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Italian Pages 111 Year 2012
OLTRE LO SGUARDO – ITINERARI DI FILOSOFIA Collana diretta da Tonino Griffero
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Friedrich Schiller
Il corpo e l’anima Scritti giovanili
Introduzione di Giovanna Pinna
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Sommario
Introduzione (Giovanna Pinna) Nota ai testi IL CORPO E L’ANIMA Filosofia della fisiologia Saggio sul rapporto tra la natura animale e la natura spirituale dell’uomo Lettere filosofiche Bibliografia essenziale
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Introduzione di Giovanna Pinna
Il 13 gennaio 1782 al teatro di Mannheim fu rappresentata con enorme successo una tragedia il cui autore era del tutto sconosciuto al pubblico. L’opera era I masnadieri (Die Räuber) e il suo autore Friedrich Schiller, allora ventitreenne, che ne ebbe fama immediata e fu salutato come la speranza del nuovo teatro tedesco. Curiosamente, colui che sarebbe diventato un classico della letteratura tedesca fu costretto ad assistere clandestinamente alla rappresentazione della sua opera prima, così come clandestine erano state l’elaborazione del testo e le vicende della pubblicazione. La ragione di ciò è che Schiller all’epoca prestava servizio come medico di reggimento a Stoccarda e gli era stata proibita ogni attività letteraria pubblica. La tragedia era stata ideata e in massima parte scritta all’accademia militare di Stoccarda, la cosiddetta Karlsschule, dove Schiller era stato costretto dal duca del Württenberg, Karl Eugen, a studiare medicina. Tale circostanza, che fomentò nel giovane aspirante poeta, incline piuttosto a studi teologici, una violenta avversione per il dispotismo (l’edizione a 7
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Introduzione
stampa de I masnadieri recava l’epigrafe «In tyrannos»), ebbe però conseguenze significative e fruttuose per la sua formazione intellettuale. Lo studio della medicina alla Karsschule era infatti affiancato da insegnamenti di filosofia, di psicologia e di antropologia, che offrivano agli allievi un’ampia panoramica sulle discussioni teoriche contemporanee. Una figura in particolare, il giovane filosofo berlinese Jacob Friedrich Abel, cui il duca aveva affidato la realizzazione del suo avanguardistico progetto di integrazione tra medicina, filosofia e antropologia, ricoprì per Schiller il ruolo di mentore. Nell’eclettico insegnamento di Abel confluivano dottrine di marca empirista e sensista, da Locke a Ferguson, la riflessione sulla destinazione dell’uomo, l’idea leibniziana dell’armonia prestabilita, la discussioni sui materialisti francesi come Helvétius e La Mettrie ed anche la tradizione teosofica sveva. Né mancavano i riferimenti alla letteratura contemporanea e a Shakespeare. La formazione di Schiller fu dunque quella del medico-filosofo, caratterizzata dall’ottimismo razionalistico della Popularphilosophie illuministica e da un interesse precipuo per l’uomo nella complessità della sua costituzione psico-fisica. In tale contesto la letteratura, soprattutto quella drammatica, divenne per lui strumento di analisi ed al tempo stesso terreno applicativo dell’osservazione psicologica. Shakespeare più di ogni altro offriva un materiale ricchissimo per l’indagine dei lati oscuri dell’anima umana e della patologia del commercium mentis et corporis, e nelle prime prove poetiche lo studente della Karlsschule riversò i risultati di questo studio sull’uomo, tanto che nei Masnadieri il personaggio di Franz Moor ordisce le sue trame servendosi perversamente del sapere del medico-filosofo. Si può 8
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Giovanna Pinna
quasi dire che per certi versi la letteratura abbia funto da surrogato della scarsa pratica clinica, ma non mancavano occasioni di genuina esperienza osservativa, come quando Schiller fu incaricato di scrivere una relazione sul coallievo Heinrich Grammont, affetto da una grave forma di depressione. Il testo si concentra sul rapporto tra lo stato psichico del paziente, causato in parte da una crisi religiosa (il giovane proveniva da un ambiente pietista), e i disturbi fisici concomitanti, mostrando chiaramente l’orientamento dell’osservatore, improntato ad una visione antropologia globale che rimarrà un tratto costante della produzione teorica schilleriana. Da questo humus intellettuale sorgono i tre scritti qui raccolti. 1. Non è un caso che a conclusione degli studi Schiller scelga un tema con una forte connotazione filosofica: Filosofia della fisiologia è il titolo della prima dissertazione da lui presentata, e respinta dalla commissione per l’eccessiva disinvoltura con cui tratta dottrine consolidate e figure di riferimento della medicina del tempo. Nello scritto, di cui ci è giunta solo la parte introduttiva e il piano dell’opera, Schiller discute le diverse dottrine fisiologiche relative al rapporto tra mente e corpo a partire dall’assunto metafisico della somiglianza dell’uomo con Dio. La sua posizione corrisponde in linea di principio a un dualismo antimaterialistico che non gli impedisce però di considerare gli argomenti elaborati dai materialisti francesi riguardo alla struttura del meccanismo corporeo. Se da un lato è convinto della immaterialità dell’anima, dall’altro ritiene che la destinazione dell’uomo, vale a dire la perfezione del suo essere, sia realizzabile attraverso l’accordo tra le sue disposizioni spirituali e le leggi dell’universo fisico. A ciò si connette 9
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Introduzione
una forma di eudemonismo che lega la felicità alla comprensione del senso del tutto. Un’idea, questa, derivata in gran parte dagli Institutes of Moral Philosophy dello scozzese Adam Ferguson, letti nell’edizione tedesca di Christian Garve, uno degli esponenti di spicco della Popularphilosophie. Nel suo tentativo di render conto del meccanismo di interazione tra anima e corpo egli si concentra sul sistema nervoso e sul principio di irritabilità, mutuato dalla fisiologia di dello scienziato e poeta svizzero Albrecht von Haller. La possibile soluzione del problema, cioè il superamento sia del monismo materialista, sia dello spiritualismo di marca leibniziana che sottomette interamente il corpo al principio spirituale, consisterebbe infatti nell’esistenza di una forza intermedia (Mittelkraft) tra sfera corporea e sfera psichica, che risiederebbe propriamente nei nervi. Ma il concetto, per la dimostrazione del quale Schiller si appella in ultima istanza all’esperienza dell’inscindibilità delle due nature nell’uomo, richiama anche la nozione di Mittelding (lett.: cosa intermedia) del teosofo Christoph Oetinger, che si opponeva al dualismo tra res cogitans e res extensa attraverso l’idea della manifestazione divina come presenza materiale. L’uso disinvolto di fonti eterogenee e l’intreccio di ambiti conoscitivi differenti è del resto ciò che colpisce in questo testo incompiuto e certamente acerbo, il cui interesse risiede soprattutto nella prefigurazione di un orizzonte problematico: la complessa interazione fra ragione e passioni, conoscenza ed emozioni che sta alla base della tragedie e degli scritti estetici dello Schiller maturo. 2. Alla laurea in medicina Schiller giunse infine con un lavoro che mostrava con evidenza ancora maggiore il 10
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suo approccio filosofico-antropologico alla disciplina: il Saggio sul rapporto tra la natura animale e la natura spirituale dell’uomo. Il centro di interesse del suo discorso è la necessaria e armonica interazione tra corpo e mente, laddove egli sottolinea l’apporto della dimensione sensibile-corporea all’elaborazione della conoscenza e alla determinazione della volontà. Pur ribadendo l’intermediarietà della propria posizione tra spiritualismo e materialismo, egli ritiene infatti più fruttuoso soffermarsi sul «contributo del corpo alle attività dell’anima», facendo passare in secondo piano le questioni relative all’unità e all’immortalità dell’anima a favore di un’argomentazione di carattere antropologico. La riflessione sulla fisiologia delle passioni è inquadrata in una sorta di storia naturale dell’individuo e del genere umano che anticipa – con un eccesso di ottimismo sulla perfettibilità dell’uomo che sarà poi accantonato – la prima parte della sua opera filosofica maggiore, le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1795). Per altro verso, nonostante l’uso di un metodo empirico-induttivo nella descrizione dei fenomeni psicosomatici e i numerosi riferimenti alla medicina contemporanea, nella sua composizione il testo tradisce la più genuina inclinazione dell’autore, che infarcisce l’argomentazione di esempi letterari, da Shakespeare a Cicerone, da Pope alle poesie di Haller, sino ai drammaturghi dello Sturm und Drang, in funzione di illustrazione o di riscontro “empirico” degli assunti teorici sostenuti. Ma la sua ambizione primaria, quella di essere un “pittore d’anime” e di indagare attraverso l’invenzione poetica le vicende e le perversioni della psiche umana, emerge soprattutto da un caso eclatante di auto-citazione mascherata: un lungo passaggio da I masnadieri, opera non ancora conclusa e tantomeno pub11
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Introduzione
blicata, corredato dal riferimento fittizio «Life of Moor. Tragedy by Krake». Qui Franz Moor, razionalista cinico pronto a servirsi della conoscenza dell’influsso della psiche sul corpo per annientare la volontà del padre, è a sua volta preda del turbamento fisico connesso al prevalere delle “idee oscure”, ovvero l’inconscio. Questo esempio di immaginazione letteraria che si integra nel contesto apparentemente estraneo di una dissertazione scientifica è l’emblema del singolare intreccio di motivi concettuali e di stimoli provenienti da discipline diverse che forma la base delle concezioni letterarie ed estetiche di Schiller. Un intreccio in cui la considerazione del ruolo della “macchina corporea” nella costituzione dell’individuo ha una parte decisiva, il che ha indotto la critica recente a ridimensionare l’immagine tradizionale di uno Schiller enfaticamente ed esclusivamente proiettato verso le vette dell’ideale. 3. Ciò non esclude però che vi sia in questi scritti una componente neoplatonica, metafisica se non teosofica, che si cristallizza in una sorta di filosofia dell’amore. Amore e amicizia sono concetti che ricorrono, in diverse accezioni, sia negli scritti teorici che nella produzione poetica sino ai primi anni ’80, un filo rosso che riconnette la prima dissertazione medica all’abbozzo di metafisica contenuto nelle Lettere filosofiche, pubblicate sette anni più tardi. Quest’ultimo scritto, pensato come romanzo epistolare, si presenta come il racconto di una crisi personale che è anche la crisi di un’epoca: il crollo delle credenze religiose tradizionali sotto l’impatto della critica illuministica e il conseguente tentativo di superare lo sterile scetticismo indotto da un uso radicale della ragione, in direzione di un accordo tra sentimenti e 12
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princìpi. Lo strumento di tale ricerca è appunto l’amore, che vi assume la connotazione di una intensa amicizia intellettuale tra due giovani, Julius e Raphael, il primo dei quali espone in un breve scritto intitolato Teosofia di Julius quella visione del mondo entusiastica e fideisticamente ottimista che le istanze della ragione finiranno per minare. Raphael, da parte sua, appare come il medico-filosofo che ha inoculato il vaccino dello scetticismo per provocare una salutare crisi della coscienza ingenua. La visione della Teosofia è la stessa che stava alla base della prima dissertazione: l’amore come legame universale, come attrazione tra gli enti, in un sincretismo che unisce influssi neoplatonici e concezione newtoniana del cosmo. In questa grande catena dell’essere, in cui tutti gli enti tendono alla perfezione, cioè alla massima espansione di sé, il principio negativo è l’egoismo dei materialisti e di Hobbes, cui è contrapposta l’idea che la felicità del singolo abbia una valenza sociale, in quanto direttamente connessa alla felicità di tutti. Manca tuttavia una vera soluzione del problema posto da giovane Julius, manca in sostanza la risposta di Raphael riguardo alla possibilità della conciliazione tra razionalità e sentimento. Lo scambio epistolare resta interrotto e Schiller tenta una conclusione fittizia, pubblicando una lettera di Raphael redatta dall’amico Körner, kantiano convinto, con l’idea che l’impresa comune sarebbe stata documento della stessa idea di amicizia che innervava l’opera. Ma il progettato romanzo epistolare non divenne mai tale e la ragione risiede probabilmente nell’impasse teorica da cui Schiller uscirà solo qualche anno dopo, attraverso lo studio di Kant, che dà l’avvio alla stagione dei grandi scritti estetici degli anni novanta, dai saggi sul sublime sino a Sulla poesia ingenua e sentimentale. 13
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Nota ai testi
I tre scritti qui raccolti rappresentano la prima fase della riflessione teorica di Schiller ed accompagnano la produzione poetica e drammaturgia giovanile. I primi due testi, sinora mai tradotti in italiano, documentano l’interazione tra medicina, antropologia e filosofia che sta all’origine della concezione schilleriana dell’uomo, poi articolata e affinata con gli strumenti della filosofia trascendentale. Il terzo esprime invece le posizioni metafisiche della prima giovinezza e il loro superamento in una direzione che cerca di mediare tra idealismo e materialismo. Il primo scritto, Filosofia della fisiologia (Philosophie der Physiologie), è il capitolo iniziale della prima dissertazione presentata da Schiller alla Karlsschule per la laurea in medicina nel 1779, che fu respinta dalla commissione. Il testo integrale, redatto prima in tedesco, poi in latino, non fu pubblicato ed è andato perduto. Ce ne è pervenuta questa trascrizione parziale, trovata nel lascito di Franz Conz, amico d’infanzia dell’autore, e pubblicata per la prima volta nel 1841. L’indice in epigrafe dà indicazioni sul piano complessivo del lavoro Il Saggio sul rapporto tra la natura animale e la natura spirituale dell’uomo (Versuch über den Zusammenhang 15
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Introduzione
der tierischen Natur des Menschen mit seiner geistigenœ, Stuttgart, Cotta 1780)) è la dissertazione con cui Schiller conseguì la laurea in medicina. Le Lettere filosofiche (Philosophische Briefe) furono stampate nel terzo numero della rivista «Thalia», edita dallo stesso Schiller, nel 1786 e poi ripubblicato nelle Kleinere prosaische Schriften, vol. I, Leipzig, Crusius 1792, pp.99-162. Il testo è composto da un nucleo più antico, corrispondente alla Teosofia di Julius, iniziato nel periodo degli studi, e da una serie di lettere scritte probabilmente a partire dal 1783, che fanno da contrappunto critico alla Teosofia. Alla seconda edizione Schiller aggiunse una ulteriore lettera redatta dall’amico Gottfried Körner e già pubblicata separatamente su «Thalia» nel 1786, che fungeva in un certo senso da completamento dello scritto rimasto incompiuto. La traduzione è condotta sul testo fornito nel vol. XX della Nationalausgabe [Schillers Werke, Nationalausgabe, gegr. von J. Petersen, fortgeführt von B. von Wiese, L. Blumenthal et al. Weimar, Hermann Böhlau Nachfolger 1943 sgg. , abbr. NA].
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FRIEDRICH SCHILLER Il corpo e l’anima
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Filosofia della fisiologia
I. La vita spirituale II. La vita nutritiva III. La riproduzione IV. Connessione fra i sistemi V. Sonno e morte naturale1
I LA VITA SPIRITUALE §1. La destinazione dell’uomo Prima o poi sarà dimostrato con ragionevole certezza, io credo, che l’universo è l’opera di un intelletto infinito ed è concepito in base ad un disegno eccellente. Così come per l’onnipotente influsso della forza divina il disegno si è trasformato in realtà e tutte le forze agiscono sia di per sé, sia influenzandosi reciprocamente, come le corde di uno strumento che accordano mille voci in una melodia, così lo spirito dell’uomo, nobilitato 1
L’indice si riferisce al piano complessivo dell’opera, di cui ci è pervenuto solo il primo capitolo.
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da forze divine, deve risalire dai singoli effetti alle cause e alle intenzioni e dall’insieme delle cause e delle intenzioni al grande disegno del tutto, dal disegno riconoscere il creatore, amarlo e glorificarlo. Detto più brevemente e in un modo che suona più elevato alle nostre orecchie: l’uomo esiste per emulare la grandezza del suo creatore e per abbracciare il mondo con lo stesso sguardo con cui questi lo abbraccia – la somiglianza con Dio è la destinazione dell’uomo2. Infinito, certamente, è questo suo ideale, ma lo spirito è eterno. L’eternità è la misura dell’infinità, vale a dire che egli crescerà all’infinito, ma senza mai raggiungerlo. Un’anima, afferma un saggio di questo secolo, che è illuminata al punto da avere davanti agli occhi il piano della provvidenza divina, è un’anima felice3. Una legge eterna, grande e bella ha connesso la perfezione al piace2 L’idea di destinazione dell’uomo (Bestimmung des Menschen), con cui Schiller introduce la sua dissertazione medica, era uno dei temi centrali del dibattito etico-metafisico del tempo. Ad accendere la discussione nell’ambito dell’Illuminismo tedesco era stato lo scritto di J.J. Spalding Die Bestimmung des Menschen (1763), che sosteneva l’infinita perfettibilità dell’uomo. Sulla questione si veda L.A. Macor, Il giro fangoso dell’umana destinazione, Pisa, ETS 2008, pp. 23-71. 3 Schiller si riferisce qui all’illuminista scozzese Adam Ferguson, di cui aveva letto gli Institutes of Moral Philosophy (Edimburgh 1769) nella traduzione-adattamento di Christian Garve, esponente della cosiddetta filosofia popolare (Popularphilosophie), apparso nel 1772 a Lipsia col titolo Adams Fergusons Grundsätze der Moralphilosohie. Mit einigen Anmerkungen versehen von Christian Garve. È questo uno dei testi che ebbero più influsso sulla formazione filosofica di Schiller. Sul rapporto tra felicità e comprensione delle leggi dell’universo
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re, l’imperfezione al dispiacere. Ciò che avvicina l’uomo a tale destinazione, mediatamente o immediatamente, sarà per lui fonte di gioia. Ciò che lo allontana lo farà soffrire ed egli lo eviterà, mentre lotterà per raggiungere ciò che gli dà gioia. Egli cercherà la perfezione perché l’imperfezione gli provoca dolore; la cercherà perché gli dà gioia. La somma della massima perfezione con la minima imperfezione è la somma del massimo piacere con il minimo dolore. Questa è la beatitudine. Allora è come se dicessi che l’uomo esiste per essere felice, ovvero che esiste per essere perfetto. Solo quando è perfetto egli è felice. Solo quando è felice egli è perfetto. Ma un’altra legge, altrettanto bella e saggia, derivazione della prima, ha connesso la perfezione del tutto con la felicità del singolo, gli uomini con gli uomini, addirittura gli uomini con gli animali, mediante il legame dell’amore universale4. L’amore, dunque, l’impulso più bello e nobile nell’anima umana, la grande catena della natura senziente, non è altro che lo scambio di me stesso con l’essere del mio prossimo. E questo scambio è godimento. Perciò l’amore fa del suo piacere il mio piacere, della sua sofferenza la mia sofferenza. Ma anche tale sofferenza è perfezione, e non può essere dunque priva di piacere. Che altro sarebbe altrimenti la compassione, se cfr. Grundsätze der Moralphilosohie, cit., p. 135 (Cit. nel seguito come Ferguson/Garve, Grundsätze). 4 Il tema dell’amore universale, che rimanda alla tradizione ermetica e neoplatonica della “grande catena dell’essere”, ha largo spazio nel pensiero e nella produzione lirica del giovane Schiller ed è sviluppato ulteriormente nelle Lettere filosofiche. L’amore universale come componente della volizione si trova inoltre in Ferguson (cfr. Garve/ Ferguson, Grundsätze, cit., p. 69 sg.)
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non un affetto composto da una mescolanza di godimento e di sofferenza? Sofferenza, perché il prossimo soffre. Godimento, perché condivido con lui il dolore, perché lo amo5. E perché l’amore universale, perché tutti i piaceri dell’amore universale? Soltanto per questa intenzione fondamentale e ultima, per favorire la perfezione del prossimo. E tale perfezione è visione globale, ricerca, ammirazione del grande piano della natura. In definitiva tutti i piaceri dei sensi, di cui parleremo nel luogo debito, tendono con varie tortuosità e apparenti contraddizioni a tornare comunque ad esso. Immutabilmente questa verità resta uguale a se stessa: l’uomo è destinato alla contemplazione, allo studio, all’ammirazione del grande piano della natura. § 2. Effetto della materia sullo spirito Posto questo a fondamento, procedo oltre. Se l’uomo deve derivare il tutto dal singolo, allora deve sentire ogni singolo effetto. Il mondo deve avere un effetto su di lui. Esso è in parte fuori di lui, parte in lui stesso. Ciò che accade nell’interno labirinto del mio essere è oggetto di 5 Di compassione come di un sentimento misto parla Moses Mendelssohn – autore ben noto a Schiller - in Über die Empfindungen (Sui sentimenti. Cfr. M. Mendelssohn, Ästhetischen Schriften in Auswahl, a cura di O. Best, Darmstadt 1994, p. 89 sg; trad. it. in Scritti di estetica, a cura di L. Lattanzi, Palermo 2004, p. 80. Il concetto di compassione assumerà poi un’importanza centrale negli scritti schilleriani sul sublime e sul tragico.
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una psicologia, piuttosto che di una fisiologia generale6. Presupporremo che il lettore ne sia a conoscenza e oseremo entrare nel merito di essa solo quando la concatenazione degli elementi dell’insieme lo richieda. Gli effetti che si verificano all’esterno del mio io sono movimenti della materia. Tutti i movimenti della materia si fondano sull’impenetrabilità, una caratteristica che, per quanto ne sappiamo, la distingue specificamente dallo spirito7. Ma se lo spirito non è impenetrabile, come può agire su di esso la materia, che agisce solo sull’impenetrabile? Dev’essere morta per lui la vitale bellezza del creato, la sua forza vitale giacere in un sonno mortale nel ciclo infinitamente produttivo delle cause e degli effetti? Ma lo spirito non è mortalmente assopito in questo ciclo produttivo infinito. E neppure è morta per lui la bellezza vitale del creato. È felice. È attivo. Così lo spirito deve essere impenetrabile senza essere materia. Ma chi può separare il concetto di materia dalla sua impenetrabilità? Oppure lo spirito stesso dev’essere materia. Il pensiero sarebbe dunque movimento. L’immortalità 6 La psicologia (empirica, distinta dalla psicologia razionale, che era parte della metafisica) ha a che fare con il soggetto individuale. Schiller vi si era dedicato praticamente nell’osservazione dello stato di depressione del compagno di studi Heinrich Grammont, su cui era stato incaricato di scrivere un rapporto (Über die Krankheit des Eleven Grammont, in F. Schiller, Theoretische Schriften, hrsg. von R.P. Janz, Frankfurt a. M. 1992, pp.59-71. Si veda al proposito K. Dehwhurst - N. Reeves, Friedrich Schiller. Medicine, Psychology, Literature, Berkeley and Los Angeles 1978, pp. 177 sgg. 7 Penetrabilità e impenetrabilità sono nella tradizione dualistica cartesiana caratteristiche distintive rispettivamente della res cogitans e della res extensa.
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sarebbe un’illusione. Lo spirito dovrebbe essere caduco. Questa concezione, forzosamente escogitata per atterrare la sublimità dello spirito e anestetizzare la paura di un’eternità ventura, può sedurre però solo i pazzi e i malvagi; il saggio la irride8. Oppure tutta la nostra idea di mondo è una stoffa tessuta con fili prodotti dal nostro stesso io. Allora ci inganniamo, sogniamo e crediamo in tal modo di ricevere dall’esterno le nostre idee e le nostre sensazioni. Siamo indipendenti dal mondo ed esso è indipendente da noi. Lo interpretiamo, in virtù di un accordo che risuona sin dall’eternità, come due orologi perfettamente sincronizzati, talché il mondo esiste senza intenzione. Tale concezione non è altro che l’invenzione spiritosa di una mente sottile, che vi non ha mai creduto9. Oppure è l’influsso diretto dell’onnipotenza divina che fa agire su di me la forza della materia. Ciascuna delle mie rappresentazioni è dunque un miracolo e contraddice le leggi primarie della natura. Se con ciò si è voluto rappresentare il creatore come più potente, ci si è sbagliati in maniera sorprendente. I miracoli tradiscono una carenza nel piano dell’universo. Debole come un’artista umano, il creatore deve intervenire in ogni luogo. Egli sarebbe ancora grande, ma io posso pensarlo ancora più 8 Critica del materialismo. Le teorie di Helvétius e La Mettrie erano oggetto di disamina critica nelle lezioni di Abel all’Accademia militare. Nonostante le riserve di principio, i loro argomenti acquistano per Schiller un peso sempre maggiore, come emerge dalla dissertazione successiva Sul rapporto tra natura animale e natura spirituale dell’uomo e contribuiranno alla revisione delle posizioni filosofiche giovanili. 9 Schiller si riferisce qui all’idea leibniziana dell’armonia prestabilita.
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grande, e più eccellente la sua opera. È ottimo, ma non perfetto. È grande, ma non infinito10. Oppure, infine, dev’esserci una forza che sta tra lo spirito e la materia e li connette. Una forza che però può essere modificata dalla materia e che può modificare lo spirito. Questa sarebbe dunque una forza in parte spirituale, in parte materiale, un’entità in parte penetrabile, in parte impenetrabile. È possibile pensare qualcosa del genere? Certamente no! Sia come si vuole, vi è certamente una forza che sta tra la materia (proprio questa, i cui effetti debbono essere rappresentati) e lo spirito. Questa forza è del tutto differente dal mondo e dallo spirito. Se la allontano, sparisce ogni effetto del mondo su di esso. E tuttavia lo spirito c’è ancora. E tuttavia c’è ancora anche l’oggetto. La sua perdita ha determinato una frattura tra mondo e spirito. La sua esistenza illumina, vivifica, risveglia ogni cosa intorno a lei. Io la chiamo forza mediatrice11. § 3. La forza mediatrice Se questa forza sia o non sia un’entità differente da materia e spirito, o se sia l’elemento semplice della ma10
La posizione contro cui si appuntano gli argomenti di Schiller è quella occasionalista, che risale a Geulinx e Malebranche. 11 Il termine coniato da Schiller, Mittelkraft, richiama il concetto di Mittelding (cosa intermedia) elaborato dal teosofo svevo Friedrich Christoph Oetinger (1702-1782) nell’ambito di una teoria dell’anima cui non è estraneo l’influsso delle dottrine fisiologiche di Nicolas Le Cat. Si veda T. Griffero, Il corpo spirituale. Ontologie ‘sottili’ da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph Oetinger, Milano 2006, p. 384 sgg.
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teria, questo mi è ora del tutto indifferente. Potrebbe anche essere un grado o l’anello di una catena di forze sempre più lontane dalla materia e sempre più affini allo spirito. Anche questo mi è indifferente. Sono anche disposto ad ammettere che una forza mediatrice può essere impensabile e capisco anche perché lo sia. Se in ogni rappresentazione io non mi rappresento la forza mediatrice stessa, ma soltanto le sue modificazioni in quanto segni di modificazioni esteriori, allora essa è già esclusa dall’ambito delle mie percezioni. Così tutte le mie idee sono un gradino sotto di essa, e dunque materiali. Posso rappresentarmi la materia perché essa agisce indirettamente in me. Anche uno spirito posso rappresentarmelo più facilmente ed avere persino concetti del Creatore, poiché posso ricavarli dalle operazioni della mia anima. Essa però non la percepisco né indirettamente, né direttamente. E questa dovrebbe essere la ragione della sua impossibilità? Non sono in grado di rappresentarmi una modificazione senza movimento e tuttavia sono convinto che il pensiero non sia un movimento. Chi è così ingiusto da non far valere questo anche per la forza mediatrice? Filosoficamente non è dunque così impossibile, e non c’è neppure bisogno che sia verosimile, se è reale. L’esperienza ne dimostra l’esistenza. Come può la teoria rigettarla? § 4. Forza mediatrice. Forza meccanica. Organo Poiché tuttavia vi sono tipi molto diversi di forze materiali, ognuna delle quali agisce secondo leggi proprie, ciascun tipo di forza dovrebbe porsi in una particolare connessione con la forza mediatrice, a seconda delle sue 26
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leggi specifiche. E poiché inoltre la forza mediatrice si rapporta diversamente ad ogni tipo, anch’essa dovrebbe rapportarsi a ciascuna di esse in modo differente. Esisterebbero dunque delle forze meccaniche tra il mondo e la forza mediatrice, che io chiamo forze meccaniche subordinate, e poiché queste, e anche la mia forza mediatrice, sono esposte all’eterno influsso distruttivo delle forze esterne ed alla sovrabbondanza di oggetti, sarebbero loro per così dire coordinate delle altre forze che le proteggono. Queste sono le forze protettive. Possiamo chiamare struttura tutte queste forze meccaniche subordinate e protettive nel loro insieme. Chiamiamo organo la struttura e la forza in connessione tra loro. Risulterà dunque di per sé evidente che la differenza tra gli organi non risiede nella forza, ma nella struttura. Il mutamento nel mondo deve perciò percorrere due vie prima di essere trasmesso allo spirito; vale a dire che questa catena di forze della natura materiale procede verso l’interno dello spirito, ed è la condizione necessaria per la rappresentazione. Senza la forza mediatrice non giunge all’anima alcuna rappresentazione. Senza la struttura certamente nessuna rappresentazione determinata. Chiamiamo tutta l’attività percettiva “sensazione”; il mutamento nella struttura “orientamento”; la trasformazione nella forza mediatrice “idea materiale”; la trasformazione nell’intelletto su effetto dei precedenti “idea” in senso stretto. § 5. Suddivisione degli organi percettivi Vi sono però due classi degli organi della percezione ovvero dei sensi. Nella prima l’oggetto è modificato dalla 27
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struttura. Nella seconda esso giunge immutato alla forza mediatrice. Nella prima classe includiamo gli organi a seconda della diversità delle forze esterne. Alla pulsazione della luce corrisponde l’occhio. Alla vibrazione dell’aria l’orecchio. Alle più fini superfici del corpo l’organo del gusto. La seconda classe contiene a sua volta due organi. Ai delicati effluvi che circondano il corpo corrisponde l’organo dell’odorato, ovvero il naso. Alle superfici corporee più grossolane il tatto, ovvero l’intera macchina corporea. La somma di tutti questi organi forma il sistema della percezione sensibile. SISTEMA DELLA PERCEZIONE SENSIBILE § 6. I nervi. Lo spirito neurale La forza mediatrice risiede nei nervi. Se li danneggio viene a cessare il legame tra il mondo e l’anima. Ma la questione è propriamente se i nervi siano una corda elastica che agisce attraverso vibrazioni, o se sia il canale di un’entità spirituale estremamente sottile e solo questa agisca in essi, ovvero se sia un aggregato di piccole sfere e agisca non so come. Mi trovo su un terreno in cui si sono avventurati con veemenza e ancora adesso si avventurano vari don Chisciotte della medicina e della metafisica. Devo dunque disturbare con vecchie obiezioni i morti nelle loro tombe, o eccitare contro di me le eccitabili anime dei pedanti o, ancora, presentare una nuova teoria e fare il deus ex machina? Non voglio fare nessuna delle tre cose e mi accontento di fissare pochi punti di cui non posso fare a meno per la fondazione del tutto, e a cui credo con convinzione. Presuppongo dunque che 28
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ciascuno dei miei lettori conosca tutte le teorie sinora elaborate per la spiegazione dei fenomeni nervosi, che le abbia verificate, soppesate sulla bilancia della ragionevolezza e dell’imparzialità, e non dubito neppure che egli propenda già verso l’una o verso l’altra. Io stesso sono giunto attraverso mille dubbi al fermo convincimento che la forza mediatrice risiede in un’entità infinitamente sottile, semplice, mobile, che scorre nei nervi, il suo canale, e che io non chiamo fuoco elementare, luce o etere, né materia elettrica o magnetica, ma spirito neurale. Si chiami dunque in futuro forza mediatrice. Una legge eterna ha fatto sì che le modificazioni dello spirito neurale indichino una modificazione delle forze. Lo spirito neurale è propriamente lo stesso in tutti gli organi e solo la sua direzione verso gli oggetti è differente in ciascuno di essi. La direzione è determinata dai nervi, il suo canale, e persino l’occhio, almeno quello armato di lente, può riconoscere facilmente la differenza. Altra è infatti la terminazione nervosa che si osserva nell’occhio, altra nell’orecchio, altra ancora sulla lingua. In cosa però consista tale diversità, se nel numero maggiore o minore di spiriti, se nella loro maggiore o minore esposizione, oppure nel moto più veloce o più lento, sono questioni che neanche la più raffinata anatomia può risolvere. Questo riguardo alla direzione della forza mediatrice verso gli oggetti. Adesso ancora qualche osservazione sulla direzione degli oggetti verso la forza mediatrice. § 7. La direzione Tra gli organi che modificano l’oggetto l’occhio è il più importante, il più bello, il più nobile. Io vedo i corpi 29
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se percepisco la pulsazione della luce sulle loro superfici. E poiché i miei spiriti neurali non possono esistere sulle superfici di questi corpi, sono le forze subordinate dell’occhio che fanno vibrare la luce su di esse così come essa ha vibrato sulle superfici dei corpi. Questo è ciò che si chiama dipingere un oggetto e si verifica mediante gli umori dell’occhio. Le forze che determinano e mantengono tali umori sono chiamate forze ausiliarie. Sono le membrane. Le forze protettive sono le ciglia, le palpebre, i peli, le lacrime, le secrezioni oculari, la pupilla ecc. Attraverso l’occhio percepisco originariamente la luce e l’ombra, il colore, la forma dei corpi. Dal confronto con altre percezioni di altri sensi ne valuto la grandezza e la distanza. Io sento un suono quando percepisco la vibrazione dell’aria. Poiché tuttavia le oscillazioni dell’aria si attutiscono quanto più si allontanano dalle corde vibranti, tanto che sentiremmo appena la cosa più vicina a noi, così che le forze subordinate dell’orecchio devono aumentare le vibrazioni e portarle aumentate ai miei orecchi. Per questo vi sono le ossa, le cartilagini, la membrana del timpano, i canali conici dell’orecchio ecc. Le forze protettive dell’orecchio sono le ossa, i peli, il cerume, il vapore. Tale vapore, che col rigor mortis si condensa e non viene più assorbito a causa della paralisi dei vasi, è osservabile in forma di umidità nella cassa timpanica ed aveva condotto Cotugno alla falsa ipotesi che l’aria non agisce direttamente sullo spirito neurale, ma indirettamente attraverso le secrezioni umide dell’orecchio12. Chi 12
Schiller si riferisce alla scoperta dell’umidità dell’orecchio da parte di Domenico Cotugno (1736-1822), professore di medicina all’università di Napoli, che descrisse la struttura
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crederà che il suono, il più grande prodotto dell’elasticità, sia trasmesso alla mente attraverso l’acqua, che è minimamente elastica? Attraverso l’orecchio percepisco originariamente il suono, con i suoi alti e bassi, e attraverso il confronto con altre percezioni sensibili l’elasticità, la durezza e la distanza dei corpi. Il gusto mi dà informazioni sulle superfici più fini dei corpi; ciò si deduce in modo particolare dalla somiglianza della sua struttura con la struttura del tatto. Le percezioni sono la piacevolezza o il disgusto, il piccante, il dolce, l’aspro, l’amaro ecc. Questo senso tuttavia si colloca in un capitolo del tutto diverso, e non c’è bisogno che lo analizzi qui. Lì si capirà perché sia stato collocato nella prima classe dei sensi. L’odorato mi fa percepire le più sottili atmosfere di certi corpi. Certamente tali atmosfere dei corpi giungono immutate agli spiriti neurali dell’olfatto, ma sono necessarie forze meccaniche per metterle in contatto con essi. Queste sono le forze della respirazione. Gli ossicini, le cartilagini, le membrane del naso e il muco sono le forze protettive. Le percezioni olfattive non hanno ancora un nome e vengono designate col nome del gusto corrispondente. Anche questo senso ha con me un rapporto più stretto di altri. Il tatto mi rende percepibili le superfici più grossolane dei corpi. L’organo del tatto è il più semplice di tutti, e la sua struttura non ha altro scopo che dirigere gli spiriti neurali verso gli oggetti e di proteggere dall’influsso distruttivo di altre forze. Vi sono molti tipi di tatto. In generale è un senso ottuso e il suo organo è l’intera sudell’orecchio interno. L’ingiusta critica al famoso fisiologo suscitò l’indignazione dei membri della commissione.
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perficie corporea. Oppure è un senso più acuto e particolare e il suo organo sono i polpastrelli. Qui non è affatto questione del sentimento e dei suoi organi13. Stiamo considerando il sentire della vita animale, che è distinto da quello della vita spirituale. Le percezioni che ne ricevo sono il freddo e il caldo, la levigatezza o la ruvidità, la durezza e la morbidezza. IL PENSIERO MATERIALE § 8. L’organo del pensiero. L’immaginazione materiale. Teorie Per mezzo di questi cinque organi l’intera natura materiale ha accesso libero e aperto alla forza spirituale. Le modificazioni esterne vengono con ciò trasformate in modificazioni interne e il mondo esterno rimanda la sua immagine all’anima. Questa è la prima colonna portante della vita spirituale: la percezione. La percezione non è altro che una modificazione dell’anima, che è uguale ad una modificazione nel mondo e nella quale l’anima distingue il proprio io da tale modificazione. Io sono dunque in quel momento ciò che percepisco e solo la personalità distingue il mio io dal percepito e mi indica che si tratta di una modificazione esterna. La percezione tuttavia non è ancora indagine, ricerca delle forze e delle intenzioni; è solo il fondamento su cui questa poggia, il materiale su cui l’intelletto opera e crea. La seconda colonna, il compito principale, sarebbe dunque l’azione 13
Tatto è in tedesco Fühlorgan o Gefühl (sentimento), di qui la precisazione.
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dell’intelletto su questo materiale sensibile dato, vale a dire il pensiero. Poiché però la percezione non è altro che un singolo atto di una forza semplice, provocato da una modificazione dello spirito neurale nella sensazione (vedi al proposito il trattato di Garve sulle inclinazioni negli atti dell’Accademia Berlinese, p. 110, 111)14 – e poiché quest’ultima altro non è che la conseguenza di una modificazione negli organi di senso, che risulta da una modificazione temporanea e passeggera nel mondo materiale, la percezione di un oggetto dovrebbe svanire altrettanto rapidamente come la sua causa e durare soltanto fino a che sono occupato con essa. In tal caso l’intelletto, che agisce solo per confronto, sarebbe altrettanto inutile che se mancassero la forza mediatrice, l’organo, o il mondo esterno. Dovrebbero perciò esservi nuove forze mediatrici per legare le modificazioni sensibili dello spirito neurale durante la sensazione e farle permanere, anche quando le loro cause, le modificazioni negli organi di senso, avessero cessato da tempo di essere attive. Vengo dunque ad un nuovo organo, che non è né senso, né anima: è chiamato comunemente sensorium generale, ma io preferisco chiamarlo organo del pensiero, o strumento dell’in-
14 Il saggio si intitola Versuch über die von der Akademie au-
fgegebene Frage: Ob man die natürlichen Neigungen vernichten oder welche erwecken könne, die die Natur nicht erzeugt hat und welches die Mittel seyn, die Neigungen, wenn sie gut sind, Kräfte zu geben, oder, wenn sie böse sind, zu schwächen, Berlin 1769.
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telletto15. In quest’organo il macrocosmo, nella misura in cui ha percorso la via della sensibilità, deve trovarsi compendiato nel microcosmo ed essere a disposizione dell’intelletto. (Non bisogna dunque supporre che neanche la modificazione dello spirito neurale durante la sensazione giunga all’anima e che solo un’analoga modificazione nell’organo del pensiero agisca su di essa? E se l’anima è inquadrata in qualcosa, non ha la sua sede in quest’organo? ) Ci si può ora chiedere che cosa siano le idee materiali dell’organo del pensiero o della fantasia e come vengano prodotte dalle idee materiali della sensazione. Sono state elaborate al proposito varie teorie, che ora esaminerò più da vicino.
15 Si tratta di un concetto(Sensorium commune) mutuato dalla fisiologia di Albrecht von Haller (1708-1777), Haller celebre medico, fisiologo e poeta svizzero, era una delle figure di punta della medicina del tempo. Gran parte dell’insegnamento della fisiologia alla Karlsschule era basato sui suoi lavori. Schiller ne cita inoltre spesso le opere poetiche. Cfr. A. von Haller, Grundriss der Physiologie für Vorlesungen, Berlin 1781, § 272.
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Saggio sul rapporto tra la natura animale e la natura spirituale dell’uomo Natus homo est – sive hunc divino semine fecit Ille opifex rerum, mundi melioris origo; Sive recens tellus, retinebat semina coeli: pronaque cum spectent animalia caetera terram, Os homini sublime dedit, coelumque videre Jussit, et erectos ad sidera tollere vultus1.
§ 1. Introduzione Molti filosofi hanno affermato che il corpo è il carcere dell’anima, che è troppo attaccato alla terra e ostacola il suo cosiddetto volo verso la perfezione. E altri ancora hanno sostenuto con più o meno convinzione che la scienza e la virtù non sono fini ma mezzi per la felicità e ogni perfezione dell’uomo si concentra nel miglioramento del corpo. 1
Citazione da Ovid., Metam. I, vv. 78-86 ( «Nacque l’uomo, o fatto con seme divino da quell’artefice del creato, principio di un mondo migliore, […] o la terra recente ancora del cielo serbava il seme nativo, e mentre gli altri animali curvi guardano il suolo, all’uomo diede viso al vento e ordinò che vedesse il cielo, che fissasse, eretto, il firmamento» (trad. it. a cura di M. Ramous, Milano, Garzanti 1995, p. 9).
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A me pare che entrambe le posizioni siano unilaterali. Il secondo sistema è stato rigettato pressoché completamente dalle nostre teorie morali e filosofiche e non di rado è stato attaccato, io credo, con uno zelo sin troppo fanatico, – non vi è nulla di tanto pericoloso per la verità come quando posizioni unilaterali trovano oppositori unilaterali – mentre il primo nel complesso è certamente stato maggiormente tollerato, poiché è il più capace di incoraggiare i cuori alla virtù e ha dimostrato il suo valore nell’esempio di anime veramente grandi. Chi non ammira la forza d’animo di un Catone, la grande virtù di un Bruto o di un Aurelio, l’equanimità di un Epitteto e di un Seneca2? Ma a parte questo non si tratta di niente di più che di una bella aberrazione dell’intelletto, di una posizione davvero estrema, che con troppo entusiasmo disprezza una parte dell’uomo e vuole innalzarci al livello di esseri ideali senza sgravarci al tempo stesso della nostra umanità; un sistema che si scontra frontalmente con tutto ciò che storicamente sappiamo e filosoficamente possiamo spiegare dell’evoluzione dell’uomo e dell’intero genere umano, e che non è assolutamente compatibile con la limitatezza dell’anima umana. La cosa più consigliabile è perciò, qui come ovunque, mantenere 2 La concezione stoica del controllo degli affetti e delle sen-
sazioni dolorose, che qui viene relativizzata ai fini della ricerca di una immagine dell’uomo fondata sull’integrazione tra corpo e psiche, ebbe in realtà grande importanza nella formazione di Schiller. Attraverso autori come Seneca e Cicerone, che facevano parte del canone di letture obbligatorie alla Karlsschule, il pensiero stoico entra sia nella visione antropologica del giovane Schiller, sia nella concezione delle tragedie, come attestano da un lato i riferimenti a Seneca sin dai Masnadieri, e dall’altro la visione dell’eroe tragico negli scritti sul sublime.
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l’equilibrio tra le due posizioni per cogliere la linea della verità con la massima certezza possibile. Ma poiché l’errore più comune è stato quello di attribuire un ruolo eccessivo alla facoltà spirituale pensata come indipendente dal corpo, trascurando quest’ultimo, il presente saggio si prefigge di mettere più chiaramente in luce il notevole contributo del corpo alle attività della psiche, il grande e reale influsso del sistema dei sensi animale sul sistema spirituale. Ma non per questo si tratta della filosofia di Epicuro3, così come non è stoicismo considerare la virtù come il bene più alto. Prima di cercare di indagare i superiori scopi morali che si raggiungono con l’ausilio della natura animale, dobbiamo innanzitutto stabilire la sua necessità fisica e accordarci su alcuni concetti fondamentali. Di qui il primo punto di vista da cui consideriamo il rapporto tra le due nature. ASPETTI FISICI La natura animale consolida l’attività dello spirito. § 2. Organismo delle attività della psiche – della nutrizione – della riproduzione Tutti gli elementi che nel mondo fisico e morale vediamo contribuire alla perfezione dell’uomo potrebbero in definitiva essere riassunti in un’asserzione di fondo: la perfezione dell’uomo risiede nell’esercizio delle sue 3
L’epicureismo è qui inteso come il nucleo originario del materialismo.
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forze in considerazione del disegno universale; e poiché tra la misura della forza e lo scopo per il quale essa opera dev’esserci la più precisa armonia, la perfezione consisterà nella massima attività possibile delle sue forze e nella loro reciproca subordinazione. Ma l’attività dell’anima umana è – in base ad una necessità che non ho ancora individuato ed in un modo che ancora non comprendo – legata all’attività della materia. I mutamenti nel mondo corporeo devono essere modificati e, per così dire, affinati da una classe specifica di forze organiche intermedie, i sensi, prima di essere in grado di produrre in me una percezione. Così altre forze organiche, i meccanismi dei movimenti volontari, devono a loro volta porsi tra l’anima e il mondo, per trasmettere le modificazioni della prima al secondo, e infine anche le operazioni del pensare e del sentire devono corrispondere a certi movimenti del sensorium interno. Tutto ciò costituisce l’organismo delle attività dell’anima. La materia tuttavia è preda dell’eterno mutamento e si logora mentre agisce, durante il movimento l’elemento materiale viene scardinato, allontanato e disperso. Poiché al contrario l’entità semplice, l’anima, ha in sé durata e stabilità e non acquista né perde nulla della sua essenza, la materia non può tenere il passo con l’attività spirituale e l’organismo della vita spirituale e con esso ogni attività dell’anima presto svanirebbe. Per evitare ciò, bisogna affiancare al primo un nuovo sistema di forze organiche che rimpiazzi ciò che è stato consumato e mantenga la declinante fioritura con una catena continua e costante di nuove creazioni. Questo è l’organismo della nutrizione. Di più. Dopo un breve periodo di attività, quando l’equilibrio tra perdita e rinnovamento viene meno, l’uo38
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mo esce dalla scena della vita e la legge della mortalità spopola la terra. Né la moltitudine degli esseri senzienti, che l’eterno amore e l’eterna sapienza divina vorrebbe aver chiamato ad un’esistenza felice, ha spazio sufficiente per vivere insieme negli stretti confini di questo mondo, e la vita di questa generazione esclude la vita di un’altra. Era perciò necessario che nuovi uomini subentrassero a quelli delle generazioni passate e che la vita si conservasse attraverso una serie ininterrotta di successioni. Ma nulla di nuovo viene creato e quel che vi è di nuovo deriva solo dall’evoluzione. L’evoluzione dell’uomo doveva aver luogo attraverso gli uomini, se questi sono soggetti a consunzione e se l’uomo doveva essere formato nella sua umanità. Per questa ragione si è aggiunto ai due sistemi precedenti un nuovo sistema di forze organiche, che ha come fine la vitalità e lo sviluppo del germe umano. Questo è l’organismo della riproduzione. Questi tre organismi, posti tra loro in un rapporto locale e fisico assai preciso, formano il corpo umano. § 3. Il corpo Le forze organiche del corpo umano si dividono in due classi principali. La prima include quelle che non possiamo comprendere mediante leggi e fenomeni noti del mondo fisico, tra cui la sensibilità dei nervi e l’irritabilità dei muscoli. Poiché è stato sinora impossibile penetrare nell’economia dell’invisibile, si è cercato di spiegare la meccanica ignota con quella nota e considerato i nervi come un canale che conduce un fluido estremamente sottile, volatile e attivo, che dovrebbe superare in velocità e sottigliezza l’etere e la materia elettrica, ve39
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dendolo come il principio della sensibilità e della motilità, e chiamandolo di conseguenza spirito vitale. Si è inoltre ricondotta l’irritabilità delle fibre nervose ad una certa tendenza (Nisus) ad accorciarsi in risposta ad uno stimolo esterno e ad avvicinare i due estremi. Questi due principi formano il carattere specifico dell’organismo animale. La seconda classe comprende quelli che possiamo ricondurre alle leggi note della fisica. Tra queste annovero la meccanica del movimento e la chimica del corpo umano, da cui si sviluppa la vita vegetativa. Vegetazione e meccanica animale esattamente mescolati formano propriamente la vita fisica del corpo umano. § 4. Vita animale Non è ancora tutto. Poiché la perdita è più o meno sotto il controllo dello spirito, bisogna che lo sia anche il rinnovamento. Inoltre, poiché il corpo è sottoposto a tutte le conseguenze della sua composizione e nel contesto delle cose che agiscono intorno ad esso è esposto a infiniti effetti negativi, deve essere in potere dell’anima difenderlo dai loro influssi dannosi e porlo nel mondo fisico nei rapporti che sono più convenienti alla sua sopravvivenza. Essa deve perciò essere a conoscenza dell’attuale buono o cattivo stato dei suoi organi, provare dispiacere per il suo cattivo stato e trarre piacere dal suo benessere, per prolungarlo o per scacciarlo, per cercarlo o per fuggirlo. Qui l’organismo viene per così dire collegato alla facoltà sensitiva e l’anima messa al servizio del suo corpo. Adesso vi è qualcosa di più della vita vegetativa, qualcosa di più di un inerte modello, 40
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dei nervi e del meccanismo dei muscoli: questa è la vita animale4. La salute della vita animale è, come sappiamo, estremamente importante per la salute delle attività dell’anima e senza la totale eliminazione di queste non può mai essere distrutta. Deve dunque avere un fondamento saldo, che non vacilli tanto facilmente, vale a dire che l’anima deve essere accordata da un potere irresistibile con le azioni della vita fisica. È possibile che le sensazioni animali di benessere o di sofferenza siano sensazioni spirituali, e siano prodotte dal pensiero? Quanto spesso la luce sconvolgente delle passioni dovrebbe oscurarle, l’inerzia e la stupidità seppellirle, le occupazioni e la distrazione ignorarle? E inoltre, non si esigerebbe dall’animale umano la più perfetta conoscenza della sua struttura, non dovrebbe ogni bambino essere maestro in quelle materie in cui i nostri Harvey, Boerhave e Haller dopo cinquant’anni di ricerche sono rimasti dei principianti5? 4 Ma è anche qualcosa di più della vita animata delle bestie.
La bestia vive la vita animale per avere sensazioni gradevoli. Le sensazioni gradevoli servono a conservare la vita animale. Vive dunque ora per vivere di nuovo domani. È felice ora per essere felice domani. Ma è una felicità semplice e incerta, che segue le fasi dell’organismo ed è in balia del caso e del momento, poiché dipende soltanto dalla sensazione. L’uomo vive anche la vita animale, sente i suoi piaceri e patisce i suoi dolori. Ma perché? Egli sente e soffre, così da conservare la vita animale. Conserva la sua vita animale per poter vivere la sua vita spirituale. Qui dunque il mezzo è diverso dal fine, là mezzo e fine sembrano coincidere. Questa è una delle linee di demarcazione tra l’uomo e l’animale [N.d.A.]. 5 Hermann Boerhave (1668-1738), famoso medico e botanico olandese, una delle figure di riferimento dell’insegnamen-
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L’anima può dunque non avere affatto idea dello stato che essa deve modificare. In che modo ne fa esperienza, come entra in attività? § 5. Sensazioni animali Sinora non abbiamo visto altre sensazioni che quelle che derivano da una precedente operazione dell’intelletto, ma ora dobbiamo occuparci di sensazioni in cui l’intelletto deve restare interamente fuori gioco. Tali sensazioni devono, se non esprimere, almeno in un certo senso indicare o, meglio, accompagnare l’attuale stato dei miei organi. Devono spingere in modo rapido e vivace la volontà all’avversione o al desiderio, rimanendo però alla superficie dell’anima, senza mai raggiungere l’ambito della ragione. Quel che dunque nelle percezioni spirituali era prodotto dal pensiero, qui è prodotto da quella modificazione nelle parti animali che minaccia la loro distruzione o assicura il loro perdurare; vale a dire che in virtù di una legge dell’eterna saggezza alla condizione della macchina che consolida la sua salute è connessa una affezione piacevole dell’anima e, al contrario, a quella che mina il suo benessere e ne affretta la rovina è connessa un’affezione dolorosa, e ciò in modo tale che la sensazione stessa non ha alcuna affinità con lo stato degli organi che essa indica. Così nascono le sensazioni animali. Di conseguenza le sensazioni animali hanno una to della medicina alla Karlsschule. Fu maestro di Albrecht von Haller. Al medico inglese William Harvey (1578-1657) si deve la descrizione dettagliata del sistema circolatorio. Su Haller vedi supra, Filosofia della fisiologia, nota 11.
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duplice origine: 1) nello stato attuale della macchina; 2) nella facoltà sensitiva. Ora è possibile comprendere perché le sensazioni animali spingono l’anima verso passioni a azioni con una potenza irresistibile e per così dire tirannica e spesso hanno il sopravvento su quelle spirituali. Queste l’anima le ha prodotte mediante il pensiero e può con il pensiero eliminarle o addirittura annientarle. Questo è il potere dell’astrazione e in generale della filosofia sulle passioni, sulle opinioni, in breve su tutte le situazioni dell’esistenza; le sensazioni animali invece le sono state imposte da una necessità cieca, dalla legge del meccanismo. L’intelletto, che non le ha create, non può neppure eliminarle, sebbene possa, rivolgendo l’attenzione nella direzione opposta, indebolirle e attenuarle alquanto. Il più caparbio degli stoici, sofferente del mal di pietra, non potrà mai gloriarsi di non aver sentito dolore ma, perso nella contemplazione delle cause finali della propria esistenza, ridurrà la propria capacità di sentire, e il superiore piacere derivante dalla grande perfezione, che subordina anche il dolore alla felicità universale, avrà la meglio sulla sofferenza. Non era una mancanza di sensibilità o la sua eliminazione a far sì che Muzio, mentre la sua mano bruciava sulle fiamme, potesse fissare con calma orgogliosa lo sguardo romano sul nemico, bensì il pensiero della grande Roma che lo ammirava, che dominava la sua anima, la teneva per così dire prigioniera di se stessa, così che lo stimolo intenso del dolore bestiale non era sufficiente a turbarne l’equilibrio. Ma non per questo la sofferenza del romano era minore di quella del più molle libertino. Certamente colui che è abituato a condurre la sua esistenza in una condizione in cui dominano le idee oscure sarà meno capace di farsi coraggio 43
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nel momento critico del dolore fisico rispetto a colui che vive costantemente secondo idee chiare e distinte, e tuttavia né la virtù più elevata, né la filosofia più profonda e neppure la divina religione protegge dalla legge della necessità, sebbene possa esaltare i suoi fedeli sulla pira che crolla. Proprio questo potere delle sensazioni animali sulla capacità di sentire dell’anima è fondata sull’intenzione più saggia. Lo spirito, una volta iniziato ai segreti di un piacere superiore, guarderebbe con disprezzo ai moti del suo compagno e difficilmente vorrebbe sacrificarlo ai bisogni della vita fisica se il sentire animale non ve lo costringesse. Il matematico che vagava nelle regioni dell’infinito e scambiava sognando il mondo dell’astrazione con quello reale è risvegliato dal suo sonno intellettuale dalla fame; il fisico che analizza il meccanismo del sistema solare e accompagna il vagare dei pianeti attraverso l’incommensurabile è ricondotto da una puntura di spillo alla sua madre terra; il filosofo che spiega la natura della divinità e si immagina di aver infranto i limiti della mortalità è costretto a riprendere coscienza di sé dal freddo vento del nord che soffia attraverso la sua casetta in rovina e gli insegna che è l’infelice via di mezzo tra una bestia e un angelo6. Contro le sensazioni animali che prendono il sopravvento il massimo sforzo dello spirito non può più nulla e, quando esse aumentano, la ragione viene sempre più soffocata e l’anima viene forzatamente incatenata all’organismo. Per spegnere la fame e la sete l’uomo compirà 6
Citazione dalla poesia di Albrecht von Haller Gedanken über Vernunft, Aberglauben und Unglauben (Pensieri sulla ragione, la superstizione e la mancanza di fede).
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azioni di cui l’umanità rabbrividisce e contro la sua volontà diventa traditore e assassino, diventa cannibale: «Tigre! Nel seno di tua madre volevi affondar le zanne?»7.
Così violento è l’effetto del sentire animale sullo spirito. Così attentamente il creatore ha provveduto alla conservazione della macchina. I pilastri su cui poggia sono solidissimi e l’esperienza ci ha insegnato che ha fatto più danni l’eccesso di sentire animale che la sua carenza. I sentimenti animali consolidano dunque il benessere della natura animale, così come i sentimenti morali e intellettuali consolidano quella spirituale, ovvero la perfezione. Il sistema dei sentimenti e dei movimenti animali esaurisce il concetto di natura animale. Questa è la base su cui poggia la costituzione degli strumenti psichici ed è la loro costituzione a determinare la facilità e la durata della stessa attività psichica. Qui si trova dunque già il primo elemento della connessione tra le due nature. § 6. Obiezioni di carattere morale alla connessione tra le due nature Ma anche se si ammette questo si dirà: e qui finisce il compito specifico del corpo. Al di là di questo è un inerte compagno dell’anima, con cui essa deve eternamente combattere, i cui bisogni le sottraggono la tranquillità 7
Citazione dal dramma Ugolino. Eine Tragödie in fünf Aufzügen di Heinrich Wilhelm von Gerstenberg (1737-1823), autore tra i più noti dello Sturm und Drang.
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per pensare, i cui attacchi strappano i fili della speculazione più approfondita, e precipitano lo spirito dai suoi concetti più chiari ed evidenti in una confusione sensuale. I suoi desideri allontanano la maggior parte dei nostri simili dal loro sublime modello e li abbassano alla classe delle bestie, in breve, li costringono in una schiavitù da cui li libererà la morte. Non è insensato e ingiusto – si può lamentare ancora – coinvolgere un’entità semplice, necessaria, che ha una consistenza di per se stessa, con un’alta che, trascinata in un turbine incessante, è preda di ogni evento, vittima di ogni necessità? – Ma se ragioniamo più freddamente forse vedremo nascere da questa apparente confusione e assenza di un piano una grande bellezza. ASPETTI FILOSOFICI Gli impulsi animali destano e sviluppano quelli spirituali § 7. Metodo Il metodo più sicuro per gettare un po’ di luce su questa materia è probabilmente il seguente: si elimini dal concetto dell’uomo tutto ciò che è organizzazione, si separi cioè il corpo dallo spirito, senza però togliergli la possibilità di avere delle percezioni e di produrre delle azioni nel mondo corporeo, e si indaghi poi come egli abbia sviluppato le sue facoltà e quali passi abbia compiuto verso la perfezione. Il risultato di quest’indagine dev’essere confermato da dati di fatto. Si lasci dunque da parte la formazione reale del singolo uomo e si getti uno sguardo sullo sviluppo dell’intera specie. Comincia46
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mo perciò con il caso astratto: abbiamo la capacità di percepire e la volontà, una sfera di azione e un libero passaggio dall’anima al mondo, dal mondo all’anima. La questione è: in che modo agirà? § 8. L’anima non connessa col corpo. Non possiamo formulare un concetto senza che vi sia in precedenza la volontà di farlo, né esprimere una volizione senza aver esperito il miglioramento del nostro stato che risulterebbe da ciò, senza sensazione. Non vi è sensazione senza un’idea che la precede (abbiamo escluso infatti insieme al corpo anche le sensazioni corporee), dunque non vi è idea senza idea. Si consideri ora il bambino, vale a dire, secondo le premesse, uno spirito che comprende in sé la capacità di formare delle idee, ma deve porre per la prima volta in esercizio tale capacità. Che cosa lo spingerà a pensare, se non la sensazione piacevole che ne deriva, e che cosa gli ha fatto esperire questa sensazione piacevole? Vediamo che non può essere nient’altro che il pensiero, ed egli deve pensare per la prima volta. Inoltre, che cosa può indurlo all’osservazione del mondo? Nient’altro che l’esperienza della perfezione di esso, nella misura in cui soddisfa il suo impulso ad agire e tale soddisfazione gli procura piacere. Che cosa può indurlo all’esercizio delle sue facoltà? Nient’altro che l’esperienza della propria esistenza, ma queste esperienze egli deve appunto farle per la prima volta. Egli dovrebbe dunque essere stato attivo sin dall’eternità, e questo è contro le premesse, oppure non entrerà mai in attività, così come la macchina senza la spinta dall’esterno resta inerte e ferma. 47
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§ 9. L’anima connessa col corpo Congiungiamo ora l’animale con lo spirito. Si intreccino intimamente queste due nature, in modo tale che siano realmente intrecciate, si faccia sì che un qualcosa di ignoto, derivato dall’economia del corpo animale, aggredisca la facoltà sensitiva e si immagini l’anima in uno stato di sofferenza fisica. Questo è stato il primo urto, il primo raggio di luce nella notte delle facoltà dormienti, l’aureo suono risonante sulle corde della natura. Ora abbiamo la sensazione, ed era soltanto la sensazione ciò che prima ci mancava. Questo tipo di sensazione sembra essere stata fatta apposta per superare tutte le difficoltà precedenti. Prima non potevamo produrre alcuna sensazione, poiché non potevamo presupporre alcuna idea; ora la modificazione nello strumento corporeo sostituisce le idee e così la sensazione animale contribuisce a mettere in moto, se posso esprimermi così, il meccanismo interno dello spirito. Il passaggio dal dolore alla repulsione è la legge fondamentale dell’anima. La volontà è attiva e l’attività di un’unica facoltà è sufficiente a mettere in opera tutte le altre. Le operazioni successive si sviluppano da sé e non sono oggetto di questo capitolo. § 10. Dalla storia dell’individuo Si osservi ora la crescita psichica del singolo uomo in relazione all’ipotesi in questione, e si noti come tutte le facoltà spirituali si sviluppano da impulsi corporei. a.) Il bambino. Ancora interamente animale o, meglio, qualcosa di più e anche di meno dell’animale: animale umano. (Infatti quell’essere che sarà chiamato 48
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uomo non può mai essere stato solo animale). Più misero di un animale perché non ha neppure l’istinto. La madre animale può lasciare il suo piccolo prima di quanto la madre umana possa farlo col suo bambino. Il dolore può certo costringerlo a gridare, ma non potrà mai richiamare l’attenzione sulla sua origine. Per quanto il latte gli procuri certamente piacere non potrà mai cercarlo. Egli è del tutto passivo: «Il suo pensiero giunge solo al sentire, Dolore, fame e fasce è tutto ciò che sa»8.
b.) Il ragazzo. Qui vi è già riflessione, ma sempre in relazione al soddisfacimento di impulsi animali. «Egli impara – afferma Garve – ad apprezzare le cose degli altri uomini e le sue azioni nei loro confronti solo in quanto gli procurano piacere (fisico)»9. L’amore per il lavoro, per i genitori, per gli amici, persino l’amore per la divinità entrano nella sua anima attraverso i sensi. «Questi soltanto sono il sole – come Garve osserva in altro luogo10 – che illumina e scalda di per sé, tutti gli altri oggetti sono oscuri e freddi, ma possono anche essere illuminati e riscaldati se entrano in contatto con esso in modo tale da poter ricevere i suoi raggi». Nel ragazzo i beni dello spirito acquistano qualche valore solo traslatamente, sono mezzi spirituali per fini animali. 8
Citazione dalla poesia di Albrecht von Haller Unvollkommenes Gedicht über die Ewigkeit. (Poema incompiuto sull’eternità) v. 102 sg. 9 Annotazione di Garve alla Filosofia morale di Ferguson, p. 319 [N.d.A.]. 10 Annotazione di Garve alla Filosofia morale di Ferguson, p. 393 [N.d.A.].
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c) Giovane e adulto. Le frequenti ripetizioni di questi procedimenti mentali li mettono progressivamente a punto, e il processo di trasposizione finisce per far vedere la bellezza nel mezzo stesso. Vi si soffermerà volentieri, senza sapere perché. Sarà indotto senza accorgersi a rifletterci sopra. Ora i raggi della bellezza spirituale possono già toccare la sua anima dischiusa; la sensazione di star esercitando le sue capacità gli provoca godimento e gli instilla un’inclinazione verso l’oggetto che sinora era solo un mezzo, facendogli dimenticare il primo scopo. Il chiarimento delle idee e il loro incremento gli svelano tutta la dignità dei piaceri intellettuali – il mezzo è diventato il fine più alto. Questo ci insegna più o meno la storia individuale di ogni essere umano che sia stato solo un poco educato, e la saggezza non potrebbe aver scelto una via migliore per guidarlo: forse che ancora oggi il popolino non viene guidato come il nostro ragazzo? E il profeta di Medina non ci ha lasciato un esempio straordinariamente chiaro di come tenere a freno la rozza natura dei saraceni?11 Su questo non si può dire niente di meglio di ciò che Garve ha esposto nelle sue annotazioni al capitolo sugli impulsi naturali della Filosofia morale di Ferguson: «L’impulso di conservazione e lo stimolo del piacere sensuale è ciò che per la prima volta mette in moto l’uomo come la bestia; egli impara ad apprezzare le cose degli altri uomini e le sue azioni nei loro confronti solo in quanto gli procurano piacere. Così si amplia il numero delle cose di cui esperisce 11
Probabilmente Schiller si riferisce ai piacere carnali promessi ai credenti maschi dopo la morte.
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Friedrich Schiller gli effetti e crescono i suoi desideri; poiché si allunga il percorso per ottenere tali effetti, i suoi desideri diventano più artificiali. Questo è il primo discrimine tra l’uomo e l’animale e questo distingue una specie animale dall’altra. In pochi animali l’azione del mangiare segue immediatamente allo stimolo della fame; vengono prima la foga della caccia o lo sforzo della raccolta. Ma in nessun animale il soddisfacimento del desiderio segue così tardi ai preparativi fatti a questo scopo come nell’uomo; in nessun animale lo sforzo viene perseguito attraverso una così lunga catena di mezzi e di intenzioni sino al raggiungimento dell’ultimo anello. Quanto sono distanti i lavori dell’operaio o del contadino dal loro scopo, anche quando non mirano ad altro che a procurarsi cibo o vestiti? Ma non è ancora tutto. Quando, con la formazione della società, i mezzi per mantenersi divengono per l’uomo più abbondanti, quando produce il superfluo senza dover usare tutto il suo tempo e le sue forze, quando nel contempo grazie alla comunicazione delle idee la sua mente si rischiara, allora egli comincia a trovare uno scopo nella sua azione in sé e nota che se anche è sazio, vestito, ha un buon tetto sopra di sé e possiede tutti gli strumenti domestici di cui ha bisogno, tuttavia gli resta qualcosa da fare. – Fa un passo ulteriore: diventa consapevole che in queste stesse azioni con cui l’uomo si è procurato nutrimento e comodità, in quanto nascono da certe facoltà dello spirito ed esercitano tali facoltà, risiede un bene più alto che nei fini esteriori che con esse vengono raggiunti. A partire da questo momento certamente egli lavora in società col resto del genere umano e con il regno di tutti gli esseri viventi al 51
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Il corpo e l’anima fine di conservare se stesso e si procurare a sé e ai suoi amici ciò che serve per la vita fisica. Del resto, che altro potrebbe fare? Quale altra sfera di attività dovrebbe procurarsi, se uscisse da questa? Tuttavia, egli sa che la natura non ha destato tutti questi impulsi nell’uomo per assicurargli delle comodità, ma piuttosto gli ha mostrato l’attrattiva di quei piaceri e di quei vantaggi per mettere in moto tali impulsi, per consentire ad un essere pensante di formarsi delle idee, ad uno spirito sensibile di avere sentimenti, ad uno spirito benevolo i mezzi per essere generoso, ad uno attivo l’occasione per essere operoso. – Allora ogni cosa, inanimato o animato, acquista per lui un altro aspetto. Dapprincipio gli oggetti e le modificazioni venivano da lui considerati in quanto gli procuravano piacere o disgusto, adesso in quanto sono causa di azioni o di espressioni della sua perfezione. Nel primo modo di vedere gli eventi sono ora buoni, ora cattivi; nel secondo sono tutti buoni allo stesso modo. Non ve ne è infatti nessuno in cui non sia possibile l’esercizio della virtù o l’attivazione di una particolare facoltà. – All’inizio amava gli uomini perché credeva che potessero essergli utili, adesso li ama ancor di più perché considera la benevolenza come la condizione di uno spirito perfetto»12.
§ 11. Dalla storia del genere umano Gettiamo ora uno sguardo più audace sulla storia universale dell’intero genere umano – dalla culla all’età 12
Ferguson/Garve, Grundsätze, cit., pp. 319-22.
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virile – e la verità di ciò che si è detto finora emergerà in tutta la sua luminosità. La fame e la nudità trasformarono dapprima gli uomini in cacciatori, pescatori, allevatori, agricoltori e costruttori. Il desiderio fondò le famiglie e la mancanza di difese del singolo creò le orde. Qui vi sono già le radici dei doveri sociali. Presto i campi divennero troppo poveri per la massa crescente degli uomini, la fame li disperse in climi e paesi lontani che svelarono i loro tesori allo sguardo indagatore del bisogno e insegnarono loro nuovi, sofisticati modi di lavorarli ed a reagire al loro influsso dannoso. Queste singole esperienze passarono per tradizione dal nonno al pronipote e vennero ampliate. Si apprese ad utilizzare le forze della natura contro la natura stessa, le pose in nuovi rapporti e trovò già qui le radici prime delle semplici tecniche di guarigione. Si trattava di arti e di invenzioni miranti al benessere dell’animale, ma era comunque un uso delle capacità e un’acquisizione di conoscenza e proprio nel fuoco, dove il rozzo uomo primitivo arrostiva i suoi pesci, più tardi Boerhave spiò la composizione dei corpi; proprio dal coltello con cui il selvaggio smembrava la sua selvaggina Lionet ricavò lo strumento con cui scoprì i nervi degli insetti13; proprio col cerchio con cui in origine si misuravano solo i poderi Newton misura il cielo e la terra. Così il corpo costrinse lo spirito a fare attenzione ai fenomeni che lo circondano, così rese per lui il mondo interessante e importante, poiché glielo rese indispensabile. La spinta di una natura 13 Pierre Lyonet o Lyonnet (1708-1789), incisore, illustratore e entomologo olandese, famoso sia per le sue illustrazioni scientifiche che per gli studi naturalistici basati sulla dissezione di insetti.
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interiormente attiva, unitamente alla povertà del suolo materno insegnò ai nostri avi a pensare con più audacia e inventò per loro una casa in cui scivolare con sicurezza in compagnia delle stelle per fiumi e oceani, navigando incontro a nuovi territori. Fluctibus ignotis insultavere carinae14.
Qui trovavano nuovi prodotti, nuovi compagni di viaggio, nuovi bisogni, nuove fatiche dello spirito. La collisione di impulsi animali fa scontrare le orde con altre orde, forgia il ferro grezzo per farne spade, genera avventurieri, eroi e despoti. Le città vengono fortificate, si costituiscono stati e con essi nascono doveri e diritti di cittadinanza, arti, cifre, leggi, furbi sacerdoti – e dèi. Ed ecco ora i bisogni degenerati in lusso: che vasto territorio ci si apre davanti agli occhi! Ora si percorrono le vene della terra, si cammina sul fondo del mare, fioriscono i commerci e i traffici. Labet sub classibus aequor15.
L’Oriente è ammirato in Occidente, l’Occidente in Oriente, le creature di paesi stranieri si adattano a condizioni artificiali, l’orticoltura fa crescere in unico giardino i prodotti di tre continenti. Gli artisti apprendono dalla natura le loro opere, la musica addolcisce i selvaggi, bellezza e armonia ingentiliscono i costumi e il gusto, e l’arte indirizza alla scienza e alla virtù. «L’uomo, – dice 14 Ovid., Metam. I, 134 («Le carene […] si misero a battere flutti sconosciuti»; trad.it. cit, p.11). 15 Virg, Eneide IV, 582 («Sotto i remi già sfuggono l’acque»; trad it. di E. Cetrangolo, Firenze, Sansoni 1966, p. 410).
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Schlözer – questo potente semidio, leva i massi dal cammino, prosciuga i laghi e ara dove prima si navigava. Per mezzo di canali separa regioni e province, unisce corsi di fiumi e li devia in deserti sabbiosi, trasformandoli in campagne ridenti; saccheggia in tre continenti i loro prodotti e li porta nel quarto. Persino il clima, l’atmosfera e il tempo sono in suo potere. Tagliando foreste e prosciugando acquitrini il cielo sopra di lui si fa più sereno, si perdono l’umido e la nebbia, gli inverni diventano più miti e più brevi, i fiumi non ghiacciano più»16 17. E lo spirito si affina in un clima più dolce. Lo stato impegna i cittadini per le necessità e le comodità dell’esistenza. L’operosità conferisce allo stato sicurezza e quiete dall’interno e dall’esterno, e ciò assicura al pensatore e all’artista quella produttiva tranquillità grazie alla quale l’epoca di Augusto è diventata un’età dell’oro. Ora le arti prendono uno slancio audace e senza costrizioni, le scienze si sviluppano in una luce pura e chiara, la storia naturale e la fisica spazzano via le superstizioni, la storia rispecchia il lontano passato e la filosofia ride delle follie degli uomini. Quando però il lusso, degenerato in mollezza e piacere eccessivo, comincia a infuriare nelle ossa degli uomini, diffonde epidemie e inquina l’atmosfera, allora l’uomo minacciato si 16 Vedi laVorstellung seiner Universalhistorie di Schlözer, § 6 [N.d.A.]. 17 Göttingen 1772. August Ludwig von Schlözer (17351809), professore di storia a Gottinga, era un intellettuale illuminista dai vasti interessi e con un forte afflato politico. Tracce evidenti di tale concezione del progresso, sebbene in temini meno ottimistici, si trovano anche nelle opere schilleriane della maturità.
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precipita da un regno della natura all’altro per scovare i mezzi per guarire, qui trova la divina corteccia cinese18, là prende dalle viscere delle montagne il potente mercurio19 e spreme il prezioso succo dal papavero orientale20. Si frugano gli angoli più nascosti della natura, la chimica scinde i prodotti nei loro elementi ultimi e crea mondi propri, gli alchimisti arricchiscono la storia naturale, lo sguardo microscopico di uno Schwammerdam coglie la natura nei suoi processi più segreti21. L’uomo va ancora oltre. La necessità e la curiosità oltrepassano i limiti della superstizione, egli afferra coraggiosamente il bisturi e scopre il più grande capolavoro della natura, l’uomo. Le cose peggiori hanno così contribuito a raggiungere le migliori e la malattia e la morte ci hanno spinto al γνϑωι σεαυτον22. La peste ha formato i nostri Ippocrate23 e Sydenham24, così come la guerra ha prodotto i generali e 18 Il chinino, estratto dalla corteccia dell’albero della china, era usato come medicamento per la sifilide. 19 Il mercurio era usato sin dal Medioevo come medicamento per varie malattie, dai disturbi intestinali alla sifilide 20 Riferimento all’oppio, largamente impiegato nella farmacopea del tempo. 21 Jan Swammerdam (1637-1680), celebre entomologo, fu il primo a individuare gli elementi corpuscolati del sangue. 22 «Conosci te stesso», la formula inscritta sul tempio di Apollo a Delfi. 23 Le dottrine di Ippocrate erano ancora parte delle concezioni mediche del tempo di Schiller. Ricorrente è soprattutto il riferimento alla teoria degli umori, il sengue, il flegma, la bile gialla e la bile nera, dal cui equilibrio dipenderebbe la salute. 24 Thomas Sydenham (1624-1689), detto “l’Ippocrate inglese”, è considerato il fondatore della medicina clinica e dell’epidemiologia.
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alla diffusione della sifilide dobbiamo la completa riforma del gusto in medicina. Volevamo ricondurre il giusto piacere della sensualità alla perfezione dell’anima, e l’argomento ci si è straordinariamente rigirato tra le mani! Abbiamo trovato che anche l’eccesso e la smodatezza hanno nel complesso fatto avanzare le condizioni effettive dell’umanità. Le deviazioni dagli scopi primi della natura, i mercanti, i conquistatori e il lusso hanno senz’altro infinitamente accelerato il percorso che una condotta di vita più semplice avrebbe compiuto certo con più regolarità, ma abbastanza più lentamente. Si paragoni il vecchio mondo con il nuovo! Là i desideri erano più semplici e più facile il loro soddisfacimento. Ma in che modo abominevole si giudicava la natura e le sue leggi! Ora il percorso intorno al mondo è reso difficile da mille curve, ma che luce chiara si è diffusa su tutti i concetti! Ripeto: l’uomo è stato bestia prima di sapere di essere uno spirito, ha dovuto trascinarsi nella polvere prima di osare il volo di Newton sull’universo. Il corpo è dunque il primo sprone all’attività; la sensibilità la prima scala verso la perfezione. LE SENSAZIONI ANIMALI SI ACCOMPAGNANO A QUELLE SPIRITUALI
§ 12. Legge L’intelletto dell’uomo è estremamente limitato e di conseguenza debbono esserlo anche tutte le sensazioni che risultano dalla sua attività. Per dare a queste un maggiore slancio e attrarre la volontà verso la perfezione 57
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con forza duplicata, sottraendola al male, le due nature, quella spirituale e quella animale, sono state allacciate così strettamente che le loro modificazioni si trasmettono e si rafforzano reciprocamente. Da ciò deriva una legge fondamentale delle nature miste che, in ultima analisi, suona all’incirca in questo modo: le attività del corpo corrispondono alle attività dello spirito, vale a dire che ogni tensione eccessiva dell’attività spirituale ha sempre come conseguenza una tensione eccessiva di certe azioni corporee, così come l’equilibrio della prima, ovvero l’attività armonica delle facoltà spirituali è associata con il perfetto accordo della seconda. Inoltre, l’inerzia dell’anima rende lenti i movimenti del corpo. L’inattività dell’anima addirittura li fa cessare. Ora, poiché la perfezione è sempre connessa con il piacere e l’imperfezione con il dispiacere, questa legge può anche essere formulata come segue: il piacere spirituale si accompagna sempre a un piacere animale, il fastidio spirituale ad un fastidio animale. §13. Il piacere spirituale favorisce la salute della macchina corporea Dunque, un’emozione che colpisce l’anima intera scuote in eguale misura l’intera struttura del corpo organico. Il cuore, le vene e il sangue, le fibre muscolari e i nervi, da quelli importanti e potenti che danno al cuore l’impulso vitale fino a quelli più insignificanti che fanno sollevare i peli sulla pelle, sono coinvolti. Tutto entra violentemente in moto. Se la sensazione è stata piacevole, tutte quelle parti saranno attive in modo armonico, il cuore batterà senza sforzo, vivacemente e regolarmente, il sangue scorrerà senza ostacoli negli elastici canali, quie58
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to o rapido a seconda che l’emozione sia di tipo delicato o energico, la combustione, la secrezione e l’escrezione funzioneranno senza intoppi, le fibre irritabili si rilasseranno immerse in un vapore delicato, sia la reattività, sia la sensibilità saranno incrementate. Perciò il momento del massimo piacere spirituale coincide con il momento del massimo benessere fisico. Quante sono queste attività parziali (e ogni pulsazione non è forse il risultato di altre mille?), altrettante le sensazioni oscure che si affolleranno nell’anima e mostreranno la perfezione. Dalla confusione di tutte queste scaturisce la sensazione complessiva dell’armonia animale, cioè della sensazione di piacere animale alla massima concentrazione, che si affianca, per così dire, all’originaria armonia intellettuale o morale e con ciò la incrementa enormemente. Perciò ogni emozione piacevole è la fonte di innumerevoli piaceri corporei. Ciò è attestato con la massima evidenza dagli esempi di malati che la gioia ha guarito. Se si riconduce in patria qualcuno che la nostalgia di casa ha ridotto a uno scheletro, questi ringiovanirà riacquistando un fiorente stato di salute. Si entri in un carcere, dove degli infelici da dieci o vent’anni giacciono tra le esalazione malsane dei loro escrementi e trovano appena la forza di muoversi e si annunci improvvisamente la liberazione. La sola parola farà scorrere nelle loro membra una forza giovanile, gli occhi spenti irraggeranno vita ed energia. I marinai in acque ignote, avviliti e ammalati per la carenza di cibo e di acqua, cominciano a riprendersi alla sola parola “Terra!” che il nostromo grida dal ponte, e certamente sbaglierebbe di molto chi volesse attribuire quest’effetto esclusivamente ai cibi freschi. La vista di una persona amata, per la quale ha lungamente spasima59
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to, trattiene l’anima dell’agonizzante, che per un attimo riprende forza e sembra migliorare. È vero infatti che la gioia può attivare il sistema nervoso più di tutti i tonici per il cuore che si trovano in farmacia e persino inveterati ingorghi del labirinto intestinale, che la rubia25 non riesce a penetrare e neppure il mercurio a smuovere, da essa vengono dissolti. Chi non comprende dunque che quella conformazione spirituale che riesca a ricavare piacere da ogni situazione e a sciogliere ogni dolore nella perfezione dell’universo dev’essere la più confacente al funzionamento della macchina corporea? E questa conformazione spirituale è la virtù. §14 La sofferenza psichica mina il benessere della macchina corporea Esattamente in questo modo si verifica l’opposto nel caso di un’emozione spiacevole: si potrebbero considerare le idee che emergono così fortemente nella persona irata o spaventata, con lo stesso diritto con cui Platone chiamava le passioni febbre dell’anima, convulsioni dell’organo del pensiero. Tali convulsioni si diffondono rapidamente nell’intero sistema nervoso, precipitano le energie vitali in uno stato di irritazione che distrugge la salute e squilibra tutte le azioni della macchina corporea. Il cuore batte irregolarmente e impetuosamente, il sangue preme sui polmoni, mentre nelle estremità ne rimane appena a sufficienza per mantenere il battito affievolito. Tutti i processi della chimica animale si intralciano reciprocamente. Le dissociazioni sono accelerate, i fluidi 25
Robbia (rubia tinctorum), pianta medicinale.
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benigni vengono deviati, agendo negativamente in ambiti a loro estranei, mentre allo stesso tempo quelli maligni, che dovrebbero essere espulsi con l’escrezione, ricadono nel centro della macchina. In una parola: la condizione della massima sofferenza spirituale è al tempo stesso la condizione della più acuta malattia fisica. L’anima apprende da mille sensazioni oscure l’incombente rovina dei suoi strumenti ed è sommersa da una complessiva sensazione di sofferenza che si attacca all’originaria sofferenza psichica, rendendola ancora più acuta. § 15 Esempi Le sofferenze profonde e croniche della psiche, soprattutto se si accompagnano a un intenso sforzo del pensiero, tra cui annovero in primis quella rabbia strisciante che viene chiamata indignazione, corrodono, per così dire, il fondamento del corpo e prosciugano gli umori vitali. Le persone che ne sono affette sono emaciate e pallide e il loro tormento interiore è rivelato dagli occhi profondamente infossati. «Vorrei che attorno a me ci fossero uomini piuttosto grassi grassa intorno a me!» dice Cesare, «tali che dormano di notte. Quel Cassio laggiù ha un viso troppo magro e affamato: pensa troppo e uomini del genere sono pericolosi»26. Paura, inquietudine, tormenti di coscienza, disperazione hanno effetti non minori di una febbre violenta. Riccardo III, perseguitato dal terrore, ha perduto la sua abituale vivacità e 26
Citazione da W. Shakespeare, Julius Caesar, I, 2; trad. it di G. Baldini, Milano, Rizzoli1994, p. 45 sgg.
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si illude di riacquistarla con un bicchiere di vino27. Non è solo la sofferenza psichica a scacciare la sua vivacità, è una sensazione di malessere che gli proviene dal centro della macchina, è proprio quella sensazione che annuncia la febbre maligna. Oppresso dai suoi delitti, Franz Moor, che altrimenti era abbastanza sofista da dissolvere in nulla i sentimenti di umanità riducendoli a scheletri concettuali, ora si riscuote da un sogno spaventoso pallido, senza fiato, con la fronte imperlata di sudore freddo. Tutte le immagini di future condanne, che forse aveva assorbito negli anni dell’infanzia e da adulto aveva rimosso, nel sogno hanno sopraffatto il suo intelletto offuscato. Le sensazioni sono troppo confuse perché il passo più lento della ragione possa raggiungerle e analizzarle di nuovo. Essa combatte ancora con la fantasia, lo spirito combatte con lo spavento prodotto dal meccanismo corporeo. Moor No, non tremo, non era che un sogno. I morti non risorgono. Ci dice che tremo, che son pallido? Io mi sento così leggero, così bene. Servo SIETE PALLIDO COME UN MORTO. LA VOSTRA VOCE È PIENA D’ANSIA E VOI BALBETTATE. Moor Ho la febbre. Quando giunge il pastore digli bene che ho la febbre. Domani mi farò salassare. Dillo al pastore. Servo Siete davvero seriamente ammalato Moor Già, già, è tutto lì. La malattia sconvolge la mente e cova sogni folli e strani. – Al diavolo la vigliaccheria femminea – I sogni vengono dalla 27
W. Shakespeare, Riccardo III, V, 3. Riccardo III è il modello di Franz Moor de I masnadieri (vedi nota successiva).
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pancia e non significano nulla. Ho appena fatto un sogno divertente. (cade svenuto)28. Qui, emergendo all’improvviso, l’immagine integrale del sogno mette in moto tutto il sistema delle idee oscure e squassa, per così dire, l’intero fondamento dell’organo del pensiero. Dalla somma di tutti questi elementi scaturisce una sensazione dolorosa estremamente composita, che scuote l’anima fin nel profondo e paralizza per consensum tutto il sistema nervoso. Le paure che colgono colui che si prepara ad un’azione delittuosa o che ne ha appena commesso una non sono appunto altro che l’orrore che scuote il febbricitante e che si manifesta anche in seguito all’assunzione di medicamenti non adatti. Gli accessi notturni di coloro che sono tormentati dalla coscienza, sempre accompagnate da pulsazioni febbrili, sono vere e proprie febbri29, causate dalla concordanza della macchina con l’anima, e quando lady Macbeth cammina nel sonno è in preda a un delirio nervoso. Già l’imitazione della condizione morbosa rende l’attore momentaneamente malato, così che Garrick dopo aver recitato nella parte di Otello o 28
Schiller dà in nota un riferimento fittizio: «The life of Moor. Tragedy by Krake». In realtà si tratta di una citazione quasi letterale dalla sua prima opera drammatica, Die Räuber (I Masnadieri, V,2), all’epoca non ancora pubblicata. Trad. it. (modificata) in F. Schiller, Teatro, Torino, Einaudi 1969, p.102. 29 Oltre alle due dissertazioni qui tradotte Schiller ne presentò una terza in latino, di carattere più genuinamente medico, De discrimine febrium inflammatorum et putridarum, sulle diverse forme febbrili (in F. Schiller, Theoretische Schriften, hrsg. von R.-P. Janz et al., Frankfurt a. M. 1992, pp. 81-105).
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di Lear passava alcune ore a letto in preda a convulsioni30. Anche l’illusione dello spettatore, la consonanza con passioni artificiali ha provocato orrore, convulsioni e svenimenti. Colui che è tormentato dal cattivo umore e in tutte le situazioni della vita produce veleno e fiele; il vizioso, che vive in un cronico stato di rabbia; l’invidioso, torturato da ogni forma di perfezione del prossimo; non sono forse tutti costoro i più grandi nemici della salute di una persona? Il vizio non dovrebbe fare abbastanza paura, se annienta insieme alla serenità anche la salute? § 16 Eccezioni Ma anche l’affezione piacevole ha ucciso, anche quella spiacevole ha prodotto cure miracolose. Entrambe le cose sono attestate dall’esperienza, ma ciò modifica forse i limiti della legge enunciata? La gioia uccide se giunge all’estasi, la natura non sopporta l’agitazione in cui è gettato in un momento l’intero sistema nervoso. Il moto cerebrale non è più armonia, è convulsione, un enorme vigore istantaneo che però si trasforma immediatamente nella rovina della macchina, poiché ha oltrepassato i limiti della salute (nell’idea stessa di salute è contenuta l’idea di una certa temperanza dei moti naturali), anche la gioia degli esseri finiti ha i suoi limiti, come il dolore, e non può superarli, a costo di annientarsi. Per quel che concerne il secondo caso, vi sono molte attestazioni del fatto che un livello moderato di rab30
David Garrick (1717-1779), famoso attore inglese, iniziatore di uno stile di recitazione realistico.
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bia, cui si è lasciato libero corso, ha fatto piazza pulita di ostruzioni ormai cronicizzate, che la paura provocata da un incendio, ad esempio, ha improvvisamente sanato vecchi dolori articolari o paralisi inguaribili. Ma anche la dissenteria ha dissolto ostruzioni della vena porta, così come il prurito ha guarito depressi e lunatici, e forse per questo il prurito non è una malattia o la dissenteria è salute? § 17 La fiacchezza dell’anima rende fiacchi i movimenti della macchina Poiché l’attività dello spirito, come attesta von Haller, può accelerare la frequenza del battito serale, la sua fiacchezza non potrà forse indebolirlo o l’assenza di attività addirittura farlo cessare? Se infatti il movimento del sangue non sembra dipendere granché dall’anima, non se ne può concludere con qualche ragione che il cuore, che comunque prende dal cervello gran parte della sua forza, possa avere un calo d’energia se l’anima non sostiene l’attività del cervello? Il flegma determina un polso fiacco e lento, il sangue è acquoso e mucoso, la circolazione addominale è in difficoltà. I ritardati mentali descritti da Muzell respiravano lentamente e con fatica, non avevano l’impulso a mangiare e a bere e nemmeno alla naturale escrezione, il battito era infrequente, tutte le funzioni corporee erano lente e opache31, 32. La paralisi dell’ani31 Medizinische und Chirurgische Wahrmehmungen di Muzell [N.d.A.]. 32 Friedrich Hermann Ludwig Muzell (1716-1784) era medico all’ospedale della Charité di Berlino e medico personale di Federico il Grande.
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ma provocata dal terrore, dallo stupore ecc. è talvolta accompagnata da una generale sospensione di ogni attività fisica. È stata l’anima la causa di questo stato, o è stato il corpo a provocare la paralisi dell’anima? Questa materia ci porta però al sofisma e non è necessario svilupparla in questo contesto. § 18 Seconda legge Ciò che si è detto a proposito del trasferimento di sensazioni spirituali su quelle animali vale anche per il caso opposto, il trasferimento di sensazioni fisiche su quelle spirituali. Le malattie del corpo, in maggioranza conseguenze naturali della smodatezza, sono già una punizione col dolore fisico, ma anche qui l’anima viene attaccata nel suo fondamento, così che il dolore raddoppiato la costringe tanto più urgentemente a limitare i desideri. Allo stesso modo alla sensazione di benessere della salute fisica si affianca la sensazione più sottile di un effettivo miglioramento psichico, così che l’uomo è spinto a tenere il suo corpo in buone condizioni. Vi è dunque una seconda legge delle nature miste: che alla libera attività degli organi dovrebbe essere connesso un libero fluire delle sensazioni e delle idee e alla sua corruzione corrisponde quella del pensiero e della sensazione. In breve: la generale sensazione di armonia animale dovrebbe essere la fonte del piacere spirituale e il malessere animale la fonte del malessere spirituale. Sotto questi differenti aspetti anima e corpo si possono paragonare non a torto a due strumenti a corde ugualmente accordati e posti l’uno accanto all’altro. Se si tocca una corda di uno e si produce una certa nota, 66
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nell’altro risuonerà spontaneamente esattamente la stessa corda e la stessa nota, solo più debolmente. Così, parlando per analogie, la corda gioiosa del corpo risveglia la corda gioiosa dell’anima, la corda triste del primo quella triste della seconda. Questa è la meravigliosa e singolare simpatia che trasforma, per così dire, i principi eterogenei dell’uomo in un unico essere, l’uomo è l’intima mescolanza di queste due sostanze. §19 L’umore dello spirito segue l’umore del corpo Di qui la pesantezza, l’ottusità intellettuale, la tendenza a brontolare che conseguono agli eccessi nel mangiare e in tutti i piaceri del corpo; da ciò gli effetti miracolosi del vino in coloro che bevono con moderazione. «Quando avete bevuto del vino – afferma Frate Martin – siete doppi rispetto al solito, doppiamente veloci nel pensare, doppiamente capaci nell’intraprendere, doppiamente rapidi nell’agire»33. Di qui il buonumore, la sensazione di benessere quando il tempo è bello e salubre, che certo dipende anche dall’associazione di idee, ma soprattutto dal fatto che le azioni naturali ne sono facilitate. Le persone in questi casi sono solite usare l’espressione “mi sento bene” e in quel momento sono meglio predisposte verso tutte le attività intellettuali, il loro cuore è aperto ai sentimenti di umanità e al compimento di doveri morali. Lo stesso vale per il carattere nazionale dei popoli. Gli abitanti di luoghi tetri condividono la tristezza della natura circostante; l’uomo è selvatico in zone selvagge e 33
Citazione dal primo atto del dramma Götz von Berlichingen di J.W. Goethe.
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tempestose, ride dove il clima è gradevole e prova simpatia in atmosfere pure. Solo sotto il bel cielo greco ci sono stati un Omero, un Platone e un Fidia; solo là si trovavano Grazie e Muse, mentre la nebbiosa Lapponia a mala pena produce esseri umani, e mai un genio. Quando la nostra Germania era ancora coperta di foreste, aspra e paludosa, il tedesco era cacciatore, rozzo come gli animali selvatici la cui pelle si gettava sulle spalle. Appena il lavoro cominciò a mutare l’aspetto della sua patria ebbe inizio per lui l’era della moralità. Io non voglio affermare che il clima sia l’unica radice del carattere, ma certamente perché un popolo avanzi moralmente e intellettualmente bisogna prendere grandemente in considerazione il miglioramento della natura in cui vive34. I guasti nel corpo possono anche creare disordine nell’intero sistema dei sentimenti morali e aprire la strada alle passioni più perniciose. Un uomo rovinato dagli eccessi sensuali può essere portato agli estremi assai più facilmente di chi mantiene sano il suo corpo. Proprio questo è il disgustoso accorgimento di coloro che corrompono i giovani, e deve aver conosciuto con esattezza la natura degli uomini quel reclutatore di banditi che dice «si devono corrompere corpo e anima»35. Catilina era un vizioso prima di diventare un assassino e Doria si era sbagliato enormemente a credere di non aver nulla da temere dal vizioso Fiesco36. In generale si può osservare che la crudeltà d’animo alberga spesso in corpi malati. 34
Lett.: “raffinare il suo cielo”. Riferimento al personaggio di Spiegelberg, il reclutatore di banditi de I Masnadieri. 36 Della figura del conte Fiesco, che nel 1547 si era posto a capo di una congiura contro i Doria, Schiller farà più tardi il 35
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Nelle malattie questa simpatia è ancora più evidente. Tutte le malattie gravi, soprattutto quelle che sono dette maligne e derivano dal funzionamento della zona addominale, si annunciano in misura maggiore o minore con una singolare trasformazione del carattere. Inizialmente, quando ancora serpeggiano silenziosamente nei recessi della macchina e minano la vitalità dei nervi, l’anima comincia a presagire oscuramente la caduta del suo compagno. Questa è una componente importante di quella condizione che un grande medico ha descritto magistralmente col nome di spaventi premonitori (Horrores)37. Di qui l’umor nero di queste persone, di cui nessuno sa indicare la causa, il mutamento nelle loro inclinazioni, il disgusto per tutto ciò che prima era loro massimamente gradito. La persona mite diventa rissosa, quella ridanciana si fa burbera e colui che prima si perdeva nel trambusto degli affari mondani evita la vista degli uomini e fugge in una tetra e malinconica quiete. Sotto questa calma insidiosa la malattia si prepara all’eruzione letale. L’agitazione complessiva della macchina corporea, quando la malattia si manifesta in tutta la sua violenza, ci offre la prova più eloquente della sorprendente dipendenza dell’anima dal corpo. La percezione del generale crollo degli organi, formata da mille sensazioni dolorose, produce una rovina spaventosa nel sistema mentale. Il delinquente che nulla ha mai commosso soggiace allo strapotere del terrore animale. Winchester morente urla, protagonista di una tragedia, Die Verschwörung des Fiesko zu Genua (La congiura di Fiesco a Genova, 1783). 37 Dewhurst e Reeves (op. cit., p. 290) ipotizzano che si tratti di Johann Friedrich Consbruch, professore di Schiller alla Karlsschule.
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in preda a una furiosa disperazione38. L’anima sembra aggrapparsi pervicacemente a tutto ciò che la precipita in un ottenebramento ancora più profondo e ritrarsi con repulsione da tutti i motivi di consolazione. Il tono della sensazione sgradevole è dominante e, siccome questo dolore profondo dell’anima è scaturito dalle alterazioni della macchina corporea, esso contribuisce per converso a rendere tali alterazioni più intense e generali. §20 Limitazione delle considerazioni precedenti Si hanno però quotidiani esempi di malati che si sollevano pieni di coraggio al disopra del dolore fisico, di morenti che nel pieno della sofferenza provocata dalla macchina in lotta per la sopravvivenza chiedono: «morte, dov’è il tuo pungiglione?»39. La saggezza, si potrebbe obiettare, non dovrebbe essere forte abbastanza ad armarci contro le cieche paure dell’organismo? E la religione, che è anche più della saggezza, dovrebbe proteggere così poco i suoi amici dagli attacchi della materia? Oppure, il che è lo stesso, non dipende anche dalla precedente condizione della psiche il modo in cui essa recepisce le alterazioni dei processi vitali? Ora, questa è una verità innegabile. La filosofia e ancor più un animo coraggioso, elevato dalla religione, sono certamente in grado di indebolire l’influsso delle sensazioni animali che assalgono l’anima del malato e di strappare, per così dire, l’anima da ogni coerenza con la 38
Il cardinale Beaufort, vescovo di Winchester, personaggio dell’Enrico VI di Shakespeare. 39 Paolo, Lettera ai Corinti 15, 55.
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materia. Il pensiero della divinità, che muove l’universo e agisce anche nella morte, l’armonia della vita passata e il presentimento di un futuro felice in eterno spargono una luce piena e ampia su tutti i loro pensieri, mentre l’anima del folle e di chi non crede è ottenebrata da tutte le oscure sensazioni prodotte dal meccanismo fisico. Anche se il cristiano e il saggio è oppresso da sofferenze involontarie (è forse meno essere umano degli altri?), trasformerà in piacere la sensazione della macchina in rovina. The soul, secourd in her existence, smiles At the drawn dagger, and defiles its point, The stars shall fade away, the sun himself Grow dim with age, and nature sink in jears, But thou shalt flourish in immortal youth, Unhurt amids the war of Elements, The wreck of matter, and the crush of Worlds40.
Proprio questa singolare allegria dei malati terminali ha spesso anche una causa fisica ed è estremamente importante per il medico. La si trova di frequente insieme a quelli che sono secondo Ippocrate i segni più fatali, e non si riesce a spiegarla in base a una crisi precedente: si tratta di un’allegria maligna. I nervi, che durante la febbre alta erano stati attaccati con la massima violenza, 40
Citazione dalla tragedia di Joseph Addison, Cato, V, 1 («L’anima, certa della propria esistenza, sorride del pugnale proteso e disprezza la sua punta. Le stelle impallidiranno, lo stesso sole si oscurerà invecchiando e la natura sprofonderà, ma tu fiorirai in eterna giovinezza, intatta attraverso la guerra degli elementi, nel fallimento della materia e nel crollo dei mondi»).
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ora hanno perso sensibilità, le parti infiammate, come si sa, cessano di dolere appena diventano necrotiche, ma sarebbe un errore augurarsi che l’infiammazione sia stata superata. Gli stimoli abbandonano i nervi morti e una mortale indolenza fa ingannevolmente pensare a una pronta guarigione. L’anima si trova nell’illusione di una sensazione piacevole, giacché si è liberata di una perdurante sensazione di dolore. Non prova dolore non perché sia ricostituito il tono dei suoi strumenti, ma perché non ne percepisce più la dissonanza. La simpatia tra anima e corpo cessa non appena la connessione viene meno. §21 Aspetti ulteriori Se ora potessi andare più a fondo, se potessi parlare della follia, del sonno, dello stupore, dell’epilessia e della catalessi, nei quali lo spirito libero e razionale è sottomesso al dispotismo dell’addome. Se potessi allargarmi all’ampio terreno dell’isteria e dell’ipocondria, se mi fosse consentito parlare di temperamenti, idiosincrasie e consensus, ciò che rappresenta un abisso per medici e filosofi, in breve, se volessi dimostrare la verità di ciò che ho affermato attraverso casi clinici la mia materia si estenderebbe all’infinito. Mi sembra nondimeno che sia stato dimostrato a sufficienza che la natura animale si mescola senz’altro a quella spirituale e che questa mescolanza è perfezione.
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I FENOMENI CORPOREI RIVELANO I MOTI DELLO SPIRITO §22 Fisiognomica delle emozioni Proprio tale intima corrispondenza delle due nature sta alla base dell’intera dottrina fisiognomica. Attraverso queste connessioni nervose, che, come è stato affermato, stanno alla base della trasmissione delle emozioni, le più segrete commozioni dell’anima si manifestano nella parte esterna del corpo, e la passione trapela persino attraverso il velame dell’ipocrisia. Ogni affetto ha le sue specifiche manifestazioni e, per così dire, il suo peculiare dialetto che lo rende riconoscibile. Ed è infatti un’ammirevole legge della saggezza che tutti gli affetti nobili e benigni abbelliscono il corpo, mentre quelli bassi e infami lo deformano bestialmente. Quanto più lo spirito si allontana dall’immagine della divinità, tanto più anche la forma esteriore sembra avvicinarsi alla bestia, e in particolare alla specie con cui condivide quel tratto specifico. Così l’aspetto mite del filantropo invita ad accostarsi chi ha bisogno d’aiuto, mentre il volto sprezzante dell’iroso fa scappare chiunque. Ciò costituisce un criterio di orientamento indispensabile nella vita sociale. È curioso quanta affinità abbiano le apparenze fisiche con le emozioni. L’eroismo e il coraggio fanno scorrere vita e forza nelle vene e nei muscoli, dagli occhi sprizzano scintille, il petto si allarga, tutte le membra si preparano allo scontro, l’uomo appare come un destriero. Il terrore e la paura spengono il fuoco dello sguardo, le membra si abbandonano pesanti e prive di forza, il midollo sembra gelarsi nelle ossa, il sangue opprime il cuore, una generale impotenza paralizza gli strumenti della vita. Un pensiero grande, ardito e sublime ci costringe ad alzarci 73
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sulle punte dei piedi, ad alzare la testa, a dilatare le narici e ad aprire la bocca. Il senso dell’infinito, la vista su un vasto orizzonte aperto, il mare e simili spettacoli ci fanno aprire le braccia per abbracciare la totalità, vogliamo effonderci nell’infinito. Vogliamo elevarci fino al cielo insieme alle montagne, slanciarci sulla schiuma delle onde in tempesta, e i dirupi scoscesi ci fanno precipitare vertiginosamente. L’odio si manifesta nel corpo con una forza che potremmo dire repulsiva, mentre al contrario il nostro stesso corpo ad ogni stretta di mano, ad ogni abbraccio vuole passare nel corpo dell’amico, allo stesso modo in cui le anime si mescolano armonicamente. L’orgoglio fa assumere al corpo una posizione eretta, cosi come l’anima si eleva, la pusillanimità fa chinare la testa e ciondolare le membra, l’andatura strisciante esprime una paura servile. L’idea del dolore distorce il nostro volto, mentre immaginare cose piacevoli diffonde una grazia per tutto il corpo. L’ira ha spezzato i legami più forti e il bisogno ha superato quasi l’impossibile. In base a quale meccanismo, verrei ora chiedere, accade che proprio questi movimenti seguano a queste emozioni, che in questi stati emotivi siano coinvolti proprio questi organi? Non è come se volessi sapere perché proprio una certa lesione del tessuto connettivo paralizza la parte inferiore del mento? Se l’emozione che ha provocato questi movimenti della macchina corporea si ripete di frequente, se questo modo di sentire dell’anima diviene abituale, tali diventano anche questi movimenti per il corpo. Se lo stato emotivo divenuto destrezza si trasforma in carattere permanente, pure i tratti consensuali della macchina vengono impressi più in profondità, e lasciano, se posso prendere in prestito il termine dal patologo, delle tracce deutero74
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patiche41, diventando infine organici. Così si forma infine la fisionomia permanente dell’ uomo, cosicché è quasi più facile in seguito modificare l’anima piuttosto che la figura. In questo senso quindi si può si può dire, senza essere un seguace di Stahl42, che l’anima forma il corpo, e che gli anni della prima giovinezza determinano probabilmente i tratti del volto dell’uomo per tutta la sua esistenza, così come costituiscono il fondamento del suo carattere morale. Un’anima inerte e debole, che non è mai trascinata da passioni, non ha affatto una fisionomia, ovvero proprio la mancanza di essa costituisce la fisionomia del sempliciotto. I tratti fondamentali che la natura gli ha dato e che il nutrimento ha perfezionato, permangono intatti. Il volto è disteso, poiché l’anima non vi ha lasciato traccia. Le sopracciglia serbano un arco perfetto, poiché nessun’emozione violenta le ha turbate. Tutta la struttura facciale conserva una certa rotondità, poiché il grasso sta quieto nelle cellule e il viso è regolare, forse persino bello, ma mi rincresce per l’anima. Una fisiognomica delle parti organiche, per esempio la forma e la grandezza del naso, degli occhi, della bocca, delle orecchie, il colore dei capelli, la lunghezza del collo ecc. non è forse del tutto impossibile, ma non potrà essere pubblicata così presto, per quanto Lavater possa esal41
Deuteropatico: v. supra, Filosofia della fisiologia, n. 21. Georg Ernst Stahl (1660-1734), medico e chimico che sosteneva una posizione “animista”, secondo cui le modificazioni del corpo derivavano da modificazioni dell’anima. Le concezioni di Stahl, che si opponevano al meccanicismo della fisiologia di Haller, erano ufficialmente criticate all’Accademia, ma avevano dei sostenitori tra gli insegnanti più vicini a Schiller. Cfr. su questo Dewhurst e Reeves, op. cit., p.95 sgg.. 42
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tarla in dieci volumi in quarto43. Chi volesse classificare i giochi capricciosi della natura, le conformazioni con cui essa, da matrigna, ha punito o con le quali ha maternamente gratificato, dovrebbe osare più di Linneo44 e stare molto attento a che l’enorme comica varietà dei suoi originali non lo faccia diventare come uno di loro. Vi è ancora una forma di simpatia che merita di essere menzionata, poiché è di grande rilevanza nella fisiologia: mi riferisco alla simpatia di certe sensazioni con gli organi da cui derivano. Un certo crampo allo stomaco ci ha provocato una sensazione di nausea e il riproporsi di questa sensazione ci richiama quel crampo. Come si verifica?
43 L’atteggiamento di Schiller nei confronti della teoria fisiognomica di Johann Caspar Lavater (1741-1801) è ambivalente: se da un lato ammette il legame tra linguaggio corporeo e costituzione spirituale dell’individuo, così come la capacità degli stati psichici ricorrenti di lasciare tracce nei tratti somatici, dall’altro rifiuta la corrispondenza fra tratti fissi (il naso, la forma del cranio, ecc.) la struttura spirituale. Nell’epigramma Grabschrift eines gewissen Physiognomen (Iscrizione tombale di un certo studioso di fisiognomica) satireggia la figura di Lavater (NA I, p. 87 44 Il naturalista svedese Carl von Linné (1707-1778) ha posto le basi per la moderna classificazione sistematica degli esseri viventi.
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ANCHE L’INDEBOLIRSI DELLA NATURA ANIMALE È UNA FORMA DI PERFEZIONE
§ 23 Impedimento apparente Si può ancora dire che sebbene la componente animale dell’uomo gli assicuri i grandi vantaggi di cui si è parlato finora, essa è per altro verso da rigettare. L’anima è infatti incatenata servilmente ai suoi strumenti, talché il loro periodico rilassamento le prescrive una pausa dell’azione e, per così dire, la annulla periodicamente. Mi riferisco al sonno, che innegabilmente ci sottrae almeno un terzo della nostra esistenza. Inoltre, la nostra capacità cognitiva è estremamente dipendente dalle leggi della macchina corporea, tanto che l’indebolirsi di questa impone una brusca interruzione al corso dei pensieri proprio quando stiamo per cogliere la verità. L’intelletto si è appena concentrato su un’idea, che l’inerzia della materia lo ostacola; le corde dello strumento intellettuale si allentano non appena vengono sforzate. Il corpo ci abbandona quando ne abbiamo più bisogno. Quali straordinari progressi, si dovrebbe obiettare, farebbe l’uomo nello sviluppo delle sue facoltà se potesse continuare a pensare con la stessa intensità senza interruzioni? Come potrebbe ridurre ogni idea ai suoi elementi ultimi, come potrebbe seguire ogni fenomeno fino alle sue cause più recondite, se potesse concentrarvisi ininterrottamente? – Ma non è affatto così, perché non è così?
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Premessa La ragione ha le sue epoche e i suoi destini, come il cuore, ma la sua storia viene trattata assai di rado. Sembra che ci si accontenti di spiegare le passioni nei loro termini estremi, nelle loro deviazioni e conseguenze, senza far caso a quanto esattamente esse corrispondano al sistema di pensiero dell’individuo. La causa generale del decadimento morale è una filosofia limitata e incerta, tanto più pericolosa in quanto abbaglia la ragione obnubilata con una parvenza di legittimità, verità e persuasività e proprio per questo non viene mantenuta nei giusti limiti dai sentimenti morali innati. Al contrario, un chiaro intelletto nobilita anche i sentimenti: la testa deve formare il cuore. In un’epoca come quella presente, in cui il facile accesso alla lettura e la sua diffusione hanno straordinariamente ampliato la parte pensante del pubblico, in cui la felice rassegnazione dell’ignoranza comincia a far posto ad un parziale rischiaramento delle coscienze e solo pochi vogliono ancora rimanere là dove li ha gettati la casualità 79
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della nascita1, non sembra privo d’importanza portare l’attenzione sui periodi di risveglio e di progresso della ragione, render conto di certe verità e di certi errori che sono connessi alla moralità e possono essere fonte di felicità o di miseria e almeno mostrare gli ostacoli nascosti a causa dei quali l’orgogliosa ragione ha già fallito. Raramente noi giungiamo alla verità altrimenti che attraverso gli estremi; dobbiamo prima esaurire l’errore – e spesso l’assurdità – prima di raggiungere le belle mete della serena saggezza. Alcuni amici, ugualmente animati dal calore per la verità e per la bellezza morale, che per vie completamente diverse si sono uniti nella stessa convinzione ed ora guardano con serenità alla strada percorsa, hanno progettato insieme di spiegare alcune rivoluzioni ed epoche del pensiero e alcune intemperanze della ragione sofistica attraverso le figure di due giovani di carattere diseguale, e di presentarle al mondo in forma di epistolario. Le lettere che seguono sono l’inizio di questo tentativo. Alcune opinioni esposte in queste lettere possono essere solo relativamente vere o false, a seconda di come si riflettono nell’universo di un’anima e di nessun’altra. Il seguito dell’epistolario mostrerà come queste affermazioni unilaterali, spesso eccessive, spesso contraddittorie si discioglieranno infine in una verità purificata e ben fondata. Scetticismo e libero pensiero sono i parossismi feb1 Schiller cita qui da uno degli scritti esemplari dell’illuminismo tedesco, Nathan der Weise (Nathan il saggio) di Gotthold Ephraim Lessino. Cfr. Werke, hrsg. von H.G. Göpfert, Muunchen, Hanser 1971, vol. II, p. 274; trad. it. a cura di E. Bonfatti, trad. di A. Casalegno, Milano, Garzanti 2004, p. 000.
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brili dello spirito umano e devono, proprio grazie all’innaturale agitazione che provocano in anime bene organizzate, contribuire a consolidare la salute. Quanto più abbagliante e affascinante l’errore, tanto maggiore è il trionfo per la verità; più angosciante il dubbio, tanto maggiore è la spinta a trovare la convinzione e una salda certezza. Ma era necessario mostrare questi dubbi, questi errori: la conoscenza della malattia deve precedere la guarigione. La verità non perde nulla se un giovane impetuoso non riesce a raggiungerla, e nemmeno la virtù e la religione se un peccatore le nega. Questa premessa era necessaria per indicare il punto di vista da cui desideriamo che il seguente epistolario sia letto e giudicato. Julius a Raphael
Ottobre
Tu sei via, Raphael, e la bellezza della natura si eclissa, le foglie cadono ingiallite dagli alberi, una torbida nebbia autunnale poggia come un sudario sui campi desolati. Vago solitario per questi luoghi malinconici, grido il tuo nome, furioso perché il mio Raphael non mi risponde2. Ero riuscito a sopportare i tuoi ultimi abbracci. Il rumore triste della vettura che ti portava via si era infine spento nel mio orecchio. Più sereno, avevo già ammassato un benefico mucchio di terra sulla felicità passata, ed ora sei di nuovo in queste contrade, come fossi il tuo 2
Il topos della natura come rifugio e come riflesso dell’interiorità è parte integrante nella sensibilità dello Sturm und Drang e ha il suo modello nel Werther di Goethe (1776).
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fantasma, e mi appari ovunque nei luoghi prediletti delle nostre passeggiate. Queste rocce le ho scalate insieme a te, al tuo fianco ho percorso questa smisurata prospettiva. Nell’oscuro tempio formato da questi faggi abbiamo per la prima volta elaborato l’ideale ardito della nostra amicizia. È qui che per la prima volta abbiamo svolto l’uno dall’altro l’albero genealogico dei nostri spiriti e Julius ha trovato in Raphael un parente così stretto. Qui non vi è nessuna sorgente, nessun cespuglio, nessuna altura in cui qualche ricordo della fuggita beatitudine non attenti alla mia quiete. Tutto congiura contro la mia guarigione. Dovunque io passi, ripercorro angosciato la scena della nostra separazione. Che hai fatto di me Raphael? Come sono diventato? Pericoloso grande uomo! Vorrei non averti mai conosciuto o mai perduto! Affrettati a tornare, torna sulle ali dell’affetto o per il fragile germoglio che hai piantato è finita. Come hai potuto, con la tua anima sensibile, abbandonare la tua opera cominciata e ancora così lontana dal suo compimento? Le colonne portanti della tua orgogliosa sapienza vacillano nel mio cuore e nel mio cervello, tutti i sontuosi palazzi che hai edificato crollano e il verme schiacciato si agita brulicando sotto le rovine. Età beata e paradisiaca, quando con gli occhi bendati barcollavo attraverso l’esistenza, come un ubriaco. Quando tutta la mia impertinenza e tutti i miei desideri giravano entro i confini dell’orizzonte paterno, quando un gioioso tramonto non mi faceva presagire nient’altro che una nuova bella giornata, quando solo una gazzetta politica mi ricordava il mondo, solo una campana a morto l’eternità, solo le storie di fantasmi una resa dei conti dopo la morte, quando ancora avevo paura del diavolo e tanto più calorosamente credevo in Dio. Io sentivo ed 82
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ero felice. Raphael mi ha insegnato a pensare ed ora mi avvio a rimpiangere la mia creazione. Creazione? No questo è solo un suono senza senso, che la mia ragione non può ammettere. C’è stato un tempo in cui non sapevo nulla, in cui nessuno sapeva di me e dunque, si dice, non ero. Quel tempo non è più e dunque, si dice, io sono stato creato. Ma anche dei milioni di uomini che sono esistiti nei secoli passati non si sa più nulla, eppure, si dice, essi sono. Su che cosa fondiamo il diritto di affermare l’inizio e negare la fine? Il cessare di esistere degli esseri pensanti, si dice, contraddice la bontà infinita. Questa bontà infinita è dunque sorta con la creazione dell’universo? Se vi è stato un periodo in cui non vi erano esseri intelligenti, la bontà infinita è stata dunque inattiva in precedenza per tutta un’eternità? Se l’edificio dell’universo è una perfezione del creatore, a questi mancava una perfezione prima della creazione del mondo? Ma una tale presupposizione contraddice l’idea della perfezione divina, e dunque non vi è stata creazione. Dove sono andato a parare, mio Raphael? I miei ragionamenti errano paurosamente! Metto da parte il creatore non appena credo in un Dio. A che mi serve un Dio se posso fare a meno del creatore? Mi hai rubato la fede che mi dava pace. Mi hai insegnato a disprezzare, laddove io adoravo. Mille cose erano per me venerabili prima che la tua triste sapienza me le svelasse. Vedevo una massa di persone avviarsi verso la chiesa, sentivo la loro fervida devozione congiungersi in una preghiera fraterna. Due volte sono stato davanti a un letto di morte e due volte ho visto – miracolo potente della religione! – la speranza del cielo trionfare sul terrore della morte e il fresco raggio della gioia accendersi nello sguardo spento del morente. Divina, – dicevo – 83
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dev’essere divina la dottrina che i migliori tra gli uomini professano, che così potentemente trionfa e che meravigliosamente consola. La tua fredda sapienza ha spento il mio entusiasmo. Altrettanti – mi dicevi – erano coloro che una volta correvano alla sacra colonna3 e al tempio di Giove, altrettanti sono saliti gioiosamente sulla pira in onore di Brahma. Ciò che trovi così ripugnante nel paganesimo dovrebbe forse dimostrare la divinità della tua teoria? Non credere a nessun altro che alla tua ragione, dicevi ancora. Non vi è nulla di sacro, se non la verità. Ciò che la ragione riconosce è la verità. Ti ho obbedito, ho sacrificato tutte le opinioni; come quel conquistatore disperato ho dato fuoco a tutte le mie navi, poiché ero approdato in quest’isola e annientato ogni speranza di tornare indietro. Non posso più conciliarmi con un’opinione che una volta ho irriso. Ora la mia ragione è tutto per me, la mia unica garanzia per la divinità, la virtù, l’eternità. Guai a me se da questo momento mi imbatto in qualcosa che contraddice quest’unico garante, se la mia fiducia nei suoi sillogismi diminuisce, se un filo spezzato nel mio cervello ne devia il percorso! La mia felicità d’ora in poi è affidata al ritmo armonico del mio sensorium4. Guai a me se le corde di questo strumento nei momenti difficili della mia vita suonano false, se le mie convinzioni vacillano con il battito delle mie arterie.
3 Irmensäule (o Irminsul), il principale oggetto di culto degli antichi sassoni. 4 Il sensorium è l’insieme coordinato di tutte le facoltà percettive, v. Filosofia della fisiologia, nota 15.
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Julius a Raphael La tua teoria ha lusingato il mio orgoglio. Io ero prigioniero. Tu mi hai fatto uscire all’aperto, la luce dorata del giorno e l’infinita libertà hanno deliziato i miei occhi. Prima mi accontentavo della modesta fama di buon figlio di famiglia, di amico degli amici, di utile membro della società, tu mi hai trasformato in un cittadino dell’universo. I miei desideri non avevano ancora attentato ai diritti dei Grandi. Io tolleravo questi esseri felici perché i mendicanti tolleravano me. Non mi faceva arrossire la mia invidia per una parte del genere umano, poiché ve ne era una parte ancora più grande che dovevo compiangere. Ora per la prima volta venivo a sapere che le mie esigenze di godimento erano altrettanto importanti di quelle dei miei fratelli. Ora comprendevo che in uno strato al disopra di questa atmosfera io valgo così tanto e così poco come i dominatori della terra. Raphael ha tagliato in due tutti i vincoli della convenzione e dell’opinione. Mi sentivo completamente libero, poiché la ragione – mi diceva Raphael – è l’unica monarchia nel mondo dello spirito, io portavo il mio trono nel cervello. Tutte le cose in cielo e in terra non hanno alcun valore, alcuna stima, se non quella che la mia ragione accorda loro. L’intera creazione è mia, poiché possiedo l’incontrovertibile mandato a godere di essa. Tutti gli esseri spirituali – un grado più in basso dello spirito perfetto – sono i miei fratelli, poiché noi tutti obbediamo a una regola, rendiamo omaggio ad un solo signore. Come suona sublime e grandioso questo annuncio! Che riserva per la mia sete di conoscenza! Tuttavia – infelice contraddizione della natura – a questo spirito libero, 85
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che tende verso l’alto, è intrecciato il rigido e immutabile meccanismo di un corpo mortale, mescolato con i suoi meschini bisogni, aggiogato alle sue sorti meschine: questo dio è relegato in un mondo di vermi. L’immane spazio della natura è aperto alla sua attività, ma egli non può neppure pensare due idee allo stesso tempo. I suoi occhi lo conducono fino alle mete luminose della divinità, ma egli deve andar loro incontro lentamente e a fatica, strisciando attraverso gli elementi del tempo. Per godere fino in fondo di un piacere deve lasciar perdere tutti gli altri, due desideri senza limiti sono troppo grandi per il suo piccolo cuore. Ogni nuova gioia gli costa la somma di quelle precedenti. Il momento attuale è la tomba di tutti quelli passati. Un convegno amoroso è un’interruzione del battito dell’amicizia. Ovunque io veda – o Raphael – com’è limitato l’uomo! Quanto è grande la distanza tra le sue pretese e il loro soddisfacimento! Invidia il suo sonno benefico. Non svegliarlo. Era così felice finché non ha cominciato a chiedere dove dovesse andare e da dove fosse venuto. La ragione è una fiaccola in un carcere. Il prigioniero non sapeva nulla della luce, ma un sogno di libertà gli è apparso come un lampo nella notte, che la lascia più oscura di prima. La nostra filosofia è l’infelice curiosità di Edipo, che non smise di indagare finché lo spaventoso oracolo non fu sciolto. Che tu non possa mai sapere chi sei!5. Forse che la tua sapienza sostituisce ciò che mi ha tolto? Se non avevi la chiave del cielo, dovevi proprio rapirmi alla terra? Se sapevi da prima che la strada conduce alla sapienza attraverso lo spaventoso abisso del dubbio, 5
Giocasta in Sofocle, Edipo Re, v.1068.
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perché hai messo in gioco la serena innocenza del tuo Julius con quest’azzardo? se al bene che vorrei fare si avvicina troppo un grande male, allora preferisco non fare affatto il bene6.
Tu hai distrutto una capanna abitata, e al suo posto hai costruito uno splendido, morto palazzo. Raphael, da te rivoglio la mia anima. Non sono felice. Il mio coraggio se n’è andato. Dispero delle mie forze. Scrivimi presto. Solo la tua mano risanatrice può versare del balsamo sulla mia ferita che brucia. Raphael a Julius Una felicità come la nostra, Julius, se non avesse interruzioni sarebbe troppo per una sorte umana. Spesso questo pensiero mi ha perseguitato mentre godevo pienamente della nostra amicizia. Ciò che allora amareggiava la mia gioia era la salutare premessa per alleviare la mia condizione attuale. Indurito alla severa scuola della rassegnazione, sono tanto più disposto a consolarmi considerando la nostra separazione come un sacrificio lieve per ottenere dal destino la felicità del futuro ricongiungimento7. Tu finora non sapevi che cos’è la rinuncia e soffri per la prima volta. 6 Citazione da Lessing, Nathan der Weise, cit., p. 315; trad. it. cit., p.000. 7 Il tema della rassegnazione, ricorrente nella produzione lirica e teorica del giovane Schiller, si riferisce alla necessità
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E tuttavia è forse un bene per te che proprio adesso io sia stato strappato dal tuo fianco. Tu devi superare una malattia da cui puoi guarire completamente solo grazie a te stesso, per essere certo di non avere ricadute. Quanto più ti senti abbandonato, tanto più farai appello a tutte le energie risanatrici che sono in te, quanto meno ricevi un sollievo momentaneo da ingannevoli palliativi, tanto più certamente ti riuscirà di estirpare il male alla radice. L’averti svegliato dai tuoi dolci sogni non mi rincresce, anche se la tua condizione attuale è dolorosa. Non ho fatto altro che accelerare una crisi che prima o poi attende inevitabilmente le anime come la tua, e in cui tutto dipende dal periodo della vita in cui la si affronta. Vi sono situazioni nelle quali è terribile non credere all’esistenza della verità e della virtù. Guai a chi nella tempesta delle passioni ha a che fare con le capziosità di una ragione sofistica. Che cosa ciò significhi io l’ho esperito in tutta la sua ampiezza e per risparmiarti questo destino non mi è rimasto altro da fare che rendere innocuo con una vaccinazione quest’inevitabile contagio. E quale momento più propizio avrei dovuto scegliere, mio Julius? Mi stavi davanti nella piena energia della giovinezza, il corpo e lo spirito in splendida fioritura, non oppresso da preoccupazioni, svincolato da passioni, libero e forte per vincere la grande battaglia il cui premio morale di seguire il dovere indipendentemente dall’aspettativa di una ricompensa nell’aldilà. Esso esprime dunque una posizione contraria alla fondazione religiosa della morale, quasi un’anticipazione di posizioni kantiane. Il motivo è centrale nello scritto Spaziergang unter den Linden (Passeggiata sotto i tigli, 1782) e nella poesia Resignation, (Rassegnazione, 1786; NA I, pp. 166-169).
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è la sublime serenità del convincimento. Verità ed errore non erano ancora intrecciati nel tuo interesse. I tuoi piaceri e le tue virtù erano indipendenti da entrambi. Non avevi bisogno di spauracchi per sottrarti ad eccessi volgari. Il senso per piaceri più nobili te ne aveva fatto passare la voglia. Eri buono per istinto, per una intatta grazia morale8. Non avevo nulla da temere per la tua moralità se crollava un edificio su cui non era fondata. E neppure mi spaventavano le tue preoccupazioni. Qualunque cosa possa suggerirti un umore malinconico, io ti conosco meglio, Julius. Ingrato! Denigri la ragione, dimenticando quali gioie ti ha già donato. Se anche tu avessi potuto evitare per tutta la vita il pericolo dello scetticismo, era per me un dovere non privarti di piaceri di cui eri capace e degno. Il livello al quale ti trovavi non corrispondeva al tuo valore. Il sentiero su cui ti sei inerpicato ha compensato tutto ciò che io ti ho sottratto. Io ricordo bene con quale delizia hai benedetto il momento in cui la benda è caduta dai tuoi occhi. Il calore con cui hai afferrato la verità forse ha condotto la tua divorante fantasia verso abissi di fronte ai quali arretri spaventato. Devo seguire il percorso delle tue ricerche per scoprire le ragioni dei tuoi lamenti. Ma hai scritto i risultati delle tue riflessioni. Mandami questi scritti e allora ti risponderò.
8 Il concetto di grazia morale (sittlicher Grazie), che rimanda alla moral grace di Shaftesbury, anticipa la tematica svolta più tardi da Schiller in termini estetico-antropologici nel saggio Grazia e dignità (Über Anmut und Würde, 1793).
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Julius a Raphael Stamani rovisto tra le mie carte. Ritrovo un saggio perduto, abbozzato in quelle ore felici di orgoglioso entusiasmo. Raphael, come tutto mi appare diverso ora! È l’impalcatura di legno della scena di un teatro quando si spengono le luci. Il mio cuore cercava una filosofia e la fantasia vi ha sostituito i suoi sogni. Il più ardente era per me il più vero. Indago le leggi degli spiriti – mi slancio sino all’infinito, ma dimentico di dimostrare che essi esistono realmente. Un ardito attacco del materialismo fa crollare la mia creazione. Leggerai questo frammento, mio Raphael. Spero che riuscirai a ravvivare le scintille spente del mio entusiasmo, a riconciliarmi col mio genio, ma il mio orgoglio è caduto così in basso che neanche la tua approvazione riuscirà a risollevarlo. TEOSOFIA DI JULIUS Il mondo e l’essere pensante L’universo è un pensiero di Dio. Dopo che questa ideale immagine dello spirito è penetrata nella realtà e il mondo così generato ha colmato la frattura del suo creatore – consentimi questa immagine umana – lo scopo di tutti gli esseri pensanti è quello di trovare in questa totalità presente il disegno originario, di cercare la regola nella macchina, l’unità nel composto, la legge nel fenomeno e di ricondurre l’edificio al suo progetto. Insomma, per me esiste un solo fenomeno nella natura, 90
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l’essere pensante. Il grande composto che chiamiamo mondo resta per me degno d’interesse solo perché esiste per indicarmi simbolicamente le molteplici espressioni di quell’essere. Ogni cosa in me e fuori di me è solo il geroglifico di una forza che mi è simile. Le leggi della natura sono le cifre che l’essere pensante combina per farsi comprendere dall’essere pensante – l’alfabeto mediante cui tutti gli spiriti interagiscono tra loro e con lo spirito perfetto. Armonia, verità, ordine, bellezza, eccellenza mi danno gioia perché mi pongono nella condizione attiva del loro inventore, del loro possessore, perché mi rivelano la presenza di un essere senziente e intelligente e mi fanno presagire la mia affinità con questo essere. Una nuova esperienza in questo regno della verità, la gravitazione, la scoperta della circolazione del sangue, il sistema della natura di Linneo significano per me in linea di principio esattamente lo stesso delle antichità dissotterrate ad Ercolano: le due cose sono solo il riflesso di uno spirito, una nuova conoscenza con un essere che mi somiglia. Io dialogo con l’infinito attraverso lo strumento della natura, attraverso la storia universale, leggo l’anima dell’artista nel suo Apollo. Se vuoi convincerti, mio caro Raphael, indaga a ritroso. Ogni stato dell’anima umana ha nella creazione fisica una qualche figura che gli corrisponde e con cui viene definito, e non solo gli artisti e i poeti, ma anche i pensatori più astratti hanno attinto a questo magazzino. Una vivace attività la chiamiamo fuoco, il tempo è una corrente che trascina via, l’eternità è un circolo, un mistero si cela nella mezzanotte, e la verità abita nel sole. Comincio anzi a pensare che persino le sorti future dello spirito umano siano preannunciate nell’oscuro oracolo della creazione corporea. Ogni nuova primavera che fa 91
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spuntare i germogli delle piante dal grembo della terra mi dà spiegazioni sull’inquietante mistero della morte e confuta la mia paurosa inquietudine per un sonno eterno. La rondine che troviamo stecchita in inverno e che in primavera vediamo rianimarsi, il bruco morto che nella sua nuova giovinezza di farfalla si solleva in aria ci porgono un simbolo adeguato della nostra immortalità. Tutto diviene per me straordinario! Ora, Raphael, ogni cosa è abitata intorno a me. Non vi è per me più nulla di solitario nell’intera natura. Dove scopro un corpo intuisco uno spirito. Dove osservo un movimento, là indovino un pensiero. «Dove non è seppellito un morto, dove non vi sarà resurrezione»9, la potenza suprema mi parla attraverso le sue opere e così comprendo la dottrina dell’onnipresenza di Dio. Idea Tutti gli spiriti sono attratti dalla perfezione. Tutti – vi sono traviamenti, ma non eccezioni – tutti tendono alla massima condizione di libera espressione delle loro forze, tutti possiedono il comune impulso ad espandere la loro attività, ad attrarre tutto a sé, a raccoglierlo in sé, ad appropriarsi di ciò che riconoscono come buono, eccellente, attraente. L’intuizione della bellezza, della verità, dell’eccellenza è il possesso momentaneo di queste 9 «Wo kein Todter begraben liegt, wo kein Auferstehen sein wird». Citazione dalla prima edizione (1748) del poema Messias di Friedrich Gottlieb Klopstock, canto I, v. 596, Stuttgart, Reclam 1986, p. 31.
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qualità. Lo stato che percepiamo è quello in cui entriamo noi stessi. Nel momento in cui le pensiamo, siamo possessori di una virtù, autori di un’azione, scopritori di una verità, detentori di una felicità. Noi stessi diventiamo l’oggetto percepito. Non confondermi con un sorriso ironico – mio Raphael – questo presupposto è il fondamento su cui baso tutto ciò che segue e dobbiamo essere d’accordo, prima che io abbia il coraggio di portare a compimento il mio edificio. Qualcosa di simile lo dice a ciascuno di noi già il senso interno. Se, per esempio, ammiriamo un atto di magnanimità, di coraggio, di intelligenza, non si risveglia nel nostro cuore la segreta coscienza che saremmo capaci di fare una cosa simile? Il rosso intenso che colora le nostre guance quando udiamo una storia di questo tipo non tradisce forse il fatto che la nostra modestia trema per l’ammirazione? Che siamo imbarazzati per la lode che questa nobilitazione del nostro essere deve procurarci? Il nostro stesso corpo si accorda in quel momento con i gesti della persona agente e mostra chiaramente che la nostra anima è passata in quello stato. Quando assistevi, Raphael, al racconto di un grande evento di fronte a un uditorio numeroso, non vedevi come il narratore stesso aspettava di essere incensato, come godeva egli stesso del plauso dedicato al suo eroe, e, quando tu stesso eri il narratore, non hai mai sorpreso il tuo cuore in questo felice inganno? Tu hai esempi, Raphael, della veemenza con cui posso addirittura scontrarmi col mio amico del cuore per la lettura a voce alta di un bell’aneddoto, di una splendida poesia, e il mio cuore ha riconosciuto sommessamente che semplicemente non volevo concederti l’alloro che si trasmette dall’autore al lettore. Una sensibilità immediata e profonda per la virtù nell’arte 93
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è perciò considerato generalmente come un grande talento per la virtù, così come al contrario non si esita a dubitare del cuore di un uomo la cui intelligenza afferra lentamente e con difficoltà la bellezza morale. Non obiettarmi che nella vivida conoscenza di una perfezione non di rado si trova l’imperfezione opposta, che spesso persino il delinquente è colto da un nobile entusiasmo per l’eccellenza, che persino il debole è infiammato dall’entusiasmo per un’erculea grandezza. Io so, per esempio, che il nostro ammirato Haller, che ha virilmente smascherato la rispettata nullità del futile onore10 e alla cui grandezza filosofica io tributo tanta ammirazione, non fu in grado di disprezzare l’onore ancora più futile di un cavalierato che offendeva la sua grandezza. Sono convinto che nei momenti felici dell’idealità l’artista, il filosofo e il poeta sono realmente gli uomini buoni e grandi di cui rappresentano l’immagine, ma questa nobilitazione dello spirito è per molti solo una condizione innaturale, prodotta forzosamente da un più vivace ribollire del sangue, da uno slancio più rapido della fantasia, che però anche per questo svanisce velocemente come ogni altro incantamento e consegna il cuore, tanto più fiacco, all’arbitrio dispotico delle passioni inferiori. Tanto più fiacco – dicevo – poiché un’esperienza universale insegna che la persona più violenta è quella che ricade nel delitto e che coloro che rinnegano la virtù trovano nelle braccia del vizio una consolazione tanto più dolce per le fastidiose costrizioni del pentimento. 10 Schiller si riferisce al primo verso della poesia di Albrecht von Haller Über die Ehre (Sull’onore, 1728): «Geschätzes Nichts der eitlen Ehre», in A. von Haller, Gedichte, Leipzig, Hessel 1923, p. 62.
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Volevo dimostrare, mio Raphael, che, nel momento in cui la percepiamo, la condizione di un altro diventa la nostra condizione, che la perfezione diventa la nostra nel momento in cui ce la rappresentiamo, che il nostro piacere per la verità, la bellezza e la virtù si risolve infine nella coscienza del nostro arricchimento, della nostra nobilitazione, e credo di averlo dimostrato. Noi abbiamo un concetto della saggezza dell’essere supremo, della sua bontà, della sua giustizia, ma non della sua onnipotenza. Per indicare la sua onnipotenza ci serviamo della rappresentazione parziale di una sequenza di tre elementi: il nulla, la sua volontà e il qualcosa. È deserto e oscuro e Dio grida: luce – e si fa luce. Se avessimo l’idea reale della sua onnipotenza saremmo creatori, come lui. Ogni perfezione che io percepisco, dunque, diventa mia, mi dà gioia perché mi appartiene, la desidero perché amo me stesso. La perfezione della natura non è una qualità della materia, ma degli spiriti. Tutti gli spiriti sono felici grazie alla sua perfezione. Io desidero la felicità di tutti gli spiriti perché amo me stesso. La felicità che io mi rappresento diventa la mia felicità e di conseguenza è per me importante risvegliare quest’idea, moltiplicarla, intensificarla, insomma, mi interessa diffondere felicità intorno a me. Qualsiasi bellezza, eccellenza, piacere io produca fuori di me la produco in me stesso, quella che trascuro o distruggo la distruggo e trascuro per me. Io desidero la felicità altrui perché desidero la mia. Desiderare l’altrui felicità è ciò che chiamiamo benevolenza, amore.
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Amore Ora, mio ottimo Raphael, fammi guardare intorno. La vetta è stata raggiunta, la nebbia si è dissolta, sto in mezzo all’incommensurabile come in un paesaggio in fiore. Una purissima luce solare ha chiarificato tutti i miei pensieri. L’amore – il fenomeno più bello della creazione animata, il magnete onnipotente nel mondo spirituale, la fonte della devozione e della virtù più sublime -l’amore è solo il riflesso di questa unica forza originaria, un’attrazione di ciò che è perfetto, fondata su un immediato scambio della personalità, su una reciproca sostituzione degli esseri. Se odio prendo qualcosa, se amo mi arricchisco di ciò che amo. Il perdono è ritrovare una proprietà alienata, la misantropia un suicidio prolungato, l’egoismo la massima povertà di una creatura. Quando Raphael si è staccato dal mio ultimo abbraccio la mia anima si è lacerata e io piango la perdita della mia metà migliore. In quella sera beata – tu sai quale – quando le nostre anime per la prima volta si sono vivamente toccate, tutti i tuoi grandi sentimenti sono diventati i miei, ho solo fatto valere il mio eterno diritto di proprietà sulla tua perfezione, più orgoglioso di amarti che di essere amato da te, poiché l’amarti mi aveva trasformato in Raphael. Non fu questo ingranaggio onnipotente che nel gioioso, eterno nodo dell’amore l’uno con l’altro strinse i nostri cuori? Al tuo braccio, Raphael – che gioia – anch’io verso il sole dello spirito Oso il cammino della perfezione. 96
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Friedrich Schiller Felice! Felice! È te che ho trovato, te ho abbracciato tra milioni, e tra milioni tu sei mio. Lascia che il caos selvaggio torni, che gli atomi si muovano confusi, i nostri cuori si attraggono in eterno. Non devo dai tuoi occhi scintillanti sorbire il riflesso della mia gioia? Solo in te mi guardo con stupore. Più bella appare a me la bella terra, il cielo più chiaro si rispecchia, più attraente nel volto dell’amico. La malinconia, angosciosa, getta i gravami di lacrime e nella tempesta del dolore cerca l’approdo più dolce dell’amore. Non cerca pure il tormentoso incanto, Raphael, nel fondo del tuo sguardo, impaziente una dolce sepoltura? Se in tutto il creato fossi solo, sognerei che c’è un’anima nei sassi e abbracciandola la bacerei. Lancerei all’aria i miei lamenti, folle abbastanza, se rispondessero gli abissi, per gioire della dolce simpatia11. 11 Il testo riporta con qualche variante la poesia Die Freundschaft (L’amicizia), pubblicata nella raccolta Anthologie auf das Jahr 1782 (NA I, pp. 110-111). Il motivo dell’amicizia come espressione privilegiata dell’amore universale ricorre anche nella più famosa ode An die Freude (Alla gioia, 1785),
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L’amore non si manifesta tra anime che risuonano allo stesso modo, ma che entrano in armonia. Con piacere riconosco i miei sentimenti nello specchio dei tuoi, ma con ardente desiderio divoro quelli più elevati, quelli che mi mancano. Una regola guida l’amicizia e l’amore. La tenera Desdemona ama il suo Otello per i percoli che ha superato; il virile Otello la ama per le lacrime che ha versato per lui12. Vi sono momenti nella vita in cui siamo inclini a stringere al petto ogni fiore e ogni stella lontana, ogni verme e ogni cosa in cui intuiamo uno spirito superiore – abbracciamo la natura intera come la persona che amiamo. Tu mi comprendi Raphael. L’uomo che è arrivato a cogliere tutta la bellezza, la grandezza, la perfezione nelle cose grandi e piccole della natura e a trovare la grande unità in questa molteplicità si è già avvicinato di molto alla divinità. Se ogni uomo amasse gli altri uomini ogni singolo sarebbe padrone del mondo. La filosofia del nostro tempo13 contraddice – temo – questa teoria. Molte delle nostre teste pensanti hanno ritenuto necessario scacciare con ludibrio questo impulso divino dall’anima umana, cancellare l’impronta della divinità e dissolvere questo nobile entusiasmo nel freddo alito mortifero di una meschina indifferenza. Nel servile sentimento della degradazione di sé si sono accordati musicata da Beethoven. Cfr. NA I, pp. 169-174; trad. it. in F. Schiller, Poesie filosofiche, a cura di G. Pinna, Milano 2005, pp. 116-122. 12 Cfr. W. Shakespeare, Otello, I, 3. 13 Il materialismo, criticato anche nella Filosofia della fisiologia. Le posizioni espresse nella Teosofia corrispondono all’incirca all’orientamento metafisico della prima dissertazione.
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con il più pericoloso nemico della benevolenza, l’egoismo, per spiegare un fenomeno che era troppo divino per i loro cuori limitati. Da un misero egoismo hanno tratto la loro sconfortante dottrina e fatto della propria limitatezza l’unità di misura del creatore – schiavi degenerati, che nel rumore delle loro catene gridano contro la libertà. Swift, che ha spinto sino all’infamia umana il biasimo della follia, e sul palo della vergogna che ha eretto per l’intero genere umano ha iscritto il suo nome per primo, neppure Swift ha potuto infliggere alla natura umana una ferita così mortale come questi pericolosi pensatori, che con grande dispendio di intelligenza e di genialità abbelliscono l’egoismo e lo nobilitano facendone un sistema14. Perché l’intero genere umano dev’essere svalutato se alcuni suoi membri dubitano del suo valore? Io dichiaro apertamente di credere all’esistenza di un amore non egoistico. Sono perduto se non esiste, rinuncio alla divinità, all’immortalità e alla virtù. Non mi rimane nessuna prova che posso sperare in esse se smetto di credere all’amore. Uno spirito che ama solo se stesso è un atomo che nuota in uno smisurato spazio vuoto. Sacrificio L’amore tuttavia ha prodotto effetti che sembrano contraddire la sua natura. 14 Jonathan Swift (1667-1745) autore tra l’altro di Gulliver’s Travels (I viaggi di Gulliver) ricorre negli scritti giovanili come esempio di una visione del mondo egoistica e misantropica. Più tardi, nello scritto Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795), viene citato tra gli autori-modello della satira patetica.
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È possibile pensare che la mia felicità sia accresciuta da un sacrificio che faccio per la felicità di un altro, ma è così anche se è il sacrificio della mia vita? Nella storia ci sono esempi di tali sacrifici e io sento vivamente che non mi costerebbe nulla morire per salvare Raphael. Com’è possibile che consideriamo la morte come un mezzo per accrescere la somma dei nostri piaceri? In che modo la cessazione della mia esistenza è compatibile con un arricchimento del mio essere? La presupposizione dell’immortalità elimina la contraddizione, ma deturpa per sempre la grazia di questo fenomeno. La considerazione di una futura ricompensa esclude l’amore. Ci deve essere una virtù che sia sufficiente senza la credenza nell’immortalità, che sia valida anche se rischia di annientare colui si sacrifica. Certamente sacrificare il vantaggio attuale a quello eterno è già una nobilitazione dell’anima umana – è il grado più nobile dell’egoismo – ma egoismo e amore dividono l’umanità in due generi completamente differenti, i cui confini non coincidono mai. L’egoismo erige il suo centro in se stesso, l’amore lo colloca fuori di sé, nell’asse dell’eterna totalità. L’amore tende all’unità, l’egoismo è solitudine. L’amore è il cittadino che partecipa al governo di uno stato libero e prospero, l’egoismo è un despota in un mondo devastato. L’egoismo semina per la riconoscenza, l’amore per l’ingratitudine. L’amore regala, l’egoismo dà in prestito – sia che si trovino di fronte al trono della verità giudicante, o guardino al piacere dell’attimo successivo, oppure li attenda la corona del martirio – è lo stesso se gli interessi si pagano in questa vita o nell’altra! Immagina una verità, caro Raphael, che sia di giovamento all’umanità in secoli lontani, che inoltre questa 100
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verità condanni a morte colui che la conosce, e che possa essere dimostrata e creduta solo quando questi muore. Immagina dunque quell’uomo con lo sguardo ampio e luminoso del genio, con l’aureola fiammeggiante dell’entusiasmo, con tutta la sublime disposizione all’amore. Fai crescere nella sua anima il compiuto ideale di quel grande risultato, fagli oscuramente intravedere tutti coloro che renderà felici, fai condensare nella sua anima il presente e il futuro insieme, e ora rispondi: quest’uomo ha bisogno del richiamo ad un’altra vita? La somma di tutti questi sentimenti si confonderà con la sua personalità, confluirà con il suo io in una cosa sola. Il genere umano che ora egli ha in mente è egli stesso. È un corpo in cui la sua vita, dimenticata e innecessaria, nuota come una goccia di sangue – quanto rapidamente la spargerà per la sua salute! Dio Tutte le perfezioni dell’universo sono unificate in Dio. Dio e la natura sono due grandezze perfettamente identiche. L’intera somma dell’attività armonica, che esiste concentrata nella sostanza divina, è individuata nella natura, che è l’immagine derivata di tale sostanza, in innumerevoli gradi, misure e livelli. La natura (mi si perdoni quest’espressione figurata), la natura è un dio infinitamente diviso. Come un prisma ottico separa un raggio di luce bianca in sette raggi più scuri, l’io divino si è frantumato in innumerevoli sostanze senzienti. Come sette raggi più scuri si fondono nuovamente in un unico raggio bianco, 101
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dall’unione di tutte queste sostanze risulterebbe un essere divino. La presenta forma dell’edificio della natura è il prisma ottico e tutte le attività degli esseri intelligenti sono solo un infinito gioco di colori di quel semplice raggio divino. Se all’onnipotente piacesse un giorno frantumare questo prisma, la diga tra lui e il mondo crollerebbe, tutti gli esseri intelligenti scomparirebbe in uno infinito, tutti gli accordi confluirebbero in una sola armonia, tutti i ruscelli finirebbero in un unico oceano. L’attrazione degli elementi ha prodotto la forma corporea della natura. L’attrazione degli spiriti, moltiplicata e sviluppata all’infinito, dovrebbe infine portare all’eliminazione di quella separazione, oppure (mi è permesso dirlo, Raphael?) produrre Dio. Una tale attrazione è l’amore. L’amore dunque, Raphael, è la scala su cui saliamo verso la somiglianza con Dio. Con semplicità, ignari di noi stessi, è questo a cui miriamo. «Morte schiere siamo noi, se odiamo, dèi, se con amore ci abbracciamo, se aneliamo alle dolci catene. In su, attraverso i mille gradini degli infiniti spiriti che non crearono domina questo impulso divino. Mano nella mano, sempre più in alto, dal barbaro al greco veggente che si aggiunge all’ultimo serafino, giriamo danzando in accordo, finché nel mare dello splendore eterno morendo scompaiono la misura e il tempo
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Friedrich Schiller Era triste il grande signore dei mondi Qualcosa gli mancava, e creò esseri pensanti, specchi felici della sua felicità. Se anche l’essere supremo non ha trovato Uno simile a lui, dal calice dell’universo per lui spumeggia l’infinità»15.
L’amore, mio caro Raphael, è il potente arcano che può ricostituire dall’umile calcare lo svilito dio dell’oro16, dal transeunte l’eterno, e salvare il grande oracolo della durata dal devastante incendio del tempo. Qual è la somma di tutto ciò che si è detto finora? Lasciateci comprendere la perfezione ed essa diventerà nostra. Lasciateci familiarizzare con l’alta unità ideale e ci uniremo l’uno all’altro con amore fraterno. Lasciateci piantare bellezza e gioia e raccoglieremo bellezza e gioia. Lasciateci pensare con chiarezza e ameremo con passione. Siate perfetti, com’è perfetto il vostro padre nel cielo, dice il fondatore della nostro credo17. L’umanità debole impallidì a queste prescrizioni, perciò egli si espresse più chiaramente: amatevi l’un altro18.
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Ancora alcune strofe dalla poesia Die Freundschaft (L’amicizia). 16 Metafora alchemica: Schiller riferisce ai mezzi misteriosi (arcani) che dovevano ricavare l’oro puro dalla manipolazione di materie umili (la calce). Il sapere alchemico è parte della cultura teosofica che Schiller acquisisce negli anni dell’Accademia. Motivi alchemico-rinascimentali ricompaiono anni dopo nella tragedia Wallenstein. 17 Matteo 5, 48. 18 Giovanni 15, 12.
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Il corpo e l’anima «Sapienza dallo sguardo acuto, grande dea, indietreggia, cedi davanti all’amore. Chi per l’ardua via degli astri Ti ha preceduto, ardito, sino al seggio divino? Chi ha strappato il velo sacro e mostrato a te l’eliso attraverso la crepa del sepolcro? Non è lui forse che ci ha spinti A voler essere immortali? Possono gli spiriti cercare Senza di lui la guida? Amore, solo amore, può Condurre gli spiriti Al padre della natura»19.
Questo, mio Raphael, è l’atto di fede della mia ragione, un abbozzo provvisorio della creazione che avevo intrapreso20. Come vedi, il seme che tu stesso hai get19
Versi 162-180 della poesia Triumph der Liebe (Trionfo dell’amore), inclusa anch’essa nella Anthologie auf das Jahr 1782. Cfr. NA I, p. 80. 20 In questo punto si interrompe la Teosofia, che costituisce il nucleo più antico del testo ed esprime le passate convinzioni di Julius, e ha inizio la revisione critica delle posizioni metafisiche. Questa parte del discorso, rimasta interrotta, verrà vir-
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tato nella mia anima è germogliato. Ora scherniscimi, o rallegrati, oppure arrossisci del tuo allievo. Fa come vuoi, ma questa filosofia ha nobilitato il mio cuore e abbellito le prospettive della mia vita. Possibile, mio caro, che l’intera impalcatura dei miei ragionamenti sia stata solo un’inconsistente immagine onirica. Il mondo come l’ho dipinto forse non esiste altrove che nel cervello del tuo Julius, forse, passati i mille e mille anni prescritti da quel giudice, quando sullo scranno siederà il promesso «uomo più saggio»21, alla vista del vero originale strapperò, rosso di vergogna, il mio disegno da scolaretto – tutto questo può accadere, io me lo aspetto. Tuttavia, se la realtà non somiglia neppure ai miei sogni, tanto più la realtà mi sorprenderà con il suo incanto e la sua maestosità. Le mie idee dovrebbero forse essere più belle di quelle dell’eterno creatore? Come? Questi dovrebbe tollerare che la sua opera d’arte sublime fosse inferiore alle aspettative di un conoscitore mortale? È proprio questa la prova del fuoco della sua grande perfezione ed è il più dolce trionfo per lo spirito supremo che anche i ragionamenti sbagliati e gli inganni non nuocciano al suo apprezzamento, che tutti i contorcimenti di una ragione sfrenata alla fine conducano alla strada diritta della verità eterna, che alla fine tutti i bracci ribelli del suo fiume tualmente continuata da una lettera di Raphael a Julius redatta dall’amico di Schiller Gottfried Körner. 21 Citazione dalla parabola dei tre anelli in G. E. Lessing, Nathan der Weise, cit., p. 280; trad. it. cit., p. 163 (Quando le virtù degli anelli apparirano / nei nipoti, e nei nipoti dei nipoti / io li invito a tornare in tribunale, / fra mille e mille anni. Sul mio seggio /siederà un uomo più saggio di me; /e parlerà. Andate! - Così disse /quel giudice modesto).
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sbocchino tutti nella stessa foce. Raphael, che idea risveglia in me l’artista che varia in mille copie e in tutte però rimane simile a se stesso, al quale neppure la mano devastatrice di un mestierante può sottrarre l’adorazione! Inoltre la mia esposizione potrebbe essere affatto errata, del tutto falsa, anzi, sono convinto che debba necessariamente esserlo, e tuttavia è possibile che tutte le conclusioni che ne risultano alla fina siano giuste. Tutto il nostro sapere conduce, e su questo tutti i filosofi concordano, ad un inganno convenzionale, con il quale tuttavia può convivere la verità più rigorosa. I nostri concetti più puri non sono affatto immagini delle cose, bensì i loro segni, determinati necessariamente e con esse coesistenti. Né Dio, né il mondo, né l’anima umana sono realmente ciò che noi riteniamo che siano. Le idee che abbiamo di queste forme sono solo le forme endemiche in cui il pianeta che abitiamo ce le trasmette – il nostro cervello appartiene a questo pianeta e di conseguenza anche gli idiomi dei nostri concetti, che in esso sono conservati. Ma la forza dell’anima è peculiare, necessaria e sempre uguale a se stessa; l’arbitrarietà dei materiali nei quali essa si estrinseca non cambia nulla riguardo alle leggi eterne in base alle quali si estrinseca, fintantoché quest’arbitrarietà non sta in contraddizione con se stessa e il segno resta assolutamente fedele al designato. Così, come il pensiero elabora i rapporti degli idiomi, tali rapporti devono essere anche realmente presenti nelle cose. La verità non concerne dunque gli idiomi, bensì le deduzioni, non la somiglianza del segno al designato, del concetto all’oggetto, ma la concordanza di questo concetto con le leggi del pensiero. Analogamente la teoria delle grandezze si serve di cifre che non esistono in altro luogo che sulla carta e per mezzo loro trova ciò che esiste 106
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nel mondo reale. Che somiglianza hanno ad esempio le lettere A e B e i segni : e =, + e – con il dato che si deve ricavare? E tuttavia la cometa annunciata da secoli si alza nel cielo lontano, e il pianeta atteso passa davanti al disco del sole. Sull’infallibilità del suo calcolo l’esploratore Colombo basa la sua rischiosa scommessa con un mare sconosciuto, per cercare la seconda metà mancante degli emisferi conosciuti, la grande isola di Atlantide, che doveva colmare la lacuna della sua carta geografica. L’ha trovata, quest’isola della sua carta, e il suo calcolo era esatto. Lo sarebbe stato di meno se una tempesta ostile avesse distrutto le sue navi o le avesse rimandate indietro alla loro patria? Un calcolo simile fa la ragione umana quando misura le cose non sensibili con l’aiuto di quelle sensibili e la matematica applica i suoi teoremi alla fisica nascosta di ciò che sta oltre l’umano? Ma manca ancora la prova ultima dei suoi calcoli, poiché nessun viaggiatore è tornato indietro da quella terra a raccontare la sua esperienza.
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