Gli occhi della pelle. L'architettura e i sensi 8816407727, 9788816407725

L'architettura ha la capacità di coinvolgere, ispirare, accogliere e promuovere l'esistenza umana in tutte le

246 79 2MB

Italian Pages 90 [91] Year 2007

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Gli occhi della pelle. L'architettura e i sensi
 8816407727, 9788816407725

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

SAGGI DI ARCHITETTURA Unanime è ormai la consapevolezza che l'architettura moderna ha acquisito una dimensione storica; che essa ci ha fornito un'immagine chia­ ra e insieme complessa di noi stessi, come uomini contemporanei; che la varietà dei suoi manufatti - dagli oggetti d'uso quotidiano agli ambienti più vasti- tesa dall'inizio ad una moralità egualitaria e democratica, è con­ nessa ad un'unica volontà di costruzione di un nuovo ambiente umano, come supporto indispensabile ad una migliore vita comune.

È

al tempo stesso unanime il disagio di fronte alla compattezza delle

ipotesi interpretative che ne hanno definito la configurazione da un secolo a questa parte: le discipline di un progetto, l'architettura in senso stretto, il design, l'urbanistica e la pianificazione territoriale, la storia e la storia­ grafia di ognuno di questi ambiti hanno davvero fatto riferimento ad una unità di meto do alle varie scale e ad una unità di intenzioni e di ipotesi cul­ turali? Che ne è oggi di tale unità conclamata nel notissimo slogan di Muthesius «dal cucchiaio alla città»? Che è accaduto di quella moralità che contribuiva al processo formativo con una tensione singolarmente interna­ zionale? Che ne è della complessità e contraddizione che i fatti, gli oggetti e gli avvenimenti del mondo del design, dell'architettura, delle discipline territoriali del nostro secolo hanno trascinato con sé, convivendo - in opposizione o assimilazione- con analoghi episodi della più antica tradi­ zione? Che ne è di quel rapporto tra la storia e la ricca fenomenologia del moderno, così cristallinamente negativo in un primo momento? Questa serie di scritti di architettura si era aperta anni fa articolandosi in fonti ed opinioni; il rapido mutare dei tempi indica la necessità di un allargamento al design, alle monografie, a fatti meno facilmente classifica­ bili entro serie ragionate di argomenti. Rimane comunque valida l'ipotesi di partenza: è ancora tempo di esplo­ razione e di diffusione al più vasto pubblico dei fatti dell'architettura; è ancora tempo che urge chiarificazioni, effettivo lavoro culturale oltre il chiuso dei recinti ideologici o di una riduttiva pratica professionale; è ancora tempo di dar corpo e materia consistenti allo sforzo interpretativo in atto, che vede al centro il mestiere dell'architetto, la sua pregnanza, i suoi modi di alimentazione. Resta tuttora necessaria soprattutto la costituzione di un catalogo ragio­ nato e a più mani dei percorsi che si sono compiuti in questi ultimi cento­ cinquant'anni, per ricostruire l'humus vitale nel quale i più recenti indiriz­ zi possano trovare profondità di storia e spessore di cultura. Maria Antonietta Crippa

Jauhani Pallasmaa GLI OCCHI DELLA PELLE L'ARCHITETTURA E I SENSI

Prefazione di

Steven Holl

l\

Jaca Book

\l

Titolo originale

The Eyes o/ the Skin. Architecture and the Senses Traduzione dall'inglese Cristina Lombardo

©2005 John Wiley & Sons Ltd, The Atrium, Southern Gate, Chichester, West Sussex P019 8SQ, England seconda edizione

©2007 Editoriale Jaca Book SpA, Milano tutti i diritti riservati Prima edizione italiana maggio 2007 In copertina Antoni Gaudi, Casa Milà, Barcellona, 1906-1910, particolare della struttura interna del sottotetto (in]. Berg6s i Masso, Gaudf. I:uomo e l'opera,

foto di Mare Llimargas, Jaca Book, Milano 1999)

Redazione e impaginazione Gioanola Elisabetta, San Salvatore Monferrato

(Al)

ISBN 978-88-16-40772-5 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA- Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano, te!. 02/48561520-29, fax 02/48193361 e-mail: [email protected]; internet: www.jacabook.it

INDICE

Prefazione: Ghiaccio sottile, di Steven Hall Introduzione: Toccare il mondo

PARTE PRIMA

7 11

21

Visione e conoscenza Critica dell'oculocentrismo L'occhio narcisistico e l'occhio nichilista

28

Spazio orale contro spazio visivo Architettura retinale e perdita di plasticità

33 36

Un'architettura di immagini visive

40

23 32

Materialità e tempo

43

Il rifiuto della finestra di Alberti

45

Una nuova visione e un nuovo equilibrio sensoriale

47

PARTE SECONDA

Al centro, il corpo Esperienza multisensoriale L'importanza dell'ombra

51 54 56 62

5

lndtce

Intimità acustica

65

Silenzio, tempo e solitudine Gli spazi del profumo La forma del tatto Il sapore della pietra Immagini muscolari e ossee Immagini di azione

68 70 73 75 77 79

Identificazione corporea Mimesi del corpo Spazi di memoria e immaginazione Un'architettura dei sensi Il compito dell'architettura

6

82 83 85 87 89

Prefazione GHIACCIO SOTTILE di

Steven Hall

Seduto a scrivere questa nota in una piovosa New York City, pensando alla neve fresca e bianca appena caduta a Helsinki e al ghiaccio sottile della prima stagione, mi tor­ navano alla mente episodi del freddo inverno finlandese, quando ogni anno, sul ghiaccio spesso dei laghi del Nord, si improvvisano scorciatoie. Mesi dopo, il ghiaccio comin­ cia a farsi più sottile e, se qualcuno s'arrischia a guidare sul lago, sono guai. Immagino quell'ultimo sguardo alle fendi­ ture del ghiaccio, coperte dall'acqua gelida e scura che sale mentre l' auto affonda. La Finlandia è una bellezza tragica e misteriosa. Juhani Pallasmaa e io cominciammo a concentrarci in­ sieme sulla fenomenologia dell'architettura nel corso del mio primo viaggio in Finlandia per l'Alvar Aalto Symposium, a Jyvaskyla, nell'agosto del1 991 . Nell'ottobre del1 992 ci incontrammo ancora a Helsinki, mentre mi trovavo lì a preparare il concorso per il Museo d'Arte contemporanea. Ricordo una conversazione sugli scritti di Merleau-Ponty e su come si possano interpretare o riferire alla sequenza spaziale, all'intreccio, al materiale e alla luce, secondo l'esperienza dell'architettura. Ricordo 7

Gli occhi delia pelle

che ne parlammo durante un pranzo, sottocoperta, den­ tro un 'imponente barca di legno ancorata nel porto di Helsinki. Conosco l'architettura di Juhani Pallasmaa, a partire dagli splendidi ampliamenti museali di Rovaniemi fino alla sua casa di legno estiva su un bellissimo isolotto di roccia nell' a r ci pel ag o di Turku, nel Sud-Ovest della Finlandia. La percezione degli spazi, del suono e del profumo di questi luoghi è importante quanto il modo in cui le cose appaio­ no alla vista. Pallasmaa non è solo un teorico; è un brillante architetto della percezione fenomenologica. Pratica quel­ l' architettura dei sensi che sfugge all'analisi, le cui proprie­ tà fenomeniche condensano i suoi scritti verso una filosofia dell'architettura. Nel1993 , a seguito di un invito di Toshio Nakamura, la­ vorammo insieme ad Alberto Pérez-G6mez alla realizza­ zione del libro Questions o/ Perception. Phenomenology o/ Architecture. Qualche anno dopo, trovandone le tesi im­ portanti e comprovate anche da altri architetti, l'editore di Tokyo A+U, decise di ripubblicare il piccolo libro The Eyes o/ the Skin. Gli occhi della pelle di Juhani Pallasmaa, sviluppatosi da Questions o/ Perception, è un solido e chiaro intervento riguardo alle cruciali dimensioni fenomenologiche dell'e­ sperienza umana in architettura. Era dai tempi di Experiencing Architecture (1959) del­ l' architetto danese Steen Eiler Rasmussen che non usciva un testo altrettanto chiaro e succinto, che possa servire agli studenti e agli architetti in un'epoca così critica nello svi­ luppo dell'architettura del XXI secolo. Il visibile e l'invisibile, il libro che di Merleau-Ponty stava scrivendo quando morì, contiene un capitolo sbalor­ ditivo: «L'Intreccio - il Chiasmo» (è proprio da lì che presi il nome che avevo dato al concorso per il Museo d'Arte 8

Prefazione

contemporanea a Helsinki - Chiasmo fu cambiato con Kiasma, perché in finlandese non esiste la C) . Nel testo del capitolo sull' «Orizzonte delle cose», Merleau-Ponty scris­ se: «Come il cielo e la terra, l'orizzonte non è una collezio­ ne di cose terrene, o un titolo di classe, o una possibilità logica di concezione, o un sistema di 'potenzialità della coscienza' : è un nuovo tipo d'essere, un essere di porosità, di pregnanza o di generalità [ ] »1. Il primo decennio del XXI secolo è il momento in cui simili riflessioni superano l'orizzonte per introdursi «sotto pelle». Nel mondo in cui viviamo, i beni di consumo, ali­ mentati da tecniche pubblicitarie iperboliche, hanno il fine di soppiantare la nostra coscienza disperdendo la nostra capacità di riflessione. Come pure oggi, in architettura, si è fatta iperbolica l'applicazione di tecniche digitali nuove e sovrastimate. L'opera di Pallasmaa evoca, su quest' oppres­ sivo rumore di fondo, una solitudine e un proposito indi­ cativi quella che lui una volta chiamò l' «architettura del silenzio»2. La farò leggere ai miei studenti, perché rifletta­ no sul «rumore di fondo». Oggi, la profondità di quello che siamo poggia su ghiac­ cio sottile. . . .

-

Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l'invisibile, Bompiani, Milano 1 64 . 2 Juhani Pallasmaa, Architecture du Silence, Musée Finlandais d'Archi­ tecture, Helsinki 1 994 .

2003 , p.

9

Introduzione TOCCARE IL MONDO

Nel 199 5, gli editori dell'Academy Editions di Londra mi chiesero di scrivere un volume per la loro collana «Polemics», un saggio di 32 pagine su un tema che mi parve pertinente al dibattito sull'architettura in corso in quegli anni. Il risultato - la mia piccola opera The Eyes o/ the Skin. Architecture and the Senses- fu pubblicato l'anno successivo. La seconda parte del manoscritto riprendeva le idee di fondo da un mio saggio intitolato An Architecture o/ the Seven Senses, pubblicato da «Architecture+Urbanism», Questions o/ Perception (luglio 1994), numero speciale della rivista sul lavoro architettonico di Steven Holl, che comprendeva anche saggi dello stesso Holl e di Alberto Pérez-G6mez. Qualche tempo dopo, nel giugno del199 5, una lezione tenuta durante un seminario sulla fenomenologia dell' ar­ chitettura all'Accademia Reale danese di Belle Arti, a Co­ penaghen, cui partecipavano i tre autori di Questions of Perception, mi offrì gli argomenti di base e i riferimenti per la prima parte. Un libro semplice, che - cosa che in parte mi sorprese 11

vu

occm

aeua pelle

fu accolto molto bene e divenne lettura obbligatoria nei corsi di teoria architettonica in molte scuole d'architettura in tutto il mondo . Di conseguenza, l'edizione si esaurì in fretta, e il libro, negli anni seguenti, continuò a circolare in innumere­ voli fotocopie. Il saggio polemico era da principio basato su esperienze, punti di vista e riflessioni personali. Ero sempre più preoc­ cupato di fronte alla pregiudiziale in favore della vista e alla soppressione degli altri sensi nel modo in cui l'architettura era concepita, insegnata e criticata, e dalla conseguente scomparsa di qualità sensoriali e sensuali in arte e in archi­ tettura. Nei dieci anni che seguirono l'uscita del libro, l'interes­ se verso il significato dei sensi crebbe considerevolmente sia dal punto di vista filosofico, sia in termini di esperire, fare e insegnare architettura. Le mie convinzioni sul ruolo del corpo come luogo di percezione, pensiero e coscienza, e sulla rilevanza dei sensi nell'articolare, conservare e ana­ lizzare i responsi sensoriali e i pensieri, si erano nel frat­ tempo rafforzate e confermate. Col titolo Gli occhi della pelle volevo esprimere la por­ tata del senso del tatto nella nostra esperienza e nella nostra comprensione del mondo, ma intendevo anche creare un cortocircuito concettuale tra il senso dominante, la vista, e la modalità sensoriale soppressa, il tatto. Scrivendo il testo originario mi fu chiaro che la nostra pelle è effettivamente in grado di distinguere un certo numero di colori; noi, con la pelle, vediamo1. Il primato del tatto ha acquisito evidenza sempre mag-

1

James Turrell, Plato's Cave and Light Within, in Mirko Heikkinen (a cura di) , Elephant and Butter/ly. Permanence and change in architecture. 9th Alvar Aalto Symposium, Jyvaskyla 2003 , p. 144. 12

lntroduzlOne

giore. Inoltre, mi sono interessato del ruolo della visione periferica e sfocata nell'esperienza vissuta del mondo, non­ ché nella nostra esperienza di interiorità negli spazi che abi­ tiamo. L'essenza più autentica dell'esperienza vissuta è modulata dalla tattilità e da una visione periferica non foca­ lizzata. Mentre la visione focalizzata ci contrappone al mon­ do, la visione periferica ci involge nelle fibre del mondo. Accanto alla critica all'egemonia della visione, abbiamo bi­ sogno di riconsiderare l'essenza stessa della vista. Tutti i sensi, vista compresa, sono estensioni del senso del tatto; i sensi sono specializzazioni del tessuto epidermi­ co, e tutte le esperienze sensoriali sono modi di toccare e, quindi, sono legate alla tattilità. Il nostro contatto col mon­ do avviene sulla linea di demarcazione del sé attraverso parti specializzate della membrana che ci avvolge. Il punto di vista dell'antropologo Ashley Montagu, ba­ sato sull'evidenza medica, conferma la predominanza del regno tattile: [La pelle], il primo a formarsi e il più sensibile dei nostri organi, il nostro primo mezzo di comunicazione e anche il più efficiente dei nostri mezzi di protezione [. .. ]. Perfino la cor­ nea, trasparente, è coperta da uno strato di pelle, seppur

diverso. [. ] ll tatto è padre di occhi, orecchie, naso e bocca. È il senso che si è poi differenziato negli altri, evento che spie­ . .

ga l'antica definizione del tatto come «padre di tutti i sensi»2•

Il tocco è la modalità sensoriale che integra l'esperienza che abbiamo del mondo con quella che abbiamo di noi stessi. Perfino le percezioni visive sono fuse e integrate in un continuum tattile del sé; il mio corpo ricorda chi sono e 2

9.

Ashley Montagu, Il linguaggio della pelle, A. Vallardi, Milano 1 989,

13

p.

Gli occhi

della pelle

dove sono nel mondo. Il mio corpo è il vero e proprio om­ belico del mio mondo, non nel senso del punto di vista del­ la prospettiva centrale, ma come vero luogo di riferimento, memoria, immaginazione e integrazione. Chiaramente, un 'architettura che «accresca la vita»3 deve rivolgersi a tutti i sensi contemporaneamente e fonde­ re l'immagine che abbiamo del sé con la nostra esperienza del mondo. Il compito primo dell'architettura è accomo­ dare e integrare. L'architettura articola le esperienze del­ l'essere-nel-mondo e fortifica il nostro senso della realtà e del sé; è l'architettura che ci consente di non abitare un mondo di pura artificiosità e fantasia. Il senso del sé, rafforzato da arte e architettura, ci per­ mette di dedicarci pienamente alle dimensioni mentali del sogno, dell'immaginazione e del desiderio. I palazzi e le città offrono l'orizzonte per la comprensione e il confronto della condizione esistenziale umana. Invece di creare meri oggetti di seduzione visiva, l'architettura mette in relazione significati, li collega e li proietta. Il significato ultimo di ogni palazzo è dietro la sua architettura, che riporta la no­ stra coscienza al mondo e verso il nostro senso del sé e del­ l' essere. L'architettura, se p regnante, ci permette di fare esperienza di noi stessi come esseri pienamente corporei e spirituali. È questa, infatti, la funzione di tutta l'arte che abbia un significato. Nell'esperienza dell'arte ha luogo uno scambio peculia­ re: io do in prestito allo spazio le mie emozioni e le mie associazioni, e lo spazio dà in prestito a me la sua aura, che seduce ed emancipa le mie percezioni e i miei pensieri. Un'opera architettonica non è esperita come fosse una serie di figure retinali isolate, ma nella totale integrazione della 3

Johann Wolfgang von Goethe, cit., ibid., 14

p. 222 .

lntroduztone

sua essenza materiale, corporea e spirituale. Un'opera ar­ chitettonica presenta forme e superfici gradevoli, plasmate perché l'occhio e gli altri sensi le possano sfiorare, ma in­ corpora e integra in sé anche strutture fisiche e mentali, dando così alla nostra esperienza esistenziale una coerenza e un valore rafforzati. Mentre lavorano, sia l' artista sia l'artigiano, più che con­ centrarsi su un problema esterno e oggettivato, sono impe­ gnati direttamente col corpo e con la loro esperienza esi­ stenziale. Un architetto accorto lavora con tutto il corpo e col proprio senso di sé. Mentre lavora a un palazzo o a un progetto, l'architetto è contemporaneamente impegnato in una prospettiva rovesciata, l'immagine di se stesso - o, più precisamente, la propria esperienza esistenziale. Il lavoro creativo implica un'identificazione e una proiezione poten­ te; l'intera costituzione mentale e corporea di chi crea diventa il sito del lavoro. Ludwig Wittgenstein, la cui filo­ sofia pure tende al distacco dall'immaginario corporeo, avverte l'interazione sia del lavoro filosofico sia di quello architettonico con l'immagine del sé: Il lavoro filosofico è propriamente- come spesso in architet­ tura - piuttosto un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di

vedere. Su come si vedono le cose [. . . ]4.

Il computer, spesso, è visto come un'invenzione esclusi­ vamente benefica, che libera la fantasia umana rendendo più semplice un efficiente lavoro di progettazione. Vorrei esprimere la mia seria perplessità al riguardo, quanto meno considerando il ruolo attuale del computer nel processo di progettazione. Creare immagini al computer tende ad appiattire le nostre magnifiche capacità immaginative, mul4

Ludwig Wittgenstein , Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1980, pp. 40-4 1. 15

v11 uccm ueua

pelle

tisensoriali, simultanee e sincroniche, mutando il processo di progettazione in una manipolazione visuale passiva, in un viaggio retinale. Il computer crea una distanza tra colui che fa e ciò che viene fatto, laddove invece disegnare a mano o creare modelli mette il progettista in contiguità tat­ tile con l'oggetto o lo spazio. Nella nostra immaginazione, l'oggetto è tenuto contemporaneamente in mano e nella testa, e l'immagine fisica concepita e progettata è modella­ ta dal nostro corpo. Siamo, allo stesso tempo, dentro e fuori dell'oggetto. Il lavoro creativo richiede un'identifica­ zione corporea e mentale, empatia e compassione. Condizione fondamentale per un'esperienza che avvol­ ga spazialità, interiorità e tattilità è la consapevole soppres­ sione della visione focalizzata, netta. Tema, questo, che è entrato raramente nel discorso teorico dell'architettura, giacché la teoria architettonica continua a interessarsi piut­ tosto alla visione a fuoco, all'intenzionalità cosciente e alla rappresentazione prospettica. Le fotografie che ritraggono opere architettoniche sono immagini centrate di Gestalt messa a fuoco; eppure la qua­ lità della realtà architettonica sembra che dipenda fonda­ mentalmente dalla natura della visione periferica, che abbraccia il soggetto nello spazio. Una foresta, uno spazio àrchitettonico riccamente strutturato offrono ampi stimoli alla visione periferica, e sono scenari che ci mettono al cen­ tro dello spazio effettivo. Il regno percettivo del preconscio, di cui si fa esperienza fuori della sfera della visione a fuoco, sembra avere la stessa importanza, a livello esistenziale, del­ l'immagine a fuoco. Infatti, anche la medicina corrobora con prove il fatto che la visione periferica abbia una priorità nel nostro sistema percettivo e mentale'. 5

Cfr. Anton Ehrenzweig, The Psychoanalisis of Artistic Vision and 16

Introduzione

Osservazioni simili sembrano suggerire che uno dei mo­ tivi per cui gli scenari architettonici e urbani del nostro tempo ci fanno sentire tendenzialmente degli esclusi, in contrasto con l'energico impegno emotivo degli scenari storici e naturali, sia la loro povertà a livello della visione periferica. La percezione periferica inconscia trasforma la Gestalt retinale in esperienze spaziali e corporee. La visio­ ne periferica ci integra nello spazio, mentre la visione a fuoco ci spinge fuori dallo spazio, rendendoci meri spetta­ tori. Lo sguardo difensivo e sfocato del nostro tempo, soste­ nuto da un sovraccarico sensoriale, potrà forse schiudere nuovi regni di visione e pensiero, liberati dall'implicito desiderio di controllo e di potere dell'occhio. La perdita della messa a fuoco potrà finalmente affrancare l'occhio dalla sua storica sovranità patriarcale.

Hearing. An Introduction to a Theory o/ Unconsciuos Perception, Sheldon Press , London 1 975 . 17

Le mani vogliono vedere, gli occhi carezzare. Johann Wolfgang Goethe1

[. . ]le dita dei piedi stavano in ascolto per comprenderti. .

Colui che danza, in/att� ha il suo orecchio - in quelle dita! Friedrich Nietzsche2 Se il corpo fosse stato più semplice da comprendere, nes­ suno avrebbe pensato che avessimo anche una mente. Richard Rorty3

Brooke Hodge (a cura di), Not Architecture But Evidence That It Exists. Lauretta Vinciarelli: Watercolors, Harvard University Graduate School of Design , Cambridge, Mass. 1 998, p. 130. 2 Friedrich Nietzsche, Cosz' parlò Zarathustra, Mondadori, Milano 1992 , pp. 2 12-2 1 3 . 3 Richard Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, Bompiani, Milano 1 986, p. 3 1 5 .

Il sapore della mela sta nel contatto del frutto col palato, non nel /rutto stesso,· [. .] la poesia sta nel commercio del poema col lettore, non nella serie di simboli che registra­ no la pagina di un lz'bro. L'essenziale è l'atto estetico, il fremito, l'emozione quasi /isiccr che sempre sopravviene leggendo. ]orge Luis Borges4 .

Come potrebbero il pittore e zl poeta esprimere altro dal loro incontro col mondo? Maurice Merleau-Ponty5

4

]orge Luis Borges, Carme presunto e altre poesie, Einaudi, Torino 1 979, p. 46. 5 Cit. in Richard Kearney, Maurice Merleau-Ponty, in Id., Modern Mo­ vements in European Philosophy, Manchester University Press, Manchester­ New York 1 994 , p. 82.

PARTE PRIMA

Visione e conoscenza La cultura occidentale ha sempre considerato la vista il più nobile dei sensi, e perfino il pensiero è stato concepito in termini visivi. Già nel pensiero degli antichi Greci, il certo si fondava su visione e visibilità. «Gli occhi sono testi­ moni più precisi delle orecchie»1, scrive Eraclito in uno dei suoi frammenti. Platone considerava la vista il dono più grande dell'umanità2 , e sosteneva che gli universali etici dovessero essere accessibili all' «occhio della mente»3 . Ari­ stotele, parimenti, considerava la vista il più n ob il e dei sensi «perché è il più simile all'intelletto in virtù della rela­ tiva immaterialità del suo apprendere»4. Eraclito, Frammento 101 a, in Eraclito, I /rammenti e le testimonianze, a cura di C. Diano, Mondadori, Milano 1 994 . 2 Platone, Timeo, in Id. , Dialoghi, a cura di Carlo Carena, Einaudi , Torino 1 970, p. 453 . 3 Georgia Warnke, Ocularcentrism and Social Criticism, in David Michael Levin , Modern ity and the Hegemony o/ Vision , University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1 993 , p. 287 . 4 Thomas R. Flynn, Foucault and the Eclypse o/ Vision, in Levin, Modernity, cit., p. 274.

23

ull occnt deHa peHe

Dopo i Greci, gli scritti filosofici di tutti i tempi abbon­ dano di metafore oculari, al punto che la conoscenza corri­ sponde alla visione nitida e la luce è trattata come la me­ tafora della verità. Tommaso d'Aquino applica perfino la nozione di vista ad altri regni sensoriali oltre che alla cogni­ zione intellettuale. L'impatto che il senso della vista ha avuto sulla filosofia è ben riassunto da Peter Sloterdijk: «Gli occhi sono il pro­ totipo organico della filosofia. Il loro arcano sta nel fatto che essi non solo possono vedere, ma possono anche vede­ re se stessi vedere, il che conferisce loro un primato sugli altri organi cognitivi del corpo. Buona parte del pensiero filosofico è in realtà solo un riflesso dell'occhio, dialettica dell'occhio, vedersi vedere»5. Durante il Rinascimento, i cinque sensi erano intesi a formare un sistema gerarchico che partiva dal senso supremo della vista, giù fino al tatto. Il sistema rinascimentale dei sensi era legato all'immagine del corpo cosmico; la vista era correlata al fuoco e alla luce, l'udito all'aria, l'olfatto al vapore, il gusto àll' acqua, e il tat­ to alla terré. L'invenzione della rappresentazione prospettica ha reso l'occhio il punto centrale del mondo percettivo e del con­ cetto di sé. La stessa rappresentazione prospettica si è tra­ sformata in una forma simbolica, che non solo descrive la percezione, ma la condiziona. Non c'è dubbio che la nostra cultura tecnologica abbia organizzato e separato i sensi in modo ancora più netto. La vista e l'udito, adesso, sono sensi sociali privilegiati, mentre 5

Peter Sloterdijk, Critica della ragion cinica, Garzanti, Milano 1 992 ,

p.

58. 6

Cfr. Steven Pack, Discovering (Through ) the Dark Interstice o/ Touch , in History and Theory Graduate Studio 1992-1994, McGill School of Architecture, Montreal 1 994. 24

Visione e conoscenza

gli altri tre sono considerati residui sensoriali arcaici con una funzione meramente privata, solitamente soppressi dal codice culturale. Solo sensazioni come il piacere olfattivo di un pasto, la fragranza dei fiori e la reazione al caldo e al freddo riescono ancora ad aprire la coscienza collettiva nel nostro codice culturale oculocentrico e ossessivamente 1g1enico.

Sono molti i filosofi che hanno notato questa predomi­ nanza della vista sugli altri sensi - e i pregiudizi gnoseolo­ gici che ne derivano. La già citata raccolta di saggi filosofi­ ci a cura di David Michael Levin, Modernity and the Hegemony o/ Vision , rileva che, «a partire dai Greci, la cul­ tura occidentale è stata dominata da un paradigma oculo­ centrico, da un'interpretazione della conoscenza, della ve­ rità e della realtà generata dalla visione e incentrata sulla visione»7 . Un libro stimolante, che analizza la «connessio­ ne storica tra visione e conoscenza, visione e ontologia, visione e potere, vi s ion e e d etic a » 8 Una volta rivelato dai filosofi il paradigma oculocentri­ co della nostra relazione con il mondo e della nostra idea di conoscenza - il primato epistemologico della vista -, è im­ portante anche analizzare criticamente il ruolo della vista in relazione agli altri sensi nella nostra comprensione e nella nostra pratica dell'arte dell'architettura. L'architettura, come ogni arte, si confronta sostanzialmente con domande sull'esistenza umana nello spazio e nel tempo, esprime e collega l'essere dell'uomo nel mondo. L'architettura è profondamente coinvolta dalle domande metafisiche sul sé e sul mondo, su interiorità ed esteriorità, tempo e durata, vita e morte. «Le pratiche estetiche e culturali sono parti.

8

Levin, Modernity, cit., p. 2 . Ibid. , p. 3. 25

\.Ju u L u u ueua

peue

colarmente sensibili alla mutevole esperienza dello spazio e del tempo, proprio perché implicano la costruzione di rap­ presentazioni e prodotti spaziali a partire dal fluire dell'e­ sperienza umana»9, scrive Davi d Harvey. L'architettura è lo strumento primario nel nostro rapportarci allo spazio e al tempo e nel dare a queste dimensioni una misura umana. È essa che addomestica lo spazio illimitato e il tempo infinito perché l'umanità li tolleri, li abiti e li comprenda. Come conseguenza di tale interdipendenza di spazio e tempo, le dialettiche tra spazio esterno e interno, tra priorità fisica e spirituale, materiale e mentale, inconscia e conscia riguar­ do ai sensi, nonché i relativi ruoli e interazioni, hanno un impatto essenziale sulla natura delle arti e dell'architettura. David Michael Levin argomenta la critica filosofica alla supremazia dell'occhio con queste parole: Penso che l'egemonia della vista ,e,.J' oculocentrismo della nostra cultura vadano sfidati con 9ecisione. E penso che abbiamo bisogno di esaminare in modo molto critico il carat­ tere della vista che oggi predomina nel mondo. Abbiamo bisogno di una diagnosi urgente della patologia psico-sociale del vedere quotidiano - e di una comprensione critica di noi stessi in quanto esseri visionari10.

Levin rileva l'impulso all'autonomia e l' aggressività della vista, e gli «spettri del sistema patriarcale» che frequentano la nostra cultura oculocentrica: La vista ha una forte brama di potere, una forte tendenza ad agguantare e a fissare, a reificare e totalizzare: una tendenza a 9

David Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano 1 993 , p. 3 97. 10 David Michael Levin, Decline and Fall. Ocularcentrism in Heidegger's Reading of the History o/ Metaphysics, in I d , Modernity, cit . , p. 205. .

26

Visione e conoscenza

dominare, assicurare, controllare, cosa che alla fine, proprio perché promossa in modo così insistente, ha assunto una cer­ ta incontestata egemonia sulla nostra cultura e sul suo discor­ so filosofico, stabilendo, in accordo con la razionalità stru­ mentale della nostra cultura e col carattere tecnologico della nostra società, una metafisica oculocentrica della presenza11.

Io, analogamente, credo si possano comprendere molti aspetti della patologia dell'architettura quotidiana attraver­ so un'analisi dell'epistemologia dei sensi e attraverso una critica della predisposizione all' oculocentrismo della nostra cultura in generale, e dell'architettura in particolare. La mancanza di umanità nell'architettura e nelle città contem­ poranee può essere compresa come la conseguenza della negligenza verso il corpo e i sensi, come l'esito di uno squi­ librio nel nostro sistema sensoriale. Le crescenti esperienze di alienazione, distacco e solitudine nell'odierno mondo tec­ nologico, per esempio, possono essere poste in relazione con una certa patologia dei sensi. Dà da pensare il fatto che questo senso di estraneità e distacco sia spesso evocato da­ gli scenari tecnologicamente più avanzati, come ospedali e aeroporti. La supremazia dell'occhio e la soppressione de­ gli altri sensi tendono a spingerei al distacco, all'isolamen­ to e all'esteriorità. L'arte dell'occhio ha sì prodotto struttu­

re grandiose e degne d'attenzione, ma non ha certo facilita­ to il radicarsi dell'uomo nel mondo. Il fatto che l'idioma modernist? in generale non sia stato in grado di penetrare la superficie del gusto e dei valori popolari sembra dovuto alla sua unilaterale enfasi intellettuale e morale; il design modernista, in generale, ospita l'occhio e l'intelletto, ma lascia senza tetto il corpo e gli altri sensi, come pure i nostri ricordi, l'immaginazione e i sogni. 11

Ibid.,

p.

2 12. 27

u-u vl:UH ueua

peue

Critica dell'oculocentrismo Già prima delle odierne perplessità, la tradiz\one oculo­ centrica del pensiero occidentale e la teoria spettatoriale della conoscenza che ne deriva incontrarono le critiche dei filosofi. René Descartes, per esempio, considerava la vista il più universale e nobile dei sensi e , di conseguenza, basò sul privilegio della visione la sua filosofia dell'oggettività. Tut­ tavia, egli equiparò la vista al tatto, senso che considerava «più sicuro e meno esposto all'errore rispetto alla vista»12• Friedrich Nietzsche, in apparente contraddizione con la linea generale del suo pensiero, cercò di sowertire il pri­ mato del pensiero visivo. Criticò l'occhio «fuori dal tempo e dalla storia»13 che molti filosofi avevano teorizzato. Accu­ sò perfino i filosofi di