Il Gruppo '63. Istruzioni per la lettura 8896487234, 9788896487235

A cinquant'anni ormai dalla sua data di fondazione, il "Gruppo'63" continua a suscitare grandi discu

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Italian Pages 222 [224] Year 2013

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Il Gruppo '63. Istruzioni per la lettura
 8896487234, 9788896487235

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I LGRUPPO

‘ 63

I s t r uz i o nip e rl al e t t ur a

Fr anc e s c oMuz z i ol i

ODRADEK

Il Gruppo

"63

Istruzioni per la lettura

Francesco Muzzioli

�ODRADEK

In cop ertin a, co mposi zione di ci tazioni .

© 2013 ODRADt:K edizioni s. r. l . vi a s an Qui n tino 35-00185 Ro ma tel./fax 06 70451413 email: [email protected] sito Internet:

ISBN 978-88-96487-23-5

www.

odradek.it

Indice TEORIA

l. La contestazione del testo ovvero

7

La nozione di avanguardia e il Gruppo '63

2. Margini dell'utopia

31

3. Sanguineti teorico della letteratura

49

POESIA

4. Undici testi sperimentali

61

5. La modernità radicale di Pagliarani

105

6. Spatola di ritorno dall'America

121

NARRATIVA

7. L'orizzonte di Carla Vasio

131

8. Un Arbasino in vena,

143

tra avanguardia e postmodernismo

9. Germano Lombardi e l'antiromanzo

157

l O. Malerba, i salti mortali della scrittura

173

11. Forma e deformazione nelle tendenze narrative

187

della nuova avanguardia CRITICA

12. Critica e criticità nel Gruppo '63

197

Nota Cronologia Bibliogrqfia

215 216 221

5

CAPITOLO l

La contestazione del testo ovvero La nozione di avanguard ia e i l Gru ppo '63 l. Al di

là del nuovo

La prima cosa da fare, per ragionare in modo non pregiudicato sulla nozione di avanguardia, è di strapparla al mito nel Nuovo, in cui viene di solito incasellata e ridotta. Secondo tale versione essa consisterebbe nella scoperta di un ritrovato affatto originale, mai visto prima, di volta in volta nel corso del tempo destinato a essere riassorbito e a diventare normale. Il Nuovo dovrebbe essere tale da determinare uno stacco epo­ cale (il Futurismo : «Le parole in libertà spaccano in due la storia del pensiero e della poesia umana, da Omero all'ultimo fiato lirico della terra» ' ); ma nello stesso tempo la sua durata è fatalmente breve destinata a una rapida obsolescenza. Lo stesso Futurismo, che può essere consi­ derato a ragione la matrice dell'equazione tra l'avanguardia e il Nuovo a tutti i costi, tuttavia già all'atto della sua fondazione, nel manifesto del 1 909, prevede l'avvento dei successori: Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, dan­ zando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di pre­ datori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche.2

Chi di Nuovo ferisce, di Nuovo perisce. Che poi le avanguardie inno­ vative (e il Futurismo in primis) non si arrendano facilmente alla loro stessa logica e abbiano spesso stanchi strascichi, è altro discorso. Di fatto, la vicenda novecentesca può essere descritta come una serie di sorpassi: il Futurismo sorpassa il simbolismo, ma è superato dal Dadaismo che in poco tempo è superato a sua volta dal Surrealismo; il Gruppo '47 e

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Gruppo

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il Gruppo '63 superano le avanguardie storiche, ma esaurita la loro fase propulsiva, arriva sul traguardo il postmoderno che supera tutte le avan­ guardie in blocco, superando la nozione di superamento. Sarebbe un po' come il destino dei record sportivi. È però uno schema di comodo che, se pure è servito ai rispettivi movimenti per confezionare qualche sgargiante bandiera, oggi fa comodo soprattutto ai detrattori, al senso comune avverso all'avanguardia; in quanto: l) se l'avanguardia consiste nella sua novità, è facile dimostrare che la novità è sempre relativa (quanti residui carducciani e dannunziani nei futuristi!); e comunque è facile dimostrare che i procedimenti di rottura, anche a prenderli per buoni, arriverebbero quasi subito "al termine della parola" (rotta la frase, rotta l'unità verbale, rotta la lettera cosa resta da rompere?), e a quel punto non resterebbe altro che ricostruire e recuperare; 2) se l'avan­ guardia consiste nell'invenzione del Nuovo, essa sarà momentanea, strettamente legata alla sua evenienza storica, non produrrà opere du­ revoli, ma si brucerà nel tempo, né potrà ripetersi se non scadendo a epigonismo di se stessa. Inoltre, il mito del Nuovo schiaccia l'avanguardia su un meccanismo che sappiamo bene essere quello della moda; allora, però, non si capisce perché, mentre alla moda concediamo benissimo il ritorno ciclico e la ripresa del revival, questo non sia consentito all'avanguardia. C apisco che l'applicazione matematica del principio del ritorno darebbe un esito eccessivamente semplicistico e un tantino consolatorio ( 1 909, Futurismo - 1 963 Neoavanguardia: una analoga distanza darebbe la prossima sca­ denza nel 20 l 7 ... ) . In realtà il fatto è che l'avanguardia e la moda si di­ versificano su un punto decisivo e drastico, e cioè l'istanza contestativa. Vedremo più avanti la cosa con maggiore attenzione, ma già si può an­ ticipare che, mentre nella moda si ha una serie di scelte concorrenziali in un sistema sostanzialmente omogeneo, l'istanza contestativa impone all'avanguardia di scartare rispetto all'evoluzione, perché non aggiunge o cambia qualcosa, ma spinge a spiazzare l'intero campo a partire da una diversa logica costitutiva. C'è un punto importante da precisare. Le diverse avanguardie non hanno lo stesso rapporto con il tempo. Mentre il Futurismo ufficiale ma­ rinettiano impone una taglio netto con il passato Oa distruzione di musei e biblioteche come indice eclatante) , già non è così per l"'altro Futuri8

l. La contestazione del testo

smo" , quello dei russi o, da noi, di Palazzeschi e Lucini. Senza compli­ menti, il Dadaismo si occupa di buttare giù nello sberleffo la retorica trionfalistica dell'innovazione, attraverso l'uso di una autoironia che non promette alcuna "promozione" vittoriosa (esemplare il mago di Entr'acte, che alla fine fa scomparire se stesso) . I surrealisti, poi, non tagliano i ponti con l'eredità, più di quanto non ritrovino passaggi segreti verso la tradizione alternativa degli autori messi all'indice e costretti al silenzio (Sade, Lautréamont, ecc.). Nel Gruppo '63 - anche questo sarà oggetto del mio libro - la collaborazione della critica servirà a tracciare le linee e le coordinate di una mappa di posizioni anomale che si prolungano e si allacciano a diversi livelli storici. Insomma, la questione non si può risolvere con il semplice battere degli orologi, c'è sempre una "simulta­ neità del non contemporaneo" , per dirla con Bloch, che chiama in causa scelte culturali e in senso lato politiche, ad esempio il recupero di forze dimenticate, giocate contro le egemonie costituite. Per altro l'originalità assoluta viene smentita proprio da quella avan­ guardia iniziale che è il Futurismo, e proprio dal suo prorompente "zar" Marinetti. Perché se è vero che il Futurismo opera diversamente dalla letteratura che trova sul campo, tuttavia il suo Nuovo non nasce dal nulla, niente affatto, deve essere trovato dove già esiste, non nelle parole, ma nelle cose, ovvero nelle meraviglie tecnologiche delle macchine, nei prodigi straordinari della modernità. In pratica, si tratterebbe di aggior­ nare una letteratura rimasta indietro e il mito della velocità, checché se ne dica, è legato a un inseguimento del presente, ben più che del futuro. Di qui, di conseguenza, tutto il residuo mimetico (cioè di imitazione di una realtà data) che è stato notato nella prassi delle parole che si vole­ vano "in libertà" 3 . Se correre è sempre un correre dietro alla lepre del­ l'attualità, forse la stessa metafora militare, che il termine avanguardia contiene, va riveduta e corretta. L'"avanti", così posto, si addice molto di più all'ambito agonistico-sportivo. Stando all'ambito militare, infatti, il drappello di avanguardia è quello che precede il grosso dell'esercito: ma l'esercito che lo segue è precisamente il suo, stando il nemico dalla parte opposta. Invece, spostandoci al modello della gara sportiva, il ne­ mico è il grosso (il "gruppone") che si avvicina minacciosamente ai fug­ gitivi. Si consideri il grafico:

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Nel modo usuale in cui vengono considerate le avanguardie, la po­ sizione del nemico viene rovesciata, il modello agonistico non per­ mette più di capire bene la pulsione antagonista. Ma proviamo a riprodurla correttamente, la metafora militare, anche a costo di sentirsi ripetere la solfa sulle pecche militariste dell'avanguardia (non bastasse il pacifismo convinto di Lucini, Palazzeschi, Dada) . L'avanguardia al­ lora non dovrebbe essere vista come un drappello trionfalmente avan­ zante nel vuoto di nemici ormai in rotta, bensì come un piccolo gruppo infùtrato nel territorio ostile, da cui manda frammentari e for­ tunosi messaggi a un "grosso" da cui non riceve notizie e può anche darsi che sia in grande ritardo, se pure esiste ancora. Il grafico sarebbe questo:

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l. La contestazione del testo

Quindi una conflittualità forte, fondata su un riferimento ipotetico ri­ volto al futuro. È sintomatico che il manifesto futurista si apra per l'ap­ punto su di uno scenario di questo tipo: Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli, in quell'ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all'eser­ cito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti. Soli coi fuochisti che s'agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fan­ tasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d'ali, lungo i muri della città:1

Una scena notturna, la riunione clandestina di una compagine isolata, che svolge compiti di controllo e di rilevamento, magari di disturbo, in una condizione palese di difficoltà e incertezza, avendo contatto solo con figure di consimili dispersi, gli emarginati sociali, lavoratori o reietti, che si aggirano ai bordi del mondo dei normali. Dopodiché certamente, nel Manifesto la condizione è vissuta con connotati "muscolari" ed è temporanea, destinata a rovesciarsi subito nell 'arrembante corsa ferina e vittoriosa delle automobili. Ma intanto il modello antagonista è com­ parso e sarà ripreso con più rigore da altri. Di contro a quanti le repu­ tano cordate di concorrenza sleale o addirittura terrorismi culturali con tendenze aggressivamente totalitarie, le avanguardie si configurano un ruolo di assaggio del terreno e prova di contrattacco decisamente sco­ modo. In questo quadro, insieme ai gruppi riconosciuti, possono entrare senza problemi anche singoli autori (che fanno, per così dire, gruppo da soli), gli eretici o gli esclusi dai movimenti ufficiali, magari attivi "fuori stagione" o al di fuori delle eclatanti promulgazioni e degli organi­ grammi. Ciò che conta, insomma, non è la novità, ma l'estraneità al do­ minio culturale vigente e il progetto di riscrivere su basi alternative l'intero campo.

2. La politica: con gli stessi o altri mezzi

L'istanza dell'antagonismo chiama in causa la questione politica. Que­ sta potrebbe essere risolta facilmente pensandola come "politica lettera­ ria", riferendosi al lato pragmatico delle avanguardie, a tutto l'insieme 11

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di contatti organizzativi, proselitismo, obiettivi strategici, alleanze e at­ tacchi, aggregazioni ed espulsioni. Questi aspetti, però, in fin dei conti, non sono peculiari, incentivano solo le manovre comuni a tutti i gruppi, alle poetiche e alle riviste. La differenza sta nel fatto che nella pratica let­ teraria "normale" ci si muove per conquistare le posizioni migliori di un settore autocentrato (si tratta cioè di stabilire chi c'è e chi non c'è, chi vale e chi non vale, chi occupa il centro e chi è ai margini dello spazio). Si lotta accanitamente, sì, ma per conseguire una differenza di grado, ciò che è bello (il valore estetico) dev'essere bello per tutti. Manca il di­ saccordo politico che consiste, o dovrebbe consistere, in un diverso progetto di gestione del campo 5 • L'avanguardia, invece, è essa stessa la linea di quel disaccordo che divide l'ambito settoriale e lo attraversa conflittual­ mente, che sia provocatoria o meno. Il campo letterario non è più omo­ geneo, perde i connotati comuni. In quello stesso momento diventa necessario appoggiarsi ad un conflitto più ampio, un dissidio generale, che rende impossibile al settore di rimanere neutrale. Questo allargamento di orizzonte può, certo, essere ancora interpretato con i semplici dati sto­ rici, della confluenza dei gruppi in questo o quel partito. Ad esempio, sarà gioco facile mostrare, a partire dagli esiti opposti dei Futurismi ita­ liano e russo, come la ribellione finisca sempre per intrupparsi nelle dit­ tature, di destra o di sinistra che siano. A sua volta, l'arco del Surrealismo metterà in evidenza i rischi contrari e coincidenti del mettersi alla testa (La révolution surréaliste) oppure del seguire la linea (Le surréalisme au service de la révolution). Non si può negare che nella prima metà del Novecento le avanguardie, spesso con argomenti sommari ed ingenui, siano ben invi­ schiate nelle aporie della rivoluzione (per capirci, il nodo irrisolto di li­ bertà e violenza); e che patiscano sovente proprio una carenza di "collettivismo" , cioè un certo vassallaggio al potere carismatico e all'au­ toritarismo del leader. Tuttavia non si può ugualmente passare sotto si­ lenzio il fatto che, in ogni caso, siano portatrici di una autentica pulsione utopica e anarchica che non si concilia mai (o mai del tutto, neppure nel Marinetti in feluca) con l'imbracamento dei regimi. Vocazione libertaria che andrà oltre le avanguardie "provocatorie" e sarà ereditata dalle avan­ guardie "conoscitive" 6 della seconda Ondata, come vedremo in un ap­ posito capitolo (il prossimo), soprattutto in corrispondenza della contestazione del Sessantotto, con acuminati dibattiti. 12

l. La contestazione del testo

C he l'avanguardia non sia allineata è chiaro; non per niente è stata per un lungo periodo la diretta alternativa all'engagement di partito, e in particolare alla nozione di realismo. A un impegno risolto nella scelta di contenuti immediatamente politici e in una mitizzazione spesso re­ torica dell'avvento messianico delle classi oppresse, si contrappone una prospettiva che, considerati attentamente i legami delle sublimazioni letterarie con le disuguaglianze sociali, comprende che l'unico modo di "cambiare il mondo" è quello di cominciare a cambiare i "valori sim­ bolici" della letteratura, responsabilizzandola in tal senso. Ciò comporta, già in Brecht, una nozione aperta di realismo, rendendovi possibile le forme dell'irrealtà, il fantastico, l'allegorico, il satirico: Nulla impedisce anche realisti come CeJVantes e Swift di vedere cavalieri che lot­ tano contro i mulini a vento e cavalli che fondano stati . Non il concetto di ristret­ tezza bensì quello di ampiezza si addice al realismo. La realtà stessa è ampia, varia, piena di contraddizioni; la storia crea e respinge modelli. (. . . ) Non sono le forme esteriori a fare lo scrittore realista. E non esiste neppure una profilassi infallibile: un vigoroso senso dell'arte può trapassare in fetido estetismo, una fiorente fantasia nella squallida astrattezza dell'acchiappanuvole e ciò, spesso, nello stesso poeta; non per questo possiamo mettere in guardia contro il senso artistico e la fantasia. Così il realismo scende continuamente al livello di meccanico naturalismo, anche nei realisti più significativi. ( . . . ) «Scrivete come Balzac!» Chi accettasse tali consigli ora si esprimerebbe seJVendosi di immagini tratte dalla vita di persone già defunte, ora punterebbe su reazioni psichiche che non hanno più corso. Se però vediamo in quanti modi è possibile descrivere la realtà, ci rendiamo anche conto che il rea­ lismo non è una questione di forma. Quando si fissano dei modelli formali, non c'è niente di peggio che fissarne troppo pochi: è pericoloso collegare il grande concetto di «realismo» a un paio di nomi, per quanto famosi, e mettere assieme un paio di forme, per quanto utili esse possano essere, desumendo da esse l'unico metodo creativo all'infuori del quale non c'è salvezza.

A proposito delle forme letterarie bi­

sogna interrogare la realtà, non l'estetica, neanche quella realistica. La verità può venir taciuta in molti modi e in molti modi può essere detta. Noi deduciamo la no­ stra estetica, come pure la nostra moralità, dai bisogni della nostra lotta. 7

Fino ad arrivare all'equazione di Sanguineti, per cui il realismo si ri­ conosce proprio nell'avanguardia. È inutile trasferire il vino nuovo dei contenuti negli otri delle vecchie forme O'deologia della forma non perdona) o pensare di incensare il po­ tere proletario con gli stessi turiboli innografici che omaggiavano il po­ tere borghese. L'impresa, difficile quant'altre mai, è di attivare insieme 13

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due rivoluzioni, del cosa e del come. Ed è impresa indispensabile, perché altrimenti, pensando che poi le cosiddette "sovrastrutture" culturali cambieranno da sole, la conquista della base economica si porterà dietro la palla al piede di modi di vedere retrivi e sarà da questi condizionata e infine dominata e stravolta. L'avanguardia, anche se sorta sul terreno della cultura borghese, anche se fosse "ribellismo piccolo-borghese" come l'accusavano i marxisti ortodossi, è, in quanto particella deviante, l'alleato giusto contro le resistenze del senso comune. È ciò che vide con grande chiarezza Gramsci a proposito del Futurismo, nell'articolo non firmato su "L'Ordine Nuovo", 5 gennaio 192 1 , dal titolo Marinetti rivo­ luzionario?: li campo della lotta per la creazione di una nuova civiltà è invece assolutamente misterioso, assolutamente caratterizzato dall'imprevedibile e dall'impensato. ( . . . ) In questo campo nulla è prevedibile che non sia questa ipotesi generale: esisterà una cultura (una civiltà) proletaria, totalmente diversa da quella borghese; anche in questo campo verranno spezzate le distinzioni di classe, verrà spezzato il carrie­ rismo borghese; esisterà una poesia, un romanzo, un teatro, un costume, una lingua, una pittura, una musica caratteristici della civiltà proletaria, fioritura e ornamento dell'organizzazione sociale proletaria. Cosa resta a fare? Niente altro che distrug­ gere la presente forma di civiltà. In questo campo «distruggere» non ha lo stesso significato che nel campo economico: distruggere non significa privare l'umanità di prodotti materiali necessari alla sua sussistenza e al suo sviluppo; significa di­ struggere gerarchie spirituali, pregiudizi, idoli, tradizioni irrigidite, significa non aver paura delle novità e delle audacie, non aver paura dei mostri, ( ... ) . 8

La cosa interessante dell'articolo è che l"'azione parallela" nell'abito culturale e artistico è vista lucidamente come una contestazione critica ra­ dicale e non come un innocuo e comodo trasferimento di valori. E viene lasciato convenientemente cadere il criterio estetico (Benj amin direbbe la "qualità") e il suo risvolto conservativo, giungendo ad ammettere la mostruosità, come si è visto. Il che vuol dire negare il principio dell'unità e della sintesi: la somma di parti disomogenee essendo fin dall'Ars poetica il limite invalicabile (guai si mostri come le "sirene", donne che finiscono in una coda di pesce, puah!). Ricordo che fare "il brutto" in letteratura resta uno dei punti più qualificanti del Manifesto tecnico futurista. Ma non c'è soltanto il recupero del represso e del proibito. L'istanza politica si può precisare ancora meglio prendendo il Benjamin degli anni Trenta, 14

l. La contestazione del testo

quel finale precisissimo chiasma dove contrappone alla «estetizzazione della politica» la «politicizzazione dell'arte». Ancora oggi la prima sem­ bra andare alla grande, tra i miti del grande comunicatore e gli spin doctors dell'immagine; la seconda è sparita (o parrebbe) dal nostro orizzonte. Come accennavo, inserire la logica politica del disaccordo vuol dire an­ dare "oltre la letteratura", - per usare qui un titolo di Di Marco 9 - ma non abbandonandone il terreno, piuttosto trasformandone le basi ope­ rative. La benj aminiana "politicizzazione" indica chiaramente questa via. Potrebbe significare l'inserimento di elementi politico-prosaici a far da contraltare alle elevazioni sublimanti del lirismo, e questo già sarebbe un corretto straniamento, una apertura di contraddizione interna in un testo reso eterogeneo e costellato di interruzioni in cui - me ne occuperò nell 'ultimo capitolo del libro - la critica non si applichi soltanto dal­ l'esterno e a posteriori, come tradizionalmente fa, ma accompagni passo per passo la scrittura al modo di una "parabasi permanente". Ma po­ trebbe significare il muoversi "creativamente" con la coscienza estesa e completa della politicità di ogni forma letteraria, da cui la calibrata di­ sfunzione e transfunzionalizzazione di tutte le norme canoniche (metri­ che, narrative, ecc.); si potrebbe anche parlare di una concettualizzazione estrema di ogni procedimento o argomento ricollocato diversamente in base al ripensamento che l'accompagna (e forse qui, ancora, tornerebbe utile la nozione di allegoria rielaborata da Benjamin). Invece di abbandonare lo specifico per fare direttamente politica, l'avanguardia della seconda Ondata evidenzia la politicità dello specifico nel momento stesso di praticarlo. È necessario, per questo, uno scatto di autocoscienza e di autocritica di cui è sintomo la presenza di critici all'interno del gruppo e il privilegiamento della forma convegno come vero e decisivo spazio di esperienza collettiva. Rispetto alle prime avan­ guardie, si nota un evidente passaggio dalla promulgazione di manifesti, fantasiosi ma spesso ingiuntivi, volenti o nolenti autoincensatori, verso la cifra saggistica di taglio analitico-argomentativo. Un passaggio, altresì, dalla forma-serata in cui l'avanguardia sale sul palco a cercare lo scontro con il pubblico, alla forma-laboratorio, in cui il pubblico può essere tran­ quillamente tenuto in disparte e ci si confronta senza remore su indirizzi, strumenti ed esiti. Ora, il laboratorio suggerisce una operatività di tipo scientifico. All o stesso ambito semantico appartiene il termine "speri15

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mentalismo", che non esisteva nelle avanguardie precedenti. Ma sulla metafora scientifica si addensano altrettanti equivoci che sulla metafora militare, e occorrerà un po' di spazio per disperderli.

3. Sperimentalismo, perché

Con la metafora scientifica è peggio che andar di notte. Con l'avan­ zare degli heideggerismi vari, la scienza si fa invisa pratica di un intel­ letto freddo, inadatta allo sprizzare degli "arrischianti" , ancora più detestata, se si può, della aggressività militante. Negli anni del nuovo divaricarsi delle scienze dell'uomo dalle scienze della natura e di arrem­ bante revanchismo dei fautori della creatività artistica, di intuizione con­ trapposta all'intelligenza, di anima messa contro il "senza cuore" delle cifre, per lo sperimentalismo la cancellazione dall'ordine del giorno è segnata, con sorte non dissimile dalla "politicizzazione" (e tale sorte co­ mune la dice lunga sulla loro parentela). Ma ragioniamo con calma. Intanto dovrebbe essere chiaro che nel­ l'esperimento di scrittura non si tratta di verificabile esattezza, né di cal­ colo matematico, e neppure di un controllato percorso da ipotesi a risultati oggettivi. Anche se certamente vi è in gioco la progettualità della scrittura in dosi più massicce che nella ordinaria poetica, per sperimen­ talismo si intende spirito di ricerca e quindi l'apertura ad una moltepli­ cità di soluzioni non garantite, proprio perché devianti rispetto alle plausibili previsioni. L'idea di una meccanicità di procedimenti decisi a tavolino può essere in taluni casi giustificata, e però non è mai fine a se stessa. Anche nel caso delle contraintes dell'Oulipo, siano esse pure assunte a priori, si deve sempre tener presente che regolamentazioni apparente­ mente neutre (per esempio il lipogramma) servono nella sostanza come strumenti per scansare il banale e non abbandonarsi alle formule ovvie che per prime venissero in mente. In realtà lo sperimentalismo, così come si sviluppa negli anni Sessanta e come vedremo dalle analisi del capitolo 4, non si serve mai di un unico procedimento, semmai si muove in una rete, in una serie di relazioni in­ trecciate. Non si tratta di mero formalismo, ma della contestazione, ap­ punto, del rapporto equilibrato (medio, moderato, mediocre) tra forma 16

l. La contestazione del testo

e contenuto, contro il presupposto idealista che l'arte consista nel dare al contenuto la sua propria forma, quella che gli è destinata ab origine e che naturalmente e spontaneamente gli compete. Ma come potrebbe essere equilibrata l'arte nel mondo della contraddizione costitutiva? Lo sperimentalismo dunque è lo scavo delle discrepanze tra forme e con­ tenuti, moltiplicandone le possibilità di connessione, ma anche di attrito. Da questo, sebbene distanziamento in effetti vi sia, non deriva tanto un iter di tipo strettamente consequenziale, quanto piuttosto ci si concentra sul problema della tecnica. La tecnica - come ben sapeva Benj amin è la cartina di tornasole, la domanda è : "cosa succede alla tecnica"? Ecco, sperimentare significa che ogni preventivo "saper fare" viene tenuto in sospeso. Ci si muove nell'ambito di una patafisica, di una scienza delle soluzioni immaginarie, assurde e inverosimili, "fuori sistema" . Le attuali scuole di scrittura non saprebbero insegnarla neanche volessero. Ora, la declinazione dell'avanguardia nel modo dello sperimentalismo ha suscitato discussioni assai interessanti. Infatti, si è teso a rompere que­ sto accoppiamento da più parti, anche di segno opposto. I fautori del­ l'estremismo avanguardistico, in quanto lo sperimentalismo risulta ai loro occhi una diminuzione, un tornare a rinchiudersi nello steccato letterario e ad accontentarsi di percorsi individuali (a partire da un soggetto ope­ rativo), perdendo i punti di forza della azione di gruppo. Da parte, invece, degli awersari dell'avanguardia, lo sperimentalismo viene distinto allo scopo di dimostrare che i risultati migliori li ottengono gli autori meno condizionati dai programmi - per cui gli elaborati strategici sarebbero inutili e controproducenti. Personalmente sono favorevole, al contrario, a tenerli vicini: mi pare che gli sperimentatori isolati possano rafforzare le proposte dell'avanguardia, allargandone l'orizzonte. Autori come Brecht o Beckett sono portatori di progetti forti anche se non hanno preso parte ad alcuna riunione, come pure - negli anni Cinquanta-Sessanta, in parall elo con il Gruppo '63 - lo sono stati Emilio Villa, Cacciatore, Pizzuto, il Bene dei romanzi, Volponi, Tori. Nessuna ripresa della ten­ denza (se mai ci sarà) potrà fare a meno di loro. Dirò di più: anche ad attenersi agli aderenti al Gruppo '63, come conto di fare in questa occa­ sione, sono autori che continuano a scrivere anche dopo che le bandiere collettive sono state ammainate. E allora? Se di avanguardia, propria­ mente parlando, non sono più per una buona parte della loro opera, -

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Il

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come li chiameremo, se non sperimentali? Quindi, visto che la nozione di sperimentalismo diventa necessaria nel loro caso, nulla ci impedisce di adoperarla anche per altri, non coperti da sigle ufficiali e costituite. Ma il dibattito è davvero ingente, si svolge anche al di fuori dell'am­ biente nostrano. In Germania coinvolge su posizioni antitetiche due teorici del calibro di Adorno ed Enzensberger. Enzensberger è contro lo sperimentalismo che gli appare un concetto «assurdo e inutilizza­ bile», inadatto a descrivere la produzione artistica. Se è diventato "po­ polare" è per la sua comodità di formula-paravento, buona a nascondere rotte di piccolo cabotaggio, la metafora scientifica messa a favorire l'atteggiamento neutrale e asettico degli osservatori, quindi senza assunzione di vere responsabilità. L'esperimento «mette al riparo dai rischi che ogni produzione estetica comporta. Esso serve, nello stesso tempo, come marca di fabbrica e come formula magica che rende invisibili». 10 Adorno invece accoglie lo sperimentalismo nel con­ testo magmatico della sua Teoria estetica, come l'unica strada che rimane quando si siano perdute tutte le certezze, anzi arriva a dichiarare che «Di fatti non è quasi più possibile un'arte che non sia anche esperi­ mento» . Con alcuni correttivi dialettici, però : per un verso, l'esperi­ mento è libero, «indica cioè che il soggetto artistico pratica modi di cui non può prevedere il risulto oggettivo», nello stesso tempo, la libertà soggettiva non può essere del tutto libera senza diventare equivoca, il fatto che «l'artista venga sorpreso dalle sue creazioni» rischia di rica­ dere in antiche visioni "ispirative" . Gli è che, per Adorno, ogni impe­ gno è sospetto in quanto l'arte deve evitare qualsiasi prassi o servitù utilitaria e perciò non può far altro che esibire la propria "separatezza" , salvo poi viverla con sensi di colpa autodistruttivi. Dello sperimentali­ smo Adorno vede soprattutto l'alleato dell'arte pura («gli esperimenti, che quasi per concetto sono anticipatamente interessati ai mezzi, si compiacciono di lasciar attendere invano il fine» 1 1 ) , ma avrebbe potuto ugualmente sottolinearne l' aspetto "legato" (le regole processuali del procedimento) . Il Gruppo '63, dal canto suo, sarà animato da una spinta propulsiva tale da tenere saldamente insieme avanguardia e sperimentalismo. Non per nulla, uno degli interventi di apertura del convegno fondativo, sarà proprio Avanguardia e sperimentalismo, proposto da Angelo Guglielmi. Lo 18

l. La contestazione del testo

sperimentalismo vi appare progettato come la versione dell'avanguardia adatta ai nuovi tempi: «ciò di cui oggi abbiamo bisogno - argomentava Guglielmi è di una maggiore consapevolezza critica, tale che ci aiuti a individuare (e sfruttare) le indicazioni positive o più semplicemente gli avvertimenti che ci sono forniti dalle avanguardie letterarie del primo Novecento>>. 12 L'ammissione della non fungibilità dell' avanguardia così come la si è conosciuta nella prima metà del secolo somiglia solo in ap­ parenza alle giubilazioni successive da parte del postmoderno; era chiaro infatti come lo sperimentalismo costituisse la variante tattica del medesimo progetto strategico. Il cambiamento intercorso è quello del "muro di gomma" , la contestazione non si trova più di fronte una tra­ dizione rigida e conservatrice, ma un mercato neocapitalista molto fles­ sibile, pronto ad assorbire le provocazioni, ad assumerle in proprio svuotandole delle finalità, ridotte a mero exploit concorrenziale. Mante­ nere la carica polemica significa, allora, assumere la cautela e la circo­ spezione degli "sminatori": -

L e armi necessarie sono un maggiore esercizio dell'intelligenza e l o sviluppo della consapevolezza critica. La situazione della cultura contemporanea è simile a quella di una città dalla quale il nemico, dopo averla cosparsa di mine, è fuggito. Il vinci­ tore che è alle porte della città cosa farà? Invierà delle truppe d'assalto a conquistare una città già conquistata? Se lo facesse aggraverebbe il caos, provocando nuove inutili rovine e morte. Piuttosto farà arrivare dalle retrovie i reparti specializzati che avanzeranno nella città abbandonata non con le mitragliatrici ma con gli ap­ parecchi Geiger. E grazie alle nuove strade da essi aperte (strade naturalmente stra­ ordinarie, costruite su sedi impreviste e non tradizionali) la circolazione nella città potrà ricominciare. Si tratterà indubbiamente di una circolazione ardua, faticosa, incerta. Avrà bisogno di "provare" passi e vie sempre diversi. Si tratterà di una cir­ colazione sperimentale. È indubbio che lo sperimentalismo è lo stile della cultura attuale. È la sua forma più propria e sinceraY

Questo fa sì che anche il rapporto con il passato non sia uno stacco netto, ma consista nella ricerca dei fùi che raggiungono il presente (le diverse linee e gli "abbinamenti" che propone Barilli tra i nuovi e i loro antecedenti nell'altro intervento introduttivo). All 'avanguardia che abo­ liva le accademie e le biblioteche si sostituisce una avanguardia di pro­ fessori. Una generazione di Nettuno, scrive Eco in appendice all'antologia

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del gruppo, contrapponendo il lavoro sotterraneo (il "nettunismo") alla esplosione superficiale (il "vulcanismo"). Ma attenzione, non è che sia venuto meno l'impulso della politicità: Eco fa l'esempio della brechtiana 'Jenny dei pirati", colei che prepara l'arrivo della rivolta. Lo stesso Eco, in un intervento del '62, quindi immediatamente precedente all'anno fatidico, affermava il radicalismo degli esperimenti in corso e poneva l'esplicito collegamento con l'impulso del "rivoluzionario" : In questo senso allora il termine di «sperimentale»� usato in senso analogico ci permette di distinguere l'artista contemporaneo da quello delle altre epoche, e pro­ prio in musica possiamo trovare delle esemplificazioni piuttosto elementari . Infatti il musicista tradizionale che componeva tra il XVII e il XIX secolo, ad esempio, poteva tentare le più ardite ed inedite innovazioni formali, ma per lo meno non metteva in dubbio alcuni principi basilari su cui si fondava la possibilità stessa della comunicazione musicale, ad esempio il principio della tonalità. E quando poneva i germi di una crisi della tonalità, o ne allargava i confini, lo faceva con cautela, in una dialettica di innovazione e rispetto per il portato tradizionale; con l'atteggia­ mento, se è permesso un paragone politico, del riformista e del conservatore illu­ minato, e non del rivoluzionario. L'artista contemporaneo si comporta invece come il rivoluzionario; distrugge com­ pletamente l'ordine che gli è stato consegnato, e ne propone un altro. Ma nel senso che ogni opera che egli intraprende ha per lui il valore di un evento storico che in politica si verifica invece una volta ogni secolo. L'artista contemporaneo si avvia sempre più a «debuttare nel vuoto)> ogni volta che prende in mano un pennello o si appresta a comporre in una maniera qualsiasi.1 4 �

(Sarebbe interessante conoscere come la pensi oggi Eco, affermato narratore) . Né lo sperimentalismo era ignorato dal lato più "a sinistra" della neoa­ vanguardia. La teoria di Sanguineti (che prenderò in esame nel capitolo 3), se pure teme le sfumature di neutralità del termine, tuttavia lo coin­ volge nelle sue rigorose dialettiche tra "momento cinico" e "momento eroico-patetico", tra "mercato" e "museo" . Nella fase più calda del de­ cennio Sessanta, quando le contestazioni extraletterarie ravvivano il "vul­ canismo" , tuttavia proprio Sanguineti su «Quindici», in Per una letteratura della crudeltà, assegnava alla scrittura un compito fondamentale di verifica culturale e politica come «spazio sperimentale dove si decide la dialettica, come si ama dire oggi, delle parole e delle cose» e «sperimentazione cri­ tica delle gerarchie del reale, quale è vissuta nelle parole» . 15

20

l. La contestazione del testo 4. !!linguaggio come lavoro

Esperimento sulle parole, quindi, e cioè sul linguaggio. Le avanguardie del primo Novecento avevano sottolineato la questione del linguaggio, ma - per così dire - anche troppo, troppo assolutamente e fideistica­ mente. Le parole in libertà e ancor più la lingua transmentale (zaum) dei futuristi russi, completamente inventata, si illudevano di un facile ab­ bandono del codice; lo stesso la pretesa di un certo surrealismo che !a­ sciandolo parlare automaticamente senza sorveglianza (Breton diceva: «après vous mon beau langage») il linguaggio dischiudesse le porte del­ l'altrove. Nella seconda Ondata appare con maggiore chiarezza che il linguaggio contiene sia la liberazione che l'alienazione, è il soggetto e insieme l'oggetto del conflitto, è il campo di lotta in cui avanzare le con­ tromosse sperimentali. Si dirà che questa impostazione è tipica degli anni Cinquanta-Ses­ santa del Novecento, di quella svolta linguistica, impressa in quel periodo a tutto l'ambito culturale e scientifico. Tuttavia, un confronto con lo strutturalismo e la semiotica da una parte, e le nuove avanguardie dal­ l'altra, porta in evidenza diametrali divergenze. Mentre lo strutturali­ smo considera il codice, a monte, come la matrice di tutti i messaggi e la storia semplicemente come una combinatoria cangiante ma sempre dipendente da quelle possibilità apriori, l'avanguardia vede nel codice una convenzione sociale, come tale trasformabile e trasgredibile. L'equa­ zione posta da Sanguineti tra linguaggio e ideologia appare in sintonia, più che con Lévi-Strauss o Greimas, con la semiotica materialista di Rossi-Landi che sviluppa le proprie riflessioni sul capitale linguistico e il lavoro linguistico proprio in quegli stessi anni: 16 una semi o ti ca che tra­ duce le merci in messaggi e viceversa, e quindi apre la prospettiva di una critica del testo verbale in chiave economico-politica. Al di là della superficie emotiva o referenziale, il testo si presenta allora esattamente come un "tessuto", ovvero come un prodotto di un lavoro - ed eccoci spostati dalla sfera del privato a quella del pubblico. Ma il passo ulteriore dell'avanguardia è che il lavoro non deve riprodurre il capitale (simbo­ lico) morto, ma deve contenere un risalto critico e autocritico, di critica del lavoro stesso. Per questo l'ordine, la norma, il codice non sono feli­ cemente bypassati (come se la libertà fosse già possibile), ma messi in 21

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questione in un duro e difficile processo di liberazione. Si tratta di uno scavo dall'interno. Brecht diceva: "segare il ramo in cui si sta seduti"; Sanguineti ha parlato di "sabotaggio del poetese" . Il lavoro sul linguaggio basta a terremotare l'idea consueta e consunta che l'arte letteraria sia il luogo ideale cui una persona-autore affida la propria esperienza personale vissuta per comunicarla ad altri ed esservi riconosciuto. Propenda più per l'interiorità dello stato d'animo (poesia) oppure per l'esteriorità degli avvenimenti (narrativa), la cosa non cam­ bia: entrambi i casi si risolvono nel contatto empatico sia nella confes­ sione intima vera e propria, sia e non meno nella fiction (mediante l'immedesimazione nell'eroe/ina) perfino nell'assolutamente irreale del jàntasy. Questo aggancio antropomorjò, che riporta la scrittura all'autore e al suo alter ego, viene interrotto dall'avanguardia che comunica, ossia "mette in comune" (comunicare dovrebbe voler dire "mettere in co­ mune", no?) piuttosto un oggetto spaesente, defunzionalizzato, enigma­ tico. Non che l'autore venga eliminato, anzi, tutt'altro. Il soggetto rimane fondamentale, ma è il soggetto dell'enunciazione a sottrarre le prerogative al soggetto dell'enunciato o, per meglio dire, a riprendersi le sue, per solito nascoste. Non per nulla, l'autore può anche essere plu­ rale e corrispondere a più persone. Il soggetto abbandona la funzione espressiva per assumere chiara­ mente una funzione operativa. Ciò comporta configurazioni deraglianti su almeno due livelli: l) la.frammentarietà. n lavoro si eserciterà su una costruzione a tasselli, dunque la funzione operativa si manifesterà al massimo grado nel montaggio, e quest'ultimo potrà leggersi bene negli scarti tra un registro e l'altro, a partire dalla disparità, eterogeneità e di­ stanza dei materiali, e dalla vertiginosità dell'interruzione che separan­ doli li collega. La discontinuità temporale che l'avanguardia ha sempre ricercato, ha il corrispettivo nella discontinuità spaziale della "conte­ stualità disorganica" ; 2) la concettualità. La scrittura ibrida non distrugge soltanto, ma istituisce nuovi nessi. Questi sono leggibili, però, soprattutto oltrepassando i significati denotativi (che il montaggio rende incongrui) e considerando le rifrazioni, le allusioni, i rimandi connotativi. La di­ sposizione dell'insieme andrà di volta in volta in volta riportata all'in­ tenzionalità di un progetto. Ogni collocazione, per quanto appaia illogica, andrà valutata come se fosse attentamente pensata. n senso delle 22

l. La contestazione del testo

mosse. La mancanza o la carenza del livello immediato di senso porta a incentiva il senso di secondo grado; torna utile una nozione di allego­ ria rivalutata seguendo Benj amin. Ma già alla fine degli anni Sessanta, ben in anticipo sul grosso del dibattito benj aminiano, il già citato inter­ vento di Sanguineti sulla letteratura della crudeltà concludeva con un vi­ brante ricorso all'allegoria: Nessuna forma di esame critico della parola letteraria si sottrae, ai giorni nostri, a un sistematico (più o meno scientificamente addobbato) allegorismo. Tutta l'esegesi biblica che oggi si sviluppa, nell'immenso orizzonte della letteratura profana, risolve il giudizio - spesso implicitamente - in modo realmente profondo quanto riflessi­ vamente immediato, nella misura del livello di allegoria (di allegorizzazione) di cui un testo dato può essere portatore, di cui un linguaggio dato è in grado di farsi (cor)responsabile. Una letteratura della crudeltà, dal punto di vista della cri tica (dell'esame critico della parola letteraria), opera consapevolmente- cinicamente­ per allegorie. 1 7

Allegoria, dunque, m a anche straniamento (punto di vista alieno), iro­ nia (distruggere ciò che si dice) , parodia (ripetizione con segno cam­ biato): complessivamente si indica una disposizione metaletteraria. Ragionare sul proprio strumento mentre lo si adopera, con gli scom­ pensi del caso. Infatti, diversamente da quanto avverrà nel postmo­ derno, la metaletterarietà dell'avanguardia non inclina alla blanda restaurazione del pastiche, ma produce inciampi che intralciano la scor­ revolezza. L'impersonalità operativa possiede anche un risvolto paradossale. In­ fatti, la "riduzione dell'io" (presentata nella introduzione di Giuliani ai Novissimi18) si applica perfino in quei casi in cui la contestazione del testo fa ricorso a materiali che appaiono assunti dall'inconscio personale e limitrofi allo stato del sogno. Come sarebbe: non parlano di se stessi? Ebbene no, per paradosso, dicevo, ma non poi tanto, perché appunto l'inconscio non è l'io. A dimostrare che quanto abbiamo di più profondo non ci appartiene e sfida la coscienza linguistica che ne abbiamo e a rendere ridicolo qualsiasi rassicurante autobiografismo, quindi l'avan­ guardia si propone in ogni caso una critica dell'identità. Ciò mette a dura prova la comprensione, all'epoca si parlò di "illeg­ gibilità" . E già il lettore stava diventando il riferimento precostituito

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della produzione per il mercato. Ma davvero il lettore "ha sempre ra­ gione"? Davvero il grado più basso è quello che più gli conviene? Ora, nel dibattito teorico, l'ancoraggio della comprensione è stata la missione dell'ermeneutica, che per altro si è trovata in difficoltà proprio alle prese con l'arte contemporanea, priva delle garanzie temporali del classico. L'ermeneutica dell'ascolto ci invita ad accettare l'autorità della tradi­ zione e ad accogliere il testo con benevolenza e buona volontà, come si farebbe con un ospite di riguardo. È chiaro che l'avanguardia non rien­ tra in un simile quadro e, rifiutando la logica della tradizione (il "si fa così perché si è sempre fatto così"), mette il proprio interlocutore in una posizione scomoda, lo tratta sgarbatamente con le cattive maniere, ad­ dirittura arriva a rigettarlo. Come accostare un ospite così ingrato? È per forza necessaria una diversa ermeneutica. È quanto suggerisce Peter Biirger nella sua Teoria dell'avanguardia. Per accostare l'"opera non orga­ nica" occorre un gusto radicalmente trasformato (un gusto per le disar­ monie) e occorre rivolgere l'interpretazione a recepire non il contenuto umano degli stati d'animo o delle vicende, bensì il "principio costrut­ tivo". Si potrebbe anche dire: immedesimarsi non nel personaggio, ma nell'autore. Sentiamo Burger : Il ricettore di un'opera avanguardistica scopre che il suo procedimento di appro­ priazione delle aggettivazioni intellettuali, sviluppato per le opere d'arte organiche, è inadeguato al presente oggetto. Né l'opera avanguardistica crea un'impressione totale, che liberi un'interpretazione di senso, né si può chiarire l'impressione che eventualmente si crea facendo ricorso alle singole parti, dal momento che queste non sono più subordinate all'intento dell'opera. Tale rifiuto di fornire un senso viene vissuto dal ricettare come uno shock. È questo il proposito dell'artista d'avan­ guardia, che spera che il ricettore sia spinto da questa sottrazione di significato a mettere in discussione la propria vita pratica e a convincersi della necessità di un suo cambiamento. Lo shock viene pensato come uno stimolo a mutare atteggia­ mento, è lo strumento per spezzare l'immanenza estetica e promuovere un muta­ mento nella prassi vivente del ricettore. (. . .) Ciò che resta è l'aspetto enigmatico delle creazioni, la loro resistenza ad ogni ten­ tativo che voglia strappare loro un senso. Se il ricettore non si vuole semplicemente rassegnare o accontentare di fronte a un senso arbitrario, fissato solamente in rap­ porto a una singola parte dell'opera, deve allora cercare di comprendere proprio la natura enigmatica dell'opera avanguardistica. Perviene così a un altro livello in­ terpretativo. Invece di procedere secondo il principio del circolo ermeneutico, con

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l. La contestaz;ione del testo l'intenzione di cogliere un significato dalla relazione delle parti con la totalità del­ l'opera, il ricettore sospende la ricerca di senso e rivolge la propria attenzione ai principi costruttivistici che determinano la costituzione dell'opera, cercando in essi una chiave che sciolga l'enigma della forma. Nel processo di ricezione l'opera avan­ guardistica provoca dunque una rottura, che corrisponde al carattere lacunoso della forma (la sua non-organicità) . Tra l'esperienza dell'inadeguatezza dei modi di ricezione sviluppatisi con l'opera d'arte organica, esperienza messa in evidenza dallo shock, e lo sforzo di comprensione dei principi costruttivistici vi è una frattura: la rinuncia all'interpretazione di senso. Uno dei cambiamenti decisivi nello sviluppo dell'arte introdotto dai movimenti storici d'avanguardia consiste in questo nuovo tipo di ricezione che l'opera d'arte avanguardistica produce. L'attenzione del ri­ cettore non si rivolge più a un senso dell'opera comprensibile grazie ai suoi ele­ menti, bensì al principio costruttivistico. 19

Si comincia col domandarsi perché il testo parli in modo incompren­ sibile. Se in questa domanda non c'è il livore di chi ha speso male i suoi soldi, ma curiosità e un pizzico di interesse, si è già sulla strada giusta per recuperare il "senso del non-senso" . Per forza le operazioni di avanguar­ dia, per essere contestative, producono un testo denso, internamente combattuto, difficile da decifrare (vedremo all'opera gli strumenti di ana­ lisi nel capitolo 4). E quando incontriamo per la prima volta «Composte terre in strutturali complessioni sono Palus Putredinis» non sappiamo dove trovare un appiglio. Eppure - come già mi è capitato di osservare - chi getta via il testo dicendo che "non si capisce niente", in realtà ha capito benissimo. Ha capito che quel testo gli chiede molto, troppo. Gli chiede una lettura che è un lavoro, a forte impegno intellettuale; ma gli chiede, per soprammercato, di staccarsi dalle convenzioni abituali e dalle conformazioni invalse, di lasciare gli approdi compensativi e consolatori e mettere in questione insieme il linguaggio con l'ideologia.

5.

Attualità dell'avanguardia?

È perfino troppo facile collegare le avanguardie ai momenti di espan­ sione economico-sociale. Soprattutto in ambito italiano, è un gioco da ragazzi: il Futurismo coincide alla perfezione con il balzo in avanti della industrializzazione di inizio Novecento, mentre il Gruppo '63 corri­ sponde agli anni del boom e dell'ingresso nella società dei consumi. All a 25

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luce di questi lampanti "equivalenti sociologici", si sarebbe tentati di concludere che l'avanguardia sia il fiore all'occhiello della sovrappro­ duzione che può permettersi il lusso di sprecare energie nella compli­ cazione del proprio linguaggio artistico, insomma nel dar voce alla propria critica - Foucault direbbe: nella emissione di una resistenza sull a quale crescere. Un lusso o un surplus che le società in stagnazione o in calo - come l'odierna - non potrebbe più concedersi. Cosa manca per chiudere il cerchio di questa comoda equazione? Io credo che il problema non lo facciano tanto le eccezioni alla regola (come si sa, l'eccezione conferma la regola), come Dada negli anni della guerra, Espressionismo e Surrealismo negli anni Venti, in momenti che sembrano già catamoderni. Potrebbero essere presto liquidati come rimbalzi tardivi e frutti fuori stagione. n problema, per come la vedo io, è l'equazione stessa. In primo luogo, essa non riconosce l'avanguardia: infatti, se l'avanguardia è la contestazione del testo, sarà per forza contro la propria epoca e non in sintonia con essa. Giudicarla tale, vuoi dire svuotarne i presupposti. In se­ condo luogo, la storicizzazione che lega l'avanguardia a un determinato periodo con l'apparenza asettica della sistemazione a distanza, contiene un velenoso arresto della sua proiezione verso il futuro. È chiaro. Se s'insiste che l'avanguardia c'è stata in virtù di precise cir­ costanze, è perché la si vuole dimostrare irripetibile, va da sé, non ci potrà più essere in circostanze mutate. Non per niente la riapertura ad ogni terzo anno del decennio del dibattito sul Gruppo '63, più ancora di una riunione di reduci sempre più sparuti, assomiglia ad un esorcismo teso a controllare che il morto sia ben sepolto - e a giudicare dalle re­ crudescenze dei vade retro e degli scongiuri, c'è da dedurre che non sia ancora sepolto abbastanza. Ormai, tra noi e la neoavanguardia si stende mezzo secolo, una landa desolata dove ha impazzato il postmoderno con la sua dogmatica preclusione della impossibilità dell'avanguardia. In tale non possumus c'è più di un risvolto che è interessante sviluppare. Primo: nella cultura della fine della storia e quindi della ripetizione a piacere (citazionismo e quant'altro), l'unico tabù, l 'unica a non potersi ripetere sarebbe proprio l'avanguardia? 20 Inoltre, il postmoderno sa­ rebbe !'"equivalente sociologico", questo sì tutto colluso con la propria epoca, di una fase economico-sociale di forte sviluppo, con tanto di ri­ voluzione silenziosa, la rivoluzione informatica. Come mai al contrario 26

l. La contestazione del testo

dell ' avanguardia produrrebbe l'adeguamento, con strategie di rientro nel mercato, di allineamento e di adesione conformista, di impoveri­ mento del pluralismo e asservimento della cultura? Forse quello sviluppo era illusorio, o forse si è arrivati a un sistema perfezionato dove la co­ municazione non immediatamente produttiva dev'essere esclusa e non si scommette più sulla produttività della critica. Ed è vero che poi (so­ prattutto in America) , il postmoderno ha avuto delle somiglianze con le nuove avanguardie, tuttavia nel complesso assorbendone alcune tec­ niche (ironia, parodia, metascrittura) in maniera moderata, riportandole nell'alveo, spuntate e depotenziate. Questa operazione dietro le quinte doveva essere mascherata da un netto rifiuto dell'avanguardia. Ma lo stesso decreto di impossibilità, che ci siamo sentiti tante volte ri­ petere, ha qualcosa di curioso. La sua presunta oggettività - tanto più strana in un periodo che escludeva i fatti in favore delle interpretazioni - veniva enunciata con insolito vigore, talmente senza ammissione di re­ plica, da assomigliare nel tono a un divieto. Affermare che è inutile bat­ tersi per la ripresa dell'avanguardia, perché tanto non ce ne sono le condizioni, non varrebbe neanche la pena, basterebbe lasciare le pie il­ lusioni che andassero a vuoto. La perentorietà contiene evidentemente una volontà contraria: l'avanguardia è impossibile perché deve esserlo. Quanto più si stringono i legami tra produzione e comunicazione, tra merci e messaggi, tra valore di scambio e valore simbolico, e tanto più deve essere esclusa dall'orizzonte la scrittura deviante, quella operazione cartacea che, nel suo piccolo, dialetticamente scioglie quelle sovrapposi­ zioni e ne indica la contraddizione di fondo. Forse l'avanguardia era, tra fine Novecento e inizio Duemila, effettivamente impossibile, ma certo pochi hanno provato a farla. Di sicuro è stata invisibile quella poca che c'è stata: prima o poi andrà fatta la storia delle aggregazioni mancate (Gruppo '93, Terza Ondata21) e soprattutto delle numerose sperimenta­ zioni individuali "di nicchia" che hanno continuato pressoché clandesti­ namente a prodursi, col supporto di piccole case editrici, antologie, ecc. Ché poi l'impossibilità potrebbe anche essere accettata e rigirata in po­ sitivo. Per esempio: se l'avanguardia è impossibile, allora è l'unica cosa che valga la pena di tentare di fare (il possibile è banale, troppo facile e così via) . Oppure: l'avanguardia è impossibile? Sì, lo è, lo è sempre stata, infatti è andata sempre incontro a fallimenti, travisamenti e quant'altro, 27

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l'avanguardia consiste precisamente in questa sfida. Ancora: l'avanguar­ dia è impossibile, sì, è nella sua natura, perché è impossibile nel senso in cui la mamma dice al bambino "sei proprio impossibile!", impossibile da sopportare, quindi nel senso della riottosa indisciplina. Infine, l'avan­ guardia più matura e rigorosa assume la propria impossibilità lottando con essa nella sua dialettica interna di scrittura della contraddizione. Tutto questo cavillare per arrivare al punto: la rilettura degli anni Ses­ santa e adiacenze sarà compiuta, in questo libro, con una prospettiva attualizzante. Attualità dell'avanguardia? Ma questa oggi risulta essere davvero il non plus ultra della provocazione,· oppure una boutade. Tanto è progredito l'imbarbarimento della cultura e l'abbassamento di livello che io chiamo "postletterario" , che ormai anche i classici della tradi­ zione risultano praticamente "illeggibili" , figuriamoci le scritture ano­ male, per le quali il cosiddetto pubblico ha perduto il minimo parametro, sembreranno messaggi provenienti da Marte. Eppure, proviamo a identificare alcune elementari esigenze attribuibili a chi voglia semplicemente riemergere a respirare un pochino dall'im­ maginario collettivo in cui si trova immerso. Direi: l) poter capire che i valori vantati dal mercato non esistono e che l'emozione solitamente con­ nessavi tanto più è strombazzata, tanto più è immessa a comando pi­ giando su corde stantie ; 2) scrollarsi di dosso le maschere identitarie vecchie e nuove e i loro miti e simboli di appartenenza, comprese tutte le tentazioni neocomunitarie; 3) smentire con rigore la "scelta obbligata" calata dall'alto, per immaginare un diverso assetto di condivisione della penuria. Se partiamo da queste tre esigenze elementari, possiamo poi verificare quali scritture ci aiutino a soddisfarle. All o ra, nessuna opzione può dirsi "superata" o "datata" e del resto varie ipotesi che si spacciano per alternative sono a ben pensarci antichissime (quelle del tipo: "la bel­ lezza ci salverà", per esempio) . Certo, ogni ripresa dovrà essere filtrata con atteggiamento critico, non si tratterà di imitare - può darsi che oscu­ rità gratuite o atomizzazioni confuse non si rivelino utili - ma di seguire, ossia fare altrettanto altrimenti, nel senso che le avanguardie, mostrando che si può scrivere diversamente, ci allenano alla agilità mentale e ci in­ vitano alla dinamica testuale. Quali programmi operativi del '63 hanno ancora qualcosa da dirci? Ecco la domanda. Magari saranno le istanze più contestative e magari proprio quelle che all'epoca non furono com28

l. La contestazione del testo

piutamente espresse, perché sono esse - a essere fino in fondo benjami­ niani - che continuano a parlare per chiedere adempimento. Ma, poi, cosa servono tante argomentazioni arzigogolate? Basti que­ sto: l'avanguardia è un valore, se non altro perché è l'unica cosa che i cinesi non sono ancora riusciti a rifare ! Note 1 F. T. Marinetti, Teoria e invenz:.ionejùturista, 2 lvi, p. 1 2 . 3

Milano, Mondadori, 1 968, p . 1 60.

Cfr. F. Curi, Tra mimesi e metafora, Bologna, Pen dragon, 1 995; e

F.

Bettini, Principio di

libertà e tecnica dell'ingiun;::ione: un'antinomia inconciliabile del Manifesto tecnico futurista, in '�vanguardia" n . l , 1 996, pp. 69-88.

4 F. T. Marinetti, op. cit. , p. 7 . 5

H a scritto Jacques Rancière : «Le strutture del disaccordo sono quelle i n cui la di­

scussione su un argomento rimanda alla contesa sull 'oggetto della discussione, e sulla

qualità di coloro che ne fanno un oggettO>> (Il disaccordo, Roma, Mel temi, 200 7 , p. 2 1 ) .

La politica nasce con un simile disaccordo. In altre parole, quando ci si domanda "ma di cosa si sta parlando"? Nel nostro caso, quando la discussione sulla letteratura arriva al punto di accorgersi che, dicendo quella parola, non intendiamo la stessa cosa.

6 Tale è la distinzione proposta dagli studi di Wladimir Krysinski. 7

B. Brecht, Scritti sulla letteratura e sull'arte, Torino, Einaudi, 1 9 7 5 , pp. 2 1 8-2 1 9 .

8 A. Gramsci, Socialismo efascismo, Torino, Einaudi , 1 9 74, pp. 2 1 -2 2 . 9 Che scrive, tra l ' altro : «Sta d i fatto c h e d a un secolo a questa parte presso numerose e rilevanti correnti artistico. .letterarie si è posta sempre più "drammaticamente" ed espli­ citamente la tensione contestativa-trasformativa verso il "fuori" dell'arte-letteratura, in­ sieme ad un rigetto-rifiuto riguardo agli schemi già-dati dell 'essere arte-letteratura. Talvolta con nichilismo e rnisticismo, si capisce, ma sovente anche o invece con una sin­ cera tensione materialistica e persino antagonistica>> (R. Di Marco, Oltre la letteratura, Pa­

dova, Edizioni GB, 1 986, p. 69) . ll libro di Di Marco meriterebbe di essere riproposto e attentamente riletto, anche nei punti di forte critica agli anni Sessanta. 10

H . M . Enzensberger, u aporie dell'avanguardia, in Qyestioni di dettaglio, Milano, Feltri­

nelli, 1 965, p. 1 7 1 .

1 1 Nelle citazioni, spiluzzico da T. W Adorno, Teoria estetica, Torino, Einaudi, 1 9 7 7 ,

pp. 4 1 -42 e 64-65 .

12

A Guglielmi, Avanguardia e sperimentalismo, i n AA. VV , Gruppo '63. La nuova letteratura,

Milano, Feltrinelli, 1 964, p. 1 6.

1 3 lvi,

p. 1 8 .

14 U. Eco, Sperimentalismo e avanguardia, in La difini;::ione dell'arte, Milano, Garzanti, 1 98 3 , p. 244. 15 Questo importante inte rvento del 1 967 si legge ora in Ideologia e linguaggio, Milano, Feltrinelli , 200 l , p. l 09.

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Gruppo 1"

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C fr. F. Rossi-Landi, /! linguaggio come lavoro e come mercato, Milano, Bompiani, 1 968.

1 7 E. Sanguineti, Ideologia e linguaggio, cit., pp. 1 1 0- 1 1 1 . 1 8 A A VV , / novissimi. Poesie per gli anni '60, Milano, Rusco n i

e Paolazzi, 1 96 1 , p. XIX. Biirger, Teoria dell'avanguardia, Torino, Boringhieri, 1 990, pp. 90-9 1 . �o Per paradosso, il rifiuto dell'avanguardia sarebbe un residuo moderno nel postmo­ derno . . . � 1 Per la vt>rità la Terza Ondata, presentata nella antologia di Filippo Betùni t> Roberto Di Marco ( Ter;;_a Ondata, Bologna, Synergon, 1 993) è stata piuttosto una aggregazione senza st>guito. 1 9 P.

Rnalmente c'è anche l'avanguardia

per opporsi alla socie tà

Lamberto Pignotti , L 'avanguardia tutta nuova, collage

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su

cartone cm. 35x50,

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CAPITOLO 2 l margi n i del l 'utopia

Interrogarsi ancora una volta sulla carica utopica insita nei pro­ grammi e nelle proposte della nuova avanguardia italiana raccolta at­ torno alla sigla del Gruppo '63, significa innanzitutto non accontentarsi delle risposte date all'epoca nell'ambito della critica di sinistra, e quindi non accontentarsi di un verdetto negativo emesso a partire da un enga­ gement contenutistico o da un realismo di marca lukacsiana. Né il pro­ blema è stato approfondito in seguito: anche nelle occasioni "decennali" delle rievocazioni anniversarie il nodo della "opposizione" utopica è stato risolto con pollice verso portando a prova lo sbocco nel "sistema" di alcune carriere di intellettuali della neoavanguardia, così da passare in giudicato, ridotto il ribellismo d'antan in cinismo rampante, qualsiasi di­ scorso sulla "politica" dei testi (mentre è evidente che al "successo" di singoli non corrisponde minimamente l'affermazione dell'avanguardia che, come tendenza drasticamente alternativa, continua ad essere ese­ crata tuttora e per sempre da un ampio coro, con l'aggiunta di transfu­ ghi e pentiti). Il problema resta: si tratta di considerare quanto e come negli anni Sessanta l'avanguardia sia riuscita a connettersi con contestazione e uto­ pia (le quali due si danno qui come tendenzialmente sinonime, ad indi­ care lo scarto dall'"integrazione" nell'esistente che si fa "progetto", forza aggregativa e produttiva, non semplice sogno o evasione). Per altro, tale problema era stato sollevato ancora prima della nascita del Gruppo '63, riguardo alla ipotesi di una nuova avanguardia nel dopoguerra; alludo al saggio di Enzensberger Le aporie dell'avanguardia. In questo scritto En­ zensberger poneva come propria dell'avanguardia l'anticipazione uta­ piea e libertaria: «Non vi è programma d'avanguardia - egli scriveva ­ che non protesti contro l'inerzia dei fatti e non prometta, al tempo stesso, 31

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di sciogliere i ceppi politici ed estetici, di rovesciare i poteri tradizionali, di liberare forze represse» ' . Tuttavia, come già abbiamo visto nel capi­ tolo precedente, i movimenti più recenti (erano chiamati in causa l'in­ formale, la "poesia concreta" e la "beat generation") apparivano come trattenuti nelle cautele di un approccio tecnicistico, garantiti dai rischi dal «candido camice da laboratorio» dello sperimcntalismo; dunque at­ tenuando la portata contestativa e utopica o riducendola a un più co­ modo ricambio generazionale endoartistico. Una verifica su questo punto, all'interno delle proposte del Gruppo '63, non sarà inutile, so­ prattutto oggi che abbiamo la distanza giusta per una lettura critica degli anni Sessanta serrata e priva di nostalgie, ma nello stesso tempo ben di­ versa dalle solite contumelie dei difensori dei rituali tradizionali di un'estetica "distinta" dal sociale e pienamente soddisfatta delle proprie pratiche ripetitive. Il riferimento all'utopia non è infrequente nei materiali proposti dal Gruppo '63, e se ne possono dare vari esempi. Nello stesso anno di fon­ dazione del gruppo, «il verri» apre un dibattito su '�vanguardia e im­ pegno" , all'interno del quale l'intervento di Alfredo Giuliani ha per titolo: Allegoria e utopia dell'avanguardia2• Dell'anno dopo lo scritto di Cor­ rado Costa Poesia e utopia3• Il tema si intreccia saldamente con quello della "contestazione", come si può vedere dal lungo saggio di Roberto Di Marco Ipotesi per una letteratura di contestazione, dove si identifica l'istanza innovatrice in un progetto «specificamente utopico e insieme concreto», ossia riferito alla «realtà concreta dell'Utopia; l'Utopia, s'intende, spe­ cifica, sacrosanta e fertilissima di ogni Letteratura contra Ordine» 4 • E in termini di «contestazione» che, generata «sul terreno estetico, mette in causa, immediatamente, la struttura tutta dei rapporti sociali» si espri­ merà in quel torno di tempo anche Edoardo Sanguineti5 . Insomma, ve­ diamo che il problema dell'utopia accompagna il decorso dell'esperienza di gruppo e investe le diverse linee di ricerca e persona­ lità che si muovevano all'interno della sua compagine. Si tratta però di chiarire quale senso assuma, di volta in volta, il rimando all'utopia; ed ecco che la costante si rivelerà una variante : ci sono infatti differenti "utopie" in circolazione nel dibattito del Gruppo '63, che non possono essere ridotte ad un unico modello, se non al prezzo di confusioni e for­ zature. 32

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In generale, il terreno su cui la nuova avanguardia degli anni Sessanta muove i propri passi è la questione del linguaggio; anche là dove si riaf­ faccia la spinta dell' "impegno" resta sempre ferma la convinzione che esso vada giocato su precise scelte tecniche. Ciò non vuol dire che la tecnica letteraria venga assunta come un che di dato e di obbligatoria­ mente costrittivo; al contrario. È l'awertimento della alienazione lin­ guistica e il tentativo di opporsi ad essa a comportare il distanziamento dalla tradizione, con l'introduzione di tagli, mescolanze, atomizzazioni, in una operatività esasperata da tours de.force e non disdegnosa della "este­ tica del disturbo". Ma quello che occorre verificare, già a partire dalle intenzioni propositive, è come l'ambito delle "parole" venga a porsi in dialettica con l'ambito delle "cose". Se e quanto l'orizzonte del linguag­ gio si presenti come un limite entro il quale il testo letterario si sente motivato e realizzato, contentandosi di innovare la propria istituzione settoriale e appagandosi di una funzione di aggiornamento e di rinver­ ginamento della percezione delle parole; oppure invece se l'universo del linguaggio alienato nei suoi vari aspetti non venga attraversato da un progetto di rovesciamento dissenziente che si lega stretto a una più ampia liberazione e "progettazione" sociale. Tra questi poli si estende l'insieme piuttosto variegato di opinioni e di indicazioni che ci appre­ stiamo a passare in rassegna. Cominciamo da Renato Barilli e Angelo Guglielmi, i due critici-teo­ rici spesso in prima fila nelle assise del gruppo, e soprattutto influenti sulle linee della ricerca narrativa. Nelle loro posizioni l'utopia risulta in certo senso "frenata" . Barilli introduce le nozioni di "normalizzazione" e di "abbassamento" delle scoperte dei padri primonovecenteschi, come se l'avanguardia nuova non avesse altra possibilità che di amministrare, gestire, allargare e diffondere il patrimonio acquisito, ma non di operare in proprio gesti di portata decisiva. Anche Guglielmi, nel sostituire al­ l'avanguardia la formula dello "sperimentalismo" avanza l'ipotesi di una situazione ormai troppo complessa per essere combattuta da un frontale scontro eversivo. La sensazione di una "società a responsabilità limitata" è molto forte, rileggendo le pagine dei due critici in questione. Non che manchi completamente una prospettiva utopica: in Barilli sopratutto insita nel rinnovamento sensoriale del rapporto con il mondo, in Gu­ glielmi in un vitalismo fuori dagli schemi; tuttavia entrambi si preoccu33

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pano di esentare queste istanze dalla valutazione in base alla ricaduta nel senso dell 'opposizione. È vero che né l'uno né l'altro arrivano alla drasticità di un Giorgio Manganelli nel tener fuori la "finzione" da ogni contatto con il mondo dell'utile, utopia anche questa - se si vuole - ma di una "disubbidienza" completamente astorica6 • Mentre è vero che Barilli dice: «Robbe-Grillet lavora a modo suo per una società futura, per una società impegnata ( . . . ) ma non immediatamente proponendo certe strutture di tipo sociale o fiancheggiandole o difendendole, ma agendo per il momento in con­ comitanza con strutture di tipo percettivo-gnoseologico e in quanto scrit­ tore non può fare niente di più>/ . Oppure Guglielmi, a proposito dei libri di Gadda: «da essi abbiamo appreso quel senso di irriverenza verso il costituito, l'insofferenza verso il ricatto degli adulti e il condiziona­ mento della storia, e insomma quella sorta di libertà intellettuale, di fre­ schezza ( . . . ) e cioè quel quid che definisce in primis una coscienza rivoluzionaria» 8 . Tuttavia questo valore più ampio è contemporanea­ mente scontato (come a dire che l'avanguardia è naturaliter utopica) e fortuito, e quindi non deve condizionare né il giudizio del critico né i piani consapevoli della ricerca. li fatto è che, per Guglielmi, nell'utopia, formulata in qualsiasi modo, si sente la fastidiosa presenza dell'ideologia. In parte per reazione alla precedente stagione di impegno tutto de­ mandato ai contenuti, in parte in omaggio alla fenomenologica "messa in parentesi", qui l'utopia appare presa in custodia dalla letteratura; e se in essa apparentemente trova un estesissimo spazio di libertà, vi ri­ mane però alquanto chiusa e rattenuta, costretta a bruciarsi in una com­ bustione prevalentemente estetica. Col risultato, allora, di maglie piuttosto larghe e comprensive nell'uso delle nozioni guida (ancora re­ centemente Barilli finiva per ammettere nella sua categoria dell'«abbas­ samento dell'io» anche i "nuovi narratori" e, tra essi, personaggi davvero poco sperimentali) , e di una sostanziale impossibilità di valutare appieno la direzione tendenziale dei testi (ancora recentemente Guglielmi è in­ tervenuto sulla non necessaria coessenzialità dei momenti vitali della cultura con la politica "progressista") . Abbastanza prossima a queste posizioni si trovava quella che po­ tremmo definire !'"utopia formalista" della nuova avanguardia. Un'uto­ pia, cioè che affida le possibilità di innovazione tutta alle strutture 34

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(procedimenti, meccanismi, giochi del linguaggio) asserendo - in ade­ renza al formalismo di marca sklovskiana - l'indifferenza dei materiali. Sarà soprattutto N anni Balestrini, nei suoi montaggi per combinazioni matematiche, a raggiungere le estreme conseguenze. C'è dietro l'idea, espressa esplicitamente da Balestrini, che il linguaggio abbia in se stesso l'energia creativa per scalzare i sedimenti dell'alienazione, le scorie del­ l'abitudine: «sarà il linguaggio stesso - scrive Balestrini - a generare un significato nuovo e irripetibile» 9 ; l 'autore può mantenersi in ombra, li­ mitarsi alla funzione di stimolo esterno («stuzzicare» le parole) di una epifania del senso lasciata alla meccanica del caso. Anche Alfredo Giuliani - e penso soprattutto alla seconda prefazione della antologia dei "Novissimi" - muove dal «primato della struttura». Qui l'intervento dell'operatore è maggiore che in Balestrini: il poeta «coltiva, sceglie, manipola» la materia del linguaggio, ma lo deve fare «senza riguardo per una pre-verità che essa possa contenere» 1 0 , e ciò si­ gnifica un rapporto più esistenziale che politico con le parole (per Giu­ liani - e lo si vedrà anche all'epoca della crisi di «Quindici» - la politica è essenzialmente ideologia e l'ideologia al massimo «materiale da co­ struzione»; dunque sottoposta alla «struttura»). Nella seconda prefa­ zione ai Novissimi - che è del '65 - l'istanza della «contestazione» si affaccia nel momento in cui si assume in proprio «la condizione dello scrittore che opera in perenne litigio o in contestazione con la realtà della lingua, ossia con se stesso e le istituzioni» 1 1 ; ma si osservino bene i termini e soprattutto l' «ossia»: la contestazione riguarda la lingua, anzi il soggetto e le istituzioni sono equivalenti (dunque: tutti interni) alla lin­ gua; alla «realtà della lingua», a un passo dal dire che la «lingua» è l'unica «realtà». Si affaccia, in queste proposizioni, il panlinguismo che passerà, egemone, dallo strutturalismo all'ermeneutica, al decostruzio­ nismo: l'essere è il linguaggio. Più complessa è l'ipotesi di Eco sul «modo di formare come impegno sulla realtà» (titolo di un suo saggio del '62 12 ). Eco affronta il problema dell'alienazione, owero delle tecniche che l'uomo mette in moto senza averne controllo e finendo per esserne agito; tali sono anche le tecniche artistiche ricevute dalla tradizione, le quali nascondono nella loro «strut­ tura convenzionale» una «visione del mondo» che noi accettiamo senza rendercene conto. Dunque, l'artista che interviene sul «modo di for35

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mare» incide, sia pur indirettamente, sulla realtà sociale. «L'arte conosce il mondo attraverso le proprie strutture formative (che quindi non sono il suo momento formalistico ma il suo vero momento di contenuto) : la letteratura organizza parole che significano aspetti del mondo, ma l'opera letteraria significa in proprio il mondo attraverso il modo con cui queste parole sono disposte, anche se esse, prese una per una, signi­ ficano cose prive di senso» 1 3 • C'è dunque la prospettiva di uscire dalla "responsabilità limitata" del linguaggio letterario verso una oggettiva "esteriorità" ; ma ciò non vuol dire necessariamente il rafforzamento dell'istanza utopica. Sebbene Eco presenti i suoi casi esemplari (Joyce, Antoniani) come casi di demistificazione, la consapevolezza o l'asten­ sione trasparente della condizione alienata sembrano non varcare la so­ glia che separa la disponibilità ai fenomeni dal progetto di trasformazione. A guardar bene le forme rifiutate lo sono perché ana­ cronistiche e l'innovazione formale risponde soprattutto a un'esigenza di aggiornamento: di adeguamento al presente (fenomenologicamente: alla «situazione») . Se ciò è vero, la proiezione utopica verso il futuro è piegata e mantenuta dentro il riconoscimento al presente di aperture già tutte date senza bisogno di lotta, in un orizzonte di «crisi» vissuta però come già in sé liberatoria. E il presente delle nuove tecnologie sta dietro questa fiducia nelle tec­ niche come per propria forza salve dall'alienazione. Su questo versante l'arte può accedere alla coscienza dello sviluppo tecnologico ma non all'avvertimento critico delle contraddizioni dello sviluppo medesimo. Ecco la ragione per cui l'utopia delle forme è destinata ad adattarsi a un sistema di tecniche comunicative avanzato; moderno, o � come si pretenderà poi � addirittura postmoderno (con un indebolimento della tendenziosità che si può misurare, in anni vicini, non solo sui best-sellers citazionisti-ironici di Eco, ma anche sugli esiti della narrativa di Bale­ strini, a tutta prima estremistica, ma di fatto ambigua nei segnali dire­ zionali, stante l'affidarsi come nel caso de Ifuriosi all'emersione "spontanea" della violenza soggettiva, nuova forma dell'insorgenza alea­ toria del disordine) . Nell'area di ricerche e di progetti degli anni Sessanta, un posto a parte spetta ad Elio Pagliarani e in particolare al suo contributo sulla nozione di avanguardia. Pagliarani riprende da Pound l'idea che il compito della �

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letteratura è di mantenere «in efficienza» la lingua; una sorta di igiene linguistica che a prima vista sembrerebbe limitare il testo nel suo settore, sotto la cura di una tecnicità specializzata. Sennonché, Pagliarani arti­ cola la «funzione dell'operatore» su più livelli, in modo tale che la «cri­ tica dei mezzi espressivi», ossia lo scarto dell'innovazione nei confronti della tradizione, sia subito collegato al versante «extraletterario», sul quale la novità è chiamata a manifestarsi come «opposizione». Dunque «il diverso, il di più, che caratterizza i movimenti di avanguardia rispetto agli altri movimenti artistico-letterari, è un di più extrartistico, è un di più sociale, di critica sociale» 14 • L'operazione sul linguaggio, quindi, non è neutrale; né si arresta al momento di avere ammodernato e rinnovato gli strumenti tecnici, sostituendoli con altri più funzionali: piuttosto, se­ condo Pagliarani, deve essere toccato il nucleo culturale-ideologico delle parole, o - per usare i suoi stessi termini - quello dei «significati precostituiti, che lo scrittore trova nella lingua». Per questa via si giunge all a formulazione della «contestazione)) dei significati (non una semplice libertà dei significanti, perciò); pars destruens la cui corrispondente pars construens sarà la «progettazione di nuovi significati)) . Qui si intravede la necessità dell'utopia come progetto culturale alternativo non consegnato alla sola creatività letteraria, ma in cui la letteratura si trovi coinvolta con i suoi strumenti specifici. Tenuta in conto va anche la linea parasurrealista portata avanti dal gruppo di «Malebolge)> (Giorgio Celli, Adriano Spatola, C orrado Costa; cui si può avvicinare anche Antonio Porta) . Il problema dell'utopia si connette, qui, al riscatto dell'immaginazione. La letteratura si offre come il terreno di un possibile recupero e rilancio di ciò che la repressione culturale ha tolto di mezzo. È chiaro allora che un'avan­ guardia del genere non mira a un semplice obiettivo di ricarica setto­ riale, ma tende a oltrepassare gli steccati disciplinari per investire le proprie chances in un rinnovamento globale, culturale e antropologico. Quello che accomuna ai discorsi precedenti è la diffidenza per un "messaggio" già dato per deciso in partenza. Porta, ad esempio, afferma che l'«impegnm) deve nascere non prima, ma «con e durante il fare poe­ tico))' e in tal modo potrà essere, invece che un passivo riflesso, uno sti­ molo «prospettico, utopico, ipoteticm) 1 5 • Dal canto suo Spatola, nel mentre parla di «poesia come opposizione))' precisa che «per il poeta, 37

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la realtà storica e sociale non sta dietro ma davanti alla poesia, alla realtà del linguaggio, non è un prima ma un dopo, è un obiettivo non una méta» 1 6 • È confermato dunque il «lavoro nel linguaggio», che però non si estrinseca nell'ammodernamento, quanto piuttosto in un risveglio dell'immaginario necessariamente rivolto anche all'indietro: non per niente, in questa area di «Malebolge>>, si guarda all'avanguardia storica ed anzi, prima ancora, ai grandi padri Sade e Lautréamont. Questo scavo nel passato preserva l'utopia dalle connessioni con il trionfalismo del presente tecnologico, mentre si fa forte, piuttosto, del ricorso per via immaginativa ad una base antropologica:, fondata sulla corporeità e l'animalità (identificata, soprattutto in Celli 1 7 , con la sfera biologica) . Il rischio che tocca ad un simile indirizzo è quello di una assolutizzazione dello scontro tra immaginazione e dominio, che può far assumere al ra­ dicalismo coloriture arcaiche e magiche (si veda l'apparentamento tra scrittore e sciamano in Spatola) . Se prendiamo lo scritto che affronta più direttamente il problema dell'utopia, cioè Poesia e utopia di Costa, vediamo che il rifiuto della to­ talità oppressiva non può non prendere tonalità "apocalittiche" : là dove l'uniformità è sovrana ed emette dal suo seno le magnificate "novità", l'immaginazione non deve prefissare il futuro, ma rovesciare il presente: «Non si tratta - scrive Costa - di annunciare nessun regno futuro, né di credere che si viva a una svolta definitiva della storia, né che si sta cre­ ando "un nuovo tipo di uomo" . ( . . . ) Avere un'utopia significa ribellarsi al fatto che non si possa più credere a nessuna utopia, vivendo in con­ dizione di mero strumentalismo. Ripetere il mito libertario significa ri­ bellarsi nei confronti di coloro che rinunciano a ribellarsi per conformismo politico, o per integrazione rinunciano a riconoscere il co­ stante verificarsi dell'oppressione» 18 • Nessun "libero gioco", quanto piuttosto la spietatezza è di casa, qui; e lo stesso riaggancio con la tradizione dei grandi trasgressori stabilisce un nesso con un pensiero negativo, che non è di certo tranquillamente uto­ pistico (come Sade, per esempio) . E ciò vale a dimostrare che, anche là dove è più esplicitamente nominata, l'utopia resta problematica. Il discorso condotto dagli intellettuali e scrittori di «Malebolge» ha costituito una linea di ricerca che, pur minoritaria in seno al gruppo, si dimostrerà capace di evoluzione; all'altezza di «Quindici» trovandosi a 38

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suo agio nell'estremizzarsi delle posizioni e nel riemergere delle istanze di avanguardia "forte" e "vulcanica" (mentre l'ala fenomenologica di Barilli e Giuliani si dissociava dalla troppa politicizzazione) . Certo, non senza semplificazioni teoriche: e si potrà notare una ancor maggiore en­ fasi sulle proprietà rivoluzionarie dell'immaginario; vale a dire un uto­ pismo totalizzante e svincolato dal "principio di realtà" . Resta il fatto che ancora, più avanti, negli anni del riflusso, Spatola con le sue inizia­ tive presso il Mulino di Bazzano (le edizioni Geiger, «Tam tam», «Bao­ bab») costituirà un nucleo di resistenza delle pratiche letterarie sperimentali contro la sconfortante marea del ritorno nella confessione lirica e nella narrazione a tutto tondo. Il confronto con il surrealismo verrà ad affacciarsi anche nelle rifles­ sioni teoriche di Edoardo Sanguineti e soprattutto nella sua proposta di una «letteratura della crudeltà» (con esplicito riferimento ad Artaud e alle «idee che hanno la forza della fame») proprio sul numero iniziale di « Quindici» 1 9 • Sanguineti vi asserisce che il surrealismo, in quanto tendenza ad «uscire fuori della letteratura» in una direzione politica­ mente antagonista, «è il fantasma che giustamente perseguita ogni avan­ guardia ulteriore e le nega pacifico sonno». E tuttavia Sanguineti è il più restio a ragionare in termini di utopia: poiché per lui ogni costru­ zione del futuro come ogni «contestazione» letteraria si valuta sul ter­ reno della situazione storica su cui riesce o no ad avere incidenza. Ciò non vuol dire che la prospettiva sanguinetiana neghi la possibilità di un rinnovamento antropologico, ed anzi - nel convegno fondativo del gruppo, a Palermo '63 egli volgeva la sua stessa dichiarazione di marxismo verso la ricerca di una «nuova razionalità» inglobante anche ciò che apparentemente risiede nella sfera dell'«immaginazione sfrenata e privata» 20 ; con altrettanta chiarezza, però, il lavoro teorico di Sangui­ neri respingeva l'idea di un ribaltamento in favore di un'immaginazione assolutamente indipendente da vincoli 2 1 o grande serbatoio estraneo alla corrente della storia: solo contestualmente assume senso parlare di una portata contestativa oppure, in caso contrario, di un esito solidale con le formazioni culturali e politiche egemoni. Anche sul piano critico, a partire dall'equazione tra ideologia e linguaggio, Sanguineti non ri­ cerca negli autori soltanto il riscontro della crisi culturale, ma sottolinea proprio quei momenti in cui la scrittura «sarà caratterizzata, in primo -

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luogo e comunque, dalla radicale aspirazione, e radicalmente eversiva, e assai sovente francamente anarchica, a porre in crisi l'orizzonte stesso della crisi: con un sicuro punto di storico acquisto, ad ogni modo, che è la precisa coscienza storica dell'orizzonte, del limite, come orizzonte sto­ rico, come limite storico» 22 . Come non si può pensare a una forma letteraria estranea tout court al­ l'ideologia, che non sia a sua volta «mitopoiesi>>, ideologia sia pure altra (ciò valeva a contrastare polemicamente l'impostazione di Angelo Gu­ glielmi), così il momento «eroico-patetico» dell'avanguardia, che con­ tiene il "progetto" di antitesi alla società esistente, si trova a fare i conti - secondo Sanguineti - con il momento «cinico», ovvero con la "rugosa realtà" della sorte museale che attende qualsiasi novità quantunque pro­ vocatoria, stante il regime che lega a fùo doppio mercificazione e tradi­ zione (mercato e museo) . Certo, con la «letteratura della crudeltà», impiantata com'essa è sulla «categoria del cinismo violento», si accentua la portata oppositiva del­ l'intervento letterario, al di là di ogni prudenziale discorso di «attenua­ zione» della radicalità utopica. Sul finire degli anni Sessanta (e l'ipotesi sanguinetiana si basa certa­ mente sulla percezione di una stagione di forti conflitti), il testo di avan­ guardia esce decisamente da una cerchia di responsabilità puramente estetiche. La «crudeltà», qui (come del resto nello stesso prototipo ar­ taudiano), non vale ad indicare una tematica, dell'orrore o della tra­ sgressione che sia, quanto un approccio rigoroso e lucido al linguaggio: Sanguineti, dunque, non tarda mai nel sottolineare i condizionamenti e i limiti ideologici di uno «spazio sperimentale» come quello letterario. Ma, nello stesso tempo, ricavando tensione dalla contraddizione dialet­ tica tra lo stare dentro la letteratura eppure puntare Jùori di essa, conta l'obbligo di rifiutare qualsiasi remissività all'esistente. Se da un lato solo con il cambiamento delle «istituzioni» e dello «stato» si potrà accedere all'utopia, dall'altro lato l' «esperienza della parola» deve situarsi «già fuori, obiettivamente, delle istituzioni e dello stato». Di colpo spiazzando sia il formalismo (l'aggiornamento delle tecniche) che il potere assoluto dell'immaginazione, Sanguineti forniva al gruppo una via di politiciz­ zazione non dimissionaria (cioè non consistente in una "dimissione" delle scelte direzionali della letteratura, demandata ogni guida a una 40

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istanza politica cui accodarsi) nei termini di una avanguardia materialista: il gruppo però non reggerà all'urto della politicità, e finirà per sciogliersi in percorsi individuali. All'altezza di «Quindici» andava radicalizzandosi anche la posizione di Fausto Curi che, in particolare, pubblicherà sulla rivista un saggio dal significativo titolo Presa politica della parola2 3 • In esso la compagine del gruppo veniva descritta proprio alla luce del binomio «anarchia e uto­ pia»: una poetica anarco-utopica era stata, secondo Curi, la piattaforma comune su cui si erano innestate le discrepanze e le divergenze delle di­ verse linee, determinando un ventaglio dalla destra alla sinistra dello schieramento. Nell'esplosione sessantottesca, però, quell'orizzonte con­ diviso e quell'omogeneità sia pur sfrangiata entravano in crisi. Curi av­ vertiva sempre più viva la consapevolezza di quanto la tensione anarco-utopica non fosse di per sé dirompente nei confronti della cultura borghese, ma anzi interna ad essa (in quanto «infantilismo rivoluziona­ rio» con «l'ill u sione di un "superamento" soggettivo della condizione borghese»), e fosse da vivere, quindi, correttamente come > , tra il 1 964 e il 1 966; la citazione è dal n. 23-24- 2 5 , 1 966, p. 3 7 . 5 I n Avanguardia, società, impegno, saggio del 1 966 (ora i n Ideologia e linguaggio, c i t.). 6 L'utopia è riconosciuta d a Manganelli n o n g i à n e l farsi progetto di innovamento culturale e politico, ma nell'atteggiarsi a infungibile dalla società. Nondi­ meno di utopia intende parlare :