Il potere e i suoi inganni. Nuovi modelli di comportamento nella Tarda Antichità 9788896950661

La presente ricerca è dedicata alla complessa realtà della destrutturazione del mondo antico, che si definì nella formaz

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RINGRAZIAMENTI
PREMESSA
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
CAPITOLO VI
INDICE DELLE FIGURE
BIBLIOGRAFIA
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Il potere e i suoi inganni. Nuovi modelli di comportamento nella Tarda Antichità
 9788896950661

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Claudia Giuffrida Manmana IL POTERE E I SUOI INGANNI NUOVI MODELLI DI COMPORTAMENTO NELLA TARDA ANTICHITÀ 1 INDICE RINGRAZIAMENTI 3 PREMESSA 4 CAPITOLO I 5 L’IMPERO E GLI IMPERATORI NELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA. IL βασιλεὺς COME APOSTOLO, COME θεῖος ἀνήρ E COME PRINCIPE DEI DEMONI NELL’H. E. DI TEODORETO DI KYRRHOS CAPITOLO II 33 PAUPERES E NUOVI PATRONI:

FENOMENI DI RIBELLIONE E ATTIVITÀ DI MEDIAZIONE NELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA CAPITOLO III 64 NUOVI PARADIGMI COMPORTAMENTALI NELLA TARDA ANTICHITÀ: MODELLO LUCIFERINO E MODELLO MARIANO CAPITOLO IV 106 RICONVERSIONE E RICONFIGURAZIONE DEI MODELLI CAPITOLO V 142 VECCHI GIOCHI DI POTERE E NUOVE PAROLE DELLA POLITICA. GIUSTINA CAPITOLO VI 175 IMMAGINATO, SENTIMENTI ED EMOZIONI NELLA STORIOGRAFIA TARDOANTICA INDICE DELLE FIGURE 194

BIBLIOGRAFIA 196 2 RINGRAZIAMENTI Nel pubblicare questo lavoro devo, ma soprattutto desidero, esprimere la mia riconoscenza alla professoressa Concetta Molè Ventura,la quale, ormai sono trascorsi alcuni anni, mi ha generosamente sollecitato ad indirizzare la ricerca sulla storiografia ecclesiastica e, in particolare, su Teodoreto di Kyrrhos. Suggerimento grazie al quale è stato pubblicato l'articolo, nella prestigiosa rivista «Mediterraneo Antico», su Il βασιλεύς nella Historia ecclesiastica di Teodoreto di Kyrrhos: apostolo, θεῖος ἀνήρ, principe dei demoni. Esso è stato all'origine di altri lavori, sui Teodosidi e il loro entourage, sull'importanza della presenza femminile alla loro corte, sulla rilevanza politica della polemica relativa alla Theotokos, sulle trasformazioni culturali attuatesi tra IV e V secolo d. C. 1 che mi hanno consentito di definire i nuovi “luoghi del sacro e del potere", nonché i nuovi paradigmi comportamentali, proposti dalle classi dirigenti per la propria legittimazione. Tali lavori, ulteriormente approfonditi e, ovviamente, ampliati ed aggiornati, insieme ad altri inediti2, come è indicato nella premessa, costituiscono i fondamenti di una ricostruzione che, mediante un faticoso, seppure affascinante, “lavoro di scavo”, ha portato alla luce una documentazione in grado di illuminare alcuni lati oscuri del potere, di scoprire gli inganni che, all’epoca, celavano la “realtà effettuale”, di svelare, insomma, di che lacrime e di che sangue grondassero lo splendore e la magnificenza ostentati dai potentiores. I miei ringraziamenti vanno certo, come sempre, anche al mio Maestro, il professore Mario Mazza, dalla cui scientia e capacità di analisi spero di aver saputo cogliere qualche frutto.

Sono profondamente grata, inoltre, per la fiducia dimostratami, ai colleghi di tutto l'Ateneo catanese e, in particolare, ai colleghi del Dipartimento di Scienze Umanistiche, per l'amicizia testimoniatami con le loro sollecitazioni e i loro riconoscimenti, anche se, come è naturale, la responsabilità dei risultati ottenuti è da addebitare solo all’autrice. Un grazie particolare va alla professoressa Margherita Cassia, per la quotidiana collaborazione, ed al professore Gaetano Arena, per la grande disponibilità. Entrambi hanno reso sicuramente più lieve l'adempimento dei numerosi compiti affrontati in questi ultimi anni. Ca va sans dire che sono profondamente riconoscente ai Direttori e al Personale delle Biblioteche dei Dipartimenti di Scienze umanistiche, di Scienze della Formazione e di Scienze giuridiche dell'Università degli Studi di Catania e, naturalmente, alla Direzione e a tutta l'Équipe dell'École francaise de Rome, per la sollecita cortesia, ormai più che trentennale. Ho, inoltre, sicuramente acceso un grosso debito di riconoscenza con tutti i miei familiari, ma soprattutto con la mia neonata nipotina, Claudia, alla quale è dedicata l'epigrafe iniziale. Ella, con la sua nascita, mi ha regalato un’insospettata energia vitale e, nel suo nome, racchiude il dono di un’insperata continuità. 1 Pauperes e nuovi patroni: fenomeni di ribellione e attività di mediazione nella storiografia ecclesiastica, MedAnt 12, 2009, 199-226; Nuovi paradigmi comportamentali nella Tarda Antichità: modello luciferino e modello mariano, MedAnt 15, 2010, 463-510; Immaginato, sentimenti ed emozioni nella storiografia tardo antica, «Hormos» n. s. 3, 2012, 189-212. 2 Riconversione e riconfigurazione dei modelli, I. Pulcheria; Riconversione e riconfigurazione dei modelli, Il. Eudocia; Vecchi giochi di potere e nuove parole della politica, Giustina. 3

PREMESSA Correva l’anno 1978, quando, da giovane “allieva interna”, ebbi il privilegio di partecipare ad un Convegno, importante e fecondo di risultati, su La Storiografia ecclesiastica nella tarda antichità, fortemente voluto ed organizzato ad Erice, dal compianto professore Salvatore Calderone, docente di raffinata cultura e gentil homme di antica tradizione. Nella persona del grande studioso di Costantino si univano, infatti, le qualità scientifiche e le virtù umane, caratteristiche che, in occasione dell'incontro ericino, ebbi modo di riscontrare in molti dei relatori, futuri colleghi di lavoro, ma, anche, persone di notevole spessore, che mi hanno onorato della loro amicizia. Nella vita spesso ci troviamo a fare i conti con strane coincidenze, con le symphorai sofoclee, che, in realtà, dipendono dai bisogni più stringenti, dalle domande esistenziali, dagli interessi personali e scientifici di ciascuno, determinanti il nostro percorso di vita e di lavoro. Non a caso, il gradino precedente, rispetto alla partecipazione al Colloquio di Erice, mi aveva portato alla scelta, come Maestro, del professore Mario Mazza, studioso delle trasformazioni e delle loro complesse e tragiche motivazioni, esattamente come, non del tutto fortuitamente, lo step successivo è stato rappresentato dal mio coinvolgimento nell'organizzazione del Convegno internazionale su Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità e nella cura, insieme a Mario Mazza, dei relativi Atti. Incarico che, sicuramente, ha contribuito ad arricchire la formazione di una solida institutio, appresa dal Maestro, ma a cui anch'io ho molto sacrificato, dal punto di vista personale. Esso ha determinato una presenza meno costante di quella desiderata, nel sostegno prestato ad un padre nell'ultimo tratto del suo percorso di vita, sacrificio sofferto, che ancora oggi provoca una grande pena. Il passo successivo di questo “percorso di guerra”, come è ogni percorso di vita, è stato sicuramente il Convegno internazionale su L'imperatore nella storiografia ecclesiastica: immagine, potere,

ideologia (Università “La Sapienza” ed École française de Rome, 28 febbr.-2 marz. 2002), che, come già detto, ha portato al contributo sull'interpretazione del potere imperiale da parte del vescovo di Kyrrhos, Teodoreto, e ha dato spunto a ricerche successive. Tra queste, alcune formano le tessere del mosaico costituito dalla presente monografia su Il potere e i suoi inganni. Essa per me rappresenta il cammino verso una sempre più cosciente consapevolezza, una conquista non soggetta agli attacchi della Tykhe, quello ktema es aiei che Tucidide, in tutta la sua complessità, ha definito come scopo dell’ historia. Per questo motivo, sempre non casualmente, l’epigrafe iniziale non poteva non ricordare il doloroso e catartico cammino percorso 4 CAPITOLO I L’IMPERO E GLI IMPERATORI NELLA STORIOGRAFIA

ECCLESIASTICA. IL βασιλεὺς COME APOSTOLO, COME θεῖος ἀνήρ

E COME PRINCIPE DEI DEMONI NELL’ H. E. DI TEODORETO DI KYRRHOS Sebbene nel V secolo le virtù tradizionali3 non perdano del tutto il ruolo complesso, che fino allora avevano mantenuto nella relazione tra il sovrano e i suoi sudditi, il canone aretalogico sembra mutare sostanzialmente. Esso ha il suo perno nell' εὐσέβεια, nella φιλανθρωπία e nella πραότης. Teodosio II almeno per Socrate e Sozomeno, i primi due dei cosiddetti “sinottici” e con diverse sfumature, derivanti da una differente interpretazione della basileia— appare incarnare il modello del perfetto imperatore. Nel figlio d'Arcadio l'ἀνδρεία si univa alla σοφία e nella sua persona s'inveravano la maiestas, estrinsecata nel ruolo politico, nonché le qualità ascetiche dell’uomo santo, visibili nella vita privata, atte a rafforzare la sacertà della funzione4. 3 Da G. Downey, The Perspective of the Early Church Historians, GRBS 6,1965, 57-70 è stato enfatizzato come Socrate, così pervicacemente insistente sulla εὐσεβεία e sulla φιλανθρωπία del sovrano, si confrontasse con il Bild pagano dell’imperatore. Cfr. sul problema ancora G. Downey, “Philanthropia” in Religion and Statekraft in the Fourth Century after Christ, «Historia» 4, 1955, 199208, che riprende una teoria già di R. Laqueur, Das Kaisertum und die Gesellschaft des Reiches, in R. Laqueur- H. Koch-W. Weber, Probleme der Spätantike, Vorträge auf dem 17 Deutchen Historikertag, Stuttgart 1930, 14 ss. Sul tema si vd. anche S. Tromp de Ruiter, De vocis quae est φιλανθρωπία significatione atque usu, «Mnemosyne» 59, 1932, 271 ss.; H. Markowski, De quattuor virtutibus Augusti in clipeo aureo ei dato inscriptis, «Eos» 37, 1936, 109 ss.; M.P. Charlesworth, The Virtues of a Roman Emperor. Propaganda

and the Creation of a Belief PBA 23, 1937, 105 ss.; L. Wickert, Princeps, in RE XXII, 2(1954) coll. 2222 ss.; G. Dagron, L'Empire romain d’Orient au IV siècle et les traditions politiques de l' Hellenisme. La temoignage de Thémistius, T&M 3, 1967, 1-242; A. Wallace Hadrill, The Emperor and his Virtues, «Historia» 30, 1981, 289323. Sull'importanza che assunse il concetto di φιλανθρωπία nel dibattito politico del IV secolo e in ispecie in Temistio e Giuliano, oltre ai lavori di Dagron, L'Empire, cit., passim e L. Cracco Ruggini, Simboli di battaglia ideologica nel tardo Ellenismo; (Roma, Atene, Costantinopoli, Numa, Empedocle, Cristo) in Studi in onore di O, Bertolini, I, Pisa 1972, 177-300, cfr. G. Downey, Themistius and the Defence of Hellenism in the Fourth Century, HThR 50, 1957, 259-274; J. Karbiersch, Untersuchungen zum Begriff der Philanthropia bei dem Kaiser Julian, «Klass. Philol. Studien» 21, Wiesbaden 1960; M, Pavan, La politica gotica di Teodosio nelle pubblicistica del suo tempo, Roma 1964, 40 ss.; L.J. Daly, Themistius Concept of Philanthropia, «Byzantion» 45, 1975, 22-45; Id., The Mandarin and the Barbarian. The Response of Themistius to the Gotic Challenge, «Historia» 21, 1972, 351-379; A. Garzya, Il mandarino e il quotidiano, Napoli 1983, 199-219. Sulla continuità di riflessione da parte delle classi dirigenti cfr. M. Mazza, Le maschere del potere. Cultura e politica nella Tarda Antichità, Napoli 1986, 82 ss. Inoltre, per ulteriori riflessioni sul canone aretalogico e il dibattito politico a cavaliere tra il IV e il V secolo, vd. C. Giuffrida Manmana, Flavio Vegezio Renato. Compendio delle istituzioni militari, Catania 1997, 82 ss. con relativa bibliografia. Sulla presenza del termine in papiri ed epigrafi, cfr. W. Schubart, Das hellenistische Königsideal nach Inschriften und Papyri, APF 12, 1937, 1-26; C. Spicq, La philanthropia hellénistique vertu divine et royale, STh 12, 1958, 161-179. 4 A un Teodosio, half monk, half soldier, fa riferimento G.E Chesnut The First Christian Histories: Eusebius, Socrates, Sozomen, Theodoret, and Evagrius, Paris 1977, 239, ma non si sofferma a rilevare la complessità dell'ἄσκησις dell'imperatore e la reale portata

dell'ambizioso progetto di Teodosio e della sua corte. In realtà, il modo di rapportarsi alla divinità era profondamente mutato. Il Dio dei cristiani, infatti, richiedeva l' humilitas per concedere la παρρησία, la familiarità, che sola poteva consentire la possibilità di intercedere e di beneficiare i propri sudditi. L' humilitas e la purezza di fede 5 concedevano un maggiore avvicinamento al μέγας βασιλεύς, poichè la παρρησία era una realtà dinamica. Essa presupponeva una scala alla cui cima stavano i testimoni della fede, martiri, preti e santi, che con il sacrificio — fisico c non — della propria vita rappresentavano i veri figli di Dio, in perfetta consonanza con il loro archetipo Gesù Cristo (P. Brown, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison-London 1992, trad. it., Potere e cristianesimo nella Tarda Antichità, Roma-Bari 1995, 88). Sul concetto, cfr. G. Scarpat, Parrhesia. Storia del termine e delle sue traduzioni in Latino, Brescia 1964, il quale analizza tutte le sfaccettature di significato insite nel termine. Esso, nel saggio dello studioso, dal valore “demostenico” di diritto di pensiero e di espressione, giunge all'accezione “diogenica” di dovere morale relativo alla denuncia della verità a qualsiasi condizione (vd. ad es. Plu. ex. 6, 606 C). La παρρησία, passa poi, negli Atti degli Apostoli, a significare la franchezza, resa possibile dalla purezza di coscienza, da cui proviene la fiducia e il coraggio di esprimersi liberamente e con Dio e con gli uomini. Da quest'ultimo atteggiamento deriva il senso del termine più compiuto, della missione del perfetto cristiano — il martire — che ha il diritto-dovere di esprimersi e, dunque, di predicare il messaggio di Dio fino all'estremo sacrificio (vd. ad es. Eus. mart. Pal. 1, 1). Si può ben capire come il cinico e il cristiano fossero figure bizzarre e spesso incomprensibili per le classi dirigenti greche e romane e perché fossero sovente oggetto di ostilità. Le radici

ellenistiche e dunque il ruolo del filosofo nei confronti dei potenti, precedente alla missione del vescovo nei confronti del suo gregge e alla mediazione degli asceti e monaci a favore delle varie comunità πρὸς δυνάστας, è sottolineato anche da G.J.M. Bartelink, Quelques observations sur Παρρησία dans la littérature paléo-chrétienne, Graecitas et Latinitas Christianorum primaeva, Suppl. 3, 1968, 12 ss. La fusione dell'immagine dell'imperatore con quella del figlio di Dio è analizzata da J.G. Deckers, Konstantin und Kristus. Der Kaiserkult und die Entstehung des monumentalen Christusbildes in der Apsis, in G. Bonamente-F. Fusco (a cura di), Costantino il Grande dall’Antichità all'Umanesimo. Atti del Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico. Macerata 18-20 dicembre 1990, Macerata 1993, 357-362; il quale data il cambiamento nella rappresentazione del Cristo nell'ultimo periodo del regno di Costantino e la definizione nella seconda metà del IV sec. d. C., quando ist dem Christentum von den Kaisern. ... die Rolle der rümischen Staatsreligion übertragen worden...und....die vom Kaiserhaus großzügigst geförderten monumentalen Kirchenbauten sind. ... materielle Zeugen dieses inneren Wandels, wie das in eindruksvoller Weise imperialisierte Christusbild in Apsiden derartiger Bauten. Da. …die imperiale Ideologie auf der Vorstellung einer Delegation der Macht an den regierenden Kaiser beruht, muß Christus deren Rolle übernehmen. Avvenne così il passaggio dalla raffigurazione di Cristo come pedagogo-filosofo con tratti a volta di taumaturgo — caratterizzata da sandali, tunica e pallio con il volumen o il bastone — a rappresentante della maestà divina dell'imperatore, raffigurato con il nimbus e su una sfera, immagine dell' orbis terrarum. Si comprende meglio lo strano invito (M. Mazza, Sulla teoria della storiografia cristiana: Osservazioni sui proemi degli storici ecclesiastici, in La storiografia ecclesiastica nella tarda antichità, Atti del Convegno tenuto in Erice, 3/8 -XII-1978, Messina 1980, 357 ss.) di Sozomeno aTeodosio Il di correggere all'interno dell' historia quel che volesse. Esso appare possedere una valenza politica di notevole spessore. Lo storico ecclesiastico si era

impegnato a delineare l'immagine dell'imperatore pio, ortodosso ed “asceta”, quale Teodosio Il voleva fosse definita. Questa ribadiva la funzione del sovrano quale κοινὸς ἐπίσκοπος (J. Straub, Constantine as koinos episkopos: Tradition and Innovation in the Representation of the First Christian Emperors Majesty, DOP 21, 1967, 37-55), come era stato Costantino, nonché il ruolo di divino apostolo, paragonabile a Cristo, nonostante una limitazione, che riguardava le competenze specifiche (S. Mazzarino, Trattato di Storia romana, II. L’impero romano, Roma 1962^2, 426), ma non annullava probabilmente del tutto la pregnanza della funzione imperiale, attribuitasi dallo stesso Costantino ( v. C. 1, 44; 123 Heikel). Da tale interpretazione della funzione imperiale dipendeva la possibilità di contrastare il clero e la pienezza di numinosità, anche se questo principio poteva essere messo in pericolo dalle devianze dell'imperatore rispetto all'archetipo, a causa della sua umanità. In questo caso sarebbe stato il clero ad aver l' upper hand, come sottolinea G.W. Bowersock, From Emperor to Bishop: the Self Conscious Transformation of Political Power in the Fourth Century A.D., CPh. 81, 1986; ora in Selected Papers on Late Antiquity, Bari 2000, 57 ss. Una volta, però, che il βασιλεὺς avesse comprovato la propria εὐσέβεια e l'ortodossia e dunque si fosse palesato come già Costantino, che aveva saputo coinvolgere i rappresentanti dell’ ecclesia, competente episcopo di tutta la comunità, diventava possibile, anzi doveroso, accettarne il controllo e le disposizioni. L'opera di Sozomeno riflette la lotta feroce tra poteri in rotta, di collisione e il tentativo della corte imperiale di ritornare alla formula politica creata da Costantino ed espressa nella V.C., nella quale l'imperatore è descritto allusivamente anche con le caratteristiche del clericus (Soz. praef. = v.C. 1, 44, 2; 4, 17; 4, 22, 1; risp. 123, 125 Heikel). Sul tema insieme a infra nn.4-5; vd. le ultime e basilari ricerche di H. Leppin, Vom Kostantin dem Grossen zu Theodosius II: Das Christliche Kaisertum bei den Kirchenhistorichern Socrates, Sozomenus 6 Era l'esito di un lungo percorso. L'immagine dell'imperatore aveva sempre sofferto una certa carenza di numinosità.

Egli era stato sempre soggetto all’aggressività dei ministri del sacro, che tendevano a garantirsi la dipendenza del βασιλεύς, grazie all’insufficiente carica numinosa5. All’interno della storiografia ecclesiastica assistiamo per così dire alla lotta tra i diversi "luoghi del sacro"6 o, diremmo, "funzioni differenti del supremo potere". Dalla creazione eusebiana dell'imperatore Costantino, personalità carismatica per eccellenza, perché la sua numinosità aderisce perfettamente alla nuova identità7, si passa al piissimo Teodosio I, acquiescente all'autorità ecclesiastica di Ambrogio.8 und Theodoret, Göttingen 1999; Th. Urbainczyk, Observation on the differences between the Church History of Socrates and Sozomen, «Historia» 46, 1997, 353-373; ed Ead., Socrates of Constantinoples: Historian of Church and State, Ann Arbor 1997, 180 ss., nonchè l'acuta analisi condotta da G. Dagron, Empereur et Prêtre. Étude sur le «césaropapisme» byzantine, Paris 1996, 132 ss. 5 Un esempio significativo può essere considerato l'operato del clero del Serapeion d'Alessandria nel 69, anno in cui i sacerdoti del tempio esaltarono i poteri guaritori — e dunque la santità e maiestas — di Vespasiano, schierandosi apertamente a favore del generale sterminatore degli Ebrei. La temibilità del clero alessandrino e l'importanza del suo ruolo sono sottolineate dal fatto che la versione aretalogica serapista, tramandata da Svetonio, fu censurata dai conservatori Tacito e Cassio Dione, i quali erano ostili ai nuovi interlocutori politici, che temevano potessero indebolire il prestigio del senato. Filostrato, dal canto suo, garantì a Vespasiano una maiestas filosofica, Egli contrappose ai sacerdoti alessandrini Apollonio di Tyana, attribuendogli il ruolo appartenuto, nella versione egizia, al Serapeion. Cfr. Ph. Derchain, La visite de Vespasien d’Alexandrie, CE 28, 1953, 261-279; Id., Vespasien au Sérapeum, «Latomus» 12, 1954, 38-52; J. Gagé, La propagande serapiste et la lutte des empereurs Flaviens avec les philosophes (Stoiciens et Cyniques), RPh. 149, 1959, 73-100;

L. Cracco Ruggini, Potere e carismi in età imperiale, Studsto 20, 1979, 587. 6 La definizione, com'è noto, è di Brown, in D. Baker (a cura di), The Orthodox Church and the West, in Studies in Church History, 13, Oxford 1976, 1-24, trad. it. La cristianità orientale ed occidentale nella tarda antichità: la divergenza, in La società e il sacro nella tarda antichità, trad. it., Torino 1988 (trad. it. della raccolta di artt., Society and the Holy in Late Antiquity, London 1982), 128-155, spec. 136-138, relativa all'analisi della differenza all'interno della koine mediterranea tra un Occidente caratterizzato da una precisa determinazione dei “luoghi” e un Oriente caratterizzato da una sovrapproduzione del sacro. 7 G. Bowersock, The Imperial Cult: Perception and Persistence, in Jewisch and Christian Definition, 1982, ora in Selected Papers on Late Antiquity, Bari 2000, 43-56; Id., From Emperor to Bishop, cit., CPh. 81, 1986; ora in Selected Papers on Late Antiquity, Bari 2000, 57-67, fa notare come con Costantino si era dissolto il gap esistente tra ruolo e persona. In effetti l'imperatore, tramite il patto-θυσία, era diventato βασιλεύς, cioè subsatrapo del μέγας βασιλεύς e, come tale, recettore della divinità, al pari dei santi e come essi era oggetto di culto (ILS 705). Questo spiega l'apparente contraddizione insita nel potenziamento del culto imperiale ad opera di un imperatore cristiano e giustifica la reazione del clero, mirabilmente rappresentata, decenni dopo, dall’opposizione di Ambrogio al pontificato imperiale e probabilmente all'emissione di moneta di consecratio (Chr. Habicht in Le culte des Souveraines dans l'Empire romain, Entretiens Hardt 19, Vandocuvres-Genève 1973, 264 ss.). Contra, ibid., Calderone, che ritiene come ultima emissione quella di Costanzo Cloro, mentre le monete con capo velato o biga sarebbero caratteristica dell'ambiguità dell'epoca costantiniana, rappresenterebbero l'immortalità dell'anima e rivelerebbero un'anabiosi, non la divinizzazione.

Diversamente J. Arce, Imperial funerals in the Later Roman Empire, in F. Treuws-J.L. Nelson, Rituals of Power. From Late Antiquity to Early Middle Ages, Leiden-Boston-Köln 2000, 124, rivaluta la documentazione numismatica e propende per una divinizzazione di Costantino a Roma. 8 Acutamente Bowersock, From Emperor to Bishop, cit., 61 ss., cita l' ep. 17, 10 ss., indirizzata a Valentiniano II, in merito all’atteggiamento da tenere sul problema relativo all'altare della Vittoria, in cui Ambrogio minaccia velatamente l'imperatore di scomunica (... licebit tibi ad ecclesiam convenire: sed illic non invenies sacerdotem, aut invenies resistentem...) e sottolinea di parlare alla fede dell'imperatore direttamente come ministro di Cristo. Lo studioso inglese ricorda anche come coerentemente si sia comportato il vescovo nel 390 con Teodosio e fa rilevare come ... after Ambrose, no emperor would have dared to describe himself as Costantine once did, as a bishop among bishops (J. Straub, Costantine as koinos episkopos, cit., 37-55). G.F. Chesnut, The First Christian Histories, cit., 231, assimila l'intervento del vescovo a quello del filosofo, specialista nel trattamento dell'ira, probabilmente ben interpretando la coscienza che di sé poteva aver Ambrogio, non ancora sufficientemente lontano dalla παιδεία aristocratica, e comunque concordante con quella dei due ultimi “sinottici”, vuoi perché testimoni di certe tendenze culturali conservatrici presenti a 7 Costantino, nell'interpretazione eusebiana, grazie alla sua precisa scelta, consistente nella φιλοθεΐα e nella θυσία della propria anima a Dio, aveva operato, senza intermediazione, tranne quella “regalizzante” del Logos, una rilocazione della propria identità, ponendosi, se non al di sopra, sicuramente a fianco degli altri depositari dei carismi divini.9 corte, vuoi perché interessati interpreti di certe tendenze clericali (cfr. infra 23). Sempre fondamentale per la comprensione dell’episodio W. Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius d. Gr. , Münich.1953, 64-67 ("Der Bußakr von Mailand und seine Bedeutung"),

insieme al più recente E. Kolb, Der Bußakt von Mailand. Zum Verhältnis von Staat und Kirche in der Spätantike, in H. Boockmann-K. Jürgensen-G. Stoltenberg (Hrsg.), Geschichte und Gegenwart, Festschrift fur Karl Dietrich Erdmann, Neümunster 1989, 41 ss. Recentemente inoltre sulla differente trattazione dell’episodio da parte degli storici ecclesiastici si è soffermato Leppin, Vom Kostantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 115, 166 ss. Sull’aspetto specifico del rapporto del vescovo con il potere imperiale, oltre ai seminali studi di H.F. von Campenhausen, Ambrosius von Mailand als Kirchenpolitiker, Berlin-Leipzig 1929 e di J-R. Palanque, Saint Ambroise et l'Empire romain. Contribution à l'histoire des rapports de l'Eglise et de l'Etat à la fin du quatrième siècle, Paris 1933, insieme alla sconfinata bibliografia di carattere generale, cfr. R. Gryson, Le pêtre selon saint Ambroise, Louvain 1968; L.J. Swift, St. Ambrose on Violence and War, TAPhA 101, 1970, 533-543; R. Klein, Der Streit um dem Victoriaaltar. Die dritte Relatio des Symmachus und die Briefe 17, 18 und 57 des Mailander Bischofs Ambrosius, Darmstadt 1972; G. Gottlieb, Ambrosius von Mailand und Kaiser Gratian, Göttingen 1973; L. Cracco Ruggini, Ambrogio e le opposizioni anticattoliche fra il 383 e il 390, «Augustinianum» 14, 1974, 409-449; G. Madec, Saint Ambroise et la philosophie, Paris 1974; P. Nautin, Les premières relations d'Ambroises avec l'empereur Gratien, in Y-M. Duval (Éd.), Ambroise de Milan. Dix études, Paris 1974, 229-244; Y.-M. Duval, Ambroise de son élection è sa consécration, in G. Lazzati (a cura di), Ambrosius Episcopus, Atti del Congresso internazionale di studi ambrosiani nel XVI centenario della elevazione di Sant'Ambrogio alla cattedra episcopale, Milano 2-7 dic. 1974, Milano 1976, 235-283; A. Bonato, L'idea del sacerdozio in S. Ambrogio, «Augustinianum» 27, 1987, 423464; M. Sordi, La concezione politica di Ambrogio, in G. Bonamente-A. Nestori (a cura di), I cristiani e l'impero nel IV secolo, Atti del Congresso di Macerata (17-18 dicembre 1987), Macerata 1988, 143154; S. Mazzarino, Storia sociale del vescovo Ambrogio, Roma 1989, spec. 37 ss.; N. B. McLynn, Ambrose of Milan: Church and Court in a

Christian Capital, Berkeley-Los Angeles-London 1994; I.J. Davidson, Ambrose's De Officiis and the Intellectual Climate of the Late Fourth Century «Vigiliae Christianae» 49, 1995, 313-333; B. Ramsey, Ambrose, London 1997. 9 In merito a Eus. v. C. 4, 71 (141 Heikel), sulla sepoltura di Costantino tra i cenotafi dei dodici Apostoli e 1, 44, 2 (28 Heikel), sull'interpretazione del proprio ruolo come κοινὸς ἐπίσκοπος ἐκ θεοῦ καθιστάμενος commentato da Straub, Costantine as koinos episkopos, cit., 37-55; e ricordato da Bowersock, From Emperor to Bishop, cit., 61-67, pagine fondamentali in S. Calderone, Costantino e il Cattolicesimo, I, Firenze 1962, 44 ss. e Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des Souveraines dans l'Empire romain, Entretiens Hardt 19, Vandoeuvres-Genève 1973, 216-261, nonché Eusebio e l'ideologia imperiale, in C. Giuffrida-M. Mazza (a cura di), Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità, Atti del Convegno tenuto a Catania (27 settembre-2 ott.1982), Roma 1986, 1-26. Sul ruolo centrale che Costantino intendeva giocare vd. ultimamente H.A. Drake, In Price of Constantine. A Historical Study and New Translation of Eusebius’ Tricennial Oratio, Berkeley-Los Angeles-London 1976 e Costantine and the Bishops. the Politics of Intolerance, BaltimoreLondon 2000, 319, in cui lo studioso sostiene la volontà di coinvolgere il clero e la corresponsabilità di quest'ultimo sicché the agenda of emperor and bishops was the same. Cfr. anche Dagron, Empereur et Prêtre, cit., 133 ss. Sull'evoluzione dell'ideologia imperiale e l'accettazione del dominato e la "teologia solare" vd. infra nn. 6-8, insieme ai classici O. Th. Schulz, Vom Prinzipat zum Dominat. Das Wesen des römischen Kaisertums des dritten Jahrhunderts, Paderborn 1919; J. Straub, Vom Herrscherideal in der Spätantike, Stuttgart 1939; E. Altheim, Der unbesiegte Gott, Hamburg 1957, trad. it. Il dio invitto. Cristianesimo e culti solari, Milano 1960; J. Gagé, Basiléia. Les Césars, les rois d'orient et les mages, Paris 1968 e Id., Le paganisme impèrial à la recherche

d'une theologie vers le m. du 3. siècle, Verlag der Akademie der Wissenschaften und der Literatur, Mainz Wiesbaden 1978, 587-604; R. Fears, Princeps a diis electus. The Divine Election of the Emperor as a Political Concept at Rome, Am. Acad. in Rome, Rome 1977; spec. 244 ss.; F. Millar, The Emperor in the Roman World, London 1977; R. Turcan, Le culte impérial au IIIe siècle, ANRW II, 16. 2, Berlin-New York 1978, 996-1084, A. Wlosok (Hrsg.), Römischer KaiserKult, Darmstadt 1978, 48 ss.; A. Demandt, Kaisertum und Reichsidee in der Spätantike und Christentum. Beiträge zur Religions und Geistesgeschichte der griechischen-römischen Kultur und Zivilisation der Kaiserzeit, Berlin 1992; con i più recenti studi sul turning-point rappresentato dal 8 L'ideale messianico, una volta diffuso ed accettato dalle classi dirigenti, subì una trasformazione, un depotenziamento, testimoniato dalla “mediazione”10 degli storici ecclesiastici, riflesso della selfconscious transformation of the political institution, sottolineata da Bowersock.11 Nel suo πανηγυρικὸς λόγος Eusebio sicuramente ben esprimeva le idee della intelligencija clericale, volta ad assicurare l'eternità all'impero cristiano, operando contemporaneamente, come sottolineava Calderone12 una governo di Aureliano, E. Cizek, L'empereur Aurelien et son temps, Paris 1994, 101 ss.; T. Zawadski, Princeps necessarius magis quam bonus ( HA A 37, 17). Quelques remarques sur la morale politique dans l'antiquité tardive, in Historische Interpretationen, in M. Weinmann-Walser (Hrsg.), Historische Interpretationen, G. Walser zum 75 Geburgstag dargebracht von Freunden, Kollegen und Schulern, Stuttgart 1995, 203-212; e M. Clauss, Kaiser und Gott: Herrscherkult im römischen Reiches, Stuttgart 1999; e F. Kolb, Heerscherideologie in der Spätantike, Berlin 2001, 63 ss. insicmc a K. Groß-Albenhausen, Imperator christianissimus. Der christliche Kaiser bei Ambrosius und Johannes Chrysostomus, Frankfurt am Main 1999, 25 ss., incentrato sugli aspetti originali della “teologia

cristiana”. L'ambiguità di fondo della visione costantiniana si svela comunque, secondo L. Bréhier, Ἰερεύς καὶ βασιλεύς, in Mémorial Louis Petit, Bucarest 1848, 41-45, ora in H. Hunger (Hrsg.), Das Byzantinische Herrscherbild, Darmstadt 1975, 92 ss., nella necessità dei privilegi, che consentirono di differenziare l'imperatore dagli altri fedeli, nonostante che egli si potesse fregiare del titolo di Ἰερεύς καὶ βασιλεύς, come fece Leone l'Isaurico. 10 Usiamo il termine, pur consci dell’originalità del pensiero eusebiano (vd. il fondamentale contributo di Calderone, Eusebio e l'ideologia imperiale, in Le trasformazioni della cultura, cit., 1-26), per sottolineare la continuità di riflessione da partc dell’ intelligencija clericale sull'organizzazione statale, riferendoci alla celebre teoria baynesiana (N.H. Baynes, Eusebius and the Christian Empire, AIPhO 2, 19331934, 13-18, ora rist. in Byzantines Studies and Other Essaies, London 1955, 168 ss.), relativa alla conversione, operata dal “mediatore” Eusebio, sulle concezioni di filosofia politica ellenistica basate sul concetto di mimesi. Questa mediazione sembra portare all’interno di un contesto culturale biblico-cristiano motivi di tradizione ellenistica, creando una koiné consona alla formazione di una nuova classe dirigente, dalla quale sono accettate come proprie tendenze culturali, prima considerate esclusivamente popolari, quali ad es. il plenty of beliefs, analizzato da Momigliano, Popular Religious Beliefs and the Late Roman Historians, in Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, 1975, 92. Lo studioso considera, però, queste caratteristiche comuni alle élite e alle masse, non omologo culturale di una nuova classe dirigente. 11In un mondo concepito ancora come parallelo a quello celeste (S. N. Eisenstadt, The Axial Age: The Emergence of Transcendental Visions and the Rise of Clerics, «European Journal of Sociology» 23, 296), Costantino poteva rappresentare il suo nuovo ruolo seguendo le tendenze "omologizzanti" della cultura pagana, cioè attraverso una mitologia, seppur cristologica e non tradizionale. Allorquando si venne

ad affermare una cultura tipicamente assiale, cioè caratterizzata dalla fede in un superiore ordine etico e metafisico, trascendente ogni data realtà mondana (K. Jaspers, Vom Ursprung und Ziel der Geschichte, Munich 1942) - quindi nel nostro caso con la piena cristianizzazione dell'impero in epoca teodosiana - il clero ebbe la meglio sulle istituzioni, sentite sempre più come relative al saeculum. L'afflato religioso della costruzione eusebiana andò perduto; nc rimase la valenza politica. L'interpretazione cosmologica del vescovo di Cesarea, solo parzialmente supportata dalla dimensione divina, risultò molto più debole. Si rientrò all’interno di una visione laica del potere, seppur mutata, e il clero assunse il ruolo prestigioso di unico interprete della volontà divina. Il turning-point, secondo Bowersock, From Emperor to Bishop, cit., 65, fu rappresentato dall'episcopato di Ambrogio, che pose fine alla relation between Christianity and imperial rule that had obtained from the time of Constantine. In realtà dall'analisi delle testimonianze degli storici ecclesiastici sembra di assistere, ancora durante il V secolo alla gara di poteri in rotta di collisione, che determinò le varie oscillazioni nella definizione del potere politico (cfr. C. Giuffrida, L'impero e gli imperatori nella storiografia ecclesiastica. La politicizzazione del χάρισμα, in Salvatore Calderone (1915-2000). La personalıta scientifica, Atti del Convegno internazionale di studi (Messina 19-21 febbraio 2002), Messina 2003, 390. 12 Calderone, nella sua fondamentale analisi del Triak., Teologia politica, successione dinastica e consecratio, cit., 217 ss. ed ora anche Eusebio e l'ideologia imperiale, cit., 3 ss.; ha reso evidente l'importanza della teologia politica eusebiana, già teorizzata da C. Schmitt, Politische Theologie, 2, Berlin 1970, 68-88, ora ristampato in G. Ruhbach (Hrsg.), Die Kirche angesichts der kostantinischen Wende, Darmstadt 1976, 220-235; e annunciata da Baynes, Eusebius and the Christian Empire, ora rist. in Byzantines Studies, cit., 16-172; sul problema vd. anche i classici E. Peterson, Der Monotheismus als politisches Problem. Ein Beitrag zur Geschichte der politischen Theologie im Imperium Romanum, Leipzig 1935, ora in Id.,

Theologische Traktate, München 1951, 45-147 e F. Dvornik, Early Christian and Byzantine Political 9 tra le più significative trasformazioni della cultura nella Tarda Antichità; di reale “epochale Bedeutung”, secondo F. Taeger.13 Diverso il pubblico14 degli “scolastici” Socrate e Sozomeno, ma anche del vescovo Teodoreto. I loro referenti appaiono disposti ad accettare il ruolo dell'imperatore eletto dalla divinità, rivalutando, però, contemporaneamente l'importanza dell'ὁμοίωσις θεῷ, attuata tramite non solo φιλοθεΐα ed εὐσέβεια15, ma anche grazie a tutte le virtù tradizionali. Negli ultimi due dei cosiddetti sinottici appare anche una certa sfumatura teocratica, secondo la quale il sovrano è un puro tramite del μέγας βασιλεύς, in tutto e per tutto da esso dipendente, e sul quale il clero viene legittimato a esercitare un controllo. Da Socrate, che tralascia l'episodio del Bußakt di Teodosio I, si passa a Teodoreto, che non solo ricorda la penitenza e la sottomissione dell'imperatore, ma anche evidenzia più volte come l'imperatore cristiano governa su dei congiunti, che per religione sono conservi, rispetto all'unica autorità che è il monarca Philosophy. Origin and Background, Washington 1966, 659 ss.; per la tematica del Triak. cfr. W. Ensslin, Gottkaiser und Kaiser von Gottes Gnaden, SBAW Phil.Hist. Kl. 6, 1943, ora parz. in H. Hunger (Hrsg.) Das byzantinische Herrscherbild, Wege der Forschung 361, Darmstadt 1975, 81 ss.; R. Farina, L'Impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del Cristianesimo, Zürich 1966, 263 ss.; J. Sirinelli, Les vues historiques d’Eusèbe de Cesarée pendant la periode prénicéenne, Dakar 1961, 112; K.M. Girardet, Das christliche Priestertum Konstantins des Grossen. Ein Aspekt der Herrscheridee des Eusebius von Caesarea, «Chiron» 10, 1980, 569-592; T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge Mass.-London 1981, 253 ss.; Av. Cameron, Eusebius of Caesarea and the Rethinking of History, in Tria Corda, Scritti in onore di A. Momigliano, Como 1983, 71-88; Mazza, Le maschere del potere, cit., 236 ss.; G. Bowersock, The Imperial Cult: Perception and Persistence, in Jewish and Christian

Definition, 1982, ora in Id., Selected Papers on Late Antiquity, Bari 2000, 43-56. 13 E. Taeger, Charisma. Studien zur Geschichte des antiken Herrscherkultes, II, Stuttgart 1960, 686 ss. 14 Cfr. Momigliano, Popular Religious Beliefs, cit., 92; Cracco Ruggini, Universalità e campanilismo, cit., 186 ss. Gli aggiustamenti cronologici (B.C. Stephanidis, Ἱστορικαὶ διορθώσεις εἰς τὴν Ἐκκλ. ἱστορίαν τοῦ Σοκράτους, EHBS 26, 1956, 57-128), trasgressivi rispetto alla tradizione storiografica, derivati da quella biografica ed agiografica, vengono a rappresentare una mistione di generi prima improponibile e acquistano, insieme all’intrusione di logiche metadisciplinari, un significato pregnante relativamente al pubblico “allargato” - nel senso, diremmo, della cooptazione ai livelli più alti - a cui si rivolgono le storie ecclesiastiche, non fortemente legato alla tradizione. Ciò non comporta affatto una connotazione di “espressione popolare” per il genere, né la dimensione di cultura subalterna, anzi implica la classificazione di questo tipo di produzione letteraria come elaborazione spesso colta ed ecclesiastica di motivi propagandistici, in un preciso contesto socio-culturale, interprete di una specifica esigenza politica (vd. per il suo valore ermeneutico e metodologico, E. Padagean, Discours écrit, discours parlé; Nieaux de culture à Bysance aux VIII-XI siecles, Annales ESC, 34, 1979, 264-278; e F. Graus, Volk, Herrscher und Heiligen im Reich der Merowinger, Praha 1965, trad. it. Le funzioni del culto dei santi e della leggenda in S. Boesch Gajano (a cura di), Agiografia altomedievale, Bologna 1976, 145-160; G, Leonardi, L'intellettuale nell'Alto Medioevo, in Il comportamento dell'intellettuale nella società antica, Giornate filol. genovesi 7, 20-21 febbraio 1979, Genova 1980, 32). Da quanto sopra detto si comprendono il travaglio e la fatica richiesti per l’elaborazione di un nuovo tipo di storiografia, differente anche da quella eusebiana e costretta ad affrontare i temi della realtà politica. Sulla nuova teoresi storiografica cfr. Downey, The Perspective, cit., 57-70; Dvornik, Early

Christian, cit., 659 ss.; Chesnut, The First Christian Histories, cit., 167191; L. Cracco Ruggini, The Ecclesiastical Histories and the Pagan Historiography. Providence and Miracles, «Athenaeum» 55, 1977, 107126, Ead., Universalità e campanilismo, cit., 159-607; Mazza, Sulla teoria della storiografia cristiana, cit., 335-389; Id., Lo storico, la fede ed il principe. Sulla teoria della storiografia ecclesiastica in Socrate e Sozomeno, in Le maschere del potere, cit., 255-318; B. Grillet, Introduction I-II, in Sozomène. Histoire ecclésiastique. L.-I-II, SCh 306, Paris 1983, 9-58; K. Smolak, Theodoret von Cyrus, in M. Greschat (Hrsg), Gestalten der Kirchengeschichte. Alte Kirche, II, StuttgartBerlin-Köln-Mainz 1984, 239-254; J. H.W.G. Liebeschuetz, Continuity and Change in Roman Religion, Oxford 1979, 261 ss.; Id., Barbarians and Bischops. Army Church, and State in the Age of Arcadius and Chrysostom, Oxford 1990; Id., Ecclesiastical Historians on their own Times, Studia Patristica 24, 1993, 151- 163; Leppin, Vom Kostantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 26 ss.; Urbainczyk, Observation on the differences, cit., 353-373; ed Ead., Socrates of Constantinoples: Historian of Church and State, Ann Arbor 1997, 180 ss. 15 Cracco Ruggini, Potere e carismi, cit., 587 e Leppin, Vom Kostantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 160. 10 celeste.16 Nel primo caso, secondo la ben nota trasposizione cronologica, funzionale l'evidenziazione di un cammino verso. la perfetta sacertà17, Teodosio I è convinto da Ambrogio18: «οὐκ οἶσθα ὡς ἔοικεν, ὦ βασιλεῦ, τῆς εἰργασμένης μιαιφονίας τὸ μέγεθος, οὐδὲ μετὰ τὴν τοῦ θυμοῦ παῦλαν ὁ λογισμὸς ἐπέγνω τὸ τολμηθέν: οὐκ ἐᾷ γὰρ ἴσως τῆς βασιλείας ἡ δυναστεία ἐπιγνῶναι τὴν ἁμαρτίαν, ἀλλ᾽ἐπιπροσθεῖ ἡ ἐξουσία τῷ λογισμῷ. χρὴ μέντοι εἰδέναι τὴν φύσιν καὶ τὸ ταύτης θνητόν τε καὶ διαρρέον

καὶ τὸν πρόγονον χοῦν ἐξ οὗ γεγόναμεν καὶ εἰς ὃν ἀπορρέομεν, καὶ μὴ τῷ ἄνθει τῆς ἁλουργίδος ἀποβουκολούμενον ἀγνοεῖν τοῦ καλυπτομένου σώματος τὴν ἀσθένειαν. ὁμοφυῶν ἄρχεις, ὦ βασιλεῦ, καὶ μὲν δὴ καὶ ὁμοδούλων· εἷς γὰρ ἁπάντων δεσπότης καὶ βασιλεὺς ὁ τῶν ὅλων δημιουργός. Ποίοις τοίνυν ὀφθαλμοῖς ὄψει τὸν τοῦ κοινοῦ δεσπότου νεών; ποίοις δὲ ποσὶ τὸ δάπεδον ἐκεῖνο πατήσεις τὸ ἅγιον; πῶς δὲ τὰς χεῖρας ἐκτενεῖς ἀποσταζούσας ἔτι τοῦ ἀδίκου φόνου τὸ αἷμα; πῶς δὲ τοιαύταις ὑποδέξῃ χερσὶ τοῦ δεσπότου τὸ πανάγιον σῶμα; πῶς δὲ τῷ στόματι προσοίσεις τὸ αἷμα τὸ τίμιον, τοσοῦτο διὰ τῶν τοῦ θυμοῦ λόγων ἐκχέαντι παράνομον αἷμα; ἄπιθι τοίνυν... In occasione invece della rivolta antiochena il monito gli è rivolto dal θειότατος Macedonio, tramite Elebeco e Cesario:19 οὐ βασιλεὺς εἶ μόνον, ἀλλὰ καὶ ἄνθρωπος. μὴ τοίνυν μόνην ὅρα τὴν βασιλείαν, ἀλλὰ καὶ τὴν φύσιν λογίζου· ἄνθρωπος γὰρ ὤν ὁμοφυῶν βασιλεύεις. In realtà, secondo l’opzione praticata da Teodoreto, la vecchia distinzione berkhofiana20 tra "coscienza teocratica” occidentale e bizantinismo orientale, criticata per molti aspetti da Leppin,21 sembra sbiadire e inverarsi nella prospettiva di precise e differenziate scelte politiche. 16 Thdt. h. e. V 18; V 20, 5-9 (risp. 309, 316 Parmentier). 17 Cracco Ruggini, Universalità e campanilismo, cit., 185; Ead., Imperatori romani e uomini divini (I-IV

secolo), in P. Brown-L. Cracco Ruggini-M. Mazza, Governanti e intellettuali popolo di Roma e popolo di Dio, Torino 1982, 66-67 e Poteri in gara per la salvezza di città ribelli: il caso di Antiochia (387 d. C.), in Hestiasis, Studi di Tarda Antichità offerti a S. Calderone, I, Messina 1986, 282-283, sottolinea come Teodoreto, fissasse la strage dei Goti, in realtà avvenuta nel 390, prima della rivolta di Antiochia del 387. Il vescovo di Cirro intendeva così rappresentare il percorso di Teodosio secondo un climax ascendente di εὐσέβεια, che dall'impulsività, testimoniata a Tessalonica, lo aveva portato a una più meditata attenzione nei confronti degli uomini santi. Sia che questa idealizzazione riprenda motivi della propaganda organizzata da Teodosio I, sia che rappresenti il progetto dell' entourage del nipote, non è certo casuale che anche Sozomeno (h. e. VII 25; 338 BidezHansen), in rapporto alla strage, attui una trasposizione cronologica, quando colloca la penitenza dopo il successo su Eugenio al Frigido, nel 394, quasi a dimostrare che un tale misfatto non avrebbe permesso la concessione divina della vittoria. Non si può ritenere nemmeno casuale il fatto che, sebbene si giustificasse l'aspetto machiavellico del potere di Teodosio I come tappa di un cammino cristiano, si esaltasse, nei confronti dell'ira imperiale, la πραότης di Teodosio II. Questa virtù poteva ben essere attribuita a un imperatore che, immagine speculare di Dio, governava su un regno organizzato dal Logos, fonte del nomos rispecchiantesi nel Codice. Un imperatore siffatto non aveva alcun bisogno, per essere indirizzato verso la retta via, della penitenza imposta da un vescovo come l’aristocratico Ambrogio, né da un asceta carismatico, come Macedonio (ὁ θειότατος, οὐδὲν μὲν τῶν κατὰ τὸν βίον ἐπιστάμενος καὶ τῶν θείων δὲ λογίων πάμπαν ἄπειρος ὤν, ἐν δὲ ταῖς τῶν ὀρέων κορυφαῖς διαιτώμενος καὶ νύκτωρ καὶ μεθ᾽ἡμέραν τῷ σωτῆρι τῶν ὅλων καθαρὰς προσφέρων εὐχάς [Thdt. h. e. V 17; 316 Parmentier)], né da un eremita come lo πνευματικός Giovanni di Licopoli, tanto meno da un archimandrita alla Scenute (P. Peeters, Une vie Copte de S. Jean de Lycopolis, AB 54, 1936, 356-381; Β Paschoud, L'Eglise dans l Empire romain: tendances dans l'Église

contre et pour l'empire, in Actes du VIIe Congrès FIEC, Budapest 3-8 sett. 1979, II, Budapest 1984, 197-272). 18 Thdt. h. e. V 18, 4 (309 Parmentier). 19 Thdt. h. e. V 20, 5-9 (316 Parmentier). 20 Cfr. H. Berkhof, Kirche und Kaiser. Untersuchung zur Entstehung der byzantinischen und der theokratischen Staatsauffassung in vierten Jahrhundert, Zürich 1947, 195 ss. 21 Leppin, Von Konstantin dem Groffen zu Theodosius II, cit., 260 ss. 11 Come correttamente giudicava Alan Cameron,22 al di là di Teodosio II, la cui immagine spesso acquisisce un significato del tutto simbolico, è possibile intravedere sullo sfondo una crudele lotta politica per la supremazia, ingaggiata da personaggi senza scrupoli, che appoggiavano diversi progetti politici e davano differenti interpretazioni del potere imperiale. Non si trattò probabilmente solo dello scontro di un circolo di tendenza paganeggiante,23 rappresentato a corte da Ciro, il poeta prefetto al pretorio (PPO), e dall’imperatrice Atenaide-Eudocia, donna di grande cultura degna di essere paragonata a Ipazia,24 contro l' élite cristiana. I risultati delle indagini prosopografiche sembrano accreditare l'esistenza di un “liberal party” il cui leader in origine era stato Antemio (PPO 405-414), il quale con suo figlio Isidoro (PVC 410-412) e il genero Procopio aveva gestito il potere nei primi anni del regno di Teodosio25. Il prefetto, già ambasciatore alla corte del re persiano,26 aveva adottato una politica moderata che, consentendogli di accettare la diversità, lo aveva portato a trovare un rapporto equilibrato con la Persia zoroastriana.27 L'ideologo di questo "partito liberale” era Troilo di Side,28 amico di Sinesio, parente di Filippo di Side, nonché maestro

di Socrate, lo storico ecclesiastico. A questo indirizzo politico, in seguito probabilmente fin dal 421 e con sempre maggior convinzione dal 422, nel momento delle trattative con i Persiani, condotte da Procopio, opportunamente richiamato alla ribalta - fece riferimento Eudocia, insinuandosi abilmente nel progetto ideato dalla cognata, ostile alla politica estera di Antemio. Pulcheria, sorella di Teodosio e figura femminile dominante a corte, si schierò ben presto contro le mire ambiziose29 del prefetto, sicché, all’età di quindici anni, decise di votarsi insieme alle sue sorelle alla verginità in modo tale da bloccare l’accesso al potere a qualsiasi personaggio di genere maschile che non fosse il fratello, e forse anche allo stesso imperatore. Diventata a Augusta ella celebró il suo potere attraverso i Long-Cross solidi,30 che rappresentavano la mano di Dio incoronante l'imperatrice, per 22 Attraverso la ricerca sui wanderings poets, provenienti da Panopoli e dintorni, commista a un'indagine prosopografica dei personaggi politici, Al. Cameron, The Empress and the Poet: Paganism and Politics at the Court of Theodosius II, YCIS 27, 1982, 217-290, giunge alla ricostruzione di quello che definisce un liberal party, che riuscì a gestire il potere dal 405 al 414, primi anni del regno di Teodosio e, dopo un intervallo di tempo rappresentato dal predominio di Pulcheria (414-422 d. C.), ebbe nuovamente la supremazia fino al 440, anno dell'esecuzione di Paolino, condannato a morte per la supposta tresca con Eudocia, In merito vd, infra 173 ss. 23 K. Holum, Pulcheria's Crusade AD 421-422 and the Ideology of Imperial Victory, GRBS 18, 1977, 163 ss. 24 Cameron, The Empress and the Poet, cit., 273, fa riferimento, non tanto sulla scorta di Socrate ( h. e. VII 21; 368 Hansen), ma delle fonti più tarde, all'accurata educazione che avvicinava molto l'imperatrice, per l'approfondimento della geometria e dell’astronomia, alla filosofa neoplatonica. In merito cfr. A. Ludwich, Eudociae Augustae, Procli Lycii, Claudiani reliquiae, Leipzig 1897, 3 ss. Eudocia forse ebbe modo

di conoscere la fama e la dottrina d'Ipazia, dato che il padre Leonzio era probabilmente un professore d'Alessandria e godeva dell'appellativo di filosofo, anche se poi, grazie a Olimpiodoro, ottenne la cattedra di retorica ad Atene nel 415. Sembra difficilmente attribuibile al caso che Leonzio vada ad Atene nello stesso anno dell'uccisione di Ipazia, tanto più che l'interpretazione della propria professione da parte sua sembra seguire la visione che del rapporto della filosofia con la retorica aveva la stessa Ipazia, la quale, proprio perché considerava la maieutica come primo mezzo per giungere alla verità e dunque non rinnegava l'aspetto politico della sua professione, pagò un prezzo altissimo. Sull'argomento, insieme a infra n. 48, vd. G. Beretta, Ipazia d'Alessandria, Milano 1993, 115, 123 ss. 25 Il silenzio di Sozomeno ( h. e. IX 1, 2; 390 Bidez-Hansen = Thdt. h. e. V 36, 2; 338 Parmentier e Philost. h. e. XII 7) in merito all'attività di Antemio, a favore dell’esaltazione di Pulcheria è indicativo del pubblico al quale era rivolta la sua opera. Così come la lode di Socrate è pienamente comprensibile alla luce della testimonianza di Sinesio ( epp. 1, 26, 47, 49, 73, 75, 91, 99, 101, 118, 119, 123, 129), il quale fa comprendere come Antemio facesse parte del cosiddetto circolo degli Elleni. 26 Thdt. h. rel. 8 ( PG LXXXII, 1369). Cfr. J. Keil, Die Familie des Prätorianerpräfekten Anthemius, Anz Wien 79, 1942, 197-201, sul rapporto tra Isidoro, proconsole d'Asia e l’ archimagos Apollonio. 27 Cfr. Holum, Pulcheria s Crusade, cit., 159 ss. 28 Socr, h. e. VII 1, 3 (348 Hansen). 29 In queste poteva anche rientrare il matrimonio di Pulcheria con un giovane discendente degli Anthemii, Fl. Anthemio Isidoro Theophilo, attestato come praeses provinciae Arcadiae in Stud. Pal, XIV 12a e P. Oxy.

XVI 1879. Tale minaccia giustificherebbe secondo Holum, Pulcherias Crusade... cit., 160, il voto delle figlie di Arcadio. 30 Per le discussione fondamentali J. P. Kent, Auream monetam... cum signo crucis, NC 20, 1960, 129 ss. e A.A. Boyce, Festal and Dated Coins of the Roman Empire, ANSNNM 153, New York 1965, 60 ss.; R. 12 testimoniare l'elezione divina tramite linea femminile e, contemporaneamente, tramite la simbologia della croce della vittoria, indicare la volontà di porre fine alla politica di tolleranza. Ella fu appoggiata in questo suo intento probabilmente da Helios, magister officiorum dal 414 al 427,31 da Aureliano, il nuovo PPO32 e al vescovo Attico, autore, con ogni probabilità, del progetto portato avanti da Pulcheria e fautore della conversione di Eudocia33. La grande abilità di Pulcheria e dei suoi consiglieri si deduce dalla vigile attenzione posta alle tecniche di comunicazione del tempo e all’uso sapiente di strategie propagandistiche vecchie e nuove, nel momento di estrema delicatezza rappresentato dalla “crociata” del 421-422. I consiglieri dell'imperatrice avevano concepito un programma atto a catturare il consenso, caratterizzato da forte impatto emotivo e da grande capacità evocativa. Esso ruotava intorno al fulcro simbolico della Santa Croce, riprodotta in oro e incastonata di gemme preziose per volere di Pulcheria e Teodosio II, nell'intento di rappresentare la gloria della vittoria cristiana sui Persiani, adoratori del fuoco34. Come narrano Niceforo,35 Teofane36 e Cedreno,37 Teodosio inviò all'arcivescovo di Gerusalemme, “ad imitazione della beata Pulcheria”, donativi per i poveri e una croce d’oro tempestata di gioielli, che doveva essere posta sul Golgota”.38 Essa simboleggiava la vittoria del figlio di Dio sulla morte, sul demonio e sugli infedeli, proprio secondo i canoni dell'ermeneutica cristiana

relativa allo strumento del martirio di Cristo.39 Di conseguenza essa ben si prestava a prefigurare la vittoria dell'impero sulla Persia.40 Non a caso sui solidi dell'Augusta si trova lo stesso modello iconografico, la croce impreziosita da gemme, atta, nel contempo, a sottolineare la pari dignità di Pulcheria nei confronti del fratello. L'ideologia imperiale e il ruolo dell'Augusta come garante della vittoria, forse suggerito dal vescovo Attico, autore del De fide et virginitate,41libello scritto probabilmente per esaltare il voto di Pulcheria quale Storch, The Trophy and the Cross: Pagan and Christian Symbolism in the Fourth and Fifth Centuries, «Byzantion» 40, 1970, 105 ss. 31 Il nuovo reggente, secondo A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, 284-602, I, Oxford 1964, trad. it., Milano 1973, 232. 32 Il prefetto, già sostenitore di Eudoxia, madre di Teodosio II, dedicò un busto di Pulcheria, posto nella curia tra le effigi dei due imperatori, Arcadio e Teodosio, per significarne la parità, in piena consonanza con l'immagine che di sé propagandava l'Augusta (Marcell. chron. II 71, 414, 1; Chron. Pasch. s. a. 414, 2; PG XCII, 785). 33 L'importanza del vescovo si desume dalla testimonianza di Gennad. vir. ill. 53 e di Marcell. chron. II 73, 416, 2. 34 Secondo Thphn. chron. a. m. 5920 (86 de Boor), Teodosio inviò la croce κατὰ μίμησιν τῆς μαχαρίας Πουλκερίας. 35 Niceph. Call. h. e. XIV 9 ( PG CXIVI, 1084-1085). 36 Thphn. chron. a. m. 5920 (86 de Boor). 37 Cedr. 592 ( PG CXXI, 644).

38 Long-Cross solidi furono coniati anche con l'immagine di Teodosio II, a indicare la volontà di assimilazione a Cristo da parte dei Teodosidi. Sul nesso vittoria/Cristo cfr. M. R. Alföldi, Bild und Bildsprache der Römischen Kaiser, Mainz am Rhein, 1999, 197. 39 Cfr. Just. apol. 1, 55; Orig. hom. 9, 1; Eus. triak. 9, 1 (219, 16 Heikel); v.C. 1, 32, 2 (22 Heikel); Cyrill. H. ep. Const. 3 ( PG XXXIII, 1169), Gr. Naz. or. 5, 3 (PG XXXV, 669) Ambr. obit. Theod. 43; Soz. h. e. 13, 4 (11 Bidez-Hansen) e le acclamazioni del concilio d'Efeso (W. Kratz, Koptische Akten zum ephesinischen Konzil vom Jahre 431 ( TU 26, 2 Leipzig 1904) 50. 40 In questa sede basterà ricordare il classico J. Gagé, Σταυρὸς νικοποιός: la victoire impériale dans l'empire chrétien, «Revue d'histoire et de philosophie religieuse» 13, 1933, 370 ss. 41 Gennad. vir. ill. 53; Marcell. chron. II 73, 416, 2. Gennadio testimonia come Attico avesse un'opinione totalmente contraria a quelle che sarebbero state le teorie duofisite nestoriane (G. Bardy, Atticus de Constantinople et Cyrille d'Alexandrie, in A. Fliche-V. Martin, Histoire de l'église depuis les origines jusq à nos jours, III, Paris 1937, 149 ss.). Come attesta un’omelia pronunciata durante la festività del Natale (J. Lebon, Discours d'Atticus de Constantinople «Sur la Sainte Mère de Dieu», «Muséon» 46, 1933, 167-202 = M. Brière, Une homélie inédite d'Atticus, Patriarche de Costantinople (406-25), ROC 29, 1933-34, 160-186), egli sicuramente contribuì al riscatto delle donne discriminate a causa della loro origine da Eva (J. Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt und im Urchristentum, Leipzig 1954, 186-210; J.G. Davies, Deacons Deaconesses and Other Minor Orders in Patristic Period, JEH 14, 1963, 1-15). La vergine Maria

cooperava alla redenzione dell'universo aprendosi alla comprensione del divino, grazie alla sua fede e alla sua 13 sacrificio atto a suggellare il patto con Dio - si esprimeva anche attraverso l'utilizzazione politica delle reliquie di S. Stefano. Il martire, attraverso la simbologia della corona, a cui rimandava il suo nome, venne ad acquisire le caratteristiche del miles cristiano ideale, predestinato alla vittoria. Le reliquie del santo, donate dal vescovo ierosolimitano, Prayllio, come segno di gratitudine per i donativi e la croce ricevuti, furono accolte da Pulcheria a Calcedonia e poi trasportate a Costantinopoli, secondo un rituale che si conformava alle modalità di un vero e proprio adventus.42 Esse infine furono poste nel Martyrium, costruito appositamente all'interno del palazzo imperiale, dove Stefano e il suo simbolo, la corona della vittoria, “convissero con la basilissa".43 A chiudere il cerchio dei continui rimandi simbolici, nella celebre chiesa fu custodita anche, probabilmente fin dal tempo della fondazione voluta da Pulcheria, la così detta “croce di Costantino”, cioè una riproduzione, in oro e gemme, della preziosa croce raffigurata, in un affresco o su un mosaico, nei penetrali del palazzo per volere di Costantino il Grande.44 Il relativo insuccesso della spedizione persiana fu in qualche modo propagandato come una delle vittorie di Cristo e del suo popolo, simboleggiata dalla croce, che non solo era raffigurata nel solido di Pulcheria, ma anche rappresentata dalla riproduzione della croce "costantiniana", memento della battaglia al ponte Milvio, fatta costruire dalla stessa Pulcheria, per la chiesa del martire, al quale era devota anche Eudocia45, sposa di Teodosio già dal 421. obbedienza. Attico presentava Maria come l'archetipo virginale, la cui castità le tre sorelle di Teodosio dovevano imitare. Così esse avrebbero ricevuto Cristo nel grembo della fede proprio come Maria aveva ricevuto il re dell’universo nel suo grembo. La validità delle riflessioni di Attico sarebbe stata riaffermata in seguito da Proclo

vescovo di Costantinopoli dal 434, non a caso già estensore dei suoi discorsi, che avrebbe messo in relazione l'accoglimento del Verbo nel grembo di Maria con il trasferimento del Crocifisso nella camera di Pulcheria (Proc. serm. 1, 1-2, ACO I 1, 1, 103-104), immagine che sembra aver avuto una certa diffusione (cfr. infra n. 41). La propaganda si svolgeva tra l'altro in cerimonie solenni, che, grazie alle autorità ecclesiastiche, all'interno della cattedrale sancivano la parità dell'Augusta. Ella in occasione della Pasqua di Resurrezione entrava nel santuario, dal quale erano prima banditi laici e donne, a prendere la comunione con il fratello e i sacerdoti, manifestando dinanzi all'entusiasmo popolare la sacralità della sua βασιλεία. Naturalmente queste alleanze avevano conseguenze anche in campo di politica estera. Infatti Attico tra l'altro, in risposta all’irrigidimento da parte di Yezdegerd, incitò il governo a fare qualsiasi cosa per contrastare la nuova politica persiana, favorendo l'inizio della guerra nel 421 (Socr. h. e. VII 17, 3; 362 Hansen). All'esaltazione della santità dell’imperatrice collaborò attivamente anche Cirillo ( ACO I, 1, 5, 62), il quale sembra aver voluto, a ragion veduta, l'eliminazione della vergine pagana Ipazia, la cui alternatività era considerata alla base dì un modello contrappositivo molto pericoloso. Il laico Socrate con lo spazio dedicato nella sua H.e. alla neoplatonica certamente e forse, non casualmente, mette in risalto il paradossale comportamento del vescovo alleato della vergine cristiana, ma crudele e deciso oppositore della vergine pagana. 42 Cfr. S. Mac Cormack, Change and Continuity in Late Antiquity: the Ceremony of Adventus, «Historia» 21, 1972, 747 ss. e N. Gussone, Adventus-Zeremoniell und Translation von Reliquien: Vitricius von Rouen, De Laude sanctorum, «Frühmittelalterlische Studien» 10, 1976, 128 ss. 43 L'espressione usata nell'encomio di S. Stefano, trovato tra gli spuria di Giovanni Crisostomo ( PG LXIII, 933), recita: ἐταλάμευσε αὐτόν.

44 Eus, v.C. 1, 29 (21 Heikel); 31, 3 (21-22 Heikel); Cyr. H. ep. Const. 5 ( PG XXXIII, 1172), Ambr. obit. Theod. 41. 45 Probabilmente nel 439, quando l'imperatrice prese il sopravvento su Pulcheria intese dare un forte segnale di continuità dal punto di vista religioso, anche se il monofisismo di Rudocia e Ciro sembra sincero, data la costruzione, da parte del prefetto, della chiesa della Theotokos (R. Janin, La géographie ecclésiastique de l'empire byzantine, III/1. Les églises et les monastères, Paris 1969, 193-195). Probabilmente Eudocia voleva rintuzzare l'accusa di paganesimo, mossale da più parti a causa dell'amore per la cultura “ellenica”, dimostrato in molteplici attività: nella produzione letteraria a partire dal 422, nella fondazione dell'Università" nel 425, nel favore per gli antemiani. La smentita del suo presunto paganesimo da parte dell'imperatrice fu inequivocabile, poiché insieme a Melania essa riuscì a riportare le restanti reliquie di S. Stefano a Costantinopoli, indicando contemporaneamente la rinnovata certezza nella vittoria e la fiducia nel nuovo Palladio in un momento delicato, caratterizzato dalle incursioni della pirateria vandala, contro le quali il prefetto Ciro (B. Mayer Plath-A.M. Schneider, Die Landmauer von Konstantinopel, II, Berlin 1943, 152 ss.) eresse le sue mura ( Chron. Pasch. s. a. 439; PG XCII, 801; Thphyl. 8, 8, 2 e 11, risp. 292 e 297 de Boor); Joh. Geom., anth. Gr. III; ed. Cougny, 1890, 1, 355-356). Cfr. infra 241 ss. 14 In realtà nei primi anni dopo le nozze di Teodosio, sembra che le due Auguste e le relative fazioni abbiano trovato un'intesa apparente, al cui interno le forze e gli equilibri mutavano continuamente.46 La precarietà e la contraddittorietà dell’alleanza si palesarono nella conversione sui generis 47 della sposa di Teodosio II, operata da Attico, nel panegirico scritto da Eudocia per la vittoria - raggiunta

tramite compromesso, portato avanti da figure istituzionali quali Procopio, il genero di Antemio, nuovamente tornato alla ribalta - e nella contemporanea apologia di Pulcheria, che attribuiva la vittoria al proprio voto di castità.48 Nonostante tutta la destrezza politica della sorella maggiore di Teodosio, che artatamente aveva scelto o, meglio, aveva dato il suo assenso alla scelta49 di una sposa non discendente direttamente da gentes costantinopolitane, sì da evitare un accordo temibile con gli "antemiani", una salda coalizione, dopo l'insuccesso di Ardaburio nella spedizione persiana, si venne a formare ugualmente. Essa forse fu consolidata da un background culturale e sociale che affondava le sue radici in un'area geografica ben precisa: l'Egitto. Leonzio, il padre di Atenaide, era stato “raccomandato” nel 415, per la cattedra di retorica ad Atene, da Olimpiodoro di Tebe, che probabilmente lo conobbe durante un suo soggiorno ad Alessandria insieme a Hierocle, il filosofo al quale dedicò il suo De fato.50 La vita culturale di Alessandria era vivacissima, essa contava sull'insegnamento di Orione e Hyperechio, che furono maestri di Atenaide e forse colleghi di Teone o della figlia Ipazia. Era probabile che due personaggi eminenti della cultura alessandrina quali Leonzio e il padre della neoplatonica si conoscessero, di fama o anche personalmente, e comunque le figlie appaiono aver ricevuto un'accurata istruzione nello stesso campo sì da essere esperte di astronomia e geometria e da avere una cultura filosofica di notevole livello.51 A giudicare 46 Probabilmente per questo motivo Malala non include alcun nominativo tra gli effettivi reggenti per gli anni 422-439, mentre per gli anni 408-414 ( chron. XIV 361; PG XCVII, 537) ci tramanda il nome del praepositus sacri cubiculi Antioco, per il periodo 439-441 ( chron. XIV 362; PG XCVII, 537) ricorda Ciro e a partire dal 441 ci fa il nome di Crisafio ( chron. 14, 363; PG XCVII, 540). 47 Nel senso indicato da Cameron, The Empress and the Poet, cit., 273 ss., cioè nel privilegiamento della cultura tradizionale, pur nella conversione alla fede cristiana, secondo un'intelligenza anche politica, non a caso lodata da Socrate.

48 Cfr. Holum, Pulcheria's Crusade, cit., 172 e già R. Demangel, Contribution à la topographie de l'Hebdomon. Recherches frangaises en Turquie, III, Paris 1945, 33 ss., il quale ricorda l'epigrafe dedicatoria di una statua di Teodosio II da parte della sorella maggiore su una colonna dell'Hebdomon, ove i successi dell'imperatore erano [ pro] votis sororum e non erano attribuiti ai successi di Procopio, come si legge in Socrate, h. e. VII 20, 9 (366 Hansen). 49 Il romantico incontro, insieme al ruolo di Pulcheria, è considerato da Holum, Pulcheria’s Crusade, cit., 170, n. 69, un motivo della propaganda (Marcell. chron. Il 75, 421, 1; Chron. Pasch. s. a. 420, PG XCII, 792-793; Socr. h. e. VII 21, 8, 368 Hansen; Olymp. frg. 28, FHG IV, 59). Invece viene analizzato e visto come possibile da Cameron, The Empress and the Poet, cit., 276, in quanto tramandato anche da Malala ( chron. 14, 354-355; PG XCVII, 528-529), che come nipote della moglie di Asclepiodoto, a sua volta zio di Eudocia, doveva essere ben informato sui fatti. Cfr. infra 174. 50 Photius bibl. cod. 314. 51 Niceph. Call. h. e. XIV 23 ( PG CXLVI, 1129); Jo. Mal . chron. XIV 353 ( PG XCVII, 528). Per lo studio dell'astrologia nella Tarda Antichità, come interpretazione della realtà, comune a pagani, giudei e cristiani, cfr. K. von Stukrad, Christian Astrology in Late Antiquity, «Numen» 47, 2000, 1-40, confermato sotto altri aspetti da M. Meslin, Temps initiatique et progrès spirituel dans la nouvelle religiosité, in Le temps chrétien de la fin de l'Antiquité au Moyen Age III-XIII s., Colloques inter. du CNRS, n. 604, 1984, 49. 15 dall'importanza che Socrate, nella sua H. e.,52 ha concesso alla filosofa, si potrebbe addirittura pensare che essa potesse rappresentare in origine il paradigma di vita della futura imperatrice. La provenienza, insieme alla cultura e all’abilità poetica, dovette giovare, e non poco, a Ciro di Panopoli, che divenne il prefetto al

pretorio di Eudocia nel 439, nel momento in cui lo spatario Crisafio cominciò ad assestare i suoi colpi, riuscendo a spingere Pulcheria a ritirarsi all'Hebdomon. Ciro e la sua benefattrice ebbero la possibilità di governare per poco tempo. Già nel 441 il prefetto53 aveva pattuito l'esilio come vescovo di Cotyaeum ed Eudocia, colpita dall'accusa di aver tradito il marito con Paolino, magister officiorum, era andata, nello stesso anno, in pellegrinaggio forzato a Gerusalemme.54 52 Socr. h. e. VII 21, 6 (390 Hansen), il quale sembra assolvere l'Eva pagana e non quella cristiana (M.-J. Nicolas, La doctrine mariale et la théologie chrétienne de la femme in 8.1. D'Hubert du Manoir (Éd.) Maria: études sur la Sainte Vierge, VII, Paris 1964, 341-362; E. Guldan, Eva und Maria, Graz 1966, 26-35; R. Murray, Mary the Second Eve in the Early Syriac Fathers, «Eastern Churches Review» 3, 1971, 372-384; H.C. Graef, The Theme of the Second Eve in Some Byzantine Sermons on the Asssumption, Studia Patristica 9, 1966, [ TU 94, 224-230], cioé Pulcheria, che appoggiava il fanatismo di Cirillo, aspramente criticato dallo storico ecclesiastico ( h. e. VII 15, 1 ss.; 360-361 Hansen). Il vescovo, anche se con metodi discutibili, del resto, cercava di approfittare dei cambiamenti degli equilibri politici registratisi a corte, per ridurre al silenzio il moderato Oreste e soprattutto la vergine filosofa. Ella in base al principo platonico (Phd. 67 b) μὴ καθαρῷ καθαροῦ ἐφάπτεσθαι μὴ θεμιτὸν ᾖ, era in grado di battersi con i modelli cristiani, sapeva contrastare, con la sua σοφία, l'attrattività delle verità di fede e competere per la leadership all'interno di quel complesso nucleo urbano che era Alessandria, grazie al forte assenso che riscuoteva sia a livello alto sia a livello medio (G. Beretta, Ipazia d'Alessandria, Milano 1993, 115, 123 ss.; con il più recente Chr. Lacombrade-N. Laoujoulat, Hypatie, Synésios de Cyrène et le patriarcat alexandrine, «Byzantion» 71, 2001, 421 ss.). Diventa

comprensibile, a fronte dell'eliminazione della neoplatonica, la necessità di Leonzio di allontanarsi dalla città, grazie ai favori di Olimpiodoro, il quale aveva collaborato con Antemio come ambasciatore e faceva parte di quello schieramento che favorì l'ingresso di Atenaide a corte. Di questo schieramento aveva fatto parte Sinesio, discepolo d’Ipazia, a questo appartenevano i fratelli di Atenaide, che infine ottennero l’Illirico, cioè la roccaforte degli “Elleni”; con questo collaborava non da ultimo lo scolastico Socrate, probabilmente influenzato dal milieu culturale alessandrino secondo P. Chuvin, I filosofi e la loro religione nella società di Alessandria nel V secolo, in Questioni neoplatoniche, Symbolon 6, Catania 1988, 45-62, spec. 49). All’interno di un siffatto contesto, il racconto della morte di Ipazia sembra acquistare una specifica valenza semantica, atta a dimostrare come la mancata osservanza della πραότης, in definitiva della tolleranza, possa portare a crimini nefandi nei confronti anche di personalità illustri, che, in una visione "simmachiana”, avrebbero potuto essere assimilate, ma che avevano il grande torto di non aver saputo o voluto corrispondere alle attese degli strati più disagiati della popolazione. Questi scelsero di supportare parabalani e filoponi nell'opposizione ai ceti dirigenti urbani. 53 Come lo stesso Ciro annunciava ( AP IX, 136): Πιερίδες, φεύγωμεν ἐυκτιμένην πόλιν, ἄλλην / πατρίδα μαστεύσωμεν· ἀπαγγελέω δ᾽ ἄρα πᾶσιν, / ὡς ὀλοοὶ κηφῆνες ἐδηλήσαντο μελίσσας. 54 Vari autori, tra gli altri Jo. Mal. chron. XIV 363 ( PG XCVII, 540); Thphn. chron. a. m. 5940, 99, 18-28 de Boor; Georg. Hamart. 609, 9610, 6 de Boor; Leo gr. 106, 16-107, 10 CSHB; Zon. 3, 110, 10-111, 9 CSHB; Manasses, chron. 2663-2701, 115-117 CSHB, registrano l’episodio della mela offerta da Teodosio a Eudocia. La moglie, però, malauguratamente la donò al magister officiorum Paolino, suo probabile amante, il quale ebbe, a sua volta, la sfortunata

idea di regalarla all'imperatore, decretando così la propria fine. Sebbene le fonti attestino date discordanti - il 440 (Marc. chron. II 80, 440, 1) e il 444 ( Chron. Pasch. s. a. 444; PG XCII, 801-804), Cameron, The Empress and the Poet, cit., 261-263, contro Bury, LRE, 12, 230, n. 4, convincentemente, sulla scorta di Suida k. 2776, considera il 441 come probabile inizio di un esilio dorato dell'imperatrice, mentre fissa l'inizio dell'ostilità nel 444, quando Eudocia uccise gli inviati di Teodosio. Nell'episodio, comunque, sembrano confluire tutti e quattro gli aspetti fondamentali dell’ Apfelssymbolik (M. Langauer, Untersuchungen zur Symbolik des Apfels in der Antike, Inaugural-Dissertation der Philosophischen Fakultät der FriederichAlexander-Universität zu Erlangen-Nürnberg, Erlangen 1967, passim). Con il retaggio dell " apple of jealous Strife", legato alla scontro con l'Oriente, si lega il popolare motivo erotico (A.R. Littlewood, The Symbolism of the Apple in Byzantine Literatur, JÖB 23, 1974, 39 ss.) insieme a quello della Reichsapfel, simbolo del potere (P.E. Schramm, Sphaira, Globus, Reichsapfel: Wanderung und Wandlung eines Herrschafiszeichens von Caesar bis zu Elisabeth II, Stuttgart 1958, 34 ss.), congiuntamente alla condanna di Adamo ed Eva. Infatti il dono avrebbe in definitiva provocato tra i due coniugi un dissidio dalle esiziali conseguenze, d'altro canto questo pegno d'amore avrebbe consegnato il mondo nelle mani di Eudocia, la quale avrebbe mostrato la propria indegnità cedendolo al complice del suo 16 Probabilmente la trama era stata ordita da Crisafio, a partire da quell'anno padrone della scena politica, sostenuto dal vescovo di Alessandria Cirillo, che con ogni probabilità lo aveva incluso nella lista dei donativi, in verità fin dal 413 dal prelato destinati alla corte55. Il contrasto tra le due Auguste e le relative fazioni d'appartenenza, sia nella sua fase latente, sia in quella esplosiva, si era svolta anche a livello di disputa religiosa. Dal 428 il vescovo di Alessandria, Cirillo, era stato il protagonista di una grande lotta religiosa e politica in nome del

monofisismo contro il duofisismo di Nestorio, vescovo di Costantinopoli. A nulla era servito il tentativo, esperito da Teodosio II, di mediare tra le opposte tendenze della scuola antiochena ed alessandrina. I disordini suscitati a Efeso, durante il concilio del 431, dai seguaci di Cirillo e di Memnone e i successivi disordini a Costantinopoli, insieme all’azione del monaco Dalmazio e i consigli dello stilita Simeone, vicini a Pulcheria,56 convinsero Teodosio a cambiare partito. Se in un primo momento egli aveva sconfessato sia Nestorio sia Cirillo e a Calcedonia aveva cercato di trovare un punto d’incontro, infine Nicomedia appoggiò la chiesa alessandrina. L'imperatore bandì da Antiochia Nestorio, già deposto dal seggio costantinopolitano nel 431, per confinarlo nel 435 a Petra ed infine all'Oasi, in pieno deserto, dove lo sfortunato vescovo finì la sua vita. peccato. Nell'episodio, l’ Apfelssymbolik sembra veicolare un nuovo messaggio. Infatti alla solita identificazione con il sommo potere ( Reichsapfel) viene ad aggiungersi il simbolo del peccato originale. Il fine propagandistico sotteso alla narrazione sembra essere la dimostrazione dell'impossibilità per l'Eva pagana di una reale compartecipazione al potere e ancor più della necessità di cedere il mondo all’Eva cristiana, la vergine Pulcheria, Cfr. infra 225. 55 ACO 1, 4, 223-24. Un quadro della corruzione messa in atto da Cirillo è tramandato dalla nota lettera di Epifanio, che fornisce una lista delle persone a cui il vescovo elargiva le sue “benedizioni”. Ulteriori dettagli sono forniti dal MS. trovato a Monte Cassino, che costituisce una parte della lettera di Epifanio, studiata da P. Batiffol, Les presents de St. Cyrille à la cour de Constantinople, in Études de liturgie et d archeologie chrétienne, Paris 1919, 159 ss. 56 Dell’Augusta sono noti i legami con alcune comunità monastiche e i loro archimandriti come Ipazio, o Alessandro l’Acemeta (vd. infra 179), nonché l'attenzione nei confronti delle folle di poveri, che erano calamitate dalle sedi ecclesiastiche per le elemosine o anche dalle domus dell’Augusta e delle sorelle, grazie alle elargizioni o alle possibilità lavorative che esse offrivano. Non a caso Alessandro

condusse i suoi ἀκοίμεται vicino alle Rufinianae, una delle residenze di Pulcheria, accanto alla chiesa dei SS. Apostoli, dove si trovava anche Ipazio (Call. v. Hyp. 57, 3-4; PO 6, 641-706). Fin dagli inizi della sua ascesa al potere la figlia d’Arcadio era riuscita a tessere una fittissima rete di rapporti in grado di supportare la sua reggenza e che in un secondo momento riuscirono anche probabilmente a salvarle la vita ed infine a ricondurla al potere. L'alleanza con Attico giovò a rinsaldare l'immagine della seconda Eva, come testimonia il sermone pasquale pronunciato dal vescovo, ma la nuova e straordinaria dignità femminile era sottolineata anche da un recente e preciso rituale, che collegava la rinascita e la vittoria dello stato cristiano sui suoi nemici anche con la basilissa. Ella divenne la protettrice del suo popolo, legando la propria immagine alla Vergine Madre di Dio, concretamente soccorrendo le masse indigenti ed esteriormente sottolineando la propria vicinanza a Dio con la costruzione di splendide chiese nei dintorni delle sue residenze, ove per altro erano custodite le reliquie di santi come Stefano. L'alone di santità, che la circondava, era anche ampliato attraverso la propaganda di rivelazioni destinate a rafforzarne la numinosità, come quella di S. Thirso che avrebbe segnalato la presenza dei cadaveri dei Quaranta Martiri dell’epoca di Licinio sotto il proprio altare. Il loro ritrovamento ovviamente contribuì a incrementare la popolarità dell'imperatrice che era riuscita a legare a sé uomini santi e santi morti (K.G. Holum, Theodosian Empresses. Women and Imperial Dominion in Late Antiquity, Berkeley-Los Angeles-London 1982, 131-137). Schierarsi contro il culto della Theorokos evidentemente significava alterare gli equilibri politici e sfidare la grande coalizione di forze politiche, religiose e sociali suddetta, in pratica, con ogni probabilità, equivaleva a firmare la propria condanna. Questa fu la scelta di Nestorio, che pagò con l'esilio la negazione della maternità divina della vergine e soprattutto il grave scontro con Pulcheria (St. WilliamsG. Friell, The Rome That did not Fall. The Survival of the East in the Fifth Century, London 1999, 49 ss.), quando l'intemperante vescovo di Costantinopoli alla domanda di Pulcheria, la quale provocatoriamente

chiese di essere riconosciuta come Madre di Dio, rispose che vedeva in lei una madre, ma quella di Satana ( Lettre à Cosma 8, PO 13, 279). 17 Il successore di Nestorio, Massimiano, doveva certo riuscire più gradito alla monofisita Eudocia,57 che in questa sua propensione avrebbe trovato un complice in Crisafio,58 destinato a diventare l'eminenza grigia della corte costantinopolitana per molto tempo. L'eunuco riuscì ad aprirsi un varco tra i due schieramenti,59 facendo prima leva su Eudocia, alla quale consentì di governare insieme a Ciro di Panopoli, non a caso un Egizio,60 dal 439 al 441. L'abile spatario rinnovò l’alleanza con Eudocia solo nel 448, nel momento dei contrasti sorti in merito alle teorie del suo padrino Eutiche. Questi era un potente archimandrita costantinopolitano di tendenza cirilliana ed era giunto, per il suo monofisismo, in rotta di collisione con Filarco di Costantinopoli, Domno di Antiochia e Teodoreto. Secondo la testimonianza di Niceforo Callisto61 fu proprio grazie all'intervento dell'imperatrice che Crisafio ottenne la convocazione del Concilio di Efeso del 449, la cui presidenza fu affidata al successore di Cirillo, Dioscoro. La fazione alessandrina aveva vinto, ma poté gioire del successo per poco tempo. Nel 450 Teodosio IΙ morì e la sorella Pulcheria, sposandone il successore, riuscì a riconquistare il potere. All'interno di questo contesto politico va inserita la composizione delle storie ecclesiastiche e possono essere comprese le loro differenze.62 Sarà allora maggiormente giustificabile il silenzio polemico di Sozomeno nei confronti di Socrate e la sfumatura “laica” che è riscontrabile in quest'ultimo.63 Sarà in definitiva possibile capire il significato reale della politicizzazione del pensiero eusebiano. Il background culturale riflesso 57 Il fratello Valerio la esortava ad abbandonare gli amici palestinesi di tendenza monofisita (Cyr. S. v.

Euthym. 30; 47, 12 Schwartz). Cfr. Cameron, The Empress and the Poet, cit., 276, n. 187. 58 La fede religiosa e l'appoggio politico conseguente da parte dell'eunuco vengono palesati dagli avvenimenti relativi a Eutiche, il monaco monofisita che difese le teorie di Cirillo contro Filarco, vescovo di Costantinopoli. In merito e sugli eunuchi a corte vd. infra 103, n. 548. 59 Thphn. chron. a.m. 5938 (97 de Boor); Jo. Nik. chron. 87; Niceph. Call. h. e, XIV 47 ( PG CXLVI, 1222). 60 E anche di fede monofisita, come dimostra la costruzione della chiesa della Theotokos, atta a rivelare una precisa opzione all'interno della polemica scoppiata tra Cirillo e Nestorio sulla maternità della Vergine, che Nestorio preferiva definire madre di Cristo e non di Dio. 61 Niceph. Call. h. e. XIV 47 ( PG CXLVI, 1222). 62 Cfr. Urbainczyk, Observation on the differences, cit., 353 ss. 63 Oltre ai già citt. Chesnut, The First Christian Histories, cit., 91 ss.; Urbainczyk, Socrates of Constantinoples, cit., 180 ss.; Leppin, Vom Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 26 ss., cfr. il lavoro di B. Bäbler-H.G. Nesselrath (Hrsg.), Die Welt des Socrates von Konstantinopel, Leipzig 2001, 56 ss. 18 dall’accettazione della metodologia tucididea64 e dall'assunzione del concetto del καιρός e della συμπάθεια stoica ci assicurano la vicinanza del primo dei “sinottici” al cosiddetto circolo di Atenaide.

Tenendo presente questo basilare punto di partenza, non possono stupire né la lode nei confronti degli Elleni/antemiani, vicini all'imperatrice,65 né il silenzio in merito all'operato di Pulcheria. Socrate porta avanti una proposta politica che affonda le sue radici nella riflessione politica della fazione moderata, capeggiata da Antemio, all’interno della quale una delle virtù regali più importanti è la clemente disponibilità (φιλανθρωπία)66, che il βασιλεύς dispensa a suo piacimento, avendo la conoscenza direttamente dal suo omologo celeste e perciò non avendo necessità del controllo del clero. La vicinanza dello storico al tradizionalismo senatorio non è rivelata solo dall’attenzione riservata alla curia costantinopolitana rispetto agli altri storici ecclesiastici67, ma anche dal tradizionalismo ideologico e dal programmatico distacco nei confronti dell'aura religiosa e di certo manierismo della produzione letteraria contemporanea. La scelta di non attribuire spesso l'appellativo di θειότατος, ο altri simili, né ai vescovi né agli imperatori viene giustificata come opposizione a certa cultura paludata e alla volontà di avvicinamento a un pubblico piü semplice, cioè lontano dalla cultura per secoli dominante, ma nella realtà si risolve nell'opzione per una storiografia di tipo pragmatico,68 in cui si inseriscono le vicende belliche e si evidenzia il ruolo dell’imperatore. Giustamente T. Urbainczyk69 sottolinea il fatto che la funzione imperiale non è messa tanto in relazione all’attività bellica, quanto all’interesse dell’unità dell’ ecclesia, poiché in Socrate70 il βασιλεύς è considerato come peacemaker. 64 Sulla specificità della storiografia cristiana ed in primis di quella eusebiana, nonostante una certa influenza della storiografia filosofica e giudaico-ellenistica (A. Momigliano, Storiografia pagana e cristiana nel secolo IV d. C., in Il Conflitto tra Paganesimo e Cristianesimo nel secolo IV, saggi a cura di A. Momigliano, Torino 1968, 102), oltre a supra n. 2, cfr. C.E Staudlin-J.T. Hemsen (Hrsg.), Geschichte und Literatur der Kirchengeschichte, Hannover 1827, 12. Eusebio è definito padre dell’ h. e. anche da E. Chr. Baur, Comparatur Eusebius

Caesariensis historiae ecclesiasticae parens cum parente historiarum Herodoto Halicarnassensi, Diss. Tübingen 1834. Sull'originalità del vescovo cfr. già E. Overbeck, Über die Anfange der Kirchengeschitsschreibung, Basel 1892, 8 ss., spec. 41; e W. Nigg, Die Kirchengeschitsschreibung. Grundzüge ihrer historischen Entwicklung, München 1934, 9 ss.; RJ. Foakes Jakson, Eusebius Pamphili, Bishop of Caesarea in Palestinae and First Christian Historian, Cambridge 1933. Del resto lo stesso Eusebio si mostra consapevole di percorrere un nuovo cammino in ambito storiografico: πρῶτοι νῦν τῆς ὑποθέσεως ἐπιβάντες οἷά τινα ἐρήμην καὶ ἀτριβῆ ἰέναι ὁδὸν ἐγχειροῦμεν… (h. e. I 1,3). Sulla prospettiva eusebiana F.E. Kranz, HThR 45, 1952, 47-66; K. Heussi, Zum Geschichtsverständnis des Eusebius von Caesarea, «Wiessensch. Zeitschr. Uni. Jena» 7, 19571958, 89-92; D.S. Wallace Hadrill, Eusebius of Cesarea, London 1960, 155 ss.; W. Zimmermann, Ecclesia als Object der Historiographie. Studien zur Kirchengeschichtsschreibung in Mittelalter und in der Frühen Neuzeit, (SAWNW 235, II, 4), Wien 1960;G. Ruhbach, Apologetik und Geschichte. Untersuchungen zur Theologie Eusebs von Cäsarea, Diss. Heidelberg 1962; R. Farina, L'impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea, Zürich 1966, 168 ss.; J.M. Sansterre, Eusèbe de Césarée et la naissance de la théorie "césaropapiste”, «Byzantion» 42, 1972, 131-132; E. Winkelmann, Die Kirchengeschitswerke im ostrümischen Reich, ByzS 37, 1976, 172-190. R.M. Grant, Eusebius as Church Historian, Oxford 1980, 18 ss.; M. Tetz, Christenvolk und Abrahamsverheissung. Zum Kirchengeschichtlichen Programm des Eusebius von Caesarea, in Jenseitsvorstellungen in Antike und Christentum, Gedenkenschrift für Alfred Stuiber (JbAC Erg. Bund 9), Münster 1982, 30-46. Sull'originalità teorica di Socrate in particolare, cfr. Chesnut, The First Christian Histories, cit., 91 ss.; Mazza, Sulla teoria della storiografia cristiana, cit., 342 ss.; Id., Lo storico, la fede ed il principe. Sulla teoria della storiografia ecclesiastica in Socrate e Sozomeno, in Le maschere del

potere, cit., 255-318; Urbainczyk, Socrates of Constantinoples, cit., 180 ss., Leppin, Vom Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 26 ss. 65 H. e. VII 1, 1-3 (348 Hansen). 66 H. e, VII 22, 12 (369 Hansen):... εἴ ποτέ τις ἄξια κεφαλικῆς ἐπλημμέλησε τιμωρίας, οὐδ᾽ ἄχρι τῆς πόλεως τῶν πυλῶν τὴν ἐπὶ θανάτῳ ἀπήγετο, καὶ ἡ ἐκ τῆς φιλανθρωπίας εὐθὺς ἀνάκλησις εἵπετο. Ancora una volta nel lungo elogio di Teodosio, Socrate non fa riferimento a Pulcheria, in contrasto con Sozomeno h. e, IX 1 (390 Bidez-Hansen). 67 H. e. II 32, 1; V 14, 8; VI 6, 9-11; VII 10, 4 (163, 290, 321; 357 Hansen). 68 Cfr. supra n. 62. 69 Urbainczyk, Socrates of Costantinople. Historian of Church and State, cit., 139. 70 H. e. VII 42, 1 (390 Hansen). 19 Ἐκείνῳ μὲν γὰρ ἐκέκριτο κατὰ τῶν ὑπαιτίων μὴ χρήσασθαι τῇ βασιλικῇ ἐξουσίᾳ, τούτῳ δὲ μικρὰ φροντίσαι τῶν μὴ φρονούντων περὶ Θεοῦ, ἡ ἐφρόνει αὐτός. Ἐπὶ τούτοις μὲν οὖν καὶ ὁ βασιλεὺς αὐτὸν ἀπεδέχετο. Καὶ γὰρ αὐτὸς τοῖς ἀληθῶς ἱερωμένοις ἐφάμιλλος ἦν καὶ οὐδαμοῦ τοὺς διώκειν ἐθέλοντας ἀπεδέχετο. Τολμήσας δ᾽ ἂν εἴποιμι, ὅτι τῇ πραότητι καὶ πάντας τοὺς ἀληθῶς ἱερωμένους ἐνίκα. καθάπερ ἡ βίβλος τῶν

Ἀριθμῶν {ἐπὶ Μωυσέως). φησιν· «Καὶ ὁ ὁ ἄνθρωπος Μωυσῆς πραὺς σφόδρα παρὰ πάντας τοὺς ἀνθρώπους τοὺς ὄντας ἐπὶ τῆς γῆς», τοῦτ᾽ ἔστιν καὶ νῦν εἰπεῖν, ὅτι ὁ βασιλεὺς Θεοδόσιος πραὺς σφόδρα παρὰ πάντας τοὺς ἀνθρώπους τοὺς ὄντας ἐπὶ τῆς γῆς. Nel suo legame con la tradizione, Socrate riprende certe sfumature dell'ideologia imperiale ellenistico-romana, per altro ancor vive nella propaganda eusebiana, secondo la quale virtù imperiali come l'εὐσέβεια, che permetteva un avvicinamento alla sfera celeste, erano rado di assicurare la vittoria e dunque la felicitas dei sudditi e dello Stato. La novità propagandata dal vescovo di Cesarea e ripresa da Socrate, che ben comprende la difficoltà di rappresentare un imperatore cristiano come generatore di morte, sta nel fatto che il supremo arbitro71 delle guerre è Dio (κατὰ τὸν Δαβὶδ τῷ Θεῷ προσέφευγεν, εἰδὼς αὐτὸν τῶν πολέμων εἶναι ταμίαν), che può punire gli infedeli, liberando così da una palese contraddizione il βασιλεύς cristiano, del quale, invece, si elogia l'abilità nell’appianare i contrasti e la capacità di assicurare la pace per il benessere dello Stato. Ma proprio in questa sua attività, il βασιλεύς ideale, raffigurato dallo storico ecclesiastico, entra in conflitto con i rappresentanti del clero. L'aporia è risolta da Socrate secondo i dogmi dell'elaborazione teorica eusebiana, ricorrendo cioè ai complessi nuclei concettuali di tredicesimo apostolo e di vescovo laico, che però interviene e siede al centro del concilio di Nicea72 Παρῄει δὲ καὶ ὁ βασιλεὺς μετ᾽ αὐτούς, καὶ ἐπεὶ παρῆλθεν, εἰς μέσους ἔστη, καὶ οὐ πρότερον καθίζειν ᾑρεῖτο, πρὶν ἂν οἱ ἐπίσικοποι ἐπινεύσεια· τοσαύτη τις εὐλάβεια καὶ αἰδῶς τῶν ἀνδρῶν τὸν βασιλέα κατεῖχεν. Ἐπεὶ δὲ

ἡ πρέπουσα τῷ καιρῷ ἡσυχία ἐγένετο, ἤρξατο ὁ βασιλεὺς αὐτόθεν ἐκ τῆς καθέδρας παραινετικοῖς πρὸς αὐτοὺς χρήσασθαι λόγοις, πρὸς συμφωνίαν καὶ ὁμόνοιαν προτρέπων αὐτούς. Proprio come fautore e garante di pace l'imperatore-modello possiede per lo storico precise virtù. Tra queste Socrate, come abbiamo già detto73, mette in risalto l’εὐσέβεια, che indica, in maniera più tradizionale, ma politicamente più fruibile per il suo pubblico, il patto con Dio; la φιλανθρωπία, virtù esaltata da Temistio e fulcro della politica estera di Teodosio Ι74, capace di consentire l'assimilazione del diverso; la mite tolleranza (πραότης), che forse è la più innovativa tra le qualità attribuite all 'ideal-typus imperiale.75 Se, infatti, 71 H. e. VII 22, 19 ss. (370 Hansen). 72 Ibid., I 8, 90, (20 Hansen). Sull'immagine dell'imperatore quale vescovo comune cfr. supr a nn. 2 e 7. 73 H. e. VII 22, 1 ss. (368-370 Hansen). Sull’ideologia espressa nel passo cfr. anche Giuffrida, L'impero e gli imperatori nella storiografia ecclesiastica, cit., 383. 74 Cfr. n. 1. 75 Certamente essa si differenzia dalla ἀνδρεία/ virtus, che nel suo percorso evolutivo (vd. infra, n. 131) venne anche a indicare, come fortitudo, il distacco dagli sconvolgimenti emotivi, sì da contenere nella sua sfera semantica anche la clementia, virtù di grande impatto sociale, che la πραότης in un certo senso contiene, ma che supera per acquisire un significato più profondamente religioso. Essa diviene la speranza in Dio (Is. 26, 6); non si limita a esprimere l᾿ἀπάθεια del saggio, ma dà voce alla capacità di sopportazione dell'umile in vista della terra promessa. Paradigmaticamente la missione di Gesù si compie in piena umiltà e mitezza. In Matth. 21, 5 il Messia è dipinto come re salvatore, non portatore di guerra, ma di pace. La πραότης di Cristo è ricordata anche da Paolo in contrapposizione alla

presunzione e alla violenza. Essa ha poco in comune con la virtù ellenistica, poiché trova le sue radici nell’ἀγάπη ed è un dono dello Spirito (Gal. 5, 23) e non a caso è collocata tra la πίστις e l’ἐγκράτεια (Gal. 6, 1). Sull'importanza della mitezza, collegata anche al timor di Dio, cfr. C. Spicq, Bénignité, mansuétude, douceur, clémence, RB 54, 1947, 321-339; R. Leivestad, “The Meekness and Gentleness of Christ" II Cor. X. 1, NTS 12, 1965-1966, 156-164; F. Böhl, Die Demut (‘nwh) als höchste der Tugenden. Bemerkungen zu Mt 5, 3, 5, BZ 20, 1976, 217223; H. Frankemölle, s. v., in Exegetisches Wörterbuch zum N. T., Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz. 1983, 352-353. La πραότης di ascendenza isocratea acquista significato, nella storiografia ecclesiastica, solo all'interno della visione di un'umanità al servizio di Dio e si concretizza nell'immagine abramica, in cui la mansuetudine si trasforma in disponibilità all'estremo sacrificio, che eusebianamente si realizza nell'offerta della propria anima e in una ferrea disciplina di vita. Questa virtù colloca l’imperatore all'interno del drammatico dualismo del duofisitico rapporto Padre/Figlio, che rende palese come solo accentuando l'aspetto del Cristo si lega a sé il Padre e se 20 l'imperatore di Socrate, passata l'euforia dell'età costantiniana, doveva far fronte principalmente ai contrasti interni e alle eresie, l'esercizio della calma tollerante diventava un tratto fondamentale della prassi politica. Diventavano essenziali l'educazione e l'ἄσκησις per il raggiungimento di un equilibrio, che consentisse tutte le operazioni di compromesso. Socrate ci fornisce la visione del quotidiano addestramento fisico, mentale e spirituale, al quale si sottoponeva il giovane Teodosio, in un continuo crescendo, che porta il lettore al confronto con uno degli imperatori filosofi per eccellenza: Giuliano l’Apostata. Senza dubbio prima facie la descrizione a tinte fosche del comportamento di Giuliano appare singolare, se si pensa che è operato da uno storico ecclesiastico che non demonizza la filosofia, considerata invece come la più alta espressione della cultura e della religiosità pagane.76

πολλοὶ γὰρ τῶν παρ᾽ Ἕλλησιν φιλοσοφησάντων οὐ μακρὰν τοῦ γνῶναι τὸν Θεὸν ἐγένοντο. In verità l’Apostata è considerato dallo scolastico colpevole solo di non avere saputo applicare nella vita reale quanto studiato ed amato. Chesnut77 osserva correttamente che Giuliano incarnava un aspetto atipico del filosofo, o, meglio, decisamente alternativo e per questo meno comprensibile, ma l’avversione di Socrate per Giuliano appare originata soprattutto dalla trasgressione alle regole di equilibrio e tolleranza, al cui rispetto l'esercizio di tale disciplina doveva portare:78 Ἰουλιανὸς μὲν γὰρ ὁ βασιλεύς, καίπερ φιλοσοφεῖν ἐπαγγειλάμενος, ὅμως οὐκ ἤνεγκεν τὴν ὀργὴν κατὰ τῶν ἐν Ἀντιοχείᾳ αἰνιξαμένων αὐτόν, ἀλλὰ βασάνους μεγίστας τῷ Θεοδώρῳ προσήγαγε. Θεοδόσιος δὲ πολλὰ χαίρειν τοῖς Ἀριστοτέλους φράσας συλλογισμοῖς τὴν δι᾽ ἔργων ἤσκει φιλοσοφίαν, ὀργῆς τε κρατῶν καὶ λύπης καὶ ἡδονῆς, καὶ οὐδένα τῶν ἠδικηκότων ἠμύνατο: ἀλλ᾽ οὐδ᾽ ὅλως αὐτὸν ὀργιζόμενόν τις τεθέαται. Le doti di serenità e tolleranza derivanti dall’equilibrio interiore erano necessarie per un imperatore che doveva garantire l’unità del suo popolo e, quindi, doveva avvicinarsi alla figura di Mosé, qual è citata da Socrate79, derivandola da Num. 12, 3: «Καὶ ὁ ἄνθρωπος Μωυσῆς πραὺς σφόδρα παρὰ πάντας τοὺς ἀνθρώπους τοὺς ὄντας ἐπὶ τῆς γῆς». Se il regno di Teodosio il Grande, rispetto al rapporto con i sudditi, può essere definito il regno della φιλανθρωπία, quello del nipote può essere senz'altro descritto come il regno della πραότης.80 La mansueta e calma tolleranza fu la parola-chiave del programma del liberal party a cui lo storico ecclesiastico dimostra di appartenere.

Esso permetteva la sopravvivenza della cultura tradizionale - non a caso la Allen81 sostiene l’esistenza di un classicismo bizantino -; consentiva un compromesso con il regno persiano di fede zoroastriana; rendeva possibili le trattative tra le comunità di Alessandria, Antiochia, Costantinopoli e Roma. Fu proprio l'intransigenza di certi vescovi e dei loro sostenitori a mettere in pericolo l'intesa tra le ecclesiae durante tutto il regno di Teodosio II, il quale cercò, adoperandosi con convinzione, di trovare una soluzione di onorevole compromesso. Proprio grazie a questo suo comportamento il giovane imperatore viene definito dallo scolastico come ἱερεὺς πάλαι καθεστώς82 e viene esaltata la sua mitezza, superiore a quella di molti vescovi. Il contrasto con la violenza di certa parte del clero, ribadito più volte dallo storico, ci fa comprendere l'opinione di Socrate e soprattutto del suo pubblico in merito al rapporto esistente tra l’imperatore e i rappresentanti della Chiesa. La dipendenza nei confronti di Eusebio da parte dello scolastico si palesa ancora una volta. Il suo imperatore ideale è capace di un immediato rapporto con Dio, come ci ne può rappresentare la potenza. Questa accezione è realmente rivoluzionaria anche se la πραότης, virtù che sempre più contraddistingue l'immagine imperiale, può essere piegata a differenziate realtà e divergenti programmi politici, cfr. infra 43 ss. 76 H. e. III 16, 11 (211 Hansen). 77 Cfr. Chesnut, The First Christian Histories, cit, 235. 78 H. e. VII 22, 7 ss. (369 Hansen). 79 H. e, VII 42, 2 (390 Hansen): ὁ βασιλεὺς... τῇ πραότητι καὶ πάντας τοὺς ἀληθῶς ἱερωμένους ἐνίκα. 80 L'umiltà insita nella πραότης non solo consentiva la παρρησία, ma anche apriva la strada alla tolleranza (Bartelink, Quelques observations sur παρρησία dans la littérature paléo-chrétienne, Graecitas et Latinitas Christianorum primaeva, cit., 13 ss. e supr a 15).

81 P. Allen, Some aspects of Hellenism in the Early Greek Church Historians, «Traditio» 43, 1987, 368 ss. 82 H. e. VII 22, 5 (369 Hansen). 21 dimostra, più che nel racconto, ormai divenuto classico, della visione e del sogno costantiniano, precedenti la battaglia al ponte Milvio83, nell'episodio relativo alla decisione di Teodosio I84 durante il concilio costantinopolitano del 383: Ὁ δὲ βασιλεὺς δέχεται μὲν τοὺς συνεληλυθότας, καὶ τὸ παρ᾽ἑκάστου δόγμα ἔγγραφον λαβών, καθ᾽ ἑαυτόν τε γενόμενος ηὔξατο ἐκτενῶς συνεργῆσαι αὐτῷ τὸν Θεὸν πρὸς τὴν τῆς ἀληθείας ἐπιλογήν. Il diretto rapporto con Dio è sottolineato da Socrate anche nella descrizione del palazzo imperiale trasformato in un monastero da Teodosio II85: Οὐκ ἀλλοιότερα δὲ ἀσκητηρίου κατέστησε τὰ βασίλεια’ αὐτὸς τοιγαροῦν ταῖς ἑαυτοῦ ἀδελφαῖς ὀρθρίζων ἀντιφώνους ὕμνους εἰς τὸ θεῖον ἔλεγεν. Come afferma la Urbainczyk,86 mentre in Rufino la pietas è funzionale alla dipendenza del βασιλεύς dal clero, in Socrate diventa la ragione insieme alla πραότης - dell’indipendenza del sovrano. Proprio come ἄνθρωπος πράος è presentato Mose. In questa figura veterotestamentaria confluiva l’interpretazione filosofica della sacred Kingship 87 di epoca ellenistica, originata da un lungo travaglio intellettuale e teorico. Il saggio stoico, grazie al suo percorso intellettuale, riusciva ad attingere la φρόνησις, la comprensione della vera essenza delle cose e a estraniarsi dalle proprie passioni, raggiungendo l’ἀπάθεια . La sua

vita non era vissuta a livello personale, ma in funzione della cosmopoli, la quale poteva essere retta solo da una legge unica ed universale. I diritti delle varie nazioni venivano avvertiti come derivazioni del νόμος divino, che solo il saggio poteva intendere e il βασιλεύς racchiudere nel proprio animo. Il filosofo non solo conformava ad esso la propria vita, ma aveva anche la missione di convincere i suoi simili a rispettarlo, grazie al perseguimento dell'armonia e della gravitas, che era una diretta conseguenza della σοφία raggiunta. Dalla serenità d'animo ottenuta scaturiva una maiestas reale, che si manifestava anche nell’aspetto esteriore del σοφὸς βασιλεύς e serviva da polo d'attrazione per i cittadini. Nel comportamento esterno si realizzava l'armonia a cui tutti dovevano tendere:88 ...χωρίζοντα μὲν ἑαυτὸν ἀπὸ τῶν ἀνθρωπίνων παθέων, συνεγγίζοντα δὲ τοῖς θεοῖς, οὐ δι᾽ ὑπεραφανίαν ἀλλὰ διὰ μεγαλοφροσύναν καὶ μέγεθος ἀρετᾶς ἀνυπέρβλατον, τοιαύταν αὑτῷ ἐπιπρέπῃαν καὶ προστασίαν ἀμφιβαλλόμενον καὶ καττὰν ὄψιν καὶ καττὼς λογισμὼς καὶ καττὰ ἐνθυμάματα καὶ καττὸ ἀθος τᾶς ψυχᾶς καὶ καττὰς πράξιας καὶ καττὰν κίνασιν καὶ καττὰν θέσιν τοῦ σώματος, ὥστε τὼς ποταυγασμένως αὐτὸν κατακοσμαθῆμεν καταπεπλαγμένως͵ αἰδοῖ καὶ σωφροσύνᾳ διαθέσει τε τᾷ περὶ τὰν ἐπιπρέπῃαν. οὐ γὰρ μῇον αὐλῶ καὶ ἁρμονίας τῷ ἀγαθῶ βασιλέως ποταύγασις ὀφείλει τρέπεν τὰς ψυχὰς τῶν ποταυγασμένων. In questa visione del sovrano si trasformava la teoria del monarca epifania di Dio e, come tale, il solo tra gli uomini a poter cogliere nella propria anima il riflesso del βασιλεύς celeste e della sua legge, trasformandosi così in legge vivente. Questa era la proposta di Plutarco, che nel suo Ad principem ineruditum 89 riteneva il sovrano

εἰκὼν θεοῦ e quindi ἔμψυχος λόγος, nonché scrigno prezioso del νόμος. Questo era anche il significato ultimo della proposta di Filone giudeo, quando sottolineava la compresenza in Mosé del monarca, del prete e del profeta.90 A questa visione era in parte ancora legato Eusebio. Nella sua interpretazione di Mosé, il vescovo di Cesarea scorgeva ancora la guida eroica e salvatrice del proprio popolo, la cui potenza, Però, risiedeva tutta nel suo Dio: egli non attingeva la sfera celeste, rimaneva un uomo. Il βασιλεύς eusebiano seppur μίμημα del re celeste poteva regnare grazie al χαρακτήρ impresso dal Λόγος, in conseguenza del sacrificio della propria anima a Dio. 83 H. e. I 2,6 (3 Hansen). 84 H. e. V 10, 25 (284 Hansen). 85 H. e, VII 22, 4 (368 Hansen). 86 Urbainczyk, Socrates of Costantinople, cit., 149. 87 Chesnut, The First Christian Historie s, cit., 222-242. Sempre fondamentali, E.R, Goodenough, The Political Philosophy of Hellenistic Kingship, YCIS 1, 1928, 55-102 e Dvornik , Early Christian, cit., 655-671. 88 Diotogenes in Stob. anth. 4, 7, 62. 89 Plu. mor. 50 ( ad principem ineruditum), 780 b-F. 90 Phil. v. M. 2, 22, 33. 22 Il Mosé di Socrate, se da un canto acquista una forza icastica minore rispetto a quello eusebiano, dall'altro assicura al sovrano, grazie alla sua umiltà, che consente la παρρησία e la συγγένεια con Dio,91 la possibilità d'indipendenza dal clero. L'episodio citato dallo

scolastico92, infatti, è peculiare. Esso è tratto da Num. 12, 3 e si riferisce alle critiche rivolte a Mosé per aver sposato una ina cusita, da parte di Aronne e Maria, i quali inoltre rivendicano per sé stessi la capacità d'interpretazione della volontà del Signore. Socrate deriva dal libro dei Numeri il concetto essenziale per la sua ideologia: la πραότης, L'umile disponibilità nei confronti del Signore è la dote fondamentale che fa di Mosé l’unico possibile interprete, in quel momento, della parola di Dio. Il sacerdote Aronne non ha alcun privilegio rispetto a Mosé se non acquisisce tale virtù. La critica dello storico ecclesiastico non si limita al sacerdote, ma si estende anche a Maria, la quale, per mancanza di πραότης, non riesce a superare l'ostilità nei confronti della donna di Mosè. Probabilmente, nel comportamento di Aronne e Maria, Socrate intendeva esemplificare l'atteggiamento di Attico e Pulcheria e la loro opposizione alla politica di Eudocia. Il sospetto appare fondato anche grazie alla punizione riservata a Maria. Ella viene allontanata dall'accampamento per rimanere nelle vicinanze e poi essere riammessa, secondo modalità che presentano notevoli analogie con l'allontanamento di Pulcheria dall'Hebdomon. Va certamente evidenziato che, mentre lo storico costantinopolitano esalta l’attività93 di Antemio, ben diversa, anzi opposta, appare l'opzione politica esercitata da Sozomeno, il quale sottace l'abilità del prefetto al pretorio ed attribuisce la stabilità dell'impero, nei primi anni del governo di Teodosio, alla sorella Pulcheria.94 Tenendo presente il favore nei confronti della fazione cristiana piü intransigente, si comprende meglio l'attenzione manifestata allo zelo missionario,95 diretta conseguenza della prospettiva adottata dallo storico ecclesiastico, che può essere definita globale e che spalanca il mondo ai cristiani, disponibili a combattere per la vittoria della propria fede. Sono maggiormente comprensibili l'interpretazione teocratica della βασιλεία e l'ossequio, nella coscienza della propria umanità, nei confronti degli uomini santi. Dalla Historia di Sozomeno traspare il tentativo di Pulcheria di diventare garante del rapporto con il re celeste. L'Augusta si adegua

perfettamente all'ideale del principe cristiano: costruisce chiese, combatte gli eretici, presta culto alle reliquie dei Santi.96 Sozomeno, in contrasto con Socrate, sottolinea il ruolo della sorella nell'educazione e nell'azione di governo dell'imperatore:97 ἐπεὶ οὖν εὐσεβέστατον τὸν βασιλέα ἔσεσθαι προεῖδεν ἡ τῶν ὅλων οἰκουρὸς θεία δύναμις, ἐπίτροπον αὐτοῦ καὶ τῆς ἡγεμονίας κατέστησε Πουλχερίαν τὴν ἀδελφήν. L'evidenziazione delle pratiche ascetiche ci avverte del concretizzarsi di una struttura teocratica della società, che sembra essere l'ideale dello storico. In una società in preda all'insicurezza, che si muoveva tra la minaccia persiana e le invasioni degli Unni in Tracia, diveniva fondamentale rassicurare gli uomini attraverso l’affermazione della reale sovranità di Dio salvatore al quale ci si poteva rivolgere anche grazie alla Theotokos. La venerazione della Vergine cominciò ad essere incoraggiata fortemente in questo periodo,98 per raggiungere la sua acme nel VI sec. e durare nel tempo, grazie alla molteplicità dei ruoli della Madre di Dio. Se l’uso della sua immagine da parte di Eudocia si riferiva alla possibilità d’intercessione, l'identificazione della vergine Pulcheria con Maria e la sua purezza doveva avere un forte e rassicurante impatto emotivo sulle anime dei sudditi e garantiva all'Augusta un potere temibile. In aggiunta, forse anche in alternativa, la corte cercava di rafforzare la numinosità della funzione imperiale attraverso un sempre più severo ed attento rituale, atto a sottolineare la maiestas dell'imperatore, proveniente dal rapporto con Dio. In questa prospettiva acquista una straordinaria valenza semantica l’accenno dello storico al rigido addestramento di Teodosio, relativo alle sue apparizioni in pubblico. Ma se la superiorità, manifestantesi 91 Cfr. n. 78. 92 H. e. VII 42 (390 Hansen). 93 H. e. VII 1, 1-3 (348 Hansen).

94 Soz. h. e. IX 1, 1-2 (390 Bidez-Hansen). 95 Cfr. Giuffrida, L'impero e gli imperatori nella storiografia ecclesiastica, cit., 383. 96 Soz. h. e. IX 3, 3-7 (390-391 Bidez-Hansen). Per l'attività che caratterizza l’imperatore cfr. Chesnut, The First Christian Histories, cit., 227 ss.; Leppin, Von Konstantin dem Großen zu Theodosius II, cit., 206 ss. e 287 ss. Sui motivi delle costruzioni imperiali cfr. spec. D.J. Geanakoplos , Church Building and ‘Caesaropapism’ A.D, 312-565, GRBS 7, 1966, 185-186. 97 Soz. h. e. IX 1, 2 (390 Bidez-Hansen). 98 Av. Cameron, The Theotokos in 6th Century Constantinople, JThS 29, 1978, 78-108; M. Grant, From Rome to Byzantium. The Fifth Century A.D., London-New York, 1998, 68 ss. 23 esteriormente nell’impassibilità, destava l'ammirazione dei sudditi di Costanzo I99", nella Costantinopoli del V sec. d. C., doveva essere sempre ricordata la complementarietà dei ruoli dell'imperatore e del vescovo in funzione soteriologica. L'immagine dell’imperatore si andava sempre più definendo in termini religiosi, come elemento capace di mantenere l’unità, la pace, la sicurezza dello Stato e la salvezza della cosmopoli all’interno di un’organizzazione laica e, nel contempo, religiosa. Nel processo d'adeguamento alla sua missione salvifica l'imperatore poteva assumere, come in Socrate, un ruolo concorrenziale a quello del vescovo. Altrimenti, com’è testimoniato da Sozomeno, l’ideale proposto poteva pur sempre essere caratterizzato dall’εὐσέβεια e dalla φιλανθρωπία, ma la sua πραότης stava a sottolineare la disponibilità alla mediazione nei confronti del clero. Questa virtù diveniva essenziale specialmente quando il sovrano si fosse

allontanato dai parametri comportamentali obbligati per un princeps christianus, che, attraverso rituali quasi mistici, aveva da raggiungere il pieno possesso del suo equilibrio e il controllo della βασιλικὴ ἐξουσία. L’ ἐγκράτεια, per questa via, rendeva credibile la missione salvifica dell’imperatore.100 Alla magnificenza della maestà regale si opponeva, all’interno di una medesima personalità, la nuova capacità di umiliarsi, che contrastava fortemente con la vecchia discrasia esistente tra la maestà del θειότατος imperatore e il povero saggio, i quali per vie diverse potevano divenire gli interpreti della legge divina. Nella nuova visione della regalità l’immagine del sovrano è plasmata secondo il modello del Padre celeste, ma anche del Figlio, che si sacrifica per ottenere il perdono del Padre. Nuovo Davide,101 egli sa che non deve perseverare nell'errore:102 Peccavit, David, quod solent reges, sed paenitentiam gessit, flevit, ingemuit, quod non solent reges, confessus est culpam, obsecravit indulgentiam, humi stratus deploravit aerumnam, ieiunavit, oravit, confessionis suae testimonium in perpetua saecula vulgato dolore transmisit. Se, dopo il rientro di Pulcheria,103 Sozomeno propagandava la sua visione della storia e della basileia, intorno agli stessi anni Teodoreto presentava la sua prospettiva sull'impero da uomo di chiesa sicuramente schierato. Non a caso il vescovo di Kyrrhos sottolinea più volte l'aspetto umano dell’identità imperiale, poiché esso ha una valenza polisemantica. L'identità umana dell’imperatore sicuramente ne evidenziava la fallibilità. Essa era stata personalmente sperimentata dallo storico in occasione dell’allontanamento dal seggio episcopale104 e adombrata nell'episodio di Costantino, ingannato, come una volta David,105 dai vescovi simpatizzanti per Ario. L'evidenziazione, però, dell’umanità del βασιλεύς aveva anche una forte connotazione cristomimetica.

Questa, se da un canto elevava il sovrano al di sopra dei suoi sudditi, per il suo rapporto diretto con Dio, 99 Amm. XVI 10, 6-10 (I 160 Galletier-Fontaine). Sul celeberrimo passo, collegato a quello senofonteo (Cy r. 8, 1, 40-42) cfr. Goodenough, The Political Philosophy, cit., 79; con M.P. Charlesworth, Imperial Deportment: Two Texts and Some Questions, JRS 37, 1947, 34-38; R.O. Edbrooke, The Visit of Costantius II to Rome in 357 and its Effects on the Pagan Roman Senatorial Aristocracy, AJPh 97, 1972, 40ss.; Chesnut, The First Christian Histories, cit., 222. 100 Soz. h. e. praef. 5 (270 Bidez-Hansen). 101 Sulla legittimazione di Davide tramite μετάνοια e la formazione di un preciso modello per Teodosio I, rex judaicus, rex furiosus, rex lubricus cfr. Dagron, Empereur et prêtre, cit., 134 ss.; J. Ernesti, Princeps christianus und Kaiser aller Römer, Theódosius der Grosse im Lichte der zeitgenössischer Quellen, Paderborn-München-WienZürich 1998, 193. 102 Ambr. ap. Dav. 4, 15 ($C 239, 2). 103 Cfr. Cameron, The Empress and the Poet, cit., 266, il quale ritiene che «Socrates wrote after Pulcheria’s retirement, which must therefore have taken place by 439, and that Sozomen wrote after her return to favour and power in 450». 104 RE, s.v. Theodoretus, VA2, 1791-1801, spec. 1793. Cfr. anche G. Bardy, Théodoret, in DThC, 15, 1, 1946, 301; J. Quasten, Patrology, III, Westminster 1960, 546; E. Peterson, Teodoreto di Ciro, in Enc. Catt., 11 (1953), 1926; M. Simonetti, La letteratura cristiana antica greca e latina, Milano 1969, 315; P. de Labriolle-G. Bardy-L. Bréhier-G. de Plinval, Storia della Chiesa, IV. Dalla morte di Teodosio all'avvento di S. Gregorio Magno (395-590), ed. it. a cura di C. Capizzi, Torino 1977, 269 ss.; F.E. Sciuto, Cristologie rivali. La vera radice storico-teologica

dell'antitesi tra Cirillo d'Alessandria e gli antiocheni, Studi tardoantichi 5, Messina 1988, 262 ss. 105 Sapientemente il vescovo non sceglie il paragone con Mosè, il re che guida il suo popolo alla salvezza, ma con David, il quale, a causa della sua fallibile umanità, ascolta Siba (Thdt. h. e. I 33, 3; 118 Parmentier). 24 dall’altro gli conferiva la capacità di rappresentare anche la parte più sofferente dell'umanità, gli afflitti e i poveri, e ricomporre nella sua persona le asimmetrie schiaccianti della società tardoantica, riconosciute e svelate dalla diffusa sensibilità ascetica. Così facendo, l’imperatore diveniva il protagonista, per via riflessa, del mistero, ricco di pathos, del cristianesimo tardoantico. Esso aveva il suo centro nell’idea che Iddio onnipotente si era fatto povero. Scenute106 scrisse ai potenti che essi avrebbero dovuto imparare a chinarsi, per ottenere la misericordia divina. L'imperatore con la sua συγκατάβασις,107 sapientemente orchestrata come le sue apparizioni, cedeva non perché condividesse un codice comportamentale e una cultura comune con le classi alte, ma perché ricordava che anche Cristo aveva ceduto per diventare uomo e rappresentare i suoi simili in vista della salvezza.108 La condiscendenza, però, rappresentava più facilmente l’aspetto altero del potere, sicuramente con maggior difficoltà riusciva ad esprimere la compartecipazione. Teodoreto, pur utilizzando il nuovo linguaggio del potere,109 preferì evidenziare gli aspetti che avvicinassero il sovrano all'umanità sulla quale governava, in maniera del tutto coerente con il proprio ruolo di vescovo. Questa visione, che partiva essenzialmente da concezioni religiose, divenne una precisa proposta politica, che sostanzialmente si

opponeva all'ingerenza di Teodosio II e della sua corte nelle decisioni dei sinodi e ridimensionava il ruolo del βασιλεύς. Nella H. e. del vescovo è riscontrabile un ripensamento della funzione del monarca, che Smolak110 riteneva un messaggio al nuovo imperatore Marciano. A partire da questa prospettiva Teodoreto giungerebbe a concepire, secondo la definizione che della H. e. ha dato il suddetto studioso, quasi uno speculum principis. Anche se l'opera è stata ideata forse più come sottile polemica nei confronti di Teodosio II che come monito per Marciano, essa ci offre il modello a cui i singoli imperatori dovevano conformare la propria vita, nell'immaginario di un cristianesimo ormai fiducioso nella propria reale forza politica e nel proprio potere contrattuale!.111 Questa andava interpretata come ἄσκησις, percorso di perfezionamento dell’identità regale secondo vita monastica ed osservanza dell’alto parametro del"εὐσέβεια, che avvicinava il sovrano al Padre di tutti. La peculiare concezione della storia e della funzione imperiale permetteva altresì allo storico di accettare la visione di Costantino non quale τρὶς καὶ δέκατος ἀπόστολος, ma addirittura come il divino apostolo ὃς «οὐκ ἀπ’ ἀνθρώπων οὐδὲ δι’ ἀνθρώπου» ἀλλ᾽ οὐρανόθεν κατὰ τὸν θεῖον ἀπόστολον τῆς κλήσεως ταύτης ἔτυχε), secondo un procedimento simbolicoanalogico spesso sfruttato.112 In base a un complesso sistema di segni sapientemente utilizzati, che consentono di intravedere il nesso tra la pace restaurata e il sovrano, Costantino viene indicato come nuova guida spirituale e terrena, che condurrà il suo popolo alla salvezza. Il motivo della missione pacificatrice dell’imperatore ritorna nell’esaltazione della sua benignità nei confronti dei clerici, che in cambio delle loro reciproche accuse vengono coperti dal manto imperiale (...συγκαλύψαι dv τῇ πορφυρίδι τὸ παρανόμως γινόμενον).113 L'apparente superiorità di Costantino, in cui forse è da vedere la proposta di mediazione tra Nestorio e Cirillo, già menzionata,114 viene però sapientemente sfruttata da Teodoreto al fine di evidenziare, per contrasto, la sottomissione

dell’imperatore 106 Epp. 31; 34. Sulla costruzione della nuova immagine imperiale cfr., S.R.F. Price, Rituals and Power. The Roman Imperial Cult in Asia Minor, Cambridge London-New York-New Rochelle-Melbourne-Sydney 1984, 242 e P. Brown, Il filosofo e il monaco, in A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, III/1, Torino 1993, 892 ss. 107 Per tale caratteristica cfr. J. Grosdidier de Matons, Romanos le Mélode, Paris 1977, 269-270; H.I. Marrou, Décadence romaine ou antiquité tardive? IIe-VIe siècle, Paris 1977, trad. it., Milano 1979, 85 ss.; J. Arce (Ed.), La creación de una tradition: cerimonial y liturgia en el paganesimo greco-romano, Madrid 1990, 24 ss.; Brown, Il filosofo e il monaco, cit., 893; R. Teja, Il cerimoniale imperiale, in A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, III/1,Torino 1993, 620. 108 Brown, Potere e cristianesimo, cit., 51 ss. In merito vd. infra 88. 109 Sul codice biblico utilizzato dallo storico ecclesiastico, vd. infra 352. 110 Smolak, Theodoret von Cyrrus, in Greschat (Hrsg.), Gestalten der Kirchengeschichte, cit., 239-250. 111 Questa convinzione sta alla base della recente interpretazione che Th. Urbainczyk, Theodoret of Cyrrhus: The Bishop and the Holy Man, Ann Arbor 2002, 150 ss., ha dato dell’ H. r. del vescovo di Cyrrhos, il quale in essa si proporrebbe come mediatore tra il centro e la periferia, rappresentata dai monaci di Siria e il mormorante e temibile deserto umano dei poveri. 112 Thdt. H. e. I 2, 2 (5 Parmentier). 113 Thdt. H. e. I 11, 6 (47 Parmentier).

114 Cfr. 35. Sulle eresie e il loro uso all’interno della storiografia ecclesiastica P. Allen, The Use of Heretics and Heresies in the Greek Church Historians. Studies in Socrates and Theodoret, in G, Clarke (Ed.), Reading the Past in Late Antiquity, Canberra 1990, 270 ss.; C. Luibhéid, Theodosius II and Heresy, JEH 16, 1965, 26. 25 nei confronti del clero al momento del concilio di Nicea. Coerentemente con la sua prospettiva teocratica, il vescovo di Kyrrhos sottolinea la richiesta di Costantino, il quale come un figlio rispettoso οἷα δὴ παῖς φιλοπάτωρ,115 chiede ai vescovi il permesso di sedere insieme a loro. Egli è il divino apostolo, ma, come figlio del re celeste, ne rispetta la volontà e dunque anche i suoi παίδες. La chiarezza del messaggio inviato da Teodoreto e, di conseguenza, dai vescovi orientali e dalla fazione che a corte li sosteneva, al giovane imperatore si esprime altresì nel parallelismo creato all’interno della struttura “ciclica” dell’opera,116 Infatti, dei cinque libri dell’ H. e., solo il primo e l’ultimo trattano degli imperatori cristiani, mentre il secondo e il quarto narrano degli imperatori eretici e il terzo dell'Apostata. Tra il primo e l'ultimo libro il vescovo inserisce delle corrispondenze non casuali, funzionali all'evidenziazione delle caratteristiche del buon sovrano. Attraverso il chiaro nesso tra Costantino e Teodosio I si sottolinea l’attività di costruzione delle nuove basiliche e della distruzione dei templi pagani, così come l’importanza della guida femminile, cristianamente umile, secondo Arjava117 non sufficientemente valorizzata, evidenziata da Elena e Flacilla.118 Esse forse sono proposte come modelli di Pulcheria più che di Eudocia, molto compromessa con Ciro culturalmente, con Crisafio politicamente per un certo periodo e, probabilmente, con Paolino personalmente.119

Certamente, però, la notazione che merita la maggiore attenzione da parte dello storico è l'atteggiamento che gli imperatori tengono in occasione dei concili da loro convocati. Sia Costantino, durante il concilio di Nicea, sia Teodosio I, durante quello di Costantinopoli, mostrano i due aspetti dell'identità imperiale, la personalità del padre e quella del figlio, che, all’interno della teologia politica, contraddistinguono il βασιλεύς cristiano. Egli è espressione dell'umano e del divino e non un'entità between human and divine nature.120 Teodoreto sottolinea il rispetto dovuto ai vescovi, in cui si intravede l'εὐπείθεια, ossia la versione maschile e imperiale dell’ humilitas o ταπεινότης femminile, virtù propria del figlio ideale nei confronti del padre. Si saldavano in questa immagine le esperienze personali del giovane Teodoreto nei confronti di Daniele e Pietro,121 la proposta politica e la convinzione del clericus, che non poteva ammettere la tremenda pressione 115 Thdr. H. e. I 7, 13 (32 Parmentier). Il rispetto dell'imperatore nei confronti dei vescovi si manifestó anche nella volontà di Costantino di ascoltar messa insieme a loro, gesto che equivalse ad aprire loro le porte del palazzo imperiale, diventando il simbolo de las nuevas relaciones (R. Teja, Quid episcopis cum palatio? Cuando los obispos se sentaron a la mesa con Costantino, in G. Bonamente-N. Lenski-R. Lizzi Testa (a cura di), Costantino prima e dopo Costantino. Constantine after and before Constantine, Bari 2012, 209-222, spec. 211). 116 Cfr. Leppin, Von Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 287 ss. 117 A. Arjava, Women and Law in Late Antiquity, Oxford 1996, 132; sul tema cfr. anche G. Clark, Women in Late Antiquity. Pagan and Christian Life Styles, New York-Oxford 1993, 45 ss.; K. Cooper, Insinuations of Womanly Influence. An Aspect of the Christianization of the Roman Aristocracy, RS 82, 1992, 150-164.

118 Thdt. H. e. 118, 1 ss; V 19 ss. (risp. 63, 314 Parmentier). 119 Cfr. supra 34-36. 120 S.R.F. Price, Ritual and Power, cit., 234. 121 Thdt. h. r. 1380 D. Cfr. oltre all'art. di A. Lippold, Theodosius II, in RE Suppl., XIII, 1972, 961-1044; G. Bardy, Théodoret, in DThC 15, 1, 1946, 299 ss.; Peterson, Teodoreto di Ciro, in Enc. Catt. 11, cit., 1926-1927; J. Quasten, Patrology, III, Westminster 1960, 536 ss.; Chesnut, The First Christian Histories, cit., 200 ss. Sull'importanza del pedagogo nel mondo classico e del padre spirituale nella vita dell'uomo tardo antico, come una delle molteplici funzioni dell'uomo santo cfr. E. von Lilienfeld, Anthropos pneumaticus, pater pneumatophorus, Studia Patristica 5, 1962, pp. 382-392 e P. Brown, L'ascesa e la funzione dell'uomo santo nella tarda antichità, (trad. it. del celebre art. The Rise and Function of the Holy Man in Late Antiquity, JRS 61, 1971, 80-101), in La società e il sacro, cit., 98. Quest'ultimo, per l'appunto, avverte di non sottovalutare il sostrato emotivo dell'idea di Cristo come pedagogo, che sta alla base dei rapporti di Gregorio con Origene, di Giuliano con Mardonio e di Agostino con Ambrogio. Per una visione della nuova religiosità rardo antica non come fenomena di democratizzazione della cultura (S. Mazzarino, La democratizzazione della cultura nel “Basso Impero” , in Rapports du XI Congrès International des Sciences Historiques, Stockholm 1960, 35 ss., ora in Id., Antico, tardoantico ed era costantiniana, I, Bari 1974, 74-98; J-M. Carrie, Antiquité tardive et "démocratisation de la culture": un paradigme a geometrie variable, in Antiquité tardive et "démocratisation de la culture": mise à l’épreuve du paradigme, Atti del Convegno di Vercelli, 2000, 27-46, ma comunque derivante da una perdita di controllo delle classi dirigenti tradizionali in favore di nuove forme di mediazione con il divino, quali si concretizzavano negli uomini santi dell'altopiano siriaco, cfr. già E. Peterson, Εἴς θεός. Epigraphische, formgeschichtliche und religionsgeschichtliche Untersuchungen, Göttingen 1926, 181-195; e A. Vööbus, A History of Ascetism in the Syrian Orient, I, 26

esercitata da personaggi quali il magister militum Dionisio e il suo vicario Tito,122 nonché la condotta di Cirillo e dei suoi sostenitori e, ancor di più, la supremazia del suddetto vescovo di Alessandria. La politica adottata da Teodosio, in occasione del concilio di Efeso, avvicinava, nella mente di Teodoreto, l’imperatore all'immagine aborrita del tiranno, il posseduto dal demonio, al quale era giusto opporsi. L’ H. e. del vescovo riflette la vitalità di un tema che era stato molto in auge in epoca severiana, grazie a Filostrato, la tyrannoctonia,123 questa volta capace di coinvolgere non solo intellettuali e uomini divini del calibro di Apollonio di Tyana, ma anche le masse delle città orientali. Anche se Costantino, tramite l'idealizzazione del patto stipulato con Dio, aveva cercato di sottrarre la qualifica di τύραννος al monarca non in sintonia con gli ideali e i bisogni delle classi alte, il clero ed i ceti dirigenti si riappropriarono del diritto di sanzione, accettuando il momento volontario e profondamente umano dell'adesione alla κλήσις divina. Il discrimen di legittimità della reggenza, per il vescovo di Kyrrhos, non sembra consistere nell’intervento divino in occasione della designazione del sovrano, quanto dipendere, secondo una prospettiva che era già rufiniana, dalla κλήσις del μέγας βασιλεύς e dall’adeguatezza della risposta ad essa da parte dell’imperatore,124 designato secondo il principio d'eredità o di cooptazione. Teodoreto non poteva certo tramandare la scelta dell'eretico Valente da parte di Valentiniano I come voluta da Dio. La provvidenza per il vescovo si manifestava nella forma di governo,125 la monarchia, in base al principio eusebiano del mondo come βασιλεία e come monarchia. Non è, però, la χειροτονία divina a palesare il sovrano legittimo, bensì la capacità omoiosiana di quest'ultimo. L'imperatore, ἄνθρωπος γὰρ ὦν, è fallibile,126 per questo il μέγας βασιλεύς gli concede una possibilità, lo sollecita, lo chiama a sé, gli dà l’occasione di manifestare la propria legittimità attraverso l ̓ εὐσέβεια. L'insistenza sull’importanza della κλήσις divina e sull'adeguatezza

della risposta umana sembra avere una rilevanza politica non trascurabile. Con essa Teodoreto giustificava la sua opposizione, insieme a quella di Giovanni Antiocheno, alla fazione favorita dal giovane sovrano, costituita dal clero alessandrino, affiancato da parabalani e filoponi, da Crisafio e dagli eunuchi di corte, gratificati largamente da Cirillo.127 Il βασιλεύς di Teodoreto anche se si ritiene, come si riteneva Teodosio II, designato da Dio, qualora si allontani dalla giusta devozione, si può trasformare in tiranno‚al pari di un usurpatore. Contro questi ogni opposizione è giustificata e la sua morte rappresenta la liberazione dei sudditi. Non a caso nell’accenno alla morte di Diocleziano il lettore avverte quasi un certo compiacimento per il giusto castigo:128 Louvain 1960, 292-305. Per il contesto spaziale e sociale del fenomeno, vd. il classico G. Tchalenko, Villages antiques de la Syrie du Nord, Y, Paris 1953, 226 e ss. ed ancora Brown, La società e il sacro, cit., 116 ss. Con la datazione alta del fenomeno da parte di questo studioso concorda M. Mazza, il quale, nei suoi numerosi lavori ( Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel III secolo d. C., RomaBari 19732, partic. cap. VIII, 465 ss.; Santo Mazzarino e la storia religiosa dell'impero romano, QC I, 1989, 186 ss.; Strutture sociali e culture locali nelle province dell'Eufrate (II-IV sec. d. C.), SicGymn n. s. 45, 1992, 159-235; Di Ellenismo, Oriente e Tarda Antichità. Considerazioni a margine di un saggio (e di un convegno), MedAnt I, 1, 1998, 141-170), piuttosto che di democratizzazione preferisce parlare di acculturazione, nozione che comporta la contestuale considerazione dell'incidenza dei fattori socio-economici, e piuttosto che di “emersione” delle culture locali (R. MacMullen, Enemies of the Roman Order. Treason, Unrest and Alienation, in the Empire, Cambridge Mass; 1966, spec. 232-234) di decolonizzazione o ancora di osmosi culturale, rivalutando in parte le enormi potenzialità e la particolare duttilità dell'Ellenismo, messe in risalto da G. Bowersock, L’Ellenismo nel mondo tardoantico, trad. it.,

Bari 1992, sebbene preferisca insistere sulla drammaticità del fenomeno e sul ruolo che in esso rivestì il Cristianesimo. 122 Cfr. Chr. Haas, A lexandria in Late Antiquity. Topography and Social Conflict, Baltimore-London 1997, 311 ss. Sulle eresie, cfr. Luibhéid, Theodosius II and Heresy, cit., 26 e passim, spec. 90; 100; 181. 123 In questa sede basti ricordare l'importante lavoro di Mazza, Le maschere del potere, cit., con la ricca bibliografia ivi contenuta. 124 C. Molè Ventura, Principi fanciulli. Legittimismo costituzionale e storiografia cristiana nella Tarda Antichità, Catania 1992, passim e spec. 177 ss. 125 Cfr. Leppin, Von Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit.,147 ss. 126 La fallibilità come aspetto fondamentale della concezione dell'imperatore per il vescovo di Kyrrhos in Leppin, Von Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 287 ss. 127 Cameron, The Empress and the Poet, cit., 242 e supra n. 53. 128 Thdt. h. e. V 39, 25 (347 Parmentier). 27 Διοκλητιανὸς δὲ ἐv τῇ τοῦ σωτηρίου πάθους ἡμέρᾳ τὰς ἐν ἁπάσῃ τῇ Ῥωμαίων ἡγεμονίᾳ κατέλυσεν ἐκκλησίας· ἀλλ᾽ ἐννέα διεληλυθότων ἐτῶν αὐταὶ μὲν ἤνθησαν καὶ πολλαπλάσιον ἐδέξαντο μέγεθός τε καὶ κάλλος, ἐκεῖνος δὲ μετὰ τῆς δυσσεβείας ἀπέσβη. Poiché la fede per Teodoreto costituisce il titolo necessario alla legittimità della reggenza, l’imperatore eretico o pagano deve essere

destituito o, per lo meno, gli imperatori ortodossi sono giustificati a non prestare il loro aiuto ai colleghi di fede diversa. Il vescovo esemplifica mirabilmente questo principio nella vicenda di Valente e di Valentiniano II. In entrambi i casi i sovrani si imbattono - l'uno per via dei Goti, l’altro a causa di Massimo - in una situazione che richiede l'intervento dei loro colleghi fedeli alla Chiesa cattolica, secondo il principio dell'aiuto reciproco tra le due parti dell'impero. Teodoreto narra in entrambi i casi che gli imperatori ortodossi si sarebbero rifiutati di sostenere i colleghi eterodossi.129 Da questa notizia, probabilmente inventata,130 il vescovo trae due conseguenze importanti. Una rappresenta l'aspetto positivo dell'opposizione al tiranno, che dunque sembra legittimata dal re celeste, cioè la conversione di Valentiniano II. L'altra rappresenta l'aspetto più oscuro, più terribile dell'intolleranza religiosa, cioè la volontà di distruzione del diverso in questo Caso di Valente.131 κοταλαβόντες δὲ τὴν κώμην ἐκείνην οἱ βάρβαροι ἔνθα ὁ Βάλης τὴν ἧτταν μεμαθηκὼς ἐπειράθη λαθεῖν, πῦρ ἐμβαλόντες ἐνέπρησαν σὺν τῇ κώμῃ καὶ τὸν τῆς εὐσεβείας ἀντίπαλον. οὕτω μὲν οὖν ἐκεῖνος κἀν τῷ παρόντι βίῳ ποινὴν ἔτισεν ὑπὲρ ὧν ἐπλημμέλησεν. Per questa via passava l’accettazione della disfatta epocale di Adrianopoli, ma anche si perpetuava uno dei motivi fondamentali della propaganda politica messa in atto dalle classi dirigenti, ossia l'accettazione della monarchia, ma con la fortissima riserva che contemplava la possibilità di uccisione del tiranno. Come già per Filostrato, il quale aveva descritto la vita dell'oppositore dei tiranni per eccellenza, il filosofo e taumaturgo Apollonio di Tyana, anche per Teodoreto il problema era πῶς δεῖ ἄρχειν, non εἰ δεῖ ἄρχειν.132 Ancora a somiglianza del sofista di età severiana lo storico ecclesiastico delinea, anche se non per via dialettica, le caratteristiche del buon sovrano, in contrapposizione alla degenerazione della monarchia in tirannide. A Teodoreto non sono estranei concetti e locuzioni del tradizionale panegirico all'imperatore, Egli. ci presenta

Valentiniano I come perfetto esempio delle virtù platoniche:133 οὐκ ἀνδρείᾳ μόνον ἀλλὰ καὶ φρονήσει καὶ σωφροσύνῃ καὶ δικαιοσύνῃ καὶ μεγέθει σώματος διαπρέποντα. La μεγαλοφροσύνη è un ulteriore caratteristica che il vescovo attribuisce agli imperatori che ammira, come Gioviano e lo stesso Valentiniano I.134 Non da ultime, contribuiscono alla lode dell'imperatore qualità come 129 Thdt. h. e. IV 31, 1; 5, 15, 2 (risp. 270; 304-305 Parmentier). 130 Cfr, Leppin, Von Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 160. 131 Thdr. h. e. IV 36, 2 (273 Parmentier). 132 Philostr. VA 5, 35. Sulle esigenze espresse da Filostrato, portavoce dei ceri dirigenti urbani, desiderosi di un “monarca energico ed autoritario”, ma non “tiranno”, all'interno del percorso di mutazione dell'ideologia imperiale cfr., anche per la straordinaria documentazione, Mazza, Le maschere del potere, cit., 34-55. Sull’aura di venerazione, che circondò Apollonio, wonder-worker and philosopher, cfr. D. Potter, Prophets and Emperor: Human and Divine Authority from Augustus to Theodosius, Cambridge Mass. 1994, 33-37. Sulla biografia di quest'uomo divino vd. anche A. Billaut, The Retoric of a “Divine Man”: Apollonius of Tyana as Critic of Oratory and as Orator according to Philostratus, PH & Rh 26, 1993, 227-235. 133 Thdt. h. e. IV 6, 1 (217 Parmentier); sulle virtù imperiali come “segno” di legittimità cfr. n. 1. Sulle nuove qualità spirituali richieste al monarca, cfr. L. de Blois, Traditional Virtues and New Spiritual Qualities in Third Century Views of Empire, Emperorship and Practical Politics, «Mnemosyne» 47, 1994, 166-176. 134 Thdt. h. e. IV 1, 2 (210 Parmentier), dove si ricorda che (Gioviano)...σῶμά τε γὰρ μέγιστον εἶχε καὶ ψυχὴν

μεγαλόφρον e 4, 6, 2 (217 Parmentier), dove si ricorda che Valentiniano οὕτω δὲ ἦν βασιλικός τε καὶ μεγαλόφρων ὡς τῆς στρατιᾶς πειραθείσης κοινωνὸν αὐτῷ προβαλέσθαι τῆς βασιλείας, ἐκεῖνο φάναι τὸ παρὰ πάντων ᾀδόμενον: «ὑμέτερον ἦν, ὦ στρατιῶται, βασιλέως οὐκ ὄντος, ἐμοὶ δοῦναι τῆς βασιλείας τὰς ἡνίας· ἐπειδὴ δὲ ταύτην ἐδεξάμην ἐγώ, ἐμὸν λοιπὸν καὶ οὐχ ὑμέτερον τὸ περὶ τῶν κοινῶν διασκοπεῖσθαι πραγμάτων». Sulla μεγαλοψυχία vd. il seminale saggio di U. Knoche, Magnitudo animi. Untersuchungen zur Entstehung und Entwicklung eines Römischen Wertgedankens, «Philologus», Suppl. 27/3, 1935, 45 ss., in merito all'uso politico della riflessione stoica sulle virtù, nel periodo tardo repubblicano, allorquando i senatori combattevano la loro Abwehrkampf contro Cesare, che rappresentava nuovi ideali sotto la bandiera ideologica delle teorie peripatetiche. Sull'utilizzazione del canone platonico e stoico, opportunamente modificati da parte della storiografia ecclesiastica, vd. i contributi di Cl. Rapp, Comparison, Paradigm and 28 alta statura e bellezza splendente. Tra queste l'una, insieme alla magnitudo animi, fa parte delle caratteristiche del condottiero, virtù dunque adatta ai due imperatori dalla forte connotazione militare, l'altra riflette invece non solo le qualità morali, ma anche la divinizzazione del βασιλεύς,135 sottolineata per volontà di Costantino, sempre molto attento a propagandare la propria immagine. Con Filostrato lo storico ecclesiastico partecipa anche della profonda convinzione della giustezza della morte del tiranno, che per il vescovo di Kyrrhos si identifica con l'Apostata. In pagine mirabili Peter Brown136 ha rappresentato l'immissione attiva di Satana nella società dei secc. III-VI e il cambiamento di prospettiva conseguente, cioè il dileguarsi dell'immagine tradizionale del teurgo,

mago o γόης. E la trasformazione dell’uomo divino, capace di comandare sui demoni, nella controparte dell’archetipo del credente, che affida con semplicità la propria vita a Dio, e, in campo politico, nel doppio negativo dell'imperatore che stringe un patto con il re celeste. Il nuovo mago non ha conseguito il suo potere grazie alla propria abilità, ma mediante un patto in cui vengono rinnegati Cristo, Maria, e il proprio battesimo, Se il Demonio è l'angelo che ha disubbidito coscientemente, il rappresentante di Satana sulla terra è colui che ha abbandonato la vera fede; egli è il riflesso di Lucifero, colui che, Faust ante litteram,137 ha venduto la sua anima, rinunciando alla propria identità, l'apostata per eccellenza. Da questi presupposti sembrano derivare, con estrema consequenzialità, l'enfatizzazione da parte di Teodoreto dell'originaria ortodossia di Giuliano, l'evidenziazione della sua incapacità di interpretare i segni divini, la necessità della fine di colui che è presentato come un usurpatore. Nell'ultimo capitolo del II L., Teodoreto descrive, quasi a profezia del male che incombe su Giuliano, la morte di Costanzo come intrisa del rimpianto (πικρῶς ὠλοφύρετο τῆς πίστεως τὴν μετάθεσιν)138 di essersi allontanato dalla fede paterna e fortemente in contrasto con la sete di potere del suo Cesare (θάρσος δὲ λαβὼν ὡς οὐκ ὥφελε, τῶν βασιλικῶν ἐπεθύμησε σκήπτρων).139 Giuliano vien subito presentato come erede illegittimo, sia sul piano costituzionale sia sul piano della fede religiosa. L'aspirazione al regno da parte del Cesare è utilizzata dallo storico ecclesiastico per indicare la mancanza di legittimità delle procedure seguite da Giuliano, del quale si sottace l’acclamazione da parte dell’esercito. D'altro canto la dissennata e drammatica bramosia giulianea è presentata come esigenza ineludibile da parte del futuro imperatore di cercare vati e oracoli, che gli possano confermare il raggiungimento dei suoi desideri. In un crescendo drammatico Teodoreto adopera la ricerca folle, obnubilata dal desiderio del regno, per evidenziare la fragilità di Giuliano, ancor più grave rispetto a the Case of Moses in Panegyric and Hagiography, e Th. Urbainczyk, Vice and Advice in Socrates and Sozomen, in M. Whitby (Ed.), The

Propaganda of Power. The Role of Panegyric in Late Antiquity, Leiden-Boston-Köln 1998, risp. 277-298; 299-320. 135G.G. Belloni, La bellezza divinizzante nei panegirici e nei ritratti monetali di Costantino, in Religione e Politica nel mondo antico. Contributi dell'Istituto di Storia antica, 7, Milano 1981, 213-222. Cfr. anche Farina, L'impero e l'imperatore cristiano, cit., 168 ss., insieme a M. Clauss, Kaiser und Gott. Herrscherkult im römischen Reich, München-Leipzig 20012, 197, 264 ss. 136 P. Brown, Stregoneria, demoni e la nascita del cristianesimo: dalla tarda antichità al medioevo, trad. it. di Witchcraft, Confessions and Accusations, Association of Social Anthropologist Monographs 9, 1970, 17-45, in Religione e società nell'età di sant'Agostino, Torino 1975, 126 ss: (trad. it. di Religion and Society in the Age of Saint Augustin, London 1972), sulla scorta dello studio sulla stregoneria, come «funzione di relazioni personali e di situazioni di sventura», condotto da E.E. Evans-Pritchard in Witchcraft, Oracles and Magic among tha Azande, Oxford 1937, fa notare come tutto sia riconducibile al Dio dei cristiani e dunque l’identità dell’individuo risieda nella consistenza del suo cristianesimo. In una società siffatta, il male non poteva essere manipolato da una persona straordinaria tramite conoscenze occulte, ma doveva dipendere dall’opposizione a Dio da parte di un essere celeste con cui lo stregone stabiliva un patto, perdendo la propria identità insieme con la propria anima. Cfr. anche A. Abel, La place de les sciences occultes dans la decadence, in R. Brunschwig-G.E. von Grunebaum (Hrsg.), Classicisme et déclin dans l'histoire de l'Islam, Paris, 1957, 291-315. Sulla demonologia ultim. N. Janowitz, Magic in the Roman World. Pagans, Jews and Christians, London-New York 2001, 27 ss. 137 L. Radermacher, Griechische Quellen zur Faustsage, Sitzungsberichte der Wiener Akademie der Wissenschaften, 206/4, Wien 1927, 44. Sulle fonti, S. Eitrem, Papyri Osloenses, I, Oslo 1927; PG.M.

Preisedanz, Die Griechischen Zauberpapyri, Berlin 1928-1931; A.D. Nock, Greek Magical Papyri, JEA, 15, 1929, 219-235, ora in Essay on Religion and the Ancient Word, I, Cambridge (Mass.) 1972, 176 ss.; M.P. Nilsson, Die Religion in der Griechischen Zauberpapyri, Bulletin de la Société de Lettres de Lund, (1947-1948) 1948, ora in Opuscula Selecta, III, Lund 1960, 129-166. 138 Thdt. h. e. II 32, 6 (174 Parmentier). 139 Thdt. h. e. III 3, 1 (178 Parmentier). 29 quella del cugino, per altro debitamente sottolineata dal crollo della chiesa fatta costruire in onore dei Martiri.140 Mentre l'instabilità di Costanzo serve a "giustificare" la propensione ariana dell'imperatore, l'inaffidabilità di Giuliano appare totale e sinistra, come colpevole e peccaminosa appare la sua aspirazione alla porpora. La τῆς βασιλείας ἐπιθυμία, nell’interpretazione del vescovo, porta il sovrano alla perdita dell’εὐσέβεια, cioè alla perdizione della propria anima, consacrata ai misteri di una religione blasfema per opera di un γόης. A partire dal momento dell'iniziazione, l'immagine di Giuliano è costruita in sapiente opposizione a Costantino. Egli è un βασιλεύς παμμίαρος,141 θεομισής,142 δυσσεβής,143 come il suo modello positivo πανεύφημος,144 θεοφιλής145 ed εὐσεβής.146 In un sapiente gioco di corrispondenze, alla missione pacificatrice di Costantino si contrappone il regno di Giuliano, caratterizzato dai disordini nelle città.147 Alla costruzione della chiesa del S. Sepolcro si contrappone la riapertura dei templi e alle pratiche pie del cristianesimo si fanno corrispondere crudeli riti pagani. Teodoreto giunge fino a contrapporre gli oracoli che predicevano il successo della spedizione persiana alla profezia del santo monaco Giuliano Saba, che preannunciava la morte in guerra dell'imperatore,

paragonato a un maiale devastatore della vigna del Signore (τὸν σῦν ἔφη τὸν τοῦ ἀμπελῶνος τοῦ θείου πολέμιον δίκας εἰσπεπρᾶχθαι).148 In quest'immagine profetica è contenuto il dramma di Giuliano. Egli è condannato alla sconfitta, perché nella teologia politica di Teodoreto la legittimità del sovrano è direttamente collegata alla sua εὐσέβεια e alla sua πραότης, che gli consentono una risposta adeguata alla κλῆσις divina.149 Solo queste virtù, che nell’ideologia imperiale cristiana rivelano pur sempre aspetti sconosciuti al pensiero ellenistico romano,150 possono assicurare l’aiuto divino, senza il quale non può esistere la vittoria. La sconsideratezza (ἀβουλία)151 del βασιλεύς, provoca la distruzione del suo esercito, indebolito dalla sete e dalla fatica, sicché l’insipienza giulianea viene sottolineata con sarcasmo dallo storico, che irride i sostenitori del monarca, i quali elogiano la sua σοφία.152 La polemica sulla validità dell'ideale dell'imperatore-filosofo di Giuliano, portata innanzi da Socrate, con Teodoreta, giunge al suo apice. Il vescovo di Kyrrhos non si limita a sottolineare la mancanza di autocontrollo dell'imperatore in occasione del contrasto con gli Antiocheni, ma dipinge, totalmente delegittimando Giuliano, la rabbia della sua dannazione in punto di morte. Il quadro offerto dallo storico ecclesiastico ribadisce l’ ἀσέβεια del sovrano, il quale lancia verso il cielo il sangue raccolto dalle proprie viscere, da vero Satana in ultimo gesto di sfida (καὶ τοῦτο ῥίψαι εἰς τὸν ἀέρα).153 Il cadavere del monarca viene trovato riverso per terra, in un’atmosfera tragica, al pari di quella che emerge dal quadro a tinte fosche di Luca Giordano, che rende inessenziale l’individuazione dell’uccisore. Se Socrate appare propendere per una soluzione “merveilleuse”, mentre Sozomeno sembra pensare a un cristiano come uccisore di Giuliano, Teodoreto lascia aperte tutte le possibilità perché chi lo ha ucciso è da lui considerato comunque strumento della provvidenza divina. Questa convinzione dello storico ecclesiastico è appunto sottolineata dalla descrizione della gioia degli Antiocheni.154

In essa si manifesta, come ha giustamente sottolineato Lellia Cracco Ruggini,155 certo campanilismo della storiografia ecclesiastica, ma in questo caso esso non appare fine a sé stesso, bensì funzionale anche 140 Thdt. h. e. III 2, 1 ss. (177 Parmentier). 141 Thdt. h. e. III 6, 4 (182 Parmentier). 142 Thdt. h. e. III 8, 1; 3, 11, 3 (187 Parmentier), dove Giuliano è definito chiaramente come τύραννος. 143 Thdt. h. e. III 4, 2 (179 Parmentier). 144 Thdt. h. e. I 2, 2 (5 Parmentier). 145 Thdt. h. e. I 1, 4 (4 Parmentier). 146 Thdt. h. e. III 3, 1(178 Parmentier). 147 Thdt. h. e. III 4, 3 (180 Parmentier). 148 Psalm. 79, 14. 149 Thdt. h. e. V 36, 7 (339 Parmentier). 150 Cfr. la fondamentale analisi di Calderone, Teologia politica, successione dinastica e consecratio, cit., 216-261 ed ora anche Eusebio e l’ideologia imperiale, in Le trasformazioni della cultura, cit., 1-26. La παρρησία e la suggeneia con Dio sono possibili solo attraverso l'umiltà e la mitezza, cfr. n. 2. 151 Thdr. h. e. III 25, 1 (203 Parmentier). 152 Thdr. h. e. III 25, 1 (203 Parmentier). 153 Thdr. h. e. III 25, 7 ss. (204-205 Parmentier). 154 Thdr. h. e. III 28, 1 (206 Parmentier). 155

L. Cracco Ruggini, Universalità campanilismo, centro e periferia, città e deserto nelle “Storie ecclesiastiche” , in La storiografia ecclesiastica nella Tarda Antichità, cit., 159-194. 30 all'esaltazione di valori di carattere più generale. La gioia dei cittadini indica il ristabilimento dell’ordine voluto da Dio, che ha definitivamente distrutto il τύραννος. L'aspetto demoniaco della figura di Giuliano è anche funzionale a evidenziare l'importanza dell'opposizione, messa in atto contro di lui da personaggi quali Gioviano e Valentiniano I. Come nel caso di Valentiniano II e Valente,156 anche in questo caso Teodoreto ci propone le due possibilità di percorso. Infatti l'opposizione al tiranno è condotta da Valentiniano I con la fermezza del martire e da Gioviano come testimonianza di disapprovazione, ma senza rifiuto della compromissione politica. L'inserimento da parte di quest'ultimo nella realtà della spedizione persiana, lo qualifica, in quanto cristiano, come tramite della volontà divina, ma lo avvicina più che all'uomo santo, caratterizzato dalla sua alterità rispetto alle istituzioni, al θεῖος ἀνήρ.157 La παρρησία da lui dimostrata, conferma la carica numinosa del futuro sovrano, atta a evidenziare, palesemente, la valenza provvidenziale della pace e, occultamente, grazie alle funzioni esercitate dal suo modello all'interno delle comunità cittadine, lo contraddistingue come possibile mediatore con i Persiani. Nella visione dell'operato di Gioviano, in quanto inviato di Dio, forse traspare la giustificazione della pace voluta dal partito moderato,158 dopo la “crociata” sostenuta da Pulcheria, ma la stessa presentazione del compito del successore di Giuliano rende evidente che, esaurita la sua funzione, l'impero dovrà passare nelle mani del non compromesso Valentiniano, vero martire della fede. L'esempio di Valentiniano,159 descritto come fermo, ma sereno, testimone della fede, potrebbe contenere ancora una volta il suggerimento all'imperatore di contrastare la violenza che caratterizzava la fazione alessandrina e la corruzione della corte, nella

cui condotta esagitata sembrava manifestarsi apertamente il demoniaco. Non a caso Teodoreto concorda nell'accreditare la proposta che di sé portò avanti Teodosio II. Il giovane principe infatti, dopo la sconfitta politica di Antemio, grazie ai consigli della giovane, ma energica, Pulcheria,160 cercò di accrescere la numinosità della funzione imperiale tramite l’ imitatio Christi. Come immagine del figlio di Dio, nel suo ruolo pubblico egli rifletteva la maestà divina di Cristore salvatore, mentre da privato intendeva rappresentare l'afflizione umana nei tormenti della carne e dell'indigenza. Era infatti sempre più diffusa la convinzione che proprio la mancanza di ogni potere apriva all'uomo l'accesso al potere di Dio.161 Nella società tardoantica erano i monaci ad essere considerati gli eredi dei martiri e i veri imitatori di Cristo. Essi si ponevano dinanzi alla maestà divina come i poveri si ponevano dinanzi ai potenti. L’afflizione del corpo, castigato dalla lunga fatica del deserto, rispecchiava l'atteggiamento contrito di fronte a Dio e parlava della speranza di misericordia e di resurrezione che sarebbe discesa su loro e sull'enorme numero di seguaci, che con essi s'identificavano. L'identificazione, anche fisica, con il Crocefisso, significante la possibilità di riscatto, affascinava le folle dei diseredati, che venivano ormai percepiti come una classe “continua”, comune alla città e alla campagna, all’interno di una drammatica divisione tra ricchi e poveri.162 Consapevoli della nuova percezione della società, che la sensibilità ascetica rivelava, Teodosio e Pulcheria vollero 156 Vd. supra n. 128. 157 L. Bieler, Θεῖος ἀνήρ. Das Bild des göttlichen Menschen in Spätantike und Frühchristentum, Wien 1935-1936, rist. an. 1976, I, 104; Brown, L‘ascesa e la funzione dell'uomo santo nella tarda antichità, in La società e il sacro, cit., 86. L'originaria distinzione tra uomo divino ed uomo santo si attenua nella visione di Lellia Cracco Ruggini ( Imperatori romani e uomini divini, cit., 23 ss., con esaustiva bibliografia) a favore dell'accentuazione di uno “spirito di servizio”, che favorisce comunque la comunità.

158 Cfr. 236. 159 Thdt. h. e. III 16, 1 (194 Parmentier). 160 Probabilmente questa visione fu accettata anche dalla fazione alla quale appartenne Socrate, il quale non era propriamente un fautore di Pulcheria, ma tramanda un'immagine dell’imperatore, sotto questo aspetto, molto simile ( h. e. VII 22, 368 ss. Hansen). 161 Brown, Il filosofo e il monaco, cit., 892. 162 Sulla percezione della condizione umana cfr. S. Averincev, Notion de l’homme et tradition littéraire à Byzance, StudMed 18, 1977, 25; in generale sulla società tardo antica e il modello ebraico e cristiano, che si era ormai imposto, vd. E. Patlagean, Pauvreté économique et tradition littéraire à Byzance, Paris 1977, 45-66 (trad. it. Povertà ed emarginazione a Bisanzio (IV-VII secolo), Roma 1986. Rimane ancora valida la formula di A.-J. Festugière, Cadre de la mystique hellénistique, in Aux sources de la tradition chrétienne, Melange Goguel, Neuchâtel 1950, 84, ripresa in La révélation d'Hermès Trismégiste, Paris 19502, 33 ss., secondo la quale «miseria e misticismo sono fenomeni correlati». Teoria che sta alla base anche del lavoro su Les moines d'Orient, I, Paris 1961, 15 ss., dove non appare certo privilegiata la “cultura” dei monaci rispetto a un " mysticisme soprarationnel’, genuinamente greco, ma dove, nonostante tutto, si fornisce un quadro altamente suggestivo dell" atmosphere dégradante”, che circondava i moines d’Orient. 31 rappresentare questo ideale e, almeno in questo, trovarono il consenso del vescovo di Kyrrhos, Esso, infatti, concedeva la possibilità di controllo dell’attività dell’imperatore da parte del clero, o comunque una collaborazione quale si era espressa già, nella condivisione della gestione delle masse dei poveri, tra monaci e vescovi, all'interno delle città. Era questa la collaborazione, con un

forte privilegiamento del ruolo del clero, che auspicava Teodoreto. Il vescovo con la sua H. e., come sottolinea Alan Cameron,163 si inserisce nel risveglio culturale del V secolo che, con la storiografia ecclesiastica e la produzione agiografica, costituiva un fatto politico ben preciso. La ragguardevole mole di scritti, infatti, rivela come si costruisse, nell'immaginario di un cristianesimo ormai sufficientemente sicuro di sé, il paradigma del perfetto imperatore. L'ideale proposto da Teodoreto era largamente condiviso.164 Una dimostrazione di questa diffusione è riscontrabile nella versione copta del massacro di Tessalonica.165 In essa apprendiamo che Teodosio I intendeva bruciare anche la città di Siut a causa di una rivolta. In quell’occasione S. Giovanni di Licopoli arrivò nella capitale per intercedere a favore della città. Arrivò portato da una nuvola che si fermò sopra il silention imperiale. Dalla nuvola di luce, al posto della dextera Dei, emerse la mano del santo per benedire l’imperatore e porgere la richiesta degli abitanti di Siut. Solo quando la richiesta fu firmata la mano si ritirò e la nuvola riprese il suo viaggio. Era questa la proposta di individui non solo interessati a un rapporto con il centro, ma anche alla gestione del potere, per i quali le regole comportamentali prescritte dalla paideia classica avevano perso molto del loro significato. 163 Cameron, The Empress and Poet, cit., 279; Brown, Il filosofo e il monaco, cit., 890. 164 Il fatto che il vescovo rappresentasse il punto di riferimento di una larga parte di cristiani, ma anche e soprattutto di monaci, che a loro volta gestivano il consenso di larga parte della popolazione rurale, fu debitamente messo in risalto da Teodoreto stesso e forse fu uno dei motivi che lo spinsero a scrivere la sua H. e. Th. Urbainczyk, The Devil Spoke Syriac to me: Theodoret in Syria, in S. Mitchell-G. Greatex (Eds.), Ethnicity and Culture in Late Antiquity, London 2000, 253 ss., evidenzia come in quest'opera Teodoreto si proponga quale mediatore tra l'opposizione degli uomini santi della

regione e il governo centrale, in virtù del proprio bilinguismo. La tesi è ora ribadita in Ead., Theodoret of Cyrrhus, cit., 150 ss. 165 Peeters, Une vie copte, cit., 363. Cfr. J.D. Mac Isaac, “The Hand of God”: a Numismatic Study, «Traditio» 31, 1975, 322-328; il quale sulla scorta di A. Alföldi, Insignien und Tracht der römischen Kaiser, Mitteilungen der deutschen archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 50, Rom 1935, e di A. Grabar Christian Iconography. A Study of its Origins, Princeton 1968, sottolinea come dalle prime raffigurazioni, risalenti alla seconda metà del III sec. d. C., della mano di Dio da cui tutto viene elargito all'umana progenie, presenti negli affreschi di Dura Europos ( Excavations at Dura Europos, Sixth Season, New Haven 1936, 347, 355, n. 49), l'antropomorfismo di origine ebraica giunga ai medaglioni di Costanzo II (risp. 330; 350 d. C.; vd. Alföldi, Insignien und Tracht, cit., 55-56; A. Grabar, Un medaillon de Mersine, DOP 6, 1951, 36-40), in cui l’imperatore appare incoronato dalla dextera Dei, sporgente da una nuvola, nonché alla famosa moneta della consecratio costantiniana (L. Koep, Die Konsekrationsmünzen Kaiser Konstatins und ihre religionspolitische Bedeutung, JbAC 1, 1958, 94-104 e supra n. 5), fino ad arrivare alle emissioni teodosiane, in cui la mano di Dio legittima la successione dinastica assumendo il simbolismo scelto da Valentiniano I (J. Pearce, A New Aes Type of Valentinian I in the Museum of Budapest, NC V 18, 1938, 126-128; P. Bruun, The Roman Imperial Coinage, ( RIC), VII, London 1966, 41, 159) per propagandare la PERPETUITAS IMPERII, come ricompensa divina e fonte di legittimità. Dopo queste coniazioni, l'autore fa presente come il simbolo sia usato per le imperatrici, quasi supportando coscientemente la successione dinastica attraverso la linea materna, a cominciare da Onorio in Occidente e da Teodosio II in Oriente. Il fenomeno non sembrerebbe essere del tutto casuale, ma potrebbe rispecchiare, parallelamente alle testimonianze storiografiche (vd. Molè Ventura, Principi fanciulli, cit., 177 ss.), la difficoltà di attribuire προσθήκαι di tempo al regno di

principi fanciulli, non sufficientemente maturi per sacrificare con piena consapevolezza la propria anima a Dio pantocratore (vd. per ascendenti biblici Ex. 19, 16; Ezk. 1,1; Matt. 17,5). Comunque, come osserva Mac Isaac, “The Hand of God” , cit., 328, this restricted use of symbol is a prelude to its demise. Sotto Valentiniano III la simbologia in qualche modo si politicizza, nel senso che diviene accessibile a un pubblico più vasto, grazie all'iconografia di compromesso che valorizza la simbologia del nimbus (A. Grabar, Christian Iconography, cit., 117 ss.). L'uso politico del simbolismo appare evidente anche nell'episodio, sopra ricordato, della vita di Giovanni: gli uomini santi, clerici e non, erano riusciti a convogliare su di sé le speranze dei diseredati, che in loro riconoscevano la possibilità di un dialogo tra centro e periferia, tra il mondo celeste e l'universo, tutto umano, dell'indigenza. 32 CAPITOLO II PAUPERES E NUOVI PATRONI: FENOMENI DI RIBELLIONE E ATTIVITÀ DI MEDIAZIONE

NELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA Al vasto pubblico dei bisognosi non poteva certo sfuggire il senso della proposta che di sé promuovevano gli uomini santi, poiché essa nasceva da necessità concrete e dall'esigenza, che le periferie ed i più recenti emarginati avvertivano, di creare un nuovo polo di potere da contrapporre ai centri di governo. Gli holy man si erano impadroniti della funzione di mediatori tra il mondo celeste e quello terreno, che il monarca aveva cercato di evocare a sé. Santi, monaci e vescovi rappresentarono le nuove e più reali minacce per la numinosità imperiale. Consapevolmente Teodoreto166 espresse la drammaticità della lotta tramite le amare considerazioni di Teodosio I, riflesso dell'archetipo davidico: «μόγις», ἔφη, «βασιλέως καὶ ἱερέως ἐδιδάχθην διαφοράν, μόγις γὰρ εὗρον ἀληθείας διδάσκαλον. Ἀμβρόσιον γὰρ οἶδα μόνον ἐπίσκοπον ἀξίως καλούμενον». Una straordinaria realtà era ormai assolutamente palese: ai nuovi “luoghi del sacro” guardavano, come loro ancora di salvezza e saldo riferimento, gli emarginati dell’epoca. Del fenomeno era perfettamente consapevole Giovanni Crisostomo. Il vescovo, predicando ad Antiochia, si rese pienamente conto che almeno un decimo della popolazione apparteneva al mondo dei poveri e prese coscienza che questo mondo era parte di «un'altra città».167 Era appunto grazie a questo rapporto con la città ‘altra’ degli indigenti, che i vescovi acquisivano all’interno della struttura cittadina un tipo di autorità in grado di competere con il potere dei notabili tradizionali, proprio come i ‘rozzi’168 ma santi, monaci ne erodevano il prestigio fondato sulla paideia. Ma,ancor di più, grazie al legame mistico che

univa i bisognosi al proprio vescovo, il clero scardinava l’organizzazione urbana dell'impero, attingendo un’universalità che i monaci, d’altro canto, con la loro cultura fondata sulle Scritture, raggiungevano per altri sentieri, superando le strettoie della paideia tradizionale. Per tale via la Chiesa nel suo doppio volto, ufficiale ed alternativo, estendendo la sua protezione fino alle ultime frontiere della società tardoantica, incarnate drammaticamente dai poveri, presentava la sua candidatura come rappresentante di tutta la comunità. I poveri e il controllo della loro potenziale eversività procurarono grande potere e considerevole ricchezza alle istituzioni ecclesiastiche, giustificando contemporaneamente il prestigio che i rappresentanti delle comunità cristiane nelle città, i vescovi, ottennero. Sempre più l'identificazione del vescovo come il vero amator pauperum permise all'organizzazione 166 Thdt. h. e. V 18, 20; 313 Parmentier. 167 Chrys. hom. in Matthaeum 66, 3 (PG LVII, 630): τὸ δέκατον πενήτω τῶν οὐδὲν ὅλως ἐχόντων. 168 L'aggettivo lascia trasparire l’immagine tradizionalmente negativa del monaco, che ben ne evidenziava l’alternatività, in un senso che però non ne esauriva la complessa realtà della divergenza. Esemplare, in questo caso, appare la differente interpretazione del ruolo attribuito alla filosofia dai due Gregori e dagli eustaziani. Essa doveva portare alla purezza attraverso l'ascesi, tenendosi lontani dal mondo e quindi dalla civilitas dei notabili, per Eustazio, mentre per Gregorio Nazianzeno ( or. 6, 12, 20-32), appartenente all’ élite cappadoce, essa rappresentava una splendida meta spirituale, ma la sua applicazione doveva indirizzare alla concordia e all'accettazione dell'ordine voluto da Dio, dunque a un comportamento ‘civile’ e all’obbedienza al legittimo pastore. La polemica sulla divisa dei ‘disobbedienti’ eustaziani, la tunica e il mantello grezzo e scuro” del filosofo, fu in realtà una lotta politica, assai significativa e importante, tra la resistenza della vecchia nobiltà di sangue e di supremazia

economica e politica (P. Brown, The Study of Elites in Late Antiquity, in M.R. Salzmann-C. Rapp, Elites in Late Antiquity, «Arethusa» 33, 3, 2000, 321-346) e il vigore di nuove forze sociali che basavano la loro leadership su carismi evangelicamente fondati. Cfr. F. Fatti, Nei panni del vescovo: Gregorio, Basilio e il filosofo Eustazio, in R. Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites in età tardoantica, Atti del Convegno Internazionale, Perugia, 15-16 marzo 2004, Roma 2006, 177-238. 33 ecclesiastica di sconfiggere gli altri attori di elemosina, cioè le grandi e potenti famiglie dei notabili,169 che costituivano una temibile forza centrifuga all’interno delle comunità. Attraverso l’autorità episcopale la ricchezza privata delle elemosine veniva ridistribuita e diventava la ricchezza della comunità nel suo complesso.170 L’ afflicta paupertas che Costantino si trovò a fronteggiare, costrinse le autorità civili a mettere in atto una stabile e capillare forma assistenziale, che fu affidata, coerentemente con la scelta religiosa dell’imperatore, ai capi della ecclesia e, comunque,sottratta alla pericolosa privatizzazione delle famiglie più illustri.171 La Didascalia Apostolorum 172 dimostra ampiamente la consapevolezza che i chierici avevano del pericolo: Si quis autem sine episcopo facit aliquid, in vano illud facit; non enim illi imputabitur in opus, quia... Episcopus... novit eos, qui tribulantur... Anche Ambrogio, del resto, era cosciente della gravità del fenomeno e, coerentemente, cercò di distruggere la memoria delle famiglie cristiane che avevano sostenuto il suo rivale ariano. Egli, infatti, fece fondere l’argenteria della chiesa di Milano, su cui erano con ogni probabilità i incisi i nomi dei donatori, destinandoli così all’oblio.173 169 A. Giardina, Carità eversiva: le donazioni di Melania la giovane e gli equilibri della società tardoantica, StudStor 29, 1988 127-142. Per le clarissimae feminae cristiane vd, E. Giannarelli, La tipologia femminile

nella biografia e nell'autobiografia cristiana nel IV secolo, Roma 1980, 24 ss. con F. E. Consolino, Modelli di comportamento e modi di santificazione per l'aristocrazia femminile d'Occidente, in A. Giardina (a cura di), Società romana e impero tardoantico, 1, Roma-Bari 1986, 272-306., con Ead., Tradizionalismo e trasgressione nell' élite senatoria romana: ritratti di signore tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, in Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites in età tardoantica, Atti del Convegno Internazionale, cit., 65-139. Vd. anche infra n. 5. 170 Leone Magno ( serm. 9, 3) ben definì la funzione dei vescovi e della Chiesa come mediatori delle intenzioni caritatevoli dei fedeli, perché capaci di intelligere super egenum et pauperem, per la conoscenza dei reali bisogni di costoro. 171 La nobiltà tardoantica mantenne l'antica tradizione evergetica, pur nella forma cristiana, al fine di evitare l'anonimato alla persona dell'evergete e alla famiglia, provocando un indebolimento dell'autorità vescovile, cfr. P. Brown, Aspetti della cristianizzazione dell aristocrazia romana, originariamente in JRS 51, 1961, ora in Religione e società nell'età di S. Agostino, trad. it., Torino 1975; Id., Dalla plebs Romana alla plebs Dei: aspetti della cristianizzazione in Roma, in Brown-Cracco Ruggini-Mazza, Governanti ed intellettuali, cit., 123 ss. insieme a The Cult of the Saints, Chicago 1981, trad. it., Il culto dei santi, Torino 1983, 59 ss. Sul diverso rapporto di pagani e cristiani con l'elemosina vd. V. Neri, I marginali nell'Occidente tardoantico. Poveri, ‘infames’ e criminali nella nascente società cristiana, Bari 1998, 80 ss. Cfr. anche i più recenti contributi in Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites in età tardoantica, Atti del Convegno Internazionale, cit., con Ead., Senatori, popolo, papi. Il governo di Roma al tempo dei Valentiniani, Bari 2004, 61 ss. Sul ruolo e il comportamento dell’aristocrazia femminile, fondamentali nel processo di cristianizzazione, vd. Consolino, Modelli di comportamento, cit., 289 ss. insieme con Ead., Sante o Patrone?

Le aristocratiche tardoantiche e il potere della carità, StudStor 30, 1989, 969-991. Per un ridimensionamento del ruolo femminile si schiera invece M.R. Salzmann, The Making of a Christian Aristocracy. Social and Religious Change in the Western Roman Empire, Cambridge (Mass.)-London 2002, 138 ss. D'altro canto l’imperatore, come è noto, cercò di limitare le donazioni indiscriminate, che alteravano gli equilibri nell’ambito della civitas e dell' ecclesia. In questo senso va interpretata la legislazione di Valentiniano, chiaramente espressa in CTh 16, 2, 20 (30 luglio 370). 172 Didasc. apost. 9, CSCO 402, Scriptores Syri 176, 100 = II 27, 2, 106 Funk: «Se qualcuno dovesse fare qualcosa senza l'approvazione del vescovo... la farà invano,... infatti non sarà ritenuta opera pia... . poiché è il vescovo a conoscere quelli che soffrono». 173 Ambr. off. Il 28, 136-137:... ut nos aliquando in invidiam incidimus, quod confregimus vasa mystica.

..Nonne melius conflant sacerdotes propter alimoniam pauperum quam... asportet hostis? 34 La Chiesa dopo il patto stabilito dall'imperatore con il Dio dei Cristiani,174 cioè dopo l'opzione esercitata da Costantino, venne utilizzata come vero e proprio ammortizzatore sociale dello Stato. Le autorità governative erano senza dubbio consapevoli del fatto che la cura della gran massa dei poveri accresceva l’autorità del clero, così Palladio nella sua Storia Lausiaca 175 poteva notare come gli edifici della Chiesa si sostituissero ai templi o alle domus dei potenti come luoghi di accoglimento per i poveri: ...ἐν γὰρ τῇ στοᾷ τῆς ἐκκλεσίας πλῆθος νοσούντων κατακείμενον ἐρανίζεται τὴν εφήμερον τροφήν, τῶν μὲν ἀγάμων τῶν δὲ γεγαμηκότων.

I ‘miseri della terra’ divennero ben presto il «corteo simbolico del vescovo», come li definisce Brown,176 ma anche, più prosaicamente e realisticamente, forze combattenti in nome della propria chiesa e dei suoi rappresentanti. La loro presenza accanto a quella dei monaci e delle vergini al seguito del vescovo rendeva evidente la forza dell'autorità vescovile. Elemento potenzialmente pericoloso per la compatezza sociale della città, i pauperes, cioè coloro che non erano in grado di badare alla propria sopravvivenza,177 furono imbrigliati nella rete dell'organizzazione ecclesiastica e furono arruolati per eleggere ed acclamare il vescovo colle stesse modalità con cui il demos cittadino acclamava i propri notabili.178 La differenza fondamentale era che la folla dei bisognosi aveva adesso un carattere più composito ed universale e rispecchiava, per l'appunto, 174 Sull'alleanza tra il megas basileus e l’imperatore cfr. Calderone, Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des Souveraines dans l'Empire romain, cit., 217 ss. e Id., Eusebio e l'ideologia imperiale, in Giuffrida-Mazza (a cura di), Le trasformazioni della cultura, cit., 1-26, con il sempre fondamentale Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962. Sul patto e il sacrificio della propria anima al Dio celeste vd. anche Mazza, Le maschere del potere, cit., 236 ss.; Baynes, Eusebius and the Christian Empire, AIPhO 2, 1933-1934, ora rist. in Byzantines Studies and Others Essays, cit., 168 ss. Sul problema vd. anche i classici Peterson, Der Monotheismus als politisches Problem. Ein Beitrag zur Geschichte der politischen Theologie im Imperium Romanum, Leipzig 1935, ora in Theologische Traktate, cit., 45-147 e Dvornik, Early Christian and Byzantine Politics, cit., 659 ss.; per la tematica del Triak. cfr. Ensslin, Gottkaiser und Kaiser von Gottesgnaden, SBAW Phil -hist. Kl. H. 6, 1943, 53-83, ora parz. in Das byzantinische Herrscherbild, cit., 81 ss.; Farina, L'impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea, cit., 263 ss.; Sirinelli, Les vues historiques d'Eusèbe de Césarée, cit., 112; Girardet, Das christliche Priestertum Konstantins des Grossen, cit., 569-592; Barnes, Constantine and Eusebius, cit., 253 ss.; Cameron, Eusebius of Caesarea and the Rethinking of History, in Tria

Corda, cit., 71-88; Bowersock, The Imperial Cult: Perception and Persistence, in Jewish and Christian Definition, 1982, ora in Selected Papers, cit., 43-56; con il più recente A. Marcone, Costantino il Grande, Roma-Bari 2000, con utile e ricca bibliografia. 175 H. Laus. 68, 2-3 (280 Bartelink): «...nel portico della chiesa giace una moltitudine di malati che chiede l'elemosina del vitto quotidiano; alcuni sono soli, altri sposati (trad. it. M. Barchiesi)». 176 Brown, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison-London 1992, trad. it., Potere e cristianesimo nella Tarda Antichità, cit., 142. 177 Forse proprio la categoria del bisogno e la dipendenza dagli altri potrebbero comprendere in sé le diverse sfumature del poliedrico concetto di povertà, poliedricità per altro tradita dalla varietà e complessità del lessico della povertà nelle lingue classiche. Se la lingua latina si mostra più ambigua, con tutta una serie di vocaboli apparentemente sinonimi, per quella greca possiamo parlare di una distinzione sebbene non radicale, tra ptokhoi e penetes. I primi rappresenterebbero i bisognosi per eccellenza, mentre i secondi potrebbero essere definiti come ceti a rischio di povertà; le due tipologie, insomma, andrebbero comprese, per la storiografia moderna, nelle categorie di povertà profonda o superficiale. Sulla celebre dicotomia tra povertà economica e povertà sociale in E. Padagean, Pauvreté économique et pauvreté sociale à Byzance: IVe - VIIe siècle, Paris 1977, vd. M. Mazza, Poveri e povertà nel mondo bizantino (IV-VII secolo), StudStor 23/2, 1982, 283-315. 178 Per Brown, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison-London 1992, trad. it. M. Maniaci, Potere e cristianesimo nella Tarda Antichità, cit., 141, «.... le loro mani (dei poveri), levate in segno di ringraziamento nei cortili delle grandi chiese, riecheggiavano... le scene solenni a teatro che legavano la città ai suoi benefattori». Sul loro ruolo nell'elezione dei vescovi, oltre al succitato Brown, 137, 146, 149, cfr. F.L. Ganshof, Notes sur l'élection

des évêques dans l'empire romain au IVe et pendant la première moitié du Ve siècle, RIDA 3, 1955, ora in Mélanges Fernand de Visscher, III, 467-498; R. Lizzi, Il potere episcopale nell'Oriente romano. Rappresentazione ideologica e realtà politica (IV-VI sec. d. C.), Roma 1987, 33 ss. e naturalmente Ch. Pietri, Christiana Respublica. Éléments d'une enquête sur le christianisme antique, II, CÉFR 234, Roma 1997, spec. 377 ss. 35 la suddivisione bipolare della società tardoantica in potentes e pauperes. L'utilizzazione della Chiesa come elemento stabilizzante sembra per altro rispondere a esigenze di carattere profondamente economico, sia strictu sensu sia su un versante più generale. Lo Stato, attraverso accorte concessioni di immunità e con un'oculata politica di finanziamento e ancora con una legislazione atta a proteggere l'organizzazione ecclesiastica - rispondente alla prospettiva piramidale rispecchiantesi nell’assetto sociale -, consentiva un'erogazione regolare e più diretta rispetto alla munificenza civica, a fronte di una minore spesa pro capite. Del resto tale assistenza si era ormai rivelata necessaria, dopo la svaluzazione del denario e la scelta costantiniana dell'ancoraggio del sistema monetario al solidus aureo, ed era ritenuta di fondamentale importanza a causa della incombente minaccia barbarica. Le sempre più frequenti invasioni, infatti, lasciavano presagire, oltre all’ovvio ulteriore impoverimento delle classi medie, una maggiore mobilità delle classi inferiori179 e facevano prevedere una crescente opposizione ai poteri tradizionali, vissuti come enormemente distanti. La frequentazione del proprio referente religioso era, invece, una costante quotidiana per la folla degli indigenti e offrì alla fine una via per stabilizzare la popolazione. Egli era in grado di prospettare una speranza di cambiamento, di presentare un paradigma comportamentale, di offrire una tutela tali che, alla fine, favorirono l'inserimento dei poveri nella matricula.180

Consapevole delle difficoltà che si trovavano ad affrontare le classi più deboli, Costantino agevolò il soccorso ai bisognosi nelle grandi città con generose elargizioni, assegnando loro delle chiese, cibo e vestiario, che dovevano essere gestiti unicamente dal vescovo, come sottolineano Eusebio ed Atanasio.181 L'effetto stabilizzatore dell'organizzazione assistenziale è del resto confermato per la seconda metà del IV secolo da Fausto di Bisanzio,182 il quale registra un aumento del vagabondaggio, intorno al 350, determinato dalla distruzione degli ospizi istituiti da Narsete. La medesima funzione, non a caso, è testimoniata anche da Gregorio di Nazianzo183 per l'ospedale istituito da Basilio verso il 370. L'unione dei vari centri assistenziali in favore di malati, indigenti e vagabondi testimonia lo slittamento, testé accennato, dei rapporti sociali verso un ordine più nettamente suddiviso, in cui i poveri erano tutti coloro che si trovavano a dipendere dalla generosità dei potenti, ordine che dava nuovo volto alla suddivisione in humiliores e honestiores,184 ancora riscontrabile nei testi giuridici, ma corrispondente ad una prospettiva ormai superata. Il collante di questa società, così nettamente divisa, era costituito proprio dalla carità e dall'attività assistenziale, che alla fine rimase nelle mani del vescovo e della sua chiesa. Appunto come poveri della chiesa le classi inferiori, quelle minacciate da povertà profonda e/o superficiale, per utilizzare una terminologia cara alla storiografia moderna,185 acquisirono una nuova identità e un nuovo ruolo, conquistando diritto di parola e d'azione nell'ambito politico locale. Esse furono il corpo elettorale, privilegiato e spesso guidato alla lotta contro gli infedeli, del patrono cristiano. 179 Cfr. gli importanti studi di G. Ostrogorski, Agrarian Condition in the Byzantine Empire, in CEHE, I, 1942, 205-223; Quelques problèmes d’histoire de la paysannerie byzantine, Bruxelles 1956; di P. Charanis, Social, Economic and Political Life in the Byzantine Empire, Variorum

Reprints, London 1973, spec. ch. III, e la raccolta di saggi di P. Lemerle, The Agrarian History of Byzantium, Galway 1980. Sugli aspetti sociali, politici ed economici del fenomeno della povertà è tornato Mazza, Poveri e povertà, cit., 283-315. 180 Brown, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison-London 1992, trad. it., Potere e cristianesimo nella Tarda Antichità, cit., 142, n.144. Cfr. M. Rouché, La matricule des pauvres, in M. Mollat (Éd.), Études sur l'histoire de la pauvreté (Moyen Âge - XVIe siècle), Paris 1974, I, 83-110. M. de Waha, Quelques réflexions sur la matricule des pauvres, «Byzantion» 46, 1976, 336-354. In particolare sui matricularii come servitori della Chiesa e per essa combattenti cfr. Th. Sternberg, Orientalium more secutus. Räume und Institutionen der Caritas des 5. bis 7. Jahrhunderts in Gallien, JbAC 16, 1991, 105-143; L. Pietri, La ville de Tours du IVe au VIe siècle, Rome 1983, 714 ss.; Neri, I marginali, cit., 97 ss. 181 Eus. v.C. III 58 ( GCS I 1, 111 Winkelmann); Ath. A.A. 18, 30. 182 N. Garsoïan (Ed.), The Epic Histories Attributed to Phawstos Buzand, Cambridge (Mass.) 1989, 212. 183 Greg, Naz. or. 43, 64 (266 Bernardi). Cfr. P. Garnsey, Famine and Food Supply in the Graeco-Roman World: Responses to Risk and Crisis, Cambridge 1988, 23 ss.; con D. E. Daley, Building a New City: the Cappadocian Fathers and the Rhetoric of Philanthropy, JECS 7, 1999, 431-461. 184 E. Patlagean, La pauvreté byzantine au IVe siècle, au temps de Justinien: aux origines d'un modèle politique, in Mollat (Éd.), Études sur l'histoire de la pauvreté, cit., 59-81 e Ead., Pauvreté économique et pauvreté sociale, cit., 71 ss. 185 Cfr. ad es. P. Slack, Poverty and Policy in Tudor and Stuart England, London 1988, 91-108 e J.-P. Guitton, La société et les pauvres. L'exemple de la généralité de Lyon (1534-1789), Paris 1971, 225-247.

36 Nell' oratio 43 Gregorio Nazianzeno186 svela l'importanza dei soccorsi, portati alle vittime della carestia nel 368-370, per la nomina di Basilio a vescovo di Cesarea. Da parte sua, Sozomeno187 sottolinea come, una volta divenuto vescovo, egli continuasse la sua attività a favore dei poveri con la fondazione della Basileias, nuova città, fuori della città.188 L'attività assistenziale del vescovo però, non a caso svolta fuori dalla cinta muraria di Cesarea, malgrado fosse presentata da lui stesso189 come opera di un benefattore tradizionale, pur avendo come oggetto i bisognosi,190 o forse proprio per questo, superava l'ambito urbano e apriva uno scenario più vasto. In questa sua attività caritatevole, abilmente propagandata, Basilio riusciva a rendere palese la valenza politica del cristo-mimetismo191 che pervase l’epoca: solo attraverso l’umiltà dell’abnegazione si riteneva possibile raggiungere le vette del potere come, solo dopo la crocifissione, il Figlio aveva potuto ricongiungersi al Padre. Di fatto, però, sappiamo che Basilio192 intendeva estendere la sua influenza fino a Costantinopoli. Egli sfruttava al massimo le sue relazioni di notabile locale - favorito in questo dalla forza che gli conferiva la 186 Greg. Naz. or. 43, 34 (201 Bernardi). 187 H. e. VI 34 (270 Bidez-Hansen). 188 Già Gr. Naz. (or. 43, 63, 1; 262 Bernardi) considerava il complesso basiliano καινὴ πόλις. Su Basiliade e la sua peculiarità è tornata recentemente M. Cassia, La piaga e la cura. Poveri e ammalati, medici e monaci nell'Anatolia rurale tardoantica, Catania 2009, sottolineandone la complementarietà con l'articolazione delle strutture assistenziali rurali, complementarietà funzionale alla formazione di una rete capillare di cura e controllo delle persone e delle anime. Sulla città come referente reale dell'organizzazione cenobitica basiliana cfr. l'acuta analisi di M. Mazza, Monachesimo basiliano: modelli spirituali e tendenze economico-sociali nell’Impero del IV secolo, in Basilio di Cesarea. La sua età, la sua opera e il basilianesimo in Sicilia, Atti del Congresso internazionale, Messina 3-6 dicembre 1979, I, Messina

1983, 55-96, già in StudStor 21/1, 1980, 31-60, relativa alle caratteristiche dell'organizzazione voluta dal vescovo, determinate da specifiche esigenze di carattere culturale e socioeconomico. Sempre importanti gli studi di 1. Gribomont, Théologie de la vie monastique, Paris 1961, spec. 99; Le monachisme au sein de l’Eglise en Syrie et en Cappadoce, StudMon 7, 1965, 7-24; Un aristocrate révolutionnaire, évêque et moine: S. Basile, «Augustinianum» 17, 1977, 179-191. 189 Bas. ep. 94 (I 206 Courtonne): τόν... συνεργοῦντα ἐλαύνειν ἤ τιμᾶν ἀκολουτότερον.... Relativamente all'attività di Basilio vd. B. Treucker, Polispassim, con B.E. Daley, Building a New City, cit., 431461, R. Teja, Valores aristocráticos en la configuración de la imagen del obispo tardoantiguo: Basilio de Cesarea y la oratio 43 de Gregorio de Nacianzo, in J.-M. Carrié-R. Lizzi Testa (Éd.) “Humana sapit", Études d'Antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini, Turnhout 2002, 283 ss., R. van Dam, Becoming Christian. The Conversion of Roman Cappadocia, Philadelphia 2003. Sul tentativo di alterità e indipendenza rispetto all'organizzazione statale e all'imperatore, ricercata nella nuova strutturazione dell'assistenza, insiste P.J. Fedwick, The Church and the Charisma of Leadership in Basilius of Caesarea, Toronto 1979, 41; in merito cfr. anche R. van Dam, Families and Friends in Late Roman Cappadocia, Philadelphia 2003 e Fatti, Nei panni del vescovo: Gregorio, Basilio e il filosofo Eustazio, in Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites, cit. 177 ss. 190 Greg. Naz. or. 43, 64 (265 Bernardi): Βασιλείου δὲ oἱ νοσοῦντες καὶ τὰ τῶν τραυμάτων ἄκη καὶ ἡ Χριστοῦ μίμησις… 191 Brown, Il filosofo e il monaco, in A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, III. L'età tardoantica, 1. Crisi, cit., 877-893. Per la propaganda a favore di Basilio cfr. sempre Greg. Naz. or. 43, 61 ( PG XXXVI, 576 = 256

Bernardi): Θαυμαστὸν ἡ ἐγκράτεια, καὶ ὀλιγάρκεια καὶ τὸ μὴ κρατεῖσθαι τῶν ἡδονῶν. κατὰ τὴν μεγάλην παραίνεσιν τοῦ ἐμοῦ Χριστοῦ, καὶ σάρκα δι’ ἡμᾶς πτωχεύσαντος, ἵν᾿ ἡμεῖς πλουτισθῶμεν θεότετα. Sull'immagine del vescovo cfr. R. Teja, Valores aristocráticos en la configuración de la imagen del obispo tardoantiguo: Basilio de Cesarea y la oratio 43 de Gregorio de Nacianzo, in J.-M. Carrié-R. Lizzi Testa (Éds.) “Humana sapit", cit., 283-289, V. anche infra 58. 192 Epp. 3; 36; 37; 104; 117; 142 (Courtonne I 79; II 5). Cfr. sul progetto basiliano G.-E Reilly, Imperium and Sacerdotium according to St. Basil the Great, Washington 1945, 51 ss. e sul valore dell'assistenza medica G. Marasco (a cura di), Vescovi e assistenza medica, in E. Dal Covolo-I. Giannetto, Cultura e promozione umana, La cura del corpo e dello spirito dai primi secoli cristiani al Medioevo: contributi e attualizzazioni ulteriori, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Oasi “Maria Santissima” di Troina 20 ott.-1 nov. 1999, Troina 2000, 49-57. 37 massa degli indigenti che lo sosteneva - per guadagnare esenzioni fiscali e immunità personali a quanti gravitavano nella sua orbita ed aspiravano a diventare monaci o fondatori di istituti di carità.193 Egli riuscì anche a mobilitare le associazioni cittadine contro il governatore:194 Αἱ δᾷδες ἐν χερσὶν, οἱ λίθοι προσβεβλημένοι tà ρόπαλα εὐπρεπῆ, δρόμος ἁπάντων εἷς, βοὴ μία, προθυμία κοινή. Anche se l’accordo con esse stabilito fu il frutto dell’abilità di Basilio, va comunque sottolineato che l'appoggio delle associazioni

professionali al vescovo era già stato favorito dalla legislazione imperiale.195 Costantino, infatti, non si era limitato a favorire i patriarchi con partite di lino stornate dalle entrate del fisco, ma aveva anche istituito un servizio di sepoltura gratuita, ovviamente in cambio di notevoli esenzioni d'imposta, servizio che voleva sempre gestito dal vescovo, con diritto di decidere su tutte le richieste.196 Non è difficile riconoscere in questi provvedimenti la Stimmung dell'imperatore ‘rivoluzionario’, ma, come loro fonte primaria di ispirazione, non si può disconoscere una prospettiva politica che, certo a livello sovrastrutturale, era un esito, e non trascurabile, della destrutturazione del III sec. d. C.197 L’ episkopos ton ektos 198 non poteva non riconoscere il potere degli altri episkopoi che erano stati, insieme a lui, incaricati dal megas basileus di guidare l'umanità, ma il ‘tredicesimo apostolo’199, con la sua attività legislativa, aveva comunque aperto una via non scevra da pericoli. Certo l’imperatore aveva consapevolmente scelto di appoggiare il clero, temendo l'opposizione dei vecchi notabili all'opera titanica di trasformare lo stato pagano, ma, così facendo, aveva dato luogo a forze politiche che, se non erano completamente nuove, ora potevano essere coordinate dai loro patroni, tanto più che Costantino cercò comunque di fare della Chiesa un'istituzione efficiente e definita gerarchicamente. Infatti Basilio appare rappresentare uno stadio evoluto rispetto alla primitiva organizzazione assistenziale. Nella persona del vescovo di Cesarea sembrano convergere tutte le forze politiche fondamentali del nuovo mondo, come l’aristocrazia di cui faveva parte, la burocrazia imperiale con la quale condivideva il comando, il popolo che era la base su cui si fondava il suo potere e che lo adorava e sosteneva. Sullo sfondo,poi, sembrano muoversi i monaci, con cui il vescovo aveva condiviso la vita ascetica in Egitto e che aveva chiamato a gestire il suo ospedale, nel tentativo di inserirli all’interno della gerarchica organizzazione ‘cattolica’.200

193 Cfr. M. Forlin Patrucco, Basilio di Cesarea, Le Lettere I, Torino 1983, 402 ss; R. Lizzi, Il potere episcopale nell'Oriente romano, cit., 79; L. De Salvo, « I munera curialia» nel IV secolo. Considerazioni su alcuni aspetti sociali, AARC 10, 1991, 303, n. 64. 194 Greg. Naz. or. 43, 57 ( PG XXXVI 568-569 = 246 Bernardi): «Torce in pugno... scagliando sassi brandendo randelli di grandi dimensioni, tutti accorsero gridando insieme con zelo concorde». 195 Nov. Iust. 59 (537 d.C.). Cft. CJ 12, 4 (409); Epiph. Pan. 3, 1, 76 ( PG XLVI 516 D-517 A). 196 CTh XVI 1, 4, 5. 197 M. Mazza, Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel III secolo d. C., Roma-Bari 19732. 198 Eus. v.C. IV 24 ( GCS I 1, 128 Winkelmann). Espressione con cui l'imperatore voleva essere definito (J. Straub, Kaiser Konstantin als episkopos ton ektos, Studia Patristica 2/1, 1957, 678-695; e Id., Constantine as koinos episkopos, cit., 37-55) e che per S. Mazzarino, Trattato di storia romana, II. L’Impero romano, Roma 19622, 427, era «la pietra angolare per l'interpretazione di tutto l’atteggiamento di Costantino nei riguardi della Chiesa». Cfr. anche i lavori di Calderone citt. n. 8 e Mazza, Le maschere del potere, cit., 236. Sull'opera e l'attività legislativa di Costantino, in generale, è tornata recentemente R. Lizzi Testa, Costantino come modello nelle fonti legislative, in Bonamente-Lenski-Lizzi Testa (a cura di), Costantino prima e dopo Costantino. Constantine after and before Constantine, cit., 481-500, spec. 482-484, la quale sottolinea come, non solo nel contenuto, ma anche in merito al rapporto tra potere normativo imperiale e diritto, il sovrano abbia portato avanti la sua "rivoluzione", nella convinzione della superiorità della lex generalis sugli innumerevoli rescritti. Come, poi, le fazioni della corte teodosiana abbiano contribuito a sottolineare la esemplarità di Costantino è efficacemente descritto da J. Harris, Pius Princeps. Theodosius II and

Fifth-century Constantinople, in P. Magddalino (Ed.), New Constantines: the Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th- 5th Centuries, Variorum 1994, 35-44 e da F. Millar, A Greece Roman Empire: Power and Belief under Theodosius II, Oxford 2006, 149-234, In merito vd. anche C. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, Catania 2008, 423 ss. 199 Vd. supra 18 ss. 200 Sul rapporto del monachesimo con l’attività assistenziale vd. K. Baus-E. Ewig, Storia della Chiesa, II, trad. it., Milano 1980, 367 ss. e sulla specifica attività di Basilio vd. la mise au point di Mazza, Monachesimo 38 Così come l’importanza del vescovo derivava dal suo popolo, il ruolo e la visibilità dei poveri della chiesa derivavano dal legame che si era creato con il loro nuovo patrono. Legame che era improntato alla cura e all’assistenza materiale ed ospedaliera, pratica che non era certo nata dal nulla e, per altro, si era andata definendo con il precisarsi degli interessi convergenti in gioco. Certo, cercare di delineare il cammino che dalla emersione dell’uomo santo portò alla definizione del vescovo amante dei poveri e, quindi, loro governatore, caratterizzato da una attitudine fortemente ambivalente nei confronti del monaco, che, nel gioco delle parti sulla scena politica, a volte apparve del tutto soppiantato, a volte fu considerato la necessaria ‘spalla’, non rappresenta un compito facile per lo storico. Una simile impresa, infatti, presuppone una visione, se non organica, almeno coerente, a fronte di una documentazione frammentaria e discordante. I dati certi su cui fondare una ricostruzione condivisibile sono sicuramente quelli legislativi, ovviamente maggiormente perspicui nel caso in cui siano convalidati dalla testimonianza delle altre fonti, ancorché agiografiche. ***

Per le loro funzioni i clerici occuparono indubbiamente un posto eminente nella società cristiana; per permettere loro di dedicarsi completamente al servizio di Dio e dei loro fratelli, bisognava riservare ad essi un posto speciale nella comunità, che li ripagasse e riconoscesse la dignità del loro ministero. Rimarcando questa necessità il legislatore201 seguiva una tendenza che aveva le sue radici nella profondità del pensiero religioso e aveva i suoi riscontri nei Leviti del l'antica Legge come anche nei sacerdoti pagani. Ma è con il riconoscimento della fede cristiana che il clericus giunse a conquistare un posto a parte nel diritto e nella società romani; la sua vita fu ormai regolata da uno statuto particolare, giustificato dal suo stato e dalla sua funzione e fondato su tre precise caratteristiche. Di esse la prima concerneva il patrimonio, la seconda riguardava le immunità fiscali, la terza si concretava nel privilegio della giurisdizione. Non c'è bisogno di sottolineare che originariamente il chierico non emancipato, anche se appartenente agli ordini maggiori, era persona alieni iuris, ma, coerentemente con la visione complessiva che Costantino ebbe della società, durante il suo regno la legislazione sembrò allontanarsi dalla rigidità antica. Infatti l’imperatore, che nel 326202 estese ai palatini il diritto riconosciuto ai militari di gestire liberamente i guadagni ricavati dal servizio, potrebbe averlo esteso ulteriormente. Sebbene Gaudemet non creda all’asserzione del così detto Liber Syro-Romanus iuris,203 in cui si legge che Costantino liberò il clero dalla patria potestas, tale riconoscimento potrebbe non ritenersi estraneo, quanto meno, alla volontà costantiniana. Non era certo compatibile con gli obiettivi di uno Stato ben strutturato la possibilità che un vescovo, a cui era stata affidata la tutela della plebs Dei, non fosse emancipato dal padre e dipendesse da quest'ultimo, che tra l’altro poteva anche non essere cristiano. Purtroppo non possediamo la legge a cui accenna il Libro e invece abbiamo la costituzione di Leone del 472,204 che attribuisce agli ordini maggiori, ancora sotto la patria potestà, il diritto di considerare come beni propri tutti quelli acquisiti, a partire dal giorno dell’ordinazione.

Giustificata dal desiderio di lasciare al clero la libertà di dedicarsi completamente al proprio ministero a favore della comunità205, la politica delle immunità apparve una giusta ricompensa per quello che potremmo basiliano, cit., 31 ss., con le recenti analisi della specificità anatolica in Cassia, La piaga, cit., 33 ss. e della differenziazione dell'Occidente in R. Arcuri, I percorsi dell evergetismo nella tarda Antichità: la Chiesa, l'impero, e la susceptio peregrinorum, Reggio Calabria 2005, 107. Suggestivi i lavori di Lizzi, Il potere episcopale, cit.; Ead., Vescovi e strutture ecclesiastiche nella città tardoantica (L'Italia annonaria nel IV-V secolo d. C.), Como 1989; C. Rapp, Holy Bishops in Late Antiquity: the Nature of Christian Leadership in an Age of Transition, Berkeley 2005 e i contributi in E. Rebillard-C. Sotinel (Éd.), L'évêque dans la cité du IVe au Ve siècle: Image et autorité, Actes tab. rond. Inst. Patr. Augustinianum ct ÉFR, Rome 1-2 dec. 1995, Roma 1998; in Dal Covolo-Giannetto, Cultura e promozione umana. La cura del corpo, cit., spec. R. Soraci, Istituzioni assistenziali nell'Impero romano, 59-76; in Marino-Molè-Pinzone (a cura di), Poveri ammalati e ammalati poveri. Dinamiche socio-economiche, trasformazioni culturali e misure assistenziali nell'Occidente romano in età tardoantica, cit., 410. 201 Gaudemet, L'Église dans l'Empire Romain (IVe-Ve siècles), Paris 1958, 176. 202 CTh VI 36; CJ XII 30, 1. 203 LSR 117 (671 Riccobono-Baviera-Ferrini): Beatus rex Constantinus… Liberavit autem κληρικοὺς etiam a potestate parentium suorum. 204 CI I 3,33. 205 Cfr. in merito R. Lizzi Testa, Privilegi economici e definizione di status: il caso del vescovo tardoantico, RAL s. IX 11 (1), 2000, 59 ss. 39

definire la “militia clericale’. Il principio è solennemente sancito dalla costituzione del 21 ottobre del 313206, che assicurava l'esenzione da tutti i munera, anche se sembra attendibile l'ipotesi che Costantino avesse già accordato l'immunità prima di quella data. Infatti una costituzione del 31 ottobre del medesimo anno207, denunciante la condotta degli eretici che imponevano ai clerici i munera pubblici, da cui erano stati già esentati, ci riporterebbe ai primissimi mesi del 313, cioè prima del rescritto in risposta al rapporto redatto, il 15 aprile dello stesso anno, dal proconsole Anulino.208 L'importanza della politica dell'esenzione, che assicurava alla stabilizzazione sociale parte del patrimonio delle grandi famiglie, da cui spesso i vescovi - almeno quelli orientali - discendevano, è confermata dal richiamo al proconsole d'Africa nel 330,209 come anche dalle reiterazioni di Valentiniano I e di Graziano.210 Il clero fu privilegiato anche dai figli di Costantino, dal 343 Costanzo II estese le immunità alle tasse straordinarie ( collationes novas)211, dal 346 ai munera sordida e all'imposta fondiaria.212 Infine, in accordo con il suo credo, Valentiniano I esentò dalla capitatio plebeia, insieme alle vedove e agli orfani, coloro che avevano dedicato la propria vita all'ossequio perpetuo della sacra lex.213 Dalla legislazione si evince con quale i impegno e conseguente successo la Chiesa svolgesse il proprio compito, come anche con quanta attenzione i vescovi fossero ascoltati dagli imperatori, ma anche come il corpo della comunità formasse sempre più un blocco solidale, le cui componenti diventavano sempre meno scindibili. Basandosi su due principi ugualmente fondati sulla Sacra Bibbia, cioè l'esistenza di una gerarchia nella Ecclesia e, nel contempo, l’uguaglianza. e fraternità dei figli di Dio, la società cristiana aveva elaborato un'immagine di sé in cui i laici, certo, non formavano una folla anonima e confusa. Al contrario, i meriti di alcuni di essi conferivano loro un posto a parte nella comunità, in base al carisma, al martirio, alla propria attività, sostanzialmente alla funzione svolta nella e per la Ecclesia. Il processo di formazione di questa

consapevolezza occupò tutto il IV secolo, ma già negli ultimi decenni essa appare emergere con sufficiente chiarezza dalle nostre fonti-Nel De laude Sanctorum, Victricius di Rouen214 descriveva l'ordine della processione che nel 396 accolse delle reliquie. Dopo i presbiteri e i diaconi appaiono in elenco gli ordini inferiori seguiti dai monaci, dalle vergini, dalle vedove, dai continentes, dai vecchi e dalle madri, che precedono la plebs. All’interno del popolo cristiano l'unione era stabilita dalla rinuncia e dalla devozione, la distinzione dall’autorità e dal carisma personale. Per questa via era possibile l'assimilazione del radicalismo monastico, come del resto testimonia Gerolamo, il quale, nella epistola 14,8 del 376-377, pur sottolineando la diversità/superiorità degli asceti sui vescovi, ammetteva il passaggio dal monachesimo al clericato. Il santo preveniva, in queste sue considerazioni, la decisione del Concilio di Cartagine del 401, che ammise l'ordinazione dei monaci, con il solo divieto ai vescovi di ordinare al di fuori della propria diocesi.215 Si era fatta molta strada da quando il theios aner,216 che grazie alla sua saggezza era considerato capace di dominare la natura e di agire su di essa per la conoscenza acquisita delle sue leggi, aveva conquistato una 206 CTh XVI 2,2. 207 CTh XVI 2, 1; Eus. h. e. X 6 (890 Schwartz-Mommsen). Cfr. G. Ferrari dalle Spade, Immunità ecclesiastiche nel diritto romano imperiale, Venezia 1939, II ed., ora in Scritti giuridici, III, 1956, 126. 208 Cfr. l'interessante mise au point, con esaustiva bibliografia, in B. Bellomo, Le immunità ecclesiastiche, Roma 2006, 50 ss. 209 CTh XVI 2,7. 210 Risp. CTh XVI 2, 18 (370); CTh XVI 2, 24 (377) e 26 (381). 211 CTh XVI 2, 8. 212 CTh XVI 2, 10. Cfr. anche CTh XIII 10, 15, 2 = CJ I 3, 3.

213 CTh XIII 10, 6. 214 Laud. Sanct. 2-3 ( PL XX 445). 215 C. eccl. Afr. 80 = H.Th. Bruns, Canones Apostolorum et conciliorum saeculorum, IV-VII, Berlin 1839, I, 175 = D. 58, 2. 216 Sull'affermazione dell'uomo divino e le sue caratteristiche cfr. Bieler, Θεῖος ἀνήρ, cit., I, 104. Cfr. anche infra n. 51. 40 straordinaria autorità e, con essa, il diritto di parrhesia217 nei confronti delle autorità centrali, insieme alla capacità di garantire la pace nelle città e l'equilibrio, in esse sempre precario. L'uomo divino era stato soppiantato dall'uomo santo218 l' holy man che agiva al di fuori della città. Questi, proprio grazie alla sua alterità, manifestava il potere raggiunto di contrastare le forze esterne del male e del caos, conquistando il ruolo di guida verso la via della salvezza per le torme di contadini che andavano ad abbeverarsi alla fonte della sua saggezza, «appresa da Dio». Essi sedevano all'interno delle grotte pronte ad accoglierli o, stanchi e ammalati, indifesi nei confronti della vita e del male, bussavano ai monasteri per il sollievo e il conforto dell'assistenza. Per le stesse caratteristiche geografiche dei luoghi di appartenenza, gli uomini santi assunsero, infatti, stili di vita diversi, anche se all’inizio più simili di quanto generalmente ammesso.219 La distinzione tra l’anacoretismo, affermatosi sull’altopiano di Siria, e il cenobitismo egiziano, favorito dalle ostili condizioni ambientali, appare aver una sua validità sul versante dell'organizzazione economica e, soprattutto, 217 Sul termine, cfr. Scarpat, Parrhesia, cit., il quale ne esamina tutte le potenzialità semantiche. Esso, nel saggio dello studioso, come già sottolineato nelle pagine precedenti, dal valore fondamentale di diritto di libero pensiero e di libera espressione, giunge a significare la franchezza, resa possibile dalla purezza di coscienza, che permette di

parlare liberamente e con Dio e con gli uomini. Da questa prospettiva deriverebbe la concezione del martire come responsabile del diritto/dovere di diffondere tra gli uomini il messaggio divino, anche a costo della propria vita (vd. ad es. Eus. m. P. 1, 1). 218 Per la trasformazione dell'uomo divino in uomo santo e per la sua alleanza con il potere istituzionale statale e religioso, cfr. Brown, Rise and Function of the Holy Man in Late Antiquity, JRS 61, 1971, 80-101, in La società e il sacro nella tarda antichità, Torino 1988 (trad. it., Society and the Holy in Late Antiquity, cit., 67-115). Cfr. anche Cracco Ruggini, Imperatori romani ed uomini divini (I-IV secolo), in BrownCracco Ruggini-Mazza, Governanti ed intellettuali, cit., 66 ss. Sull'importanza di un uomo divino come Apollonio di Tyana e il suo ruolo politico cfr. ibid., M. Mazza, L'intellettuale come ideologo: Flavio Filostrato ed uno "speculum principis" del III secolo d. C. , 93-121. Il taumaturgo, non a caso, fu esaltato per le sue capacità iatriche (M. Dzielska, Apollonius of Tyana in Legend and History, Roma 1986, 50 ss.), rivelatrici di un potere proveniente dagli dei e funzionale alla salvezza dell'umanità, riconosciuto nell’epigramma pubblicato da G. Dagron-D. Feissel, Inscriptions de Cilicie, Paris 1983, 137-141, nr. 88 e identificato da A. Mastrocinque, Magia agraria nell'impero cristiano, MedAnt 7/2, 2004, 795-836, nella magia profilattica esercitata attraverso statue talismaniche, fornite da Apollonio alle popolazioni contro le calamità, potere che lo rendeva visibile come theios aner, ma anche rendevano pericoloso il suo ricordo per le élites cristiane e i loro «luoghi del sacro». Sull'epigramma cfr. C.P. Jones, An Epigram on Apollonius of Tyana, JHS 100, 1980, 190-194 e G. Sfameni Gasparro, Il sofista e l'uomo divino: Filostrato e la costruzione della «vera storia» di Apollonio di Tiana, in O.D. Cordovana-M. Galli (a cura di), Arte e memoria culturale nell'età della seconda sofistica, Catania 2000, 271288, con utile bibliografia. Vd. anche supra 62. 219 Cfr. M. Mazza, Aspetti economici del primo monachesimo orientale. Considerazioni preliminari, in L. De Salvo-M. Mazza-A.

Pinzone (a cura di), Hestiasis, Studi di tarda antichità offerti a Salvatore Calderone, I, Messina 1986, 316, secondo il quale, anche se «oggettivamente esistono specifiche caratterizzazioni» in funzione della tipologia del territorio, le distinzioni geografiche non possono avere un valore assoluto. Lo studioso appare scettico anche sul rigido ed «ingenuo evoluzionismo» alla base delle teorie di H. Bacht, Antonius und Pachomius. Von der Anachorese zum Coenobitum, in B. Steidle (Hrsg.), Antonius Magnus Eremita. Studia ad antiquum monachismum spectantia 38, Roma 1956, 66-107, il quale, trattando di Pacomio, ha sintetizzato l'opera di questi nella rigida formula di un passaggio von der Anachorese zum Coenobium. La prospettiva di M. Mazza ha sicuramente il merito di aver messo l'accento sulla ‘riassociazione’ degli uomini che formavano le comunità, espressione sì di una scelta di distacco dal mondo, ma anche nuova forma di organizzazione del lavoro. Interessante la discussione in A. Baker, Which came first: the Hermite or the Community, DR 91, 1973, 290-297. Sul radicamento nel territorio vd. P. Barison, Ricerche sui monasteri dell'Egitto bizantino ed arabo secondo i documenti dei papiri greci, «Aegyptus» 18, 1939, 29-148 con A. Martin, L'Église et la khóra égyptienne au IVe siècle, REAug 25, 1979, con Ead., Aux origines de l'Église copte: l'implantation et le développement du Christianisme en Egypte (Ie-IVe siècles), REA 83, 1981, 35-56; per l'organizzazione del lavoro e il suo rapporto con il territorio cfr. A. Guillaumont, Aux origines du monachisme chrétien. Pour une phénoménologie du monachisme, Bellefontaine 1979, 117-126 ed E. Wipszycka, Les resources et les activités économiques des églises d’Egypte du IVe au VIIIe siècles, Bruxelles 197, 57 ss. 41 relativamente alle forme più evolute del sistema monastico.220 In realtà il padre fondatore, Antonio, creó consapevolmente un tipo particolare di monachesimo, quale fu quello dei Padri del deserto. I suoi monaci conducevano una vita solitaria, dedita alla mortificazione e alla vita contemplativa, nelle loro cellulae; poche riunioni, un

superiore, l'abate, la comune liturgia domenicale garantivano la coesione, a fronte dell'isolamento individuale.221 Solo appena un po’ più tardi, intorno al 320, Pacomio222 sembra aver organizzato la vita conventuale in Tebaide, riunendo i monaci a vivere in comune e soprattutto stabilendo una regola. Qui gli uomini santi sperimentarono probabilmente su se stessi il bisogno di assistenza, qui chiamarono gli esperti dell’arte medica ed estesero i benefici di questa ricerca ai propri confratelli e poi al resto dell'umanità, soprattutto a chi era al di fuori della comunità cittadina, i poveri a diverso titolo ai margini della società, perché ammalati, perché privi di mezzi di sussistenza a causa di un qualsiasi evento, perché stranieri. Era questo l’aspetto del monachesimo destinato all’assimilazione, era questa la tipologia di santità la cui collaborazione con la Chiesa ufficiale fu cercata dalle istituzioni civili e dall’organizzazione ecclesiastica, era questa la pietra su cui fu fondato il monachesimo basiliano. L'esempio cenobitico di Pacomio fu seguito da Basilio, che lo riformò avvicinandolo alla città e rendendolo funzionale ai bisogni dei gruppi sociali meno protetti.223 Il 220 Sull'eroismo ascetico del monachesimo siriano cfr. A. Vööbus, A History of Ascetism in the Syrian Orient, II. Early Monasticism in Mesopotamia and Syria, CSCO Subs., 17, Louvain 1960; A.-J. Festugière, Antioche païenne et chrétienne. Libanius, Chrysostome et les moines de Syrie, BEFAR 194, Paris 1959; e Id., Les moines d'Orient, 1-4, Paris 1961-1965; S.P. Brock, Early Syrian Ascetism, «Numen» 20, 1973, 1-19; G.M. Colombas, El monacato primitivo, I, Madrid 1974, trad. it., Il monachesimo delle origini, Milano 1984, 143. Sul cenobitismo egiziano, oltre ai già citati studi di Barison, Martin e Guillaumont cfr. H.G.E. White, The monasteries of Wadi'n, Natrum, 13, New York 1926-1933; J.C. Guy, Le centre monastique de Scété au IV et au début du V siècle, OCP 30,1964, 129-146; D. Chitty, The Desert a City. An Introduction to the Study of Egyptian and Palestinian Monasticism under the Christian Empire, Oxford 1966. Su una differenza in base alla tipologia di lavoro e al rapporto con il territorio

insiste Mazza, Aspetti economici, cit., 325, che riconosce un circuito economico autonomo ai monasteri egiziani, mentre individua un forte legame tra quelli siriaci e le comunità di villaggio. 221 Cfr. gli importanti studi di A. Harnack, Il monachesimo, trad. it., Milano 1909; O. Chadwick, John Cassian, A Study in primitive Monasticism, Cambridge 1950; Festugière, Les moines d’Orient, I, cit.; D. Knowles, Il monachesimo cristiano, trad. it., Milano 1969, ma anche i sempre validi B. Lohse, Askese und Mönchtum in der Antike und in der Alten Kirche, München-Wien 1969; H. Bacht, Vermächtnis des Ursprung. Studien zu frühen Mönchtum, 1, Würzburg 1972; insieme al già citato Colombas, El monacato primitivo, 1-3. Per l'uso del termine vd. E-E. Morard, Monachos, moine, histoire du term grec juqu’au dème siècle, Freib. Zeitschr. F Philos. U. Theol. 20, 1973, 332-425. 222 Sempre fondamentale per l'istituzione pacomiana P. Ladouze, Etude sur le cénobitisme pachomien pendant le IVe siècle et la première moitié du Ve, Frankfurt am Main 1961, rist. dell'ed. di Louvain-Paris 1898. Sull'opera di Pacomio cfr. Ph. Rousseau, Pachomius. The Making of a Community in Fourth- Century Egypt, Berkeley-Los Angeles-London 1985. Sulla problematica cronologia delle fondazioni pacomiane vd. l'ormai datato M. Th. Lefort, Les premiers monastères pachómiens, «Muséon» 52, 1939, 364 ss., con D. Chitty, A Note on the Chronology of Pachomian Foundations, Studia Patristica 2, TU 64, Berlin 1957, 379-385. Nonostante la buona rete assistenziale ecclesiastica in Egitto (E. Wipszycka, Les resources et les activités économiques des églises en Egypte, cit., 37 ss.), i monaci

ebbero un ruolo di primaria importanza nella cura e protezione dei poveri sicché le strutture di accoglienza divennero una realtà del deserto tardoantico. Sul fenomeno cfr. i contributi in E. Wipszycka (Éd.), Études sur le christianisme dans l'Égypte de l'Antiquité tardive, Roma 1997; in generale vd. J. Lacarriére, Les hommes ivres de Dieu, Paris 1983 e D. Burton-Christie, The Word in the Desert, Oxford 1993. Per l'anacoretismo dell'altopiano siriaco, secondo la ben nota distinzione browniana affermata in The Rise and Function of the Holy Man in Late Antiquity, JRS 61, 1971, 80-101, in La società e il sacro nella tarda Antichità, Torino 1988 (trad. it., Society and the Holy in Late Antiquity, cit.,), cfr. Town Village and Holy Man; the Case of Syria, in La Società e il sacro, cit., 116-127. Per i rapporti complessi intercorrenti tra monaci e clerici vd. M. Forlin Patrucco, Monachesimo e gerarchie ecclesiastiche nel IV-V secolo: rapporti, tensioni, alleanze, AARC 10, 1995, 265-277. 223 In questo risiederebbe l’originalità dell'istituzione basiliana secondo A.T. Crislip, From Monastery to Hospital. Christian Monasticism & the Transformation of Healt Care in Late Antiquity, Ann Arbor 2005, 49, il quale considera il vescovo di Cesarea il mediatore tra l'amministrazione cristiana della carità e il sistema sanitario monastico pacomiano, mediazione che rese possibile la nascita dell'ospedale. Diversamente.T.S. Miller, The Birth of the Hospital in the Byzantine Empire, BaltimoreLondon 1985, 44 ss., che conferiva un 42 monaco-vescovo224 pose l’accento sull’obbedienza al superiore relato di riferimento, sulla carità e sul lavoro piuttosto che sull'austerità di vita.225 Proprio l’austerità, l'isolamento, la meditazione sulla parola di Dio degli anacoreti erano, invece, le barriere innalzate contro la società antica, che i tradizionali detentori del potere sicuramente demonizzavano, mentre gli emergenti difendevano con difficoltà.

Così il pagano Eunapio assimilava i monaci ai barbari:226 ἀλλὰ ἐξήρκει φαιὰ ἱμάτια σύρουσι καὶ χιτώνια πονηροῖς τε εἶναι πιστεύεσθαι. Καὶ τοῦτο ὀξέως συνεῖδον οἱ βάρβαροι τὸ θαυμαζόμενον παρὰ Ῥωμαίοις ἐς παραγωγὴν ἐπιτηδεύσαντες. Agostino, d’altro canto, con sofferenza, ma nel contempo con notevole ambivalenza, quand’era ancora professore della cattedra di retorica a Milano, al sentire la storia di Antonio ebbe a esclamare:227 Surgunt indocti et caelum rapiunt, et nos cum doctrinis nostris sine corde ecce ubi volutamur in carne et sanguine! Senza dubbio il rifiuto della vita cittadina e il distacco dalla paideia che la rifletteva, rendevano gli anacoreti la possibile avanguardia di un movimento che mirava ad abbattere l’ordine costituito e la cultura ufficiale. In realtà non tutti i monaci erano estranei alla cultura tradizionale od ostili alla lettura e alla produzione di libri, ma furono spesso rappresentati come rozzi, incolti, pronti a ricorrere alla violenza, in definitiva elemento destabilizzante in definitiva elemento destabilizzante della società e pericoloso per la sopravvivenza delle élites cittadine. In questa rappresentazione si univano più strategie. Faceva sentire il suo peso l'ostilità dei gruppi dirigenti pagani, che si vedevano sottrarre il monopolio del controllo delle città e non potevano assistere senza reagire alla perdita del proprio ruolo di referenti dell'autorità centrale per il governo dell'impero. Convergeva il distacco, per assimilazione e differenza, da parte delle autorità ecclesiastiche, che alfine ebbero partita vinta. Esse seppero utilizzare la santa e integralista autorità del monaco, alla quale si assimilavano tramite la tendenza populista, ma da cui differivano per il collaborazionismo e per le conseguenti tecniche di comunicazione, ubbidienti al codice tradizionale della parrhesia, la cui forza di persuasione poteva essere affidata anche ad exempla di una nuova retorica.228

E un fatto tristemente noto che i radicali promuovono la rivolta, ma ai moderati va la vittoria definitiva; la dura lex della politica dimostrò la propria validità anche riguardo alla nuova situazione venutasi a creare all’interno delle città dell’ Impero. Ormai messi in serie difficoltà a causa delle trasformazioni ruolo rilevante agli ambulatori e ai medici pubblici bizantini, i quali, sotto l'influsso dell'amore evangelico, avrebbero trasformato i loro ἰατρεῖα in ospedali, Sull'importanza dei medici nel VI secolo cfr. G. Marasco, Medici bizantini all'estero nel VI secolo d.C., «Orpheus» n. s. 22, 1-2, 2001, 135-149. 224 J. Gribomont, Un aristocrate révolutionnaire, évêque et moine: S. Basile, «Agustinianum» 17, 1977, 99 ss. 225 Id., Obéissance et Evangile selon Saint Basile le Grand, La vie spirituelle, suppl. 21, 1952, 199-215 e Le monachisme au sein de l'Eglise en Syrie et en Cappadoce, StudMon 7, 1965, 7-24. Sull'importanza del contesto socioeconomico per la comprensione delle proposte basiliane cfr. M. Forlin Patrucco, Domus divina per Cappadociam, RFIC 100, 1972, 328-333; Ead., Aspetti del fiscalismo imperiale in Cappadocia: la testimonianza di Basilio di Cesarea, «Athenaeum»51, 1973, 294-309; Ead., Povertà e ricchezza nell'avanzato IV secolo: la condanna dei mutui in Basilio di Cesarea, «Aevum» 47, 1973. Sulla specificità del sistema cenobitico basiliano vd. anche W.K.L. Clarke, St. Basil the Great. A Study in Monasticism, Cambridge 1913 con E. Amand de Mendieta, Le système cénobitique basilien comparé au système cénobitique pachomien, RHR 152, 1957, 31-80. Per il mantenimento di una rete di amicizie selezionate cfr. R. Pouchet, Basile le Grand et son universe d'amis d'après sa correspondance. Unestrategie de communion, Roma 1992. 226 Eunap. frg. 55 ( FHG IV 39): «Bastava ai malvagi trascinare in giro mantelli e runiche grigie per essere senz'altro buoni e aver fama di esserlo. I Barbari, compresero scaltramente che queste cose suscitavano il loro rispetto e le usarono per ingannare i Romani». Il topos della barbara fertilità sarà utilizzato, non casualmente, anche in

rapporto agli usurpatori, per delineare un modello negativo e oppositivo rispetto alle istituzioni legittime. 227 August. conf. 8, 8, 19: «Gli incolti insorgono e conquistano il cielo, mentre noi con tutta la nostra cultura senz'anima, ci rotoliamo ancora nella carne e nel sangue». 228 In merito alla formazione di una koiné consona a una nuova classe dirigente, dalla quale furono accettate come proprie tendenze culturali, prima considerate esclusivamente popolari, cfr. Momigliano, Popular Religious Beliefs, cit., 92, il quale non ritiene questa cultura esclusiva della nuova élite. 43 socioeconomiche del III secolo, i gruppi dirigenti cittadini dovevano fare i conti con una nuova organizzazione, che aveva trovato vie mai prima percorse per il controllo della popolazione cittadina e delle campagne. Essa, quando smorzò la forza rivoluzionaria dell'ala estremista, si candidò seriamente come interlocutrice di una corte cristiana o che, comunque cristianizzata, necessitava delle sue capacità di controllo sociale sul ribellismo endemico nel mondo tardoantico. Il nuovo gruppo, infatti, al suo interno, in vista di uno stabile predominio, era riuscito a riaggregare le fazioni in lotta per il potere ed era in grado di presentare alle autorità centrali, con un linguaggio alternativo, carico di emotività229 e apparentemente più violento, le istanze della popolazione, contemporaneamente smorzandone la furia eversiva. Il cristomimetismo fu il luogo in cui si incontrarono/scontrarono le diverse tendenze, perché in esso si incarnavano le contraddizioni dell’epoca; la ‘persona’ del Cristo fu il terreno di mediazione, perché, in essa, si trovavano le afflizioni della carne, ma anche la vittoria su di esse, e si apriva nuova via alle attese soteriologiche del tempo.230 Queste, sulla terra, potevano essere appagate dalla cura dei poveri che, non certo casualmente, i vescovi furono pronti a recepire e ad ampliare, che a loro volta i notabili tentarono di sottrarre e che

l'imperatore riuscì a mettere sotto la sua ala protettrice, istituzionalizzandola con un gettito costante di entrate e basandosi su autorità emergenti, che non rappresentassero forze ostinatamente centrifughe rispetto al dirigismo statale, dunque né i monaci né i notabili cittadini, ma, appunto, i vescovi. Erano essi a rappresentare il punto di incontro dei due estremi e, per questa ragione e per la loro funzione pacificatrice all'interno della società, andavano ricompensatió:231 Qui divino cultui ministeria religionis inpendunt, id est hi, qui clerici appellantur, ab omnino muneribus excusentur, ne sacrilego livore quorundam a divinis obsequiis avocentur. Il dirigismo statale puó spiegare il motivo per cui alla fine anche i monaci furono coinvolti dalla politica delle immunità e ai monasteri furono stabilmente fissate le donazioni che li riguardavano, come, del resto, la tendenza alla rigida gerarchizzazione della società e il bisogno di nuovi interlocutori puó far comprendere la ragione dell'eminenza attribuita al vescovo come «governatore dei poveri»232 e, infine, la necessità di interazione può giustificare l'attenzione per entrambe le componenti della comunità nella storiografia ecclesiastica. *** La profonda differenza tra il monaco - fomentatore di discordia- e il vescovo - fautore di concordia - farebbe supporre una distinzione più netta di quella a cui ci troviamo di fronte, se leggiamo attentamente le storie ecclesiastiche. La tribù in abito nero che mangiava più degli elefanti e che saccheggiava templi e città,233 sostenuta dalla folla degli afflitti, agì spesso in accordo con il vescovo della diocesi. Questi, colla gestione della violenza del suo seguito, rendeva manifesto alle autorità centrali il proprio potere, più forte perché più concentrato ed universale rispetto a quelli tradizionali, ma nel contempo dimostrava un'aperta

disponibili verso il governo, 229 Vd. infra 327 ss., sulle emozioni e il nuovo codice espressivo. 230 Sulle scelte dell'uomo tardoantico cfr. Brown, Il filosofo e il monaco due scelte tardoantiche, in Schiavone (a cura di), Storia di Roma, III. L'età tardoantica, 1. Crisi, cit., 877-893, il quale vede nel cristomimetismo un fenomeno culturale e politico specifico della Spätantike. Vd. anche R. Leeb, Konstantin und Christus. Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Grossen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seine Selbverständnisses als christlichen Kaiser, Berlin-New York 1992, spec. 69 ss. Sulla rappresentazione dell’imperatore e la sua fusione con quella del Cristo, non più raffigurato come pastore o filosofo, ma come Cristo Re cfr. J.G. Deckers, Konstantin und Cristus. Der Kaiserkult und die Entstehung des monumentalen Christusbildes in der Apsis, in G. Bonamente-E. Fusco (a cura di), Costantino il Grande dall'Antichità all'Umanesimo, Atti del Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico, Macerata 18-20 dicembre 1990, Macerata 1993, 357-362. 231 CTh XVI 2,2. 232 L’epressione, come è noto, ripresa da Ferr. v. Fulg., PL LXV 130 A, è di Brown, Poverty and Leadership in the Later Roman Empire, trad. it., Povertà e leadership nel tardo Impero romano. cit., 67. Sull’attenta cura dei poveri, di cui i vescovi diedero prova, e sulla volontà di acquisire questa funzione, spesso contrastata in Occidente, vd. n. 34. Cfr. anche la recente analisi di H.G. Ziche, Administrer la propriété de l'église: l'évêque comme clerc et comme entrepeneur, AnTard 14, 2006, 69-79. 233 Lib. or. 30, 8 (III 91 Förster). 44

altro aspetto su cui egli fondava la propria eminenza e il riconoscimento del proprio ruolo. Alcuni esempi tramandatici dagli storici ecclesiastici appaiono particolarmente significativi sì da meritare una più attenta riflessione. Uno tra questi è fornito dalla vicenda di Atanasio,234 che è inserita dallo “scolastico” Socrate in una realtà estremamente complessa, secondo un’interpretazione condivisa da Sozomeno.235 La città di Cizico aveva un vera adorazione per il suo vescovo macedoniano, Eleusio, che Valente, a detta di Socrate, operante in questo caso una delle sue diorthoseis,236 aveva costretto ad abbracciare l'Arianesimo con la minaccia dell'esilio e dell’espropriazione dei beni, nel tentativo di sottrargli il controllo della città. Così l'abile vescovo era tornato presso la sua comunità e aveva dichiarato di non meritare il proprio seggio, cercando la conferma - e ottenendola - del consenso nei propri confronti, ma fallendo la missione affidatagli di far cambiare parere ai Ciziceni. Constatando il fallimento, l'imperatore, che aveva bisogno di contare su persone piü fidate per gestire meglio la comunità, su consiglio del patriarca costantinopolitano, Eudossio, con un decreto fece espellere Eleusio e impose l'ariano Eunomio, un notarius di Aezio l'ateo, διδάσκαλος237 del nuovo vescovo ed ex diacono di Leonzio, il patriarca protettore di Eudossio. La nuova guida della comunità cizicena era stata scelta ὡς δυνάμενον δεινότητι λόγων πρὸς ἑαυτὸν ἑλικῦσαι τὰ πλήθη.238 Poco importa in questa sede che Eunomio sia stato imposto da Costanzo239 o da Valente,240 il quale nella realtà non doveva amarlo troppo per il suo appoggio a Procopio; quel che conta, per l'oggetto della nostra ricerca, è la speranza riposta dall'imperatore nelle capacità del nuovo vescovo di attrarre il popolo di Cizico. L' entourage imperiale, in questo caso rappresentato dal patriarca Eudossio, non aveva capito la nuova realtà della città. Socrate espresse, come meglio non si poteva, l’estraneità e il fastidio del popolo verso la tipologia di vescovo che lo storico rappresentò mediante Eunomio:241

τῇ συνήθει διαλεκτικῇ χρώμενος ἐξενοφώνει τοὺς ἀχροωμένους αὐτοῦ... Μὴ ἐνεγκόντες αὐτοῦ τὸν λεξικὸν τύφον, οἱ Κυζικηνικοὶ τῆς πόλεως ἐξελαύνουσιν. Eudossio era impegnato su molti fronti a rafforzare il potere degli amici di Valente, che influenzarono la sua opera sì da farlo entrare in rotta di collisione con l’amico Aezio, da lui protetto tramite Eunomio, ma sì da spingerlo, anche, a scontrarsi con la fazione ortodossa di Alessandria, cioè con Atanasio. Anche nella metropoli egiziana il potere centrale dovette piegarsi al volere del popolo. Proprio come i Ciziceni non avevano voluto abbandonare la propria fede macedoniana né Eleusio, gli Alessandrini si strinsero attorno al loro vescovo. Infatti, quando, per volere del patriarca di Costantinopoli, l'editto del prefetto al pretorio contro i vescovi ortodossi fu inviato in città, la comunità ne rimase sconvolta e possiamo congetturare che la tensione fosse altissima e che gli scontri fossero all'ordine del giorno. A ragion veduta, Atanasio, temendo di essere accusato dei disordini, si nascose per ben quattro mesi:242 ᾿Αθανάσιος δὲ τὴν ἐκ τοῦ πλήθους ἄλογον ὁρμὴν ὑφορώμενος, δεδοικώς τε μὴ ἄρα τῶν γενησομένων ἀτόπων αὐτὸς τὴν αἰτίαν λάβοι, τέσσαρας μῆνας ἀπέκρυπτεν ἑαυτόν. 234 Su Atanasio come modello anticipatore di Ambrogio vd, infra 313. 235 Soz. h. e. IV 25, 6 ss. (182 ss. Bidez-Hansen). 236 Sugli ‘aggiustamenti’ cronologici di Socrate, molto vicini al filone biografico e soprattutto agiografico, rappresentanti una mistione di generi prima improponibile, cfr. Stephanidis, Ἱστορικαὶ διορθώσεις, cit., 57-128. Sulle specifiche funzioni politiche di una simile proposta storiografica vd. F. Graus, Volk, Herrscher und Heiligen im Reich der Merowinger, Praha 1965, trad. it. Le funzioni del culto dei santi e della leggenda in S. Boesch Gajano (a cura di), Agiografia altomedievale,

Bologna 1976, 145-160; G. Leonardi, L-intellettuale nell'Alto Medioevo, in Il comportamento dell'intellettuale nella società antica. Settime giornate filol. genovesi 7, 20-21 febbraio 1979, Genova 1980, 32; Chesnut, The First Christian Histories, cit., 167-191; Cracco Ruggini, The Ecclesiastical Histories, cit., 107-126 J.H.W.G. Liebeschuerz, Ecclesiastical Historians on their own Times, Studia Patristica 24, 1993, 151-163; Leppin, Vom Constantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 26 ss.; Urbainczyk, Theodoret of Cyrrhus, cit., 89 ss. 237 Thdt. h. e. II 19 (153 Parmentier-Scheidweiler). 238 Socr. h. e. IV 7, 1 (233 Hansen). 239 Thdt. h. e. II 27-29 (158-167 Parmentier-Scheidweiler). Philost. h. e. V 3 (68-69 Bidez-Winkelmann). 240 Socr, h. e. IV 5, 1(232 Hansen). 241 Socr, h. e. IV 7, 10 (234 Hansen). 242 Socr. h. e. IV 13, 4 (243 Hansen). 45 Il vescovo conosceva bene il gioco della politica e sapeva altrettanto bene che, messo di fronte alla sommossa popolare e alla compattezza della plebe, nonché alla pressione dei legami politici, l’imperatore avrebbe riconosciuto la necessità della sua permanenza ad Alessandria per garantire la pace:243 Ἐπειδὴ... ὁ λαὸς ἐστασίαζεν... ὁ βασιλεὺς... διὰ γραμμάτων ἐσήμανεν ἀδεῶς κρατεῖν τῶν εκκλεσιῶν Ἀθανάσιον. Καὶ τοῦτ᾽ ἣν αἵτιον τοῦ μὴ ταραχθῆναι τὴν Ἀλεξανδρέων ᾿Εκκλεσίαν. Socrate ribadisce il concetto allorquando illustra la morte di Atanasio:244

(ὁ βασιλεὺς)... ὑπερέθετο ταράξαι... πυνθανόμενος πλεῖστον εἶναι... τὸ πλῆθος τῶν προσκειμένων Ἀθασίῳ καὶ ἐκ τούτου ὑφορώμενος μήποτε γενομένης κατὰ τὴν Ἀλεξάνδρειαν στάσεως, φύσει τὸ δημῶδες ἔνθερμον ὃν προσβλάψῃ τὰ δημόσια πράγματα. Dalle descrizioni dello storico appare chiaramente come il vescovo potesse contare sul sostegno del popolo, sofferente per il sovraffollamento, verificatosi in città per la recente carestia,245 mentre molto meno chiara appare, sullo sfondo, l'azione dei monaci e, ovviamente, del loro seguito. Essi dovettero collaborare con Atanasio - come si evince anche dalla notazione di Sozomeno sul rapporto amichevole tra il vescovo e Antonio?!246 - poiché, dopo l'insediamento del successore ariano, Lucio, entrarono nel mirino dei funzionari imperiali. Il prefetto, il comes largitionum e l’esercito svolsero coscienziosamente il compito per cui erano stati inviati in Egitto. Probabilmente si temeva che Atanasio, di concerto con i suoi monaci e l' ekklesias laos, avesse protetto - e avrebbe continuato a farlo - gli interessi di coloro che non ne avevano diritto o si fosse appropriato - e intendesse perseverare - di beni dello Stato; a ogni buon conto ci si adoperò anche contro i monasteri:247 Ἔσκυλαν... kai ἐτάραξαν... τὰ ἐν τῇ ἐρήμῳ μοναστήρια. Ἐπελθόντες γὰρ ἔνοπλοι γυμνοῖς ἀνδράσιν... ἐξεπόρθσαν. Non si afferma certo una novità se si dice che spesso gli storici antichi usano una sorta di codice, in cui anche la collocazione delle loro affermazioni all’interno di un discorso acquista un preciso valore semantico. Non a caso dunque, nell'intervallo tra il periodo di latitanza di Atanasio e quello della sua morte, Socrate dedica alcune pagine ai monaci di Nitria e sottolinea il legame che con essi aveva il vescovo di Alessandria, tracciando quasi una discendenza spirituale, atta a collegare il monaco Ammonio, di cui Antonio aveva visto l'anima

ascendere al cielo, lo stesso Antonio, figura fondamentale del monachesimo egiziano, ed Atanasio, che di quest'ultimo era stato il biografo. Lo storico antico ci fa comprendere come il Vescovo controllasse non i cittadini di Alessandria, ma tutto il suo popolo e il territorio di pertinenza, con l’aiuto fondamentale dei monaci. La loro opera a favore dei membri più fragili della società della società era ritenuta essenziale e, forse per questo, i Valentiniani, con l'esenzione da alcuni munera,248 tentarono di renderli, in qualche modo, meno meno dipendenti dall'amministrazione vescovile, temendo la nuova sinergia. L'unione delle forze dirompenti della comunità cristiana, infatti, non sarebbe stata senza conseguenze in ambito socioeconomico. Il suo impatto fu sperimentato in tutta la sua pienezza in epoca teodosiana, ma questa volta non si cercó inutilmente di dividere le due componenti o sostituirle con una fazione ariana; monaci e vescovi furono consapevolmente scelti dall'imperatore cristiano per colmare l’enorme distanza tra il monarca e i suoi sudditi. Ognuno aveva la propria funzione: il monaco nella sua santità, non compromessa dalla vita cittadina, poteva rappresentare tutta l’amarezza degli afflitti e, in nome della comune fratellanza, poteva ricordare all’imperatore la propria umanità e disobbedire agli ordini, frapponendosi tra i funzionari e il popolo; il vescovo, maggiormente compromesso con il potere, era invece in grado di addolcire la parrhesia e piegarla agli stilemi di un codice più facilmente accettabile a corte. Nella realtà fu una ‘santa alleanza’ tra vertice e base per accelerare il processo di cristianizzazione dell’impero. Questa decisione divenne visibile in modo eclatante in occasione della ‘Rivolta delle statue di 243 Socr. h. e. IV 13, 5-6 (243 Hansen). 244 Socr. h. e. IV 20, 1 (247-248 Hansen). 245 Socr. h. e. IV 16, 1 ss. (245 Hansen). 246 Soz. h. e, IV 14 (168 Bidez-Hansen): ἐπὶ μαρτυρίᾳ τῆς Ἀθανασίου πίστεως παραγενόμενον.

247 Socr. h. e, IV 22, 6 (249 Hansen). 248 CTh XIII, 10, 6. Cfr. R. Soraci, Il Privilegium Christianitatis e i fisci commoda durante il regno di Valentiniano I, in Studi in memoria di S. Mazzarino, II, QC II, 1990, 245 e n. 57. Cfr. supra 81. 46 Antiochia’, nel 387. Anche in questo caso l’insurrezione scoppiò a causa della penuria di cereali, a cui non si era riusciti a far fronte.249 La notizia di una contribuzione straordinaria, oltretutto in oro, fu la classica miccia che fece scoccare la scintilla.250 La folla si radunò presso il palazzo del vescovo, il quale, anche in questo caso, non si fece trovare, per non essere ritenuto a capo della rivolta, tanto più che, secondo le nostre fonti, l’irreparabile era avvenuto.251Le statue dell’imperatore erano state abbattute e trascinate per strada, il popolo si era macchiato dell’orrendo crimine di tradimento. Naturalmente si temeva di perdere definitivamente lo statuto di metropoli e i relativi privilegi, motivo per il quale i poteri cittadini si adoperarono per ottenere la clemenza dell'imperatore. La ‘gara’ per la salvezza della città fu vinta, complice Teodosio, da monaci e vescovi.252 I commissari imperiali erano giunti circondati da un tremebondo silenzio, ma il vescovo Flaviano aveva già preso le 249 Cfr. Lib. or. 19, 25 (II 396-397 Förster). Per le difficoltà economiche e il disagio sociale delle comunità cittadine vd., oltre all'ormai datato, ma sempre utile, F. Tinnefeld, Die frühbyzantinische Gesellschaft, München 1977, 127, gli studi di J.H.W.G. Liebeschuetz, The End of Ancient City, in J. Rich (Ed.), The City in Late Antiquity, London-New York 1996, (1992), 1-49; Administration and Politics in the Cities of the 5th and 6th Centuries with Special Reference to the Circus Factions, in M. Christol-S. Demougin-J. Duval-C. Leppelley- L. Pietri (Éd.), Institutions, société et vie politique dans l'Empire romain au IVe siècle ap. J.-C.

Actes de la table ronde autour de l'oeuvre d'André Chastagnol, Paris 20-21 janvier 1989, Rome 1992, 161-182; The Decline and Fall of the Roman City, Oxford 2001. 250 Nel suo interessante studio su Antiochia di Siria, J.H.W.G. Liebeschuetz, Antioch. City and Imperial Administration in the Later Roman Empire, Oxford 1972, 207, ha messo in evidenza come l’esazione delle imposte a poco a poco sfuggisse di mano ai consiglieri cittadini, i quali dovevano scontrarsi con gli abitanti dei villaggi sostenuti da nuovi patroni, sicché mutarono il personale responsabile della divisione del territorio urbano e le competenze di esso. Secondo Liebeschuetz, infatti, i praepositi pagi mantennero la loro funzione, ma nel V e VI secolo presero il nome di pagarchi e tale carica venne ricoperta dai grandi proprietari terrieri. In realtà i pagarchi sembrano aver posseduto un potere coercitivo maggiore rispetto agli antichi preposti, poiché avevano sotto il proprio comando le forze di polizia, insieme ad alcune unità militari, e potevano anche confiscare i beni dei contribuenti (E. Kornemann, Pagus, RE XVII 2, 1942, 2318-2339). Inoltre la loro diffusione sembra non essere stata limitata al solo Egitto, come lo stesso Liebeschuetz, The Decline, cit., 201, del resto ipotizza, sebbene avverta di non aver prove concrete sulla pagarchia al di fuori dell’Egitto diversamente da W.M. Calder (Ed.), MAMA, 1, Manchester 1928, XIV-XV e rec. da Cassia, La piaga, cit., 93 ss.. All'interno di questo gioco di forze contrastanti, va senza dubbio inserita la ‘Rivolta delle statue’, che sembrerebbe evidenziare il potere contrattuale del clero e dei monaci come continua a testimoniare il P Lond. III, 1075, 281, datato al VII secolo, che illustra la contesa tra un colono di un alto prelato e il pagarco (A. Guillou, Régionalisme et indépendance dans l'Empire byzantine au VIIe siècle, Roma 1969). La ‘Rivolta delle statue’ ad Antiochia sarebbe, secondo Liebeschuetz, The Decline, cit., 142, un primo stadio della

sempre crescente forza del patronato vescovile. In quella circostanza il vescovo assunse già le vesti di portavoce della città, afflitta dalla pressione fiscale «when a mob had overturned che imperial images and… there seemed no limit to the punishment», anche se «there is evidence for pagans in the city as late as the mid sixth century (Id., Antioch, cit., 226)». Cfr. anche l'ancora suggestivo R. Browning, The Riot of 387 AD in Antioch, JRS 42, 1952, 13-21 e F. van de Paverd, St. John Chrysostome: the Homilies of the Statues, Roma 1991, 53 ss.: Sul contesto in cui operó il Crisostomo vd. Liebeschuetz, Barbarians and Bishops, cit., spec. 132 ss. R. Brändle, Johannes Chrysostomus. Bischof-ReformerMärtyrer, Stuttgart-Berlin-Köln 1999, 89 ss.; C. Tiersch, Johannes Chrysostomus in Konstantinopel (398-404). Weltsicht und Wirken eines Bischof in der Hauptstadt des oströmischen Reiches, Tübigen 2002. 57 ss. Sulle omelie de statuis, in particolare, vd. D.G. Hunter, Preaching and Propaganda in Fourth Century Antioch: John Chrysostom' Homilies on the Statues, in D.G. Hunter (Ed.), Preaching in the Patristic Age. Studies in Honor of Walter J. Burghardt, New York 1989, 119-138; E. Soler, Évêques et pasteurs à Antioche sous l'empereur Théodose: l'engagement chrétien dans la défense de la cité après la sédition des statues (387), in Vescovi e pastori in età teodosiana, Roma 1997, 461-467; D. French, Rhetoric and the Rebellion of A. D. 387 in Antioch, «Historia» 47, 1998, 468-484; H. Leppin, Steuern, Aufstand und Rhetoren. Der Antiochener Steueraufstand von 387 in christlicher und heidnischer Deutung, in H. Brandt, Gedeute Realität: Krisen, Wirlichkeiten, Interpretationen (387 Jh. n. Chr.), Stuttgart 1999, 103-123. 251 Lib. or. 19, 29-30 (II 398-399 Förster).

252 L. Cracco Ruggini, Poteri in gara per la salvezza di città ribelli: il caso di Antiochia (387 d. C.), in Hestiasis, cit., 265-290. 47 contromisure necessarie, introducendo in città i monaci di Siria, guidati dal theiotatos Macedonio perché, dispiegando le loro forze, intercedessero prima dell'inizio dell'inchiesta pubblica, che avrebbe portato inevitabilmente alla condanna. Un carisma eccezionale, come vessillifero delle istanze popolari e come capopopolo in grado di battere il prestigio dei funzionari imperiali e di assumere il ruolo di guida della comunità al posto del suo vescovo, era riconosciuto all'eremita. La santità, con tutti i poteri che questa prerogativa comportava, permise a Macedonio di rappresentare la folla degli afflitti nel suo complesso e di intimidire i commissari, mentre vescovo e presbiteri mediavano. Fu appunto la fama di purezza e santità dell'anacoreta ad essere sottolineata da Teodoreto,253 mediante l'aneddoto del contrasto tra l’eremita e Flaviano. Macedonio, poco esperto della lingua greca non avrebbe capito di essere stato ordinato sacerdote, ma, una volta compreso ciò che gli era accaduto, avrebbe rifiutato a suo modo l'ordinazione, inseguendo il vescovo con il suo bastone! …ἐλοιδορεῖτο καὶ... βακτηρίαν λαβῶν ἐδίωκεν αὐτὸν τε τὸν ἀρχιερέα. Chiaramente l'episodio intendeva rimarcare la differenza tra la pura santità dell'eremita e la compromissione del suo vescovo, differenza del tutto funzionale al ruolo che il monaco doveva svolgere nella vicenda. Questo era completamente diverso rispetto a quello giocato da Flaviano, che si avvicinava molto più alla funzione esercitata dai notabili locali. Solo un personaggio dotato di paideia era ritenuto degno di accostare l’imperatore, in modo tale da placarne l’ira con la sua ‘diplomazia’. Il codice della parrhesia aveva però assunto, in parte, accenti diversi, cristiani. Sozomeno254 sottolineò, infatti, l'operato di Flaviano, il quale

aveva convinto i ragazzi del coro che cantava alla tavola dell’imperatore a intonare le petizioni degli Antiocheni come un lamento funebre, sì da commuovere profondamente il sovrano. Allora, secondo le modalità rituali della compassione, Teodosio pianse,255versando lacrime nella coppa che aveva tra le mani, quasi sacrificando la sua volontà di punizione al Dio comune: λέγεται φιλανθρωπίᾳ διαχεθέντα τὸν βασιλέα... τὴν ὀργὴν ἐκβαλεῖν... δάκρυσι βρέξαντα τὴν φιάλην ἣν ἔτυχε κατέχων. L'espediente melodrammatico, ma a lungo sperimentato nei circhi, negli ippodromi e nei sagrati delle chiese, ci testimonia come ormai l' alogos orme della plebe, sapientemente orchestrata dai suoi vescovi e controllata dai monaci, potesse oltrepassare la città e rivolgersi direttamente all'imperatore, scavalcando le autorità locali e avviando altri canali di comunicazione.256 D'altro canto, lasciandosi convincere platealmente dal vescovo e dai santi monaci, l’imperatore aveva reclamizzato la sua scelta, legittimando il loro potere e autorizzando il loro operato. Predicando ad Antiochia257 Giovanni Crisostomo sottolineò il cambiamento: 253 Thdr. h. r. XIII, 4, 15 (Canivet-Leroy-Molinghen, 480); Cfr. Id., h. e. V 19 (316 Parmentier-Scheidweiler) e Chrys., stat. 17, 8 ( PG XLIX 175). 254 Soz. h. e. VII 23 (336-337 Bidez-Hansen). 255 Versare lacrime in pubblico è un atto sociale, culturale e politico, compiuto da un uomo pubblico e carismatico. Le fonti letterarie coprono un arco cronologico ininterrotto, a partire da Omero fino all’età moderna. Tutti gli esempi descrivono un rituale che segna il momento ultimo di una situazione di crisi, destinata a cambiare. Il capovolgimento è, appunto, segnato dalle lacrime carismatiche dei grandi personaggi, che, nel caso degli imperatori, evidenziano anche le loro qualità, l'umanità e la disponibilità, a fronte di una reale

inaccessibilità del potere. Nel caso della vicenda di Antiochia va sottolineato, però, che i supplici non sono, come di solito, degli ambasciatori o aristocratici, ma giovani che si pongono davanti a Teodosio con l'attitudine dei figli verso il padre, richiamando fortemente il binomio Dio padre onnipotente-Cristo figlio orante, in cui i gruppi sociali meno difesi individuavano lapropria essenza. Cfr. A. Hostein, Lacrimae Principis, in M.-H. Quet (Éd.), La «crise» de l'Empire Romain. De Marc Aurèle à Constantin, Paris 2006, 211 ss. 256 L'operato di Flaviano è enfatizzato anche da Chrys. stat. 17, 2; ( PG XLIX, 175), mentre Libanio (XXI 20-21; II 459-460 Forster) attribuisce a Cesario il merito di aver calmato l'imperatore. 257 Chrys. stat. 17, 2; 21, 13 ( PG XLIX, 173; 217): «Dove sono quelli che indossano mantelli stracciati e portano una lunga barba, che si appoggiano a un bastone, i filosofi del mondo estraneo alla comunità? Tutti costoro hanno abbandonato la città, gli abitanti della città volarono verso i monti e il deserto, mentre gli abitanti del deserto sono entrati in città. Quanto è grande il potere del cristianesimo! Esso riuscì a frenare un 48 Ποῦ νῦν εἰσιν οἱ τοὺς τρίβωνας ἀναβεβλημένοι, καὶ βαθὺ γένειον δεικνύντες, καὶ ῥόπαλα φέροντες οἱ τῶν ἔξωθεν φιλόσοφοι… Πάντες κατέλιπον... τήν πόλιν καὶ οἱ μὲν τὰς πόλεις οἰκοῦντες πρὸς τὰ ὄρη καὶ τὰς ἐρημίας ἀπέπτησαν οἱ δὲ τῆς ἐρήμου πολῖται εἰς τὴν πόλιν εἰσήλασαν... πόση τοῦ Χριστιανισμοῦ δύναμις! Ἄνθρωπον κύριον ὄντα ἀπολέσαι πάντα καὶ διαφθεῖραι κατέσχε… καὶ φιλοσοφεῖν ἐπαίδευσε φιλοσοφίαν... La politica attuata da Teodosio I era sostanzialmente un nullaosta ufficiale al ridimensionamento delle autorità pagane in tutto il territorio. L'imperatore aveva, infatti, già deciso la chiusura dei templi orientali e

in questo era stato aiutato dai componenti della sua famiglia a cui apparteneva Cinegio, il commissario al quale era stata affidata la missione, affiancato da santi uomini con i loro fedeli. Il funzionario era stato aiutato, infatti, nel suo non facile compito dai monaci di Siria, i quali si erano avventati sui templi in tutta la provincia, lungo la frontiera dell'Eufrate e in Fenicia, istigando al saccheggio i poveri al loro seguito.258 Essi, infatti, per Libanio259 erano i fomentatori dell'ingordigia della folla dei pauperes, che dilagando per la campagna e saccheggiando i templi, depredava le proprietà. Dal momento che l'incertezza della situazione in Occidente e la pericolosità persiana non potevano essere trascurate, era ovvio che l'imperatore tendesse a tenere sotto controllo il territorio tramite una fitta rete di alleanze, che si basava su rapporti parentali come anche su affinità culturali e identità di professione religiosa, ma, evidentemente, una simile politica non era del tutto conciliabile con la penalizzazione di una delle principali città d'Oriente. L'imperatore accondiscese alla clemenza, accontentandosi di ridimensionare le fazioni ostili al suo governo. Incoraggiata dall' Augusto, la violenza perpetrata contro i templi, caratterizzata sovente da cruenti scontri tra le fazioni, proseguì in tutto il Mediterraneo nell'ultimo decennio del IV secolo. Ma la distruzione di santuari importanti come il Serapeum alessandrino non significò tout court la fine dello stile di vita cittadina; all’interno delle poleis dell’impero il clero per molti anni dovette tener conto degli altri poteri. Teofilo, il quale, autorizzato da Teodosio e sostenuto dai monaci e dai fedeli, era pur riuscito nella memorabile impresa di radere al suolo il più grande tempio pagano del Mediterraneo orientale, non si era affatto impadronito della città di Alessandria,260 come dimostra ed ancora testimonia la vittoria della curia cittadina nei suoi confronti. Occorsero altri venti anni per annullare l'influenza degli elementi non cristiani della società alessandrina e questa impresa fu opera del nipote e successore di Teofilo, Cirillo.

Grazie a Socrate di Costantinopoli, il meno radicale tra i tre storici ecclesiastici, cosiddetti “sinottici”, è giunto fino a noi l’altro aspetto del vescovo, non tanto quello dell’ amator pauperum, quanto quello del notabile locale tutto teso alla gestione della comunità civica, ormai sempre più estesa, ed estremamente interessato al rapporto con il governo centrale. Dalla Historia ecclesiastica socratica emerge come il vescovo d'Alessandria, con metodi non certo ortodossi,261 nel 415 abbia cercato di approfittare dei cambiamenti degli equilibri politici registratisi a corte con la supremazia di Pulcheria262 e di Aureliano, per distruggere la potente comunità ebraica della città, sottomettere alla sua volontà il moderato prefetto Oreste e, soprattutto, ridurre al silenzio la vergine filosofa Ipazia. uomo... la cui potenza era tale da rovinare e distruggere ogni cosa e gli insegnò a praticare la (vera) filosofia!». 258 Cfr. J. Matthews, Western Aristocracy and Imperial Court, A. D. 364-425, Oxford 1975, 140-142; G. Fowden, Bishops and Temples in the Eastern Roman Empire, AD., JTHS n. s. 29, 1978, 62-69. 259 Lib. or. 30, 9 (III 92 Förster). 260 I.H. Johnson (Ed.), Life in a Multicultural Society. Egypt from Cambises to Constantine and Beyond, Chicago 1992 e spec. per la città, ‘culla dell’antisemitismo’, Ρ.F. Uriel-J. Escalona, Alejandria, espacio de integration et segregación (siglos II-I a.C.), in G. Bravo-R. Gonzales Salinero (Eds.), Formas de integración en el mundo romano, Madrid 2009, 187-207. 261 Socr. h. e. VII 15, 1 ss. (360-361 Hansen). Cfr. L.R. Wickam (Ed.), Cyril of Alexandria: Select Letters, Oxford 1983, XVI-XVII; J. Rougé, La politique de Cyrille d’Alexandrie et la meurtre d’Hypatie, in «Cristianesimo nella storia» XI, 1990, 487-492.

262 Cfr. Socr. h. e. VII 21, 7 (368 Hansen), il quale sembra prediligere l'Eva pagana, Ipazia, e non sostenere del tutto la cristiana, Pulcheria, (Nicolas, La doctrine mariale et la théologie chrétienne, cit., 341-362; Guldan, Eva und Maria, cit., 26-35; Murray, Mary, the Second Eve in the Early Syriac Fathers, cit., 372-384; Graef, The Theme of the Second Eve, cit., 224-230), la quale inizialmente appoggiava il monofisismo di Cirillo e i suoi metodi per contrastare i rivali, obiettivamente discutibili. 49 La neoplatonica, in base al principio platonico μὴ καθαρῷ καθαροῦ ἐφάπτεσθαι μὴ θεμιτὸν ῇ,263 era in grado, nella sua purezza, di elevarsi al di sopra della propria fallace umanità e di battersi con i modelli comportamentali proposti dalla nuova religione; sapeva inoltre contrastare, con la sua σοφία, la capacità d'attrazione dei paradigmi cristiani e competere per la leadership all’interno di una città difficile come Alessandria, grazie al forte consenso che riscuoteva presso le classi dirigenti e quelle medio-alte della comunità alessandrina.264 Cirillo era stato eletto nel 412 e la sua ordinazione era stata accompagnata da una serie di tumulti,265 che non deponevano bene sul consenso nei suoi confronti da parte della classe dirigente alessandrina e dicevano molto della sua. abilità nell'arte della ‘persuasione’ nell'organizzazione della claque, grazie ad alcuni personaggi fidati come il maestro elementare Ierace,266 il futuro istigatore dell'assalto alla sinagoga:267 Στάσεως δὲ διὰ τοῦτο μεταξὺ τοῦ λαοῦ κινηθείσης, συνελάμβανετο τῷ μέρει Κυρίλλου ὁ τοῦ στράτιοτικοῦ τάγματος ἡγεμὼν Ἀβουδάτιος. Il vescovo quindi si era messo all’opera per aumentare il proprio potere a detrimento dei suoi rivali. Si era prodigato per far chiudere le chiese dei Novaziani, per l'ostilità nei suoi confronti, in qualche modo, legati al partito moderato268 degli Antemiani; si era appropriato dei

beni di costoro; si era, infine, diretto contro la sinagoga, mandando i suoi accoliti a saccheggiare anche il quartiere ebraico. A detta di Socrate, da quel momento l’episcopato di Alessandria assunse l'amministrazione di interessi secolari.269 Anche in questo caso la sommossa prese l'avvio da problemi fondamentali nella vita della plebs. Infatti il prefetto Oreste, dopo aver radunato il popolo nel circo, aveva celebrato i politeia - aveva cioè letto pubblicamente disposizioni relative o all'annona o ai giochi270-, evidentemente scontentando i Cristiani e forse favorendo gli Ebrei, sicché i pauperes, che solevano ascoltare Cirillo in chiesa furono facile preda del suo capoclaque, Ierace, nel circo. La sinagoga fu distrutta, i Giudei, che da più di 700 anni abitavano a Alessandria, furono cacciati ad opera del vescovo τὰς οὐσίας αὐτῶν διαρπαγῆναι ὑπο τοῦ πλήθους ἀφείς!271 Era essenziale per Cirillo, nel tentativo di instaurare un potere duraturo, diventare il solo referente, relativamente alla città e al suo territorio, per le autorità imperiali. Non poteva essergli certo gradita l'interferenza di una presenza ingombrante quale quella di Ipazia. La filosofa era un polo di attrazione per i notabili locali, come per i rampolli delle famiglie più illustri dell’impero, ed era legata dagli Antemiani, il cui partito conservatore, sebbene moderato, espresse la candidatura di Atenaide-Eudocia a imperatrice. Al gruppo degli Antemiani doveva appartenere anche il prefetto Oreste. Costui, infatti, rispettava la neoplatonica che, grazie al suo appoggio. manteneva il proprio prestigio sociale, reso manifesto dalle carrozze ufficiali ferme di fronte alla sua dimora.272 263 Phd. 67 b. 264 J.M. Rist, Hypatia, «Phoenix» 19, 1965, 221-225; Beretta, Ipazia d'Alessandria, cit., 115, 123 ss.; con Chr. Lacombrade-N. Aoujoulat, Hypatie, Synésios de Cyrène et le patriarcat alexandrine, «Byzantion» 71, 2001, 41 ss.

265 Dam. v. Isid., fr. 104 ( Damasci Vitae Isidori Reliquiae, 79 Zintzen). 266 Socr. VII 13, 6 (358 Hansen). Il personaggio appare interessante, perché sembra testimoniare la presenza di un'organizzazione che è riscontrabile nella Gallia del VI secolo, allorché il gruppo dei privilegiati matricularii si muove avendo al seguito gli inergumeni et diversi egeni ad ulciscendam basilicae violentiam (Greg. Tur. hist. 7, 29), a vendicarsi, cioè, sugli uomini che uccisero il cubiculario di Chilperico, Eberulfo, violando il diritto d'asilo della basilica di S. Martino. Cfr. Neri, I marginali, cit., 101. 267 Socr. h. e. VII 7, 2-3 (352-353 Hansen). 268 Sulla fazione conservatrice moderata, alla quale apparteneva Atenaide e il suo PPO, il poeta Ciro, cfr. Cameron, The Empress and the Poet, cit., 217-290, spec. 273 ed infra 230. Sul rapporto tra Stato e Chiesa all'epoca di Teodosio II, cfr. il recente e suggestivo F. Millar, A Greek & Roman Empire. Power and Belief under Theodosius II, Berkeley 2006, 180 ss. 269 Socr, h. e. VII 7, 4 (353 Hansen). 270 Valesii adnotationes in PG LXVII, 761. 271 Socr, h. e. VII 13, 15 (359 Hansen). 272 Dam. v. Isid., fr. 104 (79 Zintzen). 50 Dalla testimonianza di Sinesio,273 suo discepolo, sappiamo che la filosofa esercitava un tipo di i insegnamento esoterico, che era appannaggio delle classi alte, ma ella è anche descritta da Damascio274 agli incroci delle vie a parlare con i giovani, dedita a un proselitismo meno elitario. Se a tutto ciò

aggiungiamo che Ipazia non si asteneva dal perorare, perorare e la causa dei cittadini dinanzi alle autorità, grazie al prestigio e alla saggezza che le conferiva la conoscenza, possiamo immaginare fino a che punto potesse collidere con il patrocinio della Chiesa e con gli interessi dell’ episcopalis audientia. Con acume Socrate ebbe modo di annotare:275 Διὰ τὴν προσοῦσαν αὐτῇ ἐκ τῆς παιδεύσεως σεμνὴν παρρησίαν, καὶ τοῖς ἄρχουσι σωφρόνως εἰς πρόσωπον ἤρχετο. Una simile attività doveva essere insopportabile per l'ambizione di Cirillo, il quale, dopo aver minato l'autorità di Oreste, protettore di Ipazia, con dimostrazioni popolari e l’aiuto dei monaci di Nitria, si sentì libero d'agire:276 Τῶν ἐν τοῖς ὄρεσι τῆς Νιτρίας μοναχῶν τινες… Προθύμως καὶ ὑπὲρ Κιρίλλου μάχεσθαι προηροῦντο… εἰς τις Ἀμμώνιος ὄνομα, λίθῳ βάλλει τὸν Ὀρέστην κατὰ τῆς κεφαλῆς. Una banda di cristiani, guidata da un lettore e aiutata dai parabalani, restanti addetti, volontari o meno,277 al servizio o del patriarca presso l’ospedale, la tirò giù dalla carrozza e la fece letteralmente a pezzi.278 συμφωνήσαντες ἄνδρες τὸ φρόνημα ἔνθερμοι, ὧν ἡγεῖτο Πέτρος τις ἀναγνώστης, ἐπιτηροῦσι τὴν ἄνθρωπον... ὀστράκοις ἀνείλον. Alla fine, con la teatralità che contraddistingueva il linguaggio simbolico del tempo, i miseri resti furono bruciati su una pubblica piazza. La città era stata conquistata dal popolo dei cristiani ed era stata purificata dall’ultimo idolo pagano. ***

Spesso, messe di fronte all’ enthermos laos, le autorità ritrattavano le loro decisioni, in questo favorite dall'azione del vescovo, garante di pace e ambiguo baluardo contro la minaccia di kindynos kai stasis, sempre incombente. Il pericolo della violenza urbana, infatti, costituiva lo sfondo delle contese religiose, come avvenne, ad esempio, nel 431, anno in cui i duofisiti, seguaci di Giovanni Antiocheno e i monofisiti, seguaci di Cirillo, si scontrarono senza risparmio, di forze. Entrambe le parti in causa svelarono le nuove risorse di sostegno popolare a disposizione dei vescovi: compagnie. di monaci, braccianti della chiesa, personale delle terme, inservienti ospedalieri, sorveglianti, che all'uopo armavano l’esercito degli afflitti, da loro nutrito.279 Concludendo: il popolo dei poveri, com’è ovvio, appare particolarmente sollecitato in occasione di carestie e problemi di carattere economico, come nel caso della carestia in Frigia all’epoca di Atanasio o durante la 273 Syn. don. 1580 B. ΟΕ. Rist, Hypatia, cit., 221-225; Beretta, Ipazia d'Alessandria, cit., 115, 123 ss.; e Lacombrade-Aoujoulat, Hypatie, Synésios, cit., 41 ss. Tenendo presente la ferocia con la quale fu eliminata, si comprende la grande importanza del circolo culturale di cui la neoplatonica faceva parte insieme a Olimpiodoro, il quale aveva collaborato come ambasciatore con Antemio, contribuendo alla vittoria dello schieramento politico che fece approdare Atenaide a corte. Di questa fazione aveva fatto parte, come abbiamo sopra detto, Sinesio, discepolo d'Ipazia; a questa appartenevano i fratelli di Atenaide, i quali, infine, ottennero l’Illirico, cioè la roccaforte degli ‘Elleni’; con questa collaborava anche lo storico Socrate (Chuvin, I filosofi e la loro religione, cit., 45-62, spec. 49). 274 Dam. v. Isid., fr. 102 ( Damasci Vita Isidori Reliquiae, 77 Zintzen). 275 Socr, h. e. VII 15 (360 Hansen). 276 Ibid., VII 14, 1 (359 Hansen).

277 Cfr: G. Bowersock, Parabalani: a Terrorist Charity in Late Antiquity, «Anabases» 12, 2010, 45-54.; con C. W.O. McCready, Ekklesia and Voluntary Associations, in J. Kloppenborg-S. G. Wilson, Voluntary Association in the Graeco-Roman World, London-New York 1996, 59-73. 278 Socr. h. e. VII 15, 5 (361 Hansen). 279 E.W. Brooks, The Sixth Book of the Select Letters of Severus Patriarch of Antioch, London 1903, 46. 51 mancanza di viveri ad Antiochia sotto Teodosio o, ancora, nella rapina della sinagoga con Cirillo, per attenerci agli esempi sopra riportati. Il fenomeno appare del tutto coerente alla situazione del tardo IV e dell’inizio del V secolo.280 Allorché si definì in maniera più netta il rapporto tra clerici e laici al servizio di Dio e del suo popolo e si saldò, di conseguenza, l'unione della nuova organizzazione con l’ enthermos laos - e in questo senso le fonti appaiono cogliere l’importanza emblematica dell'opera di Basilio - era inevitabile lo scontro con il modello ‘civico’ di società ancora persistente. La consapevolezza raggiunta permise alla plebs Dei 281 di battersi con determinazione per la sostituzione del vecchio modello con il nuovo, di tipo economico, maggiormente trasversale e sostanzialmente universale, in cui la società nel suo complesso non era considerata attraverso la divisione tra cittadini e non-cittadini, ma era definita secondo le categorie di ricchezza e povertà, in cui il controllo della sperequazione sociale e la cura del rapporto tra ricchi e poveri era affidato alla gestione, da parte del vescovo e dei suoi collaboratori, dell'attività assistenziale, in cui convergeva la nuova dimensione religiosa, economica e politica - del dono: l'elemosina.282 Era una delle estreme conseguenze, a livello strutturale, della società

piramidale283 creatasi in epoca costantiniana così come, a livello sovrastrutturale, la stabile definizione di nuove modalità del rappresentare e di rappresentarsi costituivano la fase finale del medesimo processo di longue durée, le cui origini partivano da molto lontano: dal momento in cui la perdurante inflazione del III sec. aveva spinto Costantino ad ancorare il sistema monetario all'oro, svalutando definitivamente il denario e creando, con la sua riforma monetaria, una società fortemente gerarchizzata, i cui poli erano diametralmente opposti, per dimensioni, interessi, patrimoni, modalità comportamentali. Di fronte all' afflicta paupertas che contava membri sempre più numerosi e che lamentava la profusa largitio imperiale284 stava la ristretta cerchia delle élites di governo, periferico e centrale, con le alte gerarchie militari. Ovviamente Costantino aveva riconosciuto una situazione che era già in re, ma questa realtà aveva già cominciato a scardinare le strutture sociali preesistenti: il principio di aggregazione non si fondava più sull’appartenenza alla comunità civica, che legava indissolubilmente i notabili ai loro concittadini, ancorché di estrazione profondamente differente. Occorrevano nuovi mezzi per il controllo delle masse, per una certa ridistribuzione della ricchezza, per creare un nuovo senso di appartenenza corrispondente a una diversa realtà, che aveva fatto crollare le mura della città. Il governo dei tradizionali notabili - la cui ricchezza si andava assottigliando, la cui paideia era condivisa in misura sempre inferiore e il cui prestigio era sempre meno reale e misconosciuto da una moltitudine, che, unita da malattia e povertà, era contraddistinta da caratteri più universali - non era ormai in grado di garantire il controllo sempre più rigido, preteso dalla corte imperiale. Fino ad allora la sfrenatezza della folla era stata arginata dai curiales, aveva rappresentato il prezzo da pagare per la relativa autonomia delle città. Questa folla, seppure pronta alla protesta, era una folla di concittadini, che riconosceva il legame con il proprio notabile, suo tropheus e patrono. È del tutto comprensibile il motivo in base al quale per Libanio fosse tanto importante il buon garbo nei confronti degli inferiori,285

contraccambiarne il saluto e, d'altro canto, riceverne gratitudine e rispetto:286 280 Sulle condizioni delle città tardoantiche cfr. Liebeschuetz, The End of Ancient City, in Rich (Ed.), The City in Late Antiquity, cic., 1-49; Id., Administration and Politics in the Cities of the Fifth to the Mid Seventh Century: 425-640, in CAH XIV, Cambridge 2000, 207-237, L. Cracco Ruggini, La città romana dell'età imperiale, in P. Rossi (a cura di), Modelli di città. Struttura e funzioni politiche, Torino 1987, ora in A. Giardina-A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, Torino 1999, 419443. 281 Brown, Dalla plebs Romana alla plebs Dei, cit., 123 ss. 282 Sull'economia di carità cfr. Mazzarino, L'impero romano, cit., 291 ss.; Patlagean, Pauvreté économique et tradition littéraire à Byzance, Paris 1977, trad. it., Povertà ed emarginazione, cit., 34 ss.; Brown, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison-London 1992, trad. it., Potere e cristianesimo, cit., 42 ss. e Id., Poverty and Leadership in the Later Roman Empire, trad, it., Povertà e leadership, cit., Roma-Bari 2003, 52 ss.; G. Cecconi, Elemosina e propaganda. Un'analisi della ‘Macariana persecutio’ nel libro III di Ottato di Milevi, REAug 36, 1990, 442-466; Neri, I marginali, cit., 86-87; con ult. B. Bellomo, Abusi nell'economia di carità, in Marino-Molè-Pinzone (a cura di), Poveri ammalati, cit., 449-461. 283 Vd. le pagine suggestive in Mazzarino, L’impero romano, cit., 437 ss. 284 Cfr. il geniale inventor autore del De rebus bellicis, spec. I 1-2; II 15. Sempre validi E.A. Thompson, A Roman Reformer and Inventor, Oxford 1952 e A. Giardina (a cura di), Anonimo. Le cose della guerra, Milano 1996.

285 Lib. or. 58, 4 (IV 468). 286 Lib. or. 2, 6 (I 240-1). 52 Βαρὺς ἐγώ; τί οὖν ἔστιν ἀκούειν τῶν ἐπὶ τῶν ἐργαστηρίων, ὁπότε παρίοιμι, λεγόντων; οὐχ ὁ μέτριος; οὐχ ὁ κοινός; οὐχ ὁ καὶ τὰς τῶν πενεστάτων προσρήσεις ἀμειβόμενος τοῖς ἴσοις; ἔστιν οὖν ὅστις ἂν ἐκείνοις αὑτὸν ἴσον ἐν οἷς ἔξεστι ποιῶν τῶν ἐν τέλει καὶ δυνατῶν κρείττων ἂν ἀξιώσειεν εἶναι; oi φιλοῦσι μέν μου καὶ ὀφθαλμοὺς καὶ κεφαλὴν καὶ χεῖρας, εἰ καὶ μὴ σφόδρα φιλοῦσιν αὐτόν, ἔχοντες δ᾽ οὐδὲν ἔλαττον ἀπέρχονται. Il rispetto, però, e il retore lo sapeva bene, si manteneva solo se si riusciva a difendere gli interessi dei propri clientes di bassa estrazione sociale e, dunque, se si riusciva a parlar chiaro e alla pari con i funzionari imperiali per perorare la causa dei concittadini e della città nel suo complesso:287 τίνες δὴ καὶ δειπνοῦσιν ἦσαν ὑμῖν πρὸς τὰς μητέρας οἱ λόγοι; ψευδόμενοι μὲν γὰρ καὶ ἐκ λόγων ἥκειν αὐταῖς λέγοντες κατ’ αὐτὸ τοῦτο ἠδικεῖτε, σεσιωπηκέναι δὲ ὁμολογοῦντες τί ἄλλο ἢ στένειν ἐποιεῖτε δυστυχεῖς αὐτὰς ἀποφαίνοντες μητέρας καταρωμένας σφίσιν αὐταῖς ὕβριν καὶ λώβην καὶ ὀνείδη τεκούσαις. ταχύ γ᾽ ἂν ὑμᾶς αἰσχυνθείη χειροτέχνης, ταχύ γ᾽ ἂν ὑπουργήσειε κελεύουσι, ταχύ γ᾽ ἂν ἐλπίσειε δυσχερὲς αὑτῷ τι λυθήσεσθαι δι᾽ ὑμῶν, ὅταν ὑμεῖς ἄλλων δέησθε τῶν ὑπὲρ ὑμῶν ἐρούντων; Il patronato esercitato dai notabili, infatti, si basava su un

equilibrio precario. Se, da un canto, essi potevano elargire viveri ai loro protetti ed essere i tropheis della città in vario modo, dall'altro, poiché una parte delle loro rendite proveniva dalla vendita di derrate alla plebe cittadina, essi potevano opprimere il popolo, facendo scarseggiare artatamente i viveri e guadagnando con il rialzo conseguente dei prezzi, o potevano rifiutarsi di vendere a prezzi eccessivamente bassi i rifornimenti inviati dall’imperatore alla città.288 Sembra inutile ricordare, a questo proposito, il contrasto di Gallo (354) e di Giuliano (362-3) con il Consiglio cittadino per il rialzo dei prezzi.289 Sanare la discrasia propria del ruolo del curiale era fondamentale e ciò ci fornisce il motivo della grande enfasi posta sulla megalopsychia, la generosa magnanimità dei notabili, che traspare persino dalla critica di Giovanni Crisostomo.290 Per contrastare un ruolo e un modello di riferimento che erano stati fondamentali nella vita dell’impero e delle città,291 ne occorreva un altro radicalmente oppositivo, di forte impatto sulla nuova realtà sociale, che potesse penetrare nelle crepe che le vecchie strutture cominciavano a mostrare. Le responsabilità dell'amministrazione cittadina apparivano sempre più pesanti per le élites locali. Esse dovevano confrontarsi con il diminuito potere economico, con l'intromissione dell’imperatore nell’elargizione dei doni e della relativa propaganda, con l’insufficiente rappresentatività rispetto a una massa indefinita, che inglobava il demos urbano, ma anche immigrati di altre comunità e lavoratori stagionali, che si spostavano da un territorio all’altro. Se il demos era un'entità ben definita, come mostrano le iscrizioni di Afrodisia,292 non formata da 287 Lib. or. 35,7. 288 Sulla complessità del rapporto tra attività di patronato, fiscalità e interessi dell' élite di governo in età tardoantica cfr. A.R. Hands, Charities and Social Aid in Greece and Rome, London 1968,. P. Garnsey, Famine and Food Supply in the Graeco-Roman World, Cambridge 1988, 8-39, 270-273. Per le modalità di assistenza gratuita, ma anche razionale vd. D.Ch. Stathakopoulos, Famine and Pestilence

in the Late Roman and Early Byzantine Empire: a Systematic Survey of Subsistence and Epidemics, Birmingham, 2004, 62-64 e ult. D.Vera, Una carità razionale: provvedimenti e finanza pubblica nel Tardo Impero, «Koinonia» 36, 2012, 173-191. Sul privilegiamento dell'istituzione ecclesiastica in funzione assistenziale cfr., inoltre, R. Finn, Almsgiving in the Later Roman Empire; Christian Promotion and Practice (313-450), spec. 56 ss. 289 Amm. XIV 7, 10; XII 14, 2 (I 82 ss. Galletier-Fontaine; III 130 Fontaine). Cfr. Liebeschuetz, Antioch, cit., 129-131; Matthews,, The Roman Empire of Ammianus, cit., 406-414; Durliat, De la ville antique à la ville byzantine, cit., 360-365. 290 Ioh. Chrys. in. glor. 4-5. 291 Cfr. Mazzarino, L'impero romano, cit., 490. 292 Vd, gli interessanti lavori di Ch. Roueché, Acclamations in the Later Roman Empire, JRS 74, 1984, 181-199, Ead. Aphrodisias in Late Antiquity, London 1989, con sempre Ead., Performers and Partisans at Aphrodisia in the Late Roman Periods, London 1993, la quale sottolinea l'accresciuta importanza delle acclamazioni popolari agli occhi del governo, conseguente all'indebolimento delle istituzioni cittadine ed usate da singole personalità politiche per un rapporto preferenziale con il governo imperiale. Non a caso il "rivoluzionario" Costantino volle che le acclamazioni fossero inviate alle autorità centrale, superando così i ritardi di comunicazione causati non solo dal governo provinciale, ma anche dalle istituzioni proprie delle città (Liebeschuetz, Antioch, cit., 216). In merito cfr. Al. Cameron, Circus Factions: Blues and Greens at 53 soli indigenti, i lavoratori che, nei loro spostamenti, andavano di frequente ad ascoltare nelle loro grotte i monaci dell’altopiano della Siria erano una massa meno definita, più difficile da controllare, caratterizzata dalla propria indigenza, che andava rassicurata, nella sua disperazione, tramite un linguaggio meno aulico e

immediatamente comprensibile, tutte esigenze che potevano essere soddisfatte da nuovi protagonisti: i monaci del deserto e degli altipiani. Un perfetto indicatore dell'impatto che simili personaggi ebbero sull'immaginario contemporaneo, in quanto incarnarono i nuovi paradigmi comportamentali, è l'odio che trapela dagli scritti di autori pagani. Non a caso Eunapio,293 in certo qual modo, li assimila, per la loro alterità, ai barbari, che di loro si servivano per la rovina dei Romani. Un simile cambiamento dei modelli di riferimento era espressione di altre mutazioni in atto, ben più profonde. La sostituzione dei curiali significava il riconoscimento dell'inanità della paideia tradizionale in riferimento alle nuove condizioni socioeconomiche, nonché la consapevolezza del fatto che l’ exousia potesse risiedere altrove rispetto alla ricchezza, che alla cultura spesso si accompagnava. La paideia con le sue espressioni linguistiche e comportamentali era l’espressione tangibile del monopolio di una classe dirigente, che aveva controllato le città e aveva assicurato, anche mediante la propria ricchezza e il proprio prestigio, l'esazione delle tasse all'amministrazione centrale e stabilità al potere imperiale. La lotta andava radicalizzata: i monaci, talvolta, si trasformarono nei rappresentanti di un movimento “populista” che intendeva eliminare un monopolio culturale e politico, di cui sempre più consapevolmente contestava ogni espressione. Per comunicare, spesso, i Padri del deserto si servivano anche di parole semplici, ma intrise della saggezza proveniente da Dio, in predicazioni rivolte a tutti, maschi e femmine, giovani ed anziani, ricchi e poveri. Si apriva la via a nuove classificazioni sociali, ma anche a nuove forme di controllo dell’ enthermos laos, che non era ormai esclusivamente quello cittadino, ma più ampio, sicché il raggio d'azione dei leaders cristiani era potenzialmente maggiore rispetto a quello dei notabili, raggiungeva i suburbia e oltre: rappresentava certamente una valida alternativa al controllo curiale.

Se i monaci incarnarono la pars destruens del nuovo movimento, quella construens fu affidata ai vescovi, i quali, diversamente dagli anacoreti, funsero da mediatori tra l'intransigenza religiosa e la necessità politica. Essi potevano ricevere una più convincente legittimazione dal rapporto con i monaci, ma sicuramente avevano bisogno della ricchezza e della cultura delle tradizionali classi dirigenti. La ricchezza andava ridistribuita e la cultura era necessaria al dialogo diretto con l’imperatore, dialogo ormai reso possibile dalla partecipazione all'episcopia dell'umanità. Gli antichi notabili compresero di avere un’altra via possibile per riprendere in mano le redini di un potere antico, ma esercitato secondo modalità nuove e con una teatralità più intensa e drammatica. I monaci, magistralmente descritti da Teodoreto, con le loro mani alzate verso il cielo ricordavano continuamente la crocifissione di Cristo, il cui simbolo era sugli stendardi dell'esercito, e contemporaneamente, nell’afflizione, non solo richiamavano alle menti dei fedeli la passione del figlio di Dio, ma anche rappresentavano la massa dei “poveri ammalati” e degli “ammalati poveri”.294 Rome and Byzantium, Oxford 1976; con il più generale E Millar, Empire and City, Augustus to Julian: Obligations, Excuses and Status, JRS 73, 1983, 76-96. 293 Eunap. frg. 55 ( FHG IV 39 Müller). 294 Il riferimento è al bel volume, già citato, degli Atti, Poveri ammalati, cit,, a cura di Marino-Molè-Pinzone. 54

Fig. 1 - Roma. Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro: Noah orante. La radicale alternatività consentiva loro una libertà che rendeva fiera e salda la loro opposizione, non corruttibile né proclive al compromesso, ma era un modello unifunzionale, il vescovo aveva più frecce al proprio arco.295 Egli poteva realmente dialogare con i potentiores anche molto duramente, ma era pure in grado di stabilire un rapporto reale con l’imperatore. Un perfetto esempio di un notabile giunto al potere episcopale è sicuramente offerto da Ambrogio, il cui operato nei confronti di Teodosio I e con Massimo abbiamo già analizzato296 e la cui azione, rispetto a Giustina e Valentiniano,297 mostra la stessa fermezza e la medesima convinzione nella missione del clero rispetto al potere regale, come avremo modo di osservare298 nelle pagine dedicate all’imperatrice ariana.

Se Ambrogio incarna il “nobile vescovo”, Basilio, nonostante la sua origine altrettanto nobile299 appare in grado di rappresentare anche il “santo vescovo”.300 Opportunamente Ramón Teja ha messo in rilievo l'importanza dell'orazione funebre in onore di Basilio per la definizione del modello episcopale che si attuò in epoca teodosiana. Non sorprende, per quanto abbiamo sopra detto, che insieme alle virtù cristiane, rappresentate unitariamente dall’ eusebeia, Gregorio ricordi una serie di qualità proprie della nobilitas, come la ricchezza, i natali e l'eloquenza. All’inizio del discorso, infatti, il Nazianzeno ricorda i titoli di cui si poteva fregiare anche la propria famiglia materna, quali i comandi militari, il governo del popolo, il potere, la ricchezza, i posti di rango elevato, gli onori pubblici e lo splendore dell'arte oratoria:301 295 Oltre al più volte citato Brown vd, il puntuale contributo di H. Chadwick-E. Hobbs (Eds.) The Role of Christian Bishop, Protocol of the 35 Colloquy of the Center for Hermeneutical Studies, 1979, 26; R. MacMullen, Preacher’s Audience, JThS 40, 1989, 508; A. Meredith, The Three Cappadocians on Beneficence: a Key to their Audience, in M.B. Cunningham-P. Allen, Preacher and Andience, Leiden 1998, 92; e ancora H, Chadwick The Church in Ancient Society, Oxford 2001, 483, secondo il quale il vescovo può essere considerato «representative or ambassador of Christ, standing in succesion of the Lord, bishop of all» e solo da questo deriva il suo potere e, per questo, egli può svolgere la sua funzione solo in unione con l’intera comunità (68). 296 Cfr. supra 24. 297 Cfr. supra 264. 298 Cfr. infra 114; 315. 299 R. Mac Mullen, Cultural and Political Changes in the 4th and 5th Centuries, «Historia» 52/4, 465-495.

300 R. Lizzi, I vescovi e i ‘potentes’ della terra: definizione e limite del ruolo episcopale nelle due ‘partes Imperii’ fra IV e V secolo d.C; in Rebillard-Sotinel (Éd.), L'évêque dans la cité du IVe siècle, Image et Autorité, cit., 81-104. 301 Or. 43, 63, 31 s. Vd. Teja, Valores aristocràticos, cit., 283-289. 55 Ὅθεν τῷ πατρῴῳ γένει τὸ μητρῷον ἡμεῖς ἀντανίσχομεν. Στρατηγίαι τε καὶ δημαγωγίαι καὶ κράτος ἐν βασιλείοις αὐλαῖς· ἔτι δὲ περιουσίαι καὶ θρόνων ὕψη καὶ τιμαὶ δημόσιαι καὶ λόγων λαμπρότητες, τίνων ἢ πλείους ἢ μείζους. Alla pari di Basilio e di Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo era molto orgoglioso della nobiltà delle sue origini, sì da ricordare come la Cappadocia, sua patria, fosse tanto ricca di magnifici cavalli quanto di nobili famiglie:302 Πολλὰ μὲν γὰρ ὁ Πόντος ἡμῖν ἐκ τοῦ πατρὸς προβάλλει τὰ διηγήματα καὶ οὐδενὸς ἐλάττω τῶν πάλαι περὶ αὐτὸν θαυμάτων, ὧν πλήρης πᾶσα συγγραφή τε καὶ ποίησις πολλὰ δὲ τὸ ἐμὸν ἔδαφος τοῦτο, οἱ σεμνοὶ Καππαδόκαι, τὸ μηδὲν ἧττον κουροτρόφον ἢ εὔϊππον. Alla ricchezza vanno naturalmente unite la cultura e l’eloquenza, sostanzialmente rivalutate da Gregorio:303 Οὔκουν ἀτιμαστέον τὴν παίδευσιν, ὅτι τοῦτο δοκεῖ τισιν: ἀλλὰ σκαιοὺς καὶ ἀπαιδεύτους ὑποληπτέον τοὺς οὕτως ἔχοντας, οἵ βούλοιντ᾽ ἂν ἅπαντας εἶναι καθ᾽ ἑαυτούς, iv’ ἐν τῷ κοινῷ τὸ κατ᾽αὐτοὺς κρύπτηται, καὶ

τοὺς τῆς ἀπαιδευσίας ἐλέγχους διαδιδράσκωσιν. Possiamo, dunque, comprendere l’indignazione dei cristiani nei confronti di Giuliano, il quale li considerava estranei alla paideia, che era effettivamente uno strumento di comando.304 Gregorio era pienamente consapevole di quanto il vescovo fosse un uomo di potere, poiché una funzione essenziale dell' episkopos, insieme alla conduzione delle anime verso la salvezza, era quella di prostates del suo popolo. Obbedendo ai dettami dello stile teatrale del tempo, il Nazianzeno fa risaltare le qualità di leader di Basilio in un dramma in due atti, in cui si svolgono, dapprima, lo scontro verbale del vescovo con il prefetto al pretorio (PPO) Modesto e, dopo, la lotta silente, ma feroce, con l'imperatore. È probabile che la necessità di una “funzione governativa” del vescovo fosse condivisa dall’ élite cristiana, sì da essere espressa paradigmaticamente da Ambrogio e dare lo spunto alla rappresentazione di Teodoreto,305 il quale teatralmente sfruttò l'umiliazione accettata dall'imperatore per rappresentare anche una “resurrezione” trionfante dell’Augusto, che solo il nuovo pubblico poteva apprezzare.306 Nell’ orazione in memoria di Basilio tutto il dramma si svolge secondo un climax, in cui alla fine i ruoli appaiono del tutto invertiti, a sottolineare come il vescovo, in quanto sacerdos, non è inferiore all'imperatore, anzi, al contrario, quest'ultimo, se mai, in quanto uomo, dovrebbe sottomettersi al sacro, rappresentato dal vescovo: alla fine l'imperatore ne esce stordito, barcollante, vinto. La rappresentazione inizia con l'ira di Modesto che rimprovera Basilio perché non accetta la fede ariana dell'imperatore, mentre tutti li altri vescovi si sono sottomessi alla volontà di Valente. Al vescovo, che gli chiede il motivo di tanta ostilità nei suoi confronti, il prefetto spiega:307

Ὅτι μὴ τὰ βασιλέως θρησκεύεις, φησί, τῶν ἄλλων ἁπάντων ὑποκλιθέντων καὶ ἡττημένων. 302 Ibid., 43, 3. Per una visione complessa ed articolata sulla realtà socioeconomica e sulla funzione di prostasia e di intervento assistenziale del clero in Cappadocia vd. Cassia, La piaga e la cura, cit., 33-70. 303 Ibid., 43, 11. 304 «A means of institutional power» lo definisce Av. Cameron, Cristianity and the Rhetoric of Empire: The development of Christian Discourse, Berkeley-Los Angeles-London, 1991, 144. 305 Cfr. L. De Salvo, Basilio di Cesarea e Modesto: un vescovo di fronte al potere statale, in Basilio di Cesarea: la sua età, la sua opera, e il basilianesimo in Sicilia, in Atti del Congresso internazionale, Messina 1979, I, Messina 1983, 137-154. Sul mondo cittadino di Basilio cfr. L. Cracco Ruggini, I vescovi e il dinamismo sociale nel mondo cittadino di Basilio di Cesarea, sempre in Basilio di Cesarea: la sua età la sua opera, cit., 97-123. Sul vescovo in età teodosiana, fondamentali appaiono i contributi presentati al Congreso internacional La Hispania de Teodosio, Salamanca 1998 e nel XXV incontro degli studiosi dell'Antichità cristiana, Vescovi e pastori in epoca teodosiana, Roma 1997. 306 Lizzi, I vescovi, cit., 98. Vd. anche supra 87. 307 Greg. Naz. or. 43, 48. 56 Basilio, allora, sottolinea la grande differenza tra i due tipi d’autorità, la civile e l’ecclesiastica, con parole pesanti come pietre:308 Οὐ γὰρ ταῦτα, ἔφη, βασιλεὺς ὁ ἐμὸς βούλεται, οὐδὲ κτίσμα τι προσκυνεῖν ἀνέχομαι, Θεοῦ τε κτίσμα

τυγχάνων καὶ θεὸς εἶναι κεκελευσμένος. In risposta inizia il cedimento del prefetto:309 Τούτοις καταπλαγέντα τὸν ὕπαρχον’ «Οὐδείς, φάναι, μέχρι τοῦ νῦν οὕτως ἐμοὶ διείλεκται καὶ μετὰ τοσαύτης τῆς παρρησίας, τὸ ἑαυτοῦ προσθεὶς ὄνομα. Egli si scontra con l’irremovibilità del santo:310 Οὐδὲ γὰρ ἐπισκόπῳ ἴσως, φησίν, ἐνέτυχες, ἢ πάντως ἂν τοῦτον διειλέχθη τὸν τρόπον, ὑπὲρ τοιούτων ἀγωνιζόμενος... Nel colloquio Gregorio manifesta chiaramente quali dovessero essere per lui le virtù episcopali. Fondamentali tra esse era la parrhesia con i potenti, qualità che era il privilegio di personaggi di nobili origine e di cultura, capaci di padroneggiare l’arte retorica, e nella quale si univano tradizioni neotestamentarie e filosofiche, in particolare di scuola stoico-cinica. Solo una persona come Basilio, in cui si univano felicemente eugenia e paideusis, poteva essere considerato in grado di un’azione efficace come guida spirituale, ma soprattutto poteva essere ritenuto degno di diventare prostates della plebs dei:311 Καὶ εἴ με δεῖ, πάντα παρέντα, τὴν προστασίαν τῶν ἐκ γένους ἀτυχησάντων, τὴν ὑπεροψίαν τοῦ τύφου, τὴν πρὸς τοὺς φίλους ἰσοτιμίαν, τὴν πρὸς τοὺς ἄρχοντας παρρησίαν, τοὺς ὑπὲρ ἀληθείας ἀγῶνας καὶ λόγους, οὕς πολλοὺς πολλάκις καὶ πρὸς πολλοὺς συνεστήσατο, οὐ λογικῶς μόνον, ἀλλὰ καὶ λίαν εὐσεβῶς τε καὶ διαπύρως, ἕν ἀντὶ πάντων εἰπεῖν τῶν ἐκείνου τὸ γνωριμώτατον.

Nello scontro con Modesto, Gregorio fa trapelare, con tecnica espressionistica, un prospettiva aristocratica,312 che conviveva con gli ideali cristiani in un'area e in un'epoca in cui, forse, la forza dirompente dei monaci era meno necessaria e poteva unirsi all’autorità dei nobili vescovi, di fronte a un impero che, a partire dal 381, cercava con determinazione di riunire, nel segno del simbolo niceno, Oriente e Occidente. Alla luce di queste considerazioni si comprende come, in Basilio, si potesse incarnare la speciale auctoritas espressa con la parrhesia, a sua volta manifestazione di uguaglianza con i potenti della terra, estrinsecazione di una sicurezza originata dalle nobili e ricche origini familiari e accresciuta dall’ eusebeia e dal ruolo religioso. La funzione, poi, assicurava la carismaticità, che si concretava nella superiorità manifestata nel rituale ed esercitata nella prostasia del popolo.313 Per esprimere il suo ideale di vescovo, infatti, il Nazianzeno, nel descrivere il confronto con l'imperatore, ci offre un quadro del tutto diverso rispetto a quello dell’incontro con il prefetto. La comunicazione, in questo caso, è affidata ai gesti e al rituale, all’interno di una tensione silenziosa - ma estrema -, atta a sottolineare la lotta tra le due autorità. Il vescovo impone la propria sacralità e il protocollo ecclesiastico all' imperatore. I due poteri si affrontano immediatamente, Valente entra in chiesa come se entrasse nel suo palazzo, circondato dalla sua guardia palatina, a sottolineare la propria autorità, ma un simile ingresso rende ancora 308 «Infatti il mio De non vuole questo, né io posso prosternarmi davanti a una qualsiasi creatura, in quanto mi trovo ad essere creatura di Dio ed essendomi stato ordinato di essere Dio (43, 48, 16-21)». 309 Greg. Naz. or. 43, 49 (Colpito da queste parole, il prefetto: «Nessuno» disse «mi ha mai parlato in questo modo e con tanta franchezza. Dimmi il tuo nome»). 310 Ibid., 43, 51: «Forse non ti sei imbattuto in un vescovo, altrimenti ti avrebbe parlato assolutamente allo stesso modo, opponendosi per le stesse cose...»

311 R. Lizzi, Il potere episcopale nell'Oriente romano. Rappresentazione ideologica e realtà politica (IV-V sec. d. C.), cit., 54. 312 B. Meyer, Gregor von Nazianz. Über die Bischöfe, Paderborn 1989 13. 313 H. Chadwick, The Role of Christian Bishop in Ancient Society, in Protocol of the 35 Colloquy, Berkeley, 1980, 1-14; R. Teja, La cristianización de los modelos clàsicos: el obispo, in E. Falque-F. Gasco (Eds.), Modelos ideales y practices de vida en la Antiguedad Clásica, Sevilla 1993, 213-230. ora in Id., Emperadores, obispos, monjes y mujeres: Protagonistas de cristianismo antiguo, Madrid 1999, 75-95. 57

più stridente la realtà, poiché il sovrano non occupa un posto riservato, che lo separi dal popolo. D’altro canto, Basilio si circonda di un’ eucosmia e di un cerimoniale altrettanto rigido e impressionante rispetto a quello vigente nel Palazzo imperiale. I fedeli circondano la loro guida con la propria incalzante presenza, ma anche con canti, di cui la chiesa intera risuona. Non a caso Gregorio, frequentatore della corte costantinopolitana, sottolinea come questa ordinata composizione possa apparire più angelica che umana.314 Al centro della scena si erge Basilio, sopra la tribuna, inarrivabile, ieratico e saldo come una colonna, senza fremito nel suo corpo, senza battito di palpebra, senza timore nella mente e nel cuore:315 Εἰς γὰρ τὸ ἱερὸν εἰσεχθὼν μετὰ πάσης τῆς περὶ αὐτὸν δορυφορίας· ἦν δὲ ἡμέρα τῶν Ἐπιφανίων καὶ

ἀθροίσιμος· καὶ τοῦ λαοῦ μέρος γενόμενος, οὕτως ἀφοσιοῦται τὴν ἕνωσιν… εἶδεe καὶ πᾶσαν τὴν εὐκοσμίαν, ὅση τε περὶ τὸ βῆμα καὶ ὅση πλησίον, ἀγγελικὴν μᾶλλον ἢ ἀνθρωπίνην: τὸν μὲν τοῦ λαοῦ προτεταγμένον ὄρθιον, οἷον τὸν Σαμουὴλ ὁ λόγος γράφει, ἀκλινῆ καὶ τὸ σῶμα καὶ τὴν ὄψιν καὶ τὴν διάνοιαν, ὥσπερ οὐδενὸς καινοῦ γεγονότος, ἀλλ᾽ ἐστηλωμένον, ἵν᾿ οὕτως εἴπω, Θεῷ καὶ τῷ βήματι· τοὺς δὲ περὶ αὐτὸν ἑστηκότας ἐν φόβῳ τινὶ καὶ σεβάσματι. Come non paragonare questa rappresentazione con quella tramandata da Ammiano su Costanzo, proprio l’imperatore rivale del grande Atanasio, del quale Basilio raccolse l’eredità316 La figura ieratica del vescovo, dipinta in questa scena, risulta perfettamente sovrapponibile a quella del Missorium di Teodosio (Fig. 2), nel tentativo di replicare l'immagine del Pantocratore (Fig. 3), con la non poi tanto sottile allusione alla superiorità del potere sacro, in questo caso episcopale, rispetto al profano. Fig. 2 - Missorium di Teodosio I. Fig. 3 - Basilica di S. Paolo fuori le mura (Real Ac. de la Historia) Dinanzi al vescovo, circondato dai fedeli, in atteggiamento sottomesso per la venerazione e il timore, l’imperatore, privo della difesa del del ruolo, sarebbe svenuto e franato miseramente ai piedi di Basilio, se una mano misericordiosa non ne avesse impedito la caduta: 314 Greg. Naz. or. 43, 52. 315 Ibid.: «(L'imperatore), entrato in chiesa con tutta la scorta attorno a lui, era infatti il giorno dell'Epifania e della adunanza generale, essendo divenuto parte del popolo così deturpava l'unione. . .vide

anche tutta la folla ben ordinata, quanta stava attorno all'altare e quanta vicino, tale da definirla angelica piuttosto che umana. Quello, da parte sua, di fronte al popolo dritto, quale il Vecchio Testamento descrive Samuele, (se ne stava) fermo nel corpo, nello sguardo e nell'animo, come se non fosse accaduto niente di nuovo, immobile, per così dire come una colonna di marmo accanto all’altare».Tutt'altra temperie dimostra l'atteggiamento di Teodosio II, princeps puer, è il caso di sottolinearlo, in occasione dell'ingresso in chiesa: «Quando entriamo nel tempio di Dio lasciamo fuori le armi, togliamo il diadema e, con la sembianza della diminuzione della nostra maestà, allora raccogliamo il massimo timore per la maestà dell'Impero». ACO I 1, 4 (Schwartz 64, 8). 316 Cfr. De Salvo, Basilio di Cesarea, cit., 144. 58

ἐπειδὴ ταῦτα εἶδε, καὶ πρὸς οὐδὲν παράδειγμα ἠδύνατο θεωρεῖν τὰ ὁρώμενα, ἔπαθέ τι ἀνθρώπινον, σκότου

καὶ δίνης πληροῦται τὴν ὄψιν καὶ τὴν ψυχὴν ἐκ τοῦ θάμβους. Καὶ τοῦτο ἦν τοῖς πολλοῖς ἄδηλον ἔτι. ᾿Επεὶ δὲ τὰ δῶρα τῇ θείᾳ τραπέζῃ προσενεγκεῖν ἔδει, ὧν αὐτουργὸς ἦν, συνεπελάβετο δ᾽ οὐδείς, ὥσπερ ἦν ἔθος, ἄδηλον ὃν εἰ προσήσεται, τηνικαῦτα τὸ πάθος γνωρίζεται. Περιτρέπει γὰρ καί, εἰ μή τις τῶν ἐκ τοῦ βήματος ὑποσχὼν τὴν χεῖρα τὴν περιτροπὴν ἔστησε, κἂν κατηνέχθη πτῶμα δακρύων ἄξιον. Εἶεν. Grazie alla maestria di Gregorio, la realtà dei fatti divenne ed è, tuttora, perfettamente chiara: la sacra auctoritas del vescovo, nella sua area di pertinenza, si era imposta sull auctoritas imperiale, semmai era l’imperatore, anthropos on, a doversi sottomettere al vescovo, rappresentante del sacro. Se l’abilità di Basilio proveniva dall’abitudine al comando, dalla sicurezza di sé, dall’addestramento e dagli studi compiuti per esercitare la leadership sulla sua comunità, ormai non più esclusivamente cittadina, l'autorevolezza dipendeva dal carisma divino. Essa era conquistata tramite contrizione e penitenza, si esprimeva attraverso l’afflizione della carne e si palesava nell'identificazione con gli ultimi della terra, poveri, ammalati, emarginati. Il sistema culturale, nuovo ed alternativo, del Christianismos riproponeva un immaginario sociale orientale, tanto quanto la Bibbia rifletteva il sistema socioculturale del Vicino Oriente antico, esattamente come la polarizzazione della società piramidale lasciava trasparire l'emersione di una nuova strutturazione della società, in generale, e delle sue élites in particolare, un nuovo codice comportamentale, nuove modalità di comunicazione, tendenti all'estroflessione altisonante e teatrale. Le voci della plebe, le sue phonai, scandite ritmicamente e subito stenografate giungevano a Costantinopoli ed erano accolte dall'imperatore in persona.317 Per capire un tale fenomeno, lo studio sulle iscrizioni di Afrodisia compiuto da Ch. Roueché è sicuramente illuminante318 Esso rivela come nel V secolo si sia affermata la tendenza di usare slogans, ripetuti

ossessivamente e ritmicamente, per orientare l'opinione verso determinate convinzioni politiche ο religiose.319 Fig. 4 - Afrodisia. Inscriptio 1, Plat. III, foto Roueché-Ugenci (JRS 74, 1984). La concordia unanime della plebs esprimeva la volontà divina e consentiva una parrhesia di gruppo che aveva del soprannaturale. Già Eusebio di Cesarea aveva descritto l'elezione di Fabiano, papa del III secolo, in questi termini:320 317 Nest., Heracl,, cit., 2,1 (246 Nau). 318 Ch. Roueché, Acclamations in Late Roman Empire: New Evidence from Afrodisia, JRS 74, 1984, 181 ss. con Fad., Aphrodisias in Late Antiquity, London 1989, 103 ss. 319 T. E. Gregory, Vox populi: Popular Opinion and Violence in the Religious Controversies of the Fifth Century A. D, Columbus 1979; A. Voöbus, History of the Ascetism in the Syrian Oriens, III. A Contribution to the History of Culture in the Near East, CSCO Subs, 81, Louvain 1988, 210. 320 H. e. VI 29, 4. 59 τὸν πάντα τὸν λαὸν ὥσπερ ὑφ᾽ ἑνὸς πνεύματος θείου κινηθέντα, προθυμίᾳ πάσῃ καὶ μίᾳ ψυχῇ ἄξιον ἐπιβοῆσαι. Sempre più di frequente il luogo di queste manifestazioni non era il teatro, ma la chiesa, con il suo sagrato, luogo di accoglienza e di raduno ideale. Del resto, anche all’interno delle basiliche, le prediche dei vescovi si mescolavano ai canti dei fedeli e, non a caso, i

conduttori della sancta plebs erano grammatici che conoscevano le tecniche di comunicazione e che potevano sostenere l'azione del vescovo anche in altri luoghi. Esemplare è, in questo senso, l'operato di Ierace descritto da Socrate,321 allorquando il grammaticus sostenne Cirillo d'Alessandria contro gli Ebrei. È noto a tutti che la conclusione della vicenda fu l'incendio della sinagoga. Del resto, nella vita del monaco siro Barsauma, sempre contro gli Ebrei, i capipopolo iniziarono all'unisono a cantare il ritornello “la croce ha vinto" e la plebe li seguì, mentre la voce del monaco risuonava come le onde del mare, sì da atterrire la città e sconvolgere l’imperatore.322 Gli episodi sopra menzionati riflettono una realtà completamente "altra", in cui non era più la cultura ellenistica il collante della società romana, collante che aveva unito le élites provinciali alla ristretta nobiltà di governo, a loro pur sempre aperta, coese in una e per una paideia che si manifestava in uno stile di persuasione allusivo e incantatore, comunque "urbano", secondo le leggi di una compartecipazione apicale. Basandosi sulla Bibbia, Scenute, il leone del Monastero bianco, usava, invece, un linguaggio più esasperato, in cui le critiche espresse nei confronti dei governatori, tramite citazioni del Vecchio Testamento, non potevano essere disattese senza commettere sacrilegio e su questo poggiava l'aggressività di tekparrhesia. Anche a Costantinopoli il linguaggio del potere fu declinato in toni melodrammatici. Essi erano congrui all'aspro dibattito cristologico, all'interno del quale la questione più grave da affrontare era l'incarnazione, dunque, l'identificazione di Dio Padre con la natura umana. Si trattava di definirne la disponibilità verso i suoi sudditi, gli uomini. La grande distanza tra il Signore e i suoi figli poteva essere annullata solo attraverso il sacrificio del Figlio che, nel suo dolore, si era rimesso alla volontà del Padre, riflettendo nella sua vita l'abisso che nelle antiche società orientali323 divideva i potenti dagli umili. Nello stesso atteggiamento in cui il Figlio si era rivolto al Padre, levando a lui le braccia e gridando il suo dolore, i bisognosi si

rivolgevano ai potentiores e a loro gridavano le proprie necessità. Era questo il linguaggio che, nell'ambito di una radicalizzazione piramidale, poteva superare la distanza e consentire la condiscendenza dei potenti, mentre i leaders degli egentes potevano essere considerati tali solo riproducendo in qualche modo il comportamento dei miseri e degli afflitti, identificandosi con essi e con il loro archetipo. In Cristo, filius Dei, il pauper per eccellenza, si univano gli opposti e si univa, in un legame denso e drammatico, l’umanità con un laccio infinite volte più potente di quello civico: la carne dolente, grondante sangue. Da questo mistero derivò il ruolo fondamentale che ebbe, nel V e VI secolo, la querelle sulla Theotokos, che ci soffermeremo ad analizzare nelle pagine seguenti. Relativamente al problema qui affrontato, basta sottolineare come, nel prendere la carne umana da Maria, Dio non solo si era fatto uomo, ma era divenuto umano. Il fattore fondamentale era la possibilità di compartecipazione, la speranza di solidarietà, che era meglio sostenibile in una prospettiva monofisita, dove l’intima unione di umano e divino in Cristo era inscindibile e non correva alcun pericolo. Da qui uno dei motivi principali del successo della chiesa d’Alessandria e il sostegno dato alla divina maternità di Maria. Non è un caso che, negli affreschi di quei secoli, si sottolinei il contatto fisico tra la Santa Vergine e il Bambin Gesù, il cui riverbero persiste ancora agli inizi dell’ VIII secolo. (709), nella mano dorata della Madonna del Pantheon di Roma poggiata su Gesù. 321 Socr. h. e. VII 13 (358 Hansen). 322 Vd. il riassunto della vita del monaco in F. Nau, Histoire de Barsauma de Nisibe, ROC 19, 1914, 117-130. 323 Brown, Potere e cristianesimo, cit., 222. 60

Fig. 5 - Icona su legno di olmo.

Madonna del Pantheon, con mano che tocca il ginocchio del Bambino a rappresentare la mediazione di Maria rispetto a Cristo. La mano è dipinta in oro a sottolineare che, tramite essa, la Vergine elargisce salvezza all'umanità. L’arazionale e fideistica mistione di umano e divino corrispondeva a un altro sinolo, apparentemente incomprensibile, quale quello formato da umiltà e potere. Solo nell' imitatio Christi, della sua misera e dolorosa condizione, si poteva raggiungere il potere sulla nuova, allargata comunità. Così Teodosio II indossava il cilicio324 e, sempre più, coloro che aspiravano al potere sui loro consimili cercarono di identificarsi con essi, nell’unione in Cristo. Tutto ciò stava alla base della grande ammirazione di Teodoreto per Eusebio:325 Ἐγὼ δὲ οὐκ οἶδα πότερον πλέον θαυμάσω, τούτου τὴν μετριότητα ἢ ἐκείνου τὴν εὐπείθειαν. Kai γὰρ οὗτος τὴν ἡγεμονίαν ἐδραπέτευε καὶ τῶν ὑπηκόων εἷς εἶναι μᾶλλον ἐβούλετο, τῆς προστασίας τὸν κίνδυνον ὑ ὑφορώμενος. Καὶ ὁ μέγας Εὐσέβιος τὴν μετὰ πλειόνων διαγωγὴν ἀπεστρέφετο μέν, εἶξε δὲ ὅμως καί, τοῖς τῆς ἀγάπης δικτύοις ἁλούς, ἐδέχετο τῆς ποίμνης τὴν ἐπιμέλειαν καὶ ἦγε τὸν χορὸν οὐ πολλῶν λόγων εἰς διδασκαλίαν δεόμενος. Indubbiamente l'identificazione con gli ultimi della terra sta anche alla base di una certa immagine che Basilio voleva dare di sé e della sua grande creazione, la Basileias. Anche in questo caso siamo messi di fronte alla paradossalità, ossimorica cifra dell’epoca. Accanto e sovrapposto, infatti, al paradigma del “nobile vescovo”, prostates della sua comunità, sta l’immagine del santo caritatevole, che ama il prossimo come se stesso, poiché la natura è la medesima in entrambi. Esattamente come l'imperatore Teodosio II, alcuni anni dopo, in

chiesa usava deporre le armi, Basilio depose ogni alterigia e si unì in Cristo ai lebbrosi.326 Καὶ ἄλλων μὲν οἱ ὀψοποιοὶ καὶ αἱ λιπαραὶ τράπεζαι καὶ τὰ μαγείρων μαγγανεύματα καὶ κομψεύματα καὶ οἱ φιλόκαλοι δίφροι, καὶ τῆς ἐσθῆτος ὅση μαλακή τε καὶ περιρρέουσα· Βασιλείου δὲ οἱ νοσοῦντες καὶ τὰ τῶν τραυμάτων ἄκη καὶ ἡ Χριστοῦ μίμησις, οὐ λόγῳ μέν, ἔργῳ δὲ λέπραν καθαίροντος. Πρὸς ταῦτα, τί φήσουσιν ἡμῖν οἱ τὸν τῦφον ἐγκαλοῦντες ἐκείνῳ καὶ τὴν ὀφρύν, οἱ πικροὶ τῶν τηλικούτων κριταί, καὶ τῷ κανόνι τοὺς οὐ κανόνας προσόγοντες; Ἔστι λεπροὺς μὲν ἀσπάζεσθαι καὶ μέχρι τούτου συνταπεινοῦσθαι, τῶν δὲ ὑγιαινόντων κατοφρυᾶσθαι; Καὶ τήκειν μὲν τὰς σάρκας δι’ ἐγκρατείας, τὴν ψυχὴν δὲ οἰδαίνειν κενῷ φρυάγματι; Καὶ τοῦ μὲν Φαρισαίου καταγινώσκειν καὶ διηγεῖσθαι τὴν ἐξ ὄγκου ταπείνωσιν, καὶ Χριστὸν εἰδένα μέχρι δούλου μορφῆς κατελθόντα καὶ τελώναις συνέσθοντα καὶ νίπτοντα τοὺς πόδας τῶν μαθητῶν καὶ σταυρὸν οὐκ ἀπαξιοῦντα, ἵνα προσηλώσῃ τὴν ἐμὴν ἁμαρτίαν, καίτοι τί τούτου παραδοξότερον, Θεὸν σταυρούμενον βλέπειν, καὶ τοῦτον μετὰ λῃστῶν, καὶ ὑπὸ τῶν παριόντων γελώμενον, τὸν ἀνάλωτον καὶ τοῦ παθεῖν ὑψηλότερον· αὐτὸν δὲ ὑπερνεφεῖν καὶ μηδὲν γινώσκειν ὁμότιμον, ὃ δοκεῖ τοῖς 324 Ioh. Ruph. Plerophoriae 99, PO VIII 173. 325 Thdt. h. e. IV 5, 4.

326 Greg. Naz. or. 43, 63-64. 61 ἐκείνῳ βασκαίνουσιν; Ἀλλ᾽ οἶμαι τὸ τοῦ ἤθους εὐσταθὲς καὶ βεβηκὸς καὶ ἀπεξεσμένον τῦφον ὠνόμασαν. Οἱ δ᾽ αὐτοί μοι δοκοῦσι ῥᾳδίως ἂν καὶ τὸν ἀνδρεῖον καλέσαι θρασὺν καὶ δειλὸν τὸν περιεσκεμμένον καὶ τὸν σώφρονα μισάνθρωπον καὶ τὸν δίκαιον ἀκοινώνητον. Καὶ γὰρ οὐ φαύλως τοῦτό τινες πεφιλοσοφήκασιν, ὅτι παραπεπήγασι ταῖς ἀρεταῖς αἱ κακίαι, καὶ εἰσί πως ἀγχίθυροι: καὶ ῥᾷστον ἄλλο τι ὄντα ἕτερον νομισθῆναι τοῖς μὴ τὰ τοιαῦτα πεπαιδευμένοις. Τίς γὰρ ἐκείνου μᾶλλον ἢ ἀρετὴν ἐτίμησεν, ἢ κακίαν ἐκόλασεν, ἢ χρηστὸς ὥφθη τοῖς κατορθοῦσιν, ἢ τοῖς ἁμαρτάνουσιν ἐμβριθής· οὗ καὶ τὸ μειδίαμα πολλάκις ἔπαινος ἦν, καὶ τὸ σιωπᾶν ἐπιτίμησις, οἰκείῳ συνειδότι τὸ κακὸν βασανίζουσα; Εἰ δὲ μὴ στωμύλος τις ἦν, μηδὲ γελοιαστὴς καὶ ἀγοραῖος, μηδὲ τοῖς πολλοῖς ἀρέσκων, ἐκ τοῦ πᾶσι πάντα γίνεσθαι καὶ χαρίζεσθαι, τί τοῦτο; Οὐκ ἐπαινετέος μᾶλλον ἢ μεμπτέος τοῖς γε νοῦν ἔχουσιν; Εἰ μὴ καὶ τὸν λέοντα αἰτιῷτό τις ὅτι μὴ πιθήκειον βλέπει, ἀλλὰ βλοσυρὸν καὶ βασιλικόν, οὗ καὶ τὰ σκιρτήματα γενναῖα καὶ μετὰ θαύματος ἀγαπώμενα· καὶ τοὺς ἐπὶ τῆς σκηνῆς θαυμάζοι, ὡς ἡδεῖς τε καὶ φιλανθρώπους, ὅτι τοῖς δήμοις χαρίζονται καὶ κινοῦσι γέλωτα τοῖς ἐπὶ κόρρης ῥαπίσμασι καὶ ψοφήμασι.

Indubbiamente il vescovo Basilio riuscì a fondere il suo spirito civico con il radicalismo dei leaders ascetici, in generale, e del suo mentore, in particolare, Eustazio di Sebastea, Questi fu forse anche ispiratore del suo programma sociale in aiuto dei poveri,327 sicché la suggestione dell’abate Gribomont,328 che collegava l'operato del vescovo al progetto della gauche evangelique, potrebbe avere una sua giustificazione. Certo anche gli interessi di Basilio, allora in procinto di essere eletto vescovo di Cesarea, devono aver contato molto sull'ardore profuso nell’aiuto ai poveri e sulla determinazione con cui egli volle la fondazione della Basileias. Resta comunque il fatto che essa costituiva la città nuova e Basilio acquisiva la dimensione di un nuovo modello, in cui erano uniti i due poli del sacro, il “santo vescovo”:329 Τί ἔτι; Καλὸν φιλανθρωπία καὶ πτωχοτροφία καὶ τὸ τῆς ἀνθρωπίνης ἀσθενείας βοήθημα. Μικρὸν ἀπὸ τῆς πόλεως πρόελθε, καὶ θέασαι τὴν καινὴν πόλιν, τὸ τῆς εὐσεβείας ταμεῖον, τὸ κοινὸν τῶν ἐχόντων θησαύρισμα, εἰς ὃ τὰ περιττὰ τοῦ πλούτου, ἤδη δὲ καὶ τὰ ἀναγκαῖα ταῖς ἐκείνου παραινέσεσιν ἀποτίθεται, σῆτας ἀποσειόμενα καὶ κλέπτας οὐκ εὐφραίνοντα καὶ φθόνου πάλην καὶ καιροῦ φθορὰν διαφεύγοντα· ἐν ᾧ νόσος φιλοσοφεῖται καὶ συμφορὰ μακαρίζεται καὶ τὸ συμπαθὲς δοκιμάζεται. Secondo lo stile del tempo, il santo vescovo abbraccia i lebbrosi assimilandosi a loro, seguendo un modello declinato soprattutto al femminile, del resto in coerenza con il movimento radicale degli eustaziani, movimento che predicava la necessità della ridistribuzione della ricchezza, sosteneva l’emancipazione degli schiavi e affermava una sorta di parità fra i sessi, che si esprimeva nell’unico e indifferenziato abbigliamento monastico:330

αὐτὸς εἰπάτω, τίς ἄξιος τοιούτου ὀνόματος, ὁ τὴν πατρῴαν οὐσίαν καὶ πρὸ τῆς ἱερωσύνης ἀφειδῶς ἀναλώσας τοῖς πένησι καὶ μάλιστα ἐν τῷ τῆς σιτοδείας καιρῷ, καθ᾽ ὃν ἐπεστάτει τῆς ἐκκλησίας, ἔτι ἐν τῷ κλήρῳ τῶν πρεσβυτέρων ἱερατεύων, καὶ μετὰ ταῦτα μηδὲ τῶν ὑπολειφθέντων φεισάμενος, ὡς ἂν καὶ αὐτὸς τὸ τοῦ ἀποστόλου καυχήσαιτο ὅτι Δωρεὰν ἄρτον οὐκ ἔφαγον, ἢ ὁ προσόδων ἀφορμὴν τὴν τοῦ δόγματος προστασίαν πεποιημένος, ὁ εἰσδύνων εἰς τὰς οἰκίας αὐτόκλητος οὐδὲ τὴν ἐκ τοῦ πάθους ἀηδίαν τῇ καθ᾽ἑαυτὸν διαγωγῇ περιστέλλων οὐδὲ τὴν φυσικὴν τῶν ὑγιαινόντων πρὸς τοὺς τοιούτους ἀποστροφὴν λογιζόμενος, ὁ κατὰ τὸν παλαιὸν νόμον διὰ τὴν ἁφὴν τῆς σημασίας ἔξω τῆς παρεμβολῆς τῶν οἰκούντων ἀφοριζόμενος. Concezione paritaria, in molti campi non rispettata, ma che avvicinava sicuramente Basilio al modello inaugurato da Elena e seguito da Flaccilla, Eudocia e da molte nobildonne dell’epoca, alla ricerca di un consenso per sé e la propria famiglia. Per l'epoca dei grandi Cappadoci, Cappadoci, indubbiamente, il grande esempio era stato fornito, come anal analizzeremo successivamente, da Flaccilla, la quale con la sua tapeinofrosyne dava un volto umano, anche se non certo sfolgorante alla monarchia:331 327 Cfr. supra n. 1. 328 Cfr. J. Gribomont, Saint Basile et le monachisme enthousiaste, «Irénikon» 53, 1980, 123-144; ma importante anche Id., Un aristocrate révolutionnaire évêque et moine: Basile de Césarée; «Augustinianum»

17, 1977, 179-191. 329 Greg. Naz. or. 43, 63. 330 Greg. Nyss. contra Eun. I 103 ( PG XLV, 281 C). 331 Greg. Nyss. in Plac. 9, 477-478, Thdt. h. e. V 19, 2-3. Vd. infra 157. 62 οἴχεται τῆς βασιλείας τὸ ἐγκαλλώπισμα, τὸ τῆς δικαιοσύνης πηδάλιον, ἡ τῆς φιλανθρωπίας εἰκών, μᾶλλον δὲ αὐτὸ τὸ ἀρχέτυπον. ἀφῃρέθη... ἡ ὑψηλὴ ταπεινοφροσύνη... Siamo evidentemente molto lontani dai parametri comportamentali di Cirillo, il quale, pur professando un convinto monofisismo e, dunque, credendo nell'aspetto umano di Cristo, si comportava come un leader della vecchia guardia. La sua era una realtà difficile, egli viveva in una città in cui i poteri forti erano consolidati da tempo e non poteva essere impresa facile spodestarli. Il vescovo, in quella circostanza, si manifestó come l'avversario naturale, qual era, delle decisioni dell “Elleno” Oreste e della comunità ebraica e, contro di essi, si servì dei monaci di Nitria. L'azione dei monaci, d'altro canto, assunse spesso il carattere di una lotta per il potere, come nel contrasto con i funzionari ariani di Valente o nell'appoggio all'opera di cristianizzazione di Teodosio o, ancora, nel tentativo contro gli Antemiani. In entrambi i casi si trattava di sopravvivenza, in un caso si difendevano i mezzi della pura sussistenza, nell'altro si trattava di difendere la propria identità culturale e religiosa, giosa, nonché l’acquisita funzione sociale e la preminenza politica conquistata. Si può senza dubbio asserire che dappertutto nell'impero fu spesso vera e propria guerra e, dalle fonti, apprendiamo che persino i santi abati assoldavano dei pugili per i loro monasteri o che alcuni

sorveglianti delle chiese distribuivano robusti randelli.332 Altre volte si trattò dell'esplosione momentanea di un ribellismo sociale diffuso, al quale si può attribuire al massimo un carattere ‘prepolitico’,333 raramente le forze convergenti diedero luogo a un vero progetto politico, portato avanti dai leaders delle fazioni. Una certa consapevolezza si può forse ipotizzare nell'alleanza di Macedonio e Flaviano, che, alla fine, significò il sostegno alla politica teodosiana della filantropia, così come una simile lucidità traspare da tutto l'operato di Cirillo. Con tutto lo spiegamento delle sue forze e la sua capacità di persuasione, il vescovo alessandrino cercò di favorire il governo di Pulcheria, scopo al quale fu utile anche il suo sostegno al monofisismo e alla connessa interpretazione del ruolo della Vergine come Theotokos,334 della quale l'Augusta era mimema. Egli fu capace di coinvolgere tutti gli elementi a sua disposizione per favorire il consenso politico nei confronti di Pulcheria, consenso che si manifestò, anche dopo la sua morte, nella vox populi 335 inneggiante alla Santa basilissa, secondo i rituali di un sistema sociale che ormai si avviava verso la stabilizzazione.336 332 La violenza urbana fece da sfondo ai Concili, da Efeso a Calcedonia, e, nelle loro accuse, le fazioni in lotta evidenziavano gli elementi popolari, da cui il vescovo di turno riceveva sostegno. Cfr., in merito, Gregory, Vox Populi: Popular Opinion and Violence, cit., 178; Vööbus, History of the Ascetism in the Syrian Orient, III, cit., 204. 333 Cfr. Mazza, Poveri e povertà, cit., 283-315, spec. 306. 334 Per la problematica politica relativa alle dispute religiose intorno alla maternità di Maria, cfr. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., spec. 451-475. 335 Le phonai popolari, espresse in acclamazioni ritmiche, grazie agli stenografi ( tachygraphoi), potevano spesso giungere all'imperatore. Esse esprimevano una volontà liberamente manifestata dal gruppo, che tramite la legittimazione del vescovo assumeva le caratteristiche

del soprannaturale. In merito cfr. Koptische Akten, 49-55 Kraatz; ACO I, 1, 3, 14: «…Molti anni a Pulcheria! Molti anni all'imperatrice! Essa ha rafforzato la fede! Molti anni a Pulcheria! Molti anni all'ortodossa!». 336 Cfr, E.P. Thompson, Patrician Society, Plebeian Culture, JSH 7, 1974,389. 63 CAPITOLO III

NUOVI PARADIGMI COMPORTAMENTALI NELLA TARDA ANTICHITÀ:

MODELLO LUCIFERINO E MODELLO MARIANO Il radicalismo dell'età tardoantica favorì senza dubbio la creazione di modelli oppositivi. La sancta plebs di Alessandria e di Costantinopoli poteva opporre la Vergine Augusta Pulcheria alla vergine filosofa Ipazia, peccatrice nel suo Ellenismo, ma, allo stesso modo, la plebe antiochena poteva opporsi all’ Hellenismos dell'imperatore apostata, Giuliano. In una interessante monografia, L’Ellenismo nel mondo tardoantico, Glenn Bowersock337 non considerava questo fenomeno culturale come base del primitivo cristianesimo, secondo la prospettiva rinascimentale, bensì gli riconosceva la funzione di veicolo e mezzo di comunicazione delle tradizioni locali pagane; motivo che ne avrebbe determinato la scarsa importanza e la perdita di un ruolo significativo nelle culture dei vari ethne dell'impero. Per lo studioso i pagani non si potevano contrapporre al cristianesimo e l’unico a credere di poterlo fare fu Giuliano, ma, paradossalmente, poté farlo proprio perchè era in origine un cristiano e portò nella sua interpretazione del paganesimo la forma mentis del miles Christi, per il quale la religione cristiana e quella pagana erano assolutamente antitetiche.338 Tale visione si sarebbe riflessa nell'uso del termine Ellenismo come sinonimo di paganesimo, fenomeno verificabile a partire dal IV secolo, mentre in età precedente i termini attestati sono ethnos o etnico, che indicavano, per usare un'espressione eusebiana, il popolo di “quelli di fuori”, i non appartenenti all’ ecclesia. La separazione tra gli altri e i membri della comunità, nel pensiero cristiano, tracciò un solco profondo tra 'coloro che vivevano nel modo ellenico' e i convertiti. Questi ultimi potevano anche parlare greco, essere influenzati dalla dottrina

platonica, ma vivevano secondo una nuova legge. In questo senso si può capire l'attività di Giuliano e l'invettiva di Gregorio di Nazianzo, il quale, secondo una prospettiva esattamente opposta, affermava:339 337 G. Bowersock, Hellenism in Late Antiquity, trad. it., L’Ellenismo nel mondo tardoantico, Roma-Bari 1992. Div. Mazza, Considerazioni su Ellenismo, Oriente e Tarda Antichità, già in MedAnt cit., 141-170, ora in Tra Roma e Costantinopoli. Ellenismo Oriente Cristianesimo nella Tarda Antichità. Saggi scelti, Catania 2010, 67-94, il quale ritiene la prospettiva di Bowersock relativa ai processi di adattamento/contrapposizione dell' Hellenismos al paganesimo, rappresentato dalle culture locali, non sufficientemente flessibile in rapporto alla complessità dei fenomeni di acculturazione, in cui si può riconoscere il «reciproco compenetrarsi» di elementi locali «orientali» (S. Calderone, La tarda Antichità e l'Oriente, MediterrAnt 1/1, 1998, 41-70) e di elementi greci, che insieme alla novità rappresentata dal cristianesimo, diede vita a specifiche forme di religiosità. La nuova religione, appunto, con la sua prospettiva missionaria e il suo specifico rapporto con il divino, riuscì a fornire una possibilità di incontro tra cultura egemone e culture ‘etniche’ e, nel contempo, funse da principio catalizzatore della trasformazione. Per l'importanza del rapporto tra gli ethne e l'impero romano cfr, il basilare Mazzarino, La democratizzazione della cultura nel ‘Basso Impero’; in Rapports du XIe Congrès International des Sciences Historiques, Stockholm 1960, 35-74, ora in Antico, tardoantico ed èra costantiniana, I, cit., 74-98. 338 In merito cfr. J. Bidez, La vie de l'empereur Julien, Paris 1930, 225 ss. e C. Dupont, La politique de Julien à l'égard du christianisme dans le sources littéraires des IVe e Ve siècles après Jésus-Christ, Atti del Convegno Internazionale tenuto a Perugia, 28 IX-1 X 1977, Perugia 1979, 198-216. Sull'"utopia religiosa" del sovrano vd. anche il recente Mazza, Tra Roma e Costantinopoli, cit, 216 ss.

339 Or. 4, 1-5 (92 Bernardi): «Per prima cosa che (Giuliano) in modo disonesto ha trasformato il significato della parola secondo le sue convinzioni, come se il parlar greco riguardasse la religione e non la lingua e, per questo motivo, come ladri di beni altrui, ci ha tolto la parola». Sull'infondatezza della polemica cristiana e la profonda coerenza di Giuliano con i propri principi ideali vd. Mazza, Giuliano o dell'utopia religiosa: il tentativo di fondare una chiesa pagana? , in Giuliano imperatore: le sue idee, i suoi amici, i suoi avversari, 64 Πρῶτον μὲν, ὅτι κακούργως τὴν προσηγορίαν μετέθηκεν ἐπὶ τὸ δοκοῦν, ὥσπερ τῆς θρησκείας ὄντα τὸν Ἕλληνα λόγον, ἀλλ᾽ οὐ τῆς γλώσσης· καὶ διὰ τοῦτο, ὡς ἀλλοτρίου καλοῦ φῶρας, τῶν λόγων ἡμᾶς ἀπήλασεν. Diventa altresì comprensibile l’irriverente critica di Socrate di Costantinopoli,340 che non riconosceva all'Apostata le caratteristiche del re-filosofo, quale egli voleva apparire.341 L'imperatore si opponeva al nuovo ceto dirigente e alla sua identità culturale, la cui riflessione intellettuale era ormai ben distinta dal mito e dai suoi riflessi religiosi, che, ciò non di meno, a causa della persistente utilizzazione, consentivano il perdurare delle culture locali. L'estrema consequenzialità e intransigenza, di tipo non certo tradizionale e politicamente mirata, provocò contro l'Apostata l'attacco delle nuove classi dirigenti, il cui orizzonte spaziava, appunto, dall'accettazione della cultura tradizionale, spesso volta a nuovo significato, fino all'adesione alla nuova fede, con il relativo consenso per i nuovi modelli culturali. Risulta comprensibile il rifiuto nei confronti di Giuliano, radicale nel suo paganesimo e fiero oppositore del cristianesimo; rifiuto che portò alla creazione di un modello negativo, nel quale si dissolvevano le qualità tradizionali di autocontrollo e non erano riconoscibili le nuove, ma, anzi, si incarnava la stessa idea del male, con i tratti che la nuova religione gli attribuiva. In questo senso appare paradigmatica la descrizione che nella sua H. e. ne fece Socrate, il quale, come è stato sottolineato, fu tra i tre storici

ecclesiastici definiti ‘sinottici’342 quello più legato alla cultura tradizionale e a quello che è stato identificato da Alan Cameron343 con un partito moderato. Per questa ragione Socrate può essere considerato il rappresentante della nuova storiografia più vicino agli ideali tradizionali, a cui parzialmente ancora aderiva l'ala più conservatrice del nuovo ceto di governo; ideali certamente collocabili all’inizio dell’intervallo entro cui sopra abbiamo iscritto le oscillazioni culturali delle classi dirigenti tardoantiche.344 In una sorta di rilettura in chiave politica delle tesi eusebiane, per Socrate, come per Sozomeno ed anche per Teodoreto, il tramite del rapporto con Dio, al di fuori di ogni prospettiva teologica, era rappresentato dalla virtù dell' eusebeia, affiancata da molte delle virtù del canone tradizionale.345 Atti del Convegno Intern. di Studi, Lecce 10-12 dic. 1998, «Rudiae» 10, 1998, 19-42, ora nel già citato, Tra Roma e Costantinopoli, 217-244, con esaustiva bibliografia. 340 Socr. h. e. III 19-21 (214-217 Hansen). Cfr. Chesnut, The First Christian Histories, cit., 96 ss. 341 Cfr. infra 134-142. 342 Cfr. Leppin, Vom Kostantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 140 ss. 343 Cameron, The Empress and the Poet, cit., 217-290, partic. 273. 344 Vd. il confronto tra le convinzioni di Socrate e la prospettiva di Sozomeno nell'interessante lavoro di P. van Neuffelen, Un héritage de paix et de piété: Étude sur les Histoires ecclésiastiques de Socrates et de Sozoméne, Louvain 2004, 320 ss.

345 Sulle virtù dell'imperatore cfr. i citati Tromp de Ruiter, De vocis quae est φιλανθρωπία, cit., 271 ss.; Charlesworth, The Virtues of a Roman Emperor, cit., 105-133; e il più recente Wallace-Hadrill, The Emperor and his Virtues, cit., 289-323; sulla filantropia in particolare cfr. Downey, "Philanthropia” in Religion and Statekraft, cit., 199-208; sull'importanza che assunse il concetto nel dibattito politico del IV secolo e particolarmente in Temistio e Giuliano, oltre a Dagron, L’Empire Romain d'Orient au IVe siècle et les traditions de l'hellénisme, cit., 1-242, e Cracco Ruggini, Simboli di battaglia ideologica nel tardo Ellenismo, cit., 177-300 passim, cfr. Downey, Themistius and the Defence of Hellenism, cit., 259-274; Karbiersch, Untersuchungen zum Begriff der Philanthropia, cit., 69 ss, Pavan, La politica gotica di Teodosio, cit., 40 ss.; Daly, Themistius Concept of Philanthropia, cit., 22-45; Id., The Mandarin and the Barbarian, cit., 351-379; Garzya, Il mandarino e il quotidiano, cit., 199-219; Mazza, Le maschere del potere, cit., 82 ss. Per ulteriori riflessioni sul canone aretalogico e il dibattito politico a cavaliere tra il IV e il V secolo, cfr., oltre a J. Vanderspoel, Themistius and the Imperial Court, Un. of Michigan 1995, 34 ss., anche Giuffrida Manmana, Flavio Vegezio Renato. Compendio delle istituzioni, cit., 82 ss., con relativa bibliografia. Sulla presenza del termine in papiri ed epigrafi, cfr.i sempre validi Schubart, Das hellenistische Königsideal nach Inschriften und Papyri, cit., 1-26 e Spicq, La philanthropia hellénistique, cit., 169-171. Naturalmente, per la ritrattistica, imprescindibili sempre R. Delbrück, Antike Porphyrwerke, Berlin 1932, 84-91, insieme a Spätantike Kaiserporträts von Constantinus Magnus bis zum Ende des Westreichs, Berlin 1933, 59-63, 193-195, 215-216; H.P. L'Orange, Das römische Herrscherbild, III/4. Das spätantike Herrscherbild von Diokletian bis zu den Konstantin-Sohnen, Berlin 1984, 118-128.; W. von Sydow, Zur Kunstgeschichte des spätantiken Porträts im 4. Jhd. n. Chr. , Bonn 1969; e i più recenti A.R. Bellinger-P. Bruun-J.P.C. Kent-C.H.V. Sutherland, Late Roman Gold and Silver Coins at Dumbarton Oaks: Diocletian to Eugenius, DOP 18, 1964, 65

A parere di Chesnut, questi storici avrebbero accettato la visione stoica della storia, trasformata in funzione cristiana; avrebbero sostanzialmente operato una banalizzazione della costruzione del vescovo di Cesarea. Ma, forse, proprio pour cause, questa ‘rutinizzazione’ assunse una precisa valenza politica, ossia definì il ruolo che le classi di governo intendevano fosse svolto dall'imperatore e che questi accettava ed intendeva propagandare. L'ideale messianico, una volta diffuso ed accettato dalle classi dirigenti, subì una trasformazione, un depotenziamento, testimoniato dalla ‘mediazione’346 degli storici ecclesiastici, riflesso appunto della ‘consapevole trasformazione delle istituzioni politiche’, sottolineata da Bowersock.347 In un mondo concepito ancora come parallelo a quello celeste,348 Costantino poteva interpretare la regalità secondo le tendenze ‘omologizzanti’ della cultura pagana, mediante una ‘mitologia’, cristologica, non tradizionale. Nel momento, però, in cui la fede in un superiore ordine metafisico ed etico riuscì ad affermarsi, trascendendo ovviamente la realtà mondana - quindi nel nostro caso con la piena cristianizzazione dell'impero in epoca teodosiana - il clero ebbe la meglio sulle istituzioni, confinate nel ristretto campo del saeculum. L'interpretazione cosmologico-religiosa del progetto politico di Eusebio risultò molto più debole. Il basileus rientrò all’interno di una visione laica del potere, seppur mutata, e il clero assunse il ruolo prestigioso di unico interprete della volontà divina. Il turning-point, secondo Bowersock,349 fu rappresentato dall'episcopato di Ambrogio, che pose fine alla stretta e confidente relazione tra la Chiesa e la corte imperiale, stabilitasi a partire dal regno di Costantino. In realtà dall'analisi delle testimonianze degli storici ecclesiastici sembra di assistere, ancora durante il V secolo, alla lotta tra poteri fortemente contrastanti, lotta che determinò le varie oscillazioni nella definizione del potere politico.350

Nel suo Triakontaeterikos Eusebio esprimeva con grande vis espressiva e vigore comunicativo le idee della intelligencija clericale, assicurando, in netta opposizione a Roma aeterna, una dimensione di eternità 161-236; J. Inan-E. Rosenbaum, Roman and Early Byzantine Portrait Sculpture from Asia Minor, Oxford 1966, 119 s.; insieme a J. Inan-E. Alfoldi-Rosenbaum, Römische und frühbyzantinische Porträtplastik aus der Türkei: Neue Funde, Mainz 1979, 33; R. Calza, Iconografia romana imperiale, III: Da Carausio a Giuliano, 287-363 d.C. 1972, 92 ss.; e i più recenti K. Fittschen-P Zanker, Katalog der römischen Porträts in den Capitolinischen Museen und den anderen kommunalen Sammlungen der Stadt Rom. I. Kaiser und Prinzenbildnisse, Berlin 1983, 91-92; J. Garbsch-B. Overbeck, Spätantike zwischen Heidentum und Christentum, München 1989, 220-222, Vd. anche per le riflessioni interessanti R.R.R. Smith, The Public Image of Licinius I; Portrait Sculpture and Imperial Ideology in the Early Fourth Century Author(s), JRS 87, 1997, 170-202; D. Srejovié, The Representations of Tetrarchs in Romuliana, «Antiquité tardive» 2, 1994, 143-52, figs. 10-17. 346 Sull'originale complessità del pensiero eusebiano vd. il già cit. Calderone, Eusebio e l'ideologia imperiale, in Giuffrida-Mazza (a cura di), Le trasformazioni della cultura, cit., 1-26. Sottolinea la continuità di riflessione da parte dell' intelligencija clericale, sull'organizzazione statale, Baynes, Eusebius and the Christian Empire, AIPhO 2, 19331934, ora rist. in Byzantines Studies and Other Essays, cit., 168 ss., mediante la sua analisi, relativa alla conversione, operata dal ‘mediatore’ Eusebio, sulle concezioni di filosofia politica ellenistica, basate sul concetto di mimesi. Questa mediazione sembra portare all'interno di un contesto culturale biblico-cristiano, motivi di tradizione ellenistica, creando una koiné consona alla formazione di una nuova classe dirigente, come evidenzía Momigliano, Popular Religious Belief, civ., 92. 347 Bowersock, From Emperor to Bishop, cit., 65. 348 Cfr. Eisenstadt, The Axial Age, cit., 296.

349 From Emperor to Bishop, cit., 65. 350 Vd. supra 17 ss. 66 all'impero cristiano e operando, contemporaneamente,351 una tra le più importanti trasformazioni della cultura nella tarda Antichità.352 Il pubblico353 degli ‘scolastici’ Socrate e Sozomeno, ma anche del vescovo Teodoreto, era sicuramente diverso. Esso appariva disposto ad accettare il ruolo dell’imperatore eletto dalla divinità, ma, contemporaneamente, assegnava grande importanza al momento volontario e personale dell’ omoiosis theoi, resa possibile, certo, da philotheia ed eusebeia,354 ma attuata anche grazie a tutte le virtù tradizionali. La riduzione dell'identità del monarca a un livello più umano presentava molti rischi: essa, alla fine, comportò l’indebolimento dell'immagine imperiale, in altre parole favorì una visione teocratica, che traspare dalle pagine degli ultimi due dei cosiddetti sinottici, dove il sovrano appare come un puro tramite del megas basileus, in tutto e per tutto da esso dipendente, e sul quale il clero veniva legittimato a esercitare un controllo, a meno che l’imperatore imparasse ad abbandonare le sue splendenti, ma pur sempre laiche, vesti per indossare i panni, forse meno appariscenti, ma vincenti, del clericus.355 Per questa via il sovrano, con la 351 Cfr. Calderone, nella sua fondamentale analisi del Triak., Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des Souverains dans l'Empire romain, cit., 217 ss. ed ora anche Eusebio e l'ideologia imperiale, cit., 3 ss.; ha reso evidente l'importanza della teologia politica eusebiana, già teorizzata da Schmitt, Politische Teologie, cit., 68-88, e annunciata da Baynes, Eusebius and the Christian Empire, ora rist. in Byzantines Studies, cit., 168-172. Sul problema vd. anche i classici Peterson, Der Monotheismus als politisches Problem. Ein Beitrag zur Geschichte der politischen Theologie im Imperium Romanum, Leipzig 1935, ora in Theologische Traktate, cit., 45-147 e Dvornik, Early Christian and Byzantine Political Philosophy, cit., 659 ss.; per la tematica del Triak.

cfr. Ensslin, Gottkaiser und Kaiser von Gottesgnaden, SBAW 6, 1943, 53-83, ora parz. in H. Hunger (Hrsg.), Das byzantinische Herrscherbild, cit., 81 ss.; Farina, L'impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea, cit., 263 ss.; Sirinelli, Les vues historiques d'Eusèbe de Césarée, cit., 112; Barnes, Constantine and Eusebius, cit., 253 ss.; Mazza, Le maschere del potere, cit., 236 ss.; Bowersock, The Imperial Cult: Perception and Persistence, in Maycr-Sanders (Eds.), Jewish and Christian Definition, III, Philadelphia 1982, ora in Selected Papers, cit., 43-56. Sulla lettura dell'età di Costantino vd. anche le acute riflessioni di A. Giardina, L'«epoca» di Costantino, in BonamenteLenski-Lizzi Testa (a cura di), Costantino prima e dopo Costantino, cit., XXIX-XLVIII. Importanti contributi per la comprensione della complessità politico-religiosa dell’imperatore cristiano e dell’interpretazione relativa, in direzione spaziale e temporale, sono stati forniti in occasione del rec. Convegno internazionale, Costantino a Milano. L'editto e la sua storia, 31-3-2013, tenuto a Milano nei giorni 8-11 maggio 2013. 352 Di epochale Bedeutung per Taeger, Charisma, cit., 686 ss. 353 Sulla specificità di questo tipo di produzione letteraria e la sua funzione, come espressione delle esigenze di un pubblico ‘allargato’, ma non più profondamente partecipe della rivoluzione costantiniana, cfr. Momigliano, Popular Religious Beliefs, cit., 92 insieme con Cracco Ruggini, Universalità, campanilismo, centro e periferia, città e deserto nelle “Storie ecclesiastiche” , in La storiografia ecclesiastica, cit., 186 ss. Per il suo valore metodologico, vd. anche. Patlagean, Discours écrit, discours parlé, cit., 264-278; Graus, Volk, Herrscher und Heiligen im Reich der Merowinger, Praha 1965, trad. it., Le funzioni del culto dei santi e della leggenda, in. Boesch Gajano (a cura di), Agiografia altomedievale, cit., 145-160; Per la produzione libraria nei monasteri e il suo significato nella vita monastica vd. T. Orlandi, The Library of the

Monastery of Saint Shenute of Atripe, in A. Egberts et alii, (Eds.), Perspectives on Panopolis, Leiden 2002, 211-219; P. Brown, Image as a Substitue for Writing, in E. Chrysos-I. Wood (Eds.), East and West. Modes of the Communication, Leiden 1999, 15-46; e ult. W.E. Klingshirn-L. Safran (Eds.), The Early Christian Books, Washington 2007. 354 Cracco Ruggini, Potere e carismi in età imperiale, cit., 587 e Leppin, Vom Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 160. 355 Cfr. Socr. h. e. VII 22, 4 (368 Hansen): Οὐκ ἀλλοιότερα δὲ ἀσκητηρίου κατέστησε τὰ βασίλεια. Questo sembra essere stato il tentativo attuato da Teodosio II e questo sembra essere il significato ultimo dell’esaltazione della praotes imperiale (Socr. h. e. VII 42, 2 (390 Hansen): (ὁ βασιλεὺς) τῇ πραότητι καὶ πάντας τοὺς ἀληθῶς ἱερωμένους ἐνίια. Un imperatore plasmato su di un simile modello non aveva nulla da temere né da un “nobile vescovo”, come l’aristocratico Ambrogio (vd. supra 110 ss.), né da un asceta carismatico, come Macedonio, né da un santo eremita come Giovanni di Licopoli (Peeters, Une vie Copte de S. Jean de Lycopolis, cit., 356-381), e ancor meno da un pur famoso archimandrita quale Scenute (Brown, Il filosofo e il monaco: due scelte tardoantiche, in Storia di Roma, cit., 885), per riconoscere la retta via. Certo Tekparrhesia poteva discorrere con il profeta Geremia, ma aveva pur sempre necessità del sostegno del governo centrale per le esenzioni fiscali al Monastero Bianco di Sohag, vicino Panopoli (Besa, Vita di 67 mitezza e la devozione, che lo avvicinavano a un ministro di dio, se non addirittura con le pratiche cristomimetiche356 della contrizione e della mortificazione del corpo, poteva uscire vincente dall'aspra lotta, tramite l'assimilazione al Verbo incarnato. Non fu certo senza motivo che il vescovo Teodoreto ricordó la penitenza e la sottomissione dell'imperatore Teodosio I, come anche sottolineò più volte come l’imperatore cristiano fosse destinato a

governare su dei congiunti, per religione conservi rispetto all'unica autorità rappresentata dal monarca celeste,357 sì da far proferire ad Ambrogio la celebre frase, già citata:358 ὁμοφυῶν ἄρχεις, ὦ βασιλεῦ, καὶ μὲν δὴ καὶ ὁμοδούλων ... ἄπιθι τοίνυν, καὶ μὴ πειρῶ τοῖς δευτέροις τὴν προτέραν αὔξειν παρανομίαν... All’interno della storiografia ecclesiastica si rinnovava ancora una volta l'antico contrasto tra i diversi ‘luoghi del sacro”.359 L'immagine dell'imperatore era stata sempre soggetta all'aggressività dei poteri religiosi, che miravano a garantirsi la la dipendenza del basileus, ponendosi come supporto indispensabile all'insufficiente vis numinosa del sovrano e riuscendo, per questa via, a contrastarne l'attrattiva carismaticità.360 Durante il IV secolo, dalla creazione eusebiana dell'imperatore Costantino, emblema e fonte di di kharisma, perché la nuova immagine del sovrano era fondata sulla sua carica numinosa,361 si giunse al pio e astuto Scenute, 105-108; 51-52 Leipoldt-CrumHarassowitz, CSChO 41; Scriptores coptici, 1; 74-75 trad. ingl. Bell). 356 L'identificazione con Cristo, come ideale del corpo umano al culmine della sua afflizione, e, nel contempo, della sua esaltazione, in quanto riconosciuto come immagine terrena del figlio da salvare, fu la rappresentazione di sé che tentarono di dare i monaci del deserto, i quali, anche con le loro braccia tese in perpetua preghiera, riflettevano il dramma della crocifissione. Cfr. H. J. Drijvers, Spätantike Parallelen zur altchristlichen Heiligenvererhung, in F. von Lilienfeld (Hrsg.), Aspekte der Heiligenvererhung, Oikonomia 6, Erlangen 1977, 54-76; Brown, Il filosofo e il monaco: due scelte tardoantiche, in Storia di Roma, cit., 885 s.

Anche gli imperatori dimostrarono di apprezzare la nuova sensibilità ascetica e la volsero a fini politici, creando una nuova teologia imperiale (vd. supra 21). 357 Thdt. h. e. V 18; 5, 20, 5-9 (risp. 309, 316 Parmentier-Hansen). 358 Thdt. h. e. V 18, 4 (309 Parmentier-Hansen). 359 Per la differenza, all'interno della koiné mediterranea, tra l'Occidente, caratterizzato da un’inequivocabile determinazione dei ‘luoghi’, e l'Oriente, caratterizzato da una sovrabbondanza di fonti del sacro, cfr. Brown, Eastern and Western Christendom in Late Antiquity: a parting of the Ways, in D. Baker (Ed.), The Orthodox Church and the West, Oxford 1976, 1-24, trad. it., La cristianità orientale ed occidentale nella tarda antichità, cit., 128-155, spec. 136-138. Vd. anche,G. Marasco (a cura di), Santi e santità nella società tardoantica, «Koinonia» 33, 2009, 201-257. 360 Un esempio eclatante è l'azione svolta dal clero del I Serapcion d'Alessandria nel 69, anno delicatissimo in cui i sacerdoti del tempio avallarono l’autenticità dei poteri guaritori - e dunque la santità e maiestas - di Vespasiano, assicurando, con tempestività, il loro sostegno al generale sterminatore degli Ebrei. La pericolosità del clero alessandrino e l’importanza. della posta in gioco sono sottolineate dal fatto che la versione aretalogica serapista, conservata in Svetonio ( Vesp. 7,1); fu censurata da Tacito ( hist. IV 82), il quale, da conservatore convinto, vedeva con apprensione la forza crescente di nuovi interlocutori politici, che potessero indebolire il prestigio del senato. La forza della casta sacerdotale venne completamente annullata da Filostrato, che garantì a Vespasiano una maiestas filosofica, attribuendo ad Apollonio di Tyana il ruolo appartenuto, nella versione egizia al Serapeion. Cfr. Derchain, La visite de Vespasien au Sérapeum d'Alexandrie, cit., 261-279; Derchain-Hubaux, Vespasien au Sérapeum, cit., 38-52; Gagé, Le programme sérapiste, cit., 73-100 e Id., «Basiléia»: Les Césars, les rois d'Orient et les «mages», Paris 1968, 125-172; Cracco Ruggini, Potere e carismi, cit., 587. Sul PFouad

l, 8, vd. spec. A. Henrichs, Vespasian’s Visit to Alexandria, ZPE 3, 1968, 51-80. Sulle attese messianiche dell'epoca e le profezie cfr. A. Schalit, Die Erhebung Vespasians nach Flavius Josephus, Talmud und Midrash. Zur Geschichte einer messianischen Prophetie, in ANRW II/2, 1975, 208-327. 361 Bowersock, The Imperial Cult, cit., 43-56; Id., From Emperor to Bishop, cit., 57-67, fa notare come, con Costantino, ci fosse una completa coincidenza tra ruolo esercitato e autorità della persona. In effetti l’imperatore, tramite la thysia della propria anima, era diventato basileus, cioè riproduzione sulla terra del megas basileus e, come tale, recettore della divinità, al pari dei santi e, come essi, era oggetto di culto (cfr. ad es. ILS 705). Questo spiegherebbe il potenziamento del culto imperiale e giustificherebbe la reazione del 68 Teodosio I, consapevolmente acquiescente all'autorità ecclesiastica di Ambrogio.362 Costantino, nell'interpretazione cosmologico-religiosa della regalità, propria della visione eusebiana, grazie alla sua precisa scelta, concretizzantesi nella philotheia e nella thysia della propria anima a Dio, aveva attuato, grazie al character, impresso dal Logos, una trasformazione della propria identità, che gli aveva consentito di stare a fianco, lui “tredicesimo apostolo”, degli altri depositari dei carismi divini363 operazione non pienamente riuscita ai suoi eredi. Conseguenza fondamentale della lotta, sopra delineata, tra i diversi poli del potere fu la riduzione della dynamis carismatica del sovrano, mutazione che, non a caso, suggerì agli storici ecclesiastici di ricorrere anche al canone delle virtù tradizionali, atte a rafforzare l’immagine del monarca e a farlo ritenere degno di basileuein. Vennero così rispolverate le vecchie qualità di moderazione, ma anche la magnituto animi e l' andreia, qualità specifica dell’ imperator, preposta a procurare la felicitas dei sudditi. In definitiva, però, grazie all’ eusebeia,364 virtù che esprimeva il patto tra l’imperatore e Dio, la vittoria sul nemico e la conseguente salvezza erano ritenute pur sempre opera del megas basileus, il solo a poter dirigere la storia. Si pensava che egli potesse agire attraverso le virtù del proprio

rappresentante sulla terra, ma che, più di frequente, intervenisse personalmente,365 da questi sollecitato. In questa prospettiva, mentre da una parte si esaltava il megas basileus, dall’altra si riduceva la grande valenza del patto con Dio alla meno gloriosa e fulgente eusebeia e si rendeva il sovrano sempre più vicino alla sua essenza umana, seppur eccezionale. La maiestas esprimeva questa eccezionalità, come del resto l'aveva già espressa nell'ideologia tradizionale; in essa si concretizzava, infatti, l'ideale del monarca come clero, chiaramente espressa da Ambrogio, riguardo al pontificato imperiale e, forse, anche all'emissione di moneta di consecratio (vd. Habicht, in Le culte des souverains dans l'Empire romain, cit., 264 ss.). 362 Bowersock, From Emperor to Bishop, cit., 61 ss., cita l' ep. 17, 10 ss., indirizzata a Valentiniano Il in merito all'atteggiamento da tenere sull'altare della Vittoria, in cui Ambrogio minaccia velatamente l'imperatore ... non invenies sacerdotem, aut invenies resistentem..., evidenziando il proprio diritto di ergersi a giudice, in quanto ministro di Cristo. Lo studioso ricorda che, in base allo stesso criterio, ma anche, come abbiamo visto in precedenza (132), basandosi sulla propria qualità di prostates, Ambrogio agì nel 390 con Teodosio. Da questo confronto, indubbiamente, Teodosio ebbe riconosciuto il proprio ruolo, ma certo non ebbe più la possibilià di ritenersi, come Costantino, vescovo tra vescovi (Straub, Constantine as koinos episkopos, cit., 37 ss.). Chesnut, The First Christian Histories, cit., 251, assimila l'intervento del vescovo a quello del filosofo, specialista nel trattamento dell’ira, probabilmente ben interpretando la coscienza che di sé poteva aver Ambrogio, non ancora sufficientemente lontano dalla paideia aristocratica. Per la comprensione dell’episodio cfr. l'importante Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius, cit., 64-67 («Der Bussakt von Mailand und seine Bedeutung»). Sui sostenitori di Ambrogio e sui suoi rapporti con le corti cfr. Sordi, La concezione politica di Ambrogio, in Bonamente-Nestori (a cura di), I Cristiani e l'impero nel IV secolo, cit., 143 ss.; Mazzarino, Storia

sociale del vescovo Ambrogio, cit., 25, 40 ss.; McLynn, Ambrose of Milan. Church and Court in a Christian Capital, cit., 130 ss.; Savon, Ambroise de Milan, cit., 89 ss. L. Cracco Ruggini, La fisionomia sociale del clero e il consolidarsi delle istituzioni ecclesiastiche nel Norditalia (IV-VI secolo), in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda Antichità e alto Medioevo (3-9 aprile 1997), CISAM 45, Spoleto 1998, 851-901; R. Lizzi, Senatori, popolo, papi: il governo di Roma al tempo dei Valentiniani, Bari 2004. Sui rapporti di Ambrogio con Probo e i Valentiniani, nuovi spunti di riflessione in T.D. Barnes, Valentinian, Auxentius and Ambrose, «Historia» 51, 2002, 227-237. 363 Cfr. Eus. VC 4, 71, sulla sepoltura di Costantino tra i cenotafi dei dodici Apostoli e 1, 44, 2, sull'interpretazione del proprio ruolo come κοινὸς ἐπίσκοπος commentato da Straub, Constantine as koinos episkopos, cit., 37-55 e presente in Bowersock, From Emperor to Bishop, cit., 6167, acuta analisi in S. Calderone, Costantino, cit., 44 ss. Sul ruolo che Costantino considerava a sé riservato vd. Drake, Constantine and the Bishops, cit:, 319, in cui si sostiene la ferma volontà di coinvolgere il clero e la corresponsabilità di quest'ultimo. Cfr. inoltre, con utile mise au point, A. Marcone, Costantino il Grande, Roma- Bari 2000 e Id., Pagano e Cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma - Bari 2002. Vd. oltre i contributi già citt. di Walraff e Teja, e l'introduzione di A. Giardina, su L’«epoca» di Costantino, le acute analisi di D. Dainese, Costantino a Nicea. Tra realtà e rappresentazione letteraria; V. Neri, Costantino e Licinio θεοφιλεῖς e il problema della Historia ecclesiastica di Eusebio; G. Zecchini, Costantino episcopus paganorum?, presenti in Bonamente-Lenski-Lizzi Testa (a cura di), Costantino prima e dopo Costantino, cit., risp. 133-143; 209-224: XXIX-XLVIII; 405-418; 381-403; 145-152.

364 Cfr. Soz. praef. 3 (1 Bidez-Hansen): .. εὐσεβείας δὲ, τοῦ ἀληθοῦς κόσμου τῆς βασιλείας, οὐδενὶ τοσοῦτος λόγος ἐγένετο. 365 Cracco Ruggini, The Ecclesiastical Histories and the Pagan Historiography, cit., 117 ss. 69 principio fondante di razionalità e conoscenza, rivelato dalla capacità di autocontrollo e dalla consapevolezza, qualità che lo ponevano al di sopra dei suoi simili. Dunque il modello di filosofo che gli storici ecclesiastici e il loro pubblico erano pronti ad accettare non era l’ideale ‘alternativo’ del filosofo cinico, ma quello proposto da Platone.366 Esso si incarnava nella persona del filosofo-saggio, che, tramite il suo sapere, acquisiva tutte le virtù regali e poteva rappresentare degnamente il principio supremo del Logos. Questo ideale veniva a intersecarsi con l’altro paradigma, accettato dall'ideologia imperiale ellenistico-romana, che si ispirava alle teorie neopitagoriche, esemplificate in Diotogene,367 che lodava nel basileus la maestà, la disposizione alla dignità, l'autocontrollo: 366 Chesnut, The First Christian Histories, cit., 23 n. 78 diversamente da Dvornik, Early Christian, cit., II, 664, il quale dava una visione filosenatoria e tradizionale di Giuliano. Sul concetto di mimesi vd. A. Heitmann, Imitatio Dei, Roma 1940, 84 ss.; H. Merkt, Ὁμοίωσις θεῷ. Von der Platonischen Angleichung zu Gott zur Gottähnlichkeit bei Gregor von Nyssa, 1952, passim; sulla sua ricezione a Bisanzio H. Hunger, Das byzantinische Kaisertum als Nachahmung Gottes, in Id., Das Reich der Neuen Mitte, Graz-Vienna-Cologne 1965, 37-107. Sul neoplatonismo giulianeo e la difesa del paganesimo cfr. H. Rider, Kaiser Julian als Philosoph und religiöser Reformator, «Classica et Medievalia» 6, 1944, 179-193; Chr. Lacombrade, L’empereur Julian, émule de Marc-Aurèle, «Pallas» 14, 1967, 9-22. Sull'originalità del

pensiero giulianeo, in opposizione a Dvornik, The Emperor Julian’s "Reactionary" Ideas on Kingship, in Late Classical and Medieval Studies in Honor of Albert Mathias Friend jr. , Princeton 1955, 71-81, vd. P. Athanassiadi-Fowden, Julian and Hellenism. An Intellectual Biography, Oxford 1981, trad. it., L'imperatore Giuliano, Milano 1984, partic. 175 ss.; Mazza, Le maschere del potere, cit., 129, il quale mette in evidenza l’aspetto mistico-religioso del neoplatonismo giulianeo e ricorda come l’espressione ἐπιτάττοντο τοῦ Διός (πρὸς Ἥρακ. κυν. 7, 232 c; 2, 1, 81 Roch.) si ricolleghi alla visione cristiana del Kaiser von Gottes Gnaden, secondo la nota formulazione di Ensslin, Gottkaiser und Kaiser von Gottes Gnaden, cit., 53-83. Sulla formazione culturale dell'imperatore vd. anche J. Matthews, The Roman Empire of Ammianus, London 1989, 116, e sulla sua traduzione in prassi politica cfr. le tesi differenti di Athanassiadi-Fowden, Julian and Hellenism, cit., e Bowersock, Julian the Apostata, London 1978, 90 ss., nonché le conclusioni di Mazza, Le maschere, cit., 95-148. In definitiva, le scelte di Giuliano (J. Bouf-fartigue, L'Empereur Julien et la culture de son temp, Paris 1992, spec. 483-486 e 504-510) non appaiono possedere uno scopo meramente politico (M. Caltabiano, L'epistolario di Giuliano. Saggio storico, traduzione, note e testo in appendice, Napoli 1991, 137-139 e Mazza, Giuliano o dell'utopia religiosa, in Giuliano imperatore, le sue idee, i suoi amici, i suoi avversari, Atti del Convegno internazionale di Studi, Lecce 10-12 dicembre 1998, «Rudiae» 10, 1998, 19-42, ora in Tra Roma e Costantinopoli, cit., 217244; A. Mastrocinque, Cosmologia e impero in Giuliano l'Apostata, «Klio» 87, 2005, 154-176, spec. 162 ss.), ma piuttosto esprimere il bagaglio culturale del sovrano in cui si inverava la sensibilità del tempo (A. Marcone, Giuliano l'Apostata, Teramo 1994, 37 ss.; I. Tantillo, L'imperatore Giuliano, Bari-Roma 2001, 68 ss.) e in cui potevano convergere, trasformandosi e recependo anche indicazioni da tradizioni diverse, i dettami della carità cristiana (E. Kislinger, Kaiser Julians und die (christlichen) xenodocheia, in W. Horander-J. KoderO. Kresten-E. Trapp (Hrsg.), Βυζάντιος, Festschrift für Herbert Hünger

zum 70, Gerburtstag. Dargebracht von Schülern und Mitarbaitern, Wien 1984, 171-184. 367 Diotogenes in Stob. anth. IV 7, 62. La divina maiestas dell'imperatore era una parte fondamentale della sua attività come gubernator hominum e delegato di dio sulla terra. La formalità dal vecchio codice comportamentale deputata al controllo della violenza nei rapporti umani, era stata, infatti, sostituita dalla irenica magnificenza del sovrano, che poteva, con il suo esempio, condurre le anime dal mondo istintuale e incontrollato delle passioni all’ordinato mondo dell'armonia e dell'autocontrollo. Goodenough, The Political Philosophy, cit., 79 ipotizzò un'origine iranica di questo ideale, in base al noto passo della Ciropedia senofontea (VIII, 1, 40-42; 268, 5 Hense) sull'attenzione alla mimetizzazione dei difetti e sull’aura di superiorità che doveva necessariamente emanare dal re e dai suoi cortigiani (vd. n. I 86). Se Goodenough, collocava i frammenti escerti da Stobeo in età ellenistica, ben diversa opinione espresse L. Delatte, Les traités de la royauté d'Ecphante, Diotogène et Sthénidas, Paris-Liege 1942, 6 ss.; e sulla sua scia A.-J. Festugière, Le “ Logos ” hermétique d'enseignement, REG 55, 1942, 77-108; come, nella sua recensione, I. Lana, L. Delatte, Les traités de la royauté d'Ecphante, Diotogène et Sthénidas, RFIC 27, 1949, 136-40; e ancora P. Lemerle, L. Delatte, Les traités de la royauté d'Ecphante, Diotogène et Sthénidas, RPh 77, 1951, 102; con W. Burkert, Zur geistesgeschichtlichen Einordnung einiger Pseudopytagorica, in Pseudoepigrapha, Entretiens sur l'Antiquité classique 18, Vandoeuvres-Genève 1972, 25-55, per quella mistica della regalità che fa dei trattati uno sviluppo prezioso e un precedente necessario, databile in età imperiale, della teoria sulla monarchia di diritto divino di epoca tardoantica. Come avverte Mazza, Le maschere del potere, cit., 76, la stessa nuova basileia cristiana non sullo sfondo delle idee e del ‘misticismo’ presenti nei frammenti 70

χωρίζοντα μὲν ἑαυτὸν ἀπὸ τῶν ἀνθρωπίνων παθέων, συνεγγίζοντα δὲ τοῖς θεοῖς, οὐ δι᾽ ὑπεραφανίαν ἀλλὰ

διὰ μεγαλοφροσύναν καὶ μέγεθος ἀρετᾶς ἀνυπέρβλατον… Ideale ben espresso dai busti in porfido degli imperatori:368 Fig. 1 - Testa di Tetrarca da Felix romuliana, Dacia ripense. (National Museum, Zaječar, inv. no. 1477). Sulla moderatio, la clementia e la sophrosyne 369 si basava la possibilità di un accordo tra governanti e governati. Queste virtù consentivano la speranza di mettere ordine in un mondo sconvolto dalla prevaricazione e dalla violenza, tramite la condivisione di una cultura che invitava al controllo e dunque, permetteva l’avvicinamento e una confidente parrhesia.370 neopitagorici, cronologicamente collocabili, per lo studioso, al III secolo d, C. Importante discussione sulla riflessione filosofica in età imperiale nei saggi in ANRW II 36, 1, 1987, spec. J-M. André, Écoles philosophiques aux deux premiers siècles, 5-20 e Whittaker, Platonic Philosophy in the Early Centuries of the Empire, cit., 83-121; con il repertorio bibliografico di L. Deitz, Bibliographie du platonisme impérial antérieur à Plotin (1928-1985), 124-182. 368 Vd. supra 44, oltre a G. Sommer-von Bülow - U. Wulf-Rheidt, Felix Romuliana. Der Palast des Kaisers Galerius und sein Umfeld. Eine serbisch-deutsche Kooperation / Palata imperatora Galerija i njena okolina. Srpsko-nemacka saradnja, Berlin 2009, 17, fig. 1.2. 369 Cfr. infra nn. 86-88 e, sulle virtù imperiali, i sempre validi Charlesworth, The Virtues of a Roman Emperor, cit., 105 ss.; L. Wickert, Princeps, in RE ΧXII 2, 1954, 2222 ss.; Wallace Hadrill, The Emperor, cit., 289-323; insieme al più rec. Whitby, The Propaganda of Power, city 130. ss.

370 Brown, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison-London 1992, trad. it., Potere e cristianesimo nella Tarda Antichità, cit., 88. Sul termine, cfr. Scarpat, Parrhesia. Storia del termine, cit., il quale indaga su tutte le nuances concettuali acquisite dal termine, fino a giungere al significato cristiano, quello di una semplice franchezza, dovuta alla coscienza immacolata, che determina la necessità di esprimersi liberamente e con Dio e con gli uomini. Recentemente Andrea Sterk, Renouncing the World Yet Lending the Church: the Monk-bishop in Late Antiquity, ha sottolineato come, per P. Brown, sia il monaco che il vescovo fossero accomunati dalla parrhesia nella difesa dei poveri e degli indigenti, in una sorta di "coalizione" che, però, manteneva distinti i due tipi di poteri quello del vescovo, amator pauperum e quello del monaco, uomo santo. Egli fa notare come, invece, nel V secolo la figura del monk-bishop si diffondesse in maniera del tutto naturale, essendo accertato dalla società e dalla istituzioni ecclesiastiche un 71 Chesnut371 ha sottolineato come Giuliano si mostrasse anche esternamente come re-filosofo, ma ha evidenziato come la sua opzione si fosse indirizzata verso la tipologia del filosofo cinico, fortemente contrastante con la maestà che il riflesso del megas basileus si credeva dovesse incarnare e con il bisogno di tutela e salvazione che era necessario dovesse appagare, e cita la testimonianza di Socrate372sulla sua intemperanza: Τοῦτον μὲν οὖν τὸν τρόπον Ἰουλιανὸς ἐβασίλευσεν. Τὰ δὲ ἐντεῦθεν εἰ φιλοσόφου, δοκιμαζέτωσαν οἱ ἀκούοντες… οὐ γὰρ ἂν δίχα πολλῶν αἱμάτων διεκρίθη ἡ τοῦ φιλοσόφου σπουδή. E ancora:373 Ἰουλιανός μὲν γὰρ ὁ βασιλεύς, καίπερ φιλοσοφεῖν ἐπαγγειλάμενος, ὅμως οὐκ ἤνεγκεν τὴν ὀργήν.

Il modello che riscuoteva il consenso della maggioranza era quello che lasciava aperta la via alla mediazione tra l’imperatore e i popoli a lui sottomessi, come tra il regno celeste e terrestre, non certo il paradigma alternativo del cinico, le cui tendenze estremiste risultarono spesso incomprensibili alle classi dirigenti greche e romane e, per la mancanza di disponibilità alla trattativa, erano oggetto di ostilità. L'opzione dell’Apostata si era, però, pour cause, indirizzata verso la tipologia del cinico, omologo del martire cristiano,374 non a caso anche lui poco compreso dai ceti di governo; ideale che, di sicuro, contrastava fortemente con la maestà di tipo tradizionale, che il riflesso del megas basileus si credeva dovesse incarnare. Esso era funzionale al bisogno di salvezza e protezione, la cui soddisfazione era vissuta come requisito indispensabile dai suoi sudditi. Nel Misopogon, lo stesso imperatore ci aiuta a ricostruire i motivi di attrito con gli Antiocheni, allorquando si opposero al tentativo di far ritornare il bosco sacro a Dafne all'antico splendore. I suoi oppositori sembrerebbero ripetere vecchi motivi propagandistici dell'età dei Flavi e degli Antonini, epoca del grande dibattito sulla funzione della filosofia e sul suo rapporto con il potere e la politica, che portò al rifiuto dei filosofi cinici e delle loro eccentricità. In quegli anni si venne a cristallizzare il modello del falso sapiente. Questi non esercita, pur predicandola, la virtù e nasconde la sua insipienza e corruzione sotto l'abbigliamento del filosofo: lunghi capelli, barba incolta e lunga, bastone e corto mantelletto. Palliatus et crinitus barbaque prope ad pubem usque porrecta, così Gellio375 descriveva gli animalia spurca et probra, che per lui erano i falsi filosofi. Per questa via si inoltrarono anche i cristiani come Lattanzio, irriverente contro capilli et pallium;376 come lo stesso Costantino,377 il quale considerava i filosofi fonte di sedizione e dannosi per il potere costituito, o Agostino, il quale attribuiva ai cinici l'appellativo di canini philosophi.378

In realtà il grande imperatore cristiano aveva centrato il problema: i filosofi che non tendevano alla mediazione, ma alla parrhesia,379 espressione di intransigente volontà di trasparenza, e mostravano alle genti, senza veli, il potere e i suoi inganni, erano pericolosi per il sistema costituito, che invece doveva necessariamente mediare. Giuliano aveva scelto un modello di intellettuale che, nella sua sofisticazione, difficilmente poteva essere compreso dalle masse, ma che ben corrispondeva alla sua identità, necessitata modello ascetico di leadership come paradigma del tutto positivo. Fenomeno questo che, per lo studioso, portò al reframing dell'immagine episcopale. Sul problema vd. supra 114. 371 Chesnut, The First Christian Histories, cit., 226 ss. 372 H. e. III 1, 122, 136. 373 H. e. VII 22, 147. 374 Su Giuliano, appunto, «uomo santo» del paganesimo e la propaganda organizzata attorno alla sua immagine è tornato G. Marasco, Vita e miracoli dell’imperatore Giuliano nell’agiografia contemporanea, «Studi sull'Oriente cristiano» 11, 2007, 9 ss. Sull'iconografia di Giuliano cfr. E. Babelon, L’iconographie monétaire de Julien l'Apostate, RN 7, 1903, 142 ss.; A. Alföldi, Some Portraits of Julian Apostata, AJA 66, 1962, 403-405 e tav. 119, 9; P. Lévěque, De nouveaux portraits de l'empereur Julien, «Latomus» 22, 1963 ora in R. Klein (Hrsg.), Julian Apostata, Wege der Forschung 509, Darmstadt 1978, 305-306; R. Calza, Iconografia romana imperiale, cit., 366 ss. 375 N. A. IX, 2, 1-9. 376 Inst. V 2,3.

377 Ad coetum Sanctorum, 9 GCS. 378 Civ. XIV 20. 379 Vd. supra n. 34. 72 all’estraniamento e all’opposizione. Un simile paradigma, in effetti, rispondeva ad alcune istanze caratteristiche della società tardoantica, istanze destinate però ad essere soddisfatte da un messaggio più semplice e immediato, quello cristiano. I nuovi sapienti rappresentarono spesso modelli destabilizzanti per le autorità, perché assunsero i tratti, sovente intransigenti e radicali, dell’ holy man, pur mantenendo parzialmente quelli dei theioi andres, per ció stesso, tramite la loro scienza, vicini alla divinità, detentori di poteri straordinari, operatori di miracoli, esperti nella magike tekhne e in astrologia. Erano queste le caratteristiche che li rendevano, se rivali, realmente temibili per il potere costituito e i modelli che i ceti di governo avevano accolto, il platonico, o che andavano definendo, il santo e il vescovo. In un mondo in cui le classi dirigenti dell’impero avevano ormai accettato e, di conseguenza, propagandavano l’ideale cristiano del monarca, il modello proposto o da Giuliano non aveva capacità attrattiva. In un momento in cui, essendosi smorzata l'accelerazione costantiniana, si rinnovava, ma non si rivoluzionava l’antica visione del sovrano, salvatore dei sudditi poiché creatore del nomos e portatore del Logos - nel senso che egli poteva esse mimema del Dio celeste attraverso il kharakter impresso dal Figlio/ Logos -, Giuliano venne a incarnare non solo la alogia, ma anche la controparte dell'imperatore philotheos e theophiles. In un percorso ideale, lungo il quale, all’interno della triade degli storici ecclesiastici, da un monarca in contraddizione con se stesso si giunge alla rappresentazione della tracotanza dell'uomo, per la sua

supponenza/hybris punito da Dio, arriviamo, infine, come abbiamo già osservato,380 alla creazione della figura di un Faust ante litteram: Giuliano ha venduto la propria anima al diavolo, come dimostra la sua violenza, che mantiene intatta fino alla fine ed esprime nella sua inutile e disperata protesta:381 ἐκεῖνον δὲ γέ φασι δεξάμενον τὴν πληγὴν εὐθὺς πλῆσαι τὴν χεῖρα τοῦ αἵματος καὶ τοῦτο ῥίψαι εἰς τὸν ἀέρα καὶ φάναι· «νενίκηκας Γαλιλαῖε», καὶ κατὰ ταὐτὸν τήν τε νίκην ὁμολογῆσαι καὶ τὴν βλασφημίαν τολμῆσαι οὕτως ἐμβρόντητος ἦν. All'attenta analisi di Chesnut,382 non è certo sfuggito come Socrate ponesse l’accento sulla facilità all’ira di Giuliano, che non solo metteva l'Augusto in contraddizione con tutta la precettistica sull'immagine ideale dell'imperatore, ma anche con la paideia, fortemente sostenuta dallo stesso Apostata, e con la sua ricerca esistenziale. In realtà, con la sua iracondia il sovrano tradiva le aspettative delle classi di governo, le quali sostenevano la necessità della clemenza e la possibilità della parrhesia, che non erano concetti privi di significato e semplici virtù imperiali. Esse, quanto meno, indicavano le capacità del politico e tradivano spesso assetti comportamentali consolidati. La clementia prometteva la possibilità di un accordo, come la parrhesia la possibilità di una amicale confidenza, mentre tutte le altre virtù di moderazione rappresentavano la capacità di dominio di sé e, a maggior ragione, degli altri ed erano il riflesso dell’equilibrio, dell’armonia, della pace, che dovevano informare il mondo. L'insieme delle sue virtù avevano elevato il sovrano al di sopra dell'umanità, fenomeno che si concretava nella maiestas, sopra sottolineata, la cui fenomenologia era stata ben studiata dagli autori antichi e fu straordinariamente rappresentata da Senofonte, il quale abil e rifletteva concezioni iraniche,383 quando, nel noto passo della Ciropedia 384 si riferiva alla mimetizzazione dei difetti e all’atteggiamento di superiorità del re e dei suoi cortigiani:

στολήν τε γοῦν εἵλετο τὴν Μηδικὴν αὐτός τε φορεῖν καὶ τοὺς κοινῶνας ταύτην ἔπεισεν ἐνδύεσθαι: αὕτη γὰρ αὐτῷ συγκρύπτειν ἐδόκει εἴ τίς τι ἐν τῷ σώματι ἐνδεὲς ἔχοι, καὶ καλλίστους καὶ μεγίστους ἐπιδεικνύναι τοὺς φοροῦντας· καὶ γὰρ τὰ ὑποδήματα τοιαῦτα ἔχουσιν ἐν οἷς μάλιστα λαθεῖν ἔστι καὶ ὑποτιθεμένους τι, ὥστε 380 Vd . supra 59. 381 Thdt. h. e. III 25 (203 Parmentier-Hansen). 382 Chesnut, The First Christian Histories, cit., 226. 383 Cfr. Goodenough, The Political Philosophy, cit., 79. 384 VIII 1, 40- 43; 268, 5 Hense: «Decise di portare il costume dei Medi e convinse i cortigiani a indossarlo. Gli pareva che quel vestiario contribuisse a nascondere le imperfezioni fisiche… e facesse apparire chi lo indossasse quanto mai bello e grande. Infatti le calzature dei Medi sono di foggia tale, da nascondere meglio di qualsiasi altra all’esterno tutto ciò che uno vuole mettersi sotto i piedi nel loro interno per figurare più alto nella realtà. Acconsenti pure che si sottolineassero gli occhi con tinture, per farli apparire più luminosi del vero, e s'imbellettasse la pelle per farla apparire più colorita del naturale». 73 δοκεῖν μείζους εἶναι ἢ εἰσί· καὶ ὑποχρίεσθαι δὲ τοὺς ὀφθαλμοὺς προσίετο, ὡς εὐοφθαλμότεροι φαίνοιντο ἢ εἰσί, καὶ ἐντρίβεσθαι, ὡς εὐχροώτεροι ὁρῷντο ἢ πεφύκασιν. La divina maiestas dell'imperatore era sentita come una parte importante della sua attività, in quanto rappresentante di Dio sulla

terra. Il ruolo riservato alla formalità del vecchio codice comportamentale, cioè il controllo della violenza nei rapporti umani, era stato attribuito alla magnificenza e all’imperturbabilità del regnante, che poteva far giungere le anime dal mondo disordinato delle passioni al quieto mondo dell'armonia e dell'autocontrollo. Il buon imperatore era, infatti, per Plutarco,385 colui che possedeva il Logos di Dio. L'immagine divina era appunto riflessa dal Logos, alla cui conoscenza e possesso il saggio giungeva attraverso lo studio della filoosofia, sicché potesse racchiuderlo nella propria mente e, identificandosi con esso, divenire legge vivente. Era questa la ragione per cui il sovrano rappresentava un modello da seguire per tutta l'umanità, di cui diveniva maestro e salvatore, in quanto, grazie alla filosofia, era vera icona della suprema divinità. Secondo Chesnut l'opzione esercitata da Giuliano nei confronti del filosofo cinico non rappresentava un ideale adeguato per il monarca tardoantico. Forse, però, si potrebbe affermare che, ancora una volta, Giuliano indicava, in chiave ellenistico-romana, nuovi modelli comportamentali. Come nella sua ferma contrapposizione alla Chiesa cristiana egli intese dare una nuova e più rigorosa interpretazione del paganesimo e delle sue istituzioni, altrettanto decisamente sembrò intenzionato a proporre un'alternativa all'uomo santo. Egli, con la sua barba, con il suo mantello da filosofo, con il suo ascetismo, riproponeva vecchi modelli, che necessariamente, però, acquisivano nuova dimensione.386 A ragione Lellia Cracco Ruggini387 sottolinea come i theioi andres svolgessero importanti funzioni ‘politiche’, nel senso che erano spesso i garanti della pace all’interno delle città, funzioni dalle quali il modello giulianeo sembrava allontanarsi. II theios aner proposto da Giuliano, infatti, incarnava l'ideale di conoscenza salvatrice, ma rappresentava un modello distante dalla vita cittadina e non soddisfaceva le richieste immediate dei sudditi. In altri termini, cioè quelli di realtà politica, Giuliano, con la

sua proposta, non rispondeva alle esigenze delle classi più disagiate, che lo vivevano come profondamente distante o ne contestavano le riforme, né accontentava le classi di governo. Queste premevano per una partecipazione al potere, che poteva essere riconquistato o attraverso il ridimensionamento di quello imperiale - tradizionale e non - o contrapponendo all'imperatore cristiano diversi ‘luoghi del sacro’, quali gli holy men o i vescovi. In questo senso potrebbe essere accettata ancora la teoria di François Dvornik, secondo il quale Giuliano non volle essere un re-filosofo. Egli, certo, si contrappose su questo tema a Temistio, ma solo perché la matrice della sua ideologia era complessa ed articolata e lasciava trapelare anche quello che è stato definito come il «fanatismo cristiano» della sua infanzia. La cultura che Giuliano incarnava era una cultura raffinatissima per pochi eletti, come quella di un Saluzio o dei Simmachi,388 egli non si considerava un riflesso del megas basileus, bensì un germoglio del grande re,389 una sua parte, ma questo lo allontanava dai suoi sudditi e gli alienava il consenso della maggioranza della popolazione dell’impero e, soprattutto, delle comunità cristiane, 385 Plut. mor. 780 b-f., il quale riteneva che il σοφὸς βασιλεύς fosse il solo tra gli uomini in grado di accogliere nella propria anima il riflesso del βασιλεύς celeste e la sua legge, trasformandosi così in legge vivente. 386 Vd. supra n. 36. Sull'identificazione del filosofo neoplatonico autore del Περὶ θεῶν καὶ κόσμου con Secundus Saturninus Salu(s)tius, PPO orientis 361-365 e 365-367 cfr. G. Rochefort, Le Περὶ θεῶν καὶ κόσμου de Saloustios et l'influence de l'empereur Julien, REG 69, 1956, 50-66 e Id. (Éd.), Saloustios, Des dieux et du monde, Paris 1960; con G. Rinaldi, Sull'identificazione dell'autore del Περὶ θεῶν kai κόσμου, «Koinonia» 2, 1978, 117-132 e Bowersock, Julian the Apostata, cit., App. III, 125. Cfr. però anche R.

Étienne, Flavius Sallustius et Secundus Salustius, REA 65, 1963, 104113, seguito da J.M. Alonso Nufiez, El César Juliano y el filosofo Salustio, «Helmantica» 29, 1978, 399-402, che, pur sottolineando, a ragione, la distinzione tra Sallustio, PPO delle Gallie, e il grande amico di Giuliano, suo QSP nelle Gallie e poi PPO or., Saluzio, attribuisce al primo il trattato con poche probabilità di cogliere nel vero. Infatti a Saturnino, come sodale e compagno di studi e di interessi Giuliano dedicò il suo εἰς τὸν βασιλέα Ἥλιον, ispirato alla speculazione del maestro Giamblico sul κόσμος νοερός. 387 Cracco Ruggini, Imperatori romani ed uomini divini (I-IV secolo), in P. Brown-L. Cracco Ruggini-M. Mazza, Governanti ed intellettuali, cit., 66. 388 Vd. supra n. 47. Sul paganesimo di Giuliano vd. le acute riflessioni di Mazza, Tra Roma e Costantinopoli, cit., 217-244. 389 Iul. or. 7, 232 d (2, 1, 82 Rochefort): «Μάνθανε», εἶπεν,«ὦ λῷστε, πατρὸς ἀγαθοῦ τουτουὶ τοῦ θεοῦ καὶ ἐμὸν βλάστημα». 74 tanto è vero che Socrate osò persino mettere alla berlina il principio base dell’ideologia imperiale platonica servendosi proprio di Giuliano. Platone390 aveva affermato che si sarebbe raggiunta un'organizzazione sociale ideale solo quando i filosofi avrebbero governato. La cultura ellenistico-romana aveva fatto tesoro di questa tesi, ponendola a fondamento della teoria sulla monarchia divina, in base alla quale solo il filosofo-saggio puó mediare tra terra e cielo, in quanto lui solo può incarnare il Logos e il nomos divino sulla terra. Eusebio sembrò accettare questa visione del cosmo quando affermò che il basileus terrestre era mimema del basileus celeste.391 Nel V sec. d. C. lo storico Socrate392 sembrò minare alla base questa idea

cardine con l'affermazione che l'ideale del filosofo era una menzogna, se un esempio era rappresentato da Giuliano, il quale, pur con la sua paideia, non controllava nemmeno se stesso. La tradizionale immagine dell'imperatore veniva così svalutata, per crearne, sulle sue macerie, un'altra, che corrispondeva ad altri interessi. In primis l'imperatore doveva essere eusebes e buon cristiano, quindi non colpevole né di paganesimo, né di eresia. In questo caso il peggiore comportamento possibile era sacrificare agli dei, come fece appunto Giuliano, il quale, naturalmente, grazie alle sue scelte, si avviò a diventare l'omologo negativo di Costantino e, in genere, dell'imperatore ideale. Socrate, inoltre, lodava la grande fiducia degli imperatori cristiani in Dio, atteggiamento che procurava loro la vittoria contro i nemici. Lo stretto rapporto con il Padre celeste aveva come conseguenza la strenua difesa dei cristiani. In questa prospettiva appare evidente che Giuliano, con le sue persecuzioni, divenne il simbolo del cattivo imperatore. Egli era oggetto degli strali degli storici ecclesiastici anche perché aveva colpito finanziariamente la Chiesa, perché aveva aiutato economicamente i culti pagani e perché aveva tentato in ogni modo di emarginare i cristiani;393 il nipote di Costantino era divenuto praticamente la concretizzazione 390 Cfr. naturalmente il celeberrimo VI libro del De re publica e le riflessioni di Dvornik, Early Christian and Byzantine Political Philosophy, cit., II, 622 ss., ma per la specifica visione della basileia e del basileus, espressa da Giuliano nella ep. 2, 1, 12-30 Rochefort, cfr. Plat. leg. 709 b, e pol. 309 c, come avverte Athanassiadi-Fowden, Julian. An Intellectual Biography, Oxford 1981, trad. it. L'imperatore Giuliano, cit., 217. In effetti, nello scartare la concezione della monarchia temistiana, Giuliano, richiamandosi a Platone, considerava il regnare al di sopra delle forze umane, sicché il basileus poteva governare solo seguendo la sua parte «demonica», che gli consentiva di essere un buon interprete della legge, essa stessa di origine divina. Egli che, pur philosophos aner, aveva scelto il bios pragmatikos, non poteva certo ritenersi nomos empsychos, perché la legge era di origine divina, era nous choris orexeos, a cui solo poteva essere affidato lo Stato, non certo a un uomo. Questi poteva solo aver

l’incarico, dalla suprema divinità, di interpretarla, prendendo coscienza della propria parte divina. Per la concezione classica dell’impero come epitrope cfr. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II/2, Bari 1966, 402 ss.; D. Kienast, Nerva und das Kaisertum Traians, «Historia» 17, 1968, 53 ss.; J. Béranger, Julien l'Apostate et l'herédité du pouvoir imperial, BAHC 1970, Bonn 1973, 84 ss.; Mazza, Le maschere del potere, cit., 45 s; 51 ss; 121 ss. Sulla cultura filosofica del Neoplatonismo in Giuliano e la sua particolare concezione filosofico-teocratica della regalità cfr. oltre al già cit. Mazza, Le maschere, 123 ss., e il classico saggio di G. Mau, Die Religionsphilosophie Kaiser Julians in seinen Reden auf König Helios und die Göttermutter, Leipzig-Berlin 1907, rist. anast,, Roma 1970, con la mise au point, di A. Marcone, L'imperatore Giuliano, Giamblico e Il Neoplatonismo. A proposito di alcuni studi recenti, RSI 96, 1984, 1046-1052. 391 Eus. Triak. 202, 8. 392 H. e. III 1, 19; VII 22 (190; 369 Hansen). 393 Sulla politica di Giuliano e il suo tentativo di riforma del paganesimo in funzione anticristiana vd. i recenti K. Bringmann, Kaiser Julian, Darmstadt 2004; 129-152; K. Rosen, Julian. Kaiser, Gott und Christianhasser, Stuttgart 2006, 95 ss. con S. Tougher, Julian the Apostate, Edinburgh 2007, partic. cap.5; S. Mitchell-P. van Neuffelen (Edds.), One God. Pagan Monotheism in the Roman Empire, Cambridge 2010, 45 ss. Sull' Hass gegen Christus dubbi in J. Bouffartigue, Du prétendu parti païen au prétendu fléau de Dieu: observations sur l'action antichrétienne de l'empereur Julien, «Rudiae» 10, 1998, 59-80; del quale cfr. nat. Julian et le culture de son temps, Paris 1992; più complesso lo scopo delle lettere (ai Giudei e ad Arsacio) per Mazza, Giuliano o dell'utopia religiosa, «Rudiae» 10, 1998, 19-42; ora in Tra Roma e Costantinopoli, cit., 217-244; alla formazione di un classe dirigente pagana pensava R. Klein, Kaiser Julians Rhetoren-und Unterrichtsgesetz, RQA 76, 1981, 73-94; di falsi

parla P. van Neuffelen, Deux fausses lettres de Julien l’Apostat (La lettre aux Juifs, Ep. 51 Wright et la lettre à Arsacius, Ep. 84 Bidez), «Vigiliae Christianae» 56, 2002, 131-150. Per l'incoerenza di cui Giuliano accusava i retori cristiani e il binomio, ritenuto inscindibile dall'imperatore ( ep. 61 Bidez 46 2 d) tra buon insegnamento e sincera devozione agli dei pagani, nonché il relativo allarme dei cristiani cfr. il succitato Klein, 73 ss., E. Pack, Städte und Steuern in der Politik Julians. Untersuchungen zu den Quellen eines Kaiserbildes, Brussel 1986, 90 ss. con D. Hunt, Julian, in Av. 75 del male rispetto al bene, che si rifletteva nel modello incarnato dallo zio, quello cioè del buon imperatore, che doveva favorire la diffusione del credo, la sicurezza del clero e la sconfitta del paganesimo. Il racconto della morte dell'Apostata divenne394 quindi la narrazione del castigo divino della hybris dell'eroe, il quale soccombe dinanzi a una forza che lo sovrasta. In questa sua prospettiva Socrate, coerentemente con le sue convinzioni politiche e culturali, si riallacciava al pensiero storico e alla tragedia di età classica,395 in cui si affrontava la stessa tematica. Il dramma di Giuliano era peró diverso, perché egli era vinto da una forza alla quale consapevolmente si era ribellato, forza che era pronta ad arrestarsi in caso di pentimento.396 Del tutto coerentemente con la loro fede, gli storici ecclesiastici trovarono un'altra possibilità al rapporto tra il divino e la hybris umana, di cui protos euretes, in campo storiografico, sembra essere stato Sozomeno, fonte di Teodoreto.397 In questa specialissima versione, la vicenda tragica dell'eroe, rappresentato in questo caso da Teodosio I, trovava un suo lieto fine, perché la violenza dell'imperatore poteva essere riscattatta dalla penitenza, grazie alla quale il monarca riconosceva di essere un uomo tra gli uomini, suddito anch'egli del megas basileus. A questo tipo di sottomissione non si era piegato

Valente, che, alla fine, manifestò tutta la propria fragilità umana,398 né si piegò Giuliano. Anzi, atto ancora più grave, egli aveva rinnegato totalmente il credo in cui era nato, sicché la sua apostasia ne aveva fatto l’incarnazione di Lucifero. Come è a tutti noto, l'immissione attiva di Satana nella società dei secoli III-VI è stata analizzata da Peter Brown.399 Abbiamo già sottolineato400 come lo studioso, nel suo lavoro, abbia saputo evidenziare il cambiamento di prospettiva conseguente. Fu oscurata del tutto l'immagine tradizionale del teurgo; l'uomo divino, in grado di imporre la sua volontà sui demoni, si trasformò in un modello del tutto opposto all’archetipo del credente, e, in campo politico, nell'omologo negativo dell’imperatore cristiano, riflesso del re celeste. Egli, ormai, poteva conseguire il suo potere, non grazie alla propria conoscenza ed abilità, ma rinnegando la retta fede e siglando con l’abiura un patto scellerato con il Diavolo. Se, infatti, il Demonio è l’angelo che si è coscientemente ribellato alla volontà divina, il rappresentante di Satana sulla terra può solo essere colui che ha, in piena consapevolezza, abbandonato la vera fede. Egli è mimema di Lucifero, colui che ha ostinatamente perseguito una meta diversa da quella stabilita da Dio; egli, usando come merce di scambio la propria anima, ha rinunciato alla sua identità, è l’apostata per eccellenza.401 Da questa prospettiva, coerentemente, sembrano trarre origine, all'interno della narrazione di Teodoreto,402 il rilievo riservato all'originaria ortodossia di Giuliano, l’enfatizzazione della sua incapacità di interpretare i Cameron-P. Garnsey (Eds), The Late Roman Empire A.D. 337-425, CAH XIII, Cambridge 1998, 67 ss. Sulla teurgia neoplatonica, oltre ai già citt. lavori di Bidez e AthanassiadiFowden, vd. G. Fowden, The Pagan Holy Man in Late Antiquity Society, JHS 102, 1982, 33-59; Matthews, The Roman Empire of Ammianus, cit., 332; E.R. Dodds, Theurgy and its Relationship to Neoplatonism, JRS 37, 1947, 55-69, ora in appendice a The Greeks

and the Irrational, Berkeley-Los Angeles; G. Shaw, Theurgy and the i, University Park, Pennsylvania, 1971, 133 ss. 394 Vd. infra 350 ss. 395 Cfr. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II/1, Bari 1966, 59, relativamente alla netta distinzione tra Greci e Romani nel rapporto con il divino. 396 Sulla certezza della sconfitta dei nemici del Cristianesimo e dell'avvento di un regno di pace e di pietà, da parte degli storici ecclesiastici, cfr. l'interessante lavoro di van Neuffelen, Un héritage de paix et de piété, cìt., 320 ss. 397 Soz, h. e. VII 25 (328 Bidez-Hansen): τοιούτων δὲ καὶ ἑτέρων ὡς εἰκὸς συγκυρησάντων κακῶν ἐπαιτιώμενος Ἀμβρόσιος τὸν βασιλέα τῆς ἐκκλησίας εἷρξε καὶ ἀκοινώνητον ἐποίησε. 398 Vd. supra 114 ss. 399 Brown, Stregoneria, demoni e la nascita del cristianesimo, trad. it. di Witchcraft, Confessions and Accusations, cit., 17-45, in Religione e società, (trad. it. di Religion and Society, cit., 126 ss., sulla scia di Evans-Pritchard in Witcheraft, Oracles and Magic among tha Azand, cit., sottolinea come, in una società in cui tutto sia riconducibile al Dio dei cristiani, anche il male doveva dipendere dall'opposizione a Dio da parte di un essere celeste, con cui lo stregone stabiliva un patto. Di certo non si poteva pensare di governarlo attraverso la scienza filosofica, ma attraverso la grazia divina. Cfr. anche Janowitz, Magic in the Roman World. Pagans, Jews and Christian, cit., 27 ss. Sui rituali che potevano collegare l'umano al divino Ead., Icons of Power: Ritual Practices in Late Antiquity, Pennsylvania University 2002, 143 ss. 400 Vd. supra 141.

401 Sulle fonti della leggenda di Faust vd. Radermacher, Griechische Quellen zur Faustsage, cit:, 44. Cfr. anche, sulle fonti papiracee, Eitrem, Papyri Osloenses, I, cit.; Preisendanz, Die Griechischen Zauberpapyri, cit., Nock, Greek Magical Papyri, cit., 219 ss.; Nilsson, Opuscula selecta, III, cit., 129166. 402 Thdt. h. e. III 1, 2 (175 Parmentier-Hansen). 76 segni divini, la necessità della fine di colui che è presentato come un usurpatore, quasi un antikeimenos, destinato necessariamente a soccombere e a lasciare il campo al regno di Dio. Giuliano viene subito indicato come erede illegittimo, sia sul piano costituzionale sia sul piano della fede religiosa. Infatti, da un canto, è evidenziata l'illegalità delle procedure seguite per salire al trono e non viene neanche ricordata l’acclamazione da parte dell'esercito, dall'altro, è sottolineata la bramosia giulianea, che lo spinge a interrogare vati e oracoli sulle possibilità di realizzare quanto desiderato. In un crescendo drammatico il vescovo di Kyrrhos adopera la ricerca frenetica, dettata dall'ineludibile cupido regni, per evidenziare la fragilità di Giuliano.403 L’inadeguatezza del futuro imperatore appare totale e pericolosa, come greve di terribili conseguenze si presenta la sua aspirazione al trono. L’ἐπιθυμία giulianea, nell'interpretazione di Teodoreto, porta il sovrano alla perdita dell'εὐσέβεια, virtù fondamentale del basileus, reale garanzia del rapporto con Dio e della possibilità di rappresentarlo sulla terra. Per il regnum il nipote del philotheos Costantino si consacra ai misteri di una religione blasfema, per opera di un γόης, e perde definitivamente la propria anima. Coerentemente, a partire dal momento dell'iniziazione, l'immagine di Giuliano è circondata da un alone di sinistra perdizione, tramite una puntuale contrapposizione al paradigma costantiniano. La sua empietà404 è continuamente confrontata con la positività della devozione costantiniana.405 In un confronto accurato e

consapevolmente bilanciato, alla pax costantiniana fanno riscontro le continue rivolte all'interno delle città durante il regno di Giuliano.406 Alle pie cerimonie del cristianesimo Teodoreto paragona i crudeli riti dei pagani e contrappone persino gli oracoli, che preannunziavano la vittoria sui Persiani, alla profezia di Saba, il quale, identificando l'imperatore in un maiale devastatore della vigna del Signore, ne annunciò la triste fine:407 ὁ δὲ τὸν σῦν ἔφη τὸν ἄγριον τὸν τοῦ ἀμπελῶνος τοῦ θείου πολέμιον δίκας εἰσπεπρᾶχθαι τῶν εἰς τοῦτον ἀδικημάτων καὶ κεῖσθαι νεκρόν, τῆς ἐπιβουλῆς πεπαυμένον. In quest'immagine profetica è condensato il senso della tragica vicenda giulianea, dramma dell'umana hybris dall'origine antichissima, che, però, si rinnova per nuova linfa. Giuliano è condannato all’insuccesso, perché, nella nuova teologia politica, la legittimità del sovrano risiede nella giusta risposta alla κλῆσις divina. Essa può risiedere solo nell’ εὐσέβεια e nella πραότης.408 Sono queste le virtù, che, acquisendo in ambito cristiano profondità sconosciute al pensiero ellenistico-romano,409 riescono ad assicurare l’aiuto divino, senza il quale la vittoria non può essere conquistata. L'ἀβουλία410 dell'Apostata causa la distruzione del suo esercito, indebolito dalle privazioni e demoralizzato dall'inutile fatica, sicché l’insipienza giulianea viene derisa da Teodoreto, che non si trattiene dal lanciare i suoi strali contro gli amici del monarca, i quali lo celebrano per la sua grande sophia.411 La polemica sulla contraddittorietà del comportamento di Giuliano e sulla sua incapacità di adattarsi al modello tradizionale dell'imperatore -filosofo, portata innanzi da Socrate, si conclude tragicamente con Teodoreto. Il vescovo di Kyrrhos non solo sottolinea la mancanza di autocontrollo dell’imperatore, ma anche enfatizza la rabbia di Giuliano

in punto di morte, stigmatizzandone la dannazione. Se Ammiano412 dipinge l’imperatore ferito mortalmente mentre discetta, da vero filosofo, sull'immortalità dell'anima e si commuove solo per la morte dell'amico Anatolio, che gli svela probabilmente la congiura ordita a suo danno, Teodoreto ci dipinge una situazione totalmente differente. Il quadro offerto dallo storico ecclesiastico ribadisce 403 Essa appare ancor più grave rispetto a quella del cugino, per altro debitamente sottolineata dal crollo della Chiesa fatta costruire in onore dei Martiri, Thdt. h. e. III 2, 1 ss. (177 Parmentier-Hansen). 404 Thdr. h. e. III 6, 4; con III 11, 3, dove Giuliano è definito chiaramente come τύραννος, e 3, 4, 2 (risp. 182; 187; 179 ParmentierHansen). 405 Thdt. h. e. I 2, 2; I 1, 4; III 3, 1 (5; 4; 178 Parmentier-Hansen). 406 Thdt. h. e. III 4, 3 (180 Parmentier-Hansen). 407 Psalm. 79, 14. Cfr. supra n. I 145. 408 Thdt. h. e. V 36, 7 (339 Parmentier-Hansen). 409 Cfr. l'acuta analisi di Calderone, Teologia politica, successione dinastica e consecratio, cit., 216-261 ed anche Id., Eusebio e l'ideologia imperiale, in Le trasformazioni, cit., 1-26. La παρρησία e la suggeneia con Dio sono possibili solo attraverso la mosaica mitezza, cfr. supra 43. 410 Thdt. h. e. III 25, 1 (203 Parmentier-Hansen). 411 Thdt. h. e. III 25, 1 (203 Parmentier-Hansen). 412 Amm. XXV 3, 14, 21 ss. (IV/1 177 ss. Fontaine). Sull'episodio cfr. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 143 s. 77

l’ἀσέβεια del sovrano, ἀσέβεια che toglie la maschera umana all'Apostata e consente a Satana di scoprire il suo vero volto e la sua rabbia. In effetti appaiono del tutto degne del ‘grande oppositore’ la furia e la violenza con cui Giuliano, riconoscendo la sconfitta, in un inutile ed ultimo gesto di provocazione, lancia verso il cielo il sangue raccolto dalle proprie viscere e, utilizzando l'etnico, usato in segno di disprezzo dai giudei verso i cristiani, urla:413 «νενίκηκας Γαλιλαῖο». L'identità demoniaca di Giuliano rende inessenziale per Teodoreto l’individuazione del suo uccisore. Questi, chiunque possa essere, pagano o cristiano, romano o barbaro, si palesa mero strumento del castigo di Dio:414 οἱ μέν τινα τῶν ἀοράτων ταύτην ἐπενηνοχέναι φασίν, οἱ δὲ τῶν νομάδων ἕνα τῶν ᾿Ισμαηλιτῶν καλουμένων, ἄλλοι δὲ στρατιώτην τὸν λιμὸν καὶ τὴν ἔρημον δυσχεράναντα. ἀλλ᾽ εἴτε ἄνθρωπος εἴτε ἄγγελος ὦσε τὸ ξίφος, δῆλον ὡς τοῦτο δέδρακκε τοῦ θείου νεύματος γενόμενος ὑπουργός. *** I tre ‘sinottici’ appaiono offrire un punto di vista particolarmente privilegiato dal quale osservare i cambiamenti intercorsi nel passaggio alla Tarda Antichità. Essi non solo riflettono la nuova cultura, in quanto propongono nuovi modelli imperiali, indicatori importanti dei nuovi parametri comportamentali a livello di eccellenza, ma anche presentano,al loro interno, delle distinzioni che tradiscono la lotta accanita fra diversi partiti, sostenitori di interessi divergenti, a cui corrispondevano differenti proposte. Possiamo, infatti, osservare che, mentre una concreta reggenza femminile non è sostenuta da Socrate, secondo la ben consolidata prassi di tacerne, la sua esistenza è accettata da Sozomeno e Teodoreto, i quali sembrano appoggiare Pulcheria, perfettamente in grado. di seguire le orme materne, in un

contesto religioso e culturale che già esaltava la figura salvifica di Maria,415 anticipando un processo che avrebbe raggiunto pieno compimento nel VI sec. La crescente importanza del culto della Vergine non può essere del tutto compresa se non viene contestualizzata, cioè, se non è inserita in quel complesso processo che è stato definito da Treitinger416 la «liturgizzazione della società bizantina», le cui avvisaglie si trovano già in Teodoreto. All’interno di questo processo, le sopravvivenze dell'ideologia imperiale classica perdevano mano a mano terreno, dinanzi a un approccio alla vita sempre più caratterizzato da motivazioni religiose, all'interno di cambiamenti che coinvolgevano la letteratura, l'arte, i sistemi di riferimento ideologico e politico, che, insomma, riflettevano, a livello sovrastrutturale, le mutazioni delle strutture socioeconomiche; cambiamenti grazie ai quali l'imperatore apparve abbandonare le caratteristiche tradizionali e acquisire quelle del philochristos basileus.417 Il monarca era sempre colui che, attraverso il successo sull'avversario, procurava la felicitas ai sudditi, ma le qualità personali per ottenere la vittoria erano cambiate: la tradizionale virtus era stata sostituita dalla cristiana eusebeia,418 accompagnata sempre più di frequente, in epoca teodosiana, dalla praotes,419 a indicare la ‘demilitarizzazione’420 subita dal modello di riferimento. 413 Thdt. h. e. III 25, 7 ss. (204-205 Parmentier-Hansen). 414 Thdt. h. e. III 25, 7 ss. (204-205 Parmentier-Hansen). In questa circostanza lo storico ecclesiastico concorda perfettamente con l'antiocheno Ammiano (XXV 3, 14, 21 ss. [IV/1 178 ss. Fontaine]). 415 Vd. supra 47. 416 Die oströmische Kaiser und Reichsidee vom oströmischen Staatts und Reichsgedanken, Darmstadt 1956, 27. Sui profondi cambiamenti avvenuti durante il regno di Teodosio II cfr. spec. F. Millar, A Greek

Roman Empire. Power and Belief under Theodosius II, Berkeley 2006, 160 ss; 182 ss. 417 Sul cristomimetismo vd. supra n. 19. 418 Amb, ob. Theod. 2, 7-8, 10, 52 ( CSEL LXXIII 372, 375-376, 385388); Io. Chrys. hom. VI in Eccl. apost., PG LXII, 491-493; Paul. Nol. in Gennad. scrip. eccl. 49 Herding; Aug. civ. Dei V 26; Oros. VII 35, 14, 20-22. e naturalmente Socr. h. e. V 25, 12 (291 Hansen); Soz. h. e. VII 24, 4-6 (326 Bidez-Hansen); Thdt. h. e. V 24, 3-4, 8-9, 17, 25, 1-2 (319 Parmentier-Hansen). 419 Cfr. supra 14 ss. La mitezza e l'umile tolleranza consentivano la parrhesia e la suggeneia con Dio, promettendo la liberazione dal potere del clero e il riconoscimento del potere reale dell'imperatore. Sul tema vd. supra 131. 420 Vd. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 423 ss. 78 Quest’ideologia era l'unica che potesse difendere i principes pueri dagli attacchi dei rivali e dalle critiche di coloro, che, come Rufino d’Aquileia, non credevano nella loro possibilità personale di stabilire un patto con Dio.421 La pueritia li rendeva fragili e, sia che si appoggiassero a militari come Stilicone, sia che affidassero la guida dello Stato a grandi burocrati come il prefetto Rufino, la giustificazione del loro regno si poteva fondare sulla loro eusebeia e sul patto che il capostipite era riuscito a stringere con la monarchia celeste. La propaganda imperiale cercò di diffondere il tema a tutti i livelli, così esso non fu formulato solo dagli autori cristiani, ma fu usato anche nella statuaria.422Dopo una vittoria contro i barbari nel 400, infatti, la corte orientale ordinò l’erezione di una colonna in onore di Arcadio, simile a quella di Teodosio, sulla cui base, a sinistra, stavano due vittorie, alate e coronate, attorno a una croce cristiana, simbolo della

vittoria di Cristo sul Golgota e promessa di vittorie imperiali, replica di quella del Cristo. Persino il letargico Arcadio423 poteva, per tal via, rivendicare la possibilità di essere un imperator vittorioso, ma parimenti lo poteva una donna. La volontà di adeguarsi al paradigma di riferimento rappresentato dal Cristo metteva certamente al riparo il sovrano dagli attacchi dei poteri clericali, ponendolo quanto meno alla pari con gli altri delegati del megas basileus, ma lo esponeva all'aggressione da parte delle basilisse. Esse, infatti, grazie all'assimilazione alla Theotokos, riuscirono a proporsi come veicolo alternativo di mediazione tra Dio e gli uomini. In effetti, un mosaico, ritrovato a Durazzo nel 1967,424testimonia il culto di Maria regina già alla fine del VI secolo,425 data che può essere anticipata se si analizza attentamente l'elaborazione della propaganda relativa alle imperatrici teodosiane. 421 Sui principes pueri vd. NV. Hartke, Römische Kinderkaiser. Eine Strukturanalyse röm. Denkens und Daseins, Berlin 1951, passim; il lavoro della Molè, Principi fanciulli, cit., 70 ss. e rec. Millar, A Greek Roman Empire, cit., 160 ss. 422 Cfr. J. Kollwitz, Oströmische Plastik der theodosianischen Zeit, Berlin 1941, 17-62; G. Becatti, La colonna coclide istoriata: problemi storici, iconografici, stilistici, Roma 1960, 151-264. 423 Synes. regn. 13 (28-29 Terzaghi). 424 N. Thierry, Une mosaique à Dyrrachium, «Cahiers archéologiques» 18, 1968, 227 ss. Interessante la ricostruzione di M. Andaloro, I mosaici parietali di Durazzo o dell'origine costantinopolitana del tema iconografico di Maria regina, in Studien zur spätantiken und frühbyzantinischen Kunst Friederich Deichmann gewidmet, III, Bonn 1986, 103-112. In merito alla quaestio dell'origine orientale o occidentale del tema iconografico potrebbe avanzarsi l'ipotesi di un'origine teodosiana, poiché se l'esaltazione della Madonna si unì all'importanza delle basilisse in Costantinopoli, va

ricordato che il tema fu accolto ben volentieri da Galla Placidia e con lei giunse in Occidente: sulla questione vd. i citt., Sirago, Galla Placidia, 265 e Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, 370; 467, e, part., per la genesi occidentale C. Bertelli, La pittura medievale a Roma e nel Lazio, in E. Castelnuovo (a cura di), La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1995, 206-241. 425 Cfr. l'indagine condotta da J. Herrin, The Formation of Christendom, Princeton 1987, 54 ss. 79

Fig. 2 - Mosaici parietali da Durazzo (2/2 VI sec.) Maria regina affiancata da angeli admissionales che introducono gli offerenti, Alessandro e sua moglie (M. Andaloro), nel pannello di destra, e S. Stefano orante, in quello di sinistra.

Esse abbandonarono parzialmente il modello incarnato da Elena,426 che, con la sua tapeinotes, aveva proposto un diverso paradigma femminile e aveva riscattato la superbia che stava dietro al peccato originale, provocato dalla ‘diabolica’ Eva. Paradossalmente proprio l'umiltà non solo fece sì che la madre di Costantino potesse essere ben accetta ai sudditi, indipendentemente dal ceto sociale d'appartenenza, ma soprattutto rese possibile la sua identificazione con il mezzo scelto da Dio per riconoscere il nuovo imperatore e, nel contempo, porre freno ai suoi poteri. L'umiltà, così concepita, esaltata e praticata, elevò la madre di Costantino al di sopra della propria umanità, avvicinandola al regno celeste. Fu quest'ultimo aspetto a interessare particolarmente le Auguste della casa teodosiana, le quali, grazie anche ai membri del proprio entourage, come ad esempio il prefetto Aureliano, il vescovo Attico e i santi monaci, riuscirono a ottenere il consenso popolare.427 In realtà la prima immagine di Elena è quella consegnataci da Eusebio, il quale vedeva in lei una propaggine del figlio che, tra l'altro, sarebbe stato l’artefice della conversione della regina. Del viaggio in Terrasanta il vescovo di Cesarea sottolineò particolarmente l’aspetto religioso, motivo per il quale Elena si prendeva anche cura dei sudditi, nutriva gli affamati, vestiva gli ignudi, faceva richiamare gli esiliati, liberava i prigionieri, largiva donativi agli eserciti e al popolo. Eusebio, tuttavia, non poté far a meno di sottolineare che gli atti della regina erano espressione della provvidenza imperiale, rivelando il motivo politico del viaggio, che portò la madre di Costantino, subito dopo l’assassinio di Fausta e l'avvio di una sempre più decisa politica cristiana, a consolidare il consenso nelle province orientali dell’impero.428 426 Cfr. L. Brubaker, Memories of Helena: Patterns in Imperial Female Matronage in the Fourth and Fifth Centuries, in L. James (Ed.), Women, Men and Eunuchs: Gender in Byzantium, London 1997, 5275. Vd.

anche J.W. Drijvers, Helena Augusta: The Mother of Constantine the Great and her Finding of the True Cross, Leiden 1992 e Id., Helena Augusta: Exemplary Christian Empress, Studia Patristica 24, 1993, 85 ss., con E.D. Hunt, Holy Land Pilgrimage in the Later Roman Empire AD 312-460. Oxford, 1982, 32 ss. in base a H. J.W. Drijvers-J. Will. Drijvers, The Finding of the True Cross. The Judas Kyriakos Legend in Syriac. Introduction Text and Translation, CSCO 565, Subs. 93, Louvain 1997. 427 Cfr. Holum, Theodosian Empresses, cit., 423 ss. 428 VC 3, 42, 11-17 Heikel: «Poiché si prese cura di pagare il debito della santa devozione a Dio, signore dell’universo, e per suo figlio, un così grande imperatore e per i Cesari, figli di costui carissimi a Dio e 80 ἐπειδὴ γὰρ αὕτη τῷ παμβασιλεῖ θεῷ τὸ τῆς εὐσεβοῦς διαθέσεως ἀποδοῦναι χρέος ἔργον ἐποιήσατο, ἐφ᾽ υἱῷ τε βασιλεῖ τοσούτῳ παισί τε αὐτοῦ καίσαρσι θεοφιλεστάτοις, ἑαυτῆς ἐκγόνοις, τὰ χαριστήρια δεῖν ᾧετο. δι᾽εὐχῶν ἀποπληρῶσαι, ἧκε δὴ σπεύδουσα νεανικῶς ἡ πρέσβυς, ὑπερβαλλούσῃ φρονήσει τὴν ἀξιάγαστον ἀνιστορήσουσα γῆν ἔθνη τε τὰ ἑῷα καὶ δήμους ὁμοῦ καὶ λαοὺς βασιλικῇ προμηθείᾳ ἐποψομένη. L'aspetto politico dell'operato dell'Augusta fu ulteriormente evidenziato da Ambrogio nel De obitu Theodosii, in cui il potere di Elena era chiaramente fatto derivare dal suo archetipo. L'imperatrice, madre del primo imperatore cristiano, presentava caratteristiche soteriologiche, in quanto continuava l'opera di redenzione di Maria e, come la Vergine aveva riscattato il genere umano, generando Cristo, così l'Augusta aveva dimostrato la resurrezione del Salvatore,

ritrovandone la croce, sicché Ambrogio più specificamente giunse ad affermare:429 Visitata est Maria (dal Cristo) ut Evam liberaret, visitata est Helena (dallo Spirito Santo) ut redimerentur imperatores. La narrazione del vescovo aggiunse al ritrovamento della croce, quello dei chiodi, utilizzati dall'imperatrice per la corona e il morso del cavallo di Costantino. Ambrogio, interpretando a suo modo il passo di Zach. 14, 20 (Ev δὲ τῇ ἡμέρᾳ ἐκείνῃ ἔσται τὸ ἐπὶ τὸν καλινὸν τοῦ ἴππου ἄγιον τῷ κυρίῳ παντοκράτορι), rese questo rinvenimento fondamentale per la teologia imperiale cristiana, considerando il morso metafora del rapporto tra Dio e il suo mimema. Non importava se la donna che aveva reso possibile ciò, fosse giunta ad regnum de stercore; la bona stabularia aveva meritato, per le sue qualità morali, il ruolo che Dio le aveva affidato;430 Cuius temporibus completum est propheticum illud: "In illo die erit, quod super frenum equi, sanctum domino omnipotenti". Quod illa sanctae memoriae Helena, mater eius infuso sancto dei spiritu revelavit. Il riscatto della donna fu portato avanti da Rufino d’Aquileia, il quale non attribuiva il merito della fede materna a Costantino, ma riteneva, come in seguito l’amico Paolino di Nola, che fossero state le qualità morali ad assicurare a Elena la ricompensa di tale figlio, in particolare l’umiltà devota, dimostrata alle vergini in Gerusalemme:431 Regina venerabilis… virgines... Deo sacratas… tanta… devotione curasse dicitur, ut… ipsa manibus suis, famulae habitu succincta, cibum apponeret... et regina orbis et mater imperii, famularum Christi se famulam deputaret. In Rufino l'immagine dell'imperatrice assurge definitivamente a modello di carità cristiana, modello su cui venne forgiata da Gregorio Nisseno anche l’immagine di Elia Flaccilla, madre di Arcadio ed Onorio, moglie umile ed esemplare di Teodosio I e, non ultimo motivo

di lode, collaboratrice del marito nella sua politica religiosa e sociale:432 ἐκεῖ αἱ ἀκτῖνες τῶν ἀρετῶν ἠμαυρώθησαν. οἴχεται τῆς βασιλείας τὸ ἐγκαλλώπισμα, τὸ τῆ δικαιοσύνης πηδάλιον, ἡ τῆς φιλανθρωπίας εἰκών, μᾶλλον δὲ αὐτὸ τὸ ἀρχέτυπον. ἀφῃρέθη τῆς φιλανδρίας ὁ τύπος, τὸ ἁγνὸν τῆς σωφροσύνης ἀνάθημα, ἡ εὐπρόσιτος σεμνότης, ἡ ἀκαταφρόνητος ἡμερότης, ἡ ὑψηλὴ ταπεινοφροσύνη, ἡ πεπαρρησιασμένη αἰδώς, ἡ σύμμικτος τῶν ἀγαθῶν ἁρμονία. οἴχεται ὁ τῆς πίστεως ζῆλος, discendenti di essa stessa, l'anziana donna, con zelo giovanile, si mise in viaggio con straordinaria saggezza per visitare la terra degna di venerazione e per ispezionare con regale sollecitudine le province d’Oriente, i paesi e i popoli». 429 Ob. Theod. 46, 9 ss. 430 Ob. Theod. 40, 11-14. 431 H..e.17 e 8, PL 22, 475 C e 477 B. 432 Greg. Nyss. in Plac. 9 (478-480 Heil-van Heck-Gebhard-Spira). Sul modello vincente in Occidente vd. F. E. Consolino, Modelli di comportamento e modi di santificazione per l'aristocrazia femminile d'Occidente, in A. Giardina (a cura di), Società romana e impero tardoantico I, Roma-Bari 1986, 273 ss.; con E. Borresen Kari, The image of God and gender models in the judaeochristian tradition, Oslo, 1991 e S. Elm, Virgins of God, The Making of Ascetism in Late Antiquity, Oxford 1994. 81

ὁ τῆς ἐκκλησίας στῦλος, ὁ τῶν θυσιαστηρίων κόσμος, ὁ τῶν πενομένων πλοῦτος, ἡ πολυαρκὴς δεξιά, ὁ κοινὸς τῶν καταπονουμένων λιμήν. Anche Eudossia, moglie di Arcadio, si adeguò all'immagine tracciata da Gregorio di Nissa e di certo la sua philandria non poté mai essere messa in discussione. Infatti nel 397 nacque la primogenita Flaccilla, nel 399 la secondogenita Pulcheria, nel 401 il sospirato erede Teodosio, nel 403 Marina e nel 404 Eudossia attendeva un altro figlio, quando un aborto le procurò la morte. Proprio la maternità, che ne determinò la fine, non solo consentì alla figlia di Bautone, a partire dal 399, il distacco dall’ingombrante alleato, Eutropio, ma anche le permise l'ascesa al potere. L'eunuco, infatti, si era alienato i senatori e i militari con la sua politica contro il patrocinio e, per la sua avidità, aveva suscitato l'ostilità della maggior parte dei contribuenti, mentre la basilissa era riuscita a procurarsi l'alleanza di Gainas433 e, alla fine, approfittando dell’errore politico di Eutropio, che era arrivato a minacciarla, aveva ottenuto dal marito l'allontanamento del praepositus e la promozione di Aureliano alla prefettura (luglio 399). La basilissa si era prostrata platealmente dinanzi ad Arcadio, tendendogli le figlie e mettendo Eutropio di fronte a uno dei pilastri del potere femminile, la maternità, che assicurava durata e stabilità alla dinastia, determinando la sconfitta politica e la morte dell'eunuco. Nulla aveva potuto Giovanni Crisostomo il quale, debitore dell'episcopato allo stesso praepositus sacri cubiculi, invano aveva tentato di sottrarlo alle grinfie del nuovo prefetto al pretorio, Aureliano. Eudossia non si era limitata a coinvolgere il marito, seguendo le orme di Flaccilla, ma aveva instaurato dei rapporti di patronato con i ceti di governo costantinopolitani, grazie alla sua philantropia, ed aveva saputo attrarre anche i cristiani di altre province, come dimostra la Vita Porphirii, biografia di un holy man,434 il quale ottenne dall'imperatore la distruzione del tempio di Zeus Marnas, per l'opera di mediazione dell'imperatrice.

Nella biografia l’autore, il vescovo di Gaza, Marco il Diacono, ci fornisce gli elementi per apprezzare la capacità di procurarsi il consenso, dimostrata da Eudossia, nonché la sua destrezza nell’utilizzo dei philotheoi. L’Augusta, in effetti nell'interesse di entrambi, convinse Porfirio non solo a benedire la creatura che portava in grembo, ma anche a profetizzarne il sesso maschile. Infatti la nascita di Teodosio rafforzò l’ascendente di Porfirio su Eudossia, come anche quello della moglie sull'imperatore. Durante la festa dell'Epifania del 402, quando il neonato fu battezzato, Porfirio presentò la sua petizione all'infante e riuscì a ottenere che la richiesta venisse esaudita da Arcadio. A quel punto Eudossia poté finalmente fare eseguire l'ordinanza da un funzionario, cristiano e devoto, Cynegio,435 probabilmente membro di una famiglia di funzionari fedeli alla causa teodosiana. Questi era una piccola tessera del mosaico che, grazie all'epistolario sinesiano, comincia ad affiorare, e illustra la vasta rete di alleanze che si era venuta a formare, comprendente personaggi illustri come Antemio, a partire dal 405 eminenza grigia della corte constantinopolitana, o Aureliano, o ancora l’amico del prefetto al pretorio, il comes Giovanni, che i maligni indicavano come il padre naturale di Teodosio II.436 Era stato probabilmente il comes a tenere in braccio il neonato durante il battesimo che aveva permesso a Porfirio di realizzare il proprio desiderio, Il princeps era stato, secondo la consuetudine, battezzato dal vescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, ma il padrino era stato Severiano, vescovo di Gabala in Siria.437 La scelta rappresentava un pesante indizio della difficoltà di rapporto tra il vescovo vicino a Eutropio e l'imperatrice, poiché una simile opzione significava incrinare l’autorità spirituale del patriarca costantinopolitano, già minata dalla crescente popolarità del rivale e dall’ascendente conquistato sull'imperatrice, minaccia che procurò l'espulsione del vescovo siriano da parte del Crisostomo. L'intesa tra la moglie dell'imperatore e Giovanni che, nei primi anni di episcopato, sembrava destinata a durare, franò miseramente a causa del tradimento di Eutropio da parte di Eudossia, ma, 433 Quando Gainas fu inviato a pacificare i federati goti, ribellatisi in Frigia, egli sostenne la richiesta di Tribigildo, il loro capo, di deporre Eutropio, mentre la corte occidentale, ovviamente, non riconosceva lo sconcio

del consolato di un eunuco (Claud. carm 20, in Eutr. II, 68-69). Contro il praepositus fu utilizzato anche un terremoto (O. Sceck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, Berlin 1913, 305-306), che, prima dell'assunzione del consolato, sconvolse la città dinastica e la portò, in un furore di penitenza, ad affidarsi alle autorità ecclesiastiche. Cfr. Claud. carm 18, in Eutr. I, 1-7; Philost. h. e. XI 7, insieme a Marcell. Comes chron. a 396, 3 ( MGH AA XI, Chron. Min. II, 64); Chron. Gall. ad a. CCCCLII a. 395 ( MGH AA IX, Chron. Min. I, 650, 33). Sugli eunuchi, la loro carriera c il loro potere cfr. L. James (Ed.), Women, Men and Eunuchs: Gender in Byzantium, London 1997, 24-51. 434 Marc. Diac. v. Porph. 30-34. 435 Ibid., 51, 54, 63, 69. Cfr. PLRE II, 331. 436 Zos. V 18-19. 437 Gennad. vir. ill. 21. 82

soprattutto, per la capacità di controllo del favore popolare e le mire dirigistiche, anche in campo religioso, dimostrate dall'Augusta. Il vescovo scelto da Eutropio era il naturale avversario del tipo di donna rappresentato dalla figlia di Bautone, molto lontana dall'esempio fornito dalla tapeinotes di S. Elena. Ella pur dimostrando l' humilitas femminile nel suo rapporto con il popolo, era l'imperatrice direttamente a deo coronata, dunque si riteneva libera da ogni soggezione nei confronti dell’organizzazione ecclesiastica e capace, esclusivamente grazie al privilegiato rapporto con Dio, cementato dall’ eusebeia, di conseguire la vittoria sui nemici. La zecca constantinopolitana, infatti, propagandò nelle sue monete il motivo della dextera Dei,438 che, sporgendo dal nimbus, non solo proteggeva AEL. EUDOSSIA AUG., ma l'incoronava.439 Il rovescio, nella sua complementarietà, poi, raffigurava una vittoria alata in trono, come già per Flaccilla, con il chrismon sullo scudo e la legenda SALUS REI PUBLICAE. Contemporaneamente, in accorto sincronismo le fonti letterarie descrivevano la dextera dei sporgere da un nimbus per cacciare i barbari, in fuga davanti a Dio.440 Fig. 3 - D/: Flaccilla diademata con legenda AEL. FLACILLA AUG. R/: Vittoria alata reggente scudo con chrismon

con legenda SALUS REI PUBLICAE (AE2. RIC 9, XVI 8) (Zecca di Costantinopoli). Fig. 4 - D/: Eudossia diademata e incoronata dalla dextera Dei con legenda AEL. EUDOXIA AUG. R/: Vittoria alata reggente scudo con chrismon e legenda SALUS REI PUBLICAE (AE3. R/C 10, V 103). (Zecca di Antiochia). 438 Mac Isaac, The Hand of God, cit., 322-328, che sottolinea i precedenti ebraici. 439 Cfr, A.A. Boyce, Eudoxia, Eudocia, Eudoxia: Dated Solidi of the fifth Century, ANSMN 6, 1954, 131-142. 440 Soz, h. e. VIII 4, 14 (380 Bidez-Hansen). 83 Giovanni Crisostomo, probabilmente, era rassicurato dalla tipologia femminile molto ben rappresentata dalle "sue" vedove, ricche e nobili come Pentadia, Silvina o ancora Olimpiade, e, soprattutto, tranquille e sottomesse. Esse erano consapevoli del marchio di Eva impresso su di loro e, per questo, non agognavano una gratificante leadership né ardivano ad aspirare al governo dell'impero. L'ostilità tra il vescovo e l'imperatrice esplose quando si aggiunsero, agli altri motivi di contrasto, problemi dottrinali, dai risvolti politici non certo insignificanti. Le proprie convinzioni, infatti, portarono l'Augusta a favorire il monofisismo della scuola d' Alessandria con il suo antesignano Teofilo e ad avversare il duofisismo di Antiochia, al cui insegnamento il Crisostomo era stato educato.

Teofilo salpò per Costantinopoli e riuscì a convogliare su di sé il consenso dei nemici del vescovo costantinopolitano. Questi erano in vero numerosi e potenti, poiché il Crisostomo, con la sua intransigenza, si era alienato il favore di molti e, specialmente, quello dell'imperatrice, avendola identificata con la nuova Jezebel. Secondo Dagron,441 Giovanni avrebbe utilizzato il paragone offensivo, allorquando egli era venuto in contrasto con l'Augusta per le proprietà di Olimpiade. In quella occasione il vescovo avrebbe tentato di difendere gli interessi della Chiesa con tutti i mezzi della propaganda cristiana; mezzi resisi necessari poiché quei beni erano entrati in possesso della Chiesa,442 mentre sarebbero, invece, spettati di diritto alla famiglia imperiale, grazie al matrimonio della diaconessa con Nebridio, prefetto al pretorio e parente di Flaccilla seniore. Infatti i tardi biografi del Crisostomo, Teodoro di Trimithus e lo pseudoGiorgio d’Alessandria,443 ispirandosi presumibilmente alle orazioni del vescovo, rielaborarono il confronto tra Jezebel, impadronitasi ingiustamente della vigna della vedova di Naboth, ed Eudossia, la quale, con ferrea determinazione, sebbene senza ricorrere all'omicidio, intendeva appropriarsi di quella “vigna”. Nella loro presentazione dell'ingiustizia commessa dall'Augusta, probabilmente essi usufruirono del testo dello stesso Giovanni, che non si astenne dal reiterare l'offesa anche in altri discorsi, come si può desumere dalla motivazione della sentenza del sinodo che decise la deposizione del Crisostomo per lesa maestà, in quanto il vescovo avrebbe usato il nome di Jezebel per rivolgersi all'imperatrice (ἐκεῖνοι ἀνήνεγκαν, ὅτι εἶπεν αὐτὴν Ἰεζάβελ).444 Del resto, anche il sermone del vescovo, successivo alla sentenza, svela l’ostilità nei confronti dell'Augusta grazie all’identificazione del patriarca con la sua ecclesia, entrambi contrapposti a Eudossia, creatura del Male e discendenza di Jezebel, omologo negativo della Vergine Maria, capace di vincere Satana e di non cedere al desiderio sessuale:445

Ἢ ὅπου ἐγὼ, καὶ ὑμεῖς ἐκεῖ: ὅπου ὑμεῖς, ἐκεῖ κἀγώ· ἕν σῶμά ἐσμεν· οὐ σῶμα κεφαλῆς, οὐ κεφαλὴ σώματος χωρίζεται. Διειργόμεθα τῷ τόπῳ, ἀλλ᾽ ἡνώμεθα τῇ ἀγάπῃ... ἔτι περιλέλειπται τῆς Ἰεζάβελ ὁ σπόρος. Il contrasto tra il Palazzo e la Chiesa si rinnovò anche dopo il ritorno di Giovanni dall’esilio, in occasione delle celebrazioni, con danze e mimi, per la dedica di una statua dell’imperatrice,446 alle quali il vescovo rispose con un’arringa alla folla dei credenti contro la nuova Erodiade,447 provocando altri disordini e assicurandosi l'esilio definitivo in Armenia, da cui tuonava la sua condanna:448 Ἰεζάβελ θορυβεῖται, καὶ Ἠλίας φεύγει: Ἡρωδιὰς εὐφραίνεται, καὶ Ἰωάννης δεσμεύεται. 441 Cfr. G. Dagron, Naissance d'une capitale, Paris 1974, 498 ss. 442 Mar. Diac. v. Porph. 37. 443 Thdr. Trim. v. Chrys. 15; Geo. Al. v. Chrys. 41. 444 Pall. dial. 8 (50-51 Coleman-Norton) contiene la sentenza che cita dei λίβελλοι, in cui era contenuta l'accusa di καθοσίωσις. Cfr. in merito F. van Ommeslaeghe, Jean Chrysostome en conflit avec l'impératrice Eudoxie, AB 97, 1979, 132-133, 152-153. 445 Io. Chrys. hom. ante exil., PG LII, 431. Cfr. Chr. Baur, Der heilige Johannes Chrysostomus und seine Zeit, München 1929-1930, I, 181. 446 Socr, h. e. I 18, 1-5 (340 Hansen); Marcell. Comes chron. a. 403, 2 ( MGH. AA XI, Chron. Min. II, 67); Thphn. chron. a. m. 5898 (1 79 de Boor). Sull'iscrizione cfr. C. Mango, The Byzantine Inscriptions of Constantinople, A Bibliographical Survey, AJA 55, 1951, 63. 447 Io. Chrys. hom. ante exil., PG LII, 431.

448 Io. Chrys. hom. cum ir. in exil., PG LII, 437. Cfr. sulle testimonianze del conflitto T. Gregory, Zosimus 5, 23 and the People of Constantinople, «Byzantion» 43, 1973: 61-83. 84 Il megas basileus sembrò esaudire le preghiere del vescovo, poiché l'Augusta morì solo alcuni mesi dopo l'esilio del Crisostomo; ma l'Eva del V sec. era destinata a risorgere, dotata di maggiore concretezza, di più chiara consapevolezza e di ben più profondo acume politico, nella persona della figlia Pulcheria. La giovane principessa, seguendo l'esempio materno, portò avanti l’esaltazione delle donne della casata, prassi tipica della dinastia teodoside, sfruttando con scaltrezza la ‘demilitarizzazione’ dell’ideologia imperiale. Le prime avvisaglie di un’opposizione al precedente sistema di governo, realizzato dal prefetto al pretorio Antemio, si palesarono nella querelle, intercorsa nel 412 tra Pulcheria ed Antioco. L'eunuco, con accortezza, senza scontrarsi con il prefetto, si era preso cura della vita privata dei nobilissimi pueri e aveva indirizzato, coscientemente, verso un'educazione di tipo tradizionale i giovani principi. Egli, con altrettanta cura e prudenza, gestiva le loro frequentazioni ed amicizie, che avrebbero potuto avere delle rovinose conseguenze sulla credibilità del regime in vigore. Pulcheria nel 412, però, iniziò a esercitare sul fratello quell’ascendente che indusse gli storici a ritenerla epitropos dell'imperatore,449 vero e proprio tutore del fratello, in deroga a qualsiasi prescrizione del diritto romano, che vietava una simile funzione alle donne. La rivendicazione di un tale ruolo, pertanto, ci fa comprendere la vis eversiva del programma di Pulcheria e dei suoi consiglieri e spiega i tentativi perpetrati per bloccarne l'attuazione. 449 Soz. h. e. IX 1, 2-3 (390 Bidez-Hansen). L'adozione come prassi politica e come forma particolare dell'attività diplomatica tardoantica, nei suoi aspetti giuridici, è stata attentamente analizzata da P. E.

Pieler, L’aspect politique et juridique de l'adoption de Chosroès proposée par les Perses à Justin, RIDA 19, 1972, 399-433. Come è noto il racconto, relativo alla trattativa per l'adozione di Kosroe, in Procopio è legato a quello per l'adozione di Teodosio II (Procop. I 2, 110; 17, 17-9, 7 Haury-Wirth). La notizia relativa a quest'ultimo è tramandata con incredulità da Agazia (IV 26, 7; 157 Keydell), su cui vd. Av. Cameron. Agathias on the Sassanians, DOP 23-24, 1969-1970, 67-183, ed è ripresa da Teofane ( chron. a. m. 5900; 80, 8-24 de Boor); da Zonara (XIII 22; II 236 Dindorf); da Cedreno (I 586, 3-7 Bekker); da Niceforo Callisto ( h. e. XIV 1; PG CXLVI, 1056-1057). Procopio, in effetti, ricorda che Arcadio, per salvaguardare il figlio Teodosio da congiure o da guerre intestine, lo affidò a Yezdegerd, il quale, da parte sua, scrisse immediatamente al senato costantinopolitano, dichiarando di voler accettare il ruolo di epitropos di Teodosio II e promettendo di muovere guerra a chiunque intendesse minacciare l'incolumità dell'imperatore fanciullo. La tutela dell'Augusto romano d'Oriente, d'altro canto, diede al re persiano ancora maggiore consapevolezza della sua forza, che egli manifestò apertamente durante il sinodo di Seleucia, quando, al clero che gli rendeva omaggio, dichiarò che Occidente ed Oriente erano uniti sotto il dominio della propria maestà ( Syn. Orient. 256 Chabot). Nella realtà Yezdegerd (Thph. chron. a. m. 5900; 80, 1219 de Boor; Chronicle of Theophanes, Mango-Scott, 123-124) controllava la corte costantinopolitana, appunto attraverso l'eunuco Antioco, PSC, epitropos e paidagogos dei nobilissimi pueri (G. Greatrex-J. Bardill, Antiochus the Praepositus: A Persian Eunuchus at the Court of Theodosius II, DOP 50, 1996, II, 180 ss.). L'adozione era diventata praticamente uno dei cardini attorno a cui ruotava spesso l'iniziativa diplomatica tardoantica, come dimostra il ruolo di epitropos di Arcadio, affidato da Teodosio I a Rufino, celebre prefetto al pretorio orientale, e la speculare rivendicazione di Stilicone, il quale

pretendeva, peró, di avere anche una sorta di diritto di prelazione sull'Oriente. Proprio in riferimento all'importanza assunta dalla nozione e dalla relativa attuazione, la testimonianza di Sozomeno sulla volontà di Pulcheria di sostituire Antioco nelle sue responsabilità e sulla scelta della giovane di appoggiarsi a un diverso entourage, assume il significato di un vero e proprio passaggio di consegna del potere. Sulla terminologia diplomatica nel mondo antico, dall’antico Oriente a Bisanzio, cfr. gli importanti contributi in M.G. Angeli Bertinelli-L. Piccirilli (a cura di), Linguaggio e terminologia diplomatica dall'antico Oriente all'impero bizantino, Atti del Congresso Nazionale, 19 nov. 1998 Genova, Roma 2001, con le Conclusioni di M. Mazza, 147-168 e Id., Bisanzio e Persia nella Tarda Antichità: note su guerra e diplomazia nella seconda metà del IV secolo d. C., in U. Criscuolo (a cura di), Da Costantino a Teodosio il Grande. Cultura, società, diritto, Atti del Convegno Internazionale, Napoli 26-28 Aprile 2001, Napoli 2003, 405-440 e spec. Bisanzio e Persia nella Tarda Antichità: note su Guerra e diplomazia da Arcadio a Zenone, in La Persia e Bisanzio, Convegno Internazionale, Roma, 14-18 ottobre 2002, Atti dei Convegni Lincei 201, Roma 2004, 39-76, entrambi ora in Id., Cultura guerra e diplomazia nella tarda antichità. Tre studi, Catania 2005, 121-217. Per lo sviluppo dell'elemento diplomatico nella politica estera tardoantica cfr. R.C. Blokley, East Roman Foreign Policy Formation and Conduct from Diocletian to Anastasius, Leeds 1992; in generale vd. anche il classico R. Helm, Untersuchungen über den auswärtigen diplomatischen Verkehr des römischen Reiches im Zeitalter der Spätantike, «Archiv für Urkundenforschung» 12, 19311932, 375-436. 85 Una probabile reazione alla nuova leadership potrebbe essere considerato il tentativo del magister militum praesentalis,450 Lucio, di assassinare il giovane Teodosio II per favorire un usurpatore che potesse sposare una delle sorelle. Infatti, dato che una consuetudine

consolidata prevedeva il consolato per i magistri nell'anno della loro promozione, il Lucio cos. del 413 potrebbe essere il militare legato a Antemio, che, per ordine del prefetto, avrebbe attentato alla vita dell’imperatore, ma che ne sarebbe stato impedito da una donna, la quale avrebbe protetto l'Augusto, avvolgendolo in un abbraccio.451 Anche la trasformazione dell'immagine pagana dei divini protettori dell’imperatore, la fortuna o il genius publicus, sembra essere estremamente significativa e sembra voler espressamente indicare un nuovo modello, la cui elaborazione rifletteva l'archetipo mariano, in grado di contrastare la malvagità degli uomini, inermi dinanzi alla forza del suo amore. Certo la speranza di tutela dei principi e la fiducia riposta nella difesa da parte persiana dovevano apparire alquanto rischiose e improbabili rispetto alla protezione garantita da Dio, tramite la Vergine e grazie all’ eusebeia dell'imperatrice, la quale replicava sulla terra il modello celeste. Il palazzo imperiale si trasformò dal centro politico che era stato, nella forma e nella sostanza, al tempo di Arcadio ed Eudossia, in un'altro tipo di struttura dall'immagine monastica, capace di incidere sull'immaginario e sulla realtà effettiva, in misura forse maggiore, perché in armonia con il nuovo sistema di valori e la mutazione di prospettiva. Sozomeno452 fa risalire il cambiamento alla ‘divina risoluzione’ presa da Pulcheria, allorché decise di contrastare il progetto politico del prefetto al pretorio Antemio, in cui era forse compreso anche il matrimonio della principessa con un giovane discendente degli Anthemii, Fl. Antemio Isidoro Teofilo attestato come praeses provinciae Arcadiae - il quale, evidentemente, per l'importanza della famiglia,453 costituiva un ostacolo all'autonomia della Casa reale. Pulcheria decise di votarsi insieme con le sue sorelle alla verginità, in modo tale da salvare la dinastia e da impedire l'accesso al potere a qualsiasi aspirante di genere maschile, forse, siamo autorizzati a sospettare, anche allo stesso imperatore. Diventata Augusta nel 414,454 anno a partire dal quale non si ha più notizia di Antemio padre, ella, infatti,

celebró il proprio potere attraverso i Long-Cross solidi.455 Questi rappresentavano la dextera Dei incoronante l'imperatrice, per testimoniare, come già la madre Eudossia,456 l'elezione divina tramite linea femminile. I solidi, d'altro canto, mediante la simbologia della croce della vittoria, indicavano, contemporaneamente, la volontà di porre fine alla politica antemiana di tolleranza dello zoroastrismo, decisione che aveva condotto la basilissa all'esautoramento dell'orientale Antioco e preludeva allo scontro con la Persia. 450 Cfr. A. Demandt, Magister militum, in RE Suppl. XII, 1970, 747, considera Lucio magister agli inizi del regno di Teodosio II, quando un Lucio fu incaricato da Antemio di trarre fuori dai Bagni di Costantino i seguaci di Giovanni. J.R. Martindale, PLRE II, 691-692, li considera due persone diverse, ritenendo il console del 413 ancora un terzo funzionario, ma Holum, Theodosian Empresses, cit., 82, sulla scorta del succitato Demand, Magister, cit., 755, sottolinea la frequenza con la quale i magistri militum ottennero il consolato nell'anno della loro promozione, ricordando Plinta (419), Asclepiodoto (423) e Zenone (448). Lo studioso non ne trae però le estreme conseguenze, cioè che l'attentato di Lucio fosse una risposta all’ascesa della principessa. 451 Dam. v. Isid. fr. 303 (188 Zintzen). 452 Soz. h. e. IX 1, 3-4 (390 Bidez-Hansen). 453 Il padre di Teofilo era Antemio Isidoro, PVC nel 410-412, PPO Ill. nel 424 e PPO nel 435. Cfr . Stud. Pal. XIV, 12a e POxy. XVI, 1879. Cfr. J. Keil, Die Familie des PrätorianerPräfekten Anthemius, AAWW 79, 1942, 185-203. Secondo K. Holum, Pulcheria Crusade and the Ideology of Imperial Victory, GRBS 18, 1977, 160 e Id., Theodosian Empresses, cit., 110, insieme a St. Williams-G. Friell, The Rome That did not Fall. The Survival of the East in the Fifth Century, London 1999, 48 ss., tale minaccia giustificherebbe il voto delle figlie di Arcadio. L'attentato di Lucio, però, potrebbe essere stato un potente fattore catalizzatore, dopo il quale

Pulcheria cercò di salvaguardare la vita dei fratelli e la stabilità del governo dei Teodosidi. 454 Chron. Pasch. a. 414 (571 Bonn); Marcell. Comes. chron. a. 414, 1 ( MGH AA. XI Chron. Min. II, 71). 455 Sul tema iconografico vd. Kent, Auream monetam, cit,, 129 ss. e Boyce, Festal and Dated Coins of the Roman Empire, cit., 60 ss.; Storch, The Trophy and the Cross, cit., 105 ss. Vd. anche infra n. 131. 456 Vd. supra 161, fig. 4. 86

Fig. 5 - D/: Pulcheria diademata e incoronata dalla dextera Dei con legenda AEL. PULCHERIA AUG. R/: Vittoria alata stante con Long Cross e legenda VOT. XX MULT. XXX ( RIC 10, X 255). (Zecca di Costantinopoli). Nel caso di Pulcheria, però, e questo era il fattore rivoluzionario e dirimente, l'emissione non fu collegata alla maternità, ma, al contrario, al voto di verginità. Esso diede un nuovo significato alla simbologia della croce, trasformando il sacrificio costantiniano e il conseguente patto dell'imperatore con il re celeste nel sacrificio della femminilità dell Augusta, la quale, enfatizzando il ruolo mariano, veniva a

sostituirsi, con sottile sagacia, all'intermediario di sesso maschile tra il mondo divino e il mondo umano. Non a caso, la nobilissima puella fu ben attenta a rendere pubblico il suo voto e, nella primavera del 413, nello stesso tempo in cui Isidoro abbandonava la prefettura urbana, commissionò un altare in oro e tempestato di pietre preziose per la Cattedrale, in cui volle fosse ricordato, tramite un'iscrizione, che esso era stato eretto ὑπὲρ τῆς ἰδίας παρθενίας καὶ τῆς τοῦ ἀδελφοῦ ἡγεμονίας.457 L'Augusta fu sostenuta nella sua azione da Elione, magister officiorum dal 414 al 427,458 da Aureliano, ritornato a rivestire la prefettura pretoriana 459e dal vescovo Attico, con ogni probabilità l'ideologo del gruppo, fondatore della nuova ‘teologia imperiale’,460 alla base del progetto politico di Pulcheria, nonché attore importante nella conversione di Eudocia.461 Elione fu un abile diplomatico, che portò a termine le trattative di pace con la Persia nel 422, data l'impossibilità di giungere a una vittoria decisiva; Aureliano, invece, era un vecchio sostenitore della madre della nuova Augusta, il quale sembrò riprendere il filo di un discorso interrotto nel 404, per la necessità imposta dalla morte di Eudossia. Il 30 dicembre del 414, infatti, il prefetto fece erigere una statua di Pulcheria nel senato costantinopolitano, tra i busti di Teodosio e di Onorio. Per tal via, egli intendeva sottolineare la parità tra la giovane basilissa e gli Augusti, suoi colleghi nel governo dell'impero; concezione paritaria che il funzionario aveva cercato già di far emergere, durante la sua collaborazione con l'imperatrice madre Eudossia, e che la giovane Pulcheria desiderava fosse propagandata.462 457 Soz. h. e. IX 1, 3-4 (390 Bidez-Hansen). 458 Per Jones, LRE, cit., 232, il ‘nuovo reggente’. 459 Sulla prestigiosa carriera di questo funzionario, sostegno fondamentale per Eudossia e Pulcheria vd. PLRE

II, 128-129. 460 Sulla ‘teologia’ costantiniana vd. supra I n. 10. 461 L'importanza del vescovo si desume dalla testimonianza di Gennad. vir. ill. 53 e di Marcell. Comes chron. a. 416 ( MGH AA XI Chron. Min. 11, 73). 462 Marcell, Comes chron. a. 414, 1 ( MGH AA XI Chron. Min. II, 71); Chron. Pasch. s. a. 414, 2 (580 Bonn). In merito alla riflessione sul potere durante il regno di Teodosio II cfr. Millar, A Greek Roman Empire, cit., 160 ss. 87 Dal canto suo, Attico operò attivamente a favore delle donne, discriminate a causa della loro origine da Eva,463 come testimonia una sua omelia, pronunciata durante la festività del Natale.464 Per il vescovo di Costantinopoli Maria rappresentava l’archetipo virginale, a cui le tre sorelle di Teodosio dovevano adeguarsi, per prendere parte attiva alla redenzione dell’universo e aprirsi alla comprensione del divino. Grazie alla loro castità, alla loro fede e alla loro obbedienza, esse avrebbero ricevuto Cristo nel grembo della fede, mettendo in atto modalità comportamentali esemplari, quelle dell’immacolata Concezione. Nel gioco dei continui rimandi e delle frequenti allusioni non fu certo trascurabile il ruolo rivestito da Proclo, vescovo di Costantinopoli dal 434, e non a caso autore di alcuni dei discorsi di Attico, che mise in relazione l’immacolata Concezione con il sacrificio di Pulcheria e il Crocifisso,465 immagine che ebbe una certa fortuna e che testimonia l'attenta orchestrazione della propaganda imperiale.466 Questa, tra l'altro, si svolgeva spesso anche all'interno della Cattedrale, in occasione di solenni e frequentatissime celebrazioni. Simili cerimonie, grazie al consenso spesso manifestato dalle autorità ecclesiastiche,

rappresentavano un veicolo eccezionale per sottolineare la parità dell'imperatore e dell'Augusta. A testimonianza di ció, quest'ultima, in occasione della Pasqua di Resurrezione, entrava nel santuario, dal quale le donne e i laici erano banditi, a prendere la comunione con il fratello e i sacerdoti, palesando al popolo dei fedeli la sacralità - e la forza - della sua basileia. L'insistenza sull'assimilazione del concepimento del figlio di Dio con il Crocifisso e la riproduzione i in oro e gemme della preziosa ‘croce costantiniana’, trasportata nella Chiesa di Santo Stefano per volere di Pulcheria,467 con l’annesso significato della identificazione mariana e della vittoria cristiana, fa comprendere con quanta cura e con quanta attenzione fosse preparata dall' entourage della basilissa la guerra contro la Persia, dopo la decisione presa da Bahram di appoggiare il clero zoroastriano più intollerante.468 In un momento difficile per la dinastia, allorquando in Occidente la coppia imperiale, formata da Costanzo III e Galla Placidia, faceva pressioni per il riconoscimento, gli Unni cominciavano nuove manovre e si intraprendeva la ‘crociata’ del 421-422469 contro la Persia, la grande abilità dell’imperatrice e dei suoi consiglieri si espresse nell'intelligenza con la quale seppero mescolare vecchi motivi della propaganda imperiale con altri del tutto nuovi, mettendo a punto una strategia di comunicazione estremamente coinvolgente, in grado di assicurare il consenso al governo. Essa si basava essenzialmente sul simbolismo 463 J. Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt und im Urchristentum, Leipzig 1954, 186-210; J.G. Davies, Deacons Deaconesses and Other Minor Orders in Patristic Period, JEH 14, 1963, 1-15. Sulle "i" bizantine, vd. infra 249 n. 464 Cfr. Lebon, Discours d'Atticus de Constantinople «Sur la Sainte Mère de Dieu», «Muséon» 46, 1933 = Brière, Une homélie inédite d'Atticus, Patriarche de Constantinople, cit., 181.

465 Procl. or. 12, PG LXV, 788-789; serm. 1,1-2, ACO I, 1, 103-104. Il paragone di Proclo è particolarmente interessante perché vi è inserito anche il martirio di Stefano: Πάλαι μὲν γὰρ λίθους ἡκόντιζον καταχῶσαι βουλόμενοι τὸν τοῦ σταυρωθέντος πρώταρχον ἀθλητὴν… ἡ δὲ… ἑαυτὴν τῷ Χριστῷ ἀναθεῖσα… τὴν οἰκεία σάρκα τοῖς πάθεσι ἐνέκρωσε, τὸν σταυρωθέντα ἐν ψυχῇ ἐθαλάμευσεν. 466 Cfr. infra 232. 467 Costantino aveva voluto rappresentare in un affresco o su un mosaico, in una delle sale del palazzo, la preziosa croce (Eus. v. C. 1, 29 (21 Heikel); 31, 3 (21-22 Heikel); Cyr. H. ep. Const. 5 ( PG XXXIII, 1 172); Ambr. ob. Theod. 41) e Pulcheria aveva voluto fosse riprodotta nel Martyrion del Santo, probabilmente fin dalla fondazione (vd. supra 167; infra 233-236). 468 Infatti Socr. h. e. VII 17, 2 (362 Hansen) testimonia che Attico, in risposta all'irrigidimento da parte di Yezdegerd, incitò il governo a fare qualsiasi cosa per contrastare la nuova politica persiana, favorendo l’inizio della guerra nel 421, (vd. G. Greatrex, The two Fifth-century Wars between Rome and Persia, «Florilegium» 12, 1993, 1-14 e Id., The Roman Eastern Frontier and the Persian Wars. Part II 363-630 AD., A Narrative Sourcebook, LondonNew York 2002, 87 ss. insieme a Blokley, East Roman Foreign Policy, cit., 48 ss.). 469 Il termine è desunto da Holum, Pulcheria’s Crusade, cit., 153-172. Sulla politica pulcheriana in generale cfr. W. Ensslin, Pulcheria, in RE XXIII/2, 1959, 1961. L'Augusta fu molto abile, con la sua propaganda, a mascherare il tentativo, da parte bizantina, di attirare le tribù saracene a trasferirsi dalla Persia alla zona di influenza romana e di accogliere un enorme massa di rifugiati cristiani, alterando, per questa, via,

delicati equilibri politici e socioeconomici. Cfr. Greatrex, The two Fifthcentury Wars, cit., 1-14; Z. Rubin, The Mediterranean and the Dilemma of the Roman Empire in Late Antiquity, MHR. 1, 1986, 13-62; Mazza, Cultura guerra e diplomazia, cit., 177 ss. 88 della Santa Croce,470 che poteva ben rappresentare la gloria della vittoria cristiana sui Persiani e il loro credo.471 Infatti, dato che, nella prospettiva cristiana, la croce aveva mutato valore semantico, trasformandosi da strumento di morte nel simbolo della vittoria del figlio di Dio proprio sulla morte, ma anche sul male, incarnato dal demonio e dagli infedeli, la sua esaltazione poteva sicuramente preannunciare la vittoria dell’impero romano e cristiano sui nemici.472 Con questo preciso e lucido intento, Teodosio II inviò all'arcivescovo di Gerusalemme, κατὰ μίμησιν τῆς μαχαρίας Πουλκερίας,473donativi per i poveri e una croce d’oro tempestata di gioielli, che doveva essere posta sul Golgota,474 mentre, colle stesse motivazioni, si coniavano i solidi dell'Augusta con un modello iconografico identico a quello usato per il fratello, la croce impreziosita da gemme, che però, in questo caso, aveva un valore aggiunto, poiché sottolineava anche l'assoluta parità di Pulcheria e Teodosio nella possibilità di mediazione tra mondo umano e divino. La nuova interpretazione del ruolo dell'imperatrice come garanzia di vittoria, grazie al sacrificio della propria identità femminile, con ogni probabilità suggerita come abbiamo già affermato, dal vescovo Attico - autore tra l'altro del De fide et virginitate,475 forse scritto appositamente per encomiare la scelta di Pulcheria - si esprimeva anche tramite l'utilizzazione politica delle reliquie di S. Stefano. Nella esaltazione della cerimonia di translatio va, senza dubbio, vista l’accorta regia di Aureliano, sempre presente e fedele consigliere dell'imperatrice, il quale, agli inizi della sua carriera, aveva fatto costruire una cappella, appunto in memoria 470 Essa fu riprodotta in oro e incastonata di gemme preziose, per volere di Pulcheria e

Teodosio. Infatti, secondo Thphn. chron. a. m. 5920 (I 86 de Boor), Teodosio inviò la croce ‘ad imitazione della beata Pulcheria’ κατὰ μίμησιν τῆς μαχαρίας Πουλκερίας, In merito vd. anche infra 233. 471 Sulla reinterpretazione della croce non più, o non tanto, come tappa dolorosa di un percorso di resurrezione, ma essa stessa segno di vittoria, promossa da Costantino e divenuta «logo» dei Costantinidi, che cercarono di rafforzare il nesso σταθρός-νίκη, definitivamente affermatosi grazie agli storici ecclesiastici successivi a Eusebio, cfr. M. Wallraff, La croce negli storici ecclesiastici, MedAnt 5/2, 2002, 461-475, ora con particolare attenzione all'ambiguità religiosa dell'epoca (Id., In quo signo vicit? Una rilettura della visione e ascesa al potere di Costantino, in Bonamente-Lenski-Lizzi Testa (a cura di), Costantino prima e dopo Costantino, cit., 135 ss.) e alle caratteristiche solari e sincretistiche di certe interpretazioni della visione, riflettentisi anche nella simbologia dell'arco trionfale (J. Elsner, Perspectives in Art, in N. Lenski (Ed.), The Cambridge Companion in the Age of Constantine, Cambridge 2006, 257-260 e J. Engemann, Der Konstantinsbogen, in A. Demandt-J. Engemann, Imperator Caesar Constantinus. Konstantin der Grosse, Treviri 2007, 85-89, con N. Lenski, Evoking the Pagan Past: Instinctu divinitatis and Constantine’s Capture of Rome, JLA 1, 2008, 204-257). Sulla realtà di quella guerra, al di là di ogni motivo propagandistico, cfr. Greatrex, The two Fifth-century Wars, cit., 3 ss., mentre, sui rapporti diplomatici di Costantinopoli con la Persia, cfr. spec. Blokley, East Roman Foreign Policy, cit., 48-57. 472 Vd. l'ormai classico Gage, Σταυρὸς νικοποιός, cit., 370 ss. 473 Nic. Call. h. e. XIV 9 ( PG CXIVI, 1084-1085); Thphn. chron. a. m. 5920 (I 86 de Boor); Cedr. 592. 474 Long-Cross solidi furono battuti anche con l'immagine di Teodosio, per testimoniare la volontà di assimilazione a Cristo da parte dei Teodosidi (Kent, Auream monetam, cit., 130 ss., con I. I. Tolstoi,

Monnaies byzantines, San Pietroburg 1912, 46-51). Sullo sviluppo del nesso vittoria/Cristo cfr. M. R. Alföldi, Bild und Bildsprache der Römischen Kaiser, Mainz am Rhein 1999, 197. 475 Gennad. vir. ill. 53; Marcell. Comes chron. a. 416, 2 ( MGH AA XI Chron. Min. II, 73). Gennadio ricorda come Attico avversasse il duofisismo (Bardy, Atticus de Constantinople et Cyrille d'Alexandrie, in Fliche-Martin, Histoire de l'Église, III, Paris 1937, trad. it. cit., 149 ss.). D'altro canto, il motivo della madre di Dio era in stretta relazione con il modello mariano che egli intendeva contribuire a diffondere, come testimonia l'omelia pronunciata durante la festività del Natale (Lebon, Discours, cit., = Brière, Une homélie, cit., 181). All'esaltazione della santità dell'imperatrice (cfr. Ch. Angelidi, Pulcheria, La castità al potere, c.

399-c. 455, trad. it. Milano 1988, 87-112) collaborò attivamente anche Cirillo ( ACO I 1, 5, 62), il quale sembra aver voluto, a ragion veduta, l'eliminazione della vergine pagana Ipazia, avvertita come modello contrappositivo pericoloso, oltre che polo di aggregazione politica, rivale da eliminare assolutamente. Il ‘laico’ Socrate (VII 21; 368 Hansen), con l’importanza attribuita alla neoplatonica, certamente e, forse, non casualmente, mise in risalto il paradossale comportamento del vescovo, alleato della vergine cristiana, ma crudele e deciso oppositore della vergine pagana. 89

di S. Stefano,476 ed era certo consapevole del fatto che il martire, attraverso la simbologia della corona, evocata dal suo nome, rappresentasse il miles cristiano ideale, che avrebbe vinto in nome e per la Croce. Le reliquie del protomartire, donate da Prayllio, vescovo di Gerusalemme, in ringraziamento dei donativi e della croce avuti in dono, furono accolte da Pulcheria a Calcedonia e poi trasportate a Costantinopoli, secondo un rituale generalmente riservato a un vero e proprio adventus, come sembra potersi dedurre dal celebre avorio di Treviri.477 Esse, infine, furono collocate nel Martyrium, eretto appositamente all'interno del palazzo imperiale, dove Stefano e il suo simbolo, la corona della vittoria, erano destinati a convivere con l’Augusta.478 Fig. 6 - Treviri, placchetta d'avorio raffigurante la consegna delle reliquie di S. Stefano (Holum-Vikan).

Purtroppo le vicende della campagna persiana smentirono il connubio tra Stefano, incarnazione della vittoria, e la basilissa, riproduzione dell'archetipo virginale. Pulcheria fu costretta all'emarginazione e dovette cedere il passo a un'altra Augusta, che veniva a rappresentare una differente tipologia di donna. La moglie di Teodosio II sicuramente incarnó un diverso ideale, più vicino alla cultura conservatrice e liberale e, nonostante la conversione, favorita dallo stesso Attico conservò alcune caratteristiche che l'avvicinavano a un modello destinato a scomparire tragicamente. Non solo le caratteristiche dell'educazione ricevuta e i luoghi in cui questa fu impartita, ma anche il fatto che Socrate, vicino al partito moderato, sia stato il solo tra i ‘sinottici’ a ricordare la fine di Ipazia, ci fa sospettare che la neoplatonica fosse l’originario modello di riferimento di Atenaide/Eudocia. Anche le qualità grazie alle quali la fanciulla giunse al trono, cioè la sua bellezza e, specialmente, la sua cultura, non facevano certo parte dei parametri cristiani. Soprattutto l’avvenenza fisica faceva di lei un oggetto del desiderio piuttosto che, sul modello mariano, una madre o una vergine. Non a caso la scelta di Atenaide fu narrata come determinata da Pulcheria - racconto legittimante, ma inattendibile - e sostenuta da Paolino, grande amico e magister officiorum di Teodosio II, quasi a profetizzare la colpevole liaison tra i due.479 476 Per la chiesa vd. V. S. Isaaci ( AA. SS., Mai, VII 253). Sulle tendenze religiose di Aureliano cfr. Synes. prov. 1, 18 (108-109 Terzaghi) e vd. R. von Hachling, Die Religionszugehörigkeit der hohen Amsträger des römischen Reiches seit Constantins I. Alleinherrschaft bis zum Ende der theodosianischen Dynastie (Antiquitas III/23), Bonn 1978, 25-28. 477 Cfr. Mac Cormack, Change and Continuity in Late Antiquity, cit., 747 ss. e Gussone, Adventus-Zeremoniell und Translation von Reliquien,

128 ss. L'avvenimento è ricollegato da K. Holum-G. Vikan, The Trier Ivory, Adventus cerimonial and the Relics of St. Stephen, DOP 33, 1979, 113-133, alla scena illustrata dalla tavoletta eburnea di Treviri, che culmina con la consegna all'Augusta, messa in forte risalto. 478 L'espressione usata nell'encomio di S. Stefano (ἐταλάμευσε αὐτόν), trovato tra gli spuria di Giovanni Crisostomo ( PG LXIII, 933), sembra voler indicare lo stretto legame che l'Augusta intendeva sottolineare. 479 Io. Mal. chron. XIV 357-358 ( PG XCVII, 528-529 = 322 Thurn); Evagr. h. e. 120; Chron. Pasch. a. 420-421 (575-579 Bonn) = PG XCII, 792-793; Io. di Nik. 84, 25-37 (trad. Charles); Thphn. chron. a. m. 5911 (I 83 de Boor); Cedr. 590; Zon. XIII 22 (III 100 Biittner-Wobst); Nic. Call. h. e. XIV 23; ( PG CXLVI, 1129). Altri dettagli in Socr. h. e. VII 21, 8, (368 Hansen); Olymp. frg. 28 ( FHG IV, 59); Marcell. Comes 90 In effetti la relazione peccaminosa restituì a Eva suoi tratti diabolici e provocò il fallimento della proposta di Eudocia, in conseguenza del rifiuto del modello da lei incarnato. La condanna dell'imperatrice ci è tramandata, per così dire, con una tecnica allusiva, che lega la sua immagine alla colpevole Eva e alla nociva Elena, causa di phaula per gli uomini e non certo sorgente di bene. Fu questa la contrapposizione vigente ancora nel IX secolo, quando l’imperatore Teofilo, sul punto di sceglier la sposa tra le ragazze più belle del regno e conferirle la vittoria tramite il dono di una mela, imbarazzato dalle doti fisiche di Eikasia, espresse i suoi dubbi sui criteri della scelta. Egli era incerto perché διὰ γυναικὸς ἐρρύη τὰ φαῦλα, ma a lui la donna prontamente ribatté che ἀλλὰ διὰ γυναικὸς πηγάζει τὰ κρείττονα.480 La narrazione della disavventura di Eudocia ci è tramandata dalle cronache, ma ci soffermeremo soprattutto sul racconto di Malala,481il

quale, per la parentela e la vicinanza culturale all'Augusta, può senza dubbio fornirci notizie interessanti; sia sulle accuse rivolte all'imperatrice, sia sulla propaganda messa in atto per difenderla. Secondo la Chronographia, dunque, durante la festa dell’Epifania, l'imperatore sarebbe uscito dal Palazzo per assistere alla Santa Messa in cattedrale (Συνέβη... προϊέναι τὸν βασιλέα Θεοδόσιον εἰς τὴν ἐκκλησίαν ἐν τοῖς ἁγίοις θεοφανίοις). Il suo amico d'infanzia, nonché magister officiorum, Paolino, non lo avrebbe accompagnato, perché impedito da una ferita al piede (τὸν μάγιστρον Παυλῖνον ἀηδισθέντα ἐκ τοῦ ποδὸς ἀπρόιτον μεῖναι) e, durante la sua assenza, un mendicante avrebbe donato all'imperatore una ‘atore una mela frigia, di tale grandezza e bellezza da destare la meraviglia di tutti gli astanti (Προσήνεγκεν δὲ τῷ αὐτῷ Θεοδοσίῳ βασιλεῖ πένης τις μῆλον Φρυγιατικὸν παμμέγεθες). Teodosio, però, avrebbe deciso di regalarla alla moglie, la quale maldestramente l'avrebbe offerta al magister officiorum, perché amico di Teodosio (καὶ εὐθέως ὁ βασιλεύς, ἔπεμψεν αὐτὸ τῇ Αὐγούστῃ Εὐδοκίᾳ· καὶ ἡ Αὐγούστα ἔπεμψεν αὐτὸ Παυλίνῳ τῷ μαγίστρῳ ὡς φίλῳ τοῦ βασιλέως). Paolino avrebbe avuto, a sua volta, la malaugurata idea di regalarla all’imperatore (Παυλῖνος ἀγνοῶν… λαβὼν ἔπεμψεν αὐτὸ τῷ βασιλεῖ Θεοδοσίῳ) sicché Eudocia, giurando al marito di aver mangiato la mela, avrebbe decretato il proprio esilio e la fine del magister. L'esito della vicenda sarebbe stato, però, quanto mai iniquo, secondo Malala e i sostenitori dell'Augusta, poiché la basilissa avrebbe donato la mela a Paolino solo in quanto amico del marito e fino alla fine avrebbe affermato la propria innocenza, per altro suggerita dall’accettazione da parte di Dio

del dono delle mura di Gerusalemme (εἰποῦσα, ὅτι· “δι᾿ ἐμὲ εἶπεν Δαβὶδ ὁ προφήτης, ὅτι καὶ ἐν τῇ εὐδοκίᾳ σου οἰκοδομηθήσεται τὰ τείχη Ἱερουσαλήμ, κύριε”). Dal racconto, però, trapelano in ogni caso i vari aspetti del simbolismo della mela presenti nella tradizione antica, che purtroppo condannano tutti, senza possibilità di appello, Eudocia. Il primo è quello a base erotica, che, nella versione pagana, si concretizzò nel giudizio di Paride e nelle ben note conseguenze, in quella cristiana, invece, si risolse nella cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso. Questa accezione con tutte le sue varianti, pegno d'amore, dono di vita e.q.s. , è stata tramandata ai posteri dall'Antichità; sembra, invece, tarda la valenza politica affidata alla saga. Secondo questa prospettiva, la mela fu identificata con il globo terrestre e dunque, in epoca tardoantica, giunse a indicare il dominio su di esso. Una tale simbologia, del resto, è riscontrabile nelle varie raffigurazioni del globus cruciger. chron. a. 421, 1 ( MGH AA XI Chron. Min.II, 75). ll romantico incontro, insieme al ruolo di Pulcheria, è considerato da Holum, Pulcheria’s Crusade, cit., 170, n. 69, un motivo propagandistico; invece viene analizzato e visto come possibile da Al. Cameron, The Empress and the Poet, cit., 276, in quanto tramandato anche da Malala, vicino alla famiglia di Eudocia, poiché era nipote della moglie di Asclepiodoto, a sua volta zio di Eudocia. Cfr. anche B. Croke, Christian Chronicles and Byzantine History, 5th-6th Centuries, Aldershot 1992, il quale mette a confronto le diverse prospettive di Marcellino Comes e Giovanni Malala; su quest'ultimo, part. 243 ss. Sulla Chronographia di Malala vd. infra n. 145. 480 Leo Gr. CSHB 213, 15-17. 481 Io. Mal. chron. XIV 357-358; PG XCVII, 528-529 = 322 Thurn. Sulla cronaca di Malala, oltre agli interessanti artt. di A.-J. Festugière, Notabilia dans Malalas, I e II, RPh 52-53, 1978-1979, risp. 221-241; 227-

237, cfr. R. D. Scott, Malalas, the Secret History and Justinian Propaganda, DOP 39, 1985, 99-109; E. Jeffreys-B. Croke-R.D. Scott (Eds), Studies in John Malalas, Sidney 1990, spec. B. Croke, Malalas, the Man and his Work, 1-25; Id., Modern Study of Malalas, 325-338; con G. Marasco, Malala e la tradizione ellenistica, MH 54, 1997, 29-44; e il più recente J.H.W. Liebeschuetz, The View from Antioch: From Libanius via John Chrysostom to John Malalas and beyond, CrSt 30, 2009, 441-470. Sugli aspetti emozionali della narrazione in Malala vd. U. Roberto, Romolo, Foca e la morte del tiranno. Racconto storico e tensione emotiva nell'opera di Giovanni di Antiochia, «Hormos» 2011 n. s. 3, 257-273. 91

Fig. 7 - Dittico dei Lampadi. Scettro con globo. Fig. 8 - Solidus di Valentiniano III. D/ con legenda D. N. VALENTINIANUS P. F. AUG. R/ con legenda VICTORIA AUGGG. e Valentinianus III, reggente Long Cross, con la mano destra, e, con la sinistra, il globo sormontato da

Vittoria alata, mentre poggia il piede destro su testa di nemico/serpente (Ravenna 426-430). ( RIC 10, XLVIII 2006). Fig. 9 - Solidus di 4,48 grammi, coniato da Teodosio Il a Costantinopoli tra il 430 e il 440. D/: busto elmato di fronte con lancia e scudo e legenda D. N. THEODOSIVS P. F. AVG. R/: Costantinopoli seduta tiene globo crucigero con legenda VOT. XXX MVLT. XXXX; CONOB in esergo. ( RIC 10, X 257). 92

Fig. 10 - Teodosio consegna la mela a Eudocia. Miniatura, Cod. del XIV sec. d.C. Cronaca di Costantino Manasse. Nel racconto di Malala sono presenti tutti gli aspetti sopra descritti, sebbene ammantati da un certo ‘romanticismo’: Eudocia consegna a Paolino la mela come simbolo del legame erotico che li unisce, ma nella sua offerta non puó non leggersi anche la maligna tentazione di impadronirsi del regno. Nonostante i tentativi di giustificazione da parte del cronografo, i due presunti amanti finirono entrambi per rappresentare il vile tradimento e l'aperta ribellione. Di conseguenza, Paolino incontrò la morte come il drakon, simbolo del Maligno, laddove Eudocia fu mandata in esilio in Terrasanta, incarnando al femminile, grazie al Dio che castiga e che perdona, il ‘lieto fine’, tutto cristiano, della tragedia eroica.482 Probabilmente l'attacco era stato orchestrato da parte dei sostenitori di Pulcheria, abilissima a gestire santi, vivi o morti, dalle sue residenze suburbane dell'Hebdomon, delle Pulcherianae e delle Rufinianae,483 con le sue truppe e le sue cubiculariae 484 e, soprattutto, con l'enorme seguito di dipendenti e assistiti, che in lei trovavano l'unica speranza di sopravvivenza. Secondo Sozomeno,485 grande era la philanthropia dell'Augusta e grandissima era, soprattutto, nei confronti dei pii e santi monaci, che, con le loro opere caritatevoli, costituivano uno strumento importante per attrarre il consenso e il favore popolare.486 Abbiamo notizie 482 In merito all'influenza della tragedia sulla visione di Malala cfr. R. Cantarella, Giovanni Malala, Themis e le origini della tragedia, «Acme» 23, 1970, 61-66; con P. Carrara, A Line from Euripides quoted in John Malalas’ Cronographia, ZPE 69, 1987, 20-24. Sul tradizionalismo culturale della cronaca cfr. J.-M. Carrié, Traditionalisme culturel et renouveau historiographique: les portraits physique de personnage célèbres dans la «Chronique» de Malalas, in S. Agusta-Boularot-J. Beaucamp-A.M. Bernardi-E. Caire (Éd.), Recherches sur la «Chronique» de Malalas, Actes du Colloque «Jean Malalas et l'histoire», II, Paris 2006, 197-212.

483 Not. Urb. Const. 2, 12, 7; 8; 10, 7; 11, 13; 12, 9. Cfr. C. Strube, Der Begriff Domus in der Notitia Urbis Constantinopolitanae, in Studien zur Frühgeschichte Konstantinopels, Munich 1973, 121-134. 484 ACO I 4, 23-24 cita Marcella e Droseria e una donna di nome Olimpiade, che forse apparteneva alla sua famiglia come anche Eufemia, che Ipazio liberò da un demone (H. Grégoire, Inscriptions historiques Byzantines, «Byzantion» 4, 1927-1928, 461-465). 485 Soz. h. e. IX 1, 10-11 (392 Bidez-Hansen). 486 Oltre ai fondamentali lavori, già citati, di Brown, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, MadisonLondon 1992, trad. it., Potere e cristianesimo nella Tarda Antichità, Roma-Bari 1995, insieme a Povertà e leadership nel tardo impero romano, trad. it., Roma-Bari 2003 e di Patlagean, Pauvreté économique et tradition littéraire à Byzance, Paris 1977, 45-66 (trad. it. Povertà ed emarginazione 93 dell’abilità con cui l’imperatrice riuscì ad attrarre nella sua orbita Ipazio, ostile a ogni compromissione con il potere. Infatti l'accordo con la famiglia imperiale poteva essere controproducente per un monaco che, come lui, fondava la sua popolarità sul carattere rivoluzionario o, comunque, contestatario, del movimento ascetico, mentre, esattamente al contrario, Pulcheria, la quale da sempre aveva dimostrato grande interesse e capacità nella manipolazione del consenso,487 sapeva bene quanto potesse rivelarsi utile l'intesa con un personaggio carismatico, dal largo seguito popolare. L'intelligenza politica dell'Augusta si rivelò chiaramente, in occasione del contrasto sorto tra il patriarca costantinopolitano e il monaco. Alessandro l’Acemeta,488 sostenuto da Ipazio. Alessandro, giunto con i suoi 'insonni' a Costantinopoli nel 425, aveva ottenuto grande consenso con la sua tradizionale opposizione nei confronti delle autorità, ma in quella circostanza aveva trovato un fiero avversario in Eulalio di Calcedonia. Il vescovo lo aveva accusato di eresia, sicché, dopo vari disordini, l'‘insonne’ era stato invitato a ritornare nella sua città d'origine, Antiochia.

L'Acemeta, però, insieme al suo seguito, si era rifugiato presso il monastero di Ipazio, che si trovava vicino alle Rufinianae, ove in quel periodo risiedeva Pulcheria. L'imperatrice, la quale aveva avuto notizia della pressione, esercitata dai seguaci del vescovo costantinopolitano, e delle proteste dei contadini, decisi a difendere il loro consigliere spirituale, mandò in aiuto le truppe che aveva a disposizione, per intimidire i persecutori dei monaci, finché questi non si ritirarono. È particolarmente significativo che Pulcheria non esitasse un minuto a prendere le parti dei monaci e che avesse abbastanza facilmente partita vinta sul governo e sull'episcopato. Un simile episodio ci dice quale fosse l'effettivo potere in mano all’Augusta; la sorella di Teodosio si era trasformata in una holy woman, anzi nella santità al femminile personificata, la Santa Vergine. Grazie al voto di castità, propagandato da Attico,489 e tramite l'assimilazione a Maria Theotokos, Pulcheria era non solo riuscita a sostenere la possibilità dell’accoglimento del Verbo divino nel suo grembo, confermando la dignità del proprio sesso, ma aveva anche potuto fornire una base teorica a sostegno del proprio ruolo politico. Ella aveva rafforzato la propria credibilità, sì da suscitare le speranze della plebe rusticana che faceva riferimento al monastero di Ipazio. A questa abile operazione contribuì anche la costruzione di ben tre chiese dedicate a Maria,490 per sottolineare l'associazione tra la Vergine Theotokos e la vergine Augusta e l'inclusione, con l'assenso dell'episcopato, della prima festa mariana nel ciclo liturgico costantinopolitano il 26 dicembre di ogni anno, inclusione che venne a significare la celebrazione della nuova Eva, liberata da ogni traccia di peccato e capace di assumere il ruolo di intermediaria tra il mondo degli uomini e quello di Dio.491 Il medesimo significato avevano il ritratto dell'imperatrice sull’altare, o l’uso del suo manto come tovaglia dell’altare, autorizzati da Attico e Sisinnio. a Bisanzio (IV-VII secolo), Roma 1986, vd. l'illuminante analisi di Mazza sul 'monachesimo' basiliano, Monachesimo basiliano: modelli

spirituali e tendenze economico-sociali nell'Impero del IV secolo, in Basilio di Cesarea. La sua età, la sua opera e il basilianesimo in Sicilia, in Atti del Congresso internazionale, Messina 3-6 dicembre 1979, I, cit., 55-96, già in StudStor 21, 1, 1980, 31-60, e gli importanti contributi dei Convegni tenutisi sull'operato dei clerici e dei monaci e delle classi dirigenti tardoantiche in Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites, cit., 00 e Marino-Molè-Pinzone (a cura di), Poveri ammalati e ammalati poveri, cit., passim. Sulla difficile, ma vincente, collaborazione delle due grandi forze del cristianesimo vd. supra 116. 487 Callin. v. Hyp. 37, 3-4 Bartelink. 488 Cfr. Vie d’Alexandre l'Acémète, PO VI, 641-706; G. Dagron, La vie ancienne de Saint Marcel l'Acémète, AB 86, 1968, 271-321; J. Pargoire, Un mot sur les Acémètes, «EO» 2, 1898-1899, 304-308, 365-372; Id., Le début du monachisme à Constantinople, «RQH» 21, 1899, 129-143. 489 Il ruolo del vescovo si desume dalla testimonianza di Gennad. vir. ill 53 e di Marcell. Comes chron. a. 416, 2 ( MGH. AA. XI, Chron. Min. II, 73), vd. supra nn. 123. 490 Le tre chiese delle Blachernai, degli Hodegoi e dei Chalkoprateia secondo Holum, Theodosian Empresses, cit., 143 enfatizzavano «in monumental architecture the association between the Virgin Theotokos and the virgin Augusta». Cfr. anche Janin, Les églises et les monastères, cit., 169-179; 208-216; 246-251. Sulle motivazioni per l'attività edilizia degli imperatori cfr. Geanakoplos, Church Building and Caesaropapism, cit., 185-186. Per C. Mango, Le développement urbain de Constantinople, IVe-VIe siècles, Paris 2004, rist. 2d ed.1990, 52, invece, sebbene l’attività edilizia “spontanea”di Pulcheria sia stata superiore rispetto a quella di Giustiniano, essa sarebbe stata, comunque, enfatizzata dalle fonti. Vd. Id., The Development of Constantinople as an Urban Centre, in The Seventeenth International Byzantine Congress, Main Papers, New Rochelle-New York 1986; C. Mango and G. Dagron (Eds.), Constantinople and Its Hinterland, Aldershot 1995.

491 Procl. serm. 1, 1-2 ( ACO I 1, 1, 103-104), datato al 428 da Thphn. chron. a. m. 5923 (I 88 de Boor). 94 Un impatto mediatico ancora più forte, però, era insito nel cerimoniale osservato per la Santa Pasqua, in cui la basilissa era protagonista accanto al vescovo e al fratello.492 Era evidente che un attacco a Pulcheria avrebbe comportato lo smantellamento della complessa ‘teologia’ imperiale sopra delineata, base ideologica del potere dell’Augusta, e che il progetto di attaccare il dogma della Theotokos rappresentava anche un tentativo di contenere il potere della sorella di Teodosio II. A quest'opera di smantellamento si applicò Nestorio, vescovo di Costantinopoli dal 428 al 431,493 di scuola antiochena. Il clericus possedeva le qualità oratorie, che potevano attrarre la folla, insieme a una preparazione culturale che poteva essere gradita agli aristocratici, insomma possedeva delle armi che apparivano capaci di contrastare la vis rivoluzionaria dei monaci, sempre pericolosa per lo stato di endemica agitazione delle città,494 ma che forse non erano ormai le più adatte a sedurre la sancta plebs Dei.495 Malgrado le sue notevoli qualità, Nestorio, in realtà, non si dimostrò in grado di gestire la situazione: egli non solo s'inimicó i suoi rivali naturali, come Ipazio,496 ma anche dimostrò troppa rigidità nei confronti dei notabili; spesso inclini a tendenze eretiche, e manifestò poca souplesse con l’arianesimo dei contingenti barbarici,497 fondamentali per la difesa dell'impero.498 Il vero ostacolo per il patriarca di Costantinopoli, però, fu rappresentato dall'alleanza che si era venuta a creare tra Pulcheria e quello che era l'oppositore tradizionale della scuola antiochena, cioè il vescovo di Alessandria, che in quegli anni rispondeva al nome di Cirillo. Dal 428 quest'ultimo fu il protagonista di una grande lotta religiosa e politica in nome del monofisismo,499 che riconosceva in

Maria la Madre di Dio, contro il duofisismo del vescovo di Costantinopoli, il quale considerava la Santa Vergine semplicemente Christotokos, lotta dietro cui si celava il contrasto tra Pulcheria e la corte imperiale. 492 Sull’intransigenza nestoriana cfr. F. Feron, Nestorius, «Studia Catholica» 7, 1931, 399-419, con M. Redies, Kyrill und Nestorius, Eine Neue Interpretation des TheotokosStreits, «Klio» 80, 1998, 195-208. Sul protagonismo di Pulcheria e l'opposizione di Nestorio vd. anche J.A. McGuckin, Nestorius and Political Factions in the Fifth-Century Byzantium: Factors in his Personal Downfall, BRL 78, 1993, 7-21. Cfr. anche infra n. 164. 493 F. Loofs, Nestorius, in Realencyclopädie für protestantische Theologie und Kirche, XIII, 1903, 743 e Id., Nestorius and his Place in the History of Christian Doctrine, Cambridge 1915, 34 ss. Sul contrasto tra Cirillo e Nestorio e sui motivi della vittoria del vescovo alessandrino, più abile nelle relazioni interpersonali e più diplomatico, vd. anche le riflessioni di R.C. Chesnut, The two prosopa in Nestorius' Bazaar of Heracleides, JThS 29, 1978, 392-409 e il più recente studio di A. Atanassova, «Container of the uncontainable God»: Mary the Theotokos in the Nestorian Controversy, Boston 2003, 45 ss., con S. Wessel, Nestorius and Controversy in Cyril of Alexandrias Homily IV, AHC 31, 1999, 1-49, la quale sottolinea le grandi capacità di Cirillo nel manipolare la realtà, mentre L. Scipioni, Nestorio e il concilio di Efeso, Milano 1974, 72 ss. riporta a un contesto dottrinario più ampio il problema rappresentato dalla Theotokos. Per le origini e l'infanzia del vescovo vd. Socr. h. e. VII 29, 2 (379 Hansen); Thdt. Haer. fab. comp. 4, 12 ( PG LXXXVIII, 433); M. Brière, La légende syriaque de Nestorius, ROC 15, 1910, 17; Dionysius bar Salibi in PO VIII, 162-163; Lettre à Cosme 9, PO XIII, 280; Barhadbeshabba 20, PO IX, 517-520; Io. Ruf. Pler. 1, PO VIII, 12. Sull'argomento ancora valido il classico L. Abramowski, Untersuchungen zum Liber Heraclidis des Nestorius, CSCO, Subsidia, 22, Louvain 1963, 73.

494 Io. Cass. inc. Dom. VII, 30, 2 ( CSEL XVII, 388); Dionysius bar Salibi, PO VIII, 163. 495 Vd. supra 91. 496 Callin. v. Hyp. 32 Bartelink. 497 La Lettre à Cosme 3, PO XIII, 277-278 e Barhadbeshabba 21, PO IX, 529 identificano gli Ariani con i militari. 498 Basti pensare che, tra loro, c'erano generali come Plinta, Ardaburio o Ariobindo. Cfr. PLRE II, 137-138; 144-145 e Demandt, Magister, cit., 746-748; 752-753. 499 Sul tema vd. B.J. Kidd, A History of the Church to A.D. 461, III, Oxford 1922, 210-211 e G. Bardy, Les débuts du Nestorianisme (428433), in Fliche-Martin, Histoire de l'église, cit., IV, 175 ss. Sul vescovo e la sede di Alessandria vd. E. Schwartz, Cyrill und der Mönch Victor, SAWW 208/4, Vienna-Leipzig 1928, 3-4; N.H. Baynes, Alexandria and Constantinople, in ld., Byzantine Studies, cit.,.107-109. Sul conflitto tra Antiochia ed Alessandria cfr. R. Sellers, The Council of Chalcedon: A Historical and Doctrinal Survey, London 1953, 3-4; A. Grillmeier, Christ and Christian Traditions from the Apostolic Age to Chalcedon (451), trad. ingl. Bowden, London 1965, 361-495; W.H.C. Frend, The Rise of Monophysite Movement, Cambridge 1972, 4-5, 13-14, 104-142 e sul rapporto tra eresie e fazioni politiche J. Jarry, Hérésies et factions dans l’Empire Byzantin du IVe au VIe siècle, Le Caire 1968, partic. 1112 e 97-99. 95 Schierarsi contro il culto della Theotokos determinò per Nestorio lo scontro feroce con una grande coalizione di forze, religiose, politiche e sociali, che si erano schierate con l'Augusta; in pratica, per il vescovo costantinopolitano, significò andare incontro a una sicura condanna. Egli pagò con l'esilio la negazione della maternità divina della Vergine e, soprattutto, l'ostilità nei confronti di Pulcheria, manifestata

pubblicamente subito dopo l'elezione. Erano infatti passati appena cinque giorni dall’investitura di Nestorio che, per la festa della Santa Pasqua del 428, Pulcheria si presentò in Cattedrale per prendere la comunione insieme ai sacerdoti e al fratello, come era consuetudine, sebbene i laici e le donne non potessero entrare nel santuario, ma ne fu impedita dal vescovo.500 A lei, che stupita chiese: «Perché? Non sono forse la Madre di Dio?», Nestorio, cacciandola via, rispose: «Tu? Tu sei la madre di Satana!». Il contrasto tra i due si aggravò ulteriormente nel corso dell’anno, nonostante che Nestorio avesse cercato di destreggiarsi diplomaticamente sostenendo che Maria fosse Christotokos, poiché l'ambigua neutralità della sua proposta era stata sconfessata dal cappellano Anastasio. Questi aveva dichiarato pubblicamente che la Vergine, essendo creatura umana, non avrebbe potuto dare alla luce Dio, dichiarazione che aveva suscitato l'ira dei suoi ascoltatori.501 Tra essi, indubbiamente, dovevano trovarsi numerosi seguaci di Pulcheria, la quale non poteva accettare che fosse negata, per tal via, la sacralità del proprio ruolo. L'imperatrice certamente non gradì nemmeno il sermone pronunciato dal vescovo negli ultimi mesi del 428, in cui si affermava con nettezza che Maria non era la madre di Dio:502 θεοτόκον τὴν Μαρίαν καλεῖτο μηδείς. Μαρία γὰρ ἄνθρωπος ἢν, ὑπὸ ἀνθρώπου δὲ θεὸν τεχθῆναι ἀδύνατον. Una simile ostilità era direttamente proporzionale alla meticolosità con cui l'Augusta organizzato l'opposizione e aveva programmato, come soleva, a più livelli, le azioni di disturbo nei confronti del patriarca. Al fine di ottenere il suo scopo, ella, da una parte, aveva aizzato contro Nestorio una delle sue dame,503per attirarsi le simpatie della folla degli emarginati, tradizionalmente contraria alle autorità di qualsiasi tipo; ma, dall'altra, aveva coinvolto nella lotta anche Eusebio, un agens in rebus in seguito ricompensato con l’episcopato di Doryleum. Questi, in maniera subdola, aveva paragonato l'insegnamento del vescovo costantinopolitano alla dottrina di Paolo di Samosata,

l'eretico avversario della divinità di Cristo.504 Inoltre, Pulcheria aveva chiamato in soccorso un suo alleato, Proclo, il collaboratore di Attico che, ancora una volta, in un discorso tenuto in Cattedrale,505 la domenica precedente al Natale del 428, esaltò la Theotokos e fu, di conseguenza, invitato alle Pulcherianae per illustrare il mistero dell’Incarnazione.506 Un simile invito mirava chiaramente a esautorare il clero ufficiale, come dimostra il fatto che, a un certo punto, Pulcheria col suo seguito e alcuni sacerdoti si riunirono per la messa in strutture private. 500 Lettre à Cosme 8, PO XIII, 279. Sull'autenticità del documento cfr. O. Braun, Ein syrischer Bericht über Nestorius, «Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft» 54, 1900, 380-381; E Nau, Nestorius, Le livre d’Héraclide de Damas, trad, franc. di Nest. Heracl, Paris 1910, 361-362 e PO XIII, 273-274; E. Loofs, Nestoriana: die Fragmente des Nestorius, Halle 1905, 86-87 e Abramowski, Untersuchungen, cit., 15-20. Sullo scontro tra i due in occasione delle Santa Pasqua vd. anche la ricostruzione di S. Williams-G. Friell, The Rome that did not Fall, London-New York 1999, 49 ss. Sull’eccesso di zelo da parte di Nestorio cfr. Feron, Nestorius, cit., 399419. Su una maggiore elasticità di Cirillo, anche riguardo alla dottrina, vd. M. Simonetti, Alcune osservazioni sul monofisismo di Cirillo d'Alessandria, «Augustinianum» 22, 1982, 493-511. Diversa opinione in N. Russel, Cyril of Alexandria; London-New York 2000, 206 ss., il quale considera Cirillo un politico con pochi scrupoli; così anche Wessel, Nestorius, cit., 1-49, e Ead., Cyril of Alexandria and the Nestorian Controversy The Making of a Saint and of a Heretic, Oxford 2004, 77 ss,, La quale sottolinea il tentativo, da parte di Cirillo, di oltrepassare i tradizionali confini della parenesi, per trasformare l'omelia in un discorso polemico e condizionare la pubblica opinione, caratterizzando Nestorio secondo i parametri dell'archetipo eretico: Ario.

501 Socr. h. e. VII 32, 1-2 (381 Hansen) con ACO I 1, 1, 110; 7, 96 e Thphn. chron. a. m. 5923 (1 88 de Boor). 502 Loofs, Nestoriana, cit., 252. 503 Eleniana era la donna che inveì contro il vescovo dalla galleria riservata le donne nella cattedrale, forte dell’appoggio del marito, personaggio politico importante (Io. Ruf. Pler. 36, PO VIII, 81-82). 504 ACO I 1,1, 102; Leont. Byz. contra Nest. et Euty. 3, PG LXXXVI, 1, 1389. 505 ACO I 1,1, 103-107; Thphn. chron. a. m. 5923 (188 de Boor). Su Proclo vd. il classico F. X. Bauer, Proklos von Konstantinopel, München 1919, passim; per il famoso sermo vd. PG LXV, 679 ss. 506 Phot. bibl. cod. 229 (IV 170 Henry), che si riferisce probabilmente al sermo 3 in PG LXV, 704-708. 96

A quel punto la controversia prese dimensioni ‘internazionali’, poiché Antioco Cuzone, l'ex prefetto al pretorio,507 mandò alcune delle opere di Nestorio a Papa Celestino, a Roma, nella pars occidentis, dove il

governo era guidato da Galla Placidia, la quale, da sempre, aveva apprezzato la propaganda politica messa in atto dalla nipote e, anzi, l'aveva utilizzata per i suoi fini prima del ritorno in Occidente.508 Fig. 11 - Solidus Ravenna 426- 430, AV 4.47 g. D/: busto diademato e drappeggiato, con cristogramma sulla spalla, coronato dalla dextera Dei, e legenda D. N. GALLA PLACIDIA P. F. AUG. R/: Vittoria stante, che regge una Long Cross, con legenda VOT. XX. MULT. XXX ( RIC 10, XLIII 2012). (Coins archive.com). Nestorio, però, in quel momento non temeva le possibili manovre della corte imperiale, poiché poteva ancora contare sul sostegno di Teodosio; sostegno che, per sua sfortuna, in seguito venne a mancare, a causa dell’abilità del rivale alessandrino. Questi aveva, infatti, inviato un trattato alla corte di Teodosio, un secondo trattato alle tre nobilissime sorelle, Arcadia Pulcheria e Marina, un altro ancora, probabilmente, alla corte della sola Eudocia,509 rendendo palese l'attrito esistente tra i due fratelli, alimentato dalla lotta tra le fazioni che le due cognate guidavano. Teodosio II cercò di trattare con entrambe le scuole, l’alessandrina e l’antiochena per giungere a un compromesso, ma non riuscì nel suo intento. I disordini scoppiati a Efeso, durante il concilio del 431, e quelli a Costantinopoli insieme ai consigli del monaco Dalmazio e di Simeone, 507 Sul prefetto cfr. PLRE II, 1034. 508 Infatti anche per Galla Placidia furono coniati dei Long- Cross solidi, nel momento del riconoscimento della sua βασιλεία (Kent, Auream monetam, cit., 130 ss.).

509 Diversamente Holum, Theodosian Empresses, cit., 158 ss., il quale ritiene che un trattato come il terzo, più meditato e attento alla questioni dottrinali, fosse più adatto a Pulcheria, che aveva alle spalle una educazione religiosa ben più profonda rispetto a quella di Eudocia, ma l'argomento addotto dallo studioso è perfettamente ribaltabile. Per i tre trattati cfr. ACO I 1, 5, 62-118. Per i destinatari ivi attestati vd, J. Quasten, Patrology, I, Utrecht-Antwerp 1966, 126. 97 lo Stilita,510molto vicini a Pulcheria,511lo convinsero a cambiare opinione. Se, in un primo momento, l’imperatore si era tenuto distante dal radicalismo sia di Nestorio che di Cirillo, a Nicomedia, alfine, decise di favorire il vescovo di Alessandria, rinnegando totalmente la sua convinzione iniziale. Conseguentemente Nestorio, già deposto dal seggio costantinopolitano nel 431 e confinato nel 425 a Petra, fu esiliato infine all’Oasi, in pieno deserto, dove finì la sua vita.512 A dire il vero, però, il contrasto tra le due fazioni presenti a corte era insanabile e si era palesato a tutti i sudditi dell'impero, allorquando avevano potuto osservare la profonda divergenza tra l'operato degli agenti imperiali come Candidiano,513 confortati anche dal sostegno di persone influenti quali il comes Ireneo,514 e la reazione contrapposta dei monaci,515che sostenevano il monofisita Cirillo. Questi ultimi si avvalevano degli strati più disperati della popolazione, scagliandoli contro le autorità e facendo leva sul loro profondo disagio economico e sociale. Teodosio dal palazzo poteva sentire le loro grida:516 Maria la Vergine ha deposto Nestorio! Cristo e la croce hanno guadagnato la vittoria! Al rogo Nestorio il Giudeo e Anastasio con lui! Sia dato alle fiamme anche Ireneo l'Elleno, il peccatore! Le voces poluli 517 esprimevano un’opzione che non era certo favorevole al progetto culturale e politico di Eudocia, esattamente come le acclamazioni, che provenivano dalla chiesa, indicavano a chi andasse il favore popolare:518

510 Sull'ammirazione dell'imperatore per Dalmazio e gli altri monaci cfr. Callin. v. Hyp. 37, 1-2 Bartelink; Nest. Haeracl. 241-242 Nau e Barhadbeshabba 27, PO IX, 567 con ACO I 1, 2, 65, 68. 511 L’Augusta era molto vicina ad alcune comunità e ai loro leaders, nonché era molto prodiga nei confronti degli egentes, che si radunavano nei sagrati delle chiese per le elemosine o anche bussavano alla sua domus e a quella delle sorelle. A sua volta, Pulcheria era ben protetta dalla rete clientelare che aveva saputo tessere e che contribuiva non poco al suo potere. Se l’alleanza con Attico era servita a riconfigurare l'antica immagine di Eva, la nuova dignità e il nuovo e forte ruolo femminile erano sottolineati anche da una propaganda innovativa, che collegava la vittoria dello Stato cristiano sui suoi nemici anche con la basilissa. Ella si presentava come mimema della Vergine Madre di Dio, in grado di stabilire un rapporto con il megas basileus. In questa veste soccorreva gli indigenti, ma anche manifestava la propria vicinanza al Signore con la costruzione di splendide chiese e procurandosi reliquie di santi come Stefano. Una simile incessante attività era ampiamente ricompensata dal conseguente alone di santità che la circondava, conferendole un potere straordinario. Sui legami con Ipazio e Alessandro l’Insonne vd. supra 179. 512 Cfr. rec. Millar, A Greek Roman Empire, cit., 180 ss. 513 PLRE II, 257-258. 514 Su Ireneo e la sua amicizia con Nestorio cfr. ACO I 1, 93; Koptische Akten, 6, 50-53 = Koptische Akten zum Ephesinischen Konzil vom Iahre 431, trad. W. Kraatz, TU 26, 2; Loofs, Nestoriana, cit., 18. La comitiva rivestita rimane sconosciuta ( PLRE II; 624-625). 515 Sui monaci e il loro sistema di vita vd. il suggestivo D.J. Chitty, The Desert a City, N.Y. 1966, spec.

11-13; sui monaci di Nitria e i loro conventi cfr. H. G. E. White, The Monasteries of the Wadi’n Natrun: The History of the Monasteries of Nitria and Seetis, New York 1932, 24 ss. Sulle pratiche di ascetismo e il loro significato nella società del tempo vd. E.A. Clark, Reading Renunciation: Ascetism and Scripture in Early Christianity, Princeton 1999, 104-113. 516 Dagron, Moines, cit., 265 ss. A fianco di Cirillo a Efeso, però, non ci furono solo i santi monaci, il vescovo occupò la città come una ‘roccaforte nemica’ ( ACO I 1, 5, 119-124) e con lui vi erano i monaci di Nitria, ma anche marinai egizi e contadini, insieme ai famosi parabalani (portantini/volontarii). Per la comprensione del fenomeno vd. W.H.C. Frend, Popular Religion and Christological Controversy in the Fifth Century, in Ecclesiastical History Society: Studies in Church History, VIII. Popular Belief and Practice, Cambridge 1972, 22 e A. Philipsborn, La compagnie d'ambulancies «parabalani» d'Alexandrie, «Byzantion» 20, 1950, 185-190; con Bowersock, Parabalani, cit., 45-54. 517 Sull’attenzione riservata dall'imperatore alle voces cfr. specialmente il celebre passo del CTh I 16, 6 (1 nov. 331): …si verae voces sunt nec ad libidinem per clientelas effusae, diligenter investigabimus, praefectis praetorio et comitibus… provincialium nostrorum voces ad nostram scientiam referentibus. 518 Koptische Akten, 49-55 Kraatz, ACO I 1, 3, 14. Una tradizione, propagandata da entrambe le fazioni, sosteneva che era stata proprio Pulcheria a causare la rovina di Nestorio: Nest. Heracl. 89 Nau; Barhadbeshabba 27 ( PO IX, 565-566); Histoire Nestoriennes 1, 70 ( PO V, 326); Io. Ruf, Pler. 3 ( PO VIII, 14). 98

…Molti anni a Pulcheria! Molti anni all'imperatrice! Essa ha rafforzato la fede! Molti anni a Pulcheria!

Molti anni all'ortodossa! *** Era difficile scalfire la profonda convinzione nel proprio ruolo e la sicurezza nella propria forza che aveva la figlia di Eudossia, come ci rivela anche il successo della nuova scalata al potere, dopo l’allontanamento di Crisafio. Pulcheria seppe trovare un accordo con l'esercito e l'alano Aspar,519 ostili all'eunuco, nonché ebbe la capacità di guadagnarsi il favore dei militari, anche dopo la morte del fratello, grazie alle nozze con Marciano, tribuno dei domestici, molto vicino al generale. L'imperatrice in persona consegnò al marito il diadema e il paludamentum, sottolineando la riconquistata dignità di Eva, la cui purezza sarebbe stata rispettata, in quanto condizione imprescindibile per la legittimità del nuovo imperatore.520 La santa vergine poté godere della vittoria sui suoi detrattori, che avevano tentato di offuscarne l’immagine con rinnovate calunnie e vecchie meschinità. Era stata inventata, infatti, una nuova versione della Apfellegende,521 secondo la quale Teodosio aveva dato alla sorella il pomo della discordia ed ella, ‘seconda Eva’, lo aveva consegnato all'amante Marciano, futuro imperatore. Così facendo, l'Augusta avrebbe tradito il fratello, mentre aveva proclamato solennemente di volerlo salvare con il proprio voto di verginità. La risposta alle maldicenze era stata vincente, grazie all'accostamento della basilissa a Maria, non solo come vergine, ma anche come moglie e madre, a cui sola era dato di generare il figlio di Dio, prerogativa che le conferiva una forza attrattiva incomparabilmente superiore agli altri “luoghi del sacro”.522 Non a caso nel 450, in occasione del matrimonio o per l'incoronazione di Marciano,523fu coniato un solidus, in cui Cristo, identificabile per il nimbus cruciforme, fa da Pronubus, proteggendo la vergine sposa e il marito, a significare la raggiunta armonia tra l'Augusta, a lui consacrata, e il consorte maschile, rispettoso della nuova identità femminile.524

Grazie all'attenta opera di propaganda, mirante a sottolineare il ruolo attivo assunto nella cerimonia d'inconorazione, la basilissa poteva ritenere di aver reso palesi l'immutata forza della sua factio e l'inalterato potere in suo possesso, ma, indubbiamente, la vis carismatica, inerente alla sua immagine di vergine fanciulla, si era indebolita e, con essa, era andata perduta parte del prestigio personale, strettamente collegato al modello originariamente proposto. Accanto all’imperatrice era ormai ben visibile lo sposo, il cui ruolo era assolutamente paritetico e che, benedetto da Cristo, poteva certo in maniera differente, ma altrettanto valida, proteggere e difendere i sudditi dell'Impero. Sub specie figurae potremmo affermare che la tipologia del potere rappresentata nell'avorio di Treviri,525 che esaltava il ruolo dell'Augusta, aveva subito una profonda trasformazione e il nuovo paradigma comportamentale, di certo meno eversivo, era ben espresso nel solidus delle nozze. 519 PLRE II, 164-165; cfr, anche G. Zecchini, Aezio, L'ultima difesa dell'Occidente romano, Roma 1983, 259, sottolinea l'accordo intervenuto, all’epoca, tra Aspar, Aezio e Leone I, accordo siglato dal concilio calcedoniano del 451, in cui prevalse l'opzione duofisita della ‘Formula dell’Unione’. 520 Theod. Anag. epit. 353 (100 Hansen); Marcell. Comes chron. a. 450, 1 ( MGH AA XI Chron. Min. II, 83); Evagr. h. e. II 1; Joh. Mal. chron. XIV 366-367 ( PG XCVII, 539-540 = 331 Thurn); Cedr. 602-603 Bonn; Chron Pasch. a. 450 (580 Bonn); Thphn. chron. a. m. 5942 (I 103 de Boor); Zon. XIII 24 (III 113 Büttner-Wobst); Nic. Call. h. e. XIV 58, PG CXLVI, 1271-1272. 521 Cfr. F. Nau, Histoire de Dioscore, Patriarch d'Alexandrie, écrit par son disciple Théosophiste, JA 10/1, 1901, 242-251. Vd. anche Io. Ruf, Pler., 3, PO VIII, 14-15; Mich. Syr. VIII, 9; 10, 2 (II 36, 38 Chabot). 522 Vd. supra n. 22. 523 Cfr. Ensslin, Pulcheria, cit., 1953-1962.

524 H, Dressel, Erwebungen des Königlichen MünzKabinetts in den Jahren 1890-1897 (antike Münzen), «Zeitschrift für Numismatik» 21, 1898, 249 dà una simile interpretazione. Cfr. anche E. Kantorowictz, On the Golden Marriage Belt and the Marriage Rings of the Dumbarton Oaks Collection, DOP 14, 1960, 1-16, con Holum, Theodosian Empresses, cit., 209. Sulle coniazioni delle imperatrici vd. anche Boyce, Eudoxia, Eudocia, Eudoxia: Dated Solidi, cit., 134-139. 525 Cfr. Holum-Vikan, The Trier Ivory, cit., 113-133, contestati da J. Wordey, The Trier Ivor Reconsidered, GRBS 21, 1980, 381-394, che ritiene il soggetto della tavoletta pura opera di fantasia, smentito però dall'encomio di S. Stefano, PG LXIII, 933, attribuito a Proclo di Costantinopoli da F. Leroy, L'homilétique de Proclus de Constantinople (Studi e testi 247), Città del Vaticano 1967, 158, che ne appare una descrizione. La scena, infatti, sembrerebbe illustrare una translatio reliquiarum e converge interamente verso la basilissa, la cui figura risalta rispetto a quelle dei notabili e a quella dello stesso imperatore. 99

Fig. 12 - D/: Marciano elmato e diademato con legenda D. N. MARCIANUS P. F. AUG. R/: Cristo pronubo tra i due sposi e legenda FELICITER NUBTIIS ( RIC 10, XIX 502). (Zecca di Costantinopoli). La resistenza, se non la decisa opposizione, che si celava nell’invenzione della traditio globi, era riuscita almeno in parte nel suo intento, aveva, quanto meno, ridimensionato il potere evocativo del progetto pulcheriano: la basilissa ormai doveva tener conto di Marciano e delle forze che dietro l’imperatore si celavano. La nuova immagine della donna, salvata dal peccato originale, e in particolare quella della vergine imperatrice, come era stata definita da Attico e da Proclo, senza dubbio poteva riscuotere un certo consenso durante il regno di un imperatore fanciullo, della cui consapevolezza si poteva dubitare. Essa era funzionale al successo della dinastia attraverso il potenziamento dell'erede femminile, con la creazione di un modello forte, adatto a coinvolgere anche le masse, probabilmente refrattarie all'immagine incarnata da Eudocia, ma rimaneva una proposta forse troppo innovativa e, comunque, destabilizzante. Il modello promosso da Pulcheria dopo il 450 era più accettabile, poiché esaltava il ruolo

tradizionale della donna, quella di sposa e madre.526 Nel caso dell’Augusta, però, l’immagine di maternità proposta era pur sempre immacolata e non comportava la sottomissione a uno sposo. Essa, al contrario, discendendo dalla purezza della verginità, poté fornire alla basilissa l'opportunità di proporsi autonomamente come intermediaria tra mondo celeste e mondo terrestre, in maniera differente, femminile, seppur con la stessa efficacia della sua controparte maschile. Come è noto le innovazioni non hanno vita facile e in ogni caso devono percorrere un lungo cammino per giungere all'accettazione, spesso smussando le asperità, in modo da conquistare una maggioranza sufficientemente vasta. Pulcheria, pur mantenendo la sua verginità, sposò Marciano; nozze queste che indicavano il compromesso raggiunto con i militari guidati da Aspar. L’Alano,527 magister militum praesentalis dal 431 al 471, era il figlio di Ardaburio, il generale al quale Pulcheria aveva affidato la crociata contro la Persia nel 421-422 e che, in quegli anni, insieme a Elione, Aureliano ed Attico, aveva costituito il nucleo fondamentale della factio che la sosteneva. Aspar si era opposto alla politica filounnica favorita da Crisafio e, in questo, aveva avuto come convinti collaboratori i generali di origine gotica Ariobindo e Arnegisclo.528 Purtroppo insieme ad essi era stato, però, sconfitto da Attila nel 443; sconfitta che aveva determinato anche il successo dei rivali politici. Tuttavia l'ostilità contro il capo unno continuò a serpeggiare, soprattutto tra le classi più elevate, che, stanche di sborsare le somme con cui Teodosio II comprava la pace, probabilmente non smisero di sostenere la politica militaristica. Questa 526 Cfr. L. Garland, Byzantine Empresses, Women and Power in Byzantium AD 527-1204, London 1999, la quale ritiene che Eudocia abbia determinato le caratteristiche della “Lady” bizantina, poi accettate e messe in pratica da Irene, moglie di Alessio Comneno. Sul problema vd. anche.D.M. Nicol, The Byzantine Lady, Cambridge 1994, il quale segue il metodo presente in C. Dihl, Figures byzantines, Paris 1909. 527 PLRE II, 164-165.

528 PLRE II, 146; 151. Il primo tra l'altro ebbe il patriziato nel 447-449, fatto che fa pensare a una nuova ascesa della factio a cui il generale apparteneva. 100 ebbe come protagonista ancora Aspar, che sembra aver coinvolto il suo sottoposto, il magister utriusque militiae per orientem, Zenone, il quale nel 448 ottenne il consolato e, nel 451, addirittura il patriziato. Di quest'ultima alleanza era membro anche il futuro imperatore Marciano, il quale insieme ad Aspar favorì, con ogni probabilità, un trattato con i Vandali, mostrando sintonia d'intenti con il grande generale dell’Occidente, Aezio,529 con il quale concordava per l'ostilità nei confronti degli Unni e la disponibilità verso i Vandali. Probabilmente la tradizione pervenutaci rivela il cambiamento in politica estera. Infatti la narrazione di Teofane,530 per quanto confusa e in parte errata, lascia trapelare il peso crescente di questa alleanza. Lo storico bizantino, dopo aver descritto il decrescente influsso a corte di Pulcheria, fino all'allontanamento all'Ebdomon, e il concomitante successo di Eudocia, con la promozione del suo protetto Ciro alla prefettura urbana e a quella pretoriana, ricorda la congiura di Paolino e della basilissa con la conseguente loro sconfitta (τότε εἰς ὀργὴν κινηθεὶς κελεύει τὸ μῆλον ἐνεχθῆναι καὶ τὸν Παὐλῖνον ἐξορισθῆναι εἰς Καππαδοκίαν κἀκεῖ σφαγῆναι), per sottolineare la vittoria dell'eunuco Crisafio. (Χρυσάφιος δέ, ὁ τούτου (Εὐτυχοῦς) σύμφρων, τοῦ παλατίου κρατῶν καὶ ταῦτα μαθὼν ἐξάπτεται εἰς ὀργὴ). Infine, però, lo storico collega la definitiva rottura tra Eudocia e Teodosio nel 444, dovuta all'uccisione dei clerici cari all'imperatrice, con la riabilitazione di Pulcheria e l'esilio del cubiculario, ritenuto responsabile degli errori politici commessi: (Eudocia) λαβοῦσα μεθ’ ἑαυτῆς Σευῆρον τὸν πρεσβύτερον καὶ Ἰωάννην τὸν διάκονον ἦλθεν εἰς Ἱεροσόλυμα. καὶ μαθὼν ὁ βασιλεύς, ὅτι οὗτοι καὶ ἐν τῇ πόλει αὐτῇ ἐσύχναζον καὶ ἐν Ἱεροσολύμοις μετ’ αὐτῆς εἰσιν, καὶ

πολλὰ αὐτοῖς δωρεῖται, ἀποστείλας ἀπεκεφάλισεν αὐτούς. τότε ὁ βασιλεὺς τὴν μακαρίαν Πουλχερίαν πολλὰ παρακαλέσας ἤγαγεν εἰς τὰ βασίλεια· ἥτις εὐθέως ἀποστείλασα εἰς Ἔφεσον ἤγαγε τὸ λείψανον τοῦ ἁγίου Φλαβιανοῦ· καὶ μετὰ δορυφορίας διὰ τῆς Μέσης ἐκκομίσασα ἔθαψεν ἐν τοῖς ἁγίοις ἀποστόλοις. τότε τὴν τῶν Χαλκοπρατείων ἐκκλησίαν τῇ. ἁγίᾳ θεοτόκῳ ἀνήγειρε συναγωγὴν Ἰουδαίων πρότερον οὖσαν. Nonostante la confusione cronologica,531 relativa agli anni dell'esilio/pellegrinaggio di Eudocia in Terra Santa, e la falsa notizia dell'allontanamento di Crisafio, la narrazione di Teofane appare acquistare un senso e un obiettivo, nella volontà di legittimazione della politica perseguita da Pulcheria e dai suoi alleati. Teodosio, secondo lo storico antico, avrebbe conseguentemente richiamato a corte la sorella; avrebbe riabilitato Flaviano, condannato a Efeso ad opera dell'archimandrita Eutiche, padrino di Crisafio, e infine si sarebbe deciso a bandire il suo cattivo consigliere. Pur nella sua imprecisione, Teofane non sembrerebbe molto lontano dalla realtà politica, in quanto appare difficilmente casuale il fatto che Zenone,532 il magister utriusque militiae per orientem, antico sodale e sottoposto di Aspar, abbia ottenuto nel 448 il consolato. Ugualmente significativa è da considerare la notizia dell'attentato alla vita di Attila, nel 449, attentato per altro incomprensibile da parte di Crisafio, in un momento in cui il capo unno stava, con sempre maggior convinzione, dirigendosi contro l'Occidente. In realtà, l'eliminazione degli Unni era, invece, l’obiettivo dei militari che si appoggiavano ai Blu, tartassati dalla feroce tassazione imposta da Crisafio e sempre più convinti di una minore pericolosità dei Vandali, esattamente come Aezio, la cui politica si basava ormai sul foedus con i Visigoti e i Vandali, nonché sulla concordia con la corte orientale.533 Del resto l’alleanza tra il generalissimo d’Occidente e il capo delle forze armate orientali può essere rivelato dall'episodio relativo al nano Zercone. Il

lessico Suida,534infatti, ricorda che il buffone di Aspar, catturato dagli Unni, dopo l’invasione della Tracia, era stato ben voluto da Bleda, ma, dopo che questi era stato ucciso dal fratello Attila, il nano era stato inviato ad Aezio. Il generale, però, non lo avrebbe trattenuto, anzi, l'avrebbe prontamente restituito al suo padrone, in segno della propria amicizia. La bontà della nuova politica sembra sia stata propagandata con la solita accuratezza e intelligenza da Pulcheria e capillarmente diffusa dai suoi generali, come dimostrerebbe la tradizione dei tre omina imperii relativi a Marciano, attestata fin dal V secolo. 529 Zecchini, Aezio, cit., 259, sottolinea l'accordo intervenuto all'epoca tra Aspar ed Aetius, a cui si aggiunse anche Leone I. 530 Thphn. chron. a. m. 5940 (I 99-101 de Boor). 531 Dovuta probabilmente ai due pellegrinaggi dell'imperatrice (Cameron, The Empress and the Poet, cit., 217-290). Vd. anche infra 247 ss. 532 PLRE II, 1199. 533 Per un'analisi esaustiva dei rapporti romano-unni cfr. O. Maenchen-Helfen, Die Welt der Hunnen, Wien-Koln-Graz 1978; G. Zecchini, Prassi romana e prassi unna nelle reciproche relazioni politiche, MedAnt 2, 1999, 777-791; G. Wirth, Attila. Das Hunnenreich und Europa, Stuttgart 2000. 534 Suid, s. v. Ζέρκων, I, 2; 501, 29 Adler; Prisc. frg. 11 ( FHG IV, 96 Müller). 101 Prisco, citato da Evagrio,535 ci tramanda il primo omen sul giovane Marciano: questi, deciso ad arruolarsi e a seguire le orme paterne, lungo il cammino per Filippopoli, si sarebbe imbattuto nel cadavere di un uomo della cui uccisione sarebbe stato accusato, ma sarebbe stato

prosciolto miracolosamente, per la pietà dimostrata nei confronti del suo simile. Il secondo omen era presente già nella narrazione di Procopio, in qualche modo ricordato anche da Evagrio536 e ripreso da Teofane insieme a Cedreno e Zonara.537 Secondo lo storico d'età giustinianea, un'aquila si distese su Marciano, allora prigioniero, con il suo comandante Aspar, di Genserico, il quale, assistendo al prodigio, previde il futuro e li liberò. Anche il terzo omen, conosciuto da Teofane, Cedreno, Zonara e Niceforo Callisto,538 riguarda il volo di un'aquila, simbolo del potere imperiale conferito a Marciano. In questo caso il futuro imperatore, durante una spedizione contro i Persiani, sarebbe caduto malato in Licia, dove sarebbe stato curato da due fratelli, Taziano e Giulio, con i quali avrebbe stretto legami di amicizia. Durante una battuta di caccia, i tre si sarebbero decisi a riposare e i fratelli avrebbero visto un’aquila stendere le sue ali su Marciano dormiente e gli avrebbero predetto il futuro regno, sperando in un riconoscimento dell'opera prestata, ricompensa che puntualmente ottennero.539 La reduplicazione del prodigio succitato attesta la preoccupazione per la debolezza della candidatura di Marciano, che pur seguiva la tradizione degli imperatori illiriciani, ma che mancava della gloria di un Diocleziano o di un Valentiniano, nonché di un qualsiasi legame con la dinastia regnante; uno dei pochi pregi era appunto rappresentato dalla fede ortodossa. Il rapporto con i Teodosidi fu realizzato grazie al matrimonio con Pulcheria, ma venne enfatizzato anche tramite la presunta scelta da parte di Teodosio II. Secondo il Chronicon Paschale e Cedreno540 infatti, l'imperatore morente avrebbe chiamato la sorella, Aspar e il senato, per indicare loro il successore, mentre Niceforo Callisto541ricorda solo Pulcheria. La propaganda più agguerrita, comunque, tese a sottolineare la validità della decisione, mettendo in risalto l’accordo raggiunto nella persona di Marciano.

È certamente vero che Evagrio542 considerava il protetto di Aspar come eletto dal senato e da tutti gli altri ordini per l'interessamento di Pulcheria, mentre Teodoro il Lettore543 riteneva che l’elezione fosse dovuta all’esercito riunito all'Ebdomon. La località prescelta, però, faceva riferimento alla principessa, così come il suo coinvolgimento nella condanna di Crisafio, laddove l’amicizia con Anatolio e papa Leone era dichiarata apertamente. I tre elementi fondamentali dell'incoronazione - senato, esercito con Pulcheria e clero - furono inoltre ricordati nelle più tarde narrazioni di Teofane, Cedreno e Niceforo Callisto. Teofane, infatti, sostenne che:544 ἡ δὲ μακαρία Πουλχερία, μήπω τινὶ τῆς τοῦ βασιλέως τελευτῆς γνωσθείσης, μεταστειλαμένη Μαρκιανόν, ἄνδρα ἐν σωφροσύνῃ καὶ σεμνότητι διαπρέποντα γέροντά τε ὄντα καὶ ἱκανώτατον, λέγει πρὸς αὐτόν· “ἐπειδὴ ὁ βασιλεὺς ἐτελεύτησεν, ἐγὼ δέ σε ἐξελεξάμην ἐκ πάσης τῆς συγκλήτου, ὡς ἐνάρετον, δός μοι λόγον, ὅτι φυλάττεις τὴν παρθενίαν μου, ἣν τῷ θεῷ ἀνεθέμην, καὶ ἀναγορεύω σε βασιλέα. τοῦ δὲ συνθεμένου τοῦτο, μεταστέλλεται τὸν πατριάρχην καὶ τὴν σύγκλητον καὶ ἀναγορεύει αὐτὸν βασιλέα Ῥωμαίων. Cedreno dal canto suo sottolineò:545 535 Evagr. h. e. II 1 ( PG LXXXVI, 2485). 536 Evagr. h. e. II 1 ( PG LXXXVI, 2437). 537 Thphn. chron. a. m. 5943 (103 de Boor); Cedr. 605 ( PG CXXI, 658); Zon. XIII 23-35, 1197 (III 110 ss. Büttner-Wobst). 538 Thphn. chron. a. m. 5943 (1 103 de Boor); Cedr. 604 ( PG CXXI, 656); Zon. XIII 35 e s., 1198 (III 112 ss.

Büttner-Wobso); Nic. Call. h. e. XIV 23; 49 ( PG CXLVI, 1129, 1232). 539 In realtà Taziano e Giulio ( PLRE II, 1053) erano i nipoti del PPO (388-392) teodosiano Taziano e il racconto sembra indicare il consenso del senato nei confronti di Marciano, il quale non doveva essere di origine poi tanto umile, per annoverare tra i suoi amici i rampolli di una famiglia così potente e illustre. 540 Chron Pasch. a. 451 ( MGH AA. XI, Chron. Min. II; 812 Mommsen); Cedr, 602 ( PG CXXI, 656). 541 Nic. Call. h. e. XIV 58 ( PG CXLVI, 1129, 1273). 542 Evagr. h. e. II 1 ( PG LXXXVI, 2489). 543 Theod. Anag. I 563 ( PG LXXXVI, 165). 544 Thph. chron. a. m. 5943 (I 103 de Boor). 545 Cedr. 603 ( PG CXXI, 656). 102 Μετὰ δέ τινα χρόνον ἐξῆλθεν ὁ βασιλεὺς ἱππασθῆναι· καὶ συμπεσόντος αὐτῷ τοῦ ἵππου πληγεὶς εἰσῆλθεν ἐν λεκτικίῳ ἤτοι φορείῳ, καὶ καλέσας τὴν ἀδελφὴν Πουλχερίαν εἶπεν αὐτῇ διὰ Μαρκιανὸν τὸν μετ᾽ αὐτὸν βασιλεύσαντα· “τοῦτο γάρ μοι” φησίν “Ἰωάννης ὁ θεολόγος ἀπεκάλυψεν, ἐν Ἐφέσῳ μοι ὄντι." καὶ μεταστειλάμενος Μαρκιανὸν εἶπεν αὐτῷ ἐπὶ Ἄσπαρος καὶ τῆς συγκλήτου “ἐδείχθη μοι ὅτι σε δεῖ γενέσθαι βασιλέα μετ᾽ ἐμέ. Niceforo, poi, asserì:546

Ἐπεὶ δὲ ἤσθετο ἀπιὼν, ἐν ἀποῤῥήτῳ τὴν ἀδελφὴν Πουλχερίαν μεταστειλάμενος, περὶ Μαρκιανοῦ τοῦ ἀπὸ τριβούνων αὐτῇ διελέγετο, ὡς ἄρα φίλον εἴη Θεῷ μετ᾽ αὐτὸν ἐκεῖνον τὴν Ῥωμαίων ἀρχὴν διοικεῖν. Καὶ ὁ μὲν ταῦτ᾽ εἰπὼν, ἐτελεύτα. Ἔτι δ᾽ἀγνοουμένης τῆς ἀποβιώσεως τῷ κρατοῦντι, τὸν Μαρκιανὸν Πουλχερία ποιησαμένη μετάπεμπτον, ἄνδρα σωφροσύνῃ καὶ σεμνότητι βίου διαπρεπῆ, καὶ γήρᾳ ἤδη κοσμούμενον, περὶ τῆς ἀρχῆς ἐκοινοῦτο· “Καὶ σὲ,” φησὶν, “ἐγὼ τῶν ἄλλων τῆς συγκλήτου ἄρχειν προκρίνω. Ὅρκῳ τοίνυν ἀσφαλισάμενος ὡς οὐκ ἂν ἐπίβουλον ἐμοὶ τῆς ζωῆς τε καὶ τῆς ἀρχῆς καὶ μάλιστα τῆς παρθενίας φρονήσῃς, ἣν ἐκ νέου ἀνεθέμην Θεῷ, λάμβανε τὴν ἀρχήν. Τοῦ δέγ᾽ ὡς ἐδόκει τῇ βασιλίδι πράξαντος, τὸν πατριάρχην Ἀνατόλιον (οὗτος γὰρ μετὰ Φλαβιανὸν ἐγεγόνει), μεταστειλαμένη καὶ τὴν σύγκλητον ἅπασαν, κατὰ τὸ Ἕβδομον, βασιλέα Ῥωμαίων εὐθὺς ἀνηγόρευξ. Solo Malala547 preferì mettere in risalto il ruolo del senato, ma il suo racconto era del tutto coerente con le spiegazioni economiche fornite per l'insuccesso dei Verdi, sostenitori di Crisafio,548 e il cambiamento politico, voluto dai Blu: Μετὰ δὲ τὴν βασιλείαν τοῦ αὐτοῦ Θεοδοσίου ἐβασίλευσεν ἀπὸ τῆς συγκλήτου στεφθεὶς ὁ θειότατος Μαρκιανός. Nel corso degli anni si era formato il ritratto dell’imperatore ideale, incarnato da Marciano. Questi non poteva certo essere un princeps puer, inadatto a compiere scelte fondamentali per l'umanità, che

doveva essere da lui protetta, ma doveva avere quella maturità che l’esperienza, accumulata i negli anni, poteva consentire e che, sola, era adatta alla vittoria sulle passioni, poiché si era forgiata lungo il difficile tragitto dell’esistenza.549 Il percorso di crescita compiuto aveva, appunto, concesso a Marciano non solo la vittoria sui nemici, ma anche sulla carne, sì da far di lui quel campione di virtù che poteva rispettare la purezza della sposa, mantenendo il carattere forte della sua virilità.550 Virilità sottolineata dalle origini illiriciane e dalla carriera militare, che tuttavia non gli precluse la filantropia, come dimostra l'episodio di Filippopoli. La pietà dimostrata verso il morto, strettamente collegata alla miracolosa assoluzione, era perfettamente funzionale alla creazione di un'immagine di Marciano panaristos e philanthropos, erede del tutto degno, per ciò stesso, dei Teodosidi. La reduplicazione del prodigio dell'aquila551 poi, non solo ricollegava l'ex tribuno al simbolo della monarchia assoluta, con un significato dalla pregnanza metafisica, ma tendeva a dare una direzione eziologica alla leggenda, poiché cercava, per tal via, di spiegare l'origine dell'amicizia con i Vandali e Genserico, che aveva riconosciuto nel militare i crismi della regalità. Amicizia che, in realtà, aveva ben altre origini e che vedeva l'Occidente e l'Oriente, impegnati contro gli Unni, riporre le proprie speranze nell’aiuto di Vandali e Visigoti, come consigliavano i generali di entrambe le partes, cioè l'occidentale Aezio e gli orientali, guidati da Aspar e Zenone. 546 Nic, Call. h. e. XIV 58 ( PG CXLVI, 1129, 1273). 547 Io. Mal. chron. XV 124-125; PG XCVII, 609 = 412 Thurn. 548 Per il ruolo degli eunuchi e degli altri protagonisti alla corte bizantina vd. Sh. F. Tougher, Byzantine Eunuchs: an Overview with special References to their Creation and Origin, nell'interessante raccolta di saggi in James (Ed.), Women, Men and Eunuchs, cit., 168184. 549 Cfr. l'importante lavoro della Molè, Principi fanciulli, cit., 70 ss.

550 Cedr. 603 ( PG CXXI, 656); Nic. Call. h. e. X 58 ( PG CXLVI, 1129, 1273). 551 In realtà Evagr. h. e. II 1 ( PG LXXXVI, 2489) parla di un angelo, ma la variante si deve, con tutta probabilità, alla tipologia dell'opera, storica. Sull'ambivalenza del simbolo dell'aquila vd. M.P. Ciccarese, Il simbolismo dell'aquila. Bibbia e zoologia nell'esegesi cristiana antica, CCC 13, 1992, 295-333. A. Mastrocinque, Due note elleniche: l'imperatore Marciano e l'ombra dell'Aquila, AIV 138, 1979-1980, 551-562, pensa, invece, alla pubblicistica dell'età dei diadochi, arrivata, attraverso l'adozione augustea, all'Oriente tardoantico. 103 Quest'ultimo, secondo Damascio, avrebbe persino attentato alla vita di Teodosio II, pagandone le conseguenze con una brutta caduta da cavallo.552 Anche se, per il filosofo, colui che avrebbe subito un simile danno sarebbe stato il generale e non, come avvenne, l'imperatore, va sottolineato che il racconto allude chiaramente a una congiura nei confronti del legittimo sovrano. Dell'alleanza di militari ostili a Teodosio faceva sicuramente parte Marciano, come dimostra la tradizione relativa all' omen imperii, che identificava questo domesticus con l’artefice dell'alleanza con Genserico e che evidenziava l'accordo politico della corte orientale con quella occidentale, ossia con Aezio, antiunno, cattolico e favorevole agli Anicii. Un tale programma politico, esclusi ovviamente i Verdi, trovò tutti concordi: i militari che vedevano aumentare il consenso nei propri confronti e verso la politica militaristica; i cattolici niceni, che vedevano i loro vessilliferi al potere sia i clerici come Anatolio e papa Leone sia i laici come Marciano -, infine i senatori che vedevano protette le loro sostanze. Dalla loro classe nacque quella tradizione storiografica anicia, cattolica, ostile al monofisita e pacifista Teodosio II ed al suo consigliere Crisafio; favorevole invece ad Aspar, Pulcheria e Marciano; sostenitrice anche dell'indirizzo antiunnico di Aezio,553 del quale ammirava la fede,

esattamente come aveva condiviso la scelta religiosa, non radicale, dell'Augusto Giovanni.554 Forse una traccia di questa tradizione anicia è da vedere, appunto, nella narrazione sulla morte di Crisafio, tramandata da Teofane e Cedreno.555 L'eunuco, infatti, sarebbe stato consegnato a Giordane perché questi potesse vendicare la morte del padre Giovanni, l'usurpatore del trono occidentale, sostenuto dagli Anicii e ucciso da Crisafio. È pressoché impossibile, anche per motivi cronologici, che l’imperatore occidentale sia stato ucciso dall'orientale cubicularius, ma risalire a una tradizione anicia spiegherebbe la falsa notizia. Sarebbe del tutto plausibile che Crisafio avesse ucciso un funzionario orientale,556 omonimo dell'imperatore, e che l'avvenimento fosse stato utilizzato dagli Anicii per demonizzare l'eunuco, loro rivale, e sottolineare, contemporaneamente, il pronto castigo di Dio. 552 Cfr. PLRE II, 1200, in cui Dam. v. Isid., fr. 303 ( Damasci Vitae Isidori Reliquiae, 188 Zintzen) è riferito proprio al magister utriusque militiae (MVM) Zenone e interpretato come allusione all'attentato contro Teodosio Il. 553 Vd. supra nn. 183; 187. 554 Sebbene J. Sundwall, Weströmische Studien, Berlin 1915, 90, distingua tre Giovanni (il primo, primicerius notariorum del 408; magister officiorum del 409 e PPO del 412-13; il secondo PPO del 422 e il terzo, l'usurpatore, anch'egli primicerius notariorum); mentre Martindale, PLRE II, 723-724, ne distingua due, riunificando il secondo e il primo, appare più probabile l'identificazione del terzo con il primo Iohannes, in quanto il Codice teodosiano avrebbe dovuto indicare la doppia prefettura del PPO del 422. Le tendenze liberali in campo religioso di Giovanni si evincono dalle leggi del 425-426 CTh XVI 2, 46; Const. Sirmon. 6; CTh XVI 5, 62 e 64; CTh XVI 7,7 e 8,28: cfr. Pietri, Roma christiana, I, Roma 1976, 447 ss.; con G.

Zecchini, La politica religiosa di Aezio, in AA.VV., Religioni e politica nel mondo antico (CISA 7), Milano. 1981, 250-277, spec. 253-255. 555 Thphn. chron. a. m. 5943 (I 103 de Boor); Cedr. 603 ( PG CXXI, 656). 556 Per Martindale, PLRE II, 597, il Giovanni in questione sarebbe con ogni probabilità da identificare con Ioannes il Vandalo, magister utriusque militiae per Thracias, ucciso da Arnegisclo (Marcell. Comes chron. a. 441, MGH AA XI Chron. Min. II 80; Chron Pasch. a. 441, 576 Bonn). 104 Marciano invece rappresentava un dono di Dio, per filantropia, perizia militare e volontà politica;557 era un protagonista capace di ridimensionare il ruolo della sovversiva Pulcheria, della quale non si poteva fare a meno, ma che veniva ridotta a mezzo della tradizionale politica familiare e a sposa dell’imperatore. Il ridimensionamento del potere dell’Augusta fu frutto di un accordo politico, opportunamente propagandato dalla nuova élite di governo, tramite il solidus delle nozze, e tramandato, fino ai nostri giorni, dalle fonti storiografiche, a testimonianza del rifiuto nei confronti di un modello innovativo qual era stato quello proposto da Pulcheria e dal suo entourage. 557 Già Seeck, Geschichte des Untergangs, cit., 169 aveva valutato negativamente l'operato di Marciano, facendone un’emanazione della volontà di Pulcheria. Il parere dell'illustre studioso ha pesato sulle ricostruzioni posteriori come quelle di E.A. Thompson, The Foreign Policies of Theodosius II and Marcian, «Hermathema» 76, 1950, 58-75; G. Ostrogorsky, Geschichte des Byzantinischen Staates, München 1963, trad. it. Storia dell'impero bizantino, Torino 1968, 53 e A.H.M. Jones, The Later Roman Empire 284-602, 1, Oxford 1964, trad. it, Milano 1973, 279, fino a quella di R.W.

Burgess, A new Reading for Hydatius Chronicle 177 and the Defeat of the Huns in Italy, «Phoenix» 42, 1988, 357-363, il quale lo ritiene più una creatura del magister Aspar che della moglie. Una rivalutazione del progetto politico di questo imperatore ha tentato R.L, Hohlfelder, Marcian’s Gamble. A Reassessment of Eastern Imperial Policy toward Attila A. D.

450-453, AJAH 9, 1984, 54-69, di cui un'eco è riscontrabile anche in A. Demandt, Die Spätantike. Römische Geschichte von Diokletian bis Justinian (284-565), München 1989. Sulla coerenza del programma politico marcianeo e sul conservatorismo ‘teodosiano’ dell'imperatore insiste V. Baini, Per una nuova interpretazione del regno di Marciano, MedAnt 7, 2004, 373-405. Indubbiamente l'Augusto seppe ben interpretare lo spirito dell'accordo raggiunto tra il partito militarista antiunno, il ceto senatorio e le aspirazioni di Pulcheria, ma riuscì anche ad adeguarsi alla nuova realtà politica, che lo portò, in nome dell’unità dell'impero, a contrastare Genserico e i suoi Vandali, nonché ad adoperarsi per la sconfitta del monofisismo, con tutte le implicazioni politiche inerenti, tramite la convocazione del Concilio di Calcedonia. 105

CAPITOLO IV RICONVERSIONE E RICONFIGURAZIONE DEI MODELLI

PULCHERIA La riconversione del modello proposto da Pulcheria verso una tipologia più moderata e meno eversiva risultò vincente e permise una riutilizzazione sorprendente all'interno delle vicende del Regno delle due Sicilie. L’abile riconfigurazione fu portata avanti dalla propaganda borbonica, coerentemente con la politica di difesa del papato e della religione, sostenuta contro la dinastia dei Savoia. Recentemente Francesco Di Rauso e Gionata Barbieri558 hanno pubblicato un'interessante medaglia argentea, risalente al 1862, di Louis Arnoud, celebre incisore napoletano dell’epoca. Essa raffigura Santa Pulcheria servente il giglio alla vergine Maria, alla quale l'imperatrice era, appunto, legata tramite il voto di castità. Dalla contestualizzazione del voto, operata nelle pagine precedenti, possiamo ancor meglio comprendere il profondo e complesso significato del messaggio veicolato dalla medaglia dell'Arnoud, la cui non ardua decifrazione da parte dei contemporanei è testimoniata dalla diffusione del tipo. Infatti esistono altri esemplari in argento dorato e si ha notizia di tipi ridotti che misurano 22x18 mm. Fig. 1 - Medaglia di Santa Pulcheria. Fig. 2 - R/: corona con 19 gigli. La medaglia, oggetto della nostra riflessione, è in argento e misura 50 x 40 mm. La protagonista è Santa Pulcheria inginocchiata che, aureolata e con vesti imperiali, protende la mano sinistra in segno di devozione e con la destra alza il giglio verso la statua della Vergine, la quale tiene in braccio il Bambin Gesù. La scultura di Maria che sorregge il Bambino è posta su di un altarino, sostenuto da quattro piedi intarsiati e decorati con temi floreali e piccole croci, ed è affiancata da due candelabri fiammeggianti per lato. Al di sotto dell'altarino si può ammirare una croce greca patente "appena" fiorita,

con al centro costruzioni geometriche gigliformi, separate da una riga orizzontale. Ai piedi di Santa Pulcheria ed in prossimità dell’altarino si trovano lo scettro imperiale e la corona reale, aperta e fiorita. Al D/ si legge l'invocazione: / S. 558 F. di Rauso-G. Barbieri, Santa Pulcheria, «Quaderni di Panorama Numismatico» 248, 2010, 23-42. 106

PULCHERIA PREGATE / PER NOI (tipico vocativo rivolto a Santo raffigurato). In esergo: è incisa la firma dell'artista: L. ARNAUD INV. ED ESEGUÌ / NEL 1862 PER VOTO. Al R/, entro rami di gigli e di quercia, annodati in basso con un nastro, si esplicita: ELIA PULCHERIA A. / IMPER. DE' ROMANI / SPOSA SERVÒ IL GIGLIO PROVVIDENTISSIMA / PACIERA PIA ORTODOSSA / ELENA NOVELLA / RIUNÌ IL / SINODO D'EFESO / SOSTENNE LA DIVINA / MATERNITÀ DI MARIA / MANCÒ L'ANNO / 453. La medaglia, lapidariamente, descrive i tratti essenziali delle importanti funzioni che assolse Pulcheria all’interno del governo del fratello. Il primo riferimento è riservato alla reggenza, laddove le si attribuisce il titolo di A(UGUSTA). Infatti quando, nel 408, in seguito alla morte di Arcadio, Teodosio II ascese al trono imperiale, fanciullo di appena sette anni, la reggenza di governo era saldamente nelle mani

del prefetto al pretorio Flavio Antemio, eminenza grigia alla corte orientale già dal 400 d. C. Il funzionario proseguì nel suo operato, come abbiamo già avuto modo di constatare,559 fino al 414, quando Pulcheria, sebbene avesse solamente due anni in più rispetto al fratello, fu proclamata Augusta e divenne la nuova reggente dell'Impero. Ella riuscì a mantenere un ruolo così gravoso anche dopo il 416 - anno in cui Teodosio II prese in mano formalmente la redini del potere - ma dovette cominciare ad abbandonarlo dopo l'insuccesso della “crociata” contro la Persia contro la Persia. Nonostante ciò, l’ influenza politica e religiosa della basilissa fu sei sempre notevole, a da superare sia l'ostilità della cognata Eudocia e del “liberal party”560 che la sosteneva, sia l’inimicizia dell'eunuco Crisafio, parente dell’archimandrita Eutiche, legato al monofisismo alessandrino. L'abilità di Pulcheria e il perdurare del suo potere, anche se caratterizzato da un andamento che potremmo definire carsico, sono resi palesi dal ricorso alla sua persona da parte del fratello in punto di morte. La principessa teodosiana era, infatti, riuscita ad allearsi con le alte gerarchie militari, assicurandosi un ruolo importante nella successione; ruolo che si evince anche dal solidus sopra descritto,561 in cui Cristo pronubo consacra le nozze, ribadendo l’importanza di Pulcheria all’interno della coppia. Il secondo rilievo presente nella medaglia ottocentesca è il riferimento al voto di verginità, base del potere e fondamento di quella che abbiamo definita “teologia imperiale” pulcheriana. Infatti l’ entourage dell'Augusta, guidato probabilmente dal vescovo Attico,562 era riuscito, con abilità, a piegare il nuovo codice biblico ai propri interessi. I fautori dell'Augusta avevano sostituito l'immagine suggestiva del sacrificio della propria anima al basileus celeste, operato da Costantino, con l'oblazione dell'identità sessuale dell'imperatrice, rendendo plausibile l'approvazione del megas basileus e consentendole l'appropriazione del “logo”

costantiniano, il chrismon.563 Esso non a caso si riscontra nei solidi pulcheriani,564 a rendere tangibile la continuità con la linea di successione maschile degli imperatori cristiani e, in particolare, teodosiani, ma anche è riflesso nella figura del Cristo pronubo, che riproduce, a un'analisi attenta, nei suoi tratti essenziali, proprio il Khiro. Fig. 3 - D/: l'Augusta Aelia Pulcheria. (RIC 10, X 253) Fig. 4 - R/: Khi-ro circondato da corona d’alloro. L'efficacia del lavoro di rielaborazione della propaganda costantiniana è espressa sia dall’iscrizione SPOSA SERVÒ IL GIGLIO, sia dall'immagine dell’imperatrice offerente. Il riferimento al perdurare della castità, 559 V. supra 163 ss. 560 Cfr. Cameron, The Empress and the Poet, cit., 217 ss. 561 Vd. supra fig. 13. 562 Vd. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 445. 563 Cfr. Walraff, La croce negli storici ecclesiastici, cit., 461-475. 564 RIC 10, X 204. 107 anche dopo le nozze, poiché Pulcheria da sposa si sarebbe mantenuta pura, secondo il patto stabilito con Marciano,565 fa di lei una perfetta servente della Madonna. L'osservanza della purezza la rende automaticamente ancella e mimema della Vergine, di cui fu grande devota, agevolando il rafforzamento d'immagine, di cui godette la medesima principessa teodosiana nel V secolo. Gli attributi, PROVVIDENTISSIMA PACIERA PIA ORTODOSSA, alludono al ruolo pacificatore dell'Augusta tra le diverse fazioni, in lotta teologica e “fisica” sulle questioni cristologiche, e alla sua natura pia ed ortodossa di rigorosa donna di fede, che sembra aver ottenuto ispirazione di tipo

provvidenziale. La connotazione aggiunta, invece, di ELENA NOVELLA sembra derivare dall’acclamazione dei Padri della Chiesa, i quali, durante il Concilio di Calcedonia, così definirono Pulcheria per assimilarla alla santa madre di Costantino, fervida devota di Maria. In verità tale definizione ben si addiceva alla Pulcheria del 451, vergine sposa, ormai rientrata all’interno di schemi rappresentativi più tradizionali, che potevano essere accettati ed esaltati anche dai Padri riuniti a Calcedonia. A Pulcheria fu riconosciuta la pia e provvidente attività assistenziale, svolta non solo per la comunità ecclesiastica, relativa alla costruzione di templi, ospizi e ricoveri per bisognosi e disagiati, ma compiuta anche per l'istituzione clericale, con la promozione di diversi sinodi ecclesiali, che, alla fine, determinarono la composizione delle tesi opposte in direzione ortodossa. Tutti i meriti dell’Augusta furono riconosciuti dalla Chiesa attraverso epistole pontificali che rinnovavano l'ammirazione per l'operato caritatevole dell'imperatrice, che ne svelava la santità e il ruolo di baluardo per la difesa e la salvezza della Croce di Cristo. Il culto a lei dedicato non si estinse mai nei secoli successivi, tant'è che, ancora nel 1752, un decreto di Papa Benedetto XIV sottolineava la sacertà e la castità del matrimonio di Pulcheria e di Marciano. Pari gloria, però, l'imperatrice ebbe dalla sua attività durante gli importantissimi concili ecumenici che si tennero nella prima metà del V secolo, cioè il Primo Concilio di Efeso (431), il Secondo Concilio di Efeso (449), il Concilio di Calcedonia (451). Nel concilio efesino del 431, convocato personalmente da Teodosio Il sotto l'ascendenza di Pulcheria, avvenne la condanna del Nestorianesimo

e del Pelagianesimo, a favore del Simbolo Niceno-Costantinopolitano (ottenuto in seguito alle aggiunte al Simbolo Niceno o Apostolico; risultato del Primo Concilio di Nicea del 325, di parti nuove conseguenti al Primo Concilio di Costantinopoli del 381), ossia dell'atto di fede, che ancora oggi viene comunemente recitato nella liturgia cattolica. Il patriarca di Costantinopoli, Nestorio (ca. 381-451), considerava Gesü Cristo come persona connotata da due nature, quella divina e quella umana, unite da un legame essenzialmente morale, unione esemplificabile attraverso il modello del "tempio" del corpo umano di Cristo, che porta al suo interno la Divinità, ovvero il Verbo di Dio, per questo appunto definito Theophoros. Allora, come conseguenza di ciò, Nestorio sosteneva che Maria fosse stata genitrice solo di Cristouomo, e non di Cristo-Dio, donde l’appellativo, in fondo molto diplomatico, di Christotokos. Pelagio (560-420),566 dal canto suo, riteneva la salvezza eterna del tutto dipendente dall'essere umano, difficile da poter raggiungere, ma di fatto subordinata al libero arbitrio dell'uomo, capace di condurre una vita religiosamente esemplare, lontana dal peccato. L'uomo, secondo Pelagio, sarebbe un essere libero ed autonomo, per volontà stessa di Dio. Infatti, indipendentemente dalla Grazia divina, predestinata verso alcuni esseri come predicava Sant'Agostino, egli potrebbe

raggiungere la salvezza eterna e l’ascesa celeste. La concezione della responsabilità delle azioni come pertinente a ciascun essere umano che le compie, indipendentemente da scelte operate da altri esseri umani in epoche precedenti o contemporanee, portarono i pelagiani a considerare l’uomo privo del peccato originale di Adamo. Tale peccato, in sostanza, non sarebbe stato trasmesso con l’atto sessuale e con la conseguente nascita di ogni uomo, in quanto l’anima del nascituro non poteva essere stata macchiata da un peccato non commesso personalmente. In sostanza si rifiutava il senso del sacramento del Battesimo come un salvacondotto per la vita eterna, possibile senza alcuna azione meritoria nella vita. Ma il Battesimo era voluto, e soprattutto, era stato ottenuto da Cristo stesso, quindi il 565 Io. Mal. chron. XV 124-125; PG XCVII, 609 = 412 Thurn; Thph. chron. a. m. 5943 (I 103 de Boor); Cedr. 603 ( PG CXXI, 656); Nic. Call. h. e. XIV 58 ( PG CXLVI, 1129, 1273). 566 Cfr. il datato, ma fondamentale G. de Plinval, Pélage, ses écrits, sa vie et sa réforme. Étude d'histoire littéraire et religieuse, Lausanne 1943, 336 ss.; insieme a O. Wermlinger, Rom und Pelagius, Stuttgart 1975, 220 ss.; R. Evans, Pelagius: Inquiries and Reappraisals, London 1968, 72; Brown, Religione e società nell’ età di S. Agostino, trad. it., Torino 1975, 164 ss.; J. Valero, Les bases antropólogicas de Pelagius en su tratado de las Expositiones, Madrid 1980; R.A. Markus, From Augustin to Gregory the Great, London 1983; Id., The Legacy of Pelagius: Orthodoxy, Heresy and Conciliation, in R. Williams (Ed.), The Making of Orthodoxy, Essays in Honour of Henry Chadwick, Cambridge 1989, 214 ss.; R. Dodaro, Christ and the Just Society in the thought of Augustin, Cambridge 2004, 87 ss. 108 Pelagianesimo si poneva in netto contrasto con quanto veniva riportato dai Vangeli. Allo stesso modo anche il Nestorianesimo appariva come una eresia per il suo razionalismo.

Il rifiuto delle due dottrine, evidenziato nelle fasi del Primo Concilio di Efeso, allora, diede adito al pronunciamento ufficiale sulla denominazione da associare alla Vergine Maria, ossia Theotokos, cioè Deipara, che evidenziava la divina maternità di Maria. Simile definizione, del resto, era del tutto conforme al Vangelo di Luca, in cui Santa Elisabetta, rivolgendosi a Maria, la definisce Meter tou Kyriou ovvero Madre del Signore. Nel 431 si volle sottolineare la presenza della natura divina insieme a quella umana nel Figlio, unica persona completamente Dio e completamente uomo, data alla luce dalla Vergine Maria. Inoltre, dalla denominazione ufficiale di Santa Vergine, rivolta alla Madonna dai Padri della Chiesa nelle sessioni del sinodo, possiamo dedurre che si intese prefigurare la santità di Maria non solo perché Madre di Dio, ma anche perché priva, già dalla sua nascita, del peccato originale, trasmesso da Adamo a tutta la discendenza umana. In pratica si anticipò l'assunzione del concetto dell’ Immacolata Concezione di Maria. Contrariamente alle affermazioni di Pelagio, il peccato originale, trasmesso sessualmente e con il conseguente concepimento da parte dei genitori, era considerato proprio di tutti gli esseri umani, ad eccezione di Maria, che era già stata prescelta da Dio come madre del Figlio. Era impensabile affermare che tale scelta potesse ricadere su un umano gravato da peccato. Sebbene il concepimento immacolato della Beata Vergine Maria sia stato effettivamente assunto come dogma cristiano cattolico solo con la bolla Ineffabilis Deus di Papa Pio IX (8 dicembre 1854), a Efeso, nel 431, l'influenza di Cirillo e la convenienza della basilissa esaltarono la verginità di Maria, da cui derivava la supremazia del paradigma celeste della Mater Dei e del suo riflesso terrestre. Il secondo Concilio di Efeso fu formalmente presieduto da Flaviano, patriarca di Costantinopoli, condotto e convocato da Dioscoro, patriarca di Alessandria d’Egitto. In tale sede furono fatte prevalere e rese ufficiali (attraverso l'inclusione degli atti del sinodo nel codice Teodosiano) le dottrine del Monofisismo di Eutiche (378-454), archimandrita di un grande monastero di Costantinopoli. Le tesi in

oggetto (profondamente differenti rispetto a quelle di Nestorio) sostenevano la presenza in Cristo di due nature, quella divina e quella umana, ma solo prima della incarnazione. Dopo di essa, con l'unione delle nature divina e umana, la natura risultante sarebbe stata solamente quella divina, in quanto onnicomprensiva e superiore. In altri termini dopo l'incarnazione, la Divinità di Gesù Cristo avrebbe accolto ed assorbito l’Umanità: il mare (la Divinità di Gesù) poteva ben accogliere una goccia d'acqua (l'Umanità di Gesù). Certamente non è facile comprendere appieno il ruolo di Pulcheria durante questo concilio, in quanto ella si era ritirata a vita privata, nel palazzo periferico dell'Hebdomon, in seguito alla rivalità sorta con Atenaide Elia Eudocia, moglie dell’imperatore Teodosio II. Papa Leone I (440461) inviò più missive, affinché si scongiurasse l'esito del concilio, ma esse furono del tutto ignorate. Alla fine si decise, anzi, per la scomunica del santo padre, sicché Leone I definì il concilio come un latrocinium. Lo stato delle cose cambiò dopo la morte di Teodosio II, imperanti Marciano e Pulcheria. L'imperatrice, prestando ascolto ai proositi di Leone I, convocó il Concilio di Calcedonia che annulló gli esiti del Secondo Concilio di Efeso. Il monofisismo eutichiano venne condannato, Dioscoro ed Eutiche furono esiliati, Flaviano di Costantinopoli fu proclamato santo martire della fede. Egli, infatti, era stato aggredito e deposto, durante le sessioni del secondo concilio efesino, e, poi, assassinato in Lidia per il sostegno alla fazione sostenitrice del convincimento della duplice natura di Gesù Cristo. La scomunica a papa Leone I venne annullata. Quanto sopra detto, soprattutto il riavvicinamento all'Occidente sia dal punto di vista politico sia da quello religioso, dovette avere un peso, e parecchio, anche nel rinnovamento del culto per la santa Augusta nella seconda metà del XIX sec. La medaglia costituisce un voto, per quanto viene esplicitamente dichiarato in essa, la cui dedica, per acquistare senso, va inserita in un momento di particolare fervore del culto mariano e di quello, ad esso

collegato, rivolto a Santa Pulcheria. Una simile devozione dovette essere caratterizzata da complesse implicazioni politiche, esattamente come la diffusione del culto della Vergine nel VI secolo e la relativa “femminilizzazione della società”, tanto più che il culto di Santa Pulcheria non era particolarmente diffuso a Napoli nella prima metà del XIX secolo. A tal proposito, probabilmente, va rivista l’interpretazione secondo la quale Arnoud avrebbe operato una forzatura della realtà, avvicinando la santa alla madre di Costantino già all’inizio della sua attività, cioè in occasione del primo Concilio efesino, accostamento ufficializzato effettivamente dai Padri della Chiesa solo dopo il sinodo di Calcedonia. Nella sua ricostruzione dei fatti, richiamati nella didascalia principale della medaglia, Barbieri ritiene che il voto sia formulato a Santa ELIA PULCHERIA, AUGUSTA ed imperatrice romana d'Oriente; la quale SPOSA SERVÒ IL GIGLIO, ossia (con)servò purezza e castità anche dopo le nozze, replicando la virtuosa verginità di Maria. Di conseguenza ella, da PROVVIDENTISSIMA PACIERA PIA ORTODOSSA, avrebbe 109 svolto il ruolo d'intermediaria nella lotta feroce tra le fazioni contrastanti in merito alle questioni cristologiche e si sarebbe potuta definire salvatrice del Cristo, come ELENA NOVELLA. Santa, quest’ultima, che diede alla luce Costantino, immagine riflessa di Dio, e che divenne garante del potere imperiale, simbolicamente indicato dai chiodi della Croce, trovati, per sua iniziativa, in Terra Santa.567 Nella sua interpretazione, lo stesso Barbieri, però, sottolinea come l'accostamento sembrerebbe improprio in riferimento a Efeso (ELENA NOVELLA RIUNÌ IL SINODO D'EFESO), poiché realmente Pulcheria venne così acclamata dai Padri della Chiesa solo durante il Concilio di Calcedonia, cioè nel 451, come dimostrerebbero i testi in appendice con le note allegate di seguito, tratte dal Supplementum Ad Novam Editionem Bullarii Benedicti Papa XIV:568

Commemoratio S. Pulcheria Regina in pace quiescentis: Haec fuit soror Theodosii Iunioris, coniux Marciani pietate prastantissimi Imperatoris quae cum virginitatem ipsam ad senectutem usque servasset, multaque praeclara opera in templorum et bospitalium domorum adificia contulisset, et sanctae Chalcedonensis Synodi Patres adiuvisset, in pace quievit… e: Pulcheria Flavii Theodosii Iunioris soror Augusta, Augustorum filia, soror, neptis, coniux, et Virgo, Propugnatrix Pontificum, magistra Imperatorum, custos fidei, munimen Ortodoxorum, Ecclesiaa, et Imperii decus, nova Elena, novum orbis miraculum. Anno Christi CDLIII. Aetatis LV. Imperii XXXIX. ad coelestem aulam proficiscitur… e ancora nella stessa pagina: Viva l'Imperadrice Augustissima. Viva Pulcheria, viva la novella Santa Elena, conservi Iddio questa Santa, conservi questa Ortodossa, conservi costei, che è conservatrice della Fede. Quindi, in base alla prospettiva di Barbieri, i motivi della imprecisione, riscontrabile nella legenda della medaglia di Arnaud, sembrerebbero inspiegabili. In realtà, il parallelo tra le due sante è stabilito in base al favore accordato alla tesi della divina maternità della Madonna, SOSTENNE LA DIVINA MATERNITÀ DI MARIA, ossia alla tesi della Theotokos, sostenuta con forza, come già detto, anche dal monofisita Cirillo d'Alessandria e uscita vincente fin dal primo concilio efesino, tesi ribadita, meglio definita e integrata, poi, dai Padri riuniti a Calcedonia. La connessione con il culto mariano, appunto, potrebbe fornirci la giusta chiave di lettura. Per comprendere pienamente il significato del messaggio ad essa sotteso, la medaglia va inserita nel contesto della metà dell’Ottocento, come sopra indicato, allorché il Pontefice ufficializzò l'immacolata concezione di Maria, In effetti, si riservò grande enfasi alla divina maternità della Vergine, la cui ricorrenza fu

celebrata come festa nazionale del Regno delle Due Sicilie. Resta comunque sorprendente che, tra i giorni 11 febbraio e 16 luglio del 1858, vi furono le miracolose apparizioni della Madonna di Lourdes, riconosciute ufficialmente dalla Chiesa nel 1862, stesso anno della produzione della medaglia, oggetto della nostra attenzione. Apparizioni che vanno inserite in una sequenza che si svolse durante tutta la prima metà del secolo. Basti in questa sede ricordare quelle della Beata Vergine, della Madonna delle Grazie o della Medaglia Miracolosa dell’anno 1830 a Parigi, oppure di Nostra Signora del Miracolo, avvenuta a Roma, all’interno della Chiesa di Sant'Andrea delle Fratte nel 1842. Senza dubbio una delle motivazioni alla produzione della medaglia va cercata nella generale e reale devozione alla Madonna, caratteristica dell’epoca, ma soprattutto, alla fede in Santa Pulcheria, specialmente da parte di chi concepì e volle realizzare il voto, tanto più che il tema centrale, molto caro all'imperatrice teodosiana, sembra confermarlo. La divina maternità della Vergine Maria, infatti, fu ribadita proprio in quegli anni e confermata, poi, dall’apparizione a Lourdes del 25 marzo (festa dell'Annunciazione), nella quale la Vergine Maria si presentó come l'Immacolata Concezione. Del resto Luigi Arnaud non avrebbe approntato dei conii di così alto livello e peso economico, se il voto non avesse avuto una valenza, dal punto di vista personale, particolarmente significativa e una risonanza, a livello generale, sufficientemente vasta. L'aspetto 567 Ruf. h. e. X 7-8; Socr. I 17; Soz. h. e. II 1-2; Thdt. h. e. I 18, Ambr. ob. Theod., 40-49; Paul. Nol. ep. XXXI 4-5; Sulp. Sev. II 22-34. Sulla ricostruzione della vicenda cfr. Drijvers, Helena Augusta: The Mother of Constantine the Great, cit., 121 ss. 568 Vol. XIII del 1827, 154; 160. 110

della faccenda che colpisce maggiormente è, infatti, la rarità del culto prestato a Pulcheria nel napoletano, in forte contrasto con la sua gloria e l'attenzione riservatele dall' Arnoud. A conferma di ciò, è possibile ricordare come, nel ricchissimo e magnifico Archivio Storico della Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, sia assente ogni riferimento a Santa Pulcheria e, invece, si apprenda569 che il vescovo dei Marsi (l'odierna Avezzano) richiese una consultazione alla Congregazione dei Riti (12 novembre 1831) in merito al chiarimento di alcuni dubbi di forma, segno di un attecchimento non molto profondo del culto di Pulcheria anche nelle alte sfere ecclesiali, per lo meno in parte di esse. Al di là del senso puramente spirituale e individuale, è plausibile ci sia un altro significato, sul piano pratico e politico, da attribuire all'importanza del voto. Su questo versante, salta agli occhi quella che Barbieri definisce «l'ossessione per il giglio»,570 citato, come abbiamo visto, espressamente nella didascalia sul rovescio della medaglia e che, ovviamente, richiama i gigli borbonici. Se pensiamo al fatto che Aloysius Arnaud (1817-1872), figlio del già celebre incisore Achille, nato e vissuto a Napoli, non solo segui le orme del padre, ma ben presto lo superò in bravura, sì da incidere pregevolissime medaglie per i Borbone di Napoli, non possiamo sottovalutare la fondità del legame che lo univa ai suoi benefattori, per le opportunità offertegli presso il prestigiosissimo gabinetto d'incisione della zecca del regno.

Il legame di riconoscenza, da un canto, e il sentimento di ammirazione per la purezza, dall'altro, probabilmente, portarono l'incisore e il suo committente a una vera e propria enfatizzazione del motivo floreale. Al dritto si notano gigli nella composizione floreale dell’intarsio dell’altarino (fig. 5), palesemente analoghi ai gigli borbonici come il giglio che Santa Pulcheria regge tra le mani e offre alla Vergine con il Bambin Gesù (fig. 6); inoltre, la decorazione al centro della croce, che campeggia sotto l’altare, presenta costruzioni geometriche ellittiche, che ricalcano la forma di un giglio, separate da una riga orizzontale (fig. 7). Del resto, però, questa stessa croce, patente e appena fiorita, è molto simile alla celeberrima croce greca (fig. 8) del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, privata però delle lettere Α Ω, insieme con il ΧΡ, al centro, e alle lettere, I H S V, agli estremi, ma con un'espansione centrale alla croce. Fig. 5 - Altare della medaglia di Fig. 6 - Pulcheria servente il giglio. Santa Pulcheria. 569 Vd. i Decreta autentica 29 Congregationis Sacrorum Rituum, II, Roma, 1898, pp. 233-237, n. 44. 570 Di Rauso-Barbieri, Santa Pulcheria, cit., 30. 111

Fig. 7 - Croce centrale dell’altare. Fig. 8 - Croce borbonica. Ovviamente, nel 1862, anno successivo all'Unità d'Italia, non era opportuno l'inserimento, nella medaglia, di una croce perfettamente identica a quella dell'Ordine borbonico, per cui il tema doveva in qualche modo essere modificato. Tutto sommato, comunque, la riga orizzontale, precedentemente descritta, potrebbe essere appaiata

all'elemento verticale della lettera greca R, qualora la croce della medaglia in esame fosse ruotata di 90°. Del resto, anche le estremità, della croce costantiniana sono molto simili alle estremità della croce incisa da Arnaud, come si evince dalle immagini sopra riprodotte. Viene da pensare che il committente, e lo stesso incisore, non solo fossero consapevoli, ovviamente, del legame che univa la Madonna al Signore Gesù, ma anche fossero a conoscenza di quanto importante fosse stato il simbolo del Crocifisso nella propaganda dell’Augusta. Anche lo scettro che giace ai piedi di Santa Pulcheria è gigliato alle estremità. Per quanto riguarda il rovescio, addirittura, abbiamo una corona di diciannove gigli, annodata, mediante un nastro, con una corona di fronde di quercia. Un probabile modello di ispirazione, per il rovescio, è rappresentato dalla medaglia in galvano del 1852, sempre di Arnaud (figg. 9-10) nella quale la corona di alloro si intreccia con la corona di fronde di quercia; motivo che porterebbe a congetturare un'ispirazione, dunque un legame diretto, con una medaglia borbonica di dieci anni precedente e ad avvicinare i simboli suddetti alla propaganda borbonica. Figg. 9-10 - D/ e R/ della medaglia (Napoli 1852). Galvano Ø 147 mm. Per l'inaugurazione del telegrafo elettrico. Al D/ FERDINANDO II. RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE P. F. A. Testa del Re a sinistra; in basso, L. ARNAUD FECE. AI R/ AL SIRE PROVVIDENTISSIMO / PERCHÉ LA MEMORIA / DEL TELEGRAFO ELETTRICO / IL XXXI LUGLIO MDCCCLII / IN NAPOLI INAUGURATO / AI POSTERI / L'ELETTRICITÀ ISTESSA / IN QUESTO METALLO / TRAMANDI, entro rami di quercia e di alloro annodati in basso con nastro;

sotto, nel giro, LUIGI ARNAUD FECE. (Ricciardi 200; D'Auria 237). Ma il collegamento con i Borbone e la propaganda politica relativa appaiono palesi nel ricorrente riferimento alla Provvidenza, che, da un canto, si trova nella medaglia per per Santa Pulcheria, a cui e attribuito l’appellativo di PROVVIDENTISSIMA, e, dall'altro, appare assai di frequente nelle creazioni borboniche dell'artista. Un esempio è fornito dalle medaglie (figg. 11-12) per il compianto sovrano Ferdinando II (PROVVIDENTISSIMO), morto tre anni prima, nel 1859: 112

Figg. 11-12 - Medaglia del 1846. Bronzo argentato Ø 73,5 mm. Per l'inaugurazione della ferrovia da Napoli a Caserta. Al D/ FERDINANDVS II SICILIAR. REX PROVIDENTISS. Busto del Re a sinistra in divisa militare, con fascia e le insegne dell'Ordine di San Gennaro, dell'Ordine di San Ferdinando e del Merito e dell'Ordine di San Giorgio della Riunione. Sotto il busto, ALOY. ARNAUD SCULP e, in basso, D. CICCARELLI M.P.

AI R/ due Geni alati, raffiguranti la Guerra e la Pace, si stringono la mano davanti a un’ara sulla quale sono scolpiti i gigli borbonici. Ai lati, trofei di armi e attributi delle arti e delle scienze. In alto, allegoria del Tempo e, sullo sfondo, il treno che passa davanti alla Reggia di Caserta. All'esergo: VIARVM MORAS HOMINIS SOLLERTIA VICIT/ MDCCCXLVI. In basso: T. ARNAUD DIR. ALOY. ARNAUD FECIT. (Ricciardi 181; D'Auria 211). Va evidenziato che Provvidenza e Provvidentissimo sono parole chiave del regno borbonico. Esse fanno parte del linguaggio ufficiale ricorrono costantemente nei testi e discorsi dell'epoca. Infatti nella raccolta di Girolamo Pirozzi,571 è tramandata l’esortazione: «L'amarissima perdita del Re sempre a noi caro, insiem coll'affanno ci porti la grand’ìdea della Provvidenza, che gli estimabili giorni del Principe estinto segnó. Poiché nel vero, amatissimi Ascoltanti, la Provvidenza esaltò Ferdinando; e Ferdinando corrispose colla sua religiosa condotta al Trionfo della Provvidenza. Piace nell'estemporare mio funerale Elogio questa sì bella Gara esposta tralla Provvidenza, e Ferdinando... La Provvidenza, che esaltò il Re Nostro, ci ammaestri a temperar la tristezza. Il Nostro defunto Re, che alla Provvidenza corrispose, c'impari a viver da santi, a trionfar della morte». Per l'appunto, in occasione della sua successione al padre Francesco I, il proclama di Ferdinando II572 sottolinea in modo inequivocabile il concetto di monarchia per grazia divina ed espressione della Provvidenza: «Avendoci chiamato Iddio a occupare il Trono dei Nostri Augusti Antenati...; nell’atto che il Nostro Cuore è vivamente penetrato dalla gravissima perdita che abbiamo

fatta, sentiamo ancora l'enorme peso, che il Supremo Dispensatore dei Regni ha voluto imporre sulle nostre spalle nell'affidarci il governo di questo Regno... Vuole, che il Nostro Regno sia un Regno di giustizia, di vigilanza e di saviezza, e che adempiamo verso i nostri sudditi alle cure paterne della sua Provvidenza». 571 Iscrizioni ed Orazione nei Solenni Funerali di S.M. Ferdinando I. Re del Regno delle Due Sicilie del dì 27 Gennaio 1825, 9. 572 Vd. G. Pagano, Storia di Ferdinando II. Re del Regno delle Due Sicilie dal 1830 al 1850, 1. Il Progresso, Napoli, 1853, 7. 113 Della cura del «Dispensatore dei regni» è poi riflesso la provvidente vigilanza borbonica in occasione dell'epidemia del 1836:573«Grave, universale fu lo spavento; grande, generosa, vigile la provvidenza del Re». Del resto, l’arte dell’ optimus princeps viene lodata con le seguenti attestazioni:574 «…un Re provvidentissimo e promotore della vera civiltà de’ suoi sudditi...». Esattamente come la ritroviamo propagandata da Francesco Durelli:575 «Siccome re Ferdinando volle e seppe reggere i popoli con guapa e sapienza, siccome si addice a Re grande e provvidentissimo…» Maggiore rilevanza, però, acquisisce ai nostri fini la p. 38 del testo “Nelle Solenni Esequie di Ferdinando II. Re del Regno delle Due Sicilie” , celebrate nel Duomo di Napoli il dì 3 Giugno 1859 dal Cardinale D. Sisto Riario Sforza e con Orazione di Mons. Frungillo ed Epigrafi dal Can. Barbati, in cui Ferdinando non è solamente descritto come Provisor et defensor gentis suae 576 o Aemulator Legis Dei, Presidio della Fede Cattolica e della Chiesa de’ Santi, ma anche della Theotokos:

«Udite, o Signori, e stupite innanzi alla virtù e alla tenerissima pietà del prode FERDINANDO, il quale non è il zelatore soltanto dell’onor santo di Dio ma sì pure di Colei che meritò di esser la degna abitazione di Dio. Dilexi decorem domus tuae. La mia gran mercé colassù in Cielo; da voi, Padre Santo, altro io non bramo su le più infocate ali del mio desiderio, se non che reduce gloriosamente alla Sede di Pietro, vi degniate affrettar quell’aspettatissimo Oracolo, onde Dio vi fece infallibile insegnando la Chiesa nelle cose di Fede, e vogliate proclamar Maria, la Madre di Dio, la Reina degli Angeli, Colei, cui tutto me, la mia Real Famiglia e il Regno tutto consecrai, Colei che dopo Dio è il mio sommo amore, vogliate proclamarla immune dalla colpa di origine». Quest'ultima citazione è sicuramente importante ai fini della nostra indagine e contiene una buona parte dei concetti che cerchiamo di esporre. In effetti, volendo riassumere quanto riportato dalle fonti dell’ epoca, i sovrani della dinastia borbonica di Napoli, erano considerati sacri e santi, come tutto ciò che concerne la fede, in quanto si riteneva che il loro potere sul Regno napoletano derivasse direttamente dalla Provvidenza, per benevolenza di questa verso l'umanità. Quindi, per questo motivo, i re borbonici erano considerati divini e provvidentissimi. Provvidentissimi perché frutto di un governo ispirato e voluto dalla Provvidenza, ma anche perché provvidenti verso le proprie genti, i propri popoli, descritti precisamente come amati e guidati verso una condotta religiosa e santa, secondo tutti i dettami della “Chiesa dei Santi”. Venne allora elaborata, in effetti, una più incisiva immagine del regno borbonico, quale strenuo difensore della religione cattolica e della Chiesa, grazie a un sovrano provvidentissimo.

Tale ruolo la dinastia borbonica lo riservò per sé fino all'Unità d’Italia, quando si descrisse la guerra di conquista operata dai Savoia come uno scontro di “civiltà”, di società e di moralità: da un lato erano descritti gli occupanti come nemici della religione e incapaci di una condotta virtuosa, dall’altro si dipingevano i difensori dello Stato meridionale come i soli propugnatori della “Libertà nella Religione" e osservanti ortodossi. Non a caso il Re delle Due Sicilie è raffigurato come fidei defensor anche in una medaglia, in cui appaiono accollati i busti del Papa Pio IX e del Re Ferdinando II (fig. 13), proprio come Santa Pulcheria è considerata, allo stesso tempo, sovrana e conservatrice della religione. 573 Ibid., 90. 574 M. Musci, Storia Civile e Militare del Regno delle Due Sicilie sotto il Governo di Ferdinando II dal 1830 al 1849, Napoli, 1855, 90. 575 Cenno Storico di Ferdinando II Re del Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1859, 413. 576 Ibid., p. 7: «Così è l’immortal FERDINANDO, non governato da mondana sapienza; ma nelle sublimi massime del Vangelo ispiratosi, fu non che il padre provvidentissimo e tenero del suo popolo, ne fu anzi il difensor generoso: Provisor et defensor gentis suae. Fu non il suddito soltanto divotissimo di Sua Divina Maestà, e ne zelò l'onore e la Legge; ma sì fu eziando il valido presidio della Religione e della Chiesa, e l'argine potente contro l'empietà inondante: Aemulator Legis Dei»; p. 44: «...l'Augusto l'immortal FERDINANDO, l'eroico Padre e Protettor di sua gente, il Zelatore del divino Onore, il... Presidio della Fede Cattolica e della Chiesa de’ Santi». 114

Fig. 13 - Papa Pio IX e Re Ferdinando II (D'Auria 217). Utile, inoltre, alla comprensione delle complesse dinamiche che portarono alla elaborazione delle immagini proposte da Arnoud, è l'accostamento di Pulcheria alla famiglia reale borbonica insieme ad altri sovrani religiosamente illuminati del passato, quali Santa Elena, Santa Cunegonda e il marito Sant'Enrico imperatore, unitamente a Teodosio, fratello di Pulcheria:577«…E chi di più? …Il merito di elena, di Pulcheria, di Cunegonda in Carolina d'Austria, come un bel raggio

congiunto a quello di Teodosio, di Errico, che in Ferdinando risplendeva, formano al Regno delle due Sicilie l'età dell'oro…». Lo stretto legame tra Pulcheria e i Borbone diventa, poi, palese, se si pensa che la figlia di Ferdinando I di Borbone delle Due Sicilie (IV di Napoli e III di Sicilia), Donna Maria Clotilda Teresa Amelia Antonietta Giovanna Battista Anna Gaetana Pulcheria, annoverava, per l'appunto, tra i suoi nomi anche quello della principessa teodosiana, È certo difficile e rischioso avanzare delle ipotesi, ma senza dubbio nella scelta del nome dell'erede dovettero confluire vari fattori. Tra questi vanno annoverati: gli interessi culturali progressisti della reggente Maria Carolina d'Asburgo, la quale aveva forse compreso la peculiarità del paradigma pulcheriano; la vicinanza dei Borboni al papato; l'interesse della Chiesa all’enfatizzazione del ruolo protettivo della Madonna e, conseguentemente, della basilissa, suo mimema. Sicuramente la lettura dei libri di Carolina, curati dalla grande amica ed esperta di greco e latino, Eleonora de Fonseca Pimentel, sarebbe stata avvincente, in vista anche della redazione dello Statuto di San Leucio, la prima raccolta di leggi pensata da una donna nell’interesse delle donne, voluto per normare la vita nella Real Colonia di San Leucio. Ivi, dal 1789 al 1799, in armonia con l’esempio di autonomia fornito da Pulcheria, le donne ebbero la possibilità di vivere da uguali, di percepire pari compensi, di studiare e, last but not the least, di godere delle stesse prerogative e degli stessi diritti degli uomini. Ulteriore testimonianza del collegamento esistente tra la medaglia, oggetto della nostra analisi, e la dinastia borbonica è rappresentato dalla produzione di L. Arnaud di ispirazione mariana. Sappiamo, infatti, che, nel 1850, egli incise una rara medaglia in oro e argento, (D'Auria n. 229, fig. 15), in cui è raffigurato il giglio borbonico che sovrasta il cuore trafitto dalle sette spade, secondo una simbologia presente, come abbiamo avuto modo di sincerarci, nella medaglia di Santa Pulcheria. La medaglia, creata per celebrare l'incoronazione della Vergine Addolorata, di certo sottolinea il legame che univa i

Borbone alla Madonna e, non causalmente, ad essa si accompagnò quello stesso anno e con lo stesso intento commemorativo, la grande medaglia in argento e bronzo della vergine dai sette dolori (Ricciardi n. 195 e D'Auria n. 228, figg. 16-17). A concludere il cerchio semantico delle continue allusioni, va, senza dubbio, ricordata la medaglia 577 Iscrizioni ed Orazione, cit., 12. 115

coniata nel 1854 per la cessazione dell'epidemia di colera (in argento e bronzo - Ricciardi n. 211, D'Auria n. 247, fig. 18), ex voto, dove la Vergine con il Bambino è iconograficamente molto simile a quella raffigurata al dritto della medaglia per Santa Pulcheria. Fig. 14 - Incoronazione della vergine addolorata. Fig. 15 - R/ della medaglia del 185 Medaglia del 1850, in argento. con giglio e cuore trafitto dalle sette spade. Fig. 16 - Incoronazione della vergine addolorata. Fig. 17 - R/ della medaglia in argento, Medaglia del 1850 in argento. con inciso il nome di Ferdinando II 116

Analogie sono inoltre riscontrabili nella medaglia che, l’anno successivo (1855), Arnaud eseguì per commemorare l'Immacolata Concezione (Ricciardi n. 212, D'Auria n. 248). Non solo sono presenti gli steli di gigli fioriti, ma vi è anche l'esplicito richiamo al Re Ferdinando II. Fig. 18 - Medaglia del 1854, coniata per la cessazione di epidemia del colera. Il giglio, comunque, così come la sua oblazione, è ovviamente presente, tuttora, sia in alcune funzioni religiose sia in manifestazioni folkloristiche che rievocano avvenimenti legati al culto della Vergine. In occasione di queste festività, la tradizione, in genere, prescrive che si "serva" un giglio a una icona o statua della Madonna. Non sembra inutile ricordare che simile consuetudine sembra essere stata creata o dalla medesima Pulcheria, alla quale risalirebbe la prima icona della Madonna, destinata come dono a Eudocia, o da quest'ultima, che avrebbe regalato l'immagine santa alla cognata, proprio con il fine di istituire un simile culto. L'atto di donare, in segno di devozione, il giglio

alla Madonna è comunque un gesto antico, raffigurato di frequente in scene di particolare intensità come l'Annunciazione a Maria. Basterebbe ricordare ad esempio l'iconografia dei Carlini (d'oro e d'argento) coniati a partire dal 1278, sotto i regni di Carlo I e Carlo II d'Angió, denominati anche Saluti. Un simile nome, infatti, deriva dalla scena raffigurata, cioè la salutazione alla Vergine Maria da parte dell'Arcangelo Gabriele (fig. 20), annunciante la natività di Cristo. Nel campo, tra i due, è rappresentato un vaso che contiene un ramo con tre gigli fioriti, simbolo della verginità perpetua di Maria, prima, durante e dopo il parto di Gesü. I due soggetti sacri, l'Angelo e Maria, sono in piedi e frontali, secondo uno schema probabilmente bizantino. Infatti, nell’iconografia occidentale, la vergine è rappresentata seduta o inginocchiata e l'Arcangelo Gabriele appare quasi sempre inginocchiato, in segno di devozione per la Theotokos e di rispetto per la dama, secondo il costume cavalleresco feudale. Le prime rappresentazioni bizantine dell'Annunciazione, invece, dipingono l'Angelo e la Vergine l'uno di fronte all'altro; talvolta Maria protende la mano in segno di riserbo, talaltra la poggia sul petto, in segno di sottomissione alla volontà del Signore. Non sembra dunque casuale che nell’iconografia del tipo monetale del Saluto siano presenti entrambe le tipologie. 117

Fig. 19 - Carlino d'oro coniato da Carlo II d’Angiò. Fig. 20 - Carlino d'oro coniato da Carlo II d’Angiò. D/ con giglio di Francia. R/ con la scena dell’Annunciazione. Il modello di ispirazione della rappresentazione bizantina dell’Annunciazione appare essere, con tutta probabilità, il Protovangelo apocrifo di Giacomo, scritto in Greco, non posteriore al 150, classificato fra i Vangeli Apocrifi, redatti fra il I e il II secolo, facente parte dei Vangeli dell’Infanzia. In base ad esso, la scena fu rappresentata in due ambientazioni possibili: nella prima l'Arcangelo appariva accanto a un pozzo, in presenza di Maria, in atto di attingere l’acqua; nella seconda, tutto si svolgeva all’interno della casa di Maria, intenta a filare la porpora per il velo del Tempio. Solitamente il giglio o i gigli nelle raffigurazioni dell'Annunciazione compaiono a partire dal tardo Medioevo, preceduti dalla presenza del bastone retto

dall’Arcangelo, chiaro simbolo di potere, attraverso il quale Gabriele si manifesta delegato e messaggero del Signore. In ogni caso, nel Monastero ortodosso di Santa Caterina del Sinai è conservata un'icona, realizzata a Costantinopoli nella seconda metà del secolo XII, che convaliderebbe un’individuazione del modello monetale nell'iconografia bizantina piuttosto che in quella franco-gotica. Infatti, in essa, sulla destra, sotto le ali dell'Arcangelo, si fa notare un vaso contenente dei gigli; fiori che, tra l’altro, erano considerati anche simbolo e personificazione della luna, corpo celeste su cui si riteneva che Gabriele esercitasse la propria influenza. L’astro si ritrova nei Carlini, così come, in questo tipo monetale napoletano, possiamo apprezzare i tre gigli che vennero a far parte dello stemma dei Borbone di Napoli, imparentati con gli Angioini. D'altro canto anche i Borbone batterono dei Carlini, forse ricordando quelli che avevano ordinato di coniare alla zecca partenopea i loro avi, gli Angioini Carlo I e II, entrambi re di Napoli e re di Sicilia. Fig. 21 - Icona del Monastero Fig. 22 - Icona del Monastero ortodosso di ortodosso di Santa Caterina del di Santa Caterina del Sinai, particolare di vaso Sinai. Annunciazione. con gigli, in bianco e nero per una migliore visione dell'immagine. 118 In sintesi, in base a tutta l'attività del celebre incisore L. Arnoud, si può affermare che la composizione iconografica della medaglia per Santa Pulcheria rappresenti la summa degli elementi che, singolarmente, erano stati raffigurati su varie medaglie di pieno periodo borbonico, sì da continuare a dar voce alla propaganda borbonica, in modo non del

tutto criptico, e in piena coerenza con le idee del committente e il percorso lavorativo e personale dell'artista. A convalidare una simile convinzione, è di certo ausilio la produzione medaglistica di altri artisti del periodo, i quali si servirono della sacralità di certe figure della religione - la Santa Vergine, ma anche altre a Maria collegate - per l'esaltazione della dinastia borbonica. Come non ricordare Bonfilio Zaccagnini o Scipione Catenacci? Il primo realizzò la medaglia, in argento e bronzo, del 1852 per l'incoronazione della Vergine del Pozzo in Capurso (Ricciardi n. 202, D'Auria n. 235), il secondo incise le medaglie, sempre in argento e bronzo, del 1853, per l'incoronazione della Vergine delle Grazie (Ricciardi n. 206, D'Auria n. 239) e per il centenario della Vergine di Piedigrotta (conio al Museo Nazionale di Napoli n. 487, Ricciardi n. 205, D'Auria n. 240). Questi artisti contribuirono sicuramente alla propaganda borbonica, ma riuscirono, nel contempo, a plasmare vecchi modelli secondo nuovi parametri culturali, e a “declinarli” in funzione delle nuove tendenze politiche.

EUDOCIA I nuovi paradigmi comportamentali proposti dalle principesse teodosiane, come abbiamo sottolineato, ebbero una certa fortuna, ma dovettero in ogni caso fronteggiare un'aspra battaglia propagandistica, che le fazioni avverse riuscirono a organizzare, le cui tracce tenteremo di seguire, come abbiamo fatto con Pulcheria, anche per Atenaide Eudocia, così come esse trapelano dalla più tarda tradizione storiografica e dalle testimonianze epigrafiche. Malala,578 per gli interessi culturali e il rapporto di parentela che lo legavano all'Augusta, può senza dubbio illuminarci sullo scandalo che coinvolse l'imperatrice e sulla propaganda messa in atto per rintuzzare le accuse che le si rivolgevano: Συνέβη δὲ μετὰ χρόνον ἐν τῷ προϊέναι τὸν βασιλέα Θεοδόσιον εἰς τὴν ἐκκλησίαν ἐν τοῖς ἁγίοις θεοφανίοις τὸν μάγιστρον Παυλῖνον ἀηδισθέντα ἐκ τοῦ ποδὸς ἀπρόιτον μεῖναι καὶ ἐξσκουσσεῦσαι. Προσήνεγκεν δὲ τῷ αὐτῷ Θεοδοσίῳ βασιλεῖ πένης τις μῆλον Φρυγιατικὸν παμμέγεθες πολὺ εἰς πᾶσαν ὑπερβολήν. καὶ ἐξενίσθη ὁ βασιλεὺς καὶ πᾶσα ἡ σύγκλητος αὐτοῦ· καὶ εὐθέως ὁ βασιλεύς, δεδωκὼς τῷ προσαγαγόντι τὸ μῆλον νομίσματα ἑκατὸν πεντήκοντα, ἔπεμψεν αὐτὸ τῇ Αὐγούστῃ Εὐδοκίᾳ· καὶ ἡ Αὐγούστα ἔπεμψεν αὐτὸ Παυλίνῳ τῷ μαγίστρῳ ὡς φίλῳ τοῦ βασιλέως· ὁ δὲ αὐτὸς μάγιστρος Παυλῖνος ἀγνοῶν, ὅτι ὁ βασιλεὺς ἔπεμψεν αὐτὸ τῇ Αὐγούστῃ, λαβὼν ἔπεμψεν αὐτὸ τῷ βασιλεῖ Θεοδοσίῳ ὡς εἰσέρχεται εἰς τὸ παλάτιον. καὶ

δεξάμενος αὐτὸ ὁ βασιλεὺς ἐγνώρισεν αὐτὸ καὶ ἀπέκρυψεν αὐτό· καὶ καλέσας τὴν Αὐγούσταν ἐπηρώτησεν αὐτήν, λέγων, ποῦ ἐστι τὸ μῆλον, ὃ ἔπεμψά σοι; ἡ δὲ εἶπεν, ὅτι· ἔφαγον αὐτό. καὶ ὥρκωσεν αὐτὴν κατὰ τῆς αὐτοῦ σωτηρίας, εἰ ἔφαγεν αὐτὸ ἤ τινι αὐτὸ ἔπεμψεν. καὶ ἐπωμόσατο, ὅτι-οὐδενὶ αὐτὸ ἔπεμψα, ἀλλ᾽ ὅτι αὐτὴ αὐτὸ ἔφαγεν. καὶ ἐκέλευσεν ὁ βασιλεὺς ἐνεχθῆναι τὸ μῆλον, καὶ ἔδειξεν αὐτῇ αὐτό. καὶ ἠγανάκτησε κατ᾽αὐτῆς, ὑπονοήσας, ὅτι ὡς ἐρῶσα τῷ αὐτῷ Παυλίνῳ ἔπεμψεν αὐτῷ τὸ μῆλον καὶ ἠρνήσατο. καὶ διὰ τοῦτο ἀνεῖλε τὸν αὐτὸν Παυλῖνον ὁ βασιλεὺς Θεοδόσιος· καὶ λυπηθεῖσα ἡ Αὐγούστα Εὐδοκία, ὡς ὑβρισθεῖσα, ἐγνώσθη γὰρ πανταχοῦ, ὅτι δι᾽ αὐτὴν ἐσφάγη ὁ Παυλῖνος· ἦν γὰρ πάνυ εὔμορφος νεώτερος· ἠτήσατο δὲ ἡ Αὐγούστα τὸν βασιλέα Θεοδόσιον τοῦ κατελθεῖν εἰς τοὺς ἁγίους τόπους εἰς εὐχήν καὶ 578 Io. Mal. chron. XIV 357-358; PG XCVII, 528-529 = 322 Thurn. Sulla cronaca di Malala, oltre ai suggestivi artt. di Festugière, Norabilia dans Malalas, cit., 221-241; 227-237, cfr. Scott, Malalas, the Secret History, cit., 99-109; Jeffreys-Croke-Scott (Ed.), Studies in John Malalas, cit., spec. B. Croke, Malalas, the Man and his Work, 1-25; Id., Modern Study of Malalas, cit., 325-338; con G. Marasco, Malala e la tradizione ellenistica, cit., 29-44; e i più recenti E. Jeffreys, The Beginning of Byzantine Chronography: John Malalas, in G. Marasco (Ed.), Greek and Roman Historiography in Late Antiquity. Fourth to Sixth Century A.D., Leiden-Boston 2003, 497-527; J. Beaucamp (Éd.), Recherches chronique de Jean Malalas I, Paris 2004, spec. 67-83 e J.H.W. Liebeschuetz, The View from Antioch: From Libanius via John

Chrysostom to John Malalas and beyond, CrSt 30, 2009, 441-470. Sulla ricezione del passato in Giovanni Malala, vd. inoltre M. Meier, Nero Traian und die Christen in der Weltchronik des Johannes Malalas, in U. Roberto-L. Mecella (a cura di), Dalla storiografia ellenistica alla storiografia tardoantica: aspetti, problemi, prospettive, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma, 23-25 ottobre 2008, Catanzaro 2010, 239-265, Il particolare intreccio di storia, riflessione politica ed emozioni suscitate dalle azioni dei “tiranni” nell'opera di Malala è stato analizzato ult. da Roberto, Romolo, Foca e la morte del tiranno, Racconto storico e tensione emotiva, cit,, 257-273. 119 παρέσχεν αὐτῇ. καὶ κατῆλθεν ἀπὸ Κωνσταντινουπόλεως ἐπὶ Ἱεροσόλυμα εὔξασθαι· καὶ ἔκτισεν ἐν Ἱεροσολύμοις πολλά, καὶ τὸ τεῖχος ἀνενέωσε τῆς Ἱερουσαλήμ, εἰποῦσα, ὅτι δι᾿ ἐμὲ εἶπεν Δαβὶδ ὁ προφήτης, ὅτι καὶ ἐν τῇ εὐδοκίᾳ σου οἰκοδομηθήσεται τὰ τείχη Ἱερουσαλήμ, κύριε. καὶ μείνασα ἐκεῖ Καὶ κτίσασα ἑαυτῇ μνῆμα Βασιλικὸν ἐτελεύτησεν καὶ ἐτέθη ἐν Ἱεροσολύμοις. Secondo la Chronographia, dunque, durante la festa dell’Epifania, l’imperatore si sarebbe recato in cattedrale per assistere alla celebrazione della Santa a Messa, mentre il magister officiorum Paolino, suo grande amico, sarebbe rimasto a Palazzo, perché ferito a un piede. In quell'occasione, un mendicante avrebbe donato all'imperatore una mela frigia, di tale grandezza da suscitare la meraviglia di tutti i presenti, mela che Teodosio avrebbe deciso di regalare alla moglie.

Questa, dal canto suo, l’avrebbe offerta malauguratamente al magister, perché amico di Teodosio. Paolino, all'oscuro di tutto, avrebbe avuto, a sua volta, l'infelice idea di regalarla all'imperatore e avrebbe provocato così la propria disgrazia e quella dell’imperatrice. Infatti Eudocia, giurando al marito di aver mangiato la mela, avrebbe confermato i sospetti del marito, decretando il proprio esilio e la morte del magister. Il giudizio di Teodosio sarebbe stato, però, offuscato dalla gelosia e dalla rabbia, secondo Malala e i sostenitori dell'Augusta, convinti che la basilissa avrebbe donato la mela a Paolino solo in quanto amico del marito. Ella, fino alla fine, avrebbe proclamato la propria innocenza, confermata da Dio con l'assenso alla costruzione delle mura di Gerusalemme. Nel racconto, riferito da Malala, sono presenti i diversi aspetti dell’ Apfelsimbolik,579 da quello amoroso a quello etico e a quello politico, sebbene nascosti parzialmente da un certo ‘perbenismo’. Contro la dichiarata volontà dello storico, la consegna della mela a Paolino, da parte d di Eudocia,, appare, comunque, eloquente simbolo del legame e erotico che li unisce. Inoltre, nell’offerta dell'Augusta, nonostante la difesa del cronista, non può non leggersi anche il perverso suggerimento di impadronirsi del regno. Se confrontassimo il racconto con quello di Cedreno, potremmo senz'altro osservare una notevole somiglianza: τούτῳ τῷ ἔτει ἐτελεύτησεν ἐν Ἀθήναις Λεόντιος ὁ φιλόσοφος, ὃς ἔγραψεν ἐν τῇ διαθήκῃ αὐτοῦ “τὴν μὲν οὐσίαν μου πᾶσαν καταλιμπάνω τοῖς υἱοῖς μου, Ἀθηναΐδι δὲ τῇ ἐμῇ θυγατρὶ ἀφίω δοθῆναι χρυσίου νομίσματα ἑκατόν· ἀρκεῖ γὰρ αὐτῇ ἡ τύχη αὐτῆς.” ταύτην τὴν Ἄθηναΐδα ἐξ Ἀθηνῶν εἰσαχθεῖσαν θεασαμένη

ἡ Πουλχερία κάλλει σώματος διαπρέπουσαν καὶ συνέσει ψυχῆς καλλυνομένην καὶ λόγῳ κεκοσμημένην, πρὸς τὸν ἀρχιεπίσκοπον Κωνσταντινουπόλεως Ἀττικὸν ἀποστείλασα ἐβάπτισεν, Εὐδοκίαν μετονομάσασα· ἥντινα καὶ τῷ ταύτης ἀδελφῷ καὶ βασιλεῖ συνέζευξεν εἰς γυναῖκα. τούτῳ τῷ ἔτει Ἄττικὸς ὁ ἐπίσκοπος Ἰωάννου τοῦ Χρυσοστόμου τὸ ὄνομα ἐν τοῖς ἱεροῖς διπτύχοις συνέταξε. τελευτᾷ δὲ Ἀττικὸς ὁ πατριάρχης, καὶ χειροτονεῖται Σισίνιος. Ἀλλὰ τοσαύτῃ καὶ τηλικαύτῃ οὔσῃ τῇ Εὐδοκίᾳ λοξὸν ὁ φθόνος ἐμβαλὼν ὄμμα τοιοῦτον κατειργάσατο δρᾶμα ἐσύστερον. Παυλῖνός τις μάγιστρος ἠγαπᾶτο παρὰ τῆς Εὐδοκίας ὡς ὤν λογιώτατος καὶ ὡραιότατος, ᾧ τινὶ συχνῶς τε καὶ ἰδίως συνετύγχανεν ὡς συμπράξαντι τοῖς γάμοις αὐτῆς. τῇ οὖν ἡμέρᾳ τῶν ἁγίων θεοφανιῶν ἐν τῇ μεγάλῃ ἐκκλησίᾳ ἀπιόντος τοῦ βασιλέως προσήγαγέ τις αὐτῷ ἐξ Ἀσίας πένης μῆλον μέγα καὶ ὑπερφυές, ὅπερ ἀπέστειλε τῇ Αὐγούστῃ, δεδωκὼς τῷ πένητι νομίσματα ἑκατόν. αὐτὴ δὲ νοσοῦντι τότε Παυλίνῳ ἀπέστειλεν ἀρραβῶνα τῆς αὐτοῦ τελευτῆς. ὁ δὲ Παυλῖνος ἀγνοῶν μετὰ δύο ἡμέρας ἀπέστειλεν αὐτὸ τῷ βασιλεῖ. ὁ δὲ βασιλεὺς τοῦτο γνωρίσας ἔκρυψε, καὶ εἰσελθὼν λέγει τῇ Αὐγούστῃ “ποῦ ἐστὶ τὸ μῆλον ὅπερ σοι ἀπέστειλα;” ἡ δὲ εἶπεν “ἔφαγον αὐτό.” καὶ πάλιν ὥρκωσεν αὐτὴν τὴν σωτηρίαν αὐτοῦ, λέγων “μή τινι τοῦτο πέπομφας;” ἡ δὲ πάλιν εἶπε φαγεῖν αὐτό, προσθεῖσα καὶ τὴν σωτηρίαν τοῦ

βασιλέως. τότε εἰς ὀργὴν κινηθεὶς ὁ βασιλεὺς κελεύει τὸ μῆλον εἰσενεχθῆναι, τὸν δὲ Παυλῖνον ἀποστείλας τῇ νυκτὶ ἐκείνῃ ἀπεκεφάλισεν. ἔκτοτε δὲ γέγονε μεταξὺ αὐτῶν λύπη καὶ ἀπομερισμός. γνοῦσα δὲ τοῦτο ἡ Αὔγουστα, καὶ αἰσχυνθεῖσα ὡς ὑβρίσθη, ἐξώρμησεν εἰς τοὺς ἁγίους τόπους, καὶ τελευτᾷ ἐ ἐν Ἱεροσολύμοις, καὶ θάπτεται ἐν τῷ ναῷ τοῦ ἁγίου Στεφάνου. ἐν δὲ τῷ τελευτᾶν αὐτὴν ἐπωμόσατο μὴ συνειδέναι τῇ κατ᾽ αὐτῆς κατηγορίᾳ ἕνεκεν Παυλίνου. γράφουσι δέ τινες πληρωθῆναι ἐπ᾽ αὐτῇ τό “ἀγάθυνον κύρις ἐν τῇ εὐδοκίᾳ σοῦ τὴν Σιών, καὶ οἰκοδομηθήτω τὰ τείχη Ἱερουσαλήμ” διὰ τὸ πολλὰ ἀγαθὰ è ἐν Ἱεροσολύμοις αὐτὴν πεποιηκέναι μετὰ Ἑλένην τὴν τοῦ μεγάλου Κωνσταντίνου μητέρα. Due discrepanze fondamentali, però, rendono la sostanza del racconto ben differente. Una è da addebitare a Malala, laddove sottolinea che è il magister a innamorarsi e che l’Augusta gli invia la mela, solo in quanto amico di Teodosio, l'altra è da attribuire a Cedreno, nell’enfatizzazione del motivo erotico, nelle notazioni esplicite sul trasporto amoroso di Eudocia nei confronti del bel Paolino (Παυλῖνός τις μάγιστρος ἠγαπᾶτο 579 Vd. supra 34 n. 120 παρὰ τῆς Εὐδοκίας) e sulla preoccupazione dell'imperatrice per la salute del magister (αὐτὴ δὲ νοσοῦντι τότε Παυλίνῳ ἀπέστειλεν ἀρραβῶνα).

Nonostante i tentativi di giustificazione da parte di Malala, sembra che i due presunti amanti giunsero entrambi - ad assurgere a simbolo del tradimento e della ribellione consapevole ai poteri costituiti, Pertanto, Paolino incontrò la morte come incarnazione di Satana, mentre Eudocia fu allontanata con un viaggio in Terra Santa. In tal modo, il suo castigo assunse il significato di una catarsi, tutta cristiana, della tragedia eroica, lasciando, però, molte difficoltà d'interpretazione persi chi volesse comprendere le dinamiche del potere in quegli anni.580 Certo, quasi a profetizzare la colpevole liaison tra i due, lo stesso Malalas introdusse nella sua narrazione di quegli anni le vicende relative alla basilissa, lasciando trapelare un precedente accordo con Paolino. Il brano, che contiene tutti gli elementi della fiaba, sembra indicare un' entente, evidentemente non tanto cordiale, come indicano gli avvenimenti successivi, tra la fazione ultracristiana di Pulcheria e il partito moderato che sosteneva Atenaide/Eudocia, educata secondo i canoni della paideia tradizionale.581 Di conseguenza, alla giovane imperatrice furono fatte indossare le vesti dell'Eva primordiale, giacché le qualità grazie alle quali la fanciulla giunse al trono, cioè la sua bellezza e la sua cultura, non facevano certo parte dei parametri cristiani. Sia la cultura raffinata sia la straordinaria avvenenza fisica facevano di lei un omalago negativo del modello mariano, concretizzantesi nella virginea maternità: Ἔν τῷ δὲ μεταξὺ συνέβη ἐλθεῖν ἐν Κωνσταντινουπόλει μετὰ τῶν ἰδίων συγγενῶν κόρην εὐπρεπῆ, ἐλλόγιμον, Ἑλλαδικήν, ὀνόματι Ἀθηναΐδα, τὴν καὶ Εὐδοκίαν μετακληθεῖσαν, θυγατέρα γενομένην Λεοντίου τοῦ φιλοσόφοῦ Ἀθηναίου εὐπορωτάτου· ἥτις Ἀθηναὶς ἡ καὶ Εὐδοκία ἠναγκάσθη καταλαβεῖν τὴν βασιλεύουσαν πόλιν πρὸς τὴν ἰδίαν αὐτῆς θείαν διὰ τὴν αἰτίαν ταύτην. ὁ φιλόσοφος Λεόντιος ὁ αὐτῆς πατὴρ ἔχων υἱοὺς

τελείους δύο, μέλλων τελευτᾶν διέθετο, τάξας ἐν τῇ ἑαυτοῦ διαθήκῃ τοὺς δύο αὐτοῦ υἱοὺς κληρονόμους πάσης τῆς ὑπ᾿ αὐτοῦ καταλιμπανομένης περιουσίας Οὐαλέριον καὶ Γέσιον, εἰρηκὼς ἐν τῇ αὐτοῦ διαθήκῃ· “Ἀθηναΐδι τῇ ποθεινοτάτῃ μου γνησίᾳ θυγατρὶ δοθῆναι βούλομαι νομίσματα ἑκατὸν καὶ μόνον· ἀρκεῖ γὰρ αὐτῇ ἡ αὐτῆς τύχη ἡ ὑπερέχουσα πᾶσαν γυναικείαν τύχην.” καὶ ἐτελεύτησεν ὁ αὐτὸς Λεόντιος ὁ φιλόσοφος ἐν ᾿Αθήναις. μετὰ οὖν τὴν αὐτοῦ ἀποβίωσιν ἐδυσώπει ἡ αὐτὴ Ἀθηναῖς ἡ καὶ Εὐδοκία τοὺς ἰδίους ἀδελφούς, ὡς μείζονας, προσπίπτουσα αὐτοῖς καὶ αἰτοῦσα μὴ προσσχεῖν τῇ αὐτῇ διαθήκῃ, ἀλλὰ κατὰ τὸ τρίτον μέρος μερίσασθαι μετ᾽ αὐτῶν τὰ πατρῷα, λέγουσα μηδὲν ἡμαρτηκέναι, “ὡς καὶ ὑμεῖς οἴδατε, πρὸς τὸν ἴδιον ὑμῶν πατέρα· καὶ οὐκ οἶδα, διὰ τί ἄπορόν με κατέλιπεν μέλλων τελευτᾶν εὐπορίας τυχεῖν μετὰ τὴν αὐτοῦ νέκρωσιν ἐχαρίσατο. οἱ δὲ αὐτῆς ἀδελφοὶ ἔμειναν ἀπειθεῖς, καὶ ὀργισθέντες ἐδίωξαν αὐτὴν καὶ ἐκ τοῦ πατρῴου αὐτῆς οἴκου, ἔνθα συνέμενεν αὐτοῖς. καὶ ἐδέξατο αὐτὴν ἡ ἀδελφὴ τῆς γενομένης αὐτῆς μητρός, ὡς ὀρφανήν, καὶ ὡς παρθένον ἐφύλαξεν αὐτήν. ἥντινα λαβοῦσα ἀνῆλθεν ἐν Κωνσταντινουπόλει πρὸς τὴν ἄλλην ἀδελφὴν τοῦ αὐτῆς πατρὸς καὶ θείαν αὐτῆς. καὶ λαβοῦσαι αὐτὴν ποιῆσαι ἀξίωσιν κατὰ τῶν αὐτῆς ἀδελφῶν παρεσκεύασαν αὐτὴν προσελθεῖν τῇ εὐσεβεστάτῃ δεσποίνῃ Πουλχερίᾳ, ἀδελφῇ Θεοδοσίου βασιλέως. καὶ δὴ

προσελθοῦσα ἐδίδαξεν ὡς βιαζομένη παρὰ τῶν ἰδίων αὐτῆς ἀδελφῶν, διαλεγομένη ἐλλογίμως. καὶ ἑωρακυῖα αὐτὴν ἡ αὐτὴ Πουλχερία εὐπρεπῆ καὶ ἐλλόγιμον, ἐπερώτησε τὰς αὐτῆς θείας, εἰ ἐστὶ παρθένος. καὶ ἐδιδάχθη παρ᾽ αὐτῶν, ὅτι παρθένος ἐστὶν ἁγνὴ φυλαχθεῖσα, ὑπὸ τοῦ αὐτῆς πατρός, φιλοσόφου γεναμένου ἐν Ἑλλάδι, καὶ διὰ λόγων πολλῶν φιλοσοφίας ἀναχθεῖσα. καὶ κελεύσασα αὐτὴν ἅμα ταῖς αὐταῖς θείαις διὰ κουβικουλαρίων φυλαχθῆναι καὶ περιμεῖναι, λαβοῦσα, φησίν, τὴν δέησιν παρ᾽ αὐτῆς εἰσῆλθε πρὸς τὸν ἴδιον αὐτῆς ἀδελφὸν τὸν βασιλέα Θεοδόσιον καὶ εἶπεν αὐτῷ, ὅτι· “ηὗρον νεωτέραν πάνυ εὔμορφον, καθαρίαν, εὔστολον, ἐλλόγιμον, Ἑλλαδικήν, παρθένον, θυγατέρα φιλοσόφου”. ὁ δὲ ἀκούσας, ὡς νεώτερος, ἀνήφθη· καὶ μεταστειλάμενος τὸν συμπράκτορα αὐτοῦ καὶ φίλον Παυλῖνον ᾔτησεν τὴν ἑαυτοῦ ἀδελφὴν ὡς ἐπ’ ἄλλῳ τινὶ εἰσαγαγεῖν τὴν Ἀθηναΐδα τὴν καὶ Εὐδοκίαν ἐν τῷ αὑτῆς κουβουκλείῳ, ἵνα διὰ τοῦ βήλου θεάσηται αὐτὴν ἅμα Παυλίνῳ. καὶ εἰσήχθη· καὶ ἑωρακὼς αὐτὴν ἠράσθη αὐτῆς, καὶ Παυλίνου δὲ θαυμάσαντος αὐτήν. καὶ κρατήσας αὐτὴν καὶ χριστιανὴν ποιήσας, ἦν γὰρ Ἕλλην, καὶ μετονομάσας αὐτὴν Εὐδοκίαν ἔλαβεν αὐτὴν εἰς γυναῖκα, ποιήσας αὐτῇ βασιλικοὺς γάμους. καὶ ἔσχεν ἐξ αὐτῆς θυγατέρα ὀνόματι Εὐδοξίαν. Ἀκούσαντες 580 In merito all’influenza della tragedia sulla visione di Malala cfr. R. Cantarella, Giovanni Malala, Themis e le origini della tragedia,

«Acme» 23, 1970, 61-66; con P. Carrara, A Line from Euripides quoted in John Malalas' Cronographia, ZPE 69, 1987, 20-24. Sul tradizionalismo culturale della cronaca cfr. J.-M. Carrié, Traditionalisme culturel et renouveau historiographique: les portraits physique de personnage célèbres dans la «Chronique» de Malalas, in S. Agusta-Boularot-]. Beaucamp-A.M. Bernardi-E. Caire (Éd.), Recherches sur la «Chronique» de Malalas, Actes du Colloque «Jean Malalas et l'histoire», II, Paris 2006, 197-212. 581 Io. Mal. chron. XIV 357-358; PG XCVII, 528-529 = 322 Thurn. Sulle peculiarità della cronaca di Malala, vd. supra 223-224 e n. 121 δὲ οἱ τῆς Αὐγούστας Εὐδοκίας ἀδελφοί, ὅτι βασιλεύει, προσέφυγον ἐν τῇ Ἑλλάδι φοβηθέντες· καὶ πέμψασα ἤνεγκεν αὐτοὺς ἐκ τῆς πόλεως Ἀθηνῶν ὑπὸ λόγον ἐν Κωνσταντινουπόλει, καὶ ἐποίησεν αὐτοὺς ἀξιωματικούς, προαγαγόντος αὐτοὺς τοῦ βασιλέως τὸν μὲν λεγόμενον Γέσιον ἔπαρχον πραιτωρίων τοῦ Ἰλλυριῶν ἔθνους, τὸν δὲ Οὐαλέριον μάγιστρον, εἰρηκυίας αὐτοῖς τῆς αὐτῆς βασιλίσσης Εὐδοκίας, ἀδελφῆς αὐτῶν, ὅτι· “εἰ μὴ ὑμεῖς κακῶς ἐχρήσασθέ μοι, οὐκ ἠναγκαζόμην ἐλθεῖν καὶ βασιλεῦσαι. τὴν οὖν ἐκ τῆς γενέσεώς μου βασιλείαν ὑμεῖς μοι ἐχαρίσασθε· ἡ γὰρ ἐμὴ ἀγαθὴ τύχη ἐποίησεν ὑμᾶς ἀπειθεῖς εἰς ἐμέ, οὐχὶ ἡ ὑμετέρα πρὸς ἐμὲ γνώμη.᾽ Ὁ δὲ βασιλεὺς Θεοδόσιος καὶ Παυλῖνον ὡς φίλον αὐτοῦ καὶ μεσάσαντα τῷ γάμῳ καὶ συναριστοῦντα αὐτοῖς ἐποίησεν διὰ πάσης ἀξίας ἐλθεῖν· καὶ μετὰ ταῦτα προηγάγετο αὐτὸν μάγιστρον·

καὶ ηὐξήθη· ὡς ἔχων δὲ παρρησίαν πρὸς τὸν βασιλέα Θεοδόσιον ὡς παράνυμφος καὶ πρὸς τὴν Αὐγούσταν Εὐδοκίαν εἰσήει συχνῶς ὁ αὐτὸς Παυλῖνος, ὡς μάγιστρος. In questo caso la versione di Cedreno, seppur nella sua brevità, appare del tutto coincidere:582 τούτῳ τῷ ἔτει ἐτελεύτησεν ἐν Ἀθήναις Λεόντιος ὁ φιλόσοφος, ὃς ἔγραψεν ἐν τῇ διαθήκῃ αὐτοῦ “τὴν μὲν οὐσίαν μου πᾶσαν καταλιμπάνω τοῖς υἱοῖς μου, Ἀθηναΐδι δὲ τῇ ἐμῇ θυγατρὶ. ἀφίω δοθῆναι χρυσίου νομίσματα ἑκατόν· ἀρκεῖ γὰρ αὐτῇ ἡ τύχη αὐτῆς”. ταύτην τὴν Ἀθηναΐδα ἐξ Ἀθηνῶν εἰσαχθεῖσαν θεασαμένη ἡ Πουλχερία κάλλει σώματος διαπρέπουσαν καὶ συνέσει ψυχῆς καλλυνομένην καὶ λόγῳ κεκοσμημένην, πρὸς τὸν ἀρχιεπίσκοπον Κωνσταντινουπόλεως Ἀττικὸν ἀποστείλασα ἐβάπτισεν, Εὐδοκίαν μετονομάσασα· ἥντινα καὶ τῷ ταύτης ἀδελφῷ καὶ βασιλεῖ συνέζευξεν εἰς γυναῖκα. Addirittura, per il ruolo avuto da Paolino nella vicenda delle nozze, Cedreno utilizza gli stessi termini:583 Παυλῖνός τις μἀγιστρος ἠγαπᾶτο παρὰ τῆς Εὐδοκίας ὡς ὤν λογιώτατος καὶ ὡραιότατος, ᾧ τινὶ συχνῶς τε καὶ ἰδίως συνετύγχανεν ὡς συμπράξαντι τοῖς γάμοις αὐτῆς. In un primo momento, però, Atenaide riuscì a insinuarsi nel progetto politico ideato dalla cognata, in parte ribaltandolo, almeno nel momento delle trattative con i Persiani (421-422), condotte da Procopio, opportunamente richiamato alla ribalta. Il generale era, per l'appunto, il genero di Antemio, il grande prefetto al pretorio, dalla cui tutela si era liberata Pulcheria, con l’intento di ottenere anche una

certa autonomia dall'influenza persiana a corte. Infatti il funzionario, con l'aiuto di suo figlio Isidoro (PVC 410-412) e dello stesso Procopio, aveva gestito il potere nei primi anni del regno di Teodosio II,584 guidandolo verso una politica estera pacifista. Egli, che era stato in precedenza ambasciatore alla corte del re persiano,585 aveva adottato una politica moderata che, consentendogli di accettare la diversità, lo aveva portato a trovare un rapporto equilibrato con la Persia zoroastriana.586 Grande consigliere di Antemio e ideologo di questo “partito moderato” era stato Troilo di Side,587 amico di Sinesio, e di questa cerchia doveva far parte anche Socrate, lo storico ecclesiastico.588 Era stata probabilmente questa stessa fazione moderata a sostenere Atenaide contro i fautori di Pulcheria. Quest'ultima, infatti, all’inizio della reggenza, era riuscita a risuscitare l'antica rete di sostegno della madre, che aveva come riferimento insostituibile il prefetto al pretorio Aureliano. Questi aveva già sostenuto l'imperatrice madre Eudossia e l’aveva aiutata nella propaganda di un potere femminile da considerare non certo di secondo piano nel rafforzamento della dinastia. Il prefetto fu, dunque, con ogni probabilità, il fautore della visione paritaria, che possiamo ammirare nell’erezione del busto di Pulcheria accanto a quelli degli 582 Cedr. 590 ( PG CXXI, 640). 583 Cedr. 591 ( PG CXXI, 642). 584 Il silenzio di Sozomeno ( h. e. IX, 1, 2; 390 Bidez-Hansen = Thdc. h. e. V, 36, 2; 338 Parmentier e Philost. 4. e: XII, 7) in merito all'attività di Antemio, a favore dell'esaltazione di Pulcheria è indicativo del pubblico al quale era rivolta la sua opera. Così come la lode di Socrate è pienamente comprensibile alla luce della testimonianza di Sinesio ( epp. 1, 26, 47, 49, 73, 75, 91, 99, 101,

118, 119, 123, 129), il quale fa comprendere come Antemio facesse parte del cosiddetto circolo degli Elleni. 585 Thdt. h. rel. 8 ( PG LXXXII, 1369). Cfr. Keil, Die Familie des Prätorianerpräfekten, cit., 197-201, sul rapporto tra Isidoro, proconsole d'Asia e l' archimagos Apollonio. 586 K. Holum, Pulcheria’s Crusade, cit., 159 ss. 587 Socr. h. e. VII 1, 3 (348 Hansen). 588 Vd. supra 27. 122

imperatori e che trovò espressione nell’epigrafe dedicatoria della verginità.589 Aureliano, inoltre, nonostante la sua paideia ellenica, si rese conto della necessità di concordare una politica coerente con le nuove autorità, cioè con il clero e i monaci di Costantinopoli, che

gestivano il controllo del disagio popolare. Tra i pulcheriani, infatti, si annoveravano anche il vescovo Attico e il suo sottoposto Proclo, i quali trasformarono Pulcheria nell'omologo femminile del grande Costantino, utilizzando, a favore della nobilis puella, la "demilitarizzazione" del modello imperiale. Dopo Costantino, infatti, il compito del monarca era sempre quello di assicurare pace e prosperità ai propri sudditi, ma le qualità personali per ottenere la vittoria sul nemico e il conseguente benessere erano cambiate: la Romana virtus era stata sostituita dalle virtù cristiane dell’ eusebeia 590 e della praotes,591 la mitezza mosaica, che esprimevano, in maniera emblematica, la perdita delle caratteristiche militari subite dal paradigma di riferimento. Quest'ideologia, d'altro canto, rappresentava una possibilità di difesa valida, per i principes pueri, contro gli attacchi dei rivali e le critiche di coloro che ponevano l’accento sulla loro fragilità.592 La debolezza, che esprimeva la loro pueritia, poteva essere colmata solo dall’ eusebeia e dal patto che il capostipite era riuscito a stringere con la monarchia celeste. Le idee chiave di una simile propaganda furono diffuse dagli autori cristiani, ma anche dalla statuaria.593 In seguito alla vittoria contro i barbari, infatti, già nel 400, la corte orientale ordinò l'erezione di una colonna in onore di Arcadio, simile a quella di Teodosio, sulla cui base, a sinistra, stavano due vittorie alate e coronate attorno a una croce cristiana, simbolo della vittoria di Cristo sul Golgota, a indicare, tramite il Figlio, l'intervento risolutivo di Dio Padre. 589 Cfr. Holum, Pulcheria’s Crusade, cit., 172, come anche Demangel, Contribution à la topographie de l'Hebdomon, cit., 33 ss, il quale ricorda l'epigrafe dedicatoria di una statua di Teodosio II su una colonna dell'Hebdomon, ove i successi dell'imperatore erano [ pro ] votis sororum e non erano attribuiti ai successi di Procopio, come invece segnalava Socr. h. e. VII 20, 9 (366 Hansen).

590 Amb. ob Theod. 2, 7-8, 10, 52 ( CSEL LXXIII 372, 375-376, 385-388); Io. Chrys. hom. VI in Eccl. apost., PG LXII, 491-493; Paul. Nol. in Gennad. scrip. eccl. 49 Herding; Aug. civ. Dei 5, 26; Oros. 7, 35, 14, 2022. e naturalmente; Socr. h. e.V 25, 12; Soz. h. e. VII 24, 4-6; Thdt. h. e. V 24, 3-4, 8-9, 17, 25, 1-2. 591 La mitezza e l'umile tolleranza consentivano la παρρησία e la συγγένεια con Dio, assicurando, paradossalmente, la vittoria sull’aggressività del clero, ma non sulle Auguste. Sul tema vd. supra 153. 592 Molti, tra i quali Rufino d'Aquileia, non credevano nella loro possibilità personale di stabilire un patto con Dio, Per la problematica inerente ai principes pueri vd. il sempre fondamentale Hartke, Römische Kinderkaiser, cit., e il suggestivo lavoro della Molè Ventura, Principi fanciulli, cit., passim, con ricca bibliografia. 593 Cfr. J. Kollwitz, Oströmische Plastik der theodosianischen Zeit, Berlin 1941, 17-62; G. Becatti, La colonna coclide istoriata: problemi storici, iconografici, stilistici, Roma 1960, 151-264. 123 Fig. 23 - Ricostruzione, del XVI sec., della base della colonna di Arcadio. Persino l'indolente Arcadio594 o il puer Teodosio potevano, per tal via, essere celebrati come imperatori vittoriosi, ma, con ugual diritto, lo poteva una donna. Sfruttando con perizia e scaltrezza le tecniche di comunicazione del tempo, insieme a strategie propagandistiche vecchie e nuove, i consiglieri di Pulcheria avevano concepito un programma atto a catturare il consenso, capace di coinvolgere emotivamente e di

suggestionare le folle dei fedeli e dei sostenitori. Esso, come abbiamo evidenziato, aveva il suo perno nel simbolo della Santa Croce, riprodotta in oro e incastonata di gemme preziose, sì da prefigurare, a chiare lettere, la gloria dei cristiani, destinati alla vittoria sugli infedeli. Come narrano Niceforo?,595 Teofane596 e Cedreno,597 Teodosio inviò all'arcivescovo di Gerusalemme, “ad imitazione delle beata Pulcheria”, e non a caso, insieme ai donativi per i poveri, una croce d’oro tempestata di gioielli da erigere sul Golgota.598 Essa simboleggiava la vittoria del figlio di Dio sulla morte e sul peccato, proprio secondo i dettami della simbologia cristiana in merito allo strumento del martirio di Cristo.599 Di conseguenza, essa ben si prestava a rappresentare la vittoria dell'impero sui Persiani, fedeli di Ahura Mazda:600 Τούτῳ τῷ ἔτει Θεοδόσιος ὁ εὐσεβὴς κατὰ μίμησιν τῆς μακαρίας Πουλχερίας πολλὰ χρήματα τῷ ἀρχιεπισκόπῳ Ἱεροσολύμων ἀπέστειλεν εἰς διάδοσιν τῶν χρείαν ἐχόντων, καὶ σταυρὸν χρυσοῦν διάλιθον πρὸς τὸ παγῆναι ἐν τῷ ἁγίῳ κρανίῳ. ὁ δὲ ἀρχιεπίσκοπος ἀντίδωρον ἀποστέλλει λείψανα τῆς δεξιᾶς χειρὸς τοῦ πρωτομάρτυρος Στεφάνου διὰ τοῦ ἐν ἁγίοις Πασσαρίωνος. τούτου δὲ εἰς Χαλκηδόνα φθάσαντος, θεωρεῖ ἡ μακαρία Πουλχερία αὐτῇ τῇ νυκτὶ ἐν ὁράματι τὸν ἅγιον Στέφανον λέγοντα αὐτῇ· “ἰδού, ἡ προσευχή cov εἰσηκούσθη, καὶ ἡ αἴτησίς σου γέγονεν, καὶ ἦλθον εἰς Χαλκηδόνα.” ἡ δὲ ἀναστᾶσα καὶ τὸν ἀδελφὸν αὐτῆς λαβοῦσα ἐξῆλθεν εἰς συνάντησιν τῶν ἁγίων λειψάνων, καὶ ταῦτα εἰς τὸ παλάτιον λαβοῦσα κτίζει οἶκον ἔνδοξον τῷ ἁγίῳ πρωτομάρτυρι

κἀκεῖ τὰ ἅγια κατέθετο λείψανα. Κωνσταντινουπόλεως ἐπίσκοπος Σισίννιος ἔτη β΄. καˊ. ιδˊ. εˊ. α΄. ιδˊ. ςˊ. Τούτῳ τῷ ἔτει ἀγαθότητι πολλῇ κινούμενος Θεοδόσιος ὁ βασιλεύς, καίπερ νικήσας κατὰ κράτος τοὺς Πέρσας, φειδοῖ τῶν κατοικούντων ἐν Περσίδι Χριστιανῶν εἰρήνην ἀσπάζεται καὶ ἀποστέλλει πρεσβευτὰς Ἡλίωνά τε τὸν πατρίκιον, ὃν πάνυ διὰ τιμῆς ἦγεν, καὶ Ἀνατόλιον, τὸν τῆς ἀνατολῆς στρατηγόν, εἰρήνην σπείσασθαι. Οὐαραράνης δὲ γνοὺς τὴν ἑαυτοῦ ἧτταν δέχεται τὴν πρεσβείαν; καὶ οὕτως ὁ κατὰ τῶν Χριστιανῶν ἐπαύσατο διωγμός. Questa la descrizione di Teofane, che viene ripresa alla lettera da Cedreno, probabilmente rifacendosi a uno stesso documento ufficiale:601 594 Synes. regn. 13 (28-29 Terzaghi). 595 Niceph. Call. h. e. XIV, 9 ( PG CXLVI, 1084-1085). 596 Thphn. chron. a. m. 5920 (86 de Boor). 597 Cedr. 592 ( PG CXXI, 644). 598 Long-Cross solidi furono battuti anche con l'immagine di Teodosio, la cui propaganda esaltava l’assimilazione a Cristo da parte dei Teodosidi, per sottolineare il nesso vittoria/Cristo. Cfr. M. R. Alföldi, Bild und Bildsprache der Römischen Kaiser, Mainz am Rhein, 1999, 197.

599 Cfr. Just. apol. 1, 55; Orig. hom. 9, 1; Eus. triak. 9, 1 (219, 16 Heikel); v. C. 1, 32, 2 (22 Heikel); Cyrill. H. ep. Const. 3 ( PG XXXIII, 1169), Gr. Naz. or. 5, 3 ( PG XXXV, 669) Ambr. ob. Theod. 43; Soz. h. e. 13, 4 (11 BidezHansen) e le acclamazioni del terzo concilio d'Efeso (W. Kratz, Koptische Akten zum ephesinischen Konzil vom Jahre 431 ( TU 26, 2 Leipzig 1904, 50). 600 Cfr. il classico Gage, Σταυρὸς νικοποιός, cit., 370 ss. Secondo Thphn. chron. a. m. 5920 (86 de Boor), Teodosio non ignorava il ruolo che la croce aveva nella propaganda pulcheriana. Infatti il sovrano l'avrebbe inviata al vescovo ierosolimitano κατὰ μίμησιν τῆς μακαρίας Πουλχερίας. 601 Cedr. 592 ( PG CXXI, 644). 124

Τῷ κ΄ ἔτει Θεοδόσιος κατὰ μίμησιν τῆς μακαρίας Πουλχερίας πολλὰ χρήματα τῷ ἀρχιεπισκόπῳ Ἱεροσολύμων ἀπέστειλεν εἰς διάδοσιν τῶν χρείαν ἐχόντων, καὶ σταυρὸν χρυσοῦν διάλιθον πρὸς τὸ παγῆναι ἐν τῷ Κρανίῳ. ὁ δὲ ἀρχιεπίσκοπος ἀντίδωρον ἀπέστειλε λείψανα τῆς δεξιᾶς χειρὸς τοῦ πρωτομάρτυρος Στεφάνου. τούτου δὲ εἰς Χαλκηδόνα φθάσαντος, θεωρεῖ ἡ μακαρία Πουλχερία τῇ αὐτῇ νυκτὶ τὸν ἅγιον

Στέφανον λέγοντα “ἰδοὺ ἡ προσευχή σου εἰσηκούσθη καὶ ἡ αἴτησίς σου γέγονε, καὶ ἦλθον εἰς Χαλκηδόνα. ἡ δὲ ἀναστᾶσα καὶ τὸν ἀδελφὸν αὐτῆς λαβοῦσα ἐξῆλθεν εἰς συνάντησιν τοῦ ἁγίου λειψάνου. καὶ ταῦτα εἰς τὸ παλάτιον εἰσαγαγοῦσα κτίζει οἶκον ἔνδοξον τῷ πρωτομάρτυρι, κἀκεῖ τὰ ἅγια κατατίθεται λείψανα. Τῷ κα’ τούτου ἔτει ἀγαθότητι πολλῇ κινούμενος Θεοδόσιος, καίπερ νικήσας κατὰ κράτος τοὺς Πέρσας, εἰρήνην ἀσπάζεται φειδοῖ τῶν κατοικούντων Χριστιανῶν ἐν Περσίδι, καὶ ἀποστέλλει πρεσβευτάς. καὶ ταύτης γενομένης ὁ κατὰ τῶν Χριστιανῶν ἐπαύσατο διωγμός. Non senza motivo, sui solidi dell'Augusta si trova lo stesso modello iconografico, la croce impreziosita da gemme, atta, nel contempo, a sottolineare quanto meno la pari dignità di Pulcheria nei confronti del fratello. Fig. 24 a - Long-Cross solidus di Pulcheria ( RIC 10, X 255). Fig. 24 b - Long-Cross solidus di Teodosio II ( RIC 10, VIII 219). 125 In realtà, la statura di Pulcheria, a livello politico, sovrastava quella di Teodosio. Questa verità si palesa chiaramente nel famoso avorio di Treviri.602La cerimonia in esso effigiata, infatti, converge verso la sola Augusta: a lei appaiono destinate le reliquie, che un vescovo reca a palazzo, sotto gli occhi dei notabili della città, mentre, alle sue spalle, degli operai lavorano a un edificio in costruzione, evidentemente destinato ad accogliere le reliquie. E vero che anche Eudocia portò reliquie del protomartire a Costantinopoli, ma, in quel caso, fu lei a condurre la processione e non ad accoglierla, perciò è molto probabile che l’episodio rappresentato riguardi Pulcheria, per la quale, nella lotta antipersiana che la caratterizzava, il culto di Stefano era

fondamentale, in quanto strettamente collegato con la vittoria prefigurata dalla croce costantiniana. Il fatto che un copia di questa si trovasse negli appartamenti dell’ Augusta e che, parallelamente, le reliquie del santo fossero poste sempre nel palazzo, in un Martyrium costruito appositamente, non appare casuale, ma, certo, altamente significativo. La descrizione di Teofane e Cedreno ci permette di comprendere lo stretto rapporto con la rappresentazione della placchetta di avorio, e ci consente di percepire la concreta realtà del tempo. La “teologia politica,603 costruita per esaltare Pulcheria, si basava, però, sulla manifestazione del favore del Signore e, non a caso, nei solidi pulcheriani appare la mano di Dio a sostenere il diadema sul capo dell'imperatrice o, nella scena dell'avorio, al posto dello scettro, l'Augusta regge la croce(figg. III 5-6). Tale manifestazione, però, si sarebbe dovuta estrinsecare in una vittoria definitiva sulla Persia, evento che non si verificò. Il relativo insuccesso del generale Ardaburio annullò tutti gli sforzi e la fatica spesa nella costruzione di un'immagine imperiale al femminile. Fino ad allora si era sperato che la forza di una basilissa, incarnazione della vergine Maria, da un canto, potesse ovviare sia al relativo appeal di un princeps puer, sia alla mancanza di numinosità personale di Teodosio II e dall'altro, contemporaneamente, fosse in grado di rispondere all'esigenza di un nazionalismo che ormai trovava le sue radici nella fede cristiana, barriera contro il minaccioso zoroastrismo. Pulcheria fu costretta a cedere alla fazione dei tradizionalisti moderati, che scelsero un altro tipo di donna e proposero un altro modello di imperatrice: Atenaide/Eudocia. Ai danni della vergine Augusta si era andata formando una salda coalizione, con un nucleo fondamentale formato dagli “antemiani”, coalizione in cui si realizzava anche l'accordo di buona parte della classe dirigente, che occupava posti chiave nel governo e gestiva il territorio con un'organizzazione capillare, di cui permane solo qualche tenue traccia. L'intesa sembra essersi consolidata all'interno di una realtà culturale e sociale con

radici in un'area geografica specifica, l'Egitto, che era la terra d'origine della gens degli Antemii.604 A parte i membri della stessa famiglia del “grande” prefetto Antemio, come lo definisce Sinesio,605 cioè il figlio Isidoro Antemio, prefetto d'Illirico nel 423, e il genero Procopio, magister militum nel 421-22, anche Leonzio, il padre della futura imperatrice Atenaide, sembra avere un certo legame con la terra dei Faraoni. Egli era stato segnalato nel 415 per la cattedra di retorica ad Atene da Olimpiodoro di Tebe,606 il quale, come 602 Magistralmente studiato da Holum-Vikan, The Trier Ivory, cit., 113-133. In merito vd. 172, fig. III 6. 603 Usiamo questa definizione (vd. supra 21, n. 13) poiché l' entourage della nobilissima puella aveva saputo, con un'accorta propaganda, sostituire l'immagine del patto costantiniano, basato sul sacrificio dell'anima dell'imperatore con il sacrificio dell'identità femminile di Pulcheria, il voto di verginità. 604 Vd. supra 25. 605 Syn. ep. XLIX: «...io stimo più beato il grande Antemio per la tua amicizia che te (Teotimo) per quella di Antemio.(TdA)». 606 Identificazione già accettata da F. Gregorovius, Athenais. Geschichte einer byzantinischen Kaiserin, Leipzig 1892?, 14, Seeck, Geschichte, cit., V, 82, Martindale, PLRE II 668-669 e Cameron, The Empress and the Poet, cit., 274, il quale ritiene che il sofista sia stato professore ad Alessandria intorno al 400 e l'abbia lasciata dopo dieci anni, dopo la sua conversione al Cristianesimo (Dam. v. Isid. 46 Zintzen). Holum, Theodosian Empresses, cit., 113 ss., propone invece un'origine antiochena, una vita errante in cerca di fortuna, fino alla concessione della cattedra in Atene per intercessione di Olympiodorus, in relazione, se non in rapporto di amicizia, con la famiglia di Leonzio, come dimostrerebbe il carteggio con il fratello di Eudocia, Valerius, forse governatore della Tracia nel 421, comes rei privatae (CRP) nel 425, comes sacrarum largitionum (CSL) nel 427,

console nel 432 e magister officiorum nel 434. Questi incarichi, tra l'altro, farebbero supporre un'origine non certo oscura per Leonzio, come d'altro canto attestano anche le buone relazioni degli altri membri della famiglia. La zia paterna di Eudocia, infatti, fu in grado di ottenere udienza da Pulcheria, probabilmente attraverso Paulinus, il compagno di studi dei nobilissimi pueri. Cfr. PLRE Il, Valerius 4. Il governatorato della Tracia è supposto in base a un poco chiaro riferimento di Olimpiodoro ( frg. 27 in FHG IV, 64 Müller). Vd. anche B. Croke, Evidence for the Hun Invasion of Thrace in A.D. 422, GRBS 18, 1977, 358-364. 126 diplomatico agli ordini di Antemio, aveva condotto un'ambasceria presso gli Unni, già nel 412, e doveva essere in buoni rapporti con il proconsole d'Acaia e con il prefetto dell’Illirico, che, dopo l’imperatore, rappresentavano le più alte autorità, responsabili dell'affidamento dell'incarico, tanto più che quella prefettura era tradizionalmente gestita da “Elleni”, personaggi culturalmente vicini sia ad Antemio, sia allo stesso neoplatonico Olimpiodoro, Erculio, infatti, il quale rivestì la prefettura illiriciana dal 407 al 411, sostenne la scuola neoplatonica ateniese, sì da essere ricompensato con una statua sull’Acropoli. Alla serie dei prefetti appartenne anche Filippo607 - dato il nome, un probabile parente di Antemio, discendente del prefetto “costanziano” Fl. Filippo - che gestì la carica nel 420-421, al momento delle nozze tra Atenaide e Teodosio, mentre il funzionario che gli subentrò, dopo il luglio del 421, fu Gessio, uno dei due fratelli della stessa Atenaide/Eudocia. Olimpiodoro, comunque, tramite Fozio, ci narra di aver aiutato Leonzio, nonostante il parere contrario dell'interessato:608

Ὅτι ὁ ἱστορικὸς περὶ τοῦ οἰκείου διαλαμβάνων διάπλου πολλὰ παθεῖν καὶ δυστυχῆσαί φησι. Λέγει δὲ καὶ εἰς τὰς Ἀθήνας κατᾶραι, καὶ τῇ αὐτοῦ σπουδῇ καὶ ἐπιμελείᾳ εἰς τὸν σοφιστικὸν θρόνον ἀναχθῆναι Λεόντιον οὔπω ἐθέλοντα. Λέγει δὲ καὶ περὶ τοῦ τρίβωνος, ὡς οὐκ ἐξῆν κατὰ τὰς Ἀθήνας περιβαλέσθαι αὐτόν τινα, καὶ μάλιστα ξένον, ᾧ μὴ τῶν σοφιστῶν ἡ γνώμη ἐπέτρεπε καὶ αἱ κατὰ τοὺς σοφιστικοὺς νόμους τελεταὶ ἐβεβαίουν τὸ ἀξίωμα. Ἦν δὲ τὰ τελούμενα τοιαῦτα· πρῶτον μὲν κατήγοντο ἐπὶ τὸ δη μόσιον βαλανεῖον ὅσοι νεήλυδες, ἄν τε μικροὶ ἄν τε μεγάλοι. Ἐξ ὧν καὶ οἱ πρὸς τὸν τρίβωνα ἐπιτήδειοι, ἡλικίας ἤδη καιροῦ γεγονότες, οὕς εἰς μέσον ἔβαλλον οἱ κατάγοντες σχολαστικοί. Εἶτα τῶν μὲν ἔμπροσθεν τρεχόντων καὶ κωλυόντων, τῶν δὲ ὠθούντων καὶ ἐπεχόντων, πάντων δὲ τῶν κωλυόντων ταῦτα βοώντων· «Στᾶ, στᾶ, οὐ λούει», κατακρατεῖν δῆθεν τοῦ ἀγῶνος ἐδόκουν οἱ ἀντωθοῦντες εἰς τιμὴν τοῦ καταγομένου σχολαστικοῦ· ὅστις μετὰ πολλὴν ὥραν, στάσεως πολλῆς ἐπὶ τοῖς προαχθεῖσιν ἐθίμοις ῥήμασι προγενομένης, εἰσάγεται εἰς τὸν θερμὸν οἶκον καὶ ἀπολούεται, εἶτα ἐνδυσάμενος ἐδέχετο τὴν τοῦ τρίβωνος ἐξουσίαν, καὶ αὐτόθεν μετὰ τοῦ τρίβωνος ἐκ τοῦ βαλανείου ἐντίμῳ καὶ περιδόξῳ δορυφορούμενος πομπῇ ἀπῄει, δαπάνας ἐπιγνοὺς φανερὸς εἰς τοὺς τῶν διατριβῶν προστάτας τοὺς λεγομένους Ἀκρωμίτας.

Il retore, infatti, se egli va identificato con il Leonzio descritto da Damascio,609 dopo un tentativo fallito di raggiungere il successo ad Atene, era rientrato a casa, abbandonando il progetto e la fede negli antichi Dei. Conoscendo la provenienza e le preferenze culturali di Olimpiodoro, possiamo presumere che i due si siano incontrati in Egitto, in quella fucina di idee e culla del sapere che era Alessandria. Probabilmente Olimpiodoro conobbe il padre dell'imperatrice durante una sua visita alla città in compagnia del filosofo Ierocle, al quale dedicò il De fato.610 Alessandria in, quegli anni, continuava ad essere una città cultu ralmente molto vivace, che poteva vantare tra i suoi insegnanti Orione e Iperechio, illustri maestri della futura imperatrice611 e, forse, colleghi di Teone o della figlia Ipazia. Quest'ultima, come da noi proposto, potrebbe ben essere considerata, nella rappresentazione che ci tramanda Socrate scolastico, un. modello di riferimento per l'Augusta Atenaide, la quale, per il suo originario Hellenismos, ebbe a subire l’ostilità dei cristiani oltranzisti. Questi, a loro volta, sembrarono replicare le modalità comportamentali del vescovo Cirillo e dei suoi seguaci, i monaci di Nitria e i temibili parabalani,612 almeno secondo la prospettiva esasperata del tradizionalista Socrate, il quale, non a caso, era discepolo del sofista Troilo di Side, consigliere di Antemio e parente di un altro Filippo, che con Proclo lottó per il seggio episcopale di Costantinopoli, poi andato a Nestorio (428). Uno dei più fedeli sostenitori della bella Atenaide dovette essere anche lo zio materno, sposo di una zia di Malala, Asclepiodoto, il quale, coadiuvato da una delle sorelle, aveva ottenuto udienza per Atenaide presso Pulcheria. Questi personaggi dovevano, in qualche modo, far parte della corte imperiale o essere ad essa 607 PLRE II 874. 608 Phot. bibl. cod. 80. 609 Dam. V. Isid. 68, 46 (Zintzen).

610 Phot. bibl. cod. 214. Per la ricostruzione della vita di Leonzio e dei suoi rapporti vd. Cameron, The Empress and the Poet, cit., 274 ss. 611 In base alla testimonianza di Tzet. Chil. 10, 49-52 (388-389 Leone), F. Schemmel, Die Hochschule von Konstantinople vom V. bis Zum IX. Jahrhundert, Berlin 1912, 5 con C, Wendel, Orion, in RE XVIII, 1939, 1083-1084, hanno identificato Orione e Iperechio ( PLRE II 581) come maestri dell'imperatrice e membri del circolo culturale che essa patrocinava. 612 Cfr. Philipsborn, La compagnie d'ambulancies «parabalani», cit., 185-190; con Bowersock, Parabalani: A Terrorist Charity, cit., 45-54. 127 vicini, data la loro influenza e l'elevazione dello stesso Asclepiodoto a comes sacrarum largitionum (CSL) nel 422, a console, nel 423, e a prefetto pretoriano (PPO), nel 423-425. Del resto, lo stesso Leonzio non solo poteva vantare buone amicizie, come dimostrerebbe il carteggio di Olimpiodoro con Valerio, il figlio maggiore del retore, ma aveva anche una cospicua eredità da lasciare ai figli, che per essa litigarono, finendo per danneggiare la futura imperatrice, che ne fu privata dai due fratelli, Gessio e, appunto, Valerio. Eudocia, fu in ogni caso, capace di superare il rancore, ammesso che l'ingiustizia subita non fosse solo un pretesto per ottenere un colloquio con Pulcheria, la quale avrebbe dovuto interessarsi al caso pietoso. In ogni caso, la necessità di occupare posti chiave dell'amministrazione era troppo impellente per stare a sottilizzare. In effetti i due fratelli ebbero incarichi di responsabilità: come Valerio, anche Gessio ottenne un incarico prestigioso, quale la prefettura illiriciana.613 Certo però, per varie ragioni, il personaggio più rappresentativo del governo eudociano, fu il prefetto Cyro di Panopoli.614 Già la città d'origine del funzionario ci fa comprendere come il suo probabile

background culturale fosse in perfetta consonanza con quello dell'imperatrice. Panopoli era, allora, come lo era stata fin dal IV sec. a. C., uno dei centri propulsori della cultura greca in Egitto.615 Come osserva Cameron, questa può esser la ragione per cui, nelle vicinanze della città, sono stati trovati papiri come il codex Bodmer, contenenti l’ Aspys, il Dyscolus e la Samia di Menandro.616 Era una città che aveva buone scuole, ricche librerie e anche grande tradizione di cui menar vanto, come fece il poeta Nonno;617 Νόννος ἐγώ Πανὸς μὲν ἐμὴ πόλις ἐν Φαρίῃ δὲ ἔγχεϊ Φωνήεντι γονὰς ἤμησα Γιγάντων. Sicuramente nota come centro di cultura ellenistica, Panopoli fu anche un centro di religiosità pagana, ma non solo. Infatti la cristianizzazione non poté essere un fenomeno caratterizzato da diffusione immediata, uniformità od omogeneità in tutte le province dell’impero. I fenomeni di acculturazione sono percorsi di lunga durata e varia complessità.618 Quel che è certo è che, ancora nel V e VI secolo,619 abbiamo testimonianze di un vigoroso paganesimo e che la stereotipata polarizzazione di cultura classica e religiosa semplicità cristiana non coglie, nella sua varietà, la realtà effettuale. Il prefetto Ciro rappresenta una ulteriore testimonianza di questo inestricabile intreccio culturale di paganesimo e cristianesimo, che ebbe lunga vita e incarnò la realtà del mondo cristiano nei primi secoli. Probabilmente il funzionario si guadagnò l'attenzione di Eudocia, ella stessa una poetessa di medio livello, con la recita di un suo componimento,620 forse consonante con il panegirico, composto dall’Augusta, in onore di Teodosio II. Il Panopolitano, comunque, divenne prefetto di Costantinopoli (PVC) forse nel 437, sicuramente dal marzo del 439, anno in cui esercitò, dal mese di dicembre, contemporaneamente le funzioni di prefetto al pretorio (PPO), accumulo di onori non usuale. La splendida carriera del prefetto non si

arrestò, ma progredì, sicché finì per includere il patriziato e, infine, nel 441 il consolato. Nonostante le critiche sul suo conto, che si possono leggere in Giovanni Lydo, il quale riteneva che il funzionario non conoscesse 613 Chron. Pasch. a.D. 421; Ioh. Mal. chron. XIV 353-355; Io. Nik. 84 (Zotenberg), tutti concordi sul fatto che Eudossia “conferì ai fratelli grandisimi onori”. Cfr. PLRE II, Gessius 2, 510-511. 614 PLRE II, Cyrus 7, 336-339. Vd. anche O. Seeck, Kyros, in RE XII, 1924, 188-190 e J. Constantelos, Kyros Panopolites. Rebuilder of Costantinople, GRBS 1, 283.284.6, 1975, 317-324. per il nome completo, Fl. Taurus Seleucus Cyrus Hierax, cfr. JOeAI 44, 1959, 283 = AE, 1961, 190. 615 Hdt. II 91. 616 E.G. Turner, Greek Papyri, Oxford 1980, 52-53, 201. 617 AP IX 198. 618 Vd. Su questi aspetti della cultura tardoantica è tornato a riflettere M. Mazza, nel bel volume Tra Roma e Costantinopoli. Ellenismo Oriente Cristianesimo nella Tarda Antichità, cit., 67 ss., sulla base delle Conclusioni del Quarto Convegno messinese dell'AST del 1996, ora in MedAnt 1, 1998, 141-170, ribadendo il ruolo dell’ Hellenismos, che, dove le situazioni socioeconomiche lo consentivano, interagì con le culture etniche, dando luogo a fenomeni culturali forti, autonomi e vitali. Questi, a loro volta fecondati dalla vis assimilatrice del Christianismos, riuscirono a far emergere quel nuovo rapporto con il divino, che fu, in fondo, l'assoluta rivoluzione, in campo culturale, della Spätantike. 619 Id., Cultura guerra diplomazia, cit., 11-115, insieme a Tra Roma e Costantinopoli, cit., 85 ss., con esaustiva e utilissima bibliografia.

620 Suid., s.v. Κῦρος 2776 (Adler), che ricorda l'ammirazione di Eudocia. 128 niente riguardo alle sue mansioni e sapesse soltanto di poesia,621 Cyro si rivelò uno dei funzionari più efficienti e tra i più popolari della coppia imperiale, anche perché pubblicava le sue disposizioni in greco, rendendo in qualche modo l'amministrazione pubblica e la politica più vicine e comprensibili alla massa della popolazione di lingua greca.622 Questa abilità egli la dispiegò anche nella sua attività di abbellimento e miglioramento della città, sicché l'imperatore poteva sentire le voces populi, che inneggiavano al prefetto, che aveva restaurato la città fondata da Costantino. D'altro canto, questo programma di restauro era legato alla celebrazione della religione cristiana, poiché l'ampliamento delle mura appare collegato alla chiesa della Theotokos, che Teofilatto Simocatta623 attribuisce al prefetto, in questo caso particolarmente vicino alle tecniche comunicative di Pulcheria. Grazie all'attenta analisi di Janin,624 possiamo ricostruire la geografia ecclesiastica costantinopolitana, ricostruzione che riceve ulteriore conferma dai due epigrammi, editi da Cramer e da Piccolos,625di Iohannes Geometer, prete legato alla chiesa suddetta e, dunque, testimone attendibile e bene informato. Soprattutto il primo componimento è utile alla nostra ricostruzione degli avvenimenti:626 Κῦρος μέν σε δόμησεν ἔθηκε δ᾽ κῦρος ἀπάντων δεσπότις ἡμετέρη τῶν ἐπὶ γης θαλάμων. ἔνθεν ἐπορνυμένη Βυζαντίδος ἀμφιπολεύεις κύκλον ὅλον, χαρίτων νάμασι πληθομένη. Iohannes ci testimonia che la Vergine, signora dell'universo, proteggeva, ergendosi dalla sua chiesa, l’intero circuito delle mura di

Bisanzio,627 intendendo includere nel suo abbraccio tutto il territorio di Costantinopoli, ivi compreso anche quello rivolto verso il mare, che nel 439 era il più soggetto alle incursioni dei Vandali. Ciro, così facendo, venne a completare l'opera del grande Antemio, ma all'ombra della nuova Augusta, Eudocia. Per l'appunto dall'imperatrice quella zona della città prese il nome di Eudocopolis,628 probabilmente un quartiere popolare, di cui molti membri gravitavano attorno all’istituzione ecclesiastica e imperiale. È interessante notare come anche il Chron. Pasch. (a.D. 439) 629 testimoni il completamento dell'intero circuito delle mura in quel periodo, ma lo attribuisca alla volontà di Teodosio II. Presumibilmente questa presentazione degli avvenimenti era diretta conseguenza di una prospettiva storiografica che considerava preponderante la lotta tra Pulcheria e la coppia imperiale, all'interno della quale il giovane Teodosio aveva conquistato,contemporaneamente all'autonomia nei confronti della sorella, una discreta visibilità, quanto meno formale. Ovviamente la dedica alla Deipara non poteva essere casuale, dopo la grande contesa del 430, che aveva portato al Concilio di Efeso e alla condanna di Nestorio.630Quest'ultimo diplomaticamente aveva camuffato il proprio perdente duofisismo nel definire la vergine come Christotokos.631 Con la dedica alla Theotokos, invece, Ciro non solo mostrava la sua fede cristiana, ma dichiarava apertamente la sua adesione alla fazione di Cirillo d'Alessandria, le cui simpatie monofisite divennero fin troppo evidenti nei disordini scoppiati a Efeso nel 431. Del resto, il vescovo non avrebbe potuto giocare così pesantemente quella partita se non ci fosse stato l’avallo di personaggi potenti. In realtà, il favore nei confronti del monofisismo cirilliano celava da parte delle due Auguste, Pulcheria ed Eudocia, l'aspirazione alla reggenza, e, non senza ragione, Teodosio aveva cercato di comporre la questione tra i due seggi episcopali di Alessandria e di Antiochia. L'imperatore aveva tentato, per tal via, di percorrere una propria strada e di trarre il maggior beneficio possibile dalla mediazione. Forse il sovrano sperava, in tal modo, di opporsi al nazionalismo 621 Iohn. Lyd. mag. Il 42.

622 G. Dagron, Aux origines de la civilisation byzantine. Langue de culture et langue d'Etat, RH 241, 1969, 23-56. 623 Theoph. Sim. VIII 8, 11. 624 Cfr. Les églises et les monastères. III/1, cit., Paris 1969, 193-195. 625 J. A. Cramer, Anecdota Graeca e codicibus manuscriptis bibliothecae regiae Parisiensis, IV, Oxford 1839-1 941, 305; N. Piccolos, Supplément à l'Anthologie grecque, Paris 1853, 138. Con riferimento a Teodosio cfr. Chron. Pasch. a.D. 439. 626 «Cyro ha costruito la casa per te, nostra Signora e ti ha reso padrona di tutti i gli edifici sulla terra. Sorgendo da qui tu sorvegli l’intero perimetro di Bisanzio, tu ricca di sorgenti di grazia». 627 B. Mayer-Plath-A.M. Schneider, Die Landmauern von Kostantinopel, II, Berlin 1943, 153. 628 D. J. Alexander, The Oracle of Baalbek, Washington 1967, 80-82. 629 Cfr. L.M. Whitby, The Long Wall of Constantinople, «Byzantion» 55, 1985, 560-583. 630 Frend, The Rise of the Monophysite Movement, cit., 193 ss. 631 Vd. supra 205. 129 egiziano e di favorire la duofisita Roma, mostrando il suo interesse per la parte occidentale dell'impero, che, in quel momento, sperava di controllare tramite Valentinano III? Purtroppo una simile politica era destinata al fallimento, almeno nella pars orientis. Essa in effetti scontentava sia l'una che l'altra fazione, che, in quel frangente, non avevano nessuna intenzione di giungere a un accordo.632 Pulcheria,

anche se le voces populi celebravano la sua ortodossia dopo la vittoria su Nestorio (431) e, come abbiamo constatato, in base ad essa vide riconosciuta dal popolo la propria santità, aveva appoggiato, anche in base a motivazioni politiche, le teorie di Cirillo. In realtà, solo dopo il suo ravvedimento, alla fine degli anni '50, possiamo considerare la sorella di Teodosio II come antesignana dell’ortodossia. Questa convinzione è confortata non solo dalla decisione della Chiesa che solo dopo il concilio di Calcedonia riconobbe la santità di Pulcheria, ma è anche confermata dallo scontro plateale con il vescovo di Costantinopoli e dall’appoggio della basilissa a Proclo e alla proclamazione della maternità divina di Maria. Non potremmo, comunque, spiegarci altrimenti l'enfasi posta nella costruzione delle chiese alla Vergine dedicate e nella fondazione di un vero e proprio percorso liturgico mariano.633 Del resto, anche Alan Cameron634 propende per attribuire sia a Pulcheria che a Eudocia la vittoria di Cirillo, e, da quanto sopra detto, sembra che ci siano fondati motivi per ritenere che entrambe le Augustae fossero impegnate a favore del culto della Theotokos. Allo stesso modo entrambe, insieme all’imperatore, dovevano nutrire un certo interesse al culto di Santo Stefano, icona di vittoria, privilegiamento testimoniato per tutte e due le imperatrici e base della loro popolarità. Infatti lo stesso Cameron ammette che «the potent Byzantine motiv of Theotokos as the supernatural protectress of Constantinople must have been evolving some time before (the reign of Heraclius)». Certo, pur considerando la possibilità che sia stato il Geometer, nella sua presentazione della fondazione del prefetto Ciro, a rendere pubblica un'idea condivisa e, pur ammettendo che la fede nella “Deipara protettrice della capitale” non si sia manifestata apertamente se non nel VI sec. e abbia trovato nel 626 il suo humus naturale nel terrore dell'assedio àvaro, non si puó disconoscere che l'attività del prefetto, in risposta a circostanze similari, dovette rappresentare un passo decisivo verso l'incremento del culto della Vergine.

Durante il periodo di “guerra fredda” (421-438) tra le basilisse, quando nessuna delle due donne prevalse definitivamente, gli uffici di propaganda delle Auguste utilizzarono le stesse tecniche di comunicazione. Se, però, Pulcheria aveva mostrato la sua fallibilità nella spedizione persiana, Eudocia aveva ancora in mano delle carte vincenti: Ascepiodoto, lo zio; Paolino, l’amato bene e/o devoto consanguineo; Ciro, il bravo prefetto di origine egiziana. Finché il Mediterraneo, infatti, era rimasto sotto il controllo dell'impero, non si era sentito il terrore della minaccia proveniente dal mare, ma quando l'assalto dei Vandali aveva sconvolto ogni assetto precedente, la necessità del completamento delle mura antemiane era divenuta palese e Ciro, rispondendo al bisogno di difesa, aveva reso altrettanto patente l’importanza della della protezione dell’Augusta, assimilata a Maria, sposa e madre immacolata, la cui misericordia si concretizzava in aiuto effettivo e in santo conforto spirituale. Gli anni di reggenza del prefetto potrebbero essere stati quelli del reale predominio di Eudocia su Pulcheria. Sul finire dei difficili anni '30, che avevano visto esplodere, da un lato, il nazionalismo egiziano, con il movimento monofisita, dall'altro, risorgere il partito barbarico, con Ardaburio, Areobindo, Plinta e Aspar, e ancora avevano portato le temibili incursioni vandaliche, Eudocia e Ciro erano in qualche modo riusciti a mantenere un equilibrio tra le opposte fazioni, per quanto precario. Eudocia aveva potenziato la sua immagine di Santa Protettrice, capace di rinsaldare i vincoli con l'Occidente mediante il matrimonio della figlia Eudossia con Valentiniano III (437); Ciro aveva raggiunto lo scopo con la sua politica moderata e lungimirante. Nonostante però, la saggezza con cui era stata pianificata l’ascesa della nuova basilissa, il dominio di Eudocia ebbe breve vita e con lei i suoi più fedeli sostenitori: Ciro e Paolino. Il momento della fine della carriera politica del prefetto si può senza dubbio porre nel 441, poiché egli è attestato nelle sue funzioni prefettizie per l’ultima volta il 18 agosto di quell’anno e d'altra parte, per l’anno successivo, sappiamo

che la prefettura passò a Thomas e, dopo, ad Apollonio, tra l'agosto del 442 e il maggio del 443. Del resto, il consolato sembra essere stato da Ciro esercitato non oltre la fine di novembre del 441, data fornita dal confronto tra il P. Vindob. G. 16775 e il P. Mil. 164.635 L'arrivo a Cotyeo dell'ex prefetto, nonché vescovo designato per quella sede, tutt'altro che prestigiosa, va registrato, di conseguenza, alla fine dell’anno. Una 632 Sempre fondamentale in merito Frend, The Rise, cit., 16 ss. 633 Vd. Dagron, Naissance, cic, 313; Mango, Le development urbain de Constantinople, cit., 124 ss. 634 The Empress and the Poet, cit., 242; vd. anche Av. Cameron, The Theotokos in Sixth-century Constantinople, JThS 29, 1978, 79-108. 635 Cfr. R. Bagnall-K.A. Worp, Ten Consular Dates, ZPE 28, 1978, 22130, spec. 226-227. 130 simile ricostruzione d’altro canto è confortata dal riferimento di Marcellino Comes al 440 per l'esecuzione di Paolino, ricostruzione, a dire il vero, contrastata dalla testimonianza del Chron. Pasch., che colloca nel 444 la fine dei tre reali reggenti dell’epoca. La versione della saga fornita del cronista sembra, però, sospetta, poiché, appunto nel 444, avvenne la rottura definitiva tra i due coniugi; coincidenza che ha indotto Alan Cameron636 a supporre che la Cronaca abbia registrato la concatenazione degli avvenimenti, sbrigativamente, all’interno dell’anno in cui si collocava l’ultimo atto della “tragedia”. Inoltre, si dovrebbe ricordare anche la notazione di Suida s.v. Κ 2776,637 secondo cui Ciro cadde in disgrazia mentre la sua garante, Eudocia, era a Gerusalemme. Dato che l’imperatrice fu due volte in Terrasanta e il suo primo soggiorno ivi è databile al 438-439, il lessico deve riferirsi al secondo viaggio, che, in base all’arrivo di Ciro a

Cotyeo, deve fissarsi cronologicamente tra la fine del 440 e la prima metà del 441.638 Con tutta probabilità, il secondo viaggio dovette essere conseguenza di un'intesa tra concordanti interessi, nel senso che, mentre Teodosio, con la sua corte, non voleva annientare l'ancora troppo potente Eudocia e forse non aveva neanche le prove del suo "peccato", la stessa imperatrice intendeva recuperare quel grande consenso popolare che era riuscita a suscitare in occasione del suo primo pellegrinaggio, di cui abbiamo non solo testimonianze letterarie, ma anche un'epigrafe notevole, purtroppo andata perduta, ma fortunatamente trascritta da Doublet,639 durante la ricognizione della chiesa di S. Teodoro a Zapharambolou (Safranboli) in Paflagonia: σωτὴρ φανείς, Στῆφανε, ἀλγείνων πόνων λαιοῦ γόνατος καὶ ποδὸς οἰκτράς φίλης θεῖον ναὸν δωροῦμαι κλεινῇ τῇ πόλει τοῦ Θεοδώρου κράντορος παλαιφάτου δωρουμένη ληφθέντα δῷρον σὸν πόδα αὐτῷι μένειν σύσσημον ἀλήστου μνέιας B Σ EUΔ Φ IE ΘARΓ Grazie all'opera del cardinale Rampolla,640 al quale si deve lo scioglimento delle abbreviazioni finali [B(A)ΣIΛIZZA EYΔ(OKIA) Φ(EPEI) ΙE’ ΘARΓ(EΛIΩNOΣ), siamo in grado di ricostruire l'evento storico adombrato nell'epigrafe, di definirne la datazione e di stabilire l'attribuzione del carme a Eudocia. 636 Cameron, The Empress and the Poet, cit., 260. 637 Suid, s.v. Κῦρος 2776 (Adler).

638 Che sia stato Cotyeo e non Smirne la sede episcopale di Ciro, lo testimonia il fatto che a Smirne è attestato un altro vescovo e che la sede di Cotyeo è indicata da una fonte attendibile quale il Lessico Suida (ibid.) e da Malala (XIV, 361 Dindorf), molto vicino all' entourage dell'imperatrice. 639 G. Doublet, Inscriptions de Paphlagonie, BCH 13, 1889, p. 294 ss., identificò l'odierna Zapharambolou (Safranboli), a cui risale il reperto, con Eucaita o Teodoropoli, mentre V. Schultze, Altchristliche Städte und Landschaften, M. Kleinasien, Gütersloh 1922, 216, non riteneva possibile identificare Safranboli con Eucaita, in quanto quest’ ultima fu ribattezzata Theodoroupolis solo sotto Giovanni Zimisce, nel 972, grazie all’ apparizione di S. Teodoro su un cavallo bianco, nel corso di una battaglia contro i Russi (cfr. Cedren. II [411 Bekker]; Zonar. XVII 3, 9-13, 3 [534 Büttner-Wobst]). Sebbene nulla escluda che quest’ultima denominazione esistesse in forma non ufficiale già anteriormente, vd. H. Leclercq, s.v. Euchaita, DACL 5, 7045, è difficile mettere in dubbio l'identificazione di Eucaita con l'odierna Avchat (vd. R. Janin, s.v. Zuchaites, DHGE 15, 1963, p. 1311-3). Secondo H. Delehaye, Acta Sanctorum Nov. IV 23, sulla base di W.M. Ramsay, The Historical Geography of Asia Minor, London 1890, 320, 322, diventa, dunque, logico ipotizzare l'esistenza di un'altra Theodoropoli, cioè Safranboli, anche in considerazione del fatto che il piede destro di S. Stefano veniva mostrato ai visitatori dell'omonima chiesa nel ghetto greco di Granköi, quartiere di Safranboli, almeno fino al 1856, data della visita di A.D. Mordtmann, Anatolica. Skizzen und Reisebriefe aus Kleinasien (1850-9), Hannover 1925, 254. Per questa ricostruzione si è schierato anche E. Halkin, Inscriptions grecques relatives à l'hagiographie, AB 71, 1953, 96-7. 640 Cfr. M. card. Rampolla del Tindaro, Santa Melania Giuniore senatrice romana, Roma 1905, 237-241, importante per la ricostruzione dei rapporti fra Eudocia e Melania, giunta nel 437 a Costantinopoli per assistere lo zio, Rufio Antonio Agripnio Volusiano, impegnato

nell'organizzazione del matrimonio fra Eudossia e Valentiniano III. Vd. anche Gregorovius, Athenaïs, cit., 161-169 e Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 385. 131 Infatti, Teofane ci informa che, dopo il matrimonio, solennemente celebrato a Costantinopoli il 28 ottobre 437, fra Eudossia, figlia di Teodosio II e di Eudocia, e l'imperatore d'Occidente Valentiniano III, Eudocia volle sciogliere un voto, formulato in merito, tramite un pellegrinaggio a Gerusalemme, che ebbe inizio l’anno successivo:641 (Εὐδοκία) προσκυνήσασα τόν τε ἅγιον σταυρὸν καὶ τοὺς σεβασμίους τόπους ὑπέστρεψεν εἰς τὰ βασίλεια. Con Teofane concorda il cronista Marcellinus Comes s. a. 439:642 Eudocia uxor Theodosii principis ab Hierosolymis ad urbem regiam remeavit, beatissimi Stephani primi martyris reliquias, quae in basilica sancti Laurentii positae venerantur, secum deferens. La narrazione del viaggio più dettagliata, però, si legge nella Vita di S. Melania Iunior,643 scritta da Geronzio. La santa, la quale era stata ospitata dalla famiglia imperiale a Costantinopoli,644 ὑπερβαλλόντως ὠφέλησεν πάντας τοὺς ἐκεῖσε, ἐξαιρέτως δὲ τοὺς φιλοχρίστους βασιλίδας ὠκοδόμησεν καὶ τὸν εὐσεβέστατον βασιλέα καὶ παρακαλέσασα αὐτὸν ὅπως ἀπολύ τὴν σύζυγον αὐτοῦ ἐπιθυμίαν ἔχουσαν προσκυνῆσαι τοὺς ἁγίους τόπους, ἐν τῷ τέλει τοῦ φεβρουαρίου μηνὸς ἐξήλθομεν ἐκεῖθεν. 641 Thph. chron. a. m. 5927 (92 de Boor).

642 Vd. ora B. Croke, The Chronicle of Marcellinus, Sydney 1995, 17. Probabilmente la chiesa della deposizione non va identificata con la basilica di S. Lorenzo alle Pulcheriane a Costantinopoli, che non esisteva ancora ncl 439 (Janin, La géographie ecclésiastique de l'empire byzantin, cit., 311-316), a meno che le reliquie non vi siano state deposte molto tempo più tardi. È più probabile l’identificazione con la basilica di S. Lorenzo Fuori le Mura in Roma, ove rimangono importanti tracce dell’interesse dei Teodosii. Anche per questo verso si può infatti sottolineare la vicinanza delle due corti imperiali d'Oriente e d'Occidente, come tra l'altro dimostrano le reliquie ierosolimitane offerte da Eudocia per motivi di politica religiosa, le catene di S. Pietro, ripartite fra Costantinopoli e Roma (S. Pietro in Vincoli), e il mantello metallico dell'archimandrita persiano Barsauma, che Eudocia accettò in cambio di un proprio prezioso velo (Pall. H.L. 61), benché ella avesse favorito gli ebrei nella contesa scoppiata con i selvaggi monaci del santone, vd. E Nau, Resumé de monographies syriaques, ROC 1914, p. 115 ss. e Cassiod. Hist. trip. XI 17. 643 Ottima ricostruzione in H. Leclercq, Le pélerinage d'Eudocie, DACL 14, 1, 1939, 116-20, come anche in E.D. Hunt, Holy Land Pilgrimage in the Later Roman Empire, AD 312-460, Oxford 1982, p. 221-48 spec. 233. Per le aggrovigliate motivazioni politiche, teologiche e personali di siffatti viaggi di stato resta fondamentale K.G. Holum, Theodosian Empresses, cit., 184 ss. L'evergetismo di Eudocia si rivelò indispensabile per le fondazioni di S. Melania iuniore al Monte degli Ulivi (due monasteri e tre oratori dedicati ad apostoli e martiri) e per quelle di Pietro l'Ibero (ospizio e convento). Eudocia finanziò inoltre l'edificazione della Basilica di S. Stefano in cui fu sepolta nel 460; la Chiesa del Pretorio o S. Sofia, S. Pietro al Palazzo di Caifa, S. Giovanni Battista a sud del Santo Sepolcro, S. Silo allo sbocco del canale di Ezechia. Certamente un'attività impressionante, ma inferiore di gran lunga a quella realizzata nel secondo e definitivo soggiorno del 444-460

(H.Vincent-EM. Abel, Jerusalem, II. Jérusalem nouvelle, Paris 1922, 909-11). Vd. anche C.B. Horn, Empress Eudocia and the Monk Peter the Iberian: Patronage, Pilgrimage, and the Love of a Foster-Mother in FifthCentury Palestine, ByzF 28, 2004, 197-213, con D. Motta, L’imperatrice Eudocia nella tradizione agiografica, in Storiografia e agiografia nella Tarda Antichità. Alla ricerca delle radici cristiane dell'Europa, «Salesianum» 67, 2005, 895-916. 644 Gerontius, Vita s. Melaniae Iunioris, 56-58 Gorce (= Vie de sainte Mélanie, Texte grec, Introduction, Tradution et notes, par D. Gorce, Paris 1962, SCh 90, 224-225). La quaestio sulla doppia redazione, greca e latina, della vita della santa rimane aperta, anche dopo l’edizione della Vita latina di Laurence (Gerontius, La vie latine de Sainte Mélanie, par P. Laurence, Jerusalem 2002), già edita da M. Rampolla del Tindaro, Santa Melania Giuniore, cit., Roma 1905, che la considerava precedente a quella greca. Cfr. T. Spidlik, Melania la Giovane: la Benefattrice (383-440), 1996, 15 ss.; E.A. Clark, The Life of Melania the Younger. Introduction, Translation and Commentary (Studies in Women and Religion 14), New York-Toronto 1984, 129; G. Cloke, This Female Man of God: Women and Spiritual Power in the Patristic Age, AD 350-450, London 183, L.L. Coon, Sacred Fictions: Holy Women and Hagiography in Late Antiquity, Philadelphia 1997, 95 ss.; ult. F. E. Consolino, Tradizionalismo e trasgressione nell’ élite senatoria romana: ritratti di signore fra la fine del IV e l'inizio del V secolo, in Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites, cit., 83 ss. Sulle modalità comportamentali cfr. E. Giannarelli, La tipologia femminile nella biografia e nell'autobiografia cristiana del IV secolo, Roma 1980, 48 ss. 132

Allorché, poi, Eudocia si stava avvicinando a Gerusalemme, dopo la sosta ad Antiochia, dove l'imperatrice pronunciò il celebre discorso encomiastico,645 ella decise di raggiungerla a Sidone per ricambiare la straordinaria benevolenza che la sovrana le aveva dimostrato a Costantinopoli e, in quell'occasione, Eudocia la ricambiò, rendendole il giusto omaggio: διπλῆν εὐχὴν ἀποδίδωμι τῷ Κυρίῳ, τό τε προσκυνῆσαι τοὺς ἁγίους τόπους καὶ τὸ θεάσασθαι τὴν ἐμὴν μητέρα. ἐπεθύμησα ὡς ἔτι ἐν σαρκὶ δουλεύεις τῷ Κυρίῳ, ἀξιοθῆναι τῆς σῆς ἁγιοσύνης. Naturalmente l'Augusta volle assistere alla deposizione delle reliquie dei SS. Martiri presso l’oratorio del monastero di Melania, nel luogo dell'Ascensione, ma il diavolo - quel demonio che l'ex pagana Atenaide aveva rappresentato con gran vigore espressivo nel suo poema parafrastico su S. Cipriano - intervenne prontamente (παρεσκεύασεν ὀκλάσαι τὸν πόδα τῆς βασιλίδος). Per Geronzio, furono ovviamente le preghiere di Melania, a provocare la miracolosa guarigione dalla fastidiosa slogatura, ἕως οὐ μετεστείλατο αὐτὴν ἡ βασιλίσσα παυσαμένης ἀλγηδόνος. Era di fatto inevitabile che, nel racconto agiografico, fosse messo in rilievo l'intervento di Melania, mentre appare del tutto ovvio che l’epigrafe imperiale di Safranboli dovesse esaltare quel S. Stefano, la cui evocazione aveva, come abbiamo sottolineato piü volte, notevoli risonanze politiche. Eudocia, del resto, dimostrò sempre di apprezzare l'icona vincente del protomartire, fino ad esser seppellita nel 460 nella Basilica intitolata al santo, che l'imperatrice avrebbe edificato durante il suo secondo soggiorno a Gerusalemme. Per quanto concerne l'inizio del lavori di costruzione della chiesa, databile, però, intorno al 438-439, dalla Vita di Pietro l'Ibero (37 Raabe) apprendiamo che, significativamente, il patriarca di Alessandria, Cirillo,646

assistette alla dedica di un nuovo santuario destinato ad accogliere le reliquie di S. Stefano, costruito al di là della porta settentrionale di Gerusalemme. La presenza del vescovo alessandrino conferma la volontà di controllo che la sede egiziana intendeva esercitare sulla regione, come del resto dimostra quali alleanze la coppia imperiale e, in particolare, Eudocia, con il suo operato, mirava a stringere o, per meglio dire, a rinnovare.647 Alla cerimonia inaugurale, presieduta da Eudocia il 15 maggio 438, seguì, il giorno successivo, la processione al Monte degli Ulivi, per deporre le reliquie nel Martyrion già edificato alla sommità, processione nel corso della quale si verificò appunto l’incidente in questione. Sembra del tutto evidente che Eudocia abbia voluto cancellare con la sua replica, tanto a Gerusalemme quanto al suo ritorno a Costantinopoli, il ricordo della trionfale deposizione del braccio destro di S. Stefano nel sacrario del palazzo, voluta nel 420421 dalla Augusta Pulcheria, secondo la concorde testimonianza di Theoph. 5920 (86-87 de Boor), e del celebre avorio del Duomo di Treviri, sopra citato e riprodotto.648 Sull’autenticità eudociana dell'epigrafe paflagone non sembra lecito dubitare. Anche se la mancanza totale di altre composizioni eudociane in giambi non permette confronti, l'attribuzione appare confermata, fra l'altro, dal sistema, insolito per l'epoca, di datazione ateniese (15 Targelione = maggio-giugno 439). Esso riesce del tutto comprensibile per l'ex pagana e, forse, di origini ateniesi Atenaide, figlia del sofista Leonzio, la quale continuò ad esser imbevuta di cultura ellenica, ben oltre il suo trasferimento nella capitale per le nozze con Teodosio II. Il primo pellegrinaggio di Eudocia in Terrasanta fu in ogni caso un viaggio di stato, carico di significati politici e religiosi, e dovette comunque lasciare numerose tracce epigrafiche, di cui almeno una sembra sembra esser l'epigramma εἰς Εὐδοκίαν τὴν γυναῖκα τοῦ Θεοδοσίου βασιλέως ( A.P. 1.105), che si presenta 645 L'imperatrice tenne autorevolmente il suo discorso ( Chr. Pasch. a.D. 438 VII, 585

Dindorf), che si concluse con il celebre verso omerizzante in cui vantava la sua origine e il suo sangue antiocheno. Il verso, citato da Evagrio ( h. e. 120 3-17 Bidez-Parmentier) valse la dedica senatoria di una statua di bronzo all'Augusta, ma rimane ancora di difficile interpretazione. Eudocia probabilmente non intese far riferimento al fatto che gli Ateniesi (Jo. Mal. chron. VIII 201 Dindorf) furono tra i primi coloni di Antiochia (G. Downey, A History of Antioch in Syria, Princeton 1961, 79, 451; e Id., Ancient Antioch, Princeton 1963, 217-218), bensì volle citare il verso non tanto perché «might look like a claim to Antiochene blood» (Cameron, The Empress and the Poet, cit., 278), ma forse per alludere al poema De Sancto Cypriano, che dimostrava l'unione, nella fede, dell'imperatrice con gli Antiocheni. 646 In Giovanni di Nikiou (350 Zotemberg) leggiamo che Teodosio II fece accompagnare l'imperatrice da Cirillo d'Alessandria perché la consigliasse. 647 Vd. supra 185. 648 Vd. supra 172-173. 133 come la descrizione di una raffigurazione pittorica o scultorea dell'imperatrice, prosternantesi davanti al Santo Sepolcro:649 ἡ μὲν σοφὴ δέσποινα τῆς οἰκουμένης ὑπ᾽ εὐσεβοῦς ἔρωτος ἠρεθισμένη πάρεστι δούλη, προσκυνεῖ δ᾽ ενὸς τάφον ἡ πᾶσιν ἀνθρώποισι προσκυνουμένη. ὁ γὰρ δεδωκὼς τὸν θρόνον καὶ τὸν γάμον

τέθνηκεν ὡς ἄνθρωπος ἀλλὰ ζῇ θεός. Κάτω μὲν ἠνθρώπιζεν ἦν δ᾽ ὡς ἦν ἄνω. L'ambivalenza semantica dell'ultimo verso, pur riferita al Cristo, allude anche a Eudocia e sottintende la sua santità, replicante quella dell'Assunta. Essa, senza dubbio, sembra riecheggiare le controversie cristologiche dell’epoca, che interessarono la scuola alessandrina e quella antiochena, ma coinvolsero anche le Auguste, particolarmente interessate all’affermazione della divina maternità di Maria. Eudocia, infatti, rinunciò al suo monofisismo -malgrado la lettera indirizzatale da papa Leone Magno il 15 giugno 453 ( ep. 113 = PL XLIV, 1060) e l'intervento del genero Valentiniano III (60.117) - soltanto dopo la catastrofe del 455. L'anno, memorabile per la cattura di Eudossia a Roma e la sua prigionia in Africa, ad opera dei Vandali di Genserico, appare dunque il terminus post quem per la composizione di A.P. I 105. L'epigramma, però, nel caso in cui sia stato composto per il viaggio del 438-9, potrebbe esser stato riformulato dopo tale data, per sottolineare il ritorno di Eudocia all'ortodossia, dopo il periodo monofisita dell'Augusta, forse riconoscibile ancora nell'ultimo emistichio. In ogni caso, l'allusione alla santità dell'imperatrice getta nuova luce sul difficile e sfortunato rapporto col magister officiorum Paolino, che potrebbe essere chiarito anche, come sottolinea Livrea,650l'epigrafe di Saframboli. La "relazione pericolosa” ricordata da Giovanni Malala651 e tramandata, con talune varianti, da altri storici bizantini,652 in quanto indubbiamente avvolta in un’aura da Familie-legende, è stata giudicata una pura invenzione, del presunto gusto romanzesco, di certa storiografia bizantina del V secolo. Beck,653 infatti, con lo stesso razionalismo di Seeck,654 relegava in una dimensione puramente leggendaria la storiella del ‘pomo della discordia’655 nel paragrafo ‘Roman’, opposto a quello intitolato ‘Leben’, ma se ricostruiamo i fatti secondo la versione deducibile dall'epigrafe succitata, potremmo darne un’interpretazione diversa e, forse, più rispondente alla realtà.

Appare fortemente significativo che già i contemporanei avessero, in merito, pareri e ricostruzioni contrastanti. Mentre Nestorio la condannava e sottolineava come «il demonio, principe dell’adulterio, avesse gettato la regina nella turpitudine e nella sciagura»,656 Evagrio ne tentava cautamente la riabilitazione:657 Ἔνθεν τοίνυν ἡ Εὐδοκία ἐν Ἱεροσολύμοις δὶς ἀφικνεῖται. Καὶ ὅτου μὲν χάριν ἢ τί πρωτοτύπως ὥς φασι βουλομένη, τοῖς ἱστορήσασι καταλειπτέον, εἰ καὶ μὴ ἀληθίζεσθαί μοι δοκοῦσιν. Ὅμως δ᾽ οὖν ἀνὰ τὴν ἁγίαν Χριστοῦ πόλιν γενομένη πολλὰ πρὸς τιμῆς τοῦ σωτῆρος πέπραχε θεοῦ, ὥστε καὶ εὐαγῆ δείμασθαι φροντιστήρια καὶ τὰς καλουμένας λαύρας· ἐν οἷς ἡ μὲν δίαιτα διάφορος, ἡ δέ γε πολιτεία εἰς ἕνα τελευτᾷ θεοφιλῆ σκοπόν. Cedreno (601, PG 121, 653), poi, stigmatizzava i suoi oppositori: 649 Vd. Holum, Theodosian Empresses, cit., 187. 650 E. Livrea, La slogatura di Eudocia in un'iscrizione paflagone, ZPE 113, 1996, pp. 74-75. 651 Io. Mal. chron. XIV 21, 356, 17 Dindorf. 652 Chr. Pasch. a.D. 444, I, 584 Dindorf; Theoph. chron. a. m. 5940, 99 de Door; Cedren. 601 Bekker; Zonar. XIII, 23, 3, 110-1 Büttner-Wobst; Niceph. XIV, 23; Scr. Or. Const. 261263 Preger; Io. Nikiou 87, 1-13. 653 S.v. Eudokia, RAC 6, 1966, c. 845-6. 654 RE XI, 1907, 907-908.

655 Vd. Littlewood, The Symbolism of the Apple, cit., 33-59. 656 The Bazaar of Heracleides, transl. by G.R. Drives and L. Hodgson, Oxford 1925, 379 = 331 trad. Nau; E.W. Brooks, Some Historical References in the Πραγματεία Ἡρακλείδου, BZ 21, 1912, 94-96. 657 H. e. 12 (29,18 ss. Bidez-Parmentier). 134 Τῷ μα΄ ἔτει ἡ λῃστρικὴ καὶ παράνομος συνηθροίσθη σύνοδος, τοῦ κριθῆναι τὰ περὶ Φλαβιανοῦ καὶ Εὐτυχοῦς, ὑπὸ Διοσκόρου τοῦ δυσσεβοῦς, κατὰ παραίνεσιν Χρυσαφίου εὐνούχου τὸ ἐπίκλην Ζουμνᾶ, τὴν τοῦ βασιλέως ἁπλότητα παραπείσαντος. Τῷ ἐπιόντι δὲ καιρῷ, ἤγουν τῷ μβ΄, γνοὺς ὁ Θεοδόσιος ὡς ἠπάτηται παρὰ Χρυσαφίου, πρῶτον μὲν αὐτὸν ἐξορίζει εἴς τινα νῆσον, τῇ Εὐδοκίᾳ δὲ καὶ Αὐγούστῃ ἐπιφέρεται σφοδρῶς, πάντων τῶν κακῶν αἰτίαν αὐτὴν ἀποκαλῶν ὡς καὶ Πουλχερίαν τῶν βασιλείων ἀποδιώξασαν, ἅμα δὲ καὶ τὰ κατὰ τὸν Παυλῖνον ὀνειδίζων αὐτῇ, ὑπὲρ τοῦ μήλου ἀποθανόντα. ἡ δὲ ἀπογνοῦσα παρεκάλεσεν ἐπὶ τὰ Ἱεροσόλυμα ἀπολυθῆναι αὐτήν· ὃ καὶ γέγονε, λαβούσης μεθ᾽ ἑαυτῆς Σεβῆρον τὸν πρεσβύτερον καὶ διάκονον Ἰωάννην. μαθὼν δὲ ὁ βασιλεὺς ὅτι οὗτοι καὶ ἐν τῇ πόλει πρὸς αὐτὴν ἐσύχναζον, ἀποστείλας ἀπεκεφάλισεν αὐτούς. D'altro canto, va registrato il tono palesemente encomiastico del vescovo Giovanni di Nikiou:658

«…degli storici che alterano i fatti, degli eretici, che non si attengono alla verità, hanno preteso che Paolino fosse stato condannato a morte a causa dell'imperatrice Eudocia. Ma l'imperatrice Eudocia era saggia e casta, senza macchia e perfetta in tutte le sue azioni». A questi si aggiungono le narrazioni di Cirillo di Scitopoli e del Chronicon Paschale,659 che ritraggono l'Augusta mentre, perfino sul letto di morte, proclama l’innocenza di Paolino. Se ci liberiamo da certe seduzioni romantiche e dall’ esigenza punitiva nei confronti della trasgressione, basandoci sulla testimonianza della vita di Melania e dell’epigrafe di Saframboli potremmo considerare la possibilità che il dono della mela a Paolino fosse un gesto di affetto e di solidarietà verso un malato costretto all’immobilità proprio a causa di un infortunio al piede,660 esperienza che Eudocia aveva vissuto personalmente poco tempo prima, come ci testimonia inequivocabilmente la nostra epigrafe. È possibile che il legame di gratitudine, per l'approvazione ricevuta al momento della presentazione a palazzo, e la complicità amicale siano stati volutamente e abilmente interpretati e presentati da Teodosio con o con Crisafio, da una parte, e da Pulcheria, dall'altra, in modo da far perdere credibilità e consenso a Eudocia. Del resto la solidarietà che univa la moglie di Teodosio al magister non impediva, ma semmai favoriva, anche l'intesa politica. La propaganda messa in atto non fu, però, sufficiente per ottenere ufficialmente una punizione esemplare di Eudocia. Così l'Augusta ebbe l'accortezza di chiedere il permesso per un secondo pellegrinaggio, alla ricerca di una nuova popolarità; Ciro, lasciato solo, fu inviato come vescovo a Cotyeo; Paolino fu ucciso, data la sua popolarità e l'amicizia con la dinastia regnante, lontano dalla capitale, in Cappadocia. L'esilio in Gerusalemme, che ebbe in realtà tutte le caratteristiche di un ritiro, di fatto, permise lo svolgimento di un abile e grandioso progetto di riabilitazione dell'immagine della sovrana, che il materiale archeologico inizia a rivelarci. All'interno di questo programma, va, senza dubbio, inserito un suggestivo documento figurativo che, grazie

anche all'iscrizione che l'accompagna, possiamo immaginare si riferisca alla santificazione di Eudocia. Si tratta di un finissimo intarsio marmoreo, eseguito in opus alexandrinum, rinvenuto durante l'esplorazione della chiesa e del monastero della Theotokos tou Libos a Costantinopoli.661 658 Vd. 349 Zotenberg, anche se il racconto è tutto improntato a una forte ostilità contro Pulcheria (cfr. il feroce aneddoto di 351-352), che sembra esser elemento del tutto storico, vd. A. Lippold, Theodosius II, in RE Suppl. XIII, 1972, 990; Holum, Theodosian Empresses, cit., 185 ss. 659 Cyr. Scyth. Vit. Euthym. 49,13 ss., 53, 5 ss. Schwartz ( TU 49,2, Leipzig 1939): τεσσάρων δὲ μηνῶν πληρωθέντων μετὰ τὸν ἐγκαινισμὸν εὐσεβῶς καὶ θεαρέστως διαθεμένη εἰς χεῖρας θεοῦ τὸ πνεῦμα παρέθετο μηνὶ Ὀκτωβρίωι εἰκάδι τῆς τεσσαρεσκαιδεκάτης ἰνδικτιόνος. 660 Cfr, Io. Mal. chron. XIV 21 (356 Dindorf): Συνέβη τὸν μάγιστρον Παυλῖνον ἀηδισθέντα ἐκ τοῦ ποδὸς ἀπρόιτον μεῖναι καὶ ἐξσκουσσεῦσαι; Chron. Pasch. a.D. 444 (I 584 Dindorf): Συνέβη τὸν μάγιστρον Παυλῖνον ἀῤῥωστῆσαι ἐκ τοῦ ποδὸς καὶ μεῖναι ἀπρόιτον καὶ ἐξσκουσσεῦσαι. 661 Riproduzione a colori in K. Weitzmann, The Icon, London 1978, pl. X. Vd. anche E. Volbach-G. Duthuit-G. Salles, Art Byzantin, Paris 1933, 68 e tav. 72. L'icona è stata riprodotta anche in H. C. Evans-W. D. Wixon, The Glory of Byzantium. Art and Culture of the Middle Byzantine Era, A.D. 843-1261, New York 1997, 42-43, Pl. 8 b, ove tuttavia non convince l'identificazione proposta da Sh. Gerstel con

Eudocia Baiane, terza moglie di Leone VI, morta di parto, che offrirebbe ben poche giustificazioni alla santificazione. Per il programma imperiale vd. Janin, La géographie ecclésiastique, cit., 307-10, 417-8, con Th. E Matthews, The Byzantine Churches of Istanbul, Pennsylv. St. Univ. 1976, 322-345 (bibl. a 323). Ma la migliore trattazione del complesso monumentale resta il poderoso Th. Macridy-A.H.S. Megaw-C. Mango-E. J. W. Hawkins, The Monastery of Lips (Fenari Isa Camii) at Istanbul, DOP 18, 1964, 249-315 (su Eudocia 272-277, tav. 79). 135

L'iscrizione in alto, a destra e a sinistra, rispetto alla figura femminile, suggerisce l'identificazione. L'imperatrice vi è rappresentata stante, col piede destro spostato in avanti e in atteggiamento orante, colle braccia alzate. Il capo, circondato da un'aureola dorata, è munito di corona con perpendulia, mentre il collo è avvolto da un maniakion con doppio giro di perle. Tutto il corpo è avvolto in una veste purpurea, riccamente decorata d'oro e intessuta di pietre preziose, visibili grazie all'alternanza di giallo, di verde (smeraldi) e di bianco (perle). All’estremità superiore e inferiore la veste è bordata con una fascia aurea decorata con quadrati in pasta di vetro alternativamente verdi o rossi; analogo motivocompare nella cintura e sui bordi delle maniche. Fig. 25 - Chiesa della Theotokos tou Libos: S. Eudocia. Anteriormente, la veste presenta doppie file di placche auree rettangolari con centro verde, separate tutt'intorno da bordure di perle. Un segmentum circolare appare sulle braccia e sulla gonna all'altezza del ginocchio sinistro. Quello destro è invece ricoperto da un ampio thorakion, che, stretto alla vita scende fino ai calzari, riprendendo la decorazione della veste, ma in triplice fila.662 La chiesa della Theotokos tou Libos, conosciuta anche come Panachrantos, che comprende questo capolavoro, prende nome da un altissimo funzionario di Leone VI e Costantino Porfirogenito, Costantino stantino Lips (o, demoticamente, Libas), protospatario della flotta bizantina, perito lottando contro gli Slavi nell'agosto del 917. Esattamente dieci anni prima, nel giugno del 907, il funzionario avrebbe dedicato la 662 Cfr. G. de Jerphanion, Le “thorakion”. Caractéristiques iconographiques du ΧIe siècle, in La voix des monuments, Paris-Roma 1938, 263-78, che rinvia al thorakion dell'imperatrice Teodora (976-1025) nel Menologio di Basilio II, Cod. Vatic. Gr. 1613, Torino 1907, tav. 392. 136

chiesa da lui restaurata vicino ai SS. Apostoli. Essa va identificata con una S. Maria663 ricostruita da un generale di Anastasio I, sulle macerie della chiesa di S. Giuliano, eretta sotto Costantino dall'eunuco Urbicio.664 Tutto indica che la placca con l'icona marmorea di Eudocia sia più o meno contemporanea dell'iscrizione dedicatoria di Costantino Lips, che va collocata fra il 907 e il 917, e della quale sopravvivono alcuni versi: ………………………………… ἐ]κ πόθου μητρί θεοῖο νεὼν περικαλλέα Κωνσταντῖνος ……………………………]ov ὅλβιον ἔργον οὐρανίων φαέων οἰκήτορα καὶ πολιοῦχον

τὸν δεῖξον, πανάχραντε, προαίρεσιν ἀντιμετροῦσα. 7 ναός τε δῶρον, ὦ μαθεταί, […………… Le somiglianze con le miniature del Menologio di Basilio II nel Vatic. Gr. 1613 sembrano confermare l’appartenenza della placca al periodo della rinascenza macedone e, proprio come le miniature del celebre manoscritto, la nostra icona marmorea potrebbe farsi risalire ad archetipi tardoantichi. Fig. 26 - Miniatura del Menologio di Basilio II: Teodora. Del resto, la storia architettonica del complesso basilicale del Lips e, soprattutto, la somiglianza iconologica con i ritratti di S, Elena e S, Pulcheria, nell'affresco di S. Sofia a Kiev (XI sec. )665e di S. Elena nel mosaico a Hosios Lukas in Focide (XI sec.), o con i particolari della miniatura del codice Parisinus del IX secolo, confortano questa ipotesi. 663 Script. orig. CP II 220, 22 Preger. 664 Script. orig. CP II 216, 6 Preger. Per la ricostruzione delle vicende relative al complesso basilicale vd. Macridy-Megaw-Mango-Hawkins, The Monastery of Lips, cit., 249-315, spec. per Eudocia 272-277, tav. 79. 665 Per le somiglianze del thorakion cfr. sempre (de) Jerphanion, Le “thorakion” , cit., 260 ss. e tav. 392. Vd. anche la miniatura del cod. Paris. gr. 510 (sec. IX, 879 ca.), f. 285r (Parigi, Bibliothèque Nationale). 137

Fig. 27 - Miniatura. Codice del IX sec. d.C. Parigi, Bibliothèque Nationale. Infatti il modello tardoantico potrebbe esser stato presente, nel monumento, all’epoca di Anastasio, imperatore simpatizzante e del monofisismo, il quale potrebbe aver contribuito in maniera determinante alla canonizzazione di Eudocia.666 L' Augusta, infatti, era stata sostenitrice della medesima fede, fino alla riconversione all'ortodossia nel 455. Sfortunatamente l'unica traccia a noi pervenuta del culto di S. Eudocia è un breve accenno del Sinassario costantinopolitano (90 Delehaye), che, il 13 agosto, ricorda la ricorrenza καὶ τῆς εὐσεβεῖ τῇ μνήμῃ γενομήνης βασιλίσσης Εὐδοκίας ἐν τοῖς ἁγίοις ἀποστόλοις. Va comunque ricordato che un alone di santità circondava Eudocia ben prima della sua morte, avvenuta nel 460. Vi contribuirono, probabilmente, il recupero delle reliquie di S. Stefano, come anche

quello delle catene di S. Pietro, e, soprattutto, la frenetica attività assistenziale ed edificatoria svolta dall’Augusta in occasione dei suoi viaggi a Gerusalemme. Non c'è da stupirsi, dunque, se già nella Vita di S. Melania Iuniore del presbitero Geronzio, nonché nella Vita di S. Eutimio di Cirillo di Scitopoli,667 Eudocia appaia come modello di santità, modello che sembra peraltro oggetto di dispute fra monofisiti e calcedoniani. Del resto, la tarda ‘conversione’ al duofisismo non convinse molti, come dimostra la storiografia monofisita,668 che continuò a tramandate l’immagine di un’eroina anticalcedoniana, della quale esistono testimonianze importanti. Infatti, Giovanni Rufo, il cui originale greco perduto della Vita di Pietro l'Ibero ci è fortunatamente noto grazie alla traduzione siriaca, edita da Richard Raabe, ci dà la conferma dell’alleanza di Eudocia con il monofisita Cirillo.669 «Là deposero le venerate ossa di questi santi martiri, loro guida e scorta, con le ossa dei quaranta illustri martiri di Sebaste, quando il santo e probo arcivescovo d'Alessandria, Cirillo, celebrò la loro deposizione.670 666 Sulle immagini al femminile e la relativa propaganda vd. R. Cormack, Women and Icons and Women in Icons, in James (Ed.), Women, Men and Eunuchs, cit., 24-51. 667 Cyr. Scythop. Vit. Euthym. 41,24; 47,5, 24-8; 48,5-22; 49,13 ss., Schwartz (TU 49,2, Leipzig 1939). 668 Cfr. ex. gr. Euagr. h. e. I 21 (29,18 ss. Bidez-Parmentier): …ἡ Εὐδοκία ἐν Ἱεροσολύμοις δὶς ἀφικνεῖται. Καὶ ὅτου μὲν χάριν ἢ τί πρωτοτύπως ὥς φασι βουλομένη, τοῖς ἱστορήσασι καταλειπτέον, εἰ καὶ μὴ ἀληθίζεσθαί μοι δοκοῦσιν.

669 Petrus der Iberer ed. e trad. R. Raabe, Leipzig 1895, 37. Cfr, C. W. Griggs, Early Egyptian Christianity from its Origins to 451 C.E., Leiden 1990. 670 Anche Giovanni di Nikiou (H. Zotenberg, Chronique de Jean, évéque de Nikiou. Texte éthiopien, Paris 1883, 350) attribuisce grande importanza a questa presenza, ritenendola conseguenza della volontà di Teodosio II, “pour qu'il la bénît et la dirigeât dans l'accomplissement des bonnes oeuvres". Ora, se è vero che il ruolo di consigliere, assunto dall'arcivescovo di Alessandria nei confronti dell'imperatrice in materia teologico-politica, è attestato dallo Προσφωνητικὸς ταῖς εὐσεβεστάταις βασιλίσιν περὶ τῆς ὀρθῆς πίστεως ( PG LXXVI 1136-1420 = ACO 1,1,5,26-61 = 263-333 Pusey), e se l’incontro fra i due personaggi poteva 138 Quando dunque costui fu pregato dalla credente ed ortodossa imperatrice Eudocia di venire per la deposizione delle venerate membra del famosissimo e celeberrimo Stefano, il primo dei martiri e dei diaconi, e per compiere la consacrazione dello splendido tempio che ella aveva fatto costruire al di là della porta settentrionale della città, accolse volentieri l'invito. E quando fu giunto con numerosi vescovi da tutto l'Egitto ed ebbe proceduto solennemente alla deposizione delle sante ossa del protomartire, il 15 del mese di maggio, subito dopo, il 16 dello stesso mese, pregato da S. Melania, procedette alla deposizione dei santi martiri persiani e dei quaranta martiri con loro, sul Monte degli Olivi, nel piccolo tempio che fu magnificamente costruito dalla stessa regina Eudocia, come informa anche un'iscrizione là murata su una parete…».671 Il medesimo Giovanni Rufo, inoltre, nel tentativo di mettere in cattiva luce le decisioni calcedoniane del 451, racconta una fosca leggenda, di cui, ancora una volta, Eudocia protagonista:672 «Al momento in cui si teneva il concilio irregolare [cioè in Calcedonia nel 451], il cielo improvvisamente si oscurò e si riempì di tenebre e di fosche nubi, e ci fu, nella città santa, nei villaggi dei dintorni ed in molti

siti della Palestina, una pioggia di pietre, che, quanto alla forma, erano assolutamente analoghe e rassomigliavano a quelle che si fabbricano; v'erano su di esse dei marchi diversi e strani, tanto che molta gente le raccolse, ma quando costoro ne ebbero usato senza discernimento, divennero ciechi. E si diceva che Esichio, l'oratore di Gerusalemme, ne raccolse molte, le mostrò all'imperatrice Eudocia e ne inviò a Costantinopoli, come dimostrazione del prodigio che annunciava la cecità che stava per colpire il mondo, a seguito dell’apostasia dei vescovi, secondo le parole del profeta Isaia ‘I servitori di Dio sono accecati’ (Is. 42, 19)». Un'atmosfera carica di tensione e attese, piene di ansia, circondavano Eudocia. Per le argomentazioni apologetiche presenti nella produzione letteraria monofisita abbiamo potuto appurare con quanta convinzione Iohannes di Nikiou673 sostenesse la santità e la castità dell'Augusta. Egli la riteneva immacolata e perfetta in tutte le sue azioni, riservando tutta la sua ostilità alla ‘rivale’ di Eudocia, la cognata Pulcheria.674 Comunque, nella coscienza popolare, sembra che il miracolo per eccellenza di Eudocia sia stato considerato la ricongiunzione - nella basilica romana dei SS. Pietro e Paolo, poi S. Pietro in Vincoli, eretta come ex voto dalla coppia imperiale d'Oriente, grazie alla mediazione della loro unica figlia Eudossia, imperatrice d'Occidente - o, meglio, la prodigiosa saldatura del frammento romano al frammento ierosolimitano delle catene petrine, rinvenuto da Eudocia e suddiviso tra Bisanzio e Roma. addirittura rinnovare antichi rapporti personali, appare pur sempre evidente la prospettiva tutta monofisita dello storico nell’enfatizzare la presenza di Cirillo. In ogni caso, se questi pose sullo stesso piano le tre vergini sorelle di Teodosio ed Eudocia sposa e madre, come ipostasi della verginità di Maria, possiamo ipotizzare che anche Atenaide-Eudocia avesse fatto un voto in tal senso, voto che potrebbe aver contribuito alla leggenda agiografica di Eudocia.

671 La testimonianza di Giovanni appare attendibile, in quanto Pietro l’Ibero fu allevato alla corte teodosiana (P. Devos, Quand Pierre l'Ibère vini-il à Jérusalem? , AB 86, 1968, p. 337-50): Quanto all’iscrizione, menzionata da Giovanni Rufo, essa è stata identificata da Livrea, La slogatura di Eudocia, cit., 74-75, in A. P. I, 105 che recita: εἰς Εὐδοκίαν τὴν γυναῖκα Θεοδοσίου βασιλέως. 672 Joh. Ruf. Plérophories, PO VIII 22-3; vd. Homélies Pascales, ed. M. Aubineau, Paris 1972, 39; Jean Rufus, évêque de Maiouma, Plerophorie. Version syriaque et traduction française éditées par E Nau, PO VII, Paris 1912 (rist. Tournhout 1971). Tutta la visione monofisita di Eudocia (11-161) andrebbe meglio analizzata per le testimonianze inedite che fornisce sul secondo soggiorno eudociano a Gerusalemme e per l'ammirazione, che trapela in vari episodi, come ad es. quello della sostituzione, con una croce di 6000 libbre di bronzo, della distrutta Croce di S. Elena nell'Anastasis (27). La stessa ammirazione si percepisce in Fozio ( bibl. 183-184, 2 = 196-199 Henry), il quale, caso unico, giunge a riassumere il poema parafrasastico di Eudocia su S. Cypriano. Su consenso e pellegrinaggio cfr. E. D. Hunt, Holy Land Pilgrimage in the Later Roman Empire, Oxford 1982, 233. Su dissenso e propaganda, invece, vd. L. Perrone, Dissenso dottrinale e propaganda visionaria. Le Pleroforie di Giovanni di Maiuma, «Augustinianum» 29, 1989, 451-495. 673 Io. Nik. 349 Zotenberg. 674 Io. Nik. 351-352 Zotenberg. 139

Fig. 28 - S. Pietro in vincoli: Eudocia consegna le catene al papa. Ignoriamo, purtroppo, da quali remoti archetipi provenga il quadro di Paolo Cazzaniga (XVII sec.) con Eudocia che venera un anello della catena di S. Pietro, nel Chiostro di S. Antonio Abate a Milano,675 o l'arazzo, sempre del XVII secolo, che riprende l’ Apfellegende, ma non possiamo escludere che tale duplice tradizione iconografica derivi da tradizioni religiose interessate all'originaria polemica sulla santificazione di Eudocia, santificazione che non sembra mai aver veramente attecchito nel culto bizantino. Fig. 29- Arazzo del 1660 (catalogo Sotheby’s). Non possiamo neanche essere certi che la nostra icona marmorea non si riferisca a un'altra principessa Eudocia, cioè la prima figlia di Costantino VIII (1028), ma tutto sembra indicare una datazione anteriore. Del resto, le testimonianze storiografiche, sopra riportate, attestano che, mentre la moglie di Teodosio II era 675 Cfr. J, Sauget, s. v. Eudossia (sic!), Bibl. Sanct. 5, 1964, 148-152. 140 ancora in vita, si era formata una tradizione complessa e contradditoria sulla sua figura, Essa rifletteva la lotta politica, ingaggiata attorno alla basilissa da fazioni opposte. L'una inquadrava l'imperatrice all’interno di una tipologia luciferina, l’altra cercava di ridimensionare, o addirittura cancellare, alcuni aspetti negativi che offuscavano l’immagine dell'Augusta e, contemporaneamente, di riplasmarne il profilo, sì da farlo rientrare nell'alveo del modello mariano. 141 CAPITOLO V VECCHI GIOCHI DI POTERE E NUOVE PAROLE DELLA POLITICA.

GIUSTINA Esempio convincente di come i vecchi giochi di potere potessero assumere nuovi accenti dall’interpretazione cristiana e, veicolati tramite un nuovo codice, fossero in grado di forgiare una diversa modalità dell'espressione politica, fu certamente l’ariana Giustina:676 Tamen intra palatium multitudo Arrianorum cum Iustina constituta deridebat tantam Dei gratiam, quam ecclesiae catholicae Dominus Iesus meritis martyrum suorum conferre dignatus est, venerabilemque virum Ambrosium narrabat pecunia comparasse homines, qui se vexari ab inmundis spiritibus mentirentur, atque ita ab illo sicut et a martyribus se torqueri dicerent. Così, nel V sec. d. C.. il diacono Paolino, nella biografia di Ambrogio, descrive l’azione dell'imperatrice, lasciando trapelare la polemica in atto tra la corte milanese e l' entourage del vescovo. In Rufino invece leggiamo, in un titolo lapidario:677 De Valentiniano puero utque mater eius Iustina haeresim Arrianam defendens ecclesias perturbare conata sit. Questa la condanna, espressa dall'autore e sintetizzata nel titolo in poche parole, ma certo inequivocabili, nei confronti dell’imperatrice. Lo storico, inoltre, non si limitò a una generica disapprovazione, volle invece informare i lettori delle motivazioni che lo avevano portato al suo severo giudizio, motivazioni del tutto congrue alla sua personale e specifica interpretazione degli avvenimenti. Infatti la rilevanza che Giustina riveste nelle pagine rufiniane sembra del tutto dipendere dalla ben nota querelle contro i principes pueri.678 Questa, con ogni probabilità, è la ragione per cui si sottolinea l'operato dell'imperatrice e dei suoi consiglieri durante il regno di Valentiniano II,

ancora in tenera età e, dunque, strumento inconsapevole della madre e dei suoi collaboratori:679 At Valentinianus in Italia degens fratris nece atque bostis metu perterritus simulatione oblatam pacem a Maximo simulans ipse quoque libenter amplectitur, cum interim Iustina mater eiusdem Arrianae haereseos alumna impietatis suae venena, quae vivente viro suppresserat, filio facile decepto fidenter aperuit. igitur apud Mediolanum posita conturbare ecclesiarum statum, comminari sacerdotibus depulsionis exilia, ni Ariminensis concilii decreta, quibus fides patrum temerata fuerat, revocarent. quo bello ecclesiae murum et turrem validissimam pulsabat Ambrosium eumque minis, terroribus atque omni oppugnationis genere fatigans primum sibi aditum debellandae rimabatur ecclesiae. Descrizione totalmente coerente con il quadro dipinto da Ammiano, che, da politico, però, osservava:680 676 Paulin. Med. v. Ambr. IV 1, 317 (Schanz). 677 Rufin. h. e. XI (9, 2, 1023 Mommsen). 678 Sul tema, a parte il fondamentale Hartke, Römische Kinderkaiser, cit., vd. il dotto e importante lavoro della Molè Ventura, Principi fanciulli, cit., passim, con ricca bibliografia. 679 Rufin. h. e. XI 15 (9, 2, 1023 Mommsen). 680 Amm. XXX 10 (VI 91 Sabbah). 142 Reverso itaque Merobaude altiore cura prospectum, expedito consilio, Valentinianus puer defuncti filius tum quadrimus vocaretur in imperium cooptandus centesimo lapide disparatus degensque cum Iustina matre in villa, quam Murocinctam appellant.

Dal racconto dei due storici si disvela l'ambizione di Giustina, si scoprono le trame e gli accordi delle classi dirigenti, si evidenzia la debolezza del puer Valentiniano. Non a caso Rufino, piegando alle sue intenzioni la raffinata tecnica di comunicazione raggiunta, sottolineò come fosse l'imperatricema voler abbattere quel «muro» e quella «torre» del Cristianesimo che Ambrogio rappresentava, proprio nel momento in cui il figlio di Giustina, atterrito dalla morte di Graziano e dal nemico, fingeva di accettare la pace che Massimo simulava di voler ottenere.681 L'eresia dell'imperatrice venne così considerata la causa delle pretese dell'usurpatore, il quale non si lasció certo sfuggire l'occasione di presentarsi come campione dell'ortodossia contro la peccatrice ariana:682 Cumque haec in longum diversis machinis et obpugnationibus nequiquam Iustina molitur, Maximus, qui se exuere tyranni infamia et legitimum principem gestiret ostendere, datis litteris impium protestatur inceptum, fidem dei impugnari et statuta catholicae ecclesiae subrui, et inter haec adpropinquare Italiam coepit. Incapace di gestire la situazione, sia sul piano militare sia a livello politico, secondo lo storico ecclesiastico, la sovrana avrebbe trovato scampo solo nell'esilio che, secondo una giusta legge di contrappasso, avrebbe per prima sperimentato proprio lei, che ne aveva minacciato Ambrogio:683

…quo Iustina conperto hoste simul atque impietatis conscientia perurgente in fugam versa cum filio exilia, quae dei sacerdotibus praeparabat, prima sortitur. Al ritratto a tinte fosche di Giustina furono poi aggiunti altri elementi, atti a sottolinearne la malvagità, quale il motivo novellistico che si legge in Socrate e in Cassiodoro - Epifanio, inerente all’infatuazione di Severa, prima moglie di Valentiniano, per la bella giovane. Nella Historia tripartita, inoltre, che Cassiodoro affidò perché fosse tradotta

in latino ad Epifanio, furono confermate l'empietà della sovrana e la grande ostilità che ella nutriva nei confronti di Ambrogio.684 Al vescovo non giovò certo il legame che lo univa a Graziano.685 La grande considerazione che il figlio di primo letto di Valentiniano I nutriva nei confronti del religioso non poteva sicuramente piacere a Giustina, come, del resto, doveva essere motivo di sospetto l’affetto che il grande prefetto al pretorio, Petronio Probo, aveva per Ambrogio, suo ex assessor.686 Il vescovo, inoltre, era legato alla famiglia dei Simmachi,687 come attesta l'appellativo di parens, attribuito ad Aurelio Simmaco dallo stesso Ambrogio, in riferimento al fratello 681 Rufin. h. e. XI 18 (9, 2, 1023 Mommsen). 682 Rufin. h. e. XI 16 (9, 2, 1023 Mommsen). 683 Rufin. h. e. XI 15 (9, 2, 1023 Mommsen). 684 Cassiod. h. trip. IX 20-21. 685 Sappiamo, infatti, che Graziano sentì il bisogno dei suoi insegnamenti, durante il soggiorno a Sirmio, poiché si trovava in un territorio in cui il dibattito sulla persona del Cristo era sempre vivo e attuale, L'imperatore, allora, si rivolse al vescovo per un approfondimento relativo al dogma della Trinità, pregandolo di completare il trattato De vera fide, che Ambrogio aveva già composto per lui. Su Ambrogio e i suoi rapporti con le corti cfr. i contributi in I Cristiani e l'impero nel IV secolo, Atti del Convegno di Macerata (17-18 dicembre 1987), Macerata 1988, 143 ss. e 189 ss.; Mazzarino, Storia sociale, cit., 25, 40 ss.; McLynn, Ambrose of Milan. Church and Court in a Christian Capital, cit., 130 ss; Savon, Ambroise de Milan, cit., 89 ss., M. Sordi, I rapporti di Ambrogio con gli imperatori del suo tempo, in Nec timeo mori, Atti del congresso int. di studi ambrosiani nel XVI centenario della morte dì sant'Ambrogio, Milano 1998, 107-118. 686 Paul. Med. v. Ambr. 5 ss. Sulla protezione di Probo verso Ambrogio cfr. C. Corbellini, Sesto Petronio Probo e l'elezione

episcopale di Ambrogio, in RIL 109, 1975, 181-89 e L. Cracco Ruggini, La fisionomia sociale del clero e il consolidarsi delle istituzioni ecclesiastiche nel Norditalia (IV-V secolo), in Morfologie sociali e culturali in Europa tra Tarda Antichità e Alto Medioevo, XIV Settimana di Studio del Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, (Spoleto 3-9 aprile 1997), Spoleto 1998, II, 851-901. Vd. anche PLRE I, 736-740. 687 Sull’alto livello sociale della famiglia cfr. Paul. Med. v. Ambr. 8. Aurelius Ambrosius aveva ottenuto l'incarico, mentre il padre era PPO Galliarum nel 340. In merito cfr. A.H.M. Jones, Collegiate Prefectures, JRS 54, 1964, 78-89, spec. 87. 143 Satiro,688 nonostante fossero di fede diversa. Fu probabilmente questa vicinanza a favorire il legame con gli Ausoni,689 uniti da profonde affinità alla grande famiglia senatoria pagana, agevolando, di conseguenza, il rapporto con il giovane Graziano. Non va del resto dimenticato che anche i Teodosii avevano fatto parte della corte di Valentiniano I e Teodosio padre ricordava le amabili conversazioni intrattenute ivi con l' élite gallica,690 di cui punto di riferimento fu, come è noto, Ausonio. Il poeta, precettore di Graziano, elevato al trono nel 367, ebbe modo certamente di conoscere, e forse anche di accogliere, il famoso oratore Quinto Aurelio Simmaco in Gallia, in occasione della visita per le celebrazioni in onore dell'Augusto. Infatti i due letterati non furono solo delle autorità in campo culturale, ma rivestirono anche ruoli di prestigio all’interno delle istituzioni. Il poeta ottenne da Valentiniano I la questura sacri palatii, per poi ricevere da Graziano la prefettura pretoriana. Simmaco, dopo essere stato princeps senatus, raggiunse la comitiva tertii ordinis e, durante l'ultimo quinquennio del regno di Valentiniano I, gestì il proconsolato africano dopo Rustico, quando le truppe erano guidate dal generale Teodosio, sodale a sua volta dell'imperatore.

Questa promozione fu, verosimilmente, un ulteriore tentativo da parte dei Pannonii di superare l'ostacolo frapposto tra loro e il potere dalla resistenza dei senatori pagani. Questi avevano il loro vessillifero, per l'appunto, in Simmaco, il quale, già dal 368/369, aveva saputo tessere, ma forse sarebbe meglio dire rafforzare, le relazioni con le élites galliche.691 Q. Aurelius Symmachus era giunto a Treviri per i quinquennalia dell'imperatore e, in nome del senato, aveva offerto l’ aurum oblaticium a Valentiniano. A corte egli ebbe modo di riallacciare il sodalizio con Ausonio, il poeta che si sarebbe presto trasformato, da tipico rappresentante della classe dirigente della Gallia meridionale, come abbiamo già sottolineato, in uno dei più importanti uomini politici del regno di Graziano.692 Simmaco illustró con compiacimento, insieme alla partecipazione alla campagna alamannica, i pranzi, le interessanti discussioni e le gradevoli conversazioni con i membri dell'aristocrazia gallica. In occasione di questi incontri, l'oratore frequentò personaggi politici importanti, come l'ex magister memoriae di origine gallica, Giuliano Rustico, grande estimatore di Ausonio e corrispondente dello stesso Simmaco,693 il quale era stato candidato al trono e fu suo predecessore nel proconsolato africano. Altro corrispondente dell'illustre senatore fu Fl. Syagrius, pure lui ammiratore di Ausonio,694 il quale poté giovare al successo politico di Simmaco tanto quanto gli altri funzionari legati agli Ausoni, che appoggiarono la concessione al senatore romano della comitiva tertii ordinis (370), del successivo proconsolato (373) e della prefettura urbana. Nel 368 Aurelio Simmaco, sostanzialmente, riuscì a confermare antichi legami, che, verosimilmente, si erano consolidati all’inizio del regno di Valentiniano, quando Cl. Mamertino, rimasto a gestire la prefettura d'Italia, Illirico e Africa fino al 365, continuava a collaborare con Secondo Saluzio nell'assegnazione delle nomine ai più importanti uffici dell'amministrazione imperiale.695 Il prefetto al pretorio, infatti, per la prefettura di Roma nel 364 scelse Avianio Simmaco,

probabilmente per ricompensarlo del ruolo che egli aveva avuto come trait d'union tra la corte e il senato al tempo di Giuliano696 e perché lo riteneva a sé vicino, tanto è vero che promosse anche il figlio Aurelio al correttorato di Lucania et Bruttium (365) e gli altri figli, Avianio 688 Ambr. exc. Sat. 32: … cum a viro nobilis revocaveris Symmaco tuo parente quod ardere bello Italia diceretur. 689 Con Ausonio, probabilmente, all'inizio i rapporti dovettero essere improntati alla stessa freddezza che il poeta riservava all' entourage del prefetto. Tra i due esisteva, infatti, una fredda e formale cortesia, secondo la testimonianza di una lettera dello stesso Ausonio, in cui il letterato dimostrava tutto il suo rispetto per la competenza del funzionario e la deferenza dovuta all'importanza del suo destinatario (Aus. ep. 12, 5 [ Opusc. XVIII 238 Peiper]). 690 J. Matthews, Symmachus and his Enemies, in E. Paschoud-G. Frey-Y. Rütsche (Éd.), " Symmaque. Colloque génévoise sur Symmaque à l'occasion de millesixcentiéme anniversaire du conflit de l'autel de la Victoire", Paris 1986, 122-128. 691 Relazioni già esistenti probabilmente tramite l'opera di mediazione di Minervius, cfr. infra 278. 692 Symm. ep. I 14, 2. 693 Ibid., III 1-9. 694 A lui Ausonio inviò una raccolta dei suoi componimenti ( Opusc. I 2 Peiper). 695 M. Caltabiano, Il comportamento di Giuliano in Gallia verso i suoi funzionari, Acme 32, 1979, 417-442. Su Saluzio, vd. V. Raimondi, Valentiniano I e la scelta dell'Occidente, Milano 2001, 71-79.

696 Amm. XXI 12, 5 (III 75 Fontaine). Sull'azione dei Simmachi e l'invio di Giuliano nelle Gallie da parte di Costanzo II cfr. Lizzi Testa, Senatori, popolo, papi, cit., 48, n. 121. Per la progettazione dell'incontro a Naisso cfr. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit.,138. 144 Valentino e Avianio Vindiciano, al governo della Campania (364-365). Il cugino di Simmaco, Nicomaco, figlio di Volusio Venusto,697 dal canto suo, ebbe la consolarità della Sicilia (364-365), mentre Cecina Albino, figlio di Volusiano Lampadio, forse sin da allora amico di Aurelio Simmaco, otteneva la consolarità della Numidia (364-367). A sua volta Lampadio, il padre di Cecina, succedeva ad Avianio nella prefettura urbana, carica che, dopo la parentesi rappresentata dall’equilibrato Vivenzio, tornò, nel 368, ad essere appannaggio degli “amici di Giuliano”, nella persona del pagano Pretestato, mentre il proconsolato africano era gestito da Rufio Imezio (366-368). All’interno di questo gruppo di potere formato dai Simmachi, dai Ceionii, dai Nicomachi, dai Venusti e dai Festi Pretestati, ruolo di leaders rivestirono sicuramente i Simmachi e, in questa prospettiva, acquista particolare rilevanza la partecipazione del padre, Avianius, e del figlio, Aurelius, al giubileo imperiale del 26 febbraio 368. Dell'ambasceria senatoria a Treviri, dove l'oratore lesse due panegirici, abbiamo già detto,698 mentre rimane da analizzare l’attività del padre, descritta da Ammiano699 e che Rita Lizzi data, non tanto al 367, in occasione dell’elevazione di Graziano, ma esattamente al 368,700 in occasione dei quinquennalia. Il significato politico dell’opera di Simmaco seniore è comunque indipendente dalla cronologia, poiché, con la rifunzionalizzazione, dell’antico ponte di Agrippa, trasformato in ponte di Valentiniano,701 del cui evergetismo Avianio si faceva tramite, l'ex prefetto celebrava la providentia imperatoris verso il suo popolo e, contemporaneamente,

mostrava l'adesione al programma di governo, sia che questa esternazione avvenisse nel 367, sia che dovessimo collocarla nel 368. Dopo la malattia di Valentiniano, il probabile sostegno a Giuliano Rustico, l'elevazione di Graziano e il nuovo riavvicinamento, Avianio, da bravo curatore, eresse un pons ambitiosus, coronato di attico, probabilmente con due statue in bronzo dorato degli imperatori in atto di arringare il popolo e con un statua della Vittoria.702 Certamente il culto della Victoria Augusta era insito nell'aspetto militare della sovranità e, dunque, necessariamente legato alle celebrazioni dei giubilei,703 ma se si pensa all'importanza che ebbe la polemica sull’ara della Vittoria,704 dopo la morte di Graziano, durante la quale fu lo stesso Simmaco a sostenere le tesi del gruppo pagano, va sottolineato quanto questa devozione quanto questa devozione facesse parte dell’identità stessa della nobiltà tradizionalista del IV secolo. A ragion veduta Rita Lizzi705 pensa che l’ inauguratio del ponte sia da attribuire a Pretestato. Il senatore, in qualità di prefetto di Roma (PVR) e 697 L’ambasciatore a cui accenna Amm. XXVIII 1-57 (V 153 ss. Marié), dalla cui descrizione dei “processi romani" si evince chiaramente il legame esistente tra le varie famiglie: … legati mittuntur: Praetextatus ex urbi praefecto, et ex vicario Venusto, et ex consulari Minervio, oraturi… neve senator quisquam, inusitato et illicito more, tormentis exponentur… negantem Valentinianum se id statuisse, moderate redarguit quaestor Eupraxius, hacque libertate emendatum est crudele praeceptum… 698 Vd. supra 267 e cfr. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 210 ss. 699 Amm. XXVII 3, 3-4 (V 93 ss. Marié). 700 Cfr. Lizzi Testa, Appendice II: L'inaugurazione del ponte di Valentiniano e il giubileo imperiale, in Ead., Senatori, popolo, papi, cit., 446-453. 701 Sulla possibile identificazione e le varie ipotesi, vd. M. Bertinetti, Il ponte di Valentiniano, in S. Ensoli-E.

La Rocca, Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, “Catalogo della mostra (Roma 22 dicembre 2000-2 aprile 2001)”, Roma 2000, 55-57). 702 Sull'importante funzione del ponte cfr. E. Coarelli, in LTVR IV (1999), 107-108; Cfr. F. Cioffarelli, Ritratto di Valentiniano I o di Valente e Statua togata, nel succitato Aurea Roma, risp. n. 62; n. 63, 461-463. 703 Cfr. i suggestivi lavori di A. Chastagnol, Les jubilés impériaux de 260 à 337, in Crise et redressement dans les provinces européennes de l'Empire, Actes du Coll. de Strasbourg, Strasbourg 1983, 11-25; Id., Aspects concrets et cadre topographique des fêtes décennales à Rome, in L'Urbs. Espace urbaine et histoire (I siècle avant J. C.), Actes du Coll. de Rome 8-12 mai 1985), Roma 1987, 491-507; Id., Les quinquennalia de Valentinien I et Valens, in Mélanges de numismatique offerts à Pierre Bastien, Wetteren 1987, 255-266; Id., Le feste giubilari (quinquennali, decennali...) degli imperatori da Gallieno a Costantino, in AARC VII, Napoli 1988, 501-513. 704 Sul famoso episodio e le sue implicazioni nella storia del periodo, cfr. l’importante commento di D. Vera alla celebre Relatio III di Simmaco, Commento storico alle Relationes di Quinto Aurelio Simmaco, Pisa 1981, e i saggi in Paschoud-Frey-Rütsche (Éd.), Symmaque, cit., 30 ss. Aspetti particolari sono stati analizzati da S. Mazzarino, Tolleranza e intolleranza: la polemica sull'ara della vittoria, in Antico, tardoantico ed era costantiniana, II, Bari 1980, 339-375, mentre per una generale mise au point vd. G. Bowersock, La lotta per l'altare della Vittoria, in Storia di Roma, III/1, Torino 1993, 540 ss. 705 Cfr. Lizzi Testa, Senatori, popolo, papi, cit., 410. 145 augure, poteva benissimo collaborare con Avianio, suo collega, sia come membro del collegio dei Pontefici che nel quindecemvirato.706

L'enfasi posta nella celebrazione della Victoria da parte di Avianio, oltre che essere funzionale all’esaltazione degli aviti culti pagani, potrebbe anche avere un significato di maggiore complessità, ma non di impossibile decifrazione. Potrebbe nascondere l’intento propagandistico nei confronti della gens che, a tale divinità, faceva riferimento. I Simmachi, infatti, avevano una particolare devozione vozione per la Vittoria, testimoniata dalla dedica di due statue alla divinità, a Cartagine, da parte di Aurelio Simmaco‚707 in occasione del suo proconsolato e della campagna contro Firmo. Quest'ultima fu condotta dal valente generale Teodosio, anche lui frequentatore degli Ausonii708 e vicino alle loro scelte politiche. Quest'intesa spiegherebbe l'ostilità da parte di Massimino allora prefetto al pretorio, e della sua factio, probabilmente dovuta al timore di un'insurrezione. Allora, infatti, Graziano doveva insediarsi come unico imperatore d'Occidente, gli Ausonii non erano ancora all'apice del potere e si sospettava che i Probi avrebbero sostenuto Giustina e Valentiniano II. In effetti, se si riflette su alcun avvenimenti apparentemente isolati, se ne coglie, invece, un preciso, e certo non arbitrario, collegamento, che definisce un possibile progetto politico. Dopo la guarigione di Valentiniano e l'ascesa al trono di Graziano (24 agosto 367), la prefettura urbana fu affidata a Pretestato, mentre Giuliano Rustico, sodale di Ausonio e conoscente di Simmaco, non venne eliminato, come ci si poteva aspettare, per aver presentato la propria candidatura al trono, ma fu solo in parte emarginato a favore di Euprassio, il quale, comunque, non era ostile ai “giulianei”.709 L'accordo che si evince da questi fatti, fu celebrato dagli “amici di Giuliano”, secondo i canoni sperimentati del panegirico e dell'offerta dell’ aurum oblaticium, a Treviri e con solenni festeggiamenti a Roma, i tramite i membri più autorevoli delle famiglie dei Simmachi e dei Pretestati, insieme ai loro amici.e parenti. Ma dal 369 al 371, il gruppo dei militari, e dei funzionari pannonici, espressosi nella candidatura di Severo (367), forse in conseguenza della spedizione alamannica, riprese forza e iniziò la ben nota repressione,sfociata nei processi romani.

Evidentemente, però, un'intesa fu raggiunta, giacché nel 371 Massimino ritornò a Treviri, lasciando i processi in mano al moderato Ursicino e, nel 372/3, Rustico rientrò sulla scena politica, per rivestire il proconsolato africano. Del resto, già nel 370, Aurelio Simmaco aveva tentato, con successo, un riavvicinamento, giacché era tornato a Treviri per pronunciare l’orazione per il terzo consolato di Valentiniano e, nello stesso anno, aveva ricevuto la comitiva tertii ordinis. Riguardo al governatorato africano, poi, questo fu ceduto, forse per mediazione di Ausonio, allo stesso Simmaco dopo l'aprile del 373,710 allorquando, dopopochi mesi, nel 374, la prefettura urbana fu affidata a Euprassio, funzionario, come abbiamo detto, disponibile nei confronti dei senatori più tradizionalisti.711 A partire da quell’anno, però, cominciò a registrarsi nuovamente un brusco cambiamento; venne bruciata la casa dei Simmachi, furono distrutte le statue dedicate a Simmaco figlio712 e Teodosio padre fu giustiziato. Il generale, del quale non è possibile provare la ribellione né la partecipazione alla congiura insieme ai senatori ostili ai Pannonii, era sicuramente amico di Simmaco fin dai tempi del soggiorno dell’oratore a Treviri, quando si erano incontrati a corte, allorché Teodosio seniore, dopo le sue vittorie in Britannia su Valentino, il cognato di Massimino,713 era stato nominato magister equitum praesentalis, prima della spedizione al di là del Reno, nel 369.714 L'amicizia si era rinsaldata durante il proconsolato africano di Simmaco e il generale 706 Per i sacerdozi rivestiti CIL VI 1779 = ILS 1259 = Anth. Lat. II, I, III (62-65 Bücheler). Per la collaborazione di Pretestato con i Simmachi, basti ricordare la cooperazione nel 384, quando Vettio Agorio era PPO e Aurelio Simmaco era PVR (Vera, Commento, cit., 153). Sulla religiosità del senatore vd. L. Cracco Ruggini, Il paganesimo romano tra religione e politica (384394), per una reinterpretazione del Carmen contra paganos, MAL VIII 23,1,1979,1-140. 707 CIL VIII 24584. 708 Vd. supra 266.

709 Vd. supra 268 e n. 710 PLRE I, 479. 711 Vd. supra 268; 271. 712 Simmaco sembra alludere, più che a una promessa non mantenuta, alla rimozione delle statue, come dimostrano gli esempi usati in ep. IX, 115: an ego istud feram moleste, qui noverim Marcellorum monumenta sublata Verre praetore et Marianis trophaeis nequaquam manus invidas pepercisse? Cfr. S. Roda, Commento storico al Libro IX dell'Epistolario di Q. Aurelio Simmaco, Pisa 1981, 257; Vera, Commento, cit., 447; Matthews, Symmachus, cit., 163-175. 713 Amm. XXVIII 3, 4-6 (V 173 ss. Marié); XXX 7, 10 (VI 78 Sabbah); Zos. 4, 12, 2; Hier. chron. a. 371; Iord. Rom. 308 ( MGH AA V/I 40). Su Valentino cfr. PLRE I, 935. 714 Cfr. Matthews, Symmachus, cit., 122-128. 146 doveva aver elogiato il governatore, del quale possediamo la lettera di risposta a cotanto apprezzamento.715 Teodosio, probabilmente, aveva inviato il suo elogio dopo la vittoria su Firmo, all’inizio del 375, come conferma l'epistola simmachiana IX 115, in cui è espresso il rammarico per l'ingratitudine nei confronti del proconsole ed è rivelata l'indignazione di Teodosio, che forse presagiva le difficoltà a cui egli stesso sarebbe andato incontro nei mesi a cavallo tra la fine del 375 e l’inizio del 376. Infatti, poco prima o poco dopo la fine di Valentiniano I, egli verosimilmente cadde vittima dell’ostilità di Massimino,716 destinato a perire a sua volta entro breve tempo. Dopo la morte di Valentiniano, il 17 novembre del 375, in effetti, il funzionario mantenne la sua prefettura fino all’aprile del 376, quando fu giustiziato per volontà dello stesso figlio di Valentiniano. La prudenza di Teodosio iuniore, durante i primi anni del regno di

Graziano, potrebbe far credere a un assenso del giovane sovrano in merito alla decapitazione del generale e, visto che il nuovo imperatore era sostenuto dal gruppo a cui il magister equitum apparteneva, ciò indurrebbe a pensare a un cambio di alleanze da parte di Teodosio seniore, forse deluso nelle sue aspettative. Egli potrebbe essersi rammaricato del comportamento del proconsole Chilone, il quale governò la provincia africana dall’aprile al settembre del 375 e potrebbe essere stato tra gli invidiosi di cui parla. Simmaco; inoltre il magister potrebbe essersi lasciato allettare dalle proposte di Probo, il quale, il 22 novembre, coerentemente con le sue scelte, si adoperò per l'elezione di Valentiniano II. Infatti, nel 375, il prefetto e Giustina, essendo evidentemente riusciti a mantenere in vita la coalizione che aveva tenuto in mano le redini del potere dal 369 al 371, indussero Cereale, il fratello dell'imperatrice, nonché i militari Equizio e Merobaude, a far eleggere Valentiniano II, di appena quattro anni.717 Un fatto è certo: Teodosio seniore, alla fine della sua vita, decise di abbracciare platealmente la fede cristiana:718

…post cum experientissima providentia totam cum Mauretania Africam meliorem pristinis reddidisset, instimulante et obstrepente invidia iussus interfici, apud Carthaginem baptizari in remissione peccatorum praeoptavit, ac postquam sacramentum Christi quod quaesierat adsecutus est, post gloriosam saeculi vitam etiam de vitae aeternitate securus percussori iugulum ultro praebuit. Verosimilmente la glossa dei codici LMB alla Cronaca geronimiana rispecchia la realtà, quando addossa la responsabilità della morte del generale non tanto all'imperatore, ma al gruppo dirigente comandato dal prefetto Massimino, che non doveva aver dimenticato la repressione del cognato Valentino in Britannia: (Theodosius) factione eorum perimitur, qui et ipsi mox caesi sunt: item Maximinus ex praefecto et ceteri. Un certo peso naturalmente ebbe anche l'indebolimento dei Simmachi e degli Ausonii, conseguente al rinnovato predominio dei militari pannonici. Infatti, mentre, agli inizi del 375, Massimino gestiva la

prefettura gallica, Probo, il vecchio alleato, la cui fedeltà il prefetto aveva potuto verificare durante i processi romani, teneva in pugno l’Illirico con l'Italia e l'Africa. Il proconsolato di questa provincia, poi, fu affidato significativamente all'ex vicario Chilone, il quale, con le sue accuse, aveva dato il via ai famigerati processi romani, mentre la prefettura urbana era gestita da Tarracio Basso, appartenente alla famiglia dei Ceionii Iuliani. Una simile scelta probabilmente rappresentava una sorta di compromesso tra i Simmachi, che erano amici dei Ceionii Rufi, e i Probi, che erano imparentati con la medesima famiglia. Infine, l'aristocrazia gallica dovette accontentarsi della carica di comes et quaestor affidata a Decimio Magno Ausonio, ma ben presto riuscì a rovesciare le sorti di questa terribile guerra tra gruppi di potere, decapitando la factio rivale. Già nell'aprile del 376 Massimino fu giustiziato; Probo perse la prefettura e temporaneamente qualsiasi forma di potere; il consolato africano fu affidato, a partire dal marzo del 376, a Decimio Magno Ilariano Esperio, Esperio, il il figlio di Ausonio, mentre la prefettura delle Gallie fu assegnata a Claudio Antonio. Questi, ex quaestor sacri palatii, vicino a Simmaco, successore di Euprassio e predecessore di Ausonio, sia 715 Symm. ep. X 1. 716 Una glossa dei MSS X e C della Cronaca geronimiana ( chron. a. 376) ricorda Massimino come colpevole dell'uccisione di Teodosio seniore. Alla notazione di Gerolamo Theodosius postea imperatoris pater et plurimi nobilium occisi, i codici LMB aggiungono: multorum per orbem bellorum victoriis nobilis in Africa, factione eorum perimitur, qui et ipsi mox caesi sunt: item Maximinus ex praefecto et ceteri ( MGH AA, IX, Chron. Min. I 631). Cfr. A. Demandt, Die Todt des älteren Theodosius, «Historia» 17, 1969, 607 s. 717 Amm. XXX 10, 4 (VI 91 Sabbah); Ruf. h. e. II 12, 2. 718 Oros. VII 33, 7. 147

nella questura che nella prefettura, divenne, in seguito (377), anche prefetto al pretorio d'Italia e, last but non the least, poteva vantare una certa adfinitas con i Teodosii. In conclusione, il regno dei Valentiniani sembra essere caratterizzato da un continuo alternarsi al potere di fazioni rivali, di cui fecero le spese personaggi eminenti come Teodosio padre, i quali, indipendentemente dall'imperatore sul trono - in questo caso probabilmente Valentiniano I, che favorì l'ennesima ascesa di Massimino - pagarono la loro appartenenza. In questo senso va accordata fiducia alla platealità del battesimo in punto di morte, voluta dal generale e consapevolmente evidenziata dal narratore, artificio utile a sottolineare le proprie convinzioni e forse mezzo indispensabile per tutelare il figlio, che, grazie alla professione di fede del padre, avrebbe potuto trovare udienza sia a Treviri, sia presso l' entourage di Probo. Le ultime preghiere del generale trovarono ascolto, poiché, alfine, le due fazioni raggiunsero un accordo e di questo difficile percorso l'azione dell'imperatrice Giustina, la. qu quale fornì a Teodosio I il pretesto per intervenire in Occidente, rappresentò senza dubbio, se non l'ultima, una tappa fondamentale. *** Fu dunque l’ostilità di Massimino e dei suoi amici ad essere probabilmente fatale al padre del futuro imperatore Teodosio; l'inimicizia di questi importanti funzionari, tra l'altro, spiegherebbe il ritiro del figlio dalla scena politica, finché la necessità di un valente uomo d'arme e il rinnovato successo degli antichi amici di famiglia non fornirono l'occasione adatta per rientrare nell’agone politico e lottare per il potere.719 Il programma di governo dell'Augusto Graziano venne letto in letto in senato da Simmaco, verosimilmente insieme all'annuncio dell'esecuzione dell’odiato Massimino,720 alla quale aveva contribuito, come lascia capire l’oratore, una delegazione senatoria.721 Aurelio

Simmaco aveva dunque ripreso, se mai le aveva interrotte, le relazioni con le autorità civili a lui amiche, soprattutto in un momento in cui era necessario, dopo l'astuta mossa di Probo a sostegno di Valentiniano II, appoggiare Graziano, assai gradito agli Ausonii e all'ala conservatrice del senato. Grazie all'alleanza, che quest'ultimo imperatore riuscì a concretizzare, con la parte avversa all’interno dell' entourage di Valentiniano II,722 nessuno dei membri importanti del “partito” di Massimino rimase in servizio, Essi furono tutti eliminati in vario modo, come notava con sollievo Simmaco:723

…tantum malos iudices quasi onera hereditatis repudiasti. Puntualmente furono richiamati i funzionari d'origine senatoria esiliati da Valentiniano. Giulio Festo Imezio fu riabilitato con tutti gli onori del caso.724 Tarracio Basso fu promosso alla prefettura romana,725 mentre suo 719 Vd. infra 284. Un personaggio importante in tal senso sarebbe stato proprio Claudio Antonio, il quale, in base alla ricostruzione di J. Martindale, Note on the Consuls of 381 and 382, «Historia» 16, 1967, 254 ss., accettata da Matthews, Western Aristocracies and Imperial Court, cit., 93-95, sarebbe stato il fratello di Maria, sposa di Onorio, a sua volta fratello dell’imperatore. Diversamente A. Piganiol L’Empire chrétien (325-395), Paris 1972, 230, e J. Bernardi, La prédication des Pères cappadociens, Paris 1968, 351, sulla scia di O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, V, Berlin 1913, 295, n. 4, pensavano che Antonio, fosse il padre di Flacilla, la prima moglie di Teodosio. 720 Per questo motivo Vera, Commento, cit, 449, in base a Seeck, SymmOp, LII, ritiene che l'oratio di cui si parla in Symm. ep. X 9 fosse stata letta da Simmaco non già nel gennaio del 376, bensì solo dopo la morte del PPO, nella primavera del 376. Infatti se l' oratio imperiale, a cui si fa riferimento, fosse stata quella del 1 gennaio, Simmaco non avrebbe potuto parlare della morte di Massimino.

721 Symm. or. IV 10-12. 722 Una chiara dimostrazione è il consolato di Flavio Merobaude (377), insieme a Graziano (Fasti, Rossi 1 261-269, 271-273; CIL 500 e 1698 = ILS 4148e 1257; AE 1901, 60, X 1518, XII 138, PSI 287, Amm. XXXI 8, 2 [VI 120 Sabbah]). 723 Symm. or. IV 10. 724 Imezio, probabilmente cognato di Pretestato, imparentato con i Ceionii, zio di Blesilla, cognata del figlio Probo (A. Chastagnol, La préfecture urbaine à Rome sous le bas-empire, Paris 1960, 431 e PLRE I, 447), univa in sé il potere di due delle più importanti famiglie del tempo e gli onori tributatigli furono adatti al suo rango. Al ritorno dall'esilio gli furono erette due statue, una a Roma e una a Cartagine ( CIL VI 1736 = ILS 1256). 725 A. Chastagnol, Les Fastes de la préfecture de Rome au BasEmpire, Paris 1962, 195. 148 fratello, Alfenio Ceionio Giuliano Camenio, divenne vicario d'Africa nel 381.726 Aradio Rufino, che era rimasto ai margini della vita politica durante il regno di Valentiniano, ottenne la prefettura urbana nel 376 e il suo successore fu Mecio Gracco, figlio di quel Cetego che era stato giustiziato per adulterio, nel terribile triennio 369-371.727 La nuova considerazione di cui godevano i senatori è anche testimoniata dalla legislazione del 376 e del 377, a loro favorevole. Da un canto si decise di affidare al prefetto urbano i processi in cui erano accusati i senatori,728 dall'altro la prefettura dell'annona, dalla cui gestione Massimino e Ursicino erano riusciti a raggiungere il vicariato, fu sottoposta alla giurisdizione del prefetto urbano,729 mentre la città di Roma era affidata ad Aradio Rufino730 e la cura annonae a Proculo

Gregorio, appartenente al partito di Ausonio e corrispondente di Simmaco.731 Infine, nel gennaio del 377, i senatori riebbero l'immunità dalla tortura, tolta loro nel 370, disposizione quest'ultima contro la quale avevano protestato già nel 371.732 Tra i protetti di Ausonio si può annoverare non solo Proculo Gregorio, probabilmente originario della Gallia meridionale, ma anche molti dei suoi amici, Di certo il sostegno del poeta e il legame d'amicizia, avviato con Simmaco nel periodo della prefettura annonaria, giovarono sicuramente a Proculo per ottenere la cura sacri palatii (379) e la successiva prefettura gallica (383). Egli avrebbe ottenuto sicuramente il consolato,733 se la Gallia non fosse stata invasa da Massimo, il quale pose tragicamente fine al regno di Graziano. In effetti, la clientela di Ausonio sembra non essere confinata alla sola regione di Bordeaux, sua patria, ma appare estendersi a tutta l’Aquitania insieme alla Narbonense. La famiglia di Ausonio734 aveva legami con varie città della Gallia sud-occidentale; il nonno del poeta, Caecilius Argicius Arborius, era un notabile degli Edui di Augustodunum e aveva sostenuto il legittimo imperatore Claudio contro Vittorino (268-270).735 Le conseguenze, dopo la conquista di Autun da parte dell’usurpatore, non si fecero aspettare. Arborio fuggì a sud di Bordeaux, a Tarbellae, dove incontrò e sposò Emilia Corinzia Maura, anch'ella appartenente a una famiglia nobile, ma decaduta. La loro figlia sposò Giulio Ausonio, il cui nome era sulla lista dei curiali di Vasate e di Burdigala.736 La cultura e la competenza sembrano aver procurato sempre il successo agli appartenenti a questa famiglia. Giulio Ausonio era un medico di una certa rinomanza, ma colui che spiccava tra tutti, prima del successo di Decimio Magno, era Emilio Magno Arborio, il fratello di Emilia Maura. Grazie all'amicizia con i fratelli di Costantino, instauratasi durante la loro permanenza a Toulouse, fu chiamato alla cattedra di retorica a Costantinopoli e ottenne anche il correttorato della Narbonense, con i benefici economici che ne derivavano.737

La sorella di Ausonio era sposata con l’erede di una famiglia tra le più nobili di Bordeaux,738 buon matrimonio come quello della figlia del poeta, che sposò Talassio, il quale aveva possedimenti persino in Epiro.739 Ovviamente altre gratificazioni, provenienti dalla scalata al potere politico, non mancarono né al professore Ausonio, né ai suoi amici e tanto meno ai suoi colleghi, provenienti dalle scuole dell'Aquitania e della Narbonense. Di Emilio Magno Arborio si è già detto, ma Fl. Santo ottenne il governatorato della 726 Cfr. le disposizioni in CTh XII 1, 84, 15 febr. 381, a lui rivolte come successore di Celsinus Titianus, il fratello di Simmaco. 727 Amm. XXVIII 1, 16 (V 150 Marié); CIL VI 1799. 728 CTh X 1, 13. 729 CTh I 6, 7; ad Aradio Rufino: … praefectura autem cunctis, quae intra urbem sunt, antecellat potestatibus. 730 O. Seeck, Die Briefe des Libanius zeitlich geordnet, Leipzig 1906, 254-255; RE I, 1188; Chastagnol, La préfecture, cit., 197-198. Forse figlio del PVR del 337, nato a Roma, ma divenuto comes orientis di Giuliano, Aradius Rufinus, in occasione di un’ambasciata, strinse rapporti di amicizia con Libanio ( epp. 1124, 1135, 1493). Dal 364 al 375 fu messo in disparte, per ritornare in auge nel 376 con l'affidamento della prefettura urbana. 731 Vd. La dedica del Liber de Fastis ( Opusc. XV Peiper). Cfr. anche Symm. epp. III 17-22. 732 Vd. supra 268 e n. 733 Aus. fast. IV 2 ( Opusc. XV 194 Peiper). 734 M.K. Hopkins, Social Mobility in the Later Roman Empire: The Evidence of Ausonius, CQ n. s. 11, 1961, 239-249. 735 Aus. Par. IV 3 s. ( Opusc. IV 31 Peiper).

736 Ibid., II ( Opusc. IV 28 Peiper), cfr. Opusc. I 1 5-6. 737 Aus, Par. III 9-12 ( Opusc. IV 31 Peiper). 738 R. Etienne, Bordeaux antique, Bordeaux 1962, 359 s. Cfr. anche Aus. Par. XII; XV 6 s. ( Opusc. IV 37; 39 Peiper). 739 Fatto che spiega il suo incarico in Macedonia (Paulin. Euch. 26). 149 Britannia, Paolino il correttorato della Tarraconensis, Essuperio la promozione a praeses Hispaniae e Vittore Minervio dalla cattedra di Burdigala giunse a quella di Roma e di Costantinopoli.740 Egli era stato il punto di riferimento di discepoli quali Ausonio e lo stesso Simmaco.741 Se fu lui l'anziano retore che accompagnò i senatori nel 371 a corte, in occasione della protesta per l'abolizione dell'immunità, si può ben capire quale potere effettivo potesse acquisire un uomo di cultura.742 Da Burdigala proveniva probabilmente743 Marcello, il magister officiorum del 394-395 in Oriente, autore di un trattato De medicamentis, peculiare per precise caratteristiche, come la riemersione del sostrato culturale gallico, che ne fanno un prodotto esemplare della democratizzazione della cultura, caratterizzante la Tarda Antichità.744 In questo testo, l’autore illustrava le teorie di tre medici importanti, come Giulio Ausonio, Eutropio e Siburio, uomini, tra l'altro, politicamente affermati. Giulio Ausonio aveva raggiunto, anche se ormai novantenne, la prefettura dell'Illirico,745 Siburio è da identificare con il magister officiorum occ. fra il 375 e il 379, in seguito prefetto delle Gallie,746 ed Eutropio, se ammettiamo l’identificazione con l'autore del Breviarium,747 ebbe una carriera prestigiosa: magister memoriae di Valente, procos. Asiae nel 371 e, infine, prefetto dell’Illirico nel 380-381. Il fatto, poi, che attraverso il Liber de medicamentis di Marcello sia stata trasmessa la lettera di Vindiciano

Afro all'imperatore Valentiniano, permette di ricostruire una rete più ampia di alleanze tra questi viri litterati. Vindiciano,748 comes archiatrorum, fu maestro, infatti, di Teodoro Prisciano, medico di Graziano - del quale il figlio di Giulio Ausonio era precettore e consigliere - e, dopo la comitiva, conferitagli per i meriti acquisiti nell'esercizio della sua professione,749 ottenne il prestigioso 740 Aus. Par. XVIII 8 s. ( Opusc. IV 41; 38 Peiper); XIV 9 s.; prof Burd. 16; 17; 1 1-10 ( Opusc. V 63-65; 48 Peiper).; Hier. chron. a. 353 (Helm 239). Cfr. in merito Hopkins, Social Mobility, cit., 242 s., Étienne, Bordeaux, cit., 253, che traccia una vera e propria mappa dei posti occupati dagli amici d’Ausonio, e T.J. Haarhof, Schools of Gaul: A Study of Pagan and Christian Education in the Last Century of the Western Empire, repr., Johannesburg 1958, 87 s. 741 Symm. ep. IX 88. 742 Cfr. Amm. XXVIII 1, 24 (V 152 Marié). Sull'arte retorica, caratterizzata come possibilità e insieme espressione di distinzione sociale, vd. H. I. Marrou, Histoire de l'éducation dans l'antiquité, Paris 1965, 444. Per il rapporto tra cultura e classi dirigenti cfr il sempre valido K. E Stroheker, Der senatorische Adel im spätantiken Gallien, Tübingen 1948, passim, spec. 210-211. 743 J. Matthews, Gallic Supporters of Theodosius, «Latomus» 30, 1071, pensava a un'origine narbonense, perché identificava Marcello con l'informatore di Gerolamo (vd. infra 281). Sulla vivacità di Bordeaux cfr. Étienne, Bordeaux, cit., spec. per il periodo, 335-372. Sulla città ai tempi di Ausonio, in base ai reperti archeologici, vd. H. Sivan, Ausonius of Bordeaux. Genesis of a Gallic Aristocracy, London-New York 1993, 38 ss.

744 Come si evince dall'acuta analisi di D. Motta, Ab agrestibus et plebeis remedia: terapie mediche e riti magici in Marcello Empirico, in Marino-Molè-Pinzone (a cura di), Poveri ammalati e ammalati poveri, cit., 495 ss. 745 Cfr. F. Marx, RE II 2, 1986, 2562; PLRE I, 139 con Stroheker, Der senatorische Adel, cit., n. 50. 746 Cfr. O. Seeck, RE II A/2, 1923, 2072-2073; PLRE I, 839 con M. Clauss, Der magister officiorum in der Spätantike (4-6 Jahrhundert). Das Amt und sein Einfluss auf die Kaiserliche Politik, Vestigia. Beiträge zur alten Geschichte 32, München 1980, 189. 747 Caduto in disgrazia sotto Valente, dopo il proconsolato d'Asia (Amm. XXIX 1, 36 [VI 18 Sabbah]), per essere richiamato alla vita politica dopo Adrianopoli e rivestire la prefettura d’Illirico, in un periodo cruciale, nel 380/381 (Symm. ep. III 47). Per la difficile ricostruzione della vita e della carriera di Eutropio vd. G. Bonamente, La biografia di Eutropio «lo storico», AFLM 10, 1977, 161210. L'identificazione dell'Eutropio burdigalense con l'autore del Breviario è affermata da M. Heinzelmann, Gallische Prosopographie 260-527, «Francia» 10, 1982, 531-718, ipotesi che non era stata avanzata da O. Seeck, RE VI/1 1907, 1520, né dagli autori di PLRE I, 317, né da Stroheker, Der senatorische Adel, cit., 136. 748 Cfr. Matthews, Gallic Supporters, cit., 1073-1099 e Id., Western Aristocracies, cit., 73. Cfr. anche W. Ensslin-K. Deichgräber, RE IX A/1, 1961, 29-36 con PLRE I, 967. 749 Per il clima, particolarmente favorevole ai medici, venutosi a formare nella II metà del IV sec., nel riconoscimento del nesso galenico di Ippocrate e Platone ( adhort. ad art. addic. 5 (I, 8 Kühn]), all'interno della concezione di una ἐγκύκλιος παιδεία, che assimilava i

medici ai filosofi e, soprattutto in Giuliano (Bouffartigue, L'Empereur Julien et la culture, cit., spec. 483 ss. e il contributo di R. Sardiello, Medici e medicina in Giuliano, in AA. Vv., Giuliano e le sue idee, i suoi amici, i suoi avversari, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Lecce 10-12 dicembre 1998), «Rudiae» 10, 1998, 187-223), a salvatori, inviati dalla provvidenza (Iul. ep. 82 Bidez), vd. i saggi di G. Arena, Il potere di guarire. L'attività medica fra politica e 150 incarico di procos. Africae, dove ebbe modo di incoronare vincitore, in un certamen, il giovane Agostino.750 Non è certo un caso che la costituzione a lui indirizzata, relativa ai privilegi dei medici di corte, fosse emanata nel 379,751 allorché Ausonio era tornato a Treviri e Siburio era prefetto delle Gallie. Il sostegno di Ausonio752 è certo, per l'appunto, nel caso dell'aquitano Meropio Ponzio Paolino, uno dei maggiori proprietari terrieri di Bordeaux e uomo di grande cultura e religiosità. Questi fu consul suffectus e, dopo, consularis Campaniae, regione in cui aveva possedimenti e sulla quale, avendo scoperto la tomba di San Felice, iniziò a esercitare una speciale forma di patronato, potenziandone il culto e favorendo il territorio. Della vivacità culturale di questa intellettualità gallica e della sua ambizione, che la portava a stringere legami con l'aristocrazia romana e ad essere disponibile alla mobilità, in funzione della promozione sociale, sono testimonianza, come già sottolineato, le epistole di Simmaco e di Agostino, ma anche certa produzione cristiana, come la traduzione dell’ Historia ecclesiastica di Eusebio da parte di Rufino, letta da Paolino da Nola e utilizzata dall'anonimo autore dei Chronica Gallica.753 Lo stesso Marcello, secondo Matthews,754 avrebbe avuto contatti con Gerolamo, sarebbe lui il virum quendam Narbonensem,755 che avrebbe fatto visita a Gerolamo, svelandogli il piano di Ataulfo di riunire Gothia e Romania sotto il suo comando, nel segno della supremazia militare gotica. Simmaco, poi, con la gioia con cui sembra accogliere la nomina di Siburio a magister, dopo Leone,

rende chiari, ancora una volta, i legami della fazione senatoria, da lui guidata, con il gruppo degli Ausonii:756

…debebatur hoc teneris temporum bonis, ut consilio publico vir laudatus accederes… Siburio fu il predecessore alla prefettura gallica di Flavius Mallius Theodorus, anch’egli vicino alla factio guidata dal poeta.757 Agli inizi della carriera, grazie al governatorato africano e a quello della provincia di Macedonia, Teodoro sembrava avviato a un percorso tradizionale, per un rampollo della buona società del tempo.758 La sorte aveva, però, deciso altrimenti Con l’ascesa di Graziano e del suo entourage, il giovane senatore raggiunse i posti di primo rango nel consistorium. Da avvocato della prefettura pretoriana fu promosso a comes rei privatae, prima del 380, per ottenere dopo Siburio e prima di Proculo Gregorio, la medesima prefettura. Dopo la la morte di Graziano, l'ex prefetto trovò rifugio in Italia, dove fu uno degli degli intellettuali di maggior successo a corte, successo che gli consentì di tornare alla vita politica, dopo la la morte di Teodosio, in modo clamoroso, come uno dei capi del partito antibarbarico. cultura nella tarda Antichità, in Marino-Molè-Pinzone (a cura di), Poveri ammalati e ammalati poveri, cit., 410 ss. e ibid., Motta, Ab agrestibus, cit., 495-520. Ovviamente quella sorta di divinizzazione, che faceva del medico la terza persona di una trinità, ne potenziava la numinosità e di conseguenza il potere politico. In effetti, il seguito e l'influenza che essi potevano avere era enorme, sia quali sostenitori del governo, come nel caso di Oribasio, sia in quanto istigatori e teorici dell'opposizione, come nel caso di Eudossio ( Chron. Gall. ad a. CCCCLII 113, MGH AA Chron. Min. I 662), sul quale vd. Molè, Principi fanciulli, cit., 237; Ead., Rivolta morale e rivolta sociale nella tarda Antichità, in R. Soraci (a cura di), Corruzione, repressione e rivolta morale nella Tarda Antichità, Atti del Convegno Internazionale (Catania 11-13 dicembre 1995), Catania 1999, 147-180, insieme all'introduzione ai saggi degli studiosi catanesi in Poveri ammalati e ammalati poveri, cit., 365-385).

750 Aug. conf. 4, 3, 5. 751 CTh XII I 3, 12. 752 Paul. Nol. carm. X 93-96; Aus. ep. 24, 34. Sulla carriera e vita di Paolino cfr. R. Fabre, Saint Paulin de Nole et l'amitié chrétienne, 1949 e W.H.C. Frend, Paulinus of Nola and the Last Century of the Western Empire, JRS 59, 1969, 1-11. Sul governatorato cfr. PLRE I, 681-682. 753 Cfr. Molè Ventura, Principi fanciulli, cit., 31-57. 754 Cfr. Matthews, Gallic Supporters, cit., 1085-1086 e Id., Western Aristocracies, cit., 317, 320, 340. Concordano con lo studioso inglese T.D. Barnes, Another Forty Missing Persons (A.D. 260-395), «Phoenix» 28, 1974, 224-233 e D. Frye, A Mutual Friend of Athaulf and Jerome, «Historia» 40, 1991, 507-508, mentre dissente S. Rebenich, Rusticus. Ein gemeinsamer Freund von Athaulf und Hieronymus? , «Historia» 42, 1993, 118-122, il quale ipotizza un'identificazione con il Rustico ricordato da Gerolamo ( ep. 122) e il compositore omonimo dell’epitalamio composto per Placidia e il capo goto. 755 Oros. 7, 43, 4-6. 756 Symm. ep. III 43. 757 Secondo la testimonianza di Symm. ep. III 43, Teodoro fu mag. off. nel 375/379, in successione a Leone, e lasciò il testimone a un Siagrio per rivestire la prefettura ( PLRE I, 839). 758 Cfr. PLRE I 900-902; la carriera è descritta da Claudiano nel De cons. Fl. Mallii Theodori v. c. panegyris. 151

Diverso retroterra sociale, ma uguale importanza e prestigio del senatore Teodoro potevano vantare i Syagrii, i quali, sotto il governo dei Valentiniani, gettarono le basi di una supremazia, che fece di loro una delle famiglie più illustri della Gallia del V secolo.759 Il primo dei due Syagrii, che partecipò alla gestione della cosa pubblica, ebbe uno sfortunato inizio di carriera come notarius di Valentiniano I,760 nel 369, ma con Graziano giunse dalla responsabilità abilità degli officia, alla prefettura Italiae e al consolato (381) insieme a Eucherio, lo zio di Teodosio I, Egli coltivò amicizie importanti come quella di Simmaco, il quale a lui e a Proculo Gregorio raccomandò il fratello Celsino Tiziano,761 in quanto uomo di grande potere, le cui relazioni e possibilità spaziavano da Occidente a Oriente. Il secondo dei due Syagrii era, invece, un poeta,762 forse da identificare con l’amico di Ausonio,763 il quale, probabilmente per questo, ebbe una carriera tanto brillante quanto rapida. Fu promosso procos. Africae nel 379, comes sacrarum largitionum nel 381 e praefectus Urbis Romae nel 382, anno in cui ottenne il consolato con Cl. Antonius, il quale poteva vantare una certa adfinitas con Teodosio. Infatti Antonio era il fratello di Maria, cognata dell'imperatore.764 L'utilizzazione, da parte di Graziano, per posti di grande responsabilità, di membri delle tradizionali classi dirigenti, potrebbe apparire come una reazione dell'Occidente alla prassi di governo portata avanti, se non inaugurata, dai figli di Costantino765 e, con diversa accentuazione, praticata dai Valentiniani, ma, in concreto, essa rappresentò un necessario adeguamento alla realtà da parte dell'imperatore e del suo entourage. Il controllo del sistema socioeconomico della prefettura gallica, per i comites di Graziano, passava attraverso l'eliminazione dei potentissimi burocrati di Valentiniano e il privilegiamento delle upper classes galliche. Queste avrebbero potuto assicurare una certa stabilità al regime, tanto più che, in Pannonia, l’asse Merobaude-Equizio-Probo aveva costituito un polo d'aggregazione temibile, mentre, in Oriente, la situazione era sempre più preoccupante, dato il concretizzarsi della

minaccia gotica e la conseguente necessità di inviare rinforzi, che potessero scongiurare l'invasione. La ricerca di nuovi equilibri sta alla base dell'ascesa non solo degli amici, ma soprattutto dei parenti, di Ausonio, che cominciò subito dopo la morte di Valentiniano I. Catafronio, il cui nome riecheggiava quello di Giulia Catafronia, una zia del poeta, è attestato come vicarius Italiae nel 376-377.766 Il genero di Ausonio, Talassio, divenne vicario di Macedonia nel 377, dove, a Pella, nacque il figlio Paolino. Come il cognato, Talassio ottenne in seguito il proconsolato d'Africa (378), per poi rientrare in patria, dopo una sosta a Roma, dove ebbe agio di rinsaldare i vincoli d'amicizia che legavano la sua famiglia a Simmaco. Il figlio del poeta, Decimio Ilariano Esperio, dopo il proconsolato africano, giunse alla prefettura gallica, gestita insieme al padre nel 378,767 e, nello stesso anno, passò alla prefettura Italiae, come successore di Claudio Antonio, l’ex consolare della Betica. Sempre nel 378 il padre di Ausonio, il novantenne medico Giulio Ausonio, gestì la prefettura dell’Illirico, anche se per breve tempo, poiché morì nello stesso anno, senza poter assistere all’elezione del figlio al consolato, nel 379.768 Durante questa sua magistratura il poeta riuscì a far promuovere comes sacrarum largitionum il nipote Arborio, il quale, nel 380, è attestato in qualità di prefetto dell’Urbe.769 Tra tutti gli appartenenti al partito degli Ausonii, certo, per l’oggetto della nostra analisi, ossia l'ascesa di Teodosio figlio e il suo rapporto con Giustina, rilevanza particolare acquista Claudio Antonio, il quale, insieme al generale Teodosio, era uno degli spagnoli alla corte di Treviri. La sua carriera ebbe, in un certo senso, un percorso parallelo a quella del magister.770 Uomo di cultura, come molti degli amici di Ausonio e 759 Cfr. Stroheker, Der senatorische Adel, cit., 28, 63. Sui Syagrii, pareri contrastanti in Martindale, Note on the Consuls, cit., 254, A. Demande, Die Konsuln der Jahre 381 und 382 namen Syagrius, ΒΖ 64, 1971, 38-45, e Matthews, Western Aristocracies, cit., 75.

760 Flavio Siagrio ( PLRE I, 862-863) era stato congedato poiché era il solo che era ritornato da una spedizione al di là del Reno, cfr. Amm. XXVIII 2, 5 (V 162 Marié). 761 Ep. III 21. 762 Sidon. ep. V 5, 1. 763 Aus. praef. 41 ( Opusc. 13 Peiper). 764 Symm. ep. 1 90; Them. or. XVI 203 d. Vd. anche Martindale, Note on the Consuls, cit., 256. 765 Per una analisi dettagliata della nuova gestione dell'impero da parte dei Costantinidi mi si consenta di rimandare a Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 25-108. 766 PLRE, 186; per Iulia Catafronia vd. Aus. Par. XXVI. 767 Aus. grat. act. II 11 ( Opusc. IV 46 Peiper); ep. XXII 91 ( Opusc. XVIII 265 Peiper). 768 Aus. epic. 4, 45 ( Opusc. III 23 Peiper). 769 Stroheker, Der senatorische Adel, cit., 147, n. 28; Chastagnol, Les Fastes, cit., 206-207. 770 PLRE I, 77. 152 Simmaco,771 il futuro prefetto, infatti, dopo il governatorato della Betica, ottenne l’incarico di quaestor sacri palatii, tra il 370 e il 373, ma rientrò nell'ombra proprio negli anni in cui il generale venne inviato in Africa e subì la condanna. Antonio ritornò in auge solo nel 376, come prefetto Galliarum, e rivestì la prefettura Italiae nel 377-378, quando il futuro imperatore Teodosio, del quale era parente,772 fu richiamato in

servizio da Graziano; infine concluse la sua carriera con il consolato (382).773 Certo non è possibile dire se l'affermazione di questi Hispanici abbia avuto origine dall’ascesa dell'ex consolare della Betica, Germanianus, prefetto delle Gallie per ben due volte, dopo il congedo di Nebridio e dopo la prefettura di Flavio Sallustio,774 ma certamente non li avrà ostacolati. In ogni caso, Graziano, ben consigliato dal suo consistorium, capì che bisognava non combattere, ma smorzare le istanze indipendentistiche di Aquincum, che avevano indicato la necessità di un cambiamento. Il figlio di Valentiniano potenzió la fazione degli elementi capaci di colloquiare con l'aristocrazia romana e con le eminenze grigie che consigliavano Valentiniano II, cioè il prefetto, il senatore Probo, insieme ai suoi collaboratori e, soprattutto, la madre Giustina, imparentata con i Nerazi e con Vulcacio Rufino. *** Nel 376, infatti, sembrò essersi raggiunto un accordo, secondo il quale Probo si fece da parte, lasciando la prefettura al pretorio dell’Illirico al padre di Ausonio, prassi seguita forse anche da Equizio, l' adfinis di Valentiniano I e già suo rivale come candidato al regno, del quale non si ha più notizia a partire dal 375. Nel frattempo, pero, la situazione al confine renano-danubiano destava forti preoccupazioni. Le popolazioni germaniche minacciavano l'invasione, spinte dai popoli delle steppe e Valente, dopo aver tentato di riformare il procedimento di leva,775 consentì ai Goti di insediarsi in Tracia, in cambio di una collaborazione militare, incoraggiato in tal senso dai suoi consiglieri. Non è certo questa la sede per trattare dell'importanza che ebbe la disfatta di Adrianopoli a livello della struttura militare dell’impero e, a livello più generale, in campo socioeconomico; in questo caso quel che ci preme sottolineare è l'urgenza di una soluzione della questione gotica e la necessità di una politica filobarbarica, inaugurata dal nuovo generale, il quale, grazie al successo del suo piano, ottenne il governo

della pars orientis e riuscì a riunire, sotto un'unica dinastia, le due parti dell'impero. Certo che, avendo presente la nuova affermazione del partito degli Ausonii, diventa perfettamente logica la candidatura di un militare di provata esperienza sul campo e il conseguente affidamento della campagna a Teodosio, il figlio del grande generale che aveva riportato la vittoria sul crudele Firmo. Al consiglio di Sirmio si spesero certamente a favore del futuro imperatore i Syagrii, probabilmente Claudio Antonio e forse anche Massimo, Quest ultimo, valente uomo d'arme, sicuramente legato alla famiglia dei Teodosii,776 era caduto in disgrazia dopo la condanna del suo generale, ma aveva avuta salva la vita e, naturalmente, aveva 771 Egli scrisse tragedie, come testimonia Symm. ep. I 89. Sulle possibilità di carriera che si aprivano agli aristocratici e agli operatori culturali delle Gallie e della Spagna cfr. R. van Dam, Leadership and Community in Late Antique Gaul, BerkeleyLos Angeles-Oxford 1998, spec. 69 ss. 772 Secondo PLRE I, 77, la sorella Maria aveva sposato il fratello di Teodosio I, introducendo il nome Matia nell'albero genealogico dei Teodosii. 773 Conferitogli grazie a Teodosio I, cfr. Martindale, Note on the Consuls, cit., 254. 774 Amm. XXVI 5, 5 (V 69 Marié). lo considera collega di Mamertino e Secondo Saluzio nel 364. Cfr. PLRE I, 1050. 775 Sulla legge CTh VII 13, 7, cfr. S. Mazzarino, Aspetti sociali del quarto secolo, Roma 1951, 235-238, il quale identificava la prototypia colla protostasia. Diversamente O. Seeck, Capitulum, RE III, 1899, 1541, pensava che nella protostasia il capitularius avrebbe incassato le somme dei soci e avrebbe rimborsato colui che aveva fornito la recluta; nella prototypia, invece, lo stesso capitulario avrebbe fornito la recluta e incassate le somme versate dai soci, sottratta la quota per

l’equipaggiamento del tiro. Appunto per questo, per Seeck la prototypia era una prestazione riguardante la persona e non una tassa reale. Per W. Seston, Dioclétien et la Tétrarchie, Paris 1946, 375 ss., invece, la protostasia era una tassa sul patrimonio. Per la datazione in epoca dioclezianea, si schiera J.M. Carrié; Le système de recrutement des armées romaines de Dioclétien in Y. Le Bohec-C. Wolff (Éd.), L'Armée Romaine de Dioclétien à Valentinien Ier, Lyon 2004, 371 ss. Rimane convinto, invece, della datazione tradizionale F. De Martino, Storia della costituzione romana, V, Napoli 1975, 455. Cfr. sulla quaestio L. De Giovanni, Istituzioni Scienza giuridica Codici nel mondo tardoantico, Roma 2007, 141 ss. 776 Pac. paneg. XII (2) 24, 1 (III 89 Gallettier): adfinitate iactans. 153 tutto l'interesse a favorirne il figlio. La risoluzione di Sirmio vide uscire vincitore, oltre al sempre valido Merobaude, gli esperti generali vicini agli Ausonii, cioè Teodosio, che si diresse contro Atanarico, e Massimo, che ebbe il comando in Britannia; comando che non lo soddisfece del tutto, se da lì partì la sua rivolta contro Valentiniano e Giustina. La nostra imperatrice, con tutto ciò che ella rappresentava, cioè una rete strutturata di forti legami, conseguenza di cogenti interessi ed espressione di una precisa e definita politica, segnò una tappa fondamentale nelle complesse e tormentate relazioni tra Oriente e Occidente dell'impero. Per comprendere la valenza politica della sua funzione e del suo operato appare senza dubbio utile inserirla all’interno della politica della famiglia dei Nerazi, a cui apparteneva, e nel contesto delle relazioni che questa intrattenne con il potere e la dinastia regnante. Legato a Daziano,777 uno dei protégés di Costantino e dei suoi figli, ma soprattutto grande sostenitore dei Valentiniani, sembra essere

stato Naeratius Cerealis, il quale, con l'anziano patricius,778 partecipò alla commissione giudicatrice per il processo di Fotino a Sirmio e condivise il consolato nel 358.779 Il grande senatore, già prefetto di Roma nel 352-353,780 era la perfetta concretizzazione del successo della famiglia, di cui era il punto di riferimento. È conferma di ciò la domus Neratiorum, che egli ereditò e successivamente trasformò in terme. Nerazio è, infatti, definito conditor balnearum nelle iscrizioni ritrovate tra i resti di un grande edificio vicino alla basilica di S. Maria Maggiore e a un’altra, costruita nel 351 da Giunio Basso.781 Con tutta probabilità, egli diede ai seguaci di Papa Liberio parte dell’edificio, mostrando lungimiranza e volontà di governare il popolo anche attraverso la fede, mentre il resto lo dedicò ai balnea. Nerazio Cereale era parente di un Cerealis tribunus stabuli negli anni 369-375, a sua volta fratello dell'imperatrice Giustina. Egli era, di conseguenza, probabilmente, fratello maggiore o padre di quel Vettius/Naeratius Iustus, a sua volta padre di Costantianus/Constantius, di Cerealis e di Giustina, prozio o bisnonno delle di lei figlie, Galla, Giusta e Grata. I cognomina Cerealis, Constantius e Gallus erano usati dai Neratii, mentre i Vettii prediligevano Iustus e Gratus, cognomina che non erano usati da nessuna delle altre importanti famiglie romane del IV secolo. Per questo motivo Jones, Martindale e Morris782 ritenevano che Iustus fosse figlio di un Vezio e di una Nerazia. Se si accetta l'ipotesi della discendenza di Giusto dalle famiglie dei Vettii e dei Neratii, Nerazio Cereale potrebbe, comunque, essere identificato con il fratello maggiore di Iustus, in quanto erede della domus Neratiorum, o con suo padre, poiché nel 328 era già prefetto dell'annona. Recentemente è tornato sull’ argomento Chausson,783 il quale ha sottolineato il legame dei Nerazi con i Costantinidi e ha svelato, per questa via, come la dinastia regnante si fosse radicata all’interno dell'aristocrazia occidentale. Grazie a un dossier, pubblicato da Gaggiotti784 sul patrono di Saepinum, Naeratius Constantius, lo studioso ipotizza un legame tra i Nerazi di Saepinum, discendenti dal giurista Naeratius Priscus, e i portatori del nome Constantius. Infatti, dato che Giulio

Costanzo, fratellastro di Costantino, sposò una Galla, sorella dei senatori Nerazio Cereale e Vulcacio Rufino, il Nerazio Costanzo di Sepino potrebbe essere l'erede di uno dei figli nati da nati da quella unione, tra cui era anche il Cesare Gallo e gli altri suoi fratelli, l'uno assassinato nel 337, l’altra sposata da Costanzo II nel 335, l'altra ancora sposata 777 Lib. orr. XLII 24-25; LXII 10. Figlio di un guardarobiere delle terme, grazie alla conoscenza della stenografia, ebbe un posto come notarius e, in seguito, in un momento non facilmente definibile, ottenne il clarissimato. Sappiamo solo che, al tempo di Costanzo II, era uno dei suoi migliori consiglieri (Lib. epp. 114; 490; 1184; 1260). Comes dell'imperatore, nel 345 invitò Atanasio a tornare ad Alessandria, nel 351 fu giudice al processo di Fotino a Sirmio e nel 354 riuscì a far concedere a Libanio il permesso di tornare ad Antiochia e di potervi rimanere. Consul prior con Nerazio Cereale PVR nel 358, divenne patricius già prima del 18 gennaio del 360: in quella data, infatti, gli è ancora indirizzata una legge (Philost. h. e. VIII, 8). Senza dubbio, fu uno dei personaggi che ebbe a corte grandissima e duratura influenza, poiché Libanio e Filostorgio lo considerano protagonista della scena politica, durante il regno di Gioviano, e convinto sostenitore di Valentinano I. 778 Philost. h. e. VIII, 8; CTh. XI I, I. 779 Epiph. adv. Haer. 71, 1. 780 PLRE, 197 ss. L'oscillazione della forma del gentilizio, spec. per Cerealis, è propria delle iscrizioni e per questa ragione, in alcuni casi, è stato mantenuto il dittongo. 781 CIL VI 1744, 1744a, 1745 = ILS 5718, 1245. 782 PLRE I, 197 ss. 783 Cfr. l'interessante lavoro di E. Chausson, Stemmata aurea. Constantin, Justine, Thèodose, Milano 2007, 154 ss.

784 M. Gaggiotti, Le iscrizioni della basilica di Saepinum e i vectores della provincia del Samnium, «Athenaeum» 46, 1978, 144-169. 154 con Giusto. Intorno al 315-320 da Giulio Costanzo e da Galla sarebbe nata, dunque, una figlia e questa nipote di Nerazio Cereale si sarebbe a sua volta sposata, nell’ambito della stessa famiglia, con il senatore Giusto. Da questa sarebbero nati, intorno al 340, Giustina, Cereale, che avrebbe collaborato per l'elevazione di Valentiniano II, e Costanzo, il tribunus stabuli, assassinato in Gallia nel 369. Quest'ultimo potrebbe essere il patrono di Saepinum alla fine degli anni '50 del IV secolo, amico di Libanio e tribuno di Giuliano, il quale, insieme al comes Lucilliano, avrebbe guidato la flotta durante la spedizione persiana785 e, in seguito, sarebbe stato, con Vittore e Saluzio, incaricato da Gioviano di portare a termine le trattative con i Persiani. Legami così importanti non debbono destare meraviglia, poiché i Nerazi si erano già inseriti all’interno di una dinastia imperiale, come si può evincere dalla giovane clarissima Flavia Neratia Septimia Octavilla, figlia di L. Flavius Septimius Afer Octavianus, la cui onomastica richiama quella di Settimia Ottavilla, sorella di Settimio Severo. Probabilmente questa Nerazia era una nipote dell’ Augusto, discendente dal fratello del sovrano, Geta, o dalla sorella Settimia. L'alleanza tra i Severi e i Nerazi è confermata dall’esistenza, a Sepino, esistenza, di L. Iunius Aurelius Neratius Gallus Fulvius Macer, che ebbe in sorte i nomi sia dei Nerazi, come Gallus, sia dei Severi, quali quelli di Fulvius Macer, nonno materno di Settimio Severo. La madre di Giunio Aurelio, Fulvia Prisca, potrebbe essere stata sorella di Ottavilla e aver sposato un Iunius, sicché dall'unione delle due famiglie dei Nerazi e dei Iunii Rufini attraverso Iunius Aurelius Neratius, loro bisnonno, potrebbero discendere Vulcacio Rufino, Nerazio Cereale e Galla.786

Per la verità, però, la rete istituita grazie a legami di parentela, a coinvolgimenti dovuti a interessi economici e ad affinità di carattere culturale e religioso era molto più vasta; per questa via i Nerazi e i Costantinidi si mostrano uniti ad altre grande famiglie, sì da formare un reseau altamente ramificato, che includeva non solo i Iunii Rufini, ma anche i Virii Nicomachi, gli Anicii, gli Asinii Nicomachi, insieme con gli Albini Seneciones e i Caesonii Bassi.787 I Iunii, infatti, grazie al matrimonio di Arria Rufina, cognata di Fulvia Prisca, con M. Rubrenus Virius Priscus Pomponianus Magianus Proculus, avevano dato vita al ramo da cui nacque Virius Nepotianus, sposo di Eutropia, sorella di Giulio Costanzo, mentre, grazie all'unione con gli Asinii Nicomachi, diedero origine al ramo dei Virii Nicomachi.788 Grazie poi all’altra sorella, Anastasia, nominata solo dall’ Origo,789 Giulio Costanzo era imparentato anche con gli Ovinii Bassi e i Caesonii, legati a loro volta agli Anicii e agli Asinii Nicomachi. Infatti dagli Ovinii e dai Caesonii sarebbe. disceso L. Caesonius Ovinius Rufinus Manlius Bassus, il quale avrebbe dato origine, attraverso l'unione con gli Asinii Nicomachi, con gli Anicii e con gli Albini Seneciones, al ramo che si sarebbe imparentato con i Costantinidi. Da questo ramo discesero, da una parte, Bassiano, sposo di Anastasia, e il fratello Senecione, mentre, dall'altra, il prefetto di Roma Amnius Manius Caesonius 785 Amm. XXIII 3, 9 (IV/1 83 Fontaine); Zos. III 13, 3. Cfr. Chausson, Stemmata aurea, cit., 163, n. 166. 786 Chausson, Stemmata aurea, cit., 123. 787 Ibid., 127 ss. Per gli stemmata vd. 128, fig. 9; 130, fig. 10. 788 Cfr. sempre Chausson, Stemmata aurea, cit., 132, fig.11. 789 Exc. Val. I 14-15: Post aliquantum deinde temporis Constantium Constantinus ad Licinium misit, persuadens ut Bassianus Caesar fieret, qui habebat alteram Constantini sororem Anastasiam, ut exemplo Diocletiani et Maximiani inter Constantinum et Licinium Bassianus Italiam medius optineret. Et Licinio, talia frustrante, per

Senecionem Bassiani fratrem, qui Licinio fidus erat, in Constantinum Bassianus armatur. Qui tamen in conatu deprehensus, Constantino iubente convictus et stratus est. Cum Senecio auctor insidiarum posceretur ad poenam, negante Licinio concordia fracta est. 155 Nicomachus Anicius Paulinus iunior signo Honorius, avo di Anicio Auchenio Basso,790 sempre fedele al ramo neraziano della dinastia imperiale, insieme alla gens dei Nicomachi Flaviani e dei Petroni Probi. Inserendo all'interno di questo sistema di alleanze e parentele la giovane Giustina si capisce come questa potesse essere appetibile per Magnenzio, dopo il rifiuto di Costanzo II di cedergli in moglie la sorella.791 La fanciulla cominciò allora a calcare la scena politica nel consueto ruolo affidato alle donne, cioè quello di mezzo per il fondamento e per il consolidamento di alleanze politiche. Il semibarbaro Magnenzio, probabilmente un leto, a causa della condizione materna,792 era asceso faticosamente, grazie alla brillante carriera militare, per i gradini della scala sociale, fino a diventare comes delle legioni palatine degli Erculiani e dei Gioviani, carica che poteva essere considerata una sorta di trampolino di lancio per l'incoronazione. Le motivazioni profonde, comunque, che portarono alla sua elevazione alla porpora sembrano soprattutto essere di natura economica,793 derivanti dal malcontento dei provinciali e dei militari. Infatti anche il racconto zosimiano della congiura,794 sebbene assuma toni novellistici, tradisce la gravità del momento. Nella concreta realtà, colui che aveva indetto il banchetto era un eminente funzionario, cioè il comes sacrarum largitionum Marcellino, e il suo alleato era Tiziano, il prefetto al pretorio che rimproverava al sovrano le miserevoli condizioni delle città. I congiurati, quindi, si mossero con grande intelligenza, secondo la ricostruzione di Drinkwater,795 poiché solo dopo che Magnenzio sembrò accettare l'incarico, in qualche modo, per il bene della comunità, inviarono Gesone a uccidere

Costante, quasi a sottolineare l’incapacità dell'imperatore e l'inevitabilità del regicidio. Non a caso Magnenzio, sin da subito, mise in atto un preciso e coerente piano di legittimazione e promozione della propria persona, mediante un’attenta campagna di propaganda, affidata alla risonanza dei titoli incisi sui miliari e alla forza delle rappresentazioni e delle legende della sua monetazione. Così all'esaltazione delle capacità militari, insita nei titoli dei miliari, imperator, invictus, e nella legenda Victoria Augusti, nell'intento 790 I due Anicii, sia Auchenio Basso seniore, cos. del 408 sia il iuniore, il PPO del 426 e del.435, furono, infatti, molto vicini all’ Augusta Galla Placidia, l'erede della dinastia del Valentiniani Teodosii, imparentati con i Nerazi. La fazione placidiana comprendeva settori importanti della società del tempo, come buona parte dell'esercito con la guardia visigotica e i bucellarii di Costanzo, l' élite nicena africana, legata a lei e a Bonifacio, nonché la nobiltà “cattolica” romana. Tra gli elementi di questo gruppo dirigente, chiamati a rivestire le più alte cariche istituzionali, durante la reggenza di Galla Placidia e, in seguito, di Valentiniano III, vanno annoverati in generale i membri della famiglia degli Anicii, che, probabilmente, simpatizzavano per la sorella di Onorio ancor prima della nomina ad Augusta, ed erano legati alla gens della sovrana già ai tempi di Giustina, nonna di Placidia, allorquando Petronio Probo favorì Valentiniano II. L'accordo fu poi rinnovato, verosimilmente, al ritorno di Placidia, quando gli Anicii ottennero le cariche istituzionali più prestigiose. I membri di questa famiglia si muovevano entro orizzonti politici e ideologici ben precisi, che continuarono a seguire nel VI secolo, determinanti per la loro identificazione di difensori della Romanitas, giustificata dall'antico lignaggio. Una simile difesa, naturalmente, dopo Costantino, significava un'opposizione alla seconda Roma e alla corte costantinopolitana, opposizione molto gradita a Placidia, la quale cercava di sottrarre l'Occidente all'influenza di Teodosio II. Il cristianesimo venne spesso considerato dalla propaganda pagana, soprattutto nella pars orientale dell'impero, come sinonimo di adesione alla politica filobarbarica e fu frequentemente considerato causa di tradimento in favore dei barbari.

Tali accuse furono rivolte appunto agli Anicii, perché Anicia Faltonia Proba avrebbe fatto aprire dai suoi servi le porte di Roma ad Alarico, in opposizione alla fazione pagana, rappresentata dal PVR Attalo e dal console Tertullo. 791 Petr, Patr. frg. 16 ( FHG IV 196). Il nome di Constantia è in Soz. V 2, 20 e nel Lib. Pont. XXXVII 4, ma è un errore ( PLRE I, 222). Constantina si trova in ILCV 1768; Amm. XIV 1, 2 (I 90 GalletierFontaine); XXI 1, 5 (III 132 Fontaine-Frézouls-Berger); Pseud. Aur. Victor. epit. 42, 1; Zon. XIII 8, 4. 792 Zos. II 54, 1 afferma che traeva origine dai barbari, ma lo descrive come meteco dei Leti, popolo gallico. J. Bidez, Amiens, ville natale de l'empereur Magnence, REA 27, 1925, 312-318, riteneva che la madre di Magnenzio, di origine franca, fosse tra i prigionieri stanziati ad Amiens da Costanzo Cloro o da Costantino, mentre Piganiol, L'Empire chrétien, cit., 312 e S. Mazzarino, Trattato di Storia romana, II, Roma 19622, 456, in base a Pseud. Aur. Vict. epit. 42, 7-8, lo consideravano un semibarbarus. 793 Aurelio Vittore ( Caes. 41, 23), Eutropio (X. 9, 3) e Orosio (VII 29, 8) sono concordi nel sostenere che la rivolta contro Costante, sostenuta dall'esercito gallico e dai provinciali, era dovuta al mal governo dell’imperatore d'Occidente. In base alle loro testimonianze Mazzarino, Aspetti sociali, cit., 89, 116, 123, considera la rivolta magnenziana come espressione delle esigenze dei ceti più umili delle classi povere. 794 Zos. II 42, 2, ma cfr. anche Pseud. Aur. Vict. epit. 41, 21. 795 J. F. Drinkwater, The Revolt and Ethnic Origin of the Usurper Magnentius (350-353) and the Rebellion of Vetranio (350), «Chiron» 30, 2000, 131-139. 156

di ribaltare i ruoli nell'immaginario collettivo, fece seguito l'abbinamento, rispettivamente, con restitutor publicae libertatis e Libertas rei publicae.796 Simili riferimenti erano di certo funzionali alla giustificazione dell’uccisione del legittimo sovrano,797 indicato surrettiziamente come tiranno, dal quale venivano liberate l'Africa, la Sicilia e l'Italia, che l'usurpatore occupò nella convinzione di aver via libera per l’Illirico. Fig. 1 - D/ con legenda IMP. CAE. MAGNENTIUS AUG. R/ con legenda VICTORIA AUG. LIB. ROMANOR. ( RIC 8, IX 162). Magnenzio, alla ricerca di una legittimità, avrebbe optato allora per il matrimonio con la giovanissima Giustina. Come sottolineato da Wardman,798 in mancanza di una procedura precisamente definita e codificata, infatti, l'appartenenza o, comunque, un legame con una dinastia imperiale potevano essere un importante fattore di legittimazione. Giustina era una discendente dei Costantinidi, sia che

la si voglia ritenere nipote di Crispo, sia che si preferisca pensare a lei come discendente da Giulio Costanzo. La prima ipotesi, basata sul paragone di Temistio tra la linea illegittima e il sangue puro che sarebbe scorso nelle vene di Costanzo II, insieme all’accenno del Codice teodosiano all’erede di Elena e Crispo, ritenuto figlio illegittimo di Costantino dal fratellastro Costanzo II, sembra troppo fragile. Infatti Crispo fu il frutto di un’unione legittima799 e non conosciamo il sesso della creatura nata da Elena, mentre abbiamo la certezza che Galla sposò Giulio Costanzo, che le figlie si chiamarono Galla, Grata e Giusta, come le figlie di Giustina,800 e che fratelli dell’Augusta furono un Costanziano/Costanzo e un Cereale. La bella e giovanissima Giustina, dunque, con ogni probabilità, era figlia di una nipote di Costanzo I e, forse grazie alla sua origine, o solo in ragione della sua età, dopo la vittoria di Costanzo II, fu risparmiata 796 Cfr. L. Laffranchi, Commento numismatico alla storia dell'imperatore Magnenzio e del suo tempo, in Atti e Memorie dell'Istituto Italiano di Numismatica, VI, Roma 1930, 199 e in particolare W. Kellner, Libertas und Christogramm. Motivgeschichtliche Untersuchungen zur Münzprägung des Kaiser Magnentius (350-353), Karlsruhe 1968, 56 ss., con P. Bastien, Le monnayage de Magnence (350-353), Weiteren 19832, 45-46 e spec. 78-88 con, naturalmente, per il confronto con i dati epigrafici I. Didu, Magno Magnenzio. Problemi cronologici ed ampiezza della sua usurpazione. I dati epigrafici, CS 14, 1977, 11-23. 797 Cfr. l'interessante art. di A.E. Wardman, Usurpers and Internal Conflicts in the 4th Century A. D. , «Historia» 33, 1984, 220-237, il quale sottolinea come fosse fondamentale il porsi come difensore dell’ordine costituito e dunque qual importanza potesse avere una campagna pubblicitaria in tal senso. 798 Wardman, Usurpers, cit., 227.

799 Pan. Lat. 7 (6), 4, 1. Minervina, la prima moglie di Costantino, è descritta come concubina in Pseud. Aur. Vict. epit. 41, 4; Zos. II 20, 2; Zon. XIII 2, 37, che, secondo D. Woods, The Constantinian Origin of Justina ( Themistius, Or. 3.430), risentono della propaganda costanziana, presente anche nel brano su ricordato di Temistio. 800 Su questo insiste anche Chausson, Stemmata aurea, cit., 162 e fig.17. Sul matrimonio e la discendenza di Giustina vd. ovviamente anche O. Seeck, RE XI 2, 1919, 1337 s. con PLRE I, 488-489. 157 dall’epurazione degli anni seguenti, di cui cadde vittima invece il padre Giusto, sospettato dal sovrano per non aver impedito le nozze della figlia con l’usurpatore. Il favore di cui godevano i prozii, Nerazio Cereale e Vulcacio Rufino, e la parentela con i Cesari, Gallo e Giuliano, forse le permisero di attraversare incolume quegli anni, sì da consentirle, ancora nella seconda metà degli anni '60, di vivere alla corte di Valentiniano I. Questi era infatti ansioso di unire la propria dinastia a quella costantiniana, come mostra il matrimonio di Graziano con Costanza, la figlia postuma di Costanzo II. Alla fine, l'Augusto, a detta di Socrate scolastico, si risolse a ripudiare Marina Severa,801 per sposare la pronipote di Costantino, la bella Giustina, dalla quale ebbe Valentiniano II, Grata, Giusta e Galla. L'anziano imperatore non si era sbagliato lasciandosi abbagliare dalle decantate “virtù” della giovane moglie, poiché Giustina aveva realmente doti eccezionali e non solo fisiche. Infatti, alla morte del marito, ella, con l’aiuto di suo fratello Cereale e di parte dell'esercito, riuscì ad assicurare il trono al piccolo Valentiniano, ottenendo per sé la reggenza. Era chiaro che, al momento del suo insediamento a Milano, l'imperatrice avrebbe tenuto testa alla factio avversa e al rappresentante dei nuovi poteri, Ambrogio. Era, del resto, altrettanto palese che la sovrana sarebbe stata capace di opporsi politicamente alle forze rivali, come dimostra

l'alleanza con Teodosio. A questi ella offrì in moglie la figlia Galla, nozze che avrebbero dato vita a un'altra grande Augusta: Galla Placidia. Giustina riuscì a governare gli avvenimenti grazie all'aiuto anche di un altro eminente personaggio dell’epoca, legato a sua volta, tramite parentela, alla bella imperatrice, Vulcacio Rufino. Il senatore, fratellastro di Nerazio Ceriale e di Galla, era, secondo Ammiano, omni ex parte perfectus, et velut apicem senectutis honoratae praetendens, sed lucrandi opportunas occasiones occultationis spe numquam praetermittens.802 Egli era stato consularis di Numidia, per poi ottenere la comitiva primi ordinis sotto Costanzo e, quindi, divenire, nel 342, comes per Orientem Aegypti et Mesopotamiae, per easdem vice sacra iudicans. Nel 347, anno del suo consolato con Flavio Eusebio, suocero di Costanzo II, fu titolare della prefettura al pretorio in Italia, che si aggiunse a quella d'Illirico (341352), destinata ad essere seguita dalla prefettura delle Gallie (354) e, nuovamente, d'Italia Illirico e Africa (365-368). Durante la sua seconda prefettura partecipò anch'egli, insieme ad altri grandi personaggi, al processo di Fotino, ma, ancor prima, visse momenti particolarmente importanti per la storia dell'impero, in occasione dell'ambasciata inviata da Magnenzio a Costanzo, di cui faceva parte insieme a Marcellino, Massimo e Nunechio.803 Egli fu il solo a uscirne indenne, sì che ancora nel 352, dopo Mursa, lo ritroviamo alla prefettura pretoriana.804 Il senatore non era solo il fratellastro di Galla,805 moglie di Giulio Costanzo e madre del Cesare Gallo, ma aveva un’altra sorella, che andò in moglie a Massimo PVR del 361-362, nozze che permisero ai Valerii di imparentarsi con i Costantinidi. Il prefetto urbano del 361 proveniva da famiglia consolare, della quale un membro illustre era stato il nonno Valerio Massimo Basilio, il quale, durante il regno di Costantino, aveva rivestito la prefettura urbana dal 319 801 Socr, h. e. IV 31, 17-19, 268 Hansen e Iord. Rom. 310 ( MGH AA V/1, 40), in realtà, parlano di un doppio matrimonio regalandoci un racconto eziologico della legislazione sul matrimonio, di Valentiniano,

il quale, probabilmente, si limitó a un ampliamento della legislazione esistente sulle giuste cause di divorzio (A.D. Manfredini, Valentiniano I e la bigamia, in Studi Sanfilippo, VII, Milano 1985, 361-386 e Id., Natalità e legislazione tardoimperiale, in Atti Accademia romanistica Costantiniana, VIII, Napoli 1990, 522-528), volto ad assicurare anche i diritti dei figli naturali (E. Volterra, Una misteriosa legge attribuita a Valentiniano I, in Studi in onore di Vincenzo Arangio-Ruiz nel XLV anno del suo insegnamento, III, Napoli 1953, 139-154; G. Gualandi, Intorno ad una legge attribuita a Valentiniano I, in Studi in onore di P. De Francisci, III, 177-225; J. Rougé, La pseudo-bigamie de Valentinian Ier, «Cahiers d'Histoire» 3, 1958, 5-15). Su questo insiste anche Chausson, Stemmata aurea, cit., 164-165. Sulla tradizione tramandata da Socrate, oltre all'interessante lavoro di C. Molè Ventura, Storia e narrativa nelle storie ecclesiastiche, «Salesianum» 67, 2005, 802, cfr. M. Albana, Imperatrici, donne d'alto rango e popolane nel IV sec. d. C.: Osservazioni in margine ad Ammiano Marcellino, QCCCM 4-5, 1992-1993, 275-331. 802 Amm. XVII 7, 2 (II 60 Sabbah). 803 Petr. Patr. frg. 16 ( FHG IV 196). Per la vicenda cfr. Zos. III 55, 3; Amm. XIV 10, 4 (I 190 Galletier-Fontaine). 804 Epiph. adv. Haer. 71 e CI VI 22, 5a. 805 Amm, XIV 11, 27 (197 Galletier-Fontaine): (Gallus) natus apud Tuscos in massa Veternensi patre Costantio, Costantini fratre imperatoris, matreque Galla, sorore Rufini et Cerealis. Cfr. anche Zos. II, 45, 1; Iul. ep. ad Ath. 270 C-D; Socr. h. e. III 1; Soz. h. e. V 2, 8. Philost. h. e. III 25. 158

al 323. Valerio Massimo, il figlio di Basilio, padre di Massimo, era stato ancor più vicino all'imperatore,806 perché aveva gestito il vicariato orientale e, quindi, si era alternato con Evagrio (PPO nel 326; 329-331; 336-337) nelle prefetture al pretorio.807 Nel 327 era succeduto al collega nella prefettura orientale, per consegnargliela di nuovo nel 329. Egli, probabilmente, andò nelle Gallie con Costanzo, alla fine del 331, e servì lì il suo Cesare fino al 334, quando il figlio di Costantino ritornò a corte. Avendo la fiducia della famiglia imperiale, Valerio Massimo seguì anche il Cesare Dalmazio fino al Danubio, nel 336, per servire come suo prefetto fino al 337 e consegnare il testimone a Nestorio Timoniano, poco prima che lo stesso Dalmazio fosse ucciso.808 Massimo, il prefetto urbano del 361, grazie alla sua ascendenza e ai legami familiari, fu incaricato di una missione importantissima quale la trattativa fra Magnenzio e Costanzo. L'usurpatore, infatti, poteva riporre la sua fiducia in uomini come Massimo e Rufino, poiché aveva sposato Giustina, la futura Augusta, nipote di Nerazio Cereale e del di lui fratellastro Rufino, il quale, attraverso una sorella, era parente anche di Massimo.809 Tramite tra Magnenzio e Costanzo II, poco prima della battaglia di Mursa, fu anche Fabio Tiziano. Questi, inviato da Magnenzio, si propose come ostaggio, offrendo la sua vita per ottenere l'abdicazione dell'imperatore a favore dell'usurpatore.810 Nella sua orazione dinanzi a Costanzo, egli accusò Costantino, insieme ai discendenti dell’imperatore, di trascurare le città, ma gli fu ugualmente concesso di ritornare presso Magnenzio, avendo salva la vita. Fu sicuramente uno dei protagonisti della politica di età costantiniana; procos. Asiae iudex sacrarum cognitionum nel 324/337, comes primi ordinis, consul ordinarius nel 337, dovette essere tra quei senatori che Costantino volle con sé nella sua città. Il fatto che al proconsolato seguì la comitiva convalida la tesi di Dagron,811 secondo il quale i senatori che si trasferirono a Costantinopoli, non formarono tanto il primo nucleo del senato cittadino, ma fecero parte del concistoro dell’imperatore. La carriera di Tiziano continuò brillantemente sotto Costanzo II; divenne prefetto di Roma nel 339 e

prefetto delle Gallie nel 341-349, per rivestire nuovamente la prefettura urbana nel 350, sotto Magnenzio. In conclusione, i due Augusti, Costante e Costanzo, sollecitati dalle i invasioni in Illirico, raggiunsero, probabilmente, un accordo che riorganizzava le forze all’interno dell'amministrazione, in direzione di un compromesso che si risolse in favore di Costanzo. In Illirico, sconvolto dalle invasioni, fu inviato Rufino, imparentato con i Costantinidi, già comes di Costanzo II, ma anche membro di famiglia senatoria, prefetto urbano di Costante, mentre in Italia e a Roma furono nominati prefetto al pretorio e prefetto urbano Ulpio Limenio e, di seguito, Ermogene, anch'essi uomini del compromesso in quanto pagani sì, ma d'origine orientale. In Gallia continuava a rimanere però Tiziano (PPO 341-349), uno dei senatori che Costantino aveva voluto con sé nella sua città, dalla prestigiosissima carriera. Questi, di origine siciliana,812 prefetto al pretorio Gall. nel 341-349, rappresentava meglio le scelte di Costante, più succube, rispetto al fratello, del modello paterno e maggiormente vicino ai senatori romani, la cui potenza, come Augusto occidentale, doveva, ovviamente, tener in gran conto. Il senatore romano Vulcacio Rufino, infatti, riuscì, non senza il favore di Costanzo, a gestire la prefettura dell’Illirico per un periodo di tempo lungo tanto quanto quello della gestione delle Gallie da parte di Tiziano. Gli eventi diedero, però, ragione a Costanzo: la potenza del senato era fonte di pericolo. Tiziano, insieme a Marcellino, comes rei privatae di Costante, favorì Magnenzio; il senatore ebbe dall'usurpatore la prefettura urbana nel 350 e, nel 351, fu incaricato ad andare come inviato presso Costanzo, con la richiesta di abdicare in favore dell'usurpatore. Vulcacio, d’altro canto, era troppo potente e, con la sua rete di parentele, dominava il territorio dell’impero. Era zio di Gallo e, dunque, aveva i suoi sostenitori in Oriente, era parente dei senatori romani più illustri, dei Valerii e dei Nerazi, grazie ai quali poteva manovrare a Roma e nelle Gallie. Entrambe le famiglie suddette, infatti, 806 PLRE I, 590. 807 PLRE I, 284-285.

808 PLRE I, 241. 809 Amm. XXVIII 2, 10 (V 152 Marie); Socr. h. e. IV 31, 10-17 (280 Hansen). Soz. h. e. VII 13, 2 (345 Bidez-Hansen); Philost. h. e. IX 16, Thdt. h. e. V 13, 1; Zos. IV 19, 1; Io. Ant. frg. 187; 197 ( FHG IV 608-609; 613); Iord. Rom. 310-311 ( MGH AA V/1 40). 810 Zos. II 49, 1-2. Da identificare, forse, con la persona che offese Costanzo e non fu punita, a cui si riferiscono Iul. or. II 96 A e Them. or. IV 62 c; VI 80 c; VII 97 c. 811 Cfr. Dagron, Naissance d'une capitale, cit., 122 ss. Cfr. anche Soz. h. e. II 3, 4: Zos. II 31, 3. 812 Sia che si voglia identificarlo con C. Maesius Aquillius Fabius Titianus, nativo di Thermae in Sicilia, sia che si riconosca in lui un discendente (Chastagnol, Les Fastes, cit., 107). 159 avevano gestito gli incarichi più alti nell'Urbe,813 mentre, per quanto riguardava le Gallie, Valerio Massimo Basilio aveva gestito la prefettura nel 331-334 e i Neratii avevano aumentato la loro influenza, tramite le nozze di Magnenzio con Giustina. Il matrimonio rafforzò un'alleanza precedentemente stipulata, cioè l'accordo dell'usurpatore con Giusto, il padre della futura imperatrice, e con Graziano seniore. Costoro furono entrambi sostenitori di Magnenzio. Il padre di Valentiniano I avrebbe, a detta di Ammiano (XXX 7, 3), accolto nelle sue proprietà pannoniche l’usurpatore, il che spiegherebbe anche la condotta, abbastanza ambigua, di Vulcacius, fratellastro di Galla, la nonna di Giustina. Giusto, d'altra parte, fu accusato e giustiziato per la sua aspirazione alla porpora, condanna che potrebbe confermare la tesi di quanti pensano a un suo coinvolgimento nell'usurpazione di Magnenzio.814

Nonostante la resistenza dell'aristocrazia senatoria, nel quinquennio 345-350, Costanzo riuscì ugualmente, sebbene con qualche difficoltà, a ribaltare la situazione. Grazie all'accordo con Costantina, Vetranione e, infine, con lo stesso Vulcacio Rufino, l'Augusto riuscì a mantenere, in qualche modo, il controllo dell'Oriente e dell’Illirico. Dopo la vittoria a Mursa, egli seppe sapientemente sfruttare l’influenza di Rufino e recuperare il predominio nelle Gallie. Infine, ormai sicuro del consenso, si liberò di Tiziano, di Gallo e di Rufino stesso.815 Fatto sta che, durante l'usurpazione di Magnenzio, la prefettura romana era stata in mano a un preciso gruppo familiare, i cui membri, Ermogene, Tiziano, Aurelio Celsino, Celsino Adelfio, erano gli avi di Simmaco. Uno dei prefetti, per altro legato a Vulcacio Rufino, fu quel Nerazio Cereale la cui promozione volle essere un precisosegno della volontà di Costanzo nei confronti di Roma. Essa si concretizzò in una sorta di non belligeranza, che fu confermata l'anno seguente, quando alla prefettura giunse Memmio Vitrasio Orfito, proconsole d'Africa, durante la prefettura di Nerazio, e probabile fautore dell’accordo tra Costanzo e il senato, accordo che fu palesato apertamente dal celebre adventus romano di Costanzo, quando ad accoglierlo c'era il prefetto che lui aveva voluto e che gli era stato fedele collaboratore durante l’usurpazione magnenziana.816 Nel momento in cui era stato ricostituito un equilibrio quanto mai delicato, in una città che aveva visto i filocostantiniani schierarsi per Magnenzio e alcuni senatori cristiani avere una condotta ambigua, l’imperatore agì con molta sagacia. Egli decise di cedere sul versante della fede:817 Habetis Liberium, qui qualis a vobis profectus est, melior revertetur. Cedendo alle istanze della matrone romane, che, nel loro splendore,818 gli si fecero incontro per appoggiare il ritorno di Liberio e mostrarono la loro ostilità a mantenere in città anche l’ariano Felice, Costanzo sapeva bene di conquistarsi il favore di importantissimi senatori e delle comunità che a loro facevano riferimento. I membri dell’aristocrazia romana, infatti, non solo, grazie alla loro ricchezza,

rendevano possibile ampliare l’attività caritativa e, con la loro cultura, alimentavano il dibattito religioso, ma, con le loro relazioni, costituivano anche un ottimo agente di mediazione tra la plebs Dei e i clerici, da una parte, e l’imperatore, dall'altra.819 Cereale, ad esempio, certamente accolse con favore la notizia del cesarato di Gallo, suo parente, ma, anche, giudicò senza dubbio positivamente la riammissione di Liberio, il cui raffinato cristianesimo poteva essergli ben accetto così come il progetto architettonico a cui il senatore partecipò, probabilmente donando una parte della domus dei Neratii per la basilica Liberiana e ricostruendone il resto come balnea.820 In realtà, con la sua accondiscendenza, Costanzo sapeva bene di attrarre a sé, insieme con la loro clientela, importantissime famiglie senatorie, legate tra di loro, oltre che da solidarietà di classe e comunanza di fede, 813 Naeratius Cerealis era già prefetto dell'annona nel 329 e appare imparentato con i Vettii e con gli Aurelii Symmachi (Chastagnol, Les Fastes, cit., 136), mentre Valerius Maximus Basilius era stato prefetto urbano nel 319-323 ( PLRE I, 590). 814 Socr. h. e. IV 31; Cfr. Lizzi Testa, Senatori, cit., e infra n. 155. 815 L’ex prefetto delle Gallie fu condannato da Costanzo alla confisca dei beni e, in seguito, anche Rufino cadde in disgrazia, per essere lo zio del crudele e pericoloso Cesare, Gallo. 816 CIL VI 1739-1742. 817 Coll. Avell. 1, 3, 5-6. 818 Thdt. h. e. II 14; minori dettagli in Socr. h. e. II 37 (145 Hansen) e Soz. h. e. IV 11(245 Bidez-Hansen). In merito cfr. L. Cracco Ruggini, “Felix temporum reparatio”: realtà socio-economiche in movimento durante un ventennio di regno (Costanzo II Augusto, 337-361 d.C.), in AA. Vv., L’Église et l'Empire au IVe siècle EFH 34, Genève 1989, 179240.

819 Cfr. le interessanti considerazioni di A. Giardina, Carità eversiva: le donazioni di Melania la giovane e gli equilibri della società tardoantica, StudStor 29, 1988 127-142. 820 Vd. supra 287, n. 106. 160 da saldi legami di sangue e/o amicizia. Nerazio Cereale era stato, infatti, promesso sposo di Marcella, cugina di Pammachio e, per tal via, imparentata con i Furii. Albina, la madre di Marcella, era, in effetti, figlia di Ceionio Rufio Albino e sorella di Volusiano Lampadio; mentre un'altra aristocratica, Melania seniore, discendente da una famiglia spagnola di antico lignaggio, legata a Paolino da Nola, ebbe come sposo Valerio Massimo, come già sottolineato, anche lui legato ai Costantinidi, ai Neratii e a Vulcacio Rufino per parentela, ai Simmachi per amicitia. Coetanei e amici di Pammachio erano Girolamo, Bonoso e Rufino d'Aquileia, i quali portarono a termine i loro studi nella capitale e si lasciarono, a loro volta, sedurre dal cristianesimo raffinato e colto di Liberio.821 A maggior ragione, con la sua disponibilità nei confronti del papa, che non aveva voluto sottoscrivere la condanna di Atanasio e lottava ton l’ariano Felice, Costanzo aveva ottenuto il favore dei cristiani indecisi, come Clodio Celsino Adelfio. Questi, prefetto di Roma per volontà di Magnenzio, nella seconda parte del 351, era zio di Q. Aurelio Simmaco e marito di Betizia Proba, la quale, per discolparlo dinanzi al sovrano, prima del Centone, scrisse probabilmente il Costantini bellum adversus Magnentium. Il prefetto urbano, grazie alla sua parentela con i Probi, futuri dominatori della scena politica, costituiva un perfetto exemplum dell'ambiguità dell'aristocrazia, con la quale Costanzo dovette fare i conti. Le grandi famiglie senatorie instauravano dei legami con le comunità ad esse facenti capo, che travalicavano i motivi puramente economici

e derivavano la loro saldezza anche dalla sfera spirituale, rispondendo ai più profondi bisogni dei correligionari, Proprio l'aspetto religioso rendeva saldo il legame esistente tra i nuovi clienti, le antiche famiglie senatorie e i nuovi padri spirituali. Ambrogio ebbe un seguito vastissimo, ma non avrebbe potuto svolgere il ruolo fondamentale al quale lo consegnò la realtà politica, senza l'appartenenza a una rete di famiglie di primissimo piano, da una parte, e l'appoggio dei vincenti Anici-Probi, dall'altra. *** L'elevazione di Graziano, nel 367, fu l'espressione di un accordo faticosamente raggiunto, in mezzo ai contrasti tra differenti gruppi di pressione, grazie al quale la dinastia dei Valentiniani uscì rafforzata e in grado di esprimere la solidità della maggioranza che si era costituita. Essa si presentava composta da elementi apparentemente eterogenei, formata com'era da ex sostenitori di Giuliano e alleati di Valentiniano, i generali Dagalaifo e Giovino, da funzionari civili come Euprassio e Remigio, che aveva contribuito all'eliminazione di Silvano, da altri “amici” dell’Apostata, come i senatori pagani di Roma e l'aristocrazia gallica più conservatrice, cioé quella degli Ausonii, probabilmente vicina alla famiglia di Giulio Costanzo.822 Emilio Magno Arborio, zio del poeta Ausonio, infatti, trasferitosi alla corte di Costantinopoli e diventato tutore di uno sconosciuto Cesare, sarebbe divenuto, in realtà, la guida spirituale di un figlio di Giulio Costanzo, fratello dell’Apostata. L'accordo comunque raggiunto è testimoniato dalla presenza delle numerose autorità civili e militari che attorniavano Valentiniano, quando Graziano fu presentato all’esercito, conferendo legittimità alla proclamazione del nuovo Augusto:823 Et paratis omnibus militeque firmato, ut animis id acciperet promptis, cum Gratianus venisset, progressus in campum, tribunal escendit, splendoreque nobilium circumdatus potestatum, dextra puerum

apprehensum, productumque in medium, oratione contionaria destinatum imperatorem exercitui commendabat. La nuova maggioranza lavorò anche perché la nomina del giovanissimo principe, di appena otto anni, fosse accettata universalmente e organizzò la grande campagna propagandistica per la spedizione alamannica, adatta a rassicurare le alte gerarchie militari, che avevano in precedenza espresso la candidatura di Severo, il comandante delle forze di fanteria. A livello della militia civile l'opera di convincimento fu portata avanti da 821 Sulla spiritualità dell'aristocrazia romana cfr. P. Brown, The Body and Society. Men Women and Sexual Renunciation of Early Christianity, New York 1988, trad. it., Il corpo e la società. Uomini, donne e astinenza sessuale nei primi secoli cristiani, Torino 1992, 295-308. 822 Vd. supra 277-279. L'ipotesi di H. Sivan, A Forerunner of Ausonius. Notes on Aemilius Magnus Arborius, Ausonius’ Uncle, AHB 2, 1998, 145-149, spec. 147, infatti, che collega Aemilius Magnus Arborius, zio di Ausonio, alla famiglia di Giuliano, ci aiuta a cogliere meglio le possibili connessioni tra questa nobiltà gallica e gli ambienti pagani. Secondo la studiosa, Arborius, maestro prima di grammatica e poi di retorica, avrebbe insegnato a Tolosa, quando nella città soggiornarono i fratelli di Costantino, Dalmazio e Costanzo (Aus. par. V; prof. XVII 13-15). Cfr. anche PLRE I, 98-99.ù 823 Amm. XXVII 6, 5 (V.120 Marié). 161 Euprassio.824 Questi, appena promosso allo scrinium memoriae, al posto di Rustico, fu ulteriormente privilegiato, sì da ottenere la questura sacri palatii. Come trait d'union tra corte e senato si propose, come già detto, Aurelio Simmaco, il quale non si astenne dal ricordare con quale esultanza la curia romana avesse colto la notizia dell’elevazione al trono di un principe quem paene intempestive putabamus electum, mentre riecheggiava topoi del basilikos logos, descritto da Menandro Retore,825 adoperati anche da Euprassio826 e funzionali all'accettazione di un princeps puer come Graziano.

Nel 368 l'oratore era a Treviri, con l'incarico di pronunciare il panegirico per i quinquennalia di Valentiniano e per consolidare l' amicitia con l' élite sostenitrice di Graziano, al cui interno egli contava vecchie conoscenze, avendo avuto lo stesso maestro di Ausonio, non Libanio, come aveva programmato il padre Avianio,827 bensì quel Minervio, con tutta probabilità, da identificare con uno degli ambasciatori alla corte di Valentiniano nel 371, assieme a Pretestato e Venusto. Nel contempo, Simmaco poteva saggiare le reali intenzioni dell’imperatore, che erano destinate a rivelarsi molto presto - e non erano certo benevole nei confronti della factio del senatore che aveva sostenuto Rustico -, ma che, per il 368, rimasero ancora mascherate da una certa disponibilità. Questa benevolentia, appunto, permise all’oratore di visitare anche il teatro delle operazioni belliche, visita destinata a rassicurare la curia romana e a giovare al rafforzamento della dinastia, la cui abilità militare fu propagandata da Avianio Simmaco nella statua della Vittoria del pons Valentiniani.828 Naturalmente l'attacco al gruppo rivale, il cui candidato, il magister peditum Severo, era stato sacrificato, non si fece attendere, Nel corso del 368-369 va collocato il ripudio di Marina Severa, la madre di Graziano, a favore di Giustina, la discendente di Nerazio Cereale e di Vulcacio Rufino, il quale, nonostante l’età avanzata, nel 365, 265, era stato chiamato a sostituire alla prefettura Claudio Mamertino. Verosimilmente, come aveva già fatto per Magnenzio,829 fu l'anziano senatore a suggerire il matrimonio a Valentiniano, a anche se non poté assistervi, essendo deceduto nel 367. Giustina, infatti, come già nel 350 per Magnenzio, era utile a legittimare il regno dei Valentiniani, per la parentela con i Costantinidi, poiché la madre era una delle figlie di Giulio Costanzo e Galla, quindi anche cognata di Costanzo II. Certo il matrimonio con Giustina, per discendenza materna, nipote di Costanzo II, poteva offrire a Valentiniano un legame con i Costantinidi, inviando così un messaggio importante alla nobiltà che aveva sostenuto quella dinastia, ma, nel contempo, lasciava all'imperatore la possibilità di una scelta maggiormente congrua con le proprie convinzioni. Da parte paterna Giustina, infatti, discendeva dai Vettii

Grati, poiché il nonno Vettius Iustus, il cos. del 328, discendeva da quella famiglia.830 I Vettii, a loro volta, erano legati da parentela con i 824 La battuta di Euprassio, familia Gratiani hoc meretur (Amm. XVII 6, 14), fu ripresa da Simmaco or. 13. 825 Cfr. E. Barker, Social and Political Thought in Byzantium, Oxford 1957, 220 ss.; M. Whitby, The Propaganda of Power. The Role of Panegyric in Late Antiquity, Leiden-Boston Köln 1998, 17 ss. e spec. D.A. Russel-N.G. Wilson, Menander Rhetor, Oxford 1981. 826 Symm. or. 13: meruisti quondam, inclite Gratiane, meruisti, ut de te sacra germina pullularent, ut esse seminarium principatus, ut fieres vena regalis. 827 Sull’intenzione di Avianio vd. P. Petit, Les étudiants de Libanius. Un Professeur de Faculté et ses élèves au Bas-Empire, Paris 1957. Il progetto non si realizzò e Aurelio Simmaco ebbe lo stesso maestro di Ausonio, Minervio, a quanto dice egli stesso in ep. IX 88, 3. Cfr. S. Roda, Una nuova lettera di Simmaco ad Ausonio?

(A proposito di Symm. Ep. IX, 88), REA 83, 1981, 273-280. 828 Vd. supra 269. 829 Petr. Patr. frg. 16 ( FHG IV 196 Müller) e Io. Ant. frg. 187 ( FHG IV 609-610 Müller). 830 Cfr. Lizzi Testa, Senatori, cit., 322, inoltre, suppone un'alleanza tra Giusto, il padre di Giustina e Graziano seniore, entrambi sostenitori dell'usurpatore, tanto che il padre di Valentiniano avrebbe, secondo Ammiano (XXX 7, 3), accolto nelle sue proprietà pannoniche Magnenzio, il che spiegherebbe anche la "cautela" di Vulcacius Rufinus, fratellastro di Galla, la nonna di Giustina (vd. supra 298). Seconda la studiosa, inoltre, Graziano seniore (O. Seeck, RE VII/ 2, 1912, 1831; A. Solari, Graziano maior, «Athenaeum» 10, 1932, 160-164; PLRE I, 400-401) potrebbe discendere da un ramo dei Vettii Grati

meno fortunato rispetto a quello di Giusto, sicché si potrebbe comprendere la differenza di valutazione tra Aurelio Vittore ( epit. de Caes. 45, 2: mediocri stirpe) e Ammiano (XXX 7, 2: ignobili stirpe). Cibalae, dove i Valentiniani avevano le loro proprietà (Amm. XXX 7, 2 [VI 91 Sabbah]; Hier. chron ad a. 244; Lib. or. XX 5; Zos. III 36, 3; Philost. h. e. VII 7; Socr. h. e. IV 1; Zon, XIII 15 [III 73 Büttner-Wobst]), inoltre, era un municipio trasformato in colonia severiana, luogo adatto per nobili in difficoltà e in cerca di fortuna (A. Mocsy, Pannonia and Upper Moesia. A history of the Middle Danube Provinces of Roman Empire, London 1974, 143, 255). Del resto, i Nerazi erano originari di Sepino (vd. supra 19, n. 109) e non tutti tra loro potevano vantare il clarissimato. 162 Turranii,831 che, nella seconda metà del IV secolo, si erano imparentati per la seconda volta con gli Anicii, tramite Turrania Anicia Iuliana, moglie di Olibrio e madre di Anicia Faltonia Proba, sposa di Sesto Claudio Petronio Probo. Furono appunto gli Anicii Probi a godere alla fine del consolidamento della dinastia e delle nuove tendenze politiche affermatesi a corte, stabilendo un patto con il diavolo, che, per Ammiano,832 aveva le sembianze di Massimino. La reazione esplose in tutta la sua violenza, come abbiamo per l'appunto sottolineato,833 nel 369, quando l’imperatore affidò ai suoi fedelissimi, Massimino e Leone, il compito di eliminare i più potenti tra i suoi oppositori, tramite i processi di veneficio, adulterio e/o magia, legati al crimen maiestatis. Ancora nel 375, il prefetto della famiglia anicia e Giustina, avendo evidentemente ricostituito, in qualche modo, l'accordo del 369, in opposizione alla politica degli Ausonii-Simmachi, indussero Cereale, il fratello dell'imperatrice, nonché i generali Equizio e Merobaude, a far eleggere Valentiniano II, di appena quattro anni.834 Il figlio maggiore di Valentiniano I, dopo un primo momento di forte perplessità,835 scelse, infine, di venire a patti con i potenti consiglieri del fratellastro,

cioè Probo e i suoi collaboratori, nonché la madre Giustina, sostenuta dalle famiglie dei Nerazi e dei Iunii Rufini, da cui discendeva,836 Nel 376, infatti, sembrò operare un accordo, in base al quale Probo accettò di lasciare la prefettura al pretorio dell'Illirico al padre di Ausonio, mentre Equizio, contemporaneamente, abbandonava il comando delle milizie. Nel frattempo, però, la situazione al confine renano-danubiano destava forti preoccupazioni per le conseguenze potenzialmente destabilizzanti. In effetti, la disfatta epocale di Adrianopoli,837 a causa della sua enorme importanza a livello politico e simbolico, oltre che per la tragica perdita di innumerevoli vite umane, portò a un nuovo assetto politico e a una più ampia cooptazione. La gravità della sconfitta, insieme alla pressione della fazione ispanica, convinse Graziano ad affidare sostanzialmente l'Oriente a un militare, Teodosio iuniore. La decisione, presa dal Consiglio di Sirmio, si rivelò quanto mai opportuna, perché l'uomo prescelto, alla fine, salvò la pars imperii a lui affidata, procurò nuova linfa alla dinastia tramite le nozze con Galla, figlia di Giustina e Valentiniano I, e si trasformó in tutore di Valentiniano II, nel momento in cui I usurpatore 831 Per Chausson, Stemmata aurea, cit., 177, l'anello mancante sarebbe L. Turranius Gratianus, PVR nel 290. 832 Amm. XXVIII 1 ss. (V 155 Marié). 833 Vd. supra 271. 834 Amm. XXX 10, 4 (VI 91 Sabbah); Ruf. h. e. II 12, 2. 835 Socr. IV 31(212 Hansen). 836 Chausson, Stemmata aurea, cit., 182, spiega con la parentela di Neratii e Iunii Rufini, la presenza del cognomen Rufinus sia per Vulcacius che per Neratia Anteia, discendente anch'ella da L. Iunius Neratius Gallus Fulvius Macer. 837 Cfr. J. Straub, Die Wirkung der Niederlage bei Adrianopel auf die Diskussion über das Germanenproblem in der Spätrömische Literatur, «Philologus» 49, 1943, 255 ss. rist. in Id., Regeneratio Imperii. Aufsätze

über Rom, Kaisertum und Reich im Spiegel der heidnischen und christlichen Publizistik, Darmstadt 1972, 195 ss., ma vd. anche W. Judeich, Die Schlacht bei Adrianopel, ZDA 27, 1883, 241 ss., 241 ss.; A. Solari, Il consiglio di guerra ad Adrianopoli nel 378, RFIC 2, 11, 1932, 501-505; K.K. Klein, Zur Vorgeschichte der Schlacht von Adrianopel, AAHG 4, 1951, 189-191; TS. Burns, The Battle of Adrianople: a Reconsideration, «Historia» 22, 1973, 336-345; H. Wolfram, Die Schlacht von Adrianopel, AAWW 114, 1977, 227-250; M. Pavan, La battaglia di Adrianopoli (378) e il problema gotico nell'impero romano, SR 27, 1979, 153-175, con il lavoro già dedicato dallo studioso su La politica gotica di Teodosio nella pubblicistica del suo tempo, Roma 1964, 43 ss. 163

Massimo, dopo aver ucciso Graziano, mostró chiaramente le sue mire nei confronti dell’Occidente.838 Mire che furono parzialmente assecondate e che palesemente traspaiono dalla monetazione costantinopolitana:839

Fig. 2 - Solidus coniato a Costantinopoli. D/ con legenda DN MAXI MUS PF AUS (sic!). R/ con legenda CONCORDI A AUGGG, replicante significativamente coniazioni teodosiane del 378-383. (RIC 9, 224 n. 46). In realtà, Giustina dovette combattere con potentati enormi, quali la Chiesa milanese con il suo vescovo Ambrogio e l’esercito delle Gallie con il suo leader Massimo, l’ adfinis di Teodosio, scontri che le consentirono di essere ricordata dalle fonti più o meno tendenziosamente:840 ᾿Ιουστίνα δὲ ἡ τοῦ βασιλέως Οὐαλεντινιανοῦ μήτηρ τὰ Ἀρειανῶν φρονοῦσα ζῶντος μὲν τοῦ ἀνδρὸς οὐδὲν εἶχεν βλάπτειν τοὺς φρονοῦντας τὸ ὁμοούσιον· ἐπειδὴ δὲ κομιδῇ νέος ἦν ὁ υἱός, καταλαμβάνουσα τὴν Μεδιόλανον ταραχὰς μεγίστας κατὰ τοῦ ἐπισκόπου Außpoolov ἐκίνησεν, εἰς ἐξορίαν αὐτὸν πεμφθῆναι κελεύουσα. Ὡς δὲ ὁ λαὸς ἀντεῖχεν ὑπερβαλλόντως ἀγαπῶν τὸν Ἀμβρόσιον καὶ τοῖς ἕλκειν ἐπὶ τὴν ἐξορίαν σπουδάζουσιν ἀνθίστατο, ἐν τοσούτῳ ἀγγέλλεται, ὅτι Γρατιανὸς δόλῳ τοῦ τυράννου Μαξίμου ἀνήρητο. 838 Cfr. J.-R. Palanque, Sur l'usurpation de Maxime, REA 31, 1929, 3334 e Id., L'empereur Maxime, in Les empereurs romains d'Espagne, Madrid-Italica 13 mars-6 avril 1964, Paris 1965, 254-257. Sul problema cfr.

W. Ensslin, Maximus 33, RE XIV/2, 1930, 2549 e Valentinianus II, ibid., VII A/2, 1948, 2211, approfondito in D. Vera, I rapporti fra Magno Massimo, Teodosio e Valentiniano II nel 382-384, «Athenaeum» 63, n. s., 1975, 267-301. Sugli accordi intervenuti tra Massimo e i legittimi sovrani, cfr. Pac. paneg. XII [2] 30, 1 (III 96 Gallettier); Zos. IV 35-44; Ruf. h. e. II 15; Socr. h. e. V 11(290 Hansen); Chron. Gall. ad a. CCCCLII a. 383 ( MGH AA IX, Chron. Min. I 646, 11). Dall'Africa proviene una testimonianza chiarissima ( CIL VII 27; X 11025 = ILS 787), in cui Massimo figura insieme alla terna degli imperatori legittimi, Valentiniano Teodosio e Arcadio, come in CIL XIV 4410 e 4411. Inoltre, è attestata la coniazione di monete col nome di Massimo in zecche orientali e viceversa (Pierce RIC IX 28-29; 229). Infine, bisogna registrare la presenza di leggi di Massimo nel Codice Teodosiano ( CTh IX 36, 1 del 385; VI 28, 4 del 387). 839 La legenda CONCORDIA AUGUSTORUM e la coniazione a Costantinopoli, indubbiamente, fanno sospettare un riconoscimento da parte di Teodosio, In merito cfr. P. Bastien, Y a-t-il eu un monnayage d'or au nom de Maxime a Constantinople? , CENB 20/3 (July-September 1983), 51-55. 840 Socr. h. e. V 11 (292 Hansen). Nel confronto con Ambrogio, Giustina viene ricordata nella sua perdizione, diversamente dall'immagine fornita nel libro precedente da Socrate, che ne fa l’anello di congiunzione benedetta tra Teodosii e Valentiniani. Per la “cattiva stampa” negli altri due “sinottici” e, ovviamente, da parte di Ambrogio, vd. infra 313 ss. 164 Concetta Molè ha dedicato un’acuta analisi841 alla novella, che ha per protagonista Giustina, presente nella Historia ecclesiastica del costantinopolitano Socrate. Dall’attento esame della studiosa sono emersi interessanti spunti di riflessione, grazie al confronto con la novella su Gige e Candaule di Erodoto, che funse da modello di

riferimento per molti e, senza dubbio, anche per lo storico ecclesiastico piü legato alla tradizione. Il conservatorismo culturale, appunto, fece sì che Socrate tendesse a indicarci il vero attraverso immagini allusive,842 ma non certo menzognere. Egli, ai lettori più attenti, voleva svelare la verità più segreta, una verità “metafisica”. Lo scoprire il “vero” attraverso l’“immaginato” rese la sua historia un histoire merveilleuse,843 in grado di illuminare la realtà concreta:844 Οὐαλεντινιανῷ ἐγεγόνει οὗτος (Valentiniano II) ἐξ Ἰουστίνης, ἥν ἐπέγημεν ζώσης αὐτοῦ τῆς προτέρας γυναικὸς Σευήρας δι’ αἰτίαν τοιάνδε. Ἰοῦστος ὁ τῆς Ἰουστίνης πατήρ… εἶδεν ὄναρ, ὡς ἐκ τοῦ δεξιοῦ μηροῦ ἁλουργίδα βασιλικὴν ἀπεκύησε. ὁ δὲ (Costanzo ΙΙ)… ἀναιρεῖ τὸν Ἰοῦστον. Ἢ δὲ αὐτοῦ θυγάτηρ Ἰουστίνα… τῇ γαμετῇ τοῦ βασιλέως Οὐαλεντινιανοῦ Σευήρᾳ. γνωρίμη καθίσταται… Ὡς οὖν εἶδεν {αὐτὴν} λουομένην τὴν ᾿Ιουστίναν ἡ Σευήρα, ἠράσθη τοῦ κάλλους τῆς παρθένου, καὶ πρὸς τὸν βασιλέα διεξήει περὶ αὐτῆς… Ὁ δὲ βασιλεὺς… ἀγαγέσθαι τὴν Ἰουστίναν ἐβουλεύσατο, μὴ ἐκβαλὼν τὴν Σευήραν… Καὶ ὁ μὲν νόμος προέκειτο, ὁ δὲ ἄγεται τὴν ᾿Ιουστίναν, ἀφ᾽ ἧς αὐτῷ γίνεται Οὐαλεντινιανός τε ὁ νέος καὶ θυγατέρες τρεῖς, Ἰούστα Γράτα Γάλλα… Γάλλαν δὲ ὕστερον βασιλεὺς ἔγημεν Θεοδόσιος ὁ μέγας. La verità era - ed è -, dunque, percepibile non solo dalla scelta degli elementi immaginifici, ma anche dalla sequenza delle scene. La coerenza interna della novella, voluta e attentamente cercata da Socrate, aveva una suo preciso intento, il cui significato è stato individuato da Concetta Molè.

La peculiare collocazione della novella, non nell'anno delle nozze, dove sarebbe stato logico inserirla, ma al momento della morte di Valentiniano I, infatti, appare funzionale all'esaltazione della nuova dinastia dei Valentiniani-Teodosii. Una simile attività di propaganda fu sostenuta certamente da Teodosio II, soprattutto in occasione del ritorno in Occidente della zia Galla Placidia e del cugino Valentiniano III, di cui, nelle pagine precedenti (fig. III 8), è stato riprodotto il solidus. La moneta, che al rovescio presenta un serpente dalla testa umana schiacciata da Valentiniano, intendeva senza dubbio condannare il diabolico usurpatore Giovanni, ma, soprattutto, esaltare la vittoria dell'imperatore d'Oriente e della sua casata, che aveva riportato sul trono Galla Placidia e il figlio, circostanza che faceva presagire il controllo costantinopolitano anche sulla parte occidentale dell'impero.845 In funzione dell'esaltazione della dinastia dei Valentiniani-Teodosii, poi, sono costruiti i personaggi di Valentiniano e di Giustina. L’uno appare pio imperatore, che non può commettere né il peccato di orgoglio, attribuibile a Candaule, né quello di profanazione, compiuto da Gige,846 all'interno della celebre novella erodotea. L'altra appare come vergine e orfana puella, dunque per nulla in grado di comprendere, tanto meno di affrontare, gli avvenimenti che la sovrastano. L'unica colpevole appare Marina Severa, che si infatua della giovane donna e spinge il marito al peccato, molto probabilmente perché l'accordo, stipulato al momento della proclamazione del figlio Graziano, ormai per i sostenitori non era più soddisfacente. La giovane pupilla dei Nerazi - la cui bellezza, nel racconto di Socrate, emerge dalle terme, come alle terme era legata la fama dell'avo e con esse si identificava la domus e la euergesia della famiglia - non era solo più appetibile, ma 841 Molè Ventura, Storia e narrativa nelle storie ecclesiastiche, cit., 802 ss. 842 Cfr. M. Mazza, Il vero e l'immaginato. Profezia, narrativa e storiografia nel mondo romano, Roma 1999, il quale ha messo in evidenza le contraddizioni che la contiguità della storiografia con la profezia e la narrativa comportava, trovando una spiegazione nella

mancanza di uno statuto teoretico forte e nelle contraddizioni sociali e culturali dei ceti produttori e fruitori della cultura storiografica. Sul tema vd. la dettagliata discussione di C. Molè in «Orpheus» 24, 2003, pp. 305-316. Vd. anche il fondamentale contributo di A. Momigliano, L'età del trapasso tra storiografia antica e storiografia medievale (320-550 d. C.), in La storiografia altomedievale. XII Settimana di Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto 10-16 aprile 1969), Spoleto 1970, 106 s.; e le sempre valide riflessioni di Av. Cameron, Introduction, e di M.J. Wheeldon, True Stories: the Reception of Historiography in Antiquity, in History as Text. The Writing of Ancient History, London 1990, risp. 110 e 33-64. Vd. in merito anche infra 329 ss. 843 Sul merveilleux come caratteristica della storiografia ecclesiastica vd. le interessanti riflessioni di Cracco Ruggini, The Ecclesiastical Histories and the Pagan Historiography, cit., 107-126. 844 Socr. h. e. IV 31 ss. (212 Hansen). 845 Cfr. F. Elia, Valentiniano III, Catania 1999, 9 ss. 846 Vd. infra 340 ss. 165 anche più utile al gruppo dei Pannonii per indebolire l'ala conservatrice del senato, guidata dai Simmachi. Ella meglio rappresentava la volontà politica della famiglia emergente dei Probi, che, alla fine, aveva stretto un patto d’acciaio con i militari, tra cui, erano, tra l'altro, anche i parenti di Giustina. Infatti il padre Giusto aveva collaborato, a favore di Magnenzio, con Graziano seniore, comes Britannia e originario dalla Pannonia. Il fratello, dal canto suo, aveva vissuto, con il pannonio Lucilliano, comes rei militaris in Oriente, la tragedia della spedizione persiana, condotta da Giuliano e, con Vittore e Saluzio, aveva fatto parte della fazione pacifista, schierandosi per l'ignobile trattato del 364,847 firmato dall'imperatore Gioviano, anche lui appartenente all' élite militare pannonica. Non può

essere certo considerato un caso che, nel racconto ammianeo,848 venga richiamato il generalissimo Merobaude,849 già comandante giulianeo e quindi magister peditum praesentalis di Valentiniano I, per favorire l'elezione del puer Valentiniano e che, insieme a lui, ci fossero il magister Equizio, un Pannonio ed ex pretendente al trono, e il fratello di Giustina, Costanzo Cereale, che recitavano la loro parte, con la regia di Sesto Claudio Petronio Probo. Del resto anche Socrate testimonia la coalizione:850 οἱ κατὰ τὴν Ἰταλίαν στρατιῶται Οὐαλεντινιανὸν νέαν ἄγοντα ἡλικίαν βασιλέα ἀνηγόρευσαν. Diversamente dallo scolastico, gli altri due “sinottici”851 accentuano l'aspetto negativo di Giustina, sottolineandone l'opposizione alle loro convinzioni religiose, più radicalmente vissute rispetto a Socrate. Nel racconto di Teodoreto la sovrana è subito identificata con l’ apate, l'inganno. Esso è perpetrato sia nei confronti del marito, al quale non rivela la sua fede ariana, sia nei confronti del figlio, che cerca di plagiare e di spingere allo scontro con Ambrogio, «araldo di verità»:852 Κατ’ ἐκεῖνον δὲ τὸν χρόνον Ἰουστίνα, ἡ Βαλεντινιανοῦ μὲν τοῦ μεγάλου γαμετή, τοῦ δὲ νέου μήτηρ, ἃ πάλαι τῆς Ἀρειανικῆς διδασκαλίας ἐδέξατο σπέρματα δῆλα πεποίηκε τῷ παιδί. τοῦ μὲν γὰρ ὁμόζυγος τὸ θερμὸν ἐπισταμένη τῆς πίστεως, λαθεῖν ἅπαντα τὸν χρόνον ἐσπούδασε· τοῦ δὲ παιδὸς τὸ τῶν φρενῶν ἁπαλὸν καὶ εὔεικτον θεωμένη προσενεγκεῖν τὴν ἐξαπάτην ἐθάρρησεν… (Valentiniano) οἷα δὴ νέος καὶ παρὰ μητρὸς ἠπατημένης θηγόμενος, οὐ μόνον οὐ προσίετο τὰ λεγόμενα, ἀλλὰ καὶ θυμοῦ πλήρης ἐγίγνετο καὶ λόχοις

ὁπλιτῶν τε καὶ πελταστῶν τοὺς ἐκκλησιαστικοὺς περιβόλους ἐκύκλου. Desta meraviglia il fatto che i “sinottici” abbiano collocato gli scontri, avvenuti a Milano, subito dopo la morte di Graziano, senza descrivere le complesse trattative con l’usurpatore, tentate da Ambrogio, ma, ancora un una volta, dobbiamo cercare di decodificare il messaggio tramandatoci, piuttosto che gridare allo scandalo. In effetti, collocare l'episodio della contesa con il vescovo immediatamente dopo la morte dell’imperatore significava esperire il tentativo di svelare i motivi della politica matrimoniale valentinianea, nonché le ragioni della scelta di Giustina come nuova imperatrice e, soprattutto, nell'ottica degli ultimi due storici ecclesiastici, sottolineare l'errore commesso da Valentiniano I. Secondo il loro punto di vista, infatti, l'elevazione di Giustina era destinata a mettere in pericolo la dinastia dei Valentiniani poiché il princeps, οἷα δὴ νέος, in quanto puer, era facile preda della madre, sì da abbandonare, per difenderla, l' eusebeia paterna:853 Υπὸ δὲ τοῦτον τὸν χρόνον ἠσχολημένῳ Γρατιανῷ εἰς τὸν πρὸς Ἀλλαμανοὺς πόλεμον ἐπανέστη Μάξιμος ἐκ τῆς Βρεττανίας καὶ ὑφ᾽ ἑαυτὸν τὴν Ῥωμαίων ἀρχὴν ποιεῖν ἐσπούδαζεν. ἐν Ἰταλίᾳ δὲ τότε διέτριβεν Οὐαλεντινιανὸς ἔτι νέος ὥν· ἐπετέτραπτο δὲ τῶν τῇδε πραγμάτων τὴν διοίκησιν ὕπαρχος ὤν Πρόβος, ὑπατικὸς ἀνήρ· ἡνίκα δὴ ᾿Ιουστίνα ἡ τοῦ βασιλέως μήτηρ τὰ Ἀρείου φρονοῦσα πράγματα παρεῖχεν Ἀμβροσίῳ τῷ ἐπισκόπῳ Μεδιολάνου καὶ τὰς ἐκκλησίας ἐτάραττεν, ἐπιχειροῦσα νεωτερίζειν κατὰ τῶν ἐν Νικαίᾳ δοξάντων καὶ περὶ πολλοῦ ποιουμένη κρατεῖν τὴν πίστιν τῶν ἐν Ἀριμήνῳ συνεληλυθότων. ἐπεὶ δὲ

τοὐναντίον ἐσπούδαζεν Ἀμβρόσιος, χαλεπήνασα διαβάλλει αὐτὸν πρὸς τὸν υἱὸν ὡς ὑβρισμένη. ὑπολαβὼν δὲ 847 Cfr. Mazza, Cultura guerra diplomazia, cit., 144. 848 Amm. XXX 10 (VI 90 Sabbah), confermato da Socr. h. e. IV 31, 7 (212 Hansen). 849 Sul ruolo di Merobaude e sull'accordo dell'esercito giulianeo nell'elezione di Valentiniano, cfr. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 136 s. 850 Socr, h. e. V 31 (301 Hansen). 851 Su questa definizione di Socrate, Sozomeno e Teodoreto cfr. Leppin, Vom Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 140 ss. 852 Thdt. h. e. V 13. 853 Soz. h. e. VII 13, 1 ss. (345 Bidez-Hansen). 166 Οὐαλεντινιανὸς ἀληθεῖς εἶναι τὰς διαβολάς, ἅτε δὴ μητρὶ τιπωρῶν πλῆθος στρατιωτῶν ἐπιπέμπει τῇ ἐκκλησίᾳ. Una simile opzione era molto pericolosa, poiché alienava al nuovo imperatore il favore popolare e sicuramente rendeva ostile la Chiesa:854 …οἱ δὲ (i militari) τῷ ναῷ προσβαλόντες βίᾳ τῶν θυρῶν ἐντὸς ἐγένοντο καὶ τὸν Ἀμβρόσιον εἷλκον αὐθωρὸν εἰς ὑπερορίαν ἄξοντες. περιχυθέντες δὲ αὐτῷ τὸ πλῆθος τῆς ἐκκλησίας ἀντέσχον τοῖς στρατιώταις καὶ πρότερον ἔγνωσαν ἀποθανεῖν ἢ τὸν ἱερέα

ὑπεριδεῖν. ἐκ τούτου δὲ εἰς μείζονα ὀργὴν ᾿Ιουστίνα ἐξήφθη… La politica di Valentiniano II, in definitiva, avrebbe favorito le mire del comes Massimo e, praticamente, avrebbe causato la cessione del regno d'Occidente da parte della dinastia regnante. L'usurpatore, infatti, si si atteggiava a difensore dell’ortodossia e su questa faceva leva, per ottenere piena legittimazione delle sue pretese:855 Χρόνου δὲ συχνοῦ τριβομένου, μεμάθηκε μὲν ὁ Μάξιμος τὰ κατὰ τοῦ μεγαλοφώνου κήρυκος τῆς ἀληθείας τολμώμενα, ἐπέστειλε δὲ τῷ Βαλεντινιανῷ, τὸν κατὰ τῆς εὐσεβείας πόλεμον καταλῦσαι παρεγγυῶν καὶ παραινῶν μὴ προέσθαι τὴν πατρῴαν εὐσέβειαν. προστέθεικε δὲ καὶ τοῦ πολέμου τὴν ἀπειλὴν εἰ μὴ πείθοιτο, καὶ μέντοι καὶ τοῖς λόγοις τὸ ἔργον ἐπέθηκε. τὴν γὰρ στρατιὰν ἀγείρας ἐπὶ τὴν Μεδιόλανον ὥρμησεν ἔνθα ἐκεῖνος διῆγεν. ὁ δὲ μαθὼν τὴν ἔφοδον εἰς Ἰλλυρίους ᾧχετο φεύγων, τῇ πείρᾳ μαθὼν τίνων ἐκ τῆς μητρῴας ἀπώνατο συμβουλῆς. Soprattutto Teodoreto856 si servì del confronto tra le due politiche, per esaltare la saggezza di Teodosio, il vero erede dei Valentiniani. Questi avrebbe incontrato Valentiniano II a Tessalonica e lo avrebbe opportunamente rimproverato di aver abbandonato l’unico vero aiuto, cioè la fede ortodossa. Solo essa, per lo storico ecclesiastico, poteva perpetuare il patto tra il basileus terrestre e il megas basileus e, solo essa, di certo, poteva assicurare protezione da qualsiasi attacco:857 Πυθόμενος δὲ Θεοδόσιος ὁ πανεύφημος βασιλεὺς τά τε παρὰ τοῦ βασιλέως πραχθέντα καὶ τὰ παρὰ τοῦ τυράννου γραφέντα, ἔγραψε τῷ πεφευγότι νέῳ μὴ χρῆναι θαυμάζειν, εἰ τῷ μὲν βασιλεῖ τὸ δέος, τῷ δὲ

τυράννῳ τὸ κράτος συνέζευκται· τῇ γὰρ εὐσεβείᾳ πεπολέμηκε μὲν ὁ βασιλεύς, ὁ δὲ τύραννος ἐπεκούρησε. καὶ ὁ μὲν ταύτην προέμενος ἀποδιδράσκει γυμνός, ὁ δὲ ταύτῃ καθωπλισμένος τοῦ γεγυμνωμένου κρατεῖ· τῇ γὰρ εὐσεβείᾳ καὶ ὁ ταύτης σύνεστι νομοθέτης. Grazie alla propria eusebeia e non per la sua disponibilità a imparentarsi con i Valentiniani, secondo il vescovo di Kyrrhos, Teodosio I rappresentava il vero erede della precedente dinastia regnante. Sebbene a prezzo di una plateale penitenza, egli ottenne la benedizione di Ambrogio, insieme al sostegno della sancta plebs, impresa che non riuscì né a Giustina né al figlio. Anche se Teodoreto contribuì di certo a collegare l'imperatrice con l' apate, simbolo di una scelta religiosa sbagliata e perniciosa, in realtà, egli non colse, in tutta la sua complessità, l'operazione tentata da Ambrogio. Il vescovo mediolanense, interpretando, nella sua interezza, la tradizione biblica, aveva fatto della sovrana il paradigma, assolutamente negativo, della dissolutezza, contenitore di ogni malvagità, strumento del diavolo, come nell Apocalisse era stato annunciato alla chiesa di Tiatira.858 Ma ho alcune cose contro di te: tu permetti a quella donna Iezabel, che si dice profetessa, di insegnare e di sedurre i miei servi inducendoli a fornicare e a mangiare cose sacrificate agli idoli. 854 Soz. h. e, VII 13, 4 (346 Bidez-Hansen). 855 Thdt. h. e. V 14. 856 Thdt. h. e. V 15. 857 Vd. supra 17 ss.

858 Apoc. 2, 20, dove l'emblematica profetessa appare collegata alla regina d’Israele e la sua eresia è riferita sia al cibarsi della carne riservata agli idoli, sia alla trasgressione morale. Ma quello che più conta è il legame sempre presente tra la coppia concettuale, attinente alla sfera religiosa, di ortodossia/eresia e quella di fedeltà/infedeltà coniugale, pertinente alla sfera morale. 167 Avvalendosi di una tecnica antica, ma con nuovi riferimenti, Ambrogio trasformò l'imperatrice Giustina in una nuova emblematica Gezabele, se stesso in Elia o nel successore, Eliseo, baluardi della vera fede, dalla forte valenza simbolica.859 Riprendendo l'Apocalisse, già Tertulliano, nel De pudicitia (19, 2), aveva contribuito a rendere la regina di Sidone emblema della negatività al femminile, modello luciferino meglio definito nel De ieunio adversus Psychicos.860 Sul versante della scelta religiosa, piuttosto che in riferimento alla sessualità peccatrice, il paradigma fu ripreso anche da Origene.861 In questa prospettiva è presentata, naturalmente, anche da Lucifero Cagliaritano, nella sua polemica contro Costanzo II:862 … deprecamur te, Constanti, ne adhuc in his tuis malis digneris demorari, sed magis emergas a turbinibus diaboli, ne illa comprehendant te mala quae Achab et Iezabel. Parimenti, Cromazio insisteva sull'errore della sacrilega Gezabele:863 In Helia qui persecutionem a Iezabel passus est, typus domini ostendebatur, qui persecutionem profanae mulieris synagogae sustinuit. La medesima opinione esprimeva Sulpicio Severo:864

...namque Iezabel filia Basae regis ex Sidone in matrimonio accepta Bahali idolo aram lucosque constituit, prophetas Dei interemit.

Molto più drastico e ostile, invece, suonava il giudizio di Gerolamo:865

…primae interpretationi ille fluxus contrarius est, qui significatur in vocabolo lezabel, id est fluxus vanus, vel fluxus menstruatae qui utique manifeste immunditiam sonat… e ancora: … in loco, quo linxerunt canes sanguinem Nabuthae, ibi lingent sanguinem tuum et Iezabel canes comedent ante muros Hiezrael. Ambrogio si inseriva, dunque, all’interno di una tradizione ormai consolidata, sulla quale egli probabilmente aveva riflettuto parecchio, e della quale accettava la simbologia, che trasmetteva l'aspetto manipolatorio e seduttivo, in senso lato, dell'identità di Iezabel, come la forte sessualità, del tutto alternativa alla castità mariana. La donna era stata identificata, infatti, da Gerolamo, come abbiamo sottolineato, con il fluxus vanus menstruatae, che anche la vergine pagana Ipazia consideró fulcro della propria sessualità femminile, ma fenomeno immondo, di cui gettó le prove contro un suo pretendente, rifiutandolo e rifiutandola, poiché un essere puro non poteva essere sfiorato dall'impurità.866 859 Giustina è adombrata nella peccatrice Iezabel in Ambr. ep. XX 18 ( PL XVI 999=76 CSEL 82, 3, 118), mentre l'esempio di Elisco (2 Reg. 8, 23), già sfruttato da Atanasio ( v. Ant, 91, 88), è utilizzato a più livelli poiché il profeta non solo il successore legittimo di Elia, ma anche il consigliere di re potenti e, inoltre, il castigatore di coloro che offendono l’autorità del clero ( c. Aux., PL XVI 1010=75a CSEL 82, 3, 88-89). 860 CSEL 282, 21. 861 Rufin. Orig. in psalm. XXXVI hom. 1, 2. 862 Luc. Cal. quia absentem nemo debet iudicare nec damnare 1, 18. 863 Sermo 25, 65.

864 Chron. I 43, 1. 865 In Agg. 1, 98; ep. 56, 122. In altre opere, invece, il santo ne condanna l’idolatria e l'avidità senza troppo infierire. 866 Era il principio platonico ( Phd. G7 b) del μὴ καθαρῷ καθαροῦ ἐφάπτεσθαι μὴ θεμιτὸν ᾖ, assunto dalla filosofa, che non solo l'avvicinava, ma, anche, la rendeva in grado di battersi con i modelli comportamentali proposti dalla nuova religione (Rist. Hypatia, cit., 221225; Beretta, Ipazia, cit., 115, 123 ss.; Lacombrade-Aoujoulat, Hypatie, cit., 41 ss.). 168 Sulla reazione, vuoi di difesa vuoi di repulsione, nei confronti degli aspetti complementari della personalità, fortemente connotata, della moglie di Achab, si basò la propaganda del vescovo, messa in atto a difesa della Chiesa:867 Quoniam in omnibus fere epistolis sollicite quaeris de Ecclesia, accipe quid agatur. Postridie quam accepi litteras tuas, quibus significaveras quod te exagitarent somnia tua, moles inquietudinum gravium coepit moveri. Nec iam Portiana, hoc est, extramurana basilica petebatur, sed basilica nova, hoc est, intramurana, quae maior est. Convenerunt me primo principes virtutum viri, comites consistoriani, ut et basilicam traderem, et procurarem, ne quid populus turbarum moveret. Respondi quod erat ordinis, templum Dei a sacerdote tradi non posse. Acclamatum est sequenti die in Ecclesia: etiam praefectus eo venit; coepit suadere vel ut basilica Portiana cederemus. Populus reclamavit. Ita tunc discessum est, ut intimaturum se imperatori diceret. Sequenti die, erat autem Dominica, post lectiones atque tractatum, dimissis catechumenis, symbolum aliquibus competentibus in baptisteriis tradebam basilicae. Illic nuntiatum est mihi comperto quod ad Portianam basilicam de palatio decanos misissent, et vela suspenderent, populi partem eo pergere. Ego tamen mansi in munere, missam facere coepi. Dum offero, raptum cognovi a populo Castulum quemdam, quem presbyterum dicerent Ariani. Hunc autem in platea

offenderant transeuntes. Amarissime flere, et orare in ipsa oblatione Deum coepi, ut subveniret, ne cuius sanguis in causa Ecclesiae fieret: certe ut meus sanguis pro salute non solum populi, sed etiam pro ipsis impiis effunderetur. Quid multa? Missis presbyteris et diaconibus, eripui iniuriae virum. Condemnationes illico gravissimae decernuntur: primo in corpus omne mercatorum. Itaque sanctis diebus hebdomadis ultimae, quibus solebant debitorum laxari vincula, stridunt catenae, imponuntur collo innocentium, exiguntur ducenta pondo auri infra totum triduum. Respondent aliud se tantum aut duplum, si peterentur, daturos, dummodo servarent fidem. Erant pleni carceres negotiatoribus. Palatina omnia officia, hoc est, memoriales, agentes in rebus, apparitores diversorum comitum temperare a processu iubentur, specie qua seditioni interesse prohibebantur: honoratis multa minabantur gravissima, nisi basilicam traderent. Fervebat persecutio: ac si aperuissent portam, prorupturi in omne facinus videbantur. Convenior ipse a comitibus et tribunis, ut basilicae fieret matura traditio, dicentibus imperatorem iure suo uti, eo quod in potestate eius essent omnia. Respondi, si a me peteret, quod meum esset, id est, fundum meum, argentum meum, quidvis huiusmodi meum, me non refragaturum; quamquam omnia quae mei sunt, essent pauperum: verum ea quae sunt divina, imperatoriae potestati non esse subiecta. Si patrimonium petitur, invadite: si corpus, occurram. Vultis in vincula rapere? vultis in mortem? voluptati est mihi. Non ego vallabor circumfusione populorum, nec altaria tenebo vitam obsecrans, sed pro altaribus gratius immolabor. Horrebam quippe animo, cum armatos ad basilicam Ecclesiae occupandam missos cognoscerem; ne dum basilicam vindicant, aliqua strages fieret, quae in perniciem totius vergeret civitatis. Orabam ne tantae urbis vel totius Italiae busto superviverem. Detestabar invidiam fundendi cruoris, offerebam iugulum meum. Aderant Gothi tribuni, adoriebar eos, dicens: Propterea vos possessio Romana suscepit, ut perturbationis publicae vos praebeatis ministros? Quo transibitis, si baec deleta fuerint?

Exigebatur a me, ut compescerem populum. Referebam in meo iure esse, ut non excitarem: in Dei manu, uti mitigaret. Postremo si me incentorem putaret, iam in me vindicari oportere, vel abduci me in quas vellet terrarum solitudines. His dictis, illi abierunt: ego in basilica veteri totum exegi diem. Inde domum cubitum me recepi, ut si quis abducere vellet, inveniret paratum. Ante lucem ubi pedem limine extuli, circumfuso milite occupatur basilica. Idque a militibus imperatori mandatum dicitur, ut si prodire vellet, haberet copiam; se tamen praesto futuros, si viderent eum cum catholicis convenire: alioquin se ad eum coetum, quem Ambrosius cogeret, transituros. Prodire de Arianis nullus audebat; quia nec quisquam de civibus erat, pauci de familia regia, nonnulli etiam Gothi. Quibus ut olim plaustra sedes erat, ita nunc plaustrum Ecclesia est. Quocumque femina ista processerit, secum suos omnes coetus vehit. Circumfusam basilicam esse gemitu populi intellexi: sed dum leguntur lectiones, intimatur mihi plenam populi esse basilicam etiam novam: maiorem videri plebem, quam cum essent omnes liberi: lectorem efflagitari. Quid plura? Milites ipsi, qui videbantur occupasse basilicam, cognito quod praecepissem, ut abstinerentur a communionis consortio, ad conventum hunc nostrum venire coeperunt. Quibus visis, turbantur mulierum animi, proripit se una. Ipsi tamen milites se ad orationem venisse, non ad praelium loquebantur. Clamavit aliqua populus. Quam moderate, quam constanter, quam fideliter poscebat, ut ad illam pergeremus basilicam! In illa quoque basilica fertur quod populus praesentiam flagitabat meam. Tunc ego bunc adorsus sermonem sum: Audistis, fili, librum lob legi, qui solemni munere est decursus et tempore. Scivit ex usu hunc librum etiam diabolus intimandum, quo virtus omnis suae tentationis aperitur et proditur; et ideo se hodie motu majore concussit. Sed gratias Deo nostro, qui vos ita firmavit fide atque patientia. 867 Ambr. ep. XX 1-22. Le frasi in grassetto sono quelle a cui si fa particolare riferimento nel commento.

169 Unum Iob miraturus ascenderam, omnes Iob quos mirarer, inveni. In singulis vobis Iob revixit, in singulis sancti illius patientia et virtus refulsit. Quid enim praesentius dici potuit a christianis viris, quam id quod hodie in vobis Spiritus sanctus est locutus? Rogamus, Auguste, non pugnamus: non timemus, sed rogamus. Hoc christianos decet, ut et tranquillitas pacis optetur, et fidet veritatisque constantia nec mortis revocetur periculo. Est enim praesul Dominus, qui salvos faciet sperantes in se. Sed veniamus ad propositas lectiones. videtis diabolo temptandi licentiam dari, ut boni probentur. invidet iniquus bonis profectibus; temptat diversis modis. temptavit sanctum Iob in patrimonio, temptavit in filiis, temptavit in dolore corporis. fortior in suo corpore temptatur, infirmior alieno. et mihi meas divitias, quas in vobis habeo, volebat auferre, et boc tranquillitatis vestrae patrimonium dissipare cupiebat. Vos quoque ipsos mihi bonos filios gestiebat eripere, pro quibus ego quotidie instauro sacrificium; vos ruinis quibusdam publicae perturbationis conabatur involvere. duo igitur iam genera temptationis excepi. et fortasse quia infirmiorem me dominus Deus novit, adbuc in corpus meum non dedit potestatem. etsi ipse cupiam, etsi offeram, adbuc me fortasse huic certamini imparem iudicat et diversis exercet laboribus. nec lob ab isto coepit certamine, sed in hoc consummavit. Temptatus est autem Iob nuntiis coacervatis malorum temptatus est etiam per mulierem, quae ait: «dic aliquod verbum in Deum et morere.» videtis, quanta subito moveantur: Gothi, arma, gentiles, multa mercatorum, poena sanctorum. advertitis, quid iubeatur, cum mandatur: «trade basilicam» - hoc est: «dic aliquod verbum in Deum et morere. nec solum dic adversus Deum, sed etiam fac adversus Deum.» mandatur: «trade altaria Dei.». Urgemur igitur praeceptis regalibus, sed confirmamur scripturae sermonibus, quae respondit: «tamquam

una ex insipientibus locuta es.» non mediocris igitur ista temptatio: namque asperiores temptationes has esse cognovimus, quae fiunt per mulieres. denique per Evam etiam Adam supplantatus est eoque factum, ut a mandatis caelestibus deviaret. quo errore cognito praevaricatricis conscientiae reus latere cupiebat, sed latere non poterat, et ideo ait ei Deus: «Adam, ubi es?» hoc est: quid eras ante, ubi nunc esse coepisti; ubi te constitueram, quo ipse transgressus es? agnoscis esse te nudum, quia bonae indumenta fidei perdidisti. folia sunt ista, quibus nunc velare te quaeris. repudiasti fructum, sub foliis legis latere cupis, sed proderis. recedere a domino Deo tuo propter unam mulierem desiderasti; propterea fugis, quem videre quaerebas. cum una muliere te abscondere maluisti, relinquere speculam mundi, incolatum paradisi, gratiam Christi. Quid dicam, quod etiam Eliam Iezabel cruente persecuta est, quod Ioannem Baptistam Herodias fecit occidi? singulae tamen singulos; mihi quo minora longe merita, eo temptamenta graviora. virtus infirmior, sed plus periculi. succedunt sibi mulierum vices, alternantur odia, commenta variantur, seniores conveniuntur, praetexitur regisiniuria, quae ratio igitur est adversus hunc vermiculum gravioris temptationis, nisi quia non me, sed ecclesiam persequuntur? Mandatur denique: «trade basilicam.» respondeo: «nec mihi fas est tradere, nec tibi accipere, imperator, expedit. domum privati nullo potes iure temerare, domum Dei existimas auferendam?» allegatur imperatori licere omnia, ipsius esse universa. respondeo: «noli te gravare, imperator, ut putes te in ea, quae divina sunt, imperiale aliquod ius babere. noli te extollere, sed si vis diutius imperare, esto Deo subditus. Scriptum est: quae dei deo, quae Caesaris Caesari. Ad imperatorem palatia pertinent, ad sacerdotem ecclesiae. publicorum tibi moenium ius commissum est, non sacrorum.» iterum dicitur mandasse imperatorem: «debeo et ego unam basilicam habere.» respondi: «non tibi licet illam habere. quid tibi cum adultera? adultera est enim, quae non est legitimo Christi coniugio copulata.» Nella sua famosa epistola alla sorella, la prima azione messa in evidenza da Ambrogio è la forte pressione esercitata su di lui;

vediamo così sfilare, dinanzi al vescovo, le autorità militari, i magistri utriusque militiae e i tribuni, quelle civili, nella persona dei comites consistorii con i loro leader, il prefetto al pretorio, insieme con i loro funzionarii, notarii, agentes e decani. Queste autorità sono inviate dalla coppia imperiale per convincere il prelato, ma anche per minacciarlo, come fa il praefectus sacri cubiculi, e per tentare, tramite il vescovo, di intimidire il popolo, rappresentato dalle classi meno abbienti, ma anche dai mercanti, pesantemente multati. La società mediolanense appare nettamente divisa in due blocchi contrastanti, vicini a cozzare, se non fosse per l'abilità del vescovo, in grado di pilotare il consenso di una parte dei militari, convinti a schierarsi contro le milizie gotiche e ariane. Queste ultime, poi, sono descritte in modo tale da sottolinearne l'estraneità e il particolare legame con l'imperatrice, a loro assimilata nell'alterità, in questo caso rifiutata dal vescovo cristiano, in quanto pericolosa nemica della Chiesa e del suo clero. La visione negativa di Giustina, per altro innominata, è enfatizzata dalla sua identificazione con l’incarnazione del typus Evae, della prescelta dal diavolo. Asperiores temptationes has esse cognovimus, quae fiunt per mulieres…, con questa affermazione apodittica indimostrabile e indimostrata, il vescovo si apre la via alla caratterizzazione della maligna perfidia 170 dell'imperatrice, in cui si uniscono, nella volontà di annientare Ambrogio e la sua Chiesa, i due paradigmi biblici, direttamente discendenti dall'archetipo luciferino al femminile: Iezabel ed Erodiade. Se nella prima, come abbiamo già visto, poteva essere esemplificata la capacità di coinvolgere l’imperatore, novello Achab, nella propria scelta religiosa, e poteva essere rivelata la pervicacia nella prevaricazione e nell'illegale ostinazione di appropriazione, dalla seconda poteva meglio trasparire la crudeltà della contesa e la serietà della minaccia alla vita del “santo oppositore”, replica del Battista.

Contro la peccatrice, comunque, il prelato non desistette, egli occupò con i suoi sudditi la basilica richiesta, infrangendo la legge approvata di recente,868 che consentiva agli Ariani di riunirsi, pur di non consegnarla agli eretici. La capacità di mobilitazione, dimostrata dal vescovo, sia a livello alto, sia a livello medio, sia a quello delle classi meno abbienti, fece indietreggiare Giustina, per il timore di una rivolta popolare.869 L'equilibrio raggiunto tra le tre parti in cui era diviso l'impero, era così delicato che un episodio del genere avrebbe potuto risvegliare gli appetiti di Massimo e/o di Teodosio, avrebbe potuto, addirittura, spingere Ambrogio a richiedere un aiuto esterno, sicché appariva più prudente e realistico abbandonare la partita. I timori dell’imperatrice erano, del resto, più che giustificati. Massimo, infatti, tentava con ogni mezzo di contra mezzo di contrapporsi a Valentiniano II, come rappresentante in Occidente dell'ortodossia religiosa. Non a caso, nel luglio del 386, criticò la tolleranza della corte milanese nei confronti degli Ariani e a Siricio, vescovo di Roma, ricordò la punizione esemplare inferta a Priscilliano e ai suoi seguaci, a testimonianza della purezza della sua fede.870 Affrontare la complessa vicenda di Priscilliano871 non è certo lo scopo di 868 Cth XVI 1, 4. 869 Il racconto più dettagliato del contrasto è nello stesso Ambr. ep. XX, mentre Paul. Med. v. Ambr. 13 fornisce solo un racconto sommario. Altra testimonianza in Aug. conf. IX 7, 15 e Massimo, in Coll. Avell. 39, 3. 870 In questo Massimo si scontrava, ancora una volta, con Ambrogio, che, per quanto legato al potere secolare, cosa di cui lo accusava senza mezzi termini Agostino ( conf. VI 3,1), rimaneva del tutto avverso all'intromissione del medesimo potere in ambiti ecclesiastici, cfr. Mazzarino, Ambrogio, Priscilliano e la

‘storia profetica’, in Id., Storia sociale, cit., 47 ss., che riteneva Ambrogio “un politico, ma di natura tutta particolare, con una volontà politica protesa verso il predominio della dignità ecclesiastica”. Sui legami secolari anche di Priscilliano cfr. E.-Ch. Babut, Priscillien et le priscillianism, Paris 1909, 169. 871 Per i sentimenti contrastanti dei cristiani nei confronti del processo, cfr. Hier. ep. 123, 3, 5 (quid loquar de Priscillliano, qui et saeculi gladio et totius orbis auctoritate damnatus est?) e, contra, Sulp. Sev. Chron. II 50, 5 ( saevum esse et inauditum nefas, ut causam ecclesiae iudex saeculi iudicaret); contrasto in cui si riflette la lotta tra i vescovi e i monaci spagnoli (Babut, Priscillien, cit., 92 ss.). Per l'aspetto "rivoluzionario" di questo vescovo e l'annesso problema delle sue facoltà taumaturgiche, considerate confinanti con la magia e l'eresia, cfr. H. Chadwick, Priscillian of Avila The Occult and Charismatic in the Early Church, Oxford 1976, passim e L. Cracco Ruggini, El éxito de lo Priscillianistas: a propósito de cultura y fe en el siglo IV d. C., in R. Teja-C. Pérez (Eds.), La Hispania de Teodosio 395-1995. Actas del Congr. Int. (Segovia-Coca 3-6 de Oct. 1995), I, Salamanque, 1997, 39-47. La grande forza dell’eresia risiedeva nella sua capacità di attrazione, per la parte non allineata della nobiltà locale, consistente nell'opposizione all'integrazione, e, grazie alla sua versatilità, per la plebs cittadina e la popolazione rurale, a causa della sua valenza identitaria (C. Molè, Uno storico del V secolo: il vescovo Idazio, Quaderni del Sic. Gymn. 3, 1978, 103 ss.). Non va dimenticato che i seguaci del vescovo di Avila, appunto, erano i membri dell' upper class dell'Aquitania e della Galizia, che avevano saputo cooptare l'intellettualità ostile al potere centrale e più vivace, vicina ai ceti dirigenti locali; del resto, familia nobilis e praedives opibus era lo stesso Priscilliano (Sulp. Sev. chron. II 46, 3 [CSEL I 99)). Il priscillianismo, però, era ancor più pericoloso per il potere costituito, in quanto non rappresentava un fenomeno limitato, per la sua capacità di aggregazione dei ceti emarginati. Il vescovo di Avila aveva

saputo adattare la sua dottrina, facendone un veicolo straordinario della religiosità indigena, permeata di rituali magici, in cui i ceti meno abbienti si potevano riconoscere e, grazie alla quale, potevano nutrire speranze di riscatto e di salvezza. Giustamente, dal suo punto di vista, Massimo riteneva di potere ottenere maggiore disponibilità verso le proprie aspirazioni, grazie all'eliminazione di un tale pericolo, ma, purtroppo, tutti i tentativi, messi in atto per ottenere da parte di Teodosio un riconoscimento della propria supremazia nella pars occidentis, erano destinati a fallire. Cfr. St. Mc Kenna, Paganism and Pagan Survivals in Spain, diss., Washington 1938, 50 ss., sulle sopravvivenze dei culti pagani e magici in Spagna e il loro rapporto con il Priscillianismo. Sull'argomento, vd. anche R. López Caneda, Prisciliano: su ideologia y su significado en la historia cultural de Galicia, riass. in Rev de la Univ. de Madrid 12, 1964, 629-631. Sulle sopravvivenze pagane e il loro sfondo sociale, cfr. i classici A. Harnack, Die Mission und Ausbreitung des Christentums, Leipzig 19067; J. Toutain, Les cultes païennes dans l'Empire romain, Paris 1907-1920, 171 questo lavoro di ricerca, ai fini dell'indagine basterà sottolineare come, in realtà, l'usurpatore avesse tutto l'interesse a far tacere ogni forma di dissenso, dopo aver preso la decisione di proporsi come alter ego di Teodosio I in Occidente e come, in quelle circostanze, l'operato di Priscolliano avrebbe acquisito una vis eversiva pericolosissima. Ben consapevole della delicatezza della situazione era anche Ambrogio, il quale, negli anni precedenti, si era speso molto nel tentativo di mediazione tra Treviri e Milano.872 In quella circostanza, il vescovo era riuscito a guadagnare tempo per l'imperatore e sua madre, ma non aveva certo potuto placare i sospetti di Massimo. L'usurpatore, infatti, anche dopo il successo della legazione di Vittore e il riconoscimento della sovranità su Gallia, Spagna e Britannia, ovette subire il rifiuto, oppostogli dalla coppia imperiale, all'invito di soggiornare a Treviri, invito che, se accettato, gli avrebbe concesso il

controllo di tutto l'Occidente e la possibilità di opporsi al potere di Teodosio I. Giustina, dal canto suo, trovandosi nella difficile condizione di contrastare le mire di Treviri e di Costantinopoli, mentre vedeva crescere l’opposizione pagana ed era costretta ad assistere alla manovre d’avvicinamento a Papa Siricio da parte di Massimo, decise di appoggiarsi ai militari goti e di fede ariana, che le potevano assicurare una qualche possibilità di autonomia. Da queste motivazioni ebbe probabilmente origine l’opera di persuasione, nei confronti del figlio, per il privilegiamento degli Ariani. Ovviamente, la legislazione a favore degli eretici scatenò l'ira del vescovo e portò a un ulteriore progresso nella creazione del modello femminile negativo, che venne a completarsi, inglobando la duplice immagine di Iezabel e Erodiade:873 Eliam Iezabel cruente persecuta est… Ioannem Baptistam Herodias fecit occidi… Non è certamente un caso se, a Costantinopoli, trovandosi di fronte una donna di potere, dal carattere deciso e molto abile a muoversi nei meandri del gioco politico, come l'imperatrice Eudossia, anche Giovanni Crisostomo ritenne opportuno utilizzare il duplice modello, per contrastare l’ostile propaganda della basilissa, che era riuscito a isolarlo. Impresa per altro non difficile, poiché, nel suo zelo e con la sua rigidità, 437-454; J. Geffcken, Der Ausgang des griechischenrömischen Heidentums, Heidelberg 19292, 183-186; M.L.W. Leistner, Christianity and Roman Culture in the Later Roman Empire, New York 1951; H. Gregoire, Les persecutions dans l'Empire romain, 1964; M. Roblin, Paganism et rusticité, Annales ESC 8, 1953, 173-183; A.H.M. Jones, The Social background of the Struggle between Paganism and Christianity, in A. Momigliano, Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, trad. it., Torino 1975, 139-164. Spec.

per la Spagna, cfr. J.M. Blasquez, Las religiones indigenas del area noroeste de la peninsula Ibérica en relación con Roma, in Legio VII gemina, León 16-21 Septiembre 1968, León 1970, 65 ss.; M. Meslin, Les persistances paiennes en Galice, in Hommages M. Renard, Coll. Latomus 102, Bruxelles 1969, 512 ss.; J. Arce Martinez, Conflictos entre paganismo y cristianismo en Hispania durante el siglo IV, Principe de Viana 32, 1971, 245- 256. 872 Da quella sorta di rapporto all’imperatore è la lettera XXIV di Ambrogio, apprendiamo che la corte di Milano aveva inviato il vescovo a Treviri, temendo un'invasione dell’Italia, e aveva ottenuto la promessa di pace, a condizione che Valentiniano si trasferisse presso Massimo. La richiesta non era di poca importanza, poiché significava, come ha sottolineato J.-R. Palanque, Sur l'usurpation de Maxime, REA 31, 1929, 33-34; Id., L'empereur Maxime, in Les empereurs romains d Espagne, Madrid-Italica 13 mars-6 avril 1964, Paris 1965, 254-257, porsi agli occhi dell'ecumene, una volta morto Graziano, come tutore di Valentiniano II. Se la corte di Milano si fosse installata a Treviri, Massimo, dalla sua capitale renana, avrebbe potuto comandare tutto l'Occidente, come aveva fatto Valentiniano I, non avrebbe dovuto accontentarsi della prefettura gallica e, conseguenza importantissima, non sarebbe più apparso un usurpatore: l'unione delle due corti avrebbe legittimato il suo dominio. Palanque, in un'ottica nazionalistica c trionfalistica, ha considerato massima espressione dell'utopia di Massimo il tentativo di rinverdire i giorni gloriosi di Valentiniano, quando Treviri era stata la capitale d'Occidente e la Gallia aveva avuto le rôle de direction dell'impero, ma non ha opportunamente valutato il fatto che l'usurpatore fu eliminato politicamente proprio dalla nobiltà gallica. Forse più semplicemente il comes di origine spagnola riteneva che il suo adfınis, l'imperatore d'Oriente, avrebbe potuto non essere del tutto sfavorevole alla sua ascesa al trono, poiché anche Teodosio doveva nutrire dei sospetti verso i generali di origine barbara, fedeli a Graziano e a Valentiniano. Certo l'usurpatore aveva ragioni fondate

per illudersi, poiché Teodosio, in effetti, non offrì il suo aiuto a Graziano, come sottolineava Seeck, Geschichte, cit.,168 ss. Sul problema cfr. anche Ensslin, Maximus 33, RE XIV/2, cit., 2549 e Valentinianus II, RE VII A/2, cit., 2211. 873 Ambr. ep. XX 1-22. 172 il vescovo costantinopolitano si era alienato il favore di molti, oltre a quello di Eudossia, che aveva definito nuova Iezabel. È stata già analizzata la ricostruzione di Dagron,874 secondo il quale Giovanni avrebbe offeso l'imperatrice con questo paragone, poiché il contrasto con l'Augusta per le proprietà della diaconessa Olimpiade, ricevute in eredità alla morte di Nebridio, parente dei Teodosii,875 gli avrebbe ricordato la vicenda di Iezabel e Achab. Una simile ricostruzione appare altamente attendibile e, del resto, lo stesso sermone del vescovo, subito dopo la sentenza, attesta la volontà di identificare Eudossia con l'empia Iezabel. L’ Homilia ante exilium, però, non testimonia solo questo, poiché, certo non casualmente, il patriarca volle anche sottolineare il legame della donna con il Serpente, adoperando uno schema già utilizzato da Ambrogio, rivelandosi, tra l'altro, molto adatto ad attrarre il consenso della folla e ad aizzarla contro la coppia imperiale:876 Αὔριον εἰς λιτανεῖον ἐξελεύσομαι μεθ᾽ ὑμῶν… οὐδὲ θάνατος διακόψαι δυνήσεται. Κἂν γὰρ ἀποθάνῃ μου τὸ σῶμα, ζῇ ἡ ψυχὴ, καὶ μέμνηται τοῦ δήμου· ὑμεῖς ἐμοὶ πατέρες· πῶς ὑμῶν δύναμαι ἐπιλαθέσθαι; ὑμεῖς ἐμοὶ πατέρες, ὑμεῖς ἐμοὶ ζωὴ, ὑμεῖς ἐμοὶ εὐδοκίμησις... Ἤνθησαν γὰρ τὰ ἔγγονα τῆς ἀσπίδος, ἔτι περιλέλειπται τῆς Ἰεζάβελ ὁ σπόρος·

Seguirono, infatti, tumulti, Eudossia fu costretta a cambiare idea e Giovanni fu richiamato dall’esilio, ma la tregua tra i due non era destinata a durare a lungo. In occasione della celebrazione, per la dedica di una statua in onore dell’imperatrice,877 condotta in maniera tradizionale con danze e mimi, il vescovo ritenne di essere abbastanza forte per scontrarsi con l’Augusta, che rispose con un altro sinodo. A questo punto, Giovanni arringò la folla dei credenti,878 che provocarono altri disordini, non certo graditi da Arcadio, il quale, alla fine, si risolse a mandare definitivamente in esilio il Crisostomo in Armenia. L' impopolarità della decisione fu testimoniata dalle rivolte che si propagarono per tutto l'Oriente romano, prova dei legami che il vescovo aveva in tutte le province e del numero dei sostenitori che poteva mobilitare contro l'incarnazione di Eva, preda delle pulsioni sessuali e della carne:879 Ἰεζάβελ θορυβεῖται καὶ Ἠλίας φεύγει Ἡρῳδιὰς εὐφραίνεται καὶ Ἰωάννες δεσμεύται… Nello scontro finale Giovanni pensò bene di ricorrere al binomio ambrosiano delle immagini di Iezabel ed Erodiade, che si inveravano nella crudele persecuzione dell’Augusta. Il vescovo fece leva sull’odio, nei confronti della libertà e della trasgressione, rispetto ai paradigmi elaborati e accettati dal suo pubblico; sentimento di ostilità che l'essenza eversiva di questi due modelli alternativi suscitava. È certamente degno di nota il fatto che, in realtà, la medesima immagine utilizzata da Ambrogio e la e la stessa unione dei due modelli negativi fossero adoperate, e più volte, da Giovanni Crisostomo per identificare la spregiudicatezza dell'imperatrice Eudossia. I due paradigmi furono rievocati, come abbiamo già segnalato, dal vescovo di Costantinopoli nell'omelia Cur ret in exilium, ma furono ricordati anche nel trattato In decollationem sancti Ioannis (sp.):880 δράκοντες καὶ ἀσπίδες καὶ κεράσται τὸν Ἰωάννην ἐν τῇ ἐρήμῳ ἐτρόμασαν, Ἡρωδιὰς δὲ αὐτὸν ἐν ἀρίστῳ

ἀπέτεμεν· οἱ κόρακες τὸν Ἠλίαν ἐν τῷ ὄρει… 874 Cfr. Dagron, Naissance d'une capitale, cit., 498 ss. 875 Mar. Diac. v. Porph. 37 (Grégoire-Kiigener). 876 Io. Chrys. hom. ante exil., PG LII, 431. Il legame con il serpente è sottolineato anche in In secundum domini adventum (sp.), LIX 621, 28: ὁ ὄφις μᾶλλον ἐκολάσθη τῆς γυναικός· ὥσπερ οὖν καὶ ἡ γυνὴ τοῦ ἀνδρὸς, καὶ Ἰεζάβελ δὲ χαλεπωτέραν ἔδωκε δίκην τοῦ Ἀχαὰβ ἁρπάσαντος τὸν ἀμπελῶνα. Cfr. P. Chr. Baur, Der heilige Johannes Chrysostomus und seine Zeit, 1, Munich 1929-1930, 181. 877 Socr, h. e. VI 18, 1-5 (338 Hansen); Marcell. Comes chron. a. 403, 2 ( MGH. AA XI, Chron. Min. II 67); Thph. chron. a. m. 5898 (179 de Boor). Sull'iscrizione cfr. C. Mango, The Byzantine Inscriptions of Constantinople. A Bibliographical Survey, AJA 55, 1951, 63. 878 Io. Chrys. hom. ante exil, PG LII, 431. 879 Io. Chrys. hom. cum ir. in exil., PG LII, 437. Cfr. sulle testimonianze del conflitto e la mobilitazione popolare Gregory, Zosimus 5, 23 and the People, cit., 61-83. 880 PG XLIX 486, 25. 173 Il Crisostomo tenne a sottolineare la somiglianza tra le due donne, sicché essa fu evidenziata, con grande veemenza, pure nell’ In catechumenos (sp.):881 Ἰεζάβελ τὸν ἀμπελῶνα τοῦ Ναβουθαὶ ἐδίψησεν, ἡ Δαλιδὰ τοῦ Σαμψὼν τὴν ἀσθένειαν, ἐδίψησεν Ἡρωδιὰς τοῦ Προδρόμου τὸ αἷμα, ἐδίψησαν τὸν Σωτῆρα Ἰουδαῖοι·

Ovviamente, una denuncia così forte ebbe notevole eco nella storiografia ecclesiastica; soprattutto lo slogan contenuto nell’omelia dell'esilio ebbe notevole successo, sì da essere ricordato, quasi alla lettera, non solo da Socrate scolastico, ma anche da Sozomeno. Il primo, infatti, ben dipinse il disaccordo esistente tra i due:882 Αἰσθόμενος δὲ ὁ Ἰωάννης τὴν περιβόητον ἐκείνην ἐπὶ τῆς ἐκκλησίας διεξῆλθεν ὁμιλίαν, ἧς ἡ ἀρχή: «Πάλιν Ἡρωδιὰς μαίνεται πάλιν ταράσσεται πάλιν ὀρχεῖται, πάλιν τὴν κεφαλὴν ᾿Ιωάννου ἐπὶ πίνακος ζητεῖ λαβεῖν.» Τοῦτο πλέον πρὸς ὀργὴν ἐξῆψε τὴν βασιλίδα. Il secondo, rievocando lo zelo di Giovanni e l'ira della sovrana, li trasmise alla posterità:883 …λοιδορῶν αὐτὴν ἐξέκαυσε πρὸς ὀργήν· ἡνίκα δὴ τὸν ἀοίδιμον ἐκεῖνον διεξῆλθε λόγον ἀρξάμενος ὧδε· «πάλιν Ἡρῳδιὰς μαίνεται, πάλιν ὀρχεῖται, πάλιν Ἰωάννου τὴν κεφαλὴν ἐπὶ πίνακος σπουδάζει λαβεῖν.» Teodoreto, invece, non ritenne opportuno registrare la contesa, probabilmente perché, sull’opzione esercitata dal vescovo di Kyrrhos, influì la condanna della scuola antiochena, o perché la grande risonanza di quegli avvenimenti si era ormai affievolita. Infatti, le due Auguste che si contendevano il potere all’ombra del trono del giovane Teodosio, ormai, erano meno temibili. La giovane e bella Atenaide era stata probabilmente già travolta dallo scandalo e la stessa Pulcheria, la quale si apprestava a riconquistare il potere, aveva perso l’aggressività che l'aveva contraddistinta nei primi anni del regno di Teodosio Il e si preparava a riconvertire la sua immagine di santa vergine in quella, più tradizionale, di casta sposa del militare Marciano.

Il nuovo codice interpretativo della realtà, evidentemente, non era ancora in grado di accettare come vincente, in tutte le sue implicazioni, un modello così forte e alternativo: l’immaginato dell’epoca si contraddistinse per la diversificazione di modelli oppositivi. L’emozionale sensibilità del pubblico, in quegli anni, era attratta dal plasma drammatico rappresentato dalla lotta tra modello luciferino e modello mariano. Per le nuove ruling classes l' amethodos hule dell’ historia, su cui rifletteva Sesto Empirico,884 tra la fine del II secolo e l'inizio del III sec., doveva svolgere una rassicurante azione catartica, attraverso la rappresentazione, sempre diversa nei protagonisti, eppur sempre identica nella sostanza, della vittoria delle forze del bene sulla volontà del Maligno. 881 PG LX 739, 40. 882 Socr. h. e. VI 18 (338 Hansen). 883 Soz. h. e. VIII 20, 3 (370 Bidez-Hansen). 884 Sext. Emp. Math. I 248 ss. 174 CAPITOLO VI IMMAGINATO, SENTIMENTI ED EMOZIONI

NELLA STORIOGRAFIA TARDOANTICA A cavallo tra il II e il III secolo d. C., Sesto Empirico,885 nel suo Adversus Mathematicos, discuteva la tesi dello stoico Asclepiade Myrleiano886 sulla divisione tra storia vera e storia falsa, tesi che aveva permesso al "grammatico" bitinico di sbarazzarsi della pesante eredità della genealogia, lascito, in campo storiografico, della cultura aristocratica. Come è noto, è stato l'acume di Mazzarino887 a rilevare la prospettiva "democratica" con cui Asclepiade inquadrava il materiale storico, prospettiva che, appunto, conferiva dignità alle biografie di dei, eroi e uomini illustri, nella decisa volontà di salvare la religiosità tradizionale delle poleis e opporre un netto rifiuto alla mentalità aristocratica del VI e V secolo, espressa nella produzione genealogica:888 Ἀσκληπιάδης δὲ ἐν τῷ Περὶ γραμματικῆς τρία φήσας εἶναι τὰ πρῶτα τῆς γραμματικῆς μέρη, [ἀνάγνωσιν ἐντριβῆ καὶ κατὰπροσῳδίαν,] τεχνικὸν ἱστορικὸν γραμματικόν, ὅπερ ἀμφοτέρων ἐφάπτεται, φημὶ δὲ τοῦ ἱστορικοῦ καὶ τοῦ τεχνικοῦ, τριχῇ ὑποδιαιρεῖται τὸ ἱστορικόν· τῆς γὰρ ἱστορίας τὴν μέν τινα ἀληθῆ εἶναί φησι τὴν δὲ ψευδῆ τὴν δὲ ὡς ἀληθῆ, καὶ ἀληθῆ μὲν τὴν πρακτικήν, ψευδῆ δὲ τὴν περὶ πλάσματα καὶ μύθους, ὡς ἀληθῆ δὲ οἶά ἐστιν ἡ κωμῳδία καὶ οἱ μῖμοι· τῆς δὲ ἀληθοῦς τρία πάλιν μέρη· ἡ μὲν γάρ ἐστι περὶ τὰ πρόσωπα θεῶν καὶ ἡρώων καὶ ἀνδρῶν ἐπιφανῶν, ἡ δὲ περὶ τοὺς τόπους καὶ χρόνους, ἡ δὲ περὶ τὰς πράξεις.

τῆς δὲ ψευδοῦς, τουτέστι τῆς μυθικῆς, ἕν εἶδος μόνον ὑπάρχειν λέγει τὸ γενεαλογικόν. La prospettiva di questo personaggio illustre della cultura dell’età pompeiana889 ben esprimeva la visione delle attive poleis ellenisticoromane, e dei loro abitanti,890 che forse potevano nutrire una certa fede in una gerarchia ascendente tra biografie (di dei, di eroi, di uomini illustri), tra geografia e cronologia, tra le praxeis, 885 Sext. Emp. Math. I 248-269 (III 62-67 Mutschm-Mau). 886 Sull’insigne uomo di cultura mancano a tutt’oggi, per quanto a nostra conoscenza, studi specifici. Oltre alle notizie contenute nella RE II/2, 1986, 1628-1631, e all'analisi dei frammenti in B.A. Müller, De Asclepiade Myrleiano, diss. Leipzig 1903 (vd anche in FHG III 28), le considerazioni più illuminanti rimangono quelle di S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I, Roma-Bari 1965, 486 ss. (da ora in poi PSC). Sia E. Rawson, The Life and Death of Asclepiades of Bithynia, CC) 32, 1981, 358-370, ora in Roman Culture and Society Collected Papers, Oxford 1991), sia M. Mazza, Il vero e l'immaginato. cit., 81-115, lo distinguono dal medico di Bitinia. 887 Mazzarino, PSC, I, cit., 487 ss; 492-493; II, Roma-Bari 1966, 361 ss. 888 «Asclepiade dice che le parti della grammatica sono tre: la tecnica, la storica, la grammatica, la quale tocca entrambe, cioè la storica e la tecnica; suddivide la storica in tre. Dice infatti una parte della storica esser vera, una falsa, la terza infine come vera: vera quella pratica, falsa quella sulle invenzioni e i miti, come vera quella relativa alla commedia e ai mimi; della vera, poi, ancora tre le parti: l'una riguarda le figure di dei ed eroi e uomini illustri, l'altra luoghi e tempi, la terza le azioni. La falsa poi, cioè la mitica, egli afferma che consiste in un solo genere, quello genealogico.» (TdA). Sulle riflessioni di Sesto vd. O. Schissel von Fleschenberg, Die Einleitung der Ἱστορία bei Asklepiades Myrleanos, «Hermes» 48, 1913, 623-628; A.

Adler, Die Kommentar des Asklepiades von Myrleia, ibid., 49, 1914, 3946, W. J. Slater, Asklepiades and Historia, GBRS 13, 1972, 317-337; R. Meijering, Literary an and Rhetorical Theories in Greek Scolia, Groningen 1987, 75-87. 889 Suid. s. v. Ἀσκλεπιάδης (Adler III 298 = FGrHist 697 T 1). 890 Sostanzialmente Asclepiade manifesta la sua adesione a una prospettiva molto simile a quella di Diodoro. Sull'argomento vd. K. Sacks, Diodorus Siculus and the First Century, Princeton 1990, 164 ss., M.D. Campanile, La vita cittadina nell'età ellenistica, in S. Settis (a cura di), I Greci. Storia, Cultura, Arte, Società, II, Una storia greca, 3. Trasformazioni, Torino 1998, 379-403 con ricca bibliografia. 175 ma che non amavano distinguere tra narrazioni poetiche e indagini storiche, distinzione di cui non troviamo traccia. Ovviamente, il filosofo Sesto non accettava, in toto, le tesi del Myrleiano, perché partendo dal presupposto che la hyle dell’ historikon fosse amethodos, essa per lui non poteva essere compresa in una techne quale la grammatica. In buona sostanza, però, lo scettico lasciava irrisolto un problema. fondamentale, il problema, cioè, non tanto della divisione tra storia vera e storia falsa, quanto della persistenza della falsa nella vera, ossia di quella Mishung, che consentiva la permanenza della novella o, comunque, del verisimile nel racconto storiografico, peraltro con una sua specifica funzione. Sesto Empirico, infatti, distingueva all'interno degli historoumenoi, la historia, il mythos, i plasmata. Mentre, secondo lui, l’ historia si identificava con la narrazione di cose vere e avvenute (ἀληθῶν τινῶν καὶ γεγονότων

ἔκθεσις), i plasmata si riferivano, invece, semplicemente alla narrazione di avvenimenti non realmente accaduti, ma narrati come tali, caratteristica delle commedie come anche dei mimi, πραγμάτων μὴ γενομένων μὲν ὁμοίως δὲ τοῖς γενομένοις λεγομένων, ὡς αἱ κωμικαὶ ὑποθέσεις καὶ οἱ μῖμοι, il mythos, poi, sarebbe stato la πραγμάτων ἀγενήτων καὶ ψευδῶν ἔκθεσις. L’oggetto della storia restava comunque amethodos hule e non poteva esistere un criterio di differenziazione tra ciò che era da considerare vero, ciò che poteva essere ritenuto vero e ciò che doveva considerarsi talmente falso da essere inaccettabile all’interno di un’opera di storia.891 In conclusione, l'età ellenistico-romana non elaborò, se mai lo fece, fino all’età imperiale inoltrata, una teoria della “scientificità” del pensiero storiografico,892 lasciandosi volutamente via libera verso l'adulazione, ma anche verso il meraviglioso, l'esotico, il romantico, le emozioni, che potevano meglio veicolare il messaggio codificato, sicuramente rafforzare l’autorappresentazione della collettività . fosse essa identificabile in un’ élite aristocratica o nella comunità dei liberi della città -, più facilmente potevano creare consenso verso gli interessi ed esaltare le capacità delle ruling classes, rappresentate nelle loro azioni, o attraverso una loro ipostasi, come, ad esempio, l’imperatore. Del resto la Mishung degli elementi era primordiale. Come sostiene Canfora,893 forse, è il caso di dirlo, rappresenta un mito la considerazione di Erodoto come padre della storia, cioè come inventore del “puro” principio autoptico. La complessa e a volte contestata molteplicità della logografia ionica, infatti, sopravvive pur all’interno del solido nucleo unitario della storia erodotea, come sopravvive quella che Pascoli potrebbe definire la "meraviglia" del fanciullino, ma che a ben considerare potrebbe esser vista come la permanenza di alcuni items della cultura greca dell'età della colonizzazione, che aveva insistito su motivi culturali dell'età precedente, quando il predominio dell'aristocrazia dorica aveva

permesso una "popolare" molteplicità culturale. Come affermava Brelich,894 in questo caso l'aristocrazia appariva paradossalmente un fenomeno di massa. L'insigne studioso intendeva sottolineare il carattere laico della letteratura greca, nel senso di popolare perché diffusa in una pluralità di centri, la cui molteplicità si opponeva al monocentrismo della capitale, caratteristico dei regni orientali e della civiltà micenea, Allontanatosi da questa, il mondo greco, dopo la migrazione dorica, fu caratterizzato da una diffusa aristocrazia, che permise la non univocità e la sopravvivenza di alcune specificità locali, che trovarono un loro spazio, ancorché contestato, nella logografia e che Erodoto ancora trasmise a un pubblico comunque interessato ad essa, Ovviamente i mendacia erano di diverso genere, origine e funzione. Wiseman ne ha 891 Non erano state chiarite le “regole del gioco” storiografico. Del resto la consapevolezza teorica del principio della distinzione del vero dal falso è acquisizione non troppo recente. Vd. A. Momigliano, Le regole del gioco nello studio della storia antica, Introduzione a A.M. Introduzione bibliografica alla storia greca fino a Socrate, Appendice a G. De Sanctis, Storia dei greci, Firenze 1975, 112 (ASPN 4, s. III, 1974, 1183-1192, ora in Sesto Contributo, I, Roma 1980, 13-22). Per l’osservanza del was gewesen ist, vd. l' Introduzione di M. Mazza a G.G. Iggers, Nuove tendenze della storiografia contemporanea, trad. it., Catania 1981; con le importanti riflessioni di F. Tessitore, Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, I-V, Roma 1995-2000. 892 Non a caso Cicerone, ( de orat. Il 15, 62) parlava di opus oratorium maxime, Cfr. il datato F. H. Colon, Some Considerations as to the Influence of Rhetoric upon History, PCA 14, 1917, oltre al classico F. Wehrli, Die Geschichtsschreibung im Lichte der antiken Theorie, in Eumusia, Festgabe für Ernst Howald, Zürich 1947, 54-71; e l'importante saggio di R. Nicolai, La storiografia nell'educazione antica, Pisa 1992. 893 L. Canfora, Erodoto dalla periegesi alla storia politica, in Id:, Storia della Letteratura greca, Bari 1986, 239-247. Cfr. il suggestivo lavoro di

Τ.Ρ. Wiseman, Clio’ Cosmetics. Three Studies in Graeco-Roman Literature, Leicester 1979, 149 ss., con gli importanti saggi in Historiography and Imagination. Fight Essays on Roman Culture, Exeter 1994. 894 A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma 1969, passim. 176 classificato addirittura sette tipologie, ma, nella sostanza, tutte necessariamente riconducibili alla categoria del verisimile. Esse vanno dalla «tendentiousness via mythos and travellers’ tales» al «more complex… effect of rhetoric and drama», come alla «repetition of information coming from ‘authorities’», e infine alle «lies defined as too much detail, and lies defined as not enough». Al loro interno può scorgersi una moltitudine di altre categorie, dalla white lie all' utopian dream, senza dimenticare il «political manifesto or the PR world of manifold manipulation messages». Nel bel volume, poi, curato dallo stesso Wiseman e da Gill,895 ove si legge l'articolo già citato, si delinea una pletora di altre categorie come fictive narrations, docu-drama, encomiastic strand, per non menzionare fenomeni come l’agiografia e le parabole, da un canto, la satira o la mythistoria, dall'altro. In Erodoto, che utilizzeremo da pietra di paragone, i cui motivi diventeranno palesi nel prosieguo del discorso,896 sostanzialmente gli aspetti paradossografici si restringono ai mirabilia dei racconti di viaggio e all'interesse popolare novellistico, aspetti necessariamente legati al verisimile; parafrasando Wood,897 potremmo ricollegarli non tanto alla mappa concettuale della scorretta falsità, ma alla fictionality 898 delle novelle899 e all'emozionale sensibilità solleticata dalla make-believe narration.900 In conclusione, seppur con una mutata proporzione tra gli elementi della Mishung, l’

historia fabularis è ben presente nell’opera erodotea, nel suo “amalgama”, come l'oggetto dell'indagine storica è definito da Wiseman. La mescolanza degli elementi sembra scomparire in Tucidide o, per lo meno, il verisimile si presenta in modo diverso, ancorato agli avvenimenti e in funzione esplicativa - come non pensare allo splendido dialogo dei Melii? Del resto, lo stesso Tucidide, nel suo discorso programmatico, avvertiva che avrebbe ricostruito i discorsi secondo quanto, a suo parere, ciascuno avrebbe dovuto dire nelle varie circostanze.901 La resa dialogica del contrasto di forze, certo, conferisce una veste drammatico-teatrale alla narrazione dello storico e, non a caso, Walbank902 rimarcava la fondamentale affinità «of both history and tragedy for analogous literary techniques, encouraged by a common origin in epic», concretizzantesi nell'uso di «comparable and often identical material and moral purpose and by the sharpness of Greek emotional sensibility». Finley, già nel 1942,903 metteva in risalto gli elementi drammatici dell'opera tucididea, ma niente in paragone di un Dionigi di Alicarnasso o di Plutarco,904 il quale riteneva lo storico capace, per la sua ἐνάργεια, di convertire l'ascoltatore in spettatore e di generare, nei suoi lettori, la costernazione e il coinvolgimento emotivo, tipico del pubblico presente a una rappresentazione. Certo, il drammatico plasma tucidideo era ben diverso dal plasma novellistico erodoteo: mentre questi partecipava ancora del pluralismo della tradizione aristocratica e dell'interesse per l'esotico, che poteva sussistere nel periodo della colonizzazione e che si intrecciava con gli “interessi borghesi” del ceto mercantile, l’altro tentava di razionalizzare l' amethodos hule e distingueva nettamente, non tanto tra storia vera o falsa, quanto tra storia contemporanea e il resto degli avvenimenti non sottoponibile a verifica, ma tutto ció non gli impediva di creare consenso né frenava il suo intento educativo,905 all'origine della drammatizzazione della sua historia.

895 C. Gill-T.P. Wiseman (Eds.), Lies and Fiction in the Ancient World. Exeter 1993. 896 Vd. infra 340-347. 897 Cfr. Prologue, come i lavori qui di seguito citati, in C. Gill-T.P. Wiseman (Eds.), Lies and Fiction in the Ancient World, Exeter 1993, XIV, in cui lo studioso sottolinea «the double perspective opened up by the volume's title, one ancient and one modern: lie vs fiction, (something like incorrect statement vs intentional fantasy), scrutinised here under three main aspects: logical, epistemological and moral. In the preface the editors point to the tripartite structure of their collection: two studies deal with early Greek poetry and philosophy, two with ancient historiography and two with che hellenistic novels. A final chapter links modernity with antiquity». 898 E.L. Bowie, Lies, Fiction and Slander in Early Greek Poetry 1-37. 899 J.R. Morgan, The Fictionality of the Greek Novels, 175-229. 900 D.C. Feeney, Towards an Account of the Ancient World's Concept of Fictive Belief, 230-244, ritiene che non dobbiamo trascurare «the interplay between belief and disbelief, the way they define each other», perché ciò «would make it impossible for us to discriminate between, for example, the different ways in which "deceit" is practised upon, and sustained by, the audience of, on the one hand, a poet and, on the other, a lying orator». 901 Thuc. 1 22, 4. 902 F.W, Walbank, History and Tragedy,«Historia» 9, 2, 1960, 23. 903 J. R. Finley, Thucydides, Harvard 1942, 321-324. 904 D. H. Th. 51; Plu. de glor. Athen. 347a.

905 Non è il caso in questa sede di citare la sterminata bibliografia sullo storico greco; limitatamente solo agli studi essenziali relativi alla specificità dell'argomento, vd, A. Momigliano, Tradition and the Classical 177 Senza alcun dubbio, l'uno risentiva di una cultura ancora parzialmente aperta e l'altro rappresentava la chiusa e integrata cultura della polis, sebbene con una prospettiva elitaria, nella sua volontà di scrivere non un agonisma es to parakrema, ma uno ktema es aei. Se già Tucidide, però, era difficilmente comprensibile ai suoi contemporanei, come avverte Dionigi, la sua indagine risultava del tutto lontana dai gusti dei Greci di qualche decennio più tardi. La destrutturazione del sistema “politico”, nel corso del IV sec. a. C., infatti, significò l'abbandono di una cultura centripeta e dirigistica, focalizzata sulla vita e la libertà di una città stato, che assorbiva ogni energia e tutti gli interessi dei suoi cittadini: l’ ecthesis storica riaprì i propri orizzonti e, superando i confini politici e militari, riacquistò interesse per la cultura dei barbari, per poi divenire storia universale. Come si sa, nel suggestivo libro su The Greeks and the Irrational, Dodds906 ha dato una sua spiegazione del cambiamento culturale intervenuto tra IV e III secolo, soprattutto in campo filosofico, e Gabba907 ha sottolineato l’importanza dello schema doddsiano anche in campo storiografico. La fine del regime della polis favorì lo sviluppo del razionalismo, espressione di una maggiore apertura culturale908 o forse, meglio, indice di un nuovo modo di aggredire la realtà, mentre la deflagrazione delle vecchie istituzioni e delle superate strutture sociali ingenerava timori che provocavano l’emergere dell'irrazionale, contribuendo a scardinare il sistema precedente, sia a livello socioculturale sia politico-religioso. L'immaginato, inteso come il dramatikon, l'esotico, il novellistico, l'utopico, l'emozionale, riemersero in tutta la loro evidenza, la Mishung cambiò di nuovo proporzioni in funzione di un nuovo pubblico, più vasto e di gusto e interessi diversi. La base sociale dell'irrazionale potrebbe essere individuata sulla base dei ceti emergenti, culturalmente liberi dai rigidi schemi interpretativi del sistema- polis.909

I patrimoni acquistati grazie all'apertura dell'Oriente erano stati reinvestiti in terreni e la nuova ruling class di possidenti controllava quel poco che restava della vita pubblica, soprattutto a livello locale.910 Era un mondo, che è stato definito borghese, in cui il guadagno e il profitto venivano al primo posto, il cui interesse era diretto al ben vivere e i cui affetti si indirizzavano alla sfera dalai e familiare. Anche la ristretta cerchia di privilegiati, destinati a formare la rete di controllo del governo centrale, comunque rappresentato, non sfuggiva ai processi di acculturazione, determinati dalla nuova e complessa situazione politica e socioeconomica. Persino Polibio, nonostante il suo ritorno all'"arido" razionalismo tucidideo, rappresentò sicuramente un approccio più “moderno” alla realtà, come riconosceva già nel 1863 Freeman.911 Non è forse presente alla mente, e al cuore, di tutti l'affettuosa familiarità delle discussioni tra lo storico antico e gli Scipioni e, soprattutto, il pezzo di bravura rappresentato dal pianto di Scipione, in cui il condottiero, non a caso, cita il verso omerico, ἔσσεται ἥμαρ ὅταν ποτ᾽ ὀλώλῃ Ἴλιος ἱρὴ,912 applicando il vecchio schema di ascendenza orfica della profezia sul passato? Per quanto ricostruito, il brano rifletteva la tragedia dell’uomo ellenistico, in balia di una forza a lui superiore, ben espressa dalla drammaticità della narrazione. Historian, «History and Theory» 11, 1972, 279-93, ora in Quinto Contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, I, Roma 1975, 14-31, con Id., The Historians of the Classical World and their Audience: some Suggestions, ASPN 8, s. III, 1978, 59-75, ora in Sesto Contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, l, Roma 1980, 361-376. Per la trasformazione del ruolo tucidideo, da modello etico-civile a canone storiografico-letterario, cfr. il sempre valido M.P. Nilsson, Die Pellenistische Schule, München 1955; con L. Canfora, Il “ciclo storico”, «Belfagor» 26, 1971, 653-670. e H.I. Marrou, Histoire de l'éducation dans l'Antiquité, Paris 1948, trad. it., Roma 1950, 245 ss. 906 E. R. Dodds, The Greeks and the Irrational, Berkeley-Los Angeles 1951, trad. it., Firenze 1978, 245 ss.

907 E. Gabba, True and False History in Classical Antiquity, JRS 71, 1981, 55. 908 Ci si consenta di usare una categoria utilizzata, in altro contesto, da un insigne studioso come P. Brown, The Making of Late Antiquity, Cambridge Mass.-London 1978, trad. it., Genesi della Tarda Antichità, Torino 2001, 3 ss. 909 Cfr. B.P. Reardon, Courrants littéraires grecs des IIe et IIIe siècles après J.-C. , Paris 1971, 235, 309 ss. e le considerazioni generali in R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, 1980, 181-218, con C. Segre, Le strutture e il tempo. Narrazione, poesia, modelli, Torino 1976? e Id., I segni e la critica, Torino 19763. Sulla specifica produzione culturale dell’epoca ellenistica vd. M.M. Sassi; “Mirabilia", in G. Cambiano-L. Canfora-D. Lanza (a cura di), Lo spazio letterario della Grecia antica, I. La produzione e la circolazione del testo, 2, L’ ellenismo, Roma 1993, 469 ss. 910 Cfr. Campanile, La vita cittadina nell'età ellenistica, in S. Settis (a cura di), I Greci. Storia, cultura, arte società, II/3, cit., 379-403. 911 E.A. Freeman, History of Federal Government in Greece and Italy, London-Cambridge 1863, 165 ss. 912 Plb. XXVIII 2. 178 A ragione, comunque, Mario Mazza ha parlato di un 'esplosione di historia fabularis,913che tanto piaceva a Tiberio914 e che non poteva consistere nella fabula, ma il cui aspetto merveilleux comprendeva le versioni più rare del mito, le descrizioni dei luoghi più fantastici, motivi adatti a un pubblico colto e dai gusti raffinatissimi. Tale produzione poteva accontentare i gusti antiquari di un uditorio di letterati, come facevano i Parallela minora dello pseudo Plutarco,915 ma certo, anche se obbediva alle regole di un'incipiente democratizzazione culturale, non accontentava le masse, più attratte dall'aspetto novellistico, forse

affascinate solo dalle caratteristiche più superficiali del dramatikon di certa storiografia, come quella definita da Mazzarino sotto la categoria di Historia Augusta.916 Al “meraviglioso” cedette anche Socrate scolastico, sebbene rappresentasse un tipo di storiografia alternativa, quella ecclesiastica, come si suol affermare, più scientifica, nella sua esigenza e modalità di citazione, ma che, come espressione culturale della ecclesia cristiana, seppe trasformare i contenuti e le forme della cultura antica, nell’ambito delle complesse articolazioni dell’acculturazione, che interessò la Tarda Antichità. In un simile contesto vanno analizzati i nuovi i paradigmi, i nuovi modi del comunicare, come anche la reinterpretazione delle vecchie tecniche narrative.917 A proposito del reframing della tipologia del racconto, Concetta Molè ha condotto un'accurata analisi918 della novella, inserita nella propria opera dallo storico, sul matrimonio di Giustina e Valentiniano. Indubbiamente, il confronto con la novella su Gige e Candaule di Erodoto, dalla valenza paradigmatica, specialmente per il più tradizionalista degli storici ecclesiastici, ha offerto molteplici suggestioni, utili anche alla nostra ricerca, relativa non tanto ai motivi, ma alla modalità della narrazione, Proprio nell'uso dell’“immaginato”,919 infatti, lo scolastico rivela il suo conservatorimo culturale, che lo spinge a narrare il vero attraverso delle immagini dalla valenza semantica allusiva, ma non certo fittizia. La realtà che lo storico vuol narrare non è quella concreta e visibile, immediatamente comprensibile, ma è quella che tutto muove, una realtà che abbiamo definita “metafisica”.920 Essa non può considerarsi finzione, bensì deve essere ritenuta concreta verità, sceneggiata certo per immagini, che non la rendono per questo immaginaria, ma merveilleus,921 come se i riflettori, illuminandola, ne svelassero l’essenza e la fondamentalità per la scena della historia:922 913 Come spiega lo studioso in Il vero e l'immaginato, cit., 94, non tanto storia come favola, ma esposizione di una ricerca su ciò che era oggetto o argomento di poesia e di storia. Non a caso gli antichi

studiosi ritenevano che il mondo storico rientrasse nel dominio della letteratura. Cfr. per questo C. W. Fornara, The Nature of History in Ancient Greece and Rome, Berkeley-Los Angeles-London 1983; Nicolai, Retorica e storiografia, in Id., La storiografia nell'educazione antica, cit., 188 ss; A.J. Woodman, Rhetoric in Classical Historiography. Four Studies, London-Sidney 1998; con K. Bardwick, Die Gliederung der narratio in der rhetorischen Theorie und ihre Bedeutung für die Geschichte des antiken Romans, «Hermes» 69, 1928-9, 261-287. 914 Suet. Tib. 70, 3: ... curavit notitiam historiae fabularis usque ad ineptias ac derisum. Sui gusti letterari di Tiberio vd. A.F. Stewart, To entertain an Emperor: Sperlonga, Laokoon and Tiberius at the Dinnertable, JRS 67, 1977, 76-90. 915 F. Jakoby, Die Überlieferung von Ps. Plutarchs Parallela Minora und die Schwindelnutoren, «Mnemosyne» ser. III, 8, 1940, 73-144. 916 Cfr. Mazzarino, PSC, II, cit., 1, 162; 2, 214 ss. 917 Vd., in merito, i contributi di un seminale Convegno internazionale tenuto a Catania, in Giuffrida-Mazza (a cura di), Le trasformazioni della cultura, cit., passim. 918 Molè Ventura, Storia e narrativa, cit., 802 ss. 919 Cfr. Mazza, Il vero e l'immaginato, cit., 90 ss., il quale ha messo in evidenza le contraddizioni che la contiguità della storiografia con la profezia e la narrativa comportava, trovando una spiegazione nella mancanza di uno statuto teoretico forte e nelle contraddizioni sociali e culturali dei ceti produttori e fruitori della cultura storiografica. Sul tema vd. la dettagliata discussione di C. Molè in «Orpheus» 24, 2003, pp.

305-316. Vd. anche il fondamentale contributo di Momigliano, L'età del trapasso tra storiografia antica e storiografia medievale, cit., 106 s.; e le sempre valide riflessioni di Av. Cameron, Introduction, con le importanti suggestioni di Wheeldon, True Stories: the Reception of Historiography in Antiquity, in Cameron (Ed.), History as Text, cit., risp. 1-10 e 33-64, con G.W. Bowersock, Fiction as History. Nero to Julian, Berkeley-Los Angeles-London 1994, 1-27; 29-53. 920 Vd. supra 308. 921 Sull'argomento vd. l'interessante analisi di Cracco Ruggini, The Ecclesiastical Histories, cit., 107-126. 922 Socr. h. e. IV 31, 10-16 (268 Hansen). Sulla difficile situazione che dovette fronteggiare la dinastia pannonica e la serie di avvenimenti che portò all'elezióne di Valentiniano II, grazie al ruolo che in esso giocò 179 Ἰστέον δὲ ὅτι Οὐαλεντινιανῷ ἐγεγόνει οὗτος ἐξ Ἰουστίνης, ἣν ἐπέγημεν ζώσης αὐτοῦ τῆς προτέρας γυναικὸς Σευήρας δι’ αἰτίαν τοιάνδε. Ἰοῦστος ὁ τῆς Ἰουστίνης πατήρ, τῆς περὶ Πικίνον ἐπαρχίας ἤδη πρότερον ἐπὶ τῶν Κωνσταντίου χρόνων ἄρχων καθεστώς, εἶδεν ὄναρ, ὡς ἐκ τοῦ δεξιοῦ μηροῦ ἁλουργίδα βασιλικὴν ἀπεκύησε. Τὸ δὲ ὄναρ ἐν πολλοῖς λεχθὲν ἥκει καὶ εἰς τὰς ἀκοὰς Κωνσταντίου· ὁ δὲ συμβαλὼν τὸ ὄναρ ὡς βασιλέως ἐξ αὐτοῦ τεχθησομένου πέμψας ἀναιρεῖ τὸν Ἰοῦστον. Ἡ δὲ αὐτοῦ θυγάτηρ Ἰουστίνα ἀπορφανισθεῖσα τοῦ πατρὸς ἔμεινεν παρθένος οὖσα. Χρόνῳ δὲ ὕστερον τῇ γαμετῇ τοῦ βασιλέως Οὐαλεντινιανοῦ Σευήρᾳ γνωρίμη καθίσταται, καὶ συνεχεῖς ἐποιεῖτο πρὸς τὴν βασιλίδα τὰς συντυχίας ἐπεὶ δὲ

ἐκρατύνθη ἡ συνήθεια, ἤδη καὶ συνελούετο αὐτῇ. Ὡς οὖν εἶδεν {αὐτὴν} λουομένην τὴν ᾿Ιουστίναν ἡ Σευήρα, ἠράσθη τοῦ κάλλους τῆς παρθένου, καὶ πρὸς τὸν βασιλέα διεξήει περὶ αὐτῆς, ὡς οὕτως εἴη θαυμαστὸν ἔχουσα κάλλος ἡ παρθένος ἡ τοῦ Ἰούστου θυγάτηρ, ὡς καὶ αὐτὴν καίτοι γυναῖκα οὖσαν ἐρασθῆναι τῆς εὐμορφίας αὐτῆς. Ὁ δὲ βασιλεὺς ταμιευσάμενος τῆς γυναικὸς τὸν λόγον ἀγαγέσθαι τὴν Ἰουστίναν ἐβουλεύσατο, μὴ ἐκβαλὼν τὴν Σευήραν, ἀφ’ ἧς αὐτῷ Γρατιανὸς ἐγεγόνει, ὃν μικρὸν ἔμπροσθεν ἀνηγορεύκει βασιλέα. Νόμον οὖν ὑποαγορεύσας δημοσίᾳ προτίθησι κατὰ πόλεις, ὥστε ἐξεῖναι τῷ βουλομένῳ δύο νομίμους ἔχειν γυναῖκας. Καὶ ὁ μὲν νόμος προέκειτο, ὁ δὲ ἄγεται τὴν Ἰουστίναν, ἀφ᾽ ἧς αὐτῷ γίνεται Οὐαλεντινιανός τε ὁ νέος καὶ θυγατέρες τρεῖς, Ἰούστα Γράτα Γάλλα. Ὧν αἱ μὲν δύο παρθενεύουσαι διετέλεσαν, Γάλλαν δὲ ὕστερον βασιλεὺς ἐ ἔγημεν Θεοδόσιος ὁ μέγας, ἀφ᾽ ἧς αὐτῷ Πλακιδία θυγάτηρ ἐγένετο· Ἀρκάδιον γὰρ καὶ Ὁνώριον ἐκ Πλακίλλης ἔσχεν τῆς προτέρας γυναικός. L'elemento, dunque, che ci fornisce la comprensione della verità non va ricercato tanto nella teatralizzazione del soggetto, ma si identifica con la scelta e il montaggio delle singole scene. Visibilmente fuori tema per un autore che intendeva attenersi ai fatti e alla relativa documentazione, nonchè apparentemente fuori luogo per una Historia ecclesiastica, a causa dell'adombrata tendenza omosessuale e per l’espressa giustificazione della bigamia, tematiche che disgustavano Baronio,923 la novella così come fu strutturata da Socrate aveva un

suo preciso intento semantico, che Concetta Molè ha ben spiegato. La sua collocazione al momento della morte di Valentiniano I e non nell’anno delle nozze, infatti, era tesa all’esaltazione della nuova dinastia dei Valentiniani-Teodosii; esaltazione che Teodosio II appoggiò e volle fosse sottolineata in occasione del ritorno in Occidente della zia Galla Placidia e del cugino Valentiniano III, circostanza che indicava la volontà di un suo controllo di quella parte dell'impero. A maggior gloria della dinastia, poi, sono costruiti i personaggi di Valentiniano e di Giustina:924 l'uno appare come "santo imperatore”, per nulla assimilabile allo stolto Candaule o al sacrilego Gige, l'altra appare come parthenos e orfana, inconsapevole di quanto accade attorno a sé. Tutta la colpa è addossata a Marina Severa,925 la quale, attratta dalla giovane donna, addirittura, spingerebbe il marito al peccato. L'assoluta colpevolezza della regina, crediamo di poter aggiungere, molto probabilmente fu causata dal fatto che l'accordo, stipulato al momento dell’elevazione di suo figlio Graziano, ormai per i contraenti aveva perso la sua utilità. L'imperatrice era sacrificabile: la giovane e bella discendente dei Nerazi non solo era più desiderabile, ma, soprattutto, era più utile al gruppo dei Pannonii nella loro lotta contro l'aristocrazia conservatrice, guidata dai Simmachi. Ella avrebbe consentito un avvicinamento alla famiglia emergente dei Probi, che, alla fine, giunsero a un accordo con i militari, tra cui erano, tra l'altro, anche i parenti di Giustina. Infatti non solo il padre della giovane, Giusto, aveva collaborato con Magnenzio,926 insieme al comes Giustina, cfr. Raimondi, Valentiniano I, cit., 71 ss.; Lizzi Testa, Senatori, Popolo, cit., 48 ss. e supra 273; 310. 923 Come si legge in PG LXVII, 547D dove si attribuisce maggiore credibilità addirittura a Zos. IV 43,1. 924 Cfr. O. Seeck, Justina, in RE X/2 (1919), 1337 s.; con PLRE I, 488489; vd. anche supra 309. 925 Cfr. W. Ensslin, in RE XIV/2 (1930), 1756 s.; con PLRE I, 828.

926 Lizzi Testa, Senatori. Popolo, cit., 48. Per la rete di parentele e amicizie importanti attorno a Giustina vd. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 138. Graziano seniore (O. Seeck, in RE VII/2 (1912), 1831; PLRE I, 400-401), infatti, già secondo A. Solari, Graziano maior, «Athenaeum» X (1932), 160164, sarebbe appartenuto a un ramo dei Vettii Grati meno fortunato rispetto a quello di Giusto, sicché si potrebbe comprendere la differenza di valutazione tra lo pseudo Aurelio Vittore ( epit. de Caes. 45, 2: mediocri stirpe) e Ammiano (XXX 7, 2, [VI 18 Sabbah]: ignobili stirpe). Cibalae, dove i VaJentiniani avevano le loro proprietà (Amm. XXX 7, 2 [VI 18 Sabbah]; Hier. chron ad a. 244; Lib. or. XX 5; Zos. III 36, 3; Philost. h. e. VII 7; Socr. h. e. IV 1; Zon. XIII 15 (Büttner-Wobst III 73), inoltre, era un municipio trasformato in colonia severiana, luogo adatto per nobili in difficoltà e in cerca di fortuna (A. Mocsy, Pannonia and Upper Moesia, A history of the Middle Danube Provinces of Roman Empire, London 1974, 143, 255). Del resto i Nerazi erano originari di Sepino (Gaggiotti, Le iscrizioni della basilica di Saepinum, cit., 144-169) e non tutti tra loro potevano vantare il clarissimato. Per Chausson, Stemmata aurea, cit., 177 il trait d'union sarebbe L. 180 Britanniae Graziano seniore, ma anche il fratello aveva condiviso i pericoli con il generale pannonico Lucilliano, durante la spedizione di Giuliano, e, con Vittore e Saluzio, ex collaboratori di Giuliano, aveva fatto parte della fazione pacifista, che, alla fine, aveva deciso per il patto ignominioso del 363, siglato da un imperatore pannonico, Gioviano.927 Non è certo il caso, in questa sede, di rileggere puntualmente il famoso racconto erodoteo sulla vicenda di Gige e Candaule,928 ma val la pena di enucleare i singoli “movimenti” della narrazione e confrontarli con quelli del nostro Socrate:

Turranius Gratianus, PVR nel 290. Sulla politica di Magnenzio cfr. Laffranchi, Commento numismatico alla storia dell'imperatore Magnenzio e del suo tempo, in Atti e Memorie dell'Istituto Italiano di Numismatica, VI, cit., 199 e in particolare Kellner, Libertas und Christogramm, cit., 56 ss., con Bastien, Le monnayage de Magnence, cit., 45-46 e spec. 78-88 e Didu, Magro Magnenzio. Problemi cronologici ed ampiezza della sua usurpazione, cit., 11-23. Vd. anche l’interessante art. di Wardman, Usurpers, cit., 220-237. 927 Sul trattato vd. le importanti riflessioni di Mazza, Cultura, guerra e diplomazia, cit., 124 ss, con esaustiva bibliografia. 928 Hdt. hist. I, 7-12: Ἄγρων μὲν γὰρ ὁ Νίνου τοῦ Βήλου τοῦ Ἀλκαίου πρῶτος Ἡρακλειδέων βασιλεὺς ἐγένετο Σαρδίων, Κανδαύλης δὲ ὁ Μύρσου ὕστατος. ὁ Κανδαύλης ἠράσθη τῆς ἑωυτοῦ γυναικός, ἐρασθεὶς δὲ ἐνόμιζέ οἱ εἶναι γυναῖκα πολλὸν πασέων καλλίστην. Ὥστε δὲ ταῦτα νομίζων, ἦν γάρ οἱ τῶν αἰχμοφόρων Γύγης ὁ Δασκύλου ἀρεσκόμενος μάλιστα, τούτῳ τῷ Γύγῃ καὶ τὰ σπουδαιέστερα τῶν πρηγμάτων ὑπερετίθετο ὁ Κανδαύλης καὶ δὴ καὶ τὸ εἶδος τῆς γυναικὸς ὑπερεπαινέων. Χρόνου δὲ οὐ πολλοῦ διελθόντος, χρῆν γὰρ Κανδαύλῃ γενέσθαι κακῶς, ἔλεγε πρὸς τὸν Γύγην τοιάδε· «Γύγη, οὐ γάρ σε δοκέω πείθεσθαί μοι λέγοντι περὶ τοῦ εἴδεος τῆς γυναικός (ὦτα γὰρ τυγχάνει ἀνθρώποισι ἐόντα ἀπιστότερα ὀφθαλμῶν), ποίεε ὅκως ἐκείνην θεήσεαι γυμνήν.» Ὁ δὲ μέγα ἀμβώσας εἶπε: «Δέσποτα, τίνα λέγεις λόγον οὐκ ὑγιέα, κελεύων με δέσποιναν τὴν ἐμὴν θεήσασθαι γυμνήν; Ἅμα δὲ κιθῶνι ἐκδυομένῳ συνεκδύεται καὶ τὴν αἰδῶ γυνή. Πάλαι

δὲ τὰ καλὰ ἀνθρώποισι ἐξεύρηται, ἐκ τῶν μανθάνειν δεῖ· ἐν τοῖσι ἕν τόδε ἐστί, σκοπέειν τινὰ τὰ ἑωυτοῦ. Ἐγὼ δὲ πείθομαι ἐκείνην εἰναι πασέων γυναικῶν καλλίστην, καί σεο δέομαι μὴ δέεσθαι ἀνόμων.» Ὁ μὲν δὴ λέγων τοιαῦτα ἀπεμάχετο, ἀρρωδέων μή τί οἱ ἐξ αὐτῶν γένηται κακόν. Ὁ δ᾽ ἀμείβετο τοῖσδε: «Θάρσεε, Γύγη, καὶ μὴ φοβέο μήτε ἐμέ, ὥς σεο πειρώμενος λέγω λόγον τόνδε, μήτε γυναῖκα τὴν ἐμήν, μή τί τοι ἐξ αὐτῆς γένηται βλάβος· ἀρχὴν γὰρ ἐγὼ μηχανήσομαι οὕτω ὥστε μηδὲ μαθεῖν μιν ὀφθεῖσαν ὑπὸ σέο. ᾿Εγὼ γάρ σε ἐς τὸ οἴκημα ἐν τῷ κοιμώμεθα ὄπισθε τῆς ἀνοιγομένης θύρης στήσω· μετὰ δ᾽ ἐμὲ ἐσελθόντα αὐτίκα παρέσται καὶ ἡ γυνὴ ἡ ἐμὴ ἐς κοῖτον. Κεῖται δὲ ἀγχοῦ τῆς ἐσόδου θρόνος· ἐπὶ τοῦτον τῶν ἱματίων κατὰ ἕν ἕκαστον ἐκδύνουσα θήσει καὶ κατ᾽ἡσυχίην πολλὴν παρέξει τοι θεήσασθαι. Ἐπεὰν δὲ ἀπὸ τοῦ θρόνου στείχῃ ἐπὶ τὴν εὐνὴν κατὰ νώτου τε αὐτῆς γένῃ, σοὶ μελέτω τὸ ἐνθεῦτεν ὅκως μή σε ὄψεται ἰόντα διὰ θυρέων.» Ὁ μὲν δή, ὡς οὐκ ἐδύνατο διαφυγεῖν, ἦν ἕτοιμος· ὁ δὲ Κανδαύλης, ἐπεὶ ἐδόκεε ὥρη τῆς κοίτης εἶναι, ἤγαγε τὸν Γύγην ἐς τὸ οἴκημα, καὶ μετὰ ταῦτα αὐτίκα παρῆν καὶ ἡ γυνή· ἐσελθοῦσαν δὲ καὶ τιθεῖσαν τὰ εἵματα ἐθπεῖτο ὁ Γύγης. Ὡς δὲ κατὰ νώτου ἐγένετο ἰούσης τῆς γυναικὸς ἐς τὴν κοίτην, ὑπεκδὺς ἐχώρεξ ἔξω. Καὶ ἡ γυνὴ ἐπορᾷ μιν ἐξιόντα. Μαθοῦσα δὲ τὸ ποιηθὲν ἐκ τοῦ ἀνδρὸς οὔτε ἀνέβωσε αἰσχυνθεῖσα οὔτε ἔδοξε μαθεῖν, ἐν

νόῳ ἔχουσα τείσεσθαι τὸν Κανδαύλην· παρὰ γὰρ τοῖσι Λυδοῖσι, σχεδὸν δὲ καὶ παρὰ τοῖσι ἄλλοισι βαρβάροισι, καὶ ἄνδρα ὀφθῆναι γυμνὸν ἐς αἰσχύνην μεγάλην φέρει. Τότε μὲν δὴ οὕτως οὐδὲν δηλώσασα ἡσυχίην εἶχε· ὡς δὲ ἡμέρη τάχιστα ἐγεγόνεε, τῶν οἰκετέων τοὺς μάλιστα ὥρα πιστοὺς ἐόντας ἑωυτῇ ἑτοίμους ποιησαμένη, ἐκάλεε τὸν Γύγην. Ὁ δὲ οὐδὲν δοκέων αὐτὴν τῶν πρηχθέντων ἐπίστασθαι ἦλθε καλεόμενος· ἐώθεε γὰρ καὶ πρόσθε, ὅκως ἡ βασίλεια καλέοι, φοιτᾶν. Ὡς δὲ ὁ Γύγης ἀπίκετο, ἔλεγε ἡ γυνὴ τάδε: «Νῦν τοι δυῶν ὁδῶν παρεουσέων, Γύγη, δίδωμι αἵρεσιν, ὁκοτέρην βούλεαι τραπέσθαι· ἢ γὰρ Κανδαύλην ἀποκτείνας ἐμέ τε καὶ τὴν βασιληίην ἔχε τὴν Λυδῶν, ἢ αὐτόν σε αὐτίκα οὕτω ἀποθνήσκειν δεῖ, ὡς ἄν μὴ πάντα πειθόμενος Κανδαύλῃ τοῦ λοιποῦ ἴδῃς τὰ μή σε δεῖ. Ἀλλ᾽ ἤτοι κεῖνόν γε τὸν ταῦτα βουλεύσαντα δεῖ ἀπόλλυσθαι ἢ σὲ τὸν ἐμὲ γυμνὴν θεησάμενον καὶ ποιήσαντα οὐ νομιζόμενα.» Ὁ δὲ Γύγης τέως μὲν ἀπεθώμαζε τὰ λεγόμενα, μετὰ δὲ ἱκέτευε μή μιν ἀναγκαίῃ ἐνδέειν διακρῖναι τοιαύτην αἵρεσιν. Οὐκ ὧν δὴ ἔπειθε, ἀλλ᾽ ὥρα ἀναγκαίην ἀληθέως προκειμένην ἢ τὸν δεσπότην ἀπολλύναι ἢ αὐτὸν ὑπ᾽ ἄλλων ἀπόλλυσθαι· αἱρέεται αὐτὸς περιεῖναι. Ἐπειρώτα δὴ λέγων τάδε· «Ἐπεί με ἀναγκάζεις δεσπότην τὸν ἐμὸν κτείνειν οὐκ ἐθέλοντα, φέρε ἀκούσω, τέῳ καὶ τρόπῳ ἐπιχειρήσομεν αὐτῷ.» Ἡ δὲ ὑπολαβοῦσα ἔφη: «Ἐκ τοῦ

αὐτοῦ μὲν χωρίου ἡ ὁρμὴ ἔσται ὅθεν περ καὶ ἐκεῖνος ἐμὲ ἐπεδέξατο γυμνήν, ὑπνωμένῳ δὲ ἡ ἐπιχείρησις ἔσται.» Ὡς δὲ ἤρτυσαν τὴν ἐπιβουλήν, νυκτὸς γενομένης (οὐ γὰρ ἐμετίετο ὁ Γύγης, οὐδέ οἱ ἦν ἀπαλλαγὴ οὐδεμία, ἀλλ᾽ ἔδεε ἢ αὐτὸν ἀπολωλέναι ἢ Κανδαύλην) εἵπετο ἐς τὸν θάλαμον τῇ γυναικί. Καί μιν ἐκείνη ἐγχειρίδιον δοῦσα κατακρύπτει ὑπὸ τὴν αὐτὴν θύρην. Καὶ μετὰ ταῦτα ἀναπαυομένου Κανδαύλεω ὑπεκδύς τε καὶ ἀποκτείνας αὐτὸν ἔσχε καὶ τὴν γυναῖκα καὶ τὴν βασιληίην Γύγης· τοῦ καὶ Ἀρχίλοχος ὁ Πάριος, κατὰ τὸν αὐτὸν χρόνον γενόμενος, ἐν ἰάμβῳ τριμέτρῳ ἐπεμνήσθη. 181 ΕRODOTO SOCRATE I movimento: I movimento: Passaggio del potere ai Mermnadi dagli Eraclidi, Sogno profetico di Giusto. Interpretazione e sua che lo avevano ricevuto tramite oracolo dalla uccisione da parte del crudele Costanzo II. divinità, a causa dell’errore di Candaule. Rapporto tra questi e il futuro re, Gige. Presentazione della Presentazione dell’infelice Giustina e caratterizzata bellezza della regina e accordo. come orfana, giovane e vergine. II movimento

II movimento Scena nella camera: svelamento e visione. Ira della Incontro tra l’imperatrice e Giustina. regina e Gige al bivio: accordo tra lui e la regina. Innamoramento (ἐρασθῆναι) di Marina Severa. Racconto a Valentiniano. III movimento III movimento Conseguenze: agguato a Candaule, Conseguenze: nuove nozze, giustificazione della uccisione/punizione del re, legittimazione dei bigamia e legittimazione dei Valentiniani-Teodosii. Mermnadi. In entrambi i casi gli autori ci descrivono un menage a trois, ma le proporzioni tra i sessi partecipanti all'intreccio amoroso sono capovolte. In un caso, abbiamo l'amicizia tra i due maschi che si contenderanno la donna;929 nell'altro, l'attrazione è descritta tra le

donne, che, alla fine, condivideranno lo sposo. Con lo stesso effetto speculare si riflettono le emozioni e l'immaginario dei due diversi orizzonti politici, cronologici, religiosi, in definitiva culturali. Laddove nell'età di Erodoto, e per la civiltà che la sua indagine riflette,930 il legame di stretta confidenza tra i due amici era non solo immaginato, ma anche verisimile, con uno scarto per la definizione della figura femminile, la caratterizzazione di Socrate riflette l’importanza e la centralità assunte dalle principesse teodosiane. Di certo, sebbene appaia fuori posto, in una storia ecclesiastica, la libertà che Severa manifesta nel colloquio con Valentiniano, essa ben traduce l’intimità tra i coniugi della nuova tipologia matrimoniale931 e risulta ben spiegabile dall'intento edificante e apologetico dello storico nei 929 Oltre all'ormai datato, ma importante, K. Flower Smith, The Literary Tradition of Gyges and Candaules, AJPh 41, 1920, 1-37, cfr. W. Speyer, s.v. Gyges, in Reallexikon f. Antike und Christentum, XIII, 1984, 150-155; E.M. Moorman-W. Uitterhoeve, s.v. in Lexikon der antiken Gestalten, Stuttgart 1995 (trad. it., Milano 1998); R. Pichler, Kandaules and Gyges in Antike und Neuzeit, «Wiener Humanistiche Blatter» 39, 1997, 37-59; B. van Zyl Smit, The Story of Candaules, his Wife and Gyges: Love and Power in Ancient and Modern Literatur, in H. Hofman-M. Zimmerman (Hrsg.), Groningen Coll. on the Novel, IX, Gronigen 1998; 205-228. 930 Per il rapporto tra realtà storica e ricostruzione erodotea, cfr. C. Talamo, La Lidia Arcaica, Bologna 1979; M. Lombardo, Erodoto, storico dei Lidi, in G. Nenci-O. Reverdin (Éd.), Hérodote et les peuples non Grecs, Vandoeuvres-Genève 1990, 171-214. Sulle fonti erodotee vd. O. Murray, Herodotus and Oral History, in H. Sancisi Weerdeburg-A. Kuhrt (Eds.), Achaemenid History, II. The Sources, Leiden 1987, con J.A.S. Evans, Candaules uhom the Greets name Myrsilus, GRBS 26, 1985, 229-233. 931 Contro la trasformazione dei concetti di matrimonio e famiglia tra tarda repubblica e impero, soprattutto nei ceti alti, si schiera M.

Corbier, Les comportaments familiaux de l'aristocratie romaine (II siècle avant J. C. - III siècle de l'Empire), «Annales ESC» 6, 1987, 1267-1285., seguita da S. Treggiari, Roman Marriage: Iusti Coniuges from Time of Cicero to the Time of Ulpian, Oxford 1991, insieme a K.R. Bradley, Remarriage and the Structure of the Upper-class Roman Family, in B. Rawson (Ed.), Mariage, Divorce, and Children in Ancient Rome, Oxford 1996, 79 ss.; a favore, invece, già S. Mazzarino, La fine del mondo antico, Bari 1959, 125-140. Secondo lo studioso catanese, nell'attuazione del cambiamento, il cristianesimo e suoi protagonisti, come papa Callisto (vd. anche J. Gaudemet, La décision de Calliste en matière de mariage, in Studi in onore di U, Enrico Paoli, Firenze 1956, 333-344), giocarono un ruolo importante. Ancora negli anni settanta del XX secolo, P. Veyne, La famille et l'amour sous le HautEmpire Romain, «Annales ESC» 32, 1978, 35-63 182 confronti del pio imperatore. È su questo versante che si può rilevare la grande differenza, pur nell'analogia, tra le due trame narrative, non tanto perché la funzione politica del racconto spinga entrambi gli autori a moralizzare la narrazione in base a canoni evidentemente differenti, quanto per il fatto che l'insegnamento politico non è trasportato da Socrate in un passato remoto e in un misterioso mondo barbarico, di cui non si vuole riconoscere la saggezza,932 ma è riferito alla storia contemporanea, o quasi. Dalla differenza di ambientazione, appunto, deriverebbe la modulazione stilistica, più vicina all'indeterminatezza del romanzo, in Erodoto, maggiormente volta alla concretezza e all’incisività, nello storico ecclesiastico. Queste caratteristiche trovano espressione nella precisa ricostruzione del contesto, nella rivelazione dei nomi e nell’introduzione della vicenda, non attraverso il riferimento alla saga degli Eraclidi, ma tramite un sogno, i cui phantasmata tormentavano le notti - e i giorni . dell'uomo tardo antico.933 Dal punto di vista emozionale, aspetto che più riguarda la nostra, di historia, in entrambi i casi sono i sentimenti a mettere in moto l'azione e, come sempre, a tradire la visione del

mondo dei narratori e dei loro contemporanei. In Erodoto l'emozione dominante è l'ira della regina, che rivela il ruolo centrale della donna orientale nella legittimazione del potere,934 appartenente forse al nucleo originario del mythos. Essa è spiegata dallo storico di Alicarnasso tramite gli “stranieri” usi e costumi dei barbari e, senza dubbio, riflette l'aspetto pluralistico-popolare della cultura erodotea e la sua attenzione per gli elementi "folklorici”,935 confluente, in una singolare mistione, con la rigidità morale di una nuova tipologia di società, chiusa e controllata. In essa la hybris del protagonista deve essere punita e a questa esigenza vengono piegati i sentimenti della regina, del resto corrispondenti alla verità generale, che si cela nella fabula, funzionale al sotteso messaggio politico. sosteneva tale ipotesi, confortato dall'appoggio di M. Benabou, Pratique matrimoniale et représentation philosophique: le crépuscule des stratégies, Annales ESC 6, 1987, 1255-1266. A un cambiamento, compiutosi già in età repubblicana, pensa J. K. Evans, War Women and Children in Ancient Rome, London 1991; molti distinguo sono invece posti da B.D. Shaw, The Family in Late Antiquity: the Experience of Augustine, P&P 115, 1987, 3-51; con Id., The Cultural Meaning of Death: Age and Gender in Roman Family, in D. KertzerR.P. Saller, The Family in Italy from Antiquity to the Present, New Haven (Conn.)-London 1991, 66-91 ss., il quale ritiene che, con l'eccezione dei nobiles, fondamentalmente, la base dei legami familiari fosse la famiglia mono-nucleare, struttura sempre più affermatasi colla diffusione del cristianesimo, fenomeno però tipico più delle popolazioni urbane che delle classi elevate, caratterizzate persistentemente dal modello della “famiglia complessa”. 932 Era questo il terribile errore dei Greci, sottolineato da A. Momigliano, Alien Wisdom, trad. it., Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture, Torino 1997. 933 Di patologia si trattava già secondo Mazzarino, La Fine, cit., 139. An Age of Anxiety, così, riprendendo un'espressione del poeta dell'angoscia moderna W.H. Auden, E.R. Dodds, Pagan and Christian

in an Age of Anxiety, Cambridge 1965, trad. it., Pagani e cristiani in un'epoca di angoscia, Firenze 1970, definiva il periodo dla Marco Aurelio a Costantino, per indicare l'insicurezza materiale e morale che percorreva, in quegli anni, l'impero. Se gli oppositori del vecchio mondo potevano guardare con fiducia e speranza alla sua disgregazione, altri ne rimanevano profondamente angosciati e terribilmente sconvolti. Famosissimo il caso di nevrosi, sfociante in malattia psicosomatica, di Elio Aristide. Su esso, oltre al già cit. Dodds, 39 ss., vd. l'analisi di D. Gourevitch-M. Gourevitch, Le cas Aelius Aristides ou memoires d'un hystérique au IIe siècle, «Inform. Psychiatr.» 44, 1968, 897-902, con M.-H. Quet, Parler de soi por louer son dieu: le cas d'Aelius Aristide (du journal intime des ses nuits aux Discours sacrés en l'honneur du dieu Asclépios, in M.F Baslez-P. Hoffmann (Éd.), L'invention de l'autobiographie d'Hésiode à saint Augustin, Actes du deuxième Colloque de l'Équipe de recherche sur l'Hellénisme post-classique, Paris 14-16 Juin 1990, Paris 1993, 226230. Cfr. anche i più generali A.J. Festugiere, Personal Religion among the Greeks, Berkeley 1954, 85-104 e C.A. Behr, Aelius Aristides and the Sacred Tales, Amsterdam 1968, 72 ss. Sulla periautologia, vd. ult. E. Bianchini, L’elogio di sé in Cristo, Roma 2006, 60 ss. 934 Già J.J. Bachofen, Das Mutterrecht, Basel 1861. e spec. nell’ Introduzione tradotta da E. Cantarella (a cura di), Il potere femminile. Storia e teoria, Milano 1977, 193, come in Die Sage von Tanaquil, Heidelberg 1870, parlava di origine femminile del potere come fenomeno orientale e, assolutamente, non romano. Addirittura questa visione matriarcale originaria sarebbe stata volta dall'ideologia razzista (J. Evola (a cura di), Le madri e la virilità olimpica, Torino 1949) a identificare il patriarcato, forma superiore di organizzazione, come ariano e il matriarcato come appartenente a uno stadio preario e barbaro.

935 Per una definizione di cultura folldorica cfr. J. Le Goff, Cultura clericale e tradizioni folcloriche nella civiltà merovingia e Cultura ecclesiastica e cultura folklorica nel Medioevo: san Marcello di Parigi e il drago, ora in Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Torino 1977, 197-198, n. 17; 208; 209-256, con le riflessioni di J.-Cl. Schmit, «Religion populaire» et culture folklorique, «Annales ESC» 31, 1976, 941-953. 183 La stessa stratificata polivalenza è riscontrabile in Socrate. L'eros che nella Historia ecclesiastica s'impadronisce di Marina Severa, mette in moto un meccanismo di giustizia. La punizione non è, però, nell’immaginato rappresentato dallo storico al suo pubblico, la dannazione, come ci si potrebbe aspettare, ma la perdita del potere attraverso la legge sulla bigamia, vera o falsa che sia la notizia della sua istituzione.936 Una simile presentazione degli avvenimenti, sicuramente, ci porta ancora una volta a riflettere su quanto sia stato graduale e tortuoso il percorso della cristianizzazione dell'impero e quanto difficili da cogliere, variegati e molteplici, gli esiti d’acculturazione.937 Se la tipologia del castigo riflette, per così dire, il sostrato aristocraticopagano della cultura di Socrate e l’aspetto punitivo si salda con la nuova fede, il risalto riservato all’innocenza e alla purezza, senza dubbio, manifestano l’anima cristiana, con il suo rinnovato e democratico bagaglio di religious belief, paradigmi comportamentali, affetti e tecniche di comunicazione. A quest'ultimo si deve l'enfatizzazione dell'innocenza di Valentiniano, che s'infatuerebbe di Giustina solo attraverso il racconto della moglie, nonché la caratterizzazione della futura sposa. La bella giovane, viene descritta come vittima innocente della crudeltà di Costanzo II, che l'avrebbe resa orfana e senza protezione nei confronti delle richieste di Magnenzio. Ella si sarebbe salvata dalle grinfie del tiranno, evitando di essere violata, solo grazie alla tenera età, riuscendo a conservare, insieme alla verginità, la possibilità di fondare la dinastia dei

Valentiniani-Teodosii, attraverso le nozze con il niceno e pio imperatore. Socrate ha praticato una delle sue celebri diorthoseis,938 anche se, in questo caso, non in campo cronologico: con il riferimento alla legge sulla bigamia, ha assolto Valentiniano I e si è sottratto al compito di illustrare la sorte di Severa; con l’esaltazione della purezza di Giustina, ha trascurato il racconto delle sue peripezie, che forse avrebbero dato risposta agli inevitabili interrogativi del lettore. Infatti, all'interno della narrazione, non è di immediata evidenza il motivo della presenza di Giustina presso l'imperatrice Severa e, soprattutto l'amicale confidenza, dopo la morte di Magnenzio, il passaggio di Giuliano nelle Gallie e il successivo controllo di Giovino durante il breve regno di Gioviano. Il silenzio dello storico diverrebbe forse più comprensibile se trovasse conforto l'ipotesi, per altro attendibile, dell'appartenenza di Marina alla famiglia dei Severi, imparentati, come ha dimostrato Chausson,939 con i Nerazi, legati a loro volta per vincoli di parentela ai Costantinidi e di amicizia ai Valentiniani. Il rapporto tra Marina e Giustina e la presenza di quest'ultima a corte, sarebbe maggiormente comprensibile grazie al legame di parentela delle due donne; diverrebbe intellegibile il motivo del primo matrimonio dell’imperatore, dovuto all’intenzione di rafforzare la rete di alleanze e di seguire la consuetudine di unirsi all’interno della famiglia; risulterebbe evidente il disagio creato dalla preferenza di Valentiniano per il ramo più in auge, e più politicamente conveniente, della medesima gens. 936 Vd. gli studi di Volterra, Una misteriosa legge attribuita a Valentiniano I, in Studi in onore di Vincenzo Arangio-Ruiz, cit., 139-154 ora in Scritti giuridici, II, cit., 321-336; Gualandi, Intorno a una legge attribuita a Valentiniano I, in Studi in onore di P. De Francisci, III, cit. 175-225; sullo scopo di arginare i problemi posti dalla sterilità cfr. spec. R. Étienne, La démographie des familles impériales et sénatoriales au IVe siècle après J. C., in Transformations et Conflits au IVe siècle après J. C. , Coll. FIEC, (Bordeaux 7-12 sept. 1970), Bonn 1978; Albana, Imperatrici, donne d'alto rango e popolane, cit., 275-331. Sulla

bigamia, in particolare, cfr. Rouge, La pseudo-bigamie de Valentinien I er, cit., 5-15, con Manfredini, Valentiniano I e la bigamia, in Studi in onore di Cesare Sanfilippo, VII, cit., 361-386. Leppin, Vom Konstantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., 95, sfiora, ma non affronta, l'argomento, come G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen in Prinzipat und Spätantike, Stuttgart 2000, 167, n. 217. 937 Com'è noto, è questo uno dei leit-motiv della ricerca mazzariniana, alla base della definizione del concetto ermeneutico di koinè culturale, che ha avuto come esito la celebre relazione su La democratizzazione della cultura nel ‘Basso Impero’, in Rapports du XIe Congrès International des Sciences Historiques, cit., 35-74, ora in Antico tardo antico, cit., 75 ss., i cui riflessi si possono individuare ancora nelle suggestive tesi di Calderone, La tarda Antichità e l'Oriente, cit., 41-70 e Mazza, Di Ellenismo, Oriente e Tarda Antichità, ora in Tra Roma e Costantinopoli, cit., 67-94, Recentemente sulla riflessione mazzariniana è tornato M. Mazza, Due Maestri, Storia e filologia in Th. Mommsen e S. Mazzarino, Catania-Roma 2011, 23 ss. 938 Gli interventi, mirati a riorganizzare la storia in funzione eticoreligiosa, sono oggetto di una puntuale analisi da parte di Stephanidis, Ἱστορικαὶ διορθώσεις, cit., 57-128. 939 Cfr. Chausson, Stemmata aurea, cit., 128 ss. 184 In conclusione, seppur avvolta da un'atmosfera da Märchenroman,940 in cui l'unione presagita è posticipata per la cruenta decisione del crudele Costanzo e la verginità è mantenuta,941 nonostante l’intervento di Magnenzio, Socrate non ci narra certo una Familielegende,942 ma una Kraftlegende. Una tematica di siffatto genere, del resto, ha sempre affascinato le ruling classes, anche quelle tardoantiche, con la loro specificità, in in campo socioeconomico e culturale-ideologico,943 interesse e specificità ampiamente dimostrati, per esempio, dalla manipolazione dell’ Apfel legende da parte di Malala, in cui il motivo della mela/globo, ormai simbolo del dominio

imperiale sull’ orbis terrarum, intrecciandosi con il motivo novellistico del tradimento, traduceva in forma immaginifica, come abbiamo avuto modo di osservare,944 la spietata lotta delle diverse verse fazioni politiche all'interno della corte di Teodosio II.945 Appunto la τῆς βασιλείας ἐπιθυμία, nodo cruciale per la comprensione dell'immaginato e della sensibilità tardoantica, sta alla base di un altro scontro, dal forte impatto emozionale e dalle dimensioni che potremmo definire “cosmiche”, e dà origine alla narrazione della morte di Giuliano da parte di Teodoreto di Kyrrhos.946 940 Sul märchenhaft nella produzione tardoantica vd. M. Schanz-C. Hosius-G. Krüger, Geschichte der römischen Literatur, IV/2, München 1920, 87-92. Sulle caratteristiche del “romanzo” cfr. K. Bürger, Studien zur Geschichte des griechichen Roman, II, Blakenburg a. H. 1903, 21 ss.; B. Perry, The Ancient Romances. A Literary-historical Account of their Origins, Berkeley-Los Angeles 1967, 300 ss.; E. Rhode, Der griechische Roman und seine Vorlaüfer, Leipzig 19143, rist. an., Hildesheims 1960, 435 ss.; C.W. Müller, Der griechische Roman, in E. Vogt (Hrsg.), Griechische Literatur, Wiesbaden 1981, 383-386; A. Scobie, Storytellers, Storytelling and the Novel in Graeco-Roman Antiquity, RhM 122, 1979, 229-259. Sulle traduzioni/rielaborazioni di epoca tardoantica vd, oltre al classico P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident de Macrobe à Cassiodore, Paris 1948; H. Marti, Übersetzer der Augustin-Zeit, München 1974, passim; A. Traina, Le traduzioni, con esaustiva bibliografia, in G. Cavallo-P. Fedeli-A, Giardina, Lo spazio letterario di Roma antica, II, Roma 1989, 93-123. 941 Per il tema della verginità mantenuta cfr. Rhode, Der griechische Roman, cit., 388; K. Kerényi, Die griechisch-orientaliche Romanliteratur in religionsgeschichtlicher Beleucthung, Tübingen 1927, 197 ss. e spec. J. Geffcken, Die christlichen Martyrien, «Hermes» 45, 1910, 481-505; R. Reizenstein, Historia Monachorum und Historia Lausiaca, Göttingen 1916, 63, 66; P. Franchi De’ Cavalieri, S. Agnese nella tradizione e nella leggenda, «Römische Quartalschrift» suppl. 10, 1899, 24 ss. Sui rapporti tra romanzo, aretalogie e religioni misteriche, oltre al già cit. Kerényi, si vedano R.

Reitzenstein, Hellenistiche Wundererzählungen, Leipzig 1906; R. Merkelbach, Roman und Mysterium in der Antike, München 1962, con i contributi in J. Tatum (Ed.), The Search for the Ancient Novel, Baltimore 1994. 942 Termine coniato ( Histoire de famille), da T. Szepessy, The Ancient Family Novel (A typological proposal), AAntHung 31, 19851988, 357-365, per indicare la specificità dell’ Historia Apollonii regis, interpretata come la vicenda di una famiglia separata, con i suoi membri erranti per i paesi del Mediterraneo, che, alfine, si ricongiungono. 943 Il romanzo come riflesso del reale, come trascrizione della realtà nell'immaginario, è stato analizzato da M. Zeraffa, Roman et société, Paris 1971, 83. Non è certo un caso che la narrazione della lotta per il potere sia riscritta secondo schemi non epici, ma romanzeschi, rispondenti ai profondi bisogni e all'emotività del nuovo pubblico. La nuova grammatica storiografica è intrisa di märchenhaft: i nuovi eroi (Mazza, Il vero e l’immaginato, cit., 190) non sono i rappresentanti di un'aristocrazia militare, rispondenti all’etica epica dell'onore, ma il saggio pagano come Apollonio di Tyana, l'amico di dio alla Scenute, la santa vergine, immagine di Pulcheria. 944 Vd. Langauer, Untersuchungen zur Symbolik des Apfels, cit, 45 ss. Cfr. anche supra (34; 223), in cui si fa rilevare come all’immagine mariana dell'imperatrice si contrapponesse quella diabolica, in cui vennero, appunto, a consfluire gli aspetti fondamentali dell’ Apfelssymbolik, Al popolare motivo erotico si collegò, infatti, il dotto ricordo del pomo della discordia e con esso s’intrecciò quello della Reichsapfel, simbolo del potere e, pour cause, in esso s’insinuò l’immagine del peccato originale, interpretazione del ruolo di Eva che la simbologia mariana sembrava aver cancellato. Teodosio, che nel racconto di Malala aveva donato una mela alla moglie Eudocia, con il suo pegno d'amore, aveva, ancora una volta, consegnato il il mondo nelle mani di Eva, la quale, da parte sua aveva immediatamente

manifestato, nonostante le giustificazioni avanzate dal cronista, la propria abiezione, donandolo al complice del suo peccato. 945 Sull'argomento, vd. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 437 ss. 946 Cfr. ancora supra 59. 185 Se è vero, come è vero, che il mito è un complesso sistema di pensiero, in qualche modo in grado, non solo di registrare, ma anche di interagire e collaborare alla formazione di una determinata realtà,947 una siffatta creazione, con la sua architettura logica, non può essere svincolata dal processo storico, per quanto libera nelle sue scelte e dotata di specifica coerenza. L'operazione portata a compimento da Teodoreto, perciò, si presenta come una rivitalizzazione del patrimonio culturale e religioso classico, in un processo di acculturazione che non si rivela tanto come una pseudomorfosi,948 quanto si concreta, grazie all'opera del vescovo, in una, è il caso di dirlo, “conversione”, in cui il motivo agonistico dei gemelli, quello del viaggio iniziatico o, anche, quello filosofico-religioso del ricongiungimento dell’io con se stesso, unendosi con il tema cristologico e agiografico, insieme alla problematica apocalittica dell’ antikeimenos, si sono fusi, completamente mimetizzandosi e diventando altro. Abbiamo già avuto modo di sottolineare come Brown949 abbia esaminato l’immissione attiva di Satana nella vita e nell’immaginario dell’uomo tardoantico e sia riuscito a delineare efficacemente le importanti conseguenze prodottesi a livello sociale e culturale. In una società che credeva fermamente che ogni realtà concreta fosse riconducibile a Dio e che l’identità dell’individuo consistesse nel rapporto con il Signore e, in definitiva, nella sua fede, il male non poteva essere gestito da un uomo, benché superiore per conoscenza e acquisita saggezza. Esso consisteva necessariamente nell'opposizione a Dio da parte di un essere che misconosceva le

proprie origini, giungendo così a perdere la propria identità e condannando alla dannazione la propria anima. L’insigne studioso ha, dunque, seguito il percorso verso il fondamentale cambiamento di prospettiva verificatosi nei secoli suddetti. Egli ritiene che, in questo periodo, si sia attuata la scomparsa dell'immagine tradizionale del teurgo, e la trasformazione del theios aner, capace di comandare sui demoni, nel modello oppositivo all'archetipo del credente, che si affida a Dio, e, in campo politico, a quello dell'imperatore che stringe un patto con il megas basileus. Coerentemente, nella ricostruzione browniana, il nuovo mago non sembra trarre il proprio potere da conoscenze occulte e da una straordinaria abilità, ma dal patto stabilito con il diavolo, a causa del quale ha rinnegato la propria fede. In una siffatta prospettiva, etica e in direzione ultramondana, le vicende umane vengono esaminate sub specie aeternitatis, motivo fondamentale della necessaria sconfitta di Giuliano, secondo Teodoreto. Nell’impostazione del vescovo di Kyrrhos, però, è riscontrabile anche la vecchia concezione eusebiana, in cui il mondo era concepito come parallelo a quello celeste e, secondo una rinnovata “mitologia”, colui che ha abbandonato la vera fede è il rappresentante di Satana sulla terra; è il riflesso di 947 Sulla sterilità raggiunta dalla cultura classica e la creatività della gnosi, come è noto, seminali sono gli studi di W. Bousset, Hauptprobleme der Gnosis, Göttingen 1907 e Id., Religionsgeschichtliche Studien, Leiden 1979, insieme ai lavori di R. Reitzenstein, Das iranische Erlösungsmysterium, Bonn 1921. Sulla metodologia della Religionsgeschichtliche Schule vd. C. Colpe, Die Religionsgeschichtliche Schule, Göttingen 1961 e A.F. Verheule, W. Bousset. Leben und Werk, Amsterdam 1973,. 271 ss. Sull'importanza della scuola vd. ult. M. Mazza, Tra Roma e Costantinopoli, cit., 20 ss. e Id., Due Maestri, cit., 88 ss. Naturalmente, a livello di tradizione religiosa, oltre all'art. di H.J. Polonski, Manichäismus, in RE, Suppl. VI, 1935, 240-271, cfr. il lavoro di H.Ch. Puech, Le manichéisme, Paris 1949; F. Decret, Mani et la

tradition manichéenne, Paris 1974.; G. Filoramo, L’attesa della fine: Storia della Gnosi, Bari-Roma 1983, che crede nella capacità del mythos di adattarsi agli statuti culturali dominanti, prestando la sua capacità di rappresentazione e la sua forza simbolica al logos di volta in volta vincente, Sul tema vd. J.P. Vernant, Mythe et société en grèce ancienne, Paris 1974, 213 ss.; G. Giannotti, Mito e storia nel pensiero greco, Torino 1979; G.S. Kirk, Mito, trad. it., Napoli 1980; L. Bertelli, L'utopia greca, in L. Firpo (a cura di), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, Torino 1982, 549 ss., con M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, II, München 1961), 56 ss. 948 Marrou, Decadence romaine, cit., 23. 949 Brown, Stregoneria, demoni e la nascita del cristianesimo; dalla tarda antichità al medioevo, trad. it. di Witcheraft, Confessions and Accusations, cit., 17-45, in Religione e società nell'età di sant'Agostino, Torino 1975, 126 ss. (trad. it. di Religion and Society in the Age of Saint Augustin, London 1972), Cfr. anche Abel, La place de les sciences occultes, cit., 291 ss., con Janowitz, Magic in the Roman World, cit., 27 ss. Cfr. anche supra 58 ss. 186 Lucifero, il precursore di Faust950 che ha venduto la sua anima, rinunciando alla propria identità, l'apostata per antonomasia. L'interpretazione della vicenda giulianea, da parte di Teodoreto,951 sembra introdurre, all'interno di un contesto biblico-cristiano, motivi di tradizione classica ed ellenistica. La castiganda hybris, la riprovevole auri sacra fames 952 e l'esecranda cupido regni si trasformano da mezzo per il raggiungimento della compassionevole consapevolezza dell'alterna vicenda delle umane sorti a motivo di dannazione del ribelle, dinanzi a cui si apre l'abisso dell'inferno. Il vescovo appare utilizzare, con cosciente abilità, quella sorta di koiné congrua alla formazione di una nuova classe dirigente, dalla quale erano accettate.

tendenze culturali non più considerate esclusivamente popolari, come il “sistema interpretativo della realtà”, analizzato da Momigliano.953 Ad esse, in Teodoreto, si uniscono vecchie tecniche narrative come la profezia sul passato,954 rivisitata in una prospettiva apocalittica, tipica della letteratura cristiana radicale, basata non sull’oracolo, ma sulla predizione del santo monaco Giuliano Saba. Essa preannuncia la morte in guerra dell’imperatore, asserendo la giusta necessità della fine del peccatore e svelando tutta la violenza del contrasto nel confronto con il maiale devastatore della vigna del Signore.955 κατ᾽ ἐκείνην δὲ τὴν ἡμέραν καθ᾽ ἣν ἐκεῖνος ἐδέξατο τὴν σφαγήν, οὗτος ταύτην προσευχόμενος ἔγνω, καίτοι πλειόνων ἢ εἴκοσι σταθμῶν ἐκ τοῦ φροντιστηρίου μέχρι τοῦ στρατοπέδου ἀριθμουμένων. φασὶ δὲ αὐτὸν (Saba) ποτνιώμενον καὶ τὸν φιλάνθρωπον ἀντιβολοῦντα δεσπότην ἐπισχεῖν μὲν ἐξαπίνης τὴν τῶν δακρύων φοράν, διαχυθῆναι δὲ καὶ θυμηδίας πλησθῆναι καὶ γανωθῆναι τὸ πρόσωπον καὶ τούτῳ μηνῦσαι τὴν τῆς ψυχῆς ἡδονήν. ταύτην οἱ συνηθέστεροι τὴν μεταβολὴν αὐτοῦ θεασάμενοι, μηνῦσαι σφίσιν ἱκέτευσαν τῆς εὐφροσύνης τὴν ἀφορμήν. ὁ δὲ τὸν σῦν ἔφη τὸν ἄγριον τὸν τοῦ ἀμπελῶνος τοῦ θείου πολέμιον δίκας εἰσπεπρᾶχθαι τῶν εἰς τοῦτον ἀδικημάτων καὶ κεῖσθαι νεκρόν, τῆς ἐπιβουλῆς πεπαυμένον. In quest'immagine, carica di tensione, è contenuto il dramma di Giuliano; essa rappresenta l'acme di una klimax, che è l'esatto opposto dell'ascesi nel racconto di metamorfosi o nella biografia agiografica. Pur nel ribaltamento operato, però, come in quella tipologia narrativa, i gradini della progressiva consapevolezza e del

progrediente avvicinamento al divino, costituenti le nuove peripezie, non sono distinti da un iato temporale: un simile percorso, determinando la vita del protagonista, costituisce la sostanza stessa del romanzo e la motivazione del racconto.956 Infatti, nella storia del vescovo di Kyrrhos, il tempo d'avventure non è quello senza tracce del romanzo greco. Esso incide profondamente sulla vita e sul destino dell'uomo, in questo caso aggravando la sua condizione e condannandolo alla sconfitta, fattore necessario per il ricongiungimento della molteplicità con il Dio creatore e determinante la completa dannazione del peccatore. In questo caso la klimax non può essere costituita se non dai gradi di una progressiva perdizione, in cui il protagonista non diventa altro da sé alla fine del racconto, ma all’inizio del suo percorso, In esso, la tappa fondamentale è rappresentata dalla negazione e dalla ribellione, per Giuliano dall’Apostasia: il sapiente 950 Radermacher, Griechiche Quellen zur Faustsage, cit., 44. Sulle fonti, vd. Eitrem, Papyri Osloenses, I, cit; Preisedanz, Die Griechischen Zauberpapyri, Berlin 1928-1931; Nock, Greek Magical Papyri, JEA 15, (1929), 219-235 ora in Essay on Religion, cit., 176 ss.; Nilsson, Die Religion in der Griechischen Zauberpapyri, Bulletin de la Société de Lettres de Lund, II (1947-1948), 60 ss., ora in Opuscula Selecta, cit., 129-166. Cfr. anche E. Suárez de la Torre, La divinazione nei Papiri Magici Greci, in M. Monaca (a cura di), Problemi di storia religiosa del mondo tardoantico. Tra mantica e magia, Hierá, Collana di studi storico-religiosi, 14, Cosenza 2009, 14-44, spec. 15 ss. 951 Thdt. h. e. II 32 ss. (174 ss., Parmentier). 952 Verg. Aen. III 57. 953 Cfr. Momigliano, Popular Religious Beliefs and the Late Roman Historians, in Quinto contributo, cit., 92. 954 Cfr. Mazzarino, PSC, I, cit., 29 ss. 955 Psalm. 79, 14.

956 Oltre agli studi già citt. (n. 55) cfr. P. Fedeli, Il Romanzo, in G. Cavallo-P. Fedeli-A. Giardina (a cura di), Lo spazio letterario di Roma antica, I. La produzione del testo, rist., Roma 19982, 370, Sulla complessità del romanzo vd., inoltre, il fondamentale studio di M. Bachtin, Epos e romanzo. Sulla metodologia dello studio del romanzo, in AA. Vv., Problemi di teoria del romanzo, trad. it., Torino 1976, 186187 e Id., Estetica e romanzo, trad. it., Torino 1979, 241. 187 Teodoreto, esperto nel “riscrivere”957 le vicende di rigenerazione e purificazione e sicuro della padronanza del “grande codice biblico”,958 ci tramanda il romanzo della colpa e del peccato. Da una simile prospettiva scaturiscono, con stringente consequenzialità, il rilievo riservato, da parte del vescovo, all'originario cristianesimo di Giuliano e, dopo l’apostasia, l'esaltazione del terribile impatto tra personaggio e contesto. Mentre nel racconto agiografico, le azioni del santo sono destinate a risolvere situazioni di crisi,959 tramite un potere in grado di sconfiggere il male fisico o spirituale, nel récit del vescovo è la realtà a svelare la “malattia” di Giuliano. Lo sconvolgimento dello schema primitivo rende inevitabile l'evidenziazione dell’incapacità di interpretare i segni divini da parte dell'imperatore e la necessità di presentare come ineluttabile la fine di colui che e non può essere considerato se non come un usurpatore. Sfruttando le sue notevoli capacità di narratore, Teodoreto sottolinea il rimpianto di Costanzo, il quale, in punto di morte esecrava (πικρῶς ὠλοφύρετο) l'abiura della fede paterna,960 sì da far risaltare per contrasto la 957 M. Bettini, Le riscritture del mito, in Lo spazio letterario di Roma antica, I, cit.,.15-35. Sull’essenza del mito come insieme di varianti cfr. Cl. Lévi-Strauss, La struttura dei miti, in Id., Antropologia strutturale, trad. it., Milano 1966, 243. 958 N. Frye, Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, trad. it., Torino 1986, 45 ss. Cfr. anche M. van Uytfanghe, Stylisation biblique et condition humaine dans l'agiographie mérovingienne (600-750),

Bruxelles 1987, 263-270. Per l'influenza culturale della Bibbia vd. B. Smalley, La Bibbia nel Medioevo, trad. it., Bologna 1941, con J. Fontaine-Ch. Pietri (Éd.), Le monde latine antique et la Bible, Paris 1985. Sul codice biblico cfr. anche S. Boesch Gajano, Le metamorfosi del racconto, in G. Cavallo-P. Fedeli-A Giardina (a cura di), Lo spazio letterario di Roma antica, III. La ricezione del testo, rist., Roma 19992, 217 ss. 959 Cfr. G. Luck, Die Form der frühesten lateinischen Heiligenviten, in Mullus, Festschriften Theodor Klauser, Münster 1964, 230-241; Ch. Mohrmann, in Vite dei Santi, I. La “Vita Antonii" di sant'Anastasio, Introduzione generale, Milano 1974, LXX-LXXXIII, W. Berschin, Biographie und Epochenstil im Lateinischen Mittelalter, I. Von der Passio ‘Perpetuae’ zu den ‘Dialogi’ Gregors des Grossen, Stuttgart 1986, 46 ss.; Boesch Gajano, Le metamorfosi del racconto, cit., 235 ss. Articolata visione d'insieme delle esperienze religiose e della relativa produzione letteraria in S. Pricoco, Aspetti culturali del primo monachesimo d'Occidente, in A. Giardina (a cura di), Società romana e Impero tardoantico, IV, Bari 1986, 189-204. Su tale produzione letteraria è, in questa sede, possibile solo accennare ad alcuni aspetti e rinviare a G. Misch, Geschichte der Autobiographie, III/2. Das Mittelalter, Frankfurt a. M. 1962, 310-317, e J.-Cl Schmit, L‘autobiografia sognata’, in Id., Religione, folklore e società nell'Occidente medievale, Roma-Bari 1988, 269-307. Sul meraviglioso, presente non solo nella produzione genericamente letteraria, ma anche in quella strettamente storiografica tardoantica, vd. L. Cracco Ruggini, Il miracolo nella cultura del tardo impero: concetto e funzione, in Hagiographie, culture et sociétés, IV--XIE siecles, Paris, Études Augustiniennes, 1981, 161-204. Sul sacro vd. i sempre fondamentali studi di Brown, Society and the Holy in Late Antiquity, London 1982, trad. it., La società e il sacro, cit., 67-115; Religion and Society in the Age of St. Augustin, London 1972, trad. it., Religione e società, cit., 43 ss.; Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison-London 1992, trad. it., Potere e cristianesimo, cit., 34 ss; Poverty and Leadership in the Later Roman

Empire, London 2000, trad. it. Povertà e leadership, cit., 111 ss. 960 Thdt. h. e. II 32, 6; 9 (174; 177 Parmentier): Κατὰ τοῦτον τὸν χρόνον ὁ Κωνστάντιος πυθόμενος ὡς Ἰουλιανός, ὃν τῆς Εὐρώπης ἀπέφηνε Καίσαρα, μειζόνων πραγμάτων ἐφίεται καὶ κατὰ τοῦ τετιμηκότος στρατιὰν συνογείρει, ἀπὸ μὲν τῆς Συρίας ἀπῆρεν, ἐν δὲ τῇ Κιλικίᾳ τὸν βίον κατέλυσεν. οὐ γὰρ εἶχεν ἐπίκουρον ὃν ὁ πατὴρ αὐτῷ καταλέλοιπε, τῆς ποτρῴας εὐσεβείας ἄσυλον οὐ φυλάξας τὸν κλῆρον. οὗ δὴ εἵνεκα πικρῶς ὠλοφύρετο τῆς πίστεως τὴν μετάθεσιν. Κωνστάντιος μὲν δὴ στένων καὶ ὀδυρόμενος ὑπεξῆλθε τὸν βίον ὅτι τῆς πατρῴας πίστεως παρετράπηῃ· 188 sete di potere del suo Cesare (θάρσος δὲ λαβὼν ὡς οὐκ ὥφελε, τῶν βασιλικῶν ἐπεθύμησε σκήπτρων),961 quasi a profezia del male che incombe sul cugino. La malvagità di Giuliano è subito messa in primo piano, poiché egli è considerato, a tutti gli effetti, un usurpatore, indegno erede di Costanzo, per l'illegalità delle procedure seguite e per la fede religiosa. La bramosia di potere, da parte di Cesare, è, appunto, evidenziata dallo storico ecclesiastico per sottolineare l'illegittimità dell'ascesa al trono di Giuliano, del quale si tace, appositamente, l'acclamazione da parte dell'esercito. D'altro canto, la tragica follia giulianea è presentata come drammatica coazione a cercare vati e oracoli, che possano confermare il raggiungimento dei propri desideri. La cupido regni, nell'interpretazione del vescovo, porta il sovrano a sacrificare la propria anima, da lui consacrata ai misteri di una

religione blasfema, per le lusinghe di un ciarlatano. Per dissennata ambizione, l'Augusto perde l’εὐσέβεια, l’unica virtù che gli poteva assicurare l' electio e l’ auxilium Dei. In un allusivo gioco di corrispondenze, alla pax costantiniana si contrappone il regno dell’empio Giuliano,962 caratterizzato dai disordini nelle città (αἱ πόλεις στάσεων ἐνεπλήσθεσαν).963 In questo caso, Teodoreto utilizza un tema antico per rivelare l'impotenza dell’Apostata nel governare la realtà. Egli costruisce l’immagine giulianea come omologo negativo del santo, le cui virtutes, cioè capacità miracolistiche, rappresentate in forma mitico-simbolica, per i contemporanei, costituivano la piattaforma in cui si incontravano le esigenze dei ceti dirigenti e il bisogno dei ceti subalterni di comprendere e di controllare una realtà in trasformazione e sempre più caratterizzata da presenze antropologiche e culturali alternative.964 Alla costruzione della Chiesa del Santo Sepolcro si paragona la riapertura dei templi, con il pio rituale del cristianesimo si confronta la crudeltà dei sacrifici pagani. Agli oracoli, che predicevano il successo della spedizione persiana, si contrappone la succitata profezia del santo monaco Giuliano Saba, che preannunciava la futura e necessaria morte del sovrano.965 Nell'immagine profetica del maiale devastatore è icasticamente rappresentata e, come è stato sottolineato, drammaticamente racchiusa la vicenda terrena dell'Apostata. L'imperatore è condannato all’insuccesso, perché nelle teologia politica di Teodoreto la legittimità del sovrano risiede solo nella giusta risposta alla χλῆσις divina, attuata tramite εὐσέβεια e πραότης.966 Sono 961 Thdt. h. e. III 3, 1 (178 Parmentier): θάρσος δὲ λαβὼν ὡς οὐκ ὥφελε, τῶν βασιλικῶν ἐπεθύμησε σκήπτρων. οὗ δὴ εἵνεκατὴν Ἑλλάδα περινοστῶν μάντεις ἐπεζήτει καὶ χρησμολόγους, εἰ τεύξεται τοῦ

ποθουμένου μαθεῖν ἱμειρόμενος. περιτυγχάνει δὲ ἀνθρώπῳ ταῦτα προλέγειν ὑπισχνουμένῳ, ὃς τοῦτον εἴς τινα τῶν εἰδωλικῶν σηκῶν ἀγαγὼν καὶ εἴσω γενέσθαι τῶν ἀδύτων παρασκευάσας, τοὺς ἀπατεῶνας ἐκάλεσε δαίμονας, ἐκείνων δὲ μετὰ τῆς συνήθους φαντασίας ἐπιφανέντων, ἠνάγκασε τοῦτον τὸ δέος ἐπιθεῖναι τῷ μετώπῳ τοῦ σταυροῦ τὸ σημεῖον· οἱ δὲ τοῦ δεσποτικοῦ τροπαίου τὸν τύπον ἰδόντες καὶ τῆς σφετέρας ἥττης ἀναμνησθέντες, φροῦδοι παραυτίκα ἐγένοντο. συνεὶς δὲ ὁ γόης ἐκεῖνος τῆς φυγῆς τὴν αἰτίαν ἐπεμέμψατο τούτῳ. ᾿Ιουλιανὸς δὲ καὶ τὸ δέος ἐδήλωσε καὶ τοῦ σταυροῦ θαυμάζειν ἔφησε τὴν ἰσχύν· ἀπέδρασαν γὰρ οἱ δαίμονες τούτου τὸν τύπον οὐκ ἐνεγκόντες ἰδεῖν. «μὴ δὴ τοῦτο ὑπολάβῃς, ὦ ἀγαθέ», ὁ γόης ἔφη, «οὐ γὰρ ἔδεισαν, ὥς γε σὺ φής, ἀλλὰ βδελυξάμενοι τὸ παρὰ σοῦ γενόμενον ὥχοντο». οὕτω βουκολήσας τὸν δείλαιον ἐμύησέ τε καὶ τοῦ μύσους ἐνέπλησε. καὶ ἡ τῆς βασιλείας ἐπιθυμία τῆς εὐσεβείας ἐγύμνωσε τὸν τρισάθλιον. Παραλαβὼν δὲ ὅμως τὴν δυναστείαν ἐπὶ πλεῖστον ἔκρυψε τὴν ἀσέβειαν· διαφερόντως γὰρ ἐδεδίει τοὺς στρατιώτας, τὰ τῆς εὐσεβείας εἰσδεδεγμένους μαθήματα. πρῶτον μὲν γὰρ αὐτοὺς ὁ πανεύφημος Κωνσταντῖνος, τῆς προτέρας ἐξαπάτης ἐλευθερώσας, ἐξεπαίδευσε τὰ τῆς ἀληθείας μαθήματα· ἔπειτα δὲ οἱ ἐκείνου παῖδες βεβαιοτέραν ἐν αὐτοῖς τὴν παρὰ τοῦ πατρὸς γεγενημένην διδασκαλίαν εἰργάσαντο·

962 Thdt. h. e. I 1, 4; I 2, 2; III 3, 1; III 4, 2; III 6,4, III 8, 1; III 11,3 (risp. 4; 5; 178; 179; 182; 187-188 Parmentier). 963 Thdt. h. e. III 4, 3 (180 Parmentier). 964 Cfr. ancora Boesch Gajano, Le metamorfosi del racconto, cit., 236. Sul controllo teologico, M. van Uytfange, La controverse biblique et patristique autour du miracle, et ses répercussions sur l’agiographie dans l'Antiquité tardive et le haut Moyen Age latin, in E. Patlagean-P Riché (Ed.), Hagiographie, culture et sociétés IVe-ΧΙIe siècle, Actes du Colloque organisé à Nanterre et à Paris (2-5-mai 1978), Paris 1981, 205-233. Sul mito cristiano cfr. J.Cl. Schmitt, Problemi del mito nell'Occidente Medievale, in Id., Religione, folklore e società nell’Occidente Medievale, Roma-Bari 1988, 50-69, con, J.-P. Albert, Destins du mythe dans le Christianisme médiévale, «L’Homme» 30, 1990, 53-71. 965 Vd. Psalm. 79, 14. e supra 60. 966 Cfr. l'acuta analisi di Calderone, Costantino e il Cattolicesimo, I, cit., 44 ss. e Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des Souveraines, cit., 216-261, nonché Eusebio e l'ideologia imperiale, in Giuffrida-Mazza, Le trasformazioni, cit., 1-26. Alla corte di Teodosio II il modo di rapportarsi alla divinità era profondamente mutato. Il Dio dei cristiani richiedeva l’ humilitas per concedere la suggeneia e la parrhesia, che potevano consentire la possibilità di intercedere a beneficio dei 189 queste virtù,967 che nell'ideologia imperiale cristiana rivelano una complessità estranea al pensiero ellenistico-romano, ad assicurare l'aiuto divino, senza il quale non può esistere la vittoria. L'incosciente avventatezza968 del βασιλεύς, provoca la distruzione dell'esercito, condotto in territorio ostile, senza possibilità di aiuto e tormentato dalle privazioni, sicché l'insipiente follia giulianea viene messa in evidenza

dallo storico, che si fa beffe dei sostenitori del “σοφώτατος βασιλεύς.969 Teodoreto è portatore di un sistema di valori totalmente mutato, in un mondo non più antico, ma tardoantico, «which the historians of the IV e V centuries never treated and belief as characteristic of the masses and consequently discredited among the élite».970 Un mondo attraversato dal vento impetuoso e vitale del cristianesimo che, nell’ambito di un complicato e variegato processo di acculturazione, in grado di consentire un “reciproco compenetrarsi" di elementi locali “orientali” e di elementi greci, riuscì a fornire una possibilità di incontro tra cultura egemone e culture “etniche” e, nel contempo, funse da principio catalizzatore della trasformazione.971 La polemica sulla validità dell'ideale dell'imperatore-filosofo di Giuliano, portata innanzi da Socrate972 con Teodoreto, giunge al suo apice e si trasforma. Il vescovo di Kyrrhos non si limita a sottolineare la mancanza di autocontrollo del sovrano, in occasione del contrasto con gli Antiocheni, egli non si muove nell’alveo della tradizionale polemica contro il filosofo cinico, a cui Giuliano voleva essere assimilato,973 ma va oltre. propri sudditi. L' humilitas e la purezza di fede concedevano varie possibilità di avvicinamento all'imperatore celeste, poiché la parrhesia era una realtà in perenne divenire. Essa presupponeva una scala, alla cui cima stavano i testimoni della fede, martiri, preti e santi, che, con il sacrificio - fisico e non - della propria vita, rappresentavano i veri figli di Dio, in perfetta consonanza con il loro archetipo, Gesù Cristo (Brown, Power and Persuasion, trad. it., Potere e cristianesimo, cit., 88). Sul concetto, cfr. Scarpat, Parrhesia. Storia del termine, cit., 33 ss. Vd. anche Bartelink, Quelques observations sur Παρρησία, cit., 12 ss. Sul cristomimetismo e il radicalismo dei monaci, oltre alle già citate opere di Peter Brown (in part. Il filosofo e il monaco, in Storia di Roma, cit., 892 ss.), vd. supra 63 ss. 967 Thdt. h. e. V 36, 7 (339 Parmentier).

968 Thdt. h. e. III 25, 1 (203-204 Parmentier): Τὴν ἐκείνου δὲ ἀβουλίαν σαφέστερον ὁ θάνατος ἔδειξε. διαβὰς γὰρ τὸν ὁρίζοντα ποταμὸν ἀπὸ τῆς Περσῶν τὴν Ῥωμαίων ἡγεμονίαν καὶ τὴν στρατιὰν διαβιβάσας, ἐνέπρησε παραυτίκα τὰ σκάφη, πολεμεῖν ἀναγκάζων, οὐ πείθων, τοὺς στρατιώτας. οἱ δὲ ἄριστοι στρατηγοὶ προθυμίας ἀναπιμπλάναι τοὺς ἀρχομένους εἰώθασι, κἂν ἀθυμοῦντας ἴδωσι, ψυχαγωγοῦσι καὶ ταῖς ἐλπίσιν ἐπαίρουσιν· οὗτος δὲ τὴν ἀγαθὴν εὐθὺς ἀπέκοψεν ἐλπίδα, τῆς ἐπανόδου τὴν διαβάθραν ἐμπρήσας. πρὸς δὲ τούτοις δέον πάντοθεν πορίζειν τοῖς στρατιώταις τὴν ἀναγκαίαν τροφήν, οὔτε ἐκ τῆς οἰκείας ταύτην προσέταξε φέρεσθαι, οὔτε τὴν πολεμίαν ληϊζόμενος παρεῖχε τὴν ἀφθονίαν· καταλιπὼν γὰρ τὴν οἰκουμένην διήει τὴν ἔρημον. ἐνταῦθα δὴ καὶ ποτοῦ καὶ τροφῆς οἱ στρατιῶται σπανίζοντες, καὶ τῆς πορείας ἡγεμόνας οὐκ ἔχοντες ἀλλ᾽ ἐν ἐρήμῳ χώρᾳ πλανώμενοι, τὴν τοῦ σοφωτάτου βασιλέως ἔγνωσαν ἀβουλίαν. ὀλοφυρόμενοι δὲ καὶ στένοντες εὗρον ἐξαπίνης κείμενον τὸν κατὰ τοῦ πεποιηκότος λυττήσαντα, καὶ τὸν Ἄρεα τὸν πολεμόκλονον ἐπίκουρον οὐ γενόμενον κατὰ τὴν ὑπόσχεσιν, καὶ τὸν Λοξίαν τὰ ψευδῆ μαντευσάμενον, καὶ τὸν τερπικέραυνον κατὰ τοῦ κτείναντος τοῖς κεραυνοῖς οὐ χρησάμενον, καὶ τὸν κόμπον τῶν ἀπειλῶν ἐρριμμένον εἰς ἔδαφος. τὸν μέντοι τὴν δικαίαν ἐκείνην ἐπενεγκόντα πληγὴν οὐδεὶς ἔγνω μέχρι καὶ τήμερον· ἀλλ᾽ οἱ μέν τινα τῶν

ἀοράτων ταύτην ἐπενηνοχέναι φασίν, οἱ δὲ τῶν νομάδων ἕνα τῶν ᾿Ισμαηλιτῶν καλουμένων, ἄλλοι δὲ στρατιώτην τὸν λιμὸν καὶ τὴν ἔρημον δυσχεράναντα. ἀλλ᾽ εἴτε ἄνθρωπος εἴτε ἄγγελος ὦσε τὸ ξίφος, δῆλον ὡς τοῦτο δέδρακε τοῦ θείου νεύματος γενόμενος ὑπουργός. 969 8 Thdt. h. e. III 25, 1 (203 Parmentier). 970 Cfr. Momigliano, Religious Beliefs and the Late Roman Historians, in Quinto contributo, cit., 92. 971 Calderone, La tarda Antichità, cit., 41-70. Per l'importanza del rapporto tra gli ethne e l'impero romano cfr. il basilare contributo di Mazzarino, L'impero romano, cit., 316, e La democratizzazione della cultura, cit., 35-74, ora in Antico, tardoantico, cit., I, Bari 1974, 74-98. 972 Socr. h. e. III 2 [193-194]. Sull'immagine polemica di Giuliano cfr. l'ormai classico Chesnut, The First Christian Histories, cit., 96 ss.; con Leppin, Vom Konstantin dem Grossen, cit., 287 ss., insieme alle puntuali osservazioni di Urbainczyk, Observation on the differences, cit., 353-373; ed Ead., Socrates of Constantinople, cit., 30-31 e 140 ss., nonché M. Wallraff, Der Kirchenhistoriker Sokrates. Untersuchungen zu Geschichtsdarstellung, Methode und Person, Göttingen 1997, 100102, con I. Krivounchine, L'empereur païen vu par l'historien ecclésiastique: Julien l'Apostat de Socrate, JÖB 47, 1997, 14-15 e Bäbler-Nesselrath (Hrsg.), Die Welt des Socrates, cit., passim. Vd. anche le interessanti riflessioni di D.E Buck, Socrates Scholasticus on Julian the Apostate, «Byzantion» 73, 2003, 302. 973 La mancanza di misura e ragionevolezza doveva comunque essere rimproverata all'imperatore da più parti, poiché un'eco è riscontrabile persino in Ammiano, quando critica l'eccessiva fiducia nutrita da Giuliano nelle 190

L'immaginato presente nella sua storia ecclesiastica tende a delegittimare totalmente Giuliano; la Kraft-novelle si eleva a livello cosmico ed escatologico. La furia rabbiosa, che nella personificazione delle Erinni era stata un elemento di giustizia catartica,974 serve come luce orientata dal narratore su un nuovo specchio,975 perché il suo pubblico possa identificare, definitivamente, l’imperatore con il principe dei demoni.e comprendere, attraverso la gestualità irriverente, la dannazione di entrambi. Se ricordiamo la rappresentazione, per quanto tragica, che Ammiano976 ci offre del suo eroe morente, immagine del saggio che, cosciente della morte imminente, discute con gli amici più cari intorno al destino della propria anima e si dispera solo alla notizia della morte dell'amico Anatolio, indizio di una congiura nei suoi rei suoi confronti, possiamo ben comprendere l'alterità della trasformazione operata da Teodoreto:977 Iulianus in tabernaculo iacens circumstantes adlocutus est demissos et tristes: «advenit, o socii, nunc abeundi tempus e vita inpendio tempestivum, quam reposcenti naturae ut debitor bonae fidei redditurus exulto, non ut quidam opinantur adflictus et maerens, philosophorum sententia generali perdoctus, quantum corpore sit beatior animus, et contemplans, quotiens condicio melior a deteriore secernitur, laetandum esse potius quam dolendum… Post haec placide dicta… Anatolium quaesivit officiorum magistrum, quem cum beatum fuisse Sallustius respondisset praefectus, intellexit occisum acriterque amici casum ingemuit, qui elate ante contempserat suum. Il quadro offerto dallo storico ecclesiastico ribadisce l'empietà del sovrano, il quale lancia verso il cielo il sangue raccolto dalle proprie viscere, da vero Satana in un estremo gesto di sfida.978 La scena presenta una tragicità pari a quella che emerge dal drammatico dipinto di Luca Giordano,979 rendendo inessenziale proprie forze e nella propria missione, che lo spingeva a trascurare le più elementari norme di sicurezza, sia durante la spedizione, sia a fronte dell'attacco nemico, o, ancora, gli suggeriva le parole sprezzanti riservate ai

Saraceni, che gli offrivano il loro aiuto. Quest'accordo delle fonti pagane (Lib. or. 18, 106 [II 281 Förster]; Amm; XX 8-9 (III 24-32 Fontaine]; Zos. III 9 [II/1 20-23 Paschoud]), e cristiane (Socr. h. e. III 2 [193-194 Hansen]; Thdt. h. e III 25, 7 ss. [204-205 Parmentier]), fa riflettere sulla probabilità di un'accurata preparazione, e conseguente forza di persuasione, di una propaganda politica mirante ad attribuire a Giuliano l'immagine di un imperatore guerrafondaio, del tutto opposta al modello assunto dall'Apostata (Al. Cameron-J. Long, Barbarians and Politics at the Court of Arcadius, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1993, 229, con R. J. Penella, Julian the Persecutor in Fifth Century Historians, «The Ancient World» 24, 1993, 37). 974 Mazzarino, PSC, I, cit., 31. 975 Sul mito dello specchio come motivo di Selbsterkenntnis, qui stravolto per significare l'identificazione demonica e non divina, cfr. i testi platonici, Alc. 133 c; rsp. VI, 507 d-e; Tim. 71 b, Phdr. 255 d. Il tema si ritrova in testi pagani ellenistici, elencati da J. Kroll, Die Lehren des Hermes Trismegistos, Münster 1914, 116-117 e Reizenstein, Historia monachorum, cit., 243 ss., nei neoplatonici, ma anche nella tradizione sapienziale giudaica, come hanno evidenziato G. Fohrer-B. Reiche, Spiegel, BHH III, 1832, e nel celebre passo paolino 2 Cor. 3, 18, come in certi apocrifi neotestamentari ( Act. Ioh. 95, Act. Andr. 5-6). Cfr. N. Hugedé, La métaphore du miroir dans les Epîtres de St. Paul aux Corinthiens, Neuchätel-Paris 1957. 976 Amm. XXV 3; 14, 21 ss. (IV/1 177 s. Fontaine), Sull'i interpretazione del passo di Amm. vd. Giuffrida Manmana, Alla corte dell'imperatore, cit., 143 ss. 977 Amm. XXV 3, 15; 20 (IV/1 179-180 Fontaine).

978 Thdt. h. e. III 25, 7 ss. (204-205 Parmentier): ἐκεῖνον δέ γέ φασι δεξάμενον τὴν πληγὴν εὐθὺς πλῆσαι τὴν χεῖρα τοῦ αἵματος καὶ τοῦτο ῥίψαι εἰς τὸν ἀέρα καὶ φάναι· «νενίκηκας Γαλιλαῖε», καὶ κατὰ ταὐτὸν τήν τε νίκην ὁμολογῆσαι. καὶ τὴν βλασφημίαν τολμῆσαι· οὕτως ἐμβρόντητος ἦν. Μετὰ δὲ τὴν σφαγὴν αἱ τῆς ἐκείνου γοητείας ἐφωράθησαν μαγγανεῖαι. Κάρραι γὰρ πόλις ἐστὶν ἔτι καὶ νῦν ἔχουσα τῆς ἀσεβείας τὰ λείψανα. διὰ ταύτης ὁ μάταιος τὴν πορείαν ποιούμενος (τὴν γὰρ Ἔδεσαν ὡς εὐσεβείᾳ κοσμουμένην εὐώνυμον καταλελοίπει), εἰς τὸν παρὰ τῶν δυσσεβῶν τιμώμενον σηκὸν εἰσελθὼν καί τινα ἐν τούτῳ σὺν τοῖς κοινωνοῖς τοῦ μύσους ἐπιτελέσας, κλεῖθρα καὶ σήμαντρα ταῖς θύραις ἐπέθηκε καί τινας ταύταις προσεδρεύειν προσέταξε στρατιώτας, μηδένα εἴσω τῶν θυρῶν γενέσθαι μέχρι τῆς ἐπανόδου κελεύσας. ἐπειδὴ δὲ ὁ θάνατος ἀπηγγέλθη καὶ εὐσεβὴς βασιλεία τὴν δυσσεβῆ διεδέξατο, εἴσω γενόμενοι τοῦ σηκοῦ εὗρον τὴν ἀξιάγαστον τοῦ βασιλέως ἀνδρείαν τε καὶ σοφίαν καὶ πρὸς τούτοις εὐσέβειαν. εἶδον γὰρ γύναιον ἐκ τῶν τριχῶν ᾐωρημένον, ἐκτεταμένας ἔχον. τὰς χεῖρας· ἧς ἀνακείρας ὁ ἀλιτήριος τὴν γαστέρα τὴν νίκην δήπουθεν τὴν κατὰ Περσῶν διὰ τοῦ ἥπατος ἔγνω. τοῦτο μὲν οὖν ἐν Κάρραις ἐφωράθη τὸ μύσος. 979 Vd. fig. 1.

191 l’individuazione dell’uccisore. Teodoreto, infatti, diversamente da Socrate e da Sozomeno,980 non esprime il suo parere in merito, perché chi ha ucciso Giuliano è da lui considerato, in ogni caso, strumento del castigo di Dio. Il convincimento dello storico ecclesiastico è, appunto, sottolineato dalla descrizione dell’esultanza degli Antiocheni:981 Ἡ δὲ Ἀντιόχου πόλις τὴν ἐκείνου μεμαθηκυῖα σφαγὴν δημοθοινίας ἐπετέλει καὶ πανηγύρεις: καὶ οὐ μόνον ἐν ταῖς ἐκκλησίαις ἐχόρευον καὶ τοῖς τῶν μαρτύρων σηκοῖς, ἀλλὰ καὶ ἐν τοῖς θεάτροις τοῦ σταυροῦ τὴν νίκην ἐκήρυττον καὶ τοῖς ἐκείνου μαντεύμασιν ἐπετώθαζον. ἐγὼ δὲ καὶ τὴν ἀξιάγαστον αὐτῶν θήσω φωνήν, ἵνα καὶ τοῖς μεθ᾽ ἡμᾶς ἐσομένοις ἡ ταύτης φυλάττηται μνήμη. κοινῇ γὰρ πάντες ἐβόων· «ποῦ σου τὰ μαντεῖα, Μάξιμε μωρέ· ἐνίκησεν ὁ θεὸς καὶ ὁ Χριστὸς αὐτοῦ». Μάξιμος δέ τις ἦν κατ᾽ ἐκεῖνο καιροῦ φιλοσοφίας μὲν πρόσχημα περικείμενος, γοητείᾳ δὲ χρώμενος καὶ προλέγειν τὰ μέλλοντα σεμνυνόμενος. La convinzione di Teodoreto è appositamente esaltata dalla descrizione del sollievo generale, con il quale fu accolta la notizia della morte dell'Apostata:982 …ταῦτα μεμαθηκότες ἐχόρευον, ἅπαντες καὶ τῷ θεῷ τὸν χαριστήριον προσέφερον ὕμνον. ἔγνωσαν δὲ καὶ παρὰ τῶν τὴν ἐκείνου τελευτὴν μεμηνυκότων αὐτὴν εἶναι καὶ τὴν ἡμέραν καὶ τὴν ὥραν καθ᾽ ἣν ἀνῃρῆσθαι τὸν ἀλιτήριον ὁ θεῖος ἐκεῖνος πρεσβύτης ἔγνω τε καὶ προείρηκε.

Il sipario, dunque, si chiude sull’ultima scena che indica la ineluttabilità del ristabilimento dell'ordine voluto da Dio, che ha definitivamente distrutto il tyrannos.983 980 Socrate ( h. e., III 21, 11, 217 Hansen) ci offre una versione “merveilleuse” dell'avvenimento. Sull'uso della miracolistica come linguaggio politico cfr. W.E. Kaegi, Byzantium and the Decline of Rome, Princeton 1968, 178 ss; R. MacMullen, Constantine and the Miraculous, GRBS 9, 1968, 81-96; Brown, Stregoneria demoni, cit., 101-136. Per la prospettiva miracolistica nella storiografia pagana e cristiana, analisi fondamentale in J. Straub, Heidnische Geschichtsapologetik in der christlichen Spätantike. Untersuchungen über Zeit und Tendenz der Historia Augusta, Bonn 1963, 125-182; Z.V. Udal'kova, Le monde vu par les historiens byzantines du IVe au VIIe siècle, ByzSlav 33, 1972, 193-213, che esamina storici ‘laici’ da Ammiano a Teofilatto Simocatta, come lo studio di M. Meslin, Le merveilleux comme language politique chez Ammien Marcellin, in Mélanges de hist. ancienne offerts à W. Seston, Paris 1974, 353-373. Sozomeno, invece, ( h. e. VI 2 [Bidez Hansen)), pensa a contrasti religiosi come motivazione cogente per l'eliminazione del sovrano. 981 Thdt. h. e. III 27 (205 Parmentier): In essa si manifesta (Cracco Ruggini, Universalità campanilismo, cit., 159-194) certo campanilismo della storiografia ecclesiastica, ma, in questo caso, esso è volto all'esaltazione di valori di carattere generale. 982 Thdt, h. e. III 28 (206 Parmentier). 983 Sull'immagine del tiranno in epoca tardoantica cfr. il recente J. Szidat, Usurpator tanti nominis, Kaiser und Usurpator in der Spätantike (337-476 n. Chr.), Stuttgart 2010, che sviluppa, in parte, tematiche già presenti in R Paschoud-J. Szidat (Hrsg.), Usurpationen in der Spätantike, Akten des Kolloquiums, Staatsstreich und Staatlichkeit (Solothurn-Bern, 6-10. März 1996), Stuttgart 1997, In

particolare, per l'età costantiniana, epoca in cui emerge chiaramente l'equivalenza tra tyrannus e usurpatore: Wickert, Princeps, in RE XXII, cit., 1198-2296, partic. 2119-2127 e T.D. Barnes, Oppressor, Persecutor, Usurper: the Meaning of" tyrannus" in the Fourth Century, in G. Bonamente-M. Meyer (a cura di), Historiae Augustae Colloquium Barcinonense, Bari 1996, 55-65; V. Neri, L'usurpatore come tiranno nel lessico politico della tarda antichità, in Usurpationen in der Spätantike, cit., 71-86. Un significativo esempio della riflessione storica e politica sul tiranno, che caratterizza questo periodo, si evince dal riassunto dell’opera di Prassagora nella Biblioteca di Fozio (Bibl. cod. 62). Lo storico ateniese riconobbe l'attualità del tema, dopo l'eliminazione di Licinio. Sugli interessi politici di Prassagora cfr. B. Bleckmann, Zwischen Panegyrik und Geschichtsschreibung. Praxagoras und seine Vorgänger, in M. Zimmermann (Hrsg.), Geschichtsschreibung und politischer Wandel im 3 Jh. n. Chr. , Stuttgart 1999, 203-228; e P. Janiszewski, The Missing Link. Greek Pagan Historiography in the Second Half of the Third Century and in the Fourth Century AD, Warsaw 2006, 352-371. Per l’immagine del tiranno in età bizantina, con significative variazioni rispetto alla tradizione antica e tardoantica, cfr. L.R. Cresci, Appunti per una tipologia del tyrannos, «Byzantion» 60, 1990, 90-129. Sul ragguardevole numero di topoi sulla morte del tiranno, formatisi a partire dall'età arcaica greca e sviluppatisi poi in epoca classica, ellenistica e imperiale, cfr. N. Luraghi, Il carnevale macabro, ovvero morire da tiranno, «Annali di Archeologia e Storia antica» 4, 1997, 53-67, che insiste, in particolare, sul significato politico e culturale di alcuni di questi topoi: l'uccisione del tiranno non è mai sacrilegio, è anzi motivo di purificazione per la 192

Fig. 1 - Luca Giordano, “Morte di Giuliano l'Apostata”. (Monasterio de El Escorial). È stata, comunque, consegnata alla nostra riflessione la tragedia con cui le vicende dei nostri giorni costringono ancora a confrontarsi: la morte violenta del tiranno, espressione di un “diabolico” thymos, che l'umanità non sa ancora - o non vuole? - governare. comunità; anche la discendenza e i compagni del tiranno vengono massacrati; la comunità partecipa collettivamente al massacro; il tiranno, prima di morire, deve soffrire. Cfr. pure C. Catenacci, Il tiranno e l'eroe. Per un’archeologia del potere nella Grecia antica, Milano 1996, 241-255. Gli stessi topoi rileva nella storiografia romana di età imperiale J. Scheid, La mort du tyran. Chronique de quelques morts programmées, in Du châtiment dans la cité. Supplices corporels et

peine de mort dans le monde antique, Roma 1984, 177-190. Per la continuità di questa rappresentazione in età tardoantica cfr. Mazza, Il principe e il potere. Rivoluzione e legittimismo costituzionale nel III secolo d. C. (1976), in Id., Le maschere del potere, cit., 3-93; S. Elbern, Usurpationen im spätrömischen Reich, Bonn 1984, partic. 131-143 e Szidat, Usurpator tanti nominis, cit., 322-340, con numerosi riferimenti alle fonti. Per il passaggio di questi topoi alla tradizione culturale d'Occidente cfr. M. Turchetti, Tyrannie et tyrannicide de l'Antiquité à nos jours, Paris 2001, 193 INDICE DELLE FIGURE

CAPITOLO II Fig. 1 Roma. Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro: affresco di Noah orante……………….. pag. 55 Fig. 2 Missorium di Teodosio I………………………………………………………………… pag. 58 Fig. 3 Basilica di S. Paolo fuori le mura……………………………………………………….. pag. 58 Fig. 4 Afrodisia. Inscriptio 1, Plat. III, (foto RouechéUgenci)……………………………….. pag. 59 Fig. 5 Roma. Madonna del Pantheon………………………………………………………….. pag. 61

CAPITOLO III Fig. 1 Felix romuliana, Dacia ripense. Testa di Tetrarca………………………………………. pag. 71 Fig.2 Durazzo. Mosaici con Maria regina ed angeli admissionals……………………………. pag. 80 Fig.3 Moneta di Flaccilla (AE2. RIC 9, XVI 8)………………………………………………. pag. 83 Fig. 4 Moneta di Eudoxia (AE3. RIC 10, V 103)…………………………………………….... pag. 83 Fig. 5 Solidus di Pulcheria ( RIC 10, X 255)…………………………………………………… pag. 87 Fig. 6 Treviri. Placchetta d’avorio……………………………………………………………... pag. 90 Fig. 7 Dittico dei Lampadi……………………………………………………………………... pag. 92 Fig. 8 Solidus di Valentiniano III ( RIC 10, XLVIII 2006)……………………………………... pag. 92 Fig. 9 Solidus di Teodosio II ( RIC 10, X 257)…………………………………………………. pag. 92 Fig. 10 Miniatura Cod. del XIV sec. della Cronaca di Costantino Manasse..…………………... pag. 93

Fig. 11 Solidus di Galla Placidia (AE3. RIC 10, XLIII 2012)…………………………………... pag. 97 Fig. 12 Solidus delle nozze di Marciano e Pulcheria ( RIC 10, XIX. 502)………………………. pag. 100

CAPITOLO IV Figg.1-2 Medaglia di Santa Pulcheria: diritto e rovescio……………………………………... pag. 106 Figg. 3-4 Solidus di Aelia Pulcheria: diritto e rovescio………………………………………... pag. 107 Figg. 5-7 Particolari della Medaglia di Santa Pulcheria……………………………………….. pag. 111 Fig. 8 Croce borbonica……………………………………………………………………. ... pag. 111 Figg. 9-10 Medaglia di Ferdinando II (1852): diritto e rovescio………………………………... pag. 112 Figg. 11-12 Medaglia di Ferdinando II (1846): diritto e rovescio………………………………… pag. 113 194 Fig. 13 Medaglia con busti di Papa Pio IX e di Re Ferdinando II……………………………. pag. 115

Figg. 14-17 Medaglie della Vergine addolorata (1850): diritto e rovescio………………………… pag. 116 Fig. 18 Medaglie della Madonna con Bambin Gesù (1854)………………………………… pag. 117 Figg. 19-20 Carlino d'oro coniato da Carlo II d'Angiò: diritto e rovescio……………………….. pag. 118 Figg. 21-22 Icona del Monastero di Santa Caterina del Sinai……………………………………. pag. 118 Fig. 23 Ricostruzione (XVI sec.) della base della colonna di Arcadio………………………. pag. 123 Fig. 24 a-b Long-Cross solidi di Pulcheria e Teodosio II ( RIC 10, X 255; VIII 219)…………….pag. 125 Fig. 25 Chiesa della Theotokos tou Libos: S. Eudocia……………………………………….. pag. 136 Fig. 26 Miniatura del Menologio di Basilio II: Teodora……………………………………... pag. 137 Fig. 27 Parigi, Bibliotheque Nationale: miniatura (cod. del IX sec.)………………………… pag. 138 Fig. 28

S. Pietro in vincoli: Eudocia consegna le catene al Papa (Iacopo Coppi)……………. pag. 140 Fig. 29 Arazzo del 1660 ( Apfellegende)……………………………………………………… pag. 140

CAPITOLO V Fig. 1 Solidus di Magnenzio ( RIC 8, IX 162)………………………………………………… pag. 157 Fig. 2 Solidus di Massimo ( RIC 9, 224, n. 46)………………………………………………... pag. 164

CAPITOLO VI Fig. 1 Luca Giordano, "Morte di Giuliano l'Apostata" (Monasterio de El Escorial)…………. pag. 193 195 BIBLIOGRAFIA Abel A., La place de les sciences occultes dans la decadence, in R. Brunschwig G.E. von Grunebaum (Hrsg.), Classicisme et déclin dans l'histoire de l'Islam, Paris, 1957, 291-315. Abramowski L., Untersuchungen zum Liber Heraclidis des Nestorius, CSCO 242, Subsidia Hagiographica 22, Louvain 1963. Adler A., Die Kommentar des Asklepiades von Myrleia, «Hermes» 49, 1914, 39-46. Albana M., Imperatrici, donne d'alto rango e popolane nel IV sec. d. C.: Osservazioni in margine ad Ammiano Marcellino, QCCCM 4-5, 1992-1993, 275-331. Albert J.-P. , Destins du mythe dans le Christianisme médiévale, «L'Homme» 30, 1990, 53-71. Alexander D.J. , The Oracle of Baalbek, Washington 1967. Alfoldi A. , Insignien und Tracht der römischen Kaiser, Mitteilungen der Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 50, 1935. -, Some Portraits of Julian Apostata, AJA 66, 1962, 403-405.

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