Il satiro scientifico. Riprodursi male: sesso e amore apparentemente contro natura [1/1, 1 ed.] 9788835725879

A un certo punto, il signor Mondadori mi chiede di diventare il curatore di una rivista scientifica. «Signor Mondadori,

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Il satiro scientifico. Riprodursi male: sesso e amore apparentemente contro natura [1/1, 1 ed.]
 9788835725879

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L’autore Barbascura X è chimico, divulgatore scientifico, performer teatrale, scrittore, autore televisivo e pirata male. Laureato in chimica organica e con un dottorato in chimica verde e produzione di materiali da fonti rinnovabili, ha lavorato in importanti laboratori di tutta Europa. È divenuto celebre sul web per la rubrica “Scienza Brutta”, una serie di pseudodocumentari parodistici e irriverenti in cui vengono raccontati gli aspetti meno noti e sconvolgenti delle scienze naturalistiche. Tra divulgazione e comedy, ha portato la scienza in teatro, web e televisione. Per il suo modo inusuale di trattare questi argomenti è stato definito il punk della divulgazione scientifica. Per Mondadori, nel 2021, ha pubblicato Saggio erotico sulla fine del mondo.

Il libro

A

un certo punto, il signor Mondadori mi chiede di diventare il curatore di una rivista scientifica. «Signor Mondadori, sono lusingato,ma mi concede un azzardo?» «Quale, o villoso Barbascura?»

«Mi faccia fare una rivista a modo mio.» «Intendi a cazzo di cane?» «Esatto. Una rivista scientifica più pop, dove possiamo parlare anche di roba sconcia, che sia tanto scientifica quanto spassosa, e che se ci scappa faccia venire pure una paresi facciale.» «Intendi “ridere”?» «Non esageriamo.» Quel babbeo del signor Mondadori ha accettato, ed eccoci qui. L’idea è semplice: 1. Scegliere l’argomento del volume. 2. Chiedere a varati e ben noti divulgatori scientifici di scrivere pezzi su tale argomento nello stile più smaliziato e pop possibile. 3. Chiedere a stand-up comediandi gettarla in caciara in inserti a loro dedicati. 4. Mischiare il tutto con una mannaia. 5. Ingollare crudo. Complimenti! Se sei qui sei il fortunato detentore del primo numero di questo accrocchio scientifico! A quanto mi risulta, è il primo esperimento di un siffatto prodotto in Italia. Chissà, forse è anche il primo in Europa. Questo potrebbe voler dire che si tratta di una pessima idea. Scopriamolo. Vediamo se riusciamo ad arrivare al numero 2! Ma direi di iniziare coi FUOCHI D’ARTIFICIO. Partiamo col botto, perché per questo primo numero ho scelto un argomento croccante: L’AMMORE!

Barbascura X

IL SATIRO SCIENTIFICO Riprodursi male. Sesso e amore apparentemente contro natura

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. www.librimondadori.it Il satiro scientifico di Barbascura X Progetto grafico: Andrea drBestia Cavallini Disegni: Juno Pika a cura di Barbascura X © 2023 Mondadori Libri S.p.A., Milano Ebook ISBN 9788835725879 COPERTINA || DESIGN E ILLUSTRAZIONE: DRBESTIA

INDICE

Copertina L’immagine Il libro L’autore Frontespizio IL SATIRO SCIENTIFICO. Riprodursi male. Sesso e amore apparentemente contro natura PROLOGO di Barbascura X COS’È IL SESSO E A COSA SERVE? di Vincenzo Venuto APOLOGIA DEL SEGHINO di Papucci AMORE VEGETALE: L’AMPLESSO COMPLESSO DELLE PIANTE di Marco Martinelli L’ALBERO DELLA DINAMITE di Barbascura X L’AMORE AL TEMPO DEI T. REX di Willy Guasti IL SESSO DEI DINOSAURI di Stefano Rapone COLTI IN FALLO: LA VITA SESSUALE DEGLI ANIMALI DOMESTICI di Lorenza Polistena IL SESSO DEI GATTI di Daniele Fabbri L’INGANNO SEXY DEI MASCHI POCO DOTATI di Alessio Ciaffi IL SESSO ALIENO E COME SI FA di Marco Ferrari ALIENI E PARTENOGENESI di Barbascura X NASCIAMO NUDI di Velia Lalli FARE ALL’AMMORE CON IL SUDORE di Barbascura X DISAGI IN EVOLUZIONE intervista di Barbascura X a Telmo Pievani CIBI AFRODISIACI di Claudia Penzavecchia METODI ALTERNATIVI AFFINCHÉ IL PENE CONTRASTI LA GRAVITÀ di Papucci UNA STRANA STORIA DI SESSO E CIBO di Federica Cacciola I MISTERI DELL’ORGASMO FEMMINILE di Giacomo Moro Mauretto A PROPOSITO DI ORGASMO di Daniele Fabbri ANCHE GLI INSETTI LO FANNO STRANO di Willy Guasti LUCCIOLE INFAMI di Barbascura X Copyright

BARBASCURA X

PROLOGO

Ciao dal dr. Barbascura X, il curatore malvagio di codesta rivista malvagia. Vi confesso di sentirmi un po’ a disagio nell’iniziare questo volume accentrando in qualche modo l’attenzione sulla mia persona, specie considerando che quest’opera è frutto del lavoro corale di tantissimi amici e amiche che non mi accingo nemmeno lontanamente a tentare di ringraziare, onde evitare di dimenticare qualcuno e ritrovarmelo sotto casa ad aspettarmi con rancore minacciandomi con un poster di un panda arrotolato a mo’ di mattarello. Ma a quanto pare il prologo lo deve scrivere il curatore. Che sono io. Ho chiesto a mia madre, ma m’ha detto: «Hai voluto la bicicletta?». E poi dovrò pur spiegarvi in qualche modo da dove è cicciata fuori ’sta bizzarria. Quindi ricominciamo. Ciao, sono Barbascura X e sono un divulgatore scientifico. Così m’hanno detto, almeno. Sì, perché a un certo punto un botto di persone hanno iniziato a ripetermi: «Tu fai divulgazione». E io ho risposto: «Ok. Se lo dici tu». Me l’accollo. Insomma, la divulgazione, a me, l’hanno appioppata. Sono un chimico, e quando ho iniziato questo mio inciampato percorso facevo un dottorato all’estero. Ero ad Amsterdam, e non per drogarmi. Avanguardismo puro. Dovete sapere che all’estero chi racconta di scienza viene chiamato “comunicatore”. C’è un problema però, perché comunicatore significa tutto e niente. Anche chi annuncia il ritardo dei treni è un comunicatore, nonostante si becchi decisamente più bestemmie. Tante sono le mie, mortacci vostra. Tra l’altro, io pensavo di stare facendolo come mero passatempo. Come hobby, come valvola di sfogo creativa a quelle che erano lunghe giornate in laboratorio. Insomma, tra un caffè di troppo e un pianto sommesso alla cappa, causato dalle reazioni che fino al giorno prima filavano lisce e poi all’improvviso decidevano di tradirti col primo catalizzatore che passava. “Perché hai fatto un dottorato, allora?” ti chiederai. Be’, ovviamente per tutti quei privilegi che un dottorando medio sottopagato può vantare: soldi, sesso, la cena offerta da Briatore e l’illusione di essere un essere umano vero. E così, per divertirmi, “comunicavo” la scienza. Che lì fuori c’è un sacco di roba fighissima da conoscere, e ancor di più da raccontare. Ho scoperto che tante di queste nozioni erano finite relegate in qualche sgabuzzino ammuffito, sotto uno spesso vetro di pudore e decenza. Vabbè, allora le racconto io. Il cielo s’è squarciato, e alla famiglia Angela un brivido gelido è corso lungo la schiena. Sul vetro, solenne, incombeva il monito: DA MANEGGIARE CON CURA. La scritta era rigorosamente in italiano. «’Stocazzo» ho urlato a un passante. E quello ha risposto: «Vabbè, però calmino». Ma scusa, nell’epoca dei meme e della stand-up comedy non vogliamo insozzare un po’ le cose? Se serve, sono disposto a fare da villain. Alla fine senza un villain la trama non procede. Ve la racconto io la scienza, rigorosamente come a me piace fare. Male. Anche perché c’ho sempre avuto questo tarlo che dovessimo riportarla al centro della nostra narrazione del mondo. Mettiamola in salotto, casomai davanti alla televisione. Sì, però non su un piedistallo, mi raccomando. Poggiamola a terra, su un bel tappeto macchiato che dà un tono all’ambiente. E così ti accorgi che la scienza può essere anche intrattenimento. To’, divertiti.

E se alla fine riesci addirittura a imparare qualcosa di nuovo, perfetto così. Anzi, sai che ti dico? Se hai imparato qualcosa, peggio per te. Sono solo fatti tuoi. Tiè. Ho capito che per molti divulgatori della vecchia scuola questo era inconcepibile, e io ho iniziato a soffrire di crisi d’identità. Mi muovo a cavallo tra due mondi. Quindi cosa sono? Cosa faccio? È scienza o è comedy? È rock’n’roll? O forse solo intrattenimento? Chissà. E che importa? Facciamo che è satirazione scientifica, e siamo tutti felici. Alla fine, oggi come ieri si soffre di questo bisogno compulsivo di inscatolare tutto e applicarci un’etichetta. Forse tranquillizza gli animi. Anche se tu vuoi turbarli, questi animi. E capisco la difficoltà di alcuni all’inizio nel riconoscere il sottilissimo confine tra nozione e cazzeggio. Chi se lo dimentica quel tizio che mi venne a dire: «Non hai capito niente dell’evoluzione se credi che sia un pupazzetto che regala “gettoni evoluzione” alle specie. Non è così che funziona!». Inizialmente ho avuto il leggero sospetto che mi stesse prendendo per il culo, ma poi ho capito che era serissimo. Ho dovuto concordare con lui che sì, l’evoluzione non è un pupazzetto, e no, i “gettoni evoluzione” non esistono. Scusate per il fraintendimento. Quando cominciai ero il solo a farlo. Oggi, per fortuna, non è più questa gran cosa. Posso dire di aver fatto da apripista a questa wave. Il mondo della divulgazione s’è smaliziato, e un sacco di ragazzi e ragazze hanno preso ’sta malattia e hanno iniziato a divulgare duro, specie sui social. Non potrei esserne più felice. Anche se un po’ rosico, che io mi sono beccato un botto di insulti e loro no. Hai idea di quanta gente si indignava ancora per delle virtuosissime parolacce? Quindi vi prego, o vili lettori, andate a cercare i nuovi divulgatori e sputategli in un occhio. Così, aggratisse, ma con amore. Giusto per fargli provare il brivido. Non esiste nulla al mondo su cui non si possa scherzare, e non tollero che la cosa che più appartiene all’umanità, la scienza, debba esser tenuta ingabbiata, lontana dallo spirito satirico. L’importante è essere rigorosi nelle informazioni, anche se decidi di parlare di cazzi. Ed è per questo che siamo qui. Per parlare di cazzi. Ok, no… non solo. Per un grande azzardo! Cosa state leggendo? A un certo punto il signor Mondadori mi chiede di diventare il curatore di una rivista scientifica. «Avrà una cadenza semestrale.» «Oddio, signor Mondadori. Semestrale mi sembra un accollo. Io sono un noto procrastinatore seriale, e a dirla tutta non so manco se arrivo a domani.» «Ti teniamo sotto noi, e se sgarri con le scadenze ti facciamo venire a trovare da un nostro amico.» «Be’, non mi sembra tanto male.» «Un amico robusto.» «Ah.» «Ogni numero avrà una tematica diversa. Te la senti?» «Signor Mondadori, sono lusingato, ma mi concede un azzardo?» «Quale, o villoso Barbascura?» «Mi faccia fare una rivista a modo mio.» «Intendi a cazzo di cane?» «Esatto. Una rivista scientifica più pop, dove possiamo parlare anche di roba sconcia, che sia tanto scientifica quanto spassosa, e che se ci scappa faccia venire pure una paresi facciale.» «Intendi “ridere”?» «Non esageriamo.» Quel babbeo del signor Mondadori ha accettato, ed eccoci qui. L’idea è semplice: scegliere l’argomento del volume chiedere a varati e ben noti divulgatori scientifici di scrivere pezzi su tale argomento nello stile più smaliziato e pop possibile chiedere a stand-up comedian di gettarla in caciara in inserti a loro dedicati mischiare il tutto con una mannaia ingollare crudo. Complimenti! Se sei qui sei il fortunato detentore del primo numero di questo accrocchio scientifico! A quanto mi risulta, è il primo esperimento di un siffatto prodotto in Italia. Chissà, forse è anche il primo in Europa. Questo potrebbe voler dire che si tratta di una pessima idea. Scopriamolo. Vediamo se riusciamo ad arrivare al numero 2! Ma direi di iniziare coi fuochi d’artificio. Partiamo col botto, perché per questo primo numero ho scelto un argomento croccante come le lenzuola di un adolescente al mattino: l’ammore!

VINCENZO VENUTO

COS’È IL SESSO E A COSA SERVE?

Cos’è il sesso Ogni creatura vivente, dai virus all’uomo, passando per i vermi, i funghi, le rose, le mele, i pesci, gli insetti, le lumache, fino alle balene, è spinta a riprodursi. Ma la riproduzione non è necessariamente legata al sesso. Sto per dire una banalità… tenetevi: il sesso esiste solo se ci sono i maschi e le femmine!! In realtà non si tratta di una banalità, perché la presenza di maschi e femmine non è scontata. Per miliardi di anni le creature viventi si sono riprodotte senza sesso, facendo copie di se stesse. Un virus quando si attacca a una cellula le inietta il suo patrimonio genetico che inizia a duplicarsi migliaia di volte fino a generare migliaia di virus tutti uguali, che poi faranno scoppiare la cellula invasa, pronti a ripetere l’operazione su altre cellule. Non ci sono virus maschi o femmine, ma un unico soggetto sempre uguale che duplica se stesso milioni e miliardi di volte. Sempre uguale… tenete a mente. Anche nei batteri non ci sono maschi e femmine. Un individuo si divide generando due cloni che poi diventeranno quattro e poi otto e poi sedici e poi milioni di batteri tutti uguali. Tenete a mente anche “tutti uguali”! È importante. Fino a un paio di miliardi di anni fa, la vita sulla Terra funzionava così: il sesso non esisteva, qualche batterio faceva la fotosintesi, qualcun altro si mangiava quelli che facevano la fotosintesi e poi c’erano i virus che andavano a rompere le scatole ai batteri. Avevano tutti voglia di riprodursi ma la riproduzione avveniva senza sesso, per duplicazione di individui sempre uguali. Sempre uguali… Poi accadde qualcosa che ancora non riusciamo a spiegare fino in fondo, e cioè comparvero i maschi e le femmine: creature appartenenti alla stessa specie ma leggermente diverse, che per riprodursi devono incontrarsi e fondere il loro patrimonio genetico. Per farlo, questi due individui devono produrre gameti: cellule sessuali che si formano nei testicoli e nelle ovaie. Queste strane cellule sono diverse da tutte le altre perché al loro interno contengono solo la metà dell’informazione genetica che serve per generare un individuo. Tutte le mie cellule contengono 46 cromosomi; 23 arrivano da mia mamma e 23 da mio papà. Quando papà e mamma hanno “fatto sesso” i loro gameti si sono uniti, i cromosomi si sono appaiati ed eccomi qui, bello come il sole, con i miei 46 cromosomi. I gameti femminili, prodotti nelle ovaie, si chiamano uova (o ovociti) e sono grandi, ricchi di sostanze nutritive e capaci di accogliere il gamete del maschio, che si chiama spermatozoo, viene prodotto dai testicoli ed è piccolo, mobile, veloce. Questa minuscola cellula sessuale oltre all’informazione genetica del papà contiene poco altro.

Solo dopo l’accoppiamento, i geni contenuti nell’uovo e quelli contenuti nello spermatozoo si fondono, e questa fusione darà origine a un individuo diverso da chi lo ha generato. Io non sono né mia mamma né mio papà e non assomiglio neppure ai miei fratelli. Nonostante la parentela molto stretta sono completamente diverso da loro. “Completamente diverso”… tenete a mente. Perché tutto questo casino? Se la pulsione naturale è quella di riprodurci, non era meglio fare tutto da soli come i batteri, senza cercarsi, corteggiarsi, accoppiarsi, fondere i geni, deporre o partorire? La risposta sta nelle due parole che vi ho chiesto di tenere a mente: “uguale” e “diverso”. Grazie al sesso, che produce individui sempre differenti da chi li ha generati, in pochi miliardi di anni la biodiversità del nostro pianeta, che all’inizio era veramente scarsa, monotona e piatta, è esplosa e oggi abbiamo migliaia di migliaia di specie diverse di piante, funghi e animali. Grazie al sesso, le creature del pianeta Terra sono diventate sempre più complesse, ma soprattutto hanno avuto gli strumenti per rispondere più velocemente ai cambiamenti dell’ambiente, ai parassiti, ai predatori; insomma, hanno avuto gli strumenti per rispondere a quella che Darwin chiamava “selezione naturale”. Per capire bene la questione della sopravvivenza provo a fare un esempio che ho già fatto nel mio libro Il gorilla ce l’ha piccolo e che prende spunto dalla triste attualità degli ultimi anni. Immaginiamo che tutti gli esseri umani di questa Terra siano uguali. Pensate, miliardi di Charlize Theron che abitano il pianeta e si duplicano generando altre Charlize Theron. Poi arrivo io!!! No, scherzo, non arrivo io per godere della meravigliosa creatura umana, ma arriva un virus cattivo che attacca ferocemente i polmoni di questi umani, uccidendoli. Nel giro di pochissimo tempo la mia amata attrice scomparirebbe dalla faccia della Terra. Il coronavirus che ha imperversato in questi anni, quando arrivò fece molti danni ma non ci uccise tutti perché su questa Terra, a parte i gemelli monozigoti, non c’è un essere umano uguale all’altro. Qualcuno ha avuto sintomi gravi, qualcun altro leggeri, c’è chi è morto e chi era asintomatico. Se fossimo stati tutti uguali e indifesi ci saremmo estinti in poco tempo. Nella diversità, perciò, c’è il segreto della sopravvivenza, e di conseguenza dell’evoluzione. Per un biologo, perciò, il sesso è un motore potentissimo di diversità biologica. Sempre in guerra Maschi e femmine, che siano umani, elefanti, criceti, trote o rane, sono perennemente in guerra perché entrambi vogliono riprodursi, ma l’investimento energetico nei due sessi è completamente sbilanciato. Le femmine fanno molta più fatica dei maschi a riprodursi, e tutto inizia dai gameti. Io, maschio, per fare un figlio spendo uno spermatozoo. Uno solo. Se pensate che a ogni eiaculazione ne espello da 40 a 120 milioni, la mia spesa energetica per diventare papà è pari a zero. Teoricamente potrei diventare il genitore di decine di milioni di bambini in un’unica volta senza fare nessuno sforzo, anzi, visto che produco cellule seminali tutti i giorni da quando sono adolescente, e le produrrò fino alla morte, potrei essere il papà di tutti i figli del mondo e anche di altri mondi. La mia compagna, al contrario, ha un numero finito di ovociti: quando era un feto e si trovava ancora nell’utero di sua mamma ne possedeva circa 7 milioni. Quando è nata il numero è crollato a 2 milioni e con l’arrivo delle mestruazioni gli ovociti nelle sue ovaie si sono ridotti a circa 400.000. Dall’adolescenza alla menopausa, le ovaie di una donna rilasciano in tutto circa 500 ovuli in forma matura, di cui solo poche decine saranno disponibili per essere fecondati. Vi ricordo nuovamente che io espello dai 40 ai 120 milioni di spermatozoi a eiaculato.

Uno sbilanciamento veramente esagerato, ancor più se consideriamo che l’investimento parentale, cioè la fatica che faccio per diventare genitore, non finisce certo con la produzione di cellule sessuali. Se il mio spermatozoo incontra un ovocita maturo avviene la fecondazione. A questo punto io potrei pure scappare e diventare papà senza fare nessun altro sforzo. Per la mamma le cose vanno diversamente. Dopo l’accoppiamento l’ovulo fecondato inizia a dividersi e dopo sei, sette giorni si impianta nell’utero. Ricordo che il mio professore di embriologia, quando ci raccontava di questo evento, paragonava il feto, che all’inizio è solo una massa compatta di cellule, a una trivella che scava nell’utero fino a raggiungere l’endometrio. Una volta che il feto si è fuso nello strato interno dell’utero materno inizia la gravidanza vera e propria. Si sviluppa il sacco amniotico dove crescerà l’embrione e si forma la placenta da dove arrivano, direttamente dalla mamma, ossigeno e nutrimento. Sono passati solo una decina di giorni dall’atto sessuale ma io sono già alle Bahamas da una settimana a prendere il sole, mentre la mia compagna è a casa con le nausee. Dopo nove lunghi mesi di nausee, gambe gonfie, insonnia, scalmane, pruriti e calci durante i quali il feto ha assorbito dal sangue materno il nutrimento per crescere e l’ossigeno per respirare, avviene il parto. Con dolore!!! Io in quei nove mesi ho fatto il giro del mondo, ho trovato un nuovo lavoro, ho conosciuto altre ragazze e mi sono addirittura riprodotto senza aver fatto nessuno sforzo. Ma non è finita qui. Il bambino appena nato si attaccherà al seno della mamma per diversi mesi prima di essere svezzato, e poi rimarrà con lei per almeno quindici anni. Il mio grande a 26 è ancora a casa!! Io ho sempre speso uno spermatozoo. Scrivendo Il gorilla ce l’ha piccolo, il libro e il podcast in cui parlo di sesso, ho provato a cercare chi nella storia umana ha avuto più figli tra gli uomini e chi tra le donne. L’uomo che ebbe più figli fu l’imperatore del Marocco, Mulay Ismā’īl ibn ‘Alī al-Sharīf, detto il Sanguinario, che regnò a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. Mulay il Sanguinario ebbe 868 figli, di cui 343 femmine e 525 maschi. Un bel numero, non c’è che dire, ma sinceramente con molta pazienza e soprattutto con 500 concubine ce l’avrei fatta pure io! Mi ha sorpreso molto di più la storia di una donna moscovita, specializzata (o condannata… fate voi) in parti gemellari che nel Settecento mise al mondo 69 bambini. Un numero impressionante, ma nulla in confronto degli 868 del nostro amico Sanguinario. L’imperatore del Marocco, se avesse avuto 1000 concubine, avrebbe fatto anche di meglio, e senza neanche tanto sforzo, ma, come scrissi, la contadina russa non so se avrebbe superato viva il suo record.

Questo sbilanciamento di spesa parentale, così impressionante nella nostra specie, in realtà esiste sempre dove c’è sesso e cioè dove ci sono maschi e femmine. Che siano ratti, balene, salmoni, rospi, zanzare o lumache, la regola vuole che le femmine facciano sempre molta più fatica dei maschi a riprodursi. A causa di questo sbilanciamento sono le femmine che scelgono il loro partner e i maschi si fanno scegliere. La scelta Il successo evolutivo di una creatura vivente si misura con il numero di figli che mette al mondo. Se i miei geni passeranno ai miei ragazzi e da loro ai miei nipoti e poi ai miei pronipoti vuol dire che da un punto di vista dell’evoluzione biologica sono stato un animale di successo. Per un maschio generare un figlio costa poco, mentre per una femmina, come abbiamo visto, la fatica è enorme. Teoricamente i maschi vincerebbero la competizione evolutiva accoppiandosi con tutte e generando più figli possibili, però le femmine le loro preziosissime uova non le donano a chiunque, perché non avrebbero nessuna prole se si accoppiassero con chi ha dei pessimi geni, dal momento che i suoi figli sarebbero deboli… Ma come si fa a capire che un maschio ha i geni migliori di un altro? Giusto ieri passeggiavo in montagna proprio nel bel mezzo del parco del Gran Paradiso. C’erano tre enormi maschi di stambecco con un palco gigantesco che brucavano la poca erba che spuntava su una cengia a strapiombo sulla valle. Dalla primavera alla fine dell’estate i maschi vecchi e giovani vivono tutti insieme separati dalle femmine, che invece se ne stanno con i capretti sulle pareti più scoscese. Ogni tanto i maschi si sfidano incrociando le corna in combattimenti rituali dove ognuno misura la forza dell’altro senza metterci troppa foga. In autunno, però, le cose cambiano. Le femmine vanno in estro, e scendono verso valle alla ricerca di compagni forti. I maschi, carichi di testosterone, combattono. Chi, dopo le finte battaglie dell’estate, sa di essere più debole si defila, ma i più forti si scontrano. Le femmine, dopo aver osservato imperturbabili i maschi combattere, si concedono solo ai vincitori, i quali avranno a disposizione un harem e numerose compagne con cui accoppiarsi. I perdenti e i deboli non si accoppieranno, ma non pensiate che i vincenti abbiano una vita facile. Chi ha un harem lo deve gestire, controllare, difendere, e per farlo non ha il tempo neppure per mangiare o per riposarsi. Questa strategia, in cui le femmine scelgono il maschio più forte senza aver nessun aiuto in cambio nell’allevamento dei cuccioli, è abbastanza comune nei mammiferi. La ritroviamo negli elefanti marini, nei leoni, negli impala, nei cervi. Che i geni più forti siano all’interno dell’animale più forte è abbastanza intuitivo, ma nel mondo animale questa scelta qualche volta è molto più raffinata. Prendiamo per esempio un pavone con la sua coda meravigliosa. Il pavone maschio quando incontra una femmina si “pavoneggia” in un’impressionante parata in cui dispiega le lunghe penne della coda e le scuote con forza. I disegni a forma di occhio sulla punta delle penne, il loro luccichio brillante e la corona sulla testa dovrebbero ammaliare la partner, ma le femmine non si fanno incantare così facilmente e guardano ogni dettaglio senza farsi stregare dallo spettacolo. Quelle penne sono cresciute per diversi mesi, e se il maschio in quel periodo non avesse mangiato o se fosse stato male sarebbero corte; se poi quel maschio avesse dei vermi i colori sarebbero spenti e se avesse degli acari gli “ocelli” sarebbero frastagliati. Una coda perfetta non solo è indice di buona salute ma anche di forza, perché il maschio si è portato in giro quel fardello così voluminoso, pesante e ingombrante riuscendo a sfuggire ai predatori. Quella coda non mente, non può mentire! Chi sopravvive con quel bellissimo handicap, così lo chiamava il biologo israeliano Amotz Zahavi, non può avere che dei supergeni! La femmina di pavone con un maschio così si potrà concedere con la sicurezza che i figli che nasceranno saranno forti come il papà! Ma la scelta delle femmine nel mondo animale può essere ancora più strabiliante. Nei mari del Giappone, su un fondale di rena bianca, vive un piccolo pesce palla bianco. I maschi passano il loro tempo a scavare, soffiare e spostare granelli di sabbia da una parte all’altra del loro territorio. Questa attività frenetica serve al pesce per disegnare sulla sabbia un mandala circolare che appare come la rappresentazione simbolica dell’intero cosmo. Andate a cercare su internet questa creazione, che è veramente bellissima. Ma perché un piccolo pesce palla maschio passa ventiquattr’ore al giorno per tutta la sua vita a modellare un’opera di sabbia che viene costantemente cancellata dal moto ondoso? La risposta è semplice: un maschio che spende tutto il suo tempo a modellare e a conservare un’opera così bella, effimera e complessa, e nonostante questo è vivo, mangia, è sano, manda un messaggio onesto alle femmine sulla bontà dei suoi geni. Il senso artistico attizza anche le femmine degli uccelli giardinieri che vivono in Australia e in Nuova Guinea. Come il pesce palla, i maschi passano tutto il loro tempo a realizzare e migliorare una costruzione esteticamente meravigliosa di rami intrecciati, bacche colorate e fiori, che non ha nessuna funzione se non quella di alcova dove consumare l’atto sessuale. Le femmine passano, guardano, e se quello che vedono piace loro si concedono. Dopo l’atto sessuale se ne vanno per allevare i pulcini da sole, sicure che il senso artistico sia un buon indice di bontà genetica. Anche la maturità può essere un parametro attendibile. Facile essere belli e forti a 20 anni, un po’ più difficile a 50. Il brizzolato attizza, e non solo le femmine umane, perché se un maschio maturo è ancora nel pieno delle forze, bello, sano e attira l’attenzione femminile significa che i suoi geni sono di prima

qualità. La barba grigia perciò è meglio della barbascura (Olé!!!). Alcune femmine, però, hanno strategie diverse da quelle dei pavoni e dei pesci palla; invece di puntare sui geni migliori, obbligano il maschio a spendere tanto quanto loro, e a volte più di loro, nella riproduzione. La femmina di uccello tessitore, per esempio, forma una coppia solo con il maschio che ha costruito il nido più bello, robusto e sicuro. Una volta terminata la casa, però, il papà non ha finito il suo compito, perché aiuterà la femmina nella cova e nell’allevamento dei pulcini. Ci sono casi, come nelle mantidi religiose o nei ragni, in cui le femmine chiedono ai propri compagni di partecipare alla spesa energetica facendosi addirittura divorare. La mantide religiosa uccide il maschio durante la copula e il corpo del partner darà energia a lei e ai piccoli che nasceranno. Ci sono alcuni ragni maschi che per non farsi divorare portano una preda in regalo alla femmina; alcuni, per avere più tempo a disposizione, impacchettano il dono con un filo di seta, ma ci sono pure i furbi che donano alla feroce compagna un pacchetto di seta vuoto. Il piacere sessuale Riprodursi è rischioso e faticoso: i maschi devono combattere, farsi belli, qualche volta devono pure aiutare le compagne nell’allevamento dei figli, alcuni si fanno addirittura mangiare. Le femmine depongono le uova, covano oppure partoriscono dopo mesi di gestazione, poi c’è l’allattamento, la difesa e l’educazione dei cuccioli. Anche l’atto sessuale è un lusso pericoloso. Mentre uno è impegnato nell’accoppiamento brucia calorie, trascura la ricerca del cibo, è facilmente esposto ai predatori, per non parlare dei rivali che gli vogliono rubare il territorio. Riprodursi sessualmente perciò è un lavoraccio, eppure l’esistenza di tantissime creature viventi gira intorno alla riproduzione. Il desiderio sessuale è il motore che spinge maschi e femmine a cercarsi. Questa pulsione è stata premiata dall’evoluzione perché solo chi la sentiva molto forte poteva lasciare degli eredi. Se noi animali non avessimo una ricompensa immediata, forse lasceremmo perdere. La ricompensa c’è ed è l’orgasmo. Il piacere è la chiave di tutto. E questo è facile da comprendere per noi, scimmie nude coperte dai vestiti, che abbiamo la possibilità di parlare. Ma siamo sicuri che gli animali godano come godiamo noi? Nel 1954, quando l’etologia era una scienza talvolta brutale, due neurologi canadesi, James Olds e Peter Milner della McGill University, dimostrarono che almeno i mammiferi provavano piacere. Lo provarono infilando microelettrodi a caso nel cervello di alcuni topi. Solitamente le povere cavie, ricevuta la scossa, scappavano e si nascondevano, ma un topo non scappò, rimase fermo per farsi sparaflesciare ancora. Bingo! Nel nucleus accumbens, un’area molto antica del cervello, c’era il “circuito del piacere”. Non soddisfatti della scoperta, i due ricercatori cablarono gli elettrodi in modo che i roditori potessero stimolarsi da soli. Il risultato fu che le cavie si autoinfliggevano la scossa migliaia di volte, dimenticandosi persino di bere e di mangiare. Sarebbe bastato osservare gli animali mentre si accoppiano per capire che godono mentre fanno sesso. Il vasa maggiore del Madagascar è un pappagallo bruttino e nero. Alcuni ornitologi si sono presi la briga di cronometrare gli amplessi di questi uccelli in natura. Forse non ci crederete, ma una coppia ha fatto il record di 51 minuti! Non ho bisogno di mettere degli elettrodi nei cervelli dei pappagalli per capire che provano piacere mentre si accoppiano. Il godimento che proviamo quando facciamo sesso serve a spingerci a fare altro sesso senza pensare alla spesa parentale, ai figli che verranno, e alcune volte la spinta è così forte che lo scopo riproduttivo passa in secondo piano e il sesso, non solo nella nostra specie, in questo caso può diventare “ricreativo”.

PAPUCCI

APOLOGIA DEL SEGHINO

Alla fine di tutto viene in mente il mito di Onan, personaggio biblico che avendo sposato la vedova di suo fratello, secondo la legge del levirato (che non ha niente a che vedere con chi è stato privato delle palle, ma che riguarda le leggi bibliche del Vecchio caro buon Testamento, quello dove Dio è vendicativo che pare Attila), evitò la nascita di figli, poiché non avrebbero portato il suo nome, disperdendo il proprio seme mediante la pratica del coito interrotto. Difatti la parola onanismo è ormai usata correntemente come sinonimo di masturbazione, ma in realtà non è questo il suo significato originale. Si tratta del non meno nobile salto della quaglia. Quello che precede lo schizzo in faccia, per i più preparati. Partendo da questo presupposto, gli uomini posseggono un delta di energia risparmiato dovuto al fatto che eiaculare nella vulva vuol dire farlo in un ambiente sottoposto a pressioni diverse rispetto all’esterno. Si tratta proprio di una resistenza minore. Questo delta di energia viene compensato da una probabile modifica del codice genetico maschile a seguito della diffusione del porno online, che si traduce nel conseguente atto di masturbarsi. È tutto vero e provato da recenti studi dell’Università delle scienze e degli infusi di Paperopoli, la città dove cammini a papera per via delle note pratiche sodomitiche. Eccallà, di nuovo la Bibbia che ritorna a bomba, a mano si intende. Gli stessi studi hanno dimostrato che il mouse viene impugnato con la mano mancina dai destrorsi, e viceversa. Questo quando si è davanti a un computer con un porno aperto. Inoltre le onde cerebrali riescono a sentire i suoni anche con audio muto. Ah, l’evoluzione, quante soddisfazioni, proprio come le pippe. Che poi, diciamocelo, quant’è bello il seghino sul divano di casa, con due finestre aperte che si crea quella correntina d’aria fresca, in una serata di giugno, possibilmente in solitudine, ma se si preferisce la presenza di mamma che guarda chi siamo noi per giudicare. Non occorre sottostare a tutto quell’iter matriarcale che prevede il corteggiamento, gli imbarazzi, il doversi lavare, l’invito a cena, il non poter ruttare dopo mezzo chilo di carbonara e lo sforzo di dimenarsi come un capitone intrappolato in una rete da pesca con un’acidità di stomaco che il guanciale puzzava come un pisello non lavato da una settimana. Portato all’estremo, tale atto può tranquillamente divenire uno sport, in alcuni casi olimpico, in base alla frequenza e alla durata, oltre che all’abbondanza del getto. Campione indiscusso di tale disciplina è Masanobu Sato che, durante l’edizione 2009 del Masturbate-a-thon (competizione tenutasi a San Francisco in un luogo chiuso dove la gente si riunisce per masturbarsi comodamente assieme, con l’ausilio di sedie e cuscini sul pavimento e prese per i vibratori elettrici), si è masturbato per 9 ore e 58 minuti consecutivi, stabilendo il record della “sessione di masturbazione” maschile più lunga al mondo. Ora, tralasciando l’edizione mondiale dei campionati di endurance, che meriterebbero uno studio enciclopedico a parte, Sato è giapponese, e questo ci dovrebbe far capire che è il caso di tenere sempre addosso dei guanti quando si gira per la metro di Tokyo. Ma il fattore più importante è che è riuscito a tenere duro per quasi dieci ore, sin tanto che non gli è andato a fuoco il pene per autocombustione, immolandosi come un monaco vietnamita per protesta contro lo sfruttamento a mani basse e ben serrate. Ma quanto materiale sarà andato sprecato? Premesso che non ce ne fregherebbe un cazzo se solo non stessimo parlando di cazzi. Attualmente la produzione di sperma per gli uomini è di circa 49 milioni di spermatozoi su millilitro di eiaculato (dato 2018), in forte calo rispetto agli anni precedenti, per fattori quali stress, inquinamento, tormentoni latinoamericani e selle per biciclette da corsa. Considerando che si eiaculano dall’1,5 ai 3,5 millilitri di sperma per singolo raspone, siamo tra i 73,5 e i 171,5 milioni di spermatozoi uccisi per pugnalata. La Seconda guerra mondiale ha ammazzato tra i sessanta e i settanta milioni di persone. In sei anni. Una sega media dura due minuti. Tali dati, oltre a farvi beneficiare della tessera del Partito nazista, fanno intuire che masturbarsi sottopone il popolo maschile a una responsabilità. Sulla scia dei milioni di spermatozoi sacrificati al godimento occorre che ci si responsabilizzi e si porti avanti una battaglia sulla qualità della sega. Quello che proponiamo, in quanto conoscitori della materia, sono sceneggiature per film porno da Oscar, pensate dai migliori registi internazionali, che contribuiscano a rendere il sacrificio dei nostri spermatozoi non vano. Foriero di soddisfazione personale, propria di una gratificazione che nasce da dentro per schizzare fuori. Non proprio film. Cortometraggi di due minuti che bastano ad appagare l’animo e il corpo. A meno che non vogliate battere il record di Masanobu Sato.

MARCO MARTINELLI

AMORE VEGETALE: L’AMPLESSO COMPLESSO DELLE PIANTE

Se credete che l’essere umano o il mondo animale vi possano stupire per l’immensa varietà di danze, metodi e usanze atte ad arrivare alla copula, allora non avete ancora visto nulla. Il mondo vegetale ha letteralmente inventato il sesso e in questo articolo potrete lasciarvi ispirare da piante seducenti, travestite, bugiarde, sadiche, esibizioniste, alle volte frigide, infedeli ma quasi sempre, nei periodi giusti, estremamente arrapate. Molto prima che le più semplici forme di vita animale iniziassero a svilupparsi negli oceani, le piante avevano già colonizzato la terraferma con giungle, felci e muschi, e avevano creato strategie argute e maliziose per arrivare all’atto più importante per un organismo vivente: la riproduzione. Se infatti la replicazione di se stessi è qualcosa che ci accomuna anche con le forme più semplici di vita come i batteri, la riproduzione sessuata appartiene alle forme più evolute, e le piante, da brave creative, insieme al sesso si sono inventate anche la bellezza: colori, forme, odori e sapori, il tutto realizzato per massimizzare la probabilità di portare a compimento l’atto sessuale. Sebbene le abbiamo avute sotto gli occhi da tantissimo tempo, la scoperta del sesso delle piante è paradossalmente recente, e all’inizio è stata accolta in malo modo sia dal mondo accademico sia da quello ecclesiastico. Il sesso non è stato un argomento tabù solo se si parlava dell’uomo, c’è sempre stata una certa reticenza anche se si trattava di sesso tra mosche. Nel mondo antico le piante erano considerate asessuate al punto che tutt’oggi, nei modi di dire, quando una donna perde la verginità si dice che è stata “deflorata” (fortunatamente questo linguaggio è in disuso). Nella società maschilista e retrograda che dominava in passato, i cui spettri, purtroppo, ricompaiono anche ai nostri giorni, perdere la verginità era sinonimo di perdere la purezza, che erano convinti fosse la caratteristica dei fiori delle piante. Come vedrete, quest’opinione non è assolutamente supportata dai fatti: molti fiori ne fanno di ogni per essere scossi, violati, montati e sbattuti da insetti impollinatori. Tecniche che a tutto fanno pensare tranne che ai concetti aulici di purezza e castità. Comunque, al tempo in cui i primi studiosi del mondo vegetale scrivevano, non si conoscevano dettagli sul sesso delle piante e si viaggiava sospesi tra realtà, religione e mito. In aggiunta, il principio secondo il quale la femmina fosse importante tanto quanto il maschio nella riproduzione non sfiorava lontanamente il cervello delle persone, e quand’anche un filosofo come Teofrasto, allievo di Aristotele, le cui due opere La storia delle piante e L’origine delle piante furono il riferimento botanico per i successivi duemila anni, si fosse accorto di un possibile ruolo della femmina nella fecondazione, per non fare la fine del povero Socrate non si sarebbe mai sognato di darne testimonianza. Ammettere che la madre avesse un ruolo attivo nell’atto creativo della prole avrebbe palesemente svelato che è più importante del padre, in quanto, non solo ci mette il suo 50 per cento (più il DNA mitocondriale), ma si incarica di dare vitto e alloggio al feto durante la gravidanza, e questo vale sia per l’essere umano sia per le piante. Se i filosofi e i monaci non riuscirono a identificare il sesso delle piante, per ideologia e per assenza d’ingegno, chi riuscì nell’impresa furono i medici, dottori e studiosi che dal XVII secolo, cercando di comprendere l’anatomia o l’utilizzo delle piante come erbe medicinali, si misero a osservarle da vicino. Con l’epistola De sexu plantarum del 1694 Rudolf Jakob Camerarius, docente di medicina dell’Università di Tubinga, trascrisse i suoi esperimenti certificando empiricamente il sesso delle piante e il ruolo dei vari organi; per esempio rimosse gli stami dai fiori di ricino dimostrando che così non facevano più semi. La divulgazione scientifica non era rapida come lo è oggi, l’establishment non accettò di buon grado questi risultati, così negli anni seguenti servirono Linneo nel XVIII secolo e poi Darwin e Mendel nel XIX secolo per conclamare nella comunità scientifica che le piante avessero un sesso, per comprendere l’ecologia degli insetti impollinatori e per chiarire il ruolo dei geni nella trasmissione dei caratteri.

Attualmente delle piante conosciamo moltissimo, abbiamo chiarito fisiologia e anatomia della maggior parte delle specie vegetali al mondo. Ciò che non possiamo però sapere è se le piante abbiano o meno un orgasmo nel momento in cui il polline viene rilasciato o il fiore fecondato. Sulla carta, l’assenza di un sistema nervoso ci fa pensare che quel tipo di piacere bramato e ricercato dalla specie umana loro non lo provino. Tuttavia, nelle piante superiori ritroviamo i segni dell’eccitazione sessuale: al momento della maturità lo stimma, ossia la parte femminile, si bagna, si intensificano i colori e viene rilasciata una maggior quantità di profumi con l’intento di attirare potenziali insetti impollinatori. Ma perché le piante fanno sesso e perché il sesso storicamente ha suscitato così tanto antagonismo? Il motivo è sempre la varietà. Le piante, come molti altri esseri viventi, hanno intrapreso la via della riproduzione sessuata per generare variabilità, ossia differenze tra individuo e individuo. La diversità è l’ingrediente necessario all’evoluzione, perché garantisce che di fronte allo stesso agente selettivo – per esempio, una malattia o un’alluvione – alcuni individui siano più resistenti di altri e la specie nel complesso sia più resiliente e possa sopravvivere. Può succedere che una pianta si riproduca fuori dal sesso, e questo fenomeno, detto partenogenesi, ha esempi in piante supernote: gli stoloni delle fragole o delle gramigne, oppure le patate, che non sono frutti ma fusti modificati. Il risultato della propagazione clonale sono piante figlie geneticamente uguali alle piante madri. Si tratta di una proprietà utile a fini commerciali e industriali, perché si ottiene un’elevata omogeneità nei prodotti, ma allo stesso tempo risulta una caratteristica pericolosa per la popolazione vegetale. Se la pianta madre fosse sensibile a un fungo oppure al freddo basterebbero qualche spora o una gelata per far fuori tutto il raccolto. Attualmente molte piante coltivate per fini industriali sono cloni e arrivano da colture in vitro; gli scienziati, infatti, hanno scoperto metodi efficaci per propagare cloni di piante semplicemente usando una foglia della pianta madre, e attraverso una serie di passaggi sono riusciti a trasformare le cellule specializzate della foglia in cellule staminali vegetali, e da queste a ricreare una pianta figlia per intero. Le note cipriate di Chanel N°5 arrivano dall’Iris pallida, pianta che viene rigorosamente propagata in vitro per garantire la massima omogeneità nella produzione degli oli essenziali che vengono inseriti nel famoso profumo. Il sesso invece non è una fabbrica che produce in serie, è più simile a un artista creativo che ogni volta realizza qualcosa di nuovo: talora un capolavoro, altre volte un tentativo mal riuscito.

Per gli insicuri, per chi vive nel conformismo, per le dittature, il sesso significa diversità e incertezza, qualcosa che una società conservatrice, uniforme e opposta al cambiamento evita come la peste. Sfortunatamente per i detrattori del sesso, l’amplesso salta fuori ovunque in natura, e nelle piante si è evoluto partendo nascosto e divenendo vistoso e sfacciato. Circa 600 milioni di anni fa, l’attività fotosintetica di cianobatteri e alghe consentì la formazione di ossigeno che reagendo con i raggi ultravioletti solari formò l’ozono. Questo gas, determinando un’azione schermante contro i raggi UV, permise il passaggio della vita dall’acqua alla terraferma. Il modo di fare sesso in acqua per le piante era estremamente specializzato: le alghe producevano gameti con flagelli in grado di nuotare e unirsi, e avevano un ciclo vitale molto diverso da quello che si è creato nelle piante terrestri. La maggior parte delle alghe, infatti, passava la propria vita geneticamente aploide, ossia con metà corredo cromosomico, poiché per mitosi formava i gameti, che si univano per dare uno zigote diploide, il quale subito si divideva per meiosi formando nuovi individui aploidi ma geneticamente differenti dai genitori. Questo ciclo è detto aplonte. Gli animali e certi gruppi di alghe (diatomee e alcune alghe brune e verdi) passano la loro vita diploidi, ossia con un corredo cromosomico ereditato per metà dalla mamma e per metà dal babbo. Giunti a maturità sessuale, gli animali producono i gameti, che quando non vengono sprecati vivono per un tempo che va da pochi minuti a poche ore, finché non si uniscono per formare lo zigote. Questo ciclo è detto diplonte. La maggioranza delle piante però ha un ciclo aplodiplonte, perché alle piante piace farla più complicata del previsto e mescolano i due precedenti. Vediamo di capirlo meglio addentrandoci nel ciclo vitale delle prime piante che hanno colonizzato la terraferma. Le prime piante terrestri sono state le briofite, le più semplici in assoluto, prive di un sistema vascolare a parete lignificata. 24.000 specie che si dividono in muschi, epatiche e antocerote. Quando tocchicchiate il morbidissimo muschio state stimolando il gametofito. Tutto quel soffice verdino ha un corredo genetico aploide e da questo, dopo la fecondazione, si ergono verticalmente delle strutture a fusticino o a ombrello, gli sporofiti (diploidi) nei quali si producono per meiosi le spore. Le spore aploidi generano un altro gametofito, il quale differenzia sulla stessa pianta o su piante diverse una zona dove raccoglie cellule spermatiche maschili e una zona dove raccoglie una cellula uovo: queste sono meiospore aploidi identiche geneticamente, e dalla loro unione si forma lo sporofito, così il ciclo ricomincia. Le briofite hanno gameti maschili natanti, sono piante che per accoppiarsi hanno necessità di vivere in ambienti molto umidi o vicine all’acqua, e passano la maggior parte della loro vita aploidi. C’è una dominanza del gametofito aploide tranne nella fase riproduttiva, e come vedremo, con l’evoluzione questa fase si è ridotta sempre di più, dando spazio allo sporofito diploide. Le prime piante vascolari o tracheofite comparvero tra il Siluriano e il Devoniano, circa 420 milioni di anni fa, e si dividono in nove categorie principali, quattro delle quali sono prive di semi e vengono definite pteridofite o crittogame perché nascondono benissimo gli organi sessuali. In questo gruppo troviamo le felci. Le belle foglie delle felci sono lo sporofito diploide, e i numerosi puntini neri sotto le foglie, detti sori, sono la sede delle meiospore che contengono le spore aploidi. Le spore germinano nel terreno e generano un gametofito nascosto nella terra umida (il fatto che la fecondazione avvenga sotto terra ha reso difficile per gli scienziati capire la copula di queste piante e per diverso tempo si è pensato fossero asessuate, di qui crittogame). Il gametofito, sede dell’inseminazione, produce sulla sua struttura cellule uovo e cellule spermatiche; queste ultime, potendo nuotare, giungono all’uovo e lo fecondano formando nuovamente lo sporofito diploide.

Felci del gruppo delle pteridofite © Jean-Philippe Delobelle / Biosphoto / Mondadori Portfolio

Questo processo, conosciuto anche come alternanza delle generazioni, costituisce il ciclo vitale di tutte le piante. Vi sono due stadi molto netti: lo sporofito, ossia la fase asessuata in cui per meiosi si producono le spore, e il gametofito, la fase in cui si sviluppano gli organi sessuali che producono i gameti aploidi. Nelle piante superiori, le più recenti, lo sporofito è l’albero mentre il gametofito è il polline, che contiene al suo interno le cellule spermatiche; nelle piante più antiche come i muschi, lo sporofito lo troviamo solo nella fase riproduttiva della pianta, mentre per tutto il resto della sua esistenza vedrete il verde e morbido gametofito. È per questa ragione che si dice che nel corso dell’evoluzione le piante hanno dato sempre più importanza alla fase sporofitica (diploide o polipoloide) rispetto alla gametofitica (aploide). Con il completo affrancamento della gamia dall’acqua e la sostituzione della meiospora con il seme si sono formate le spermatofite: gimnosperme e angiosperme. Le prime hanno i semi esposti all’aria (gymnos in greco significa nudo) mentre le seconde hanno ovuli e semi racchiusi all’interno di foglie modificate (i fiori) che prima costituiranno l’ovario e poi il frutto. Per le spermatofite il seme è stato la svolta, poiché, avendo la possibilità di entrare in uno stato di quiescenza, ha consentito loro di poter conquistare gran parte delle terre emerse.

Le gimnosperme viventi hanno una riproduzione lentissima, non vorreste mai copulare con la velocità di una gimnosperma, invecchiereste nel farlo. Tra impollinazione e fecondazione, infatti, può trascorrere un anno, mentre la maturazione del seme può richiedere fino a tre anni. Le gimnosperme fanno con calma, non per nulla la famiglia delle conifere comprende alcune delle specie più longeve che conosciamo: il Pinus longaeva può vivere fino a 5000 anni.

Pinus longaeva Jean-Philippe Delobelle / Biosphoto / Mondadori Portfolio

Inoltre, proprio per la loro modalità molto ascetica di vivere, non bramano il sesso e si affidano al vento per far avvenire l’impollinazione: solo alcune cicadee e gnetofite sfruttano gli insetti per farsi aiutare in questo importantissimo compito. Ma adesso è il momento di parlare delle regine indiscusse del pianeta, le angiosperme. Con circa 275.000 specie viventi, che corrispondono all’80 per cento di tutti i vegetali sulla Terra, queste piante sono le più varie per il loro aspetto e per il modo in cui si accoppiano. Si pensa siano nate nel Triassico o nel Giurassico, e dal punto di vista sessuale sono accomunate dall’avere fiori e dal fare una doppia fecondazione. Fanno sesso due volte? Non proprio. La doppia fecondazione avviene perché il polline contiene due cellule spermatiche; quando arriva sullo stimma, eccitato e bagnato, infila il suo tubetto pollinico e, se non ci sono problemi di compatibilità sessuale, raggiunge nell’ovario la cellula uovo che è composta da almeno 7 cellule. Il tubetto si trova spiazzato e lì per lì non comprende il da farsi, ma poi si rinviene e parte la fecondazione: una delle due cellule spermatiche si unirà a un’altra femminile per originare l’embrione, mentre l’altra cellula spermatica, unendosi a una cellula femminile, formerà l’endosperma triploide che costituisce il tessuto di riserva del seme.

Per quale ragione tutto questo enorme sbattimento? Per risparmiare energia. Letteralmente, con una sola botta la pianta si assicura che nel momento in cui si forma lo zigote si produca anche il nutrimento per farlo germinare. Nella storia delle piante dotate di fiori l’impollinazione attraverso il vento è arrivata più tardi; inizialmente il fiore si è fatto bello per gli insetti impollinatori, un’entomofilia (amore degli insetti) che le angiosperme hanno coltivato al punto da evolversi in relazione al proprio insetto preferito, sviluppando specifici odori, colori, profumi o molecole atte a soddisfarlo. Più o meno nel momento in cui sono comparse le angiosperme esistevano già molti insetti, i resti fossili ci dicono che c’erano coleotteri, cimici, tripidi e pure le simpaticissime mosche. Questi insetti primitivi andavano benissimo per i primi fiori, che avevano una struttura più semplice e non richiedevano ai loro pronubi tante sottigliezze psicologiche. Ma com’è fatto il fiore? Nella maggior parte dei casi il fiore si fissa a un peduncolo fiorale che termina in una porzione allargata detta ricettacolo. Le fragole, per esempio, vengono definite “falsi frutti” perché la parte carnosa che mangiamo è il ricettacolo ingrossato e i frutti sono i tanti puntini detti acheni. Dall’esterno verso l’interno, poi, troviamo i sepali, che nel loro insieme formano il calice, i petali che formano la corolla, gli stami che formano l’androceo, ossia la componente maschile, e i pistilli, ovvero la componente femminile, che formano il gineceo. Gli stami portano le antere cariche di polline, i pistilli hanno la parte terminale (lo stimma) su cui il polline andrà a adagiarsi per avviare la fecondazione. I fiori sono solitamente ermafroditi, ossia contengono androceo e gineceo, ma può avvenire che alcune piante abbiano fiori unisessuali, ossia solo maschili o solo femminili: questo è il caso di alcune varietà di Cannabis sativa. La pianta maschio si identifica facilmente perché ha le palle. Non posso dire che sembrino dei grandi testicoloni, rassomigliano di più a tante palline in cui si raccoglie tantissimo polline. Le piante possono essere monoiche come il mais, e quindi portare fiori maschili e femminili sullo stesso individuo, oppure dioiche, cioè una pianta maschio e una pianta femmina, come il kiwi, l’asparago, il pioppo e alcune varietà di canapa. Nel corso di milioni di anni i fiori hanno sviluppato una molteplicità straordinaria di forme, colori, dimensioni e strutture, rendendosi più attraenti per suscitare le voglie più astruse degli insetti. I fiori della magnolia, per esempio, erano buoni per i coleotteri ma non per le api, che sono più sensibili ed evolute. Così nel tempo i fiori si sono inventati ogni tipo di espediente: mimesi, ipnosi, trappole ma anche odori fortissimi che attirano gli insetti al punto che il pronubo vola sul fiore solo per poter rimanere stordito da quell’odore e volare via. Un esempio sensazionale di straordinaria tecnica d’inganno è quello dell’orchidea apifera, detta anche Fior d’Api, Ophrys apifera. Un travestimento coi fiocchi. Per l’occhio umano il fiore appare pienotto e peloso, ricorda un’ape ma non saremmo mai in grado di capire se assomiglia a un’ape femmina o maschio.

Il perfetto travestimento dell’Ophrys apifera Bildagentur Zoonar GmbH/ Shutterstock

Non è lo stesso per la penetrante e arrapata vista dell’ape maschio, che vede ogni fiore come una femmina seducente. Così si cala in picchiata, si immerge in quella goduria profumata e pelosa, prova ad avere un rapporto, fa movimenti sussultori e si ricopre di polline… ma qualcosa non funziona, quella non era un’ape: “Pensavo fosse amore invece era un calesse…”. Ormai eccitatissimo e frustrato, l’insetto vola sul fiore vicino credendo di aver trovato finalmente la sua ape del cuore, così ricomincia il corteggiamento e la copula, spalmando il polline del primo fiore sugli stimmi del secondo. Gli stimmi del fiore, pronti e appiccicosi, trattengono il polline trasportato dall’ape e l’impollinazione è avvenuta. Attenzione però, l’impollinazione non garantisce la fecondazione, per vari motivi: può essere che il polline germinando emetta un tubolo che non penetra sufficientemente lo stimma, oppure che non riesca a germinare per un’incompatibilità genetica. Questo perché il rapporto sessuale nel mondo vegetale, come nel mondo animale, non porta necessariamente a una gravidanza. Ah scusate, mi stavo dimenticando… che fine ha fatto l’ape maschio? Sta continuando a girare arrapato e sfinito. Questa crudele insoddisfazione sessuale deriva dal fatto che l’orchidea non possiede gli orifizi nei quali il maschio può eiaculare. Ciò ha anche un significato evolutivo vantaggioso per l’orchidea: se il maschio è arrapato continuerà a provare a montare tutti i fiori che trova alla ricerca disperata di una femmina reale. Un’ape soddisfatta si rilasserebbe dopo la prestazione e garantirebbe una scarsa probabilità di impollinazione. Per la cronaca, in Australia, un’altra specie di orchidea attira le api, ma in quel caso dona loro anche la soddisfazione sessuale. Questo per dire che non tutta la natura è crudele con i maschi. La vita sessuale delle piante travestite corre un grosso rischio: dato che il fiore non può muoversi deve attendere per forza la visita dell’ape. Alle volte un fiore deve aspettare moltissimo prima che l’insetto giusto si presenti, ecco perché i fiori delle orchidee sono tra i più longevi, hanno una superficie liscia ricoperta di una pellicola dura, hanno stomi (pori) che si possono chiudere ermeticamente in condizioni avverse, e sono coperti da una maschera di cera. Ma se l’insetto non si dovesse mai presentare? L’adattamento evolutivo ha trovato una soluzione: l’autofertilizzazione. Nonostante la natura abbia escogitato molte strategie per evitare l’autoimpollinazione, talvolta diviene l’unico modo per creare una progenie; nel caso dell’orchidea apifera, a mano a mano che il fiore invecchia si contrae e le masse di polline vengono espulse dall’organo maschile: queste masse sono costituite da steli che si conficcano nei recessi femminili e portano alla fecondazione. L’aspetto del fiore è importantissimo, ma anche il profumo e le secrezioni florali hanno un ruolo fondamentale nell’eccitazione sessuale degli insetti. Alcune volte l’insetto è talmente soddisfatto dal sapore e dall’odore che nemmeno si sforza di fare movimenti sussultori. Per esempio il maschio dell’Halictus lanuginosus, un’ape di piccole dimensioni, impollina l’orchidea Diuris pedunculata spingendo il labbro del fiore in modo da arrivare al nettare situato alla base. Non è raro vedere api con l’intero apparato buccale conficcato nel labbro del fiore per il puro piacere di farlo. Le piante hanno saputo far leva su ogni aspetto psicologico degli insetti: non solo attrazione, ma anche rabbia. Ne sono un esempio eclatante le orchidee del genere Oncidium. Queste piante hanno dei lunghi ramoscelli con fiori dai colori vivaci che si muovono in cielo come insetti in volo. Il colore giallo maculato li fa sembrare api maschio del genere Centris, api territoriali che contrassegnano i loro spazi grazie a molecole odorose emesse da ghiandole speciali. Appena un po’ di vento muove i fiori dell’orchidea, i maschi di questo genere si incazzano brutalmente e si lanciano contro i fiori. Così facendo, si ricoprono la testa di polline e al momento dello scontro con il fiore successivo lo pianteranno al posto giusto, fecondandolo. Per arrivare all’impollinazione le piante non si fanno problemi a adescare e imprigionare gli insetti che le aiuteranno nella copula. È il caso dell’orchidea Coryanthes macrantha. Questa orchidea ha un grosso labbro che si apre in un ricettacolo simile a un secchio, il quale si riempie d’acqua ed emette un odore supergradevole per le api maschio del genere Eulemma. Quando il fiore è pronto e inizia a emettere odori, i maschi si dirigono verso una macchia alla base del labbro e la grattano con forza per trovare l’origine del profumo. Bastano poche gocce dell’essenza e l’ape cade ubriaca nel secchio pieno d’acqua. Lottando per la vita, cerca di uscire e trova un piccolo canale in cui si trascina e così facendo si riempie di polline; ma non è finita. Il canaletto è coperto, ragion per cui per fuggire dalla prigione l’ape dovrà ritrovare la sua sobrietà e la sua capacità di ragionamento. Appena uscita la cerimonia si ripete, ma stavolta, ormai sporca di polline, feconderà i fiori dell’orchidea in cui cade. Se vi state chiedendo perché l’orchidea tenga l’ape prigioniera per così tanto tempo, la risposta è molto pratica: evitare l’autoimpollinazione. Quando l’insetto passa nel fiore fa sospendere la produzione delle molecole odorose. La mezz’ora di prigionia garantisce che l’ape non percepisca più l’odore del fiore da cui sta uscendo e si diriga subito verso un’altra pianta seguendo quel profumo che le piace tanto. Le piante non si sono specializzate solo nello schiavizzare le api, alcune si sono evolute per suscitare l’interesse delle lumache, perché sì, contrariamente a quanto si pensa, anche loro possono essere utilizzate per fecondare i fiori. Notoriamente le lumache sono esseri distruttori dei giardini: con la loro lingua che contiene 14.000 denti raspano in profondità i tessuti delle piante, nutrendosene. Per la loro natura, la pianta ideale deve essere bassa e vivere in ambienti umidi. Un esempio? L’Alocasia. Questa pianta veniva usata per confezionare corone da morto e in epoca vittoriana per mazzi floreali da mettere in casa: l’unica avvertenza era tagliare l’inflorescenza centrale del fiore, che essendo a spadice pareva un fallo e faceva perdere al fiore l’aspetto vaginale che lo rendeva simbolo di purezza. I fiori femminili si trovano alla base e tipicamente si schiudono per primi; quando invecchiano e sfioriscono, si aprono quelli maschili. Tale tecnica, che prevede un totale cambiamento del sesso del fiore nel tempo, è utilizzata da tantissime piante per prevenire l’autoimpollinazione. Nel periodo di fioritura questa pianta emana un odore putrescente, che per noi è uno schifo ma per le lumache è un profumo inebriante e irresistibile. Se la lumaca ci sale sopra e arriva nella fase in cui i fiori maschili sono aperti si riempie di polline; l’accesso a quelli femminili però è chiuso, e quindi la lumaca se ne esce delusa e pronta per tentare con il fiore successivo. Se la malcapitata trova un fiore in cui l’infiorescenza maschile è ancora chiusa, può accedere tutta impollinata ai fiori femminili così da saziare la voglia irrefrenabile che l’odore ha generato in lei. Pronta a raggiungere la fonte dell’odore deflorando letteralmente la pianta con la sua boccuccia dentata, la lumaca dà il primo morso, ma la pianta ha in serbo per lei un meccanismo antistupro. La lesione dei tessuti fa uscire un liquido caustico che brucia la lumaca e così la povera si mette in fuga. La lenta, goffa e bruciante ritirata fa sì che la lumaca strisci sui fiori femminili e li impollini, e più si contorce dall’agonia più i fiori si impollinano meglio. Se riesce a uscire, ancora dolorante, può ripetere gli stessi tentativi più e più volte. Ma perché lo fa? Un insetto verrebbe tratto in inganno allo stesso modo? Assolutamente no. Agli insetti bisogna offrire qualcosa di buono come il nettare, il polline o il miele. Le lumache invece sono ingorde e mangiano tutto ciò che possono, al punto che quando non trovano nulla di fresco arrivano a cibarsi anche di foglie in putrefazione. Non ci sono insetti che frequentano l’Alocasia; le lumache, invece, nonostante il dolore che patiscono non imparano, perché sono stupide, se per stupidità s’intende l’incapacità di imparare attraverso l’esperienza. Le piante, quindi, per arrivare a copulare si attaccano a tutto: alla stupidità ma anche all’intelligenza altrui.

È questo il caso delle api o dei calabroni, insetti superintelligenti, in grado di distinguere odori e colori e di entrare in relazione con la pianta. Per loro, le angiosperme hanno sviluppato fiori colorati, dei veri segnali pubblicitari che in aggiunta possono dare precise indicazioni e guidare i pronubi nella scelta del fiore da fecondare. Un esempio eclatante è l’ippocastano Aesculus hippocastanum, il quale ha una vita sessuale piuttosto complessa. Questa pianta, infatti, è andromonoica, ossia porta sulla stessa pianta fiori maschili, che maturano per primi, e fiori ermafroditi, che inizialmente sono femminili e si sviluppano successivamente. C’è una sorta di accordo sessuale nella maturazione volto a evitare l’autoimpollinazione, ma non solo: il colore del fiore varia per fare da segnaletica ai calabroni. Quando i fiori si aprono hanno petali bianchi con macchie gialle che funzionano da guida. I calabroni le usano per trovare il nettare, e così facendo si ricoprono del polline rosso dell’ippocastano. Quando un fiore non contiene più nettare le macchie diventano rosse. Ricordo che il giallo è uno dei colori preferiti dalle api, mentre il rosso non riescono proprio a vederlo, per loro è un colore che non esiste, e per questo motivo i fiori invecchiati dell’ippocastano smettono di essere attrattivi. L’espediente del cambio di colore è un’indicazione della pianta che invita il calabrone a non perdere tempo con i fiori vecchi e a dirigersi verso quelli giovani e ricchi di nettare. Ma allora che ci fanno le api sui papaveri rossi, se il rosso non lo possono vedere? Dal papavero campestre le api traggono un sacco di polline e sono in grado di percepirlo chiaramente perché per loro brilla di un colore che la specie umana non percepisce: l’ultravioletto. Molti fiori riflettono l’ultravioletto, a volte brillano totalmente, altre hanno solo alcune macchie o striature. Nella digitale e nel geranio i fiori hanno delle tracce ultraviolette che conducono le api verso il nettare, come delle piste di atterraggio luminose. Le angiosperme non sfruttano solo gli insetti per impollinarsi, spesso si affidano al vento. Le meravigliose nubi di polline dorate che ogni primavera vengono trasportate dal vento contengono milioni di granuli pollinici. Sono un po’ meno meravigliose per gli allergici, che attualmente rappresentano il 20-25 per cento della popolazione europea, ma che si stima, a causa del cambiamento climatico, arriveranno entro il 2050 al 50 per cento della popolazione. L’impollinazione anemofila è stata ritenuta dai botanici una metodica antica e primitiva, un’inseminazione aspecifica su vasta scala, dove si sprecano un sacco di cellule. Tutto molto bello, ma l’argomentazione si basava più sulla teoria che sull’osservazione. La comune ortica, per esempio, si fa impollinare dal vento, ma nei fiori ha delle ghiandole nettarifere che attirano gli insetti. La Cannabis altrettanto, con aggiunta di qualche molecola psicotropa che probabilmente ha fatto star bene gli insetti prima ancora dell’uomo. La Calluna vulgaris, appartenente alla famiglia delle Ericacee, produce moltissimo nettare con il quale le api realizzano un miele delizioso. Nonostante sia impollinata dall’ape che si muove golosa tra i suoi fiori, questa pianta produce un sacco di polline che viene trasportato dal vento. Il motivo? Quando ci sono di mezzo necessità sessuali le piante preferiscono non correre rischi producendo polline in surplus e affidandosi a più metodi o più tipologie di insetti impollinatori. Per la cronaca, sono moltissime le forme di vita che si dimostrano grandissime sprecone nei loro metodi di propagazione. I primi siamo noi: per ogni bambino concepito, e quindi per ogni spermatozoo che raggiunge la cellula uovo, se ne gettano via 350 milioni. Sprecone sì, ma non troppo. Uno dei problemi che le piante devono affrontare è l’eiaculazione precoce, ossia la produzione di polline prima che i fiori femminili delle altre piante siano pronti per riceverli. Per non buttarne via neanche un po’ ci sono varie tecniche, alcune piuttosto violente come quella che mette in atto una specie di stilidio. Lo Stylidium graminifolium ha dei graziosi fiorellini rosa con al centro una colonna contenente gli organi maschili e femminili. Appena il fiore è pronto, l’insetto si appoggia sul fiore e in soli 15 millisecondi “viene mitragliato” di polline. Un metodo efficace, rapido ed estremamente preciso. Anche nascondere il polline è una tecnica per non sprecarlo. Molte piante quando piove e fa freddo chiudono prontamente i propri fiori, in primis perché il vento e l’acqua potrebbero lavar via il polline ma anche perché con la pioggia difficilmente l’insetto impollinatore si farà vivo. Alle volte, però, non è lo spreco a preoccuparle, ma i ladri: coleotteri o cimici primitive che rubano il polline senza fecondare né dare nulla in cambio. L’infedeltà degli insetti, ossia avere più tipologie di insetti che visitano più fiori, può essere estremamente pericolosa per la pianta. Lo spazio sullo stimma per far germinare il polline è poco, e se venisse cosparso dal polline di un’altra specie quel fiore sarebbe spacciato. Per questo le piante si sono specializzate con fiori adatti a ogni gruppo di visitatori: mosche, api, farfalle, falene, ma anche uccelli e pipistrelli. Nelle Hawaii c’è addirittura un ratto che impollina un albero (Freycinetia arborea) quando va a mangiarne le brattee succulente, nel corso delle sue visite notturne. Se da un lato la specializzazione è vantaggiosa, talvolta può essere motivo di estinzione. Se per essere impollinata o propagata la pianta ha instaurato un rapporto stretto con un insetto o un animale, e questo per ragioni antropiche o ambientali si estinguesse, porterebbe il vegetale alla stessa fine. Un esempio è la triste storia che lega un albero tropicale al dodo. La Calvaria major cresce nelle isole Mauritius nell’oceano Indiano, lo stesso luogo dove viveva sgraziato e indisturbato un altro animale: il dodo. Purtroppo gli uomini diedero una caccia spietata a questo goffo volatile, non per la carne, che pare fosse nauseabonda, ma per puro sadico divertimento. L’ultimo esemplare scomparve nel 1681, e da allora nessun seme della Calvaria è più germinato. In questo caso il dodo non aveva un ruolo nell’impollinazione, ma nel favorire la germinazione del seme. I semi della Calvaria, chiamati semi di pietra, avevano un tegumento spesso che impediva all’embrione di uscire, e il dodo, mangiando i semi e sgretolandoli parzialmente, abbatteva questa barriera fisica e consentiva loro di germinare. Questa teoria è stata dimostrata nella pratica dando i semi ai tacchini, che essendo cugini del dodo sono riusciti a triturare il tegumento e a far germinare la pianta. Accingendomi alla conclusione voglio raccontarvi, in nome della scienza brutta e dell’autore del libro che mi ospita, un paio di casi di sesso brutto delle piante, alcune volte putrido e puzzolente. Il genere di piante delle Araceae attira mosche e insetti che si cibano di carne marcia, sterco e carcasse decomposte. Come mai? Perché al momento della fioritura emettono gli stessi terribili odori. L’Arum nigrum, pianta che cresce in Europa con un fiore a spata violaceo, al momento della fioritura brucia amido e aumenta la sua temperatura così da inondare le zone limitrofe di un invitante odore di merda. Le mosche stercorarie si tuffano nel fiore e vi rimangono intrappolate. I fiori femminili sono situati alla base del fiore, dove le mosche sono trattenute anche grazie alla presenza di un liquido dolciastro di cui si nutrono, e rimangono recettivi per un solo giorno. Così la mattina successiva le antere (i fiori maschili) si aprono e cospargono di polline le mosche, che a quel punto non trovano più ostacoli e possono uscire. Liberatesi dalla prigionia, attirate dallo stesso odore e golose del suo nettare entreranno in un altro fiore di Arum nigrum, ed essendo sporche del polline della sera prima lo impollineranno. Se avete freddo e vi piace il puzzo di morte potreste voler comprare la Schizocasia portei, pianta originaria delle Filippine che al momento della fioritura può raggiungere temperature di 43 °C per favorire la volatilizzazione delle molecole che odorano di sostanze in decomposizione e attirare i suoi amici impollinatori. Ma quello che non pensereste mai è che i fiorellini che annusate siano il teatro di scambismo e atti impuri. Il comune brugo, Calluna vulgaris, ha fiori sufficientemente grandi da ospitare piccoli tripidi, un rifugio perfetto per ripararsi e… copulare! I maschi non volano, per cui le femmine passano di fiore in fiore a caccia del partner e così, mentre cercano marito, fanno un lavoro incredibile di impollinazione incrociata. Nel caso ci fosse la reincarnazione, e io rinascessi tripide, dovrei tener bene a mente che questi fiori sono meglio di qualsiasi dark room o piazzola autostradale. Spero che con tutte queste notizie sui fiori la vostra idea di purezza e asessualità delle piante si sia sradicata totalmente, e spero che questo messaggio vi sia chiaro: le piante sono il simbolo di quanto la diversità e l’unione di cose diverse sia vincente in natura.

Tutte le tecniche messe in atto dalle piante di cui abbiamo parlato spingono verso l’impollinazione incrociata e sfavoriscono l’autoimpollinazione. Perché ciò? Perché la natura odia l’omologazione e il caso più assurdo di metodica per evitarla è quello messo in atto da un albero il cui frutto è ormai superpopolare: l’avocado. Negli alberi dell’avocado, Persea americana o gratissima, i fiori si aprono due volte, una come maschi e una come femmine. La prima volta solo gli organi femminili sono fertili, la seconda solo quelli maschili. In aggiunta esistono due tipi di alberi: uno ha fiori maschili la mattina e femminili il pomeriggio, mentre l’altro tipo ha i fiori femminili la mattina e quelli maschili il pomeriggio. Un’alternanza di cambi di sesso da urlo, il tutto fatto per sfavorire temporalmente la possibilità di autoimpollinazione e agevolare l’unione tra piante della stessa specie, ma individui diversi. Le piante sono un gran caos sessuale, hanno fiori o maschili o femminili o ermafroditi. Sono monoiche, dioiche, poligame. Possono ibridarsi e ci si possono fare innesti. Possono essere frigide, arrapate o asessuate. Sono l’emblema arcobaleno per eccellenza. Ma anche per loro vale un’equazione che è fondamentale per tutti gli esseri viventi: uno + uno fa un altro. E la parte più importante dell’equazione è l’altro. Perché uno da solo non fa nulla, al massimo replica se stesso (e sai che palle!). Riferimenti bibliografici Bristow, A., La vita sessuale delle piante, Mondadori, Milano 1979. Pasqua, G., Abbate, G., Forni, C., Botanica generale e diversità vegetale, Piccin, Padova 2019.

BARBASCURA X

L’ALBERO DELLA DINAMITE

Credete che le piante non vi vogliano morti. LOL. Poveri ingenui. Forse vi devo presentare Eustacchio, un Hura crepitans (o, per gli amici, “albero dinamite”). Per lui la pace non è mai stata un’opzione! È un albero della famiglia delle Euphorbiaceae e cresce nelle zone tropicali dell’America (compresa la foresta Amazzonica). E non sto scherzando, è completamente armato. I suoi frutti sono piccole granate, ed esplodono. Quest’albero mi vuole morto. ’Sti piccoli petardi c’hanno la forma di zucche, e per spargere i semi in giro deflagrano! I frammenti arrivano a velocità folli di 250 chilometri orari, e in questo modo riescono a scagliare i semi fino a 50 metri di distanza. Ottima strategia, compare, ma anche meno. A provocare l’esplosione è la disidratazione dei frutti, che quando diventano belli secchi… BUM! Per questa stessa ragione lo chiamano “albero pistola di scimmia”. È tuttavia conosciuto anche come “albero scatola di sabbia”, dato che un tempo si usavano questi frutti per portare in giro sabbia “da inchiostro”, necessaria quando scrivevi le lettere. Scrivevi, buttavi la sabbia sul foglio per assorbire l’inchiostro in eccesso (che altrimenti smerdacchiavi tutto), ed eri felice. Sì, ma come li riconosco ‘sti alberi? https://www.instagram.com/reel/ClLzBLNAtZa/?igshid=MDJmNzVkMjY= Facile: sono quelli completamente ricoperti di spine! C’hanno le spine grosse quanto ’na trave. Ah, e ve l’ho detto che è velenoso? È velenoso il frutto, che causa diarrea e vomito, ma sono velenose pure le spine. E se quel veleno vi finisse negli occhi perdereste momentaneamente la vista. Insomma. Bello. È così velenoso che alcune popolazioni indigene usavano il suo veleno per intingerci i dardi. È alto mediamente 60 metri. 60 metri di spine e odio. Pensa quanto gli sta sul cazzo il prossimo a questo.

Albero della dinamite - Hura crepitans Will Rodrigues/Shutterstock

WILLY GUASTI

L’AMORE AL TEMPO DEI T. REX

Già al tempo lo sapevo, per gli animali è normale riprodursi, ma immaginarmi due dei miei dinosauri di plastica (magari pure di specie diverse) impegnati in una simile giostra mi imbarazzava non poco. I dinosauri sono un po’ come i genitori, quando si parla di riproduzione: hanno dimensioni mastodontiche e corpi ingombranti, sono vecchi, e tutti sanno che almeno in un momento della loro vita hanno fatto sesso, ma nessuno ci si sofferma mai. È imbarazzante pensarli in quel frangente, eppure in qualche modo devono aver fatto. Ovviamente, la paleontologia non manca di sporcaccioni e sporcaccione, perciò è una domanda che tante persone, anche del settore, si sono poste più volte. Ma ora smettete di pensare ai vostri genitori mentre fanno sesso e cominciamo a ragionarci un po’ su: il comportamento riproduttivo è una componente fondamentale della vita degli organismi (specie di quelli che fanno sesso), e non è raro che gli adattamenti più particolari e spettacolari degli animali siano legati proprio a questa sfera. Evolutivamente parlando, durante la riproduzione ci si gioca il tutto per tutto – ovvero la possibilità di passare i geni alla generazione successiva, aumentando il proprio successo riproduttivo (che in gergo è noto come fitness). Bisogna riuscire a convincere il partner di essere un soggetto valido e in salute, uno con cui valga la pena di sporcarsi per avere una prole che abbia più chance di sopravvivere. Tutte sfide che sicuramente i dinosauri hanno dovuto affrontare durante la loro storia, e delle quali l’atto carnale in sé era solo una parte: oltre al sesso ci sono tante altre cose che ruotano attorno alla riproduzione, che si svolgono sia prima sia dopo, come il corteggiamento, la costruzione del nido, la difesa del territorio, eccetera. Ma se per farci un’idea di come si comportano gli animali di oggi basta osservarli dal vivo (non che per tutti sia facile alla stessa maniera, ma è pur sempre fattibile), per i dinosauri non possiamo che basarci su quello che ci hanno lasciato. Che quasi sempre sono solo ossa. Spesso incomplete, a volte pure deformate da vari processi geologici. Come immaginerete, è difficilissimo ricostruire un comportamento avendo a disposizione solo ossa fossili e non l’animale in vita; qualche volta le tracce (per esempio le impronte) ci vengono in aiuto, ma è comunque difficile. Tanto più che i tessuti molli non si fossilizzano: durante la fossilizzazione i tessuti come muscoli, organi e cheratina (che forma squame, unghie e piumaggio) vanno a farsi benedire, e ciò che rimane sono solo le parti più dure e mineralizzate (come gusci, denti e ossa), dentro le quali i minerali di partenza sono stati sostituiti da altri presenti nel sedimento circostante via via che si trasformava in roccia consolidata. Per questo, molti aspetti dell’anatomia, della fisiologia e del comportamento dei dinosauri rimangono davvero misteriosi. E tra questi misteri c’è ovviamente anche quello riguardo a come si svolgesse l’atto, e quale fosse l’armamentario dei dinosauri maschi.

In altre parole: i dinosauri avevano o meno il pene? Perché anche questa domanda non è scontata, dal momento che non è certo la norma per tutti gli animali che si riproducono sessualmente, anche se a noi egocentrici umani sembra strano. E dal momento che di solito dei dinosauri ci rimangono solo ossa, è bene partire da lì: che cosa possono dirci le ossa dei dinosauri sugli attributi del maschio? Non per essere maschilista, ci tengo a precisarlo! È solo ragionando in questi termini che potremo effettivamente trovare qualche indizio. Per esempio, se ci fosse uno scheletro anche nel pene basterebbe poco per rispondere alla domanda. Se agli umani pene-dotati all’ascolto sembrerà strana l’dea di avere un osso nel pene, sappiate che non vale per tutti. C’è chi lo ha! È un piccolo osso impari chiamato os penis, ma è detto anche baculum (che significa “bastoncino”). Embriologicamente parlando, il baculum ha origine dall’ossificazione dei corpi cavernosi distali (ovvero quelli più lontani dall’attaccatura del pene), ed è presente in vari ordini di mammiferi placentati, come per esempio primati, roditori, carnivori (ovvero il gruppo di cui fanno parte tra gli altri orsi, cani e gatti), chirotteri (cioè i pipistrelli). C’è la possibilità che ci sia anche in qualche altro gruppo, solo che non lo sappiamo. La sua presenza in questi gruppi di animali rende la copula prolungata più efficace, sottraendo tempo agli altri rivali e monopolizzando (a livello riproduttivo) il tempo della femmina con cui ci si accoppia. La forma del pene cambia da gruppo a gruppo e da specie a specie: ergo, in molti casi si riesce a riconoscere la specie basandosi solo sull’aspetto di quest’ossicino. A seconda della forma, possiamo anche capire alcune cose sulle abitudini riproduttive di chi ce l’ha, dal momento che anche il baculum è stato ovviamente oggetto della selezione naturale. Il motivo per cui l’essere umano lo ha perso, secondo qualche autore, è da imputare alla monogamia: diventando essa la strategia riproduttiva principale (anche se non certo l’unica, è chiaro), non c’era più bisogno di sottrarre tempo ad altri possibili partner sessuali con una copula prolungata. In effetti, noi che non lo abbiamo siamo dei primati un po’ strani, almeno per gli standard dei nostri simili… il baculum manca praticamente solo a noi, alla maggior parte delle scimmie ragno (sottofamiglia Atelinae) e ai tarsi (infraordine Tarsiiformes). Esiste anche una sua versione femminile, un piccolo osso impari nel clitoride, chiamato os clitoris.

Il baculum è stato rinvenuto anche nei fossili di diversi mammiferi: sebbene sia un osso piccolo e vada spesso perso durante la fossilizzazione (che per forza di cose fa sì che si conservino più facilmente ossa grandi e spesse) abbiamo avuto la fortuna di trovarlo. Questo ci riporta dai nostri amati dinosauri: nel loro caso abbiamo un baculum? Be’… no. Quest’ossicino birichino sembra essere una caratteristica dei mammiferi placentati, perciò non sperate di trovarlo tra i dinosauri. Certo, qualcuno potrebbe pensare che ci fosse ma vista la sua natura non si è conservato. Pensiero lecito, però abbiamo molti scheletri di dinosauri, completi, che mantengono anche ossa molto piccole e fragili, perciò appare davvero improbabile che sia in atto una cospirazione che nasconde la presenza di un osso nel pene dei dinosauri. Tuttavia, un modo per farsi un’idea di come funzionassero le cose c’è, ma dobbiamo concentrarci sui loro parenti più prossimi ancora in vita. I dinosauri sono stati (e sono a tutt’oggi) un gruppo di vertebrati di grande successo, dal momento che i loro antenati sono comparsi almeno 240 milioni di anni fa, nel Triassico, e sono ancora vivi. Già: gli uccelli sono dinosauri, per la precisione l’unico gruppo di dinosauri scampato all’asteroide che 66 milioni di anni fa si è schiantato nell’attuale penisola dello Yucatán, mettendo fine al periodo Cretacico. Tant’è che si parla di dinosauri aviani quando si intende gli uccelli e di dinosauri non aviani quando ci si riferisce agli altri. Tolti gli uccelli, che sono appunto dinosauri, i loro parenti più prossimi sono i coccodrilli, che no, non sono dinosauri, come a volte si sente dire: sono loro cugini. Nei vertebrati terrestri, compresi alcuni mammiferi, i sistemi digestivo, escretore e riproduttivo si svuotano nella medesima camera muscolosa, la cloaca, dalla quale poi la roba viene espulsa. Sia coccodrilli sia uccelli hanno la cloaca. È qui dentro che il pene viene tenuto a riposo nei maschi, ed è qui che viene inserito nelle femmine durante la copula. Questo ovviamente quando il pene c’è. Per quanto riguarda i coccodrilli, hanno un pene piuttosto rigido, che viene estroflesso dalla cloaca durante la copula. Non si ingrandisce più di tanto con il flusso di sangue al suo interno, come nei mammiferi… e questo perché è perennemente eretto. Vedete un po’ voi se il gioco vale la candela.

anatra fischiatrice beccorosso_Dendrocygna autumnalis S J King / Shutterstock

struzzo_Struthio camelus 2630ben / Shutterstock

gobbo rugginoso_Oxyura leucocephala FLPA / Malcolm Schuyl / Shutterstock

gobbo lacustre_Oxyura vittata Courtesy Kevin McCracken

Il pene degli uccelli, invece, in qualche caso si ingrandisce parecchio, ma non con l’afflusso di sangue, come per noi umani: si basa sul sistema linfatico. Il che è interessante anche per un altro motivo: a quanto pare il passaggio da un pompaggio vascolare, quindi basato sul sangue, presente nei coccodrilli, a uno linfatico, che si riscontra in uccelli come lo struzzo, è avvenuto nell’ultimo antenato comune di tutti gli uccelli veri e propri. Il che vuol dire che quel modo di pompare che hanno gli uccelli è una loro invenzione: quindi i dinosauri non aviani, se dotati di pene, avevano verosimilmente un sistema più simile a quello dei coccodrilli. Pompaggio a parte, a oggi non tutti gli uccelli hanno il pene! Solo il 3 per cento circa di loro è dotato di un pene funzionante. Gli uccelli senza pene (vale a dire, quasi tutti) si riproducono col cosiddetto “bacio cloacale”. Significa che maschio e femmina fanno combaciare le cloache, e il maschio poi schizza (scusate, ma è quello che succede!) lo sperma nella cloaca della femmina. E stop. Per la cronaca, gli uccelli dotati di pene sono principalmente i grandi uccelli non volatori (come struzzi ed emù) e gli anseriformi, come anatre, oche e cigni. Il pene di uno struzzo maschio ricorda una gigantesca lingua paonazza; se non lo avete mai visto consiglio una rapida ricerca su Google Immagini. Non c’è di che. La sfida a questo punto è capire se ciò può dirci qualcosa riguardo ai dinosauri: visto e considerato che i peni tra gli uccelli sono una rarità, cos’è successo? Quasi tutti gli uccelli hanno perso il pene, oppure non lo hanno mai avuto e qualche gruppo lo ha sviluppato indipendentemente? Se avere il pene fosse una condizione ancestrale per gli uccelli, siccome lo hanno anche i coccodrilli, potrebbe voler dire che anche i dinosauri ce l’avevano. Forse ci potrebbero venire in aiuto alcuni dinosauri domestici dei nostri giorni, ovvero polli e anatre. Questi due uccelli fanno parte di due ordini diversi, chiamati rispettivamente galliformi e anseriformi; tra le differenze c’è anche la presenza del pene: in fagiani, tacchini, galli e pavoni non c’è, mentre in oche, cigni e anatre sì. In una ricerca del 2013 di Patricia Brennan, pubblicata sulla rivista “Current Biology”, si sono studiati embrioni di polli e anatre domestiche, e si è visto che all’inizio il pene si sviluppa in modo uguale in entrambi… poi, a una certa, nel pollo si ferma. Anche nella quaglia, un altro galliforme,

arrivata a questo stadio succede la stessa cosa, mentre negli anseriformi, negli emù e negli alligatori lo sviluppo va avanti fino alla formazione di un pene vero e proprio. Galliformi e anseriformi sono cugini stretti, e insieme sono uno dei gruppi di uccelli moderni a essersi differenziato prima dagli altri; pare si siano divisi dagli altri neognati già prima della fine del Cretacico (i neognati sono il gruppo che comprende tutti gli uccelli di oggi tranne i grandi uccelli non volatori come gli struzzi, che si erano differenziati ancora prima). Il fatto che nel gallo la formazione del pene inizi, ma non porti poi a un pene vero e proprio, ci dice che il pene è stato perso indipendentemente dagli uccelli più volte durante l’evoluzione di questo gruppo, e che quindi nonostante oggi sia una rarità un tempo fosse una caratteristica normale, ancestrale a tutto il gruppo. I dinosauri (e quindi gli uccelli) fanno parte di un gruppo di rettili chiamati arcosauri, di cui facevano parte anche i loro cugini pterosauri e pure il gruppo che ha dato i natali agli odierni coccodrilli e alligatori. E loro il pene, come abbiamo visto, lo hanno eccome: per questo è lecito ipotizzare che la condizione ancestrale degli arcosauri sia molto probabilmente quella di avere il pene, dato che non solo i coccodrilli ce l’hanno, ma ce l’hanno anche le linee di uccelli più antichi (come il gruppo da cui sono saltati fuori struzzi ed emù, appunto). L’aspetto del pene dei coccodrilli e degli alligatori è forse il maggior indizio su come potesse essere quello dei dinosauri. Per praticità, anch’io ho utilizzato la dicitura “pene”, ma bisogna spenderci su due parole: quando si tratta di organi copulatori maschili siamo soliti usare sempre la stessa parola, ma in inglese scientifico si fa distinzione tra penis (cioè pene) e phallus (cioè fallo), perché col primo ci si riferisce all’organo dei mammiferi, unico di questa classe e dalla duplice funzione riproduttiva e urinaria; il secondo invece indica l’organo riproduttore maschile dei vertebrati non mammiferi – che ha solo una funzione riproduttiva, dal momento che non lo si usa per fare pipì. Per non fare confusione non ho utilizzato fallo ogni volta che sarebbe stato lecito, ma sappiate che esiste questa differenza.

È proprio guardando i falli degli animali di oggi, specie di quelli vicini ai dinosauri non aviani, che potremmo svelare il mistero del sesso dei dinosauri. Nel 2009 sulla rivista “Historical Biology” è stata pubblicata una ricerca di Timothy Isles che ha indagato proprio il comportamento sociosessuale di alcuni animali alla ricerca di indizi. I coccodrilli e le grosse lucertole come il drago di Komodo, che hanno una lunga coda (e che non sono affatto vicini parenti dei dinosauri, vale la pena ricordarlo), copulano in una posizione piuttosto singolare. L’accoppiamento prevede che il maschio monti sopra la femmina, e i due si “avvolgano” abbracciandosi. La coda della femmina viene spostata di lato per far spazio al pene, e di solito il maschio mette una zampa sulla schiena, come volesse scavalcare la femmina; a questo punto la femmina curva la schiena in su – la posizione è detta appunto leg over back, ovvero gamba sopra la schiena. La coda è utilizzata dal maschio anche per aiutarsi a far combaciare le cloache e per dare una “propulsione”, per così dire, al pene, facendola passare sotto quella della femmina.

Accoppiamento tra coccodrilli Apirakthanakorn / Shutterstock

In basso: accoppiamento tra draghi di Komodo Luca Vaime / Alamy Stock Photo / IPA images

Le altre lucertole più piccole e i serpenti sono spesso più flessibili, e grazie a ciò non hanno necessariamente bisogno di organi riproduttivi particolarmente lunghi per arrivare a una copula efficace. Nei gruppi che hanno ridotto la coda e la flessibilità del tronco, come uccelli e tartarughe, la norma è diventata invece di montare la femmina da dietro. Negli uccelli il maschio è solito salire sulla schiena della femmina per far avvicinare tra loro le cloache; a seconda del caso, punta a farle combaciare se non ha il pene, oppure si avvicina abbastanza da riuscire a penetrare la cloaca della femmina col suo pene. Negli uccelli più grandi e pesanti, come gli struzzi, la femmina addirittura si accovaccia a terra per sostenere meglio il peso del maschio che la monta da dietro. Abbiamo visto che gli uccelli sono la cosa più vicina a un dinosauro che ci sia, ma attenzione! Già rispetto a coccodrilli e varani c’è una differenza quando si parla di uccelli: non c’è di mezzo una coda. Infatti per un dinosauro non aviano far combaciare le cloache come fanno gli uccelli di oggi non sarebbe stato anatomicamente possibile. C’è allora chi ha pensato di prendere come riferimento i grandi mammiferi, come elefanti e rinoceronti, per farsi un’idea della posizione di copula dei dinosauri. Tuttavia, oltre a essere animali piuttosto diversi da un punto di vista evolutivo, non sono nemmeno paragonabili per quanto riguarda l’anatomia: non solo non hanno una coda come quella dei dinosauri, ma hanno anche i genitali in posizione diversa! La cloaca dei dinosauri si apriva sotto l’attaccatura della coda, infatti. Uno dei primi paleontologi a studiare le possibili meccaniche della copula nei dinosauri è stato Beverly Halstead. Nel suo libro Evoluzione e ecologia dei dinosauri compare anche una ricostruzione paleoartistica di due iguanodonti colti sull’atto, probabilmente la prima illustrazione di due dinosauri in accoppiamento mai comparsa in un libro (quantomeno, in un testo per bambini). E vi dirò di più: a realizzare quell’illustrazione fu l’italiano Giovanni Caselli. Se non è questo un motivo per cui essere orgogliosi, non so quale possa esserlo.

Halstead, scomparso nel 1991, era un personaggio colorito; intervistato da Sandy Fritz per la rivista “Omni Magazine” nel 1988 raccontò che durante una lezione infilò tra le immagini che stava mostrando una foto di se stesso nudo appeso a un albero, sorprendendo la sua platea (be’, ci credo…). Nel medesimo articolo comparivano una bella serie di tavole dipinte dall’artista Ron Embleton che ritraevano sul fattaccio vari tipi di dinosauri: diplodochi, brachiosauri, brontosauri, edmontosauri e gli immancabili tirannosauri mentre sembrano essere comodi in un corso d’acqua che fungeva da jacuzzi personale (sarà stato così che rimorchiavano? Non possiamo saperlo). Curioso come tutti avessero in qualche modo un’espressione con la bocca semiaperta, quasi come a vocalizzare il proprio piacere. Halstead, comunque, ci teneva a farsi capire: quando parlava del sesso dei dinosauri, per spiegarsi meglio poteva anche arrivare a mimare, insieme alla sua compagna, la psicologa Helen Haste, le pose con cui immaginava si accoppiassero. Parlando di dinosauri, Halstead ipotizzò che non ci fosse un vero e proprio organo copulatore in questi animali, e che la cloaca del maschio venisse gonfiata dall’afflusso di sangue e venisse parzialmente evertita (questo avviene di norma negli uccelli). Suggerì che i dinosauri maschi tenessero un piede poggiato per terra durante la copula, per non caricare la femmina con troppo peso. Come abbiamo visto, questa possibilità è poco probabile, considerato anche che molti dinosauri non avevano una coda flessibile come quella delle lucertole, anzi. Però anche i coccodrilli hanno una posizione simile, e hanno un pene, quindi forse la posizione di copula dei dinosauri è una variante della loro postura classica… magari mantenendo sempre la gamba alzata ma senza far passare la coda sotto. La femmina, per facilitare l’amplesso, forse si abbassava un po’.

brontosauro

adrosauri

tirannosauri

brachiosauri

sauropodi

La testimonianza di danni alle spine neurali delle vertebre caudali più vicine al bacino (e talvolta al bacino stesso) presenti in alcuni individui potrebbero essere la testimonianza di un comportamento sessuale di questo tipo, perché è proprio lì che il peso del maschio avrebbe gravato durante una copula in questa posizione. Tali lesioni sono state riscontrate in alcuni dinosauri erbivori, come per esempio l’iguanodonte (ancora lui; non credevate mica che fosse un caso, eh?), o il Camptosaurus. Va da sé che se fossero effettivamente lesioni dovute a questo comportamento, gli esemplari in questione sarebbero femmine. Quindi adesso potremmo avere un’idea di come la faccenda si svolgesse tra i dinosauri… ma ancora una volta occorre attenzione. Per prima cosa, i dinosauri erano di tanti tipi, di tante forme e di tante dimensioni, perciò è probabilmente azzardato pensare che una singola posa andasse bene per tutti. Fa strano pensarci, ma questo gruppo comprende sia alcuni enormi sauropodi (i dinosauri dal collo lungo) lunghi una trentina di metri e pesanti decine di tonnellate – letteralmente la cosa più simile a un kaiju concepita dalla natura –, sia i colibrì, un gruppo di minuscoli e graziosi uccelli di cui esistono specie che sono più piccole di alcuni insetti, il che li rende i dinosauri più piccoli mai vissuti, per quanto ne sappiamo. Inoltre, non è neanche detto che tutti fossero “dotati” allo stesso modo: l’ecologia di ogni specie aveva sicuramente detto la propria anche sulla natura dei loro organi copulatori. Viene da chiedersi, a questo punto, come facessero a copulare animali come gli stegosauri. Se dovessi azzardare una risposta, direi “con molta attenzione”: questo gruppo di dinosauri, che conobbe il suo splendore durante il Giurassico, è noto grazie al suo rappresentante più famoso, lo Stegosaurus appunto: la sua maestosa sagoma, dotata di placche vistose lungo tutto il dorso e di quattro spuntoni lunghi fino a un metro vicino alla punta della coda, è una silhouette riconoscibile da chiunque, ma tra i dinosauri di questo gruppo c’era un serraglio impressionante di punte che cambiava da genere a genere. Ma quando si

arrivava al dunque, come avrebbe potuto fare? Alcuni hanno ipotizzato falli molto flessibili di enormi dimensioni per copulare fianco a fianco, in modo da non entrare in conflitto con spine e placche varie; altri che potessero alzarsi e copulare pancia a pancia. Poco plausibili come ipotesi. Il paleontologo Robert Bakker nel 1995 ha supposto che gli stegosauri potessero accoppiarsi con la femmina adagiata a terra, sdraiata su un fianco, lasciando libero accesso al maschio. Soluzione niente male. Il problema è che alcuni di questi animali (come il Kentrosaurus) avevano grosse spine che sporgevano dalle spalle; si capisce bene che in quel caso sarebbe stato un problema sdraiarcisi sopra. Kenneth Carpenter nel 1999 propose un’altra soluzione: essendo gli stegosauri dotati di zampe anteriori molto corte rispetto a quelle posteriori, le femmine avrebbero potuto accovacciarsi, tenendo sollevate le zampe posteriori e permettendo al maschio di avvicinarsi, appoggiando le “braccia” sul bacino della femmina e sollevandosi sulle “gambe”. Una tale posizione potrebbe consentire al maschio di montare la compagna, almeno a livello teorico, ma non spiega quale sarebbe il modo di collegare i loro organi riproduttivi. Sarebbe servito un organo molto lungo e mobile, e dimostrarne la presenza senza avere nessuna prova è piuttosto difficile. Oppure, la femmina avrebbe potuto abbassarsi sulle “braccia” e sollevare la coda, facendo combaciare (più o meno) la sua cloaca con quella del maschio mentre i due, dandosi la schiena, si accoppiavano. È anche possibile che il sistema cambiasse da specie a specie, a seconda delle ornamentazioni, chi lo sa. E che dire dei giganteschi sauropodi dal lungo collo? Uno studio del 1991 di Rothschild e Berman osservò che il 50 per cento degli esemplari di Apatosaurus e Diplodocus e il 25 per cento degli esemplari di Camarasaurus esaminati al momento dell’indagine mostravano una fusione delle vertebre sacrali prossimali (ovvero quelle più vicine al bacino); e questa sembrava essere una particolarità dovuta a un qualche trauma fisico. Successivamente è stato ipotizzato che questa potesse essere una testimonianza del dimorfismo sessuale: vale a dire, una differenza tra maschi e femmine. Se così fosse, gli esemplari con questa strana caratteristica potrebbero essere femmine: quel tratto avrebbe potuto aiutare le dinosaure a inarcare la coda verticalmente e lateralmente in modo più efficace, per fare maggior spazio al maschio durante la copula. Ma ovviamente non c’è la prova che si trattasse effettivamente di dimorfismo sessuale. Le persone della mia generazione magari questa scena l’hanno pure vista. Vi ricordate la mitica serie della BBC “Walking with Dinosaurs”? Il titolo del programma fu tradotto in italiano come “Nel mondo dei dinosauri”, e fu trasmesso durante “La macchina del tempo”, programma condotto da Alessandro Cecchi Paone. La serie è un assoluto cult e ridefinì a livello popolare lo standard per i documentari sulla preistoria. In un episodio si vedono anche due Diplodocus che ci danno dentro, ma la ricostruzione non sembra così veritiera: è un approccio molto da mammifero, e in quella posizione probabilmente non avrebbero avvicinato le cloache in modo ottimale. Certo, non che sia facile immaginarsi un accoppiamento sulla terraferma tra questi due colossi: fino a poche decine di anni fa si riteneva addirittura che i sauropodi non fossero in grado nemmeno di spostarsi fuori dall’acqua! Le ricostruzioni datate sono piene di questi dinosauri che sguazzano, letargici e goffi, immersi in paludi e laghi. Si diceva che il loro peso fosse talmente elevato che non si sarebbero retti sulle zampe se si fossero trovati per troppo tempo a camminare su substrati solidi, e che quindi fossero anfibi. I pregiudizi su questi animali facevano sembrare logico che in acqua si riproducessero pure, dal momento che, a quel punto, il principio di Archimede avrebbe reso il gioco più facile. Oggi sappiamo che non c’era niente di più sbagliato: i sauropodi erano animali completamente terrestri; addirittura hanno lasciato le loro orme (che si sono fossilizzate) in ambienti in qualche caso piuttosto aridi. Le vecchie raffigurazioni di giganti immersi in acqua non hanno nulla a che vedere con quanto avvenne nel Mesozoico: un Brachiosaurus alto una decina di metri se si fosse immerso completamente in acqua avrebbe sottoposto i suoi polmoni a una pressione tale da rendere difficoltosa la respirazione. Senza contare che, tutto sommato, non è nemmeno detto che per un dinosauro del genere fosse facile “andare a fondo”: i sauropodi avevano un sistema respiratorio basato su sacchi aeriferi, proprio come gli uccelli. In sostanza, i sacchi aeriferi sono escrescenze dei polmoni che si diramano fino a penetrare le ossa, rendendo davvero efficiente la respirazione. Avete presente le famose “ossa cave”? Eccole qua. Una caratteristica da uccello? Non proprio: era un tratto presente già nei dinosauri, anche se non per tutti i gruppi di dinosauri ne abbiamo la prova (ovvero, i segni lasciati sulle ossa). Nel caso dei sauropodi le abbiamo eccome, comunque: questo li rendeva piuttosto leggeri, se si rapporta il peso alle dimensioni. Insomma, erano letteralmente dei palloni gonfiati, e non sarebbe stata una passeggiata andare così a fondo per loro, dal momento che erano pieni d’aria. Non che in acqua non ci potessero andare, se lo avessero desiderato, per carità; però non era strettamente necessario a sostenere la loro stessa mole. Eppure c’è chi ha tirato in ballo ancora il loro legame con l’acqua: sempre secondo la ricerca di Timothy Isles, di cui vi parlavo qualche riga fa, è forse possibile che l’accoppiamento in acqua fosse una valida opzione per i sauropodi più grandi, mentre quelli più piccoli potevano cavarsela con la classica posizione leg over back. Affascinante, l’importante è però che questo non vi faccia pensare che le raffigurazioni di settant’anni fa siano giustificate! Non c’è motivo infatti di credere che i sauropodi, anche i più grandi, non fossero perfettamente capaci di accoppiarsi “all’asciutto”, dato che erano abituati a fare tutto quello che serviva anche senz’acqua. Sembra improbabile che un brontosauro fosse capace di reggersi sulle zampe mentre tentava di accoppiarsi – e diamine, lo è eccome –, eppure c’è anche chi questa cosa l’ha presa assolutamente per buona. Per esempio Brian Ford, un ricercatore indipendente autore di diversi libri. Nell’aprile 2012 pubblicò sulla rivista “Laboratory News” un simpatico articoletto dove, secondo lui, esponeva in modo sensato perché i dinosauri più grandi dovessero essere acquatici, dal momento che erano troppo grossi per stare sulla terraferma. Lo so che state pensando: aprile associato a una fesseria tanto grande non può che richiamare alla mente il “pesce d’aprile”, ma… Ford faceva sul serio. E, inspiegabilmente, ha anche trovato un editore disposto a curare l’uscita del suo libro in cui illustrava le sue incredibili teorie, che a quanto pare riscrivono l’intera paleontologia, e il cui titolo è Too Big to Walk, nome che è tutto un programma. In realtà, vengono scoperte e descritte nuove specie di dinosauri ogni anno (a volte fino a 50), e anche quelle già note da molto tempo vengono studiate e ristudiate con tecnologie non a disposizione al momento della loro scoperta. Considerato ciò, è abbastanza indicativo che le caratteristiche da animale semiacquatico (o quantomeno adattato a cacciare e a muoversi in acqua) sono state osservate solo di rado tra i dinosauri non aviani: il più famoso caso è senz’altro lo Spinosaurus, che aveva addirittura una coda di aspetto simile a quella di un tritone, probabilmente utilizzata per la propulsione in acqua (anche se, ultimamente, alcuni esperti si sono detti non troppo convinti della conclusione), più un set di caratteristiche solitamente associate all’ambiente acquatico (denti conici per afferrare il pesce, narice in posizione arretrata, piedi probabilmente palmati, eccetera). Aveva anche ossa spesse, che fungevano da zavorra: caratteristica comune negli animali semiacquatici e condivisa con il suo cugino Baryonyx, che però non aveva diverse delle altre caratteristiche notoriamente associate all’ambiente acquatico. Un altro esempio, molto fresco, è quello del Natovenator, un parente del famoso Velociraptor (fa parte della stessa famiglia, quella dei dromeosauridi) descritto a fine 2022 come un dinosauro con spiccati adattamenti alla vita acquatica, caratteristiche in comune con diversi uccelli di oggi che si suppone si comportino in modo simile: per esempio delle coste orientate all’indietro per rendere il corpo più idrodinamico, come succede nei pinguini. È molto simile al suo cugino Halszkaraptor, descritto nel 2017: quando fu reso pubblico, questo incredibile dinosaurino fu anche accusato di essere un falso, dato che nessuno si immaginava che un ramo della famiglia dei dromeosauridi potesse adattarsi così bene a vivere negli ambienti acquatici. Qualche esempio di dinosauro che ama sguazzare e che ha investito in termini evolutivi per essere più performante in acqua c’è, quindi… ma sono pochi. E nessuno di loro è un sauropode, peraltro. Questo spiega come mai il libro di Ford sia stato accolto come una barzelletta da chi si occupa di paleontologia, dal momento che ignora deliberatamente ogni dato a sostegno della terrestrialità dei dinosauri, provata da test biomeccanici, dall’anatomia, dallo studio dei paleoambienti, dall’esame delle tracce e da altro ancora.

Natovenator Immagine tratta da: Lee, S., Lee, YN., Currie, P.J. et al. A non avian dinosaur with a streamlined body exhibits potential adaptations for swimming, in “Communications Biology”, 5, 1185 (2022). Elaborazione grafica di Yusik Choi

Halszkaraptor Nobumichi Tamura / Stocktrek Images / Getty Images

Il brutto è che, come spesso succede alle idee senza senso, fanno fare tanti click: per quello la notizia delle conclusioni sconclusionate di Ford ha fatto il giro del mondo. E quando chi si occupa di paleontologia si è scagliato contro di lui, Ford si è detto sorpreso della veemenza con cui le sue teorie sono state criticate, e ha colto l’occasione per mettere sotto i riflettori quanto chi fa paleontologia sia pieno o piena di bias nei confronti della sua materia di studio, che impediscono a tutti di rendersi conto della situazione, e che spingono a credere ai dogmi scritti in libri e musei. Ok. Ovviamente, anche Ford ha detto la sua sull’estinzione dei dinosauri non aviani: secondo lui la causa della loro estinzione sarebbe da imputare non a un asteroide (cosa che oggi sappiamo essere confermata), bensì… alla scomparsa dei laghetti. E certo. Mentre i continenti andavano alla deriva, i laghi poco profondi si restringevano sempre di più, fino a scomparire. E si sa, se hai bisogno dell’acqua per camminare, senza un laghetto non sopravvivi. A maggior ragione se in quel laghetto ti ci devi anche riprodurre. Infatti la loro evoluzione li aveva resi intimamente dipendenti dai sex lakes (che potremmo tradurre con laghetti del sesso, immagino), senza i quali erano destinati all’oblio. Che dire, non fa una piega. Un’altra domanda da porsi è: quanto erano “delicati” nell’atto i dinosauri? Spesso nei rettili il maschio morde la femmina durante la copula, per tenerla ferma… e se è vero che ce n’erano di tutte le forme e dimensioni, è anche vero che non tutti avevano dei denti seghettati e ricurvi come – giusto per fare un esempio poco noto – il Tyrannosaurus rex. E non a caso cito questa specie: i crani di diversi esemplari di tirannosauro (e, per esteso, di tirannosauridi in generale) riportano lesioni molto particolari. Si tratta di fori più o meno circolari sulla mandibola, che non sembrano di primo acchito nemmeno far parte dell’anatomia dell’animale. Tant’è che nel 2009 era stato ipotizzato che quei fori fossero addirittura ciò che restava dell’infezione parassitaria operata da un protozoo del genere Trichomonas. Il che è curioso: questo genere di microrganismi causa ancora oggi grattacapi ai dinosauri, dal momento che può attaccare anche gli uccelli… In fondo, non dovrebbe sorprendere: gli uccelli sono dinosauri, e pensare che fossero simili tra loro perfino a livello di parassiti che si potevano beccare è senz’altro affascinante. Addirittura la famosa Sue – lo scheletro di uno dei tirannosauri più grandi e completi, ospitato al Field Museum di Chicago – ha i segni di queste lesioni. Il problema è che dimostrare che quella sia effettivamente la testimonianza dell’azione di un protozoo parassita è difficile, e potrebbero esserci altre cause.

Scheletro di Tyrannosaurus Rex al Field Museum di Chicago Craig Lovell / The Image Bank Unreleased / Getty Images

Uno studio del 2022 pubblicato sulla rivista “Cretaceous Research” ha esaminato alcune di queste peculiari lesioni presenti sul cranio di Sue; quello di cui ci si è accorti è che la forma delle lesioni e dell’osso circostante ricorda in modo inquietante il foro lasciato nel cranio degli esseri umani quando subiscono una trapanazione cranica per scopi (si spera per loro) chirurgici. Studiando l’attività parassita dei protozoi sulla mandibola di alcuni uccelli (come i falchi pellegrini, Falco peregrinus) e comparandola con le ossa di Sue, si è scoperto che questo tipo di infezioni negli uccelli non è associato a periostosi, ovvero l’ispessimento del tessuto osseo dovuto a una patologia. Invece nei tirannosauri era proprio così: qualcosa era penetrato tanto a fondo da lasciare un foro nell’osso, e quel qualcosa era con ogni probabilità il dente di un altro tirannosauro. Quindi sì: tra tirannosauri si mordevano eccome, e si mordevano forte, tanto forte da bucarsi il cranio. Non è chiaro perché lo facessero: che fossero dispute territoriali? Scontri per il controllo di una preda? Morsi dati al partner durante l’accoppiamento? Magari un miscuglio delle tre, è possibile anche questo. Esaminando però gli esemplari ai quali veniva riservato questo trattamento impietoso potremmo farci un’idea più precisa: uno studio del 2021, pubblicato sulla rivista “Paleobiology” da Caleb Brown e colleghi, ha effettuato proprio questo tipo di ricerca. Sono stati esaminati ben 202 esemplari diversi di tirannosauridi (sia Tyrannosaurus sia suoi cugini, come Daspletosaurus, Albertosaurus e Gorgosaurus), che riportavano un totale di 324 lesioni facciali. Quello che è emerso è che c’era una netta distinzione tra chi era ferito e chi no. Questo tipo di cicatrici era infatti assente negli esemplari più giovani (intesi qui come esemplari che erano arrivati circa alla metà della lunghezza totale del cranio); se invece si esaminano gli adulti, si scopre che in circa il 60 per cento si ritrovano lesioni compatibili coi morsi di un conspecifico di dimensioni più o meno uguali. La distribuzione dei traumi, spiccatamente legata all’età, suggerisce che tali comportamenti agonistici si verificavano con il raggiungimento della maturità sessuale. Ma c’è di più: questo tipo di interazioni violente sono osservabili anche nei coccodrilli di oggi, nonché in una serie di altri dinosauri carnivori. Gli uccelli, invece, col tempo si sono differenziati dai loro cugini, prediligendo interazioni agonistiche basate su un altro genere di prestazioni, come il canto, per esempio. Il che vuol dire che questo tipo di comportamento doveva essere una caratteristica abbastanza radicata nel gruppo degli arcosauri (di cui fanno parte coccodrilli, dinosauri e pterosauri, ricordate?), e che gli uccelli sono stati anche stavolta degli “innovatori”, in un certo senso. Non c’è possibilità di verificarlo, ma in qualche modo mordersi la faccia era un’attività “da grandi”, proprio come il sesso. Come ho già detto, è davvero difficile ragionare in questi termini con così poche prove tangibili in mano; ricostruire il comportamento di un animale preistorico richiede un po’ di immaginazione, ma attenzione a cadere nella trappola del “tutto è possibile”! Quando si affrontano questi argomenti bisogna cercare comunque di attenersi il più possibile ai dati che si hanno a disposizione, per quanto pochi possano essere, e per quanto allettante sia farsi delle fantasie con protagonisti i dinosauri (e visto il tema di cui sopra, mi pare un paragone calzante). Guai a pensare che il dibattito sul sesso dei dinosauri sia simile a quello sul sesso degli angeli: i dinosauri sono esistiti – esistono ancora, in realtà – e abbiamo modo di analizzarne i resti con tutta una serie di nuove tecnologie, fino a pochi decenni fa inimmaginabili per chi lavorava nell’ambito della paleontologia. E comunque i dinosauri erano davvero tanti e diversi tra loro: è irreale pensare che tutti facessero allo stesso modo. Se avete bisogno di un po’ di novità, magari prendete spunto dagli stegosauri, chissà che non giovi alla vostra vita privata. Riferimenti bibliografici Brennan, P.L., Prum, R.O., The erection mechanism of the ratite penis, in “Journal of Zoology”, 2011, 286, pp. 140-144. Brennan, P.L., Genital evolution: cock-a-doodle-don’t, in “Current Biology”, 2013, 23(12), R523-5. Brown, C., Currie, P., Therrien, F., Intraspecific facial bite marks in tyrannosaurids provide insight into sexual maturity and evolution of bird-like intersexual display, in “Paleobiology”, 2022, 48(1), pp. 12-43. Dröscher, V.B., They Love and Kill: Sex, Sympathy and Aggression in Courtship and Mating, Dutton, Boston 1976. Gilmore, C.W., Osteology of the Jurassic reptile Camptosaurus, with a revision of the species of the genus, and description of two new species, in “Proceedings of the United States National Museum”, 1909, 36(1666), pp. 197-332.

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STEFANO RAPONE

IL SESSO DEI DINOSAURI

Sin dall’alba dei tempi ci si è chiesti come fosse nata la vita umana sulla Terra, finché non si è giunti alla logica conclusione che ci ha fatti Dio (lo dice il papa, mica un fesso qualunque). Ma i dinosauri? Non ce n’è traccia nelle Sacre Scritture né nei Vangeli apocrifi, per cui la spiegazione deve essere per forza scientifica. Per anni ci si è scervellati su questo argomento spinoso finché Peter Jameson, scienziato dell’MIT di Washington, non ha trovato la risposta: hanno fatto sesso. Per quanto disgustoso possa sembrarci, questi pachidermici rettili squamosi e ributtanti si ritrovavano in camporella e fiondavano senza troppi complimenti i loro voluminosi peni maschili nelle innocenti vulve femminili, sgocciolando talvolta a terra e dunque profanando quello stesso terreno dove anni dopo, per dire, sarebbe sorto il Louvre. Ma com’era il sesso tra dinosauri? C’era del sentimento o, come spesso accade ai migliori di noi, si faceva ricorso al meretricio in cambio di qualche bacca, lichene o antica conchiglia rara? Normalmente vi direi di farvi gli affari vostri e che ci sono cose ben più importanti rispetto a questi argomenti triviali da rivista di gossip, ma le scoperte fatte recentemente dall’MIT di Jacksonville hanno dell’incredibile. Diversi scienziati della struttura mettono la mano sul fuoco nel dire che l’atto di fare sesso, o per essere più precisi il non farlo, sia strettamente connesso con la loro estinzione. Non un meteorite dunque, come ci hanno sempre propinato i media di regime, né tantomeno la comparsa dell’Homo sapiens come descritto nella docufiction “The Flintstones”. Il motivo della loro estinzione è uno e uno soltanto: la timidezza. Lo scienziato Jeff Irving dell’MIT di Salt Lake City giura sui propri figli che i sauropodi erano molto insicuri e avevano difficoltà a fare il primo passo con le dinosaure più attraenti della giungla circostante. I migliori di noi hanno vissuto questo problema più volte nella propria vita, e per ovviarlo si sono rivolti a delle professioniste dell’amore, ma per i dinosauri è difficile pensare che si sentissero così inadeguati. Spesso ci vengono mostrati intenti a uccidere, mutilare e anche squartare vittime innocenti, eppure le ricerche effettuate di recente hanno confermato al cento per cento che quel tipo di comportamenti antisociali avveniva per una sola ragione: erano timidi e lo mascheravano con l’aggressività. Questa problematica esistenziale si ripercuoteva, ahimè, sul genere femminile. Un brontosauro, per esempio, il dinosauro più alto mai apparso sui libri di storia, era in realtà molto insicuro dinanzi alle femmine della sua specie per via della famosa regola della L. Un Velociraptor, per quanto traesse orgoglio dalla rapidità che gli permetteva di raggiungere i 20 chilometri orari su asfalto, era sempre timoroso che quella stessa rapidità si verificasse anche nella sua prestazione sessuale. L’unico baldanzoso e sicuro di sé era lo stegosauro, che trascinava un pene di 58 chili, ma per questo era vittima di sterminio da parte degli animali più invidiosi e meno dotati. Se questa mancanza di intraprendenza da parte maschile già rendeva difficile il passaggio di geni dai testicoli dell’uno all’utero dell’altra, a mettere la pietra tombale sull’evoluzione fu un’ulteriore attività inventata in quegli anni: la pornografia. Chiaramente all’epoca non c’erano gli smartphone o i tipici giornali umidicci regalati coi punti del cartolaio amico, né i dinosauri erano abbastanza colti da poter leggere le pitture rupestri o i numeri di telefono delle massaggiatrici straniere che ciascuno di noi ha chiamato almeno una volta nella vita nei momenti di solitudine. Il paleontologo americano Gregory Peacock afferma, giurando su Dio, che diversi animali preistorici si radunavano in circolo in brughiere isolate per ammirare altri dinosauri, sterili ma dal rapporto di coppia ormai consolidato, che si strusciavano con fare sensuale per stimolare i più giovani a fare altrettanto e, perché no, per guadagnare qualche bacca che veniva lasciata in un piccolo cappellino ai margini del terreno. Chiaramente, essendo agli albori, le situazioni erotiche erano poche (si limitavano a “stepmother-stepson”, “stepdaughter-stepfather” e “triceratopo incastrato con la testa tra due palme”). Sebbene l’intento fosse nobile, la pornografia contribuì ad alimentare il semplice atto onanistico di giovani dinosauri che, ritenendosi soddisfatti nel vedere due anchilosauri leccarsi le code bitorzolute, non andavano a cercare le femmine della propria specie. Come se non bastasse, gli unici a non godere appieno di tale spettacolo erotico erano i T. rex che, per via delle braccia molto corte, non potevano espletare le proprie funzioni fisiologiche e di conseguenza andavano su tutte le furie compiendo ogni volta piccoli genocidi, salvo poi piangere lacrime di coccodrillo quando era ormai troppo tardi. Questi piccoli olocausti, unitamente alla scarsa riproduttività generale, portarono nell’arco di una generazione all’estinzione di massa. L’unica specie a fare eccezione in questo ciclo di paturnie sentimentali era il parasaurolofo. Il professor Gerard Hemsworth dell’MIT di Bogotá dichiara che il noto animale dal volto d’anitra venne più volte osservato fare del sesso fuori dal matrimonio: una cosa che era problematica per noi cinquant’anni fa, figuratevi 65 milioni di anni fa in una società così retrograda. In quei casi si rimediava con la proverbiale “fuitina”, ovvero i parasaurolofi che avevano compiuto il fattaccio si allontanavano in branco verso nuove praterie dove i genitori non potevano arrivare, e poi tornavano a casa con al seguito una serie di uova che avrebbero dovuto sancire la serietà del loro rapporto. Nonostante la buona volontà dei rettili, la reazione dei genitori dell’epoca era molto violenta, specie tra i più meridionali, e la prole veniva sterminata per lavare l’onta della famiglia.

Gli unici ad arrivare fino ai giorni nostri furono i Gallimimus, animali viscidi e scostanti, che vennero sterminati non da un meteorite ma da dei piccoli sassi che alcuni ominidi iniziarono a lanciare dai primi prototipi di cavalcavia.

LORENZA POLISTENA

COLTI IN FALLO: LA VITA SESSUALE DEGLI ANIMALI DOMESTICI

Riprodursi è un affare complicato. Maschi che si scontrano tra loro e femmine che amano gli effetti speciali. Qualcuno punta tutto sulla bellezza, mentre altri si cimentano in rumorose esibizioni. Ma non tutte le strategie sono in bella vista, alcune di queste vengono tenute nascoste e “sfoderate” al momento opportuno. Questo vale per cani e gatti, così come per altri animali domestici. Finora sono stati loro a intrufolarsi nelle vostre camere da letto, disturbando la privacy di un incontro intimo, adesso, però, saranno i loro comportamenti sessuali a essere messi a nudo. Innanzitutto c’è una cosa che, per fortuna, nella nostra specie non accade spesso ma che nei cani fa sì che l’accoppiamento vada a buon fine: rimanere incastrati. Quella che per noi potrebbe essere un’emergenza a luci rosse, per loro rappresenta un comportamento funzionale alla fecondazione. Nei cani, così come in altre specie di canidi selvatici, la “colpa” è dell’anatomia dell’apparato riproduttore maschile che, durante l’accoppiamento, forma un vero e proprio legame fisico con la femmina, noto come nodo copulatorio. Nel maschio l’irrorazione di sangue a livello del pene, che determina l’erezione, non avviene in un’unica fase e, diversamente dalla nostra specie, si completa solamente dopo la penetrazione. Questo significa che il pene continua a gonfiarsi nel canale vaginale. Un po’ come quando d’estate indossiamo un anello e poi per poterlo sfilare dobbiamo aspettare che il dito si sgonfi. Il responsabile di questo ingorgo è il bulbus glandis, una porzione di tessuto erettile che aumenta di dimensioni fino a rimanere bloccato, grazie anche alle contrazioni muscolari del canale vaginale. Ad aiutare i muscoli in questo duro compito, entra in gioco il baculum, un osso penico che contribuisce a mantenere l’erezione e che si pensa possa proteggere l’uretra durante la prolungata penetrazione. La presenza di questo osso potrebbe svolgere anche una funzione nella competizione sessuale tra maschi. Una struttura di supporto durante l’erezione, infatti, non è niente male, soprattutto se per aumentare la probabilità di avere dei figli tocca accoppiarti più volte e per più tempo. La concorrenza in presenza di una cagna in calore può essere spietata! Dal punto di vista evolutivo, un aspetto interessante è che gli uomini non possiedono l’osso del pene. Una delle ipotesi proposte è che la sua assenza, così come la variabilità in lunghezza e forma, possa dipendere dal sistema di accoppiamento. Nei casi di poliandria, ovvero quando una femmina si accoppia con più maschi, il baculum consente l’ancoraggio alla femmina per diverso tempo, ritardando l’eventuale copula con un competitore. Dunque, chi tardi arriva… trova occupato. I cani non sono gli unici mammiferi ad avere questo osso penico, e la sua lunghezza varia a seconda della specie. Sarà anche vero che le dimensioni non contano, ma, per esempio, i trichechi vantano un baculum che può raggiungere oltre 50 centimetri di lunghezza.

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sbagliereste. Online potrete facilmente trovare un video girato al parco oceanografico di Valencia in cui un tricheco curioso si risucchia anche l’anima.

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Autofellatio, amici e amiche. SI PUÒ FARE! Il suo non è stato un gesto casuale, distratto, pigro, ma piuttosto sontuoso, solenne, maestoso, su cui ha indugiato senza riserve né pudore. Avrei adorato mostrarvi un fotogramma del video incriminato su questa pagina, ma a quanto pare avrei dovuto acquistarne i diritti, ed essendo io il curatore della rivista ho preferito pagare qualcuno per realizzare quest’opera. Quantomeno per avere il piacere di pronunciare ad alta voce la frase: «Mi disegneresti un tricheco che si fa un soffocotto?». C’è poco da ridere, ai trichechi l’operazione riesce piuttosto comoda, proprio grazie a quella clava di baculum che si ritrovano. I trichechi riescono in quello che dannunziane leggende narrano, e non disdegnano di darne prova agli esseri umani. Siete sconvolti? No, siete invidiosi! Che lo so che se c’avete il pendolo di carne tra le gambe avete provato almeno una volta, da adolescenti, la tecnica tricheca senza successo. D’altro canto in preda agli ormoni abbiamo compiuto tutti noi tentativi inenarrabili per liberarci dallo bianco dimonio. Conosco gente che in adolescenza s’è scopata pure i comodini. Non è colpa di nessuno. È colpa della nostra genetica. Anzi, è colpa della vittima. Sì, è colpa del comodino. I trichechi non si sono mai fatti problemi. Pensate che nel 2013 i giornali di tutto il mondo raccontarono dell’arrivo del tricheco Thor (lo avevano chiamato così) sulle rive di Scarborough, nel Regno Unito. I cittadini furono così onorati della cosa da aver deciso di salvaguardare il benessere dell’animale, cancellando i fuochi d’artificio previsti per Capodanno. L’amore per la natura passò di lì a poco quando Thor, quasi per ringraziare, iniziò a smanubriarsi a membro eretto davanti a tutti, prima di decidere di rigettarsi in mare e allontanarsi. Nulla di sorprendente, svariati anni fa su YouTube era persino possibile trovare il video di un altro esemplare compiere lo stesso gesto. Loro possono, non ci sono leggi di decoro che lo vietino. Quest’ultimo video oggi non esiste più. “Rimosso per aver violato la politica di YouTube sulla nudità o sui contenuti sessuali” cita la lapide. Ironico che invece il video di un tricheco che si scambia per polaretto sia, a quanto pare, assolutamente tollerato. Ringraziamo san Thor della cosa, anche perché io ci ho costruito una carriera su questo piccolo cavillo giuridico.

Stranamente quest’osso non sembra essere importante solo per i trichechi. Le popolazioni native dell’Alaska utilizzavano il baculum di questa specie, noto come oosik, come mazza. D’altronde per cos’altro poteva mai essere usato? Un nome che è diventato anche un modo di dire. Per i veri appassionati del genere “cose strane da collezionare” esistono in commercio degli sticker con tanto di tricheco con gli occhiali da sole che ti esorta a “Non essere un… oosik” (dall’inglese: Don’t be an… oosik). Un modo originale per suggerire a qualcuno di fare scelte migliori!

Baculum di tricheco

Carl Juste / Miami Herald / Tribune News Service / Getty Images

Se vi ha stupiti la sola presenza di un osso penico o la lunghezza di quello del tricheco, sappiate che madre natura sembra essersi divertita anche con le forme. Guardando l’osso del pene di alcune specie sembra di aprire un cassetto di utensili da cucina: il baculum dello scoiattolo di terra del genere Spermophilus ricorda un mestolo per gli spaghetti (senza il buco al centro); mentre quello del topo delle risaie (del genere Oryzomys) pare una forchetta.

In tutto questo parlare di ossa peniche di altre specie, i nostri due amanti canini sono rimasti lì dove li abbiamo lasciati qualche riga fa: legati l’uno all’altro. Come possiamo capire se il nodo copulatorio si sia effettivamente formato? Guardando i due cani. Dopo alcune spinte pelviche, il maschio cambia posizione e scavalca la femmina con la zampa posteriore, compiendo una rotazione di 180 gradi. Insomma, una posizione da “can-masutra”. I due cani ora sono rivolti in direzioni opposte, si danno le spalle. Ecco la conferma che il nodo è avvenuto! La nuova posizione, oltre che più comoda e con vista panoramica, consente di mantenere il rigonfiamento del pene. Questa immagine potrebbe farvi preoccupare ma vi rassicuro subito: il pene non ruota completamente e, per rimanere in posizione, si verifica ciò che è stato definito come “paradosso della rigidità flessibile”, un modo evocativo per indicare la curvatura di una struttura rigida. Comunque sia, non provateci a casa!

Foto scattata da me medesimo a Swakopmund, Namibia. Sottolineo che il mio è mero voyeurismo scientifico, e che i due amanti, rispondenti al nome di Brillo e Matilda, hanno firmato una liberatoria per apparire in questa opera – Barbascura X

Questo nodo anatomico può persistere anche per 30 minuti, durante i quali continua l’eiaculazione. Anche se questo legame vi sembrerà romantico, in realtà, non tutti prendono sempre benissimo questa faccenda del “finché nodo non ci separi”. Soprattutto se si tratta di soggetti giovani e alle prime esperienze si possono riscontrare reazioni da stress e qualche tentativo di staccarsi prima del previsto. Inoltre, visto che il nodo copulatorio è presente anche in diverse specie di canidi selvatici (come lupi, volpi e coyote), rimanere per così tanto tempo attaccati a un altro soggetto significa esporsi a un maggior rischio di essere intercettati e avere una notevole limitazione fisica per un’eventuale fuga. Cosa non si farebbe per amore! Una volta trascorso il tempo necessario alla buona riuscita della fecondazione, finalmente, grazie a una sorta di breve tiro alla fune tra genitali, il maschio e la femmina si separano. Subito dopo succede ben poco: si allontanano e ognuno torna alle sue faccende. Se per alcune specie il baculum rappresenta un importante supporto durante l’accoppiamento, ci sono maschi che per portare a termine il loro obiettivo si affidano a una vera e propria armatura. Lo fanno senza farsi vedere e quando hanno finito sembra siano stati vittime di un’ingiustizia. Chi potevano essere se non i gatti? I maschi interi (non castrati) hanno un compito alquanto spinoso, legato al tipo di ovulazione che avviene nelle femmine ma anche al sistema di accoppiamento. In gran parte dei mammiferi l’ovulazione è spontanea. Proprio come accade nella nostra specie, non è necessario l’accoppiamento affinché la cellula uovo venga rilasciata dall’ovaio, poiché l’ovulazione si verifica a intervalli regolari e dipende dai livelli ormonali, soprattutto dalla concentrazione di estradiolo in circolo. Invece, per altri animali, tra cui gatti, conigli e furetti, l’ovulazione dipende da una specifica stimolazione tattile durante la penetrazione. Ma non solo. In cammelli, dromedari, lama e alpaca, anch’esse specie considerate a ovulazione indotta, questa stimolazione sembra essere associata alla presenza di un “fattore di ovulazione”, isolato nel plasma seminale. In alcune circostanze, anche nelle gatte, però, il processo ovulatorio, ritenuto in passato unicamente indotto, potrebbe verificarsi spontaneamente (per esempio in situazioni di convivenza tra più femmine intere durante il calore). Sembra che nei gatti, comunque, la stimolazione meccanica durante l’accoppiamento svolga un ruolo importante nell’indurre l’ovulazione. Ed è qui che entra in gioco il maschio con le sue spine peniene, piccole sporgenze cheratiniche situate sul glande.

Spine peniene del gatto Todorean-Gabriel / Shutterstock

Cosa avrà mai fatto di male per meritare, proprio lì, questo perenne fastidio? Nulla. A dirla tutta, per il gatto non sembra essere un grande problema; invece, per la femmina la questione si fa pungente. Una volta avvenuta la penetrazione, le gatte producono una vocalizzazione definita nell’etogramma (ovvero l’insieme dei comportamenti di una specie) come copulatory cry, cioè grido copulatorio. Un chiaro segnale che l’incontro con il pene spinato del maschio non si sia tradotto in un’esperienza particolarmente piacevole. Il gatto maschio sembra aver preso alla lettera l’importanza di sfoggiare le proprie armi di seduzione e, come se non bastasse, morde la femmina sul collo per immobilizzarla durante l’accoppiamento. D’altronde, visti i presupposti, non sarebbe così strano se la gatta andasse via proprio sul più bello. Con questo morso il maschio sfrutta il riflesso di immobilizzazione tipico dei cuccioli ma presente anche nei soggetti adulti. Quando i piccoli vengono sollevati dalla madre per essere spostati, si bloccano e portano la coda fra le zampe posteriori. Le femmine cadono, dunque, in una vera e propria trappola sensoriale. Questa strategia vi potrà sembrare un po’ rude ma funziona, almeno finché il maschio non molla la presa. Una volta finito, infatti, la femmina ci tiene a chiarire il suo punto di vista sulla vicenda: un benservito corredato da qualche soffio e una zampata sul muso, di solito, non glieli leva nessuno.

Neonci / Shutterstock

In questo conflitto sessuale le spine peniene, sebbene sembrino uno strumento di tortura, si ritiene svolgano anche un’altra funzione: riducono la probabilità che la femmina si accoppi nuovamente con un altro maschio. Infatti, le spine del pene, lesionando le pareti del canale vaginale, dovrebbero disincentivare in modo efficace il successivo accoppiamento. In questo modo il maschio ottimizza la sua fitness, ovvero il successo nel trasmettere i suoi geni alle future generazioni. Ma non sempre tutto va così liscio. Anche perché di liscio in questa storia di sesso felino c’è ben poco. Dietro l’angolo, infatti, è molto probabile che ci si imbatta in casi di “superfecondazione”. Un termine che potrebbe far pensare all’elevata fertilità del soggetto ma che, in realtà, identifica tutti quei casi in cui spermatozoi di maschi diversi fecondano ovuli maturati nello stesso ciclo di ovulazione. In altre parole, gattini di una stessa cucciolata hanno padri differenti. La femmina, in questi casi, lascia il maschio, che si era tanto impegnato per avere l’esclusiva, con uno scacco matto. Sì, la gatta, che in inglese è conosciuta come queen, ovvero regina, può sovvertire le regole del gioco. Tipico dei gatti! Tra le altre specie di felidi (la famiglia di mammiferi a cui appartengono i gatti domestici) ci sono femmine che si danno parecchio da fare per assicurarsi questa variabilità genetica, come le leonesse. Se affrontare le spine dei peni di più maschi vi sembrerà un’impresa da poco e tutto sommato tollerabile, pensate a quanto possa essere notevole farlo per decine di volte al giorno. Un coraggio da leon…esse!

La presenza delle spine è correlata ai livelli di androgeni, un gruppo di ormoni, tra cui il testosterone. È molto probabile che il gatto che avete accanto sul divano sia, per così dire, “disarmato”. Nei gatti castrati, infatti, la rimozione chirurgica dei due testicoli determina un calo dei livelli di testosterone e la riduzione delle dimensioni di queste spine, fino alla loro scomparsa. Del resto, da castrati servono a poco. Spine e ossa peniche sono strutture che consentono a cani e gatti di raggiungere il traguardo sessuale, ma prima di arrivare al dunque bisogna farsi notare. Acquistare un costoso profumo con essenze esotiche vi sembrerà una buona idea per riuscire nell’intento. E se una soluzione più economica si trovasse proprio nel bel mezzo delle zampe? Ci sono animali che per rendersi più attraenti o puzzolenti, a seconda dei punti di vista, si spruzzano addosso la propria urina. Si tratta di un comportamento di autounzione e, tra gli animali domestici, quello delle capre è davvero degno di nota. La prima volta che mi è capitato di vedere questo comportamento dal vivo, ho subito pensato che il becco (nome con cui si identifica il maschio della capra) avesse preso male le misure, com’è tipico degli uomini. Invece no. Tutto calcolato. I maschi delle capre domestiche, quando eccitati dalla presenza di una femmina in calore, abbassano la testa e indirizzano il pene in modo che i getti di urina raggiungano il muso e la barba. Con questo profumo addosso è difficile che la femmina non si accorga di lui. Se vi è mai capitato di trovarvi vicino a un becco, sarà stato difficile non sentire il suo odore pungente. Questo spruzzo a base di eau de toilette (oserei dire letteralmente) è tipico anche di alcune specie di ungulati selvatici, come alci e cervi. Inoltre, per rendere il tutto più accattivante e per convincere la femmina che è lui quello giusto, i maschi manifestano una serie di altri comportamenti. Il becco si approccia lateralmente alla femmina e, dopo un po’ di tempo trascorso a inseguirla, solleva la zampa anteriore e le rivolge dei piccoli calci, giusto per rendere ancora più evidenti le sue intenzioni amorose. Durante questo intenso corteggiamento il maschio produce anche una peculiare vocalizzazione. Mi dispiace deludervi: non è un richiamo suadente. Immaginate piuttosto il gloglottio di un tacchino misto a un belato strozzato e avrete ottenuto un suono poco soave ma efficace per farsi notare. A completare la scena, a tratti fantozziana, durante la performance vocale la lingua viene spinta ripetutamente dentro e fuori dalla bocca. Tutte queste condotte vengono messe in atto più frequentemente e hanno maggior durata quando la femmina manifesta uno specifico comportamento: lo scodinzolio. Muovere rapidamente la coda è un chiaro segnale per il maschio: è il momento di entrare in azione, o quantomeno di provarci.

A proposito di indizi inequivocabili del calore delle femmine, c’è chi tra le specie domestiche si è voluta assicurare di non passare inosservata. È il caso delle cavalle e di un comportamento davvero curioso noto come winking, che significa letteralmente ammiccamento. Come potete facilmente intuire non si tratta di fare l’occhiolino. La contrazione muscolare che determina questo movimento coinvolge la vulva. Il particolare “lampeggiamento”, oltre che essere un segnale visivo, si ritiene possa aumentare la diffusione di feromoni (molecole utilizzate nella comunicazione chimica) prodotti dalla fossa clitoridea. Una regione ben nascosta che, al momento giusto, spunta fuori attraendo il maschio con un cocktail d’amore chimico. Difficile che uno stallone se lo faccia ripetere due volte.

Alexandr Serebrynnikov / Shutterstock

La caratteristica forma di attrazione del partner da parte delle cavalle sicuramente salta all’occhio, ma anche i maschi non sono da meno in materia di ingegno sessuale. Questa volta, però, a differenza di tutti i comportamenti visti finora, non si tratta di un’attività finalizzata alla riproduzione, ma di una singolare pratica di onanismo. Come altre specie animali, anche i cavalli si masturbano. Che si tratti di farlo in gruppo o in solitaria poco importa. Ai cavalli, ma anche ad asini e zebre, questo comportamento sembra piacere, e nel fare autoerotismo sono molto pratici: sfruttano la loro stessa anatomia. Una volta avvenuta un’erezione spontanea, non associata alla presenza di femmine in calore, il cavallo fa rimbalzare ripetutamente il pene contro l’addome, come una sorta di yoyo.

Cosa immagino quando leggo “anche i cavalli si masturbano” – Barbascura X

In moltissime specie animali, inoltre, i comportamenti sessuali non svolgono solo una funzione legata strettamente alla necessità di accoppiarsi e generare prole, ma vengono utilizzati in diversi contesti, per esempio durante il gioco o le interazioni sociali. Vi sarà capitato di trovarvi di fronte a una scena imbarazzante, almeno per noi esseri umani. Arriva un ospite a casa e, mentre gli rivolgete un caloroso abbraccio, il vostro cane gli dà un insolito benvenuto: si aggrappa alla sua gamba e inizia a manifestare vigorose spinte pelviche. Lo sta montando. Ma non è come sembra. Nei cani, come in altre specie animali, sia i maschi sia le femmine possono montare, anche se castrati o sterilizzati. Questo comportamento, dunque, non è sostenuto unicamente dallo stato ormonale, come accade invece nei maschi interi che montano le femmine per accoppiarsi. Montare un altro soggetto (che sia un altro cane, un gatto convivente, o noi) manifestando spinte pelviche ed erezione (nel caso dei maschi), può essere un segnale utilizzato nella comunicazione per abbassare i livelli di tensione, fermare, sollecitare un’azione o trasmettere un’intenzione conflittuale. Anche una situazione particolarmente eccitante o stressante può portare un soggetto a montare, per esempio quando un ospite entra in casa. In alcuni casi la monta può essere rivolta a oggetti (come un cuscino o un peluche) e, soprattutto quando manifestata nella routine prima di andare a dormire, non è escluso che questo comportamento possa essere messo in atto con funzione autocalmante o gratificante. Inoltre, bisogna considerare che anche i cambiamenti nell’odore e nella composizione feromonale, causati da alcune condizioni mediche, possono sollecitare la monta da parte di altri soggetti. Insomma, un comportamento che ai nostri occhi appare incomprensibile, in associazione ad altri segnali e in base al contesto in cui si osserva può nascondere motivazioni diverse da ciò che potremmo pensare. Ogni specie presenta modi stravaganti di attirare l’attenzione di un partner e si impegna a lasciare la propria impronta genetica alle nuove generazioni. La sessualità per gli altri animali, però, non è una strada a senso unico, e alcuni comportamenti tipicamente manifestati per riprodursi possono essere utilizzati anche per comunicare, gestire dinamiche sociali o per puro piacere. Per osservare questa complessità basterebbe guardare con più attenzione i nostri compagni di vita a quattro zampe. La vita sessuale degli animali domestici, infatti, può rivelare insospettabili incastri anatomici, spinosi triangoli amorosi e bizzarri tentativi di flirt: bestiali comportamenti a luci rosse accesi da un’alta tensione sessuale. Riferimenti bibliografici Adams, G.P., Ratto, M.H., Ovulation-inducing factor in seminal plasma: A review, in “Animal Reproduction Science”, 2013, 136(3), pp. 148-156. Aronson, L.R., Cooper, M.L., Penile spines of the domestic cat: their endocrine‐behavior relations, in “The Anatomical Record”, 1967, 157(1), pp. 71-78. Beaver, B.V., Canine Behavior: Insights and Answers, Elsevier Health Sciences, Amsterdam 2009. Bedos, M., Muñoz, A.L., Orihuela, A. et al., The sexual behavior of male goats exposed to long days is as intense as during their breeding season, in “Applied Animal Behaviour Science”, 2016, 184, pp. 35-40. Dixson, A.F., Mammalian Sexuality: The Act of Mating and the Evolution of Reproduction, Cambridge University Press, Cambridge 2021. Horwitz, D., Mills, D., BSAVA Manual of Canine and Feline Behavioural Medicine, 2009. Landsberg, G., Hunthausen, W., Ackerman, L., Behavior Problems of the Dog and Cat, Elsevier Health Sciences, Amsterdam 2011. McGreevy, P., Equine Behavior: A Guide for Veterinarians and Equine Scientists, Elsevier Health Sciences, Amsterdam 2012. Mertens, P.A., Reproductive and sexual behavioral problems in dogs, in “Theriogenology”, 2006, 66(3), pp. 606-609. Orr, T.J., Brennan, P.L., All features great and small – The potential roles of the baculum and penile spines in mammals, in “Integrative and Comparative Biology”, 2016, 56(4), pp. 635-643. Stanton, L.A., Sullivan, M.S., Fazio, J.M., A standardized ethogram for the Felidae: A tool for behavioral researchers, in “Applied Animal Behaviour Science”, 2015, 173, pp. 3-16. Stockley, P., The baculum, in “Current Biology”, 2012, 22(24), R1032-3.

DANIELE FABBRI

IL SESSO DEI GATTI

Mi sembra importante a questo punto partire da un presupposto, ossia che gli animali che abitano la nostra casa hanno una vita sessuale. E mi spiace, ma sto parlando anche delle nostre mamme. Oh, sì! È ora di guardare in faccia la realtà! Le nostre mamme hanno una vita sessuale, spesso migliore della nostra! E basta con questa cosa che “le mamme non si toccano”! Le mamme si toccano e si toccheranno sempre, non appena tutta la famiglia è uscita di casa. E non volerne parlare è ipocrita e anche dannoso! A forza di dire che le mamme non si toccano, finisce che le mamme non le tocca più nessuno… Per anni! E per forza che poi sono sempre nervose, è ora di smetterla! Solidarietà alle vostre mamme. Bene, adesso che avete un bel trauma nuovo di zecca, possiamo parlare di gattini, che è più rassicurante. Anzitutto, io ho due gatti, un maschio e una femmina, che si odiano a morte, e volevo ringraziare Lorenza, l’autrice del precedente articolo, perché ora non potrò più guardarli con gli stessi occhi. Se prima i tentativi di accoppiamento di lui e i rifiuti di lei mi facevano sorridere con tenerezza, adesso ho il dubbio se devo o meno sporgere denuncia. Da quando ho letto come funziona il pene del gatto maschio, ogni volta che mi sale in braccio a fare le fusa mi sembra come se stessi offrendo protezione a Matteo Messina Denaro. Ma che cacchio di incubo è?! Tu sei un gatto, vai in giro come fanno i gatti, vedi una femmina, ti arrapi, e il tuo pene non solo si gonfia ma tira fuori una serie di lame acuminate con cui violentare la malcapitata! Io pensavo che queste cose succedessero solo negli anime disturbati, e invece a quanto pare gli anime sono dei documentari! Ci credo che la mia gatta tutti i giorni mi si struscia addosso con occhioni languidi e pose libidinose! Dato che quando guardo i porno mi si mette sempre a fianco, deve aver visto che il pene umano non è corazzato, ed è stato un colpo di fulmine! È come se tu, per tutta la vita, avessi mangiato pesce senza mai togliere le spine, e poi all’improvviso scopri che esistono i Bastoncini Findus! È ovvio che ti innamori! C’è pure il capitano che ti seduce col fascino della divisa, che vuoi di più! Non mi stupisco se i gatti entrano in camera da letto ogni volta che io e la mia compagna abbiamo dei rapporti; forse lei sta invidiando la mia compagna perché il suo accoppiamento è piacevole, e lui starà pensando: “Poverino, non gli fanno maneggiare gli oggetti appuntiti, forse è un bambino speciale!”. Ma pure quest’altra cosa che il gatto maschio morde la femmina dietro al collo per immobilizzarla durante l’accoppiamento è veramente ignobile! Ti piega alla sua volontà puntando sulle insicurezze! È come se il tuo ragazzo ti sussurrasse all’orecchio: “… Ma con ’sta laurea in lettere dove pensi di andare?!”. Cioè, ma che squallore! Per forza che poi la gatta si accoppia con più maschi. Se il partner ti tratta in questo modo meschino, è il minimo che cerchi conforto altrove, è proprio l’ABC. Se avete visto anche solo una volta “Temptation Island” lo sapete. Credo che questo articolo getti una nuova luce sugli animali che teniamo in casa con tanto amore e tenerezza, e invece sono dei criminali disturbati e, loro sì, andrebbero messi al 41-bis. Perché poi per il resto non c’è molto da dire. Capre che si pisciano addosso per rimorchiare? Ho visto gente in discoteca umiliarsi in modi peggiori. Certo, il fatto che le capre siano considerate animali domestici mi ha fatto pensare: “Ma dove? Ma chi?”. E ne sono seguite una serie di battute che ho pensato ma che no, non vi dirò… erano sui sardi. Dal fatto che in Alaska un tempo si prendessero letteralmente a pisellate di tricheco in faccia ho dedotto che fare le risse fosse un buon modo per sfogare la propria omosessualità repressa. Ah, no, una cosa importante: i cani rimangono incastrati! Anche mezz’ora! Ma che incubo è? Ma voi ve lo immaginate di rimorchiare una sera in un locale, andare a casa, farvi una bella sessione di occasionale e poi rimanere incastrati per mezz’ora?! E che cosa fai?! Conversazione?! BLEAH!!! Dice che è anche pericoloso perché è una condizione che tecnicamente ti espone maggiormente ai predatori. Personalmente, piuttosto che fare conversazione, spero che mi mangino i predatori! Ma poi scusate, i cani quindi non possono fare il salto della quaglia! Io sarei terrorizzato se non potessi fare il salto della quaglia! Non farei mai più sesso in vita mia e impazzirei! E invece ‘sti cani sono sempre felici! Come fanno ad avere una vita sessuale così orribile ed essere sempre di buonumore? Pure i cani sono psicopatici! I gatti sono serial killer e i cani sono matti deliranti! E noi ce li abbiamo dentro casa e gli diamo pure da mangiare! E poi ce la prendiamo con gli immigrati. Bah.

MARCO FERRARI

IL SESSO ALIENO E COME SI FA

Una cosa è certa. Quando arriveranno gli alieni (non se, ma quando…), una volta che ci saremo accertati che non sono qui per mangiarci o conquistare il nostro pianeta, una delle prime domande che porremo loro sarà: «Siete maschi o femmine?». Perché la distinzione tra generi è una delle caratteristiche di qualunque forma di vita che più colpisce la nostra specie. La risposta potrebbe essere, alternativamente, banale o sconcertante, impossibile da credere o estremamente interessante. E potrebbe svelare non solo similitudini tra il nostro metodo di perpetuazione delle generazioni e il loro, ma molto, molto di più. Fino ad arrivare a capire quali siano i rapporti tra sessi o generi diversi (se mai esistano) e forse anche come funziona la loro società. Inevitabilmente gli esobiologi (esoantropologi? alienologi?) non potranno che fare confronti con quanto succede sul nostro pianeta, chiedendo aiuto a zoologi locali e – perché no? – a botanici e a microbiologi. Anche da una sola spedizione aliena l’affresco che se ne ricaverebbe potrebbe farci ripensare ai nostri rapporti fra i generi. Ammettiamo infine che la prima spedizione apra le porte ad altre specie aliene che vengono a “visitare” il nuovo modesto pianeta, scoperto in un angolo sconosciuto e poco esplorato della galassia. Dopo qualche anno potremmo costruire un vero atlante delle specie aliene, una – per ora immaginaria – Guide to Aliens Species non diversa da quelle che usano i birdwatcher nelle loro osservazioni. O come Barlowe’s Guide to Extraterrestrials. Quelle che arrivano sulla Terra, però, sono un sottoinsieme minuscolo di tutte le specie esistenti nella galassia. Sono le forme di vita che hanno costruito, ben prima delle astronavi, una società complessa e avanzata, con la definitiva possibilità di uno sviluppo psicologico e infine tecnologico che consenta i viaggi interstellari; quindi, parecchio superiore alla nostra. A queste ci limiteremo. Nella nostra analisi le specie si portano però dietro tutta la storia biologica ed evolutiva che hanno alle spalle, come ogni specie dell’universo. Limitarci alle specie di visitatori più avanzati tecnologicamente non potrà certo impedirci di suggerire anche altre pratiche particolari e interessanti di sesso, accoppiamento e allevamento dei piccoli, tratte da esempi terrestri, ma che potrebbero avere riscontri anche altrove. Per prepararci all’arrivo delle navicelle aliene (o all’altro opposto alle astronavi generazionali grandi come una media regione) è necessaria una piccola introduzione biologica che risponda alla domanda: “Perché la stragrande maggioranza delle specie terrestri adotta un sistema complicato, energeticamente dispendioso e pericoloso come il sesso?”. Il sesso è pressoché universale, negli organismi complessi, ed essenzialmente implica l’unione di cellule specializzate con un patrimonio genetico ridotto a metà rispetto alle altre cellule del corpo. Questa combinazione porta così a un’altra cellula con un numero di cromosomi (le strutture in cui il patrimonio genetico stesso è diviso) “giusto” per la specie. Come esempio, i gameti (le cellule sessuali) della nostra specie hanno 23 cromosomi; tutte le cellule del corpo ne hanno il doppio, ovvero 46, risultanti dall’unione di due gameti. Però pensateci: è talmente diffusa l’abitudine, a un certo punto della vita umana e di quella di tanti altri animali e piante, di combinare metà del patrimonio genetico, che quando si incontrano gruppi di animali o piante che ne fanno a meno per tutta la loro vita evolutiva questi diventano oggetto di studio approfondito. Proprio per sapere a che serve il sesso. Perché lo si fa? E soprattutto, perché collegarlo alla riproduzione? Sì, perché sesso e riproduzione sono due aspetti diversi della vita di un individuo (o di due). Può esistere riproduzione senza sesso (come nel caso dei batteri) almeno quanto il sesso senza la riproduzione.

Il sesso sulla Terra… per ora Partiamo dal primo aspetto: l’utilità del sesso. Come accade praticamente per tutte le domande sulle caratteristiche degli esseri viventi, ci sono almeno tre o quattro risposte diverse, declinate secondo varie prospettive. Il sesso è dispendioso energeticamente e geneticamente. Dal punto di vista del singolo individuo gli incontri sessuali hanno come prima evidente conseguenza di buttare metà del proprio genoma. Perché? Una cellula uovo prodotta in proprio – da quelle che noi chiamiamo femmine, e che sono coloro che hanno le uova più grosse – non è forse sufficiente per far nascere un nuovo individuo? Certamente sì. E allora perché sprecare metà dei propri geni concedendo all’altro – i maschi, che producono cellule molto piccole – di unirli ai propri? E perché invece i maschi, nella maggior parte dei casi, si sbattono come disperati per cercare una femmina, corteggiarla, a volte combattere per lei, investendoci un sacco di energia, addirittura a volte mettendo a rischio la propria vita? E soprattutto perché buttare kilojoule su kilojoule per costruire strutture corporee senza alcun senso apparente come corna, palchi, occhi, code e colori appariscenti, visibili a centinaia di metri di distanza anche da un predatore daltonico? Sembrerebbe uno dei peggiori sprechi della natura. In realtà, se questo sperpero c’è, significa che ha passato il severo crivello della selezione e quindi, bene o male, a qualcosa serve. A cosa, quindi? Il risultato di incontri, scontri, colori, lotte, domini su territori e sprechi esagerati sono uova fecondate che hanno un genoma derivato da due fonti diverse e, proprio per questo, del tutto nuovo rispetto a tutti gli altri genomi presenti sulla Terra in quel momento, e probabilmente in tutta la storia del pianeta. Il risultato è un corpo mai visto prima. Niente di sconvolgente, niente uccelli o scoiattoli che nascono da un coccodrillo, come vorrebbero i creazionisti puri e duri. Qualche proteina qua, una struttura diversa là, forse un comportamento leggermente differente da quello dei genitori. Il genoma così costruito è qualcosa di nuovo che può essere visto dall’onnipresente selezione naturale per controllare se il nuovo individuo può sopravvivere e prosperare. Cosa c’è di nuovo nel “nuovo”? Per usare un linguaggio tecnico ma non troppo, qual è l’agente della selezione? Chi si comporta come “guardia di porta” per fermare o far passare un individuo alla generazione successiva? (Non è proprio così, la selezione naturale agisce in modi più sottili e meno cruenti di quanto si pensi.) È proprio questo il punto cruciale, la domanda che faremmo anche agli alieni, una volta entrati un po’ in confidenza. Noi terrestri risponderemmo che, basandoci sull’esperienza accumulata sul nostro pianeta, sembra che nuove combinazioni geniche servano essenzialmente a presentarsi davanti ai parassiti con un corpo nuovo, che non possono riconoscere e quindi attaccare. Parassiti come batteri, virus, funghi e animali, che assalgono in continuazione i corpi viventi per ricavarne da mangiare. Bastano questi esserini per modificare pesantemente tutta la storia del pianeta, e indurre la vita a contorcersi in innumerevoli meandri e crearsi altrettanti ostacoli per evitarli? Pare proprio di sì. Anche se, almeno qui sul pianeta Terra, la giuria non si è ancora pronunciata definitivamente, e potrebbero esserci altri meccanismi o “agenti di selezione” che hanno provocato questa vera e propria rivoluzione miliardi di anni fa. Da qui all’universo

Siamo arrivati allo scambio di geni come punto cruciale del sesso, e alla generazione di novità come risultato di tutto. Come è declinato questo processo nelle innumerevoli (8 milioni, 10 milioni, 100 milioni) forme di vita che abitano questo pianeta? La ricerca scientifica e la curiosità dei biologi non smettono di scoprire nuove acrobazie tra maschi e femmine. Ne vedremo una parte in questo trattatello. Immaginate ora che può succedere quando non è solo un piccolo e modesto pianeta a essere il campo di studio, ma l’intera galassia che si presenta e racconta cosa accade quando due individui (o più, o meno) si incontrano e decidono per la riproduzione. Ci saranno somiglianze con ciò che accade sulla Terra, differenze evidenti, scostamenti palesi e copie conformi? In attesa che l’astronave di cui si racconta all’inizio ci faccia visita, possiamo solo scatenare l’immaginazione e costruire un universo di possibilità. Anche se cercheremo di stare nei confini della verosimiglianza, di non sforare in immaginifici incontri tra specie diverse o abbattere scientemente le leggi della biologia per trovare nuovi e fantastici metodi di “scambio di geni”. Niente sesso, siamo alieni Un primo passo verso la comprensione della vita sessuale e riproduttiva dei visitatori alieni sarebbe probabilmente parecchio sconcertante. Alla famosa domanda potrebbero rispondere per esempio: «Non abbiamo vita sessuale». Le facce (?) perplesse dei nostri alieni spiegherebbero come sul loro pianeta viga un tipo di riproduzione senza sesso che sulla Terra è proprio della maggior parte dei vegetali e di alcuni animali di non grandissima complessità. Sono animali e piante che sopra abbiamo classificato come “quelli che ne fanno a meno”. Ci sono esempi un po’ ovunque tra i regni dei viventi, ma tutte queste forme di vita, o quasi, hanno una caratteristica particolare, cioè quella di essere prima di tutto piuttosto semplici, e di avere una vita asessuale (almeno nell’interpretazione dei biologi della riproduzione), poiché possono riprodursi senza lo scambio di geni. Le piante sono in realtà un mondo a parte, perché riescono a riprodurre se stesse anche solo da semplici frammenti. Esempi di questo sistema sono presenti anche in alcuni libri di fantascienza. Come i misteriosi Czill del Pozzo delle anime di Jack L. Chalker, un romanzo del 1977, una specie similvegetale che si riproduce per fissione (cioè divisione del corpo), che avviene quattro volte ogni 250 anni. Gli individui sono quindi praticamente cloni. Possono esistere anche organismi come questi Czill? È probabile che la ricombinazione genica necessaria per superare i parassiti che, come abbiamo visto, è il metodo usato sulla Terra per giustificare il sesso possa essere ottenuta in un altro modo. Paradossalmente, per questi esseri il sesso potrebbe essere superato, o addirittura mai evoluto. Anche moltissimi funghi sembra possano fare a meno del sesso, e si riproducono per sola scissione. Possiamo pensare che anche i nostri ospiti alieni asessuati (Czill o altri) siano in grado di adottare un sistema complesso e articolato per difendersi e rinnovare, per quanto possibile, il proprio genoma. Niente maschi e femmine, in definitiva, solo un indistinto viluppo di corpi tutti simili. Ci sono altri modi per riprodursi senza andare incontro ai costi del sesso: per esempio la gemmazione, in cui una parte di tessuto indifferenziato cresce e si sviluppa per qualche tempo dal corpo del “genitore” fino a diventare indipendente e staccarsene. Poiché il meccanismo è proprio di specie animali molto semplici, come le spugne o gli anemoni, non è facile immaginare un alieno complesso che si riproduca in questo modo. A meno di non pensare a un periodo molto limitato e particolare della vita di un extraterrestre, che deve isolarsi e nel giro di alcuni mesi emette e nutre un piccolo, che nasce a sua volta da una parte anatomica particolare e specializzata. E ancora la distinzione tra maschi e femmine sarebbe inesistente in questi nostri ospiti. Un altro esempio proveniente dalla fantascienza è quello dei Riim, citati in Guerra di nervi, un racconto di A.E. van Vogt del 1950, che si riproducono appunto per gemmazione: la prole cresce dal corpo del genitore fino a quando non è abbastanza matura e formata per separarsi completamente. Un sistema molto più semplice per produrre prole a profusione è quello definito partenogenesi, cioè “nascita vergine”: come abbiamo accennato, poiché un uovo è più che sufficiente per far nascere un piccolo, moltissime specie sulla Terra sono costituite solo da femmine, e non hanno bisogno di un maschio. Le uova non vanno incontro, come accade normalmente (ma cos’è la normalità, in biologia?), a un dimezzamento del genoma per poi ricomporlo quando incontrano gli spermatozoi. Il processo è veloce ed efficiente, ma patisce tutti i problemi che abbiamo visto prima, in particolare la mancanza di ricombinazione e di rinnovamento del patrimonio genetico. Tra gli animali ci sono molti esempi di specie costituite solo da femmine partenogenetiche (e le vedremo tra poco). Ma i teorici dell’evoluzione dicono che un sistema così non può durare, non per molto tempo, almeno. Eppure l’esempio più noto è un piccolo ma agguerrito gruppo di microrganismi che sembra non faccia sesso da decine di milioni di anni. Sono definiti rotiferi bdelloidei: qualche centinaio di specie che vivono in acqua e di cui si conoscono solo le femmine (nel senso che tutti gli individui di queste specie producono le uova). Quindi sono tutte femmine che si sviluppano senza l’aiuto di maschi, di cui infatti non si hanno tracce. Se tali strani esseri vivono ancora su questo ammasso di rocce poco lontano dal Sole significa che il sistema funziona. Sembra in realtà che i rotiferi siano in grado di ottenere geni nuovi “aprendo” le loro cellule a contributi esterni, ovvero a pezzi di DNA ambientale, frammenti di materiale genetico sempre presente nell’ambiente. Come facciano invece alcuni gruppi di acari oribatidi che si riproducono senza sesso da forse 300 milioni di anni è ancora un mistero. Se anche la risposta alla nostra tipica domanda fosse: «Siamo tutte femmine», non significa che non abbiano vita sessuale. Infatti si accoppiano, ma solo tra femmine, senza l’intervento dei maschi: anche senza questi ultimi, la fecondazione, o meglio pseudofecondazione, c’è sempre. In alcune specie nordamericane del genere Aspidoscelis l’uovo si sviluppa solo se la madre si accoppia con un’altra lucertola, ovviamente femmina anche lei. Questo processo comporta l’alternanza tra comportamenti sessuali maschili e femminili, guidati dal progesterone, in entrambe le lucertole. Una partenogenesi divertente, se vogliamo. Per venire a specie più vicine a noi, possiamo trovare moltissimi esempi di partenogenesi in rettili e uccelli, oltre che nei pesci. Vanno incontro a una partenogenesi facoltativa anche il famoso drago di Komodo e il pitone delle rocce birmano (Python bivittatus). Come al solito la fantascienza è piena di specie che si riproducono partenogeneticamente, e non sarebbe troppo complicato immaginare come possano farlo alieni “reali” e biologicamente consistenti. Al di là della necessità di ringiovanire un po’ il patrimonio genetico, l’intero processo di sviluppo dell’embrione e nascita a partire da un uovo prodotto dalla femmina non differisce molto da quello che può accadere in una specie dalla riproduzione sessuale classica, che coinvolge cioè maschi e femmine. Una specie simile sarebbe ovviamente composta solo da cloni femminili, che costituiscono “linee” familiari non connesse da scambi matrimoniali o altro. In una specie intelligente e tecnologicamente avanzata, come quelle che verranno a farci visita, si può anche pensare che ogni linea abbia specialità proprie sia dal punto di vista delle capacità tecniche sia da quelle intellettive o sociali. Ci potrebbero così essere famiglie di filosofe, di navigatrici, di meccaniche, di politiche eccetera; ognuna con la sua livrea, le sue abitudini, le sue storie e approcci alla vita. Sperando solo che questa mancanza di scambi genetici non porti a scontri di potere e addirittura a comportamenti razzisti. Isoga… che? Abbiamo distinto maschi e femmine in base alle dimensioni delle cellule che mettono a disposizione per lo scambio di geni. I maschi producono moltissime cellule di piccole dimensioni, le femmine molte meno e molto più grosse. Questa differenza nacque miliardi di anni fa, quando i corpi costituiti da più cellule (i pluricellulari) non esistevano ancora. Le teorie che spiegano come si sia prodotta questa differenza sono molte e complesse, e il tutto è chiaro solo fino a un certo punto. Ciò che si pensa è che all’inizio le cellule che si incontravano fossero di uguale grandezza e dimensioni medie (erano cioè isogame: iso significa uguale, gamia è il matrimonio); altri organismi producevano gameti molto piccoli o molto grossi. I primi avevano un immediato vantaggio perché le numerose cellule potevano diffondersi rapidamente e più lontano. Allo stesso tempo, però, in mancanza di nutrimento le cellule stesse avevano vita breve. Gli organismi che producevano invece cellule grandi potevano sopravvivere a lungo, grazie al fatto che i gameti stessi fossero ricchi di nutrimento. Ma erano pochi, e all’inizio venivano soverchiati dalla numerosità dei “piccoli”.

Gli isogami erano quindi in definitiva i migliori? No, perché alla fine la combinazione vincente fu un’unione di gameti piccoli (veloci e onnipresenti) e grandi (pochi e lenti, ma ricchi di riserve di cibo). Quelli nel mezzo, i medi, sono stati sopraffatti. La differenza tra le dimensioni è chiamata anisogamia (dove an è privativo, cioè nega il resto della parola). Il risultato dell’esistenza di una tale divisione tra gameti piccoli e gameti grandi ha portato a individui in grado di produrre o l’uno o l’altro, ovvero maschi e femmine. Poiché l’isogamia è, sul nostro pianeta, limitata ad alghe, funghi e specie di dimensioni molto piccole, saremmo tentati di escludere l’ipotesi di trovarla in un alieno grande come noi, o più grande. Eppure… in condizioni molto particolari sembra che anche qui da noi sia possibile che l’isogamia diventi più vantaggiosa rispetto l’anisogamia in termini di costi. Quindi in questo caso due sessi uguali (che a questo punto non sarebbero più maschi e femmine, ma arbitrariamente + e –, oppure * e #) che possono esistere e prosperare anche tra specie molto più complesse di qualche alga pluricellulare. I visitatori avrebbero quindi, di fronte alla nostra domanda iniziale («Siete maschi o femmine?»), un’espressione molto perplessa. «Non capiamo di cosa parlate» direbbero. Non ci sarebbero diversità anatomiche: i corpi sarebbero identici. Non ci sarebbe, come dicono i biologi, nessun dimorfismo sessuale, forse neppure nei vestiti. Una vera società di uguali, in cui le differenze sociali di genere non si porrebbero neppure: forse, all’interno dei gruppi sociali potrebbero formarsi gerarchie, con un (o una?) esemplare alfa e altri nei ranghi inferiori. Le particolarità anatomiche di questi alieni potrebbero essere molto curiose; per esempio, come potrebbe avvenire l’atto sessuale, e come e dove potrebbe svilupparsi l’embrione? È probabile che in una specie aliena particolarmente avanzata – tanto da costruire astronavi – l’accoppiamento in sé sia un affare piuttosto burocratico; in questo caso è solo un nostro esercizio di fantasia immaginare come potrebbe accadere (con spedizione degli spermatozoi grazie a un corriere espresso, magari). Lo sviluppo embrionale potrebbe avvenire nel corpo di uno dei due genitori, scelti a caso o con un accordo fra di loro: tipo “il primo lo faccio nascere io, il secondo tu”. Potrebbero esserci dei problemi con i divorzi… Oppure il tutto potrebbe svolgersi secondo regole casuali – un tiro di dadi – o dettate da lunghe tradizioni. Una possibilità per lo sviluppo dell’embrione potrebbe essere quella di avere le uova fecondate che crescono all’esterno, magari in un “nido” comune, con i piccoli allevati senza conoscere i genitori, ma all’interno di un gruppo sociale molto compatto e collaborativo. Una specie di questo tipo, in cui tutti gli individui hanno caratteristiche simili, potrebbe anche essere quasi priva di emozioni legate al sesso o al genere. Nella nostra specie i maggiori turbamenti avvengono all’incontro con persone dell’altro genere, ma visto che in questo caso “l’altro” non c’è, anche le emozioni sarebbero molto ridotte. Di conseguenza, si può supporre che una specie isogama sarebbe anche estremamente razionale, e una maggiore conoscenza del nostro comportamento di tutti i giorni potrebbe anche sconcertarla parecchio. Alcune emozioni primarie, come la paura o il desiderio di giustizia, sono difficili da escludere in una vita sociale complessa, ma sarebbero amministrate probabilmente con maggior freddezza e ancora una volta razionalità. Vista così, una specie isogama sembra però abbastanza noiosetta, se vogliamo. Tuttavia possiamo sperare che questi alieni siano più socialmente aperti e corretti di alcune “tribù” o popoli che conosciamo sul nostro pianeta.

BARBASCURA X

ALIENI E PARTENOGENESI

Solo io sentendo parlare di alieni, sesso e partenogenesi ho pensato ai namecciani? Parlo del popolo extraterrestre dell’universo di “Dragon Ball”. E non venitemi a dire che non sapete di cosa sto parlando, sareste giustificati solo nel caso in cui vi avessero rinchiuso in cantina e nutriti a pane secco e percosse durante gli ultimi trent’anni. I namecciani sono alieni, ma rigorosamente umanoidi, perché se non hai due occhi, due orecchie, una bocca, un collo, pettorali, addominali e compagnia bella non sei nessuno. Da buoni alieni sono esattamente come gli esseri umani, però hanno le antenne e la pelle verde. Quindi sono alieni. Per di più, come tutti nella galassia, parlano giapponese. Vi racconto di loro perché i namecciani non hanno un sesso (anche se mi pare di capire che preferiscano come pronome “he/him”), e quando si riproducono si limitano a vomitare un uovo di calcestruzzo che sparano tipo proiettile a chilometri di distanza, possibilmente uccidendo qualcuno. L’uovo viene sputato già fecondato, e lubrificato nello sputo da una roba gelatinosa verde che spero sia bava e non sperma, ma di questo non saremo mai certi. Conosciamo pochissimo delle abitudini sessuali di questa specie. Per quanto ne sappiamo potrebbero praticare vil sesso sul loro pianeta d’origine (sesso rigorosamente orale), e magari ricorrere alla partenogenesi solo quando si trovano su un pianeta lontano in assenza di altri individui con cui darci dentro. Alla fine è così che fanno un sacco di specie. Certo, è anche possibile che i namecciani abbiano altri mezzi per raggiungere la variabilità genetica. Infatti, loro sono in grado di fare “assimilazione”, ovvero con la sola imposizione delle mani diversi individui possono fondersi in un unico corpo. In fondo, come nel sesso hanno ottenuto rimescolamento genetico, solo che è l’esatto contrario: se due esseri umani si accoppiano alla fine hanno un figlio, ma se due namecciani si accoppiano essi stessi diventano il figlio. È una vita di merda, di solitudine e pose plastiche fissando l’orizzonte con aria truce.

Il primo nemico della saga, Al Satan, anche noto come il Grande Mago Piccolo, ogni tanto sputacchiava uova da cui uscivano tizi enormi e già belli formati, a volte anche dotati di ali e conoscenze rudimentali di algebra, che a un minuto dal parto andavano in giro a menare gente per conto del padre. È decisamente un potere più figo di chiamare “ammiocuggino”, però Akira Toriyama in qualche modo se l’è dimenticato per strada, assieme al fatto che si possa combattere senza necessariamente lanciarsi palle colorate addosso. Sorvolerei sul fatto che il tizio si faccia chiamare GRANDE MAGO PICCOLO. La modestia è importante, lo stile è tutto. Spero solo che non si tratti di uno di quei nomi che scegli in una fase della tua vita e di cui poi te ne penti. Come quel mio amico che a 38 anni suonati va ai colloqui di lavoro e lascia come contatto [email protected]. Il Grande Mago Piccolo viene sconfitto durante la saga da Goku, che dopo averlo trapassato da parte a parte con tutto il corpo gli lascia una delicatissima voragine nel petto che nessun Brioschi potrebbe curare. Nonostante questo, poco prima di esalare l’ultimo respiro il namecciano si gonfia sul collo come fosse al nono mese di gravidanza, e sputa con violenza balistica un uovo fumante. Non ho mai capito da dove gli sia uscito, essendo quell’uovo più grosso di lui, né quanto dolore abbia provato durante il parto considerando che io mi lamento anche delle supposte, e soprattutto se sia una mossa legale clonarsi poco prima della morte. Da quell’uovo è emerso Piccolo, chiamato così nonostante al suo primo compleanno fosse alto 2 metri e mezzo e largo 5. Tutti lo chiamano Piccolo, anche quelli che rimorchia al bar. Ironico per uno che può allungare ogni parte del suo corpo. A ogni modo dubito fortemente che, in quanto namecciano, abbia un uccello o una fagiana. A questo punto mi chiedo chi abbia rimorchiato. Un barattolo di plastilina? Dato che può rigenerarsi, potrebbe staccarsi un braccio e duplicarsi? E qui mi sorge un’altra domanda: potrebbe far sesso con se stesso? Da quanto ne sappiamo potrebbe non avere nemmeno il buco del culo, visto che mai è stato colto nell’atto di mangiare cibo solido. Tranne i fagioli di Balzar, che però fanno per lo più aria. A dirla tutta non dorme nemmeno, giustificando pienamente il fatto di essere sempre incazzato. Non tanto perché sia stanco, quanto perché per circa 8 ore al giorno si ritrova senza un cazzo da fare, solo come un cane in radure lontane o su picchi sperduti fissando l’orizzonte con due occhiaie fino a terra. Ed è per questo che spesso finisce per sdoppiarsi e menarsi da solo. “Allenamento” dice lui. Sarà… Comunque resta uno dei miei personaggi preferiti, anche se sicuramente parecchio sudato.

P.s.: ricordiamo che Grande Mago Piccolo è anche noto per il cannone speciale, mossa che gli ha permesso di conquistare il titolo di gran fattone di Namecc.

Molti più di due Tutto ciò è piuttosto classico: anche se sono indistinguibili, i sessi sono sempre, per questi nostri primi ospiti, solo due. Ma la presenza nella specie di cellule sessuali uguali potrebbe anche portare a più di due sessi: tre (+, –, + –) oppure molti di più, fino a qualche decina. Sul nostro pianeta questo avviene per esempio tra i funghi, uno dei quali (lo Schizophyllum commune) ha qualcosa come 23.000 “sessi”. Non tutti sono compatibili tra di loro, ma in situazioni aliene perché non pensare a una specie con molti sessi, che possono accoppiarsi con tutti gli altri meno che con il proprio? Le opportunità sarebbero molte più del 50 per cento cui siamo ridotti noi, la generazione di variabilità molto superiore, la difesa dai parassiti (se questo è lo scopo del sesso anche altrove) molto più efficace. Il risultato sono anche accoppiamenti più facili e meno intricati; una specie in cui il mix di geni, e quindi di aspetto esterno, è fantasticamente superiore al nostro. In definitiva, niente maschi e femmine, gerarchie fisse e dominanze sociali. Una specie fluida per natura. Uno dei più famosi cicli di fantascienza di Jack Vance, noto in Italia come Pianeta Tschai, descrive i Dirdir, un popolo in cui i maschi possono avere uno tra dodici differenti organi sessuali, e le femmine uno tra quattordici. Ogni tipo è compatibile con uno o più tipi del sesso opposto, e ogni tipo ha attributi culturali tradizionali. I generi sono sempre due, ma gli organi sessuali li suddividono in “tipi” differenti, con varie combinazioni. Se poi il tipo di organi sessuali è nascosto, potrebbe essere un segreto che si svela solo dopo alcuni incontri fra i singoli individui, con susseguenti delusioni o al contrario manifestazioni di felicità per le possibilità che si aprono. Con l’eventualità di avere più di due sessi, si schiudono combinazioni che sulla Terra – quand’anche esistano – sono piuttosto rare. Nel caso in cui i sessi siano solo due, però, anche sul nostro pianeta i tipi sessuali possono essere in numero maggiore. In alcune specie, come un uccello chiamato combattente (Calidris pugnax), nel momento della riproduzione la popolazione si divide in tre gruppi: maschi territoriali, femmine e “maschi travestiti da femmine”, che sono spesso più piccoli e con una più sobria livrea molto femminile. Quando il maschio che possiede il territorio ha attirato la femmina, il maschio più piccolo cerca di insinuarsi tra i due e fecondare la femmina; accade anche in alcuni anfibi e in molti pesci. Difficile che questo succeda in una specie particolarmente intelligente, a meno che il tutto non sia derivato dalla lunga storia evolutiva, e i maschi dominanti sappiano benissimo che, al momento cruciale, ci possono essere altri maschi “satelliti” che cercano di fecondare la femmina. Alcuni ospiti alieni potrebbero anche spiegare che tutto questo è per loro normale, semplicemente perché l’intero processo di accoppiamento deve coinvolgere due maschi e una femmina. Senza che questo accada, i gameti femminili potrebbero non essere attivati e i piccoli non potrebbero svilupparsi. La fantascienza pullula di romanzi in cui i protagonisti alieni hanno più di due sessi, da tre a molti. Gli Stsho del ciclo di Chanur (cinque romanzi di Carolyn J. Cherryh) hanno tre sessi, gtst, gtste e gtsto. Solo i primi (che hanno un sesso indeterminato) hanno contatti con le altre specie; gli altri due (equivalenti di maschio e femmina) non si espongono. Nel romanzo L’impero di Azad, di Iain M. Banks – che fa parte del ciclo della Cultura – gli abitanti del pianeta hanno tre sessi, e tutti e tre necessari per la riproduzione: i maschi fecondano i produttori di ovuli, che a loro volta impiantano l’ovulo fecondato nelle femmine, per la gestazione. E ricordiamo che in Peter Pan di James Matthew Barrie le fate gialle sono femmine, le fate bianche sono maschi e le fate blu sono “piccole cose sciocche che non sanno cosa sono”. Sessi uniti, o separati Ci vuole parecchia elucubrazione teorica per arrivare a immaginare alieni dotati di cellule sessuali di dimensioni identiche. Se la maggior parte delle specie terrestri adotta l’anisogamia, forse per noi risulta più facile pensare a una situazione del genere. Ma non dobbiamo ritenere normale che i “produttori” di cellule siano divisi e distinti: di qui le femmine, di là i maschi. In moltissime specie le cose vanno insieme: sono cioè ermafroditi. L’apparato riproduttore maschile e quello femminile sono nello stesso corpo, e producono sia cellule uovo sia spermatozoi. Il sesso in sé potrebbe essere parecchio più fantasioso e divertente rispetto a quello fra individui identici, o anche fra quelli in cui i sessi sono in corpi diversi. Prendiamo come esempio l’accoppiamento di alcuni molluschi, come certe specie di chiocciole terrestri. La parte maschile di un* introduce in quella femminile dell’altr* i propri spermatozoi con una struttura specializzata (un pene, diciamo), e lo stesso accade per l’individuo opposto. Le uova fecondate sono deposte all’esterno ma, come abbiamo detto che possa accadere per gli isogami, i nostri alieni potrebbero sviluppare i loro embrioni pure all’interno del corpo. Tutto dipende anche dalle cellule sessuali: se fossero esterne e immobili l’espulsione dei gameti sarebbe contemporanea e controllata. Se fossero invece esterne e mobili, i gameti verrebbero espulsi con minore precisione, nella speranza che vagando si incontrino, prima o poi. Se fossero interne e immobili, gli individui di questa specie dovrebbero fecondarsi attivamente a vicenda per riprodursi. In ogni caso una specie altamente intelligente molto probabilmente si prenderà cura dei propri embrioni, esterni o interni che siano, fino allo sviluppo definitivo e alla nascita. L’ermafroditismo, però, non sempre è simile a quello che accade ai molluschi terrestri, o ai lombrichi. Potrebbe essere più estremo, come quello che viene definito ermafroditismo sufficiente: lo usano certe piante, in momenti particolari del ciclo di vita, e alcuni animali. Sufficiente perché uova e spermatozoi potrebbero essere prodotti e quindi unirsi nello stesso individuo, che in questo modo arriva ad autofertilizzarsi; concettualmente non è diverso dalla riproduzione asessuata, anche se un minimo di ricombinazione nella creazione dei gameti avviene. È noto in realtà sulla Terra un solo vertebrato, il pesciolino americano Kryptolebias marmoratus, in grado di riprodursi per autofertilizzazione. Basterebbe con questo sistema un solo individuo per portare avanti la stirpe. Anche in tal caso la nostra domanda sull’appartenenza a questo o quel sesso sarebbe accolta con perplessità. La risposta potrebbe essere: Potremmo approfondire la situazione, se fossimo in confidenza. Potremmo chiedere se il sistema di produzione delle cellule sessuali, per esempio, sia simile a quello adottato sulla Terra, attraverso un processo intricato e convoluto definito meiosi. Se il tutto fosse replicato nei lontani pianeti, un minimo di ricombinazione e quindi rimescolamento dei geni sarebbe possibile. Una specie aliena ermafrodita, come i Demu descritti da Francis Marion Busby in Cage a Man, un romanzo del 1973, pur dominante e aggressiva, avrebbe quindi bisogno di saltare qualche passaggio di ermafroditismo per introdurre nuovi geni e difendersi dagli onnipresenti parassiti. È un ermafrodito anche Jabba the Hutt, uno dei personaggi di “Star Wars” (quello che tiene schiava la principessa Leila nel Ritorno dello Jedi, il film del 1983). Prima maschio, poi femmina, poi… Dall’altro lato c’è il cosiddetto ermafroditismo sequenziale. Gli individui nascono di un sesso e nel corso della vita si trasformano nell’altro. Sul nostro pianeta è piuttosto diffuso, specie nei pesci, in molti molluschi e nelle piante. Nei pesci, per esempio, può accadere che alla nascita gli animali siano maschi, e dopo qualche anno femmine. È ciò che accade nei famosi pesci pagliaccio (Amphiprion), che vivono in simbiosi con gli anemoni di mare: un anemone contiene un “harem”, costituito da una femmina di grosse dimensioni, un maschio riproduttivo più piccolo e maschi non riproduttivi ancora più piccoli. Se la femmina viene rimossa, il maschio riproduttivo cambierà sesso diventando femmina. Allo stesso modo il più grande dei maschi non riproduttivi maturerà e diventerà riproduttivo.

Finché si tratta di pesci, l’accoppiamento e il susseguente allevamento dei piccoli può seguire meccanismi quasi automatici. Ma in alieni presumibilmente molto intelligenti, e con una psicologia di complessità simile a quella della nostra specie, un sistema di questo tipo potrebbe dar origine a situazioni estremamente interessanti dal punto di vista sessuale, per quanto riguarda gli incontri/scontri fra sessi differenti. Un maschio piccolo e poco appariscente (diciamo, un mozzo dell’astronave), che si trasforma in una femmina dominante durante un viaggio spaziale che dura anni e anni, potrebbe prendersi le sue belle vendette sugli altri, che l’hanno tormentato fino a poche ore prima. O al contrario avere notevoli soddisfazioni dal punto di vista sessuale: le stesse soddisfazioni che i maschi più grossi gli hanno impedito di togliersi quando era nelle stive puzzolenti della nave. Se poi a questo si aggiunge la possibilità di un cambio di sesso bidirezionale, in cui un individuo va da maschio a femmina e poi di nuovo a maschio, gli appuntamenti e i susseguenti scambi sessuali potrebbero essere estremamente intricati. Anche perché, ovviamente, il cambio di sesso implicherebbe anche una variazione degli organi sessuali esterni (quando esistono), di abitudini e di comportamenti. La trasformazione di sesso, inoltre, potrebbe non essere indotta dall’età o dalle condizioni, ma dalla psicologia, un po’ come avviene in specie come il Lythrypnus dalli, un pesce che vive lungo le acque della costa americana. Se questo pesce esprime un comportamento subordinato allora cambia il suo sesso in femmina, se ne esprime uno dominante o non subordinato diventa maschio. Nelle piante il cambiamento è indotto da una gran varietà di circostanze, come mancanze o eccesso di nutrienti o composti chimici. Se anche solo una situazione di questo genere si presentasse tra gli alieni, l’equipaggio dovrebbe stare attento alle condizioni che incontra sul nostro pianeta: un eccesso o una mancanza di ossigeno o di azoto, per esempio, potrebbe essere uno dei fattori che inducono il cambio di sesso. Il comandante di un’astronave con questo tipo di equipaggio dovrebbe metterci del bello e del buono per seguire i mutamenti di sesso dei suoi astronauti, e soprattutto gli scambi sessuali che avvengono letteralmente sotto i suoi occhi. Questo potrebbe anche portare a uno sbilanciamento del rapporto tra i sessi nell’equipaggio; tendenzialmente dovrebbe essere 1:1, a meno di una disciplina ferrea. Se la situazione ambientale terrestre (o di altri pianeti) fa cambiare sesso alla maggior parte dei componenti dell’equipaggio, si potrebbe temere una rivoluzione a bordo; il nostromo, che si è messo con la guardiamarina durante il viaggio, è diventato una nostroma (?) con conseguente sconcerto – o forse no – della fidanzata. Aggiungiamo una complicazione: oltre che ermafroditi ammettiamo che i nostri visitatori alieni siano anche monogami. Un esempio sono i ghiozzi maori (Gobiodon histrio), diffusi sulle barriere coralline tropicali dell’Indo-Pacifico occidentale. I ghiozzi vivono in habitat isolati; ciò significa che il cambio di sesso bidirezionale seriale consente a due pesci qualsiasi di formare una coppia riproduttiva eterosessuale anche senza andare alla ricerca del partner. Se uno dei due scompare, un pesce che si presenta alla soglia della tana può chiedere al padron* di casa di che sesso sia, e comportarsi di conseguenza. Gli alieni con questa struttura sociale viaggiano in piccole e velocissime astronavi con un equipaggio minimo, e sono del tutto sconcertanti per i terrestri. A un incontro potrebbero presentarsi come maschio e femmina, nel successivo a sessi invertiti. Ognun* di essi potrebbe capire ogni minima sfumatura della psicologia dell’altr*, anche e specialmente negli incontri sessuali. Insomma, se ci fossero disaccordi tra di loro sarebbe veramente sorprendente. Un’ultima nota: il cambio di sesso, almeno nei pesci, comporta anche una differenza di livrea: il sesso più grosso è a volte anche più appariscente. Per cambiare aspetto, però, è necessaria una certa quantità di energia e materia, sotto forma di surplus di cibo. Nelle specie extraterrestri ciò potrebbe comportare anche necessità diverse per i due sessi, e un cambiamento di questo tipo sarebbe tutto meno che nascosto nei confini di un’astronave. In conclusione, in una specie dal sesso fluido e mutevole sarebbe necessario un controllo del comportamento (o un accordo socialmente stabilito) per non sconvolgere la vita in un ambiente limitato come l’astronave ogni volta che qualche componente dell’equipaggio va incontro a un cambio di sesso. Ma probabilmente stiamo ancora ragionando in termini strettamente umani, e forse per loro simili circostanze sarebbero una dinamica assolutamente normale e trascurabile quanto cambiare calzature.

Panorama familiare Entriamo in uno scenario più classico, in cui alla domanda iniziale («Siete maschi o femmine?») gli alieni possono rispondere in maniera più precisa e scientifica. Per esempio: «Se per maschio intendete colui che produce cellule sessuali più piccole, siamo noi. Le femmine sono nell’altra delegazione». La maggior parte delle specie terrestri rientra in questa categoria, e possiamo proseguire nella nostra (curiosa, morbosa, indiscreta?) analisi. Se i due sessi sono completamente separati abbiamo, sulla Terra, maschi e femmine con una prospettiva che ben conosciamo nel famoso “scambio di geni”. Ma non dovremmo farci ingannare dal fatto che abbiamo tirato in ballo gli sprechi e gli sforzi a cui i maschi vanno incontro nel tentativo di accoppiarsi. Chi usa più energia, infatti, sono le femmine. Le grosse uova, ricche di materiale nutritivo (il tuorlo di un uovo di gallina è la riserva del pulcino, pesa moltissimo e costa altrettanto alla gallina stessa), sono un esempio classico. Inoltre, anche dopo la deposizione delle uova non tutte le femmine le abbandonano al loro destino; in molte specie dal cervello complesso (e non solo) le covano, le proteggono, le scaldano e le portano fino alla schiusa. E anche dopo, perché non proseguire nel processo? La femmina continua nel suo indefesso lavoro di protezione, nutrimento e educazione dei figli. A vari livelli, ciò avviene per (quasi) tutte le femmine di (quasi) tutte le specie più complesse. Considerando ciò, è palese che l’energia spesa dai maschi sia inferiore a quella impiegata dalle femmine. Si chiama, tecnicamente, differenza nell’investimento parentale, e porta a conseguenze interessanti. I maschi, che possono usufruire di energie a profusione, sono sempre alla ricerca di femmine da fecondare: una volta compiuto l’atto, possono tranquillamente allontanarsi e lasciare il tutto a chi ha speso di più, proprio perché deve far fruttare al meglio l’energia che ha investito. Se anche uno o migliaia o milioni di spermatozoi del maschio vanno sprecati, non è poi un gran problema. Se al contrario muore o si perde uno – o alcuni – figli di una femmina, l’investimento è buttato per sempre, o almeno per quell’anno. Per questo le femmine sono molto più attente al partner di quanto non avvenga tra i maschi. L’intento di questi ultimi è sempre quello di accoppiarsi, quello delle femmine di allevare al meglio la prole. Una delle conseguenze meno gradevoli per le femmine sono gli sforzi che fanno i maschi per accoppiarsi. Per dirla all’inglese, whatever it takes. Se in alcune delle specie che conosciamo quello che accade dopo potrebbe essere di poco conto (il maschio assale la femmina, si accoppia e si allontana), in una società avanzata, e non solo tecnologicamente, questo approccio potrebbe essere esiziale per la società stessa. Diamo per scontato ancora una volta che le regole che sulla Terra governano la vita (in particolare quelle dell’evoluzione) siano valide e ferree. Potremmo anche dedurre quali siano i rapporti intimi tra i generi dei nostri alieni. Se per esempio vedessimo scendere un equipaggio di appariscenti, colorati, sgargianti esseri dal comportamento aggressivo e sicuro di sé, i biologi terrestri sarebbero quasi certi che si tratti di una società con due sessi, due generi distinti, e quelli che abbiamo di fronte sono molto probabilmente maschi. Le femmine? Alla nostra (solita) domanda l’equipaggio risponderebbe: «Le femmine sono in cucina!». Con grande gioia dei maschilisti di tutto il pianeta Terra, ovviamente. Sarebbe un equipaggio molto più simile, in struttura, a quello che sarebbe potuto accadere se, secoli fa, la nostra specie avesse avuto le capacità di costruire un’astronave. I maschi al comando, le femmine all’organizzazione e al catering. Oppresse e utili solo alla riproduzione, quando i maschi lo vogliono.

Semplicistico e facile, ma in una società complessa e avanzata è molto probabile che le femmine abbiano un armamentario di controffensive per difendersi. Come visto, sono quelle che investono di più, e non hanno certo l’intenzione di sprecare le loro preziose uova col primo maschio aggressivo che passa. Sulla Terra le cose sono complicatissime, e dipendono dalle specie coinvolte. Per esempio, in molte anatre femmine (che i maschi praticamente stuprano al momento dell’accoppiamento) la conformazione della vagina è doppia. Se la femmina decide che il maschio è di suo gradimento, dirige gli spermatozoi nella parte che porta alla fecondazione dell’uovo. Se è semplicemente un bullo violento i suoi prodotti sessuali vanno a finire in un vicolo cieco. Non ci permetteremmo mai di chiedere a un alieno come sono fatte le sue parti intime, ma un po’ di approfondimento potrebbe senz’altro farci capire che la scelta definitiva (anatomica o meno) è sempre e solo femminile, anche tra di loro. Alcuni biologi, però, vedendo come apparentemente è strutturato questo tipo di società, con i maschi aggressivi e le femmine remissive, si potrebbero meravigliare: sulla Terra le cose non vanno così, almeno se si parla di specie profondamente sociali. Sono ben poche le specie animali dalla socialità complessa che hanno i maschi al comando. Sulla Terra, almeno tra i mammiferi, nelle specie dalla vita sociale profonda e articolata chi guida il gruppo, la tribù, il branco o il pod è quasi sempre una femmina anziana, che conosce tutto del territorio. Elefanti, orche e bonobo sono gli esempi più classici e noti. Queste società hanno la caratteristica non secondaria di essere decisamente più pacifiche di altre in cui il comando è in mano ai maschi: come esempio in questo senso vengono in mente subito gli scimpanzé e alcuni babbuini, aggressivi all’interno e all’esterno del gruppo. E ovviamente la nostra stessa specie. Che le femmine siano più tranquille dei maschi dipende ovviamente dalla specie, dalla sua storia ed evoluzione e dalle condizioni di vita. Ma se pensiamo che anche lontano dal nostro pianeta le cose possano andare in questo modo, non stupiamoci se in un lontano futuro un equipaggio femminile sia amichevole e accogliente, e uno maschile più pronto a estrarre un laser e a spaccare qualche testa. Un aspetto, speriamo, secondario del dimorfismo sessuale è il fatto che i maschi, quando sono grossi e aggressivi, per riuscire a raggiungere il loro scopo a volte devono combattere anche l’uno contro l’altro. Non sempre i combattimenti sono all’ultimo sangue: sulla Terra spesso il perdente si allontana prima di subire gravi danni. In una società con maschi e femmine assolutamente differenti, i primi potrebbero anche dover superare uno o più “riti di passaggio”, combattendo con altri maschi prima di potersi accoppiare. Si spera solo che l’avanzata civiltà che ha prodotto astronavi che possono solcare lo spazio sia riuscita a superare, magari con complesse ritualizzazioni, anche questo ostacolo violento. Abbiamo dato per scontato, finora, che maschi e femmine siano diversi, ma che il dimorfismo sessuale non vada oltre una differenza di dimensioni, anche notevole. Il progetto generale del corpo è però lo stesso, derivato da un genoma che in grandissima percentuale è uguale. E se invece maschi e femmine fossero palesemente differenti? Magari con capacità intellettive parecchio distanti? Un biologo terrestre potrebbe considerarli specie diverse, derivate da due percorsi evolutivi profondamente distinti. Se la fantascienza pullula di queste forme di vita, non è detto che siano biologicamente e scientificamente possibili; sulla Terra nelle specie più intelligenti e socialmente complesse maschi e femmine sono molto simili. È più biologicamente plausibile che il dimorfismo sessuale non sia mai estremo, e che a distinguere maschi e femmine siano più che altro aspetti psicologici. La particolarità curiosa potrebbe essere quella dipinta in tanti racconti di fantascienza, cioè una divisione netta tra maschi e femmine per quanto riguarda il carattere, le funzioni e il posto nella società, e non una gradazione quasi impercettibile, senza soluzione di continuità tra i due generi, come avviene nella nostra specie. Ancora una volta, i maschilisti terrestri sarebbero felicissimi. A meno che al comando della società e dell’astronave non ci siano le femmine. In camera da letto Torniamo a una situazione più terrestre, anche se esagerata. Potrebbe in definitiva esistere un equipaggio con forte dimorfismo sessuale, i maschi grossi e prepotenti, le femmine più piccole ma attente alla gestione delle risorse? Anche i peggiori bulli terrestri probabilmente considererebbero gli accoppiamenti in questa specie una faccenda un po’ troppo violenta. Si può solo sperare che non si arrivi a quella che può essere definita un’inseminazione traumatica (o ipodermica), come avviene nelle cimici del letto: il maschio non si preoccupa minimamente di inserire l’organo sessuale nel tratto genitale femminile, spesso in una parte specializzata del corpo femminile. La cosa importante sono gli spermatozoi inseriti nel corpo della signora cimice, che potrebbe anche morirne, in realtà. Dubitiamo che una società con questo tipo di incontro sessuale possa essere pacifica anche verso altre specie, e che abbia raggiunto altissimi livelli di complessità. A meno che, ancora una volta, tutto il sistema si sia trasformato in una sorta di delicato rituale da svolgere in camera da letto, senza che la signora si traumatizzi troppo e ci rimetta la vita. In realtà non tutti gli incontri sessuali sono così violenti e aggressivi, anche sulla Terra. Nella maggior parte dei casi l’inseminazione è esterna, perché molte specie vivono in acqua e il metodo più comodo è diffondere i gameti nel liquido. Tra i terrestri (e presumiamo sempre che gli alieni che ci fanno visita siano specie che vivono sulla terraferma) la fecondazione è interna, e passa da un organo copulatore maschile (genericamente, un pene) a un organo “ricettore” femminile. Il modo in cui può avvenire questo passaggio (se prendiamo esempio da ciò che conosciamo) ha come limite solo la fantasia. In alcune specie, anche terrestri, il trasferimento di spermatozoi non avviene direttamente, ma attraverso sacchettini che contengono tutte le cellule e sono depositati vicino alla femmina o addirittura sopra di essa. Le cellule sessuali sono poi assorbite dal corpo della partner che sceglie secondo una logica tutta sua. Se però applichiamo la situazione terrestre lontano dal nostro pianeta, possiamo pensare che anche ad anni luce di distanza, nel caso esista una differenza tra i sessi e questa sia “fissa”, i produttori di gameti mobili e molto piccoli siano dotati di un qualche tipo di organo atto a spedire questi stessi gameti verso le uova fecondate. L’organo maschile può andare incontro a una straordinaria pressione evolutiva per differenziarsi da quello di altre specie, in modo da impedire che gli spermatozoi di un maschio fecondino – senza successo – le uova di una femmina di specie diversa, andando così sprecati. Questi organi specializzati possono essere semplici peni, se vogliamo, o magari lunghi tentacoli che racchiudono gli spermatozoi in una tasca in punta, e che i maschi usano solo per quel momento. Accade così tra alcuni molluschi: dopo l’accoppiamento il tentacolo (nei polpi si chiama ectocotile) rimane nel corpo della femmina. Tra le curiosità più strane ci sono, per esempio, le libellule, che possiedono minuscole parti del pene a forma di cucchiaino con la funzione di raccogliere lo sperma del maschio che ha visitato in precedenza la femmina con cui l’individuo si sta accoppiando. Potrebbe essere che tra specie intelligenti aliene queste strutture specializzate siano rimaste, così come non è impossibile che i peni extraterrestri siano strutturati invece come quelli di serpenti o squali, che hanno una doppia punta. Di solito il maschio usa una sola di queste punte, ma se si danneggia c’è quella di riserva. Se la fantasia dell’evoluzione sul nostro pianeta è arrivata a queste vette di architettura sessuale, con a disposizione milioni di mondi diversi chissà cosa può succedere, anche limitandosi a specie intelligenti. Figuriamoci poi la sorpresa delle delegazioni terrestri se questi strumenti per la fecondazione non fossero nascosti, ma esterni, palesi e addirittura esibiti dai maschi (o dalle femmine) come dimostrazione di potenza e di status. Organi evidenti, colorati e dalla struttura complessa, la cui funzione non è però subito compresa dai terrestri. Solo dopo le nostre domande gli ospiti, senza alcun imbarazzo, svelerebbero la loro funzione primaria. Lo stesso, anche se con meno turbamento da parte nostra, potrebbe avvenire per altre caratteristiche che chiamiamo (sulla Terra) caratteri sessuali secondari e che non sono strettamente legati all’atto sessuale. Per esempio le corna dei bovidi, i palchi di cervi e caprioli, le code e le livree di pavoni o uccelli del paradiso e la criniera del leone, che assolvono solo a una funzione dimostrativa. Se seguiamo quest’impostazione, forse anche l’atto sessuale stesso potrebbe

essere pubblico e senza alcun imbarazzo da parte degli alieni. Potrebbe essere complicato spiegare ai nostri ospiti che, nella stragrande maggioranza delle specie terrestri, questo momento è piuttosto delicato, e spesso avviene in luoghi appartati.

VELIA LALLI

NASCIAMO NUDI

La riproduzione sessuata avviene nelle forme di vita più evolute, in quanto genera diversità tra gli individui di una stessa specie. La scienza ci spiega, infatti, che la diversità rende la specie più resiliente. Allora perché mia madre, quando eravamo bambine, vestiva me e mia sorella sempre uguali? Mica eravamo gemelle! Che poi anche vestire uguali i gemelli è cattiveria, dai. A meno che non siano le Kessler. Cioè, fa un po’ “paghi uno e prendi due”. E poi che scopo ha? Cosa stai progettando per il loro futuro? Un ricco magnate appassionato di threesome? 1 Tuttavia, se pur discutibile, quella di vestire uguali i gemelli è una prassi. Nulla in confronto a mia madre che ci mandava alle scuole medie col blazer 2 blu, dai bottoni dorati. Roba che dovrebbe configurarsi come reato. Se poi hai la sfacciataggine di aggiungerci un mocassino, ti andrebbe tolta la patria potestà. Mia madre ci voleva così: “Tutte ciccia e b…on ton”. Forse auspicava per noi un futuro accanto a un damerino, con le iniziali dei quattro cognomi ricamate sulla camicia bianca e il mocassino con le nappine. Insomma, un cosplayer 3 dei Windsor. Ma col SUV in leasing. Crescendo, io e mia sorella siamo diventate due individui molto differenti tra di loro. E da mia madre. E, giusto per sostenere la causa della resilienza della specie, a me non sono mai piaciuti i principini. Per me di un uomo è importante che si faccia strada da solo nella vita, senza godere di privilegi di sorta. Ovvero, è importante che sia povero. Con la maturità, si assolvono i genitori dai peccati veniali. O, semplicemente, ci si rende conto che esistono genitori più sfacciati. Tipo le gnammy mummy 4 che vestono le figlie piccole come loro, in un tripudio di loghi e paillettes, quando vogliono essere discrete. Altrimenti vestono così pure il cane. In sintesi, tra i mammiferi l’uomo ha questo problema di piacersi tanto da volere che le sue propaggini gli assomiglino. Non ne sono sicura, ma dev’essere un ragionamento del tipo: il piccolo della giraffa ha lo stesso manto della mamma, il piccolo della zebra pure. Tutti i cuccioli sono vestiti come le mamme… Quindi non ci rompete le palle! E potrebbe quasi filare come ragionamento, se non si incappasse nel cortocircuito di mamme umane vestite animalier. Ma, poiché la Natura è madre e matrigna, ha distribuito il narcisismo equamente tra i genitori. Per questo abbiamo esemplari del piccolo Mario di 2 anni con la maglia della A.S. Roma, Giorgetto all’asilo con la T-shirt dei Black Sabbath, 5 il neonato Andrea con la tutina di Capitan America. Cosa curiosa, quest’ultima. Voglio dire: desideriamo che nostro figlio sia romanista come noi, ok. Rocchettaro come noi, ok… ma cosa ipotizzare per quello che vuole il figlio supereroe come lui? Nasciamo nudi, come gli altri animali. Ma è evidente che la Natura, che ci piace pensare ci abbia scelto come specie dominante, per renderci prolifici ci ha dotato di maggiori strumenti, quali il linguaggio. E l’istinto al fashion. Che poi è quello che, realmente, ci divide in tribù. Non l’etnia, non la lingua, forse nemmeno la religione. Ma piuttosto: total black o animalier? Tacco 12 o sneakers, felpa o cardigan, cappotto o giubbotto di pelle, cachemire o paillettes? Il che è alla base dell’atteggiamento di chi ha tanto in odio i cortei del gay pride, il velo islamico, le scarpe “ballerine”. E, viceversa, alla base dell’unanime consenso per i/le pornostar. Fortunatamente per la sopravvivenza della nostra specie, il color carne, alla fine, piace a tutti.

Sacchetti maschili Supponiamo adesso che la loro risposta alla nostra domanda sia un’espressione di meraviglia assieme alle parole: «Non lo vedete che qui siamo solo femmine, che domande fate?». Ok, ma noi titubanti vogliamo ulteriormente approfondire: «Se vi definite femmine significa che nella vostra specie esistono anche dei maschi. Dove sono?». Così scopriamo che i maschi ci sono, ma il loro compito è solo quello di produrre spermatozoi, e non hanno altra missione nella vita. A questo punto potrebbe essere comprensibile il progetto “evolutivo”. I maschi sono solo minuscole appendici delle femmine, come accade per esempio in alcuni pesci delle profondità marine. Sono tenuti in stanze chiuse, nutriti e coccolati. Ma non fanno altro, anche perché il loro corpo è minuscolo, così come il loro cervello. Il dimorfismo sessuale in questa specie è spintissimo! Le femmine sono navigatrici spaziali e struttura portante della società, anzi, sono la società. Ogni tanto vanno nelle stanze dei maschi per essere fecondate. Lo sviluppo del feto è interno (come nei mammiferi terrestri) e la nascita è un affare piuttosto semplice. Ci raccontano però che esistono anche altre specie sul loro pianeta, meno avanzate dal punto di vista tecnologico, in cui il rapporto maschi/femmine è diverso rispetto al loro. I maschi di una di queste specie, per esempio, sono appendici vive delle femmine stesse, che li portano in una tasca esterna e li “usano” quando necessario. Si tratta di una specie simile a quella proposta da Donald Moffitt nel libro The Jupiter Theft. Per via di chiari limiti dei maschi si

tratterebbe di una società basata sulle femmine. Chissà, forse non ci sarebbero nemmeno disuguaglianza e discriminazione verso “gli altri”. Che poi fra le femmine ci sia davvero uguaglianza e si formi o meno una gerarchia di qualche tipo dipende dalla struttura originale della società. L’estremo di questo approccio è quello che porta i maschi a essere dei semplici “stimolatori” della fecondazione, come raccontato a proposito delle lucertole partenogenetiche. Accade in alcuni nematodi, un gruppo di vermi diffusissimi ovunque. Nella specie Mesorhabditis belari, per esempio, i maschi si accoppiano con le femmine, ma queste non usano il materiale genetico del partner per produrre le uova. I nuovi nati sono quindi solo cloni della madre. Curiosamente, solo il 9 per cento dei nuovi nati sono maschi; ma i conti tornano, alla fine, perché si tratta proprio della quantità esatta necessaria per fecondare le femmine. Un’alternativa molto più particolare e romantica dell’unione permanente tra una femmina e un maschio è presente in un parassita dei pesci, un platelminta (verme piatto) dal nome di Diplozoon paradoxum. Un maschio e una femmina sono fusi per sempre in un abbraccio coniugale che non può essere spezzato. Non solo: se una larva non incontra un’altra larva del sesso opposto, e non riesce quindi ad accoppiarsi, dopo un po’ muore. Il romanticismo tra i vermi. Alieni che si presentino con questa struttura potrebbero essere sia fisicamente sia psicologicamente molto curiosi e interessanti. Un corpo complesso formato da due corpi uniti fin dalla gioventù potrebbe anche avere due teste simili, un’alternanza di risposte da parte dell’una o dell’altra (non diversamente dal personaggio di Zaphod Beeblebrox, per poco tempo presidente della Galassia nei romanzi della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams). La prospettiva psicologica delle due parti del corpo, se fosse diversa come accade nella nostra specie, ma ben sintonizzata, potrebbe dare a questi esseri un’apertura mentale estremamente particolare, o forse conflitti coniugali molto spassosi. I mammi Sempre nell’ambito dell’approccio female first, ma con una prospettiva completamente capovolta, la risposta alla nostra domanda sarebbe: «Siamo femmine, i maschi sono quelli là incinti». Anche se sulla Terra è un fenomeno piuttosto raro, può accadere che chi si prende cura della prole siano i maschi, cioè, ricordiamo, quelli che producono cellule sessuali più piccole e che noi chiamiamo spermatozoi. Non è facile, alla luce di quello che dicevamo prima a proposito dell’investimento parentale, capire perché ciò accada. Ma avviene. L’esempio più noto è quello dei cavallucci marini, i pesci pipa e i draghi di mare; dopo la fecondazione la femmina passa le uova al maschio, che le mantiene in una tasca sull’addome (una specie di marsupio) per lo sviluppo. I piccoli nascono quindi perfettamente formati, come minuscole copie degli adulti. Il problema, per specie che non vivono sott’acqua, potrebbe essere quello del passaggio dell’uovo fecondato dalla femmina al maschio, ma non è impossibile presumere una struttura non diversa da un pene femminile che abbia quel compito. Oppure potrebbero aver raggiunto uno stadio in cui la prole è allevata in maniera comunitaria; quindi, anche i maschi (dopo il parto) potrebbero partecipare alla vita e alle esplorazioni verso pianeti minori come la Terra. Una specie dotata di questo meccanismo di riproduzione è stata proposta da James Tiptree Jr. (pseudonimo di Alice Bradley Sheldon) nel romanzo La via delle stelle. Sono i Tyrenni, una specie dal dimorfismo sessuale accentuato in cui le femmine, piccole e attive, esplorano il pianeta in cerca di cibo. Il compito dell’allevamento dei figli è lasciato ai grandi maschi, i quali li nutrono e se ne prendono cura, proteggendoli nel loro marsupio. Non si può a questo punto non accennare a un fenomeno che suscita, nel nostro angolino della galassia, particolare orrore: quello dell’uxoricidio tra gli animali. Molte femmine di ragni e mantidi uccidono e divorano il partner alla fine dell’accoppiamento. E alla domanda «I maschi dove sono?», la risposta potrebbe essere: «Non ci faccia venir fame, la prego». Un sistema del genere sarebbe possibile solo se la differenza di capacità intellettive e razionali tra i due sessi fosse abissale, con le femmine intelligenti e i maschi non particolarmente brillanti, per usare un eufemismo. Solo una vita sociale estremamente complessa e un’intricata costruzione di miti e leggende a sfondo forse religioso potrebbe indurre i maschi a sacrificarsi “per il bene della tribù”. C’è chi ne fa a meno Molti maschi sacrificabili delle specie sopra citate potrebbero anche, una volta giunti all’indipendenza, decidere di non riprodursi pur di rimanere vivi. E in questo modo abbiamo introdotto un tema: perché in una società complessa dovrebbero riprodursi tutti? È proprio necessario? L’individualità e la personalità dei mammiferi o degli uccelli terrestri sono giustificazioni più che sufficienti per la volontà di avere figli, insieme alla spinta biologica alla riproduzione per trasmettere i propri “geni egoisti” (come direbbe Richard Dawkins). Ma siamo certi che non possano esistere altri sistemi, forse altrettanto efficaci? Alla nostra solita domanda, potremmo così avere una risposta del tipo: «Maschi e femmine? Ah, intendete i riproduttori. Sono nell’astronave, ben protetti e tranquilli». Il primo passo potrebbe essere molto simile, con le debite proporzioni, a quanto accade sulla Terra tra i sifonofori. Questi parenti delle meduse, per esempio la bellissima e letale caravella portoghese (Physalia physalis), hanno una società suddivisa in individui con compiti differenti: alcuni si occupano di procacciare il cibo, altri fanno da sostegno, altri ancora catturano e alla fine digeriscono le prede. Poiché però l’intera colonia deriva da un uovo fecondato, tutti gli individui condividono lo stesso patrimonio genetico e sono cloni l’uno dell’altro: non smettono di riprodursi, ma lasciano l’incarico ai cosiddetti gonodendra. Proviamo però a immaginare una specie aliena in cui solo alcuni individui della tribù hanno l’incarico di portare avanti le peculiarità del gruppo stesso: il resto sarebbe composto di procacciatori di cibo, organizzatori delle azioni, navigatori spaziali e addetti ad altri compiti. Nelle specie che abbiamo ipotizzato, gli individui hanno proprio rinunciato ad avere prole propria, a favore solo di alcuni riproduttori specializzati. A fronte della richiesta di una spiegazione del perché ciò accada (la specie è particolarmente amichevole) lo scienziato dell’astronave si lancia in un complesso calcolo di genetica della trasmissione, con la conclusione che conviene a tutti, riproduttori e altri, un sistema di questo tipo. Anche senza essere cloni come nella caravella portoghese, la percentuale di geni trasmessi alle generazioni successive è infatti abbastanza elevata per ognuno da assicurare il successo di ogni singolo individuo, dal punto di vista del passaggio di materiale genetico. Più femmine che maschi Abbiamo fino a ora incontrato extraterrestri che hanno un rapporto tra i sessi 1:1, come accade sulla Terra per la maggior parte delle specie che conosciamo. Ci sono ragioni (evolutive ed ecologiche) ben precise perché da noi le cose stanno così. Non è detto però che le stesse ragioni valgano su pianeti lontani anni luce. Diamo per scontata adesso la divisione in due soli sessi (maschi e femmine), perché decine di sessi porterebbero a situazioni del tutto ingestibili. Con una divisione fra sessi così precisa e a noi familiare, abbiamo già visto che in alcuni casi potrebbe anche succedere che non ci vogliano così tanti maschi per fecondare tutte le femmine. Ne basta uno (o pochi) che produca i milioni e milioni di spermatozoi necessari per fecondare le uova femminili. Gli equipaggi che ci fanno visita sarebbero composti interamente da femmine, e il maschio potrebbe essere nascosto e protetto, come un tesoro prezioso, nel pianeta d’origine, con le femmine come parte fondamentale della società. Ma, al contrario, il maschio potrebbe anche essere a capo della flotta spaziale che ci viene a far visita. Una specie di Gengis Khan, che abbia avuto migliaia di figli dalle donne conquistate e presumibilmente violentate. Anche qui, la fantascienza ci è

venuta in aiuto, descrivendo il Sire dei Chulpex, in Masters of the Maze di Avram Davidson. Nei cervi e negli elefanti di mare, i maschi più grossi riescono ad accoppiarsi con la maggior parte delle femmine, e i meno prestanti non partecipano alla procreazione delle generazioni successive. O la fanno con percentuali molto basse. Da quel che abbiamo detto, sembrerebbe possibile che esistano specie in cui il rapporto tra i sessi sia diverso da 1:1, completamente sbilanciato verso le femmine. Abbiamo gli esempi più noti qui sulla Terra, con le cosiddette specie eusociali: le società di api, formiche, termiti sono costituite essenzialmente da una femmina che si riproduce (la regina), uno stuolo di operaie, tecnicamente femmine anch’esse, e alcuni maschi che si presentano per la riproduzione e scompaiono poco dopo. Solo nelle termiti il maschio sopravvive accanto alla regina. La ragione per cui ciò avviene è abbastanza complessa, e persino le spiegazioni ufficiali non sono del tutto convincenti per i sociobiologi. Una specie che assomiglia a quella descritta nell’Alveare di Hellstrom, di Frank Herbert. Alieni con questo tipo di riproduzione costituirebbero una società robusta e inattaccabile dall’esterno: la regina, per ragioni sociali e genetiche, sarebbe estremamente protetta dalla popolazione intera, gli ordini decisi e indiscutibili, la politica generale razionale e volta al bene della colonia e solo a quello. Sperando che questi alieni siano pacifici, perché sulla Terra le colonie di alcune formiche sono tra i gruppi di animali più aggressivi esistenti. Questi visitatori sarebbero probabilmente tra le forme di vita più interessanti che potremmo incontrare. Enormi astronavi-formicaio (o alveare) che trasportano centinaia di migliaia, forse milioni, di individui. La maggior parte di essi ha quasi totalmente abbandonato l’idea dell’accoppiamento. Sono privi anche di qualsiasi idea di sesso personale, e dal punto di vista anatomico non hanno organi sessuali esterni o apparati interni. Anche se la loro intelligenza non è diversa da quella dell’unico organismo riproduttivo altamente senziente, la loro lunga storia evolutiva li ha “convinti” che il solo modo per riprodursi è lasciar fare alla madre che risiede nei profondi recessi dell’astronave. L’unico momento in cui le differenze sessuali si palesano è quando, con una periodicità sconosciuta, alcune centinaia o migliaia di maschi di limitatissima (o nulla) intelligenza iniziano a sciamare. L’atmosfera dell’astronave risuona del ronzio di questi minuscoli maschi riproduttivi che combattono fra di loro per riuscire a raggiungere l’entrata del rifugio della femmina. Solo uno sopravvive a un vero e proprio massacro, mentre tutti gli altri abitanti osservano lo spettacolo senza poter intervenire. Quel che accade all’interno della camera della madre rimane a lungo sconosciuto. Se pensiamo che tra i nostri animali gli unici che vanno incontro a questo tipo di riproduzione siano insetti, dobbiamo cambiare idea. Ci sono almeno due specie di mammiferi eusociali. Sono l’eterocefalo glabro e il ratto del Damaraland. Vivono in ambienti estremi, caldissimi e desertici, in tane che loro stessi scavano. Solo una femmina e un maschio si riproducono, e l’impulso sessuale del resto della colonia è tenuto sotto controllo da feromoni emessi dalla madre. L’estrema cooperazione all’interno di queste società, governate dall’interesse del gruppo cui tutti si sacrificano, può portare ad alieni dalla potenza distruttiva o cooperativa inimmaginabile. Le astronavi generazionali potrebbero diffondersi a velocità prossime a quelle della luce in tutta la galassia, per “colonizzare” a modo loro pianeti lontani. Sarebbe una società in cui affidare il sesso e la riproduzione solo ad alcuni provocherebbe una totale divisione dei compiti, talmente lontana dalla nostra mentalità che probabilmente avremmo bisogno di molto tempo per capirla. E a loro volta gli alieni (posto che siano pacifici) necessiterebbero di molti anni di studi per comprendere le sottigliezze della natura umana, specie per quanto riguarda il sesso. Conclusione Abbiamo applicato finora conoscenze “terrestri” e leggi della biologia per immaginare i possibili alieni, evitando campi magnetici ed elettrici, bolle di gas o individui costituiti da plasma. Non abbiamo esempi sul nostro pianeta di questi esseri, né possiamo con facilità immaginarci altre forme di vita che siano basate, per esempio, sul silicio. Come conclude Darwin’s aliens, un famoso articolo scientifico del 2017, scritto da Samuel R. Levin, Thomas W. Scott, Helen S. Cooper e Stuart A. West: “Quando facciamo previsioni sugli alieni, dobbiamo sfruttare il nostro intero kit di strumenti scientifici. La comprensione meccanicistica è un buon modo per estrapolare da ciò che vediamo sulla Terra. La teoria è un buon modo per fare previsioni indipendenti dai dettagli della Terra. La combinazione di entrambi gli approcci è il modo migliore per fare previsioni sulle molte centinaia, migliaia o milioni di ipotetici alieni. Ora dobbiamo solo trovarli”. Riferimenti bibliografici Adams, D., Guida galattica per gli autostoppisti, Mondadori, Milano 2020. Banks, I.M., L’impero di Azad, Nord, Milano 1990. Barlowe, W.D., Summers, I., Meacham, B., Barlowe’s Guide to Extraterrestrials, Workman Publishing Company, New York 1987. Barrie, J.M., Peter Pan, Mondadori, Milano 2013. Busby, F.M., Cage a Man, Roc, New York 1974. Chalker, J.L., Il pozzo delle anime, Mondadori, Milano 1996. Cherryh, C.J., L’orgoglio di Chanur, Nord, Milano 1985.

La sfida di Chanur, Nord, Milano 1993. La vendetta di Chanur, Nord, Milano 1993. Il ritorno di Chanur, Nord, Milano 1994. L’eredità di Chanur, Nord, Milano 1995. Davidson, A., Masters of the Maze, Pyramid Books, New York 1965. Herbert, F., L’alveare di Hellstrom, Mondadori, Milano 2020. Levin, S.R., Scott, T.W., Cooper, H.S. et al., Darwin’s aliens, in “International Journal of Astrobiology”, 1° novembre 2017. Moffitt, D., The Jupiter Theft, Del Rey Books, New York 1977. Tiptree, J. Jr., La via delle stelle, Mondadori, Milano 2015. Vance, J., Pianeta Tschai, Mondadori, Milano 1997. Van Vogt, A.E., Crociera nell’infinito, Mondadori, Milano 1979.

1. È la vostra fantasia sessuale più frequente, ma non sapevate che si chiama così. 2. Giacca con spalline, generalmente indossata dalle signore col filo di perle. Per il genere maschile, giacca di Berlusconi. 3. Quelli che si travestono come personaggi pop. 4. Espressione anglosassone per indicare avvenenti giovani madri. 5. Gente che mangia pipistrelli.

BARBASCURA X

FARE ALL’AMMORE CON IL SUDORE

Non lavarti, arrivo! Messaggio inviato da Napoleone Bonaparte a sua moglie Joséphine più di due settimane prima del suo viaggio di ritorno dalla campagna d’Egitto. Nel 1995 lo scienziato svizzero Claus Wedekind chiese ad alcuni ragazzi di non lavarsi per almeno un paio di giorni e di indossare sempre la stessa maglietta. Che schifo. Raccolse (probabilmente con delle forchettone da insalata) 44 magliette belle sudacchiate e schifitose, che mise in altrettanti barattoli che poi sigillò. Lo so che state pensando, ma prima di giudicare ci terrei a ricordare che di recente tale Stephanie Matto (un’influencer statunitense “delicatissima”) ha venduto su internet i propri peti in barattolo. Non credo che ci fosse alcun interesse scientifico nella cosa. Ne ho comprati tre. Sto pure rosicando perché ’sta qua si faceva 45.000 euro alla settimana con questa idea, che se avessi avuto io avrebbe coronato il mio curriculum. Comunque, Wedekind chiese a 49 studentesse di annusare il barattolo di eau de secchiodemmerd e di stilare una classifica di gradimento. Perché sì, gradirono. Ooooh se gradirono… Nel sudore, infatti, ci sarebbero ormoni bestiali putenti che tutti noi produciamo, e sebbene non ce ne rendiamo conto, questi sembra che ricoprano un ruolo fondamentale nella scelta di chi vorremmo asdrubalare male. Io sono attratto dalla benzina, per dire, anche se l’uccello per ora non ce l’ho ancora immerso. Per ora. Secondo lo scienziato l’odore, e in questo caso il sudore, è inconsciamente importante per aiutare la femmina a identificare un maschio scopabile su base genetica, e in particolare per riconoscere persone geneticamente lontane da lei. Non vorremmo mica finire come i Lannister (Lannincesto per gli amici). Wedekind andò ad analizzare nei partecipanti all’esperimento un gruppo di geni chiamati MHC, per individuare vicinanze/lontananze genetiche tra loro, e confrontò questi dati con le preferenze manifestate dalle fanciulle. Il risultato fu che in effetti, senza che ne capissero la ragione, le ragazze sceglievano tendenzialmente il barattolo di sudore del maschio più lontano geneticamente da loro. I miracolosi miracoli dell’evoluzione, amici e amiche! Ecco spiegato il famoso: “È bono ma non c’è chimica”. Insomma, quando vi dicono «Hai un buon odore» sappiate che probabilmente non è vero: avete sudato e fate schifo a tutti tranne che a quella specifica persona. E soprattutto non è vostra cugina. Smettetela di andare in palestra e pensate a sudare in giro! C’è da dire che parliamo di un dibattito ancora aperto. Ci sono ricercatori convinti dell’esistenza di feromoni umani, altri che pensano che questi non abbiano alcuna influenza sulla scelta sessuale, e altri ancora convinti che non ci sono e basta e comunque meglio gli occhi del culo. Anche perché gli esperimenti hanno spesso dato esiti contrastanti, ma nel dubbio: VENDESI T-SHIRT SUDATA DI BARBASCURA: 45.000 eur… … vabbè, facciamo 4 euro e 50. Ci pago un kebab, sempre meglio di niente.

INTERVISTA DI

BARBASCURA X A TELMO PIEVANI

DISAGI IN EVOLUZIONE

Sai che stavo pensando? Oggi ci possiamo permettere di parlare di sesso e natura nel modo più disinvolto e didascalico possibile. Alla fine lo stiamo facendo anche qui, in questa rivista. Insomma, possiamo dire: “Ci sta quell’animale che fa ’sta roba”. Ne prendiamo atto, ci scherziamo pure sopra e, perché no, magari ne umanizziamo il comportamento per farci ‘na risata (cosa che ricordiamo essere etologicamente molto sbagliata ma fa un botto ridere). Possiamo affermare di conseguenza di vivere nella migliore epoca possibile? L’unico momento storico in cui una simile cosa sia lecita e legale? Una sorta di faro di rancore contro quella monnezza de “gli animali sono meglio delle persone”? Potrebbe essere questo il primo momento nell’intera storia del genere umano in cui sia possibile analizzare con freddezza scientifica perché due animali scopano? Decisamente non è stato sempre così. L’etnocentrismo occidentale ha inciso sulle ricerche riguardo alla sessualità umana e animale in modi spesso incredibili. Insomma, tra finalismo religioso e antropocentrismo, le nuove scoperte sono spesso state “crepate di mazzate” dalla morale del proprio tempo. Penso per esempio al medico inglese George Murray Levick, quando a inizio Novecento scrisse delle abitudini sessuali dei pinguini di Adelia, dopo undici mesi passati a stretto contatto con la colonia più grande al mondo di questi volatili che non volano. Pinguini che lui giudicava e definiva “bande di balordi” che copulavano con cadaveri di femmine morte l’anno prima, o con individui dello stesso sesso, a sberleffo della morale vittoriana dell’epoca di cui lui era vittima. Inconcepibili per Levick simili atti osceni in luogo pubblico. Arrivò ad autocensurarsi, tanto che il volume in cui raccontava di queste “perversioni amorali” venne tenuto nascosto al pubblico e lasciato disponibile al solo utilizzo dei naturalisti interni del museo di Storia naturale di Londra. Cento copie, non una di più, ben nascoste e private. Per fortuna nel 2012 ne è stata rinvenuta una in un cassetto, sola e abbandonata. Così le sue parole sono state salvate dall’oblio. “Sembra che non ci sia un crimine troppo basso per questi pinguini” scriveva. A me fa un botto ridere, ma immaginate quanto dovesse essere scandaloso all’epoca raccontare simili “perversioni”. Oppure penso a cosa è successo a Charles Darwin quando ha provato a presentare il concetto di selezione sessuale, ovvero quell’aspetto della selezione naturale in cui una caratteristica di una specie viene fortemente preferita dal partner sessuale e quindi finisce per essere selezionata. A riprodursi finirà per essere solo l’individuo con quella specifica caratteristica, e quindi sarà lui a propagare i propri geni. Sarebbe bello parlare di tutto ciò con un esperto, vero? Guarda un po’ il caso, sto giusto chiamando il filosofo della biologia ed evoluzionista Telmo Pievani, professore ordinario presso il dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Padova, dove ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle scienze biologiche. Insomma, lui ‘ste cose le mastica. P.s.: è stato molto difficile trascrivere la nostra chiacchierata perché, per l’appunto, è stata una chiacchierata! X: Telmo, ma secondo te quali sono stati i principali problemi che hanno riscontrato nella storia quelli che per primi si sono approcciati al tema “sessualità ed evoluzione”? TELMO: Diciamo che il problema principale è stato il far accettare il meccanismo di selezione sessuale, che è al centro di tante spiegazioni evoluzionistiche su maschi e femmine, sulla dinamica della scelta del partner e così via. Darwin era protagonista del dibattito, ovviamente. Ricorderai che a quei tempi la teoria della selezione sessuale era molto dibattuta, Alfred Wallace 1 era perplesso e un sacco di colleghi criticavano Darwin su questo, compresi gli italiani. Le femmine che scelgono e determinano il processo evolutivo? Ma dai, non è possibile. A quel tempo molti pregiudizi erano ben forti. Quello che però è impressionante è pensare per quanto tempo una parte tanto fondamentale della teoria evoluzionistica sia stata combattuta. Tutti parliamo di selezione naturale, ma l’evoluzione sessuale è comunque molto rilevante per spiegare tanti caratteri e comportamenti che troviamo in natura. Però, questa idea che ci fosse una scelta femminile autonoma e che da questa dipendessero tanti caratteri delle specie è stata rimossa per diverso tempo.

Charles Robert Darwin. Litografia a colori, da “Vanity Fair”, 1871. Wellcome Collection 2374i

L’origine dell’uomo e la selezione sessuale 2 è principalmente legata alla selezione sessuale. Ma nelle prime edizioni dell’opera avevano addirittura rimosso completamente tutta quella parte, lasciando solo i capitoli sull’evoluzione umana. Anche adesso molte edizioni sono così, monche. Quindi è evidente che è stata proprio una rimozione culturale, e questo fa capire ancora una volta che la scienza è un’impresa umana, aggravata da un sacco di pregiudizi, compreso l’etnocentrismo. L’altro problema riguarda le grandi ambiguità, sempre partendo da Darwin in poi, nel modo di rapportarsi alle cosiddette “razze umane”. Perché lì si rischia un “incidente” un po’ delicato. Darwin pensava che la selezione sessuale fosse anche la causa fondamentale della divisione razziale umana. Anche lì si sono consumati tanti fraintendimenti. X: In effetti Darwin ha avuto un’esperienza intensa anche con popolazioni molto lontane. Penso alla sua avventura nella Tierra del Fuego, nell’estremo Sud America, che gli fece scattare un sacco di ragionamenti circa gli adattamenti umani in ambienti diversi. Nonostante il freddo bestia di quelle regioni, i nativi giravano mezzi nudi, cosparsi di grasso e coperti di sole pelli. I nativi non mostrarono mai interesse per lo stile di vita inglese, la “civiltà” che gli europei presentavano come massimo traguardo e aspirazione della specie umana.

Osservandoli, Darwin iniziò a chiedersi se quegli abitanti possedessero delle capacità o dei talenti che gli europei avevano dimenticato. Sembravano più forti, più resistenti al freddo, più a loro agio nel defecare all’aperto. Se loro erano più adatti a vivere in ambienti estremi e selvaggi, come li definiva lui, gli inglesi erano più adatti all’ora del tè. TELMO: È una storia incredibile e piena di ambivalenze. Se leggi quello che scrive sui fuegini, il popolo della Tierra del Fuego, da un lato dice cose molto belle, riguardo alla loro capacità appunto di adattamento ad ambienti estremi e al fatto che sono imparentati con gli altri popoli della Terra. Alla fine lui pensava che tutte le razze umane avessero avuto un’unica origine africana, quindi appoggiava questa grande idea di fratellanza sullo sfondo. Poi, però, da uomo dell’Ottocento dice che sono dei selvaggi da civilizzare. Dal nostro punto di vista è assurdo, ma a quel tempo sembrava avere senso quell’esperimento antropologico in cui presero alcuni fuegini, li portarono in Inghilterra e insegnarono loro a usare le posate. Quando però li riportarono indietro sulla loro isola questi si “rinselvatichirono” e tornarono alla loro vita precedente molto velocemente. Darwin rimase scioccato dal ritorno allo stato selvaggio di questi che erano stati educati a Londra a vestirsi e a mangiare con la forchetta. 3 X: Questo ha generato una serie di ragionamenti incredibili in lui. Pensava di vivere nella migliore società possibile, ma poi si è cominciato a domandare quanto questo fosse effettivamente vero. Specialmente attraverso i loro occhi. Loro la pensavano decisamente in modo diverso, o non si spiegherebbe la loro riconversione immediata alla selvaggitudine. A loro “non civilizzati” non fregava proprio niente della civiltà per come la intendiamo noi. A ogni modo, a un certo punto Darwin riesce a elaborare la teoria della selezione sessuale, cosa assai rivoluzionaria a quel tempo. Ma questa, all’inizio, venne accolta in maniera… diciamo abbastanza divisiva. Per molti l’idea che potesse essere una femmina a effettuare una selezione attraverso la scelta del partner, e che questo potesse addirittura definire il percorso evolutivo di un’intera specie, era difficile da digerire. Come venne accolta dalla società inglese? TELMO: Anche lì con tanta ipocrisia. Nel senso che la selezione sessuale si basa su due sotto-teorie diverse. La prima riguarda una selezione sessuale che avviene quando i maschi combattono tra di loro per l’accesso alle femmine. In particolare, questo accade in quelle specie dove c’è un harem. Quindi pochi maschi si accoppiano con tante femmine, come fanno i cervi, gli elefanti marini e così via. Questa versione cruenta, quasi gladiatoria della selezione sessuale, tutto sommato è stata accolta abbastanza bene, anche perché era di forte stampo maschilista. Non gli è stata data tanta importanza, ma se ne è discusso ed è tornata fuori quaranta, cinquant’anni dopo. Quindi, abbiamo aspettato davvero tanto tempo prima che uscissero le prime pubblicazioni scientifiche in merito. Comunque, all’inizio c’è un periodo di vuoto perché quasi tutte le idee di Darwin, compresa la selezione naturale, furono messe in discussione per molti decenni, anche se questo non si ricorda mai. La seconda sotto-teoria della selezione sessuale è diventata un tabù, ovvero quella della scelta femminile, dove i maschi competono tra di loro per farsi scegliere dalle femmine attraverso ornamenti e tratti costosi. Tra l’altro era una teoria ardita anche per Darwin. La coda del pavone, per esempio, è controselettiva rispetto alla selezione naturale, ossia è un tratto che espone il maschio al pericolo di predazione, e quindi gli è molto costosa. Darwin fa tutto un ragionamento e si chiede perché mai siano stati selezionati simili ornamenti e comportamenti. Qui viene fuori un’idea importante: il compromesso. Nell’evoluzione, più che aspettarti la perfezione e l’ottimalità devi aspettarti il compromesso tra fattori diversi e tra pressioni selettive antagoniste. In questo caso la selezione sessuale lavora contro la selezione naturale, ma vince. Poi c’è un altro ragionamento di Darwin sempre riguardo alla selezione sessuale: si chiede perché la femmina scelga il maschio con l’ornamento più vistoso o perché fa “le cose più strane”, tipo danze, rituali, giardini, tutte cose molto impegnative e costose. Darwin dice che questo avviene perché probabilmente quel maschio, potendosele permettere, è più prestante e sano, quindi la femmina è più rassicurata nel mescolare (diremo un secolo dopo) i suoi geni con quelli di quel maschio. Nasceranno figli più sani e competitivi. Però poi Darwin aggiunge che le femmine ci prendono gusto e questi atteggiamenti diventano mode e, quindi, una scelta arbitraria. In effetti aveva ragione. Oggi sappiamo che la femmina non sceglie solo geni buoni, quelli del maschio più prestante, ma qualche volta diventa una sorta di canalizzazione, di vincolo, e tutti i maschi cercano quello standard per essere scelti dalla femmina. Questa cosa vale anche e soprattutto per le specie più complesse quali i primati. Insomma, la bellezza non ha solo un valore genetico, e le femmine alimentano, con le loro scelte di gusto, standard arbitrari di bellezza, in pratica le mode. X: Pensando al pavone, in effetti si ritiene che la sua coda sia un segnale “onesto” dello stato di salute. Perché la forma degli ocelli, se perfetta, indica l’assenza di parassiti. Oppure penso alle dimensioni della coda, che più è grande e più gli rende difficoltosa la fuga dai predatori, quindi se quel maschio con quell’handicap è ancora vivo vuol dire che è proprio fortissimo/fighissimo/prestantissimo e con un conto in banca invidiabile. TELMO: L’aspetto fighissimo è che c’è anche l’inganno, e la cosa diventa così complessa che alla fine escono fuori anche gli imbroglioni. Un esempio sono i cervi e il loro abbassamento della laringe. Alla fine tanti maschi non si fanno vedere dalla femmina, ma si fanno solo sentire. L’abbassamento della laringe gli dona un verso molto più baritonale, e quindi dà l’effetto di essere un maschio molto più grande di quanto non sia. È proprio un inganno il loro. Oppure nell’uccello lira è stato osservato recentemente che il maschio si mostra con il suo giardinetto tutto intorno e nottetempo mette in disordine quello del maschio vicino, sabotandolo. X: Quanto è bello che anche in altre specie la scelta del partner possa ricadere sul suo gusto artistico o estetico? Quindi è comprensibile che un maschio provi a sabotare l’opera dell’avversario per esaltare la propria. Qui, però, parte un ragionamento che mi affascina. Quanto di questo possiamo ritrovare nella specie umana? Noi abbiamo una cultura multilivello, con una serie di dinamiche sociali e culturali estremamente complesse. Quante di queste sono il risultato di una selezione anche di stampo sessuale? Cioè, facciamo tutto quello che facciamo perché un tempo ci permetteva di accoppiarci e rimorchiare più facilmente? È possibile che pian piano la società sia diventata sempre più complessa al punto da portare questi atteggiamenti all’estremo, e oggi abbiamo preservato tutta una serie di caratteristiche sociali e culturali per il semplice fatto che un tempo erano vantaggiose, ma senza più ricordare quale fosse il

vero scopo di partenza? Insomma, è possibile che facciamo tutto quello che facciamo solo per scopare? Mi sono preso un dottorato e forse volevo solo corteggiare il mondo? Attraversiamo sulle strisce, leggiamo poesie, ci laviamo e viaggiamo perché un tempo ci faceva spiccare nella competizione sessuale? È possibile che siamo una forma di aberrazione evoluzionistica e quindi abbiamo sviluppato il sistema di corteggiamento più complesso e assurdo del regno animale al punto che si frastaglia in migliaia di discipline e campi di ogni aspetto della nostra vita? TELMO: È una domanda difficilissima e ci sono diverse teorie che tentano di rispondere. Una è quella esposta nei libri di Geoffrey Miller, per esempio, che è molto semplicistica. Lo psicologo evoluzionista americano esamina la selezione sessuale degli animali e cerca di capire se può essere applicata anche agli esseri umani. Se fai così, poi, arrivi anche a delle palesi assurdità, cioè che i grandi artisti umani in realtà lo fanno perché indirettamente vogliono farsi scegliere dalle femmine. X: Stanno corteggiando il mondo con la loro arte senza rendersene conto. TELMO: Esattamente. E un po’ di verità c’è. Poi però sappiamo che molti grandi artisti del passato erano omosessuali: come la mettiamo allora con la scelta femminile per la procreazione? È una semplificazione, però come dici tu il tema rimane quello del retaggio evolutivo. Cioè, alla fine non siamo dei robot che obbediscono a istinti dovuti a selezione naturale o sessuale, ma siamo in una situazione più complessa per due ragioni: primo perché abbiamo un’evoluzione culturale che interagisce con quella biologica in modo permeante, e quindi ci plasma. Abbiamo invenzioni culturali che ci hanno cambiato la vita come la cottura del cibo, tanto per dire. È un’invenzione culturale e tecnologica, ma noi non possiamo più pensare di vivere mangiando solo roba cruda. Quindi vedi che la cultura si è proprio innestata nella nostra genetica e biologia, e questo, a maggior ragione, deve valere per i comportamenti sociali, ovviamente. Poi, come dici tu, noi siamo una specie particolare perché abbiamo rivoluzionato e plasmato totalmente l’ambiente intorno a noi. Quindi succede questa cosa paradossale per cui oggi noi dobbiamo vivere e adattarci a un mondo che noi stessi abbiamo completamente mutato. Soltanto che qualche volta ci portiamo dietro dei comportamenti che sono lenti a cambiare, cioè sono vecchi e si sono fissati nel nostro genoma in un’epoca in cui l’ambiente era totalmente diverso. Vedi i cibi zuccherati e pieni di calorie che ci fanno malissimo, ma noi li assumiamo lo stesso. Oggi sappiamo che questo comportamento fa parte di un adattamento molto antico: accaparrarsi cibi ricchi di zuccheri e grassi in contesti ambientali dove non sapevi quando avresti mangiato la volta successiva. Un jet lag evolutivo se vogliamo, e secondo me questo è anche un po’ vero per la selezione sessuale. C’è un retaggio che lavora sotto ma è completamente fuori luogo, ovvero è immerso in un mondo che nel frattempo è cambiato profondamente, soprattutto dal punto di vista sociale. Anche nei ruoli maschi/femmine ovviamente. Inoltre, dietro c’è il rischio, che va tenuto sempre presente, di usare geologia, natura ed evoluzione per giustificare quelle che sono delle restrizioni e invenzioni culturali, tipo il patriarcato, che compare solo dopo la transizione neolitica, dodici millenni fa, niente sul piano evolutivo. X: Diciamo che è lecito chiedersi come mai l’essere umano abbia sviluppato tutta una serie di atteggiamenti che risulterebbero molto bizzarri per un altro animale. Se provassi a spiegare al mio gatto perché la gente va a correre senza essere inseguita, o perché andiamo al lavoro, o perché ci preoccupiamo di avere una casa più grande con tanti oggetti inutili ma a cui diamo un valore, o perché desideriamo un determinato ruolo sociale… be’, penso che non capirebbe. Anzi, in fondo non gliene fregherebbe proprio nulla, perché mai dovrebbe voler capire? Il suo mondo è una voragine di meraviglioso caldo egoismo fatto del dover scegliere secondo dopo secondo se sia il momento giusto per mangiare, cagare, leccarsi o dormire ancora, e non gli importa assolutamente nulla di far sapere agli altri gatti cosa sta facendo. Noi invece lo vogliamo far sapere eccome. Noi vogliamo che lo sappiano tutti! Se potessimo proietteremmo la foto delle linguine al pesto prese a pranzo anche sulla Luna. È il motivo per cui i social hanno tanto successo in questa specie di primati. E in un certo senso, forse, stiamo solo corteggiando. Corteggiando chi? Boh. L’umanità tutta, forse. Le piramidi, i grattacieli, il disco d’oro e le altre opere, effimere o immense, potrebbero essere state create per far vedere che partner sessuali incredibili sono i loro autori. C’è un aspetto particolare dell’essere umano che ti fa sorridere? Qualcosa che facciamo inconsciamente, anche a livello sociale, che però potrebbe derivare da quel retaggio di selezione sessuale di un tempo passato e che non ha troppo senso oggi nella nostra società? TELMO: Sì, ce ne sono tantissimi. Ovviamente dipende tutto dalla complessità sociale. Un esempio è quello che già Darwin faceva, cioè il perché noi arrossiamo quando siamo in imbarazzo o proviamo vergogna. Non ha senso, se ci pensi. Se io vivessi in una società complessa, dovrei avere tutto il vantaggio a simulare o a nascondere una debolezza quando sono in imbarazzo. Invece i vasi si dilatano e arrossisco. Quando per esempio le persone fanno un colloquio di lavoro o un esame, e diventano tutte rosse, perché accade? Questo è molto difficile da spiegare. Lo stesso discorso vale per le sclere bianche degli occhi: noi, quando giriamo lo sguardo, a causa della sclera rendiamo visibile la direzione in cui stiamo guardando. Però pensaci, se io sto parlando con te e a un certo punto guardo da un’altra parte, tu istintivamente vorrai guardare dove sto guardando io. Perché questo coordinamento? Oppure se io sbadiglio, o faccio finta di sbadigliare, sono quasi sicuro che sbadiglierai pure tu. Sono tutti meccanismi istintuali di retaggi del passato. Per quanto riguarda l’arrossire, una possibile spiegazione è che in passato eravamo in gruppi piccoli e, se devi cooperare con gli altri, arrossendo fai capire subito che hai una debolezza, un problema. È un segno di onestà, di trasparenza. Ovviamente sono tutte speculazioni. Oppure lo sbadiglio è un coordinamento sociale implicito. Se guardo da una parte e lo fai anche tu è un segno di coesione sociale. Queste però, ripeto, sono solo ipotesi e vale anche per le dinamiche maschio-femmina all’interno di una società. A tale proposito, di recente è uscito un nuovo libro di Frans de Waal che parla proprio della diversità sessuale. 4 X: Lo devo leggere. Io sto portando in giro per i teatri uno spettacolo, Amore bestiale, che parla proprio delle bizzarrie sessuali nel regno animale. Ci piace ridere pensando a come si accoppiano i serpenti giarrettiera o le mantidi, però alla fine siamo noi quelli bizzarri. Quando vediamo i primati ci viene da sorridere perché si ritrovano comportamenti più o meno umani, ma in modo primordiale. Cose che noi facciamo e alle quali diamo un giudizio morale o etico, e che loro fanno tranquillamente senza problemi.

TELMO: Proprio di questo parla il libro di de Waal, che si intitola Diversi. L’autore si fa una domanda fondamentale: quali sono i nostri modelli di famiglia più “naturali”? Una persona che vuole rispondere scientificamente a questa domanda deve guardarsi intorno osservando i nostri cugini più prossimi. Per esempio, negli scimpanzé c’è qualche coppia monogama con molti tradimenti e molta promiscuità, e con maschi che fanno finta di comandare, ma nel gruppo chi comanda veramente sono le matriarche. Invece, nei bonobo abbiamo sesso libero, perché il sesso ha un ruolo di moderatore sociale e dell’aggressività. Di tutta la loro sessualità solo una parte è riproduttiva. Oppure i gorilla hanno gli harem. Quindi, alla fine, tu di chi vuoi essere cugino? Il maschilista dice gorilla, quasi tutti gli altri rispondono bonobo. Fatto sta che una “famiglia naturale” non esiste proprio. X: W i bonobo, infatti. Gli hippie felici dei boschi. In qualche modo sono quelli che se la godono di più perché usano il sesso in modo ricreativo o per riappacificarsi in caso di conflitto. Sono la pace fatta primate. A vedere noi umani ti verrebbe da dire: “Perché rompete le palle? Perché vi fate la guerra? Ma scopate come i bonobo e non rompete il cazzo”. TELMO: Proprio de Waal racconta spesso un esperimento fantastico con i bonobo. I ricercatori li hanno fatti innervosire artificialmente, per esempio dando da mangiare robe buonissime solo ad alcuni di loro e robe schifose ad altri. Il tutto mentre gli uni vedono quello che mangiano gli altri. Queste scimmie non sopportano le ingiustizie, allora monta l’incazzatura e l’adrenalina. Alla fine, quando l’adrenalina nel gruppo supera una certa soglia, cominciano tutti… a fare sesso tra di loro! Ma a caso proprio. Maschi con maschi, femmine con femmine, maschi con femmine. Così l’adrenalina scende e il gruppo torna armonioso. È la dimostrazione che per loro il sesso è proprio un modulatore sociale. X: Racconto anche di questo esperimento nello spettacolo. In particolare lo racconto in contrasto con lo stesso esperimento, ma fatto sulle scimmie cappuccino. Fa molto ridere. Lì al contrario scoppia proprio la ribellione. Altro che incazzatura, la scimmia cappuccino se potesse darebbe fuoco all’intera struttura. Sono due approcci alla vita completamente diversi: uno individualista e uno di gruppo. Invece, per quanto riguarda il discorso legato a evoluzione, sesso e anatomia umana, l’anatomia umana ha subito tantissimo l’influenza della selezione sessuale e non. Penso per esempio all’osso penico, anche se di questo abbiamo già parlato abbondantemente nella rivista. Più che altro ti vorrei chiedere della prostata maschile. Di quanto sia imperfetta. A noi piace pensare che il corpo umano sia qualcosa dalla perfezione ineguagliabile, studiato nel dettaglio e impossibile da migliorare, ma in fin dei conti abbiamo delle parti che sono proprio studiate male. Colpa della exaptation, 5 per carità. TELMO: Infatti, la prostata purtroppo è tutto fuorché un organo perfetto, e ci fa soffrire un sacco. Oltre alla prostata, però, ce ne sono tante altre. Sono importanti perché ci fanno capire il fenomeno dell’exaptation, un meccanismo fondamentale dell’evoluzione che noi sottovalutiamo sempre. La selezione naturale fa di necessità virtù. È anche intuitivo da capire. Con l’evoluzione non si riparte mai da zero, non si lavora mai tornando a un piano ottimale per poi implementare le innovazioni. Si parte sempre da una situazione data, che sarà il materiale a disposizione, con tutti i suoi vincoli pregressi, che poi viene modificato e riadattato. Tante volte il vincolo del materiale preesistente è troppo forte. Siamo bipedi, per esempio, ma abbiamo un sacco di difetti dovuti a questa condizione di quadrupedi raddrizzati sulle gambe. Però ci ha dato anche dei vantaggi, e quindi alla fine ha prevalso questo aspetto. Per quanto riguarda la prostata, non ha alcun senso che il canale dell’uretra ci passi in mezzo, benché abbia tutt’altra funzione, eppure è successo perché una serie di “aggiustamenti anatomici” ha portato a questa situazione del tutto subottimale che, però, non lo è abbastanza da essere causa dell’estinzione dei nostri antenati che l’avevano, di conseguenza i loro geni si sono trasmessi. X: Ed eccoci qui. TELMO: Un altro esempio è il nervo laringeo, che viene giù lungo il collo e poi torna su. Non ha senso. Sono tutti difetti dovuti all’evoluzione. Questo è importante, però, perché ci permette di spiegare che il principio dell’evoluzione è come il bricolage: utilizza materiale a disposizione e lo ricombina ogni volta in base al cambiamento esterno. Il nostro DNA, così come il nostro cervello, è frutto di questo bricolage, quindi la cosa bella è che l’imperfezione forse è il segreto della nostra creatività. X: Abbiamo parlato di selezione sessuale e di femmine che scelgono i maschi migliori. Pensavo a quanto siamo abituati a vedere il sesso come “bipolare”. Cioè che esiste un maschio ed esiste una femmina. Ma non è sempre vero. Nei funghi, per esempio, potrebbero esserci centinaia di sessi, e questo per noi è difficile da comprendere. Si tratta di una cosa casuale? Mi spiego meglio. Immaginiamo una vita extraterrestre che ha avuto origine in una galassia lontana, su un pianeta rigoglioso e con ambienti simili ai nostri. Avendo avuto una propria storia evolutiva, facciamo finta che in miliardi di anni si sia sviluppata seguendo selezioni e pressioni ambientali completamente diverse dalle nostre. Al netto di casi di convergenza evolutiva, che però potrebbero essere presenti in piccole strutture anatomiche e non nell’intera fisiologia di una specie così aliena, è possibile che sia cicciato fuori un organismo superiore dotato di molteplici sessi? TELMO: Questo sarebbe un bellissimo esperimento. Sì, secondo me ci sarebbero più sessi e la mia impressione è che probabilmente, quando li scopriremo, questi organismi extraterrestri saranno come i batteri. Su questo i batteri sono i campioni del mondo, non c’è storia. Non hanno sessi distinti, ma si scambiano direttamente il materiale genetico “in orizzontale”. È il massimo, ed è da tre miliardi di anni che funziona benissimo. Così per esempio sviluppano resistenza agli antibiotici. Lottano contro i virus e vanno avanti tranquillamente. Per un pubblico che non conosce queste dinamiche biologiche è sempre bene ricordare che il sesso non è affatto scontato e che la sessualità come l’abbiamo noi, con maschi e femmine, è una stranezza recente dell’evoluzione, di circa mezzo miliardo di anni fa. La vita c’è da tre miliardi e mezzo di anni. È un’invenzione dell’evoluzione, ed è difficile da spiegare, proprio per il discorso che facevamo prima. Cioè, il sesso è molto costoso a livello energetico, oltre che pericoloso. Lo è sempre stato. Ed è uno “sprecone”, come diceva il biologo britannico Ronald Fisher. Non tutti i maschi generano figli, ma tutti producono una quantità di cellule sessuali pazzesca, buttandole via quasi per intero anche durante l’atto. Quindi è proprio un esempio di inefficienza. Però, evidentemente, funziona, e l’ipotesi più accreditata per cui lo fa è che il sesso genera diversità. In poche parole noi, come tutti gli organismi pluricellulari minacciati da parassiti, batteri e virus, abbiamo trovato una specie di vaccino naturale che consiste nel fatto che se c’è un maschio che mescola il suo DNA

con una femmina il risultato sarà che i figli assomiglieranno un po’ ai genitori, anche se mai del tutto, e al contempo saranno tutti un po’ diversi tra loro e diversi dai genitori stessi. Questo rende la tua figliolanza più resistente a parassiti e agenti patogeni, perché potrebbe essere nato qualcuno resistente a quella determinata malattia. In pratica, a ogni generazione si rimescola per bene il corredo genetico. Al contrario, se tu dovessi clonarti ripetutamente, tutti gli individui generati sarebbero molto vulnerabili. Da una parte è più economico, tanto è vero che alcuni animali se possono lo fanno, come nel caso della partenogenesi. Però se in un clone si presenta una mutazione negativa, poi te la tieni e la propaghi a tutti i futuri cloni. Se in una linea clonale arriva un parassita in grado di insinuarsi sei fottuto, perché tutti gli individui sono uguali a te. Muoiono tutti come te. Quindi, vedi che non c’è mai niente di ottimale nell’evoluzione? Tutto è fatto di vantaggi e svantaggi. Torniamo agli esperimenti: diversi ricercatori hanno osservato che negli animali in cui c’è sia la soluzione asessuata che quella sessuata, quando la situazione ambientale è tranquilla fanno a meno di quella sessuata. Quando la situazione diventa stressante, invece, si mettono a fare sesso per guadagnare diversità e quindi strumenti per combattere le avversità. In un certo senso vedi chiaramente che il sesso ha una funzione difensiva. X: La riproduzione asessuata è stata riscontrata in svariati rettili e pesci. Penso per esempio agli squali, dove ogni tanto esce su qualche giornale la notizia sensazionalistica: “Anche gli squali fanno la partenogenesi!”. Questa cosa è già ben nota e documentata, ma ogni tot mesi i giornalisti sembrano dimenticarselo. Gli squali lo fanno raramente ed è osservabile soprattutto negli animali cresciuti in cattività, quindi senza controparte maschile con cui darci dentro. Lo stesso è successo con i draghi di Komodo in assenza di maschi. Anche loro fanno partenogenesi, ma se non erro nascono solo maschi. TELMO: Esattamente. Quindi hanno sia il controllo del sesso sia la partenogenesi. Le femmine fanno davvero tutto da sole, all’occorrenza. Noi maschietti siamo il sesso ausiliario. X: Il discorso moralistico sugli animali è sempre molto complesso. Penso agli animali che praticano ermafroditismo come le lumache, oppure quelli che parassitano la compagna o il compagno. TELMO: Sull’ermafroditismo è uscita di recente questa cosa: in teoria l’ermafrodita non ha bisogno di niente, possiede sia cellule maschili che femminili. Però anche lì vedi che quando possono due ermafroditi si accoppiano tra loro. Generano diversità aggiuntiva. Fantastico. X: Questo è un bel superpotere da avere. Contro ogni situazione e occorrenza. TELMO: Esatto. Però vedi che anche lì l’istinto è produrre quanta più diversità possibile, soprattutto se in giro ci sono tuoi nemici. X: Certo. Questo mi ricorda la storia delle banane Gros Michel.

Street art, Vienna

akg-images / viennaslide / © Harald A. Jahn / Mondadori Portfolio

Ehi, lettore. Sì, dico a te. Hai presente la banana? Il frutto perfetto, quello con il packaging accattivante, con l’impugnatura e che si mangia come un calippo? Ecco, hai presente i semi della banana? No? Appunto. La varietà che noi mangiamo e amiamo si chiama Cavendish, ed è stata selezionata dagli esseri umani per essere così perfettissima da mangiare. E soprattutto senza semi. Che poi, capiamoci, i semi ci sono. Sono quei pallini neri che trovate quando la tagliate. Ma sono minuscoli, e soprattutto non servono a una banana. La banana che mangiamo è un frutto sterile! La banana che fa cilecca, pensa te. Questo sì che è un controsenso. Ma allora come facciamo a farla riprodurre? Lo facciamo per talea, ovvero tagliando un frammento di pianta, piazzandolo nel terreno e facendo ricrescere tutto. Che fighe che sono le piante… immagina se potessimo spezzarci noi un braccio, piantarlo tipo ombrellone e ci vedessimo crescere un nostro clone perfetto e spiccicato. Avrei finalmente la possibilità di creare un esercito di Barbascura con cui assoggettare la Terra e imporre un regime totalitario che rispetti i veri valori della vita: i taralli uvetta e cipolle. Una dittatura buonissima. Niente più contante, solo panzerotti. E lo capisci che c’è un problema, però? Non c’è nessuno che fa l’ammore tra le nostre banane. In effetti quelle che mangiamo sono tutte cloni. Sono tutte identiche. Hanno tutte lo stesso materiale genetico. Cloni, vi dico. O, per essere precisi, sono sempre esattamente la stessa pianta che continua a essere tagliata e a ricrescere. Però in questo modo hanno tutte lo stesso sapore, lo stesso colore, la stessa putenza, e noi siamo felici. Ma è un problema! Qui manca la varietà genetica. E la varietà è bella. Metti che arriva, che so, una malattia in grado di attaccare uno di questi individui, se so’ tutti diversi magari qualcuno risulta più resistente, e parte della popolazione si salva. Ma se so’ tutti uguali? Eeee burdell’. È esattamente quello che è successo alla Gros Michel. Fino agli anni Cinquanta era la Gros Michel LA BANANA. Più grossa, più dolce, più succosa e con la buccia più spessa della nostra. E io non la assaggerò mai. E manco tu. Perché è stata spazzata via da una malattia causata da un fungo. Spazzata via. Eradicata. Per fortuna ’sto fungo non era il Cordyceps di “The Last of Us”, o oggi ci ritroveremmo a combattere contro banane zombie. Mi sorprende che questa cazzata non sia venuta in mente a nessuno per la sceneggiatura di un film. A ogni modo, è proprio per questo che oggi abbiamo la Cavendish. Era più resistente al fungo, e quindi tutte le colture mondiali si spostarono su di lei. Capiamoci, qualche Gros Michel è sopravvissuta, ma ormai le colture sono tutte di Cavendish, quindi buona fortuna a trovarne una. Mi piace pensare che da qualche parte in Sud America un agricoltore sta ridendo grassamente alla faccia nostra mentre se ne mangia una con perversione. Speriamo che non sparisca la banana. Ché la banana è buona. Ma quanto è buona? Oh non facciamo scherzi, porca banana.

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Copertina di una rivista inglese, anni Quaranta © The Advertising Archives Mondadori Portfolio / Bridgemanart

Ci sono anche casi in cui effettivamente le femmine sono state in grado di estinguere completamente il maschio, e quindi ora esistono solo loro. Intere specie di sole femmine. Nel senso che, come hai detto tu, sono tutte cloni di se stesse. In quel caso, se dovesse arrivare un patogeno, essendo identiche, sarebbe un casino proprio come nel caso delle banane. TELMO: Questo è un “dogma” della biologia evoluzionistica. Più c’è diversità e più sei sano e resistente. Più sei “puro” e più sei debole e vulnerabile. Tra l’altro si può capire questo con la pandemia di Covid-19, per esempio. Ci sono stati casi in cui il virus entrava in una famiglia, e mentre il papà aveva sintomi gravissimi, la mamma non aveva quasi niente. Dei figli qualcuno si ammalava e qualcuno no. Lì è evidente l’importanza della variabilità genetica. Vedi che azione difensiva? È pazzesco. X: È difficile, infatti, immaginare nella specie umana che tutte le persone subiscano gli effetti di agenti patogeni esattamente nello stesso modo. A me ha sempre affascinato questa cosa. Mi fa anche venire in mente di quando vivevo a Parigi, e vedevo tutte queste ragazze di mattina con tipo 2 gradi entrare nella metro con nonchalance con i capelli bagnati (in Francia il fon è un arnese malvagio non particolarmente amato). I miei, da buoni pugliesi, mi hanno sempre fatto venire paranoie pazzesche sul pericolo che incombe nel non asciugare i capelli. Ma queste ragazze umidissime sovvertivano ogni mia certezza. Un bel giorno mi sono incaponito. “Lo faccio anch’io!” Citando un tal ragioniere Ugo: “Non l’ho mai fatto ma l’ho sempre sognato”. E infatti mi so’ preso ‘n accidenti. Dannati francesi e la

loro resistenza al vento delle metro. Dannate madri e i loro anatemi che si propagano per lo spazio e il tempo. A proposito di partenogenesi, comunque, c’è un insetto stecco italiano, il Bacillus rossius, che si riproduce sessualmente solo nel Nord Italia, mentre lo fa per partenogenesi nel Sud. Al Nord s’accoppia, al Sud fa da solo. Il fatto che esista quasi una separazione nazionale netta tra chi vuole amoreggiare e chi preferisce fare da sé è abbastanza incredibile. Adesso al Sud esistono solo femmine, e dei maschi nessuna traccia.

Accoppiamento di Bacillus rossius Dr Morley Read / SPL / AGF

TELMO: Be’, può essere dovuto ai cambiamenti ambientali, come dicevamo prima. La sessualità è legata al grado di stress e di instabilità dell’ambiente. Quindi può essere che lì dove fanno partenogenesi sia presente un ambiente meno sfidante per la specie. E poi è bello da studiare perché la selezione sessuale può essere anche una fonte di speciazione, ovvero può dare origine a nuove specie. A proposito, c’è un caso italiano molto interessante, diverso da quello di questi insetti stecco. Sono due popolazioni di passeriformi che sostanzialmente erano la stessa specie in tutta Italia. Poi, a un certo punto, è successa una cosa interessante: i maschi che stavano sull’Appennino hanno cominciato a cantare diversamente e le femmine hanno iniziato ad apprezzare la modulazione del canto differente. Questa cosa è andata avanti per un po’ di generazioni, con il risultato che se adesso dovesse arrivare un passero dal Nord Italia e provasse a sedurre una femmina appenninica, la femmina non se lo filerebbe neanche. Questa si accoppia, invece, solo con quelli appenninici. Ciò è sufficiente per dare origine a due specie. L’accoppiamento, quindi, è una fonte di speciazione ed è un fatto davvero peculiare. X: Un po’ come una brianzola che ci prova con un calabrese. LOL. Possiamo dire che, in un certo senso, questo passero riesca a riconoscere i dialetti e non apprezzi il canto in un dialetto diverso? Una vera e propria dinamica regionale. È molto affascinante. È moda, in un certo senso: è arrivata questa moda, i maschi hanno cominciato a seguirla, alle femmine è piaciuta e ora è diventata la prassi. Le nuove generazioni avranno conosciuto solo questa, tra l’altro.

TELMO: Esatto, si usa proprio il termine “dialetto” in questi casi. Negli animali ci sono tradizioni tipiche di alcuni gruppi, che sono a tutti gli effetti culturali. Anche la moda è un fatto culturale. È un linguaggio seduttivo diverso nei maschi. Anche alle Galápagos con i famosi fringuelli di Darwin successe questo.

X: Dato che ci sto prendendo gusto, vorrei farti ancora qualche domanda. Io, essendo mammifero, tendo facilmente a mettermi nei panni di un altro mio simile. Di un altro mammifero, per dire. Una giraffa, un cane e un cammello li riesco a capire. Alla fine ciò che ci guida, il vero e proprio motore del sesso e della riproduzione è il piacere. Il piacere guidato dagli ormoni. C’è un momento preciso in cui questa cosa è apparsa come tratto ed è risultata vincente? O ancora non si capisce bene in che periodo della nostra storia evolutiva sia avvenuto? TELMO: Bellissima domanda, ma la risposta non l’abbiamo. In ogni caso è un argomento interessante, perché il piacere tradizionalmente è ritenuto una compensazione. Ovvero, se ho un comportamento rischioso nel procurarmi da mangiare o nell’accoppiamento, il piacere è una ricompensa, la “ciliegina” che vale la pena ricercare. Se fosse veramente solo questo? Avrebbe senso, e quindi vediamo accoppiarsi gli animali non solo per sopravvivenza e istinto, ma anche per godimento. A loro piace, ed è genuino. Poi, secondo me, questa cosa accade anche nell’essere umano, solo che noi (come già Darwin aveva ipotizzato, ma poi non lo abbiamo concettualizzato) il piacere lo abbiamo sublimato. È una cosa che cerchiamo e vogliamo perché l’abbiamo capita e potremmo anche diventarne schiavi, per dire. Anche gli scimpanzé, per esempio, usano i frutti per drogarsi e ubriacarsi. Quindi anche loro hanno compreso che si può generare in modo artefatto il piacere. Secondo me è andata così. Nasce come ricompensa, ma poi prende vita autonoma e ci piace a prescindere. X: Be’, se parliamo di ricompensa, io da mammifero riesco perfettamente a capire cosa significhi. Ricordiamo che le femmine di orango hanno imparato a fabbricarsi dei dildo con le liane, e insegnano alle più giovani quali sono le liane migliori a questo proposito. Ma ci sono anche uccelli, per esempio, che hanno trovato strumenti per appagare i loro piaceri più effimeri. Penso proprio ai pinguini di Adelia e alle osservazioni che hanno sconvolto il buon Levick. Non liane, ma cadaveri. Chi siamo noi per giudicare. La ricerca del piacere non è quindi esclusiva dei primati. Però, proprio perché sono un mammifero, sono limitato e non riesco a mettermi nei panni di bestie troppo diverse da me. Capire cosa muova un aracnide o un pesce, per dire, mi viene difficile. Lo standard nei pesci è che la femmina depone le uova e il maschio ci viene sopra. In quel caso non ho idea di come funzioni l’appagamento legato all’atto, sempre che ci sia. Potrebbe essere un fenomeno puramente istintivo. Anche perché se ci fosse davvero un premio, come lo intendiamo noi, da pesce non avrei bisogno di una compagna per raggiungerlo, ma potrei appagare i miei sensi in qualsiasi luogo e circostanza. Felice onanismo del mare. Alla fine, venire per venire… Invece, un pesce deve e vuole eiaculare proprio sulle uova. Aspetta quel momento, e se lo va a ricercare. Non sperpera il proprio seme come invece è buona tradizione di un mammifero comune, quando chiude la porta del bagno e resta solo con i propri crucci. Aggiungo che molto spesso il riprodursi comporta la morte per tante di queste specie, che dopo il vil gesto terminano il proprio ciclo vitale. Se ne vanno col botto. Penso a vari insetti o a ragni che in alcuni casi, dopo un’intera vita passata in agguato sempre nella stessa identica tana, finalmente la abbandonano per mettersi alla ricerca di una femmina. Bussano di casa in casa, e quando la trovano si accoppiano e muoiono. Oltre al fatto che non riesco a capire come facciano a sapere quando e come fare questa cosa… A me risulta proprio difficile mettermi nei panni di simili organismi. Il ragno, per dire, per accoppiarsi prepara un “sacchettino” di tela pieno di sperma, la spermatofora, che poi porta alla femmina tipo pacco. Quindi non c’è nemmeno un momento in cui ti verrebbe da dire: “Ecco, lui cerca la femmina perché con lei può fare questa cosa che gli dà un botto di piacere”. Il piacere è “venire” e preparare la spermatofora? Se fosse solo questo, perché dopo l’atto non si limita a lanciarla dalla finestra? Tanto lui “ha fatto”. È allora l’inserimento della spermatofora nella spermateca della femmina la fonte del piacere? Ma è come mettere una busta di calzini sporchi in un cassetto, e francamente l’ho sempre trovato poco appagante. Quindi non c’è appagamento immediato che un essere umano possa riconoscere, o per lo meno non corre secondo canali che risultano a noi comprensibili? HELP! Come posso immaginarlo? Come si fa a mettersi nei loro panni? Tu come te lo immagini? TELMO: È una domanda difficile perché non possiamo metterci nei panni di un ragno o di un pesce. È una domanda filosofica da sempre. Però neanche fino in fondo, perché alla fine siamo tutti parenti. Questo è il bello dell’evoluzione. Io non saprò mai cosa significa essere un pipistrello, perché non vivrò mai le sue esperienze soggettive, dall’interno, ma dopo tutto è un mammifero come me e quindi posso immaginare o intuire che ci siano delle somiglianze, osservando i suoi comportamenti. Se fa cose simili alle nostre, è poco probabile ipotizzare che le faccia per motivi completamente differenti dai nostri. Quindi, perché escludere del tutto che possa esserci il piacere o la scelta di esso? Questa difficoltà di immedesimazione molto spesso è dovuta al fatto che sono estremamente diversi da noi. D’altro canto guarda tutte le ultime scoperte sui polpi: sono impressionanti! È un mollusco cefalopode lontanissimo da noi e, nonostante ciò, stiamo scoprendo cose pazzesche. Gioca, è consapevole, ha delle strategie, ma anche lui dal punto di vista della sessualità vive circa tre anni; alla fine si accoppia e, dopo che si è riprodotto, muore. Si lascia andare nell’oceano e si fa mangiare dal primo predatore che passa. Quindi, da un lato ti direi che entra in gioco l’istinto come un vero e proprio orologio interno, un “interruttore” genetico che lo spinge a riprodursi e a morire. Però poi scopri che durante la vita fa cose pazzesche come i calcoli matematici e gli scherzi. Con un’intelligenza del genere non escluderei che possa provare piacere. Del resto, sappiamo che sente dolore, perché non dovrebbe provare anche piacere, magari mentre improvvisa una colorazione strana? È molto difficile uscire da noi e proiettarsi su altri animali, ma abbiamo gli strumenti per fare delle analogie tra noi e loro. Il caso dei polpi è incredibile. I polpi fino a qualche anno fa li consideravamo solo bolliti e con le patate. Adesso invece questo animale è protetto dalla sperimentazione animale perché ci siamo accorti essere senziente ed estremamente intelligente, capisci? X: Sì, il caso del polpo è molto bello. Tempo fa raccontai in un video la storia di questo polpo, il Graneledone boreopacifica, la cui femmina, dopo aver deposto le uova, rimane circa quattro anni a proteggerle in uno stato di morte apparente. Rinuncia a muoversi e a difendersi.

https://youtu.be/PcFC-Eek0E4 L’occhio le diventa vitreo. È come se fosse morta, ma non lo è del tutto. È lì per difendere le uova e si ipotizza che le ossigeni attraverso il getto dell’acqua del sifone. È affascinante perché hanno notato che se le rimuovi la ghiandola oculare, quella che controlla la parte ormonale che dà il via alla “morte programmata”, effettivamente continua a vivere senza andare nello stato di autodistruzione. Insomma, le rimuovi l’interruttore di autodistruzione, ma diventa una pessima mamma. La cosa che mi affascina è che un polpo, o un ragno, ha dei sensi che io non potrei nemmeno immaginare. Probabilmente hanno un metodo di comunicazione che noi non capiremo mai. Noi siamo dei meri primati, e i nostri sensi, i nostri organi e meccanismi di comunicazione con cui ci interfacciamo con il mondo sono completamente diversi dai loro. Questo mi piace da impazzire. TELMO: “È una intelligenza aliena sulla Terra” come ha scritto un grande filosofo della biologia, Peter Godfrey-Smith, che li conosce bene facendo immersioni vicino a Sydney. Gli alieni sono già fra noi e sono i polpi. Anche qui possiamo ragionare per analogia osservando la capacità che hanno, in pochissime frazioni di secondo, di cambiare colore e mimetizzarsi tramite i cromatofori: cambiano colore quando ci sono particolari emozioni da esprimere, quindi un valore sociale irrazionale, o quando devono mimetizzarsi. Poi però, se fai il calcolo statistico, scopri che in una percentuale consistente di casi loro cambiano colore perché giocano. Non sta succedendo niente intorno a loro, non ci sono predatori in agguato, loro semplicemente giocano con i colori. Cosa ci impedisce di pensare che se la stiano godendo e basta? Hanno un cervello distribuito su tutto il corpo e la pelle ha tutto un altro sistema rispetto al nostro. Perché no? Secondo me stanno giocando e si stanno divertendo, ma questo non posso dimostrarlo. X: Chissà se un giorno ci riusciremo. Imbastire questo esperimento potrebbe essere interessante. Magari con un’intelligenza artificiale, in un futuro lontano, riusciremo a progettare dei sensori in grado di riprodurre esattamente l’esperienza di un polpo. Ne dubito, comunque. Ehi, ma che trip ci siamo fatti?

Prova fotografica che documenta i potenti mezzi utilizzati per partorire la chiacchierata di cui avete letto le gesta.

1. Alfred Russel Wallace, biologo che formulò la teoria dell’evoluzione per selezione naturale in contemporanea con Darwin. Presentarono insieme la prima enunciazione ufficiale della teoria il 1º luglio 1858 alla Linnean Society di Londra. 2. Pubblicato da Charles Darwin nel 1871 (titolo originale The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex) in seguito alla formulazione della teoria della selezione naturale. 3. Durante una spedizione del 1830, il comandante Robert FitzRoy si trovava nella Tierra del Fuego. Dopo una rivolta dei nativi, ne prese quattro in ostaggio con l’obiettivo di portarli in Inghilterra e “mostrare loro le vie della civilizzazione”. Uno dei quattro morì poco più tardi, forse di troppa civilizzazione. I tre superstiti, ormai civilizzati, dopo aver accettato il ruolo di missionari, vennero riportati indietro sulla loro isola proprio sulla Beagle, il brigantino su cui si trovava Charles Darwin e su cui viaggiò per cinque anni attorno al globo. Un anno dopo aver abbandonato i “missionari” sull’isola, la Beagle tornò scoprendo che si erano re-inselvaggiti. Darwin faticò persino a riconoscere i suoi tre vecchi compagni come esseri umani. 4. Frans de Waal, Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo, Raffaello Cortina, Milano 2022.

5. Per exaptation o “bricolage evolutivo” si intende la cooptazione di strutture già esistenti, evolutesi svolgendo una certa funzione ancestrale o essendo effetti collaterali di altri processi, per funzioni del tutto indipendenti dalla loro origine.

CLAUDIA PENZAVECCHIA

CIBI AFRODISIACI

Secondo il vocabolario Treccani, “afrodisiaco” è ciò che eccita o aumenta il desiderio e il piacere sessuale. Per darci degli esempi, caso mai fossimo interessati a sperimentare noi stessi, vengono citati alcol, cocaina, oppio e altre sostanze di alto intrattenimento. Be’, anche meno, Treccani. Nel nostro caso il cibo afrodisiaco è quello che assumiamo allo scopo di esaltare la libido. Il suo significato, in realtà, si è espanso nel tempo, fino a indicare anche un alimento o una sostanza in grado di migliorare non solo desiderio e piacere, ma anche la prestazione sessuale. Insomma, il pacchetto completo. Ma quali sarebbero i cibi afrodisiaci? A voler sentire Galeno “i ceci sono flatulenti tanto quanto le fave … e stimolano il desiderio sessuale, tanto che si pensa aumentino la formazione dello sperma: per questo motivo vengono dati da mangiare agli stalloni”. Inoltre, il seme di rucola aumenterebbe la produzione di sperma e lo stimolo sessuale. I giacinti, invece, avrebbero sia proprietà espettoranti sia favorenti l’impulso sessuale. Speriamo non contemporaneamente, altrimenti sai che casino. Insomma, Galeno due cose da dire sui cibi afrodisiaci ce le aveva, però d’altro canto dell’avocado diceva: “Presumibilmente questo frutto è nocivo in Persia, tanto che le persone che lo mangiano muoiono, ma quando viene portato in Egitto, diventa commestibile”. Mi viene un dubbio a riguardo: ma in Persia lo sapevano che il nocciolo va sputato? Insomma, il sospetto che Galeno le sparasse un po’ a caso ci viene, ma lasciamogli il beneficio del dubbio. Del resto di dubbi su questi cibi afrodisiaci ce ne sono parecchi. La confusione forse nasce dalla libido, il desiderio sessuale. Un concetto astratto che si cerca di rendere tangibile, magari edibile. Se aumentare la libido è l’obiettivo, la domanda è “come?”. Se giochiamo al gioco dell’associazione di idee (senza esagerare con la fantasia, che qui visto l’argomento è un attimo), spesso a “libido” è accoppiato “testosterone”. Quindi se sono un uomo e aumento il mio testosterone, aumento la libido. E magari se mangio qualcosa che contiene un precursore del testosterone, sono a cavallo. O sono il cavallo. Purtroppo non è così semplice. Spesso le cose sono più complicate del “mangia questo, succederà questo”. Cos’è prima di tutto il testosterone, e a cosa serve? Di cose ne fa tante, e molte sono collegate alla sfera sessuale: promuove la crescita degli organi riproduttivi accessori in pubertà, è responsabile dello sviluppo e del mantenimento delle caratteristiche sessuali secondarie, favorisce la spermatogenesi e a livello dell’encefalo stimola la pulsione sessuale. Quindi come associazione ci siamo. Fa anche delle altre cose legate alla crescita vera e propria: per esempio in pubertà i suoi livelli si innalzano prepotentemente, stimolando la secrezione dell’ormone della crescita, che a sua volta stimola la crescita ossea, causando quel repentino innalzamento della statura dei ragazzi, i quali cominciano ad aggirarsi con fare goffo e perplesso e chiedendosi che diavolo stia succedendo all’improvviso e perché di colpo inizino a trovare attraente anche il lavandino. Il testosterone continua il suo martellamento portando alla comparsa dei primi peletti sparuti, stimola la sintesi delle proteine e quindi si sviluppano massa muscolare, forza, e grandezza della laringe, la voce cambia, e mediamente compaiono anche goffi scherzi alle compagne di classe, odori pungenti e il già citato aumento della libido. Un trip in piena regola che trasuda disagio puberale. Per inciso, il testosterone è utile anche alle donne, intendiamoci. È necessario un equilibrio tra tutti gli ormoni, compreso il testosterone (pur se presente in concentrazioni molto più basse rispetto all’uomo), per una buona salute sessuale, delle ossa e dei muscoli della popolazione femminile. Ma andiamo avanti. Il testosterone è un ormone steroideo che produciamo a partire dal colesterolo. Proprio lui, il povero, bistrattato colesterolo. Tra parentesi, nessuno si sogna di considerare cibi afrodisiaci quelli ricchi di colesterolo, come uova, fegato, rigaglie, midollo, cervello, olio di fegato di merluzzo… Si potrebbe obiettare: anche il caviale ne ha parecchio, e sicuramente il caviale viene citato spesso tra gli afrodisiaci! Sì, è vero, e questa sarebbe l’eccezione che conferma la regola, perché a sparare nel mucchio prima o poi ci si azzecca sempre, si sa. Mentre per i “saputi” che pensano ai crostacei, i quali ogni tanto si intravedono nelle famose liste dei “10 cibi che non puoi non mettere a tavola a San Valentino”, contengono sì colesterolo, ma non così tanto come i molto meno sexy alimenti già citati. A ogni modo, se per il prossimo San Valentino dovessi vedere nella lista dei cibi afrodisiaci cervello, fegato e uova, saprò che chi l’ha compilata ha letto questo articolo.Come accade per molti

ormoni, la presenza del testosterone nell’organismo è finemente regolata da segnali e da un meccanismo a feedback negativo. Vuol dire che se i livelli aumentano troppo ne viene prodotto meno, viceversa se i livelli diminuiscono sotto una certa soglia. Questo, ovviamente, in condizioni fisiologiche, ovvero in stato di salute. La sua presenza e quella degli ormoni sessuali nei maschi in generale, come pure i livelli medi misurati, sono abbastanza costanti e meno soggette a variazioni cicliche rispetto a quelli femminili. Ci sono chiaramente fasi della vita dove i livelli sono più alti, come in pubertà, e fasi in cui si abbassano, come nella cosiddetta terza età. Questa è la vita, so che è difficile da accettare ed è forse il motivo per cui ci aggrappiamo alla qualunque per contrastarlo, ma così è.

E ci sono ovviamente situazioni patologiche o para-fisiologiche in cui nell’uomo i livelli di testosterone diminuiscono, come condizioni genetiche, virus, tumori, uno stato di infiammazione cronica, obesità, eccessiva magrezza, diabete di tipo 2, cirrosi, uso di farmaci e altre sostanze, come pure un’eccessiva attività fisica accompagnata da alimentazione e sonno non appropriati allo sforzo. Un’attività fisica moderata, invece, sembra aumentarne i livelli, soprattutto rispetto ai sedentari e in acuto, e potrebbe agire anche in modo indiretto nel cronico come parte di un intervento a tutto tondo sullo stile di vita, per esempio equilibrando il peso. Ma finalmente arriviamo al punto: che sia una questione fisiologica legata all’età o una conseguenza patologica, livelli alterati di testosterone portano effettivamente a bassa libido (in entrambi i sessi), fino a impotenza e sterilità. La connessione con il cibo in qualche modo esiste: infatti, diete fortemente ipocaloriche (ovvero che ci danno in media meno energia di quella che ci serve, in pratica quelle che imprudentemente fate di corsa a maggio in vista dell’estate e che riconoscete dalla marcata assenza di voglia di vivere che le accompagna), o ipocaloriche più moderate ma protratte nel tempo, riducono i livelli di testosterone, e questo è l’aspetto più importante da tenere a mente per quanto riguarda la connessione alimentazione-testosterone. Ci sono anche evidenze che diete particolarmente povere di carboidrati, o povere di grassi, o eccessivamente ricche di proteine (>35 per cento dell’energia totale) diminuiscano i livelli di testosterone. Infine, l’alcol impatta negativamente sulla concentrazione di testosterone, e probabilmente anche mangiare alimenti che sono stati conservati in contenitori che contengono bisfenolo A. Quindi, è vero che i livelli di testosterone giocano un certo ruolo nel desiderio sessuale, ma come spesso accade non sono l’unico attore in gioco.

Cos’è il bisfenolo A? Si tratta di una sostanza chimica usata per fabbricare plastiche in policarbonato, riconosciuta come interferente endocrino. Gli interferenti endocrini, dato che ci siamo, alterano l’equilibrio endocrino, ovvero mimano l’azione degli estrogeni e possono danneggiare lo sviluppo del sistema riproduttivo, nervoso e immunitario. Insomma, non benissimo. Ne abbiamo abusato negli anni perché molto comoda, ma poi abbiamo visto che… ops, forse la sua onnipresenza tanto bene non fa. Per ora ne è vietato l’uso solo nei biberon per bambini e nei cosmetici, ma le normative sono in evoluzione a mano a mano che si raccolgono dati sul BPA e sugli interferenti endocrini in generale.

Se prendete per esempio la radice della maca (Lepidium meyenii), sembra che possa avere un effetto sulla libido, eppure non ne ha sui livelli di testosterone. L’evidenza è limitata e gli studi sono pochi, quindi a fronte di alcuni risultati interessanti e magari promettenti, siamo lontani dal poter generalizzare. Ma il punto è questo: bassi livelli di libido potrebbero non essere correlati a bassi livelli di testosterone, per esempio. Se è vero che nella scienza in genere la risposta più semplice è spesso quella giusta, in nutrizione e in medicina non è sempre così. Se comunque non vi ho convinti e vogliamo vedere cosa esercita un effetto positivo sui livelli di testosterone, troviamo per esempio magnesio, vitamina D e zinco. Questi elementi supportano un livello sano, ottimale di testosterone, ma tendenzialmente non possono pimparlo se si trova a livelli già sufficienti. Anche quando siamo di fronte a livelli inadeguati di vitamina D (