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Italian Pages [169] Year 2019
This book, originally based on the author’s PhD research and revised in the years following, presents a regional study focusing on a stretch of low Venetian plain south of the city of Padua, between the Euganei Hills and the southern basin of the Venetian Lagoon. The primary goal of this research is the reconstruction of the Roman landscape, which is analysed through a methodology based on the theoretical precepts of Landscape Archaeology and developed following an archaeomorphological approach. After its essential features (both natural and anthropic) have been defined, changes and transformations in its structure are evaluated, as they occurred during the period of Roman domination, between their arrival at the beginning of the 2nd c. BC and the 6th c. AD; that is, the point at which the Gothic war (535–553) and the arrival of the Lombards (568) put an end to any desire for domination of the region on the part of the Eastern Roman Empire. Michele Matteazzi ha ottenuto il PhD in Archeologia nel 2013, in cotutela tra l’Università di Padova (Italia) e l’Universitat Rovira i Virgili di Tarragona (Spagna). Attualmente è ricercatore postdottorale affiliato presso l’Istituto Catalano di Archeologia Classica (ICAC) di Tarragona, dove è anche membro del Grup d’Investigaciò en Arqueologia del Paisatge (GIAP) diretto da J.M. Palet. Michele Matteazzi received his co-tutored PhD in Archaeology in 2013, from the University of Padua (Italy) and the Rovira i Virgili University of Tarragona (Spain). He is currently a postdoctoral affiliate researcher at the Catalan Institute of Classical Archaeology (ICAC) of Tarragona, where he is also a member of the Landscape Archaeology Research Group (GIAP) led by J.M. Palet.
Il paesaggio trasformato
Il libro, frutto degli studi dell’autore effettuati durante il suo PhD in Archeologia e perfezionati negli anni successivi, presenta un’indagine a carattere territoriale di un tratto della bassa pianura veneta che si estende a sud della città di Padova, tra i Colli Euganei e il bacino meridionale della Laguna di Venezia. L’interesse è principalmente rivolto alla ricostruzione del paesaggio di epoca romana, analizzato attraverso una metodologia fondamentalmente basata sui principi teorici dell’Archeologia del Paesaggio e sviluppata secondo un approccio di tipo archeomorfologico. Dopo averne definito i caratteri essenziali (sia naturali sia antropici), vengono considerati e analizzati i diversi cambi avvenuti nella sua strutturazione durante il periodo di dominazione romana, compreso tra l’arrivo degli stessi Romani all’inizio del II sec. a.C. e il VI sec. d.C., ovvero quando la guerra greco-gotica (535–553) e la calata dei Longobardi (568) posero fine ad ogni velleità di dominio da parte dell’Impero Romano d’Oriente.
MATTEAZZI
‘This monograph makes a substantial contribution to the study of Roman planned landscape and its evolution.’ Dr John Peterson, Visiting Researcher, University of East Anglia
2019
‘[This work] provides a carefully researched case study for the overall analysis of the close and complex relationships between people and the environment through time. The methodological apparatus is strong and convincing. … I am sure that anyone with an interest in the archaeological landscapes of Roman Italy would read this work with great interest.’ Dr Emanuele Vaccaro, Università degli Studi di Trento
BAR S2921
BAR IN TERNATIONAL SE RIE S 2921
Il paesaggio trasformato La pianura a sud di Padova tra Romanizzazione e Tarda Antichità
Michele Matteazzi
B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 2 9 2 1
2019
Il paesaggio trasformato La pianura a sud di Padova tra Romanizzazione e Tarda Antichità
Michele Matteazzi
B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 2 9 2 1
2019
by Published in BAR Publishing, Oxford BAR International Series Il paesaggio trasformato © Michele Matteazzi Le principali strutture geomorfologiche della pianura a sud di Padova (elaborazione dell’autore). The Author’s moral rights under the UK Copyright, Designs and Patents Act are hereby expressly asserted. All rights reser ved. No par t of this work may be copied, reproduced, stored, sold, distributed, scanned, saved in any for m of digital for mat or transmitted in any for m digitally, without the written per mission of the Publisher.
ISBN 9781407316758 paperback ISBN 9781407355764 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407316758 A catalogue record for this book is available from the British Library
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Alla mia Famiglia
Ringraziamenti Non è cosa semplice ricordare, in poche righe, tutti quelli che con consigli, critiche, precisazioni o semplicemente con il loro supporto hanno reso possibile la pubblicazione di questo lavoro di tesi dottorale discusso nel 2013. Di fatto sono molte le persone che, in un modo o nell’altro, vi hanno contribuito e a tutte voglio dare il mio grazie incondizionato. Innanzitutto, ai miei due direttori di tesi, il Prof Guido Rosada e il Dr Josep Maria Palet Martínez. Al primo sono debitore di gran parte della mia formazione accademica e, anche se oggi i casi della vita hanno separato le nostre strade, mi sento fortunato di aver potuto usufruire nei miei anni patavini della sua guida e delle sue profonde conoscenze, tanto a livello scientifico quanto umano. A Josep Maria Palet devo invece molto per la grande disponibilità dimostrata nell’accogliermi nel suo gruppo di ricerca (il ‘GIAP: Grup d’Investigació en Arqueologia del Paisatge’) all’‘Instut Català d’Arqueologia Clàssica (ICAC)’ di Tarragona e avermi introdotto nel mondo (ormai divenuto il mio mondo) dell’Archeologia del Paesaggio: soprattutto, per avermi permesso, in questi ultimi turbolenti anni, di continuare a fare ricerca di alto livello, consentendomi di essere inserito come ricercatore postdottorale affiliato all’‘ICAC’ e dandomi la possibilità di partecipare ai progetti di ricerca da lui diretti sui Pirenei e nell’Empordà. Non posso poi dimenticare i miei colleghi e amici del ‘GIAP’ (in particolare Hector, Arnau, Xusa e Marta): la loro compagnia ha senz’altro rallegrato i miei numerosi
soggiorni catalani e allietato i convegni in terra straniera, rendendoli ogni volta un’esperienza indimenticabile. E nemmeno chi, nel presente, mi permette di raggiungere importanti traguardi scientifici (e non solo) lasciandomi praticare ciò che amo di più: l’archeologia da campo. Ringrazio quindi sentitamente il Prof Stefano Campana dell’Università di Siena e, soprattutto, l’amico Dr Emanuele Vaccaro dell’Università di Trento, direttori del Santa Marta Project e compagni di extra-ordinarie campagne di scavo in Toscana. Grazie di cuore anche ai molti amici e colleghi che ho conosciuto nel corso degli anni nelle mie innumerevoli peregrinazioni tra Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia: più o meno consapevolmente tutti mi hanno donato qualcosa di importante, permettendomi di crescere professionalmente e, soprattutto, umanamente. Quindi ringrazio gli ultimi revisori del testo, quei referee che, con le loro critiche e i loro consigli, mi hanno permesso (almeno così spero!) di migliorare notevolmente il mio lavoro, senza alcun dubbio accrescendone l’originario valore scientifico. Infine, ultimo ma non per importanza, un ringraziamento speciale va a tutta la mia famiglia, sempre pronta a darmi una mano: la loro pazienza, la loro stima e il loro illimitato supporto sono stati il miglior aiuto possibile nel condurre a termine questo lavoro che, in certi momenti, è sembrato infinito.
Indice Lista delle figure .............................................................................................................................................................. viii Lista delle tavole................................................................................................................................................................ xi Prologo .............................................................................................................................................................................. xii Premessa .......................................................................................................................................................................... xiv Riassunto.......................................................................................................................................................................... xvi Abstract............................................................................................................................................................................ xix Introduzione ....................................................................................................................................................................... 1 1. Le premesse allo studio ............................................................................................................................................... 1 1.1. Il Delta del fiume Padus e le paludes della costa ................................................................................................ 1 1.2. L’area termale euganea ........................................................................................................................................ 4 1.3. La pianura ............................................................................................................................................................ 4 2. L’impostazione della ricerca ....................................................................................................................................... 4 Capitolo 1 Metodologia d’indagine .................................................................................................................................. 7 1.1. Fondamenti teorici della ricerca ............................................................................................................................... 7 1.1.1. Sul significato di ‘paesaggio’ e di ‘territorio’ ................................................................................................... 7 1.1.2. L’archeomorfologia e la lettura stratigrafica del paesaggio ............................................................................. 8 1.2. L’indagine archeomorfologica ................................................................................................................................. 8 1.2.1. Lo studio delle reti viarie.................................................................................................................................. 8 1.2.2. Il metodo .......................................................................................................................................................... 9 1.3. Tecniche e materiali di lavoro ................................................................................................................................ 11 1.3.1. La fotointerpretazione .................................................................................................................................... 11 1.3.2. La cartointerpretazione ................................................................................................................................... 13 1.3.2.1. La cartografia utilizzata .......................................................................................................................... 13 1.3.2.2. Il metodo cartointerpretativo .................................................................................................................. 15 1.3.3. L’impiego dei dati archeologici ...................................................................................................................... 16 1.3.4. Il survey archeomorfologico .......................................................................................................................... 19 1.3.5. Le fonti scritte di epoca medievale................................................................................................................. 19 1.3.6. L’integrazione dei dati paleoambientali ......................................................................................................... 20 1.3.7. L’utilizzo dei Sistemi di Informazione Geografica ........................................................................................ 20 Capitolo 2 Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio ......................................................................... 23 2.1. La pianura alluvionale del Brenta-Bacchiglione .................................................................................................... 23 2.1.1. Il fiume Brenta ................................................................................................................................................ 23 2.1.2. Il fiume Bacchiglione ..................................................................................................................................... 27 2.2. La pianura alluvionale dell’Adige.......................................................................................................................... 29 2.3. Il settore collinare................................................................................................................................................... 30 2.3.1. I Colli Euganei................................................................................................................................................ 30 2.3.2. Le depressioni perieuganee ............................................................................................................................ 32 2.3.3. L’area termale ................................................................................................................................................. 33 2.4. L’area costiera e lagunare ....................................................................................................................................... 33 Capitolo 3 Aspetti e forme del popolamento di epoca romana .................................................................................... 39 3.1. Centri urbani........................................................................................................................................................... 39 3.2. Distretti territoriali e centri minori ......................................................................................................................... 41 3.2.1. L’area termale ................................................................................................................................................. 42 3.2.2. Il distretto minerario dei Colli Euganei .......................................................................................................... 43 v
Il paesaggio trasformato 3.2.3. La pianura ....................................................................................................................................................... 45 3.2.4. Le paludes ...................................................................................................................................................... 49 3.2.5. Le aree portuali del litorale ............................................................................................................................ 57 3.3. Insediamenti rurali ................................................................................................................................................. 60 3.3.1. Villae rusticae ................................................................................................................................................. 60 3.3.2. Fattorie ........................................................................................................................................................... 62 Capitolo 4 Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica ................................................................. 65 4.1. Itinerari terrestri ..................................................................................................................................................... 65 4.1.1. Itinerario 1: da Padova a Este ......................................................................................................................... 65 4.1.2. Itinerario 2: da Padova a Bagnoli di Sotto ..................................................................................................... 69 4.1.3. Itinerario 3: da Padova ad Adria ..................................................................................................................... 69 4.1.4. Itinerario 4: da Padova ad Altinum ................................................................................................................. 70 4.1.5. Itinerari 5-6: da Padova a Vicenza.................................................................................................................. 70 4.1.6. Itinerario 7: da Padova a Codevigo ................................................................................................................ 71 4.1.7. Itinerario 8: da Padova a Lova di Campagna Lupia ....................................................................................... 71 4.1.8. Itinerari 9-13: da Padova verso i Colli Euganei ............................................................................................. 72 4.1.9. Itinerario 14: da Montegrotto Terme a Monselice.......................................................................................... 72 4.1.10. Itinerario 15: da Sambruson di Dolo ad Agna .............................................................................................. 73 4.1.11. Itinerario 16: da Adria a Gambarare di Mira ................................................................................................ 73 4.1.12. Itinerario 17: da Codevigo a Cavanella d’Adige .......................................................................................... 73 4.1.13. Itinerario 18: da Cavanella d’Adige a Chioggia........................................................................................... 74 4.1.14. Itinerario 19: da Este ad Adria...................................................................................................................... 74 4.1.15. Itinerario 20: da Sant’Elena a Rovigo .......................................................................................................... 75 4.1.16. Itinerario 21: da Arquà Petrarca a Brondolo ................................................................................................ 75 4.1.17. Itinerario 22: da Baone a Sant’Elena............................................................................................................ 76 4.1.18. Itinerario 23: da Agna a Rovigo ................................................................................................................... 77 4.2. Itinerari parafluviali................................................................................................................................................ 77 4.2.1. Itinerari 24-27: lungo antichi decorsi del fiume Brenta ................................................................................. 77 4.2.2. Itinerario 28: lungo il corso meridionale del fiume Bacchiglione .................................................................. 78 4.2.3. Itinerario 29: lungo il corso del canale di Cagnola-Bovolenta....................................................................... 79 4.2.4. Itinerari 30-32: lungo il corso del fiume Adige .............................................................................................. 79 Capitolo 5 Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità ................................................................................................................................................................ 85 5.1. Morfologia della rete .............................................................................................................................................. 85 5.1.1. Il rapporto con l’ambiente naturale ................................................................................................................ 85 5.1.2. L’emergenza dei centri urbani ........................................................................................................................ 86 5.1.3. Altri poli di attrazione viaria .......................................................................................................................... 90 5.2. Il sistema dei collegamenti tra VI e III sec. a.C. .................................................................................................... 93 5.3. L’evoluzione della rete tra II sec. a.C. e V-VI sec. d.C. ......................................................................................... 94 5.3.1. Il consolidamento della presenza romana (II-I sec. a.C.) ............................................................................... 94 5.3.2. La prima età imperiale (fine I sec. a.C.-II sec. d.C.) ...................................................................................... 96 5.3.2.1. L’idrovia Ravenna-Altinum .................................................................................................................... 99 5.3.3. Tra Tarda Antichità e Altomedioevo............................................................................................................. 100 Capitolo 6 L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium .......................................................................................................................................................................... 103 6.1. Le premesse.......................................................................................................................................................... 103 6.2. Morfologia e possibile estensione della centuriatio............................................................................................. 104 6.2.1. L’evidenza archeomorfologica ..................................................................................................................... 104 6.2.2. Le tracce individuate .................................................................................................................................... 106 6.2.3. Orientamento e probabile estensione ........................................................................................................... 107 6.2.4. Gli assi principali.......................................................................................................................................... 109 6.2.5. Geometrismo della trama ..............................................................................................................................111 6.2.6. Relazione con le strutture insediative di epoca romana ............................................................................... 114 6.3. Proiezione cronologica ......................................................................................................................................... 114 6.4. Evoluzione del territorio centuriato tra Tarda Antichità e Altomedioevo ............................................................ 116
vi
Indice Capitolo 7 Dinamiche di occupazione della pianura tra II sec. a.C. e VI sec. d.C. .................................................. 121 7.1. La fase di Romanizzazione (III-I sec. a.C.) ......................................................................................................... 121 7.2. L’epoca augustea (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.) ........................................................................................... 123 7.3. L’epoca alto imperiale (I-II sec. d.C.) .................................................................................................................. 125 7.4. L’epoca basso imperiale (III-IV sec. d.C.) ........................................................................................................... 125 7.5. La Tarda Antichità (V-VI sec. d.C.) ..................................................................................................................... 127 Bibliografia ..................................................................................................................................................................... 129
vii
Lista delle figure Figura 1.1. I differenti livelli di cui si compone una rete viaria........................................................................................... 9 Figura 1.2. Diagramma multilivello con rappresentazione della sequenza cronologica relativa dedotta dall’analisi archeomorfologica........................................................................................................................................... 10 Figura 1.3. Fotointerpretazione e rappresentazione cartografica dei fotogrammi del volo GAI 1954-55, ortorettificati e georeferenziati ........................................................................................................................................... 11 Figura 1.4. Fotointerpretazione archeologica, a partire da un fotogramma del Volo REVEN 1983, di un settore a sud est dell’attuale centro di Agna in cui sono evidenti alcune lineazioni sepolte di origine antropica ......................... 12 Figura 1.5. Particolare della Gran Carta del Padovano di G.A. Rizzi Zannoni (1778-1785) .......................................... 14 Figura 1.6. Particolare della Kriegskarte di A. Von Zach (1798-1805) ............................................................................. 15 Figura 1.7. Particolare della Carta Topografica del Regno Lombardo-Veneto (1833) ...................................................... 16 Figura 1.8. Particolare della Tavoletta 064 II NO (Stanghella) della serie 25V dell’IGM ................................................ 17 Figura 1.9. Carto-interpretazione della Carta Topografica del Regno Lombardo-Veneto, georeferenziata e sovrapposta alla Carta Tecnica Regionale in scala 1:10.000 ............................................................................................. 18 Figura 2.1. L’area di studio nel contesto dell’Italia Settentrionale .................................................................................... 24 Figura 2.2. Il ‘paleoalveo della Storta’ ed altre evidenze di antichi percorsi del Brenta a ovest di Padova ...................... 28 Figura 2.3. Stralcio della Carta Geomorfologica della Pianura Padana che mostra evidenza di un paleoalveo (A), probabilmente pertinente al fiume Bacchiglione, e di un secondo alveo relitto (B), forse identificabile con l’antico percorso del flumen Togisonus .............................................................................................................................. 29 Figura 2.4. Carta litologica dei Colli Euganei ................................................................................................................... 31 Figura 2.5. Visuale della pianura a sud di Padova dal Monte Venda, la cima più elevata dei Colli Euganei (601 m) ...... 32 Figura 2.6. Stralcio della Carta Geomorfologica della Pianura Padana con evidenza delle aree depresse attorno ai Colli Euganei ..................................................................................................................................................... 33 Figura 2.7. Evoluzione delle antiche linee di riva nella Laguna di Venezia a partire da 10.000 anni fa ........................... 34 Figura 2.8. Evoluzione della linea di costa adriatica nel settore meridionale della Laguna di Venezia tra Malamocco e Chioggia: A) Neolitico; B) Eneolitico; C) età del Bronzo; D) epoca protostorica-romanaaltomedievale; E) epoca medievale-moderna .................................................................................................................... 35 Figura 2.9. Particolare della Carta dello Stato di Terra della Serenissima di Cristoforo Sorto (fine XVI sec.) ............... 37 Figura 3.1. Probabile assetto amministrativo della pianura a sud di Padova in epoca romana ......................................... 40 Figura 3.2. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nell’area termale euganea .......................................................... 41 Figura 3.3. Montegrotto Terme. Pianta dei resti del complesso termale di via degli Scavi............................................... 42 Figura 3.4. Planimetria del complesso insediativo oggetto d’indagine da parte dell’Università di Padova presso l’Hotel Terme Neroniane di Montegrotto Terme ............................................................................................................... 43 Figura 3.5. Colli Euganei: principali aree di estrazione della trachite in età romana ........................................................ 44 Figura 3.6. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nel territorio di Monselice ......................................................... 45 Figura 3.7. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Sambruson di Dolo ................................................................. 46 Figura 3.8. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Sarmazza di Vigonovo ............................................................ 47 Figura 3.9. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Pernumia ................................................................................. 48 Figura 3.10. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Sant’Elena ............................................................................ 49 Figura 3.11. Ritrovamenti archeologici di epoca romana ad Agna .................................................................................... 50
viii
Lista delle figure Figura 3.12. Particolare della Tabula Peutingeriana con indicazione degli insediamenti che caratterizzavano la direttrice viaria costiera Ravenna-Altinum......................................................................................................................... 51 Figura 3.13. Ubicazione degli insediamenti ricordati dalla Tabula Peutingeriana lungo la direttrice viaria costiera Ravenna-Altinum .................................................................................................................................................. 51 Figura 3.14. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Lova di Campagna Lupia ..................................................... 52 Figura 3.15. Il sito del cosiddetto ‘santuario’ di Lova di Campagna Lupia, ubicato nei pressi dell’idrovora ‘Il Machinon’ .......................................................................................................................................................................... 53 Figura 3.16. Foto aerea del territorio di Lova, in cui è evidente la traccia di un percorso viario orientato NE-SO (molto probabilmente la via Popillia) e diretto verso la località di Busa de Guia............................................................. 54 Figura 3.17. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nel territorio di Piazza Vecchia-Gambarare di Mira................ 55 Figura 3.18. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nella zona di Sant’Ilario-Dogaletto di Mira ............................ 56 Figura 3.19. Ubicazione delle principali aree portuali del litorale adriatico in epoca romana .......................................... 58 Figura 3.20. Particolare di una carta della zona di Chioggia, da un originale disegno del Sabbadino del 1539 ............... 59 Figura 3.21. Ubicazione di alcune villae sorte in prossimità dell’antica linea di costa ..................................................... 62 Figura 3.22. I resti della Torre delle Bebbe, come attualmente visibili dalla ‘Strada Provinciale Gorzone’..................... 63 Figura 4.1. Itinerari di probabile origine antica evidenziati dall’analisi archeomorfologica nella pianura a sud di Padova ................................................................................................................................................................................ 66 Figura 4.2. Terradura. In questa immagine satellitare ‘catturata’ dal sito di Tuttocittà si riconosce la traccia rettilinea di un percorso viario diretto NE-SO a congiungere, idealmente, gli attuali centri di Mandria e Carrara San Giorgio ........................................................................................................................................................................ 68 Figura 4.3. La traccia ‘a doppio binario’ dell’itinerario 3 a sud est di Agna visibile in una foto aerea del 1983 .............. 72 Figura 4.4. La traccia dell’itinerario 16 tra Adria e Monsole ............................................................................................ 73 Figura 4.5. Immagine aerea della zona a nord del Canale dei Cuori, località La Casona, dove è evidente il tracciato dell’itinerario 16 e la sua intersezione con un limite della centuriazione di ‘Adria Nord Ovest’....................... 74 Figura 4.6. La traccia dell’itinerario 16 tra Codevigo e Lova ........................................................................................... 75 Figura 4.7. La traccia dell’itinerario 20 in località Molinazzo di Granze.......................................................................... 76 Figura 5.1. La rete viaria di epoca romana nella pianura a sud di Padova ........................................................................ 86 Figura 5.2. Relazione tra la rete viaria antica e le principali strutture geomorfologiche della pianura a sud di Padova ... 87 Figura 5.3. Esempio di terrapieno stradale di epoca romana ............................................................................................. 87 Figura 5.4. Padova e la principale viabilità di origine romana in uscita dalla città ........................................................... 88 Figura 5.5. Padova: le tre grandi aree di convergenza itineraria intorno alla città ............................................................ 89 Figura 5.6. Este e la principale viabilità di origine romana in uscita dalla città ................................................................ 90 Figura 5.7. Adria e la principale viabilità di origine romana in uscita dalla città .............................................................. 91 Figura 5.8. La rete viaria nella pianura a sud di Padova tra VI e III sec. a.C. ................................................................... 93 Figura 5.9. La rete viaria nella pianura a sud di Padova tra II e I sec. a.C. ....................................................................... 95 Figura 5.10. La rete viaria nella pianura a sud di Padova tra I e II sec. d.C. ..................................................................... 97 Figura 5.11. La rete viaria nella pianura a sud di Padova in epoca Tardo Antica ............................................................ 100 Figura 6.1. Cippi gromatici rinvenuti nella pianura a sud di Padova .............................................................................. 103 Figura 6.2. Risultati dell’analisi archeomorfologica: rete viaria ortogonale ................................................................... 104 Figura 6.3. Risultati dell’analisi archeomorfologica: reti viarie di tipo radiale e loro relazione con la rete viaria ortogonale ........................................................................................................................................................................ 105 Figura 6.4. Relazione tra i siti di epoca romana noti e le tracce viarie di probabile origine antica individuate dall’analisi archeomorfologica......................................................................................................................................... 106
ix
Il paesaggio trasformato Figura 6.5. Pianta urbana di Chioggia ............................................................................................................................. 108 Figura 6.6. Probabile estensione dell’agro centuriato con ubicazione delle limitationes confinanti ............................... 109 Figura 6.7. Ricostruzione ipotetica dell’agro centuriato con indicazione dei possibili assi maggiori della limitatio e i cippi gromatici rinvenuti al suo interno........................................................................................................ 110 Figura 6.8. Relazione geometrica tra gli itinerari di origine antica in uscita da Patavium e la trama teorica della centuriazione .....................................................................................................................................................................111 Figura 6.9. Relazione geometrica tra gli itinerari di origine antica in uscita da Ateste e la trama teorica della centuriazione .................................................................................................................................................................... 112 Figura 6.10. Traccia dell’itinerario 3 e sua relazione geometrica con la trama teorica della centuriazione .................... 113 Figura 6.11. Isoorientamento delle strutture murarie della villa rustica di Roncaglia di Ponte San Niccolò con gli assi della centuriazione ............................................................................................................................................... 114 Figura 6.12. Isoorientamento delle strutture del complesso monumentale di Lova di Campagna Lupia con gli assi della centuriazione .................................................................................................................................................... 115 Figura 6.13. Probabile cippo gromatico anepigrafo in trachite di forma cilindrica proveniente dal territorio di Campagna Lupia e oggi conservato presso la chiesa di Santa Maria di Lugo ................................................................. 116 Figura 6.14. Relazione tra gli insediamenti altomedievali (IX e X sec.), rete viaria ortogonale e trama teorica della centuriazione ........................................................................................................................................................... 118 Figura 6.15. Sistemi ortogonali minori individuati dall’analisi archeomorfologica ........................................................ 119 Figura 7.1. La pianura a sud di Padova tra la fine del I sec. a.C. e il II sec. d.C. ............................................................ 124 Figura 7.2. La pianura a sud di Padova tra III e IV sec. d.C. ........................................................................................... 126
x
Lista delle tavole Tavola 1. Principali strutture dossive di origine fluviale nella pianura a sud di Padova ................................................... 25 Tavola 2. Itinerari di probabile origine antica evidenziati dallo studio archeomorfologico .............................................. 67 Tavola 3. Itinerari lungo antichi decorsi del fiume Brenta................................................................................................. 80 Tavola 4. Itinerari lungo antichi decorsi del fiume Bacchiglione ...................................................................................... 81 Tavola 5. Itinerari lungo il corso del canale di Cagnola-Bovolenta (antico flumen Togisonus?)....................................... 82 Tavola 6. Itinerari lungo antichi decorsi del fiume Adige .................................................................................................. 83 Tavola 7. Il sistema idroviario padano attraverso la pianura a sud di Padova ................................................................... 98
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Prologo Introducir a través de este prólogo el trabajo del Dr Michele Matteazzi es para mí un gran placer. El sugerente título ‘Il paesaggio trasformato: La pianura a sud di Padova tra Romanizzazione e Tarda Antichità’ recoge en una nueva versión revisada la investigación que constituyó la tesis doctoral del Dr Matteazzi, presentada en la Universidad de Padova el 23 de abril de 2013. La tesis fue el resultado de una codirección en cotutela entre el Dr Guido Rosada de esta Universidad y el Dr Josep Maria Palet del Institut Català d’Arqueologia Clàssica (ICAC), centro de investigación de la Generalitat de Catalunya con sede en la ciudad de Tarragona, adscrito a la Universidad Rovira i Virgili. El trabajo es en primer lugar el resultado de la colaboración entre el ‘Grup d’Investigació en Arqueologia del Paisatge’, el GIAP, dirigido por el Dr Palet en el ICAC, y el Dr Rosada y la tradición italiana de estudios de territorio y topografía antigua. El resultado es un trabajo excelente que aúna enfoques de ambas escuelas y que permitió en su momento dar a conocer en Italia la metodología impulsada por el GIAP y aplicarla al llano aluvial del Po al sur de la ciudad de Padua.
en caracterizar el origen de las formas históricas que conforman los paisajes culturales, con el fin de valorar desde una perspectiva diacrónica la incidencia del mundo antiguo. Por otra parte, este enfoque facilitaba el establecimiento de una secuencia de cronología relativa entre las diversas formas de estructuración territorial y, finalmente, ello constituía una manera más fiable de demostrar la antigüedad de las estructuras estudiadas. Así, esta nueva metodología permitía caracterizar un paisaje ‘palimpsesto’, formado por una compleja secuencia histórica que ha resultado esencial para definir paisajes culturales. A todo ello debe añadirse la irrupción de las tecnologías digitales y en especial de los Sistemas de Información Geográfica, metodologías que han significado un avance fundamental. En el desarrollo de esta nueva arqueomorfología fue esencial el estudio de las redes viarias. Los nuevos planteamientos priorizaban la definición del conjunto de la red viaria, de su estructura, para analizar después las partes, los itinerarios y las trazas y definir imbricaciones y desplazamientos, para finalmente establecer secuencias de cronología relativa indicativas de transformaciones en la estructuración del territorio. En este sentido, el trabajo del Dr Matteazzi constituye una de las primeras aplicaciones del método en una zona aluvial especialmente compleja.
Planteado desde los principios teóricos y metodológicos de la arqueología del paisaje, el trabajo presenta un enfoque diacrónico que comprende todo el período romano y la antigüedad tardía (siglos II a.C.–VI d.C.), para tratar de manera interdisciplinar datos arqueológicos sobre la ocupación y estructuración del territorio, geomorfológicos sobre las dinámicas hidrosedimentarias en el llano aluvial y arqueomorfológicos, relativos a la red viaria. Especial mención merece esta última cuestión, que constituye sin duda una de las principales innovaciones del trabajo en relación al estudio de la implantación territorial del fenómeno de la centuriación al sur de la ciudad romana de Padua.
Ciertamente la arqueología romana y, de manera general, la arqueología espacial han mantenido posiciones críticas con los planteamientos de la arqueomorfología, en parte sustentadas en lo que a todas luces parecía un exceso de confianza en el método, especialmente por parte de la escuela francesa, con la consecuente aparición de numerosas propuestas de centuriación, a menudo superpuestas en un mismo territorio, no suficientemente contrastadas.
Desde la década de 1970, la investigación sobre centuriaciones romanas ha estado estrechamente vinculada al desarrollo de la arqueología del paisaje. El estudio de los espacios agrarios y concretamente de la morfología del territorio y del modelo de la centuriación constituyó desde los inicios de la diciplina una de las temáticas principales de investigación, especialmente en Francia. A ello contribuyó, sin duda, el denominado ‘Grupo de Besançon’ en Francia, que lideró la investigación en esta primera etapa.
La crítica, en buena medida liderada también por la arqueología francesa, contribuyó sin duda a un mayor rigor metodológico en el sentido de incorporar técnicas arqueológicas a los estudios arqueomorfológicos. En este contexto tuvo gran impacto la incorporación de la sedimentología y su correlación con datos arqueológicos y arqueomorfológicos. En este aspecto la aportación del trabajo de Michele Matteazzi es también muy significativa. En la década de 1990, los estudios llevados a cabo en el valle del Ródano entorno a la centuriación B de Orange, en Pierrelatte (Drôme, Francia), con motivo de la construcción de las infraestructuras de la línea del TGV Méditerrannée, marcaron sin duda un hito en la historia de la investigación. La excavación de diversos límites en el llano aluvial del Ródano puso en evidencia perfiles
Posteriormente, ya en la década de 1990, el desarrollo de la arqueomorfología fomentó estudios diacrónicos no exclusivamente centrados en estructuras agrarias romanas, sino en la estructuración de los territorios a lo largo del tiempo. Desde esta nueva perspectiva, influenciada por la geografía histórica, el objetivo principal consistía xii
Prologo litoestratigráficos de varios metros donde se reconocían fosas de drenaje, límites del parcelario, excavadas y colmatadas en sucesivas fases, fenómeno que mostraba la continuidad a lo largo del tiempo de determinados límites cuyo origen tenía relación directa con la implantación territorial de la centuriación.
una deductio tuvo en el paisaje. Los pocos casos en que este tipo de datos ha sido aplicado al análisis de la centuriación muestran una relación compleja entre los espacios agrarios, los asentamientos y la transformación del paisaje. En cuanto a los resultados del trabajo quisiera destacar finalmente dos aspectos. El primero, la importancia de la época de Augusto en el desarrollo de programas de organización territorial y en la implantación del modelo de la centuriación. La centuriación con módulo de 15x20 actus documentada por Matteazzi en Patavium se articula perfectamente con la red viaria e incide en los patrones de asentamiento. Ello tiene lugar en un momento avanzado de la ocupación romana, ya presente en la zona desde el siglo II aC, reproduciendo un modelo que hemos documentado bien en el noreste de la Citerior, en Ampurias, Tarraco y Barcino.
Los estudios hidrosedimentarios en el valle del Ródano reflejaban que las formas del paisaje no solo podían modificarse a lo largo del tiempo, sino que además podían ‘transmitirse’ de un período a otro. Así, determinadas ‘líneas del paisaje’ podían haber sido restituidas tras siglos de abandono, recreando de nuevo un paisaje ortogonal que, en realidad, podría no tener relación directa con la antigua centuriación! Los nuevos ejes, además, podrían extenderse en áreas donde la antigua trama no hubiera tenido implantación ninguna. Son cuestiones que afectan directamente a los estudios de territorio en zonas aluviales y que el trabajo del Dr Matteazzi afronta con éxito en el bajo valle del Po. En este sentido, el trabajo muestra la idoneidad del método y las técnicas de la arqueomorfología, todavía aún a veces cuestionadas en la academia.
La segunda cuestión que quería destacar es que resulta también una aportación de sumo interés el momento final de todo este sistema, tratado también por Matteazzi, el abandono de los espacios agrarios durante en la antigüedad tardía. Este es coetáneo al proceso de paludificación del territorio, fenómeno asociado a problemas de cambio climático y también a cambios políticos y socioeconómicos. Ello destaca una vez más el interés del planteamiento diacrónico e interdisciplinar del trabajo que nos acerca a la complejidad de las interacciones socioambientales.
Desde 2004, la publicación de Agri Centuriati ha revitalizado sin duda la disciplina con la publicación de estudios interdisciplinares centrados en la identificación fiable y precisa de trazas y la datación de las mismas. El trabajo del Dr Matteazzi es ejemplo de ello y forma parte de una nueva generación de arqueolólogos interesada por la cuestión de las centuriaciones desde la arqueomorfología y la arqueología del paisaje.
Como director de investigación, sinceramente, uno siempre desea que un trabajo de tesis doctoral, que implica años de intenso trabajo y de ilusiones por parte de jóvenes investigadores, se concluya con éxito y que finalmente vea la luz en forma de libro. Es entonces cuando cobra sentido tanto esfuerzo y sacrificio. Estoy seguro de que el lector disfrutará y aprenderá con la lectura y apreciará la pasión por la investigación y el interés por el estudio del paisaje.
El valle del Po y la llanura de Venecia cuentan con estudios recientes en los que arqueología, sedimentología y arqueomorfología avanzan conjuntamente. La investigación de Michele Matteazzi debe situarse en este contexto. En esta misma línea, los trabajos del GIAP dirigidos por Josep Maria Palet y por Héctor Aleix Orengo en diversos llanos litorales de Cataluña han mostrado con éxito el interés del estudio ‘integrado’ de los paisajes centuriados, donde estos se inscriben en complejas dinámicas socio-ambientales. Los estudios paleoambientales proporcionan información que es también ‘arqueológica’ importante sobre los efectos que
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P M Director en funciones Institut Català d’Arqueologia Clàssica Tarragona (España)
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Premessa Introdurre attraverso questa premessa il lavoro del Dr Michele Matteazzi è per me un grande piacere. Il suggestivo titolo ‘Il paesaggio trasformato: La pianura a sud di Padova tra Romanizzazione e Tarda Antichità’ raccoglie in una nuova versione rivista la ricerca che costituì la tesi di dottorato del Dr Matteazzi, discussa all’Università di Padova il 23 aprile 2013. La tesi fu il risultato di una codirezione in cotutela tra il Dr Guido Rosada di questa Università e il Dr Josep Maria Palet dell’Istituto Catalano di Archeologia Classica (ICAC), centro di ricerca della Generalitat della Catalogna con sede nella città di Tarragona, ascritto all’Università Rovira i Virgili. Il lavoro è in primo luogo il risultato della collaborazione tra il ‘Gruppo di Ricerca in Archeologia del Paesaggio’, il GIAP, diretto dal Dr Palet all’ICAC, e il Dr Rosada e la tradizione italiana di studi territoriali e di topografia antica. Il risultato è un lavoro eccellente che combina approcci di entrambe le scuole e che a suo tempo permise di far conoscere in Italia la metodologia portata avanti dal GIAP e applicarla alla pianura alluvionale del Po a sud della città di Padova.
culturali, al fine di valutare da una prospettiva diacronica l’incidenza del mondo antico. D’altra parte, questo approccio facilitava la definizione di una sequenza di cronologia relativa tra le diverse forme di strutturazione territoriale e, infine, costituiva un modo più affidabile di dimostrare l’antichità delle strutture studiate. Così questa nuova metodologia permetteva di caratterizzare un paesaggio ‘palinsesto’, formato da una complessa sequenza storica che è risultata essenziale per definire i paesaggi culturali. A tutto questo deve aggiungersi l’irruzione delle tecnologie digitali e soprattutto dei Sistemi di Informazione Geografica, metodologie che hanno significato un fondamentale passo in avanti. Nello sviluppo di questa nuova archeomorfologia fu essenziale lo studio delle reti viarie. I nuovi approcci privilegiavano la definizione della rete viaria nel suo insieme, della sua struttura, per poi analizzarne le parti, gli itinerari e le tracce e definirne intrecci e spostamenti, per stabilire infine sequenze cronologiche relative indicative di trasformazioni nella strutturazione del territorio. In questo senso, il lavoro del Dr Matteazzi costituisce una delle prime applicazioni del metodo in un’area alluvionale particolarmente complessa.
Basato sui principi teorici e metodologici dell’archeologia dal paesaggio, il lavoro presenta un approccio diacronico che comprende l’intera epoca romana e la Tarda Antichità (secoli II a.C.–VI d.C.), per trattare in modo interdisciplinare dati archeologici, riguardanti l’occupazione e la strutturazione del territorio, geomorfologici, riguardanti le dinamiche idrosedimentarie nella piana alluvionale e archeomorfologici, relativi alla rete viaria. Una menzione speciale merita quest’ultima questione, che costituisce senza dubbio una delle principali innovazioni del lavoro in relazione allo studio dell’impianto territoriale del fenomeno della centuriazione a sud della città romana di Padova.
Certamente l’archeologia romana e, in generale, l’archeologia spaziale hanno mantenuto posizioni critiche verso gli approcci dell’archeomorfologia, in parte sostenute da quello che sembrava essere un eccesso di fiducia nel metodo, specialmente da parte della scuola francese, con la conseguente comparsa di numerose proposte di centuriazione, spesso sovrapposte all’interno di uno stesso territorio, non sufficientemente comprovate. La critica, in buona misura guidata anche dall’archeologia francese, contribuì senza dubbio ad un maggiore rigore metodologico nel senso di incorporare tecniche archeologiche agli studi archeomorfologici. In questo contesto ebbe un grande impatto l’incorporazione della sedimentologia e la sua correlazione con i dati archeologici e archeomorfologici. Sotto questo aspetto anche l’apporto del lavoro di Michele Matteazzi è molto significativo.
A partire dagli anni ‘70, la ricerca sulle centuriazioni romane è stata fortemente vincolata allo sviluppo dell’archeologia del paesaggio. Lo studio degli spazi agrari e concretamente della morfologia del territorio e del modello della centuriazione costituì fin dagli inizi della disciplina una delle tematiche principali di ricerca, specialmente in Francia. A questo contribuì, indubbiamente, il cosiddetto ‘Gruppo di Besançon’ in Francia, che guidò la ricerca in questa prima fase.
Negli anni ‘90, gli studi condotti nella valle del Rodano sulla centuriazione B di Orange, a Pierrelatte (Drôme, Francia), in occasione della costruzione delle infrastrutture della linea del TGV Méditerrannée, costituirono senza dubbio una pietra miliare nella storia della ricerca. Lo scavo di diversi limiti nella piana alluvionale del Rodano mise in evidenza profili litostratigrafici di vari metri dove si riconoscevano fosse di drenaggio e limiti di particellare, scavati e colmati in fasi successive, fenomeno che mostrava la continuità nel tempo di determinati limiti la cui origine
Successivamente, già negli anni ‘90, lo sviluppo dell’archeomorfologia favorì studi diacronici non esclusivamente centrati su strutture agrarie romane, quanto sulla strutturazione del territorio nel corso del tempo. Da questa nuova prospettiva, influenzata dalla geografia storica, l’obiettivo principale consisteva nel caratterizzare l’origine delle forme storiche che conformano i paesaggi xiv
Premessa aveva una relazione diretta con l’impianto territoriale della centuriazione.
complessa tra gli spazi agrari, gli insediamenti e la trasformazione del paesaggio.
Gli studi idrosedimentari nella valle del Rodano dimostravano che le forme del paesaggio non solo potevano modificarsi nel corso del tempo, ma potevano anche ‘transmettersi da un periodo all’altro. Così, determinate ‘linee del paesaggio’ potevano essere state ricostituite dopo secoli di abbandono, ricreando nuovamente un paesaggio ortogonale che, in realtà, potrebbe non avere una diretta relazione con la centuriazione antica! I nuovi assi, inoltre, potrebbero estendersi in aree dove la trama antica non avrebbe avuto alcun impianto. Sono questioni che interessano direttamente gli studi del territorio in aree alluvionali e che il lavoro del Dr Matteazzi affronta con successo nella bassa valle del Po. In questo senso, il lavoro mostra l’idoneità del metodo e delle tecniche dell’archeomorfologia, ancora talvolta messe in discussione dall’accademia.
In quanto ai risultati del lavoro vorrei sottolineare infine due aspetti. Il primo, l’importanza dell’epoca di Augusto nello sviluppo di programmi di organizzazione territoriale e nell’impianto del modello della centuriazione. La centuriazione con modulo di 15x20 actus documentata da Matteazzi a Patavium si articola perfettamente con la rete viaria e incide sui modelli insediativi. Ciò ha luogo in un momento avanzato dell’occupazione romana, già presente nell’area a partire dal II sec. a.C., riproducendo un modello che abbiamo ben documentato nel nordest della Citerior, ad Ampurias, Tarraco e Barcino. La seconda questione che vorrei sottolineare è il fatto che si dimostra un apporto di grande interesse anche il momento finale di tutto questo sistema, trattato anche da Matteazzi, ovvero l’abbandono degli spazi agrari durante la Tarda Antichità. Questo è contemporaneo al processo di impaludamento del territorio, fenomeno associato a problemi di cambio climatico e anche a cambi politici e socio-economici. Ciò sottolinea una volta di più l’interesse dell’approccio diacronico e interdisciplinare del lavoro che ci avvicina alla complessità delle interazioni socioambientali.
Dal 2004, la pubblicazione di Agri Centuriati ha rivitalizzato senza dubbio la disciplina con la pubblicazione di studi interdisciplinari centrati sull’identificazione affidabile e precisa delle tracce e la datazione delle stesse. Il lavoro del Dr Matteazzi è un esempio di questo e forma parte di una nuova generazione di archeologi interessata alla questione delle centuriazioni a partire dall’archeomorfologia e dall’archeologia del paesaggio.
Come direttore di ricerca, sinceramente, uno desidera sempre che un lavoro di tesi dottorale, che implica anni di intenso lavoro e speranze da parte di giovani ricercatori, si concluda con successo e che finalmente veda la luce in forma di libro. È allora che assumono un senso tanto sforzo e sacrificio. Sono sicuro che il lettore gradirà e apprenderà con la lettura e apprezzerà la passione per la ricerca e l’interesse per lo studio del paesaggio.
La valle del Po e la piana di Venezia dispongono di studi recenti in cui archeologia, sedimentologia e archeomorfologia avanzano congiuntamente. La ricerca di Michele Matteazzi deve essere collocata all’interno di questo contesto. Su questa stessa linea, i lavori del GIAP diretti da Josep Maria Palet e Héctor Aleix Orengo su varie piane litorali della Catalogna hanno mostrato con successo l’interesse dello studio ‘integrato’ dei paesaggi centuriati, dove questi si inseriscono all’interno di complesse dinamiche socio-ambientali. Gli studi paleoambientali forniscono anche importanti informazioni ‘archeologiche’ riguardo gli effetti che una deductio ebbe sul paesaggio. I pochi casi in cui questo tipo di dati è stato applicato all’analisi della centuriazione mostrano una relazione
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M P M Direttore facente funzione Istituto Catalano di Archeologia Classica Tarragona (Spagna) (Traduzione dell’autore)
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Riassunto Il paesaggio trasformato: la pianura a sud di Padova tra Romanizzazione e Tarda Antichità
l’impatto che la presenza romana, alla quale dobbiamo la prima sistemazione di una complessa rete viaria che venne ad interessare l’intera piana a sud di Padova, ebbe sull’ambiente naturale. Inoltre, l’applicazione di una tale metodologia di lavoro ha permesso la formulazione di nuove ipotesi circa la ricostruzione dell’antico sistema idrografico del territorio, oltre alla contestualizzazione e ad una migliore definizione dei modelli insediativi di epoca romana.
Questo lavoro propone lo studio di un’ampia area territoriale della bassa pianura veneta che si estende a sud della città di Padova, tra i Colli Euganei a ovest e la Laguna di Venezia a est. Tale territorio si caratterizza per un’alta instabilità morfologica, principalmente dovuta al complesso sistema idrografico che lo definisce e che trova nei fiumi Adige, Brenta e Bacchiglione i suoi principali attori; anche se un forte elemento destabilizzante è costituito dalla presenza stessa della Laguna, dove questo sistema va (e andava) naturalmente ad esaurirsi e che, sin da epoca antica, ha offerto quegli sbocchi portuali che si sono dimostrati di fondamentale importanza per lo sviluppo economico del centro patavino.
A livello più strettamente tecnico, lo studio è stato condotto attraverso un lavoro di foto- e carto-interpretazione e un’analisi integrata di dati geomorfologici, archeologici e storici, assieme ad una serie di analisi topografiche effettuate sfruttando le numerose possibilità oggi offerte dai ‘Sistemi di Informazione Geografica (GIS)’. Negli ultimi anni, questi sistemi sono stati ampiamente incorporati negli studi archeologici sul paesaggio (e archeomorfologici in particolare), in quanto forniscono una struttura in cui tutte le informazioni geograficamente referenziate necessarie a condurre una ricerca archeomorfologica possono essere inserite ed analizzate in un ambiente multilivello e multiscala, permettendo una facile ed efficace gestione dei dati, un eccellente output grafico e, soprattutto, un’alta accuratezza spaziale.
Scopo principale della ricerca è quello di condurre un’indagine sistematica della complessa interazione tra uomo e paesaggio instauratasi in quest’area durante l’epoca romana (ovvero tra II sec. a.C. e VI sec. d.C.), cercando da un lato di identificare le dinamiche ambientali che, allora, favorirono e condizionarono l’occupazione umana della pianura e, dall’altro, di giungere ad una migliore definizione e comprensione delle forme che questa occupazione assunse e i reali effetti che essa ebbe sull’ambiente naturale.
L’analisi archeomorfologica condotta sul territorio ha quindi permesso di riconoscere una dinamica evolutiva nell’occupazione della pianura, attuatasi tra la fase di Romanizzazione e l’epoca medievale e caratterizzata da una successione di periodi differenti. Un primo periodo si colloca tra II e I sec. a.C., durante il quale ha luogo una serie di trasformazioni (a livello strutturale e sociale) che indicano come la locale popolazione veneta vada progressivamente assimilando usi e costumi propri dei Romani. Queste trasformazioni trovano il loro culmine in età augustea, quando ha inizio un secondo periodo (I sec. a.C.-II sec. d.C.) che si caratterizza per un profondo cambiamento nelle modalità di occupazione e strutturazione del territorio. Successivamente, in epoca basso imperiale (III-IV sec. d.C.), si viene a definire una fase di transizione che porta a un quarto periodo, compreso tra la Tarda Antichità e l’Altomedioevo (secoli V-VIII), durante il quale si verificano importanti trasformazioni ambientali che modificano profondamente il paesaggio e costringono all’impostazione di nuove strategie insediative. Con il IX e il X sec. inizierà invece una nuova importante fase di strutturazione del territorio che, gradualmente, porterà infine alla situazione attuale.
L’indagine si basa fondamentalmente sui principi teorici e metodologici propri dell’Archeologia del Paesaggio (o Landscape Archaeology con termine anglosassone), sviluppandosi attraverso un approccio di tipo archeomorfologico che considera la restituzione, la definizione e la lettura archeologica delle varie morfologie di origine antropica (come strade, canali, sistemi di campo) che contribuiscono a dare forma al paesaggio attuale, permettendo di attestare l’esistenza di cambi avvenuti nella sua strutturazione. Punto di partenza del lavoro di ricerca è stata quindi l’analisi archeomorfoloigca della moderna rete viaria del territorio e il primo passo è consistito nella restituzione grafica dei differenti elementi che la compongono, ovvero itinerari e tracciati, per poi giungere alla definizione di una sequenza cronologica relativa che esemplificasse le varie fasi della sua formazione. In un secondo momento, l’utilizzo di dati archeologici e fonti scritte ha fornito degli elementi utili per collocare cronologicamente le differenti morfologie restituite e, quindi, di datare la sequenza precedentemente definita. In questo modo si sono potuti ricostruire i principali momenti che si sono succeduti nella strutturazione del paesaggio e, soprattutto, è stato possibile analizzare da una nuova prospettiva
Nello specifico, si rileva che, dopo sporadiche apparizioni nel corso del III sec. a.C., la presenza romana nella pianura a sud di Padova diviene molto più predominante dalla fine xvi
Riassunto del secolo e, in particolare, nel corso di quello successivo, mostrandosi particolarmente evidente a livello materiale attraverso l’introduzione di nuove tecniche e materiali costruttivi (come l’impiego del mattone e dell’intonaco negli edifici) che vengono a coesistere assieme a metodiche più tradizionali. In questo momento il territorio appare in larga parte occupato, ma probabilmente non ancora oggetto di importanti interventi di strutturazione: la presenza romana viene infatti ad inserirsi all’interno del precedente quadro insediativo, attuando in accordo e quasi in osmosi con la popolazione veneta, come suggerisce il fatto che molti dei siti occupati tra IV e III sec. a.C. continuino a essere frequentati almeno fino all’età augustea (e in alcuni casi anche ben oltre). L’interesse romano sembra rivolgersi, in questa prima fase, principalmente alla definizione e alla sistemazione di direttrici terrestri che garantiscano veloci ed efficaci comunicazioni tra Aquileia (la più settentrionale delle colonie romane, fondata nel 181 a.C. al confine nord-orientale del territorio dei Veneti) e l’Italia peninsulare. Non a caso le fonti, scritte ed epigrafiche, attestano proprio durante il II sec. a.C. il passaggio, nel territorio a sud di Padova, di almeno tre importanti strade consolari: la via Annia, realizzata probabilmente da Tito Annio Lusco nel 153 a.C. tra Roma e Aquileia; la via Popillia, che nel 132 a.C. Publio Popillio Lenate condusse da Ariminum (Rimini) ad Aquileia; e la via Aemilia (dagli studiosi chiamata anche ‘via di Lepido’), che secondo Strabone venne stesa dal console Marco Emilio Lepido a collegare Bononia (Bologna) e Aquileia.
Non sembra una coincidenza che questi cambiamenti avvengano dopo una serie di importanti eventi che coinvolgono la Cisalpina e la Venetia in particolare: la concessione del diritto Latino ai maggiori centri indigeni nell’89 a.C. e, più tardi, la loro elevazione al rango di municipia nel 49 a.C. ad opera di Giulio Cesare, cui si aggiunge la soppressione della stessa provincia voluta da Ottaviano all’indomani della battaglia di Filippi (42 a.C.) per annetterla a far parte del territorium Italiae. Con la successiva età augustea, insieme alla trasformazione di Ateste in colonia a seguito della battaglia di Azio (31 a.C.) e dell’insediamento nel suo agro di parte dei veterani che vi avevano combattuto, hanno luogo una serie di cambi strutturali molto importanti, sia in ambito urbano sia territoriale, che definiscono un periodo che sembra perdurare fino al II sec. d.C. In particolare, viene molto probabilmente in questo momento realizzata un’estesa centuriatio che viene ad articolarsi tra la colonia di Ateste e il municipium di Patavium e che presenta un modulo di 15x20 actus, tipico delle imprese catastali dell’epoca di Augusto. Contemporaneamente a quest’opera di divisione agraria, si definisce anche una complessa rete idro-viaria che viene perfettamente ad inserirsi al suo interno, con i suoi assi ad attuare non solo come kardines e decumani, ma anche come diagonali dell’ager centuriatus. Lungo la costa adriatica viene invece a definirsi un’importante direttrice idroviaria che collega, attraverso le paludes cosiddette ‘dei septem maria’, i porti di Ravenna, Altinum e Aquileia.
L’apertura di queste direttrici sottintende tuttavia anche una profonda volontà di controllo del territorio veneto, della cui importanza strategica quale nodo itinerario e obbligato corridoio di passaggio per le comunicazioni tra sud e nord est della penisola italica i Romani dovevano essere ben consapevoli. Questa volontà di controllo si palesa anche in alcune testimonianze epigrafiche che ricordano, tra 141 e 135 a.C., la presenza di ben due proconsoli inviati dal Senato di Roma per stabilire i confini tra le comunità venete di Patavium (Padova), Ateste (Este) e Vicetia (Vicenza): la formula impositiva della risoluzione, in cui si fa uso dei termini ‘statui iusit’, indica che, più che a un episodio di arbitrato come ritenuto in passato, siamo di fronte a un vero e proprio atto autoritario che sottintende un’ormai avvenuta soggezione – de facto se non de iure – dei Veneti alla potenza romana. In questo senso, definizioni confinarie e infrastrutture stradali sono probabilmente da vedere come due atti strettamente legati alla costituzione, intorno alla metà del II sec. a.C., della Provincia Gallia Cisalpina.
Strettamente legato a questo intervento è l’inizio di un intenso popolamento che, proprio a partire da epoca augustea, coinvolge l’intera pianura a sud di Padova e che si concretizza principalmente attraverso la fondazione di nuove villae: è un sistema fondamentalmente basato sulla media e piccola proprietà terriera che rimane vitale fino al II sec. d.C., quando inizia il suo graduale tracollo. A partire, infatti, dalla fine del II sec. d.C. molti degli insediamenti sembrano essere abbandonati e, solo in alcuni casi, vi sono i chiari segni di una continuità di occupazione tra III e IV sec., con siti che comunque mostrano di concentrarsi preferibilmente lungo le principali vie di comunicazione terrestre e fluviale o in aree più prossime ai centri urbani. Questo fenomeno pare riflettere la contemporanea crisi economica, suggerendo forse la nascita del latifondo, ma senza dubbio anche l’instabilità politica allora vissuta dall’impero. Con il V sec. il sistema entra definitivamente in crisi e il territorio mostra i segni di un progressivo abbandono, che pare culminare nel VI sec. Inizia ora un periodo caratterizzato da una serie di cambi, tanto a livello storico (la guerra Greco-Gotica tra il 535 e il 553 e l’arrivo dei Longobardi nel 568 su tutti) quanto climatico-ambientale, con il verificarsi di un ingressione marina lungo la costa che conduce all’instaurarsi di condizioni di tipo lagunare e, soprattutto, lo stabilirsi di un ciclo piovoso particolarmente intenso che porta i corsi d’acqua a frequenti episodi di
A livello insediativo, la presenza romana diviene piuttosto evidente durante il I sec. a.C., quando archeologicamente si attesta l’apparizione un nuovo tipo di insediamento residenziale e produttivo di origine italica, ovvero la villa e, nel territorio di pertinenza del municipium di Atria si realizza, o quantomeno si pianifica, un intervento di centuriazione caratterizzato da grandi centuriae quadrate di 27x27 actus, molto ben leggibile dalle fotografie aeree a nord ovest dell’attuale centro di Adria.
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Il paesaggio trasformato sovralluvionamento e a fluire verso le aree più depresse: la principale conseguenza di questi fenomeni è che molte delle aree più basse rimangono a lungo coperte da acque stagnanti finendo per trasformarsi, nel corso del tempo, in più o meno estese aree palustri. Gli effetti di questi eventi vennero senz’altro favoriti ed amplificati anche dalla mancanza di un’adeguata manutenzione del sistema idrografico, derivata dal contemporaneo spopolamento delle campagne e dall’assenza di una autorità centrale forte in grado di provvedere a tali esigenze. Questi fenomeni causano la pressoché totale scomparsa della centuriazione di Adria e conducono a una ridefinizione selettiva della funzionalità degli assi rettori di quella estesa a sud di Padova, il cui territorio viene ora in gran parte ricoperto da ampie zone boschive: paludi e boschi
rimarranno quindi le tipiche caratteristiche ambientali per tutto l’Altomedioevo e costringeranno alla messa in atto di nuove strategie insediative. Sarà poi durante la dominazione longobarda (VIII sec.) e, in particolare, durante quella franca (IX-X) che prenderà avvio, con l’istituzione dei casalia prima e delle curtes poi, una nuova stagione di occupazione territoriale, caratterizzata da una sistematica ‘lotta all’incolto’. Questa comincerà a far sentire pienamente i suoi effetti tra XI e XIII sec., quando la pianura sarà oggetto di estesi interventi di bonifica e di ricolonizzazione delle campagne che porteranno alla fondazione di nuovi centri demici e alla ridefinizione e sistematizzazione dell’intera rete idrografica e viaria, con la costruzione di nuove morfologie e la formazione di un nuovo paesaggio.
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Abstract The Transformed Landscape: The plain south of Padua between Romanisation and Late Antiquity
the natural environment. Furthermore, the application of such an investigative methodology also allowed the formulation of a new hypothesis about the reconstruction of the ancient hydrographic system, and for the Roman settlement patterns to be contextualised and better defined.
This work offers a study of a broad area located within the low Venetian plain that extends to the south of the city of Padua, between the Euganei Hills to the west and the Venetian Lagoon to the east. This territory is characterised by high morphological instability, mainly due to the complex hydrological system that defines it and on which the rivers Adige, Brenta and Bacchiglione have the greatest impact; the presence of the Lagoon itself, into which this system naturally flows (and then flowed), is a strong destabilising factor, and one that, since ancient times, has created those harbour areas that proved to be of fundamental importance for the economic development of Padua.
At a more strictly technical level, the study was carried out via photo- and carto-interpretation work and an integrated analysis of geomorphological, archaeological and historical data, as well as a series of topographic analyses realised by exploiting the numerous possibilities offered today by ‘Geographic Information Systems (GIS)’. In recent years, these systems have been widely incorporated into archaeological studies on landscape (and archaeomorphological ones in particular), as they provide a framework in which all the geographically referenced information necessary to carry out the archaeomorphological research can be included and analysed in a multilayered and multiscale environment, allowing easy and effective data management, an excellent graphic output and, above all, high spatial accuracy.
The main purpose of the research is to make a systematic investigation of the complex interaction between mankind and landscape that developed in this area during Roman times (2nd cent. BC–6th cent. AD), seeking on the one hand to identify the environmental dynamics which, at that time, both favoured and placed conditions on the human occupation of the plain and, on the other hand, to come to a better definition and understanding of the forms which this occupation took, and of its effects on the present-day natural environment.
The archaeomorphological analysis carried out on the territory has thus allowed the author to identify an evolutionary dynamic in the settlement of the plain, which took place between the Romanisation phase and the Middle Ages and was characterised by a succession of different periods. The first one runs from the 2nd to the 1st cent. BC: during this period, a series of transformations occurs (at both structural and social levels), showing how the local Venetic population gradually moves towards assimilating the culture, traditions and customs of the Romans. These transformations find their culmination in the Augustan Age, when a second period begins (1st cent. BC–2nd cent. AD) which is characterised by a deep change in territory settlement and structuring modalities. Subsequently, in the lateImperial period (3rd–4th cent. AD), a transition phase may be defined, leading to a fourth period, dating between Late Antiquity and the Early Middle Ages (5th–8th cent.), during which important environmental changes occur that deeply modify the landscape and force the establishment of new settlement strategies. Finally, with the 9th and 10th cent., a new important phase of territory structuring would begin, which would gradually lead to the current state.
The investigation is based on the theoretical and methodological precepts of Landscape Archaeology and proceeds by way of an archaeomorphological approach, which focuses on the reconstruction, definition and archaeological reading of different human-made features (such as roads, channels, field systems) that have contributed to shaping the current landscape, and which allows us to prove the existence of changes that occurred in the course of its restructuring. The starting point of the research was, therefore, an archaeomorphological analysis of the modern road network, and the first step was the graphic reconstruction of the different elements that compose it, i.e. itineraries and traces, in order to establish a relative chronological sequence with examples of each formation phase. In the second step, archaeological data and written sources provided useful means of chronologically framing the various recovered features and, thus, the sequence previously defined. In this way, the main phases of landscape structuring could be reconstructed, and, above all, it was possible to analyse from a new perspective the impact that the Roman presence, to which we owe the first establishment of a complex road network that came to cover the whole plain to the south of Padua, had on
Specifically, it may be noted that, after sporadic appearances during the 3rd cent. BC, the Roman presence in the plain south of Padua becomes much more predominant from the end of the century and, especially during the following one, is particularly evident on the material level, through the introduction of new construction techniques and materials (such as the use of brick and plaster in buildings) that come to coexist alongside more traditional xix
Il paesaggio trasformato methods. At this time the territory appears to be largely settled, but probably not yet the object of major structuring interventions: de facto, the Roman presence is inserted into the previous settlement framework, acting in agreement and almost in osmosis with the Venetic population, as is suggested by the fact that most of the sites settled between the 4th and 3rd century BC continue to be inhabited at least until the Augustan Age (and in some cases even later). The Roman interest seems to be aimed primarily at the definition and arrangement of terrestrial routes that could guarantee fast and effective communications between Aquileia (the northernmost Roman colony, established in 181 BC on the northeastern border of the territory inhabited by the Veneti) and the Italian peninsula. It is no coincidence that classical sources of the 2nd cent. BC, both written and epigraphical,attest to the presence in the plain South of Padua of at least three important consular roads: via Annia, probably built by Titus Annius Luscus in 153 BC between Rome and Aquileia; via Popillia, which in 132 BC Publius Popillius Laenas drew from Ariminum (Rimini) to Aquileia; and via Aemilia (also called via di Lepido by Italian scholars), which according to Strabo was built by the consul Marcus Aemilius Lepidus to link Aquileia to Bononia (Bologna).
major indigenous centres in 89 BC; their elevation to the rank of municipia in 49 BC, as promoted by Julius Caesar; and the suppression of the province proposed by Octavian in the aftermath of the battle of Philippi (42 BC), who wanted to annex it to the territorium Italiae.
However, the building of these routes also reveals a deep will to control the Venetic territory, the strategic importance of which as a hub of the road network and forced passage corridor for communications between the south and northeast of the Italian peninsula was well known by the Romans. This desire is also evident in some epigraphic testimonies that recall, between 141 and 135 BC, the presence of two proconsuls sent by the Senate of Rome to establish boundaries between the Venetic communities of Patavium (Padua), Ateste (Este) and Vicetia (Vicenza): the imposition resolution formula, which uses the phrase statui iusit, indicates that, rather than an instance of arbitration, as once thought, we have here an example of a genuinely authoritarian act that implies an already established subjection of the Veneti – de facto if not de iure – to Roman power. In this sense, the definition of boundaries and building of roads should likely be seen as two actions closely related to the constitution of the province of Cisalpine Gaul Province around the middle of the 2nd cent. BC.
Strictly linked to this intervention is the beginning of an intense peopling that, starting from the Augustan Age, involves the entire plain south of Padua and is mainly realised through the establishment of new villae: this is a system fundamentally based on medium and small landholding that remains vital until the 2nd cent. AD, when its gradual collapse begins. In fact, starting from the end of the 2nd cent. AD, many of the settlements seem to be abandoned and, only in some cases are there clear signs of continuity in occupation between the 3rd and 4th cent., with settlements that seem to concentrate mostly along the main terrestrial and fluvial routes or in areas closer to urban centres. This phenomenon seems to reflect the contemporary economic crisis, perhaps suggesting the birth of latifundia, but without doubt also the political instability then experienced by the empire.
With the subsequent Augustan Age, together with the transformation of Ateste into a colony in the aftermath of the battle of Actium (31 BC) and the settlement within its ager of the veterans who had fought there, a series of very important changes take place in the structuring of the landscape, both in urban and rural contexts, defining a period that seems to last until the 2nd cent. AD. It is very likely that, at this moment, a broad centuriatio is created, extending between the municipium of Patavium and the colonia of Ateste, and characterised by a module of 15 x 20 actus, typical of Augustan cadastral enterprises. At the same time, a complex road network is designed: it fits perfectly within the agrarian division, with its axes acting not only as kardines and decumani, but also as ager centuriatus diagonal lines. Furthermore, along the Adriatic coast, an important waterway is realised, linking the major ports of Ravenna, Altinum and Aquileia through the so-called ‘septem maria’ paludes.
During the 5th cent. AD the system definitively falls into crisis and the territory shows signs of a progressive abandonment, which seems to culminate in the 6th cent. Now begins a period characterised by a series of changes, both historical (the Gothic War between 535 and 553, and the arrival of the Lombards in 568, inter alia) and climatic–environmental, with the occurrence of a marine ingression along the coast that leads lagoon-type conditions to appear and, above all, a very intense rainy cycle to begin with, causing waterways to experience frequent episodes of flooding and to flow towards lower areas: the main consequence of these events is that many of these areas remain covered by backwater for a long time, and not infrequently they become, over time, more or less extensive marshlands. The effects of these events are undoubtedly favoured and increased by the lack of adequate maintenance of the hydrographic network, as
At the settlement level, the Roman presence increases even more during the 1st cent. BC, when the archaeology attests to the appearance of a new type of residential and productive settlement of Italic origin, i.e. the villa, and, within the territory belonging to the municipium of Atria (Adria), the building, or at least the planning, of a centuriated field system defined by large squared centuriae of 27 x 27 actus which is very visble in aerial photographs to the northwest of the current centre of Adria. It does not seem a coincidence that these changes occur after a series of important events involving Cisalpine Gaul and, in particular, Venetia: the granting of Latin rights to
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Abstract would then be the rule of the Lombards (8th cent.) and, above all, the Franks (9th–10th cent.) that would see the beginning, with the establishment of casalia and curtes, of a new season of landscape structuring, characterised by a systematic ‘fight against the uncultivated’. This would begin to make its effects fully felt between the 11th and 13th cent., during which time the plain would be the subject of extensive reclamation works and recolonisation campaigns that would lead to the establishment of new inhabited centres and the wholesale redefinition and reorganisation of the road and hydrographic networks, with the building of new morphologies and the shaping of a new landscape.
a consequence of the contemporary depopulation that afflicted the countryside and the absence of a strong central authority able to provide for these needs. These phenomena cause the almost total disappearance of the centuriation of Adria and lead to a selective functional redefinition of the main axes belonging to that extending south of Padua, the territory of which is now largely covered by broad wooded areas: swamps and woods would therefore remain the typical environmental characteristics through the whole of the Early Middle Ages and would force the implementation of new settlement strategies. It
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Introduzione Abstract: There are a fair number of references to be found in classical sources regarding the plain south of Padua. The points of interest for ancient authors were, above all: the Euganean thermal area, then known as Patavini fontes or Aquae Patavinae, where there was a source sacred to the Venetic god Aponus (the so-called Fons Aponi) and where the oracle of Geryon would have been consulted, among others, by Tiberius before he became emperor; and the coastal area, in Roman times characterised by the presence of what Vitruvius calls Gallicae paludes, broad marshlands strongly subject to tidal alternation that made them particularly healthy and suitable for settlement. These marshes defined the northernmost part of the great delta of the river Padus, and were crossed by various natural watercourses (flumina Meduacus, Atesis and Togisonus and their numerous branches) and by a series of artificial canalisations, among which the most famous were the so-called fossae per transversum, part of an inland waterway route (about 120 miles long) linking the ports of Ravenna and Altinum. The territory was also crossed by important terrestrial routes – variously remembered by written and epigraphic sources – and gained interest from the presence of an ager centuriatus witnessed by the finding of some gromatic stones. Therefore, based on classical sources, the plain south of Padua seems to offer some very interesting hints towards the value of carrying out a territorial study that investigates the dynamics of occupation in Roman times, analysing the complex relationship between the natural environment, settlement choices and territorial infrastructures. Thus, the primary aim of the present research is to make a systematic investigation of the interaction between mankind and the environment, seeking on the one hand to identify the environmental dynamics which, at that time, both favoured and placed conditions on the human occupation of the area, and, on the other, to come to an understanding of the forms which this occupation took, and of its effect on the present-day natural landscape. 1. Le premesse allo studio
mare le sue acque in modo tale da originare una grande foce a forma di Delta, che Strabone (V, 1, 5) non esita a paragonare a quella del Nilo.
Indubbia è l’importanza che, fin dall’antichità, la pianura a meridione della città di Padova ha svolto per lo sviluppo economico dello stesso centro euganeo e dell’intero territorio italico costituendo uno snodo fondamentale nell’ambito delle comunicazioni tra il centro e il nord est della penisola. Fondamentale in questo senso è l’esistenza di una rete idrografica estremamente complessa (che trova nei fiumi Brenta, Bacchiglione e Adige i suoi assi principali, ma che comprende anche una nutrita serie di canali, scoli e fosse) la quale, oltre a svolgere l’indispensabile funzione di scolmatura delle acque in eccesso, da sempre garantisce quelle vie d’acqua il cui sfruttamento è risultato decisivo per la definizione e l’incremento dei traffici commerciali patavini. Ancor più se pensiamo che tale sistema idrografico trova la sua naturale conclusione nella Laguna di Venezia e in quegli sbocchi portuali sull’Adriatico che, nel corso del tempo, hanno permesso un diretto inserimento di Padova e del suo territorio all’interno delle principali rotte marittime mediterranee.
Come quello del suo omologo africano, infatti, anche il sistema deltizio del Padus si caratterizzava per la presenza di un grande numero di canali artificiali che lo attraversavano, collegando tra loro le varie diramazioni ed estendendone a dismisura l’ampiezza, stimata da Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120) in 120 miglia (circa 178 km). Tuttavia, ciò che contribuì non poco alla sua fama in epoca antica, era il fatto che l’area deltizia padana si trovava all’interno di un più ampio contesto ambientale, il quale si caratterizzava per la presenza di particolari formazioni palustri che costellavano l’intero litorale adriatico da Ravenna ad Aquileia ed erano note con il nome di Gallicae paludes (V ., De arch., I, 4, 11). Quello che differenziava tali paludes da altri celebri esempi dell’antichità (come le paludes Pomptinae) e le rendeva degne di nota e di ammirazione era, come afferma Vitruvio, la loro incredibilis salubritas, aspetto che secondo l’architetto romano aveva permesso il sorgere e il prosperare, al loro interno, d’importanti città come Ravenna e Altinum. Secondo Strabone (V, 1, 7, 213-214) questa salubrità era, in parte, naturalmente garantita dalla prossimità del mare e, in parte, era artificialmente ottenuta attraverso la regimentazione dei corsi d’acqua che le attraversavano e all’escavo di canali che le ponevano in diretto contatto con la costa: grazie a questi particolari accorgimenti, infatti, nelle fasi di alta marea l’acqua del mare poteva penetrare all’interno delle paludes, impedendo alle acque stagnanti
1.1. Il Delta del fiume Padus e le paludes della costa Da sempre, quindi, il rapporto della pianura con l’acqua è stato molto stretto e, particolarmente, dovette esserlo in età romana, quando le fonti classiche ricordano che qui si trovava la parte più settentrionale del grande delta del Padus/Po. Il fiume, che sfociava allora con il suo ramo principale all’altezza di Atria, poteva infatti vantare numerose diramazioni che gli consentivano di scaricare in
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Il paesaggio trasformato di imputridire e, grazie alla sua salinità, di eliminare sul nascere lo svilupparsi di piante e animali nocivi. Proprio per lo stretto rapporto che aveva con le variazioni della marea, Strabone non esita a definire questo particolare ambiente come una limnothàlatta (V, 1, 5, 212), termine che potremmo anche tradurre come ‘palude marina’.
Ci dice dunque Livio che il litorale su cui i Greci decidono di sbarcare si presentava allora come una sottile striscia di terra (tenue praetentum litus), oltre la quale si trovava una serie di specchi d’acqua alimentati dalle maree (stagna inrigua aestibus maritimis)1 e, poco più oltre, dei campi coltivati (haud procul proximos agros campestres); più in lontananza, ma nettamente distinguibili, si profilavano invece le sagome di alcune formazioni collinari (ulteriora colles). Chi conosce bene l’attuale laguna di Venezia, non avrà difficoltà a ritrovare sorprendenti corrispondenze con il paesaggio attuale: ancora adesso, infatti, questo si caratterizza per la presenza di un litorale allungato (che da Jesolo prosegue a sud fino alla zona di Chioggia) ma alquanto stretto, oltre il quale una distesa d’acqua formata da ‘laghi’ e ‘valli’ lo separa dalla terraferma vera e propria, pure oggi fittamente coltivata; inoltre, se si rivolge con attenzione lo sguardo a occidente, non sarà difficile distinguere le tipiche forme coniche dei Colli Euganei stagliarsi all’orizzonte.
All’interno di queste paludi un rilievo particolare rivestiva allora il territorio di Atria, dove Plinio ricorda la presenza delle ‘Atrianorum paludes, quae Septem Maria appellantur’ (Nat. hist., III, 119): era infatti questa la zona che, in epoca antica, identificava il vero e proprio delta del Padus, perché era qui dove il fiume veniva a riversarsi in mare con più abbondanza d’acque attraverso una serie di diramazioni e foci. La presenza del principale sbocco a mare del Po poneva inoltre le paludes di Atria al centro di un complesso sistema di comunicazioni terrestri e, soprattutto, ‘fluvio-palustri’ che, imperniato sul corso dello stesso Padus, permetteva un diretto collegamento tra Ravenna e Aquileia. Questo sistema si sviluppava attraverso le ormai note fossae per transversum, ovvero canali artificiali scavati trasversalmente agli alvei fluviali allo scopo di mettere tra loro in comunicazione i diversi flumina che le attraversavano, oltre che per diminuirne l’impeto delle acque. Le prime canalizzazioni vennero realizzate già in epoca greco-etrusca per collegare gli importanti approdi padani di Spina e Atria, ma fu soltanto con i Romani e, in particolare, per iniziativa di Augusto, che la rete di canali venne sistemata e ampliata fino a mettere tra loro in comunicazione le più importanti realtà portuali altoadriatiche dell’epoca, ovvero Ravenna, Altinum e Aquileia.
Un’altra particolare caratteristica di queste ‘paludi’ emerge inoltre alla conclusione dell’episodio, quando Livio narra di come Cleonimo, incalzato dai Patavini, decida di riprendere il mare riattraversando la distesa d’acqua in direzione opposta a quella da cui era venuto. La fretta e, soprattutto, la poca conoscenza dei luoghi, fa sì che molte delle grosse navi del re spartano non riescano nell’intento di fuga, andando a incagliarsi in quelli che Livio chiama ‘vada stagnorum’, ovvero i bassi fondali degli specchi d’acqua che allora caratterizzavano le paludi. È evidente, da tale descrizione, che il paesaggio antico non doveva presentarsi sostanzialmente molto diverso da quello offerto dall’attuale Laguna di Venezia, caratterizzato da barene, velme e bassifondi e in cui la navigazione con imbarcazioni di grande pescaggio è possibile soltanto attraverso lo scavo di canali più profondi.2
In tal senso, in quanto perno di un sistema idroviario che permetteva a questi tre centri di comunicare tra loro, dobbiamo leggere la menzione di tali paludi nella Tabula Peutingeriana e nell’Itinerarium Antonini. Se nella prima lo ritroviamo associato alla statio di VII Maria (Tab. Peut., seg. III, 4-5) e, quindi, a un percorso terrestre steso tra Ravenna e Altinum, nel secondo viene invece chiaramente ad indicare una rotta d’acqua, in quanto si avverte il viaggiatore che, da Ravenna, ‘navigatur Septem Maria Altinum usque’ (It. Ant., 126). Questa indicazione suggerisce d’altra parte che, quantomeno al momento della redazione di tale itinerario (III-IV sec. d.C.), l’originario nome che Plinio riservava alle sole paludi di Atria avesse finito per estendersi, se non a tutto il complesso idroviario, quantomeno alla parte compresa tra Ravenna e Altinum (Bosio, 1979).
Quanto descritto dagli autori classici sembra trovare ampia conferma negli studi paleoambientali, i quali riconoscono come in epoca romana in luogo dell’attuale laguna esistesse un ambiente palustre soggetto all’influenza delle acque dolci, dove la vegetazione era dominata dal canneto e il paesaggio era definito da specchi d’acqua discontinui, per lo più torbiere e stagni. L’estensione di tale ambiente doveva però essere alquanto più ridotta di quella dell’attuale laguna, se contesti abitativi e funerari di epoca romana sono emersi in diverse occasioni all’interno di varie valli lagunari:3 secondo gli studi geomorfologici è d’altra parte probabile che, in epoca romana, le paludi non superassero di molto, verso terra, la linea indicata come ‘margine interno della laguna’ sulle carte veneziane fino alla metà del XVI sec. (Furlanetto, 2011).
In questo sistema di comunicazioni doveva comunque rientrare anche Patavium, se non altro perché importanti tratti di tale rete idroviaria venivano a interessare il territorio sotto il suo diretto controllo. Di questa porzione di paludes che, parafrasando Plinio, potremmo definire Patavinorum, possediamo una dettagliata quanto interessante descrizione in un ampio e noto passo dello storico patavino Tito Livio (X, 2), in cui si narra dell’arrivo sulle coste venete (alla fine del IV sec. a.C.) del re spartano Cleonimo e del suo tentativo, non riuscito, di saccheggiare il territorio di Patavium.
La presenza di stagni ritorna anche in Erodiano, che in VIII, 2 descrive il litorale tra Aquileia e Ravenna come cosparso di limnás kaí tenághe. 2 Non a caso, in tale episodio, i Patavini si gettano all’inseguimento della flotta di Cleonimo a bordo di fluviatiles naves dotate di un fondo piatto, molto più adatto alla navigazione su bassi fondali. 3 Cfr. cap 2.4. 1
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Introduzione Le fonti classiche ricordano inoltre la presenza di vari corsi d’acqua che in epoca romana attraversavano la pianura a sud di Padova diretti a sfociare nell’Adriatico. La migliore descrizione di questo complesso assetto idrografico ci è fornita ancora una volta da Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120-121), il quale viene ad elencare la successione di flumina che, da sud verso nord, andavano allora a collegarsi al sistema idroviario del delta padano.
Riguardo al Meduacus, Livio (X, 2) ricorda che, tra gli stagna delle paludi patavine, gli esploratori di Cleonimo poterono distinguere la foce profonda di un grande fiume, chiamato Meduacus, che permetteva di attraccare e manovrare le navi in tutta sicurezza; mentre Strabone (V, 1, 7, 213) precisa che, presso la sua foce, sorgeva un porto omonimo (Medoàkos) a partire del quale, dopo aver risalito la corrente del fiume ed essere passati per un tratto attraverso le paludes, si poteva raggiungere Patavium. Lo stesso è ricordato pure nella Tabula Peutingeriana (seg. III, 4-5) che riporta, lungo il percorso tra Ravenna e Altinum, due successive stazioni di tappa definite Maio e Mino Meduaco a indicazione, forse, del superamento, da parte della strada, di due distinte diramazioni del medesimo corso d’acqua: un fatto che, in apparenza, sembrerebbe confermare le parole di Plinio relativamente ai Meduaci duo. Il collegamento con Padova e la posizione segnata sulla Tabula hanno quindi, da tempo, suggerito come in tale corso d’acqua debba riconoscersi l’attuale Brenta, chiamato Brinta da Venanzio Fortunato (Vita Sancti Martini, IV, 677) nel VI sec. d.C. e presente come fluvius Brintesia nella stessa Tabula.
Il naturalista comacino, infatti, impegnato nella descrizione del settore nordorientale della regio octava e del complesso apparato deltizio padano, dopo aver ricordato ‘ostium Caprasiae, dein Sagis, dein Volane, quod ante Olane vocabatur, omnia ea fossa Flavia, quam primi a Sagi fecere Tusci egesto amnis impetu per transversum in Atrianorum paludes quae Septem Maria appellantur’, nonché la città di Atria, viene a parlare più direttamente del territorio di cui ci stiamo occupando. Afferma, in particolare, che vi sono gli ‘ostia plena Carbonaria, Fossiones ac Philistina, quod alii Tartarum vocant, omnia ex Philistinae fossae abundatione nascentia, accedentibus Atesi ex Tridentinis Alpibus et Togisono ex Patavinorum agris. Pars eorum et proximum portum facit Brundulum, sicut Aedronem Meduaci duo ac Fossa Clodia. His se Padus miscet ac per haec effundit...’ (‘...le foci del Caprasia, del Sagum e del Volane, che un tempo era detto Olane: tutte queste sono alimentate dalla fossa Flavia, che gli Etruschi per primi scavarono a partire dal Sagum, deviando trasversalmente l’impeto del fiume verso le paludi di Adria, che sono chiamate Sette Mari...Seguono poi le foci ancora piene d’acqua di Carbonaria, Fossiones e Philistina, che altri chiamano Tartarus: tutte si originano a seguito dello straripamento della fossa Philistina, provocato dall’ingressione delle acque dell’Atesis, provenienti dalle Alpi Tridentine, e di quelle del Togisonus, provenienti dal territorio dei Patavini. Parte di queste va a formare il vicino porto di Brundulum, così come due diramazioni del Meduacus e la fossa Clodia formano il porto di Aedro. Con queste acque il Po si mescola e, con esse, si disperde in mare...’).
Per quanto invece concerne il Togisonus, il fatto che Plinio lo indichi esplicitamente provenire dal territorio patavino potrebbe far pensare a una sua corrispondenza con il corso del medievale Vigenzone (oggi canale di CagnolaBovolenta) come suggerito a suo tempo da Gloria (1877b), o con il Bacchiglione, corso d’acqua che (stranamente) non compare nella descrizione pliniana. Tuttavia, sappiamo da altre fonti che, in epoca tardo imperiale, il Bacchiglione aveva un altro nome: Eliano (Nat. an., XIV, 8) nel III sec. d.C. lo chiama infatti Herétenos e afferma che, ‘dopo aver attraversato un vasto territorio, andava a gettarsi nell’Herìdanos’, ovvero nel Po;4 Venanzio Fortunato (Vita Sancti Martini, IV, 677), nel VI sec., lo ricorda invece come Reteno, citandolo in stretta relazione con Padova e il corso del Brinta; mentre l’Anonimo Ravennate, nel secolo successivo menziona il fiume come Retron quid Redenovo dicebatur, dove non è difficile intravedere il ricordo di un precedente Retenone o Reteno novo.5 Retrone è poi divenuto il nome che, pur con alcune varianti, i documenti medievali (fino al XIII sec.) assegnano al fiume che ancora oggi scorre per Vicenza e Padova. L’attuale idronimo (nella forma Bacallone) è, infatti, attestato per la prima volta a Vicenza soltanto nel 1074 e bisognerà aspettare fino al 1236 perché esso compaia anche nei documenti padovani (Bortolami, 2008b: p. 141): sarà comunque solamente a partire dal Trecento che diverrà il nome unico del fiume.
Da quanto possiamo dedurre da tale descrizione, sembrerebbe quindi che, almeno intorno alla metà del I sec. d.C., tre fossero i principali flumina che attraversavano il comprensorio patavino meridionale diretti a sfociare in Adriatico: l’Atesis ex Tridentinis montibus e il Togisonus ex Patavinorum agrum, che sfociavano assieme alla fossa Philistina presso il Portus Brundulum, e il Meduacus, per il quale si attestano l’esistenza di almeno due diramazioni (Meduaci duo) che andavano congiuntamente alla fossa Clodia a sfociare presso il Portus Aedro. Se per quanto riguarda l’Atesis (menzionato come Atesia nella Tabula Peutingeriana), l’idronimo stesso e la provenienza del corso d’acqua indicata da Plinio suggeriscono una sua (praticamente) sicura corrispondenza con il corso dell’attuale Adige, le cose si fanno tuttavia un po’ meno certe per il Meduacus e il Togisinus, in quanto tali idronimi non sembrano essersi attualmente conservati e, particolarmente per quest’’ultimo, quella pliniana è l’unica attestazione di cui disponiamo.
4 È possibile che quando Eliano parla di Po voglia intendere non tanto il corso principale del fiume quanto, più verosimilmente, l’intero sistema deltizio articolato su rami e canali. Sorprende, tuttavia, che non venga ricordato da Plinio nella sua descrizione del delta padano. 5 Questa precisazione, documentando la recenziorità del nome Retron, farebbe pensare che, in quell’epoca, il fiume avesse subito dei cambiamenti, forse legati a un mutamento d’alveo, che avevano portato a una modifica del precedente idronimo. Cfr. Peretti, 1994: p. 257.
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Il paesaggio trasformato 1.2. L’area termale euganea
e Altinum e che viene ricordato dalla Tabula Peutingeriana (III, 4-5), la quale riporta anche i principali insediamenti che si incontravano lungo il suo percorso: Fossis, Evrone, Mino Meduaco, Maio Meduaco e ad Portum. Alcuni studiosi riconoscono in questa direttrice viaria il possibile percorso paracostiero della via Popillia, strada consolare che, realizzata nel 132 a.C. da P. Popillius Laenas, doveva collegare i centri marittimi di Ariminum (Rimini) e Altinum.6
Spostandoci all’interno, una zona di una certa importanza del territorio è certamente l’area termale euganea, distretto variamente ricordato da Plinio il Vecchio come Patavini fontes (Nat. hist., XXXI, 61, 4-7) o Patavinorum aquae calidae (Nat. hist., II, 227, 5). Grazie infatti al potere curativo delle acque termali che qui sgorgavano naturalmente, la zona fu molto apprezzata e frequentata fin da epoche remote: in particolare, a partire dalla seconda metà dell’VIII sec. a.C., sulle sponde di un bacino naturale di acque solforose situato presso il Monte Castello a Montegrotto Terme sorse un importante luogo di culto che, pur con alterne vicende, fu oggetto di continua frequentazione fino almeno al IV sec. d.C. (Bassignano 2006).
Oltre a questa, un’altra importante direttrice corrispondeva alla via Annia, altra strada consolare che, realizzata probabilmente nel II sec. a.C. da un non meglio identificato T. Annius, collegava Patavium ad Aquileia verosimilmente passando per la mutatio ad XII ricordata nell’Itinerarium Burdigalense (559, 4). Incerta è la sua prosecuzione oltre Padova, in quanto gli studiosi tendono a dividersi tra chi identifica tale tracciato come parte dell’item ab Aquileia Bononiam menzionato nell’Itinerarium Antonini (281, 1-2), che da Patavium raggiungeva Ateste (Este) con un tracciato che affiancava i Colli Euganei e, forse, attraversava l’area termale dei Patavini fontes (Bonini, 2010); e chi ritiene che continuasse invece in direzione di Atria, attraversando l’attuale centro di Agna, toponimo per il quale sembrerebbe più che probabile una derivazione da un originario Annia (Frassine, 2010).
Oltre ad esaltarne ancor più la valenza sacrale e curativa, la presenza romana portò ad un vero e proprio sfruttamento economico della risorsa termale (Zanovello, 2011), con un proliferare di nuovi impianti che sfruttavano l’ubicazione e la portata delle sorgenti, particolarmente nelle zone degli attuali centri di Abano Terme e Montegrotto Terme. L’area termale euganea assunse così una certa rilevanza nel mondo romano, tanto da essere ricordata ed esaltata da vari autori, tra cui Marziale (Ep., 4, 25, 4) e, soprattutto, Avito (Anthol. Lat., 1, 36), che giunse a paragonare il centro termale addirittura alla famosa località di Baia.
Infine, la necessità di un regolamento delle acque potrebbe ben spiegare anche l’evidenza nella zona di un intervento di centuriazione, volto innanzitutto alla bonifica e al risanamento idraulico del territorio e, conseguentemente, a uno sfruttamento agricolo dei suoli. Le tracce di un tale intervento vennero intuite già sul finire del XIX secolo da Gloria e Pinton e furono successivamente prese in considerazione da Gasparotto e, in particolare, da Salvatori.7 Fu tuttavia la scoperta, negli anni ’70 del secolo scorso, di un cippo gromatico a San Pietro Viminario riportante l’indicazione di un incrocio centuriale e, qualche tempo dopo, l’identificazione di un secondo cippo a Maseralino, a confermare definitivamente e materialmente l’esistenza di una centuriazione nel comprensorio patavino meridionale (Lazzaro, 1972). Studi successivi (Banzato, 1976-77; Pesavento, 1984a; Bressan, 2001-02) hanno cercato di gettare maggiore luce sulla questione, senza tuttavia riuscire ad aggiungere molto alla problematica e dimostrando, invece, la difficoltà di lettura del territorio con sistemi e metodiche tradizionali.
I Patavini fontes erano comunque particolarmente conosciuti anche e soprattutto per essere la sede dell’oracolo di Gerione che, secondo quanto riporta Svetonio (Tib., 14, 3), venne consultato da Tiberio nel 12 a.C., ovvero al momento di partire per una spedizione nell’Illirico. L’oracolo si trovava presso il fons Aponi, una sorgente termale dedicata al dio Aponus: questa divinità, di probabile origine venetica e il cui nome, derivante dalla radice indoeuropea *Ap, tradirebbe il suo carattere propriamente acquatico (Pellegrini e Prosdocimi, 1967, I: pp. 299-230), in epoca imperiale venne probabilmente assimilato ad Apollo, divenendo il nume tutelare dell’area termale. Ad esso si richiama la maggior parte degli autori antichi: basti pensare all’Aponus fumifer di Lucano (Phars., 7, 193) ed Ennodio (Ep., 5, 8), alle calidis quas Aponus undis exhalat di Mario Vittore (Alethia, 3, 736737) o all’Aponi...tellus di Marziale (Ep., 1, 61, 3), che finì col divenire sinonimo stesso dell’intero comprensorio patavino. È possibile che questo fons di Apono, con ogni probabilità corrispondente al fons sacer di Ennodio (Ep., 5, 8), al caeruleus fons nominato da Cassiodoro (Var., 2, 39) e al caeruleus lacus ricordato da Claudiano (Carm. min., 26, 27-29), si trovasse nei pressi di Abano, toponimo che sembrerebbe poter suggestivamente derivare proprio da un originario Aponus (Busato, 1881).
2. L’impostazione della ricerca A ben vedere, quindi, l’intera pianura a sud di Padova offre degli spunti molto interessanti per poter affrontare uno studio territoriale che vada ad indagarne le dinamiche di occupazione in epoca romana, analizzando in particolare il complesso rapporto instauratosi tra ambiente naturale, scelte insediative e infrastrutture territoriali. In pratica, l’obiettivo primario del presente lavoro di ricerca è rivolto a identificare le condizioni ambientali che in tale
1.3. La pianura L’intera pianura era inoltre attraversata da una serie di importanti direttrici viarie, alcune delle quali ricordate dalle antiche fonti itinerarie. Di un certo rilievo era il tracciato che doveva affiancare l’idrovia padana collegando Ravenna
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Cfr. Lachin e Rosada, 2011: pp. 61-63. Cfr. cap 6.1.
Introduzione Il tutto è stato attuato sfruttando le ampie possibilità oggi offerte dai ‘Sistemi di Informazione Geografica (GIS)’. Questi, che negli ultimi anni sono stati ampiamente incorporati negli studi archeologici sul paesaggio, hanno anche fornito una struttura in cui tutte le informazioni geograficamente referenziate necessarie a condurre la ricerca archeomorfologica hanno potuto essere incluse e analizzate in un ambiente multilivello e multiscala, permettendo inoltre una facile ed effettiva gestione dei dati, un eccellente output grafico e, soprattutto, un’alta accuratezza spaziale.
epoca favorirono e condizionarono l’occupazione umana, cercando contemporaneamente anche di giungere ad una migliore definizione e comprensione delle forme che questa stessa occupazione assunse e del reale impatto che essa ebbe sul paesaggio naturale. Nello specifico, l’area individuata a tal fine si estende tra gli attuali corsi del fiume Bacchiglione e del Naviglio Brenta a nord e di quello dell’Adige a sud, il versante orientale dei Colli Euganei a ovest e il bacino meridionale della Laguna di Venezia a est. L’indagine ha preso avvio dai principi teorici e metodologici espressi dall’Archeologia del Paesaggio (o Landscape Archaeology con termine anglosassone), disciplina che si occupa di studiare il territorio e la sua evoluzione in tutti i suoi aspetti,8 sviluppandosi poi attraverso un approccio di tipo archeomorfologico:9 questo considera l’analisi delle diverse morfologie di origine antropica che contribuiscono a definire l’aspetto attuale del paesaggio (come strade, morfologie agrarie, sistemi di campo), permettendo di attestare l’esistenza di cambi avvenuti nella sua strutturazione. In particolare, nel nostro caso l’analisi archeomorfologica ha prevalentemente interessato la rete viaria di epoca moderna, all’interno della quale si sono potuti riconoscere (attraverso uno studio foto- e cartointerpretativo e l’analisi integrata di dati geomorfologici, archeologici e storici) alcuni itinerari di probabile origine antica, permettendo di avanzare un’ipotesi di ricostruzione della rete viaria presente nel territorio in epoca romana.
In questo modo si sono potute definire le principali fasi di strutturazione del territorio e, soprattutto, analizzare da una nuova prospettiva l’impatto che la presenza romana ebbe sulla pianura a meridione di Padova. L’applicazione di una tale strategia di studio ha anche suggerito nuove ipotesi per la ricostruzione dell’antico assetto idrografico e permesso di contestualizzare e di meglio definire il popolamento di epoca romana, che è stato analizzato a partire dalla sua diretta relazione con l’ambiente naturale e con le infrastrutture territoriali individuate. Infine, a livello cronologico, pur gettando inevitabilmente lo sguardo a ciò che avviene prima e a quel che accade dopo, in una prospettiva cioè diacronica, lo studio si è concentrato ad indagare il periodo compreso tra il II sec. a.C. e il VI sec. d.C., ovvero a partire dal momento in cui il territorio insediato dai Veneti entra definitivamente nell’orbita politica di Roma e fino a quando la guerra greco-gotica prima (535-553) e la calata dei Longobardi poi (568), porranno fine ad ogni velleità di dominio da parte dell’Impero Romano d’Oriente.
Si vedano, in particolare, i lavori di: Roberts, 1987; Orejas, 1991; Cambi e Terrenato, 1994; Cambi, 2003; David e Thomas, 2008; Cambi, 2011; Farinetti, 2012; e ulteriore bibliografia ivi citata. 9 Cfr. cap 1.2. 8
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Capitolo 1 Metodologia d’indagine Abstract: The investigation starts from the precepts of Landscape Archaeology and proceeds by way of an archaeomorphological approach which focuses on the reconstruction, definition and archaeological reading of the varuous traces that constitute the historical morphology of a territory and depend as much on natural as on human activity. This type of analysis permits us, via the combination of environmental, archaeological and historical data, to establish chronological sequences based upon a ‘stratigraphic’ reading of the traces recovered, enabling us to define the historical origins of the traces themselves and to identify the changes that occurred in the landscape. The archaeomorphological analysis has been conducted using aerial photographs dating from 1954–5 (which have the considerable advantage of showing the territory as it was prior to the upheavals brought about by the agricultural changes and urban expansion that took place from the 1960s onwards), and also by reference to historical maps (in particular, those published between the 16th and the mid-19th centuries). In order that it might be exploited fully, this material has been digitally acquired and, when possible, georeferenced. The study has also made use of the numerous opportunities offered by GIS systems, that made it possible to manage a wide set of georeferenced data (i.e. geographical, geomorphological, geological and archaeological). The use of a DTM with 5 m cells, made available by the Cartographic Office of the Veneto Region, has been invaluable: definition of this sort, in which the micro relief (e.g. alluvial ridges and depressions) and other characteristics which influence the morphology of the territory are particularly highlighted, has been especially useful when carrying out the topographic analysis. 1.1. Fondamenti teorici della ricerca
Questo concetto di ‘paesaggio culturale’, tuttavia, non sembra molto lontano da un’idea di ‘territorio’ quale prodotto delle società umane che lo hanno occupato nel corso del tempo: in questo senso, si potrebbe a buon diritto considerare il territorio come la concretizzazione del processo di antropizzazione vissuto dal paesaggio, ovvero la manifestazione più evidente dell’azione umana su di esso. In tal modo, il concetto di territorio passerebbe da un’idea di ‘spazio amministrativamente delimitato e giuridicamente legato alla comunità che lo occupa’ (OrejasRuiz del Árbol-López, 2002: p. 297), ad un più complesso significato di ‘spazio umanizzato’ o ‘culturizzato’, cioè riflesso ed espressione della società (o cultura) che lo occupa o che lo ha occupato in un momento storico ben preciso, determinandone la sua configurazione (Anshuetz-WilshusenSchieck, 2001: p. 4; Palet, 2005b: p. 53). Ecco, quindi, che se con ‘paesaggio’ intendiamo l’intero contenitore di elementi naturali e antropici, con ‘territorio’ facciamo principalmente riferimento all’aspetto culturale del paesaggio.
1.1.1. Sul significato di ‘paesaggio’ e di ‘territorio’ Idea fondamentale su cui si basa il presente studio è senz’altro la differenza tra i concetti di ‘paesaggio’ e di ‘territorio’, due termini piuttosto complessi e controversi, troppe volte confusi tra loro e che non trovano spesso un’univoca definizione da parte degli studiosi. Per quanto riguarda nello specifico questo lavoro, si concorda qui con quanto teorizzato in seno all’Archeologia del Paesaggio (o Landscape Archaeology), ritenendo corretto definire il paesaggio come il risultato di un’interazione profonda tra la natura e l’uomo che, protraendosi nel corso di migliaia di anni, conferisce ‘carattere e varietà al territorio, dando forma a un ambiente vissuto e percepito’ (Farinetti, 2012: p. 9). Ovvero, ad un concetto di paesaggio generalmente inteso, in senso naturalistico, come ‘spazio in cui trova manifestazione unicamente l’elemento fisico’, dobbiamo affiancare anche l’elemento antropico: così che parlare di paesaggio significa riferirsi ad un ambiente naturale che è stato plasmato nel corso del tempo dall’azione dell’uomo, finendo per assumere una connotazione fortemente culturale (Cosgrove, 1985: p. 13; Ariño et al., 1994: p. 190). È quindi proprio questo aspetto culturale che rende il paesaggio un manufatto dell’uomo, prodotto e riflesso delle società che lo hanno modellato, trasformandolo di fatto in elemento archeologico e oggetto di studio da parte dell’Archeologia del Paesaggio (Leveau, 2000; Orejas-Ruiz del Árbol-López, 2002: p. 288; Palet, 2005a: p. 329).
D’altra parte, sia l’azione naturale sia quella umana si esercitano sul paesaggio nel tempo, attuando interventi differenti che variano a seconda delle epoche storiche: queste azioni vengono di volta in volta a sommarsi tra loro, dando vita ad un processo senza interruzione che, in passato, ha condotto il paesaggio alla sua configurazione attuale, mentre, oggi, porterà alla sua definizione futura. In questo senso, il paesaggio deve essere inteso come un’entità dinamica, mai uguale a sé stessa, perché sempre viva nel tempo e in continua trasformazione. E di qui anche la necessità di indagarlo diacronicamente.
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Il paesaggio trasformato L’Archeologia del Paesaggio, pertanto, si occupa di indagare il paesaggio costruito dall’uomo, ossia il territorio, nel suo rapporto con l’ambiente naturale, leggendolo e interpretandolo proprio in quanto prodotto di tale attività e analizzandolo alla luce della sua dinamicità, cioè in prospettiva diacronica. Per questo accorda particolare rilevanza alle modifiche dei contesti territoriali e alle trasformazioni avvenute nei diversi periodi storici fino ad oggi.
attuale, stabilendo delle sequenze cronologiche relative tra di esse e, quindi, cercando di collegare tali sequenze alle dinamiche storiche che hanno caratterizzato l’area oggetto di studio per ricostruire le fasi evolutive della strutturazione del territorio. Bisogna tuttavia avere ben presenti anche i limiti insiti nella disciplina e derivati soprattutto dalla parzialità dell’informazione che ci arriva a livello morfologico, inerente alla trasformazione stessa del paesaggio, così come la reale difficoltà di stabilire una sequenza cronologica. Gli studi archeomorfologici non permettono infatti, di per sé stessi, di datare con precisione le morfologie individuate, ma apportano più che altro criteri di datazione relativa, dato che una datazione assoluta può avvenire soltanto attraverso un controllo delle strutture sul terreno e la loro verifica a partire da uno scavo diagnostico. Trattandosi molto spesso di elementi riutilizzati nel corso del tempo, nemmeno con uno scavo stratigrafico la questione comunque si semplifica, dovendosi spesso accontentare di segnalare delle anomalie.
1.1.2. L’archeomorfologia e la lettura stratigrafica del paesaggio Lo studio territoriale si realizza su di un paesaggio che, nella maggior parte dei casi, è formato da un insieme di elementi morfologici differenti per origine (naturale o antropica) e cronologia. La ricerca dovrebbe quindi concentrarsi ad analizzare l’origine di ciascuno di tali elementi e le loro interrelazioni, al fine di definire la dinamica evolutiva del paesaggio, la sua strutturazione e la successiva trasformazione antropica e, da questa prospettiva diacronica, comprendere le successive fasi che hanno condotto alla situazione attuale.
In questo senso risulta importante lo studio della documentazione storica (scritta e cartografica) e, in particolare, il suo studio regressivo, il quale in ultima istanza è quello che apporta elementi di datazione assoluta alle sequenze cronologiche individuate e può confermare o anche screditare le ipotesi avanzate dall’analisi archeomorfologica, offrendo la possibilità di interpretare la storia morfologica del territorio.
Per poter definire le distinte fasi che costituiscono la storia di un territorio, l’Archeologia del Paesaggio ha da qualche decennio incorporato una particolare disciplina con il preciso compito di studiare le dinamiche di cambio del paesaggio attraverso l’analisi delle varie forme che questo è andato assumendo nel corso del tempo: l’archeomorfologia. Tale disciplina considera l’individuazione, la definizione e la lettura archeologica dei diversi elementi strutturali che formano la morfologia storica di un territorio, nella misura in cui questi possono essere considerati l’impronta dell’attività umana sul paesaggio e, pertanto, strutture archeologiche essi stessi (Palet, 1997: p. 28).
1.2. L’indagine archeomorfologica 1.2.1. Lo studio delle reti viarie Tra gli obiettivi della ricerca archeomorfologica risalta come fattore primario lo studio delle reti viarie, senz’altro tra le morfologie del paesaggio che maggiormente incidono nella sua strutturazione (Matteazzi, 2016). Le varie parti di cui le reti viarie si compongono, ossia le strade, sono infatti elementi piuttosto ‘stabili’ del territorio, tanto da costituirne spesso delle vere e proprie strutture ‘portanti’, non di rado utilizzate come punti di partenza per la realizzazione di determinate morfologie territoriali. Appare in questo senso piuttosto evidente come un orientamento dominante nel paesaggio abbia generalmente la tendenza a propagarsi a partire da un asse viario preesistente, diffondendosi ben al di là di quanto lo fosse al momento della sua creazione: è il caso, ad esempio, di molti sistemi particellari ortogonali di epoca medievale o moderna, spesso impostati intorno ad una via più antica che ne condiziona l’orientamento degli assi.
Da un punto di vista archeomorfologico, il paesaggio appare infatti costituito da una serie di morfologie di origine antropica (quali strade, canalizzazioni, morfologie agrarie, sistemi di particellare...), che sono stati creati in epoche diverse e da differenti comunità: ognuna di tali morfologie ha nel tempo sofferto sovrapposizioni, modificazioni e anche cancellazioni ad opera degli elementi successivi, conservandosi in forma di traccia all’interno degli interventi posteriori fino ad arrivare ai nostri giorni. Per tale ragione possiamo considerare il paesaggio attuale come un palinsesto formato da una successione di livelli di tracce appartenenti a epoche diverse, ciascuna indice di un cambio avvenuto nella strutturazione del territorio in un momento ben preciso; non diversamente da un deposito archeologico, ovvero un palinsesto formato dalla successione di differenti unità stratigrafiche, ciascuna indice di un’attività antropica avvenuta in un momento storico ben preciso. Come un deposito archeologico, allora, anche il paesaggio può essere indagato ‘stratigraficamente’, individuando le varie tracce che ne definiscono l’aspetto
Le strade sono quindi delle strutture lineari che esercitano un’influenza persistente nella morfologia storica del territorio, favorendo la continuità e la mobilità delle forme. Allo stesso tempo sono però anche il riflesso, nello spazio, di dinamiche storiche concrete: ovvero, ciascun tracciato è funzione ed espressione della particolarità del momento storico in cui è stato creato. Le strade cambiano 8
Metodologia d’indagine infatti nel corso del tempo, con il mutare del tessuto politico, economico e ambientale e con esse cambiano le reti viarie entro cui sono inserite. Per tale motivo le reti viarie possono essere considerate una struttura dinamica in continua evoluzione, in cui i relitti delle fasi più antiche rimangono quasi fossilizzati all’interno degli interventi più recenti (Palet, 1997: pp. 8-29).
‘tratti’ o ‘segmenti’) di origine molto differente e che, in un momento dato, possono funzionare all’interno di uno o anche più itinerari. A questi possiamo poi aggiungere un ulteriore livello, ovvero il ‘modello’, corrispondente alla forma stessa assunta dal tracciato viario al momento della sua costruzione (Matteazzi, 2016: p. 3; Fig. 1.1). Grazie a questa differenziazione di livelli è possibile procedere a un’analisi sistematica delle reti viarie e proporre delle interpretazioni cronologiche. Infatti, attraverso il differente numero di tracciati individuabili per ogni singolo itinerario e di modelli riscontrabili all’interno di uno stesso tracciato possiamo farci un’idea del grado di antichità e di evoluzione di una rete viaria. Analizzando poi le relazioni tra itinerari e tracciati e considerandone le sovrapposizioni, le captazioni e gli spostamenti cui sono andati soggetti nel tempo, possiamo arrivare a stabilire delle sequenze cronologiche relative indicative dei cambiamenti subiti dalla rete viaria, cui possiamo in un secondo momento cercare di assegnare una datazione assoluta con l’aiuto dei dati storici (fonti cartografiche e scritte) e archeologici.
Ragionando in questo senso e considerando l’analisi delle vie di comunicazione fondamentale per un’archeologia proiettata ad indagare le dinamiche del territorio, il ricercatore svizzero E. Vion, alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, elaborò un nuovo approccio metodologico allo studio delle reti viarie (Vion, 1989). Tale approccio considera come punto di partenza la rete viaria contemporanea, che deve essere analizzata (essenzialmente attraverso fonti cartografiche, storiche e archeologiche) secondo un metodo regressivo, cercando di stabilire delle sequenze cronologiche relative che possano aiutare a meglio comprendere le successive trasformazioni che hanno portato alla situazione attuale. L’analisi deve innanzitutto arrivare a definire l’intera struttura, la rete viaria, per poi analizzare ognuna delle sue parti, ovvero gli ‘itinerari’ che la formano, i vari ‘tracciati’ che li costituiscono e i differenti ‘tratti’ che compongono questi ultimi (Vion, 1989; Fig. 1.1).
1.2.2. Il metodo Il primo passo per affrontare l’analisi archeomorfologica della rete viaria di un particolare territorio è quindi l’individuazione, attraverso una verifica prettamente topografica, di quelli che Vion definisce ‘corridoi naturali di circolazione potenziale’, ossia vie naturali di comunicazione (terrestri e fluviali) che possono aver inciso nella prima configurazione della rete viaria stessa (Vion, 1989: p. 74). Questo perché la rete viaria, come il paesaggio, è frutto di una dualità tra l’azione antropica e l’ambiente fisico: in essa risultano senz’altro fondamentali i fattori sociali, storici e culturali che obbediscono a
Con ‘itinerari’ si intendono, quindi, direttrici o vie di comunicazione di prim’ordine, di tipo regionale o extraregionale, che vengono a collegare due poli importanti (per lo più, ma non solo, centri abitati). I ‘tracciati’ corrispondono invece alla materializzazione dei vari itinerari sul terreno, ossia ai vari percorsi che questi hanno seguito nel corso del tempo: in genere, ogni tracciato è composto da diversi elementi lineari (definibili come
Figura 1.1. I differenti livelli di cui si compone una rete viaria (modificato da Robert, 2003).
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Il paesaggio trasformato motivi di funzionalità (che variano di epoca in epoca) e di adeguamento (a seconda della localizzazione dei luoghi abitati e/o dei nuclei urbani nel momento in cui un tracciato viene realizzato), ma sono le caratteristiche fisiche del territorio attraversato a determinarne e condizionarne profondamente la struttura. Riconoscere quindi tali ‘corridoi naturali’ permette di comprendere in che modo la rete viaria si è inserita all’interno dell’ambiente naturale e in quale misura altri fattori siano successivamente intervenuti nella sua definizione ed evoluzione.
moderni, rilevando tutti quegli elementi lineari (conservati o fossili che siano) che presentano un allineamento degno di nota e che potrebbero quindi corrispondere ad un antico tracciato viario, oppure delle successioni di segmenti che si articolano in un tracciato coerente, privilegiando la direzione imposta dai grandi itinerari. Infine, l’ultimo passo sarà la definizione di sequenze cronologiche derivate dalla lettura ‘stratigrafica’ degli elementi individuati, utili per stabilire le dinamiche di cambio (e quindi l’evoluzione storica) della rete viaria (Fig. 1.2). Gli elementi documentati saranno tutti sincronici, per cui il tentativo di stabilire delle sequenze cronologiche relative servirà per tentare di determinare l’origine storica delle tracce attuali. L’esistenza di anomalie, di captazioni, di sovrapposizioni, di spostamenti e di rotture tra gli itinerari e i tracciati riconosciuti, permetterà infatti di stabilire delle cronologie relative, indicatrici delle successive trasformazioni della rete viaria. Quest’approssimazione ‘stratigrafica’viene solitamente condotta a partire dai diversi materiali utilizzati in fase di analisi (fondamentalmente fonti cartografiche e aerofotografiche) e grazie ad un particolare survey ‘archeomorfologico’ progettato ad hoc, che consenta di documentare direttamente sul terreno le relazioni tra itinerari e tracciati. Appoggiandosi poi alla documentazione archeologica e alle fonti scritte, si cerca di apportare elementi di datazione assoluta alle sequenze
In questo senso, serve una restituzione precisa e sistematica di tutti i singoli elementi costituenti la rete viaria per poter successivamente definire le forme e analizzarle archeomorfologicamente, identificando i vari itinerari che ne compongono la struttura generale e i diversi tracciati che costituiscono questi ultimi. L’obiettivo primario dovrà quindi essere quello di documentare le strutture che formano il complesso viario del territorio nel modo più dettagliato possibile, prestando attenzione alle diramazioni che presentano gli itinerari, ai loro spostamenti, alle fluttuazioni dei vari tracciati e alle connessioni con altri itinerari, in quanto l’esistenza stessa di ogni anomalia deve considerarsi il riflesso di interventi operati nel territorio in momenti storici concreti. Nello specifico, questo tipo di studio si effettua su cartografie e fotografie aeree (sia storiche, sia contemporanee) e su catasti antichi e
Figura 1.2. Diagramma multilivello con rappresentazione della sequenza cronologica relativa dedotta dall’analisi archeomorfologica.
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Metodologia d’indagine cronologiche individuate, nel tentativo di confermare o meno le ipotesi avanzate.
la realizzazione di una prima restituzione grafica dei diversi elementi morfologici (rete viaria, particellare, rete idrografica...) che formano il paesaggio attuale. Per questo, un prodotto fotografico particolarmente adatto a tale scopo sono le ortofoto le quali, a differenza delle fotografie aeree verticali, offrono un supporto cartografico che garantisce il calcolo di misure e orientamenti, mantenendo un livello di informazione del tutto simile a quello ottenuto dalle normali aerofotografie.
1.3. Tecniche e materiali di lavoro Per quanto riguarda lo studio archeomorfologico della rete viaria della pianura a sud di Padova, questo è stato condotto fondamentalmente attraverso l’analisi di fotografie aeree e fonti cartografiche, sia storiche sia moderne, grazie al quale si è potuto procedere alla sistematica restituzione grafica, in ambiente GIS, di tutte le tracce, fissando il complesso della rete (ossia la struttura generale) per poi condurre a termine la lettura delle forme e analizzarne archeomorfologicamente le varie parti componenti: gli itinerari e i tracciati.
Nel nostro caso, particolare interesse hanno rivestito soprattutto le fotografie aeree anteriori alle profonde trasformazioni operate dalla forte espansione urbana iniziata a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, in quanto immortalano ampi settori ora completamente urbanizzati conservando molti elementi del paesaggio storico oggi purtroppo scomparsi. Di grande aiuto è risultato in particolare il volo del Gruppo Aereo Italiano, realizzato negli anni 1954-55 a una scala approssimativamente di 1:33.000: la qualità eccellente dell’immagine e la sua storicità, lo hanno infatti ben presto convertito nel documento fotografico più adeguato e utilizzato nella nostra indagine (Fig. 1.3), facilitando il lavoro di individuazione
1.3.1. La fotointerpretazione Come noto, la fotografia aerea risulta molto utile nello sviluppo di un’indagine territoriale perché, rappresentando oggettivamente la realtà, permette di cogliere la topografia e la morfologia dei luoghi senza il filtro soggettivo che comporta, invece, una rappresentazione cartografica. Nello specifico di uno studio archeomorfologico, rende possibile
Figura 1.3. Fotointerpretazione e rappresentazione cartografica dei fotogrammi del volo GAI 1954-55, ortorettificati e georeferenziati: in linea continua i tracciati viari di probabile origine romana; in linea spezzata a tratti larghi i tracciati viari di origine medievale; in linea spezzata a tratti più fitti i tracciati viari realizzati in epoca moderna.
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Il paesaggio trasformato di quegli elementi morfologici caratterizzanti il paesaggio (tracce viarie, infrastrutture riferibili a particellari, limiti di campi, ecc.), la cui analisi ha permesso di effettuare un primo tentativo di definizione dei diversi itinerari che formano la rete viaria, arrivando anche a stabilire delle sequenze cronologico-stratigrafiche.
di Venezia’ (Bondesan e Meneghel, 2004) e, soprattutto, durante lo svolgimento del progetto interregionale dedicato alla ‘via Annia’ (Mozzi-Ninfo-Piovan, 2010) – avevano potuto analizzare il materiale aerofotografico e satellitare relativo al territorio compreso tra Brenta e Adige, individuando e cartografando numerose tracce riferibili a elementi naturali e antropici che, in epoche successive, sono venuti a modificare il paesaggio.
Questo lavoro di fotointerpretazione è servito, in modo particolare, per completare e confrontare l’informazione ottenuta dallo studio della cartografia, soprattutto agevolando la restituzione e il corretto posizionamento di morfologie individuate nella cartografia storica. È tuttavia stato utilizzato anche per l’individuazione, sul terreno, di anomalie e tracce ben definite (soil marks, crop marks) che potessero essere riconducibili alla presenza di strutture antropiche sepolte, quali strade, insediamenti o infrastrutture agrarie (Fig. 1.4).
Pur nella possibilità di usufruire dell’esito finale di questi studi, la necessità di avere una conoscenza diretta delle varie tracce individuate e poter così tentare una loro datazione, si è preferito effettuare comunque un controllo delle foto aeree disponibili. Questo anche in considerazione del fatto che non sempre la visione del geomorfologo e quella dell’archeologo arrivano a coincidere: se il geomorfologo, infatti, ricerca e individua per lo più tracce ben definite, che gli permettano di ricostruire soprattutto l’evoluzione dell’ambiente naturale (come la presenza di un paleoalveo, di un microrilievo o di lineazioni riferibili a strutture antropiche), all’archeologo interessa anche verificare la presenza di anomalie, ovvero tracce non definibili topograficamente, ma che, differenziandosi in maniera netta e decisa dall’ambiente naturale che le circonda,
A questo proposito, all’inizio della nostra ricerca, il territorio a sud di Padova era stato già variamente fatto oggetto di un’indagine fotointerpretativa da parte dei geomorfologi del dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Padova, i quali in almeno due occasioni – per la realizzazione della ‘Carta Geomorfologica della provincia
Figura 1.4. Fotointerpretazione archeologica, a partire da un fotogramma del Volo REVEN 1983, di un settore a sud est dell’attuale centro di Agna in cui sono evidenti alcune lineazioni sepolte di origine antropica.
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Metodologia d’indagine prime fra tutta la viabilità – segnalando, ad es., quali erano i percorsi più importanti o più facilmente percorribili al momento della stesura della carta.
potrebbero indicare, ad un controllo più attento e ad un esame in loco, la presenza di strutture sepolte.10 Si è quindi operato un primo controllo delle immagini satellitari messe a disposizione in internet da applicazioni quali Google-Earth, Flash-Earth e Tuttocittà: grazie a questo sistema si è potuta riconoscere una serie abbastanza cospicua di tracce e di anomalie, che solo in parte erano state prese in considerazione dagli studi precedenti. Tutti gli elementi individuati sono stati digitalizzati e portati in ambiente GIS, producendo un geodatabase con le tracce delle strutture antropiche e della paleoidrografia. Per verificare poi se le anomalie riscontrate potessero essere effettivamente avvicinate a tracce di strutture antiche e fossero visibili anche nelle foto aeree verticali, si è proceduto a consultare tutto il materiale aerofotografico disponibile on-line sul geoportale della Regione Veneto, ovvero tutte le serie che vanno dal 1975 al 2008, oltre a gran parte dei voli più antichi disponibili in formato cartaceo presso l’Ufficio Cartografico della Regione Veneto di Mestre (Venezia). Anche a questo scopo, molto utili sono risultati i fotogrammi della serie GAI (1954-55): questi, infatti, non solo hanno permesso l’individuazione di un gran numero di anomalie e di tracce ma, avendo immortalato il territorio in esame prima delle grandi trasformazioni urbanistico-paesaggistiche che a partire dagli anni ‘60 lo hanno profondamente sconvolto, si sono rivelate decisive sotto il profilo fotointerpretativo perché prive di quegli elementi di disturbo che vengono ad incidere sulla lettura delle tracce in molte foto più recenti.
Anche nel nostro caso, la cartografia ha fornito informazioni preziose e imprescindibili per comprendere il territorio, risultando la sua analisi indissociabile dai lavori di fotointerpretazione: in pratica, se con la fotografia aerea si è effettuata la lettura delle forme e si sono restituiti con precisione gli elementi strutturali del paesaggio, grazie alla cartografia queste stesse morfologie hanno potuto essere identificate e contestualizzate storicamente. In questo senso, l’analisi cartografica si è dimostrata il nucleo centrale della ricerca e la base fondamentale dello studio archeomorfologico, divenendo anche il principale supporto su cui si è realizzata la restituzione grafica finale delle informazioni ottenute dai differenti documenti analizzati. Un ruolo privilegiato ai fini della ricostruzione del paesaggio antico lo ha in particolare rivestito la cartografia storica: questo grazie non solo alla ricchezza del contenuto informativo, ma anche al fatto che gli elementi in essa contenuti sono risultati posizionati, in maniera più o meno accurata, e relazionati in una rappresentazione fisica dello spazio. Ciò l’ha resa uno strumento fondamentale nell’analisi archeomorfologica, in quanto ha consentito di ottenere dei primi criteri di datazione degli elementi restituiti e delle sequenze cronologiche proposte. Oltre infatti a contenere molto spesso espliciti riferimenti a ‘vestigia’ o ‘ruderi’ di elementi archeologici ormai scomparsi, ha in particolare fornito importanti indicazioni riguardo agli antichi assetti territoriali. Il paesaggio emerso dalla lettura delle carte e dei catasti sette-ottocenteschi, infatti, presentava ancora evidenti i segni ereditati da un passato più remoto, segni che sono andati progressivamente scomparendo nel tempo. È per questo che il recupero delle informazioni contenute nella cartografia storica, attraverso l’integrazione e la verifica con altre fonti (archeologiche, documentarie, da fotografia aerea ecc.), ha consentito di meglio comprendere il paesaggio antico, permettendo di avanzare una proposta di ricostruzione della viabilità e dell’organizzazione territoriale di età romana.
A seguito di tale lavoro fotointerpretativo, si sono quindi potute documentare molte delle anomalie visibili dalle immagini satellitari (in certi casi anche con una buona definizione), in modo tale da poter essere sicuramente interpretate come evidenze di interventi antropici (per lo più tracce di probabili bonifiche o divisioni agrarie) o naturali (paleoalvei). Per molte altre tracce individuate in studi precedenti non si è invece trovata conferma della loro presenza mentre, al contrario, se ne sono rilevate altre, anche ben definite, che non sembrano essere state riconosciute in precedenza. 1.3.2. La cartointerpretazione
1.3.2.1. La cartografia utilizzata
A differenza della fotografia aerea, la cartografia è una rappresentazione parzialmente soggettiva della realtà, ovvero una ‘riproduzione simbolica della geografia di un territorio’ (Palet, 1997: p. 34): ciò vuol dire che non tutti gli elementi morfologici di un paesaggio sono riprodotti, ma soltanto quelli ritenuti di particolare importanza dal cartografo (Antico Gallina, 1994). Nonostante questo, l’utilità della cartografia nell’indagine archeomorfologica risiede nella sua capacità di fornire delle precise informazioni sulla topografia e sulle strutture antropiche –
Riguardo alle carte storiche consultate nel presente lavoro di ricerca, ai fini dell’analisi archeomorfologica di particolare utilità sono risultate le seguenti: Gran Carta del Padovano (Fig. 1.5) Il titolo completo è Gran carta del Padovano della Reale Società delle Scienze e delle Lettere di Gottinga, dell’Accademia Elettorale di Baviera, di quelle di Altore, di Padova. Attorno al 1778, Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, astronomo e cartografo padovano, aveva avviato la realizzazione di una grande carta del territorio padovano in scala 1:20.000 che doveva comporsi di 12 fogli, dei quali
Per fare un esempio, la presenza di materiale in dispersione sulla superficie dei campi da poco arati può essere percepibile dalla foto aerea come una macchia indistinta che si differenzia fortemente, solitamente per il colore più chiaro, dal terreno circostante.
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Il paesaggio trasformato quattro soltanto apparvero stampati (l’ultimo nel 1785). Questa carta, poggiata su regolare triangolazione, è una delle prime produzioni della cartografia italiana moderna.
fogli manoscritti delle ‘descrizioni militari’, dalle quali si ricavano numerose notizie sullo stile di vita, l’economia, le condizioni della popolazione dei territori rilevati nei primissimi anni del XIX secolo. La funzione militare della carta permette inoltre di conoscere nel dettaglio la geografia e l’idrografia dei territori nel momento storico di passaggio dallo Stato veneziano al dominio asburgico, diventando un documento fondamentale per la conoscenza del territorio prima delle grandi trasformazioni da esso subito tra XIX e XX secolo.
Topographisch-geometrische Kriegskarte von dem herzogthum Venedig / Carta Militare Topograficogeometrica del Ducato di Venezia (Fig. 1.6) Dopo la firma del trattato di Campoformio (1797), i domini veneziani passarono all’Impero asburgico e lo stato maggiore dell’esercito decise di affidare al generale Anton von Zach la direzione dei lavori per la realizzazione di una carta topografica su vasta scala a scopi militari (Rossi, 2007). I rilievi vennero svolti tra il 1798 e il 1805 attraverso la definizione di punti geodetici strutturati in triangoli principali che permettono il rilievo geometrico, il cui perno è costituito dall’osservatorio di Padova. Il documento consiste in 120 tavolette in scala 1:28.800, nelle quali sono rappresentati gli elementi fisici e la toponomastica dei territori veneto e friulano dalla sinistra del fiume Adige ai confini friulani con l’Impero. Alla carta sono allegati 992
Carta Topografica del Regno Lombardo-Veneto (Fig. 1.7) Questa Carta venne edita nel 1833 e realizzata in 42 fogli alla scala di 1:86.400. Venne pubblicata dall’Istituto Geografico Militare Austriaco in Milano sulla base, per la parte geodetica, dei lavori in precedenza eseguiti dal Deposito della Guerra di Milano (Regno Italico, Periodo Francese) e da quelli dell’Istituto Austriaco stesso e, per la parte topografica, sul ricco materiale raccolto dal Deposito e sulle mappe catastali ridotte alla scala 1:28.000. La
Figura 1.5. Particolare della Gran Carta del Padovano di G.A. Rizzi Zannoni (1778-1785), conservata presso l’Archivio Storico di Padova, georeferenziata secondo il sistema di coordinate geografiche UTM/WGS84 fuso 32N.
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Metodologia d’indagine
Figura 1.6. Particolare della Kriegskarte di A. Von Zach (1798-1805) edita da M. Rossi (2007), georeferenziata secondo il sistema di coordinate geografiche UTM/WGS84 fuso 32N.
del suolo e delle manifestazioni più recenti dei processi di urbanizzazione e di industrializzazione delle campagne. In particolare, le informazioni maggiormente utili si trovano sulle tavolette 1:25.000 e si riferiscono a: informazioni altimetriche sotto forma di curve di livello che consentono il riconoscimento della topografia delle superfici studiate; la variazione dei sistemi fluviali a seguito di bonifiche, cattura e diversione dei corsi d’acqua; l’identificazione della rete stradale primaria e secondaria; la localizzazione di attività industriali, agricole ed estrattive; i sistemi ‘tecnologici’, vale a dire le infrastrutture di tipo acquedotto o gasdotto; la raccolta di toponimi e microtoponimi oggi scomparsi o comunque molto spesso non indicati nella cartografia moderna.
proiezione adottata è quella di Cassini, con centro di sviluppo sulla guglia del Duomo di Milano. Gli abitati sono distinti in base alla loro importanza amministrativa con indicazione dei luoghi fortificati. Le strade sono distinte in cinque classi, le ferrovie in tre. Sono indicati i canali navigabili e d’irrigazione. La carta mostra inoltre colture, brughiere, pascoli, prati, alpi, stazioni di posta, fiere e mercati, passaggi e ponti sui fiumi, costruzioni e case isolate, miniere, fabbriche, cave, ecc., oltre a confini politici e amministrativi. Altri segni convenzionali si riferiscono invece ai porti e alle navigazioni dei fiumi. Cartografia storica IGM (Fig. 1.8) Si tratta di carte prodotte dall’Istituto Geografico Militare tra il 1875 al 1987 e suddivise in Fogli (alla scala 1:100.000), Quadranti (1:50.000) e Tavolette (1:25.000). A comparazione con le produzioni cartografiche attuali, rimangono insostituibili in termini di comprensione dell’organizzazione dello spazio, della natura e dell’uso
1.3.2.2. Il metodo cartointerpretativo Metodologicamente, l’analisi sulla cartografia storica è consistita nella georeferenziazione e nella restituzione digitale sistematica, effettuata in ambiente GIS, dei diversi 15
Il paesaggio trasformato
Figura 1.7. Particolare della Carta Topografica del Regno Lombardo-Veneto (1833), conservata presso l’Archivio di Stato di Padova, georeferenziata secondo il sistema di coordinate geografiche UTM/WGS84 fuso 32N.
elementi fisici (rilievo, idrografia, zone palustri...) e antropici (strade, centri di popolamento...) leggibili sulle vecchie carte (Fig. 1.9). Questi hanno poi potuto essere confrontati con le informazioni fornite dalla cartografia moderna e dalla fotografia aerea. In tale lavoro si è seguito un metodo di tipo regressivo, ossia si sono analizzate prima le carte più recenti, passando poi progressivamente a quelle più antiche: questo ha permesso di risolvere il problema che presenta la restituzione degli elementi estratti dalla cartografia storica, ovvero la mancanza di precisione e le grandi distorsioni che caratterizzano questo materiale.
ma, a causa del loro alto grado d’imperfezione, non sono mai state impiegate per la restituzione degli elementi morfologici e in analisi metrologiche. Sono state, in ogni modo, considerate come preziose fonti di informazione sul paesaggio antico e rilevanti documenti riguardanti la sua evoluzione storica. 1.3.3. L’impiego dei dati archeologici Un importante aspetto sviluppato in questo lavoro è stato lo studio del popolamento di epoca romana, con il fine di identificare le principali tipologie insediative e le dinamiche di occupazione del territorio messe in atto durante tutto il periodo di dominazione romana. In particolare, lo studio è stato effettuato in stretta connessione con le strutture territoriali messe in evidenza dall’indagine archeomorfologica: se da un lato, infatti, questa ha fornito il quadro in cui contestualizzare i modelli d’insediamento, gli stessi siti di epoca romana individuati hanno, a loro volta, apportato degli elementi utili per
Proprio per tale motivo molte carte storiche, realizzate tra XVI e XIX sec. e conservate negli Archivi Storici di Padova e di Venezia (e in parte pubblicate da: BasoScarso-Tonini, 2003; Bondesan et al., 2003; Bondesan e Meneghel, 2004; Selmin e Grandis, 2008) non hanno potuto essere adeguatamente georeferenziate: quando possibile, queste carte sono state comunque rettificate 16
Metodologia d’indagine
Figura 1.8. Particolare della Tavoletta 064 II NO (Stanghella) della serie 25V dell’IGM, georeferenziata secondo il sistema di coordinate geografiche UTM/WGS84 fuso 32N.
ancorare cronologicamente (a livello, cioè, di datazione assoluta) le strutture definite archeomorfologicamente.
lavorare principalmente sul materiale edito. A tutt’oggi, tuttavia, ben pochi degli interventi di scavo (in particolare quelli di emergenza) effettuati negli ultimi venti anni sono stati pubblicati. Paradossalmente, a fronte della quantità e della frequenza di nuovi interventi (di cui siamo venuti a conoscenza attraverso quotidiani e notizie non ufficiali) non corrisponde un’adeguata documentazione edita: nei casi più fortunati si arriva, infatti, ad un’edizione preliminare o parziale dei dati di scavo, mentre i tempi per una pubblicazione completa ed esauriente si allungano notevolmente.
Bisogna tuttavia segnalare le difficoltà incontrate per definire entità, funzionalità, cronologia o continuità d’uso di molti siti, perché disponiamo di pochi scavi regolari e la maggior parte dei dati è frutto di ritrovamenti fortuiti, spesso molto vecchi e poco conosciuti. Ugualmente, la mancanza di una carta archeologica frutto di lavori di ricognizione sistematica e l’impossibilità di realizzare prospezioni ad hoc, hanno reso ancor più complicato tale compito.11 A queste complicazioni dobbiamo purtroppo aggiungere anche l’impossibilità di consultare adeguatamente gli archivi della Soprintendenza, che pure dovrebbero essere di pubblico accesso, costringendoci a
Base da cui partire è stata comunque la Carta Archeologica del Veneto, ormai strumento indispensabile per qualunque indagine di carattere storico-archeologico che si voglia affrontare sul territorio veneto. Purtroppo, però, la qualità delle informazioni in essa contenute, che non è risultata quasi mai ottimale – manca, ad esempio, una terminologia comune per definire il contesto di ritrovamento e i materiali recuperati, mentre la loro stessa localizzazione (quando presente) è spesso fortemente imprecisa – non
Ad eccezione della Saccisica, dove si è rivelata molto utile la possibilità di consultare la carta realizzata dal Gruppo Archeologico Mino Meduaco in otre vent’anni di ricerca sul campo e ‘dare un’occhiata’ alla maggior parte del materiale raccolto a seguito di tali uscite e ora conservato presso la sede del Gruppo a Bojon di Campolongo Maggiore.
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Il paesaggio trasformato
Figura 1.9. Carto-interpretazione della Carta Topografica del Regno Lombardo-Veneto, georeferenziata e sovrapposta alla Carta Tecnica Regionale in scale 1:10.000: in linea continua i tracciati viari di probabile origine romana; in linea spezzata i tracciati viari di origine medievale.
ha consentito un loro diretto utilizzo e una loro corretta interpretazione, costringendo a procedere per ogni sito segnalato al recupero delle fonti originali. A questo si è inoltre dovuto (inevitabilmente) associare un lavoro di aggiornamento dei dati presenti nella Carta, ricercando notizie relative a ritrovamenti effettuati in date successive a quella della sua edizione.
attribuzione all’età romana; mentre altri ancora sono frutto di ricerche di appassionati locali e risentono del grado delle conoscenze e della terminologia dell’epoca. Elevato è anche il numero di ritrovamenti riferibili a raccolte di superficie non programmate, avvenute negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso ed effettuate da Gruppi Archeologici locali, mentre un numero relativamente basso di ritrovamenti è riferibile a scavi archeologici veri e propri, quantunque anche in questo caso molti dati risultino tuttora allo stato di ‘segnalazione’, giacendo ogni informazione utile negli inaccessibili archivi della Soprintendenza. Inoltre, molti dei materiali descritti, ben poco legati a scavi regolari, sono oggi dispersi, così che laddove la descrizione sia insufficiente per riconoscerli o manchi del tutto, è risultato impossibile un loro esame autoptico.
Inevitabile è stata quindi la verifica cui si sono sottoposte le notizie ricavate, soprattutto per la forte disomogeneità che caratterizza le informazioni acquisite, in particolare per il diverso livello informativo relativo ai ritrovamenti ottocenteschi o degli inizi del ‘900: molti di questi sono stati, infatti, del tutto fortuiti, effettuati senza adeguato controllo scientifico durante lavori edilizi o agricoli e generalmente si sono caratterizzati per il recupero dei materiali e per una scarsa attenzione al contesto e alla precisa puntualizzazione del sito di ritrovamento;12 per altri s’incontra invece spesso una semplice e generica
Uno dei principali problemi è stato inoltre quello della localizzazione topografica di emergenze archeologiche note da una bibliografia piuttosto datata. Numerosi ritrovamenti risalgono infatti al XIX secolo, alcuni anche prima: in questi casi le fonti, contemporanee o poco posteriori, fornivano elementi per una localizzazione immediata. Il più delle volte, tuttavia, utilizzavano come
12 La brevità e la genericità delle notizie, spesso risalenti a un’unica fonte, hanno in molti casi fornito una localizzazione soltanto indicativa dei reperti (ad esempio all’interno di un campo molto esteso), così che solo raramente si è potuto individuare il punto preciso di ritrovamento.
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Metodologia d’indagine punti di riferimento topografici strade, canali o altre strutture oggi non più esistenti: fondamentale in questi casi è stato poter consultare alcune guide dell’epoca, ma soprattutto i catasti storici, riuscendo molto spesso a ricostruire la topografia del territorio così come si presentava all’epoca della notizia bibliografica. Altre volte, il ritrovamento veniva localizzato dalla fonte in maniera precisa, ma con riferimento a una proprietà fondiaria oggi non più esistente: in questi casi si è reso necessario recuperare i mappali dei possessori con l’intento di trovare il nome del proprietario e, quindi, risalire da qui alle particelle catastali possedute, localizzandole nel catasto.
tracciati e l’attuale morfologia in modo da completare i risultati dello studio archeomorfologico, corroborando le sequenze relative proposte e apportando nuovi elementi di datazione. Nello specifico, il lavoro sul campo è consistito nel mappare topograficamente le tracce individuate e documentarne in apposite schede le informazioni basiche per poter definire archeologicamente ogni singola traccia (localizzazione; definizione; descrizione; contesto geomorfologico e substrato geologico su cui è realizzata; relazioni stratigrafiche evidenti con altre strutture; stato di conservazione e funzione attuale; proposta di datazione formulata anche sulla eventuale presenza di materiale archeologico). Inoltre, si è proceduto ad una adeguata documentazione grafica e fotografica, effettuando eventualmente anche la pulizia e la documentazione di profili stratigrafici ritenuti di particolare interesse.
Non altrettanto immediata è stata invece l’individuazione di fondi citati in notizie bibliografiche risalenti ai primi venti/trent’anni del ‘900: di particolare aiuto, in questo caso, sono state alcune tavolette IGM 1:25.000 risalenti agli stessi anni delle notizie, che spesso riportavano anche il nome della proprietà fondiaria cercata, permettendo così una prima e sommaria individuazione del sito. In alcuni casi, la consultazione dei catasti ha permesso poi di arrivare a determinare con sicurezza l’ubicazione di alcuni rinvenimenti riguardo ai quali le notizie erano discordanti o poco chiare.
1.3.5. Le fonti scritte di epoca medievale L’ultimo passo nell’analisi archeomorfologica è consistito nella contestualizzazione storica degli itinerari documentati, con l’obiettivo di ottenere elementi di datazione assoluta che potessero aiutare a comprendere la dinamica evolutiva della rete viaria e, per estensione, del territorio che essa è venuta strutturando. Di norma nella documentazione medievale incontriamo riferimenti solamente a determinati tracciati: tuttavia, la loro attestazione è utile poiché le strutture menzionate sono in genere grandi assi rettori del paesaggio e da essi dipendono altre strutture secondarie. Poter accertare che le principali vie del territorio o importanti corsi d’acqua naturali e artificiali esistevano già in epoca medievale (e ancor più altomedievale) è un solido argomento per poter affermare che l’aspetto attuale del paesaggio riproduce, nella sostanza, strutture con un certo grado di antichità e che lo studio archeomorfologico poggia su dati affidabili (Ariño et al., 2004: p. 86). In questo senso, la documentazione scritta ha permesso di suggerire delle datazioni assolute per determinati interventi documentati nel territorio, che a loro volta hanno consentito di datarne altri in base alle relazioni stratigrafiche.
Una volta effettuata tale verifica, anche attraverso sopralluoghi e controlli delle notizie presso Gruppi Archeologici e appassionati locali, tutte le evidenze individuate cronologicamente inquadrabili tra il II sec. a.C. e il VI sec. d.C. sono state quindi organizzate in un database alfanumerico composto di un’unica tabella relazionale (riportante semplicemente localizzazione, tipologia e cronologia del rinvenimento) e georeferenziate, avendo tuttavia cura di non considerare quelle informazioni che, per la loro genericità: non venivano a definire tipologicamente il sito rappresentato (come ad esempio la notizia di ‘resti romani trovati nei campi della località X’); segnalavano la sporadica presenza di un unico manufatto (ad es. una moneta, un laterizio bollato o un bronzetto); provenivano da contesti chiaramente secondari (come possono essere iscrizioni o elementi architettonici reimpiegati in edifici medievali/moderni oppure materiale proveniente da scarichi moderni); o, infine, mancavano di una localizzazione adeguata (ad es. ‘tombe romane scoperte nel territorio del comune Y’).
In particolare, di grande utilità si sono allora rivelate le fonti scritte di epoca medievale, per la cui consultazione si è fatto principalmente uso dei molti repertori di codici diplomatici, statuti cittadini e documenti relativi ad alcuni importanti monasteri che sono stati editi a partire dalla seconda metà del XIX sec.13 A questi si sono aggiunti vari contributi di toponomastica e opere di sintesi riguardanti la storia dei comuni del territorio oggetto di studio, redatti tanto da studiosi accademici, quanto da eruditi e appassionati locali: proprio in tali lavori si sono potute
1.3.4. Il survey archeomorfologico Per poter verificare direttamente sul terreno le sequenze stratigrafiche ottenute e le ipotesi formulate in fase di lettura delle strutture documentate, si è deciso di realizzare un survey ad hoc secondo le modalità messe a punto dal ‘Grup d’Investigació en Arqueologia del Paisatge (GIAP)’ dell’‘Institut Català d’Arquelogia Clàssica (ICAC)’ diretto da J.M. Palet (Palet, 1997: pp. 40-41; Palet e Orengo, 2011: p. 389). Questo tipo di survey, inteso come osservazione e analisi di strade rurali e linee di particellare pertinenti alla strutturazione storica di un territorio, consiste principalmente nel localizzare sul terreno le tracce precedentemente identificate da remoto per analizzarne i
Tra questi vale la pena ricordare: Sartori, s.d.; Gloria, 1877a; Gloria, 1879; Gloria, 1881b; Pinton, 1892; Strina, 1957; Lanfranchi e Strina, 1965; Rigon, 1972; Bortolami, 1978; Lanfranchi e Strina, 1981-1997; Lanfranchi e Strina, 1985; Caberlin, 1988; Lanfranchi Strina, 2006.
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Il paesaggio trasformato approccio di tipo archeomorfologico.15 Il loro successo è principalmente motivato dall’alta accuratezza spaziale e planimetrica che assicurano: questo aspetto risulta infatti essenziale specialmente in quegli studi in cui la base metrologica gioca un ruolo chiave, come la ricerca sulle antiche divisioni agrarie, dove le distanze tra gli elementi del paesaggio divengono il più importante criterio per le definizioni cronologiche.16
recuperare preziose informazioni relative a documenti d’archivio inediti e altrimenti non facilmente reperibili. Lo studio delle informazioni contenute nei documenti che si sono potuti analizzare ha fornito interessanti elementi di datazione ante quem e post quem per molti dei tracciati individuati, permettendo di definire cronologie relative maggiormente affidabili. In alcuni casi, si sono potute conoscere anche le caratteristiche fisiche dei vari percorsi viari (come tipo di costruzione, stato di conservazione...), oltre alla loro funzionalità ed evoluzione (rifacimenti, raddrizzamenti, creazione di bretelle e di percorsi alternativi, captazioni da parte di altri tracciati, ecc.).
Queste nuove metodologie permettono inoltre che una gran quantità di fonti geograficamente referenziate necessarie a condurre la ricerca archeomorfologica possano essere incluse e analizzate in uno stesso ambiente di lavoro, consentendo così un alto potenziale analitico: grazie a tali ambienti di lavoro multilivello e multiscala, il materiale può essere infatti combinato in diverse forme e a differenti scale per conseguire un’interpretazione più accurata dei dati. C’è da dire che queste capacità tecniche non apportano di per sé una nuova metodologia nello studio archeomorfologico, in quanto il loro vantaggio si riassume, fondamentalmente, nel fatto che permettono la realizzazione di analisi in forma più rapida, più precisa e più esaustiva.
Grazie alla documentazione scritta raccolta e analizzata rigorosamente in forma regressiva (ossia dalla più recente alla più antica), è stato quindi possibile fissare le prime menzioni documentate di praticamente tutti i comuni del territorio e di altri nuclei forti, come pievi e castelli, cosa che ha senz’altro contribuito a meglio collocare cronologicamente le strutture viarie ad essi direttamente associate. È stato inoltre utile per avere un’idea di massima delle trasformazioni subite dall’ambiente fisico in epoca storica, permettendo di ricostruire la storia dei principali corsi fluviali del territorio, la loro dinamica evolutiva (in particolare i cambi di alveo) e i condizionamenti prodotti dall’attività umana. Ugualmente si sono potute precisare le variazioni della linea di costa e determinarne l’incidenza nell’occupazione del litorale, risultando particolarmente utili per ricostruire l’estensione della laguna di Venezia in epoca storica e delle zone umide che caratterizzavano il territorio ancora alla metà del XIX e l’evoluzione della loro antropizzazione a partire dalla creazione di canalizzazioni e sistemi di drenaggio.
Inoltre, i GIS permettono l’integrazione di altri tipi d’informazione d’interesse per lo studio archeomorfologico, come planimetrie e basi di dati di siti archeologici. Permettono anche la realizzazione di analisi informatiche di grande utilità nello studio dei sistemi di strutturazione territoriale antichi: hanno infatti consentito di sviluppare nuove analisi e avanzare nello studio spaziale delle trame del territorio. In questo senso, recenti studi effettuati in Spagna, grazie all’integrazione di analisi topografiche, statistiche e spettrali effettuate attraverso l’uso dei GIS hanno permesso di approfondire lo studio delle centuriazioni negli antichi territori di Barcino, di Tarraco e di Valentia, superando la mera localizzazione delle tracce antiche per conseguire uno sguardo più sociale e culturale della morfologia del paesaggio.17
1.3.6. L’integrazione dei dati paleoambientali Di grande importanza è risultato infine l’utilizzo dei dati paleoambientali, che hanno consentito la ricostruzione delle caratteristiche del paesaggio antico, permettendo di valutare nella giusta misura gli effetti che l’azione antropica ha comportato sul paesaggio nel corso dei secoli. Per quanto riguarda la pianura a sud di Padova, sono diversi i lavori di sintesi, pubblicati negli ultimi anni principalmente da parte di geomorfologi delle Università di Padova e Venezia, che sono stati utilizzati nel presente lavoro.14 Questi sono stati particolarmente utili nell’identificazione di antiche morfologie, per evitare restituzioni erronee e condurre a termine una soddisfacente analisi archeomorfologica.
Infine, un altro aspetto rilevante dei GIS è la loro capacità per la presentazione dei risultati. Le capacità di esportazione grafica in multipli formati e alta qualità permettono di ottenere eccellenti risultati in presentazioni, illustrazioni e in compiti di diffusione in generale. La capacità analitica di un GIS e, soprattutto, la sua affidabilità, si basa però sulla qualità dei dati di partenza immessi nel sistema. Per questo è stato necessario, all’inizio della ricerca, procedere alla costruzione di un adeguato geodatabase che contenesse tutte le più rilevanti informazioni georeferenziate riguardanti la morfologia
1.3.7. L’utilizzo dei Sistemi di Informazione Geografica Negli ultimi anni i Sistemi di Informazione Geografica sono stati ampiamente incorporati negli studi archeologici del paesaggio, in particolare in quelli che considerano un
Cfr. Baena-Blasco-Quesada, 1997; Peterson, 1998; GillingsMattingly-Van Dalen, 1999; Grau Mira, 2006; Chapman, 2006; Donoghue et al., 2006; Palet e Orengo, 2010; Mayoral Herrera e Celestino Perez, 2011. 16 Romano e Tolba, 1996; Slapšak e Stančič, 1998; Orengo e Palet, 2010; Palet-Orengo-Fiz, 2011. 17 Palet-Fiz-Orengo, 2009; Palet-Fiz-Orengo, 2010; Palet e Orengo, 2010; Palet e Orengo, 2011; Ortega-Orengo-Palet, 2013; Ortega, 2017. 15
Tra i più recenti, segnaliamo qui: Bondesan e Meneghel, 2004; Tosi et al., 2007; Bondesan et al., 2008a; Bondesan et al., 2008b; Vitturi, 2011; Cucato et al., 2012; Piovan-Mozzi-Zecchin, 2012; ARPAV, 2013; Fabbri et al., 2013. 14
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Metodologia d’indagine dell’area di studio, in formato raster e vettoriale. Il primo passo per l’integrazione degli elementi della base cartografica è stata la georeferenziazione del materiale cartografico e ortofotografico recuperato, basata sul sistema internazionale di coordinate geografiche UTM/ WGS84 (fuso 32N). Per conseguire il massimo grado di precisione nella georeferenziazione si è seguita una metodologia regressiva, dove la cartografia più moderna e di maggiore affidabilità ha permesso la georeferenziazione degli elementi cartografici più antichi a partire da punti di controllo comuni conservati nei diversi livelli della base cartografica.
livelli vettoriali inclusi nel geodatabase sono stati: moderne divisioni catastali, mappe litologiche e pedologiche, di uso del suolo e dell’attuale laguna di Venezia, oltre a elementi di interesse geomorfologico (ad es. dossi fluviali, antiche linee di costa...) e archeologico (carta distributiva dei siti di epoca romana appositamente creata). Infine, a completamento del geodatabase dobbiamo ricordare il DTM con celle di 5,5 m, anch’esso fornito dall’UCRV, il cui impiego si è rivelato fondamentale. Grazie infatti ad una tale definizione, il microrilievo (es. dossi alluvionali, cordoni costieri, depressioni) e altre caratteristiche morfogenetiche che influenzano la morfologia del territorio vengono particolarmente esaltate, consentendo facilmente di relazionare le tracce individuate con l’ambiente naturale e comprendere meglio la loro origine e la loro evoluzione, così come i motivi che hanno portato alla loro persistenza all’interno del paesaggio attuale o, al contrario, alla loro cancellazione.
La cartografia iniziale, che è servita come base per la georeferenziazione delle altre fonti cartografiche e fotografiche rasterizzate, comprende la versione digitalizzata della Carta Tecnica Regionale Numerica (CTRN) in scala 1:5.000 e dalla serie ortofotografica digitale del 2006-07 alla scala 1:10.000, entrambe fornite dall’Ufficio Cartografico della Regione Veneto (UCRV). Molto utili sono state anche le fotografie aeree del Gruppo Aereo Italiano del 1954-55, alla scala 1:33.000, in quanto distaccano per la loro qualità, definizione e, soprattutto, data, anteriore alle grandi modificazioni del paesaggio degli anni ‘60 del secolo scorso. Ognuno dei 48 fotogrammi che coprono l’area di studio è stato scansionato presso il CNR di Padova con una risoluzione inferiore a 1m/pixel e quindi ortorettificato. Per l’ortorettificazione sono serviti più di venti punti di controllo per ciascun fotogramma e un modello digitale del terreno con celle di 5 m: questo ha permesso di ottenere immagini ortorettificate con RMSE inferiori a 5 m. Inoltre, hanno permesso di georeferenziare le carte più antiche, così come altre immagini di utilità per le analisi archeomorfologiche.
Per quanto concerne più strettamente lo studio archeomorfologico, il lavoro si è invece fondato nella restituzione digitalizzata, a partire della base cartofotografica realizzata, delle principali morfologie strutturanti il paesaggio (tracciati viari, limiti amministrativi, rete idrografica...), sia attuali sia storiche (e in questo caso da considerare in parte o del tutto scomparse), attraverso la creazione di un livello vettoriale polilinea cui è stata associata una tabella riportante il tipo di elemento (strada, sentiero, limite di campo, limite municipale...), la fonte documentaria a partire dalla quale tale elemento è stato restituito (cartografica o fotografica), il suo orientamento, le caratteristiche morfologiche, eventuali dati storici associati e una proposta di cronologia. In un ulteriore livello vettoriale polilineale sono invece confluite tutte le informazioni riferibili a tracce e anomalie visibili da foto aerea relazionabili con interventi antropici di strutturazione del territorio (percorsi viari, divisioni agrarie, ecc.).
Tra il materiale cartografico impiegato, vanno inoltre considerate anche varie tavolette della serie cartografica dell’Istituto Geografico Militare (IGM) in scala 1:25.000 e diverse carte geologiche e geomorfologiche alla scala 1:50.000, oltre alle piante degli insediamenti di epoca romana archeologicamente indagati nel territorio.
Entrambi i livelli sono stati in un secondo momento correlati con quello dei siti archeologici di epoca romana, con il fine di individuare dei criteri per la datazione delle tracce individuate, in particolare analizzando la relazione intercorrente tra queste e la distribuzione, la cronologia e (quando disponibile) l’orientamento dei siti noti.
I dati vettoriali sono stati invece estratti da 168 mappe vettoriali alla scala 1:5.000, dalle quali si è creata una serie di livelli, tra cui limiti di campo, idrografia, viabilità. Altri
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Capitolo 2 Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio Abstract: The plain that extends south of the city of Padua, defined to the west by the Euganei volcanic hill system (which includes the thermal area belonging to the centres of Abano and Montegrotto) and to the east by the southern basin of the Venetian Lagoon, originated during the Early Holocene, mainly due to the morpho-sedimentary activity of the rivers Brenta, Bacchiglione, Adige and Po. Its slopes gently descend from northwest to southeast, passing from a maximum altitude of about 17 m asl in the area southwest of Padua to a minimum of 4 m asl near the margin of the lagoon, where the land, once submerged by brackish waters, has been dried up by reclamation works carried out during 19th and 20th centuries. We can divide the territory into two large sectors, separated by the depressed area running between the centres of Due Carrare, Bovolenta and Pontelongo, and today crossed by the Cagnola-Bovolenta channel and Bacchiglione river: if the northern sector was affected by the morphogenetic activities of the rivers Brenta and Bacchiglione during both glacial and post-glacial periods, during the same period the rivers Adige and Po shaped the southern one. Given the predominant fluvial activity, it is not surprising that the main shapes characterising this stretch of low plain are mostly depositional (ancient riverbeds, channels, fans), among which the presence of alluvial ridges predominates: these ridges are longitudinal structures (with a development that can even reach tens of kilometres) consisting mainly in accumulations of fluvial sandy and silty deposits that can rise up to 2–3 metres from the surrounding ground level and reach widths raging from a few hundred metres to more than a kilometre. La pianura che si estende a sud della città di Padova (Fig. 2.1), definita ad ovest dal complesso collinare di origine vulcanica degli Euganei e ad est dal bacino meridionale della Laguna di Venezia, si è formata nel corso dell’Olocene Superiore principalmente a seguito dell’attività morfosedimentaria dei fiumi Brenta, Bacchiglione, Adige e Po. Digrada dolcemente da nord ovest a sud est con pendenze inferiori all’uno per mille, passando da una quota massima di circa 17 m s.l.m. (a sud ovest di Padova) a una minima di 4 m s.l.m.: questa si registra in prossimità del margine lagunare dove i terreni, un tempo sommersi dalle acque salmastre della laguna, sono stati prosciugati attraverso importanti progetti di bonifica idraulica attuati nel corso del XIX e del XX secolo.
deposizionale (alvei relitti, canali, ventagli di rotta), tra le quali senz’altro predomina la presenza di dossi fluviali: si tratta di strutture longitudinali (con uno sviluppo che può raggiungere anche decine di chilometri) costituite in prevalenza da accumuli di depositi sabbiosi e limosi di origine fluviale che possono elevarsi fino a 2-3 metri rispetto al piano di campagna circostante per una larghezza che da poche centinaia di metri può facilmente superare il chilometro. 2.1. La pianura alluvionale del Brenta-Bacchiglione 2.1.1. Il fiume Brenta
Fondamentalmente possiamo dividere il territorio planiziale in due grandi settori, separati dall’area depressa posta tra gli attuali centri di Due Carrare, Bovolenta e Pontelongo e oggi percorsa dal Canale di CagnolaBovolenta e dal fiume Bacchiglione. Il settore a nord di tale depressione si è mantenuto di pertinenza del fiume Brenta (e in misura minore anche del Bacchiglione) sia durante l’ultima glaciazione sia nel corso del post-glaciale e le sue divagazioni hanno interessato tutta la porzione settentrionale del territorio spingendosi, a sud ovest, fino alle pendici settentrionali dei Colli Euganei e, a sud est, alla Laguna di Venezia. Allo stesso modo, nel settore a sud hanno svolto la loro attività morfogenetica il fiume Adige e, seppur limitatamente alla parte più meridionale del territorio, il fiume Po.
Come abbiamo più sopra accennato, il principale agente responsabile della formazione del settore più settentrionale della pianura è (ed è stato negli ultimi millenni) il fiume Brenta, il quale attualmente scende con un unico corso da Bassano, passa a nord di Padova e raggiunge Strà, dove si divide in due distinte diramazioni: la principale, detta Brenta Nova e realizzata tra il 1488 e il 1507 (e poi definitivamente sistemata nel 1896), si dirige verso sud in direzione di Chioggia, dove confluisce nel Bacchiglione per poi sfociare in mare assieme ad esso nei pressi di Brondolo; l’altra, detta Naviglio Brenta e aperta nel 1143, porta invece le acque del fiume a defluire verso Venezia, sfociando in laguna all’altezza di Fusina. Una terza diramazione, detta Taglio Nuovissimo, venne invece realizzata nel 1610 da Mira a Brondolo lungo gran parte del margine di conterminazione lagunare (Fig. 2.1).
Data la preponderante attività fluviale non sorprende, quindi, che le principali forme che caratterizzano questo tratto di bassa pianura siano prevalentemente di tipo
Tra gli elementi morfologici di maggior rilievo di questa parte della pianura si evidenziano due ampi dossi fluviali, con sviluppo longitudinale superiore ai 10 km, pur se 23
Il paesaggio trasformato
Figura 2.1. L’area di studio nel contesto dell’Italia Settentrionale.
non molto elevati (1-2 m): il primo, per Albignasego e Casalserugo, giunge fin quasi a Bovolenta; il secondo, per Abano Terme e Terradura, arriva fino a Due Carrare (Tav. 1: nn. 1-2). Datazioni al 14C consentono di circoscrivere l’attività fluviale utilizzante tali dossi a un momento compreso tra 6.800 e 4.700 anni fa (Cucato et al., 2012: pp. 116-117), suggerendo un loro collegamento con direttrici di deflusso del Brenta che, provenienti da nord ovest, giungevano all’altezza di Padova circa 4-5.000 anni fa (Castiglioni, 1982a; Castiglioni, 1982b; Castiglioni et al., 1987).
sud: il ramo più meridionale scende per Vigonovo e punta su Premaore, interrompendosi tuttavia prima di giungervi; la diramazione più settentrionale prosegue, invece, in direzione di Campagna Lupia e Lova. Datazioni al radiocarbonio, effettuate su materiale organico recuperato all’interno del corpo sabbioso del dosso nella zona di Campagna Lupia, hanno permesso di ricondurre la fase di attività di tale struttura a 3460 ± 35 anni BP: tale datazione identificherebbe un primo momento di disattivazione del canale e sarebbe collegabile alla datazione di 4580 ± 70 anni BP fornita da un frammento ligneo rinvenuto in località Valle Averto, verso cui potenzialmente questo corso fluviale andava a fluire (Bondesan et al., 2008a: p. 123). La presenza di un secondo corpo sabbioso soprastante il livello datato, suggerirebbe tuttavia una ripresa di deposizione da parte dello stesso corso d’acqua successivamente al II millennio a.C.
Un importante sistema dossivo è invece presente a est e sud est di Padova ed è riconducibile al percorso attuale del fiume passante a monte di Vigodarzere, dove l’asta fluviale si stabilizzò tra IV e II millennio a.C. (Bondesan et al., 2010: p. 31). La struttura più antica, perché in apparenza non direttamente collegata ad altre strutture, è il cosiddetto ‘dosso di Tombelle’ (Tav. 1: n. 3), corrente poco a sud dell’attuale Naviglio Brenta. All’altezza di Tombelle si divide in due distinte diramazioni, entrambe dirette verso
Il dosso più importante di questo sistema si diparte dal corso attuale del Brenta all’altezza di Noventa (Tav. 1: n. 4), dirigendosi a sud per Camin e Saonara. Alcune 24
Tavola 1. Principali strutture dossive di origine fluviale nella pianura a sud di Padova.
Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio
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Il paesaggio trasformato datazioni al 14C effettuate in via Vigonovese, subito a nord di Camin – dove nel XIX secolo vennero alla luce i resti di un ponte romano (Pesavento Mattioli, 1986: p. 131) – hanno fornito date relative alla sua attivazione riferibili a 3635 ± 95 anni BP e 3155 ± 250 anni BP (Cucato et al., 2012: p. 119). Queste sono senz’altro da relazionare con altre datazioni eseguite presso la stessa struttura dossiva a Saonara (Castiglioni et al., 1987: p. 143) e con le fonti medievali, le quali attestano la persistenza di decorsi del Brenta su questo dosso tra II millennio a.C. e XII sec. d.C. (Cucato et al., 2012: p. 120).
che andassero entrambe a sfociare nella zona di Chioggia (Mozzi e Furlanetto, 2004: p. 291; Zabeo, 2007: p. 166). Una terza diramazione si stacca invece dal dosso principale nei pressi di Saonara e si dirige verso sud per Legnaro e Polverara fin quasi a raggiungere Bovolenta (Tav. 1: n. 7). Questa struttura sembra corrispondere ad un percorso tardoantico-altomedievale del Brenta, che rimase attivo fino alla metà del XII sec., quando il corso principale venne fatto defluire per Strà lungo l’attuale Naviglio Brenta (Bortolami, 2003a: p. 225; Simonetti, 2009b: pp. 72-73). Da Polverara il fiume andava a sfociare a Brondolo, probabilmente sfruttando un dosso poco pronunciato, su cui attualmente scorre il Bacchiglione a Pontelongo, e l’antico alveo del fiume Brentone. La recenziorità di questa struttura dossiva pare confermata da recenti datazioni effettuate in località Borghetto a Legnaro dove, ai piedi del dosso, si è individuato un livello di limi organici continui contenente numerosi frammenti di resti vegetali (Cucato et al., 2012: p. 119): tre campioni prelevati in diverse posizioni e a diverse profondità hanno infatti rivelato un’età rispettivamente di 1529 ± 30 anni BP, 1.518 ± 30 anni BP e 1.564 ± 30 anni BP, pienamente concordi con l’idea di una rapida aggradazione dei resti organici avvenuta prima che questi fossero sepolti dalle sabbie del dosso in epoca altomedievale. A sud di Legnaro, in via Trieste, un livello di torba posto a 3 m di profondità, ha invece fornito un’età di 1.780 ± 80 anni BP, attestando le fasi di sedimentazione in facies di piana alluvionale prima dell’impostazione del dosso fluviale.
A Saonara, il dosso principale si divide ulteriormente in una serie di diramazioni minori. Una di queste (Tav. 1: n. 5) prende avvio all’altezza di Sant’Angelo di Piove di Sacco e, per Liettoli e Bojon, si porta a Lova di Campagna Lupia. L’allineamento di siti protostorici e di epoca romana lungo il dosso, farebbe pensare che tale decorso del Brenta fosse attivo tra l’età del Bronzo e l’epoca romana (Mozzi e Furlanetto, 2004: pp. 282283), come sembrerebbe peraltro suggerire la datazione al radiocarbonio di un campione di torba prelevato lungo la direttrice Sant’Angelo-Campolongo-Corte che ha fornito un’età corrispondente a 3.740 ± 40 anni BP (calibrata 2280-2030 a.C., 4230-3.980 BP; Tosi et al., 2007: pp. 8687). Da Lova, questa diramazione brentizia sembrerebbe essersi diretta a sfociare in mare nella zona di Portosecco dove, fino al XII sec., era attivo il porto di Pàstene (ora interrato) e dove, a partire almeno dall’epoca tardoantica, doveva sorgere il centro abitato di Albiola.18
Collegati al percorso del Brenta attuale sono, infine, altre due strutture dossive: una passante per Strà (Tav. 1: n. 8) e una seconda per Vigonza (Tav. 1: n. 9). Se per la costruzione del dosso di Strà e delle sue diramazioni pare ormai accertata una datazione a partire dalla metà del XII sec.,19 è invece possibile che al dosso di Vigonza sia da attribuire una maggiore antichità, come sembrerebbe suggerire anche la presenza di vari siti di epoca romana collocantisi sopra di esso tra Cadoneghe, Vigonza e Mira. A partire da Mira, la possibile prosecuzione di tale dosso verso sud est, in direzione della laguna, potrebbe essere avvenuta attraverso due differenti diramazioni (Tav. 1: nn. 10-11), rispettivamente passanti per Porto MenaiPiazza Vecchia-Dogaletto e per Gambarare-Sant’Ilario. In quest’ultimo caso, vi sarebbe anche una buona connessione con un paleoalveo che affianca il sito dell’antica abbazia di Sant’Ilario il quale avrebbe verosimilmente condotto il corso d’acqua, attraverso il canale Avesa e un paleocanale lagunare, a sfociare non lontano dall’antico insediamento portuale rinvenuto presso la bocca di porto di Malamocco (Canal, 1998: pp. 49-50 n. 16/3A-B), dove i dati paleoambientali attestano l’attività del fiume Brenta fin da epoca protostorica.
All’altezza di Sant’Angelo una seconda struttura dossiva (Tav. 1: n. 6) si dirige verso Brugine e Campagnola, dove piega bruscamente verso est per Arzergrande e Codevigo per poi proseguire in direzione della laguna. Il fatto che tale struttura, per tutto il suo sviluppo longitudinale, sia interessata dalla presenza di numerosi siti di epoca romana, fornisce di per sé un indizio dell’antichità del decorso fluviale responsabile della sua costruzione. La riprova viene da alcune datazioni al 14C nella zona di Brugine che forniscono un’età di 2.640 ± 40 anni BP (calibrata 968-544 a.C.) per la formazione del dosso (Mozzi e Furlanetto, 2004: p. 282). A Codevigo, il dosso si doveva suddividere in due ulteriori diramazioni: una passante per le zone di Rosara e Casone Morosina, dove datazioni al radiocarbonio attestano la formazione del dosso nel corso del I millennio a.C. (Tosi et al., 2007: p. 30); l’altra, invece, discendente verso sud est e passante per le località di Conche e Fogolana. Si potrebbe pensare che, sfruttando alcuni dei dossi ancora individuabili su una carta del 1610 e localizzabili a monte del margine interno lagunare indicato sulla cartografia veneziana della metà del XVI secolo, la diramazione di Rosara si dirigesse verso la zona di Portosecco, mentre quella di Conche si portasse a Chioggia. È tuttavia anche possibile
19 Cfr. Mozzi e Furlanetto, 2004: pp. 292-293; Bondesan et al., 2008a: p. 120; Bondesan et al., 2010: p. 31. Alcune datazioni al 14C condotte su sedimenti torbosi recuperati al di sotto del cosiddetto ‘dosso delle Giare’, attesterebbero infatti che la formazione di tale struttura sarebbe avvenuta in un’epoca successiva all’XI-XII sec.
18 Marchiori, 1990: p. 213. Albiola è ricordata nel VII sec. nella cronaca del Diacono Giovanni (Diacono, 1890: p. 156) e, nel 840, nel pactum Lotharii (Cessi, 1951: p. 237).
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Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio La presenza di siti di epoca romana a Gambarare (CAVe, 1994: p. 70 n. 276; Poppi, 2006: p. 27 e nota 6), Dogaletto (CAVe, 1994: p. 71 n. 279), in prossimità dell’area della stessa abbazia di Sant’Ilario (Corrò-Moine-Primon, 2015: p. 36) e nel sito del monastero di San Marco in Boccalama (dove sono venute in luce le fondazioni di un grande edificio con probabile funzione difensiva datato tra IV e VI sec. d.C. – Canal 1998, p. 53 n. 13), suggerirebbe altresì che il corso fluviale fosse pienamente attivo in età imperiale. In questa direzione spingono anche datazioni al 14C effettuate a Torson di Sopra e presso il Lago dei Teneri, che forniscono un’età rispettivamente di 1.140 ± 45 anni BP e 1.515 ± 85 anni BP (Tosi et al., 2007: pp. 88-90) ed altre effettuate su sedimenti torbosi di ambiente palustre dulcicolo prelevati a Valle Averto, Torson di Sotto e Motte di Volpego, indicanti un’attività fluviale nell’area inquadrabile tra fine III e IV sec. d.C.: attività fluviale che, caratterizza da consistenti apporti sedimentari, dovette in quest’epoca causare anche l’avanzamento verso mare del margine interno lagunare (Corrò-Moine-Primon, 2015: pp. 10-11).
Terme, dove si collega al canale Battaglia per immettersi con esso nel canale Vigenzone: quindi, attraverso il canale di Cagnola-Bovolenta, confluisce nel corso principale del Bacchiglione presso Bovolenta. Rispetto al Brenta, il Bacchiglione è dotato di una minore capacità morfogenetica e sedimentaria, in quanto prevalentemente alimentato dalle risorgive poste nell’alta pianura vicentina e, pertanto, nonostante a monte di Padova riceva gli afflussi di origine prealpina del sistema fluviale Astico-Tesina, è caratterizzato da minori portate liquide e solide. L’attività morfosedimentaria è quindi limitata a un areale circa corrispondente alla larghezza dell’attuale fascia di meandri, lungo l’odierno alveo fluviale ed è fortemente condizionata nella sua geometria dalla presenza di dossi, depressioni e alvei relitti di Brenta e Adige. A monte di Padova la piana di divagazione del fiume ha una direzione circa ovest-est, probabilmente impostata lungo la preesistente fascia di canali del Brenta dislocata tra Veggiano e Selvazzano, così come il percorso che attraversa l’area urbana di Padova sfrutta un antico doppio meandro del Brenta. All’uscita da Padova, la pianura assume invece una direzione circa nord-sud, guidata da un’ampia depressione (oggi percorsa dal canale di Roncajette) che costituisce il limite tra il sistema sedimentario alto e medio olocenico del Brenta. Subito a valle di Bovolenta, il Bacchiglione muta poi nuovamente direzione, dirigendosi verso sudest fino alla confluenza col Brenta: il brusco cambio di direzione è motivato dal fatto che qui il fiume s’innesta nella depressione che definisce il limite tra il sistema alluvionale del Brenta e quello dell’Adige.
Ad età tardo-romana datano anche le torbe palustri recuperate in corrispondenza del lago delle Giare: in questo caso, tuttavia, la presenza di ulteriori significativi spessori di torbe, limi e argille palustri, al di sotto dei reperti datati, indica che una massiccia invasione di acque dolci, dovuta ad una migrazione del Brenta, sia avvenuta circa 2.500 anni fa, come sembrerebbero confermare anche alcune analisi polliniche di sedimenti raccolti al di sotto delle torbe (Tosi et al., 2007: pp. 90-91; Bondesan et al., 2008a: p. 120). 2.1.2. Il fiume Bacchiglione Seppure in misura decisamente minore, all’aggradazione e al modellamento della pianura brentizia contribuisce anche il fiume Bacchiglione (Fig. 2.1). Questo corso d’acqua, proveniente da Vicenza e diretto a sfociare con il Brenta presso Brondolo, dopo aver ricevuto le acque del canale Brentella nei pressi di Voltabrusegana si suddivide a sud di Padova in tre distinte diramazioni. Quella principale, detta Canale Scaricatore e realizzata nel 1863, passa a sud della città per unirsi poi al Canale di Roncaiette proveniente da Padova e con esso proseguire a sud fino a Bovolenta. Una seconda diramazione, detta Canale Tronco Maestro, prosegue invece il corso originario è più antico del fiume entrando in Padova da sud ovest e attraversando il centro storico fino al canale del Piovego che, scavato nel 1209, porta le acque del Bacchiglione a confluire nel Naviglio Brenta nei pressi di Strà. Infine il canale Battaglia, opera realizzata tra il 1189 e il 1201, si stacca all’altezza di Bassanello dirigendosi a sud verso Monselice.
Sappiamo con certezza che, fin da epoche preistoriche, il fiume è fluito da Vicenza verso sud est seguendo, senza grandi variazioni, l’alveo attuale almeno fino alla zona di Trambacche di Veggiano (Bianchin Citton, 1993). Non è invece sicuro quando esso iniziò a scorrere attraverso Padova, usurpando l’alveo brentizio che ancora oggi ne contraddistingue il centro urbano.20 In questo senso, recenti indagini effettuate a ovest di Padova lungo il cosiddetto ‘paleoalveo della Storta’, da più parti indicato come il principale vettore delle acque del Brenta nell’area cittadina di Padova in epoca protostorica e romana, hanno evidenziato come il corso d’acqua sfruttante tale paleoalveo corrisponderebbe ad un percorso del Brenta attivo tra 8400 e 6300 anni fa che non avrebbe però interessato l’area urbana di Padova (Mozzi et al., 2010 – Fig. 2.2). Questa sarebbe stata invece raggiunta da un altro percorso del Brenta, attivo lungo una fascia di antichi canali che a partire da Veggiano, all’interno dell’attuale valle del Tèsina Padovano, prosegue verso Selvazzano:
Un’importante via di deflusso collegata al sistema fluviale del Bacchiglione è costituita inoltre dal canale Bisatto che, realizzato secondo la tradizione tra il 1140 e il 1143, si diparte dal corso principale del fiume nei pressi di Longare e, aggirando i Colli Euganei in senso antiorario, attraversa Este e Monselice, fino a raggiungere Battaglia
L’opinione si è sempre suddivisa tra chi considera tale usurpazione verificatasi già in età antica (Frison, 1989; Baggio-Sigalotti-Zamboni, 1992; Leonardi et al., 1992: pp. 82-84; Iliceto et al., 2001: p. 12; Mozzi, 2008: p. 32) e chi ritiene che ciò possa essere avvenuto soltanto a partire da epoca altomedievale (cfr., da ultimo, Zanovello, 2008 e bibliografia ivi citata). 20
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Il paesaggio trasformato
Figura 2.2. Il ‘paleoalveo della Storta’ ed altre evidenze di antichi percorsi del Brenta a ovest di Padova (elaborazione dell’autore sulla base di Mozzi et al., 2010).
tale direttrice è attualmente seguita dal Bacchiglione, i cui sedimenti la ricoprono parzialmente e ne mascherano le tracce. Datazioni al 14C indicano che questa fascia di canali è stata attiva tra 6.000 e 3.500 anni fa, suggerendo che già nel I millennio a.C. il Brenta non passasse più per il centro di Padova, venendo in questo momento molto probabilmente sostituito dal Bacchiglione (Mozzi, 2013: p. 16; Mozzi et al., 2018: p. 68).
Tencarola per dirigersi verso Albignasego (Marcolongo, 1989: p. 19; Castiglioni, 1997): il fatto che i tracciati viari attuali sembrino rispettarne l’andamento e che la strada diretta da Padova ad Abano-Montegrotto compia un evidente cambio di direzione proprio in prossimità di esso in località Mandria, ovvero dove un documento del 1114 menziona la presenza di un ponte de Mandria (Gloria, 1881b: n. 62), sembrerebbe suggerire che, ancora in epoca medievale, un corso d’acqua occupasse tale paleoalveo.22 Inoltre, la presenza di bonifiche con anfore rinvenute in prossimità del paleoalveo lungo la via Abano-Tencarola (CAVe, 1992: n. 246, pp. 70-71; Bressan e Bonini, 2012: nn. AT 1-2) e a Mandria (CAVe, 1992: p. 78 nn. 285-286) dove, durante le arature dei campi, nei primi anni ‘80 del secolo scorso sarebbe emersa anche un’ancora (Pezzato, 1988: p. 68), farebbe altresì pensare che un corso d’acqua vi scorresse anche in epoca romana. Il rinvenimento di un insediamento dell’età del Bronzo a Mandriola (CAVe, 1992: pp. 73-74 n. 255) e di alcuni bronzetti votivi di epoca venetica (IV-III sec. a.C.) nella zona di Albignasego (CAVe, 1992: p. 74 nn. 256, 259) potrebbero d’altra parte far pensare ad una presenza fluviale lungo questa direttrice già in epoca protostorica.
Questo corso del Bacchiglione non sembra tuttavia aver avuto anticamente uno sbocco autonomo in mare, essendo più probabile che, una volta uscito dall’area urbana di Padova utilizzando l’alveo oggi in parte ripreso dal canale Roncajette, andasse a confluire nel Brenta, come sappiamo accadere in epoca medievale.21 Forse tale confluenza avveniva nei pressi di Camin, dove l’esistenza nel X sec. di uno scalo fluviale (Bortolami, 2003a: p. 222; Simonetti, 2009b: p. 70) potrebbe essere stata favorita proprio dalla presenza dei due fiumi che qui venivano a mescolare le loro acque. È comunque possibile che, in epoca antica, fosse attiva anche una seconda diramazione del fiume, fluente in direzione nord ovest-sud est lungo un paleoalveo che appare piuttosto evidente dalle immagini telerilevate (Fig. 2.3A) e che si stacca dal corso attuale all›altezza di
Questo potrebbe allora corrispondere allo scolo Bulçanus (oggi Bolzano) che, ancora nel 1204, segnava il confine tra la pieve di Abano e quella di Padova. La sua prosecuzione, verso est, era costituita dalla fossa Aili che, nella stessa epoca, divideva il territorio di Padova da quello di Albignasego. Cfr. Bortolami, 1983: p. 118 e nota 15.
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Si veda, ad es., il diploma di Enrico IV del 1079, il quale menziona il flumen qui vocatur Retrone a vado Silicis usque ad locum quo intrat in flumen quod vocatur Brenta (Gloria, 1877a: n. 259).
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Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio particolare posizione del canale, che segue esattamente la netta linea di demarcazione che divide la piana alluvionale di pertinenza del Brenta-Bacchiglione da quella dell’Adige, ossia dove le acque dei due sistemi idrografici sono naturalmente convogliate, suggerisce infatti che un corso d’acqua dovesse probabilmente qui esistere fin da tempi piuttosto antichi. Ugualmente è possibile che, proprio per la sua funzione di scolo delle acque in eccesso, esso fosse stato canalizzato già in epoca antica. Non parrebbe quindi del tutto privo di senso pensare ad una sua corrispondenza con il fiume Togisonus ex Patavinorum agris menzionato da Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120), che sarebbe poi sfociato con l’Atesis nei pressi del porto di Brundulum (Brondolo). Una tale corrispondenza potrebbe d’altra parte essere suggerita dallo stesso idronimo, se si accettasse un errore nella tradizione manoscritta del nome stesso, diventato Togisonus in luogo di un originario Vigisonus, semanticamente molto vicino al medievale Vigenzone (Bosio, 1987: p. 11). Se questa ipotesi fosse corretta, si potrebbe anche pensare che, in epoca antica, il corso d’acqua si originasse nella zona settentrionale dei Colli Euganei e si portasse a Montegrotto Terme (cfr. Tav. 5), probabilmente seguendo l’attuale corso dello scolo Rialto, che in epoca medievale delimitava a sud il territorio della pieve di Abano e che è suggestivamente definito anticus in un documento del 1157.23 Da Montegrotto, riprendendo un paleoalveo rilevato da Marcolongo a est del Colle Bortolone e seguendo per un tratto lo scolo Cannelletta, sarebbe quindi passato in prossimità dell’Hotel Terme Neroniane per poi proseguire, con direzione sud est, lungo l’odierno Canale Biancolino (Fig. 2.3B). Infine, attraverso il canale di Cagnola-Bovolenta, si sarebbe potuto dirigere verso la laguna, sfociando in mare appunto nei pressi di Brondolo.
Figura 2.3. Stralcio della Carta Geomorfologica della Pianura Padana che mostra evidenza di un paleoalveo (A), probabilmente pertinente al fiume Bacchiglione, e di un secondo alveo relitto (B), forse identificabile con l’antico percorso del flumen Togisonus.
Da Albignasego, questo corso del Bacchiglione si sarebbe poi diretto a est, verso Pozzoveggiani e Roncajette, forse riutilizzando una più antica struttura dossiva del Brenta ancora oggi evidente tra Voltabarozzo e Roncajette, ovvero lungo il tracciato oggi in parte ripreso dallo scolo Boracchia che, come rilevava Castiglioni (1982b: p. 160), presenterebbe dei meandri morfologicamente compatibili con quelli del Bacchiglione. A Pozzoveggiani è possibile che il corso d’acqua lambisse l’area dell’antico oratorio di San Michele, come farebbe pensare il paleoalveo individuato a seguito delle indagini archeologiche qui condotte tra il 1999 e il 2000 (Franceshi et al., 2009: p. 44); mentre a Roncajette, dove la traccia fluviale torna ad essere visibile dalle foto aeree, si segnala la presenza di un’area necropolare in uso tra il II sec. a.C. e l’età imperiale (CAVe, 1992: p. 75 n. 264) che potrebbe essere legata proprio ad un’antica presenza fluviale. Da Roncajette è quindi possibile che questa diramazione confluisse (come quella più settentrionale) nel paleoalveo del Brenta discendente da Noventa-Saonara, probabilmente attraverso una struttura dossiva che, orientata est-ovest, oggi converge nel dosso di Arzergrande all’altezza di Case Caron, segnando il confine tra le località di Ardoneghe e Vescovo (Tav. 1, n. 12), come suggerirebbero i ritrovamenti di epoca romana effettuati in vari punti lungo tale morfologia relitta (CAVe, 1994: pp. 63 n. 213.1, 110 n. 1).
2.2. La pianura alluvionale dell’Adige A sud dei Colli Euganei e dell’allineamento canale di Cagnola-Bovolenta e fiume Bacchiglione, la pianura è andata formandosi a seguito degli apporti sedimentari dell’Adige susseguitisi durante l’Olocene Superiore (Fig. 2.1). Il fiume, proveniente da Verona, scende oggi con un unico corso meandriforme per Legnago, Badia Polesine e Cavarzere, per poi sfociare in Adriatico poco a nord di Rosolina Mare. Nel comprensorio sono però attivi, accanto ad una nutrita serie di canalizzazioni minori, anche il fiume (o canale) Gorzone, realizzato tra il 1557 e il 1572 e che da Vighizzolo d’Este corre per lungo tratto parallelo e molto prossimo al corso dell’Adige per poi gettarsi nel Brenta in prossimità di Brondolo, e il canale di Valle, opera anch’essa artificiale che corre parallela alla costa adriatica e permette il collegamento tra la laguna di Chioggia e il Po di Levante all’altezza di Porto Viro, incrociando l’Adige nei pressi di Cavanella d’Adige.
Non sembra invece plausibile che in epoca antica il Bacchiglione seguisse il corso del canale di CagnolaBovolenta, come avviene oggi (Fig. 2.1), essendo più probabile che questo scorresse in modo del tutto indipendente, come indicherebbe il fatto che, in epoca medievale, esso fosse noto come fluvius Vigenzone. La
23 Gloria, 1881b: n. 685. Sul tendenziale riferimento dell’aggettivo anticus (a differenza di vetus) a realtà materiali che il Medioevo ereditava dall’età romana o preromana, cfr. Settia, 1996.
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Il paesaggio trasformato Dal punto di vista geomorfologico la pianura, che digrada da nord ovest a sud est a partire da quote massime di 11 m s.l.m. (Este), si caratterizza per la presenza di numerose strutture dossive che, se da un lato suddividono il territorio in tante aree interdossive depresse, causando non pochi problemi di drenaggio e il facile formarsi di ambienti palustri e lacustri anche piuttosto ampi, dall’altro fungono da alti morfologici determinanti per l’impostazione di insediamenti umani e vie di comunicazione. Rispetto a quelle del Brenta, tali strutture dossive si caratterizzano per un andamento più sinuoso e una maggiore elevazione sulla piana circostante, con larghezze comprese tra 0,5 e 1 km.
A sud di Pernumia, prende invece avvio un dosso (Tav. 1: n. 18) che, per San Pietro Viminario, Vanzo, Tribano e Bagnoli di Sopra, raggiunge Agna, dove si salda con il dosso del Po proveniente da Rovigo (Tav. 1, n. 19) che costituisce il ramo più settentrionale del fiume attivo tra II e I millennio a.C. (Piovan-Mozzi-Stefani, 2010; Mozzi et al., 2011: pp. 82-86). Datazioni al 14C effettuate a Tribano suggerirebbero che la formazione del dosso sia avvenuta tra VIII e V sec. a.C. (Cucato et al., 2012: p. 128), mentre la presenza di un tronco recuperato all’interno del paleoalveo in località S. Siro di Bagnoli di Sopra indicherebbe che l’attività di questa diramazione abbia avuto inizio sul finire del II millennio a.C., proseguendo poi fino in epoca tardoromana-altomedievale (Cucato et al., 2012: pp. 128129).
Tra gli elementi morfologici più rilevanti, risalta senz’altro l’ampia struttura dossiva che si sviluppa tra Montagnana, Este e Monselice (Tav. 1: n. 13), formante parte del corso principale dell’Adige attivo tra l’età del Bronzo Finale e l’Altomedioevo, ossia tra il II millennio a.C. e il VII-VIII sec. d.C. (Castiglioni, 1978; Piovan-Mozzi-Stefani, 2010; Balista, 2015: pp. 16-27). Da questo dosso si staccano numerosi ventagli di rotta e dossi minori, attivi in momenti diversi tra l’età del Ferro e l’Altomedioevo. Tra questi, il dosso che si allunga per Pernumia, Conselve, Arre e Candiana (Tav. 1: n. 14) costituisce la più importante prosecuzione verso la laguna di Venezia del dosso di Monselice: alcune datazioni al radiocarbonio effettuate su campioni di torba prelevati nei pressi di Conselve indicano che questo percorso fosse attivo in età romana, quando probabilmente costituiva il corso principale del fiume (Mozzi et al., 2011: p. 86; Cucato et al., 2012: p. 127). Questo si sarebbe quindi diretto a sfociare in mare nei pressi di Brondolo, dove si sono anche riconosciute le tracce del suo antico delta (vedi infra, par. 2.4), probabilmente attraverso un dosso rilevato nella zona di Santa Margherita, come proverebbero alcune recenti radiodatazioni effettuate su materiali organici recuperati all’interno del dosso stesso e che lo mostrano in fase di attivazione tra II e I sec. a.C. (Piovan et al., 2012: p. 11).
Infine, decorsi dell’Adige sembrano aver interessato in età antica anche l’area più meridionale della pianura atesina, oggi occupata dal corso attuale del fiume. Secondo alcuni studiosi, infatti, a partire da Bonavigo, sarebbe stata anticamente attiva una diramazione del corso d’acqua che, alternativa a quella principale passante per Montagnana ed Este, sarebbe scesa per Legnago, Badia Polesine, Lendinara e Rovigo seguendo per gran parte il corso attualmente ripreso dal Naviglio Adigetto (Tav. 1: n. 20).24 Tale diramazione sarebbe poi sfociata direttamente in Adriatico nella zona di Cavanella d’Adige, non lontano dal sito di Corte Cavanella di Loreo, dove si sarebbero rinvenute evidenze di un’antica foce atesina (Balista, 2005: p. 81). Recenti indagini stratigrafiche e datazioni al radiocarbonio eseguite in corrispondenza del dosso moderno dell’Adige (Tav. 1: n. 21) presso Pettorazza Grimani, indicano inoltre la presenza di un corpo atesino sabbioso sepolto a circa -1,5 m s.l.m., la cui deposizione è iniziata dopo il IV sec. d.C. e si è chiusa prima del XI sec. d.C. (Piovan, 2008; Mozzi, 2013: p. 19): date coerenti con un percorso fluviale impostatosi in queste zone già in età tardoanticaaltomedievale.
All’altezza di Este si diparte invece una struttura dossiva (Tav. 1: n. 15) che si dirige a sud per la località di Deserto d’Este. Questa diramazione fluviale, che si sarebbe stabilizzata tra VII e VI sec. a.C. creando un’alternativa al percorso più settentrionale passante per Monselice (Balista, 2015: p. 18), era certamente attiva in epoca romana, come proverebbero importanti opere di sistemazione spondale e una strada arginale individuata in corrispondenza di quest’ultima (Balista e Rinaldi, 2002). Nei pressi di Deserto d’Este la struttura dossiva si divide in due distinte diramazioni: una prosegue verso sud ovest per Villa Estense, Carmignano e Sant’Urbano, terminando circa perpendicolarmente al corso attuale dell’Adige (Tav. 1: n. 16); l’altra prosegue invece a sud est per Sant’Elena fino a raggiungere Solesino, dove termina piuttosto bruscamente (Tav. 1: n. 17). È tuttavia possibile che quest’ultima originariamente continuasse verso sud est in direzione di Agna, sfruttando alcune delle tracce di paleoalvei rilevate dagli studi geomorfologici e oggi in parte riprese da fosse di drenaggio moderne.
2.3. Il settore collinare 2.3.1. I Colli Euganei Gli Euganei, che delimitano a ovest il nostro comprensorio, sono un gruppo collinare che sorge apparentemente del tutto isolato all’interno della pianura (Fig. 2.1). Il complesso, che occupa una superficie di poco meno di 190 km2, rappresenta in realtà l’estrema propaggine affiorante di una blanda monoclinale inclinata verso sud, che comprende anche le dorsali dei Monti Lessini e dei Colli Berici. L’evoluzione geologico-stratigrafica non sarebbe stata dissimile da quella degli altri settori delle Prealpi 24 Alberti, 1984: pp. 18-23; Peretto e Zerbinati, 1987: pp. 273-274; Peretto, 1992: p. 74; Bassan et al., 1994: p. 70; Balista, 2005: pp. 7983. È in questo senso interessante notare come, fino a tutto il XV sec., il Naviglio Adigetto fosse definito Athesis per distinguerlo dall’Athesis vetus, verosimilmente corrispondente all’antico percorso per Este. Cfr. Corrain, 1994: p. 66.
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Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio venete se quest’area non fosse stata interessata, tra Eocene superiore e Oligocene inferiore (40-30 milioni di anni fa), da imponenti fenomeni vulcanici sottomarini che, oltre a provocare l’emersione di ogni singolo colle, sono la causa della grande varietà litologica che oggi li contraddistingue (Piccoli et al., 1981).
da rocce magmatiche di tipo effusivo (soprattutto rioliti e trachiti, ma vi sono anche basalti e latiti). Questa differenza litica è anche all’origine delle caratteristiche forme coniche e piramidali delle fasce più elevate dei rilievi euganei, dove l’erosione naturale, nel corso di milioni di anni, ha lasciato allo scoperto le rocce magmatiche di cui si compongono: dove invece prevalgono le rocce sedimentarie, le forme dei rilievi appaiono maggiormente arrotondate e le stesse pendenze diventano più lievi. Cosicché il passaggio tra fasce più alte e più basse, ossia tra rocce effusive e sedimentarie, è spesso accompagnato anche da una sorta di ripiano alquanto caratteristico.
Geologicamente si possono infatti riconoscere nei Colli Euganei due differenti fasce rocciose, caratterizzate da differenti tipologie litiche (Fig. 2.4): la parte altimetricamente più bassa, che costituiva il substrato superficiale prima degli eventi vulcanici, è costituita da rocce sedimentarie (per lo più calcari – quali Rosso Ammonitico, Biancone e Scaglia Rossa – e marne); mentre quella più elevata, originatasi direttamente dalla lava fuoriuscita in superficie e sistematasi tra le fratture e al di sopra del substrato roccioso originale, è invece costituita
Da un punto di vista morfologico, il sistema collinare si contraddistingue per la presenza di un corpo principale
Figura 2.4. Carta litologica dei Colli Euganei.
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Il paesaggio trasformato
Figura 2.5. Visuale della pianura a sud di Padova dal Monte Venda, la cima più elevata dei Colli Euganei (601 m).
2.3.2. Le depressioni perieuganee
allungato in senso nord-sud, lungo il quale si trova il Monte Venda, che con i suoi 601 m di altezza costituisce la cima più elevata del sistema stesso (Fig. 2.5). Ai margini di questo corpo principale si sviluppano singoli colli o gruppi collinari minori, in genere ad esso connessi da strette dorsali che danno luogo ad altrettante appendici. Tra queste, la dorsale che fa perno sul Monte Venda e che, sviluppandosi all’incirca in direzione est-ovest, collega i Monti Rua (417 m) e Vendevolo (461 m), costituisce uno degli spartiacque principali del gruppo collinare.
La minore attività di deposizione fluviale nella fascia di pianura a ridosso dei Colli Euganei ha portato alla formazione di aree depresse di circa 3-5 m rispetto al resto della piana circostante (Fig. 2.6). Le più estese si trovano in particolare presso il limite orientale dei Colli (area tra Battaglia Terme, Galzignano Terme, Valsanzibio e Monte Lispida che prosegue a sud fin quasi al Monte Ricco; bacino di Montegrotto Terme) e a meridione (area tra Arquà Petrarca e Marendole; area di Baone), ma sono presenti anche presso il margine settentrionale (tra Treponti e Frassanelle). Queste depressioni hanno da sempre presentato marcate difficoltà di drenaggio delle acque superficiali e, quindi, hanno facilitato il crearsi, fin dal Pleistocene, di aree palustri e lacustri (Miola et al., 2011: p. 66; Balista, 2015: pp. 12-15).
Per quanto riguarda invece l’idrografia, la parte più elevata, costituita da rocce magmatiche, è in generale caratterizzata dall’assenza di un sistema di drenaggio ben definito: la rete idrografica vera e propria inizia infatti a svilupparsi più a valle, in corrispondenza delle formazioni sedimentarie, più facilmente erodibili. Qui il ruscellamento delle acque meteoriche e di quelle provenienti dalle numerose piccole sorgenti che costellano il sistema collinare, riuscendo facilmente ad incanalarsi data l’acclività e la relativa impermeabilità dei substrati rocciosi, forma dei corsi d’acqua minori che discendono velocemente il rilievo fino ad essere convogliati in una serie di canalizzazioni in parte artificiali che ne circondano la base. Queste, a loro volta, scaricano le acque in eccesso verso corsi d’acqua maggiori più esterni per mezzo di moderni sistemi di bonifica (Balista, 2015: p. 11).
Molte di queste aree umide erano ancora presenti in età medievale e moderna ed erano utilizzate per la caccia, la pesca, la raccolta di canne palustri e l’estrazione della torba. Oggi sono invece quasi completamente scomparse, soprattutto a seguito delle intense opere di bonifica idraulica attuate nel corso degli ultimi secoli: a ricordare l’antica presenza palustre rimangono attualmente i bacini lacustri del Lago di Lispida e del Lago della Costa ad Arquà Petrarca, alimentati prevalentemente da sorgenti termali.
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Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio il loro viaggio dall’area di ricarica al bacino termale, rende l’acqua termale euganea unica al mondo, con un alto valore terapeutico che è stato sfruttato dall’uomo fin dall’Antichità. 2.4. L’area costiera e lagunare Caratteristica della pianura a sud di Padova è la presenza del bacino meridionale della Laguna di Venezia, che ne definisce il limite orientale, separandola di fatto da un contatto diretto con il mare Adriatico (Fig. 2.1). Tuttavia, durante il periodo conosciuto come ‘Last Glacial Maximum (LGM)’ anche l’area oggi occupata dalla laguna si presentava come una vasta pianura alluvionale attraversata da diversi fiumi, i cui numerosi paleoalvei, oggi sepolti o subaffioranti, sono stati evidenziati da indagini sismiche ad alta risoluzione (Tosi et al., 2007). In questo periodo, infatti, il livello del mare (caratterizzato da un periodo di ‘lowstand’ o stazionamento basso) era di circa 110-120 m più basso del livello attuale e la linea di costa si trovava circa all’altezza di Pescara. Figura 2.6. Stralcio della Carta Geomorfologica della Pianura Padana con evidenza delle aree depresse attorno ai Colli Euganei (D).
Con il successivo miglioramento climatico, il conseguente scioglimento dei ghiacciai portò ad un rapido innalzamento eustatico. A seguito di questo evento, che venne accompagnato da un ridotto apporto sedimentario da parte dei fiumi e da un tasso di subsidenza che poteva raggiungere i 3 mm/anno, le acque dell’Adriatico iniziarono progressivamente a salire, raggiungendo la crescita massima intorno ai 5-6.000 anni fa, quando il livello di riva arrivò a superare di circa 2 m quello attuale giungendo ad oltrepassare abbondantemente verso terra l’attuale linea di costa (Fig. 2.7).25 Sembra tuttavia che questa linea di costa non sia mai riuscita a stabilizzarsi del tutto, verosimilmente a causa di un attivo apporto sedimentario di origine fluviale che, fin da subito, venne a riversarsi su di essa causandone il progressivo arretramento (Bondesan et al., 1995: pp. 107-108).
2.3.3. L’area termale Caratteristica del comprensorio euganeo è la presenza di acque termali. Il bacino termale – del quale fanno parte i comuni di Abano, Montegrotto, Battaglia e Galzignano – è uno dei principali campi termali del nord Italia e si estende su di un’area di circa 23 km2, localizzandosi nel settore nord-orientale dei Colli Euganei e nella pianura antistante. I fluidi termali presentano una temperatura variabile da 70°C a 86°C (sono quindi acque ipertermali) e la loro unicità risiede nel lungo viaggio che devono compiere per giungere al bacino termale. L’area di ricarica del sistema sembrerebbe infatti potersi localizzare 80-100 km a nord del bacino termale euganeo, nei rilievi prealpini a nord di Schio (provincia di Vicenza), dove le acque meteoriche si infiltrano raggiungendo una profondità di 2000-3000 m e riscaldandosi per effetto del gradiente geotermico (30°C/km). Dalla zona di ricarica esse fluiscono verso sud grazie alla fratturazione delle rocce serbatoio, collegabile all’attività della faglia Schio-Vicenza che agisce da principale struttura di circolazione. In corrispondenza del bacino termale vero e proprio, le acque intercettano in profondità alcune fratture tenute aperte da una struttura geologica collegata alla faglia, attraverso le quali risalgono e raggiungono il serbatoio termale principale, costituito da rocce prevalentemente calcaree e dolomitiche. Da qui, attraverso altre fratture, giungono infine in superficie.
Raggiunta, infatti, alla fine del periodo Atlantico (circa 5.000 anni fa) una condizione di optimum climatico, la spinta eustatica divenne sempre più lenta fino ad esaurirsi e iniziò una fase di ‘highstand’ (o stazionamento alto) del livello marino, a seguito del quale i principali corsi d’acqua della zona (Brenta, Bacchiglione, Adige e Po) iniziarono a scaricare in mare grandi quantità di sedimenti. Grazie a questi apporti solidi e ai tassi di subsidenza ridotti a valori medi di 1 mm/anno, la linea di costa cominciò ad avanzare gradualmente verso mare, finché venne a stabilizzarsi nella posizione ancora oggi indicata dai dossi sabbiosi rilevabili tra il canale Gorzone e il canale dei Cuori, a nord di San Gaetano e lungo l’allineamento Motta Palazzetto-Motte Cucco-San Pietro di Cavarzere (Favero In questo particolare momento, il mare venne a trovarsi in una posizione approssimativamente più interna rispetto all’attuale linea di costa, rispettivamente di 4 km all’altezza di Malamocco, di circa 7 km in corrispondenza di Pellestrina e di Chioggia e di oltre 15 km nei pressi dell’attuale Adige, dove raggiunse la zona di Cavarzere. Cfr. Favero e Serandrei Barbero, 1978: p. 341; Favero e Serandrei Barbero, 1980: p. 65; Tosi, 1994: p. 593; Bondesan, 2003: p. 61.
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Lungo tutto il percorso l’acqua viene trattenuta ad alta temperatura e a forte pressione durante un periodo medio di 25/30 anni, arricchendosi di sali minerali. Proprio la ricchezza di sostanze accumulate e disciolte durante 33
Il paesaggio trasformato
Figura 2.7. Evoluzione delle antiche linee di riva nella Laguna di Venezia a partire da 10.000 anni fa (elaborazione dell’autore sulla base di Tosi, 1994).
detritici di origine fluviale, la stabilità della linea di costa e la subsidenza del suolo favorirono il crearsi di specchi d’acqua che, ampliandosi progressivamente, diedero infine origine a un ambiente di tipo lagunare, contornato da aree paludose e torbiere.26
e Serandrei Barbero, 1978: p. 341; Bassan et al., 1994: p. 63 – Fig. 17b). Evidenze della prosecuzione di questo sistema dunoso s’individuano anche a sud dell’Adige, presso l’attuale corso del Po, mentre la sua prosecuzione verso nord è suggerita, all’interno della Laguna di Venezia, da una serie di morfologie di forma allungata, in parte emergenti e in parte sommerse, lungo l’allineamento Valle della Dolce-Petta del Bo e dalla presenza di sabbie di ambiente marino litorale ritrovate al di sotto di sedimenti di origine lagunare (Primon e Furlanetto, 2004: p. 308).
Gli studiosi sono abbastanza concordi nel ritenere che una tale situazione di stabilità si dovette protrarre fin verso la fine del Subboreale, circa 3.000 anni fa (Favero 26 Tale ambiente lagunare venne a costituire un grande bacino esteso, verso nord, almeno fino alle isole di Burano e Torcello. Cfr. Bondesan et al., 1995.
Contemporaneamente, nelle aree retrostanti questi cordoni litorali non direttamente interessate dagli apporti 34
Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio ai fiumi Adige e Po e alla migrazione verso sud del corso principale del fiume Brenta) venne a riversarsi sul lato a mare del precedente cordone litoraneo, provocando la
e Serandrei Barbero, 1980: p. 67; Bassan et al., 1994: pp. 63-64). A partire da questo momento, infatti, un intenso apporto di sedimenti sabbiosi di origine fluviale (dovuti
Figura 2.8. Evoluzione della linea di costa adriatica nel settore meridionale della Laguna di Venezia tra Malamocco e Chioggia (elaborazione dell’autore sulla base di Primon e Furlanetto, 2004): A) Neolitico; B) Eneolitico; C) età del Bronzo; D) epoca protostorica-romana-altomedievale; E) epoca medievale-moderna.
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Il paesaggio trasformato rapida progradazione della linea di costa e causando al contempo la scomparsa della laguna a essa retrostante (Favero e Serandrei Barbero, 1978: p. 341). Questa fase d’intenso apporto sedimentario sarebbe stata responsabile della formazione di almeno due differenti apparati deltizi di tipo cuspidato: uno, più antico e riferibile al Po, tra San Pietro di Cavarzere e Cavanella d’Adige; un secondo, più recente e da ricondurre all’Adige, nella zona di Brondolo, che sarebbe anche responsabile della formazione della penisola lagunare su cui sorge il moderno abitato di Chioggia. Il delta più antico dovrebbe datarsi tra 4.500 e 3.500 anni fa, mentre il secondo, a cui sarebbero da riferire anche le dune di Bosco Nordio (a sud di Sant’Anna di Chioggia), si sarebbe formato tra 2.700 e 1.900 anni fa (VII sec. a.C. - I sec. d.C. – Bondesan et al., 2008: pp. 148-150).
allora più avanzato rispetto all’attuale e che la terraferma si estendesse su gran parte dell’area a est del Taglio Nuovissimo, oggi occupata dalla laguna (Fig. 2.9): paludi, laghi e canneti dovevano allora caratterizzare il paesaggio, ma dovevano incontrarsi anche pascoli e boschi oltre ad un’articolata rete stradale e diversi nuclei abitati. Lo confermerebbero, oltre ai dati paleoambientali, anche le particolari concentrazioni di materiale archeologico di epoca romana che, visibili durante i periodi di bassa marea soprattutto nei pressi delle barene che occupano il margine interno lagunare attuale, indicano come a quell’epoca l’area dovesse essere emersa e stabilmente abitata (Furlanetto, 2011). A partire dalla Tarda Antichità, e sotto la spinta di una pressione eustatica che, iniziata già tra I-II sec. d.C., avrebbe raggiunto l’acme tra la fine del V e il VI secolo d.C., si assiste tuttavia, in particolare sul versante costiero settentrionale, alla progressiva regressione della linea di spiaggia (Ammerman et al., 1999: pp. 306-311; Canal et al., 2001: pp. 1149-1150): in questo periodo, infatti, nelle stratigrafie lagunari compaiono frequenti livelli di ingressione marina, che conducono progressivamente al riaffermarsi di un ambiente lagunare che viene a sommergere gran parte delle terre prima emerse (Alberotanza et al., 1977: pp. 247-250; Favero et al., 1988; Mozzi et al., 2003).
L’intensa attività sedimentaria di origine fluviale avrebbe quindi comportato, tra 3.000 e 2.500 anni fa, il rapido avanzamento della linea di costa, che venne ad assestarsi in una posizione all’incirca corrispondente a quella odierna (Fig. 2.8C), con un fronte costiero proteso da Malamocco a Chioggia, che doveva proseguire lungo l’allineamento Brondolo-Sant’Anna-Cavanella d’Adige, raccordandosi con le precedenti cuspidi deltizie (Rosada e Zabeo, 2012: p. 245). Tale linea di costa era costituita da poderosi cordoni dunosi, ancora in parte esistenti a est del Canale di Valle, formati da una serie di almeno tre allineamenti sabbiosi paralleli molto vicini tra loro, la cui formazione è stata riferita, rispettivamente, ai secoli IV a.C., III d.C. e X d.C. (Ciabatti, 1967: Tav. XXXVIII; Primon e Furlanetto, 2004: p. 310).
La pianura alluvionale che si estendeva su gran parte dell’attuale laguna meridionale viene comunque ad essere definitivamente invasa dalle acque salmastre solamente a partire dal XVI secolo, quando la Serenissima Repubblica di Venezia diede avvio a tutta una serie di provvedimenti di controllo idraulico finalizzati all’estromissione delle acque del Brenta, al fine di impedire l’impaludamento del bacino lagunare e garantirne la navigabilità, fattore determinante per la sopravvivenza di Venezia stessa (Bondesan, 2003: pp. 76-77; Mozzi e Furlanetto, 2004: pp. 269-272). L’eliminazione del fiume, che nel 1540 fu portato a sfociare a Brondolo unitamente al Bacchiglione e, soprattutto, la mancanza degli apporti solidi che esso garantiva, unita alla forte subsidenza, provocarono tuttavia un rapido abbassamento del livello del suolo, cui fece seguito una massiccia ingressione di acque marine. In breve tempo, quindi, nella zona compresa tra Porto Marghera e la Bonifica Delta Brenta, s’instaurarono nuovamente condizioni lagunari: fu quindi solo la costruzione della ‘conterminazione lagunare’, opera di arginatura realizzata tra 1610 e 1791 e che tuttora separa la laguna dalla terraferma, a impedire che le acque si espandessero ancor più verso terra.
La presenza di differenti apparati deltizi indica come tutta questa zona sia stata soggetta a una forte influenza esercitata dalle dinamiche fluviali che, oltre a favorire la rapida progradazione del litorale, causarono profondi mutamenti ambientali nelle aree a questo retrostanti, come dimostrato da vari sondaggi penetrometrici eseguiti a più riprese all’interno dell’attuale Laguna di Venezia (Zabeo, 2010: pp. 66-70). Se dal punto di vista sedimentologico tali sondaggi hanno permesso di evidenziare la scomparsa di sedimenti lagunari, gradualmente sostituiti da argille palustri, da quello palinologico hanno accertato la presenza in questo momento di una vegetazione di tipo palustre tra cui numerosi dovevano essere i canneti, ma in cui non doveva comunque mancare l’elemento arboreo (Favero e Serandrei Barbero, 1980: p. 68). A partire da 3.000 anni fa circa, nella zona dell’attuale laguna si sarebbe quindi verificata una massiccia invasione di acque dolci che portò alla graduale trasformazione di buona parte degli specchi lagunari precedenti in un bacino palustre dulcicolo, caratterizzato da vaste torbiere ricche di stagni e canali (Favero e Serandrei Barbero, 1980: pp. 51, 66-68; Bondesan et al., 1995: p. 109). È possibile che l’estensione di questo ambiente palustre non superasse di molto, verso terra, la linea indicata come ‘margine interno della laguna’ sulle carte veneziane fino alla metà del XVI sec. Queste mostrano, infatti, come tale margine fosse
Più a sud, invece, la deposizione dei fiumi Brenta e Bacchiglione venne a sommarsi agli apporti dell’Adige causando un notevole accrescimento del litorale e, tra le altre cose, anche l’interramento della laguna di Brondolo e la formazione del Lido di Sottomarina, che attualmente corrisponde all’ultimo tratto del litorale della Laguna di Venezia verso sud.
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Tra terra e acqua: geomorfologia di un territorio anfibio
Figura 2.9. Particolare della Carta dello Stato di Terra della Serenissima di Cristoforo Sorto (fine XVI sec.), conservata presso la Biblioteca del Museo Civico di Venezia (modifcato da Selmin e Grandis, 2008). Si nota come, all’epoca della stesura della carta, la parte meridionale della Laguna di Venezia fosse decisamente più ristretta e arrivasse a comprendere la zona di Brondolo (oggi completamente interrata).
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Capitolo 3 Aspetti e forme del popolamento di epoca romana Abstract: In Roman times, the plain south of Padua was administratively divided between the urban centres of Patavium, Ateste and Atria, which shared the management of their resource. The agri belonging to the different civitates were then formed by a series of minor administrative districts, called pagi, each of which included one or more minor centres within them. For example, we know from classical sources that, in the plain belonging to Patavium, there were the pagus Disaenius, in the area of the current village of Albignasego, and the pagus Troianus, likely in current Saccisica, not too far from the ancient mouth of the river Meduacus. Surely, a pagus of a certain importance existed in the Euganean thermal area, where it is likely that the administrative centre was located at the current village of Montegrotto and the religious one at Abano, the possible seat of the Fons Aponi from which the current centre would have derived its name. A particularly important district must also have corresponded to the Euganei Hills, which are affected by intense mining activity: here the main centre seems to have been in the area of the ancient Mons Silicis (Monselice), within the ager Atestinus. Another area that was economically heavily exploited was the coastal zone, near the paludes, where most of the minor centres known from classical sources were located: these included both road settlements, developed along the terrestrial route linking Atria and Altinum, and ports, established at the mouths of the main river courses that flowed into the Adriatic Sea. These last also constituted important reference points along the inland water navigation route between Ravenna and Altinum, and ‘terminals’ for the maritime commercial routes that at that time affected the upper Adriatic Sea. However, most of the settlements that characterised the territory in Roman times are referable to residential– productive structures of Italic origin that, depending on building plan and size, we can usually divide into villae rusticae and farms. 3.1. Centri urbani
nel 141 a.C.27 Grazie a queste precise testimonianze epigrafiche, possiamo dunque ipotizzare che il confine che divideva l’ager Patavinus da quello Atestinus passasse per Teolo, scendesse poi a sud lungo la dorsale del Monte Venda e si portasse fino a Galzignano, lasciando l’area termale euganea sotto la giurisdizione patavina (Zerbinati, 1987: pp. 238-241; Boaro, 2001: pp. 163-168). Da qui è possibile che si dirigesse poi a sud est verso Pernumia, seguendo il corso principale del fiume Atesis/Adige, allora passante per Conselve, Candiana e Concadalbero fino a raggiungere la costa adriatica (Fig. 3.1).
In epoca romana, tre erano le principali comunità urbane (o civitates) che si suddividevano il controllo e la gestione del territorio e delle risorse della pianura a sud di Padova (Fig. 3.1): Patavium (Padova), Ateste (Este) e Atria (Adria). Tutti e tre centri di origine veneta, erano probabilmente divenuti colonie latine fittizie nell’89 a.C., a seguito della legge promossa da Pompeo Strabone durante la guerra sociale, per poi assurgere, tra il 49 e il 42 a.C. – ovvero all’indomani della promulgazione della lex Roscia (49 a.C.) con la quale Giulio Cesare concedesse i pieni diritti alle principali comunità indigene della Gallia Cisalpina ma prima dall’abolizione della provincia Cisalpina da parte di Ottaviano (42 a.C.) – al rango di municipia civium Romanorum. La sola Ateste giunse ad assumere, in epoca augustea, anche lo status di colonia, ricevendo nel proprio territorio parte delle milizie veterane che avevano combattuto ad Azio nel 31 a.C.
Il testo ufficiale riporta che L(ucius) Caicilius Q(uinti) f(ilius) pro co(n)s(ule) terminos finisque iuset statui ex Senati consolto inter Patavinos Atestinosque. Nel caso delle iscrizioni euganee di Teolo e del Monte Venda, il testo compare tuttavia in due distinte versioni, che la diversità dei caratteri paleografici suggerisce essere state eseguite in due differenti momenti: verosimilmente, una prima volta quando vennero materialmente tracciati i confini (in questo caso nel 141 a.C.) e, successivamente, quando si volle sancire in via definitiva quanto in precedenza stabilito (Buonopane, 1992: pp. 220-223). È possibile che questo secondo intervento, a cui andrebbe paleograficamente riferita anche l’iscrizione di Galzignano, si sia verificato in epoca augustea, ovvero al momento di una ridefinizione degli agri e dei fines pertinenti ai centri urbani del territorio molto probabilmente legata alla decisione del princeps di sopprimere la provincia Gallia Cisalpina e di includere la Venetia, e le nuove comunità civium Romanorum che erano venute costituendosi a partire dall’epoca di Cesare, nella decima regio Italiae (Plin., Nat hist., III, 126). 27
La presenza di ben tre distinti testi epigrafici, ritrovati in alcune località dei Colli Euganei – a Teolo (CIL, I2, 634= V, 2492= ILS, 5944), sul Monte Venda (CIL, I2, 633= V, 2491= ILS, 5944a) e a Galzignano Terme (CIL, I2, 2501) – ci indicano quale doveva essere il confine tra gli agri sotto la giurisdizione, rispettivamente, dei Patavini e degli Atestini, così come venne esso stabilito, per ordine del senato di Roma, dal proconsole L. Caecilius [Metellus]
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Il paesaggio trasformato
Figura 3.1. Probabile assetto amministrativo della pianura a sud di Padova in epoca romana.
Se però il territorio a nord del fiume doveva interamente ricadere sotto il controllo di Patavium, come attestano le numerose testimonianze epigrafiche relative a personaggi appartenenti alla tribù Fabia (propria di Patavium), quello a meridione del corso d’acqua sarebbe stato invece ulteriormente suddiviso tra i centri di Ateste e di Atria. A fare da spartiacque tra l’ager Atestinus e quello Atrianus, in questo caso, potrebbe essere stata l’imponente struttura dossiva del Po sviluppantesi tra Rovigo, Anguillara e Concadalbero, in epoca romana forse ancora parzialmente sfruttata da una diramazione secondaria dell’Atesis, come sembrerebbe suggerire la mancanza di attestazioni relative alla tribù Romilia (propria di Ateste) a est di tale struttura e, al contrario, la presenza di quelle relative alla Camilia (propria invece di Atria).28
28
Risulta in questo modo evidente che il controllo e la gestione dei principali scali a mare sull’Adriatico, strettamente collegati all’importante idrovia padana che collegava Ravenna e Altinum, si sarebbero unicamente divisi tra Patavium e Atria. In particolare, l’area costiera a nord di Brondolo, da Chioggia fino a Malamocco, sarebbe verosimilmente appartenuta a Patavium, come testimonia la presenza di iscrizioni menzionanti la tribù Fabia a Sant’Ilario di Mira, a Vallonga di Arzergrande e a Corte di Piove di Sacco e, a Chioggia, l’epigrafe di un concordialis, ovvero di un membro di un collegio tradizionalmente ritenuto proprio di Patavium.29 L’area più meridionale, che in epoca romana corrispondeva al delta principale del Po, sarebbe invece rimasta sotto il controllo e la gestione di Atria, coerentemente con le affermazioni di Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120) che definisce Atrianorum questa parte di territorio. 29 Cfr. Bosio, 1981b: p. 238; Bonomi, 1987: p. 197. Per il collegio patavino dei concordiales, cfr. Bassignano, 1981: pp. 211-212.
Cfr. Peretto, 1986: p. 70; Peretto e Zerbinati, 1987: pp. 274-275, 278.
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana 3.2. Distretti territoriali e centri minori
dal margine interno delle paludes che caratterizzavano il litorale in epoca romana (Bassignano, 1981: p. 203).
Gli agri pertinenti alle varie civitates erano poi ulteriormente suddivisi, dal punto di vista amministrativo, in unità o distretti territoriali minori, chiamati pagi, in cui si espletavano per lo più funzioni giuridiche, fiscali e religiose (Curchin, 1985; Capogrossi Colognesi, 2002). Per quanto riguarda pianura a sud di Padova, siamo a conoscenza dell’antica esistenza di almeno due di questi pagi, in entrambi i casi situati entro i confini dell’ager patavinus (Fig. 3.1): il pagus Disaenius che, noto da un’iscrizione ritrovata nel 1861 presso il cimitero di Albignasego (CAVe, 1992: p. 74 n. 258.1), doveva molto probabilmente collocarsi nella zona degli attuali centri di Albignasego e Maserà di Padova (Fraccaro, 1943; Bassignano, 1981: pp. 204-205; Lazzaro, 1984); e il pagus Troianus, così chiamato perché sorto nei luoghi in cui sarebbe avvenuto il leggendario sbarco dei Troiani guidati da Antenore (Liv., I, 1, 3), che potrebbe invece essersi ubicato nell’attuale Saccisica, forse non troppo lontano
Al proprio interno ogni pagus comprendeva poi, oltre alla generica presenza di villae e insediamenti sparsi, anche uno o più insediamenti di tipo nucleato funzionanti come poli di aggregamento e coordinamento della popolazione rurale (Letta, 2008) e corrispondenti a quelle realtà minori che le fonti di epoca romana definiscono variamente vici, fora e conciliabula, oppure, quando direttamente connesse al cursus publicus, stationes, mansiones e mutationes.30 La certa presenza di alcuni di tali insediamenti nel territorio a sud di Padova ci è testimoniata dalle fonti classiche,
Non essendo questa la sede più indicata per trattare diffusamente della problematica che coinvolge direttamente il riconoscimento (tanto storico quanto archeologico) di tali realtà minori, si consiglia di prendere visione, in particolare, dei contributi di Corsi, 2000; Tarpin, 2002; Sisani, 2011; Todisco, 2011: parte 1; Tol et al., 2014; Girotto e Rosada, 2015: pp. 168-170; Basso e Zanini, 2016 e della bibliografia ivi citata.
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Figura 3.2. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nell’area termale euganea.
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Il paesaggio trasformato in particolare itinerarie, che ne riportano i nomi e ne suggeriscono la possibile ubicazione.
diventando quasi il quartiere termale di Patavium, da cui amministrativamente dovevano dipendere (Zanovello, 2011).
3.2.1. L’area termale Stando alle testimonianze archeologiche, due sembrano le aree principali sedi di insediamenti nucleati di un certo livello (Fig. 3.2). La prima si trova in prossimità del centro attuale di Abano Terme, toponimo che sembrerebbe poter suggestivamente derivare proprio da un originario Aponus (Busato, 1881): a suggerire, forse, la presenza in questa zona del centro religioso vero e proprio, ovvero dove materialmente si trovava la sorgente termale principale, quel fons Aponi menzionato più volte dagli autori latini di età imperiale e tardoantica presso cui si incontrava l’oracolo di Gerione. In questo caso tale sorgente si sarebbe potuta ubicare nell’area del colle Montirone, dove in differenti occasioni vennero alla luce diverse vasche termali e si recuperò vario materiale votivo inquadrabile tra III sec. a.C. e II sec. d.C., tra cui alcune dediche ad Apollo
Dal punto di vista insediativo, una certa importanza rivestiva senza alcun dubbio l’area termale euganea, sede di un importante culto delle acque termali posto sotto la protezione del dio Aponus e di un oracolo legato alla figura mitica di Gerione, che Svetonio ricorda essere stato consultato, tra gli altri, anche da un giovane Tiberio (Suet., Tib., 14). In epoca romana, tuttavia, l’aspetto religioso diviene meno preponderante e il potere benefico e curativo delle terme assume invece una forte connotazione economica, così che i Patavini fontes si trasformano in breve tempo in una rinomata stazione ‘turistico-curativa’ e, sul modello di altre famose località termali sia in Italia sia nelle province (una fra tutte Baia nei Campi Flegrei), tra I e II sec. d.C. acquistano un aspetto sempre più residenziale,
Figura 3.3. Montegrotto Terme. Pianta dei resti del complesso termale di via degli Scavi (elaborazione dell’autore): A-B) vasche rettangolari; C) vasca rotonda; D) edificio absidato (ninfeo?); E) teatro-odeo .
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana dall’Università di Padova nei terreni dell’Hotel Terme Neroniane (Bressan, 2011; Bressan, 2012 – Fig. 3.4), non lontano da un impianto termale composto da almeno quattro vasche (Bressan e Bonini, 2015: p. 191). Il complesso si evidenzia per l’estensione e la ricchezza del partito decorativo, caratterizzato da pavimentazioni a mosaico e in opus sectile, mentre elementi architettonici e arredi scultorei ornavano ambienti riscaldati a ipocausto, saloni e porticati. Se non propriamente con una villa d’otium appartenente ad un personaggio di altissimo rango, si potrebbe pensare di identificare tale complesso con il palatium o aedes publica che, ancora nel VI sec. d.C., Cassiodoro (Var., II, 39) ricorda esistente seppur in rovina (Brogiolo e Chavarrìa, 2014: pp. 235-237).
e, piuttosto significativamente, ad Aponus (Bassignano, 2006: p. 23; Bressan e Bonini, 2012: nn. AT 13, 16-17, 20-21). Una seconda grande area insediativa doveva inoltre sorgere presso l’attuale Montegrotto Terme e, in base alla quantità e alla qualità dei ritrovamenti, poteva forse corrispondere al principale centro amministrativo del distretto (Bressan e Bonini, 2012; Bressan e Bonini, 2015 – Fig. 3.2). Particolarmente significativi sono, in questo senso, i ritrovamenti effettuati a più riprese nei pressi del colle Bortolone (Fig. 3.3), dove è stato messo parzialmente in luce un vasto complesso termale, costituito da almeno tre grandi vasche e da un edificio di notevoli dimensioni forse dotato di ninfeo (Bonetto, 2009: p. 336; Bonomi e Malacrino, 2012) e, aspetto particolarmente interessante, da un piccolo teatro la cui costruzione è databile alla seconda metà del I sec. a.C. (Tosi, 1987; Bonomi e Malacrino, 2011b).
3.2.2. Il distretto minerario dei Colli Euganei Altro importante distretto, essenzialmente a livello economico, fu quello collinare degli Euganei. Oltre, infatti, che per le risorse tipiche dell’area collinare – viticoltura, frutticoltura, olivocoltura, utilizzo dei pascoli per l’allevamento ovicaprino e dei boschi per il recupero
Un certo interesse riveste però anche il grande complesso residenziale (I-IV sec. d.C.) recentemente indagato
Figura 3.4. Planimetria del complesso insediativo oggetto d’indagine da parte dell’Università di Padova presso l’Hotel Terme Neroniane di Montegrotto Terme (elaborazione dell’autore).
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Il paesaggio trasformato di legname e la caccia (Buchi, 1993: pp. 100-103) – i Romani sfruttarono gli Euganei soprattutto per l’estrazione delle vulcaniti di cui si compongono i rilievi. L’utilizzo di tali rocce da parte dell’uomo è documentato fin dalla preistoria, ma è a partire dall’età del Ferro e, ancor più, durante il periodo romano, che si assiste ad un intensificarsi dell’attività estrattiva che trasforma l’area euganea in un distretto minerario di importanza sovraregionale, da cui si ricavava in particolare la trachite.31 Questa importanza venne senz’altro favorita dalla particolare localizzazione geografica dei colli all’interno della pianura padanoveneta, dove la possibilità di essere raggiunti da vie d’acqua navigabili (il Bacchiglione a nord, iI Vigenzone a est e l’Adige a sud) ne permise un ampio sfruttamento. Pietra durevole, particolarmente resistente all’usura, alla compressione e all’acqua, la trachite euganea, soprattutto quella grigia, più facilmente lavorabile di quella gialla, trovò in età romana, dopo un impiego sporadico nella metà del II sec. a.C., largo uso ed enorme diffusione in particolare nelle pavimentazioni stradali, nelle condutture di acquedotti, nelle strutture architettoniche e nella realizzazione di macine a mano per cereali; costituì anche il materiale preferito dall’artigianato locale per la produzione di stele, are, sarcofagi, monumenti funerari e cippi di viaria destinazione. Sulla base di recenti studi (Previato et al., 2014; Germinario et al., 2017; Zara, 2018), in età romana dovevano essere sfruttate aree estrattive situate sui Monti Rosso, Lispida, Trevisan e Altore, anche se i principali fronti di cava dovevano essere attivi a Montemerlo, sul Monte San Daniele, sul Monte Oliveto e, in particolare, a Monselice, il cui nome stesso, derivante da un originario Mons Silicis, richiamerebbe proprio la presenza della trachite e quindi le attività di estrazione che lì dovevano praticarsi (Fig. 3.5).
Figura 3.5. Colli Euganei: principali aree di estrazione della trachite in età romana.
essere state occupate da Alboino nel 569, pur essendo poi conquistata da Agilulfo nel 602. La grande quantità di manufatti archeologici (soprattutto epigrafici) rinvenuti nel centro storico e la presenza di necropoli a carattere monumentale nelle immediate vicinanze (CAVe, 1992: pp. 130-131 nn. 216-219, 131-132 nn. 223-226), ha da sempre suggerito che la località fosse sede di un insediamento piuttosto importante già in epoca imperiale, verosimilmente legato allo sfruttamento delle cave di trachite e al controllo della via fluviale dell’Adige (Zerbinati, 1987: p. 245 – Fig. 3.6). Tuttavia, le varie indagini archeologiche che si sono succedute all’interno del centro storico a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, non sono riuscite ad individuare evidenze riferibili a strutture che facciano pensare all’esistenza di una qualche forma di agglomerato insediativo precedente al VI sec. d.C., momento al quale si daterebbe la costruzione del castrum (bizantino e poi longobardo) sul colle della Rocca e l’impostazione della civitas attorno alla chiesa di San Paolo (Brogiolo, 2009). Le uniche attestazioni circa una frequentazione del sito in epoca romana sono, infatti, solo dei contesti funerari individuati in via XXVIII Aprile (Bonomi, 2009: pp. 323325) e alcune evidenze relative ad una probabile area necropolare della prima età imperiale nella zona della chiesa di San Paolo (Brogiolo, 1994: p. 57).
Sulla base di studi petrografici (Germinario et al., 2017: pp. 9-10), sembrerebbe anche possibile ipotizzare quella che doveva essere la divisione amministrativa del distretto, con le cave situate più a nord (tra cui Montemerlo, Monte San Daniele e Monte Oliveto) sotto il diretto controllo di Patavium e quelle più meridionali (prima fra tutte Monselice) gestite interamente da Ateste: divisione che peraltro concorderebbe con quella tra gli agri delle due civitates così come è suggerita dalla disposizione dei vari cippi confinari ritrovati nel territorio (Fig. 3.1). La zona di Monselice assunse particolare importanza in epoca tardoantica, tanto che l’Anonimo Ravennate (IV, 31), alla fine del VII sec. d.C., inserisce Monssilicis tra le principali civitates Italicae prope maris litora, mentre Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum (scritta tra il 787 e il 789), ricorda il castrum Montesilicis (II, 14; IV, 25) come una delle poche città della Venetia a non
Sembrerebbe quindi più ragionevole pensare che, in epoca pienamente romana, il centro principale (responsabile della gestione delle cave del mons Silicis) sorgesse in pianura, maggiormente a contatto con il corso dell’Adige e la direttrice viaria collegante Patavium e Ateste. In questo senso, una località che potrebbe candidarsi ad aver ospitato un simile insediamento sarebbe Vetta di Monselice (Fig. 3.6) oggetto, nel corso del tempo, di numerosi ritrovamenti
31 Oltre che per essere utilizzata a Patavium ed Ateste, centri che dovevano dividersi la gestione di tale distretto estrattivo, la trachite euganea veniva commercializzata in tutta la Venetia, mentre una non piccola quantità raggiungeva anche i mercati dell’Aemilia e dell’attuale Lombardia. Cfr. Previato et al., 2014; Zara, 2018.
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.6. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nel territorio di Monselice.
Sambruson di Dolo (Fig. 3.7), dove nel 1887 si rinvenne, ancora in situ, un miliare di Costantino (Bassani, 2010: pp. 74-75). Anche se privo del numero delle miglia, la presenza del miliare è oltremodo significativa, in quanto lascerebbe ipotizzare che, in origine, esso fosse collocato in corrispondenza di una zona particolarmente rilevante dal punto di vista itinerario, quale appunto doveva essere una stazione di tappa. Questo possibile ruolo, per così dire, di station routière svolto anticamente dal sito di Sambruson, sarebbe ulteriormente suggerito da alcuni ritrovamenti effettuati nel 1950 durante lo scavo di una necropoli romana nel fondo Velluti (CAVe, 1994: p. 67 nn. 245-246): come infatti avverte Monica Zampieri (2009: pp. 207-214), la presenza, tra il materiale allora raccolto, di laterizi bollati, tessere musive, frammenti di ceramica fine da mensa, anfore e vetri, farebbe pensare che nella zona esistesse un contesto residenziale frequentato almeno dalla fine del IVIII sec. a.C. e fino al III sec. d.C. L’analisi di tali materiali, oltre a mettere in evidenza una certa predominanza delle produzioni locali, ha evidenziato anche una certa presenza di anfore di produzione orientale, africana e soprattutto
pertinenti a contesti insediativi e, soprattutto, funerari (CAVe, 1992: p. 131 nn. 220-221; Bonomi, 2009), oltre ad una dedica a Fons (Bassignano, 1997: pp. 147-148 n. 2) che lascerebbe ipotizzare la presenza nella zona di un luogo di culto ad essa dedicato. 3.2.3. La pianura Per quanto riguarda l’area di pianura, che dovette essere ampiamente sfruttata a fini agricoli, venatori e per l’impianto di insediamenti produttivi (in particolare per la produzione di laterizi), le fonti classiche non ricordano tuttavia l’esistenza di alcun centro minore, ad eccezione della mutatio ad XII, una statio del cursus publicus che l’Itinerarium Burdigalense (559, 4) colloca lungo la direttrice Patavium-Altinum e che, come suggerisce il nome, doveva trovarsi a XII miglia (circa 18 km) da Patavium. Sulla base di tale distanza, l’ubicazione della mutatio sembrerebbe doversi riconoscere nell’odierna località di
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Il paesaggio trasformato
Figura 3.7. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Sambruson di Dolo.
iberica (I-II d.C.), che attesterebbe l’inserimento del sito all’interno di un circuito commerciale a largo raggio, più adeguato a una stazione itineraria che a un semplice insediamento rustico. L’importanza della località risalta d’altra parte anche per il toponimo attuale, attestato nel 1117 come Santo Broxone e derivato da un originale Sanctus Ambrosius: il collegamento con tale santo si ritrova generalmente lungo tracciati stradali utilizzati in epoca tardoantica e non sorprende, quindi, di incontrarlo nel sito di una probabile stazione viaria collocata lungo la direttrice che, in epoca basso imperiale, univa Aquileia a Mediolanum, città dove Ambrogio fu vescovo e che ospitava una basilica dedicata al suo culto.
terrestri colleganti Patavium con altri centri urbani della Venetia o di altre regiones e, in particolare, in zone di guado a controllo del passaggio di un corso fluviale. L’altomedievale centro di Sarmacia (oggi Sarmazza, frazione di Vigonovo), ricordato fin dall’874 come sede della pieve di San Salvatore (Cuscito, 1984), ha certamente un’origine antica (Fig. 3.8). La presenza di materiali preromani, tra cui una paletta rituale (IV/III sec. a.C.) ritrovata nei pressi di Villa Sagredo, suggerisce infatti che la zona fosse oggetto di una certa frequentazione già in epoca protostorica (Zampieri P., 2003: pp. 15-18). È, tuttavia, con l’età romana che il sito sembra assumere una maggiore consistenza a livello insediativo, come testimonia la quantità di materiale archeologico ritrovato a più riprese nella frazione, tra cui le tracce di un’area necropolare in uso tra I e IV sec. d.C. (Zampieri P., 2003: pp. 23-28) e, non lontano, un miliare con l’indicazione VII [m.p.] (Zampieri P., 2003: p. 34), a segnalare la distanza di sette miglia (circa 10,5 km) che separavano la località da Patavium. Nel settore orientale dell’insediamento attuale,
Stando a quanto suggeriscono i dati archeologici, è tuttavia possibile che, per quanto riguarda l’area più propriamente planiziale, centri aggregativi di una certa consistenza si ubicassero anche presso le odierne Sarmazza di Vigonovo, Pernumia (per quanto riguarda l’ager patavinus), Sant’Elena (per quello atestinus) e Agna (nell’ager atrianus). Tutti si collocavano lungo importanti direttrici 46
Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.8. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Sarmazza di Vigonovo.
con una certa frequenza lungo importanti direttrici di traffico. A testimoniare l’antichità insediativa di Pernumia sono comunque soprattutto le indagini archeologiche effettuate nel 1998 all’interno della pieve intitolata a Santa Giustina, testimoniata nelle fonti scritte a partire dal 1045 (Brogiolo e Ibsen, 2009: pp. 204-205): al di sotto delle strutture attuali, risalenti per lo più al XII sec., si sono infatti individuate le tracce del primitivo impianto della chiesa, databile tra V e VI sec. d.C. e probabilmente sorto al di sopra (o nelle immediate vicinanze) di un’area necropolare di epoca romana imperiale. L’aspetto più interessante è, tuttavia, l’attestata antichità della struttura originaria: il fatto che, già tra V e VI sec., si fosse deciso di realizzare a Pernumia una ecclesia suggerirebbe che, ancora in epoca tardoantica, la zona costituisse un punto di riferimento per il popolamento rurale del territorio e, soprattutto, che fosse servita da vie di comunicazione di primaria importanza. Ben prima, quindi, dell’istituzione del Comune medievale, si può pensare che a Pernumia si sia sviluppato un insediamento di una qualche consistenza e
il ritrovamento di una lapide paleocristiana, forse in situ, suggerirebbe inoltre la possibile esistenza di una necropoli in uso tra IV e V sec. d.C., da cui proverrebbe anche il sarcofago del diaconus Aurelius Saturninus, trovato negli anni ‘80 del secolo scorso reimpiegato nella stalla di una fattoria della zona (Cuscito, 1984: cc. 137-16567). Il ritrovamento di varie monete di VI sec. (Asolati e Crisafulli, 1993: p. 147 n. 15/1), testimonierebbe inoltre la vitalità del sito ancora in epoca tardoantica. Anche Pernumia, centro che in epoca altomedievale è variamente noto come Prenumiam o Pronomias (Bortolami, 1978: pp. 19-20), ha rivelato nel tempo evidenze materiali che attestano la sua esistenza in epoca romana (Pesavento Mattioli, 1984a: p. 99; CAVe, 1992: pp. 134-135 nn. 244246). Tra i vari ritrovamenti (Fig. 3.9) vale qui la pena ricordare l’iscrizione dedicata alla Fortuna (CAVe, 1992: p. 135 n. 249), divinità particolarmente cara ai viandanti e invocata da chi doveva iniziare un viaggio o lo aveva da poco terminato, il cui culto si ritrova quindi attestato 47
Il paesaggio trasformato
Figura 3.9. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Pernumia.
3.11), dove nel corso del XIX sec. si rinvennero strutture e materiali riferibili sia a contesti abitativi (fondazioni e resti di pavimentazioni), sia stradali (selciati): questo farebbe pensare a un’origine almeno romana dell’attuale abitato, quantunque la presenza di materiale venetico di IV periodo suggerisca la possibile esistenza di un qualche insediamento stabile già tra IV e III sec. a.C. (CAVe, 1994: p. 114 n. 27). In particolare, dalla zona della chiesa provengono numerose monete, oltre a vari oggetti in bronzo (un’applique che raffigura una sfinge, due tintinnabula e un amuleto fallico) probabilmente riferibili a corredi funerari, che inquadrerebbero la frequentazione del sito tra II sec. a.C. e II sec. d.C. (CAVe, 1994: p. 116 n. 40).
caratterizzato da una funzione preminentemente itineraria, molto probabilmente un luogo di sosta e di servizio nel punto di passo del fiume Atesis. L’alto numero di ritrovamenti archeologici (CAVe, 1992: pp. 117-118 nn. 177-182) lascia inoltre ipotizzare che un qualche insediamento di tipo nucleato esistesse in epoca romana anche presso l’attuale centro di Sant’Elena (Fig. 3.10). La località, sorta al di sopra di una struttura dossiva pertinente ad un’antica diramazione atesina minore, fu oggetto di frequentazione già tra IV e III sec. a.C. (Frati, 1989: pp. 43-47), mentre il rinvenimento di uno scramasax e una punta di lancia di epoca longobarda (Verger, 1995), verosimilmente provenienti da contesti funerari, indicano che fosse piuttosto vitale ancora tra Tarda Antichità e Altomedioevo.
Che l’odierna Agna possa essere l’erede di un insediamento romano, è d’altra parte stato già da tempo ipotizzato da vari studiosi sulla base dello stesso toponimo, riconducibile a un originale Annia (Olivieri, 19612: p. 1): questo ha
Infine, una località che appare essere stata oggetto di una particolare frequentazione in epoca antica è Agna (Fig. 48
Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.10. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Sant’Elena.
suggerito l’idea che, in epoca antica, potesse qui trovare collocazione una stazione viaria strettamente legata al passaggio di una via Annia, da cui avrebbe derivato il nome, magari mutandolo da un originario ad Anniam.32 In effetti, il sito si colloca sulla sommità del dosso sabbioso riferibile al ramo più settentrionale del Po, nel punto in cui questo incontra l’antica struttura dossiva di origine atesina preveniente da Pernumia e Bagnoli, anch’essa sfruttata per l’impostazione di un tracciato viario già in epoca romana. Se, quindi, consideriamo questa duplice presenza viaria e il fatto che la località era probabilmente attraversata anche da una diramazione atesina secondaria diretta da Pernumia a Concadalbero, si potrebbe facilmente riconoscere nel sito dell’attuale Agna un punto topograficamente molto interessante per il sorgere di un nucleo insediativo con una spiccata valenza itineraria. Questo ruolo strategicoitinerario dovette peraltro essere ben vivo ancora in epoca
altomedievale, se nel 970 la località compare menzionata nelle fonti documentarie come castrum Agnae, ovvero come centro fortificato verosimilmente preposto al controllo della principale viabilità terrestre e fluviale che attraversava il territorio (Gloria, 1862, III: pp. 258-259). 3.2.4. Le paludes Nonostante le condizioni ambientali non particolarmente ottimali, la salubrità dell’aria, la vicinanza alla costa e la presenza di importanti rotte fluviali e marittime costituirono tuttavia per le paludes un elemento di forte richiamo dal punto di vista insediativo, soprattutto presso il margine interno delle stesse, dove i terreni erano all’asciutto e dove le prerogative fluvio-marittime potevano coniugarsi con le opportunità economiche offerte dalla terraferma. Non è quindi strano se, proprio lungo il litorale, si sviluppasse fin da epoca preromana una direttrice terrestre che metteva in rapido collegamento i principali insediamenti sorti lungo la costa adriatica, funzionando in stretto collegamento
32 Tozzi, 1987: p. 56; Zerbinati, 1990: p. 114; Bosio, 1991: pp.70-71; Corrain e Zerbinati, 2003: p. 49; Frassine, 2010: p. 114.
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Il paesaggio trasformato
Figura 3.11. Ritrovamenti archeologici di epoca romana ad Agna.
con l’idrovia padana. Proprio per la sua importanza, tale direttrice è indicata nella Tabula Peutingeriana (III, 4), che riporta anche i principali centri abitati che si distribuivano lungo il suo tracciato (Fig. 3.12).
nel 1443), presso cui è ricordata l’esistenza di una hostaria al servizio dei viaggiatori e, dove, un traghetto permetteva ai pellegrini che percorrevano la strada Regia o Romea di attraversare in sicurezza l’Adige (Strina, 1957: pp. VIIVIII e nota 1): in questo caso, quindi, la struttura monastica avrebbe continuato a espletare, in epoca medievale, quelle funzioni ospedaliere e portuali che sarebbero state proprie dell’insediamento romano.33
Salendo verso nord a partire dalla zona di Adria, il primo di questi insediamenti, Fossis, doveva probabilmente ubicarsi nei pressi dell’attuale centro di Cavanella d’Adige (Fig. 3.13), quindi all’interno dell’ager atrianus, dove in epoca romana aveva la sua foce una diramazione dell’Adige e che molto probabilmente corrisponde all’ostium che Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120) chiama Fossiones (Bosio, 1967: p. 73). Tale nome sarebbe peraltro ripreso dall’attuale toponimo Fosson, con il quale ancora oggi si indica la zona dove sfocia il corso attuale dell’Adige, attestato nel pactum Lotharii (840) come Fusciones, Castron Fosaòn da Costantino Porfirogenito (X sec.) e ancora come porto Fosion nel 972 (Strina, 1957: p. VII nota 1). È a questo proposito interessante notare che, nella località, venga in epoca altomedievale a installarsi un monastero benedettino dedicato a San Giorgio (soppresso
Il centro successivo, segnalato a XVIII miglia a nord di Fossis, è Evrone, che potrebbe essersi collocato nella zona di Codevigo (Fig. 3.13).34 Al di là dei pochi ritrovamenti
È noto che i centri benedettini siano andati generalmente a collocarsi in contesti territoriali con determinate valenze logistico-territoriali, come ad esempio in prossimità di corsi d’acqua o di lagune, lungo tracciati viari ben collaudati (in particolare romani) o all’interno di agri già in precedenza interessati da un’intensa attività di tipo insediativo (Rosada, 1990: pp. 163-164). 34 Non così la maggior parte degli studiosi, che colloca invece Evrone nei pressi dell’odierna località di Vallonga di Arzergrande. Cfr. da ultimo Rosada, 2003b e bibliografia ivi citata. 33
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.12. Particolare della Tabula Peutingeriana con indicazione degli insediamenti che caratterizzavano la direttrice viaria costiera Ravenna-Altinum.
Figura 3.13. Ubicazione degli insediamenti ricordati dalla Tabula Peutingeriana lungo la direttrice viaria costiera RavennaAltinum.
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Il paesaggio trasformato (finora) effettuati e riferibili per lo più a contesti funerari venuti in luce nel centro del paese e a materiali raccolti a seguito delle arature presso la chiesa parrocchiale (CAVe, 1994: p. 112 n. 20), è la particolarità della sua situazione topografica a richiamare una certa attenzione: l’area dove sorge l’attuale abitato, infatti, oltre a trovarsi in prossimità del principale corso del Brenta di epoca romana, si colloca esattamente nel punto in cui questo si divideva in due diramazioni, entrambe forse sfocianti nella zona di Chioggia (Primon e Furlanetto, 2004: p. 313; Zabeo, 2007: p. 166). Dal punto di vista geomorfologico e topografico, la zona si dimostra quindi di notevole importanza strategica ed economicamente favorita dalla vicinanza di vie di comunicazione terrestri e fluviali che collegavano la costa e l’entroterra veneto e, dunque, molto adatta a ospitare l’impianto di una stazione viaria (cfr. Corsi, 2000a: pp. 245-246). Un ulteriore indizio in questo senso potrebbe leggersi anche nella precoce attestazione di Codevigo nelle fonti documentarie, testimonianti l’esistenza di un vivace centro di vita già in epoca altomedievale (Brogiolo e Ibsen, 2009: pp. 177-178 n. Pd. 42): se, tuttavia, la
prima attestazione della località risale al 988 (Barbierato, 2003a: p. 122), il nome di Caput de vicco con cui esso compare nelle fonti potrebbe adombrare l’esistenza di un precedente vicus, che si potrebbe suggestivamente riconoscere proprio in Evrone. I numerosi ritrovamenti effettuati, suggeriscono invece di collocare nella località di Lova di Campagna Lupia l’insediamento di Mino Meduaco (Fig. 3.13). I materiali recuperati in più di un secolo di scavi e ricognizioni di superficie, attestano infatti un’intensa frequentazione che si protrae senza apparente soluzione di continuità dal IV-III sec. a.C. al IV-V sec. d.C. (Gorini, 2011a – Fig. 3.14). Oltre alle evidenze relative ad un’importante e vasto complesso dal carattere monumentale nei pressi dell’Idrovora ‘Il Machinon’ (Fig. 3.15), forse un santuario o il centro amministrativo-religioso dell’insediamento di Mino Meduaco frequentato almeno dal II sec. a.C. al IV sec. d.C. (Asta, 2015; Girotto e Rosada, 2015), una particolare realtà insediativa potrebbe essere sorta in località Busa de Guia (Girotto, 2011: pp. 37-39 nn. S35-S36).
Figura 3.14. Ritrovamenti archeologici di epoca romana a Lova di Campagna Lupia.
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.15. Il sito del cosiddetto ‘santuario’ di Lova di Campagna Lupia, ubicato nei pressi dell’idrovora ‘Il Machinon’. Sono indicate anche alcune delle lineazioni visibili su un fotogramma satellitare ‘ri-preso’ dal sito web di ‘Tuttocittà’.
come zona d’imbarco e sbarco di merci e viaggiatori che dovevano transitare lungo il corso d’acqua.
L’ubicazione stessa della località, nel punto dove una traccia viaria ben visibile dalle foto aeree (Fig. 3.16) incontra e attraversa un paleoalveo pertinente ad una diramazione del Brenta attiva in epoca romana (che si sarebbe tentati di identificare con il fluvius Minus Meduacus che avrebbe dato nome all’insediamento), potrebbe infatti suggerire di riconoscervi la possibile presenza di una statio, in questo caso connessa al passaggio dell’importante direttrice viaria della via Popillia collegante Atria ed Altinum. In questa direzione spingerebbe anche la segnalazione della presenza, nella zona, di tracce di una sede stradale lastricata (Asolati e Crisafulli, 1993: pp. 31-32 n. 1/5), che si sarebbe tentati di riconoscere nella prosecuzione, verso nord, della traccia visibile a sud dell’attuale alveo del fiume Cornio. Non lontano, precisamente in località Case Giaretta, saggi di scavo effettuati dalla Soprintendenza del Veneto nel 1998 hanno inoltre messo in luce strutture lignee pertinenti ad un approdo fluviale, che il materiale recuperato (in particolare frammenti ceramici e anforacei) inquadrerebbe cronologicamente tra fine I sec. a.C. e I sec. d.C. (Matteazzi, 2011): questo potrebbe allora essere stato funzionale al passaggio del fiume da parte della strada, magari come punto di attracco per un traghetto o
A suggerire ulteriormente il forte ruolo itinerario della zona, interverrebbero infine anche le evidenze di un’area necropolare, emerse durante scavi effettuati dal Conton all’inizio del XX secolo (Conton, 1909), ma confermate ancora oggi dai materiali emergenti a seguito delle arature e, in modo particolare, da quelli (assai numerosi) recuperati durante lavori di pulitura del letto del fiume Cornio (Asta et al., 2015). È inoltre interessante notare che, nelle immediate vicinanze della località venne edificata, al di sopra di un’area necropolare di età imperiale (Girotto, 2011: p. 40 n. S40), una chiesa dedicata a Santa Giustina che, fin da subito, assunse il titolo di pieve, tanto da essere considerata una delle più antiche strutture plebane della Diocesi di Padova (Cogo, 2004: pp. 93-94, 99). La presenza della pieve suggerirebbe che, al momento del suo impianto (forse già in epoca tardoantica?), la località godesse ancora di una certa vitalità insediativa, mentre il suo situarsi a ridosso del tracciato stradale potrebbe indicare che l’edificio plebano sia venuto in qualche modo a sostituire il ruolo itinerario e di aggregazione sociale svolto in origine dalla statio. 53
Il paesaggio trasformato
Figura 3.16. Foto aerea del territorio di Lova (Reven Benedetti 1975, str. 16 fot. 782), in cui è evidente la traccia di un percorso viario orientato NE-SO (molto probabilmente la via Popillia) e diretto verso la località di Busa de Guia.
ricordano presso il centro di Gambarare, allora noto come Balladello (Poppi, 2006: p. 27), la presenza di un castello, di uno scalo fluviale sul fiume Una (corso d’acqua allora collegato con il sistema del Tergola-Clarino e, soprattutto, con quello del Brenta – Poppi, 1977: p. 52) e, aspetto alquanto interessante, di un’antica pieve dedicata a Santa Giustina: questa, che avrebbe avuto giurisdizione su tutta l’area tra Gambarare, Dogaletto e Malcontenta, risulta tuttavia già scomparsa nel 1198, essendo ormai le sue funzioni assorbite dall’abbazia benedettina di Sant’Ilario (Poppi, 2006: p. 36).
Maio Meduaco, che la Tabula indica distante VI miglia (circa 9 km) da Mino Meduaco, potrebbe invece essersi situato nella zona di Piazza Vecchia-Gambarare (Fig. 3.13),35 che il numero di testimonianze archeologiche emerse negli anni (CAVe, 1994: p. 70-71 nn. 276277; Poppi, 2006: p. 27 e nota 6 – Fig. 3.17) attesta particolarmente frequentata in epoca romana. Qui, la direttrice ricordata dalla Tabula avrebbe incontrato il tracciato della strada Patavium-Altinum, nel punto in cui questa si sarebbe apprestata a superare una diramazione brentizia proveniente da Vigonza, forse corrispondente al fluvius Maius Meduacus da cui prese nome l’insediamento. La particolare rilevanza della situazione topografica della zona è ribadita dalle fonti medievali che, tra XI e XIII sec.,
35
Più complicata risulta invece l’individuazione dell’ultimo insediamento ricordato dalla Tabula, ossia quella di ad Portum, anche se alcuni indizi suggerirebbero di poterlo collocare nella zona del canale Bondante, tra DogalettoSant’Ilario e Moranzani, che in epoca romana doveva essere interessata dal passaggio di una diramazione
Come già suggerito da Bellemo, 1893: p. 176.
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.17. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nel territorio di Piazza Vecchia-Gambarare di Mira.
del Brenta proveniente da Vigonza e Mira (Fig. 3.13). Numerose, e di una certa importanza, sono le testimonianze archeologiche emerse nella zona del Bondante (Fig. 3.18), tra cui si segnala la notizia del rinvenimento, effettuato nel 1756 durante lo scavo di un canale, di un ricco edificio con pavimentazioni a mosaico e di un’area necropolare ad esso connessa (CAVe, 1994: p. 71-72 nn. 280-282). Altri contesti funerari emersero anche a Dogaletto (CAVe, 1994: p. 71 n. 279) e nel sito che in epoca altomedievale vide sorgere e prosperare l’abbazia di Sant’Ilario (CAVe, 1994: pp. 71-72 nn. 280-281, 282.2), dove indagini condotte dall’Università di Venezia nel 2010 hanno evidenziato una certa frequentazione dell’area tra età imperiale e VIII sec. d.C., momento che corrisponde all’impianto originario dell’abbazia (Corrò-Moine-Primon, 2015: pp. 22-23).
rivestì in epoca altomedievale, allorquando venne fondato il monastero benedettino intitolato a Sant’Ilario.36 Fin da subito, il cenobio assunse particolare importanza perché venne a collocarsi in una località ideale per l’impianto di un’infrastruttura portuale, trovandosi alla confluenza del Clarino-Tergola e dell’Una e dove questi, uniti all’Avesa, riversavano le proprie acque in laguna. I monaci, infatti, non tardarono a sfruttare questa opportunità, tanto che le strutture portuali legate al monastero vennero assiduamente frequentate fino a tutto il XII sec., ovvero fino a quando la deviazione del Brenta operata dai Padovani rese la zona impraticabile per la troppa abbondanza di acque, causando il progressivo abbandono del porto e, successivamente, dello stesso cenobio (Bortolami, 2003a: p. 225). Fin dal
La particolare ubicazione del sito potrebbe quindi aver favorito una sua funzione di snodo itinerario e punto di smistamento per uomini e merci in movimento da e verso le aree portuali situate lungo la costa. Funzione che senz’altro
La prima notizia circa l’esistenza del monastero risale all’819, ma sappiamo che già nel 784 doveva esserci una cappella dedicata a Sant’Ilario. Dopo che nell’899 venne distrutto dagli Ungari, al ricostruito monastero fu aggiunta anche la dedica a San Benedetto. Cfr. Lanfranchi e Strina, 1965; Calaon e Ferri, 2008; Calaon-Ferri-Bagato, 2009. 36
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Il paesaggio trasformato
Figura 3.18. Ritrovamenti archeologici di epoca romana nella zona di Sant’Ilario-Dogaletto di Mira.
1144 è infatti attestata l’esistenza, nella zona a est del monastero, di un burgus molto popoloso, cui doveva essere annessa una certa attrezzatura portuale:37 questo era, forse, erede di un insediamento più antico, la cui esistenza sembrerebbe suggerita da toponimi quali Vigo e Viculus, citati in documenti di XI e XII sec. e variamente riferiti a un lago, a un canale, a un fiume e ad un insediamento ubicati non troppo lontano dal monastero (Lanfranchi e Strina, 1965: pp. XXVI-XXVII).
facilmente verificare che la zona di Sant’Ilario-Moranzani si trovi effettivamente a circa 4,5 km (ovvero III miglia romane) da quella di Gambarare-Piazza Vecchia, dove abbiamo ipotizzato si potesse collocare l’insediamento di Maio Meduaco, è pur vero che la distanza che separa la medesima località da Altino è di soli 19,5 km (corrispondenti a XIII miglia romane), un po’ meno dei 24 km indicati nell’antica carta itineraria. Questa distanza, invece, è quella che separa il centro altinate da Gambarare-Piazza Vecchia (ossia Maio Meduaco) se calcolata lungo il tracciato viario Patavium-Altinum. Una particolare circostanza, questa, che indurrebbe a riflettere sulla possibilità che l’indicazione della Tabula debba in realtà leggersi in modo differente rispetto a quanto fatto finora: seguendo analoghi esempi rilevati per altri itinerari riportati dalla Tabula (Corsi, 2000b: p. 172), si potrebbe infatti pensare che, attraverso la segnalazione ad Portum,
Sulla base di queste considerazioni si potrebbe allora riconoscere nell’area del Bondante, tra Sant’Ilario e Moranzani, la sede dell’insediamento di ad Portum, che la Tabula indica esattamente a III miglia da Maio Meduaco e a XVI miglia da Altinum.38 Tuttavia, se è possibile Un documento del 1178 ricorda, infatti, che l’abate di S. Ilario accipiebat tercium denarium a navibus applicantibus ad Burgum (Lanfranchi e Strina, 1965: pp. XXXIII). 38 Ipotizzano un’originaria ubicazione della statio di ad Portum in questa stessa zona anche Stefani, 1890: pp. 12-13; Pinton, 1894: p. 892 37
nota 1; Ghislanzoni e De Bon, 1939: p. 61 fig. 39; Musolino, 1962: pp. 32-33.
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana un’infrastruttura portuale direttamente collegata al mare aperto per mezzo di un canale artificiale: questa, attrezzata con banchine di ormeggio e dotata di un grande magazzino per lo stoccaggio delle merci, dovette rimanere in uso almeno tra I sec. a.C. e IV sec. d.C., anche se datazioni al 14C suggeriscono che l’impianto originario possa essere sorto già intorno al III sec. a.C. (Canal, 2013: pp. 140159).
l’antico anonimo compilatore dell’Itinerarium pictum intendesse indicare non tanto il nome della statio (ossia ‘al porto’), quanto la presenza di un bivio della strada, dove avrebbe preso avvio una diramazione diretta ‘verso il porto’. In pratica, si voleva avvertire il viaggiatore che, giunto a Maio Meduaco, avrebbe potuto continuare fino ad Altinum, percorrendo altre XVI miglia, oppure seguire un diverticolo che si staccava dal percorso principale in direzione della costa, dove avrebbe incontrato, dopo tre miglia, un Portus che probabilmente si affacciava sul limite interno delle paludes.
Particolarmente significativo è il fatto che questa scoperta sia avvenuta nelle vicinanze dell’attuale Malamocco, centro corrispondente al Madaukon che figura nell’elenco di Costantino Porfirogenito dei kastra insulari collocati tra Grado e Loreo e il cui toponimo potrebbe derivare, attraverso le mediazioni Mamedoc>Mademoc, da un originario Maius Meduacus (Pellegrini, 1987: p. 144). Quest’aspetto toponomastico e l’importanza rivestita storicamente dalla località, che a partire dal 540 d.C. fu sede episcopale e nel 742 assurse a capitale del Ducato, aveva d’altra parte da tempo indotto a riconoscervi la sede del porto che Strabone (V, 1, 7, 213) ricorda essersi situato alle foci del Meduacus e chiamato con lo stesso nome del fiume (Bosio e Rosada, 1980: p. 518; Bosio, 1994: p. 216). Ecco che allora le strutture individuate presso l’Ottagono Abbandonato potrebbero essere identificate come i resti dell’antico Portus Medoakos, di cui l’odierna Malamocco avrebbe ereditato, nel tempo, il ruolo e le funzioni (Rosada e Zabeo, 2012: p. 252).
Un aspetto interessante per quanto stiamo qui andando dicendo, e forse finora poco sottolineato, è che un’analoga distanza di III miglia tra il limite interno delle paludes e l’entroterra più abitato ritorna anche nel famoso passo di Livio relativo allo sbarco di Cleonimo: in questo caso, infatti, si tratta della distanza che separa la zona di approdo della flotta spartana dalla località dei tre vici maritimi che vengono saccheggiati dalle sue truppe, a sua volta distante XIV miglia da Patavium (Girotto e Rosada, 2015: pp. 159162). Ora, se calcoliamo questa distanza lungo il percorso della strada Patavium-Altinum a partire da Padova, vediamo che le XIV miglia vanno esattamente a cadere presso Piazza Vecchia-Gambarare, cosicché le ulteriori III miglia ci porterebbero ‘nuovamente’ nella zona di Sant’Ilario (cfr. Bosio, 1994). In base a queste considerazioni, si potrebbe allora pensare che il patavino Livio, che verosimilmente dovette ambientare gli avvenimenti legati al sopraggiungere di Cleonimo nella ben conosciuta realtà fisica a lui contemporanea, abbia abbastanza naturalmente ‘fatto sbarcare’ la flotta spartana presso quello che, al suo tempo, era forse uno dei principali approdi sulla terraferma patavina e che, al momento dell’originaria stesura della Tabula Peutingeriana (IV-V sec. d.C.), si considerava forse ‘il Porto’ per antonomasia di Patavium.
Scendendo verso sud, una seconda area portuale avrebbe potuto trovarsi nella zona di Portosecco (Fig. 3.19), località corrispondente con ogni probabilità al medievale porto di Pàstene, insabbiato prima del 1213 (Dorigo, 1995: p. 165) e dove, a partire almeno dalla Tarda Antichità, è probabile sorgesse il centro abitato di Albiola.39 Qui le ricerche geomorfologiche hanno individuato l’esistenza dell’antica bocca di porto e di un paleocanale, apparentemente collegato alla diramazione brentizia proveniente da Bojon e Lova che in essa andava a sfociare (Bondesan e Meneghel, 2004).
3.2.5. Le aree portuali del litorale In epoca romana, le principali aree portuali erano comunque dislocate lungo il litorale adriatico, allora come oggi costituita da una striscia continua di cordoni dunosi seguenti l’allineamento Lido-Malamocco-ChioggiaBrondolo-Sant’Anna-Cavanella d’Adige. Come oggi, il continuum del litorale era interrotto da una serie di aperture naturali (o bocche di porto) che, dislocate in prossimità delle foci delle principali diramazioni fluviali che attraversavano il territorio, mettevano in diretta comunicazione l’Adriatico con le paludi costiere (Fig. 3.19): queste vennero quindi sfruttate per l’impostazione di scali a mare e, a partire da età tardoantica, divennero importanti castra marittimi.
Una bocca di porto si apriva certamente, come avviene oggi, anche nella zona di Chioggia (Fig. 3.19). Il centro attuale – che il toponimo, forse derivante da un originario Clodia (Barbierato, 2003b: p. 151), legherebbe alla presenza della fossa Clodia ricordata da Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120) e, quindi, ad un probabile punto di sosta lungo l’idrovia Ravenna-Altinum – non ha tuttavia al momento restituito evidenze tali da accertare una sua esistenza in epoca romana. Il numeroso materiale antico conservato in città (elementi architettonici, varie iscrizioni funerarie di I-II d.C., monete, anfore e reperti ceramici), si trova infatti per lo più reimpiegato negli edifici del centro storico o proviene da ritrovamenti effettuati tra
Una di queste realtà portuali doveva trovarsi nei pressi dell’odierna Malamocco. Qui, in prossimità della foce fluviale e di un paleoalveo riferibili al Brenta, indagini compiute negli ultimi decenni del secolo scorso hanno permesso di riconoscere, nella zona in cui oggi insistono i resti di una struttura difensiva di epoca veneziana chiamata ‘Ottagono Abbandonato’, evidenze riferibili ad
39 Marchiori, 1990: p. 213. Albiola è ricordata nel VII sec. nella cronaca del Diacono Giovanni (Diacono, 1890: p. 156) e, nel 840, nel pactum Lotharii (Cessi, 1951: p. 237).
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Il paesaggio trasformato
Figura 3.19. Ubicazione delle principali aree portuali del litorale adriatico in epoca romana.
le acque della laguna.40 È tuttavia ragionevole pensare, vista la presenza di un’antica bocca di porto, che anche in epoca romana esistesse nella zona un insediamento a forte vocazione portuale, come peraltro suggerirebbero anche alcuni altri indizi: soprattutto l’esistenza, ancora alla fine del XIX sec., a ovest della città, di un’area paludosa conosciuta come Calavrone (o Galavroni, secondo la dicitura popolare – Fig. 3.20) che, come ha proposto Bellemo, potrebbe trattarsi di un nome composto da cala (voce da intendersi come ‘insenatura poco profonda atta all’ormeggio delle imbarcazioni’) ed Evrone (Bellemo, 1893: p. 197; Bellemo, 1913: pp. 199-200). Quest’ultimo termine, affine all’Evrone della Tabula Peutingeriana e,
soprattutto, al portus Aedro di Plinio il Vecchio (Rosada, 1980), ha suggerito allo studioso clodiense la possibilità di identificare la palude di Calavrone proprio come l’originaria sede di tale centro portuale.41 Questa ipotesi sembrerebbe particolarmente degna di fede, soprattutto perché confortata da un interessante parallelismo etimologico riscontrabile sulla costa livornese, dove scorre il canale Calambrone/Calabrone: anche questo idronimo, come Calavrone, sarebbe infatti formato con il prefisso cala, cui si accompagna la voce Lambro/Labro che indicherebbe la presenza dello scalo marittimo di Labro menzionato da Cicerone (Ad Q., fr. 2, 5). L’aspetto più interessante è però che, proprio sulla scorta di tali indicazioni toponomastiche, indagini
CAVe, 1994: pp. 115-116 nn. 35-39. Al momento, l’unica testimonianza antica sicuramente proveniente dalla città è un ripostiglio monetale con esemplari di IV e V sec. d.C. ritrovato in calle San Giacomo (Asolati e Crisafulli, 1993: p. 77 N. 5/3).
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41 Collocano portus Aedro nei pressi di Chioggia anche Gloria, 1877b: p. 67; Ghislanzoni e De Bon, 1939: p. 56; Gasparotto, 1951: p. 153.
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.20. Particolare di una carta della zona di Chioggia, da un originale disegno del Sabbadino del 1539 conservato presso l’Archivio Storico di Venezia. È evidente il toponimo ‘Galavroni’ rappresentato da una motta di terra di forma allungata tra Val Ager e Val Pisorte, a ovest di Chioggia (modificato da Zabeo, 2010).
leggenda adombri l’esistenza di un antico insediamento sorto in stretta connessione con il sistema idroviario padano ma, verosimilmente, anche con il centro portuale di Aedro, di cui l’attuale Chioggia si configurerebbe come l’erede, da un punto di vista sia insediativo sia funzionale.
condotte da un’équipe dell’Università di Pisa hanno qui permesso di individuare e indagare archeologicamente le tracce dell’antico porto (Pasquinucci, 2004). Per quanto riguarda il nostro caso, non disponiamo purtroppo di evidenti testimonianze archeologiche che possano suffragare l’ipotesi di un’identificazione Calavrone/portus Aedro. L’unico elemento che possiamo utilizzare per cercare di sostenere maggiormente il nostro assunto è quello di affidarci alle affermazioni di Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120), in base alle quali sappiamo che il porto di Aedro era formato dalla confluenza di due diramazioni del Brenta (Meduaci duo) e dalla Fossa Clodia. A questo proposito, l’area definita dal toponimo Calavrone non è molto distante dalla zona in cui insiste il dosso brentizio della Fogolana che, nelle vecchie carte, è ricordato dalla presenza di una Val Ager e che potrebbe riconoscersi in una delle diramazioni del Meduacus di cui fa cenno Plinio. Proprio presso questo paleo-dosso, è attestato anche l’interessante toponimo Ca’ Manzo, che appare particolarmente rilevante per la leggenda secondo cui, proprio qui, si sarebbe fermato San Marco durante il suo viaggio da Aquileia a Roma (Bellemo, 1913: pp. 198199): se a questo aggiungiamo una possibile derivazione di Manzo da mansio, si potrebbe infatti pensare che la
Poco lontano, a sud di Chioggia, una quarta bocca di porto era presente nella zona di Brondolo (Fig. 3.19), località che, come suggerisce abbastanza esplicitamente il toponimo attuale, doveva essere sede di quel portus Brundulum che Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120) ricorda formato dalle acque dell’Atesis, del Togisonus e della Fossa Philistina (Sabato, 1999). Questa convergenza fluviale è confermata dagli studi geomorfologici, che rilevano la presenza di un’antica foce del Po variamente utilizzata dall’Adige e, più recentemente, anche dal Bacchiglione e dal Brenta (Bondesan et al., 2008: pp. 148, 150). Da questo punto di vista, si tratterebbe quindi di un’area che nell’antichità si sarebbe prestata molto bene a svolgere funzioni di approdo, mostrandosi certamente adatta all’approntamento di uno scalo portuale. Una funzione che, d’altra parte, Brondolo mantenne ancora in epoca moderna, come risulta evidente consultando le carte del XVI e XVII sec., le quali mostrano la località inserita nella laguna viva e sempre qualificata come porto (Fig. 2.9). 59
Il paesaggio trasformato vero e proprio; il quarto lato poteva invece essere aperto, solo parzialmente edificato o chiuso da una recinzione muraria. Veniva così a crearsi una sorta di schema a ‘U’, che costituisce peraltro lo schema tradizionale della villa rustica nell’Italia romana.
Evidenze di carattere archeologico, per quanto scarse, attestano comunque una certa frequentazione della zona in epoca romana. In particolare, oltre al rinvenimento di parti lignee riferibili ad antiche imbarcazioni mescolate a frammenti laterizi e anforacei di epoca romana avvenuto durante la costruzione del ponte ferroviario sul Brenta alla fine del XIX sec. (CAVe, 1994: p. 115 n. 32), risulta interessante la presenza di tombe definite ‘antiche’ e di non meglio precisati resti di strutture murarie individuate (e subito distrutte) nel corso dello scavo per la realizzazione del mercato ortofrutticolo (CAVe, 1994: p. 115 n. 33). Questi ritrovamenti potrebbero in effetti suggerire l’esistenza di un insediamento inserito nel sistema idroviario padano: in quanto raggiunto dalla fossa Philistina, esso sarebbe stato punto importante dei collegamenti tra Ravenna, Altinum e Aquileia, mentre il fatto di collocarsi alla foce dell’Adige, avrebbe garantito ai centri urbani situati più all’interno, come Ateste e Verona, un collegamento diretto con il mare e con le principali rotte altoadriatiche. Monete greche di epoca tiberiana e un cistoforo di Augusto (fine I sec. a.C.), provenienti dalla località Valgrande (Gorini, 1987: p. 248), sembrerebbero infatti suggerire un inserimento della zona in quel sistema di ‘punti d’attracco litoranei’ che caratterizzavano la costa adriatica in epoca romana (Gorini, 2004). Inoltre, la presenza, almeno dalla prima metà dell’VIII sec., dell’importante monastero benedettino di San Michele Arcangelo e della SS. Trinità42 e l’esistenza di un castrum alla metà del IX sec.,43 ribadirebbero ancor di più l’antichità dell’insediamento portuale e la sua strategica importanza all’interno del sistema di scambi commerciali ancora in epoca altomedievale.
La parte residenziale, che poteva presentare soluzioni planimetriche variegate, era spesso dotata di ricche pavimentazioni a mosaico (geometrici e figurati), in opus signinum (decorate con tessere o scaglie marmoree), in opus sectile o scutulatum (con crustae marmoree di varia colorazione), in esagonette fittili o in opus spicatum e di pareti in laterizio ricoperte da intonaci affrescati. Spesso presentava anche ambienti riscaldati con il sistema della concameratio, come dimostra, in alcuni casi, il ritrovamento di tipici tubuli fittili a sezione rettangolare. Nel settore rustico prevalevano invece più ambienti giustapposti, spesso di grandi dimensioni, pavimentati per lo più con battuti di argilla e con funzioni differenziate (magazzini, ricoveri per attrezzi, aree di lavoro e di stoccaggio, stalle). A livello tecnico-costruttivo, le strutture murarie presentavano fondazioni in conci di trachite e pezzame laterizio (spesso si tratta di frammenti di tegole) legati con malta o argilla su ci s’impostava una zoccolatura in laterizi o pietra. Al di sopra si impostavano gli alzati che, per quanto ne sappiamo, erano per lo più realizzati con tecniche ‘povere’ (telai in legno, argilla cruda e paglia), sia nei settori rustici che residenziali, a consolidamento dei quali spesso si è riscontrato l’utilizzo di ‘contrafforti a plinto’ lungo le pareti e presso gli incroci murari. Tra le peculiarità più ricorrenti di questi insediamenti vi è senz’altro la scelta della loro ubicazione, per la quale si riconosce sempre un’attenta lettura e comprensione del contesto geomorfologico entro il quale vengono ad inserirsi. Ad esempio, nelle aree di bassa pianura assai ricca d’acque, dove una posizione sopraelevata consente un più efficace riparo in caso d’improvvisi allagamenti, prevalente si è dimostrata la scelta di un sito morfologicamente rilevato rispetto alle aree circostanti, quali possono essere i dossi di origine fluviale. Oggi queste morfologie emergono di appena qualche metro dal piano di campagna perché le alluvioni succedutesi nel tempo hanno progressivamente colmato le aree più basse, dando alla pianura un aspetto piuttosto uniforme; in età romana, invece, la situazione doveva essere alquanto diversa e la pianura doveva risultare decisamente più mossa e ondulata, quindi con una maggiore evidenza e altezza dei dossi. Inoltre, da un punto di vista più prettamente geopedologico, la scelta di privilegiare le strutture dossive come sedi per l’insediamento trovava una sua ragione d’essere nel fatto che tali morfologie sono in prevalenza costituite da sabbia e limo, una caratteristica che offre terreni più sciolti garantendo così una migliore qualità agronomica.
3.3. Insediamenti rurali La maggioranza delle realtà insediative del territorio è comunque costituita da insediamenti sparsi, ovvero complessi produttivo-residenziali legati allo sfruttamento delle risorse agricole. Principalmente in base alle loro dimensioni, ci riferiamo ad esse come villae rusticae o fattorie. 3.3.1. Villae rusticae Questa tipologia insediativa, di ascendenza italica, comincia ad essere attestata nella pianura a sud di Padova a partire dalla seconda metà del I sec. a.C. e si caratterizza per una planimetria piuttosto articolata, arealmente anche abbastanza estesa, la quale permette di riconoscere al suo interno una certa differenziazione tra una parte residenziale (pars urbana) e una dedicata alle attività produttive (pars rustica). In genere prevede la presenza di una corte centrale scoperta, dove si svolgevano soprattutto attività produttive e che si contraddistingue come il nucleo principale attorno cui si strutturava, su tre lati, l’edificio 42 Il monastero, attestato per la prima volta nel 725, ‘visse’ fino al 1409. Cfr. Sabato, 1999: p. 16 e bibliografia ivi citata. 43 Nel pactum Lotharii dell’840 si fa menzione di un castrum Brunduli, mentre nel X sec. Costantino VII Porfirogenito cita Broundon tra i kastra in cui gli Enetikoi avrebbero vissuto prima di trasferirsi nelle isole (Sabato, 1999: p. 15 nota 40).
Accanto ai dossi fluviali, a fini insediativi venivano sfruttati anche i conoidi di rotta, vale a dire quegli accumuli di detriti che i fiumi distribuiscono in forma di ventaglio in 60
Aspetti e forme del popolamento di epoca romana lignee in fondazione. Al di là delle tecniche costruttive, comunque, questi insediamenti si differenziavano dai contemporanei complessi realizzati nella piana più interna soprattutto per la presenza di punti di ancoraggio/approdo per le imbarcazioni e di una serie di canalizzazioni artificiali che permettevano un loro diretto collegamento con il sistema idroviario incentrato sul corso del Padus.
corrispondenza del punto in cui il corso d’acqua rompe gli argini e tracima riversandosi nella pianura circostante. Causa della formazione di tali conoidi è la diminuzione della velocità della corrente e della capacità di trasporto, provocata dal venir meno della costrizione delle sponde. Il risultato è che i materiali trasportati fino a quel momento vengono abbandonati e distribuiti a ventaglio, il quale sarà tanto più alto topograficamente quanto più saremo vicini al punto di rotta, ossia in corrispondenza dell’apice del ventaglio; l’ampiezza sarà strettamente legata alla quantità di materiale trasportato dal fiume e, perciò, alla diversa portata del fiume stesso. Si vengono comunque a creare delle zone sopraelevate, non inondabili e caratterizzate da terreni fertili e facilmente lavorabili.
L’insediamento di questo tipo meglio conosciuto nell’area di studio è senz’altro il complesso indagato dalla Soprintendenza Archeologica del Veneto tra il 1981 e il 1988 a Corte Cavanella di Loreo, poco a sud dell’odierno abitato di Cavanella d’Adige (Busana, 2002: pp. 309-315 – Fig. 3.21). Situato a ridosso del cordone dunoso formante parte dell’antica linea di costa protostorica e non lontano dalla foce di una diramazione fluviale (probabilmente un corso minore dell’Adige), si tratta di un complesso insediativo frequentato tra I sec. a.C. e V sec. d.C. il quale, oltre ad un settore residenziale particolarmente ricco (dotato di un ambiente absidato e pavimentazioni in opus signinum e crustae marmoree), era dotato di un’ampia darsena (al cui interno si rinvenne un’imbarcazione lignea a fondo piatto) collegata al vicino corso fluviale attraverso un canale di raccordo e di una strada glareata che lo metteva in comunicazione con il tracciato della non lontana via Popillia. Il materiale rinvenuto, in particolare anfore provenienti da Spagna, Africa e Italia nord-orientale (databili a partire dal I sec. d.C.), lo mostra ben inserito all’interno di un vasto sistema di collegamenti territoriali. Proprio quest’aspetto e l’estrema vicinanza all’antico corso dell’Atesis, ha suggerito ad alcuni la possibilità riconoscere in tale complesso l’insediamento di Fossis citata nella Tabula Peutingeriana (Peretto e Zerbinati, 1985; Peretto e Zerbinati, 1987): particolarmente significativo, in questo senso, potrebbe allora essere il rinvenimento, nell’area di scavo, di un frammento di rilievo marmoreo con scena di culto mitraico (fine I - inizi II sec. d.C.) che attesterebbe l’esistenza di un luogo di culto che ben si adatterebbe a un insediamento come una stazione viaria.
Sempre, comunque, tali insediamenti venivano a situarsi nelle immediate vicinanze o comunque non troppo lontano da un corso d’acqua corrente (indispensabile per l’approvvigionamento idrico e per svariate altre attività, tra cui non ultima la pesca e, se navigabile, anche per il di trasporto di uomini e merci) e/o da un percorso viario di una certa rilevanza, rispettando quanto suggerito da Catone (De agri coltura, 1, 3; 2, 4), Varrone (De re rustica, 1, 2, 23; 1, 16, 6) e Columella (De re rustica, 1, 3, 3-4; 1, 5, 1-2) riguardo il modo migliore per impiantare una villa rustica. A sud di Padova, insediamenti rustici di tal fatta vennero edificati non solamente su tutta la pianura,44 ma anche nell’area più propriamente collinare, come testimonia l’insediamento indagata in località Turri a Montegrotto Terme (Bonomi e Vigoni, 2012), che si collocava presso le prime pendici orientali del Monte Ceva sfruttando un modesto rilievo prima dell’inizio della salita verso la cima del colle. In prossimità della costa, caratterizzata dalla presenza delle paludes, ebbe invece una certa diffusione una particolare tipologia di villa rustica, che venne ad adattarsi alle particolari condizioni ambientali di un paesaggio dominato in larga parte dall’acqua e costituito in prevalenza da aree vallive. In un simile ambiente, le principali esigenze insediative erano quelle di poter disporre di un sito al riparo da inondazioni o allagamenti: per questo si sfruttarono largamente le strutture dossive di origine fluviale e, soprattutto, gli antichi cordoni litoranei, formati da dune sabbiose più alte rispetto al piano topografico circostante, che costituivano anche le uniche zone stabilmente emerse e con terreni relativamente solidi. È evidente, però, che per poter vivere in queste aree era necessario intervenire con opere di regimazione idraulica e adattare le tipologie edilizie alla particolare situazione ambientale, facendo in particolare largo uso di palificate
Un insediamento di questo genere si trovava anche presso l’Idrovora delle Motte di Cavanella d’Adige (Fozzati e Tiboni, 2009 – Fig. 3.21): anche in questo caso il complesso insediativo, frequentato a partire dal II-I sec. a.C., si impostava al di sopra del cordone dunoso formante la linea di costa protostorica ed era collegato al sistema idroviario delle paludes attraverso un canale d’acqua dolce che presentava evidenze di una risistemazione spondale effettuata nel corso del I sec. d.C. Infine, è possibile che una struttura insediativa analoga esistesse anche presso il sito dove oggi sorge la Torre delle Bebbe (tra Chioggia e Civè – Fig. 3.21), la quale reimpiega nelle sue strutture (risalenti almeno all’VIII sec.) numeroso materiale lapideo romano (Fig.3.22), tra cui un’iscrizione funeraria databile al II sec. d.C. (Boscolo, 2005). Nelle immediate vicinanze, invece, appassionati locali hanno in varie occasioni recuperato vario altro materiale (soprattutto ceramico), il quale farebbe pensare alla probabile presenza nella zona di un complesso abitativo genericamente databile
44 Insediamenti rustici di tal fatta sono stati indagati archeologicamente poco fuori Padova (Cipriano-Mazzocchin-Pastore, 1998), a San Michele di Pozzoveggiani (Franceschi et al., 2009), a Roncaglia di Ponte San Nicolò (Baggio Bernardoni e Pesavento Mattioli, 1992; Busana, 2002: pp. 322-326), a Lova di Campagna Lupia (Asta et al., 2016), a Villa del Bosco di Correzzola (Marcato e Ruta Serafini, 1981), a Campagnola di Brugine (Mengotti, 1995) e a Sant’Elena d’Este (Cipriano-Ruta SerafiniCagnoni, 2006).
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Il paesaggio trasformato
Figura 3.21. Ubicazione di alcune villae sorte in prossimità dell’antica linea di costa.
comprende strutture rustiche di minore impegno: in genere definite come fattorie, queste strutture, a carattere prevalentemente agricolo, erano contraddistinte da modeste dimensioni, da una pianta piuttosto semplice (generalmente di forma rettangolare) e da una tecnica costruttiva non molto raffinata.
ad epoca romana imperiale (Calaon, 2014: pp. 254-255). Come i precedenti, anche tale insediamento si sarebbe collocato al di sopra del cordone dunoso formante la linea di costa di epoca protostorica, in particolare nel punto in cui una direttrice terrestre proveniente da Cavanella d’Adige (e diretta a Codevigo), impostata sulla medesima morfologia relitta, incontrava e superava una diramazione dell’Adige diretta a sfociare nella zona di Brondolo. Una circostanza che avrebbe facilmente permesso una funzione di controllo della principale viabilità terrestre e fluviale e di collegamento con l’idrovia padana: funzione strategica che venne senza dubbio sfruttata in epoca alto e bassomedievale con la costruzione della Torre.
A questa tipologia appartiene una serie di cinque insediamenti rustici messi in luce a Vetta di Monselice nel 2001, durante lavori di risagomatura del canale Desturo (Bonomi, 2009: p. 327): si caratterizzavano per sottofondazioni murarie costituite da pezzame di trachite legato con argilla, alzati in laterizi e graticci rivestiti d’argilla, con tetti di tegole e coppi per i vani a destinazione residenziale e piani di calpestio in terra battuta. Erano inoltre dotati di porticati e aree scoperte esterne, probabilmente adibite allo svolgimento di attività artigianali e produttive.
3.3.2. Fattorie Accanto alle villae, un’altra tipologia insediativa che caratterizzava ampiamente il territorio a sud di Padova
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Aspetti e forme del popolamento di epoca romana
Figura 3.22. I resti della Torre delle Bebbe, come attualmente visibili dalla ‘Strada Provinciale Gorzone’.
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Capitolo 4 Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica Abstract: The importance, the variety and, above all, the complexity of the settlements which arose all over the plain had to be adequately supported by an equally complex road network that, thanks to the adoption of a working methodology that made use of an archaeomorphological approach (see chapter 1.2), we are now able to try to reconstruct and to understand in its different aspects. In fact, the use of such a methodology has allowed us to identify, within the current landscape, a series of itineraries that may have had an ancient origin and which, therefore, could have contributed to the formation and definition of the road network affecting the whole plain south of Patavium between the 2nd cent. BC and the 6th cent. AD (Fig. 4.1 and Plate 2). Overall, 32 itineraries have been identified and divided into two main categories: the ones that have a basically terrestrial conformation, and which we can see as direct links between two inhabited centres of the territory; and the ones that we can call ‘parafluvials’, as they show a strong connection with a waterway (still existing or now disappeared), the course of which they very often follow all the way to the mouth, thus configuring themselves as support and auxiliary infrastructures to mainly fluvial routes. L’importanza, la varietà e, soprattutto, la complessità delle realtà insediative della pianura non poteva non essere adeguatamente supportata da un articolato sistema viario che, grazie all’utilizzo di una metodologia di lavoro che ha previsto l’impiego di un approccio di tipo archeomorfologico (cfr. cap 1.2), possiamo ora cercare di ricostruire e comprendere nei suoi multiformi aspetti. L’utilizzo di una tale metodica ha infatti permesso di riconoscere, all’interno del paesaggio attuale, una serie di itinerari che potrebbero avere avuto un’origine antica e che, quindi, potrebbero aver contribuito alla formazione e alla definizione della rete viaria che, tra II sec. a.C. e VI sec. d.C., venne ad organizzare l’intera pianura a sud di Patavium (Fig. 4.1 e Tav. 2).
il tracciato antico incontrasse e superasse il corso d’acqua che, fin da epoca protostorica, scorreva lungo la direttrice dell’attuale via Acquette (Balista e Rinaldi, 2005) e che un placito del 1077 menziona come flumixello currentem (Rosada, 1993: p. 66). Quindi prosegue verso sud, lungo il tracciato dell’attuale corso Vittorio Emanuele II, fino a raggiungere la zona del Prato della Valle, dove con ogni probabilità deve essere identificato con la via publica qui ricordata nel 1147 (Gloria, 1877a: n. 501). Dal Prato si porta poi a Santa Croce, l’antica contrada da silice dove variamente si ricorda la presenza di una strata silicata (Mengotti, 2001: p. 112 nota 33) e, soprattutto, la via que dicitur Agna que vadit ad Abbanum menzionata nel 1180 (Gloria, 1879: n. 1377). Raggiunta quindi la località di Bassanello, segue a sud fino a Mandria lungo la direttrice oggi ripresa dall’attuale via Armistizio, ovvero la via publica ricordata in documenti del 1065 e del 1114 (Gloria, 1879: n. 62).
Sono stati identificati 32 itinerari, che sono stati suddivisi in due grandi categorie: quelli che presentano una conformazione fondamentalmente di tipo terrestre e che si configurano come collegamenti diretti tra due centri abitati del territorio; e quelli che possiamo definire ‘parafluviali’, in quanto mostrano un forte collegamento con un corso d’acqua (esistente o scomparso) di cui molto spesso seguono il percorso fino alla foce, configurandosi quindi come infrastrutture prevalentemente di appoggio e ausilio a direttrici soprattutto fluviali.
Nei pressi di Mandria il tracciato antico incontrava una diramazione del fiume Bacchiglione (Tav. 4A), che probabilmente superava attraverso un ponte la cui esistenza è attestata ancora nel 1114 (Gloria, 1881b: n. 62). In epoca medievale, la presenza di una tale infrastruttura favorì il sorgere di un monastero con ospizio dedicato a Santa Maria (testimoniato a partire nel 1051) e di un castello di proprietà della famiglia Capodilista, distrutto a seguito dei lavori per la realizzazione del canale di Battaglia alla fine del XII sec. (Gloria, 1862, II: pp. 24-25), i quali dovevano espletare la duplice funzione di ricezione dei viandanti e di controllo viario. Il ritrovamento, all’inizio del XIX sec., di un pozzo e di tracce riferibili ad un non meglio precisato ‘edificio antico’ (Busato, 1887, I: p. 21) e, soprattutto, l’esistenza di un’area necropolare di cui il monumento di Claudia Toreuma (I sec. d.C.) doveva probabilmente costituire l’elemento più rappresentativo (CAVe, 1992:
4.1. Itinerari terrestri 4.1.1. Itinerario 1: da Padova a Este Questo itinerario si origina a Padova, centro dal quale esce attraverso la zona dell’attuale ponte delle Torricelle, seguendo la direttrice oggi ripresa da via Umberto I e passando non lontano dalla chiesa di San Daniele. Il ritrovamento, non lontano dall’attuale edificio ecclesiastico, di un’arcata di un ponte lapideo forse di origine romana (Prosdocimi, 1985: p. 61), testimonia come
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Il paesaggio trasformato
Figura 4.1. Itinerari di probabile origine antica evidenziati dall’analisi archeomorfologica nella pianura a sud di Padova.
aeree che, poco a est dell’attuale abitato di Terradura, evidenziano una traccia rettilinea larga circa 13 m che condurrebbe, verso sud ovest, a Carrara San Giorgio e, verso nord est, a Mandria (Fig. 4.2). Lungo questa traccia non mancano evidenze di epoca romana che potrebbero suggerirne l’antichità: in particolare, a Mandriola, si segnalano la presenza di una probabile villa rustica nei pressi della fornace Perale-Cassis (CAVe, 1992: pp. 7374 n. 255) e il rinvenimento dell’iscrizione del IIIIvir T. Iestinius Augurinus, forse proveniente da una necropoli in origine collocata proprio lungo il tracciato viario (CAVe, 1992: p. 74 n. 256). Scendendo verso sud, il ricordo di una via Levata o Elevada, attestata fin dal 1163 nel territorio oggi di Abano Terme (Bortolami, 1983: p. 151), potrebbe riferirsi alla stessa traccia telerilevata, suggerendo altresì che la sede stradale fosse realizzata, in questo tratto, su di un terrapieno artificiale;45 potrebbe inoltre corrispondere alla via publica che un documento del 1179 colloca nei
p. 78 n. 286), suggeriscono una particolare rilevanza itineraria della zona anche in epoca romana. Da Mandria l’itinerario scende quindi a Montegrotto Terme, in epoca romana probabile centro amministrativo del distretto territoriale delle cosiddette ‘Aquae Patavinae’ (Bassani et al., 2011; Bassani et al. 2012), seguendo la direttrice oggi ripresa dall’attuale via Campagna Alta e costeggiando il colle Bortolone fino alla zona dell’Hotel Terme Neroniane, dove le indagini archeologiche dell’Università di Padova hanno riportato alla luce i resti di un grande complesso residenziale (cfr. cap 3.2.1 e Fig. 3.4). Di qui si dirige verso la zona di Due Carrare, dopo avere superato nei pressi di Pontemanco il corso del canale di Cagnola-Bovolenta – erede del medievale fiume Vigenzone e, forse, del flumen Togisonus ricordato da Plinio il Vecchio (Tav. 5). È tuttavia possibile che, tra Mandria e Due Carrare, l›itinerario seguisse anticamente anche un secondo tracciato: quest›idea è suggerita in primis dalle foto
Quella delle strade in levada o in aggere è una tecnica costruttiva ben nota in epoca romana, utilizzata generalmente nei territori caratterizzati
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Tavola 2. Itinerari di probabile origine antica evidenziati dallo studio archeomorfologico.
Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica
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Il paesaggio trasformato
Figura 4.2. Terradura. In questa immagine satellitare ‘catturata’ dal sito di Tuttocittà si riconosce la traccia rettilinea di un percorso viario diretto NE-SO a congiungere, idealmente, gli attuali centri di Mandria e Carrara San Giorgio.
pressi di Terradura (Gloria, 1881b: n. 1348). Il fatto poi che entrambe queste attestazioni siano precedenti al 1189, anno in cui iniziarono i lavori per la costruzione del canale di Battaglia, induce a ritenere che la scomparsa di tale tracciato possa essere avvenuta proprio in conseguenza della realizzazione di tale manufatto idraulico.
una via publica menzionata nel 1163 (Gloria, 1879: nn. 811, 816). Lo stretto legame della zona con il passaggio di una direttrice viaria è, comunque, ribadito dallo stesso toponimo Carrara che, derivato da un originario Carraria, indicherebbe propriamente una strada percorribile da carri (cfr. Uggeri, 1994: p. 27).
A Due Carrare l’antichità dell’itinerario può essere solo suggerita dalla presenza di alcune iscrizioni funerarie reimpiegate negli edifici ecclesiastici altomedievali di San Giorgio e di Santo Stefano (CAVe, 1992: pp. 135136 n. 250) e dalla sua probabile corrispondenza con
Dalla zona di Carrara Santo Stefano prosegue quindi verso sud in direzione di Pernumia, seguendo il tracciato delle attuali vie Brassalene, Maseralino e Beverara. Superate le località di Arzerdimezzo e del Quadrivio alla Costa presso Monselice, dove è più che probabile una sua corrispondenza con la via pubblica qui ricordata nel 1152 (Gloria, 1879: n. 505) e nel 1182 (Gloria, 1881b: n. 1446), si dirige a sud est verso Ca’ Oddo lungo il
da un difficile sgrondo delle acque e, quindi, facilmente soggetti all’impaludamento (cfr. Matteazzi, 2013b: pp. 24-25).
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Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica (Brogiolo e Ibsen, 2009: pp. 187), Maserà si segnala a livello archeologico per il particolare quanto interessante ritrovamento, avvenuto nel XIX secolo, di un cospicuo tesoretto monetale databile al 125 a.C. (CAVe, 1992: p. 136 n. 253).
percorso suggerito dal particolare allineamento delle aree necropolari messe in luce in varie occasioni tra le localit di Vetta e di Ca’ Sandri (CAVe, 1992: pp. 131 nn. 220-221, 131-132 n. 223; Bianchin Citton e Zerbinati, 1994: p. 35). Nei pressi di Ca’ Oddo, dove in epoca medievale sorgeva la località di Auneda, il Catastico d’Ezzelino colloca una viam magnam insieme a una via pelosa (Caberlin, 1988: pp. 46, 51, 209), odonimi che potrebbero riferirsi a tracciati di origine antica.46 Poiché quest’ultima compare anche in un estimo del 1562 che parla di una contrà della Crosara over via Pelosa sotto la regula di San Bortholomeo (Valandro, 1997: p. 117), località corrispondente all’attuale San Bortolo, si può pensare che l’itinerario attraversasse la zona di Ca’ Oddo e che via magna e via Pelosa facessero originariamente parte del medesimo tracciato.
Proseguendo verso sud per superare il canale di CagnolaBovolenta nei pressi di Cagnola, dove a partire almeno dal 1141 sorgeva un ospizio dedicato ai Santi Filippo e Giacomo (Gloria, 1862, III: p. 206), l’itinerario raggiunge Cartura. Quindi si porta a Conselve, centro esistente nel X sec. e dotato di pieve già all’inizio dell’XI sec. (Brogiolo e Ibsen, 2009: pp. 178-179 n. Pd43), dove in epoca romana avrebbe attraversato il corso principale dell’Adige (Tav. 6A) proseguendo a sud in direzione di Bagnoli di Sotto. L’esistenza e l’antichità dell’itinerario nel tratto tra Conselve e Bagnoli sono suggerite dalla menzione, in un documento del 954, di una levata maiore que venit de Caput Silve que vocatur Agna (Mengotti, 2001). Questa levata (ossia una strada realizzata su terrapieno) passava, nella zona di Bagnoli, per transversum a una via antiqua que venit per palude maiore, verosimilmente corrispondente alla strada attuale che da Monselice si porta ad Agna. Un ponte de la Maore, probabilmente da identificare con il ponteselo supra Levadham menzionato in documenti della fine del XII sec., è peraltro ricordato a Conselve ancora nel 1615 (Barbierato, 2002a: p. 85). La traccia di questa levata, il cui ricordo è probabile si ritrovi ancora oggi nel toponimo Levà non lontano da Conselve, è stata forse individuata da Corrain e Zerbinati che, attraverso la lettura di alcune foto aeree, segnalano la presenza di un tratto stradale rettilineo che da Conselve porta a Bagnoli (Corrain e Zerbinati, 2003: p. 76).
Quindi, probabilmente seguendo la traccia viaria recentemente individuata dalle foto aeree in località Granzette (Gambacurta-Tagliaferro-Zamboni, 2017), dove si segnala anche la presenza di una probabile area necropolare di epoca romana (CAVe, 1992: p. 132 n. 227), prosegue in direzione di Schiavonia, centro che si mostra particolarmente interessante da un punto di vista toponomastico: il nome attuale, infatti, derivando da un originario Sclavonia, potrebbe forse fare riferimento a uno stanziamento di Slavi sorto, in epoca tardoantica, a controllo della direttrice viaria (Valandro, 2007: p. 337). Da Schiavonia, riprendendo il percorso della viam magnam que vadit ad Cessum ricordata nel 1210 (Valandro, 2007: pp. 337-339) e attraversando le località di Motta d’Este, Prà d’Este e Meggiaro, quest’ultima interessata dal ritrovamento di un santuario preromano (Bonini, 2010: p. 94), l’itinerario raggiunge infine Este.
Quantunque oggi non resti alcuna traccia visibile sul terreno, è probabile che da Bagnoli l’itinerario continuasse ulteriormente verso sud in direzione di Rovigo e, attraverso il Ferrarese, raggiungesse infine Bologna, configurandosi quindi come un collegamento diretto tra Patavium e Bononia. La mancata evidenza della prosecuzione dell’itinerario tra Bagnoli e Rovigo potrebbe d’altra parte essere motivata dai ripetuti fenomeni alluvionali che, a partire dall’epoca tardoantica, portarono all’impaludamento e al conseguente abbandono di vaste porzioni della pianura a sud di Padova.48
4.1.2. Itinerario 2: da Padova a Bagnoli di Sotto Si stacca dall’itinerario diretto a Este (it. 1) all’altezza del quartiere di Santa Croce a Padova, seguendo in massima parte il tracciato oggi ripreso dall’attuale Strada Conselvana che in alcuni documenti medievali è ricordata con l’interessante odonimo di Agna (o Lagne), forse derivato ad un originario (via) Annia.47 A Roncon di Albignasego, dove probabilmente si identifica con la via publica ricordata nel 1176 (Gloria, 1881b: n. 1235), il tracciato antico attraversava la diramazione meridionale del Bacchiglione (Tav. 4B) prima di raggiungere l’attuale centro di Maserà di Padova. Erede della curtis Maserada attestata fin dal IX sec. e sede di un insediamento stabile già in epoca romana, come attestano i resti di un edificio abitativo recentemente indagati al di sotto delle strutture medievali della chiesa di Santa Maria
4.1.3. Itinerario 3: da Padova ad Adria Si stacca dall’itinerario diretto a Este (it. 1) all’altezza di via Umberto I a Padova, attraversando la zona del Prato della Valle e passando accanto alla chiesa tardoantica di Santa Giustina, per poi seguire il tracciato oggi ripreso dal lungo rettifilo che conduce a Bovolenta. È possibile che, in questo tratto, si identifichi con la via publica que dicitur
46 Sulla corrispondenza dell’odonimo via magna con un tracciato viario di probabile origine antica, cfr. Uggeri, 1994: p. 25. Riguardo a Pelosa, vedi Matteazzi, 2006: p. 163 e bibliografia ivi citata. 47 Oltre ad alcuni riferimenti a Padova, una via Lagne è ricordata nel 1292 presso Cagnola (Barbierato, 1993: p. 133 n. 336) e, nel 1372, a Cartura. Nel 1371, invece, nel territorio di Cartura è testimoniata una via communis que dicitur la Agna (Gloria, 1862, III: p. 210).
48 Marcolongo e Zaffanella, 1987. In particolare, la zona tra Bagnoli e Rovigo venne interessata dalla formazione di un piuttosto esteso specchio lacustre noto come ‘lago di Anguillara’, che verrà prosciugato soltanto nel corso del XVI.
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Il paesaggio trasformato tra via Ognissanti, via San Massimo e la zona del C.U.S. in via J. Corrado, si dirige lungo il tracciato oggi ripreso dalle vie Gattamelata e Ristori fino a Fistomba, dove probabilmente deve identificarsi con la via publica qui ricordata nel 1058 (Gloria, 1879: n. 177). Quindi, per la località di Sant’Orsola e lungo il tracciato dell’attuale via San Salvatore, si porta a Camin, dove in epoca romana avrebbe superato il corso principale del Brenta (Tav. 3) attraverso un ponte i cui resti vennero messi in luce nel 1806 (Galliazzo, 1995: p. 213 n. 438).
Agna ricordata nel 1069 presso la scomparsa località di Verzegnano (da ubicare non lontano dalla chiesa di Santa Giustina: Gloria 1877a: n. 206), con la stra’ qui dicitur Agna ultra Stangatum menzionata nel 1345 (Gloria, 1855: pp. 188-189, St. n. 451) e con la via publica testimoniata a Spassano, presso Salboro, nel 1070 (Gloria, 1871: n. 1070). Sebbene il tracciato della strada attuale sia stato oggetto, tra il 1216 e il 1224, di interventi di ripristino della sede stradale da parte del Comune di Padova a seguito dei quali assunse l’appellativo di via nova (Frassine, 2010: p. 114), l’origine antica dell’itinerario non sembra comunque possa essere in discussione. A suggerirlo, oltre all’esistenza stessa di tutti i centri da esso attraversati tra X e XI sec., sono soprattutto i dati archeologici,49 tra cui, in particolare, il complesso abitativo frequentato dalla fine del I sec. a.C. al VI sec. d.C. indagato a Pozzoveggiani (Franceschi et al., 2009).
Proseguendo verso est per Tombelle e lungo il tracciato dell’attuale via Verdi, giunge a Sarmazza di Vigonovo, località erede della medievale Sarmacia e frequentata almeno a partire dal IV-III sec. a.C. (cfr. cap 3.2.3). Quindi, lungo il tracciato ripreso dalla via che oggi conserva l’interessante odonimo de ‘La Sassara’ e passando non troppo lontano dall’antica chiesa di San Pietro in strata, raggiunge Sambruson, probabile sede della mutatio ad XII ricordata dall’Itinerarium Burdigalense (cfr. cap 3.2.3). Da qui, continua poi fino alla zona di Porto Menai, lungo il tracciato che è ancora oggi suggestivamente chiamato ‘Stradona’: unico indizio della possibile frequentazione antica della località, ricordata per la prima volta nel 1025 come portum de supra Brentam (Poppi, 1977: pp. 47-49), è al momento una testa di marmo pertinente ad un originario monumento funerario ritrovata nel XIX sec. effettuando degli scavi all’interno dell’alveo del canale Nuovissimo (CAVe, 1994: p. 70 n. 272.2).
A Bovolenta, l’itinerario supera il corso del canale omonimo non lontano dalla chiesa di Santa Maria in Vigenzone, dove nel 1146 è ricordata l’esistenza di un pons lapideus usato per attraversare il fiume Vigenzone (Gloria, 1881b: n. 472), portandosi ad Arzercavalli e quindi ad Arre, molto probabilmente attraverso l’arzer de petra o de la petra menzionato in un documento del 1200 (Cavallaro, 1981: p. 38). Da Arre, dove in epoca romana avrebbe attraversato il corso principale dell’Adige (Tav. 6A), prosegue a sud in direzione di Agna, verosimilmente sfruttando la naturale sopraelevazione di un dosso atesino relitto oggi ripreso dal tracciato delle odierne vie Capitello e Cepemeo. Ricordo di questa sopraelevazione sarebbero la contrada Levade, menzionata nel territorio di Terrassa nel 1288 e la contrà della Levata, ricordata ad Arre nel 1562 (Barbierato, 1993: pp. 193-94 n. 549, 299 n. 929).
Da Porto Menai, seguendo il tracciato dell’attuale via dei Campi, si dirige poi a Gambarare, dove in epoca romana avrebbe incontrato una diramazione del Brenta (Tav. 3D) ed è possibile che si ubicasse l’insediamento di Maio Meduaco ricordato nella Tabula Peutingeriana (cfr. cap 3.2.4) e, di qui, a Malcontenta, località presso la quale le vecchie carte segnalano l’esistenza di una ‘Stradela’. Infine, proseguendo ulteriormente in direzione nord est, raggiunge la zona di Mestre, probabile sede della mutatio ad IX dell’Itinerarium Burdigalense (Bosio, 1991: p. 73) e, quindi, il centro della romana Altinum.
Da Agna, infine, raggiunge Adria, anche se non attraverso il tracciato attuale. In epoca romana, infatti, a partire da Agna è più che probabile che l’itinerario seguisse la lunga traccia viaria rilevabile dalle foto aree tra Agna e Rottanova e parzialmente indagata nel 2010 (Pettenò, Vigoni 2011 – Fig. 4.3), superando il ramo meridionale dell’Adige (Tav. 6E) non troppo lontano dall’attuale centro di Cavarzere.
4.1.5. Itinerari 5-6: da Padova a Vicenza Un itinerario (it. 5) collega Padova e Vicenza (la romana Vicetia) lungo la destra idrografica del fiume Bacchiglione, passando per i centri di Selvazzano, Saccolongo, Cervarese Santa Croce e Longare. L’antica origine di tale itinerario è suggerita dai numerosi ritrovamenti di epoca preromana e romana effettuati lungo il tracciato ancora oggi conservato, tra cui vale la pena di segnalare, nella zona di Brusegana, alcune strutture murarie in laterizi e blocchi di trachite parzialmente inserite nell’alveo attuale del Bacchiglione (CAVe, 1992: p. 79 n. 289); mentre il suo uso ancora in epoca altomedievale è sottolineata dalla presenza di luoghi di culto con funzione ospitaliera e di centri fortificati sorti tra VII e X sec.
4.1.4. Itinerario 4: da Padova ad Altinum Esce da Padova attraverso il ponte romano detto Altinate e, seguendo il tracciato dell’attuale via Altinate (lungo la quale si segnalano ritrovamenti di tratti dell’originaria sede stradale basolata), raggiunge la zona di Santa Sofia, presso la quale nel 1123 è ricordato come via publica (Gloria, 1877a: n. 134). Seguendo il particolare allineamento di aree necropolari romane che ritroviamo 49 Alle segnalazioni riportate in particolare dalla Carta Archeologica del Veneto, si devono ora aggiungere anche alcune evidenze probabilmente riferibili ad un’area necropolare di epoca imperiale che recenti ricognizioni personali hanno accertato sussistere in località Ca’ Ferrante a Casalserugo, nei pressi dell’attuale strada che conduce a Bovolenta (notizia inedita).
Un secondo itinerario (it. 6) corre invece sulla sinistra del fiume. A partire dalla zona della chiesa di Santa Giustina 70
Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica a Padova segue il tracciato delle attuali vie Cavalletto, Castelfidardo, Crimea e Pelosa, raggiunge Montegalda e, di qui, prosegue in direzione di Vicenza. L’origine romana e il suo possibile riconoscimento con la via Vicetia-Patavium ricordata negli Itineraria antichi, così come la possibile ubicazione, nei pressi di Montegalda, della mutatio ad finem menzionata dall’Itinerarium Burdigalense, sono già stati sostenuti in precedenti contributi (Matteazzi, 2006; Matteazzi, 2008), ai quali si rimanda per maggiori approfondimenti. In base ai dati archeologici, sembrerebbe comunque che questo itinerario si strutturi in epoca più tarda rispetto a quello lungo la destra idrografica del Bacchiglione (di origine verosimilmente preromana), probabilmente in un momento compreso tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del I sec. d.C.
di Piove di Sacco a partire almeno dal X sec. se non prima, essendo possibile una sua corrispondenza con il vicus Saccus noto da fonti di VIII sec. (Bortolami, 2003b: pp. 49-50). Inoltre, la presenza a Piove di una chiesa dedicata a San Vito, nota a partire dal 1132 e divenuta nel 1229 monastero femminile dei Santi Vito e Modesto, risulta infatti particolarmente interessante per la sua ubicazione all’ingresso del centro abitato per chi proviene da Padova e, soprattutto, per la sua dedicazione, che farebbe pensare ad una sua originaria funzione di xenodochium (Fasolo e Bolzonella, 2012: p. 38). Ugualmente rilevante ci pare il fatto che la pieve da cui ebbe il nome l’attuale centro di Piove, oggi intitolata a San Niccolò, fosse in origine dedicata a San Martino, ovvero ad un santo tipico delle dedicazioni a carattere viario (Cfr. Dall’Aglio e Di Cocco, 2006: p. 300).
4.1.6. Itinerario 7: da Padova a Codevigo Da Piove di Sacco l’itinerario scende a Tognana, dove è probabile la sua identificazione con la via publica qui ricordata nel 1121 (Gloria, 1879: n. 118), giungendo infine a Codevigo, località presso cui riteniamo potesse ubicarsi l’insediamento di Evrone ricordato nella Tabula Peutingeriana (cfr. cap 3.2.4).
Esce da Padova attraverso il romano Ponte Corvo (Galliazzo, 1971), verosimilmente identificandosi con la via publica che alcuni documenti ricordano nei pressi dello stesso ponte nel 1137 e nel 1139 (Gloria, 1879: nn. 314 e 370). Quindi, passando non lontano dall’attuale via Crescini, dove il Busato segnalava la presenza di un’area funeraria (Busato, 1887, II: p. 34) e seguendo il tracciato dell’odierna via Canestrini si porta a Roncaglia di Ponte San Niccolò. Qui l’antichità dell’itinerario, corrispondente alla via publica menzionata in un documento del 1167 (Gloria, 1879: n. 914), è suggerito dalla presenza di una villa rustica sorta non molto lontano da esso (Baggio Bernardoni e Pesavento Mattioli, 1992) e di una chiesa dedicata a San Basilio, la cui particolare intitolazione (testimoniata a partire dal 1171) si ritrova con una certa frequenza lungo direttrici di origine romana (Dall’Aglio, 1991).
4.1.7. Itinerario 8: da Padova a Lova di Campagna Lupia Si stacca dall’itinerario diretto ad Altinum (4) presso zona di Santa Sofia a Padova, dirigendosi poi verso Terranegra lungo il tracciato oggi ripreso dalle attuali vie Santa Sofia e Scardeone. La sua antica origine è testimoniata archeologicamente dal ritrovamento di alcuni tratti di basolato in via San Mattia e in via Giustiniani (Rosada, 1993: p. 74). Da Terranegra, dove si segnala la presenza di un’area necropolare con sepolture databili tra IV sec. a.C. e II d.C. (CAVe, 1992: pp. 77-78 n. 282), continua verso sud est oltre l’odierno alveo del canale di Roncaejette, probabilmente identificandosi con la via publica qui ricordata nel 1027 (Gloria, 1877a: n. 20).
Dalla zona di Roncaglia giunge quindi a Ponte San Niccolò, per poi proseguire lungo il tracciato oggi ripreso dal rettifilo che porta a Piove di Sacco e che i documenti medievali dicono realizzato dal Comune di Padova nel 1205 (Fraccaro, 1959: p. 18). Che tuttavia l’itinerario sia precedente alla costruzione di tale rettifilo, è suggerito dal fatto che i centri da esso attraversati esistevano ben prima del XIII sec. e, soprattutto, dalla sua menzione come via publica già nell’XI e nel XII secolo (Barbierato, 2003a: p. 116). A Piove di Sacco, inoltre, la sua probabile corrispondenza con la via Ongaresca ricordata in un documento del 1163 (Gloria, 1879: n. 18), potrebbe essere visto come ulteriore indicazione della sua antichità: come infatti suggerito da analoghi esempi in Italia settentrionale (Settia, 1986: pp. 655-659), tale odonimo sarebbe da ricollegare alle invasioni degli Ungari (avvenute alla fine del IX sec.) e, generalmente, farebbe particolare riferimento a tracciati viari di origine romana.
Quindi attraversa l’attuale zona industriale di Padova a Camin, dove durante lavori per la realizzazione della Torre della Ricerca, sono emerse evidenze di un sepolcreto di epoca romana (Pettenò, 2012), passando per il sito in cui all’inizio del X sec. sorgeva l’abitato di Vico Bragano (Salmaso, 1995: p. 74) e giungendo infine a Villatora, dove è probabile la sua corrispondenza con la via publica menzionata in alcuni documenti del XII sec. (Gloria, 1879: nn. 576, 1001). A partire da qui affianca gran parte del corso attuale del fiume Cornio arrivando infine a Lova di Campagna Lupia, località ormai da più parti riconosciuta quale sede dell’insediamento di Mino Meduaco ricordato dalla Tabula Peutingeriana (cfr. cap 3.2.4). Lungo questo tracciato, numerosi sono i riscontri archeologici, riferibili a contesti abitativi e funerari – non ultimi quelli emersi dai lavori di pulizia dell’alveo del fiume effettuati nel 2012 (Asta et al., 2015) – che suggeriscono una sua origine antica.
L’origine antica dell’itinerario è comunque indiziata anche dalle numerose testimonianze di epoca romana lungo il suo percorso, riferibili a contesti sia funerari sia insediativi, oltre che dall’esistenza stessa del centro stesso
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Il paesaggio trasformato 4.1.8. Itinerari 9-13: da Padova verso i Colli Euganei
dove il tracciato attuale conserva l’interessante odonimo di ‘via romana’, verosimilmente erede della calle romana qui attestata nel 1212 (Bortolami, 1983: p. 151).
Diversi sono gli itinerari di antica origine che collegano Padova al comprensorio collinare Euganeo. Uno di questi (it. 9) segue, a partire da Padova, il tracciato oggi in parte ripreso dalla via Montanara e, per Tencarola, Feriole e Teolo, raggiunge la zona di Zovon e Vo’ Euganeo.
Infine, a partire dalla zona di Montemerlo, un ultimo itinerario (it. 13) la cui antichità è rimarcata dai numerosi ritrovamenti archeologici effettuati lungo il suo percorso, raggiunge Este correndo ai piedi dei Colli Euganei attraverso le località di Treponti, Torreglia, Galzignano Terme, Arquà Petrarca e Baone (cfr. Bosio, 1992: p. 188).
Un secondo itinerario (it. 10), si stacca da quello diretto a Vicenza (it. 5) all’altezza di Tencarola, portandosi ad Abano Terme e alla zona del colle Montirone dove, come è noto, sorgeva un importante luogo di culto dedicato ad Aponus/Apollo che, frequentato almeno a partire dal III sec. a.C., è forse da riconoscere nel Fons Aponi ricordato da Svetonio (cfr. cap 3.2.1) Di qui raggiunge infine Torreglia, dopo aver affiancato il colle di San Daniele, dove si trovava un fronte di cave di trachite ampiamente sfruttato in epoca romana (cfr. cap 3.2.2).
4.1.9. Itinerario 14: da Montegrotto Terme a Monselice Questo itinerario si dirige da Montegrotto Terme verso l’attuale centro di Battaglia Terme costeggiando il versante orientale dei Colli Euganei per poi raggiungere Monselice, centro corrispondente al castrum Montesilicis che Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 14; IV, 25) ricorda conquistato dalle truppe di Agilulfo nel 602, ovvero alla Monssilicis che, alla fine del VII sec. d.C., l’Anonimo Ravennate (IV, 31) inserisce tra le principali civitates Italicae prope maris litora (cfr. cap 3.2.2).
Un terzo itinerario (it. 11), staccandosi all’altezza di Mandria da quello diretto ad Este (it. 1), raggiunge Abano Terme passando per la zona dell’attuale duomo di San Lorenzo, dove incrocia un ulteriore itinerario (it. 12) diretto probabilmente a collegare le importanti cave di trachite di Montemerlo con la zona di Piove di Sacco (quantunque il tratto attestato archeomorfologicamente si arresti in prossimità di Casalserugo). Da Abano continua poi a sud est fino a Montegrotto Terme costeggiando i colli Montagnone e Bortolone, dove sono state ritrovate tracce archeologiche del suo antico passaggio (Bressan e Bonini, 2011: p. 98) e
Da Monselice prosegue poi verso sud passando in prossimità del medievale monastero di San Giacomo e, probabilmente, seguendo il tracciato dalla via publica più volte qui ricordata tra il 1085 e il 1177 (Gloria, 1877a: n. 279; Gloria, 1879: nn. 775, 788, 960, 1229) per andare a confluire, nei pressi di Schiavonia, nell’itinerario collegante Padova e Este (it. 1).
Figura 4.3. La traccia ‘a doppio binario’ dell’itinerario 3 a sud est di Agna visibile in una foto aerea del 1983 (REVEN Padova-Rovigo, str. 2, f. 356).
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Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica 4.1.10. Itinerario 15: da Sambruson di Dolo ad Agna
epoca romana, avrebbe incontrato e attraversato il corso principale del Brenta (Tav. 3A), probabilmente passando non troppo lontano dalla chiesa/ospizio di San Michele, ricordata nel 1108 nei pressi di Vallonga di Arzergrande (Gloria, 1862, III: p. 314).
Si stacca dall’itinerario diretto da Padova ad Altinum (4) all’altezza di Sambruson di Dolo, località che riconosciamo quale probabile sede della mutatio ad XII ricordata dall’Itinerarium Burdigalense (cfr. cap 3.2.3), dirigendosi a sud attraverso i centri di Premaore, Bojon, Campolongo e Piove di Sacco, tutti esistenti tra IX e X sec. (Giacomello, 1910: pp. 16, 77). Quindi, superato quello che in epoca romana era il corso principale del Brenta (Tav. 3) all’altezza di Arzerello di Arzergrande, si porta a Pontelongo, dove attraversa il canale di CagnolaBovolenta arrivando a Candiana. Da qui, dove almeno a partire dal 1027 si ricorda l’esistenza di una chiesa dedicata a San Michele poi trasformata in monastero nel 1097 (Barbierato, 1993: p. 38 n. 25) e dove in epoca romana avrebbe incontrato e superato il corso principale dell’Adige (Tav. 6A), raggiunge infine Agna per raccordarsi all’itinerario collegante Padova e Adria (it. 3).
A partire da Codevigo, seguendo la traccia viaria oggi visibile dalle foto aeree (Fig. 4.6), si porta a Lova di Campagna Lupia (Fig. 3.16), riconosciuta sede dell’insediamento di Mino Meduaco della Tabula (cfr. cap 3.2.4). Del probabile tracciato originario sopravvivono oggi solo due brevi tratti nei dintorni di Rosara, probabilmente corrispondenti alla via percurrente e alla via publica menzionate rispettivamente nel 1078 (Gloria, 1877a: n. 254) e nel 1089 (Gloria, 1877a: n. 297). A Lova l’itinerario supera il fiume Cornio, il cui alveo ricalca in parte quello di una diramazione minore del fiume Brenta certamente attivo in epoca romana (Tav. 3E), raggiungendo Lugo. Qui passa in prossimità della chiesa di Santa Maria, un tempo sede di un piccolo monasteroospizio dedicato a San Lorenzo (Gloria, 1869), che recenti indagini archeologiche condotte dall’Università di Padova hanno dimostrato sorgere al di sopra di un precedente insediamento romano (Girotto, 2011: pp. 24-25 n. S11).
4.1.11. Itinerario 16: da Adria a Gambarare di Mira Esce da Adria a nord ovest e segue un tracciato, oggi rilevabile unicamente dalle foto aeree, che per le località di Ponti Novi, Bindola, Ca’ Cima, Case Campelli, Fienile Casellati e Case Rossi, si porta a Cavarzere, dove in epoca romana avrebbe superato il ramo meridionale dell’Adige (Tav. 6E), raggiungendo Monsole (Fig. 4.4; 4.5).
Quindi, per le località di Lughetto – in cui si segnala il particolare ritrovamento di un sigillo di epoca bizantina (Girotto, 2011: pp. 20-21 nn. S3-S4) – e di Curano, giungeva nella zona di Piazza Vecchia-Gambarare, possibile sede dell’insediamento di Maio Meduaco della Tabula Peutingeriana (cfr. cap 3.2.4), per poi collegarsi all’itinerario diretto da Padova ad Altinum (it. 4).
Prosegue quindi verso nord in direzione di Concadalbero, dove in epoca romana avrebbe attraversato la principale diramazione dell’Adige (Tav. 6A), e dell’attuale Correzzola, dove supera il corso del canale di CagnolaBovolenta per poi dirigersi a nord est verso Codevigo, probabile sede dell’insediamento di Evrone ricordato dalla Tabula Peutingeriana (cfr. cap 3.2.4). Qui, in
4.1.12. Itinerario 17: da Codevigo a Cavanella d’Adige Si stacca dall’itinerario diretto da Adria ad Altinum (it. 16) all’altezza di Codevigo, dirigendosi a sud-est verso Civè attraverso le località di Bassafonda e Calcinara, dove nel 1049 esisteva un agger Gastaldionis – di cui forse restava traccia, ancora alla fine del XIX sec., nell’odonimo ‘strada della Gastaldia’ (Bellemo 1893, p. 293) – e nel 1106 si ricordava la presenza di un bosco suggestivamente chiamato Casa pagana (Gloria, 1862, III: p. 306). Particolarmente interessante, dal punto di vista toponomastico, appare la località di Civè, in quanto il nome attuale deriverebbe, attraverso le forme Civeade>Civiade>Cividate, da un originario Civitas, termine con il quale è per la prima volta ricordata nel 1153 (Barbierato, 2002b: p. 37). La possibile romanità del sito è tuttavia oggi soltanto suggerita dal ritrovamento, effettuato durante lavori per la costruzione della macchina idrovora di San Silvestro negli anni ‘50 del secolo scorso, di laterizi romani e di una bonifica con anfore forse riferibili alla presenza di un contesto residenzialeproduttivo (CAVe, 1994: p. 114 n. 26). Da Civè l’itinerario raggiunge poi la zona delle Bebbe, dove in epoca romana avrebbe superato il corso principale dell’Adige (Tav. 6) e dove i resti di una torre medievale
Figura 4.4. La traccia dell’itinerario 16 tra Adria e Monsole.
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Il paesaggio trasformato
Figura 4.5. Immagine aerea della zona a nord del Canale dei Cuori, località La Casona, dove è evidente il tracciato dell’itinerario 16 e la sua intersezione con un limite della centuriazione di ‘Adria Nord Ovest’ (volo GAI 1954-55, str. 15A f. 5175).
suggeriscono il particolare ruolo di controllo viario svolto in passato dalla località. Qui, alla fine del XIX secolo, Bellemo mise in luce le massicciate appartenenti a due distinti tracciati stradali, uno dei quali diretto verso Chioggia, cui sono forse da riferire anche alcuni basoli di trachite reimpiegati nelle strutture della torre (CAVe, 1994: p. 115 n. 31). Per questo tratto è assai probabile che l’itinerario corrisponda alla via de Saco eundi vel reundi ad Cluzam ricordata in un documento del 1129 (Gloria, 1879: n. 192) e, soprattutto, all’agger de petra menzionato in un diploma del 972 presso il quale, non lontano da Civè, si trovava anche un pons de petra (Bellemo, 1893: p. 181).
di Aedro (cfr. Cap. 3.2.5), seguendo il cordone dunoso formante la principale linea di costa di epoca romana. A livello documentario, è assai probabile che l’itinerario si identifichi con il medievale agger Carrariae o Carriera, attestato nei pressi di Cavanella d’Adige, alla Calle Reza (Regia?) o publica menzionata nel 1151 e nel 1180 tra Sant’Anna e Brondolo e alla Calmazor ancora oggi esistente a Chioggia (Bellemo, 1893: pp. 82-83). 4.1.14. Itinerario 19: da Este ad Adria Esce da Este ad oriente del centro antico, seguendo il tracciato dell’attuale via Deserto e passando in prossimità di un luogo di culto frequentato tra VII sec. a.C. e II sec. d.C. (Ruta Serafini, 2002). Quindi, sfruttando il dosso formato da una diramazione atesina minore attiva in epoca romana (Tav. 6D), si porta a Sant’Elena, località frequentata almeno a partire dal IV-III sec. a.C. per raggiungere poi Solesino. Qui si segnala il rinvenimento d’iscrizioni e monumenti funerari (alcuni dei quali trovati apparentemente in situ) che, riferibili all’esistenza di un’area necropolare ubicata nei pressi della chiesa plebana (CAVe, 1992: p. 133 n. 230.2), attesterebbero una certa antichità del centro attuale, già esistente nel X sec. (Pegoraro, 1928: p. 11 nota 1).
Dalle Bebbe, quindi, prosegue verso sud per Case Vallesella e San Pietro di Cavarzere fino a Cavanella d’Adige, probabile sede dell’insediamento di Fossis della Tabula (cfr. cap 3.2.4), dove in epoca romana avrebbe superato la diramazione più meridionale dell’Adige (Tav. 6E) prima di continuare ulteriormente verso sud, costeggiando l’antico litorale adriatico in direzione verosimilmente di Ravenna. 4.1.13. Itinerario 18: da Cavanella d’Adige a Chioggia Da Cavanella d’Adige si dirige verso Brondolo e Chioggia, sedi rispettivamente dei porti di Brundulum e 74
Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica con l’attuale via Straviezza, nei pressi di Granze, il cui odonimo potrebbe essere derivato da un originario strata vetus (Corrain, 1984: p. 186). Giunto nella zona di Rovigo, l’itinerario avrebbe potuto collegarsi a quello proveniente da Padova per Bagnoli (it. 2) e, attraverso l’attuale Ferrarese, raggiungere il centro di Bologna. 4.1.16. Itinerario 21: da Arquà Petrarca a Brondolo A partire dalla zona Arquà Petrarca, segue il tracciato delle attuali vie Cave delle More e Pignara, lungo la quale si segnala il ritrovamento di un’area necropolare inquadrabile tra III e IV sec. d.C. (CAVe, 1992: p. 128 n. 207) e della probabile sede stradale antica (Valandro, 2007, I: p. 49) e, costeggiando il Monte Ricco, raggiunge Monselice, ovvero l’antica Mons Silicis. Qui si approssima alla chiesa di San Paolo, sorta tra VI e VII sec. d.C. al di sopra di un’area necropolare di epoca imperiale (CAVe, 1992: p. 128 n. 210.2; Bonomi, 2009: pp. 323-25), dove incontra l’itinerario proveniente da Montegrotto Terme (it. 14) prima di proseguire lungo il tracciato delle attuali vie Santo Stefano e San Martino. Dopo aver superato la chiesa di San Martino, nota a partire dal 970 (Brogiolo, 2009: p. 145) e la cui dedicazione è piuttosto frequente in presenza di tracciati viari di origine antica (Dall’Aglio e Di Cocco, 2006: p. 300), giunge nella zona di Costa Calcinara, dove in epoca altomedievale sorgeva molto probabilmente la curtis di Petriolo (Brogiolo, 1994) e dove incontra l’itinerario diretto da Padova a Este (it. 1). Quindi, continuando lungo il tracciato dell’odierna SP37, molto probabilmente corrispondente a quello della via quae vadit ad Montem Silicem quae dicitur Linara ricordata in un documento del 1270 (Corrain, 1994: p. 71) e attraversa la località di Arzerdimezzo, sede di contesti necropolari dal carattere monumentale (Zerbinati, 2002a: p. 18), si porta a Tribano.
Figura 4.6. La traccia dell'itinerario 16 tra Codevigo e Lova.
Dopo Solesino, l’itinerario non è più chiaramente individuabile dall’analisi archeomorfologica, anche se è possibile pensare che, come suggerito dal De Bon (1939: pp. 67, 69), continuasse verso sud est in direzione di Adria, configurandosi quindi come diretto collegamento tra i centri di Ateste e Atria. A partire da Solesino, quindi, potrebbe essersi diretto a sud est verso Mardimago, centro ricordato fin dal 944 (Ceccolin, 1999: pp. 25-26), ma che i ritrovamenti effettuati nella zona, tra cui evidenze riferibili a sepolture di epoca romana (CAVe, 1992: p. 89; 162 n. 438), suggerirebbero di ben più antica origine. Interessante, in questo senso, è proprio il toponimo Mardimagus, che potrebbe essere derivato dal suffisso di origine celtica -magus, con allusione a un luogo di mercato collocato lungo una direttrice terrestre analogamente al latino forum (Pellegrini, 1987: p. 101 s.).
Da questo centro, attestato fin dal IX sec. e dotato almeno dal 1077 di una pieve dedicata a San Martino (Valandro, 1982: p. 140) si dirige a est verso Agna sfruttando la medesima struttura dossiva atesina utilizzata oggi dal tracciato stradale attuale. Per questo tratto è assai probabile che l’itinerario si identifichi con la via antiqua que venit per palude maiore ricordata in un documento del 954,50 il quale ricorda anche che questa strada, nella zona di Bagnoli, incontrava per transversum una levata maiore che collegava Conselve a Bagnoli e che abbiamo riconosciuto formare parte dell’itinerario 2, che da Padova portava a Bagnoli di Sotto.
È altresì possibile che l›obliterazione di questa parte dell›itinerario sia avvenuta in epoca tardoanticaaltomedievale, quando venne qui a crearsi una alquanto estesa formazione palustre, nota come ‘Lago di Anguillara’, che rimase a caratterizzare questa parte di pianura fino al suo definitivo prosciugamento operato nel corso del XVI sec. (Corrain, 1989). 4.1.15. Itinerario 20: da Sant’Elena a Rovigo
Bagnoli, sede di una curtis nel IX sec. (Brogiolo e Ibsen, 2009: p. 161), disponeva nel 954 di una chiesa dedicata a San Cristoforo, altra interessante dedicazione religiosa legata alla sfera itineraria (Dall’Aglio e Di Cocco, 2006: p. 300). Ancora, nello stesso documento del 954 sopra ricordato si fa pure menzione del villaggio di Visignolo con la chiesa di San Isidoro, posto lungo la medesima
Si stacca dall’itinerario diretto da Este ad Adria (19) all’altezza di Sant’Elena, scendendo verso sud in direzione dell’attuale centro di Rovigo e correndo parallelamente all’odierna linea ferroviaria, come evidenzia una traccia viaria rettilinea visibile dalle foto aeree nella zona di Granze, tra Boaria Le Porte e la località Molinazzo (Peretto e Zerbinati, 1984: p. 75 – Fig. 4.7). L’antichità dell’itinerario parrebbe essere confermata dalla presenza di numeroso materiale romano affiorante nei campi che affiancano il tracciato viario e dal suo collegamento
Gloria, 1877a, I: n. 42. In altri documenti è chiamata anche via Paludis Maioris (Soranzo, 1993: p. 16).
50
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Il paesaggio trasformato
Figura 4.7. La traccia dell’itinerario 20 in località Molinazzo di Granze (rielaborazione da Peretto e Zerbinati, 1984).
n. 42) raggiunge Concadalbero, dove incontra l’itinerario diretto da Adria a Gambarare (16). Da qui è probabile che, in epoca antica, continuasse verso sud est in direzione di Brondolo, sede del portus Brundulum ricordato da Plinio il Vecchio (cfr. cap 3.2.5), seguendo il corso principale dell’Adige che allora lì doveva avere la sua foce (Tav. 6A).
via antiqua: sebbene oggi non esista alcun insediamento con tale nome, è abbastanza probabile che esso possa identificarsi con l’attuale frazione di San Siro, che già nel 1016 è ricordata come puzo Sansidori (Soranzo, 1993: pp. 21-23). Oltre alla sua precoce attestazione, il particolare interesse rivestito da tale villaggio è però la dedicazione a San Isidoro, culto di antica origine che, come quello di Basilio, si ritrova solitamente lungo direttrici viarie di origine romana (Dall’Aglio, 1991).
4.1.17. Itinerario 22: da Baone a Sant’Elena A partire da Baone segue il tracciato delle attuali vie Ca’ Orologio, Casette e Madonnetta delle Ave, sempre affiancato da evidenze riferibili ad aree necropolari di epoca romana (CAVe, 1992: pp. 110 n. 138, 112 nn. 143-144, 115 n. 32) fino alla località di Motta d’Este, dove incontra l’itinerario diretto da Padova a Este (it. 1). L’interessante ritrovamento di una moneta tolemaica di II sec. a.C. (Gorini, 1976) e, soprattutto, di un tesoretto
Il medesimo documento ricorda, inoltre, l’esistenza nei pressi di Agna di un braidum de Levada cum cappella Sancti Petri (Gloria, 1877a, I: n. 42), in cui sembra piuttosto palese il riferimento ad una via Levada che, verosimilmente, potrebbe corrispondere al tracciato più antico dell’itinerario. Il quale, dopo aver superato Cona, centro pure sede di una curtis nel X sec. (Gloria, 1877a, I: 76
Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica come direttrice parafluviale utile anche alla pratica dell›alaggio.52 Oltre che dai ritrovamenti archeologici, la sua antichità è comunque indiziata anche dalla presenza lungo di esso di centri noti tra X e XI sec. e dalla sua attestazione nelle fonti documentarie di XI e XII secolo, nelle quali è spesso ricordato come via publica.53 Come il corso d’acqua, anche l’itinerario si divide all’altezza di Codevigo, dirigendosi con una diramazione a nord verso Casone Morosina (it. 24a) e, con l’altra, a sud verso Fogolana e Conche (it. 24b), molto probabilmente raggiungendo infine Chioggia.
monetale databile alla metà del III sec. d.C. (CAVe, 1992: p. 114 n. 156), potrebbero forse suggerire l’antica importanza itineraria della località, situata lungo l’antico corso dell’Adige (Tav. 6) e, soprattutto, lungo il percorso dell’itinerario diretto da Padova ad Este (it. 1), collocandosi ad esattamente III miglia romane (circa 4,5 km) da Ateste. Quindi scende a sud lungo i tracciati ripresi da via Granzette e via Bosco, passando per il centro di Schiavonia e giungendo infine a Sant’Elena. In questo tratto è affiancato, oltre che da evidenze riferibili a contesti abitativi (Frati, 1989: pp. 41-47, 51-55) solo in un caso oggetto di indagini archeologiche (Cipriano-Ruta SerafiniCagnoni, 2006), anche da un’area necropolare in via Bosco (CAVe, 1992: pp. 117-118 n. 181) che si caratterizza per la particolare presenza d’iscrizioni e monumenti funerari, tra cui una base di marmo con la scritta MYSTE che potrebbe indicare la presenza di culti misterici (Bassignano, 1997: pp. 156 n. 11, 197 n. 59, 198 n. 61).
L’itinerario 25 segue invece il dosso brentizio che, staccandosi all’altezza di Sant’Angelo di Piove di Sacco dal corso principale giunge, per Liettoli e Bojon, fino a Lova di Campagna Lupia, portandosi poi in direzione del mare per raggiungere con ogni probabilità la zona di Portosecco (Tav. 3B). Si ritiene che questa diramazione, da più parti riconosciuta come il corso del fluvius Meduacus Minus che avrebbe dato il nome all’insediamento di Mino Meduaco ricordato nella Tabula (cfr. cap 3.2.4), attiva in epoca protostorica, venga gradualmente a disattivarsi nel corso del I sec. d.C. L’antichità dell’itinerario è comunque suggerita, anche in questo caso, dai numerosi ritrovamenti archeologici effettuati lungo di esso e dalla documentazione scritta, che nella seconda metà del XII sec. lo ricorda più volte come via publica (Gloria, 1879: n. 833; Gloria, 1881: nn. 1255, 1401).
4.1.18. Itinerario 23: da Agna a Rovigo Collega Agna e Rovigo impostandosi sul dosso del cosiddetto ‘ramo più settentrionale del Po’ (Castiglioni, 1978). Anche se il corso fluviale si ritiene estinto già durante l’età del Ferro, il dosso venne certamente sfruttato come via di comunicazione per tutta l’età romana, come prova la grande quantità di siti e di reperti, relativi soprattutto a contesti funerari, dislocati lungo l’intero sviluppo longitudinale della struttura. L’antichità dell’itinerario è comunque suggerita anche dalla documentazione scritta, che attesta l’esistenza degli insediamenti dislocati lungo tale dosso fin dal IX sec.51
Allo stesso modo l’itinerario 26 s’imposta sul dosso che, staccandosi dall’alveo principale del fiume all’altezza di Cadoneghe, passa per Vigonza, Arino e Mira (Tav. 3D), suddividendosi poi in due diramazioni – passanti rispettivamente per Gambarare (26a) e per Piazza Vecchia (26b) – entrambe convergenti sul sito dell’antica abbazia di Sant’Ilario, dove potrebbe essersi ubicata l’insediamento di ad Portum della Tabula (cfr. cap 3.2.4). Come suggeriscono i dati archeologici e paleoambientali (Tosi et al., 2007: pp. 88-91; Bondesan et al., 2008: p. 120) è probabile che il corso d’acqua responsabile della costruzione del dosso si fosse attivato durante il I sec. d.C. e avesse la sua foce nella zona di Malamocco, dove ricerche condotte da Canal (1998) hanno permesso di individuare, nella zona del cosiddetto ‘Ottagono Abbandonato’, una serie di strutture sommerse dalle acque lagunari che potrebbero forse identificarsi con quelle del Limén Medóakos ricordato da Strabone (cfr. cap 3.2.5). Questo potrebbe suggerire di identificare tale diramazione con il fluvius Meduacus Maius di cui resta traccia nel nome dell’insediamento di Maio Meduaco segnalato dalla Tabula.
4.2. Itinerari parafluviali 4.2.1. Itinerari 24-27: lungo antichi decorsi del fiume Brenta Alcuni itinerari si impostano al di sopra di strutture dossive riconosciute come antichi percorsi del fiume Brenta, in parte o del tutto attivi durante il periodo romano (Tav. 3). Il corso principale del fiume, attivo verosimilmente durante la piena età imperiale quando era noto come Meduacus, seguiva in parte l’alveo attuale, scendendo da settentrione per Carturo e Vigodarzere fino a Noventa per poi dirigersi a sud passando, a differenza di quanto avviene oggi, per Camin. Quindi, per Saonara e Arzergrande raggiungeva la zona di Codevigo, dove si divideva in due ulteriori diramazioni, entrambe molto probabilmente dirette a sfociare in mare nei pressi di Chioggia (Tav. 3A).
Infine, l’itinerario 27 sembra seguire un ramo brentizio che, defluendo dal corso principale all’altezza di Noventa, si sarebbe portato a Vigonovo e, per i centri di Fossò
È dunque molto probabile che l›itinerario 24, che sfrutta le strutture dossive pertinenti a tale corso d›acqua, abbia un›origine antica, essendosi verosimilmente sviluppato
Sulla pratica dell’alaggio in epoca romana vedi da ultimo Felici, 2016: p. 31 e bibliografia ivi citata. 53 In particolare, a Brugine nel 1157 e nel 1159 (Gloria, 1879: n. 677) e nel territorio di Arzergrande nel 1008, 1019, 1134 e 1155 (Gloria, 1877a: nn. 85, 104; Gloria, 1879: nn. 264, 634), dove nel 1024 lo si definisce pure arzere antico percurente (Gloria, 1877a: n. 108). 52
51 Rovigo compare per la prima volta nel 838 come Rodigo; Mardimago e Anguillara sono ricordati a partire dal 944 (Ceccolin, 1999: p. 25); Agna dal 954 (Angelini e Cassatella, 1980: p. 122; Barbierato, 2002b: p. 37).
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Il paesaggio trasformato e Camponogara, avrebbe raggiunto Lugo (Tav. 3C). L’esistenza di tale corso fluviale è suggerita dalla presenza di un paleoalveo che l’itinerario mostra in gran parte di seguire: è in questo senso interessante osservare come, in località Tombelle, l’attuale tracciato della via Vigonovese venga a biforcarsi proprio in presenza di tale paleoalveo, puntando da un lato a nord est verso San Pietro di Strà e, dall’altro, a sud est in direzione di Vigonovo. È quindi possibile che il paleoalveo in questione corrisponda al corso d’acqua che, significativamente chiamato Brentone, è attestato nella zona di Vigonovo nella seconda metà del XII sec.54 e, forse, anche al navigatorium de Sermaça menzionato in un documento del 1132.55
Venanzio Fortunato (Vita Sancti Martini, IV, 677) che, nel VI sec. d.C., ricorda il Brinta fluens Retenone secundo ingrediens Athesim, ossia ‘il Brenta che scorre seguendo la corrente del Bacchiglione entrando nell’Adige’.56 Una confluenza del Bacchiglione nel Brenta avveniva certamente nell’XI sec., come suggerisce un diploma di Enrico IV del 1079, che afferma che i vescovi di Padova avevano allora la piena facoltà di disporre del flumen qui vocatur Retrone a vado Silicis usque ad locum quo intrat in flumen quod vocatur Brenta et inde usque ad fossam que vocatur Baiba.57 Il vadum Silicis sarebbe un guado dove una via lastricata (Silicis) attraversava il fiume e si potrebbe forse identificare con la zona di Bassanello-Santa Croce (Bortolami, 2008c: p. 148). Non è invece semplice identificare il locum dove avveniva la confluenza, anche se si potrebbe pensare alla zona di Camin, dove esisteva uno scalo portuale sul Brenta fin dal X sec.: certo è però che da questo punto in poi Bacchiglione e Brenta dovevano procedere con un corso unico fino alla fossa delle Bebbe, ovvero nella zona d’influenza del fiume Adige.
Il ritrovamento di una serie di pali nel letto dello scolo Cornio, riferibili a una sistemazione spondale nell’area di Villa Sagredo a Vigonovo, ovvero in un sito che in varie occasioni ha restituito materiali riferibili alla presenza di un contesto abitativo di epoca romana (cfr. cap 3.2.3), potrebbe collegarsi alla bonifica di anfore rinvenuta non lontano dalla necropoli romana di via Emilia (Zampieri P., 2003: pp. 20-22) e suggerire quindi l’esistenza di corso d’acqua e itinerario in epoca romana. Tuttavia, il ritrovamento di materiale preromano (per lo più inquadrabile tra IV e III sec. a.C.) in vari punti lungo l’ipotizzato percorso dell’itinerario e, in particolare, nelle zone di Vigonovo, Fossò e Lugo, potrebbe tuttavia suggerire una sua esistenza già in epoca protostorica. A partire da Lugo, l’antico corso fluviale si sarebbe diretto a sfociare nella zona di Malamocco, probabilmente andandosi a collegare ad un paleocanale lagunare che lo avrebbe messo in diretta comunicazione con l’area delle strutture sommerse attribuibili al Portus Medoakos (Fig. 3.18).
L’itinerario 5 segue quindi il corso principale del fiume da Vicenza fino all’attuale Tencarola, dove, così come il Bacchiglione antico (Tav. 4), si divide in due distinte diramazioni. Se la più settentrionale (it. 5) si porta a Padova seguendo il tracciato delle attuali vie Polveriera, Decorati al Valore Civile e Bainsizza, quella più meridionale (it. 28) segue invece il tracciato delle vie Monferrato e Oderzo continuando, per Case Giusti, fino a Mandria, dove incontra gli itinerari diretti da Padova verso Este (it. 1) e verso i Colli Euganei (it. 11). Di qui, per Mandriola, raggiunge Albignasego, dove incrocia l’itinerario da Padova a Bagnoli (it. 2) e, quindi, Pozzoveggiani, dove incontra quello da Padova ad Adria (it. 3).
4.2.2. Itinerario 28: lungo il corso meridionale del fiume Bacchiglione
Quindi prosegue per Roncajette, località ricordata nel 918 quale sede di una fortificazione probabilmente sorta a controllo di strada e fiume (Barbierato, 1993: pp. 57-58 n. 92; Bortolami, 2003b: p. 51), fino ad Ardoneghe, dove è possibile che confluisse nel ramo principale del Brenta. È significativo che proprio nella zona di questa duplice convergenza fluviale e itineraria si collocasse un probabile luogo di culto dedicato a Neptunus (Bonomi, 2008: pp. 6566), divinità che in Cisalpina è particolarmente legata alla navigazione fluviale (Diosono, 2010: pp. 92-93).
Diversi sono anche gli itinerari che seguono le diramazioni che, anticamente, caratterizzavano il corso del fiume Bacchiglione (Tav. 4). In epoca romana, infatti, quando era noto come Reteno o Herétainos, è probabile che questo corso d’acqua fluisse da Vicenza verso Padova seguendo un andamento che non si discostava molto dall’attuale, passando per i centri di Longare, Montegalda e Trambacche. Rispetto a quanto accade oggi, tuttavia, è possibile che nei pressi di Tencarola il fiume si dividesse in due distinte diramazioni, una diretta verso il centro di Padova e una seconda passante a sud della città (cfr. cap 2.1.2). È inoltre possibile che tali diramazioni non avessero foce autonoma, ma che entrambe confluissero nel fiume Brenta: ciò spiegherebbe la mancata menzione del corso d’acqua da parte di Plinio il Vecchio nella sua descrizione del Delta Padano e, soprattutto, le parole di
Generalmente, l’espressione Retenone secundo è intesa relativamente al fatto che il Brenta scorresse parallelo al Reteno (Rosada, 2002). Tuttavia, la locuzione flumine secundo ha un significato ben preciso, tecnico, strettamente nautico, ossia ‘navigare a favore di corrente’; l’esatto contrario di flumine adverso, che significa ‘navigare controcorrente’. Cfr. Peretti, 1994: pp. 250-256; Zabeo, 2007: pp. 170-171. 57 Gloria, 1877a: n. 259. Un secondo diploma, sempre di Enrico IV, ma di qualche anno successivo, riconferma il medesimo privilegio riguardante il fluvium qui dicitur Retrone sicut currit a vado de Silice usque ad fossam que nominatur Baiba (Gloria, 1877a: n. 304). 56
Archivio della Curia Vescovile di Padova, Villarum, XI, Vigonovo: c. 5 (17 settembre 1178); c. 6 (18 novembre 1190); c. 10 (29 settembre 1191). Cfr. Simonetti, 2009b: p. 87. 55 Archivio della Curia Vescovile di Padova, Villarum, IX, Sermazza, c. 2 (11 settembre 1132). 54
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Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica 4.2.3. Itinerario 29: lungo il corso del canale di Cagnola-Bovolenta
con frequenza come via publica. Da un punto di vista toponomastico è invece interessante rilevare come, nel Catasto Napoleonico, il tratto corrispondente all’attuale tracciato di via Arre a Conselve venga riportato come ‘Stradone’ (Barbierato, 2002a: pp. 83-84).
È probabile che abbia un›origine antica anche l’itinerario 29 che segue, con doppio tracciato in destra e sinistra idrografica, il corso del canale di Cagnola-Bovolenta (Tav. 5), il medievale fluvius (o flumen) Vigenzone forse identificabile con il flumen Togisonus ricordato da Plinio il Vecchio. Questo, probabilmente originatosi nella zona dei Colli Euganei a monte di Montegrotto Terme, sarebbe poi sfociato, assieme all’Adige, nella zona di Brondolo, consentendo un collegamento diretto tra il distretto termale sede del Fons Aponi e il portus di Brundulum. In assenza di probanti ritrovamenti archeologici, l’antichità dell’itinerario è al momento soltanto suggerita dalla presenza, lungo il suo percorso, di numerosi centri noti tra X e XI sec.
L’itinerario 31, la cui antichità anche in questo caso è comprovata dalla presenza di contesti insediativi e funerari di epoca romana lungo tutto il suo percorso, segue invece la diramazione atesina che, a partire da Pernumia, scende a sud per San Pietro Viminario, Tribano e Bagnoli fino ad Agna, dove si congiunge alla struttura dossiva del Po proveniente da Rovigo (Tav. 6B): all’altezza di Tribano, tuttavia, si unisce all’itinerario 21 proveniente da Arquà Petrarca dirigendosi verso Brondolo. Ugualmente, l’Itinerario 32 segue il corso atesino che, a partire da Deserto d’Este, si stacca dalla diramazione in parte seguita dall’itinerario 19 e probabilmente diretta verso la zona di Agna (Tav. 6C) per proseguire a sud est passando per Villa Estense, Carmignano e Sant’Urbano (Tav. 6D): è possibile che questo itinerario fosse utilizzato come direttrice privilegiata per i collegamenti tra Ateste e Bononia.
4.2.4. Itinerari 30-32: lungo il corso del fiume Adige Infine, alcuni itinerari seguono antichi decorsi del fiume Adige, in epoca romana noto come Atesis (Tav. 6). Tra questi una certa rilevanza ha l’itinerario 30, che sfrutta il dosso atesino riconosciuto come quello seguito dal corso principale del fiume Adige in epoca romana (Tav. 6A) e che, a partire da Este, passa per gli attuali centri di Monselice, Pernumia, Conselve, Arre, Candiana e Concadalbero (dove si unisce all’itinerario 21) raggiungendo infine la zona di Brondolo, dopo aver condiviso il tratto CivèTorre delle Bebbe con l’itinerario 17. Lungo tutto il suo percorso si rilevano ritrovamenti archeologici che ne attestano l’antichità, mentre le fonti medievali lo ricordano
Infine, un itinerario (al di fuori della nostra area di studio) segue anche il decorso che è possibile costituisse la diramazione più meridionale del fiume Atesis (Tav. 6E) e che, passando per Rovigo, Villadose e Cavarzere lungo il percorso oggi in gran parte ripreso dall’attuale Naviglio Adigetto, si portava a sfociare a sfociare nella zona di Cavanella d’Adige (cfr. cap 2.2).
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Tavola 3. Itinerari lungo antichi decorsi del fiume Brenta.
Il paesaggio trasformato
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Tavola 4. Itinerari lungo antichi decorsi del fiume Bacchiglione.
Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica
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Tavola 5. Itinerari lungo il corso del canale di Cagnola-Bovolenta (antico flumen Togisonus?).
Il paesaggio trasformato
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Tavola 6. Itinerari lungo antichi decorsi del fiume Adige.
Le vie di comunicazione: itinerari di probabile origine antica
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Capitolo 5 Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità Abstract: By applying the archaemorphological methodological approach, it was possible to identify a series of itineraries of probable ancient origin affecting the plain south of Padua during Roman times. We can ascertain that the main routes were created in pre-Roman times and placed in territorial areas that were relevant both from the topographic point of view (in terms of safety and ease of passage) and the socio-economic (in terms of linking functionality). Of course, the greater contribution to the formation of the road network was that of the Romans, who, especially during the High Imperial Age, used and greatly expanded the proto-historic itineraries, creating denser connections between urban centres and the agri under their jurisdiction, and between the minor centres scattered throughout the territory. Despite the gradual abandonment of the plain during the 3rd cent. AD and, above all, between the late 4th and 5th cent. AD, the road network set up by Romans seems to preserve a precise structure even into Late Antiquity and throughout the Early Middle Ages, when many of the axes that form it show themselves to be the greatest element in settlement continuity and the main vehicle for countryside Christianisation, strongly contributing to anchor settlement distribution and to the orientation of religious buildings. This state of things would remain until the 12th and 13th cent., when the ‘Comune’ of Padua undertook an important territorial control policy which, in addition to the improvement and the expansion of the hydrographic network through the creation of new navigable channels, addressed the restoration and implementation of the existing road network, renovating ancient itineraries and building new ones. 5.1. Morfologia della rete
procedendo a ridosso dei Colli o parallelamente alla linea di costa per le comunicazioni nord-sud. Inoltre, rivelano di sfruttare piuttosto accortamente gli ampi spazi offerti dalla pianura: i vari tracciati, ad esempio, si impostano di preferenza sui microrilievi costituiti da strutture dossive di origine fluviale o corpi dunosi litoranei (sia attivi sia relitti), in modo da poterne sfruttare la maggiore solidità litologica e, soprattutto, la naturale sopraelevazione, che ne garantisce la percorrenza anche in caso di improvvisi allagamenti e impaludamenti; mentre, al contrario, tendono ad evitare le zone più depresse, un tempo interessate dalla presenza di aree palustri, acquitrini e specchi d’acqua di varie dimensioni e origine, come nei pressi dei Colli Euganei e nella zona oggi occupata dalle acque salmastre della laguna di Venezia. Nel caso di attraversamento di un corso d’acqua, inoltre, cercano sempre le zone più facilmente guadabili, portandosi in prossimità di alti morfologici (antichi terrazzi fluviali o lobi di meandro) o in corrispondenza di strettoie all’interno della fascia di meandreggiamento.
Gli itinerari per i quali l’analisi archeomorfologica evidenzia una probabile antica origine formano una rete viaria piuttosto complessa che caratterizza l’intera pianura a sud di Padova (Fig. 5.1). Appare piuttosto evidente che questi itinerari dovevano innanzitutto costituire dei collegamenti diretti tra i principali centri urbani del territorio (ovvero Patavium, Ateste e Atria) e, a loro volta, tra questi e le realtà urbane viciniori (quali Vicetia, Altinum e Bononia). In secondo luogo permettevano alle varie civitates di comunicare con quei territori extra urbem dove i dati storici e archeologici suggeriscono di localizzare dei centri minori o che comunque rivestivano una particolare importanza da un punto di vista religioso e/o economico, come l’area termale di Fons Aponi (dove aveva sede l’oracolo di Gerione), il distretto minerario dei Colli Euganei o, ancora, le aree portuali della costa adriatica interessate dalle rotte commerciali marittime e dalla presenza dell’importante idrovia padana collegante i porti di Ravenna, Altinum e Aquileia.
Non solo, tuttavia, si adattano all’ambiente: in molti casi la non ottimale natura loci dei luoghi attraversati venne in epoca romana affrontata con soluzioni innovative. Come mostrano infatti alcuni dei tracciati viari antichi indagati attraverso indagini archeologiche o aerofotogrammetriche, in aree di bassura, dove la necessità di un collegamento rapido non permetteva l’utilizzo di dossi fluviali, la sede stradale poteva essere sopraelevata artificialmente mediante la costruzione di terrapieni in terra di forma per lo più trapezoidale (definiti aggeres in latino), che potevano raggiungere anche i 30-40 m di larghezza alla base e un’altezza di 2-4 metri, con fossati su entrambi
5.1.1. Il rapporto con l’ambiente naturale Particolarmente interessante è anche osservare la stretta relazione che la rete viaria così ricostruita instaura con il paesaggio naturale, evidenziando un suo perfetto adeguamento al quadro topografico-ambientale antico (Fig. 5.2). Tutti gli itinerari, infatti, mostrano fondamentalmente di seguire importanti direttrici di comunicazione naturale, affiancando i corsi d’acqua per i collegamenti est-ovest e 85
Il paesaggio trasformato
Figura 5.1. La rete viaria di epoca romana nella pianura a sud di Padova.
5.1.2. L’emergenza dei centri urbani
i lati (Matteazzi, 2013b: pp. 24-25 – Fig. 5.3): questi terrapieni sono piuttosto evidenti dalla lettura di foto aeree e satellitari, mentre ne resta spesso il ricordo nelle fonti scritte medievali, dove sono generalmente ricordati come viae o stratae levatae o in levata/levada. Nella pianura a sud di Padova queste infrastrutture caratterizzavano certamente i tracciati degli itinerari diretti da Padova a Este (it. 1: tratti Mandria-Duecarrare e Ca’ Oddo-Motta), da Padova a Bagnoli (it. 2: tratto Conselve-Bagnoli) e da Padova a Adria (it. 3: tratto Agna-Rottanova), oltre a gran parte di quello che da Adria portava ad Altino (it. 16).
Lo studio della rete viaria antica pone in chiara evidenza il ruolo accentratore giocato dagli antichi centri urbani di Padova, Este e Adria, che emergono come i nodi principali della rete, perni attorno cui si sviluppano sistemi viari minori di tipo radiale. Forte risalta, in questo senso, soprattutto l’importanza viaria di Patavium, che si pone come punto di convergenza di un vasto sistema di itinerari che le fa assumere particolare rilievo anche all’interno della più ampia rete viaria della Venetia romana (Fig. 5.4). Un’importanza senz’altro favorita dalla particolare posizione geografica dell’antico insediamento che, fin dall’età del Bronzo, venne a collocarsi al centro di un complesso sistema di direttrici naturali di comunicazione (sia terrestri sia fluviali): questo condusse Patavium a conquistare progressivamente una posizione sempre maggiore tra le varie comunità urbane dei Veneti fino a divenire, almeno a partire dal VI sec. a.C., il centro
In prossimità di corsi d’acqua attivi, invece, tali aggeres corrispondevano agli gli argini naturali dei fiumi, sistemati e rialzati là dove questi ultimi erano più instabili e, dunque, pericolosi: in questi casi i tracciati viari impostati sopra di essi erano utilizzati anche per la pratica dell’alaggio, ovvero per il traino a mano delle barche controcorrente (cfr. Felici, 2016: p. 31). 86
Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità
Figura 5.2. Relazione tra la rete viaria antica e le principali strutture geomorfologiche della pianura a sud di Padova.
Figura 5.3. Esempio di terrapieno stradale di epoca romana (elaborazione dell’autore sulla base dei rilievi effettuati da Bonetto 1997 sul tracciato della strada nota come ‘Arzeron della Regina’).
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Il paesaggio trasformato
Figura 5.4. Padova e la principale viabilità di origine romana in uscita dalla città.
provenienti da nord (ovvero quelli da Asolo, da Feltre, da Trento e dall’Altopiano di Asiago), è sottolineata dalla presenza dell’anfiteatro, realizzato molto probabilmente entro la prima metà del I sec. d.C. (Tosi, 2003: pp. 514516) e, in epoca medievale, ulteriormente ribadita dalla fondazione delle chiese/ospizi (oggi scomparsi) della Santissima Trinità, di San Salvatore e di San Giacomo (cfr. Gasparotto, 1961: pp. 80-81).
egemone della Venetia e il principale interlocutore dei Romani fin dal loro arrivo nella regione alla fine del III sec. a.C. L’antica rilevanza di Padova quale nodo viario è ben evidenziato dall’analisi archeomorfologica, che ha permesso di riconoscere, all’interno dell’attuale centro urbano, tre grandi aree di convergenza itineraria (Fig. 5.5), tutte caratterizzate dalla presenza di complessi contesti funerari che, in alcuni casi, mostrano un’ininterrotta continuità di utilizzo dal II/I sec. a.C. al IV/V sec. d.C. (Rossi, 2014): a nord, nella zona gravitante tra Ponte Molino e la stazione ferroviaria; a est, nel polo circostante l’antica chiesa di Santa Sofia; a sud, nell’area che si estende tra il Ponte delle Torricelle e il Prato della Valle.
La zona gravitante attorno alla chiesa di Santa Sofia, dove confluivano gli itinerari provenienti da Treviso, da Altino (it. 4), da Lova di Campagna Lupia (it. 8) e dall’area di Chioggia (it. 7) sede dei porti di Aedro e Brundulum, si configura come snodo viario particolarmente importante e probabile limite urbano orientale della città (Rosada, 1993: p. 74): questo ruolo è ulteriormente sottolineato dai numerosi contesti funerari rinvenuti (Rossi, 2014) e dalla presenza dello stesso edificio ecclesiastico dedicato a Santa Sofia, che in epoca tardoantica-altomedievale venne ad impostarsi al di sopra di una ricca domus
L’antica importanza viaria del polo settentrionale, dove il romano Ponte Molino (Galliazzo, 1971: pp. 54-55) costituiva il principale ingresso in città per gli itinerari 88
Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità
Figura 5.5. Padova: le tre grandi aree di convergenza itineraria intorno alla città.
interessi economici e sociali, tanto da trasformarla in un monumentale accesso alla città. Questa importanza rimase all’area del Prato della Valle per quasi tutta l’età medievale, quando divenne sede di un importante mercato, come testimonia la presenza di vari monasteri58 e, in particolare, di un antico ospizio dedicato ai Santi Giacomo e Cristoforo.
contigua ad un luogo di culto forse dedicato a Mitra (Zanovello, 1982). Soprattutto, però, risalta l’area del Prato della Valle, dove confluisce tutta una serie di itinerari che collegano Patavium ad altri antichi centri urbani (Vicetia: it. 5-6; Ateste: it. 1; Bononia: it. 2; Atria: it. 3), all’area termale (Abano e Montegrotto: it. 11) sede dei Patavini fontes e dell’oracolo di Gerione e alle principali aree di cava della trachite nei Colli Euganei (in particolare Monte San Daniele e Montemerlo: it. 10-12). Il rilievo della zona in epoca romana è suggerito anche qui dalla presenza di numerosi contesti funerari (attorno ai quali sorse, a partire almeno dal IV sec. d.C., la chiesa-monastero dedicata alla martire patavina Giustina), di un edificio templare realizzato tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del I sec. d.C. di cui è al momento ignota la divinità titolare (Vigoni, 2009), del teatro e, forse, anche del circo (Bosio, 1986): tutte realtà che certamente favorirono il concentrarsi nella zona di molteplici
Minore rispetto a Padova, ma ugualmente rilevante, è il ruolo viario svolto anticamente da Ateste, su cui convergevano diversi itinerari provenienti da altri centri urbani e dal settore meridionale dei Colli Euganei, sede di importanti attività economiche legate alla presenza di pascoli, boschi, aree coltivate e, soprattutto, alle cave per l’estrazione della trachite (Fig. 5.6). L’analisi archeomorfologica suggerisce che la città romana usufruisse di almeno tre importanti poli viari, tutti caratterizzati dalla cospicua presenza di contesti Oltre a quello di Santa Giustina, quello dei frati domenicani (1499) e quello femminile di Santa Maddalena (ante 1260). 58
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Il paesaggio trasformato
Figura 5.6. Este e la principale viabilità di origine romana in uscita dalla città.
funerari: a nord dell’area urbana antica, dove giungevano gli itinerari provenienti da Vicetia e dall’area collinare (it. 13); a sud, dove confluivano gli itinerari provenienti da Mantua, Verona (it. 30) e Mutina; e infine ad est, area che si configura come punto di convergenza degli itinerari provenienti da Patavium (it. 1), Atria (it. 19) e Bononia (it. 32).
gli itinerari da Bononia, Ravenna, VII maria/Loreo e Hadriani/San Basilio (it. 16). 5.1.3. Altri poli di attrazione viaria Oltre ai principali centri urbani, all’interno della rete viaria antica emergono altri nodi che si dimostrano importanti poli di attrazione viaria e, pertanto, punti forti nella strutturazione del territorio. In genere questi nodi vengono a corrispondere con località collocate in prossimità dell’attraversamento di corsi d’acqua, ovvero in zone topograficamente favorevoli all’impianto di un insediamento, soprattutto a carattere itinerario (Corsi, 2000b: pp. 245-246), tanto che non sorprende più di tanto che i dati archeologici vi attestino spesso una frequentazione antica anche precedente a quella romana. In questo senso, allora, potrebbe non essere sbagliato pensare che l’esistenza stessa di questi nodi identifichi l’antica presenza di quelli che in letteratura sono solitamente noti come ‘centri minori’ e variamente interpretabili come
Per quanto al di fuori del presente studio, l’estensione dell’analisi archeomorfologica anche all’area dell’attuale centro di Adria ha permesso di riconoscere l’antica importanza viaria di Atria, evidenziandone i collegamenti, oltre che con le realtà urbane viciniori, anche con i centri portuali della costa adriatica (Fig. 5.7). In questo caso, due sembrano essere stati i principali poli viari urbani, anche qui caratterizzati dalla presenza cospicua di contesti funerari: uno a nord est del centro antico, dove giungevano gli itinerari da Ateste (it. 19), Patavium (it. 3), Altinum (It. 16), portus Brundulum/Brondolo e Fossis/Cavanella d’Adige; l’altro a sud ovest, dove invece confluivano 90
Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità
Figura 5.7. Adria e la principale viabilità di origine romana in uscita dalla città.
ponte le cui strutture vennero messe in luce all’inizio del XIX sec. non lontano dalla chiesa di San Salvatore (CAVe, 1992: p. 76 n. 276; Galliazzo, 1995: p. 213 n. 438), il corso principale del Brenta proveniente da Noventa (Tav. 3A). La rilevanza del sito, punto d’incontro tra itinerario terrestre e via fluviale, è suggerita dai ritrovamenti archeologici che attestano una stabile occupazione dell’area fin da epoca protostorica; mentre il ritrovamento di un tesoretto monetale databile alla seconda metà del III sec. d.C. (Gorini, 1992) e la possibile provenienza dalla zona di un miliare indicante la distanza di III [m.p.] da Patavium e attestante il ripristino dell’antico tracciato stradale promosso dai Tetrarchi (Basso, 1986: p. 161 n. 71) ne suggeriscono l’importanza ancora in età tardoantica. Si potrebbe quindi pensare che, in epoca romana, esistesse anche qui una qualche struttura di servizio strettamente legata al passaggio dell’itinerario e del fiume, così come esisteva certamente in epoca medievale, quando i documenti patavini ricordano fin dal X sec. la presenza di uno scalo fluviale (Bortolami, 2003a: p. 222) e, a partire
stationes viarie o insediamenti nucleati quali vici, fora, conciliabula, ecc.; ancor più se consideriamo che molti di loro si identificano con località per le quali è stata ipotizzata una corrispondenza con uno degli insediamenti ricordati dalle fonti classiche. Osservando quindi il fenomeno più da vicino (Tav. 2 e Fig. 5.1) possiamo rilevare come, lungo l’itinerario che da Padova porta ad Este (it. 1), importanti nodi della rete viaria antica si individuino a Mandria (dove il tracciato antico superava una diramazione del Bacchiglione e i dati archeologici attestano una certa frequentazione della zona in epoca romana), presso l’area termale di Abano e Montegrotto e, scendendo verso sud, a Pernumia e nella zona di Monselice. Lungo l’itinerario da Padova ad Altino (it. 4), oltre a Sarmazza di Vigonovo e Sambruson di Dolo (sede della mutatio ad XII), un certo rilievo mostra la zona dell’attuale Camin, dove il tracciato antico superava, per mezzo di un 91
Il paesaggio trasformato radicato tra la popolazione rurale.59 Vista in questa prospettiva, l’eventuale presenza di un luogo di culto farebbe però pensare di non essere in presenza di un semplice contesto abitativo. Se, infatti, consideriamo la situazione topografica della località, che viene a collocarsi in prossimità di un percorso viario e di un corso fluviale, potrebbe non essere del tutto fuori luogo ridare credito a un’ipotesi già formulata in passato da Isabella Modugno (1997) e pensare che il sito sia nato in epoca romana con una forte valenza itineraria, trovandosi peraltro esattamente a IV miglia da Patavium.
dal XIII sec., anche dell’hospitale Sancti Gregorii de Padua (Modugno, 1997: p. 114 nota 14). Particolare rilevanza all’interno della rete viaria antica sembrerebbe assumere, lungo l’itinerario Padova-Bagnoli di Sotto (it. 2), l’attuale centro di Maserà di Padova, erede della Maserada che nell’874 figura come sede di una curtis (Gloria, 1862, II: pp. 182-83). L’antichità a livello insediativo della zona, che si segnala per il ritrovamento di alcuni bronzetti preromani e, in particolare, di un ricco tesoretto di denari e vittoriati databile intorno al 125 a.C. (CAVe, 1992: n. 253), è infatti testimoniata da indagini archeologiche effettuate all’interno dell’antica pieve di Santa Maria, le quali hanno evidenziato come l’originaria struttura ecclesiastica sia sorta al di sopra di un complesso residenziale di epoca romana imperiale (Brogiolo e Ibsen, 2009: p. 187). La presenza di materiale funerario romano reimpiegato all’interno delle murature della chiesa stessa suggerisce, inoltre, che nelle vicinanze esistesse anche un’area necropolare, verosimilmente in uso in epoca imperiale e sorta in prossimità dell’itinerario cha da Patavium giungeva anticamente forse fino a Bononia.
Ancora, è possibile che un’origine romana sia da ascrivere al nodo corrispondente all’attuale abitato di Piove di Sacco, centro probabilmente documentato in un privilegio di Carlo Magno del 781, sempre se si accetta una sua corrispondenza con il vico qui dicitur Sacco ivi ricordato (Bortolami, 2003b: pp. 49-50): essendo tuttavia tale documento una conferma di precedenti concessioni di Adelchi (759-774), si può a ragione pensare che il vicus in questione esistesse già intorno alla metà dell’VIII sec. e che non fosse neppure molto piccolo (Friso, 2007: p. 37). A partire dal 988 compare invece con la denominazione di Plebs Sacci (Gloria, 1877a: nn. 71-72): proprio questo suo antico ruolo di pieve e il collocarsi esattamente a XI miglia da Patavium, lungo l’itinerario diretto a Codevigo (7) e quindi alla costa adriatica, potrebbero tuttavia suggerirne un’origine ancora più antica, anche se per ora la possibile romanità del centro è solo labilmente suggerita da alcune iscrizioni di epoca alto imperiale reimpiegate in edifici del centro storico (CAVe, 1994: p. 111 n. 9.1; p. 110 n. 7) e da una dedica a Silvanus apparentemente ritrovata in situ negli anni 1960-70 (Dal Porto, 2008: pp. 86-89). Un indizio alquanto suggestivo, in questo senso, potrebbe però trovarsi nella particolare forma quadrangolare dell’area urbana, le cui dimensioni paiono modulate sulla base dell’actus romano e il cui orientamento sembrerebbe riprendere quello degli assi della centuriazione che in epoca augustea venne a strutturare l’intera pianura a sud di Padova (cfr. cap 6).
Una realtà insediativa di un certo rilievo dovette sorgere anche a Pozzoveggiani, dove l’itinerario che da Padova porta ad Adria (it. 3) anticamente attraversava la diramazione meridionale del Bacchiglione (Tav. 4B). Qui, indagini condotte presso la chiesa-oratorio altomedievale di San Michele, hanno infatti messo in luce parte di un ricco complesso residenziale frequentato tra I sec. a.C. e VI sec. d.C. (Franceschi et al., 2009): la grande quantità di elementi lapidei provenienti da contesti funerari reimpiegati nelle strutture dell’oratorio, cui si aggiungono tre piccole are recuperate durante gli ultimi scavi, fa pensare che, oltre alle strutture abitative, non lontano sorgesse anche un’area necropolare, che verosimilmente doveva collocarsi in prossimità del tracciato viario antico il cui passaggio nella zona è suggerito anche dalla presenza di basoli reimpiegati nell’edificio ecclesiastico (Lazzaro, 1971: pp. 186-189).
Lungo la costa, infine, è interessante notare come l’analisi archeomorfologica ben evidenzi la particolare importanza come nodi della rete anche delle località riconosciute come sedi degli insediamenti ricordati dalla Tabula Peutingeriana lungo l’itinerario da Ravenna ad Altinum – ovvero Sant’Ilario/ad Portum, Gambarare di Mira/Maio Meduaco, Lova di Campagna Lupia/Mino Meduaco, Codevigo/Evrone e Cavanella d’Adige/Fossis – e le aree portuali adriatiche di Malamocco/portus Meduacus, Chioggia/portus Aedro e Brondolo/portus Brundulum.
Il sito si segnala inoltre per la presenza di ben due dediche alla Fortuna, che già in passato avevano fatto pensare all’esistenza di un possibile luogo di culto dedicato a tale divinità (Billanovich, 1979): anche se negli ultimi scavi non si sono rinvenute tracce riferibili con certezza ad attività cultuali svolte nel sito, sembra tuttavia difficile credere che le dediche provengano da località troppo lontane. In questo senso, particolarmente significativa risulterebbe l’intitolazione dell’oratorio a San Michele: come è noto, infatti, in epoca tardoantica-altomedievale l’arcangelo Michele entrò nel ciclo santorale longobardo e a lui vennero spesso dedicate cappelle in zone che erano in qualche modo sentite come ancora legate a superstizioni pagane (Bognetti, 1952: p. 195). Se così fosse, si potrebbe pensare che la presenza del culto di San Michele a Pozzoveggiani non sia del tutto casuale, ma che esso sia venuto in epoca longobarda a sostituire o, meglio, ad esorcizzare un culto più antico (in questo caso quello della Fortuna) che era forse ancora piuttosto
59 Che d’altra parte il sito godesse un tempo di una certa sacralità potrebbe essere suggerito anche dal suo collegamento con la passio di Santa Giustina, che proprio a Pozzoveggiani ubica il praedium di Vitalianus, padre della martire. Cfr. Billanovich, 1979: pp. 57-60.
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Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità 5.2. Il sistema dei collegamenti tra VI e III sec. a.C.
più calde, conducendo, in particolare nella zona lagunare, ad una fase di regressione marina cui seguì l’emersione di terreni precedentemente sommersi (Bondesan-FozzatiFurlanetto, 2013: p. 14): tali cambiamenti, quindi, permisero lo stabilizzarsi e il sistematizzarsi di tutta una serie di itinerari (Fig. 5.8) volti a mettere in collegamento tra loro i tre principale centri del territorio (Padova, Este ed Adria) con altre realtà viciniori, tanto urbane (Altino, Vicenza, Treviso, Asolo, Belluno) quanto territoriali (l’area termale, i rilievi degli Euganei interessati dalle zone di pascolo e dalle cave di trachite, le aree portuali della costa adriatica), oltre che, verosimilmente, con mete più lontane in area etrusco-celtica (Spina, Bologna, Modena, Verona e Mantova), umbra (Ravenna) e retica (Feltre, Trento).
La rete viaria così ricostruita, tuttavia, non si deve intendere come un sistema creato ex-novo in epoca romana, trattandosi piuttosto del punto di arrivo di un processo di graduale sviluppo ed evoluzione iniziato ben prima dell’arrivo dei Romani. Come infatti suggeriscono i dati archeologici, è possibile pensare che un tale sistema viario cominci a strutturarsi tra VI e III sec. a.C., ovvero durante quella fase di riappropriazione del territorio da parte dei Veneti (Capuis, 1993: pp. 188-197) che, oltre al raggiungimento della loro massima espansione a livello insediativo, ebbe come principale conseguenza la definizione politica e la strutturazione fisica dei confini territoriali tra i principali insediamenti (Boaro, 2001: p. 156). Questa fase di notevole sviluppo insediativo venne senz’altro favorita anche dal netto cambio delle condizioni climatiche, le quali si fecero meno piovose e
Tali itinerari sembrano avere sfruttato principalmente i corsi d’acqua allora attivi, configurandosi essenzialmente come tracciati parafluviali di appoggio a direttrici
Figura 5.8. La rete viaria nella pianura a sud di Padova tra VI e III sec. a.C.
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Il paesaggio trasformato prevalentemente fluviali in cui la navigazione doveva essere considerata il principale mezzo di trasporto. Così i vari tracciati risalivano, da Padova, il corso del Bacchiglione in direzione di Vicenza e del Brenta verso l’area alpina e retica, da Este, l’Adige in direzione di Verona e Mantova e da Adria il corso del Po verso i territori etruschi e celtici; in senso opposto, questi fiumi conducevano verso l’Adriatico e le aree portuali che necessariamente sorgevano presso le loro foci, mettendo in diretta comunicazione i centri urbani con il mare.
più facile penetrazione nel territorio veneto. Soprattutto quando, a seguito della fondazione di Aquileia nel 181 a.C., divenne necessario e di primaria importanza collegare la nuova colonia alle roccaforti meridionali di Mutina, Bononia e Ariminum. È, infatti, grazie agli avvenimenti bellici registrati nelle fonti letterarie, ed in particolare allo spostamento di truppe e ambascerie tra fine III e inizio II sec. a.C., che verosimilmente cominciano a meglio definirsi alcuni ‘percorsi’ preferenziali, in gran parte stabilizzati nei secoli precedenti. Questi costituiranno gli elementi basilari per la definitiva sistemazione di quegli assi stradali che, in età imperiale, formeranno l’ossatura della rete viaria del territorio, trasformandola nel principale punto di riferimento per l’intero settore nord-orientale della penisola italica.
Lungo la costa, invece, un percorso che da Altino scendeva in direzione di Adria, sfruttava la presenza di cordoni sabbiosi litorali, collegando da nord verso sud i vari insediamenti portuali. È inoltre possibile che questo percorso servisse anche come appoggio ad una linea di navigazione interna che, sfruttando la presenza delle paludi e degli specchi d’acqua che allora caratterizzavano la costa adriatica, permetteva veloci collegamenti tra le zone di Spina e Ravenna e l’area di Altino: sembra infatti ormai abbastanza certo che Etruschi e Greci (Siracusani in particolare) seppero, tra V e IV sec. a.C., sfruttare appieno il potenziale idroviario dell’area deltizia padana, tanto da progettare e realizzare l’escavazione di una serie di canali navigabili che, disposti trasversalmente ai vari corsi fluviali sfocianti in Adriatico, formavano una linea di navigazione interna collegante tra loro i principali centri portuali dell’epoca, ovvero Adria, Spina e Ravenna (Sassatelli, 2013: p. 125; Braccesi e Veronese, 2013: pp. 140-142). Altri itinerari sfruttavano invece la presenza di particolari corridoi di comunicazione naturale, come quello a ridosso degli Euganei tra Padova ed Este, oppure cercavano i punti di migliore passaggio tra gli ampi spazi offerti dalla pianura.
Nella prima metà del II sec. a.C., quindi, un particolare rilievo sembrano assumere gli itinerari che collegano Padova con Este (it. 1), lungo il margine orientale e meridionale dei Colli Euganei, e con Altino (it. 4), i quali avrebbero permesso la creazione di una direttrice che metteva in diretta comunicazione Aquileia con Bononia (Bosio, 1991: pp. 31-40; Pellegrini, 2004; Bonini, 2010), allora raggiunta dalla via Aemilia (Ariminum-Placentia, 187 a.C.) e dalla cosiddetta via Flaminia minor (187 a.C.), prolungamento verso nord, a partire da Arretium, della via Cassia (Alfieri, 1992). Se però pensiamo che da Este si sarebbe potuto facilmente raggiungere anche Mutina (Bottazzi e Calzolari, 1990; Bosio, 1992: pp. 185-187), altro importante nodo itinerario probabilmente raggiunto da una diramazione della via Cassia (Campagnoli, 2006), è indubbia l’importanza, in questa prima fase della presenza romana, di un percorso Ateste-Patavium-Altinum come asse di penetrazione e collegamento diretto con Roma.
Per quanto non vi siano al momento prove archeologiche concrete, è tuttavia possibile pensare che tali percorsi fossero dotati di sedi stradali piuttosto strutturate, che prevedevano l’utilizzo di risorse e accorgimenti tecnici che saranno più tardi impiegati ed implementati anche dai Romani. Stando, infatti, ad alcuni esempi di ambito urbano emersi a Este, Padova e Oderzo e riferibili a tracciati viari databili a partire da VII sec. a.C., i Veneti erano ben capaci di realizzare manufatti stradali dotati di profilo a schiena d’asino e canalette di scolo laterali e caratterizzati dall’impiego di materiali e tecniche costruttive diversificate, ma comunque sempre adatte a garantire una forma efficiente di drenaggio (Gambacurta, 2004).
È peraltro possibile che questa sia anche la direttrice cui si riferisce Strabone (V, 1, 11), quando accenna all›esistenza di una via Aemilia che il console Marco Lepido avrebbe aperto in prosecuzione della via Flaminia e che, da Ariminum e per Bononia, avrebbe raggiunto Aquileia passando ai piedi delle Alpi in modo da poter aggirare le paludi della costa: si potrebbe infatti pensare che, parlando di ‘piedi delle Alpi’, il geografo di Amasea intendesse in realtà riferirsi per estensione alle propaggini orientali degli Euganei e, quindi, ad un percorso che, da Bononia, avrebbe affiancato i Colli e, passando per Patavium, avrebbe permesso di raggiungere Altinum, e quindi Aquileia, aggirando effettivamente le paludes del delta padano (Dall’Aglio, 1995). In questo caso, è chiaro però che Strabone venne a fondere e a confondere due differenti tracciati: la nota via Aemilia da Ariminum a Placentia, aperta da Marco Emilio Lepido nel 187 a.C., e un altro tracciato che da essa prendeva probabilmente avvio all’altezza di Bononia dirigendosi verso Aquileia. Poiché, nel passo citato, Strabone attribuisce erroneamente al collega di Lepido del 187 a.C., Gaio Flaminio, la costruzione della via Flaminia da Roma ad Ariminum – costruita in realtà dal padre del console nel 220 a.C. – invece del tracciato Arretium-Bononia, di cui sappiamo da altre fonti esserne stato il promotore, si potrebbe pensare, come suggerito
5.3. L’evoluzione della rete tra II sec. a.C. e V-VI sec. d.C. 5.3.1. Il consolidamento della presenza romana (II-I sec. a.C.) – Fig. 5.9 Tra la fine del III e l’inizio del II sec. a.C., ovvero al momento del loro arrivo nella Venetia, i Romani ebbero quindi la possibilità sfruttare una rete viaria già piuttosto articolata che si rivelò di grande utilità, garantendo una 94
Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità
Figura 5.9. La rete viaria nella pianura a sud di Padova tra II e I sec. a.C.
tale carica nel 158 a.C., nel 137 a.C. o, forse, nel 126 a.C.: in quest’ultimo caso, a tale console sarebbe da associare anche la costruzione di una via Aemilia nel sud della Penisola (Camodeca, 1997).
da Dall’Aglio (1995), che alla base della confusione di Strabone vi fosse in realtà l’esistenza di una seconda via Aemilia Bologna-Aquileia, prosecuzione verso nord della via Flaminia Arretium-Bononia. Si spiegherebbe così la stessa affermazione di Strabone, secondo cui Emilio avrebbe realizzato la prosecuzione della via Flaminia in direzione di Aquileia: ovvero, Strabone sarebbe nel giusto affermando che esiste una via Aemilia che continua verso nord una via Flaminia, ma queste non sarebbero però le due ben note strade consolari bensì due tracciati minores.
Un altro itinerario che sembra aver assunto particolare importanza in questa prima fase repubblicana è quello che collega Adria e Altino (it. 16). Correndo lungo la costa, avrebbe infatti messo in diretta comunicazione Aquileia con Ariminum e, quindi, con la via Flaminia, collegando tra loro le principali realtà portuali dell’alto Adriatico, ossia Aquileia, Altinum, Atria e Ravenna. Il ritrovamento, ad Adria, di un miliare con il nome del console P. Popillius (Basso, 1986: n. 69) e la presenza di toponimi riconducibili a un originario Popillia nel tratto più settentrionale dell’itinerario,60 ha da tempo suggerito che fautore della
Non sembra però che l’autore di quella che potremmo effettivamente definire via Aemilia Minor (Dall’Aglio, 1995) possa essere identificato con il console del 187 a.C., come solitamente ritenuto (cfr. Bosio, 1991: p. 31), poiché le fonti (Livio in particolare) non associano ad esso la costruzione di alcun tracciato viario oltre alla ben nota via Aemilia. Potrebbe quindi essere più ragionevole pensare che il Marco Emilio Lepido cui si riferisce Strabone corrisponda ad uno dei consoli omonimi che rivestirono
60 Si tratta, in particolare, di (Runco) Spovilolo e dell’affine Spovellola, localizzati da un documento del 1149 nel comune di Arzergrande e derivati da un diminutivo di Popillia con l’aggiunta di s-prostetico (Barbierato,
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Il paesaggio trasformato Tuditano, in sostegno della quale potrebbe essere stata prevista tutta una serie di opere infrastrutturali e logistiche e, più specificatamente, l’apertura di una direttrice che collegasse direttamente Ariminum con Altinum e che potesse avvalersi di una più sicura linea di navigazione per acque interne (cfr. Lachin e Rosada, 2011).
realizzazione di tale tracciato sia da riconoscere in Publio Popillio Lenate, console nel 132 a.C. (Bosio, 1991: p. 59). In uso nel II sec. a.C. potrebbe essere stato anche l’itinerario che, da Padova, raggiunge Adria attraverso la località di Agna (it. 3). La possibile derivazione di quest’ultimo toponimo da un originario Annia, così come le diverse menzioni, in documenti di XI e XII sec., di una via Agna o Lagna che in epoca medievale da Padova avrebbe raggiunto tale centro, ha da tempo suggerito che il tracciato possa essere riconosciuto come parte di un’originaria via Annia collegante i municipia di Atria e Patavium (Bosio, 1991: pp. 70-71). L’odonimo via Annia è invece certamente riconducibile all’itinerario che da Padova porta ad Altino (it. 4) e che, originariamente, giungeva fino ad Aquileia, dove due iscrizioni (CIL, V, 7992, 7992a) ricordano, infatti, la presenza di una strada proveniente da ovest e realizzata dal console T. Annius, al momento non ancora chiaramente identificato.61
Accanto a questi percorsi, i dati archeologici suggeriscono che, tra II e I sec. a.C., fossero in uso anche altri itinerari. Uno di questi fu probabilmente quello che da Padova raggiunge Bagnoli (it. 2), come suggerirebbe il tesoretto di denari databile al 125 a.C. ritrovato Maserà di Padova (CAVe, 1992: p. 136 n. 253): se pensiamo che, originariamente, l’itinerario avrebbe potuto proseguire verso sud in direzione di Rovigo, da dove avrebbe poi raggiunto l’area dell’attuale Ferrara e, quindi, Bologna, si può comprendere la sua importanza in epoca repubblicana come collegamento diretto Patavium-Bononia. La presenza di materiale preromano suggerisce un utilizzo piuttosto precoce anche per l’itinerario che da Padova segue la destra idrografica del fiume Bacchiglione in direzione di Vicenza (it. 5): in questo caso, oltre a mettere in diretta comunicazione i centri urbani di Patavium e Vicetia, avrebbe anche consentito un collegamento diretto tra la via Postumia, che dal 148 a.C. collegava Genua ad Aquileia passando per il centro berico, e le viae Aemilia e Annia.
Tuttavia, la recente riscoperta a Codigoro (provincia di Ferrara), lungo quello che viene solitamente considerato l’itinerario ripreso dalla via Popillia, di un miliare in trachite riferibile al console T. Annius sembrerebbe suggerire che l’intervento di Annio non si fosse limitato ad Atria, estendendosi verso sud in direzione di Ravenna. Secondo un’interessante ipotesi di Uggeri (2012; 2017), si potrebbe d’altra parte pensare, sulla base di evidenze epigrafiche ritrovate in varie parti dell’Italia centrale, che il console T. Annio sia stato il promotore di un’originaria direttrice che da Roma raggiungeva Aquileia passando per Caesena, Ravenna, Atria, Patavium, Altinum e Concordia. In questo senso, l’Annio cui si riferiscono il miliare e le iscrizioni aquileiesi potrebbe trovare una buona corrispondenza con T. Annius Luscus, console nel 153 a.C. e, soprattutto, uno dei commissari che nel 169 a.C. erano stati inviati ad Aquileia per condurvi dei nuovi coloni: sarebbe quindi possibile che, proprio in virtù di tale compito, Annio decidesse di realizzare un simile collegamento stradale (Uggeri, 2017: p. 3).
5.3.2. La prima età imperiale (fine I sec. a.C.-II sec. d.C.) – Fig. 5.10
Circa vent’anni dopo, nel 132 a.C., P. Popillio avrebbe invece ridefinito il tracciato dell’itinerario paracostiero tra Ariminum e Altinum il quale, fin dall’origine, potrebbe essere servito come appoggio alla più antica idrovia padana che lo stesso Popillio avrebbe ulteriormente prolungato in direzione di Altinum, come suggerirebbe d’altra parte l’interessante evidenza di una fossa Popillia tra Malamocco e Altino (Rosada, 2010: p. 136). Questi lavori di Popillio potrebbero allora trovare un preciso significato se calati nella situazione politica e militare propria della seconda metà del II sec. a.C.: secondo la notizia di Plinio il Vecchio, infatti, al 129 a.C. si data l’impresa istriana di
Particolarmente importante per lo sviluppo della rete viaria fu quindi il periodo che va dalla concessione della cittadinanza ai popoli dell’Italia settentrionale (49 a.C.) e dall’abolizione della provincia Cisalpina (42 a.C.) fino almeno alla seconda metà del I sec. d.C. In questo periodo sappiamo, infatti, che Augusto e i suoi successori posero mano ad un cospicuo programma di ristrutturazione e potenziamento dell’intera rete di collegamenti dell’impero, che portò all’istituzione del cursus publicus (Kolb, 2016: pp. 4-5) e coinvolse pienamente non solo la rete itineraria terrestre, ma anche quella idroviaria, con l’escavazione di nuovi canali e la realizzazione di adeguate infrastrutture portuali (Uggeri, 1987: p. 339; Matteazzi, 2013b: pp. 35-39). Se in città tale intervento previde la completa sistemazione di tutti i tracciati urbani, sembra che extra urbem esso abbia invece per lo più previsto la ristrutturazione degli itinerari di epoca repubblicana e la realizzazione di più fitti collegamenti tra le aree urbane e i distretti territoriali sotto la loro giurisdizione (area termale, settore collinare e zona costiera in primis), portando ad una maggiore definizione della rete viaria del territorio.
2003a: p. 117) e del più eloquente Nogara Povilia o Povella, ricordato nel Piovese nel 1138 e nel 1149 (Barbierato, 2003a: pp. 116-17). 61 Due sono, infatti, i consoli appartenenti alla gens Annia che potrebbero essere considerati fautori dell’apertura di tale strada: si tratta di Tito Annio Lusco, console nel 153 a.C. e di Tito Annio Rufo, console nel 128 a.C. Sull’argomento vedi, da ultimi, i contributi di: Rosada, 2010; Zerbinati, 2010; Uggeri, 2012; Uggeri, 2017 e bibliografia ivi citata.
Interessante è notare come, in questo momento, la maggioranza degli itinerari trovi anche una perfetta collocazione all’interno di un vasto intervento di centuriazione che, tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C., venne a caratterizzare la pianura a meridione di Padova (cfr. Cap. 6). In particolare, strettamente legati a tale 96
Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità
Figura 5.10. La rete viaria nella pianura a sud di Padova tra I e II sec. d.C.
Ravenna a partire dall’età augustea e dal contemporaneo emergere di Altinum come centro portuale a discapito di Atria: in questo senso si potrebbe anche pensare che la creazione di un raccordo diretto Ravenna-Altinum fosse motivato dall’apertura della via Claudia Augusta che, proprio da Altinum, portava verso il Norico (Lachin e Rosada 2011: p. 58).
intervento appaiono l’itinerario che da Padova raggiunge Vicenza lungo la sinistra idrografica del Bacchiglione (it. 6), quello diretto da Padova a Lova (it. 8), quello collegante Abano con Piove di Sacco (it. 12), quello che segue il canale di Cagnola-Bovolenta (it. 29) e quello che da Sambruson scende per Piove di Sacco fino ad Agna (it. 15): se i primi quattro attuano come decumani, il quinto si definisce invece come un kardo della centuriatio. Una forte connessione con l’agro centuriato mostra tuttavia anche l’itinerario che da Padova porta a Codevigo (it. 7), il quale si si configura come una via obliqua dello stesso.
Il contemporaneo decadimento di Atria fu, d’altra parte, in larga misura legato alla perdita d’importanza del ramo del Po sul quale sorgeva il centro portuale, a sua volta strettamente collegato all’attivazione di una diramazione più meridionale dello stesso corso d’acqua: questo evento, che comportò una certa stabilizzazione dal punto di vista geomorfologico della zona deltizia a est di Adria e, insieme, il contemporaneo consolidamento della fascia litoranea a sud di Chioggia, avrebbe d’altra parte potuto offrire, nel corso del I sec. d.C., le condizioni ideali per la sistemazione del nuovo itinerario lungo la costa (Peretto e Zerbinati 1985: p. 25).
Si può inoltre ragionevolmente pensare che in età alto imperiale si strutturasse l’itinerario collegante Cavanella d’Adige con Codevigo (it. 17): questo percorso, che si evidenzia come una variante costiera dell’itinerario da Adria ad Altino (it. 16), si identificherebbe allora con parte del percorso che la Tabula Peutingeriana indica quale principale collegamento tra Ravenna e Altinum. La sua nascita si può facilmente spiegare con il rilievo assunto da 97
Il paesaggio trasformato
Tavola 7. Il sistema idroviario padano attraverso la pianura a sud di Padova ricostruito sulla base della descrizione di Plinio il Vecchio.
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Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità l’Adige). Qui è tuttora attestato il significativo toponimo di Fossone (nell’840 ricordato come Fusciones) e, nel 972, si ricorda la presenza del porto Fosion e di un monastero benedettino dedicato a San Giorgio (Strina, 1957: p. VII nota 1). Un po’ più a nord, potrebbe infine collocarsi la foce Carbonaria: la presenza dell’altomedievale fossa Carbonara, che un tempo veniva a collegare Fossone a Brondolo (Bellemo, 1893: p. 193), sembrerebbe infatti aver conservato nell’idronimo il ricordo della foce antica, suggerendo la possibilità di ricercare quest’ultima proprio nel settore attraversato da tale fossa.
5.3.2.1. L’idrovia Ravenna-Altinum – Tav. 7 Oltre alla sistemazione degli itinerari terrestri e delle principali vie di comunicazione fluviali, in questo momento si mette mano alla ridefinizione della rete idroviaria che, fin da epoca protostorica, aveva caratterizzato l’area deltizia padana, con l’intento di creare una linea di navigazione interna che, sfruttando gli specchi d’acqua e i corsi fluviali che allora definivano le paludes della costa, permettesse un rapido collegamento tra i due centri portuali altoadriatici che alla fine dell’età repubblicana avevano iniziato ad assumere una certa importanza: Ravenna e Altinum (Uggeri, 1978: pp. 69-70). I lavori che, a partire dall’epoca di Augusto, dovettero protrarsi per quasi tutto il I sec. d.C., portarono infine alla realizzazione di un’idrovia che Plinio il Vecchio, alla metà del I sec. d.C., stimava svilupparsi per una lunghezza complessiva di 120 miglia (circa 180 km).
Da quanto abbiamo detto, si potrebbe quindi pensare che la fossa Philistina seguisse un andamento sud-nord, che dalla zona di Loreo l’avrebbe condotta fino a Brondolo, forse utilizzando nel suo ultimo tratto lo stesso alveo della medievale fossa Carbonara, in altri documenti chiamata anche chavanela da Fosson (Bellemo, 1893: p. 84). I resti di un’imbarcazione lignea e vario materiale romano emersi nel 1885 durante la costruzione del ponte ferroviario sull’Adige a Cavanella d’Adige (CAVe, 1994: p. 124 nn. 94-95) e l’insediamento indagato a Motta di Cavanella d’Adige (Fozzati e Tiboni, 2009), sembrerebbero in effetti potersi collocare proprio lungo l’ipotetico percorso seguito dalla fossa. A Motta di Cavanella, in particolare, si è messo in luce parte di un antico canale, forse ad essa direttamente collegato, al cui interno è stata rinvenuta un’imbarcazione lignea (II-I sec. a.C.) utilizzata per la sistemazione spondale dell’invaso in epoca imperiale.
Per quanto riguarda il possibile percorso di questa rotta di navigazione per acque interne sappiamo che, a partire da Ravenna, la fossa Augusta raggiungeva le Valli di Comacchio, dove si allacciava alla fossa Flavia. Questa fossa, la cui prima escavazione sembra sia da attribuire agli Etruschi (Bosio, 1991: pp. 240-241), si portava a sua volta fino ad Ariano Vecchio, località che si suole riconoscere quale sede dell’insediamento di Hadriani ricordato dalla Tabula Peutingeriana. Qui prendeva probabilmente avvio la fossa Philistina, il cui nome grecizzante farebbe pensare che la sua originaria realizzazione possa risalire al tempo del controllo siracusano di Atria (V-IV sec. a.C.).62
A Brondolo, ovvero il portus Brundulum ricordato a Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 120), la Philistina si riuniva probabilmente a un’altra fossa, che ancora Plinio definisce come Clodia e che doveva costituirne la prosecuzione verso settentrione. Generalmente tale fossa è ritenuta opera dell’imperatore Claudio, anche se l’attestazione del gentilizio Clodius in luogo di Claudius potrebbe in realtà nascondere un intervento di epoca tardo-repubblicana, come suggerito da Calzolari (2007: p. 168). Si potrebbe pensare che, da Brondolo, tale fossa si portasse a Chioggia – il cui nome sembrerebbe poter derivare da un originario Clodia, forse proprio ad indicare l’antica presenza della fossa (Barbierato, 2003b: p. 151) – trovando una possibile corrispondenza con la Taliadita (o Tagliadicia, Taglata, Tayadacia) de Clugiensis, che un documento del 1028 afferma essere stata scavata per antiquis temporibus super nostram proprietatem (Bellemo, 1913: pp. 207-214).
Stando a quanto afferma Plinio, questa fossa avrebbe alimentato tre distinti ostia del Padus, chiamati Carbonaria, Fossiones e Philistina. Il fatto che quest’ultimo ostium fosse chiamato anche Tartaro, nome che attualmente conserva uno scolo che, proveniente dalle Valli Grandi Veronesi, continua nel Canal Bianco passando per Adria, potrebbe suggerire che si trattasse della foce di questo corso d’acqua, che probabilmente venne a riprendere, in parte o del tutto, un vecchio ramo del Po attivo durante l’età del Bronzo (Mozzi-Ninfo-Piovan, 2010). Nello specifico, questa foce si potrebbe localizzare all’altezza di Adria, verosimilmente non lontano dalla località Fornaci di Loreo, dove si suole generalmente ubicare l’insediamento di VII Maria della Tabula e dove, ancora in epoca medievale, sono attestati il portus Laureti e un monastero con ospizio dedicato a San Leonardo.63 L’ostium Fossiones potrebbe invece essersi collocato nella zona di Cavanella d’Adige, dove gli studi geomorfologici hanno, in effetti, individuato la foce di un corso d’acqua attivo in epoca romana (molto probabilmente
È quindi possibile che, da Chioggia, la fossa continuasse poi ulteriormente verso nord costeggiando il cordone sabbioso che costituiva l›antica linea di costa in direzione della medievale fuosa di Portosecco. In questo caso avrebbe forse potuto seguire il percorso suggerito da Dorigo (1994: cc. 89-90), ovvero attraverso i tracciati dei medievali canali Lombardo, di Bombae e della Cava e, in particolare, quello del Canale Maiore Populare, che le fonti di XI e XII sec. ricordano presso Pellestrina. Punti di riferimento per la navigazione dovevano trovarsi lungo il canale del Vergilio, dove esisteva una chiesa dedicata a San Vigilio, e presso la bocca di porto di Portosecco, nel
62 Si potrebbe infatti trattare di un’opera promossa da Filisto di Siracusa, cfr. Braccesi, 1991; Bosio, 1991: pp. 241-242. Che i Greci realizzassero opere di escavazione a scopo di drenaggio e di approvvigionamento idrico è d’altra parte ben documentato per la Sicilia e la Magna Grecia (Uggeri, 1987: p. 307). 63 La presenza dell’hospitalis Sancti Leonardi porti Laureti si ricorda ancora nel 1382 (Bellemo, 1893: pp. 186-187). Per l’ubicazione di VII Maria a Fornaci cfr. in particolare Rosada, 2003b: p. 30 e nota 14; Calzolari, 2007: p. 167 e bibliografia ivi citata.
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Il paesaggio trasformato luogo in cui in epoca tardoantica/altomedievale sorgeva l’insediamento di Albiola e dove si ha notizia di una chiesa di Santa Maria della Cava, il cui toponimo potrebbe essere significante in tal senso. Continuando la risalita verso Altinum e la Laguna superiore, la tappa successiva doveva essere verosimilmente il porto sul Meduacus non lontano dall’attuale Malamocco.
che probabilmente dovette servire da stazione e punto di approdo per chi percorreva l’antica idrovia padana. È alquanto probabile che alla sistemazione di tale idrovia sia legata anche la definizione dell’itinerario che da Cavanella d›Adige porta a Brondolo e a Chioggia (it. 18), verosimilmente utilizzato come appoggio alla stessa idrovia, oltre che come collegamento terragno tra le varie realtà portuali della costa.
Subito a nord dell’attuale bocca di Malamocco, la presenza del toponimo Poveglia, legato ad un’isola in cui si sono rinvenute tracce di frequentazione di epoca romana (D’agostino e Medas 2010: pp. 292-293), e le menzioni di una medievale fossa de Puviglola tra Burano e Caorle, sembrerebbero invece far pensare all’esistenza di un’originaria fossa Popillia* che, non ricordata dalle fonti classiche, avrebbe probabilmente condotto da Malamocco fino ad Altinum (Dorigo, 1994: cc. 90-109). Lungo questa rotta troviamo la presenza di una probabile struttura difensiva tardoantica nei pressi del monastero di San Marco in Boccalama (Canal, 1998: p. 53 n. 13), località
5.3.3. Tra Tarda Antichità e Altomedioevo – Fig. 5.11 Nonostante il parziale abbandono delle campagne che, a partire dal III sec. d.C., dovette comportare un progressivo venir meno degli interventi di manutenzione sugli assi stradali, la rete viaria così come venne a definirsi nel corso della prima età imperiale sembra rimanere per buona parte in funzione ancora fino almeno il IV sec. d.C., come dimostrano, oltre alle evidenze archeologiche, la menzione
Figura 5.11. La rete viaria nella pianura a sud di Padova in epoca Tardo Antica.
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Forma, genesi ed evoluzione della rete viaria della pianura tra la seconda età del Ferro e la Tarda Antichità traffici fluviali e marittimi, come testimoniano le fonti itinerarie (Tabula Peutingeriana) e, soprattutto, letterarie (Sid. Ap., ep. I, 5; Cass., Variae II, 31; Ven. For., vita Sancti Martini; Rut. Num., de red. suo), nelle quali non è infrequente trovare riferimenti a percorsi e viaggi compiuti per via d’acqua che non sembrano trovare confronti nelle epoche precedenti (cfr. Dall’Aglio, 1997: pp. 87-88; Dall’Aglio e Franceschelli 2017: pp. 51-53). L’interesse rivolto alla sistemazione della nuova viabilità fluviale che, per poter essere ampiamente sfruttata, necessitava di massicci interventi di arginatura degli alvei e regimazione delle acque (Uggeri, 1987: pp. 337-344), è particolarmente evidente in epoca gota, con la serie di provvedimenti annonari e militari voluti da Teoderico e, ancor più, in epoca longobarda, come dimostra il Capitolare di Liutprando che, decretando nell’VIII sec. un accordo tra Longobardi e Comacchiesi per il rendimento del sale, fornisce un quadro piuttosto esauriente dell’entità dei traffici commerciali in questo periodo lungo le principali vie d’acqua.
di alcuni assi viari negli Itineraria tardo antichi64 e, soprattutto, la presenza di miliari riconducibili a interventi di restauro effettuati in epoca Tetrarchica (Basso, 1986: p. 161 n. 71) e Costantiniana (Basso, 1986: p. 164 n. 73). Interventi di manutenzione della viabilità terrestre dovettero comunque essere effettuati ancora nel V e, in particolare, nel VI sec., poiché conosciamo dalle fonti dei vari provvedimenti messi in atto da Teoderico e volti al ripristino della rete viaria romana (Bonetto, 2009: pp. 346347). È infatti abbastanza probabile che, propriamente in quest’epoca, inizino ad assumere una certa importanza alcuni itinerari prima di interesse più che altro locale, come quelli che mettevano in diretta comunicazione il castrum bizantino (poi civitas longobarda) di Mons Silicis con Patavium e Ateste (it. 14), oltre che con l’area adriese e lo scalo a mare di Brundulum (it. 21). Non tutti gli itinerari di epoca imperiale dovettero comunque rimanere in funzione. A causa, infatti, delle mutate condizioni climatiche – che, a partire almeno dal IV sec. d.C., provocarono, lungo la costa, sempre più frequenti ingressioni marine e il conseguente instaurarsi di condizioni lagunari e, nella pianura interna, favorirono le rotte dei principali corsi fluviali del territorio, causando importanti cambi d’alveo e la sommersione delle zone più depresse della pianura che divengono sede di vaste aree palustri e lacustri (Fontana et al., 2008; Cheyette, 2008; Cremonini-Labate-Curina, 2013) – molti itinerari dovettero in gran parte perdere la loro funzione originaria, rimanendo più che altro in uso quelli che garantivano i collegamenti tra i vari centri urbani. Alcuni, infatti, scomparvero quasi completamente, come quello da Adria ad Altino (it. 16), altri sopravvissero solo per alcuni tratti, come gli itinerari Padova-Bagnoli (it. 2) e Padova-Adria (it. 3), mentre altri ancora, pur rimanendo per gran parte in uso, finirono probabilmente per trasformarsi in semplici piste sterrate.
Tale condizione rimase poi fino al XII/XIII sec., quando il Comune di Padova diede avvio ad un’importante politica di controllo territoriale che, oltre al miglioramento e all’ampliamento della rete idrografica (con la creazione di nuovi canali navigabili), si rivolse al ripristino e all’implemento della rete viaria esistente, risistemando i tracciati più antichi e costruendone di nuovi.
D’altra parte, la rete viaria di origine romana sembra conservare una propria struttura ben definita, per quanto di minore estensione, ancora in epoca altomedievale, come suggerisce il fatto che molti degli assi che la formavano abbiano costituito il maggiore elemento di continuità dell’assetto insediativo e il principale veicolo di cristianizzazione delle campagne, contribuendo fortemente ad ancorare la distribuzione degli insediamenti e ad orientare gli edifici religiosi. A partire dal V sec., è comunque possibile pensare che il cambio climatico in atto, se da una parte provoca la perdita d’importanza della viabilità terrestre, dall’altro, dischiudendo nuove vie fluviali e quindi nuove rotte commerciali, conduca ad un certo potenziamento dei
64 In particolare: l’itinerario Vicetia-Patavium-Altinum, ricordato dall’Itinerarium Burdigalense (559), che si inserisce all’interno dell’importante direttrice Mediolanum-Aquileia; e quello PataviumAteste, ricordato dall’Itinerarium Antonini come parte dell’item ab Aquileia Bononiam (281-282).
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Capitolo 6 L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium Abstract: The archaeomorphological analysis also allowed us to identify the traces of an orthogonal road network that extends over a large part of the plain south of Padua and which, for reasons both stratigraphic (the original traces are partly followed, modified and even deleted by a radial road network built in medieval times) and historical–archaeological (most of the Roman sites show a good connection with the axes of the road network and many of the archaeologically known settlements have structures following the same orientation), could be recognised as an example of Roman centuriation. The axes of the centuriatio, with kardines oriented N17°E, show adaptation to the plain’s natural slopes, with decumani playing the important role of carrying excess water, leading it to flow towards the sea (not by chance, the main waterways in the territory, among them the Bovolenta channel, still follow this same orientation today), and the kardines running parallel to the coastline. The agrarian division seems also to be based on rectangular centuriae of 15 x 20 actus, measures that would suggest dating the design to the Augustan period: this chronology is also suggested by archaeological data, which record a strong population explosion over the whole plain starting from the end of the 1st cent. BC, and by the fact that the road network of the territory, developed during the High Imperial period, fits perfectly within the ager centuriatus. This field system remained vital until at least the end of the 2nd cent. AD and, despite the 3rd cent. crisis, even into the 4th cent. During the 5th cent. there is a sharp decline in peopling that leads to a general abandonment of the centuriated territory: this event, together with the contemporary climate change, leads to a partial disappearance of the ancient centurial grid, with woods and swamps covering large areas that were once inhabited and cultivated. However, the main axes of Roman road network remain in order, becoming the major element of continuity in the Late Antique and early medieval settlement and the main vehicle for countryside Christianisation. 6.1. Le premesse
giungendo ad ipotizzare l’esistenza di un intervento effettuato intorno alla metà del I sec. d.C. e modulato su centurie quadrate di 20 actus di lato (Pesavento Mattioli. 1984a; Rosada e Bressan, 2008). Tali studi non hanno tuttavia permesso di definire con più precisione orientamento, morfologia e, soprattutto, estensione del disegno ipotizzato, arrivando soltanto ad ammettere una certa difficoltà di lettura del territorio centuriato (Bressan, 2001-02).
Nel 1971, lavori agricoli nella località ‘il Cristo’ di San Pietro Viminario (Padova) portarono alla luce un cippo gromatico in trachite (Fig. 6.1a) grazie al quale si ebbe una sicura testimonianza dell’esistenza, nella pianura a sud di Padova, di una centuriazione romana, già peraltro ipotizzata in precedenza sulla base di indicazioni ricavate da dati toponomastici e archeologici.65 Di forma parallelepipeda, il cippo presenta una decussis sulla faccia superiore, mentre su quelle laterali riporta da una parte l’indicazione di ‘SDII’ e dall’altra una ‘K’ (solitamente letta come indicazione del cardine massimo, pur in mancanza della consueta ‘M’). Come suggerì Lazzaro, che per primo diede notizia del rinvenimento, il ductus sembrerebbe ricondurre alla metà del I sec. d.C., mentre la forma quadrata ascriverebbe il cippo ad età neroniana o successiva (Lazzaro, 1972). Considerando questo e un altro cippo cilindrico rinvenuto a Maseralino (Fig. 6.1b) che reca lateralmente incise le lettere ‘IXI’ – interpretate come primus decussis primus, ovvero quale indicazione dell’incrocio tra Decumano Massimo e Cardine Massimo (Banzato, 1976-77) – si è in varie occasioni affrontato lo studio della divisione agraria,
Figura 6.1. Cippi gromatici rinvenuti nella pianura a sud di Padova: A) cippo di San Pietro Viminario (Museo della Centuriazione di Borgoricco); B) cippo di Maseralino (chiesa di Santa Giustina di Pernumia).
65 A questo proposito vedi, da ultimo, il contributo di Rosada e Bressan, 2008: pp. 38-39 e bibliografia ivi citata.
103
Il paesaggio trasformato
Figura 6.2. Risultati dell’analisi archeomorfologica: rete viaria ortogonale.
6.2. Morfologia e possibile estensione della centuriatio
aspetto suggerirebbe l’idea di una possibile antichità della trama ortogonale, in quanto sembrerebbe definirsi come elemento già presente nel paesaggio al momento della definizione delle forme di popolamento medievale e tale da condizionarne la stessa configurazione. Questo è particolarmente evidente nei casi di Piove di Sacco e di Pernumia, in cui i centri medievali si collocano lungo due assi della trama che si configurano come gli assi maggiori dell’insediamento.66
6.2.1. L’evidenza archeomorfologica È quindi avendo ben presenti queste premesse che è stata condotta l›analisi archeomorfologica del territorio a sud di Padova. Questa ha consentito di evidenziare le tracce pertinenti ad una rete viaria formata da assi ortogonali ed estesa su gran parte della pianura compresa tra Padova e il corso attuale dell›Adige (Fig. 6.2).
D’altra parte, questi stessi centri di origine medievale vanno a loro volta a generare dei sistemi viari di tipo radiale o in forma di stella, che costituiscono la seconda forma dominante ben rilevata dallo studio archeomorfologico all’interno della strutturazione attuale del territorio e che vengono ad interagire profondamente con la trama ortogonale (Fig. 6.3): tra questi sistemi, il maggiore e di
Le linee principali che formano questa trama costituiscono degli ‘assi forti’ del paesaggio, ovvero delle macrostrutture spesso corrispondenti a percorsi antichi (per alcuni dei quali si è potuta riconoscere un’origine romana) che hanno condizionato la strutturazione del territorio in differenti periodi storici. Abbiamo, infatti, rilevato come questi assi sembrino determinare l’ubicazione di molti castelli, chiese e villaggi sorti tra X e XIII sec., ovvero dei nuclei di popolamento di origine medievale. Tale
Si tratta di Calmaggiore (oggi via Garibaldi) a Piove di Sacco e di via Maggiore a Pernumia.
66
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L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium
Figura 6.3. Risultati dell’analisi archeomorfologica: reti viarie di tipo radiale e loro relazione con la rete viaria ortogonale.
parte dei casi riscontrati il centro dei vari sistemi radiali corrisponde ad un insediamento noto a partire da IX-XI sec., si dovrebbe situare l’origine di tali sistemi almeno in tale epoca, suggerendo una loro diretta relazione con la creazione di centri di popolamento e di strutture territoriali di epoca medievale. In questo senso, allora, alla struttura ortogonale rilevata, che stratigraficamente si colloca in un momento precedente all’impostazione di tali sistemi radiali, potrebbe essere assegnata una cronologia di epoca antica.
gran lunga il più evidente è quello centrato su Padova, anche se piuttosto importanti appaiono pure quelli gravitanti su Monselice, Pernumia, Piove di Sacco, Chioggia, Agna e Strà, centri che godettero di un particolare rilievo in epoca medievale. Di fatto, diverse tracce appartenenti a tali reti radiali appaiono in molti casi sovrapporsi alla struttura ortogonale, deformandone gli assi o cancellandoli completamente in quelle zone in cui queste stesse reti viarie hanno un maggiore impianto. È particolarmente interessante segnalare, in questo senso, il sistema radiale sviluppato da Monselice, che fa scomparire la trama ortogonale per buona parte dei propri limiti municipali.
Considerando la questione da questo punto di vista, la grande estensione del disegno (che dovette essere frutto di un’autorità che poteva controllare l’intero territorio e, soprattutto, sostenere economicamente una tale impresa), l’allineamento della maggioranza dei siti romani noti lungo o nei pressi delle tracce appartenenti alla trama ortogonale (Fig. 6.4) e il fatto che le strutture murarie dei (pochi) insediamenti romani archeologicamente indagati si mostrino quasi perfettamente isorientate con essa, ci
Queste evidenze offrono un valido riferimento stratigrafico per vedere trama ortogonale e sistemi radiali come il riflesso di due grandi periodi di strutturazione del territorio, dei quali quello riferibile alla rete viaria ortogonale sarebbe il più antico. Poiché nella maggior 105
Il paesaggio trasformato
Figura 6.4. Relazione tra i siti di epoca romana noti e le tracce viarie di probabile origine antica individuate dall’analisi archeomorfologica.
paiono dei buoni indizi per suggerire una possibile origine romana della trama stessa.
assi posti in direzione colli-laguna (decumani) distanziati di 20 actus e quelli orientati in senso NE-SO (kardines) di 15 actus (Fig. 6.7).
Dal punto di vista metrologico, quasi tutte le tracce identificate appaiono rispettare tra loro distanze modulate sull’actus romano, rivelando altresì l’uso frequente di un divisore comune corrispondente a 5 actus (circa 176.6 m):67 questo aspetto consentirebbe di riconoscere in tale struttura ad assi ortogonali un esempio di centuriatio, verosimilmente da ricollegare all’intervento testimoniato dal cippo gromatico di San Pietro Viminario. In questo caso, il reticolo centuriale sembrerebbe poter essere stato modulato su centuriae rettangolari di 15x20 actus, con gli
6.2.2. Le tracce individuate Importanti assi della trama corrispondono a tracciati viari per i quali si può ipotizzare un’origine romana (Fig. 6.2). In particolare, nella direzione dei kardines, si dispongono la strada Conselvana tra Cagnola e Levà di Conselve e tra Conselve e Olmo di Bagnoli (attuale via Lazzarini) e le vie Tencarola-Abano, Battaglia-Monselice, LegnaroPolverara, Bovolenta-Arre e Anguillara-Rovigo, oltre al tracciato che, per Sant’Angelo di Piove di Sacco, unisce Celeseo e Ardoneghe.
67 La misura dell’actus si considera qui equivalente a quella di 35.325 m, che indagini aerofotogrammetriche hanno dimostrato essere stata impiegata in Puglia (Ceraudo e Ferrari, 2010) e che è stata proposta anche in occasione di un recente studio sulle centuriazioni di Pola e Parenzo (Marchiori, 2010).
Nella direzione dei decumani, invece, una certa rilevanza sembrerebbe aver avuto l’itinerario che segue il canale di Cagnola-Bovolenta (22), che saremmo tentati di 106
L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium riconoscere come inalveamento artificiale di un corso fluviale – forse il Togisonus menzionato da Plinio il Vecchio (Bosio, 1987: p. 11) – avvenuto forse al momento dell’impostazione dell’agro centuriato. Un altro decumano corrisponderebbe al tratto dell’itinerario 6 tra Padova e Montegalda, che già in precedenza avevamo riconosciuto come possibile evidenza della via romana Patavium-Vicetia (Matteazzi, 2006; Matteazzi, 2008). Infine, altri decumani coinciderebbero con un itinerario originariamente diretto da Abano verso Piove di Sacco (it. 12) e con quello che, da Padova, doveva condurre a Lova di Campagna Lupia (it. 8), probabile sede dell’insediamento di Mino Meduaco.
all’incrocio di due assi centuriali, dei quali attualmente si conserva in traccia solo quello nord-sud.68
Gran parte delle tracce individuate trova inoltre una certa corrispondenza con le calles e i carrubia che con frequenza si trovano menzionati nelle fonti medievali almeno fino al XII sec., ovvero prima delle grandi trasformazioni viarie attuate nel basso medioevo dal Comune di Padova, e potrebbero quindi ulteriormente suggerire l’origine centuriale della trama ortogonale (Bortolami, 1978: p. 20). Se carrubbio è infatti forma corrotta da quadruvium, indicante un originario incrocio stradale formato da due assi viari spesso tra loro ortogonali (Barbierato, 1993: p. 88 n. 126), il termine callis, prima di assumere il generale significato di ‘strada’ o ‘cammino’, ha in origine il senso di ‘pista, sentiero’ e in Varrone (De ling. lat., IV, 77) anche quello di ‘via secondaria della centuriatio parallela ai kardines’ (cfr. Barbierato, 2002a: p. 83).
Non sembra quindi casuale che questo stesso orientamento sia oggi seguito da gran parte della rete idrografica del territorio la quale, in molti casi, viene a riprendere il tracciato teorico dei limites centuriali. Macroscopica è, in questo senso, l’evidenza del canale di Cagnola-Bovolenta, che, come si è detto, segue il percorso di un decumano e che potrebbe essere l’erede di quelle che i gromatici definivano fossae limitales.69
6.2.3. Orientamento e probabile estensione La centuriatio si orienta con i kardines a N17°E, ossia parallelamente a quella che, secondo le più recenti ricostruzioni, doveva corrispondere alla linea di costa di epoca romana: in questo modo i decumani, orientati a N287°W, potevano sfruttare appieno la pendenza naturale del terreno, favorendo in questo modo la veicolazione e il drenaggio delle acque (Fig. 6.7).
Tuttavia, ciò non accade solamente con i corsi d’acqua della pianura, ma si riscontra anche per alcuni canali lagunari, facendo pensare che, originariamente, il reticolo centuriale venisse ad interessare anche buona parte delle terre oggi ricoperte dalle acque salmastre della Laguna di Venezia: e, in questo senso, suggestiva appare l’evidenza dell’impianto urbanistico del centro di Chioggia, perfettamente coerente con l’orientamento della centuriazione (Fig. 6.5).
Tra i numerosi esempi che potremmo citare, vale la pena ricordare l’attuale via che da Piove di Sacco porta a Campolongo Maggiore: questo percorso, ricordato come Calle Maiore nel 1149 (Barbierato, 2003a: p. 116), si configura come un kardo della centuriazione e, originariamente, avrebbe permesso la comunicazione tra i centri di Agna, a sud, e di Sambruson, a nord, ovvero con la mutatio ad XII ricordata dall’Itinerarium Burdigalense. Sempre rimanendo nel senso dei kardines, un’altra traccia definita come calle è la strada che da Vallonga porta a Corte (attuale via Morandina), corrispondente alla via que dicitur Caldebruna menzionata in documenti del XII sec. (Barbierato, 2003a: p. 116).
D’altra parte, i più recenti studi geoarcheologici (cfr. Furlanetto, 2011 e bibliografia ivi citata) dimostrano che l’attuale estensione dell’area lagunare è un effetto piuttosto recente, provocato dalla politica idrografica della Repubblica di Venezia volta a preservare l’integrità del bacino lagunare che, verso la metà del XIV secolo, andava progressivamente insabbiandosi, minacciando la stessa sopravvivenza di Venezia: in epoca romana l’area occupata dalle acque doveva, invece, essere maggiormente ridotta verso mare e, più che di una vera e propria laguna, si sarebbe trattato di un’area palustre piuttosto estesa (cfr. cap 2.4), in accordo con le descrizioni fornite dalle fonti classiche che ricordano in più di un’occasione la presenza nella zona di paludes litorali attraversate da flumina et fossas.
Tra gli assi est-ovest si sono trovate invece delle corrispondenze con i percorsi ricordati nei documenti medievali come callis de Bradepalea (attuale SP 30 che collega Casalserugo a Bertipaglia; cfr. Bortolami e Ferrario, 2008: p. 177), callis alta (oggi via San Tommaso ad Albignasego) e contrata Calfiçani (corrispondente al tratto finale di via Pontecchio a sud di Conselve; cfr. Barbierato, 2002a: p. 82).
É quindi possibile che, verso est, il limite dell’ager centuriatus corrispondesse con la linea di costa di epoca 68 Un discorso simile potrebbe essere fatto anche per il centro di Cartura, che l’analisi archeomorfologica colloca in prossimità di un incrocio centuriale: in questo senso, infatti, si potrebbe pensare che il toponimo attuale, più che da un originario Cartorius come suggerito da Olivieri (19612: p. 111), possa invece essere derivato dal termine quadratorium o quarturum, a indicare un territorio diviso in quattro parti da due assi viari ortogonali (Pellegrini, 1987: p. 79; Pellegrini, 1994: p. 27). 69 Pesavento Mattioli, 1984a. Gli agrimensores romani si sono ampiamente occupati del problema dell’inserimento dei corsi d’acqua all’interno delle divisioni agrarie, dei relativi problemi e delle soluzioni tecniche e giuridiche adottate. Su questo argomento, vedi in particolare i contributi di: Casciano, 2005; Campagnoli e Giorgi, 2010.
Per quanto riguarda gli esiti di quadruvium, sarebbe troppo lungo elencare in questa sede tutti i casi riscontrati; si vuole pertanto riportare qui un solo esempio, relativo alla zona di Vigonovo. Le fonti medievali ricordano, infatti, che la località dove venne a costituirsi il vicus novus, che nell’XI sec. sostituì il più antico centro di Sarmacia, era detta Carobo (Mescoli e Draghi, 2009: p. 69): effettivamente, il centro medievale sarebbe venuto a collocarsi proprio 107
Il paesaggio trasformato
Figura 6.5. La pianta urbana di Chioggia sembra seguire lo stesso orientamento della centuriazione.
romana (Fig. 6.6). Tuttavia, è verosimile pensare che, nella zona che le fonti classiche ci dicono occupata dalle paludes, gli assi si materializzassero unicamente nelle aree di barena, dove si sarebbero collocati gli insediamenti e le aree coltivabili (Rosada e Zabeo, 2012).
immediatamente a sud dei Colli, in prossimità dell’antico centro urbano Ateste, dove si evidenziano le tracce pertinenti ad una divisione agraria modulata su centurie di 20x20 actus rispettanti un orientamento di N28°E.71 A nord e a sud, i limiti del disegno centuriale corrisponderebbero invece con elementi naturali del paesaggio. Per quanto riguarda il limite settentrionale, possiamo infatti individuarlo in un’area a nord di Padova, dove si incontrano le tracce appartenenti alla cosiddetta ‘centuriazione di Padova Nord Est’. Qui, l’analisi archeomorfologica suggerisce che il confine tra i due sistemi possa corrispondere con un antico dosso fluviale di origine brentizia che si estende tra Vigonza, Mira Vecchia e Sant’Ilario, forse attivo in epoca romana e identificabile con la diramazione del fiume nota in letteratura come Meduacus Maius.72
Verso ovest, invece, la centuriatio sembra essersi estesa fino al margine orientale dei Colli Euganei. A settentrione del sistema collinare, le tracce individuate parrebbero infatti cessare nella zona dell’attuale Montegalda, area che in altra occasione si è proposto quale possibile sede della mutatio ad finem ricordata nell’Itinerarium Burdigalense (Matteazzi, 2008: p. 123). Vale la pena sottolineare questo aspetto in quanto, come è stato suggerito (Bosio, 1991: p. 121), la menzione di un finis potrebbe indicare l’antica presenza del confine tra gli agri di Patavium e di Vicetia: non sarebbe dunque strano che proprio questo confine segnasse anche il termine dell’ager centuriatus. In prossimità dell’area termale, tuttavia, si verifica una parziale sovrapposizione con un sistema centuriale diversamente orientato (N2.5°O) che doveva interessare l’intero settore a sud del corso attuale del fiume Bacchiglione, compreso tra i Colli Berici ed Euganei.70 Ugualmente, una sovrapposizione si verifica
orientamenti assimilabili a quelli della divisione agraria: in particolare, gli insediamenti rustici di località Turri (Bonomi e Vigoni, 2012) e del Depuratore (Prosdocimi-Pacitti-Millo, 2016). 71 Rossignoli et al., 2014: pp. 64-68. L’insediamento rustico indagato a Sant’Elena (Cipriano-Ruta Serafini-Cagnoni, 2006) sarebbe quindi da riferire a questa divisione agraria, con la quale le strutture risultano perfettamente orientate. 72 Che nella zona di Sant’Ilario questo corso d’acqua potesse essere sentito come una sorta di limite, potrebbe essere suggerito dal fatto che, fin dal IX sec., in prossimità della struttura dossiva allora seguita dal fiume Une è testimoniata la località di Finale, detta anche L’Aurelia del monastero (Poppi, 1977: p. 68).
Rossignoli et al., 2014: pp. 69-72; Sarabia, 2017: p. 81. A questo sistema farebbero riferimento alcuni complessi insediativi indagati nel territorio di Montegrotto Terme, le cui strutture murarie mostrano
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L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium
Figura 6.6. Probabile estensione dell’agro centuriato con ubicazione delle limitationes confinanti.
Il limite meridionale coinciderebbe, invece, con altre due antiche strutture dossive: una sviluppantesi tra Rovigo a Concadalbero e appartenente a quello che è stato definito come ‘il ramo più settentrionale del Po’ (Castiglioni, 1978); l’altra procedente invece da Concadalbero a Brondolo e corrispondente al tratto finale di quella che è stata riconosciuta come la principale diramazione dell’Adige di epoca romana (Mozzi et al., 2011). È particolarmente significativo che questi due dossi, probabilmente, costituissero anche i fines dei territori amministrativamente dipendenti da Patavium e Ateste con l’agro di Atria, dove le foto aeree, a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, hanno individuato le tracce di un sistema centuriato modulato su centurie quadrate di 27 actus di lato (Matteazzi, 2017a – Fig. 6.6).
agraria esclusivamente a Patavium, ritenendo che si debba in questo caso riconoscere un esempio di centuriazione che include, in un unico catasto, territori amministrativamente dipendenti da comunità differenti. L’impostazione di un simile disegno metaterritoriale fu, in epoca romana, tutt’altro che inusuale, essendo una soluzione adottata piuttosto di frequente in aree di bassa pianura e soprattutto in epoca cesariana e augustea.73 6.2.4. Gli assi principali Per quanto riguarda il riconoscimento degli assi generatori della limitatio, ci vengono in aiuto le informazioni catastali riportate sul cippo di San Pietro Viminario, grazie alle quali sappiamo che il cippo stesso era stato
L’agro centuriato sarebbe dunque venuto a comprendere, senza apparente soluzione di continuità, l’intero tratto di pianura compreso tra le città di Patavium e Ateste (Fig. 6.7). Per questo sembra improprio attribuire tale sistemazione
73 Lopez Paz, 1994: p. 87. Soltanto per citare qualche esempio, venne utilizzata in Istria (Marchiori, 2010) e in Spagna (Saez et al., 2006), mentre in Italia venne applicata in Puglia (Pompilio, 2003; Ceraudo e Ferrari, 2010) e nell’ager Campanus (Quilici Gigli, 2003).
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Il paesaggio trasformato
Figura 6.7. Ricostruzione ipotetica dell’agro centuriato con indicazione dei possibili assi maggiori della limitatio e i cippi gromatici rinvenuti al suo interno: A) Maseralino; B) San Pietro Viminario; C) Pernumia; D) Granze.
tempo presente a Maseralino, che reca incise lateralmente le lettere ‘IXI’ (Fig. 6.1b): sciolte come primus decussis primus, queste indicherebbero infatti che presso la località di Maseralino avvenisse l’incrocio tra i due assi maggiori della centuriazione.
originariamente collocato in corrispondenza del secondo decumanus a sinistra del DM. Considerando che si ritiene che il cippo sia stato ritrovato in situ, tale asse dovrebbe allora corrispondere alla traccia che da Reoso conduce alla località ‘il Cristo’; il DM, pertanto, lo si dovrebbe incontrare due centurie più a nord, ossia in corrispondenza di un limes del quale si conservano alcune tracce a sud di Battaglia Terme e che doveva passare per le località di Maseralino, Cartura e Arzercavalli (Fig. 6.7).
Tralasciando il fatto che la stessa località di provenienza del cippo è per lo meno alquanto dubbia, in quanto non sappiamo quale fosse la sua ubicazione originaria, ci si aspetterebbe che l’umbilicus della centuriatio, data la sua importanza, venisse segnalato con ben altro rilievo: per questo si potrebbe più ragionevolmente pensare che le lettere IXI servissero, più modestamente, a segnalare la presenza di un quadrifinium, ossia di un incrocio (indicato con la X) tra due assi centuriali minori (definiti con la lettera ‘I’).74
Più complesso è invece il riconoscimento del KM, in quanto l’indicazione sulla pietra è piuttosto imprecisa a riguardo, limitandosi a segnalare, con una ‘K’, la generica presenza di un kardo. Come è stato suggerito (Lazzaro, 1971-72), tale indicazione potrebbe in realtà sottintendere una ‘M’ che per qualche motivo non venne trascritta, così che si potrebbe pensare che il cippo si trovasse a ridosso del tracciato del KM e che questo avrebbe incontrato il DM a Maseralino. A sostegno di questa ipotesi, si considera solitamente la presenza di un secondo cippo cilindrico, un
74 Per la presenza di una ‘X’ incisa su un cippo come indicazione di un quadrifinium, vedi Expositio terminorum, 364, Lach., 14-15; per la
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L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium
Figura 6.8. Relazione geometrica tra gli itinerari di origine antica in uscita da Patavium e la trama teorica della centuriazione.
Non ritenendo quindi sufficientemente provato un suo passaggio per Maseralino, si potrebbe invece riconoscere il KM in un asse che si conserva come una traccia continua per oltre 12 centurie e che da Tribano porta fino a Cagnola (continuando poi in direzione di Bertipaglia – Fig. 6.7): questo asse corrisponde ad un tratto della medievale via Agna e avrebbe formato parte di un più antico itinerario che da Patavium, per Rovigo, doveva probabilmente condurre fino a Bononia (it. 2). In questo caso, l’incrocio tra DM e KM sarebbe potuto avvenire nei pressi della località di Fossalta di Cartura.
da Padova (Fig. 6.8). Abbiamo in questo senso già in precedenza evidenziato come alcuni itinerari coincidano con assi della centuriazione. Altri, invece, mostrano di rispettare particolari relazioni geometriche, attraversando ‘obliquamente’ il reticolo centuriale. Ad esempio, l’itinerario 3 diretto ad Adria, nel tratto oggi ripreso dalla strada Padova-Bovolenta (Fig. 6.8: n. 1), sembra tagliare in perfetta diagonale la trama teorica, secondo un rapporto di 1:1; ugualmente questo si verifica anche a nord est di Padova, con la strada Padova-Vigonza, probabile relitto di un originario itinerario diretto a Treviso/ Tarvisium, il quale continua un precedente tratto in uscita da Padova seguente una ratio di 3:4 (Fig. 6.8: n. 2).
6.2.5. Geometrismo della trama Un aspetto su cui vale la pena soffermarsi è la particolare relazione geometrica che la trama così ricostruita verrebbe ad instaurare con la rete itineraria in uscita
Ancora, l’itinerario 4 da Padova ad Altino (Fig. 6.8: n. 3), nel tratto tra Tombelle e Gambarare di Mira alterna invece un rapporto di 1:2 e di 1:3. Mentre l’itinerario 7, che da Padova raggiunge l’insediamento altomedievale di Piove di Sacco (Fig. 6.8: n. 4), sembra rispettare per gran parte
presenza di una ‘I’ come indicazione di una strada, vedi sempre Expositio terminorum, 363, Lach., 17-18 La.
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Il paesaggio trasformato
Figura 6.9. Relazione geometrica tra gli itinerari di origine antica in uscita da Ateste e la trama teorica della centuriazione.
della sua lunghezza un rapporto di 1:3; contrariamente a quanto si verifica con la strada Conselvana (Fig. 6.8: n. 5), parte dell’itinerario 2 e della medievale via Agna, dove tale rapporto diventa di 3:1.
(Fig. 6.9: n. 1) riprende per buona parte il tracciato di un cardine della centuriazione, il secondo (Fig. 6.9: n. 2) si dimostra essere una vera e propria via obliqua, rispettando con la centuriazione un rapporto geometrico di 2:3, mentre il terzo (Fig. 6.9: n. 3) sembrerebbe seguire un rapporto di 1:6.
Infine, una particolare ratio di 3:4 e 1:3 sembra essere rispettata anche dalla via detta ‘Arzeron della Regina’ (Fig. 6.8: n. 6) e una di 2:1 dall’itinerario 1 nel tratto tra Padova e Montegrotto (Fig. 6.8: n. 7).
L’esistenza di tutte queste relazioni tra viabilità e centuriazione non sembra casuale e ci suggerisce l’idea che il complesso piano di riorganizzazione territoriale che previde l’impostazione dell’agro centuriato venne ad interessare profondamente anche le principali direttrici che attraversavano il territorio: sembra infatti che il loro tracciato sia venuto volutamente ad adeguarsi alla trama teorica della centuriazione, instaurando delle particolari relazioni geometriche con essa.75
Meno evidenti sono tali rapporti con la viabilità in uscita da Este (Fig. 6.9), che risulta molto più condizionata dalla morfologia collinare e dall’andamento delle strutture dossive di origine fluviale sopra cui si impostarono i tracciati stradali per evitare allagamenti e impaludamenti. Particolari relazioni si rilevano tuttavia con l’itinerario 32, che probabilmente collegava Ateste a Bononia, con la traccia, visibile in foto aerea, dell’itinerario 20 diretto a Rovigo e, infine, con l’itinerario 19 nel tratto tra Deserto e Solesino (Peretto e Zerbinati, 1984: p. 75): se il primo
Sul rapporto tra viabilità e centuriazione e sull’esistenza di relazioni geometriche non casuali, vedi: Clavel-Lévêque, 1992; Peterson, 1992; Franceschelli, 2006.
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L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium
Figura 6.10. Traccia dell’itinerario 3 e sua relazione geometrica con la trama teorica della centuriazione.
Ragionando in questo senso, una relazione particolarmente interessante si è tuttavia rilevata con due lunghe tracce viarie rettilinee che le fotografie aeree evidenziano tra Codevigo e Lova di Campagna Lupia (Fig. 4.6) e a sud est del centro di Agna (Fig. 4.3). Nel primo caso si tratta di parte dell’itinerario Adria-Altino (it. 16), ovvero della via Popillia ed è piuttosto evidente come la traccia viaria attraversi diagonalmente la limitatio, rispettando una ratio di 4:1 (Fig. 6.8: n. 8); nel secondo, corrispondente a parte dell’itinerario Padova-Adria (it. 3), il rapporto appare meno evidente: tuttavia, se prolunghiamo ipoteticamente la linea della traccia verso nord ovest (ovvero in direzione del Monte Venda), possiamo osservare come anch’essa attraversi diagonalmente la divisione agraria, in questo caso secondo un rapporto di 1:4 (Fig. 6.10).
trama teorica della centuriazione, ritenendo più probabile il contrario, ovvero che sia stata in realtà quest’ultima ad adeguarsi al loro tracciato. Si potrebbe per questo pensare di riconoscere in tali relazioni due esempi del processo gromatico noto come varatio, in base al quale un tracciato stradale preesistente poteva essere utilizzato come asse generatore della centuriazione (Roth Conges, 1996; Chouquer e Favory, 2001: pp. 90-94): secondo tale procedimento, infatti, una griglia centuriale avrebbe potuto essere costruita a partire da un tratto stradale rettilineo che avrebbe agito come asse diagonale della limitatio, attraversando una o più unità della trama, a seconda della relazione angolare instaurata tra la strada e la divisione agraria e dal modulo della trama stessa. Nel caso della via Popillia, questa sarebbe stata effettivamente utilizzata come base per la costruzione della centuriatio, mentre il tratto della supposta via Annia sarebbe stato più probabilmente impiegato a livello teorico, come appoggio geometrico per la realizzazione della trama centuriale: è comunque interessante il fatto che, in entrambi i casi, i tracciati sarebbero stati pensati per fungere (a livello
Data la supposta antichità dei due tracciati, che dovettero essere realizzati intorno alla seconda metà del II sec. a.C. (cfr. cap 5.3.1) e il cui ruolo di assi ordinatori del paesaggio è quindi sicuramente precedente all’impostazione dell’ager centuriatus, è difficile credere ad un loro adeguamento alla 113
Il paesaggio trasformato Di particolare interesse, tuttavia, è la corrispondenza tra la trama teorica dell’ager centuriatus e le strutture del complesso monumentale di incerta interpretazione rinvenuto a Lova di Campagna Lupia.76 A seguito dell’ultima campagna di scavi effettuata nel 2012 (Asta, 2015) e ad un esame autoptico dei resti messi in luce, è infatti risultato piuttosto evidente come le strutture murarie appartenenti alla fase di epoca alto imperiale fossero quasi perfettamente isorientate con gli assi della centuriazione (Fig. 6.12): cosa che indurrebbe a pensare all’esistenza di una stretta correlazione tra la strutturazione augustea del complesso e la limitatio a sud di Padova.
pratico e teorico) da assi diagonali dell’agro centuriato attraverso il coinvolgimento di gruppi di quattro centurie. 6.2.6. Relazione con le strutture insediative di epoca romana La carta di distribuzione degli insediamenti di epoca romana mostra, in generale, una stretta correlazione con la rete viaria e le tracce degli assi di centuriazione documentati (fig. 6.4). Numerosi siti si collocano, infatti, a lato delle vie o si allineano con i limiti della centuriazione e plasmano un modello insediativo che sembra tenere una relazione diretta con la trama centuriata. Tale relazione appare ancor più evidente per i contesti funerari.
6.3. Proiezione cronologica Per quanto riguarda l’orientamento dei contesti abitativi rispetto al reticolo teorico, si è documentata la correlazione della trama centuriata con quasi tutti gli insediamenti che sono stati oggetto di scavi regolari e dei quali disponiamo pertanto di una planimetria nota (Fig. 6.11). In particolare, le strutture delle villae rusticae di Roncaglia (Baggio Bernardoni e Pesavento Mattioli, 1992), Pozzoveggiani (Franceschi et al., 2009), Brugine (Busana, 2002: pp. 270273), Villa del Bosco (Busana, 2002: pp. 287-289), via San Mauro a Montegrotto Terme (Bressan e Bonini, 2012: nn. MT 41, 43-45) e Fossa del Palo (Asta et al., 2016) mostrano una buona corrispondenza con l’orientamento della centuriazione suggerendo che, al momento della loro costruzione, generalmente inquadrabile in epoca augustea, questo fosse ben conosciuto.
Lo studio del popolamento ha evidenziato una dinamica di cambio nei modelli insediativi che potrebbe essere messa in relazione con la centuriazione e con le nuove divisioni e trasformazioni che l’occupazione antropica del territorio dovette generare. Si è infatti osservato come, a partire dall’epoca augustea, gli insediamenti inizino a caratterizzarsi per una maggiore diffusione rispetto alla precedente fase repubblicana (II-I sec. a.C.), occupando zone precedentemente non abitate ed organizzandosi secondo il sistema della cosiddetta villa rustica, modello che si mantiene vitale fino almeno alla fine del II sec. d.C. Questa maggiore espansione degli insediamenti potrebbe significare che, in epoca augustea, avvenne un cambiamento nell’organizzazione del popolamento rurale, cambiamento che si potrebbe allora mettere in relazione proprio con l’impianto della centuriatio. Una simile datazione pare coerente col fatto che, proprio durante il principato di Augusto, Patavium, centro che risulta pienamente coinvolto nell’intervento di centuriazione, sia fatta oggetto di una risistemazione dell’assetto urbanistico (Ruta Serafini et al., 2007), così come avviene per altri importanti insediamenti nel territorio, quali i complessi sacri dell’area termale euganea (Abano e Montegrotto) e l’area monmentale di Lova di Campagna Lupia (Bonetto, 2009: pp. 335-340). La presenza di dediche di soldati e veterani delle legioni augustee dall’area del santuario del colle Montirone ad Abano aveva d’altra parte già fatto ipotizzare a Lazzaro la possibilità che la pianura a sud di Padova potesse essere stato fatto oggetto di un intervento di centuriazione proprio in età augustea (Lazzaro, 1983: pp. 85-90). Sulla base di queste considerazioni, si potrebbe quindi pensare che, con Augusto, si sia messo mano ad un intervento di ristrutturazione che coinvolse principalmente i centri urbani, ma al quale dovette insieme associarsi anche una profonda opera di riorganizzazione Il complesso di Lova viene comunemente ritenuto un santuario dedicato ad una divinità al momento sconosciuta che, sorto in epoca repubblicana (metà II sec. a.C.), sarebbe poi stato intenzionalmente distrutto nel corso del I sec. d.C. (Bonomi e Malacrino, 2011a). Recentemente, tuttavia, una nuova interessante lettura suggerisce che in esso potrebbe invece riconoscersi il centro amministrativo-religioso di una realtà insediativa minore tipo vicus o forum (Girotto e Rosada, 2015: pp. 162-167).
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Figura 6.11. Isoorientamento delle strutture murarie della villa rustica di Roncaglia di Ponte San Niccolò con gli assi della centuriazione (rielaborazione da Baggio Bernardoni e Pesavento Mattioli, 1992).
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L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium
Figura 6.12. Isoorientamento delle strutture del complesso monumentale di Lova di Campagna Lupia con gli assi della centuriazione (elaborazione dell’autore).
Tuttavia, vi è un altro elemento che porterebbe a datare l’impianto di tale centuriazione in epoca augustea, ovvero il particolare modulo impiegato, di 15x20 actus. Sappiamo, infatti, che già i catasti cesariano-triumvirali utilizzarono moduli differenti rispetto a quello classico di 20 actus, con lo scopo di realizzare una migliore divisione interna delle centurie in funzione delle particelle da assegnare ai futuri coloni (Lopez Paz, 1994: pp. 85-96). Gli agrimensori ci informano, in particolare, di un tipo di modulo caratteristico delle assegnazioni dei triumviri, che constava di particelle di 50 iugera. Come ci ricorda Igino Gromatico (De lim., 110, 8-13), per ottenere questa superficie di terreno, si divideva generalmente ogni centuria in tre o quattro parti, definite trifinia o quadrifinia: questa distribuzione si realizzava tanto su quadrati di 10x10 quanto su rettangoli di 20x5 actus. Il modulo di 15x20 actus si avvicina molto
territoriale che comportò l’impianto di una centuriatio. Archeologicamente, la possibilità che questo intervento vada ascritto ad epoca precedente alla riforma gromatica di Nerone, a seguito della quale venne introdotto l’uso di termini parallelepipedi (come quelli di San Pietro Viminario, Granze e, verosimilmente, di Rubano),77 sarebbe suggerito dalla presenza di numerosi cippi cilindrici in trachite, sia decussati (come quelli di Maseralino e Pernumia),78 sia anepigrafi (Fig. 6.13),79 rinvenuti in varie località all’interno dell’ager centuriatus. A Granze, nei primi anni ‘80 del secolo scorso, si rinvennero due cippi parallelepipedi in trachite decussati, pur se anepigrafi (Bianchin Citton e Zerbinati, 1994: p. 40; Corrain, 1994: pp. 66-67). A Rubano, invece, lungo la strada Mestrina in direzione di Mestrino, nel 1752 era ancora visibile, subito a ovest del centro abitato, un ‘antico termine quadrato di pietra di macigno detto la pietra Fosca’ che poteva forse essersi trattato di un cippo gromatico parallelepipedo (cfr. Bonetto, 1999: p. 91). 78 Nella proprietà Zecchin sita in località Rovina a Pernumia, durante lavori di aratura si rinvenne un cippo cilindrico con incisa sulla sommità una decussis e, lateralmente, le lettere N H/G C. I segni di interpunzione suggerirebbero una datazione al I sec. a.C., ma l’uso della lettera G porta a datazione molto più tarda e fa pensare ad un riutilizzo, per cui l’appartenenza ad un contesto romano non sembra del tutto certo (Menesello, 2006-07: p. 28 n. 7.2). 79 Si tratta di manufatti in trachite rinvenuti durante lavori di aratura, alcuni a San Pietro Viminario, Carrara Santo Stefano e Reoso (Sabbion, 77
2002b: p. 28), altri nel territorio di Campagna Lupia, dove sono oggi conservati presso le chiese di Santa Giustina di Lova e di Santa Maria di Lugo (Fig. 6.13). A queste testimonianze potremmo forse aggiungere anche la ‘colonna in trachite’ trovata presso la stazione di Abano e già ritenuta un miliare da Lazzaro (1981: pp. 82-83). Il probabile impiego di questi cippi in funzione di indicatori di un incrocio tra limites centuriali sarebbe suggerito dalla loro analogia con altri manufatti simili ritrovati in altri territori centuriati (cfr. Masiero, 1999).
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Il paesaggio trasformato
Figura 6.13. Probabile cippo gromatico anepigrafo in trachite di forma cilindrica proveniente dal territorio di Campagna Lupia e oggi conservato presso la chiesa di Santa Maria di Lugo.
territori cittadini e delle terre private, sia in Italia che nelle province’ (Maganzani, 2018). Probabilmente dovremmo pensare ad un intervento importante, con operazioni di agrimensura che favorirono anche l’impianto di nuovi modelli di popolamento e di sfruttamento del territorio basato sul sistema della villa.
a quest’ultimo criterio, in quanto permette la suddivisione interna delle centurie in tre parti esatte di 50 iugera formate da rettangoli di 20x5 actus (Chouquer e Favory, 1991: pp. 148-152; Palet, 2003: p. 218). Per la presenza di tale modulo, pertanto, la trama centuriata a sud di Padova potrebbe inquadrarsi in epoca cesariano-triumvirale, datazione che risulterebbe coerente con il rango di municipium che sia Patavium, sia Ateste assumono in questo momento e con i cambi di modelli insediativi documentati a partire dall’epoca augustea. Tuttavia, l’uso del modulo di 15 actus potrebbe situare tale intervento pienamente in epoca augustea, poiché sappiamo che questo modulo venne impiegato da Augusto in diverse operazioni catastali da lui promosse, tanto in Italia80 quanto in Hispania.81
La presenza di vari cippi parallelepipedi nel territorio sembra tuttavia indicare che, intorno alla seconda metà del I sec. d.C., l’agro centuriato sia stato coinvolto in una ridefinizione catastale (o renormatio): sulla base delle informazioni fornite dalle fonti, si potrebbe allora collocare questo secondo intervento in epoca flavia, momento in cui sappiamo essere promulgate da Vespasiano alcune leggi per revisionare la sistemazione dei termini centuriali (Chouquer e Favory, 2001: pp. 208-209). 6.4. Evoluzione del territorio centuriato tra Tarda Antichità e Altomedioevo
Tenendo conto di tutti questi criteri, si ritiene quindi di poter suggerire per questo intervento di centuriazione una datazione di epoca augustea, momento storico che, d’altra parte, le fonti associano ad un grande impegno profuso ‘nella misurazione, catastazione, registrazione dei
In tutta la pianura a sud di Padova, le dinamiche di popolamento sembrano subire un forte cambiamento a partire dal III sec. d.C., ovvero quando, a livello archeologico, diviene evidente una graduale diminuzione nel numero degli insediamenti che, tra IV e V sec. d.C., porta ad un pressoché completo abbandono della gran parte dei siti frequentati in epoca alto imperiale.
80 Il modulo di 15 actus venne infatti adottato nella maggior parte degli assetti centuriali di epoca augustea del Lazio e della Campania (Chouquer e Favory, 1991: pp. 16 e 136; Chouquer e Favory, 1992: p. 102). Potrebbe inoltre essere stato impiegato anche nell’ager centuriatus di Altinum, se consideriamo che le varie ipotesi formulate in passato circa l’esistenza di centurie di 30x40 (Fraccaro, 1957), 15x40 (Bradford, 1947) o 30x20 actus (Dilke, 1971: p. 85), sono tutte in realtà riconducibili alla misura originaria di 15x20 actus. Non così Frassine e Primon, 2011, che suggeriscono invece l’adozione di un più classico modulo di 20x20 actus. 81 Si tratta delle centuriazioni di Caesaraugusta (Ariño-Gurt-Palet, 2004: p. 56), Barcino (Palet-Fiz-Orengo, 2009) e Tarraco (Palet e Orengo, 2011).
È possibile, per non dire probabile, che proprio in quest’epoca inizi anche il degrado dell’agro centuriato, con la perdita della sua funzione originale quale trama di organizzazione dell›insediamento e dello sviluppo economico del territorio. Il progressivo abbandono delle campagne, associato al contemporaneo peggioramento
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L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium cui verrà progressivamente a formarsi quella serie di reti viarie radiali che, nel tempo, produrranno cambiamenti e modifiche decisive nella morfologia dell’antico ager centuriatus.
delle condizioni climatiche che, tra IV e X sec., si caratterizzano per un ciclo piovoso particolarmente elevato che porta i corsi d›acqua a frequenti episodi di sovralluvionamento (Fontana et al., 2008; Cheyette, 2008; Cremonini-Labate-Curina, 2013), avrebbe infatti condotto alla parziale cancellazione dell’antico disegno agrario, portando alla formazione, nelle aree più depresse, di estese formazioni palustri.
Per quanto riguarda invece le aree dove il disegno centuriale si è preservato con maggiore evidenza, si potrebbe pensare che a tale conservazione abbia contribuito anche una certa costanza nel suo mantenimento che non sarebbe mai venuta meno, forse anche grazie all’impiego di specifiche figure professionali. A questo proposito, recenti studi sulla tradizione degli scritti di agrimensura di età romana suggeriscono che, ancora in epoca tardoantica, dovette continuare ad esistere la figura dell’agrimensor il quale, lungi dall’essere coinvolto nel processo di decadenza, avrebbe operato concretamente nel territorio.83 A sostegno di questo c’è sostanzialmente il fatto che la prima redazione, come compendio, del Corpus Agrimensorum Romanorum si daterebbe a fine V-inizi VI secolo, mentre una seconda ricompilazione sarebbe avvenuta a fine VIinizi VII sec.84
Se è pur vero che tali fenomeni alluvionali dovettero verificarsi certamente anche in epoca alto imperiale, è chiaro che il generale spopolamento cui andò soggetto l’agro centuriato nel basso impero e la mancanza in quest’epoca di un’autorità centrale forte, dovettero impedire o, quanto meno, ostacolare fortemente il reperimento delle risorse, economiche ma soprattutto umane, necessarie alla messa in opera di quegli interventi di ripristino della rete drenante che, in un comprensorio idrograficamente alquanto instabile, risultano assai importanti per poter conservare un equilibrio favorevole a un intensivo sfruttamento agricolo.
Bisogna tuttavia dire, a onor del vero, che se anche tramandano i testi fondamentali dell’arte agrimensoria, le fonti non sembrano ricordare l’attuazione di programmi di occupazione del suolo in epoca tardoantica e lo stesso succede se guardiamo alle evidenze archeologiche. Si potrebbe pertanto pensare che, nella pratica, questi agrimensori postclassici si confrontassero con situazioni pregresse, per le quali doveva imporsi la risoluzione di questioni relative alla ridefinizione dei confini di proprietà, con tracciamento di nuove ripartizioni, e l’impostazione di interventi di sistemazione e ripristino degli antichi limites. La logica stessa suggerirebbe, comunque, di pensare che il processo di colonizzazione delle terre non si sia fermato e che abbia anche potuto implicare la creazione ex-novo di parcellazioni più o meno geometriche, che è ragionevole ritenere si estendessero su superfici estremamente ridotte e con l’impiego di unità di misura molto più piccole di quelle della centuria classica.
È quindi verosimile pensare che la mancata continua manutenzione di opere di presidio adatte a superare queste calamità naturali abbia finito per favorire il formarsi di contesti di palude e il massiccio ritorno della copertura boschiva, come bene indicano le fonti medievali che, tra X e XIII sec., ricordano con frequenza la presenza di paludes, valles, silvae e nemora un po’ in tutto il territorio. Una condizione che rimase peraltro caratteristica della bassa pianura padovana fino a tempi relativamente recenti, come suggerisce ancora oggi la presenza di una nutrita serie di toponimi legati a particolari condizioni ambientali e tipiche soprattutto di contesti palustri.82 Nonostante molte delle strutture agrarie antiche vengano probabilmente a scomparire con l’insorgere del cambiamento climatico, sembra che la rete viaria romana rimanga comunque in funzione, almeno nelle sue linee principali, tanto da costituire il maggiore elemento di continuità dell’assetto insediativo tardoantico/ altomedievale e il principale veicolo di cristianizzazione delle campagne. Risulta infatti piuttosto evidente dall’analisi archeomorfologica come la maggior parte delle chiese, dei castelli e dei villaggi sorti (o comunque noti) in epoca altomedievale si distribuisca e si orienti seguendo lo sviluppo longitudinale dei più antichi assi centuriali (Fig. 6.14). Tuttavia, se la nascita di questi stessi insediamenti può essere vista come indicatore di una particolare vitalità dell’antico disegno centuriale in età post-classica, bisogna d’altra parte riconoscere in essa anche una delle cause principali della sua (parziale) cancellazione, in quanto porterà al costituirsi di importanti e forti punti di riferimento per la popolazione rurale attorno
Per quanto riguarda il nostro territorio, una sicura ripresa degli interventi di riassetto agrario si ebbe in epoca altomedievale, sotto la spinta dell’accresciuto bisogno di terre da coltivare e attraverso la costituzione del sistema dei casalia longobardi prima e delle curtes carolingie poi (Bortolami, 2008b: p. 25). Nella bassa pianura padovana un ruolo importante in questo momento è giocato anche e soprattutto dalla chiesa di Padova (in particolare dai
83 Toneatto, 1994: pp. 18-19 e 55; Del Lungo, 2004: pp. 4-25, 72-76. Grazie in particolare alle opere di tre autori enciclopedisti di VI-VII sec. – ovvero Boezio, Cassiodoro e Isidoro – le conoscenze geometriche e aritmetiche antiche si sarebbero infatti tramandate, garantendo la trasmissione e la diffusione di una pratica della misura che starebbe alla base dell’agrimensura medievale (Chouquer e Favory, 2001: pp. 268271). 84 Ariño-Gurt-Palet, 2004: pp. 185-199. Gli stessi commentari all’opera di Frontino sono d’altra parte stati aggiunti nei secoli V-VI.
82 Si pensi ad es. ai vari Vanzo, Paltana, Paluello, Gorgo, Bagnarolo, Gambarare, Monticelli, Isola, Motta, Tomba ecc. Cfr. Barbierato, 1993.
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Il paesaggio trasformato
Figura 6.14. Relazione tra gli insediamenti altomedievali (IX e X sec.), rete viaria ortogonale e trama teorica della centuriazione.
monaci del monastero di Santa Giustina) e da alcuni monasteri benedettini (Santi Ilario e Benedetto, San Giorgio di Fossone, San Michele di Brondolo) che, sorti tra VII e VIII sec. in aree caratterizzate dalla presenza d’importanti insediamenti portuali di epoca romana, tra XI e XIII sec. iniziano ad acquisire progressivamente il controllo preponderante delle terre situate nella pianura interna (Brogiolo e Sarabia, 2017: p. 157).
cioè ‘disboscare’, brusare o ardere in relazione ad abitati sorti a seguito del dissodamento di aree boschive,85 o da campo, ad indicare una nuova terra messa a coltura.86 Senza dubbio, questi interventi superarono il mero conservatorismo precedente per andare a creare nuove divisioni agrarie e nuove sistemazioni particellari che, ben evidenziate dall’analisi archeomorfologica (Fig. 6.15), vennero ulteriormente a modificare e a cancellare la più antica trama centuriata.
All’iniziativa di queste istituzioni statali ed ecclesiastiche si può quindi legittimamente attribuire una prima serie d’iniziative di bonifica e di rimessa a coltura del territorio, come attesta la presenza, nelle fonti altomedievali, di toponimi derivati da runcare,
85 Vedi ad es. Runki (oggi Ronchi di Casalserugo), ricordato nel 874 (Bortolami, 2008b: p. 25) o Runcoliutari (attuale Roncajette), menzionato nel 918 (Barbierato, 1993: pp. 57-58 n. 92). 86 Ad es. Campolongo, Camponogara, ecc.
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L’organizzazione del paesaggio agrario: evidenze di una centuriatio nell’ager meridionale di Patavium
Figura 6.15. L’analisi archeomorfologica ha permesso di individuare alcuni sistemi ortogonali minori che vengono a sovrapporsi al disegno più antico e che potrebbero riconoscersi come interventi di strutturazione del territorio effettuati in epoca medievale.
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Capitolo 7 Dinamiche di occupazione della pianura tra II sec. a.C. e VI sec. d.C. Abstract: The Roman presence in the plain south of Padua begins to be perceived during the 3rd cent. BC, although it is only with the 2nd cent. and after the establishment of the colonia of Aquileia in 181 BC. that it really began to be felt and to interact on the political, economic and above all socio-cultural level with the former Venetic population. In this historical moment, the territory sees the building of important routes (among them the viae Annia, Popillia and Aemilia) linking Aquileia to other Roman strongholds such as Bononia, Ariminum, and Mutina. This, together with the presence of Roman proconsuls intervening to define the boundaries between Venetic communities, suggests that around the middle of the century, Venetia is now Roman territory and maybe part of the province of Cisalpine Gaul. With the 1st cent. BC, after the granting of Latin rights (89 BC) and full Roman citizenship (49–42 BC) and, above all, after the abolition of the province at the request of Augustus in the aftermath of the Battle of Philippi (42 BC), we can observe the complete Romanisation of Venetia, with important structural changes standing out also in the territory studied: the beginning of a rural peopling that would have its explosion during the Augustan and High Imperial periods; restructuring of the main urban centres; complete territorial reorganisation, with designing and building of centurial systems and redefinition of waterway and road networks. At the end of the 2nd cent. AD, the first decline in the peopling of the countryside begins, and would continue during the 3rd cent. and, despite a recovery in the 4th cent., would result in a general depopulation of the territory between the 5th and 6th centuries, favoured by the contemporary economic, political and social crisis lived through by the Western Empire and the failed attempt at a reconquest of the Eastern one. However, we not dealing with a complete depopulation of the countryside, but simply an evident decrease emphasised by contemporary climate change, which, favouring marine ingressions along the coast and the formation of large marsh areas all over the inner plain, leads to a sharp change in settlement strategies. A very strong resumption of settlement and the beginning of a new season of landscape structuring would then take place in the Early Middle Ages and, subsequently, between the 11th and 13th centuries. continuò successivamente durante le guerre annibaliche, a seguito delle quali i Romani presero pieno possesso delle terre a sud del Po, concretizzando la loro presenza all’inizio del II sec. a.C. attraverso la fondazione delle coloniae romanae di Bononia prima (189 a.C.) e di Mutina e Parma subito dopo (183 a.C.). Da questo momento in poi i contatti e le ingerenze dei Romani con la Venetia divengono più consistenti, culminando nel 181 a.C. con la fondazione della colonia latina di Aquileia in una fascia orientale delle terre venete al confine con la turbolenta popolazione dei Carni.
7.1. La fase di Romanizzazione (III-I sec. a.C.) La presenza romana nella pianura a sud di Padova comincia a percepirsi nel corso del III sec. a.C., anche se in questo momento si tratta più che altro di testimonianze sporadiche relative alla cultura materiale, soprattutto reperti ceramici e numismatici in contesti per lo più funerari e comunque limitati alle aree urbane. Un’evidenza che non sembra comunque casuale, in quanto è questo il momento in cui i Romani, a seguito della loro politica espansionistica verso settentrione, si affacciano sulla pianura Padana entrando in contatto con le popolazioni che vivevano trans Padum.
È possibile che, nonostante il silenzio delle fonti, al momento della fondazione di Aquileia le relazioni tra Veneti e Romani fossero regolate da un qualche trattato di alleanza (un foedus), che doveva rispettare l’autonomia veneta, pur riconoscendo una preminenza alla parte romana, quantomeno dal punto di vista militare (Sartori, 1981; Rigoni, 2003): solo in questo modo si potrebbe infatti spiegare l’accettazione, da parte dei Veneti, di una colonia latina ai confini del proprio territorio. Questo, tuttavia, è anche il segno che l’indipendenza politica veneta è quasi del tutto scomparsa, come d’altra parte ben dimostra l’episodio del proconsole Marco Emilio Lepido che, nel 175 (o 174) a.C., viene inviato nella Venetia dal
Come i dati archeologici parrebbero suggerire, è plausibile pensare che già all’indomani della fondazione della colonia latina di Ariminum (268 a.C.), con cui resero stabile la loro presenza a nord degli Appennini, i Romani abbiano iniziato a instaurare dei rapporti, quantomeno di buon vicinato, con la popolazione dei Veneti. Certamente le fonti ricordano nel 225 a.C. una partecipazione di questi ultimi, assieme ai Cenomani (allora attestati nella zona veronese), quali alleati dei Romani nella guerra contro gli Insubri e i Boi, conclusasi nel 222 a.C. con la battaglia di Clastidium e con la fondazione delle coloniae latinae gemelle di Cremona e Placentia (218 a.C.). Quest’alleanza 121
Il paesaggio trasformato Senato di Roma per contrastare una seditio scoppiata all’interno della città di Patavium (Livio, 41, 27, 3-4).
nei corredi, delle ceramiche locali sostituite da ceramica a vernice nera, balsamari in vetro, lucerne e olpai.87
A riprova del fatto di come Roma considerasse ormai il territorio insediato dai Veneti una sua proprietà, altri due proconsoli saranno inviati, nel 141 e nel 135, secondo le testimonianze epigrafiche, a risolvere questioni riguardanti i confini territoriali tra le comunità di Patavium, Ateste e Vicetia (Buonopane, 1992). La presenza di una formula impositiva come statui iusit e il fatto che, pur essendo in area veneta, il testo fosse redatto in lingua latina e non nella lingua locale (o quantomeno nelle due lingue) sembra rafforzare l’ipotesi che Roma esercitasse nella zona un’attiva ingerenza politica assai simile al protettorato, lasciando pochi dubbi riguardo al fatto che la precedente autonomia si fosse ormai trasformata in una soggezione de facto, se non de iure, alla potenza romana (Bosio, 1992: pp. 178-180).
Tuttavia, è a livello insediativo che forse questa integrazione si nota maggiormente. Osservando infatti la situazione del popolamento di II sec. a.C. (Fig. 5.9), appare evidente come i siti attestati in questo periodo, siano essi contesti abitativi o funerari, vengano praticamente a sovrapporsi a quelli documentati tra IV e III sec. a.C. (Fig. 5.8), suggerendo che, nonostante la forte presenza romana, il modello d’insediamento rimanga fondamentalmente lo stesso. I siti si ubicano prevalentemente lungo i principali corsi fluviali e a ridosso di importanti direttrici terrestri: di queste, quattro corrono in senso nord-sud – una a ridosso dei Colli Euganei, una lungo la costa e altre due più interne – garantendo le comunicazioni tra Patavium e i centri urbani di Ateste e di Atria da un lato e i territori cispadani dall’altro; una quarta, in senso est-ovest, attraverso Vicetia, Patavium e Altinum, collega l’area Cenomane (Verona) e quella Retica (Tridentum) con Aquileia e le terre più orientali.
Il riflesso di questo progressivo affermarsi e consolidarsi della presenza romana nell’area veneta è particolarmente evidente, a livello archeologico, nella struttura urbana di Patavium che, proprio a partire dalla fine del III sec. a.C. e, con maggiore evidenza, nel corso del II, è oggetto di una generale risistemazione che non sembra frutto dell’evoluzione interna alla comunità patavina, quanto piuttosto l’effetto di nuove influenze provenienti dall’esterno. Tale rimodellamento, che ha come principale effetto l’espansione delle strutture abitative oltre i precedenti limiti urbani, si manifesta attraverso la definizione di ricche residenze che adottano soluzioni planimetriche e decorative tipiche del mondo italico e romano e l’introduzione del laterizio e dell’intonaco tra i materiali costruttivi (Ruta Serafini et al., 2007). Il fatto che a questi caratteri innovativi si associno anche caratteri più tradizionali (come l’uso di zoccoli lapidei o l’utilizzo di scaglie e pezzi di trachite euganea nelle fondazioni), farebbe tuttavia pensare all’esistenza di un incontro, più che di uno scontro, tra tradizioni differenti. In questo senso, quelle che potremmo definire domus ‘alla romana’ non andrebbero viste come residenze commissionate e abitate da nuovi conquistatori, quanto piuttosto l’adeguamento dei vecchi membri dell’élite veneta al nuovo costume romano. Che d’altra parte le innovazioni si instaurino a livello culturale, più che etnico, lo dimostra anche il persistere, nella nuova sistemazione, del precedente assetto urbanistico definitosi nel corso del VI sec. a.C. (Lotto, 2012: pp. 112-114).
La mancanza di dati riferibili a contesti scavati con metodo stratigrafico rende tuttavia difficile stabilire se per questi siti si tratti effettivamente di continuità di vita tra III e II sec. a.C. o se, invece, vi sia stata una rioccupazione da parte di gruppi di genti latine: le evidenze emerse da ricognizioni di superficie, dove frequentemente si rileva la presenza di ceramica grigia e ceramica da cucina di tradizione venetica accanto a materiale tipicamente romano (monete, anfore e ceramica a vernice nera), sembrerebbero comunque essere un buon indicatore di un’avvenuta osmosi tra Veneti e Romani (cfr. Cassani et al., 2007; Donat, 2009). A livello territoriale, l’arrivo dei Romani non sembra quindi corrispondere ad un cambio netto rispetto alla precedente strategia di occupazione, che non solo venne mantenuta, ma anche potenziata, con il crearsi di nuove realtà insediative. Il fatto che molte delle strutture che sembrano sorgere in questo momento presentino una mescolanza di caratteri veneti e romani, indizierebbe ancor più che la forma di controllo territoriale fosse gestita in un qualche modo condiviso. L’addensarsi di queste realtà lungo importanti direttrici viarie, suggerisce d’altra parte l’idea che la prima preoccupazione dei Romani, al momento della fondazione di Aquileia, fosse diretta a garantirsi il controllo delle principali vie di comunicazione che attraversavano il territorio e che permettevano di collegare la nuova colonia con le roccaforti meridionali di Ariminum, Bononia e Mutina, risultando per questo estremamente importanti nella politica espansionistica di Roma verso nord est.
Anche a Patavium e nel territorio a sud della città, il progressivo aumento di materiale ‘tipicamente’ romano durante il II sec. a.C. rende evidente l’inizio di un graduale processo di romanizzazione che porta all’integrazione, piuttosto che alla disintegrazione, dei caratteri tipici della cultura veneta (Rossi, 2016: pp. 163-168). Questo processo è piuttosto evidente nelle aree necropolari che, tra II e I sec. a.C., mostrano il graduale passaggio da una forma tradizionale di deposizione in cui prevalente è l’uso nei corredi di ceramica locale, ad una concezione tipicamente italica degli aspetti funerari, caratterizzata dalla standardizzazione delle sepolture, con la scomparsa,
Questo atteggiamento si evince anche dalle fonti, sia scritte sia epigrafiche, che testimoniano la particolare cura riservata in quest’epoca dai Romani alla sistemazione 87 Per quanto riguarda il territorio a sud di Padova, esemplari in questo senso sono le necropoli di Arquà Petrarca (Padova) e di Baone-Valle San Giorgio (Gamba, 2015).
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Dinamiche di occupazione della pianuratra II sec. a.C. e VI sec. d.C. esempio è il complesso messo in luce in località Turri a Montegrotto Terme (Bonomi e Vigoni, 2012), si mostrano come strutture a carattere residenziale e produttivo di chiara ascendenza romano-italica, evidente tanto nelle tecniche costruttive quanto e soprattutto nella pianta, che le rende assimilabili alle villae rusticae della tradizione romana tardo-repubblicana.
infrastrutturale dei tracciati viari. Da un poco chiaro passo di Strabone (V, 1, 11), sappiamo ad esempio dell’esistenza di un tracciato viario che da Bononia permetteva di raggiungere Aquileia, la cui realizzazione il geografo di Amasea assegna al console M. Aemilius Lepidus, lo stesso che nel 187 a.C. aveva promosso la costruzione della via Aemilia tra Ariminum e Placentia, ma che potrebbe invece essere riferita ad uno dei consoli omonimi in carica durante la seconda metà del II sec. a.C. (cfr. cap 5.3.1). Questo tracciato corrisponde forse a quell’item ab Aquileia Bononiam che l’Itinerarium Antonini (281-282) indica passante per Patavium e Ateste, suggerendo quindi di riconoscerlo nell’itinerario che collega Padova ad Este scendendo lungo il margine orientale dei Colli Euganei (it. 1).
Sembra difficile non vedere in questo progressivo aumento delle evidenze e degli influssi romani un riflesso degli avvenimenti che in questo secolo coinvolgono la Venetia e l’intera Cisalpina. Come è noto, infatti, quasi a sancire un’ormai avvenuta osmosi culturale tra il mondo indigeno e quello romano, la lex Pompeia dell’89 a.C. viene a concedere il diritto latino alle principali comunità cisalpine, poi trasformato in piena cittadinanza dalla lex Roscia fatta approvare da Giulio Cesare nel 49 a.C. Intorno quindi alla metà del secolo, i più importanti centri veneti, tra cui rientrano senz’altro Patavium, Ateste e Atria, divengono municipia civium Romanorum: questo significa necessariamente l’inizio di un processo di ridefinizione dei centri stessi, sia da un punto di vista amministrativopolitico, sia infrastrutturale, tanto urbanistico quanto territoriale. Non sembra pertanto casuale che, proprio nel corso del I sec. a.C., a Patavium vengano realizzati i primi ponti lapidei e le strutture abitative mostrino i segni di importanti ristrutturazioni (Bonetto, 2009: pp. 134143), così come contemporaneamente appare evidente ad Ateste (Bonetto, 2009: pp. 107-110) e ad Atria (Mimmo, 2006; Bonetto, 2009: pp. 122-127). Allo stesso tempo, l’insediamento s’intensifica ulteriormente nel territorio, con l’apparizione di nuovi contesti abitativi di carattere italico, e le necropoli mostrano i segni di un’ormai avvenuta assimilazione della ritualità romana.
Alcuni documenti epigrafici testimoniano inoltre la costruzione o, meglio, la risistemazione anche degli itinerari Padova-Altino (it. 4), effettuata verosimilmente da T. Annius Luscus nel 153 a.C. (cfr. cap 5.3.1) e AdriaAltino (it. 16), opera di P. Popillius Laenas nel 132 a.C., il quale potrebbe non essere estraneo anche alla realizzazione nell’area deltizia di una fossa diretta a collegare quello che allora era il corso principale del Brenta sfociante a Malamocco con l’area portuale di Altino. Mentre la presenza di un ricco tesoretto di denari e vittoriati, interrato intorno al 125 a.C. nel territorio di Maserà, suggerisce che anche l’itinerario Padova-Bagnoli (it. 2), originariamente forse diretto a Bononia, possa essere stato oggetto di una risistemazione nella seconda metà del II sec. a.C. Le attestazioni relative alla definizione di tali percorsi viari a partire dalla metà del secolo sono cronologicamente coerenti con gli interventi di definizione dei confini tra le comunità patavina, atestina e vicentina databili tra 141 e 135 a.C. Questo aspetto farebbe pensare che la strategia di controllo messa in atto in questo momento dai Romani, se da un lato viene a continuare il sistema creatosi in epoca protostorica, dall’altro consideri ormai la Venetia come territorium della Res Publica, e fornirebbe inoltre ulteriori indizi circa la possibilità che intorno alla seconda metà del II sec. a.C. si possa effettivamente collocare la data di creazione ufficiale della provincia della Gallia Cisalpina, così come suggerito da alcuni studiosi.88 In questo senso, non sorprende che dalla metà del secolo si avverta nel territorio, a livello archeologico, un notevole incremento delle attestazioni di cultura materiale tipicamente ‘romana’ e si abbia la percezione di un netto mutamento, a livello sociale e culturale, rispetto alla situazione precedente.
Probabilmente in questa fase si vennero a realizzare il grande ager centuriatus il cui disegno ancora in buona parte si conserva a nord est di Padova (Cresci Marrone, 2012) e, soprattutto, la limitatio che le foto aeree e satellitari hanno permesso di rilevare a nord ovest di Adria (Matteazzi, 2017a), la cui esistenza è ampiamente suggerita dai dati archeologici attestanti un considerevole aumento del popolamento nel territorio centuriato a partire dalla seconda metà del I secolo a.C. (Fig. 7.1). L’attuazione di un tale intervento di centuriazione in un’area di bassa pianura da sempre idraulicamente molto instabile e facilmente soggetta ad allagamenti e impaludamenti venne certamente favorita dall’instaurarsi di nuove condizioni climatiche, che ebbero la loro acme tra I sec. a.C. e I sec. d.C. (Ortolani e Pagliuca, 2000) e comportarono una regressione marina e una certa stabilizzazione del flusso fluviale, che permise di ritagliare nuovi spazi all’antropizzazione facilitando l’insediamento e le opere di bonifica agraria.
Questo diviene ancor più evidente nel corso del I sec. a.C., quando si nota un progressivo aumento degli insediamenti, che vengono a concentrarsi particolarmente nella seconda metà del secolo. Tali insediamenti, dei quali un buon
7.2. L’epoca augustea (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.)
88 Cassola, 1991. Secondo Sisani (2016: pp. 93-96), in particolare, la costituzione della provincia della Gallia Cisalpina potrebbe essere avvenuta tra il 143 e il 111 a.C., in questo contrastando decisamente l’ipotesi generalmente più condivisa che farebbe invece risalire tale circostanza ad un provvedimento di epoca sillana (Migliario, 2010: p. 100).
Un momento decisivo nelle dinamiche del territorio è però senz’altro legato alla volontà di Ottaviano, maturata all’indomani della battaglia di Filippi (42 a.C.), di 123
Il paesaggio trasformato
Figura 7.1. La pianura a sud di Padova tra la fine del I sec. a.C. e il II sec. d.C.
Con il motivo di questa ripartizione, a seguito della quale la Venetia venne inclusa nella decima regio Italiae, è presumibile pensare che il princeps sia intervenuto innanzitutto a delineare agri e fines delle nuove comunità civium Romanorum (municipia e coloniae) che erano venute costituendosi a partire dall’epoca di Cesare. Evidenza di questo intervento nel territorio a sud di Padova potrebbero allora essere le iscrizioni che definiscono i fines inter Patavinos Atestinosque, ritrovate a Teolo, sul Monte Venda e a Galzignano Terme (cfr. cap 3.1). Nei primi due casi, infatti, il testo in cui il proconsole L. Caecilius sancisce i confini tra le due comunità per ordine del Senato, compare in due distinte versioni, che la diversità dei caratteri paleografici suggerisce essere state eseguite in due differenti momenti: una prima volta, verosimilmente, quando vennero materialmente tracciati i confini (in questo caso nel 141 a.C.); e in un secondo momento, quando si volle sancire in via definitiva quanto in precedenza stabilito (Buonopane, 1992: pp. 220-223). È quindi molto probabile che, come suggerito da Buonopane, questo
sopprimere la provincia della Gallia Cisalpina e di annetterla al territorium Italiae. Tale decisione, sostenuta certamente da motivazioni politiche (Ottaviano intendeva in questo modo togliere ad Antonio, suo avversario nella lotta al potere, una sicura e solida base di appoggio economico e logistico), fu probabilmente dettata anche dal recente status di cittadini romani e dall’alto livello di romanizzazione raggiunto dalle popolazioni cisalpine: in ogni caso, essa decretò la fine del processo di romanizzazione della Venetia, che aveva iniziato a manifestarsi a partire dalla seconda metà del III sec. a.C. Una fine che troverà la sua ‘consacrazione’ ufficiale alcuni anni più tardi quando Ottaviano, ormai divenuto Augusto, farà della Cisalpina (in questo continuando la politica cesariana) l’oggetto di una grande opera di ristrutturazione urbanistica e territoriale, a sua volta collegata all’imponente progetto di riorganizzazione dell’intera penisola italica che culminerà con la divisione dell’intero territorio peninsulare dalle Alpi allo Ionio in XI regiones. 124
Dinamiche di occupazione della pianuratra II sec. a.C. e VI sec. d.C. 7.3. L’epoca alto imperiale (I-II sec. d.C.)
secondo intervento, a cui andrebbe paleograficamente riferita anche l’iscrizione di Galzignano, si sia verificato proprio in epoca augustea.
L’impostazione dell’ager centuriatus contribuì, senza dubbio in modo decisivo, all’esplosione del popolamento nella pianura a sud di Padova tra I e II sec. d.C. (Fig. 5.10). La tipologia degli insediamenti, riferibili principalmente a villae rusticae, suggerisce che il sistema insediativo fosse basato sulla media e piccola proprietà agraria: non sembra infatti noto, in quest’epoca, come d’altra parte nel resto della regione e in buona parte dell’Italia settentrionale, il sistema dei latifondi ad economia estensiva basati sulla manodopera servile, come avviene per l’Italia centromeridionale.
L’intervento di Augusto non si fermò tuttavia a livello amministrativo e coinvolse molto più profondamente i centri urbani di Patavium, Ateste e Atria, i quali furono completamente ristrutturati. Ancor di più, successivamente alla battaglia di Azio (31 a.C.), Ateste venne elevata al rango di colonia e il suo ager centuriato e insediato dai veterani delle legiones che avevano preso parte al vittorioso scontro. Nel territorio, l’intervento augusteo si nota soprattutto nella monumentalizzazione di più antichi luoghi di culto, come ad Abano Terme (Bressan e Bonini, 2012: nn. AT 13, 16-17, 20-21), sul Monteortone (Bressan e Bonini, 2012: n. 28) e a Montegrotto Terme (Bressan e Bonini, 2012: nn. MT 12-17, 21-28, 32-41, 43-45, 47-49, 51). È qui evidente anche la volontà di un maggiore sfruttamento economico dell’area termale, con la costruzione di nuovi impianti monumentali, edifici pubblici (teatro) e strutture residenziali di livello piuttosto elevato.
L’alta qualità dei corredi vitrei, peraltro attribuibili a produzioni orientali (Zampieri G., 1998: p. 14), di alcuni contesti funerari databili tra I e II sec. d.C. rinvenuti a Vigorovea (Zampieri G., 1984; Zampieri G., 2008a: pp. 48-49 nn. 1-3, 52 n. 12) e ad Arzergrande (Zampieri G., 2008a: p. 49 n. 4), suggerisce d’altra parte l’elevato livello che doveva caratterizzare il popolamento del territorio a meridione di Padova in epoca alto imperiale. Anche il materiale incontrato sporadicamente un po’ ovunque nel territorio, contribuisce a rafforzare quest’idea. Si fa riferimento, in modo particolare, al notevole livello artigianale dei diversi bronzetti raffiguranti divinità come Giove, Venere, Mercurio o Iside, raccolti in varie località del territorio e altri oggetti di pregio, come i cucchiai in bronzo provenienti da Bovolenta (CAVe, 1992: p. 137 n. 257). Tutti attestano la presenza di ricchi insediamenti abitativi, che le numerose testimonianze di monumenti funerari di buona fattura associano ad una facoltosa committenza, cui appartenevano personaggi di spicco della vita politica di Patavium e di Ateste.
Si provvide, tuttavia, anche all’impianto di nuove aree cultuali, come il tempio messo in luce in via Manzoni a Padova (Vigoni, 2009), l’area sacra di Lova di Campagna Lupia (Girotto e Rosada, 2015) e quella, probabilmente dedicata a Neptunus, individuata negli anni ‘60 del secolo scorso ad Ardoneghe di Brugine (Bonomi, 2008: pp. 6566). La stabilità politica garantita dalla pax augusta e la capacità organizzativa della prima età imperiale consentirono inoltre al princeps di operare direttamente sul territorio, potenziando la rete dei collegamenti terrestri (attraverso il restauro di tracciati precedenti e l’apertura di nuovi percorsi) e rendendo più organiche le vie d’acqua interne. Le condizioni climatiche particolarmente favorevoli che portarono, a partire dal I sec. a.C., a una certa stabilizzazione dal punto di vista geomorfologico della zona deltizia a est di Adria, caratterizzata dalla regressione delle acque marine e da un consolidamento della fascia litoranea a sud di Chioggia (Canal et al., 2001; Furlanetto, 2011), permisero l’espansione territoriale verso i margini delle paludes e il potenziamento del sistema idroviario tra Ravenna e Altinum, attraverso la sistemazione delle antiche canalizzazioni etrusche e greche e l’escavazione di nuove fossae per transversum (Fig. 7.1).
Soprattutto per l’ambito patavino, è plausibile pensare che l’attrazione nei confronti della classe dirigente cittadina fosse esercitata non solo o non tanto dalla possibilità di sfruttamento delle risorse agricole del territorio, ma che intervenissero anche altri e più importanti interessi di natura economica. Nell’area più prossima ai Colli Euganei, ad esempio, questi interessi rientravano nella gestione delle cave di trachite o nella viticoltura o, ancor più, nelle lucrose attività connesse allo sfruttamento economico dell’area termale; nella zona più prossima alla costa e alle paludes, potevano invece essere stati il controllo delle saline e la piscicoltura la spinta al popolamento, anche se pare più verosimile pensare che fosse l’inserimento della fascia rivierasca all’interno dei principali vettori commerciali altoadriatici, sia terrestri sia marittimi, che allora trovavano in Aquileia, Altinum e Atria, importanti ‘terminals’ di arrivo e smistamento dei prodotti, il motivo principale d’interesse.
Soprattutto, però, si mise probabilmente mano alla realizzazione di un grande intervento di centuriazione che venne ad interessare l’intera pianura a sud di Patavium (Fig. 6.7). La particolarità del modulo impiegato, di 15x20 actus, lo stretto rapporto con le strutture insediative di I sec. a.C. e, in modo particolare, con l’intera rete itineraria centrata su Padova, sono infatti buoni indizi che suggeriscono di attribuire a tale intervento una cronologia di epoca augustea (cfr. cap 6.3).
7.4. L’epoca basso imperiale (III-IV sec. d.C.) Con la fine del II sec. d.C., comincia a evidenziarsi una certa contrazione nel numero dei siti che diviene particolarmente evidente con il sopraggiungere del III sec. d.C. (Fig. 7.2). Questo fenomeno pare il riflesso della contemporanea crisi 125
Il paesaggio trasformato
Figura 7.2. La pianura a sud di Padova tra III e IV sec. d.C.
economica, suggerendo forse la scomparsa della piccola e media proprietà terriera e la nascita del latifondo, ma anche l’instabilità politica vissuta dall’impero, tanto che non sorprende di riscontrare, lungo la viabilità maggiore, due tesoretti monetali a Camin (Gorini, 1992) e a Motta d’Este (CAVe, 1992: p. 114 n. 156), che vanno interpretati all’interno del clima di tensione instauratosi nella zona dopo le incursioni degli Alamanni e dei Marcomanni tra 260 e 270 d.C.
ridotti, continuano a persistere abbastanza capillarmente nel territorio. Anzi, in almeno due casi, a Roncaglia di Ponte San Nicolò e a Pozzoveggiani, si assiste proprio in questo momento anche ad una rivitalizzazione degli stessi complessi abitativi: a Roncaglia, alla fine del II sec. d.C., si mette in atto una completa risistemazione della pars rustica della villa, con la creazione di nuovi ambienti (Baggio Bernardoni e Pesavento Mattioli, 1992); a Pozzoveggiani, invece, dopo una fase di apparente abbandono o almeno di scarsa frequentazione nel corso del III sec., tra la fine dello stesso e l’inizio del successivo, si assiste ad una totale ristrutturazione dell’impianto del precedente insediamento rustico, che ne innalza il livello qualitativo con la dotazione, in particolare, di un ambiente absidato riscaldato ad ipocausto con probabile funzione termale (Franceschi et al., 2009: pp. 40-47).
Una certa differenza si nota, tuttavia, a livello insediativo tra il comparto settentrionale e quello meridionale del territorio, ovvero tra la zona gravitante su Patavium (a nord) e quella pertinente all’agro atestino (a sud). Mentre a sud le attestazioni di siti successivi al II sec. d.C. sono pressoché nulle, se si esclude la villa di Sant’Elena in cui la frequentazione prosegue pur se toni decisamente minori (Cipriano-Ruta Serafini-Cagnoni, 2006), nella parte più settentrionale si ravvisa ancora una certa vitalità insediativa con siti che, quantunque numericamente
Gran parte degli insediamenti che riescono a sopravvivere nel III sec., continuano comunque ad essere oggetto 126
Dinamiche di occupazione della pianuratra II sec. a.C. e VI sec. d.C. di una certa frequentazione ancora nel IV. Si potrebbe pensare che, dopo un massiccio abbandono tra fine II e III sec. d.C., causato dalla ben nota crisi economica, i siti più favorevolmente ubicati siano stati rioccupati quando la situazione economica rivisse a partire dalla fine del III sec. Non casualmente, quindi, gli insediamenti che sopravvivono si collocano a ridosso della viabilità principale, testimoniando, con la loro presenza, la vitalità, ancora in quest’epoca, della rete itineraria e, verosimilmente, della trama centuriale definita in epoca augustea. Grazie, infatti, agli interventi di ripristino effettuati a più riprese dai membri dell’élite imperiale nel corso del III e del IV secolo, il sistema stradale si mantiene ancora vitale, come testimoniano i miliari di Camin (CAVe, 1992: p. 76 n. 275) e Sambruson (CAVe, 1994: p. 67 n. 244).
molto ridotte, soprattutto se comparate all’ampia diffusione delle ceramiche di epoca pienamente romana.89 Le fonti ricordano d’altra parte con frequenza la presenza, ancora nel V e nel VI secolo, di ricchi proprietari in contesti rurali o periurbani. Un buon esempio di questo potrebbe essere la villa di Pozzoveggiani che, come abbiamo detto, fu oggetto di una completa ristrutturazione a partire dal IV sec., che venne senza dubbio ad innalzarne il livello qualitativo, tanto da far pensare che potrebbe in questo momento essere divenuta proprietà di una facoltosa famiglia patavina. Se ciò fosse vero, non sarebbe allora casuale che la tradizione cristiana medievale non esiti a ubicare proprio a Pozzoveggiani il praedium del padre della martire Giustina, quel Vitalianus che la stessa passio della santa definisce ‘re di Padova’, adombrando forse il ricordo di un’importante figura politica della Patavium tardoantica.
Anche le aree necropolari, per le quali si riscontra un aumento della pratica dell’inumazione accompagnata dall’impoverimento e dalla rarefazione dei corredi, sembrano perdere il loro carattere diffuso venendo a concentrarsi unicamente in prossimità dei principali assi viari. Non sorprende, dunque, che anche le uniche iscrizioni funerarie databili con certezza al III sec. d.C. siano attestate a Casalserugo (Zerbinati, 1982: p. 33 n. 4b-d) lungo l’itinerario Padova-Adria (it. 3), a Schiavonia (CAVe, 1992: p. 118 n. 183) in prossimità ridosso dell’itinerario Padova-Este (it. 1) e a Legnaro (Ghirardini, 1905), nelle vicinanze dell’itinerario che da Padova per Piove di Sacco porta alla zona di Chioggia e del portus Aedro (it. 7).
Da Cassiodoro (Variae, II, 39) e da altri autori,90 sappiamo inoltre che l’area termale gravitante su Montegrotto, ancora tra IV e VI sec. d.C., godeva di ampia notorietà e necessitava di opere di restauro, mostrando come anche questa avesse continuato ad essere in qualche modo oggetto di frequentazione. Una certa vitalità si nota anche lungo la costa dove, oltre all’insediamento di Corte Cavanella (attivo fino almeno alla metà del V sec. d.C.), è attestata una certa frequentazione anche a Chioggia (Asolati e Crisafulli, 1993: p. 77 N. 5/3), a San Marco in Boccalama (Canal, 1998: p. 53 n. 13) e a Poveglia (D’agostino e Medas, 2005: pp. 50-51), ovvero in località che dovevano servire da stazioni e punti di approdo per chi percorreva l’idrovia Ravenna-Altinum e che alcuni passi di Cassiodoro (Variae, XII, 24), di Procopio (Bell. Got., IV, 26) e di Venanzio Fortunato (Vita Sancti Martini, IV, 677) ci attestano ancora piuttosto vitale nel VI sec. d.C.
7.5. La Tarda Antichità (V-VI sec. d.C.) Se il IV sec. si configura come un periodo ancora vitale, seppure caratterizzato da una certa contrazione insediativa, con il V le attestazioni si riducono drasticamente (Fig. 5.11): i pochi siti di cui siamo a conoscenza si ritrovano unicamente in località disposte lungo la viabilità maggiore, sia terrestre che fluviale. Con la sola eccezione di Corte Cavanella (Sanesi Mastrocinque, 1987) e Pozzoveggiani (Franceschi et al., 2009: pp. 40-47), nessuno degli insediamenti noti in epoca imperiale mostra infatti l’evidenza di un’occupazione successiva al IV se. d.C., fatto che indurrebbe a pensare ad un massiccio spopolamento delle campagne. Tuttavia, bisogna dire che i dati sono senz’altro alterati dall’estrema difficoltà di riconoscere il materiale ceramico di V-VI sec., limitando pertanto la possibilità di identificare un’occupazione in tale periodo: in questo momento, infatti, a un forte calo dell’importazione di beni, che dopo la metà del V sec. non raggiungono più le zone interne, corrisponde l’inizio di produzioni locali di ceramica e di dinamiche di scambio a livello regionale difficili da riconoscere. Questo tipo di ceramica è estremamente complicato da datare e, certamente, potrebbe non essere stato riconosciuto, andando a detrimento dell’individuazione di una serie di siti rurali non provvisti di ceramiche d’importazione mediterranea, ma solo di prodotti commerciati su breve raggio. Inoltre, queste ceramiche sono presenti in quantità
I pochi altri siti di cui siamo a conoscenza si ritrovano unicamente in quelle località che furono sedi di possibili vici o mansiones disposti lungo la viabilità maggiore, dove in questa fase compaiono nuovi luoghi di culto (ecclesiae) legati alla religione che, a partire del IV sec., aveva preso il sopravvento all’interno dell’Impero, ovvero il Cristianesimo. È infatti noto come, tra V e VI sec., la presenza cristiana in aree extraurbane assuma un carattere di sistematicità e di incidenza sull’assetto del territorio: le aree rurali sono interessate da un processo capillare di cristianizzazione e da un reale programma di occupazione e organizzazione cristiana dello spazio (Cantino Wataghin e Brogiolo, 1994: p. 146). Non casualmente, quindi, a quest’epoca si data il primitivo impianto della pieve di Santa Giustina a Pernumia, edificata al di sopra o comunque nelle immediate Su questo aspetto si veda anche Millett, 1991: pp. 18-26. In particolare, Claudiano (Carm. Min., Aponus, 26), Ennodio (Ep., V, 8) e Patrologia Latina (LXIII, c. 91).
89 90
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Il paesaggio trasformato vicinanze di una precedente area necropolare di età imperiale (Brogiolo e Ibsen, 2009: pp. 204-205). Alla stessa epoca forse appartengono anche le tracce (lacerti murari e pavimentazioni a mosaico) di un primitivo edificio ecclesiastico al di sotto dell’attuale chiesa di San Tommaso a Corte di Piove di Sacco (CAVe, 1994: p. 111 n. 8) e la fondazione della pieve di Santa Giustina a Monselice (Brogiolo, 1994). A Sarmazza di Vigonovo, invece non si sono rinvenute le tracce di un antico edificio ecclesiastico, ma la presenza di un sarcofago appartenente al diaconus Aurelius Saturninus e il frammento di titulus paleocristiano, entrambi databili tra IV e V sec., suggeriscono l’esistenza di un’area funeraria legata ad un importante comunità cristiana (Cuscito, 1984).
in cerca di aree più depresse in cui scorrere e inondando amplissimi territori. Le aree più elevate furono risparmiate da tali inondazioni, mentre nelle zone di bassa pianura (particolarmente lungo le aste fluviali e nelle depressioni) le correnti esondative ebbero modo di produrre i loro devastanti effetti coprendo e sigillando ovunque con più o meno potenti coltri alluvionali le antiche superfici. A seguito di tali condizioni le aree più depresse della piana restarono a lungo coperte da specchi lacustri, che lentamente si restrinsero e si trasformarono in più o meno estese aree palustri (tra cui forse la più nota è il cosiddetto ‘lago di Anguillara’ – Fig. 5.11). Questi eventi contribuirono, probabilmente in maniera decisiva, alla perdita della funzione originale dei limites centuriali come assi rettori nella pianificazione e sviluppo del territorio a sud di Padova. Non tutte le strutture viarie però scomparvero, anche se probabilmente ora assunsero un ruolo diverso da quello originario. I principali collegamenti di epoca romana non sembrano infatti aver sofferto decisivi mutamenti in età tardoantica: questo è d’altra parte coerente con quanto sappiamo dalle fonti riguardo alla particolare attenzione posta da Teodorico, durante il periodo di dominazione dei Goti, nel mantenere e dare continuità alla rete di collegamenti ereditata dall’epoca precedente (Bonetto, 2009: pp. 346-347).
Questa situazione è d’altra parte coerente con quanto si è documentato in altre zone dell’Italia settentrionale, dove molti insediamenti di questo periodo furono abbandonati, o ne vennero riutilizzate le strutture per nuove forme di abitato, mentre altri siti conobbero l’installazione di necropoli (Brogiolo e Chavarría, 2005). Certamente, ciò è conseguenza del particolare momento storico, caratterizzato da un susseguirsi di crisi economiche, sociali e belliche legate alla discesa delle popolazioni germaniche, che portarono a indubbi cambiamenti nel tessuto del popolamento rurale. Il VI secolo fu, infatti, per la Venetia un periodo piuttosto complicato: dopo la morte di Atalarico (534), essa fu teatro della guerra Greco-Gotica (535-553), divenendo una solida base territoriale per contrastare i Bizantini. Anche dopo la pace di Teia (553), che segnò la fine del regno Ostrogoto, il territorio rimase sotto il controllo di gruppi di Goti o di Franchi fino al 563, quando Narsete estese il controllo bizantino fino alle Alpi. Ed è proprio in questo momento che le evidenze archeologiche e le fonti altomedievali collocano la nascita del castrum di Mons Silicis sul colle della Rocca di Monselice, sorto probabilmente per iniziativa bizantina nel corso del VI sec. e poi conquistato dai Longobardi di Agilulfo nel 602 e da essi trasformato in civitas (Brogiolo, 1994).
Il modello classico città-territorio sembra comunque non esistere più, anche se ciò non significa necessariamente la totale scomparsa del dialogo città-territorio. Compaiono nuove strutture paesaggistiche che deformano e ammortizzano parte della fisionomia precedente, ma che anche si adattano a essa. Ciò suppone la destrutturazione della rete centuriata, della quale solo si conservano quei limites che conservano una ragione d’essere per l’esistenza, lungo il loro tracciato, di una continuità insediativa in epoca tardoantica. Si documentano anche nuovi percorsi viari che, nel loro tracciato, approfittano e spesso deformano vie precedenti e antichi limites. Nonostante i dati archeologici riferibili a questo periodo nella pianura a sud di Padova siano praticamente inesistenti, è possibile pensare, per confronto anche con altre realtà viciniori (Mancassola e Saggioro, 2001), che a partire dal VI sec. i modelli di occupazione sperimentino un cambiamento più significativo. Soprattutto tra VI e VII sec. in varie zone della Venetia e, più in generale, dell’Italia (cfr. Brogiolo-Chavarrìa-Valenti, 2005), si attesta infatti l’esistenza di un popolamento rurale disperso, che viene ad adeguarsi alle nuove dinamiche ambientali: queste forme insediative, alquanto difficili da valutare, mostrano tuttavia di sviluppare una certa attività produttiva che riflette un avvenuto cambio economico e sociale (Brogiolo e Sarabia Bautista, 2017).
Oltre alla particolare temperie storico-politica, allo spopolamento delle campagne dovette però contribuire anche un marcato e prolungato peggioramento delle condizioni climatiche, che produsse disastrosi effetti in tutto il nord Italia, con un importante periodo di alluvioni che si protrasse tra IV/V e X sec. d.C. (Fontana et al., 2008, p. 86; CremoniniLabate-Curina, 2013). Questo periodo, caratterizzato da alte precipitazioni, determinò decisive trasformazioni nel paesaggio, comportando la massima variabilità della rete idrografica, testimoniata pure dalle fonti storiche: aumento del livello marino, allagamento delle terre basse, formazione di zone paludose, ingressione di acque marine. Se a questo aggiungiamo l’incuria nel mantenimento di un’efficiente rete di drenaggio da parte dell’uomo, conseguente al contemporaneo declino della struttura amministrativa di epoca imperiale, ne deriva che molti fiumi abbandonarono i loro antichi alvei sovralluvionati 128
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