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Italian Pages 292 Year 1991
M. AGAMENNONE, S. FACCI, F. GIANNATTASIO, G. GIURIATI
GRAMMATICA DELLA MUSICA ETNICA BULZONI EDITORE
M. AGAMENNONE, S. FACCI, F. GIANNATTASIO, G. GIURIATI
GRAMMATICA DELLA MUSICA ETNICA BULZONI EDITORE
Foto in copertina: trascrizione originale di B. Bartók tratta dal fascicolo allegato ai dischi Hungarian Folk Music, Hungaroton LPX 18058-60, 1981.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adatta mento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fo tostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
ISBN 88-7119-316-4
© 1991 by Bulzoni Editore 00185 ROMA - Via dei Liburni, 14
al nostro maestro Diego Carpitella
INDICE
Premessa......................................................................................................
p.
9
Il campo dei suoni musicali (F. Giannattasio)...........................................
»
11
Tempo e ritmo ( E Giannattasio )...........................................................
«33
Scala (C. Giuriati).........................................................................................
»
Melodia (S. Facci).........................................................................................
« 113
Modalità / Tonalità (M. Agamennone).......................................................
»» 145
Polifonia (S. Facci).......................................................................................
» 201
Trascrizione (G. Giuriati)............................................................................
» 243
83
7
premessa
Questo volume fa seguito ad un seminario dallo stesso titolo che gli autori hanno tenuto presso la Cat tedra di etnomusicologia dell'università di Roma "La Sa pienza" negli anni 1981-82, 1982-83 e 1988-89 ad integra zione dei corsi tenuti dal professor Diego Carpitella. Scopo principale del seminario era di fornire agli stu denti le basi teorico-musicali necessarie a sostenere l'esame di etnomusicologia, rivolgendosi innanzitutto a chi si accostava per la prima vòlta a tale disciplina, spesso con una preparazione di tipo antropologico e senza conoscenze specifiche di teoria musicale. Il seminario si è rivelato utile anche per quegli studenti provenienti da una formazione musicale classica che rendeva loro in qualche modo più difficile orientarsi in un campo di stu di dove la stessa teoria musicale è ridiscussa in una propettiva transculturale. Visti i buoni esiti dei seminari, Diego Carpitella, titolare della Cattedra di etnomusicologia, ha voluto che le lezioni fossero raccolte e pubblicate sotto forma di dispense. A lui si deve pertanto la supervisione del pro getto e della redazione di Grammatica della musica etnica. Carpitella rivendicava spesso, nel corso delle sue lezioni e delle sedute di esame, l'importanza della specificità musicale dell'etno-musicologia nell'ambito delle discipli ne demoetnoantropologiche per cui la piena comprensione degli elementi testuali era per lui essenziale. Per questo, già da molti anni aveva inserito nel programma d'esame della prima annualità La grammatica della musica di Otto Karolyi, consigliandone la lettura in particolare a coloro che erano privi di conoscenze mu sicali. Tale lettura era suggerita anche come propedeuti ca allo studio di alcuni testi d'esame come, ad esempio, Le sorgenti della musica, di Curt Sachs, in cui numerosi sono i riferimenti ad aspetti tecnico-musicali. Tuttavia, le numerose "grammatiche della musica" esistenti (Karolyi compreso) presentano i vari parametri del suono quali al 9
tezza, ritmo, etc., secondo una prospettiva euroculta, non sufficiente a rendere conto delle differenze e delle complessità grammaticali rilevabili nelle musiche delle diverse culture. In questo volume ci si propone di af frontarli in una prospettiva più generale, qual'è appunto quella etnomusicologica, in cui ciascun elemento "gramma ticale" viene considerato non come l'unico possibile ma come uno tra i tanti espresso da società differenti in diversi periodi. Da questa estensione ideale deriva il titolo "Gram matica della musica etnica" che, più che ribadire un ac costamento fra musica e linguaggio, intende relativizza re, con l'aggiunta dell'aggettivo etnica, la concezione ancora diffusa che la musica (soprattutto per quel che riguarda la sua teoria e semiografia) sia interamente ri conducibile al sistema musicale espresso dall'Europa oc cidentale nei secoli XVIII e XIX. Non a caso il volume si apre affrontando la definizione stessa di musica, già es sa non universale, per poi considerare, in un'ottica transculturale, alcuni fra i principali aspetti della formalizzazione musicale: "tempo e ritmo", "scala", "me lodia", "modalità-tonalità" e "polifonia". Un ultimo ca pitolo è dedicato alla trascrizione, problema cruciale per la ricerca etnomusicologica e, come l'esperienza di mostra, di notevole complessità per gli studenti.
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Francesco Giannattasio IL CAMPO DEI SUONI MUSICALI *
Qualsiasi riflessione, studio e didattica della musica sembrano muovere da un'implicita consapevolezza di cosa è o non è musicale, e tale consapevolezza sembra ba sarsi sull'assunto, sostenuto già quindici secoli fa da Boezio, che «chiunque scenda in se stesso sa di che cosa si tratta» -L Forse per questo il termine musica è assen te, come lemma, dalla maggior parte dei trattati e dizio nari musicali 2. E forse per questo non capita spesso di riflettere sulla varietà di significati che esso assume nel linguaggio corrente, dove è utilizzato: 1) per desi gnare un ambito di attività e comportamenti (la musica come particolare forma di espressione) ; 2) per definire i prodotti di tali attività e comportamenti (una musica o le musiche); 3) per differenziare l'esecuzione strumentale da quella vocale (si pensi ad espressioni come «so cantare ma non so fare musica»); 4) per distinguere la teoria e la notazione scritta dalle diverse pratiche vocali e strumen tali (capita spesso di intendere affermazioni come «nono stante non conosca la musica è un ottimo suonatore», «non canto "a musica" ma ad orecchio» ecc.); 5) in senso metaforico, in frasi da cui fra l'altro emerge una coscienza diffusa di alcune prerogative attribuite all'espressione musicale: sonore («senti che musica fanno gli uccelli!» o, in senso antifrastico, «che musica d'inferno!»), temporali («cambia musica!», «è sempre la
* Parti di questo primo capitolo sono riprese dai paragra fi iniziali di Giannattasio 1987. 1 La frase apppartiene al lib.I, cap.2, del De institutione musica di A.M.T.S. Boezio. La citaz. è tratta da Strunk 1950:85. 2 Valgano ad es: The Oxford Companion to Music, Oxford Uni versity Press, Londra 1970; The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Macmillan Publishers Ltd., Londra 1980; Nuova enciclopedia della musica Garzanti, Milano 1983; ecc.
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stessa musical») ed estesiche («quel che dici è musica per le mie orecchie!»). La mancanza di sinonimi e la conseguente polisemia del termine sono sintomi eloquenti di come la sfera dei comportamenti "musicali" appaia ai più alla stregua di un'unica nebulosa dai contorni incerti, carica di fascino e di misteriose suggestioni per coloro che se ne conside rano dei profani («beato te che t'intendi di musica, io sono del tutto negato!») e suscettibile di sottili distin guo («un'esecuzione impeccabile, ma priva della minima espressività musicale!») o di drastiche quanto contestabi li delimitazioni («questa non è musica, ma una volgare accozzaglia di suoni!») da parte di coloro che se ne ritengono, a vario titolo, esperti o iniziati. Se poi, nella speranza di saperne di più, ci si rivolge ai dizionari e alle enciclopedie, può capitare di trovarsi di fronte a definizioni sibilline: molte di esse sono infatti varianti o parafrasi di quella enunciata oltre due secoli fa da J.-J. Rousseau (1768), secondo cui musica è l'«arte di combinare i suoni in modo gradevole all'orecchio» 3; altre, privilegiando le condizioni di
produzione agli effetti, la spiegano invece come «arte di combinare i suoni secondo determinate regole» 4. Da entrambi i tipi di formulazione nulla traspare sulla natu ra delle "regole", né sulla qualità dei suoni "gradevoli
3 Ad es.: Nuova enciclopedia Sonzogno, Milano 1955; A.Albertoni, A.Allodoli, Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1971 (9a ed.); G.Pittano, biDizionario italiano linguistico e grammaticale, Calderini, Bologna 1981; The Concise Oxford Dictionary, Clarendon Press, Oxford 1982 (7a ed.); ecc. ’ 4 Ad es.: Dizionario Garzanti della lingua italiana, Milano 1965; B.Migliorini, Vocabolario della lingua italiana, Paravi^ 1972 (2a ed.); S. Battaglia,. Grande dizionario della lingua ita liana UTET, Torino 1981; ecc. Numerosi sono inoltre i vocabolari e le enciclopedie che si limitano alla semplice definizione "arte dei suoni", come ad es. : Piccola enciclopedia Sansoni, Firenze 1960 (2a ed.); A. Niccoli, Vocabolarid della lingua ita liana, Tumminelli, Roma 1969 (3a ed.); F.Palazzi, Novissimo dizionario della lingua italiana, Fabbri, Milano 1978 (5a ed.); ecc.
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all'orecchio", né tantomeno sul rapporto tra combinatoria dei suoni e loro percezione. Ne risulta invece l'idea, non a caso comunemente invalsa, di un'"arte" per pochi elètti che però contrasta, in tutta evidenza, con una diffusione generalizzata di molte pratiche muisicali (basti pensare al canto). Ma a questo c'è una spiegazione: le lapidarie defi nizioni dei dizionari esprimono una concezione culta della musica e, in questo senso, sono di risultato di «un restringimento e di una specificazione del campo musicale» (Molino 1975:37) connessi all'evoluzione della nostra "musica d'arte". Esse ci riconducono agli inizi del Medioevo quando la musica, collocata fra le arti liberali del Quadrivio, assunse la fisionomia di un'autonoma scien za dei suoni, rompendo quei vincoli con l'espressività della’ parola e del gesto che erano impliciti sia nella /ioir otKij réxvTìdei Greci che nella musica dei Romani. La tratta tistica medioevale (Boezio, Cassiodoro, Isidoro di Sivi glia ecc.) operò inoltre, con la distinzione tra musici (teorici della musica) , i veri artisti, e cantores (can tanti e strumentisti), gli esecutori materiali, una doppia cesura fra ars e artificium e fra teoria e pratica musica li, in seguito mai più ricomposta 5. La delimitazione dei fenomeni musicali ad una specifica attività artistica per mise così di circoscrivere e controllare un tipo di com portamento che invece, nella nostra come in tutte le altre culture, è comune ad ogni individuo e gruppo sociale, evi tando che si sviluppasse una riflessione sulla sua reale natura e riducendo al distinzione fra musicale e non-musicale a considerazioni di carattere puramente estetico. Non è dunque un caso che le definizioni dei dizionari e delle enciclopedie siano così deboli da non adattarsi nep pure alla musica colta; si pensi, in questo senso, al con cetto di "musica d'arte" che dovrebbe risolvere, con un'incredibile tautologia (arte dei suoni d'arte), la con trapposizione tra un'ipotetica musica-musica, quella
5 Su questo argomento, cfr. Pirrotta 1984: 21-23.
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cultaf e una musica-non musica, quella extra-culta (di tradizione orale, di consumo ecc.), rendendo così opinabi le e non onnicomprensiva l'enunciazione di "arte dei suoni", comune alle varie formulazioni. Il quadro che emerge da queste constatazioni è indi cativo dell'influenza che una concezione della musica da un lato empirica e fluida, dall'altro ideologicamente rigida e delimitativa, ha ancora oggi su una parte consi stente della nostra società. E ciò a dispetto della quan tità e qualità di riflessione prodotta sull'argomento, nel corso dei secoli, da teorici e tecnici musicali, fisici, matematici, filosofi, poeti, medici, teologi ecc. Una mole di pensiero d'altronde proporzionata all'alto livello di complessità e ricchezza formali raggiunto dalla musica occidentale nel suo sviluppo storico. Era pertanto inevitabile che l'impatto con le cultu re extraoccidentali e con la loro diversità, prima intuita tramite i resoconti dei viaggiatori e degli esploratori e divenuta poi consapevolezza quando ad essi, a partire dal secolo scorso, subentrarono gli etnografi, .mettesse in crisi anche il concetto occidentale di musica; non solo facendo crollare le illusioni circa la naturalità, l'uni versalità e 1'immortalità dell'arte delle Muse, ma ponendo anche serie ipoteche sulla validità dei tratti fino ad allora considerati distintivi delle forme e dei comporta menti musicali. Analoghe conseguenze derivarono da uno studio sempre più attento e rigoroso della musica folklorica europea. Accadeva, in sostanza, che le ricerche di etnografia e folklore musicale, via via che allargavano il campo d'indagine all'intero complesso delle società umane, portavano alla luce forme e comportamenti cosi difformi ed irriducibili gli uni agli altri da far dubitare della natura stessa dell'oggetto d'indagine. Eppure, sull'illusione di un'agevole riconoscibilità dei fenomeni musicali, i primi studi comparati si svilup parono come una naturale estensione della musicologia occidentale, rivendicando per questo motivo un'autonoma specificità nell'ambito delle scienze umane. Ed è significativo che nello stesso anno (1884) in cui G. Adler sanciva nella appena nata Musikwissenschaft una divisione 14
di campo fra studi storici e sistematici, le osservazioni di J.A. Ellis sulle scale delle "varie nazioni" dessero vita a quel censimento delle differenze divenuto poi il terreno di pertinenza dell'etnomusicologia 6. Si può quasi
cogliere un tono di sorpresa nella costatazione di Ellis che «la scala musicale non è unica, non è "naturale" e neppure si fonda sulle leggi della costituzione del suono musicale comprese ed esposte in modo brillante da Helmoltz», ma che «invece esistono scale molto diversificate, artificiali e soggette a variazioni capricciose». Proprio in quello stesso periodo in cui la musicolo gia da un lato rivendicava basi sistematiche e dall'altro si apriva alla comparazione, F. de Saussure cominciava a definire alcuni fondamentali termini e concetti-chiave delle moderne scienze del linguaggio. Una contemporaneità oggi indicativa dello scarto storico e concettuale nell'approccio a due campi contigui dell'espressività umana, quello linguistico e quello musicale, entrambi riconducibili alla produzione di suono organizzato: la possibilità di dare rigore e fondamenti scientifici agli studi linguistici comparati poggiava già allora su una chiara distinzione teorica fra linguaggio e lingua 78 , men
tre la distinzione fra universale e relativo in musica non era che ai suoi primi ed inconsapevoli passi. La storia di oltre cento anni di studi etnomusicologici potrebbe infatti essere letta come la cronaca del pas saggio da una definizione a priori di musica, basata sulle concezioni occidentali, all'elaborazione di nuovi concetti e categorie in grado di interpretare e spiegare su basi scientifiche, e quindi universalmente valide, le forme ed i p comportamenti "musicali" delle diverse società Per molti versi, il percorso evolutivo degli studi
6 Ci si riferisce qui a Ellis e Hipkins 1884, i cui temi furono poi ripresi e sviluppati in Ellis 1885. 7 Cfr. Saussure 19724: 19. 8 Sulla storia dell'etnomusicologia, cfr.: Boilès e Nattiez 1977, Carpitell.a 1979 e Giannattasio 1985: 127-135..
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etnomusicali non è stato in ciò dissimile da quello di altri settori delle scienze umane. E' tuttavia significa tivo che il feedback dell'etnomusicologia sulla cultura osservante sia stato più immediato e dirompente che in altri campi del confronto antropologico. Una prima ricadu ta si è avuta nel cuore stesso della musica colta occiden tale, fra i compositori. Essa è stata inizialmente perce pibile nei "primitivismi" 9 e nei sempre più consistenti
sincretismi musicali e in seguito, soprattutto, nella crisi d'identità del "linguaggio" musicale, di cui si ritrovano segni eloquenti: nella rivoluzione "atonale" e "dodecafonica" di Schonberg e, in generale, in tutta la conseguente esperienza "seriale", come tentativo di fonda re un'espressione musicale al di fuori di scale, forme e strutture "preconcette" (l'aggettivo è di Boulez); nella crescente utilizzazione di voce, linguaggio e corpo (dallo Sprechgesang di Schonberg alle opere di Berio) , e in una generale ricerca di fusione dell'evento sonoro col mimo, il gesto e la danza; nel crescente rifiuto di strette dipendenze dalla partitura scritta (musiche aleatorie, Cage, Varèse ecc.). Più tardi, anche in conseguenza dell'ingresso dell'etnomusicologia in ambiti istituzionali ed accademi ci, la coscienza delle "alterità" musicali comincia timi damente a diffondersi a livello di senso comune e non a caso si assiste, nele più recenti edizioni di alcuni dizionari, a rapide quanto significative mutazioni. Ad esempio, lo Zingarelli che, dalla prima (1922) all'ottava edizione (1959) definiva la musica «arte di combinare i suoni in guisa che nella forma di melodia, armonia, polifonia, strumentazione, ecc., rendano gli affetti dell'animo o immagini e visioni ideali», a partire dalla nona edizione (1967) trasforma la definizione in «arte di combinare più suoni in base a regole definite, diverse a seconda dei luoghi e delle epoche». Se tale accezione che
9 Cfr. Carpitella 1959 e 1973.
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compare ormai nei più recenti ed aggiornati dizionari 1011
ha l'unico pregio, rispetto alle precedenti, di relativiz zare il contesto di riferimento, essa comunque segnala l'avvenuta presa d'atto che non esiste "la" musica, ma una molteplicità di "musiche". Dato che l'estensione della ricerca musicologica all'intero universo umano ha rivelato la necessità di riformulare a posteriori la definizione di musica, un primo e indispensabile passo in questa direzione è quello di stabilire quali fenomeni, nelle varie società, debbano rientrare in tale definizione. In altri termini — e questo è il paradosso epistemologico a cui si è trovata di fronte 1'etnomusicologia — si tratta di enucleare il concetto di musica, o almeno un quadro concettuale di riferimento, individuandone contestualmente il campo di estensione. Si comprende come ciò obblighi a continui aggiustamenti fra approcci deduttivi ed induttivi fra analisi circoscritte e tentativi di sintesi generalizzanti 11. In particolare, per una descrizione dei fenomeni musicali occorrerà tener conto, da un lato, di tutte quel le manifestazioni che indipendentemente dal contesto cul turale sembrano condividere una stessa natura musicale e, dall'altro, delle diverse concezioni che nelle varie società sono alla base della produzione di "suono organiz zato". Infatti in gran parte delle culture non esiste un termine che traduca il concetto occidentale di musica. Un corrispettivo del termine "musica" sembra ad esempio assente in tutte le lingue e dialetti dell'Africa sub sahariana. Non stupisce perciò che nella lingua somala il campo semantico di muusika (termine di recente acquisizio ne) si limiti alla produzione musicale moderna, soprattut to eseguita con strumenti di importazione europea, araba e
10 Ad es. : Lessico universale italiano della Enciclopedia Italiana, Roma 1974; Le petit Robert, Parigi 1978; M.Cortellazzo e P.Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zani chelli, Bologna 1983; ecc. 11 Su questo aspetto cfr. Caillat 1977:4-25.
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indiana, mentre la produzione "musicale" tradizionale con tinua ad essere classificata in base a tre categorie di stinte: gabay (poesia), hees (canto) e ciyaar (danza) 12. In àmbiti di tradizione orale soltanto un approccio dall'interno/ ovvero uno studio che prenda in considera zione le specifiche categorie di pensiero delle società in esame, può mettere in luce i concetti che presiedono alla produzione musicale. In tale prospettiva, tutti i momenti di simbolizzazione verbale degli eventi musicali (dalla metafora al lessico tecnico) possono divenire essenziali per delimitare la sfera dei fenomeni musicali. Ad esempio, l'idea che «distinguere fra due categorie, musica e danza, è spesso fuorviente nel caso di culture africane» (Kubik 1983:66) 13 può essere suffragata da dati linguistici,
come il campo semantico del termine kiswahili ngoma che si estende a significare danza, tamburo, musica, festa ecc., o anche l'opposizione di termini presente nella lingua kikamba del Kenia (Kavyu 1978:34) : Ci sono due sole parole atte a rappresentare i quattro principali termini musicali in kikamba: kwina, cioè cantare o danzare e wathi, canto o danza. Pertanto, combinati, potrebbero significare sia danzare una danza che cantare un canto; ma vi sono altre due com binazioni, come si può vedere nello schema seguente:
Svina-------- ► Vathi
Danzare ........ una ---- ► danza un (a)
Svina
> Vathi
Cantare
un -----► canto
12 Cfr. Giannattasio 1988:161-163. 13 A proposito delle concezioni africane della musica, cfr. anche Schmidt-Wrenger 1980.
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Questo allargamento della ricerca ai dati "emici" ha risolto almeno un aspetto del paradosso etnomusicologico, permettendo di formulare un principio di base: la musica di una determinata cultura è l'insieme delle forme e dei comportamenti che quella cultura ritiene di ordine musicale. Più difficile risulta invece individuare quei carat teri che, per la loro universalità, siano in grado di validare una definizione di musica. Per fare questo occor re escludere tutto ciò che teoricamente potrebbe essere considerato musica ma che, tuttavia, o non ha una reperi bilità universale o allarga eccessivamente il campo dei fenomeni. Così, l'associazione fra musica e danza potrebbe essere considerata un tratto universale; ma non in tutte le culture l'espressione coreutica e quella sonora sono riferite, come sembrano fare gli africani, ad un unico mo dello di comportamento. Perciò in questo capitolo 1' ana lisi sarà limitata a quei tratti che permettono di descri vere la musica come suono organizzato. In primo luogo ver ranno presi in esame i parametri "oggettivi" del suono, così come essi sono defininiti dalla fisica acustica; successivamente si rifletterà su come la soglia fra suono e rumore o, in termini più generali, fra musica e non musica sia una variabile "soggettiva" e si presenti per tanto differentemente in culture ed epoche diverse.
1. Parametri fisici del suono: altezza, intensità, timbro Come si sa, il suono può essere generato da un solo tipo di moto: quello prodotto da un corpo vibrante in grado di provocare onde di rarefazione-compressione che l'aria trasmette al nostro orecchio 14. La fisica acustica
14 La velocità a cui il suono percorre lo spazio dal corpo vibrante al nostro orecchio è, in condizioni atmosferiche norma li, di circa 335 metri al secondo.
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studia appunto i movimenti della materia suscettibile di agire sull'orecchio umano. Va tuttavia ricordato come in acustica assumano grande importanza anche le questioni fisiologiche relative .alle modalità secondo cui le onde sonore attivano l'orecchio e vengono trasmesse da questo al cervello soto forma di stimoli nervosi, nonché le que stioni psicologiche relative a come il cervello processa e rende intellegibili tali segnali.
Una vibrazione è un movimento nel corso del quale una parte mobile si sposta sempre restando in prossimità di un punto fisso. Ciò che si muove può essere costituito da un oggetto o solo da una parte di un insieme elastico, sia esso solido, liquido o gassoso. Nella . sua forma più semplice, l'oscillazione è una sorta di vai-e-vieni ese guito dalla parte mobile lungo una linea retta, e si pre senta pertanto come un sinusoide:
Figura 1 - Rappresentazione di ma vibrazione.
La figura 1 rappresenta un'oscillazione periodica, ovvero un movimento che si riproduce uguale a se stesso ad intervalli regolari. Si definisce periodo la durata in secondi (o millisecondi) di una vibrazione isolata (o
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ciclo), in altri termini l'intero tragitto che un'onda deve compiere nell'unità di tempo per arrivare al suo punto omologo. La distanza tra i due punti dà la lunghezza d'onda. Con il termine di frequenza si indica invece il numero di vibrazioni che l'onda compie nell'unità di tempo. L'unità di misura della frequenza è 1'hertz, che corrisponde ad un ciclo in un minuto secondo. Si noterà che la frequenza è inversamente proporzionale al periodo: se infatti, come nella figura 2, si avessero due vibrazio ni al secondo, ognuna durerebbe ovviamente mezzo secondo. Così, se un suono ha una frequenza di 500 Hz, il suo periodo sarà di 1/500 di secondo.
Figura 2 - Frequenza, ampiezza, periodo.
If altezza di un suono musicale dipende dalla sua frequenza, ovvero dal numero di movimenti al secondo com-
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pinti dal corpo in vibrazione. Un La a 440 Hz avrà dunque un'altezza corrispondente a 440 vibrazioni al secondo. Maggiore è la frequenza, più acuto sarà il suono; più un suono è percepito come grave, più bassa sarà la sua fre quenza. Il limite minimo percepibile 'dall'orecchio umano varia dalle 16 alle 20 vibrazioni al secondo, quello mas simo dalle 20.000 alle 25.000. Oltre queste soglie di udibilità si avranno infrasuoni ed ultrasuoni che l'uomo, a differenza di altre specie animali, non riesce a perce pire se non come inspiegabile fastidio. Il linguaggio parlato si articola in una banda di frequenze fra i 100 e i 4.000 Hz, mentre la gamma di suoni usati normalmente nella pratica musicale ha uno spettro più ampio: ad esem pio, nella nostra cultura musicale, un- coro misto emette suoni la cui frequenza oscilla fra i 64 e i 1.500 Hz, un pianoforte da concerto produce suoni dai 20 ai 4.176 e un grande organo da chiesa ha un'estensione compresa fra i 16 e i 16.000 Hz. L'intensità di un suono è invece data dall'ampiezza dell'onda sonora. Per ampiezza si intende la distanza fra il centro della cresta e la base dell'onda (cfr. fig.2); maggiore è la distanza, più intenso (o, come normalmente si dice, più forte) è il suono prodotto. Il suono rappresentato nelle figg.l e 2 è un suono puro. I fisici definiscono puro un suono le cui dimensioni caratteristiche (movimento delle particelle, pressione dell'aria ecc.) hanno una variazione sinusoidale. Ma suoni puri non sono praticamente mai rilevabili in natura e pos sono essere ottenuti soltanto per mezzo di apparecchiature elettroniche. La realtà dei suoni musicali è pertanto più complessa. Il matematico francese A. Fourier ha dimostrato, nei primi decenni del secolo scorso, che un qualunque fenomeno periodico può sempre scomporsi in una somma di sinusoidi elementari, le cui frequenze rispettive sono multipli interi (n, 2nr 3n ecc) della componente più grave, detta fondamentale. Ad esempio, premendo il Do centrale della tastiera di un pianoforte si produrrà una vibrazione di 261,63 cicli al secondo, ma il suono che si udrà non sarà puro, perché composto oltre che dal suono fondamentale (il
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Do di 261,63 Hz) anche da una serie di altre frequenze che vengono chiamate armoniche e che corrispondono a multipli interi della fondamentale:
l.JT] JhJjT?
nacchere
Figura 14 — Ritmo della tarantella di Montemarano scan dito dalle nacchere e dal tamburello 1982:22)
(trascr. in Giuriati
Come osserva Giuriati, la caratteristica principale dell'esecuzione di questo modulo ritmico consiste «nello spostamento degli accenti rispetto ai tempi forti della battuta, molto spesso sul terzo tempo, più raramente sul primo. Si creano così un contrasto ed una dinamicità rit mica, con continue "sincopi" che danno alla base ritmica grande ricchezza e varietà» (Giuriati 1982:22). Sembra a chi scrive che la logica di questi spostamenti accentuali
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confermi quella tendenza a permutare binario e ternario; tant'è che il modello che risulta più evidente all'ascol to, a seguito dell'iperaccentazione contrametrica del tam burello, può essere inteso come binario (4 x 3), piuttosto che ternario (3x4):
tamburello
nacchere
Figura 15 — Ritmo iperaccentato della tarantella di Montemarano
Da
notare
come
questa tendenza
all'ambiguità
ritmica
fra binario e ternario nella musica di danza del folklore meridionale italiano sembri avere una sua funzionalità proprio in relazione all'attività coreutica. Ciò è senz'altro vero per la tarantella rituale del Carnevale di Montemarano dove, come afferma sempre Giuriati, la formula ritmica «ha uno stretto rapporto con i passi dei danzato ri; ad esempio l'accento sull'ultimo ottavo del terzo
tempo ritma il movimento di oscillazione verso destra e verso sinistra delle gambe dei danzatori» (ibid.). Ci sono fondate ragioni per ritenere che l'ambiguità fra binario e ternario, la conflittualità fra metro e ritmo, così come anche le modalità di ripartizione dei ritmi fra gli stru menti a percussione, abbiano il loro fondamento proprio nella funzione rituale delle musiche cui appartengono. Il caso più significativo in questo senso è quello delle piz zicale del tarantismo pugliese, ampiamente studiate da Car pitella
(1966),
in
cui
la musica
(tamburello,
violino,
organetto e chitarra) accompagna la danza del "tarantato" e contribuisce a indurne la trance:
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Figura 16 — Pizzica tarantata (trascr. 1966:342-343)
in
Carpitella
Carpitella rileva in queste musiche una «netta divisio ne tra il beat della sezione ritmica (organetto, tamburel lo e chitarra) e l'off beat del violino che si manifesta soprattutto attraverso il sincopato e le note ribattute»
77
(ivi: 351) 30. E, a proposito di questa dicotomia fra beat e off beat, aggiunge: «Ne risulta un duplice aspetto di queste musiche, che meriterebbe di essere compiutamente analizzato dal punto di vista psicologico, in quanto in esse si- riflettono due momenti tipici delle tecniche reli giose: dilatazione ed esasperazione della crisi che musi calmente si risolvono in particolari tecniche espressive (ritmica accentuativa, sincope, effetti strumentali, vari modi di percussione del tamburello, grida, lamentazioni ritmate); e controllo della crisi che si riflette soprat tutto sull'ostinato del ritmo isometrico» (ibid.). Il continuo "spaesamento" temporale provocato dal muta re degli accenti in relazione alla rigida isocronia della pulsazione, ed il condizionamento motorio che questo con flitto ritmico induce nei movimenti della danza, potrebbe ro pertanto essere considerati dei fattori funzionali (anche se non necessariamente gli unici determinanti) allo scatenamento della trance rituale. Non è forse un caso che nei ritmi delle pizziche e delle tarantelle eseguite dai moderni gruppi folkloristici, ormai sganciate dai tradi zionali impieghi rituali, ambiguità e conflitti metro-rit mici siano molto attenuati, quando non addirittura del tutto assenti 31. Questi ultimi esempi relativi alle musiche di danza dell'Italia meridionale, come d'altronde anche quelli delle complesse architetture ritmiche nord e centro-afri cane, ci riconducono così alle più significative e parti colari prerogative della temporalità musicale ed agli usi sofisticati e più fortemente emozionali che di essa si possono fare in una dimensione di musica vissuta, qual'è quella appunto che caratterizza le culture di tradizione orale.
30 «I termini beat e off beat vanno intesi nel loro signifi cato letterale di pulsazione, battito e fuori pulsazione, fuoribattito. ..» (ibidem). 31 Lo stesso accade per le tarantelle recuperate in ambito musicale colto, come quelle famose di Rossini, Martucci, ecc.
78
BIBLIOGRAFIA
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Giovanni Ciurlati
SCAIA
Affrontare la questione delle scale musicali vuol dire considerare in primo luogo il parametro "altezza". Con questo termine si indica la frequenza di vibrazioni prodotte da un corpo sonoro. Ciascun suono è infatti pro dotto da una vibrazione di un corpo elastico che si tra smette all'aria con una determinata frequenza di vibrazio ni per minuto secondo, misurata in Hertz (Hz.). Il campo di udibilità delle frequenze per l'orecchio umano varia in un ambito che va da ca. 20 Hz. a ca. 20.000 Hz. (il La dell'ottava centrale del pianoforte è di 440 Hz. ) ed il suono è percepito tanto più acuto quanto maggiore è la frequenza di vibrazioni.
1. Notazione delle altezze nella musica occidentale La stragrande maggioranza delle culture musicali si trasmette per tradizione orale. L'uso della notazione musicale è limitato alla musica colta occidentale e ad alcune musiche d'arte o religiose orientali (ad esempio Cina, Tibet, Giava). Tuttavia, gli etnomusicologi trascri vono sovente le musiche da loro studiate, anche se tra smesse oralmente, a fini analitici.1 Nella trascrizione essi usano in prevalenza, nonostante le sue insufficienze, il pentagramma della musica colta occidentale, alle volte integrandolo con segni diacritici. Sarà pertanto opportuno riassumere brevemente i principi fondamentali della nota zione delle altezze nella musica occidentale. A partire dal medioevo, si è sviluppato in Europa un sistema di notazione delle altezze che, dopo aver subito
1 Cfr., in questo stesso volume, TRASCRIZIONE.
83
diverse modificazioni, si è stabilizzato nell'odierno pen tagramma.2 I sette suoni alla base del sistema musicale occidentale, denominati con le sillabe: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si trovano una collocazione sui cinque righi e quattro spazi del pentagramma. L'uso di chiavi fornisce un riferimento per l'altezza relativa dei suoni; le due chia vi più utilizzate sono la chiave di violino (chiave di Sol) , usata per il registro acuto, in cui il Sol è posto sul secondo rigo e la chiave di basso (chiave di Fa) , per il registro grave, in cui il Fa è posto sul quarto rigo.
ZS
fa
sol In chiave di violino i nel modo seguente:
Do
Re
Mi
Fa
sette
Sol
suoni vengono notati
La
Si
2 A proposito del processo di sviluppo della notazione duran te il medioevo, cfr. Reese (I960.), in particolar modo i capp. V, X e XII.
84
Questi suoni possono essere alterati mediante i segni di diesis ( # ) e bemolle ( ) che, rispettivamente, rendono più acuto e più grave un suono di un intervallo di semito no .3 Possono inoltre essere notati anche suoni che si collocano al di sopra o al di sotto del pentagramma, mediante l'uso di tagli addizionali:
2. Intervallo
Si definisce intervallo il rapporto di frequenza fra due suoni percepiti come aventi altezza diversa. Nella tradizione occidentale gli intervalli vengono denominati con numeri ordinali corrispondenti alla 'distanza' inter corrente tra i suoni con riferimento alla successione eptatonica: Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si. Tra due suoni contigui si avrà un intervallo di 2a (ad esempio l'intervallo tra Do e Re); tra due suoni non contigui si procederà a contare il numero dei passi com piuti per giungere da un suono all'altro includendo nel computo i suoni di partenza e di arrivo. Ad esempio, l'intervallo tra Do e Mi sarà denominato di 3a (Do-Re-Mi); tra Do e Sol di 5a (Do-Re-Mi-Fa-Sol).4
3 Per una descrizione più completa e dettagliata del sistema di grafia delle altezze nella musica occidentale cfr. Kàrolyi (1969): 28-33. 4 Per una presentazione più esauriente della teoria interval lare nella musica occidentale, con le diverse denominazioni derivanti dalla utilizzazione di intervalli nel sistema armoni co-tonale (maggiore, minore, aumentato, diminuito, etc.), cfr. Kàrolyi, 1969: 71-74.
85
da
Fig. 1 - Tavola degli intervalli
L'intervallo più piccolo della teoria musicale occi dentale è il semitono, che si trova tra i suoni Mi-Fa e Si-Do. Il tono, di ampiezza doppia, è l'intervallo che intercorre tra i rimanenti suoni. In realtà non vi è una precisa corrispondenza tra la graf-ia spazializzata del pentagramma e la effettiva altez za (frequenza) dei suoni. Infatti, la successione di altezze sul pentagramma, poste tutte alla medesima distan za (sul rigo e sullo spazio alternativamente), corrisponde a due distinti tipi di intervallo alla base della scala occidentale, che si possono trovare tra due suoni conti gui: tono e semitono. I sette suoni disposti sul penta gramma hanno infatti la seguente successione intervallare (partendo da Do) : tono tono, semitono, tono, tono, tono, semitono. L'intervallo di tono ha ampiezza doppia rispetto al semitono ma questa diversa ampiezza non è espressa gra ficamente, in quanto vi è una corrispondenza grafica tra l'intervallo Mi-Fa (semitono) e l'intervallo Sol-La (tono), ambedue notati su rigo e spazio contigui.
86
Il suono più acuto della figura precedente è denomi nato Do e si trova ad intervallo di 8a dal suono più grave chiamato ugualmente Do. Nella teoria occidentale viene infatti attribuito lo stesso nome a suoni che si trovano ad intervallo di 8a anche se si usano dei sistemi per distinguere i suoni nelle diverse ottave. Il sistema più diffuso consiste nel riportare, in basso.a destra del nome di una nota, un numero corrispondente alle diverse ottave della tastiera del pianoforte (generalmente di 7 ottave): Do, do-^ dc>2' d°3 (corrispondente al do centrale del pia noforte, 256Hz.), do^, do^, do^ Altre volte, specie nel mondo anglosassone, si ricorre ad apici: do, do', do" etc. Il particolare ruolo dell'intervallo di ottava, riscontra bile non solo nella cultura occidentale, è spiegabile con ragioni fisico-acustiche. L'ottava è infatti il primo intervallo della serie degli armonici, le diverse componenti di un suono che con corrono a determinare il timbro. Questa serie, composta da frequenze multiple del suono fondamentale, ha la seguente successione :
I
II
III
IV
64Hz. 128Hz. 192Hz. 256
Do^,
V
VI
VII
320
384
etc.
Vili
IX
X
XI
XII
etc.
Nell'esempio qui presentato il suono di partenza è con frequenza di 64 Hz.; la successione intervallare
87
qui raffigurata: 8à, 5à, 4à, 3à magg., 3a min., etc., è valida a partire da qualsiasi suono del continuum di fre quenze . Due suoni ad intervallo di 8à sono dunque in rappor to di frequenza 2/1 (il suono acuto ha il numero di vibra zioni doppio del suono grave), il rapporto frazionario più "semplice", che intercorre fra i primi due suoni della serie degli armonici. Sono proprio i suoni che si trovano in questo rapporto di frequenza semplice che vengono iden tificati come simili e chiamati con lo stesso nome. Al ciclo con il quale vengono denominate le altezze non corrisponde un analogo ciclo nel computo della distan za tra intervalli. Tale computo prosegue non tenendo conto della duplicazione di nome dell'ottava:
Il sistema di altezze occidentale comprende anche dei suoni alterati, notati con i segni di diesis e bemolle che, assieme ai sette suoni precedenti, costituiscono l'inventario di altezze del sistema occidentale:
$ Do
88
* Do
Reb Re Re *
Mib Mi Fa
* Fa
SolbSol Sol * Lab La
* La
Sib Si
Nella scala temperata vi è perfetta equivalenza di altezza tra suoni diesizzati e bemollizzati. Ad esempio un Do# ed un Reb hanno la stessa frequenza. Le ragioni per cui ven gono distinti sono di tipo armonico-tonale.5 Le altezze all'interno dell'ottava sono dunque dodici, ciascuna a distanza di un intervallo di semitono dal suono contiguo.
ST
ST i
i
ST i
ST etc. i---- 1
i
i
i
i
i
i
।
i
La successione di questi dodici altezze è denominata scala cromatica.
3. Definizione di scala La scala costituisce l'elemento di base con cui cia scuna cultura rende discreto il continuum di frequenze udibili. Jean Jacques Nattiez ne dà una definizione aggiornata alle più recenti ricerche etnomusicologiche, articolata in quattro punti: "1) consiste in una successione di intervalli 2) determina un dato numero di altezze 3) è priva di funzioni privilegiate 4) e tutto questo all'interno di un corpus dato" (Nattiez 1987: 33). Il punto 1) di questa definizione sottolinea la caratteristica principale della scala, che è la relazione intervallare, piuttosto che la successione di altezze assolute. Ci sono, ad esempio, culture musicali del sudest asiatico, che non hanno diapason , cioè un'altezza di riferimento comune. In questo caso la scala è definita
5 Cfr., in questo stesso volume, MODALITÀ'/TONALITÀ'
89
solamente da una successione codificata di intervalli, non da altezze assolute comuni, così come avviene invece (o meglio, dovrebbe avvenire) nella nostra cultura, dove è oggi fissato addirittura per legge ormai - un diapason con il La a 440 Hz. -Il punto 2) è una logica conseguenza del punto 1) che tut tavia va specificata. Infatti una successione di interval li determina come conseguenza un numero finito di altezze dette 'gradi' sulle quali vengono accordati i diversi strumenti e che servono di riferimento per la voce. E' proprio questa successione di altezze determinate che viene solitamente denominata scala (esempio: do-re-mi-fasol-la-si~do), piuttosto che la successione di intervalli (esempio: Tono, Tono, Semitono T, T, T, ST). Il punto 3) serve a distinguere il concetto di scala da quello di modo, in quanto nel definire una scala non viene implicata alcuna gerarchia fra i suoni che la compongono, ne' vengono attribuite funzioni specifiche a determinati suoni. Sarà con l'organizzazione modale o tonale che tali funzioni e gerarchie verranno stabilite. Il punto 4) sottolinea come nell'analisi di un sistema scalare proprio di una determinata cultura o repertorio musicale si debba tener conto di un campione consistente in un intero corpus di musiche e non ci si possa basare su esempi isolati. Nattiez propone una definizione molto ampia e preci sa di scala, che si rende necessaria alla luce degli studi recenti. La questione dei sistemi scalari è da molto tempo dibattuta tra gli etnomusicologi perchè la definizione della scala costituisce un presupposto inevitabile per qualsiasi studio su una data cultura musicale. La vivacità di’ questo dibattito deriva inoltre dal fatto che sin dall'antica Grecia, numerose sono state tra i teorici occidentali le speculazioni sull'intonazione degli inter valli e sulle scale. Molte culture, compresa la nostra, hanno infatti elaborato delle teorie sulle proprie scale musicali, basandole su calcoli matematici. Nella cultura occidentale le formulazioni teoriche più importanti sono state elaborate da Pitagora, Zarlino, Werckmeister. Molto succintamente, e rimandando ai numerosi testi di storia 90
della musica e di acustica per approfondimenti (Righini 1978)t le scale più importanti della storia della musica occidentale sono state la scala pitagorica basata sulla successione di intervalli di quinta, la scala zarliniana, basata su intervalli ricavati dalla serie dei rapporti semplici e la scala temperata proposta nel '700 da Werckmeister nella quale l'intervallo di ottava è diviso in dodici parti uguali. Dunque, nel sistema musicale occiden tale sette-ottocentesco le scale principali sono la scala diatonica eptatonica composta dai suoni non alterati e la scala cromatica con dodici semitoni equidistanti. In effetti, vi sono due scale diatoniche in quanto la succes sione di intervalli tra scala diatonica nel modo maggiore e nel modo minore è differente: Tono, T, Semitono, T, T, T, St. per il modo maggiore e T, St, T, T St, T, T per il modo minore6.
Tono T ST T T T ST i--------- 1----------- 1----------1---------- 1---------- 1-----------1---------- 1
- - ;Z---
=) 4 ^. Do
Re
Mi
Fa
Sol
La
Si
Do
Tono ST T T ST T T I------------ 1--------- 1--------- 1--------- 1---------- 1------------ 1--------1
La
Fig. 2. minore
a>
SI
Do
Re
Mi
Fa
Sol
scala diatonica maggiore/ bj
La
scala diatonica
6 Per una trattazione dei diversi sistemi modali, questo stesso volume, MODALITÀ'/TONALITÀ'
cfr.,
in
91
La scala temperata di dodici suoni è stata utilizzata in occidente nel XVIII e XIX secolo ed è ancora largamente impiegata nel XX secolo. A partire dagli inizi di questo secolo però, i compositori hanno iniziato ad abbandonare con sempre maggiore frequenza il sistema scalare basato su dodici suoni, spesso per loro troppo associato alla musica sette-ottocentesca. Già Busoni sperimentava scale costi tuite da 1/3 di tono ai primi del '900.7 In seguito, i compositori si allontaneranno sempre più dalla scala cro matica per utilizzare, soprattutto grazie all'uso di stru menti elettro-acustici, le più varie discretizzazioni del continuum delle frequenze. Vi sarà in questo una oggettiva convergenza con la ricerca etnomusicologica che ha elabo rato sistemi di notazione delle altezze più adatti a rap presentare le musiche di tradizione orale che seguono sistemi scalari diversi da quello temperato.8
4. La ricerca etnomusicologica
Nella seconda metà dell'ottocento Hermann Helmholtz sostenne la "naturalità" della scala occidentale in quanto basata sulla successione degli armonici naturali (Helmholtz 1863) . Questa posizione, pur se circoscritta alla musica occidentale, fu confutata già nel 1884 dal traduttore inglese di Helmholtz, Alexander J. Ellis, che sostenne la non naturalità dei principi che le diverse culture ponevano alla base dei propri sistemi scalari. Ellis, che viene considerato uno dei padri dell'etnomusi cologia, effettuò numerose misurazioni su scale di diverse culture del mondo, deducendo che vi sono tanti diversi tipi di scala quante sono le culture considerate e che le scale, pur basandosi in parte su principi naturali armoni ci, se ne discostano in maniere più o meno evidenti. Nel
7 Cfr. la "Relazione sui terzi di tono" di Ferruccio Busoni, redatta nel 1922 (Busoni 1954: 96-98). 8 Cfr., in questo stesso volume, TRASCRIZIONE
92
suo saggio "Tonometrical Observations on Some Existing Non-harmonic Musical Scales", redatto assieme ad Hipkins, egli afferma che: La conclusione finale è che la scala musicale non è unica, né "naturale7', e neppure necessariamente fonda ta sulle leggi di costituzione del suono musicale cosi magnificamente formulate da Helmholtz, ma molto mute vole, molto artificiale, e molto capricciosa" (Ellis e Hipkins 1884: 374).
Ellis elaborò, a fini comparativi, il sistema di misurazione degli intervalli basato sui cents, dividendo in base ad un calcolo logaritmico l'intervallo di semitono temperato in 100 parti uguali dette, appunto, cents. In un intervallo di ottava vi sono dunque 1200 cents, e questa unità di misura molto piccola, più piccola di quanto possa distinguere e discretizzare l'orecchio umano (che può arrivare in condizioni sperimentali di laboratorio a distinguere al massimo intervalli di 4-5 cents) consente una accurata misurazione e comparazione di diversi sistemi scalari. Mentre Ellis si serviva del monocordo per le sue misurazioni, oggi si può disporre di strumenti più sofi sticati come lo Stroboconn o il computer che consentono una maggiore facilità ed accuratezza delle misurazioni. Il sistema elaborato da Ellis rimane ancor oggi il riferimento più largamente usato dagli etnomusicologi nella misurazione degli intervalli. Questo sistema consen te di effettuare comparazioni tra sistemi scalari di diverse culture musicali del mondo. E la comparazione, oltre a mettere in evidenza differenze e specificità, sot tolineate da Ellis, consente anche la ricerca di elementi comuni e generalizzabili. E' ciò che hanno fatto i musico logi della scuola di Berlino (musicologia comparata) ten tando di individuare criteri "universali" alla base delle diverse culture musicali in una prospettiva evoluzionisti ca, identificando stadi successivi di "complessità". Nei primi decenni del '900 alcuni etnomusicologi di questa Scuola hanno postulato - ed alcuni ancor oggi postulano (Righini 1989) - la "universalità" di alcuni intervalli, in particolare dell'ottava e della quinta.
93
5. Intervallo di ottava
Come esposto in precedenza, l'intervallo di ottava è espresso da un rapporto di frequenza 2/1; se un suono ha, ad esempio, frequenza di 440 Hz., il suono all'ottava superiore avrà frequenza di 880 Hz. Si tratta del rapporto frazionario più "semplice" possibile su cui si fonda la maggior parte delle culture per determinare l'ambito entro cui formare la propria scala. La successione di intervalli ottenuta nell'ambito dell'ottava viene poi duplicata nelle ottave di registro più grave ed acuto. Nella nostra cultu ra, ma anche in altre, come ad esempio l'indiana, i suoni in posizione corrispondente nelle diverse ottave vengono chiamati con lo stesso nome, ma ciò non è vero ovunque; alcuni sistemi teorico-musicali non stabiliscono corri spondenza di denominazione tra suoni in rapporto di ottava fra loro. Nel sistema teorico della musica classica del mondo arabo, a suoni corrispondenti nelle diverse ottave vengono attribuiti nomi diversi. Ad esempio, il suono più grave della scala è denominato yakah, all'ottava superiore nawa ed all'ottava ancora superiore ramai tuti, (Touma 1982: 35-39). La ragione di tale non corrispondenza va cercata probabilmente nel fatto che la scala araba è stata calcolata teoricamente sulla divisione delle corde del liuto, sul quale la posizione dei suoni non suggerisce la corrispondenza di ottava; due suoni in rapporto di ottava sono generalmente tastati . su due corde in posizioni non corrispondenti. Riguardo alla universalità dell'intervallò di ottava sorgono però alcuni problemi. Vi sono culture cosiddette "primitive" che non utilizzano melodie che si spingano fino a questo intervallo. Scrive ancora Nattiez: «... l'ottava: in un buon numero di civiltà musicali essa è sconosciuta, ossia in tali civiltà l'ambito effettivo dello svolgimento melodico si pone in uno spazio inferiore all'ottava.» (Nattiez 1987: 39). Vi sono altre culture in cui l'intervallo di ottava è più ampio dei 1200 cents del rapporto 2/1. Mantle Hood, ad esempio, ha dimostrato questo fenomeno nelle musiche di Giava e Bali, in cui gli strumenti vengono accordati con 94
intervalli di ottava di ampiezza variabile, ma in media sempre più ampi man mano che la scala si estende verso il registro acuto (Hood 1966). Anche se non universale, purtuttavia l'intervallo di ottava è l'intervallo di riferi mento fondamentale per gran parte dei sistemi musicali e può essere definito un "quasi universale".
6. Intervallo di quinta
L'altro intervallo che alcuni etnomusicologi hanno considerato e considerano quasi universale è l'intervallo di quinta, il secondo intervallo che si incontra nella serie degli armonici, espresso dal rapporto frazionario 3/2. Ad esempio, la quinta superiore di un suono di 440 Hz. sarà di 660 Hz. (440x3:2). Questo intervallo è in effetti alla base di numerosi sistemi scalari, anche se gli studi più recenti hanno definitivamente accertato che non può essere considerato del tutto universale. Lo tro viamo nella scala pitagorica in cui gli intervalli sono definiti a partire dai rapporti di 5a (3/2), 4à (4/3) e tono maggiore (9/8). La quinta pitagorica, ricavata dalla divisione del monocordo, risulta essere di 702 cents, leg germente più ampia della quinta temperata di 700 cents. Un sistema scalare cromatico di dodici suoni può essere costruito secondo una successione di intervalli di quinta pitagorica. Se ad esempio il suono di partenza è il Do, la successione di dodici intervalli di quinta sarà: Do-SolRe-La-Mi-Si-Fa#-Do#-Sol#-Re#-La#(Sib)-Fa-Do (figura 3). Il Do raggiunto alla fine del ciclo, una volta riportato all'ottava di partenza - l'intero ciclo si svi luppa nell'ambito di 7 ottave - è 24 (12 volte 2) cents più acuto del suono di partenza, dato che per ogni quinta vi sono due cents "eccedenti".' Questa differenza di 24 cents è denominata comma pitagorico ed ha creato innumere voli problemi ai teorici sia in occidente che in Cina ambedue i sistemi teorici si basavano su scale ricavate da successioni di intervallo di quinta -. In occidente la questione è divenuta cruciale con lo sviluppo di pratiche polifoniche a causa della non "consonanza" di intervalli 95
verticali di terza e di sesta ottenuti con questa scala, ed ha-avuto una risoluzione nel '700 con l'adozione della scala temperata.
Figura 3. Circolo dalle quinte
Vale la pena di soffermarsi qui brevemente sul ciclo delle quinte e vedere come esso è ricavato, dato che nume rose teorie sono state formulate a partire da esso. Se si ha un suono di partenza, ad esempio corrispondente al nostro Do, e si vuole ottenere il suono posto ad un inter vallo di quinta ascendente, si dovrà moltiplicare il nume ro di vibrazioni del suono di partenza per 3/2. Per otte nere la quinta successiva si dovrà compiere la stessa ope razione, e così via, ottenendo una successione del tipo:l, 3/2, 9/4, 27/8, etc. Questa successione si estende in un ambitus di più ottave e si rende necessario dividere il risultato ottenuto per 2/1 (per un'ottava) una o più volte per ottenere una successione di intervalli che si trovino tutti all'interno della stessa ottava. E' proprio in que sto modo che è costruita teoricamente la scala pitagorica.
96
Anche in Cina, fin dal 42 secolo a.C. fu elaborato un sistema scalare basato sulla sovrapposizione di inter vallo di quinta. Si tratta del sistema dei lur 12 suoni misurati su canne di bambù che, a partire dallo huang chung (campana gialla, nota diapason) venivano ottenuti moltiplicando per 3/2 (intervallo di 5$) e poi dividendo per 4/3 (intervallo di 4^), in modo da ottenere suoni di una quinta superiore e poi una quarta inferiore:
Do
Fa
Re Mi Fa * Sol La
Si
* Do
* Sol * La
* Re
Anche qui la ampiezza dell'intervallo di quinta, non cor rispondente ai 700 cents della scala temperata, ha creato dei problemi ai teorici cinesi che hanno elaborato sistemi scalari teorici anche di 60 (5 cicli di 12) suoni per far coincidere l'altezza dei suoni di partenza e di arrivo, anche se queste scale non furono mai usate nella pratica. A partire dallo studio di questa scala, l'etnomusicologo della Scuola di Berlino, Erich M. von Hornbostel ha formulato una teoria sull'origine delle scale che ha pro vocato numerosi dibattiti tra gli etnomusicologi: la teo ria delle quinte soffiate. Hornbostel, interpretando una leggenda cinese che colloca nel III millennio avanti Cri sto, l'elaborazione in Cina (proveniente da una regione indeterminata dell'Asia centrale) di una scala basata su intervalli ottenuti soffiando in delle canne chiuse ad una estremità. Soffiando con forza in un tubo chiuso ad una sua estremità, secondo Hornbostel, si ottiene un suono armonico di 12^ (8à+5^) leggermente calante rispetto all'armonico della corda: 678 cents invece che 702. Questo intervallo, con un ciclo di 23 intervalli di 5a (13 otta ve) raggiunge nuovamente il punto di partenza con una dif
97
ferenza di soli 6 cents, minore del comma pitagorico (24 cents) e praticamente impercettibile. Da questo modo diverso di ottenere l'intervallo di quinta mediante l'emissione di aria in una canna si otterrebbe dunque una scala diversa da quella derivata dal ciclo delle quinte ottenuto dalla divisione della corda. Questa scala si ritroverebbe, secondo Hornbostel, in numerose aree del mondo, dall'America, al Sud-est asiatico, all'Europa. Que sta teoria fu discussa e contestata già in tempi vicini a quando fu formulata (Kunst 1948), e si dimostra sempre meno valida in seguito alle misurazioni e ai dati oggi disponibili, i quali evidenziano differenze e discrepanze significative nei sistemi scalari che, secondo Hornbostel, derivano dal comune principio delle 'quinte soffiate'.
7. La scala pentatonica Una particolare scala ottenuta con il ciclo delle quinte è la scala pentatonica ricavata dai primi cinque suoni di questa successione (ad esempio Do-Sol-Re-La-Mi, che riportati in una stessa ottava, si dispongono nella scala Do-Re-Mi-Sol-La).
La scala pentatonica è ampiamente diffusa, in Asia centra le, Oceania, Africa, nelle Americhe, nella stessa Europa. Questa diffusione ha favorito la formulazione di teorie che vedevano questo tipo di scala come un archetipo uni versale delle scale di- tutto il mondo, alcune delle quali (ad esempio le scale eptatoniche, largamente diffuse) non sarebbero state altro che lo sviluppo successivo di tale modello mentre scale tritoniche o tetratoniche sarebbero
98
state scale pentatoniche "difettive". uno dei sostenitori di questa teoria:
Marius Schneider è
... i sistemi tonali ... nascono progressivamente nella musica vocale primitiva dalle formazioni sul tipo della fanfara o dalle elementari relazioni di quarta e di quinta. ... Emerge una struttura tonale che può esse re rintracciata fino all'ambiente della musica primi tiva come una regola per combinare una serie più o meno lunga di quinte. (Schneider 1962: 17-18).
L'etnomusicologo rumeno Bràiloiu nel suo saggio "Su una melodia russa" (1982), avanza numerose riserve su que sta teoria, adducendo ad esempio il fatto che sembra dif ficile che uomini "primitivi" abbiano effettuato i calcoli per "riportare" all'ottava la successione di quinte, notando allo stesso tempo però come questa scala sia dif fusa in numerose zone. Bràiloiu ad ogni modo, propone dei forti dubbi alle teorie evoluzioniste dei suoi predecesso ri . L'esempio forse più conosciuto di scala pentatonica anemitonica (così viene spesso definita questa scala per il fatto di non avere intervalli di semitono) è quello cinese. Nella scala cinese, che secondo Sachs non deriva dal sistema dei lu , ma ha piuttosto avuto origine autono ma nella pratica musicale (Sachs 1981: 115), ai cinque suoni principali si aggiungono spesso altri due suoni detti bian . Questi suoni, che sono inseriti tra gli intervalli di terza minore della scala (ad esempio, tra Mi e Sol e tra La e Do), non sembrano però derivare dalle due quinte successive del ciclo, ma piuttosto risultano essere suoni intermedi di intonazione variabile e con funzioni melodiche secondarie (abbellimenti, note di passaggio).
8. Altri tipi di scale La ricerca recente ha diitu ”trato che vi sono varie scale che non rispettano i principi del ciclo delle quin te. Tra queste vi è la vasta gamma di scale "equalizzate"
99
o presunte tali rinvenute in diverse aree del mondo, dal Sud-est asiatico, all'Oceania, all'Africa subsahariana. Si tratta di scale in cui i sette (o i cinque suoni) sono equidistanti all'interno dell'intervallo di ottava. Una scala pentatonica equalizzata avrà cinque intervalli di 240 cents, mentre una scala eptatonica equalizzata avrà sette intervalli di 171,5 cents ciascuno:
171.5 171.5 171.5 171.5 171.5 171.5 171.5 i________ i________ i________ i________ i________ 1________ i________ i
I
II
III
IV
V’
VI
VII
I
Scala eptatonica equalizzata
Un esempio di questa scala si può ascoltare nella musica per flauti di pan degli 'Are-' are delle Isole Salomone studiata da Hugo Zemp (1979) . Anche Rouget ha individuato scale di questo tipo nella musica per xilofono del Benin, ma l'area più vasta dove si trovano scale di questo tipo è stata ritenuta per molto tempo il Sud-est asiatico. In realtà il fenomeno è più complesso della semplice equidi stanza degli intervalli. Le più recenti teorie indicano come nelle isole di Giava e Bali in Indonesia non esista una unica scala comune, ma scale differenti a seconda di ciascuna orchestra gamelan. Ciò che rimane di comune sono "modelli" o "tipi" di intervallo più larghi e più stretti che vengono rispettati, ma all'interno di questi modelli il margine di variabilità è anche di oltre 50 cents. Per la scala di cinque suoni sléndro Hood dà il modellò seguente L(argo) S(fretto) S L S. Per la scala eptatonica pélog egli, rifacendosi a Kunst, propone una scala non equidistante come media delle diverse scale da lui e da Kunst misurate in cents:
100
120
bam (Hood 1954:
gulu
150
130
270
dada
pélog
115
lima
165
nem
250
barang
bem
6)
Lo stesso principio, basato su 'modelli' intervallari, anche se in forme meno evidenti sembra essere valido per alcune delle culture musicali del sud-est asiatico continentale (Cambogia, Thailandia). Vi sono anche numerosi sistemi scalari bifonici, tritonici, tetratonici, o anche strutture per terze che non possono essere ricondotte al ciclo delle quinte. Ad esempio il sistema della musica vocale sarda è stato defi nito come un sistema tricordale (Carpitella Sassu Sole 1973) in quanto la stragrande maggioranza dei documenti si basa su un sistema di tre suoni, a cui si aggiungono tal volta affissi e suffissi (secondo la terminologia usata da Sachs, 1979: 84) vale a dire note ausiliario inferiori e superiori rispetto al tricordo principale. Affermano gli autori: «La scala che si desume è costantemente tritonica [...] La stessa scala tritonica si propone come base di strutture più ampie che, rispetto ad essa, si presentano come dilatazione o sviluppo» (1973: 37). La scala è conce pita qui non come qualcosa di statico ma come un dinamico "nucleo generatore" di strutture più ampie. Al tricordo di base si aggiungono talvolta un suono contigua al grave e due suoni all'acuto, tra i quali ricorre con più frequenza il suono ad intervallo di 5a dal suono più grave del tri cordo (nell' esempio Do)
Oltre all'esempio sardo, nella musica italiana di tradi zione orale è possibile rilevare diversi tipi di scale, o
101
diverse accordature di una stessa scala eptatonica. Nel folklore musicale italiano vengono infatti utilizzate scale che non corrispondono, se non in casi particolari, alla intonazione temperata. Il non temperamento degli intervalli costituisce proprio uno dei criteri attraverso i quali vengono identificati repertori tradizionali. Uno studio sistematico con misurazioni accurate non è stato ancora compiuto, ma certo è che, anche ad un semplice ascolto, appare evidente una intonazione che alcuni defi niscono "naturale", e che comunque è diversa da quella temperata. Oltre alla diversa intonazione la musica ita liana di tradizione orale utilizza scale diverse dalle scale maggiori e minori dell'armonia tonale sette-ottocen tesca, come ad esempio il cosiddetto modo lidio - con una denominazione ricavata dai modi del canto gregoriano che appare sempre più impropria - tipico di tanta musica dell'Italia meridionale, che ha il quarto, grado aumentato (De Simone 1977: 87-88).
Altro esempio di scala che non rispetta il criterio-base del pentatonismo è quello triadico citato da Sachs a pro posito di musiche popolari europee e dell'Africa Bantu. Si tratta di modelli in cui la scala è costituita da succes sioni di intervalli di terza:
Sachs sottolinea la differenza che esiste tra questi modelli e le scale pentatoniche. Indicando a volte la pre 102
senza di infissi che possono far pensare al pyknon (suc cessione di due toni) delle scale pentatoniche, egli afferma: Le terze minori più i toni appaiono, superficialmen te, tanto vicini alle cosiddette scale pentatoniche che purtroppo molti autori hanno ceduto alla tentazione di definire pentatoniche quelle concatenazioni. Il pentatonismo è davvero una delle ossessioni dell'etnomusicologia moderna. Ma si tratta di un errore pericoloso.... Il termine "pentatonico" si applica quindi perfettamente alle scale scozzesi, greche antiche, a molte scale indiane e alla maggior parte delle scale asiatiche orientali, che consta no di una struttura per quarte ed usano l'ottava come un intervallo organico e vitale. Ma un concatenamento per terze come la-do-re-mi-sol-la-si non ha una struttura di ottava, o tutt'al più ha un'ottava come infisso privo di un ruolo strutturale. (Sachs 1979: 168). Fra le scale che utilizzano intervalli più piccoli del semitono, vi è la scala della musica araba classica. Essa utilizza intervalli di 1/4 e 3/4 di tono ed il suo sistema teorico si basa sulla divisione dell'ottava in 24 parti; la misurazione degli intervalli viene effettuata sulla corda del liuto ud, strumento principale di questa tradizione musicale.
N.B. I suoni con il circolo vuoto sono i suoni principali della scala; i suoni con il circolo riempito sono suoni secondari, meno importanti nel sistema modale ed usati più raramente. Il segno = indica che il suono è più acuto di 1/4 di tono; il segno [< indi|ca che il suono è più grave di 1/4 di tono.
103
8. Un modello percettivo Sulla scala esistono anche studi di tipo percettivo nei quali vengono presi in considerazione i modi con i quali diverse culture percepiscono e concettualizzano i propri sistemi scalari. Anche se ciascun sistema scalare è inscindibile dal contesto culturale nel quale esso viene determinato, gli psicologi cognitivi asseriscono che sem brano esservi elementi costanti ed interculturali che con corrono alla determinazione di alcuni aspetti dei sistemi scalari. Secondo Dowling e Harwood (1986) sembrano esserci alcuni condizionamenti fisiologici che regolano l'elabora zione di sistemi scalari. Innanzitutto essi danno una giu stificazione della stessa esistenza di strutture scalari in quanto esse sembrano essere essenziali per la memoriz zazione di altezze in una melodia. Ma, al di là di questa affermazione generale, Dowling e Harwood enumerano sei condizionamenti psicologici che intervengono nella elabo razione di sistemi scalari: - i suoni della scala devono essere distinguibili tra loro; - le frequenze fondamentali in rapporto di ottava (2/1) sono considerate come molto simili e ricevono generalmente lo stesso nome; - il numero di intervalli all'interno dell'ottava deve essere ridotto (in genere tra cinque e sette e non più di nove) a causa dei limiti nella capacità percettiva dell'uomo che tende ad omologare nell'ascolto suoni distinti se si hanno scale con alto numero di suoni; - l'ottava è suddivisa in un numero finito di unità intervallari della stessa ampiezza in modo da consentire il trasporto della scala a diverse altezze. - presenza di almeno due intervalli di diversa ampiezza; - conservazione di coerenza interna (la somma di due intervalli di uguale ampiezza è pari o maggiore al l'ampiezza dell'intervallo più ampio successivo). Questi sei aspetti sembrano essere presenti in quasi tutte le scale elaborate dalle diverse società e possono costituire un modello psico-fisiologico su come l'uomo discretizza il continuum di frequenze udibili. 104
9. Scala e contesto culturale
Un'altra questione fondamentale, proposta all'atten zione degli etnomusicologi negli ultimi anni da antropologi della musica come Merriam e soprattutto Blacking riguarda il legame tra sistemi di pensiero e discretizzazioni che ciascuna cultura opera sul continuum di altezze. Diverse società hanno non solo scale con intervalli diffe renti, ma anche diverse concettualizzazioni dei propri sistemi scalari. In "Come è musicale l'uomo" Blacking riporta l'esempio di due melodie da lui (e da noi.occiden tali) percepite come differenti, ma che i Venda del Sudà frica definiscono come "la stessa" in quanto appartenenti ad una medesima struttura profonda. Una stessa sequenza armonica (come la definisce Blacking) si realizza in superficie con due melodie che per l'orecchio occidentale appaiono diverse:
da Blacking 1986: 46
Questo esempio non si riferisce direttamente al sistema scalare, ma più in generale a principi di costruzione melodica, cioè a successioni organizzate nel tempo di suoni della scala, ma credo chiarisca bene come differenti
105
culture possano avere percezioni e concezioni diverse del parametro "altezza". Ciò che afferma Blacking, e con lui la più recente ricerca etnomusicologica, è che non è pos sibile descrivere ed analizzare un fenomeno musicale senza comprendere il sistema culturale in cui quella data musica viene eseguita, ed il sistema cognitivo che la ha prodot ta . L'etnomusicologo si trova inoltre spesso di fronte a culture in cui non esiste una formalizzazione teorica a proposito delle scale. I musicisti, pur accordando i pro pri strumenti ed eseguendo musica vocale tradizionale, non formulano teorie (o verbalizzano) la loro discretizzazione del continuum di frequenze. In questo caso il ricercatore deve compiere un'operazione di astrazione teorica ricavan do la scala dai documenti sonori a propria disposizione. Ciò si verifica largamente ad esempio nella musica italia na di tradizione orale, dove, come accennato più sopra, la scala diatonica usata più frequentemente non corrisponde all'intonazione temperata. I musicisti però, pur utiliz zando intervalli non temperati, non operano alcuna forma lizzazione teorica sui sistemi scalari da essi utilizzati. Si apre in tal caso il campo delle ipotesi cosiddette 'etiche'9 nelle quali è il ricercatore che sulla base dei documenti sonori opera delle formalizzazioni 'esterne' alla cultura musicale considerata.
10. L'approccio etico: modulo o gamut Proprio questa assenza di concezioni formalizzate ha
9 II termine etico è opposto al termine 'emico' nell'analisi etnomusicologica. Boilès e Nattiez danno dei due termini, desun ti dalla linguistica la seguente definizione: "Dans l'etique on se fonde sur les catégories du chercheur occidental; dans l'emique, on s'essaie d'adopter les configurations culturelies des informateurs" [Nell'etica ci si basa sulle categorie del ricer catore occidentale; nell'emica si tenta di adottare le configu razioni culturali degli informatori] . (Boilès e Nattiez 1977: 4 5) .
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indotto numerosi etnomusicologi ad elaborare un 'modello' di scala che, discostandosi dalla tradizionale rappresen tazione lineare della cultura occidentale, renda più pre cisamente la diversità e complessità di alcuni sistemi incontrati nella ricerca. Lo studio ed il riconoscimento di una scala costituisce infatti alle volte uno dei primi momenti analitici. Gli etnomusicologi hanno adottato in tempi recenti la soluzione di proporre uno schema scalare "neutro". Tutti i gradi della scala e gli intervalli indi viduati in un dato corpus musicale, sono riportati su un pentagramma, spesso nell'ordine in cui essi compaiono (ad esempio in un dato canto), senza inferire da essi alcuna gerarchia tra i suoni. Si tratta del cosiddetto "modulo" scalare, o "gamut", come viene chiamato nel mondo anglo sassone. Il ricercatore si limita ad indicare la frequenza statistica con cui certi suoni ricorrono rispetto ad altri. Questo sistema viene utilizzato ad esempio nella scheda FKM elaborata da Diego Carpitella e Sandro Biagiola per il Ministero dei Beni Culturali al fine di catalogare e schedare i documenti sonori italiani di tradizione orale. Essi ne danno la seguente descrizione nelle indica zioni per gli schedatori: «Modulo: indicare sul pentagram ma tutte le note del brano nell'ordine in cui si presenta no; le note verranno segnate tenendo conto della minore o maggiore ricorrenza con valori proporzionali approssimati vi.» (Carpitella Biagiola 1978: 49). Ad esempio, un modulo del tipo:
indicherà che la scala utilizzata nel brano schedato è di cinque suoni. Inoltre la rappresentazione dei cinque suoni con diversi valori di durata indicherà la maggiore ricor renza di Sol e Re. Il La ricorre approssimativamente la metà delle volte, il Si la metà delle ricorrenze del La ed il Do è il suono che ricorre meno in assoluto, circa la metà delle volte del Si. 107
Un altro esempio di modulo (o gamut), è proposto da Roberts e Jenness (1925: 397) . In questo caso non viene considerato un solo canto, ma un intero repertorio di canti. Nell'esempio seguente sono rappresentate tutte le differenti altezze di un repertorio di canti esquimesi:
N.B. il taglio diagonale con l'alto verso destra indica che il suono è più acuto di un quarto di tono; con l'alto verso sini stra indica che il suono è più grave di un quarto di tono.
(citato da Nattiez 1987:50) In questo caso i ricercatori registrano tutte le sfumature di altezza da loro percepite nell'analisi di un intero repertorio. La rappresentazione del modulo scalare, pur se estremamente utile a fini analitici non risolve tuttavia il problema fondamentale che è quello di determinare quale sia la percezione e la concettualizzazione che ciascuna cultura fa del continuum di frequenze. Costruire un inven tario di altezze costituisce la base per compiere questo tipo di operazioni, ma il passo successivo consiste nel confrontare questo inventario con la percezione - e, possibile, la concettualizzazione - che di questo inventa rio ha la cultura musicale studiata.
Da puro inventario di suoni, il parametro altezza si ordina poi in successioni denominate melodie ed in scale con gerarchie di suoni prestabilite al loro interno, vale a dire in sistemi modali. Questi due aspetti, che costi tuiscono il passaggio dal puro repertorio di suoni ad un loro ordinamento nella produzione musicale di una' determi nata società, saranno trattati nei due capitoli che segui ranno .
108
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Ill
Serena Facci MELODIA
1. Definizione «Suoni intonati organizzati in tempo musicale in accordo con le convenzioni e i limiti posti da una deter minata cultura» (Ringer 1980:118). Così il New Grove's Dictionary. Questa definizione sintetica rappresenta un punto di vista abbastanza onnicomprensivo del fenomeno "melodia". Non a caso infatti nella stessa voce si legge che la melodia così intesa «rappresenta un fenomeno umano universale rintracciabile fin dalla preistoria» (Ibid.). Non tutte le definizioni costituiscono, allo stesso modo, una cornice così ampia . Per esempio nel dizionario della Lingua Italiana di G. Devoto e G.C. Oli si legge: Successione di suoni animata dal ritmo e regolata da leggi strofiche r che attraverso i momenti di cui è composta, costituisce nella mente dell'ascoltatore un fatto compiuto assumendo il valore di pensiero musica le (Devoto,Oli 1971).
Pur dicendoci qualcosa di più su cosa è una melo dia, questa definizione rientra in una visione molto più limitata del fenomeno melodico restringendolo ad una casi stica ben precisa. Prendiamo per esempio il riferimento esplicito alle leggi strofiche che governerebbero le melodie. Queste leggi connotano, generalmente, un particolare tipo di organizzazione melodica basata sulla ripetizione di una determinata successione di suoni più o meno lunga, più o meno complessa. L'organizzazione strofica della melodia si rinviene diffusamente nella maggior parte delle musiche folcloriche europee, nella musica cosiddetta "leggera", in alcuni generi vocali di tradizione eurocolta, ma non si presenta con la stessa frequenza in molti altri casi, per
113
esempio nelle esecuzioni di ragas, in alcuni stili propri dei cantastorie africani, in molti generi strumentali, a cominciare dal periodo classico/romantico (forma sonata, poema sinfonico), e nello stesso melodramma di fine otto cento e inizio novecento (pensiamo all'ultimo Verdi, a Puccini e, inevitabilmente, a Wagner). Eppure in ognuno dei generi indicati chiunque è abituato a riconoscere ele menti indiscutibilmente melodici. Naturalmente l'assenza di una forma strofica non esclude la ripresa di elementi strutturali. Ripetizioni e riprese sono infatti una carat teristica propria della musica, ma la forma strofica pre vede ripetizioni di tipo simmetrico ed integrale. Poco universale è anche la sensazione di compiutez za che dovrebbe essere insita nella melodia e che, nella definizione del Devoto-Oli, viene riassunta nel concetto di fatto compiuto. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un particolare modo di essere della melodia e ad una caratte ristica interna ad alcune culture, principalmente alla nostra. Nella definizione di Melodia contenuta nel dizio nario Larousse de la musique si legge: La melodia occidentale è sentita come una forma chiu sa... Come ha detto Sartre una melodia porta in se fieramente la sua morte. Il tragitto che essa per corre, spesso del tipo tonica-dominante-tonica è tale da ricondurla al punto di partenza, l'arte è di rende re nuovo e interessante questo percorso chiuso. Se si parla di melodia infinita presso Wagner, che spesso rinvia la risoluzione attraverso cascate di cadenze evitate, è perché nella nostra musica classica si pre sume che la melodia si concluda in un lasso di tempo molto .breve, in rapporto per esempio alla musica indiana in cui il flusso melodico sembra avere l'eter nità davanti a sé (Chion 1982) .
In effetti la sensazione della conclusione a breve termine della melodia, insita nella tonalità occidentale come in altri repertori di molte parti del mondo, è un tratto melodico non voluto in molte musiche orientali e, 114
in Europa, nella musica atonale. A proposito di Schonberg e in particolare di opere vocali quali il Pierrot lunaire e Ode a Napoleone Szabolcsi scrive (1965: 188) : « lui cerca di liberare la melodia dalle maglie della tonalità». Generalmente la lettura di definizioni sintetiche del concetto di melodia genera, come nel caso del DevotoOli, un senso di insoddisfazione. Comunemente si ha la sensazione: 1) che non si stia parlando della melodia in generale, ma di particolari tipi di melodia, 2) che si stiano prendendo in esame solo alcuni aspetti del fenomeno complesso che normalmente chiamiamo melodia1.
La stessa definizione di Ringer, riportata all'ini zio, è incontestabile ma reticente. Parlando della melodia come di "suoni intonati" senza specificare se si tratti di suoni contemporanei o in successione egli sorvola su uno degli assunti più accettati: quello che assegna alla melo dia uno sviluppo orizzontale, in contrapposizione alla verticalità dell'armonia. Come dice Ferchault, « ... que sto aspetto lineare, orizzontale della musica, si oppone
1 Citiamo per esempio tutte le definizioni che in qualche modo affidano ad un giudizio estetico l'individuazione della melodia. Rousseau (che ebbe tanta importanza e seguito tra i romantici nella riconquista dell'autonomia della melodia, negata dai trat tatisti teorici dell'armonia, da Rameau in poi, per i quali essa doveva necessariamente scaturire dalla progressione degli accor di) dette della melodia una celebre definizione secondo cui i suoni «devono essere ordinati secondo le leggi della modulazione e del ritmo in modo tale che essa formi un senso piacevole per l'orecchio» (citazione tratta da Beltrando-Tapier 1977: 588). Due secoli dopo Ferchault afferma che i suoni in una melodia • devono avere «rapporti tali che la loro percezione globale sia suscetti^ bile di soddisfare contemporaneamente l'intelligenza e la sensi bilità» (citazione tratta da Nattiez 1987: 86). A noi tutti è capitato di pensare alla melodia come a qual cosa di orecchiabile e cantabile sposando questo punto di vista che Nattiez (1987:86) definisce «estetico e normativo». E' evi dente però come nell'ambito degli studi etnomusicologici non si possa utilizzare questa concez -»e della melodia, che pure ha guidato i compositori e gli ascoltatori di musica occidentale per molto tempo. Del resto troppo poco si sa ancora dei criteri di giudizio estetico interni alle culture diverse dalla nostra.
115
all'aspetto verticale dei suoni individuali simultanei, o accordi» (citazione tratta da Nattiez 1987: 86). Partendo dalla convinzione che la successione di altezze diverse «costituisce il nucleo duro, irriducibile della melodia, senza il quale, per l'appunto non si può parlare di melodia», Nattiez (1987:88) afferma che «biso gna distinguere l'altezza come realtà fisica dalle pro prietà o funzioni che la nota assume a seconda del suo contesto ». Il musicologo canadese si spinge oltre dimostrando come le relazioni tra i suoni di una melodia e l'ordine della loro successione definiscano spesso inequivocabil mente, almeno nella musica occidentale, il tipo di per corso armonico, il tipo di divisione ritmica e anche il carattere timbrico e l'intensità. Tutto questo fa della melodia un «amalgama di costituenti relativamente eteroge nei», è come se «tutte le variabili della musica si siano date appuntamento nella melodia per darle corpo» (ivi:89). Da ciò deriva una sostanziale polivalenza e ambi guità del termine melodia che spiegherebbe la grande con fusione riscontrata nelle definizioni contenute nei dizio nari. Sempre Nattiez afferma: Se vi sono poche teorie sulla melodia, è forse perché i musicologi sono stati colti da vertigine di fronte al fatto che la teoria melodica sembra dissolversi in una teoria di tutta la musica (Nattiez 1987: 90).
Quando si vuole analizzare una melodia, tener conto, quindi, della sua poliedricità:
bisogna
Si può dunque stabilire... una lista di variabili che fanno parte dell'analisi melodica: - le scale - le implicazioni tonali ed armoniche, le note strut turali, ornamentali e di passaggio - le altezze, gli intervalli, l'ambito e il registro, - il movimento melodico (congiunto, disgiunto, ascen dente, discendente); - il ritmo e i silenzi, la struttura metrica, l'agogi ca, il tempo, l'intensità, il modo di articolazione e
116
tutti i tipi di accenti (metrici, ritmici, dinamici, agogici, melodici, armonici, espressivi); - le cellule, motivi, frasi, periodi; il fraseggio; le strutture tematiche e lo sviluppo; le grandi forme (ivi : 106) .
Il senso di ambiguità e complessità del concetto di melodia è stato sottolineato anche da Sachs : Il concetto di melodia è lungi dall'essere espresso senza ambiguità, si potrebbe definire la melodia come l'andamento percepibile di una voce (o, più tardi, di uno strumento2) dall'inizio di un brano fino alla fine, compresi i passaggi intermedi. Ma, al di là della sommatoria, vuota e priva di vita, di tutti gli intervalli, è evidente che tale movimento è un insieme organico e vivo, dotato di afflato e scorrevolezza, di tensione e di abbandono. Non deve essere .necessaria mente "melodioso" o soave, come richiedono i fanatici dell'opera e come prescrivono i dizionari [...]. Ma anche a livello più primitivo ed elementare, una melo dia non è mai qualcosa di anarchico e arbitrario, ma segue delle regole precise e quasi inderogabili (Sachs 1979:71).
2. L'approccio alla melodia negli studi etnomusicologici Dalla definizione di Sachs possiamo estrapolare due concetti fondamentali che hanno ispirato gli studi etnomu sicologici sulla melodia. Il primo è che in qualunque con testo culturale «una melodia [ . . . ] segue regole precise e quasi inderogabili», un assunto che caratterizza qualunque studio etnomusicologico volto alla intelligibilità dei sistemi musicali folclorici ed extraeuropei. Il secondo è che la melodia è «l'andamento percepibile di una voce
2 Sachs (1979:71) parte dal presupposto che « i più antichi brani musicali sono esclusivamente vocali» .
117
[...] o di uno strumento, dall'inizio fino alla fine di un brano, compresi i passaggi intermedi». Qui si intravvede una linea di demarcazione tra la concezione di melodia prevalente in ambiente musicologico colto e quella usata dagli etnomusicologi. Spesso infatti nella musica occidentale melodia è sinonimo di tema, ovve ro di un materiale melodico breve utilizzato come spunto per la composizione ( è il caso del soggetto e controsog getto della fuga, del primo e secondo tema della forma sonata, del motivo originario nel tema con variazioni, ecc.) . Inoltre la parte preponderante che la polifonia prima e l'armonia dopo hanno assunto nella creazione musi cale ha fatto sì che l'effetto dell'insieme simultàneo di suoni acquistasse un peso prevalente nelle analisi musica li delle opere. Tutto ciò ha contribuito a fare della me lodia una piccola parte di un insieme complesso, estrapo latile, a volte, con una certa difficoltà. Nell'approccio a musiche di tradizione orale di cui non si conoscono ancora le implicite leggi di organizza zione, la successione di suoni di altezza diversa, cantati o suonati in una esecuzione musicale, è spesso il materia le più cospicuo con cui si entra in contatto e diventa perciò un punto di partenza oggettivo. E' compito dell'etnomusicologo osservarla nel suo insieme («dall'ini zio alla fine», come dice Sachs), trascriverla ed analiz zarla acusticamente se necessario, sezionarla, dedurne intervalli prevalenti, unità metriche, scale, modi e stili, sovrapporla ad eventuali altre parti presenti nell'esecuzione per ricostruire le relazioni di insieme, confrontarla con altri esempi per ricavarne leggi più generali. Se ciò è possibile è proprio perché, e in Sachs si percepisce un concetto analogo a quello che abbiamo visto in Nattiez, la melodia è un concentrato di diversi elementi musicali. Questa complessità del materiale melodico ha però reso polivalente l'approccio analitico alla melodia.
2.1. L'analisi Intervallare : Sachs
In 118
Sorgenti
della musica Sachs
(1979)
osserva la
melodia in base ad almeno tre parametri diversi . 1) Inizialmente, differenziando le melodie a picco, basate sul passaggio brusco dalla nota più acuta alla più grave, dalle melodie orizzontali (ivi:74) il suo punto di vista è evidentemente poggiato sul cosiddetto profilo melodico, ovvero sul disegno tracciato dalla melodia. Generate infatti da una brusca salita della voce verso suoni acuti e da una ripida e veloce discesa le melodie a picco disegnano un profilo melodico caratteristico come si può vedere nell'esempio la. Questo profilo melodico è ben diverso da quello estrapolabile da un altro tipo di me lodia definita da Sachs orizzontale e rappresentata nell'esempio lb.
Esempio la . Melodia a picco. Giappone (Sachs 1979: 73).
Esempio lb 79)
.
Melodia
orizzontale.
Caroline
(Sachs 1979:
2) Successivamente (ivi: cap.VI) viene introdotto il con cetto di melodia centrica, quella in cui un suono rappre senta il nucleo centrale, intorno al quale ruotano tutti gli altri. La prevalenza di un suono sugli altri e la sua funzione di centro gravitazionale introduce un'altro ca rattere melodico, e cioè la diversità di importanza e di ruolo tra i vari suoni. Molte analisi delle melodie si basano proprio sulla ricerca dei cosiddetti centri tonali identificabili con il suono più ricorrente o con il suono finale (detto spesso tonus finalis mutuando la terminolo-
119
già dalla teoria medievale del canto gregoriano). Sachs stesso ci dà prova di questo tipo di analisi della melodia nell'illustrare i suoi schemi centrici. Nell'esempio 2 la ricorrenza del suono La induce a pensare che questa nota sia il centro tonale della melodia .
Esempio 2 . Melodia in cui il centro tonale è La . Cantico dei Cantici (Sachs 1979:185)
3) Il terzo e più approfondito approccio analitico alla melodia effettuato da Sachs è quello che si può definire intervallare . La classificazione in base alla quantità di suoni e alla qualità degli intervalli è infatti il nucleo centrale del suo discorso . In base a questo tipo di clas sificazione e utilizzando una grande mole di fonti etno grafiche Sachs individua in maniera sistematica un campio nario di modelli melodici generati dalle diverse pos sibilità di elaborazione degli intervalli. Il primo, definito anche il più primitivo4 *, 3 è il
3 Per una trattazione più approfondita di questi temi, con cernenti il ruolo e le gerarchie dei suoni in una melodia, si rimanda, in questo volume, a MODALITÀ'/TONALITÀ' . 4 In questa analisi e classificazione dei modelli melodici Sachs è spinto da un interesse etno-storico. Il suo scopo, comune a quello di molti etnomusicologi della sua generazione, è quello di risalire alle "origini" della melodia, cosi come Schneider si era occupato dell' "origine" della polifonia, o Scheffner di quelle degli strumenti musicali. Può essere interessante osserva re, senza entrare nei meriti di tali motivazioni, come alla fin fine egli giunga ad affermare una "poligenesi" delle forme melo diche. Infatti a ben vedere le melodie a picco, le melodie oriz zontali e le melodie centriche sono tre punti dipartenza per al trettanti itinerari di evoluzione. A pag. 87 inoltre Sachs af fronta, anche se rapidamente, i concetti di patogenia e logogenia della melodia. Patogeniche sono per Sachs le melodie a picco, originate da una spinta emozionale. La derivazione delle melodie orizzontali dal linguaggio parlato (logogenia) è invece rifiutata
120
cosiddetto modello a intervallo unico in cui compaiono due sole note la cui distanza intervallare può essere di seconda, di terza, di quarta o di quinta. Nell' esempio 3 è citata una melodia composta dalle due sole note Do e Re (intervallo unico di seconda).
es.
3 Intervallo (Sachs 1979 : 79) .
unico
di
seconda
Flores Orientale.
Un altro modello, che Sachs intende come derivato dal pre cedente è il modello composto da concatenazioni di inter valli . Rientra in questo secondo tipo un'ampia casistitica alla quale sono dedicati ben due capitoli di Le Sor genti della musica (cap. IV e V), che trattano rispettiva mente delle concatenazioni di intervalli di seconda e terza e di quelle di intervalli di quarta e quinta. Per esemplificare le melodie prodotte da concatenazioni di intervalli riportiamo un brano costruito su tre suoni che formano tra loro intervalli di terza, Sol Mi Do, (concate nazione di intervalli di terza). Questo tipo di melodie è spesso definito a fanfara (Schneider 1978). Sachs critica questo tipo di definizione che «richiama troppo la musica strumentale e ricorda troppo le trombe» (ivi:161), come anche quella di melodia triadica (ivi:162).
da Sachs per il quale «le parole in sé sono spesso prive d'impor tanza e scarsamente atte a modellare a propria immagine una melo dia» (1979:87).Così egli riconosce alla melodia un intrinseco valore comunicativo, sul piano emozionale, che prescinde dal con tenuto verbale. Una impostazione molt cara ai musicoterapeuti e ai semiologi della musica (vedi per esempio Stefani 1986, Benenzon s.d.).
121
J J J| J J J. J J J 1 JJJ |
J_jJ]
Esempio 4 . Melodie derivata dalla concatenazione di due intervalli di terza. Siberia (Sachs 1979: 163)
Sia i modelli a intervallo unico che quelli basati sulla concatenazione di intervalli sono considerati da Sachs" strutture vuote" suscettibili di sviluppo grazie all'aggiunta di note intermedie o esterne al nucleo cen trale costituito dall'intervallo generatore, le prime sono dette infissi, le seconde prefissi o suffissi. La melodia dell'esempio 5 è citata da Sachs come derivata da un nucleo di due suoni Re-Si, a cui si sono aggiunti un suono più grave (prefisso La), uno intermedio (infisso Do) e uno più acuto (suffisso Mi).
es. 5 Melodia derivata dal nucleo Re-Si con l'aggiunta de prefisso La, dell'infisso Do, del suffisso Mi (Sachs 1979: 84).
2.2 La forma melodica: Lomax
L'ampiezza degli intervalli (interval width ) è. invece un parametro secondario tra quelli dedicati da Lomax alla melodia in The cantometric coding book (1968). Lomax ricava dalla melodia otto possibilità di codificazione: profilo melodico (melodie shape), forma melodica (melodie form), lunghezza delle frasi (phrase
122
length) f numero di frasi (number of phrases) , posizione del suono finale (position of the final tone) , ambitus o estensione (range) ampiezza degli intervalli (interval width), grado di abbellimento usato dal cantante (the degree of embellishment used by the singer). Se teniamo presente la motivazione che guida il sistema cantometrico non può stupirci che le possibilità di codificazione siano interessate soprattutto alle qua lità formali e ai modi di esecuzione, più che alle rela zioni intervallari. Scrive Lomax : Il cantometrico è un metodo per descrivere si stematicamente e organicamente la fisionomia generale di esecuzioni di canzoni con o senza accompagnamento. Con il sistema cantometrico l'ascoltatore può valutare l'esecuzione di una canzone con mezzi che vanno ad aggiungersi ai tradizionali parametri di melodia, ritmo, armonia (Lomax 1968: 34).
L'aspetto più approfondito è, nel cantometrico, il parametro formale, ovvero l'articolazione della melodia in segmenti che Lomax, prendendo spunto dalla tradizione colta, chiama frasi . Vengono individuate quattro tipologie fondamentali: la forma canonica (canonie or round form ) , la litania (litany ) , la strofa (strophe), il modello composto in ogni sua parte (trough-composed ).
1) Per forma canonica, Lomax intende la melodia rintrac ciabile in alcune forme polifoniche. «La musica è suddivi sa in due o più parti ognuna delle quali è ritmicamente distinta. Ogni parte si limita ad una o due frasi ripe tute» (1968: 58). Come esempio di questo tipo di organiz zazione formale Lomax cita le polifonie ad hocquetus dei Pigmei o dei Boscimani d'Africa. Nell'esempio 6 è riporta to l'inizio di un brano per orchestra di trombe centroafricano. Ognuna delle trombe segue un suo brevissi mo modello melodico, spesso composto da una sola nota. La composizione d'insieme risponde però anch'essa ad un mo dello che pur provenendo da una esecuzione "polifonica" è
123
definibile "melodico"^. Anche tale modello è molto breve e viene ripetuto in modo circolare, senza cioè che sia pos sibile percepirne chiaramente l'inizio e la fine *
Esempio 6 . Melodia circolare ad hoquetus . Orchestra di trombe - Africa Centrale (Arom 1985: 518-19).
2) La litania è caratterizzata dalla ripetizione di una o due frasi : A A A A ecc., AB AB AB ecc. E' molto comune trovare questo schema nelle ninnenanne di diverse aree geografiche come si può verificare dall'esempio 7.
Esempio 7 . Litania : struttura formale A A A . nanna - Africa Centrale (trascr. Facci)
.
. Ninna
5 Sulla prassi esecutiva definita hoquetus si veda in questo stesso testo il capitolo POLIFONIA.
124
La litania può anche essere complessa in quanto possono esservi inseriti segmenti melodici diversi dallo schema di base : ABABABCCAB ecc. Per esempio in molti canti Africani un ritornello spesso viene ad intercalare, in modo non regolare, il segmento melodico ricorrente: A A A A rit. A A rit. A A A A A rit. rit. ecc. 3) La strofa viene definita da Lomax (1968:59) come una serie di frasi ripetute «più e più volte, senza inserzione di nuovo materiale, e senza omissioni e cambiamenti nell'ordine»: ABCD ABCD ABCD. L'organizzazione .strofica della melodia è la più caratteristica della musica folclo rica europea sia vocale che strumentale. Se ne propone un esempio con struttura ABCC'C" ABCC'C" ecc.
Esempio 8 . Melodia atrofica. : struttura formale A B C C' C" . Pizzica tarantata - Italia (Carpitella 1976:353 ) .
Anche la strofa può essere complessa, per esempio nel caso in cui diversi ritornelli intercalino le sequenze ricor-
125
renti: ABA CD ABA EF eccf oppure quando strofe diverse si succedano nel corso dello stesso canto: AABC AABC DEFE DEFE ecc. Sia per la strofa che per la litania, Lomax prevede e quantifica la possibilità di variazione tra una ripeti zione e l'altra (poco o nullo, moderato, alto livello di variazione) . Si tratta di varianti interne a ciascuna frase. Infatti molto raramente nella prassi esecutiva orale la ripetizione di un segmento melodico è esattamente uguale al segmento stesso. Nell'esempio 9, una melodia di danza eseguita da un clarinetto evidenzia come una stessa frase in tre ripetizioni successive subisca notevoli va riazioni .
Esenpio 9 . Varianti di una stessa frase melodica : A A' A". Tarantella - Italia (Giuriati 1982:25).
4) Infine il modello composto in ogni sua parte . Lomax definisce cosi il modello melodico tipico della musica orientale e della musica colta occidentale in cui spesso non è riconoscibile una forma strofica, ma le frasi si succedono senza ricorrenze precise. «Non ogni sezione è costituita necessariamente da materiali completamente nuovi; alcuni motivi melodici possono essere ripetuti in ogni parte della melodia, ma non seguendo un ordine ri corrente» (Lomax 1968:60). La classificazione formale delle melodie prosegue, nel cantomet.rico, con l'osservazione della lunghezza delle singole frasi e con la valutazione del loro numero.
126
Poco spazio è dedicato da Lomax ad altri parametri, come la posizione del tono finale a proposito del quale si osserva solo l'altezza relativa (il suono finale è il più basso, il più alto, si situa nella zona intermedia, bassa o alta della scala usata nel canto).
2.3. Il profilo melodico: Adams
Ogni melodia può essere assimilata in un paragone grafico ad una "linea" sonora. Del resto nella lingua ita liana si usa spesso l'espressione linea melodica al posto del termine melodia. Il tracciato di tale linea può essere estremamente vario . Ad ogni esperienza melodica corri sponde infatti una linea particolare-. Uno dei termini usati in musicologia per definire questo parametro è pro filo 6 7. A ben guardare esso è il prodotto di tutte le relazioni intervallari e temporali tra i suoni che compon gono la melodia: risulta dal fatto che ogni suono ha una certa posizione nel tempo ed è in relazione ascendente o discendente (e tale relazione è quantificabile) rispetto ai suoni che lo precedono o lo seguono. Inteso in questo modo il profilo melodico viene a coincidere col concetto stesso di melodia. Per questo un'interpretazione così estesa di questo parametro è poco utile e generalmente non viene applicata in musicologia. L'interesse della nozione
6 Touma (1971) a proposito del Maqam arabo descrive e defini sce la differenza tra melodia e linea melodica in relazione alla maggiore/minore formalizzazione dell'assetto metro-ritmico della catena delle altezze. In questo caso le due espressioni sono usate per definire due diversi modi di comportamento melodico rinvenibili nel contesto musicale arabo. 7 E' possibile usare altri termini per esempio andamento melodico,disegno melodico o contorno melodico. In inglese il termine contour è usato da Netti(1956) e Adams (1976). Più lega to ad un'osservazione minuta della successione degli intervalli è l'inglese mouvement, usato per esempio da Rose Brandel (1962). Nel suo articolo sulla Melodie contour typology (1976) Adams marca la differenza tra il concetto di melodie contour e melodie mouvement. Lomax (1968) usa anche shape .
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di profilo melodico risiede invece nella possibilità di astrarre, tramite questo parametro, uno dei caratteri della melodia (il tracciato, inteso in senso lato) li berandosi di altri elementi, quali le altezze assolute, gli intervalli, il ritmo. Netti (1956: 50) dice: «Per determinare il profilo di un movimento melodico si può, semplicemente, tracciare su un foglio una linea che corrisponda regolarmente al salire e scendere della melodia» °. Nelle classificazioni dei profili fatte dagli etnomusicologi troviamo spesso, quindi, delle riduzioni estre me. Anche sul profilo della melodia, per esempio, Lomax è molto succinto. Prevede una classificazione in base a 4 andamenti che descrivono il disegno tracciato dalla melo dia: ad arco, a terrazza, ondulato, discendente.
8 Lungi dall'essere un semplice espediente analitico l'astra zione del profilo melodico evidenzia come per caratterizzare una melodia o un repertorio di melodie i movimenti ascendenti e discendenti di gruppi di suoni siano spesso molto più imperanti dei singoli suoni. Sorce Keller (1988:214) osserva « Musiche popolari ed extraeuropee fanno spesso vedere con trasparenza maggiore della musica eurocolta che, non sempre, i musicisti pensano in termini di "punti-suono" (=note)>>. Un esempio di que sto sono i neumi usati nel canto gregoriano, la prima forma di fissazione scritta delle melodie nella musica colta occidentale: «I neumi non rappresentano necessariamente un solo suono ma spesso un'articolazione di due, tre o quattro suoni rivela un modo di pensare gli elementi di una melodia non come punti discreti, ma piuttosto come successione di frammenti articolati in diversa forma » (Ibid.). Nella esperienza didattica è facile osservare nei bambini questo sentire una melodia come un "agglo merato" in cui determinati disegni e alcuni suoni rappresentano punti di riferimento essenziali per il riconoscimento della melodia stessa. In questo caso però gli elementi ritmici e dina mici sono molto caratterizzanti. Nelle prime fasi di apprendi mento strumentale i bambini riconosco come simile ad un modello ascoltato e memorizzato l'esecuzione di una melodia in cui siano rispettate la velocità, il profilo melodico e l'arrivo "a tempo giusto" su alcuni suoni ritenuti più importanti (i più acuti, i più lunghi per esempio), anche se molte delle note sono sbaglia te o eseguite poco correttamente. Queste esecuzioni "poco cor rette", sono generalmente prefe^rt a quelle in cui viene propo sta una successione precisa di tutti i suoni ma ad una velocità ridotta.
128
Figura 1 Grafici rappresentanti i profili melodici ad arco, a terrazza, ondulato, discendente, in base alle categorie definite da Lomax (1968:57) .
Netti (1956) dice che il profilo melodico può esse re definito in linea generale ascendente-discendente-ondu lato; tra questi il primo è raro e rintracciabile solo in aree isolate. In maniera più specifica, continua sempre Netti, possono essere individuati il profilo a cascata o a terrazza (che sono un particolare modo di essere del pro filo discendente) e quello ad arco. Mantle Hood (1971) partendo da una stessa ipotesi di classificazione, prevede una maggiore articolazione distinguendo tra arco (a tutto sesto) e curva (che può es sere più irregolare), prevedendo l'andamento ascendente come il discendente e le inversioni e combinazioni dei vari disegni. Adams (197 9) , prendendo spunto da osservazioni e criteri analitici espressi da Densmore (1918) , Kolinsky (1965), Seeger (1960), fonda sul profilo melodico la sua ipotesi di classificazione delle melodie e offre un'alter nativa alla descrizione metaforica o geometrica del dise gno melodico usata da Lomax, Netti, Hood e da molti altri etnomusicologi. Per Adams il profilo melodico è il risultato delle relazioni che di stabiliscono tra i suoni "estremi" (boun daries ) di un segmento melodico. Gli estremi di una melo dia sono: il suono iniziale (I), il suono finale (F) , il suono più alto (H) , il suono più basso (L) . E' questo un tentativo di massima sintesi della melodia, che troviamo racchiuso nel concetto stesso di suono "estremo". Adams sottolinea così l'importanza di questi punti che delimita no ogni melodia assumendo un ruolo caratterizzante. Le relazioni possibili tra questi quattro suoni ci forniscono alcune caratteristiche del profilo melodico:
129
1) l'inclinazione (slope), è data dalla relazione tra suono iniziale e finale e può essere discendente, se I è più alto di F, orizzontale se I è uguale ad F, ascendente se I è più basso di F.
figura 2
. Rappresentazione grafica della inclinazione discendente, orizzontale e ascendente del profilo melodico (Adams 1979:197)
2) la deviazione (deviation ) , definisce i cambiamenti della inclinazione di base all'interno del segmento melo dico ed è data dalla posizione dei suoni più alto (H) e più basso (L) rispetto ad I ed F. In una melodia possono esserci da 0 a 2 deviazioni . Non c'è deviazione se I ed F coincidono con H ed L, c'è una deviazione se I o F coinci dono con uno. tra H ed L, ci sono due deviazioni se I,F, H, L sono tutti e quattro diversi. Nel grafico della fig. 3 alcuni profili con inclinazione discendente sono rap presentati nelle tre possibilità di deviazione .
Figura 3 . Rappresentazione grafica dalle possibilità di deviazione in un profilo melodico discendente (Adams ivi: 198)
3) Ogni modello di deviazione ha il suo reciproco, o inverso, (reciprocai) , a seconda se la prima deviazione dopo I è verso il suono più alto H o il più basso L. Per 130
esempio i reciproci dei grafici precedenti sono rappresen tati nella figura che segue.
H
L
L
Figura 4 . Rappresentazione grafica dei reciproci deviazioni contenute nella figura 3 (Adama ivi:199).
delle
4) La ripetizione o la ricorrenza dei suoni H ed L, viene anche considerata importante. Adams distingue tra repeti tion, quando i suoni più alto o più basso sono ribattuti, e recurrence, quando sono ripetuti ma intercalati da altri suoni. La definizione di Adams dei profili termina con l'inserimento dei grafici in un piano cartesiano, secondo un metodo già sperimentato da Kolinski (1965). L'asse ver ticale è rappresentato dalla scala o meglio dalla gamma (modulo) del brano in questione divisa in semitoni e l'asse orizzontale dal tempo espresso in secondi. In que sto modo la posizione dei 4 suoni fondamentali e le loro relazioni sono definite in maniera precisa.
131
3
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3
4
Figura 5 . Rappresentazione grafica su piano cartesiano secondo i criteri di Adams di una melodia delle Pauite Meridionali (Adams ivi:206).
La descrizione di Adams dei profili melodici tende, come si è visto, ad una semplificazione, pur estremamente rigo rosa, della melodia. La giustificazione di questa opera zione è nell'intento comparativo su larga scala. Ponendosi nella scia di Herzog (1928), Poladian (1942) e Lomax (1968), Adams (ivi: 94) vede nel profilo melodico un mezzo per identificare «lo stile di ogni singolo compositore, di ogni singolo gruppo etnico, o di gruppi etnici correlati tra loro, o anche, possibilmente, lo stile di regioni geo grafiche più ampie». Un concetto rinvenibile anche in Netti (1956:51): «Tali diagrammi (tracciati in modo da ricalcare il movimento melodico) possono essere usati per caratterizzare un determinato stile, perché, mentre il modello melodico all'interno di uno stesso stile varia da canzone a canzone, i diagrammi possono mostrare una simi larità globale nel modello». Questa ricerca dello stile attraverso la compara zione di tratti melodici è comune agli studi musicologin ci ed etnomusicologici. Lo stesso Lomax vede come obiet-
9 Si veda per esempio lo studio di Baroni e Jacoboni (1976) sulle melodie nei corali di Bach e la metodologia di analisi melodica suggerita da De Natale (1988).
132
tivo del cantometrico la comparazione di una gran quantità di materiali per definire tipologie stilistiche connotanti aree geografiche, situazioni sociali ed esistenziali. Ciò conduce inevitabilmente ad operare riduzioni e semplifica zioni che facilitano la comparazione scegliendo però di sacrificare le sfumature e le differenziazioni che fanno di ogni esecuzione un evento a sé.
2.4. La segmentazione melodica: Ruwet, Nattiez Si distaccano da questa impostazione gli studi semiologici e interpretativi che puntano maggiormente all'osservazione dei caratteri interni a ciascuna melodia. Nel saggio Metodi di analisi in musicologia Ruwet esordisce (1983: 94): «Mi interesserò soprattutto, in que sto articolo, alle procedure di divisione». La segmenta zione della melodia è il punto di partenza della sua ana-. lisi il cui scopo è quello di rintracciare le regole sin tattiche del discorso musicale o, come dice lui stesso, «scoprire il codice a partire dai messaggi» (ivi:118). Procedere alla divisione di un materiale melodico non è, per Ruwet, un'operazione semplice e scontata: «Per tutti sembra evidente che un'opera musicale con un minimo di complessità è sottoposta ad un'organizzazione gerarchi ca» e quindi può essere divisa in parti di differenti livelli, «ma la questione cruciale e, preliminare a tutte le altre è la seguente: quali sono i criteri che hanno presieduto alla divisione?» (ivi:92). Ruwet giudica insufficienti metodi molto diffusi come il riferimento alle pause e sceglie come criterio di divisione la ripeti zione, ovvero 1'«identità tra segmenti ripartiti in diver si luoghi della catena sintagmatica» (ivi:97). Trattando esclusivamente materiali melodici, egli fonda questa iden tità sull'uguaglianza o similarità delle altezze e delle durate, le dimensioni sonore caratterizzanti le monodie, e trascura altri fattori. Secondo Nattiez l'importanza del lavoro di Ruwet10
10 Nattiez rende un dovuto omaggio all'impostazione analiti-
133
è nella messa a punto, in musicologia, del metodo paradig matico, mutuato in parte da Jacobson e in parte da LéviStrauss. Questo metodo consiste appunto nell'individuare in una melodia complessa, definita catena sintagmatica, segmenti melodici similari e disporli l'uno sull'altro su un asse verticale. In questo modo si ottiene una prima riorganizzazione della melodia che oltre a rappresentare di per sé un'interpretazione analitica, apre la strada a successive osservazioni. Nell'esempio 11 si cita un'appli cazione del metodo paradigmatico fatta da Ruwet . Il brano analizzato è "Molt me mervoil" una canzone trobadorica di Guiot de Provins.
La segmentazione operata da Ruwet è, come si vede, a vari livelli. Il livello I conduce all'individuazione dei seg menti melodici (definibili macrostrutturali) A B C D E F, il livello II, che opera più in profondità, riesce ad evidenziare elementi più piccoli che vengono ripetuti nei segmenti maggiori. Per esempio A C E contengono uno stesso elemento a ; B e D contengono uno stesso elemento b. Que sto induce a considerare C ed E tras formazioni di A e ad incolonnarle sullo stesso asse. Stessa cosa si può dire per B e D, mentre F, non contenendo, almeno fino a questo secondo livello di analisi, alcun elemento comune con gli altri segmenti è rappresentato su un asse a parte. In base alla segmentazione operata fin qui il brano può essere rappresentato con un grafico (figura 6) che ne evidenzi i livelli gerarchici.
ca, innovativa, data da Ruwet nel '66, pur premettendo che le teorie in questione sono state in parte ricusate successivamente dallo stesso Ruwet e criticate da più parti (1976:239).
134
135
Esemplo 11. Anelisi paradigmatica di un canto provenzale (Ruwet 1983:108)
Molt me mervoil
Livello I
Livello II
Figura 6 . Rappresentazione grafica dell'analisi paradig matica operata mervoil".
sulla
melodia
trobadorica
"Molt
me
Il concetto di trasformazione espresso da Ruwet è importante nell'analisi etnomusicologica. Esso infatti può essere associato a quello di variante molto comune nelle esecuzioni di musica di tradizione orale in cui l'itera zione variante è il metodo più diffuso di organizzazione dei brani musicali soprattutto strumentali.. Nell'esempio 12 è riportato un brano per lamellofono basato sulla ripe tizione di un solo segmento melodico che si presenta in forma molto variata ad ogni ripetizione.
Esempio 12 . Iterazione variante di una melodia monofrase. Eringongo per lamellofono - Africa Centrale (Facci 198687:125).
136
Il metodo paradigmatico ci offre la possibilità di osser vare come ci siano in ogni variante dei punti fermi e invariabili che ci fanno percepire l'appartenenza di tutti i segmenti ad un unico modello. Su questi probabilmente la memoria dell'esecutore fa affidamento per non perdere completamente, durante l'improvvisazione, la riconoscibi lità del modello fondamentale. Quest'ultimo può essere dedotto, in maniera del tutto ipotetica, osservando la ricorrenza prevalente dei suoni in una determinata posi zione . Per esempio nel caso precedente il suono iniziale del modello base può essere considerato il Do, che compare in posizione iniziale quattro volte su cinque . La prassi analitica di Ruwet è stata applicata alla musica tradizionale italiana per individuare l'ossatura di alcuni repertori strumentali e vocali notevolmente com plessi (Giuriati 1982, Agamennone 1985) .
3. Conclusioni Questa rassegna di metodi analitici applicati alla melodia si spera abbia condotto ad una riflessione sui diversi modi di approccio al fenomeno. Se si torna alla lista di variabili melodiche espresse da Nattiez e ripor tate nel primo paragrafo, ci si potrà rendere conto di come molte di esse non siano state prese in conside razione: per esempio l'apporto ritmico-metrico alla confi gurazione della melodia o il rapporto tra linea musicale e testo verbale nelle melodie cantate. Molti altri modi quindi sono ipotizzabili per osservare una melodia, che, è bene ripeterlo ancora una volta, è un tutto unico risultato di moltissime componen ti, un assemblaggio di materiali diversi che, per antonomasia, più di qualunque altro costituente musicale, viene percepito come unitario. Per esempio Kolinski (1982) ipotizza un'indagine stilistica di un repertorio di melodie a partire dal nume ro di suoni ribattuti in esse contenuti, ponendosi in una posizione intermedia tra le analisi intervallari (il ri battuto è caratterizzato da un intervallo unisono) e quel 137
le dei profili melodici (la presenza massiccia di suoni ribattuti disegna un tipo di melodia particolare). L'ornamentazione può anche essere un punto di par tenza interessante. Essa è intesa spesso in un duplice aspetto: infatti sono considerati ornamentali sia gli abbellimenti veri e propri (acciaccature, mordenti, trilli ecc) sia i cosiddetti passaggi melismatici, ovvero i voca lizzi che nella musica cantata interrompono la dizione del testo verbale. L'uso dell'ornamentazione nella melodia ha distinto interi periodi nella storia del melodramma (pen siamo al passaggio dal recitar cantando del primo '600, alle arie con da capo, dell'opera settecentesca, la cui ripetizione era una palestra virtuosistica per i cantan ti) , e distingue, stili diversi nella musica di tradizione orale. Abbellimenti sono prescritti nell'esecuzione dei raga, e il cosiddetto tasso melismatico, ovvero la quan tità di suoni non recanti sillabe del testo verbale, è al tissimo nella musica araba e nella musica sud-sahariana da essa influenzata . Nell'Africa bantu invece i canti sono generalmente sillabici, e mancano di suoni ornamentali. Sull'ornamentazione come parametro della melodia e sulla rilevanza dei suoni ornamentali nella definizione delle scale si è soffermato Netti (1972:57). Un altro terreno di ricerca resta comunque quello del perché una melodia prende quella determinata foggia. Gli studi sulle origini della melodia che hanno motivato il lavoro di molti etnomusicologi nella prima parte del secolo, dando vita al grande dibattito tra favorevoli e contrari alla teoria del ciclo delle quinte (vedi per esempio Schneider 1962, Brailoiou 1982), erano ispirati * da questo tipo di problema. Analogamente le osservazioni di Blacking (1986) sulle relazioni tra l'atteggiamento fisico dei suonatori e il risultato sonoro da loro prodotto aprono la strada verso la conoscenza di quanto il fattore uomo con le sue specifiche capacità percettive, cognitive e motorie abbia influenzato l'affermarsi di tratti molto comuni a tutte le melodie del mondo come i profili discendenti, .la presenza dei centri tonali, la ripetizione. Infine, le analisi fisico-acustiche dei segmenti
138
melodici, ormai largamente usate in etnomusicologia/ pon gono un ulteriore problema teorico. Se si osserva la rap presentazione grafica, di una melodia prodotta da un sonagraf/ o la lista di numeri, che corrisponde alla mi surazione degli elementi costituenti una melodia, fornita da un analizzatore acustico, si ha una sensazione di com plessità non percepibile assolutamente dalle trascrizioni su pentagramma. Infatti le analisi acustiche evidenziano la rilevanza che i fenomeni timbrici e di intensità e di abbellimento hanno nella costituzione di un segmento melo dico. Ciò che maggiormente stupisce è proprio la perdita della linearità della melodia, in quanto, come si sa, il timbro è il risultato della sommatoria di frequenze diver se e quindi una melodia concreta possiede comunque anche uno spessore verticale . Alcuni studi etnomusicologici si sono indirizzati verso questo tipo di approccio al feno meno melodico, cercando così una via supplementare per arrivare all'obiettivo di definire lo stile dei repertori musicali analizzati. Non c'è dubbio che una concezione della melodia come combinazione di due dimensioni principali, altezza e durata, è un giusto approccio allo studio della musica occidentale il cui sviluppo ha ruotato per secoli intorno a questi due parametri, lasciando in secondo piano gli altri. Probabilmente ciò è vero non solo per la musica occidentale ma' anche per molti repertori di tradizione orale. Non si può escludere però che in alcuni stili, e il pensiero spazia inevitabilmente dall'Africa Sub-Sahariana fino alle più recenti musiche giovanili (house-music, ecc.), la dimensione timbrica acquisti nella caratterizza zione di una melodia una preminenza rispetto a quella delle altezze fondamentali.
Bibliografia
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Ehnomusicology XX
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Maurizio Agamennone
MODALITÀ' /TONALITÀ'
Premessa
Dopo l'esame di TEMPO e RITMO, SCALA e MELODIA rea lizzato in questo volume, si ritiene opportuno soffermarsi sui criteri con cui tali componenti elementari del lin guaggio musicale sono elaborati nell'ambito di sistemi complessi. Nella trattazione degli argomenti che seguono saranno frequentemente utilizzati numerosi concetti già descritti, esaminati con particolàre attenzione per le relazioni reciproche che si determinano fra di loro, in ambiti più ampi. Ad es., in MODALITÀ'/TONALITÀ' si prende ranno in esame soprattutto i criteri di interferenza e interdipendenza fra scale con intervalli di diversa natura e strutture melodiche di assetto multiforme, con partico lare riferimento al rilievo che assumono i gradi delle scale nell'elaborazione della melodia e nella sovrapposi zione di parti distinte. In POLIFONIA, l'interesse preva lente sarà rivolto verso i criteri con cui parti e strut ture melodiche di diversa conformazione possono essere eseguite simultaneamente, combinate e sovrapposte le une alle altre. In tale prospettiva, quindi l'interdipendenza degli elementi costituenti il linguaggio musicale sarà verificata in una cornice più estesa, con riferimenti diretti a sistemi musicali specifici, nei tratti storici e culturali più rilevanti. Per quanto concerne in particolare MODALITÀ'/TONA LITÀ' , questi due argomenti sono associati in una tratta zione unitaria poiché sono stati intesi ambedue come cri teri complessi di elaborazione ed organizzazione delle altezze. La descrizione è comunque separata, al fine di cogliere più efficacemente le molteplici differenze esi stenti, soprattutto sul piano culturale e storico, oltre ché nell'assetto combinatorio. La trattazione unitaria, 145
inoltre, può consentire di verificare come, benché ricon ducibili ad esperienze storiche e culturali distinte, tratti della Modalità e della Tonalità presentino aspetti comuni. Per quanto attiene POLIFONIA, si è ritenuto oppor tuno collocare nella trattazione di questo argomento la valutazione comparativa e sistematica delle diverse possi bilità attestate di combinazione di parti distinte. Per tanto, alcune questioni inerenti la sovrapposizione di me-r lodie in ambito modale, e la sovrapposizione di suoni o la concatenazione di accordi in ambito tonale, risultano esa minate in POLIFONIA, piuttosto che in MODALITÀ' /TONALITÀ' . La lettura combinata delle due trattazioni può consentire una comprensione più agevole degli argomenti inerenti.
1. MODALITÀ'
1. 1. Considerazioni generali Negli studi musicologici la riflessione sul con cetto di Modalità è stata condotta soprattutto in una pro spettiva storica. In tal senso è stata senz'altro privile giata l'indagine sugli esempi di Modalità attestati nella tradizione eurocolta, con particolare attenzione per le forme ed i generi della musica liturgica: negli studi storico/musicologici , infatti, é emerso in primo piano soprattutto l'interesse per le espressioni musicali del mondo antico (Grecia classica ed ellenistica), e delle liturgie cristiane (soprattutto bizantina e latina). Se si osservano i principali dizionari e lessici musicali si può rilevare facilmente come l'asse greco antico/bizantino/latino abbia costituito per lungo tempo l'unico aggregato culturale degno di interesse (Encyclopèdie de la musique 1961, Grove's Dictionary of Music and Musicians 1954, Rosa-Barezzani 1984) . Una riflessione più convincente ed efficace sul concetto di Modalità si rinviene nell'ultima edizione del
146
«New Grove» (Powers 1980: 376-450). In tale occasione Powers ha efficacemente rilevato come, parallelamente alla riflessione sulla storia musicale eurocolta, si sia deter minata l'« ... espansione ed internazionalizzazione del concetto ... » (1980: 422), grazie all'attività di studio si attenti ai comportamenti rilevabili in culture musicali non-europee viventi (Willard 1834, Tagore 1875, Bhatkhande 1910, D'Erlanger 1930). Dapprima piuttosto marginali negli studi musicologici, queste indagini pionieristiche hanno costituito la base per ricerche successive sempre più numerose, selettivamente mirate ad esaminare culture musi cali circoscritte, sistemi modali specifici, comportamenti ed eventi musicali tipici di aree determinate ed omogenee (Kunst 1949, Danielou 1954, Hood 1954, Tran van Khè 1962, Kaufmann 1968, Powers 1970, Netti 1972, Garfias 1975, Touma 1977, Danielou 1980, Hood 1980,1984, 1988, Baily 1981, During 1984, Lortat-Jacob 1987). Le indagini sulla Modalità hanno subito quindi una' netta accelerazione, soprattutto in direzione delle musi che extraeuropee. Lo sviluppo degli studi etnomusicologici e di antropologia della musica negli ultimi quaranta anni ha sicuramente fornito elementi comparativi di grande in teresse intorno alla questione, evidenziando l'inefficacia di definizioni e criteri di classificazione ideati soprat tutto per esaminare la storia della musica liturgica cri stiana, e quindi privi della valenza trasculturale neces saria per interpretare adeguatamente l'esperienza musica le. Peraltro, l'osservazione di sistemi modali «viventi» ha fornito anche l'occasione per una reinterpretazione dei documenti e delle fonti storiche occidentali, fornendo indicazioni numerose per la valutazione dei comportamenti esecutivi i quali, inevitabilmente, risultano sotto-rap presentati nella documentazione scritta e nella tratta tistica teorica1.
1 Uno fra i manuali di storia della musica più noti in America, Asia ed Europa, in uso anche in numerosi Conservatori di musica ita liani, propone di interpretare i Modi nella musica della Grecia clas-
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Prima di passare ad una descrizione più dettaglia ta dei connotati della Modalità, può essere opportuno pro porre alcune definizioni preliminari. Si può pertanto con siderare la Modalità come un sistema complesso di organiz zazione ed elaborazione delle altezze che, pur manifestan do alcuni elementi di carattere generale, presenta tratti specifici e distinti nelle diverse tradizioni musicali. Se si prende in esame una cultura musicale intesa come com plesso omogeneo, il termine Modalità può apparire come sinonimo di sistema modale: in tal senso, ad es., si parla di sistema modale iraniano, indù, etc., o di modalità ira niana, indù, etc. Tali denominazioni definiscono, in senso generale, le norme e le consuetudini che orientano l'ela borazione e organizzazione delle altezze nell'ambito di tradizioni culturali specifiche. Il termine Modalità indica una cornice ampia di possibilità combinatorie: all'interno di tale cornice pos sono essere comprese numerose entità circoscritte ed.auto nome denominate Modi. I Modi, quindi, mostrano connotati tipici e molto definiti, che risultano necessariamente coerenti con il sistema modale. A tal proposito, quindi, è opportuno intendere un sistema modale come un insieme com plesso di Modi specifici. Sul piano orizzontale la Modalità può manifestarsi attraverso l'elaborazione di una melodia 2 di tipo soli stico (monodia di esecuzione vocale o strumentale). Sul piano verticale3 la Modalità può realizzarsi mediante la sovrapposizione di parti distinte, eseguite simultanea mente, e combinate secondo norme di interdipendenza varia-
sica, valutando « ... la possibilità che i Modi potessero essere strutture complesse simili ai raga-s indiani o ai maqamat arabi, vale a dire modelli o tipi generali melodici ... » (Grout 1984: 46). Tale consapevolezza, penetrata fin nella letteratura a scopi didattici, non sempre si riscontra in pubblicazioni di tipo specialistico. 2 Per quanto concerne il concetto di assetto orizzontale, cfr., in questo volume, MELODIA. 3 Analogamente, per quanto concerne l'assetto verticale, cfr, in questo volume POLIFONIA.
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bili, ma tali da lasciare ad ognuna delle parti sovrappo ste una netta fisionomia melodica. La Modalità comporta la presenza di alcuni conno tati elementari, che risultano attestati con aspetti variabili nelle specifiche culture musicali. Nella tratta zione che segue i caratteri fondamentali della Modalità saranno esaminati separatamente, secondo due prospettive complementari : a) evidenziare i tratti di valenza generale, riscontrabili in senso trans-culturale; b) individuare i tratti specifici che differenziano i sistemi modali nell'ambito di tradizioni musicali peculia ri .
1. 2. Tipologia di scale e relazioni intervallar!
A. Scala generale Nell'esame di alcuni sistemi modali, diversi stu diosi hanno rilevato la presenza di una connotazione sca lare particolare che informa tutto il sistema, denominata prevalentemente scala generale. Consiste in uno schema di riferimento complessivo di tutte le altezze disponibili nell'ambito di un sistema modale definito, disposte su gradi e secondo intervalli determinati. La scala generale costituisce prevalentemente un modello teorico, una sorta di inventario, o di campo di tutti i suoni utilizzabili senza indicazione di gerarchie o preminenze. La scala generale, inoltre rappresenta tutti gli intervalli possibili, sia come relazioni differenziali minime di frequenza (vale a dire gli intervalli più picco li) , sia come relazioni di combinazione (intervalli più ampi prodotti dalla somma di intervalli minimi). Ne deri va, infine, che una scala generale concerne un sistema modale inteso complessivamente, e non è un tratto speci fico ed esclusivo dei Modi, considerati come espressioni parziali e peculiari, pur se ne é un elemento costitutivo. Sul piano storico ed antropologico, limitandosi
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necessariamente alle musiche che rivelano una costituzione modale, le realizzazioni della scala generale risultano assai diverse. Ne costituiscono un esempio la scala quar titonale araba (Touma 1977) e la scala persiana che mostra una successione intervallare simile (Caron, Safvate 1966, During 1984). Si tratta di successioni scalari che preve dono la presenza di ventiquattro intervalli minimi nell'ambito di ottava, entro cui, come è noto, si costrui scono e misurano le scale4 Piuttosto particolare appare la scala generale indù, che si presenta prevalentemente con una veste micro tonale, i cui intervalli (22 o 66 shruti- s nell'ambito di ottava) possono essere combinati variamente, e costitui scono la base per altre connotazioni scalari basilari (Danielou 1980: 31-37 e 51-53): a) una successione cromatica di gradi; b) una successione diatonica di gradi. Quest'ultima costituisce il modello più vicino alle singole peculiarità modali. In alcune culture musicali, per certi versi, la connotazione qui definita come scala generale può presen tarsi in una configurazione doppia, soprattutto nei siste mi musicali caratterizzati da una netta divaricazione binaria, come accade in alcune musiche dell'Asia estremo orientale. Nella musica indonesiana, ad es. , le scale pelog e slendro riportate nell'Es.l (adattato da Powers 1980: 436)5 possono apparire come una sorta di duplicazio-
4 La scala generale araba risulta più propriamente proiettata su un ambito di 2 ottave (dal grave all'acuto), che assume notevole rilevanza nella definizione dei registri, con un specifica connota zione dei gradi nelle diverse ottave. Cfr., in questo volume, SCALA. 5 Le piastre e le verghe di metallo, strumenti principali della musica giavanese possiedono un assetto acustico particolare dovuto alla prevalente composizione non-armonica dello spettro. Ne deriva una intonazione di notevole complessità non facilmente rappresentabi le con le sillabe della solmisazione europea, come appare nell'Es. 1: in particolare, il segno + indica una lieve integrazione di altezza, la quale rende ragione dell'ambiguità di segno per i gradi 4 (Pelog)
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ne della scala generale: in effetti, come si vede nell'Es. 1, l'ambito di ottava risulta diviso attraverso .due moda lità distinte (con disposizione di gradi e sequenze di intervalli diverse) che, se combinate insieme, producono una successione assai vicina ad una scala cromatica con intervalli microtonali. Tuttavia tale valutazione non appare pertinente, dal momento che le due scale giavanesi non sembrano provenire da una fonte comune: non si manife stano associate in un unico modello e non risultano com plementari l'una all'altra; restano invece ben separate, e le intonazioni strumentali che ne derivano sono anch'esse irriducibili l'una all'altra. La musica giavanese, pertan to, risulta caratterizzata da un forte bipolarismo modale, fondato su due sistemi distinti e disgiunti: ognuna delle due scale sopracitate informa un sistema modale definito, che comprende tre Modi specifici e nettamente separati, denominati Slendro Pathet e Pelog Pathetr vale a dire Modi regolati sulla scala Slendro e Modi Pelog.
Pelog
1 Do#
Slendro 1 Do
2 Re
2 Re
3 Mi
3 MI+ Fa beq.
4 Fa#+ Fa##
5 Sol#+
6 La
5 Sol
6 La+
7 Si
l’(8) Do
Iffiwiffo 1. frale flaraneai (adattato da lavora 1980: 436)
Può essere intesa come una manifestazione partico lare di scala generale anche la scala elaborata e proposta da Guido d'Arezzo nel trattato Micrologus (ca. 1026-1032): risulta caratterizzata da una successione diatonica di
e 3 (Slendro) . A tal proposito cfr. Deutsch, 1984-1988, 1989.
Fòdermayr 1989 e Hood
151
gradi, entro un ambitus di due ottave e una quinta; inol tre prevede una permutazione Si bequadro/Si bemolle ne cessaria per la definizione dei diversi tipi di esacordo, nonché per rappresentare le diverse possibilità di traspo sizione in uso allo scopo di emendare le alterazioni pre senti nelle melodie cantate. Nelle musiche di prevalente tradizione orale, siano esse colte o folkloriche, la scala generale costi tuisce un fattore scarsamente presente nella pratica musi cale, e spesso nella stessa consapevolezza degli esecuto ri. Appare più frequentemente documentata nella trattati stica teorica. Il termine scala generale risulta pertinente limi tatamente alla valutazione dei singoli sistemi musicali, soprattutto in opposizione alle specifiche scale modali (cfr. oltre); tale, almeno, è l'uso che se ne fa nella letteratura musicologica inerente alla Modalità. In senso transculturale, indipendentemente dalla costituzione delle musiche esaminate, per intendere un concetto simile, si usa il termine gamut 6. Infine, in alcune culture musicali è possibile rinvenire un livello intermedio di definizione, una sorta di pre-selezione dei gradi e intervalli presenti nella scala generale che conduce alla formazione delle scale modali specifiche. E' quanto accade in alcune musiche dell'Asia estremo-orientale, e nella Modalità persiana in cui, ad es. , oltre l'ambito corrispondente alla scala generale (quartitonale) si rileva un sistema di 6 succes sioni scalari (During 1984), cui sono riconducibili le scale dei Modi specifici. Nella letteratura musicologica non appare un termine che definisca univocamente questo livello scalare intermedio. Per la loro collocazione (fra la scala generale e le scale modali) e la loro funzione (pre-definizione di gradi ed intervalli), in questa sede si è ritenuto opportuno denominare successioni scalari di questo tipo con il termine scale fondamentali.
6 Cfr., in questo volume, SCALA.
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B. Scala modale Una scala modale consiste in una successione (regolata secondo criteri selettivi) di altezze ed inter valli che risultano specifici dei Modi, intesi come com plessi peculiari ed autonomi. In base a quanto indicato precedentemente, altezze ed intervalli presenti nelle diverse scale modalir risultano compresi nella scala gene rale di un sistema modale. Modi dissimili, quindi, hanno generalmente scale modali diverse, con gradi e intervalli differenti. Evidentemente il numero delle scale modali di pende dal numero di Modi riconoscibili come entità autono me in un sistema modale determinato. Risulta comunque documentata la presenza di Modi con scala modale analoga ma diversa fisionomia modale; ciò si verifica in conse guenza delle distinte preminenze attribuite ai gradi della scala modale (cfr. oltre). In alcune culture musicali si possono annoverare numerose «famiglie modali», vale a dire raggruppamenti di Modi con scala modale e caratteristiche simili: è quanto accade, ad es., nelle tradizioni musicali turco/arabe; nelle tradizioni indù, oltre l'identità dei tratti musicali, i Modi risultano assimilati da comuni proiezioni extramusicali (cfr. oltre); nelle scale modali indù, inoltre, assume particolare rilievo l'andamento ascendente/discendente : infatti si possono rilevare note voli differenze (attraverso omissione o alterazione dei gradi) nell'una e l'altra prospettiva, con riflessi consi derevoli nell'elaborazione melodica (cfr. oltre). Nella musica persiana si rinvengono Modi principali cui sono as sociati, variamente, alcuni Modi secondari. Per mostrare quali possano essere i dislivelli fra scale modali appartenenti a Modi diversi, nell'Es. 2 (adattato da Touma 1977: 41-43) sono state riportate due scale modali relative ai Modi Rast e Sikah, fra i più dif fusi nella musica araba; premesso che le notine in nero indicano suoni di minor occorrenza o minor rilievo, e che il segno di bemolle con trattino obliquo indica il semibe molle (che rappresenta una alterazione discendente di ca. 1/4 di tono), le differenze ’riguardano soprattutto due tratti: 1) ambitus (Do/Do' in Rast e Mi ^emibem. / Hi'
semibem. in Sikah); 2) successione di intervalli nel tetracordo inferiore. Valutando quest'ultima in senso discendente, in Rast essa appare costituita dai seguenti intervalli: 2a mediana7 / 2à mediana/ 2a maggiore (nel tetracordo riquadrato Fa/Mi semibem./Re/Do); in Sikah risulta caratterizzata dalla sequenza 2a maggiore/ 2à mag giore/ 2a mediana (nel tetracordo riquadrato La/Sol/Fa/Mi semibem.). Ognuno dei due Modi citati costituisce il modo principale di una famiglia modale cui appartengono ca. 20 e 10 Modi apparentati8, che mostrano caratteristiche simili.
Rast
Sikah
Esempio 2.
Modalità araba: acale modali (adattato da Touma 1977: 41-43)
Rast
e
Sikah
Ancora in termini di Modi apparentati (con tratti comuni), può essere interpretato il dualismo Modo autentico/Modo
7 Si tratta di un intervallo corrispóndente a 3/4 di tono e misu rabile in ca. 150 cents che alcuni musicologi giudicano tipico della musica araba (Touma 1977: pp. 30 e sgg.). Nell'Es. 2 la 2a mediana è tra le note Fa/Mi semibem., Mi semibem./Re in Rast; in Sikah è fra le note Fa/Mi semibem. 8 Indicazioni quantitative di questo tipo risultano comunque approssimative; nel noto congresso di musicologia araba del Cairo (1932), un'apposita commissione ha lavorato intensamente intorno alla questione del numero dei Modi; limitatamente alla musica egiziana, ad es., gli studiosi coinvolti riuscirono a definire un numero comples sivo di 52 Modi.
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piagale, che costituisce uno dei tratti strutturali più rilevanti nella Modalità cristiana medievale di tradizione gregoriana. Nell'Es. 3 si riportano le scale modali ine renti al I Modo (autentico) e al II Modo (piagale) : come si vede, le due scale risultano diverse nell'ambitus rap presentato (più grave nel Modo piagale) , ma associate nel riferimento centrale (cfr. oltre) che assume il Re. Nelle musiche dell'Asia estremo-orientale si rin vengono altresì Modi apparentati attraverso una comune scala modale, soprattutto in relazione alla identità della successione intervallare. La Modalità può assumere un assetto chiuso, quando sia prescritto e definito normativamente il numero dei Modi: è ciò che accade nelle culture musicali di grande e complessa tradizione storica, caratterizzate da una forte coesione etnica. Può invece assumere un assetto aperto, laddove risulti consistente l'influenza di culture musica li vicine, tale da produrre ibridazioni modali, oppure l'acquisizione, rilevabile nel tempo, di Modi innovativi: ciò si verifica particolarmente nelle aree di tran sizione9 .
I Modo (autentico)
o
° p -
F
«
II Modo (piagala)
F« finalia
teraporauaaio
Baupio 3. Modalità criatiana nodiovaia di tradiaiono grogoriana: dualismo ira Modo autentico e piagale
9 A proposito di prestiti ed ibridazioni in materia di musiche modali, cfr., tra gli altri, Baily 1981.
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1. 3. Gerarchie di gradi e suoni preminenti Nella cornice di un modo, inteso come complesso peculiare ed autonomo, una o più altezze rappresentate nella relativa scala modale possono acquisire una prevaleqza/preminenza sulle altre, divenendo il riferimento centrale intorno a cui ruota l'elaborazione musicale pro pria di un modo determinato. Nel lessico etnomusicologico, per indicare il suono che costituisce il fulcro di un modo è in uso il termine centro tonale (ingl.tonal center)10. Si preferisce questa denominazione, piuttosto che quella di tonica poi ché quest'ultima espressione, almeno nel lessico italiano, appare strettamente legata alle connotazioni della musica tonale e della Tonalità (cfr. oltre). Il centro tonale può essere collocato in posizioni assai diverse nelle scale e nei Modi specifici; tale mobi lità costituisce uno dei fattori più rilevanti per la
• 10 II termine centro tonale (tonai center) è stato introdotto da Bruno Netti (1964: 146), allo scopo di definire e mettere a fuoco i concetti in uso nell'etnomusicologia: con espressione assai poco felice, ma tale è il senso, tonai center potrebbe essere tradotto in italiano centro delle altezze. L'ideazione di espressioni nuove deri va dalla necessità di evitare ambiguità con le terminologie in uso nella musica colta europea, e può essere intesa come una delle costanti della riflessione etnomusicologica: a tal proposito, ad es., in italiano il termine tonica risulta intrinseco alla Tonalità pro dottasi nella storia musicale eurocolta, e inadatto alla definizione di musiche regolate da altri criteri di organizzazione delle altezze. Per indicare il centro tonale nella letteratura musicologica anglo sassone ricorre anche il termine tonic: d'altra parte, in lingua inglese l'espressione tone/tones, pur se ambigua, risulta meno carat terizzata di quanto non sia in italiano, e appare più spesso utiliz zata per esprimere genericamente il concetto di altezza/altezze. Anche in etnomusicologia, tuttavia, tali tentativi tassonomici non rivelano sempre una valenza univoca: in un suo lavoro sulla musica nelle culture di interesse etnologico, precedente quello citato in questa sede, lo stesso Netti ha adottato la definizione tonic per intendere ciò che pochi anni più tardi avrebbe invece chiamato centro tonale (1972, Ia ed. 1956: 45 e sgg.); una compresenza ed intercam biabilità dei due termini si riscontra ancora successivamente (Netti 1964: 146 e sgg.).
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caratterizzazione dei Modi. Come già detto, in generale il centro tonale rappresenta il fulcro sonoro di maggior rilievo, secondo i criteri indicati oltre. Nella Modalità indù si può registrare un fattore assai peculiare che consiste nella presenza di un centro tonale unico e immu tabile, comune a tutte le scale e Modi peculiari, che, pertanto, contraddistingue nettamente la Modalità indù rispetto a quanto si può rilevare in altre aree culturali Per definire tale particolare condizione di preminenza è in uso il termine centro tonale di sistema 11. In tutte le scale modali indù il centro tonale di sistema coincide con il primo grado11 12, e fornisce un riferimento sonoro perma nente, sempre presente nell'esecuzione, dove risulta espresso prevalentemente con un bordone persistente. Le melodie centriche, definite da Sachs (1979: 184-190), costituiscono strutture melodiche fondate su un centro tonale che si caratterizza soprattutto per la sua occorrenza preponderante. Nell' Es. 4 (Sachs 1979: 185) il centro tonale coincide senz'altro con il Fa, il suono più frequente che funge altresì da suono iniziale e finale; intorno a questo riferimento centrale i suoni superiore (Sol bem.) e inferiori (Mi e Do) mostrano un'occorrenza assai ridotta, quasi ornamentale (Do) . Si tratta di un esempio assai chiaro di melodia centrica, in cui il suono preminente occupa una posizione centrale anche in senso topografico, per così dire, essendo collocato proprio nel
11 A tal proposito Powers utilizza il termine system tonic (1980: 429 e sgg.); per coerenza terminologica e concettuale, in questa sede si è preferito conservare l'uso di centro tonale, 12 Nella musica indiana i gradi della scala diatonica assumono una denominazione specifica attraverso sette monosillabi; tale sistema di solmisazione indica esclusivamente la posizione di ogni suono nella successione diatonica all'interno dell'ottava: infatti definisce il grado cui corrisponde un suono, e non la sua altezza; inoltre, non consente di determinare gli intervalli fra i suoni, i quali possono essere identificati soltanto all'interno della scala modale. Nella solmisazione indiana il 1° grado di ogni scala, che costituisce il centro tonale di sistema, è denominato con la sillaba Sa ,
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mezzo della struttura melodica13. Infatti, nella rifles sione operata da Sachs intorno alle melodie centriche, la collocazione del centro tonale nel mezzo di una struttura melodica (anche se non in maniera strettamente simmetrica rispetto ai vertici inferiore e superiore) risulta senz'altro determinante.
Eaeapio 4. Maiodia centrica lappone (Sacha 1979: 185)
Nelle musiche folkloriche europee il centro tonale appare spesso alla conclusione,dei motivi melodici, nella posizione più grave dell'ambitus, con durate assai lunghe, all'interno di strutture melodiche che mostrano un anda mento prevalentemente discendente. Per indicare tale con dizione, e per sottolineare 1'occorrenza del centro tonale alla conclusione delle melodie, è stata introdotta e uti lizzata frequentemente la definizione di suono cadenzale. Nell'Es. 5 (tratto da Collaer 1980, vol. II: n° 17) il centro tonale (Re) mostra chiaramente questa posizione cadenzale, in ambedue le sezioni melodiche; si osservi inoltre come il Re non appaia se non in posizione finale, con durate assai estese, e con una forte polarizzazione, tale da poter rilevare facilmente come la melodia, per così dire, «tiri» sul Re.
13 A proposito delle melodie centriche e delle connotazioni della struttura melodica cfr., in questo volume, MELODIA.
158
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Esempio 5. 17)
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Serenata siciliana
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(Collaer 1980,
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II: n°
Tratti simili si riscontrano altresì in alcune forme polifoniche europee14: generalmente una o più voci assumono una funzione di sostegno, con un movimento assai ristretto intorno al suono cadenzale; in combinazioni polifoniche di questo tipo il suono cadenzale non appare soltanto alla conclusione del brano: infatti può mostrarsi fin dall'inizio di un brano, soprattutto nelle parti di sostegno; generalmente conserva la sua posizione finale nelle parti superiori dell'insieme polifonico, ca ratterizzate da una più ampia mobilità melodica. Nelle espressioni diafoniche (a due voci) la coincidenza con il suono cadenzale assume spesso i connotati di un bordone intermittente nella parte inferiore dell'insieme. Ciò risulta molto nettamente nell'Es. 6 (Traerup 1970: 110), un brano polifonico di tradizione macedone: la voce grave è praticamente ferma sul Sol, espresso con durate diverse; inoltre, l'attrazione esercitata dal suono cadenzale ri sulta molto forte, determinando una conclusione all'uniso no con durate estese, in due delle tre sezioni del brano. Un assetto analogo si riscontra altresì nella musica tra dizionale italiana, con tratti assai simili.
14 A tal proposito, cfr. in questo volume, POLIFONIA.
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Esempio 6. Polifonia diafonica macedone su bordone inter mittente,
con
unisono su
suono cadenzale
(Trmrup 1970:
110)
Al centro tonale inteso come luogo centrale dell'elaborazione musicale si possono affiancare suoni di peso inferiore, cui sono attribuite funzioni particolari, definite con termini specifici nelle culture in cui siano 160
presenti. La supremazia e preminenza dei gradi possono presentare aspetti mutevoli nella pratica musicale e nell'esecuzione. Le cosiddette funzioni modali possono essere a carico del centro tonale e degli altri suoni pre minenti. Le funzioni più importanti, documentate nella letteratura musicologica, possono essere così riassunte: a. occorrenza preponderante (questa funzione concerne suoni più frequentemente espressi, o più lungamente tenu ti) ; b. posizione iniziale (concerne l'inizio di un brano musi cale, o delle sue sezioni parziali); c. posizione finale nelle sezioni di un brano musicale; d. posizione finale nell'intero brano; e. posizione ornamentale o di passaggio; f. posizione più acuta (concerne il picco estremo in alto, nell'elaborazione melodica); g. posizione più grave (concerne il picco estremo in basso, nell'elaborazione melodica); h. posizione forte nella struttura fraseologica ritmicomelodica (concerne soprattutto la Modalità estremo-orien tale, in cui la fraseologia melodica e la ritmica sono assoggettate a strutture elementari corrispondenti a sequenze fisse di impulsi ritmici/unità melodiche15) . La variabilità dei gradi cui sono attribuite le funzioni suindicate costituisce uno dei principali fattori di differenziazione dei Modi intesi come complessi pecu liari. La letteratura musicologica fornisce numerosi testimonianze documentarie. Nella Modalità persiana il perno intorno a cui ruota e converge continuamente il disegno melodico, il centro tonale vero e proprio, è denominato suono testimone; esso costituisce inoltre il polo intorno a cui si svolge preferibilmente l'ornamentazione; può essere collocato sul primo grado della scala modale, ma anche in altre posizioni. Il cosiddetto suono d'arresto, invece,
15 Cfr. a tal proposito, Hood 1980-1988 e 1989; cfr., inoltre, in questo volume, TEMPO e RITMO.
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fornisce un riferimento per le cadenze momentanee, dopo un'adeguata valorizzazione del suono testimone. Viceversa, il suono cadenzale costituisce il luogo privilegiato per la conclusione di un brano; talvolta può coincidere con il primo grado della scala modale e con il suono testimone, ma.in alcuni casi consiste in una funzione particolare che comporta la chiusura dei brani musicali su un suono diver so dagli altri gradi preminenti, determinando così una particolare polarizzazione delle melodie. Nell'Es. 7 (During 1984: 137) è riportato un frammento di una intro duzione strumentale eseguita nel modo persiano Ràstpanjgàh. In tale ambito il suono testimone è il Fa: l'attacco è assai deciso su questa nota, che costituisce anche il suono finale di numerose sezioni melodiche; si può inoltre individuare anche la funzione di suono d'arre sto ricoperta dal Sol che si riscontra in prossimità di alcune cadenze momentanee.
7. Modalità persiana: introduzione strumentale nel modo Ràstpanjgàh (Diiring 1984: 137) Es.
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Nella Modalità cristiana gregoriana la funzione di centro tonale è assunta dal tonus finalis, vale a dire il suono su cui terminano preferibilmente le melodie. In tal senso, pertanto, Modo autentico e Modo piagale sono stret tamente apparentati dal comune finalis (cfr. Es. 3): le melodie appartenenti ai due Modi possono mostrare ambitus diverso ma una comune tendenza verso la conclusione sul finalis. Un altro grado preminente è costituito dalla cosiddetta repercussio (cfr. ancora Es. 3): nel disegno melodico del canto liturgico cristiano la repercussio costituisce il suono su cui la voce si sofferma con parti colare insistenza nella lettura intonata dei Salmi. Con trariamente al tonus finalis la repercussio appare in posizioni diverse nel dualismo modale autentico/ piagale; cfr. ancora Es. 3: V grado (La) della scala nel modo autentico; VI grado (Fa) nel modo piagale. Nella Modalità indù, oltre il cosiddetto centro tonale di sistema emergono ancora due gradi preminenti che, riprendendo una espressione di Powers (1980: 434 e sgg.), possono essere definiti predominante e predominante secondario 16; la loro collocazione non è stabile; nelle scale modali specifiche essi possono essere collocati su gradi diversi. La presenza del centro tonale di sistema e degli altri suoni preminenti determina un assetto tipico della Modalità indù: il rapporto di subordinazione dei due suoni predominanti (variabili e distinti nel diversi Modi) nei confronti del centro tonale (immutabile); ciò produce un effetto di parentela fra i diversi Modi in uso nella Modalità indù (tutti hanno un elemento in comune) ma, nello stesso tempo, conduce verso una proliferazione di relazioni modali che amplifica le differenze e specificità
16 Le denominazioni indiane sono, rispettivamente, Vadi e Samvadi. Nella letteratura anglosassone per intendere tali concetti sono invalsi anche i termini sonant e consonant (Danielou 1980: 61 e sgg.) Oltre queste due funzioni primarie, Danielou descrive altre funzioni modali di minor rilievo; altrettanto ■suggerisce Powers,tentando un interessante parallelo con altre culture musicali (1980: 434 e sgg.)
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dei Modi intesi come complessi peculiari. Tutto questo trova un sensibile riscontro sonoro nell'esecuzione poiché il centro tonale ed i suoni predominanti risultano espres si in maniera permanente da uno strumento polivoco (espli citamente destinato a tale compito) che, pertanto, realiz za una sorta di bordone multisonante.
1. 4. Elaborazione melodica ed esecuzione Una riflessione su questi aspetti costituisce un elemento di importanza sostanziale per la comprensione della Modalità come concetto musicologico. In effetti i tratti esaminati finora (scale, intervalli, rapporti di preminenza gerarchica fra i gradi, ecc.) restano lettera morta se non inseriti in una rete più ampia di relazioni. A tal proposito Netti ha sostenuto che «... un modo è il percorso attraverso cui le altezze di una scala sono uti lizzate in una composizione» (1964: 46) . Questa de finizione, pur se assai sintetica, suggerisce comunque molto chiaramente l'idea di un processo durante e mediante il quale alcuni elementi grammaticali (le altezze comprese in una scala modale) sono elaborati in una dimensione estesa e dinamica, che coincide praticamente con l'inven zione musicale e l'esecuzione. Per favorire e regolare tale processo di elaborazione quasi tutti i sistemi modali documentati presentano un repertorio di formule melodiche variamente associate ai Modi specifici, che gli studiosi hanno evidenziato e descritto. Sulla base di quanto rilevato finora, è evidente che in ogni Sistema modale le formule melodiche proprie di un modo mostrano necessariamente un profilo coerente con i gradi e gli intervalli presenti nella scala modale rela tiva, e risultano caratterizzate dalla sensibile prevalen za del centro tonale e dei suoni gerarchicamente domi nanti. Possono assumere altresì una connotazione ritmica tipica, e contorni ornamentali specifici. La fisionomia di tali formule melodiche può rivelare tratti assai diversi:
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in alcune culture musicali si riscontrano soltanto brevis sime aggregati melodici, limitati a tre o quattro suoni, oppure sequenze più ampie che forniscono un tracciato per gli esecutori. Altrove, invece, le formule melodiche assu mono una veste più netta, tale da costituire gli elementi primari di alcune forme musicali; possono inoltre acquisi re contorni fissi e determinare la configurazione di com posizioni musicali compiute. Nei sistemi modali documentati l'esecuzione avvie ne prevalentemente in maniera estemporanea, secondo le coordinate della mentalità e tradizione orale: infatti non risultano in uso testi musicali scritti, destinati alla lettura nel corso dell'esecuzione. L'invenzione estempora nea e la dimensione orale possono assumere i tratti della lunga ed estesa elaborazione intorno ad aggregati melodici limitati; possono configurarsi altresì in forma di limita ta e circoscritta parafrasi di formule fisse. Nelle tradi zioni folkloriche risulta assai diffusa l'esperienza della iterazione micro-variante, che consiste nella ripetizione continua di strutture di ridotta estensione, variate nei tratti costitutivi. Sui criteri e processi di elaborazione le informa zioni fornite dagli studiosi documentano una notevole variabilità di comportamenti. Secondo Touma, un aspetto determinante dell'elaborazione melodica nella Modalità di tradizione araba consiste nella realizzazione in suc cessione di distinti passaggi melodici; questi consistono in episodi delimitati e circoscritti dell'esecuzione durante i quali gli esecutori «esplorano» ed elaborano i nuclei (Touma 1971: 43) o le cellule generative (Touma 1977: 54) di un modo specifico. Per intendere il signi ficato di tali espressioni può essere opportuno prendere in esame i tratti relativi in un ambito modale circoscrit to. Si consideri la scala modale (Es. 8/a) del modo 17 Bayatir fra i più diffusi; la successione intervallare
17 II termine arabo per indicare un modo è màqàm.
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tipica18 è la seguente: 2à maggiore/2a mediana/2à mediana. Il nucleo modale, o la cellula generativa, consiste nell'ambito Re/Fa/Sol (Es. 8/b) , costituito da intervalli tipici: 3a minore e 2a maggiore. Questi intervalli formano gli elementi basilari dell'elaborazione melodica degli esecutori; la nota iniziale (Re) risulta preminente so prattutto nei passaggi melodici attinenti la regione ini ziale e finale della relativa scala modale; un nucleo sif fatto viene spostato verso la regione acuta nei successivi passaggi melodici, come indicato nell'Es. 8/c.
a. scala modale
b. nucleo modale
c. progressione nucleo modale
fsenpio 8. Modalità araba: scala modale, nucleo modale e progressione passaggi melodici nel modo Bayati (Touma 1977: 54 e sgg.)
Secondo l'interpretazione di Touma, quindi, il nucleo modale non costituisce una vera e propria formula
18 Come già considerato per l'Es. 2, nella Modalità araba la suc cessione interval re connotante una scala modale deve essere indivi duata in senso discendente, nel tetracordo inferiore Sol/Fa/Mi semibem./Re: per facilitare la comprensione, anche nell'Es. 8 tale ambito della scala appare riquadrato.
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melodica con un assetto riconoscibile: si configura meglio come un ridotto segmento scalare, prevalentemente tetracordale, che assume fisionomia melodica soprattutto nei suoi intervalli tipici e nelle altezze che li deli mitano, piuttosto che in un profilo definito e in motivi chiaramente delineati19. Proprio per questo due Modi caratterizzati dalla stessa scala modale, e quindi ap partenenti alla medesima famiglia, possono essere distinti: i nuclei modali specifici infatti risultano caratterizzati da altezze ed intervalli diversi, in pra tica coincidono con segmenti diversi della scala modale. Nel sistema modale arabo, in definitiva, l'esecuzione e l'elaborazione melodica si configurano come una sorta di «ricamo» nella trama dei nuclei modali; attraverso suc cessivi passaggi melodici separati frequentemente da pause, verso il«climax» dell'invenzione melodica collo cato nella regione acuta della scala modale, cui segue un percorso opposto, con la discesa verso la regione grave. Per queste caratteristiche dell'esecuzione, nella tradizione araba non è molto diffusa la presenza di brani con una denominazione definita, a parte alcuni nomi che indicano forme, più che composizioni vere e proprie. Per questo, per l'indicazione di brani incisi su disco si riscontrano piuttosto frequentemente titoli come, ad es., «improvvisazione» o «meditazione», cui segue l'indicazione del modo specifico nel cui ambito strumentisti e cantanti producono l'invenzione estempo ranea. In lingua araba il termine con cui si indica que sta maniera di intendere l'esecuzione è taqsim, che in italiano può essere tradotto approssimativamente con im provvisazione .
19 La secca interpretazione di Touma che esclude la presenza di motivi melodici nell'assetto di un modo pare contrastare con l'orien tamento di altri autori che, al contrario, sottolineano come sia rilevante, all'interno di un modo, 1' 'enza di motivi ste reotipati in posizioni particolari (ad es.. _ziale o cadenzale); a tal proposito, cfr., tra gli altri, Powers 1980: 423 e sgg.
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Nella tradizione persiana l'esecuzione e l'elabo razione melodica assumono connotazioni diverse. La forma musicale più importante è il radif, un termine che assume diversi significati20, ma che in questa sede è sufficiente considerare come l'ordine, la successione in cui sono ese guite ed elaborate le formule melodiche tipiche di un modo. Tali formule melodiche risultano assai numerose e di diversa estensione21, prevalentemente non misurate e in ritmo libero, apprese per tradizione orale. Il nome gene rico con cui sono indicate tali melodie è gusheh (pi. gusheh-ha); inoltre ognuna assume una denominazione specifi ca. L'elaborazione di queste formule melodiche può variare in relazione alle capacità e modalità di invenzione degli esecutori. Per ognuno dei Modi iraniani si rinvengono per tanto diversi radif; questi sono frequentemente ricordati con il nome del Maestro autore dell' «arrangiamento» tramandato ed accolto dagli allievi e dagli altri musici sti2223 . Nel Radif la tradizione persiana mostra una maggio re stabilità e normatività formale rispetto a quella araba e turca, per la presenza di un ampio catalogo di formule melodiche, le relazioni fra queste ed i Modi di apparte nenza, l'articolazione e’ l'ordine di successione nel tempo delle formule melodiche. Anche nella tradizione indù risulta documentata la presenza di formule melodiche basilari elaborate nel corso dell'esecuzione. Nell'Es. 9/a è riprodotto il moti
20 Cfr. Caron, Safvate 1966: 116 e 117; Diiring 1984: 123-147. 21 Secondo Diiring tali melodie/model lo ammonterebbero a circa 300 (1987: 136); altrove lo stesso Diiring indica una cifra maggiore: «Il numero totale di tutti i gushes suonati nei diversi sistemi varia da 200 a 500, secondo i radifs » (1984: 227). 22 Nella tradizione persiana il termine con cui si indica un modo è Dastgàh. In tal senso, ad es., le espressioni Dastgàh -e Shur, Radif di Saba e Dastgàh~e Shur, Radif di Ma'arufi indicano i Radif dei due maestri Saba e Ma'arufi nel modo Shur (Caron, Safvate 1966: 116) . 23 Nella tradizione indù il termine con cui si indica un modo è raga.
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vo melodico tipico del modo 23 Bilaval; si osservi in particolare il breve segmento Mi/Fa/Mi/Re24, che funge da collegamento nei passaggi cadenzali fra Re e Do; oltre il centro tonale di sistema (Do)r i suoni predominanti nel modo Bilaval sono Mi e La. Tutti questi elementi (suoni preminenti e motivo melodico tipico) sono elaborati in maniera estemporanea nel corso dell'esecuzione; se ne fornisce una testimonianza nell'Es 9/b-c che comprende due estratti diversi, da una versione della introduzione al Raga Bilaval. Il primo (Es. 9/b) si sviluppa nella regione medio/grave; rilevante è la stretta associazione fra Do e La, espressa fin dall'inizio, che costituisce quasi un infisso ricorrente, pur se con diverso assetto ritmico: queste due note infatti corrispondono al centro tonale e al suono predominante, i due poli principali. Evidentissimo appare il frammento cadenzale Mi/Fa/Mi/Re, già descritto, in tutti i passaggi che chiudono sul cen tro tonale espresso in forma di suono tenuto o seguito da pausa. Si osservi ancora come il settimo grado compaia unicamente come abbellimento discendente sul La, e il quarto grado quasi esclusivamente nei passaggi cadenzali sul centro tonale. Il suono predominante secondario (Mi) appare soprattutto come nota tenuta di sospensione momen tanea, prima della discesa sul centro tonale. Il secondo estratto (Es, 9/c) mostra un'espansione verso la regione medio/acuta, con una particolare insistenza sul centro tonale all'ottava, una maggiore presenza - rispetto all'estratto precedente - del suono predominante seconda rio (Mi) , la consueta formula cadenzale (Mi/Fa/Mi/Re) , e la stretta associazione fra Do e La prima della conclu sione .
24 II Fa è scritto con un corpo/nota quadrato: ciò indica che il suono è abbassato di ca. 20 cents.
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a. motivo melodico tipico
Esempio 9 Modalità indù: motivo melodico tipico ed elabo razione melodica in due estratti da una introduzione al modo Bilaval (Danielou 1980: 191-192)
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Frammenti come quelli indicati durano pochi secondi; inevitabilmente costituiscono una testimonianza ass^i par ziale e circoscritta di esecuzioni che invece durano molti minuti, talvolta ore: gli elementi combinatori, comunque, sono gli stessi, elaborati lungo un asse temporale sotto posto ad una progressiva accelerazione dei rapporti me tro/ ritmici. Anche nella Modalità cristiana di tradizione gre goriana è rilevabile la presenza di formule melodiche, elaborate prevalentemente nel corso dell'intonazione dei Salmi; raccolte in appositi volumi (Tonari) , in epoca cen tro-medievale furono ordinate in relazione alla polariz zazione melodica determinata dall'attrazione del tonus finalis e alla localizzazione della repercussio, e classi ficate nel sistema degli otto Modi liturgici latini (quat tro autentici e quattro piagali). Nelle musiche dell'Asia estremo-orientale le for mule melodiche modali mostrano una maggiore stabilità. Hood (1954, 1980,1984, 1988, 1989) ha introdotto il termi ne formule cadenzali per definire i motivi melodici basi lari in uso nella Modalità giavanese. La loro elaborazione consiste soprattutto nella combinazione di formule caden zali diverse (secondo criteri di ripetizione e variazione) per la realizzazione delle cosiddette «melodie fisse», sequenze melodiche definite e stabili designate da un nome preciso che le distingue le une dalle altre. Diversamente da quanto si può rilevare nei Sistemi modali arabo, turco, persiano e indù, la Modalità giavanese (e per certi versi anche altri sistemi modali estremo-orientali) presenta un repertorio di pezzi musicali compiuti (composizioni vere e proprie con una fisionomia definita) , che trova proprio nelle «melodie fisse» l'elemento connotante ogni brano.
1.5. Riferimenti simbolici ed associazioni ad eventi ed entità extramusicali.
In periodi diversi della storia greca, e per moti vi disparati, Platone, Aristotele, Aristide Quintiliano, Athenaios, fra gli altri, hanno espresso alcune valutazio
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ni sull'ethos inerente i Modi della musica greca antica25. Il senso delle riflessioni rilevabili nella letteratura del mondo antico può essere inteso come una forte sottoli neatura degli esiti che poteva avere sulla psicologia umana l'audizione di musiche eseguite nei diversi Modi; gli effetti potevano esser tali da indurre direttamente stati emozionali particolari negli ascoltatori, con riflessi di natura politico/pedagogica e terapeutica. La consapevolezza di un influsso della musica sui sentimenti, nonché della stretta relazione fra le forme e i tratti della musica ed entità o eventi esterni ad essa, è pro babilmente penetrata nell'occidente latino con l'eredità greca, ed è rimasta sottotraccia anche nell'estetica della musica tonale26. Nelle culture di tradizione orale esterne all'influenza euro-colta, tale combinazione costituisce un elemento irrinuciabile, di notevole forza, fra i motivi principali delle abitudini estetiche. Può assumere particolare rilievo !'• associazione di Modi determinati con situazioni calendariali e climatiche, ad es. con parti determinate del giorno e della notte o con le stagioni, oppure con manifestazioni, vicende ed occasioni divine, mitiche, rituali e cerimoniali, come si può rilevare nella tradizione indù, ma anche, per certi versi, nella musica liturgica cristiana. Frequente è pure
25 La questione è molto complessa e controversa, tale da richiede re una trattazione molto particolare. Nella letteratura musicologica, peraltro, risulta piuttosto problematico rintracciare studi e rifles sioni del tutto convincenti. In ogni caso anche una valutazione sin tetica di tali questioni esula dall'obiettivo che si persegue in que sta sede. Cfr. pertanto, per un primo approccio, Sachs 1981 e Genti li, Pretagostini 1988, in particolare le nutrite bibliografie. 26 Costituisce quasi una volgarità ricordare l'associazione modo minore/stati di tristezza e modo maggiore/stati di euforia e alle gria, ma non bisogna dimenticare che essa fa parte ancora del «senso comune» musicale. Meno grossolana pare l'associazione fra certe tona lità ed eventi o simbologie particolari: basti pensare, ad es., all'uso del Re min. nella produzione di Mozart, al Do min. e al bi lanciamento min./magg. nella macro-forma di alcune opere di Beetho ven.
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la combinazione con simbologie cromatiche, politiche, co smogoniche o astronomiche: nelle tradizioni cinese e dell'Asia estremo-orientale tali connessioni tendono ad essere prevalenti. Talora, invece, emergono relazioni più strette con espliciti connotati etnici e culturali: così si configurano le testimonianze greco-antiche. Molto frequente, è l'associazione Modalità/stati emozionali: nelle culture musicali basate su sistemi moda li si ritiene che l'esecuzione di musiche nell'ambito di Modi particolari possa indurre condizioni emotive de terminate in coloro che partecipano all'esecuzione e ascoltano; talora l'esito di questo rapporto è l'attiva zione di pratiche terapeutiche. Associazioni come quelle descritte spiegano l'ado zione nel lessico musicologico di terminologie e concetti derivati dal pensiero greco, come il concetto di ethos nell'esperienza musicale, ad es., che si rinviene in nume rosi studi inerenti le musiche di carattere modale: ciò è avvenuto soprattutto a causa delle analogie che - sono prò-, gressivamente emerse fra la documentazione proveniente dalle culture musicali «viventi» e le fonti letterarie e filosofiche del mondo antico. Analogie siffatte, peraltro, possono consentire di interpretare e leggere sotto una diversa luce le stesse fonti antiche. È' opportuno sottolineare infine che tali relazio ni non sono da intendersi come corrispondenze obbligate. Costituiscono invece esperienze complesse che coinvolgono profondamente le tradizioni culturali, le norme di gusto, i valori filosofici, gli spazi e gli ambienti, nonché i criteri e modi di percezione della musica. L'associazione fra Modi e stati emozionali più o meno definiti, che può sembrare la più problematica, costituisce il risultato finale della rievocazione di numerosi fattori, vicende, personalità umane e divine, la cui suggestione può essere intesa appieno soltanto da ascoltatori interni alle coor dinate culturali.
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1. 6. Riepilogo Gli elementi descritti si possono rilevare varia mente distribuiti nelle musiche dell'area medio-orientale (tradizioni arabo/turco/persiane e derivate) e nell'area asiatica meridionale (tradizioni indù e karnatik nel sub continente indiano), nelle espressioni musicali cristiane (liturgia gregoriana in lingua latina, liturgia bizantina in greco e riti coevi o derivati), nella musica della Gre cia classica e del mondo ellenistico27. Nelle musiche folkloriche europee, per contro, alcuni dei fattori esami nati non compaiono. Nell'area asiatica estremo-orientale, inoltre, i Modi rivelano connotati particolari, per cui solo alcuni dei tratti presenti nella lista suindicata risultano pertinenti. Più problematica invece appare l'interpretazione delle musiche dell'Africa sub-sahariana come espressioni modali (Arom 1985: 387 e sgg.). Non sembra fondata, inoltre, l'associazione fra Modalità e Monodia. Se è vero che gran parte delle musiche di costituzione modale sono caratterizzate dalla prevalen za assoluta di una sola linea melodica su parti di soste gno ritmico e/o di bordone, non si può trascurare come la polifonia europea del Quattro/Cinquecento riveli un evi dente assetto modale, pur nella sovrapposizione di parti distinte e di analogo peso melodico. Numerose espressioni polivocali della musica folklorica europea presentano pure combinazioni di voci con un forte impianto modale; d'altra parte, le musiche dell'Asia estremo-orientale si basano sull'esecuzione simultanea di formule melodiche di natura modale, stratificate su registri e ritmi diversi.
27 A proposito della Modalità nella cultura greca classica ed ellenistica, è bene ricordare che la documentazione disponibile è piuttosto controversa e non consente interpretazioni univoche, soprattutto per le scarsissime (quasi inesistenti) fonti musicali pervenuteci, e per la difficoltà di ricondurre ad une valutazione coerente trattati teorici e testimonianze letterario/filosofiche tra mandate da periodi distanti sul piano storico e provenienti da conte sti culturali diversi.
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Infine, la condizione dell'esecuzione improvvisata non si rileva nell'esperienza della polifonia europea dei sec. XIV-XVI, contrassegnati dal ricorso non più episodico alla redazione e lettura di testi scritti.
2. TONALITÀ' 2. 1. Caratteri generali
Esaminata nel secondo termine, la dicotomia Modalità/Tonalità, assume una pertinenza più netta se ci si sofferma a considerare le espressioni musicali costituite dalla combinazione di parti distinte, accantonando l'esame delle espressioni monodiche (con una sola linea melodica). A tal proposito, si può forse affermare, avviando alcune drastiche separazioni, che le differenze prevalenti fra Modalità e Tonalità consistano in: a) proiezione orizzontale della prima contrapposta alla disposizione verticale dell'altra; b) identificazione fra Tonalità e musica eurocolta; sul piano storico ciò si è realizzato attraverso la diffusione sempre più ampia della tradizione scritta, la preminenza crescente dell'apporto creativo di personalità individuali e la separazione progressiva dei ruoli di compositore, didatta, esecutore. Nelle espressioni polifoniche di carattere modale, ognuna delle diverse voci partecipanti all'esecuzione, o rilevabili su un testo scritto, conserva una specifica autonomia melodica che persiste nel tempo, pur nella com binazione con altre voci28. L'interdipendenza fra le parti assume una maggiore forza in posizioni particolari della
28 A tal proposito, si può forse intendere come un riflesso, dina mico di tale concezione, la disposizione separata delle parti nei testi a stampa, invalsa nella polifonia colta europea dal XIII fino alle soglie del XVII see.
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struttura (soprattutto iniziale e conclusiva29) . La tec nica dell'imitazione, determinante nella polifonia europea quattro/cinquecentesca, conferma questa prospettiva: i mo tivi sono ripresi separatamente nelle diverse voci, e con servano nettamente la fisionomia iniziale30. Si può pensa re quindi ad una sovrapposizione di livelli melodici distinti, su ambiti di altezze determinati ma non esclusi vi31. I suoni presenti nei livelli melodici sovrapposti rivelano relazioni più strette nel proprio ambito di col locazione, sul piano orizzontale quindi, che non con i suoni dei livelli inferiori e superiori. La Tonalità, intesa come sistema di organizzazione delle altezze determinatosi nella storia musicale eurocol ta32, privilegia invece una stretta interdipendenza fra i
29 Nella polifonia eurocolta guattro/cinquecentesca, la par ticolare forza che si rileva nella interdipendenza fra le parti in occasione delle cadenze (posizione conclusiva) è- marcata attraverso un'intensa dilatazione delle durate dei suoni. Nelle espressioni polivocali folkloriche si rileva un tratto simile nel frequente unisono del suono cadenzale, che risulta lungamente tenuto. 30 II Canone mensurale e alcuni tipi di Canone enigmatico di tradizione fiamminga costituiscono un esempio evidente: una o due sequenze melodiche sono presenti nelle quattro voci e variamente adattate, soprattutto per quanto concerne il metro e l'andamento delle altezze (con distinti segni di tactus, come erano denominate le indicazioni di metro, e di chiave). 31 Nella polifonia eurocolta gli ambiti di altezze pertinenti le diverse voci non sono esclusivi e fissi: infatti non sono rari gli incroci fra le parti, vale a dire movimenti melodici di parti acute che momentaneamente scendono al disotto di parti più gravi. Nelle espressioni folkloriche la sovrapposizione in livelli di stinti si riscontra con particolare evidenza nella netta diffe renziazione funzionale delle parti: linee mobili e melodicamente articolate su linee tenute (bordoni fissi, bordoni intermittenti, bordoni singoli o multipli) o con movimento melodico ristretto (ostinati,bordoni su altezze diverse,bore e ostinati simulta nei, singoli o multipli); tale distinzione di livelli melodici si riscontra altresì, pur se con criteri diversi, nelle forme poli vocali in cui le parti assumono configurazioni più libere sul piano ritmico e melodico, in assenza di una separazione funziona le o subordinazione così nette come nei casi suindicati. Cfr., in questo volume, POLIFONIA. 32 Per definire la Tonalità come sistema si è adottata 1'inizia-
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suoni, secondo un asse verticale grave/acuto polarizzato nella regione grave della combinazione di voci. In questa area assume una particolare preminenza un suono (denomina to fondamentale) che determina la selezione dei suoni superiori; la sovrapposizione si realizza attraverso un rapportò privilegiato costituito dall'intervallo di terza maggiore (tono + tono; es.: Do/Mi) o minore (tono + semi tono; es.: Do/Mib). Affinché la combinazione abbia adegua ta valenza è necessaria la presenza di almeno tre suoni33 simultanei (es.: Do/Mi/Sol) . Una sovrapposizione simulta nea di terze con queste caratteristiche è denominata ac cordo (cfr. Es. 10/a) . Gli accordi - la cui persistenza deve essere apprezzabile nel tempo perché siano adeguatamente percepiti e appaiano riconoscibili - costituiscono i termini elementari della Tonalità, che si configura, per tanto, come un percorso di concatenazione di unità verti cali minime (accordi) secondo norme definite. L'inventario di regole che presiede alla concatenazione degli accordi costituisce il campo dell'Armonia Tonale. Le norme dell'Armonia - che comprende anche un inventario e criteri diversi di classificazione degli accordi - consistono nella sintesi teorica degli usi invalsi nella pratica musicale, la quale è storicamente mutevole; le regole, che ne costituiscono un riflesso teorico, mutano parimenti: non sono precetti statici, ma criteri dinamici di orienta mento e di operatività. La valutazione analitica dei trat ti dell'armonia in un brano musicale, perciò, tende ad in terpretarne le norme collocandole nella cornice degli usi musicali coevi, delle coordinate culturali più ampie e dei valori individuali propri degli autori. La Tonalità è fondata su scale diatoniche34 maggio ri (magg.) e minori (min.). La scala di Do magg., ad es.>
le maiuscola; in tal modo, nella cornice della cultura dotta euro pea, il termine costituisce un sinonimo di Sistema tonale. 33 Per definire una combinazione di tre suoni, su intervalli di terza, si usa il termine triade . 34 A tal proposito cfr., in questo stesso volume, SCALA.
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indica i suoni presenti nella tonalità35 di Do magg. la quale, quindi, esclude i suoni che non vi siano rappre sentati. Lo stesso vale per le tonalità basate su altre scale. Ogni grado della scala assume una proiezione verti cale e può generare un accordo, attraverso la sovrappo sizione di terze già descritta (cfr. Es. 10/b).
a. accordo maggiore e minore
b. scala maggiore con accordi costruiti sui gradi
j ti ni l;w jr iv jLt
v
wr(vni-r)
jgsenpio 10. Accordi Triadi maggiore e minore su fondamentale Do.
Accordi di quattro auoni con raddoppio della fondamentale. Scala di Do maggiore: su ognuno dei gradi, considerati come fondamentali, è costruito un accordo nella tonalità di Do maggiore.
Nell'ambito di una tonalità i gradi della scala assumono funzioni diverse: per la loro particolare premi
35 II termine tonalità (con l'iniziale minuscola) indica il campo di suoni parziale rappresentato in una scala omonima e specifica: es. tonalità di Si min., riflessa nella scala di Si min.; vale come sino nimo di tono, in una delle sue accezioni (es.: tono di Si min.) e risulta complementare al termine Tonalità (con l'iniziale maiuscqla) che, come si è già precisato, è qui adottato per indicare non un campo limitato di suoni, bensì il sistema più ampio di norme in uso per l'organizzazione delle altezze nell'esperienza musicale eurocol ta.
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nenza, emergono i gradi I, IV, V. Il primo grado, deno minato tonica (T), costituisce il perno di ogni tonalità e scala specifica: nella tonalità di Re magg. la tonica è il Re; in Sol# min. la tonica è Sol#, e così via. Il quinto grado è denominato dominante (D) e costituisce, dopo la tonica, il suono di maggior rilievo; il quarto grado, per tanto, è definito sottodominante (S). Questi tre gradi co stituiscono la sintesi di una tonalità poiché gli accordi che ne derivano rappresentano, insieme, tutte le note com prese nella scala, vale a dire esauriscono il campo -di suoni proprio di una tonalità e definiscono le sue princi pali funzioni armoniche. Si prenda ad es. il campo di Do magg.; gli accordi costruiti sui gradi I/IV/V sono i se guenti: Do/Mi/Sol - Fa/La/Do' - Sol/Si/Re'; trasportati nella stessa ottava Do/Do' essi esprimono tutti i gradi della scala di Do magg. (cfr. Es. 11).
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Esempio 11. Tonalità di Do magg. Gli accordi costruiti sul I/IV/V grado rappresentano tutti i gradi della scala e i suoni della tonalità.
L'accordo di dominante (costruito sul V grado) costituisce inoltre un determinante punto di coesione: il percorso di concatenazione di accordi che è alla base della Tonalità assume prevalentemente la configurazione di un allontanamento dall'accordo di tonica; il ritorno su di esso si realizza generalmente attraverso il passaggio sull'accordo di dominante. Il movimento conclusivo verso
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l'accordo di tonica è denominato cadenza 36, che, in un contesto di Tonalità, deve intendersi come successione di accordi verso una posizione di stabilità coincidente con l'accordo di tonica. La cadenza più rilevante in questa prospettiva coincide proprio con il percorso V/I: l'accor do di dominante conclude sull'accordo di tonica (Es. 12) . Fra gli altri gradi della scala, particolare rilievo assume il III grado che determina il modo maggiore o minore della tonalità: la presenza di un intervallo di 3à magg. fra I e III grado della scala determina tonalità maggiori; viceversa, un intervallo di 3à min. produce tonalità mino ri. Tale oscillazione costituisce un connotatq tipico ed esclusivo: la Tonalità prevede due soli Modi - magg. e min. - intesi esclusivamente come successione di intervalli e modelli scalari distinti, da cui derivano combinazioni spe cifiche di accordi e funzioni determinate. In questo senso, il bipolarismo maggiore/minore costituisce un tratto pe culiare del Sistema tonale e della musica eurocolta.
Es. 12. Cadenze perfette (V/I) nelle tonalità di Do mag giore e La minore. Concatenazione cadenzante di accordi sui gradi I/IV/V/I.
36 In alcuni casi il percorso cadenzale può assumere una direzione diversa, e rinunciare alla conclusione risolutiva sul I grado (V/I): una configurazione siffatta assume denominazioni diverse, in relazio ne al grado su cui è costruito l'accordo conclusivo: cadenza d'ingan no (V/VI) , c. sospesa (I/V) c. evitata (V/accordo conducente verso altra tonalità).
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Nell'esperienza storica inerente la Tonalità, la sovrapposizione a 4 parti è divenuta rapidamente un model lo prescrittivo: ciò ha prodotto il raddoppio di uno dei tre suoni costituenti un accordo, soprattutto la fondamen tale . (cfr. Es. 10/a: accordi di quattro suoni), vale a dire come già detto, il suono più grave che determina la sovrapposizione. Possono verificarsi tuttavia rovesciamenti di questo ordine, talché nella posizione grave (al basso) si possono trovare note diverse dalla fondamenta le37. Nella disposizione verticale di un accordo, fra i quattro suoni presenti è possibile rilevare una combi natoria di intervalli piuttosto ridotta: terze (magg. o min.), quarta e quinta38, sesta (magg. o min.), unisono e ottava. Tali intervalli sono ritenuti consonanti. Gli altri risultano dissonanti: seconda (magg. o min.), setti ma (magg. o min.), quarta e quinta di ampiezza diversa39 e, in generale tutti gli intervalli costituiti da suoni alterati nei confronti dei gradi corrispondenti della scala. La sensazione e la nozione di consonanza/dissonanza non costituiscono tuttavia un dato universale, né storica mente immutabile: ogni cultura musicale seleziona tali rapporti secondo criteri particolari che possono rivelarsi incongrui al di fuori delle coordinate culturali di prove nienza40. Nel Sistema tonale la presenza possibile di suoni e intervalli dissonanti ha costituito comunque un fattore di ambiguità con modalità variabili nel tempo, talché sono stati elaborati metodi diversi di trattamento,
37 Gli accordi che hanno al basso una nota diversa dalla fondamen tale sono denominati rivolti. 38 Negli accordi consonanti gli intervalli di quarta e quinta si presentano nella forma cosiddetta giusta: una quarta giusta è formata da 2 toni + 1 semitono, una quinta giusta è composta da 3 toni + 1 semitono. Con il temperamento equabile, in verità, la nozione di intervallo giusto risulta insussistente. 39 Gli intervalli di quarta, quinta, unisono e ottava più ampi o più ristretti che nella forma cosiddetta giusta assumono la denomina zione di aumentati o diminuiti. Lo stesso vale per gli altri inter valli, quando siano più ampi o più ristretti che nello stato di magg. o min. 40 A tal proposito, cfr., in questo stesso volume, POLIFONIA
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tendenti a ridurne l'incertezza41. La storia delle tradi zioni musicali eurocolte mostra come la consapevolezza e l'elaborazione della dissonanza siano mutate nel tempo. Peraltro, l'adozione di criteri diversi di intonazione ha modificato l'assetto stesso degli intervalli: il tempera mento equabile, annullando le differenze presenti nella scala naturale, ha consentito l'elaborazione di tutte le triadi e tonalità rilevabili nella scala cromatica, deter minando, nel contempo, il progressivo trasferimento del concetto di dissonanza da valutazioni di tipo acustico e auditivo, o concernenti l'accordatura degli strumenti, a considerazioni inerenti prevalentemente l'assetto sintat tico e combinatorio dei suoni. Inoltre, nelle modificazio ni del gusto e del linguaggio, la combinazione di quattro parti con raddoppio di uno dei suoni della triade ha lasciato il campo alla sovrapposizione di quattro/cinque/sei suoni diversi, con la realizzazióne di accordi assai elaborati. Ciò ha prodotto esiti complessi, fra i quali si annovera la crescente dilatazione dei confini che separano consonanza e dissonanza, attraverso l'acquisizio ne progressiva di suoni e rapporti precedentemente rite nuti incongrui e non praticati. Parallelamente si sono avute conseguenze notevoli nella percezione, talché nume rose concatenazioni di. accordi che attualmente risultano accettabili e consuete, al loro primo apparire hanno inve ce prodotto un impatto notevole per modalità di percezione cui risultavano ancora estranee. All'inizio di un brano musicale, una successione di accordi comincia generalmente con la tonalità d'impianto che, contraddistingue il brano stesso42. La presenza even
41 Fra i più semplici e diffusi si annovera l'anticipazione del suono dissonante, collocato in un accordo dove esso non risulti tale, cui segue l'espressione della dissonanza, risolta ancora una volta in posizione consonante su un accordo diverso. Il movimento dei suoni dissonanti verso posizioni consonanti si realizza attraverso criteri determinati. 42 La produzione eurocolta del Settecento/Ottocento e primo Nove cento è contrassegnata dalla tonalità d'impianto, oltre che dal n° d'opus proprio del catalogo di un autore. La Quinta Sinfonia di Beethoven, ad es., è adeguatamente indicata come Sinfonia n° 5 in Do min. op. 67.
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tuale di suoni estranei alla scala della tonalità d'impianto - originata frequentemente da esigenze e condi zioni dell'andamento melodico, o rilevabile nell'andamento del basso - è stata elaborata mediante criteri adeguati e codificati diversamente nel tempo, con l'attivazione di importanti fattori di movimento tendenti verso tonalità distinte e lontane da quella d'impianto. Ciò avviene me diante un processo dinamico e piuttosto elaborato denomi nato modulazione, nel quale la funzione di tonica passa su un suono diverso rispetto alla tonica della tonalità d'impianto, modificando 'e moltiplicando i punti di stabi lità nella concatenazione di accordi (cfr. Es. 13) . L'esperienza della modulazione ha assunto ampiezza e di rezioni assai diverse nel corso della storia; dopo una o più modulazioni, verso la conclusione di un brano si può avere un ritorno alla tonalità d'impianto, oppure una con ferma della tonalità emersa in maniera più rilevante durante il processo di modulazione.
Esempio 13. Modulazione da Sol maggiore a Re maggiore. La presenza del Do#, estraneo alla tonalità di Sol magg., nella parte superiore (soprano) determina uno spostamento dall'ambito di Sol maggiore verso l'ambito di Re maggiore, nel quale, invece, il Do# corrisponde al VII grado della scala (estratto da: J. S. Bach, Corale Ermunter dich, mein
achwacher Geist)
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Il percorso di concatenazione di accordi consente di armonizzare una melodia e di elaborare un basso (vale a dire una linea melodica nel registro grave, i cui suoni formano il fondamento per la costruzione di accordi corre lati) , e costituisce la traccia per la strumentazione di brani musicali di diverso genere, l'elaborazione di linee vocali (solistiche e corali) e la combinazione simultanea di parti vocali e strumentali, in strutture formali nume rose e di dimensioni assai varie. Le norme dell'Armonia, gli assetti formali e strut turali, i modi di esecuzione, i criteri di combinazione di parti strumentali e vocali, i metodi di selezione ed elaborazione di testi poetici, i percorsi didattici per la formazione degli esecutori e compositori, sono stati ela borati diversamente nel tempo analogamente alle trasforma zioni invalse negli usi e nel linguaggio musicale, e sot toposti ad una riflessione teorica sempre più intensa, parallelamente alla diffusione della scrittura e della stampa. Benché la Tonalità sia un tratto specifico della cultura occidentale, come si è rilevato, è opportuno ricordare come i criteri di organizzazione delle altezze invalsi nel Sistema tonale siano penetrati profondamente in ambiti culturali esterni alla tradizione colta. Nelle tradizioni folcloriche europee non è infrequente la pre senza di combinazioni di parti a carattere apertamente tonale; peraltro, l'adozione di strumenti prodotti indu strialmente, e accordati secondo i criteri del tem peramento equabile, ha favorito l'adozione di modelli di accompagnamento del canto basati su percorsi tonali, con dizionando altresì le modalità di emissione ed intonazione della voce. Esperienze analoghe si sono realizzate ampia mente anche nelle culture extraeuropee, attraverso vistosi fenomeni di sincretismo, soprattutto nei diversi tentativi di adattare le norme sintattiche e gli strumenti occiden tali alle regole e alle tecniche tradizionali, con par ticolare intensità nelle città e nella programmazione dei mezzi radio-televisivi. Infine, nonostante le straordinarie trasformazioni che la musica occidentale di tradizione colta ha subito
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nel nostro secolo, tali da far considerare ormai la Tona lità come una manifestazione del passato, non si può sot tovalutare il fatto che tutta la musica prodotta attual mente aldifuori degli ambienti colti e accademici, e delle aree folkloriche, è ancora profondamente permeata da rego le tonali, almeno per quanto concerne i criteri combinato ri: la musica di largo consumo, la porzione di gran lunga maggioritaria della produzione musicale che si suona ed ascolta oggi nel mondo di influenza occidentale, sostanzialmente risponde a modelli sintattici che ignorano gran parte delle innovazioni e fratture operate dai compo sitori del Novecento verso la dissoluzione della Tonalità.
2. 2. Interpretazioni della Tonalità
La prima attestazione del termine Tonalità,, intesa nel senso prima descritto quale sistema di organizzazione delle altezze nell'esperienza storica eurocolta, risale probabilmente ai primi anni dell'ottocento (Nattiez 1987: 146). D'altra parte, alcuni dei suoi tratti costitutivi, quali ad esempio la triade maggiore e il bipolarismo maggiore/minore, erano già stati individuati e teorizzati da Zarlino nella seconda metà del Cinquecento43. Centocin quanta anni dopo, il compositore e teorico francese Rameau propose la sua teoria dell'armonia, ritenuta un passaggio determinante nella storia del pensiero musicale eurocolto. Alla base della sua riflessione, proposta nel Traité de l'harmonie réduite à ses principes naturelies (1722), è
43 Nel trattato Istituzioni armoniche (Venezia, 1558) Gioseffo Zarlino teorizzò e descrisse l'accordo perfetto maggiore e l'accordo minore. Nel trattato successivo, Dimostrazioni armoniche (Venezia 1571), Zarlino approfondì le sue riflessioni. Persuaso che la musica vocale fosse superiore alla strumentale perché indenne dalle diffi coltà dell'accordatura - e quindi in tal senso ancora legato alla tradizione polifonica quattro/cinquecentesca - Zarlino tuttavia fu il primo ad introdurre il principio della subordinazione dei tratti dell'Armonia alla natura, ponendo così uno dei principi più osservati dai teorici della Tonalità dei secoli successivi.
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appunto il principio trascendente44 della risonanza natu rale: l'accordo perfetto maggiore - fondamento della Tona lità - si riscontra direttamente in natura nella vibrazio ne di un corpo sonoro, poiché è costituito dal quarto, quinto e sesto armonico, che corrispondono al I, III e V grado dell'accordo perfetto maggiore, oltre ad avere l'affermazione esplicita della tonica e della dominante nei primi tre armonici45. Da tale principio, estremamente semplice poiché i suoi cardini sono compresi in un unico suono, derivano tutti gli altri accordi. Resta alquanto problematica la definizione dell'accordo minore che, non essendo riconducibile alla risonanza naturale46, risulta interpretato come una configurazione imperfetta e ar tificiosa, comunque derivata dall'accordo maggiore. Gli esiti della teoria di Rameau sono assai rilevanti. Innan zitutto, poiché si fonda su principi naturali, l'armonia tonale assume la stessa condizione di eternità propria della natura; inoltre, risponde a criteri di ordine e razionalità. La musica, quindi, conferma la sua condizione di scienza, e le sue norme sono ordinate in base a valuta zioni matematiche che, tuttavia, non inibiscono e sacrifi cano le esigenze della percezione. L'armonia derivata dalla risonanza naturale costituisce infine un dato uni versale, indifferente alle specificità etniche; nel pen siero di Rameau, quest'ultima riflessione è limitata al confronto delle peculiarità culturali rilevabili nella comune tradizione colta europea, soprattutto per quanto
44 Questo concetto è tratto da Nattiez che ha efficacemente sotto lineato come le teorie della Tonalità « ... si fondano su un princi pio esplicativo generale dell'armonia tonale. [...] Al tempo stesso si tratta di un principio generatore, in quanto si tratta di spiegare la formazione degli accordi.»(1987: 67). 45 A tal proposito cfr., in questo stesso volume, SCALA. 46 Nella serie degli armonici infatti non si riscontra una sequen za che sia riconducibile alla combinazione di intervalli tipica dell'accordo minore: dal 12° armonico in poi la serie prosegue in maniera cromatica e microtonale. Si ricordi tuttavia che gli armonici più lontani dal primo hanno una.ridottissima persistenza nella perce zione.
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concerne la contrapposizione gusto italiano/gusto francese nell'invenzione ed elaborazione della Melodia I principi posti da Rameau sono stati determinanti nelle riflessioni di numerosi studiosi - molto lontani da lui per. formazione e sensibilità - i quali, seguendo le sue orme, hanno cercato di valutare le espansioni del linguaggio tonale come progressive dilatazioni nell'area della risonanza naturale. E' il caso, ad es., di Chailley, fra i più prolifici e prestigiosi musicologi francesi, per cui i nuovi accordi apparsi nel linguaggio musicale - pro gressivamente classificati come configurazioni consonanti e pertinenti - possono essere interpretati in relazione alla loro corrispondenza con la serie degli armonici, secondo un philum che percorre evolutivamente la storia dell'umanità47. Lo stesso Schonberg e i suoi allievi più vicini - ideatori e propugnatori di un sistema di or ganizzazione delle altezze privo di centro, e perciò oppo sto al Sistema tonale - considerarono il metodo di compo sizione dodecafonico come l'evoluzione delle esperienze precedenti. Pur se non del tutto persuaso della naturalità ed eternità della Tonalità48, in quanto didatta Schonberg proponeva lo studio attento e critico della tradizione to nale, sottolineando tuttavia come essa non fosse un orga nismo chiuso e statico, ma dinamico e aperto a tutte le possibili trasformazioni, proprio in base alla relazione organica con i suoni armonici, anche i più lontani49; il
47 Cronologie di accordi come quella proposta da Chailley non hanno suscitato consensi univoci; a tal proposito Nattiez riporta le considerazioni di diversi autori (1987: 67-78). 48 «[ ... ] più avanti mi occuperò della tonalità in certi suoi aspetti, e mi posso qui pertanto limitare ad esporre due tesi: 1) che non la ritengo una legge eterna, una legge di natura della musica, come hanno fatto i teorici che mi hanno preceduto, anche se questa legge corrisponde alle condizioni più semplici del modello naturale, cioè del suono e dell'accordo fondamentale; 2) che però è indi spensabile per l'allievo conoscere a fondo tutto ciò su cui si basa questa constatazione e studiare come essa si produce» (Schonberg 1963: 34-35) 49 Per Schonberg «[...] i suoni estranei all'armonia non esi stono più: il suono, che è il modello naturale, è adatto ad ammettere come accordi ben altre armonie che non siano così sem-
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suo stesso metodo di composizione, infine, era considerato come la proiezione estrema di un modello - il suono e il suo corredo di armonici - comune anche alla musica tonale, ma indagato nei suoi termini più complessi e mediati, lad dove i musicisti precedenti si limitavano ad esplorarne gli elementi più semplici e immediati. Il principio generatore della risonanza naturale e l'universalità della Tonalità, tuttavia, sono stati posti in dubbio assai presto sulla base di riscontri comparati vi, e ancora prima che si sviluppassero consapevoli espe rienze etnomusicologiche . Già nella prima metà dell'otto cento Fétis respinse il principio adottato da Rameau, rifiutandosi di fondare la Tonalità su principi er roneamente ritenuti naturali; tali infatti non erano, poi ché non si riscontravano nelle tradizioni musicali esterne all'influenza colta europea, le quali non potevano, per questo, essere ritenute «innaturali»50 • La Tonalità, nell'interpretazione di Fétis, si basava dunque su. norme di origine culturale, più che naturale (1844). Per altre vie, e con obiettivi di diversa portata, alla fine del secolo scorso e nei primi decenni del Nove cento questa intuizione, e la consapevolezza della non naturalità dei sistemi musicali, sono state notevolmente
plici. Il nostro rapporto con questo modello è di ricerca e di analisi; e imitandolo possiamo scoprire un numero maggiore o minore delle sue verità.» (ivi: 403). Tutti gli accordi, quindi, possono essere assunti in quanto configurazioni pertinenti: «Le consonanze maggiori sono imitazioni immediate, le altre consonan ze sono imitazioni mediate del modello, ed entrambe sono con tenute nella serie degli armonici intesa come fondamentale di altri armonici più o meno lontani. Anche le dissonanze, più lon tane, sono in parte state trovate indirettamente [...] e in parte direttamente o combinando i suoni tra loro.» (ivi: 404). 50 A tal proposito Nattiez nota: « Nella sua opera, concepita sin dal 1815, Fétis [1844] aveva avuto l'immenso merito di rifiu tarsi di fondare l'armonia su una legge naturale, opponendo alla tonalità i sistemi operanti nelle musiche di tradizione orale, il che era assolutamente rivoluzionario per l'epoca. Egli preferiva parlare di una "legge di tonalità", valida sia per l'armonia sia per la melodia, e che definiva le leggi di attrazione tra i gradi.» (1987: 68).
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ampliate dalle rilevazioni di John Ellis e dalla nascente Musicologia comparata51, e lentamente acquisite dalla ricerca musicologica. Può essere opportuno ricordare ancora un'interpre tazione della musica occidentale - e quindi della Tonalità - che potrebbe apparire singolare perché prodotta da uno studioso «non specialista», ma tale non é, considerata la profonda conoscenza di fatti specifici e tecnici con cui è argomentata, sicuramente di grande interesse. Si tratta della riflessione di Max Weber, nella quale risulta deter minante la domanda: « [ ... ] perché proprio in un punto della terra, dalla musica a più voci, piuttosto diffusa dovunque, si sono sviluppati sia la musica polifonica che quella armonica-omofonica e il moderno sistema tonale, in antitesi con altre regioni con intensità almeno uguale [...] nella cultura musicale?» (1974, ed. or. 1921: 813). Attra verso un esame comparativo assai documentato - nel quale trovano uno spazio notevole le fonti sonore conservate nei fonogrammi e gli studi dei primi musicologi comparati (soprattutto Erich von Hornbostel), in un atteggiamento scientifico di notevole modernità per il periodo in cui lavorò - Max Weber ha ricostruito il processo di «raziona lizzazione» della musica occidentale, nei diversi tentati vi compiuti per la divisione dell'ottava e la costruzione degli intervalli, attraverso la diffusione della notazione e la risoluzione di non pochi problemi di natura tecnica inerenti particolarmente alla progettazione, costruzione e accordatura degli strumenti, fino alla definitiva stabi lizzazione del sistema nel temperamento equabile che san cisce e conclude l'itinerario di sviluppo, liberando completamente le potenzialità combinatorie della To nalità52 .
51 Le osservazioni di Ellis e i primi studi musicologico-comparati avevano come obiettivo soprattutto l'analisi delle scale; a tal pro posito cfr., in questo stesso volume, SCALA. 52 «Il "temperamento" è stato anche l'ultima parola dello svi luppo della nostra musica di accordi armonici [...] Il temperamen to costituiva per la musica di accordi non soltanto il presupposto di una libera progressione degli accordi, che senza di esso avreb-
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La definitiva dissoluzione della Tonalità, realiz zatasi compiutamente nella prima metà del Novecento, e l'emergere di strategie e modelli analitici innovativi nei confronti della tradizione musicologica, hanno consentito agli studiosi di valutare i tratti fondamentali del lin guaggio tonale al riparo da conflitti e tensioni di natura estetica, essendosi esaurita, per così dire, la materia del contendere. A tal proposito si può condividere senz'altro l'arguta osservazione di André Souris: «Si comincia a conoscere molto meglio il sistema tonale dopo che se ne è usciti» riportata da Deliège (1984: 13). Ed è proprio Deliège, allievo dello stesso Souris, a proporre una interpretazione della Tonalità complessa e dettaglia tamente documentata, sulla base della teoria e metodologia analitiche elaborate dallo studioso austriaco Heinrich Schenker. Per quest'ultimo, scomparso nel 1935, un brano musicale tonale presenta un livello di superficie, che corrisponde alla configurazione direttamente visibile sul mezzo scritto (vale a dire al brano così com'è nell'asset to definitivo determinato dall'autore); attraverso di sarticolazioni e riduzioni successive, in un processo molto elaborato, l'analisi giunge ad identificare un livello profondo in cui l'assetto di superficie trova una corrispondenza schematica; ciò vale sia per la linea della melodia che per il percorso di concatenazione degli accor di. Questi presupposti - che inducono un immediato con fronto con la grammatica generativa di Chomsky, ma in realtà prodotti completamente al di fuori di qualsiasi influenza da essa, con una singolare coincidenza di esiti - hanno variamente influenzato gli studiosi, soprattutto americani53. Per quanto concerne Deliège, l'influenza
bero dovuto eternamente sminuzzarsi contro l'accostamento di dif ferenti settime, di quinte interamente pure ed interamente impure, di terze e di seste. Ma, come è noto, il temperamento offriva in modo positivo delle possibilità di modulazione del tutto nuove e molto fruttuose, attraverso il cosiddetto "scambio enarmonico"» (Weber 1974: 823-824) 53 La bibliografia di Heinrich Schenker è molto estesa; cfr., in particolare Schenker 1906, 1910-1922, 1935, di cui sono state realiz-
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schenkeriana si riflette nelle sue proposte analitiche, pur se egli stesso dichiara decisamente di non aver pro dotto una grammatica generativa del Sistema tonale, ma piuttosto «[... ] una teoria sintattica della tonalità che mira a cogliere il modo di generazione dei processi, in cui é più rilevante la questione dei principi generatori, che quella delle capacità generative» (ivi: 16). Valutando le diverse interpretazioni storiche della Tonalità, Deliège ha osservato che « [ ... ] non si può giustificare un sistema limitandosi ad inquadrarlo in un periodo storico», proponendo che «[... ] il sistema trova la sua giustifica zione nella sua costituzione interna» (ibidem). Sulla base di queste considerazioni Deliège ha definito una lista di condizioni minime e necessarie perché un brano musicale possa essere considerato tonale; la lista proposta dallo studioso francese può essere riportata come di seguito (ivi: 16-17): 1. perché sia definito tonale un brano musicale deve esse re riferito al temperamento equabile; 2. in tal modo, tutte le scale ordinate cromaticamente si trovano in una relazione isomorfa sufficiente per consen tire ogni sostituzione dell'una con l'altra nelle modula zioni; 3. la tensione interna deve essere regolata, al più alto livello, attraverso relazioni da tonica a tonica, e da tonica a dominante fra fondamentali; 4. deve essere inoltre limitata da una cadenza armonica che comporti almeno l'accordo di dominante, o formata da una relazione immediata da dominante a tonica, o da domi nante ad un grado sostituito alla tonica (nelle cadenze modulanti); 5. deve altresì permettere di liberare modelli armonici convergenti o divergenti in relazione alla tonica, le cui fondamentali si ordinano in progressione di quinta;
zate diverse edizioni in lingua stioni inerenti la teoria ed i e, in generale, una valutazione procedimenti analitici inerenti Whittal 1988 e Bent 1990.
inglese; per quanto concerne le que procedimenti di indagine di Schenker recente.ed ampiamente documentata dei a Tonalità e Atonalità, cfr. Dunsby e
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6. la dissonanza, infine, deve poter figurare come elemen to organico dell'accordo. A proposito di questo inventario di condizioni minime, Deliège stesso ha sottolineato come esso non pre senti alcuna considerazione per il dualismo maggiore/minore; secondo la sua valutazione, infatti, tale oscillazione scalare non risulterebbe strettamente pertinente la Tona lità, dal momento che essa appare già nelle musiche di costituzione modale. Altrettanto in ombra resta la valuta zione dell'assetto ritmico, pur se la forza gravitazionale (vale a dire i criteri di combinazione e subordinazione delle altezze) del Sistema tonale è stata abbastanza forte da generare anche un ordine specifico delle durate. Eppure - é ancora lo stesso Deliège a rimarcarlo, annotando un ritardo analitico e lamentando una certa carenza di stru menti teorici e di indagine54 - una teoria sintattica della Tonalità non dovrebbe sottovalutare le periodicità dei processi combinatori e la dimensione prosodica (ivi: 17). D'altra parte il riferimento irrinuciabile al tempe ramento equabile, colloca inevitabilmente in una condizio ne di forte ambiguità tutta la produzione musicale seicen tesca . Le teorie linguistiche, le teorie della percezione e le metodologie di assetto semiologico, hanno anch'esse influenzato gli studiosi che si sono occupati della Tona lità. In effetti le ricerche musicologiche di derivazione linguistica e di orientamento semiologico, sembrano aver privilegiato soprattutto l'osservazione ed interpretazione della Melodia55; tuttavia la riflessione recente di Nat-
54 A tal proposito Deliège ricorda come la metodologia schenkeriana sia piuttosto indefinita ed inefficace nella valutazione dei rap porti di durata (ivi: 17) . 55 A tal proposito, si osservi, ad es., come Ruwet nel suo Metodi di analisi in musicologia (1983) consideri esclusivamente sequenze monodiche; similmente si può osservare a proposito delle proposte analitiche di Nattiez, la più complessa delle quali può essere consi derata senz'altro quella concernente Density di Va^se (Nattiez 1982), una composizione per flauto solo. Anche in Ita semiolo gia della musica ha esaminato soprattutto le connota elodiche;
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tiez intorno ai concetti di Armonia, Tonalità, Atonalità (1987) ha costituito un'importante occasione di ripensa mento sulle teorie e i principi invalsi nell'esperienza storica occidentale, alla luce di un «evidente relativismo culturale » (ivi:10) che ha integrato nell'orizzonte ana litico anche le musiche di tradizione orale, superando una sorta di feticismo della scrittura che ha condizionato negativamente metodologie e criteri di analisi altrimenti efficaci56. Fra le interpretazioni più recenti e innovative è opportuno ricordare infine l'esperienza di Lerdahl e Jackendoff, in alcuni aspetti influenzata dalla teoria psicologica della percezione visiva, ad es. per quanto concerne l'adozione del concetto di regole preferenziali e la conseguente introduzione nella teoria della musica (1983).
2. 3. Tonalità generalizzata Le valutazioni suindicate concernono la Tonalità esclusivamente in quanto sistema di organizzazione delle altezze nell'esperienza storica occidentale, come si è visto. Un ambito interpretativo cosi delimitato e connota to sul piano storico e culturale è stato definito con l'espressione «tonalità "ristretta"» (Nattiez 1987: 146), in opposizione ad un'area di interpretazioni con portata più ampia che invece considerano la Tonalità in relazione ai soli connotati sintattici e combinatori, indipen dentemente dalla collocazione culturale cui generalmente
cfr. la valutazione degli intervalli proposta in Stefani 1982 e la ricognizione della Melodia presentata in Stefani 1985. 56 L'analisi schenkeriana, ad es., sembra incapace di valutare espressioni musicali che non siano documentate sulla pagina scritta, indispensabile per le operazioni di disarticolazione e riduzione su cui tale metodologia è basata. A tal proposito cfr. Sorce-Keller 1988.
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si ascrive (il mondo colto occidentale). Per definire tale orientamento analitico e teorico è stata proposta l'espressione «tonalità "generalizzata"» (ivi: 143 e sgg.) . In questa accezione più ampia sono comprese alcune interpretazioni, risalenti soprattutto ai primi decenni del Novecento57, che trascendono « [. . . ] la sola "musica tonale", quella, volendo semplificare, che va da Bach a Wagner: si chiamerà tonale tutta la musica che presenta una sistematica organizzazione delle altezze con una nota che rappresenta il punto di riferimento e di attrazione» (ivi: 143). Secondo questa definizione, evidentemente, possono essere ascritte all'area della «tonalità genera lizzata» non solo la produzione tonale eurocolta, ma anche tutte le musiche di costituzione modale esaminate in que sta sede poiché, come si è visto, il criterio regolatore nell'organizzazione delle altezze in esse rilevabile, è appunto la particolare forza attrattiva e gravitazionale di un suono prevalente, cui possono associarsi, con fun zioni subordinate, altri suoni preminenti. A prima vista sembrerebbero escluse da questo inventario esclusivamente le espressioni monodiche caratterizzate da strutture di ridotta espansione, come nei modelli indagati da Sachs58, oppure le musiche regolate sull'elaborazione di aggregati melodici minimali e non soggette alla subordinazione ad un centro, nonché la produzione seriale e dodecafonica, che risulta, appunto, priva di centro tonale. Ma anche questa esclusione può risultare insufficiente: in alcune delle interpretazioni ricostruite da Nattiez il concetto di «tonalità generalizzata» è stato esteso a tutti i parame tri della musica. Infatti, secondo il pensiero di D'Indy,
°7 In breve, è ancora Nattiez a segnalarlo, si tratta di alcune interpretazioni polemiche invalse nei primi decenni del Novecento contro la produzione atonale, cui non si riconoscerebbe alcuna musi calità un quanto priva di qualsiasi dimensione tonale, contrassegno irrinunciabile dell'esperienza musicale, anche nell'accezione più ampia di «tonalità generalizzata» (1987: 143 e sgg.). 58 A proposito dei modelli della Melodia elaborati da Curt Sachs, cfr. Sachs 1979: 69 e sgg. ; cfr. inoltre, in questo volume, MELODIA.
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compositore e didatta francese scomparso nel 1931, «[... ] presso alcune popolazioni selvagge dove il solo carattere musicale apprezzabile sembra essere la simmetrica succes sione di rumori, la tonalità, semplice unità di tempo, è puramente ritmica. Le monodie medievali, nelle quali le relazioni tra formule decorative accessorie e nota princi pale si instaurano successivamente, sono concepite in tonalità esclusivamente melodiche » (cit. da Nattiez 1987: 144). Una interpretazione siffatta, pur trascurando l'evi dente arbitrarietà di alcune valutazioni, risulta molto problematica poiché, come è facile immaginare, è possibile identificare in qualsiasi espressione musicale, indagando ne i parametri costituivi, un cardine o un elemento cen trale cui siano subordinati gli altri tratti: la conse guenza ovvia di tale espansione è che qualsiasi musica risulterebbe, in fin dei conti, tonale.
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Serena Facci
POLIFONIA,
1. Definizione
Per polifonia, vogliamo qui intendere qualunque tipo di esecuzione, vocale o strumentale, in cui siano sovrapposte due o più parti diverse. Questa accezione fa del termine polifonia un contenitore ampio in cui trovano posto repertori musicali molto diffe renziati ma, nello stesso tempo, ha il pregio di etichet tare in maniera inequivocabile un fenomeno largamente dif fuso in tutte le culture. Con tale, generico, significato la definizione di polifonia è ormai utilizzata anche dagli esperti di musica occidentale. Claudio Gallico (1984:662) nella voce Polifo nia e Contrappunto contenuta nel Dizionario della Musica e dei Musicisti della UTET dice «Polifonia è un termine di larga accezione, che secondo l'etimologia greca, indica la musica formata da 2 o più linee melodiche,7 o voci, o parti, le quali risuonano simultaneamente.» . Per molto tempo invece polifonia ha indicato esclu sivamente lo stile e le tecniche compositive di specifici repertori a più voci nati nella musica cristiana europea tra il XII e il XIII secolo, ed evolutisi nei secoli suc cessivi fino a decadere nel corso del 1700. L'associazione tra il termine e questi specifici repertori è stata dovuta a ragioni storico-musicali. La tradizione musicologica europea trae alimento essenzial mente da fonti scritte e le prime tracce, fissate graficamente, di musica polifonica risalgono all'organum medieva le, canto liturgico a due parti. In alcuni manuali di sto ria della musica (Ronga 1960, Mila 1963) perciò si parla di "inizio" della polifonia in riferimento appunto alle prime forme di polifonia scritta. Significativamente il Reese, nella Musica nel Medioevo (1980), apre il capitolo dedicato a «Le fasi pri
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mitive dell' "organum"» con una citazione da Belaiev (1933) il quale, parlando della musica popolare georgiana ed illustrandone la complessità e ricchezza polifonica, sostiene :
Si è detto che la polifonia.. . fu inventata in Europa, in base a certi ipotetici precursori, i quali segnarono una linea ben definita tra la musica popolare "naturale" all'unisono e il genere polifonico "culturale". Quest'opi nione è del tutto erronea e andrebbe sostituita adesso con l'opinione, assai più logica, che la polifonia nacque assai prima della data che, per ragioni di ordine teorico, le viene assegnata dai musicologi europei, e che l'Europa non la inventò ma la adottò da forma già stabilita altrove (Belaiev, cit. riportata in Reese 1980: 309).
In risposta alla tesi di Belaiev, Reese sostiene
Molti studiosi della musica comparata saranno d'accordo, almeno in parte, con la conclusione di Belaiev. Ma mentre uno studio degli sviluppi musicali fuori d'Europa dà fede alla teoria secondo la quale 'la cosiddetta polifonia europea prese sviluppo dalla polifonia popolare tradizionale', non ne segue che l'Europa abbia 'adottato' la polifonia 'dal di fuori, in forma già stabilita altrove'. La musica a più voci può aver preso sviluppo spontaneamente tra gli stessi Europei, così come tra gli altri popoli (Reese, 1980: 309) .
Pur difendendo, probabilmente a ragione in questo caso, una originalità della polifonia europea, Reese accetta quindi la tesi che la fissazione per iscritto delle forme polifoniche non coincide necessariamente con la nascita della polifonia, la quale sicuramente era già presente, anche in Europa, nelle pratiche musicali orali . Questo dibattito è un ésempio di come gli studiosi di musica comparata di inizio secolo si fossero impegnati a fondo nel capovolgere i convincimenti vigenti secondo cui, esclusi alcuni casi non chiaramente definiti del
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periodo greco1, non ci sarebbe stata polifonia prima del 1100. Sachs a proposito dei concetti relativi alla polifonia afferma: Per molto tempo sono stati applicati esclusivamente all'occidente e all'età medievale e anche posteriore, e considerati troppo avanzati per la mentalità e i mezzi a disposizione delle popolazioni antiche, orientali, pri mitive. Quando parliamo di scrittura per parti diamo per scontato un fatto importante e cioè che gran parte dell'armonia e del contrappunto occidentali dipendono in effetti dalla notazione e da un' accurata elaborazione [...] In senso più ampio, una polifonia rudimentale, intesa come improvvisazione che rende più piacevole una semplice monodia, è quasi onnipresente. Non esiste una civiltà [ . . . ] che non possegga almeno i rudimenti dell'arte di assortire le note o le parti (Sachs 1979: 192) .
Una delle osservazioni più interessanti fatte da Sachs a questo proposito è che: «Contro tutte le concezio ni erronee tradizionali, la monofonia dei tempi moderni si ritrova qua e là nel mondo primitivo e orientale come sta dio finale di quella che un tempo era polifonia» (Ibid.). In altre parole Sachs sostiene che la complessità polifo nica, non equivale necessariamente ad uno stadio di evolu zione musicale superiore. Per sostanziare questa sua tesi porta ad esempio la stessa storia della musica scritta europea i cui musicisti nel diciassettesimo secolo abban donarono «lo stile antico polifonico per lo stile moderno monodico» (Ibid.). Sta di fatto, però, che in molti studi sulle
1 Una critica alle tesi musicologiche che negano l'uso della polifonia nel periodo classico e preistorico, è contenuta in Fara (1913), a proposito delle origini delle launeddas. Per il musico logo sardo, le fonti iconografiche rappresentanti il diaulos non lascerebbero dubbi sulla qualità polifonica del canto delle due canne.
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polifonie popolari ed extraeuropee si è cercato di defini re altrimenti il fenomeno della sovrapposizione delle parti, proprio per evitare l'utilizzo di un termine così discusso e connotato storicamente. Si sono così coniati termini come polivocalità, usato per esempio da Schneider (1969) per intitolare una sua opera interamente dedicata alla polifonia, «Gesschichte der Mehrstimmigkeit» (Le origine della polivocalità2) , oppure eterofonia che all'inizio del secolo Stumpf (1897 e 1901) riprese da un passo delle Leggi di Platone e adottò, con un'accezione molto generale, per definire la varietà negli insiemi sonori dell'Estremo Oriente, oggetto dei suoi studi. Anni di confronto con i repertori polifonici di tutto il mondo e di tentativi di classificazione hanno inoltre costretto molti ricercatori ad un notevole sforzo di definizione dei fenomeni con cui venivano in contatto. Ciò ha condotto ad una indefinitezza del termine polifonia, e di termini sinonimi, nello stesso ambito etnomusicologico. In particolare è emersa una tendenza che non ritie ne la polifonia un contenitore generale in cui trovano posto i più diversi tipi di intreccio simultaneo, ma con sidera polifoniche solo le sovrapposizioni di parti indi pendenti ritmicamente. Riportiamo a questo proposito i termini di una polemica nata qualche anno fa tra William Malm e Mieczyslaw Kolinski. Malm (1972), collegandosi in un suo breve intervento sulle pagine di Ethnomusicology a una discussione sorta nel meeting annuale della Society of Ethnomusicology del 1971, esplicita il suo punto di vista
2 II termine polivocalità esclude, dalla discussione sulle origini, la polifonia strumentale. Schneider del resto afferma che "gli strumenti melodici (ovvero ad intonazione variabile) sono storicamente molto più recenti della polifonia"(1978:24) . Non entriamo nei meriti di questa osservazione, ma è necessario ricordare che in questo saggio il termine polifonia sarà utiliz zato anche nel caso di polifonia strumentale, per la quale sono del resto applicabili le stesse forme di analisi e classificazio ne utilizzate per le voci.
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sulla questione terminologica legata alle forme po lifoniche. Pur considerandone il valore etnocentrico, Malm accetta l'uso del termine polifonia per indicare la gene rica compresenza di più parti. Ma nel dare un nome ai diversi tipi di combinazione polifonica si dichiara invece assolutamente contrario all'uso, molto comune, del termine contrappunto per i casi di parti indipendenti ritmicamen te. Al suo posto propone perciò il termine disfonia, il cui prefisso dis-, dal valore separativo, ben si addirebbe alle situazioni di parti simultanee svincolate ritmicamen te tra loro. In una breve risposta, Kolinsky (1972:279) ritiene assolutamente inutile il nuovo termine, e conside ra tutto il discorso di Malm fondato su un equivoco: «Men tre condivido con l'autore l'avversione per il "vecchio" termine contrappunto, vorrei far notare che, di regola, la varietà disfonica di una musica a più parti è stata chia mata polifonia piuttosto che contrappunto». Per Kolisky, quindi, più che nella sostituzione dell'etnocentrico ter mine contrappunto, il problema consiterebbe nel coniare un termine che funga da contenitore generale e che sostitui sca polifonia . La sua proposta è multisonanza, derivata dalla «semplice traslazione in Latino della parola polifo nia» (Ibid.). Analogamente a Kolinsky, Arom sente l'esigenza di distinguere la polifonia dalla generica sovrapposizione di parti :
[Gli etnomusicologi] hanno la tendenza a considera re "polifonia" ogni manifestazione musicale alla quale partecipino simultaneamente più voci o strumenti, anche se tale manifestazione non rivela un' organizzazione o una "responsabilità" evidente. Il solo concetto di polifonia ricopre allora procedimenti diversi quali l'eterofonia, 1'organum, l'omofonia, il bordone, la sovrapposizione sfalsata. La caratteristica comune a questi differenti procedimenti è che si tratta sempre - qualunque sia la categoria di cui fanno parte - di fenomeni plurilineari. Ora, non tutti i fenomeni plurilineari sono necessariamen te polifonici (Arom 1985: 85). 205
Arom introduce così il concetto e il termine "più neutro" di plurilinearità comprensivo di fenomeni polifo nici e non. Il bordone, il parallelismo, l'eterofonia, per esempio, vengono così classificati come plurilineari non polifonici . Quanto a polifonia Arom afferma: Definiremo polifonia ogni musica vocale o strumentale plu rilineare in cui le parti, eteroritmiche, sono considerate culturalmente, dai detentori della tradizione, come elemen ti costitutivi di una stessa entità musicale (ivi:90).
Sono quindi polifoniche le parti, eteroritmiche, che concorrono, pariteticamente, alla caratterizzazione del brano e che sono perciò inscindibili. Arom rintraccia queste caratteristiche nelle forme imitative, nei contrap punti melodici o ritmici, negli ostinati con variazione3.
2. Glossario
Poiché, come si è visto, la maggior parte dei ter mini usati nelle classificazioni e definizioni di reperto ri a più parti hanno un'etimologia greca o latina e deri vano, spesso, dalla musicologia medievale ci sembra impor tante riportare un breve dizionario dei termini "polifoni ci" più usati in etnomusicologia. Gli studiosi di reperto ri tradizionali ed extraeuropei hanno preso in prestito la terminologia medievale per due motivi. Il primo è l'analo gia di determinate tecniche compositive. L'imitazione o il bordone sono quasi universali e possono essere rin tracciati in culture lontanissime. Il secondo, rilevabile soprattutto negli studi sulle tradizioni popolari europee, è l'aver visto in fenomeni di polifonia orale una parente la stretta con le polifonie medievali. In alcuni casi si ritiene cioè che i rapporti tra la musica scritta e orale
3 Per una maggiore definizione di questi termini si rimanda ai paragrafi seguenti.
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nei secoli passati siano stati molto frequenti e che quin di i repertori attuali siano testimonianza, di questa pas sata correlazione. 1) Canto fermo, canto dato o tenor erano dette le melodie originali, derivate dalla liturgia gregoriana, a partire dalle quali i compositori di musica polifonica componevano i loro insiemi. Schneider (1962:25) utilizza questo termi ne in contesto etnomusicologico, parlando del «sistema armonico africano» in cui nuove note vengono «aggiunte dalla polifonia al canto fermo». 2) Bordone. Dal latino bordunus, significa genericamente "sostegno". In organologia indica le canne o le corde ad intonazione fissa rinvenibili in alcuni strumenti (la zam pogna, l'arciliuto ecc.). Nelle polifonie, quindi, sta ad indicare principalmente, e in questo senso è stato usato in etnomusicologia, le parti che si soffermano su una sola nota. Nella polifonia medievale e rinascimentale il bordo ne e successivamente il falso bordone (derivato dal fran cese fauxbourdon) indicavano prassi esecutive polifoniche di vario tipo, caratterizzate dall'accompagnare la melodia principale (canto dato) con parti, generalmente gravi, aventi tra loro lo stesso ritmo. Si tratta di stili rin tracciabili anche in alcune polifonie popolari italiane. 3) Ostinato. Molto comune sia nella tradizione colta che in quella etnomusicologica, il termine ostinato indica un breve frammento, ritmico o melodico, che si ripete più volte in una delle parti. 4) Pedale. Nell'armonia classica sono detti pedali i suoni tenuti a lungo in una delle parti. Retaggio, in qualche modo del bordone, il pedale è armonicamente indipendente dalle altre parti, ovvero può essere anche estraneo agli accordi che esse formano. Spesso in etnomusicologia questo termine è usato come sinonimo di bordone, per indicare i suoni tenuti in una o più parti. 5) Omofonia. Si ha quando più voci, o strumenti eseguono la stessa melodia (unisono) o si dispongono a distanza di ottava. In alcuni casi questo termine è stato usato in senso più lato. Per esempio come sinonimo di omoritmiaf ovvero di combinazioni di parti aventi lo stesso ritmo ma altezze diverse (vedi Malm 1972, Arom 1985), oppure per
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indicare una situazione in cui una parte è dominante rispetto alle altre, come avviene per esempio nelle mono die accompagnate. E' con questa accezione che Netti usa omofonia specificando però che nelle culture primitive è molto difficile distinguere tra l'omofonia così intesa e la polifonia (in cui le parti sono indipendenti) , perché non sempre si possono stabilire, tra le parti, gerarchie che rispondano effettivamente al sentire degli esecutori (Netti 1956). 6) Organum e canto gemello. L'organum è come si è detto la prima definizione data di forme polifoniche gregoriane. Esso era originariamente contraddistinto da intervalli di quarta e quinta. Il canto gemello, di origine inglese (gymel) si differenziava dall'organum perché gli interval li prevalenti erano di terza e sesta. Sachs fa riferimento ad ambedue le forme per descrivere i parallelismi di quin ta e quarta, di cui cita un esempio tratto dalla musica buddista giapponese (Sachsl979:191) e quelli di terza impiegati nei canti popolari europei e nell'Africa bantu. 7) Contrappunto. «L'origine di questo termine risale a espressioni usate nel sec. XIII, allorché per puncus si intendeva "nota". Punctus contra punctum, da cui deriva il termine attuale, significava "nota contro nota", ossia combinazione di suoni simultanei di differente altezza"» (Gallico 1984:662). Con lo sviluppo della polifonia rinascimentale il termine ha perso il suo significato ori ginale, legato solo a determinati stili, per designare in generale le forme polifoniche. Dal secolo XVI ha acquista to un ulteriore valore: gli insiemi contrappuntistici, .in cui le singole parti mantengono una sorta di autonomia l'una dall'altra, vengono contrapposti a quelli armonici, in cui prevale l'effetto accordale dell'insieme. In etno musicologia il termine è stato usato (Lomax 1968) per definire i brani in cui due o più parti sono ritmicamente e melodicamente indipendenti. 8) Imitazione e canone. L'imitazione è un procedimento compositivo per cui il disegno melodico proposto in una delle parti (detta antecedente) viene riproposto successi vamente, in maniera rigorosa o con modificazioni di vario tipo, in un'altra parte (detta conseguente). Il canone, 208
nato tra il XIII e il XIV secolo è tra le forme musicali medievali una delle prime (assieme alla caccia) a seguire un procedimento imitativo. Schneider (1962:24) definisce canoniche le più primitive forme di polifonia vocale e afferma che «I pigmidi africani e i boscimani usano imita zioni più o meno libere» 4. 9) Diaphonia. L'originario significato greco del termine (dissonanza, in contrapposizione a sinfonia, che signifi cava consonanza), sopravvisse nel Mevio Evo, quando però diaphonia fu impiegato anche come sinonimo di organum. Ma l'uso più comune ancora oggi lo si deve ad una «forzatura etimologica della derivazione del prefisso' dia da duo» (Diaphonia 1984), per cui diafoniche sarebbero le polifo nie a due parti. 10) Discanto. Come diaphonia fu usato nel Medio Evo con diverse accezioni. Una di queste, rinvenibile soprattutto in trattati teorico-pratici come il "De arte discantandi", indica una prassi esecutiva, improvvisata, per cui una o due parti omoritmiche venivano aggiunte alla melodia ori ginale procedendo prevalentemente per moto contrario (ovvero mentre una delle melodie ha un andamento ascenden te, l'altra lo ha discendente). Grazie a questo significa to il termine discanto è stato usato per definire alcuni stili vocali come il vatoccu umbro-marchigiano o i canti a pera istriani (Leydi 1973:22).
4 Per Schneider all'origine della polifonia c'è comunque la variazione di una monodia: «La polifonia nasce quando due canto ri - coscientemente o no - eseguono lo stesso tema in forme dif ferenti» (Schneider 1978:23). Forme differenti possono essere l'imitazione canonica o l'andamento parallelo, in cui «il tema viene ripetuto simultaneamente» (ivi:25). La sensibilità alla consonanza, base dell'armonia, non è considerata da Schneider rilevante ai fini della nascita della polifonia. Il cantare per ottave, quarte e quinte «è dovuto alla facilità con cui questi intervalli si fondono», è perfettamente naturale quando «la stessa melodia viene cantata da uomini, donne e bambini», ma i dati etnografici su cui Schneider fonda la sua ricerca dimostra no che le forme "armoniche" sono diffuse tra popolazioni più evolute e quindi «non esiste forma più antica del canone e della variazione eterofonica», ambedue non basate sulla consonanza, (ivi: 24) .
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11) Hochetus. E' un tipo di scrittura usata dal secolo XIII come espediente "ornamentale" in alcune forme polifo niche, in particolare il Motetus. Consiste nell'uso fre quente delle pause in modo tale che mentre una voce canta l'altra tace. L'effetto di frammentazione che ne deriva è stato comparato con quello di alcune polifonie dell'Africa sub-sahariana dette appunto ormai comunemente in etnomusi cologia ad hochetus (Arom 1985).
3. Orizzontale-Verticale / Polifonia-Armonia
Si è visto come alcuni etnomusicologi considerino polifoniche solo le forme in cui le parti siano indipen denti ritmicamente. Nella tradizione colta europea, che, non dobbiamo dimenticare, ha avuto molti interscambi con la tradizione musicale orale, i termini polifonìa e ar monia indicano modi completamente diversi di sentire la sovrapposizione delle parti. L'armonia è, nella musica europea dal periodo barocco in poi, l'ossatura del sistema compositivo. I numerosi manuali, pubblicati a partire dal '700, sancisco no l'insieme delle regole che i compositori hanno fondato, seguito o trasgredito negli ultimi secoli. La caratteristica fondamentale dell'armonia è il primato degli accordi5. Da un punto di vista compositivo l'opera è sentita prevalentemente come una successione di
5 Per molti versi l'armonia classica, può essere intesa come la scienza che studia e categorizza tutte le possibili combina zioni accordali tra i suoni, definendone la natura modale (accor di maggiori o minori), la qualità sul piano percettivo (accordi consonanti e dissonanti), la relazione con i gradi della scala (accordi di tonica, di dominante, di sottodominante ecc.) la fun zione rispetto al brano musicale (accordi modulanti, ovvero di passaggio ad altre tonalità) . Per una definizione esauriente degli accordi e delle loro tipologie nel sistema tonale, come per l'esplicazione dei concetti di Tonalità e Armonia si rinvia in questo stesso volume a MODALITÀ'/TONALITÀ'.
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accordi, ognuno dei quali ha una particolare funzione rispetto al contesto tonale (accordo di tonica, di domi-’ nante, accordo modulante, che conduce cioè verso un'altra tonalità ecc.) : L'armonia è la teoria degli accordi e delle loro possibi lità di collegamento con riguardo ai loro valori architet tonici, melodici e ritmici e ai loro rapporti di equili brio (Schonberg 1963 : 14) .
Le ragioni storiche che hanno condotto alla nascita del sistema armonico svelano nella sua essenza il caratte re dell'armonia. Innanzitutto esso si afferma nel periodo Barocco. E' nel '600 infatti che prende piede l'uso del basso continuo, una pratica a metà tra oralità e scrit tura, il cui scopo era l'accompagnamento della melodia principale. Per la prima volta nella storia della musica emerse una polarità armonica tra basso e soprano, fra sostegno armonico e un nuovo tipo di melodia che da tale sostegno dipendeva. Questa polarità costituisce l'essenza del nuovo stile monodico (Bukofzer 1982: 16). La linea del basso, indicata attraverso cifre, poteva essere realizzata, su strumenti a corda e tastiera, in una serie di accordi. Una melodia in primo piano e un accompa gnamento accordale sono' quindi agli albori del sistema armonico, che, in origine non ha ancora maturato la veste tonale che lo caratterizza nel secolo XVIII. Le forme musicali dei secoli successivi, che vedono l'avvento dell'orchestra e la nascita delle grandi forme strumentali come il concerto e la sinfonia, conducono ad una stratifi cazione più complessa, ma il senso accordale resta preva lente, assieme all'emergere in primo piano di un tratto melodico, anche se in parti diverse.
Questo senso accordale conduce ad una percezione verticale dei brani musicali armonici e la verticalità che accompagna 1'accordalità, non è appannaggio solo della 211
musica colta europea. E' possibile trovarla anche in altre culture musicali6. Gli studi di psicoacustica hanno invece dimostrato che la percezione dei brani polifonici è di diverso tipo. Le parti hanno uno sviluppo lineare e le relazioni che si stabiliscono tra loro non vengono percepite come accorda li, ovvero verticalmente, bensì in modo orizzontale: Ciò che è proprio della polifonia è l'indipendenza della dimensione figurale ravvisabile in ogni registro [. . . ] Nella melodia armonizzata la figura si situa in maniera costante in un registro e lo sfondo su un altro. La loro polarità funzionale è rivelata da questa disposizione acustica come anche la loro differente pregnanza. L'ancoraggio dell'attenzione opera dunque sul registro melodico; i tragitti si effettuano in una direzione costante che va da questo piano al piano dell'accompagnamento. Al contrario, nella polifonia, non vi è nulla che sia propriamente sullo sfondo. Il movimento e la varietà melodica non sono riservati a una sola parte che evolve in un unico registro. Tutte vi partecipano simultaneamente con gradi differenti. In effetti si stabilisce sempre un equilibrio intorno a queste figure, ognuna delle quali può prendere impor tanza relativamente alle altre. Così, a turno, i vari registri sono momentaneamente privilegiati. Nello stile "imitativo" l'ascoltatore effettua un'analisi successi va dei diversi registri, ognuno dei quali richiama la sua attenzione sul motivo esposto inizialmente da una delle parti, imitato da un'altra, mentre la precedente continua un disegno che prende la funzione di accompa gnamento. La polifonia non è dunque mai una simulta
6 Se ne trovano moltissimi esempi nelle musiche popolari euro pee. L'armonia tonale ha anche influenzato la musica popolare europea, con la quale è stata in costante contatto. Un esempio è la graduale sostituzione, in alcuni repertori italiani, della zam pogna con l'organetto diatonico. Il suono fisso delle canne bor done, che consentivano una articolazione modale della melodia, è stato sostituito dai bassi dell'organetto che alternano, o artico lano, inevitabilmente gli accordi di tonica e dominante.
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neità di indifferenze, ma una gerarchia dei piani so nori ognuno dei quali si distacca momentaneamente senza che gli altri siano ridotti alla funzione di sfondo (Frances 1984:228).
4. Gli ingredienti della polifonia Le osservazioni necessarie alla comprensione di un repertorio o un brano polifonico sono tutte inerenti il relazionale. Ciò che contraddistingue un insieme è infatti l'ordito che lega tra loro i diversi elementi. In primo luogo: le parti hanno un comune riferimen to ritmico e modale oppure no? Si è già accennato alla differenza tra polifonia omoritmica ed eteroritmica. Nella prima tutte le parti procedono seguendo un identico ritmo ed un identico metro. Nella seconda esse, pur rispettando uno stesso metro (binario o ternario per esempio) hanno uno sviluppo rit mico diverso. Questi due tipi di organizzazione ritmica delle polifonie trovano ampi esempi in tutte le culture musicali e in tutta la storia della musica. Ma è possibile anche il caso di poliritmia, quando le parti seguono ritmi e metri differenti. Nella musica occidentale del novecento si trovano molti esempi di partiture in cui diversi stru menti suonano in tempi diversi, ma questa prassi era uti lizzata già nella polifonia rinascimentale ed è rintrac ciabile anche in epoca classica. Per esempio in un passo dell'ultimo atto del Don Giovanni di Mozart una parte dell'orchestra suona in 3/4 e l'altra in 2/4. Nella musica extrauropea l'esempio più consistente e connotante uno stile di poliritmia è quello della musica africana.7 Il problema dei comuni riferimenti riguarda anche il sistema scalare, modale o tonale. Di norma le parti di un insieme polifonico fanno riferimento ad uno stesso sistema modale o tonale. I suonatori di arpa nande (Zaire)
7 Su questo argomento vedi il Capitolo TEMPO E RITMO
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usano per i loro strumenti accordature simili ma assolutamente non identiche. Eppure, confrontando le altezze della voce e dello strumento in un'esecuzione, si osserva che esse coincidono perfettamente. In altre parole pur in un sistema di indefinitezza scalare (tra i Nande sono in uso scale sensibilmente diverse tra loro) nel microcosmo polifonico creato da un singolo cantastorie e dal suo strumento si utilizza uno stesso modo. Nella polifonia cristiana medievale invece, quando ancora erano in uso i modi gregoriani, era possibile che le diverse voci cantassero in modi differenti, il caso più frequente era la sovrapposizione tra modi autentici e pia gali. Una simile prassi polimodale o bimodale, è rintrac ciabile in alcuni repertori di musica ungherese e rumena. Ad essi si sarebbe ispirato Bartok nella messa a punto del suo stile: L'oscillazione di alcuni gradi, sia nella musica popolare che in quella di Bartòk, non deve essere considerata come un'alterazione, nel senso tonale-funzionale [...] Il fenomeno deve essere spiegato piuttosto con la presenza latente di più modi diversi (Karpati 1989: 111) .
Ne vediamo un esempio tratto da un breve passaggio conte nuto in Contraste III per violino, clarinetto e pianoforte (battute 12 e 18) e analizzato da Firca (1976)8 .
Esempio 1 Bitonalità rintracciabile nell'oscillarione dell'intonazione della nota Si. Bartok: Contraete III mia. 18 (cit. in Firca 1976:93).
8 Firca (1976) fa discendere la bimodalità presente ripetutamente in Contraste dalla sovrapposizione di due esacordi diversi, secondo una prassi rintracciabile nella musica del sud-est europeo e comune nella musica bizantina.
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Nella musica scritta del nostro secolo è infine frequente l'uso della politonalità . In molte opere di Strawinsky per esempio vengono sovrapposte parti che marciano su tonalità differenti. Dopo questo accenno ai comuni riferimenti ritmici o scalari delle parti osserviamo le relazioni possibili, e in uso nelle diverse culture, tra una parte e l'altra.
4.1 Intervalli - Accordi - Consonanze - Dissonanze
La differenza di altezza tra due suoni simultanei è detta, nella teoria musicale occidentale, intervallo, oppure intervallo armonico quando si vuole specificare che si tratta proprio di suoni simultanei e non in successione (in quest'ultimo caso l'intervallo viene definito melo dico) . Il concetto di intervallo e i relativi sistemi di misurazione, validi sia per gli intervalli melodici che per gli armonici, sono già stati trattati9. Val la pena aggiungere in questa sede che le denominazioni, comunemen te utilizzate, di intervallo maggiore o minore, aumentato o diminuito, intervallo di seconda, terza, quarta ecc. sono tutte mutuate dalla tradizione tonale e si basano su misurazioni legate al temperamento equabile. Per esempio una delle prime osservazioni etnomusicologiche (la si deve ai primi missionari) è stata relativa all'uso di interval li di terza nell'Africa Sub-Sahariana. Poiché gli inter valli di terza costituiscono ormai da secoli la base del nostro sistema armonico (gli accordi "perfetti" sono com posti dalla sovrapposizione di due terze: Do-Mi-Sol, per esempio) questa scoperta condusse a teorizzazioni su pos sibili precedenti contatti, tra le due culture, o su una presunta universalità naturale dell'intervallo di terza. In realtà, considerando l'estrema varietà di scale utiliz zate nei sistemi musicali africani, la misurazione fisico acustica di queste terze condurrebbe ad un'altrettanto
9 Cfr., in questo stesso volume, SCALA.
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estesa varianza e solo casualmente esse potrebbero avvici narsi alla differenza di 400 o 300 cents, misura della terza maggiore o minore nel sistema temperato. Ciononostante la terminologia tipica del sistema occidentale è ancora, per comodità, largamente usata negli studi sulla polifonia popolare ed extraeuropea, ciò è pos sibile perché, la nostra percezione è predisposta ad uniformare i fenomeni disparati con cui entriamo in con tatto rispetto a schemi abituali. Ma non possiamo non tener conto che spesso l'uso di questa terminologia, al pari per esempio delle trascrizioni su pentagramma, è un espediente di comodo per "tradurre" in un linguaggio che ci è familiare fenomeni che sono estranei alla nostra cul tura. Per questo molti etnomusicologi si avvalgono, anche in quésto campo, delle misurazioni fisico-acustiche in grado di fornire dati numerici oggettivi. Nel sistema tonale gli intervalli si dividono in consonanti e dissonanti : come è già stato accennato1011 , dei bicordi costruibili con i suoni della scala diatonica sono consonanti l'ottava, la quinta, la quarta, la terza e la sesta, mentre sono dissonanti la seconda e la settima. Di conseguenza sono considerati consonanti gli accordi con più di due note in cui compaiono solo intervalli di otta va, quarta, quinta, terza e sesta, mentre sono dissonanti quelli in cui compaiono le seconde o le settime (Do-MiSol-Si; Do-Mi-Sol-Si-Re, ecc.). Chiaramente tutti gli accordi che contengano suoni che esulino dalla scala dia tonica di riferimento sono classificati dissonanti: per esempio in un brano costruito con la scala di Do maggiore è dissonante l'accordo Do-Mi-Solb, anche se risulta dalla sovrapposizione di due terze. Nella storia degli studi musicologici e fisico-acu stici i principi della consonanza e della dissonanza sono stati spesso oggetto di analisi sperimentali, nonché di polemiche dal carattere prevalentemente estetico11. At
10 Cfr in questo volume MODALITÀ'/TONALITÀ', paragrafo 2.1 11 A questo proposito citiamo, come esempio, le polemiche dell'Artusi contro l'uso da parte di Monteverdi degli accordi di settima.
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tualmente si tende a considerare la consonanza e la disso nanza, più che fenomeni acustici, fenomeni psico-percetti vi, culturalmente determinati. La stessa storia della musica tonale, dal Medio Evo in poi è stata segnata dal progressivo spostarsi dei confini che delimitavano questi due campi. Originariamente infatti erano considerate con sonanze perfette solo la quinta, la quarta e l'ottava. L'uso molto comune, nella polifonia, della terza e della sesta indusse ad introdurre anche questi intervalli nel novero delle consonanze, sebbene definite imperfette. La settima, considerata dissonanza nel periodo classico, era ormai talmente abituale per le orecchie dei romantici che, per creare un effetto veramente dissonante, fu necessaria l'aggiunta, negli accordi dissonanti, della nona. Il pro gressivo sfaldamento del sistema tonale dalla fine dell'800 in poi ha condotto ad una parallela messa in discussione del concetto stesso di consonanza tanto che una delle opere di Schonberg è significativamente intito lata "Dissonanze". Le teorie che hanno cercato, sul piano teorico, una base oggettiva, fisica o matematica, nella definizione della consonanza sono state confutate, sul piano pratico dai test psico-acustici. Esse si basavano su due elementi: i rapporti semplici e la prevalenza dei primi armonici. La teoria dei rapporti semplici, da cui discende la scala detta pitagorica, perché dedotta dagli studi condot ti dal matematico greco sulla divisione di una corda, afferma che gli intervalli di ottava, quinta, quarta e terza sono considerabili consonanti in quanto basati su rapporti semplici (1/2, 3/2, 4/3, 5/4) . Il temperamento equabile, modificando questo tipo di rapporti, avrebbe quindi creato (ad eccezione dell'ottava) una serie di dis sonanze. In realtà gli esperimenti di psico-acustica svol ti nel corso di questo secolo, pur nella loro contraddit torietà, tendono a mostrare come l'orecchio dei musicisti sia ormai condizionato dall'intonazione temperata12.
12 Una descrizione critica di questi test è in Frances 1984.
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Analogamente la tesi della generazione degli inter valli dai suoni armonici che accompagnano qualunque suono esistente in natura, è stata contestata sul piano percet tivo13. Già Helmhotz (1868), che pure era un sostenitore della teoria della consonanza basata sulla successione degli armonici, affermava che difficilmente, in condizioni ordinarie, l'orecchio può giungere alla distinzione dei diversi armonici che compongono uno stesso suono, e quand'anche ci riuscisse ciò potrebbe riguardare i primi armonici (l'ottava e la quinta) che si presentano in gene re con maggiore intensità, e questo non ci spiegherebbe allora l'uso di tutti gli altri intervalli. Inoltre biso gna ricordare che uno dei primi armonici, il settimo, è un suono inesistente nelle nostre scale diatoniche. Le teorie sui suoni armonici sembrano poi oggi ulteriormente supera te dai recenti studi di fisica acustica che tendono sempre più a considerare il suono come un evento molto complesso in cui la tradizionale differenza di ruoli tra l'altezza del suono fondamentale e gli armonici perde quasi signifi cato14 . I concetti di consonanza e dissonanza sono quindi assolutamente relativi nel tempo e nello spazio. Per que sto è difficile applicarli in etnomusicologia, se non in caso di studi sulla psicologia percettiva relativa ad una determinata cultura. Citiamo a titolo esemplificativo la ricerca psico-acustica di Deutsch e Fódermayr (1989) volta ad affermare l'importanza delle componenti non armoniche nell'intonazione dei gamelan indonesiani.
4.2 I ruoli Le parti
di
un
insieme
polifonico hanno
sovente
13 A proposito della scala naturale zarliniana, derivata dal1'osservazione della successione dei suoni armonici e delle teorie di Helmotz, cfr. in questo volume SCALA. 14 Vedi a questo proposito 1'American National Standard Psychoacustical Terminology (1973)
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ruoli differenziati. Lomax ha classificato le relazioni tra gli esecutori di un brano vocale. Si tratta beninteso di relazioni tra esecutori e non tra parti, ma tutto nelle descrizioni tipologiche di Lomax, lascia presupporre una coincidenza tra la maggiore o minore rilevanza di un ese cutore all'interno del gruppo e quella della sua parte. Le possibilità previste da Lomax sono raggruppabili in quattro tipi: 1) è presente un solo cantante o due can tanti che si alternano: questo caso non ci interessa in questo momento perché l'esecuzione è comunque monodica; 2) sovrapposizione tra un leader e un coro unisono: un gruppo canta una stessa melodia mentre una voce leader emerge e diventa dominante; può darsi anche il caso che invece sia predominante l'unisono del gruppo e che la parte leader compaia solo sporadicamente; 3) alternanza tra un leader e il coro o tra due cori: si tratta delle forme definite, nel Medio Evo responsorio e antifona ; Lomax, come molti altri etnomusicologi, ha potuto osservare che l'alternan za, molto comune in diverse culture, conduce spesso alla sovrapposizione tra la parte finale della proposta e quel la iniziale della risposta; prevede perciò sia il caso dell'alternanza semplice, che quello dell'alternanza con sovrapposizione; 4) interdipendenza : gli esecutori si dividono in due o più parti ritmicamente diverse e melodi camente complementari; non è possibile individuare una leadership, ogni parte è ugualmente importante: «l'impres sione generale è quella di un gruppo di individui, ognuno con la sua parte, che interagiscono così da creare una trama omogenea» (Lomax 1968: 40)15. Questa classifica
15 Abbiamo preferito tralasciare tra le classificazioni di Lomax quella che lui definisce gruppo eterogeneo. Si tratta di esecuzioni «scoordinate o casualmente coordinate di un gruppo... In un primo caso si ha l'impressione che gli individui di un gruppo cantico cose differenti nello stesso tempo. In un secondo caso tutti i cantanti possono seguire essenzialmente una linea melodica o ritmica ma divergere radicalmente in molti dettagli». ( 1968: 39). A prima vista sembrerebbe trattarsi di polifonie non intenzionali e quindi sul piano psicologico-percettivo degli stessi esecutori delle 'non-polifonie'. Ma Lomax aggiunge: «Tal-
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zione, con poche correzioni, è valida, per Lomax, anche nel caso di insiemi strumentali. Riassumendo, quindi, in un gruppo è possibile la presenza di una parte dominante, più importante delle altre, oppure di un intreccio di parti interdipendenti, tutte ugualmente importanti . Possiamo aggiungere una spe cificazione riguardo al ruolo di leader; solo in alcuni casi la leadership coincide con l'indipendenza di questa parte dall'insieme. Prendiamo per esempio le armonizzazioni dei corali protestanti. La melodia del soprano, dominante, è preesi stente alla versione polifonica. Oltre ad essere una parte leader, quindi, essa può essere eseguita senza il contesto polifonico. L'operazione è legittima e il brano mantiene le sue caratteristiche essenziali. Del resto, lo stesso Bach, ci ha fornito diverse armonizzazioni dello stessa melodia, o meglio dello stesso canto. Possiamo trovare esempi analoghi in molti canti della tradizione popolare padana, di cui sono indifferentemente reperibili esecuzio ni monodiche o polifoniche di uno stesso canto. Diverso è il caso di parti dominanti (nel senso, usato da Lomax, di più forti e più dinamiche) che però non possono sussistere da sole. Nelle polifonie sarde o dell'Italia meridionale in cui una voce leader è accompa gnata da un coro che esegue una parte in prevalenza stati ca, non è pensabile, pena la perdita di connotazione del brano stesso, un'esecuzione indipendente della parte soli sta. Si può citare un altro caso. Nelle orchestre di tam buri dell'Africa Centrale è frequente la leadership di un tamburo a cui sono concessi margini molto ampi di im provvisazione. Tra i Nande dello Zaire questi solisti non possono, però, suonare da soli, perché la loro parte,
volta l'effetto è intenzionale, può, infatti, venire coltivato ed essere il risultato di meticolose ricerche e di un controllo cosciente. L'impressione generale, comunque, è quella di una scoordinazione» (ivi). Lomax non porta esempi di questo partico lare tipo di insieme, ci sembra però che sia insita nel suo ragionamento una discrepanza tra l'intenzione dell'esecutore e la percezione dell'ascoltatore, esterno alla cultura in esame.
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improvvisata, non avrebbe significato senza gli ostinati eseguiti dai tamburi più piccoli. Concludiamo questo paragrafo sui ruoli riportando le osservazioni di Lomax sulle relazioni tra le parti vocali e quelle strumentali di accompagnamento. La presen za della voce, veicolatrice attraverso i testi verbali di significati extramusicali, comporta molto spesso una differenziazione netta del ruolo strumentale da quello vocale. Comunemente questa differenziaz.ione è sottolineata dal termine accompagnamento, riservato alle parti strumen tali, che caratterizza un ruolo subordinato rispetto al canto. La preminenza d'ufficio delle parti cantate incon tra nella comune prassi musicale numerose eccezioni. In primo luogo essa non coincide necessariamente con una mag giore complessità sul piano musicale. La storia della leaderistica romantica e post-romantica è segnata proprio dalla costante evoluzione, delle parti pianistiche o orchestrali di accompagnamento, verso soluzioni di com plessità e varietà superiori a quelle della melodia canta ta. Lomax prevede, quindi, una casistica articolata (ivi:41-42). L'accompagnamento può essere eseguito da un gruppo orchestrale piccolo (da uno a tre strumenti) o grande (superiore ai tre strumenti). Le possibilità sono: 1) accompagnamento subordinato alla parte vocale; pensiamo al caso estremo di un gruppo di amici che canti accompa gnandosi con una chitarra: * spesso il chitarrista si trova a suonare su una tonalità diversa da quella seguita dai cantanti, senza che questi se. ne accorgano; 2) orchestra dominante rispetto alle parti vocali; nella musica per danza di molte parti del mondo avviene spesso che le parti strumentali, più significative ritmicamente e più utili nel guidare i cambiamenti coreutici, sovrastino le voci; 3) parti strumentali di interludio nelle pause del canto; è un caso molto frequente nella musica dei cantastorie; le pause di riflessione, tra una strofa e l'altra o nei momenti significativi per la narrazione, vengono riempiti dagli strumenti che escono momentaneamente dal ruolo di sfondo ed entrano in primo piano con parti più elaborate; 4) strumenti in relazione complementare con le voci; un esempio molto chiaro viene da alcuni repertori polifonici 221
del Rinascimento le cui parti possono essere indifferente mente eseguite dalle voci o dagli strumenti; in questo caso c'è un'assoluta pariteticità di ruoli e lo stesso termine accompagnamento può essere messo’ in discussione16.
4.3 Le tecniche di combinazione e le classificazioni
Chiamiamo tecnica di combinazione la strategia com positiva che sottostà all'organizzazione di un insieme. E' questo l'argomento principe negli studi sulla polifonia. Le classificazioni dei tipi polifonici si basano general mente su questo parametro. Vediamo, attraverso un confronto tra le tipologie proposte da Sachs, Lomax, Netti e Arom, quali sono i più diffusi sistemi di combinazione delle parti diffusi nelle varie culture del mondo.
4.3.1 Bordone —>pedale—>ostinato —>giro armonico .
Raggruppiamo il questo paragrafo le forme polifoni che in cui una o più parti mobili sono accompagnate da una o più parti fisse. Lomax (1968:65) definisce drone polyphony il caso in cui «Uno o più suoni sono tenuti o ripetuti mentre la melodia segue il suo corso», e Netti dice che la combinazione tra un bordone (drone or bourdon) e una melodia mobile è diffuso in Polinesia, nel sud-est
16 Negli studi psicoacustici, la melodia dominante, vocale o strumentale, è definita figura, mentre l'accompagnamento è detto sfondo. Per Francès nelle melodie accompagnate l'attenzione dell'ascoltatore è attratta inevitabilmente dalla linea del canto, tranne i casi in cui nell'accompagnamento vengono apportate modi fiche rispetto a quanto si è ascoltato. In realtà, per Francès, sono soprattutto gli elementi di novità, comparsi in una parte e non nelle altre, che distaccano una figura dallo sfondo rendendo quella parte dominante e in grado di attirare l'attenzione, mentre non è sempre necessario che la parte sia più acuta o più forte (Francès 1984:217).
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asiatico, in Africa Nera e sulla costa nord occidentale dell'America. L'esempio più tipico di bordone è quello delle canne ad intonazione fissa negli strumenti a fiato polifonici, zampegne, cornamuse, organi a bocca. In questi casi il concetto di bordone è associato ad un suono asso lutamente fisso e stabile dall'inizio alla fine del brano.
Esempio 2. Zampogna : due parti melodiche e un bordone; Lazio (Sparagna 1983:207) .
Questi suoni stabili acquistano necessariamente rilevanza sul piano scalare. In linea di massima coincidono con il centro tonale del brano musicale. E' il caso dei suoni prodotti da strumenti destinati specificamente a tale scopo (come la tampura) durante le esecuzioni dei ragas indiani, che, riaffermando continuamente il centro tonale del modo, formano uno stabile tappeto sonoro su cui si svolge l'improvvisazione del solista 17 . Per Netti, come per Lomax il bordone può essere anche "interrotto" quando si ha una ripetizione della stesso suono (Nettll956: 86) . Analogamente Sachs (1979:198) cita un canto dei Temiar della Malesia e parla di una melodia che «si muove su un enigmatico, intermittente, sostenuto di Do», e più avanti: «Nel Pacifico intorno alla Polinesia troviamo persino quello che chiamerei un bordone
17 A questo proposito cfr., TÀ' /TONALITÀ'
in questo stesso volume,
MODALI
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sincrono che segue la cadenza della melodia su una tona lità costante» (Ibid.). Un'esempio affatto particolare di questo tipo di bordone intermittente viene dalla relazione tra il suono fondamentale e gli armonici in un arco musi cale, come possiamo vedere nell'esempio 3.
Esempio 3 . Bordone intermittente su due suoni. Arco musi
cale - Zaire (tr. Facci).
Un'ulteriore allargamento del concetto di bordone si ha quando Lomax, per esempio, dice: «La parte di bordone non deve necessariamente rimanere sullo stesso livello per tutto il tempo. L'altezza del bordone può essere modifica ta» (Ibid.) . In questo caso si ha un procedimento che somiglia di più al pedale armonico18. Il valore funzionale delle note bordone non si limita più alla sola conferma del centro tonale o di un altro singolo suono rilevante nel modo. In un brano dell'Italia Meridionale (esempio 4) il coro che accompagna la voce del solista sostiene alcune note che formano una scala discendente. Questi pedali coincidono con i suoni più gravi del modo e si accordano, sovente con un intervallo di terza, con i suoni più lun ghi, e importanti, della voce solista.
18 L'uso del termine "pedale" viene criticato da Sachs perché troppo legato alla tradizione colta (1979:197).
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Esempio 4. Pedale su suoni discendenti. Canto processiona le per il Venerdì Santo (frammento) - Calabria (Agamennone-Facci 1982:99).
Sachs (ivi:198) annovera come caso particolare di bordone anche 1'ostinato: «A volte [...] il bordone consi ste di due note che si alternano trasformando il semplice sostenuto in ostinato». E allarga il concetto di ostinato dalla semplice dimensione melodica a quella armonica: «Le tribù Maga dell'Assam, in Birmania, caratterizzano l'accordo del sostenuto come una ripetizione ostinata di una forma cadenzale armonica» (Ibid,). L'ostinato può essere quindi costituito anche da accordi. Potremmo perciò annoverare in questa categoria anche tutti i giri armo nici, basati sulla ripetizione costante di una sequenza di accordi, di cui si fa largo uso nella musica leggera, nella popular music anglo-americana, e in molti repertori della tradizione popolare europea (per esempio la musica per organetto dell'Italia centro-meridionale è spesso impostata su un ostinato armonico in cui si alternano gli accordi di tonica e dominante). Arom, a proposito di polifonia africana, contesta l'assimilazione tra i concetti di bordone e ostinato. Per lui il bordone non è un procedimento polifonico, bensì plurilineare (vedi paragrafo 1) a differenza dell'ostinato che è, a tutti gli effetti, considerato come una delle possibili forme di polifonia. Riallacciandosi alla defini zione di ostinato contenuta nel dizionario della musica del Riemann, che riferisce dell'uso compositivo di appor tare modifiche alle melodie ripetute in forma ostinata, Arom (1985:94) afferma: «Se dovessimo, in poche parole,
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caratterizzare l'insieme dei procedimenti polifonici e poliritmici utilizzati in Centroafrica, li definiremmo come ostinato con variazioni». In altre parole, la maggior parte dei brani musicali insiemistici è costruita, in Africa Cen trale, intorno all'intersecarsi di brevi formule ripetute, anche se in forma variata. Arom cita a questo punto Rose Brandel (1970:20): «L'ostinato africano, generalmente ridotto in lunghezza e tessitura, può essere continuo o intermittente, vocale o strumentale, e può apparire al di sopra o al di sotto della linea principale. Si trova fre quentemente un multi-ostinato, due ostinati o più si muovo no in contrappunto tra loro, con o senza una linea melodica più lunga» . L'analisi dei repertori africani in cui è pos sibile l'uso di ostinati «senza una linea melodica più lunga» ci comunica un diverso sentire del concetto di osti nato. Esso perde infatti il ruolo di parte statica che accompagna una melodia più complessa e mobile e in questo senso si allontana definitivamente dal ruolo di bordone.
4.3.2 Parallelismi
Il parallelismo è una pratica polifonica molto dif fusa. Si verifica quando due o più parti, omoritmiche, procedono mantenendo sempre una stessa distanza interval lare. Generalmente il parallelismo viene accompagnato dalla specificazione del tipo di intervallo usato: parallelismo di quarta, terza ecc. Le forme più comuni di parallelismo sono quelle per ottava, quarta e quinta.
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Esempio 5 . Parallelismo di quinta. Canto di nozze mento) - Basilicata (Agamennone 1988 : 457) .
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B
(fram
Molto diffuso in area europea e africana è il parallelimo per terze e seste.
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po - to iato - re
fsenpio 6. Parallelismo per terze - Sardegna (Facci 1980).
Esempio
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Parallelismo per seconde,
Micronesia
(Sachs
1979:195).
«Il procedere per intervalli paralleli delle parti musica li è probabilmente il tipo di polifonia più comune nel mondo. Possono essere usati vari intervalli e il paralle lismo può essere più o meno rigoroso» (Netti 1956:81). Helmhotz (1934) ha basato sul parallelismo la sua tesi circa l'origine della polifonia. La scarsa capacità dell'orecchio umano di discriminare intervalli basati su rapporti semplici come l'ottava, la quinta e la quarta ha condotto, secondo Helmhotz, ad un naturale sovrapporsi di voci che, ritenendo di cantare all'unisono, si disponevano a distanza intervallare di ottava, quinta o quarta. Questo tipo di sovrapposizione, molto naturale nel caso di gruppi eterogenei per sesso e per età, è stato percepito e reso 227
consapevole da alcuni, che apprezzandone l'effetto, hanno preso ad imitarlo fondando così una tradizione . Molti etnomusicologi hanno osservato che questa teoria può, al massimo, spiegare l'origine di alcune forme di parallelismo, ma non dà ragione della nascita di tutti gli altri tipi di polifonia. Schneider (1962:24), che vede nel canone la più antica forma di polifonia, sostiene che la grande diffusione del movimento rigorosamente paralle lo, più che ad una prorità nell'origine, è dovuta alla scarsa possibilità di sviluppo che lo rende «quasi immuta to tanto nelle culture primitive che in quelle più tarde». A rafforzare tali dubbi si aggiungono alcune posi zioni che non considerano il parallelismo una forma polifonica. Generalmente vengono escluse dalle classifica zioni polifoniche solo le parallele di ottava:«Il cantare in ottave parallele è stato definito pressoché universale e quindi non accettabile come vera polifonia» (Netti 1956:81). Sachs (1979:191) stila un'elenco dei vari tipi di parallelismo in cui cita le ottave parallele, ma le considera un fenomeno "naturale": «Nel caso più semplice (di parallelismo) l'intervallo è di ottava e, sia in Occi dente che in Oriente, risulta dalle distanze naturali 19 tra le voci degli uomini, delle donne o dei bambini». Arom (1985:89) estende al parallelismo in generale il giudizio di scarsa complessità polifonica. Egli caratterizza il parallelismo come mantenimento di un intervallo costante (diverso dall'ottava) associato ad omoritmia e omosillabismo, ovvero pronuncia contemporanea dello stesso testo verbale da parte di tutte le voci. Inteso in questo modo il movimento parallelo è considerato da Arom plurilineare ma non polifonico.
4.3.3 Polifonie omoritmiche non parallele
Lomax (1968:65) oltre al parallelismo classifica come polifonici anche i casi in cui accordi isolati inter rompano un tessuto fondamentalmente unisono, a patto però 19 Corsivo nostro
228
che questi accordi non siano occasionali ma ricorrano sem pre nello stesso punto ad ogni ripetizione melodica . Tra i Nande dello Zaire, che fanno poco uso della polifonia vocale, sovente le monodie dei cantastorie sono accompa gnate da una seconda voce che interviene, generalmente in chiusura di frase, formando accordi di terza. Lomax ritie ne invece di dover classificare come non polifonici i casi in cui questi accordi isolati compaiano in maniera spora dica e poco formalizzata20. Un secondo caso di polifonie omoritmiche ma non rigidamente parallele si verifica quando le parti procedo no per moto contrario, ovvero mentre una segue un movimen to ascendente, l'altra ne segue uno discendente. Questo stile è rintracciabile, in Italia, in canti bivocali come il vatoccu umbro-marchigiano’ di cui riportiamo un frammen to nell'esempio 8, e per il quale è usato a volte il ter mine discanto. Lomax denomina questa tecnica harmony (Ibid.), volendo probabilmente porre l'accento sul carat tere accordale di questo tipo di polifonia.
Esempio 8 . Parti omoritmiche non parallele, nelle battute 2-3 e 4-5 si notano esempi di moto contrario. Canto a vatoccu - Marche (Leydi 1973:198).
20 Sarebbe opportuno riflettere, in presenza di accordi spora dici di questo tipo, su quanto il fenomeno sia da attribuire a casualità o ad adesione parziale a modelli più complessi.
2Z9
Omofonia è un termine molto generico e variamente inter pretato che è anche usato per casi di polifonia omoritmi ca. «Come il parallelismo l'omofonia dà luogo ad una articolazione ritmica simile in tutte le parti, ma senza che queste siano rigidamente parallele» (Arom 1985:89). Per omofonie si intendono anche i casi di accompagnamento accordale di una parte melodica principale (Netti 1956). In questo senso potremmo definire omofoniche le parti dei bassi rinvenibili in alcuni stili polifonici dell'Italia meridionale e delle Sardegna.
Esemplo 9 Movimento omofonico nelle parti contra bassa. Miserere dalla Liturgia per il Venerdì Santo (fram mento) - Sardegna (Sansa 1973).
4.3.4 Polifonie eteroritmiche I casi più complessi e difficilmente definibili di tecniche di combinazione si hanno quando le parti non sono omoritmiche . Abbiamo già incontrato casi di eteroritmia parlando dei bordoni e degli ostinati. Abbiamo anche visto come, nel caso della polifonia africana, lo spingere troppo oltre il concetto di ostinato può creare una cesura tra il senso di ostinato e di bordone. La differenza tra i bordoni e le polifonie etero ritmiche è legata infatti alla presenza o assenza di parti preminenti. Lomax (1968:65), che raggruppa sotto il termi ne counterpoint tutti i tipi di polifonia eteroritmica eccetto i casi di bordone (drone polyphony) afferma: «Nel
230
contrappunto, a differenza del bordone, (tutte) le parti sono attive melodicamente». Una delle forme più "spiegabili" e meno complesse di polifonia eteroritmica è quella che Arom (1985:88) definisce sovrapposizione 21. Si tratta di un fenomeno abbastanza comune che si verifica quando due o più esecu tori si alternano nel cantare. Può succedere che uno dei due solisti o cori cominci la sua frase prima che l'altro abbia terminato. In questa sovrapposizione, secondo alcuni etnomusicologi è rintracciabile l'origine del canone: A un livello paleolitico, i Siberiani dello Jenissei, nei loro responsori tra lo sciamano e i suoi aiutanti, persino i primitivi Pigmei delle giungle della Malesia, gli abi tanti di Samoa e dell'Australia come anche i Bosci mani e i Daga; tutti hanno sviluppato forme responsoriali sovrapposte fino a raggiungere il canone (Sachs 1979:2OO)22.
Ricordiamo che il canone è la ripetizione sfalsata di una melodia. Sachs stesso ne propone un esempio molto chiaro che riportiamo nell'esempio 10.
Esempio 10 . Imitazione canonica. Africa (Sacha 1979:200)
21 In realtà il termine usato da Arom, tuilage, è più efficace ma difficilmente traducibile in italiano. La sovrapposizione tra l'incipit di una parte e la cadenza di un'altra ricorda in effet^ ti la disposizione delle tegole. 22 Sul problema delle origini, come sempre, ogni ipotesi deve essere interpretata non meccanicamente. Sachs stesso conclude il suo paragrafo su Alternanza e canone affermando: «Eppure,* non sarò mai troppo energico nel mio ammonimento contro il pregiudi zio di chi•crede in un'evoluzione "plausibile" dalle forme sem plici alle complesse» (Sachs 1979:200).
231
Schneider e Sachs stesso insistono sulla irrilevanza, nelle forme canoniche, della dimensione accordale. L'attenzione di esecutori e ascoltatori sarebbe focalizza ta sulla melodia e su come essa si succede nelle due o più parti. Poca importanza avrebbero quindi le situazioni con sonanti o dissonanti create dall'intreccio polifonico. In effetti,come si è visto nel paragrafo 3 le polifonie eteroritmiche hanno in generale una prevalenza della dimen sione orizzontale su quella verticale. Il canone è una forma imitativa integrale. L'imita zione può essere rintracciata anche in forma parziale, può essere solo ritmica, può riproporre la melodia trasportan dola su suoni più acuti o gravi. Nell'esempio 11 la secon da voce esegue quasi integralmente•la melodia della prima in un'imitazione alla quinta superiore, ovvero aumentando l'altezza di tutti i suoni di un intervallo di quinta (il Re diviene quindi La, il Do diviene Sol e così via).
Esempio 11 . Imitazione alla quinta superiore. Isole Saiomone (Schneider 1962: 80) .
Un'altro caso particolare di polifonia eteroritmica è 1'hochetus, termine con cui è stata battezzata una tecnica tipica dell'Africa centrale. Insiemi vocali o di strumenti a fiato (trombe, fischietti), in cui ciascun elemento (voce o strumento) produce uno o due suoni soltanto, pre sentano un incastro governato da rigorose leggi ritmiche. Gli interventi dei singoli partecipanti, leggermente sfal sati l'uno dall'altro, sono brevissimi ma ripetuti costan temente con una periodicità quasi cronometrica. Nell'esem pio 12 i quattro flauti-fischietti dell'insieme producono rispettivamente le note Mib, Fa, Lab e Sib. 232
Esempio 12 . Polifonia ad hochetus. Insieme di 4 flauti di canna - Africa (Schneider 1962:85)
A proposito dell'orchestra di centroafricana) Arom scrive:
trombe
Linda
(Repubblica
Il materiale proprio a ciascuno [strumento] è ripartito in un ciclo di tempo dalla durata invariabile, la cui pulsazione è materializzata attraverso due campanelle percosse tra loro. Questi cicli, molto brevi, non supe rano, in genere, qualche secondo. La totalità- del mes saggio, del materiale musicale sul quale il pezzo si fonda, è presente in ogni rivoluzione del ciclo: il brano consiste nella ripetizione ininterrotta delle figure ritmiche di ciascuno strumento, nelle diverse re alizzazione. Cioè l'esecuzione delle figure dà vita a numerose variazioni [...] Queste differenti realizzazio ni sono altrettante variazioni derivate da uno stesso motivo stilizzato che costituisce per ogni musicista il riferimento ultimo di ciò che esegue, il suo modello (Arom 1985:513-514).
Per i casi di polifonia eteroritmica non riconosci bili in quelli fin qui descritti le classificazioni e le denominazioni diventano più generiche e confuse. Arom uti lizza i termini contrappunto (melodico e ritmico), altri etnomusicologi invece fanno largo e vario uso del termine eterofonia . Lo troviamo per esempio nelle classificazioni di Netti (1956). Molto spesso, specialmente nella polifonia vocale i brani che non seguono in maniera evidente la tecnica del canone, del bordone, del parallelismo, del moto contrario sono una sintesi di queste stesse tecniche. 233
Nei canti a pennese dell'alto Lazio (esempio 13) le due voci si alternano nella funzione di bordone, si imita no e, in alcuni tratti, procedono omoritmicamente.
Esempio 13. Alternanza di jnoviaanti amoritmici non paral leli a di bordoni in ambo le parti. Canto a pennese (fram mento) - Lazio (Agamennone 1985:127) .
La denominazione di contrappunto r in casi simili, può essere calzante perché le due voci hanno uno sviluppo lineare e nessuna di loro ha un ruolo preminente. Nella prassi insiemistica africana 1'amalgama di brevi formule melodiche o ritmiche che si sovrappongono senza particolare cura per la ricerca della consonanza è la norma. Nei gruppi di tamburi, negli xilofoni e nei lamellofoni, in cui sono presenti almeno due parti, l'idea che guida gli esecutori è l'incastro di determinati seg menti melodici o ritmici. Arom afferma che in questo caso il comune denominatore degli elementi dell'insieme è il riferimento ad una pulsazione regolare23 valida per tutti.
23 A questo proposito cfr., RITMO
234
in questo stesso volume,
TEMPO E
Esempio 14 . Incastro di formule melodico-ritmiche . Brano dal repertorio dello xilofono manza dei Sabinga - Africa. I numeri in alto indicano le ripetizioni delle formule (Arem 1985:737) .
In molta musica dell'Estremo Oriente è frequente,, invece, il riferimento ad un'unica melodia da parte di diversi strumenti. L'esempio che viene fatto più comunemente sono le parti di flauto e oboe nell'orchestra Gagaku (musica classica giapponese). I due strumenti eseguono la stessa melodia ma, in alcuni casi, uno tra loro produce brevi variazioni ornamentali. Questo procedimento è comune ad altri repertori, anche di accompagnamento strumentale di una melodia.
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Esempio 15 Parti che seguono approssimativamente uno stesso modello melodico (eterofonia) . Flauto e voce - Mon golia (Schneider 1962:86).
235
Per definire questa prassi si è usato in diversi casi il termine eterofonia . Tran Van Khé a proposito della musica vietnamita scrive: Nei gruppi strumentali ciascun musicista, pur suonando la stessa melodia, può introdurre alcune note ornamen tali, far sentire corde doppie e arpeggi secondo le possibilità di ciascuno strumento, e il gruppo stru mentale così non è mai all'unisono. Alcuni musicologi, soprattutto americani, definiscono questo fenomeno con il termine "eterofonia" (Tran Van Khé 1989: 253).
Nella definizione di Malm del termine eterofonia effetti vamente si legge: [Eterofonica è] una musica a più parti in cui ogni parte è ritmicamente differente (come nel contrappun to) , ma in cui la differenza è dovuta a variazioni simultanee della stessa melodia (Malm 1972:248).,
Sachs (1979:206) dal canto suo sostiene che la definizione variazione simultanea sia meno ambigua del termine eterofonia e quindi più adatta per questi partico lari procedimenti polifonici24.
24 In realtà il termine eterofonia è troppo vago, nelle si utilizzazioni, per poter essere associato ad un particolare stil polifonico. Sachs, ne traccia un profilo : "La terminologia sem bra avere la scelta tra parecchie possibilità: 1) l'eterofonia si trova in ogni composizione in cui 'note diverse' vengono udite simultaneamente, compreso il semplice sostenuto di una melodia, ma anche includendo la polifonia e l'armonia moderne; 2) tutte le forme di 'differenza' eccettuate la polifonia e l'armonia dell'occidente, ma incluse quasi tutte le esecuzioni per parti del Medioevo occidentale; 3) la variazione simultanea." (1979:105). A questi tre possibili significati del termine Sachs stesso aggiunge una quarta possibilità: "l'eterofonia è ogni tipo di esecuzione di parti che sia lascato alla tradizione e all'improvvisazione: contrappunto alla mente di contro a res facta". Ma in questo caso l'eterofonia non è più una delle possi bili tecniche combinatorie. Il discorso sembra spostarsi su un altro livello. L'esecuzione delle parti di una polifonia, infat-
236
Un diverso tipo di polifonia orchestrale è messo in atto negli insiemi di gong dell'Asia sud-orientale. In queste orchestre, definite comunemente gamelan, le diverse parti sono affidate a metallofoni e gong di diversa dimen sione e sono contraddistinte da una maggiore o minore den sità ritmica. Mantle Hood propone per questo tipo di tec nica polifonica il termine stratificazione 25: Presa a prestito dalla geologia, la 'stratificazione' si riferisce agli 'strati' di attività melodico-ritmica, che tendono ad essere largamente spaziati nei registri gravi e relativamente densi nelle ottave superiori di un grande complesso strumentale come il gamelan (Hood 1989:97).
ti, impone un atteggiamento psicologico diverso a seconda che di debba improvvisare a mente la parte, o leggerla su uno spartito. 25 Lo stesso Hood dichiara che il termine gli è stato suggerito da Nino Pirrotta, che lo ha usato per definire la polifonia medie vale a tre parti (Hood 1985:97).
237
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Eaempio 16 . Stratificazione melodico-ritmica. Orcheatra gamelan: 1-metallofoni gangaa, 2-metallofoni Genderf 3rejong a quattro note, 4-carillon di gong, 5, 6 e 7-colpi di gong, 8-cimbali, 9-tamburi. Bali (Picken 1978:194) .
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Giovanni Ciurlati
TRASCRIZIONE L'ultimo capitolo di questo volume non affronta, come i precedenti, una questione strettamente "grammatica le"; piuttosto, esso è dedicato alla presentazione di uno strumento fondamentale della ricerca etnomusicologica: la trascrizione. In etnomusicologia trascrivere significa trasferire su carta, secondo diversi sistemi grafici, documenti sonori appartenenti a culture di tradizione orale. Anche se la trascrizione non è prerogativa esclusi va degli etnomusicologi - trascrivono, ad esempio, i musi cologi quando redigono in scrittura moderna documenti musicali in notazioni antiche - essa è associata princi palmente all'etnomusicologia proprio perchè questa disci plina studia in prevalenza culture musicali trasmesse oralmente. La trascrizione è stata, fin dagli inizi degli studi etnomusicologici, una questione teorica e metodolo gica lungamente dibattuta1. Nella trascrizione infatti emerge esplicitamente una fondamentale contraddizione per cui una cultura a tradizione prevalentemente scritta stu dia ed analizza culture di tradizione orale. Ciò che è stato composto ed eseguito secondo una mentalità orale viene studiato attraverso la mediazione della scrittura; ciò che si svolge lungo il solo asse temporale, viene tra sferito sulla bidimensionalità del foglio. La competenza in questo campo costituisce, ed ha costituito fin dagli inizi,1 2 uno strumento fondamentale,
quasi un prerequisito, per chiunque intenda occuparsi di musiche di tradizione orale. Significativi sono a questo
1 Per una storia di questo dibattito e per un amplia bibliografia ragionata in ordine cronologico, cfr. Stockmann, 1989. 2 Già nel 1909/10 Abraham e Hornbostel, due fra i "padri" dell'etnomusicologia, pubblicavano un importante saggio sul problema della trascrizione.
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proposito i racconti che fanno del loro apprendistato Hood e Netti, due dei più autorevoli etnomusicologi statuniten si. Hood (1971: 50-54) ricorda che uno dei primi incontri con il suo maestro Jaap Kunst fu proprio dedicato alla trascrizione di un brano di musica giavanese e sottolinea le difficoltà da lui incontrate in questa operazione. Anche Netti (1983: 67) ricorda che la prima cosa che il suo insegnante George Herzog gli disse, dopo aver pronun ciato alcune frasi di congratulazioni e commiserazione riguardo alla sua scelta di intraprendere lo studio dell'etnomusicologia, fu che avrebbe dovuto per prima cosa imparare a trascrivere. Anche alcuni degli autori di que sto volume ebbero uno dei loro primi contatti con 1'etno musicologia ad un seminario dell'Accademia Musicale Chigiana di Siena condotto da Diego Carpitella, dedicato appunto alla trascrizione. Per alcuni giorni un gruppo di studenti alle prime armi si misurò con i numerosi problemi posti dalla trascrizione di un canto di questua del beneventano.° La trascrizione sembra dunque costituire, anche al di là della sua effettiva importanza, una sorta di "rito di iniziazione" per 1'etnomusicologo al quale è richiesta una competenza in questo campo. Ciò deriva probabilmente dal fatto che la trascrizione è uno degli strumenti di ricerca che caratterizza con più nettezza il "mestiere" di etnomusicologo nell'ambito delle discipline musicologiche da un lato, ed antropologiche, dall'altro.3 4
In questo capitolo, che non intende (né potrebbe, data la mancanza di supporti sonori e di verifiche) essere un manuale per imparare a trascrivere, il problema della trascrizione verrà considerato nelle sue principali impli cazioni di metodo. Verranno inoltre presentate e discusse alcune delle più significative soluzioni semiografiche adottate dagli etnomusicologi nella loro ricerca.
3 Per un sintetico resoconto di quella esperienza, cfr. Adamo, 1981. 4 Una comparabile importanza della trascrizione può essere individuata forse nell'etnolinguistica, per quanto riguarda i testi verbali di tradizione orale.
244
1. «La trascrizione è fondamentale» Quasi tutti gli studiosi che si sono posti il pro blema della sistematizzazione degli studi etnomusicologici hanno affrontato la questione della trascrizione sottoli neandone la complessità. Nessuno sembra negare la sua necessità, utilità e, allo stesso tempo, difficoltà. Nel primo dopoguerra Jaap Kunst, affermava in Ethnomusicology, il primo "manuale" di questa disciplina: «The transcription of exotic phonograms is one of the most dif ficult and intricate tasks which ethnomusicological research has ever put before its devotees» (Kunst 1959: 37)56 . Anche Alan Merriam, che pure nel suo manuale di etnomusicologia Antropologia della musica, non si occupa specificamente della questione, sostiene che: «Gli etnomu sicologi concordano nel fatto che il fine ultimo della trascrizione su carta è di ottenere una fotografia accura ta di un canto che così potrà essere analizzato al fine di scoprire elementi strutturali e stilistici» (Merriam 1983: 74). Netti, nel suo recente The Study of Ethnomusicology, conclude il capitolo dedicato alla trascrizione afferman do : The amount of transcribing and the role of transcrip tion in the career of the typical ethnomusicologist have declined. But for better or worse, the ethnomusi cologist continues to deal with music mainly in its visual form (Netti 1983: 81)$.
La. stragrande maggioranza degli etnomusicologi uti lizza dunque la trascrizione in qualche sua forma e ne
5 [La trascrizione di fonogrammi esotici è uno dei compiti più difficili e complessi che la ricerca etnomusicologica abbia posto ai suoi adepti]. 6 [La quantità di trascrizioni ed il ruolo della trascri zione nella carriera di un etnomusicologo-tipo sono diminuiti. Ma, nel bene e nel male, l'etnomusicologo continua ad occuparsi di musica prevalentemente nella sua forma visiva].
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sostiene la necessità, pur rilevandone limiti e problema ticità. E' possibile sostenere che una musica trasmessa per tradizione orale non possa e non debba essere notata, ma studiata solamente attraverso gli stessi documenti sonori. Si tratta di una posizione teorica che affiora di tanto in tanto, ma che non trova seguito mentre tutte le metodologie analitiche finora elaborate si basano su una qualche forma di scrittura. Anche alcuni antropologi della musica statunitensi come Merriam (1983) o anche Herndon e McLeod (1980), che dedicano i loro studi prevalentemente a questioni contestuali, riconoscono nei loro scritti l'uti lità della trascrizione, pur non occupandosi direttamente di quest'aspetto della ricerca. Doris Stockmann sintetizza chiaramente la ineludibilità della trascrizione nella ricerca etnomusicologica: La maggior parte degli studi sul materiale dipendono dalla trascrizione e non più dalle registrazioni, dato che esse non sono facili da maneggiare, non forniscono una visione d'insieme, non possono essere comparate, e così via. Si ricorrerà alle registrazioni solo per determinate questio ni, come la pratica esecutiva, i particolari stili di canto o di esecuzione strumentale, il timbro ed altri det tagli; ma nella maggior parte dei casi, specie nell'anali si strutturale e nella comparazione, si fa riferimento alla trascrizione scritta in cui, come tacitamente si assume, appaiono, tutte le caratteristiche essenziali. In altre parole: nel lavoro etnomusicologico la trascrizione è fondamentale.7 (Stockmann 1989: 210).
Una volta accertato che la visualizzazione spazializzata di un brano musicale consente operazioni di anali si che il solo ascolto o la memoria non permettono, sorge il problema di quale sistema di notazione impiegare nel trascrivere. Questo problema dipende principalmente dalla manifesta insufficienza del sistema di notazione occiden tale basato sul pentagramma (Carpitella 1973), troppo
7 Corsivo dell'autore del saggio
246
legato alla tradizione musicale occidentale per la quale è stato elaborato. Esso non dispone di segni capaci di rap presentare scale, intervalli, ritmi, metri e abbellimenti delle musiche di tradizione orale, spesso molto differenti da quelli della tradizione colta occidentale. Fin dagli inizi dell'etnomusicologia sono stati elaborati dunque sistemi diversi di notazione o segni diacritici per inte grare la notazione su pentagramma. Ciò ha causato un ulte riore problema: quello della diversità e disomogeneità dei sistemi di trascrizione dato che ciascun ricercatore ha adottato ed adotta sistemi diversi o varianti di uno stes so sistema di notazione integrando il pentagramma con pro pri segni diacritici che meglio si adattano a rappresenta re le musiche da lui studiate. E' sempre stata auspicata la standardizzazione dei sistemi e, nel primo dopoguerra una conferenza internazionale dell'UNESCO ha formulato dei suggerimenti in questo senso.8 Tuttavia, per ragioni intrinseche alla questione, una standardizzazione non è mai stata raggiunta. Troppo differenti fra loro sono infatti le musiche oggetto di trascrizione e gli interessi analitici dei trascrittori.
2. Una questione di pertinenza analitica
Pur se, come sostiene Merriam, la trascrizione deve essere una "fotografia'7 di un brano musicale bisogna sgom brare il campo da qualsiasi pretesa di oggettività della trascrizione. Si tratta di rendere in notazione ciò che è concepito per essere trasmesso oralmente, ed in questa operazione di "traduzione" è inevitabile un intervento soggettivo di chi la compie. La trascrizione consiste,
8 Si tratta di un convegno organizzato dagli Archivi Internazionali di Musica Popolare a Ginevra e Parigi (1949-50) dal quale sono emerse otto pagine di indicazioni metodologiche ed operative per i trascrittori: Notation of Folk Music. Reccomandation of the Committee of Experts.
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implicitamente o esplicitamente, in un primo momento di riduzione ed analisi del documento sonoro: il trascrittore interpreta ciò che ascolta dandone una propria versione grafica, determinata dall'interesse analitico che lo indu ce a trascrivere. Ciascun ricercatore ritiene pertinente trascrivere alcuni dati e tralasciarne altri, a seconda dei suoi interessi di studio ed analisi. Un esperimento condotto in occasione del convegno annuale della Society for Ethnomusicology nel 1963 illu stra chiaramente questo punto. Nicholas England, coordina tore del programma del convegno inviò a quattro affermati etnomusicologi (Garfias, Kolinsky, List e Rhodes) un canto degli Hukwe, boscimani del Kalahari, accompagnato dall'arco musicale, chiedendo loro di trascriverlo e di analizzarlo. Il risultato di questo esperimento può essere esaminato nella fig. 1 (le figure sono alla fine del sag gio) . Le quattro trascrizioni (G, R, L e K sono le inizia li dei quattro trascrittori) sono notevolmente differenti tra loro e non certo per una maggior o minor competenza dei trascrittori, tutti professionisti. Si tratta piutto sto di una questione di pertinenza. Ciascun trascrittore ha scelto di utilizzare un diverso sistema di notazione o meglio, varianti della notazione su pentagramma - evi denziando (esplicitamente o implicitamente) alcune carat teristiche a scapito di altre. Il moderatore di questo simposio, Charles Seeger, mette in evidenza come vi siano diversità nella notazione del ritmo dell'arco musicale9:
- uso di valori ritmici diversi: R, L e K usano la croma, mentre G ha scelto la semiminima; - il metro è indicato esplicitamente in 6/8 solo da K; la scansione metrica è in 6 anche per G, mentre R ed L
9 Seeger rileva anche come vi siano stati alcuni problemi nello svolgimento di questo esperimento, primo fra tutti il fatto che i quattro etnomusicologi.hanno trascritto sezioni differenti del brano. Ciò ha reso più difficile il lavoro di comparazione. Altro elemento mancante è il testo verbale, incomprensibile a tutti e quattro i trascrittori, non esperti della cultura Hukwe.
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optano per un metro di tre pulsazioni. L'indicazione di battuta è resa graficamente in maniera diversa da L, con una linea tratteggiata, mentre gli altri tre, usano una linea continua, anche se la dispongono tra i due penta grammi, piuttosto che sul pentagramma stesso, ad indicare una non piena corrispondenza con la metrica occidentale; - K ed R hanno notato (K sempre, R talvolta) gli armo nici dell'arco musicale, mentre G ed L hanno totalmente omesso questa indicazione. Anche nella linea melodica vocale vi sono notevoli differenze di trascrizione, la più evidente delle quali è la scelta di G di notare le altezze con una linea continua piuttosto che con i tradizionali valori occidentali. Ulteriori discrepanze possono essere rilevate nella trascrizione dell'altezza assoluta dei suoni: mentre G ed R trascrivono in Fa (pur se in ottave differenti) , L tra sporta in La per comodità grafica e K in Do per esigenze di standardizzazione a fini comparativi.10 Il confronto
tra le quattro trascrizioni potrebbe continuare a lungo, rivelando numerose scelte semiografiche differenti. Nelle sue conclusioni a commento di questo esperi mento, Seeger sottolinea nuovamente l'insufficienza del sistema semiografico euroculto, del tutto inadeguato a rappresentare il documento proposto. Anche la soluzione di G, che ha trascritto la linea melodica con fasce grafiche, pur rendendo con più fedeltà il profilo melodico generale, contiene nel complesso, secondo Seeger, minori informazio ni di quante ne conterrebbe una trascrizione su pentagram ma della stessa melodia. Le.significative differenze tra le quattro trascri zioni di uno stesso brano, sono dovute certo in primo luogo alla inadeguatezza dei sistemi di notazione, ma anche alla diversa formazione ed interesse analitico dei
10 Kolinsky trasporta il canto allo scopo di analizzarne la struttura scalare secondo un proprio sistema analitico basato sul ciclo delle quinte (England et al. 1964: 245) Anche Bartók propo neva il trasporto di tutti i canti raccolti ad un'altezza comune (il Sol) a fini comparativi (Bartók 1955: 269).
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trascrittori. E' a causa di queste differenze - amplifica te da insufficienze semiografiche - che ciascuno di loro percepisce e sceglie di evidenziare questo o quel'aspetto del documento sonoro nella sua trascrizione. Seeger affronta di sfuggita anche un'altra questione fondamentale. Nel criticare la mancata trascrizione del testo- verbale del canto in questione, egli accenna alla importanza che ha una conoscenza approfondita dei dati contestuali nella riuscita di una trascrizione. Tanto più il trascrittore conosce una data cultura musicale, numero si esempi di quel dato canto, le circostanze in cui viene eseguito, possiede informazioni sugli esecutori, tanto più sarà capace di rappresentarne gli aspetti peculiari e fon damentali, scegliendo il sistema di notazione più adatto allo scopo. Riemerge qui una delle principali preoccupa zioni dell'etnomusicologia degli ultimi vent'anni: è necessario conoscere e comprendere il sistema culturale che ha prodotto una data musica per poter interpretare correttamente i documenti sonori.
3. Trascrizione prescrittiva o descrittiva Questa distinzione terminologica risale ad un cele bre articolo di Charles Seeger (1958) . Per lui esistono due tipi fondamentali di trascrizione, l'una contenente indicazioni per l'esecuzione (prescrittiva), l'altra che cerca di descrivere nel modo più fedele possibile ciò che si è ascoltato (descrittiva). Questa dicotomia è stata lungamente dibattuta e si ripropone anche in altre opposi zioni di termini ad essa affini: trascrizione fonetica/fonemica (Netti) schematica/dettagliata , soggettiva/oggettiva (Stockmann). Ciascuna di queste dicotomie implica sfumature differenti dello stesso problema: quanto dettagliata debba essere una trascrizione e cosa essa debba contenere. Hood (1971: 55) sostiene che la questione risale agli inizi dell'etnomusicologia, identificando due scuole: da una parte una tendenza prescrittiva della quale principali esponenti erano Hornbostel e Kunst, interessati
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a trascrivere solo le altezze principali di una melodia ed a rappresentare l'andamento melodico generale. In tempi più recenti anche Blacking ha sostenuto una posizione simile : A meno che non si stiano affrontando specificamente pro blemi di interpretazione, nostra intenzione è conoscere le costanti del comportamento del musicista e non ciò che egli fa in un'occasione particolare. I grafici dei tempi musicali e degli altri aspetti meccanici sono utili all'analisi etnomusicologica sempre che la trascrizione finale sia sintetica e comprensibile; ricordiamo, comun que, che la trascrizione va considerata soltanto una guida all'evento musicale e quindi qualcosa che si approssima al prodotto sonoro. Le quattro trascrizioni qui di seguito non rappresentano esattamente i duetti all'ocarina dei giovani Venda, ma sintetizzano il fenomeno. Non si tratta di una trascrizione dettagliata di ogni esecuzione a cui ho assistito e che ho registrato; si vuole presentare sol tanto il modello musicale cui dovrà uniformarsi ogni cop pia di ragazzi Venda che prende parte al duetto (Blacking 1959: 15; cit. da Merriam 1983 : 68) .
Una posizione diversa era sostenuta, tra gli altri, da Bartók ed Herzog, preoccupati di rappresentare nella maniera più precisa possibile dettagli melodici e ritmici. Lo stesso Hood propone un compromesso, identificando infi nite possibilità intermedie che si trovano tra i due estremi di una linea continua che va dal "Generale" allo "Specifico": la G-S line . Sta al ricercatore valutare di volta in volta quale sia il tipo di trascrizione che più si adatta agli scopi della propria ricerca e scegliere una o più collocazioni lungo questa ideale linea. A titolo di esempio, nelle figure 2a e 2b sono pro poste le trascrizioni della stessa tarantella calabrese per zampogna secondo due sistemi collocabili su posizioni diverse della linea G-S. Si tratta delle trascrizioni di Crivelli (1979: 16) e di Lortat-Jacob (1989: 154-155). Crivelli (fig. 2a) propone una trascrizione della taran tella nella quale sono annotati nella maniera più precisa possibile abbellimenti, variazioni ritmiche, gioco polifo
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nico delle due canne. Lortat-Jacob (fig. 2b) presenta invece una trascrizione nella quale sono decisamente evi denziati alcuni aspetti a suo avviso fondamentali del pro cesso esecutivo, primo tra tutti l'alternanza tra I e V grado della scala ogni due pulsazioni ritmiche. La delibe rata semplificazione ritmica rispetto alla trascrizione di Crivelli e l'uso delle barre di battuta si propongono di evidenziare questa alternanza tra I e V grado. Accanto alla trascrizione Lortat-Jacob propone anche uno schema riassuntivo dei moduli melodici del brano e delle loro possibilità combinatorie. Senza entrare qui nei dettagli esplicativi dei due criteri, appare evidente la differenza tra i due modi di trascrivere lo stesso brano. Crivelli tende verso l'ideale estremo S (specifico) della linea, in una trascrizione di tipo descrittivo. Lortat-Jacob, al contrario, si mantiene in una zona più vicina alla estre mità G (generale) fornendo una sintesi dell'esecuzione con un modello di tipo prescrittivo.
4. Bartók
Uno dei primi etnomusicologi che ha dedicato rifles sioni teoriche e pratiche al problema della trascrizione è Bartók. Nel saggio sui problemi della trascrizione egli presenta i principi generali del metodo da lui seguito. Bartók si trova immediatamente di fronte alla contraddi zione determinata dall'insufficienza del nostro sistema di grafia : La trascrizione delle registrazioni di musica popolare deve essere il più possibile fedele. Tuttavia, se si tiene presente che in genere una notazione testuale della musica (come del resto della lingua parlata) è praticamente impossibile data la scarsità di segni di cui dispone il nostro abituale sistema di simboli, si comprenderà come tanto più difficile sia annotare esattamente la musica popolare. In realtà, l'unico mezzo per fissare e riprodur re perfettamente un suono, è quello dell'incisione che il suono stesso imprime [...] nel disco (Bartók 1955: 245).
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Bartók usa il pentagramma, affiancandolo con segni diacritici integrativi che aiutino a rappresentare tratti musicali specifici della cultura tradizionale studiata. Egli rileva l'insufficienza di queste integrazioni sotto lineando allo stesso tempo un altro fondamentale problema che si deve porre colui che trascrive: Nonostante queste integrazioni, la notazione abituale, quando è impiegata per trascrivere la musica popolare, presenta limiti insormontabili. Tali limiti, però, possono in certa misura essere annullati dallo scopo che ci si propone di raggiungere con la trascrizione, e quindi dalla stessa scelta più o meno equilibrata degli obbiettivi a cui si aspira. Così non bisognerà mai aspirare di andare oltre i limiti di capacità percettiva della mente umana (id: 246) .
Emerge in questa citazione il convincimento di Bartók che la trascrizione debba sempre essere leggibile e comprensibile. Questo non deve però mai andare, secondo lui, a scapito della precisione e della accuratezza del trascrittore. Ed infatti le trascrizioni che Bartók ci ha lasciato sono di una straordinaria accuratezza e precisio ne. Questa dicotomia tra precisione e leggibilità può esser vista come un altro aspetto della dualità prescrit ti vo /de scritt ivo . E lo stesso Bartók, consapevole dell'esistenza di questo problema, propone, nelle sue ultime pubblicazioni, una propria soluzione: la doppia trascrizione. Nella fig. 3 è riprodotta una trascrizione originale di Bartók.11 Si tratta di una delle trascrizioni da lui effettuate su musiche tradizionali ungheresi regi strate nel 1937/38 negli studi della Radio Ungherese di Budapest in cui lo stesso brano vocale è trascritto in due
11 Alcune trascrizioni originali di Bartók sono riprodotte nel fascicolo allegato alla raccolta di dischi Hungarian Folk Music. Gramophone Records With Bartók's Transcriptionsf a cura di Làszló Somfai (1981) . Si tratta di una riedizione, in occa sione del centenario della nascita di Bartók, di alcune regi strazioni pubblicate nel 1939 dalla Patria Records .
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modi differenti. Bartók infatti nota, al di sotto della trascrizione estremamente dettagliata comprendente tutti gli abbellimenti, anche una "astrazione" del brano nella quale è indicata solamente la linea melodica essenziale. Questa melodia schematica, che evidenzia la struttura melodica di base, ed è facilmente rieseguibile, è notata in caratteri più piccoli. Alcuni dei segni diacritici utilizzati da Bartók sono ancor oggi largamente usati. Ad esempio, nella figura 3 egli usa frecce verticali (riga 3, batt. 2) per indicare microvariazioni di altezza. Una freccia con la punta rivolta verso l'alto indica, secondo Bartók, che il suono è più acuto dell'altezza indicata sul pentagramma, senza raggiungere il quarto di tono superiore. Al contrario, una freccia con la punta rivolta verso il basso indica che il suono è leggermente più grave. Nella trascrizione degli abbellimenti Bartók raccomanda di usare il meno possibile i segni convenzionali della tradizione occidentale (tril lo, mordente, gruppetto, etc.) che quasi mai si applicano alle musiche tradizionali, e di preferire di volta in volta la notazione esplicita di tutte le altezze e durate di un abbellimento. Un altra questione affrontata da Bartók è quella delle varianti. Sostenendo la necessità di notare diverse varianti di una stessa- melodia perchè «una data esecuzione di un canto popolare non è mai avvenuta prima e non si ripeterà mai più nella stessa forma» (id.: 267), egli segnala numerosi problemi che si trovano all'intersezione tra momento della trascrizione e momento analitico, tra i quali, ad esempio, quello di definire quando una melodia cessa di essere la variante di un' altra o quali sono le caratteristiche che rendono una melodia variante di un'altra piuttosto che una melodia distinta.
5. Integrazioni del pentagramma
Il metodo proposto da Bartók è stato usato come riferimento da numerose generazioni di ricercatori. Egli è tra i primi a porre con consapevolezza di metodo il pro
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blema dell'uso di segni diacritici per integrare il penta gramma. Il pentagramma rimane infatti il sistema di nota zione più largamente utilizzato per trascrivere documenti di tradizione orale, ma la sua inadeguatezza ha indotto gli etnomusicologi ad adottare in maniera sempre più rile vante segni diacritici integrativi della semiografia euroculta. Ad esempio, oltre alle frecce verticali usate da Bartók, sono spesso impiegate frecce orizzontali per indi care lievi variazioni di durata: una freccia con la punta rivolta verso sinistra indica che il suono sopra il quale essa è disposta è leggermente più lungo del valore di durata indicata; al contrario la punta rivolta verso destra sta ad indicare una leggera abbreviazione del valo re di durata:
Altre volte l'indicazione del metro con le barre di battuta appare forzata. In questi casi, si usa indicare la linea di battuta con una linea tratteggiata anziché conti nua oppure segnando una linea continua che attraversi solo una parte del pentagramma:
Si tratta solo di due esempi; è infatti impossibile ren dere conto della grande varietà di sistemi e segni adotta ti dai trascrittori ad integrazione del pentagramma. Ver ranno qui presentate, alcune soluzioni, raggruppate in tre tipologie principali, scelte perchè particolarmente signi ficative per gli elementi di novità che contengono'e per chè largamente usate nella pratica etnomusicologica: a) schemi e grafici aggiuntivi b) temporizzazione delle durate
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c) trascrizione durate
grafica della
linea melodica e
delle
5.1. Schemi e grafici aggiuntivi Una diffusa forma di integrazione della notazione su pentagramma è costituita dall'aggiunta di trascrizioni grafiche disposte accanto al pentagramma stesso, con la funzione di evidenziare aspetti del documento sonoro che la semiografia euroculta non può indicare. Si ha dunque l'uso concomitante di più sistemi. E' il caso, ad esempio, della trascrizione proposta da Hugo Zemp per un brano polifonico eseguito da un solista di flauto di pan delle Isole Salomone (fig. 4). Nel trascrivere questo brano melanesiano Zemp utilizza tre diversi sistemi: a) il pen tagramma occidentale integrato da indicazioni ritmiche relative alla durata del "soffio", disposto al centro della figura; b) una rappresentazione grafica degli inter valli polifonici, disposta al di sotto del pentagramma; c) uno schema che indica la corrispondenza tra suoni e canne soffiate, dando dunque informazioni sulla tecnica esecuti va e sulla morfologia dello strumento, disposta sopra il pentagramma. Si tratta di tre sistemi complementari: men tre a) e b) danno informazioni pressoché analoghe su ritmo e altezze, c) dimostra la tecnica esecutiva, rendendo com prensibile il modo nel quale viene suonato lo strumento. Le linee verticali rappresentano le canne dello strumento e le due linee di volta in volta disegnate con un tratto più spesso e marcato indicano le due canne che in quel dato momento vengono suonate. Questo sistema fornisce informazioni importanti su come lo strumento è costruito e su come viene suonato. Si può notare che le canne non sono disposte in ordine di lunghezza decrescente, ma piuttosto in funzione degli intervalli polifonici tipici di questo repertorio. Questo grafico integra quindi in modo molto efficace la rappresentazione di altezze e durate contenuta negli altri due sistemi. Zemp utilizza inoltre integrazio ni all'interno della stessa trascrizione su pentagramma, indicando con dei punti disposti al di sotto delle note la 256
durata relativa del soffio del suonatore, rendendo più evidente, così la scansione delle durate legata al respiro. Altro tipo di indicazioni aggiuntive frequentemente utilizzate sono costituite dall'inserimento di moduli sca lari o di informazioni sulla struttura formale del brano trascritto. E' il caso dei canti popolari delle Marche trascritti da Piero Arcangeli. Nella fig. 5, alla trascri zione d un canto a vatoccu, Arcangeli aggiunge di seguito alla trascrizione la rappresentazione del modulo scalare* 12
rendendo così immediatamente evidente, ad esempio, l'impianto modale del brano e le ricorrenze dei vari suoni della scala.
5.2. Temporizzazióne dalle durate
Un altra possibilità di modificare ed integrare la notazione su pentagramma è costituita dalla trascrizione temporizzata. Al di sopra del pentagramma il trascrittore segna una linea orizzontale che scorre parallelamente al pentagramma stesso, e su questa linea segna dei tratti verticali a distanza regolare che indicano i secondi:
I suoni vengono disposti sul pentagramma in corrispon denza dei rapporti di durata calcolati in tempo reale e misurati sulla linea dei secondi. Questo sistema è parti colarmente indicato per rappresentare musiche a ritmo
12 Per una descrizione del modulo scalare cfr., stesso volume, SCALA, § 10.
in questo
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libero, in cui non vi è una pulsazione regolare a cui fare riferimento, o nei quali questa pulsazione viene sospesa frequentemente come, ad esempio, in andamenti di tipo sil labico non mensurale. In questo sistema viene di solito omessa anche la divisione in battute. Mentre le altezze continuano ad essere rappresentate sui righi e sugli spazi del pentagramma, il" sistema covenzionale di notazione delle durate viene integrato o sostituito dalla scansione in secondi. Indicazioni sul "tempo reale" dell'esecuzione si aggiungono o sostituiscono alle indicazioni sul "tempo musicale". Si ha integrazione quando la trascrizione temporizzata si affianca alla convenzionale notazione delle dura te, che mantiene una funzione di riferimento, indicando particolari figurazioni ritmiche. Si ha sostituzione inve ce quando tutti i suoni disposti sul pentagramma sono uni ficaci in una convenzionale unità di durata (generalmente la semiminima) e l'unico riferimento per la durata rimane la scansione in secondi. Nella figura 6 il canto alla longa istriano 'G'ho visto delle belle è trascritto da Agamennone e Facci (1981) in quattro maniere differenti. La trascrizione in alto a sinistra usa i valori di durata convenzionali; nella parte in alto a destra della figura il canto è tra scritto secondo la trascrizione temporizzata unificando le durate al solo valore di semiminima e delegando le indica zioni di durata alla linea orizzontale dei secondi. La stessa trascrizione è riportata anche nella parte in basso a sinistra, con l'aggiunta di accenti (>) in corrisponden za degli accenti metrici del testo verbale, con l'intento di segnalare la scansione ritmica costituita dagli accenti del testo verbale. In basso a destra infine, lo stesso canto è trascritto con una notazione "mista" nella quale, pur rimanendo il riferimento temporale di base dato dai secondi, alcune figurazioni ritmiche vengono indicate anche con valori relativi di durata (semiminime e crome). Tra i vantaggi della trascrizione temporizzata vi è quello di fornire una visualizzazione spaziale precisa delle durate in musiche a ritmo libero e di consentire un'analisi dei rapporti di durata senza che essi siano 258
costretti in gruppi metrici convenzionali (duine, terzine, etc.) . La trascrizione temporizzata consente inoltre di rappresentare con maggiore precisione ed accuratezza gli abbellimenti considerati in questo modo non come un gruppo indistinto di suoni che precede o segue un suono "princi pale", ma come un insieme di suoni ciascuno con una pro pria distinta durata ed altezza. Lo svantaggio di questo tipo di notazione è di ren dere meno evidenti i rapporti relativi di durata tra i suoni, i tempi forti e deboli, l'articolazione ritmica delle melodie. Per questo motivo, accanto alla trascrizio ne delle durate in tempo reale, viene mantenuta talvolta anche la notazione con i valori tradizionali proprio per indicare in tal modo eventuali figurazioni ritmiche rego lari e loro articolazione interna. Un altro tipo di notazione mista consiste, al con trario, nel riportare solamente la durata di alcuni suoni al di fuori del metro di base del brano (in genere suoni cadenzali) indicando la loro durata in secondi. Nella figura 7, il canto a due voci 'Sotto la banchina ...' è tra scritto da Agamennone e Facci riportando in secondi sole la durata dei suoni finali, indicata dal numero posto al di sopra della linea orizzontale che segue la nota (nell'esempio 3,7" alla seconda riga e 3',8" alla quarta riga) . Questo tipo di notazione mista è particolarmente utile nel caso di suoni lunghi cadenzali che nella nota zione su pentagramma sarebbero imprecisamente rappresenta ti da punti di corona.
5.3. Grafico della linea melodica e delle durate Un altro sistema, che ha delle analogie con quello sopra descritto, ed alle volte viene combinato con esso consiste nel trascrivere la Linea melodica con una fascia grafica continua. Al posto di valori precisi, il tra scrittore dispone le altezze sul pentagramma in una linea continua. In tal modo si ottiene una rappresentazione più efficace della linea melodica, specie se essa è fortemente
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ornata o melismatica. Nella figura 7 è riportato un esem pio di questo tipo di ‘notazione tratto dalle trascrizioni di canti di venditori ambulanti della Campania (Biagiola 1979: 7). Un altro esempio è riportato nella figura 1, con la trascrizione di Garfias del canto Hukwe. Nel caso dei venditori ambulanti campani, vi è una indicazione del ritmo ancora diversa, in cui è segnalata all'inizio della riga, soltanto la durata complessiva in secondi della frase melodica. Eventuali figurazioni ritmiche all'interno del verso sono indicate da valori convenzionali (croma, semicroma) posti al disopra della linea grafica continua.
6. La notazione cifrata
Un sistema di notazione adottato per rappresentare gran parte delle musiche dell'estremo Oriente, del Sud-est asiatico ed anche dell'Africa è la cosiddetta notazione cifrata. In questo sistema le altezze sono rappresentate da numeri: ad 1 corrisponde il primo grado della scala, a 2 il seconde, e così via. Una scala eptatonica sarà notata con i numeri 1234567. Caso particolare è quello della scala pentatonica anemitonica (es. Do-Re-Mi-SolLa) che viene solitamente rappresentata con le cifre 1 2 3 5 6; l'omissione del numero 4 evidenzia l'intervallo di tono e mezzo che si verifica tra III e IV grado della scala. Le variazioni di ottava sono indicate mediante dei punti posti sopra (ottava superiore) o sotto (ottava infe riore) al numero:
ì
1
Le indicazioni ritmiche sono ottenute mediante la spa-
-J Cfr.,
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ir. questo stesso volume, SCALA, § 7.
ziatura della successione di altezze in maniera regolare se i suoni hanno identica durata corrispondente all'unità di tempo (ad esempio semiminima) . Nel caso di durate più brevi, si usano le barre di legatura della notazione tra dizionale, vale a dire si pone un trattino orizzontale sopra due suoni per indicare due crome, due trattini per delle semicrome, etc. :
12
3 4
Le durate più lunghe dell'unità metrica di riferimento vengono indicate da dei punti disposti a distanza regolare a destra del suono:
(1/4) (2/4) (3/4) (4/4)
1 1 1 1
Anche in questa notazione, a seconda del tipo di musica trascritta, gli etnomusicologi impiegano segni dia critici "ad hoc" per indicare abbellimenti o particolari modalità d'esecuzione. Ad esempio, la terzina è indicata con il sistema tradizionale euroculto: 3 1 2 1
La percussione immediatamente smorzata di una lamina di metallofono, tipica della musica giavanese e balinese, è indicata invece da una barra trasversale sovrapposta al numero:^ • La legatura nell'esecuzione di uno strumento
ad arco, è notata con un segno di legatura disposta sotto ai suoni legati: 12 16
5
Nella figura 9 è riportata una trascrizione in nota 261
zione cifrata del brano giavanese 'Ladrang Sri Redjeki' (Hood 1988: 321). Si possono rilevare i diversi valori ritmici: semiminime, crome e valori più lunghi. I suoni sono raggruppati in gruppi di quattro cifre corrispondenti ad unità formali. Fra i particolari segni diacritici uti lizzati nella notazione della musica giavanese vi sono parentesi ed accenti circonflessi che, alla fine di ogni riga corrispondono ai principali accenti della struttura formale ritmica: la parentesi rappresenta il suono del grande gong che marca la fine di ogni ciclo ritmico; l'accento circonflesso rappresenta invece il suono di un gong di minori dimensioni (kenong) che scandisce accenti secondari del ciclo. La trascrizione in notazione cifrata comporta indubbi vantaggi, ad esempio quando la scala non è ad intonazione fissa (è il caso di numerose musiche del Sud-est asiatico). Altro vantaggio di questa notazione è di essere immediatamente comprensibile a chi non è musici sta ed a musicisti che non conoscono la notazione occiden tale. Inoltre, pur essendo dettagliata nelle sue indica zioni, la notazione cifrata è meno "eurocentrica" e condi zionata dalla semiografia colta occidentale. Altri esempi di notazione cifrata sono stati elabo rati per la trascrizione del ritmo, specialmente per la musica africana. Ad esempio, Gerhard Kubik utilizza un sistema di notazione del ritmo che rappresenta i colpi delle percussioni con una X e la loro durata in pulsazioni con ug^punto • . Una tipica formula ritmica africana di dodici pulsazioni viene rappresentata nel modo seguente:
x.x.xx.x.x.x oppure, un'altra formula:
•
X
•
X
.
.
X
.
X
.
X
.
da Kubik (1983: 77)
Un sistema molto più complesso è stato elaborato da Koetting (1970) per la notazione di brani eseguiti da orchestre di tamburi dell'Africa occidentale. Nella fig. 10 è riportata la trascrizione di un brano per 5 strumen ti: gong, sonaglio e tre tipi di tamburo. Il sistema pre vede una griglia in cui ciascuna casella corrisponde alla 262
pulsazione di base. Le caselle vengono "riempite" con appositi segni che contraddistinguono diversi modi di per cuotere gli strumenti (distinguendo se con la mano o con una bacchetta)' quando lo strumento è suonato in corrispon denza di quella data pulsazione. La linea verticale più marcata corrisponde alla fine di un ciclo ritmico; la notazione di un suono sulla linea di divisione delle caselle indica una suddivisione della pulsazione di base. Si tratta di una sorta di intavolatura molto detta gliata che consente di avere allo stesso tempo una tra scrizione ritmica e timbrica del gioco di percussioni.
7. Sistemi di notazione tradizionali
Alcune culture orientali hanno elaborato sistemi di notazione per rappresentare la propria musica. Non si tratta in questo caso di sistemi di trascrizione, ma di' veri e propri sistemi di notazione elaborati per specifici repertori e tradizioni musicali^ Questi sistemi si affian cano in genere alla tradizione orale e vengono impiegati in prevalenza come supporto per la memoria o a fini didat tici . E' il caso delle culture musicali dell'Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea) che adottano sistemi di notazione di tipo neumatico o intavolature per strumenti a corda. Si tratta prevalentemente di notazione ad uso didattico o di supporto per la memoria, più che una nota zione "letta" durante l'esecuzione. Particolarmente signi ficativo è lo sviluppo della notazione per la cetra eh'in, lo strumento principale della tradizione classica cinese. Nella notazione per questo strumento i simboli non indica no tanto le note, quanto il modo nel quale un suono è pro dotto. I simboli, costituiti da combinazioni di più carat teri della scrittura cinese, sono denominati chien-tzu. Nella fig. 11 è raffigurato un esempio di notazione di una melodia tradizionale cinese (van Gulik 1940: 133) . La notazione si legge dall'alto in basso e da destra a sini stra; la melodia è suonata in armonici ed ha una intesta zione nella quale si afferma che: 'gli armonici debbono
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essere suonati con sincerità, poiché solo in questo modo il significato della melodia sarà pienamente espresso' Van Gulik fornisce una traduzione in linguaggio occidentale della partitura: The left middle finger touches I on 9, while the middle finger pulls the string inwards. The left thumb touches VI on 9, while the right pulls it outward. The left middle finger touches II on 9, the middle finger pulls it inward. The left thumb touches VII on 9, the right pushes it outward. The left index moves lightly over VII-II, the middle finger simultaneously executes k'un (van 1940: 144),14
right
thumb right
thumb right Gulik
E' qui riportata l'interpretazione dei soli primi cin que segni della notazione della figura 11. Il termine' K'un indica un rapido scorrere del dito - generalmente della mano destra - sulle corde vuote. Nell'intavolatura sono riportate anche indicazioni ritmiche molto generali, costituite da segni di interpunzione, che corrispondono all'incirca a dei segni di battuta. Si può chiaramente rilevare nell'esempio proposto che questo tipo di notazione privilegia gli aspetti tim brici dell'esecuzione, seguendo in ciò il carattere della musica per eh'in e più in generale cinese. In un solo segno, sono fornite informazioni su quale delle corde vada pizzicata, con quale dito e se verso l'esterno o verso il corpo del suonatore; il simbolo può inoltre indicare se la
14 [Il dito medio della mano sinistra tocca I su 9, mentre il dito medio della mano destra tira la corda verso l'interno. Il pollice sinistro tocca VI su 9, mentre il pollice destro lo spinge verso l'esterno. Il medio sinistro tocca II su 9, il medio destro tira verso l'interno. Il pollice sinistro tocca VII su 9, il pollice destro spinge verso l'esterno. L'indice sinistro si muove lievemente su VII-II, il medio destro esegue simultaneamente k'un]. I numeri romani indicano le corde, men tre i numeri arabi corrispondono alla posizione in cui la corda viene tastata.
264
corda vada stoppata con la mano sinistra, con quale dito, e se suonare in "armonici". In generale, la notazione estremo-orientale privilegia dunque aspetti riguardanti timbro e modalità di esecuzione, solitamente trascurati dalla notazione occidentale nella quale, al massimo, ven gono fornite indicazioni dinamiche e sulla diteggiatura. Si tratta di un esempio significativo che dimostra come, a seconda della importanza attribuita da una cultura a determinati elementi musicali, un sistema di notazione possa contenere informazioni omesse in altri sistemi, e viceversa. Il caso della notazione adottata alla corte giavane se è differente. La notazione è qui usata solo come mezzo di documentazione, mai per la esecuzione. Si tratta di un mezzo per fissare sulla carta dei nuclei tematici che ser vono come base per l'improvvisazione. Nella figura 12, è riportata una di queste partiture conservate nel palazzo del sultano di Jogyakarta (Kunst 1973: 493) . Il senso di lettura è da sinistra a destra e dall'alto in basso. I gruppi di linee verticali indicano le sette lamine del saron, metallofono con funzione di eseguire il nucleo te matico; la lamina più acuta è notata sulla linea all'e strema destra. Le linee orizzontali corrispondono invece alle pulsazioni ritmiche, suddivise in gruppi di 4 con ac cento sull'ultimo suono. I suoni della melodia sono rap presentati dai cerchietti disposti all'intersezione di li nee verticali ed orizzontali. A sinistra delle linee è in dicato il ciclo dei gong, mentre a destra vi sono sommarie indicazioni sulle formule ritmiche da eseguire al tamburo. La melodia della colonna a sinistra, costituente l'introduzione strumentale (Boeboekà) può essere trascrit ta in notazione cifrata nel modo seguente:
6 12 3
.2.1
.2.3
.166
8. Trascrizione e analisi Il confine tra il momento della trascrizione e quel lo dell'analisi è alle volte molto incerto. Abbiamo visto
265
che le scelte del trascrittore sono determinate in buona parte dalle finalità analitiche che egli si propone (§3). Nel momento della visualizzazione, ad esempio, il tra scrittore opera una scelta (implicita, od esplicita) su come segmentare il documento sonoro che sta trascrivendo, fornendo un primo livello di analisi formale. Un passo esplicito particolarmente importante in questo senso è la cosiddetta trascrizione sinottica proposta da Bràiloiu (1982) che consiste nel trascrivere, incolonnandoli, seg menti ritmicamente o melodicamente simili di uno stesso brano. Con tale procedimento vengono evidenziate graficamente similitudini tra parti di un brano anche non imme diatamente successive l'una all'altra. La trascrizione sinottica è stata ripresa da numerosi altri etnomusicolo gi, soprattutto in Francia15, ed ha avuto una sistemazione teorica più rigorosa con l'elaborazione del metodo para digmatico proposto da Ruwet (1983) e sviluppato da Nattiez (1975). Questo metodo prevede che segmenti melodico-ritmici vengano incolonnati in base al criterio specifico della 'ripetizione' . Un tale tipo di notazione, che si legge regolarmente da sinistra a destra e dall'alto in basso, genera delle trascrizioni in cui sono presenti numerosi spazi bianchi risultanti dall'incolonnamento di segmenti uguali o simili. Questi "vuoti" non vanno presi in consi derazione nella lettura. Nella figura 13 è riportata la trascrizione secondo il metodo paradigmatico del Geisslerlied tedesco del XIV secolo 'Marie muoter reinù malt', proposta da Ruwet (1983: 102) . La figura evidenzia la struttura formale del brano determinata dalla ripetizione di segmenti melodici. Senza soffermarmi su questo pur importante aspetto della tra scrizione sinottica e del metodo paradigmatico, già trat tato del resto in altra parte del volume16, vorrei sola mente ribadire la stretta connessione che si crea in que sto tipo di trascrizione tra momento della trascrizione e momento analitico.
15 Fra gli altri, Arom (1969) e Rouget (1989) 16 Cfr., in questo stesso volume, MELODIA, § 2.4.
266
Non è naturalmente il solo caso in cui la trascri zione costituisce di fatto un momento di analisi. Un momento di "astrazione" analitica è, ad esempio, l'inseri mento nella trascrizione del modulo scalare, (come nel caso della fig. 5, od anche il trasporto di più brani ad un tonus finalis comune a fini comparativi (il sol tonus finalis comune proposto da Bartók). Talvolta ancora vengo no aggiunte alla trascrizione indicazioni a margine sulla struttura formale mediante lettere maiuscole e minuscole. Ad esempio, nella figura 2a il trascrittore Crivelli indi ca, con le lettere A, A', A", etc. che la struttura forma le del brano è del tipo iterativo-microvariato. Altre volte ancora il trascrittore, spingendosi oltre nel pro cesso di astrazione e- modellizzazione, può proporre una formalizzazione schematica del documento trascritto, evi denziandone le caratteristiche formali. In questo momento, solitamente successivo alla trascrizione dettagliata di altezze e durate, la notazione indica semplicemente i rap porti tra diverse parti di un brano. E' il caso ad esem pio, del modello proposto da Giannattasio per il Ballo di Villanova in Sardegna, eseguito all'organetto (figura 14). Le lettere corrispondono alle differenti sezioni formali del brano ciascuna caratterizzata da diversi profili melodico-ritmici. Le frecce indicano i rapporti di possibile concatenazione-successione delle diverse parti. Vi è un numero altissimo di successioni, anche se non tutti i per corsi sono possibili. Ad esempio, dopo aver eseguito la sezione B il suonatore potrà eseguire la sezione A', E o B', ma dopo la sezione D potrà solamente eseguire B. E' questo un tipo di trascrizione idealmente molto vicino alla estremità G della linea G (enerale)-S(pecifico) citata in precedenza (§ 3). Si tratta di un generale coin cidente con un modello analitico che presuppone uno studio dettagliato e specifico del documento. La trascrizione diventa parte dell'analisi ed il tipo di trascrizione scelto è determinato dalle caratteristiche del documento che l'analisi evidenzia.
267
9. Trascrizione con ausilio di strumenti elettroacustici ed elettronici
Una questione lungamente presente nel dibattito sulla trascrizione è quella dell'uso di strumenti elet troacustici ed elettronici. Fin dal 1928, con lo studio di Metfessel sul canto degli afroamericani, la strumentazione elettroacustica si è rivelata di fondamentale importanza per la percezione di elementi quali abbellimenti, timbro, intonazione, altezze difficilmente determinabili, ritmi liberi. Il sogno dell'etnomusicologo di avere a disposi zione un trascrittore automatico nel quale immettere un esempio registrato e dal quale ricavare una trascrizione rimane ancora tale. Tuttavia, l'utilizzazione di strumenti elettroacustici di analisi nella ricerca ha consentito di analizzare e soprattutto di visualizzare aspetti del suono che non è possibile rilevare e notare altrimenti, se non in maniera imprecisa. Uno dei pionieri della ricerca in questo campo fu Charles Seeger (1951; 1957), che progettò e diresse la costruzione di tre successive versioni del Seeger Melograph, presso la University of California at Los Angeles (UCLA). Con questa apparecchiatura era possi bile ottenere una misurazione relativamente precisa dell'altezza di un suono, il suo spettro (numero e relati va intensità dei suoni armonici), e l'inviluppo dell'intensità, costituito dall'ampiezza della forma d'onda sviluppata nel tempo. Inoltre il Melograph forniva il sonagram, vale a dire una rappresentazione dello spet tro nel tempo, in cui con una opposizione di colore bianco/nero il suono fondamentale e gli armonici venivano indicati con le rispettive frequenze. Il maggiore o minore contrasto del segno indicava la maggiore o minore inten sità relativa del suono fondamentale e degli armonici. Come si può immaginare, si trattava di una rappresentazio ne del suono molto dettagliata. Nella figura 15 è riportato un sonagram tratto da un canto dei monaci buddisti tibetani, sotto il quale è posta una trascrizione su pentagramma dello stesso brano. L'esempio dimostra come il sonagram possa rappresentare alcuni stili musicali con maggiore efficacia dei sistemi 268
di notazione tradizionali. Se si confrontano infatti i due sistemi di rappresentazione: sonagram e pentagramma, risulta evidente quanto più adeguata sia in questo caso la rappresentazione del suono che viene fornita dal sonagram rispetto a quella su pentagramma. Il continuo glissato di altezze e dinamico del canto è rappresentato molto più efficacemente dalla linea continua del sonagram, più o meno spessa a seconda dell'intensità del suono, rispetto ai rigidi valori di durata e di altezza fissati sul penta gramma . Negli ultimi anni gli strumenti elettroacustici hanno ceduto il passo al computer che ha consentito l'ulteriore sviluppo di sistemi di analisi. Oggi l'enorme diffusione del personal computer e la sua sempre maggiore potenza favoriscono lo sviluppo di sistemi di analisi a basso costo sempre più accessibili al singolo ricercatore, consentendo di superare una delle maggiori difficoltà nell'uso di strumenti elettroacustici ed elettronici di analisi. Un ultimo accenno infine merita la possibilità che questi strumenti offrono di analizzare e notare i timbri. Nella figura 16, è illustrata una ricerca timbrica sul suono di strumenti ad ancia doppia (Giuriati 1987-88: 18) Si tratta di una figura composita in cui sono riportati diversi aspetti del suono di uno shanai indiano analizzato al computer. Nella parte in alto a sinistra si trova il sonagram di circa 3 secondi del suono dello strumento. Il suono è analizzato in tre differenti modi: nella parte inferiore è rappresentata l'ampiezza della forma d'onda, nella parte centrale si trova il sonagram vero e proprio con la rappresentazione dello spettro nel tempo e nella parte superiore è riportata e misurata J'altezza (frequen za) della linea melodica. La figura in basso a sinistra riporta un ingrandimento dell'ampiezza e melodia all'attacco del suono, considerata una fase cruciale per il riconoscimento del timbro di uno strumento. Si può osservare il comportamento di intensità e frequenza nel primo 1/2 secondo di suono. A destra è riportato lo spetto del suono quando esso si è stabilizzato. Ipotesi della ricerca qui presentata è che questo insieme di analisi.
269
possano rappresentare una sorta di "impronta sonora" che caratterizzi univocamente lo shanai fra diversi tipi di strumenti ad ancia doppia. Vi sono oggi numerose ricerche 1 7 che si sviluppano su aspetti timbrici, che solo analisi al computer consentono di affrontare. Scriveva Bartók: Nella trascrizione di musica popolare si possono prendere in considerazione soltanto due dimensioni: l'altezza del suono (cioè quella verticale) e il ritmo (cioè quella orizzontale). La terza dimensione, che riguarda l'espres sione e il colore, può benissimo essere scartata. Non abbiamo infatti segni sufficientemente esatti per indicare l'espressione (salvo i noti ma generici segni dinamici), e assolutamente nessuno per dare l'idea del colore (timbro). (Bartók 1955: 246)
Alla luce delle analisi acustiche al computer queste affermazioni possono essere riconsiderate. Ciò che Bartók dichiarava impossibile, oggi può essere tentato.
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274
Ethnomu
Figura 1 Comparazione di 4 trascrizioni di un passaggio di un canto Hukwe (trascr. tratta da England et al. 1964: 274)
275
*1)
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Figura 2a Tarantella Crivelli 1979: 15)
276
calabrese per zampogna
(trasar.
Figura
2b Tarantella
calabrese per zampogna
(trasex.
Lortat-Jacob 1989: 154-55))
277
Figura 3 Trascrizione originale di Bartók dello stesso brano nelle versioni schematica e dettagliata (Somfai 1981: 11)
278
Figura 4 Trascrizione grafica e su pentagramma di un brano solistico per flauto di Pan delle isole Salomone, (trascr. Zemp 1981: 8)
279
Figura 5 Canto ’a vatoccu' delle Marche, con modulo scalare aggiunto alla trascrizione (trascr. Arcangeli 1982:8)
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Figura 6 Quattro diversi tipi di trascrizione ritmica di un canto istriano a due voci (trascr. Agamennone e Facci 1982: 102)
281
Esempio 7 Sotto la banchina... /vf + vf/14,3 sec./soP = mi3.
Figura 7 Traacrizione parzialmente temporizzata di un canto a due voci (traacr. Agamennone e Facci 1982: 97)
282
AI. 1) Stocco, saràche, alici vm; Afragola (Na); 29.12.1975; Antonio Coppeda 31; reg- Sandro Biagiola.
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Figura. 8 Rappresentazione grafica della melodia di un canto di venditori ambulanti della Campania, (traacr. Bia giola 1979: 7)
283
602 "Ladrang Sri Redjeki pélog pathet nem
1 6 1 2 16 12 2 12’ 2 3 2 1
(5) 16 3 5 16 3 5 2 1 2 ■ 2(1)
■ ■ 11 3 2 1 ■ 55 5 6 1 6
2 ■ 1 2
1 2 6 5
■ 55 555 ■ 6 2 1 3 2 1 2 24562421 2456242J. 24562421_ 24562421 2 3 2 1 1 6 1 2 1 6 1 2 2 1 2 • 2 3 2 1
3 1 6 1
2 ì
6 5 5 3 6(5)
5 5 6 ì • • 2 ì ■ 1 6 5 2456516(5) 24565465 2J565463 24565465 3 2 6(5) 1 6 3 5 1 6 3 5 2 1 2 ■ 3 2 6(5)
Fig. 9 Trascrizione in notazione cifrata della melodia fissa del brano "Ladrang Sri Redjeki della tradizione di corte giavanese (Hood 1989: 321)
284
Fig. 10 Trascrizione cifrata dell 'Africa occidentale (trascr. 1971:240)
di un brano poliritmico Koetting ; cit. in Bood
285
Figure XV.
*
Figure XVI.
Two passages from the Wu-chih-chai handbook.
Fig. 11 Esempio di notazione (Van Gulik 1938-40: 133)
286
tradizionale per ch'in
GENPING GUNUNGSARI; KENpANGAN KETAWANG KENDANG 2 >); PATET *) MANYURA
Fig. 12 Notazione (Kunst 1973: 493)
tradizionale
di
corte
giavanese
Fig. 13 Trascrizione secondo il modello paradigmatico del Geisslerlied ,XIV secolo (Ruwet 1982: 102)
287
Fig. 14 Modello del Ballo di Villanova per organetto (Giannattasio, Lortat-Jacob 1982: 29)
288
289
SHANA I
IM) IA
. Fig. 16 "Impronta vocale" di Shanai grani, inviluppo e profilo melodico dexx spettro (Giuristi 1987-88: 18)
290
indiano con sonao deJ fiu
[email protected]
ISBN 88-7119-316-4