I frammenti degli oratori romani dell’età augustea e tiberiana. Parte seconda: Età tiberiana (2 vols.) 8876948104


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Italian, Latin Pages XXV+VII+590 [633] Year 2007

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Table of contents :
Tomo I
Indice
Introduzione
Conspectus siglorum
Tomo II
Nota bibliografica
Indice dei passi citati
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I frammenti degli oratori romani dell’età augustea e tiberiana. Parte seconda: Età tiberiana (2 vols.)
 8876948104

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Collana di studi, edizioni e commenti

I frammenti degli oratori romani dell’età augustea e tiberiana Parte seconda Età tiberiana

a cura di Andrea Balbo

Edizioni dell’Orso

Minima Philologica Collana di edizioni critiche e commenti diretta da LUCIO BERTELLI E GIAN FRANCO GIANOTTI

Serie latina 4

Il volume è stato pubblicato con il contributo di: MIUR (PRIN 2005) Fondazione Europea “Margherita Ravano Ollivero”

In copertina Ritratto di Virgilio dal codice Vaticanus Latinus 3867 f. 14r.

I frammenti degli oratori romani dell’età augustea e tiberiana Parte seconda: Età tiberiana Tomo I

a cura di

Andrea Balbo

Edizioni dell’Orso Alessandria

© 2007 Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. 15100 Alessandria, via Rattazzi 47 Tel. 0131.252349 - Fax 0131.257567 E-mail: [email protected] http: //www.ediorso.it Redazione informatica a cura di Margherita I. Grasso È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941

ISBN 88-7694-810-4

Alla memoria del mio Maestro prof. Italo Lana A Emanuele

Indice Introduzione

p.

Conspectus siglorum Sezione A 1. Q. Haterius TT 1-8 2. L. Calpurnius Piso pontifex 3. L. Caninius Gallus 4. A. Caecina Seuerus 5. Cn. Calpurnius Piso 6. Tiberius Claudius Caesar TT 9-20 7. C. Asinius Gallus TT 21-24 8. M. Valerius Messalla Messallinus T 25 9. L. Calpurnius Piso augur 10. P. Vinicius TT 26-29 11. M. Aemilius Lepidus TT 30-31 12. L. Arruntius filius TT 32-33 13. L. Iunius Gallio TT 34-39 14. P. Cornelius Dolabella TT 40-41 15. S. Cornelius Lentulus Maluginensis T 42 16. C. Ateius Capito 17. Sextus Pompeius 18. M. Iunius Silanus 19. Marcius Hortalus T 43 20. C. Vibius Marsus 21. Votienus Montanus TT 44-51

XI XXIII

FF 1-4

3

F5 F6 FF 7-8 FF 9-10

23 26 30 40

FF 11-69 FF 70-83

Appendice 1 Appendici 2-4

44 175

FF 84-86

207

F 87 F 88 FF 89-91 FF 92-95 FF 96-97 FF 98-99

216 219 225 235 247 254

F 100 FF 101-102 F 103 FF 104-105 F 106 F 107 FF 108-111 Appendice 5

259 266 275 280 284 291 294

VII

INDICE

22. Mamercus Aemilius Scaurus TT 52-55 23. M. Aurelius Cotta Maximus TT 56-58 24. D. Haterius Agrippa 25. Roman(i)us Hispo TT 59-63 26. Bruttedius Niger T 64 27. Cn. Domitius Corbulo T 65 28. N. Vibius Serenus pater 29. L. Fulcinius Trio T 66-67 30. P. Vitellius 31. C. Iulius Caesar Germanicus TT 68-74 32. C. Sallustius Crispus Passienus TT 75-81 33. Cn. Domitius Afer TT 82-101 34. Drusus Iulius Caesar 35. Sanquinius (?) Maximus 36. Asilius Sabinus TT 102-103 37. Vallius Syriacus TT 104-106 38. M. Terentius 39. A (?) Caepio Crispinus 40. C. Cestius Gallus T 107 41. D. Laelius Balbus T 108 42. N. (?) Vibius Serenus filius T 109 Sezione B 43. Cn. Cornelius Lentulus augur 44. Octauius Fronto 45. M. Papius Mutilus 46. L. Apronius 47. Iunius Otho 48. Q. Veranius 49. Q. Seruaeus 50. Togonius Gallus

FF 112-114

309

FF 115-117 FF 118-120 FF 121-122 FF 123-126 F 127

321 328 333 339 346

FF 128-129 FF 130-132 FF 133-135

350 359 366

FF 136-137 Appendice 6

374

FF 138-140 FF 141-158 FF 159-161 Appendice 7

395 405 447

F 162 FF 163-167 FF 168-171 FF 172-173 F 174 F 175 FF 176-177

454 456 465 470 479 485 489

FF 178-179

496

F 180 = F 77 F 181 = F 3 F 182 = F 77 FF 183-184 = FF 50 e 77 FF 185-186 = FF 114 e 123-125 FF 187-188 = FF 133 e 135 F 189 = F 135 F 190 = F 68

505 506 508 509 510 511 512 513

VIII

INDICE

Sezione C 51. M. Claudius Marcellus Aeserninus 52. M. Vinicius 53. P. Sulpicius Quirinius* 54. Manius Aemilius Lepidus* 55. Cornelius (Crispus?)* 56. Seruilius (Tuscus?)*

517 518 519-520 521 522 522

Nota bibliografica

525

Indice dei passi citati

565

IX

Introduzione 1. L’argomento Questo volume è la continuazione dell’edizione di frammenti degli oratori romani dell’età augustea (Balbo 2004: ora 20072) e presenta il testo critico, la traduzione ed il commento di 189 frammenti oratori di 56 oratori attivi prevalentemente tra la morte di Augusto e quella di Tiberio (14-37 d.C). Il volume costituisce una versione ampliata ed arricchita della mia tesi di dottorato su Gli oratori romani dell’età augustea e tiberiana (31 a.C.-37 d.C. ). Testimonianze e frammenti discussa il 24 febbraio 1999 presso l’Università degli studi di Torino. Per quanto riguarda la trattazione delle questioni metodologiche e le notizie sulle precedenti raccolte di frammenti, rimando a Balbo 2004, 9-14 ed alla bibliografia lì presente1. Tengo qui conto anche delle recensioni che sono fino ad ora apparse o in corso di stampa2, le quali, pur nella diversità delle valutazioni, non hanno messo in discussione alcuni assunti fondamentali come la differenza fra testimonianze (T) e frammenti (F), su cui molto avevo riflettuto. Intendo accogliere alcuni suggerimenti dei miei recensori, quali la numerazione progressiva degli oratori e la collocazione della bibliografia in una forma più accessibile3. Per quanto concerne 1 Ora si può aggiungere l’utile articolo di C. Darbo-Peschanski, La citation et les fragments: les Fragmente der Griechischen Historiker de Felix Jacoby, in AA. VV., La citation dans l’Antiquité, Actes du colloque du PARSA, Lyon 1002, Grenoble 2004, 291-304. L’autrice approfondisce il problema di come rendere evidenti i collegamenti tra frammenti e di quali grafie differenti si debbano utilizzare nelle edizioni, in quanto esse consentono di suggerire nessi e relazioni fra gli enunciati. 2 F. Canali De Rossi, BMCR 30, 09, 2004; Br. Rochette, LEC 72, 2004, 362-363; S. Butler, CR 55, 2005, 535-536; P. Hamblenne, «Scriptorium» 59, 2005, n. 462, 188-189; G. Baldo, «Eikasmós» 17, 2006, 506-511. 3 Tutte le forme abbreviate saranno citate nella Nota bibliografica conclusi-

XI

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

la questione cronologica, mi limito a precisare che, anche in questo volume, la disposizione degli oratori è fondata sulle date (certe o presunte) di nascita4, anche se nella maggior parte dei casi non è possibile definirle con sicurezza: è questo il motivo che mi ha spinto in molti casi a discutere più ampiamente la cronologia nella Nota biografica. La consapevolezza dell’opportunità di continuare il lavoro cominciato con l’età di Augusto è stata accresciuta anche dall’esame della poca bibliografia specifica sulle orazioni dell’età tiberiana, costituita da alcuni studi contenuti in volumi più ampi (Bardon 1956, Leeman 1963-1974, Syme 1971, Kennedy 1972) e da alcuni contributi non sempre di valore elevato come Amiel 1864, V. Lanfranchi, De oratoribus Romanis, S. Benigno Canavese 1884, Anacker 1889, Cucheval 1893 e Bruno 19905. Proprio la difficoltà di reperire informazioni sull’attività oratoria di quest’epoca rende molto significativa anche per l’età di Tiberio l’osservazione di Leeman 1963-1974, 295: «Non una sola orazione completa – o anche solo la parte essenziale di un’orazione – del tempo di Augusto è giunta fino a noi. È perciò tanto più necessario cercare altre prove della situazione e dello sviluppo dello stile oratorio in questo importante periodo di transizione dalla cosiddetta aurea Latinitas all’argentea Latinitas». 2. Il problema delle fonti Mi pare importante dal punto di vista metodologico intervenire brevemente sul cruciale problema delle fonti da cui derivano questi frammenti. In Balbo 2004, 13 scrivevo: «Per molti oratori i cui frammenti sono accolti in questa edizione non è possibile dimostrare che le loro va. Le voci di RE, PIR e NP pertinenti ai singoli autori sono citate esclusivamente in ogni Bibliografia specifica e, se necessario, abbreviate con il solo nome dell’autore o la sigla. 4 Quando due autori risultano nati nello stesso anno, si susseguono secondo l’ordine alfabetico del gentilizio o del cognomen. 5 Amiel 1864 contiene vari errori e fraintendimenti e non è un lavoro scientifico. Lanfranchi è poco più di una dispensa universitaria. Anacker 1889 è un tipico prodotto della Quellenforschung ottocentesca e può risultare utile soltanto come repertorio di materiale; Cucheval 1893, decisamente un’opera di grande impegno, non arriva a risultati molto profondi e risente di una certa ipoteca moralistica; Bruno 1990 esamina come la figura di Tiberio emerga dai discorsi e dalle lettere conservati negli Annales e conserva un regesto di tali interventi in 265-267, senza però alcun approfondimento. XII

INTRODUZIONE

orazioni siano state pubblicate dagli autori stessi con precisi intenti letterari; per molte di esse si può soltanto presumere che siano state conservate in raccolte d’archivio come gli acta senatus o gli archivi personali degli imperatori e che non siano mai state pubblicate diversamente. Il problema si pone in modo particolare per le orazioni attribuite a Tiberio e citate da Tacito». Diventa perciò necessario affrontare la questione dell’attendibilità di Tacito, che costituisce una condizione preliminare per fruire del materiale qui raccolto. Le fonti principali di questa ricerca sono Seneca Retore, Quintiliano, Svetonio, Tacito, Dione Cassio. Seneca Retore afferma di aver ascoltato personalmente la totalità dei grandi oratori e declamatori della sua epoca, escluso Cicerone6; egli viene considerato da tutti gli studiosi un testimone attendibile. Su Quintiliano la discussione è superflua, dato che la sua Institutio oratoria si fonda su materiali spesso di prima mano e su fonti attendibili e da lui verificate. Lo stesso vale per Svetonio, che, come incaricato a studiis, a bibliothecis e ab epistulis sicuramente di Adriano e forse anche già di Traiano7, poteva accedere a materiale documentario di prima mano della casa imperiale: certamente «Suétone […] n’est pas impartial, pas plus que ne l’est son contemporain Tacite»8, ma è altrettanto vero che, almeno per quanto riguarda i discorsi di Tiberio, «les propos peu cérémonieux et non exempts de familiarité qu’il prête à ce prince […] ainsi que le souci qu’il a de préciser que l’un des discours cités a été conservé […] nous sont garants de l’exactitude du biographe»9. Ho perciò ritenuto opportuno accordare ai passi svetoniani contenenti discorsi diretti un alto valore10. Dione Cassio è una fonte piuttosto tarda, fortemente influenzata dall’ambiente culturale e politico dell’età dei Severi. La sua testimonianza deve essere utilizzata con grande cautela, in quanto, come numerosi studi hanno dimostrato, lo storico ricostruisce ampiamente i di6 Con. 1, praef. 11: Omnes autem magni in eloquentia nominis excepto Cicerone uideor audisse. 7 Cfr. Lana-Maltese 1998, II, 1030-1031. 8 Gascou 1984, 706. 9 Gascou 1984, 550. Per una trattazione più ampia del problema cfr. Gascou 1984, 545-552 e 674-706; utile è anche S. Döpp, Zum Aufbau der Tiberius-Vita Suetons, «Hermes» 100, 1972, 444-460. 10 Sull’attendibilità di Svetonio come fonte cfr. anche Baar 1990, 232. Per una trattazione sul ruolo delle citazioni in Svetonio (per altro limitata ad una sola biografia) cfr. W. Müller, Sueton und seine Zitierweise im ‘Divus Iulius’, SO 47, 1972, 95-108.

XIII

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

scorsi che reperiva nelle sue fonti adattandoli alla situazione politica dei suoi tempi11. Non ho perciò mai supposto che i testi riportati da Dione contenessero parti originali di orazioni o loro traduzioni. Il problema più complesso è rappresentato da Tacito, il quale fa riferimento esplicitamente ad orazioni pubblicate da Tiberio o altri personaggi dell’epoca (cf. e. g. Ann. 1, 81; Ann. 2, 63, 3 = F 39; Ann. 3, 13), ma è allo stesso tempo intervenuto liberamente sui testi che aveva a disposizione, seguendo i dettami della prassi storiografica antica12. La storia della valutazione dell’attendibilità tacitiana sarebbe molto lunga e non è questa la sede opportuna per ripercorrerla integralmente: mi limiterò quindi ad alcuni contributi più recenti che, a mio parere, hanno avuto il merito di puntualizzare la questione. Il primo di questi è Miller 1964, nel quale la studiosa ha sostenuto con chiarezza che i discorsi contenuti negli Annales sono ampiamente basati su testi originali, anche se evidentemente non ci conservano esattamente le parole contenute nelle orazioni (12). Una posizione opposta è stata sostenuta da J. Scott Ryberg, Die Kunst der versteckten Ausspielungen bei Tacitus in V. Pöschl, Tacitus, Darmstadt 1969, 60-69, il quale ha asserito che nei testi tacitiani si deve riconoscere il frutto di un’abile capacità inventiva fondata sull’influsso delle scuole di retorica. Un importante contributo è stato fornito da Adams 1973, che, analizzando la terminologia dei discorsi tacitiani, è giunto a conclusioni analoghe a quelle di Miller 1964, ma con maggiore ricchezza di dati. Martin 1981, 231-232 ha ripreso la questione sostenendo che i discorsi dei primi sei libri degli Annales costituiscono «a nicely calculated blend of old-fashioned phrasing and 11

«[…] Dio did not use the speeches to clarify historical situations but to advance moralizing theories; consequently his sources are often not of a historical but of a rhetorical nature. Moreover, if necessary, Dio chose and transformed his material deliberately. […] This should put on our guard lest we rely on him too much where we mainly depend on Dio, and this is especially so for the years 44 B. C.-14 A. D.» (Stekelenburg 1971, 159-160). Cfr. anche su questo problema Manuwald 1973, 131-166 e F. Millar, A study of Cassius Dio, Oxford 1964, 73-118. 12 Norden 1986, 97-99. Per altro Norden stesso osserva che il confronto con il discorso De iure honorum Gallis dando conferma l’idea che «gli storici riproducono discorsi […] con le proprie parole». Il problema non è però costituito dall’interpretazione ragionevole di Norden, quanto dalla vulgata storiografica, che ne ha travisato il senso negando di fatto valore alla maggior parte delle testimonianze oratorie contenute negli storici. XIV

INTRODUZIONE

shrewd political assessment» e aggiungendo che «whether the mild archaisms and unusual words that Tacitus’ Tiberius uses were actually taken from the emperor’s writings or represent what a writer of three generations later regarded as typical of the language a man of Tiberius’ time might use is unclear»; tuttavia ha ammesso anche che Tiberio rappresenta un’eccezione nel panorama degli imperatori e che in vari casi le posizioni di Miller 1964 possono essere accettate13. Più reciso Pani 1983, 43, per il quale «i discorsi in Tacito – come in altri autori – rappresentano un singolare problema storiografico. Nessun dubbio sulla sostanziale veridicità dei suoi rapporti sugli interventi tenuti in senato, il problema riguarda i discorsi riportati in altri contesti». Aubrion 1985 (le cui acquisizioni sono state confermate da Aubrion 1991) ha osservato che l’uso della retorica non obbliga necessariamente lo storico ad una deformazione dei fatti, ma gli fornisce strumenti per accostarsi più da vicino alla verità. Sul problema si è soffermata in modo particolare Jacqueline Dangel, che in due contributi (Dangel 1989 e Dangel 1991) ha chiarito come Tacito, pur muovendosi nell’alveo dell’imitazione creatrice propria degli storici, rispetti in sostanza non solo lo spirito, ma a volte anche la lettera dei testi a cui fa riferimento: «la double confrontation de Tibère et de Claude avec des témoignages et des documents historiques invite finalement à conclure que Tacite traduit ses sources sans les trahir. Plus précisement, il pratique les règles de la traduction antique qui consiste à rendre non pas un mot à mot, mais l’effet (uis) d’un texte» (Dangel 1991, 2518)14. Devillers 1994, 195-197 ha spostato nuovamente l’attenzione su alcuni elementi linguistici tipici dei discorsi degli Annales e ha confermato le posizioni di Adams 1973, riconoscendo come in tali interventi coesistano elementi di tre tipi: «a) des éléments propres à une langue stéréotypée, employée habituellement par les historiens quand ils rapportent des discours; b) des traits caractéristiques de la langue de Tacite dans ses passages narratifs; c) des rémini-

13

265 n. 18. Non affronto qui il problema del discorso di Claudio conservato sia da Tac. Ann. 11, 24 sia dalla Tabula Lugdunensis, in quanto esula dai limiti cronologici di questo volume: per una prima informazione sull’argomento rimando al non recentissimo, ma sempre importante, volumetto di A. De Vivo, Tacito e Claudio, Napoli 1980 e all’articolo di G. Perl, Die Rede des Kaisers Claudius für die Aufnahme römischer Bürger aus Gallia Comata in den Senat (CIL XIII 1668), «Philologus» 140, 1996, 114-138. 14

XV

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

scences des documents originaux; celles-ci sont surtout perceptibles lorsque l’historien produit un discours qui à été prononcé par Tibère». Una posizione diversa è stata assunta da Wharton 1997, il quale, studiando in particolare le orazioni di Tiberio, ha sostenuto che non esistono dati cogenti tali da confermare la lettura da parte di Tacito degli acta senatus e, con un’accurata analisi statistica, ha mostrato come molte delle caratteristiche del preteso “stile tiberiano” individuate da Miller 1964 siano in realtà proprie di quello tacitiano. Anche Wharton 1997 è stato però indotto ad ammettere che non vi sono elementi tali che dimostrino che i testi attribuiti a Tiberio dallo storico siano pure ricostruzioni di quest’ultimo15. D’altronde, come aveva ricordato Arcaria 1992, 77 n. 107, «l’imperatore, al pari di ogni senatore, poteva esprimere il suo parere (sententia16) in ogni momento della discussione ed, ancora, […] sententiae e relationes imperiali potevano assumere le dimensioni e la struttura di un’oratio vera e propria»17. È anche vero, come hanno sostenuto Talbert 1984 e 1999 e Giua 2000, 254 che le nostre conoscenze sull’uso tacitiano degli acta senatus non sono assolutamente definitive, anche perché disponiamo di pochissimi testi che possano essere fatti risalire con certezza a tali documenti18. Senz’altro la ricerca su questo ar15

Devillers 2003, 62, che accetta le posizioni di Wharton 1997, mette in luce la difficoltà di raggiungere conclusioni definitive su questo argomento. 16 Sull’ampio valore semantico di sententia in Tacito cf. Zuccarelli 1967, 191-200. 17 Come si vedrà dalla lettura dei frammenti, gran parte delle orazioni furono tenute in senato. L’assemblea senatoria acquisì infatti progressivamente una quantità sempre maggiore di poteri giudiziari e, forse, fin dall’età augustea ebbe giurisdizione non soltanto sui crimina maiestatis e repetundarum, come ammesso comunemente nella dottrina romanistica, ma anche su adulterio, lenocinio, calunnia, falso, violenza, rapina e omicidio: cf. la discussione in Arcaria 2004, 194-196. La sede di gran parte dell’attività processuale divenne perciò la curia, nelle sue varie collocazioni: per altre informazioni in proposito cf. Bauman 1967, Jones 1972, Talbert 1984 e Bauman 1996. 18 Sugli acta senatus segnalo Coudry 1994. L’autrice ricorda che i frammenti di acta a nostra disposizione tra l’epoca di Tiberio e quella di Alessandro Severo sono meno di una decina, tuttavia «ils suffisent […] pour faire apparaître que les acta senatus constituent un type de documents plus riches ques les registres de sénatus-consultes, puisqu’ils permettent de suivre avec précision le déroulement des séances, donc de connaître la variété des opinions exprimées, la teneur des débats, bref de dévoiler le travail de l’assemblée» (Coudry 1994, 81). Le notizie sulla conoscenza tacitiana degli acta e una lista dei XVI

INTRODUZIONE

gomento è ben lungi dall’essere conclusa: ritengo però che rinunciare all’apporto del testo tacitiano in nome di una sua pretesa inaffidabilità significherebbe sacrificare qualsiasi possibilità di accostarci alla figura di numerosi oratori19. È necessario naturalmente adottare una serie di cautele e liberarsi dall’illusione di poter raggiungere gli ipsa uerba dell’oratore: anche solo le deformazioni sintattiche delle formule citazionali renderebbero tale compito estremamente difficile: «Même si nous connaissons quelques traits caractéristiques de l’écriture de Tibère, allitérations, asyndètes à deux membres et images familières, il est toujours difficile de lui attribuer une phrase sur le seul critère stylistique» (Aubrion 1985, 563-564). Tacito deve essere considerato una fonte attendibile pur tenendo conto delle sue inevitabili deformazioni artistiche, dei suoi gusti e dei suoi criteri storiografici: «Negli Annales è contenuta una storia a grandi linee dell’eloquenza sotto i Cesari della casa Giulia e Claudia; costruita variamente, o mediante l’abile introduzione di persone o di fatti, o per mezzo di spunti di critica letteraria, o con necrologi, o con discorsi resi in forma artistica. Ogni particolare, ogni allusione possono essere estremamente significativi» (Syme 1971, I, 422)20. Nei commenti ai singoli frammenti saranno discussi alcuni

passi degli Annales che sono stati invocati per sostenerla sono in Devillers 2003, 55-64: va precisato che parlare di utilizzazione di tali documenti da parte dello storico non implica che egli ne abbia fatto un uso esclusivo. Recentemente Giua 2003 ha ridiscusso la questione dell’uso degli acta da parte di Tacito mettendo in guardia contro ogni indebita generalizzazione, ma riconoscendo che lo storico conosceva bene i documenti ufficiali, anche se mostra una certa sfiducia nella possibilità che essi bastino a ricostruire il quadro della verità dei fatti. 19 Già Marsh 1959, 3-4 ricordava che «when trials were conducted before the senate it is probable that a summary of the evidence, if not the whole on it, was included in the record. In many cases the speeches of the advocates on each side were probably filed in the archives, as these would often be carefully prepared in advance. Of extemporaneous speeches delivered in the course of a debate it is probable that only the general sense was taken down by the officials who reported the proceedings». A parte l’ultima affermazione, per la quale non abbiamo fonti precise, chi scrive condivide la tesi dello studioso. 20 Sulla stessa linea sono Devillers 2003, 50-52, secondo il quale Tacito conosceva sicuramente i testi dei discorsi più famosi, come quelli di Vitellio (cf. F 135), e Salomies 2005, che, basandosi su Tacito, Dione Cassio e fonti epigrafiche arriva a costruire una succinta Prosopographia oratorum. XVII

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

casi in cui è forse possibile individuare qualche traccia del testo tiberiano: cf. anche Aubrion 1985, 564-565. Un’attenzione particolare merita il problema dei discorsi rivolti all’esercito. Si tratta di orazioni che rientrano in linea di massima nei generi epidittico e deliberativo, ma la consuetudine storiografica di inserire discorsi di generali alle truppe – anche palesemente inventati – a scopi artistici li rende molto sospetti, anche perché la difficoltà di possederne redazioni scritte induce a ritenerli passibili di una rielaborazione ancora più profonda da parte dello storico. Per questo motivo ho deciso di collocare tali discorsi in appendice alle sezioni dedicate a Tiberio, Germanico e Druso21. 3. I limiti del presente lavoro In questo volume sono inclusi solamente quei personaggi romani per i quali sia attestata in maniera sufficientemente convincente l’attività effettiva nel foro, in Senato o nel tribunale centumvirale; l’esclusione di alcuni personaggi è stata motivata dall’insufficienza delle testimonianze22, dall’incertezza del caso23, dall’anonimato dell’orato21

Si possono condividere le riserve di Devillers 1994, 195: «Dans le cas de nombreux discours (par exemple, ceux qui ont été prononcés sur le champ de bataille ou dans le secret d’une réunion entre l’empereur et ses conseillers), on doute qu’il ait jamais existé une version de l’original accessible à Tacite. Sa formation d’avocat permettait alors à ce dernier de produire de morceaux d’éloquence vraisemblables, du moins au niveau du contenu sinon au niveau de l’adéquation entre l’orateur et son type de langage». Questa è la motivazione principale per cui ho escluso anche i discorsi pronunciati dai soldati, come quello di Percennio (Ann. 1, 16, 3-17), Giunio Bleso (Ann. 1, 18, 3 e 19) e Vibuleno (Ann. 1, 22): su questi tre discorsi cf. Andreini 1987, 59-82. 22 I discorsi di Considio Equo e Celio Cursore (Ann. 3, 37), Gellio Publicola e M. Paconio (Ann. 3, 67) in quanto Tacito parla solo di false accuse di lesa maestà e della punizione da loro ricevuta, ma non di orazioni; l’intervento di Nerone figlio di Germanico in Ann. 4, 15, dove si parla soltanto di un ringraziamento e non si deduce necessariamente che si sia trattato di un’orazione; i casi degli Scipioni, dei Silani e dei Cassi di Ann. 6, 2. 23 È il caso dell’ipotetica Laudatio funebris Germanici di Tiberio (Tabula Siarensis II, B), sul cui carattere nutro ancora qualche dubbio e alla quale intendo dedicare una successiva pubblicazione: cf. U. Schillinger-Häfele, Die laudatio funebris des Tiberius für Germanicus (zu Tabula Siarensis Fragment II, col. B., 13-19), ZPE 75, 1988, 73-81, oppure degli interventi dell’imperatoXVIII

INTRODUZIONE

re24, dall’assenza di vere e proprie orazioni25 o dal fatto che l’oratore fu attivo quasi esclusivamente dopo la morte di Tiberio26. Ritengo anche che sia possibile individuare un’orazione nel momento in cui Tacito usa il verbo censeo per indicare la formulazione di un parere da parte di un singolo personaggio: in senato «für die Abstimmung des einzelnen Senators wird in den Urkunden ausschliesslich censere gebraucht, griechisch dokei`n. Es soll dies ausdrücken, dass die Abstimmung des Senators einer Motivirung [sic] nicht bedarf, sondern ein gewissenhaftes, aber freies Ermessen ist […]» (Mommsen 1887, III, 988; cf. anche ThlL III, 792, 13-796, 17, OLD I, 297, GG 161-162, Hellegouarc’h 1972, 119-120); in generale sulla parola cf. Hiltbrunner 1992, 7-13, con bibliografia, che ne sottolinea il carattere di «Verbum der Meinungsäußerung und zum t. t. der Meinungsformulierung auf amtliche Befragung»; Tacito, in particolare, associa molto spesso il verbo con interventi tenuti in senato: cf. e. g. Dial. 36 in senatu breuiter censere. Sul valore dell’espressione senatus censuit, che indica le deliberazioni d’appello dell’assemblea in materia civile ed amministrativa cf. Arcaria 1992, 140-146 e 237-240. C’è un’assenza che potrebbe apparire sorprendente: si tratta di Cremuzio Cordo, che in Ann. 4, 34-35 pronuncia un ampio discorso di difesa in cui rivendica il diritto dello storico a godere della libertà di parola e ad essere giudicato solamente dai posteri. Accolgo qui la posizione di Syme 1970, 136, Kennedy 1972, 439-440, Lana 1991, 177-178 e Luce 1991, 2922, che ritengono il discorso una creazione artistica tacitiana in quanto, stando alla testimonianza di Sen. Marc. 22, 4, parrebbe che Cremuzio Cordo si fosse suicidato prima del processo vero e proprio27. Per un punto di vista differente cf. L. Canfora, Studi di storia della storiore nel caso di Emilia Lepida (Ann. 3, 22): cf. 53. P. Sulpicius Quirinius*, Rogers 1935, 51-55; Bergener 1965, 56-64, o ancora dell’accusa di Tiberio contro Antistio Vetere (Ann. 3, 38), dove non si capisce bene chi sia l’accusatore e quando l’oratore parli, e infine della relatio di Tiberio al senato nel caso di Plauzio Silvano (Ann. 4, 22), dove non riesco ad identificare elementi che possano indirizzare verso un’orazione. 24 Come il delatore di Ann. 3, 49 o l’amico di Seiano suicida in Ann. 5(6). 25 Gaio Sempronio Gracco: cf. Rivière 2002, 543-544. 26 Suillio Rufo: cf. Rivière 2002, 545-546. 27 Cf. anche G. Guttilla, La morte di Cremuzio Cordo nella «Consolatio ad Marciam». Appunti per una storia degli exitus, «Annali del Liceo classico G. Garibaldi di Palermo», 9-10, 1972-1973, 153-179. XIX

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

grafia romana, Bari 1993, 221-260 (a cui rimando per l’eccellente commento al discorso stesso); Rivière 2002, 536 e 543 e Devillers 2003, 69. 4. La struttura dell’edizione Il volume conserva la medesima struttura di Balbo 2004, con alcune differenze. Dopo l’Introduzione il lettore trova il Conspectus siglorum, contenente i nomi dei codici utilizzati nella costituzione del testo. Seguono poi le sezioni dedicate ai singoli autori. All’inizio di ogni sezione si trovano tre indicazioni relative alla presenza dell’oratore nelle edizioni precedenti (M 1832 = Meyer1 1832; D 1837 = Dübner 1837; M 1842 = Meyer2 1842); il simbolo Ø indica la sua assenza in queste edizioni. Nella Bibliografia specifica sono compresi i riferimenti bibliografici alle opere citate nel prosieguo del capitolo e particolarmente importanti per l’analisi ed il commento. Segue una sezione di Dati biografici, in cui vengono fornite le informazioni essenziali sulla cronologia e sulle vicende principali della vita dell’oratore. Qualora ci si trovi in presenza di personaggi molto noti, tali notizie sono succinte e limitate agli aspetti che più sono utili per la comprensione dell’attività oratoria; per maggiori dettagli si rimanda alle opere generali segnalate in bibliografia. Nella sezione di Testimonianze sono riportate con numerazione progressiva araba le testimonianze riguardanti l’attività oratoria o letteraria dell’autore considerato. Seguono quindi i Frammenti di orazioni, presentati con i relativi apparati. L’edizione ha un doppio apparato, il primo dedicato ai contesti ed il secondo, vero e proprio apparato critico, comprendente le varianti testuali. Segue una sezione di Commento: prima di entrare nel merito dei problemi di ogni frammento, qualora le testimonianze lo consentano, è dato un breve quadro delle caratteristiche dell’arte oratoria dell’autore. Al termine dei singoli capitoli sono state talora inserite Appendici comprendenti testi di dubbia interpretazione o difficilmente attribuibili alle categorie di Testimonianze e Frammenti. Seguono infine la Nota bibliografica, divisa in tre sezioni dedicate rispettivamente a Strumenti e opere generali, Edizioni, traduzioni e commenti e agli Studi, e un Indice dei passi citati. I riferimenti bibliografici relativi ad ogni oratore sono collocati nella sezione Studi, nella quale sono richiamati anche i riferimenti alle Edizioni28.

28 Nella Nota bibliografica sono compresi i testi citati almeno due volte nel volume. Tra gli studi che, in base al titolo, sembrano porsi obiettivi ambiziosi

XX

INTRODUZIONE

A differenza di Balbo 2004, è risultato qui necessario distinguere gli oratori in tre gruppi: il primo, denominato A, accoglie coloro di cui restano frammenti o testimonianze; il secondo, B, comprende coloro i cui interventi sono ricordati nelle fonti soltanto insieme a quelli di uno o più altri oratori, presenti nella sezione A: di questi oratori, per evitare l’appesantimento dell’edizione, viene fornita solamente un’informazione prosopografica; il terzo, C, include gli oratori di cui è testimoniata l’attività ma non sono conservati frammenti nonché i casi dubbi (segnalati con un asterisco vicino al nome del personaggio). All’interno dei singoli gruppi la disposizione degli oratori è cronologica, fondata sulle date (certe o presunte) di nascita. Gli autori latini sono citati secondo le sigle dell’OLD e del ThlL, i greci secondo quelle di LSJ. Le opere di autori moderni indicate in forma abbreviata si trovano elencate per esteso nella Nota bibliografica. Nell’opera sono inseriti numerosi passi di Seneca retore: essi sono citati senza apparato critico; il testo di riferimento è l’edizione Teubner di L. Håkanson ricordata nella Nota bibliografica. I miei ringraziamenti vanno a Giovanna Garbarino, Gian Franco Gianotti, Giuseppina Magnaldi, Giancarlo Mazzoli, Ermanno Malaspina, Elvira Migliario e Francesco Arcaria per i preziosi consigli datimi e la bibliografia fornitami. Un ringraziamento particolare va a Franz Ollivero e a Eva Donzino, animatori della “Fondazione Europea Margherita” per aver sostenuto questo lavoro.

non ho potuto consultare N. Santos Yanguas, Acusaciones de alta traición en Roma en época de Tiberio, MHA 11-12, 1990-1991, 167-198, M. L. G. Shaw, Drusus Caesar, the son of Tiberius, diss. Vancouver 1990; A. T. Terrell, Beyond praise and blame: the influence of judicial rhetoric in the Annals of Tacitus (Tacitus, Books I-VI), Diss. University of Colorado, Boulder 2001, DA 9995777. Non mi è stato inoltre possibile accedere al recentissimo W. J. Dominik-J. Hall, A Companion to Roman Rhetoric, Oxford 2007, né a C. Steel, Roman Oratory, Cambridge 2006. XXI

Conspectus siglorum Come in Balbo 2004, sono stati segnalati soltanto i codici citati in apparato; i testimoni che non presentano significative varianti rispetto al testo da me accolto non sono stati indicati: per un loro quadro completo rimando quindi ai prolegomena delle singole edizioni. Si precisa che esse sono raccolte in ordine cronologico nella sezione II della Nota bibliografica. Sono state adottate le sigle dei codici delle edizioni di riferimento. Cassius Dio M Venezia, Biblioteca nazionale Marciana 395 Lb: Firenze, Biblioteca Laurenziana 70, 10 Xiphilinus Epitome di Giovanni Xifilino Zonaras Epitome di Giovanni Zonara Hieronymus G Napoli, Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III», VI D. 59 H München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 6299 k Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 650 S Zürich, Rh. 41 D Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 355 + 356 B Berlin, Deutsche Staatsbibliothek, 18

sec. XI sec. XV sec. XI sec. XII

sec. VI-VII sec. VIII fine sec. X sec. IX-X sec. IX-X sec. XII2

Plinius Maior M Sankt Paul im Lavanttal, Stiftsbibliothek XXV. d. 6729 sec. V-VI 29

Si tratta del cosiddetto codex Moneus, scoperto nel 1853 da F. Mone nel XXIII

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

D E R F a:

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3861 Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 6795 Firenze, Biblioteca Riccardiana 488 Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Lips. 7 Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 9-10

Quintilianus A Milano, Biblioteca Ambrosiana, E. 153 sup. a seconda mano di A B Bern, Burgerbibliothek, 351 Bg Bamberg, Staatliche Bibliothek, Class. 45 [M.IV.14] G supplemento di Bg g correzioni a G del suo stesso copista H London, British Library, Harley 2664 T Zürich, Zentralbibliothek, C 74 a P Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 7723 V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1762 R30 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1765 W Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Lat. 30 M München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 23473

sec. XI sec. IX-X sec. IX (metà) sec. IX (inizio) sec. XII2

sec. IX (metà) sec. IX 2/3 sec. X1 sec. X sec. X sec. XI sec. XV sec. XV sec. XV sec. XV sec. XV

Senatusconsultum de Pisone patre (= SCPP) A Copia A (Eck-Caballos 1996, 1-3) B Copia B (Eck-Caballos 1996, 3-6)

monastero di San Paolo nella valle del Lavant: è un palinsesto due volte riscritto, che contiene i libri XI-XV dell’opera pliniana, vergati in una scrittura onciale del V secolo: cf. Ernout in Beaujeu 1950, 21-22. 30 Con la sigla R Winterbottom e Cousin indicano il codice Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. Lat. Q. 77-I del XII secolo; qui ho invece seguito la denominazione del Radermacher. XXIV

CONSPECTUS SIGLORUM

Seneca maior B Bruxelles, Bibliothèque royale, 9581-9595 A Antwerpen, Stadsbibliotheek, 411 V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3872 a consenso di BVA dett. deteriores (tra i quali D) D Bruxelles, Bibliothèque royale, 9144 E Excerpta Ed. Ven. Terza edizione Veneta: cf. Håkanson 1989, XVI Ed. Herv. Edizione di Basilea stampata presso J. Hervagen: cf. Håkanson 1989, XVI Suetonius, Caesares M Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 6115 G Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek, 268 Gud. Lat. (4573) V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1904-I L Firenze, Biblioteca Laurenziana, Plut. 68. 7-II P Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 5801 O Firenze, Biblioteca Laurenziana, Plut. 66, 39 S Montpellier, Faculté de médecine, 117 T Berlin, Staatsbibliothek, Lat. fol. 337 p Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 6116 Q Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 5802-I R London, British Library, Royal 15 C. III U consenso di pQR C consenso di LPOST " codici recenziori Tacitus M M’ M1 M2

sec. IX2 sec. IX-X sec. IX 2/3 sec. XV 15033 1557

sec. IX1 sec. XI2 sec. XI1 sec. XII2 sec. XII sec. XII m. sec. XII m. sec. XIV sec. XII m. sec. XII m. sec. XII1

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 68, 1 (Ann. 1-6) sec. IX correzioni di M

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Sezione A

1. Q. Haterius (Agrippa?) M 1832 = Ø; D 1837 = Ø; M 1842 = 525-527 Bibliografia specifica K. Gerth, RE Supplementband III, 1918, n° 3, 889-890; W. Eck, NP 5, 1998, 2, 183; PIR2 H 24; Allen 1948; Amiel 1864, 285-291; Bardon 1956, 86-88 e 156; Bornecque 1902, 170-171; Brink 1951; Cima 1889; Cucheval 1893, I, 334-338; Duret 1986, 3254; Kampff 1963; Koestermann 1963-1968, 111-112; Leeman 1974, 310-312; Levick 1973; Levick 1999, 77-78; Münkel 1959, 4-5; Musso 2006, 149 n. 51; Panico 2006, 414-419; Paratore 1962, 469 e 487; Raaflaub 1987, 7; Salomies 2005, 255; Shotter 1967; Syme 1948; Syme 1970, 79-90; Syme 1971, 424-425; Syme 2001, 220-221; Winterbottom 1982. Dati biografici Quinto Aterio era forse figlio dell’Aterio che era stato senatore ed esperto di diritto in età repubblicana: cf. Cic. fam. 9, 18, 3, App. B. C. 4, 127 e PIR2 H 24. Le date di nascita e di morte sono dubbie, ma sembra possibile fissarne il decesso al 26: cf. T 6; della stessa opinione è la maggior parte degli studiosi, tranne Duret 1986, 3254, che, senza spiegazioni ulteriori, la colloca «un peu avant ou un peu après 25». Se si accetta la testimonianza geronimiana (T 7) si può collocare la sua data di nascita tra il 65 e il 63 a.C.: cf. anche NP. Fu questore, tribuno della plebe e pretore, forse settemviro epulone, secondo quanto ricordato da CIL VI 1426 (Q • H A T E R I V S……….O…..; SORTIT • TR • PL • PR • VII uir. epulonuM • A…….), che era probabilmente l’inscriptio della sua tomba, che si trovava sotto la torre sinistra della porta Nomentana: cf. L. Cardinali, Memorie romane di antichità e di belle arti, Roma 1824-1827, III, 407 e NP, 183. Consul suffectus nel 5 a.C. con Lucio Vinicio e Gaio Sulpicio (Degrassi 1952, 5 = Inscr. Ital. XIII fasc. 1, Roma 1947, 279-290, particolarmente 284), è definito consularis da Tac. Ann. 2, 33, 1. È possibile che l’espressione SORTIT indichi che il suo cursus honorum comprese anche il governo di una provincia: di quale si tratti è però dubbio, anche se un’altra epigrafe potrebbe far pensare alla provincia d’Asia. Ad Efeso si trova infatti un’iscrizione dedicata a un Kovi>nton ÔAtevrion Koi?ntou uiJo;n to;n eujergevthn da un ∆Ar3

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

temovi (= ∆Artevmw) ∆Artemidwvrou in conseguenza delle disposizioni testamentarie (kata; th;n diaqhvkhn) di un certo Alessandro figlio di Apollonio Passala, che fu pritano per la seconda volta tra il 4 e il 14 d.C. Anche se l’identificazione con l’oratore non è certa, si potrebbe supporre che egli abbia rivestito il proconsolato d’Asia: per una discussione della questione cf. AA.VV., Forschungen in Ephesos. Veröffentlichungen vom Österreichischen Archäologischen Institut, III, Wien 1923, 119120. Sposò forse una figlia di Agrippa e di Cecilia Attica (Syme 2001, 220 e Musso 2006, 149 n. 51) ed ebbe due figli: Aterio Agrippa, di cui restano in Tacito numerose testimonianze (cf. 24. D. Haterius Agrip-

Testimonianze T1 Sen. Exc. Con. 4 praef. 6-11. Declamauit Pollio Asinius intra quartum diem, quam filium amiserat: praeconium illud ingentis animi fuit malis suis insultantis. At contra Q. Haterium scio tam imbecillo animo mortem Sexti fili tulisse, ut non tantum recenti dolori cederet, sed ueteris quoque et oblitterati memoriam sustinere non posset. Memini cum diceret controuersiam de illo, qui a sepulchris trium filiorum abstractus iniuriarum agit, mediam dictionem fletu eius interrumpi; deinde tanto maiore impetu dixit, tanto miserabilius, ut appareret quam magna interim pars esset ingenii dolor. 7 Declamabat autem Haterius admisso populo ex tempore: solus omnium Romanorum, quos modo ipse cognoui, in Latinam linguam transtulit Graecam facultatem. Tanta erat illi uelocitas orationis, ut uitium fieret. Itaque diuus Augustus optime dixit: «Haterius noster sufflaminandus est». Adeo non currere, sed decurrere uidebatur. Nec uerborum illi tantum copia, sed etiam rerum erat: quotiens uelles eandem rem et quamdiu uelles diceret, aliis totiens figuris, aliis tractationibus, ita ut regi posset nec consumi. 8 Regi autem ab ipso non poterat; ideoque libertum habebat, cui pareret; sic ibat, quomodo ille aut concitauerat eum aut refrenauerat: iubebat eum ille tran-

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1. Q. HATERIUS

pa), e Sesto, nome che ci è restituito solamente dalla correzione Sexti filii del Kiessling al tradito sex filiorum in Sen. Exc. Con. 4 praef. 6 (T 1). Fu ritenuto uno spregevole adulatore, rischiò la vita per aver involontariamente fatto cadere Tiberio mentre ne implorava pietà e si salvò unicamente per l’intercessione dell’Augusta (cf. Tac. Ann. 1, 13, 6: constat Haterium, cum deprecandi causa palatium introisset ambulantisque Tiberii genua aduolueretur, prope a militibus interfectum, quia Tiberius casu an manibus eius impeditus prociderat. Neque tamen periculo talis uiri mitigatus est, donec Haterius Augustam oraret eiusque curatissimis precibus protegeretur); si attirò in seguito il ridicolo per via della piaggeria dimostrata nei confronti di Druso, figlio di Tiberio (Tac. Ann. 3, 57, 2 = F 4).

Traduzione T1 Sen. Exc. Con. 4 praef. 6-11. Asinio Pollione pronunciò una declamazione entro il quarto giorno da cui aveva perso il figlio: quella fu la proclamazione di un animo nobile che si faceva beffe dei propri mali. Ma al contrario so che Quinto Aterio patì la morte del figlio Sesto con tale debolezza che non soltanto cedette al dolore recente, ma non poté sopportarne neppure il ricordo, per quanto fosse antico e sbiadito. Ricordo che, mentre pronunciava la controversia su colui che intenta una causa per danni per essere stato strappato dal sepolcro dei tre figli, il pianto interrompeva la sua esposizione; poi parlò con impeto tanto più grande e con tanta maggiore sofferenza che apparve chiaro quanto fosse grande la parte che nel suo animo occupava il dolore. 7 Aterio declamava ammettendo occasionalmente il pubblico: unico tra tutti i Romani, per lo meno tra quelli che ho conosciuto, traspose nella lingua latina la facilità d’eloquio greca. Era così veloce nel parlare, che questa rapidità diventava un difetto. Perciò il divo Augusto disse ottimamente: «Al nostro Aterio bisogna mettere i freni». A tal punto dava l’impressione non di correre, ma di precipitarsi. Egli non era ricco solo di parole, ma anche di argomenti: trattava il medesimo tema ogni volta che si voleva e per tutto il tempo che si desiderava, ogni volta con figure e con argomentazioni diverse, tanto che poteva esser indirizzato senza mai esaurirsi. 8 Tuttavia non sapeva controllarsi da sé; perciò aveva un liberto al quale obbediva; si muoveva a seconda delle sue indicazioni di affrettarsi o di frenare; costui 5

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

sire, cum aliquamdiu locum dixerat: transibat; insistere iubebat eidem loco: permanebat. Iubebat epilogum dicere: dicebat. In sua potestate habebat ingenium, in aliena modum. 9 Diuidere controuersiam putabat ad rem pertinere, si illum interrogares, non putabat si audires. Is illi erat ordo, quem impetus dederat; non dirigebat se ad declamatoriam legem nec uerba custodiebat. Quaedam enim scholae iam quasi obscena refugiunt nec, si qua sordidiora sunt aut ex cotidiano usu repetita, possunt pati. Ille in hoc scholasticis morem gerebat, ne uerbis calcatis et obsoletis uteretur, sed quaedam antiqua et a Cicerone dicta, a ceteris deinde deserta dicebat, quae ne ille quidem orationis citatissimae cursus poterat abscondere. Adeo quidquid insolitum est, etiam in turba notabile est. 10 Hoc exempto nemo erat scholasticis nec aptior nec similior, sed dum nihil uult nisi culte, nisi splendide dicere, saepe incidebat in ea, quae derisum effugere non possent. […] 11 Memini et illam contradictionem sic ab illo positam magnam materiam Pollionis Asinii et tunc Cassi Seueri iocis praebuisse: «At – inquit – inter pueriles condiscipulorum sinus lasciua manu obscena iussisti» et pleraque huius generis illi obiciebantur. Multa erant quae reprehenderes, multa quae suspiceres, cum torrentis modo magnus quidem sed turbidus flueret. Redimebat tamen uitia uirtutibus et plus habebat quod laudares quam cui ignosceres […].

T2 Sen. Con. 9, 3, 14. […] Sabinus Clodius, in quem uno die et Graece et Latine declamantem multa urbane dicta sunt: dixit Haterius quibusdam querentibus pusillas mercedes eum accepisse, cum duas res doceret: numquam magnas mercedes accepisse eos, qui hermeneumata docerent. T3 Sen. Suas. 3, 6. Apud Caesarem cum mentio esset de ingenio Hateri, consuetudine prolapsus (Gallio) dixit: «Et ille erat plena deo». 6

1. Q. HATERIUS

gli ordinava di passar oltre quando aveva trattato per un po’ un luogo: egli passava oltre; gli ordinava di insistere sul medesimo luogo: insisteva. Gli ingiungeva di pronunziare l’epilogo: lo pronunziava. 9 Deteneva personalmente la guida del suo ingegno, affidava ad un altro il controllo della misura. Se lo si interrogava, riteneva che fosse opportuno suddividere la controversia, ma se lo si ascoltava, si traeva l’opinione contraria. Manteneva l’ordine che gli conferiva l’impeto; non si regolava secondo le prescrizioni della consuetudine dei declamatori e non teneva a freno le parole. Le scuole, infatti, evitano alcune forme come se fossero oscene né, se qualche elemento è troppo sordido o è tratto dall’uso quotidiano, possono sopportarlo. Egli assecondava i declamatori di scuola nel fatto che non usava parole trite o disusate, ma impiegava alcuni termini antichi e utilizzati da Cicerone, ma poi abbandonati da tutti gli altri, che nemmeno il ritmo della sua velocissima oratoria poteva nascondere: a tal punto ciò che è insolito si fa notare anche in mezzo alla folla. 10 Se facciamo eccezione per questo atteggiamento, nessuno era più gradito e simile ai declamatori di scuola, ma, mentre non voleva parlare se non in modo raffinato e splendido, spesso cadeva in espressioni che non potevano evitare l’irrisione […]. 11 Ricordo che anche quella famosa replica da lui organizzata in questo modo aveva offerto grande materia agli scherzi di Asinio Pollione e di Cassio Severo: gli venivano rinfacciate frasi come: «Ma in mezzo ai cuori da fanciullo dei condiscepoli hai ordinato di porre oscenità con mano lasciva» e parecchie altre di questo genere. Vi erano molti elementi da rimproverare, molti da mettere sotto accusa, dal momento che fluiva come un torrente grande, certo, ma torbido. Pareggiava tuttavia i vizi con le virtù e aveva più pregi da lodare che difetti da compatire […]. T2 Sen. Con. 9, 3, 14. Contro Sabino Clodio, che declamava nel medesimo giorno in greco ed in latino, furono rivolte numerose battute di spirito: Aterio rispose ad alcuni tizi che si dolevano del fatto che egli avesse accettato ricompense insignificanti per quanto insegnasse due materie: «Non hanno mai ricevuto grandi ricompense coloro che insegnano a dar giudizi». T3 Sen. Suas. 3, 6. Quando si fece menzione davanti a Cesare dell’ingegno di Aterio, (Gallione), trascinato dall’abitudine, disse: «Anche quello era “invasata dal dio”». 7

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

T4 Sen. Ep. 40, 10. Nam Q. Hateri cursum, suis temporibus oratoris celeberrimi, longe abesse ab homine sano uolo: numquam dubitauit, numquam intermisit; semel incipiebat, semel desinebat. T5 Suet. Tib. 29, 1. Atque haec eo notabiliora erant, quod ipse (Tiberius) in appellandis uenerandisque et singulis et uniuersis prope excesserat humanitatis modum. T6 Tac. Ann. 4, 61. Fine anni excessere insignes uiri Asinius Agrippa, claris maioribus quam uetustis uitaque non degener, et Q. Haterius, familia senatoria, eloquentiae, quoad uixit, celebratae: monimenta ingeni eius haud perinde retinentur. Scilicet impetu magis quam cura uigebat; utque aliorum meditatio et labor in posterum ualescit, sic Haterii canorum illud et profluens cum ipso simul exstinctum est.

T7 Hier. Chron. A. Abr. 2040 (= 172 Helm2). Quintus Haterius promptus et popularis orator usque ad XC prope annum in summo honore consenescit. T8 Hier. Liber contra Iohannem Hierosolymitanum 12 (= PL 1845, 365). Rogo quae est ista confidentia, qui tantus animi tumor? […] Frustra suspicimus Tullium; refert etiam Cornelius Nepos, se praesente, iisdem paene uerbis quibus edita est, eam pro Cornelio seditioso tribuno defensionem peroratam. En Lysias noster, en Gracchus, et ut aliquid de neotericis inferam, Qu. Aterius [sic!], qui ingenium in numerato habebat, ut sine monitore tacere non posset: de quo egregie Caesar Augustus «Quintus – inquit – noster sufflaminandus est».

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1. Q. HATERIUS

T4 Sen. Ep. 40, 10. Infatti desidero proprio che un uomo sano si tenga molto distante dalla precipitazione di Quinto Aterio, oratore celeberrimo ai suoi tempi: non ha mai avuto momenti di esitazione, non si è mai interrotto; cominciava una sola volta, una sola volta finiva. T5 Suet. Tib. 29, 1. E questi atti erano tanto più notevoli per il fatto che egli (Tiberio) aveva quasi ecceduto la misura della cortesia quando si rivolgeva sia a singole persone sia a più individui e nell’usare loro deferenza. T6 Tac. Ann. 4, 61. Alla fine dell’anno morirono gli illustri Asinio Agrippa, rampollo non degenere di antenati celebri quanto antichi, e Quinto Aterio, di famiglia senatoria, di eloquenza celebrata finché visse: i prodotti del suo ingegno non sono apprezzati oggi allo stesso modo. Si distingueva sicuramente per impeto più che per accuratezza; mentre la fatica ed il lavoro di altri acquisiscono un valore maggiore successivamente, invece quello stile melodioso e fluente di Aterio si è estinto insieme a lui. T7 Hier. Chron. A. Abr. 2040 (= 172 Helm2). Quinto Aterio, oratore abile e di successo, invecchia con tutti gli onori fino quasi a 90 anni. T8 Hier. Liber contra Iohannem Hierosolymitanum 12 (= PL 1845, 365). Mi domando che cosa sia codesta confidenza, questo gonfiore così grande del cuore. […] Vanamente sospettiamo Tullio; anche Cornelio Nepote riferisce che, in sua presenza, quella orazione in difesa del tribuno sedizioso Cornelio fu pronunciata quasi con le medesime parole con cui fu pubblicata. Ecco il nostro Lisia, ecco Gracco e, per portare un esempio degli esponenti dello stile nuovo, Quinto Aterio, che aveva un ingegno così vivace che non poteva smettere di parlare senza che qualcuno glielo ricordasse: di lui Cesare Augusto disse: «Al nostro Quinto bisogna mettere il freno».

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Frammenti F1 Pro libertino reo Impudicitia in ingenuo crimen est, in seruo necessitas, in liberto officium. F2 In senatu ad Tiberium Caesarem (?) Quo usque patieris, Caesar, non adesse aput rei publicae? F3 In senatu in luxum ciuitatis Proximo senatus die multa in luxum ciuitatis dicta a Q. Haterio consulari, Octauio Frontone praetura functo; decretumque ne uasa auro solida ministrandis cibis fierent, ne uestis serica uiros foedaret.

F1 Sen. Exc. Con. 4 praef. 10. Memini illum [= Haterium], cum libertinum reum defenderet, cui obiciebatur quod patroni concubinus fuisset, dixisse: «Impudicitia. … officium». Res in iocos abiit: «Non facis mihi officium» et «Multum ille huic in officiis uersatur». Ex eo impudici et obsceni aliquamdiu officiosi uocitati sunt. F2 Tac. Ann. 1, 13, 3-4. [F 93] Etiam Q. Haterius et Mamercus Scaurus suspicacem animum perstrinxere, Haterius cum dixisset Quo usque … publicae, [F 112] In Haterium statim inuectus est; Scaurum, cui implacabilius irascebatur silentio tramisit. F3 Tac. Ann. 2, 33, 1-2. Proximo senatus die … foedaret. Excessit Fronto ac poF 2 2 aput Rhenanus et Ferrettus aput te M aput te Lipsius non esse apud te caput rei publicae Vetranius aput tem Lenchantin de Gubernatis collato Cicerone.

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Traduzione F1 In difesa di un liberto accusato. L’impudicizia è una colpa in una persona libera, una necessità in un servo, un dovere in un liberto. F2 In senato a Tiberio Cesare (?) Fino a quando sopporterai, o Cesare, che non ci sia la testa dello stato? F3 In senato contro il lusso dei cittadini Nella successiva seduta senatoriale il consolare Quinto Aterio e Ottavio Frontone, che aveva rivestito la pretura, parlarono a lungo contro il lusso dei cittadini; si propose che non si impiegassero recipienti d’oro massiccio per servire il cibo e che abiti di seta non rammollissero gli uomini. Contesto F1 Sen. Exc. Con. 4 praef. 10. Mi ricordo che egli [= Aterio], mentre difendeva un liberto accusato a cui veniva contestato di esser stato concubino del padrone, disse: «L’impudicizia … liberto». La vicenda fu fonte di battute scherzose: «Non mi fai “quel che devi”» e «Quello è molto coinvolto con costui nei “doveri”». Da quel momento per parecchio tempo gli osceni e gli impudichi furono chiamati i servizievoli. F2 Tac. Ann. 1, 13, 3-4. [F 93] Anche Quinto Aterio e Mamerco Scauro ferirono l’animo sospettoso del principe, Aterio avendo detto: «Fino … stato?» [F 112] Contro Aterio inveì subito; lasciò parlare Scauro con il quale la sua ira era più viva. F3 Tac. Ann. 2, 33, 1-2. Nella … uomini. Saltò su Frontone e chiese una misura

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stulauit modum argento supellectili familiae: [= F 181] erat quippe adhuc frequens senatoribus, si quid e re publica crederent, loco sententiae promere.

F4 In senatu de senatusconsultis At Q. Haterius cum eius diei senatus consulta aureis litteris figenda in curia censuisset, deridiculo fuit, senex foedissimae adulationis tantum infamia usurus.

F4 Tac. Ann. 3, 57, 1-2. Praeceperant animis orationem patres quo quaesitior adulatio fuit. Nec tamen repertum nisi ut effigies principum, aras deum, templa et arcus aliaque solita censerent [F 105] At Q. Haterius … usurus.

Commento Le notizie che M 1842 riporta su Aterio sono limitate; sono ricordati infatti soltanto i passi corrispondenti a T 1 e T 6 e si accenna all’esistenza di excerpta declamationum conservati da Seneca Retore. Sulla base di questi testi M 1842, 526 argomentava: «Orationes Haterium posteritati mandavisse, mox patebit. Sed nihil videtur superesse reliquiarum». In realtà le cose non stanno così, anche per la presenza nell’opera del Retore di vari frammenti di declamazioni (Con. 1, 6, 12; 7, 1, 4, 24; 7, 2, 5; 7, 8, 3; 9, 3, 14; 9, 4, 16; 9, 6, 8, 11, 13, 16; 10, 5, 24; Suas. 2, 14; 6, 12; 7, 1) che non sono oggetto della presente edizione, ma che possono aiutarci a comprendere la fisionomia dell’arte oratoria ateriana. Nouus homo (Syme 1971, 424), Aterio fu annoverato tra gli oratori più importanti dell’epoca (cf. T 4 e T 6); il fatto che Quintiliano non lo nomini può far pensare che non fosse tra i migliori (Koestermann 19631968, I, 112) e che, quindi, non fosse annoverato tra i modelli da imitare: cf. Balbo 2006. Tracce della sua fama si rilevano ancora in età cristiana: Gerolamo cita Aterio non solo nel Chronicon, ma anche nel Liber 12

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anche per l’argento, il mobilio e la servitù [= F 181]: infatti allora i senatori avevano ancora sovente il diritto di proporre qualcosa quando toccava loro parlare, se lo ritenevano utile allo stato.

F4 In senato sui senatoconsulti Ma Quinto Aterio, poiché aveva proposto che i senatoconsulti di quel giorno fossero iscritti nella curia con lettere d’oro, si coprì di ridicolo, in quanto, essendo vecchio, poteva guadagnarsi soltanto il frutto infamante di una disgustosa adulazione. Contesto F4 Tac. Ann. 3, 57, 1-2. I senatori avevano già immaginato nelle loro menti l’orazione (dell’imperatore) e per questo l’adulazione fu più raffinata. E tuttavia non si decise nulla di diverso dall’erezione di statue dei principi, di altari degli dei, di templi e di archi e degli altri onori consueti [F 105] Ma Quinto Aterio … adulazione.

contra Iohannem Hierosolimitanum, traendo l’informazione probabilmente da Seneca Retore, come dimostra il recupero dell’aneddoto di T 1. Da osservare sono due aspetti della testimonianza: a) la formula ingenium in numerato, abbastanza rara in latino, che ricorre in un dictum di Augusto, in Seneca Retore e nel Digesto ed è mutuata qui probabilmente da Quint. Inst. 6, 3, 111: et de actore facile dicente ex tempore, ingenium eum in numerato habere; b) l’uso dell’aggettivo neotericus, che nel latino tardo caratterizza «un écrivain ou une manière «moderne» (en référence à un ouvrage récent, à un néologisme, à des curiosités métriques etc.)» (Richard 1983, 107 n.15); sul termine cf. anche J. De Ghellinck, Neotericus, neoterici, ALMA 15, 1940, 113-126. Le notizie sull’arte oratoria di Aterio ci sono trasmesse principalmente da Seneca Retore e da Tacito. T 1 ci informa che fu l’unico tra tutti i declamatori romani a trasferire nella lingua latina la facultas Graeca, vale a dire la e{xi", la facilità di eloquio propria dei Greci: cf. Cic. Inu. 1, 5, 7; Quint. Inst. 3, 5, 1; 10, 1; 12, 5, 1; più in generale ThlL VI, 145-157; 13

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Lausberg 1960, § 1244; Santini 1968, 43. Sue caratteristiche erano l’alto grado di emotività e l’impeto: cf. T 6, Con. 1, 6 ; 7, 1; nelle declamazioni infatti si prediligeva un genus dicendi non remissum aut languidum sed ardens et concitatum (Sen. Exc. Con. 3 praef. 7): cf. anche Leeman 1974, 311. Il suo eloquio era così rapido che non riusciva a frenarsi e a scegliere i momenti opportuni per accelerare o rallentare il ritmo: cf. T 1 e T 4 e Panico 2006. Augusto aveva osservato che egli doveva essere bloccato con il sufflamen, verosimilmente una sorta di martinicca: cf. Malcovati 19695, 152 e De Biasi-Ferrero 2003, 578-579. Amiel 1864, 288 sottolinea la sua mancanza di studio e meditazione. La conservazione delle orazioni di Aterio è oggetto di discussione. L’espressione tacitiana monimenta eius ingenii haud perinde retinentur (cf. T 6) non è perspicua: le traduzioni proposte – e le conseguenti interpretazioni – discordano specialmente sul senso da attribuire a perinde. M 1842, 526 era dell’avviso che le testimonianze di Aterio non esistessero più, ritenendo che perinde significasse che, come la fama dell’oratore era stata grande finché era vissuto, così le sue orazioni fossero scomparse con lui; le traduzioni più moderne degli Annales tendono invece ad interpretare il perinde in senso meno drastico, intendendo che le sue orazioni non avevano più la medesima fama di un tempo, ma non per questo erano cadute nell’oblio: «though the extant memorials of his talent are not retained in equal esteem» (Jackson 1951); «les monuments qui nous restent de son talent ne répondent pas à sa reputation» (Goelzer 1953); «les monuments qui nous restent de son talent ne répondent pas à une telle réputation» (Wuilleumier 1975); «i documenti rimasti del suo ingegno non sono altrettanto apprezzati» (Arici 1975). Tacito usa 52 volte l’avverbio perinde nel senso di “allo stesso modo, parimenti, ugualmente” e, nelle costruzioni haud / nec perinde … quam, “non tanto perché”: il senso della frase sembra quindi essere “i prodotti del suo ingegno non sono conservati (o apprezzati) allo stesso modo (in cui era celebrata la sua arte oratoria)” oppure, come traduce Furneaux 1956 I, 562, «are not commensurately sustained in estimation»: cf. anche Koestermann 1963-1968, I, 111 e Münkel 1959, 5. L’eloquenza di Aterio si esercitò sia in ambito giudiziario, sia in quello deliberativo: cf. Cima 1889, 96. Dal punto di vista linguistico e stilistico, Aterio subiva l’influenza dello stile nuovo di tipo asiano, come sembrerebbe suggerire l’aggettivo neotericus (T 8); egli doveva tuttavia essere un moderato, come si evince dal fatto che Seneca padre, confrontando le traduzioni di un passo di Ibrea proposte da Arellio Fusco e da Aterio (Con. 9, 6, 16), connota soltanto il primo con l’espres14

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sione cum esset ex Asia: Cucheval 1893, I, 335 osserva infatti che «La critique de Sénèque montre que, si cet orateur avait des défauts, il savait du moins résister à l’entraînement de la mode, et qu’il avait conservé le goût de la langue saine et naturelle du siècle précédent». La sua oratoria rivelava sicuramente l’imitazione del modello ciceroniano: lo contraddistinguevano, sempre secondo T 1, la copia uerborum et rerum, che gli consentiva di trattare il medesimo argomento facendo ricorso a diverse figure e a diverse argomentazioni: cf. Quint. Inst. 10, 1 ed in particolare 1-7; de subl. 12, 4; Macr. Sat. 5, 1, 1; Norden 1986, I, 244-246 e n. 69; E. Desmouliez, Cicéron et son goût, Bruxelles 1976, 513-523. Non sembra casuale perciò la valutazione positiva dell’Arpinate proposta dall’oratore in Suas. 6 e 7: le parole di Aterio occupano in entrambi i casi il primo posto tra le citazioni proposte, precedendo anche i passi del grande amico di Seneca Porcio Latrone (su di lui cf. Balbo 2004, 117-133 e 20072, 71-85). Aterio non faceva sfoggio né di termini disusati (obsoleta) né di locuzioni troppo comuni (calcata: il termine in contesto letterario-linguistico è usato soltanto da Seneca Retore), ma ricorreva a parole antiche (antiqua) che erano state utilizzate da Cicerone e poi abbandonate dagli altri oratori. Tacito definisce il suo stile canorum et profluens ed afferma che terminò con lui: il sintagma (cf. Furneaux 1956, I, 562 e Koestermann 1963-1968, II, 187) si ritrova nella sua accezione metaforica riguardante lo stile oratorio unicamente in Cic. de orat. 3, 28, riferito a Papirio Carbone: profluens quiddam habuit Carbo et canorum. Carbone (su cui cf. ORF4 I, n° 35, 152-155), oratore contemporaneo a Tiberio Gracco, fu chiamato eloquentissimus da Cicerone (de orat. 3, 74; Br. 159, 221), il quale in Br. 105 lo definì canorum oratorem et uolubilem et satis acrem atque eundem et uehementem et ualde dulcem et perfacetum […] industrium etiam et diligentem et in exercitationibus commentationibusque; il giudizio ciceroniano contiene, oltre ad una serie di elementi positivi, quel termine canorum già impiegato nel De oratore. Tacito nomina a sua volta in Dial. 18, 1 Papirio Carbone, accostandolo a Servio Galba e a coloro che ritiene horridi et impoliti et rudes et informes, ma non vi sono riferimenti ad Aterio (sull’ascendenza ciceroniana del lessico di questa sezione cf. Santini 1968, 98-100). Questo stile appare allo stesso tempo fluido, quasi cantato (Münkel 1959, 108), ma anche in qualche misura difettoso; il termine è usato anche in senso negativo in contesto oratorio: cf. ThlL III, 277, 19-22. Secondo Seneca nemo erat scholasticis nec aptior nec similior (T 1) di Aterio, anche se, poiché cercava di parlare culte e splendide, rischiava continuamente di cadere nel ridicolo. 15

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F1 Questo frammento è contenuto in T 1. Al termine della descrizione dello stile di Aterio, Seneca ricorda come l’oratore non riesca ad evitare di rendersi talora ridicolo; come esempio cita una frase tratta da un discorso in difesa di un liberto che era legato al padrone da una relazione sessuale ed era stato accusato di un reato non meglio precisato. La “sentenza” ebbe tanto successo che l’espressione di Aterio (impudicitia […] in liberto officium) divenne proverbiale. L’aneddoto narrato da Seneca sembra potersi riferire ad un fatto reale, in quanto non si trova traccia del tema né nelle Controuersiae né nelle Suasoriae superstiti e neppure nelle Declamationes maiores e minores: si tratta quindi probabilmente di una difesa pronunciata in un processo di diritto privato e perciò della parte superstite di un’orazione giudiziaria. Dal punto di vista stilistico, il testo presenta un tricolon anaforico costruito su un parallelismo perfetto rilevato da omeoptoti (ingenuo, seruo, liberto) e dall’allitterazione (impudicitia in ingenuo … in seruo … in liberto). Anche la climax discendente (crimen … necessitas … officium) corrisponde a un ritmo tricolare frequentemente attestato negli autori precedenti ed in particolare in Cicerone: cf. Lausberg 1960, §§ 733-754. F2 Qualche dubbio permane sull’opportunità di annoverare questo passo tra i frammenti di un’orazione. Il testo contiene un’allocuzione sotto forma di domanda rivolta da Quinto Aterio a Tiberio durante la seconda seduta del senato seguita alla morte di Augusto (cf. Kampff 1963, 3246) e si colloca all’interno di una delle sezioni degli Annales su cui si è esercitata maggiormente la critica, vale a dire il racconto del passaggio di potere da Augusto a Tiberio: la vasta bibliografia è segnalata da Suerbaum 1990, 1143-1156 e 1329-1336; tra gli studi più significativi cf. Klingner 1954-1964; E. Koestermann, Der Eingang der Annalen des Tacitus, «Historia» 10, 1961, 330-355; D. Timpe, Untersuchungen zur Kontinuität des frühen Prinzipats, Wiesbaden 1962, 27-56. Dopo una serie di suppliche rivolte al nuovo imperatore dai senatori (inter quae senatu ad infimas obtestationes procumbente), Tiberio dichiarò di non sentirsi in grado di reggere lo Stato, ma soltanto quella parte di esso che gli fosse stata affidata. Tra gli interventi che si susseguirono nel dibattito, Tacito ne ricorda uno di Aterio, riportato in discorso diretto, ed uno di Scauro tramandato in oratio obliqua. Non è chiaro se la battuta di Aterio sia l’unico frustulo rimasto di un intervento più ampio ed 16

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articolato – quali sembra fossero quelli di Gallo e di Arrunzio, che lo precedettero e che Tacito definisce orationes – o se non sia invece da considerare una sorta di dictum estemporaneo simile a quelli di Cicerone e di Augusto, dei quali esistevano raccolte su cui siamo informati – per esempio – da Macrobio: cf. Garbarino 1984, 35-36 e A. Manzo, Facete dicta Tulliana. Ricerca – Analisi – Illustrazione dei facete dicta dell’epistolario di Marco Tullio Cicerone, Torino 1969. A favore dell’attribuzione ad un’orazione depone il contesto, in quanto Tacito inserisce la citazione subito dopo le notizie sui discorsi di Gallo e di Arrunzio; inoltre la prassi delle discussioni senatoriali, che prevedeva sia orazioni sia brevi interventi occasionali, non si oppone all’ipotesi che il frustulo appartenesse ad un discorso di una certa estensione: cf. Talbert 1984, 254. Il modulo introduttivo della frase, molto simile a quello dei numerosi facete dicta conservati da Gellio, Plutarco e Macrobio, è comunque estremamente generico e non ci è di nessun aiuto; inoltre la brevità e l’indeterminatezza del contesto non ci consentono di decidere con sicurezza. Un ulteriore problema è dato da Suet. Tib. 29 in cui Tiberio si rivolge a Quinto Aterio chiedendogli ironicamente scusa se parlerà contro di lui senza peli sulla lingua (liberius): per la discussione cf. FF 26-27. Se queste parole di Tiberio sono, come pare, i resti di un’altercatio, la probabilità che le parole di Aterio si possano configurare come un discorso aumentano notevolmente: cf. FF 26-27. Si è preferito dunque accogliere questo testo – sia pure dubitativamente – allo scopo di valorizzare un’eventuale ulteriore testimonianza dell’oratoria di Aterio; invece gli studiosi che si sono occupati dei primi libri degli Annales o non prendono posizione sulla questione o sembrano orientati più ad escludere che ad ammettere che la frase ateriana appartenesse ad un’orazione: Gerth 1900 parla genericamente di “Äußerung”, Brink 1951, 40 di “awkward direct question”, Syme 1948, 128 di “objurgation”, Shotter 1967, 38 di “question” facente parte di un “debate” (ma per lui “question” è anche quella di Asinio Gallo che Tacito ritiene appartenente ad una oratio: cf. 39, n. 1), Koestermann 1963-1968, 112 di “Frage” che toccò “den wunden Punkt der Debatte”, Münkel 1959, 4-5 non cita il passo, Kampff 1963, 38 n. 25 usa il termine “exclamation”, mentre per Asinio Gallo aveva parlato di “speech” (e ciò farebbe pensare ad una valutazione diversa dei due passi), infine Orth 1970, 22 parla di “provozierenden Fragen” degli intervenuti. La costituzione del testo del frammento presenta notevoli problemi, in quanto la testimonianza tramandata dall’unico testimone non ha incontrato favore ed è stata sottoposta a numerose correzioni. La lezione 17

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del codice M è la seguente: quo usque patieris, Caesar, non adesse aput tê rei publicae. Già Beatus Rhenanus (C. Corn. Taciti annalium ab excessu Augusti sicut ipse uocat siue historiae Augustae qui uulgo receptus titulus est libri sedecim […] recogniti magna fide nec minore iudicio per Beatum Rhenanum … Basileae 1533) aveva proposto la correzione aput che è entrata stabilmente nel testo tacitiano; tale soluzione si accompagnava con l’espunzione di tê e conduceva alla lettura non adesse caput reipublicae; la spiegazione paleografica della caduta della c fu individuata da Lenchantin de Gubernatis 1940, XVII nella somiglianza «quae intercedit inter formam cursivam litterae a et duas litteras cc iuxta positas» per cui «factum est ut ante a littera c neglecta sit». L’errore è ascrivibile alla scrittura carolina: cf. Havet 1911, §§ 646, 740 e 744. Sulla base dell’esame della riproduzione del codice, non appare invece fondata l’osservazione di Emilio Ferretto (In Cornelium Tacitum notatiunculae ex libro I Annalium, ed. 1608, 292): «Legi in codice Medicaeo [sic!][…] pro “apud te”, “caput”». Restava tuttavia da spiegare il tê, che presenta una lineetta sovrapposta, di solito impiegata per abbreviare la –m; pare che la linea sia dovuta alla prima manus del codice, quella che aveva ordinato i fascicoli dal XVIII al XXXIV: cf. E. Rostagno, Codices Graeci et Latini photographice depicti VII, 1, Lugduni Batavorum, 1902. Il Vetranius (Notae ad Taciti opera, ed. parigina, 325-326) cercò di salvare il testo tradito (leggendo te) ma, supponendo un’aplografia, accettò anche la congettura e sacrificò ad: non [ad]esse apud te caput rei publicae. Altri editori hanno cercato di conservare il più possibile il testo del codice, ma senza grande successo, in quanto hanno introdotto «faulty idiom or word – order» (Goodyear 1972-1981, I, 188): l’Aldina del 1534 legge non adesse apud te rem publicam; la II edizione del 1604 di Giusto Lipsio propone non esse caput te; lo Hermann suggerì non adesse caput te reipublicae. Una nuova proposta per spiegare il tê fu avanzata da Lenchantin, che suggerì l’integrazione te, accettata da Syme 1948, 128 per via del richiamo all’esordio di Cat.1. Il passo dovrebbe perciò esser letto quo usque patieris, Caesar, non adesse caput tandem rei publicae: Lenchantin 1940 tuttavia non stampò nel testo la sua congettura, ma la confinò in apparato, probabilmente perché non le attribuiva un valore cogente. Tale proposta fu rifiutata dal Brink 1951, 40-41, sulla base del seguente argomento: nel codice M esistono casi in cui la soprallineatura non corrisponde ad un’abbreviazione, ma è il segno evidente di un’incomprensione del testo da parte del copista che ha confuso le lettere u ed a, spesso non distinguibili agevolmente nella carolina: cf. per esempio 1, 8, 1 Liuia in 18

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familiam Iuliam nomenque Augustû (per Augustum, ma corretto in Augustae da M1) adsumebatur; 1, 15, 3 mox celebratio annû (per annua) ad praetorem translata; 2, 15, 1 pars onusta uulneribus tergû (per terga) pars fluctibus eqs. Il gruppo tê potrebbe a questo punto esser ritenuto un te e considerato originato da una dittografia di aput. Anche Koestermann 1963-1968, I, 113 ritenne «paläographisch bedenklich» lo sviluppo di tandem da tê; le ragioni del rifiuto dell’integrazione tandem furono definitivamente chiarite da Goodyear 1972-1981, I, 188, che mise in dubbio anche il riferimento a Cat.1, 1, 1: «1) a burlesque allusion to Catiline would have been highly insulting and much more than Haterius could have risked […]; 2) the position of tandem would be not merely unusual, but wholly unparalleled […]; 3) tê for tandem in M or an ancestor of M is palaeographically rather questionable». Tali obiezioni lasciano spazio alla discussione. L’argomento addotto da Brink è valido soltanto per le lettere a ed u, condizione che non si verifica nel testo in questione. Tra le argomentazioni di Goodyear la seconda e la terza hanno una certa importanza. Tandem è impiegato 20 volte da Tacito ed è posto quasi sempre all’inizio di proposizione e pertanto la collocazione proposta dal Lenchantin non trova paralleli: cf. e. g. Ag. 27, 1 (cuius conscientia ac fama ferox exercitus nihil uirtuti suae inuium et penetrandam Caledoniam inueniendumque tandem Britanniae terminum continuo proeliorum cursu fremebant); 29, 3 (nam Britanni nihil fracti pugnae prioris euentu et ultionem aut seruitium expectantes, tandemque docti commune periculum concordia propulsandum, legationibus et foederibus omnium ciuitatium uires exciuerant); 31, 3 (ita sublata spe ueniae tandem sumite animum); 34, 3 (quos quod tandem inuenistis, non restiterunt, sed deprehensi); Hist. 2, 99, 1 (tandem inruptione hostium atrocibus undique nuntiis exterritus Caecinam ac Valentem expedire ad bellum iubet); Ann. 6, 27, 2 (extremo anni mors Aelii Lamiae funere censorio celebrata, qui administrandae Suriae imagine tandem exolutus urbi praefuerat); cf. anche GG, 1626; inoltre lo sviluppo di tandem da tê non mi risulta attestato altrove. Vi è poi un’altra considerazione contro l’integrazione di tandem: se si leggesse questa parola, l’allusione si farebbe troppo scoperta ed il passo acquisirebbe un sapore quasi scolastico, eccessivo persino in un ammiratore dichiarato dell’Arpinate come Aterio. Neppure il ritmo può dirimere la questione: se la clausola coriambico-cretica del testo di M costituisce un unicum e quindi conferma la sua scorrettezza, quella di Cat. 1, 1, 1 è cretico – spondaica (patientia nostra), mentre il testo tacitiano presenterebbe un doppio cretico sia con l’inserzione di tandem (tandem rei publicae) sia con 19

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

il semplice caput (caput rei publicae); d’altro canto la clausola col doppio cretico è attestata in vari esempi ciceroniani: cf. Lausberg 1960, §§ 1018-1021. Restano perciò dubbi sul testo da proporre, soprattutto perché non risulta convenientemente spiegata la soprallineatura della e: un esame più attento condotto sul microfilm permette di constatare che il te soprallineato è collocato molto vicino a rei, che a sua volta è lievemente fuori margine; ad una prima lettura pare quasi di leggere terei e si può quindi supporre che il copista, per evitare la confusione tra due parole che dovevano restare separate, abbia segnalato con la lineetta la fine di te. Se si ritorna al testo tacitiano, si può constatare come la frase di Aterio trovi molto probabilmente il suo modello in Cat. 1, 1, 1, come già è stato osservato: cf. Allen 1948, 204; Syme 1948, 128; Koestermann 1963-1968, I, 113; Goodyear 1972-1981, I, 188 n. 2. Al di là dei problemi testuali, il riferimento ciceroniano sembra inoppugnabile per le seguenti ragioni stilistiche: 1) il forte richiamo incipitario di quo usque; 2) l’uso della seconda persona verbale e del vocativo; 3) l’impiego del futuro semplice di un verbo deponente con omeoptoto implicito tra il modello (abuteris) e il testo derivato (patieris). Le parole di Aterio furono senz’altro inopportune e forse diedero fastidio anche per il loro tono un po’ impaziente (Furneaux 1956, I, 202), suscitando una reazione assai dura da parte di Tiberio, il quale, pur essendo stato apostrofato precedentemente in maniera non deferente da Asinio Gallo (cf. F 71) ed essendo stato offeso allo stesso modo da Arrunzio (cf. F 92), si era contenuto dissimulando la propria rabbia, riuscendo anche a trattenere l’ira provata contro Scauro, che avrebbe parlato subito dopo Aterio (Ann. 1, 12, 2). Questo atteggiamento del princeps fa pensare che egli avesse percepito il riferimento a Catilina che le parole di Aterio contenevano: «Durch diese Annäherung an Ciceros bekannten Ausfall gegen Catilina würde der ungeduldige Tonfall des Sprechers noch aufdringlicher hervortreten […] Kein Wunder also, daß Tiberius peinlich berührt wurde» (Koestermann 1963-1968, I, 112-113). Non è necessario che l’oratore fosse conscio di attribuire implicitamente al princeps, con quel richiamo allusivo, il titolo di nemico dello Stato, anzi, è verosimile che, dato l’atteggiamento di supplica servile a cui si piegò alla fine della seduta, se ne fosse reso conto soltanto dopo aver pronunciato la frase: cf. anche Levick 1999, 77; l’imitatio ciceroniana che contraddistingueva l’oratoria ateriana, l’ampia fortuna, anche a livello scolastico, della prima Catilinaria nei secoli e la celebrità del topico esordio ex abrupto bastano a spiegare l’infortunio dell’oratore. Le orazioni In Catilinam nel I secolo sono fra i testi ciceroniani più letti: cf. Winterbot20

1. Q. HATERIUS

tom 1982, 238-239 e la n. 6. Le Catilinarie sono ricordate da Livio, Velleio Patercolo, Seneca filosofo, Asconio Pediano, Lucano, Plinio il Vecchio, Quintiliano, Marziale, Tacito, Floro, Frontone, Gellio; perfino nel IV secolo il numero delle citazioni delle Catilinarie è inferiore soltanto a quello delle Verrine e, in qualche autore, delle Philippicae e della Pro Cluentio: cf. P. De Paolis, Cicerone nei grammatici tardoantichi e altomedievali, «Ciceroniana» 11, 2000, 37-67. In particolar modo l’esordio è citato da Quintiliano e da quasi tutti i retori latini come esempio topico del genere: cf. Cicéron, Discours X, texte établi par H. Bornecque et traduit par E. Bailly, Paris 1950, 5. Per questo motivo sembra eccessivo considerare le parole di Aterio la prova di un’opposizione al princeps, mentre sembra più adeguato al contesto ed al personaggio ritenerle un errore o, al massimo, una “Provokation” (Raaflaub 1987). I commentatori cinque-seicenteschi (Giusto Lipsio, Mureto, Curzio Pichena) avevano visto in questo episodio un gesto di opposizione: cf. C. Cornelii Taciti et C. Velleii Paterculi Scripta quae exstant recognita emaculata. Additique commentarii copiosissimi et notae non antea editae, Parisiis 1608. Incline ad una valutazione politica è anche Allen 1948, 203, che parla di “incident of minor opposition”. Non sembra a chi scrive il caso di parlare di “parody” (Syme 1948, 128), in quanto non è individuabile lo scopo “comico-ridicolo” che è attribuito al termine in senso moderno; più che altro ci si può accostare al senso quintilianeo del termine: un discorso immaginario imitante un altro discorso: cf. Lausberg 1960, § 824, 6. F3 Questo frammento indiretto, nel quale non sono conservate parole di Aterio, ma soltanto la notizia del suo intervento insieme ad Ottavio Frontone contro il lusso eccessivo, si trova subito dopo la lunga sezione giudiziaria del secondo libro degli Annales che concerne il processo a Druso Libone (2, 27-32) e costituisce il primo di una serie di interventi dei senatori e di Tiberio su questioni legislative e di governo (2, 33-38): cf. F 130. Del discorso di Aterio nulla ci viene detto; di Frontone possediamo invece molto probabilmente un riferimento al contenuto, che è del tutto in linea sia con la tradizione delle leggi suntuarie (cf. Daremberg-Saglio, IV 2, 1563, che contiene l’elenco delle disposizioni in materia, B. Kübler, RE IV A1 1931, 901-908; I. Sauerwein, Die leges sumptuariae als romische Massnahme gegen den Sittenverfall, Hamburg 1970; A. La Penna, La legittimazione del lusso privato da Ennio a Vitruvio. Momenti, problemi, personaggi, «Maia» 41, 1989, 3-34) sia 21

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

con quel poco che possiamo ricostruire del personaggio, che tre anni dopo fu tra coloro che sostennero il Senatusconsultum di Larino sulla moralità pubblica dei membri dei ceti elevati: cf. Levick 1973. Aterio e Frontone si connotano come sostenitori di una concezione moralistica del principato, legata probabilmente allo spirito delle concezioni augustee. Sull’orazione di risposta di Asinio Gallo, che risulterà vincente, cf. F 78. F4 Tra gli avvenimenti politici principali del 22 d.C. vi fu la concessione della potestà tribunizia a Druso minore, figlio di Tiberio. Con questo atto l’imperatore mirava a delineare con precisione la sua successione, frustrando ogni pretesa di altri personaggi più o meno imparentati con i Giulio-Claudii: cf. Tac. Ann. 3, 56, 2. Chi siano tali aspiranti non è chiaro, ma sembra abbastanza plausibile pensare a coloro che si misero in luce per un atteggiamento critico contro il nuovo imperatore nelle prime sedute senatoriali dopo la morte di Augusto, cioè essenzialmente Asinio Gallo e Lucio Arrunzio, i capaces imperii (Syme 1970, 30-49). Il senato decise atti di deferenza consueti come la concessione di statue, altari, templi ed archi, ma alcuni suoi membri esagerarono nell’adulazione; tra di loro si segnalarono Marco Silano e Quinto Aterio (che sarebbe morto di lì a due anni). Egli propose di incidere a lettere d’oro i senatoconsulti di quel giorno, ma la sua proposta cadde nel ridicolo ed egli ne guadagnò soltanto disonore. L’intervento dell’ex console va considerato un’orazione di tipo deliberativo: cf. Mommsen 1997, III 2, 988; cf. anche ThlL III, 792, 13-796, 17. Si può anche supporre che Aterio avesse parlato tra i primi, in quanto gli interventi dei consolari avevano la precedenza (Mommsen 1887, III 2, 966-967). Dalla reazione dei senatori si può dedurre che l’influenza di Aterio all’interno della curia era pressoché nulla.

22

2. L. Calpurnius Piso pontifex M 1832 = Ø; D 1837 = Ø; M 1842 = Ø Bibliografia specifica E. Groag, RE III 1899, n° 99, 1396-1399; W. Eck, NP 2, 1997, n° II 17, 947; PIR2 C 289; Bergener 1965, 93-95; Crook 1955, n° 79, 156; Laffi 2001; Syme 1971, II, 984-985; Syme 2001, 488-512. Dati biografici Per l’attribuzione del discorso a Lucio Calpurnio Pisone il pontefice seguo Syme 2001, 504, che lo identifica con il pontefice figlio di Pisone Cesonino, che fu console nel 15 a.C. e prefetto di Roma e morì nel 32 d.C. a 79 anni compiuti ricevendo onori pubblici: cf. Ann. 6, 10, 3 (nel 33 per Eck, NP); Woodman-Martin 1996, 467 sembrano accettare la proposta, che collocherebbe la data di nascita di Pisone intorno al 47 a.C. Il comportamento tenuto in occasione del processo di Silano sembra confermare l’ipotesi: infatti Tacito asserisce che L. Pisone il pontefice si era dimostrato sempre moderato e mai servile: nullius seruilis sententiae sponte auctor. Pisone il Pontefice fu un personaggio celeberrimo: era stato proconsole a Milano forse tra il 25 e il 16 a.C. e, in qualità di presidente del tribunale, aveva ascoltato il discorso In cognitione caedis Mediolani di Gaio Albucio Silo: cf. Balbo 2004 e 20072, F 11. Secondo Porfirione Orazio gli aveva dedicato l’Ars Poetica. Aveva poi governato la Panfilia (D.C. 54, 34, 6) e aveva combattuto in Tracia come legato imperiale. Fu poi forse anche governatore di Asia e Siria: cf. PIR2 e Laffi 2001, 225-226; più incerti Bergener 1965, 93 e Syme 2001, 497-501.

23

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Frammenti F5 De Silani relegatione Ille multum de clementia principis praefatus aqua atque igni Silano interdicendum censuit ipsumque in insulam Gyarum relegandum.

F5

Tac. Ann. 3, 68, 2. Tum (Tiberius) L. Pisonem sententiam rogat. Ille … relegandum.

Commento F5 Nel 22 fu celebrato il processo a Gaio Silano, proconsole d’Asia accusato di concussione, di aver violato il numen Augusti e di aver offeso la maiestas Tiberii: su di lui cf. E. Hohl, RE X, 1917, n° 158, 10871088. Per la ricostruzione del processo cf. Rogers 1935, 66-70, Bleicken 1962, 159 (che chiama in causa anche le accuse de repetundis e saeuitiae) e Bauman 1974, 92-99; per quanto riguarda gli interventi degli accusatori e di Tiberio rimando a FF 51, 99, 114, 126, 186. Quello che rimane del discorso di Lucio Pisone (la cui esistenza pare garantita dal termine sententia e dal verbo censere: cf. Introduzione § 3) mette in rilievo l’accorta moderazione dell’oratore, che chiama in causa la clementia di Tiberio, una tipica virtù del princeps (insieme a moderatio, magnitudo animi, uirtus, pietas e iustitia: cf. D. S. Potter, Political theory in the Senatus consultum Pisonianum, AJPh 120, 1999, 24

2. L. CALPURNIUS PISO PONTIFEX

Traduzione F5 Sulla relegazione di Silano Egli, dopo aver parlato a lungo della clemenza dell’imperatore, propose che Silano fosse esiliato e relegato nell’isola di Giaro. Contesto F5

Tac. Ann. 3, 68, 2. Allora (Tiberio) chiese a Lucio Pisone il suo parere. Egli … Giaro.

65-88) nominata anche nel SCPP alla l. 90: cf. Rogers 1977, 35-59, Wallace-Hadrill 1981, Classen 1991 e Galimberti 1998; sulla virtù in generale Malaspina 2005, con amplissima bibliografia; sull’evoluzione del concetto tra Cicerone e Seneca cf. Erm. Malaspina, Ventures i desventures de la clementia entre Cèsar, Ciceró i Sèneca, «Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Classica» 21, 2005, 63-78. Le espressioni interdictio e relegatio si riferiscono rispettivamente ad una pena capitale, che comportava la perdita dello status di cittadini, e ad una pena non capitale, priva di conseguenze sulla cittadinanza: cf. P. Garnsey, Social status and legal privilege in the Roman Empire, Oxford 1970, 111 e Bauman 1996, 26-28 e 32. Come notano Woodman-Martin 1996, 467, «Tacitus has typically used the latter in a non-technical sense in a technical context». 25

3. L. Caninius Gallus M 1832 = Ø; D 1837 = Ø; M 1842 = Ø Bibliografia specifica E. Groag, RE III, 1899, n° 5, 1477-1478; PIR2 C 390; Levick 1999, 218; Seager 20052, 193; Syme 1978, 100-101; Syme 2001, 142 n. 44. Dati biografici Lucio Caninio Gallo, nipote del tribuno della plebe del 56 Caninio Gallo e figlio del console del 37 a.C. (o suo nipote, per Syme 2001, 142

Frammenti F6 De libro Sibyllino Relatum inde ad patres a Quintiliano tribuno plebei de libro Sibyllae, quem Caninius Gallus quindecimuirum recipi inter ceteros eiusdem uatis et ea de re senatus consultum postulauerat.

Tac. Ann. 6, 12. Relatum … postulauerat. Quo per discessionem facto misit litteras Caesar, modice tribunum increpans ignarum antiqui moris ob iuuentam. Gallo exprobrabat quod scientiae caerimoniarumque uetus incerto auctore ante sententiam collegii, non, ut adsolet, lecto per magistros aestimatoque carmine, apud infrequentem senatum egisset. Simul commonefecit, quia multa uana sub nomine celebri uulgabantur, sanxisse Augustum quem intra diem ad praetorem urbanum deferrentur neque habere priuatim liceret. Quod a maioribus

F 6 3 quindecimuir Beroaldus

26

3. L. CANINIUS GALLUS

n. 44), fu consul suffectus nel 2 a.C., poi triumuir monetalis, curator riparum et aluei Tiberis (prima del 24 d.C.) e membro del collegio dei fratres Aruales e dei quindecimuiri sacris faciundis: cf. 41. Decimus Laelius Balbus e Koestermann 1963-1968, II, 268. È assai dubbio se, come sospetta Syme 2001, 563 n. 24, sia stato governatore della Spagna Tarraconense. Nato tra il 45 e il 40 a.C., non ne conosciamo la data di morte. La sua famiglia era originaria di Tuscolo: cf. Syme 2001, 142 n. 44. Diede il suo nome alla legge Fufia Caninia de manumissionibus, che mise ordine nella disciplina degli affrancamenti degli schiavi: cf. Gai. Inst. 1, 42, 46, 139; 2, 228, 239; Dig. 35, 1, 37 e R. Leonhard, RE XII, 1925, 2355-2356. Nel 32 d.C. chiese che venisse accolto fra i libri sibillini un nuovo testo attribuito alla Sibilla: la proposta fu formulata in senato dal tribuno della plebe Quintiliano.

Traduzione F6

A proposito del libro sibillino Il tribuno della plebe Quintiliano riferì ai senatori su un libro della Sibilla che Caninio Gallo, appartenente ai quindecemviri, aveva richiesto fosse accolto fra i medesimi libri della stessa profetessa con una deliberazione del senato in proposito. Contesto F6

Tac. Ann. 6, 12. Il tribuno … senato. Poiché la proposta fu accolta senza dibattito, Cesare inviò una lettera criticando senza asprezza il tribuno per la sua ignoranza dell’antico costume, dovuta alla giovane età. Rimproverava a Gallo il fatto che, pur essendo esperto delle cerimonie, aveva trattato il problema davanti ad una seduta poco affollata senza che fosse definito l’autore del volume, prima che il collegio prendesse una decisione, e non, come recita la procedura, dopo la lettura e la valutazione del componimento da parte di esperti. Allo stesso tempo, dato che sotto un celebre nome si divulgavano molte profezie prive di valore, ricordò che Augusto aveva deciso un termine entro il quale esse venissero trasmesse al pretore e che non fosse lecito detenerle privatamente. Questo provvedimento era stato decretato anche dagli antenati dopo il rogo del 27

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

quoque decretum erat post exustum sociali bello Capitolium, quaesitis Samo, Ilio, Erythris, per Africam etiam ac Siciliam et Italicas colonias carminibus Sibullae, una seu plures fuere, datoque sacerdotibus negotio quantum humana ope potuissent uera discernere. Igitur tunc quoque notioni quindecimuirum is liber subicitur.

Commento F6 Nel 32 d.C. Caninio Gallo pronunciò un discorso, il cui contenuto è ricavabile dalla missiva di rimprovero con cui Tiberio osteggiò la decisione senatoriale di accogliere il libro ritrovato fra i libri Sibillini. Non è chiaro di che libro si trattasse, se di un testo comparso recentemente o di un volume che pareva scomparso e poi era misteriosamente riapparso: sulla questione dei libri Sibyllini cf. H. Diels, Sibyllinische Blätter, Berlin 1890; A. Rzach, RE II A 2, 1923, 2105-2184; K. Latte, Römische Religionsgeschichte, München 1960, 160-161; G. Dumézil, La religione romana arcaica, tr. it. Milano 1977, 513-516; A. Momigliano, Some preliminary remarks on the “religious opposition” to the Roman Empire, AA. VV., Opposition et résistances a l’Empire d’Auguste a Trajan, Entretiens Hardt 33, 1987, 125-129; I. Chirassi Colombo – T. Seppilli, Sibille e linguaggi oracolari: mito storia tradizione. Atti del convegno Macerata-Norcia, settembre 1994, Pisa 1998 e al suo interno L. Breglia Pulci Doria, Libri Sibyllini e dominio di Roma, 277-304. Tiberio rimproverò Caninio Gallo perché non aveva seguito la procedura corretta, 28

3. L. CANINIUS GALLUS

Campidoglio nella guerra sociale; dopo che era stata effettuata la ricerca delle composizioni della Sibilla – sia che ce ne fosse una sola, sia che fossero più numerose – a Samo, a Ilio, a Eritre, in Africa, in Sicilia e nelle colonie italiche, e dopo che era stato affidato ai sacerdoti il compito di distinguere le composizioni autentiche, per quanto fosse stato possibile con le risorse umane. Anche allora dunque quel libro viene sottoposto all’esame dei quindecemviri.

secondo la quale era necessario che il collegio dei quindecimuiri si consultasse sull’autenticità dell’opera ed esprimesse un parere. Di conseguenza, la decisione senatoriale vennne annullata ed il libro sottoposto all’esame dei quindecimuiri: sulle prerogative di tale collegio cf. Gell. 1, 19, 11, Ser. A. 3, 332 e Rüpke 2004, 242. Il rimprovero di Tiberio ci mostra da un lato come egli seguisse sempre molto da vicino le questioni relative al diritto sacro (cf. 15. S. Cornelius Lentulus Maluginensis), contrapponendosi ad una generale decadenza dell’attenzione ai problemi religiosi; dall’altro il suo atteggiamento prudente rivela una ragione politica, già messa in chiaro nel rifiuto opposto ad Asinio Gallo nel 15 d.C. (Ann. 1, 76; cf. F 75) per quanto concerneva la richiesta di consultare i libri Sibillini. Il loro contenuto potenzialmente rivoluzionario rischiava di essere molto dannoso per l’imperatore e di avallare sentimenti di opposizione o, addirittura, di rivolta; inoltre Tiberio mostra di essere molto attento nei confronti degli errori commessi da persone che rivestivano posizioni di responsabilità: cf. Levick 1999, 218. 29

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4. A. Caecina Seuerus M 1832 = Ø; D 1837 = Ø; M 1842 = Ø Bibliografia specifica E. Groag, RE III, 1899, n° 24, 1241-1243; W. Eck, NP 2, 1997, 898899; PIR2 C 106; Aubrion 1985, 663-667; Barrett 2005; Devillers 1994, 209-211 e 358-359; Di Vita 1978-79; Marshall 1975; Mrozewicz 1999; Orth 1970, 66-68; Sordi 1981. Dati biografici Proveniente dalla gens etrusca dei Caecina di Volterra (Di Vita, 1978-79, 16), Aulo Cecina Severo fu consul suffectus prima del 6 d.C. (Vell. 2, 112, 4), forse nell’1 a.C. secondo i Fasti (Koestermann 19631968, I, 145; Di Vita 1978-79, 20) e perciò la sua nascita va fatta risalire al 43-41 a.C. (Di Vita 1978-79, 18) o al decennio fra il 40 e il 30 a.C.

Frammenti F7 De ara statuenda Cum […] Caecina Seuerus aram ultioni statuendam censuisse(n)t

F7 Tac. Ann. 3, 18, 2-3. Atque idem cum Valerius Messalinus signum aureum in aede Martis Ultoris [F 85], Caecina Seuerus … censuissent, prohibuit [F 45]

F 7 2 ultioni M ultionis Halm Andresen Koestermann

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4. A. CAECINA SEUERUS

(Shotter 1994). Ebbe una notevole carriera militare e amministrativa. Fu verosimilmente il primo governatore della Mesia nel 6/7 d.C. (D.C. 55, 29, 3; Syme 1978, 53; NP; Mrozewicz 1999; più incerta Di Vita 1978-79, 22-25) e combatté nei Balcani e in Pannonia: cf. RE, 12411242, Di Vita 1978-79, 26-32 e Seager 20052, 62-67. Un milliario di epoca augustea rinvenuto sulla strada da Sabratha ad Oea, attesta che rivestì il proconsolato dell’Africa fra l’8 e il 13 d.C., forse nell’8-9 o nel 9-10 (Di Vita 1978-79, 9-12 e 32-35). Tra il 10 e il 12 fu forse legatus pro praetore della Hispania Citerior (Di Vita 1978-79, 35-36). Propretore e legato della Germania Inferiore nel 14-16 d.C. (Ann. 1, 31, 6), si trovò a fronteggiare la sommossa dell’esercito dopo la morte di Augusto. Combatté nel 15 con Germanico nelle campagne vittoriose contro i Cherusci di Arminio, nel corso delle quali si comportò molto valorosamente, tanto da meritare le insegne trionfali (Ann. 1, 72; cf. F 32). Nel 16 ricevette l’incarico da Germanico di costruire una flotta per le operazioni al nord: cf. Di Vita 1978-79, 36-41. Le notizie su di lui si fanno poi più rare: da F 8 sappiamo che ebbe sei figli ed è registrata la sua attività in senato nel 20 d.C. Non sappiamo quando sia morto.

Traduzione F7 Sulla costruzione di un altare Quando Cecina Severo propose di costruire un altare alla vendetta Contesto F7 Tac. Ann. 3, 18, 2-3. E quando Valerio Messalino propose di consacrare una statua d’oro nel tempio di Marte Ultore [F 85], quando … vendetta, (Tiberio) si oppose [F 45]

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F8 De magistratuum uxoribus Inter quae ne quem magistratum cui prouincia obuenisset uxor comitaretur, multum ante repetito concordem sibi coniugem et sex partus enixam, seque quae in publicum statueret domi seruauisse, cohibita intra Italiam, quamquam ipse pluris per prouincias quadraginta stipendia expleuisset. Haud enim frustra placitum olim ne feminae in socios aut gentis externas traherentur: inesse mulierum comitatui quae pacem luxu, bellum formidine morentur et Romanum agmen ad similitudinem barbari incessus conuertant. Non imbecillum tantum et imparem laboribus sexum sed, si licentia adsit, saeuum, ambitiosum, potestatis auidum; incedere inter milites, habere ad manum centuriones; praesedisse nuper feminam exercitio cohortium, decursu legionum. Cogitarent ipsi quotiens repetundarum aliqui arguerentur plura uxoribus obiectari: his statim adhaerescere deterrimum quemque prouincialium, ab his negotia suscipi, transigi; duorum egressus coli, duo esse praetoria, peruicacibus magis et impotentibus mulierum iussis quae Oppiis quondam aliisque legibus constrictae nunc uinclis exolutis domos, fora, iam et exercitus regerent.

F8 Tac. Ann. 3, 33. Inter quae Seuerus Caecina censuit … regerent.

Commento F7 Per il contesto e l’interpretazione generale del passo rimando a F 45. Dal punto di vista testuale accetto la lettura ultioni di M, che è difficilior (visto che il genitivo è più comune salvo che nei casi di personifiF 8 2-3 comitaretur edd. comitteªretur M

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4. A. CAECINA SEUERUS

F8 Sulle mogli dei magistrati In tale occasione (Severo Cecina propose) che nessun magistrato che avesse ricevuto l’incarico di governare una provincia fosse accompagnato dalla moglie, e ripeté con grande insistenza più volte che andava d’accordo con la consorte e che costei gli aveva dato sei figli pur avendo egli osservato in casa propria le norme che proponeva di stabilire per tutti: ella era infatti rimasta in Italia anche se egli aveva prestato servizio nelle province per quarant’anni. Infatti non era stata assurda la decisione presa tempo addietro che le donne non fossero condotte fra gli alleati o i popoli stranieri: la compagnia femminile aveva delle caratteristiche tali per cui ostacolava la pace con il lusso e la guerra con la paura e trasformava l’esercito romano in un’accozzaglia di barbari in marcia. Non era soltanto un sesso debole e incapace di sopportare le fatiche, ma, se gli si lasciava campo libero, cattivo, ambizioso, avido di potere: le donne andavano fra i soldati, tenevano in loro potere i centurioni, poco tempo prima una donna aveva guidato l’addestramento delle coorti e la parata delle legioni. Pensassero i senatori che, ogni volta che si incolpava qualcuno di concussione, le accuse più numerose ricadevano sulle donne: a loro infatti si attaccavano subito tutti i delinquenti delle province ed erano loro ad intraprendere e a concludere gli affari; due erano le scorte per le uscite in pubblico, due erano le sedi del potere, poiché gli ordini delle donne erano i più ostinati ed i meno capaci di autocontrollo; esse, tenute a freno un tempo dalle leggi Oppie e da altre norme, ora, lasciati da parte tutti i limiti, governavano le case, i fori e anche l’esercito. Contesto F8 Tac. Ann. 3, 33. In tale occasione Severo Cecina propose … esercito.

cazione, come asseriscono Woodman-Martin 1996, 189, riferendo un’osservazione di Furneaux 1956) e anche più coerente grammaticalmente con il senso del discorso: l’altare deve essere destinato alla vendetta compiuta per Germanico. La proposta di Cecina Severo è da considerare parte di un’orazione sia per l’uso del verbo censeo sia perché 33

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

pare inverosimile che un tale argomento fosse oggetto di un intervento estemporaneo (cf. Introduzione § 3). In questo caso l’anziano generale sembra cercare di ingraziarsi l’imperatore, che, da alcuni anni, non lo riteneva più degno della sua fiducia, probabilmente dopo la non buona conduzione delle campagne militari in Germania nel 15 d.C.: cf. Barrett 2005, 310. Per quanto concerne il discorso di Messalino cf. F 85. F8 L’orazione di Cecina Severo costituisce uno dei punti più studiati degli Annales: per l’ampia bibliografia specifica rimando a Barrett 2005, 302 n. 5, limitandomi a dedicare la mia attenzione agli aspetti maggiormente concernenti gli aspetti retorici ed oratori. Il discorso fu pronunciato nel 21 d.C. e rappresenta un episodio del dibattito senatoriale relativo all’affidamento del governatorato della provincia d’Africa, che era sotto l’attacco del capo indigeno Tacfarinate (sul resoconto tacitiano relativo alle campagne contro di lui cf. Pfordt 1998, 26-29, 36-38, 45-46, 49-56): Tiberio, per lettera, aveva richiesto la scelta di un personaggio forte ed esperto di cose militari (Tac. Ann. 3, 32, 1). Si era perciò aperto lo scontro fra Sesto Pompeo e Manio Lepido e il senato aveva preferito demandare la scelta del proconsole d’Africa allo stesso Tiberio: cf. Barrett 2005, 301-302. Nel corso del dibattimento (ignoriamo a che punto: cf. Barrett 2005, 302) intervennero Cecina Severo e Valerio Messalino, aprendo la serie dei discorsi che occupano la seconda metà del terzo libro (Koestermann 1963-1968, I, 481) e discutendo sull’opportunità che le mogli accompagnassero i governatori di provincia nell’esercizio delle loro funzioni. Una eco del dibattito è ancora in Ann. 4, 20, 4: cf. F 117. L’intervento di Cecina è il primo di una coppia che presenta tesi opposte, una struttura consacrata dalla tradizione storiografica e particolarmente amata da Tacito, che la impiega frequentemente negli Annales e anche in altre opere: si pensi e. g. ai lunghi discorsi di Calgaco e Agricola in Ag. 30-34; cf. Aubrion 1985, 644-645. Su questo discorso in particolare Aubrion 1985, 664 nota come «cette controverse est donc faite selon les règles de l’art dans l’équilibre apparent du pour et du contre»; cf. anche Devillers 1994, 209. Dal punto di vista testuale non vi sono problemi significativi da segnalare, in quanto il comitteretur di M è privo di senso. Bisogna soltanto osservare che Cecina Severo parla dei suoi 40 anni di servizio, quando in Ann. 1, 64, ai tempi delle campagne in Germania del 15 d.C., Tacito aveva già fatto cenno al fatto che egli aveva raggiunto allora il quadragesimum stipendium. Non vi è contraddizione, in quanto, probabil34

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mente, l’asserzione di Cecina nel discorso indica uno stato di servizio esemplare per la sua lunghezza. Secondo Devillers 1994 Tacito colloca al secondo posto il discorso contenente la tesi che ha avuto la meglio, che egli la condivida o no, come accade qui con il discorso di Messalino (cf. F 86). Non è comunque importante per questa ricerca individuare la posizione preferita dallo storico romano: Di Vita 1979, 41 n. 232 discute la questione accennando alle posizioni di Pflaum e Syme, ricordando come le opinioni siano divergenti, se non opposte. Devillers 1994, 210 osserva che il discorso contiene allusioni a personaggi femminili nominati precedentemente e fa parte perciò di un’unità testuale molto coesa del testo tacitiano. Tali riferimenti sono fitti: sicuro è, come già sosteneva Koestermann 19631968, I, 483, l’accenno a Plancina, in quanto la frase praesedisse nuper feminam exercitio cohortium, decursu legionum richiama esplicitamente Ann. 2, 55, 6 nec Plancina se intra decora feminis tenebat, sed exercitio equitum, decursibus cohortium interesse; cf. anche Barrett 2005, 303-304. Bisogna notare che Tacito si esprime diversamente rispetto al passo di Ann. 2 per amplificare lo sdegno degli ascoltatori: non sono soltanto cavalieri o reparti ad obbedire ad una donna, ma intere legioni. Non è casuale che una posizione ostile nei confronti di questa donna sia assunta proprio da un generale che aveva servito agli ordini di Germanico; cf. anche Zuccarelli 1967, 69; altri hanno rilevato richiami a Urgulania, favorita di Livia (Sordi 1981, 63-64; Devillers 1994, 210) o forse a Livia stessa (Zuccarelli 1967, 65), caratterizzata da impotentia muliebris (Ann. 1, 4): su Livia cf. ora A. A. Barrett, Livia. First Lady of Imperial Rome, New Haven 2002 e A. Alexandridis, Die Frauen des römischen Kaiserhauses. Eine Untersuchung ihrer bildlichen Darstellung von Livia bis Iulia Domna, Mainz, 2004. Sorprendente è il riferimento alle leges Oppiae, dato che ne era esistita una sola (cf. H. Treidler, RE IV A, 1931, 902): si potrebbe trattare o di un’amplificatio retorica (plurale per il singolare) o di un generico riferimento al complesso delle leges sumptuariae, che comprendevano anche la lex Cincia, la lex Cornelia, la lex Voconia (Furneaux 1956) e altri provvedimenti: cf. Koestermann 1963-1968, I, 482. Secondo Talbert 1984, 247, siccome Cecina Severo doveva essere un consolare più anziano di Sesto Pompeo, che aveva parlato in Ann. 3, 32, il suo discorso avrebbe dovuto venire prima: è probabile perciò che Tacito abbia rimescolato l’ordine degli interventi dei senatori per conferire maggiore rilievo all’orazione di Cecina: cf. anche F 103. Il tono del discorso è molto forte (“virulent” per Devillers 1994, 210). 35

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Cecina, “l’émule de Caton” (Aubrion 1985, 666), per avvalorare le proprie argomentazioni, insiste da un lato sulla propria esperienza e dall’altro sull’accordo con la moglie, che impedisce di ritenerlo animato da astio nei confronti della coniuge. Ritengo che colgano nel segno sia Marshall 1975 sia Di Vita 1979, 42-43 interpretando il discorso di Severo non come se fosse una tirata antifemminista, ma come una coraggiosa denuncia del rammollimento dei senatori e, quindi, anche di Tiberio, che aveva di fatto autorizzato la prassi di accompagnare i mariti durante il loro servizio in provincia: cf. Marshall 1975, 12. Cecina Severo, soldato ed amministratore di lungo corso, aveva sperimentato i vantaggi della lontananza della moglie (nessun timore per la famiglia, massima concentrazione sui propri doveri, possibilità di amministrare efficacemente i propri beni in patria) e non intendeva insistere particolarmente sui difetti che la tradizionale misoginia antica stigmatizzava: cf. Sordi 1981, 61-67, che fa risalire questo atteggiamento di Cecina alle sue origini etrusche ed al posto privilegiato che la donna occupava in quella società. Come nota opportunamente Di Vita 1979, 42-43, l’attacco misogino è opera più che altro di Messalino, che, nella sua risposta, «transfère diplomatiquement le débat du plan politique sur lequel il risquait de glisser au plan des moeurs conjugales»; cf. F 86. In un periodo difficile come quello che viveva Roma, minacciata nelle province africane dalla rivolta di Tacfarinate, non sembrava veramente opportuno perdere tempo in tali discussioni. La topica relativa alle donne di Cecina è per altro molto tradizionale: esse sono responsabili di disordini, incapaci di sopportare le fatiche, ambiziose, avide di potere, corruttrici. Il modello lontano è naturalmente costituito dalla satira antifemminile di Semonide di Amorgo, ma si passa attraverso la commedia aristofanesca e le riflessioni filosofiche di Platone ed Aristotele; in ambito latino il topos si trova nell’Hecyra di Terenzio, nella dura difesa catoniana della Lex Oppia (Liv. 34, 1-3), nell’orazione de prole augenda di Q. Cecilio Metello Macedonico (ORF4 I, n°18, 107-108), in Sallustio (Cat. 25) e in Seneca retore (Con. 9, 5-6); la bibliografia in proposito è amplissima: per un panorama aggiornato cf. Criniti 1999. Zuccarelli 1967, 64, individua nell’impiego tacitiano del termine impotens il segno della convinzione che le donne siano incapaci di moderarsi, come sembrerebbe dimostrato dalle espressioni si licentia adsit, iussis impotentibus e Oppiis constrictae olim. Secondo lo storico – che qui esprimerebbe idee proprie o accetterebbe quelle di Cecina – le donne sono causa di problemi terribili nella gestione del potere: sulla posizione tacitiana cf. anche A. Salvatore, L’immoralité des femmes et la décadence de l’empir selon Tacite, «Les 36

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études classiques» 22, 1954, 245-269. Tuttavia bisogna ricordare che l’impotentia femminile è un motivo topico, che compare anche nell’orazione di Catone il vecchio per il mantenimento della legge Oppia in Liv. 34, 3, 1: date frenos impotenti naturae; Koestermann 1963-1968, I, 483 ritiene provata la conoscenza tacitiana del discorso catoniano per via della presenza dell’espressione quibus omnibus [scil. le leggi che fissano i limiti all’azione delle donne] constrictas uix tamen continere potestis, che non compare altrove in Tacito. Barrett 2005, 310 ha recentemente proposto un’interpretazione convincente del discorso di Cecina, che appare veramente “fuori tema”: il vecchio generale avrebbe pronunciato la sua requisitoria contro le donne avendo in mente le sferzanti riflessioni di Tiberio di Ann. 1, 69, 4; qui lo storico ricorda che, in occasione delle campagne militari contro i Germani del 15 d.C., l’imperatore aveva asserito che potiorem apud exercitus Agrippinam quam legatos, quam duces. Agrippina aveva infatti preso alcune decisioni che avevano messo in salvo l’esercito romano. In quell’occasione uno dei comandanti era proprio Cecina Severo, che si sarebbe sentito “scavalcato” e frustrato dalle parole dell’imperatore e avrebbe in qualche modo tentato di prendersi una rivincita alcuni anni dopo. L’ipotesi appare fondata: già Koestermann 1963-1968, I, 483, in maniera più sfumata, aveva asserito che il catalogo dei uitia delle donne poteva far pensare ad Agrippina maggiore, Fulvia e Servilia; sulla stessa linea Zuccarelli 1967, 67. È piuttosto difficile individuare nel testo tacitiano espressioni che possano essere ricondotte all’originale di Severo: il celebre sintagma imbecillus sexus si ritrova – con leggere varianti – anche in Ann. 1, 56 (sed Chattis adeo inprouisus [Germanicus] aduenit, ut quod imbecillum aetate ac sexu statim captum aut trucidatum sit.) e in Quint. Decl. 368, 4 (sic mares feminis iunguntur ut inbecillior sexus praesidium ex mutua societate sumat), ma forme analoghe comparivano già in Cicerone: cf. Criniti 1999, 27 n. 23 e perciò non lo si può attribuire con sicurezza all’oratore. Dal punto di vista retorico Aubrion 1985, 664 mette in luce alcuni parallelismi lessicali – in verità deboli – esistenti fra i discorsi di Cecina e di Messalino: placitum olim ne feminae…traherentur (Cecina) / ut olim obsideri urbem bellis (Messalino); quae Oppiis quondam aliisque legibus constrictae nunc … regerent (Cecina) / placuisse quondam Oppias leges remissum aliquid postea (Messalino) e sottolinea come «la répétition de certains mots et le jeu des antonymes souligne l’opposition». Il testo è attentamente costruito: cf. il parallelismo antitetico pacem luxu / bellum formidine, la nutrita serie di iperbati, il ritmo trico37

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

lare (saeuum, ambitiosum, potestatis auidum – Koestermann 19631968, I, 483 lo definisce un «sallustianisches Dikolon» interpretando i primi due aggettivi come una sorta di endiadi – incedere inter milites,

Appendice 1 Tert. Pall. 4, 9. Conuerte et ad feminas. Habes spectare, quod Caecina Seuerus grauiter senatui impressit, matronas sine stola in publico; denique, Lentuli auguri[i]s consul[i]tis, quae ita sese exauctorassent, pro stupro erat poena, quoniam quidem indices custodesque dignitatis habitus ut lenocinii factitandi impedimenta sedulo quaedam desuefecerant.

Commento Di un intervento di Cecina Severo in senato a proposito dei costumi delle donne parla anche il De pallio di Tertulliano. Sia il riferimento a Severo sia quello immediatamente successivo a Lentulo provano che l’autore cristiano trasse ispirazione dal libro terzo degli Annales: infatti dell’augure Lentulo si parla al capitolo 59, in cui si oppone alla proposta di Servio Maluginense sulla possibilità per i flamini di Giove di governare province: cf. F 100. Tuttavia l’accenno alla stola, di cui non si parla in Tacito, aveva fatto pensare che il Cecina in questione non fosse lo stesso di Tacito. Una spiegazione fu proposta da T. D. Barnes, Tertullian. A Historical and Literary Study, Oxford 1971, 202, che pensò ad un errore di memoria di Tertulliano, che avrebbe associato al tema che stava trattando la reminiscenza tacitiana, senza però ricordare esattamente i termini della questione avanzata da Cecina Severo. Secondo Syme 2001, 431 «sembra probabile che l’erudito Tertulliano abbia co38

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habere ad manum centuriones; praesedisse nuper feminam), i poliptoti (duorum … duo). Interessante è la conclusione a climax domos .. fora … exercitus, che riprende ed amplia i temi del discorso.

Traduzione Tert. Pall. 4, 9. Rivolgiti anche alle donne. Puoi vedere ciò su cui Cecina Severo si impegnò a richiamare l’attenzione dei senatori: alcune matrone stavano in pubblico senza mantello; per le decisioni dell’augure Lentulo, la pena per quelle che si erano lasciate andare fino a questo punto era equivalente a quella dell’adulterio, poiché alcune di loro avevano senza esitazione fatto cadere in desuetudine gli abiti, segno e difesa della dignità, come se fossero una sorta di ostacolo alla pratica della seduzione.

lorito e ampliato quel che ricordava del testo di Tacito interpolando l’augur Lentulus da un episodio successivo dello stesso libro riguardante i sacerdozi nella religione di stato». Il quadro si è fatto più chiaro – e forse meno sminuente per Tertulliano – con le osservazioni di R. Uglione, Tertulliano. Teologo e scrittore, Brescia 2002, 213-214, che ha osservato come tutto il passo del De pallio costituisca una riscrittura con vistose allusioni intertestuali di Hor. Sat. 1, 2, 94-100, in cui si ritrova il cenno alle matrone senza stola. Tertulliano potrebbe perciò aver mal ricordato il testo tacitiano sulla scia di una lettura dell’opera oraziana: se le cose stanno così si tratta di un errore molto dotto, interessante dal punto di vista psicologico, ma che non ci consente di recuperare un ulteriore frammento dell’orazione. Talbert 1984, 239 ascrive l’intervento di Cecina ad un’altra occasione, prima del 25, ma non reca alcun elemento a sostegno. 39

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

5. Cn. Calpurnius Piso M 1832 = Ø ; D 1837 =Ø ; M 1842 = Ø Bibliografia specifica E. Groag, RE III, 1899, n° 70, 1380-1382; W. Eck, NP 2, 1997, n° II 16, 946-947; PIR2 C 287; Bergener 1965, 64-87; Crook 1955, n° 78, 156; Eck-Caballos 1996, 71-77 con bibliografia; Levick 1999, 107-108, 154-157, 200; Marsh 1959, 88-100; Shotter 1974; Syme 2001, 544-556. Dati biografici Gneo Calpurnio Pisone, figlio dello Gneo Pisone che aveva combattuto contro Cesare nella guerra civile ed era stato proquestore di Pompeo nella Spagna citeriore, nacque probabilmente nel 42 a.C. (Eck-Caballos 1996, 74; NP; la data potrebbe anche essere anticipata), fu triumviro monetale sotto Augusto (dopo il 23-22 a.C., difficilmente nel 15 a.C. come sostiene S. Blason Scarel, Instrumenta inscripta Latina. Sezione

Frammenti F9 In senatu de moderandis exundationibus Tiberis Qui nil mutandum censuerat.

F9 Tac. Ann. 1, 79, 4. Seu preces coloniarum seu difficultas operum siue superstitio ualuit, ut in sententiam Pisonis concederetr qui … censuerat.

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5. CN. CALPURNIUS PISO

Aquileiese. Catalogo della mostra di Aquileia, 22 marzo-12 maggio 1992, Mariano del Friuli 1992, 38: cf. Eck-Caballos 1996, 72-73), console ordinario nel 7 a.C. insieme a Tiberio, proconsole d’Africa, pontefice e governatore della Spagna citeriore dal 9-10 d.C.: cf. Tac. Ann. 3, 13, 1. Si discute se sia stato cooptato nel collegio dei Fratres Aruales nel 14 d.C.: cf. Eck-Caballos 1996, 75 n. 85. Strettamente legato sia ad Augusto sia a Tiberio, aveva incrementato la propria influenza grazie al matrimonio con Plancina, figlia di Lucio Munazio Planco, uomo politico di grande rilievo della seconda metà del I secolo a.C.e console nel 42 a.C.: cf. Eck-Caballos 1996, 87-88. Fu governatore della Siria dal 17 al 19 d.C. mostrando un atteggiamento antiellenico (Syme 2001, 544 e 547) e fu indicato come adiutor di Germanico, ma in realtà come suo controllore: cf. Marsh 1959 e Levick 1999, 154-155. Ciò determinò lo sviluppo di una serie di duri contrasti con il giovane titolare dell’imperium proconsulare maius e, alla morte sospetta di Germanico, fu proprio Pisone ad essere indicato da molti come responsabile di averlo avvelenato. Resosi conto dei rischi che correva, tentò di ribellarsi e di impadronirsi della Siria, ma fu sconfitto e costretto a tornare a Roma, dove venne processato nel dicembre del 20; prevedendo il probabile verdetto di condanna, si suicidò: cf. Tac. Ann. 3, 15, 3.

Traduzione F9 In senato sul contenimento delle piene del Tevere Il quale aveva proposto che non fosse cambiato nulla. Contesto F9 Tac. Ann. 1, 79, 4. Sia che avessero la meglio le suppliche delle colonie o che prevalesse la considerazione della difficoltà dei lavori o che si imponesse il sacro timore, avvenne che si accettò il parere di Gn. Pisone, il quale … nulla.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 10 De Tiberii absentia Piso, quamquam afuturum se dixerat Caesar, ob id magis agendas censebat, ut absente principe senatum et equites posse sua munia sustinere decorum rei publicae foret.

Tac. Ann. 2, 35, 1. = F 79

F 10

Commento F9 Rimando al commento di F 101. F 10 Per il contesto e la scelta di Tacito di narrare gli eventi cf. F 79. Davanti all’imperatore Pisone affermò che l’attività senatoriale doveva continuare con maggior fervore in sua assenza: sententia è vocabolo che indica, in contesti di questo tipo, «die Antwort des einzelnen Senators auf die Frage des Vorsitzenden» (Mommsen 1887, III 2, 977-978) e può perciò anche indicare un discorso articolato. Anche qui nel racconto di Tacito si verifica un turbamento nella procedura normale degli interventi senatoriali, visto che Pisone sembra parlare prima di Gallo, che era stato console prima di lui: cf. Talbert 1984, 264, che suggerisce l’inversione degli interventi. Dal punto di vista testuale il passo merita una certa attenzione. Ob id magis agendas (res) è effettivamente ellittico, come riconosciuto da Nipperdey-Andresen e Goodyear 1972-1981, II, 296, ma la correzione di Beroaldo agendum è facilior. La proposta di Merkelbach è effettivamente seducente, ma l’ipotesi di un’abbreviazione i. d. caduta per aplografia risulta poco probabile perché tale abbreviazione non è attestata F 10 2 ob id magis agendas M dubitanter Borzsák agendum Beroaldus (in margine M littera -m est) ob id (iuris dictiones) magis agendas Merkelbach SIFC 77, 1984, 107 || 3-4 ut … foret M fore M in margine et … fore Gronov quod … foret Weissenborn [ut] … fore Goodyear 1972-1981

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5. CN. CALPURNIUS PISO

F 10 Sull’assenza di Tiberio Pisone, quantunque Cesare avesse detto che si sarebbe assentato, riteneva che ancora di più per quel motivo si dovessero trattare gli affari pubblici, affinché fosse elemento di onore per lo stato che il senato ed i cavalieri potessero svolgere le loro funzioni anche in assenza dell’imperatore. Contesto Tac. Ann. 2, 35, 1 = F 79

F 10

per il termine iuris dictiones. Siccome il testo, pur essendo difficile, non è incomprensibile risulta più prudente mantenere la lezione di M. Più complesso il secondo caso, in cui è M stesso a correggere foret in fore. Goodyear 1972-1981, II, 296 trova la sintassi problematica ed osserva che siamo probabilmente di fronte ad una “imperfect conflation” tacitiana di due idee, che il senato ed i cavalieri dimostrassero di essere capaci di svolgere i propri compiti e che ciò costituisse un onore per lo stato. Egli trova ragionevole l’emendamento di Gronov et … fore, che darebbe vita ad un’infinitiva al posto della finale, ma propone dubitativamente quod al posto di ut o l’espunzione di ut. Tuttavia la costruzione di censeo con ut in Tacito è molto frequente: cf. GG 161 e e. g. Hist. 2, 10 (censuerant patres, ut accusatorum causae noscerentur); 4, 9, 1 (censuerat Heluidius ut Capitolium publice restitueretur, adiuuaret Vespasianus); 4, 40, 1 (censuit Curtius Montanus ut Pisonis quoque memoria celebraretur); Ann. 1, 8, 1. Anche se qui la prolessi di ob id appesantisce il discorso, non credo che siano sufficienti le argomentazioni di Goodyear per variare il testo. Il fore di M in margine può essere considerato una lettura banalizzante di un correttore che sentiva come maggiormente agevole il costrutto con l’infinitiva. Dal punto di vista contenutistico è interessante il cenno ai cavalieri, che qui devono svolgere le loro funzioni di giudici: nelle parole di Calpurnio Pisone il senato deve mantenere la sua autonomia dall’imperatore, ma non contro l’imperatore. Zecchini 1999, 313 mette in luce come «questa sua presa di posizione rivela in lui un fermo conservatore, deciso a contrastare ogni deriva autocratica e a mantenere il principato nei civili confini della collaborazione col senato». 43

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

6. Tiberius Claudius Nero = Tiberius Iulius Caesar imperator M 1832 = 231-232; D 1837 = 350-351; M 1842 = 551-556 Bibliografia specifica M. Gelzer, RE X, 1917, n° 154, 478-536; W. Eck, NP 12/1, 2002, n° 1, 532-535; PIR2 C 941; Schanz-Hosius, II, 419-422; Adams 1973, 124-144; Aubrion 1985, 557-573; Bardon 1940, 107-115; Bardon 1956, 154-155; Bowersock 1965; Bringmann 1971; Briscoe 1993; Bruno 1990; Cucheval 1893, I, 294-312; Dobiᣠ1960; Eck 1993; Eck 1995; Gascou 1984; Geiger 1970; Goodyear 1984, 603-606; Kierdorf 1969; Kornemann 1962; Leeman 1963-1974, 321-322; Levick 1999; Manuwald 1973; Manuwald 1979, 131-166; Marsh 1959; Millar 1964; Miller 1964; Münkel 1959, 51-57; Rogers 1935; Sage 1983; Seager 20052; Shotter 1978; Syme 1974, passim; Yavetz 1999. Dati biografici Tiberio nacque nel 42 a.C., figlio di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla: cf. Levick 1999, 11-15 e Seager 20052, 5-8. Ebbe un’infanzia difficile, culminata con la perdita del padre a soli nove anni d’età, e fu affidato insieme al fratello Druso alla tutela di Ottaviano. Assunse la toga virile nel 27 e si distinse nelle spedizioni contro i Cantabri e nel resto della Spagna tra il 26 e il 24. Nel 23 iniziò il cursus honorum ricoprendo la questura. Nel 20, al comando di un esercito, riportò Tigrane sul trono di Armenia; ritornando a Roma si fermò brevemente a Rodi dove seguì le lezioni di Teodoro di Gadara: cf. Pani 1972, 17-23. Quint. Inst. 3, 1, 17 data il discepolato di Tiberio all’epoca dell’esilio, ma Damascio in Vita Isidori 64 lo colloca negli anni giovanili: ajlla; kai; Tiberivw/ o{no", wJ" Plouvtarco" oJ Cairwneuv" fhsin, e[ti meirakivw/ o[nti kai; ejn ÔRovdw/ ejpi; lovgoi" rJhtorikoi '" diatrivbonti, th;n basileivan dia; tou' aujtou' paqhvmato" proemhvnusen; per altro è verosimile che Teodoro, che fu a Roma per un certo periodo verso il 30 a.C., abbia conosciuto Tiberio fanciullo: cf. Bardon 1940, 109 e Levick 1999, 230 n. 32. Nel 20 o nel 19 sposò Vipsania Agrippina: cf. Levick 1999, 27; nel 16 assunse la pretura e tra il 15 e il 14 combatté al seguito di Ottaviano contro le popolazioni di Rezia e Vindelicia. Nel 13 fu per la prima volta console; nel 12 dovette ripudiare Vipsania Agrippina e nell’11 sposare 44

6. TIBERIUS CAESAR

Giulia figlia di Augusto: cf. Suet. Aug. 63, 2 e Seager 20052, 20. Sconfisse nell’11 e nel 9 Dalmati e Pannonici che si erano ribellati a più riprese; nello stesso 9 riportò a Roma il cadavere del fratello Druso e nell’8 combatté altre campagne contro i Germani; rivestì per la seconda volta il consolato nel 7 e nel 6 ricevette la tribunicia potestas. All’apice della carriera, disgustato dal comportamento della moglie e non accettando probabilmente l’idea di essere scavalcato dai due giovani nipoti di Augusto Gaio e Lucio Cesare, abbandonò Roma e si ritirò in volontario esilio a Rodi, dove rimase per sette anni: cf. Levick 1999, 31-38, Shotter 1994, 20-21 e Seager 20052, 23-29; divorziò da Giulia nel 2 a.C.; ritornato a Roma all’inizio del nuovo secolo, fu escluso dagli incarichi pubblici, ma la morte di Lucio Cesare nel 2 d.C. e di Gaio nel 4 costrinsero Augusto a rivolgersi ancora una volta al figliastro, che fu adottato insieme ad Agrippa Postumo quattro mesi dopo la morte di Gaio. Ricevette la tribunicia potestas per la seconda volta e per dieci anni; fu inviato sul Reno a combattere le popolazioni germaniche ottenendo alcuni successi; dopo il disastro di Varo riuscì, insieme a Germanico, a porre rimedio alla situazione e nel 14 fu associato all’impero. Alla morte di Augusto gli succedette rivestendo altre volte il consolato ed ottenendo ulteriori rinnovi della potestà tribunizia. Governò per ventitré anni rafforzando all’interno il proprio potere senza però cancellare le prerogative senatoriali; all’esterno consolidò le frontiere in Occidente ed Oriente: cf. Pani 1972 e Seager 20052, 81-83 e 138-146; si ritirò quindi a Capri, lasciando gran parte del peso del governo ai suoi favoriti Seiano (morto nel 31 d.C.) e Macrone: cf. Seager 20052, 151-188. Morì a Miseno il 16 marzo del 37 d.C. La ricostruzione dell’educazione di Tiberio negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza si fonda più su presupposti ed analogie con altri personaggi che su dati concreti; in ogni caso, è probabile che egli abbia seguito, dopo l’iniziale e tradizionale educazione in famiglia, il percorso normale delle scuole del grammaticus e del rhetor: cf. Bardon 1940, 107-108 e Levick 1999, 15-18. Ebbe come maestri l’accademico Nestore di Tarso, che lo introdusse alla filosofia, l’oratore Marco Valerio Messalla Corvino, ma soprattutto Teodoro di Gadara, che ne plasmò le tendenze linguistiche e stilistiche: cf. T 10. Secondo Suet. Tib. 70, 2 Tiberio apprezzò fortemente i poeti Euforione, Riano e Partenio di Nicea. Amò costantemente circondarsi di grammatici ai quali poneva numerosi quesiti e si dedicò a comporre poesie in greco ed in latino: tra le prime alcuni Graeca poemata sullo stile degli alessandrini a lui cari, tra le seconde una Conquestio de morte Luci Caesaris in metro lirico: cf. Suet. Tib. 70, 45

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2-3, Bardon 1940, 110 e Goodyear 1984, 606. Scrisse in prosa anche un commentarius de uita sua (Tib. 61, 1; cf. Lana 1952, 37-39 e Goodyear 1984, 605-606), numerose lettere e pronunciò parecchie orazioni; il lessico Suda (s. v.) testimonia che scrisse anche una tevcnh rJhtorikhv. Sve-

Testimonianze T9 Sen. Suas. 3, 7. Tiberius ipse Theodoreus offendebatur Nicetis ingenio; itaque delectatus est fabula Gallionis. T 10 Quint. Inst. 3, 1, 17-18. Praecipue tamen in se conuerterunt studia Apollodorus Pergamenus, qui praeceptor Apolloniae Caesaris Augusti fuit, et Theodorus Gadareus, qui se dici maluit Rhodium: quem studiose audisse cum in eam insulam secessisset dicitur Tiberius Caesar. T 11 Suet. Aug. 86, 2. Cacozelos et antiquarios, ut diuerso genere uitiosos, pari fastidio spreuit exagitabatque nonnumquam […] Sed nec Tiberio parcit et exoletas interdum et reconditas uoces aucupanti. T 12 Suet. Tib. 33, 1. Paulatim principem exeruit praestititque etsi uarium diu, commodiorem tamen saepius et ad utilitates publicas proniorem. Ac primo eatenus interueniebat, ne quid perperam fieret. Itaque et constitutiones senatus quasdam rescidit et magistratibus pro tribunali cognoscentibus plerumque se offerebat consiliarium assidebatque iuxtim uel exaduersum in parte primori; et si quem reorum elabi gratia rumor esset, subitus aderat iudicesque aut e plano aut e quaesitoris tribunali legum et religionis et noxae, de qua cognoscerent, admonebat […].

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tonio (T 14) afferma che artes liberales utriusque generis studiosissime coluit e Velleio Patercolo (2, 94, 2) lo ritiene optimis studiis maximoque ingenio instructissimus. Tiberio appare quindi un imperatore colto nella linea di Augusto ed anticipatore dell’erudito Claudio.

Traduzione T9 Sen. Suas. 3, 7. Tiberio, per quanto fosse anch’egli allievo di Teodoro, era infastidito dallo stile di Niceta; così gli piacque il racconto di Gallione. T 10 Quint. Inst. 3, 1, 17-18. Tuttavia attirarono l’interesse su di sé soprattutto Apollodoro di Pergamo, che fu precettore di Cesare Augusto ad Apollonia, e Teodoro di Gadara, che preferì farsi chiamare Rodio: si racconta che Tiberio Cesare l’abbia ascoltato con attenzione quando si ritirò in quell’isola. T 11 Suet. Aug. 86, 2. [Augusto] disprezzò in modo eguale i leziosi e gli arcaizzanti come caratterizzati dallo stesso difetto. […] Ma non risparmia neppure Tiberio, che andava in caccia talvolta di espressioni arcaiche e disusate. T 12 Suet. Tib. 33, 1. A poco a poco si affermò come principe e, per quanto a lungo mutevole, si mostrò nondimeno alquanto affabile e ben disposto verso il bene comune. E all’inizio interveniva solo affinché non si assumessero comportamenti contrari alla giustizia. Perciò annullò alcuni provvedimenti senatoriali; si offriva per lo più come consigliere ai magistrati che celebravano processi in tribunale e si sedeva vicino o dirimpetto nelle prime file e, se circolava la voce che qualche accusato poteva essere graziato, con prontezza si avvicinava e dalla platea o dalla tribuna del questore ricordava ai giudici le leggi, il giuramento prestato e il reato per cui stavano celebrando il processo […]. 47

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T 13 Suet. Tib. 57, 1-2. Saeua ac lenta natura ne in puero quidem latuit; quam Theodorus Gadareus rhetoricae praeceptor et perspexisse primus sagaciter et assimilasse aptissime uisus est, subinde in obiurgando appellans eum phlo;n ai{mati pefuramevnon , id est lutum a sanguine maceratum. Sed aliquanto magis in principe eluxit, etiam inter initia cum adhuc fauorem hominum moderationis simulatione captaret.

T 14 Suet. Tib. 70, 1. Artes liberales utriusque generis studiosissime coluit. In oratione Latina secutus est Coruinum Messalam, quem senem adulescens obseruarat. Sed adfectatione et morositate nimia obscurabat stilum, ut aliquanto ex tempore quam a cura praestantior haberetur.

T 15 Tac. Ann. 4, 31, 2. Quin ipse [= Tiberius], compositus alias et uelut eluctantium uerborum, solutius promptiusque eloquebatur quotiens subueniret. T 16 Tac. Ann. 13, 3, 2. Nam dictator Caesar summis oratoribus aemulus; et Augusto prompta ac profluens, quae deceret principem, eloquentia fuit. Tiberius artem quoque callebat qua uerba expenderet, tum ualidus sensibus aut consulto ambiguus. T 17 Fro. Ver. 2, 1. Postquam res publica a magistratibus annuis ad C. Caesarem et mox ad Augustum tralata est, Caesari quidem facultatem dicendi uideo imperator fuisse, Augustum uero saeculi resid elegantia et Latinae linguae etiam tum integro lepore potius quam dicendi ubertate praeditum puto. Post Augustum non nihil reliquiarum iam et uietarum et tabescentium Tiberio illi superfuisse.

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T 13 Suet. Tib. 57, 1-2. La sua natura crudele e caparbia fu evidente fin da quando era bambino; sembra che Teodoro di Gadara, suo insegnante di retorica, l’abbia con sagacia constatata per primo e l’abbia definita in modo estremamente preciso quando sovente nei suoi rimproveri lo chiamava phlo;n ai{mati pefuramevnon, cioè fango impastato di sangue. Ma essa si mise particolarmente in luce nel principe fin dai suoi esordi, quando cercava di conquistarsi il favore degli uomini fingendo moderazione. T 14 Suet. Tib. 70, 1. Coltivò in modo egregio entrambi i generi delle arti liberali. Nell’eloquenza in lingua latina si ispirò allo stile di Messala Corvino, al cui seguito si era posto da ragazzo quando egli era vecchio. Tuttavia rendeva oscuro il suo stile con l’eccesso di affettazione e di pedanteria puristica, tanto che era considerato molto più efficace quando parlava in modo estemporaneo che quando si preparava accuratamente. T 15 Tac. Ann. 4, 31, 2. Ed anzi egli [Tiberio], mentre altre volte era misurato e quasi aveva difficoltà ad esprimersi, parlava con alquanta facilità e scioltezza tutte le volte in cui veniva in soccorso di qualcuno. T 16 Tac. Ann. 13, 3, 2. Infatti Cesare dittatore aveva raggiunto i livelli dei migliori oratori; Augusto ebbe un’eloquenza pronta e fluente, quale si addice ad un principe. Anche Tiberio era esperto dell’arte di pesar le parole, sia che volesse essere efficace nei concetti sia che volesse essere deliberatamente ambiguo. T 17 Fro. Ver. 2, 1. Dopo che il governo dello stato fu trasferito dai magistrati annuali nelle mani di Gaio Cesare e poi di Augusto, osservo che Cesare ebbe un’eloquenza degna di un imperatore, mentre ritengo che Augusto fu dotato dell’eleganza della fine del secolo e del brio della lingua latina che allora possedeva ancora tutta la sua integrità, piuttosto che della copiosità oratoria. Dopo Augusto Tiberio conservò qualche resto di quella grandezza, ma ormai vizzo e in dissoluzione.

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T 18 D.C. 60, 10, 2-3. Kai; tau'ta me; ajei; oJsavki" uJpavteusen ejgevneto: tovte de; lovgou" tina;" ejn th '/ noumhniva/ tou' te Aujgouvstou kai; tou' Tiberivou kata; dovgma ajnagignwskomevnou", w{ste kai; mevcri th '" eJspevra" tou;" bouleuta;" parateivnesqai, e[pausen, ajrkou 'n ei\nai fhvsa" ejn tai '" sthvlai" aujtou;" ejggegravfqai. T 19 Char. Barwick 19642, 271. Quamquam diuus Augustus reprehendens Ti. Claudium ita loquitur ‘scribis enim peruiam ajnti; tou' obiter. T 20 Ps. Aur. Vict. Epit. 2, 4. Inerat ei [= Tiberio] scientia litterarum multa. Eloquio clarior sed ingenio pessimus […].

Frammenti F 11 Patris defuncti laudatio funebris (= M 1842, Tiberius Caesar fr. 1) Nouem natus annos defunctum patrem pro rostris laudauit.

Suet. Tib. 6, 3-4. Nouem … laudauit.

F 11

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T 18 D.C. 60, 10, 2-3. E [Claudio] agì in questo modo ogni volta che rivestì il consolato: allora abolì la disposizione di legge che prescriveva che alcuni discorsi di Augusto e Tiberio venissero letti il primo giorno del mese, cosicché i senatori risultavano occupati fino alla sera; come ragione addusse il fatto che era sufficiente che questi discorsi fossero stati incisi su colonne. T 19 Char. Barwick 19642, 271. Quantunque il divino Augusto, rimproverando Tiberio Claudio, dica così: «Scrivi infatti peruiam al posto di obiter». T 20 Ps. Aur. Vict. Epit. 2, 4. Tiberio possedeva una vasta conoscenza letteraria. Era piuttosto famoso per la sua eloquenza, ma pessimo quanto all’indole […].

Traduzione F 11 Elogio funebre del padre defunto All’età di nove anni pronunciò dai rostri l’elogio funebre del padre defunto. Contesto Suet. Tib. 6, 3-4. All’età … defunto.

F 11

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FF 12-13 Pro rege Archelao – Pro Trallianis – Pro Thessalis F 12 Ciuilium officiorum rudimentis regem Archelaum Trallianos et Thessalos, uaria quosque de causa, Augusto cognoscente defendit. F 13 To;n de; dh; ∆Arcevlaon to;n th '" Kappadokiva" basileva di∆ ojrgh '" scwvn, o{ti provterovn oiJ uJpopeptwkw;" w{ste kai; sunhgovrw/, o{te ejpi; tou ' Aujgouvstou uJpo; tw'n ejpicwrivwn kathgorhvqh, crhvsasqai. F 14 Pro Laodicenis, Thyatirenis et Chiis Pro Laodicenis Thyatirenis Chiis terrae motu afflictis opemque implorantibus senatum deprecatus est. F 15 In Fannium Caepionem Fannium Caepionem, qui cum Varrone Murena in Augustum conspirauerat, reum maiestatis apud iudices fecit et condemnauit.

FF 12, 14, 15 Suet. Tib. 8, 1. Ciuilium … condemnauit. F 13 D.C. 57, 17, 3. To;n de; dh; ∆Arcevlaon … crhvsasqai, meta; tou'to aujtou' me;n ej" th;n ÔRovdon ajpelqovnto" hjmevlhse, to;n de; dh; Gavion ej" th;n ∆Asivan ejlqovnta ejqeravpeuse, metepevmyato wJ" kai; newterivzontav ti, kai; th '/ th'" gerousiva" yhvfw/ parevdwken. F 12 1 Trallianos dett. Campanus (editio Romana anni 1470) Trailianos (-Iinos pQ) M G V Utracilianos X corr. j || 2 quosque M quoque G P1 S F 13 1 scwvn codd. e[cwn Naber in litteris || 2 ejpi; R. Stephanus uJpo; M

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FF 12-13 In difesa di Archelao, degli abitanti di Tralle, dei Tessali F 12 Nelle prime prove di esercizio dei pubblici uffici, mentre Augusto istruiva i processi, difese il re Archelao, gli abitanti di Tralle ed i Tessali, ciascuno per una causa diversa […]. F 13 Irritatosi contro Archelao re di Cappadocia, perché, dopo essersi dapprima prostrato davanti a lui così da convincerlo a fargli da avvocato difensore quando, ai tempi di Augusto, era stato accusato dai suoi sudditi […]. F 14 In difesa degli abitanti di Laodicea, Tiatira e Chio. Rivolse preghiere al senato per gli abitanti di Laodicea, Tiatira e Chio, che erano stati colpiti dal terremoto e imploravano aiuti. F 15 Contro Fannio Cepione. Accusò di lesa maestà di fronte ai giudici e fece condannare Fannio Cepione che aveva ordito una cospirazione contro Augusto insieme a Varrone Murena. Contesto FF 12, 14, 15 Suet. Tib. 8, 1. Nelle … Murena. F 13 D.C. 57, 17, 3-4. Irritatosi … sudditi, dopo questo evento l’aveva trascurato quando egli si era recato a Rodi, mentre si era occupato di Gaio quando era andato in Asia, lo convocò imputandogli l’accusa di fomentare ribellioni e lo affidò al voto del senato […].

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F 16 Drusi laudatio funebris (= Aug., Laudatio funebris Neronis Claudii Drusi, XIX, Malcovati 19695, 78 = De Biasi-Ferrero 2003, 480-481) Kai; aujtou' ejn th'/ ajgora'/ proteqevnto" diplou'" oJ ejpitavfio" ejlevcqh: o{ te ga;r Tibevrio" ejntau 'qa aujto;n ejph/vnese, kai; oJ Au[gousto" ejn tw '/ Flaminivw/ iJppodrovmw/ […]. F 17 In senatu de Augusti morte Iure autem tribuniciae potestatis coacto senatu incohataque adlocutione derepente uelut impar dolori congemuit, utque non solum uox sed et spiritus deficeret optauit ac perlegendum librum Druso filio tradidit.

F 18 Diui Augusti laudatio funebris (= M 1842, Tiberius Caesar fr. 2) Verum adhibito honoribus modo bifariam laudatus est: pro aede Diui luli a Tiberio et pro rostris ueteribus a Druso Tiberi filio.

F 16 D.C. 55, 2, 1-2. Tau'ta me;n ou{tw" e[sce, propuqovmeno" d∆ oJ Au[gousto" o{ti nosei' ouj ga;r h\n povrrw, to;n Tibevrion kata; tavco" e[pemye: kai; o}" e[mpnoun te aujto;n katevlabe kai; ajpoqanovnta ej" th;n ÔRwvmhn ejkovmise, ta; me;n prw 'ta mevcri tou' ceimadivou tou' stratou' diav te tw'n eJkatontavrcwn kai; dia; tw'n ciliavrcwn, ejkei'qen de; dia; tw 'n kaq∆ eJkavsthn povlin prwvtwn bastavsa". Kai; aujtou' … iJppodrovmw/ […].

Suet. Tib. 23, 1. Iure … tradidit.

F 17

F 18 Suet. Aug. 100, 3-4. Verum … filio ac senatorum umeris delatus in Campum crematusque.

F 17 2 tribunicia M || 3 et om. M F 18 2 modo om. p Q R

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F 16 Elogio funebre di Druso E dopo che lo stesso (cadavere di Druso) fu portato nel foro, furono pronunciate due orazioni funebri: infatti Tiberio ne pronunciò l’elogio in quel luogo e Augusto nel circo Flaminio […]. F 17 In senato sulla morte di Augusto. Convocato il senato con l’autorità della potestà tribunizia e iniziata l’allocuzione, improvvisamente, come se non riuscisse a sopportare il dolore, si mise a singhiozzare ed espresse il desiderio che non soltanto la voce, ma anche la vita gli venisse meno e affidò al figlio Druso il suo testo perché lo leggesse. F 18 Elogio funebre del divino Augusto Ma, posto un limite alle onoranze, fu elogiato due volte: da Tiberio davanti al tempio del Divo Giulio e da Druso, figlio di Tiberio, dai rostri antichi. Contesto F 16 D.C. 55, 2, 1-2. […] Le cose stavano così; Augusto, avendo saputo che (Druso) era ammalato (non si trovava infatti a grande distanza), inviò a gran velocità Tiberio; ed egli lo trovò che respirava ancora e, quando morì, portò il suo corpo a Roma facendolo trasportare in spalla in un primo tempo dai centurioni e dai tribuni militari fino ai quartieri d’inverno dell’esercito, poi da lì in avanti dai cittadini più eminenti di qualsiasi città attraversata. E dopo … Flaminio […]. F 17 Suet. Tib. 23, 1. Convocato … leggesse. F 18 Suet. Aug. 100, 3-4. Ma … antichi; poi fu portato sulle spalle dai senatori nel campo Marzio e lì cremato.

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F 19 oJ Tibevrio" dhmovsion dhv tina kata; dovgma lovgon ejp∆ aujtw '/ toiovnde ejpelevxato: De imperio accipiendo.

FF 20-21-22-23

F 20 Dum ueniam ad id tempus, quo uobis aequum possit uideri dare uos aliquam senectuti meae requiem. […] Quem maxime casum timens, partes sibi quas senatui liberet, tuendas in re p. depoposcit, quando uniuersae sufficere solus nemo posset nisi cum altero uel etiam cum pluribus.

F 19 D.C. 56, 34, 4-42, 1. Proteqeivsh" de; th'" klivnh" ejpi; tou' dhmhgorikou' bhvmato", ajpo; me;n ejkeivnou oJ Drou'sov" ti ajnevgnw, ajpo; de; tw'n eJtevrwn ejmbovlwn tw'n ∆Ioulieivwn [perperam R. Stephanus] oJ Tibevrio" … ejpelevxato […] F 20 Suet. Tib. 24, 1-2-25, 1. Principatum, quamuis neque occupare confestim neque agere dubitasset, et statione militum, hoc est ui et specie dominationis assumpta, diu tamen recusauit […] Tandem quasi coactus et querens miseram et onerosam iniungi sibi seruitutem, recepit imperium; nec tamen aliter quam ut depositurum se quandoque spem faceret. Ipsius uerba sunt: «Dum … requiem». […] 25 Germaniciani quidem etiam principem detrectabant non a se datum, summaque ui Germanicum, qui iis tum praeerat, ad capessendam rem p. urgebant, quamquam obfirmate resistentem. Quem … pluribus. Simulauit et ualitudinem, quo aequiore animo Germanicus celerem successionem uel certe societatem principatus opperiretur.

F 20 4 cum pluribus codd. compluribus p

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F 19 Tiberio pronunciò per lui un discorso di tal tenore secondo il decreto stabilito. FF 20-21-22-23 Sull’assunzione del potere. F 20 «Finché io arrivi a quel momento in cui possa sembrarvi giusto concedere un po’ di riposo alla mia vecchiaia» […] Temendo soprattutto quell’evenienza, chiese di assumere il controllo di quelle parti che il senato fosse d’accordo di concedere, dal momento che nessuno può da solo bastare all’intero stato se non con un’altra persona o anche con più di una. Contesto F 19 D.C. 56, 34, 41-42, 1. Dopo che il feretro fu collocato sulla tribuna degli oratori, da quello Druso lesse qualcosa, mentre dagli altri rostri, quelli Giulii, Tiberio … stabilito. […] F 20 Suet. Tib. 24, 1-2-25,1. Quantunque non avesse esitato né ad assumere subito il potere imperiale né ad esercitarlo, ed attribuendosi anche la scorta di un picchetto di soldati, cioè la forza concreta e le forme esteriori del potere, tuttavia a lungo rifiutò il principato […] Infine, quasi fosse stato costretto e lamentandosi del fatto che gli veniva imposta una schiavitù miseranda ed onerosa, assunse il potere ma non senza manifestare la speranza di deporlo un giorno. Le sue parole sono: «Finché … vecchiaia». […] Le truppe di Germanico, per altro, rifiutavano il principe che non era stato eletto da loro e incitavano con grandissima insistenza Germanico, che allora le capeggiava, a impadronirsi dello stato, quantunque egli opponesse una solida resistenza. Temendo … una.

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F 21 Et ille uarie disserebat de magnitudine imperii, sua modestia. Solam diui Augusti mentem tantae molis capacem: se in partem curarum ab illo uocatum experiendo didicisse quam arduum, quam subiectum fortunae regendi cuncta onus. Proinde in ciuitate tot inlustribus uiris subnixa non ad unum omnia deferrent: plures facilius munia rei publicae sociatis laboribus exsecuturos.

F 22 Kai; to; me;n prw 'ton kai; pa'san aujth;n diav te th;n hJlikivan (e}x ga;r kai; penthvkonta e[th ejgegovnei ) kai; di∆ ajmbluwpivan (plei'ston ga;r tou ' skovtou" blevpwn ejlavcista th '" hJmevra" eJwvra ) ejxivstasqai e[legen: e[peita de; koinwnouv" tev tina" kai; sunavrconta", ou[ti ge kai; pavntwn kaqavpax w{sper ejn ojligarciva/, ajll∆ ej" triva mevrh nevmwn aujthvn, h[/tei, kai; to; me;n aujto;" e[cein hjxivou, tw'n de; eJtevrwn a[lloi" parecwvrei.

F 21 Tac. Ann. 1, 11, 1-2. Versae inde ad Tiberium preces. Et ille … exsecuturos. Plus in oratione tali dignitatis quam fidei erat; Tìberioque etiam in rebus quas non occuleret, seu natura siue adsuetudine, suspensa semper et obscura uerba; tunc uero nitenti ut sensus suos penitus abderet, in incertum et ambiguum magis implicabantur. F 22 D.C. 57, 2, 4-5. Tau'tav te ou\n ou{tw" e[prasse, kai; ta; th '" ajrch'" e[rgw/ pavnta dioikw'n hjrnei'to mhde;n aujth'" dei'sqai. Kai; … parecwvrei. «Hn de; tau 'ta e}n me;n h{ te ÔRwvmh kai; hJ a[llh ∆Italiva, e{teron de; ta; stratovpeda, kai; e{teron oiJ loipoi; uJphvkooi.

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F 21 Ed egli dissertava variamente sulla grandezza dell’impero e sulla propria modestia. Soltanto la mente del divino Augusto era stata in grado di assumersi un tale peso: Tiberio, chiamato da lui a partecipare all’amministrazione, aveva imparato per esperienza quanto il peso di esercitare tutto il potere fosse oneroso e sottoposto ai capricci della sorte. Perciò, poiché lo stato poteva valersi di un così alto numero di illustri persone, non dovevano affidare ad uno solo l’intero potere: più persone avrebbero svolto con maggiore facilità, grazie all’unione degli sforzi, i compiti di governo. F 22 E innanzi tutto dichiarava di voler evitare la piena responsabilità per via dell’età (infatti aveva 56 anni) e della vista corta (infatti mentre vedeva molto bene nell’oscurità, i suoi occhi funzionavano pochissimo di giorno); poi richiedeva alcuni colleghi che si assumessero insieme a lui la responsabilità di governare, non collegialmente, come in un regime oligarchico, ma dividendo il potere in tre parti, una delle quali egli intendeva detenere, mentre concedeva agli altri le altre due. Contesto F 21 Tac. Ann. 1, 11, 1-2. Furono rivolte preghiere a Tiberio. Ed egli … governo. In un simile discorso vi era più ostentazione che sincerità; del resto Tiberio, o per sua natura o per consuetudine, parlava sempre in modo ambiguo ed oscuro anche quando toccava temi che trattava senza finzioni: ma nel momento in cui si sforzava di celare profondamente i suoi pensieri, le parole risultavano intrecciate di incertezza ed ambiguità. F 22 D.C. 57, 2, 4-5. E pur reggendo di fatto l’intera responsabilità del governo, diceva di non desiderarla assolutamente. E … due. La prima di queste era Roma e il resto dell’Italia, la seconda gli eserciti, la terza i restanti sudditi che vivevano nell’impero.

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F 23 Aestimantes enim ex animo eum longa oratione imperialis molestiae magnitudinem declinare FF 24-25 Altercatio Tiberii cum Asinio Gallo F 24 Dixit forte Tiberius se ut non toti rei publicae parem, ita quaecumque pars sibi mandaretur eius tutelam suscepturum. [ … ] Dein collecto animo respondit nequaquam decorum pudori suo legere aliquid aut euitare ex eo cui in uniuersum excusari mallet. F 25 Kai; pw'" oi|ovn tev ejstin […] to;n aujto;n kai; nevmein ti kai; aiJrei'sqai

F 23 Ps. Aur. Vict. Epit. 2, 6-7. Denique delatum a patribus principatum (quod quidem astu fecerat) ficte abnuere, quid singuli dicerent uel sentirent, atrociter explorans: quae res bonos quosque pessumdedit. Aestimantes … declinare, cum sententias ad eius uoluntatem promunt, incidere exitia postrema. F 24 Tac. Ann. 1, 12, 1-3. Inter quae senatu ad infimas obtestationes procumbente, dixit … suscepturum. Tum Asinius Gallus [F 71] Perculsus inprouisa interrogatione paulum reticuit: dein … mallet. Rursum Gallus [F 73] Nec ideo iram eius leniuit […]. F 25 D.C. 57, 2, 6-7. [FF 72, 74] wJ" ou\n polu;" ejnevkeito, oiJ me;n a[lloi kai; w}" ajntevlegon dh'qen kai; ejdevonto aujtou ' a[rcein pavntwn, ∆Asivnio" de; dh; Gavllo" parrhsiva/ ajeiv pote patrwv/a/ kai; uJpe;r to; sumfevron aujtw '/ crwvmeno" [F 72] kai; Tibevrio" «kai; … ei\pen … aiJrei'sqai…» sunei;" ou\n oJ Gavllo" ejn w|/ kakou' ejgegovnei, tw'/ me;n lovgw/ ejqeravpeusen aujtovn, uJpolabw;n o{ti [F 74], ouj mevntoi kai; tw '/ e[rgw/ ejtiqavseusen, ajlla; polla; kai; deina; propaqw;n meta; tau'ta ejpapesfavgh.

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F 23 Infatti, credendo che egli in tutta sincerità rifiutasse con un lungo discorso il peso oneroso dell’impero […] FF 24-25 Altercatio di Tiberio con Asinio Gallo F 24 Tiberio disse in modo estemporaneo che, se non era adeguato a governare tutto lo stato, però avrebbe assunto la tutela di qualunque parte gli si affidasse […]; poi, recuperato l’autocontrollo, rispose che al suo rispetto non si confaceva in alcun modo scegliere o tralasciare una parte di ciò da cui avrebbe preferito essere completamente dispensato. F 25 E come è possibile che la stessa persona divida qualcosa in parti e faccia la sua scelta? Contesto F 23 Ps. Aur. Vict. Epit. 2, 6-7. Infine finse di rifiutare il principato offerto dai senatori (l’aveva fatto per astuzia), verificando senza esitazione quanto ciascuno dicesse o pensasse: questo atto rovinò anche alcuni buoni cittadini. Infatti … impero, nel momento in cui espressero il loro parere secondo la sua volontà, incapparono nell’estrema rovina. F 24 Tac. Ann. 1, 12, 1-3. Intanto, mentre il senato si piegava alle suppliche più basse, Tiberio … affidasse Allora Asinio Gallo disse. [F 71]. Colpito dalla domanda improvvisa, tacque per un po’: poi … dispensato. Di nuovo Gallo disse [F 73]. Né così mitigò la sua ira […]. F 25 D.C. 57, 2, 6-7. [FF 72, 74] E Tiberio rispose: «E come … scelta».

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FF 26-27 Altercatio Tiberii cum Q. Haterio F 26 Ignoscas … rogo si quid aduersus te liberius sicut senator dixero. F 27 Dixi et nunc et saepe alias, p. c., bonum et salutarem principem, quem uos tanta et tam libera potestate instruxistis, senatui seruire debere et uniuersis ciuibus saepe et plerumque etiam singulis; neque id dixisse me paenitet, et bonos et aequos et fauentes uos habui dominos et adhuc habeo. FF 28-29 In senatu de Germanici Drusique uictoriis F 28 Rettulit tamen ad senatum de rebus gestis multaque de uirtute eius memorauit, magis in speciem uerbis adornata quam ut penitus sentire crederetur. Paucioribus Drusum et finem Illyrici motus laudauit, sed intentior et fida oratione.

FF 26-27 Suet. Tib. 29, 1. Dissentiens in curia a Q. Haterio «Ignoscas … dixero». Et deinde omnis adloquens: «Dixi … habeo». F 28 Tac. Ann. 1, 52, 1-3. Nuntiata ea Tiberium laetitia curaque adfecere: gaudebat oppressam seditionem, sed quod largiendis pecuniis et missione festinata fauorem militum quaesiuisset, bellica quoque Germanici gloria angebatur Rettulit … oratione. Cunctaque quae Germanicus indulserat seruauit etiam apud Pannonicos exercitus.

F 27 2 seruire Bergk || 3 ciuibus, saepe: sic distinxit Torrentius F 28 2 in speciem M (in margine) Beroaldus inspectum M (in textu, corr. ab eadem manu in inspectem)

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FF 26-27 Altercatio di Tiberio con Q. Aterio F 26 Ti prego di scusarmi se, nella mia qualità di senatore, esprimerò un’opinione contraria alla tua in un modo piuttosto franco. F 27 Ho detto anche ora e spesso in altre occasioni, o senatori, che un principe buono e saggio, che voi avete dotato di un potere così grande e libero, deve servire il senato e spesso tutti quanti i cittadini, e per lo più anche ciascuno di essi; e non mi pento di averlo detto e vi ho sempre considerato e vi considero ancora come buoni, giusti e favorevoli padroni. FF 28-29 In senato sulle vittorie di Germanico e Druso F 28 Tuttavia fece al senato una relazione riguardante le sue imprese e citò molti esempi del suo coraggio, esprimendosi però con termini troppo adorni e magnifici perché si potesse credere che fossero sinceri. Elogiò Druso e la fine del tumulto in Illiria con meno parole, ma con maggior partecipazione e sincerità. Contesto FF 26-27 Suet. Tib. 29, 1. Trovandosi in disaccordo nella curia senatoriale con Quinto Aterio disse: «Ti … franco». E poi rivolgendosi a tutti: «Ho … padroni ». F 28 Tac. Ann. 1, 52, 1-3. Quelle notizie, quando furono riferite, diedero a Tiberio gioia e preoccupazione: era soddisfatto della repressione della rivolta, ma era angustiato sia dal fatto che (Germanico) aveva cercato di guadagnarsi il favore dei soldati con elargizioni di denaro e concedendo un congedo anticipato, sia dalla sua gloria militare. Tuttavia … sincerità. Mantenne in vigore anche per gli eserciti della Pannonia tutte le disposizioni decise da Germanico.

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F 29 jAlla; kai; ejpaivnou" ejn th'/ boulh'/ tou' Germanikou' pollou;" ejpoihvsato, kai; qusiva" ejpi; toi '" pracqei'sin uJp∆ aujtou ', w{sper kai; ejpi; toi '" uJpo; tou' Drouvsou, genevsqai ejshghvsato. FF 30-31-32 De honoribus recusandis (= M 1842, Tiberius Caesar fr. 3) F 30 Si quando autem […] de moribus meis deuotoque uobis animo dubitaueritis (quod prius quam eueniat, opto ut me supremus dies huic mutatae uestrae de me opinioni eripiat) nihil honoris adiciet mihi patria appellatio, uobis autem exprobrabit aut temeritatem delati mihi eius cognominis aut inconstantiam contrarii de me iudicii. F 31 Similem se semper sui futurum nec umquam mutaturum mores suos, quam diu sanae mentis fuisset; sed exempli causa cauendum esse, ne se senatus in acta cuiusquam obligaret, quia aliquo casu mutari posset.

F 29 D.C. 57, 6, 4. Ouj mh;n kai; prosepoiei'to a[cqesqaiv sfisin, ajlla; … ejshghvsato. FF 30-31 Suet. Tib. 67, 2-4. Existimant quidam praescisse haec eum peritia futurorum ac multo ante, quanta se quandoque acerbitas et infamia maneret, prospexisse; ideoque, ut imperium inierit, et patrispatriae appellationem et ne in acta sua iuraretur obstinatissime recusasse, ne mox maiore dedecore impar tantis honoribus inueniretur. Quod sane ex oratione eius, quam de utraque habuit, colligi potest; uel cum ait: similem … posset. Et rursus: «Si quando … inquit … iudicii».

F 30 1 De Suetonii locorum mutato ordine vide in commentario || 3 patria codd. patris Y patris patriae " F 31 3 quia M qui Beroaldus

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F 29 Invece pronunciò in senato molti elogi di Germanico e propose che fossero offerti sacrifici per le sue azioni e per quelle compiute da Druso.

Sul rifiuto degli onori

FF 30-31-32

F 30 Se invece un giorno dubiterete dei miei costumi e della devozione del mio animo nei vostri confronti (ma prima che ciò avvenga desidero che la morte mi sottragga al mutamento della vostra opinione nei miei confronti), l’appellativo di padre della patria non aggiungerà alcun onore a me, mentre rimprovererà a voi o la temerarietà con cui mi avete conferito questo titolo o l’incostanza con cui avete mutato il giudizio nei miei riguardi. F 31 Sarebbe sempre rimasto costante e non avrebbe mai mutato i suoi costumi, finché avesse avuto la mente sana; ma il senato doveva badare, per non creare un precedente, a non obbligarsi sugli atti di nessuno, poiché poteva cambiare per qualche motivo. Contesto F 29 D.C. 57, 6, 4. Certamente non dava l’impressione di sopportarli (Germanico e Agrippina) a malapena; invece … Druso. FF 30-31 Suet. Tib. 67, 2-4. Alcuni ritengono che egli abbia presentato queste cose con anticipo grazie alla sua capacità di indovinare il futuro e che abbia previsto molto tempo prima quanta infelicità e quanta infamia lo attendessero prima o poi; perciò, nel momento in cui assunse il potere, con estrema ostinazione rifiutò il titolo di padre della patria e vietò di giurare sui suoi atti, per non essere poi considerato con maggior vergogna inadatto ad onori così grandi. Ciò si può pure ricavare dalla sua orazione concernente entrambi gli argomenti; o quando disse che sarebbe … motivo. E ancora: «Se … riguardi».

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F 32 Nomen patris patriae Tiberius, a populo saepius ingestum, repudiauit; neque in acta sua iurari quamquam censente senatu permisit, cuncta mortalium incerta, quantoque plus adeptus foret, tanto se magis in lubrico dictans. F 33 De comitiis consularibus (= M 1842, Tiberius Caesar fr. 6) Modo subtractis candidatorum nominibus originem cuiusque et uitam et stipendia descripsit ut qui forent intellegeretur; aliquando ea quoque significatione subtracta candidatos hortatus ne ambitu comitia turbarent, suam ad id curam pollicitus est; plerumque eos tantum apud se professos disseruit, quorum nomina consulibus edidisset; posse et alios profiteri, si gratiae aut meritis confiderent.

F 32 Tac. Ann. 1, 72, 1-2. Decreta eo anno triumphalia insignia A. Caecinae, L. Apronio, C. Silio ob res cum Germanico gestas. Nomen. … dictitans. Non tamen ideo faciebat fidem ciuilis animi; nam legem maiestatis reduxerat. F 33 Tac. Ann. 1, 81, 1. De comitiis consularibus, quae tum primum illo principe ac deinceps fuere, uix quicquam firmare ausim: adeo diuersa non modo apud auctores, sed in ipsius orationibus reperiuntur. Modo … confiderent. Speciosa uerbis, re inania aut subdola, quantoque maiore libertatis imagine tegebantur tanto eruptura ad infensius seruitium.

F 32 4 dictitans Muretus dictans M dictans Constans RPh 18 (1894), 220

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F 32 Tiberio respinse il titolo di padre della patria, che il popolo più volte aveva cercato di obbligarlo ad accettare; non permise nemmeno che si giurasse sui suoi atti, per quanto il senato esprimesse un parere favorevole, affermando che tutto ciò che riguarda i mortali è incerto e che quanto più in alto fosse salito, tanto più si sarebbe sentito su un terreno scivoloso. F 33 Sui comizi per l’elezione dei consoli Qualche volta, senza dire il nome dei candidati, diede notizie sulla nascita, la vita e il servizio militare di ciascuno perché si capisse chi fossero; talvolta, dopo aver omesso anche questa presentazione, esortò i candidati a non turbare i comizi con tentativi di corruzione e promise di occuparsi personalmente della questione. Il più delle volte affermò che si erano presentati davanti a lui soltanto coloro i cui nomi aveva comunicato ai consoli; ma che anche altri potevano presentare la loro candidatura, qualora avessero fiducia nel loro gradimento e nei loro meriti. Contesto F 32 Tac. Ann. 1, 72, 1-2. Quell’anno furono decretate le insegne trionfali ad Aulo Cecina, a Lucio Apronio, a Gaio Silio per le imprese compiute con Germanico. Tiberio … scivoloso. Tuttavia non dava così fiducia di avere un animo rispettoso del bene comune: infatti aveva rimesso in vigore la legge di lesa maestà. F 33 Tac. Ann. 1, 81, 1. Con difficoltà sarei in grado di dare qualche informazione precisa a proposito dei comizi per l’elezione dei consoli che si tennero allora per la prima volta durante il suo principato e si ripeterono successivamente: tanto differenti sono le notizie che si trovano non solo negli scrittori, ma anche nelle sue stesse orazioni [scil. di Tiberio]. Qualche volta … meriti. Si trattava di idee belle a parole, ma vuote o subdole nei fatti e quanto più erano rivestite dell’apparenza della libertà, tanto più si sarebbero un giorno manifestate in un’odiosa schiavitù.

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De commutatione verborum

FF 34-35

F 34 Atque etiam cum in quodam decreto patrum e[mblhma recitaretur, commutandam censuit uocem et pro peregrina nostratem requirendam aut, si non reperiretur, uel pluribus et per ambitum uerborum rem enuntiandam. F 35 ∆Epeiv te dihpovrhsavn tine" eij kai; ta; ajrgura ' ta; crusou'n ti e[mblhma e[conta ajphgoreumevnon sfivsin ei[h kekth 'sqai, boulhqei;" kai; peri; touvtou ti dovgma poih'sai, ejkwvlusen ej" aujto; to; o[noma to; tou ' ejmblhvmato" wJ" kai; ÔEllhniko;n ejmblhqh 'nai, kaivtoi mh; e[cwn o{pw" ejpicwrivw" aujto; ojnomavsh/.

F 34 Suet. Tib. 71. Sermone Graeco quamquam alioqui promptus et facilis, non tamen usque quaque usus est abstinuitque maxime in senatu; adeo quidem, ut monopolium nominaturus ueniam prius postularet, quod sibi uerbo peregrino utendum esset. Atque … enuntiandam. Militem quoque Graece testimonium interrogatum nisi Latine respondere uetuit. F 35 D.C. 57, 15, 2. ∆Epeiv … ojnomavsh/. ∆Ekei'nov te ou\n ou{tw" ejpoivhse, kai; eJkatontavrcou eJllhnisti; ejn tw/ ' sunedrivw/ marturh'saiv ti ejqelhvsanto" oujk hjnevsceto, kaivper polla;" me;n divka" ejn th '/ dialevktw/ tauvth/ kai; ejkei ' legomevna" ajkouvwn, polla;" de; kai; aujto;" ejperwtw'n.

F 34 1 cum post patrum pQ || EMBLEMA MV EMBAEMA LSpQR lac. P om. T || 2 censuerit Erasmus || nostratem codd. nostratim MG || aut codd. ut M || 3 non om. V F 35 4 ejmblhqh'nai susp. Boissevain (fort. ejggrafh'nai coll. F 34)

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Sul mutamento delle parole.

FF 34-35

F 34 E anche essendo stata letta in un decreto senatoriale la parola e[mblhma, dispose che il termine fosse cambiato e che si cercasse un vocabolo nostro al posto di quello straniero o, se non fosse possibile trovarlo, che il concetto si enunciasse anche con più termini e con una perifrasi. F 35 Poiché alcuni non sapevano se fosse loro proibito possedere anche oggetti d’argento con inserito un ornamento d’oro, volendo emettere un decreto anche su questo argomento, vietò di inserire nel testo del provvedimento la parola e[mblhma in quanto termine greco, anche se non aveva la possibilità di usare un altro termine in latino. Contesto

F 34 Suet. Tib. 71. Benché per altro si esprimesse in greco con facilità e scioltezza, tuttavia non se ne servì sempre e lo evitò con particolare cura in senato, al punto tale che, accingendosi a usare la parola monopolium, chiese prima scusa, poiché doveva impiegare una parola straniera; e anche … perifrasi. Vietò anche ad un soldato, che era stato chiamato a testimoniare in greco, di rispondere in lingua diversa dal latino. F 35 D.C. 57, 15, 2. Poiché … latino. Si comportò dunque così in quel frangente e, quando un centurione volle prestare una testimonianza in lingua greca in senato, non lo permise, per quanto ascoltasse la discussione di molti processi e anch’egli interrogasse molti testimoni in quella lingua e in quel luogo.

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F 36 De magistratibus nominandis Graue moderationi suae tot eligere, tot differre. Vix per singulos annos offensiones uitari, quamuis repulsam propinqua spes soletur: quantum odii fore ab iis qui ultra quinquennium proiciantur? Unde prospici posse quae cuique tam longo temporis spatio mens, domus, fortuna? Superbire homines etiam annua designatione: quid si honorem per quinquennium agitent? Quinquiplicari prorsus magistratus, subuerti leges, quae sua spatia exercendae candidatorum industriae quaerendisque aut potiundis honoribus statuerint.

F 36 Tac. Ann. 2, 36, 1-4. Et certamen Gallo aduersus Caesarem exortum est. [F 80]. Tiberius tamen, quasi augeretur potestas eius, disseruit: graue … statuerint. Fauorabili in speciem oratione uim imperii tenuit.

F 37 Aduersus Hortali preces Si quantum pauperum est uenire huc et liberis suis petere pecunias coeperint, singuli numquam exsatiabuntur, res publica deficiet. Nec sane ideo a maioribus concessum est egredi aliquando relationem et quod in commune conducat loco sententiae proferre, ut priuata negotia et res familiares nostras hic augeamus, cum inuidia senatus et principum, siue indulserint largitionem siue abnuerint. Non enim preces sunt istud, sed efflagitatio, intempestiua quidem et improuisa, cum aliis de rebus conuenerint patres, consurgere et numero atque aetate liberum suorum urgere modestiam senatus, eandem uim in me transmittere ac uelut perfringere aerarium, quod si ambitione exhauserimus, per scelera supplendum erit. Dedit tibi, Hortale, diuus Augustus pecuniam, sed non F 36 6 honorem Rhenanus honorum M || 7 quinquiplicari M quintuplicari Lipsius F 37 4 egredi M (in margine) egrendi M (in textu) || 7 abnuerint edd. abnuerunt M || 10 transmittere M (in margine) Beroaldus Fumeaux Borzsák transmerei M (in textu) trasferre Hilier Goodyear

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F 36 Sulla nomina dei magistrati Scegliere tanti candidati e rimandare l’elezione di altrettanti negli anni era gravoso per la sua equanimità. A stento si evitava di recare offesa attraverso le elezioni annuali, per quanto la speranza vicina consolasse per l’insuccesso: quanto sarebbe stato grande l’odio di chi fosse escluso per un quinquennio? In che modo sarebbe stato possibile prevedere lo stato d’animo, la situazione della famiglia e la fortuna di ciascuno dei candidati in un tempo così lungo? Gli uomini si insuperbiscono anche per la designazione di un anno: che cosa sarebbe accaduto se avessero potuto fregiarsi di un incarico per cinque anni? Si sarebbero quintuplicati i magistrati, si sarebbero sovvertite le leggi che stabilivano tempi precisi per i candidati per entrare in lizza, aspirare alle cariche o conseguirle. Contesto F 36 Tac. Ann. 2, 36, 1-4. Ed ebbe inizio l’attacco di Gallo contro Cesare [F 80]. Tiberio tuttavia rispose come se fosse accresciuto il suo potere e disse: «Scegliere … conseguirle». Con questo discorso in apparenza mirante a conquistare il favore pubblico Tiberio mantenne intatta la forza del potere.

F 37 Contro le preghiere di Ortalo Se tutti i poveri che esistono cominceranno a venire qui e a chiedere denaro per i loro figli, ciascuno di loro non sarà mai soddisfatto e lo stato andrà in rovina. E se pure i nostri antenati permisero di uscire talvolta dall’ordine del giorno e di trattare argomenti di utilità comune, non presero questa decisione perché qui possiamo sistemare i nostri affari privati e accrescere i nostri patrimoni provocando malcontento contro il senato e gli imperatori sia nel caso che abbiano concesso l’elargizione sia nel caso che l’abbiano rifiutata. Infatti non è una forma di preghiera, ma di imposizione, per altro intempestiva ed inaspettata, il balzare in piedi e, mentre i senatori si sono riuniti per discutere altri problemi, assillare la discrezione del senato con il numero e l’età dei propri figli, quindi dirigere la medesima insistenza nei miei confronti e quasi sfondare le porte dell’erario che dovrà essere riempito con mezzi scellerati, se lo esauriremo con la condiscendenza. Ortalo, il divino Augusto ti diede denaro ma senza esservi costretto e senza la condizione che te ne

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conpellatus nec ea lege ut semper daretur. Languescet alioqui industria, intendetur socordia, si nullus ex se metus aut spes, et securi omnes aliena subsidia expectabunt, sibi ignaui, nobis graues. […] Ceterum si patribus uideretur, daturum liberis eius ducena sestertia singulis, qui sexus uirilis essent. F 38 Pro Appuleia Varilla Dein proximo senatus die illius quoque nomine orauit ne cui uerba in eam quoquo modo habita crimini forent. Liberauitque Appuleiam lege maiestatis: adulterii grauiorem poenam deprecatus, ut exemplo maiorum propinquis suis ultra ducentesimum lapidem remoueretur suasit.

F 37 Tac. Ann. 2, 37, 1; 38, 1-5. Censusque quorundam senatorum iuuit. Quo magis mirum fuit, quod preces Marci Hortali, nobilis iuuenis in paupertate manifesta superbius accepisset; […] 38. Inclinatio senatus incitamentum Tiberio fuit quo promptius aduersaretur his ferme uerbis usus: «Si quantum … graues». Haec atque talia, quamquam cum adsensu audita ab iis quibus omnia principum, honesta atque inhonesta, laudare mos est, plures per silentium aut occultum murmur excepere. Sensitque Tiberius; et cum paulum retìcuisset, Hortalo se respondisse ait: Ceterum … essent. Egere alii grates: siluit Hortalus, pauore an auitae nobilitatis etiam inter angustias fortunae retinens. Neque miseratus est posthac Tiberius, quamuis domus Hortensii pudendam ad inopiam delaberetur.

F 38 Tac. Ann. 2, 50. Adolescebat interea lex maiestatis. et Appuleiam Varillam, sororis Augusti neptem, quia probrosis sermonibus diuum Augustum ac Tiberium et matrem eius inlusisset Caesarique conexa adulterio teneretur, maiestatis delator arcessebat. De adulterio satis caueri lege Iulia uisum: maiestatis crimen distingui Caesar postulauit damnarique, si qua de Augusto inreligiose dixisset: in se iacta nolle ad cognitionem uocari. Interrogatus a consule quid de iis F 37 14 ex se metus M (in textu) ex semet usus M (in margine) F 38 3 Appuleiam edd. Puleiam M

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fosse dato sempre. Altrimenti l’operosità languirà, si estenderà la pigrizia, se nessuno trarrà da sé il timore o la speranza e tutti, nella tranquillità, attenderanno i soccorsi altrui, indolenti verso di sé e gravosi per noi […] Per altro, se i senatori si fossero espressi per quell’opzione, avrebbe dato ai suoi figli maschi duecentomila sesterzi a testa. F 38 In difesa di Appuleia Varilla Poi nella successiva seduta del senato pregò anche a nome suo [scil. della madre] che le parole dette contro di lei, di qualunque genere fossero, non costituissero un capo di imputazione per nessuno. E fece assolvere Appuleia dal reato di lesa maestà: avendo invece scongiurato una pena più grave per l’adulterio, propose che, secondo l’esempio degli antenati, fosse relegata a duecento miglia (da Roma) dai suoi parenti. Contesto F 37 Tac. Ann. 2, 37, 1; 38, 1-5. Integrò le rendite insufficienti di alcuni senatori. Per questo destò maggiore sorpresa sorpresa il fatto che avesse accolto con alquanta malagrazia le suppliche di M. Ortalo, un giovane nobile che si trovava in evidente condizione di povertà. […] L’atteggiamento favorevole del senato incitò Tiberio ad opporsi con maggiore prontezza usando press’a poco queste parole: «Se…noi». Quantunque coloro che hanno l’abitudine di lodare ogni atto degli imperatori, onesto o disonesto che sia, avessero approvato queste parole ed altre simili, parecchi senatori le accolsero in silenzio o con un sordo mormorio. Se ne accorse Tiberio e, dopo aver taciuto per un breve momento, aggiunse che aveva dato la risposta ad Ortalo: per altro … a testa. Alcuni ringraziarono; Ortalo tacque o per paura o perché ancora memore dell’avita nobiltà anche tra le ristrettezze della sorte. Tiberio non ebbe successivamente alcuna compassione, per quanto la famiglia di Ortensio precipitasse in una povertà vergognosa. F 38

Tac. Ann. 2, 50. Frattanto la legge di lesa maestà acquisiva forza. E un delatore

accusava di lesa maestà Appuleia Varilla, nipote di una sorella di Augusto, per essersi presa gioco del divino Augusto, di Tiberio e di sua madre con discorsi offensivi e perché, pur essendo imparentata con l’imperatore, era rea di adulterio. A proposito di quest’ultimo reato fu ritenuto che bastasse la legge Giulia, mentre Cesare richiese che la colpa di lesa maestà venisse distinta e che si esprimesse la condanna soltanto nel caso che avesse profferito parole cariche di ingiurie contro la sacralità di Augusto; non voleva invece che quanto era stato detto contro di lui venisse sottoposto a giudizio. Quando il console gli chie73

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censeret quae de matre eius locuta secus argueretur reticuit; dein … suasit. Adultero Manlio Italia atque Africa interdictum est.

F 39 De Maroboduo (= M 1842, Tiberius Caesar fr. 4) Ceterum apud senatum disseruit non Philippum Atheniensibus, non Pyrrhum aut Antiochum populo Romano perinde metuendos fuisse. Extat oratio qua magnitudinem uiri, uiolentiam subiectarum ei gentium et quam propinquus Italiae hostis, suaque in destruendo eo consilia extulit. Oratio de Pisone iudicando

FF 40-41

F 40 uti oratio, quam recitasset princeps noster, itemq(ue) haec senatusconsulta in aere incisa, quo loco Ti. Caes(ari) Aug(usto) uideretur, poneretur F 39 Tac. Ann. 2, 63, 1-3. Maroboduo undique deserto non aliud subsidium quam misericordia Caesaris fuit. Transgressus Danuuium, qua Noricam prouinciam praefluit, scripsit Tiberio non ut profugus aut supplex sed ex memoria prioris fortunae: nam multis nationibus clarissimum quondam regem ad se uocantibus Romanam amicitiam praetulisse. Responsum a Caesare tutam ei honoratamque sedem in Italia fore, si maneret: sin rebus eius aliud conduceret, abiturum fide qua uenisset. Ceterum … extulit. F 40 SCPP ll. 165-173. Et quo facilius totius actae rei ordo posterorum memoriae tradi posset atque hi scire, quid et de singulari moderatione Germ(anici) Caesa(ris) et de sceleribus Cn. Pisonis patris senatus iudicasset, placere uti … poneretur, item hoc s(enatus) c(onsultum) in cuiusque prouinciae celeberruma / urbe eiusque i urbis ipsius celeberrimo loco in aere incisum figere/tur, itemq(ue) hoc s(enatus) c(onsultum) in hibernis cuius(que) legionis at signa figeretur censuerunt. F 39 4 ei Beroaldus et M F 40 2 aere Eck haere A deest B || 3 poneretur Eck poneretur A B

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6. TIBERIUS CAESAR

se che punizione proponesse per quelle espressioni che era accusata di avere formulato ingiuriosamente su sua madre, tacque; poi … parenti. Manlio, che aveva consumato l’adulterio con lei, fu esiliato dall’Italia e dall’Africa.

F 39 Su Maroboduo Per altro disse in senato che gli Ateniesi e il popolo romano non avevano dovuto temere allo stesso modo rispettivamente Filippo, Pirro o Antioco. Rimane il discorso con cui esaltò la grandezza di quell’uomo, la ferocia dei popoli a lui sottomessi, il pericolo rappresentato da un nemico così vicino e i provvedimenti da lui stesso ideati per abbatterlo. Sul giudizio di Pisone

FF 40-41

F 40 Fu deciso che l’orazione pronunciata dal nostro principe e allo stesso modo queste decisioni del Senato fossero incise nel bronzo e collocate nel luogo ritenuto opportuno da Tiberio Cesare. Contesto F 39 Tac. Ann. 2, 63, 1-3. Soltanto la misericordia di Tiberio aiutò Maroboduo che era stato abbandonato da tutti. Attraversato il Danubio dove scorre attraverso la provincia del Norico, scrisse a Tiberio non come profugo o supplice, ma ricordando la fortuna di un tempo: infatti aveva preferito l’amicizia di Roma ai molti popoli che invocavano presso di loro un re un tempo celeberrimo. Tiberio rispose che avrebbe avuto in Italia un asilo sicuro ed onorato qualora vi rimanesse: se altro fosse convenuto ai suoi interessi, se ne sarebbe andato con la sicurezza con cui era venuto. Per altro … abbatterlo. F 40 SCPP ll. 165-173. E affinché la sequenza di tutto il caso esaminato potesse essere tramandata con maggiore facilità ai posteri e costoro venissero a conoscenza di ciò che il senato aveva pensato riguardo all’eccezionale moderazione di Germanico Cesare e ai delitti di Pisone padre, fu deciso che … Tiberio Cesare, allo stesso modo decretarono che questo senatoconsulto, una volta inciso nel bronzo, venisse collocato nel luogo più noto della città più celebre di ogni provincia e allo stesso tempo venisse collocato presso le insegne nell’accampamento invernale di ogni legione.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 41 Patris sui legatum atque amicum Pisonem fuisse adiutoremque Germanico datum a se auctore senatu rebus apud Orientem administrandis. Illic contumacia et certaminibus asperasset iuuenem exituque eius laetatus esset an scelere extinxisset, integris animis diiudicandum. «Nam si legatus officii terminos, obsequium erga imperatorem exuit eiusdemque morte et luctu meo laetatus est, odero seponamque a domo mea et priuatas inimicitias non ui principis ulciscar: sin facinus in cuiuscumque mortalium nece uindicandum detegitur, uos uero et liberos Germanici et nos parentes iustis solaciis adficite. Simulque illud reputate, turbide et seditiose tractauerit exercitus Piso, quaesita sint per ambitionern studia militum, armis repetita prouincia, an falsa haec in maius uulgauerint accusatores, quorum ego nimiis studiis iure suscenseo. Nam quo pertinuit nudare corpus et contrectandum uulgi oculis permittere differrique etiam. Per externos tamquam ueneno interceptus esset, si incerta adhuc ista et scrutanda sunt? Defleo equidem filium meum semperque deflebo: sed neque reum prohibeo quo minus cuncta proferat, quibus innocentia eius subleuari aut, si qua fuit iniquitas Germanici, coargui possit, uosque oro ne, quia dolori meo causa conexa est, obiecta crimina pro adprobatis accipiatis. Si quos propinquus sanguis aut fides sua patronos dedit, quantum quisque eloquentia et cura ualet, iuuate periclitantem: ad eundem laborem, eandem constantiam accusatores hortor. Id solum Germanico super leges praestiterimus, quod in curia potius quam in foro, apud senatum quam apud iudices de morte eius anquiritur: cetera pari modestia tractentur. Nemo Drusi lacrimas, nemo maestitiam meam spectet, nec si qua in nos aduersa finguntur».

F 41 Tac. Ann. 3, 12, 1-7. Die senatus Caesar orationem habuit meditato temperamento. Patris … finguntur. F 41 6 luctu meo M (in margine) luctû eo M (in textu) || et M set Pluygers || 7 non ui Muretus noui M || 18 conexa edd. conexû M

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F 41 (Disse che) Pisone era stato legato ed amico di suo padre e che egli l’aveva assegnato a Germanico per iniziativa del senato perché lo aiutasse a governare l’Oriente. Si doveva esaminare con imparzialità se là avesse irritato il giovane dimostrandosi altero e opponendosi alle sue decisioni, se la morte di Germanico avesse costituito per lui un motivo di soddisfazione o se l’avesse assassinato con un atto delittuoso. «Infatti, se nelle sue funzioni di legato non ha rispettato i limiti della sua carica e l’ossequio dovuto al comandante, ed ha gioito della sua morte e del mio lutto, lo odierò e lo allontanerò dalla mia casa e punirò le inimicizie private senza usare la mia forza di imperatore: se invece nella morte di qualsiasi persona si scopre un delitto da punire, voi date il giusto conforto ai figli di Germanico e a me che sono suo padre; allo stesso tempo valutate questo, se Pisone abbia portato disordini o sedizioni nell’esercito, se i favori dei soldati siano stati ricercati per ambizione, se abbia cercato di riconquistare la provincia con le armi, oppure se gli accusatori, con il cui zelo eccessivo a buon diritto mi dovrei adirare, abbiano divulgato queste false accuse. Infatti a che è servito denudare il cadavere e consentire di esporlo agli sguardi della gente e lasciar diffondere la voce anche tra gli stranieri che egli fosse stato avvelenato, se codesti elementi sono ancora dubbi e devono essere indagati? È vero, piango mio figlio e sempre lo piangerò: ma non impedisco all’accusato di presentare tutti gli elementi in virtù dei quali possa essere riconosciuta la sua innocenza o dimostrata qualche colpa di Germanico, se vi fu; e vi prego di non accogliere come provati i reati oggetto di dibattimento per il fatto che la causa è intimamente legata al mio dolore. Se la parentela di sangue o la fedeltà gli hanno procurato dei difensori, aiutate l’imputato facendo in modo che ognuno metta a disposizione tutta la sua eloquenza e il suo sforzo; esorto gli accusatori al medesimo impegno e a dimostrare l’identica fermezza. Soltanto questo avremo concesso a Germanico oltre a quanto sancito dalle leggi, che si indaghi sulla sua morte nella curia piuttosto che nel foro, davanti ai senatori piuttosto che di fronte ai giudici: tutto il resto sia trattato con eguale moderazione. Nessuno guardi le lacrime di Druso, nessuno la mia tristezza e neppure le accuse eventualmente inventate contro di noi». Contesto F 41 Tac. Ann. 3, 12, 1-7. ll giorno della convocazione del senato Cesare tenne un discorso con calcolata moderazione. (Disse) … noi. 77

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 42 Pro Marco Pisone Post quae Tiberius adulescentem crimine ciuilis belli purgauit, patris quippe iussa nec potuisse filium detrectare, simul nobilitatem domus, etiam ipsius quoquo modo meriti grauem casum miseratus.

Oratio pro Plancina

FF 43-44

F 43 et saepe princeps noster accurateq(ue) ab eo ordine petierit, ut contentus senatus Cn. Pisonis patris poena uxori eius sic uti M. filio parceret, et pro Plancina rogatu matris suae depreca s et quam ob rem ea mater sua inpetrari uellet, iustissumas ab ea causas sibi expositas acceperit

F 42 Tac. Ann. 3, 17, 1. Post … miseratus. [F 44] F 43 SCPP ll. 109-120. (Censuerunt) quod ad Plancinae causam pertineret, qui pluruma et grauissuma crimina obiecta essent, quoniam confiteretur se omnem spem in misericordia principis nostri et senatus habere, et … acceperit, senatum arbitrari et Iuliae Aug(ustae), optume de r(e) p(ublica) meritae non / partu tantum modo principis nostri, sed etiam multis magnisq(ue) erga cui/usq(ue) ordinis homines beneficiis, quae cum iure meritoq(ue) plurumum posse in eo, quod/ a senatu petere, deberet, parcissume uteretur eo, et principis nostri summa/ erga matrem suam pietati suffragandum indulgendumq(ue) esse remittiq(ue)/ poenam Plancinae placere.

F 43 2 eius Eck pius A …] us B || 3 uti M filio A uti M f B || suae deprecatus sit et Hinz Jones suae deprecari se et A deprecaset B || 4 ea Lebek, Salomies et A deest B id Eck Suerbaum || iustissumas ab ea causas sibi A …]suma ab ea sibi causas B

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6. TIBERIUS CAESAR

F 42

In difesa di Marco Pisone Dopo questi eventi, Tiberio scagionò il giovane dall’accusa di aver causato una guerra civile, poiché un figlio non avrebbe potuto disobbedire agli ordini del padre; allo stesso tempo compianse la nobiltà della famiglia e la triste sorte dello stesso Pisone, che pure l’aveva meritata. In difesa di Plancina

FF 43-44

F 43 e poiché il nostro principe aveva chiesto reiteratamente e con particolare attenzione a questo ordine che il senato, soddisfatto della pena di Cn. Pisone padre, avesse pietà di sua moglie così come di suo figlio Marco e aveva interceduto per Plancina in seguito alla richiesta di sua madre e aveva accolto delle eccellenti motivazioni per cui sua madre voleva ottenere tali concessioni Contesto F 42 Tac. Ann. 3, 17, 1. Dopo … meritata. [F 44] F 43 SCPP ll. 109-120. Per ciò che riguardava la causa di Plancina, contro la quale erano state rivolte accuse molto gravi e numerose, poiché ella ammetteva di riporre la sua intera speranza nella misericordia del nostro principe e del senato e … concessioni, il senato ritenne di dover sostenere ed appoggiare sia Giulia Augusta, i cui meriti nei confronti dello stato erano grandissimi non soltanto per aver generato il nostro principe, ma anche per i numerosi e grandi benefici rivolti a uomini di qualsiasi ordine – poiché ella, sebbene dovesse possedere la massima influenza nei confronti di ciò che richiedeva al Senato, si avvaleva con estrema parsimonia di tale privilegio – sia la grandissima devozione del nostro principe verso sua madre, e decretò perciò che la punizione di Plancina dovesse essere annullata.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 44 Pro Plancina cum pudore et flagitio disseruit, matris preces obtendens, in quam optimi cuiusque secreti questus magis ardescebant. F 45

De Pisonis nomine atque filiis Multa ex ea sententia mitigata sunt a principe: ne nomen Pisonis fastis eximeretur, quando M. Antonii qui bellum patriae fecisset, Iulli Antonii qui domum Augusti uiolasset, manerent. Et M. Pisonem ignominiae exemit concessitque ei paterna bona […]. Atque idem […] prohibuit, ob externas ea uictorias sacrari dictitans, domestica mala tristitia operienda.

F 44 Tac. Ann. 3, 17, 1. [F 42] Pro … ardescebant. F 45 Tac. Ann. 3, 18, 1-2. Multa … bona, satis firmus, ut saepe memoraui, aduersum pecuniam et tum pudore absolutae Plancinae placabilior. Atque idem, [F 7, F 85], prohibuit, ob … operienda.

F 45 3 Iulli Andresen Iulii M Iuli Lipsius || 6 uictorias Rhenanus uictoria M

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6. TIBERIUS CAESAR

F 44 Parlò con ritrosia e vergogna in difesa di Plancina, mettendo in primo piano le preghiere della madre, contro la quale si andava vieppiù infiammando il livore segreto di ogni cittadino onesto. F 45 Sul nome di Pisone e sui suoi figli Molti elementi di questa proposta furono resi meno duri dal principe, il quale decise che il nome di Pisone non venisse cancellato dai fasti, dal momento che vi rimanevano quello di Marco Antonio, che aveva mosso guerra alla patria, e di Iullo Antonio, che aveva agito con violenza contro la casa di Augusto, e sottrasse M. Pisone al disonore e gli concesse di ereditare i beni paterni […]. Ed egli […] si oppose, affermando che quei provvedimenti si prendevano per vittorie conseguite contro gli stranieri, mentre i drammi verificatisi in patria dovevano essere velati dalla tristezza. Contesto F 44 Tac. Ann. 3, 17, 1. [F 42] Parlò … onesto. F 45 Tac. Ann. 3, 18, 1-2. Molti … paterni, poiché era piuttosto fermo, come ho spesso ricordato, contro il denaro e fu reso allora più proclive al perdono per la vergogna dell’assoluzione di Plancina. Ed egli, [F 7, F 85] si oppose … tristezza.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 46 Relatio Tiberii qualis causa Cn. Pisonis patris uisa esset et an merito sibi mortem conscisse uideretur et qualis causa M. Pisonis uisa esset, cui relationi adiecisset, uti precum suarum pro adulescente memor is ordo esset qualis causa Plancinae uisa esset, pro qua persona, quid petisset et quas propter causas, exposuisset antea et quid de Visellio Karo et de Sempronio Basso, comitibus Cn. Pisonis patris, iudicaret senatus F 47 Responsum ad M. Silanum Sed Tiberius gratis agenti Silano patribus coram respondit se quoque laetari quod frater eius e peregrinatione longinqua reuertisset, idque iure licitum quia non senatus consulto non lege pulsus foret: sibi tamen aduersus eum integras parentis sui offensiones neque reditu Silani dissoluta quae Augustus uoluisset

F 46 SCPP ll. 4-11. Quod Ti(berius) Caesar diui Aug(usti) f(ilius) Aug(ustus) pontifex maximus, tribunicia potestate XXII, co(n)s(ul) III, designatus IIII ad senatum rettulit qualis … senatus, d(e) i(is) r(ebus) i(ta) censuerunt. F 47 Tac. Ann. 3, 24, 3-4. Sed aliorum exitus simul cetera illius aetatis memorabo si effectis in quae tetendi plures ad curas uitam produxero. D. Silanus in nepti Augusti adulter quamquam non ultra foret saeuitum, quam ut amicitia Caesaris prohiberetur exilium sibi demonstrari intellexit, nec nisi Tiberio imperitante deprecari senatum ac principem ausus est M. Silani fratris potentia, qui per insignem nobilitatem et eloquentiam praecellebat [F 104]. Sed … uoluisset. Fuit posthac in urbe neque honores adeptus est. F 46 3 relationi B rellationi A || 4 et Eck om. A B || 5 esset A e set B || 6 exposuisset edd. exposuiset A …]posuisset B || 7 Cn Pisonis patris uisa A Cn Pisonis uisa B

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6. TIBERIUS CAESAR

F 46 Relazione di Tiberio (riferì al senato:) le caratteristiche della causa di Gn. Pisone padre e se a lui (Tiberio) sembrava che si fosse opportunamente data la morte; le caratteristiche della causa di Marco Pisone – sezione alla quale aggiunse che quell’ordine fosse memore dei suoi interventi in favore del giovane -; le caratteristiche della causa di Plancina, per la quale aveva precedentemente esposto le proprie richieste e le motivazioni delle medesime; qual era il giudizio del senato su Visellio Caro e Sempronio Basso, compagni di Gn. Pisone padre

F 47

Risposta a Marco Silano. Ma Tiberio, di fronte ai senatori, rispose al ringraziamento di Silano (dicendo) che anch’egli era felice del fatto che suo fratello fosse ritornato da un lungo viaggio e che ciò era possibile a buon diritto, perché non era stato mandato in esilio né da una decisione del senato né in virtù di una legge: tuttavia, per quanto riguardava lui (= Tiberio), rimanevano intatte le offese rivolte al suo genitore e le decisioni di Augusto non erano state invalidate dal ritorno di Silano Contesto F 46 SCPP ll. 4-11. Dal momento che Tiberio Cesare figlio Augusto del divo Augusto, pontefice massimo, nel ventiduesimo anno della sua potestà tribunizia, console per la terza volta, designato al consolato per la quarta riferì … padre, i senatori a proposito di questi argomenti decretarono quanto segue. F 47 Tac. Ann. 3, 24, 3-4. Ma insieme a tutto quanto accadde in quell’epoca ricorderò la fine degli altri se, una volta portati a termine i miei propositi, potrò prolungare la mia vita per occuparmi di altre cose ancora. Decimo Silano, che aveva commesso adulterio con la nipote di Augusto, quantunque non fossero stati presi provvedimenti più gravi della perdita dell’amicizia con Cesare, capì che gli si prospettava l’esilio e non osò chiedere la grazia al senato e all’imperatore se non quando fu imperatore Tiberio; si appoggiò allora alla potenza del fratello Marco Silano, che si segnalava come nobile insigne e grande oratore [F 104]. Ma Tiberio … Silano. Successivamente visse a Roma ma non ottenne cariche. 83

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 48 Neronis commendatio Per idem tempus Neronem e liberis Germanici iam ingressum iuuentam commendauit patribus, utque munere capessendi uigintiuiratus solueretur et quinquennio maturius quam per leges quaesturam peteret non sine inrisu audientium postulauit. Praetendebat sibi atque fratri decreta eadem petente Augusto. F 49 De Sulpicii Quirinii publicis exequiis Sub idem tempus ut mors Sulpicii Quirini publicis exequiis frequentaretur petiuit a senatu […] Quod tunc patefecit in senatu, laudatis in se officiis et incusato M. Lollio, quem auctorem C. Caesari prauitatis et discordiarum arguebat.

F 48 Tac. Ann. 3, 29, 1-3. Per … Augusto. Sed neque tum fuisse dubitauerim qui eius modi preces occulti inluderent: ac tamen initia fastigii Caesaribus erant magisque in oculis uetus mos, et priuignis cum uitrico leuior necessitudo quam auo aduersum nepotem. F 49 Tac. Ann. 3, 48, 1-2. Sub … senatu. Nihil ad ueterem et patriciam Sulpiciorum familiam Quirinius pertinuit, ortus apud municipium Lanuuium: sed impiger militiae et acribus ministeriis consulatum sub diuo Augusto, mox expugnatis per Ciliciam Homonadensium castellis insignia triumphi adeptus, datusque rector C. Caesari Armeniam obtinenti. Tìberium quoque Rhodi agentem coluerat: quod … arguebat. Sed ceteris haud laeta memoria Quirini erat ob intenta, ut memoraui, Lepidae pericula sordidamque et praepotentem senectam.

F 49 4 Lollio Lipsius folio M

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6. TIBERIUS CAESAR

F 48 Raccomandazione di Nerone Nel medesimo periodo raccomandò ai senatori Nerone, uno dei figli di Germanico, che già era entrato nella gioventù, e chiese, non senza suscitare l’irrisione degli ascoltatori, che fosse liberato dal vincolo di ottenere il vigintivirato e si candidasse per la questura cinque anni prima di quanto stabilito dalle leggi. Ricordava che per sé e per il fratello si erano prese le medesime decisioni, per la richiesta di Augusto. F 49 Sul funerale pubblico di Sulpicio Quirinio Nello stesso periodo chiese al senato che la morte di Sulpicio Quirinio fosse celebrata da esequie pubbliche. […] Egli raccontò ciò in senato, unendovi la lode per i riguardi mostratigli ed accusando Marco Lollio, che riteneva colpevole della perversità di Gaio Cesare e dell’inimicizia che nutriva nei suoi confronti. Contesto F 48 Tac. Ann. 3, 29, 1-3. Nel … Augusto. Ma non dubiterei che anche allora vi furono coloro che si prendevano gioco di nascosto di tali preghiere. E tuttavia i Cesari erano all’inizio della loro potenza e l’antico costume era ben presente a tutti e la parentela di un patrigno con i figliastri era meno stretta di quella di uno zio nei confronti del nipote. F 49 Tac. Ann. 3, 48, 1-2. Nello stesso … pubbliche. Quirinio, nato nel municipio di Lanuvio, non ebbe alcun rapporto con l’antica famiglia patrizia dei Sulpici: però fu un soldato infaticabile e sotto Augusto conseguì il consolato grazie alle sue imprese coraggiose; rivestì poi le insegne trionfali dopo aver espugnato le fortezze degli Omonadensi in Cilicia; poi fu affiancato come consigliere a Gaio Cesare quando governava l’Armenia. (Quirinio) aveva reso omaggio anche a Tiberio quando si trovava a Rodi: egli … confronti. Ma tutti gli altri non gradivano il ricordo di Quirinio per le persecuzioni da me ricordate contro Lepida e per la sua vecchiaia prepotente.

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F 50 De fetialibus Contra dixit Caesar, distincto sacerdotiorum iure et repetitis exemplis: neque enim umquam fetialibus hoc maiestatis fuisse. Ideo Augustales adiectos quia proprium eius domus sacerdotium esset pro qua uota persoluerentur. F 51 De iudicio in Silanum Non quidem sibi ignara quae de Silano uulgabantur, sed non ex rumore statuendum. Multos in prouinciis contra quam spes aut metus de illis fuerit egisse: excitari quosdam ad meliora magnitudine rerum, hebescere alios. Neque posse principem sua scientia cuncta complecti neque expedire ut ambitione aliena trahatur. Ideo leges in facta constitui quia futura in incerto sint. Sic a maioribus institutum ut, si antissent delicta, poenae sequerentur. Ne uerterent sapienter reperta et semper placita: satis onerum principibus, satis etiam potentiae. Minui iura quotiens gliscat potestas, nec utendum imperio ubi legibus agi possit. […] insulam Gyarum, immitem et sine cultu hominum esse: darent luniae familiae et uiro quondam. Ordinis eiusdem ut Cythnum potius concederet. Id sororem quoque Silani Torquatam, priscae sanctimoniae uirginem, expetere.

F 50 Tac. Ann. 3, 64, 4. Censuerat L. Apronius ut fetiales quoque iis ludis praesiderent. [= F 184]. Contra … persoluerentur. F 51 Tac. Ann. 3, 69, 1-6. [F 99] Aduersum quae disseruit Caesar non … possit. Quanto rarior apud Tiberium popularitas tanto laetioribus animis accepta. Atque ille prudens moderandi, si propria ira non impelleretur, addidit insulam … expetere. In hanc sententiam facta discessio. F 51 4 hebescere edd. habescere M || 12 Cythnum Lipsius cythenum M (in textu) Cytherum M (in margine) Beroaldus, Cytheram alii edd.

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6. TIBERIUS CAESAR

F 50 Sui feziali Cesare si oppose distinguendo le caratteristiche giuridiche dei diversi collegi sacerdotali e facendo ricorso ad esempi: i feziali non avevano infatti mai goduto di questa eccezionale prerogativa. Gli Augustali erano stati aggiunti, in quanto il (loro) sacerdozio era specifico della famiglia per cui si scioglievano i voti F 51 Sul giudizio contro Silano Certo conosceva bene le voci che giravano su Silano, ma non bisognava decidere in base alle dicerie. Molti si erano comportati nelle province in modo opposto alle speranze od ai timori che erano stati formulati nei loro riguardi: alcuni erano spinti ad azioni migliori dall’importanza del compito, altri diventavano fiacchi. L’imperatore non poteva conoscere personalmente ogni cosa né era bene che si facesse trascinare dall’ambizione altrui. Per questo si stabiliscono le leggi per le azioni compiute, poiché quelle future sono incerte. Così i nostri antenati avevano stabilito che i castighi si infliggessero solo per colpe già commesse. Non si dovevano modificare le risoluzioni sagge e che erano sempre state in vigore: gli imperatori avevano oneri e potere a sufficienza. Lo spazio del diritto si restringe tutte le volte che la potenza aumenta e non si deve far uso del potere quando si può procedere attraverso le leggi. […] l’isola di Giaro era selvaggia e inospitale: concedessero alla famiglia Giunia e ad un uomo che una volta era appartenuto al loro medesimo ordine di ritirarsi piuttosto a Citno. Anche Torquata, la sorella di Silano, vergine di virtù degna degli antichi, implorava questo provvedimento. Contesto F 50 Tac. Ann. 3, 64, 4. Lucio Apronio aveva proposto che anche i feziali presiedessero quei giochi. [= F 184]. Cesare … voti. F 51 Tac. Ann. 3, 69, 1-6. [F 99] Cesare si oppose a queste proposte: certo … leggi. Quanto più rara era la ricerca di popolarità nelle parole di Tiberio, con tanta maggiore soddisfazione essa era accolta. Ed egli, capace di moderarsi saggiamente qualora non fosse spinto da un risentimento personale, aggiunse che l’isola … provvedimento. La seduta si concluse con l’approvazione di questa proposta senza dibattito. 87

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 52 Laus Drusi filii Addidit orationem Caesar multa cum laude filii sui quod patria beneuolentia in fratris liberos foret. De morte Drusi filii

FF 53-54-55

F 53 Cum ex Germanico tres nepotes, Neronem et Drusum et Gaium, ex Druso unum Tiberium haberet, destitutus morte liberorum maximos natu de Germanici filiis, Neronem et Drusum, patribus conscriptis commendauit [ … ] F 52 Tac. Ann. 4, 4, 1. Interim anni principio Drusus ex Germanici liberis togam uirilem sumpsit quaequefratri eius Neroni decreuerat senatus repetita. Addidit … foret. Nam Drusus, quamquam arduum sit eodem loci potentiam et concordiam esse, aequus adulescentibus aut certe non aduersus habebatur. F 53 Suet. Tib. 54, 1. Cum … commendauit diemque utriusque tirocinii congiario plebei dato celebrauit.

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6. TIBERIUS CAESAR

F 52 Elogio del figlio Druso Cesare aggiunse un discorso in cui lodava molto suo figlio perché dimostrava affetto di padre verso i figli del fratello. Sulla morte del figlio Druso

FF 53-54-55

F 53 Poiché aveva tre nipoti dalla parte di Germanico, Nerone, Druso e Gaio e da Druso il solo Tiberio, rimasto senza figli, pose sotto la protezione del senato i due figli più vecchi di Germanico, Nerone e Druso. Contesto F 52 Tac. Ann. 4, 4, 1. Frattanto all’inizio dell’anno Druso, uno dei figli di Germanico, assunse la toga virile e furono rinnovati quegli onori che il senato aveva decretato a suo fratello Nerone. Cesare … fratello. Infatti Druso, quantunque sia difficile che coesistano la potenza e la concordia, era considerato giusto nei confronti dei giovani o, per lo meno, non sfavorevole. F 53 Suet. Tib. 54, 1. Poiché … Druso e celebrò con un donativo alla plebe il giorno in cui entrambi entrarono nell’esercito.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 54 Non quidem sibi ignarum posse argui quod tam recenti dolore subierit oculos senatus: uix propinquorum adloquia tolerari, uix diem aspici a plerisque lugentium. Neque illos imbecillitatis damnandos: se tamen fortiora solacia e complexu rei publicae petiuisse. Miseratusque Augustae extremam senectam, rudem adhuc nepotum et uergentem aetatem suam, ut Germanici liberi, unica praesentium malorurn leuamenta, inducerentur petiuit. […] Patres conscripti, hos […] orbatos parente tradidi patruo ipsorum precatusque sum, quamquam esset illi propria suboles, ne secus quam suum sanguinem foueret attolleret, sibique et posteris conformaret. Erepto Druso preces ad uos conuerto disque et patria coram obtestor: Augusti pronepotes, clarissimis maioribus genitos, suscipite regite, uestram meamque uicem explete. Hi uobis, Nero et Druse, parentum loco. Ita nati estis ut bona malaque uestra ad rem publicam pertineant. […]Ad uana et totiens inrisa reuolutus, de reddenda re publica utque consules seu quis alius regimen susciperent, uero quoque et honesto fidem dempsit.

F 54 Tac. Ann. 4, 8, 2-5. Ceterum Tiberius per omnis ualetudinis eius dies, nullo metu an ut firmitudinem animi ostentaret, etiam defuncto necdum sepulto, curiam ingressus est consulesque sede uulgari per speciem maestitiae sedentis honoris locique admonuit, et effusum in lacrimas senatum uicto gemitu simul oratione continua erexit: Non … petiuit. Egressi consules firmatos adloquio adulescentulos deductosque ante Caesarem statuunt. Quibus adprensis «Patres … hos, inquit, orbatos … pertineant». Magno ea fletu et mox precationibus faustis audita; ac si modum orationi posuisset, misericordia sui gloriaque animos audientium impleuerat: ad uana … dempsit.

F 54 9 attolleret edd acttolleret M ac tolleret Beroaldus || 10 conformaret edd. corformaret M confirmaret Rhenanus Woodman

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6. TIBERIUS CAESAR

F 54 Certo non gli era ignoto che poteva essere rimproverato di essersi esposto agli occhi del senato mentre il dolore era così fresco: la maggioranza di coloro che soffrono sopporta a malapena i discorsi dei parenti, guarda con difficoltà la luce del giorno. E costoro non devono essere tacciati di debolezza: egli tuttavia aveva cercato un conforto più coraggioso nell’abbraccio dello stato. Commiserò l’estrema vecchiaia di Augusta, l’età ancora acerba dei nipoti e la propria già declinante, e chiese che fossero fatti entrare i figli di Germanico, l’unico sollievo ai mali presenti. […] «Senatori, affidai questi fanciulli privati del padre al loro zio e lo pregai, quantunque egli stesso avesse una propria prole, di non crescerli ed allevarli non diversamente che i suoi, e di educarli in modo conforme a se stesso ed ai posteri. Ora che Druso è morto, rivolgo a voi le preghiere e vi supplico davanti agli dei ed alla patria: abbiate cura dei pronipoti di Augusto, discendenti di celeberrimi antenati, guidateli, realizzate il mio ed il vostro compito. Costoro a voi, Nerone e Druso, faranno da genitori. La vostra nascita è tale che i vostri beni ed i vostri mali riguardano lo stato». […] Tornato però a trattare nuovamente argomenti vani e tante volte derisi, la rinuncia alle responsabilità di governo e (l’opportunità) che i consoli o qualcun altro si prendessero l’incarico di reggere lo stato, tolse in questo modo fiducia anche alle sue parole sincere ed oneste. Contesto F 54 Tac. Ann. 4, 8, 2-5. Per altro Tiberio, o poiché non aveva alcuna paura o per ostentare la sua saldezza d’animo, entrò nella curia durante tutti i giorni della sua [scil. di Druso] malattia e anche quando, ormai morto, non era ancora stato sepolto. Ricordò ai consoli quale carica rivestissero e dove si trovassero, poiché sedevano su sedie comuni per mostrare la loro mestizia, e allo stesso tempo risollevò il senato che era scoppiato in lacrime reprimendo i gemiti e pronunciando senza interrompersi questo discorso: certo … presenti. I consoli, usciti, portarono i giovani davanti all’imperatore dopo averli incoraggiati con le loro parole e averli fatti entrare. Presili per le mani disse: «Senatori … stato». Quelle parole furono ascoltate tra molte lacrime e subito seguite da preghiere beneauguranti; se avesse posto fine al suo discorso, avrebbe riempito di compassione e di gloria per sé gli animi degli ascoltatori. Tornato … oneste.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 55 ÔO dev ge Tibevrio" eij" to; sunevdrion ajfikovmeno" ejkei'novn te ajpwduvrato, kai; to;n Nevrwna tovn te Drou 'son tou;" tou' Germanikou' pai'da" th'/ gerousiva/ parakatevqeto. FF 56-57-58 Laudatio funebris Drusi filii (= M 1842, Tiberius Caesar fr. 5) F 56 Ipse tamen pro rostris laudauit filium stetitque in conspectu posito corpore, interiecto tantummodo uelamento quod pontificis oculos a funere arceret, et flente populo Romano non flexit uultum [ … ] .

F 57 laudante filium pro rostris Tiberio F 58 Kai; to; sw'ma tou' Drouvsou proutevqh ejpi; tou ' bhvmato", kai; oJ Nevrwn gambro;" aujtou' w]n ejpaivnou" ejp∆ aujtw'/ ei\pen.

F 55 D.C. 57, 22, 4. oJ me;n ou\n ou{tw" diwvleto, oJ dev ge Tibevrio" … parakatevqeto. F 56 Sen. Marc. 15, 3. Ti. Caesar et quem genuerat et quem adoptauerat amisit; ipse … uultum. Experiendum se dedit Seiano ad latus stanti quam patienter posset suos perdere. F 57 Tac. Ann. 4, 12, 1. Ceterum laudante … Tiberio senatus populusque habitum ac uoces dolentum simulatione magis quam libens induebat, domumque Germanici reuirescere occulti laetabantur

D.C. 57, 22, 4. […] Kai; … ei\pen.

F 58

F 58 De hoc fragmento vide in commentario

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6. TIBERIUS CAESAR

F 55 Tiberio, giunto in senato, lo pianse e affidò al senato Nerone e Druso, figli di Germanico […]. FF 56-57-58 Elogio funebre del proprio figlio Druso F 56 Egli in persona, tuttavia, pronunciò l’elogio funebre del figlio dai rostri e rimase in piedi bene in vista quando il corpo fu deposto, dopo che era stato soltanto frapposto un velo che impedisse al pontefice la vista del cadavere; in mezzo ai pianti del popolo romano non mosse un muscolo del volto. F 57 mentre Tiberio lodava dai rostri il figlio F 58 E fu posto il cadavere di Druso sui rostri e Nerone (?), in quanto era suo congiunto, ne pronunciò l’elogio funebre. Contesto F 55 D.C. 57, 22, 4. Costui dunque morì, Tiberio … Germanico […]. F 56 Sen. Marc. 15, 3. Tiberio Cesare perse sia il figlio naturale sia quello adottivo; egli … volto; diede la prova a Seiano, che gli stava accanto, di quanto grande fosse la sua capacità di sopportare la scomparsa dei suoi cari. F 57 Tac. Ann. 4, 12, 1. Per altro, mentre … figlio, il senato ed il popolo rivestivano l’abito e l’atteggiamento di coloro che si dolgono più per finta che per spontanea volontà e di nascosto si rallegravano che ritornasse in auge la casa di Germanico. F 58 D.C. 57, 22, 4. E fu posto … funebre.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 59 In senatu de praemiis tribuendis. Sed ut comperit ineunte anno pro eorum quoque salute publice uota suscepta, egit cum senatu, non debere talia praemia tribui nisi expertis et aetate prouectis. F 60 De immodestia histrionum Postremo Caesar de immodestia histrionum rettulit: multa ab iis in publicum seditiose foeda per domos temptari; Oscum quondam ludicrum, leuissimae apud uulgum oblectationis, eo flagitiorum et uirium uenisse auctoritate patrum coercendum sit

In Lucilium Capitonem

FF 61-62

F 61 magna cum adseueratione principis non se ius nisi in seruitia et pecunias familiares dedisse: quod si uim praetoris usurpasset manibusque militum usus foret, spreta in eo mandata sua: audirent socios.

F 59 Suet. Tib. 54, 1-2. [F 54] Sed … prouectis. Atque ex eo, patefacta interiore animi sui nota, omnium criminationibus obnoxios reddidit [ … ]. F 60 Tac. Ann. 4, 14, 2-3. Variis dehinc et saepius inritis praetorum questibus. Postremo … sit. Pulsi tum histriones Italia. F 61 Tac. Ann. 4, 15, 2. Ita quamquam nouo homini censorium funus, effigiem apud forum Augusti publica pecunia patres decreuere, apud quos etiam tum cuncta tractabantur, adeo ut procurator Asiae Lucilius Capito accusante prouincia causam dixerit, magna … socios. Ita reus cognito negotio damnatur. Ob quam ultionem et quia priore anno in C. Silanum uindicatum erat, decreuere Asiae urbes templum Tiberio matrique eius ac senatui. F 60 4 uulgum M uulgus Ritter || 5 ut suppl. in margine M2 F 61 2 –s suppl. in margine manus altera pecunia M

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6. TIBERIUS CAESAR

F 59 In senato sull’attribuzione delle ricompense Ma quando si rese conto che all’inizio dell’anno erano stati formulati voti pubblici anche per la loro salute [di Nerone e Druso figli di Germanico], sostenne in senato che tali premi non dovevano essere attribuiti se non a persone esperte e di età avanzata. F 60 Sulla scostumatezza degli attori Alla fine Cesare riferì al senato sulla scostumatezza degli attori: essi agivano sediziosamente in pubblico e compivano azioni scandalose fra le mura di casa; la farsa osca, che una volta costituiva un divertimento di scarsissimo valore del popolo, era arrivata ad un livello tale di vergogne e di violenze da dover esser repressa dall’autorità dei senatori. Contro Lucilio Capitone

FF 61-62

F 61 Mentre l’imperatore confermava molto seriamente di non avergli dato autorità se non sugli schiavi e sui beni della propria famiglia; e se aveva esercitato abusivamente le prerogative del pretore e si era servito dei soldati, in questo punto i suoi ordini erano stati trasgrediti: che ascoltassero gli alleati. Contesto F 59 Suet. Tib. 54, 1-2. F 54] Ma … avanzata; e da quel momento, rivelato ciò che pensava, li espose alle accuse di tutti […]. F 60 Tac. Ann. 4, 14, 2-3. Dopo varie lamentele dei pretori, che il più delle volte erano rimaste inascoltate, alla fine … senatori. Allora gli attori furono cacciati dall’Italia. F 61 Tac. Ann. 4, 15, 2. Così i senatori gli decretarono un funerale censorio e una statua nel foro di Augusto a spese pubbliche sebbene fosse un uomo nuovo; allora tutto si decideva presso di loro, al punto che il procuratore dell’Asia Lucilio Capitone rispose alle accuse lanciate dalla provincia, mentre … alleati. Così, portato a termine il processo, l’accusato viene condannato. Per quella punizione e per il fatto che si era proceduto contro Gaio Silano l’anno prima, le città d’Asia decretarono un tempio a Tiberio, a sua madre e al senato. 95

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F 62 Tou'to de; to;n Kapivtwna to;n th;n ∆Asivan ejpitropeuvsanta ej" to; sunevdrion ejshvgage, kai; ejgkalevsa" aujtw/ ' o{ti kai; stratiwvtai" ejcrhvsato kai; a[lla tina; wJ" kai; ajrch;n e[cwn e[praxen, ejfugavdeusen. F 63

De nouo fiamine Diali legendo Nam patricios confarreatis parentibus genitos tres simul nominari, ex quis unus legeretur, uetusto more; neque adesse, ut olim, eam copiam, omissa confarreandi adsuetudine aut inter paucos retenta (pluresque eius rei causas adferebat, potissimam penes incuriam uirorum feminarumque; accedere ipsius caerimoniae difficultates quae consulto uitarentur et quoniam exiret e iure patrio qui id flamonium apisceretur quaeque in manum flaminis conueniret). Ita medendum senatus decreto aut lege, sicut Augustus quaedam ex horrida illa antiquitate ad praesentem usum flexisset.

F 62 D.C. 57, 23, 4-5. Tou'to … ejfugavdeusen. Ouj ga;r ejxh 'n tovte toi '" ta; aujtokratorika; crhvmata dioikou'si plevon oujde;n poiei'n h] ta;" nenomismevna" prosovdou" ejklevgein kai; peri; tw 'n diaforw'n e[n te th '/ ajgora'/ kai; kata; tou;" novmou" ejx i[sou toi'" ijdiwvtai" dikavzesqai. F 63 Tac. Ann. 4, 16, 1-4. Sub idem tempus de flamine Diali in locum Serui Maluginensis defuncti legendo, simul roganda noua lege disseruit Caesar. Nam … flexisset. Igitur tractatis religionibus placitum instituto flaminum nihil demutari: sed lata lex qua flaminica Dialis sacrorum causa in potestate uiri, cetera promisco feminarum iure ageret. Et filius Maluginensis patri suffectus […].

F 62 1 ∆Asivan Lb n oujsivan VC F 63 6 accedere edd. accederet M (- t expuncto) accedere et J. Gronov Borzsák || 6-7 post uitarentur quaedam deesse Lipsius iud, quae ad caerimoniarum difficultatem pertinerent || 7 quoniam edd. recentiores quo M quod Rhenanus quando Beroaldus Ernesti (pro quia) || flamonium M flaminium M2

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6. TIBERIUS CAESAR

F 62 Condusse in senato Capitone, che era stato procuratore dell’Asia, e, accusandolo di essersi servito dei soldati e di aver compiuto altre azioni quasi fosse detentore del potere supremo, lo fece esiliare. F 63 Sulla scelta del nuovo flamine di Giove Infatti, secondo l’antico costume, erano nominati contemporaneamente tre patrizi nati da nozze celebrate per confarreatio, tra i quali ne veniva scelto uno; e non vi era più a disposizione quell’ampia disponibilità che esisteva un tempo, poiché era andata in disuso la consuetudine di celebrare nozze con il rito di confarreatio oppure soltanto pochi la conservavano (ed adduceva numerose ragioni di questo fatto, in particolar modo l’incuria di uomini e donne; si aggiungevano le difficoltà della stessa cerimonia, che erano consapevolmente evitate) ed anche perché chi assumeva l’ufficio di flamine e colei che diveniva moglie del flamine sfuggivano alla patria potestà. Così bisognava porre rimedio con un decreto senatoriale o con una legge, come aveva fatto Augusto adattando alle circostanze attuali alcuni provvedimenti di quella rigida antichità. Contesto F 62 D.C. 57, 23, 4-5. Condusse … esiliare. Infatti allora non era consentito a coloro che amministravano i beni imperiali far null’altro che raccogliere le tasse fissate per legge e, riguardo alle cause, istruire processi pubblici e secondo le leggi secondo un principio di eguaglianza con i comuni cittadini. F 63 Tac. Ann. 4, 16, 1-4. Nel medesimo periodo Cesare tenne un discorso sulla necessità di nominare un nuovo flamine di Giove al posto del defunto Servio Maluginense e, contemporaneamente, sul bisogno di varare una nuova legge. Infatti … antichità. Quindi, esaminati riti e consuetudini, si decise di non cambiare nulla all’istituzione dei flamini: ma fu promulgata una legge secondo la quale la moglie del flamine di Giove dipendeva dal marito soltanto nell’ambito delle cerimonie sacre, mentre svolgeva ogni altra attività secondo il comune diritto delle donne. E al posto di Maluginense fu eletto il figlio […].

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F 64 Contra C. Silii petitionem aduersatus est Caesar: solitum quippe magistratibus diem priuatis dicere: nec infingendum consulis ius, cuius uigiliis niteretur ne quod res publica detrimentum caperet F 65 Pro Sereno Quo molliret inuidiam, intercessit. […] id quoque aspernatus est, egenam aquae utramque insulam referens dandosque uitae usus cui uita concederetur.

F 64 Tac. Ann. 4, 19, 1-2. Erat uxor Silio Sosia Galla, caritate Agrippinae inuisa principi. Hos corripi dilato ad tempus Sabino placitum immissusque Varro consul, qui paternas amicitias obtendens odiis Seiani per dedecus suum gratificabatur. Precante reo breuem moram, dum accusator consulatu abiret, aduersatus … caperet. Proprium id Tiberio fuit, scelera nuper reperta priscis uerbis obtegere. F 65 Tac. Ann. 4, 30, 1. Dictis dein sententiis ut Serenus more maiorum puniretur quo …, intercessit. [F 82] id … concederetur

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6. TIBERIUS CAESAR

F 64 Contro la richiesta di Gaio Silio Cesare si oppose dicendo che era consuetudine che i magistrati citassero in giudizio privati cittadini e che non doveva essere conculcato il diritto del console, dalla cui instancabile attività dipendeva che lo stato non subisse danni. F 65 In difesa di Sereno (Tiberio) decise di porre il veto per diminuire l’odio. […] Si oppose anche a questa soluzione, dicendo che entrambe le isole erano prive d’acqua e che bisognava accordare i mezzi di sussistenza ad una persona alla quale si concedeva la vita. Contesto F 64 Tac. Ann. 4, 19, 1-2. Silio aveva per moglie Sosia Galla, invisa al principe per il suo affetto per Agrippina. Si decise di farla finita con costoro, rimandando ad un altro momento Sabino; fu mandato il console Varrone, il quale, dando spazio ad alcune inimicizie di suo padre, serviva con propria ignominia gli odii di Seiano. Poiché l’accusato chiedeva una breve interruzione, fino a quando l’accusatore terminasse l’incarico consolare, Cesare … danno. Questa fu una caratteristica specifica di Tiberio, rivestire scelleratezze di recente invenzione con formule antiche. F 65 Tac. Ann. 4, 30, 1. Dopo che erano state presentate proposte perché Sereno fosse punito secondo il costume degli antenati, (Tiberio) … odio. [F 82 ] si oppose …vita.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 66 In P. Suillium At P. Suillium quaestorem quondam Germanici […] amouendum in insulam censuit, tanta contentione animi ut e iurando obstringeret e re publica id esse.

F 66 Tac. Ann. 4, 31, 2-3. Quin ipse, compositus alias et uelut eluctantium uerborum, solutius promptiusque eloquebatur quotiens subueniret. At P. Suillium … cum Italia arceretur conuictus pecuniam ob rem iudicandam cepisse … esse. Quod aspere acceptum ad praesens mox in laudem uertit regresso Suillio.

F 67 De templo erigendo sibi matrique suae Scio, patres conscripti, constantiam meam a plerisque desideratam quod Asiae ciuitatibus nuper idem istud petentibus non sim aduersatus. Ergo et prioris silentii defensionem et quid in futurum statuerim simul aperiam. Cum diuus Augustus sibi atque urbi Romae templum apud Pergamum sisti non prohibuisset, qui omnia facta dictaque eius uice legis obseruem, placitum iam exemplum promptius secutus sum quia cultui meo ueneratio senatus adiungebatur. Ceterum ut semel recepisse ueniam habuerit, ita per omnes prouincias effigie numinum sacrari ambitiosum, superbum, et uanescet Augusti honor si promiscis adulationibus uulgatur. Ego me, patres conscripti, mortalem esse et hominum officia fungi satisque habere si locum principem impleam et uos testor et meminisse posteros uolo; qui satis superque memoriae meae tribuent, ut maioribus meis dignum, rerum uestrarum prouidum, constantem in periculis, offensionum pro utilitate publica non pauidum credant. Haec mihi in animis uestris templa, hae pulcherrimae effigies et mansurae.

F 66 3 ut e iurando Ritter ut eiurando M ut et iurando Beroaldus ut iurando Lenchantin coll. Hist. 3, 69, 1 e iurando Borzsák «Gnomon» 63, 1991, 22 F 67 9 per omnes Beroaldus Furneaux Borzsák p oms p M omnes per Nipperdey || sa– crari Lipsius sacra M || 14 promiscue M in margine

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6. TIBERIUS CAESAR

F 66 Contro Publio Suillio Ma propose che Publio Suillio, che una volta era stato questore di Germanico, […] fosse esiliato in un’isola, con una tale veemenza da arrivare a giurare che questo provvedimento veniva preso nell’interesse dello stato. Contesto F 66 Tac. Ann. 4, 31, 2-3. Ed anzi egli stesso, che in altre occasioni badava a prepararsi attentamente e possedeva un eloquio non fluido, parlava con maggiore scioltezza e abilità ogni volta che interveniva in aiuto di qualcuno. Ma … Germanico, poiché era stato condannato ad essere allontanato dall’Italia per aver ricevuto denaro per aggiustare un processo, fosse… stato. E quel provvedimento, che allora era stato accettato con difficoltà, costituì per lui un motivo di lode dopo il ritorno di Suillio.

F 67 Sulla costruzione di un tempio per sé e la propria madre So bene, o senatori, che più persone mi hanno accusato di incoerenza per il fatto che non mi sono opposto poco tempo fa alle città dell’Asia che presentavano codesta medesima richiesta. Dunque spiegherò allo stesso tempo sia le ragioni del precedente silenzio sia le mie decisioni per il futuro. Poiché il divino Augusto non aveva impedito che fosse elevato a Pergamo un tempio a se stesso e alla città di Roma, io, che mi conformo a tutte le sue azioni ed alle sue parole come ad una legge, ho seguito un esempio già da lui approvato, tanto più prontamente in quanto al culto della mia persona si aggiungeva la venerazione del senato. Per altro, come l’aver accettato una volta può esser stato scusabile, così sarebbe segno di ambizione e superbia consentire che io sia adorato come un dio in tutte le province, e l’onore per Augusto non avrà più alcun valore se viene prodigato con adulazioni indiscriminate. Io, senatori, vi chiamo a testimoniare e voglio che i posteri ricordino che sono mortale e che assolvo i doveri di un uomo e che mi è sufficiente occupare la posizione più alta. Essi concederanno un onore più che sufficiente alla mia memoria ritenendomi degno dei miei antenati, attento alle vostre necessità, saldo nei pericoli, impavido davanti alle offese in difesa dell’interesse pubblico. Questi saranno i miei templi nelle vostre anime, queste le effigi più belle e destinate a durare. Infatti quanto viene co101

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Nam quae saxo struuntur, si iudicium posterorum in odium uertit, pro sepulchris spernuntur. Proinde socios ciuis et deos et deas ipsas precor, hos ut mihi ad finem usque uitae quietam et intellegentem humani diuinique iuris mentem duint, illos ut, quandoque concessero, cum laude et bonis recordationibus facta atque famam nominis mei prosequantur. F 68 Aduersus sententiam Togonii Galli. Tiberius tamen, ludibria seriis permiscere solitus, egit grates beneuolentiae patrum: sed quos omitti posse, quos deligi? Semperne eosdem an subinde alios? Et honoribus perfunctos an iuuenes, priuatos an e magistratibus? Quam deinde speciem fore sumentium in limine curiae gladios? Neque sibi uitam tanti si armis tegenda foret.

F 67 Tac. Ann. 4, 37, 1-38, 4. Per idem tempus Hispania ulterior missis ad senatum legatis orauit ut exemplo Asiae delubrum Tiberio matrique eius extrueret. Qua occasione Caesar, ualidus alioqui spernendis honoribus et respondendum ratus iis quorum rumore arguebatur in ambitionem flexisse, huiusce modi orationem coepit: «Scio … prosequantur». Perstititque posthac secretis etiam sermonibus aspernari talem sui cultum. F 68 Tac. Ann. 6, 2, 4-5. Nam (Togonius Gallus) principem orabat deligere senatores, ex quis uiginti sorte ducti et ferro accincti quotiens curiam inisset, salutem eius defenderent. [= F 190] […] Tiberius … foret. Haec aduersus Togonium uerbis moderans neque ultra abolitionem sententiae suaderet.

F 67 17 posterorum Rhenanus posteriorum M || 18 et deos et deas ipsas Lipsius et deos et deaos ìpsaos M et deos ipsos Pichena deos ipsos et deas Koestermann coll. Ann. 6, 6, 1 || 20 quandoque M cû M (in margine) quandocumque Beroaldus || 21 ficta M facta M2 Beroaldus Goelzer

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6. TIBERIUS CAESAR

struito con il marmo è trascurato come un sepolcro qualora i posteri cambino il loro apprezzamento in odio. Perciò prego gli alleati, i cittadini e gli dèi stessi e le dee, questi perché mi concedano fino al termine della mia vita un animo sereno e capace di capire le leggi degli uomini e degli dei, quelli perché, quando me ne sarò andato, accompagnino con la lode e memorie favorevoli le mie opere e la fama del mio nome. F 68 Contro la proposta di Togonio Gallo Tiberio, tuttavia, che aveva l’abitudine di mescolare scherzi a cose serie, ringraziò la benevolenza dei senatori: ma quali potevano essere esclusi, quali scelti? Sarebbero stati sempre gli stessi o di volta in volta persone diverse? Sarebbero stati coloro che avevano già concluso la loro carriera oppure i giovani, privati cittadini oppure uomini scelti tra i magistrati? Che spettacolo sarebbe poi stato quello di uomini che impugnavano spade sulla soglia della curia? Non dava un’importanza così grande alla sua vita se essa doveva esser protetta con le armi. Contesto F 67 Tac. Ann. 4, 37, 1-38, 4. Nel medesimo tempo la Spagna Ulteriore, mandati alcuni ambasciatori al senato, chiese di poter costruire sull’esempio dell’Asia un tempio a Tiberio e a sua madre. In quella occasione Cesare, ben capace del resto di disprezzare gli onori e pensando che si dovesse dare una risposta a coloro le cui dicerie lo accusavano di aver ceduto all’ambizione, iniziò un’orazione di tal fatta: «So bene … nome». Anche successivamente continuò in discussioni private a non apprezzare il culto diretto alla sua persona. F 68 Tac. Ann. 6, 2, 1-5. Infatti (Togonio Gallo) pregava il principe di scegliere un certo numero di senatori, venti dei quali, estratti a sorte e armati, lo proteggessero ogni volta che entrasse nella curia. [= F 190] […] Tiberio … armi. Disse queste parole contro la proposta di Togonio parlando con moderazione e mirando solo a far revocare la proposta.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 69 Amici ignoti laudatio funebris Kai; ejf∆ eJniv gev tini aujtw'n teleuthvsanti to;n ejpitavfion aujto;" ei\pe.

F 69 D.C. 57, 11, 6. Toi'" te eJtaivroi" wJ" kai; ejn ijdiwteiva/ sunh 'n: kai; ga;r dikazomevnoi" sfivsi sunhgwnivzeto kai; quvousi sunewvrtaze, nosou 'ntav" te ejpeskevpteto mhdemivan froura;n ejpesagovmeno", kai; … ei\pe.

Commento Tiberio fu riconosciuto come grande oratore già da Nerone, il quale, nella laudatio funebris di Claudio scritta da Seneca e da lui pronunciata, affermò che il suo avo era esperto dell’arte di pesar le parole, tanto che non si poteva capire a fondo se questa abilità fosse determinata dalla sua ambiguità naturale o dall’efficacia della sua espressione: cf. T 16. Dal punto di vista stilistico, Tiberio fu rigidamente purista (cf. FF 34-35, Bardon 1940, 109-110, Leeman 1963-1974, 321 e Dangel 1991, 2513), dimostrò un gusto arcaizzante (cf. T 11; Leeman 1963-1974, 321 parla, forse in modo non troppo appropriato, di “atticismo più estremista”), amò le espressioni complicate ed oscure (Bardon 1940, 108); si può constatare infatti come emerga dai testi tiberiani il gusto per le figure di suono e per un lessico ricercato e, a volte, difficile; antitesi, iperbati, anafore, accumuli verbali impreziosivano probabilmente il periodare di Tiberio e lo rendevano formalmente ricercato: in conseguenza di ciò, mi pare più corretto non fissare per il gusto dell’imperatore confini troppo rigidi e riconoscere nel suo stile anche la presenza di elementi asiani, come si potrà dedurre dall’analisi dei frammenti. È probabile che sia stato l’influsso di Teodoro di Gadara ad indirizzarlo in questa direzione: cf. T 9 e T 10, Bardon 1940, ibidem; Leeman 19631974, 321. Resta il fatto che tali elementi dell’oratoria tiberiana non sembrano coerenti con le scelte di Messalla Corvino, che, secondo Svetonio (T 14), fu il modello al quale l’imperatore si ispirò: Messalla apprezzava la regolarità della lingua latina (Sen. Con. 2, 4, 8); le testimonianze sul suo stile e sulla sua arte ce lo dipingono, oltre che come un oratore di altissimo livello, come un amante del nitore e della limpidezza: cf. ORF4, I, n° 176, 529-534 e i giudizi di Cic. Epist. Br. 1, 15, 1, 104

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F 69 Elogio funebre di un amico ignoto […] E pronunciò addirittura l’elogio funebre di uno di loro che era morto. Contesto F 69 D.C. 57, 11, 6. Frequentava gli amici come se fosse un privato cittadino: infatti li difendeva quando venivano chiamati in tribunale e quando offrivano sacrifici si univa a loro; li visitava quando erano ammalati senza farsi accompagnare da alcuna guardia e … morto.

Sen. Con. 2, 4, 8; Exc. Con. 3 praef. 14, Apoc. 10, 2, Quint. Inst. 10, 1, 113 e Tac. Dial. 21, 9. Non siamo in grado di capire quando e perché Tiberio si sia distaccato dagli insegnamenti di Messalla ed abbia percorso una via stilistica propria. Certo è invece che il suo stile apparve in seguito difettoso, se Frontone poteva dichiarare circa un secolo dopo che egli conservava soltanto qualche resto della grande eloquenza di Cesare ed Augusto: cf. T 17. Per quanto riguarda invece l’atteggiamento di Tiberio nei confronti della letteratura cf. Lana 1952, 269-292. F 11 Nel 33 a.C., all’età di nove anni, Tiberio perse il proprio padre naturale, Tiberio Claudio Nerone (cf. F. Münzer, RE III, 2, 1899, n° 254, 2777-2778) e, secondo Svetonio, ne pronunciò dai rostri la laudatio funebris. Evidentemente, data la sua giovane età, il discorso non poté essere opera di Tiberio, ma fu semplicemente da lui declamato. L’elogio funebre, un’espressione tipica del genere epidittico, costituiva una costante per i personaggi di rilievo delle famiglie romane almeno dal 509 a.C., data della più antica laudatio attestataci, quella per Lucio Giunio Bruto pronunciata da Gaio Valerio Publicola: cf. Kierdorf 1980, 137. L’elogio, dopo un’introduzione passava in rassegna la famiglia e gli antenati del defunto, la sua educazione e la vita privata, il cursus honorum e le res gestae; seguivano un’allocuzione agli ascoltatori ed una consolatio dei superstiti; si concludeva con un epilogo: cf. Quint. Inst. 3, 7, 10-18 e Lausberg 1960, §§ 244-245. Tuttavia proprio il caso del padre di Tiberio rappresentò un compito non privo di difficoltà per chi stese il discorso: infatti egli era stato seguace di Marco Antonio, aveva appog105

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giato Lucio Antonio nella guerra di Perugia, era fuggito dall’Italia ritornandovi solo dopo il 39; inoltre era stato marito di Livia, dalla quale aveva dovuto divorziare perché Ottaviano se ne era invaghito. È perciò più che probabile che nella laudatio non si sia insistito più di tanto sugli honores e sulle res gestae di Tiberio Claudio Nerone: «the naval achievements of Nero and his forbears and his foundation of colonies were safer topics than his political career» (Levick 1999, 15); cf. anche Kornemann 1962, 9-14 sui rapporti fra le famiglie di Augusto e Tiberio. FF 12-14 Suet. Tib. 8 elenca alcune orazioni che Tiberio pronunciò in difesa del re Archelao di Cappadocia, degli abitanti di Tralle e della Tessaglia ed in sostegno delle popolazioni di Laodicea, Tiatira e Chio. Tutti questi discorsi vanno collocati cronologicamente all’inizio della carriera politica di Tiberio, ma non siamo certi della datazione. Il terminus ante quem dell’orazione per Archelao è senz’altro il secessus a Rodi, ma l’osservazione di Svetonio secondo cui Tiberio era nel momento dei ciuilium officiorum rudimenta ci induce a pensare ad una datazione molto alta; inoltre il biografo ci informa che ai discorsi di Tiberio presenziò Augusto, ma non ci dice che furono tenuti davanti al senato, a differenza dell’orazione per i terremotati: è quindi possibile che essi non siano stati pronunciati a Roma. Un prima proposta di collocazione cronologica è data dalla ricostruzione di Gelzer in RE, che asserì che i processi furono tenuti in Spagna dove Tiberio stava prestando servizio come tribuno militare. La questione fu riesaminata da Levick 1971 e poi di nuovo in Levick 1999: secondo la studiosa l’orazione per Archelao sarebbe da fissare al 26 a.C. e precederebbe quella per i Tralliani (25 a.C.) e quella per le città distrutte dal terremoto, pronunciata invece di fronte al senato (tarda primavera del 24 a.C.). Ricordiamo che il sisma si verificò nel 27-26: Bowersock 1965, 157 propende per il 26; Levick 1999, 20 indica come data il 27 a.C. Il problema non è risolvibile con sicurezza: Hier. Chron. A. Abr. 1990 (= 164 Helm2) ricorda che Tralle (ma non Laodicea, Tiatira o Chio) fu distrutta da un terremoto in quell’anno, ma un epitomatore di Gerolamo, il patriarca siriaco del IX secolo Dionisio di Tellmaher, riferisce l’evento all’anno 1991 da Abramo, mentre il 27 a.C. corrisponde al 1990. Come si vede esiste una lieve discrepanza, che è forse spiegabile con il fatto che la distruzione di Tralle è riportata nei codici come l’ultimo evento del 27 ed è possibile che un copista non attento l’abbia collocata nell’anno successivo. Per altro non è sicuro, per quanto sia possibile, che si tratti dello stesso terremoto di Laodicea, Tiatira e Chio. Ti106

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berio ed Augusto rientrarono a Roma soltanto nella primavera del 24 (25 per Levick 1999). Per una ricostruzione diversa propende Bowersock 1965, 158-161, partendo dal presupposto che le notizie fornite da Svetonio sono spesso cronologicamente disordinate; in questo caso il biografo riferisce che inter haec «(i. e. the trials, pleas and prosecution of Caepio)», Tiberio si occupò dell’amministrazione dell’annona e dell’ispezione degli ergastula d’Italia; la cura annonae può essere fatta risalire al 23-22, mentre non vi è possibilità di determinare con precisione l’epoca dell’ispezione. Da queste premesse Bowersock trae le seguenti conclusioni: «Accordingly two items [la cura e l’ispezione], one of which can be dated to late 23, fall chronologically among certain events which include the trials. Of these events, the plea for the stricken cities cannot be before 24; the prosecution of Caepio [cf. F 15] cannot be before 23, and it may belong to 22 […] Now, if the trials are to be dated to the mid or early 20’s, it would produce the odd result that Suetonius described something from late 23 as falling inter a set of events of which the latest belongs itself to 23 or at best […] to 22, while the next latest belongs to 24 at the earliest. In view of the date of Tiberius’ cura annonae, Suetonius’ inter haec must mean that at least one or more of the preceding events in his chapter occurred after 23. […] There is also a case to be made for a date later than 23 for the trials, and the case seems worth making» (158). Sulla base di queste ed altre considerazioni, lo studioso data le orazioni per Tralliani e Tessali al 20-19 a.C. (161) e il processo di Archelao tra il 19 ed il 16 a.C.: «Archelaus, then, could have appealed to Tiberius in 20 B.C. Presumably the trial before August took place in Rome, as the itineraries of the Emperor and his stepson in the East were not the same. In 16 B.C. Tiberius went with Augustus to Gaul […] Therefore the trial will have occurred between 19 and 16, most probably c. 18 B.C.» (159). Pani 1972, 107-112 dissente da entrambe le ricostruzioni proposte, osservando che «più ancora che un rigido elenco verticale […] l’espressione [inter haec] dà un senso di vicinanza orizzontale. Si tratta di attività avvenute tutte intorno al 23 e fra queste appunto la cura annonae, sicuramente databile a quella data» (110). Pertanto «se Svetonio elenca i processi in ordine cronologico [il processo di Archelao] può essere avvenuto poco prima di quello di Cepione; se egli elenca i processi non cronologicamente, o per ordine di prestigio, quello di Archelao può essere avvenuto dopo quello di Cepione o nello stesso 23 o nel 22 o 21, certo prima del 20, che vede già un perfetto accordo fra Augusto, Tiberio e Archelao durante la missione del principe in Oriente» (ibidem). Tutte le ricostruzioni presentano sia elementi plausibili sia punti oscuri, ma ef107

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fettivamente non vi sono prove che le tre orazioni siano state pronunciate secondo la successione testimoniata da Svetonio; d’altro canto anche Bowersock potrebbe incorrere in un fraintendimento: infatti l’inter haec svetoniano potrebbe non riferirsi ai processi ed alle orazioni, ma ai rudimenta ciuilium officiorum. Inter haec potrebbe esser inteso “tra questi (rudimenta)” e non “in mezzo a questi (processi)”, cioè “prima e dopo alcuni di essi”. Se le cose stessero così, la ricostruzione di Bowersock perderebbe gran parte della sua forza; essa infatti presuppone che il sintagma possieda una valenza temporale, ma Svetonio lo impiega sei volte e non sempre con riferimento al tempo (cf. e. g. Tib. 63, 1 e Nero 39, 1); inoltre non sempre lo usa per collocare un evento tra altri. Cf. e. g. Tit. 10, 1: Inter haec morte praeuentus est, maiore hominum damno quam suo. Ritengo quindi che la questione si prospetti incerta, ma che sia comunque preferibile la datazione di Pani 1972; per quanto riguarda l’ordine relativo delle orazioni preferisco, in mancanza di dati più certi, mantenere quello testimoniato da Svetonio. Nella prima orazione, come ci conferma anche F 13, Tiberio difese il re Archelao, alleato di Roma, contro le accuse che venivano presentate contro di lui dai suoi sudditi: Archelao era diventato re nel 36 a.C., dopo l’uccisione di Ariarate da parte di Antonio. Quantunque avesse parteggiato per quest’ultimo, Ottaviano gli aveva concesso di restare al suo posto: cf. U. Wilcken, RE II, 1893, n° 15, 451; W. Ruge, RE X 2, 1919, 1910-1917 e Bowersock 1965, 51-52. Il fatto che sia stato Tiberio ad essere designato come difensore «lascia pensare […] ad una certa buona intesa già precedente fra Augusto e Archelao, più che ad uno stato di freddezza e imbarazzo post-aziaco» (Pani 1972, 107). Non è possibile precisare ulteriormente in che cosa consistesse l’accusa: è possibile pensare che i Cappadoci si fossero appellati ai Romani contro qualche sopruso del re. Secondo Pani 1972, 111, essa potrebbe basarsi sulla protesta di abitanti dei territori confinanti, ma non ci sono prove al riguardo; la situazione confermerebbe comunque da un lato la scarsa popolarità del re, dall’altro la potenza di Roma, che veniva considerata il vero arbitro politico del territorio. L’orazione ebbe successo, come si può evincere sia dal fatto che Archelao continuò a regnare sia dal tono del passo di Dione Cassio, in cui Tiberio si lamenta della scarsa riconoscenza che il re gli dimostrò: cf. F. E. Romer, A case of client kingship, AJPh 106, 1985, 79 (il contributo va da 75 a 100 ed è utile anche per comprendere l’attività politica di Archelao in Oriente). Nel 17 d.C. Tiberio attirò Archelao a Roma per processarlo per perduellio e privarlo del potere e ridusse a provincia il regno: cf. Tac. Ann. 2, 42, 2-4 e Rogers 1935, 25-27. Per una pano108

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ramica sui rapporti di re Archelao con Roma cf. Pani 1972, 93-145. I due discorsi per i Tralliani ed i Tessali sono senz’altro orazioni indipendenti, come dimostra l’espressione uaria quosque de causa usata da Svetonio; su di essi non possediamo alcun dato certo: dall’accostamento con quello di Archelao possiamo supporre che si trattasse anche in questi casi di orazioni giudiziarie: la supposizione che anche l’orazione per i Tralliani fosse in qualche modo legata al terremoto «may be quickly dismissed. A plea for a shattered city can hardly be the same as a defence in court: the one took place in the senate, the other as a cognitio of Augustus» (Bowersock 1965, 160); i Tralliani si rivolsero a Tiberio probabilmente perché «Tiberius’ father already had close relations with the people of Nysa, near Tralles, that made it natural for the Trallians to look to Nero’s son for help» (Levick 1999, 20); nessun significativo dato d’appoggio possediamo per i Tessali: cf. Bowersock 1965, 160-161. Svetonio ci fornisce invece una testimonianza dell’impegno che Tiberio dedicò alle città di Laodicea, Tiatira e dell’isola di Chio, che erano state colpite da un rovinoso terremoto. È probabile che si sia trattato di un unico discorso deliberativo, rivolto al senato alla presenza di Augusto perché fossero adottati provvedimenti in favore degli abitanti e delle città. Augusto ascoltò certamente le richieste di Tiberio e, come testimonia Str. Geog. 12, 579, si adoperò per favorire la ricostruzione. F 15 L’ultimo discorso di Tiberio ricordato dal capitolo ottavo della vita svetoniana ci testimonia il suo atto di accusa de maiestate contro Fannio Cepione. La vicenda è ampiamente ricostruita e discussa da Rohr Vio 2000, 286-295, 300-316, 345-346 e 357-358, alla quale rimando limitandomi a segnalare solamente gli aspetti principali; utili osservazioni sono già in Volkmann 1935, 56-58. Nel 23 o nel 22 a.C. Cepione prese parte ad una congiura ordita contro Augusto con la complicità o l’ispirazione di un certo Murena, sulla cui identità regna l’incertezza; secondo Rohr Vio 2000, 292-294 è probabilmente da identificarsi con Terenzio Varrone Murena console nel 23 a.C. e cognato di Mecenate; tuttavia D.C. 54, 3, 3 identifica con questo congiurato l’avvocato difensore di Marco Primo, un generale romano accusato da un personaggio sconosciuto di aver mosso guerra illegalmente alla tribù alleata degli Odrisi di Tracia, e lo chiama Licinio Murena. Primo fu perciò condannato e Murena, che aveva assunto nel dibattimento un atteggiamento anti-augusteo, si trovò dalla parte degli oppositori del principe. In seguito a questa decisione del tribunale, un gruppo di persone non ben definito ma sicu109

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ramente di sentimenti repubblicani organizzò la congiura: cf. D.C. 54, 3, 4-5, Levick 1999, 233 n. 19: Dione Cassio considera Fannio Cepione la mente (ajrchgov") della stessa, ma anche Murena dovette ricoprire un ruolo centrale, come testimonia Vell. 2, 91, 2: Quippe L. Murena et Fannius Caepio, diuersis moribus – nam Murena sine hoc facinore potuit uideri bonus, Caepio et ante hoc erat pessimus – cum iniissent occidendi Caesaris consilia, oppressi auctoritate publica, quod ui facere uoluerant, iure passi sunt: la congiura fallì e i cospiratori cercarono di fuggire, ma il tentativo si concluse con la loro morte. Dalle notizie in nostro possesso non risulta del tutto chiara la collocazione del dibattimento. Svetonio non fornisce nessuna prova della presenza di Fannio Cepione di fronte ai giudici che ascoltarono l’orazione di Tiberio; D.C. 54, 3, 5 al contrario ci fa sapere che Murena e Cepione non attesero il giudizio ma furono condannati in contumacia, arrestati nel timore che stessero per fuggire lontano e poco dopo uccisi. Velleio Patercolo dal canto suo non fornisce alcuna informazione sul processo. A chi scrive pare quindi degna di attenzione la ricostruzione della Levick, la quale ritiene che, dopo l’iniziale fase di nominis delatio in cui gli imputati non si presentarono, il processo sia continuato anche dopo la loro morte, allo scopo di ribadire ulteriormente la potenza dell’imperatore; una conferma indiretta di questa tesi sta nel fatto che Murena non aveva deposto il consolato e che, quindi, se fosse stato vivo, non avrebbe potuto esser giudicato: cf. Levick 1999, 22 e 233, nn. 21-23. Le fonti non ci indicano con precisione quale fosse l’organismo giudicante di fronte al quale Tiberio parlò: secondo Bleicken 1962, 43-44 in quegli anni il reato di maiestas era di competenza senatoriale e, quindi, vi sarebbero buone ragioni per ritenere che gli iudices svetoniani non fossero altri che i senatori e che l’orazione di Tiberio dovesse essere compresa tra quelle in senatu; precedentemente Bardon 1940, 112 aveva genericamente considerato questa orazione come unico esempio di un discorso apud iudices; Talbert 1984, 460 pensa, più ragionevolmente, ad una quaestio. Secondo questa ricostruzione Tiberio appare sostanzialmente uno strumento nelle mani di Augusto: da notare è l’abile accorgimento di Svetonio che, raccontando la vicenda della congiura nella vita di Augusto, omette il nome di Tiberio, allo scopo di sottolineare l’importanza del ruolo dell’imperatore nella repressione: cf. Gascou 1984, 374-375. Tiberio, nonostante la sua giovane età, aveva già avuto qualche esperienza oratoria; quindi sicuramente il ruolo di accusatore gli consentì da un lato di guadagnare considerazione agli occhi dell’opinione pubblica, dall’altro di confermare ad Augusto che la benevolenza nei suoi confronti era ben riposta. Sulla sua 110

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orazione accusatoria nulla possiamo dire, se non che, come ci testimonia D.C. 54, 3, 7, non ebbe grande successo, in quanto molti giudici votarono per l’assoluzione: cf. Levick 1999, 22. F 16 Nel 9 a.C. Claudio Druso fratello di Tiberio e valente generale, morì in seguito alle conseguenze di una caduta da cavallo avvenuta probabilmente in Turingia: cf. A. Stein, RE III, 1899, n° 139, 2703-2719. Tiberio, una volta appreso l’incidente, accorse ma poco dopo il suo arrivo il giovane spirò. Il futuro imperatore lo accompagnò a Roma da Augusto, dove fu riservato al defunto l’onore di un doppio elogio funebre, tenuto sia dal fratello di sangue, Tiberio, sia da Augusto stesso. Non comune è il ricorso ad una doppia laudatio: Kierdorf 1980, 139 osserva infatti che il doppio discorso fu tenuto soltanto per Ottavia, Augusto ed Antonino Pio, per un totale di quattro casi sui quarantasei di laudationes funebres da lui schedati. Tiberio, come già aveva fatto per suo padre, pronunciò il discorso nel foro, mentre l’imperatore parlò nel circo Flaminio, in quanto non gli era consentito attraversare il pomerio per via del lutto: cf. Cary 1954-55, VI, 383 n. 9. Come si può immaginare, la morte di Druso rappresentò per Augusto una gravissima perdita, in quanto egli era uno dei personaggi più cari all’imperatore: cf. Levick 1999, 32. Le fonti parallele (Liv. per. 142; Consol. Liuiae 209; Tac. Ann. 3, 5, 1; Suet. Cl. 1, 5) ricordano esclusivamente il discorso di Augusto (del quale Svetonio cita un piccolo frammento in Cl. 1, 5 [= Malcovati 19695, 78, fr. XVIII = De Biasi-Ferrero 2003, 480-481]). Tuttavia non credo che ciò costituisca una buona ragione per dubitare della veridicità del doppio discorso elogiativo: i casi paralleli nella famiglia imperiale e l’importanza del defunto possono rappresentare una giustificazione sufficiente. È verosimile che nell’orazione siano state poste in evidenza le qualità militari di Druso, che combatté con successo numerose popolazioni barbariche, compiendo spedizioni fino al Weser e all’Elba. È difficile ritrovare nei due discorsi la differenza che sembra emergere dalle parole di Bardon 1940, 111: «Il [scil. Tiberio] parla peut-être sur le Forum, pendant qu’Auguste, au cirque Flaminien, retraçait la carrière du défunt»; non vi sono infatti testimonianze che possano suggerire una ripartizione dei temi oratori: sicuramente Augusto inserì nel suo discorso una preghiera agli dei per Druso (Kierdorf 1980, 81) ed è probabile che questa fosse posta alla fine dell’orazione (Kierdorf 1980, 63 e n. 48), ma qualsiasi altra ipotesi sul contenuto e sullo stile dei due discorsi non può essere suffragata da prove. A Druso il senato decretò un monumento funebre: cf. 111

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W. D. Lebek, Ehrenbogen und Prinzentod: 9 v. Chr. - 23 n. Chr., ZPE 86, 1991, 47-78 (particolarmente 71-78). FF 17-18-19 Nei giorni successivi alla morte di Augusto il cadavere dell’imperatore fu traslato da Nola a Roma e giunse a Roma probabilmente la sera del 3 settembre. La cronologia dei fatti compresi tra il 19 agosto del 14 e l’inizio dell’autunno di quell’anno non è priva di incertezze: appare ragionevole la ricostruzione di Sage 1983, 293-321, che fissa l’arrivo della salma dell’imperatore a Roma alla sera del 3 settembre, il primo dibattito senatoriale in cui furono lette le disposizioni testamentarie di Augusto al 4 settembre e il funerale al 6 settembre. Non sembra invece accettabile la posizione di Levick 1999, 70, secondo la quale intercorsero quattro giorni tra l’entrata in Roma e la cremazione, che, perciò, si tenne l’8 settembre: non vi è alcuna ragione religiosa che sancisca la necessità di un tale intervallo, mentre al contrario è probabile che il corpo di Augusto abbia sofferto il calore romano dei primi giorni di settembre e quindi è verosimile che il rito sia stato svolto quanto prima: cf. ancora Sage, 1983, 297 e n. 25. Tiberio convocò il senato nella curia e, sopraffatto dall’emozione, non riuscì a pronunciare il discorso che aveva preparato e lo affidò al figlio Druso (= F 17); cf. Kampff 1963, 27-32. Non possiamo trarre alcun’altra informazione su questo testo e ci resta anche un dubbio sulla sua esistenza, in quanto nessun’altra fonte ne parla. Fu poi data lettura del testamento del defunto e furono stabiliti gli onori che dovevano essergli concessi. La salma fu quindi trasportata nel foro e lì Tiberio e Druso pronunciarono due elogi funebri: cf. Suet. Aug. 100, 3 e D.C. 56, 31, 3, che nota come entrambi avessero rivestito abiti lugubri in occasione del lutto, un accorgimento destinato a suscitare buona impressione negli astanti. La scelta dei luoghi in cui furono tenuti i discorsi necessita di qualche precisazione. D.C. 56, 34, 4 afferma che Druso parlò dai rostri; Svetonio precisa che si trattava dei rostra uetera. Con questo termine si indicava normalmente quella tribuna di forma ad arco di cerchio da cui avevano parlato gli oratori dell’età repubblicana e che, prima della costruzione di quella nuova, iniziata da Cesare e poi compiuta definitivamente da Augusto, era situata nel Comizio: cf. K. Schneider, RE I A 1, 1914, 452-455; Hülsen 1982, 59-60; Aldrete 1999, 22; F. Coarelli in Steinby 2000, IV, 212-214; sembra però un po’ strano che proprio la laudatio di Augusto sia stata tenuta da questa tribuna e non da quella da lui fatta edificare, tanto più che essa era stata pressoché sostituita interamente da quella augustea a partire dal 42 a.C.: cf. P. Verduchi in Steinby 112

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2000, IV, 214-217. È possibile che Svetonio, parlando dei rostra uetera, intendesse soltanto contrapporli a rostra Iulia. La scelta ebbe comunque una ragione propagandistica, la volontà di confermare, da parte dei successori, il legame della famiglia Giulio-Claudia con la tradizione repubblicana: non sembra casuale perciò il fatto che proprio il figlio di Tiberio, Druso, il primo erede del nuovo imperatore, abbia pronunciato il discorso. Kierdorf 1980, 156-157 identifica senz’altro i rostra uetera con quelli vicini al Comitium ed osserva che la collocazione delle due orazioni era studiata in modo tale che «die Zuhörer sich nur umzudrehen brauchten». Questa osservazione sarebbe però molto più corretta se fosse riferita alla tribuna augustea, posta dirimpetto ai rostra Iulia: l’effetto scenografico, di indubbio valore psicagogico e propagandistico, avrebbe perso un po’ della sua efficacia nel caso che gli ascoltatori fossero stati costretti a raccogliersi dapprima in uno spazio ristretto e laterale. Sia Svetonio sia Dione Cassio concordano invece sul fatto che Tiberio parlò dai Rostra Iulia, cioè dalla tribuna che si trovava davanti alla scalinata del tempio del divo Giulio: Hülsen 1982, 127; P. Gros, in Steinby 2000, III, 117. Due monete di Adriano raffigurate nella pagina citata mostrano l’imperatore che si rivolge al popolo proprio da questo punto. In questo caso il carattere simbolico della scelta del luogo è molto più evidente: l’oratore volle infatti ribadire il suo stretto legame con il defunto e con l’avo Giulio Cesare, fornendo quasi una legittimazione formale al testamento augusteo e preparando la strada alla divinizzazione che fu decretata subito dopo per il defunto princeps. Per un’ulteriore riflessione sui dati che conferma la tesi precedentemente esposta cf. A. Fraschetti, Roma e il principe, Bari-Roma 1990, 67-68. Le uniche notizie su questi discorsi ci sono pervenute da Svetonio e da Dione Cassio. È sorprendente il silenzio di Tacito (già osservato da Stekelenburg 1971, 149 e Sage 1983, 297), che pure dedica ampio spazio alla narrazione dei momenti della successione di Tiberio ad Augusto. In Annales 1, 10, a conclusione della celebre presentazione dei rumores su Augusto, si dice solamente che il funerale fu compiuto secondo l’uso e che furono decretati onori divini e l’erezione di un tempio. È probabile che si tratti di una deliberata omissione. Un secondo problema di non agevole soluzione è posto dalla testimonianza di Dione Cassio, che, in 56, 35-41, riproduce l’intero discorso di Tiberio. Esso è stato ampiamente analizzato da Kierdorf 1980, 154158, a cui rimando per una trattazione approfondita. In accordo con le interpretazioni di M 1842, Bardon 1940, 111-112, Stekelenburg 1971, 149-151, Millar 1963, 101 e Kierdorf 1980, 150-158, ritengo che questo 113

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lungo testo non possa essere accolto come originale. Le ragioni sono esposte con chiarezza da Manuwald 1973, 133, che, oltre a ribadire l’uso anacronistico del termine diavdoco", osserva che Tiberio «konnte damals nicht von einer bereits vollzogenen Apotheose des Augustus ausgehen (56, 41, 9)». Inoltre le parole che Dione Cassio fa pronunciare a Tiberio non corrispondono assolutamente alla visione del principato di Augusto che si può ricavare dai libri precedenti dell’opera dionea: «Hätte Dio die Rede des Tiberius eigenständig verfaßt, würde er durch Gegensätze zwischen den Ausführungen des Tiberius und dem eigenen Bericht mit bewußter Ironisierung deutlich machen, daß Tiberius in diesen Fällen die historische Wahrheit (im Sinne Dios) verfälscht. Schloß sich Dio dagegen (mehr oder weniger eng) an eine bereits vorgebildete Rede an, ist dieses Verständnis zwar ebenfalls möglich, aber es ist nicht im gleichen Maße sicher, wie weit sich Dio der Gegensätze zwischen Rede und Darstellung und der Wirkung dieser Differenzen jeweils voll bewußt war». È verosimile tuttavia che Dione non abbia inventato del tutto il discorso tiberiano, ma lo abbia tratto da una fonte – forse retorica – e lo abbia successivamente riadattato. Non abbiamo però alcuna possibilità di individuare tracce più precise di questa ipotetica fonte. Per questi motivi il testo non viene accolto in questa raccolta. Cf. anche M. A. Giua, Augusto nel libro 56 della Storia romana di Cassio Dione, «Athenaeum» 61, 1983, 439-456. Nulla di più certo possiamo dire sul discorso di Tiberio: sicuramente esso contenne fervidi elogi di Augusto, per il quale l’oratore seppe trovare accenti commossi. FF 20-21-22-23 Dopo i funerali di Augusto, si tenne la riunione del senato, in cui furono decretati onori divini all’imperatore defunto. In quell’occasione Tiberio pronunciò un discorso sulle sue difficoltà nell’accettare il potere che gli veniva offerto. Le principali testimonianze in proposito ci vengono fornite da Tacito, Svetonio e Dione Cassio. La loro comparazione risulta alquanto difficile perché tutte e tre le fonti citano eventi che sono in parte riconducibili a quella seduta ed in parte avvenuti in un momento successivo; inoltre esse non sono concordi sul momento dell’accettazione definitiva del potere imperiale da parte di Tiberio, che Svetonio e Dione Cassio collocano nel mese di ottobre in coincidenza con la fine delle rivolte delle legioni di Pannonia e Germania (cf. Rietra 1928, 3-4 e Gascou 1984, 263-279, che ritiene che i passi svetoniani di 24, 1 e 24, 23 appartengano a due sedute senatoriali differenti, la seconda delle qua114

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li successiva al 27 settembre, data in cui fu repressa la rivolta dell’Illirico), mentre Tacito mantiene su questo punto una posizione ambigua: cf. la bibliografia in Suerbaum 1990, 1337-1339. Egli non fa riferimento ad un’accettazione formale del potere imperiale, ma solo ad una cessazione del rifiuto: cf. Ann. 1, 13, 5, fessusque clamore omnium, expostulatione singulorum flexit paulatim, non ut fateretur suscipi a se imperium sed ut negare et rogari desineret; cf. anche Levick 1999, 78-79. La complessa questione è stata esaminata bene da Koestermann 1955, 330-355, Kampff 1963, 32-46 e Sage 1983. Chi scrive accetta le conclusioni di Sage che fissano l’incontro al 17 settembre sia contro K. Wellesley (The dies imperii of Tiberius, JRS 57, 1967, 23-30) e Shotter 1994, 31-32, che lo pongono al 3 settembre, sia contro Klingner 1954-1964, 35, che, fondandosi sulla testimonianza di Dione Cassio, lo pone verso la metà di ottobre. Cf. anche, per un’ulteriore conferma, le persuasive argomentazioni di Goodyear 1972-1981, I, 169-176. Per quanto riguarda il contenuto della presa di posizione di Tiberio, credo che possa essere accettata, almeno nelle sue linee generali, l’interpretazione di Levick 1999, 76 e 79, secondo la quale Tiberio tentò non tanto di rifiutare un potere che gli doveva essere conferito, ma di impedire che fosse sancito formalmente il principio che questi poteri dovessero essere attribuiti ad una sola persona che si sarebbe dovuta caricare dell’intero peso della responsabilità del governo. Comune a tutte le testimonianze è la confessione da parte di Tiberio della propria inadeguatezza a reggere il peso dell’impero. Nel passo tacitiano Tiberio giustifica l’insufficienza paragonandosi con Augusto e mettendo in luce la condizione di inferiorità che lo caratterizza. Le antitesi magnitudine imperii / sua modestia e Augusti mentem / se, l’uso del sostantivo moles, dell’aggettivo arduus, la precisazione ab illo uocatum, l’espressione subiectum fortunae regendi cuncta onus, dal sapore vagamente filosofico (carattere messo in luce anche da Andreini 1987, 161162), mostrano chiaramente che Tiberio rappresenta in modo iperbolico le difficoltà dell’arte del governo e, contemporaneamente, esalta le capacità di un princeps come Augusto che fu in grado di assumersele tutte con successo: mi sembra chiaro che dietro a queste espressioni vi sia, più che un’autentica volontà di rifiutare il potere, l’intenzione di conferire maggior valore alla sua accettazione. Che Tacito abbia percepito le parole di Tiberio come frutto di una strategia retorica ben precisa sembra confermato anche dall’uso del modulo introduttivo uarie disserebat, che, come osserva Dangel 1991, 2512 rappresenta una variante espressiva di dicit od ait mirante a costruire una “strategie de parole” a sostegno del115

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

le proprie tesi e della propria autoraffigurazione come principe moderato (Aubrion 1985, 557). Non entro nel complesso problema della dissimulatio tiberiana – che trova proprio in Suet. Tib. 24 e Tac. Ann. 1, 11 due luoghi che hanno suscitato amplissima discussione – in quanto riguarda in gran parte il modo in cui Tacito e le altre fonti hanno rappresentato Tiberio, più che le parole di Tiberio in sé: per una trattazione rimando a Strocchio 2001, 33-37 e 47-49 (con bibliografia); sul concetto di dissimulatio anche Baar 1990, 146-150. Nell’orazione, all’enunciazione del problema dell’inadeguatezza a governare l’imperatore fece probabilmente seguire la proposta di una soluzione: essa avrebbe dovuto consistere nella cooptazione di altri personaggi (uno o più, come ricorda Svetonio) per esercitare un potere collegiale. Tacito non precisa la ripartizione delle funzioni del nuovo governo, mentre Dione Cassio specifica che non doveva trattarsi di un regime di tipo oligarchico, bensì di una suddivisione in tre parti dei campi d’influenza: essa sembrerebbe quindi una riedizione dell’istituto del triumvirato. Non è agevole identificare nel racconto di Svetonio o nell’oratio obliqua di Tacito e Dione Cassio qualche parola o frase che possa risalire a questo discorso di Tiberio. Svetonio ci riporta alcune parole dell’imperatore che non abbiamo alcuna ragione di ritenere inventate: dal punto di vista retorico vi si può constatare un certo gusto per l’enfasi; termini chiave come tempus e requiem sono collocati in posizione molto forte prima della relativa ed alla conclusione della sententia; il poliptoto uos … uobis e l’iperbato aliquam … requiem ribadiscono la solennità del dettato tiberiano. L’insistenza sul pronome personale uos sembra anche connotare l’intenzione di Tiberio di conformarsi rigorosamente alla volontà senatoriale: che tale atteggiamento in questo frangente fosse sincero od artefatto, è questione che ha diviso gli interpreti: cf. Rietra 1928, 4. Il ritmo di F 20 presenta qualche punto interessante: la clausola senectuti meae requiem riproduce nelle ultime sette sillabe il secondo emistichio di un pentametro dattilico, una sequenza ritmica normalmente evitata in prosa: cf. Lausberg 1960, § 1029, 1, a; qualche interprete ha osservato che, in altri casi, parole di Tiberio citate come letterali presentano un ritmo poetico: cf. Rietra 1928, 3 e soprattutto A. A. Howard, Metrical passages in Suetonius, HSCP 10, 1899, 23-28 (in particolare 26), che però si riferisce all’espressione di Tib. 24, 2 (adhortantis amicos) increpans ut ignaros quanta belua esset imperium, che non accolgo nel testo del frammento, in quanto non è chiaro se sia collegata alle altre parole di Tiberio; essa, secondo lo Howard, riprodurrebbe il senario impe116

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rium belua ignoratis quanta sit: mi sembra però una ricostruzione molto arbitraria, in quanto lo studioso riordina le parole in modo pertinente alla sua tesi. FF 24-25 Nella seduta senatoriale del 17 settembre del 14 d.C. sull’accettazione dell’impero (cf. FF 20-23 e 71-74) il discorso di Tiberio provocò reazioni polemiche da parte di alcuni appartenenti alla nobiltà romana che potevano nutrire qualche aspirazione al potere supremo. In qualche caso si arrivò allo scontro verbale, come avvenne nello scambio di battute, interpretabile come traccia di un’altercatio, che oppose Asinio Gallo e Tiberio: sulle caratteristiche oratorie dell’altercatio o dibattito cf. Quint. Inst. 6, 4; sulla presenza dell’altercatio nei dibattiti senatoriali e processuali cf. Suet. Aug. 54, Talbert 1984, 265 e J. A. Crook, Legal Advocacy in the Roman World, London 1995, 134. Qui di seguito verranno commentati i testi frammentari in cui Tiberio espresse le sue posizioni: per quanto riguarda il commento alle parole di Asinio Gallo rimando a FF 71-74. È molto difficile pensare ad una pubblicazione di quest’altercatio nelle orazioni tiberiane, fatto che avrebbe costretto l’imperatore a farvi inserire anche le parole di Asinio Gallo (cf. Erm. Malaspina, Quattro “nuovi” frammenti oratorii di Cicerone?, «Quaderni del Dipartimento di Filologia, Linguistica e Tradizione classica dell’Università di Torino», 1997, 131-147, soprattutto 135 e n. 16); tuttavia è per lo meno verosimile che almeno un sunto od un estratto del testo sia stato conservato negli acta senatus. Tacito ci tramanda due momenti dell’intervento tiberiano: nel primo l’imperatore affermò la sua intenzione di accettare qualunque parte del potere imperiale il senato pensasse di affidargli. Si tratta della logica conclusione delle premesse poste nel capitolo 11 sull’impossibilità che un uomo solo che non fosse Augusto potesse reggere il peso del governo imperiale. Risulta interessante la parola tutela che Tiberio impiega: essa rappresenta un «Inbegriff der kaiserlichen Stellung» (Koestermann 1963-1968, I, 108) e definisce una concezione del potere non fondata sul dominio bensì sul rispetto e sulla difesa delle istituzioni. Nel secondo momento Tiberio, dopo una breve esitazione, rispose all’intervento di Asinio Gallo: di rilievo è anche in questo caso l’aspetto linguistico-sintattico dell’espressione. Tiberio chiama infatti in causa il decus ed il pudor: si tratta di concetti ricchi di significato nel vocabolario politico romano che pertengono rispettivamente alle sfere della dignitas e della honestas: cf. Hellegouarc’h 1972, 283 (pudor) e 413-415 117

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

(decus). Tiberio si richiama quindi ad alcuni elementi cardine che già in età repubblicana entravano nella rappresentazione dell’uomo politico ideale; il messaggio ideologico di continuità con gli ideali repubblicani (e augustei) appare abbastanza evidente: cf. anche Strocchio 2001, 49. Un altro luogo interessante è costituito dalla relativa ex eo cui in uniuersum excusari mallet, che presenta un costrutto non attestato altrove (Koestermann, ibidem e Goodyear 1972-1981, I, 180). Dal punto di vista sintattico è una variatio con il dativo di una forma piuttosto comune come excusari a / ab (ThlL V 2 1300, 80-1307, 55). L’unica costruzione somigliante, in cui però il dativo mihi è richiesto da uideor, è Ov. Pont. 3, 6, 45-46: Ipse ego, quod primo scripsi sine nomine uobis, / uix excusari posse mihi uideor. Correttamente Goodyear osserva che «the notion of tutela may perhaps still be present here, since excusari (excusare se) a tutela and so on is a standard form of words», ma è opportuno osservare che questo costrutto così difficile ed originale ben si adatterebbe alle caratteristiche del prezioso ed articolato stile tiberiano. La domanda retorica riportata da Dione Cassio esprime in modo molto più lineare – ma forse con una vena di ironia – il livore che l’imperatore dovette provare per l’intervento di Asinio. FF 26-27 Suet. Tib. 29 ci conserva due interventi di Tiberio: il primo diretto a Quinto Aterio ed il secondo alla curia. Il contesto è sempre quello della seduta senatoriale del 17 settembre (cf. FF 24-25 e F 2). Accolgo qui questi due testi perché ritengo che si tratti di una parte della risposta che Tiberio rivolse a Quinto Aterio, il quale gli aveva chiesto insolentemente Quo usque patieris, Caesar, non adesse aput rei publicae? (F 2) Tacito registra una risposta dura dell’imperatore (In Haterium statim inuectus est), ma non ci conserva alcuna parola di tale intervento. L’identificazione delle parole di Tiberio con tale risposta è altamente probabile: nella vita svetoniana di Tiberio non si parla di Aterio in altri luoghi; inoltre le parole di Tiberio in F 26 rivelano a mio parere un atteggiamento ironico dell’imperatore, che asserisce di parlare liberius come un senatore, non quindi da imperatore; tuttavia il fatto che egli chieda scusa all’interlocutore sembra tradire l’intenzione di prepararlo ad un intervento duro, come sembra rivelare l’inuectus est di Tacito: sull’uso mediale di inuehor nello storico cf. GG 680. L’identificazione del passo svetoniano con la risposta di Tiberio è sostenuta anche da Koestermann 1963-1968, I, 113, che mette in rilievo proprio il contrasto tra la durezza ricordata da Tacito e il frammento tiberiano: il fatto si spiega, a mio pa118

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rere, come un ulteriore esempio di dissimulatio tiberiana (su cui Strocchio 2001, passim). Se si accetta tale interpretazione, il passo di Svetonio ci testimonia una seconda altercatio tiberiana, questa volta con Quinto Aterio: si tratterebbe di una forma retorica coerente con il contesto conflittuale della seduta e si porrebbe come un efficace parallelo dello scontro verbale con Asinio Gallo: cf. Andreini 1987, 157-158. F 27, un frammento che appartiene sicuramente allo stesso discorso come dimostra la formula introduttiva svetoniana, contiene almeno alcuni dei concetti esposti da Tiberio nel discorso con cui pose fine alla sua recusatio imperii (Tac. Ann. 1, 13, 5): l’imperatore pone l’accento sulla sottomissione del princeps al senato e sulla necessità che egli si metta a servizio di ogni cittadino (si noti la climax senatui … uniuersis ciuibus … plerumque singulis). Il testo svetoniano esprime insomma un comportamento politico coerente sia con la uirtus imperatoria della moderatio (cf. Classen 1991 e Galimberti 1998) sia con quell’immagine di principe ciuilis e fedele alle istituzioni che egli voleva accreditare nella prima parte del suo potere: cf. FF. 20-23. Il testo svetoniano si può considerare sicuro: l’integrazione semper proposta da Bergk appare del tutto pleonastica. Probabilmente va identificato con Aterio l’ex console che, mentre supplicava Tiberio, lo aveva fatto cadere: adulationes adeo auersatus est, ut neminem senatorum aut officii aut negotii causa ad lecticam suam admiserit, consularem uero satisfacientem sibi ac per genua orare conantem ita suffugerit, ut caderet supinus (Suet. Tib. 27, 1). FF 28-29 Alla fine del 14 gli eserciti condotti da Germanico e Druso riportarono grandi vittorie in Germania ed in Illiria: cf. su queste campagne la bibliografia contenuta in Suerbaum 1990, 1339-1342. La notizia di queste imprese giunse a Roma, dove Tiberio recò la notizia in senato, accompagnando la comunicazione con un elogio. Era consuetudine di Tiberio riferire in senato sulle questioni più importanti che riguardavano la sicurezza statale (Furneaux 1956, I, 248). Tuttavia in questo caso credo che sia maggiormente fondata la posizione di Goodyear 1972-1981, I, 322: «I suspect, a more precise notion of the ‘proper business’ of the Senate at this period than the evidence warrants […] It was the Senate, not Tiberius, to decree a thanksgiving […]». Le testimonianze di Tacito e Dione Cassio, sostanzialmente identiche, ci consentono di ritenere credibile l’episodio: entrambi gli storici concordano nell’individuare dietro le parole dell’imperatore un atteggiamento non propriamente sincero («trop élogieux pour être sincère», come afferma Aubrion 1985, 193), almeno 119

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nei confronti di Germanico, perché per quanto riguarda Druso sembra che Tiberio abbia saputo trovare espressioni più autentiche. Secondo Aubrion 1985, 193 il discorso poteva essere stato letto da Tacito negli acta senatus: è possibile, ma non esistono prove in proposito. Stilisticamente e contenutisticamente poco si può dire sul discorso. Münkel 1959, 52-53 osserva: «mit adornatus ist die formale Seite der Rede charakterisiert: auffallend ist der reichliche Schmuck»; tuttavia nessuna considerazione più certa può essere tratta dal testo disponibile. Nella presentazione tacitiana un certo rilievo assume il sintagma fida oratione, un hapax in latino, per quanto ho potuto controllare, che definisce l’atteggiamento, in questo caso sincero, di Tiberio. FF 30-32 Tiberio rifiutò più volte sia il titolo di pater patriae sia il giuramento sul proprio nome: cf. Levick 1999, 290 n. 5 e, sulla pratica del giuramento, Furneaux 1956, I, 273-274; Koestermann 1963-1968, I, 236; Goodyear 1972-1981, II, 139-140 e Shotter 1978, 238; sul valore propagandistico dell’invito cf. ancora Shotter 1978, 240-241. Svetonio e Tacito ci forniscono due testimonianze parzialmente discordanti su una delle occasioni in cui egli rese nota questa decisione. Sia il biografo sia lo storico affermano che Tiberio non permise di essere chiamato pater patriae e di essere oggetto del giuramento di fedeltà; Svetonio, collegando esplicitamente i due atti fra di loro, afferma che Tiberio pronunziò un’oratio su questi argomenti e la colloca nel momento dell’assunzione del potere imperiale; Tacito lascia supporre che la risposta di Tiberio ad un voto favorevole del senato abbia avuto forma di orazione, ma non lo afferma esplicitamente; inoltre colloca l’avvenimento nel 15 d.C., quindi dopo l’assunzione del potere, avvenuta nel 14. Credo tuttavia che un accordo si possa trovare, in quanto la formula impiegata da Svetonio per indicare il momento del discorso (ut imperium inierit) è assai generica e potrebbe anche non riferirsi all’istante dell’accessus, ma al periodo in cui il potere, appena acquisito, andava consolidandosi e definendosi. Accetto perciò la posizione che già aveva assunto M 1842, ritenendo che i due testi si riferiscano allo stesso evento e che esso possa essere collocato cronologicamente nel 15. Dal punto di vista testuale, i passi necessitano di qualche discussione. In FF 30-31 ritengo che la scelta dello Ihm di accettare in 67, 4 patria appellatio, lezione dei codici più antichi al posto di patris patriae o patris appellatio, testimoniata dalla famiglia Y e dai recentiores, sia corretta, perché queste ultime lezioni sono chiaramente dovute all’influen120

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za del patris patriae di 67, 2, anche se il sintagma patria appellatio compare soltanto qui nei testi latini di cui disponiamo: Bardon 1940, 113 definisce l’espressione «raccourci un peu obscur» e, citando un passo parallelo di Velleio Patercolo (2, 125, 5: ornamenta triumphalia appellatione imperatoria meruit), afferma che «c’est l’emploi de l’adjectif patria et l’omission de l’idée de pater qui font la tournure de Tibère si obscure». Credo però che in questo caso nell’oscurità individuata dal Bardon si debba vedere invece un tratto caratteristico dello stile tiberiano, cioè l’ambiguità. F 32 è abbastanza sicuro e solamente in un punto ha avuto bisogno dell’intervento del filologo. Nella parte conclusiva dell’oratio obliqua tiberiana M ha quantoque plus adepto foret tanto se magis in lubrico dictans. Mureto corresse quest’ultima parola in dictitans e la sua correzione fu accettata da tutti gli editori maggiori; per la conservazione del testo tradito si dichiarò soltanto il Constans in RPh 1894, 220, dove sostenne che era possibile conservare dictans in quanto dicto poteva possedere il valore di “affermare con forza, con insistenza”, come si poteva evincere da due esempi gelliani, 4, 1, 2 (Nam et “hoc penus” et “haec penus” et “huius peni” et “penoris” ueteres dictauerunt); 4, 11, 14 (Pythagoram uero ipsum sicuti celebre est Euphorbum primo fuisse dictasse, ita haec remotiora sunt his, quae Clearchus et Dicearchus memoriae tradiderunt, fuisse eum postea Pyrrhum, deinde Aethaliden, deinde feminam pulchra facie meretricem cui nomen fuerat Alco). In questo secondo caso, però, ben tre codici – V (= Città del Vaticano, Vat. Lat. 3452), P (= Paris, Bibl. Nat., Lat. 5765) e R (= Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Gronov. 21) – recano la lezione dictitasse. Goodyear 1972-1981, II, 140-141, che ha ristudiato il problema in modo più ampio, ha osservato come esistano soltanto due altri esempi di questo uso di dicto, Sen. Nat. 5, 18, 4 e SHA, Gord. 20, 2 (forse da correggere in recitasse). Inoltre Tacito impiega solitamente dictito. Sembra perciò preferibile in questo caso accogliere la correzione di Mureto. Credo che l’ordine dei frammenti in oratio obliqua e recta che troviamo in Svetonio debba essere invertito. Infatti nella presentazione che il biografo ci propone del discorso tiberiano, le due sezioni in cui era probabilmente articolato (l’una dedicata al rifiuto dell’appellativo di pater patriae e l’altra concernente il divieto di giurare) compaiono in un ordine opposto a quello che viene poi seguito nella successione dei frammenti; Svetonio scrive: et patris patriae appellationem et ne in acta sua iuraretur obstinatissime recusasse, ma poi dedica la sezione in oratio obliqua al giuramento e quella in oratio recta al rifiuto del titolo. La successione corretta è la prima, come confermano Tacito (che colloco dopo 121

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Svetonio per la minore ampiezza delle sue informazioni) e Dione Cassio. Anche in questo caso, perciò, l’ordine dei frammenti oratori raccolti da Svetonio non sembra corrispondere a quello reale. Un ulteriore indizio a favore di questa interpretazione è fornito dal connettivo et rursus, che non possiede in Svetonio valore temporale, ma è una formula impiegata per collegare due o più avvenimenti o momenti, come l’inglese likewise: cf. Balbo 2004 e 20072, F 11. La ragione dell’inversione è probabilmente dovuta alla consuetudine, che si constata anche in Tacito, di premettere una sezione in oratio obliqua ad una in oratio recta. Mi pare perciò opportuno ripristinare l’ordine corretto dei frammenti; sarei inoltre incline a considerarli appartenenti alla parte centrale dell’orazione piuttosto che alla peroratio conclusiva. F 30 ci consente qualche considerazione sullo stile. Dal punto di vista retorico è fondato su un’opposizione uos / ego marcata dall’antitesi tra gli aggettivi possessivi meis / uestrae e dei pronomi uobis … me … mihi … uobis … mihi che sono disposti secondo uno schema alternante; anche l’insistito poliptoto me … de me … mihi coopera ad accentrare tutta l’attenzione sull’ego parlante. Il periodo è sapientemente costruito: infatti il termine cardine patria appellatio si trova in posizione centrale tra adiciet ed exprobrabit; a ciò si può aggiungere la “curieuse parenthèse” cui Bardon 1940, 113 attribuisce il compito di interrompere lo sviluppo regolare della frase. In questo caso è ripreso uno stilema già appartenente alla tradizione retorica: si tratta del sintagma inconstantia iudicii, che è usato in latino da Seneca Padre per mettere in rilievo la scarsa fermezza di Albucio Silo: cf. Con. 7 praef. 1-9 (= Balbo 2004 e 20072, T 17). Si può notare la continua ricerca degli iperbati: si quando … dubitaueritis; huic mutatae uestrae … opinioni; delati … cognominis; contrarii … iudicii. Si possono osservare anche i chiasmi moribus meis / deuoto uobis animo e nihil honoris adiciet mihi / uobis autem exprobrabit e il parallelismo temeritatem delati mihi eius cognominis / inconstantiam contrarii de me iudicii. Non credo che il tono, come osserva Bardon 1940, 113, sia «déférent, mais plein d’ironie et, dejà, d’amertume»; mi sembra invece che dietro la deferenza si debba percepire il profondo rispetto per l’autorità senatoriale. Qualche problema comporta la clausola conclusiva de me iudicii, che propone uno spondeo seguito da un coriambo, forse una sorta di variante della più usata clausola trocaico-coriambica: cf. Lausberg 1960, §§ 1016 e 1029; Bardon 1940, ibidem osserva che l’espressione è una “formule hellénisante”. In F 31 si può constatare la notevole attenzione nei confronti delle prerogative senatoriali; si affaccia nell’oggettiva similem sui futurum e 122

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nella temporale quam diu sanae mentis fuisset, il tovpo" filosofico dell’instabilità della condizione umana; tale tema ritorna con insistenza anche in F 32 e costituisce forse una costante del pensiero tiberiano; Koestermann 1963-1968, I, 235 osserva: «Der öfters wiederholte Ausspruch, der gut zu den von Tacitus cap. 11, 1 referierten Worten paßt, dokumentiert die skeptische und auch selbstkritische Grundhaltung des zweiten princeps». L’accostamento tra sanus / sanare e mens è molto usato da Cicerone ed è presente anche in Plauto e Cesare: cf. Pl. Am. 1083; Trin. 454; Caes. Ciu. 1, 35, 2; Cic. Phil. 2, 51; Leg. 3, 24, 1; N.D. 2, 44; Off. 1, 127 e 3, 95. Ad un’intensa serie di allitterazioni martellanti, già notate da Bardon 1940, 113, (similem se semper sui / mutaturum mores / causa cauendum) si affianca il chiasmo similem…futurum / mutaturum…mores: il periodare rivela quindi un’accorta ricerca stilistica. Per quanto riguarda il contenuto di F 32, come opportunamente osserva Koestermann 1963-1968, I, 235, «es ist erstaunlich zu sehen, wie hier von Tacitus in einem einzigen Satz zusammengezogen ist, was Sueton Tib. 26-32 breit ausgeführt hat». Infatti anche il testo di Tib. 26 fa esplicito riferimento al rifiuto del giuramento, che viene annoverato tra gli atti con cui Tiberio si dimostrò ciuilis (uerum liberatus metu ciuilem admodum inter initia ac paulo minus quam priuatum egit […] Intercessit et quo minus in acta sua iuraretur […] Praenomen quoque imperatoris cognomenque patris patriae et ciuicam in uestibulo coronam recusauit) all’inizio del suo governo. Il riferimento implicito è però antifrastico: Tacito afferma infatti che gli atti di Tiberio non erano dovuti a ciuilitas (non tamen ideo faciebat fidem ciuilis animi), ma a calcolo accorto. L’atto di Tiberio, che a Svetonio appare quindi prova di un’intenzione positiva all’inizio dell’esercizio del potere (Tib. 67, 2: ne mox maiore dedecore impar tantis honoribus inueniretur; su questa linea sembra collocarsi anche D.C. 57, 8, 1 e 4), si rivela agli occhi di Tacito un’altra prova – precoce – di finzione: si può anche pensare ad un atto compiuto dall’imperatore per evitare di urtare i sentimenti di gran parte dei senatori. Dal punto di vista stilistico Bardon suppone che l’uso di foret per esset e l’espressione se magis in lubrico dictitans siano “un écho du style tibérien”. La forma sussidiaria del congiuntivo è impiegata 197 volte da Tacito: cf. Nutting 1923; non può perciò essere fatta risalire ad un genuino testo tiberiano; qualche probabilità esiste per la seconda espressione, in quanto il termine lubricus in Tacito, su sette occorrenze negli Annales, in ben tre casi è legato a Tiberio: essa può essere un esempio di quel cospicuo uso metaforico proprio di Tacito che è forse in parte da far risalire alle sue fonti: cf. Walker 1952, 65-66. 123

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 33 Siamo alla conclusione del primo libro degli Annales. Tacito termina la narrazione del primo anno di governo di Tiberio rammentando che era giunto il momento di indire i comizi per l’elezione dei consoli, in quanto i magistrati del 15 erano stati eletti sotto Augusto. Qui lo storico fa riferimento ad alcune orazioni di Tiberio. Egli afferma che furono più di una, ma non ci fornisce ulteriori e più precise notizie. Non è perciò possibile stabilire in modo convincente quante siano state le orazioni pronunciate e come i testi citati in oratio obliqua dallo storico romano siano ripartibili tra di esse; inoltre non è neppure possibile fissarne una soddisfacente scansione cronologica. Dal punto di vista stilistico non vi sono tratti che possano essere identificati come propri dello stile tiberiano. Per quanto riguarda il versante contenutistico, il testo presenta alcuni problemi. Tiberio, secondo Tacito, adottò tre linee di condotta nella comunicazione delle candidature consolari: 1) evitò di rendere pubblici i nomi di alcuni candidati ma ne descrisse le carriere e gli episodi salienti della vita in modo così preciso che fu possibile capire senza alcuna difficoltà di chi si trattasse; 2) di altri non rese noti neppure questi dati, ma si limitò ad esortarli a non turbare le procedure elettorali con sollecitazioni fraudolente di voti; 3) segnalò altri ancora ai consoli: si trattava di coloro che si erano presentati a lui personalmente. Tacito stesso però afferma che difficilmente sarebbe in grado di fornire qualche particolare più preciso, poiché i testi degli storici che costituiscono le sue fonti e le orazioni tiberiane contengono dati differenti: Aubrion 1985, 77 vede in questo atteggiamento un esempio della prudenza dello storico, mentre Devillers 1994, 115 constata come Tacito abbia inteso gettare un’ulteriore ombra sul governo di Tiberio. Il problema centrale, sottinteso alla narrazione tacitiana, è costituito dalla possibilità dell’imperatore di influenzare le decisioni degli organi pubblici che erano preposti dalla costituzione repubblicana alla nomina dei magistrati: in altri termini, si esprime il dubbio che il diritto di suffragatio da parte dell’imperatore fosse diventato non più un semplice atto di raccomandazione e consiglio, ma costituisse ormai un vero e proprio atto di pressione politica. Tuttavia la testimonianza tacitiana non è del tutto chiara e sembra adombrare che alle elezioni dovessero presentarsi più candidati di quanti posti fossero disponibili: in questo caso sarebbero entrate in campo le raccomandazioni tiberiane, che avrebbero agito allo scopo di evitare il problema dell’ambitus e, quindi, gli espedienti elettorali che tante volte avevano provocato disordini e confusione durante il periodo repubblicano. Non è chiara inoltre la distinzione fra 124

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i vari modi di agire che l’imperatore avrebbe adottato: il primo «may have been an oblique way to express support»; con il secondo «perhaps he [scil. Tiberio] intended to communicate privately preferences which for whatever reason he would not state publicly» (Goodyear 1972-1981, II, 184); il terzo sembra invece mettere in dubbio la pre-selezione da parte di Tiberio, ma non è chiaro se l’imperatore facesse in realtà riferimento a candidati diversi da quelli che aveva precedentemente citato: se i candidati fossero gli stessi, bisognerebbe pensare ad un atto di riverenza da parte loro nei confronti dell’imperatore, un comportamento che riconoscerebbe di fatto la sua preminenza nell’influenzare le nomine. A questa testimonianza va affiancata quella di D.C. 58, 20, 1-3, che presenta un quadro molto meno sfumato e più incline a delineare il potere tiberiano in senso autocratico: Tw'n d∆ ou\n uJpavtwn oJ me;n Domivtio" di∆ e[tou" h\rxe (th'" ga;r ∆Agrippivnh" th '" tou' Germanikou' qugatro;" ajnh;r h\n ), oiJ d∆ a[lloi w{" pou tw/ ' Tiberivw/ e[doxe. Tou;" me;n ga;r ejpi; makrovteron tou;" de; ejpi; bracuvteron a]n hJ/rei'to, kai; tou;" me;n e[ti kai; qa'sson tou' tetagmevnou ajphvllasse, toi'" de; kai; ejpi; plei 'on a[rcein ejdivdou. 2 “Hdh de; kai; ej" o{lon to;n ejniauto;n ajpodeivxa" a[n tina ejkei 'non me;n katevluen, e{teron de; kai; au\qi" e{teron ajntikaqivsth: kaiv tina" kai; ej" trivton eJtevrou" proceirizovmeno", ei\ta a[llou" uJpateuvein pro; aujtw'n ajnq∆ eJtevrwn ejpoivei. 3 Kai; peri; me;n tou;" uJpavtou" tau 'ta dia; pavsh" wJ" eijpei'n th'" hJgemoniva" aujtou' ejgivgneto: tw'n de; dh; ta;" a[lla" ajrca;" aijtouvntwn ejxelevgeto o{sou" h[qele, kaiv sfa" ej" to; sunevdrion ejsevpempe, tou;" me;n sunista;" aujtw/ ', oi{per uJpo; pavntwn hJ/rou 'nto, tou;" de; ejpiv te toi '" dikaiwvmasi kai; ejpi; th '/ oJmologiva/ tw/ ' te klhvrw/ poiouvmeno" . Tuttavia questo passo di Dione risulta evidentemente influenzato dalla procedura dei tempi in cui lo storico scrive (Marsh 1959, 301-302) e non può adattarsi facilmente alla prassi dell’età di Tiberio. La questione sui metodi di nomina dei magistrati risulta, in conclusione, non ancora plausibilmente risolta. Il tono della citazione conferma quell’atteggiamento ambiguo che costituiva il tratto tiberiano più autentico: cf. Marsh 1959, 300-302; Seager 1960, 125; D.C. A. Shotter, Elections under Tiberius, CQ 60, 1966, 321-332; B. Levick, Imperial control of the elections under the early principate: commendatio, suffragatio and ‘nominatio’, «Historia» 16, 1967, 207-230; Koestermann 1963-1968, I, 256-258; Goodyear 1972-1981, II, 183-185; Levick 1999, 96-97. FF 34-35 Nel 16 d.C. si svolse una discussione sulla legge suntuaria, in cui Quinto Aterio e Ottavio Frontone proposero forti limitazioni al lusso dei 125

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cittadini, mentre Asinio Gallo si oppose duramente (cf. F 3 e F 78). Dione Cassio ci testimonia che Tiberio pronunciò in quell’occasione un discorso in cui vietò di utilizzare in un decreto senatoriale il termine greco e[mblhma. La circostanza è ricordata anche da Svetonio, il quale però non precisa l’occasione in cui Tiberio intervenne: la somiglianza delle due testimonianze ci fa ritenere che esse trasmettano memoria dello stesso discorso. La testimonianza di Dione Cassio non rende accettabile la posizione di Fanizza 2001, 83 n. 62, che si chiede se la parola possa essere monopolium o e[mblhma. Tacito ricorda che Tiberio, dopo la conclusione del dibattimento, si limitò ad aggiungere che non era quello il momento di riformare i costumi deviati (Ann. 2, 33, 4: adiecerat et Tiberius non id tempus censurae), ma non specifica che l’imperatore abbia pronunciato un’orazione. Una conferma del fatto che ci si trovi dinanzi ad un’orazione tiberiana è fornita da Svetonio, che utilizza il verbo censeo, termine che esprime normalmente un parere articolato sotto forma di discorso pubblico in senato: cf. Introduzione § 3. Le parole di Tiberio ci conservano un’esplicita testimonianza della sua cura per il lessico, che conferma la notizia fornita da T 11. Null’altro possiamo dire su quest’orazione di natura verosimilmente deliberativa. Rimando a F 78 per l’analisi delle posizioni di Asinio Gallo. F 36 Il 16 d.C. vide acuirsi lo scontro tra Tiberio ed Asinio Gallo, che si espressero in modo fortemente divergente sulla questione della nomina dei candidati alle magistrature per gli anni successivi. Gallo propose che i comizi per l’elezione dei magistrati definissero le nomine per i cinque anni successivi: cf. Furneaux 1956, I, 327; Koestermann 1963-1968, I, 315-316; Goodyear 1972-1981, II, 297; in particolare i legati delle legioni avrebbero dovuto essere designati pretori in numero di dodici per anno: su queste figure cf. A. von Premerstein, RE XII 1, 1924, 11471149. Questa proposta, che avrebbe comportato la designazione di sessanta candidati in una sola volta, avrebbe dovuto segnare una variazione cospicua rispetto alla scelta di Tiberio di proporne quattro per volta e comunque mai più di dodici per anno (Ann. 1, 14 e 15) e sarebbe potuta apparire come un tentativo per concentrare maggior potere nelle mani dell’imperatore. In realtà tale procedura avrebbe bloccato a lungo le nomine; Tiberio avrebbe perciò dovuto far fronte alle proteste degli esclusi ed avrebbe incontrato molte difficoltà nel modificare le proprie scelte: Gallotta 1987, 185 crede che «l’elezione contemporanea ogni cinque anni di sessanta pretori avrebbe creato una massa di candidati difficile da con126

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trollare in sede di elezioni e con maggiori possibilità di indipendenza una volta in carica» (non mi riesce peraltro di capire il fondamento dell’ultima parte dell’asserzione); Talbert 1984, 243 suppone – più prudentemente – che la posizione dei designati fosse già politicamente rilevante ed occupasse un ruolo a metà strada tra il priuatus e il magistrato. Lo scopo politico di Asinio Gallo andava quindi probabilmente oltre la volontà di migliorare l’efficienza dell’amministrazione e si indirizzava invece verso un nuovo tentativo di mettere in imbarazzo Tiberio (Shotter 1971, 451), con la segreta speranza di «make those chosen more independent of him, since once assured of their office men would have less motive for seeking to gain the imperial favour» (Marsh 1959, 303). Il piano fallì sia perché Tiberio non amava sovvertire le procedure politiche sia perché comprese probabilmente che lo scopo nascosto della proposta era un tentativo da parte dell’aristocrazia senatoria più antica di acquisire maggior potere. Il tono generale del discorso dell’imperatore è improntato alla moderazione ed alla conciliazione. L’esordio stesso con il termine moderatio (cf. Rogers 1977, 60-88; V. Hinz, Eine bekannte Tugend des Tiberius: Tab. Siar. Frg. I Z. 5, ZPE 96, 1993, 59-63; Levick 1999, 87-91), il riferimento alle offensiones, all’odium, alla superbia dei candidati, al rischio stesso di sovversione che le magistrature avrebbero corso qualora egli fosse stato costretto a esprimere una preferenza per ben sessanta persone, confermano che Tiberio non intendeva assecondare una linea di condotta che solo apparentemente gli avrebbe garantito un potere discrezionale più ampio, ma che in realtà lo avrebbe posto in urto con ampie frange della nobiltà. L’orazione assume perciò un tono quasi dimesso, umile, che sembra cercare, grazie anche all’accorgimento stilistico delle interrogative retoriche, la continua approvazione degli ascoltatori. Tiberio riuscì sicuramente a conseguire il proprio obiettivo, il consolidamento del potere attraverso una condotta che non desse spazio a sospetti di tirannia: si può perciò in questo caso apprezzare da un lato la sua sagacia politica, dall’altro la sua capacità di mantenersi nei binari delle consuetudini di governo definite da Augusto: cf. anche Aubrion 1985, 184-185. Dal punto di vista stilistico, pur con tutta la prudenza necessaria in questi casi di oratio obliqua, sembra possibile individuare qualche tratto che potrebbe derivare dall’orazione tiberiana: 1) singolare e inusuale è l’esordio del frammento: l’aggettivo sostantivato graue con il dativo compare in Tacito in Ag. 10, 6 e cinque volte negli Annales (oltre che qui anche in 6, 26, 1; 13, 26, 3; 14, 21, 3); nell’opera in due casi è unito a dativi di persona (13, 26, 3; 14, 21, 3), in tre è riferito a sostantivi astratti: 127

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in questi ultimi è sempre impiegato da Tiberio; 2) l’uso del verbo proicio come sinonimo di differo compare soltanto qui nell’opera tacitiana: cf. Koestermann 1963-1968, I, 317; 3) quinquiplicari costituisce una parola molto rara, perché compare – oltre che in Tacito – soltanto in Hier. In Iob 1: cf. Goodyear 1972-1981, II, 299. Tale vocabolo ben si accorderebbe con il gusto prezioso del linguaggio di Tiberio: cf. Furneaux 1956, I, 328; 4) l’uso di exercere con un sostantivo astratto ritorna anche in Ann. 1, 72, 3, all’interno di una risposta di Tiberio: exercendas leges esse respondit. Si osservano anche alcune costruzioni parallele (tot eligere, tot differre; prospici / superbire / quinquiplicari / subuerti) e chiastiche (superbire … annua designatione / honorem per quinquennium agitent). Di rilievo è infine il tricolon in climax mens-domus-fortuna, che rappresenta, per quanto ho potuto rilevare, un unicum. F 37 Nel corso dello stesso 16 d.C. Tiberio, che aveva preso varie decisioni in aiuto di alcuni senatori che erano ridotti in povertà o comunque non possedevano più il censo confacente al loro ordine, assunse una posizione molto più dura nei confronti di Marcio Ortalo, un discendente dell’oratore Ortensio, che si trovava in notevoli difficoltà economiche: sull’identificazione cf. 19. M. Hortalus. Il senato aveva dimostrato di essere ben intenzionato nei confronti di Ortalo, che aveva rivolto la sua supplica mentre la riunione si svolgeva nella biblioteca posta nel portico del tempio di Apollo sul Palatino: cf. Mommsen 1887, III 2, 930 e Goodyear 1972-1981, II, 301 e F 106. Tiberio invece assunse un atteggiamento sfavorevole, che fondò su argomenti di natura diversa. In primo luogo fece appello a una considerazione che potrebbe apparire ovvia, ma che, riferita a Ortalo, che era discendente di una grande famiglia repubblicana e si trovava ora inserito tra i pauperes, dovette risultare piuttosto offensiva: non era possibile che qualsiasi povero che presentasse una supplica ricevesse adeguata soddisfazione, perché le casse dello stato non l’avrebbero consentito. La seconda considerazione fu invece di ordine strettamente procedurale: mentre era consentito talora sovvertire l’ordine stabilito nella discussione per trattare problemi di interesse generale, non era ammissibile che ciò venisse fatto per dare spazio ad esigenze private: cf. Talbert 1984, 231-234. In terzo luogo Tiberio impiegò un argomento di tipo emotivo, chiamando in causa il comportamento irriguardoso di Ortalo, che nelle sue rivendicazioni non si era fermato di fronte alla sacralità del senato. Un riferimento – abituale in Tiberio – al comportamento di Augusto ed un invito a non assumere un atteggiamento 128

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passivo in attesa di aiuti e sovvenzioni, ma a sforzarsi per garantire con la propria fatica il necessario alla famiglia, conclusero la parte argomentativa del discorso, che non ricevette una buona accoglienza; Tiberio perciò, con consumata abilità, dopo aver brevemente taciuto, si piegò alle richieste inespresse del senato e concesse un sussidio ai figli di Ortalo. La soluzione, pragmatica ed accorta, ben si accorda con gli argomenti utilizzati nell’orazione, che risultano realistici e miranti soprattutto a non introdurre modifiche sostanziali rispetto alla tradizione augustea: mi sembra eccessivo Devillers 2003, 220 nel sottolineare l’intento di Tacito di mostrare i cattivi rapporti fra l’imperatore ed il senato. Meritano una certa attenzione gli istanti di silenzio dell’imperatore, dedicati probabilmente a raccogliere le idee ed a scegliere le risposte più adeguate: sul ruolo del silenzio nelle opere tacitiane cf. R. Strocchio, I significati del silenzio nell’opera di Tacito, MAT 16, Torino 1992; I. Lana, Tacito: la parola, il gesto, il silenzio in AA. VV., Scritti classici e cristiani offerti a Francesco Corsaro, Catania 1994, 355-384 (soprattutto 375-376). L’orazione, che deve essere considerata di tipo deliberativo, è il primo discorso diretto attribuito a Tiberio: Ullmann 1927, 221 ne ha riconosciuto una struttura retorica assai efficace: «1) prooemium: principium a re (2-4 [= Si quantum … deficiet]); 2) tractatio (4-14 [= Nec sane ideo … supplendum erit]: a) legitimum (4-9 [= Nec sane ideo … siue abnuerint]; b) dignum (9-14 [ = Non enim preces … supplendum erit]; 3) conclusio: amplificatio d’une sententia [= Dedit tibi … graues]» e ha pensato che sia la risposta di Tiberio sia l’orazione di Ortalo si trovassero negli acta senatus. Il testo è stato ampiamente analizzato dal punto di vista stilistico per scoprire elementi che potessero essere attribuiti all’eloquenza tiberiana. Non molto utile dal punto di vista interpretativo è la formula introduttiva usata dallo storico in Ann. 2, 38, 1 (his ferme uerbis usus), in quanto si tratta di un’espressione stereotipa. Bardon 1940, 113 asserisce in modo apodittico che in questo discorso lo stile è interamente frutto della penna tacitiana; Syme 1971, 920 al contrario sostiene che esso possa risalire direttamente a Tiberio; Miller 1964, 13-19 e Adams 1973, 135-137 vi osservano alcuni elementi forse di origine tiberiana, anche se quest’ultimo riconosce che «all of these usages find abundant parallels in other speeches and no one can be taken as specifically Tiberian». Goodyear 1972-1981, II, 304 traccia un panorama conclusivo evidenziando come non sia possibile, a suo parere, enucleare elementi indubitabilmente tiberiani dal discorso tacitiano; Aubrion 1985, 568-569, osservando la qualità “tranchante et brutale” delle parole di Tiberio, sembra pensare che già il discorso tiberiano fosse estremamente duro e 129

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severo e che Tacito non faccia altro che “incattivirlo”. Per Devillers 1994, 219-220 il discorso mira solamente ad illustrare l’incomprensione tra Tiberio e il senato. Credo che l’interpretazione più sicura e fruttifera sia quella seguita da Miller 1964, Adams 1973 e Goodyear 1972-1981; perciò, tenendo comunque conto delle cautele degli altri interpreti e senza accettare del tutto le tesi di Syme, tenderei a mettere in evidenza i punti in cui si possono riconoscere echi dell’usus scribendi tiberiano. Dal punto di vista lessicale, Miller 1964 segnala alcuni vocaboli riconducibili all’orazione tiberiana: si tratta di consurgere, che viene impiegato a proposito di oratori soltanto qui, in Ann. 11, 5, 3 (consurgunt patres) e in Dial. 6, 4 (quod illud gaudium consurgendi); exsatiare, che si trova in Tacito soltanto in un altro luogo, Ann. 3, 17, 2 (proinde [Plancina] uenena et artes tam feliciter expertas uerteret in Agrippinam […] egregiamque auiam ac patruum sanguine miserrimae domus exsatiaret), in cui si fa riferimento all’atteggiamento che Plancina, moglie di Pisone, sarebbe stata di fatto autorizzata a tenere nei confronti della famiglia imperiale dalla clemenza eccessiva di Tiberio; perfringere, che compare tredici volte in Tacito ma solamente qui con valore metaforico; efflagitatio, vocabolo che non compare altrove in Tacito. Invece Adams 1973, 137-138, dal canto suo, ha indirizzato l’attenzione su alcuni stilemi che si trovano nelle parti oratorie dell’opera tacitiana e vengono normalmente evitati in quelle narrative, come l’accostamento istud – enim e il ricco uso di avverbi e particelle: «First, at 38, 1, ideo is picked up by a following ut. Secondly, of particular note is the sentence (38, 2) ‘non enim preces sunt istud sed efflagitatio’, for it not only contains istud and enim within a short space, but bears a certain structural similarity to an expression, also containing istud, found in a direct speech of another character (Germanicus): 1, 43, 2 ‘deus istud et claritudo sit’. Finally there is an example of prospective is at 38, 3. Also worthy of mention are the various particles (sane, quidem and especially alioqui), the qualifying of a bold expression by velut (38, 2), and, of non-lexical features, the balanced antithesis sibi ignari, nobis graves (38, 3) and the polyptoton dedit … daretur (38, 3)». Altre osservazioni stilistiche si devono a Syme 1971, 920, che ha rilevato la durezza dell’esordio, Koestermann 1963-1968, I, 320 e Goodyear 1972-1981, II, 306, che hanno osservato lo zeugma ut priuata negotia et res familiares nostras hic augeamus e il parallelo ciceroniano a languescet industria: Orat. 6, non est cur eorum […] languescat industria. Mi sembra inoltre possibile individuare altri elementi stilistici di un certo interesse: il costante ricorso all’antitesi (singuli / res publica; in commune / priuata; siue indulserint / siue ab130

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nuerint; non preces / sed efflagitatio; dedit … diuus Augustus pecuniam / sed non compellatus; sibi ignaui / nobis graues) e l’accostamento di intempestiua e improuisa, che costituisce un hapax. Naturalmente nessuno di questi elementi può con sicurezza essere fatto risalire a Tiberio, ma ritengo che gli indizi presentati possano, per lo meno, costituire un utile materiale di riflessione. F 38 Nipote di una sorella di Augusto (non si sa se Ottavia maggiore o minore) e figlia del Sesto Apuleio che era stato console nel 29 a.C., Appuleia Varilla fu accusata nel 17 d.C. da un delatore ignoto di lesa maestà e di adulterio: cf. P. von Rohden, RE II, 1896, n° 33, 269. Per quanto concerneva la seconda accusa, il senato decise che ricadeva sotto la fattispecie di reato punita dalla Lex Iulia de adulteriis coercendis, promulgata da Augusto nel 18-17 a.C., con cui si obbligava a denunciare i casi di adulterio sotto pena di essere accusati di favoreggiamento: cf. L. Ferrero Raditsa, Augustus’ Legislation concerning marriage, procreation, love affairs and adultery, ANRW 2, 1980, 278-339: per le fonti cf. Rotondi 1912, 445-447 e Crawford 1996, II, 781-786; sulla questione cf, anche Bauman 1974, 77-80. Tiberio comunque dimostrò una notevole indulgenza nei suoi confronti, facendo in modo che le venisse inflitto non l’esilio in un’isola, ma la relegazione presso i parenti a duecento miglia da Roma, senza intervenire né sulla dote né sul patrimonio: cf. Bauman 1967, 234-235. L’accusa di maiestas fu invece tenuta in maggiore considerazione, anche perché gli attacchi erano stati rivolti contro il defunto Augusto e la madre di Tiberio. In effetti la lex Iulia de maiestate del 27 a.C. (datazione che alla più recente dottrina romanistica appare preferibile rispetto a quella dell’8 a.C.: cf. Arcaria 2004, 170 e n. 181 con bibliografia) non prevedeva esplicitamente la punizione di offese contro avi del principe, ma va ricordato che, in ogni caso, la maiestas era omnium accusationum complementum già per Tac. Ann. 3, 38, 1: cf. Arcaria 2004, 172 n. 186; Arcaria 2006, 1071. Seager 20052, 129 ricorda che «as in the case of Granius Marcellus, maiestas was urged against Appuleia as a pendant to another charge». La posizione era perciò delicata: non era possibile per l’imperatore tollerare o ignorare questo attacco ai suoi ascendenti, ma allo stesso tempo i limiti della legge non gli consentivano un’azione diretta. Egli scelse perciò una via intermedia, molto articolata, che si fondava sul principio di non fornire ai propri detrattori alcun argomento che provasse la sua inclinazione all’autocrazia. La donna sarebbe stata condannata soltanto se fossero state provate le calunnie con131

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tro Augusto, che già era divinizzato: tali parole avrebbero potuto rientrare nell’ambito delle offese rivolte alle divinità e ciò spiegherebbe l’avverbio inreligiose: cf. sul culto imperiale Fr. Taeger, Charisma, Stuttgart 1957-1960, II, 89-225 (Ottaviano ed Augusto) e G. Zecchini, Il pensiero politico romano, Roma 1997, 83-84 e 93. L’accusa non poté essere provata e, perciò, Appuleia Varilla fu assolta. L’imperatore, con abile mossa politica, non si fece sfuggire l’occasione di mostrare quella clementia che storici ostili come Tacito considerano simulazione e che meritava di essere utilizzata soprattutto nei confronti di una persona appartenente alla famiglia augustea: cf. già Ciaceri 1918, 260, Rogers 1935, 27-28; per una valutazione meno intransigente cf. Yavetz 1999, 90-93, che, riferendosi a questo e ad altri casi, mette in luce come gli anni dal 14 al 26 non furono caratterizzati da crudeltà e vessazioni eccessive; sulla clementia di Tiberio ancora Rogers 1977, 35-59 e Galimberti 1998. Il processo toccò perciò i rapporti tra politica e sistema giudiziario, mostrando anche come fosse mutata la natura della procedura penale. Infatti, mentre ogni quaestio aveva giurisdizione su un singolo delitto, la cognitio extra ordinem poteva riguardare più fattispecie criminali; si poneva allora il problema se si potesse affermare che «fosse la stessa cosa essere giudicati da un organo della cognitio extra ordinem oppure da una quaestio» (Pugliese 1982, 748). La soluzione probabilmente è eclettica: le norme rimanevano identiche, ma gli organi giudicanti «erano liberi nelle loro concrete pronunzie di discostarsi da quelle norme quante volte gli scopi politici perseguiti e le caratteristiche del caso da decidere lo facessero ritenere opportuno» (ibidem). Sembra inoltre possibile mettere in rilievo un progressivo allargamento dei reati ascritti sotto la fattispecie della maiestas, in corrispondenza forse dell’involuzione autoritaria del governo tiberiano: cf. Pugliese 1982, 752; Santalucia 19982, 256-257; Arcaria 2004. Sull’orazione dal punto di vista letterario non possiamo dire molto: la presenza dei verbi oro e suadeo e il fatto che Tiberio non abbia risposto direttamente all’interrogazione del console, ma si sia preso tempo per riflettere e definire una posizione, fanno propendere per l’esistenza di un discorso completo e non per un intervento occasionale. F 39 Nel 18 d.C. le campagne di Druso in Germania determinarono alcuni mutamenti degli equilibri politici delle tribù germaniche ed in particolare il rapido ed inesorabile declino del re Maroboduo, che, abbandonato da tutti, si rifugiò in Italia implorando la clemenza di Tiberio: cf. su questa figura E. Gierach, König Marobod, «Gymnasium» 50, 1939, 79-90; 132

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Dobiᣠ1960; E. A. Thompson Maroboduus, in GERAS. Studies presented to G. Thomson, Prague 1963. 203-210; per altri contributi cf. Suerbaum 1990, 1193-1194. L’imperatore lo accolse amichevolmente e lo ospitò a Ravenna, ma lo utilizzò di fatto come deterrente per tranquillizzare i Suebi (Ann. 2, 63, 4). Tiberio pronunciò in senato un’orazione ancora letta ai tempi di Tacito, nella quale metteva in evidenza la pericolosità del personaggio. È probabile che il discorso abbia riguardato la sorte da riservare al re barbaro e vada collocata nel genere deliberativo; in essa però dovevano essere presenti anche elementi epidittici, secondo una prassi costante nell’oratoria romana: cf. e.g. la ciceroniana de imp. Cn. Pompei. Conferire rilievo alla magnitudo dell’avversario, dichiararlo un hostis pericoloso ed esaltare la forza delle popolazioni a lui soggette comportaœva naturalmente, per converso, dare lustro all’azione di Tiberio e ai risultati delle sue campagne militari: cf. Dobiᣠ1960, 165. Per corroborare questa laudatio di se stesso, l’imperatore paragonò Maroboduo ad alcuni nemici storici di Atene e di Roma, Filippo di Macedonia, Pirro e Antioco di Siria: si tratta di un accostamento che trova già esempi in Hor. Carm. 3, 6, 33-36, Sen. Con. 7, 2, 7 e soprattutto Sall. Hist. fr. 55, 4, che presenta il parallelo più completo, in quanto cita, insieme ad Annibale, i medesimi tre personaggi: nam quid a Pyrrho, Hannibale Philippoque et Antiocho defensum est aliud quam libertas et suae quoique sedes, neu quoi nisi legibus pareremus? Nulla naturalmente possiamo dire sullo stile. FF 40-46 La scena politica romana dell’anno 20 d.C. fu in gran parte occupata dal ritorno a Roma delle ceneri del defunto Germanico e dal processo intentato contro Pisone, suo presunto assassino: dei trenta capitoli di Annales 3 dedicati a quest’anno, ben 19 riguardano tali avvenimenti. L’esame della vicenda è reso ancora più complesso da un documento estremamente interessante, il Senatus consultum de Cn. Pisone patre, ritrovato in più frammenti nella provincia della Baetica e contenente il resoconto delle decisioni prese dal senato a proposito dei reati di cui era accusato Gneo Pisone: qui se ne farà uso partendo da Eck-Caballos 1996 e tenendo conto anche delle revisioni operate da Potter-Damon 1999. La bibliografia sugli eventi di quell’anno è amplissima: mi limito a ricordare Ciaceri 1918, 286-289 (che mette in luce l’imparzialità di Tiberio e la sua moderazione); Rogers 1935, 41-51; E. Koestermann, Die Mission des Germanicus in Orient, «Historia» 7, 1958, 331-375; Marsh 1959, 98-101; Akveld 1961, 105-125; Kierdorf 1969; Zäch 1972, 38-53; Mar133

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tin 1981, 122-124; Eck 1995; Paladini 1996; Richardson 1997; H. I. Flower, Rethinking “Damnatio Memoriae”: The Case of Cn. Calpurnius Piso Pater in AD 20, CAnt 17, 1998, 155-186 (che riguarda soprattutto le pene inflitte a Pisone e ai familiari); Damon 1999 e 1999 a, De Vivo 2003, Seager 20052, 94-100 e 222-224. Il primo problema che si pone è di ordine cronologico, che è anche legato al numero di orazioni pronunciate da Tiberio. SCPP mette in dubbio la datazione tradizionale del processo, fondata sul resoconto tacitiano di Ann. 3, 19, 3: qui si afferma che, alla chiusura del procedimento, fu decretata un’ouatio per Druso; i Fasti Ostienses fissano tale data al 28 maggio: M. Valerius Messala, M. Aur[elius Cotta] / V kal(endas) Iun(ias) Drusus o[vans] triumphavit ex Ill[yrico] (cito dalla seconda edizione di L. Vidman, Fasti Ostienses, Prag 1982, 41, accettando la correzione o[vans] proposta da M. A. Nickbakht, Zur ovatio des jüngeren Drusus in den Fasti Ostienses und Fasti Amiternini, ZPE 153, 2005, 264-266). Un altro vincolo è costituito dalla testimonianza di D.C. 57, 18, 11 (trasmessa da Zonara 11, 2), in cui si ricorda che Nerone, figlio di Germanico, assunse la toga virile dopo la morte di Germanico e, sembra di capire, dopo il processo di Pisone: kata; to;n crovnon ejkei 'non. Tale evento è fissato al 7 giugno del 20 da testimonianze epigrafiche (Lebek 1999, 203), ma bisogna ammettere che le parole dello storico greco sono molto generiche, forse troppo per attribuire loro un valore probante. L’indicazione di data presente alle righe 1-2 e 174-175 di SCPP (quarto giorno prima delle idi di Dicembre sia per il decreto conclusivo del senato, sia per la sua iscrizione) ha indotto invece alcuni interpreti a spostare il processo nella seconda parte dell’anno e a porne la conclusione prima del 10 dicembre dell’anno 20 d.C: così Eck-Caballos 1996, Zecchini 1999, 323 e Mackay 2003, 367-369, che ne collocano l’inizio dopo la seconda metà o verso la fine di novembre (il 28 secondo Eck-Caballos 1996, 150, il 27 secondo Mackay 2003, 368) e la conclusione all’inizio di dicembre. Il problema più significativo per i fini di quest’edizione è però costituito dalla data d’inizio e dalla lunghezza del procedimento: è possibile in qualche modo mettere d’accordo Tacito e la fonte epigrafica oppure bisogna concludere che una delle due ha commesso un errore o ha deliberatamente alterato i fatti? La posizione dei curatori dell’editio princeps è stata in parte rivista da Woodman-Martin 1996, 6775, che, esaminando le differenti possibilità di datazione e le difficoltà che comporta la cronologia tradizionale, fanno notare come la personalità artistica di Tacito lo avrebbe indotto «a creare una singola, compatta unità narrativa attorno alle vicende della morte di Germanico e del pro134

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cesso che ne seguì, imponendogli di rinunciare a scansioni cronologiche che sarebbero state rispettose della realtà storica, ma avrebbero alterato la tensione narrativa» (Giua 2000, 255). Una visione differente è stata proposta da Griffin 1997, 259-260 la quale, cercando di trovare il modo per evitare la contraddizione fra la fonte epigrafica e quella letteraria, ha proposto di individuare due fasi distinte, una prima, tra i mesi di aprile e maggio del 20, in cui fu celebrato il processo, e una seconda, nel dicembre, in cui fu decretato il senatoconsulto. Nella stessa direzione, ma con argomentazioni diverse si è mosso Talbert 1999, che ha criticato la punteggiatura di Eck-Caballos 1996 in ll. 23-24 (itaque, cum per aliquot dies acta causa sit ab accusatoribus Cn. Pisonis patris et ab ipso Cn. Pisone patre, recitatae epistulae, recitata exemplaria codicillorum quos Germanicus Caesar Cn. Pisoni patri scripsisset, […] arbitrari senatum eqs.), osservando che, collocando una virgola dopo Pisone patre, si verificherebbero due incongruenze: a) il testo parla di lettere di Germanico e non riferisce di alcun documento da parte di Pisone; b) «How can this passage apparently represent Piso as being alive and defending himself during these aliquot dies, when so far in the decree it is quite plain that he is dead by now?» (Talbert 1999, 91). Talbert ha proposto perciò di interpungere dopo sit: in questo modo si parlerebbe di una causa durata aliquot dies e si darebbe spazio all’autodifesa pisoniana. Di conseguenza egli è giunto a ritenere che il processo, lungi dal durare poco più di due settimane, si sia protratto per diversi mesi: Tacito quindi non avrebbe deliberatamente alterato i fatti, ma avrebbe cercato di comprimere gli eventi per mantenere desta l’attenzione dei lettori (95). Decisamente contrario a questa proposta è Zecchini 1999, 322-324, che, criticando Griffin 1997, ha fortemente appoggiato la tesi di Eck-Caballos 1996. Lebek 1999 ha asserito l’incommensurabilità del resoconto tacitiano con quello fornito da SCPP, concludendo però che lo storico non conosceva il documento epigrafico: secondo lo studioso tedesco, il processo dovrebbe essere collocato nella primavera del 20, mentre l’apporto di SCPP all’interpretazione delle vicende del 19-20 d.C. – che permetterebbe agli interpreti di essere informati meglio dell’autore degli Annales (Lebek 1999, 211) – sarebbe sostanzialmente ancora da valutare. La proposta di distanziare i due eventi (celebrazione del processo e redazione, pubblicazione, copiatura e diffusione del senatusconsultum) è stata ripresa e suffragata con nuove argomentazioni da Giua 2000, secondo la quale l’oratio principis corrisponde effettivamente al discorso di F 41, mentre la relatio, che fa riferimento al suicidio di Pisone, sarebbe stata pronunciata il 10 dicembre «per deliberare sulla pubblicazione sia delle 135

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risoluzioni prese nelle sedute processuali della primavera precedente, sia di un testo più breve da destinare alle province e alle legioni» (Giua 2000, 256): ciò renderebbe anche ragione del fatto che in SCPP l. 5 si nomina la XXII tribunicia potestas di Tiberio, che iniziò solamente il 26 giugno del 20 d.C. Sulla linea della Giua si è posto Polleichtner 2003, che ha messo in rilievo il carattere riassuntivo di SCPP e l’accordo sostanziale fra il documento epigrafico e quello letterario, collocando il giudizio pisoniano nel maggio del 20 e la redazione del SCPP nel dicembre dello stesso anno. Mackay 2003 (che non sembra conoscere Giua 2000) ha a sua volta rivisto le proposte di datazione di Eck-Caballos 1996 e riesaminato la sequenza del processo. Secondo lo studioso canadese – il quale rileva come Tacito sia stato impreciso nella datazione dell’ouatio di Druso, in quanto non disponeva probabilmente di dati esatti– a maggio risalirebbe semplicemente la decisione di discutere davanti al senato il caso di Pisone, mentre il processo vero e proprio, con l’oratio e la relatio di Tiberio, si sarebbe svolto tra fine novembre e inizio dicembre; il periodo di sei mesi trascorso fra la messa in stato d’accusa e la celebrazione del dibattimento sarebbe stata dedicata all’inquisitio sul comportamento di Pisone in Siria. Per quanto tale ipotesi sia interessante, non capisco perché postulare l’impossibilità di Tacito di accedere a queste fonti epigrafiche né mi risulta del tutto chiaro perché sia stato necessario un periodo di tempo così lungo per istruire un processo che riguardava fatti già abbastanza noti: basti ricordare che le notizie della morte di Germanico giunsero a Roma già nel 19 (Ann. 2, 82, 1). Credo invece che possa essere accettata la posizione di Giua 2000, che sottolinea come il documento sia stato improntato alla prudenza ed alla necessità di inviare nelle province un messaggio rassicurante, che doveva «risultare il più idoneo a ricevere la massima diffusione là dove la popolarità di Germanico poteva creare minacce per la stabilità dell’impero» (Giua 2000, 259): è del tutto verosimile, infatti, che la relatio del senatoconsulto raccolga elementi che devono essere stati contenuti non in uno, ma in due discorsi tiberiani, che difficilmente avrebbero potuto essere pronunciati a breve distanza l’uno dall’altro (cf. infra). Il discorso introduttivo al dibattimento (F 41), pronunciato da Tiberio, conteneva gli indirizzi generali a cui l’accusa avrebbe dovuto attenersi nella trattazione della causa. Si tratta quindi di un’orazione che rientra nel genere giudiziario. Il contenuto fu riproposto nella relatio del SCPP (ll. 4-11). È probabile che Eck-Caballos 1996, 135-136 colgano nel segno asserendo che «ein Zusammenfassung der zentralen Punkte aller seiner Interventionen, soweit sie für den Gesamtabschluss diese Prozesses, für dieses s. 136

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c. notwendig waren». Siccome tale sunto della relatio comprende anche riferimenti alle decisioni assunte nei confronti di Plancina, Marco Pisone, Visellio Caro e Sempronio Basso, bisogna ritenere che i temi svolti al suo interno siano da riferire non solo all’orazione contro Pisone (quella di Ann. 3, 12 = F 41), ma anche a ciascuna delle altre. La controprova giunge dall’analisi degli elementi che connotano l’espressione dell’epigrafe: con la frase qualis causa uisa esset si fa riferimento a tutte le argomentazioni formulate per definire il carattere del reato di Pisone; l’espressione an merito sibi mortem conscisse uideretur mette in luce come Tiberio avesse preso posizione anche a proposito del suicidio di Pisone; tale fatto non trova però riscontro in Ann. 3, 12 perché viene riferito solamente in Ann. 3, 15: si può certo pensare o che il resoconto di Tacito sia impreciso (o ingannevole), ma credo che la spiegazione migliore sia ritenere che le orazioni di Tiberio siano state due, una prima ed una dopo il suicidio di Pisone; la possibilità non sembra esclusa neanche da Woodman-Martin 1996, 138 che ritengono possibile identificare l’oratio ricordata nel senatusconsultum (l. 168) con il discorso di F 41. Quest’ultimo sarebbe perciò l’orazione di apertura di Tiberio, alla cui esistenza si accenna in F 40. Non tenendo conto in modo particolare del SCPP, Paladini 1996, 226 identifica invece il discorso di Tiberio e la relatio. Se riassumiamo la situazione, allora Tiberio pronunciò in una prima fase processuale vari discorsi, contro Pisone (FF 40-41), a sostegno di Marco Pisone (F 42), a difesa di Plancina (FF 43-44) e sui provvedimenti proposti contro i figli di Pisone stesso (F 45); in una seconda fase riassunse i termini della questione in una relatio (F 46), da cui scaturì SCPP. È anche possibile, come sostiene Mackay 2003, che, in realtà, la causa sia stata una sola – quella contro Pisone – e che tutti i procedimenti subordinati siano stati strettamente collegati ad essa, ma ciò non impedisce di pensare ad una serie di discorsi distinti che, come d’altronde suggerisce il racconto di Tacito, abbiano esaminato le posizioni dei diversi imputati e convenuti. Ulteriori analisi si trovano in Richardson 1997; T. Barnes, Tacitus and the Senatus Consultum de Cn. Pisone Patre, «Phoenix», 52, 1998, 125-148; A. Cooley The Moralizing Message of the ’Senatus Consultum de Cn. Pisone Patre «Greece & Rome» 45, 1998, 199-212; Damon 1999 e 1999 a; Lebek 1999; W. Suerbaum, Schwierigkeiten bei der Lektüre des SC de Cn. Pisone patre durch die Zeitgenossen um 20 n. Chr., durch Tacitus und durch heutige Leser, ZPE 128, 1999, 213–234; R de Castro-Camero, El crimen maiestatis a la luz del senatus consultum de Cn. Pisone Patre, Univ. de Sevilla, 2000; Rowe 2002; Giua 2003; De Vivo 2003; Seager2 2005, 222-224 (che 137

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riassume i termini del problema valorizzando la cronologia tacitiana). La narrazione tacitiana sembra invece confermata nella successione dei fatti (almeno nelle linee generali) dal senatoconsulto: vediamone la dinamica. Il ritorno dei resti di Germanico causò una profonda ondata di commozione nella popolazione, parallelamente alla quale si sviluppò un moto di sdegno contro colui che le voci ed alcuni indizi chiamavano in causa come omicida. Pisone era arrivato a Roma nel 20 d.C., ostentando un atteggiamento disinvolto che acuì i sospetti nei suoi confronti: cf. Tac. Ann. 3, 9 e Paladini 1996, 225. Tacito ricorda che molti sospetti furono suscitati da vari incontri avuti con soldati delle guarnigioni (Ann. 3, 9, 1), quasi che si temesse una congiura od un colpo di stato. Egli fu subito citato davanti ai consoli da Fulcinio Trione: FF 131-132, Koestermann 1955, 89 e Zäch 1972, 46-48. In un primo tempo il procedimento subì un rallentamento perché i collaboratori di Germanico, Veranio e Vitellio, affermarono che Trione non aveva titoli derivanti né dall’amicizia né dalla consuetudine per rivestire il ruolo di accusatore e che questo compito spettava a loro (Ann. 3, 10, 1). Trione, a questo punto, si accontentò di pronunciare l’accusa contro i reati di cui Pisone era accusato per gli anni precedenti la morte di Germanico, ma chiese ed ottenne, in accordo con Pisone stesso, che fosse Tiberio ad assumersi il peso della cognitio, cioè della fase istruttoria. Tiberio concluse la trattazione preliminare e cedette l’onere del giudizio al senato, limitandosi ad assumere la presidenza dell’assemblea giudicante. L’imperatore avrebbe anche potuto giudicare Pisone: tuttavia, accanto alle ragioni di opportunità politica, questo atto era sconsigliato dall’atteggiamento generale di rispetto nei riguardi del senato e delle sue prerogative – anche giudiziarie – che già Augusto aveva accresciuto e che Tiberio continuava ad aumentare; il senato era di fatto divenuto sotto Tiberio «Strafbehörde für alle wichtigen, den Staat interessierenden Prozesse» (Bleicken 1962, 60); Talbert 1984, 461 osserva come proprio Tac. Ann. 2, 79 dimostri che, ormai, il senato era sentito come una vera e propria corte anche per il diritto civile: cf. su questo fatto Arcaria 1992, passim; un peso probabilmente eccessivo è attribuito al ruolo rivestito dal consilium principis da J. Ermann, Das senatus consultum de Cn. Pisone patre und die Funktion des Consilium im romischen Strafprozess, ZRG 119, 2002, 380-388. Nel caso specifico del processo a Pisone l’imperatore assunse la presidenza del senato; il rango senatorio, la tribunicia potestas e la carica di presidente (princeps senatus) gli consentivano alcune prerogative che utilizzò nel processo, cioè lo ius senatus habendi, lo ius relationis e, soprattutto, lo ius dicendae primo loco sententiae: cf. Bleicken 1962, 61-65. Con estrema chia138

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rezza Kierdorf 1969, 247-248 sintetizza le ragioni che fecero propendere per l’affidamento della causa alla giurisdizione senatoriale: 1) l’accusato apparteneva all’aristocrazia senatoriale e il morto era figlio adottivo dell’imperatore; 2) era prassi comune del senato unificare cause che avrebbero richiesto dibattimenti separati; 3) non poteva aver rilevanza penale il rimprovero per aver gioito per la morte di Germanico. Pisone chiese come avvocati difensori Lucio Arrunzio (cf. 12. L. Arruntius filius), Publio Vinicio (cf. Koestermann 1963-1968, I, 434 e 10. P. Vinicius), Asinio Gallo (cf. 7. C. Asinius Gallus), Esernino Marcello (cf. 51. M. Claudius Marcellus Aeserninus) e Sesto Pompeo (cf. 17. Sextus Pompeius), ma essi declinarono la richiesta: perciò si risolse a farsi assistere dal fratello Lucio Pisone, da Marco Lepido e da un pressoché sconosciuto Livineio Regolo: costui era forse il nipote del Lucio Livineio Regulo quattuoruir monetalis e compagno di Cesare. Fu consul suffectus nel 18 d.C.: cf. AE 1999, 307 e W. Eck, NP 7, 1999, 369. L’accusato aveva sperato di chiamare in causa alcuni personaggi di peso del mondo politico romano dell’epoca, in particolare Lucio Arrunzio, uno dei referenti dell’opposizione, e due appartenenti (Gallo e Marcello) a quella famiglia di Asinio Pollione che aveva spesso avversato le posizioni della famiglia Giulio-Claudia; ragioni di opportunità politica fecero sì che Pisone non potesse contare su difensori disposti a tutto per salvarlo: coloro che egli consultò non volevano probabilmente inasprire i contrasti con l’imperatore o non intendevano schierarsi contro di lui: in particolare, Sesto Pompeo era «an intimate of Germanicus and no more inclined to betray him than Drusus had been (Rogers 1935, 43)»; inoltre era un fedelissimo di Tiberio ed era stato il primo console a giurargli fedeltà (Ann. 1, 7, 2); Publio Vinicio divenne più tardi suocero di una delle figlie di Germanico e apparteneva probabilmente alla sua fazione (Rogers 1935, ibidem). Dei suoi tre avvocati, l’unico di un certo peso era Marco Lepido, uno dei capaces imperii che avrebbero potuto effettivamente affiancare o sostituire Tiberio al vertice dell’impero: già Augusto aveva tuttavia definito Lepido capacem sed aspernantem (Ann. 1, 13, 2; cf. Syme 1970, 30-49) e non vi è perciò da stupirsi se, per dirla con le parole di Tacito, defensio in ceteris trepidauit. Tiberio convocò il senato (il “giudice competente”, la cui nomina spettava all’imperatore: cf. Arcaria 2004, 209), stabilì i tempi riservati all’accusa ed alla difesa (due giorni per le accuse, sei giorni di intervallo e tre giorni alla difesa, Ann. 3, 13, 1) e lasciò svolgere il dibattimento, che si sarebbe probabilmente concluso con la condanna di Pisone; quest’ultimo però fu poi trovato morto sgozzato nella sua camera: il decesso era 139

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avvenuto nella notte precedente alla seduta del processo in cui avrebbe pronunciato il discorso in propria difesa. La morte del principale imputato portò anche alla mitigazione della pena per il figlio Marco Pisone e all’assoluzione della moglie Plancina: cf. Ann. 3, 15, 3 e 3, 17, 4. Dal punto di vista testuale in F 41 alcune piccole ed opportune correzioni sono state apportate alle lezioni di M: 1) già Mureto corresse il noui di 3, 12, 2 in non ui. La correzione si impone per ragioni di senso; d’altra parte la presenza di noui si spiega con l’influenza del genitivo principis; 2) in 3, 12, 5 il tradito conexû di M, che è privo di senso, viene corretto in conexa, participio concordato con causa: Woodman-Martin 1996, 150 segnalano opportunamente a sostegno Plin. Nat. 2, 66. Concordo invece con la scelta di tutti gli editori di non accogliere la correzione set del Pluygers al posto del tradito et in 3, 12, 2: infatti non vi è un’opposizione tra l’azione espressa dai verbi odero e seponam e quella delineata con ulciscar. Ullmann 1927, 221-222, Devillers 1994, 239-242 e Woodman-Martin 1996, 139 hanno sottoposto F 41 ad approfondite analisi retoriche, alle quali rimando limitandomi a riassumerne i tratti fondamentali. Per Ullmann 1927, 222 il discorso «est formé comme un plaidoyer plutôt que comme une démégorie, puisque la tractatio […] établit le, ou plutôt, les status à prendre en consideration». Esso possiede una struttura ben precisa: «Après un prooemium comme principium ab adversario (2-4 [= Patris sui … administrandis]) et une propositio (4-6 [= Illic … diiudicatum]), la tractatio énonce d’abord les chefs d’accusation en deux parties, chacune forme comme une antithèse de deux points de vue différents (612 [= Nam si … adficite] et 12-18 [= Simulque … scrutando sunt] et ensuite le traitement de la cause que l’orateur desire (18-26 [= Defleo … accipiatis]). Les deux premières parties établissent donc les status [….] tandis que la dernière partie donne pour ainsi dire une instruction de la causa […] La conclusio se joint alors à cette instruction comme une explication de ce que la cause est traitée devant le sénat plutôt que sur le forum» (Ullmann 1927, 222). Per quanto riguarda lo status del reato rinvio a Calboli Montefusco 1986, 106-138. Si possono mettere in rilievo perciò due temi principali, la discussione delle accuse e l’esortazione ad un trattamento equilibrato del problema dovuto alle sue circostanze eccezionali. Le accuse – l’insubordinazione di Pisone, l’assassinio di Germanico ed il suo tradimento – sono presentate sia nel discorso indiretto sia in quello diretto, ma il peso è chiaramente caricato sulle prime due imputazioni, mentre la terza viene lasciata in secondo piano; l’enfasi massima è sulla morte di Germanico, che consente all’imperatore di ac140

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creditarsi come padre adottivo fedele e respingere allo stesso tempo qualsiasi sospetto di connivenza con la sua morte; ciò spiega anche l’insistenza sul pianto per la perdita del congiunto, tema per sua natura topico delle laudationes funebres e delle epigrafi per i defunti: cf. Kierdorf 1980, 64-70 e Woodman-Martin 1996, 148. Il tenore moderato e accorto del discorso è definito con estrema precisione dal sintagma meditato temperamento con cui è introdotto: sull’espressione e sui suoi paralleli tacitiani cf. Koestermann 1963-1968, I, 436, Aubrion 1985, 569 e Woodman-Martin 1996, 140; questi ultimi ne rilevano l’uso nei casi di “careful oratory” (l’orazione di Seneca a Nerone in Ann. 14, 55, 1 e quella del capo ribelle Valentino in Hist. 4, 68, 5). Il sintagma esprime la concreta applicazione della moderatio tiberiana, la sua capacità di evitare affermazioni estreme ed offensive per la dignità e l’autorevolezza del senato, ma anche lesive dei diritti di un imputato legato alla sua famiglia ed alla sua persona da una lunga consuetudine e fedeltà: cf. su questo aspetto, che compare frequentemente nei discorsi, Aubrion 1985, 557-560 e 559560. L’appello agli integri animi con cui è necessario esprimere il giudizio indica che nessuna costrizione, nessuna passione avrebbero dovuto turbare le coscienze dei senatori. È evidente che un tale invito risulta tanto più significativo in quanto si sospettava che l’imputato avesse agito per ordine segreto dell’imperatore. L’imbarazzo doveva essere grande e Tiberio, ancora una volta con fine sagacia, volle liberarsi da qualsiasi possibile sospetto o accusa di parzialità: la dichiarazione di disponibilità ad accettare la deliberazione senatoriale esprime senza esitazione la volontà di rimettersi agli organi giudicanti preposti a questo compito e a non far pesare l’arbitrio del proprio potere. Dal punto di vista dell’argomento del dibattimento, «Tiberius charged the senate to maintain a strict line of demarcation between injuries to the emperor, for which the appropriate penalty was renuntiatio amicitiae, and wrongs falling under the leges iudiciorum publicorum» (Bauman 1974, 109). In sostanza l’imperatore volle introdurre una distinzione tra reati che concernevano la sua persona ed altri che potevano essere invece rubricati sotto accuse de maiestate. La necessità di una distinzione tra i due elementi giuridici risiede nel carattere ambiguo della renuntiatio amicitiae, che, per esempio, era stata chiamata in causa da Augusto nel caso di Cornelio Gallo ed aveva provocato anche una condanna da parte del senato (Bauman 1974, 110-111); va per altro ricordato che la renuntiatio amicitiae era il frutto delle offese recate da Gallo ad Augusto, che fondavano il crimen iniuriae, come ha recentemente sostenuto Arcaria 2004, 137-139; sul valore politico del termine amicitia e del suo contrario inimicitiae cf. Helle141

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gouarc’h 1972, 41-62; sul concetto di renuntiatio amicitiae cf. R. S. Rogers, The Emperor’s Displeasure – «amicitiam renuntiare», TAPhA 90, 1959, 224-237, Eck-Caballos 1996, 155-157, Arcaria 2004, 138 n. 80, Arcaria 2006, 1063 e n. 24. Il concetto di renuntiatio amicitiae in questo frangente viene formalizzato da Ann. 2, 70, 2: [Germanicus] componit epistulas quis amicitiam ei [Pisoni] renuntiabat; cf. anche WoodmanMartin 1996, 144 e Arcaria 2004, 139-140 n. 86. Si può evincere da questa linea di condotta tiberiana il desiderio di non appesantire, per quanto possibile, le responsabilità di Pisone: si può discutere se ciò sia avvenuto in considerazione della fedeltà dell’accusato nei confronti della casa di Tiberio o per timore che costui rivelasse di aver ricevuto un invito a compiere il delitto. Segue quest’ultima interpretazione la versione epitomata di D.C. 57, 18, 10: oJ de; Pivswn crovnw/ u{steron ej" th;n ÔRwvmhn ajnakomisqei;" kai; ej" to; bouleuthvrion ejpi; tw/ ' fovnw/ uJp∆ aujtou' tou' Tiberivou ejsacqeiv", diakrouomevnou th;n uJpoyivan th;n ejpi; th '/ fqora/' tou' Germanikou', ajnabolhvn tev tina ejpoihvsato kai; eJauto;n katecrhvsato . È verosimile che questa fosse anche l’opinione di molti senatori: «Gerade diese Haltung [scil. di moderazione e di equilibrio nel giudizio da parte di Tiberio] ist wahrscheinlich vom grössten Teil der Senatoren fälschlicherweise als Beweis dafür aufgefasst worden, dass Tiberius an einer Ermordung zum mindestens interessiert war» (Zäch 1972, 48). Dal punto di vista stilistico si constata il consueto passaggio dall’oratio obliqua all’oratio recta: come rileva Koestermann 1963-1968, I, 436, tale accorgimento serve a conquistare in modo più efficace l’attenzione del lettore; cf. anche il caso di Ann. 4, 8, 3-5 (con il passaggio in oratio recta nel § 5: cf. Woodman-Martin 1996, 137). Molti interpreti ritengono che F 41 riproduca in modo preciso il testo dell’orazione tiberiana: cf. Bauman 1974, 109 n. 2. Miller 1964, 15-18 ha individuato in questo testo poche particolarità attribuibili forse all’usus tiberiano: a) alcuni verbi usati raramente negli Annales come coarguo, contrecto, detego e subleuo; contrecto e subleuo, in particolare, si trovano esclusivamente nei discorsi conservati negli Annales e contrecto non è reperibile in alcun’altra opera tacitiana: cf. Syme 1971, 944-945; b) l’espressione sepono ab con il senso di “bandire” (che è un hapax); c) l’avverbio seditiose, che in Annales compare soltanto nei discorsi tiberiani: esso è comunque raro ed è attestato in letteratura solo dieci volte, di cui quattro in Cic. Clu. 2, 93 e 95 e Mil. 8. È un hapax anche il sintagma turbide et seditiose, che Koestermann 1963-1968 I, 437 ritiene formato da due avverbi quasi sinonimi. Damon 1999 a nota inoltre come siano rilevabili varie somiglianze linguistiche tra il senatoconsulto e il discorso tacitiano 142

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(per altro Lebek 1999, 198-199 osserva che in gran parte esse possono essere «triviale Kongruenzen, die sich ohne weiteres mit der Identität der Sachverhalte erklären lassen»). Dal punto di vista retorico, la sezione in oratio recta conserva alcuni tratti oratori fortemente marcati: lo zeugma con chiasmo officii terminos, obsequium erga imperatorem exuit (Koestermann 1963-1968, I, 436 ne afferma la paternità tacitiana, ma non vi sono ragioni evidenti per non considerarlo di origine tiberiana), i chiasmi eiusdemque morte et luctu meo; uulgi oculis permittere / differrique per externos; gli esempi di climax odero seponamque … ulciscar; nudare corpus, contrectandum … permittere (si noti la sinestesia contrectandum oculis: cf. Woodman-Martin 1996, 148), differrique per externos; il polisindeto et liberos Germanici et nos parentes; le antitesi illud reputate … an falsa haec; in curia … in foro; apud senatum … apud iudices; i poliptoti defleo … filium … deflebo (sull’intensità di questa particolare forma di poliptoto verbale e sul gioco presente – futuro cf. i passi raccolti da Woodman-Martin 1996, 149, che dimostrano come l’uso sia attestato già in Pl. Capt. 834, in molti passi ciceroniani, in Orazio e Ovidio); ad eundem laborem, eandem constantiam (con allitterazione); l’anafora nemo … nemo. Costanti in tutto il discorso sono le allitterazioni: morte et luctu meo laetatus; uos uero; causa conexa; adprobatis accipiatis (quest’ultima particolarmente complessa, secondo WoodmanMartin 1996, 150: «Tib. concludes this exhortation with careful assonanze: pr? a- pr? ~ atis a atis: ABACBC»); quantum quisque; maestitiam meam. In alcuni periodi è constatabile un accrescimento progressivo del numero delle parole dei cola, con un conseguente effetto di accumulo e di aumento della tensione: officii terminos / obsequium erga imperatorem / eiusdemque morte et luctu meo; odero / seponamque a domo mea / et priuatas inimicitias non ui principis ulciscar. Molti di questi accorgimenti stilistici sono comunque presenti anche in altre pagine tacitiane e non sono quindi identificabili con sicurezza come elementi che possano risalire a Tiberio. Anche l’analisi delle clausole non risulta particolarmente fruttuosa: infatti si può constatare una tendenza ad usare clausole con doppio cretico (iure suscenseo), dicoreo (periclitantem) o cretico-spondaiche (maestitiam meam spectet), che sono annoverabili tra le clausole della cosiddetta “tendenza retorica” e sono assai comuni in tutte le opere tacitiane oltre che negli altri autori latini: cf. E. Andreoni, Le clausole nei discorsi dell’Agricola, delle Historiae e degli Annales, RCCM 10, 1968, 299-320. Mi pare che solo un’eccezione si possa rilevare, vale a dire la clausola eroica accipiatis, che mi sembra spiegabile facendo riferimento alla particolare enfasi del discorso. 143

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Un problema parallelo è rappresentato dai rapporti esistenti fra questo discorso e quello di Germanico in punto di morte riportato in Ann. 2, 71: per Damon 1999 a, il resoconto tacitiano è una sorta di “mirror story” di quanto era stato raccontato nel secondo libro degli Annales nei capitoli 43-81, una vicenda in cui i racconti riguardanti la deformazione dei fatti spingono Tacito a fornire un resoconto meno fededegno: in realtà «Man spürt überall, wie die beiden Reden aufeinander bezogen sind. Das bedeutet natürlich, daß Tacitus ihnen, so sehr er sich an die Vorlage gehalten haben mag, eine eigene stilistische Note geliehen hat» (Koestermann 1963-1968, I, 438). Al discorso contro Pisone si affiancano quello in difesa di Marco Pisone e di Plancina (riportati nello stesso ordine sia da Tacito sia dal SCPP, fatto che, contrariamente a quanto suppone Lebek 1999, potrebbe far pensare che lo storico ne abbia potuto consultare una copia o un estratto: cf. Woodman-Martin 1996, 114-116), nei quali Tiberio mostra di non aver voluto infierire in alcun modo contro la famiglia del suo governatore. Il discorso per Marco Pisone si svolse probabilmente dopo la notizia del suicidio del padre: le parole di F 42 fanno pensare ad un’azione in favore della sua assoluzione, in opposizione alle richieste del console Aurelio Cotta, che nel suo intervento aveva proposto che fosse condannato alla relegazione: cf. F 116. Secondo Hedrick 2000, 105 il processo di Pisone fu l’unico a prevedere il bando del praenomen come forma di damnatio memoriae: gli altri provvedimenti erano la proibizione del lutto per la morte, il ritiro delle statue e delle imagines, la cancellazione del nome dalla statua dedicata a Germanico dai sodales Augustales, la demolizione di un edificio fatto costruire da Pisone e l’incanto dei beni (Eck-Caballos 1996, 190-211 e Arcaria 2004, 218). “Auffallend” secondo Eck-Caballos 1996, 137 è il fatto che Tiberio abbia sentito il bisogno di ricordare ai senatori di ascoltare le sue suppliche in difesa del giovane, un atto che ribadisce l’intenzione del principe di mostrare la sua benevolenza nei confronti di un giovane che non aveva fatto altro che obbedire al padre partecipando alla rivolta contro Tiberio. L’intenzione di non mettere al bando definitivamente un’importante famiglia romana sembra farsi piuttosto evidente in una fase in cui l’imperatore non sembra così sicuro di sé e delle proprie azioni. La situazione di Plancina era estremamente delicata, in quanto ella non godeva di buona reputazione, perché era sospettata di aver collaborato con il marito nella supposta uccisione di Germanico; lo aveva poi abbandonato al proprio destino quando era apparso chiaro che sarebbe stato quasi sicuramente condannato: cf. Ann. 2, 71, 1 e 3, 15, 1. Tiberio ne perorò la causa più 144

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che altro per le preghiere della madre, che era una cara amica di Plancina, e la sua orazione influenzò le decisioni del tribunale: cf. Levick 1999, 157. Il SCPP conferma la petitio dell’imperatore e la sua assoluzione: secondo Eck-Caballos 1996, 137 la menzione conferma quanto fosse importante nel complesso della causa il personaggio di Plancina, anche se non sono chiare le ragioni del sostegno e dell’amicizia di Livia, che forse furono dovuti anche alla politica di appoggio a Tiberio da parte di quest’ultima: cf. Eck-Caballos 1996, 87-88. F 47 Il 20 d.C. vide il ritorno a Roma di Decimo Giunio Silano, un personaggio che aveva preferito allontanarsi dalla città poiché aveva commesso adulterio con Giulia, nipote di Augusto, e per questo motivo aveva perduto il favore del defunto imperatore. Tacito riferisce con una certa dovizia di particolari il suo ritorno: egli, per quanto non fosse stato esiliato in seguito ad uno specifico provvedimento senatoriale, presentò la supplica per ottenere di tornare non prima che Tiberio fosse salito al potere: nel fare ciò si avvalse dell’influenza e dell’appoggio di suo fratello Marco Giunio Silano, uomo di grande nobiltà e abilità oratoria: cf. Ann. 3, 24 e F 104. Costui aveva pronunciato un discorso – di cui non abbiamo nulla – in cui ringraziava sia l’imperatore sia il senato (cf. Woodman-Martin 1996, 231); è abbastanza evidente che il permesso di tornare fu accordato da Tiberio stesso, anche se il discorso con cui l’imperatore rispose al ringraziamento mostrò che non vi era stato autentico perdono. In questa vicenda vengono messi in rilievo due tratti del comportamento tiberiano che già altre volte abbiamo visto delinearsi: da un lato la fedeltà, nello spirito se non nella lettera, ai provvedimenti augustei, dall’altro la capacità di influenzare le tendenze politiche del senato e dei notabili semplicemente rendendo noto il proprio parere e sfruttando il peso della propria autorevolezza. La prova di questa influenza sta nel fatto che Silano, pur continuando a risiedere a Roma, non ottenne alcuna carica pubblica: cf. Seager 20052, 110. Nell’epitome tacitiana si possono cogliere alcuni tratti riconducibili a Tiberio: in primo luogo l’ironia con cui l’imperatore dichiara di esser lieto per il ritorno di Silano dalla sua peregrinatio: Miller 1964, 14 pone questa parola, che è presente soltanto in altri due luoghi tacitiani, Ann. 3, 47, 4 e 6, 14, 2, tra quelle che, a suo giudizio, rivelano «a marked fondness for abstract nouns of a Ciceronian type»; quindi la secchezza con cui il princeps espone le sue personali convinzioni e la sua fedeltà alle scelte di Augusto. Stilisticamente si può soltanto constatare la presenza di alcuni ele145

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menti retorici come l’anafora non senatus consulto … non lege, l’iperbato integras … offensiones (Aubrion 1985, 564 segnala il termine offensio come uno di quelli che si trovano impiegati molto frequentemente nei discorsi tiberiani) e l’impianto antitetico di tutta la trattazione, che rende evidente il contrasto tra le aspirazioni di Silano ad una redintegratio amicitiae e le intenzioni opposte di Tiberio. F 48 Molto incerto è lo statuto di questa commendatio. Dal contesto sembra che si possa desumere che si sia trattato di un discorso rivolto al senato (Aubrion 1985, 322 parla di “intervention”), come pare possa mostrare l’osservazione sulle reazioni dei senatori. Siamo in una fase in cui all’interno del senato non vi è ancora la prona subordinazione ai voleri del principe. Parimenti qui Tacito vuol mostrare come Tiberio sia molto attento alla progenie di Germanico, forse per dissipare le voci che lo volevano segreto responsabile della soppressione del generale. Certo è che il tipo di accelerazione di carriera previsto per Nerone era già avvenuto per Tiberio e prevedeva il superamento della lex Villia annalis del 180 a.C., la quale prescriveva l’assunzione della questura non prima di 24 o 25 anni d’età, contro i 20 di Tiberio e Nerone: si trattava insomma di una prevaricazione di non scarso peso nei confronti del mos e della legalità, come Tacito si premura di ricordare. Il costrutto commendare aliquem alicui è ampiamente diffuso nel senso di “rendere accetto", ”raccomandare” qualcuno. Non ha perciò valenza tecnica in senso oratorio, anche se non si può escludere che si riferisca ad un discorso pronunciato dall’imperatore. Al passo si possono accostare alcuni altri paralleli: Liv. 45, 44, 9 (filium postremo Nicomedem senatui commendauit); Suet. Aug. 56 (numquam filios suos populo commendauit), Tib. 54, 1 (= F 53), e Vita Hor. 48 epistula prosa oratione quasi commendantis se Maecenati, in cui la commendatio è chiaramente riferita sia alla comunicazione orale sia a quella scritta. F 49 Nel 21 d.C. morì Sulpicio Quirinio (cf. 53. P. Sulpicius Quirinius*), un homo nouus che aveva rivestito numerose cariche di governo nelle province orientali, era stato console nel 12 a.C. sotto Augusto, aveva sottomesso alcune riottose popolazioni della Cilicia ed era stato governatore della Siria: cf. Koestermann 1963-1968, I, 509; Syme 1970, 81; Syme 1974, 400-401. Costui aveva dimostrato la propria fedeltà anche a Tiberio recandogli omaggio nel periodo del ritiro rodiese. Per questo motivo 146

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l’imperatore pronunciò un’orazione in cui, oltre a tessere il suo elogio, propose di celebrarne i funerali a spese dello stato. Nel discorso di Tiberio trovò probabilmente posto, oltre alla memoria delle imprese compiute e dei riconoscimenti ottenuti, anche l’esaltazione della fedeltà di quest’uomo, che non apparteneva a famiglie nobili ed era riuscito, con sacrificio ed abnegazione, a raggiungere il più alto livello nel cursus honorum; inoltre l’imperatore affiancò a queste lodi anche il rimprovero contro il defunto Marco Lollio, che si era dimostrato ostile sia verso Quirinio sia verso di lui: su Lollio cf. Koestermann 1963-1968, I, 510-511. Dal punto di vista linguistico Koestermann 1963-1968, I, 508 richiama l’attenzione sulla formula ut mors … publicis exequiis frequentaretur: «die Konstruktion von frequentare ist kühn und ungewöhnlich»; essa non ha altri esempi in Tacito, mentre è presente un sintagma analogo in Suet. Tib. 32, 1: quorundam illustrium exequias usque ad rogum frequentauit. Non è del tutto impossibile sospettare in questa formulazione un residuo del discorso originale tiberiano. F 50 Nel 22 d.C., di fronte alla malattia di Giulia Augusta, Tiberio dovette ritornare precipitosamente a Roma e presenziare ad una serie di sedute senatoriali in cui vennero decretate suppliche agli dèi per la salvezza della donna e fu deciso di dare vita a giochi e spettacoli sotto la direzione dei collegi senatoriali più importanti. Lucio Apronio, soldato e uomo politico di notevole importanza (cf 46. L. Apronius), propose che anche il collegio dei fetiales si occupasse di presiedere tali celebrazioni, richiamandosi al fatto che anche i sacerdoti Augustali, che pure non appartenevano ai collegi originari, avevano ricevuto tale incarico; probabilmente la ragione della proposta risiedeva nel fatto che Augusto era stato incluso tra i fetiales e che, quindi, essi erano strettamente legati alla famiglia imperiale: cf. Koestermann 1963-1968, I, 545 (che riprende un’osservazione di Furneaux 1956). Tiberio rifiutò, facendo riferimento al diritto sacro e alle competenze tradizionali di questi sacerdoti, che sovrintendevano alle dichiarazioni di guerra (cf. Liv. 1, 24; 32; Gell. 16, 4; T. Wiedemann, The Fetiales: a Reconsideration, CQ 36, 1986, 478-490); il rifiuto è coerente con la volontà tiberiana di non modificare nella forma le tradizioni romane, mostrandosi così rispettoso delle istituzioni religiose antiche, come dimostra anche il rifiuto della divinizzazione: cf. F 67. La giustificazione dell’aggiunta dei sacerdotes Augustales sta nel fatto che essi, che duravano in carica un anno ed erano normalmente dei liberti, erano stati istituiti da Augusto stesso per tutelare il culto dei pe147

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nati (cf. Porph. e Ps. Acron ad Hor. Sat. 2, 3, 281); dopo la sua morte si occuparono del culto dell’imperatore e si diffusero in varie forme in molte città romane di provincia: cf. G. Wissowa, RE II, 1896, 23492361; W. Eck, KP I, 1964, 739-740. Tiberio volle perciò anche in questo frangente rispettare le decisioni del suo predecessore e dimostrare la propria moderazione: cf. F 67. Il fatto che queste asserzioni dell’imperatore possano essere ascritte ad una sententia, ovvero ad un parere espresso pubblicamente, pare provato dal celeberrimo paragrafo successivo, uno dei punti più efficaci della riflessione tacitiana sulla storia, Ann. 3, 65: Exequi sententias haud institui nisi insignis per honestum aut notabili dedecore, quod praecipuum munus annalium reor ne uirtutes sileantur utque prauis dictis factisque ex posteritate et infamia metus sit. Su questa pagina la bibliografia è molto ampia: cf. Münkel 1959, 91-92, A. J. Woodman, praecipuum munus annalium. The Construction, Convention and Context of Tacitus, Annales 3.65.1, MH 52, 2, 1995, 111126; Woodman-Martin 1996, 453-456. L’espressione contra dixit trova un parallelo efficace in Ann. 11, 24, dove si dice che l’imperatore contra disseruit et uocato senatu ita exorsus est: come nel secondo caso il modulo espressivo introduce un’orazione, così nel primo è molto probabile che Tacito l’abbia omessa, limitandosi ad un brevissimo accenno. F 51 Per il contesto rimando a F 5. Dal punto di vista testuale vanno segnalate alcune piccole correzioni già molto antiche: 1) in 3, 69, 4 il minutura privo di senso di M fu corretto probabilmente da J. Chifflet e da Lipsio in minui iura, che soddisfa sia paleograficamente sia contenutisticamente; Chifflet è “fonte” spesso non citata di Giusto Lipsio (cf. J. Ruysschaert, Juste Lipse et les Annales de Tacite. Une méthode de critique textuelle au XVI siècle, Louvain 1949, 144-154). Bisogna segnalare che Lenchantin 1940 rileva in apparato che la correzione spettava a Victorius e a Lipsius e non a Chifflet, ma la segnalazione del primo correttore è omessa negli apparati delle altre edizioni; inoltre a p. XLI n. 1 l’editore italiano spiega: «Codicem Mediceum 68, 2 contulit a. 1542 Petrus Victorius et varias lectiones margini adscripsit exemplaris Beroaldini, quod in bibliotheca regia Monacensi servatum Walther ut sibi in usum concederetur impetravit». Tuttavia il passo in questione appartiene al Mediceo Laurenziano 68, 1: credo quindi che si tratti di un’imprecisione del Lenchantin; 2) il difficile nome dell’isola di Cythnum aveva determinato la correzione Cytherum nel margine di M e poi la conseguente Cytheram di altri editori; il contesto della frase induce però a pensare 148

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che Tiberio intendesse riferirsi ad un’altra delle Cicladi, per di più vicinissima a Giaro, e non a Citera. La correzione del cythenum di M in Cythnum si presenta perciò del tutto plausibile. Le accuse contro Silano vennero formulate da numerosi oratori: l’ex console Mamerco Scauro (cf. 22. Mamercus Aemilius Scaurus), il pretore Giunio Otone (cf. 47. Iunius Otho), l’edile Bruttedio Nigro (cf. 26. Bruttedius Niger), il questore di Silano Gellio Publicola (cf. E. Groag, RE VII 1, 1910, 1005) ed il suo legato Marco Paconio (cf. R. Hanslik, RE XVIII 2, 1942, 2125). Tacito adombra l’ipotesi che l’impeto con cui costoro si scagliarono contro l’accusato, che per altro era probabilmente colpevole saeuitiae captarumque pecuniarum (Ann. 3, 67, 1), fosse dovuto in realtà al servilismo dei senatori, proni a qualsiasi richiesta od invito imperiale o, peggio ancora, disposti ad amplificare la gravità dei reati per compiacere il principe. Tiberio stesso presiedette il tribunale e interrogò in modo stringente Silano, il quale alla fine, dopo che anche alcuni suoi schiavi avevano testimoniato contro di lui, rinunziò alla difesa e inviò all’imperatore una lettera di supplica. Lucio Pisone propose quindi di esiliarlo nell’inospitale isola di Giaro nelle Cicladi (cf. F 5) e Cornelio Dolabella (cf. F 99), basandosi sul suo caso, suggerì “off of the question” (Talbert 1984, 259; Rutledge 2001, 217) che fosse varata una legge in virtù della quale nessun cittadino di dubbia moralità potesse ottenere una provincia: costui, che le fonti ci presentano come un adulatore fortemente legato all’imperatore, presentò una proposta moraleggiante, formalmente basata sull’idea della prevenzione del reato (si notino i verbi diudicaret e prouideri, che potrebbero forse risalire al discorso originale: cf. Woodman-Martin 1996, 468), ma che, in realtà, mirava a sgombrare il campo da qualsiasi opposizione e ostilità all’imperatore; da notare è anche il richiamo ad una delle virtù più apprezzate di Tiberio, la prouidentia, su cui Wallace Hadrill 1981, R. T. Scott, Providentia Aug., «Historia» 31, 1982, 436-459 e Classen 1991. Tiberio si oppose, pronunciò un’orazione in cui spiegò la sua posizione e propose di mitigare la pena inviando Silano nell’isola di Citno, che era più accogliente. Nel processo si intrecciano diversi elementi giuridici che ne rendono difficile l’interpretazione. Rogers 1935, 68-70 ritiene che il processo abbia riguardato esclusivamente una causa de repetundis, che l’accusa di maiestas non sia stata ammessa e che la presenza di quest’ultimo reato nel racconto tacitiano sia dovuta probabilmente al confluire nell’opera di fonti anti-imperiali: significativo è il fatto che Zäch 1972 non prenda in considerazione questo caso nel suo volume sui processi di lesa maestà; Bleicken 1962, 159 pur non giungendo a svalutarne completamente il 149

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peso, afferma che l’accusa di maiestas fu “zweitrangig” di fronte a quella de repetundis; Koestermann 1963-1968, I, 553-555 constata invece che l’accusa de maiestate ebbe l’effetto di privare Silano di possibili appoggi nella difesa e rileva che anche questa occasione poté dimostrare «wie groß das ‘Bedürfnis’ geworden war, jeden Prozeß mit einer Majestätsklage zu koppeln». Bauman 1974, 94-98, sottoponendo ad un’analisi attenta le pagine tacitiane, è incline invece a ritenere che l’accusa principale di questo processo sia stata proprio la maiestas. La sua posizione può essere così riassunta: 1) «Saeuitia in socios [espressione ricordata in Ann. 3, 67, 1] had a long Republican connection with maiestas p. R. minuta»; 2) Plinio il Vecchio in Nat. 7, 150 sembra suggerire che alcuni processi de maiestate possano essere stati intentati contro sopravvissuti al massacro di Teutoburgo: se le cose stessero così, sarebbe plausibile pensare che accuse per crimen maiestatis p. R. deminutae potessero nascere nei confronti dei funzionari responsabili di una cattiva gestione dei compiti loro affidati; l’estensione di questa prassi giuridica ad una provincia come quella d’Asia, che poteva avere governatori imperiali per quanto la sua amministrazione spettasse al senato, non sarebbe risultata assurda ed avrebbe spiegato sia l’espressione uiolatum numen Augusti sia il ricorso da parte di Tiberio agli atti del processo intentato al proconsole d’Asia Messalla Voleso tra l’11 ed il 14 d.C.: cf. Balbo 2004 e 20072, F 20; 3) l’uso di questi ultimi potrebbe esser anche dovuto al fatto che il collega imperii partecipava agli atti del suo collega più anziano; inoltre, in questo caso, i libelli contro Messalla erano verosimilmente opera di Tiberio: cf. Bauman 1974, 98. La ricostruzione di Bauman 1974 è assai suggestiva ed alcuni dati sembrano confermarla: pensiamo alla scelta di Tacito di indicare immediatamente accanto all’accusa de repetundis le offese ad Augusto e Tiberio, all’affermazione et ne quis necessariorum iuuaret periclitantem maiestatis crimina subdebantur (Ann. 3, 67, 3), che sembra mettere in secondo piano la concussione, il fatto che molte testimonianze indicano la connessione della saeuitia con la maiestas deminuta: cf. Bauman 1967, 11, 21 n. 11 e Bauman 1974, 94 n. 138. Tuttavia la maggior parte delle argomentazioni dello studioso è ipotetica; in particolare, non sembra possibile trarre dal passo pliniano le conseguenze giudiziarie che Bauman suggerisce, anche perché non vi sono altre testimonianze che possano suffragare l’ipotesi proposta: Schilling 1977, 194 traduce infatti et maiestati eqs. «les pamphlets infamants dirigés contre son auguste personne» e commenta: «Suétone, Aug. 55, mentionne les pamphlets infamants – famosos libellos – repandis dans la curie et que l’empereur prit la peine de réfuter» (213). L’interpretazione 150

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dell’editore francese sembra più corretta. Inoltre, come abbiamo più volte constatato, Tiberio aveva sempre cercato di distinguersi da Augusto ribadendo la propria inferiorità; ritengo quindi che l’accostamento tra i due imperatori sia frutto proprio di quell’atteggiamento adulatorio che Tacito stigmatizza con le parole introduttive paulatim dehinc ab indecoris ad infesta transgrediebantur (Ann. 3, 66, 1). Credo perciò che l’ambiguità del passo tacitiano non ci consenta di individuare un preciso confine nel processo, tra le accuse rivolte per maiestas e quelle per concussione: a meno, naturalmente, di non considerarle presenti entrambe, forse in due momenti diversi, come suggeriscono Woodman-Martin 1996, 450. Il discorso di Tiberio è improntato, come in altri casi, alla moderazione: cf. e. g. F 41; Lucio Pisone mette infatti in luce la clementia di Tiberio: cf. Ann. 3, 68, 2; Wallace Hadrill 1981, Classen 1991, Galimberti 1998 e Woodman-Martin 1996, 467 con bibliografia. Egli sottolinea come non sia corretto giudicare in base ai rumores, cioè alle voci incontrollate; d’altro canto il principe non è onnisciente né può farsi trascinare da lotte di fazioni; inoltre dove le leggi costituiscono un punto di riferimento non è opportuno che l’imperatore eserciti il suo imperium super leges. Come si può vedere, l’imperatore ribadisce ancora una volta il suo rispetto formale per le istituzioni e la sua intenzione di non prestare orecchio alle adulazioni: la coerenza con le “parole d’ordine” del regime imperiale è pressoché totale. Dal punto di vista stilistico Devillers 1994, 211 osserva che lo stile del discorso è particolarmente curato. Mi sembra possibile rilevare un tratto degno di attenzione, cioè l’uso dell’aggettivo sostantivato neutro plurale cuncta. Adams 1973, 129-131, esaminando la presenza di cunctus ed omnis nella prosa latina da Cicerone fino all’età di Tacito, ha osservato che nei discorsi contenuti nelle opere di quest’ultimo omnis è nettamente preferito a cunctus, sia quando è usato come aggettivo sia quando è impiegato come sostantivo; egli conclude che «perhaps Tacitus was more reluctant to admit cunctus as an adjective in speeches than as a substantive because the adjectival use had an even more recherché flavour than the substantival». La presenza di cuncta complecti potrebbe perciò essere dovuta più al modello tiberiano che all’usus tacitiano. Un possibile elemento di sostegno potrebbe esser costituito dalla rara costruzione di expedio ut e congiuntivo che si trova nella coordinata che segue cuncta complecti e che certo è verosimilmente impiegata per evitare la successione di due infinitive (Koestermann 1963-1968, I, 554), ma potrebbe anche riflettere un uso linguistico prezioso dell’originale ti151

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beriano. Accanto a questi possono essere individuati altri elementi stilistici degni di interesse: la giustapposizione di toni marcata dalla diversa lunghezza dei cola in excitari … rerum e hebescere alios (contrapposizione considerata tipica dello stile tiberiano da Miller 1964, 16-17); le allitterazioni meliora magnitudine, ambitione aliena; i chiasmi si antissent delicta / poenae sequerentur e utendum imperio / legibus agi possit; l’anafora satis … satis; la variatio immitem et sine cultu hominum (che è per altro un tratto tipicamente tacitiano). F 52 All’inizio del 23 Druso, figlio di Germanico, all’età di 15-16 anni indossò la toga virile ed ottenne gli stessi onori che già erano stati votati a suo fratello Nerone da parte del senato tre anni prima. Essi consistevano nel pontificato, in un’elargizione alla plebe, nell’esenzione dal vigintivirato e nella possibilità di ottenere la questura con cinque anni di anticipo sull’età necessaria: cf. Ann. 3, 29, 1-3. Tali concessioni dovevano di fatto porre i due fratelli su un piano di parità dal punto di vista della successione: cf. Koestermann 1963-1968, II, 43-44. Al momento del conferimento l’imperatore pronunciò un’orazione epidittica contenente un elogio per il comportamento che il proprio figlio Druso aveva assunto nei confronti dei figli di Germanico: egli non solo si era mostrato loro favorevole, ma aveva avuto un atteggiamento paterno nei loro confronti. Nulla possiamo dire di questa orazione, se non che era un esempio di quella politica di Tiberio che mirava ad allontanare da sé qualsiasi sospetto di complicità nella fine di Germanico ed a riconciliare con il ramo Claudio tutta la famiglia augustea. FF 53-54-55 Il 23 d.C., iniziatosi con i festeggiamenti per la toga virile di Druso figlio di Germanico, vide verificarsi quella che correttamente è stata chiamata “a dynastic catastrophe” (Levick 1999, 148), cioè la morte per avvelenamento di Druso, figlio di Tiberio ed erede probabile dell’impero. Tacito asserisce che egli fu assassinato per ispirazione di Seiano. Lo storico riferisce che Tiberio, dopo la sua morte, si recò nella curia, rimproverò i consoli perché si erano seduti in segno di lutto tra gli altri senatori non conservando la dignità del proprio ufficio e rivolse all’assemblea un accorato discorso trattenendo a stento le lacrime. Nella seconda parte dell’intervento l’imperatore raccomandò al senato i due figli maggiori di Germanico, Nerone e Druso. L’interpretazione di questo intervento è controversa: Devillers 1994, 244 rifiuta di legarlo ai timori di Ti152

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berio per la successione e lo connette invece alle riflessioni sulle difficoltà della famiglia di Germanico; credo che tale interpretazione non possa essere esclusa in assoluto, dato che in 4, 8, 3 è Tiberio stesso a ricordare la vecchiaia di Augusta, l’età molto giovane dei nipoti e la propria, che già si avviava al declino. Due luoghi del testo di F 53 meritano una certa attenzione: 1) attolleret è lezione quasi costante degli editori tacitiani, mentre M ha acttolleret; per questo motivo il Beroaldus propose di correggere in ac tolleret, ma credo che l’analogia strutturale tra foueret e il verbo seguente da una parte e suscipite regite di qualche riga dopo induca ad escludere ac e ad accettare il verbo composto; 2) qualche dubbio in più può essere sollevato per conformaret. M ha un erroneo corformaret, in cui la correzione di r in n si è imposta senza alcun dubbio. Tuttavia già il Rhenanus aveva sospettato che in realtà la forma vera fosse confirmaret e, recentemente, questa correzione è stata nuovamente accettata da Martin-Woodman 1989, 120-121. Essi pensano che la lezione originale di M fosse confirmaret, ma, per quanto mi è stato possibile vedere dal microfilm, M non scrive così. È vero che Tacito usa solamente qui il verbo conformo, mentre impiega altre volte firmo; tuttavia quest’ultima non mi sembra una ragione sufficiente per modificare la lezione tràdita. Siccome conformo è un verbo ben più raro di firmo e confirmo (che è impiegato settantadue volte nella letteratura latina fino al II secolo d.C. e compare in ben trentasette occasioni nelle opere ciceroniane), ritengo per lo meno possibile che questo vocabolo provenga dal testo originale di Tiberio: cf. Miller 1964, 15. Ho deciso quindi di adottare conformaret. Soltanto Tacito conserva i contenuti dell’orazione tiberiana; Svetonio si limita a render noto che l’imperatore affidò all’autorità del senato Nerone e Druso, figli di Germanico, argomento a cui Tiberio dedica la seconda parte dell’orazione. La conferma della veridicità degli elementi contenuti nella prima parte viene ancora da Dione Cassio, che afferma esplicitamente che Tiberio ejkei'non [scil. Druso] te ajpwduvrato. Tiberio nella prima parte sfruttò alcuni tovpoi della laudatio funebris e del discorso consolatorio: il dolore dei parenti che non trova conforto, la fortezza richiesta all’imperatore che riceve sollievo metaforicamente dalle braccia dello stato, il compianto per la vecchiaia propria e dell’Augusta e per l’età ancora verde dei nipoti: «The metaphorical use of complexus is also favoured by Cicero, who alone has exx. with patria and res publica e. g. Sest. 53 complexu patriae, Phil. 13, 9 res p. … suo … sinu complexuque recipiet» (Martin-Woodman 1989, 119); cf. anche Kierdorf 1980. Il tono prevalente di questa prima parte è solenne (Syme 153

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1971, 921. Münkel 1959, 55) e mesto. Nella seconda parte, in oratio recta, che segue una breve interruzione durante la quale i consoli avevano introdotto Nerone e Druso, figli di Germanico, alla presenza dell’imperatore e dei senatori, Tiberio affidò solennemente al senato i due giovani, dopo aver ricordato la cura che Druso aveva avuto nei loro confronti quando il loro padre naturale era defunto. Il tono è sostenuto e quasi sacrale: l’uso dei vocaboli dis e obtestor; i vocativi (patres conscripti; Augusti pronepotes; Nero et Druse) denotano la commozione dell’oratore; notevoli sono anche gli accumuli verbali, che si ripetono secondo una struttura asindetica costante: foueret attolleret sibique et posteris conformaret / suscipite, regite, uestram meamque uicem explete; già Syme 1971, ibidem aveva notato questo fatto ed aveva affermato che Tacito stava riproducendo i tratti caratteristici della personalità artistica dell’imperatore; d’accordo con questa interpretazione è Aubrion 1985, 564565. Più prudenti Martin-Woodman 1989, 120: «we cannot know whether this particular mannerism was characteristic of the historical Tib.». Vengono utilizzate a fini emozionali anche le allitterazioni parente … patruo … precatus; suum sanguinem. Gli imperativi ribadiscono il forte impegno a cui l’imperatore chiama il senato e ne sottolineano il coinvolgimento nella cura della trasmissione del potere. Altri tratti singolari dello stile del discorso sono stati individuati dai vari commentatori: l’uso del sostantivo suboles, arcaico e poetico; la costruzione preces … conuerto, che non presenta paralleli in latino; l’uso del superlativo clarissimis, che è piuttosto raro in Tacito: cf. Martin-Woodman 1989, 120-121. Meritano attenzione la climax suscipite regite … explete e l’espressivo iperbato disque et patria coram. Nessuna considerazione stilistica può essere fondata sui testi di Svetonio e Dione Cassio. FF 56-57-58 Al discorso di compianto tenuto in senato fece seguito l’ufficiale laudatio funebris, che fu pronunciata poco tempo dopo in occasione dei funerali di Druso. Sappiamo che Tiberio parlò dai rostra e che l’atteggiamento della popolazione, per quanto improntato apparentemente al lutto, in realtà tradiva una segreta soddisfazione per il ritorno in auge della casa di Germanico (Ann. 4, 12, 1). È probabile che la testimonianza di Dione Cassio – per altro in questo punto a noi conservata dall’epitome di Zonara – sia erronea: il testo di Seneca dimostra che fu Tiberio a pronunciare il discorso funebre. Rimane il dubbio sull’identità di questo Nerone, che potrebbe essere il figlio di Germanico (che morì nel 31 d.C. e all’epoca aveva 17 anni) oppure il futuro imperatore Claudio, allora ul154

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tratrentenne (così intendono Galimberti et alii 1999, 99 n. 161); il fraintendimento potrebbe essere dovuto a Zonara, che avrebbe confuso il cognomen di Tiberio con quello di uno dei suoi congiunti. Anche Kierdorf 1980, 146 precisa: «Die Nachricht des Cassius Dio […], Nero der Sohn des Germanicus habe die offizielle Leichenrede gehalten, ist nicht glaubwürdig». Tacito non dice null’altro su questo discorso; qualcosa di più veniamo a sapere dall’altra nostra fonte, Seneca filosofo, che propone a Marcia il comportamento di Tiberio come un esempio di forte sopportazione di un lutto gravissimo: Seneca ci fa sapere che Tiberio restò impassibile anche mentre il popolo piangeva; inoltre aggiunge il particolare del velo che, secondo il rituale che proibiva la contaminazione di una persona dotata di dignità sacerdotale da parte di un morto, era stato posto sul defunto per celarlo agli occhi del pontifex: sulle prerogative del pontifex maximus cf. K. Latte, Römische Religionsgeschichte, München 1960, 400-402, F. Van Haeperen, Le Collège Pontifical. (3ème s. a.C.4ème s. p. C.). Contributions à l’ étude de la religion publique romain, Bruxelles – Rome 2002. Tiberio, conformemente alle sue inclinazioni, rispettò in tutto e per tutto il rituale tradizionale; nulla possiamo dire dei contenuti del discorso; è assai verosimile che Tiberio abbia dedicato ampio spazio al tema della pietas di Druso nei confronti dei figli di Germanico. F 59 In questo frammento Svetonio cita un discorso che Tiberio pronunziò in senato contro l’eccesso di riconoscimenti che erano stati attribuiti a Nerone e Druso, figli di Germanico; tali praemia erano consistiti in pubblici voti decretati per la loro salute. L’orazione fu pronunciata nel 23, dopo le esequie di Druso, secondo la scansione cronologica proposta da Svetonio stesso. Essa rappresenta perciò un nuovo episodio dell’atteggiamento oscillante tra formale appoggio e celata ostilità che Tiberio mostrò nei confronti di Germanico e dei suoi familiari e che fu probabilmente la causa della drammatica fine dei due giovani. Sull’orazione ben poco possiamo dire, se non che dalle parole in oratio obliqua conservateci da Svetonio si evince che l’imperatore si richiamò al tema tradizionale del premio che doveva essere conferito a chi, durante lunghi anni, avesse dato buona prova di sé: il sintagma aetate prouectus compare in tre luoghi di Cicerone (Br. 129; Sen. 10; Diu. 2, 5) e in uno di Seneca Retore (Con. 9, 6, 14). Si tratta di un ideale meritocratico che tiene conto anche dell’età e che qui assolve anche al compito di limitare il favore popolare per quella parte della famiglia che discendeva da Germanico. 155

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F 60 Sempre all’anno 23 risalgono i provvedimenti presi contro gli attori di teatro che avevano dato vita a rappresentazioni estremamente licenziose e avevano provocato disordini in città. Tiberio presentò la sua relatio al senato, sulla quale si doveva votare; egli mise in particolare l’accento sul fatto che le rappresentazioni provocavano tumulti e che la fabula Atellana (Oscum ludicrum) aveva raggiunto un livello di tale volgarità da superare persino i limiti di un divertimento popolare di infima qualità (leuissimae apud uulgum oblectationis). Il senato si decise a votare con un decreto informale (Woodman-Martin 1989, 138) e gli attori furono cacciati dall’Italia; D.C. 57, 21, 3, che ricorda l’evento, non parla della relatio di Tiberio. Dal punto di vista testuale due luoghi rivestono un certo interesse: 1) il tradito uulgum di M fu corretto in uulgus dal Ritter, con una scelta che si potrebbe definire “normalizzatrice”; in realtà la forma allotropa in –um, pur essendo più rara, è usata ampiamente da Tacito (undici occorrenze contro le sessantuno di uulgus) e compare già in Varrone e con una certa costanza da Manilio in avanti; credo perciò che sia da conservare; 2) l’ut che segue uenisse (supplito da M2) è richiesto dalla costruzione della consecutiva; M omette infatti con una certa facilità sillabe e parole brevissime. Dal punto di vista linguistico è notevole sia l’uso dell’avverbio seditiose, che in Tacito ricompare anche in F 41 e comunque si presenta solo nei discorsi dell’imperatore, sia l’accostamento chiastico in publicum seditiose / foeda per domos: si tratta di elementi che potrebbero anche essere ricondotti al testo originale tiberiano. FF 61-62 Nel 23 d.C. Tiberio pronunciò in senato un discorso con cui fece condannare Lucilio Capitone all’esilio per aver esercitato prerogative non sue nell’amministrazione della provincia d’Asia. Egli era infatti procurator ed aveva giurisdizione solamente su quanto concerneva il fiscus (Daremberg – Saglio, IV 1, 665), gli schiavi e i beni dell’imperatore e non poteva arrogarsi l’autorità del proconsole, che qui Tacito chiama pretore ribadendo la sua imprecisione nell’uso di termini tecnici per le cariche: cf. Woodman-Martin 1989, 139. Non gli era perciò consentito organizzare dei tribunali e meno ancora avvalersi delle truppe per mettere in pratica le proprie decisioni: cf. Koestermann 1963-1968, II, 78. Il caso è piuttosto interessante perché, essendo un funzionario di nomina imperiale, Lucilio Capitone avrebbe dovuto essere al di fuori della giu156

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risdizione senatoriale; invece, con un’accorta scelta politica, l’imperatore si impegnò per la condanna anche per ribadire che il senato godeva di piena autonomia: cf. Rogers 1935, 73, Brunt 1961, 225, Bleicken 1962, 53 e 63, 5, Martin-Woodman 1989, 139. Marsh 1959, 155 e Koestermann 1963-1968, II, 78 sottolineano che l’iniziativa di Tiberio dimostrava la sua capacità di influenzare le assemblee senatoriali provinciali. Talbert 1984, 467 osserva che processi di tale genere potevano essere celebrati in senato quando l’argomento era particolarmente serio o destava scandalo. La fattispecie dell’accusa è incerta: Rogers 1935 la riconduce ad un procedimento de repetundis, seguendo G. Kleinfeller, RE I A 2 1914, 609-610, secondo il quale anche una cattiva amministrazione delle province poteva rientrare nelle colpe punite dalla lex Iulia de maiestate; la posizione di Rogers può anche essere motivato dal fatto che Tacito accostò questo processo a quello di Gaio Giulio Silano, proconsole d’Asia nel 22, in cui la fattispecie sembra più chiara; Brunt 1961 la definisce uis publica, Talbert 1984, 467 “unauthorized use of force”. Zäch 1972, 62 riconosce che la sobrietà della descrizione tacitiana impedisce di identificare esattamente il fondamento giuridico della causa. È difficile decidere con sicurezza, anche perché non vi è nessuna allusione ad appropriazioni indebite o ad atti di concussione, che rientravano normalmente nel dominio di tale normativa: cf. Bleicken 1962, 37-43. Comunque la tesi di Rogers non è priva di fondamento. Soltanto la testimonianza di Dione Cassio ci consente di superare l’incertezza del testo tacitiano e di essere sicuri che Tiberio pronunciò un’orazione: il verbo ejgkalevw compare come termine tecnico per l’accusa in Isocrate, Demostene e vari altri oratori greci. È probabile che il principe abbia pronunciato un’orazione molto attenta agli aspetti giuridici e assai deferente nei confronti dell’assemblea; egli aveva la possibilità di intervenire nelle assemblee sia presentando una relatio, sia profferendo sententiae sia ponendo il veto a proposte: cf. Talbert 1984, 167-174; Santalucia 19982, 239. Già Zäch 1972, 62 osserva la sostanziale coincidenza delle parole di Cassio Dione e di Tacito stratiwvtai" ejcrhvsato e manibusque militum usus foret, ma probabilmente è eccessivo pensare ad una derivazione diretta del testo cassiano dallo storico romano. Su Lucilio Capitone, di cui non sappiamo molto, ma che presumiamo non sia nato dopo il penultimo decennio del I secolo a.C. (Shotter 1994, 132), cf. Demougin 1992, n° 246, 214, che segnala la bibliografia precedente. F 63 L’anno 23 vide anche la decisione sulla nomina del nuovo flamen 157

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Dialis, dopo che il vecchio Servio Cornelio Lentulo Maluginense era morto (sul ruolo del flamine di Giove a Roma cf. F. M. Simón, Flamen Dialis: el sacerdote de Júpiter en la religión romana, Madrid 1996). Contemporaneamente fu presentata una proposta di legge meno restrittiva, perché i riti complessi come la confarreatio che consentivano la nomina del flamen stavano andando sempre più in disuso: cf. Marrone 1989, 334-335. Uno dei problemi fondamentali era costituito dal fatto che la patria potestà non agiva sulle mogli dei flamini di Giove, che quindi venivano a dipendere esclusivamente dai mariti. Per questo si decise di inserire nella nuova legge la norma secondo cui la donna era sottoposta alla potestà maritale assoluta solamente per quanto riguardava le cerimonie religiose, mentre nella vita quotidiana era soggetta alle norme giuridiche che valevano per le altre donne: cf. Marrone 1989, 323-335. Come si può constatare, la proposta tiberiana mirava a salvaguardare il più possibile la tradizione romana, ma allo stesso tempo si prefiggeva il compito di rendere più adeguata alla sua epoca l’istituzione e di risolvere un problema giuridico che limitava i poteri di alcune delle famiglie più importanti: si tratta perciò di provvedimenti che uniscono l’attenzione al passato di Roma con la salvaguardia degli equilibri politici presenti. Dal punto di vista testuale vi sono tre punti che hanno subito varie proposte di correzione. Due di questi sono strettamente collegati: 1) M scrive in 4, 16, 2 accederet, ma pone un segno che cancella la t, per cui la lezione risulta accedere, che è accettata dalla maggior parte degli editori; credo che sia la forma corretta: la proposta accedere et, che fu già suggerita da J. Gronov ed è ripresa da Borzsák, per quanto paleograficamente sia molto plausibile, mi appare stilisticamente più pesante, in quanto l’et è sostanzialmente pleonastico; 2) Giusto Lipsio ritenne che dopo uitarentur vi fosse una lacuna in cui venissero elencate e discusse le difficoltà del cerimoniale, ma non vi sono indizi in favore di questa supposizione; 3) più problematico è il terzo caso: M presenta l’abbreviazione quô, che fu sciolta in quod o quando dal Rhenanus e dal Beroaldus e viene interpretata come quoniam dagli altri editori, esclusi i recenti Martin-Woodman; molti studiosi tuttavia non collocano la fine della parentesi dopo uitarentur (in questo caso, secondo Martin-Woodman 1989, 142 «et would co-ordinate the abl. ass. omissa … retenta and quod [or quoniam] exiret … as causal expressions exhibiting variatio»), bensì dopo feminarumque, e considerano il quô retto da accedo; siccome però la costruzione usuale di accedo è con il quod, Martin-Woodman possono parlare di quô come «an unusual abbreviation (or scribal error) for quod» (Martin-Woodman 1989, 143). L’usus delle abbreviazioni ri158

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vela però che quô dovrebbe in realtà essere sciolto in quoniam (A. Cappelli, Dizionario di abbreviature latine ed italiane, Milano 19906, rist. 1996, 317); resta perciò qualche dubbio, perché la scelta della correzione è dovuta anche all’interpretazione del passo; d’altro canto non sempre il copista di M è molto accurato e talora le soprallineature non indicano abbreviazioni; la questione non è perciò di agevole soluzione: credo che, anche se dubitosamente, possa essere accettata la collocazione della parentesi dopo uitarentur e quindi la forma quoniam, in quanto più conforme alla consuetudine. Il profilo stilistico di questa orazione in discorso indiretto può essere solamente abbozzato: si può constatare una certa tendenza ad una costruzione mista di chiasmo e parallelismo (quoniam exiret e iure patrio / qui id flamonium apisceretur … quaeque in manu flaminis conueniret; ex horrida illa antiquitate … ad praesentem usum), la paronomasia flamonium … flaminis, l’iperbato patricios … genitos, l’antitesi tres simul nominari / ex quis unus legeretur, la correctio omissa … aut inter paucos retenta. Si tratta di elementi retorici abbastanza comuni, che è pressoché impossibile far risalire all’originale tiberiano. F 64 L’anno 24 vide l’inizio delle persecuzioni ispirate da Seiano. Uno dei primi personaggi contro i quali venne celebrato un processo di lesa maestà fu Gaio Silio, accusato di complicità con Sacroviro: cf. Bauman 1974, 115-120; Rogers 1935, 75-79; Zäch 1972, 29 e F 81. In subordine vi era anche un’accusa de repetundis: cf. Bleicken 1962, 160. L’imputato aveva chiesto un rinvio, affinché il console Varrone, suo accusatore, concludesse il mandato prima di sostenere la causa: chiaramente l’intenzione era quella di ottenere un giudizio equo, in cui la carica di magistrato, rivestita da una delle parti in causa, non influenzasse dibattimento e giudizio. Tiberio però rifiutò, affermando, in un’orazione di argomento procedurale (cf. Santalucia 19982, 239), che i magistrati avevano la prerogativa di fissare i giorni per il giudizio ai privati cittadini e che, quindi, non bisognava ledere i diritti giuridici di coloro che difendevano lo stato. Tacito commenta osservando che era proprio di Tiberio mascherare sotto parole antiche (priscis uerbis) delitti inventati recentemente (scelera nuper reperta). È assai probabile che in questo caso lo storico si riferisca all’espressione ne quod res publica detrimentum caperet, che richiama la formula rituale testimoniataci da Sall. Cat. 29, 2 (Martin-Woodman 1989, 148) nella forma darent operam consules, ne quid res publica detrimenti caperet; se così è, possiamo pensare con un 159

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certo grado di sicurezza che Tacito abbia riportato in oratio obliqua almeno alcune parole effettivamente impiegate da Tiberio; d’altro canto il richiamo alla prassi tradizionale del diritto è perfettamente in linea con l’ideologia tiberiana. Nulla possiamo dire né sul resto del contenuto né sullo stile del discorso. F 65 L’accusa rivolta contro Vibio Sereno dal figlio omonimo rappresentò agli occhi di Tacito uno degli atti più vergognosi del governo di Tiberio: cf. FF 178-179 e Rogers 1935, 81-82. Anche in questo processo Asinio Gallo rivestì il ruolo di suggeritore della pena ed intervenne soltanto alla fine, proponendo una relegazione nelle isole di Giaro o Donusa. Tale reclusione doveva essere dura, come si evince dalle parole di Tiberio stesso, che respinse la proposta, osservando che quei luoghi erano privi di acqua. Su Giaro, isola delle Cicladi settentrionali, la cui superficie è “felsig, öde und wasserarm” cf. L. Bürchner, RE VII 2, 1912, 19541955; su Donusa, oggi Donoussa, “sehr steinige Insel” a NE di Nasso cf. L. Bürchner-R. Philippson, RE V 2, 1905, 1548-1549. In contrasto con l’affermazione di Tacito è quella di Virgilio, che in Aen. 3, 125 definisce Donusa uiridem. Anche in questo caso Asinio sembra parteggiare per Tiberio o, per lo meno, far di tutto per non scontentarlo. Dal punto di vista testuale è necessaria l’integrazione del cum che regge il congiuntivo, anche se la caduta risulta non facilmente spiegabile dal punto di vista paleografico. F 66 Publio Suillio Rufo (M. Fluss, RE IV A, 1931, 719-722; Pani 1993, 127-130; Rivière 2000, 545-546) fu uno dei massimi delatori ed oratori della prima età imperiale. Egli era imparentato con Corbulone e Caligola: cf. Koestermann 1963-1968, II, 110; nel 18 d.C. divenne questore di Germanico e le notizie su di lui ricominciano proprio nel 24, quando fu accusato de repetundis (cf. Rogers 1935, 83-84 e Bleicken 1962, 160) per aver ricevuto illecitamente denaro per “aggiustare” un processo in cui era giudice. Bandito da Tiberio, che, come sembra suggerire il verbo censo, pronunziò un’orazione, rientrò dall’esilio quasi alla fine del regno di Caligola e svolse la sua attività sotto il governo di Claudio: cf. Balbo 2004 a, 80-84. Le parole di Tacito marcano in modo estremamente chiaro l’ostilità di Tiberio nei confronti di tale personaggio: è raro infatti che l’imperatore intervenga di persona (cf. Aubrion 1985, 559) e soprattutto che proponga una delle pene più gravi, ovvero la relegazione in un’iso160

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la, che veniva inflitta anche per i casi di lesa maestà e poteva comportare la perdita del diritto di cittadinanza: cf. Dig. 48, 11, 7, 3, Ciaceri 1918, 264, Balbo 2004, 224-225 per il caso di Cassio Severo e il processo a Vibio Sereno (F 65), Malaspina 2005, 339 con bibliografia. La giustificazione sta nella minaccia all’utilitas publica costituita dalla corruzione; in questa situazione Tiberio vuole ergersi a vero protettore dello stato: cf. Bauman 1996, 62. È da notare che questo è uno dei pochi luoghi in cui Tacito elogia Tiberio: cf. Koestermann 1963-1968, II, 111. Comunque non sembra che Suillio abbia in qualche modo subito diminuzioni della capacità giuridica, se è vero che continuò il suo cursus dopo il ritorno dall’esilio. Il ricorso al giuramento ha una funzione giuridica, ma serve anche come strumento di mozione degli affetti: Plin. Ep. 5, 13, 5, ci testimonia che un senatore, secondo quanto previsto dalla lex Iulia de senatu habendo del 9 a.C., poteva chiedere ad un altro se le sue decisioni fossero state prese nell’interesse dello stato (e re publica esse quod censuisset: cf. Talbert 1984, 261-262); il ricorso a questo atto proprio dell’ordo inartificialis era comunque già presente nel processo centumvirale che aveva visto opporsi Lucio Arrunzio padre e Gaio Albucio Silo: cf. Balbo 2004 e 20072, FF 4-5 e 12-14. L’integrazione e iurando del Ritter si impone confrontando con Ann. 1, 11, 4, iure iurando obstrinxit; l’errore si spiega con una facile aplografia. F 67 Nel 25 d.C. una delegazione di città della Hispania Vlterior si presentò a Roma davanti a Tiberio per chiedere il permesso di elevare un tempio all’imperatore ed a sua madre: in generale sulla questione degli onori divini cf. L. Ross Taylor, Tiberius’ refusal of divine honours, TAPhA 60, 1929, 87-101. Tiberio rifiutò e pronunziò in senato un’orazione deliberativa con cui spiegò le ragioni della propria decisione. Due anni prima le città dell’Asia avevano presentato un’analoga richiesta che era stata accettata: cf. Ann. 4, 15, 3: Ob quam ultionem et quia priore anno in C. Silanum uindicatum erat, decreuere Asiae urbes templum Tiberio matrique eius ac senatui. Et permissum statuere; in questo secondo caso è assai verosimile che la condanna de ui e la deportazione ad Amorgo del proconsole dell’Hispania Vlterior Vibio Sereno, decisa nel 23 (Ann. 4, 13, 2), abbiano influito su questa supplica. Tiberio era già stato infatti criticato per aver dato il consenso nel caso precedente e pensò di aver trovato l’occasione di poter mettere una volta per tutte la parola fine ai rumores che lo accusavano di ambitio. Inoltre l’imperatore, sempre molto rispettoso delle formali prerogative senatoriali, non volle correre il 161

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

rischio di suscitare malumori nell’assemblea: mentre le città asiatiche avevano proposto di innalzare il tempio anche al senato, questa proposta non era stata avanzata dalla Spagna. Accettarla avrebbe significato ammettere esplicitamente che il peso politico dell’imperatore era superiore a quello dell’assemblea senatoriale e provocare quindi preoccupazione e disagio in quei senatori che, sovente, si erano mostrati così ossequenti. L’atto tiberiano appare perciò un provvedimento accorto, perfettamente corrispondente alla figura ed all’ideologia dell’imperatore; credo che la conferma di questa tesi debba essere vista nelle parole di Ann. 4, 37, 3: iam exemplum promptius secutus sum, quia cultui meo ueneratio senatus adiungebatur. Dal punto di vista testuale due sono i luoghi che presentano qualche difficoltà: 1) in 4, 37, 3 M ha la serie di abbreviazioni p oms p; poiché la p tagliata nel codice indica per e si presenta in prima – posizione, credo che debba essere accettata la scelta del maggior numero di editori di stampare per omnes, rifiutando l’anastrofe omnes per del Nipperdey, tanto più che Tacito inverte la posizione della preposizione soltanto in Ann. 1, 3, 4, mentre in ben altri venti casi il sintagma assume la forma per + omnis; potremmo essere di fronte ad un caso di parola-segnale del copista: cf. Magnaldi 2000; 2) più complesso è il caso di 4, 38, 3, in cui M ha una lezione fortemente ambigua: et deos et deaos ipsaos, dove le a soprallineate sono di un correttore di M; Curzio Pichena ritenne et deaos una dittografia e semplificò in et deos ipsos, accettato da Lenchantin; Lipsio propose di seguire la correzione e di stampare et deos et deas ipsas; Koestermann, fondandosi su una lettera di Tiberio contenuta in Ann. 6, 6, 1 che riporta una formula di me deaeque, sospettò che il testo originariamente contenesse deos ipsos et deas. Credo che la soluzione del Lipsio sia la migliore sia perché non rende necessari interventi di rilievo sul testo tradito sia perché restituisce uno stilema che conferma il gusto dell’imperatore per espressioni enfatiche e solenni e per espedienti stilistici quali il poliptoto e l’anafora; per altro anche Koestermann 19631968, II, 131 riconosce che «es ist denkbar, daß Tiberius so gesprochen hat, wie die in den Text aufgenommenen Worte besagen, denn die emphatische Beschwörung der di deaeque. Obwohl sie hier der rhetorischen Exaggeratio entgegenwirkt, scheint zu den Eigenheiten der Sprache des Kaisers zu gehören». Il contenuto è denso di quegli elementi che già in altre occasioni avevano corredato l’oratoria tiberiana: la grande deferenza verso il senato, la fedeltà assoluta ai provvedimenti augustei (cf. Ann. 4, 37, 3), la volontà di onorare il padre adottivo, la coscienza della propria limitatezza, 162

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l’umiltà. Tale atteggiamento, oltre a rimandare a tovpoi filosofici ormai largamente diffusi, risulta interessante in quanto in controtendenza rispetto all’uso degli imperatori di accettare il culto divino: cf. MartinWoodman 1989, 188, che hanno opportunamente messo in luce l’elenco delle quattro virtù che Tiberio rivendica come degne di essere ricordate dai posteri: la dignitas (maioribus meis dignum); la prouidentia (rerum uestrarum prouidum); la constantia (constantem in periculis); il coraggio (offensionum … non pauidum): cf. Wallace Hadrill 1981; egli sembra quasi voler dettare un “epitaffio” sintetico delle proprie qualità: si tratterebbe quindi di un elemento contenutistico caratteristico della propaganda ufficiale. Devillers 1994, 212 (riprendendo un’idea di R. H. Martin) mette in rilievo la coincidenza tematica del discorso con le idee di Tacito sul culto imperiale espresse e. g. nell’ultimo capitolo dell’Agricola. Ullmann 1927, 227-228 ha analizzato retoricamente l’orazione individuando un’efficace dispositio data da un prooemium (Scio … aperiam), da una tractatio fondata sui temi del rectum e del dignum (Cum diuus Augustus … spernuntur) e da una conclusio basata su elementi religiosi. Per quanto riguarda il versante stilistico, Devillers 1994, 212 mette in luce il tono pieno di solennità. Anche qui possiamo rilevare termini che potrebbero anche rivelare elementi dello stile tiberiano: la costruzione uice + genitivo, l’accusativo retto da fungi, il sostantivo astratto offensio: cf. Miller 1964, 16-18 e Martin-Woodman 1989, 188-189. Notevole è l’antico ottativo duint, di patina decisamente arcaica: esso compare in Pl. Am. 72, Most. 655, Pseud. 936, Trin. 43; in Ter. And. 666, Phorm. 519, 976 e 1005 e Cic. Cat. 1, 22, 1. Si possono osservare vari procedimenti stilistici interessanti: la uariatio prioris silentii defensionem … quid in futurum statuerim; l’ampliamento dei cola: mortalem esse … hominum officia fungi … satisque habere si locum principem impleam; la climax socios ciuis et deos ipsos et deas; i chiasmi uanescet … honor / si … uulgatur; uos testor / meminisse posteros; rerum uestrarum prouidum / constantem in periculis / offensionum … non pauidum; le numerose allitterazioni: statuerim simul; secutus sum; uos … uolo; satis superque; memoriae meae … maioribus meis (con poliptoto); saxo struuntur si … sepulchris spernuntur (con omeoteleuto); facta atque famam; l’asindeto ambitiosum, superbum; la litote non pauidum; l’anafora haec … hae (con poliptoto); le antitesi honor … promiscis adulationibus; mihi … uestris; gli iperbati haec … templa; finem … quietam; ut … prosequantur. Il tono generale è solenne, anche se si può scorgere qualche punta di ironia: per esempio nell’espressione promiscis adulationibus riferita al163

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

la deferenza nei propri confronti (Koestermann 1963-1968, II, 130). Sull’ironia nei discorsi tacitiani cf. anche Münkel 1959, 56-57; l’uso del pronome di prima persona ribadisce il coinvolgimento profondo di Tiberio nel problema; la sacralità del tema giustifica il ricorso ad un lessico di matrice religiosa: diuus, templum, ueneratio, numinum, sacrari, mortalem, diuini iuris. Anche il periodare è arcaizzante: Koestermann 1963-1968, II, 130: «die Worte [ego me, patres conscripti, mortalem esse eqs.], die das Glaubensbekenntnis des Kaisers enthalten, sind in ihrer archaisierenden Simplizität großartig stilisiert». In questo discorso, forse più che in altri, possiamo avere il sospetto che vi sia molto dell’originale testo tiberiano: cf. Koestermann 1963-1968, II, 128. F 68 Nel 31 d.C., quando ormai Tiberio si trovava nella parabola discendente del suo impero, vi fu un dibattito in senato sull’opportunità che l’imperatore venisse scortato da una guardia armata di senatori. Il promotore di questa proposta fu Togonio Gallo (cf. 50. Togonius Gallus), un personaggio altrimenti sconosciuto, che si distinse per la piaggeria e la bassa adulazione; evidentemente doveva rivestire una certa importan-

Appendice 2 L’orazione ai soldati D.C. 56, 13, 2. ∆Ex ou\n touvtwn tou ' me;n ojrgisqei;" tou' de; hJsqei;" sunekavlesev te aujtouv", kai; ta; me;n ejpitimhvsa" sfivsi ta; de; kai; parainevsa" ou[te ejqrasuvnato ou[t∆ ajpanevsth, ajlla; kata; cwvran hJsucavzwn e[meine.

Commento Questo frammento ci trasmette la notizia di un discorso tenuto da Tiberio al suo esercito nel 9 d.C., in occasione di alcune proteste elevate dalle truppe durante l’assedio della fortezza di Andetrium presso Salona in Dalmazia: cf. Bardon 1940, 112 e Seager 20052, 35. Tiberio aveva assediato in quella fortezza Batone, il capo dei Dalmati, ma a causa della posizione e della scarsità di vettovaglie non riusciva a venire a capo dei resistenti. Le sue truppe, già inclini all’ammutinamento fin dal164

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za nel senato, perché l’imperatore si rivolse a lui uerbis moderans. Tiberio aveva in effetti richiesto una scorta per il ritorno da Capri a Roma, ma, come spesso succedeva, qualche senatore, per accattivarsi la sua benevolenza, intendeva mostrarsi disposto a concedere di più. Tiberio pronunciò un’orazione – evidentemente di tipo deliberativo – con cui declinò la proposta. Il tono è fortemente ironico, per non dire quasi sarcastico. In essa, a quanto possiamo giudicare dal testo in oratio obliqua di Tacito, vi dovevano esser molte interrogative retoriche; nel passo si constata un certo gusto per la variatio (honoribus perfunctos … iuuenes … priuatos … e magistratibus) e l’iperbato (sumentium … gladios). Non possiamo trarre alcuna altra indicazione sul contenuto. F 69 Ben poco si può affermare su questa laudatio funebris, di cui Dione Cassio ci conserva memoria; non vi sono infatti appigli per poter identificare il personaggio di cui si parla, in quanto l’appunto è compreso in una sezione di presentazione generale del comportamento e dei costumi di Tiberio. L’ipotesi di Kierdorf 1980, 147 che potesse trattarsi di Publio Sulpicio Quirinio non si appoggia su alcun dato concreto.

Traduzione Ai soldati D.C. 56, 13, 2. Per questi fatti in parte si irritò ed in parte provò una certa soddisfazione; quindi li convocò e, rivolti loro alcuni rimproveri ed esortazioni, non diede prova di ardore sconsiderato né si ritirò, ma rimase tranquillo in quel luogo […].

l’inizio della campagna (cf. D.C. 56, 12, 2), cominciarono a rumoreggiare; le loro grida però ebbero un effetto dirompente sul morale dei barbari assediati, che abbandonarono alcune loro posizioni. Tiberio, a questo punto, parlò ai militari alternando complimenti e rimproveri; il suo discorso fu evidentemente ben riuscito, in quanto gli consentì, forse anche per la congiuntura favorevole delle vicende militari, di riguadagnare il favore dell’esercito. Per la scelta di collocare in appendice i passi appartenenti alle orazioni rivolte alle truppe, cf. Introduzione § 3. 165

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Appendice 3 L’orazione ai contribules (cf. Syme 1956; Levick 1999, 119-121) ]VNC • QVONIAM • N[ aNNORVM • LX • SEIANI • SCElerati ]ITATIO • ET • INPROBAE • COMITIAE (sic!) ]AE • FVERVNT • IN • AVENTINO • VBI seiANVS • COS • FACTVS • EST • ET • EGO ]BILIS • INVTILIS • BACVLI • COMES VT • SVPPLEX • FIEREM OMNI • NVNC VOS ROGO • BONI • CONTRI buLES • SI • SEMPER • APPARVI uOBIS • BONVS • ET • VTILIS • TRI bulIS • SI NVMQUAM OFFICii mei immemor fVI • NEC • REI M • COI RIF 1 [AT N]VNC QVONIAM R[UPIT PACEM] tempt. Levick 2 SCElerati CIL SCElerata Levick SCElesta Syme 3 [FLAG]ITATIO vel [EFFLAG]ITATIO Syme (dubitanter) [INC]ITATIO Levick 4 [ILL]AE Levick [QV]AE Dessau ILS 6044 Syme (dubitanter) 6 [DE]BILIS Levick BACULI cognomen putavit Hischfeld in commentario CIL VI 10213 7 VI post NUNC temptavit Levick 11-12 OFFICii mei immemor fVI tempt. Syme OFFICium deserVI Levick

Commento Quest’epigrafe è contenuta in CIL VI 10213 (= ILS 6044) e fu scoperta verso la metà dell’Ottocento a Roma. Essa ha un carattere molto particolare e sembra a tutti gli effetti essere un frammento di un discorso: a favore di questa identificazione concorrono sia l’uso del pronome personale ego, sia il vocativo uos boni contribules; il tono appare abbastanza solenne: degni di nota sono il sintagma inutilis baculi comes, con cui il parlante, sicuramente un uomo anziano, vuole attirare favore nei propri confronti e l’anafora si … si, alla quale si aggiunge una stu166

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Traduzione “Ora (?) poiché … di sessanta anni dello scellerato (?) Seiano e le irregolari assemblee elettorali … furono sull’Aventino, dove Seiano fu eletto console e io … inutile compagno di un bastone (da passeggio?), da supplice, ora con ogni (?) vi supplico, buoni compagni di tribù, se sempre vi apparvi un degno e adeguato membro della tribù, se non dimenticai mai il mio dovere (?) né …”

diata opposizione tra gli avverbi semper e numquam; il testo risulta quindi ampiamente dotato di elementi retorici. Dal punto di vista contenutistico, esso appare rivolto a compagni di tribù a proposito delle elezioni di Seiano che si tennero, fuori da ogni procedura, sull’Aventino: «The elections of Tiberius, it is here stated, took place on the Aventine […] How could this be? The Comitia Centuriata meet in the Campus Martius; and, even after elections had been transferred from Campus to Senate by Tiberius in A. D. 14, there still remained vestigial ceremonies 167

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

of the ritual to be gone through on the Campus before a consul was well and truly created» (Syme 1956, 259). Seiano avrebbe fatto tenere le elezioni sull’Aventino per rendersi amica la plebe romana, che storicamente aveva forti legami con il colle. Il problema centrale che si pone a questo punto è chi sia il parlante. Syme non prende posizioni precise sulla questione, limitandosi ad osservare che il termine efflagitatio compare in Tac. Ann. 2, 38, 2 in un discorso tiberiano contro le richieste di Ortalo (F 37), ma aggiunge che non sembra esserci spazio sufficiente sulla pietra per scrivere efflagitatio, mentre ce ne sarebbe abbastanza per flagitatio, che rappresenterebbe comunque un termine vigoroso e poco comune (ibidem). Levick 1999, 120 invece, quantunque con molta prudenza, propende per l’identificazione con Tiberio, osservando che colui che sta parlando è un personaggio di rilievo e che il linguaggio che sta utilizzando sembra confacente allo stile di un imperatore noto per il suo modo involuto e prezioso di esprimersi. In effetti la sintassi del testo non è del tutto agevole, ed in particolare fa difficoltà l’ut … fierem, che va probabilmente retto da un factus sum che si può ricavare dal factus est precedente; una conferma dell’apprezzamento del parlante per il linguaggio tecnico è fornito dal neologismo contribulis, che non mi è stato possibile ritrovare in testi precedenti: molto più attestato è tribulis, che compare in Terenzio, Varrone, ben 19 volte nelle orazioni e nelle lettere di Cicerone, quattro volte nel Commentariolus petitionis, nei frammenti dell’oratore Giovenzio Laterense, in Orazio, Livio ed altri scrittori successivi. Anche Yavetz 1999, 46 sembra confermare l’attribuzione a Tiberio. A tale tesi si possono però obiettare alcune consi-

Orazione sui Cristiani

Appendice 4

a) Tert. Apol. 5, 2. Tiberius ergo, cuius tempore nomen Christianum in saeculum introiuit, adnuntiatum sibi ex Syria Palaestina, quod illic ueritatem ipsius diuinitatis reuelauerat, detulit ad senatum cum praerogatiua suffragii sui. Senatus quia non ipse probauerat respuit. Caesar in sententia mansit, comminatus periculum accusatoribus christianorum.

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derazioni: 1) nessun’altra fonte antica dà notizia di questo discorso; 2) un personaggio come Tiberio, «unclear, but pedantically correct in his speech» (Levick 1999, 120), difficilmente avrebbe ammesso un solecismo come improbae comitiae: forti dubbi esprimeva anche a voce I. Lana, sostenendo che è impensabile che un appartenente ad una gens superba ed orgogliosa come quella Claudia si presenti come supplex ed accetti il giudizio dei suoi contribules. È senz’altro possibile attribuire l’errore al lapicida, ma i dubbi restano. Più recentemente Yavetz 1999, 45-48 ha sottoposto nuovamente ad analisi il testo sostenendo che Seiano organizzò le elezioni sull’Aventino d’accordo con Tiberio, allo scopo di rendere più gradito al popolo l’imperatore, che aveva cercato invano di trovare appoggio e sostegno nella plebe. Il mutamento di parere di Tiberio nei confronti di Seiano non fu dovuto all’elezione illegale o scorretta (ricordiamo che l’Aventino era fuori dal pomerio), ma alla lettera con cui Antonia informò il principe delle trame di congiura ordite da Seiano: cf. Ios. Ant. 18, 179182 e Yavetz 1999, 68. Non siamo in grado di comprendere esattamente che cosa l’oratore stia chiedendo ai contribules: si tratta senz’altro di un favore, forse di un appoggio in una decisione; se così è, siamo di fronte ad un’orazione deliberativa, ma non ci è possibile precisare quale punto del discorso ci sia stato conservato. Il testo è comunque databile alla seconda parte del 31, anno dell’elezione consolare di Seiano e Tiberio, che poi si dimisero il 9 maggio per essere sosituiti da due suffecti: cf. Yavetz 1999, 46.

Traduzione a) Tert. Apol. 5, 2. Tiberio dunque, al cui tempo il nome cristiano entrò nel mondo, trasmise al senato quanto gli era stato comunicato dalla Siria-Palestina e ciò che aveva rivelato laggiù la veracità della sua divinità, sostenendo l’atto con il proprio voto iniziale. Il senato, poiché non aveva verificato direttamente, respinse la proposta. Cesare rimase fermo sulle sue posizioni, minacciando provvedimenti nei confronti degli accusatori dei Cristiani. 169

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

b) Eus. Hist. eccl. 2, 2, 1-6 […] ta; peri; th'" ejk nekrw'n ajnastavsew" tou' swth'ro" hJmw'n ∆Ihsou' eij" pavnta" h[dh kaq∆ o{lh" Palaistivnh" bebohmevna Pila'to" Tiberivw/ basilei ' koinou'tai, tav" te a[lla" aujtou ' puqovmeno" terastiva" kai; wJ" o{ti meta; qavnaton ejk nekrw 'n ajnasta;" h[dh qeo;" ei\nai para; toi '" polloi'" pepivsteuto. 2 To;n de; Tibevrion ajnenegkei'n ejpi; th;n suvgklhton ejkeivnhn t∆ ajpwvsasqaiv fasi to;n lovgon, tw'/ me;n dokei'n, o{ti mh; provteron aujth; tou'to dokimavsasa h\n, palaiou' novmou kekrathkovto" mh; a[llw" tina; para; ÔRwmaivoi" qeopoiei'sqai mh; oujci; yhvfw/ kai; dovgmati sugklhvtou, th'/ d∆ ajlhqeiva/, o{ti mhde; th'" ejx ajnqrwvpwn ejpikrivsewv" te kai; sustavsew" hJ swthvrio" tou ' qeivou khruvgmato" ejdei'to didaskaliva: tauvth/ d∆ ou\n ajpwsamevnh" to;n prosaggelqevnta peri; tou ' swth'ro" hJmw'n lovgon th '" ÔRwmaivwn boulh '", 3 to;n Tibevrion h}n kai; provteron ei\cen gnwvmhn thrhvsanta, mhde;n a[topon kata; th'" tou' Cristou' didaskaliva" ejpinoh'sai. 4 Tau'ta Tertulliano;" tou;" ÔRwmaivwn novmou" hjkribwkwv", ajnh;r tav te a[lla e[ndoxo" kai; tw'n mavlista ejpi; ÔRwvmh" lamprw'n, ejn th'/ grafeivsh/ me;n aujtw/' ÔRwmaivwn fwnh'/, metablhqeivsh/ d∆ ejpi; th;n ÔEllavda glw 'ttan uJpe;r Cristianw 'n ajpologiva/ tivqhsin, kata; levxin tou 'ton iJstorw'n to;n trovpon. […] 6 Tibevrio" ou\n, ejf∆ ou| to; tw 'n Cristianw'n o[noma eij" to;n kovsmon eijselhvluqen, ajggelqevnto" aujtw/ ' ejk Palaistivnh" tou ' dovgmato" touvtou, e[nqa prw'ton h[rxato, th'/ sugklhvtw/ ajnekoinwvsato, dh'lo" w]n ejkeivnoi" wJ" tw'/ dovgmati ajrevsketai. ÔH de; suvgklhto", ejpei; oujk aujth; dedokimavkei, ajpwvsato: oJ de; ejn th '/ aujtou' ajpofavsei e[meinen, ajpeilhvsa" qavnaton toi'" tw'n Cristianw'n kathgovroi". c) Hier. Chron. A. Abr. 2051 (= 176 Helm2). Pilato de Christo et Christianorum dogmate ad Tiberium referente, Tiberius rettulit ad senatum, ut inter cetera sacra reciperentur. Verum cum ex consulto patrum Christianos eliminari urbe placuisset, Tiberius per edictum accusatoribus Christianorum comminatus est mortem. d) Oros. 7, 6. Tiberius cum suffragio magni fauoris rettulit ad senatum ut Christus deus haberetur.

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6. TIBERIUS CAESAR

b) Eus. Hist. eccl. 2, 2, 1-6. Ponzio Pilato riferì all’imperatore Tiberio tutte le vicende della risurrezione dai morti del nostro Signore Gesù che già si era diffusa in tutta la Palestina, informandolo anche di tutti gli altri suoi prodigi e del fatto che era ritenuto un Dio dai più per via della sua risurrezione dai morti. 2 Affermano che Tiberio riferì il rapporto al senato e che quello lo rifiutò apparentemente perché non aveva mai espresso in precedenza una valutazione su tale questione, dato che vi era un’antica legge secondo la quale nessuno poteva essere considerato dio tra i Romani senza un voto e un parere dell’assemblea, ma in realtà perché l’insegnamento salvifico del messaggio divino non aveva bisogno di questa ratifica e decisione umana; così il senato romano non accettò il rapporto inviato sul nostro Salvatore, 3 ma Tiberio mantenne l’opinione che aveva assunto precedentemente e non fece nulla di cattivo contro l’insegnamento di Cristo. 4 Tertulliano, che conosceva bene la legge romana ed era un uomo particolarmente celebre fra quelli allora più importanti a Roma, riferisce queste cose nell’Apologia per i Cristiani scritta in lingua latina, ma poi tradotta in greco, raccontando la storia esattamente come segue: […] 6 Tiberio, dunque, al cui tempo il nome dei Cristiani entrò nel mondo, quando questa dottrina gli fu trasmessa dalla Palestina dove in un primo tempo era nata, la comunicò al Senato, e chiarì che egli la favoriva. Il senato, poiché non l’aveva esaminata, la rigettò: ma egli rimase fermo sulle sue posizioni e comminò la morte a coloro che accusavano i Cristiani. c) Hier. Chron. A. Abr. 2051 (= 176 Helm2). Poiché Pilato gli dava notizie su Cristo e sulla dottrina dei Cristiani, Tiberio propose in senato che Egli e il suo insegnamento fossero accolti tra tutte le altre religioni. Ma, poiché in virtù di un senatoconsulto si era deciso che i Cristiani fossero cacciati da Roma, Tiberio promulgò un editto con cui comminava la pena di morte agli accusatori dei Cristiani. d) Oros. 7, 6. Tiberio, esprimendo da parte sua un voto ampiamente favorevole, propose al senato che Cristo fosse ritenuto dio.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Commento La tradizione secondo cui Tiberio avrebbe dimostrato particolare favore nei confronti del cristianesimo nascente ed avrebbe introdotto nel pantheon romano Cristo e la sua religione si fonda su questi passi di Tertulliano, Eusebio, Gerolamo ed Orosio, ma il più significativo, anche perché è il più antico, è quello di Tertulliano. Sulla storicità di tale atteggiamento il dibattito è ancora acceso e le posizioni vanno dalla negazione della veridicità del racconto tertullianeo ad una cauta accettazione: Mayor 1917, 173 considera la vicenda “a legend”; molto scettico è anche T. D. Barnes, Legislation against the Christians, JRS 58, 1968, 35-50 e la posizione difesa dai due studiosi si è imposta come dominante; una trattazione più approfondita della questione con il corredo di un’ampia bibliografia si trova in P. Carrara, I pagani di fronte al cristianesimo. Testimonianze dei secoli I e II, Firenze 1984, 23-30 e A. Barzanò, Il cristianesimo nelle leggi di Roma imperiale, Milano 1996, 2124. Più recentemente la negazione dell’episodio è stata rimessa in discussione da M. Sordi, la quale, prima da sola e poi con I. Ramelli, ha cercato di trovare nuovi argomenti a favore della storicità dell’episodio: cf. Sordi 1984 e M. Sordi – I. Ramelli, Il senatoconsulto del 35 contro i Cristiani in un frammento porfiriano, «Aevum» 78, 2004, 59-67. Quanto interessa la presente ricerca è la questione se la proposta di Tiberio – qualora sia stata davvero presentata – si possa configurare come un’orazione. Molti dubbi lascia a mio parere il fatto che nessuna fonte antica pagana, meno che mai Tacito, riferisca notizia di questo contrasto tra l’imperatore ed il senato. M. Sordi 1984, 27 sostiene che «l’argumentum e silentio, di per sé debolissimo, è in questo caso inesistente: Tacito non parla del senatoconsulto perché, per sua esplicita ammissione egli si occupa, per il 35, solo di politica estera (Ann. 6, 38, 1) “per riposarsi l’anima dai mali interni”». Tuttavia in Ann. 6, 38, 2-4 e 6, 39 si parla di domestica mala, come il testamento accusatorio di Fulcinio Trione, i suicidi del senatore Granio Marciano e di Trebellieno Rufo, la condanna a morte di Tario Graziano e l’omicidio di Sestio Paconiano; inoltre la frase tacitiana quae duabus aestatibus gesta coniunxi, quo requiesceret animus a domesticis malis non implica una programmatica esclusione di questi ultimi, ma costituisce un espediente retorico che mira, di fatto, a colorare a tinte ancora più oscure questa fase del governo tiberiano, come chiarisce la frase seguente: non enim Tiberium […] tempus preces satias mitigabant. È vero quindi che l’argumentum e silentio non è assolutamente cogente, ma non credo che in 172

6. TIBERIUS CAESAR

questo caso possa essere ritenuto “inesistente”. Le testimonianze successive a Tertulliano porterebbero a ritenere possibile l’esistenza di un’orazione: infatti sia Gerolamo sia Orosio usano l’espressione referre ad senatum, che è tipica per indicare le proposte presentate ufficialmente all’assemblea senatoriale secondo un ordine del giorno: cfr. Mommsen 1887, III 2, 951-953. Tuttavia ciò significa solamente che le testimonianze più tarde si possono essere avvalse del linguaggio tecnico della relatio per rendere plausibile dal punto di vista giuridico l’intervento. Tertulliano, per altro, non usa questo verbo, bensì deferre, che non è tecnico, anche se è comunque attestato con il senso di “presentare un problema all’attenzione di qualcuno”: cf. Cic. Verr. 2, 1, 84 e 2, 4, 85; Liv. 4, 13, 9 e 27, 38, 4. Il recente lavoro di M. Sordi e I. Ramelli ha cercato di sostenere l’autenticità dell’episodio facendo riferimento ad un frammento di Porfirio, il 64 von Harnack, che qui riproduco con i corsivi di I. Ramelli: Macharius Magnesiae 2, 14. “Esti kai; e{tero" lovgo" dunavmeno" saqra;n tauvthn ejlevgxai th;n dovxan, oJ peri; th '" ajnastavsew" aujtou ' th'" pantacou' qruloumevnh": tivno" cavrin oJ ∆Ihsou'" meta; to; paqei'n aujtovn, w{" fate, kai; ajnasth 'nai oujk ejmfanivzetai Pilavtw/ tw/ ' kolavsanti aujto;n kai; levgonti mhde;n a[xion pepracevnai qanavtou, h] ÔHrwvdh/ tw/ ' tw'n ∆Ioudaivwn basilei', h] tw/' ajrcierei' th'" ∆Ioudai>kh'" fratriva", h] polloi'" a{ma kai; ajxiopivstoi" kai; mavlista ÔRwmaivwn th'/ te boulh'/ kai; tw'/ dhvmw/, i{na ta; kat∆ aujto;n qaumavsante" mh; dovgmati koinw/ ' katayhfivswntai qavnaton wJ" ajsebw'n tw'n peiqomevnwn aujtw'…/ ajll∆ ejmfanivzei th '/ Magdalhnh'/ Mariva/ gunaiki; cudaiva/ kai; ajpo; kwmudrivou luprotavtou tino;" oJrmwmevnh/ kai; uJpo; eJpta; daimovnwn katasceqeivsh/ potev, met∆ ejkeivnh" de; kai; a[llh/ Mariva/, ajfanestavtw/ kai; aujtw/ ' gunaivw/ kwmhtikw'/, kai; a[lloi" ojlivgoi" ouj sfovdra ejpishvmoi", kaivtoi, favskonto" Matqaivou, tw/' ajrcierei' tw'n ∆Ioudaivwn proeivrhke, ajpavrti, levgwn, o[yesqe to;n uiJo;n tou ' ajnqrwvpou kaqhvmenon ejn dexia/ ' th'" dunavmew" kai; ejrcovmenon meta; tw'n nefelw'n. Eij ga;r h\n ejmfanivsa" ajndravsin ejpishvmoi", di∆ aujtw 'n pavnte" a]n ejpivsteuon kai; oujdei;" a]n tw 'n dikastw'n wJ" muvqou" ajllokovtou" anou' filiva/ krinovmeno" oujc o{son oujk hjrnhvsato, ajlla; kai; e[fh … ajrevskein. ”H te ga;r boulh; dia; tau 'ta aujto;n ajfh 'ke, kai; prosevti kai; toi '" kathgorhvsasin aujtou' prosepetivmhse, kai; oJ Tibevrio" sugkatevqetov sfisi.

Commento FF 172-173 L’introduzione dell’intervento di Marco Terenzio in questo processo de perduellione (Rogers 1935, 136-138) ci induce a pensare che il testo sia una rielaborazione tacitiana di un discorso effettivamente pronunciato: Jaeger 1910, 64 n. 144 aveva correttamente osservato che l’apostrofe all’imperatore è un elemento che, con maggiore credibilità, si può ricondurre a Tacito, poiché «cum (Terentius) apud senatum oraret et patrum animos movere cuperet, Caesarem acclamasse credibile non est»; in più l’espressione in hunc modum chiarisce che qui lo storico non sta riportando con esattezza le parole dell’oratore, ma il loro senso; il sintagma è molto frequente in Tacito e si presenta in forme anche più esplicite, come in hunc modum locutus fertur (Ag. 29, 4; Hist. 1, 11, 1); altre occorrenze sono in Hist. 1, 29; 2, 96; 4, 57; 4, 64; 4, 65; Ann. 1, 44, 2; 1, 58, 1; 2, 71, 1; 3, 50, 1; 3, 52, 3; 3, 65, 3; 4, 34, 2; 12, 10, 1; 12, 19, 1; 12, 36, 3; 14, 42, 3. La revisione artistica operata da Tacito sembra essere confermata anche dai rapporti che alcuni studiosi (a cominciare già da Giusto Lipsio) hanno individuato tra la pagina tacitiana e il discorso di difesa pronunciato da Aminta nell’episodio della cospirazione di Filota in Curt. 7, 1, 26-30; tali relazioni sono state sfruttate principalmente per proporre una datazione di Curzio Rufo alla metà del I secolo a.C., argomento che esula dai fini della presente trattazione e che risulta comunque ancora aperto: cf. Th. Wiedemann, Über das Zeitalter des Geschichtschreibers Curtius Rufus (I), «Philologus» 30, 1870, 241-264; Jaeger 1910, 66 n. 147; Questa 1960, 66 n. 62; Devine 1979, 150-152 e (seppure con minore ricchezza di analisi) AtkinsonGargiulo 2000, 455-456. È sufficiente osservare qui come la vicinanza tematica tra i due testi sia fortemente condizionata da motivi topici, come il rapporto di amicizia tra il sovrano e il favorito caduto (Curt. 7, 1, 474

38. M. TERENTIUS

solo non la rinnegò, ma disse … imperatore. Infatti l’assemblea lo prosciolse e rivolse un rimprovero anche ai suoi accusatori e Tiberio fu d’accordo con loro.

26; Tac. Ann. 6, 8, 2; D.C. 58, 19, 3) e il grande potere detenuto dal favorito sotto il sovrano (Curt. 7, 1, 27-28; Tac. Ann. 6, 8, 3, 6, 8; D.C. 58, 19, 3). Per altro gli accostamenti lessicali sottolineati da Wiedemann (ricordati anche in Atkinson-Gargiulo 2000, 455) non sono assolutamente cogenti, in quanto molto generici; assolutamente non cogente è anche il parallelismo tematico aggiunto da Atkinson-Gargiulo 2000, 456; ricordo per chiarezza tali supposti passi paralleli sottolineando gli elementi considerati comuni: Curzio Rufo 7, 1, 26: Amicitiam, quae nobis cum Philota fuit, adeo non eo infitias, ut expetisse quoque nos magnosque ex ea fructus percepisse confitear.

Tacito 6, 8, 2: fatebor et fuisse me Seiano amicum et ut essem expetisse et postquam adeptus eram laetatum

7, 1, 27: An vero Parmenionis, quem tibi proximum esse uoluisti, filium omnes paene amicos tuos dignatione uincentem cultum a nobis esse miraris?

6, 8, 3: Illius propinqui et adfines honoribus augebantur; ut quisque Seiano intimus ita ad Caesaris amicitiam ualidus … tuum, Caesar, generum, tui consulatus socium, tua officia in re publica capessentem colebamus

7, 1, 28: cuius et gratiam expetere et iram timere possemus

6, 8, 4: spectamus … quis plurima iuuandi nocendique potentiam.

La situazione si presenta perciò poco convincente e non mi sembra necessario postulare un rapporto stretto fra Tacito e Curzio Rufo. Meritevole di attenzione – ed altrettanto studiato – è il rapporto fra i passi di 475

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Tacito e Dione Cassio. Questa 1960, 67 afferma che «il testo greco segue esattamente, ora riassumendo ora traducendo, l’originale tacitiano, senza neppure farsi scrupolo di mutuare da esso l’immagine finale, sia pur diversamente adattata»; esistono certamente delle modifiche, ma rispondono tutte al criterio tipicamente dioneo di Verallgemeinerung delle asserzioni tacitiane (Questa 1960, 68), confermato anche dal fatto che nel testo dioneo non si fa mai esplicitamente il nome di Seiano. In realtà credo che alcune differenze sostanziali possano essere individuate: a) non si fa cenno in Dione Cassio della congiura di Seiano; b) la proposta che pone fine al discorso tacitiano è assente nello storico greco; c) nel contesto dioneo non si parla della constantia orationis di Terenzio: cf. Zäch 1972, 65. Se ciò sia dovuto alla scelta di Tacito, a Dione Cassio o ad una fonte intermedia non è possibile dire. Dal punto di vista contenutistico risultano evidenti alcuni elementi: a) secondo Terenzio non si può giudicare colpevole qualcuno per aver tenuto il medesimo comportamento dell’imperatore; tale argomentazione è ribadita da Tacito più volte anche in Ann. 5 (6), 6, 1-2 (dove uno sconosciuto è accusato del medesimo reato di Terenzio), 6, 30, 3, con lo scopo di convincere il lettore della sua validità: cf. Devillers 1994, 128 e 147; b) bisogna distinguere fra le attività svolte da Seiano ai danni dello Stato o dell’imperatore (che vengono associati secondo la prassi propria dell’epoca tiberiana: cf. Bauman 1974, 71-108) e le azioni con cui diede prova di essere persona sicura e fidata; c) non è lecito disgiungere le responsabilità di tutto il ceto dirigente da quelle dei singoli: il controllo di Seiano su Roma si è protratto molto a lungo e non può essere durato senza collaborazione; non per niente il riferimento ai clienti di Seiano Satrio Secondo (cf. A. Stein, RE II A, 1921, n° 4, 191) e Pomponio (altrimenti sconosciuto: cf. M. Lambertz, RE XXI/2, 1952, n° 29, 2334) risulta particolarmente feroce nei confronti dei senatori; d) sia in Tacito sia in Dione Cassio è molto chiaro il tentativo di retrodatare all’età di Tiberio un atteggiamento di sudditanza rispetto all’imperatore proprio dell’epoca di Traiano: le espressioni non est nostrum aestimare quem supra ceteros et quibus de causis extollas e obsequii gloria riecheggiano tematiche di sottomissione tipiche del panegirico di Plinio a Traiano, in due luoghi del quale (9, 5 ed 83, 8) compare il secondo sintagma. È probabile che nel discorso originale di Terenzio non ci fosse un atto di sudditanza così esplicito. Dal punto di vista politico, si può condividere il giudizio di Koestermann 1963-1968, I, 259 sull’efficacia della sua difesa, fondata su argomenti cogenti e su una sapiente mescolanza di allusioni personali e ribadita fedeltà allo Stato e all’imperatore. 476

38. M. TERENTIUS

Date le premesse, risulta difficile ricercare nei due frammenti qualche elemento attribuibile con sicurezza a Terenzio: «l’orazione messa in bocca dallo storico al cavaliere M. Terenzio, se non del tutto ficta, come crede il Jaeger, 64 n. 144, è certo formalmente creazione di Tacito» (Questa 1960, 66). Dal punto di vista strutturale, il testo – in oratio recta secondo la consuetudine di Tacito, che predilige questa forma dotata di maggiore impatto sui lettori rispetto all’oratio obliqua (Aubrion 1985, 608) - è modellato su una vera e propria orazione di difesa, anche se ovviamente non ne riproduce tutte le parti, in quanto possiede, come gli altri discorsi difensivi in Tacito, «une portée, politique ou psychologique, qui depasse le cadre d’un débat strictement judiciaire» (Aubrion 1985, 607): ad un prologo contenente un’asserzione in forma di excusatio (righe 1-2) fa seguito la trattazione del tema (l’amicizia di Terenzio con Seiano), in cui vengono addotti numerosi elementi a sostegno (righe 3-14), e un epilogo con peroratio (righe 14-16). Ullmann 1927, 229-230 mette in rilievo come nella tractatio Terenzio abbia fatto riferimento ai concetti di aequum e rectum, in voluto contrasto con i senatori che dimostrarono servilismo nei confronti di Seiano. Dal punto di vista prettamente retorico, infatti, l’affermazione dell’onestà del proprio comportamento e la negazione del carattere di reato per la propria azione costituiscono un sistema di difesa molto efficace: cf. Quint. Inst. 7, 4, 4: defensio longe potissima est, qua ipsum factum, quod obicitur, dicimus honestum esse e Aubrion 1985, 612-613. Stilisticamente il colorito del passo è certamente tacitiano, ma lo storico, con consumata abilità, utilizza elementi retorici che sono tipici del linguaggio oratorio: possiamo citare come esempio il primo periodo, contraddistinto da insistite allitterazioni fortunae … fortasse … adgnoscere … abnuere (Koestermann 1963-1968, I, 256 ricorda che «eindrucksvoll ist die Assonanz in der Antithese»), dalla presenza del verbo solenne dal connotato quasi sacrale fatebor e dal tricolon et … et … et. Si potrebbero segnalare altri casi, come l’antitesi non … Seianum Vulsiniensem set (preferibile a et di M e al banalizzante sed di Borzsák ) Claudiae et Iuliae domus partem o il poliptoto tuum … tui … tua, che sottolinea in modo retoricamente efficace la presenza dell’imperatore (simulata per Koestermann 1963-1968, I, 257, reale per Zäch 1972, 65 sulla base della testimonianza di Dione Cassio; ma la lettera di Tiberio inviata subito dopo al senato fa pensare che egli non fosse effettivamente presente). Mette conto segnalare due sintagmi: ualidus ad non è attestato prima di Tacito, ma, a differenza di quanto sostiene Koestermann 1963-1968, I, 257, esso non è un hapax, ma si ritrova anche nell’Historia Augusta (Comm. 13, 477

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

1 e Car. 6, 2); la forma meo unius, attestata come unica in Tacito, si ritrova anche in Liv. 28, 28, 12 all’interno del lungo discorso di Scipione alle truppe ammutinate. Secondo Aubrion 1985, 614 il discorso «n’est pas seulement la protestation pathétique que le narrateur aurait pu faire au nom de les citoyens inquiétés par la répression, c’est aussi l’argumentation vivante et subtile d’un accusé qui utilise les ressources de l’art de persuader». D’altronde è Tacito stesso a riconoscere le doti oratorie di Terenzio, parlando in 6, 9, 1 di constantia orationis, ovvero di compattezza e saldezza argomentativa: che si tratti di un complimento di non scarso valore è confermato e contrario dall’unica altra attestazione di un sintagma simile, non coarguo inconstantiam orationis ac testimoni tui di Cic. Vat. 41, in cui Cicerone fa riferimento allo squilibrio dell’oratoria vatiniana. Sul concetto di constantia orationis in questo passo in opposizione ai timori del senato cf. Zäch 1972, 65.

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39. A. (?) Caepio Crispinus M 1832 = Ø; D 1837 = Ø; M 1842 = Ø Bibliografia specifica E. Groag, RE III 1899, n° 3, 1280; W. Eck, NP 2, 1997, n° 1, 906; PIR2 C 149; Badian 1973; Kennedy 1972, 440-441; Koestermann 1955, 83-86; Raaflaub 1987, 5-6; Rivière 2002, 512-513; Rogers 1935, 9-11; Rutledge 2001, 206-207; Seager 20052, 127-128. Dati biografici Aulo (?) Cepione Crispino fu questore del proconsole in Bitinia Granio Marcello e lo accusò di lesa maestà nel 15 d.C. Fu il primo delatore, “a model of the type” (Kennedy 1972, 440). È probabilmente da identificare con A. Caepio Crispinus nominato in CIL VI 31762, la cui figlia era sposata con un legato di Tiberio e Caligola: per Rutledge 2001, 207 si tratterebbe forse di un suo figlio; il personaggio non va confuso con un A. Caecina Crispinus (PIR2 C 150) contemporaneo di Tacito: cf. Rutledge 2001, 207. Possiamo presumere che sia nato nel primo decennio a.C. Di lui non sappiamo null’altro. Sulla confusione tra lui e Roman(i)o Ispone cf. comm. a F 174.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Frammenti F 174 In Granium Marcellum Nec multo post Granium Marcellum praetorem Bithyniae quaestor ipsius Caepio Crispinus maiestatis postulauit […] Sed Marcellum insimulabat sinistros de Tiberio sermones habuisse […]

Tac. Ann. 1, 74. Nec … postulauit, subscribente Romano Hispone: qui formam uitae iniit, quam postea celebrem miseriae temporum et audaciae hominum fecerunt. 2 Nam egens, ignotus, inquies, dum occultis libellis saeuitiae principis adrepit, mox clarissimo cuique periculum facessit, potentiam apud unum, odium apud omnis adeptus dedit exemplum, quod secuti ex pauperibus diuites, ex contemptis metuendi perniciem aliis ac postremum sibi inuenere. 3. Sed … habuisse, ineuitabile crimen, cum ex moribus principis foedissima quaeque deligeret accusator obiectaretque reo. Nam quia uera erant, etiam dicta credebantur. Addidit [F 121]. 4. Ad quod exarsit adeo, ut rupta taciturnitate proclamaret se quoque in ea causa laturum sententiam palam et iuratum, quo ceteris eadem necessitas fieret. 5. Manebant etiam tum uestigia morientis libertatis. Igitur Cn. Piso: «Quo» inquit «loco censebis, Caesar? Si primus, habebo quod sequar: si post omnis, uereor ne inprudens dissentiam». 6. Permotus his, quantoque incautius efferuerat, paenitentia patiens tulit absolui reum criminibus maiestatis: de pecuniis repetundis ad reciperatores itum est.

F 174 2 praetorem M proconsulem Mercerus || 3-4 insimulabat M insimulabant Nipperdey insimulabat Ritter

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39. A.

(?) CAEPIO CRISPINUS

Traduzione F 174 Contro Granio Marcello E non molto dopo Granio Marcello, pretore di Bitinia, fu accusato di lesa maestà dal suo questore Cepione Crispino […] Ma egli accusava Marcello di aver tenuto discorsi offensivi su Tiberio […] Contesto Tac. Ann. 1, 74. E … Crispino; alla sua denuncia si associò Romano Ispone. Crispino adottò un modo di vivere che successivamente si diffuse per la miseria dei tempi e l’audacia degli uomini. 2. Infatti povero, ignoto, irrequieto, mentre con memoriali segreti si faceva spazio nell’animo crudele del principe, ordì trame a danno di tutte le persone più famose e, ottenuto il favore di uno e l’odio di tutti, diede l’esempio che seguirono quanti, divenuti ricchi da poveri e temibili da disprezzati, provocarono la rovina altrui e infine la propria. 3. Ma … Tiberio, un’accusa a cui non si poteva sfuggire, dal momento che l’accusatore traeva dai comportamenti dell’imperatore tutte le azioni più vergognose e le attribuiva alle rivelazioni dell’accusato. Infatti poiché quegli atti erano veri, si credeva che potessero essere anche stati riferiti. Ispone aggiunse che era stata innalzata una statua di Marcello più alta di quella dei Cesari e che in un’altra statua era stata posta l’effigie di Tiberio dopo aver tolto via la testa di Augusto [F 121]. 4. A quella notizia Tiberio si adirò a tal punto che, rotto il silenzio, proclamò che anch’egli in quella causa avrebbe espresso il suo voto palesemente e sotto giuramento, affinché tutti gli altri dovessero fare lo stesso. 5. Anche allora sopravviveva qualche traccia della libertà moribonda. Poiché Gneo Pisone disse: «In quale ordine voterai, Cesare? Se per primo, conoscerò la via da seguire, se dopo tutti temo di esprimere imprudentemente un parere diverso». 6. Colpito profondamente da queste parole, e divenuto più tollerante a causa del pentimento per essersi adirato in maniera troppo incauta, accettò che l’accusato fosse assolto dal crimine di lesa maestà: per quanto riguardava la concussione si passò ai giudici competenti.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Commento F 174 Preliminarmente è opportuno discutere la questione dell’attribuzione di quanto segue nel testo il pronome relativo qui: non è chiaro infatti se in Ann. 1, 74, 1-2 Tacito voglia parlare di Cepione Crispino o di Roman(i)o Ispone: cf. 25. Roman(i)us Hispo ; Goodyear 1972-1981, II, 159-160, riassume efficacemente la questione, propendendo per Roman(i)o Ispone, sia perché il relativo richiamerebbe direttamente il suo antecedente sia perché i termini egens e ignotus si adatterebbero meglio ad un declamatore sconosciuto piuttosto che ad un questore; tuttavia nessuno nega, dopo Miller 1964, che il soggetto di insimulabat sia Cepione, visto che il verbo addidit implica che quanto precede non sia stato detto da Ispone: Cepione avrebbe sostenuto gran parte dell’accusa di maiestas, mentre il reato di empietà sarebbe stato discusso dall’altro accusatore (Rutledge 2001, 207). Tuttavia non è detto che, in conseguenza di ciò, l’intera sezione del par. 2 si debba riferire a Cepione Crispino, come invece propone seppur dubitativamente Rutledge 2001: mi pare che il testo tacitiano presenti un doppio parallelismo, in cui sono presentati in ordine i due accusatori e, poi, le due parti dell’accusa sostenute da ciascuno di loro. Di conseguenza, la congettura insimulabant di Nipperdey risulta facilior, in quanto è ovvio che entrambi sostennero l’accusa, ma è altrettanto ovvio che il peso principale ricadeva sull’attore principale, non tanto sul subscriptor; allo stesso modo pletorica è insimulabat di Ritter, che banalizza in senso opposto il testo. Il processo contro Granio Marcello, governatore di Bitinia con il rango di pretore, si svolse nel 15 d.C. e fu intentato dai primi due significativi delatori dell’età tiberiana, Cepione Crispino e Romano Ispone. L’accusa era duplice, de maiestate e de repetundis; la prima fu discussa in Senato, che era competente per questo reato; la seconda fu poi rinviata ai reciperatores, secondo la procedura civile semplificata fissata dal senatusconsultum Caluisianum del 4 a.C. (cf. FIRA2 I, 68 V, 142144, Bleicken 1962, 36-42, con ampia bibliografia, Arcaria 2004, 195 e n. 252), che prevedeva un collegio giudicante, i cui membri potevano in parte essere ricusati dall’accusa e dalla difesa entro due giorni; i rimanenti avevano giurisdizione sulle cause sorte tra le parti che avevano sottoscritto un contratto; in particolare il collegio doveva accertare se uno degli intervenuti si fosse comportato in modo contrastante con gli impegni di onestà che dovevano fondare sia un rapporto di affari sia il governo di una provincia. La sentenza doveva essere emessa entro tren482

39. A.

(?) CAEPIO CRISPINUS

ta giorni, ma, per quanto riguarda Granio Marcello, non abbiamo riscontri sull’esito: cf. Rogers 1935, 10-11. Sul processo di lesa maestà esistono alcuni problemi. Il primo riguarda lo scoppio d’ira di Tiberio: fu dovuto ai sinistri sermones denunciati da Crispino, come sostiene Koestermann 1955, 85-86, o alla sostituzione della testa di Augusto con la propria, come sostiene in particolare Goodyear 1972-1981, II, 163? Sicuramente la posizione di ad quod e il valore sacro dell’immagine di Augusto (cf. infra) fanno propendere per la seconda ipotesi. Esistono inoltre due versioni che contrastano sulla sentenza. Secondo Tacito, Granio Marcello fu assolto in seguito al mutamento di idea di Tiberio, che era stato influenzato dall’interrogatio di Calpurnio Pisone, il quale aveva opportunamente fatto osservare come la scelta del principe, che poteva intervenire in qualsiasi momento durante il processo (cf. Talbert 1984, 285), avrebbe inevitabilmente influenzato il voto dei senatori. Secondo Suet. Tib. 58, l’accusato fu condannato a morte: per una ricostruzione della questione cf. Bleicken 1962, 63. Raaflaub 1987, 6 e Goodyear 1972-1981, II, 162164. Mommsen 18873 III, 2, 993 n. 3 pensa che l’insistenza di Tiberio sul voto palese riveli il fatto che il voto senatoriale era segreto: in realtà, come osserva Talbert 1984, 284, «Tiberius is merely referring emphatically to delivery of his sententia after the trial». L’atto del giuramento non è da considerare un indice dell’importanza e della serietà del procedimento, come vorrebbe Rogers 1935, 79, e neanche vale esclusivamente a definire il ruolo di corte formale rivestito in quell’occasione dal Senato, come preferirebbe Bauman 1974, 76-77; è probabile che esso voglia ribadire il valore sacrale della decisione, che riguarda Augusto, divinizzato per volontà del popolo di Roma: sulla funzione dei giuramenti in Senato cf. Talbert 1984, 261-262. Sull’orazione di Cepione Crispino possiamo dire solamente che egli utilizzò l’accusa di malevole insinuazioni o discorsi rivolti contro l’imperatore: di per sé questa accusa non aveva un peso particolarmente grave, dal momento che non riguardava Augusto, vale a dire l’imperatore defunto e divinizzato, nei confronti del quale sarebbe equivalsa ad un sacrilegio, secondo il decreto di consecratio emesso dal Senato: cf. Ehrenberg-Jones 1963, n°101 e 102, 87-88. Tuttavia essa divenne poi comune, come fa notare Tacito stesso e come accadrà nel caso del processo di Appuleia Varilla e dei suoi probrosi sermones (Tac. Ann. 2, 50: cf. F 38). Il peso dell’accusa, però, ricade sul sacrilegio nei confronti della statua di Augusto: cf. Bauman 1974, 75, che richiama il forte legame fra numen e maiestas. Non sembrano efficaci le ragioni di Koe483

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

stermann 1963-1968, I, 242, che ritiene che il nucleo dell’impianto accusatorio sia costituito dai sermones di Cepione, in quanto non tiene conto delle accuse di Ispone.

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40. C. Cestius Gallus M 1832 = Ø; D 1837 = Ø; M 1842 = Ø Bibliografia specifica E. Groag, RE III, 1899, n° 8, 2005; M. Strothmann, NP 2, 1997, n° II 2, 1078; PIR2 C 690; Levick 1999, 194 e 198; Rivière 2002, 515; Rutledge 2001, 213-214. Dati biografici Cestio Gallo fu senatore romano e rivestì la carica di console nel 35 d.C. (Tac. Ann. 6, 31, 1; Plin. Nat. 10, 124 fissa la data al 36): nacque perciò negli ultimi anni del I secolo a.C. In qualità di appartenente ai senatori più in vista, sostenne nel 31 (32 secondo Groag) l’accusa contro Quinto Serveo e Minucio Termo, incolpati di essere amici di Seiano: Koestermann 1963-1968, II, 253, Rutledge 2001, 213 e Rivière 2002, 228-229 accettano la correzione di Giusto Lipsio C. Cestium praetorem in T 107 al posto di C. Cestium patrem e pensano che abbia rivestito la pretura proprio nel 31 d.C. Tacito fa cenno anche ad un processo contro Annia Rufilla risalente agli anni intorno al 21 d.C.: cf. F 175, Talbert 1984, 468-469 e Seager 20052,102. Fu forse di nuovo console (suffectus) nel 42 d.C.: cf. Rutledge 2001, 214, che chiama in causa nuovi ritrovamenti epigrafici; il console del 42 dovrebbe essere identificato con il figlio secondo E. Groag, RE III, 1899, n° 9, 2005-2007. Non è chiaro se si tratti dello stesso Cestio Gallo menzionato da Plin. Nat. 34, 48. Non sappiamo quando sia morto.

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Testimonianze T 107 Tac. Ann. 6, 7, 2. Q. Seruaeus posthac et Minucius Thermus inducti, Seruaeus praetura functus et quondam Germanici comes, Minucius equestri loco, modeste habita Seiani amicitia; unde illis maior miseratio. Contra Tiberius praecipuos ad scelera increpans admonuit C. Cestium patrem (praetorem Lipsius) dicere senatui quae sibi scripsisset, suscepitque Cestius accusationem.

Frammenti F 175 De uerborum licentia Igitur C. Cestius senator disseruit principes quidem instar deorum esse, sed neque a diis nisi iustas supplicum preces audiri neque quemquam in Capitolium aliaue urbis templa perfugere ut eo subsidio ad flagitia utatur. Abolitas leges et funditus uersas, ubi in foro, in limine curiae ab Annia Rufilla, quam fraudis sub iudice damnauisset, probra sibi et minae intendantur, neque ipse audeat ius experiri ob effigiem imperatoris oppositam.

F 175 Tac. Ann. 3, 36. Incedebat enim deterrimo cuique licentia impune probra et inuidiam in bonos excitandi arrepta imagine Caesaris; libertique etiam ac serui, patrono vel domino cum uoces, cum manus intentarent, ultro metuebantur. 2. Igitur … oppositam. 4. Haud dissimilia alii et quidam atrociora circumstrepebant, precabanturque Drusum daret ultionis exemplum, donec accitam conuictamque attineri publica custodia iussit.

F 175 3 diis M dis Halm

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40. C. CESTIUS GALLUS

Traduzione T 107 Tac. Ann. 6, 7, 2. Furono poi accusati Quinto Serveo e Minucio Termo; Serveo aveva rivestito la pretura ed era stato un tempo compagno di Germanico, Minucio apparteneva all’ordine equestre; entrambi si erano serviti in maniera moderata dell’amicizia di Seiano e da ciò nasceva maggiore commiserazione verso di loro. Al contrario Tiberio, biasimandoli come principali responsabili del delitto, impose a Gaio Cestio padre (il pretore) di dire al senato che cosa gli aveva scritto, e Cestio assunse l’accusa.

Traduzione F 175 Sull’uso spregiudicato delle parole Allora il senatore Gaio Cestio spiegò che gli imperatori equivalgono agli dèi, ma che gli dèi non ascoltano le preghiere se non quelle giuste e che nessuno fugge in Campidoglio o in altri templi di Roma per avvalersi della loro protezione per commettere delitti. Le leggi erano abolite e rovesciate del tutto quando nel foro, fin sulla porta della curia gli venivano rivolti insulti e minacce da parte di Annia Rufilla, che egli aveva fatto condannare per frode davanti al giudice, ed egli stesso non osava ricorrere alla giustizia poiché lei gli parava contro l’immagine dell’imperatore. Contesto F 175 Tac. Ann. 3, 36. Si diffondeva infatti la licenza che consentiva a tutti i delinquenti di oltraggiare e dare fastidio agli onesti cittadini soltanto afferrando un’immagine dell’imperatore; anche i liberti e gli schiavi venivano temuti dal padrone o dal patrono quando alzavano la voce e le mani contro di loro. 2. Allora … imperatore. 4. Anche altri si mettevano a gridare dicendo cose non diverse e alcuni ancora peggiori, e pregavano Druso di infliggere una punizione esemplare, finché egli ordinò di convocare Annia Rufilla e, dopo averne accertato la responsabilità, di metterla in carcere.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Commento F 175 Il fatto di aver sostenuto l’accusa contro Serveo e Termo (cf. 49. Q. Seruaeus) rende possibile, ma non certa l’esistenza di una vera e propria orazione contro costoro. Più chiara è invece la fisionomia del discorso contro l’uso spregiudicato delle parole, che risale al 21 d.C. Gaio Cestio si lamenta del fatto che chi tiene in mano un’immagine dell’imperatore sembri aver acquisito il diritto di poter profferire qualsiasi insulto, quasi che l’immagine offra diritto d’asilo. Egli si lamenta in particolare dell’impunità concessa ad Annia Rufilla, da lui condannata per frode ed ora in grado di insultarlo e minacciarlo. Su questo personaggio e sul suo processo non sappiamo nulla, anche se secondo Woodman-Martin 1996, 313 risulta evidente almeno una somiglianza superficiale con il processo di Emilia Lepida (Tac. Ann. 3, 22-24): in realtà il termine fraus è estremamente generico e non sembra poter coprire l’ampia fattispecie di reati contestati a Lepida (simulazione di parto, adulterio, avvelenamento e lesa maestà); secondo Devillers 1994, 242243 il riferimento tacitiano mira a mettere in luce in modo particolare l’insicurezza in cui vivevano i cittadini romani quando si trovavano ad aver a che fare con ciò che riguardava l’imperatore: infatti ogni atto contro di lui rischiava di essere considerato passibile di un’accusa de maiestate; cf. Bauman 1974, 87 e Woodman-Martin 1996, 313. Gaio Cestio fa in particolare riferimento al luogo comune del capovolgimento che si verifica nelle legislazione nel caso che un colpevole sia trattato come un innocente: il tema è già presente nella descrizione delle azioni di Catilina in Sallustio e Cicerone, e si connette all’idea della decadenza di Roma. Il processo serve anche a mettere in luce l’energia e la saggezza di Druso in chiave anti-tiberiana, anche se il termine principes si riferisce probabilmente non solo a Tiberio (con ironia, perché egli aveva rifiutato gli onori divini), ma anche ad Augusto: cf. Woodman-Martin 1996, 312.

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41. D. Laelius Balbus M 1832 = 236; D 1837 = 354-355; M 1842 = 584-585 Bibliografia specifica F. Miltner, RE XII/1, 1924, n° 16, 415-416; W. Eck, NP 6, 1999, 1058; PIR2 L 48; Münkel 1959, 14-15; Rivière 2002, 528-529; Rogers 1935, 161-163; Rutledge 2001, 242-243; Salomies 2005, 256. Dati biografici Decimo Lelio Balbo fu probabilmente il figlio del console del 6 a.C. (cf. Miltner, 415; PIR2, Rivière 2002, 528) e possiamo perciò datarne la nascita all’inizio del I secolo d.C. È dubbio se l’epigrafe CIL VI 2194 D(ecimus) Laelius Balbii l(ibertus) / Satur(nius) viator / VII(!) epulon(um)), si riferisca a lui, al padre o ad un altro membro della famiglia: Miltner ipotizza che si possa trattare del nostro personaggio, asserendo, sulla scorta di Daremberg-Saglio III 738, che Lelio Balbo avrebbe fatto parte a sua volta dei septemuiri epulones; l’ipotesi non è però dimostrabile. Appartenente all’ordine senatorio, fu un delatore ed intentò vari processi: nel 37 si ricorda la sua accusa contro Acuzia (cf. F 177), mentre Quintiliano rammenta la sua Pro Voluseno. Accusato a sua volta di complicità con Albucilla, moglie di Satrio Secondo (cf. T 32), perse il rango e fu condannato all’esilio nello stesso anno (cf. T 108 e Rogers 1935, 163). Non sappiamo quando sia morto. Miltner identifica con lui un Decimus Laelius Balbus consul suffectus nominato in un frammento capuano pubblicato da Le Curti in «Römische Mitteilungen» 19, 1904, 322, secondo il quale egli avrebbe rivestito la carica dal primo luglio dell’anno 46 d.C.; anche Eck sembra propendere per tale identificazione: «Wenn der gleichnamige cos. suff. des J. 46 mit ihm identisch ist, müsste L. durch Claudius aus der Verbannung zurückgerufen und wieder in der Senat aufgenommen werden sein». Non vi sono tuttavia altre tracce di tale console.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Testimonianze T 108 Tac. Ann. 6, 48, 4. Et eaedem poenae in Laelium Balbum decernuntur, id quidem a laetantibus, quia Balbus truci eloquentia habebatur, promptus aduersum insontes. Frammenti F 176 Pro Voluseno Catulo = F 140 = F 144 (= M 1842, Crispus Passienus fr. 1; Decimus Laelius Balbus fr. 1; Domitius Afer fr. 3) Et nobis pueris insignes pro Voluseno Catulo Domiti Afri, Crispi Passieni, Decimi Laeli orationes ferebantur. F 177 Contra Acutiam de maiestate (= M 1842, Decimus Laelius Balbus fr. 2) Laelius Balbus Acutiam, P. Vitellii quondam uxorem, maiestatis postulauerat. F 176 Quint. Inst. 10, 1, 24. Et … ferebantur = FF 140, 144 F 177 Tac. Ann. 6, 47, 1. Laelius … postulauerat; qua damnata cum praemium accusatori decerneretur, Iunius Otho tribunus plebei intercessit, unde illis odia, mox Othoni exitium.

F 176 2 insignes pro G corr. P insignes at pro H V W || uoluseno t uoluse non HT uulse (uoluse g) non Gg F 177 2 Laelius Ber M (in margine) laetius M

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41. D. LAELIUS BALBUS

Traduzione T 108 Tac. Ann. 6, 48, 4. E sono decise le medesime pene contro Lelio Balbo, e questo provvedimento viene preso con soddisfazione dai giudici, poiché Balbo era considerato un oratore dall’eloquenza dura, pronto ad attaccare gli innocenti. Traduzione F 176 In difesa di Voluseno Catulo E a noi, quando eravamo fanciulli, venivano proposte le splendide orazioni di Domizio Afro, Crispo Passieno, Decimo Lelio in difesa di Voluseno Catulo. F 177 Contro Acuzia per lesa maestà Lelio Balbo aveva accusato di lesa maestà Acuzia, un tempo moglie di Publio Vitellio. Contesto F 176 Quint. Inst. 10, 1, 24. E … Catulo = FF 140, F 144. F 177 Tac. Ann. 6, 47, 1. Lelio … Vitellio; dopo la sua condanna, quando si decideva il premio per l’accusatore, il tribuno Giunio Otone presentò istanza di veto; da ciò derivarono l’odio fra di loro e presto la rovina per Otone.

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Commento Tacito connota l’eloquenza di Lelio Balbo con l’aggettivo trux, che in iunctura con eloquentia costituisce un hapax. Sulla base dei loci similes già ricordati da Koestermann 1963-1968, II, 359 (Ann. 16, 11, 1 trucem sententiam; Hist. 4, 42, 2: truci oratione detta da Curzio Montano) si può ricostruire il valore di “duro”, nel senso probabilmente di “deciso, veemente”, prive di moderazione ed equilibrio. Il modello espressivo di questi passi, non rilevato dai commentatori, va ricercato in due luoghi di Livio: 4, 48, 16 (latores rogationis contione aduocata proditores plebis commodorum ac seruos consularium appellantes aliaque truci oratione in collegas inuecti, actionem deposuere) e 29, 19, 5 (sententiam deinde aeque trucem orationi adiecit: Pleminium legatum uinctum Romam deportari placere et ex uinculis causam dicere […]). Mi sembra in particolare fruttuoso l’accostamento a Quint. Inst. 11, 1, 3: Quid enim prodest esse uerba et Latina et significantia et nitida, figuris etiam numerisque elaborata, nisi cum iis in quae iudicem duci formarique uolumus consentiant: si genus sublime dicendi paruis in causis, pressum limatumque grandibus, laetum tristibus, lene asperis, minax supplicibus, summissum concitatis, trux atque uiolentum iucundis adhibeamus? L’espressione quintilianea ci consente di individuare un vero e proprio modo di esprimersi, da contrapporsi probabilmente a quello laetus. Si può formulare l’ipotesi che il termine si adatti meglio all’eloquenza cosiddetta “moderna”, contraddistinta dall’esagerazione dei mezzi espressivi e dall’attacco deciso nei confronti dell’avversario. Anche Münkel 1959, 15 ritiene che con questo termine Tacito voglia contrassegnare «eine wilde, drohende Art des Sprechens», ma aggiunge – forse prestando troppa fede al moralismo tacitiano – che l’atto di inveire contro innocenti conferisce al termine una valenza negativa: cf. anche ibidem, 126. F 176 Sull’orazione in difesa di Voluseno Catulo sappiamo molto poco. Il personaggio è scarsamente noto: il nome fu restaurato intelligentemente da Ekkehart IV, correttore tra il 980 e il 1060 del manoscritto T (Zürich, Zentralbibliothek C 74 a) partendo da una situazione testuale incomprensibile: cf. Munk Olsen 1985, II, 304-305 con bibliografia. Credo tuttavia che possa essere confermata l’identificazione proposta già da PIR V 647, ripresa da Rogers 1935, 170 e trascurata dai commentatori di Tacito e Quintiliano con il curator locorum publicorum iudicando492

41. D. LAELIUS BALBUS

rum ricordato da numerose epigrafi: ricordo e. g. CIL VI 37037 (L(ucius) Asprenas / M(arcus) Caecilius Cornutus / L(ucius) Volusenus Catulus / P(ublius) Licinius Stolo / C(aius) Pontius Paelinus / curatores locorum publicorum / iudicandorum ex s(enatus) c(onsulto) ex / privato in publicum redegerunt) e CIL VI 1267b. Sulla base di CIL VI 31543 (L(ucius) Caninius Gallus / L(ucius) Volusenus Catulus f(ilius) [ClaussSlaby pubblicano f(ecit), ma la disposizione del testo riportata fedelmente nella scheda del CIL impedisce di accettare tale scioglimento] / C(aius) Caecidius Agrippa / M(arcus) Acilius Memmius Glabrio / Q(uintus) Fabius Balbus / curatores riparum et alvei Tiberis ex s(enatus) c(onsulto) / reficiundam curaver(unt) idemque probaverunt; lo studioso cita erroneamente anche 1267 a, 31573 e 31574, che non confermano la notizia) Rogers 1935 ritiene che egli sia stato anche curator riparum et aluei Tiberis. Sulla base del commento di CIL («Nam cum publicum a privato terminavisse Augustum doceat n. 1263, a. 4 consules n. 1264, praetores aerarii inter a. 731 et 794 n. 1265, termini n. 1266, 1267, qui a curatoribus eiusmodi positi sunt, videntur referendi esse ad annos priores imperii Tiberii»), ma senza citarlo, W. Eck nella voce Volusenus di NP 12/2, 2002, 322 fa risalire ai primi anni del regno di Tiberio l’attività di tali funzionari; sulla stessa posizione si era già attestato Marsh 1959, 125, che li ritiene tout court un’invenzione tiberiana. Secondo Eck, visto che il Voluseno ricordato in CIL VI 31543 viene chiamato f(ilius), anche il suo omonimo padre deve aver fatto parte del senato, e precisamente in età augustea; bisogna rilevare, però, che su un Voluseno padre non abbiamo nessuna notizia. Sui personaggi citati rimando a 3. L. Caninius Gallus e E. Kornemann, RE IV, 1901, 17901794. Rogers 1935 data il processo ad un periodo compreso fra il 26 (anno in cui si rivelò l’abilità oratoria di Domizio Afro) e il 37, anno dell’esilio di Balbo. La proposta è ragionevole e credo che sia in torto Eck collocando il processo nell’epoca di Claudio, senza tenere conto dell’esilio di Balbo; la datazione proposta dallo studioso tedesco, infatti, presupporrebbe che Balbo avesse pronunciato l’orazione dopo il ritorno, ma tale posizione si fonda su troppi elementi ipotetici per poter essere accettabile. Cousin 1975-1980, I, XIV-XVII sulla base dell’uso del termine pueritia da parte di Quintiliano (che dovrebbe essere limitata a 16 anni) giunge a datare il processo al 36 d.C. proponendo per Quintiliano la data di nascita del 30 d.C.: anche se non è possibile essere così precisi nella distinzione semantica fra puer, adulescens e iuuenis (cf. A. Balbo, Chi è il giovane: ovvero quando comincia e quando finisce la gioventù, in AA. VV. [a cura di I. Lana], Seneca e i giovani, Ve493

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

nosa, Osanna, 1997, 11-28), ritengo che la posizione di Cousin abbia ottime probabilità di essere vera, almeno per quanto riguarda la datazione di Decimo Lelio Balbo. Il frammento quintilianeo ci induce a ritenere probabile una circolazione del testo del discorso ancora ai tempi di Claudio e Nerone. Non sappiamo nulla con certezza dell’argomento del discorso, ma la presenza di un collegio di difesa così importante (cf. anche F 140 e F 144) induce a pensare che fosse molto delicato: si può avanzare l’ipotesi che fosse connesso all’esercizio dell’attività pubblica del curator: i curatores erano cinque, erano presieduti da un personaggio di rango consolare e stabilito per senatoconsulto e, in età imperiale, svolgevano attività concernenti la gestione dei terreni di proprietà pubblica e la loro alienazione: per maggiori notizie cf. E. Kornemann, RE IV, 1901, 1794-1795. Non sembra perciò impossibile ipotizzare che tale compito abbia determinato risentimenti tali da dare vita a procedimenti legali. La morte del collega Cornuto nel 24 d.C., di cui ci parla Tac. Ann. 4, 28, conferma la datazione di Rogers 1935: siccome Domizio Afro divenne veramente celebre dopo il 26, ritengo probabile che l’orazione di Decimo Balbo non sia stata la principale, ma abbia riguardato questioni collaterali, non toccate dal discorso di Afro: l’elenco quintilianeo avrebbe perciò la fisionomia di un giudizio di valore e metterebbe in ordine di importanza le orazioni. F 177 L’anno 37 vide una serie di casi di persecuzione che macchiarono l’ultimo periodo della vita dell’imperatore (Seager 20052, 201). Acuzia fu la moglie di Publio Vitellio (cf. 30. P. Vitellius), compagno di Germanico (cf. PIR2 A 102 e Raepsaet-Charlier 1987, I, n. 5); su di lei non abbiamo altre notizie. Secondo Marsh 1959, 217, il silenzio di Tacito sul suo destino rende plausibile l’ipotesi che sia stata assolta. Credo verosimile che Decimo Lelio Balbo abbia pronunciato un’orazione contro di lei – non limitandosi quindi ad un atto di accusa o di pura delazione – dato che non si parla di oratori e si accenna ad una proposta di premio per l’accusatore, difficilmente concepibile in caso di assenza di interventi personali. Rogers 1935, 161 asserisce correttamente che è impossibile capire se vi sia stata connessione con il processo contro Publio Vitellio, dato che erano già passati 5 anni dalla morte del marito. L’ipotesi non può però essere scartata, se si pensa all’astio diffuso contro tutti coloro che erano in qualche modo collegati a Seiano. Il ruolo delatorio – e la fedeltà all’imperatore – di Decimo Balbo risulterebbero in tal caso ulteriormente confermati; tale convinzione sembra anche rafforza494

41. D. LAELIUS BALBUS

ta dal ruolo giocato nella vicenda dal tribuno Otone, figlio probabilmente di un protetto di Seiano (Rogers 1935, 162), che avrebbe perciò tentato di mitigare l’odio contro quanti avevano parteggiato per colui che aveva protetto il padre: di conseguenza sembra possibile intravedere un colorito politico anche in questo processo.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

42. N. (?) Vibius Serenus filius M 1832 = Ø; D 1837 = Ø; M 1842 = Ø Bibliografia specifica R. Hanslik, RE VIII A 2, 1958, n° 55, 1984; W. Eck, NP 12/2, 2002, n° II 21, 178; PIR V 400; Bauman 1974, 114-115; Rogers 1935, 81-83; Rivière 2002, 552; Rutledge 2001, 283. Dati biografici Sul figlio di Numerio Vibio Sereno (cf. 28. N. Vibius Serenus pater) non abbiamo molte notizie. Anche il suo praenomen (Numerius) è Testimonianze T 109 Tac. Ann. 4, 36, 3. At Fonteius Capito, qui pro consule Asiam curauerat, absoluitur, comperto ficta in eum crimina per Vibium Serenum. Neque tamen id Sereno noxae fuit, quem odium publicum tutiorem faciebat. Frammenti FF 178-179 In patrem suum de maiestate F 178 Adulescens multis munditiis, alacri uultu, structas principi insidias, missos in Galliam concitores belli index idem et testis dicebat, adnectebatque Caecilium Cornutum praetorium ministrauisse pecuniam. […] Tum accusator Cn. Lentulum et Seium Tuberonem nominat, magno pudore Caesaris, cum primores ciuitatis, intimi ipsius amici, Lentulus senectutis extremae, Tubero defecto corpore, tumultus hostilis et turbandae rei publicae accerserentur. F 178 7 accerserentur Lipsius

496

42. N.

(?) VIBIUS SERENUS FILIUS

fortemente incerto: Eck-Caballos 1996, 102 suppone in ultima istanza che potesse essere lo stesso del padre. Egli compare sulla scena presentando l’accusa de maiestate contro il padre nel 24 d.C., un miseriarum ac saeuitiae exemplum atrox secondo Tac. Ann. 4, 28, 1. Viene descritto come un bel giovane, ben vestito, elegante, ma allo stesso tempo debole di nervi e incapace di accettare gli insuccessi: il prototipo del delatore: cf. F 178. L’anno successivo mise sotto accusa Fonteio Capitone, proconsole d’Asia, ma quest’ultimo venne assolto: cf. T 109. Rutledge 2001 osserva che egli, probabilmente, era troppo importante per subire la poena calumniae, ovvero l’espulsione dal senato dovuta alla presentazione di accuse false: tale ipotesi non può essere provata. Dopo non si sa più nulla di lui.

Traduzione

T 109

Tac. Ann. 4, 36, 3. Ma Fonteio Capitone, che aveva governato l’Asia come proconsole, venne assolto, dopo che si appurò che le accuse rivoltegli da Vibio Sereno erano infondate. Tuttavia questo fatto non danneggiò Sereno, che era reso più sicuro dall’odio di tutti. Traduzione FF 178-179 Contro il proprio padre per lesa maestà F 178 Il giovane, che agiva contemporaneamente da accusatore e testimone ed era molto elegante, con un volto che sprizzava vivacità, asseriva che erano state ordite delle trame contro l’imperatore e che dei sobillatori erano stati inviati in Gallia, e aggiungeva che l’ex pretore Cecilio Cornuto aveva procurato il denaro […] Allora l’accusatore chiamò in causa Gneo Lentulo e Seio Tuberone, con gran vergogna di Cesare, dal momento che due tra i più importanti cittadini e suoi intimi amici, Lentulo che era molto vecchio e Tuberone, che era molto malato, erano accusati di provocare tumulti ostili e di recare turbamento allo stato. 497

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

F 179 Lentouvlou dev tino" bouleutou' fuvsei te ejpieikou'" kai; tovte ejn ghvra/ pollw/' o[nto" kathgovrhsev ti" wJ" ejpibebouleukovto" tw/ ' aujtokravtori.

F 178 Tac. Ann. 4, 28-29. Isdem consulibus miseriarum ac saeuitiae exemplum atrox, reus pater, accusator filius (nomen utrique Vibius Serenus) in senatum inducti sunt. Ab exilio retractus inluuieque ac squalore obsitus et tum catena uinctus pater oranti filio comparatur. Adulescens … pecuniam; qui taedio curarum et quia periculum pro exitio habebatur mortem in se festinauit. [F 129] 29. Tum … accerserentur. Sed hi quidem statim exempti: in patrem ex seruis quaesitum et quaestio aduersa accusatori fuit. Qui scelere uaecors, simul uulgi rumore territus robur et saxum aut parricidarum poenas minitantium, cessit urbe. Ac retractus Rauenna exequi accusationem adigitur, non occultante Tiberio uetus odium aduersum exulem Serenum. Nam post damnatum Libonem missis ad Caesarem litteris exprobrauerat suum tantum studium sine fructu fuisse, addideratque quaedam contumacius quam tutum apud auris superbas et offensioni proniores. Ea Caesar octo post annos rettulit, medium tempus uarie arguens, etiam si tormenta peruicacia seruorum contra euenissent. [F 65]

F 179 D.C. 57, 28, 4. Lentouvlou … aujtokravtori. Kai; oJ me;n Levntoulo" (parh'n gavr) ajnekavgcasen: oJ de; Tibevrio", ejpiqorubhsavsh" ti pro;" tou 'to th'" gerousiva", «Oujde; zh'n e[t∆» e[fh «a[xiov" eijmi, ei[ge kai; Levntoulov" me misei'».

498

42. N.

(?) VIBIUS SERENUS FILIUS

F 179 Un tizio accusò Lentulo, un senatore di buon carattere e già allora molto vecchio, di aver congiurato contro l’imperatore. Contesto F 178 Tac. Ann. 4, 28-29. Nello stesso anno vi fu un atroce esempio di miseria e crudeltà: furono condotti in senato un padre come imputato e un figlio come accusatore; il nome di entrambi era Vibio Sereno. Il padre, richiamato dall’esilio, coperto di cenci e di sozzura e carico di catene, viene presentato al figlio che sostiene l’accusa. Il giovane … denaro; costui, infastidito dalle preoccupazioni e poiché riteneva che il pericolo che stava correndo precorresse la fine, si affrettò a darsi la morte. [F 129] 29 Allora …. stato. Ma costoro furono scagionati immediatamente: furono interrogati gli schiavi contro il padre e l’interrogatorio fu avverso all’accusatore. Egli, pazzo per il rimorso, allo stesso tempo terrorizzato dalle voci popolari che lo minacciavano di imprigionarlo, di gettarlo dalla rupe (Tarpea) o di infliggergli la pena dei parricidi, fuggì da Roma. E dopo essere stato riportato indietro da Ravenna, fu costretto a proseguire il processo, dato che Tiberio non nascondeva l’antico odio che provava contro l’esule Sereno. Infatti, dopo la condanna di Libone, aveva inviato lettere a Cesare con le quali si era lamentato del fatto che il suo grande impegno non aveva avuto frutti e aveva aggiunto alcune espressioni troppo fiere per potere essere accolte in tutta sicurezza da orecchie superbe e piuttosto inclini al risentimento. Cesare riprese la questione dopo otto anni, mettendo sotto accusa in modi diversi il periodo trascorso, anche se le torture avevano sortito effetti opposti a quelli attesi a causa della fermezza degli schiavi. [F 65]. F 179 D.C. 57, 28, 4. Un tizio … imperatore. E Lentulo (infatti era presente) si mise a ridere: Tiberio, poiché il senato si era messo a rumoreggiare di fronte a questo fatto, disse: «Non sono nemmeno più degno di vivere, se anche Lentulo mi odia».

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Commento FF 178-179 Nel 24 d.C. si presentò, secondo Tacito, uno dei casi più sgradevoli del principato di Tiberio, ovvero l’accusa intentata da Vibio Sereno il giovane contro il proprio padre. La fattispecie dell’accusa era probabilmente l’alto tradimento (perduellio), che rientrava nell’ambito dei procedimenti de maiestate: infatti l’accusa di ordire trame contro l’imperatore e di fomentare rivolte implicava un attacco alla potestà del popolo romano (Arcaria 2004, 177). Fu l’intervento personale di Tiberio a mettere in cattiva luce Vibio Sereno padre: nessuno degli strumenti adottati dall’accusatore ebbe successo. Gaio Cecilio Cornuto (cf. PIR2 C 35) si suicidò, privandolo così di un testimone importante, ed è chiaro anche da Dione Cassio (cf. F 179) che le accuse rivolte contro Lentulo e Tuberone non potevano essere fondate. Lentulo era un uomo politico rispettato e molto legato all’imperatore (cf. 43. Cn. Cornelius Lentulus augur), mentre Tuberone era stato console con Germanico nel 18 a.C. ed era fortemente legato alla famiglia imperiale: si può perciò affermare con sicurezza che Vibio Sereno il giovane si dimostrò un accusatore malaccorto e privo di senso dell’opportunità. Anche la terza mossa del giovane, l’interrogatorio degli schiavi, fu fallimentare secondo Tacito: bisogna in particolare osservare che, essendo il processo de maiestate, non vi era bisogno di operare la vendita fittizia ad un terzo per poter obbligare i servi a testimoniare, come nel caso di Druso Libone: cf. F 129. Il giovane Vibio, che Tacito mette sarcasticamente ed amaramente a confronto con suo padre, emaciato e distrutto dalla deportazione, dimostrò anche una notevole fragilità nervosa, un difetto grave per un oratore, che deve mantenere un perfetto autocontrollo per poter sfruttare tutti i mezzi che la sua arte gli mette a disposizione: cf. e. g. Quint. Inst. 12, 9. «En effet l’affrontement pathétique entre le jeune homme insolent et le viellard indigné n’est que l’épisode le plus spectaculaire d’une affaire où Tacite dénonce surtout l’attitude du prince» (Aubrion 1985, 243). Anche il discorso di Sereno padre mise in luce la debolezza dell’impianto accusatorio: con il ricorso al paradosso, il vecchio delatore fece comprendere come non sarebbe stato pensabile per due uomini da soli ideare una congiura così complessa e pericolosa; per altro l’appello ai testimoni avrebbe dovuto essere più che sufficiente per risolvere la controversia. Bauman 1974, 115 mette l’accento sul verbo cogitasse, asserendo che l’accusatore disponeva di prove di discussioni private fra Sereno e Cornuto: «it was thus a case of ‘remarks made secretly to a sin500

42. N.

(?) VIBIUS SERENUS FILIUS

gle interlocutor’ and those remarks were ‘entered in the public records’ by way of registration of the postulatio in the acta senatus». A conclusioni analoghe giunge anche Rutledge 2001, 162, che inclina a ritenere degne di fede le accuse contro Sereno padre. Dal punto di vista procedurale, è opportuno ricordare che il processo continuò dopo il ritorno di Vibio Sereno da Ravenna (il viaggio fu forse dovuto alla necessità di raccogliere informazioni e testimonianze sul processo: cf. Rutledge 2001, 161-162): per la scarsità di informazioni di cui disponiamo non possiamo presupporre che Sereno abbia pronunciato due orazioni, una prima della partenza ed una dopo il ritorno. Il tema del dibattito possiede anche un certo rilievo dal punto di vista antropologico: la definizione tacitiana di saeuitiae exemplum atrox si accompagna alle parole di Numerio Vibio Sereno, che sostanzialmente accusa il figlio di aver perpetrato un parricidio (cf. Dig. 48, 9, 7; lo stesso Tacito osservava come il giovane Sereno temesse di essere sottoposto alla pena dei parricidi, secondo la quale il reo, dopo essere stato fustigato, doveva essere cucito in un sacco insieme ad un cane, un gallo, una vipera e una scimmia ed essere annegato in mare: cf. Santalucia 19982, 161 e n. 187), il cui carattere di atto contro natura ed inerente alla sfera del sacro è ben chiarito dall’appello alle divinità vendicatrici. È opportuno ricordare che tra il I secolo a.C. e il I d.C. il conflitto padre-figlio è un tema consueto delle dispute nelle scuole di retorica, in cui compare l’antico confronto proprio del teatro comico fra un padre severo e un figlio privo di denaro. Sembra quasi che Tacito, attraverso il ritratto contrapposto dei due contendenti, abbia voluto capovolgere il topos: non è il padre ad accusare il figlio di aver tralignato (cf. e. g. Sen. Exc. Con. 3, 2), ma è il figlio, più forte, a schiacciare il padre sotto il peso della sua gioventù. È questo un esempio di quella “paura dei padri” che sembrò intensificarsi tra la fine della repubblica e la prima età imperiale: per un’analisi attenta delle relazioni tra la realtà giuridica e l’aspetto retorico della questione cf. Y. Thomas, Paura dei padri e violenza dei figli: immagini retoriche e norme di diritto, in E. Pellizer – N. Zorzetti (a cura di), La paura dei padri nella società antica e medievale, Bari-Roma 1983, 115-140. Il caso di un figlio che accusa il padre si trova anche in Sen. Con. 2, 6: qui però la colpa è la luxuria e il colpevole, in un certo qual modo, è il figlio stesso, che ha traviato il padre. Tuttavia il senso di disagio per la situazione è efficacemente espresso in una sententia di Giunio Otone: malam causam haberem si alium accusatorem haberem; malam causam haberem si te filium non haberem. Nei lettori di Tacito, perciò, l’approccio a questo evento do501

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

veva scatenare un effetto straniante, innaturale, sgradevole, utile a coinvolgere nella condanna anche il mandante di un tale abominio, l’imperatore.

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Sezione B

43. Cn. Cornelius Lentulus augur F 180 De decretis in Libonem = F 77 Tac. Ann. 2, 32, 1. (Censuit) Cn. Lentulus, ne quis Scribonius cognomentum Drusi adsumeret. Cornelio Lentulo fu probabilmente l’Augure, console del 14 a.C. e amicus Augusti ac Tiberii (cf. PIR2, C 1379; Crook 1955, n° 116, 160161) e deve essere distinto dall’omonimo console del 18 a.C.: cf. la lunga discussione in PIR2, che si conclude con un’affermazione di impotenza: «Atqui concedendum quaestionem hanc nisi novis testimoniis repertis dirimi non posse». Sulla base delle tesi di PIR (riprese da Syme 2001, 423-424 e da Woodman-Martin 1996, 425) si può dire che egli fu quaestor tra il 38 e il 27 a.C., forse nel 29, poi, dopo il consolato, proconsole d’Asia nell’1 a.C.; potrebbe essere lo stesso Lentulo che, secondo Flor. 2, 28, 29, cacciò i Daci oltre il Danubio e ne tenne lontani i Sarmati, venendo onorato con ornamenti trionfali: cf. Tac. Ann. 4, 44; chi non segue la tesi di PIR (come Goodyear 1972-1981) non prende posizione sull’identificazione. Risulta parimenti difficile identificarlo con lo Gneo Lentulo di Tac. Ann. 1, 27, il generale che cercò di dare coraggio a Druso nel difficile frangente della ribellione delle legioni di Pannonia e che è definito superiore agli altri per età e gloria militare. Secondo Sen. Ben. 2, 27, 2 fu princeps ciuitatis et pecunia et gratia; nel 24 fu messo sotto accusa da Vibio Sereno figlio (cf. 42. N (?) Vibius Serenus filius). Morì nel 25 d.C., forse spinto al suicidio: cf. Tac. Ann. 4, 44 e Suet. Tib. 56. Nel suo discorso contro Druso Libone dimostra esplicitamente la sua sudditanza a Tiberio. Seneca (l. l.) ne critica l’avidità e l’inopia sermonis: l’espressione in questa forma compare altrove solo in Sen. Con. 7, 3, 7, per antifrasi rispetto allo stile di Albucio Silo, guardando al quale non ci si potrebbe lamentare della inopia Latini sermonis. L’espressione indica soprattutto la povertà linguistica, alla quale si contrappone la fluidità di Albucio, e rimarca quindi uno stile frammentario e poco efficace: cf. Balbo 2004, 108-109. Il giudizio negativo è confermato dalla sua mancata inclusione da parte di Tacito nella lista dei difensori del processo di Pisone e, soprattutto, dal mancato riferimento all’oratoria nel ricordo della morte di Lentulo: cf. Syme 2001, 431-432. 505

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

44. Octauius Fronto F 181 In senatu in luxum ciuitatis = F 3 Tac. Ann. 2, 33, 1. Excessit Fronto ac postulauit modum argento supellectili familiae: erat quippe adhuc frequens senatoribus, si quid e re publica crederent, loco sententiae promere. Personaggio poco noto, Ottavio Frontone fu senatore di rango pretorio e pronunciò insieme ad Aterio un discorso contro il lusso eccessivo dello stato: cf. F 3. Dato che nel 16 d.C. era pretore, dovrebbe essere nato verso il 16 a.C. Secondo W. Eck, NP 8, 2000, 1101, potrebbe essere identificabile con il Frontone che fu governatore di Galazia sotto Tiberio. Tuttavia la brevissima voce di PIR2 O 24 (e non 34, come si legge in NP) non suffraga minimamente la tesi dello studioso tedesco. Un’indicazione in questa direzione è invece fornita da E. Groag, RE XVII/2, 1937, n° 53, 1829, il quale ipotizza che potesse essere un avo di Sesto Ottavio Frontone, legato di Domiziano nella Mesia inferiore (ibidem n°54); a questo proposito segnala un’iscrizione proveniente da Miseno (CIL X 3443) in cui si parla di un C(aius) Octavius Fro[n]to che fu quondam medicus / duplicar(ius) ed era natione Cilix. Da queste parole non si evince nulla di ciò che sostengono i due studiosi. Eppure qualcosa di più su Ottavio Frontone è noto già da tempo. Il suo nome, infatti, compare tra coloro che furono presenti alla redazione del Senatus consultum di Larino, conservato su una tavoletta bronzea e pubblicato nel 1978. Il testo risale al 19 d.C. e, come è noto, contiene una serie di provvedimenti contro l’apparizione in pubblico dei membri di ceti equestre e senatoriale allo scopo di frenarne i comportamenti disdicevoli. Octauius Fronto compare insieme ad Ateio Capitone ed è definito appartenente alla tribù Stellatina. Levick 1983, 100 ritiene, sulla base di elementi epigrafici, che egli potesse provenire da Benevento nel Sannio. Sul senatus consultum cf. M. Malavolta, A proposito del nuovo S. C. da Larino, MGR VI, 1978, 347-382 e AE 145, 1978, 50-52; V. Giuffrè, Un senatoconsulto ritrovato: il s. c. de matronarum lenocinio coërcendo, AAN 91, 1980, 4-27; P. Moreau, A propos du sénatus-consulte épigraphique de Larinum: gladiateurs, arbitres et valets d’arène de condition sénatoriale ou équestre, REL 61, 1983, 36-48; T. A. J. McGinn, The SC from Larinum and the repression of adultery at Rome. 506

44. OCTAUIUS FRONTO

ZPE 93, 1992, 273-295; il testo ed altra bibliografia sono reperibili su Internet con l’ausilio di Clauss-Slaby. Talbert 1984, 247 inferisce da tale attività che Frontone fosse un uomo di rigida moralità. Di Frontone non si conosce la data della morte né si ha traccia di alcuna attività successiva.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

45. M. Papius Mutilus F 182 De decretis in Libonem = F 77 Tac. Ann. 2, 32, 1. Supplicationum dies Pomponii Flacci sententia constituti, dona Ioui, Marti, Concordiae, utque iduum Septembrium dies, quo se Libo interfecerat, dies festus haberetur, L. P*** et Gallus Asinius et Papius Mutilus et L. Apronius decreuere. Marco Papio Mutilo, probabile discendente dell’omonimo comandante dei Sabini nella guerra sociale (cf. F. Münzer, RE XVIII/3, 1949, n° 12, 1078-1080), fu consul suffectus dal primo luglio al 31 dicembre del 9 d.C. (CIL I2 29 e X 6639, Levick 1999, 149), fu uno dei promotori della lex Papia Poppaea contro il celibato (cf. D.C. 56, 10, 3). Non vi sono altre attestazioni della sua attività oltre alla vicenda del processo di Druso Libone. La sua data di nascita può essere fissata intorno al 33 a.C.

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46. L. Apronius F 183 De decretis in Libonem = F 77 Tac. Ann. 2, 32, 1. Supplicationum dies Pomponii Flacci sententia constituti, dona Ioui, Marti, Concordiae, utque iduum Septembrium dies, quo se Libo interfecerat, dies festus haberetur, L. P*** et Gallus Asinius et Papius Mutilus et L. Apronius decreuere. F 184 De fetialibus = F 50 Tac. Ann. 3, 64, 4. Censuerat L. Apronius ut fetiales quoque iis ludis praesiderent. Lucio Apronio fu forse triumuir aere argento auro flando feriundo intorno all’ultimo decennio del I secolo a.C.; divenuto consul suffectus nell’8 d.C. (CIL X 7257, Crook 1955, n° 28, 151, Levick 1999, 149), combatté fra il 9 e il 15 in Dalmazia contro gli Illiri; dal 15 d.C. fu legato in Germania sotto le insegne di Germanico e militò contro i Chatti: cf. Marsh 1959, 141 e 159; ritornato a Roma, vi ottenne il trionfo nello stesso anno e nel 16 partecipò in senato alle sedute contro Druso Libone. Tra il 18 e il 21 d.C. fu proconsole d’Africa e lottò contro Tacfarinate, riuscendo a prevalere e a meritarsi una statua a Roma: cf. Tac. Ann. 4, 23 e Marsh 1959, 149. Rimase a Roma per alcuni anni, poi fu nominato legato della Germania inferiore nel 28 e qui si scontrò con i Frisoni. Rimase in Germania almeno fino al 34 d.C. Non conosciamo la data della morte. Su di lui cf. P. von Rohden, RE II, 1896, n° 4, 273-274, Syme 2001, 631, Seager 20052, passim (soprattutto 142 e 144).

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

47. Iunius Otho (pater) F 185 De adulteri reo = FF 123-125 Sen. Con. 2, 1, 35. Otho Iunius nullam certam posuit, sed tantum circumuentam uiro mulierem egregie tractauit; cuius actio quam utilis fuisset, statim apparuit F 186 In C. Silanum = F 114. Tac. Ann. 3, 66, 1-2. C. Silanum pro consule Asiae repetundarum a sociis postulatum Mamercus Scaurus e consularibus, Iunius Otho praetor, Bruttedius Niger aedilis simul corripiunt Di Giunio Otone non sono note né l’origine né la data di nascita: Tac. Ann. 3, 66, 3 ci fa sapere che aveva tenuto una scuola fin dalla giovinezza e, grazie a Seiano, entrò nel senato e divenne pretore nel 22 d.C., mettendo sotto accusa Gaio Silano insieme a Mamerco Emilio Scauro e Bruttedio Nigro: cf. F 114; P. Lebrecht Schmidt, NP 6, 1999, 72; Rivière 2002, 528; Rutledge 2001, 241. Possiamo fare risalire la data del processo all’ultimo quarto del I secolo a.C. Non sappiamo nulla di lui dopo questo evento. Delle sue orazioni ci sono stati tramandati due frammenti da cui si possono ricavare poche notizie: nel primo (Sen. Con. 2, 1, 35: cf. FF 123-125; Rutledge 2001, 241 la considera una declamazione) Seneca retore ricorda che egli si limitò ad introdurre la causa, anche se la sua actio si dimostrò decisamente utilis nel prosieguo del processo; precedentemente egli aveva ricordato che Otone spiccava soprattutto in un genere specifico di declamazioni, quelle cosiddette difficili, in quibus inter silentium et detectionem medio temperamento opus erat (Sen. Con. 2, 1, 33). Egli prediligeva i colores e Seneca lo cita soprattutto per questi ultimi, che egli aveva trattato in un’opera in quattro libri ad essi dedicati: cf. 2, 1, 33. Per le caratteristiche della sua oratoria, frutto di grande esperienza (Tac. Ann. 3, 66, 3: Iunio Ottoni litterarium ludum exercere uetus ars fuit: cf. anche Münkel 1959, 9) e contraddistinta soprattutto da sfumature e da un atteggiamento “sophistisch” cf. K. Gerth, RE X 1, 1917, n° 114, 1071-1073; Bornecque 1902, 176; Fairweather 1981, 167-170. 510

48. Q. Veranius F 187 De Fulcinio Trione = F 133 Tac. Ann. 3, 10, 1-2. Contra Vitellius ac Veranius ceterique Germanicum comitati tendebant, nullas esse partis Trioni; neque se accusatores sed rerum indices et testis mandata Germanici perlaturos. F 188 In Pisonem de Germanici ueneficio = F 135 Tac. Ann. 3, 13, 1. Post quae Seruaeus et Veranius et Vitellius consimili studio et multa eloquentia Vitellius obiecere odio Germanici et rerum nouarum studio Pisonem uulgus militum per licentiam et sociorum iniurias eo usque conrupisse ut parens legionum a deterrimis appellaretur […]. Quinto Veranio, probabile discendente del Veranio che fu amico di Catullo, fu legato di Cappadocia (Tac. Ann. 2, 56, 4 e Levick 1999, 141) e comes di Germanico, con il quale combatté la campagna d’Armenia; è assai verosimile che, per esercitare questi incarichi, dovesse avere raggiunto almeno il grado di pretore. Dopo aver rivestito il ruolo di accusatore nel processo contro Calpurnio Pisone (cf. Ann. 3, 13, 6 e F 135), gli fu conferita un’importante carica sacerdotale, forse una di quelle che erano state esercitate da Pisone stesso. Se (sulla falsariga di Koestermann 1963-1968, II, 93 e Woodman-Martin 1989, 152) si accetta la correzione Veranius in Ann. 4, 21, 2 al posto del tràdito grauius di M, egli accusò nel 24 d.C. L. Calpurnio Pisone per maiestas per aver pronunciato privatamente discorsi contro la maestà dell’imperatore (secreti sermonis aduersum maiestatem habiti) e, forse, anche di altri reati; Pisone fu ritenuto colpevole, ma morì prima che venisse eseguita la sentenza. Non vi sono indizi sufficienti per ritenere che l’atto di accusa di Veranio abbia dato origine ad un discorso; sul processo cf. Rutledge 2001, 277-278. Il figlio fu console nel 49 d.C. e legato nel 61 d.C.: cf. per ulteriori notizie Gordon, RE VIII A, 1955, n° 2, 937-938 e Rutledge 2001, 277-278.

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

49. Q. Seruaeus F 189 In Pisonem de Germanici ueneficio = F 135 Tac. Ann. 3, 13, 1. Post quae Seruaeus et Veranius et Vitellius consimili studio et multa eloquentia Vitellius obiecere odio Germanici et rerum nouarum studio Pisonem uulgus militum per licentiam et sociorum iniurias eo usque conrupisse ut parens legionum a deterrimis appellaretur […]. Quinto Serveo (PIR S 398) fu pretore, legato di Germanico e governatore della Commagene nel 18 d.C.: cf. Tac. Ann. 2, 56, 4. Sostenne l’accusa contro Pisone e poi, nel 32 d.C., fu condannato come amico di Pisone: cf. T 108 e Levick 1999, 198. La sua nascita può esser fatta risalire al periodo tra il 15 e il 10 a.C. Non sembra casuale che coloro che appartennero alla sua famiglia abbiano assunto il cognomen Innocens, forse con allusione alla vergogna per la sua collaborazione con Seiano: cf. Syme 1971, I, 426 n. 28.

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50. Togonius Gallus F 190 De principe defendendo = F 68 Tac. Ann. 6, 2, 3. Nam (Togonius Gallus) principem orabat deligere senatores, ex quis uiginti sorte ducti et ferro accincti quotiens curiam inisset, salutem eius defenderent Ricordato da Tacito in Ann. 6, 2, 2, fu un senatore di umile nascita e di origine gallica, come sembrano dimostrare sia la radice Tog – del suo nome (il fratello di Carataco secondo D.C. 60, 20, 1 si chiamava Togodumno) sia il cognomen: cf. Syme 1971, II, 740 e Levick 1999, 99, che parla di una sconosciuta città della Narbonensis. Nessun aiuto ci giunge dai documenti epigrafici e parimenti inutili sono le voci della PIR T 213 e di R. Hanslik, RE VI A 2, 1937, 1668.

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Sezione C

51. M. Claudius Marcellus Aeserninus Il praenomen e il nomen di Marco Claudio Marcello Esernino sono confermati da CIL I2 70, VI 1237, 31544; X 1448 e vari passi di Seneca Retore (Suas. 2, 9 e 6, 4): cf. E. Groag, RE III, 1899, n° 234, 2771. Fu nipote del M. Claudio Marcello Esernino console del 22 a.C. o suo figlio secondo Groag e Bornecque 1902, 162 e, per parte di madre, nipote anche di Asinio Pollione (cf. D. Kienast, NP 3, 1997, 19). Non sappiamo quando sia nato, ma si può ipotizzare una data intorno agli ultimi anni del I secolo a.C., forse verso l’11 a.C. Nel 19 d.C. fu praetor peregrinus (CIL I2 70) e presto divenne anche curator aquarum et aluei Tiberis (CIL VI 1237 e 31544; sulla curatela delle acque cf. da ultimo Eck 1995 a, I, 161-252). È tra i difensori celebri che rifiutarono di assumere la difesa di Pisone: cf. Tac. Ann. 3, 11; sorprendentemente – ed erroneamente – Amiel 1864, 261 lo colloca tra i difensori dell’accusato chiamandolo Oeserninus. Sulla base dell’accostamento operato da Tac. Ann. 11, 6 di Marcello Esernino con Asinio Pollione, Messalla e Arrunzio, Groag ipotizza che anche egli sia stato console (evidentemente suffectus): non ci sono però prove di questo: cf. Balbo 2004 a, 82-83; Woodman-Martin 1996, 135 ritengono che la mancata concessione di tale carica sia stata dovuta alla morte precoce. Non sappiamo quando sia morto. Fu considerato un eccellente oratore, destinato a conseguire addirittura la palma dell’oratoria romana dopo Asinio Pollione, come si può evincere da Sen. Exc. Con. 4 praef. 3: Marcellus, quamuis puer, iam tantae indolis erat ut Pollio ad illum pertinere successionem eloquentiae suae crederet, cum filium Asinium Gallum relinqueret, magnum oratorem, nisi illum, quod semper euenit, magnitudo patris non produceret sed obrueret: cf. anche Danesi 2001, 324-325 e Salomies 2005, 253. Lo stesso Seneca ci conserva alcuni frammenti di declamazioni (Con. 7, 1, 5; 7, 2, 10; 7, 4, 1; Suas. 6, 4), da cui si ricava una predilezione per il paradosso e per l’esplicitazione del lavorio psicologico, come accade nel caso di Antonio nella declamatio de Popillio, in cui egli fa riflettere il condottiero romano su quali debbano essere le mosse per uccidere Cicerone (7, 2, 10).

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52. M. Vinicius Marco Vinicio, figlio del console del 2 d.C. Publio Vinicio (cf. 10. P. Vinicius) e parente dell’oratore Lucio Vinicio (Balbo 2004 e 20072, 11. L. Vinicius), divenne console a sua volta nel 30 d.C. insieme a Lucio Cassio Longino e fu accolto fra gli intimi dell’imperatore, che gli diede in sposa Giulia Livilla nel 33: cf. Tac. Ann. 6, 15, 1: Ser. Galba L. Sulla consulibus diu quaesito quos neptibus suis maritos destinaret Caesar, postquam instabat uirginum aetas, L. Cassium, M. Vinicium legit. Vinicio oppidanum genus: Calibus ortus, patre atque auo consularibus, cetera equestri familia erat, mitis ingenio et comptae facundiae. Dapprima legato a Seiano, se ne distaccò al momento opportuno: cf. Koestermann 1963-1968, II, 274. Nel 36 d.C. fece parte di una commissione incaricata di valutare i danni dopo un grave incendio sull’Aventino: cf. Tac. Ann. 6, 45, 2. Fu il dedicatario dell’opera storica di Velleio Patercolo (cf. Vell. 1, 8, 1). Grazie alla passione che Caligola aveva per sua moglie ottenne il proconsolato d’Asia. Si oppose poi all’assassinio di Caligola e divenne nuovamente console nel 45 d.C.; morì l’anno successivo avvelenato da Messalina. Non abbiamo notizie sulla sua arte oratoria ad eccezione delle parole di Tacito: cf. anche Münkel 1959, 15. Per ulteriori dati cf. R. Hanslik, RE IX A 1, 1961, n° 7, 116-119; W. Eck, NP 12/2, 2002, 236; Crook 1955, n° 344, 189; Syme 2001, 258, 270, 633, 643.

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53. P. Sulpicius Quirinius* Sulpicio Quirinio fu console nel 12 a.C. con Marco Valerio Messalla Barbato Appiano (CIL VIII 68; D.C. 54, 28); nacque quindi probabilmente verso il 54 a.C. a Lanuvio: secondo Tac. Ann. 3, 48 non ebbe parentela alcuna con gli altri celebri appartenenti alla gens Sulpicia, ma nacque da una obscurissima domus: fu quindi un nouus homo (Syme 2001, 531). Secondo E. Groag, RE IV A, 1931, 823, che si rifà a Mommsen, si tratta del primo romano di un certo rango che assunse un gentilizio al posto del cognomen; Groag riprende l’ipotesi di Mommsen secondo la quale fu adottato da un membro della gens Sulpicia. Impiger militiae (Tac. ibidem), combatté in Africa sottomettendo i Garamanti e gli abitanti della Marmarica (Flor. 2, 31, 41); a questo proposito Mommsen (Commentarium ad Monumentum Ancyranum2, 170-171) ipotizzò che avesse rivestito la carica di proconsole di Creta e Cirene: cf. PIR S 732; discussione in RE IV A, 1931, 825-827. Dopo il consolato combatté contro gli Omonadensi, abitanti della Cilicia, e fu governatore di Galazia fra il 5 e il 3 a.C.: cf. R. K. Sherk, Roman Galatia: the governors from 25 BC to 114 AD, ANRW 2, 7, 2, 1980, 967-969. Divenne proconsole d’Asia in una data imprecisata fra l’1 e il 5 d.C.: in questa occasione conobbe Tiberio e ne divenne amico. Nel 6 fu mandato in Siria quando la provincia acquisì la Giudea e celebrò il noto censimento di cui parlano il Vangelo di Luca e Giuseppe Flavio (Ant. 20, 5, 2; BIud 2, 17, 8; 20, 5, 2). Parente di Druso Libone (su questa apparente contraddizione con le sue origini oscure cf. RE IV A, 1931, 824), fu da costui utilizzato come tramite delle suppliche indirizzate a Tiberio. Sposò in prime nozze Appia Claudia, sorella del suo collega di consolato (cf. CIL VI 15626 e Syme 2001, 111), poi Emilia Lepida, ripudiandola nel 20 d.C.: cf. anche Devillers 1994, 119, Morì nel 21 d.C. e fu onorato con pubblici funerali per intervento dell’imperatore: cf. Tac. Ann. 3, 48. Altre informazioni più ampie con analisi delle fonti letterarie ed epigrafiche si trovano in E. Groag, RE IV A, 1931, n° 90, 822843, che giudica le notizie sulla sua esistenza lacunose ed enigmatiche. Excursus. Il caso di Emilia Lepida In Aemiliam Lepidam Tac., Ann. 3, 22, 1. At Romae Lepida, cui super Aemiliorum decus L. Sulla et Cn. Pompeius proaui erant, defertur simulauisse partum ex P. 519

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Quirinio diuite atque orbo. Adiciebantur adulteria uenena quaesitumque per Chaldaeos in domum Caesaris defendente ream Manio Lepido fratre. Emilia Lepida, seconda moglie di Quirinio (che era stato precedentemente sposato con un’Appia Claudia: cf. Syme 2001, 111), fu accusata dal marito di aver simulato un parto, di adulterio e di veneficio, reati che, pur partendo da un’originaria imputazione di falsum (Bauman 1974, 173-174), erano sufficienti per una serie di incriminazioni, tra cui de maiestate; nella cognitio (Ann. 3, 23, 1) le accuse furono lanciate da Quirinio e la difesa assunta da Manio Emilio Lepido (cf. 54. Manius Aemilius Lepidus*); Tiberio, che assunse probabilmente la presidenza della corte (Bleicken 1962, 62), mantenne una posizione ambigua tra ira e clementia (3, 22, 1), dapprima invitando i senatori a lasciar cadere le accuse de maiestate, poi spingendo alcuni testimoni a parlare contro Lepida. Dopo una sospensione del processo durante i Ludi Romani (419 settembre: cf. Rogers 1935, 53 e Talbert 1984, 212-213) la donna fu esiliata: per una presentazione del processo cf. Rogers 1935, 51-56, Townend 1962, che nota come «the trial is more complicated» (486), Bauman 1974, 173-175, Cogitore 2002, 117-118 e Seager 20052, 129131. Per quanto concerne l’individuazione di frammenti oratori i testi a nostra disposizione non sono chiari: l’uso dell’espressione defertur simulauisse eqs. non implica necessariamente che sia proprio stato Quirinio a pronunciare l’orazione di accusa, come mi sembra dimostrato dal caso di Druso Libone (Ann. 2, 27-32), in cui l’espressione defertur moliri res nouas non indica i singoli discorsi, ma il complesso (o almeno una parte consistente) della materia dell’atto di accusa: cf. FF 128 e 130; sul sintagma cf. Milani 1999, 13-14. Anche la testimonianza di Suet. Tib. 49, 1 (condemnatam et generosissimam feminam Lepidam in gratiam Quirini consularis praediuitis et orbi, qui dimissam eam e matrimonio post uicensimum annum ueneni olim in se comparati arguebat) non mi sembra decisiva, perché il verbo arguo non implica necessariamente l’esistenza di un’orazione, ma solo la presentazione di un’accusa in un processo. Perciò, nell’impossibilità di individuare con chiarezza un’orazione, ho preferito collocare in questa sezione C sia Quirinio sia Manio Lepido. Sulle difformità tra il resoconto di Tacito e quello di Svetonio cf. Marsh 1959, 272-273.

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54. Manius Aemilius Lepidus* Per la discussione relativa all’attribuzione dei passi tacitiani a Manio o a Marco Emilio Lepido rimando a 17. Sextus Pompeius. Di costui sappiamo molto poco: la voce di PIR2 A 363 è fondata sulle attribuzioni di Nipperdey-Andresen, che precedono Syme 1970, ed i due editori sono inclini ad attribuire a questo personaggio molte più notizie di quante se ne possano fissare con sicurezza. Sappiamo per certo che fu console nell’11 d.C. ed assisté la sorella Emilia Lepida nel processo narrato in Ann. 3, 22-24, celebrato nel 20 d.C.; la sua data di nascita può essere fissata intorno al 33 a.C. Fu poi nel 21-22 proconsole d’Asia. Sulla base delle indicazioni fornite da Tacito, Syme 1970, 32-33 ricostruisce la sua famiglia, che rimontava per parte di madre fino a Silla e a Pompeo Magno, mentre per parte di padre discendeva dal triumviro Lepido. Non abbiamo notizie sulla sua attività oratoria. Nessuna notizia ulteriore in W. Eck, NP 1, 1997, 183-184.

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55. e 56. Cornelius (Crispus?) * - Seruilius (Tuscus?) * Questi due misteriosi personaggi compaiono in Tac., Ann. 6, 29, 4 come accusatori di Mamerco Emilio Scauro (cf. T 55); Tacito (Ann. 6, 30, 1) ci comunica che furono relegati in un’isola in seguito ad un tentativo di estorsione nei confronti di Vario Ligure. In mancanza di altre notizie Koestermann 1963-1968, II, 311 suppone verosimilmente che di essi si fosse parlato nella parte del quinto libro tacitiano non giuntaci. Essi danno vita ad un’accusa di lesa maestà, imputando a Scauro non solo l’adulterio con Giulia Livilla, ma anche la pratica di quei magorum sacra che già erano costati molto cari a Druso Libone: cf. Tac. Ann. 2, 27, 2 e F 77. L’identificazione di uno dei due con il Tuscus declamatore disonesto e di limitate capacità di cui parla Sen. Suas. 2, 22 (Tuscus ille qui Scaurum Mamercum, in quo Scaurorum familia extincta est, maiestatis reum fecerat, homo quam inprobi animi tam infelicis ingenii) fu proposta da Bornecque 1902, 196, ripresa da A. Stein, PIR2 C 1307 (con oscillazione fra Cornelius Tuscus, Cornelius Crispus e Servilius Tuscus) e recentemente discussa da Rivière 2002, 547-549, che ricorda come il processo a Scauro fu iniziato nel 32 (cf. Ann. 6, 9, 3-4) e differito fino al 34; solo in questo secondo caso siamo sicuri che gli accusatori furono Cornelio e Servilio. Il problema perciò si amplia: Cornelio e Servilio accusarono Scauro anche nel 32? Il Tuscus di Seneca Retore è l’accusatore del 32? Rivière, riprendendo una tesi di Güngerich (RE VII, 2, 1943, n° 2, 1492-1493), asserisce che Tuscus non può essere identificato con nessuno dei due, perché i delitti imputati nel 32 e nel 34 furono di natura diversa: «Sénèque le Père écrit que Tuscus a accusé de lèse-majesté Scaurus Mamercus mais l’expression qu’il utilise désigne plutôt une inculpation (maiestatis reum fecerat) qu’une condemnation. Il est donc permis de penser que ce Tuscus a déposé une accusation de lèse majesté en 32, et que lorsqu’une nouvelle inculpation à été lancée en 34 (Mamercus dein Scaurus rursum postulatur) par Servilius et Cornelius, ces derniers ont seulement évoqué l’adultère et la magie». Rutledge 2001, 268 conferma le posizioni di Rivière e accetta, dubitativamente, anche il nome Cornelius (Crispus). La ricostruzione è ragionevole. Per altro non siamo sicuri che i due personaggi abbiano pronunciato un’orazione.

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Nota bibliografica

I. Strumenti e opere generali1 von Albrecht 1995 = M. von Albrecht, Storia della letteratura latina. Da Livio Andronico a Boezio [tit. or. Geschichte der römischen Literatur. Von Andronicus bis Boethius, Bern- München 19942], 3 voll., tr. it. a cura di A. Setaioli con Appendice bibliografica di R. Degl’Innocenti Pierini, Torino 1995. Andersen 2001 = Ø. Andersen, How good should an orator be? in Wooten 2001, 3-16. ANRW = AA. VV., Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, hrsg. von H. Temporini und W. Haase, Berlin-New York 1972 – … Balbo 1997 = Idem, Note sulle edizioni pre-malcovatiane degli Oratorum Romanorum Fragmenta, «Athenaeum» 84, 1997, 624-636. Benario 1995 = H. W. Benario, Recent Work on Tacitus: 1984-1993, CW 89, 1995, 91-161. BTL = P. Tombeur (a cura di), Bibliotheca Teubneriana Latina, CD ROM Turnhout 2002. CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1863 -… Clauss-Slaby = Epigraphische Datenbank Heidelberg (http://www.manfredclauss.de/) CLCLT = P. Tombeur (a cura di), CETEDOC Library of Christian Latin Texts, CD ROM, Turnhout 19963. Costantino 1996 = F. Costantino, Processi e suicidi nell’età di Tiberio, in Sordi 1996, 237-247. Crawford 1996 = M. H. Crawford (ed.), Roman Statutes, I-II voll. London 1996. Daremberg-Saglio = Ch. Daremberg – Edm. Saglio – E. Pottier – G. Lafaye, Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines, 9 voll., Paris 18771919 (rist. Graz 1962-63).

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I testi qui raccolti sono stati tenuti presenti nel corso della ricerca, anche se non sono esplicitamente citati. 525

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Degrassi 1952 = A. Degrassi, I fasti consolari dell’impero romano, Roma 1952. Demougin 1992 = S. Demougin, Prosopographie des chevaliers romains Julio-Claudiens (43 av. J.-C. – 70 ap. J. – C.), Roma 1992. Dittenberger 1917-1960 = W. Dittenberger, Sylloge Inscriptionum Graecarum II, Leipzig 19173 [rist. anastatica Hildesheim 1960]. EV = AA. VV., Enciclopedia Virgiliana, voll. I-V/2, Roma 1984-1991. Fanizza 2001 = L. Fanizza, Senato e società politica tra Augusto e Traiano, Roma-Bari 2001. Fantham 1978 = E. Fantham, Imitation and decline. Rhetorical theory and practice in the first century after Christ, CPh 73, 1978, 102-116. FIRA = K. G. Bruns, Fontes iuris romani antiqui: leges et negotia. Septimum edidit O. Gradenwitz, Tübingen 1909 (rep. Aus. Aalen 1958). Forcellini = Lexicon totius Latinitatis ab A. Forcellini seminarii Patavini alumno lucubratum deinde a I. Furlanetto […] emendatum et auctum, nunc vero curantibus F. Corradini et I. Perin […] emendatius et auctius melioremque in formam redactum, Patavii 19405. Gualandri-Mazzoli 2003 = AA. VV., Gli Annei. Una famiglia nella storia e nella cultura di Roma imperiale, Como 2003. Havet 1911 = L. Havet, Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins, Paris 1911. Hellegouarc’h 1972 = J. Hellegouarc’h, Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la république, Paris 19722. Hiltbrunner 1992 = O. Hiltbrunner (hrsg.), Bibliographie zur lateinischen Wortforschung, 4. Censeo-cura, Bern 1992. Hülsen 1982 = C. Hülsen, Il Foro Romano. Storia e monumenti, Roma 1982 (trad. dell’ed. 1905). IGR = R. Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, Paris 1906-1927. Insc. Ital. = Inscriptiones Italiae, Roma 1931. ILS = H. Dessau, Inscriptiones Latinae Selectae, Berolini 1892-1916. Kajanto 1965 = I. Kajanto, The Latin Cognomina, Helsinki 1965 (= Roma 1989). Kodrebski 1976 = J. Kodrebski, Der Rechtsunterricht am Ausgang der Republik und zu Beginn des Prinzipats, ANRW 2, 15, 1976, 177-196. KP = AA. VV., Der kleine Pauly. Lexikon der antike auf der Grundlagen von Pauly’s RE unter Mitwirkung zahlreichen Fachgelehrten bearbeitet und herausgegeben von K. Ziegler †, W. Sontheimer und H. Gärtner, I-V, Stuttgart 1964-1975. 526

NOTA BIBLIOGRAFICA

Lana-Maltese 1998 = AA. VV., Storia della civiltà letteraria greca e latina diretta da I. Lana e E. V. Maltese, I-III, Torino 1998. Lausberg 1960 = H. Lausberg 1960, Handbuch der literarischen Rhetorik III, München 1960. Levene 1999 = D. S. Levene, Tacitus’ Histories and the theory of deliberative oratory, in C. Shuttleworth Kraus (a cura di), The limits of historiography. Genre and narrative in ancient historical texts, LeidenBoston-Köln 1999, 197-216. LHS = M. Leumann-J. B. Hoffmann-A. Szantyr, Lateinische Grammatik, I: Leumann, Lateinische Laut- und Formenlehre, München 1977; II: Hoffmann-Szantyr, Lateinische Syntax und Stilistik (mit dem allgemeinen Teil der lateinischen Grammatik), München 1965. LSJ = H. G. Liddell-R. Scott-H. G. Jones-R. Mc Kenzie et al., A Greek-English Lexicon, Oxford 19409 (= 1985). Magnaldi 2000 = G. Magnaldi, La forza dei segni. Parole-spia nella tradizione manoscritta dei prosatori latini, Amsterdam 2000. Marinone-Malaspina 2004 = N. Marinone, Cronologia Ciceroniana, seconda edizione aggiornata e corretta con nuova versione interattiva in CD-Rom a cura di Er. Malaspina, Roma-Bologna 2004. Marrone 1989 = M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, Palermo 1989. Melillo 1998 = G. Melillo, V. Giuffrè, A. Palma (a cura di), Il processo civile romano, Napoli 1998. Mommsen 1887 = T. Mommsen, Römisches Staatsrecht, Leipzig 18873 [unveränderter Nachdruck Basel / Stuttgart 1963]. MRR = T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, voll. III, New York 1952. MRR Suppl. = T.R.S. Broughton, Supplement to the Magistrates of the Roman Republic, New York 1960. Munk Olsen 1985 = B. Munk Olsen, L’étude des auteurs classiques latins aux Xie et XIIe siècles, Paris 1985. NP = AA. VV., Der neue Pauly. Enziklopädie der Antike hrsg. von H. Cancik und H. Schneider, Stuttgart-Weimar, 1996 – … OLD = P. G. W. Glare, The Oxford Latin Dictionary, Oxford 1968-1982. Palazzolo 1991 = N. Palazzolo, Processo civile e politica giudiziaria nel principato, Torino 1991. Paratore 1962 = E. Paratore, Tacito, Roma 19622. Pernot 1993 = L. Pernot, La rhétorique de l’éloge dans le mond gréco-latin, Paris 1993. Pernot 2006 = L. Pernot, La Retorica dei Greci e dei Romani, tr. it., Palermo 2006. 527

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

PHI = The Packard Humanities Institute, CD ROM # 5.3, Los Altos CA 1991. PIR = Prosopographia imperii Romani sec I-II-III edita consilio et auctoritate Academiae Borussicae. Pars III P-Z edd. P. von Rohden et H. Dessau, Berlin 1898 (rep. Aus. Berlin 1978). PIR2 = Prosopographia imperii Romani sec I-II-III. Editio altera. Pars I A-B iteratis curis edd. E. Groag et A. Stein, Berlin 1933. Pars II C iteratis curis edd. E. Groag et A. Stein, Berlin 1936. Pars III D-F iteratis curis edd. E. Groag, J. U. Instinsky, H. Nesselhauf et A. Stein, Berlin 1943. Pars IV fasc. 1 G schedis E. Groag† usus iteratis curis ed. A Stein†, Berlin 1952; fasc. 2 H-I schedis E. Groag† usi et. A Stein† iteratis curis cur. K. Schubring et L. Petersen, Berlin 1958. Pars V L-O consilio et auctoritate Academiae Scientiae Reipublicae Democraticae Germaniae iteratis curis ed. L. Petersen, Berlin 1970-1987. Pugliese 1982 = G. Pugliese, Linee generali dell’ evoluzione del diritto penale pubblico durante il principato ANRW 2, 14, 1982, 722-789. Raepsaet Charlier 1987 = M. T. Raepsaet Charlier, Prosopographie des femmes de l’ordre sénatoriale (I-II s.), Lovanio 1987. RE = Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft hrsg. von A. Pauly – W. S. Teuffel – G. Wissowa –W. Kroll –K. Witte – K. Mittelhaus – K. Ziegler, I-XXIV + IA-XA + XV Supplemente, Stuttgart (poi München) 1893-1978. Santalucia 19982 = B. Santalucia, Diritto e processo penale nell’antica Roma, Milano 19982. Schanz-Hosius = M. Schanz – C. Hosius – G. Krüger, Geschichte der Römischen Literatur in Handbuch der Altertumswissenschaft hrsg. von I. von Müller, VIII Band, München I4 1927, II4 1935, III3 1922, IV/I2 1914, IV/2 1920. SLRA = AA. VV., Lo spazio letterario di Roma antica, 5 voll., Roma 19891991. Solin-Salomies 1988 = H. Solin – O. Salomies (a cura di), Repertorium nominum gentilium et cognominum latinorum, Zürich-New York 1988. Steinby 2000 = E.M. Steinby (a cura di), Lexicon Topographicum Urbis Romae, Roma 1993-2000. Suerbaum 1990 = W. Suerbaum, Zweiundvierzig Jahre Tacitus-Forschung. Systemathische Gesamtbibliographie zu Tacitus’Annales 1939-1980, ANRW 2, 33, 2 (1990), 1032-1476. Szramkiewicz 1976 = R. Szramkiewicz, Les gouverneurs de province à l’époque Augustéenne, Paris 1976, due voll. 528

NOTA BIBLIOGRAFICA

ThlL = Thesaurus Linguae Latinae editus auctoritate et consilio Academiarum quinque Germanicarum Berolinensis, Gottingensis, Lipsiensis, Monacensis, Vindobonensis, voll. I-…, Leipzig 1900… TLG = Thesaurus Linguae Gracae, CD ROM, Irvine CA 1993. Volkmann 1935 = H. Volkmann, Zur Rechtsprechung im Prinzipat des Augustus, München 1935. Wooten 2001 = C. W. Wooten (a cura di), The orator in action and theory in Greece and Rome, Leiden-Boston-Köln 2001.

529

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II. Edizioni, traduzioni e commenti dei testi citati e consultati Ps. Acron Hauthal 1864-1866 = Acronis et Porphyrionis Commentarii in Q. Horatium Flaccum, ed. F. Hauthal, Berolini 1864-1866 (= Amsterdam 1966). Anthologia Graeca Beckby 1957-1958 = Anthologia Graeca, ed. H. Beckby, II verbesserte Auflage, Berlin 1957-58. Anthologia Latina Riese 1894 = Anthologia Latina sive Poesis Latinae Supplementum edd. F. Buecheler et A. Riese. Pars prior. Carmina in codicibus scripta rec. A. Riese, fasc. 1, Libri Salmasiani aliorumque carmina, editio altera, Lipsiae 1894. Riese 1906 = Anthologia Latina sive Poesis Latinae Supplementum edd. F. Buecheler et A. Riese. Pars prior. Carmina in codicibus scripta rec. A. Riese, fasc. 2, Reliquorum librorum carmina, editio altera denuo recognita, Lipsiae 1906. Shackleton Bailey 1982 = Anthologia Latina. I Carmina in codicibus scripta rec. D. R. Shackleton Bailey, fasc. 1, Libri Salmasiani aliorumque carmina, Stutgardiae 1982. Appianus Viereck 1939 = Appiani Historia Romana edd. P.Viereck et A. G. Roos, Lipsiae 1939. Editio stereotypa correctior. Addenda et corrigenda adiecit E. Gabba, duo voll., Lipsiae 1962. Vol. III Index nominum ed. J. E. Van Niejenhuis, Stutgardiae et Lipsiae 1992. Asconius Pedianus Giarratano 1920 = Q. Asconii Pediani Commentarii. Recensuit C. Giarratano, Romae 1920. Ateius Capito Strzelecki 1967 = C. Atei Capitonis Fragmenta edidit W. Strzelecki, Lipsiae 1967. Augustus Caesar Malcovati 19695= Imperatoris Caesaris Augusti Operum Fragmenta ed. H. Malcovati, Augustae Taurinorum 19695. 530

NOTA BIBLIOGRAFICA

De Biasi-Ferrero 2003 = Gli atti compiuti e i frammenti delle opere di Cesare Augusto Imperatore, a cura di L. De Biasi e A. M. Ferrero, Torino 2003. Ps. Aurelius Victor Gruendel 1961 = S. Aurelii Victoris Liber de Caesaribus. Preacedunt Origo gentis Romanae et Liber de viris illustribus urbis Romae, subsequitur Epitome de Caesaribus, rec. F. Pichlmayr, ed. ster. correctior ed. primae; addenda et corrigenda coll. et adiecit R. Gruendel, Lipsiae 1961. Festy 1999 = Pseudo-Aurélius Victor, Abrégé des Césars. Texte établi, traduit et commenté par M. Festy, Paris 1999. C. Iulius Caesar Klotz-Trillitzsch 19692 = C. Iulii Caesaris Commentarii belli civilis edidit Alfredus Klotz. Addenda et corrigenda collegit et adiecit W. Trillitzsch, Lipsiae 19692. [Caesar] Bouvet 1949 = César, Guerre d’Afrique, texte etabli et traduit par A. Bouvet, Paris 1949. Calpurnius Flaccus Håkanson 1978 = Calpurnii Flacci Declamationum Excerpta ed. L. Håkanson, Stutgardiae 1978. Cassius Dio Boissevain 1895-1931 = Cassii Dionis Cocceiani Historiarum Romanarum quae supersunt ed. U. Ph. Boissevain, 3 voll.; IV cum indice, edd. H. Smilda, U. Ph. Boissevain; V cum indice Graecitatis cur. W. Nawijn Berolini 1895-1931 (rep. Aus. 1955). Cary 1954-55 = Dio’s Roman history with an English translation by E. Cary, 9 voll., London-Cambridge 1954-55. Auberger 1995 = Dion Cassius, Histoire romaine livres 57-59 traduit et annoté par J. Auberger, Paris 1995. Galimberti et alii 1999 = Cassio Dione, Storia romana, introduzione di M. Sordi, traduzione di A. Stroppa, note di A. Galimberti, volume VI (libri LVII-LXIII), Milano 1999.

531

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M. Porcius Cato Sblendorio Cugusi 1982 = M. Porci Catonis Orationum reliquiae. Introduzione, testo critico e commento filologico a cura di M. T. Sblendorio Cugusi, Torino 1982. C. Valerius Catullus Mynors 1958 = C. Valerii Catulli Carmina recognovit brevique adnotatione critica instruxit R. A. B. Mynors, Oxonii 1958. F. Sosipater Charisius Barwick 19642 = Charisii Artis Grammaticae libri V ex rec. K. Barwick, Lipsiae 19642. M. Tullius Cicero Clark 1905 = Marci Tulli Ciceronis, 1: Pro Sex. Roscio, De imperio Cn. Pompei, Pro Cluentio, In Catilinam, Pro Murena, Pro Caelio recognovit brevique adnotatione critica instruxit A. C. Clark, Oxonii 1905 (rist. 1978). Simbeck 1917 = M. Tulli Ciceronis Scripta quae manserunt omnia. Cato Maior – Laelius. Rec. K. Simbeck, Lipsiae 1917 (= Stutgardiae 1966). Klotz 1923 = M. Tullii Ciceronis Diuinatio in Q. Caecilium. In Verrem actio I et II. Rec. A. Klotz, Lipsiae 1923. Actionis II libros IV-V iteratis curis rec. A. Klotz, Lipsiae 1949. Bornecque-Bailly 1926 = Cicéron, Discours tome X: Catilinaires, texte établi et traduit par H. Bornecque et E. Bailly, Paris 1926 (rist. 1961). Plasberg-Ax 19332 = M. Tulli Ciceronis De natura deorum edd. O. Pla2 sberg-W. Ax, Lipsiae 1933 . Plasberg-Ax 1938 = M. Tulli Ciceronis De divinatione, De fato, Timaeus Ottonis Plasberg schedis usus recognovit W. Ax, Lipsiae 1938 (ed ster. 1965). Boulanger 1949 = Cicéron, Discours tome XVII: Pour C. Rabirius Postumus – Pour T. Annius Milon, texte établi et traduit par A. Boulanger, Paris 1949 (rist. 1961). Watt 1955 = M. Tulli Ciceronis Epistulae vol. II pars prior (Epistulae ad Atticum I-VIII), rec. brevique adnotatione critica instr. W. S. Watt, Oxonii 1955. Wilkins 19552 = M. Tulli Ciceronis Rhetorica rec. brevique adnotatione critica instr. A. S. Wilkins, due voll., Oxonii 19552. 532

NOTA BIBLIOGRAFICA

Watt 1958 = M. Tulli Ciceronis Epistulae vol. III (Epistulae ad Quintum fratrem, Epistulae ad M. Brutum, fragmenta epistularum) […], rec. brevique adnotatione critica instr. W. S. Watt, Oxonii 1958 (rist. 1986). De Plinval 1959 = Cicéron, Traité des lois, texte ét. et trad. par G. De Plinval, Paris 1959. Humbert 1960 = Cicéron, Discours tome I : Pour P. Quinctius – Pour Sex. Roscius d’Amérie – Pour Q. Roscius le Comédien, texte établi et traduit par H. De la Ville de Mirmont, III edition revue et corrigée par J. Humbert, Paris 1960. Nisbet 1961 = M. Tulli Ciceronis In L. Calpurnium Pisonem oratio, edited with text, introduction and commentary by R. G. M. Nisbet, Oxonii 1961. Shackleton Bailey 1961 = M. Tulli Ciceronis Epistulae vol. II pars posterior (Epistulae ad Atticum IX-XVI), rec. brevique adnotatione critica instr. D. R. Shacleton Bailey, Oxonii 1961. Wuilleumier 19642 = Cicéron, Discours tome XX: Philippiques V-XIV, texte établi et traduit par P. Wuilleumier, Paris 19642. Ziegler 19646 = M. Tulli Ciceronis De re publica librorum sex quae manserunt rec. K. Ziegler, Lipsiae 19646. Cousin 1965 = Cicéron, Discours tome XIV: Pour P. Sestius – Contre Vatinius, texte établi et traduit par J. Cousin, Paris 1965. Fedeli 1965 = M. Tulli Ciceronis De officiis libri tres. P. Fedeli recognovit, Mediolani 1965. Malcovati 1965 = M. Tulli Ciceronis Brutus. Rec. H. Malcovati, Lipsiae 1965. Kumaniecki 1969 = M. Tulli Ciceronis Scripta quae manserunt omnia, (De oratore) ed. K. Kumaniecki, Lipsiae 1969. Molager 1971 = Cicéron, Les paradoxes des Stoïciens. Texte établi et traduit par J. Molager, Paris 1971. Peterson 1973 = M. Tulli Ciceronis Cum senatui gratias egit, Cum populo gratias egit, De domo sua, De haruspicum responso, Pro Sestio, In Vatinium, De provinciis consularibus, Pro Balbo recognovit brevique adnotatione critica instruxit G. (W.) Peterson, Oxonii 1911 (1973 rist. seconda ed. corretta). Shackleton Bailey 1977 = M. Tulli Ciceronis Epistulae ad familiares edited by D. R. Shackleton Bailey, Cambridge 1977. Maslowski 1981 = M. Tulli Ciceronis Cum senatui gratias egit, Cum populo gratias egit, De domo sua, De haruspicum responsis, ed. T. Maslowski, Lipsiae 1981. 533

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Crawford 1984 = J. M. Crawford, M. Tullius Cicero. The lost and unpublished orations, Göttingen 1984 Garbarino 1984 = M. Tulli Ciceronis Fragmenta ex libris philosophicis, ex aliis libris deperditis, ex scriptis incertis, Ioanna Garbarino recognovit, Mediolani 1984. Giusta 1984 = M. Tulli Ciceroni Tusculanae disputationes ed. M. Giusta, Augustae Taurinorum 1984. Lacey 1986 = Cicero, Second Philippic oration. Edited with translation and notes by W. K. Lacey, Warminster 1986 . Achard 1994 = Cicéron, De l’invention, texte etabli et traduit par G. Achard, Paris 1994. Crawford 1994 = J. M. Crawford, M. Tullius Cicero, The fragmentary speeches. An edition with commentary, Atlanta 19942. Corpus Iuris Ciuilis Krüger et alii 1895 –1915 = I – Institutiones, rec. P. Krüger – Digesta rec. T. Mommsen et retr. P. Krüger, Berolini 190811 (= 196317); II – Codex Iustinianus, rec. et retr. P. Krüger, Berolini 19159 (= 196313); III – Novellae, rec. R. Schoell, opus Schoellii morte interceptum absolvit G. Kroll, Berolini 1895 (= 19638). Q. Curtius Rufus Bardon 1961-19652 = Quinte – Curce, Histoire, 2 voll. Texte établi et traduit par H. Bardon, Paris 1961-19652. Atkinson-Gargiulo 2000 = Q. Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno, a cura di J. E. Atkinson, traduzione di T. Gargiulo, due voll., Milano 2000. Damascius Zintzen 1967 = Damascii Vitae Isidori reliquiae, edidit adnotationibusque instruxit Clemens Zintzen, Hildesheim 1967. Eusebius Caesariensis Dindorf 1890 = Eusebius Caesariensis Historiae ecclesiasticae libri 1.-10, Lipsiae 1890. L. Annaeus Florus Rossbach 1896 = L. Annaei Flori Epitomae libri duo et P. Annii Flori, Fragmentum de Vergilio oratore an poeta, ed. O. Rossbach, Lipsiae 1896. 534

NOTA BIBLIOGRAFICA

Fre(n)culphus Lexouensis PL 1851 = Gregori IV […] Ionae, Freculphi, Frotharii Aurelianensis, Lexouensis et Tullensis episcoporum Opera omnia iuxta Mansi amplissimam collectionem et editiones summi Muratori, Ughelli, Pezii, Mabillonii, Pertzii […] PL series latina 106, Lutetiae 1851. Allen 2002 = Michael I. Allen (ed.), Frenchulfi Lexoviensis Episcopi Opera Omnia, Turnhout 2002. S. Iulius Frontinus Kunderewicz 1973 = Sexti Iulii Frontini De aquae ductu urbis Romae. Ed.C. Kunderewicz, Lipsiae 1973. M. Cornelius Fronto Van den Hout 1988 = M. Cornelii Frontonis Epistulae schedis tam editis quam ineditis Edmundi Hauleri usus iterum edidit M. P. J. Van den Hout, Lipsiae 1988. Gaius Seckel-Kübler 19357 = Gai institutionum commentarii quattuor separatim ex iurisprudentiae anteiustinianae reliquiarum a Ph. Eduardo Huschke compositarum editione sexta ediderunt E. Seckel et B. Kübler, Lipsiae 19357. A. Gellius Marshall P. K. 1990 = A. Gellii Noctes Atticae. Rec. brevique adn. critica instr. P. K. Marshall, I-II, Oxonii 1990. Grammatici Latini Mazzarino 1955 = Grammaticae Romanae Fragmenta Aetatis Caesareae, vol. I ed. A. Mazzarino, Augustae Taurinorum 1955. Hieronymus Sanctus PL 1845= Sancti Hieronymi Stridonensis presbyteri Opera omnia […] studio et labore Vallarsii et Maffaei […] edita, Patrologiae cursus completus series latina 34, 355-396, Lutetiae 1845. Schoene 1866 = Eusebi Chronicorum Canonum quae supersunt ed. A. Schoene, ed. secunda lucis ope expressa, Turici 1866 [= 1967]. Helm 19562 = Eusebius Werke. Die Chronik des Hieronymus. Hieronymi Chronicon hrsg. […] von R. Helm, GCS 47, I-II, Leipzig 1913-1926, II ed. 1956. 535

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Adriaen 1963 = Hieronymus, Commentariorum in Esaiam libri cura et studio Marci Adriaen, Turnholti 1963. Adriaen 1969-1970 = Hieronymus, Commentarii in Prophetas minores, post Dominicum Vallarsi textum edendum curavit M. Adriaen, Turnholti 1969-1970. Hilberg 1996 = Hieronymus, Epistulae, ed. I. Hilberg, editio altera supplementis aucta, Vindobonae 1996 (rep. Aus.). Homerus Monro-Allen 19203 = Homeri Opera rec. Brevique adnotatione critica instr. D. B. Monro et T. W. Allen, tomus I, Iliadis libros I-XII, Oxonii 19203. Q. Horatius Flaccus Borzsák 1984 = Q. Horati Flacci Opera ed. S. Borzsák, Leipzig 1984. Fedeli 1994-1997 = Q. Orazio Flacco, Le opere. Testo critico e commento di P. Fedeli, traduzione di C. Carena, Roma 1994-1997. Flavius Iosephus Niese 1888-1895 = Flavii Iosephi Opera edidit et apparatu critico instruxit B. Niese, Berolini 1888-1895 (rist. 1955). D. I. Iuuenalis Campana 2004 = D. Iunii Iuvenalis Satura X, a cura di P. Campana, Firenze 2004. T. Liuius Walters – Conway 1919 = Titi Liui Ab urbe condita libri. Rec. et adnotatione critica instr. C. F. Walters et R. S. Conway. Tomus II, libri VI-X, Oxonii 1919 (più volte ristampato). Walters – Conway 1929 = Titi Liui Ab urbe condita libri. Rec. et adnotatione critica instr. C. F. Walters et R. S. Conway. Tomus III, libri XXIXXV, Oxonii 1929 (più volte ristampato). Rossbach 1959 = Titi Liui Ab urbe condita libri. Pars IV. Libri XLI-XLV. Edd. W. Weissenborn – M. Mueller. Periochae omnium librorum. Fragmenta Oxyrynchi reperta. Iulii Obsequentis Prodigiorum libri. Ed. O. Rossbach, Stutgardiae 1959 (= Stutgardiae 1966). Ogilvie 1974 = Titi Liui Ab urbe condita libri. Rec. et adnotatione critica instr. R. M. Ogilvie. Tomus I, libri I-V, Oxonii 1974. 536

NOTA BIBLIOGRAFICA

Dorey 1976 = Titi Liui Ab urbe condita libri. XXIII-XXV. Rec. T. A. Dorey, Lipsiae 1976. Walsh 1982 = Titi Liui Ab urbe condita libri. XXVI-XXVII. Rec. P. G. Walsh, Lipsiae 1982. Walsh 1986 =Titi Liui Ab urbe condita libri. XXVII-XXX. Rec. P. G. Walsh, Lipsiae 1986. Briscoe 1991 = Titi Liui Ab urbe condita libri. XXXI-XL. Tomi I-II. Rec. J. Briscoe, Stutgardiae 1991. Ps. Longinus Mazzucchi 1992 = Dionisio Longino, Del sublime, introduzione, testo critico, traduzione e commentario a cura di Carlo Maria Mazzucchi, Milano 1992. Lucianus Samosatensis Macleod 1972 = Luciani Opera rec. brevique adnotatione critica instr. M. D. Macleod, Oxonii 1972. Ambrosius Theodosius Macrobius Willis 19702 = Ambrosii Theodosii Macrobii Saturnalia, apparatu critico instr. J. Willis, editio correctior Leipzig 19702. Marinone 1997 = I Saturnali di Macrobio Teodosio, a cura di N. Marinone, Torino 19973. M. Valerius Martialis Borovskij 19762 = M. Valerii Martialis Epigrammata rec. W. Heraeus, editionem correctiorem cur. I. Borovskij, Lipsiae 19762. Canali-Galasso 1994 = L. Anneo Seneca, Epigrammi. Introduzione e traduzione di Luca Canali, note di Luigi Galasso, Milano 1994. Galán Vioque 2002 = G. Galán Vioque 1997, Martial Book VII. A commentary, translated by J. J. Zoltowski, Leiden 2002. Schöffel 2002 = Ch. Schöffel, Martial, Buch 8. Einleitung, Text, Übersetzung, Kommentar, Stuttgart 2002. Oratores Romani M 1832 = Oratorum Romanorum Fragmenta ab Appio inde Caeco et M. Porcio Catone usque ad Q. Aurelium Symmachum collegit atque illustravit H. Meyerus, Turici 1832. D 1837 = Oratorum Romanorum Fragmenta ab Appio inde Caeco et M. 537

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Porcio Catone usque ad Q. Aurelium Symmachum collegit atque illustravit H. Meyerus. Editio Parisina auctior et emendatior curis F. Dübneri, Parisiis 1837. M 1842 = Oratorum Romanorum Fragmenta ab Appio inde Caeco et M. Porcio Catone usque ad Q. Aurelium Symmachum collegit atque illustravit H. Meyerus. Editio auctior et emendatior, Turici 1842. ORF4 = Oratorum Romanorum Fragmenta liberae rei publicae quartum edidit H. Malcovati, Augustae Taurinorum, I: Textus 1976; II: Index Verborum e scidulis ab †Helmut Gugel collectis compositus ab H. Vretska, adiuvante C. Vretska, 1979. Balbo 2004 = A. Balbo, I frammenti degli oratori romani dell’età imperiale. Parte prima. Età augustea, Alessandria 2004. Balbo 20072 = A. Balbo, I frammenti degli oratori romani dell’età imperiale. Parte prima. Età augustea, seconda edizione riveduta e corretta, Alessandria 20072. Orosius Arnaud-Lindet 1990-1991 = Orose, Histoires (Contre les Paiens), texte établi et traduit par Marie-Pierre Arnaud-Lindet, Paris 1990-1991. P. Ouidius Naso Owen 1915 = P. Ovidi Nasonis Tristium libri quinque, Ibis, Ex Ponto libri quattuor, Halieutica, Fragmenta recognovit brevique adnotatione critica instruxit S. G. Owen, Oxonii 1915 (rist. 1969). Korn 19665 = P. Ovidius Naso, Metamorphosen, unveränderte Neuausgabe der Auflage von R. Ehwald, korrigiert und bibliographisch ergänzt von Michael von Albrecht, 2: Buch 8-15 erklärt von Moritz Haupt und Otto Korn, Dublin-Zürich 19665. Helzle 1989 = M. Helzle, Publii Ovidii Nasonis Epistularum ex Ponto liber IV. A commentary on Poems 1 to 7 and 16, Hildesheim-Zürich-New York 1989, 38-40 Richmond 1990 = P. Ovidi Nasonis Ex Ponto libri quattuor. Rec. J. A. Richmond, Stutgardiae 1990. Schilling 1992-1993 = Ovide, Les Fastes, texte établi et traduit par R. Schilling, Paris 1992-1993. Galasso 1995 = Publii Ovidii Nasonis Epistularum ex Ponto liber II, introduzione, testo e commento a cura di Luigi Galasso, Firenze, 1995. Kenney 1995 = P. Ovidi Nasonis Amores, Medicamina faciei femineae, Ars amatoria, Remedia amoris iteratis curis edidit E. J. Kenney, New York 1995. 538

NOTA BIBLIOGRAFICA

[Ouidius] Schoonhoven 1992 = The pseudo-Ovidian Ad Liviam de morte Drusi (Consolatio ad Liviam, Epicedium Drusi). A critical text with introduction and commentary edited by Henk Schoonhoven, Groningen 1992. Petronius Müller 1994 = Petronii Satyricon reliquiae. Quartum ed. K. Müller, Stutgardiae 1994. T. Maccius Plautus Lindsay 1904 = T. Macci Plauti Comoediae. Rec. brevique adn. instr. W. M. Lindsay, Oxonii 1904 (più volte ristampata). C. Plinius Secundus (Maior) Ernout 1947 = Pline l’Ancien, Histoire naturelle livre 11, texte établi et traduit par A. Ernout et R. Pépin, Paris 1947. Beaujeu 1950 = Pline l’Ancien, Histoire naturelle livre 1, texte établi et traduit par J. Beaujeu. Intr. de A. Ernout, Paris 1950. Beaujeu 1950 a = Pline l’Ancien, Histoire naturelle livre 2, texte établi et traduit par J. Beaujeu. Paris 1950. Saint Denis 1961 = Pline l’Ancien, Histoire naturelle livre 10, texte établi et traduit par E. de Saint Denis Paris 1961. André 1962 = Pline l’Ancien, Histoire naturelle livre 16, texte établi et traduit par J. André, Paris 1962. Schilling 1977 = Pline l’Ancien, Histoire naturelle livre 7, texte établi et traduit par R. Schilling, Paris 1977. Le Bonniec 1983 = Pline l’Ancien, Histoire naturelle livre 34, texte établi et traduit par H. Le Bonniec, commenté par H. Gallet de Santerre – H. Le Bonniec, Paris 1983. C. Plinius Caecilis Secundus (Minor) Hanslik 1958 = C. Plini Caecilii Secundi Epistularum libri novem. Epistularum ad Traianum liber. Panegyricus. Rec. M. Schuster, ed. tertiam cur. R. Hanslik. Adiectae sunt duae tabulae, Lipsiae 1958 ( = Stutgardiae – Lipsiae 1992). Polybius Buttner-Wobst 1889-1905 = Polybii Historiae. Editionem a Ludovico Dindorfio curatam retractavit et instrumentum criticum addidit Theo539

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NOTA BIBLIOGRAFICA

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541

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NOTA BIBLIOGRAFICA

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

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NOTA BIBLIOGRAFICA

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

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NOTA BIBLIOGRAFICA

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I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Shotter 1978 = D.C.A. Shotter, Principatus ac libertas, AncSoc 9, 1978, 235-255. Shotter 1980 = D.C.A. Shotter, A group of maiestas cases in A.D. 21, «Hermes» 108, 1980, 230-233. Shotter 1989 = cf. Edizioni – Tacitus. Shotter 1991 = D.C.A. Shotter, A crucial witness: a note on Tacitus Annales 4, 42, LCM 16, 1991, 21. Shotter 1994 = D.C.A. Shotter, Tiberio Cesare [tit. or. Tiberius Caesar, London 1992], tr. it., Genova 1994. Simbeck 1917 = cf. Edizioni – Cicero. Simón 1996 = F. M. Simón, Flamen dialis: el sacerdote de Jupiter en la religion romana Madrid 1996. Sordi 1981 = M. Sordi, La donna etrusca in AA. VV., Misoginia e maschilismo in Grecia e a Roma, Genova 1981, 49-67. Sordi 1984 = M. Sordi, I cristiani e l’impero romano, Milano 1984. Sordi 1996 = M. Sordi Processi e politica nel mondo antico, Milano 1996. Sordi 1999 = M. Sordi, Fazioni e congiure nel mondo antico, Milano 1999. Spalding 1798-1834 = cf. Edizioni – Quintilianus. Stekelenburg 1971 = A. V. Van Stekelenburg, De Redevoeringen bij Cassius Dio, Delft 1971. Strocchio 2001 = R. Strocchio, Simulatio e dissimulatio nelle opere di Tacito, Bologna 2001. Strzelecki 1967 = cf. Edizioni –Ateius Capito. Sumner 1967 = G. V. Sumner, Germanicus and Drusus Caesar «Latomus» 26, 1967, 413-435. Syme 1948 = R. Syme, recensione a P. Cornelius Tacitus, Annalium ab excessu divi Augusti quae supersunt edd. H.Fuchs, vol. I libros I-VI continens, Frauenfeld 1946, JRS 38, 1948, 122-131. Syme 1956 = R. Syme, Seianus on the Aventine, «Hermes» 84, 1956, 257266. Syme 1970 = R. Syme, Ten Studies in Tacitus, Oxford 1970. Qui sono i citati i saggi: Marcus Lepidus capax imperii, JRS 45, 1955, 22-33 (= 30-49); Some Pisones in Tacitus, JRS 46, 1956, 17-21 (= 50-57); Obituaries in Tacitus, AJPh 79, 1958, 18-31 (= 79-90). Syme 1971 = R. Syme, Tacito, tr. it. Brescia 1967-1971 (Oxford 1958, 19632). Syme 1974 = R. Syme, La rivoluzione romana [tit. or. The Roman Revolution, Oxford 1939], tr. it. Torino 1962 (= 1974). Syme 1978 = R. Syme, History in Ovid, Oxford 1978. 559

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Syme 2001 = L’aristocrazia augustea. La classe dirigente del primo principato romano, tr. it. (tit. or. The Augustan Aristocracy, Cambridge 1986), Milano 2001. Talbert 1984 = R. J. A. Talbert, The Senate of imperial Rome, Princeton 1984. Talbert 1999 = R. J. A. Talbert, Tacitus and the Senatus consultum de Cn. Pisone patre, AJPh 120, 1999, 89-97. Thilo – Hagen 1881-1887 = cf. Edizioni – Seruius. Townend 1962 = G. B. Townend, The trial of Aemilia Lepida in A. D. 20, «Latomus» 21, 1962, 484-493. Van den Hout 1988 = cf. Edizioni – Fronto. Vanggaard 1988 = J. H. Vanggaard, The flamen. A study in the history and sociology of Roman religion, Copenhagen 1988. Viereck 1939 = cf. Edizioni – Appianus. Vottero 1989 = cf. Edizioni – Seneca philosophus. Walker 1952 = B. Walker, The Annals of Tacitus. A study in the writing of history, Manchester 1952. Wallace Hadrill 1981 = A. Wallace Hadrill, The emperor and his virtues. «Historia» 30, 1981, 298-319. Walsh 1982 e 1986 = cf. Edizioni – Liuius. Walters – Conway 1919 e 1929 = cf. Edizioni – Liuius. Waltzing 19713 = cf. Edizioni – Tertullianus. Watt 1955 e 1958 = cf. Edizioni – Cicero. Weingärtner 1969 = D. G. Weingärtner, Die Ägyptenreise des Germanicus, Bonn 1969. Wellesley 1986 = cf. Edizioni – Tacitus. Wellesley 1989 = cf. Edizioni – Tacitus. Wilkins 19552 = cf. Edizioni – Cicero Willis 19702 = cf. Edizioni – Macrobius. Winterbottom 1954 = M. Winterbottom, Quintilian and the vir bonus, JRS 29, 1954, 90-97. Winterbottom 1970 = cf. Edizioni – Quintilianus. Winterbottom 1974 = cf. Edizioni – Seneca Maior. Winterbottom–Ogilvie 1975 = cf. Edizioni – Tacitus. Winterbottom 1982 = M. Winterbottom, Cicero and the Silver Age, in AA.VV., Éloquence et rhétorique chez Cicéron, Entretiens de la Fondation Hardt pour l’étude de l’antiquité classique 28, 1982, 237-274. Woodman 1983 = cf. Edizioni – Velleius Paterculus. 560

NOTA BIBLIOGRAFICA

Woodman – Martin 1996 = cf. Edizioni – Tacitus. Wuilleumier 19642 = cf. Edizioni – Cicero. Yavetz 1999 = Z. Yavetz, Tiberio dalla finzione alla pazzia, Bari 1999. Zäch 1972 = C. Zäch, Die Majestätsprozesse unter Tiberius in der Darstellung des Tacitus, Winterthur 1972. Zecchini 1999 = Regime e opposizioni nel 20 d.C.: dal S.C. «de Cn. Pisone patre» a Tacito, in Sordi 1999, 309-335. Ziegler 19646 = cf. Edizioni – Cicero. Zintzen 1967 = cf. Edizioni – Damascius. Zuccarelli 1967 = U. Zuccarelli, Psicologia e semantica di Tacito, Brescia 1967.

561

Indice dei passi citati

Ps. Acron AL AG App. Apul. Asc. Ps. Aur. Vict. Caes. [Caes.] Calp. Cat. Cato Char. Cic.

ad Hor. Sat. 2, 3, 281 p. 148 Riese 1906, 174-175 p. 375 Shackleton Bailey 1982, 401 (= T 77) pp. 396-399 7, 542 p. 375 9, 387 p. 375 B.C. 1, 74 p. 263 B.C. 4, 127 p. 3 Met. 9, 12 p. 441 Mil. 31 p. 371 Epit. 2, 4 (= T 20) pp. 50-51 Epit. 2, 6-7 (= F 23) pp. 60-61; 114-117 Ciu. 1, 35, 2 p. 123 Bellum Africum 78, 7 p. 442 Decl. 16, 6 p. 441 22, 2 p. 430 orig. fr. 63 p. 349 Barwick 19642, 184, 25-27 (= F 157) pp. 428-429; 444 pp. 50-51 Barwick 19642, 271 (= T 19) Br. 105 p. 15 Br. 127 p. 358 Br. 129 p. 155 Br. 132 p. 243 Br. 159 p. 15 Br. 221 p. 15 Cael. 35 p. 306 Cael. 50 p. 306 Cael. 52 p. 306 Cael. 53 p. 306 Cael. 58 p. 306 Cael. 61 p. 306 Cael. 62 p. 306 Cat. 1, 1, 1 pp. 18; 19; 20 565

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Cat. 1, 22, 1 Cat. 2, 14 Clu. 2, 93 e 95 Diu. 2, 5 Dom. 87 Epist. Br. 1, 15, 1 fam. 7, 1 fam. 9, 18, 3 fam. 12, 3, 1 De Imp. Cn. Pompei 27-49 Inu. 1, 5, 7 Inu. 1, 48 Lael. 18, 9 Leg. 2, 58 Leg. 2, 58, 6 Leg. 3, 24, 1 Mil. 8 Mil. 87 N. D. 2, 44 N. D. 2, 165 Off. 1, 40 Off. 1, 127 Off. 3, 86 – 87 Off. 3, 95, 8 Or. fr. A. 9, 3 (= Asc., Tog. 75) de orat. 1, 17 de orat. 1, 40 de orat. 1, 218 de orat. 2, 129 de orat. 2, 190 de orat. 2, 228 de orat. 2, 247 de orat. 2, 255 de orat. 2, 290 de orat. 3, 4 de orat. 3, 6 de orat. 3, 28 de orat. 3, 56 de orat. 3, 74 Orat. 6 Orat. 130 566

p. 163 p. 279 p. 142 p. 155 p. 283 p. 104 p. 432 p. 3 p. 463 p. 196 p. 13 p. 349 p. 202 p. 202 p. 438 p. 123 p. 142 p. 246 p. 122 p. 202 p. 202 p. 122 p. 202 p. 122 p. 246 p. 430 p. 443 p. 449 p. 430 p. 434 p. 430 p. 460 p. 196 p. 202 p. 445 p. 446 p. 15 p. 202 p. 15 p. 130 p. 358

INDICE DEI PASSI CITATI

Curt. Dam. D.C.

Par. 6, 48 Phil. 2, 51 Phil. 12, 2 Pis. 50, 10 Red. Sen. 27 Rep. 3, 40 Sen. 10 Sen. 15, 13 Sen. 43, 3 e 12 Sest. 129 Tusc. 1, 103 Vat. 41 Verr. 2, 1, 84 Verr. 2, 4, 85 7, 1, 26-30 10, 2, 30 Vita Isidori 64 49, 42, 2 52, 20, 1-2 53, 14, 7 54, 3, 3-5 54, 3, 7 54, 16 54, 24, 2-3 54, 28 54, 34, 6 54, 36, 1 index libri 55 55, 2, 1-2 (= F 16) 55, 2, 3 55, 5, 3 55, 29, 3 55, 30, 2 55, 31, 1 56, 10, 3 56, 12, 2 56, 13, 2 (= App. 2) 56, 17, 2 56, 24, 7 (= F 136) 56, 26, 1-2 (= T 74) 56, 28, 1 567

p. 202 p. 123 p. 246 p. 263 p. 283 p. 202 p. 155 p. 202 p. 202 p. 283 p. 438 p. 478 p. 173 p. 173 pp. 474-476 p. 364 p. 44 p. 232 p. 347 p. 293 pp. 109-110 p. 111 p. 344 p. 232 p. 519 p. 23 pp. 259; 263 p. 235 pp. 54-55; 111-112 p. 374 p. 177 p. 31 p. 207 p. 384 p. 508 p. 165 pp. 164-165 p. 384 pp. 380-381; 384-385 pp. 56-57 p. 447

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

56, 31, 3 56, 34, 4- 42, 1 (= F 19) 56, 35, 1 (= F 160) 56, 35-41 57, 2, 4-5 (= F 22) 57, 2, 5-7 (= FF 72, 74) 57, 2, 6-7 (= F 25) 57, 5, 2 (= App. 6) 57, 6, 4 (= F 29) 57, 8, 1 e 4 57, 11, 6 (= F 69) 57, 14 57, 15, 2 (= F 35) 57, 15, 3 57, 17, 3 (= F 13) 57, 18, 10 57, 18, 11 = Zon. 11, 2 57, 20 57, 21, 3 57, 22, 4 (= F 55 e 58) 57, 23, 4-5 (= F 62) 57, 24, 7 57, 28, 4 (= F 179) 58, 3, 1-6 58, 3, 7 (= T 106) 58, 8, 3-4 58, 14-15 58, 15, 1 58, 18, 3-4 (= F 97) 58, 19, 1-5 (= F 173) 58, 20, 1-3 58, 23, 1 58, 24, 3-5 58, 25 59, 8, 4 59, 8, 5 59, 13 59, 15, 3-5 (= T 65) 59, 19, 1-2 (= F 142) 568

p. 112 pp. 56-57 pp. 448-449 pp. 113-114 pp. 58-59; 114-117 pp. 182-183; 195-197 pp. 60-61; 117-118 pp. 388-389 pp. 64-65; 119-120 p. 123 pp. 104-105; 165 p. 176 pp. 68-69; 104; 125-126 p. 355 pp. 52-53; 106-109 p. 142 p. 134 p. 230 p. 156 pp. 90-93; 152-154; 154-155 pp. 96-97; 156-157 p. 338 pp. 498-499; 500-502 pp. 177; 206 pp. 466-467 pp. 263; 351 p. 462 p. 462 pp. 250-251; 253 pp. 471; 472-475 p. 125 p. 433 p. 311 p. 359 p. 281 p. 281 p. 455 pp. 346-347 pp. 418-419; 444

INDICE DEI PASSI CITATI

59, 19, 2-6 (= F 145) pp. 420-421; 433-434 60, 10, 2-3 (= T 18) pp. 50-51 60, 15, 2-6 p. 436 60, 17, 2 p. 347 60, 20, 1 p. 513 60, 27, 5 p. 436 60, 33, 8-9 (= T 100) pp. 416-417; 430 Dig. 1, 16, 4, 2 p. 234 3, 6, 1, 1 p. 403 16, 1, 2, 1 p. 437 23, 2, 26 p. 344 31, 1 p. 451 34, 9, 13 p. 344 35, 1, 37 p. 27 35, 2, 94 p. 439 36, 1, 59 p. 451 41, 2, 3, 10 p. 441 48, 1, 1 p. 432 48, 2, 12, 3 p. 344 48, 4, 3 p. 432 48, 4, 6 p. 338 48, 4, 11 p. 432 48, 9, 7 p. 501 48, 11, 7, 3 p. 161 48, 18, 5 p. 344 48, 18, 8 p. 271 Eus. Hist. eccl. 2, 2, 1-6 (= App. 4b) pp. 170-171 Euang. Marc. 15, 7-15 p. 387 Matt. 27, 15-26 p. 387 Lc. 23, 23 p. 387 Flor. 2, 9, 16 p. 263 2, 28, 29 p. 505 2, 31, 41 p. 519 Freculphus Lexovensis Chronica 106, 1114 (= T 24) pp. 180-181 Fro. Ver. 2, 1 (= T 17) pp. 48-49; 105 Ver. 2, 9, 1 p. 451 Frontin. de aquaed. 2, 102 pp. 405; 406 Gai. Inst. 1, 42 p. 27 Inst. 1, 46 p. 27 Inst. 1, 139 p. 27 Inst. 2, 228 p. 27 569

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Gell.

Hier.

Hom. Hor.

Ios. Iuv. Liv.

Inst. 2, 239 1, 19, 11 2, 20, 8 4, 1, 2 4, 3, 2 4, 11, 14 10, 5, 14 14, 7, 12 16, 4 16, 12, 1 17, 1, 1 17, 1, 6-7 Chron. A. Abr. 1990 Chron. A. Abr. 2030 Chron. A. Abr. 2040 (= T 7) Chron. A. Abr. 2043 Chron. A. Abr. 2051 (= App. 4c) Chron. A. Abr. 2062 (= T 101) Ep. 52, 7 (= F 157) In Esaiam 8 praef. (= T 38) In Iob 1 Liber contra Iohannem Hierosolymitanum 12 (= T 8) Il. I, 334-335 Carm. 1, 12 Carm. 3, 6, 33-36 Carm. 3, 15, 9 Carm. 4, 5, 21-24 Sat. 1, 2, 94-100 Sat. 1, 4, 26 Ant. 18, 179-182 Ant. 20, 5, 2 BIud 2, 17, 8; 20, 5, 2 10, 83-88 1, 24; 32 1, 47 2, 60, 3 4, 13, 9 4, 48, 16 5, 52, 13 570

p. 27 p. 89 p. 243 p. 121 p. 451 p. 121 p. 264 p. 270 p. 147 p. 435 p. 191 p. 191 p. 106 p. 179 pp. 3; 8-9 p. 294 pp. 170-171 pp. 416-417 pp. 428-429; 444-446 pp. 248-249 p. 128

pp. 8-9; 12-13; 14 p. 432 p. 202 p. 133 p. 402 p. 344 p. 39 p. 362 p. 169 p. 519 p. 519 p. 339 p. 147 p. 214 p. 372 p. 173 p. 492 p. 264

INDICE DEI PASSI CITATI

Ps. Longinus Luc. Mach. Magn. Macr. Mart.

Oros. ORF4

Ov.

21, 38, 5 p. 444 27, 38, 4 p. 173 28, 27-29 p. 394 28, 28, 12 p. 478 29, 17-18 p. 394 29, 19, 5 p. 492 31, 25, 11 p. 279 34, 1-3 pp. 36; 37 39, 44, 6 p. 463 45, 37, 3 p. 305 45, 44, 9 p. 146 per. 142 p. 111 de subl. 12, 4 p. 15 7, 62-63 p. 383 2, 14 p. 173 Sat. 5, 1, 1 p. 15 7, 69, 2 p. 402 8, 72 (= T 50) pp. 300-301; 304 8, 73, 8 p. 304 10, 2, 10 p. 397 3, 23, 28 p. 279 7, 6 (= App. 4 d) pp. 170-171 I, n° 18, 107-108 p. 36 I, n° 19, 109-115 p. 305 I, n° 21, 129-131 p. 319 I, n° 35, 152-155 p. 15 I, n° 43, 165 p. 319 I, n° 66, 252 p. 445 I, n° 92, 326-327 p. 201 I, n° 176, 529-534 p. 212 I, n° 176, 532 e 538 Addendum A p. 307 Ars 1, 437 p. 327 Fast. 1, 21-24 (= T 68) pp. 376-377; 383 Met. 14, 430 p. 194 Pont. 1, 7; 2, 2 p. 207 Pont. 2, 2, 49-52 (= T 25) pp. 208-209 Pont. 2, 2, 71-72 p. 448 Pont. 2, 3, 1-2 e 34 p. 321 Pont. 2, 5, 37-54 (= T 69) pp. 376-377; 382 Pont. 3, 5. 5-9 (= T 56) pp. 322-323 Pont. 3, 6, 45-46 p. 118 571

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

[Ov.] Petr. Pl.

Plin.

Plin.

Pont. 4, 1; 4; 5 e 15 p. 275 Pont. 4, 11 p. 247 Pont. 4, 16, 41-44 (= T 57) pp. 322-323 Trist. 3, 4b, 53 p. 451 Trist. 3, 14, 14 p. 290 Trist. 4, 4 p. 207 Consol. Liuiae 209 p. 111 Sat. 58, 9 p. 442 Am. 72 p. 163 Am. 1083 p. 123 As. 440 p. 442 Bacch. 1191 p. 279 Mil. 1250-1252 p. 402 Most. 655 p. 163 Pseud., 936 p. 163 Trin. 43 p. 163 Trin. 454 p. 123 Ep. 1, 14, 8 p. 441 Ep. 1, 18, 3 p. 443 Ep. 2, 14, 10-13 (= F 154) pp. 426-427; 442-443 Ep. 3, 16, 6-13 p. 436 Ep. 4, 9, 9 p. 371 Ep. 4, 24, 1 p. 443 Ep. 5, 13, 5 p. 161 Ep. 6, 33, 2 p. 443 Ep. 6, 34 p. 451 Ep. 7, 4, 3 p. 190 Ep. 7, 6, 11-12 (= T 81) pp. 398-399 Ep. 8, 18, 3-7 (= T 99) p. 406; 414-415 Pan. 9, 5 p. 476 Pan. 83, 8 p. 476 Nat. 1, 14b; 15b p. 321 Nat. 2, 66 p. 140 Nat. 7, 5 p. 365 Nat. 7, 150 p. 150 Nat. 10, 124 p. 485 Nat. 11, 187 (= F 134) pp. 368-373 Nat. 16, 91 p. 397 Nat. 16, 242 pp. 398-399 Nat. 18, 143 p. 442 Nat. 34, 48 p. 485 572

INDICE DEI PASSI CITATI

Pol. Porph. Quint.

6, 53, 1 ad Hor. Sat. 2, 3, 281 Decl. 265, 1 Decl. 274 Decl. 299 Decl. 368, 4 Decl. 383, 1 Inst. 1, 7, 35 Inst. 3, 1, 17-18 (= T 10) Inst. 3, 1, 21 (= T 35) Inst. 3, 5, 1 Inst. 3, 7, 10-18 Inst. 4, 1, 5 Inst. 4, 1, 61 Inst. 5, 7, 7-8 (= T 82) Inst. 5, 10, 78 Inst. 5, 10, 79 (= F 158) Inst. 5, 11, 17 Inst. 6, 1, 24; 30 Inst. 6, 1, 50 (= F 139) Inst. 6, 3, 27 (= T 83) Inst. 6, 3, 30 Inst. 6, 3, 33 (= F 152) Inst. 6, 3, 42 (= T 84) Inst. 6, 3, 53 Inst. 6, 3, 54 (= F 153) Inst. 6, 3, 68 (= T 85) Inst. 6, 3, 81 (= F 151) Inst. 6, 3, 84 (= T 86) Inst. 6, 3, 85 (= F 155) Inst. 6, 3, 92 (= T 87) Inst. 6, 3, 93-94 (= T 88) Inst. 6, 3, 100 (= F 122) Inst. 6, 3, 111 Inst. 6, 4 Inst. 6, 4, 1-22 Inst. 7, 4, 4 Inst. 8, 3, 89 Inst. 8, 5, 3 (= T 89) Inst. 8, 5, 16 (= F 149) Inst. 9, 2, 20 (= F 147) 573

p. 326 p. 148 p. 403 p. 438 p. 438 p. 37 p. 403 p. 212 pp. 44; 45; 46-47; 104 pp. 248-249 p. 13 p. 105 p. 386 p. 387 pp. 405; 406-407; 430 p. 446 pp. 428-429; 444-446 p. 383 p. 438 pp. 400-401; 403-404 pp. 406-407; 430 p. 440 pp. 424-425; 440-441 pp. 406-407 p. 442 pp. 426-427; 442 pp. 406-407 pp. 424-425; 439-440 pp. 408-409 pp. 428-429; 443 pp. 408-409; 430; 434 pp. 408-409; 430 pp. 336-337; 338 p. 13 p. 117 p. 196 p. 477 p. 445 pp. 408-411; 430 pp. 424-425; 435-438 pp. 422-423; 435-438

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Ps. Quint. Sall.

Sen.

Inst. 9, 2, 65-66 p. 345 Inst. 9, 2, 91 (= T 36) pp. 248-249 Inst. 9, 3, 66 (= F 148) pp. 422-423; 435-438 Inst. 9, 3, 78-79 (= T 90) pp. 410-411 Inst. 9, 4, 31 (= FF 146; 150) pp. 422-425; 438-439 Inst. 9, 4, 104 p. 439 Inst. 10, 1 pp. 13; 15 Inst. 10, 1, 24 (= FF 140, 144, 176) pp. 400-401; 404; 420-421; 490-494 Inst. 10, 1, 86 (= T 91) pp. 410-411; 430 Inst. 10, 1, 113 pp. 105; 212 Inst. 10, 1, 118-119 (= T 92) pp. 410-411 Inst. 10, 2, 14 p. 222 Inst. 11, 1, 3 p. 492 Inst. 11, 1, 37 p. 445 Inst. 11, 1, 68 p. 364 Inst. 11, 3, 126 p. 426 Inst. 11, 3, 272 p. 289 Inst. 12, 1, 22 (= T 22) pp. 178-179 Inst. 12, 5, 1 p. 13 Inst. 12, 9 p. 500 Inst. 12, 10, 11 (= T 93) pp. 410-411 Inst. 12, 11, 3 (= T 94) pp. 412-413; 430 [Decl.] 6 p. 438 Cat. 11, 1 p. 365 Cat. 25 p. 36 Cat. 29, 2 p. 159 Cat. 31, 8 p. 463 Cat. 50-55 p. 231 Cat. 52 p. 219 Cat. 52, 32 p. 463 Cat. 54 p. 231 Hist. fr. 1, 11 p. 365 Hist. fr. 55, 4 p. 133 Con. 1, praef. 11 p. XIII Con. 1 praef. 22 p. 307 Con. 1, 1, 21 (= T 104) pp. 466-467 Con. 1, 1, 4 p. 252 Con. 1, 2, 3 p. 223 574

INDICE DEI PASSI CITATI

Con. 1, 2, 16 (= T 59) pp. 334-336 Con. 1, 2, 22-23 (= T 52) pp. 310-311 Con. 1, 3, 10 p. 432 Con. 1, 4, 6-8 p. 344 Con. 1, 4, 11 (= T 26) pp. 220-221; 223 Con. 1, 6, 12 pp. 12; 14 Con. 1, 7, 18 p. 460 Con. 2 p. 304 Con. 2, 1, 8 – 17 – 18 – 29 p. 202 Con. 2, 1, 24 p. 441 Con. 2, 1, 33 p. 247; 510 Con. 2, 1, 34-36 (= FF 123-125, 168-170, 185) pp. 340-345; 466-469; 510 Con. 2, 1, 39 (= T 53) pp. 310-313 Con. 2, 3, 21 (= T 60) pp. 334-335 Con. 2, 4, 8 pp. 105; 212; 222 Con. 2, 4, 9 p. 336 Con. 2, 5, 20 (= T 61) pp. 334-336 Con. 2, 6, 13 (= T 105) pp. 466-467; 501 Exc. Con. 3 p. 304 Exc. Con. 3 praef. 7 p. 14 Exc. Con. 3 praef. 14 p. 105 Exc. Con. 3, 2 p. 501 Exc. Con. 4 p. 304 Exc. Con. 4 praef. 3 p. 517 Exc. Con. 4 praef. 4 (= T 21) pp. 178-179 Exc. Con. 4, praef. 6-11 (= T 1) pp. 4-7; 13; 16 Exc. Con. 4 praef. 10 (= F 1) pp. 10-11; 16 Con. 7 praef. 1-9 pp. 122; 304 Con. 7 praef. 5 p. 252 Con. 7, 1, 4, 24 pp. 12; 14 Con. 7, 1, 5 p. 517 Con. 7, 2, 5 p. 12 Con. 7, 2, 7 pp. 133; 202 Con. 7, 2, 10 p. 517 Con. 7, 2, 13 (= T 62) pp. 334-336 Con. 7, 3, 7 p. 505 Con. 7, 4, 1 p. 517 Con. 7, 5, 9 p. 339 Con. 7, 5, 11 (= T 27) pp. 220-221; 307 575

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Con. 7, 5, 12 (= F 88; App. 5)

pp. 222-223; 307-308 Con. 7, 6, 11 p. 223 Con. 7, 8, 3 p. 12 Exc. Con. 8, 4 p. 438 Con. 9 praef. 1-5 (= T 44) pp. 294-299; 304 Con. 9, 1, 3 pp. 304; 305 Con. 9, 1, 11 pp. 336; 339 Con. 9, 2, 11 p. 304 Con. 9, 2, 13-15 p. 295 Con. 9, 2, 19 (= T 45) pp. 298-299 Con. 9, 3, 5 p. 304 Con. 9, 3, 11 (= T 63) pp. 334-336 Con. 9, 3-14 (= T 2) pp. 6-7; 12 Con. 9, 4, 5 pp. 304; 305 Con. 9, 4, 16 p. 12 Con. 9, 4, 17 (= T 102) pp. 456-457 Con. 9, 4, 18 (= F 171) pp. 345; 468-469 Con. 9, 4, 19-20 (= FF 163-167) pp. 457; 458-461; 462-464 Con. 9, 5-6 p. 36 Con. 9, 5, 3 p. 306 Con. 9, 5, 15 (= T 46) pp. 298-299; 304 Con. 9, 5, 15-16 (= FF 108-111) pp. 302-303; 305-307 Con. 9, 5, 17 (= T 47) pp. 298-301; 304; 316 Con. 9, 6, 3 p. 304 Con. 9, 6, 8, 11, 13, 16 pp. 12; 14 Con. 9, 6, 10 (= T 48) pp. 300-301 Con. 9, 6, 14 p. 155 Con. 9, 6, 18 (= T 49) pp. 300-301 Con. 10 praef. 2-3 (= T 54) pp. 312-313 Con. 10 praef. 13 (= T 34) pp. 248-249 Con. 10, 2, 12 p. 304 Con. 10, 3, 16 p. 304 Con. 10, 4, 25 (= T 28) pp. 219; 220-221 Con. 10, 5, 12 p. 343 Con. 10, 5, 24 p. 12 Suas. 2, 9 p. 517 Suas. 2, 12 (= T 103) pp. 456-457 Suas. 2, 14 p. 12 576

INDICE DEI PASSI CITATI

Sen.

Ser. SHA Sid. Apoll. St.

Suas. 2, 22 Suas. 3, 6 (= T 3) Suas. 3, 7 (= T 9) Suas. 6, 1-2 Suas. 6, 4 Suas. 6, 24 Suas. 7, 1 Apoc. 10, 2 Apoc. 11, 2 Ben. 1, 15, 5-6 (= T 75) Ben. 2, 9, 1 Ben. 2, 27, 2 Ben. 4, 31, 3-5 Ben. 6, 32 Const. 17, 1 Ep. 22, 10 Ep. 40, 9-10 (= T 29) Ep. 40, 10 (= T 4) Ep. 47, 17 Ep. 56, 10 Ep. 70, 10 Ep. 71, 37 Ep. 75, 11 Helu. 12, 6 Marc. 15, 3 (= F 56) Marc. 16, 3 Marc. 22, 4 Nat. 1, 17, 8 Nat. 4 praef. 6 Nat. 5, 18, 4 A. 3, 332 A. 11, 163 G. 4, 256 Car. 6, 2 Comm. 13, 1 Gord. 20, 2 Ep. 5, 10, 3 (= T 39) Sil. 3, 5, 110 Theb. 6, 123 Theb. 7, 90 Theb. 11, 61 577

p. 310 pp. 6-7 pp. 46-47; 104 p. 12 pp. 15; 517 p. 191 pp. 12; 15 pp. 105; 212 p. 281 pp. 396-397; 402 p. 383 p. 574 p. 316 p. 344 p. 347 p. 402 pp. 220-221 pp. 8-9 p. 365 p. 365 pp. 355; 358 p. 365 p. 365 p. 202 pp. 92-93; 154-155 p. 202 p. XIX p. 202 pp. 396-397 p. 121 p. 29 p. 194 p. 194 p. 478 p. 478 p. 121 pp. 248-249 p. 451 p. 194 p. 194 p. 194

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Str. Suda Suet.

Geog. 12, 579 Tiberius Aug. 29, 3 Aug. 31, 4 Aug. 34 Aug. 37 Aug. 44 Aug. 54 Aug. 56 Aug. 63, 2 Aug. 65 Aug. 86, 2 (= T 11) Aug. 94, 9 Aug. 100, 3-4 (= FF 18, 159) Cal. 1, 2 Cal. 3 (= T 71) Cal. 8 Cal. 23, 3 Cl. 1, 3 Cl. 1, 5 Cl. 3-5 Cl. 13 Cl. 15 Cl. 28 Cl. 41, 3 Nero 26, 2 Nero 39, 1 Tib. 2, 5 Tib. 6, 3-4 (= F 11) Tib. 7 Tib. 8, 1 (= FF 12, 14, 15) Tib. 23, 1 (= F 17) Tib. 24, 1-2; 25, 1 (= F 20) Tib. 25 Tib. 26 Tib. 27, 1 Tib. 29, 1 (= T 5; FF 26-27) Tib. 33, 1 (= T 12) Tib. 38 578

p. 108 p. 46 p. 288 p. 259 p. 244 p. 176 p. 245 p. 117 p. 146 p. 45 p. 344 pp. 46-47; 104 p. 438 pp. 54-55; 112-114; 448-449 p. 375 p. 378-379; 383 p. 457 p. 281 p. 374 p. 111 p. 213 p. 436 p. 436 p. 440 p. 190 p. 188 p. 108 p. 207 pp. 50-51; 105-106 p. 177 pp. 52-53; 106-109 pp. 54-55; 112-114 pp. 56-57; 114-117 p. 355 p. 123 p. 119 pp. 8-9; 17; 62-63; 118-119 pp. 46-47 p. 204

INDICE DEI PASSI CITATI

Tac.

Tib. 42 p. 457 Tib. 47, 2 (= T 43) pp. 284-285 Tib. 49 p. 520 Tib. 52, 1 p. 448 Tib. 54, 1 (= F 53) pp. 88-89; 146; 152-154 Tib. 54, 1-2 (= F 59) pp. 94-95; 155-156 Tib. 56 p. 505 Tib. 57, 1-2 (= T 13) pp. 48-49 Tib. 58 pp. 337; 483 Tib. 61, 1 p. 46 Tib. 63, 1 p. 107 Tib. 67, 2-4 (= FF 30-31) pp. 64-65; 120-123 Tib. 70, 1 (= T 14) pp. 47; 48-49; 104 Tib. 70, 2-3 p. 45 Tib. 71 (= F 34) pp. 68-69; 104; 125-126 Tit. 10, 1 p. 108 Vesp. 3 p. 435 Vit. 2, 3 p. 367 Vita Hor. 48 p. 146 Vita Passieni Crispi (= T 79, F 138) pp. 395; 398-399; 400-402 Ag. 4 p. 281 Ag. 10, 6 p. 127 Ag. 27, 1 p. 19 Ag. 29, 3 p. 19 Ag. 29, 4 p. 474 Ag. 30-34 p. 34 Ag. 31, 3 p. 19 Ag. 34, 3 p. 19 Ann. 1, 3, 4 p. 162 Ann. 1, 4 p. 35 Ann. 1, 7, 2 p. 139 Ann. 1, 8, 1 pp. 18; 20; 42 Ann. 1, 8, 1-3 (= FF 70, 92) pp. 180-181; 192-195; 212; 240-241 Ann. 1, 8, 4 (= F 84) pp. 208-209; 212-213 Ann. 1, 9, 4 p. 193 Ann. 1, 11, 1-2 (= F 21) pp. 58-59; 114-116 Ann. 1, 11, 4 p. 161 Ann. 1, 12, 1-3 (= FF 24, 71, 73) pp. 20; 60-61; 579

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

117-118; 180-183; 195-197 Ann. 1, 13, 1 p. 236 Ann. 1, 13, 2-3 (= F 93) pp. 139; 177; 235; 240-241 Ann. 1, 13, 3-4 (= F 2, 112) pp. 10-11; 16-21; 118; 245; 314-315; 318-319 Ann. 1, 13, 5 pp. 115; 118 Ann. 1, 13, 6 p. 5 Ann. 1, 14, 2 p. 275 Ann. 1, 14-15 p. 126 Ann. 1, 15, 3 p. 19 Ann. 1, 16, 3-17 p. XVIII Ann. 1, 16-28 p. 452 Ann. 1, 18, 3 e 19 p. XVIII Ann. 1, 22 p. XVIII Ann. 1, 24-30 p. 447 Ann. 1, 27 p. 505 Ann. 1, 29, 1 (= App. 7) pp. 448-449; 452-453 Ann. 1, 29, 3 p. 453 Ann. 1, 31, 6 p. 31 Ann. 1, 34, 4-35 (= App. 6) pp. 388-389 Ann. 1, 39, 5-6 (= App. 6) pp. 388-389 Ann. 1, 42-43 (=App. 6) pp. 388-391 Ann. 1, 44, 2 p. 474 Ann. 1, 47 p. 204 Ann. 1, 52, 1-3 (= F 28) pp. 62-63; 119-120 Ann. 1, 54, 1 p. 447 Ann. 1, 56 p. 37 Ann. 1, 58, 1 p. 474 Ann. 1, 61-62 p. 374 Ann. 1, 64 p. 34 Ann. 1, 69, 4 p. 37 Ann. 1, 70 p. 367 Ann. 1, 71 p. 367 Ann. 1, 72, 1-2 (= F 32) pp. 31; 64-65; 120-123 Ann. 1, 72, 3 p. 128 Ann. 1, 73 e 75 p. 272 Ann. 1, 73, 3 p. 272 Ann. 1, 74 (= F 174) pp. 480-484 Ann. 1, 74, 3-4 (= F 121) pp. 334-335; 337-338 580

INDICE DEI PASSI CITATI

Ann. 1, 75, 1 Ann. 1, 76 Ann. 1, 76, 1 (= F 75)

p. 218 pp. 29; 176 pp. 182-184; 197-198 Ann. 1, 77, 1-3 (= FF 76, 118) pp. 184-185; 198-199; 328-329 Ann. 1, 77, 4 p. 193 Ann. 1, 79, 1-3 (= F 94, 101) pp. 42; 242-243; 266-271 Ann. 1, 79, 4 (= F 9) pp. 40-41 Ann. 1, 81, 1 (= F 33) pp. XIV; 66-67; 124-125 Ann. 2, 14 (= App. 6) pp. 390-391 Ann. 2, 15, 1 p. 19 Ann. 2, 17-18 p. 374 Ann. 2, 27-32 p. 520 Ann. 2, 27, 1-2 p. 522 Ann. 2, 27, 1 – 28, 3 (= F 130) pp. 354; 360-361; 364; 520 Ann. 2, 28, 3 (= T 66) pp. 360-361 Ann. 2, 30, 1-2 (= F 128) pp. 352-358; 520 Ann. 2, 30, 1 p. 350 Ann. 2, 32, 1-2 (= FF 77, 115, 180, 182, 183) pp. 184-185; 199-200; 324-326; 354; 505; 508-509; 522 Ann. 2, 33, 1 pp. 3; 288 Ann. 2, 33, 1-2 (= F 3, 181) pp. 10-13; 21-22; 506-507 Ann. 2, 33, 3-4 (= F 78) pp. 22; 125; 186-187; 200-203 Ann. 2, 33, 4 p. 126 Ann. 2, 34, 1 (= F 87) pp. 216-218 Ann. 2, 35, 1 (= F 10) pp. 42-43 Ann. 2, 35, 1-2 (= F 79) pp. 42; 186-189; 204 Ann. 2, 36, 1-4 (= FF 36, 80) pp. 70-71; 126-128; 188-189; 204-205 Ann. 2, 37, 1; 38, 1-5 (= F 37) pp. 70-73; 128-131; 168 Ann. 2, 37, 1-4 (= F 106) pp. 286-290 581

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Ann. 2, 42, 2-4 Ann. 2, 44 Ann. 2, 50 (= F 38) Ann. 2, 51 Ann. 2, 55, 6 Ann. 2, 56, 2 Ann. 2, 56, 4 Ann. 2, 57 Ann. 2, 58, 2 (= T 72) Ann. 2, 59 Ann. 2, 63, 1-3 (= F 39)

p. 108 p. 447 pp. 72-75; 131-132; 483 p. 328 pp. 35; 371 p. 374 pp. 511; 512 p. 371 pp. 372; 378-379 p. 386 pp. XIV; 74-75; 132-133 Ann. 2, 63, 4 p. 133 Ann. 2, 69 p. 372 Ann. 2, 70, 2 p. 141 Ann. 2, 71 p. 144 Ann. 2, 71, 1 p. 471 Ann. 2, 71, 4-5 p. 370 Ann. 2, 72 p. 374 Ann. 2, 72, 2 p. 384 Ann. 2, 74, 1 p. 291 Ann. 2, 77, 1 p. 193 Ann. 2, 78 p. 371 Ann. 2, 79 p. 138 Ann. 2, 80 p. 372 Ann. 2, 81 p. 372 Ann. 2, 82, 1 pp. 136; 371 Ann. 2, 83, 3 (= T 73) pp. 378-379 Ann. 3, 5, 1 p. 111 Ann. 3, 8, 2 p. 448 Ann. 3, 9 p. 138 Ann. 3, 10, 1-2 (= FF 131, 133, 187) pp. 138; 362-363; 366-367; 511 Ann. 3, 10, 3 p. 370 Ann. 3, 11, 1-2 (= T 23) pp. 178-179; 517 Ann. 3, 12, 1-7 (= F 41) pp. 76-77; 139-145; 272 Ann. 3, 13, 1-2 (= FF 132, 135, 188) pp. XIV; XVII; 41; 362-363; 368-373; 511; 512 582

INDICE DEI PASSI CITATI

Ann. 3, 13, 6 Ann. 3, 15, 1-3 Ann. 3, 17, 1 (= F 42, 44)

p. 511 pp. 41; 137; 139; 144 pp. 78-79; 80-81; 133-135 Ann. 3, 17, 2 p. 130 Ann. 3, 17, 3 p. 358 Ann. 3, 17, 4 (= F 116) pp. 144; 324-327 Ann. 3, 18, 1-2 (= F 45, 85) pp. 80-81; 133-145; 208-209; 213; 327 Ann. 3, 18, 2-3 (= F 7) pp. 30-34 Ann. 3, 19, 1 pp. 362; 372 Ann. 3, 19, 3 p. 134 Ann. 3, 22-24 pp. 488; 521 Ann. 3, 22, 1 pp. 519-520 Ann. 3, 23, 1-2 pp. 309; 520 Ann. 3, 24, 3-4 (= F 47, 104) pp. 82-83; 145-146; 280-281; 344 Ann. 3, 29, 1-3 (= F 48) pp. 84-85; 146; 152 Ann. 3, 31 p. 450 Ann. 3, 31, 3-4 (= FF 95, 113, 127) pp. 242-243; 314-315; 348-349; 402 Ann. 3, 32, 1 p. 34 Ann. 3, 32, 2 (= F 103) pp. 34; 276-279 Ann. 3, 32, 3 p. 263 Ann. 3, 33 (= F 8) pp. 32-38; 450 Ann. 3, 34, 1-5 (= F 86) pp. 35; 36; 210-212; 213-215 Ann. 3, 34, 6 (= F 161) pp. 450-451 Ann. 3, 35, 2 p. 226 Ann. 3, 36 (= F 175) pp. 486-488 Ann. 3, 37 p. XVIII Ann. 3, 38 pp. XIX; 131 Ann. 3, 47, 3 (= F 98) pp. 256-258 Ann. 3, 47, 4 p. 145 Ann. 3, 48 p. 519 Ann. 3, 48, 1-2 (= F 49) pp. 84-85; 146-147; 519 Ann. 3, 49 (= F 119) p. XIX; 330-331 Ann. 3, 49, 2 pp. 230-232 583

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Ann. 3, 50 (= F 89) pp. 226-229; 271; 474 Ann. 3, 52, 1 p. 329 Ann. 3, 52, 3 p. 474 Ann. 3, 53 p. 214 Ann. 3, 56, 2 p. 22 Ann. 3, 57, 1-2 (= F 4, 105) pp. 12-13; 22; 193; 280-283 Ann. 3, 58 (= F 100) pp. 260-265 Ann. 3, 64, 4 (= F 50, 184) pp. 86-87; 147-148; 509 Ann. 3, 65 p. 148 Ann. 3, 65, 3 p. 474 Ann. 3, 66, 1-2 (= FF 114, 126, 186) pp. 24; 151; 316-317; 319-320; 342-343; 510 Ann. 3, 66, 3 pp. 339; 510 Ann. 3, 66, 4 (= T 64) pp. 340-341 Ann. 3, 67, 1-3 pp. XVIII; 149; 150 Ann. 3, 68, 2 (= F 5) pp. 24-25; 151 Ann. 3, 69, 1-6 (= FF 51, 99) pp. 24; 86-87; 148-152; 256-258 Ann. 3, 70, 1-2 (= F 102) pp. 268-269; 271-274 Ann. 3, 70, 3 p. 272 Ann. 3, 71, 2 (= T 42) pp. 260-261 Ann. 3, 71, 3 p. 263 Ann. 3, 72, 1 (= F 90) pp. 228-229; 275 Ann. 3, 75, 1 p. 267 Ann. 4, 3 p. 451 Ann. 4, 4, 1 (= F 52) pp. 88-89; 152 Ann. 4, 6 p. 214 Ann. 4, 8, 2-5 (= F 54) pp. 90-91; 142; 152-154 Ann. 4, 8-10 p. 447 Ann. 4, 12, 1 (= F 57) pp. 92-93; 154-155 Ann. 4, 13, 2 pp. 161; 350 Ann. 4, 14, 2-3 (= F 60) pp. 94-95; 156 Ann. 4, 15 p. XVIII Ann. 4, 15, 2 (= F 61) pp. 94-95; 156-157 Ann. 4, 15, 3 pp. 161; 292 Ann. 4, 16, 1-4 (= F 63) pp. 96-97; 157-159 584

INDICE DEI PASSI CITATI

Ann. 4, 19, 1-2 (= F 64) pp. 98-99; 159-160; 431 Ann. 4, 20, 1 (= F 81) pp. 188-189 Ann. 4, 20, 2-3 (= T 30) pp. 226-227; 205 Ann. 4, 20, 2 (= F 91) pp. 228-229 Ann. 4, 20, 4 (= F 117) pp. 34; 324-325; 327 Ann. 4, 21, 1 pp. 216-217; 218 Ann. 4, 22 p. XIX Ann. 4, 23 p. 509 Ann. 4, 28, 1 p. 497 Ann. 4, 28, 3 (= FF 129, 178) pp. 352-353; 500 Ann. 4, 28-29 (= F 178) pp. 496-499; 500-502 Ann. 4, 29, 3 p. 350 Ann. 4, 29, 4 p. 358 Ann. 4, 30, 1 (= FF 65, 82) pp. 98-99; 160; 191-191; 205 Ann. 4, 30, 3 p. 193 Ann. 4, 31, 2 (= T 15) pp. 48-49 Ann. 4, 31, 2-3 (= F 66) pp. 100-101; 160-161 Ann. 4, 34-35 p. XIX Ann. 4, 34, 2 p. 474 Ann. 4, 34, 3 p. 463 Ann. 4, 36, 3 (= T 109) pp. 496-497 Ann. 4, 37, 1-38, 4 (= F 67) pp. 100-103; 161-164 Ann. 4, 42, 1-3 (= T 51) pp. 224; 300-303; 344 Ann. 4, 44 p. 505 Ann. 4, 52, 1-3 (= F 141) pp. 416-419; 431-432 Ann. 4, 52, 4 (= T 97) pp. 412-413; 430; 431 Ann. 4, 56 p. 227 Ann. 4, 56, 3 (= F 107) pp. 292-294 Ann. 4, 61 (= T 6) pp. 3; 8-9; 14 Ann. 4, 66 (= F 143) pp. 418-419; 432-433 Ann. 4, 66, 2 (= T 41) pp. 254-255 Ann. 4, 71, 2 (= F 83) pp. 190-191; 205-206 Ann. 4, 71, 3 p. 206 Ann. 5 (6), 6, 1-2 pp. XIX; 476 Ann. 5 (6), 8, 1 p. 367 Ann. 5 (6), 8, 2 p. 368 Ann. 5 (6), 11, 1 (= T 67) pp. 360-361 Ann. 6, 1 p. 253 Ann. 6, 2 p. XVIII 585

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Ann. 6, 2, 1-5 (= FF 68, 190)

pp. 102-103; 165; 513 Ann. 6, 3, 1 (= F 96) pp. 250-251; 253 Ann. 6, 4, 2-3 (= FF 120, 162) pp. 330-332; 454-455 Ann. 6, 4, 4 p. 329 Ann. 6, 5 p. 321 Ann. 6, 5, 1 (= T 58) pp. 322-323 Ann. 6, 6, 1 p. 162 Ann. 6, 7, 1 pp. 237; 242; 322 Ann. 6, 7, 2 (= T 107) pp. 486-487 Ann. 6, 8, 2-6 (= F 172) pp. 470-473; 475 Ann. 6, 9, 1 p. 478 Ann. 6, 9, 3 p. 310 Ann. 6, 9, 3-4 p. 522 Ann. 6, 10, 3 p. 23 Ann. 6, 12 (= F 6) pp. 26-29 Ann. 6, 12, 1-3 p. 197 Ann. 6, 14, 2 p. 145 Ann. 6, 15, 1 pp. 219; 518 Ann. 6, 17 p. 214 Ann. 6, 20, 1 (= T 80) pp. 398-399 Ann. 6, 23, 1 p. 179 Ann. 6, 25 pp. 177; 178 Ann. 6, 26, 1 p. 127 Ann. 6, 27, 2 p. 19 Ann. 6, 27, 3 p. 236 Ann. 6, 27, 4 (= T 31) p. 226 Ann. 6, 29, 3 (= T 55) pp. 312-315 Ann. 6, 29, 4 p. 522 Ann. 6, 30, 1 p. 522 Ann. 6, 30, 3 p. 476 Ann. 6, 31, 1 p. 485 Ann. 6, 38, 2-4 pp. 172; 359 Ann. 6, 40, 1 p. 358 Ann. 6, 45, 2 p. 518 Ann. 6, 47, 1 (= F 177) pp. 490-491; 494-495 Ann. 6, 47, 2-48, 3 (= T 32) pp. 238-239; 489 Ann. 6, 47, 2-3 p. 291 Ann. 6, 48, 4 (= T 108) pp. 490-491 Ann. 6, 51 p. 236 586

INDICE DEI PASSI CITATI

Ann. 11, 5, 3 Ann. 11, 6, 2 (= T 33) Ann. 11, 6-7 Ann. 11, 7, 2 Ann. 11, 10, 1 Ann. 11, 18 Ann. 11, 22, 3-4 Ann. 11, 24 Ann. 12, 5 Ann. 12, 10, 1 Ann. 12, 12 Ann. 12, 13, 1 Ann. 12, 19, 1 Ann. 12, 30, 2 Ann. 12, 36, 3 Ann. 12, 38, 1 Ann. 12, 42 Ann. 12, 47 Ann. 12, 52 Ann. 13, 3, 2 (= T 16) Ann. 13, 26, 3 Ann. 13, 30, 2 Ann. 13, 34-41 Ann. 14, 7, 3 Ann. 14, 19 (= T 98) Ann. 14, 21, 3 Ann. 14, 42, 3 Ann. 14, 48, 1-4 Ann. 14, 55, 1 Ann. 14, 65 Ann. 15, 62, 5 Ann. 15, 73, 3 Ann. 16, 11, 1 Dial. 6, 4 Dial. 8, 1 Dial. 13, 3 (= T 95) Dial. 15, 2-3 (= T 96) Dial. 17 Dial. 18, 1 Dial. 21, 9 587

p. 129 pp. 238-239 pp. 242; 517 p. 236 p. 291 p. 455 p. 255 p. 148 p. 214 p. 474 p. 214 p. 349 p. 474 p. 236 p. 474 p. 193 p. 364 p. 279 p. 436 pp. 48-49; 104 pp. 127; 246 p. 236 p. 346 p. 193 p. 406; 412-415; 430; 431 p. 127 p. 474 p. 231 p. 141 p. 333 p. 193 p. 463 p. 492 p. 130 p. 396 pp. 412-413 pp. 412-413; 430 p. 402 p. 15 p. 105

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

Ter.

Tert. Turp. Val. Max.

Vell.

Dial. 26, 1-2 (= T 37) Dial. 34, 3 Dial. 38, 1 Dial. 40, 4, 1 Hist. 1, 11, 1 Hist. 1, 29 Hist. 1, 50 Hist. 2, 10 Hist. 2, 65, 2 Hist. 2, 96 Hist. 2, 99, 1 Hist. 3, 51, 1 Hist. 4, 9, 1 Hist. 4, 40, 1 Hist. 4, 42, 2 Hist. 4, 57 Hist. 4, 64 Hist. 4, 65 Hist. 4, 68, 5 Hist. 5, 8 And. 666 Eun. 681-682 Heaut. 225 Hecyra Phorm. 519 Phorm. 976 Phorm. 1005 Adu. Marc. 2, 9 Apol. 5, 2 (= App. 4 a) pall. 4, 9 (= App. 1) pall. 191 2, 1, 10 2, 9, 4 4, 3, 6 4, 4, 3; 10; 11 4, 7 ext. 2 5, 7 (ext.) 1 6, 2, 2 8, 3, 3 9, 12, 5 1, 8, 1 588

pp. 248-249 p. 243 p. 358 p. 348 p. 474 p. 474 p. 214 p. 42 p. 236 p. 474 p. 19 p. 246 p. 42 p. 42 p. 492 p. 474 p. 474 p. 474 p. 141 p. 214 p. 163 p. 441 p. 442 p. 36 p. 163 p. 163 p. 163 p. 433 pp. 168-169 pp. 38-39; 191 p. 202 p. 202 p. 202 p. 202 p. 202 p. 276 p. 451 p. 445 p. 284 p. 263 p. 518

INDICE DEI PASSI CITATI

Verg. CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL CIL

2, 22, 2 2, 91, 2 2, 94, 2 2, 112, 2 2, 112, 4 2, 114 2, 125, 5 (= T 40) 2, 130 Aen. 3, 125 I2, p. 29 I2, p. 70 I2, p. 72 I2, p. 193 III 1741 VI 562 VI 761 VI 1235 a, g, l, m VI 1237 VI 1267 a VI 1267 b VI 1384 VI 1426 VI 2015 VI 2194 VI 3534 VI 10213 (= App. 3) VI 10399 VI 15626 VI 25617 VI 31543 VI 31544 VI 31573 VI 31574 VI 31762 VI 37037 VIII 68 VIII 10568 IX 5035 X 1448 X 3443 X 6639 589

p. 263 p. 109 p. 47 p. 207 p. 30 p. 225 pp. 121; 225; 254-255 p. 355 p. 160 pp. 259; 508 pp. 329; 517 p. 291 pp. 371-372 p. 254 p. 329 p. 374 p. 176 p. 517 p. 493 p. 493 p. 254 p. 3 p. 436 p. 489 p. 333 pp. 166-168 p. 395 p. 519 p. 259 p. 493 p. 517 p. 493 p. 493 p. 479 p. 493 p. 519 p. 291 p. 295 p. 517 p. 506 p. 508

I FRAMMENTI DEGLI ORATORI ROMANI DELL’ETÀ TIBERIANA

CIL CIL CIL CIL CIL CIL Fasti Atermini Fasti Ostienses IG IG IG Inscr. Ital. Inscr. Ital. ILS P. Oxy SCPP SCPP SCPP SCPP SCPP SCPP Tabula Hebana Tabula Siarensis

X 7257 XI 1256 XII 5258 XIV 2298 XV 979-986 XV 4611 III 583 IV 1391 IV 1597 XIII, fasc. 1 XIII, 1, 297-303 157 e 6124 2435 recto (= F 137) ll. 4-11 (= F 46) ll. 23-24 ll. 59-61 l. 90 ll. 109-120 (= F 43) ll. 165-173 (= F 40) 1-4 (= T 70) I 6-7 II, col. B, 7-17

590

p. 509 p. 329 p. 294 p. 321 p. 407 p. 329 p. 355 pp. 133-134 p. 175 p. 292 p. 347 p. 3 p. 374 p. 436 pp. 380-383 pp. 82-83; 133-145 p. 134 p. 371 p. 24 pp. 78-79; 133-145 pp. 74-75; 133-145 pp. 376-377 p. 213 p. XVIII

Finito di stampare nel maggio 2007 da DigitalPrint Service s.r.l. in Segrate (Mi) per conto delle Edizioni dell’Orso