vederle, quelle donne magnifiche, tutte scintillanti di diamanti e fiori, trasportate da quell’irresistibile armonia, chine sul braccio dei loro cavalieri, e simili a brillanti meteo re. Bisognava vedere la seta luccicante e la garza leggera dei loro abiti assecondare i movimenti e creare figure ondulate piene di grazia. Bi sognava vedere, infine, quella sorta di gioia estatica impressa sui loro volti, quando la stanchezza le obbligava a lasciare le sfere aeree per andare a chiedere nuove, forze alla terra» M. La sera del 7 marzo 1815, un corriere porta la notizia della fuga di Napoleone, proprio nel bel mezzo di un valzer sfrenato. Il ballo si svolge nel palazzo Metternich. L’annuncio colpisce i ballerini come un fulmine a ciel sereno: «È tornato in Francia ! » L’orchestra prova a continuare a suonare, ma non è il momento: le coppie restano immo bili. Lo zar si avvicina a Talleyrand: «Glielo avevo detto, vero, che non sarebbe durata a lungo? » L’ambasciatore francese si inchina. Il re di Prussia esce con Wellington, lo seguono lo zar, l’imperatore au striaco, Metternich... Napoleone vive l’avventura dei Cento Giorni. E a centinaia di leghe da Vienna, nella pianura insanguinata di Water loo, migliaia di bocche da fuoco tuonano, scandendo il ritmo dell’ul timo valzer del Congresso. Napoleone viene definitivamente sconfit to dall’Inghilterra; per l’impero è proprio la fine. Il Congresso di Vienna ridisegna i nuovi confini dell’Europa. Al tempo stesso si trasforma però in un enorme corso di ballo, della du rata di cinque mesi, e rappresenta lo strumento di istituzionalizzazio
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ne del valzer in tutti i paesi europei. Dopo questa grande festa della danza, diventa davvero impossibile rifiutare l’ingresso di questo ballo popolare negli ambienti piu aristocratici. I partecipanti al Congresso di Vienna sono senza dubbio i nuovi propagatori del «virus»: diffon deranno il valzer ovunque, accelerandone l’avanzata.
Strauss contro Lanner.
In questa Vienna - con una politica interna ritmata da musica e balli, e con un ruolo determinante nella politica internazionale - ini zia allora l’epopea di una famiglia il cui nome è legato alla storia stessa del valzer: quella degli Strauss. Johann Strauss, nato il 14 marzo 1804, è figlio di un taverniere che serve birra ai barcaioli e al popolino nei sobborghi della città. Il padre scompare nel Danubio quando Johann ha soltanto un anno; forse si tratta di un incidente, forse di un suici dio. Ad ogni modo la vedova non aspetta a lungo per risposarsi con un altro oste. H bambino cresce in un’atmosfera popolare che non di menticherà. A cinque anni riesce a farsi regalare dal patrigno un violi no di Berchtesgaden, uno strumento a buon mercato, su cui impara a suonare in fretta tutti i motivetti popolari, le marce e le tirolesi. La musica è la sua vita. I suoi maestri hanno difficoltà a interessarlo agli studi. Un giorno il direttore della scuola lo sorprende a suonare un valzer. Convinto del talento dell’alunno, va a parlare con i suoi geni tori i quali però non sono favorevoli al fatto che il ragazzo prenda questa strada. Nel loro localino, il Buon Pastore, vedono passare vio linisti ambulanti, coperti di stracci, disposti a suonare tutto un pome riggio in cambio di un piatto di carne; non è certo quella la carriera che desiderano per il figlio. Golder, il patrigno di Johann, lo sistema come apprendista da un amico, il rilegatore Lichtscheild; ma il bam bino trova insopportabile l’odore della colla. Un bel mattino scappa portandosi appresso il suo amato strumento. Fugge sul monte Calvo e si addormenta sull’erba. Il caso vuole che il giorno dopo lo scovi Polischansky, un musicista che conosce bene suo padre. Grazie al suo intervento, Johann può dedicarsi esclusivamente al violino. Prende lezioni da Polischansky e riesce a farsi ingaggiare nell’or
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chestra di Pramer, un ubriacone irascibile che ha il genio della musica da ballo. Un giorno il direttore annuncia che l’orchestra lascia la Pera d’oro, dove di solito si esibisce, per trasferirsi da Speri, la famosa bir reria frequentata da borghesi. Tra i musicisti c’è anche un certo ban ner che diventa amico di Johann. Questi lascia Pramer nel 1818, stan co dei suoi accessi di collera, e crea una sua orchestra assieme ai fra telli Drahanek, cecoslovacchi. Nel i8r9, i tre violinisti incontrano Jo hann che, a sua volta, desidera lasciare Pramer. Gli propongono di unirsi a loro. Johann inizia allora la sua carriera nel quartetto, passan do a raccogliere i soldi, dopo ogni pezzo eseguito dal nuovo gruppo. I quattro amici vivono per la musica. A differenza del virtuoso Hum mel, compositore di fiducia dell’Apollo, che lascia un bel gruzzolo in eredità, Strauss e Lanner vivono alla giornata e non si preoccupano di ammucchiare denaro. Si esibiscono in diverse osterie: la Taverna fiamminga, il Cervo rosso, l’Appuntamento del ponte sospeso. Lanner e Strauss dividono la stessa camera. Nel 1821, hanno ormai raggiunto una certa popolari tà e progettano di ingrandirsi. Lanner fonda un’orchestra con dodici esecutori; Strauss, primo violino, ne diventa il vicedirettore. Otten gono un primo ingaggio al Gallo fiammeggiante, frequentato dalla buona società, soprattutto da ufficiali della guardia ungherese. La qualità della loro musica ne guadagna. Il pubblico, abituato alle ope re di Mozart, Schubert e Beethoven, non può essere deluso. I due musicisti, pur non conoscendo le regole della composizione, hanno un intuito innato. Lanner vuole scrivere una musica che rifletta tutto ciò che amano i viennesi: il vino, le belle ragazze, le nubi bianche nel cielo azzurro. Compone così il suo primo valzer, ispirandosi alIaSréfonia pastorale di Beethoven. Lanner trova un maestro in Weber. In effetti nel 1819 il direttore del teatro dell’opera di Dresda scrive il suo celebre Invito alla danza. Si tratta di una musica rivoluzionaria poiché introduce il ritmo del valzer in una vera e propria sinfonia per pianoforte, che si adatta per fettamente alle esigenze dei ballerini. Il valzer è promosso per la pri ma volta al rango di opera d’arte. La profonda originalità e l’ispirazio ne travolgente di Weber non possono non fare scuola; a Lanner del resto non mancano le idee. Egli trasporta nella sua musica il tono del
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le canzoni della periferia in cui è cresciuto. È sentimentale, mentre Strauss è più vigoroso e impone i suoi bruschi attacchi, la sua cavata violenta e assieme sensuale. Alla sollecitazione delicata di Lanner, ri sponde il ritmo imperioso di Strauss. Lanner ha un grande successo con gli editori, vantaggio di cui i suoi predecessori non avevano bene ficiato. I suoi primi valzer vengono stampati da Diabelli, quelli suc cessivi da Haslinger. La pubblicazione consente una più rapida diffusione dei valzer e il compositore si trova presto nell’impossibilità di soddisfare tutte le ri chieste: deve cosi rassegnarsi a dividere in due l’orchestra. Strauss as sume la direzione del secondo gruppo, Lanner continua a comporre per entrambe le orchestre, fino al giorno in cui, malato, chiede a Jo hann di scrivergli un valzer. In questo periodo succede di frequente che i manifesti, che annunciano un nuovo valzer di Lanner, vengano affìssi ancor prima che ne sia stata scritta la musica. I musicisti lavora no a orchestrare il tema senza che questo sia stato portato a termine e contemporaneamente i copisti riscrivono gli spartiti. L’orchestra di Lanner è diventata una sorta di piccola industria. Una sera, insomma, l’orchestra si trova a eseguire un «valzer di Lanner» scritto da Strauss. La stessa situazione si ripete nei mesi successivi e finisce col provocare un malinteso e poi una lite fra i due amici. La rottura vio lenta avviene nel 1825, alla conclusione di un ballo. Lanner e Strauss si scambiano parole pesanti mentre i musicisti si schierano con l’uno o con l’altro. Scoppia una rissa a colpi di strumenti. Di ritorno a casa, Lanner, ferito negli affetti, compone il Valzer della separazione. Quattordici dei migliori musicisti di Lanner seguono Johann. Al di là delle tensioni con l’amico, Strauss crea la propria orchestra per ché ha bisogno di soldi: vuole infatti sposarsi con Anna Steim, figlia del locandiere del Gallo fiammeggiante. Anna, che aspetta già un bambino, ha origini spagnole, capelli scuri come lui, una natura ro mantica e suona la chitarra. Johann, che diventa padre a ventun’anni, compone un valzer dopo l’altro per provvedere al mantenimento del la famiglia. Lanner resta più popolare di lui soltanto per qualche tem po. Nei valzer di Strauss il primo violino ha sempre il ruolo più im portante. La sua musica, che si basa sul quartetto d’archi, contrasta sia con quella eseguita in Francia all’epoca della Rivoluzione - quan
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do predominano gli strumenti a fiato (corni) - sia con quella delle ti rolesi austriache del Settecento, suonate da oboi e cornamuse. Il violino è più adatto al passo scivolato sul parquet, mentre gli stru menti a fiato, dal suono grave, si addicono piuttosto a un valzer con movimenti meno regolari, danzato su terra battuta. Il genere saltato non è del resto caduto completamente in disuso: è ancora vivo nei balli campestri in Austria o in Francia, durante i quali si esibiscono orchestre di strumenti a fiato, che sopravviveranno lungo tutto l’Ottocento. Tuttavia Strauss è influenzato anche dalla tradizione zigana, quel la dei traghettatori del Danubio, sulle cui barche si suona il violino. Johann non ha difficoltà a raggiungere il successo: gli editori, il pub blico, gli organizzatori dei balli si contendono le sue composizioni. Eduard Hanslick, il miglior critico di quei tempi, si rende conto del rischio che corre un giovane musicista, costretto a creare un valzer dopo l’altro: «Un ballo completo richiede, oltre all’introduzione e al finale, cinque valzer e quindi cinque nuovi temi. Nemmeno l’ispira zione più feconda potrebbe resistere all’infinito a uno sfruttamento simile» Per sottrarsi a questo pericolo, Strauss impara la composizione, la strumentazione e il contrappunto da un amico di Beethoven. In que sto modo colma le sue lacune teoriche e riesce a liberare il valzer dal modello ereditato da Lanner, fino ad allora dominante, che prevede la ripetizione di due temi di otto misure con due misure di transizio ne. Strauss dà a ogni valzer una fisionomia specifica. Se conserva la misura a tempo ternario, ne maschera la ripetitività grazie a fantasie di scrittura: introduce trilli in posti imprevisti, sincopi tipiche della grande musica, pizzicati e arpeggi che conferiscono una maggiore espressività alle sue opere. Ispirandosi a Weber, alterna frasi e risolu zioni. Vuole eliminare la noia, la monotonia del ritmo ternario. Il ri sultato di questo tipo di lavoro è duplice: da un lato libera il valzer sia dal suo carattere ripetitivo sia dalla trance - spesso favorita proprio dalla natura ripetitiva della musica dall’altro lo fa entrare a pieno ti tolo nella grande musica. Strauss e Lanner si dimostrano estremamente fecondi e la loro rivalità permette a Vienna di diventare uno dei luoghi privilegiati dell’istituzionalizzazione musicale del valzer.
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Il re Strauss. Nel 1829 Lanner suona in pubblico tutte le sere della settimana, senza parlare dei ricevimenti privati. A quanto afferma Fritz Lange, il suo biografo, beve moltissimo. Strauss, invece, vive in modo estremamente sobrio. I due musicisti si dividono i favori di Vienna e la stam pa partecipa allo scontro. Anche se oggi Strauss è più famoso, Lan ner, finché fu in vita, fu attorniato da sostenitori di una fedeltà incon dizionata. Nel 1830, Strauss dispone di duecento musicisti, con cui compone le orchestre che gli vengono via via richieste. Attacca Lan ner su più fronti simultaneamente. Visto che l’ex amico dirige i balli dell’imperatore, Johann si insedia allo Speri. Ancora una volta i vien nesi si spaccano in due. In Reise durch dasBiedermeier, Heinrich Laube, cronachista tedesco in visita alla città, ci fornisce una lunga descri zione, entusiasta ma precisa, del genio di Strauss. La si trova citata in parecchie biografie del musicista, e ci permettiamo di riprodurla in parte perché costituisce uno spaccato di vita quotidiana viennese, che risale proprio al periodo in cui in Francia sta per scoppiare la rivolu zione del 1830: « Quest’artista, nero come un moro, detiene un potere fra i più in quietanti: può ritenersi fortunato di essere ‘soltanto’ un musicista. Nella musica si può trovare tutto ciò che si desidera, la censura meti colosa è ridotta all’impotenza di fronte al valzer che fa leva sui senti menti in maniera diretta e non tramite il pensiero. A Strauss, insom ma, si addice l’accattivante - seppur strano - modo di dire, secondo cui è possibile che un uomo sia un genio della musica e al tempo stes so un perfetto imbecille. Cosa che, a mio avviso, non è un insulto, ma anzi, un complimento. Ignoro se, al di fuori della musica, Strauss ab bia una qualche conoscenza in qualunque campo, so però che sareb be in grado di provocare una catastrofe se, ad esempio, volesse spro nare la gente a seguire le idee di Jean Jacques Rousseau: in una sola se ra i viennesi realizzerebbero l’intero Contratto sociale [...] Non bisogna tuttavia dimenticare che la sensibilità austriaca non è mai volgare; è ingenua, poco portata al vizio. A Vienna il desiderio
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non è il primo passo verso il peccato; ci si limita a guardare il frutto proibito, senza però mangiarlo. Tra la folla variopinta, le ragazze, sorridenti e provocanti, si diver tono a spingere i giovanotti. Il loro fiato caldo aleggia attorno allo straniero grave quale sono, e ho l’impressione di respirare il profumo inebriante dei fiori del sud. Mi ritrovo in mezzo alla mischia, tirato, trascinato, strattonato. Qui non viene in mente a nessuno di scusarsi; da Speri non ci si scusa. Finalmente iniziano i preparativi della danza vera e propria. Per tenere il pubblico a una distanza ragionevole, gli addetti tirano una corda destinata a separare il centro della sala dai ballerini, che compi ranno in cerchio le loro evoluzioni. Barriera incerta ed elastica. Il mo vimento dei ballerini si distingue soltanto grazie all’ondeggiare armo nioso delle teste. Lanciate nel baccanale, le coppie trascinano nella corsa frenetica tutti gli ostacoli che il caso ha voluto mettere sulla loro strada. Nulla può fermarle, nemmeno il caldo fluttuante che sembra scendere a ondate grevi dall’alto del palco. È inconfondibile soprattutto l’attacco della danza. Strauss dà ini zio al preludio, ardente, fremente, tragico come la gioia quando è an cora segnata dai dolori del parto. I viennesi stringono al petto le da me, le avvolgono con il braccio; le coppie cominciano a cullarsi rima nendo ferme sul posto e entrano a poco a poco in sintonia con il ritmo del valzer. Per un po’ si sente ancora nelle note una sorta di canto se ducente e melodioso. Poi, a un tratto, esplode il trillo trionfante. È l’avvio del valzer, che irrompe a un ritmo vertiginoso, travolgendo qualsiasi cosa incontri sul suo passaggio. Le coppie, finalmente libe re, si precipitano nel vortice della danza. [...] Non mi è mai capitato di assistere a qualche eccesso. Perché in questa amena città, la gente non conosce l’acquavite, maledizione dei paesi nordici. Conosce soltanto l’ebbrezza del ballo, ebbrezza che non ha niente di degradante. Il vino leggero dei vigneti austriaci si li mita a stimolare i sensi, ma senza esasperarli; e se in genere i viennesi hanno un appetito forte, si mostrano però abbastanza morigerati nel bere. La festa dura fino all’alba. Dopodiché Johann Strauss, l’idolo au striaco, si prende il violino sotto il braccio e se ne torna a casa, innanzi
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tutto per dormire qualche ora e poi per elaborare nuovi piani di bat taglia, inventare nuovi temi di valzer. E le coppie, ancora accaldate per la danza, uscendo, trovano ad aspettarle l’aria fresca e pungente del mattino... » Heinrich Eduard Jacob osserva che questa descrizione si ispira ai Quadri di viaggio di Henrich Heine. Ormai Strauss ha fatto dimenti care agli austriaci i grandi nomi della musica classica, scomparsi da poco. Occupa tutta la scena. Ha per amici Schumann e Mendelssohn. Conquista perfino Wagner, che incontra nel 1832. Vienna, anche se colpita dal colera, non smette di ballare. Wagner è esterrefatto, ve dendo la «folla letteralmente infiammata da Strauss ». Fornisce una testimonianza che permette di immaginare il movimento che Johann imprime al valzer, affievolendone l’aspetto di trance a vantaggio della qualità musicale. In Strauss, egli riscontra in effetti «un’emozione che, a ogni pezzo, nasce grazie a un atto di volontà, mirato a ottenere il parossismo. Questo demone della musica popolare viennese trema all’inizio di un nuovo valzer, come se entrasse in trance. Il vero e pro prio barrito che emette il pubblico, ebbro di musica più che di alcol, porta il coinvolgimento passionale del virtuoso Strauss a un livello an gosciante È a partire dal 1830 che Strauss occupa l’intera scena musicale viennese, facendo cadere nel dimenticatoio Mozart e Beethoven. Tuttavia si trova ancora diviso fra due culture: quella popolare e quel la classica. Quella classica perché continua a migliorare la qualità del la sua musica; quella popolare perché non rinnega le sue origini e non rinuncia a organizzare, nel corso di tutti i suoi balli, divertimenti che vanno dai fuochi d’artificio ad attrazioni che rasentano talora la vol garità. Una volta arriva perfino a ingaggiare un imitatore delle cantan ti liriche... Wagner, ancor più che dalla musica di Strauss, è sorpreso dal fe nomeno sociale che scatena. H musicista è infatti capace di comunica re la trance a un’intera pianura, come risulta dalla testimonianza di un osservatore, presente la sera della festa di santa Brigitta, cui parteci pano quarantamila persone: «Sotto l’immensa luna, grappoli di lam pioncini collegavano i tendoni di frasche. Tutto il paesaggio sembra va partecipare all’ampio movimento rotatorio. Il turbinio non investi
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va soltanto le assi delle piste da ballo, le tende, le baracche, ma varca va colline e valli, trascinando nel suo folle valzer alberi e arbusti. Una festa allucinante - una festa da pellerossa! »
Il valzer viennese conquista l’Europa. Alla fine del 1834 Strauss, i cui spartiti sono ormai conosciuti in tutta Europa, viene invitato a Berlino, città che, come in passato, col tiva una certa rivalità con Vienna. Questa prova spaventa quindi un po’ il musicista, che fino a questo momento, eccettuato un viaggio a Budapest, è sempre rimasto nella capitale austriaca. Timori infonda ti, poiché il viaggio a Berlino si risolve in un successo. Al ritorno suo na a Lipsia, Dresda e Praga - dove scopre la polca - ricevendo ovun que un’ottima accoglienza. Questo lo spinge, nel 1835, a programmare una tournée nella Ger mania sud-occidentale. Si reca a Monaco, Augusta, Stoccarda, Wie sbaden, Heidelberg e Francoforte, trionfando ovunque. Nel 1836 si esibisce a Lipsia, Magdeburgo, Brunswick, Hannover, Amburgo, Brema, Amsterdam, L’Aia, Liegi e Bruxelles. A quel punto la Germa nia è totalmente conquistata dal valzer, di cui Strauss è l’apostolo. Questo ballo viene praticato moltissimo negli anni fra il 1830 e il 1840, perché è considerato al tempo stesso borghese e romantico. L’epoca romantica è caratterizzata da un’aspirazione verso l’infinito e il movi mento del valzer lo evoca. In matematica l’infinito è rappresentato da un otto coricato, un duplice anello che si avvolge su sé stesso e in sé stesso. Quale simbolo migliore per il valzer che costituisce una conti nua variazione attorno al cerchio, al cilindro, alla sfera... Il senso di vertigine che comporta questa rotazione - e che è forse responsabile dell’ostracismo riservato a tale ballo dalla «buona società» - è in per fetta sintonia con l’ebbrezza romantica. Al tempo stesso, però, il val zer è una danza in cui la coppia emerge come soggetto in contrasto con ciò che è irrazionale e infinito. Per questo motivo i borghesi, con i loro valori nascenti, trovano nel movimento del valzer - in cui un uo mo si appoggia a una donna e una donna si appoggia a un uomo, lot tando alla continua ricerca dell’equilibrio - il simbolo della battaglia
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della loro epoca, che si sforza di mantenere una rotta in mezzo alle turbolenze dello sviluppo del capitalismo. Il valzer è ebbrezza, ma ebbrezza dominata da quella nuova entità sociale che è la coppia. H valzer ha trovato a Vienna un maestro, che ha entusiasmato an che la Germania. Adesso rimane da conquistare il resto dell’Europa, dove peraltro questo ballo continua a guadagnare terreno.
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Boehn, Der Tanz cit., p. ni. Passo citato da H. Fantei, Les Strauss, rois de la valse, Paris 1973, p. 17. Citato da Klingenbeck, Unsterblicher Walzer cit., p. 41. Per quanto concerne i documenti relativi a Vienna e alla dinastia degli Strauss, abbiamo con sultato- soprattutto a Vienna - una lunga bibliografìa, riportata alla fine del volume. Nella presente opera ci rifacciamo essenzialmente a tre libri: M. Carnet, The Waltz, London - New York 1948; H. Fantei, Les Strauss cit.; e in particolar modo H. E. Jacob, Les Strauss et l’histoire de la valse, Paris 1955. Per evitare di appesantire il testo, segnaleremo la fonte soltanto quando riporta fatti specifici: moltissimi aneddoti vengono infatti ripresi da tutti gli autori. Jacob, Les Strauss cit., p. 13. Ibid., p. 14. Ibid., p. 15. Nel 1810 Napoleone si risposa con Maria Luisa, arciduchessa d’Austria. Jacob, Les Strauss cit., p. 18. Frase citata in C. McWallace et al., Dance, a very Social History, New York 1986, p. 22. Jacob, Les Strauss cit., p. 27. Klingenbeck, Das Walzerbuch cit., p. 74. Jacob, Les Strauss cit., p. 27 . La Garde, Eètes et souvenirs du congrès de Vienne, in Les fètes en Europe, Paris 1963, pp. 169-70. E. Hanslick, Musikaliscbes Skizzenbuch: Kritiken und Schilderungen, Berlin 1896.
16 Jacob, Les Strauss cit., p. 49.
Capitolo sesto La restaurazione impossibile
« Il valzer contrasta con i nostri costumi. Implica da parte della donna un abbandono troppo esclusivo, con trario alle nostre idee di educazione, di convenienza so ciale c a quel principio di urbanità che non va mai dimen ticato». 1
E. Voiart, Essaisur la danse antique et moderne, 1823.
All’inizio dell’ottocento si riscontra una netta divisione fra le clas si sociali; le differenze si accentuano. Durante la Restaurazione, l’ari stocrazia torna ad alzare il capo. La borghesia, che nell’ombra sta pre parando la sua rivincita politica, tende a isolarsi. Ciò nonostante, dal punto di vista ideologico, le diverse componenti del popolo - conta dini, operai, piccoli borghesi e grande borghesia - hanno ritrovato una certa unità, grazie al ricordo della Rivoluzione, del patriottismo giacobino, della gloria imperiale. Due gruppi sociali emergenti co minciano ad assumere una loro precisa fisionomia: l’intellighenzia e i giovani. Proprio quando il borghese lavora con tenacia e inizia ad ar ricchirsi, l’intellettuale, di origine borghese o meno, si lascia andare al sogno. La classe al potere in Francia non si rende conto di questa real tà; desidera soltanto tornare alle feste del passato. Ma il popolo non cede e, per quanto riguarda la danza, non rinuncia alla gioia di prati care i nuovi balli, che finirà con l’imporre a furia di rivoluzioni.
I balli retro della vecchia aristocrazia.
Non si può certo affermare che la vecchia aristocrazia al potere non ami la danza, anche se si oppone ancora al valzer. Ai tempi di Carlo X, i grandi balli sono spesso animati dalla duchessa di Berry, che ogni mese organizza varie serate nel padiglione di Marsan. Questi balli rappresentano una sorta di chiusura sia rispetto all’evolversi del la società, sia rispetto al valzer, che non viene accettato né tanto meno
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assimilato. La signora di Boigne ci informa infatti che nel 1820 il ballo in questione non è assolutamente ammesso a corte. Ai balli della du chessa di Berry è il principe a vietarlo. «Sarebbe stato bello vedere una principessa di sangue volteggiare ‘in preda all’ebbrezza’, al brac cio di un giovanotto», commenta Boulenger'. L’atteggiamento di ri fiuto è dovuto al fatto che, in Francia, il valzer viene ancora associato allo spirito populista e rivoluzionario. L’aristocrazia tradizionale ha difficoltà a condividere i valori della borghesia napoleonica che si ri fugia nei locali da ballo pubblici. In città, comunque, si assiste a una proliferazione di balli. Boulen ger ci riferisce del ballo dato da James di Rothschild, il 3 marzo 1821 nel palazzo di rue d’Artois, che prima apparteneva al duca di Rovigo. Vengono recapitati tremila inviti... perché James di Rothschild, che non è ancora stato nominato console austriaco, non è sicuro del suc cesso della sua iniziativa. I suoi timori si rivelano infondati: sfilano ministri, ambasciatori, funzionari, grandi signori, gente del bel mon do, artisti; c’è una tale ressa che non si riesce quasi a ballare. In questo periodo l’atmosfera della corte influenza la società parigina: il valzer resta appannaggio delle donne sposate, delle «donne di trentacinque anni». Chi è giovane deve accontentarsi delle contraddanze - spesso ispirate alle country dances inglesi -, delle scozzesi o di altri balli co reografici, conformi alla decenza e alle convenzioni sociali (come ad esempio la «chaìne anglaise» o «pantalon», inventata nel 1786 da Vincent, maestro di Taglioni). Questo tipo di danze rende le feste pa rigine piuttosto noiose fino a quando, nel 1820, non viene riscoperto il cotillon, introdotto a corte nel 1827. I balli comunque si susseguono fino al 1830, anno caratterizzato da un inverno molto rigido. In tutte le sale vengono organizzati balli per i poveri. Il duca d’Orléans dà un grande ballo in occasione del l’arrivo a Parigi dei reali delle Due Sicilie. Sarà l’ultimo ballo della Re staurazione e rischierà di andare a finire piuttosto male. Il duca d’Or léans, preoccupato della sua popolarità, lascia entrare nel giardino la gente comune, e cosi una marea umana comincia ad agitarsi frale mu ra del palazzo illuminato. Quando compare, Carlo X viene applaudi to; ma poco dopo l’umore della folla diventa turbolento. «Abbasso i vestiti coi galloni! Abbasso gli aristocratici! » si sente urlare. Viene
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acceso un fuoco; un uomo si mette ad arringare il volgo; arrivano i gendarmi. Sono spinti, malmenati, trascinati via. Le fiamme del falò, alimentate con le sedie del giardino, raggiungono quasi l’altezza del tetto... In mezzo al tumulto, si alzano le grida acute delle donne im paurite... Si fanno intervenire i soldati che sgombrano il giardino. La duchessa di Berry si trattiene per danzare un altro cotillon assieme al principe di Salerno! Un mese dopo, il duca d’Orléans diventa re dei francesi con il nome di Luigi Filippo. Durante il suo regno, a Parigi si balla eclusivamente la contrad danza. Ciò nonostante si assiste a un ritorno del valzer, praticato alla pari del cotillon e soprattutto del galop, «danza dall’andamento sca tenato che costituisce un vivace diversivo nel ballo». Il valzer conti nua nondimeno a essere mal visto. Come ci fa notare Klingenbeck, nel 1835 la contessa di Genlis, istitutrice della regina di Francia, de scrive ancora una volta il valzer in termini dispregiativi: «Una fan ciulla, in abiti leggeri, si getta tra le braccia di un giovanotto che la stringe al petto e la trascina con un tale impeto che il cuore inizia qua si subito a batterle forte, mentre la testa le gira terribilmente! Questo è il valzer»2. Le feste che Luigi Filippo dà alle Tuileries sono magnifiche. I giornali dell’opposizione coprono di frecciate satiriche i balli del «Castello» e assicurano che al buffet vengono servite fette di pane imburrate con prosciutto, e vino rosso abbondantemente annacqua to. In realtà - ci avvisa Boulenger ’ - l’avarizia di stampo borghese di Luigi Filippo è una leggenda inventata dal partito legittimista. Il re ha una dimora semplice, ma sa essere all’altezza della sua posizione. Ogni inverno si svolgono quattro grandi balli alle Tuileries, due balli della regina, di proporzioni più ridotte e, dopo il matrimonio del du ca d’Orléans, uno nel suo palazzo. Ai balli della regina vengono invi tate seicento persone, ai grandi balli da tremila a quattromila. Il duca di Orléans cerca di ripristinare vecchie tradizioni, richiedendo l’uso della culatte, i calzoni corti indossati una volta dai nobili, ma Luigi Fi lippo non rinuncia a indossare i calzoni lunghi. «Figlio mio, gli dice un giorno, mi scuserà se mi presento a casa sua con i calzoni, ma sono rimasto sans culatte». Fanno sensazione gli ufficiali stranieri, il conte Apponyi assieme a suo figlio e a suo cugino, vestiti da magnati unghe-
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resi, il generale Coletti, ministro greco, con la gonna da pallicari, i tur chi con turbante e pantaloni a sbuffo e gli scozzesi con i loro costumi nazionali. Le donne si mettono in abito da sera, visto che per loro non esiste un vestito particolare da sfoggiare soltanto a corte. Nel 1836, un americano di passaggio a Parigi, Mr Sanderson, assiste a uno di questi balli e lo descrive come: «la cosa più bella del mondo». Al «Castel lo» hanno luogo anche balli mascherati. Quello di febbraio del 1841 è uno dei più riusciti: segna il trionfo del Medioevo, della Fronda e del la Lega, «epoche particolarmente amate dai romantici»4. Ai balli del Palazzo comunale il buffet è modesto, ma la gente ac corre numerosa (nel gennaio del 1836 duemila persone danzano nella stessa stanza). I legittimisti disdegnano queste feste ufficiali e preferi scono organizzare balli di carità per conto loro, nel faubourg SaintGermain, a vantaggio dei beneficiari di pensioni della vecchia lista ci vile di Carlo X. Questi balli, che hanno un notevole successo, e sono diretti anche da personaggi del calibro di Dufresne e Strauss, si svol gono o in un palazzo di rue des Capucines, o al Casinò Paganini, op pure nei giardini di Tivoli o, ancora, nella sala Ventadour.
I balli delle ambasciate. Tra i grandi balli ufficiali dell’ottocento, non si possono trascura re quelli delle ambasciate. Durante la Monarchia di Luglio, sono fa mosi quelli dell’ambasciata inglese. Ogni anno, in onore dell’anniver sario della nascita della regina Vittoria, il bel palazzo nel faubourg Saint-Honoré si illumina a giorno, e lunghe file di carrozze si allinea no da un capo all’altro della strada... Oltre a questo, Lord e Lady Granville danno spesso altri balli di carattere meno ufficiale, cui è fa cile essere ammessi. Queste feste non sono molto animate, almeno a quanto afferma il cronachista Arsène Houssaye, il quale dice che «vi si respirava sempre l’odore della nebbia fredda del Tamigi». Invece all’ambasciata austriaca i balli sono più vivaci. L’ambascia tore e sua moglie, la contessa Apponyi, non si mostrano però affatto accomodanti per quel che riguarda la scelta degli ospiti. Dal 1826, e anche ai tempi di Luigi Filippo, queste feste rappresentano un’occa
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sione di ritrovo per la più antica nobiltà. Vi partecipano di frequente gli stessi duchi di Orléans e di Nemours, i notabili orleanisti, uomini di lettere come Balzac e Eugène Sue, finanzieri come i Rothschild, i Thorn e gli Hope, selezionati con cura. L’ambasciatrice ha inoltre lanciato con successo la moda dei «pranzi danzanti», che iniziano a mezzogiorno e finiscono alle nove di sera e che vanno ad aggiungersi ai due grandi balli annuali, da lei organizzati. Anche le altre ambascia te, soprattutto quella delle Due Sicilie, situata in piazza Bauveau, or ganizzano belle feste5.
I locali da ballo pubblici.
La Girardin, testimone attenta e fedele della vita mondana ai tem pi della Monarchia di Luglio, ci ha lasciato una descrizione dei balli dati in una bella proprietà di campagna, durante i quali, fra una con traddanza e l’altra, gli invitati vanno a vedere gli animali da cortile e a visitare la stalla, stalla ovviamente dotata di comodi divani. Gli ospiti danno da mangiare ai cigni nel laghetto, ammirano il grazioso chalet svizzero, importato direttamente dall’Oberland e provvisto di due giovani svizzere... originarie del vicino quartiere di Batignolles. Sul prato all’inglese si può incontrare una pastorella, bella e semplice, con la testa coperta da un modesto cappello di paglia, ornato di nastri svolazzanti, e con un fazzoletto di garza annodato alla meglio attorno al collo, secondo lo stile contadino. La gente balla «sull’erba fresca, all’ombra di quei grandi alberi, ormai così rari [...] e tutte quelle don ne così belle, che indossano abiti magnifici di tutti i colori, e portano sul capo cuffiette di crespo leggere o eleganti cappelli di paglia, che girano al ritmo del valzer e continuano a passare e a ripassare attra verso i cespugli di fiori» sembrano dar luogo a un magico balletto dell’Opéra, se non fosse per l’assenza di «trucco e danze accademi che ». Alla fine della giornata, Edouard - il famoso parrucchiere pari gino - fatto venire appositamente - risistema le chiome in disordine delle signore e tutto prosegue fino a notte inoltrata, con balli e benga la. «Dieci ore di piacere!... Bisogna divertirsi molto, conclude la Gi rardin, per riuscire ad assaporare il divertimento così a lungo! »‘.
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La mania de) valzer
All’epoca della Restaurazione fioriscono i locali da ballo pubblici. Dopo il 1815 vengono aperti quelli estivi del Tivoli, rue de Clichy, del le Montagnes de Belleville, della Grande Chaumière, del Prado, del Salon de Mars, in rue du Bac, del Tivoli d’hiver, mentre continuano a far furore il Colisée e il Bai d’Italie, passage de l’Opéra. Vi si balla di tutto: la gavotta, la contraddanza, la quadriglia, la fricassèe, la pois sarde, in auge durante la Rivoluzione, e naturalmente il valzer. Il ga lop segue le quadriglie e annuncia, con la sua folle corsa, la baraonda piu frenetica. Verso il 1830 si assiste a una vera e propria febbre del ballo pubblico. La Cloiserie des lilas, il Bal Vivienne, la Chartreuse, il Salon de Flore, il Bai Dourlans, il Jardin ture, la Salle Montesquieu e il Casinò Paganini ospitano la giovane generazione del «paese lati no » che accorre dove ci sono « bel gioco e bei soldi » Ma questi loca li da ballo si rivelano insufficienti e d’inverno la gente danza nei teatri della Renaissance, della Porte Saint-Martin, delle Variétés, dell’Opéra comique e perfino all’Opéra. Dopo la rivoluzione del 1830, il ballo dell’Opéra costituisce un av venimento importante. Il nuovo direttore, il dottor Veron, in quattro anni di gestione, dal 1831 al 1835, riesce a trasformare l’Opéra deficita ria dei Borboni in un buon affare commerciale. Inizialmente gli alle gri balli in maschera, che otterranno in seguito una fama mondiale, non seducono il pubblico; e Mira, l’impresario, deve ingegnarsi di continuo per attirarlo con lotterie, divertimenti e attrazioni di ogni genere, come il gruppo di ballerini spagnoli che si esibisce nel 1834.
L'epoca di Musard. Il 1834 è segnato innnanzi tutto dall’avvento di Musard, il famoso direttore d’orchestra che, grazie al suo spirito brioso e indiavolato, ottenne alle Variétés una tale celebrità, da indurre il gestore del teatro dell’opera di Parigi ad affidargli la direzione dei balli. Ai tempi di Musard, l’Opéra organizza un ballo ogni sabato du rante il carnevale e uno, l’ultimo, il giovedì di mezza quaresima. Per queste notti di giubilo non si bada a spese: l’orchestra straordinaria è composta da quattordici cornette, dodici tromboni, ventiquattro vio-
t. Eugène I «ami, Midi di tuta coppia danzante, disegno. Parigi, Ixnjvrc, Cabinet des dessins. 2. Il moderno galoppo o * danza vene l'eternità », det taglio di una stampa pubblicata nella rivista « I lans Jòrgl ». Vienna, I listorisches Museum der Stadt.
5 A. Geiger, //gran galoppo ballato con la manca di Johann Strami padre, incisione pubbli cata nella * Wiener Theater Zeitung» de! 26 giugno 1839. Vienna» ! listorisches Museum der Stadr
4- Il valzer, stampa da un quadro di V. Gilbert, 1840.
5« Franz Wolf, La wZu Le à VElysée sous leprésident de la République Félix Faure, in «La Famille» (7 maggio 1899) n. 1022; Un grand bai sous la direction de M. E. Giraudet, in « La France prévoyante », n. 127; Une perle au bai, in «La Gaudriole» (io luglio 1898), n. 759; Fin de bai, in «La Gaudriole», n. 848; Les phases d’un bai au Gil Blas, in « Redoute du Gil Bias », supplemento al n. 1 (1899) > Les excentriatés de la danse, in « Gil Bias» (io maggio 1891); Le chabut deces dames duMoulin; leurécole, in «Gii Bias» (23 maggio 1891); Bai en famille, in «Le Courtier du Havre» (16 gennaio 1898), n. 19227; Fètes d’inauguration du baron de Ladoucette, in «L’Illustration», n. 1234, vol. XLVUI (20 ottobre 1899); Le bai de bienfaisance, in «La jeunesse amusante», n. 144; Fète mondaine à Niort, in «Le Journal», n. 1583; Loin du bai, in «Le Journal» (supplemento illustrato), n. 44; Dessins de ebahuteurs, in «Le Matin illustre» (gennaio 1899); Les grandes figures de l’armée du ebahut, in « Le Matin » (15 febbraio 1893); Le costume empire aubai, in «La Mode fran^aise» (xxrv) (1 gennaio 1899), n. 1; La toilette au bai, in «LaMode frangaise» (xxm) (io ottobre 1898), n. 44; La femme au bai, de 16 è 30 ans, di M. O. Rice, in «Le Monde comique», n. 995; Le grand baiDelannoy, in «Le Journal de Montmorency» (13 marzo 1898), n. 420; Une salle de bai, in «La Nouvefie Mode» (5 febbraio 1898), n. 47; Le balde 3 heures à 8 heures, in «La Nouvelle Mode» (gennaio 1898), n. 8; Paris qui danse, in «Le Panorama» (1897), n. 9; Bai à l’Hótel Moderne, in «Le Paris» (14 dicembre 1897); Allans, Marianne, un tour! Non,je n’ai pas le coeur à la danse, di Pierre Frane, « La Patrie » (16 luglio 1899) ; Lesfétes russes à 1 oulon, un bai à VArsenal, in «Le Petit Journal», n. 152; Id Von danse, in «La Presse» (17 febbraio 1899) ; Les danseurs de l’Hótel de Ville, in « La Presse » (25 gennaio 1898) ; Bons conseils: les petites comédies dans un bai, in «La Presse» (13 dicembre 1898); Réves d'une actrice au bai, in «Romans inédits» n. 130; Grand bald’enfants, di Lagus, in «Royan» (28 agosto 1897), n. 29; Le soixante-dixième grand bai, in «Le Soir» (n dicembre 1897); Sortie de bai di Gil Baer, in « Le Supplement» (29 gennaio 1898), n. 1320; Dessin d’un bai nocturne et champétre organisé par des seigneurs et des hergères au XIX* siede, di Gii Baer, in «Le Supplement» (13 luglio 1899), n. 1547; Le baides andens élèues du lycée, in «Le Télégramme de Toulouse» (25 feb braio 1897); Le maitre de danse, in «L’Echo de Paris » (7 febbraio 1892), n. 2; Curieux renseignements sur la danse, in « La Fronde» (17 luglio 1899) ; Organisation d’un bai, di E. Giraudet, in «Le Musical» (1 marzo 1899); «L’Echo de la presse» (19 febbraio 1898); La danse et les danseurs, in «Le Rire» (17 dicembre 1898), n. 215. 11 A. Houssaye, Les Confessions. Souvenirs d’un demi-siède, 2 voli., Parts 1885.
u Giraudet, Traité de la danse cit., p. 85. u Ibid., p. 86. Oggi si richiedono queste qualità a uno psicologo!
La fine del secolo: ancora rivoluzioni
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14 Cfr. Ibid., pp. 85-14L l’ Laboi.de, Le cotillon cit. 16 Giraudet, nel Traité de la danse cit., p. 584, individua a Parigi trentasei negozi specializzati, tra cui «Le Paradis des enfants», in rue de Rivoli n. 156 e in rue du Louvre n. 1. Quest’ultimo negozio pubblicò presso Ouachée Le cotillon, manuel de la danse. Il testo citato è al tempo stesso un catalogo di piu di trecento accessori e una descrizione delle figure del cotillon. 17 Giraudet, Traité de la danse cit., p. 89. *’ Laborde, Le cotillon cit. w Giraudet, Traité de la danse.cit., p. 88. 20 Brano tratto da «L’Echo de Paris» (io luglio 1899). A proposito del cotillon vedere altresì Au bai, le cotillon, in «La Famille» (19 febbraio 1899), n. ron; Au bai, entre deux valses, le cotil lon, in «Le Soleil du Dimanche», vi (29 gennaio), n. 5. 21 Giraudet, Traité de la danse cit., p. 47. 22 Id., La danse, la tenue cit,, p. m. 23 Vedere ad esempio: Dix minutes plus tard, ils valsaient, in «Le Bon journal», Paris (12 gen naio 1899), n. 1332, p. 54; Invitation à la valse différente, formule, texte et dessins, in « Le Mon de comique», n. 1002, p. 4; Dessins de couples dansant, in «La Nouvelle Mode» (22 gennaio 1899), n. 4; Valseurs, in «La Nouvelle Mode» (27 febbraio 1898), n. 9; Valseurs et valseuses: la danse ingènue («la poseuse, le valseur bon diable, la dame qui s’amuse, le jeune homme qui cherche à se marier, la jeune fìlle qui cherche un mari, le valseur timide, le valseur échevelé, la petite comtesse, le valseur maladroit, les amoureux»), di Létorière, in « Supplement du Petit Journal»; Le valseur, modèle, in «Le Soleil du Dimanche», vi (29 gennaio 1893), n- 521 Giraudet, Traité de la danse cit., p. 155. 25 Ibid., p. 156. In proposito vedere anche l’opera della baronessa Staffe, Usages du monde, règles du savoir-vivre dans la société moderne, Paris 1899. 26 Ibid., p. 156. 27 Nei giornali di questo periodo ricorre di frequente il tema delle buone maniere, spesso tratta to in modo satirico: Avantages de Voffre du bras droit aux dames pour la danse e Invitation à la danse, in «L’Avenir du Bernay » (13-17 dicembre 1898); Un mari en or, les danseuses bobèmes, in «La Gaudriole» (30 marzo 1899),n< 834; La vieparisienne; les petites danseuses, in «Gii Bias» (12 luglio 1891), n. 3; Le Pére Miocbeà Terpsichore; fèlle et mère de la civilisation et des mondesdij. Richelin, in «L’intransigeant illustre»; La danse et le maintien, in«Mémorial de la librairie franose» (23 dicembre 1897), n. 51; Se suicider dans un bai, in «Péle-Méle» (5 marzo 1899), n. io; La danse et les veillées, in «Le Petit Journal», n. 12463; La manière de tourner la tète, lesjambes, les genoux, lespieds... I’invitation pour danser, in «La Quinzaine musi cale» (1 agosto 1899); Les formats dusnobisme di E. Giraudet, in «La revue stéphanoise et £0rézienne», Saint-Etienne (io ottobre 1897). 28 Cfr. Giraudet, La danse, la tenue cit., p. 36. Come pure: La danse fait partie de l'éducation, in «Le Petit Journal» (13 settembre 1891); Une injuste prévention, les danseurs hommes d‘esprit, di G. de Lafreté, in «La Presse» (aprile 1899); Philosopbie de la danse, di E. Ledrin, in «Jour nal l’Edair», n. 2473. 29 Cfr. La danse, origine, dessins antiques, in «Dictionnaire» (giornale) ; Quelques mots et anec dotes sur la danse. Louis-Pbilippe et Louis XIV, in «Les dimanches littéraires», Paris (30 lu glio 1899); La danse de VOpéra au Moulin, in « L’Echo de Paris » (7 febbraio 1892), n. 2; Bai en 1830, in «The Graphic » (24 giugno 1899); Les artistes, les bals et le droit despauvres, in « L’intransigeant»; Les divertissements d‘autrefois, in « La Nouvelle mode » (3 febbraio 1899), n. 6; La danse à travers les dges et les siècles, in «Paris illustrò» (febbraio 1887), n. 59; Album de danses illustrées anciennes et modernes, histoires, tbéorie, dessins et musique, omaggio del «Supplément du Petit Journal» (1 gennaio 1895). 30 Cfr. La danse est le meilleur médecin, in « L’Echo de Paris », n. 4085; La danse dans l’hygiène, causerie du docteur Guillermet, in « Mode pratique », Paris (19 marzo 1892), n. 15 ; Le vertige et
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II riconoscimento ufficiale
la danse, in Le Petit Journal supplemento al numero 395; Cóntre la transpiration, in La Presse (aprile 1899). Negli anni successivi si sviluppa rapidamente una medicina scientifica della danza, come dimostra il Manuel de danse di W. Schuftan, pubblicato in Germania nel 1928. 31 Se si vuole fare un paragone, a Parigi ci sono a tutt’oggi diciotto locali dove si possono impa rare e praticare i balli da salotto, in particolat modo il valzer ó il tango. Abbiamo ricavato queste informazioni da un’inchiesta telefonica, realizzata nel giugno del 1989, a partire da un documento edito dal CIDJ nel 1988 (Danses de salon à Paris, n. 62326). 32 Sulle attività degli insegnanti di danza vedere: Le oongrès universal de la danse de salon, in «Journal l’Eclair» (20 febbraio 1892); La danse à Berlin, in «Journal l’Eclair» (14 giugno 1894),n- 2026; Leproebain congrès (14 giugno 1894), n. 2026; Cours de danse, di P. Ginisty, in « Gil Bias illustre» (4 dicembre 1892), n. 49 ; Les danses è la mode, in « Le Courrier du Havre » (16 gennaio 1898), n. 19227; gli otto numeri del «Journal de danse, des bals et des danseurs», edito da Saint-Ibard, dal dicembre 1882 all'aprile 1883; «Danseurs à prix fìxe» di J. Yvel, in «La Presse» (26 marzo 1898); La danse et le maintien, rubrica settimanale di E. Giraudet in «Le Progrès» (Vinccnncs), dal n. 173 al n. 430. 33 Giraudet, Traité de la danse cit., p. 418. Dello stesso autore vedere altresì La danse, la tenue cit., p. 37 sgg. 34 Ibid., p. 420. 33 Id., p. 40. 36 A proposito di articoli incentrati su statistiche relative al ballo si veda ad esempio: « Abeille de la Creuse», Montlugon (8 luglio 1899); «Allgememe Hardellaa», Amsterdam (2 luglio 1899); «Le Journal d’Alsace», Strasburg (21 luglio 1899); «L*Avenir de la Dordogne», Péri gueux (20 luglio 1899); «Le Bien public», Dijon (9 luglio 1899); «La Charente», Angouléme (8 luglio 1899); «Le Constitutionnel», Paris (4 luglio 1899); «Le Courrier de la Champa gne» (30 luglio 1899); «L’Echo du lac», Enghien (29 ottobre 1898), n. 43; «L’Etendard», Pa ris (4 luglio 1899); «I/Europe artiste» (1899); «L’Evénement», Paris (1 luglio 1899); Gazzetta dei Trati, Milano (6 luglio 1899); « Germania», Berlin (6 luglio 1899); «Le Grelot», Paris (30 luglio 1899); «Le Havre» (4 luglio 1899); «LTndépendancedel’Ést» (13 luglio 1899); «L’ìndépendant de Cambray» (1 luglio 1899); «L'Italia» (5 luglio 1899); «LesInventionsnouvelles» (15 luglio 1899); «Le Journal de Saint-Denis» (9 luglio 1899); «La Liberté» (3 luglio 1899); «La Mense», Liege (30 giugno 1899); «Le Monde élégant», Nice (26 luglio 1899 e 3 agosto 1899); «Le Journal de Montdidier» (26 luglio 1899); «La Paix», Paris (3 luglio 1899); «La Patrie», Montréal (29 luglio 1899); «LePatriote landais» (12 luglio 1899); «Le Patriote républicain», Chambers (13 luglio 1899); «LePetit Nivernais», Ncvers (20luglio 1899); «La Presse» (luglio 1899); «Le Progrès», Il Cairo (6 luglio 1899); «Le Progrès de la Nièvre», Ne vers (8 agosto 1899); «Le Progrès du Nord»; «Le Progrès de l’Oise» (22 luglio 1899); «La République franchise», Paris (io luglio 1899); «Le Républicain d’Orléans» (17 luglio 1899); «Journal de Roanne» (6 luglio 1899); «Journal de Rouen », n. 323; «La Sarthe » (9 luglio 1899); «La Semaine musicale» (30 maggio 1897), n. 51; «Le Sport» (io novembre 1898), n. 257; « St amboni», Turchia (8 luglio 1899); «Le Stéphanois» (3 luglio 1899); «Le Temps» (30 giugno 1899); «L’Union républicaine», Macon (19 luglio 1899); «Le Vélo illustre» (luglio 1899). 37 Le photographe de la danseuse, in «La Gaudriole» (25 maggio 1898), n. 850. w G. Vigarello, line histoire culturelle du sport, techniques d‘bier et d'aujourd’hui, 1988.
PARTE QUARTA
Bilancio e crisi di un’istituzione
Capitolo quattordicesimo
La nascita di una critica teologica del ballo di coppia
«Il vero pericolo dei balli è senza dubbio l’erotismo di cui spesso si circondano...»
R. Brouillard, voce « Danse », in Catholicism?, hier, aujourd’hui) demaìnt 1952, voi. HI.
Nell’Ottocento, ma anche nel Novecento, gli storici della danza non sempre sono riusciti a porsi in un’ottica europea per giudicare l’evoluzione del valzer. Sono stati spesso prigionieri della loro appar tenenza a una nazione. Questa incapacità di prendere le distanze ha impedito loro di scorgere un fatto evidente: il valzer nasce a poco a poco dalla danza di coppia chiusa a tre tempi, gli si può trovare un’o rigine italiana, francese oppure tedesca, ma in realtà la genesi di que sto tipo di ballo con volteggi è frutto di una lunga elaborazione e della convergenza di influssi provenienti da tutta l’Europa... Il valzer è una danza singolare che contribuisce all’affermazione di una socialità di coppia squisitamente europea.
La Chiesa contro la coppia.
Nel ballo la coppia si è affermata molto lentamente, per compiere un percorso che l’ha portata a realizzare il movimento di rivoluzione perfetta, caratteristico del valzer. Se si assume un’ottica «europea», scegliendo di abbandonare le posizioni nazionalistiche e uscendo quindi dai limiti della storia nazionale della danza per porsi in una prospettiva piu ampia, si è costretti a riconoscere che la nascita del ballo di coppia è il risultato di un’evoluzione costante che coinvolge l’intera Europa, malgrado le difficoltà locali, dal xn al xvin secolo. Anziché sforzarsi ancora una volta di individuare il luogo d’origine del valzer, ci sembra più interessante mostrare come l’Europa si strut-
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turi attorno a una nuova forma di socialità fatta di interazioni e molte plici influenze interculturali, di cui il valzer è per l’appunto una delle manifestazioni più affascinanti. Quale forza sociale dà unità a questo processo? Di certo non lo Stato, poiché l’Europa politica non esiste durante il Medioevo e an cor meno dopo. Gli stati nazionali si formano pian piano opponendo si gli uni agli altri. Alla fine, le continue guerre fra paesi europei porta no soltanto alla nascita di un sentimento di identità nazionale che ten de a degenerare in nazionalismo, peraltro tuttora percepibile in alcu ni studi recenti sulla storia del ballo, condizionati dal punto di vista ideologico. L’unica potenza abbastanza «forte e universale» da riu scire a organizzare l’inconscio politico europeo - inconscio perché ben poche persone avevano coscienza dell’importanza del suo ruolo - è la Chiesa. Quindi la vera lotta che la coppia di ballerini conduce per imporsi non è contro lo Stato, ma contro la Chiesa. Man mano che la forma del ballo si struttura, diventa necessario provare che tut to l’erotismo che porta in sé appartiene al registro dell’esultatìo, della gioia, della felicità, anziché a quello del «peccato», che meriterebbe la condanna della Chiesa. In effetti, a partire dal xn secolo, la Chiesa si impone in tutta Eu ropa, benché la sua egemonia morale incontri qualche resistenza. Nondimeno, proprio grazie a questa lotta fra la Chiesa centrale e le molteplici resistenze periferiche contro cui combatte, si costruisce un patrimonio culturale comune a tutta l’Europa, anche se gli «euro pei » del Cinquecento o del Settecento non se ne rendono conto. Può sembrare semplicistico parlare della Chiesa come di un punto di rife rimento «universale», che cerca di imporsi estirpando il peccato. Tuttavia, analizzando l’atteggiamento assunto dalla Chiesa di fronte all’affermarsi della danza di coppia, mostreremo come questo discor so «universale» venga di fatto adattato alle situazioni specifiche, con prese di posizione differenziate che variano a seconda del luogo e del momento. Le reazioni della Chiesa al ballo come forma di spettacolo sono già state studiate da Pierre Legendre '. Nel presente saggio ci preme mo strare come la Chiesa maturi progressivamente una sua riflessione sulla danza popolare, sul ballo da salotto, sulla coppia di ballerini e
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più in generale sulla danza. Su questo argomento lo spunto ci viene fornito dalla lettura e dal commento del lungo articolo sintetico di T. Ortolan nel Dictionnaire de théologie catholique, redatto proprio quando il valzer raggiunge il massimo della codificazione Gli scritti successivi riguardanti la posizione della Chiesa non modificano la so stanza di questo testo’. È importante tener conto dell’opinione della Chiesa anche perché i principi - soprattutto quelli che non erano af fascinati dallo «spirito sovversivo» della danza, contrario alla scola stica e alla teologia - se ne servirono abbastanza spesso per farsi ubbi dire dai loro sudditi. L’esame dell’evoluzione del diritto francese mostra che i numero si concili provinciali che vietavano i balli la domenica e i giorni festivi, per evitare che i fedeli trascurassero i loro doveri religiosi, hanno avu to il sostegno del potere civile. Prpva ne siano, in piena apoteosi della vòlta, le ordinanze reali di Orléans, del gennaio 1560, e di Blois, del maggio 1579, che proibiscono i balli pubblici la domenica e i giorni di festa solenne. La legge del 20 aprile 1825 - detta legge del sacrilegio puniva, in virtù dell’articolo 13, chi provocava confusione o disordi ne, anche fuori dalle chiese, durante le ore riservate alle cerimonie del culto. Lo spirito di questa legge - abrogata l’n ottobre 1830 - si ritro va in quella del 9 dicembre 1905 che punisce « chiunque impedisca lo svolgimento degli esercizi del culto causando confusione e disordi ne... » Ovviamente la confusione può essere determinata da un ballo pubblico fuori dalla chiesa. Per ottenere la condanna, bisogna co munque dimostrare che l’intenzione è delittuosa. Secondo la legge del 5 aprile 1884, il sindaco di un comune può essere convocato in tri bunale dal parroco, per regolamentare i balli. Infatti soltanto lui può vietare i balli pubblici nel territorio comunale e quindi anche quelli destinati a svolgersi nella piazza della chiesa o nelle sue vicinanze “.
Il ballo non è poi cosi peccaminoso. Ad ogni modo, per la stragrande maggioranza dei teologi cattolici della fine dell’ottocento il ballo in sé non è più da considerarsi «in trinsecamente peccaminoso»’. Di per sé non è più riprovevole della
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musica, della pittura o della poesia. La danza è un’arte che, a suo mo do, tende a esprimere il bello attraverso quelli che sono i suoi stru menti specifici. Ora, proprio perché si tratta di un’arte che cerca in quanto tale di esprimere il bello, non può essere intrinsecamente cat tiva, lo diventa soltanto se viene usata per far trionfare il male. Come la poesia e la musica, la danza permette di manifestare i sen timenti di ima certa intensità dell’animo umano. «Allora tutto il cor po inizia, per cosi dire, a vibrare per muoversi all’unisono con l’ani ma. Il linguaggio ordinario si rivela insufficiente. È necessario adope rarne un altro, più immaginoso, più colorato, più vivace, più vicino all’ideale». La musica da sola non basta a tradurre certe sensazioni. «A essa si uniscono movimenti istintivi del corpo che l’accompagna no. Tutto il corpo collabora per esprimere il sentimento che riempie l’anima, e la mette in uno stato di sovreccitazione particolare». La co sa è evidente nei bambini che cantano, saltano e fanno le capriole. In greco paìxein significa peraltro «fare il bambino» e al tempo stesso « ballare » Come per i bambini, la danza rappresenta la prima forma d’arte «per i popoli giovani». La Chiesa conosce l’importanza della danza presso i greci e gli ebrei. La sua condotta in materia affonda le radici nell’Antico Testa mento. La Bibbia non condanna affatto indistintamente tutti i balli. Al contrario li approva, talvolta in modo indiretto, talvolta apertamen te. A quei tempi la danza non è soltanto un divertimento o l’espressio ne di una grande gioia, ma anche una manifestazione di religiosità, co me quando, dopo la miracolosa traversata del Mar Rosso, Mosè com pone un cantico che sua sorella Maria interpreta ballando, seguita dal le donne di Israele ’. Lo stesso accade quando Davide uccide Golia e in parecchie altre circostanze. Le Sacre Scritture non criticano gli ebrei per aver introdotto la danza nel culto del vero Dio, benché questa fos se presente anche nel culto dei falsi dèi pagani. Bisogna però ricordare che allora le donne ballavano da sole, separate dagli uomini e dai gio vani". Non mancano del resto parole severe nei confronti dei balli. L’Ecclesiastico (IX, 4) mette in guardia contro i pericoli che essi pos sono comportare, soprattutto quando sono frequenti... Nella fattispe cie parla di una danzatrice professionista, ima donna incostante, ca pricciosa, volubile, leggera, una cortigiana, insomma. «Ne forte incidas
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in laqueos illius...», meglio astenersi per evitare di cadere nella sua trappola. Nella Bibbia ritorna con una certa frequenza questo genere di donna, la cui unica «occupazione è quella di perdere le anime» I padri della Chiesa condividono quest’ostilità nei confronti della danza. Contro la danza si scaglia ad esempio con veemenza san Pietro Crisologo che, in un discorso pubblico, parla di « saltatricum pestis... » Le ballerine sono una vera e propria peste " ! Ciò non significa tuttavia che i padri della Chiesa condannino la danza nel suo complesso, silimitano a criticare il ballo così come veniva praticato ai loro tempi. In effet ti nel iv e nel v secolo, il « paganesimo morente » lascia in eredità alla so cietà cristiana un insieme di balli lascivi e pericolosi, che costituiscono un fermento di corruzione, contro cui lottano i credenti “. L’ostilità della Chiesa verso questi balli « lascivi » trova un suppor to- come spesso accade—nella stessa mentalità «pagana». Molti giu dicano infatti queste danze di un’oscenità rivoltante. In una delle sue orazioni Cicerone rimprovera Catone di aver chiamato Murena balle rino, recandogli così, a parer suo, una gravissima offesa. «A meno che non sia pazzo o ubriaco, un uomo non balla mai» “. In molti affreschi ritrovati a Ercolano e a Pompei — trasferiti successivamente nel mu seo di Napoli - sono rappresentati questi balli lubrici, allora in uso presso i romani, in cui le pose delle danzatrici, deliberatamente pro vocatorie, sono frutto di un calcolo sapiente finalizzato a sedurre e ad ammaliare gli spettatori. Questo tipo di danze impudiche aveva luogo dopo banchetti e orge. I greci cercarono di introdurle presso gli ebrei nel 11 secolo avanti Cristo. Furono in auge alla corte degli Erodi. Pro prio grazie a uno di questi balli, Salomè, figlia di Erodiade, ottenne da Erode, soggiogato dal suo fascino, la testa di san Giovanni Battista. La Chiesa prende dunque di mira e condanna come peccaminoso questo genere di danza erotica, individuale e spesso eseguito da una donna. A quei tempi il ballo di coppia non esisteva, perlomeno come oggetto di riflessione...
Danza e teologia. L’elaborazione di ima teologia della danza da parte della Chiesa ha dunque radici profonde. Ai nostri giorni può sembrare strano che
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i concili si siano più volte occupati dei balli. Una teoria cristiana della danza viene formulata già nel concilio di Laodicea, svoltosi fra il 343 e il 381°. Il canone 53 recita ad esempio: «I cristiani che assistono alle feste nuziali non devono saltare né ballare, ma partecipare con decen za al pranzo o alla cena, come si addice a dei cristiani» “. Il canone 23 del concilio di Toledo, avvenuto nel 589, si propone invece di sradica re completamente dall’intera Spagna l’usanza popolare di ballare e intonare canti osceni, durante le feste dei santi, prima dell’inizio degli uffìzi0. Il canone 51 del concilio «in Trullo» del 692 vieta anche le danze nei teatri, pena la scomunica “. Nel 1209, quando ci sembra che inizi ad affermarsi il ballo di cop pia in Europa, si tiene il sinodo di Avignone che proibisce i balli inde centi nelle chiese, alla vigilia delle feste dei santi”. Un sinodo, che ha luogo a Parigi nel 1212 o nel 1213, stabilisce poi che i vescovi non tolle rino più che la gente balli nei cimiteri, anche nel caso in cui la tradi zione lo permetta. H sinodo provinciale di Rouen del 1231 ordina ai preti di vietare, pena la scomunica, i balli nelle chiese e nei cimiteri in occasione dei matrimoni o di altre feste, e li invita a esortare i fedeli a non prendervi parte nemmeno altrove. Allo stesso modo nel 1260 l’ar civescovo di Bordeaux proibisce i balli che di solito vengono organ izzati in alcune chiese della sua diocesi il giorno dedicato agli Inno centi, perché provocano risse e disordini. Queste prese di posizione non sembrano comunque avere un carattere universale, ma tendono piuttosto a correggere casi particolari. Il ballo di per sé non viene vie tato... Resta il fatto che danzare nelle chiese non era assolutamente con siderato trasgressivo: De Cahusac e Bòhme formulano addirittura l’i potesi che quella parte della chiesa chiamata coro delimitasse inizial mente uno spazio destinato alle evoluzioni di un coro di ballerini ". Del resto tale usanza si sarebbe protratta a lungo, come dimostra que sta testimonianza del 1589 diThoinot Arbeau: «Nella Chiesa primiti va l’usanza, ancora viva ai nostri giorni, prevedeva che gli inni della chiesa fossero cantati danzando e ballando»". Questi balli tuttavia non sono in genere da considerarsi atti rituali, benché abbiano per cornice i templi. Sono piuttosto divertimenti profani che derivano da
La nascita di una critica teologica del ballo di coppia
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costumi pagani antichissimi", sebbene si svolgano nei giorni dedicati alle principali feste cristiane, come Natale o Pasqua. Gougaud ci in forma peraltro che le stagioni delle danze erano due: l’inverno e la primavera”. Lo stesso autore asserisce inoltre che, nel Seicento e nel Settecento, la gente ballava ancora nelle cappelle bretoni in occasione di certe feste”. La posizione dei teologi non può quindi essere di totale rifiuto nei confronti del ballo ”. Indicativa al riguardo è questa affermazione del cardinale Gousset: «la danza non è illecita per natura». Pertanto il ballo non deve essere condannato in modo assoluto, come se fosse cattivo per essenza". Alla domanda: «È peccato vedere o condurre delle danze? » i Salmanticensi rispondono che vi è peccato unicamen te quando alla gioia si sostituisce il desiderio «libidinoso»”. Di que sta opinione è anche sant’Alfonso dei Liguori: «Choreae secundum se non sunt malae, nec actus libidini», sed laetitiae» ", Se i teologi non condannano il ballo in sé e non lo considerano qualcosa di intrinseca mente cattivo, allora diventa compito della Chiesa stabilire, volta per volta, se sono rispettate le leggi della decenza, nel qual caso non si può parlare di «azione libidinosa»... Come manifestazione di gioia, exaltatio, è un divertimento non soltanto permesso, ma che nell’ordi ne soprannaturale può addirittura diventare meritorio. Ne consegue che non si può giudicare a priori una persona e che diventa necessario compiere un lavoro di interpretazione per decidere se il piacere di partecipare a un ballo sia o meno un peccato mortale. Proprio questo lavoro di interpretazione, esercitato dalla Chiesa in modo costante, caratterizza l’intero periodo in cui si costituisce la danza di coppia...
1 P. Legendre, La passion d'etre un autre, étude pour la danse, Paris 1978. 2 T. Ortolan, voce « Danse », in Aman, Dictionnaire de théologie catholique, Paris 1911, tomo IV, coll. 107-34. 5 Come ad esempio, R. P. Vuillermet, Les divertissements et la conscience chrétienne, LechielIcux 1923; oppure E. Archambault e P. Le Cormier , Les distractions de nos enfants, 1931; o ancora J. Viollet, Relations entre jeunes gens et jeunes filles, 1947; o per finire R. Brouillard, Bal, in Catholicisms, hier, aujourd’hui, demain, 1948, coll. 1182-83. 4 P. Chassagnade-Belmin, Bal (droit), in Catholicisme, hier, aujourd’hui, demain cit., p. n8o. 5 Ortolan voce «Danse» cit., col. 107.
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Odissea, libro VID, n. 261; Esiodo, Lo scudo di Eracle, 277; Aristofane, Tesmoforiazuse, 1227. Esodo, XV, 1-21. Esodo, XV, 20; Jud. XI, 34; XXI, 23; Reg., XVm, 6 sgg.; XXIV, 5. Prov. VII, io; Is., IH, 16; vedere altresì il Dictionnaire de la Bible, tomo II, coll. 1285-9, ° ancora Realencyclopàdie fiir protestantische Tbeologie und Kirche, tomo XIX, pp. 378-80. 10 Serm., CXXVH, CLXXIV, P. L., tomo XH, coll. 452-654. “ Cfr. Amobio, Adversus gentes, I. VI, P. L., tomo V, col in8; S. Ambrogio, De Elia etjejunio, c. XII; in Ps. XL, 24, P. L., tomo 14, col. 70, sgg., 1078; S. Gerolamo, Epist., LX, ad Heliodorum, P. L., tomoXXH, coL 601 sgg.; S. Agostino, Confessioni, 1. VI, tomoXXXII, col. 726; De dotiate Dei, 1. JI, c. IV, V, VTH; r. VU, c. XXI, P. L., tomo XLI, coll. 49 sgg., 53 sgg., 210 sgg.; Monumenta Germaniac bislorica, Auctores antiquissimi, 13 voli, Berlin, 1877-98, tomo 1, pp. 92 e 95-97; Seek, Gescbichte des Unterganges derantiken Welt, 2 voli., Berlin 1897-1901, tomo H, pp. 339 e 456. 12 Cicerone, Pro Murena, XIV. In proposito vedere ugualmente Svetonio, Doniti., Vili; Orazio, Od., XXI, n, 12; XXXH, 1,2; Cornelio Nepote, XV, 1; Macrobio, Saturnales, IH, 14; Lu ciano, De saltatione, XXH; Tacito, Annales, 1, XI; G. Vuillier, Les danses antiques, in La danse, Paris-Milano 1899, PP’ I-33* 15 Ortolan, voce « Danse » cit., col. no. M Hefele, Histoire des condles, Paris 1907, tomo I, p. 1023. D Mansi, Condì., tomo IX, col. 999. 16 Id., Condi, cit., tomo XI, col. 968. 17 Canone 17, Mansi, Condì, cit., tomo XXH, coll. 791-92. “ De Cahusac, La danse andenne et moderne, ou tratié historique de la danse, La Haye 1754, to mo I, p. 43; F. Bohme, Geschicbte des Tanzes in Deutschland cit., tomo I, p. 15. * Arbcau, Orchésograpbie cit., pp. 3-4. 20 L. Gougaud, Danse, in D. F. Cabrol e D. H. Lederq, Dictionnaire d'arcbéologie cbrétienne et de liturgie, Paris, tomo I, p. 253. 21 Id., La danse dans les églises, in « Revue d’histoire ecclésiastique» (1914), n. 15, pp. 19-22. 22 Id., Danses dans les chapelles, in «Le fureteur breton» 1913, tomo Vili, pp. 103-4. 25 Vedere ad esempio san Tommaso d’Aquino, i Salmanticensi. 24 Gousset, Tbeologie morale, Paris 1877, parte IV, cap 1, n. 650. 25 Cursus theologiae moralis, Venezia 1728, tr. XXI, cap. vili, p. v, § 2. 28 Sant’Alfonso dei Liguori, Tratié de tbéologie morale, Paris 1845.
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Capitolo quindicesimo Il valzer è immorale?
«La danza, praticata in modo modesto e onesto, può favorire l’equilibrio dei giovani. Nondimeno può diven tare facilmente occasione di flirt pericolosi, se non grave mente colpevoli, o addirittura di carezze o eccitazioni di soneste...» P. Vittrant, Théologìe morale, 1941.
Parlare di una teologia del valzer presuppone che la Chiesa abbia elaborato una sua teoria al riguardo, capace di rispondere concreta mente alla domanda: è immorale ballare il valzer? Nelle pagine se guenti scopriremo che la Chiesa studia la questione sia dal punto di vista del valzer in sé, sia dal punto di vista soggettivo del ballerino. Nel presente capitolo affronteremo il problema del valzer in sé. In questo caso esaminare la danza equivale a osservare in primo luogo il modo di ballare e più precisamente, rispetto al ballo di coppia che ci interessa, il comportamento dei partner, la maniera in cui stanno, si toccano, si abbracciano. Tuttavia, per giudicare un ballo, è necessario anche prendere in considerazione il contesto in cui si svolge, e quindi il modo in cui si vestono i ballerini, la forma, lo spazio e il tempo del ballo.
Un problema di classificazione.
Abbiamo già visto che la sottigliezza del pensiero teologico consi ste nella volontà di non condannare a priori la danza. Questa posizio ne porta dunque il vescovo, il teologo, il confessore o il chierico a va lutare, a seconda della situazione, se un ballo costituisca o meno un’occasione di peccato. Per questo motivo la Chiesa non ha fatto un catalogo delle danze lecite e illecite. D’altra parte, sarebbe stato diffi cile redigere una simile lista, se si considera che gli antichi greci cono scevano più di duecento tipi di ballo1 e i popoli europei un numero
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nel complesso ancora maggiore. All’inizio del Settecento, il «Danc ing-Master» (Londra, 1716) censisce ad esempio più di cinquecento danze nella sola Inghilterra. Ogni nazione, ogni provincia ha avuto e ha i suoi balli preferiti che, appartenendo al linguaggio non verbale, varcano le frontiere con grande facilità. «Trasportati altrove, più 0 meno modificati dai capricci della moda e dall’influenza dei diversi ambienti, vivono il loro attimo di gloria e di splendore». Poi declina no per lasciare il posto ad altri, più conformi al gusto del momento. Ma « in genere senza sparire completamente e fondendosi a questi ul timi in modo da formare, a poco a poco, un’infinità di varianti». Co munque, non è certo compito della teologia descrivere tutta questa moltitudine di danze: le basta elaborare una tipologia che permetta di classificare qualunque ballo2. Di che tipologia si tratta? Esistono tre generi di ballo chiaramente distinti: quelli onesti, quelli decisamente peccaminosi perché indecenti e osceni, quelli am bigui e pericolosi. Soltanto rispetto a questi ultimi la Chiesa incontra difficoltà pratiche di giudizio. I primi sono permessi e chi ne pensa male è in malafede. I secondi vanno severamente vietati senza ecce zioni perché è chiaro che, come ricorda Ortolan, «quando il genere di danza praticato comporta gesti sconvenienti, palpeggiamenti indi screti, vicinanze troppo intime fra adulti di sesso diverso, pose inde centi, abbracci o strette, amplexus, che sovreccitano le passioni car nali, è evidente che allora la danza non rimane più entro i limiti di un semplice divertimento, ma che costituisce per i ballerini, per le balle rine, come pure per gli spettatori, un vero e proprio pericolo e un’oc casione di peccato tutt’altro che remota. Non è dunque possibile in alcun caso, raliane modi saltandi, consentire o tollerare questi balli » ’. Ma gli altri, quelli che non appartengono né alla prima né alla se conda categoria, e che sono un’infinità? Perché fra le danze ingenue, da bambini, e le «invenzioni lubriche dei locali loschi» esiste una se rie indefinita di situazioni intermedie, che possono avvicinarsi talvol ta a un polo talvolta all’altro. Da un lato il gioco e lo svago, dall’altro la corruzione organizzata con sapienza ed eretta a sistema! Ora - ed è questo che più ci interessa per la nostra ricerca sul ballo di coppia - la volta, il valzer, il làndler e tutti i balli a tre tempi con volteggi si trova no, per la Chiesa, in una posizione estremamente ambigua, difficilis
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sima da definire. Queste danze sono caratterizzate dal contatto, dalla vicinanza, dagli abbracci... e addirittura da quello che viene definito «stato alterato di coscienza», provocato dalla velocità di rotazione, dal movimento di rivoluzione del ballo e delle sue varianti, come il salto della volta considerato a lungo provocatorio e sovversivo! L’invenzione del valzer costituisce dunque un impegno per il teo logo. È in questo campo che il pericolo di peccato diventa più difficile da delimitare. Sia sant’Alfonso6 sia i Salmanticensi’ affermano che il problema comincia a porsi quando si verifica il contatto delle mani, « apprehendere manum ». Si deve dubitare non appena c’è un contat to. Se non implica passione né cattive intenzioni, l’atto in sé non è «peccaminoso». Tuttavia nei balli in voga dal 1200 sino alla fine dell’Ottocento, dove la coppia si costituisce come un’unica identità cor porea, il teologo vede il suo compito di imparziale analista diventare terribilmente arduo. Questo accade già con la volta - il primo ballo di coppia che rappresenta una sorta di sovversione rispetto al contatto discreto voluto dalle convenzioni sociali - e poi con molte altre dan ze, trà cui ovviamente il valzer, ma anche la polca, la mazurca, la scoz zese o il galop. In tutti questi balli il contatto non si limita alle mani, è molto più audace e pericoloso. Secondo le regole che li disciplinano, questi balli « non richiedono infatti soltanto che il ballerino tenga per mano la sua dama, intrec ciando le dita alle sue, ma che le si avvicini sempre di più, prendendo la per la vita, abbracciandola e stringendola al petto. Talvolta la balle rina china voluttuosamente il capo sulla spalla del suo cavaliere, quasi a simboleggiare il suo abbandono. Altre volte, soprattutto nelle dan ze di andamento rapido6, la ballerina viene a più riprese sollevata in aria dal cavaliere, oppure salta appoggiandosi a lui. Tutto ciò avviene al ritmo di una musica inebriante, in un ambiente impregnato di un dolce tepore o di profumi penetranti, sotto la vivida luce di numerosi lampadari che, con il loro splendore, aumentano ancor più l’incante simo di quest’insieme, dove tutto sembra fatto per sedurre gli occhi e il cuore»'. Ortolan rileva che questa vicinanza, questi contatti e i pericoli che implicano, si verificano soprattutto nei cosidetti «balli con volteggi», che trovano il loro «modello privilegiato» nel valzer. Per l’autore,
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questa danza è una «delle più incantevoli» ed è stata praticata dai francesi, prima di diventare «il ballo prediletto dei tedeschi». Prima di affrontare l’argomento dal punto di vista teologico, Ortolan si sof ferma a descrivere il valzer: « La regola fondamentale del valzer è che ogni coppia di ballerini, composta da un cavaliere e da una dama, compia un giro su sé stessa e, grazie a una serie di evoluzioni successi ve, descriva volteggiando — assieme alle altre coppie, talvolta molto numerose - un cerchio o un’ellisse, a seconda della forma della sala destinata al ballo. Esistono vari tipi di valzer: gli uni ad andamento piuttosto moderato, gli altri di movimento rapido [...]» Il teologo cattolico descrive anche alcuni balli derivati dal valzer: la polca, la re dova e la «voluttuosa» scozzese. A proposito della prima dice, ad esempio, che si tratta di un: «ballo con volteggi a due tempi. Durante le evoluzioni e per tutto il tempo che dura il vortice della danza, il ca valiere passa il braccio destro attorno alla vita della ballerina, che a sua volta posa il braccio sinistro sulla spalla del cavaliere. Quest’ulti mo le tiene inoltre la mano destra nella mano sinistra, all’altezza della cintola'[...]» Che spiegazione precisa e meticolosa! Non si può che restare ammirati davanti alla costanza con cui questi studiosi, a parti re da Thoinot Arbeau, osservano e rappresentano il movimento. Queste descrizioni suscitano ovviamente tutta una serie di com menti. Va da sé che la vicinanza fra persone di sesso diverso, il contat to, gli abbracci, gli amplexus del valzer e dei balli con volteggi siano considerati estremamente pericolosi. Sono una fonte inevitabile di grandi tentazioni, un’occasione frequente di gravi colpe. Ortolan ne conviene. Cita fra l’altro persone del bel mondo, quelle «meno so spettabili di inutili scrupoli», che sono dello stesso parere. Chiama in causa V. Hugo, A. de Musset e M. de Saint-Laurent, secondo cui il valzer e i suoi derivati sono « una vera e propria istigazione al vizio, un preludio o una reminiscenza delle voluttà più colpevoli». Tuttavia il problema reale è di natura teologica. Benché il valzer possa essere in genere causa di peccato, è lecito dire che sia «intrinse camente» peccaminoso? Una persona che ha ballato un valzer deve essere giudicata a priori colpevole di peccato mortale, senza un ulte riore esame? Ortolan ritiene che « un’affermazione cosi generale e co sì categorica sia certamente esagerata».
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Gli « amplexus» del valzer.
Pur essendo preoccupanti, gli « amplexus» del valzer non sono in sé, «metaphysice et theorice loquendo», mortalmente colpevoli. La colpa grave presuppone infatti che vi sia passione carnale e che la vir tù di chi partecipa al ballo sia messa a repentaglio. Ora, è palese che il fatto di ballare un valzer non comporta automaticamente lo scatenar si della «passione carnale ». Un qualsiasi incontro fortuito che dura il tempo di un valzer non implica, di per sé, la nascita di un amore im puro e sfrenato! Le circostanze stesse in cui avviene l’incontro possono anzi dimi nuire il rischio che comporta normalmente una simile vicinanza. Di conseguenza è possibile supporre che, dal punto di vista teologico, la colpa sia minore o addirittura nulla. «Non è giusto considerare la passione l’unica molla che determina questi amplexus, fatti a mo’ di gioco o conformi alle usanze comunemente accettate, cui è talvolta difficile sottrarsi»*. Pertanto l’atteggiamento rigorista è fuori luogo. Il gioco, il divertimento, lo svago o perfino la leggerezza rappresenta no in certi casi una circostanza attenuante, come del resto le consue tudini acquisite. Difendendo una simile tesi il teologo può temere di essere tacciato di lassismo. Per paura che i lettori protestino, desidera motivare la sua posizione a livello teorico e pratico. Si rifa allora ai « principi della teologia». A san Tommaso che ha detto: «multa si serio fierent gravia peccata essent, quae quidem joco facta, vel nulla, vel levia sunt... in talibus ludus excusat a peccato». Che in poche parole significa: «Quella che conta è l’intenzione». Se l’intenzione iniziale è di diver tirsi, non c’è peccato nemmeno laddove se ne presentasse l’occasio ne. Qualora gli atti in sé non siano intrinsecamente cattivi, più l’inten zione è diretta verso lo svago, più si può scartare la possibilità di in correre nel vizio, che di sicuro rappresenterebbe una minaccia se la mente non fosse tutta presa dal divertimento... A proposito di questo genere di passatempi fra uomini e donne - «in tactibus et osculis in ter virum et foeminam» -, lo stesso san Tommaso aggiunge che quan do la tradizione si impone come una specie di tirannia, cui è impossi
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bile sottrarsi senza alienarsi le simpatie delle persone con cui si è ob bligati a vivere, allora, se l’intenzione non è cattiva - « propter pravam intentionem» -, si può giustificare, sino a un certo punto, la pro pria partecipazione ad azioni pericolose, ma non peccaminose. An che i Salmanticensi affrontano il medesimo argomento. Secondo questi autori, uomini e donne possono toccarsi in modo casto se non provano un desiderio turpe o impuro: «Tactus et oscula et amplexus inter virum et foeminam habita, dummodo non sint nimis turpcs, tan tum habent malitiam venialem si fiant ex vanitale, aut levitate jocosa, et àbsque delectatione venerea»’. Riassumendo, i teologi piti eminenti sono d’accordo nell’asserire che il contatto fisico tra i due sessi, pur intenso - «oscula, tactus et amplexus » -, non è per essenza peccaminoso. È consentito come ma nifestazione di un’amicizia fraterna o di un affetto legittimo. Il valzer fa parte di questo tipo di passatempi. Ballarlo non è dunque di per sé un atto «peccaminoso» né costituisce di per sé un peccato mortale. L’unico a mostrarsi rigorista al riguardo è Caetano. A suo avviso, questo genere di pratiche porta fatalmente a un’unica conclusione, sfociando per forza in una relazione di natura sessuale. L’intenzione è ininfluente. Qualunque distrazione che implichi il contatto provoca il piacere venereo «ab ipsa natura dirette ordinatur ad venerem et ad coitum » ". Ortolan taccia questa teoria di sofismo e si rammarica che Cattano abbia perduto, in questo caso, la sua solita lucidità e acutez za. Tanto più che, in proposito, i Salmanticensi obiettano che l’espe rienza dimostra il contrario: questo tipo di giochi non comporta affat to una conclusione automatica. È vero che si tratta di una situazione pericolosa. È vero che fra il piacere dei sensi e il piacere venereo, che è peccato mortale, il passo è breve. La teologia, però, che ha dibattuto il problema svariate volte, prendendolo come oggetto di minuziose riflessioni, si rifiuta di equiparare le due cose. Ci si trova al «limite», alla confusa frontiera tra ciò che è nettamente cattivo e ciò che è am biguo. Mentre sorvoleremo su sant’Alfonso, ci soffermeremo sull’italia no Berardi, che nel 1897 analizza i «balli con volteggi» “. Egli spiega che gli amplexus di queste danze, e in particolare del valzer, possono non essere colpevoli. Osserva che è difficile capire d’acchito come un
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giovanotto e una ragazza, così avvinghiati e stretti l’uno all’altra, pos sano trovarsi al riparo da gravi tentazioni e non essere indotti a ceder vi. Constata del resto che spesso finiscono per soccombere, abbando nandosi a pensieri vergognosi e a desideri reprensibili. Ma capita an che che questo non accada. In qualità di confessore, Berardi ha potu to raccogliere «dati sociologici» interessanti. Ha avuto a disposizio ne le testimonianze di ex ballerine e di ex ballerini pentiti che gli han no rivelato con tutta franchezza quel che provavano nei momenti di smarrimento. Berardi trascrive in latino il risultato di questi colloqui; «Fatigatio, tripudium, saltatio, agitatio, distractio, defatigano, etc., malitiae et libidini aditum praecludunt, aut illam cito evanescere faciunt». Ciò significa che la voglia di divertirsi, la foga della danza stessa, la fa tica sono in genere un ostacolo allo sviluppo delle passioni e contri buiscono a placarle rapidamente. Un altro elemento evocato da Be rardi, capace di attenuare le passioni, è la componente tecnica del ballo che, qualora non sia perfettamente padroneggiata, richiede un’attenzione sempre vigile. Un ballerino di medio livello non può danzare un valzer a regola d’arte se non si impegna al massimo per ot tenere la perfezione tecnica richiesta dal ballo in società. Quest’argo mento doveva valere a maggior ragione per la polca e la mazurca. Di conseguenza è escluso che, in simili circostanze, ci si possa abbando nare a sogni lascivi: «Qui saltat attendere debet ad bene saltandum», chi balla deve concentrarsi per ballare bene. Varie donne hanno rive lato a Berardi, in confessione, di essersi sentite le mani irrigidite a cau sa delle esigenze tecniche della danza di coppia.
La tecnica allontana il pericolo del peccato.
Ortolan sottoscrive quest’argomentazione tecnica. A suo avviso la difficoltà del ballo è un valido strumento per allontanare il pericolo del peccato: «La danza, così come viene praticata ai nostri tempi, è un’arte che bisogna imparare per poter possedere e in cui non tutti riescono a eccellere» n. Ortolan espone allora ai suoi lettori i partico lari tecnici dei passi del valzer, cui consacra due pagine, e che pafago-
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na agli altri balli praticati nel 1900. Dopodiché trae le seguenti conclu sioni: «E facile capire che l’attenzione necessaria per osservare - il più esattamente possibile - tutte queste regole minuziose e moltissi me altre, contemplate dalla maggior parte dei balli, rappresenti per il ballerino e la ballerina, sottoposti agli sguardi maliziosi degli spetta tori, un motivo di preoccupazione che fa diminuire proporzional mente il pericolo dovuto alla vicinanza o agli abbracci ». Queste considerazioni sono assolutamente pertinenti dal punto di vista « tecnico ». Forse possono anche spiegare perché in un certo nu mero di balli la tecnica tende a perdere valore °. In realtà, il fatto di complicare il ballo di coppia dal punto di vista tecnico è sempre stato un modo di controllare, dall’interno e in campo sociale, il lato sov versivo del desiderio che si esprime in questo tipo di incontro fisico. L’aspetto sovversivo del valzer, nella sua fase costitutiva, è stato quel lo di semplificare continuamente la tecnica nella rotazione di coppia. Nell’Ottocento però la storia dell’istituzionalizzazione del valzer è stata segnata da una controriforma finalizzata al ripristino della com plessità del ballo14. Forse la diversificazione delle danze nei balli dell’Ottocento rappresenta una risposta all’insegnamento della Chiesa, secondo cui meno si padroneggia la tecnica, più è difficile provare piacere ballando. Perché allora danzare diventa un vero «lavoro». Questa è, in breve, l’opinione di Berardi e di Ortolan.
Mutande e scollature. La moralità o l’immoralità di una danza non è legata soltanto alla maniera in cui si tengono abbracciati i ballerini o al modo in cui si ese guono i passi. Dipende anche direttamente dal contesto in cui si svol ge il ballo. L’abbigliamento e il tipo di accoglienza riservata ai balleri ni possono ugualmente indurre al peccato. Un abbigliamento indecente, occasione di innumerevoli tentazio ni, suscita il peccato di desiderio o peccato di concupiscenza. Va da sé che la Chiesa condanna energicamente i balli abominevoli « in quibus nuditas est totalis » dove la nudità, è totale, come nel «ballo angeli co», e quelli ih cui i costumi sono talmente sconvenienti da sembrare
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una diretta provocazione al male. Nella fattispecie sono prese di mira, come spiega Ortolan, le nudità esibite in piena luce per attirare il fa vore di un pubblico abituato ai piaceri malsani, ma sempre avido di voluttà. Nell’ambito degli spettacoli, gli impresari senza troppi scru poli mettono in pratica il consiglio dato, ai tempi della Reggenza, da un amante degli scandali: «Perché la vostra attività abbia successo, allungate i balletti e accorciate le gonne». Questo consiglio, benché giudicato infame dalla Chiesa, ha avuto molto seguito. Malgrado la censura, la tendenza ad accorciare le gonne si è diffusa nei teatri e nei locali da ballo. In realtà la lunghezza delle gonne può essere anche determinata da esigenze tecniche. Già all’epoca di Thoinot Arbeau (1589), per po ter ballare la volta, si devono accorciare le gonne. In generale, il ballo con volteggi comporta un’evoluzione nell’abbigliamento, soprattutto in campagna. Lo impongono gli stessi movimenti della danza. Max von Boehn osserva che ai tempi dèlia volta «la frenesia dei giovani non si lascia incanalare facilmente. Fa valere i suoi diritti nei preziosi smi e in particolar modo nei salti dei cavalieri e delle dame. Tenendo conto di quanto siano stretti i vestiti dei cavalieri e delle dame, è dav vero difficile capire come le signore riescano a saltare cosi in alto dan zando la volta » °. Visto che i ballerini lanciano le dame piu in alto che possono, spesso, ricadendo, la gonna si solleva. Questo spiega l’im portanza data alla giarrettiera presso la corte di Francia. «Le dame cominciano a portare delle mutandine pudiche perché si vedono an che le loro cosce. Questa moda apre nuovi orizzonti alla civetteria. Per la biancheria intima vengono scelti tessuti impreziositi d’oro e poi ornati di nastri color porpora. Alle giarrettiere vengono fissati gioielli e pizzi d’oro e d’argento» “. Alla volta si deve dunque l’invenzione delle mutande femminili. La gonna vola poiché la piroetta «solleva in aria la dama in modo tale da lasciare, in genere, le ginocchia scoper te». Ecco perché, quando è introdotta a corte, la volta impone l’uso della giarrettiera. I teologi cattolici, dal canto loro, non prestano grande attenzione alla lunghezza delle gonne e alla biancheria intima femminile. Le gambe non paiono essere il principale stimolo al peccato. La teologia si interessa maggiormente alle scollature dei vestiti. Sembra che il se
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no induca al peccato piu della coscia. D’altronde, la scollatura si im pone, è addirittura rigorosamente obbligatoria, sia nella maggior par te dei balli di società, sia nelle riunioni mondane o nei salotti aristo cratici. «Cosi è l’abito da sera, conforme al capriccio della moda o al la tirannia delle abitudini»”. La Chiesa deplora quest’usanza, spera che scompaia e incoraggia le autorità, che frequentano gli ambienti dove si balla, a fare tutti gli sforzi possibili affinché si ponga rimedio a questo male. «Ma poiché l’usanza esiste, usanza cui riescono a sottrarsi difficilmente certe per sone dell’alta società, soprattutto quelle più in vista [i corsivi sono no stri], bisogna condannare le signore che vanno al ballo vestite in que sto modo? » Questa domanda suscita una vivace riflessione presso i teologi: anche su questo punto gli autori cristiani sono molto divisi. Alcuni non esitano a condannare con severità le donne in décolle té. Questi rigidi moralisti sono così convinti di aver ragione che consi derano l’opinione contraria priva di ogni fondamento “. Per loro, un simile comportamento non può essere scusato né dalle esigenze della moda né dall’esistenza di usanze universalmente accettate. Giudica no le donne in décolleté colpevoli di peccato mortale a causa delle grandi tentazioni che suscitano in chi le guarda. La consuetudine non può rendere lecito ciò che è intrinsecamente cattivo. Per la maggior parte degli autori, invece, la consuetudine basta a discolpare queste donne dall’accusa di peccato mortale, a meno che la scollatura non sia «eccessivamente profonda e veramente provocante». Ortolan dà un gran numero di riferimenti che mostrano l’importanza del dibatti to in seno alla Chiesa durante tutto il periodo in cui prendono piede i balli di coppia ". Nemmeno per i cosiddetti teologi «liberali » la consuetudine ren de lecito ciò che è intrinsecamente cattivo. Il problema sta però nel sapere se simili scollature siano peccaminose per essenza «quia non sunt partes ad lasciviam vehementer provocantes», come dicono i Salmanticensi. Non tutti i décolleté spingono al peccato! La loro col pa è proporzionale al pericolo che possono comportare per la castità. Ora, sant’Alfonso fa notare che l’abitudine di vedere determinate co se diminuisce nettamente la forza della concupiscenza. E soggiunge che una donna può dare molto più scandalo scoprendo semplice
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mente le braccia, se ciò è contrario alle usanze locali, che mostrando la parte superiore del petto, se questo rientra nelle abitudini. In so stanza, afferma che piu la situazione è consueta e meno si è portati alla concupiscenza. Il desiderio nasce dalla novità della situazione. Ballerini collega il peccato all’emergere delle fantasticherie: «Quum assueta minus phantasiam excitent» “. Il corpo della balleri na di valzer ne suscita più d’una. Come suggerisce, ad esempio, il poeta surrealista Ramon Gomez de la Serna, nel testo intitolato I seni nel valzer. «Quando nel ballo le coppie s’abbracciano i seni si animano più che mai, tornano a sentire i primi calori, si riscaldano di se stes si, tutti gli attriti tornano ad avere per essi tutta l’ingenuità e la gen tilezza che per molti, ahimè!, sono scomparse nei contatti più da vi cino. Sono i seni a indicare la via che conduce ai balli pubblici, ancor ché siano le gambe ad affrettarsi e a condurveli. Essi, come una bussola, indicano la più breve e diventano impazienti pel desiderio di correre, di arrivare presto al ballo, come i ragazzetti che vanno a teatro e che camminano più in fretta dei genitori, precedendoli di molto. I seni che si dirigono ai valzer e alle polche odono la musica prima delle orecchie, e a suon di musica si cullano nelle bluse soffici delle ballerine di valzer. L’emozione del ballo è la più dolce emozione dei seni; è allora che essi meglio avvertono il proprio desiderio e il desiderio degli altri, è allora che si gonfiano e si riempiono di fremiti sottili. I seni nel valzer riposano sul braccio dell’uomo come colli di cigno. Gli uomini abbracciati alle donne nel valzer pensano al disopra di tutto ciò che fingono di pensare: «Ho i suoi seni vicino... li ho addos so... si fregano contro me... premono contro me... Ora cedono, ora si schiacciano, ora soffrono troppo, ora scoppiano...» I seni nel valzer, sfidano l’uomo da vicino, con un coraggio cieco, in un corpo a corpo che la loro debolezza affronta eroicamente. Nei valzer eleganti con le donne scollate, lo sfregamento dei seni
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sullo sparato del frack è qualche cosa di solleticante che ferisce il pet to maschile come la lama acuta e sottile di uno stiletto» ". Ciò nonostante per i cosiddetti teologi cattolici «liberali», la na scita del desiderio - e quindi della colpa - può essere evitata: tutto di pende dalla forza dell’abitudine. Berardi, dal canto suo, collega il peccato alla stimolazione della libido e della passione «ex consuetis non fit libido, nec passio». I vestiti da sera leggeri o vistosi possono anche non colpire o eccitare gli uomini e neppure i giovanotti abituati a frequentare i luoghi dove si balla. Ma in quest’arte di svestirsi per recarsi a danzare il valzer, si pone ugualmente il problema della « mo derazione». Come capire dove inizia l’indecenza e dove finisce la de cenza? Dove si trova il limite fra la «moderatam vel immoderatam pectoris denudationem», l’esibizione moderata o esagerata del petto nudo? Ortolan constata che nessun autore si è arrischiato a tracciare una linea di demarcazione ben netta. Ciò è dovuto al fatto che non esistono certezze in materia: la profondità della scollatura - che le usanze assolvono dal sospetto di peccato grave - dipende proprio dalle usanze stesse, che variano considerevolmente a seconda dell’e poca, della zona e degli ambienti. I teologi cattolici notano che, nell’Ottocento, in Italia e nei paesi caldi c’è piu libertà che in Inghilterra e nei paesi freddiBallerini ritiene che una donna del nord possa be nissimo scandalizzare con un corpetto meno scollato ed essere quindi condannata al peccato mortale, mentre una donna del sud può essere assolta anche a seno piu scoperto. Dello stesso avviso è Lehmkuhl che asserisce che tutto dipende dal contesto. Secondo Berardi in certi luoghi le usanze sono così radicate, forti e imperiose che non soltanto non si può parlare di colpa grave, ma nemmeno di peccato veniale. Non si può infatti obbligare una donna a comportarsi in modo diver so da tutte le altre. In pratica le viene allora consigliato di giocare con i ritocchi, i pizzi, i nastri per attenuare la scollatura. Ciò che conta è restare nei limiti della decenza, per non urtare la suscettibilità della gente che si frequenta. Ovviamente i nostri autori concordano tutti nel dire che una don na che si azzarda a recarsi a ballare in «décolleté», laddove questo non sia di rigore, merita di essere condannata al peccato mortale! È infatti riprovevole introdurre una simile moda laddove non esista.
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Questo atteggiamento non può che eccitare turpi passioni e, in tal ca so, l’assioma «ex consuetis non fit libido» in grado di scusarlo, non può essere applicato. Quello che è fuori del comune attira maggior mente l’attenzione e provoca la concupiscenza a un livello più alto. Come dice Lessius, «insolita enim magis movent », le cose insolite turbano di più". Al problema delle usanze si riallaccia quello del ballo mascherato, che molti autori ritengono condannabile a priori perché espone a un costante pericolo di peccato. Secondo Gousset, ilpericulum peccandi, il pericolo di peccato, deriva dal fatto che, mascherati, i ballerini pos sono - senza correre il rischio di essere riconosciuti - prendersi delle libertà impensabili a viso scoperto La maschera permette inoltre di dissimulare le cattive intenzioni. Tuttavia per Berardi bisogna opera re una distinzione fra balli mascherati pubblici e privati. Nelle riunio ni familiari si tratta di un tipo particolare di divertimento che non è possibile assimilare al male. I travestimenti, talora stravaganti, posso no diventare un pericolo, ma nella maggior parte dei casi rappresen tano soltanto un’innocente distrazione". Ortolan crede che i balli mascherati pubblici siano invece un’oc casione frequente di peccato. I costumi sotto cui si nascondono balle rini e ballerine favoriscono spesso disordini più grandi e più numero si. Questa regola, però, ha le sue eccezioni. Il pericolo, nei balli ma scherati, sussiste per coloro che lo ricercano deliberatamente: «Infat ti, molto spesso, non soltanto il viso è nascosto dalla maschera e le scollature di ogni tipo sono bandite, ma perfino la figura più elegante è dissimulata sotto un ampio domino. Le scarpe sono l’unico motivo di civetteria. Una calza lavorata a punto a giorno, una scarpetta di seta o di raso sono gli elementi - a volte ingannevoli - in base a cui si cerca di indovinare l’età e la bellezza della persona travestita in questo mo do. Una quasi cinquantenne può approfittare di questo sotterfugio per lasciar credere di averne solo una ventina. Per lei un ballo norma le, in cui apparirebbe com’è realmente, non presenterebbe alcun pe ricolo. Un ballo mascherato invece può crearne al suo cavaliere e a lei stessa. Se da questa duplice illusione nasce una passione di qualche ora, ciò significa che è stata provocata volontariamente e che l’astuzia femminile, da una parte, e la fantasia, dall’altra, hanno ingigantito un
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fascino che nella realtà si riduce a ben poca cosa o che forse non esiste affatto»26. Questa lunga citazione dimostra che Ortolan pensa che vi siano bellezze e attrattive che esistono di per sé, al di fuori del campo dell’immaginazione.
Una questione di luogo e di tempo. Il giudizio sulla moralità di un ballo non può prescindere da consi derazioni sullo spazio, il luogo in cui si svolge, e sul tempo, vale a dire il periodo dell’anno e l’orario. Ai teologi, i balli di campagna, di peri feria, delle locande sembrano più pericolosi di quelli di società e dei salotti. Secondo Ortolan, «la grossolanità delle danze in campagna e quella della gente di basso rango spalancano le porte a ogni genere di abuso e di disordine come: l’eccessiva libertà di parola, i gesti sconve nienti, le pose licenziose o apertamente disoneste, i baci appassionati dati in pubblico, senza pudore né ritegno». Nonostante il teologo sia costretto ad ammettere che la corruzione può nascondersi anche «dietro le parvenze dell’educazione più raffinata», egli ritiene tutta via che nei salotti ci sia maggiore decenza e riservatezza perché, in ge nere, una fanciulla danza soltanto davanti ai suoi genitori, la cui pre senza gli pare una garanzia anche qualora non fossero troppo vigili. Ortolan è convinto che in campagna le ragazze siano più libere nei loro spostamenti, e che quindi riescano a sottrarsi più agevolmente al la sorveglianza dei loro genitori: «Una fanciulla che appartiene alle classi sociali più elevate non potrebbe, senza perdere l’onore, andare al ballo da sola né rincasare sola, e nemmeno andarci o rincasare ac compagnata da qualcuno che non fosse un parente molto stretto. Le uscite di questo tipo sono meno rare per le giovani popolane, che di conseguenza rischiano maggiormente di incorrere in una grave colpa o di farvi cadere chi, conoscendo le loro abitudini, può approfittarne per commettere più facilmente il male». Non sappiamo quale sia l’e strazione sociale dell’autore di queste righe, che è diffìcile cogliere in fallo per finezza di analisi. Non sappiamo neppure se sia originario della città o della campagna. Comunque sia, secondo la sua stessa ot tica, l’opposizione fra città e campagna non è veramente operativa. In
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base alla nostra esperienza diretta sia della campagna francese (del nord e del sud-ovest, e in particolare della Bretagna, della Champa gne, delle Ardenne, della Borgogna e del Limosino) sia della campa gna estera (soprattutto dell’Austria, della Germania del nord e del sud, e dell’Italia meridionale e settentrionale), siamo del resto portati a credere che certi padri di campagna siano ben più « gelosi » delle lo ro figlie di quanto non siano i borghesi di città. In alcuni paesini della zona di Salerno i costumi sono molto più rigidi e controllati che nei salotti parigini. Ciò non toglie tuttavia che la questione del luogo resti importante. Lo stesso dicasi per il tempo del ballo. Secondo i teologi, ballare di giorno è meno pericoloso che ballare di notte. Nel discorso sul tempo interviene però anche il fattore «frequenza». Se le danze sono più frequenti e regolari - tutte le domeniche e i giorni di festa - come av viene, ad esempio, in campagna e nelle cittadine di provincia, è raro che rimangano un semplice divertimento. La ripetizione dei balli di venta un’« occasione di intimità e di incontri per le persone dei due sessi che, in questa maniera, trovano il modo di fornire alla loro pas sione un continuo alimento, di cui sono sempre avide»”. Questo giu dizio severo viene ammorbidito qualora la frequenza sia minore. La danza comporta meno rischi quando è organizzata in famiglia per ce lebrare i momenti lieti, la firma di un contratto, un matrimonio o an che un battesimo. Pur non cessando del tutto il rischio, queste feste sono meno pericolose perché limitate nel tempo. Berardi, dal canto suo, insiste sul rischio specifico rappresentato dal periodo di carneva le, ricorrenza particolarmente critica poiché il ballo è pretesto per grandissimi disordini. Lontana eco dei saturnali, il carnevale per mol te anime è causa di peccati deplorevoli”.
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Cfr. Ateneo, Dipnosoph isles, XIV, p. 630. Cfr. Ortolan, voce « Danse » cit., col. n6. Ortolan, voce « Danse » cit., col. nj. Sant’Alfonso, Tbeologie morale cit., 1. IV, tomo n, p. 240. Cursus tbeologiae moralis cit., tomo VI, p. 107. Quest’osservazione è però valida anche per la volta, che ha un andamento piuttosto lento. Ortolan, voce «Danse» cit., col. 117.
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8 Ortolan, si rifa a sant’Alfonso, voce « Danse » cit., col. n8. 9 Sàlmanticensi, Cursus theologiae morali? cit., cap. ni, n. 36, p. nr 10 Caetano, tomo. VI, p. m. 11 Berardi, De recidivi? et occasionarti?, 1897, tomo II, pp. zn sgg. 12 Ortolan, voce «Danse» cit, col. 12L 13 Cfr. J. Morienval, voce «Bai», Dictionnaire de sociologie, EH, coll. 94-106. 14 «1^ Chiesa talvolta protesta contro certi nuovi balli [...] Se non viene sempre ascoltata non si può comunque dire che la sua azione non abbia conseguenze. », scrive Brouillard, alla voce «Danse», in Jacquement, Catbolicisme, hier, aujourd'bui, demain cit., 1952, tomo HI, col. 438. 13 Boehn, Der Tanz cit., p. 76. 16 Ibid. 17 Ortolan, voce «Danse» cit., col. 113. 18 Roncaglia, Universa morali? theologia, 2 voli., Venezia 1753, tr. VI; Concina, Theologia Chri stiana dogmatico-morali?, io voli., Roma 1733, tomo II, pp. 134-37. w Navarre, Manuale confessariorium et paenitentum, Venezia 1616, p. 388; Lessius, Dejustitia et jure, Brescia 1696, p. 634; Catejan e Sylvius, In IIamllae,4v6IL, Anvers 1667, tomo DI, p. 898; Salmanticensi, 1728; Bonacina, Tractatus de matrimonio 3 voli., Venezia 1716, tomo I, p. 322; Diana, tr. V, De scandalo, 9 voli., Lyon 1667, tomo VII, p. 333; Sanchez, Desancto matrimonii sacramento, Lyon 1637, tomo HI, p. 315; Tamburini, Explicatio decalagi, Venezia 1707, tomo I, p. 206; sant’Alfonso, Theologia morali?, tomo I, pp. 343 sgg.; Marc, Institutiones morale? alpbonsianae, tomo I, p. 363; Ballerini, Compendium theologiae morali?, tomo I, p. 209; Be rardi, De recidivi? et occa?ionariis cit., tomo II, pp. 218-24; Lehmkuhl, Theologia moralis, Freiburg 1902, tomo I, p. 308. 20 Ballerini, Compendium theologiae moralis cit., tr. V, De virtutibus, tomo I, c. DI, a. 2, § 3, sez. Il, n. 242-46, p. 212. 21 R. G. de la Serna, Seni, Milano 1978, pp. 212, 213. 22 Questa tendenza ha forse subito un’inversione ai nostri giorni a causa degli spostamenti turi stici estivi e soprattutto a causa dell’influenza della televisione. 23 Lessius, De justitia et jure cit., I. IV, p. 634. 24 Gousset, Théologie morale cit., tomo I, p. 293. 25 Berardi, De recidivi? et occasionarli? cit., tomo H, p. 213. 78 Ortolan, voce «Danse» cit., col. 115. 27 Ibid., col. 123. 38 Berardi, De bacchanalibus, in De recidivi? et occasionarti? cit., tomo II, pp. 233-38.
Capitolo sedicesimo Il valzer e il parroco
«H buon parroco di Véretz si guardava bene dal con siderare il ballo alla stregua degli altri peccati mortali, o di ricorrere ai potenti per turbare degli innocenti pia ceri. Perché insomnia, diceva, i giovani devono pur ve dersi, conoscersi prima di sposarsi, e dove volete che si incontrino in modo piò onesto che in un ballo, sotto gli occhi dei loro amici, dei loro genitori e del pubblico, sommo giudice in fatto di convenzioni sociali e di corret tezza?»
P. L. Courier, Petition pour des villageois que l’on empéebe de danser (1822), in (Euvres completes, Paris, pp. 143-44.
Anche se il valzer, in sé, rappresenta un rischio frequente di pec cato, i teologi non lo proibiscono categoricamente. In realtà il proble ma del peccato è legato alla persona stessa che balla: la componente individuale è essenziale. Il confessore incorre in gravi errori se non ne tiene conto, giudicando unicamente le condizioni oggettive del val zer. La componente personale fa sì che la Chiesa sia praticamente in capace di determinare a priori se un ballo è o non è peccaminoso. In effetti le danze, a meno che non siano palesemente oscene, sono illeci te soltanto a causa del pericolo che comportano. I balli «lascivi» im plicano un pericolo immediato cui, in mancanza di un serio motivo, non è possible esporsi senza commettere un peccato mortale contro la virtù e la prudenza; ma in molte altre danze il pericolo non è così nettamente universale e assoluto. Di conseguenza i teologi tendono a delegare il potere decisionale al parroco che, trovandosi sul posto, dovrebbe riuscire a capire il contesto della situazione.
Un pericolo relativo. Il pericolo è relativo alla persona. Una ragazza può trovare nel bal lo un’occasione frequente di peccato a causa del suo temperamento,
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della sua fragilità. Ma nella stessa situazione moltissime altre persone non proveranno alcun sentimento riprovevole. La posizione dei teo logi dipende dunque dal modo in cui il soggetto vive la danza. Biso gna vietare il ballo a chi, assistendo a una danza anche onesta, pecca sempre gravemente. È chiaro che per questa persona il ballo è un’oc casione immediata di peccato: esponendosi allo stesso rischio è quin di probabile che ricada nella stessa colpa. Di conseguenza, per otte nere l’assoluzione dovrà rinunciare a mettersi in questo tipo di situa zioni. Viceversa, ciò che può sembrare il più grande dei pericoli per la maggior parte della gente - in particolar modo gli amplexus del valzer - si rivela assolutamente innocuo per coloro che, per educazione e ca rattere, sono meno impressionabili. Come abbiamo già visto, i balli frequenti finiscono talvolta con l’eccitare le passioni. Talvolta, però, la ripetizione provoca l’effetto contrario. «L’assuefazione attenua la sensibilità». Il valzer, trasfor mato in abitudine, in cosa usuale, non stimola più né i sensi né la cu riosità. Alcuni arrivano a un grado di indifferenza tale da provare, da vanti a questo genere di divertimenti, noia e nulla più. Ex assuetis non fit passio. Ortolan dice anche che vi sono persone che danzano unica mente perché cedono alla passione « tirannica » della sfera sociale cui appartengono, e che si prestano a ballare a malincuore o addirittura con un senso di «disgusto»1. Questa relatività dell’esperienza della danza porta Ortolan a invi tare i teologi e i predicatori a essere molto circospetti nel valutare il valzer dal punto di vista morale. Chi giudica «farebbe male ad agire semplicemente secondo le sue idee personali o secondo quelle del l’ambiente in cui è vissuto lui stesso». Non è possibile paragonare le persone nate e vissute in un ambiente mondano alle «anime privile giate che, dalla più tenera età, sono state coltivate come fiori di ser ra». Non bisogna pensare che un individuo sia sempre in preda al peccato soltanto perché non aspira alla perfezione. « Perché certe pa role, certe vicinanze lo scandalizzano meno di quanto non accadreb be a una persona la cui innocenza è sempre stata protetta dietro le mura di una casa religiosa, non bisogna concludere che sia del tutto privo di coscienza e che non distingua il bene dal male»2. Per Ortolan, se una coscienza è meno sensibile al fascino della vir-
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tu, non per questo deve essere assolutamente traviata: «Vede e valuta le cose secondo una sua visuale particolare». Il teologo soggiunge: «Per giudicare le intenzioni delle persone è le molle che le fanno agire bisogna infatti identificarsi con loro almeno per un attimo, appro priarsi dei loro pensieri, e indovinare quello che provano». Questo atteggiamento di empatia rogeriana ante litteram non si spinge fino a suggerire che il teologo si debba rimettere all’opinione della gente «di Un certo mondo» per sapere se una cosa sia buòna o cattiva. In' questo modo si dovrebbe approvare qualunque cosa. Ad esempio, chi si batte in duello, per giustificarsi, si è sicuramente creato «una sua teoria», che però è inammissibile condividere. Per quel che ri guarda la danza, invece, non si può ignorare l’esperienza del balleri no. È necessario quindi interrogarlo su ciò che gli succede dentro, sull’impressione che prova danzando in una certa maniera. Soltanto lui può infatti rispondere al riguardo, poiché è l’unico a sapere ciò che avviene nella sua coscienza. Bisogna fidarsi del penitente visto che, come ha dimostrato Carlo Borromeo, la danza è un’occasione «relativa e personale». Una situazione, cioè, che non è possibile giu dicare in modo assoluto e universale ’.
Il peccato può essere evitato. Pian piano emerge cosi l’identità morale del ballerino di coppia e in particolare del ballerino di valzer. Gousset rende l’analisi ancor più complessa scrivendo: «perché il ballo sia un’occasione immediata di peccato, non basta che sia causa di cattivi pensieri o di altre tentazio ni, anche se ciò accadesse regolarmente; simili tentazioni si provano ovunque, da soli come in mezzo alla gente»4. Gury, dal canto suo, ri tiene che sia estremamente difficile stabilire se una danza costituisca o meno un pericolo mortale a causa delle moltissime variabili che in tervengono «Non facile in theoria statui potest. Quaestio enim intri catissima est, et plerumque a variis circumstantiis pendet». Anche se in genere ballando il valzer o la polca il pericolo è enorme «periculosissimae habentur chrae quae valse et polka dicuntur », ogni situazio ne va valutata isolatamente e in relazione a ogni singola persona «re
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lativa sunt ad praesentes personas». Lo stesso autore afferma di aver incontrato di frequente donne e ragazze che durante il ballo commet tono solo peccati di vanità, e altre che addirittura non ne commettono affatto5. Se il ballo in sé non è immorale, se non è sempre occasione di pec cato e quindi non è illecito, ma se nonostante tutto può diventare pe ricoloso e quindi nocivo ed essere pertanto vietato, allora il teologo si trova costretto a giudicare volta per volta ogni caso particolare. Le circostanze da considerare dipendono dalla danza stessa e soprattut to dal ballerino che, a seconda della sua personalità, può essere in gra do di affrontare la situazione senza rischio, anche se le persone che peccano durante il ballo sono «infinitamente» più numerose di quel le che non peccano, specialmente nei periodi di rilassatezza dei costu mi. Quando nel corso di un ballo si prendono notevoli libertà, il pec cato è praticamente sempre in agguato. La virtù è costretta a capitola re. Ciò non toglie che, dal punto di vista teologico, il peccato sia «ac cidentale», pur realizzandosi con grande frequenza. L’accidentalità implica la «non universalità». Non si può pertan to condannare qualsiasi ballerino di valzer come proponeva Esch bach definendo questo ballo «sostanzialmente impuro» poiché, per natura, «distruggerebbe ogni castità»6. L’autore non attribuisce al l’espressione «sostanzialmente» il valore universale che ha in filoso fìa, dove la necessità è immutabile e non ha eccezioni. La usa invece in senso morale, nel senso di «communiter», «regulariter», «plerumque» o di «ut plurimum» e quindi in un’accezione che conserva un carattere di grande generalità, contemplando però la possibilità di qualche eccezione. Da ciò Ortolan trae la conclusione che non è am missibile condannare il valzer in maniera assoluta: «Visto che, in mo rale, il significato di ’sostanzialmente’ è completamente diverso che in metafisica, ci fosse anche un solo caso su mille o addirittura su cen tomila, questo basterebbe a far sì che non si possano condannare in modo universale e assoluto i balli con volteggi - valzer, polca, ecc. -, proprio in virtù di questo stesso ‘sostanzialmente’ ». Da questa posizione limite della Chiesa, cui aderisce un certo nu mero di moralisti - fra cui il cavaliere di Ségur che disse di una fan ciulla: «È vergine, non fosse che per il valzer», deriva una divisione
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degli esseri umani basato su criteri morali. Ci sono persone virtuose la cui verginità è integra e ci sono persone che l’hanno persa: fra queste due categorie si situano coloro che hanno ballato il valzer! A questi ultimi si applica una morale particolare, una sorta di morale e di teo logia in cui il bene e il male hanno un significato diverso da quello adoperato per la gente virtuosa che evita di danzare. Alle persone che sono votate alla verginità o alla virtu, è caldamen te sconsigliato il ballo in generale e vietato il valzer. Questo vale anche per chierici, ecclesiastici e religiosi. Per proibire loro il ballo, il diritto canonico ha preso misure che risalgono all’antichità, e che ritornano attuali ’ con il concilio di Trento. Se in certi balli la presenza dei chie rici potrebbe essere tollerata, essi devono tuttavia astenersene nel ti more di dar scandalo. Per i laici credenti la danza, anche quando non rappresenta un pericolo per la virtu, costituisce un pericolo per la de vozione, e viene quindi decisamente sconsigliata. Se una persona pia si trova per caso in una situazione in cui non può esimersi dal ballare, deve cercare di scacciare al più presto la spiacevole impressione che ne ricava, e uscire dal languore, frutto naturale della dissolutezza spi rituale e dell’indebolimento dell’aspirazione alle cose divine. In pro posito san Francesco di Sales propone alcuni esercizi spirituali adatti a riportare nell’animo la pace interiore*. Egli esprime inoltre la sua opinione sulle danze e sui balli: « cose di per sé indifferenti; ma la cui pratica, come si è ormai affermata, è cosi rivolta al male, a causa di tutte queste circostanze, che comporta gravi pericoli per l’anima». A chi si trova nell’assoluta necessità di partecipare a un ballo consiglia: «fate attenzione che per il ballo sia stato preparato tutto secondo le migliori intenzioni, nel rispetto della modestia, della dignità e delle regole sociali [...]. E ballate il meno possibile per paura che il vostro cuore cominci ad amarlo»’. La danza deve inoltre essere vietata alle fanciulle che facciano par te di una congregazione, istituita in una parrocchia in onore della Vergine Maria. Una persona che fa «professione di fede» non deve per nessun motivo organizzare balli di carità, invitando parenti e ami ci. Per il teologo, questi balli di carità, della « carità » hanno soltanto il nome. « Una volta pagate le spese di allestimento e di illuminazione, il ricavato che resta per i poveri è ben poca cosa». Queste feste monda
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ne sono «un insulto alla miseria dei poveri». Lo zelo che viene pro digato per consentirne la riuscita è incompatibile con la vera devozione . Ben altra la situazione di coloro cui è negata l’assoluzione. Fra questi ci sono in primo luogo i musicisti professionisti che si prestano a suonare nei locali da ballo notturni e pericolosi, da cui giovanotti e ragazze tornano assieme, disordinatamente, «come avviene troppo spesso nelle campagne». La loro condanna è dovuta al fatto che si rendono praticamente complici di un’enorme quantità di peccati mortali. Il teologo è meno categorico riguardo ai musicisti che suona no alla luce del sole, nell’ambito di ima festa del santo patrono o di fa miglia. Condannato è pure chi finanzia i musicisti dei balli pubblici, o tenta di introdurre la danza nelle parrocchie dove non viene pratica ta. Gli organizzatori dei balli pubblici devono essere trattati con una severità ancora maggiore, come chi affitta o presta i locali in cui si svolgono simili riunioni. Lehmkuhl spiega che bisogna valutare caso per caso in base all’entità dell’intervento materiale e alla probabilità di commettere colpe durante il ballo sovvenzionato ". Fra queste due categorie c’è la massa sempre più cospicua di colo ro che non vogliono né fare professione di fede né partecipare alle danze lascive dei locali notturni. La responsabilità di gestire il proble ma ricade sulle spalle dei preti delle parrocchie e dei confessori, che spesso ricorrono alla collaborazione diretta della forza pubblica.
Il potere dei parroci. L’atteggiamento dei parroci non è mai stato univoco. Due posi zioni diverse e contraddittorie attraversano tutta la storia della danza di coppia, come quella delle varie Chiese. In un’opera di recente pub blicazioneIl 12, Francis Sparshott ricorda che il dibattito è già vivo ai tempi della volta. Si scontrano già allora due diverse tendenze: da un lato quella dei puritani, che vedono nella danza di coppia una pratica lasciva di questo parere è ad esempio Christopher Fetherston nel 1582 dall’altro quella dei liberali, che la considerano l’espressione sociale di una gioia collettiva e un mezzo utile per permettere ai ragaz-
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zi e die ragazze di incontrarsi - questa è fra l’dtro l’opinione di Thoi not Arbeau nel 1589. Il libellista Paul-Louis Courier ci fornisce una testimonianza inte ressante su questo dibattito ancora d’attualità, in Turenna, nel 1822. Ce ne lascia una descrizione precisa in una petizione. Due paesi vici ni, Azai e Véretz, hanno due diversi parroci: il primo giovane, il se condo vecchio. Le loro opinioni sulla danza sono agli antipodi. Il gio vane parroco di Azai, appena uscito dd seminario, decide di soppri mere il ballo nella sua parrocchia. Eppure si trattava di una festa tradizionde, conosciuta da generazioni. Arrivavano persone anche da lontano. La gente ballava, faceva affari nella piazza del paese. Su ri chiesta del parroco, però, il prefetto — il giorno di san Giovanni, po chi giorni prima della festa - fa leggere un’ordinanza, proclamata a suon di tamburo, che da quel momento in poi vieta i balli nella piazza del paese. La festa ha luogo, malgrado l’ordinanza, ma senza entusia smo: «ballammo fuori del paese, in riva allo Cher sull’erba, sotto i noccioli: tutto questo è molto più bucolico delle bottegucce del mer cato, più adatto per un’egloga, in una parola, più poetico... ma noi, dopo il ballo, preferiamo due uova con la pancetta nell’osteria più vi cina anziché il mormorio delle acque e i prati in fiore. Da allora le no stre domeniche a Azai non attirano più nessuno. Da fuori vengono poche persone e nessuna resta. Ci rechiamo a Véretz, dove c’è ancora un grande afflusso di gente perché nessuna ordinanza ha vietato la danza. Il parroco di Véretz è un uomo sensato, istruito, quasi ottan tenne, ma amico dei giovani, troppo ragionevole per volerli corregge re in base a vecchie usanze e comandare con le bolle di Bonifacio o di Ildebrando. Ballano proprio davanti alla sua porta e quasi sempre al suo cospetto. Lungi dal criticare questi passatempi, che in sé sono del tutto innocenti, sta a guardare, convinto di agire bene... Il parroco di Azai, invece, è un giovane ardente di zelo, appena uscito dal semina rio, nuova recluta della Chiesa militante, impaziente di distinguersi. Cominciò ad attaccare la danza nel momento stesso in cui arrivò: sembra che abbia promesso a Dio di eliminarla dalla sua parrocchia, servendosi a tal fine di vari strumenti, fra cui il più importante, e sino ra l’unico efficace, è l’autorità del prefetto... Lo sanno tutti che non è da oggi che i ministri della Chiesa hanno avuto l’idea di avvalersi del-
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l’aiuto del braccio secolare per convertire i peccatori, laddove gli apostoli usavano soltanto l’esempio e la parola, secondo l’insegna mento del Maestro. Succede la stessa cosa altrove, negli altri comuni di questa zona, dove vi sono parroci giovani. A poche leghe da qui, ad esempio a Fondettes [...], qualunque ballo è ugualmente vietato ai cittadini del posto da un’ordinanza del prefetto»13. Eppure, spiega Courier, le feste di Fondettes erano famose. Ri chiamavano parecchie migliaia di persone dai villaggi circostanti e da Tours, lontana soltanto due leghe. «A sentire i viaggiatori, nei borghi vicino a Parigi e nelle bastie vicino a Marsiglia, nonostante la maggio re affluenza, soprattutto di gente di città, c’erano meno attrattive e meno allegria rustica. Non provate più invidia, o balli campestri di Sceaux e di Le Pré-Saint-Gervais: queste feste sono finite perché il parroco di Fondettes è anche lui un giovane appena uscito dal semi nario di Tours, proprio come quello di Azai, e gli allievi di questa casa religiosa, una volta messi al lavoro nella vigna del Signore, vogliono innanzi tutto estirparne qualsiasi piacere, qualsiasi divertimento e trasformare un villaggio ridente in un tetro convento di trappisti»M. Al seminario di Tours, impera l’insegnamento di frate Isidoro, un monaco al cui riguardo Courier dice: «Il monaco fa i parroci, e i par roci ci faranno monaci». Oltre al ricorso ai gendarmi, il parroco di Azai dispone di un altro strumento di pressione per estirpare il ballo dal paese. Si tratta della confessione: «Alle ragazze viene data l’asso luzione unicamente se promettono di rinunciare al ballo, cosa che po che di loro accettano di fare, per quanto ascendente possa avere, per sesso ed età, un confessore di venticinque anni che ha tanti elementi a suo favore, tanti strumenti di persuasione derivati dalle confidenze, dal segreto e dall’intimità che inevitabilmente si crea; ma le penitenti sono innamorate del ballo; la maggior parte delle volte sono innamo rate anche di un ballerino che, dopo qualche tempo di inseguimenti e di amore, finisce col diventarne il marito. Tutto questo avviene in pubblico: non c’è proprio niente di male e la cosa in sé è molto più de corosa dei colloqui a quattr’occhi con i giovanotti vestiti di nero» “. Questo atteggiamento di rigore, secondo Courier, spinge gli abi tanti di Azai ad allontanarsi dalla Chiesa e a non andare più a messa la domenica... Il buon parroco di Véretz, che si comporta invece in mo
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do ben diverso, merita un elogio. Lui sì che è un padre per i fedeli, co me lo era il vecchio parroco di Azai, poi sostituito dal seminarista: « Si trattava di un uomo molto moderato e, anche per lui, i suoi parroc chiani erano diventati la sua famiglia, condivideva le loro gioie, i loro dolori, le loro pene, come pure i loro passatempi [...] e provava piace re nel vedere ballare ragazze e ragazzi, specialmente in piazza; perché preferiva che danzassero là piuttosto che in qualsiasi altro luogo, e di ceva che raramente il male si fa in pubblico. Proprio per questo moti vo accettava di buon grado che le giovani e i loro fidanzati si incon trassero in piazza piuttosto che da qualche altra parte, piuttosto che in un boschetto o nei campi, in qualche posto lontano dagli sguardi della gente, come accadrà quando le nostre feste saranno definitiva mente soppresse» Questa lunga citazione offre una preziosa testimonianza su due at teggiamenti, due politiche dei parroci. La prima presuppone l’accet tazione della coppia come forma sociale, e in tal caso è il parroco stes so a incitare i giovani a socializzare in piazza, in pubblico, durante il ballo del paese, e a difendere la socialità della coppia. La seconda po sizione sembra per contro rifiutare l’idea stessa di coppia e vietarne l’affermazione sociale nella danza, col pretesto del peccato. Di que st’opinione è anche san Gian Maria Vianney, parroco di Ars-surFormans, contemporaneo del seminarista di Azai (1786-1859), di cui condivide la severità, che esercita in un’altra zona, la Dombes. A par tire dal 1815, anno in cui arriva ad Ars, conduce una guerra per caccia re i balli rurali e popolari dalla sua parrocchia. Riesce a ottenere una vittoria totale, dopo venticinque anni di lotte ” Si tratta per lui di una questione di principio: a suo avviso, il ballo non può essere autorizza to perché fornisce un’occasione troppo diretta e troppo grande per offendere Dio. Come il parroco di Azai, egli rifiuta l’assoluzione a chiunque tra i suoi fedeli vi prenda parte o vi assista... Qualsiasi balle rino di valzer non può che rammaricarsi per il fatto che come santo patrono dei parroci sia stato scelto proprio Gian Maria Vianney. Durante tutto l’Ottocento, la danza è stata oggetto di molti sermo ni critici, non soltanto nei paesini francesi, ma in tutto il mondo. Del resto, la Chiesa cattolica è universalmente presente e per di più, su
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questo argomento, le Chiese protestanti sono dello stesso parere Anche nel bel mezzo del Novecento, la Chiesa continua a vedere nei balli popolari, cittadini o rurali, dei momenti di eccessiva disin voltura e brutalità. Tuttavia, in questo stesso periodo, i militanti cri stiani, pur non approvando né condividendo la frenesia dei balli, ri tengono che questi non vadano semplicemente condannati, bensì co nosciuti a fondo, purificati e cristianizzati. Pensano che valga la pena di tentare una sorta di apostolato, che richiede molto coraggio e per severanza, ma che può essere efficace e fruttuoso. Intanto si moltipli cano le direttive episcopali incentrate sulla partecipazione ai balli po polari. Nel 1939, prende posizione il vescovo di Digione. Nel 1945, il vescovo di Lavai si esprime, a sua volta, sulla questione: «Alcuni diri genti e militanti di Azione Cattolica si recano al ballo per non perdere troppo il contatto con la massa e cercare di esercitare su di essa un’in fluenza positiva. Ma bisogna notare che, per ammissione degli stessi giovani, è quasi impossibile moralizzare la danza, a meno che parec chi'militanti dèi due sessi, ben indottrinati e non troppo giovani (al di sopra dei diciotto o vent’anni) non siano i promotori del ballo. Un semplice militante non ci riuscirà mai ”... » Ovviamente anche il dan cing è, a sua volta, oggetto di nuovi attacchi come quello del vescovo di Quimper nel 1945 Alla vigilia del 1914, il valzer e il ballo popolare o di società sono ancora al centro della vita sociale. Per anni il valzer e i balli di coppia sono stati oggetto dei dibattiti dei teologi e di lotte concrete nelle par rocchie. Alla soglia della prima guerra mondiale, la pratica del ballo di coppia mobilita ancora le energie intellettuali degli studiosi cattoli ci. A Roma il valzer fornisce inoltre un pretesto per sviluppare una fi losofia della coppia che elimina l’erotismo, benché questa parola non venga ancora usata. Una posizione morale, che preveda l’affermazio ne di una socialità di coppia, stenta a prendere piede. La Chiesa con sidera l’incontro dei giovani nel valzer un grande pericolo per la mo ralità, e così non si rende conto della forte carica socializzante rappre sentata da queste manifestazioni di gioia e di trasgressione generale, che servono a creare un tessuto comune, uno spirito collettivo. Di conseguenza, essa è in parte responsabile del degrado della socialità
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di coppia che nel corso del Novecento conduce, nella danza e più in generale nella vita, a una sorte di nichilismo e a un’erotizzazione indi viduale basata sulla negazione del rapporto fìsico con l’altro.
1 Ortolan, voce « Danse » cit., col. 125. 2 Ibid. 3 C. Borromeo, Avvertimenti per li confessori, § 19. 4 Gousset, Tbélogie morale cit., tomo I, p. 296. 3 Gury, Casus conscientiae, Paris 1891, tomo I, pp. 100-1. 6 Eschbach, Disputationes physiologico-theologicae, Roma 1901, p. 524. 7 Ferraris, Prompta bibliotheca, «dericus», Roma 1784-90, tomo n, p. 202. • San Francesco di Sales, CEuvres complètes, Paris 1862, tomo I, p. 198. ’ Id., Introduction àia vie devote, Paris 1852, p. 302. Nella ristampa di quest’opera del 1893, cd. Annecy, si vedano nella terza parte i capp. xxxiii e xxxiv, pp. 249-53. “ Cfr. Ortolan, voce «Danse» cit., col. 131. 11 Lehmkuhl, Theologia moralis cit., tomo I, p. 385. 12 Sparshott, Off the Ground, First Steps to a Philosophical Consideration of the dance cit., pp. 21-22. ° Courier, Pétition pour des villageois que Pon empèche de danser (1822), in (Euvres completes cit., pp. 139-41. M Ibid., p. 141. 15 Ibid., p. 142. 16 Ibid., p. 143. 17 Trochu, La vie du ctiré d*Ars, 1931, cap. V, pp. 176-90. ,B Cfr. Le sermon et la danse aux Etats-Unis, in «Journal l’Eclair» (novembre 1895), n. 14. w Brano citato da Jacquement, Catholicisme, bier, aujourd’hui, demain eie., voli. I/VH, coll. 1182-83. “ Ibid., col. 1182.
Capitolo diciassettesimo Il valzer musette
«La musette ha lasciato il posto allo stridulo violino Che stona e strilla con presunzione; H figlio dell'aratro ha belle maniere E non vuol più ballare il girotondo dei nostri padri... »
J. Berchoux, La danse (1806), p. 36.
Agli inizi del Novecento, la crisi del valzer deriva in primo luogo dal fatto che questo ballo è associato, nella sua evoluzione viennese, a un tipo di società, anch’essa un po’ decadente. L’aristocrazia non è più promotrice di nuovi valori; la nobiltà e la borghesia emergente hanno trasformato il valzer in una specie di forma sociale decadente. La musica degli Strauss ha qualcosa di guerresco, di militare, di mec canico - è in modo «maggiore» - e ciò non corrisponde più ai nuovi valori culturali. Cosi il valzer viennese, come musica da ballo domi nante, è rimesso in discussione da un movimento complesso che defi niremo in seguito e che si manifesta tramite l’affermazione del jazz, del blues, del tango e anche della musette, in Francia e in Italia.
L’invenzione del valzer musette parigino. Non si può dire che la musette sia un’invenzione del Novecento: è piuttosto una riscoperta, un’appropriazione e un’integrazione, un af finamento tipicamente parigino di elementi culturali e musicali che daranno al valzer una nuova dimensione popolare '. La musette in Francia è nata dai balli popolari alverniati, già fre quenti nella prima parte dell’ottocento. In questi balli vengono suo nati la cabrette, una piccola cornamusa, e la musette; due strumenti poi sostituiti dalla fisarmonica. Nella forma iniziale, diatonica, la fi sarmonica è lo strumento preferito dagli emigranti italiani arrivati a Parigi alla fine del secolo scorso. L’incontro degli alverniati e degli
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italiani - e in particolar modo l’incontro fra Bouscatel e Charles Péguri - determina la nascita di un nuovo stile. Paradossalmente è lo strumento alverniate, che viene eliminato, a dare il nome al ballo. La musette tuttavia non è il risultato di un incrocio come accade invece a Vienna fra musica da ballo rurale e musica classica: si tratta di una musica nuova, di una creazione inedita, che affonda le radici nella canzone parigina. Bisogna ricordare, al riguardo, tutta una tradizione di valzer popolari che si oppongono a quello borghese, al valzer musi cale della corte napoleonica. La canzonetta popolare, critica e poeti ca, esiste da un bel pezzo. Per averne una conferma basta riascoltare Le bleu des bleuets o Le temps, des cerises di Jean-Baptiste Clement2. Per il popolo parigino questo valzer sentimentale composto nel 1867 - lo stesso anno in cui Strauss ottiene il successo a Parigi con Sul bel Danubio blu - resta legato alla tradizione della Comune. Il valzer, no nostante si sia fatto strada tra i borghesi, rimane nondimeno vivo fra il popolo. La sua versione popolare è però profondamente diversa da quella conosciuta nei salotti. Gli Strauss, Offenbach e Waldteufel lo trasformano in una musica grandiosa, solenne, che vuol essere l’apo logià di una classe sociale ben precisa, la borghesia. Questo tipo di valzer consacrato dall’Accademia di musica, non riesce mai a pene trare fra il popolo parigino che però, al tempo stesso, non vuole ri nunciare al ritmo ternario che ha imposto con tanta fatica. Fra i valzer cantati dell’Ottocento, rappresentativi di questa tradi zione proletaria, dobbiamo ricordare almeno: Plaisir d‘amour, Les petits pavés e le altre canzoni di Paul Delmet. Come ha dimostrato Alain Ajax, la musette è un genere che non ha altre implicazioni «al di fuori di ciò che esprime di per sé» ’. Non può essere sfruttata per un discorso universale e nemmeno per la lotta di classe. In quanto musica popolare è stata associata alla Comune, o più tardi, durante il Fronte popolare del 1936, ai motivetti che accom pagnavano le occupazioni delle fabbriche. Ma in realtà la musette, pur parlando di povertà, si interessa soltanto alla miseria personale del protagonista della canzone. La responsabilità di questa miseria può essere attribuita alla società nel suo insieme, come avviene in Camme un moineau cantato da Fréhel. Ribadiamo però che questo genere non ha nulla a che vedere con la lotta di classe. Se viene evoca-
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to un conflitto, si tratterà dell’antagonismo fra uomo e donna, come in Dugris, cantato sempre da Fréhel. In questo tipo di canzone parigi na, il dramma è sempre individuale;, l’aspetto sociale, la vita urbana, benché costantemente presenti, sono relegati in secondo piano. Ed è proprio questo coinvolgimento personale che 1’accomuna al blues e al tango. La musette non insiste quasi mai sulla povertà. Le donne non sono oggetto, ma soggetto delle canzoni perché si esprimono in prima persona. Una ragazza racconta, ad esempio, dei suoi amori, della miseria di essere una prostituta, della sua aspirazione ad avere una vita privata, di poter dormire se non altro tutta la notte da sola, fra lenzuola pulite’. Concludendo, la musette è una musica che ri prende il valzer per esprimere uno stato d’animo emotivo: come nei brani di Edith Piaf, che quando canta la gioia e il dolore parla di sé stessa, e di se stessa soltanto.
Una musica urbana. Il valzer di Strauss padre è ancora di tipo rurale; degenera nel mo mento in cui Vienna diventa una grande città. La musette, invece, s’impone subito come prodotto urbano; è legata a un nuovo tipo di città, quella dei grandi centri che cominciano a svilupparsi agli inizi del Novecento. Per la prima volta nella storia dell’umanità le persone si pensano come individui, liberi da ogni legame comunitario presta bilito. In questo nuovo sistema, i rapporti sociali si costruiscono su una diversa forma di libertà: la gente vive fianco a fianco, ha relazioni sociali, ma non si identifica con queste. Gli individui sono liberi d’in contrarsi quando vogliono e dove vogliono ’. Parigi nel 1900 è ancora costituita da una serie di «paesini». Nasce una socialità che non ha nulla a che vedere con quella della periferia. In città è possibile trova re radici e stringere rapporti veri, ma i vincoli non sono più assimila bili a quelli tipici dei piccoli agglomerati. Non esiste più il rapporto di interesse che sta alla base della socialità rurale; in città i legami sono voluti, non determinati da esigenze di sopprawivenza materiale. I principali luoghi di incontro cittadini sono la strada e il mercato del quartiere. Il bar può comportare delle abitudini, ma l’abitudine non
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costituisce mai un obbligo. Si esce dai binari prestabiliti. Non esiste più un luogo di passaggio obbligato, come accade nei paesi. Si può scegliere dove fare spese; in città tutto è mutevole e fluido. L’unico punto fìsso è forse il bar. In poche parole, la città è il posto dove si concentrano le virtualità sociali, una fonte inesauribile di possibilità.
Una cultura alternativa.
Come il blues nordamericano o il tango argentino, il valzer muset te rappresenta una cultura alternativa al ballo borghese. Ballerini e musicisti sono inizialmente degli emarginati. Sono usciti dal proleta riato parigino, un proletariato però non militante. Non parlano del lavoro operaio. Danza e musica appartengono alla cultura quotidiana del loro ceto. La musette è un’espressione di autonomia rispetto alla cultura borghese, ma anche rispetto alle organizzazioni della classe operaia; ha una sua valenza esistenziale e non rivendicativa. Questo stile si trova già in Bruant, dove la descrizione della miseria proletaria è più pittoresca che impegnata politicamente. Il compositore, indi cando come la povertà porti all’emarginazione e alla libertà di com portamento, è incontestabilmente un precursore della musette. Uno dei primi personaggi importanti nella storia di questo genere è Emile Vaquer, che si esibì fin dai primi balli con la sua fisarmonica mista. Al principio, nei balli, il ritmo è prioritario. Inizialmente i valzer musette sono in modo maggiore; poi si impongono il cromatismo e l’espres sione dei sentimenti. L’introduzione del modo minore comporta un salto qualitativo, rendendo la musica più ballabile e anche più piace vole da ascoltare. «In certi balli, i frequentatori abituali si fermano per gustare meglio un pezzo di musette particolarmente bello o ben interpretato»4. La composizione in modo minore si afferma verso il 1920 per rag giungere l’apice del successo fra il 1940 e il 1955. Un nuova generazio ne di fisarmonicisti arriva alla notorietà; tra questi Joseph Colombo, Emile Carrara, Tony Murena, Jo Privat e Gus Viseur. Ancor più della giava, il valzer in modo minore è alla base dello stile della canzone pa rigina. Il valzer esce dal locale da ballo per invadere la strada. Gli ap-
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passionati di questo genere si raggruppano attorno al cantante o al musicista. Si consolida cosi il legame fra città e musette, che diventa uno strumento di critica della vita quotidiana. Si fa strada uno stile ti picamente parigino, quello di compositori come Georges Van Parys, Maurice Jaubert, autore di A Paris dans chaque faubourg, Marguerite Monnot, interpretata da Edith Piaf, e Georges Auric, cui si deve Moulin Rouge. Anche Fréhel, Piaf, Mouloudji, Lemarque e Montand contribuiscono all’affermazione del valzer in modo minore. Passione, malinconia, tenerezza, piacere vengono espressi di volta in volta in brani dove il ritmo melodico è in armonia con le parole. Queste can zoni danno al valzer una dimensione nuova. La musette ha assimilato altre cadenze, ma i suoi elementi costitutivi di fondo restano sempre il valzer e la giava, vale a dire il tempo ternario. Del resto il termine stes so di «valzer musette» designa un genere del tutto originale. Non si parla invece di tango musette o di marcia musette; la musette è indis solubilmente legata al valzer. Questa tradizione è molto vivace in Francia sino al i960. Fra il 1945 e il i960 la musette viene ballata a Parigi, ma anche nei sobborghi e nelle vicinanze della capitale. A Parigi si balla un po’ ovunque. In rue de Lappe, da Bouscat, alla Boule Rouge, come al Balajo, e al Petit Balcon, nel passage Thiéré, o al Petit Jardin, in piazza Clichy. La giava fa furore in rue du Faubourg-du-Temple. Si danza anche in rue Lepeu, vicino alla Gare de Lyon. Tra le cinque e le sette, i musicisti di muset te si incontrano in place Pigalle o alla Renaissance; fra loro la comuni cazione è molto facile. In questo periodo anche Django Reinhardt en tra in un’orchestra di musette. Si balla poi nelle numerose balere in ri va alla Marna. Ricordiamo Convert, l’Hermitage e Gégène, l’unica a essere sopravvissuta fino ai nostri giorni’. Il ballo musette non è mai un ballo campestre. Si è per forza co stretti a danzare quasi sul posto, nella saletta interna di un’osteria. Il piacere del ballo deriva dal gioco delle varianti musicali, espresse dal la flessuosità dei movimenti. Il valzer viene danzato anche all’incontrario. Il ritmo è ballabile senza essere martellato come nella disco music’.
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La definizione musicale della musette.
Dopo quanto abbiamo detto, possiamo cercare di dare una defini zione della musette. Per molti questa parola evoca solo il sentimento. Questo genere ha infatti una grandissima carica emotiva, radicata in un luogo e in un periodo ben precisi. Bisogna però evidenziare quali sono le componenti che ne costituiscono la struttura. Alla creazione della musette concorrono vari elementi: in primo luogo uno strumen to, la fisarmonica, poi il ritmo del ballo, ossia il tempo ternario; e per finire un modo, quello minore. Passeremo ora a esaminarli uno per uno. La fisarmonica. La forma attuale di questo strumento - detto cro matico - risale al 1900. Fino ad allora esistevano in campagna, soprat tutto in Alvemia, delle fisarmoniche diatoniche che comportavano soltanto i sette suoni della scala maggiore, senza i semitoni intermedi capaci di modulare le tonalità minori. Di conseguenza, la musica fol cloristica alverniate importata a Parigi nell’ottocento era in modo maggiore, come il valzer. La popolarità del valzer musette e delle can zoni accompagnate dalla fisarmonica stimolarono i fabbricanti, i qua li ne affinarono la fattura, adeguandola al repertorio popolare cui or mai era legata. A quei tempi la fisarmonica offriva il grande vantaggio di sostituire da sola tutti gli strumenti impiegati in un ballo. La melo dia veniva suonata con la mano destra, l’accompagnamento con la mano sinistra. Il musicista poteva inoltre cantare o usare i piedi per accentuare il ritmo, servendosi di uno strumento a percussione, di elementi di batteria, sonagli e cose simili. Il mantice permetteva di rendere tutte le sfumature espressive; il musicista poteva farsi sentire da un’intera sala da ballo, suonare per strada o al contrario diminuire l’intensità per accompagnare un cantante. La fisarmonica è uno stru mento facile da maneggiare, e i musicisti che conducono una vita er rabonda, vagando di città in città o di quartiere in quartiere, se la por tano ancor oggi sulle spalle. Il ritmo del ballo. La musette è nata nei locali da ballo, e non può essere separata dal valzer e dalla giava. Un valzer o una giava musette sono sempre « ballabili ». Ovviamente il ballo musette finisce con l’in-
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corporate elementi di altre danze - fra cui la polca, il tango, il blues, il paso-doble, il fox-trot e la canzone berlinese degli anni venti -, tutte musiche a due oppure a quattro tempi. Ma ribadiamo che il vero an damento della musette è il tempo ternario, in particolare quello della giava e del valzer ballabili. Concordiamo con Raphaèlle Legrand quando scrive: «L’assimilazione successiva e sistematica da parte dei fisarmonicisti di tutti i balli di moda a discapito del valzer, fa perde re, con la misura a tre tempi, uno degli aspetti piu originali della musette»’. Come spiega l’autrice, il segno della battuta non basta a caratteriz zare un ballo; è importante anche la posizione degli accenti ritmici al l’interno della misura. Se la giava si distingue dal valzer è grazie al « conio» dei.ritmi, e di figure di note piu rapide in un movimento pre costituito. La melodia diventa allora saltata. L’andamento ancheg giante deriva dalla sincope posta sul secondo tempo alla fine della fra se. Le frasi musicali sono di uguale lunghezza e comprendono quat tro o otto misure. Questi tratti essenziali creano una struttura che fa vorisce l’espressione melodica dell’allegria o della nostalgia. Anche l’armonia è molto importante: in un valzer cantato, agli accenti ritmi ci del ballo si aggiungono quelli prosodici del testo. La musette rag giunge un sapiente equilibrio fra senso delle parole e cadenza del bal lo, che resta sempre l’elemento costitutivo del ritmo. Talvolta questo equilibrio si organizza fra le strofe e il ritornello, dove la cadenza del ballo è nettamente marcata; cosi accade in Domino di L. Ferrari e J. Piante, oppure in La ruelle di Durand Desjeux e Lino Leonardi. Il modo minore. Come abbiamo già detto, anche se esistono brani di musette in modo maggiore, lo stile della musette coincide con quello del modo minore, che permette più del maggiore di esprimere il coinvolgimento personale. Vista l’importanza della fisarmonica, la musette rientra nel filone della musica tonale, sviluppatosi in tutta l’Europa a partire dal Seicento. Se si considerano le cose da questo punto di vista, bisogna ammettere che si tratta di un genere urbano, più vicino alla musica classica - a quella di Chopin, per esempio - che ai valzer folcloristici rurali. Questi ultimi conservano infatti aspetti modali, ereditati dal sistema arcaico imperante nel Medioevo e nel Cinquecento, tipici delle composizioni in modo maggiore.
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Può dispiacere che in Francia la musette sia relegata in una posi zione subalterna: come osserva Alain Ajax, «probabilmente nessun genere musicale cantato è stato tanto ignorato o addirittura disprez zato dagli storici, dai critici e da quanti, per mestiere, parlano di musi ca e canzoni»". Quest’autore sottolinea il fatto che ancor oggi la musette non vie ne tenuta nella giusta considerazione, e attacca un certo numero di studi critici che la menzionano appena o non la menzionano affatto Eppure questo genere rappresenta tuttora una forma di cultura. Bruant, Damia, Fréhel, Lys Gauty, Edith Piaf, Marguerite Monnot, Michel Emer, Jean Dréjac, Henri Contet, Raymond Asso, Francis Carco, Pierre Mac Orlan, V. Marceau, Lino Leonardi, Monique Mo relli, Delyle, F. Lemarque, Mouloudji... hanno scritto una storia del valzer musette che non è possibile trascurare. Per mezzo secolo han no avuto un ruolo di primissimo piano a Parigi. Hanno diffuso questa musica in tutti i locali da ballo popolari, in città come in campagna. Anche adesso, se un fisarmonicista suona una musette nei pressi di un mercato della capitale, subito attorno a lui si forma un cerchio di per sone. Le attestazioni di simpatia da parte dei passanti sono numerose. Del resto il valzer musette ha fatto il giro del mondo, e soltanto i fran cesi sembrano non ricordare che appartiene al loro patrimonio mu sicale.
I diritti d’autore. In una ricerca sulla « canzone di successo», Jacques Demorgon “ ci fornisce alcune indicazioni interessanti sulla posizione occupata dal valzer musette rispetto agli altri balli. AU’incirca dal 1946 al 1966, dunque prima dell’invasione del rock and roll, il valzer, pur essendo superato ampiamente dal tango, conserva una presenza effettiva nei locali da ballo. Demorgon analizza soprattutto i centodue più grandi successi, ricavati da una lista di duemiladuecentocinquantanove titoli catalogati dalla Sacem, Società degli autori, compositori e editori di musica. Il successo, così come lo intende la Sacem, è in primo luogo finanziario, poiché questa società raccoglie la percentuale versata al
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l’autore da qualunque orchestra o cantante che ne esegua un brano musicale o una canzone. Lo studio di questo elenco è importante per conoscere il ruolo del valzer degli anni Quaranta sino alla vigilia del 1968. Nei centoventi brani, presentati in ordine di successo decrescen te, si trovano quattordici valzer. In un quadro sintetico, Demorgon evidenzia che, in questa classifica, al primo posto si situa il tango con ventiquattro pezzi sui centodue catalogati, al secondo posto il valzer con quattordici, a pari merito con i lenti, e al terzo posto il paso-doble e il bolero con tredici successi ciascuno. Dopodiché vengono il fox con sei, la samba con quattro, la marcia con tre, il charleston e il twist con due e infine la biguine, la rumba, il cha-cha-cha, il letkiss e lo slow-fox con un successo ciascuno. Da questa ricerca emerge inoltre che, rispetto all’ammontare delle somme ricavate, il valzer occupa soltanto la terza posizione e deve cedere il posto ai tredici paso-doble. Il tango rappresenta infatti il 28 per cento delle somme incassate, il paso-doble il 19 per cento e il valzer il 13 per cento. In Francia tra il 1946 e il 1966, i successi musicali del valzer, classifi cati nei primi centodue posti della canzone ballabile, sono i seguenti: i2°: La princesse Czardas, di Kalmann (America), 140: Reine de musette, di Peyronnin (Francia), 180: La veuve joyeuse, di Lemar (Francia), 190: Le dénicheur, di Daniderff (Francia), 350: Le retour des hirondelles, di Pagano (Francia), 36°: Indifference, di Colombo (Francia), 41°: Les fiances d’Auvergne, di Verchuren (Francia), 47°: Or et argent, di Lemar (Francia), 56°: Espana, di Chabrier (Francia), 730: Oui, oui, oui, di Giraud (Francia), 740: Ah, le petit vin blanc, di Clerc (Francia), 750: Foule, di Cabrai (Argentina), 790: Pigalle, di Ulmer (Francia), 86°: Moulin rouge, di Auric (Francia).
Questo quadro ci offre un ulteriore dato significativo: non include nessun valzer di Strauss. Ciò dimostra che in Francia esiste un enor
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me divario tra la musette, cosi come viene danzata nel Novecento, e il valzer della tradizione viennese, suonato nei concerti come musica classica, ma non adatto al ballo.
Il declino della musette. Dopo il 1968, la crisi delle danze popolari si accentua con l’inva sione dei balli a due tempi di importazione inglese o americana. A partire dal i960 inizia l’epoca del rock and roll. Per spiegare quest’e voluzione bisogna capire come si ristruttura la vita sociale in questo periodo. Città e campagna scompaiono a vantaggio della dimensione urbana”. Lefebvre insiste ugualmente sulla diffusione del modello mondiale: mondiale diventa l’economia, mondiale diventa anche la musica, proprio a partire dagli anni sessanta. Tranne rare eccezioni, si sente infattila stessa musica a Parigi, Londra, New York, Francofor te, Dakar, Rio o Tokio. Il declino della musette è dovuto all’ascesa del tempo binario, al ritorno al modo maggiore - si sa che la standardiz zazione mondiale equivale all’affermazione di un nuovo universale: la merce - come pure all’invezione di macchine capaci di produrre un ritmo. Il sintetizzatore genera una cadenza elettronica sempre uguale. Nella musette, il musicista poteva introdurre variazioni che consenti vano al cantante di esprimersi in modo personale, giocando talvolta su delle accelerazioni del ritmo, come avviene, ad esempio, in La valse à mille temps di Brel. Era inoltre in contatto diretto con il gruppo di ballerini e si lasciava influenzare dal loro comportamento. Con la di sco music il ritmo è sempre identico. La musica si è impoverita e ap piattita fino a ridursi, in certi casi, soltanto a due note M. I locali da bal lo in cui musicista e ballerino sono in relazione, risultano sempre più rari. Le.macchine prendono ogni giorno di più il sopravvento, e ciò determina l’uniformità meccanica della danza. I sintetizzatori hanno incorporato il ritmo del valzer nei loro programmi, ma non le sue sfu mature.
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La crisi della città.
A questo aspetto tecnico si aggiunge la fine della città con la sua specifica socialità. Le strade sono soffocate dalle automobili. A Parigi i quartieri popolari vengono distrutti uno dopo l’altro, e gli abitanti cacciati in periferie dormitorio che non si addicono all’espressione della libertà popolare tipica degli anni Venti. L’unico criterio dello sviluppo urbano è la funzionalità. Non c’è più posto per le frange marginali popolari. I bar degli anni Cinquanta chiudono. Svanisce cosi il tipo di socialità che stava alla base della musette. Dalla lettura di uno studio recente, effettuato da Demorgon su nostra richiesta e incentrato sugli anni 1983-84, si ricava che allo stato attuale il valzer musette in Francia è lungi dall’essere completamente scomparso e viene tuttora praticato. In questa nuova ricerca Demor gon esamina i primi duecentoventicinque successi; nella lista, dove il primo valzer, Le dénicheur, occupa soltanto il ventiseiesimo posto, fi gurano ancora : Reine de musette, Ah, le petit vin blanc, La valse de Ravel, La valse des as, La princesse Czardas e La foule, classificata duecentoventicinquesima. Sette valzer, dunque, nei primi duecentoven ticinque successi della canzone da ballo. Se da una parte questo dato non è entusiasmante, dall’altro indica perlomeno che il valzer è anco ra richiesto. Anche se in Francia non si può più dire che questa danza sia eterna - come affermava il viennese Klingenbeck -, per il momen to è ancora viva nella canzone e nella cultura nazionale. Ci si può chiedere se l’estromissione progressiva del valzer dal quadro dei balli sia ineluttabile e conduca inevitabilmente al suo de clino; noi riteniamo di no. Questo è il parere che abbiamo espresso anche nel corso di una conferenza tenuta nel gennaio del 1989, all’Ecole pratique des hautes études, su invito di Georges Vigarello. Se si prendono in considerazione tempi lunghi, si scopre che la stessa volta sembra aver attraversato periodi di alterna fortuna. Si sa che la moda viene influenzata moltissimo dal contesto sociale; adesso, ad esem pio, la danza dei giovani è totalmente imperniata sulla disgregazione, sulla scissione dei ballerini. La coppia non esiste più, ma non credia mo che sia sparita per sempre. Forse interverranno fattori esterni che porteranno a rivalutare la socialità di coppia, anche se probabilmente
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il contesto sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto nell’Ottocento e nel Novecento. Non si può comunque escludere questa possi bilità, vista la ricchezza culturale accumulata dal valzer durante la sua evoluzione, e considerate le sue risorse musicali. Dominique Fauquet è della nostra stessa opinione quando scrive: «Quanto al valzer, rin novarlo equivale anche semplicemente a lasciar emergere le sue pos sibilità. Allo stesso modo del tango, il valzer non è fatto di ima serie di passi e figure successive da riprodurre (contrariamente alla quadri glia e al cancan oppure alla polca e alla bourrée, e più tardi a tante al tre invenzioni come il cha-cha-cha, ecc.). Si tratta di un ritmo di base estremamente elastico: per quanto concerne il ballo c’è, ovviamente, un ‘passo’ che corrisponde a questo ritmo, ma uno soltanto, e quindi si tratta, pure in questo caso, di qualcosa di molto elastico» °. Nello stesso testo l’autore passa poi a esaminare le risorse musicali del val zer.
La musette italiana. La musette non è presente solamente in Francia. Si trova anche in Germania dove viene danzata con uno stile particolare, in occasione delle feste della birra. In Baviera, però, gli ottoni impongono una mu sica-in modo maggiore. Una forma di musette è ugualmente reperibi le in Austria. Tuttavia l’Italia è il paese in cui questa danza, nel modo minore, è ancora regina. Agli italiani è sempre piaciuto ballare, in cit tà come in campagna. La musette è ancora viva ed è, ad esempio, una componente importante nelle feste dei partiti politici. Il Partito co munista italiano con le sue feste dell’Unità, la Democrazia cristiana con quelle dell’Amicizia, il Partito socialista con quelle dell’Avanti organizzano ogni estate una moltitudine di incontri in tutti i paesini. Durante questi ritrovi si balla e si mangia. La musette subisce la con correnza della disco music, ma tiene bene il passo. Ha del resto un suo posto anche nelle città, a Milano come a Bologna, dove viene pra ticata in enormi balere. La musette italiana non è uguale a quella francese. In primo luogo perché in Italia, a livello musicale, non si è mai data quell’importanza al testo delle canzoni che è tipica, invece, della tradizione parigina. Il repertorio della tradizione bolognese è tutto incentrato sulle storie
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d’amore, ma le parole sono immancabilmente di un’estrema banalità. Nessuno si sofferma ad ascoltarle e questo, se non altro, offre il van taggio di non ostacolare la danza. Inoltre, dal punto di vista tecnico, benché si organizzi attorno al valzer come quella francese, la musette italiana si struttura su un val zer nettamente più lento, sulla mazurca, ancora in uso, e sulla polca, ormai dimenticata in Francia. Nella successione dei balli accade tal volta di trovare perfino una tarantella, in uno stile molto semplificato, ma sempre molto popolare, tale da indurre tutti i presenti a interveni re. Questo è un elemento squisitamente italiano, assente nella tradi zione francese. Se gli italiani non praticano la giava, in compenso pe rò conoscono bene la mazurca e hanno un modo tutto loro di ballare il valzer musette. Su un ritmo di valzer lento - il valzer veloce esiste, ma sembra più raro - le coppie anziché girare sempre su sé stesse, al ternano quattro misure di passi strisciati a tre tempi - il terzo tempo è sottolineato da un arresto - e quattro misure di rotazioni di valzer classico. Lo stile è molto vicino a quello della mazurca, ugualmente eseguita su un ritmo a tre tempi. Benché anche gli italiani abbiano in corporato nella musette elementi del tango, pare che preferiscano il valzer lento. Nel ballo musette italiano si ritrovano poi gli aspetti costitutivi della socialità di coppia cosi come si è affermata in Europa negli ulti mi quattro o cinque secoli: mescolanza di generazioni, sessi, classi so ciali, stili, ritmi e musiche. La musette viene ancora praticata nelle fe ste private, organizzate in diversi ambienti, dove si può incontrare un animatore che vivacizza la serata sul genere del «cotillonneur di una volta», che propone un gioco da realizzare durante il ballo. Si im provvisa, ad esempio, un concorso di danza dove i cavalieri e le dame vengono abbinati a caso, per formare delle coppie che ballano a tur no, e che il pubblico deve giudicare. Il padrone di casa distribuisce regali: spesso oggetti di poco valore accumulati nel corso dell’anno. Siamo intervenuti a questo tipo di feste a San Bernardino, in Liguria, nell’agosto del 1989. Per quanto riguarda la musica, ci ha colpito il fat to che le danze venissero talvolta interrotte per dare risalto a un musi cista - un chitarrista, un violinista, un pianista - o a un cantante. Un altro aspetto non trascurabile è il rilievo accordato ai piaceri della ta
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vola. Ogni invitato fa a gara per portare un piatto che ha preparato personalmente. In tutte queste feste il gruppo sociale è molto importante. Tutti si vestono accuratamente, anche se con semplicità, per fare bella figura. Quando si comincia a suonare, alcuni iniziano a ballare, mentre altri preferiscono starsene a guardare la formazione delle coppie. Se un ballerino invita una dama, o se viene da lei invitato per tre valzer di se guito, la gente comincia «a fare commenti»... Questi balli hanno an cora un grande potere di seduzione collettiva.
1 Le nostre idee sulla musette francese concordano con le ipotesi del collettivo «Les rues de Paris» - di cui fanno parte R. Legrand, A. Ajax, E. Huret e D. Fauquet - che ha pubblicato a Parigi, alla fine del 1988» il primo numero della rivista « Les rues de Paris », cui ci rifaremo an che nel seguito di questo capitolo. 2 Su Jean-Baptiste Clement si vedano R. Lallemand, Jean-Baptiste Clément, Cannes 1953; T. Rémy, Le temps des cerises, la vie de Jean-Baptiste Clément, Paris 1968. 3 A. Ajax, Tatti qu'ilyaura des rues à Paris, in «Les rues de Paris» cit., p. 18. 4 Dami a, Je voudrais dormir une nuit. 3 Al riguardo, siamo completamente d’accordo con l’analisi di Ajax, Tant qu'ily aura des rues à Paris cit., p. 21. * Ibid,, p. 25. 7 M. Morelli e L. Leonardi, «Les rues de Paris», n. 1, pp. 49-30. a J. Privar, intervista rilasciata a F. Pinguet, Un monde métissé, in «La Revue musicale» (1984). 9 R. Legrand, Pour une definition musicale de la musette, in «Les rues de Paris», n. 1, p. n. 10 Ajax, Tant qu'ily aura des rues à Paris, in «Les rues de Paris», n. 1, p. 13. 11 Tra le quali P. Monichon, Que sais-je?, in «L’Accordéon», 1971 e L'Accordéon, Lausanne 1983; P. Gervasoni, L'Accordéon, instrument du xx* siede, 1987; G. Erismann, Histoire de la chanson, 1967; S. Charpentreau, Livre d'or de la chanson franose, 1971, G. Authelain, La Chanson dans tons ses éiais, 1:987. 12 J. Demorgon, La chanson à succès: première systématisation de son étude, 1946-66, tesi in so ciologia, Paris 1974. 15 Come ha dimostrato H. Lefebvre tra l’altro in La production de l'espace, 1974, o in Du rural à l'urbain, 1970 o ancora in La revolution urbaine, 1970, o per finire in Espace et politique, 1973. 14 Come osservano M. Morelli e L. Léonardi in un colloquio accordato nel febbraio del 1988 a «Les rues de Paris», n. 1, p. 32, la canzone Qu'est-ce qui fait bouger le cui des Andalouses? C'est l'amour, die si sentiva allora tutto il giorno alla radio, era incentrata su due sole note. 13 D. Fauquet, La valse à l'envers, sur l'idée d'un renouvellement du musette, in « Les rucs de Pa ris», n. 1, p. 41.
Capitolo diciottesimo Il valzer della crisi
«Ogni valzer di Strauss contiene qualcosa di tragico» F. Weingartner, citato da M. Kronenberg, Kònig Walzer, p. 208.
La guerra del 1914-18 mostra, fra l’altro, i limiti della socialità mon dana europea cosi come cercano di costruirla le accademie di danza. Per la prima volta gli Stati Uniti intervengono segnando la fine del l’autonomia europea. La loro influenza non è soltanto militare, im pongono anche i loro valori, la loro cultura. Questo fenomeno, ancor più accentuato con il 1945, nel campo della danza coincide con la dif fusione del jazz.
La diagnosi di McLuhan. McLuhan è uno dei rari sociologi che si siano sforzati di capire la frattura che si produce all’inizio del Novecento. Contrapponendo il jazz al valzer, egli ritiene che il fallimento di quest’ultimo sia dovuto al suo carattere militare: «La parola ‘jazz’ deriva dalfrancese ‘jaser’, ‘chiacchierare’. Il jazz è infatti una forma di dialogo fra strumentisti e ballerini. Sembrava rompere bruscamente con i ritmi omogenei e ripetuti del valzer, sem pre uniformi. Ai tempi di Napoleone e di Byron, il valzer era una for ma nuova che fu accolta come la barbara realizzazione dell’ideale del buon selvaggio di Rousseau. Ai nostri giorni quest’idea pare grotte sca, ma è tipica degli albori dell’era meccanica. La danza collettiva, fi no ad allora praticata nelle corti, scompare a vantaggio del valzer, bal lo individuale dove due partner si trovano uno tra le braccia dell’al tro. Il valzer è un ballo preciso, meccanico e militare, come dimostra la sua storia. Il valzer, per assumere appieno il suo significato, ha biso gno delle uniformi militari. ‘Nella notte c’era un rumore di festa’,
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scriveva Lord Byron a proposito di un ballo dato alla vigilia della bat taglia di Waterloo. Nel Settecento e all’epoca di Napoleone, gli eser citi dei cittadini erano visti come una liberazione individuale dalle strutture feudali e dalle gerarchie della nobiltà. Da questo è nata l’as sociazione di idee tra il valzer e ‘il buon selvaggio’. In effetti il valzer liberava i ballerini dagli obblighi gerarchici e dai doveri connessi alla loro posizione sociale. I ballerini erano tutti simili, uguali, liberi di spostarsi a loro piacimento nella sala da ballo. Oggi ci sembra strano che i romantici abbiano immaginato cosi la vita del buon selvaggio, ma dobbiamo dire che i romantici, sulla vita dei veri primitivi ne sape vano quanto sulle catene di montaggio. Anche ai nostri tempi, l’arrivo del jazz e del ragtime è stato consi derato una sorta di invasione di primitivi. Chi si indignava per questi ancheggiamenti contrapponeva al jazz l’eleganza di un valzer mecca nico e ripetitivo, benché fosse stato anch’esso considerato un ballo primitivo in tutto e per tutto. Il jazz può essere visto come una forma di rottura della meccanicità - visto che implica la discontinuità, la partecipazione, la spontaneità e l’improvvisazione - o anche come un ritorno a una sorta di poesia orale, dove l’esecuzione diventa creazio ne e composizione. Per i jazzisti è ormai un luogo comune dire che la loro musica, una volta incisa su dischi, ‘ha lo stesso significato del giornale di ieri’. Il jazz è qualcosa di vivo, come la conversazione, e co me questa si basa su un repertorio di temi disponibili. L’esecuzione di un pezzo di jazz equivale davvero a una nuova composizione, e preve de il massimo della partecipazione da parte degli strumentisti e dei ballerini. In tal senso, è chiaro che il jazz fa parte di quella famiglia di strutture a mosaico ricomparse in Occidente con la telecomuni cazione»1. Il valzer sarebbe dunque passato di moda a causa della sua natura ripetitiva. Della stessa opinione di McLuhan è anche la ballerina Pina Bausch2 che di recente, nel suo balletto Walzer, ha interpretato il val zer degli Strauss come una macchina militare.
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Il coinvolgimento contro gli universali. Personalmente riteniamo che il valzer sia una realtà più comples sa, non riducibile a un ballo mondano. Vorremmo quindi tentare di effettuare un’analisi più approfondita della crisi del valzer. Abbiamo già visto che alla musica in modo maggiore corrisponde un certo tipo di testi: le parole dei grandi valzer viennesi appartengono al filone che descrive concetti universali come l’importanza dell’impero, del Pae se, del Danubio, del Vino o della Donna. L’individuo, con le sue gioie e i suoi dolori, non trova posto in questa musica, priva di coinvolgi mento personale. Se talora essa parla delle particolarità regionali è soltanto per innalzarle al rango di un universale, che nega la singolari tà della condizipne umana. Il valzer è quindi espressione di centralità. Nel movimento del blues invece, contrariamente agli spirituals, si verifica una rottura con gli universali. Non si stabiliscono più grandi principi. Il blues parla di solitudine, ma anche di viaggi, di amore, dei problemi della vita precaria, dei sentimenti di individui privi di qual siasi legame prestabilito, liberi nella gioia come nel dolore. Si abban dona l’universale per interessarsi al vissuto singolare e marginale di un nero, con le sue ben precise preoccupazioni. Questo genere non è didascalico e non è l’espressione di rivendicazioni sociali: la vita viene considerata nella sua individualità e singolarità. Lo stesso avviene per il tango, che rifiuta la solennità del valzer e che, dal punto di vista mu sicale, sfrutta il modo minore più frequentemente di quello maggiore. Tutto ciò è tipico di una cultura che esalta il coinvolgimento persona le: il cantante anziché vantare la grandezza dell’Argentina, racconta le disgrazie di una prostituta, le difficoltà che incontra a vivere e ad amare... Nel primo quarto del Novecento, esiste dunque un punto in co mune fra tutte le diverse forme di danza che si impongono a discapito del valzer viennese, ma anche della musica folcloristica rurale da cui sono nati i valzer di Strauss. H blues dei neri americani, il jazz, il tango argentino, tutti i balli che conquistano il successo, rivendicano la sog gettività, propongono una comunicazione da singolo a singolo, rifiu tando gli universali che sembrano destinati a portare soltanto alla
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guerra, alla distruzione, alla standardizzazione. Il carattere urbano rappresenta poi un ulteriore punto in comune fra blues, tango e mu sette parigina. Quest’ultima danza, che fa ugualmente parte del nuo vo movimento, presenta un elemento di grande originalità rispetto al le altre due: conserva il ritmo a tre tempi. La musette viene infatti in ventata a partire dal ritmo ternario della giava e di un nuovo tipo di valzer ’. Ciò nonostante, la tradizione del valzer mondano sopravvive, anche se non è più vissuta con il cuore. La decadenza della classe bor ghese interessa indistintamente tutta l’Europa, a prescindere dall’i deologia dei singoli stati. La solennità del valzer viennese serve anco ra da sfondo a un mondo che si sta sgretolando.
Il valzer sovietico. Per illustrare la decadenza del valzer mondano, ricorreremo benché possa sembrare strano - a Malaparte, che nel romanzo di co stume Il hallo al Cremlino, affronta proprio questo argomento. Que sto scrittore e giornalista di estrema destra ci permette, paradossal mente, di scoprire il Cremlino, luogo dove il valzer si è rifugiato nella Russia di Stalin. La Rivoluzione è già lontana e nel 1929 questa danza non viene ballata dal proletariato, ma da una sorta di « alta società so vietica», che Malaparte chiama le «gens du monde», la «Corte mar xista di Mosca», la quale ricalca lo stile di vita del bel mondo euro peo. La paura, allora imperante nella capitale, non impedisce a que sta società di avere le sue feste galanti, i suoi cortigiani, le sue favorite, i suoi profittatori, i suoi balli, le sue lettres de cachet, le sue congiure di palazzo. Il valzer occupa il posto d’onore. Malaparte - testimone di queste mondanità in occasione di un lungo viaggio a Mosca, che gli permise di incontrare Majakovskij, poco prima del suo suicidio - raf figura, alla maniera di Proust, questa nobiltà marxista del 1929, che nel 1936 sarebbe stata eliminata completamente da Stalin. Nel suo racconto tutto è vero: gli uomini, gli avvenimenti, i luoghi. I perso naggi non nascono dalla fantasia dell’autore, ma vengono dipinti dal vero, ciascuno con il proprio nome, il proprio viso, le proprie parole, i gesti propri. Stalin, Karakan, le celebri beauties della nobiltà mar-
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xista, le B., le G., le L., con i loro amori, i lori intrighi, i loro scandali. Florinskij, capo del Protocollo del Commissariato del Popolo per gli Affari esteri, madame Kamenev, sorella di Trotzki, e la sua paura, la sua rassegnazione. Di fatto Malaparte non ritrae degli individui, ma un corpo sociale. In questa descrizione, il ballo e il valzer dominano'tutti i rapporti sociali dell’aristocrazia comunista - succeduta a quella della Russia dell*Ancien Regime - che secondo Malaparte, somiglia «per molti aspetti a quella nobiltà rivoluzionaria sorta dalla rivoluzione francese, che al tempo del Direttorio circondava la poltrona di Bartas »4. E uno degli elementi che permette di comparare queste due realtà è per l’ap punto il valzer. Malaparte presenta la società sovietica, riproducendo alcuni dialoghifra ipersonaggi e soffermandosi sull’ambiente dei balli : «Quando l’orchestra smise di suonare Ich kùsse ihre Hand (i val zer viennesi erano di rigore nei balli dell’Ambasciata d’Inghilterra, come nei balli dell’Ambasciata di Germania eran di rito le canzoni di Cole Porter e di Noèl Coward), madame Lunacarskaja, la moglie del commissario del Popolo all’istruzione pubblica, Anatolio Lunacarskij, si fermò in mezzo alla sala. - Dove sarà Alessio Karakan? - domandò guardandosi intorno. E tuttavia appoggiandomi la mano sinistra sulla spalla, e con la destra ravviandosi i capelli sulle tempie, che aveva neri e lievemente ricciuti, aggiunse: - Non trovate che la Semjonova si dà un pò troppo l’aria della Kzesinskaja? La Kzesinskaja era stata l’ultima grande ballerina del tempo degli Zar e, si diceva, l’amante di Nicola IL - Perché? - Anche stasera è in ritardo. Credo che sia chic farsi aspettare». Il dialogo continua su questo tono, poi, prima di proseguire il nar ratore inteviene per puntualizzare: «L’orchestra si mise a suonare Wiener Blut, e madame Lunacars kaja si appoggiò languidamente al mio braccio» ’. Più in là, lo scrittore analizza questa società e la paragona a quella francese del Direttorio, che fu cosi importante nella storia del valzer: «Quel che in una aristocrazia del sangue è dato dalla tradizione, dall’educazione, dallo stile della nobiltà - e cioè la riservatezza, la
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semplicità, il naturale decoro -, da una certa condiscendenza nei mo di, nelle parole, nel sorriso stesso: una freddezza, che non è se non or goglio mitigato dalle buone maniere e rispetto per se stessi che si ri verbera nei confronti degli altri, quel che insomma, nella vera nobiltà, è innato, in una classe da poco pervenuta al potere, agli onori, ai privi legi, è, come tutti sanno, voluto. E nella nobiltà comunista, dove lo stile non è innato, ma voluto, come in una società di borghesi, parve nus, la riservatezza, il decoro, la semplicità orgogliosa dei modi è so stituita dal sospetto [...] [dall’] intransigenza ideologica. Tutti a Mo sca eravamo d’accordo nel lodare la semplicità dei modi e di vita di Stalin, il suo stile scarno, la signorilità semplice e popolare dei modi: ma Stalin non apparteneva alla nobiltà comunista. Stalin era il Buona parte dopo il 18 Brumaio, era il padrone, il dittatore, e la nobiltà co munista gli era contraria come era contraria a Buonaparte la classe dei parvenus del Direttorio. Ma in tutti quegli aristocratici russi, in tutta quella nobiltà comunista, tu sentivi un disprezzo che non era sociale, ma ideologico. Dal punto di vista sociale, anzi, lo snobismo era la molla segreta di tutti gli atti mondani di quella società potentissima, e già corrotta, fino a ieri vissuta nella miseria, nel sospetto, nella preca rietà della clandestinità e dell’emigrazione, e improvvisamente salita a dormire nei letti delle grandi dame della nobiltà zarista, a sedere nelle poltrone dorate degli alti funzionari della Russia zarista, a eser citare quelle stesse funzioni che fino a ieri erano state esercitate dai nobili zaristi. Ognuno di quei nobili rossi si studiava di imitare le ma niere occidentali; le donne le maniere di Parigi; gli uomini quelle di Londra, e, men numerosi, quelle di Berlino o di New York»6. E tra queste belle maniere rientra anche il saper danzare. La nuo va aristocrazia va a procurarsi la musica a Vienna, quasi a voler pro lungare i balli di Pietroburgo, animati dagli Strauss, nella seconda metà dell’ottocento per la corte zarista. Tuttavia, in questi stessi balli è palese la decadenza del valzer, la cui tonalità non è più di trionfo ma quasi di declino. Questo ballo ha perso completamente il suo vigore rivoluzionario. «Il valzer viennese che l’orchestra suonava in quel momento non era un valzer di Strauss : era uno di quei valzer viennesi magri, asciutti, ossuti, che annunziavano la fine, di Dolfuss, Schuschnig e l’An-
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schluss. Tutto il tessuto adiposo della tradizione viennese asburgica, tutto il pathos romantico di Vienna si era sciolto, e le ossa del valzer apparivano scoperte, bianche, nude, levigate»’. Durante questo ballo, avvicinandosi al bar, Malaparte viene a sa pere dal ministro della Lettonia che hanno appena arrestato Kame nev, uno dei più vecchi compagni di Lenin. Il ministro è spaventato; Malaparte, guardandosi intorno, gli dice: «tutti questi signori e que ste signore [...] finiranno in galera». Quelli che chiama «un branco di arrivisti, di parvenus, di profittatori della rivoluzione» sono lividi, mostrano stupore e quasi paura. La sala è ormai vuota, l’orchestra continua a suonare in sordina... la melodia di un nuovo valzer vienne se. A questo punto arriva Karakan «più pallido del solito». « Si fermò a testa alta sulla soglia, poi si diresse a passi lenti verso il bar, si avvicinò alla Semjonova, in piedi appoggiata al banco del bar, le baciò la mano inchinandosi, la trasse a sé, e lentamente si abbando nò all’onda del valzer. Erano soli nell’immensa sala. La Egorova mi appoggiò la mano sul braccio e mi sussurrò sorridendo: - Qu’ils sont beaux. [...] A poco a poco altre coppie s’erano messe a ballare. Mada me Lunacarskaja abbandonata fra le braccia di un giovane ufficiale della Proletarskaja Divizija, rideva noncurante, il bel viso eretto, le narici dilatate»*. In questo contesto, Malaparte associa il valzer viennese al terrore. Dopo Trotzki - impareggiabile ballerino di valzer - è il turno di Ka menev: l’epurazione staliniana è iniziata. A qualche migliaio di chilo metri dalla Russia, in Germania, il valzer è ugualmente associato al terrore. Comincia infatti a diffonderlo pian piano il regime nazista, che in questo ballo vede un’incarnazione dell’«anima tedesca». L’i dealizzazione nazionalista del valzer crea però qualche problema a Goebbels.
Goebbels e Strauss. Nel 1938 alcuni ricercatori che lavorano a una biografia di Strauss, rinvengono - nel registro dei matrimoni del duomo di santo Stefano a Vienna - un documento che rivela che i genitori di Franz Strauss sono
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ebrei convertiti al cattolicesimo. Questa scoperta avviene nel mo mento in cui Hitler invade l’Austria ed elabora la sua teoria della pro tezione politica contro la rassiche Verseuchung, la « contaminazione della razza». Ciò significa, in pratica, che si devono eliminare gli au tori e i compositori che possono inquinare lo spirito ariano. Quanto agli artisti morti, ciò implica la rimozione di ogni loro traccia dalla memoria collettiva: ne vengono, ad esempio, bruciati gli spartiti, fuse le targhe commemorative, ritirate le schede dalle biblioteche e de pennati i nomi dai registri. Goebbels decide allora di provvedere alla cancellazione di Men delssohn e Mahler. Ma che fare con Strauss? Com’è possibile affer mare che questo austriaco, che ha chiesto la nazionalità tedesca, sia un corruttore dello spirito tedesco? In un certo senso, condannare Strauss equivarrebbe a dichiarare che il valzer non è tedesco: cosa davvero ridicola. Com’è possibile affermare seriamente che Sul bel Danubio blu è un prodotto deleterio, frutto della cospirazione ebrea internazionale, e che Strauss l’ha scritto per contaminare la razza aria na? Il ministro della Cultura del Reich trova anzi che questo pezzo, solenne e impregnato di romanticismo, sia in perfetta sintonia con la sua concezione del teatro e della drammatizzazione politica. Per lui, il valzer è indiscutibilmente «una danza nazionale tedesca». Visto che secondo la logica stessa del progetto culturale del nazio nalsocialismo l’eliminazione di Strauss è inconcepibile, diventa ne cessario riscriverne la storia. Goebbels chiede dunque al Dipartimen to di Stato, incaricato delle ricerche genealogiche sulle famiglie - il Reichssippenamt -, di ripulire gli Strauss da qualsiasi origine ebrea. Il registro matrimoniale è confiscato, gli atti sono alterati’. In un docu mento del 20 febbraio 1941, a Strauss viene data una nuova genealo gia, con un attestato rilasciato dalle autorità di Berlino. Ormai i suoi valzer possono essere eseguiti senza che rischino di contaminare la razza ! Alcuni studiosi conoscono però la verità; sono convocati al Rathaus gotico di Vienna. Un ufficiale delle S. S. spiega che, se vogliono aver salva la vita, devono riconoscere i loro errori ideologici. Forse fu proprio uno di questi eruditi a localizzare il luogo dove era stato riposto l’originale del documento confiscato dai nazisti, e a
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riportarlo nella cripta di santo Stefano nel 1945, al momento della di sfatta tedesca. Il nazionalsocialismo favorisce la produzione di un certo numero di testi sul valzer, in lingua tedesca, apertamente nazionalisti. Nell’al ta società nazista cresce anche un’attrice, il cui nome è legato al val zer: Romy Schneider, che da ragazzina non si rende ben conto d$l contesto storico che la circonda, ma che resta comunque segnata dal l’atmosfera di decadenza tipica della Germania nazista. Ciò traspare anche nei tre film della serie Sissi, girati fra il 1953 e il 1957. La cornice in cui si muove Elisabetta di Baviera è la società europea della secon da metà dell’ottocento, già in disfacimento, nonostante il fasto dei suoi balli. L’enorme successo di questi film dimostra, fra l’altro, che il valzer, nei suoi momenti di gloria, sa ancora parlare al grande pubbli co, perfino nella sua versione aristocratica.
La contestazione dell’Opernball.
Del resto, dopo il 1945, in Austria il valzer diventa una sorta di reli gione. A Vienna continuano a danzarlo come veniva danzato a Parigi nel 1900. Tutti gli anni si organizzano centinaia di balli e ogni catego ria dà il suo. In tutte le taverne intorno a Vienna la gente lo balla poi in modo quasi campagnolo, al suono di un violino, come si faceva quan do Strauss padre era piccolo. Fra i grandi balli che dominano la sta gione spicca l’Opernball, il ballo del teatro dell’opera, che per ric chezza sembra riesumare ogni anno i più grandi fasti dell’impero asburgico. Ogni anno la sala del teatro dell’opera di Vienna subisce una tra sformazione. Si tolgono le poltrone, si posa un parquet per dar vita al più grande ballo mondiale che celebra il valzer. I giovani scelti per la cerimonia d’apertura ripetono a lungo le prove. Le debuttanti porta no una corona. Lo stile di questo ballo ricorda quelli che si svolgeva no all’epoca del Congresso di Vienna, di cui ci parlava il conte de La Garde. Il primo ballo del teatro dell’opera di Vienna risale al 1877. Più che dell’aristocrazia è il ritrovo di chi gestisce i «grandi capitali» di tutto il mondo. Procurarsi un palco costa ima cifra incredibile. Te
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ste coronate e capi di stato non esitano a mettersi in viaggio. Christi Schònfeldt ha scritto la cronaca di queste grandi manifestazioni che, per tradizione, hanno luogo verso la metà di febbraio ". La saggista ci informa che nel 1891 l’orchestra è diretta da Eduard Strauss. Nel suo libro ci sono fotografie del ballo fino al 1939 e poi alcune del 1956, da ta della,sua riapertura. L’autrice ci parla anche della preparazione di questa festa e dei quattordicimila garofani che ornano la sala. Cita va ri documenti che descrivono la manifestazione, fra cui questo tratto da «La Dépéche marocaine de Tanger» del i960: «Che cos’è 1’0pernball? Una lunga serie di fatti e di cose che si accumulano. Ecco come si creano le tradizioni: i garofani importati dall’Italia, le prime battute di un valzer di Strauss, il frac (abito, cravatta a farfalla bianca e scarpe di vernice) per gli uomini, e vestito da sera bianco per le don ne, duecento coppie di meno di ventun’anni che fanno la riverenza davanti a duemila aristocratici, industriali, musicisti, diplomatici di tutta Europa»1'. Christi Schònfeldt ci racconta anche che nel 1962 Karajan ha una crisi di collera e cerca di impedire che il ballo si effettui al teatro dell’opera. L’idea di spostare la manifestazione a Schonbrunn si rive la però irrealizzabile perché il castello può accogliere soltanto millecinquecento invitati, mentre il teatro ne contiene settemila. Il diretto re d’orchestra deve quindi rassegnarsi e l’Opernball continua. Dal 1962 al 1986 queste feste viennesi proseguono in tutta tranquil lità. Ma a partire dal 1987 le cose cambiano radicalmente. Non è più tanto quello che avviene dentro la sala da ballo a interessare la stampa europea, quanto ciò che accade fuori. A partire da questa data, i gio vani viennesi organizzano infatti delle manifestazioni contro il ballo del teatro dell’opera. Nel 1987,1988 e 1989 si assiste a un terribile cre scendo di tensioni. Il primo anno, la manifestazione viene preparata per protestare contro l’arrivo del cancelliere bavarese Strauss. Cin quecento poliziotti impediscono l’accesso all’Opernball “. Scoppiano episodi di violenza, ripresi e trasmessi dalla televisione. A seconda della tendenza del giornale, la responsabilità viene attribuita ai Verdi di Vienna o allo stesso Strauss e ai suoi metodi bavaresi. Per una quin dicina di giorni la stampa dà notizie dei feriti. Il caso è discusso dal Par
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lamento austriaco. «Profìl» del 9 marzo interroga alcuni manifestan ti che annunciano che la dimostrazione si ripeterà l’anno successivo. E infatti nel 1988 viene organizzata una nuova manifestazione, questa volta diretta contro Kurt Waldheim, la società e lo scandalo rappresentato da una tale ostentazione di ricchezza. L’estrema sini stra austriaca si mobilita. Dà appuntamento ai militanti alle otto di se ra nella piazza del teatro. La stampa di sinistra riprende i temi dell’an no precedente ancor prima che il ballo abbia luogo. Gerald Grassi si scandalizza di fronte al prezzo dei biglietti d’entrata al ballo e a quello delle consumazioni: settanta scellini per un’acqua minerale, quattromiladuecento per una bottiglia di champagne”. Quell’anno è annunciato anche l’arrivo di re Hussein di Giorda nia. La stampa calcola il costo della serata” e si chiede se i giovani scenderanno davvero in piazza”. Si torna a parlare dei trecentomila disoccupati austriaci “. H numero dei poliziotti è più che duplicato: sono in duemila a impedire l’accesso al ballo. Sebbene la dimostrazio ne sia stata vietata, la gente accorre in massa. A seconda delle fonti il numero dei manifestanti oscilla tra i duemila e i cinquemila. Il ballo si tiene ugualmente e di nuovo ci sono feriti ". Per Martina Kirfel, 1’0pernball è soltanto il fantasma di sé stesso, ormai non ha più nulla a che vedere con la tradizione “. Nel 1989, viene annunciata un’altra manifestazione. Anche questa è vietata, e anche questa volta vengono impiegati duemila poliziotti per consentire lo svolgimento del ballo. Molte personalità, però, an nullano le prenotazioni. Il « Kurier » dichiara che i dimostranti arrive ranno con dei cocktail molotov. In effetti la protesta si trasforma in un combattimento in strada. Cinquanta persone rimangono ferite; dodici automobili di lusso sono distrutte. I giornali pubblicano nu merose fotografie che vengono diffuse in tutta Europa ”, È verosimile che queste manifestazioni siano destinate a continua re negli anni a venire perché sono ormai diventate il momento salien te della contestazione austriaca. Il «Kurier» le considera del resto al la strégua di un rituale. Quando un sociologo del valzer incontra, come ci è capitato di fa re, i giovani contestatori viennesi resta perplesso. Non hanno infatti nessuna intenzione di mettere in discussione il valzer né di criticarlo.
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Anzi, la maggior parte di loro lo balla volentieri nella versione popo lare; alcuni manifestanti sono addirittura dei musicisti affermati. Quello che contestano è invece ciò che l’Opernball simboleggia, lo sfoggio di ricchezza a livello mondiale. I giovani viennesi, i ragazzi di strada parigini che hanno inventato la musette, amano il valzer ma ne detestano il recupero sociale. Quale sarà allora il futuro del valzer in Austria? Assisteremo a un suo rinnovamento grazie alla ripresa di te mi legati alla contestazione? Il valzer musette francese si è sempre di sinteressato ai fermenti sociali. La sinistra austriaca gli farà prendere un’altra strada? Comunque sia, a causa di queste manifestazioni, l’O pernball è diventato motivo di riflessione per molti osservatori. Nella stessa Vienna si è tornati a prendere in esame la storia del valzer ricor dando che, alla fine del Settecento, questa danza diffondeva il germe della rivoluzione ’.
M. McLuhan, Pour comprendre les médias, Paris 1968, pp. 306-7. R. Hoghe, Pina Bausch, Tanztheatergescbichien, Frankfurt 1986. Le mie ipotesi si riallacciano anche in questo caso a quelle del collettivo «Les rues de Paris». C. Malaparte, Il ballo al Cremlino, Firenze 1971, p. 4. Ibid., pp. n-12, Ibid., pp. 13-14. Ibid., p. 33. Ibid., pp. 40-41. Fantei, Les Strauss cit., p. 270. Ch. Schònfeldt, Der Wiener Opernball, Wien-Berlin (19752), p. 192. Schònfeldt, Der Wiener Opernball cit., p. 37. Cfr. ad esempio «Kurier» (27 febbraio 1987); «Die Presse» (28 febbraio) titola Gli anarchici alla porta del ballo, nei giorni successivi fc stesso giornale pubblica numerosi articoli sull’ar gomento; «Wiener Zeitung» (28 febbraio e 5 marzo); «Kronen Zeitung» (28 febbraio e 3 marzo); «Volksstimme» (1 marzo), lo stesso giornale riporta inoltre, nel numero dell’8 mar zo, la lettera di un lettore con il titolo: Il ballo dello scandalo in cui viene denunciato il para dosso del prezzo di un palco, che ammonta a centomila scellini per serata, in un paese che conta duecentocinquantamila disoccupati; « Falter» (6 marzo) titolala provocazione', «Wodrenpresse» (6 marzo). u G. Grassi, Die Obszonitat des Reichtums, in «Volksstimme» (3 febbraio 1988). M «Die Presse» (3 febbraio 1988), «AZ» (4 febbraio). 15 Ivi (4 febbraio 1988), «Kurier» (4 febbraio).
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16 «Volksstimme» (4 febbraio 1988). 17 «Kronen Zeitung» (9, n, 13 febbraio 1988); «AZ» (io, T2,13 febbraio); «Volksstimme» (n, T3,14 febbraio); «Wiener Zeitung» (n, 13 febbraio); «Kurier» (12, 13 febbraio); «Krone (Morgen)» (12 febbraio); «Die Presse» (13 febbraio).
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18 M. Kirfel, Das Phantom der Oper, in «Falter» (15 febbraio 1988). w «Kurier» (31 gennaio, 1, 3,4,9,17 febbraio 1989); «Standard» (1 e 3 febbraio); nel numero del 6 febbraio quest’ultimo giornale pubblica una lunga intervista al capo della polizia Das wirdzu einer schwarzen Institution*, «Kronen Zeitung» (2,3,4 febbraio 1989); «Neue AZ» (3,4, 7 febbraio); «Wiener Zeitung» (4 febbraio); «Die Presse» (4 febbraio); «Volksstimme» (4,3,8,14 febbraio 1989). In Francia}. Stolz, Les fourmis viennoises se muent en cigales, in «Liberation» (io febbraio 1989). 20 R. Witzmann, BaUnach(t)gefluster. Der Walzer war, bevor man begann, ihn zu schweben, ein revolutionarer Tanz, in «Falter», Wien (febbraio 1989).
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«Il corpo costituisce un sistema simbolico a pieno ti tolo. H nostro cammino di individui, attraverso la molti tudine delle relazioni con l’ambiente e degli scambi con gli altri attori, si basa sulle capacità espressive del corpo quanto su quelle della lingua. Pertanto, in quella circola zione permanente del senso che dà vita a un collettivo so ciale, il corpo non è il parente povero della lingua, ma di questa è partner a pieno titolo». D. Lebreton, Corps et sociétés, 1985, p. 77.
Nei capitoli precedenti, abbiamo visto che alla fine del Settecento e durante tutto l’Ottocento i balli a tre tempi, che avevano il valzer co me base, invadono interamente la musica e i salotti. L’ascesa del val zer non è stata facile. Per secoli e secoli questa danza viene vietata, sia dalla Chiesa sia dallo Stato, che la considerano entrambi una forma di pornografia. All’epoca in cui si afferma il valzer, Denis Diderot ela bora la sua teoria materialista e Hegel sviluppa un pensiero filosofico che si fonda su un processo ternario. Ci si può chiedere se esista un le game fra il ballo a tre tempi e la dialettica, se sia possibile stabilire un parallelismo fra la comparsa di una danza rivoluzionaria, com’era a quel tempo il valzer, e l’emergere di una nuova filosofia dialettica. Il valzer è doppiamente rivoluzionario, in senso fisico e in senso storico. In senso fìsico questo ballo implica in effetti una rotazione, un movimento di rivoluzione della coppia su sé stessa. Dal punto di vista tecnico, questa danza è quella che consente ai ballerini di volteg giare più rapidamente, soprattutto da quando sono stati introdotti il parquet e le scarpe di cuoio. La volta, nella sua versione campagnola, danzata con gli zoccoli sulla terra battuta, aveva già provocato uno stato di ebbrezza. L’accelerazione - provocata dal passaggio dal pas so saltato a quello strisciato e dalla sostituzione della terra battuta con il parquet - accentua questa sensazione, facendo girare la testa. Dal punto di vista storico, invece, il valzer è rivoluzionario perché per im porsi ha dovuto lottare contro l’Ancien Regime e perché ha contri buito a diffondere lo spirito della Rivoluzione francese attraverso le
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guerre napoleoniche. La resistenza della corte inglese e i tentativi di Carlo X di tornare alla contraddanza, dimostrano che conserva una dimensione sovversiva anche nel primo trentennio dell’ottocento. Inoltre, il tentativo inglese di trasformare la danza di coppia chiusa in un valzer strisciato in cui i ballerini, anziché trovarsi uno di fronte al l’altro, si muovono parallelamente, è una chiara prova della resistenza che;i maestri di danza oppongono alla rivoluzione culturale rappre sentata da questo ballo. Anche se non bisogna sopravvalutare l’im portanza della componente rivoluzionaria del valzer - tanto è vero che a Vienna è accettato senza difficoltà dal potere politico e religioso -, la danza di coppia chiusa a tre tempi determina una svolta storica fon damentale.
Danza e filosofia.
È possibile ipotizzare che Hegel ponga la dialettica a fondamento della sua filosofia perché vuole far entrare, nell’universo della logica, il ritmo che domina tuttala sua epoca? Hegel nasce nel 1770 e ha, quindi, diciannove anni nel 1789: la sua giovinezza coincide con il periodo in cui si afferma il valzer. Il tempo ternario è nell’aria. Un ritmo non attra versa la società senza lasciare la sua impronta. Forse è addirittura pos sibile pensare l’intera vita sociale attraverso il ritmo, come suggerisce Henri Lefebvre. Questo filosofo marxista, dopo lunghe incursioni nella filosofìa e nella sociologia della vita quotidiana, è giunto alla con clusione che potrebbe risultare utile esaminare la società in funzione dei suoi ritmi. Benché la sua opera La rythmanalyse non sia ancora sta ta pubblicata, le discussioni che abbiamo avuto sull’argomento ci hanno indotto a formulare l’ipotesi che esista una relazione tra il val zer e la dialettica. Ballando il valzer non si mette forse in pratica alla lettera la frase di Marx secondo cui la dialettica hegeliana deve tornare a reggersi sui piedi? Stupisce inoltre il legame che esiste tra l’afferma zione della volta nella zona di Genova e Nizza e l’invenzione, nella stessa zona e nello stesso periodo, della contabilità a partita doppia. La logica contabile, come la volta, è ternaria: attivo, passivo, saldo.
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Un’esperienza interculturale. Bisogna però ammettere che anche il minuetto ha un ritmo terna rio. Benché non si debba dar troppo peso alle intuizioni suscitate dai procedimenti analogici, l’idea che il tempo ternario sia un elemento costitutivo dell’identità europea non ci sembra priva di interesse. Al di là delle divergenze o dei conflitti che hanno diviso i vari paesi, gli europei hanno in comune un patrimonio culturale che comprende il pensiero dialettico e l’esperienza sociale del valzer. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il valzer non risulta per tutti facile; l’ab biamo sperimentato noi stessi tra il febbraio e il giugno del 1979. Du rante quel semestre tenevamo un corso di «pedagogia, etnologia e so ciologia del valzer» al Dipartimento di scienze dell’educazione dell’Università di Vincennes. Il nostro obiettivo era di insegnare il val zer, di farne la pedagogia pratica e di riflettere sulle implicazioni tra sversali di questa danza: il modo in cui viene eseguita a seconda delle classi sociali, dei periodi, dei paesi. Questo corso diventò uno dei mo menti più vivaci della vita universitaria, ebbe un enorme successo e, vista l’affluenza, fummo costretti a lasciare la sala più grande del Di partimento per la hall dell’università. Duecento studenti furono ini ziati al valzer, nell’arco di dodici o tredici sedute. Ora, accadde che tra gli studenti che frequentavano le lezioni, la metà fosse francese o comunque europea e l’altra metà magrebina e africana. Il nostro ap proccio pedagogico permise agli europei di imparare a ballare il val zer molto rapidamente, ma risultò del tutto inefficace con gli africani. Infatti su un centinaio di ragazzi non europei, che seguivano il corso, soltanto cinque riuscirono ad assimilare la danza. La proporzione era inversa nel caso degli europei. Quest’esperienza ci ha indotti a ipotizzare che il valzer, e più in ge nerale il ritmo a tre tempi, sia qualcosa di tipicamente europeo; se tale ritmo esiste in altri luoghi è perché vi è stato importato. La diffusione del valzer è avvenuta in concomitanza con quella dei valori della Ri voluzione francese. Il tempo ternario è radicato fisicamente soltanto in Europa. L’innesto ha potuto attecchire nei paesi abitati da popoli di origine latina, come nell’America latina o nel Québec, o anglosas-
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sone, come negli Stati Uniti. H valzer non è invece riuscito a imporsi dove i ritmi profondi erano troppo forti e al tempo stesso troppo lon tani dal suo. L’ipotesi che formuliamo è dunque quella che il ritmo e il pensiero ternario siano alla base di quello che potremmo chiamare l'inconscio politico europeo. Se esiste un «noi» europeo, nel senso in cui Maurras parlava di un «noi» francese, plasmato da re e vescovi, questo deve essere ricercato nella struttura a tre tempi. Quest’idea culturalista potrebbe essere tacciata di razzismo. Tut tavia non possiamo fare a meno di constatare che, qualunque siano le divergenze tecniche e storiche fra tedeschi, francesi... o meglio anco ra le opposizioni fra latini e anglosassoni, ciò che li accomuna e assie me li distingue dal resto del mondo è una questione di ritmo e quindi di struttura, o bisognerebbe forse dire di schema corporeo. In questa genesi ritmica si istituisce il corpo sociale. L’idea che il tempo terna rio rappresenti una base, una struttura, un’istituzione profonda della società europea, potrebbe inoltre spiegare il perdurare delle danze con questo ritmo nei balli popolari dei nostri paesi, nonostante la du rissima offensiva di ritmi diversi, lanciati da altre potenze e in particolar modo dagli Stati Uniti. Parallelamente dobbiamo rilevare che la tradizione del pensiero dialettico è tuttora viva in Europa. Al riguar do, basti pensare a Lefebvre, Habermas e al Manifeste différencialiste che alcuni filosofi oppongono alla standardizzazione di quello bina rio. Resta da chiedersi se, in un contesto mondiale cost diffìcile, abbia ancora senso riflettere sulla propria identità europea.
Vertigini europee. Un altro aspetto squisitamente europeo del valzer è rappresentato dallo stato di «trance» che comporta: questo ballo, quando è esegui to abbastanza a lungo e abbastanza in fretta, fa girare la testa. Per pa recchio tempo abbiamo creduto che ciò fosse dovuto al fatto che il sangue non riusciva più a irrorare in modo omogeneo tutte le parti del cervello. In altre parole, pensavamo che la velocità del movimento di rotazione portasse il sangue nella parte posteriore del cervello, pro vocando quel senso di vertigini - da noi ampiamente descritto - che,
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se viene controllato, si trasforma in piacere. Adesso sappiamo - gra zie a fisiologi specializzati nella ricerca spaziale - che il problema fi siologico per il ballerino di valzer, come per il cosmonauta, si situa in vece a livello delle orecchie. Vista la somiglianza fra i problemi dei ballerini di valzer e quelli dei cosmonauti, le ricerche fisiologiche at tuali di cui siamo venuti a conoscenza avrebbero meritato di essere ri ferite in modo più particolareggiato. Ciò nonostante abbiamo ritenu to che questo argomento fosse troppo tecnico per essere trattato nel presente saggio. Comunque sia, il movimento del valzer fa entrare chi lo pratica in quello stato alterato di coscienza che gli europei conosco no da almeno otto secoli. Questa particolarità del valzer spiega, da un lato il piacere che provano i ballerini, e dall’altro l’opposizione dei poteri sociali. Fra tutte le forme di trance, la specificità di quella del valzer non consiste nell’essere provocata da una rotazione - anche quella dei dervisci lo è - ma dal fatto che questa rotazione coinvolge due persone. La rivoluzione della coppia in Europa è rappresentata in primo luogo dalla trance di un gruppo che ha come base la coppia: una coppia piacevolmente stordita in un collettivo che condivide il suo stato di trance.
Oltre il nazionalismo.
Per un secolo i dibattiti degli storici del ballo sono stati dominati dalla questione delle origini nazionali del valzer. Oggi ci sembra che questa discussione non abbia più molto senso. Il nostro libro riunisce diversi elementi che permettono di progredire nella ricerca. Strada facendo, ci siamo resi conto che la questione delle origini è estremamente delicata. La danza circola facilmente, passa in fretta le frontiere. Inoltre, spessissimo, l’etichetta nazionale che viene appiccicata a un ballo non è veritiera. In certi periodi tutto ciò che scandalizza è attribuito agli stranieri. In Francia, ad esempio, i sostenitori dell’origine tedesca del valzer appartengono a due categorie. Alcuni, come i romantici, vo gliono che sia tedesco perché cosi corrisponde meglio al loro immagi nario. La loro posizione scaturisce insomma dall’adesione al movi
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mento romantico tedesco; in questo modo, fra l’altro, il valzer diven ta un elemento importante del romanticismo. Altri, moralisti come Boullay, vedono in questa danza qualcosa di troppo familiare, di troppo intimo per essere francese. In Francia c’è più contegno. Que sto ballo deve quindi venire dall’estero. Secondo tali autori, il valzer è stato «importato» durante le guerre internazionali. Boullay ritiene addirittura che ciò sia avvenuto ai tempi della Prima Repubblica! Lo stesso trattaménto era stato riservato alla volta, che «le streghe» ave vano « portato in Francia dall’Italia». Si attribuisce, dunque, agli altri ciò che non si può accettare come proprio. Per contro, ciò che passa inosservato a casa propria, può risultare interessante durante un viag gio in un paese diverso. Questo vale, ad esempio, per Montaigne che scopre la danza di coppia in Germania, benché in Francia in quello stesso periodo fosse molto praticata. In realtà il valzer è un mosaico: un mosaico realizzato in tempi di versi, con tessere provenienti da luoghi disparati. Nella danza fa pia cere attingere a fonti antiche, riprendere in un dato momento un pas so a lungo trascurato, per poi rinnovarlo arricchendolo grazie ad ap porti culturali più recenti. Se si accetta che la volta, il weller, il làndler, lo schleifer, il dreher, il deutsche, il languas e lo stesso valzer - il cui nome compare in fran cese proprio quando inizia il declino della volta (1635) - siano varianti di un unico ballo, la cui struttura si identifica con quella della danza di coppia chiusa con volteggi a tre tempi, allora si superano tutte le dispu te nazionali. In questo modo è possibile affermare che il valzer, nelle sue multiple forme, esisteva in Europa fin dal xn secolo. La sua nasci ta - che è poi la nascita della prima danza di coppia - costituisce una tappa importante nella storia dell’umanità. Abbiamo già detto che si tratta di un ballo europeo, profondamente radicato nella nostra cul tura; il valzer rappresenta infatti il contributo europeo alle danze dell’umanità. Il suo avvento è legato all’emergere della coppia nel bal lo, ma anche di una società che dà spazio alla coppia. Prima del valzer, la società non riconosce l’esistenza reale della coppia. Pertanto la storia di questa danza - disseminata di difficoltà e di ostacoli sociali - è anche la storia dell’affermazione della coppia nella società europea. Per millenni questa realtà non è esistita né co-
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me stile di vita, né come unità economica di base, né come strumento di socializzazione. Molti studiosi hanno creduto che l’atteggiamento di coppia chiusa - cosi come appare in tutti i balli di società, dal tango fino alla lambada - sia stato introdotto con il valzer degli inizi dell’Ottocento. Franks fa però notare che, al riguardo, sarebbe più corretto parlare di «reintroduzione», perché il fenomeno era già presente nel Cinquecento. A questo proposito, ricorda che nella volta c’era esatta mente lo stesso tipo di presa fra i partner usata poi nel valzer Da par te nostra, crediamo di aver evidenziato sufficientemente l’esistenza di questo legame, di questa continuità fra i due balli. Se la danza di cop pia chiusa è un’invenzione europea, la sua elaborazione è stata lenta. Alla volta si devono la struttura e la forma sociale di questo ballo con volteggi a ritmo ternario, che in seguito però torna a essere più o me no clandestino. I tempi non erano ancora maturi per accettarlo: era necessaria un’ulteriore evoluzione dei costumi. Lo studioso Michel Maffesoli analizza questo fenomeno frequente nella vita delle società: «In certi periodi innovativi e di effervescenza si manifesta, al di fuori di ogni raggruppamento organizzato, l’espressione spontanea di un’irrefrenabile volontà di vita. La spontaneità consente di raggiun gere in massa la sollecitazione ancora in germe. È il momento dell’e splosione dinamica. Resta da vedere come questa spontaneità non possa in seguito incanalarsi in un ripiegamento sovversivo, in un al lontanamento ironico di cui va colta la carica sociale. È il momento dell’implosione da intendersi come riserva energetica»2. La storia della danza di coppia chiusa con volteggi a tre tempi ha attraversato fasi « agoriche», durante le quali veniva eseguita in piaz za, e fasi « criptiche», durante le quali era praticata di nascosto, come i riti cristiani all’epoca delle catacombe. Bisogna sottolineare che il momento criptico, il «ripiegamento sovversivo» di cui parla Maffe soli, è stato determinato dalle persecuzioni effettuate sia dalla Chiesa sia dallo Stato. Nel 1600 la società non può ancora concedere una stanza a ogni coppia. L’erotizzazione sociale della coppia implica ne cessariamente una società in grado di permetterle di diventare una realtà autonoma. Ora, in questo periodo, nelle campagne europee, intere famiglie di popolani vivono in un’unica stanza. La nobiltà, dal
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canto suo, non prende nemmeno in considerazione l’idea della cop pia, del tutto estranea allo stile di vita di Versailles. L’affermarsi della società industriale comporta lo sviluppo delle città, un’urbanizzazione massiccia e la creazione di un tipo di alloggi non adatto al modello della famiglia patriarcale. L’affermazione della coppia nella danza, che si impone definitivamente durante la Rivolu zione del 1789, annuncia l’inizio di un nuovo tipo di società che come spiega Yves Guilcher: «è il risultato dell’evoluzione dei costumi e delle idee. Negli ambienti cittadini dell’ottocento, la vita collettiva si riduce [...] Sotto il sentimento spunta la sessualità. La distinzione fra lavoro e passatempo diventa sempre più netta. È la fine della comuni tà monolitica. H successo del valzer, all’inizio del secolo, e poi quello della polca, della mazurca e della scozzese indicano che la società è pronta ad accettare la manifestazione della coppia - di una coppia che non deve rendere conto a nessuno - e della sua intimità. La cop pia si isola e si avvicina. Le persone non sono più una di fianco all’al tra, e nemmeno una di fronte all’altra: stanno una nelle braccia dell’altra»’. Non siamo invece d’accordo con questo autore quando soggiun ge: «Non è la società a ballare, ma la folla dentro cui ci si perde [...] La danza riduce la vita sociale a un idillio a due, per cui lo sguardo de gli altri diventa inopportuno. Il ballo di coppia chiusa in movimento propone un modo inedito - e sempre più generalmente accettato - di sperimentare un tipo di rapporto che sarebbe stato impensabile in al tri periodi e che lo è tuttora in altri luoghi» ". Riteniamo infatti di aver dimostrato nel nostro saggio che il valzer non comporta un ripiega mento della coppia su sé stessa. Anche se nei locali da ballo pubblici la coppia può affermarsi nella sua intimità, tutta la socialità ottocente sca è basata sul continuo rinnovamento delle coppie nello spazio con sacrato alla danza, e tutta la vita mondana è incentrata sullo scambio delle dame, ancora vicinissimo a quello tipico dei balli più collettivi ’. La fortuna della quadriglia e del cotillon, che nell’Ottocento contem plano l’inserimento del valzer, è dovuta alla preoccupazione di man tenere viva una socialità dove l’interazione si realizza a parecchi livel li: quello interpersonale (la coppia), quello di gruppo (l’insieme dei ballerini), quello organizzativo (nelle sue molteplici forme). L’artico-
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Iasione di queste componenti viene peraltro trattata in moltissimi te sti presentati in quest’opera. L’esplosione del valzer, contrariamente a quanto pensa Guilcher, non rappresenta un ripiegamento sociale su un modello di coppia idilliaco; esso coincide anzi con un periodo di isteria collettiva, durante il quale la coppia viene effettivamente rico nosciuta come un’istituzione essenziale, ma non unica. Non si può parlare di ripiegamento della coppia su sé stessa né nella Francia del 1790, né in Germania all’epoca delle guerre napoleoniche, né a Vien na nel 1815 e nemmeno ai tempi in cui imperversava la polca.
Il fascino dei molteplici influssi. Allora, infatti, non si era ancora verificato quello spostamento del la seduzione verso la sessualità, tipico della società della fine del No vecento, osservato dal sociologo Jean Baudrillard: « La sessualità nel la nostra cultura ha trionfato sulla seduzione, che ha incorporato co me forma subalterna. Tutto è stato invertito dalla nostra visione stru mentale. Nell’ordine simbolico, infatti, prima viene la seduzione e dopo eventualmente il sesso»6. L’autore mostra in seguito come il corpo si trovi oggi «ridotto» alle dimensioni produttive e sessuali. Per la seduzione, in sostanza, non c’è piu posto. La sua disamina si applica anche alla danza. Per tutto il periodo in cui il valzer primeg gia, la seduzione ha il sopravvento sulla sessualità. Mentre la sessuali tà comporta necessariamente un ripiegamento della coppia su sé stes sa, la logica della seduzione non esclude gli altri. La presenza di un pubblico e l’alternanza possibile, oltre che auspicabile, di cavalieri per una dama permettono di organizzare la serata di valzer attorno a un tipo di seduzione che non coinvolge soltanto due individui, ma più persone. Se questo è vero in linea di massima, non bisogna tuttavia genera lizzare. Nel corso della sua esistenza plurisecolare, il valzer ha assunto forme diverse che esprimono psicologie sociali disparate: a seconda del contesto, ha rappresentato modi diversi di porsi in relazione con l’altro, entrando a far parte di danze che potevano manifestare la soli darietà di gruppo, l’apertura, il desiderio di scambi e di incontri o
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l’«intimità idilliaca». Queste forme di valzer si riallacciano a momen ti diversi e compaiono successivamente nella vita di un ballerino e in quella sociale. Quali sopravvivono ai nostri giorni? Oggi un parigino, quando sente la parola valzer, istintivamente pensa innanzi tutto al valzer viennese o alla musette. La sua componente sovversiva, di op posizione alla Chiesa e allo Stato viene completamente dimenticata. Per la celebrazione del bicentenario del 14 luglio 1789, si sono svolti in Francia trentamila balli. Sono serviti a risvegliare la tradizione della socialità rivoluzionaria? Probabilmente no. Questi balli provano tuttalpiù che il valzer e la danza popolare restano elementi costitutivi della nostra società. Tuttavia le idee sul valzer mutano di paese in pae se e per rendersene conto basta interrogare un tedesco, un austriaco, un italiano, un polacco, uno svedese o un inglese, e questo se ci si vuo le limitare all’ambito europeo. Infatti questo ballo, benché fondamentalmente europeo, com prende alcune varietà che sono tuttora praticate al di fuori dell’Euro pa. Se non ne abbiamo parlato, è perché abbiamo preferito concen trarci sulla nascita della danza di coppia. Ciò nonostante il valzer oc cupa, ad esempio, un posto importante nel folclore del Québec ed è a tutt’oggi presente nella danza creola. Lontano dal luogo d’origine, questo ballo ha assunto forme sorprendenti, come nel caso del valzer meticcio. Inizialmente i piantatori, per organizzare le loro feste, invi tavano nelle colonie dei maestri di danza provenienti dalle grandi cit tà. In seguito, però, esasperati dai canti e dai balli degli schiavi, inco minciarono a obbligarli - a suon di frustate - a danzare il minuetto e il valzer. A un certo punto le cose si capovolsero: gli schiavi si appro priarono del ritmo a tre tempi e del valzer, facendone una componen te delle danze meticce. Cosi l’inno della Guiana è un «lérol» a tre tempi, che si balla a passo di valzer. Resta da vedere se, trapiantato fuori dal biotopo originario, il valzer continui ad avere quel contenu to psichico particolare che gli deriva dalla sua forma iniziale. Nella storia della danza, l’estate francese del 1989 sarà ricordata per il tentativo di reintrodurre il ballo di coppia. Si è trattato - un po’ come avvenne per il lancio della polca quasi centocinquant’anni fa di un’operazione commerciale, organizzata dai grandi mezzi moderni di diffusione come la radio, la televisione, gli sponsor. È stata inoltre
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lanciata la lambada’: un ballo di coppia latino-americano, che risale al 1930, frutto della fusione complessa di varie danze, a dominante brasiliana. Molto ritmata ed erotica - di stile vicino al Dirty Dancing -, ottiene un certo successo anche in Francia, dopo aver fatto furore in Brasile. A proposito di questo ballo Dominique Dreyfus scrive: «In fin dei conti, la lambada equivale a una riscoperta della sensualità. Dopo vent’anni in cui ognuno se ne stava per conto suo, la danza di coppia incollata-stretta-strusciata che mima - o prepara - l’atto ses suale, riprende il sopravvento. Probabilmente non se ne sentiva il bi sogno soltanto in Brasile»*. Se questa diagnosi è esatta, se la società francese e, perché no, eu ropea prova il bisogno di riscoprire il ballo di coppia, non è escluso che il futuro del valzer sia rappresentato dalla danza meticcia. Le ri sorse del ritmo a tre tempi sono straordinarie, e alcune non sono state ancora sfruttate: l’influsso della musica e della danza latino-america na potrebbe aprire nuove prospettive, rendendolo molto brioso e ballabile. Forse il successo della lambada segna provvisoriamente la fine della predominanza dei balli individuali di matrice nordamerica na. L’Europa, riavvicinandosi al valzer, potrebbe trovare il crogiolo della sua identità. Per riuscirci e scoprirsi unita, però, dovrà assimila re la componente meticcia!
1 Franks, Sodai Dance cit., p. 130. 2 M. Maffrsoli, Essais sur la violencet Paris, p. 144. 3 Y. Guilcher, Touteforme de danse n’est pas possible àn’importe quelle époque, in « La recher che en danse » (1988), n. 4, p. 33.
4 Ivi, p. 33. 5 A eccezione di ciò che avviene nei locali da ballo pubblici, in cui è consentito fare coppia fìssa con la stessa partner - e neanche sempre -, tutta l’attività educativa dei maestri di danza e tut te le consuetudini familiari o mondane prevedono la successione degli inviti. 6 J. Baudrillard, De la seduction, Paris 1979, p. 63. 7 «Libération» (7 agosto 1989) spiega, in un dossier completo, i retroscena del lancio di questo ballo. B D. Dreyfus, Mise en botte, in «Libération» (7 agosto 1989), p. 31.
Notizie biografiche su autori, compositori e ballerini citati nel corpo dell’opera
Musicista francese di fama internazionale, nato a Caen nel 1782 e morto a Parigi nel 1871. La sua opera, conosciuta fin dal 1806 grazie a Cherubini, copre una buona parte della storia del valzer dell’Ottocento. Di lui, Wagner am mirò in particolar modo La muta di Portici (1828). Membro dell’Institut de France (1829), hi maestro della Cappella imperiale nel 1857. brahms, Johannes Pianista e compositore tedesco, nato ad Amburgo nel 1833 e morto a Vienna nel 1897. Iniziato alla musica dal padre, contrabbassista in diverse orchestre popolari, cominciò a suonare appena quindicenne. Nel 1853 incontrò Schumann. Nel 1859 diventò direttore del coro ad Amburgo, e poi si stabili a Vienna nel 1862. La sua opera è romantica; i suoi valzer sono tipicamente germa nici sia nello stile che nel carattere. cellarius Celebre maestro di danza parigino, di fama internazionale, dirigeva una scuola in rue Vivienne. Nel 1847 pubblicò un libro, ristampato nel 1849 con una prefazione di Lamartine, La danse des salons, che Fautore presentò come «il manuale del moderno ballerino di valzer». A Cellarius, che diede il suo nome a un valzer-mazurca, si deve anche l’introduzione della polca a Parigi nel 1844. desrat Nota famiglia di maestri di danza francesi, che dominò l’Ottocento. È particolarmente famoso Georges Desrat, nato nel 1850, che scrisse moltissimi ma nuali e un Dictionnaire de la danse, ancora ristampato. gretry, andré, ernest, modeste Nato a Liegi nel 1741, morto nel 1813. Dopo aver studiato nella città natale, nel 1759 parti per Roma, dove restò sette anni, si trasferì poi a Genova e alla fine a Parigi nel 1768» dove si stabili definitivamente. Tra il 1768 e il 1791, Grétry compose due opéras-comiques all’anno. Fu il musicista più' alla moda prima e dopo la Rivoluzione. Autore dei Mémoires ou essai sur la musique, in tre volumi, (1789,1796,1797), nel 1784 scrisse anche un valzer, Airpour valzer, che inserì in Colinette à la cour. laborde Maestro di danza parigino, animatore di un imponente salotto, situato al numero 30 di rue de la Victoire. Rivale di Cellarius dal 1844 al 1848, pubblicò nel i860 la prima opera sul cotillon, dove parlò ampiamente anche del valzer. lanner, Joseph Compositore e direttore d’orchestra austriaco, nato a Vienna nel 1801 e morto a Oberdòbling nel 1843. Scrisse duecento valzer, veri e propri poemi musicali, fra cui bisogna ricordare almeno Die Werber e Die Schdnnbrunner. lehar, Franz Compositore austroungarico, spesso associato agli Strauss, malgra do raggiunga la notorietà soltanto alla fine del secolo. Nato a Komarom nel 1870 e
auber, esprit
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morto a Bad Ischi nel 1948, studiò al conservatorio di Praga. Compose dei valzer vivaci che inserì nelle sue operette viennesi, tra cui ricordiamo La vedova allegra (1905), Amore di zingaro (1910) c 11 paese dei sorrisi (1927). Compositore, direttore d’orchestra e critico musicale francese, nato nel 1853 e morto nel 1929. Diresse varie orchestre a Bruxelles, Parigi (Opéra comique), e poi a Londra (Covent Garden), prima di tornare nella capitale fran cese. Seguendo l’esempio di Offenbach, scrisse dei bei valzer che introdusse nelle sue operette.
messager, andré
Olivier Compositore e direttore d’orchestra francese, nato a Reims nel 1830 e morto a Parigi nel 1889.1 valzer lo resero molto più celebre delle diciotto operette che scrisse. Diresse i balli del Theatre de la Monnaie di Bruxelles e quelli dell’Opéra di Parigi. È l’autore della famosa Valse des roses.
metra,
Nato a Parigi nel 1793 e morto a Auteuil nel 1859. Compositore e direttore d’orchestra, cominciò alle Variétés, prima di diventare direttore d’or chestra del ballo dell’Opéra nel 1834. Eliminò la contraddanza, sostituendola uni camente con valzer, polacche, mazurche e galop. Il bilancio del ballo, prima in deficit, passò in attivo. Per il suo Concert Musard, locale specializzato nella musi ca da ballo, scrisse centocinquanta quadriglie e valzer su arie popolari o motivi d’opera.
musard, philippe
Di origine cecoslovacca, nato nel 1889 e morto nel 1972. Musicologo specializzato in musica da ballo e in musica viennese. Insegnò all’Università di Praga fino al 1939, poi negli Stati Uniti (prima a Princeton e dopo, a partire dal 1946 fino al 1959, a Bloomington, Indiana). Pubblicò numerosi articoli e libri, ini zialmente in tedesco e successivamente in inglese.
nettl, paul
Nato a Colonia nel 1819, morto a Parigi nel 1880. Violoncel. lista, poi direttore d’orchestra a partire dal 1850 al Théàtre-Fran^ais. Nel 1855 fon dò il Théàtre des Bouffes-Parisiens. Le sue opere riflettono la gioia divivere tipica del Secondo Impero. Compositore di molti valzer, oggi noto a livello mondiale grazie alle sue operette.
Offenbach, Jacques
Nato a Berlino nel 1881, morto a New York nel 1959. Musicolo e orga• nologo, insegnò storia della musica nell’università della sua città natale dal 1919 al 1933; diresse inoltre il Museo di strumenti musicali di Berlino. Nel 1933 lasciò la Germania; nel 1934 fondò a Parigi la collana di dischi «Anthologie sonore»; poi nel 1937 si trasferì a New York dove insegnò fino alla morte. Autore di RealLexikon der Musikinstrwnente (1913), Mustk des Altertums (1924), e Lin Welt geschichte des Tanzes (1933) che si impose negli anni Trenta, e che è alla base della teoria germanica della storia del valzer. Di quest’opera i francesi hanno conosciu to solo una versione incompleta. A New York, Sachs pubblicò nel 1940 The Histo ry of Musical Instruments. Una recensione di tutti i suoi lavori, firmata da K. Hahn, è reperibile nel numero 29 degli Acta musicologica del 1959.
saci is, curt
robert Compositore tedesco di ispirazione romantica, nato nel 1810 e morto nel 1856.1 suoi valzer, che rappresentano una minima parte della sua pro duzione, sono tipicamente germanici sia nello stile che nel carattere.
SCHUMANN,
Famiglia viennese che dominò tutta la musica da valzer ottocentesca, fa cendola uscire dai limiti del genere popolare, rendendola più elaborata, pubbli
strauss
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candola e diffondendola in tutto il mondo, specialmente attraverso le tournées in Europa e in America. Il padre, Johann senior (1804-49), soprannominato il «Re del valzer», scrisse duecentocinquanta valzer e altre musiche da ballo, imponen dosi come compositore e direttore d’orchestra. A lui si deve la celebre Marcia di Radetzky del 1848. Ebbe una decina di figli di cui sei da Anna Strauss e quattro da Emilie Trampbusch. Soltanto i figli di Anna diventarono musicisti affermati. Jo hann junior, il maggiore (1825-99), autore di quattrocentottanta pezzi, creò i val zer più elaborati dal punto di vista musicale. Ricordiamo Sul bel Danubio blu, Il valzer dell'imperatore, Vita d'artista, Storie del bosco viennese, Vino, donne e canti, Sangue viennese e Voci di primavera, I suoi fratelli, Joseph (1827-70) e Eduard (1835-1916), si avvicendarono e si alternarono nella direzione dell’orchestra da lui fondata, che nel 1849 si fuse con quella del padre, arrivando a comprendere fino a duecento musicisti. THOiNOT, arbeau, anagramma di JEAN tabourot Canonico a Langres e maestro di cappella di Enrico IH, autore dell’opera più importante del Cinquecento sulla danza, fu il primo a descrivere in modo minuzioso tutti i balli del suo tempo, sof fermandosi in particolar modo sulla volta e dimostrando di aver capito perfetta mente lo spirito della danza di coppia. TRENis Coreografo, specialista della quadriglia e famoso ballerino di valzer ai tempi del Primo Impero. Quando danzava la gente si accalcava alle porte per am mirarlo e giungeva perfino a salire sulle sedie nel bel mezzo di un ballo (Boulen ger). Mori pazzo all’ospedale Bicètre.
pseudonimo di Charles Emile lévy Nato a Strasburgo nel 1837, morto a Parigi nel 1915, fu il «re» francese del valzer all’epoca di Napoleone ffl. Autore di più di duecentocinquanta valzer, fra cui vanno citati almeno Pluie d'or, Je t'aime, Mon rève e Le pas des patineurs.
waldteufel,
Nota sull’origine delle parole «valse» e «walzer»
La parola «valse» compare in francese in un’epoca in cui la volta è ancora presen te a corte: «Gli zoppi e i malati di gotta non possono fare a meno di camminare, ma non c’è nulla che li obblighi a ballare il valzer o la danza dei cinque passi», scrive nel 1627 il poeta Honorat de Bueil, signore di Racan (1589-1670) e amico di Malherbe, in una lettera a Jean Chapelain (1595-1674), membro fondatore dell’Académie fran$aise Risulta pertanto difficile accettare la tesi del Larousse che propone una deriva zione dal termine tedesco «Walzer», apparso molto più tardi. In Francia, ai tempi della Rivoluzione, si trova talvolta il vocabolo «waltzcr» usato al posto di «walzer» o di «valse»2. La presenza della «t » nel termine francese «waltzer» o in quello inglese « waltz » potrebbe essere dovuta a un influsso della parola «volta». Tuttavia per quanto riguarda l’inglese, B. Weigl ritiene che, dal punto di vista etimologico, all’ori gine del vocabolo non ci sia il lessema «volta», bensì il verbo «walzen». In Germania, però, il termine «Walzer» compare soltanto nel 1754. Prima, nel Seicento e nel Settecento, per designare la danza di coppia a tre tempi con volteggi si usava la parola « Dreher ». Secondo il Grosse Brockhauss \ questo lessema è impiegato fin dal Medioevo. Il riferimento più antico alla parola «Walzer» sembra essere quello di Felix von Kurz, un clown viennese soprannominato Bernal don («Der auf das neue begeisterte und belebte Bernardon» in Stegreifkomddie, 1754)- D nomc si diffonde al lora assieme al ballo: nella poesia «Hochzcitslied», Goethe utilizza il verbo «wal zen» per parlare della danza. Nel 1760 rinveniamo il vocabolo in uno scritto che vieta di praticare i balli con volteggi: «Verbot gegen walzendeTanze». In antico tedesco, avverte Netti, «walzen» significa «errare», «gironzolare». Può inoltre avere il signi ficato di «girare», «arrotolare», «scivolare». Tuttavia in Germania nei primi anni dell’ottocento, le parole «Deutschcr», «Teutscher», «Làndler» ( nel Seicento si trova anche il vocabolo «Landerli» in un libro di intavolatura per liuto di Kremsmùnster; mentre «Làndler» compare in un libro di intavolatura di Lipsia del 1681, come pure in Schmelzer, 1623-80, e Fux, 1660-1741), « Weller », «Schleifer», «Langaus» e «Walzer» vengono ancora usati indifferentemente come sinonimi. Il valzer è introdotto nell’opera con Scbmertz undErnst di P. Hafner (1763-64). Rieman4 afferma che nel 1781 l’imperatore Giuseppe II d’Austria invitò a un ballo a corte tremila bor ghesi di Vienna; non precisa però se quel giorno fu ballato il «walzer», di ritmo più rapido rispetto al «làndler». Nel 1802 vengono stampati i dodici valzer (Op. 36) di
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Nota sull’origine delle parole «valse» e «walzer»
Steibelt. Il cecoslovacco Vincenz Mascheck, diventato famoso grazie alla prima tra scrizione per piano delle Nozze di Figaro di Mozart, diede alle stampe una serie di que sti balli nel 1803. Un giornale musicale dell’epoca considerò positivamente il fatto che Mascheck li aggiungesse ai suoi «làndler»: «Da eseguire piu lentamente delle Deutschtanze». In Italia, invece, prima appare il termine «valzero» e in un secondo momento la parola «valzer», tuttora in uso. In Olanda, infine, si incontra il vocabolo «wals».
’ Brano citato da Boulenger, De la wake au tango cit., e dal Dictionnaire alphabétique etanalyiique de la langue fran^aise, Paris 1964, vol. VI, p. 933. ’ Mourgues, La danse provengale cit., p. 165. 5 Cfr. la voce «Walzer», tomo XIX, Leipzig 1934, p. 782. 4 Rieman, Musiklexikon cit., voce «Walzer», p. 1061.
Bibliografia
Abbiamo voluto segnalare dove possono essere consultate alcune opere di interesse genera le. Non sono state inserite invece in questa bibliografia le opere troppo specifiche» citate a piè di pagina nei diversi capitoli. cBL cBO cMSW epa
presso il British Museum Library (London). presso il alla Bibliothèque dell’Opéra (Paris). presso il Musiksammlung (Wien). collezione personale dell’autore.
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Una storia d’Europa attraverso Ie figure e il contesto sociale della danza. ISBN 88-06-12235-5
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