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Italian Pages 226 Year 2014
Il pensiero geopolitico Spazio, potere e imperialismo tra Otto e Novecento
Patricia Chiantera-Stutte
Carocci editore
@ Studi Superiori
A Eric e ,1 Svm e al mondo che vani Devo ringraziare le persone che mi sono care: la mia famiglia. i miei amici. I miei soggiorni a Colonia e a Lipsia. grazie alle borse di smdio della DAAD e del Leibniz Institut tì.ir Landerkunde. sono stati indispensabili non solo per la raccolta dc:i materiali. ma anche per l"impostazione del lavoro: ringrazio Jiirgen Elverc. Ucc \X'ardenga e Sebasrian Lcnz per avermi indkaco lince di ricerca essenziali. Tra cucci i colleghi e gli amici. voglio ringraziare dei loro consigli preziosi Carlo Galli, Tullio Grcgory. Carlo Famappié e Gianfranco Poggi.
1• edizione. settembre :.014
© copyright :.014 by Cuocei editore: S.p.A .• Roma
Finito di stampare nd scncmbre 1014 da Grafiche VD. Ciccà di Castello (PG)
Riproduzione vietata ai sensi di legge (are. 171 della legge 11 aprile 1~>41, n. 6;;) Senza regolare: autorizzazione. è vietato riprodurre questo volume anche parzialmcncc e con qualsiasi mezzo. compresa la fotocopia. anche per uso interno o didattico.
Indice
Introduzione. Ordini politici e spazi geografici I.
I. I.
1.2.
2.
2. I. 2.2.
2.3.
2..4. 3.
3.1. 3.2.
Lo spazio dello Stato di potenza: geografia e politica nell,Ottocento La genesi del nostro tempo e del nostro spazio: il XIX secolo Il sapere geografico tra scienza e politica nella cultura tedesca ottocentesca Geopolitiche deWimpcrialismo nel contesto tedesco e anglossasone
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23
23
p.
47
Teorie del colonialismo nella scienza geografica tedesca: Friedrich Ratzcl e la scuola di Lipsia Lebensmum, popolazione e grandi spazi in Fricdrich Ratzcl Il contesto anglossassonc: la geopolitica deWimpcro marittimo in Alfred T. Mahan La geopolitica della difesa: Halford Mackinder
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La "scienza" geopolitica e la storiografia nella cultura tedcsca tra le due guerre
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La crisi degli imperi centrali e la nascita della scienza geopolitica in Svezia e Germania Concetti e metodi geopolitici nella geopolitica e nella storiografia tedesca degli anni Trenta: territorio e popolazione nella Ostforschrmg
7
47 52.
63
79
88
4.
4.1. 4.2. 5.
5.1. 5.2.
5.3.
6.
6.1.
6.2. 6.3.
Lo spazio della guerra, Ja geopolitica e Ja rivoluzione conservatrice Mappe suggestive e grandi spazi ncJle riviste tedesche tra il 1924 e il 1938 Cari Schmitt: lo spazio del politico Spazi globali: la geopolitica americana dalla Prima alla Seconda guerra mondiale L'emisfero occidentale fra le due guerre nella prospcttiva dei vincitori e dei vinti L'idealismo geopolitico di Halford Mackindcr e lsaiah Bowman: democrazia cd economia nella geopolitica americana La geopolitica nelle relazioni internazionali: Nicholas J. Spykman e l'accerchiamento del Nuovo Mondo La geopolitica e la storia globale dello spazio nell'età virtuale
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113
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148 159
171
Forme e questioni della geopolitica contemporanea La geopolitica critica: il territorio, la sovranità e lo Stato Lo spatial tum: la spazializzazionc della storia
175 187
Conclusioni. L'agrimensore di Kaf'ka
193
Letture consigliate
197
Bibliografia
2.13
Indice dei nomi
2.2.9
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Introduzione Ordini politici e spazi geografici
Ogni grande: trasformazione scorica comporta quasi sempre un mmamcnco dell'immagine dello spazio. Schmiu (2.002.)
Questa constatazione di Cari Schmitt circa l'importanza cruciale delle immagini dello spazio nella politica e nella cultura sembra quasi banale. È ovvio che la nostra immagine dell'Europa e del mondo sia diversa da quella dei nostri antenati cd è anche naturale che essa si sia formata grazie a processi culturali, mass-mediatici, storici e politici. Se, però, approfondiamo la questione del riferimento dell'agire politico, ma anche del senso comune, a un certo ordinamento dello spazio e del tempo, perdiamo ogni senso di certezza. Qual è lo spazio a cui veramente facciamo riferimento? Prima del XIX secolo la concezione dello spazio politico (Galli, 2.001) era più semplice, meno complessa: lo spazio della politica era quello dello Stato - dinastico o territoriale che fosse. Lo spazio dell'individuo, quello in cui si muoveva e in cui organizzava la sua esistenza, era certamente più ristretto (Braudcl, 1987) così come il suo tempo, che si differenziava dai tempi delle dinastie politiche e dai tempi delle imprese produttive. Oggi, invece, gli spazi sembrano continuamente ridefinirsi e riaggregarsi in forme fluide. La velocità dei mezzi di trasporto di persone e beni, insieme con l'istantaneità del passaggio di informazioni rendono le nostre mappe geografiche molto pii1 compresse rispetto a quelle di una generazione precedente. La continua dislocazione dcli' individuo tra vari spazi è però traumatica: ingenera tensioni e conflitti. Lo spazio virtuale si scontra con lo spazio del quotidiano, il riferimento a un territorio politico di radicamento della cittadinanza contrasta con l'internazionalizzazione che rende impotenti governi e gruppi; la globalizzazione economica sfida costantemente la ricerca di spazi certi e gestiti dagli individui o dalle famiglie. Quale spazio è, allora, quello in cui viviamo e in cui vive il nostro mondo - economico e politico? Qual è la relazione tra
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IL PENSIERO GEOPOLITICO
lo spazio delle nostre azioni quotidiane e gli spazi virtuali delle comunicazioni? Sono spazi diversi, destinati a restare paralleli? Siamo in grado di "riprenderci gli spazi" - come proclama il movimento antiglobalista Reclaim the S11·eet? Il libro non risponde a - e non tenta nemmeno di porre - queste domande. Esso cerca, tuttavia, di analizzare criticamente alcuni spazi immaginari, visioni e progetti politici e geopolitici, usando non una prospettiva geografica, che esula dalle competenze dell'autrice, ma un approccio di storia del pensiero politico. Il suo approccio presuppone che la definizione dello spazio - o meglio degli spazi - non sia solo un problema del XXI secolo, ma piuttosto una costante nella storia moderna. Pertanto esso tenta di individuare dei nodi, dei problemi che la riflessione sullo spazio pone nell'ambito politico e geopolitico da metà Ottocento fino al 1945. La domanda da cui parte questa riflessione è: come veniva pensato lo spazio nella politica e nella geografia? E cioè: come riflettevano non solo i protagonisti della politica, ma gli uomini di cultura, sullo spazio? E ancora: quale spazio hanno osservato e quale spazio hanno costruito? Lo spazio è sempre, infatti, costruito e, insieme, parte del mondo fenomenico che sta intorno a noi. Tuttavia, come vede bene John Agnew (2.001a), affermare che lo spazio esiste fuori da noi non significa dire che possiamo conoscerlo oggettivamente senza usare le nostre categorie di interpretazione. Lo spazio immaginato dalla storiografia, dal sapere politico, geografico e dalla cartografia, condiziona fortemente la nostra concezione e, insieme, fornisce quei presupposti fondamentali per confrontarci sulle diverse interpretazioni dell'agire politico. E tali presupposti, anche quelli riguardanti lo spazio, sono a loro volta radicati nella storia e nella cultura dei popoli.
Il pensiero politico e la geografia La geografia, intesa come scienza geografica, non detiene il monopolio sulla definizione degli spazi. I presupposti su cui molti geografi e geopolitici fondano la loro concezione di spazio, le loro "mappe mentali"• sono formati nell'ambito di una disciplina - la geografia 1.
Per 11w11,1' 11Mps si intendono ..quadri cogniti\'i" sulla base dei quali storici,
IO
INTRODUZIONE
che intrattiene dei rapporti specifici col potere politico. A sua volta, la geografia, come qualsiasi disciplina, è, come, afferma Michcl Foucault (1967 ), un potere-sapere: un ambito discorsivo che si forma in riferimento al modo in cui la società è ordinata e alle modalità in cui ogni organizzazione politica si autodetermina, controllando le spinte centrifughe entropiche che potrebbero metterla in crisi. Insomma, la geografia, come tutte le discipline accademiche, non illumina la realtà oggettiva e fenomenica, svelando le caratteristiche proprie della namra o dell'uomo, indipendentemente da categorie culturali e processi cognitivi condizionati. Essa opera all'interno di categorie preesistenti e di rapporti di potere che le conferiscono dei limiti e un.identità. La geografia è, rispetto ad altri saperi, ancor più "complice" della politica: il suo rapporto stretto con l'esercizio del governo politico però è inscritto nella sua genesi, e cioè nella statuizione, da parte di Humboldt e Ritter, della sua autonomia dall•antica scienza statistica. La sua autonomia dalla cartografia e dalla sua opera di "servizio,, ai monarchi, e cioè la definizione di un campo disciplinare che studi in modo "oggettivo'' la natura umana e geografica, svela in controluce la sua forte relazione con la nuova idea borghese di scienza e di società e l'abbandono dei modi tradizionali di esercizio del potere (cfr. Farinelli, 2000 ). Questo non significa che la geografia sia tutta politicizzata, o che non sia possibile nessuna forma d'autonomia di pensiero e di valutazione nella disciplina geografica, ma piuttosto che ogni autore fa riferimento al modello di scienza geografica corrente che, a sua volta, è posto in una relazione stretta e specifica con il potere politico e con una concezione di potere. È vero che la geografia tratta scientificamente alcuni temi che sono al cuore del discorso politico - la territorialità, i confini, la popolazione, la guerra - è anche indubbio che questi temi sono di per sé poste in gioco importanti nella continua ridefinizione dei discorsi geografici e, insieme, politici. Tuttavia, la capacità di riflettere criticamente su di essi, e cioè di immaginare altri spazi e altre forme di potere, rende il discorso geopolitico differente da una mera propaganda politica. Infatti, sia l'imperialista Mackinder sia l'anarchico Eliséc Reclus parlano e scrivono all'interno di una tradigeogratì o in genere gli individui si orientano nd mondo (Henrikson, !004. p. 177) Essi non non sempre traducibili in m;ippc canograAche, sono « sistemi cognitivi di• namici che, come i programmi software, possono gcncr.irc immagini mentali. così come su un monitor» (i\i, p. 181).
II
IL PENSIERO GEOPOLITICO
zionc gcografìco-politica, che è posta in un ambito disciplinare poroso alle discussioni e ai progetti politici. I loro discorsi tuttavia divergono profondamente rispetto alla legittimazione di uno specifico modello politico imperialista diffuso tra I,Otto e il Novecento: Mackinder promuove !,imperialismo, Reclus rifìuta di legittimare il potere politico. Sono la riflessività, la capacità di tematizzare coscientemente questo rapporto e di realizzare degli ambiti di autonomia intellettuale che rendono le opere di alcuni geografì straordinarie e illuminanti per lo studio storiografìco e politologico. Non solo la geografìa è "porosa" rispetto alla pratica politica e alle teorie politiche, ma, inversamente, alcune dottrine e idee politiche sono fortemente influenzate dai metodi e dagli schemi elaborati in ambito geografìco. Basti pensare alle opere di Cari Schmitt, ma anche ad autori, come Adolf Grabowski o lo stesso RudolfKjcllcn, che per comodità sono stati definiti geografì. Grabowski e Kjcllen, ma anche Spykman, sono politologi: insegnano teoria politica e scrivono opere di politica. La loro peculiare classificazione accademica non è frutto di una negligente e pedissequa mania di defìnire e applicare steccati disciplinari, anche laddove non ci sono: essa è il prodotto di una rimozione "politica", e cioè della censura che ha investito la geopolitica tedesca dalla fine della guerra. Confinare Kjcllen aWambito della geopolitica, dimenticando la sua ben pii1 ampia trattazione della politica statale e imperiale, significa condannarlo, insieme con tutti i geopolitici, al giudizio negativo che pesa sulla scienza nazista. Al contempo, tale rimozione permette di salvare la scienza politica in quanto "pura", perché non coinvolta nel nazismo. Lo stesso si può affermare della schizofrenica ricezione del lavoro del marxista Adolf Grabowski {cfr. Klein, 2.000 ), che venne rivalutato come uno dei pochi geopolitici in grado di produrre opere scientifiche, perché distante dal nazismo. Lo strabismo della ricezione storiograflca della geopolitica è evidente, poi, neWassoluzionc della geopolitica americana da ogni colpa ideologica dcli' imperialismo. I geopolitici Mackinder, Bowman e Spykman venivano rappresentati come scienziati dediti alla causa della verità, fino all'attuale decostruzione critica dovuta al dibattito inaugurato dalla geopolitica negli anni Novanta. Questi esempi sono solo marginali, ma segnalano delle fratture, delle contraddizioni nella ricezione e considerazione del sapere geopolitico, che, a loro volta, mostrano degli squarci sul fondamentale rapporto del sapere geografico col potere politico.
12.
INTRODUZIONE
L'uomo politico e il geografo, ovvero: «Isaiah, così si fa la storia!» «lsaiah, così si fu la storia!», commentò Roosevelt quando il geografo Bowman spostò sulla cartina geografica i confini dell'emisfero occidentale permettendo così agli Stati Uniti di intervenire nella Seconda guerra mondiale. L-i geografia politica è particolarmente "esposta,, all'influenza della politica: essa accompagna le conquiste coloniali, misurando e permettendo il controllo dei territori d,oltremare; essa legittima la definizione dei confini interni ai continenti, in caso di guerre e di nuovi accordi politici; essa sostiene i progetti imperialisti e definisce le zone di influenza, permettendo alle grandi potenze di penetrare e di controllare altri Stati - come nel caso della domina .Monroe. La geopolitica non è solo una scienza geografica, ma è anche I, arte del potere geografico: geopolitici come Mackinder, Haushofcr e Bowman furono al contempo geografi e consiglieri politici. La loro attività politica non era indipendente dalla loro funzione scientifica, anzi, essi usarono coscientemente nel campo politico quell' autorità che proveniva dalla loro conosccnz.1 scientifica - come per il modello di intellemiale descritto dal sociologo Pierre Bourdieu (1982). Tuttavia, la loro posizione era più o meno intrecciata e dipendente dalla politica a loro contemporanea: essi non erano meri uomini politici, coinvolti nelle fuccende politiche. Essi erano scienziati, anzi il loro molo di consiglieri - o di critici del potere - dipendeva dalla loro condivisione con la comunità accademica di una gamma di metodi di ricerca scientifici e di una prospettiva oggettiva e neutrale. Come già affermava Friedrich Ratzcl all'inizio del Novecento, le regole scoperte dalla geografia politica non si intrecciavano alla politica contingente, ma alle manifestazioni politiche durature e preparate nei tempi lunghi (Ratzcl, 1890-94). La for~a e la posizione che la geografia rivendicava rispetto alla politica originava, in sintesi, proprio dalla sua posizione "superiore,, e dalla sua prospettiva a lungo raggio, che le permetteva di astrarre dalle circostanze politiche del tempo e di guardare lontano, ai grandi processi storici e culturali. Anche in questo caso, però, le posizioni individuali dei geopolitici cambiavano cd erano connesse con il relativo contesto culturale. Ratzcl, un geografo conservatore della Germania gugliclmina, poteva ancora aderire a un modello liberale di scienza, separata dalla politi-
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ca, pur coltivando una seria passione per l'imperialismo. L1 politica lasciava una certa libertà all'accademia e alla scienza - si confìgurava, in tal caso, una situazione che il sociologo Bourdieu chiamerebbe di «autonomia» tra il campo politico e quello intellettuale. Karl Haushofcr, invece, doveva far fronte alla politiciz~1zionc delle scienze durante il nazismo ( Gleichschalt1mg): traduceva direttamente il suo imperialismo e il suo antisemitismo "strabico" (poiché sua moglie era ebrea) in un attivismo politico - moderato - a favore di Hitler. L1 sua scienza si "omologava,, alla situazione di Gleichschaltrmg delle scienze nel nazismo: si orientava al totalitarismo e s' idcntifìcava nel suo ruolo funzionale al potere politico. La situazione del campo inteHettuale era chiaramente di «eteronomia» rispetto al potere politico. Che dire, aHora, della geopolitica statunitense dopo il 1945? Alcuni geografì deJlacriticalgeopolitics (Smith, 2003; Kearns, 1.009) hanno mostrato gli intrecci fra la geografia e la politica egemonica neHe democrazie occidentali dopo la Seconda guerra mondiale. La geografia funziona, da aHora, come scien~1 posta al servizio della globaliz~1zione economica e dell'egemonia statunitense (Agnew, 2.oosb). All'interno dei maggiori think tanks americani, i geografi svolgono la funzione di "consiglieri del re': A loro volta i geografi critici della corrente della criticaigeopolitics rivendicano, in un gioco che secondo Bourdieu non può mai cessare, l'autonomia del loro discorso, separato dalla legittimazione politica, benché essi constatino che nell'epoca postmoderna tutte le verità si dimostrano fallaci e tutti i discorsi imbrigliati in gerarchie di potere.
L'espansione dcli' orizzonte politico Vi è ancora un'altra evidenza fondamentale dell'intreccio fra la geopolitica e la politica, intesa in questo caso come teoria. La geopolitica e la geografia politica, precedente ad essa, non sono "discipline scientifiche"1 i cui metodi e le cui argomentazioni rimangono confinate ali' interno degli ambiti accademici. Al contrario, gli schemi e i con1. Metto le parole fra virgolem: perché per alcuni (ad esempio Spykman e Bowman: cfr. i11fi~,. CAP. ;) la geopolitica non è una disciplina, ma un'ideologia fu. mosa e criminale.
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INTRODUZIONE
cetti della geopolitica, come ha dimostrato la recente o-iticalgeopolitics, permeano e penetrano nel senso comune, nell'opinione pubblica, nella politica e in altre discipline accademiche'. L,ulcimo ambito è uno degli spunti della seguente riflessione: il rapporto della geografia politica e della geopolitica con le teorie politiche. T.'lle relazione deve essere intesa in due sensi: sia da un punto di vista teorico-concettuale, sia da un punto di vista ideologico e proprio delle dottrine. Nel primo caso, in queste pagine si dimostra che i geografi politici hanno sempre un'idea politica ben precisa dell'ordine politico: i loro modelli di entità territoriale, di confini poggiano sulle teorie politiche a loro contemporanee. Humboldt, Ritter e Raczcl definiscono gli Stati e i territori a partire dalla concezione herderiana di Volk e Nation. Ernst Kapp elabora una teoria filosofico-geografica della scoria a partire da Hegel. Haushofcr avrà come punto di riferimento Kjellen e Ranke. Mentre la tradizione angloamericana sosterrà e giustificherà le idee di democrazia e di liberalismo di \Voodrow \Vilson, pur conservando un costante riferimento al darwinismo e alla concezione spenceriana di società. Viceversa, alcune teorie politiche e teorie storiografiche vengono costruite sulla base delle coeve elaborazioni teoriche della geopolitica: il Grofmum di Cari Schmitt e l'approccio storiografico di \Verner Conze e Hermann Aubin sono esempi chiari a tal proposito. La teoria del G1·ofm11m schmittiana è coscientemente fondata su "dimostrazioni" geopolitiche date per scontate, e cioè su "fatti" tratti dalla scienza biologica e dalla geopolitica. Le argomentazioni di Conze sulla storia dell'Europa orientale sono fondate sul Lebenmmm e sulla teoria del paesaggio culturale, e cioè su concetti geopolitici. A livello ideologico e neU-ambito delle dottrine, le teorie geografiche sottintendono, giustificano o criticano i concetti propri della teoria politica: i temi discussi nella geopolitica sono gli stessi che formano l'ossatura della trattazione politologica. Stato, territorio, popolo, popolazione, spazi, grandi spazi, sfere di influenza, razze, impero: questi sono gli argomenti di entrambe. Questi sono anche i maggiori temi che vengono trattati dalla letteratura politica meno specializzata ;. In panicolare Aalto (1001) e O"Tu:uhail (1999) definiscono di\'Crsi amhili di studio della geopolitica. Le loro tipologie sono lie\'cmente diflèrcnti. mttavia cn• (rambi distinguono una geopolitica fom,ale (accademica e della cultura alca) dalla geopolitica popolare (dei mass-media) e da quella strategica (dei go\'cmi politici).
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e pii1 giornalistica in Europa a partire da fìne Ottocento. Le riviste del· la Repubblica di \X'cimar, che verranno prese in considerazione, for• niscono un esempio straordinario della compenetrazione del discorso geopolitico e di quello politologico e di teoria politica in un genere letterario che trova una grande diffusione presso l'ampio pubblico. In queste riviste la geopolitica si trasforma in teoria politica, e teorici po• litici centrali nella rivoluzione conservatrice, come Gisclher \X'irsinge Hans Zehrer per esempio, adoperano schemi, modelli e perfino carte geopolitiche non solo per corroborare le loro tesi, ma per formulare nuove visioni della politica. In tal modo, la pubblicistica specializzata, la storiografia e gli studi giuridici propagano le teorie geopolitiche sia nella sfera pubblica, sia presso il pubblico accademico. Tramite questo processo di diffusione, la geopolitica diventa "immaginazione geopolitica", e cioè inizia a contribuire a formare delle "mappe men• tait: fornendo ai lettori dei "punti di riferimento" su cui orientare le proprie immagini del mondo. Insomma, la trasformazione della di• sciplina geopolitica in "immagini" geopolitiche - o anche in mappe mentali - avviene grazie alla sua propagazione in ambito accademico e giornalistico: Schmitt, la Osrforschrmg di Conze e Aubin e le riviste sono cruciali in questo passaggio. Studiare la geopolitica nel suo rapporto con la politica e con la teo• ria politica permette allora di illuminare in piccola parte quel processo attraverso cui vengono costruite le "immaginazioni geopolitiche" - o immaginari geopolitici - intese come «un insieme di presupposizio• ni geografiche, di designazioni e interpretazioni che funno parte della formazione della politica mondiale» (Agnew, 1998, p. 2). In questa prospettiva, l'introduzione di concetti e metodi geopolitici all'inter• no del pensiero politico promuove l'imperialismo, e cioè una sorta di "espansione" dell'orizzonte politico, perché fornisce strumenti utili per considerare e legittimare alcuni scenari futuri mondiali. In tale prospettiva alcuni teorici politici, come Kjellen e Schmitt, integrano le categorie e i modelli geopolitici nelle loro strutture discorsive per acquisire un metodo diverso con cui osservare i processi storici e con cui innovare la propria disciplina - la scienza politologica per Kjellen e il diritto internazionale per Schmitt. Lo studio della relazione fra la politica e la geopolitica ci permette, allora, di guardare alla costruzione dell'immaginazione geopolitica da uno scorcio particolare: dal punto in cui un sapere accademico - la te• oria politica - si incrocia e con una disciplina quasi accademica al ser•
INTRODUZIONE
vizio della politica - la geopolitica-, e con l'ambito di discorso pubblicistico. Insomma, le riviste che verranno considerate sono centrali tanto nel processo di creazione di alcuni "immaginari geopolitici"", e cioè di quell'insieme di rappresentazioni dello spazio che vengono poi impiegate nella sfera pubblica, quanto nella diffusione di specifiche concezioni politiche, che vengono supportate da schemi e strumenti della geopolitica. Una rivista come "Die T.·u" rivestiva, ad esempio, una grande importanza nella cultura tedesca fra le due guerre, sia perché diffondeva l'idea di espansione ad Est e di imperialismo tedesco, supportandolo con cartine e argomentazioni geopolitiche, sia perché contribuiva alla costruzione di modelli, schemi geopolitici nell'opinione pubblica, utili a ordinare e "collocare,, la Germania rispetto all,Europa e all'America. Naturalmente, la "collocazione" di uno Stato non era meramente geografico-fisica, ma ideologico-politica: per esempio la Germania veniva percepita nella letteratura degli anni Venti e Trenta e nella sfera pubblica - come accerchiata, minacciata, schiacciata dalle grandi potenze. Durante la Seconda guerra mondiale, anche gli Stati Unici verranno collocati al centro della terra, in una diflìcilc posizione a rischio di accerchiamento (Spykman, 1944). L'accerchiamento non era, tuttavia, un mero dato geografico: esso era reversibile, poiché se l'Eurasia poteva minacciare l,Amcrica, anche il Nuovo Mondo poteva accerchiare l'Europa. Il gioco dell'accerchiamento non era determinato da costanti geografiche, ma dalla potenza e dalla capacità mili care ed economica dei continenti.
Le costruzioni dello spazio nei contesti politico-culturali Il libro individua le concezioni politiche che sono alla base dei successivi discorsi geografici e, d,alcro canto, analizza le argomentazioni geopolitiche presenti nel pensiero politico. Alcuni temi principali costituiscono gli assi su cui il volume si costruisce. Ncll,ambito della geopolitica viene esplorata la relazione della geopolitica con i progetti e le ideologie politiche coeve, come il nazionalismo, l,imperialismo, 4. Per "'immaginario• Grcgory (199,) intende non solo concrete immaginazioni compiute dell'ordine spa'liale. ma anche una serie di disposizioni conscie e inconscie, prodotte a li\·dlo individuale e collctti\'O, che fa\'Oriscono alcuni tipi di spazializz.1zioni e di idee di ordine spaziale.
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IL PENSIERO GEOPOLITICO
il globalismo, la democrazia; con le unità geografico-politiche principali presenti nel pensiero geografico (nazione, popolo, impero, economia globale); con la considerazione della propria funzione nell'ambito del processo educativo e della formazione del senso nazionale o civico. Nell,ambito del pensiero politico vengono considerati: l,uso di concetti della geopolitica (come potenze marittime e terrestri, grandi spazi, Lebemmum, continenti), il ricorso a immagini proprie della geopolitica per definire i classici luoghi del lessico politico (Stato, confine, impero) e la rilevanza delle idee e dei metodi della geopolitica per fondare o giustificare una "nuova" concezione della politica e delle relazioni internazionali. Alcuni nodi concettuali ricorrono molto spesso nella letteratura: essi rappresentano delle questioni fondamentali, che vengono continuamente rielaborate dagli autori. Questi sono: il tema del determinismo della natura, e cioè il peso delle condizioni naturali nella determinazione delragire politico; l,opposizione, correlata ad esso, fra la natura e la cultura; l'oscillazione fra la limitazione territoriale - espressa nella delimitazione dei confini statali o imperiali - e l,espansione delle nazioni e dei popoli, intesi come organismi viventi o come soggetti della globalizzazione; la tensione tra la funzione politica della scienza geografica e la sua considerazione come discorso fìlosofìco e storico, non direttamente utile al potere politico; la vocazione umanistica o naturalistica della scienza geografica. Il libro non tratta esaustivamente di mtte le teorie geografiche e geopolitiche e nemmeno di tutte le teorie politiche che sono state influcnz.1te da idee e paradigmi geopolitici. Esso considera alcune figure esemplari, particolarmente incidenti nella cultura politica e fumose nel dibattito attuale. Inoltre, la trattazione ha due grandi limiti. L1 prima limitazione è tematica: manca tutta la geografia politica francese. La seconda è temporale: arriva fino alla fine della Seconda guerra mondiale, dando solo alcuni cenni agli sviluppi successivi. L1 limitazione temporale è dovuta alla pervasività che assume la geopolitica dopo il 1945: al fatto che essa si frantuma in tanti rivoli, discipline e che penetra nei mass-media, nelle pubblicità. La trattazione della geopolitica dopo il 1945 è un,impresa ciclopica a cui il libro non è dedicato. La prima limitazione riguarda invece l,impostazione della ricerca: si affronta uno specifico fìlone di ricerca della geografia che è stato particolarmente intrecciato al potere politico e che ha promosso progetti e visioni politiche. La geografia politica francese rappresenta una corrente molto diversa, che ha una relazione a sé con la politica, distinta
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da quella elaborata dalla scuola tedesca e angloamericana. L'approccio francese è piii articolato e pone questioni metodologiche differenti, poiché la sua relazione con la politica e colla teoria politica è più mediata, meno diretta e subordinata (cfr. Parker, 2000). Il libro segue i mutamenti di paradigma della geografia politica e della politica sulla base di alcune cesure storiche, che vengono ricostruite e analiz~1te. La struttura segue pertanto una lim.-a temporale di ricostruzione, insieme a una geografico-comparativa. In altre parole, vengono messi a confronto gli sviluppi della geopolitica tedesca e di quella anglosassone da metà Ottocento - quando la scienza corologica acquista uno status scientifico - fino al secondo dopoguerra. Nel delineare il percorso intrecciato della geografia con la geopolitica e la politica emergono alcuni punti fermi, e cioè il riferimento a modelli organizzativi territoriali dati per scontati o, al contrario, rimossi. I passaggi principali si snodano intorno a quattro grandi progetti politicospaziali: lo Stato, declinato dai primi geografi e dalla filosofia herderiana come spazio per la nazione o per il popolo; l'impero coloniale, elaborato all'interno delle teorie successive di Raczcl e di Mackinder al volgere del XIX secolo; le teorie dei grandi spazi, e cioè il superamento dello Stato nazionale, propugnato sia nella Germania weimariana e poi nazista per promuovere la costruzione di grandi sfere imperiali, sia negli Stati Uniti, per dar vita all'universalismo giuridico e alla globalizzazione economica - con \Vilson e con il suo geografo Isaiah Bowman -; e, infine, lo spazio postmoderno, e cioè la disgregazione di ogni forma di ordine territoriale in una costellazione di flussi di comunicazione e di prodotti di consumo, delineata nelle teorie della o·itical geopolitics proprie della nostra epoca. Il CA P. 1 descrive la genesi della geografia che corrisponde alla sua fondazione da parte di Humboldt e Ritter, sulla base dell'interpretazione hcrderiana di popolo e nazione. Nel CAP. 2 si espone il paradigma imperialista della geografia politica elaborato da Raczcl in Germania e da Mackindcr in Inghilterra. Nel CAP. 3 viene messa a fuoco la geopolitica tedesca imperialista e finalizzata alla guerra con le potenze marittime: in esso viene studiato il modello geopolitico aggressivo cd espansionista elaborato da Kjellcn e Haushofcr. Nel CAP. 4 si ricostruiscono la letteratura politica ncoconservatrice e la teoria dei grandi spazi di Carl Schmitt, specificando il loro rapporto con la geopolitica. Nel CAP. s viene trattata la prospettiva geopolitica angloamericana degli stessi anni: in particolare viene ricostruito il passaggio da un modello
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imperialista a uno globalista, insieme con la trasformazione dcW approccio geopolitico. Il nuovo paradigma geopolitico, in autori come Mackinder e Bowman, è caratterizzato dalla spiegazione della politica non pii1 alla luce dei rapporti di potenza e della geografia, ma in chiave economica. L,analisi della deterritorializzazione del paradigma geopolitico, tipica di quesù1ltima posizione metodologica, viene ripresa nel CAP. 6, che esamina due forme contemporanee di approccio geopolitico: la O"iticalgeopolitics e la storia globale. LaO"iticalgeopolitics porta alle estreme conseguenze la deterritorializ~1zione del paradigma geopolitico, inaugurata negli studi di Mackinder e Bowman, pur dccostruendo criticamente la loro ideologia imperialista e razzista. L,approccio della storia globale riporta, al contempo, al centro del lavoro storiografico la considerazione degli spazi e recupera la prospettiva geopolitica, "spazializzando" il discorso storiografico. Il libro individua, allora, tre punti di snodo del paradigma geopolitico - nazionale, imperialista, globalista - che sono in relazione con le forme ideologiche di potere e di egemonia politica mondiale - nazionalismo, imperialismo e globalizzazione. Tuttavia, la lettura svolta della relazione fra scien~1 e politica non è determinista né diretta. Vengono considerati una serie di "luoght in cui la geopolitica riflette su di sé, distanziandosi dal paradigma ideologico e politico dominante e affermando la propria autonomia culturale rispetto alla politica. Come si è detto, se una pii1 libera articolazione del pensiero geografico politico sembra più probabile per autori che vivono in un regime carattcriz~1to da una certa autonomia della sfera intellettuale, per i geopolitici nazionalsocialisti, invece, la geopolitica tende aWomologazione tipica delle scienze sottoposte al totalitarismo. In particolare la geografia politica e la geopolitica non riflettono solamente i discorsi politici dominanti, né sono mere casse di risonanza della propaganda politica. Al contrario, la riflessione sulr adeguatezza della forma della sovranità territoriale a contenere le spinte vitali della popolazione e delle potenze politiche, nel caso della geopolitica classica, e poi a controllare i flussi di popolazione, di denaro e di informazioni, nella geopolitica contemporanea, pone alla geografia politica e alla politica delle sfide complesse, che vengono ogni volta risolte diversamente. La geopolitica e il pensiero politico, che tematizzano coscientemente lo spazio, devono far fronte da sempre alla richiesta, insita nel loro statuto metodologico, di elaborare nuovi ordini cognitivi che
2.0
INTRODUZIONE
possano spiegare le diverse e mutevoli dinamiche politiche cd economiche, superando una concezione statica della politica territoriale. La questione principale, posta da Ritter e Humboldt e formulata per la prima volta espressamente da Ratzcl a cavallo tra Otto e Novecento, è quella di spiegare la dinamica dei movimenti delle popolazioni e degli Stati, che non rispettano i confini e perfino gli accordi internazionali. L1 dinamica storica e politica è dunque la cifra con cui leggere non solo la geografia politica, fìn dalle sue origini ratzeliane, ma anche tutta quella riflessione politica che si confronta con gli spazi e con 1•cspansione delle potenze. Paradossalmente lo spazio è tanto pii1 rilevante quanto pii1 esprime una forza dinamica, che avanza, sovrasta e conquista. Il fu.scino dell'inesorabile legge degli spazi che si espandono - il Gesetz der wachsenden Riiume (da Ratzcl a Haushofer) - o il panico dcli' accerchiamento dcli' isola mondiale ( in Mackinder e Spykman) sono alcune delle sorgenti pii1 profonde della letteratura politica e geopolitica e ancora oggi esercitano una forte attrazione sui lettori.
2.1
I
Lo spazio dello Stato di potenza: geografia e politica nell'Ottocento Lo S\'iluppo dc:l rratlìco mondiale:. ddl'economia mondiale:. della cultura mondiale e della politica mondiale nelrepoca delle macchine a \'apore, a cui si collega la scoperca del continc:me africano, dell'Asia centrale e dei Poli. sono le tappe fondamentali della storia mondiale e, insieme. dc:I progresso ddla geografia. Hctmcr (192.7)
I.I
La genesi del nostro tempo e del nostro spazio: il XIX secolo Secondo il geografo britannico John Agnew il passaggio dalla geopolitica «civilizzatrice», caratterizzata dalle scoperte e dalla conquista dei «nuovi continenti». alla geopolitica naturalizzata, e cioè alla concezione dell'universo chiuso, ormai noto e sfruttato fino ai suoi confini, è un,esperienza fondamentale a partire dalla metà dcli' Ottocento. Il mondo e i rapporti politici vengono «naturalizzati»: i popoli sono divisi fra imperialisti e colonizzati; gli Stati sono definiti attraverso i loro bisogni naturali, biologici, di territori e risorse; il gioco del potere nel mondo diventa a somma zero, e cioè laddove una nazione vince 1•altra perde (Agncw, 1998, pp. 96 ss.). Questa trasformazione è segnata dall'inserimento nella scienza geografica europea di una nuova prospettiva e di nuovi metodi di ricerca, quelli della geografia politica, e, successivamente della geopolitica, adottati in Inghilterra da Halford Mackindcr, in Francia da Paul Vidal dc la Blache e in Germania da Fricdrich Ratzcl e poi in Svezia da Rudolf Kjellen. L-l nuova disciplina geopolitica traduce le ansie e la presa di coscienza di una nuova realtà politica e sociale tra la fine dell'Ottocento e I•inizio del Novecento: la percezione di un mondo globalizzato, sempre: pii1 interdipendente grazie alle invenzioni tecnologiche e allo sviluppo del capitalismo e della finanz.1 internazionale, in cui «qualsiasi esplosione di forze sociali, invece di disperdersi nello spazio dei territori circostanti, ancora
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sconosciuti e dominati dal caos barbarico, riecheggerà intensamente dall'altra parte del globo» (Mackinder, 1997, p. 74). Il mondo che raffigurano i due geografi Mackinder e Ratzcl, è un mondo chiuso, conosciuto e, però, estremamente complesso, solcato da conflitti non nazionali ma globali. Alla scienza spetta il compito di ordinare e classificare questo universo caotico poiché «ci troviamo -spiega Mackinder - per la prima volta, nella condizione di poter tracciare, con un certo grado di completezza, una correlazione tra le pii1 grandi generalizzazioni geografiche e storiche», in modo da scoprire le leggi della «causalità geografica nella storia universale» (ibid.) In Germania Friedrich Ratzcl (1844-1904) elabora un nuovo modo di impostare lo studio della geografia, modellato fino ad allora sull'analisi delle regioni (Liinderkunde), limitato a una rilevazione positivistica di dati territoriali, e aflìdato ancora dopo la metà dell'Ottocento a studiosi di altre materie (Farinelli, 2.009, pp. 3 ss.; Id., 2.000 ). Ratzel avvia una vera e propria rivoluzione metodologica, che avrà una porcata europea, quando indica che il compito dcli, A11thropogeogn1phie è rilevare « il rapporto della superficie della terra con la natura e la storia». In questa prospettiva globalizzante delle relazioni naturali e umane, in cui è chiara !,influenza delle teorie dello panpsichismo di Thcodor Gustav Fechner, « la terra è oggetto della ricerca scientifica geografica in quanto le sue manifestazioni spaziali mostrano di orientarsi a leggi precise, poiché la terra rappresenta la base e il fondamento di tutta la vita e, in particolare, della vita della specie umana» (Rac-Lel, 1882., p. 7 ). La nuova attenzione alla centralità del territorio e della cultura ndle discipline storiche, geografiche e politiche: deve: essere: inquadrata nd contesto della nascente: globalizzazione, che: si realizza con l,interconncssionc: fra le culture, le politiche: degli Stati e dei continenti. « Il XIX secolo - afferma lo storico contemporaneo Jiirgc:n Osterhammd {2.010, p. 14) - fu della sua stessa trasformazione: in un secolo globale l,oggetto della sua riflessione». Vengono adottati «orizzonti pii1 ampi del pensiero e dell'agire». Scrive: Osterhammel riferendosi alrOttocenco: molti milioni di uomini non si astennero dal compiere viaggi in paesi sconosciuti. Uomini politici e militari impararono a pensare con categorie della politica mondiale. Ebbe origine, allora, il primo impero mondiale della sto• ria, che comprende la Nuo\'a Zelanda e l'Australia: l'impero britannico[ ... ). Il commercio e le finanze s'influirono ulteriormente rispetto al secolo della prima modernità, tìno a formare un sistema mondiale. Nel 1910 circa i muta-
1.
LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA
menti economici registrati a Johannesburg. Buenos Aires o Tokio venivano immediatamente registrati ad Amburgo, New York o Londra. Gli scienziati raccoglievano informazioni e oggetti in tutto il mondo: studiarono le lingue, le culture e le religioni dei popoli più distami. I critici dell'ordine mondiale dominante iniziarono allo stesso modo a organizz.1rsi a livello internazionale - spesso ben oltre l'Europa: lavoratori, donne, attivisti per la pace, antirazzisti e attivisti comro il colonialismo (ivi, pp. 1;•4).
Un profondo mutamento deWidea di spazio e di tempo attraversa il secolo: una vera e propria accelerazione del tempo e un restringi· mento dello spazio {la compressione spazio·tcmpo descritta da Har• vey per il postmoderno, 1992.) dovuti anche al progresso tecnologico e scientifico. A partire da allora e fino ad oggi, le informazioni, la cultura e i flussi di ben i e persone si spostano velocemente, in modo da rcaliz• zare una profonda interdipendenza fra i vari spazi del pianeta. Le conseguenze della globalizzazione economica ottocentesca non si ripercuotono solo sulla politica, ma anche sulla cultura - nel senso di cultura accademica e cultura di massa. Da un punto di vista politico, il nuovo internazionalismo dà luogo, nell'interpretazione dello storico inglese Bayly, a «un sistema internazionale guidato da economie po• litiche nazionali che possono cooperare o confliggere» (Bayly, 2.009, p. 2.74): in Europa e nell'ambito extraeuropeo si realizza una diffusa interdipendenza politica ed economica. Tale cambiamento del sistema internazionale è accompagnato, a sua volta, da una nuova riflessione teorica e dalla formulazione di nuovi modelli politici e di relazioni in• ternazionali (Ostcrhammel, 2.010 ). Politicamente l'Ottocento è contrassegnato da due tendenze appa• rentemente contrapposte: da un lato il successo del nazionalismo e di conseguenza della formula dello Stato•nazione e, dall'altro, l'imperia• lismo. L'Europa domina il mondo e impone i suoi modelli politici e culturali al resto del pianeta, esercitando il suo potere in due modi: attraverso la politica di potenza, usata anche con azioni aggressive, e attraverso l'egemonia, realizz.·ua tramite l'imposizione di pratiche e re• gole commerciali e con la diffusione dei suoi modelli culturali ( ivi, p. 2.0). La nazione e l'impero costituiscono, in questa prospettiva, i due attori principali dei rapporti internazionali a livello globale. L'esaltazione del legame essenziale fra un certo Stato sovrano e la corrispondente nazione affiora marcatamente nella storia politica solo dopo il tentativo napoleonico di porre tutta l'Europa sotto il dominio dell'imXIX
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pero francese e perciò di creare uno Stato universale. Tuttavia, l'origine e l'esito dell'impresa napoleonica devono essere inquadrati all'interno del nuovo contesto politico, che viene, per la prima volta, determinato dalle rivoluzioni borghesi e del terzo stato. Le ripercussioni della rivoluzione francese e di quella americana e delle invasioni napoleoniche attraversano il XIX secolo e provoca· no una grande svolta nella politica mondiale: non solo sconvolgono l'ordine delle relazioni intraeuropce e mondiali, ma producono una metamorfosi delle forme politiche dell'impero e dello Stato. Dalla ri• voluzione francese in poi le idee imperiali e nazionali assumono, in• fatti, un significato diverso. L'impero napoleonico per la prima volta giustifica il potere politico sulla base della legittimità della rivoluzione armata dei popoli piuttosto che delle antiche tradizioni dinastiche. Esso si fonda sulla "chiamata alle armi" di tutti i cittadini decretata fin dalla rivoluzione francese - esattamente dalla convenzione nazionale del 2.3 agosto 1793 - con la quale il popolo viene direttamente recluta• to per difendere in modo permanente la sua nazione (ivi, p. 567 ). Da allora in poi, la mobilitazione delle nazioni e dei popoli diventa uno dei motori principali dcli'azione politica. Percale ragione tra l'impero napoleonico e la rivoluzione del terzo stato vi è una continuità impres• sionantc: la nazione e l'impero sono fondati su uno stesso principio di rottura dell'ordine attraverso la mobilitazione del popolo e la costi· tuzionc della nazione ad opera del terzo stato (Galli, 2.001; Agambcn, 2.005). L'impero napoleonico, a sua volta, pur espandendosi in modo violento in tutta l'Europa, diffonde le rivendicazioni della rivoluzione e il lessico dei diritti del cittadino, provocando una reazione contraria all'imposizione di autorità, e incidendo sia sui rapporti intcrstatali cu· ropci, sia sui principi di legittimazione della sovranità. La pace europea, che inizia nel 182.0 - cinque anni dopo il Con· grcsso di Vienna - e dura flno alla Grande Guerra, con un'interruzio• ne dal 185 3 al 1871, sembra restaurare un precario sistema di equilibrio, che ripristina l'antica "bilancia degli Stati" garantita fìn dalla pace di Utrecht del 1713 e fondata sull'accordo della pentarchia (Francia, Gran Bretagna, Austria, Russia e Prussia) e sulla relativa sicurezza dei piccoli Stati (cfr. Chabod, 1995). L'l restaurazione del sistema di Stati, realizzata contro la minaccia di dominio imperiale napoleonica, viene legittimata a livello teorico con la riafièrmazione del principio della pluralità della forma "Stato•nazione" e trova una delle pii1 articolate formulazioni nell'affermazione del fìlosofo Hcrdcr dell'unicità dei
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I.
LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA
popoli e delle loro culture. Il "concerto delle nazioni", creato tra il 1815 e il 1816 in risposta al tentativo napoleonico di instaurare uno Stato universale, viene fondato su alcune regole informali, ma efficaci in ambito europeo: il rifiuto del predominio assoluto di uno Stato sugli altri e la tendenza a evitare conflitti estesi (Holsti, 1992.). In realtà, la pace europea e l'armonia degli Stati è ancorata in un tessuto politico cd economico ben diverso da quello settecentesco: il sistema delle potenze inizia a dipendere fìn dalla metà dell'Ottocento da f.mori estranei alla politica europea, e cioè dall'imperialismo e dal colonialismo e, insieme, dalla spinta alla globalizzazione commerciale e all'industrializzazione. Il XIX secolo è l' «età degli imperi», «non solo perché dà origine a un imperialismo di nuovo tipo, bensì anche per una ragione di stampo molto pii1 amico. È quello, probabilmente, il periodo della storia mondiale moderna in cui furono pii1 numerosi i sovrani che si chiamavano ufficialmente "imperatori"» (Hobsbawm, 1987, pp. 66-7 ). L'impero coloniale assicura la stabilità dell'Europa ottocentesca da un punto di vista politico ed economico, attraverso la creazione di una forte interdipendenza fra la madre patria e le colonie (Hobson, 1987; \Vallerstein, 1987 ). Tuttavia, accanto all'impero "nuovo" coloniale, sussistono in Europa le antiche forme imperiali russa e austriaca, a cui si aggiunge nel 1871 il nuovo Reich prussiano. Il culmine della conquista imperialista avviene nella fuse che coincide con la ripartizione di tutto il continente africano e della Cina fra le potenze europee e con la corsa all'acquisto di nuovi territori - tra il 1880 e il 1918. In quel momento, secondo Bayly, una « nuova globalizzazione» subentra alla globalizzazione arcaica. In altre parole, la spinta all'espansione territoriale, che fìno al Settecento era sostenuta dalle ambizioni dei sovrani monarchici e dall'opera di conversione missionaria (Bayly, 2.009, p. 2.7 ), e che aveva condotto ali' apertura del Vecchio Continente nei confronti del Nuovo Mondo, viene ora regolamentata e statalizzata. Gli Stati determinano centralmente sia le politiche espansive sia la stanaizione di regole commerciali e di accordi internazionali. In tal modo, si consolidano quei processi che condurranno alla politica e all'economia del mondo globale: l'internazionalizzazione politica e l'interdipendenza economica e culturale. Lo Stato monarchico e l'impero non esauriscono, però, il variegato spettro delle forme politiche dell'Occidente nel XIX secolo. Le forme monarchiche antiche, riformate costituzionalmente durante
IL PENSIERO GEOPOLITICO
l,Illuminismo, coesistono con le nuove forme repubblicane inaugurate formalmente con la Costituzione americana (1787) e proseguite nella Costituzione francese del 1791 e con quella spagnola del 1812. La democrazia, come afferma Tocqueville nella sua Democrazia in America (1835), dimostra di non essere un regime come gli altri, ma una formula politica a cui si rivolgono tutti i paesi e con cui tutti gli attori politici devono ormai confrontarsi. Lo Stato costituzionale e di diritto e la correlativa pretesa dei diritti di cittadinanza incontrano la resistenza dei governi assoluti, che, però, gradualmente si aprono alle riforme, a causa di cambiamenti economici e anche delle forti proteste dell'opinione pubblica e delle rivoluzioni civili che, dal 182.0 in poi, attraversano 1, Europa. La costimzionalizzazione dei regimi politici (Finer, 1997) non solo prende piede anche presso governi alieni dall'idea rivoluzionaria, ma attraversa i confìni dell'Europa e sbarca nell,America Latina (in Bolivia e Perù) e in Giappone (Osterhammcl, 2.010). Al contempo, il movimento socialista inizia a diventare, in questo mutevole panorama, una forza politica globale, sfruttando e denunciando le contraddizioni che il capitalismo, Io sfruttamento industriale e insieme il colonialismo creano nelle società ancora rette da governi conservatori e monarchici. Il socialismo cresce in realtà nazionali e istituzionali diverse, coniugando la dottrina marxista con delle esigenze tattiche di confronto con la politica dei vari Stati: in Francia assume dei connotati insurrezionalisti, articolati nella concezione di Auguste Blanqui e poi in quella sorcliana; in Gran Bretagna esso tarda a trasformarsi in un movimento politico consistente, in Italia e in Germania ha influenza politica sui patrioti (Mazzini, ad esempio), ma soprattutto sui movimenti sindacali, che basano le loro rivendicazioni sul socialismo scientifìco. Il sindacalismo diviene internazionale, affiancando movimenti sociali collettivi - come quelli contro lo schiavismo e per i diritti - che iniziano a propagarsi nel globo e a pensare "globalmente~ Questi cambiamenti istituzionali, organizzativi e ideologici provocano una trasformazione dei modi in cui gli Stati interagiscono. Fin dall,Ottocento la politica internazionale si orienta su altre regole e adotta principi e modelli di azione che anticipano gli scenari del xx secolo: nei processi politici diventa centrale la mobilitazione dei popoli e delle nazioni (che siano classi borghesi o il terzo stato) sancita dalle due rivoluzioni settecentesche; la politica dinastica viene sostituita dalla politica, orientata all'idea di « ragion di Stato»; le azioni diplomatiche iniziano a vertere sulla considerazione del potere di sterminio, dovuto
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allo sviluppo della tecnologia bellica; le capacità industriali e produttive acquistano un significato determinante nelle transazioni politiche e nelle guerre (Osterhammel, 2010, pp. 566 ss.). Tali schemi di agire diplomatico e politico travalicano i confini europei: il sistema europeo si allarga fìno a costituire il sistema mondiale di Stati, che integra tutti gli spazi geografici attraverso il processo di colonizzazione mondiale. L'imperialismo colonialista, pur fondandosi sullo sfruttamento e sulla subordinazione delle colonie, costituisce la precondizione per la loro liberazione, attraverso la loro integrazione culturale: «L'imperialismo [... ] diventa il contrario di quello che avevano progettato i suoi protagonisti: mediando i rapporti politici mondiali acquista una funzione maieutica per la creazione di un ordine post-imperiale» (ivi, p. 570 ). Gli scambi fra la madre patria e le colonie non si limitano, inf.mi, ai beni e alle materie prime, ma permettono una massiccia migrazione e dislocazione di popolazioni, oltre alla diffusione delle nuove tecnologie, di modelli di vita e di idee, e anche di ideali di autodeterminazione dei popoli e degli Stati. Le condizioni necessarie per la globalizzazione intesa in senso culturale come propagazione di modelli di consumo sono state individuate dagli storici contemporanei nello sviluppo dell'industria - in particolare dei settori metallurgici e dell'elettricità (Abclshauser, 2006) - e nel progredire delle nuove tecnologie, come le navi a vapore, le ampie reti ferroviarie e le telecomunicazioni. Inoltre, la realizzazione del mercato globale orientato al libero scambio, di un sistema monetario eflìcientc e standardizzato a livello nazionale e l'esportazione di grandi capitali permettono la diffusione globale di prodotti e di opere culturali e l'interazione di stili di vita diversi. Le «rivoluzioni industriose» (De Vries, 1994), e cioè i cambiamenti di mentalità e di modalità di consumo, forniscono le condizioni per la globalizzazione dei mercati: il mutamento dei modi di consumo delle famiglie, che, razionalizzando la loro attività produttiva, adottano prodotti provenienti da paesi lontani, accresce il commercio e la produzione globale. Emerge, allora, proprio grazie alla crescente omogeneità dei modelli di vita e di consumo, e, insieme, all'enfusi sull'etica del lavoro e sullo spirito del commercio, una classe media commerciale: « gente perbene dedicata al commercio in rutto il mondo» (Bayly, 2009, p. 117). A sua volta, l'implementazione dei commerci globali viene raffor.ma dall'idea del libero scambio, affermata dall'impero britannico ( in particolare da Lord Palmerston a metà del secolo). L'ideale del libero commercio è funzionale a un progetto di egemonia economica
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britannica sui mari, divergente dal modello protezionista, promosso dagli imperi europei (in particolare da Friedrich List per la Germania). Si può afformare che dal 1815 al 1875 l'Impero britannico rappresenti il potere egemone nel mondo (Cox, 1987; Taylor, 1993): non solo esso ha un ruolo chiave di raccordo fra il Vecchio e il Nuovo Mondo, ma è tecnicamente e industrialmente la potenza trainante e, inoltre, domina un vasto impero extraeuropeo. Grazie a tale incontrastato predominio, il Regno Unito può imporre il modello del libero scambio globale a partire dal 182.3 fino sostanzialmente alla fine del secolo - nonostante alcune inversioni di rotta. In tal modo « i leaders britannici creano un network a livello mondiale per gli scambi commerciali e finanziari che permettono di presentare la centralità [dcli' Impero britannico] come una conseguenza del "mercato globale~ che opera a fuvore di nmi. I governi britannici possono pretendere credibilmente che la crescita dell'economia britannica serva non solo l'interesse nazionale, ma an• che quello globale» (Agnew, Corbridge, 1995, p. 2.7 ). Il cambiamento sociale, politico e culturale si ripercuote e accompagna un'altra grande trasformazione sia nella cultura accademica, sia nell'opinione pubblica (Habermas, 2.006). L'istruzione viene estesa non solo a fusce ulteriori di popolazione, ma anche esportata nelle colonie. L'università assume le funzioni che la caratterizzano ancora oggi: diventa un luogo di legittimazione e propagazione del sapere accademico, promuove la ricerca scientifica, costituisce l'istituzione primaria per la formazione e la socializzazione delle classi dirigenti (Osterhammcl, 2.010, p. 1132.). Il XIX secolo è, in questa chiave, il secolo delle università, e anche quello in cui la cultura - accademica e popolare - si confronta con la tecnica e con la scienza. Le opere accademiche e la pubblicistica non solo usufruiscono dei mezzi tecnologici per la loro diffusione presso un pubblico mondiale, ma adottano, più o meno criticamente, le scoperte scientifiche come fonti di riflessione e dibattito. Ad esempio, la grande rivoluzione scientifica del secolo, e cioè il darwinismo che prende avvio con la pubblicazione dell'opera di Darwin Sull'origine delle specie del 1859, non investe solo le scienze naturali, ma anche tutte le discipline umanistiche. Il modello teorico dell'evoluzione delle specie viventi, il quale scardina i precedenti para• digmi tassonomici cd evoluzionisti attraverso l'osservazione delle leggi naturali e include l'uomo come uno fra tutte le specie viventi, è «uno sconvolgimento» che «si confà a molti campi, dall'antropologia alla religione naturale, offrendo la chiave del cambiamento. Soprattutto,
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fa valere lo sviluppo storico come causa del cambiamento, in luogo dell'intervento provvidenziale» (Bayly, 2009, pp. 282-3). Le scienze umane, il sapere politico e le scienze naturali risentono profondamente del successo del modello darwinista, che, così, fornisce una chiave di lettura innovativa per ordinare sia le specie naturali, sia gli eventi storici in un secolo di profondo cambiamento. La coscienza dell'interdipendenza dei processi economici, politici e culturali e la realizz.12ione della diversità delle culture sfociano nella ricerca di modelli scientifici in grado di ordinare le civiltà e estrapolarne i caratteri essenziali, e nella pratica e teoria dei diritti universali. La concezione estetizzante della cultura extraeuropea, considerata come esotica, propria del mondo settecentesco erudito, lascia il posto alle classificazioni "scientifiche" delle differenze tra i popoli e le culture (come ad esempio le teorie di Spencer in The Man Versus the State del 1884), mentre la semantica dei diritti di cittadinanza inizia a diffondersi oltre l'Europa. «Il punto critico del cambiamento, dopo il 1800 - scrive Bayly -, fu la maniera in cui, nel mondo, scrittori, giuristi e uomini politici assunsero e adottarono le idee dei diritti dell'individuo e degli Stati a proprio uso» {ivi, p. 278). Le scienze politiche, storiche e geografiche, in particolare, risentono della tensione fra l'esigenza di comprendere le specificità delle culture e, d'altra parte, il linguaggio giuridico sviluppato dalle democrazie e dal lessico universale dei diritti. In particolare, una delle nuove scienze veicola le tensioni politiche del tempo in un nuovo linguaggio scientifico: la scienza geografica o corologica. Lo studio della corologia non solo ci permette di individuare alcune contraddizioni e tensioni dell'Ottocento, ma anche di delineare il nuovo rapporto fra la scienza e la politica all'interno di un quadro culturale completamente mutato. Nei paragrafi che seguono verranno considerate la nascita della geografia e il suo sviluppo sotto due principali aspetti: nel rapporto che la nuova scienza corologica instaura con il potere politico e con le altre scienze, e nella capacità di elaborare quelle contraddizioni che caratterizzano l'epoca storica in cui si sviluppa. Prima di nmo verrà seguito il percorso che conduce alla definizione della scienza geografica come "scienza borghese~ e cioè neutra e apparentemente slegac.1 alla politica: si delineerà la nascita, con Humboldt e Ritter, della geografia come sapere non direttamente al servizio del sovrano. Verranno inoltre messi in luce i rapporti che legano le definizioni geografiche, elaborate dai primi geografi, con le definizioni politiche di Stato e le concezioni territoriali di confine. In secondo luogo, verranno
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IL PENSIERO GEOPOLITICO
individuate le condizioni per l'interpretazione da parte del pensiero geografico, e poi della geopolitica di Ratzel e quindi di Mackinder, delle nuove tendenze politiche e culrurali dell'Ottocento: l'imperialismo, la globalizzazione, l'esaltazione della tecnologia. Inoltre, sarà possibile illustrare all'interno del paradigma scientifico gcografìco le tensioni implicite all'idea di autonomia scientifica del sapere geografico dalla politica. Nel contempo verranno individuati i maggiori nodi tematici che caratterizzeranno tutta la riflessione geografica e geopolitica: il rapporto tra la scienza geografica e la politica, la questione del determinismo della natura sull'uomo, la tensione fra l'accettazione di un paradigma politico fondato sulla sovranità degli Stati nazionali e l'osservazione dei rapporti di potere sovrastatali, imperiali e globali.
1.2.
Il sapere geografico tra scienza e politica nella cultura tedesca ottocentesca È con il darwinismo che si confrontano le "nuove scienze•: e cioè quegli ambiti disciplinari costituiti o consolidati nell'Ottocento, la cui rappresentazione riflette le esperienze fondamentali del secolo, ossia l, accelerazione del tempo e il restringimento dello spazio. L-t geografia, l 'etnologia, l'antropologia e gli srudi linguistici ricevono w1 forte impulso dal contatto con le altre civiltà e gli altri popoli. legati ormai da una relazione di interdipendenza con l'Europa. L-t geografia, in particolare, detiene un ruolo preminente tra le scienze: essa assume un doppio starus accademico e politico, ovvero è definita in ambito accademico come una nuova disciplina separata dalla storia e della politica, e, insieme, viene impiegata come "consulente" del potere politico. Diventa uno «strumento dello Stato» secondo la definizione di Bayly (2.009. p. 32.6). In Europa la sua legittimazione scientifica è indiscussa, sia perché è l'unica disciplina che rivendica per sé, a livello globale, l'autorità di esaminare gli spazi e i territori con dei metodi, un lessico e delle procedure scientifiche, sia perché essa esercita un potere assoluto per la definizione legittima dei territori politici e dei confini statali, che, a loro volta. sono oggetto dell'esercizio del potere politico e delle contese internazionali (Osterhammcl, 2.010; Farinelli. 2.009). «Attraverso tutti i manuali e libri di testo scolastico e attraverso ogni cartina, soprattutto se fondati su
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un'autorità superiore, [ i geografi] esercitavano il loro potere di ddìnizione (Bestimmrmgm111cht)» (Osterhammd, 2010, p. 132.). Questa interrelazione del potere politico col sapere sciencitìco si manifesta in particolare nell'accertamento dei contìni durante l'imperialismo coloniale: la spartizione delle colonie è preceduta da accordi - o conflitti - politici, che non possono prescindere dal riforimenco al sapere geografico e cartografico. La geografia e la cartografia acquistano, così, insieme un valore simbolico e una funzione pratica per l'esercizio del potere politico: sono strumenti per guidare la conquista e la spartizione dello Stato coloniale e, allo stesso tempo. rappresentano il potere dei governi e della scienza occidentali (Bencon, 2010). «A livello simbolico, l 'avanz.·ua del rilevamento delle zone interne rappresentò il trionfo della scienza e della tecnologia occidentale e il definitivo imporsi del dominio britannico» (Bayly, 2009, p. 32.8). Per quanto riguarda la sua classificazione come sapere scientifico, la geografia assume, fin dalla sua fondazione a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento in Germania con Alexander von Humboldt e Cari Ricccr, una posizione in bilico fra le discipline naturali e quelle umanistiche e fra la scienza pura e quella applicata. Lo status epistemologico specifico e i metodi della scienza geografica devono essere inquadrati, pertanto, FIGURA I
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in relazione a tre fimori, che spiegano il rapporto della scienza geografica con le altre discipline umanistiche cd esatte, e con la politica. In particolare, ci si riferisce alla sua posizione disciplinare-accademica, al rapporto con lo Stato e col potere politico, e alla funzione di promozione della politica imperialista. Originariamente, da un punto di vista disciplinare, la geografia deve adattarsi e inserirsi nella trasformazione delle facoltà e delle università, attraverso un proc~o di definizione e classificazione dei suoi metodi. La «geografia pura» (rei11e Geogmphie) rivendica con diflìcoltà grazie a Cari Ritter ( 1779-1859) il suo statuto di scienza con propri metodi in contrapposizione con l, antica statistica o geografia dello Stato. NeWinterpretazione della cartografia di Polycarpus Leyser - nel commento sul metodo geografico del 1726 - si riscontra la prima asscr.tione dell,autonomia della disciplina e la sua frattura con l,antica cartografia (Farinelli, 2.009; Livingstone, 1992; Schultz, 2.oosa). L-l cartografia, che nel Settecento rappresentava una delle branche della statistica poste direttamente al servizio del governo, segnalava le variazioni dei confini territoriali, così come venivano stabiliti di volta in volca dalla politica dinastica. La "pratica politica, della statistica era congeniale al modo in cui gli Stati settecenteschi si relazionavano ai loro cittadini e alle altre entità politiche. T.1li Stati di polizia gestivano in modo paternalistico la sicurezza e il benessere dei sudditi. Nell'Ottocento, la fine della politica dinastica, le guerre e le rivoluzioni, e la conseguente trasformazione delle relazioni internazionali, descritte precedentemente, resero difficile la sopravvivenza dell'antico sapere statistico: i confini diventarono imprevedibili e mutevoli, poiché iniziarono a sfuggire alla decisione dei sovrani e furono soggetti a nuove forze dirompenti e ingestibili, come la "volontà della nazione''. Al contempo, le aree confinanti divennero oggetti di conflitto fra gli Stati che rivendicarono su di esse la propria sovranità. Inoltre, la spartizione dei territori oltreoceano pose in crisi i metodi tradizionali di divisione territoriale dinastica e introdusse criteri diversi di ripartizione. A questi problemi pratici si aggiunsero la pressione di alcuni mutamenti culturali: i nuovi imperativi diffusi dalle riforme pedagogiche proposte da Pestalozzi e Rousseau, i quali promo~ero il "ritorno alla natura,, neWosscrvazione scientifica, e i cambiamenti nella strutturazione del sapere scientifico introdotti dalla rivoluzione francese e dai movimenti di reazione ad essa. La «geografia pura» nell'accezione coniata da Rittcr (Schulcz, 2005a) risolve la questione pratica dell'incapacità della statistica di
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I,
LO SPAZIO DELLO STATO DI POTENZA
formulare un ordine stabile e dei confini cerci, decretando una vera e propria rivoluzione scientifica. L1 geografia cambia la sua prospettiva: dalla "geographia politica" alla "geographia naturalis". Su questa chiave Emil Wisotzki esorta gli statistici ad abbracciare una nuova visione del mondo: «Non serve niente altro che stropicciarvi gli occhi e svegliarvi finalmente! Il grido di guerra si innalza: la geografia pura!» (Wisotzki, 1897, p. 2.5). L1 geografia pura si fonda con Ritter su un espediente insieme metodologico e epistemologico. Essa separa la conoscenza geografica dalla politica attraverso la statuizione di un nuovo metodo di ricerca, e cioè il ricorso a una formulazione "naturalistica" dell'idea di confine e di zona geografica. Il geografo - al contrario dallo statistico - studia, ora, le aree simili da un punto di vista naturale, indipendentemente dalle suddivisioni politiche. L1 geografia viene così epistemologicamente slegata dall'immediata funzione politica e assurge allo statuto di scienza «neutrale» - in armonia con la concezione borghese della scienza come strumento neutrale di ricerca (Farinelli, 2.009 ). L1 proposta di Leyser nel 172.6 di definire le aree della terra secondo le >» individua il perfetto ordine politico C» allo stesso tempo» il fine della scoria umana. Neanche la tecnica e lo sviluppo industriale turbano» nel pensiero dei geografi fra 1»llluminismo e il Romanticismo» tale concezione armoniosa e organicistica della scoria: questi» anzi» propugnano una visione ottimista delrarmonia fra il progresso materiale e scientifico e i cicli naturali. In cale quadro» 1»Europa» con la sua pluralità di culture e di individualità» costituisce la massima espressione della ricchezza culturale e politica dei popoli» e si pone come riferimento culturale e politico per gli altri continenti. La teoria storico-filosofica di Hegcl offre» successivamente» un punto di contatto tra la concezione storica di Ritter e quella filosoficogeografica di Kapp» che influì profondamente sulla geografia e sulla letteratura politologica novecentesca. Hegel è» infimi» fortemente influenzato da Ritter. L»affinicà tra la metodologia ritteriana e quella hegeliana e la coincidenza della concezione storica dello sviluppo della civiltà» che sorge in Oriente e trova il suo culmine nella cultura occidentale e» infine» la teoria del clima» rilevano l»incidenza della lettura delle opere di Riccer neWelaborazione filosofica hegcliana 1• Nella concezione filosofico-geografica di Hegel» come in quella di Herder» il clima e» in particolare» i fattori caratteristici della geografia svolgono un molo di rilievo nel progresso della civiltà e pertanto nello sviluppo 1. Cfr. Bcrtozzi (1997): Rossi (197s). e in particolare nella seconda e terza (.-dizione dcli' E11z_y/dopt"idie. succcssi\'c all'opera di Rittcr Die Erdkrmde im Verh,i/111is
zm· A'i1111r 1111d wr (,'eKhithu des J\lms,hm ode,-,,l{r:mui11e ,•ergldthmde (ieogmphie ( 1817 ). Mi riferisco alla seconda e tm:a edizione dcli· Entidopedi,r ddle sdmuJìlosofi· inizio della rivalità che spacca J>Europa fra le antiche potenze coloniali (Francia e Inghilterra), sostenitrici del libero commercio e gelose del proprio primato neWespansione colonialista, e le nuove potenze imperialiste, in particolare la Germania. Quesù1ltima elabora un modello di penetrazione coloniale promosso direttamente dallo Stato e non spinto dalla forza espansiva del libero commercio, sfidando il colonialismo economico britannico. La corsa alla colonizzazione, la spinta tedesca alr imperialismo e la protezione della propria posizione politica da parte delle antiche nazioni colonizzatrici, insieme con il crescente nazionalismo e la militarizzazione degli Stati europei, sono alcuni dei fenomeni che conducono alla Prima guerra mondiale, che si conclude con la sconfitta degli imperi centrali. Le teorie di Ratzcl e Lamprecht di inizio secolo, che erano in conflitto con gli approcci delle scuole geografìchc e storiografìche coeve egemoni, e in particolare con la scuola geografica di Richthofcn e con quella storicistica di Leopold Ranke, ottengono un grande successo durante e dopo la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale. La rivisitazione delle opere di Ratzcl e L-imprecht intorno al 1915 viene, insomma, dettata da nuovi interessi politici e da una nuova atmosfera culturale. Nella Repubblica di \Veimar, la perdita dei territori orientali tedeschi, la caduta deWimpero austro-ungarico e la conseguente rior-
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ganizzazionc traumatica delle popolazioni di origine tedesca nell'Europa orientale, fomentano violente polemiche accademiche e politiche contro il trattato di Versailles. Per via della depressione economica e dalla protesta di buona parte dell'opinione pubblica per gli esiti del trattato, gli obiettivi della Lega pangermanistica, e cioè l 'espansionc a est e la germanizzazione dei territori tedeschi orientali, ottengono finalmente un largo consenso da parte di larghi settori politici e finanziari, sconfiggendo il partito della fVeltpolitik. In tal modo, il progetto del colonialismo d'oltremare viene gradualmente sostituito dalla visione di una .Mitteleuropa organizzata sotto l'egida tedesca. Allo stesso tempo, viene sancito il successo dell'ideologia del Lebensnmm presso i settori sociali del grande capitalismo, convinti che la restaurazione di un impero al centro dell'Europa, fondato sulla forza vitale dei popoli germanici e sull'armonia fra la comunità etnica e il territorio, avrebbe permesso di superare la decadenza, armonizzando la difesa del mondo agrario tedesco con gli obiettivi di un futuro sviluppo economico nelle aree orientali (Smith, 1986). È necessario sottolineare che il prerequisito essenziale per una politica ispirata all'unificazione del Lebensraum mitteleuropeo e alla creazione delle nuova potenza continentale euroasiatica è, per la Lega pangermanista, la sostituzione della popolazione autoctona dei territori slavi con le popolazione agrarie tedesche. Lo dichiara già nel Memorandum del 1914 Heinrich Class, presidente della Lega, allorché elabora un piano di riorganizzazione dei territori slavi a est della Germania (Class, ivi, p. 176). Il nuovo imperialismo tedesco, sostenuto insieme dai settori politici modcrnizzatori, conservatori e reazionari della Repubblica di \Vcimar, avrebbe realizzato effettivamente dopo la guerra l'idea di Classe cioè la rimozione della popolazione slava dai territori orientali, traendo dalle "nuove scienze~ fra cui la geopolitica, la demografia e l'igiene razziale, gli strumenti indispensabili per la propria legittimazione "scientifica': Proprio nella Repubblica di Weimar, le scienze umane acquistano un ruolo cruciale per forgiare l'opinione pubblica e per trasformare gli interessi dei settori politici cd economici reazionari e conservatori in valori apparentemente universali'. Il tracollo finanziario e politico della Repubblica di \Vcimar, travolta dalla guerra civile fra partiti di estrema
1.
Per il colonialismo e il Dm11g 1111th Oslm cfr. .Mohammad (2.011).
So
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destra cd estrema sinistra, permette a Hitler e al nazionalsocialismo di conquistare il potere nel 1933. L'agitazione sociale, la grande crisi economica e il risentimento per le popolazioni tedesche, spostate olcre i nuovi e più ristretti confini dettati dai trattati nel dopoguerra costituiscono l'humus su cui sorge il nazionalsocialismo, che viene preparato da un'ampia letteratura politica e saggistica revisionista. Un esempio delle conseguenze di tale letteratura sul clima politico wcimariano è evidente nel successo del tema del «popolo senza spazio» (Voi/.: oJme Raum) trattato nella fumosa opera di Hans Grimm nel 1926 (Van Laak, 2000 ), che segnala e, al contempo, raflorla il malcontento dei cittadini tedeschi per il riassetto politico versalliano, e giustifica la mobilitazione politica delle masse da parte di settori nazionalisti e revisionisti. La geopolitica svolge un ruolo assai rilevante nell'epoca precedente al regime nazionalsocialista come catalizzatore di questo disagio sociale e politico (.Murphy, 1997; Herb, 2.005). «Avendo origini simili a quelle del nazionalsocialismo, e pertanto alcune caratteristiche comuni, la geopolitica lo anticipò e fu assorbito nel suo mainstream, insieme con altre correnti politiche e ideologiche» (Diner, 2.000, p. 2.6). Il legame fra il nazionalsocialismo e la geopolitica si fonda sia su circostanze biografiche dei leader politici, sia su una sostanziale somiglianza di alcuni obiettivi. Hitler è stato considerato, per molti interpreti anglosassoni dell'immediato secondo dopoguerra (StraUS"l-Hupé, 1942; Weinreich, 1946; Hipler, 1996), profondamente influenzato dalla scuola geopolitica. La letteratura specialistica e giornalistica americana è giunta perfino a considerare la geopolitica come « la politica estera del nazionalsocialismo» (Strausz-Hupé, 1942, p. 79) e Karl Haushofer come il capo di un potente istituto che guidava la strategia nazionalsocialista durante la guerra. Tuttavia le analogie e i punti di contatto sono reali, ma circoscritti, come hanno provato alcuni studi accurati successivi agli anni Sessanta, nei quali si dimostra non solo quanto limitate fossero le risorse di cui disponeva Haushofcr e quanto parziale la sua ascendenza su Hilter, ma anche la progressiva "disgrazia" della disciplina geopolitica a partire da metà degli anni Trenta (Harbcck, 1963; Bassin, 1987 ). Le principali cause della fine di un pii1 stretto connubio fra l' establishment hitleriano e i geopolitici non sono solo da ascrivere alla circostanza che il figlio di Karl Haushofer, Albrecht, esperto di geopolitica e pii1 abile del padre nelle sue ricostruzioni teoriche, avesse preso parte alla congiura fallica contro Hitler nel 1942.. Erano, invece, proprio le lince programmatiche, i mc-
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todi e le visioni politiche di Haushofcr, simili ma non identiche a quelle proprie dell'espansione nazista, a infustidirc e insospettire Hitler e i suoi collaboratori più organici. L'l concezione geopolitica era infatti troppo spostata sulla preminenza del futtore geografico nella spiegazione politica e metteva da parte l'unico "perno" della storia secondo la dottrina nazionalsocialista, e cioè la razza1 • Inoltre, il progetto politico che Haushofcr difendeva non era quello dcli' impero mondiale, ma piuttosto dell'unità continentale, che presupponeva l'alleanza con la Russia. Un'ulteriore prova della divergenza fra i disegni politici di Haushofcr e l'imperialismo razzista hitleriano era nella loro visione strategica delle alleanze: per il pensatore geopolitico, la Germania avrebbe dovuto unirsi militarmente alla Russia nella conquista del continente, Hitler al contrario, tradendo il patto Molotov-Ribbcntrop del 1939, invase l'alleato sovietico nel 1941. Come è evidente anche ad un primo scorcio degli articoli della rivista fondata da Haushofcr insieme ad altri geografi e politologi nel 192.4, "Zcitschrift fur Gcopolitik~ la linea editoriale era orientata non tanto alla promozione dell'impero mondiale hitleriano, ma all'unione politica dei continenti, che avrebbero incarnato gli attori politici internazionali del futuro - non è un caso che la rubrica in cui Karl Haushofcr scriveva era infutti quella dedicata ai "Continenti': Per quanto, però, la geopolitica godesse nel nazismo di molto meno sostegno di quanto sia stato affermato nel secondo dopoguerra, essa fu certamente favorita dal regime e acquisì nei programmi scolastici e universitari e nella pubblicistica un grande rilievo fin dalla Repubblica di Weimar. Inoltre, il "credo" ufficiale del regime totalitario, formato da una miscela di razzismo e antisemitismo, era diffuso presso molti autori geopolitici, benché non fosse considerato come il maggiore fondamento teorico della concezione geografica. L'espansionismo e la legittimazione della legge del popolo pii1 forte erano i temi principali già prima dell'ascesa di Hitler. Come afferma Hans-Dietrich Schultz, il Terzo Rcich non iniziò nella geografia con la fine della Repubblica di \X/cimar, ma con le grandi aspettative originate dalla politica gugliclmina, allorché Ratzel preparò il terreno per concepire la geografia !.
In p:micolarc nd 1935 nel convegno di Bad Saarow la concezione geopolitica
fu an:1ccata dai nazisti perché dava troppo peso alla geografia e non « alle forze \'itali del popolo e della razza».
Cfr. Bassin (1987 ).
;. LA ·sclENZA" GEOPOLITICA E LA STORIOGRAFIA NELLA CULTURA TEDESCA
FIGURA 3
I blocchi concincntali di Haushofcr
Fo11tr. (ùopolitil: d~r l~m-!dm,, 19 31.
come il «fondamento indispensabile per l'agire e il giudizio politici» (Schultz, 1993, p. 2.3). Il primo grande successo della letteratura geopolitica in Germania risale al 1814, 1•anno di pubblicazione della traduzione dell'opera del geopolitico svedese Rudolf Kjellen Die Grojlmiichte der Gegemvarl {Le grandi potenze del presente), apparso poco prima di un altro bcst scller europeo, e cioè il libro A/i11e/e11rop,z di Friedrich Naumann del 1915. Pur non essendo comparabili per il loro progetto politico - il primo è ispirato da una concezione imperialista, il secondo da un principio federalista - i due testi, apparsi in concomitanza con l'inizio della Grande Guerra e diffusi ampiamente, mostrano che l'interesse culturale in Germania si concentrava sulla questione della gestione dei conflitti mitteleuropei e sulla formulazione di nuovi modelli politici per riordinare l'assetto continentale. L•amorc di Groflmiichte der Gegemv,zrt, il politologo cd esponente politico ultranazionalista svedese Johan Rudolf Kjellen (1864-192.2.), sistematizza, negli anni cruciali dell'inizio Novecento, lo studio della geopolitica sulla base della tradizione geograflca tedesca - soprattutto delle opere di Ratzcl, ma anche degli approcci storiograflci di Ranke e di Droysen (Kjellen, 1899). L-i critica radicale al liberalismo e allo sfrc-
IL PENSIERO GEOPOLITICO
nato capitalismo costituiscono la cifra della produzione scientifica del politologo svedese, il quale, in un,opera diventata fumosa in Germania, Le idee del I9I4 (1915), pubblicata in tedesco aWinizio della Grande Guerra, difende la comunità culturale e i valori nazionalisti germanici contro il credo democratico e liberale. Le idee del 1914, aspramente attaccate nel libro, sono gli ideali del 1789, e cioè 1•uguaglianza, la rappresentanza, la democrazia - espressioni, insieme con la socialdemocrazia, della decadenza della cultura europea materialista. Kjellen è ricordato, tuttavia, soprattutto come il fondatore della scienza geopolitica, che costituisce, nel suo sistema metodologico, solo uno dei cinque ambiti in cui è suddivisa l'analisi delle strutture e dell•azione politica dello Stato. Oltre alla geopolitica, che tratta del territorio dello Stato, Kjcllen indica gli altri campi di ricerca e investigazione politica nell'ecopolitica (studio economico), nella demopolitica (che riguarda le popolazioni), nella sociopolitica (concernente la società) e nella cratopolitica (sulla politica di potenza) (Kjellen, 192.0). L-i geopolitica - e in genere la politica - è la dottrina dello Stato inteso come Reich (ivi, p. 40): ad essa non basta rilevare le caratteristiche fisiche del territorio, oggetto proprio dell'approccio geografico, ma «l'arca territoriale politicamente organizzata, cresciuta col potere politico e che serve dei fini politici» (ivi, pp. 2.9-30). L'organicismo del conservatore reazionario Kjellen, che, come tutti gli autori che vivono a cavallo dei due secoli, è profondamente influenzato dal paradigma neodarwinista, è palese nella sua fumosa definizione dello Stato come « forma di vita» (Lebensjòrm) e del Reich come «organismo geografìco». Tale concezione svela non solo le principali radici del suo pensiero: la storiografia di Ranke e Droysen, ma anche il riferimento a Ratzel e il suo radicale rifìuto dell'individualismo. Il Reich è riconosciuto da Kjellen come l'unico soggetto attivo della politica nazionale e internazionale: esso è una «realtà oggettiva e vivente» e sovraindividuale (ivi, p. 8), che ingloba gli individui e le loro azioni. Nella sua concezione dello Stato si palesa il retaggio biologista, poiché 1•oggetto dello studio politologico risiede per Kjcllen nella «vita (Leben) nelle sue diverse espressioni: la geopolitica per la considerazione del territorio naturale, l'ccopolitica [nello studio del] l'autarchia, la demopolitica per la nazionalità, la sociopolitica per la socialità e la cratopolitica per la fedeltà» (ivi, p. 57). La geopolitica si basa, allora, su un metodo sintetico, che sfrutta i risultati e gli approcci sia delle scienze naturali - biologica e geografìca
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- sia delle scienze umane - storica e politica. La metodologia sintetica che unisce la biologia, la politica, 1•economia, la storia e la geografia scarurisce dalla specificità dell'oggetto di ricerca: il Rcich è una «persona vivente», la cui azione deve essere interpretata in base alle sue «espressioni» e cioè sia alla sua «personalità» e« individualità» (ivi, p. s7 ), sia alla sua esistenza come organizzazione morale (Kjellen, 192.4, pp. 34 ss.). L, approccio storiografico a cui Kjellen fu riferimento è sicuramente quello dello storico tedesco Johann Gustav Droysen, improntato a un forte nazionalismo e ami-individualismo. Nello studio della geopolitica vengono considerati due clementi, utili per classificare e comprendere l'azione delle «personalità politiche»: il territorio naturale (e biologico) e il potere. Nella visione antilibcrale di Kjcllen, lo Stato è spinto nelle sue azioni dalla politica di potenza: il potere e gli interessi vitali delle grandi potenze decidono della vita politica internazionale (ibid.). Tuttavia, la politica di potenza non è arbitraria, ma è soggetta alle leggi naturali biologiche e organ ichc. li radicamento della vita politica in quella organica permette allo scienziato-politologo di estrapolare oggettivamente dalla natura le leggi naturali, che sono sintetizz.·ue nell, ineluttabile dato di futto della lotta fra gli Stati. Per conoscere le probabilità della sopravvivenza di uno Stato e la sua potenza nell'agone internazionale, la scienza geopolitica analizz.'1 il substrato materiale delle società, vale a dire il suo territorio, la popolazione e la vita sociale - e cioè le caratteristiche generali della cultura di un popolo. Le geopolitica, in particolare, differenziandosi della cratopolitica, si concentra sull'azione dello Stato di potenza cd esamina la posizione del Reich, la sua conformazione e il suo territorio. Secondo Kjellen, il Reich «appartiene» a un certo territorio e viceversa. Entrambi stanno, pertanto, in una relazione dico-determinazione: lo spazio detta le leggi naturali per lo sviluppo storico statale e determina le sue limitazioni naturali (ivi, pp. 2.6-7 ). Dalla relazione dico-appartenenza di Stato e territorio deriva l'inviolabilità del principio di non-intervento (in campo politico) e di autarchia {nell'ambito economico). «Dal nostro punto di vista organico - osserva lo studioso svedese - la cosa è chiara: se la terra è il corpo dello Stato e lo Stato è un•unità, esso non tollera né le rivendicazioni di scioglimento che provengono dall'interno, né gli attacchi esterni» (ivi, p. 84). L'integrità dello Stato non implica però la sua limitazione ai confini esistenti stabiliti per sempre: Kjellen riprende l,idea ratzeliana dei
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confini internazionali. Vespressione famosa di Kjellen per la quale lo Stato è una «forma di vita» implica due dimensioni: la delimitazione dcli'« individuo geografico» dello Stato attraverso dei confini esterni e, internamente, la connessione armonica di un,area naturale con le attività produttive. In economia, l'organicismo del modello statale di Kjellcn si manifesta nell'autarchia e pertanto nella chiusura e autonomia economica dell'unità politica. Nella teoria imperialista di Kjcllen lo Stato non è politicamente definito come sovrano su un territorio stabilito, poiché il compito di ogni entità politica è di estendere il proprio ambito a un territorio naturale adeguato alla vita della popolazione. Per «territorio naturale» Kjellen intende quel territorio indispensabile a un'organizzazione tale da sviluppare un'economia forte e autonoma (Kjellen, 192.0, pp. 72. ss.). Il territorio politico indispensabile per la vita di uno Stato - e necessario per rivendicare un ambito di non intervento - non è, allora, quello stabilito dal riconoscimento internazionale o dalla sovranità statale in un certo momento, maè quello che permette un'economia autonoma, autarchica. In altre parole, lo Stato sovrano non ha un significato in sé, ma è visto solo in relazione a un certo territorio all'interno del quale vige l'economia autarchica. La conquista del territorio naturale e il suo inglobamento nello Stato realizzano l'armonia interna dello Stato e l'ambito di produzione e di consumo autarchici. L'l geopolitica, e cioè la scienza della terra dello Stato, non può prescindere, pertanto, dall'analisi dell'ccopolitica, e cioè dalla ricerca delle condizioni che permettono lo sviluppo dell'economia autarchica. Entrambe - la geopolitica e l'ecopolitica - studiano l 'cconomia autonoma dello Stato e cioè la produzione dei mezzi produttivi che permettono a uno Stato di provvedere autonomamente ai bisogni del suo popolo. L'ideale autarchico di Kjcllen supera e mette in crisi l'idea classica di sovranità dello Stato. L'adesione al modello economico autarchico serve, secondo l'autore svedese, a risolvere sia le questioni di politica interna, sia i conflitti fra le nazioni, poiché solo l'indipcndenz.'\ economica dello Stato - o meglio del Reich - garantisce il rango di potenza agli attori politici internazionali. Kjcllcn, tuttavia, comprende la difficoltà da parte degli Stati di raggiungere un'economia pienamente autarchica in un mondo globalizzato e, pertanto, impiega un modello geopolitico economico che si ispira alla concezione di Ratzcl e che diventerà poi famoso nella letteratura: il sistema delle sfere di interesse. Sono le sfere di interesse a decidere delle relazioni internazionali: «Il
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problema della Germania - scrive in un passaggio centrale della sua opera - è effettivamente uguale a quello inglese: anche questa nazione deve crearsi un mercato sicuro per l'acquisto delle materie grezze e la vendita dei prodotti. Per risolvere questo problema bisogna cercare an• che in questo caso una sfera di interesse[ ... ]. La Germania deve, però, crc.-are questa sfera di interesse» tramite «l'espansione» (Kjcllen, 1924, pp. 143 ss.). Lo Stato è allora il Reich autarchico e, insieme, l'organizzatore di una sfera di interessi. Aborrendo la dottrina di Manchester, e cioè l' i· dea liberale del libero scambio, e l'ideale politico del cosmopolitismo, perché entrambi sono ritenuti responsabili dcli' attuale decadenza po· litica cd economica europea, Kjcllen propone una nuova idea, cultura• le, europea e squisitamente politica, del Reich. Contro le concezioni disarmoniche e meccanicistiche del liberalismo, viene ideato un modello statale chiuso, sia in ambito economico - con la difesa dcli' autarchia sia nella politica culturale - con l'affermazione della cosiddetta «mo• nocultura» (Kjellcn, 1916, p. 103). Secondo questa lettura, infatti, allo Stato economicamente protezionista corrisponde l'uniformità cultu• raie ed etnica: le etnie devono essere omogenee all'interno dell'unità statale, poiché tutti i cittadini formano un entità spirituale popolare ( Volksseele) che è il motore della potenza e della crescita della nazione (Kjcllen, 1924, p. 104). Per quanto riguarda l'attuale assetto europeo, il conservatore Kjcllcn conferisce alla Germania un molo essenziale per realizzare il nuovo ordine globale. All'impero tedesco è assegnato il compito di riaA-èrmare in Europa i valori della potenza dell'anima del popolo e della na• zionalità. La sua missione proviene dalla sua particolare natura: la po· sizione mediana (A-Ji11ellage) in Europa. La Germania, da un canto, è minacciata dalle potenze orientali e occidentali e dalla possibilità di un fatale accerchiamento, dall'altro, proprio a partire da questo apparente svantaggio, assurge alla guida politica della nuova Europa, sfruttando il suo ruolo di mediatrice fra Oriente e Occidente (Kjellen, 1921, pp. 54-5). La Realpolitik elaborata da Kjellen mira a invertire le tendenze cosmopolitiche imperanti, che costituiscono il frutto delle dottrine liberali anglosassoni. Per disegnare le condizioni del nuovo equilibrio internazionale, il suo modello supera di fatto le divisioni statali, giun• gendo alla visione della coesistenza dei grandi imperi internazionali - Germania, Inghilterra, Asia, America - in una relazione reciproca di equilibrio. Il bilanciamento delle potenze sarà garantito dalla Grande
IL PE:-JSIERO GEOPOLITICO
Germania, estesa territorialmente ai Balcani e aWAsia: essa sarà la rap• presentante e la guida dell'Europa continentale e perfino di una parte delrAfrica, ),impero coloniale tedesco delrAfrica di mc-ao (Mittela• fi·ika). Come vedremo, la mappa geopolitica di Kjellen, che divide il mondo in sfere di influenza dominate da imperi, avrà una risonanza straordinaria nella letteratura politologica e geopolitica successiva: da Cari Schmitt a tutta la scuola geopolitica anglosassone.
3.2
Concetti e metodi geopolitici nella geopolitica e nella storiografìa tedesca degli anni Trenta: territorio e popolazione nella Ostjòrschrmg La disciplina e la discussione sulla geopolitica nella Repubblica wci• mariana vengono fortemente influenzate dal paradigma ratzcliano, sviluppato in epoca gugliclmina. Come scrive Hans- Dietrich Schultz, «solo la guerra mondiale fece emergere il "politico', dai dati fonda• mentali della geografia. Tutto ciò non avvenne sotto ),egida della ge· ografia politica, ma dietro la bandiera spiegata delle nuove scoperte della geopolitica» (Schultz, 1993, p. 2.3). Il successo della dottrina geopolitica fu, come si è detto, fuvorito dalla vicenda politica tedesca imperialista e dalla sconfitta nella Gran• dc Guerra: dal 1914 la geopolitica divenne una disciplina riconosciuta (Schulze, 1989; Obcrkromc, 1993) e le opere geopolitiche si diffusero anche al pubblico pii1 vasto. Alla mancanza della coscienza spaziale venne perfino ricondotta una delle ragioni principali della sconfitta tedesca e della mancanza di determinazione dei politici wcimariani, che avrebbero dovuto trarre dagli studi geopolitici gli strumenti necessari per reagire pesantemente contro il trattato di Versailles (Haushofcr et al, 192.8, pp. 2.9 ss.; cfr. Herb, 2.005). L-l geopolitica occupò già fin dalla Repubblica di \Vcimar uno spazio maggiore nei programmi scolastici a detrimento della geografia e delle scienze della terra (Folkers, 1942.; Schultz, 1993; Murphy, 1997 ), mentre, al contrario, a livello accademi· co incontrò una maggiore resistenza da parte del corpo docente. L' introduzione del paradigma geopolitico nelle scuole fu fuvorito dalla crisi politica e dal mutamento della disciplina geografica. La suggestiva
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LA ·sclENZA" GEOPOLITICA E I.A STORIOGRAFIA NELLA CULTURA TEDESCA
cartografia geopolitica (Haushofer, 192.2.)J e i popolari grafici e schemi usati da Karl Haushofcr e dai suoi collaboratori non erano confinati alla diffusione accademica, ma erano riprodotti nella letterarura pubblicistica e popolare, offrendo la possibilità a un pubblico vasto di "visualizzare" le perdite tedesche dovute ai trattati del dopoguerra e di vedere i confini che, di volta in volta, venivano assegnati nei trattati politici. I concetti geopolitici e le cartine ebbero per tale ragione una grande utilizzazione come strumenti di propaganda politica per la costruzione e la visione di nuovi ordini europei, sia durante la fuse weimariana sia in epoca nazionalsocialista". La geopolitica ebbe fin dall,inizio un ruolo importante nella propaganda politica, grazie alla sua capacità di suggestionare un grande pubblico. Come affermò Vietor Klemperer, un filologo ebreo che subì le misure politiche razziste del nazismo, il fuscino dei concetti geografici stava nell'offrire visioni politicamente illimitate e nell'essere scientificamente indeterminati (Klemperer, 2.000, pp. 2.91 ss.). In effetti, secondo i suoi promotori, il «pensiero geopolitico» avrebbe avuto l'effetto di «ampliare gli orizzonti geografici» (Ratzel, 1897, p. 2.00) non solo della classe politica, ma di tutto il popolo, preparando così il terreno per la conquista imperialista e per la crescita della potenza tedesca. Il progetto ratzcliano di educare il popolo tedesco a dominare lo spazio politico sarebbe stato finalmente realizzato da Haushofcr, che lo avrebbe però, deformato. Le ragioni del successo della geopolitica, che esplose dopo la Prima guerra mondiale, sono da rinvenire in due futtori: in primo luogo, la professionalizzazione della disciplina e, in secondo luogo, la legittimazione scientifica che proveniva dal paradigma geografico ratzeliano, conosciuto e studiato oltre i confini tedeschi. Già prima dell'avvento di Hitler al potere e del successo politico del sostenitore nazista Rudolf Hess, allievo di Haushofcr, era iniziata la politicizzazione della disciplina geopolitica, e cioè la sua utilizzazione come "scienza applicata" a scopi politici. L,istituzionalizzazione della disciplina accademica geopolitica negli anni Trenta conferì, poi, alle rappresentazioni geo3. Per cartografia suggcsth·a si intende quella carcografia che: fa largo uso di sim• boli e: di dementi - come ingrandimenti, deformazioni - per suggerire al lenore al• cune percezioni e immagini del mondo. Della cartografia suggestiva, im·c:ntata dai geopolitici, fu uso atcualmc:ncc tutta la letteratura geopolitica. Cfr. Boria (2.ou.). 4. Per l'essenziale funzione della geografia di definire e stabilire un ordine cfr. Zierhofcr (2.006).
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politiche un• autorità scientifica e una legittimazione molto prestigiose. Cartine e schemi geopolitici acquisirono, così, lo status di "verità scientifiche~ che avrebbero legittimato i fondamentali progetti politici per la riappropriazione dei territori orientali europei e per la creazione di un nuovo ordine politico mitteleuropeo. La riconquista del territorio orientale, perso nel corso della Prima guerra mondiale, diventò un fine "etico" giustificato dalla nuova disciplina geopolitica. In questa fase storica, dopo la Grande Guerra, omologazione al diritto nazista, organico all'imperialismo razziale. La difesa di Schmitt dcli, articolo 48 della Costituzione di \X/cimar, che istituisce lo Stato di eccezione e sospende le procedure democratiche e parlamentari a favore di un commissario plenipotenziario, e il suo appoggio al crollo del sistema parlamentare, sono, secondo una sua dichiarazione nel secondo dopoguerra, mirate alla protezione della democrazia contro la guerra civile. Tuttavia pur volendo credere alla ricostruzione autobiografìca I\1desione di Schmitt al nazismo è rapida a partire dall'ascesa di Hitler al potere. Schmitt fornisce a questi gli strumenti giuridici per compiere l,opcra di Gleichsch11/11mgdei Liinder, ovvero per ridurre l'autonomia delle regioni foderate tedesche già con
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la legge del marzo 1933. Già nel 1935, però, la sua fama negli ambienti hitleriani declina, per i fondamentali contrasti con la dottrina giuridica nazista patrocinata da intellettuali più organici al totalitarismo - fra gli altri \Xlcrner Beste Reinhard Hohn 11 (Schmoeckcl, 1994, pp. 180 ss.; Maschke, in Schmitt, 1995, pp. XIV ss.). È in questo periodo che gli studiosi individuano un mutamento nelle coordinate del pensiero schmittiano, che si caratterizza diversamente sia per 1•ambito di ricerca e discussione, sia per il metodo. Propri di questa fase sono la centralità del pensiero degli «ordini concreti» (ko11/.:rete Ordmmgen) e l'interesse per il diritto internazionale. Metodologicamente il «decisionismo» sembra lasciare spazio al pensiero degli «ordini concreti». Dalla teoria secondo la quale il diritto trova il suo fondamento nella decisione fra amico e nemico, Schmitt sposta la sua attenzione agli ordini concreti, ovvero a quelle situazioni storiche, istituzioni e costellazioni che concretamente permettono di situare la norma giuridica. L"l teoria degli ordini concreti risente delle elaborazioni istituzionaliste di Maurice Hariou e di Santi Romano e costituisce, per molti studiosi, una radicale discontinuità col precedente pensiero decisionista (Hofmann, loo2.). L"l norma viene ridefìnita da Schmitt come nomos e si caratterizza come ordinamento: si orienta in un contesto e modella un ambiente. Il nomos è descritto in relazione alla concreta spazialità e storicità: «Ogni ordinamento fondamentale è un ordinamento spaziale. Quando si parla della costituzione di un paese o di un continente, ci si riferisce al suo ordinamento fondamentale, al suo 1101110s. Ora, il vero, autentico ordinamento fondamentale si basa, nella sua essenza, su determinati confini e delimitazioni spaziali, su determinate misure e su una determinata spartizione della terra» (Schmitt, 2.002., pp. 73-4). La legge, così, perde in Schmitt il suo carattere astratto e slegato dalla concretezza degli eventi storici e degli ordini politici e spaziali, ma appartiene ad essi e li codetermina. Il diritto è, come nella fase decisionista, situato e contingente ma, allo stesso tempo, ne viene accentuata la relazione di codetcrminazione con lo spazio e col tempo. Meno discussa, ma altrettanto evidente, risulta la seconda frattura fra le due fasi del pensiero schmittiano, e cioè quella relativa all'orientamento dei suoi interessi dall'esame del diritto costituzionale alla discussione sul diritto internazionale. L'analisi del diritto e delle rda8. Su questi giuristi cfr. fra gli altri El\'crt (1999 ).
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zioni internazionali rimarrà, da allora, centrale nelle sue opere, costituendo, nell,opcra ~ml Nomos della term del 1950 ampiamente discussa e citata nella letteratura scientifica contemporanea, la trama su cui viene riconsiderata la storia - o meglio viene elaborata una metastoria degli ordinamenti politici e giuridici occidentali cd europei. Queste due fratture del pensiero schmittiano - il passaggio agli « ordini concreti» e al diritto internazionale - forniscono i maggiori argomenti di vivace discussione nell'attuale interpretazione politologica e storiografica: secondo alcuni studiosi esse sono da leggere in chiave di continuità (Sprengel, 1996; Koster, 2.002.; Hooker, 2009) secondo altri in forte contrapposizione (Galli, 1996; Kervégan, 1999) con la fuse precedente. Le ragioni della svolta del pensiero schmittiano sono da ritrovare probabilmente in una contingenza storica (Hofmann, 2002), e cioè nella prudenza che impone di evitare temi rischiosi, come quelli della politica interna, improntata alla Gleichsch11/11mg nazista e, pertanto, all ,espansione del controllo totale su tutte le istituzioni. Si porrebbe dire, secondo alcuni studiosi, che Schmitt, pur essendo sostenitore del regime hitleriano, rimanga un cattolico reazionario non del tutto conformato al credo razzista, che invece fornisce la chiave di interpretazione del diritto tedesco organico al regime (Galli, 1996). Per tale ragione, e cioè per il suo non completo allineamento con il diritto nazista di Hohn e Best, Schmitt avrebbe evitato di misurarsi sul piano del diritto costituzionale con i sostenitori più integrati al regime, con cui peraltro avvierà un dibattito acceso proprio a partire dal 1936, e avrebbe orientato le sue ricerche al diritto internazionale. Tuttavia sono proprio gli scritti di diritto internazionale a irritare maggiormente I, establishmmt nazista contro Schmitt: come vedremo, la sua concezione dell'impero tedesco - o meglio del Grojmum ("grande spazio,,) e del Reich - provoca un serie di critiche veementi che mettono ancora più in ombra il suo lavoro e la sua posizione (Schmocckcl, 1994, pp. 180 ss.). L-i sua interpretazione internazionalista viene, infutti, attaccata dai piit influenti giuristi nazisti: da Reinhard Hohn, perché troppo legata alle istituzioni borghesi e allo Stato, e da Wcrner Bcst, poiché essa non si fonda esclusivamente sul principio della superiorità razziale, e, in generale da tutti i giuristi organici al nazismo, perché - cd è questa l'accusa
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pii1 compromettente - postula indirettamente un'espansione imperia• le tedesca limitata all'arca mitteleuropea (ibid.) 9 • Cari Schmitt, nel suo scritto principale di diritto internazionale in questi anni, e cioè Vo/ke1rechtliche Groflmumordmmg mit lntervmtion• sverbotfor mrmifremde feliichte del 1941, non sembra, però, volersi sot• trarre alla polemica con l'ambiente accademico nazista: critica espres• samcnte le teorie dei giuristi nazisti Reinhard Hohn e Norbert Giirkc, perché non riescono a fondare «scientifìcamente» un nuovo diritto internazionale che risolva la questione della protezione delle minoran• ze (Schmitt, 1991, pp. 58 ss.). Ed è proprio questa la posta in gioco nella politica e nella discussione scientifica, così come nella letteratura di diffusione popolare in questi anni, come abbiamo visto nel CAP. 3. Le minoranze tedesche, disperse nella Mitteleuropa a partire dalla pace di Versailles, sono la pietra dello scandalo della politica e della discussione intellettuale e pubblicistica tedesca. A febbraio del 1939 quando Hit• ler, nel suo discorso, giustifìca il capovolgimento radicale della soluzio• ne data da Versailles alla sistemazione delle etnie e l'annessione della Boemia e Moravia, il problema delle minoranze sparse sembra essere di fatto risolto, secondo il giurista tedesco. Due mesi dopo la svolta di Hitler, Schmitt legittima questa nuova sistemazione internazionale con il suo intervento alla conferenza di Kiel, che diventerà, appunto, il libro Viilken·echtliche Groflmumordmmg. Si potrebbe, allora, ipotizza· re che la scelta di Schmitt di misurarsi con il diritto internazionale e, quindi, di trattare una questione particolarmente spinosa dal punto di vista politico e giuridico, origini sia dall'effettivo riconoscimento che gli avvenimenti mondiali abbiano un notevole impatto sulla vita poli• tica tedesca, e cioè che, come diremmo oggi, il mondo politico cd eco· nomico sia globalizzato, sia dal tentativo di fornire un 'argomentazione teorica che giustifìchi l'espansione tedesca, al di là e a prescindere dalle correnti teoriche razziste e volkisch egemoni nell'accademia nazista. La dichiarazione di Hitler del 1939, che istituisce il protettorato sulla i\fo. ravia e Boemia, viene direttamente percepita da Schmitt come l'atto fondatore di un nuovo diritto internazionale, che spazza via « tutti gli ideali di assimilazione, di assorbimento e di mclting pot alla base della sistemazione del primo dopoguerra» (ivi, p. 47 ). Con essa, si inaugura 9. Sul diritto nazista cfr. Gruchmann {1962.) e, sulla polemica che oppone Schmitt a Hohn, cfr. lngoJ. Hucck, inJocrgcs. Ghalcigh {~oo;).
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un nuovo concetto di diritto internazionale, che sfida apertamente sia il diritto occidentale, dominato dalla scuola positivista, sia la concreta sistemazione del dopoguerra, che è improntata a una concezione politica liberale, elaborata dalle potenze vincitrici e, in particolare, daWAmerica (ibid.). Con lo scritto che giustifica la nuova posizione di Hitler, Schmitt tenta di ri-orientare il dibattito giuridico internazionalista postfactum, dopo, cioè, il crollo dell'equilibrio instabile di Versailles. La fondazione di un nuovo modello di diritto internazionale - e, insieme, la decostruzione di quello coevo - avviene utilizzando e fondendo fonti e approcci diversi. A tal fine, Schmitt non solo recupera le teorie classiche giuridiche e politologiche, prendendo spunto da Hobbcs, Hegel e Rousseau, ma rielabora una letteratura non usale nell 'ambito del campo giuridico: la geopolitica e la letteratura pubblicista, a questa collegata, della rivoluzione conservatrice. In questo senso, come si dimostrerà, Schmitt non è un autore meramente geopolitico, poiché opera una metamorfosi dei concetti e dei metodi della geopolitica all'interno di un'originale concezione giuridica e politica: dà insomma un altro significato e un'altra funzione a temi cd argomentazioni tratte dalla geopolitica. Usando una parola che Schmitt impiega spesso, si potrebbe dire che egli operi una Umdm11mg, uno slittamento di significato/interpretazione di alcune concezioni basilari del diritto internazionale attraverso l'introduzione di concetti della geopolitica. La sua lettura della storia delle relazioni e del diritto internazionale trova, allora, uno dei fondamenti nella riflessione geopolitica e nelle opere della rivoluzione conservatrice: queste non vengono meramente sovrapposte alla concezione giuridica e politica - al suo decisionismo e alla sua idea di politico - ma operano in essa dall'interno, trasformandola e fornendole nuove argomentazioni. È indicativo, in questo senso, l'inizio della sua opera su Raum rmd Groflnmm im Volken·echt, che, denunciando il rifiuto da parte dell'attuale diritto internazionale di tematizzare lo spazio, afferma che « lo spazio conserva il suo senso concreto e specifico [... ] nella seguente esposizione che tratta del grande spazio ( Grojl,'ll11m). Si tratta dell'elaborazione concetmale di un processo storico-politico profondo che riguarda tutti i popoli mondiali, senza la quale considerazione, l'intero diritto internazionale sarebbe solo una serie di pseudo-norme» (Schmitt, Raum rmd Grojlmum im Viillmncht (1940], in Schmitt, 1995, p. 234). In questo scritto del 1940 Schmitt fonda la sua concezione di Grojlmum su riferimenti storici concreti, citando espressamente la
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Mitteleuropa di Naumann (ivi, p. 2.35), ma reinventandola e radicando
il rapporto fra i popoli e il territorio mitteleuropeo su basi non esclusivamente economiche bensì squisitamente politiche e geopolitiche. L'introduzione di un nuovo soggetto politico al posto dello Stato - il Rcich e, conseguentemente, il suo Grojl1ìmm - scaturirebbe da una particolare costellazione storico-politica, e cioè dalla « nuova rivoluzione spaziale» (Raumrevolution) tecnologica, che segue a una prima rivoluzione spaziale avvenuta con la conquista dell'America, quando «la forma sferica [della terra diventa] un dato tangibile» (Schmitt, 2.002., p. 66). Come avvenne nel xv secolo, si produce oggi un « mutamento non solo nelle misure e nei parametri, non solo dell'orizzonte esterno degli uomini, ma anche della struttura del concetto stesso di spazio. [... ] [Infatti] ogni grande trasformazione storica comporta quasi sempre un mutamento dell'immagine di spazio» (ivi, p. 59). La seconda rivoluzione, spiega Schmitt, celando un riferimento a Ratzel, è quella tecnica, che rimpicciolisce lo spazio e rende il globo attraversabile e fruibile: «elettricità, aviazione e radiotelegrafia produssero un tale sovvertimento di tutte le idee di spazio da portare chiaramente [... ] a una seconda, nuova rivoluzione spaziale» (ivi, p. 106, ma anche Schmitt, 1995, pp. 390 ss.). I testi di Schmitt degli anni Trenta descrivono una nuova immagine del mondo, a partire, però, da una ricostruzione storica che ci rivela la "mappa" concettuale geopolitica schmittiana, fondata sulla contrapposizione fra due grandi agenti storici. Riecheggiando Marx, Schmitt afferma perentoriamente nel 1942.: «La storia del mondo è la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze terrestri e delle potenze terrestri contro le potenze marittime» (Schmitt, 2.001, p. 18). Prendendo spunto da Ernst Kapp e, implicitamente, da Hcgcl (ivi, p. 2.5), Schmitt ripropone la dualità fondamentale fra terra e mare, che attraversa la storia mondiale e determina la divisione delle civiltà. Anche in questo caso Schmitt sceglie di fondare la sua argomentazione sul caso estremo, e cioè sulla guerra, che sancisce il contrasto maggiore fra la terra e il mare. In altre parole, il modo differente di condurre la guerra da parte delle potenze marittime e di quelle terrestri svela, secondo Schmitt, l'inconciliabile dualismo delle rispettive civiltà e dei relativi nomoi. Behemoth, il mostro terrestre, e il Leviatano, quello marino, simboleggiano l'insuperabile dissidio fra i due motori dello sviluppo storico. Essi indicano i due miti contrapposti: Behemoth dilania il nemico, e cioè penetra nel suo territorio, mentre Leviatano lo soffoca,
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tagliando i rifornimenti alla terraferma. L1 guerra nel mare non ha confini e tende all'annientamento del nemico, al contrario di quella terrestre, che avanza sul territorio e preserva le risorse, controllando il nemico. T.1le tipizzazione schmicciana rielabora i temi diffusi della lettera• tura filosofica e geopolitica otto- e novecenteschi: la lettura hegeliana, ripresa poi da Kapp, della correlazione fra le civiltà marittime e lo sviluppo tecnico industriale e la sua individuazione della dimensione debole dello Stato contrapposto alla complessa società civile in ambito anglosassone; la contrapposizione fondamentale fra mare e terra in Mackinder e in Haushofcr; la violenta anglofobia haushofcriana' 0 ; la tendenza monopolistica del dominio sui mari, osservata a suo tempo da Raczcl (1911, p. 63), e la riconduzione del modello commerciale co• lonialisca anglosassone alla sua origine nel Semmb - e cioè nel diritto di preda ( ivi, p. 46); la qualificazione raczcliana del mare come dc· mento illimitato e sottratto ad ogni tentativo di partizione e all'impo· sizione dei confini (ivi, p. 8). Questi sono motivi ricorrenti non solo nella letteratura della rivoluzione conservatrice, ma, come si nota, nel• la tradizione geografica e in quella fùosofica tedesca. È necessario, a tal proposito, sottolineare le profonde analogie fra il pensiero ratzcliano e quello del giurista tedesco riguardo alla fondamentale contrapposi• zione fra mare e terra. Il mare non ha strade, « il mare è una strada» - dichiarava Ratzcl (ivi, p. 38), rifucendosi a Ricccr e Hegel: «il mare, che separa e collega, diventa così il promotore dello sviluppo nella scoria» poiché la scoria è movimento ed espansione illimitata (ivi, p. 63). Ancora Rat'~cl. che Schmitt cita, descriveva la guerra marittima - e il commercio - come relazioni «decise dallo spazio» (ivi, p. 6) 11 • La co• 10. Karl Haushofcr fonda la sua dicotomia fra potenze marittime: e continentali su una radicale: polemica contro le società anglosassoni. Le potenze: anglosassoni, fondate come Stati-pirati sono da sempre in lotta contro le potenze terrestri (Haushofer.
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