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Italian Pages 90 [45] Year 2007
SAGGI DI ARCHITETTURA Un anime è ormai la consapevolezza che l'architettura moderna ha acquisito una dimensione storica; che essa ci ha fornito un'immagine chiara e insieme complessa di noi stessi, come uomini contemporanei; che la varietà dei suoi manufatti - dagli oggetti d'uso quotidiano agli ambienti più vasti- tesa dall'inizio ad una moralità egualitaria e democratica, è connessa ad un'unica volontà di costruzione di un nuovo ambiente umano, come supporto indispensabile ad una migliore vita comune. È al tempo stesso unanime il disagio di fronte alla compattezza delle ipotesi interpretative che ne hanno definito la configurazione da un secolo a questa parte: le discipline di un progetto, l'architettura in senso stretto, il design, l'urbanistica e la pianificazione territoriale, la storia e la storiagrafia di ognuno di questi ambiti hanno davvero fatto riferimento ad una unità di metodo alle varie scale e ad una unità di intenzioni e di ipotesi culturali? Che ne è oggi di tale unità conclamata nel notissimo slogan di Muthesius «dal cucchiaio alla città»? Che è accaduto di quella moralità che contribuiva al processo formativo con una tensione singolarmente internazionale? Che ne è della complessità e contraddizione che i fatti, gli oggetti e gli avvenimenti del mondo del design, dell'architettura, delle discipline territoriali del nostro secolo hanno trascinato con sé, convivendo - in opposizione o assimilazione - con analoghi episodi della più antica tradizione? Che ne è di quel rapporto tra la storia e la ricca fenomenologia del moderno, così cristallinamente negativo in un primo momento? Questa serie di scritti di architettura si era aperta anni fa articolandosi in fonti ed opinioni; il rapido mutare dei tempi indica la necessità di un allargamento al design, alle monografie, a fatti meno facilmente classificabili entro serie ragionate di argomenti. Rimane comunque valida l'ipotesi di partenza: è ancora tempo di esplorazione e di diffusione al più vasto pubblico dei fatti dell'architettura; è ancora tempo che urge chiarificazioni, effettivo lavoro culturale oltre il chiuso dei recinti ideologici o di una riduttiva pratica professionale; è ancora tempo di dar corpo e materia consistenti allo sforzo interpretativo in atto, che vede al centro il mestiere dell'architetto, la sua pregnanza, i suoi modi di alimentazione. Resta tuttora necessaria soprattutto la costituzione di un catalogo ragionato e a più mani dei percorsi che si sono compiuti in questi ultimi centocinquant'anni, per ricostruire l'humus vitale nel quale i più recenti indirizzi possano trovare profondità di storia e spessore di cultura. Maria Antonietta Crippa
Jauhani Pallasmaa GLI OCCHI DELLA PELLE L'ARCHITETTURA E I SENSI
Prefazione di
Steven Holl
Il Jaca Book
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Titolo originale The Eyes o/ the Skin. Architecture and the Senses
INDICE
Traduzione dall'inglese Cristina Lombardo ©2005 J ohn Wiley & Sons Ltd, The Atrium, Southern Gate, Chichester, West Sussex P019 8SQ, England seconda edizione
© 2007 Editoriale J aca Book SpA, Milano tutti i diritti riservati Prima edizione italiana maggio 2007
Prefazione: Ghiaccio sottile, dì Steven Hall In copertina Antoni Gaudf, Casa Milà, Barcellona, 1906-1910, particolare della struttura interna del sottotetto (in]. Berg6s i Masso, Gaudi. I: uomo e l'opera, foto di Mare Llimargas, Jaca Book, Milano 1999)
Redazione e impaginazione Gioanola Elisabetta, San Salvatore Monferrato (Al)
Introduzione: Toccare il mondo
PARTE PRIMA Visione e conoscenza Critica dell' oculocentrismo L'occhio narcisistico e l'occhio nichilista Spazio orale contro spazio visivo Architettura retinale e perdita di plasticità Un'architettura di immagini visive • Materialità e tempo Il rifiuto della finestra di Alberti Una nuova visione e un nuovo equilibrio sensoriale
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ISBN 978-88-16-40772-5
PARTE SECONDA Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a EditorialeJaca Book SpA- Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520-29, fax 02/48193361 e-mail: [email protected]; internet: www.jacabook.it
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Al centro, il corpo Esperienza multisensoriale L'importanza dell'ombra
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lndrce ~ Intimità acustica ' Silenzio, tempo e solitudine Gli spazi del profumo € La forma del tatto Il sapore della pietra Immagini muscolari e ossee Immagini di azione Identificazione corporea Mimesi del corpo Spazi di memoria e immaginazione Un'architettura dei sensi Il compito dell'architettura
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Prefazione GHIACCIO SOTTILE di
Steven Holl
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Seduto a scrivere questa nota in una piovosa New York City, pensando alla neve fresca e bianca appena caduta a Helsinki e al ghiaccio sottile della prima stagione, mi tornavano alla mente episodi del freddo inverno finlandese, quando ogni anno, sul ghiaccio spesso dei laghi del Nord, si improvvisano scorciatoie. Mesi dopo, il ghiaccio comincia a farsi più sottile e, se qualcuno s'arrischia a guidare sul lago, sono guai. Immagino quell'ultimo sguardo alle fenditure del ghiaccio, coperte dall'acqua gelida e scura che sale mentre l'auto affonda. La Finlandia è una bellezza tragica e misteriosa. J uhani Pallasmaa e io cominciammo a concentrarci insieme sulla fenomenologia dell'architettura nel corso del mio primo viaggio in Finlandia per l' Alvar Aalto Symposium, a Jyvaskyla, nell'agosto del1991. Nell'ottobre del1992 ci incontrammo ancora a Helsinki, mentre mi trovavo lì a preparare il concorso per il Museo d'Arte contemporanea. Ricordo una conversazione sugli scritti di Merleau-Ponty e su come si possano interpretare o riferire alla sequenza spaziale, all'intreccio, al materiale e alla luce, secondo l'esperienza dell'architettura. Ricordo 6
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Gli occhi della pelle
Prefazione
che ne parlammo durante un pranzo, sottocoperta, dentro un'imponente barca di legno ancorata nel porto di Helsinki. Conosco l'architettura di Juhani Pallasmaa, a partire dagli splendidi ampliamenti museali di Rovaniemi fino alla sua casa di legno estiva su un bellissimo isolotto di roccia nell'arcipelago di Turku, nel Sud-Ovest della Finlandia. La percezione degli spazi, del suono e del profumo di questi luoghi è importante quanto il modo in cui le cose appaiono alla vista. Pallasmaa non è solo un teorico; è un brillante architetto della percezione fenomenologica. Pratica quell' architettura dei sensi che sfugge all'analisi, le cui proprietà fenomeniche condensano i suoi scritti verso una filosofia dell'architettura. Nel1993, a seguito di un invito di Toshio Nakamura, lavorammo insieme ad Alberto Pérez-G6mez alla realizzazione del libro Questions o/ Perception. Phenomenology o/ Architecture. Qualche anno dopo, trovandone le tesi importanti e comprovate anche da altri architetti, l'editore di Tokyo A+U, decise di ripubblicare il piccolo libro The Eyes o/ the Skin. Gli occhi della pelle di Juhani Pallasmaa, sviluppatosi da Questions o/ Perception, è un solido e chiaro intervento riguardo alle cruciali dimensioni fenomenologiche dell'esperienza umana in architettura. Era dai tempi di Experiencing Architecture (1959) dell' architetto danese Steen Eiler Rasmussen che non usciva un testo altrettanto chiaro e succinto, che possa servire agli studenti e agli architetti in un'epoca così critica nello sviluppo dell'architettura del XXI secolo. Il visibile e l'invisibile, il libro che di Merleau-Ponty stava scrivendo quando morì, contiene un capitolo sbalorditivo: «L'Intreccio- il Chiasmo» (è proprio da lì che presi il nome che avevo dato al concorso per il Museo d'Arte
contemporanea a Helsinki - Chiasmo fu cambiato con Kiasma, perché in finlandese non esiste la C). Nel testo del capitolo sull' «Orizzonte delle cose», Merleau-Ponty scrisse: «Come il cielo e la terra, l'orizzonte non è una collezione di cose terrene, o un titolo di classe, o una possibilità logica di concezione, o un sistema di 'potenzialità della coscienza': è un nuovo tipo d'essere, un essere di porosità, di pregnanza o di generalità[ ... ]» 1. Il primo decennio del XXI secolo è il momento in cui simili riflessioni superano l'orizzonte per introdursi «sotto pelle». Nel mondo in cui viviamo, i beni di consumo, alimentati da tecniche pubblicitarie iperboliche, hanno il fine di soppiantare la nostra coscienza disperdendo la nostra capacità di riflessione. Come pure oggi, in architettura, si è fatta iperbolica l'applicazione di tecniche digitali nuove e sovrastimate. L'opera di Pallasmaa evoca, su quest' oppressivo rumore di fondo, una solitudine e un proposito indicativi - quella che lui una volta chiamò l' «architettura del silenzio»2 . La farò leggere ai miei studenti, perché riflettano sul «rumore di fondo». Oggi, la profondità di quello che siamo poggia su ghiaccio sottile.
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Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l'invisibile, Bompiani, Milano 2003, p. 164. 2 Juhani Pallasmaa, Architecture du Silence, Musée Finlandais d'Architecture, Helsinki 1994.
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Introduzione TOCCARE IL MONDO
Nel 1995, gli editori dell'Academy Editions di Londra mi chiesero di scrivere un volume per la loro collana «Polemics», un saggio di 32 pagine su un tema che mi parve pertinente al dibattito sull'architettura in corso in quegli anni. Il risultato -la mia piccola opera The Eyes of the Skin. Architecture and the Senses- fu pubblicato l'anno successivo. La seconda parte del manoscritto riprendeva le idee di fondo da un mio saggio intitolato An Architecture of the Seven Senses, pubblicato da «Architecture+Urbanism», Questions of Perception (luglio 1994), numero speciale della rivista sul lavoro architettonico di Steven Holl, che comprendeva anche saggi dello stesso Holl e di Alberto Pérez-G6mez. Qualche tempo dopo, nel giugno del1995, una lezione tenuta durante un seminario sulla fenomenologia dell' architettura all'Accademia Reale danese di Belle Arti, a Copenaghen, cui partecipavano i tre autori di Questions of Perception, mi offrì gli argomenti di base e i riferimenti per la prima parte. Un libro semplice, che - cosa che in parte mi sorprese 11
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occm aeua peue
fu accolto molto bene e divenne lettura obbligatoria nei corsi di teoria architettonica in molte scuole d'architettura in tutto il mondo. Di conseguenza, l'edizione si esaurì in fretta, e il libro, negli anni seguenti, continuò a circolare in innumerevoli fotocopie. Il saggio polemico era da principio basato su esperienze, punti di vista e riflessioni personali. Ero sempre più preoccupato di fronte alla pregiudiziale in favore della vista e alla soppressione degli altri sensi nel modo in cui l'architettura era concepita, insegnata e criticata, e dalla conseguente scomparsa di qualità sensoriali e sensuali in arte e in architettura. Nei dieci anni che seguirono l'uscita del libro, l'interesse verso il significato dei sensi crebbe considerevolmentesia dal punto di vista filosofico, sia in termini di esperire, fare e insegnare architettura. Le mie convinzioni sul ruolo del corpo come luogo di percezione, pensiero e coscienza, e sulla rilevanza dei sensi nell'articolare, conservare e analizzare i responsi sensoriali e i pensieri, si erano nel frattempo rafforzate e confermate. Col titolo Gli occhi della pelle volevo esprimere la portata del senso del tatto nella nostra esperienza e nella nostra comprensione del mondo, ma intendevo anche creare un cortocircuito concettuale tra il senso dominante, la vista, e la modalità sensoriale soppressa, il tatto. Scrivendo il testo originario mi fu chiaro che la nostra pelle è effettivamente in grado di distinguere un certo numero di colori; noi, con la pelle, vediamo 1. Il primato del tatto ha acquisito evidenza sempre mag-
lntroduzwne
giore. Inoltre, mi sono interessato del ruolo della visione periferica e sfocata nell'esperienza vissùta del mondo, nonché nella nostra esperienza di interiorità negli spazi che abitiamo. L'essenza più autentica dell'esperienza vissuta è modulata dalla tattilità e da una visione periferica non focalizzata. Mentre la visione focalizzata ci contrappone al mondo, la visione periferica ci involge nelle fibre del mondo. Accanto alla critica all'egemonia della visione, abbiamo bisogno di riconsiderare l'essenza stessa della vista. Tutti i sensi, vista compresa, sono estensioni del senso del tatto; i sensi sono specializzazioni del tessuto epidermico, e tutte le esperienze sensoriali sono modi di toccare e, quindi, sono legate alla tattilità. Il nostro contatto col mondo avviene sulla linea di demarcazione del sé attraverso parti specializzate della membrana che ci avvolge. Il punto di vista dell'antropologo Ashley Montagu, basato sull'evidenza medica, conferma la predominanza del regno tattile: [La pelle], il primo a formarsi e il più sensibile dei nostri organi, il nostro primo mezzo di comunicazione e anche il più efficiente dei nostri mezzi di protezione [ ... ].Perfino la cornea, trasparente, è coperta da uno strato di pelle, seppur diverso. [ ... ] Il tatto è padre di occhi, orecchie, naso e bocca. È il senso che si è poi differenziato negli altri, evento che spiega l'antica definizione del tatto come «padre di tutti i sensi»2 . Il tocco è la modalità sensoriale che integra l'esperienza che abbiamo del mondo con quella che abbiamo di noi stessi. Perfino le percezioni visive sono fuse e integrate in un continuum tattile del sé; il mio corpo ricorda chi sono e
1
James Turrell, Plato's Cave and Light Within, in Mirko Heikkinen (a cura di), Elephant and Butterfly. Permanence and change in architecture. 9th Alvar Aalto Symposium, Jyvaskyla 2003, p. 144. 12
2
Ashley Montagu, Il linguaggio della pelle, A. Vallardi, Milano 1989, p.
9.
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Lrll occhi della pelle
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dove sono nel mondo. Il mio corpo è il vero e proprio ombelico del mio mondo, non nel senso del punto di vista della prospettiva centrale, ma come vero luogo di riferimento, memoria, immaginazione e integrazione. Chiaramente, un'architettura che «accresca la vita»3 deve rivolgersi a tutti i sensi contemporaneamente e fondere l'immagine che abbiamo del sé con la nostra esperienza del mondo. Il compito primo dell'architettura è accomodare e integrare. L'architettura articola le esperienze dell'essere-nel-mondo e fortifica il nostro senso della realtà e del sé; è l'architettura che ci consente di non abitare un mondo di pura artificiosità e fantasia. Il senso del sé, rafforzato da arte e architettura, ci permette di dedicarci pienamente alle dimensioni mentali del sogno, dell'immaginazione e del desiderio. I palazzi e le città offrono l'orizzonte per la comprensione e il confronto della condizione esistenziale umana. Invece di creare meri oggetti di seduzione visiva, l'architettura mette in relazione significati, li collega e li proietta. Il significato ultimo di ogni palazzo è dietro la sua architettura, che riporta la nostra coscienza al mondo e verso il nostro senso del sé e dell' essere. L'architettura, se p regnante, ci permette di fare esperienza di noi stessi come esseri pienamente corporei e spirituali. È questa, infatti, la funzione di tutta l'arte che abbia un significato. Nell'esperienza dell'arte ha luogo uno scambio peculiare: io do in prestito allo spazio le mie emozioni e le mie associazioni, e lo spazio dà in prestito a me la sua aura, che seduce ed emancipa le mie percezioni e i miei pensieri. Un'opera architettonica non è esperita come fosse una serie di figure retinali isolate, ma nella totale integrazione della
sua essenza materiale, corporea e spirituale. Un'opera architettonica presenta forme e superfici gradevoli, plasmate perché l'occhio e gli altri sensi le possano sfiorare, ma incorpora e integra in sé anche strutture fisiche e mentali, dando così alla nostra esperienza esistenziale una coerenza e un valore rafforzati. Mentre lavorano, sia l'artista sia l'artigiano, più che concentrarsi su un problema esterno e oggettivato, sono impegnati direttamente col corpo e con la loro esperienza esistenziale. Un architetto accorto lavora con tutto il corpo e col proprio senso di sé. Mentre lavora a un palazzo o a un progetto, l'architetto è contemporaneamente impegnato in una prospettiva rovesciata, l'immagine di se stesso- o, più precisamente, la propria esperienza esistenziale. Il lavoro creativo implica un'identificazione e una proiezione potente; l'intera costituzione mentale e corporea di chi crea diventa il sito del lavoro. Ludwig Wittgenstein, la cui filosofia pure tende al distacco dall'immaginario corporeo, avverte l'interazione sia del lavoro filosofico sia di quello architettonico con l'immagine del sé:
3
Johann Wolfgang von Goethe, cit., ibid., p. 222. 14
Il lavoro filosofico è propriamente- come spesso in architettura - piuttosto un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose [. .. ] 4.
Il computer, spesso, è visto come un'invenzione esclusivamente benefica, che libera la fantasia umana rendendo più semplice un efficiente lavoro di progettazione. Vorrei esprimere la mia seria perplessità al riguardo, quanto meno considerando il ruolo attuale del computer nel processo di progettazione. Creare immagini al computer tende ad appiattire le nostre magnifiche capacità immaginative, mulLudwig Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1980, pp. 40-41. 15
...,
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~'t;
~;a comportall1ento e movimento. · · . Ùn edifid~·~o~ ~·di per sé una fine. Fa da cornice, artico~a, strutt~~a, dà significato, si pone in relazione, separa e umsce, facilita e proibisce. Di conseguenza, le esperienze
~ metà ~el XIX secolo, lo scultore americano Horatio Greenough forn:ulo per pnmo, con questa nozione, l'interdipendenza tra forma e funZione.' eh~ più tardi s.arebbe diventata la pietra angolare ideologica del Funzronahsmo. Horatto Greenough, Form and Function. Remarks on Art, D_eszgn and Archztecture, a cura di Harold A. Small, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1966. 53
54
H
.B
. enn ergson, Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spmto, Laterza, Roma-Bari 1996 p 16 ' . . Casey, Remembering, cit., p. 149.
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architettoniche fondamentali sono forme verbali, più che sostantivi. Le autentiche esperienze architettoniche quindi consistono, per esempio, nell'avvicinare e nel confrontare un edificio piuttosto che nel comprendere formalmente una facciata; nell'atto di entrare e non semplicemente nel profilo visivo della porta; nel guardare dentro o fuori attraverso una finestra, e non tanto nella finestra stessa come oggetto materiale; o nell'occupare la sfera di calore, più che nel camino come oggetto di design. Più che spazio fisico, lo spazio architettonico è spazio vissuto, e lo spazio vissuto trascende sempre la geometria e la misurabilità. Nella sua analisi dell'Annunciazione del Beato Angelico, nell'affascinante saggio Prom the Doorstep to the Comma n Room (1926), Alvar Aalto riconosce la natura verbale dell' esperienza architettonica parlando dell'atto d~ entrare in una stanza, non del design formale del portico o della porta56 . La teoria e la critica architettonica moderne hanno avuto una forte tendenza a considerare lo spazio come un oggetto immateriale delineato da su~e:fic.i .materi~li,. al posto di intendere lo spazio in term1m d1 mteraz10m. e interrelazioni dinamiche. Il pensiero giapponese, tuttavia, si basa su una comprensione relazionale del concetto di spazio. Nella sua analisi della natura verbale dell' esperi~n za architettonica, il professar Fred Thompson usa la nozione di spacin g invece di quella di space, e di timin g invece di time, nel suo saggio sul concetto di Ma e sull'unità di spazio e tempo nel pensiero giapponese57 . E appropriatamen-
Alvar Aalto From the Doorstep to the Common Room, in Goran Schildt, Alvar Aalto. The Early Years, Rizzoli International Publications, New York 1984, pp. 214-218. . . . 57 Fred e Barbro Thompson, Unity o/ Time and Space, m «Arkkltehtt» (Helsinki), 2, 1981, pp. 68-70.
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Nllmesl del corpo te d~scrive l~ u~ità d~ll' esperienza architettonica con gerundi o predicati nommali.
Identificazione corporea
L'autenticità dell'esperienza architettonica si fonda sul linguaggio costruttivo dell'edificio e la comprensibilità del~ l'atto della costruzione per i sensi. Noi guardiamo, tocchiamo, ascoltiamo e misuriamo il mondo con tutta la nostra esistenza corporea; e il mondo sensibile si organizza e si articola attorno al corpo come centro. La nostra dimora è il rifugio del nostro corpo, della nostra memoria e della nostra identità. Siamo in costante ~ia~ogo e intera;ione c~n l' amb~ente, al punto che è impossibile staccare limmagme del se dalla sua esistenza spaziale e situazionale. «Io sono il mio corpo»58 , afferma Gabriel Marcel, ma «Io sono lo spazio in cui sono», sostiene il poeta Noel Arnaud59. Henry Moore scrive argutamente della necessità di identificazione corporea nel fare dell'arte: Ecco che cosa deve fare lo scultore: deve sforzarsi continuamente di pensare, e usare, la forma nella sua piena compiutezza spaziale. Arriva alla figura, come fosse stata nella sua testa - la pensa, a prescindere dalle dimensioni, come se la stesse tenendo tutta nell'incavo della mano. Visualizza mentalmente una forma complessa come girandole intorno· sa mentre guarda da un lato, come sia l'altro. Identifica se ~tes~ 58
Cit. in H.L. Dreyfus e P. Allen Dreyfus, Translator's Introduction, in J':erl~au.-Ponty, Sense and Non-Sense, cit., p. XII. Clt. m Bachelard, La poetzca dello spazio, cit., p. 160.
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so col centro di gravità, la massa, il peso; ha chiari il volume e lo spazio che la forma occupa nell' arié 0 . L'impatto con qualsiasi opera d'arte implica l'interazione corporea. Riguardo all'opera dell'artista, il pittore Graham Sutherland afferma: «In un certo senso, il pittore di paesaggio deve guardare al paesaggio come fosse se stesso - se stesso come essere umano»61 . Nella visione di Cézanne, «il paesaggio[ ... ] si pensa in me ed io ne sono la coscienza»62 . Un'opera d'arte funziona come se fosse un'altra persona con la quale si conversa inconsciamente. Quando ci confrontiamo con un'opera d'arte, proiettiamo su di essa le nostre emozioni e i nostri sentimenti. Si verifica uno scambio singolare: noi prestiamo all'opera le nostre emozioni, mentre l'opera ci presta la sua autorità e la sua aura. Alfine, nell'opera incontriamo noi stessi. Il concetto di «identificazione proiettiva» di Melanie Klein suggerisce che, infatti, ogni interazione umana implica la proiezione di frammenti del sé sull'altra personé3 .
Mimesi del corpo
Un grande musicista suona se stesso, più che lo strumento, e un calciatore di talento gioca il suo stesso essere, gli altri giocatori e il campo, interiorizzato e personificato, più che calciare la palla. «Il giocatore capisce dove sta il gol
60 Henry Moore, The Sculptor Speaks, in Philip James (a cura di), Henry Moore on Sculpture, MacDonald, London 1966, p. 62. 61 Cit. ibid., p. 79. 62 Merleau-Ponty, Senso e non senso, cit., p. 36. 63 Cfr., al riguardo, Hanna Segal, Melanie Klein, Bollati Boringhieri, Torino 2000.
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un modo che è più vissuto che noto. La mente non abita t1 campo da gioco, ma il campo è abitato da un corpo 'che . Rihd c?nosc_e ' »64 , scnve c ar Lang commentando il punto di vista di Merleau-Ponty sulle abilità del gioco del calcio. , All? stes~o m?d?, durante il processo di progettazione, l ar~hltetto I?tenonzza gradualmente il paesaggio, il contesto mte~o e 1 requisi_ti funzionali, oltre all'edificio concepito: mov1mento, eqmlibrio e dimensione sono sentiti attraverso il corpo a livello inconscio come tensioni nel sistema :nusc~lare e nelle posizioni dello scheletro e degli organi mte~m. Nella mi~ura i~ cui l'_opera interagisce col corpo dell,osse~atore, l espenenza nflette le sensazioni corporee d_ell artefice. Conseguentemente, l'architettura è comunicaZlOne che procede dal corpo dell'architetto direttamente al corpo della persona che incontra l'opera, magari secoli dopo. Co:npr~ndere la dimensione in architettura implica l'inconsCl_a ~Isurazione dell'oggetto o dell'edificio col corpo, e la pr~IezlOne del proprio schema corporeo nello spazio in quest10ne. Quando il corpo scopre la propria risonanza nello spa~io, pr~viamo un senso di piacevole protezione. Q~a~do siamo d1 fronte a una struttura, inconsciamente ne mim~amo la configurazione con le ossa e i muscoli. Il flusso p1acevole e brioso di un brano musicale è subconscian:ente t:a~formato in sensazioni corporee, la composizione d1 un dipmto astratto è sentita come tensione nel sistema muscolare, e le strutture di un edificio sono inconsciamente imitate e comprese attraverso il sistema scheletrico. Senza saperlo, col corpo assumiamo il ruolo della colonna
a1 memona e
nmuagum~1vuc
o della volta. Come affermava Louis Kahn: «Il mattone vuoi diventare un arco» 65 , e la sua metamorfosi ha luogo attraverso la capacità mimetica del corpo. Il senso di gravità è l'essenza di tutte le strutture architettoniche e la grande architettura rende evidente ai nostri occhi la gravità e la terra. L'architettura rafforza l' esperienza della dimensione verticale del mondo. Nello stesso momento in cui ci rende consci della profondità della terra, ci fa sognare la levitazione e il volo. Spazi di memoria e immaginazione
La nostra capacità di ricordare e immaginare luoghi è innata. Percezione, memoria e immaginazione interagiscono costantemente; la sfera dell'esistente si fonde in immagini di memoria e fantasia. Tutte le città che abbiamo visitato sono quartieri di una metropoli della mente, un'immensa città di evocazioni e rimembranze che non smettiamo mai di costruire. La letteratura e il cinema non riuscirebbero a incantarci, se noi non fossimo capaci di entrare in un luogo ricordato o immaginato; gli spazi e i luoghi evocati da un'opera d'arte sono reali nel pieno senso dell'esperienza. «Questo squarcio giallo del cielo sopra il Golgota il Tintoretto non l'ha scelto per significare l'angoscia, né tanto meno per provocarla: esso è angoscia e, a un tempo, cielo giallo», scrive Sartré6. Allo stesso modo, l'architettura di Michelangelo non presenta simboli di melanconia; i suoi edifici manifeLouis I. Kahn, I lave beginnings, in Id., Writings, Lectures, Interviews, a cura di Alexandra Latour, Rizzoli International Publications, New York
65
Ric~ard. Lang, The Dwelling Door. Towards a Phenomenology o/ Transztzon, m David Seamon e Robert Mugerauer, Dwelling, Place & Envzronment, Columbia University Press, New York 1982, p. 202. 64
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1991, p. 288. Jean-Paul. Sartre, Che cos'è la letteratura?, Il Saggiatore, Milano 1960,
66
p. 45.
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Un'architettura del sens1
stano effettivo dolore. Nell'incontro con un'opera d'arte, avviene un curioso scambio; l'opera proietta la propria aura, e noi proiettiamo sull'opera le nostre emozioni e le nostre percezioni. La melanconia nell'architettura di Michelangelo è fondamentalmente il senso della propria melanconia nell'osservatore, istigato dall'autorità dell'opera. Nell'opera, misteriosamente, incontriamo noi stessi. La memoria ci riporta a città lontane, e i romanzi ci trasportano attraverso città invocate dalla magia della penna dello scrittore. Le stanze, le piazze e le strade di un grande scrittore sono vivide come quelle che abbiamo visitato; le città invisibili di Italo Calvino hanno arricchito una volta e per sempre la geografia urbana del mondo. La città di San Francisco si svela nella sua molteplicità nel montaggio di Vertigo di Hitchcock. Noi entriamo in quegli edifici angoscianti coi passi del protagonista, e vediamo attraverso i suoi occhi. Attraverso gli incantesimi di Dostoevskij diventiamo cittadini della San Pietroburgo del XIX secolo. Siamo nella stanza dello scioccante duplice omicidio di Raskolnikov, siamo tra gli spettatori terrorizzati che guardano Mikolka e i suoi amici ubriachi picchiare a morte un cavallo, frustrati nella nostra incapacità di evitare quella crudeltà folle e insensata. Le città dei cineasti, costruite di frammenti momentanei, ci avvolgono col pieno vigore delle città reali. Nei grandi dipinti, le strade continuano, oltre gli angoli e i bordi della cornice, in ciò che non vediamo, negli intrichi della vita. «[Il pittore] fa De case], ovvero crea una casa immaginaria sulla tela, e non un segno di una casa. E la casa che così appare conserva tutta l'ambiguità delle case vere», scrive Sartré7.
67
Ibid., p. 46. 86
Ci sono città che nel ricordo appaiono lontane, semplici immagini visive, altre che tornano alla mente in tutta la loro vivacità. La memoria sa rievocare una città incantevole con tutti i suoi suoni, gli odori e le variazioni di luce e om~ra. Nella piacevole città della mia rimembranza posso perfmo decidere se camminare sul lato soleggiato o su quello all'ombra. Immaginare di potervisi innamorare è la vera misura delle qualità di una città.
Un'architettura dei sensi
È possibile distinguere diverse architetture in base alla modalità sensoriale che tendono a enfatizzare. Accanto alla prevalente architettura dell'occhio, esiste un'architettura tattile, muscolare ed epidermica. Ed esiste anche un'architettura che riconosce i regni dell'udito, dell'olfatto e del gusto. . . L'architettura di Le Corbous1er e quella Richard Meyer, per esempio, privilegiano chiaramente la vista, sia nell'impatto frontale sia come occhi~ cinestet~c? ~ella promena_de architecturale (anche se i lavon successlVl d1 Le Corbous1er introducono forti esperienze tattili nella presenza vigorosa di materialità e peso). D'altro canto, l'architettura di orientamento espressionista, a cominciare da Erich Mendelso~n e Hans Scharoun, favorisce la plasticità muscolare e tattile a seguito di una soppressione del dom~nio oculare p~ospet tico. L'architettura di Frank Lloyd Wnght e quella d1 Alvar Aalto si fondano sul pieno riconoscimento della condizione corporale dell'uomo e della moltitudine di reazioni istintive nascoste nell'inconscio umano. Nell'architettura contemporanea, le esperienze sensoriali sono espresse ad esempio nella loro ricchezza nell'opera di Glenn Murcutt, Steven Holl e Peter Zumthor. 87
ull occhl della pelle
Nella sua architettura, Alvar Aalto si è coscientemente interessato a tutti i sensi. Il suo commento sull'intenziona~ità sensoriale nel suo design d'arredamento rivela questo Interesse: «Un oggetto destinato all'ambiente quotidiano non dovrebbe avere superfici con riflessi troppo abbaglianti, né trasmettere troppo il 'senso del suolo' durante l'uso e inoltre l'oggetto che funziona in contatto preciso con l'uomo non dovrebbe essere costruito con materiale a forte conducibilità termica»68 . Ne risulta chiaro che Aalto fo~se più ~nteressato all'incontro fra l'oggetto e il corpo di ch1 ne frmsce, che alla mera estetica visiva. Nell'architettura di Aalto fa bella mostra di sé una forte presenza muscolare e tattile. Gli elementi sono dislocati asimmetrici, irregolari e poliritmici per suscitare esperien~ ze corporee, muscolari e tattili. Le strutture dalla superficie elaborata e i dettagli lavorati perché la mano li tocchi invi- ' tano al tatto creando un'atmosfera di intimità e calo~e. Al posto dell'incorporeo idealismo cartesiano dell'architettura dell'occhio, l'architettura di Aalto si basa sul realismo sensoriale. I _suoi edifici non si fondano su un singolo concetto dom1~ante o ~u _una singola Gestalt; piuttosto, sono agglomeratl sensonah. Se talvolta possono apparire anche malfatti e sconclusionati nei disegni, sono però concepiti per essere apprezzati nel loro effettivo impatto fisico e spaziale, «nella carnalità» del mondo vissuto, non come costruzioni di un'idealizzata visione.
~lvar Aalto, Uomo e razionalismo, in Id., Idee di architettura. Scritti sceltz 1921-1968, cit., p. 41. 68
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Il compito delf architettura
L'eterno compito dell'architettura è quello di creare metafore esistenziali concrete e vive che diano consistenza e forma al nostro essere nel mondo. L'architettura riflette, materializza e immortala idee e immagini di vita ideale. Edifici e città ci consentono di ordinare, capire e ricordare il flusso senza forma della realtà e, in ultima istanza, di riconoscere e ricordare chi siamo. L'architettura ci consente di percepire e comprendere la dialettica della permanenza e del cambiamento, di prendere il nostro posto nel mondo e di collocarci nel continuum della cultura e del tempo. Nel suo modo di rappresentare e organizzare l'azione e il potere, l'ordine sociale e culturale, l'interazione e la separazione, l'identità e la memoria, l'architettura deve fare i conti con le domande esistenziali fondamentali. Ogni esperienza implica gli atti del riconnettere, del ricordare e del confrontare. Una memoria corporea ha un ruolo essenziale come base del ricordo di uno spazio o di un luogo. Noi trasferiamo tutte le metropoli e città che abbiamo visitato, tutti i posti che abbiamo riconosciuto, nella memoria incarnata del nostro corpo. La nostra abitazione diventa una cosa sola con la nostra autoidentità; diventa parte del nostro stesso corpo, del nostro stesso essere. N elle memorabili esperienze dell'architettura, spazio, materia e tempo si fondono in un'unica dimensione, nella elementare sostanza dell'essere, che penetra la nostra coscienza. Identifichiamo noi stessi con questo spazio, questo posto, questo momento, e queste dimensioni diventano ingredienti della nostra esistenza più vera. L'architettura è l'arte della riconciliazione tra noi stessi e il mondo, e questa mediazione avviene attraverso i sensi. Nel1954, all'età di 85 anni, Frank Lloyd Wright formulò il compito supremo dell'architettura nel modo che segue: 89
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Quello di cui più abbiamo bisogno nell'architettura odierna è la stessa cosa di cui abbiamo bisogno nella vita: integrità. Esattamente come accade per l'essere umano, l'integrità è la qualità più profonda di un edificio [ ... ]. Se ci riusciremo, avremo reso un grande servizio alla natura morale -la psyche - della nostra società democratica [ ... ]. Se difenderai l'integrità del tuo edificio, difenderai l'integrità non soltanto nella vita di chi costruì l'edificio, ma nella società: una reciproca relazione è inevitabilé 9 . Solenne dichiarazione sulla mrssrone dell'architettura che oggi è anche più pressante rispetto a quando fu scritta, cinquant'anni fa. E questa visione esige una piena comprensione della condizione umana.
Dal catalogo Ja ca Book Saggi di architettura
J.
RUSKIN, La natura del Gotico, 1981, ult. rist. 1997 E. VIOLLET-LE-DUC, ];architettura ragionata 1982, ult. rist. 2002 J. RUSKIN, Le sette lampade dell'architettura 1982, ult. rist. 2007 D. WATKIN, Architettura e moralità, 1982 A. PIVA, La costruzione del museo contemporaneo, 1983, nuova ed. 1991 B. LEMOINE, Le Halles di Parigi, 1983 . H. HÀRING, Il segreto della /orma e altrz scritti, 1984 R. ASSUNTO, La città di An/ione e la città di Prometeo, 1984, nuova ed. 1997 I. CERDA, Teoria generale dell'urbanizzazione 1984 nuova ed. 1995, ult. rist. 2004 C. SI'I'TE, Ì;arte di costruire le città, 1984, ult. rist. 2007 LE CORBUSIER, La casa degli uomini, 1985 V. SCULLY Jr., Architettura moderna, 1985 F.L. WRIGHT, Una autobiografia, 1985, nuova ed. 1998, ult. rist. 2003 H FATHY Costruire con la gente, 1986 H: VAN VELDE, Sgombero d'arte e altri saggi, 1986 A. MANGIAROTTI e altri, In nome dell' architettura, 1987 AA.VV., Villard de Honnecourt. Disegni,
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