Genesi dello spazio economico


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Genesi dello spazio economico

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( ,J •:N I•~~. Alla luce di dò risulta il completo travisamento cui, in Gode.lier, è· sottoposto il concetto di «autosufficienza». Secondo- fautoi;e, il concetto di « economia di sussistenza » è da resplngere sulla base del fatto che l'uomo .« pon vive di. solo pane e non è condannato a dedicare tutto il suo tempo a lottare contro la .natura per sopravvivere». {GoDELIER M., Antropologia· f! marxismo,_ cit., _- :P•, 202). Quanto ciò sia lontano dal vero significato dell'aut0$ufficienza risulta· chiaro AaJ testo platorùco: esso riguarda infatti non l'aspetto quantitativo dei .beni, quanto il modo della loro acquisizione e il fine cui. sono desti-9atL. In .. quçw>,.§çqso: cade anche quell'incompatibilità, rilevata da Godelier, . tra un'economia di sussisterza1 intesa nel suo significato più riduttivo, e fenomeni di scambio.

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dizione di « somiglianza e di uguaglianza » fra i cittadini 24, né l'indissolubilità del vincolo fra soggetto e condizioni oggettive di esistenza, condizioni che rappresentano il rapporto comunitario fra individuo e individuo e stato 25 • In entrambi i casi l'operare del principio del « bastare a se stesso » manifesta la presenza del politico che riflette e riproduce se stesso e le sue strutture mediante la riproduzione, in ter mini marxiani, « dell'individuo nei rapporti determinati con la sua comunità, nei quali esso rappresenta la base della comunità stessa» 26 • In relazione a ciò si chiarisce anche come sia oggettivamente determinato l'ammontare quantitativo dei « molti bisogni » e dei beni necessari alla loro soddisfazione. Il mantenimento del « medio tenore; di vita materiale » n, con ì significati etici e politici a cui la formula allude, costituisce, in termini polanyiani, quella « esigenza oggettiva » da cui deriva l'idea dì un « importo intrinsecamente limitato delle cose necessarie» 28 • È comprensibile pertanto come entro la tematica del limite, della misura oggettivamente determinata, si svolgano sempre le considerazioni platoniche sul momento dell'acquisizione e del consumo dei beni. È evidente nel filosofo il tentativo di sottrarre la definizione della « giusta misura » ad un'ottica relativista che ne vanificherebbe la funzione normativa e quindi di determinarne stabilmente l'essenza quando afferma che « se si ammetterà che il più grande a nient'altro stia in relazione se non al più piccolo, allora non potrà mai essere in relazione alla giusta misura... Il maggiore, e così pure il minore [ devono J misurarsi non solo in relazione reciproca, ma 0

Leg. V 741 a-b. Il divieto di alienare la terra e le disposizioni tese ad arginare la ricchezza monetaria che incide negativamente sull'assetto complessivo della proprietà, si esprimono nella formula « me kinein tà akyneta », la quale indica l'impossibilìtà di alterare tale assetto senza porsi in contraddizione con gli stessi principi che reggono la comunità. Cfr. Leg. III°, 684e; VIII 0 , 843e; XI•, 913b. Sullo stretto rapporto fra struttura economica e struttura comunitaria cfr. anche Resp. VIIIQ, 552a: il massimo dei mali è che « uno possa vendere i propri averi e un altro acquistarglieli; e quando li ha venduti, abitare uno stato senza appartenere ad alcuna classe: non è uomo d'affari, nè artigiano, nè oplita: lo chiamano un poveraccio senza risorse ». Sulla mancanza di alternative al possesso di un lotto cfr. ZIMMER A., Il commonwealth greco, Milano 1967, p. 83; TouTAlN J., L'economia antica, Milano 1968, p. 69. 26 MARX K., Lineamenti fondamentali, dt., p. 108; dr. anche SCHIAVONE A., Per una rilettura delle Formen, dt., p. 203. Z'l Leg. V•, 737 c-d. 28 PoLANYI K,, ÀJ'istotele scopre l'economia. In Marxismo e società, cit., p. 114. Cfr. anche GoRDON B., Economie analysis, cit., pp. 28 ss. sull'« ideal plastic of being ». 24

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ECONOMIA DI SUSSISTENZA

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pure in relazione alla produzione della giusta misura~;, 29 • Affermata dunque l'esistenza di questa come realtà ontologicamente e stabilmente determinata, se ne pone in luce l'azione nel campo dei rapporti interumani affermando che « il simile ama il suo simile se questo si attiene alla giusta misura, ma ciò che è fuori misura dispiace sia a ciò che è come lui senza certo confine, sia a ciò che conserva il suo limite » 30 • È in funzione pertanto sia di un corretto rapporto etico fra i cittadini e della solidità delle relazioni comunitarie, sia (a causa del consueto intreccio di individuale e sociale) dell'equilibrio etico fra le componenti del singolo individuo, che la tematica della « giusta misura » si trasforma nel principio della ) ua_ In questo senso, lo scambio consente la circolazione di beni utili e li distribuisce secondo i diversi bisogni. Nella sua forma naturale, quindi, secondo Aristotele, lo scambio si attua solo nella forma del baratto, attraverso la semplice permuta di un bene dalla mano di un produttore diretto a quella di un altro; è scambio di beni, considerati esclusivamente in relazione al loro

Po!., I, 9, 1257 a 19-25. m Jb., 1257 a 14.

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valore d'uso. È quindi uno scambio che deve semplicemente consentire la circolazione dei beni da una comunità all'altra, senza però alterare 1a quantità delle risorse in precedenza contenute, né modificare il sistema dei bisogni, almeno sul piano della loro estensione e qualificazione, ma solo consentire la « giusta >> allocazione delle risorse in rapporto aila collocazione spazio-temporale dei bisogni ll4_ Anche quando il sistema degli scambi, assumendo una maggiore complessità in rapporto all'ampliarsi dello spazio dei bisogni e in relazione al loro diversificarsi e affinarsi, e insieme a causa dell'aumento Jella domanda interna di beni che necessitano di essere importati - vedi ad esempio i metalli - , il dilatarsi sul piano spaziale dell'area degli scambi, quando, dicevamo, tutti questi fattori hanno reso necessaria l'introduzione della moneta e il costituirsi di un gruppo che si dedica stabilmente a tutte le operazioni dello scambio - commercio, credito, interesse bancario etc. - , tuttavia anche in questo caso è possibile determinare uno spazio naturale di tutti questi fenomeni. Essi, in sostanza, debbono comunque rimanere subordinati al sistema naturale, servire soltanto da strumenti per integrare le funzioni economiche della natura, senza mai sovrapporsi al senso complessivo del sistema economico-naturale 115 • Così la moneta deve essere utilizzata semplicemente per rendere più facili gli scambi, come mezzo che tuttavia deve sempre, alla conclusione dello scambio, scomparire per lasciare protagonisti sulla scena esclusivamente i produttori e i prodotti considerati in rapporto al loro valore di uso. La caratteristica di fondo di questo sistema consiste nell' assunzione del postulato del limite come condizione necessaria affinché il sistema nel suo complesso si autoconservi, mantenendo inalterato il rapporto che deve intercorrere tra i diversi momenti che compongono tale sistema. Il limite deve valere in primo luogo nei confronti del sistema medesimo, che non è affatto una totalità in progressiva crescita e sviluppo, ma un intero statico. Come s'è detto, la produzione, vista sia in rapporto alle forze produttive come in relazione allo sviluppo della tecnologia, deve rimanere sostanzialmente immutata, dal momento che immutato rimane il momento cardine della produzione, cioè l'agricoltura, mentre gli altri elementi rivestono soltanto valore complementare e sussidiario; allora lo spazio di mutamento è aperto soltanto in direzione dei desideri e dei bisogni. Pertanto una forzatura in tale direzione dello spazio economico costituisce un regresso e una

11 4 ll5

Eth. Nic., V, 5, 1033 a 16; 1033 b 6 ss. Po!., I, 9, 1257 a 34 ss,

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decadenza, cioè una diminuzione complessiva delle risorse in rapporto all'aumento dei bisogni, non certo alcun sviluppo ll 6 • Tale limite, inoltre, deve farsi valere anche in relazione ai modi dell'acquisizione che così, in quanto tale, risulta essere una attività prefissata nella sua forma generale, nei suoi strumenti, in relazione ai beni che essa deve ricercare e, soprattutto, in rapporto alla sua destinazione finale 117 • Il limite si fa valere inoltre anche in rapporto alla distribuzione delle risorse che, nella sua forma ottimale, deve favorire la costituzione di una classe media, espressione della virtù del giusto mezzo, impedendo così l'esistenza di una eccessiva ricchezza concentrata nelle mani di pochi e la presenza di una forte componente di nullatenenti;in entrambi i casi, infatti, 1a costituzione della polis rischia di essere messa in questione per l'imporsi o di tendenze oligarchiche e timocratiche o di componenti eccessivamente democratiche, oppure, nel caso di conflitti permanenti, di forme di tirannide 118 • Sotto questo aspetto, esiste un innegabile intreccio tra momento economico e costituzione politica, e i mutamenti nell'uno o nell'altro campo hanno delle immediate e necessarie ripercussioni sull'altro momento. Di qui le preoccupazioni platoniche e aristoteliche di fissare norme per regolamentare tutto il momento economico. « Fissare norme » in questo caso significa eminentemente tracciare i confini all'interno dei quali produzione, distribuzione, scambio e consumo debbono incanalarsi per non diventare pertubatori dell'equilibrio 119 • Sotto quest'aspetto è significativo l'atteggiamento platonico nei confronti dell'innovazione nel campo delle tecniche, di tutte le tee• niche 120 • Non solo il « fatto » della innovazione, ma soprattutto lo «spirito» dell'innovazione è pericoloso per la polis, in quanto ingenera una mentalità che tende continuamente a superare i limiti, a mettere in questione lo spazio dell'esistente, a richiedere modifiche interne allo spazio del sistema esistente, che spesso e inevitabilmente si trascina dietro l'istanza di una nuova configurazione dello spazio stesso, l'apertura di nuovi orizzonti e di diversi confini, se quelli che delimitano 116 Ib., I, 9, 1257 b 1 ss.; così per Plat0ne, Leg. V, 736, « la povertà risulta dalla crescita dei desideri dell'uomo, non dalla diminuzione della sua proprietà». Cfr. GoRDON B., Economie Analysis, cit., p. 34. m Pol. I, 9, 1256 b 34. 118 Pol., IV, 11, passim; III, 9; III, 12, 1282 b 21 - 1283 a 37; cfr. ZELLER E. - MONDOLFO R., La filosofia dei Greci, cit., pp. 149 -ss.; CAMBIANO G., Platone e le tecniche, Torino 1971; cfr. Platone, Resp., IV, 421 d ss. 119 POLANYI K., Aristotle Discovers, cit.; GoRDON B., Economie Analysis, pp, 33 ss. 1w Platone, Resp., IV, 421 d; 422; Leg., 656-657.

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l'esistenza non sono in grado di accogliere le nuove istanze. In questa• direzione si muovono particolarmente, come vedremo, il complesso dei fenomeni economici che vanno sotto il nome di crematistica. · Il tempo economico di questo sistema è il presente, affrontato alla.···• luce del passato, mentre scarsissimo peso ha il futuro, per il suo > carattere di indefinitezza, di apertura al nuovo e al possibile, per la·. .· necessità, qualora fosse assunto come termine per la stessa detenni-< nazione del presente, ad orientare lo stesso presente in relazione a una qualche forma di imperativo dello sviluppo m. La produzione e •· . il consumo, le risorse e i bisogni, la chiusura dei bilanci sono rigorosamente annuali 122 • •. Insieme, risulta limitato lo spazio economico, che è sempre spazio determinato dell'organismo vivente - singolo o comunità - ..·.·.

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6. La crisi del sistema dell'economia naturale.

La concezione del sistema dell'economia «naturale» è posta in . crisi dal prodursi di fenomeni economici che non solo non si rifanno·.·.·· · ai principi di fondo di tale sistema, ma anzi apertamente li contraddicono. Dal punto di vista greco, non rifarsi ai principi non significa . decidere di riferirsi ad altri principi assunti come postulati, quanto negare leggi del funzionamento della natura nel campo occupato dai ·· · bisogni e dalla ricerca degli strumenti che servono per appagare tali bisogni. Si tratta pertanto della emergenza di tecniche non naturali di acquisizione della ricchezza l23_ In questa definizione, come abbiamo già anticipato, si nascondono non poche delle ambiguità con cui Aristotele intraprende lo studio e .. la spiegazione del nuovo che emerge nell'economia. La prima ambi- •·. · guità concerne il fatto che non è chiaro se, quando Aristotele parla di tecniche naturali e non, con questo intende semplicemente descrivere un fatto, oppure esprimere una sorta di giudizio di valore. Parlando infatti della crematistica, egli afferma che tale arte « non è per natura e deriva piuttosto da una forma di abilità e di tecnica » 124. Ciò significa che, a differenza dell'altra forma di acquisizione dei beni, che è data immediatamente da natura, come strumento atto a pro-

121 RuGGIU

L., Tempo, coscienza e essete, cit., pp. 311-315. A., Introduz. a Aristote, cit., p, VIII.

122 WARTELLE

m Al'istotele, Pol., I, 10, 1258 b 1 ss. IsNARDI PARENTE M., Tecbne. Momenti del pensiero greco da Platone a Epicuro, Firenze 1966, pp. 156 ss. 124 Pol., I, 9, 1257 a 4.

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curare i beni necessari all'essere vivente 125 , questa seconda forma di arte è «artificiale» nel pieno senso del termine, cioè è esclusivamente frutto della forza inventiva, dell'abilità e dello spirito di osservazione dell'uomo che, sfruttando la conoscenza dei meccanismi economici, ne isola alcuni momenti e li sviluppa in modo autonomo, dando così vita ad una nuova tecnica 126 • Una seconda ambiguità consiste nel fatto che, talvolta, non-naturale ,ignifica insieme artificiale e quanto va contro la natura, assunta quest'ultima come norma assoluta del reale o come valore etico 12-i_ Nel primo senso, quello che attualmente consideriamo, non-naturale viene ad essete usato quasi nel senso di contraddittorio 128 , Ora, nel caso di questa nuova techne, essa non solo è del tutto frutto di « convenzione», di abilità e di decisione umana 129 , ma anche va contro tutte le leggi che presiedono alla costituzione e all'operare di qualunque techne. Se la considerazione dovesse assumere una veste formale, si dovrebbe dire che questa techne si costituisce non rispettando le regole e leggi che presiedono alla costituzione di ogni techne. Essa è una techne non-coerente, eppure esiste 130 , Come è possibile? In primo luogo questa tecnica è poietica, non d'uso 131 ; tuttavia la ricchezza che essa produce non scaturisce come conseguenza di un effettivo aumento della quantità complessiva di beni, quanto dal fatto che essa è in grado di sfruttare la circolazione dei beni per far produrre al denaro altro denaro nella forma di interesse 132 • Quindi il 125

lb., lb., 127 Ib., 12s Ib., 129 Ib., Bo Ib.,

I, 10, 1258 a 23 ss. I, 9, 1258 a 6-14. I, 10, 1258 a 10. I, 9, 1257 b 28. I, 9, 1256 b 40. I, 9, 1257 b 23; I, 8, 1256 b 35. 131 Aristotele, Poi., I, 8, 1256 a 11: « Si vede chiaramente che l'arte della amministrazione domestica non è la stessa che la crematistica (perché funzione dell'una è procacciare (tò porisàstai), dell'altra usare (tò chresàstai)». La subordinazione della crematistica all'arte dell'amml;nistrazione deriva dal primato dell'uso rispetto al momento tecnico-produttivo. Per la formulazione platonica, cfr. Resp., X, 601 e 12 ss.; Eut., 288 e ss.; Crat. 390 b; Resp., X, 601 d: « per ogni oggetto vi sono tre arti: quella che fa uso vera.mente dell'oggetto; quella che lo produce, quella che lo imita». (Cft. anche 602-a). Cfr. CAMBIANO G., Platone e le tecniche, cit., pp. 158-161; RUGGIU L., Teoria e prassi, cit., pp. 48-51; VERNANT J. P., Mito e pensiero, cit., pp. 195 ss.; AuBENQUE P., La prudence, cit.; IsNARDI PARENTE M., Techne, dt., pp. 178 ss.; GIGON O., Theorie imd Praxis, cit. Per i passi aristotelici cfr.: Phys., II, 9, 199 b 34 - 200 a 34; Protrep. fr. 4 Ross; Eth. Nic., VI, 4, 1140 a 10-14. 132 Pol., I, 10, 1258 b 1 ss.; I, 9, 1257 b 1 ss.; GoRDON· B., Economie Analysis, cit., pp. 26-33, pone in luce il rapporto che !qlltercorre tra concezione statica del126

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suo intervento non mira, come altrove dice Aristotele, a produrre, cioè a « cercare con l'abilità e la teoria come possa prodursi qualcuna delle cose che possono sìa esserci sia non esserci e di cui il principio è in chi crea e non in ciò che è creato » 133 , non produce nessun bene nuovo, e tuttavia alla fine abbiamo l'accrescimento, cioè una reale produzione di ricchezza, sia pure nella forma monetaria 134 • Inoltre, quest'arte si propone un fine che è indefinito e insieme illimitato, giacché il tipo di ricchezza a cui essa mira sembra non conoscere alcun limite 135 • Suo scopo non è infatti la ricchezza, come un complesso, sia pure grande quanto si voglia, ma sempre e comunque delimitato e definito 136, di beni d'uso, ma l'arricchimento nella forma del denaro che, come una forma di continuo numerico, sembra poter assumere un numero sempre diverso e sempre maggiore rispetto a quello dato m_ Inoltre, come vedremo meglio in seguito, quest'arte viene in certo modo a distruggere quella che è la struttura di fondo di ogni techne, il rapporto mezzo-fine, come momenti che rimangono comunque distinti m. In questo caso, iI denaro invece realizza la perfetta circolarità

l'essere e resistenza o ostacolo posto dai filosofi e dal senso comune contro una teoria 2ella crescita economica. La quale, comunque, si pone in contraddizione con le esigenze della politica, introducendo tensioni di innovazione e di cambiamento. 133 Eth. Nic., VI, 4, 1140 a 8-16. 134 Pol., I, 9, 1257 b 5. 135

Ib., I, 9, 1257 b 23. I b., 1256 b 24. 137 Pol. I, 9, 1257 b 38 ·- 1258 a 10; le conside.mzioni aristoteliche assumono come sfondo la concezione dell'infinito: « In verità capita che l'infinito sia proprio il contrario di quel che si dice. Difatti, ·l'infinito non è ciò al di fuori del quale non c'è nulla, ma ciò al di fuori del quale c'è sempre qualcosa ( ... ) Ciò invece, al di fuori del quale non c'è nulla, è perfetto .ed intero. Chè noi cosl definkµno l'intero: ciò che non manca di nulla» (Phys. III, 6, 207 a 1-10; 206 a 27). L'infinito è. realtà in potenza non nel senso che successivamente può realizzarsi nell'atto, ma in quanto esso ~< è un atto che ha una realtà puramente potenziale, non che l'infinito abbia una propria esistenza»: Met. IX, 6, 1048 b 14. La via all'infinito, come dice WIELAND W., Die aristotelische, cit., p. 293, consiste solo nell'infinità della via. Cfr. RuGGIU L., Tempo, coscienza e essere, dt., pp. 373 ss.; AUBENQUE P., Le probleme de l'étre, cit,, p. 232; MoNDOLFO R., L'infinito nel pensiero, cit. 138 La distinzione fra tecniche produttive e scienze architettoniche, tra subordinazione della poiesis e primato dell'uso (cfr. n. 131), implica una considerazione della tecnica come mezzo, che lascia al di fuori di sé il fine e la scienza dei fini, la politica, cui essa è subordinata; cfr. GrooN O., Theorie und Praxis., cit: 136

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dei due momenti, skché il fo:c diviene mezzo e il mezzo fine, senza che si possa porre un limite definito a questo processo 139 • Inoltre, questa techne distrugge la distinzione tra tecniche produttive e tecniche d'uso 140 ; le prime debbono svolgere un ruolo subordinato rispetto alle seconde, dal momento che mettono a disposizione strumenti (la ricchezza) che le seconde debbono utilizzare piegandole al fine. Ponendosi la ricchezza come il vero fine, la tecnica produttiva diviene nello stesso tempo tecnica d'uso: ancora una volta mezzo e fine contemporaneamente 141 , Se teniamo ferma la considerazione che ogni arte deve imitare nei suoi processi e nella sua modalità di intervento la natura 1~, qui abbiamo al contrario una techne che sovverte completamente tutte le leggi di funzionamento delle altre tecniche e quindi, a maggior ragione, della natura, non solo in quanto essa opera su una realtà artificiale come il denaro, ma soprattutto perché rende produttivo ciò che dovrebbe essere improduttivo, rovesciando le regole della produttività in generale. Essa sembra obliterare completamente quelle che sono le condizioni ontologiche cui ogni techne deve sottostare per esistere 143 • Questa techne si contrappone alla relazione di fondo che deve guidare il rapporto delle tecniche con la natura: essa non esiste né « per portare a compimento ciò che la natura è impotente ad effettuare», né la assume come criterio, valore o procedura « da imitare». Il tradizionale significato « complementare » della techne rispetto alla natura, da Aristotele accolto e teorizzato, quindi la considerazione delle arti in una posizione del tutto subordinata, viene ora ad essere completamente negata dalla crematistica, in primo luogo mediante l'assunzione di fini alternativi rispetto a quelli « naturali ». I fini della natura, la natura stessa come fine, non vengono più accettati come espressione del bene o del meglio da rispettare e da perseguire « comunque »; la techne non ha più solo un ruolo strumentale rispetto alla physis, ma apre un orizzonte del tutto inusitato in cui gli stessi fini sono « decisi », non accolti o assunti da natura. Dalla potenza del soggetto dipende l'esistenza o meno dei fini. Le intuizioni e i tentativi della sofistica assumono consistenza attraverso la nuova concezione Pol. I, 9, 1257 b 22. Oltre ai testi citati nelle note precedenti, cfr. Phys. II, 2, 194 b 1 ss. 141 Pol. I, 8, 1256 a 11. 142 Phys. II, 8, 199 a 8 ss. 143 Eth. Nic. VI, 4, 1140 a 8 ss.; RuGGIU L., Teoria e prassi, cit., pp. 44 ss.; IsNARDI PARENTE M., Techne, cit., pp, 97 ss.; VATTIMO G., Il concetto di fare in Aristotele, Torino 1961; JAEGER W., Aristotele, cit., p. 97; p. 353; BIEN G., Die Grundlegung, cit., pp. 275 ss. 139

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della ricchezza e del suo acquisto. La tecnica economica non si inserisce nei pori lasciati liberi dallo spazio economico tracciato e definito dalla natura, ma si sovrappone o si affianca ad esso mediante la costruzione di uno spazio economico artificiale. I confini di esso, le regole al suo interno, le finalità cui esso obbedisce, vengono posti come espressione di un « nuovo » che non obbedisce più a norme date, né assume oggetti, ma costruendo l'oggetto insieme assegna ad esso leggi. Ciò che si preannuncia è un capovolgimento di prospettiva nella concezione e nella costituzione della società antica. Non solo la natura, secondo l'ideale archetipale, non è più considerata come un sistema completo e autosufficiente, concluso e « perfetto » anche rispetto all'uomo, in cui egli deve cercare di reintegrarsi, superando la pena del lavoro; ma neppure l'apertura consentita dalla critica di Senofane a questa concezione è accolta; (fr. 18: « non fin dal principio gli dei rivelarono tutto ai mortali, ma questi col passar del tempo cercando trovano ciò che è meglio»). La tendenza della nuova concezione, la sua logica implicita, è quella di rovesciare il sistema della natura, considerandolo solo in una funzione meramente stwmentale e subordinata rispetto al fine dell'arricchimento e alla capacità di usare tutto ciò che è da natura in modo non naturale (Pol. 1.9.1258 a 6-14). Tutto è solo mezzo in vista dell'arricchimento; ogni cosa può e deve essere « valutata». Questa techne diviene astuzia e inganno che piega la natura ai bisogni, anch'essi naturali, dell'uomo, facendone deviare il corso « costante» e adattandolo ai ritmi di cambiamento dei bisogni umani; cii più: sono ora gli stessi bisogni ad essere creati. Si tratta di bisogni artificiali, non più naturali, che fanno riferimento ad uno spazio economico del tutto separato rispetto a quello aperto dalla natura e dalla politica 1-1-:1. 144 Pol. I, 8, 1256 b 25-40. Sul rapporto fra techne e natura in Aristotele cfr. Phys. II, 1; sulla corrispondenza tra modo d'operare della natura e modo d'operare della tecnica cfr. Phys. II, 8, 198 b 34 - 194 b 33; sull'imitazione cfr. Phys. II, 2, 194 a 21; cfr. 11 Ross; sul concetro di «fine» come espressione di razionalità immanente cfr. Ib. II, 8, 198 b 34 - 194 b 33; Po!. I, 9, 1256 b 20. Sul carattere complementare della techne rispetto alla natura cfr. Phys. II, 8, 199 a 15; fr. 11 Ross; cfr. RuGGIU L., Teoria e prassi, eit., pp. 44-51. Sulla istituzione delle tecniche come furto perpetrato nei confronti degli dei e quindi come colpa cfr. CAMBIANO G., Platone, cit., pp. 13-28; per Io studio dei precedenti mitici cfr. DETIENNE M.. VERNANT J. P., Le astuzie, cit.; VERNANT J. P., Mito e pensiero, cit., pp. 165 ss. Affiora nella considerazione aristotelica della crematistica come arte, il residuo della visione negativa che vede nella techne solo « astuzia » colpevole rivolta contro natura. Questa concezione emerge da un passso di una opera pseudo.aristotelica, Probl. 847 a 10 - 848 a 15: « Accadono

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7. Ambiguità dello scambio: forma di integrazione e di dissoluzione.

Questa nuova techne non appare nell'orizzonte sodale in tutta la forza della sua novità dirompente, ma si cela e per molti versi si confonde con la forma « natutale » di acquisizione della ricchezza, quella che costituisce parte integrante dell'amministtazione domestica. Ma la « confusione » dipende dalla circostanza che le due forme di crematistica mantengono fra loro un aspetto essenziale di identità, che consente alle differenze di rimanere nello sfondo come non immediatamente osservabili 145 • Ma questa difficoltà non dipende da cause soggettive, bensì da ragioni obbiettive; come infatti osserva Aristotele, l'una forma sotge dall'altra per una sorta di sviluppo logico (Politica, 1.9.1257a 31 ). Questo significa che le premesse della crematistica non-naturale sono immanenti alla forma ~ nel:la Politica e nella sua determinazione 1Simbol:ica nel testo dell'Etica Nicomachea, clr. GORDON B., Economie Analysis, cit., pp. 43 ss. 174 Po!. I, 9, 1257 a 30. 175 Eth. Nic. V, 5, 1133 b 18; 1133 a 18-28. 116 !b. V, 5, 1133 h 10. 173

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mediante Io scambio» m. Lo scambio in tal modo non è più solo la forma attraverso la quale i beni si dispongono fra i soggetti secondo i bisogni, ma diviene esso stesso fonte e modo di produzione della ricchezza 178 • Sicché l'intermediazione costituisce ormai forma artificiale autonoma di sostentamento che non dipende più dalla produzione, cioè da un processo di trasformazione della natura da parte del produttore diretto m. Questi ricava invece ricchezza dallo stesso denaro; egli compra per vendere; gli estremi del processo sono ora costituiti dal denaro, mentre il prodotto considerato come valore di scambio diviene il medio: D - • - P - - - D'. Si è così attuata una completa inversione del processo naturale di scambio (P - - - D - - - P'); il denaro, da mezzo che favorisce il rapporto fra gli estremi, diviene esso stesso fine, mentre il prodotto, l'oggetto del bisogno, si trasforma in mezzo. Bisogno e utilità non sono più, in questo caso, la destinazione e la qualità dei prodotti della produzione e dello scambio, ma costituiscono solo gli strumenti di cui ci si serve per aumentare il profitto 100 • Lo scambio non riequilibra prodotti e bisogni, ma procede in modo autonomo servendosi di prodotti e bisogni ai fini della produzione della ricchezza monetaria. « Per questo quindi, pare che la crematistica abbia da fare principalmente con il denaro e che la sua funzione sia di riuscire a scorgere donde tragga quattrini in grande quantità, perché essa produce ricchezza e quattrini » 181 • Con l'affermarsi del danaro, si afferma una nuova forma di ricchezza 1112 misurata non più in rapporto al possesso di beni d'uso, ma in rapporto ad un bene che non serve immediatamente i bisogni, che quindi non può essere usato, come la moneta. Sicché, « un uomo ricco di denari può spesso mancare del cibo necessario » 183 , come si racconta di Mida. Perché possa avvenire l'accumulazione, i bisogni stessi debbono venire continuamente trascesi, senza essere essen;6almente appagati 184 • Il bisogno cui risponde l'accumulazione di ricchezza monetaria è semplicemente il desiderio del possesso della ricchezza per la ricchezza, che così diviene fine in sé, perdendo la caratteristica

m Pol. I, 9, 1257 b 4. Ib. I, 10, 1258 b 1. 179 Ib. I, 9, 1257 b 22. 1so lb. 1257 b 4. 1s1 Ib. 1257 b 5. 182 Sul capitale monetario cfr. RoLL E., Storia del pensiero economico, Torino 1971, p. 23. 183 Pol. I, 9, 1257 b 13. 184 Ib. 1257 b 29. 178

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di insieme di strumenti per appagare i bisogni 185 • Poiché la destinazione finale non è più un bisogno naturale, sempre definito nella sua determinatezza quantitativa e qualitativa, quindi sottoposto al vincolo del limite, ogni fine è parziale, una sosta temporanea, un limite posto solo virtualmente per un processo che invece si determina come procedere 188 • E questo è possibile solo in quanto gli estremi del processo sono identici, denaro privo di ogni determinatezza naturale, pura astrazione numerica e perciò stesso sempre identico e sempre intercambiabile 187 • La fine e il principio di questa forma di scambio coincidono continuamente, in un processo circo• lare che continuamente si rinnova, con una forma nuova di eternità 188 . Ma il prodotto, che in questo processo funge da medio fra gli estremi costituiti dal danaro (D - - - P • - - D'), può ricoprire questo ruolo solo in quanto esso sia artificialmente considerato come espressione di quella stessa natura di cui il danaro è costituito 1119 • È allora necessario, per venire in chiaro di questo problema, riflettere sulla origine della moneta e sulla sua natura. Si tratta di una ricerca, quella svolta da Aristotele nel V libro dell'Etica a Nicomaco, fra le più complesse e profonde condotte non solo nell'antichità, che ora è necessario trattare, con una ripresa dell'analisi dello scambio. Noi riteniamo, a differenza di quanto mostra di credere Polanyi 190, che il « contraccambio » di cui questo testo tratta, non ha più solo a che fare con i fenomeni tipici della società arcaiche e dei rapporti di status che intercorrono tra i diversi membti, ma che qui abbiamo anche a che fare con vere e proprie relazioni astratte di scambio, in cui le relazioni stesse sono ormai mediate da quella forma di astrazione per eccellenza che è la moneta 191 •

iss Ib. 1, 9, 1257 b 5; Eth. Nic. IV, 1, 1120 a 8; Eth. E. III, 4, 1132. Met. III, 5, 1012 a 15-28. Pol. I, 9, 1257 b 22; per il senso di «limite» cfr. Cat. 6, 5, a 1 ss. 188 Phys. III, 7, 207 b 14; 206,a 27; WrnLAND W., Die aristotelische, cit.,

186 187

p. 296. 189 Sul concetto di misuta cfr. Met. X, 1, 1052 b 25; b 20; Met. V, 6, 1016 b 17; X, 1, 1052 b 15; cfr. RuGGru L., Tempo, coscienza e essere, dt., pp. 124 ss, 190 POLANYI K., Trade and Market, cit., p, 93; il testo è in Eth. Nic, V, 5, 1133 a L 191 Sorm-RETHEL A., Lavoro intellettuale e lavoro manuale. Per la teoria della sintesi sociale, Milano 1970.

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9. La teoria della moneta.

In rapporto all'elaborazione aristotelica della teoria della moneta in, occorre notare come in Aristotele sembrano intrecciarsi due differenti posizioni, non facilmente componibili: da un lato, infatti, egli nella Politica pare fautore di una concezione naturale, metallista, della moneta, mentre nell'Etica a Nicomaco compare una visione puramente convenzionale della moneta, più vicina a quella sostenuta da Platone 193 • Nel primo caso, la moneta è vincolata alla qualità naturale della materia di cui essa risulta costituita, al suo valore d'uso. Essa può sostituirsi ai beni oggetto di scambio, solo in quanto questi non si possono « trasportare facilmente ». « Infatti non si può trasportare facilmente tutto ciò che serve alle necessità naturali e quindi per effettuare il baratto si misero d'accordo di dare e prendere qualcosa che, essendo di per sé utile, fosse facile a usarsi nei bisogni della vita, come il ferro, l'argento e altri metalli del genere, definito dapprima alla buona ·mediante grandezza e peso mentre più tardi ci impressero anche uno stampo per evitare di misurarlo e lo stampo fu impresso come segno della quantità » 1M. Queste considerazioni riflettono la genesi della moneta, mettendo in rilievo il fatto che, in questo contesto, la moneta si muove ancora all'interno della logica del baratto, dove il metallo sostituisce il bene prodotto semplicemente per la sua più facile maneggevolezza e per il riconosciuto valore di utilità. Si tratta quindi di un semplice espediente che non intacca né contraddice il signi• ficato « naturale » dello scambio. Il passaggio alla crematistka non naturale l9S avviene soltanto in

192 RoLL E., Storia del pensiero, cit., pp. 23 ss.; CAMPESE S., Polis e economia, cit., pp. 29 ss.; GoRDON B., Economie Analysis, cit., pp. 43 ss.; BrnN G., Die grundlegung, cit., pp. 277 ss.; TourAXN J., L'economia antica, Milano 1968, pp. 88 ss.; Ross W. D., Aristotele, cit., p. 232; DENIS H., Storia del pensiero, cit., pp. 64 ss. Per il significato che ha la moneta in un contesto diverso da quello delle economie di mercato, cfr. PoLANYI K., Trade and Market, cit., pp. 264 ss.; KRAAY C. M., Hoards, Small Change and the Origin of Coinage, in « Jour. of Hell. Stud. », 1964, 84, pp. 76-91; WILL E., De l'aspect èthique de l'origine greque de la monnaie, in « Revue Histor. », 1954, 212, pp. 209-231; WrLL E., Réflexions et hypothèses sur les ot'igjnes du monnyage, in ~, 1955, 17, pp. 5-23; VIDAL-NAQUET P., Fonction de la monnaie dans la Gréce archaique, in « Annales E.S.C. », 1968, I, pp. 206-208. 193 Cfr. Aristotele, Pol. I, 9, 1257 b 25 ss.; Eth. Nic. VI, 5, 1132 b 21 ss. Platone, Resp. II, 372 b; Leg. 742 a-b; 918 b; GoRDoN B., Economie Analysis, cit., pp. 43 ss.; Tozzr G., Economisti greci e romani, Milano 1961, pp. 174 ss. 194 Po!. I, 9, 1257 a 30 ss. 19s lb. I, 9, 1257 b 1 ss.

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rapporto all'affermarsi della natura convenzionale della moneta, al costituirsi quindi di uno spazio economico « artificiale » costituito dallo scambio e dal significato puramente sociale che in esso riveste la moneta 196 • Che assume quindi ad un tempo un senso astratto e astraente in rapporto alla funzione di mezzo di scambio. Essa è astratta, in quanto in primo piano risulta la sua valenza quantitativa, quella della misura; per fare dò essa deve spogliarsi di tutte le caratteristiche naturali, far scomparire ogni aspetto qualitativo per tradursi ed esprimersi in puro segno di quantità 197 • Essa ha nel contempo una funzione astraente in rapporto ai beni che debbono rapportarsi nello scambio, beni che si relazionano reciprocamente solo in quanto si traducono in termini di pura quantità. Il terreno naturale dei prodotti è tracciato dalla irreducibile divetsità della qualità dei soggetti e degli oggetti dello scambio, dalla loro utilità, importanza o significato delle prestazioni e delle artL Lo scambio presuppone la diversità e insieme la complementarietà dei soggetti, delle loro attività, dei loro bisogni iw_ L'autosufficienza non è un fatto naturale, ma risultato di una volontà di integrazione fra soggetti o fra comunità non più immediatamente vincolati da legami tribali 199 • Lo squilibrio tra bisogni e produzione può essere colmato solo dallo scambio, che diviene cosi elemento essenziale della nuova vita di relazione. L'allentamento o la dissoluzione dei vincoli di sangue trova un suo sostituto - o comunque un insostituibile momento complementare - nello scambio. In questo senso il bisogno, fondamento dello scambio, sortegge la società come nuovo vincolo di unità 200 • La comunità certo non esaurisce il ptoprio essere nel soddisfacimento dei bisogni necessari, che tuttavia ora mutano essenzialmente in quantità e qualità. Se queste sono le condizioni che rendono possibile lo scambio, esso può tuttavia realizzarsi solo in quanto sia possibile una real.e commisurabilità fra i diversi prodotti risultato di attività diverse. La comunità deve quindi trovare forme comuni, determinate attraverso una decisione sodale e politica, per poter eguagliare gli estremi dello scambio. Per questo, occorre trovare una misura comune che sia in grado di consentire il superamento della qualità natmale del singolo prodotto e attività, e di tendete possibile l'equiparazione fra i diversi usi in rapporto ai differenti bisogni. La differente molteplicità perde

196

197 198 199 200

Eth. Nic. V, 5, 1133 b 19-22. Ib. 1133 a 19; 1133 b 20. Ib. 1133 a 5-34. Po!. I, 2, 1253 a 2; 1252 b 15 ss. Eth. Nic. V, 5, 1133 a 25 ss.

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così l'irriducibilità delle particolarità per rientrare in uno spazio omogeneo, quello dell'astratta quantità, in cui ogni bene può essere visto solo come momento o manifestazione di astratta quantità e quindi può essere misurato con una comune unità di misura 201 • Si intrecciano nelle riflessioni aristoteliche due problemi distinti; per un verso quello del valore dei prodotti, per altro verso quello della espressione di questo valore nella unità di misura della moneta. L'apertura dello spazio artificiale e convenzionale della moneta consente la misurabilità dei prodotti; ma per passare alla effettiva misurazione, occorre rendere possibile la comparazione, la reciproca convertibilità tra i beni, ritrovando in essi il fondamento della identità di valore. Su questo secondo aspetto ritorneremo. Occorre invece proseguire nell'analisi della funzione della moneta come « medio ». « Per questo sorse la moneta, ed essa è, in certo modo, il medio: essa infatti misura ogni cosa, cosicché misura anche l'eccesso e il difetto » 202 • Ogni cosa può essere misurata solo in quanto ogni cosa è riconducibile alla astratta quantità della moneta. Ma la sua convenzionalità non consiste soltanto nel suo determinarsi come aspetto quantitativo, ma anche nell'essere il suo valore determinato e garantito dalla polis 203 • Essa diviene eminentemente simbolo di ricchezza, sta per una ricchezza che nella sua materialità naturale risiede altrove. Essa rimanda a quella vera fonte della ricchezza custodita ed espressa dalla polis. In questa funzione, la moneta, in quanto deposito di ricchezza, può divenire riserva degli scambi futuri, qualora attualmente - cioè nel presente - , non si abbia bisogno di ciò di cui invece, successivamente, potrà aversi bisogno. Essa viene così a costituire un deposito dell'attuale eccedenza di beni potenziali che possono essere immessi nella circolazione nel momento in cui si verificherà l'indigenza di ciò di cui si ha bisogno, nel tempo in cui se ne avrà bisogno. Il risparmio di moneta equivale così anche ad un differimento e risparmio dei consumi. Ma il potere d'acquisto della moneta subisce oscillazioni nel tempo, sebbene vi sia una certa tendenza alla stabilità del suo valore 204 • Ma nel complesso la moneta rimane come manifestazione dell'impegno della comunità che in futuro vi saranno scambi

201 Ib, IX, 1, 1164 a 1; V, 8, 1133 a 20; b 16. La misura « è ciò per cui primieramente conosciamo ciascuna cosa» (Met. X, 1, 1052 b 25); cfr. Met. V, 6, 1016 b 17; X, 1, 1052 b 15; XIII, 6, 1081 a 19; 7, 1083 a 3. ar.

RUGGIU 202 203 204

L., Eth. Po!. Eth.

Tempo, coscienza e essere, dt., pp. 124 ss. Nic, V, 5, 1133 a 20. I, 9, 1257 b 10; Eth. Nic. V, 5, 1133 b 10. Nic. V, 5, 1133 b 13 ss.

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e quindi vita sociale. In essa si esprime la volontà della comunità di perdurare, di vincolare il futuro al presente. In questa direzione non manca chi, riflettendo sull'aspetto convenzionale della moneta, sostiene che essa è un non senso, « una semplice convenzione legale, senza alcun fondamento in natura, perché cambiato l'accordo tra quelli che se ne servono, non ha più valore alcuno e non è più utile per alcuna delle necessità della vita, e un uomo ricco di denari può spesso mancare del cibo necessario » 20". Questa accentuazione dei valori naturali su quelli sociali, avanzata da talune correnti della sofistica, esprime la critica e insieme la paura e la radicale sfiducia nella società. Ma il valore della moneta riposa, nella sua convenzionalità, sul significato naturale della polis 206 • Pertanto il rinvio è dalla ricchezza vista come complesso di beni d'uso alla ricchezza garantita dal suo valore di scambio; lo scambio però è espressione di bisogni e quindi di società; è questa il serbatoio della ricchezza wi. Il valore simbolico della moneta accentua il peso e la forza della astrazione sociale 208; che si manifesta neì legami simbolici e astratti dello scambio, nei legami non più diretti del sangue ma in quelli indiretti formati dalla relazione fra i diversi prodotti, in questa somma dell'astrazione e della concretezza che sono i vincoli fondati sui bisogni - il nuovo sangue che scorre nelle vene della comunità. Avviene così una certa liberazione dal peso e dalla soggezione del valore d'uso dei beni, in questa possibilità di vedere i diversi prodotti prescindendo dalle loro valenze immediatamente naturali 209 • La forza

Pol. I, 9, 1257 b 10; il riferimento sembra indirizzato ai Cinici. Pol. I, 2, passim. Eth. Nic. V, 5, 1133 b 5 ss. 20s SoHN-RETHEL A., Lavoro intellettuale, dt. 209 MARX K., Grundrisse, cit., pp. 396 ss.; p. 167; p. 168. « Lo scambio delle eccedenze è un sistema di traffici che crea scambio e valore di scambio. Questo sistema di traffici si estende però solo allo scambio delle eccedenze e si affianca puramente e semplicemente alla produzione stessa)>. Musn D., Per una ricerca, dt., pp. 150 ss. accentua « questo aspetto di separazione, di reciproca estraneità, tra comunità originaria, da un lato, e processi di scambio, dall'altro, come una caratteristica della comunità originaria, quella a base natmale; ma si rende conto del fatto che storicamente lo sviluppo del processo di scambio si ripercuote sulla comunità stessa, su cui il valore di soambio opera in senso dissolutore (mai però riuscendo, in questo suo processo di ritorsione, a coinvolgerla nella sua interezza, cioè a unificarla e assoggettarla sotto di sé) ». Musti parla in proposito di « struttura paratattica » dei due momenti economici, con troppo netta e, a nostro parere, non del tutto giustificata, separazione e sovrapposizione fra i due aspetti. Su tutto questo aspetto e1 in 205

206 2(Ji

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potente ma impalpabile dei vincoli sociali si fa ormai valere. Tutte le cose per essete misurate debbono rifarsi ad una misura comune, cioè ad una unità di misura che sia dello stesso genere delle cose misurate, , 30, pp. 65-87; 144-165. GLOTZ G., 1920, Le travail dans la Gréce ancienne, Paris. GoRDON B., 1964, Aristotle and the Devdopment of Value Theory, in « Quaterly Journal of Economks », feb., pp. 114-129. GoRDON B., 1975, Economie Analysis be/ore A. Smith, London-Basingst0ke GRENDI E., 1972, (a c.) L'antropologia economica, Torino. GRENDI E., 1978, Polanyi. Dall'antropologia economica alla microanalisi storica, GERNET

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ROSSELLA ANDOLFATO

Utilità, prezzo, contratto sociale: crisi dell'etica economica in Duns Scoto

IL PENSIERO economico dei teologi scolastici ha cost1tu1to nell'ultimo cinquantennio oggetto di rinnovato interesse per quanti ricercano le origini dell'economia capitalistica. Questo interesse è stato però caratterizzato da un equivoco di fondo, in quanto ha interpretato l'economia medioevale attraverso le categorie della struttura economica capitalistica. Le interpretazioni che si basano su questa equivocità si svolgono sostanzialmente in due direzioni 1 • Una di esse è quella che vede nel commercio medioevale un fenomeno già capitalistico e definisce i teologi scolastici, che ne hanno esaminato l'andamento, i precursori della scienza economica. Questa è la tesi di J. A. Schumpeter 2, ripresa da A. Sapori e da F. C. Lane 3, tesi che si distacca dalla concezione marxiana e weberiana dell'inizio dell'economia di tipo capitalistico: Marx pone nel XVI sec. il completo superamento dell'economia autarchica medioevale e Weber scorge nell'etica della Riforma Protestante la spinta decisiva all'accumulazione di capitale 4. L'altra direzione, che si può definire cattolica, ha la più notevole espressione in A. Fanfani 5, il quale punta a far emergere il carattere anticapitalistico del mondo medioevale, mostrando come la Chiesa condanni la concorrenzi\ negli scambi economici e il prestito ad interesse. Dall'interno

1 Per una panoramica sulle interpretazioni del pensiero economico scolastico vedere l'articolo di KrRSHNER J., Le travaux de Raymond de Roover sur la pensée economique des scolastiques, Anna/es, 1975 (30), n. 29. 2 SCHùMPETER J. A., History of Economie Analysis, New York, 1954; trad. ital.: Storia dell'analisi economica, Torino 1959. 3 SAPORI A., Studi di economia politica medioevale, Firenze 1946; vedere il saggio: Il giusto prez.zo nella dottrina di S. Tommaso e nella pratica del suo tempo; LANE F. C., « Investment and Usury in Medieval Venise », Exploration in Entrepreneurial History, 1964 (2). 4 MARX K., Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica (Grundrisse), Torino 1976; WEBER M., L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze 1975. 5 FANFANl A,, Catholicism, Protestantism and Capitalism, New York, 1935.

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della prima posizione H. Pirenne, G. Luzzatto e R. Lopez 6, osservano che 1a suddetta accusa deila Chiesa non sta affatto a dimostrare un assoluto anticapitalismo medioevale e, anzi, questo grande interesse in senso negativo, è. segno del grado avanzato che, in quel tempo, assume il processo di espansione del mercato guidato dalle leggi del capitale, Entrambe le interpretazioni non colgono il vero terreno sul quale si svolge il commercio medioevale, in quanto non riescono a pre- • .·.... scindere dagli schemi dell'economia capitalistica. Non sanno scorgere .·-•·· . · • che nel mondo medioevale manca la stessa premessa che rende pos. · sibile il compimento dei rapporti capitalistici. Tale premessa è l'au- · tonomia stessa del momento economico dalle forme sociali e religiose. I fatti economici del Medioevo procedono vincolati a forme metaeconomiche, quali appunto l'assetto gerarchico feudale e la teologia cristiana. Certo, già dalla rinascita economica alla fine del IX sec., si vedono i sintomi di un nuovo andamento del commercio che volge all'accumulazione di denaro e che costituisce la premessa della futura forma economica; ma ciò non deve indurre a concludere che il movimento degli scambi è determinato dail'influsso del capitalismo, ponendo come subordinata all'economia la forma dei rapporti feudali. Gli autori sopracitati considerano gli scambi già autoregolati; mentre le corvée, i tributi per le tenute e tutti gli altri aspetti della economia medioevale, sono posti come fatti accidentali rispetto alla vera sostanza economica che è quella capitalistica. Questa visione deve essere capovolta, riconoscendo che la base portante del mondo medioevale è ancora la gerarchia feudale e che è, invece, ogni forma di concorrenza e di accumulazione monetaria a costituire un fenomeno laterale. I discorsi dei teologi sui fatti del mercato non possono, per questa ragione, essere interpretati come la prima espres6 PIRENNE H., Storia economica e sociale del Medioevo, Milano 1967;, LuzzATTO G., Storia economica d'Italia - Il Medioevo, Firenze 1963; LoPEZ R. S., La rivoluzione commerciale nel Medioevo, Torino 1975. Tra gli altri autori che hanno trattato dell'economia alla fine del XIII sec. segnaliamo: KNIGHT M., Histoire économique de l'Europe jusq'a la fin du moyen age, Paris 1930; THOMPSON J. W., Economie and Social History of Middleage, New York 1959; CIPOLLA C. M., Storia economica dell'Europa preindustriale, Bologna 1968; DuBY G., L'economia rurale nell'Europa Medioevale, Bari 1976; è da tener presente, inoltre, la storia economica curata dall'Università di Cambridge, Storia economica di Cambridge, Torino 1976, vol. 2. Considerano il pensiero medioevale suH'economia: BEER M., Early Britisb Economics, Lo11don 1938; DENIS D., Historie de le pensée economique, Paris 1965; CAPITANI O., L'etica economica medioevale, Bologna 1974. Altre opere saranno indicate in riferimento ad argomenti specifici.

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sione di una scienza autonoma dell'economia. Essi sono ancora legati sia ai dettami dell'etica religiosa che alle esigenze della società signorile. Lo stesso J. A. Schumpeter, che abbiamo visto così deciso nel riconoscere nella Scolastica l'inizio di una ricerca economica autonoma, è poi costretto più volte ad ammettere che, nel momento in cui queste riflessioni si avvicinano di più a definire la teoria del valore, conservano sempre una valenza fondamentalmente etica 7 • Se Polanyi ha posto in luce nel modo più chiaro il carattere vincolato che ogni fenomeno economico assume prima del XIX sec. 8, autori come B. Gordon e A. Spicdani hanno mantenuto un atteggiamento corretto nel delineare la natura della riflessione economica all'interno del mondo scolastico. Essi hanno riconosciuto che se queste riflessioni tendono a superare l'orizzonte dico-teologico, quest'ultimo rimane pur sempre lo sfondo di quelle considerazioni 9 • È con quest'ottica che vanno interpretati i passi che Giovanni Duns Scoto dedica agli scambi commerciali. Da questi passi immediatamente emerge il dominio che alla fine del XIII sec. la forma etica ha ancora sulla forma economica. In questo autore ritroviamo, tuttavia, esplicita la tensione tra fenomeni nuovi e· categorie interpretative di carattere etico, tensione che si traduce in una continua fuoriuscita, in un continuo superamento dell'etica teologica senza però mai oltrepassare questo orizzonte. Dalle osservazioni di Scoto emerge come, proprio dall'interno di un'economia vincolata, sia ormai riconoscibile un tendenziale svincolamento di leggi economiche non fondate su ragioni etico-teologiche, né sulla valenza etica dell'autorità politica. È nella ripresa scotiana della problematica del ) 62 . Scoto cioè ritiene ingiusto, nel senso di usurario, che il creditore pretenda di essere ripagato, di una certa merce prestata, con il prezzo massimo che essa può ipoteticamente avere nel tempo che corre dal giorno del prestito al giorno del pagamento. In questo caso si vende qualcosa che ancora non si possiede, si vende il valore futuro di una merce 63 • Scoto si stacca dall'opinione generale quando ammette che il creditore può chieder di essere ripagato per un valore moderatamente maggiore di quello che, nel giorno del contratto, ha la merce o il denaro prestato: Si vero maìus, quam nunc valet, tamen non ita immoderatum pretium, quin tempore solutionis verisimiliter quandoque plus, quandoque minus valeat res vendita, ratione dubij exusatur 64 • Cioè, il denaro può valere, nel tempo, più o meno e, in ragione di tale dubbio è lecito, ossia non rientra nel peccato di usura, richiedere nel contratto un moderato interesse. Scoto, inoltre, concede il pagamento dell'interesse, quando entrambi i contrattanti mettono a frutto il denaro che hanno in sovrappiù. Cioè quando investono il superfluo in traffici incerti. In ragione del fotto che il denaro investito non serve per le esigenze elementari

61 DuNs ScoTo, Ord., cit., n. 18: « Ad esempio io sono carente di denarn da investire nel commercio. Ti concedo, tuttavia, un prestito fino ad una data stabilita, aggiungendo però una pena Condizionale. Cioè se tu non paghi nel giorno stabilito, visoo che io avrò molto danno da ciò, dovrai pagare in seguito una certa cifra oltre a quella che ti ho prestato. Questa penale aggiunta è lecita, poiché è giusto che io mi mantenga al riparo da rischi, avvertendo, in questo modo, colui con il quale stipulo il contratto». Ibid.: 74 HoERES W., La volontà come perfezione pura in Duns Scoto, Padova 1976. 15 Ibid., p. 88. 76 Ibid. 77 Ibid. 7s Ibid., p. 156.

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finite che, nello stato decaduto dopo il peccato, gli stanno innanzi. La volontà è indifferente verso i beni finiti, in quanto tende in modo necessario solo al bene sommo. Ma tale indifferenza non è mai causa di azione. Tale causa è, invece, rappresentata dall'intelletto che guida il « volere indifferente » alla scelta di un bene finito piuttosto che di un altro. L'indifferenza, così, non ha mai a che fare con la caratterizzazione concreta della volontà, nel senso che non entra mai a far parte dell'agire, il quale è guidato dalla ragione, che è principio naturale 79 • Ma dobbiamo ora tralasciare di approfondire questa interessante puntualizzazione di W. Hoeres per esaminare in che senso essa sia collegabile con le rispettive concezioni politiche dei nostri autori. Possiamo dire che il collegamento sta tutto nella comprensione del diverso peso che essi attribuiscono alla volontà umana. Per Scoto essa è l'unica causa di ogni azione che avvicina l'uomo al compimento del suo fine, ossia al bene. Diversamente Tommaso, nell'esaminare come avvenga la fondazione dello stato, atto così essenziale al raggiungimento della pace e del bene, non sente il bisogno di affidare alla volontà la causalità della convivenza sociale, che attribuisce alla necessità naturale. Con altre parole diciamo che Scoto affida alla volontà più parte, nelle opere dell'uomo, di quanta non le attribuisca Tommaso. Ciò sia riguardo all'essenza stessa della volontà, in quanto Scoto afferma la sua assoluta indipendenza da principi estrinseci, sia per quanto riguarda la sua presenza nelle varie manifestazioni dell'agire umano. Scoto, non solo puntualizza, con la sua distinzione all'interno del concetto di natura, che ogni atto volontario è strutturato in modo da escludere cause necessarie, ma, nella sua trattazione politica dimostra, una volta di più, che non vi può essere un atto significativo per quanto riguarda il bene, che non sia un atto volontario. Egli, infatti, fa emergere soprattutto il carattere di libera scelta e di consensualità (ex communi consensu et eletione ipsius comunitatis) di quel particolare atto che sta ad origine dello stato. Ciò in contrasto con la posizione del Dottor Angelico, il quale nomina proprio la « necessità naturale» come causa dell'atteggiamento sociale dell'uomo. Tommaso dice, infatti: « se dunque il vivere sociale è naturale istinto dell'uomo, è necessario alcunché da cui 1a moltitudine sia retta » 80 •

lbid., pp. 269-270. ibid., p. 90; ibid., p. 91: « Nell'.essere umano l'anima regge il corpo e, nelle parti dell'anima, l'irascibile e la concupiscibile vengono 1'ette dalla ragione. Parimenti anche tra le varie membra c'è un organo principale che muove tutti gli altri come il cuore o il capo. Occorre, dunque, che 79

80 TOMMASO,

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Se per Scoto l'autorità del principe dello stato deriva da un libero atto di scelta, per Tommaso, tale autorità deriva dal volere --divino che ha disegnato per l'uomo un comportamento istintivo a cui non può sottrarsi. Tutto ciò conduce a concludere che, per il Dottor Sottile, l'aver ---creato quel bene che è lo stato, è un merito per l'uomo, in quanto è stata una sua scelta e non solo un aspetto della sua natura. Possiamo cosi comprendere meglio come sia meritevole ogni azione che è utile per il vivere sociale, come appunto l'attività mercantile o lucrativa in genere. In Tommaso, se pure viene riconosciuta l'utilità della fi. gura del mercante, questa non viene investita di quel merito che, secondo la religione cristiana, deriva solo dalla scelta « voluta ~> e, quindi, «libera» di una certa azione. Ossia, se l'uomo ha già trovato nella sua essenza l'inclinazione a formare lo stato, le attività che contribuiscono al mantenimento deila comunità, non possono che avere a fondamento un'attitudine naturale umana. Certo ogni attività che nasce da un'inclinazione naturale è buona, in quanto « voluta da Dio», ma proprio in quanto « voluta da Dio» non può dirsi meritevole per l'uomo. Il mercante così opera «involontariamente» per il bene sodale e, quindi, non è propriamente con l' « essere mercante » che può procurarsi il merito nella sua vita. Il merito, come abbiamo visto, gli giungerà, piuttosto, dalla diretta obbedienza alla legge divina. Ed ecco, quindi, che Tommaso subordina il giudizio suIIa moralità delle azioni dei mercanti, direttamente al parere dei Testi Sacri e Canonici 81• Chiariamo ora che se Scoto costantemente afferma il potere di azione che l'uomo ha in questo mondo, certo ciò non significa atten. tate all'onnipotenza divina. Tutt'altro. Egli non tralascia mai di affermare, dimostrare e difendere, l'infinita potenza divina assieme alla più assoluta libertà dell'opera di Dio. Solo che libertà divina e libertà umana coesistono. All'uomo è proprio un campo d'azione autonomo, quello sociale ed economico, liberamente voluto e, quindi, umano, con delle leggi anche in ogni moltitudine ci sia un principio reggente~>. Ibid., p. 95: ricevevano una trattazione ampia, ma erano inseriti in un sistema dove il principio d'ordine era rappresentato dai doveri del governante. In Lectures on Jurisprudence si afferma che lo scopo della police è di introdurre l'abbondanza e di conseguenza iL « buon mercato » dei beni, che coincide con l'« opulenza» di un regno: la seconda è una conseguenza della prima, come dimostra il paradosso dell'acqua e del diamante (il diamante ha elevato valore di scambio solo per la sua rarità, indipendentemente dal suo valore d'uso). Qui viene aperto un discorso sulla natura dell'abbondanza condotto ricorrendo ad argomenti tratti dalla « scienza della natura umana » e dalla « scienza della storia }>. 1) I bisogni dei selvaggi hanno la stessa origine ·puramente biologica dei bisogni degli animali. Dalla soddisfazione dei bisogni naturali nascono i bisogni raffinati. A spingere l'uomo alla soddisfazione dei bisogni raffinati sono le stesse caratteristiche e passioni della mente umana che stanno alla base delle arti e dell'indagine filosofica: l'uomo è sensibile agli aspetti delle cose che colpiscono l'immaginazione, come il colore, la forma, la varietà o rarità e l'imitazione, perché l'uomo è il solo fra gli animali che « considera le differenze delle cose che non toccano la loro sostanza reale }> 42 • 2) La causa dell'opulenza, cioè della possibilità di soddisfare molteplici bisogni (che possano essere soddisfatti solo con cose rare) nasce dalla divisione del lavoro. > che fa da base al discorso sulla natura della ricchezza: è perché si è appurato che la divisione del lavoro e la libertà di commerciare portano ad aumentare l'opulenza che il sovrano deve lasciare agire questi fattori. È cioè 1a scienza della storia che rende impossibile (per una sorta di principio d'indeterminazione) e superflua (perché un « certo ordine è garantito) la « scienza del governo». Lo sviluppo della ricchezza è naturale nel senso che è portato da uno sviluppo storico camtterizzato essenzialmente come non artificiale. Situazione ben diversa da quella dei fisiocratici, per i quali l'ordine della società proposto è naturde in quanto adatta la sfera delle istituzioni umane a processi

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della natura fisica che portano scritto in se stessi il loro migliore ordine possibile. Naturale è nei fisiocratici artificiale in quanto prodotto dell'intervento del legislatore, ma è adeguamento alla natura fisica e all'ordine divino (in quanto la natura fisica è ciò che non è creato dall'uomo) 49 • Se vogliamo fare un inventario degli elementi dottrinali . c.he troviamo in Lectures on Jurisprudence, possiamo dire che sono presenti - come saranno in Wealth o/ Nations - l'idea della « natura sociale» della ricchezza e l'idea di meccanismi autonomi di equilibrio dei prezzi e di allocazione delle risorse. Manca invece l'idea - che comparirà in Wealth of Nations - della ricchezza come « flusso circolare >~, cioè come prodotto annuo che riproduce se stesso e crea un surplus. Ci sono - di più, o trattate esplicitamente, laddove in Wealth of Nations saranno deenfatizzate - una serie di argomentazioni che spiegano la natura della ricchezza nei termini della scienza della natura umana e della scienza della storia. Rientrano fra queste argomentazioni il discorso sui bisogni, quello sull'origine dello scambio e della moneta, quello sui principi dell'immaginazione che presiedono alla ricerca della ricchezza. Si hanno qui tesi sulla natura della ricchezza, o una « storia naturale » della ricchezza, e non - come in W ealth of Nations un tentativo di connettere i moti della ricchezza che appaiono sconnessi, in modo da visualizzare una « macchina immaginaria » della ricchezza. Questa storia naturale della ricchezza risale fino alle cause remote, contempla le stesse istituzioni politiche come dipendenti dal modo di sussistenza. Se vogliamo, in questo senso, la sfera dell'economico è già nel primo Smith emancipata dalla sfera del politico, ed anzi la subordina a se stessa 50 • Ma in un altro senso la sfera della ricchezza attende di ricevere maggiore unità e quindi maggiore autonomia: in W ealth of Nations verranno sfumate proprio le spiegazioni « filosofiche » della ricchezza e si darà maggior risalto a

49 Più che a Quesnay bisogna pensare alla sistemazio,ne deduttivistica della fisiocrazia che si trova nei suoi discepoli. Vedi RIVIÈRE M. de la, L'ordre nature[, cit. Sulla dialettica di naturale e artificiale (o storico) nelle origini dell'economia politica, v. LEVINE D. P., Economie Studies: Contributions to the Critique of Economie Theory, Routledge & Kegan, London 1977. 50 Questo va detto a parziale correzione delle tesi sostenute da Dumont. Vedi DuMONT L., Homo Aequalis, Gallimard Paris 1976. Dumont vede la sfera dell'economico autonomizzarsi progressivamente - da Mandeville a Marx e nel contempo sostamializzarsi. Con Marx la sfera dell'economico giunge finalmente ad emanciparsi completamente dalle altre sfere ed infine a subordinarle

a sé.

L'ECONOMIA POLITICA E LA FILOSOFIA MORALE

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principi di ordine interno, atti a soddisfare l'immaginazione dando l'impressione di una macchina della ricchezza che funzioni in modo armonioso: il circular flow è uno di questi principi d'ordine. L'avere fatto di questi fenomeni un sistema dovrebbe dare all'immaginazione l'impressione di avere colto maggiormente la natura di questa sfera della realtà. Si giudica della bontà di un sistema e la coerenza interna e non - anticartesianamente - la coerenza deduttiva con il resto del corpo del sapere. Se così facendo si introdurranno maggiori incoerenze e contraddizioni in confronto con la dottrina di Lectures on ]urisprudence, questo è - in base ai criteri di Smith - un problema secondario, fintanto che queste contraddizioni sorgono fra il sistema della ric~hezza e il resto del sapere, e non all'interno del sistema .

.3.5. Rendere il commercio uno spettacolo gradevole all'immaginazione. Abbiamo passato in rassegna i materiali teorici che Smith avrebbe impiegato per costruire un discorso sulla ricchezza che non fosse più «dottrina» ma « teoria». Vediamo ora attraverso quali passaggi in Wealth of Nations l'analisi della ricchezza abbandoni uno statuto teorico e ne assuma un altro. Il discorso di Wealth of Nations assume la forma del « sistema», ma non nel senso del razionalismo francese: la seconda parte di Wealth of Nations è destinata a criticare proprio l'uso dei ~< sistemi » in politica e a proporre l' « antisistema » della libertà naturale. Il di Smith, per il quale la macchina imma-

55

Vedi }ENSEN H. E., Sources and Contours of Adam Smith's Conceptualized · Reality in the « Wealth of Nations », « Review of Social Economy », 34 (1976), 259-274.

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ginaria è un utile strumento dell'immaginazione per orientarci nel caos della realtà. Questo rapporto fra la creazione del paradigma e l'uso che ne viene fatto in seguito è della massima importanza per capite alcune vicende teoriche del pensiero successivo, e fra queste l'uso della « scienza economica » come strumento apologetico del liberismo e di una pratica politica e sociale « mandevilHana )>. Questo rapporto - notiamo per inciso - mostra come un fatto di potere (le scelte predominanti in una comunità scientifica) abbia influenze profonde sulla teoria, sul vedere o non vedere la realtà, e mostra inoltre come un successo nella spiegazione empirica selezioni la sopravvivenza di dottrine incorporate nella spiegazione. Quale autonomia guadagna l'economico nella teorizzazione smithiana e quale autonomia gli sarà attribuita dai successori di Smith? Adam Smith è sostenitore del laissez faire solo con numerose restri• zioni e all'interno di un quadro istituzionale assai consistente 56 • Dalle indicazioni che discendono dalla sua opera si è autorizzati a pensare il processo economico come autonomo e autoregolantesi in quanto si interviene « artificialmente » per permettergli di -funzionare autonomamente, e non prima e nell'assenza di qualsiasi intervento politico. Questa relativa autonomia dell'economico si innesta bene nel quadro di dottrine metaeconomiche nel quale l'economia politica smithiana si inserisce. È invece fatale che la « teoria economica » smithiana porti all'affermazione di un assoluto liberalismo e, per estrapolazione, addirittura a una filosofia della storia mandevilliana, quando sia interpretata non sulla base delle dottrine epistemologiche del « moderato scetticismo >> ma sulla base di un'idea di scienza come descrizione vera de1Ia realtà 57 • 56

Vedi VINER J,, Adam Smith and Laissez Faire, « The Journal of Politica! Economy )>, 35 (1927), 198·217, ristampato in VINER J,, The Long View and the Short, The Free Press, Glencoe 1958. 57 Un discorso parallelo potrebbe essere svolto a proposito della dottrina del valore - lavoro in Smith, Ricardo e Marx: secondo Myrdal, Smith e Ricardo, con la dottrina del valore - lavoro, avevano innescato una bomba a orologeria destinata a distruggere il loro edificio teorico e ~ portare· alle dottrine marxiane come unica conseguenza logica. Vedi MYRDAL G., The Politica! Element in the Development o/ Economie Theory (1929), Routledge & Kegan, London 1965. Va osservato che è vero che Marx porta alle estreme conseguenze premesse che erano già di Smlth, ma che lo fu in quanto dà •a queste premesse un significato e una funzione diversa: Marx ha un'idea di scienza come svelamento dell'essenza dei rapporti sociali, :idea che rinvia a uno stato di natura (la produzione in generale) come metro con cui confrontare la negazione di tale stato che è rappreseritata dal capit-alismo. Vedi LIPPr M., Marx. Il valore come costo

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Questo è quanto va detto per difendere Smith dai pessimi set· v1z1 che gli hanno reso i suoi pretesi seguaci dell'Ottocento e del nostro secolo. Possiamo passare ora a un problema molto più seio: la rivoluzione teorica attuata da Smith produce una certa descrizione dell'economico che rimane cristallizzata nella storia del pensiero eco• nemico successivo, che non può fare a meno di guardare la realtà economica attraverso occhiali smithiani. Tuttavia la storia del pensiero economico successivo è la storia dei tentativi di ridefinire la economia, che cominciano con Marx da un lato e con i marginalisti dall'altro. Per comprendere e valutare questi tentativi è necessario ritornare a Smith e comprendere che cosa era ovvio e che cosa appariva ovvio senza esserlo nella caratterizzazione dell'economico incorporata nell'opera smithiana. Riassumiamo la descrizione del mondo della ricchezza che emerge in W ealth of N otions; ricchezza reale è l'insieme dei beni materiali necessari a godere gli agi e le comodità della vita. La causa della ricchezza reale è il lavoro. Il potere del lavoro di produrre ricchezza può essere aumentato dalla divisione del lavoro. Ai beni prodotti dal lavoro inerisce un valore di scambio che consiste nel lavoro incorporato in questi beni. Questo valore porta come sua manifestazione la capacità di esercitare una forza attrattiva sul lavoro incorporato. in altri beni. Rientrano nella ricchezza solo beni rari, ai quali va incorporato del lavoro perché possano essere consumati, e solo beni materiali, che offrono un « sostrato » nel quale il lavoro possa incot• pararsi. I saggi dei salari, dei profitti e delle rendite sono punti di equilibrio nei rapporti di gravitazione che si instaurano fra i beni che incorporano lavato contenuto. Ognuno di questi punti di equilibrio riflette quindi la distribuzione di masse e cariche di energia che si ha. nel complesso del cosmo dell'economia nazionale. In questo cosmo dell'economia nazionale vige un moto circolare

sociale reale, ISEDI, Milano 1976. Lasciando aperto il discorso sui dogmatismi e le presunte evidenze teoriche che agiscono in Marx, basta qui ricordare che in Smith (che pure ha i suoi diversi dogmatismi) agisce un'idea di scienza diversa: il « moderato scetticismo », alla luce del quale opera la ripresa di materiali teorici di origine diversa - fra · i quali il valore-lavoro - non dovrebbe condurre a diagnosi sulla realtà (come potrebbe essere quella sulla natura dello « sfruttamento » nel rapporto di lavoro capitalistico) perché la teoria è solo costruzio11e ipotetica che non ,può che mettere ordine nella realtà. Il problema è, piuttosto, che negli « eredi » di Smith e anche nello stesso Smith, la teoria mette anche troppo ordine, anche R dove il disordine si potev' nell'universo di discorso dell'economia politica, al di là deUa consapevolezza soggettiva che gli attori potevano avere della loro azione.

LUIGI RUGGIU

L'economia come spazio assoluto: K. Marx

1. Crisi e marxismo.

Se si ripercorre cntlcamente l'ampio dibattito sul marxismo che si è svolto in questi ultimi anni in Italia e fuori, nei suoi aspetti teorici e politici, come interpretazione delle società tardocapitaliste e come attuazione nei paesi del cosiddetto socialismo reale, balzano in evidenza alcuni aspetti significativi 1• La crisi del monolitismo politico si è espressa anche come dissoluzione del monolitismo teorico, sicché sempre più di frequente si parla di marxismi piuttosto che di marxismo 2 • La costituzione dell'arcipelago marxista sembra tuttavia utilizzare in modo separato parti della costruzione marxista. In qualche modo si è perciò cercato di risolvere le contraddizioni cui dava luogo la coesistenza re-

J Cfr. AA.VV., Potere e opposmone nelle società post-rivoluzionarie. Una discussione nella sinistra, Roma 1978; A. CARANDINI, L'anatomia della scimmia. La formazione economica della società prima del capitale. Con un commento alle « Forme che precedono la produzione capitalistica » dai « Grundrisse » di Marx, Torino 1979, l?P- II .ss.; M. CACCIAR!, Dialettica e critica del politico. Saggio su Hegel, Milano 1978; L. COLLETTI, Marxismo e dialettica, in Intervista politicofilosofica, Bari 1974; ID., Valore e dialettica in Marx, in « Rìnascìta », n. 18 (1978); ID., Tra marxismo e no, Bari 1979; U. CURI, Sulla «scientificità~> del marxismo, Milano 1974; P. GAREGNANI, La realtà dello sfruttamento, in « Rinascita», nn. 9, 12, 13 (1978); A. G. GARGANI, Introduzione, in AA,VV., Crisi della ragione. Nuovi modelli del rapporto tra sapere e attività umane, Torino 1979; M. GoDELIER, Horizon, trajets marxistes en anthropologie, Paris 1973 (tr. it. Antropologia e marxismo, Roma 1977); M. GooELlER-L. SEvE, Marxismo e strutturalismo, Torino 1970; M. LIPPI, Marx. Il valore come costo sociale reale, Milano 1976; C. NAPOLEONI, L'enigma del valore, in «Rinascita», n. 8 (1978); G. PRESTIPINO, « Crisi del marxismo 1> e storicità delle forme-valore, in cit.; L. CoLLETTI, Trii marxismo cit.; U. CuRI, Sulla crisi del marxismo, in Keynes in Italià. Teoria economica e politica economica in Italia negli anni sessanta e settanta, a cura di A. Duso, Bari 1978, pp. 171-184. 4 Cfr. M. TRONTI, Sull'autonomia del politico, Milano 1977, pp. 12 ss.; Io., Politica e potere, in « Critica Marxista», n. 3 (1978), pp. 19-36; J. HABERMAS, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Bari 1975; ID., Per la ricostruzione del materialismo storico, Milano 1979; C. OFFE, Lo stato nel capitalismo maturo, Milano 1977 (con introduz. di D. Zolo); C. OFFE- G. LEHNARDT, Teoria dello stato e politica sociale, Milano 1979 (çon introduz. di G. Gozzi); N. LUHMANN, Stato di diritto e sistema sociale, Napoli 1978; J. O'CoNNOR, La crisi fiscale dello stato, Torino 1977; G. MARRAMAO, Il politico e le trasformazioni, Bari 1979. s Cfr. E. BALIBAR, Cinq études du matérialisme historique, Paris 1974, pp. 114 ss. (tr. it. Cinque studi di materialismo storico, Bari 1976); U. CERRONI, Teoria della crisi sociale in Marx. Una reinterpretazione, Bari 1971, pp. 48 ss.; B. DE GIOVANNI, La teoria politica delle classi sociali nel Capitale, Bari 1976, pp. 75 ss.; H. REICHELT, Zur Logischen Struktur Kapitalsbegriffs bei Marx, Frankfurt a.M. 1970, pp. 167-183 (tr. it. La struttura logica del concetto di Capitale in Marx, Bari 1973 ); P. MACHEREY, A proposito del processo di esposizione del Capitale, in P. MACHEREY - R. EsTABLET, La scienza del Capitale, Verona 1975, pp. 167 ss.; G. CARANDINI, Lavoro e capitale nella teoria di Marx, Milano 1971, pp. 31-72, 235 ss.; M. LrPPI, Marx cit.; G. PRESTIPINO, « La crisi del marxismo» cit.; A. BoLAFFI, Quanto vale il valore lavoro?, in e ragione della crisi, in « Prospettive Settanta», I (1979), pp. 551,560. 9 Cfr. A. G. GARGANI, Introduzione cit., pp. 6, 7, 19, 17, 40.

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strutturale 10 • La messa in questione investe ad un tempo i contenuti e i modi dell'articolazione fra i diversi contenuti, fino a coinvolgere il modello di scienza che sorregge questa costruzione. La complessità sodale che caratterizza le società del capitalismo maturo impedisce una visione unitaria della realtà; la società si mostra al contrario frammentata in mille parti reciprocamente irrelate, rette da proprie leggi di funzionamento. L'unità tradizionale della lingua si è smarl'Ìta nei mille dialetti. Non esiste una lingua sintetica né alcun dialetto che abbia la forza di imporre se stesso come egemone e quindi come universale 11 • Alla pretesa del marxismo di essere la scienza della crisi si è sostituita la crisi della pretesa totale della scienza. La scienza è potere e il potere tealizza controllo e dispiega dominio solo in quanto esso è limitato in linea di principio. Lo specialismo è così conclusione della crisi e nello stesso tempo condizione per esprimere dominio. Ma il dominio sopravvive solo se si limita 12 • Il marxismo come scienza della totalità sembra allora fare parte della preistoria della retorica. Se queste ultime critiche colpiscono la pretesa del marxismo di porsi come sapere fondato e totale, nello stesso tempo le articolazioni della società odierna ribaltano la tradizionale relazione fra struttura e sovrastruttura. In particolare, sembra entrata in crisi la canonica separazione tra politica ed economia, a favore di una struttura che vede « incastrati » gli spazi dapprima reciprocamente scissi 13 • Lo Stato nella sua versione keynesiana tenta di riprendere il controllo dell'economia sia attraver~o l'intervento programmatore come attraverso le forme dello stato imprenditoriale 14 • Ma, nello stesso tempo, avviene un processo di trasformazione sul terreno della società civile, prima costituita come trama dei rappotti economici e come ambito delle relazioni private 15 ; su questo terreno si verificano forti cariche di natura po10 Cfr. B. GIACOMINI, Sulla crisi dei modelli classici di razionalità nel dibattìto economico, in La razionalità dt. 11 Cfr. M. CACCIAR!, Se si toglie la scienza e si aggiunge l'utopia, in , mentre l'universo reale si costituisce come « artificiale », nel senso del socialmente costruito e insieme di ciò che si costituisce contro l'ordinamento naturale 62 • Il mondo naturale vale quindi nel senso della realtà normativamente costituita. In esso si afferma una razionalità immanente, che si determina e si esprime nelle e mediante le leggi naturali che regolano le relazioni sociali 63 • Si può quindi parlare, all'interno di queste coordinate di pensiero, di valori naturali, di salario naturale, di produzione naturale, di livello di sussistenza naturale etc. La normatività di questa reale e naturale « fisica sociale » si esprime in un complesso articolato e sistematico di leggi, che vincolano e dominano il mondo sodale con la stessa

C.

NATALI, L'uso del termine «contraddizione» nel I libro del Capitale di Marx, in La contraddizione, a cura di E. BERTI, Roma 1977, pp. 183-226; M. GonELIER, Rationalité et irrationalité en économie, Paris 1966 (tr. it. Razionalità e irraziona lità nell'analisi economica, Milano 1970), -pp. 184 ss.; P. MACHEREY, A proposito dt.; B. DE GIOVANNI, La teoria cit., pp. 272 ss.; L. ALTHUSSER, Lire le Capita!, Paris 1965 (tr. it. Leggere il Capitale, Milano 1968}, pp. 69-108. 61 Cfr. D. P. LEVINE, Economie Studies. Contribution to the Critique of Economie Theory, London 1977, pp. 157 ss., 6 ss.; L. DuMONT, Homo aequalis- Genèse et épanouissement de l'idéologie économique, Paris 1977, pp. 124 ss.; K. PoLANYI, The Great cit., pp. 144 ss. 02 Cfr. S, VECA, Saggio oit., pp. 67 ss. 63 Su questo paradigma dr. A, G. GARGANI, Introduzione cit.; B. GIACOMINI, Sulla crisi cit.; U. Cu1u, Sulla crisi cit.; A. G. GARGANI, Tecniche cit.

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cogenza del mondo fisico o di quello newtoniano dell'astronomia 64 • L'equiparazione tra mondo sociale e relazioni astronomiche è costantemente utilizzata come forma metaforica per esprimere le leggi che regolano l'universo dei rapporti sociali di produzione. Anche l'universo sociale, infatti, come quello astronomico, si mostra come costituito in forma sistematica, con un proprio moto apparente, che occupa il piano dell'immediatezza e della visibilità sensibile, che occulta perciò stesso il piano del moto reale, che procede e si sviluppa sotto l'apparenza di quello 65 • Su questo scarto tra apparenza e realtà si interpone in senso proprio la scienza come ambito che coglie e disvela la verità, in contrapposizione alla pura e semplice descrizione di ciò che immediatamente appare. Se vi fosse identità tra piano dell'apparenza e piano della realtà, afferma Marx, la scienza sarebbe del tutto superflua M_ La scienza esiste quindi solo come processo di ricerca che oltrepassa il piatto orizzonte del sensibile, il terreno dei puri fatti, alla ricerca delle leggi. La totalità della scienza economica borghese si muove su un piano empirico-descrittivo, identificando la fattualità dello storico con l'orizzonte dell'eterno e del necessario, con .il piano di ciò che è naturale. La scienza marxiana si determina, rispetto a quella borghese, come « critica dell'economia politica » 67 • La conseguenza del tutto paradossale che scaturisce dall'impostazione marxiana è data dal fatto che produzione e lavoro, espressioni per eccellenza di attività sociali, vengono nello stesso tempo fatti valere come determinazioni naturali. In tal modo essi divengono identici a ciò che è in sé asociale. La società, infatti, in tutte le sue forme di espressione e di attività, opera solo sul piano della forma sociale, storica. Sotto questo aspetto, infatti, dire forma e dire forma sociale è la stessa cosa 68 . Quando pertanto si parla di un piano naturale della 64 Cfr. M. WEBER, Il metodo cit., pp. 57 ss.; K. PoLANYI, The Great cit. pp. 161 ss.; S. VECA, Saggio cit., pp. 66 ss., p. 86. 65 Cfr. K. MARX, Il capitale cit., I, pp. 356-357, 69, 209; fa, Miseria cit. p. 109. 66Cfr. K. MARX, Il capitale cit., II, pp. 930, 935, 210; G. Lwi.cs, Storia dt., p. 121. 67 Cfr. K. MARX, Miseria dt., pp. 90 ss., p. 79; G. TESCARI, Ricardo e Marx, in Marxismo e critica delle teorie economiche, a cura di S. VEGA, Milano 1974; J. RANCIERE, Critica dt.; S. VECA, Marx e la critica dell'economia politica, Milano 1973, pp. 86 ss.; G. Lutics, Ontologia cit., pp. 274 ss.; M. GooELIER_ Rationalité et irrationalité en économie, Paris 1966 ( tr. it. Razionalità e irrazionalità nell'analisi economica, Milano 1970), pp. 180 ss.; L. ALTffiJSSER, Per Marx, Roma 1967, pp. 165. 63 Cfr. D. P. LEVINE, Economie Studies dt., p. 163.

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produzione, si introduce una forma contraddittoria, giacché si è costretti a fare agire una forma sociale come forma immanente affinché sia possibile una produzione, sia pure questa intesa come « naturale ». «Naturale», vale infatti qui come normativamente valido m, come piano della piena razionalità, e non invece come espressione di una «natura» che si oppone all'uomo e alla società. Tale produzione, pertanto, si pone come sociale, in quanto non può che esprimere lavoro umano socializzato; ma, nello stesso tempo, in quanto determinata come «naturale», essa non può corrispondere ad alcuna forma storica, cioè sociale. II pareggiamento di sodale e di naturale costituisce il punto di arrivo della storia nel suo sfociare nella società comunista, in cui l'unità originaria viene ad essere riconquistata ad un livello in cui essa realizza, nello stesso tempo, il massimo di pienezza sociale 70 • La conseguenza che ne deriva non è però quella di una costruzione naturale dell'economia, quanto di una proiezione del sodale nel naturale 71 • Quanto costituisce il piano normativo-naturale è in realtà già da sempre costruito sulla base di un concreto e storicamente determinato modello storico. Se questo è vero, occorre allora dire che vale anche per Marx quanto in generale deve essere detto per l'economia politica classica: non può accostarsi alle società precapitaliste o semplicemente alle società mercantili senza poter fare a meno di proiettare in esse quella che è la struttura dell'economia borghese 72 • La visione pancapitalista della società e della storia non dipende quindi dalla vis apologetica e ideologica, come ritiene Marx, quanto dalla stessa assunzione di un certo paradigma nella costruzione della scienza. Occorre ora cercare di enucleare il modello che opera nella costruzione marxiana dell'economia naturale.

5. Forma sociale visibile e struttura naturale nascosta: il valore-lavoro. In questa costruzione, l'economia viene intesa sulla scorta del modello fisico-matematico newtoniano come predicato oggettivo dell'essere, in qualche modo indipendente dall'intervento umano 73 • Come lo

69 Cfr. S. VEGA, Saggio cit., pp. 65 -ss.; C. NAPOLEONI, Smith - Ricardo Marx, Torino 1970, pp. 46 ss.; L. DuMONT, Homo aequatis cit., pp. 126. 70 Cfr. K. MARX, Il capitale cit., II, p. 933; ID., Storia delle dottrine cit._ p. 368. 71 Cfr. K. PoLANYI, The Great dt., pp. 141 ss. 72 Cfr. D. P. LEVlNE, Economie Studies cit., p. 154. 73 Cfr. M. WEBER, Il metodo cit., p. 57; E. CASSIRER, Storia della filosofia

L'ECONOMIA COME SPAZIO ASSOLUTO: K. MARX

203

spazio newtoniano esiste in sé, indipendentemente dalle realtà spazializzate di cui costituisce la condizione, allo stesso modo l'economia si pone come l'apertura dello spazio originario all'interno del quale si collocano tutte le relazioni sociali e produttive concrete. Il lavoro è legge naturale eterna, « una condizione d'esistenza dell'uomo, indipendente da tutte le forme della società». Ciò significa che ogni forma di società deve comunque esprimere in se stessa quelle determinazioni naturali e necessarie del lavoro, senza le quali non esiste neppure lavoro e quindi società. In rapporto ad una struttura posta come necessariamente esistente la domanda non può mai mettere in questione il «se» della sua esistenza, ma solo il «come». Ma questa distinzione tra «se» e «come» non vuole significare che l'economia esiste sempre e soltanto come determinata attraverso particolari forme di apparizione, cioè come esistenza storica; la distinzione intende invece ribadire che l'esistenza storica, cioè il « che » del « come », non esaurisce l'arco di esistenza dell'economia. Infatti oltre o sotteso all'economia storicamente esistente opera una struttura in cui si esprimono quelle leggi di natura che non possono essere mai annullate da alcuna realtà storica che da esse possa allontanarsene 74 . « Ciò che può .mutare in condizioni storiche diverse non è che la forma con cui quelle leggi si impongono » . Il lavoro si pone quindi come pura energia dinamica potenziale, indifferente alla forma 75 • Esso è disponibile ad essere «formato» da ogni forma storicamente esistente, la quale determina il modo in cui il lavoro in concreto esiste all'interno di certi rapporti sociali di produzione. Ma questa variazione non può comunque annullare la validità in sé dei rapporti e delle leggi di natura. In questa tensione tra forma sociale visibile e struttura naturale nascosta, tra l'ordinarsi delle relazioni che occupano 1o spazio dell'apparire e l'operare dei rapporti reali che impegnano il luogo nascosto della vera causalità agente, si gioca il senso ultimo della spiegazione marxiana. Non esiste via a ritroso che consente un passaggio dal moto apparente al moto reale, ma è solo a partire dal moto reale che si può comprendere la stessa apparenza del moto apparente, fornendo di esso una spiegazione, non una semplice descrizione. Sussiste quindi un camoderna, II, Milano 1968, pp. 444 ss.; S. VEcA, Saggio cit., pp. 52 ss.; G. Lm:Acs, 'Storia, cit., pp, 287-288; K. PoLANYr, The Great cit., p. 161. 74 Cfr. K. MARX, Lettere cit., lettera 11 luglio 1868. 75 Cfr. K. MARX, Grundrisse dt., p. 281; M. LIPPI, Marx cit., pp. 36 ss.; L. DuMONT, Homo aequalis cit., pp. 124 ss. Sul problema della trasformazione e del valore lavoro, ricordiamo gli scritti di C. NAPOLEONI, Sul significato del problema marxiano della trasformazione, in « La rivista trimestrale», nn. 17-18 (1966), pp. 110-119; ID., Smith cit.; ID., Il valore, Milano 1976; In., L'enigma cit.

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povolgimento nel rapporto tra coscienza e realtà: la coscienza immediata si muove solo nell'essere dell'apparenza. Compito della scienza diviene quindi quello di superare l'ambito della forma fenomenica, di rifiutare l'acritica identificazione propria dell'economia volgare tra « essenza delle cose e la loro forma fenomenica», di oltrepassare la falsa evidenza dei fatti 76 • Occorre quindi passare dalla molteplicità dei fatti, assunti nella loro reciproca ·separazione, come avviene per la formula .trinitaria (terra, capitale e lavoro), per cogliere innanzitutto il « nesso interno » che riporta queste forme ad unità, fino a fare apparire tali forme semplicemente come espressioni dell'unità del valore, oggettivazione di lavoro sociale cristallizzato, come fa Ricardo 77 , e, seppure in un modo che lascia convivere lateralmente anche l'istanza volgare, anche Smith. Il quale, da un lato « penetra nell'intima struttura, nella fisiologia, per cosi dire, del sistema borghese)>, mentre, d'altro lato, rimane ancora impigliato nelle maglie dell'apparenza, limitandosi a « descrivere, catalogare, raccontare, ridurre sotto determinazioni concettuali schematizzanti, ciò che, esteriormente si manifesta nel processo vitale, così come si mostra e appare» 78 . È Ricardo che pone in luce il « fondamento . .. della fisiologia del sistema borghese », il perno « della sua intima connessione organica e del suo processo vitale», cioè ~< la determinazione mediante il tempo di lavoro» 79 • Con Ricardo si pone quindi il problema del rapporto di corrispondenza o di contraddizione che esiste tra le forme fenomeniche del processo e il fondamento nascosto, il valore lavoro. Egli viene a rappresentare « l'intero sistema dell'economia borghese come soggetto a una legge fondamentale», in modo da ricavare da questa « la quintessenza della molteplicità e varietà dei fenomeni ». L'insufficienza del metodo di Ricardo e dell'intera economia politica consiste nell'assenza di una domanda che investa la stessa forma valore e la sua genesi. Con la scoperta e l'introduzione del valore.lavoro come costitutivo della sostanza delle merci, si vengono a realizzare due delle condizioni necessarie per il costituirsi della scienza: la prima è l'esigenza sintetica che riporta il molteplice della forma dell'apparenza all'unità del lavoro come loro sostanza; la seconda è data dalla possibilità di ricondurre tutto nella dimensione della variazione di grandezza, a seconda che

76 77 76

79

Cfr. K. Cfr. K.

Il Capitale cit., II, pp. 930·931. Storia cit., p. 373. Ibidem, pp. 145 ss. Ibidem, pp. 146•147. MARX,

MARX,

205

L'ECONOMIA COME SPAZIO ASSOLUTO: K. MARX

le merci contengano più o meno di questa sostanza, delineando quindi

le leggi di movimento che regolano l'intero sistema del mercato 80 • L'altra condizione, non del tutto esplicita ma centrale, consiste nel ricondurre le leggi di movimento della società a leggi naturali. Sotto quest'aspetto il lavoro come sostanza naturale delle merci diviene l'anello di congiunzione tra uomo e natura, tra natura e società. È il lavoro come dispiegarsi di energia naturale, come espressione della necessità naturale eterna che vincola e costituisce l'uomo, che pone l'uomo fra gli enti di natura, soggetti alle sue leggL Queste leggi di natura che regolano la produzione come, in certa misura, la distribuzione, sono valide indipendentemente « dalla forma definita della produzione sociale », indipendentemente cioè dal modo di apparizione delle stesse leggi naturali, in rapporto alle diverse forme sociali. « Le leggi di natura non possono mai essere annullate», dice Marx nella lettera a Kugelmann del luglio del 1868 81 • « Ciò che può mutare in condizioni storiche diverse non è che la forma con cui quelle leggi si impongono». Secondo Marx, questa legge esprime l'esistenza di una corrispondenza: « tra la composizione della produzione in termini di valore d'uso e la distribuzione del lavoro tra i diversi settori » della società 82 • II filo del problema della grandezza di valore in Marx si riallaccia ad una teoria della produzione in generale che « precede logicamente la teoria della produzione e dello scambio delle merci ». Come ha dimostrato Lippi 83, il valore-lavoro come costo sodale reale è considerato da Marx come il « prezzo naturale » delle cose. II prodotto è lavoro cristallizzato, « effetto o esistenza cristallizzata della forza che lo ha creato>~, e, pertanto, « esso è misurato soltanto mediante la misura di questa forza stessa. La misura del lavoro è il tempo. Solo perché i prodotti sono lavoro, essi possono essere misurati mediante la misura del lavoro » 84 • Il pieno conseguimento di questa misurazione avviene nella produzione di merci, mediante l'eguagliamento dei diversi lavori individuali nella media sociale. In questo senso, il concetto di valore in Marx esprime una legge di natura, espressione del costo sociale reale, « misura immanente>~ dei prodotti, non condizionata da alcuna forma storica di produzione. « II valore non è che la forma che il costo reale assume quando gli oggetti sono merci, prodotti per lo

w Ibidem, pp. 144-145. 81

82 8J

84

Cfr. Cfr. Cfr. Cfr.

K.

MARX -

F.

M. M. K.

LIPPI,

Marx cit., p. 49. Marx cit. Grundrisse cit., p. 507, citato da M.

LIPPI, MARX,

ENGELS,

Lettere sul capitale, Bari 1981, pp. 119-120.

LIPPI,

Marx cit., p . .39.

206

GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

scambio » 85 • Ma esiste contraddizione tra i valori di scambio effettivi e le quantità espresse dal valore. « Dietro la superficie dei prezzi, il lavoro è mostrato come l'unico reale costo e, quel che più conta, iil profitto è svelato come null'altro che la forma superficiale in cui il plusvalore, appare » 86 • Quando Marx afferma nella già citata lettera a Kugelmann .che « il compito della scienza consiste precisamente nel mostrare come la legge del valore opera >~, non solo pone come immediatamente evidente il concetto di valore respingendo come « ciancia » la pretesa che di esso si dia una dimostrazione, ma insieme pone come compito della « critica dell'economia politica » la costruzione « di una concezione delle relazioni naturali di produzione e distribuzione, e, in secondo luogo, la riduzione della forma sociale, la forma dell'apparenza, alla sua sostanza naturale » ITT. In questa direzione Marx prosegue l'istanza naturalistica dell'economia politica classica, non solo nel senso di mo• dellare la nuova scienza sociale sulla scienza della natura, ma nel senso più preciso di ritrovare sotto la scorza delle forme sociali il nocciolo naturale che in essa si impone con bronzea necessità 88 • Occorre acco• gliere in senso letterale l'espressione marxiana che afferma di concepire « lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale» 89, come « legge di natura del proprio movimento». L'errore dell'economia politica borghese consiste nel tentativo di porre la forma sociale transitoria del capitale come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, invertendo quindi il rapporto che intercorre tra la legge naturale della produzione e la forma sociale della sua manifestazione. La critica marxiana contro questo processo di « inversione» storicizza il capitale proprio in quanto fa emergere la valenza normativa assoluta delle relazioni naturali. In questo preciso senso, l'economia e le sue relazioni essenziali di produzione e di distribuzione si viene a costituire come uno spazio a sé stante, in qualche modo immutabile e assoluto, che si distingue e si oppone alle forme storicamente determinate. In cui, tuttavia, la legge delle relazioni economiche, cosl come esse valgono sul piano naturale originario, si fanno valere. In questo senso parliamo di assunzione della struttura newtoniana della scienza, del modello della meccanica classica, che oppone

a; Cfr. M. LIPPI, Marx cit., p. 7. Ibidem, p. 8. 87 Cfr. D. P. LEVINE, Economie Studies cit., p. 157. 88 Cfr. K. MARX, Il capitale cit., I, prefazione alla I edizione e proscritto alla seconda. 86

89

Ibidem, p. 34.

L'ECONOMIA COME SPAZW ASSOLUTO: K. MARX

207

un tempo e uno spazio assoluto, al tempo e allo spazio relativo, che si costituiscono solo dal reciproco rapportarsi delle cose. Così come Newton parla nei suoi Principia di un « tempo assoluto, vero e matematico in sé e per sua natura senza riferimento ad alcun oggetto esterno, scorre uniformemente», così esiste un piano «assoluto» e in sé delle relazioni economiche che spiega il significato del moto apparente che traspare sul piano delle forme storico-sociali visibili. Produzione in generale, teoria del valore-lavoro, unità originaria, la distinzione e l'articolazione delle diverse forme, come abbiamo mostrato altrove 90 , sono altrettanti momenti essenziali che entrano nella costituzione di un piano naturale dell'economia, di un terreno in sé che regge e spiega il movimento storico. Questa stessa considerazione si riassume nella concezione materialistica della storia, nella posizione cioè dei rapporti di produzione come rapporti originari e determinanti 91 • L'assunzione preanalitlca del materialismo storico, come abbiamo avuto modo di osservare, significa in realtà la costituzione di una struttura originaria e naturale dell'economia che si sovrappone, senza spiegarli, ai rapporti storicamente esistenti. Si viene a costituire una struttura reificata, separata, costruita, come dice Dumont 92 in vero e proprio oggetto metafisico. L'astoricità di questo sfondo nascosto, sotteso al processo delle reali e storicamente determinate forme economiche, consente di racchiudere in un'unica interpretazione « materialistica » le società pre-capitaliste come quelle capitaliste. Il problema vero è che questo terreno della produzione in generale non si pone come orizzonte «neutro», che catalizza gli elementi comuni alle varie formazioni storiche, come crede Marx 93, ma viene costruito sulla base di talune relazioni essenziali proprie della società del capitale, a partire dallo stesso ruolo che l'economia occupa nello spazio sociale. La funzione di egemonia dell'economia è una relazione tipicamente capitalista. Accade quindi una naturalizzazione della società ma solo in quanto preliminarmente è stata costruita una « natura » sulla base delle relazioni sociali esistenti. Sia pure attraverso una via del tutto obliqua, sì attua un processo di eternizzazione dell'esistente. I diversi momenti della costruzione concettuale marxiana si riconducono a questa considerazione naturale e assoluta dello spazio economico. L'esame più analitico di alcuni di questi momenti che verrà sviluppato nelle pagine successive varrà a dimostrare il legame che

90

91 92

93

Cfr. L. RUGGIU, La scienza cit. Cfr. V. S. VYGODSKJI, Introduzione cit,, pp. 5-6. Cfr. L. DuMONT, Homo aequalis cit., pp. 124 ss. Cfr. K. MARX, Grundrisse cit., pp. 7 ss.

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intercorre tra ciascuno di essi e il tutto e tra il tutto e ogni singola determinazione.

6. Produzione in generale e modo di produzione. Nel contesto dell'interpretazione marxiana - e marxista - delle società precapitaliste un ruolo centrale riveste la determinazione del significato e della portata della categoria di modo di produzione, che a parere di taluno, è « elemento di straordinario potere chiarificante, irrinunciabile sul piano teorico » 94 • In qualche modo l'adozione di tale categoria costituisce l'aspetto decisivo e discriminante .dell'interpretazione marxista della storia 95 • Questo non significa tuttavia che essa categoria rivesta sempre un valore univoco, tanto che non si è mancato di rilevare, nello stesso uso marxiano, oscillazioni piuttosto forti, non sempre contenibili all'interno delle coordinate fissate. Né la situazione sembra migliorare nell'ultimo periodo, a causa dell'affermarsi di un uso meramente strumentale di tale categoria, astratta dal contesto marxiano, e spesso utilizzata senza una preventiva costruzione

94 Cfr, D. LANZA, Intervento, in E. FLORES, Marxismo cit., p. 27; M. VE• GETTI, Marxismo cit., p. 16; A. CARANDINI, Le forme di produzione cit., pp. 224 ss.; M. LrVERANI, Il modo di produzione, in AA.VV., L'alba della civiltà. Società, economia· e pensiero del Vicino Oriente Antico, Torino 1976; E. BALIBAR, Sui concetti fondamentali del materialismo storico, in L. ALTHUSSER, Lire cit., pp. 225 ss.; G. LA GRASSA, Modi di produzione, rapporti di produzione e formazione economico-sociale, in « Critica Marxista», n. 4 (1972), pp, 104-108; Sur les sociétées précapitalistes, a cura di M. GODELIER, Paris 1970 (tr. it. MARXENGELS - LENIN, Sulle società precapitaliste, Milano 1974), pp. 12 ss.; C. MEILLAS· soux, Donne, granai, capitali, Bologna 1978, pp. 13 ss.; C. PASQUINELLI, op, cit., pp. 60 ss. 95 Cfr. K. MARX, Per la critica cit., p. 31: ~< mondo di produzione della vita materiale è ciò che condiziona il processo sociale, politico e spirituale». Nel testo di K MARX, Il capitale cit., I, p. 95, n. 33 si dice: « Il Medioevo non poteva vivere del cattolicesimo e 11 mondo antico non poteva vivere della politica. Viceversa: il modo e la maniera di guadagnarsi la vita, spiega perché la parte principale era rappresentata lù dalla politica, qua dal cattolicesimo »; Io., Grundrisse cit., p. 394: « L'unità originaria tra una particolare forma di comunità (di tribù) e la connessa forma di proprietà della natura, o rapporto con le condizioni oggettive della produzione in quanto esistenza naturale, fo quanto esistenza oggettiva del singolo mediata dalla comunità - questa unità, che da un lato si presenta come la particolare forma idi proprietà, ha la sua realtà vivente in un determinato modo di produzione». Cfr. ancora Io., Il capitale cit., I, p. 339; Io., Il capitale, III, Roma 1965, p. 296; In., Miseria cit., p. 89, pp. 145 ss.

n

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209

rigorosa del concetto o, almeno, un'esplicitazione delle regole del suo uso 96 • Né questo, a noi pare, è avvenuto a caso. L'incalzare del dibattito negli ultimi tempi, una più attenta valutazione dei dati o l'acquisizione di nuovi risultati hanno infatti reso sempre più problematica un'applicazione in senso rigidamente marxiano - o marxista - di tale categoria. Tali difficoltà non hanno tuttavia costretto gli storici ad un atteggiamento di semplice rigetto, quanto a sviluppare il tentativo di mantenerne la circolazione nella ricerca e il suo corso legale trasformando il suo significato in « modello >> nel senso weberiano, indipendente quindi da un rapporto di fondazione o di stretta e necessaria interdipendenza con il sistema marxiano stesso 97 • Relativizzazione del marxismo, quindi, trasformato da macchina da guerra «sistematica» in semplice scatola di attrezzi. Da questo contenitore, come da altri, si attingono volta a volta gli attrezzi concettuali funzionali a scopi dati. Le due prospettive si diversificano notevolmente e pertanto non possono essere confuse sul piano categoriale, senza incorrere in gravi equivoci e fraintendimenti. Vediamo di calibrarne il significato sulla base del testo marxiano. II concetto di « modo di produzione» si costituisce in una relazione di necessità con la tesi della « produzione in generale», l'uno costituendo l'elemento di variazione, l'altro l'elemento di permanenza, in certo modo il trascendentale dell'interpretazione marxiana della storia 98 • Solo in quanto si concepisce la storia come essenzialmente e strutturalmente fondata sulla produzione, la 96

G. La Grassa (Modi di produzione dt.) nota le oscillazioni terminologiche e concettuali di Marx. Sull'ambiguità del suo uso, significativo è l'esempio di M. GoDELIER, Sur les sociétées dt., p. 12, che considera il modo di produzione come la combinazione di due strutture irriducibili, le forze produttive e i rapporti di produzione. Cfr. E. TERRAY, Il marxismo e le società primitive, Roma 1969, pp. H 7 ss.; M. GoDELIER - L. SèvE, op. cit.; C. PASQUINELLI, op. cit., pp. 58 ss, Di M. GoDELIER si vedano anche Horizon dt.; Rapporti di produzione, miti, società, Milano 1976. J. HABERMAS, Per la ricostruzione dt,, pp. 112, 122, 124. Di grande interesse E. FLORES, op. cìt. 97 Così M. VEGETTI, Intervento in E. FLORES, op. cit., pp, 71-72, dice: « essete marxisti sotto un sistema di mercato. Allora, la reciprocità assume come suo sfondo un gruppo organizzato in modo simmetrico; la redistribuzione dipende dalla presenza di una qualche

120 Cfr. m Cfr. 122 Cfr. 12.1 Cfr.

K. PoLANYI, The Great cit., p, 151 ss. K. POLANYI, Trade dt., p. 250; E. GRENDI, Po!anyi H. W. PEARSON, The Secular cit., p, 326. K. POLANYI, Trade cit., p. 250.

cit., pp.

21

ss.

SOCIETÀ, ECONOMIA, STORI/\: K. POLANYI

281

misura di centricità nel gruppo; lo scambio, per produrre integrazione, richiede un sistema di prezzi di mercato. È chiaro inoltre che i differenti schemi di integrazione assumono supporti istituzionali definiti » 124. Tali termini non denotano affatto, in Polanyi, intenelazioni di carattere personale, non esprimono aggregati di comportamenti individuali; il loro effetto integrativo è invece strettamente collegato con supporti istituzionali definiti, come le strutture simmetriche, quelle centralizzate o il sistema di mercato. « Il comportamento reciproco fra individui integra l'economia soltanto se sono date strutture organizzate simmetricamente, come ad esempio un sistema simmetrico di relazioni di parentela. Ma, chiarisce Polanyi, un sistema di parentela non sorge mai come il risultato di un comportamento meramente redprocativo a livello personale. Così per quanto concerne la redistribuzione. Esso presuppone la presenza di un centro allocativo nella comunità; tuttavia l'organizzazione e la validità di un tale centro non deriva semplicemente come conseguenza di frequenti atti di ripartizione fra individui. Lo stesso vale per il sistema di mercato. Atti di scambio a livello personale producono prezzi solo se essi avvengono sotto un sistema di prezzi di mercato, ·un comportamento istituzionale che non è mai creato da atti casualì di scambio 125 • Conformemente alla correzione funzionalistica del primitivo empirismo, Polanyi insiste sia nel rifiutare l'esistenza di una qualche « forza misteriosa » che operi oltre il livello dei comportamenti individuali; ma, nello stesso tempo, ribatte che non è vero che, dal momento che « gli effetti sociali di un comportamento individuale dipendono dalla presenza di condizioni istituzionali definite, queste condizioni non risultano per questa ragione dal comportamento personale in questione » 126 • Questi schemi risultano ampiamente operanti nelle società primitive, come hanno accertato le indagini antropologiche di R. Thurnwald, di B. Malinowski e di M. Mauss 127 • Sul piano delle società antiche, questi aspetti sono stati attentamente studiati nel volume pubblicato nel 1957, a cura di K. Polanyi, C. M. Arensberg, H. Pearson Trade and Market in the Early Empires-Economies in History and Theory, con le ricerche sul tempo di Hammuraby da parte dello stesso Polanyi, sulla Mesopotamia, con il contributo di Oppenheim; e per quanto concerne l'età classica, con lo studio su Aristotele e l'economia ancora da parte di Polanyi. Una ulteriore verifica di questi principi in rapporto alle so-

Ibidem, pp. 250-251. Ibidem, p. 251. 126 Ibidem. m Cfr. nn. 1, 2, 3.

124 125

282

GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

cietà pr1m1t1ve del Dahomey, Aztechi-Maya; Berbera; India è svolta · nella seconda parte del volume. i Queste forme possono o darsi separate oppure integrarsi recipro-/\ camente; cosl « la reciprocità come forma di integrazione guadagn~· < grandemente in potere attraverso la sua capacità di impiegare redistd~ > buzione e scambio come metodi subordinati» 128 . Normalmente, nell~ ·. < economie non di mercato reciprocità e redistribuzione avvengonci~./ ~~-

.

Per quanto concerne la redistribuzione, essa richiede, come ab, biamo già accennato, una forma istituzionale di centricità, in cui i beni si raccolgano e quindi a partire dalla quale essi possano di nuovo essere redistribuiti. Talvolta questa raccolta dei beni o del lavoro è immediatamente fisica, talaltra è meramente appropriativa, cioè è costituita dal potere di disposizione nella locazione fisica dei beni 129 • Questo modello si applica ai grandi imperi dell'antico oriente, come ai gruppi più piccoli della società (il kraal del!' Africa centrale, l'economia patriarcale degli ebrei, la proprietà greca del tempo di Aristotele, la familia romana, il man or medioevale, etc.) . Questo schema assicura la raccolta prima e poi la redistribuzione dei beni in favore dei soggetti sottoposti; insieme garantisce il flusso delle entrate, l'esplicazione dei servizi comuni, il mantenimento dell'ordine. sociale e politico. Inoltre esso può giocare in società molto diverse, le une omogenee, le altre stratificate, anche con forti differenze di statuto. Inoltre, quando reciprodtà e redistribuzione si combinano nella medesima società, l'una allora indica la forma orizzontale degli scambi, a scala locale; l'altra,· la forma verticale, lo scambio tra le unità locali e le autorità centrali 130 , Infine, lo scambio, che per servire come forma di integrazione richiede il suppo1to di prezzi di mercato. Polanyi distingue tre tipi di scambio: quello che consiste nel movimento meramente « locazionale », nel mutamento di posto fra le mani (scambio operazionale); il movimento a carattere appropriativo dello scambio, sia che questo avvenga a prezzi fissati (scambio deciso) oppure a prezzi contrattati (scambio integrativo). « In quanto si tratta di scambio a prezzi definiti, l'economia viene integrata dai fattori che fissano questo prezzo, non dal meccanismo di mercato» 131 • L'essenza di questo comportamento risiede nel comprare-vendere. Ma « affinché lo scambio sia integrativo, il comportamento dei diversi partners deve essere orientato a produrre

12s 129

130 rn

Cfr. K.

POLANYl, Trade Ibidem, pp. 253-254.

Cfr. L. Cfr. K.

VALENSI, PoLANYI,

cit.,

p. 253.

op. cit., p. 1313. Trade c;t., p. 256.

~

)

283

SOCIETÀ, ECONOMIA, STORIA: K, POLANYI

un prezzo che è favorevole, quanto può esserlo, per ciascun soggetto» 132 • V'è però non solo differenza, ma contrasto, tra lo scambio a prezzi prefissati e quello a prezzi fluttuanti. In quest'ultimo sussiste una precisa relazione antagonistica tra i contraenti, particolarmente · in rapporto al cibo, elemento vitale per il sostentamento, perciò in grado di suscitare le più violente tensioni. Di qui l'universale delle transazioni di cibo fatte a fini di guadagno. Ed è proprio diffusa interdizione che sottrae il cibo alla relazione comprarevendere, e toglie i prezzi di mercato dalla realtà delle prime istituzioni 133 • Lo scambio, pertanto, originariamente, è motivato soltanto dalla necessità di procurare i beni necessari alla sopravvivenza (fisiologica, culturale o sociale, come chiarisce Gatlan 134) della comunità. Il centro motore di questo movimento è giocato dalla domanda. È solo in una seconda fase, quella che Polanyi chiama acquisitiva, con l'allentamento dei bisogni immediati, che abbiamo un ampliamento dello scambio, senza che tuttavia l'offerta prenda ancora il sopravvento sulla domanda, e il guadagno divenga il motivo primario della transazione. Così i mercati locali, spesso collocati ai margini della comunità, non possono dar luogo ad un mercato in cui i beni sono misurabili in prezzi che si formano attraverso il meccanismo autotegolatore della domanda e dell'offerta, espressi in valori monetari. Inoltre, non fanno normalmente parte di esso né la terra né il lavoro né spesso il cibo. Al mercato locale si accompagna quello che Polanyi chiama « port of trade », in cui si concentra il commercio di lunga distanza, il commercio estero 135_ In questo caso si tratta di un commercio regolamentato, fatto attraverso prezzi ptefissati o dall'autorità politica o dal costume, svolto sempre, direttamente o indirettamente, dall'autorità centrale. Mentre il primo mercato timane comunque assoggettato alle regole della reciprocità e della redistribuzione. La mancanza di contatto tra il mercato locale e i « porti di trnffico » garantisce nel contempo che le regole e le leggi dell'uno non possano essere utilizzate e fatte valere per l'altro, e insieme che si realizzi una integrazione e complementarietà tra la forma dello scambio e quella della reciprocità e redistribuzione. Ciò che si deve escludere invece in modo deciso è l'esistenza di una vera e propria economia di mercato, anche se talvolta non mancano

132

Ibidem. Ibidem, p. 255. 134 Cfr. Y. GARLAN, op. cit., p. 123. 135 Cfr. W. C. NEALE, op. cit., pp. 357 E. GRENDI, Polanyi cit., pp. 40 ss. 133

ss.;

K. PoLANYI, Aristotle cit., p. 87;

284

GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

casi di transazioni contrattate, di mercato; le quali, tuttavia, sono sempre delimitate e circoscritte ad aspetti qualitativamente definiti, sia nei soggetti, sia nei possibili prodotti scambiati, come nella loro sporadicità. La stretta imbricazione dell'economia nelle strutture sociali, per il tramite degli schemi di integrazione, ne risulta confermata. Come insieme esclusa risulta la possibilità di utilizzare il modello del mercato come struttura logica interpretativa di questi fenomeni. Occorre infine far menzione di un ulteriore schema di integrazione che compare ne La Grande trasformazione, ma che non compare nelle opere successive di Polanyi: la « householding », l'economia domestica, che si accompagna alla struttura istituzionale dell'autarchia. Si tratta di uno schema che assume come proprio spazio d'azione l'oikos; l'economia è rivolta fondamentalmente a garantire l'autosufficienza della comunità familiare, destinando solo la parte residua allo scambio, vincolato nella qualità e nella quantità al criterio del mantenimento dell'autarchia della piccola comunità. Si tratta del quadro d'integrazione economica proprio della società classica, ampiamente teorizzato da Aristotele 136 • È lecito avanzare l'ipotesi che l'abbandono di questo schema sia dovuto piuttosto che alla sua limitata applicazione a piccole unità economiche - come crede Valensi 137 - , al fatto che esso può fondamentalmente essere ricondotto allo schema della redistribuzione di cui viene a costituire una variante; inoltre, esso si associa strettamente e si integra con lo schema della reciprocità 138 , come appare anche dall'analisi dell'economia in Aristotele fatta da Polanyi.

8. Commercio, moneta e mercato. Uno degli aspetti più notevoli e penetranti dell'analisi di Polanyi consiste nella reinterpretazione di alcuni aspetti istituzionali fondamentali dell'economia nelle società precapitaliste come sono il commercio, il mercato e la moneta. Questi sono stati normalmente letti attraverso lo schema del modello del mercato. In esso il ~{mercato» appare come il locus dello scambio, il commercio come lo scambio nella sua attualità, la moneta come il mezzo dello scambio. Dal momento che il commercio si regge sui prezzi, e i prezzi sono funzioni del mercato, allora ogni commercio è commercio di mercato (market

l36 137

Cfr. K.

PoLANYI,

Cfr. L.

VALENSI, op.

!3$

Cfr. K.

PoLANYI,

Aristotle cit. cit., p. 1315. Trade dt., p. 253.

SOCIETÀ, ECONOMIA, STORIA:

!(_

285

POLANYI

trade), così come ogni moneta è moneta di scambio. « Il mercato è l'istituzione madre di cui commercio e moneta sono funzioni» 139 • Gli studi di carattere storico e antropologico hanno mostrato la erroneità di queste credenze aprioristiche, che costringono ad inventare mercati \, dove questi no~esitono, ad ignorare commercio e moneta dove questi ~9no presenti, qu ora risultino assenti i mercati. Il risultato compÌessivo~,1i.~ a operazione, alla fine, è quello di far scomparire del tutto quanto v'è di diverso e di poco familiare nelle economie antiche o primitive, per sostituirvi ad esse le più familiari strutture delle economie di mercato, artìficialmente costruite 140 • Dal punto di vista dello schema sostantivista, al contrario, il commercio si mostra semplicemente come un metodo di acquisizione dei beni che non sono disponibili nel luogo. « Esso è esterno al gruppo, simile alle attività che siamo soliti assodare alla caccia, alle spedizioni per la cattura degli schiavi, o a quelle dei pirati. In ogni caso, il punto decisivo è l'acquisizione e il trasporto dei beni da una certa distanza » 141 • La peculiarità di questo movimento è data dal fatto che esso avviene contemporaneamente dai due lati, ciò che assicura ad esso un carattere pacifico e regolare. Nel sistema del mercato, al contrario, il movimento delle merci avviene per il profitto, misurabile attraverso i prezzi, espressi in moneta. Alle leggi e alle trasformazioni del mercato, inoltre, vengono sottoposti anche la terra e il lavoro, anch'essi ridotti a merce. Al contrario, nelle economie precapitaliste, tutto il complesso di relazioni che definiamo come commercio, si muove lungo le linee tracciate dalla reciprocità. Spesso come nel caso del Kula polinesiano, esso si mostra come un intricato e tuttavia ben definito sistema tempo-spazio-persona che ha una estensione molto ampia nello spazio e si prolunga anche per decenni nel tempo, coinvolgendo molte migliaia di persone e di beni, senza che in esso compaia alcuna pro• pensione al baratto e al commercio nel senso usuale, mentre vi domina 1a reciprocità nel comportamento sociale. E tuttavia, « il risultato è uno stupendo fatto organizzativo nel campo economico» 142 • Rispetto all'organizzazione interna, la presenza o assenza dei mer• cati non incide nella struttura finale della società. Al massimo, come dice Thurnwald, dalla loro assenza può essere inferita una certa tendenza all'isolamento, mentre dalla loro presenza non può essere ricavato àlcuno sviluppo particolare. « Le ragioni sono semplici: i mercati non

139 HO 141

142

Ibidem, pp. 256 ss. Ibidem, p. 257. Ibidem, p. 258. Cfr. K. PoLANYI, The Gn?(lt

cit., p,

66.

286

GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO ·

sono istituzioni che funzionano principalmente all'interno di un'economia, ma all'esterno. Essi sono punti d'incontro del commercio a lunga distanza. I mercati locali veri e propri hanno poca importanza, inoltre né i mercati del commercio di lunga distanza né quelli locali sono sostanzialmente competitivi e di conseguenza in un caso come nell'altro non c'è quasi nessuna spinta verso la creazione di un com- _·. merdo territoriale di un cosiddetto mercato internazionale o nazionale» 143 • Fallace si mostra perciò la dottrina classica che, partendo dalla propensione individuale al baratto, deduce da essa la necessità dei mercati locali così come la divisione del lavoro; a ciò si collega la necessità del commercio, compreso quello estero e di lunga distanza .• • Il procedimento è invece da rovesciare, secondo Polanyi. Punto di partenza è il commercio a lunga distanza, determinato dalla collocazione geografica dei beni e dalla divisione del lavoro postulata da questa loro collocazione. L'origine del commercio è da ricercare in una sfera esterna, non rapportata all'organizzazione interna dell'economia; né questo tipo di commercio, implica necessariamente la presenza di mercati 144 • Inoltre, mentre il commercio esterno, in quanto «amministrato», è senza concorrenza, quello interno è essenzialmente concorrenziale; è solo con l'emergere del commercio interno o nazionale che la concorrenza tende ad essere accettata come uno dei principi generali del commercio 145 • In questo contesto, anche il significato della moneta deve essere riconsiderato. La moneta ha tre usi distinti: strumento di scambio, mezzo di pagamento, misura del valore 146 • Sul piano della concezione sostantiva, la moneta è semplicemente definita come « espressione di oggetti quantificabili impiegati in uno o molteplici di questi usi ». Il vero problema è di vedere se è possibile dare definizioni indipendenti di questi usi. Polanyi dimostra che questi significati e usi non sono necessariamente legati fra di loro, tanto che possono essere prodotti e usati oggetti diversi per l'esplicazione di ciascuno di essi. Così la moneta può essere introdotta per fini politici, senza alcuna relazione con il mercato; né la moneta, in quanto mezzo di scambio, è antecedente agli altri due usi. La conclusione che occorre trarre è ancora una volta l'indipendenza di questa istituzione economica dal mercato. Ibidem, p. 76. Ibidem, p. 77. 14s Ibidem, p. 78. 146 Cfr. K. PoLANYI, Trade cit., p. 264; P. VXDAL NAQUET, Fonction de la mannaie dans la Grèce archdique, in « Annales E.S.C. », 23 (1968), pp. 206-208; E. WILL, De l'aspect éthique de l'origine grecque de la mannaie, in ~< Revue historique », fs. 212 (1954), pp. 209-231; In., Réflexions et hypothèses sur les arigines du mannayage, in « Revue Numismatique », 17 (1955), pp. 5-23. 143

144

SOCIETÀ, ECONOMIA, STORIA: K. POLANYI

287

Errano pertanto quanti, dalla presenza della moneta, vogliono inferire la necessità dell'esistenza della struttura del mercato. Dall'analisi delle categorie della antropologia economica polanyiana occorre ora spostarsi all'esame della società contemporanea. I due aspetti si compenetrano intimamente. L'analisi delle società precapita• liste, infatti, evidenzia strutture e temi che, seppure celati dal modello del mercato, non per questo tuttavia cessano di operare. La storiciz. zazione dell'istituzione del mercato apre le vie per il nuovo futuro.

9. Questione della tecnica, potere e sistemi sociali. Critica del!' autonomia dell'economico. Il punto di partenza storico della ricerca di Polanyi è dato dalla crisi che ha investito la società occidentale nel XX secolo, coinvolgendo ad un tempo il modello del laissez-faire e la sfera politica democratica; quest'ultima viene abolita da parte del fascismo 147 • II capitalismo organizzato nei diversi settori dell'industria diventa l'intera società. L'autonomia dell'economico dalla sfera sociale, si trasforma nel dominio della totalità sociale da parte dell'economico. Le crisi degli anni venti e trenta dipendono direttamente dall'imporsi del modello di mercato 148 • « Per capire il fascismo tedesco, afferma Polanyi, dobbiamo ritornare all'Inghilterra ricardiana » 149 • Studiare i mutamenti che hanno portato alla Grande trasformazione diviene impegno primario; insieme questa ricerca si costituisce come critica dell'autonomia dell'economico e messa in questione radicale del complesso delle istituzioni e della cultura che da tale concezione deriva. La tesi di fondo di Polanyi è che « l'idea di un mercato autoregolato implicasse una grossa utopia. Un'istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza umana e naturale della società; essa avrebbe distrutto l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente

147 Tra gli scritti analizzati in questo capitolo, che occupa.no all'incirca 1a riflessione di un trentennio, dal 1935 alla morte di Polanyi, ricordiamo: K. PoLANYI, The Essence of Fascism, in Cbristianity and Socia! Revolution, London 1935; In., The Great cit.; ID., Our Obsolete Market Mentality, in « Commentary », 3 (1947); ID., Trade and Market clt.; In., Tbe Livelihood cit., i testi raccolti in In., Economie primitive cit. 148 In questa impostazione, Polanyi si avvicina alle tesi esposte da Keynes, particolarmente in J. M. KEYNES, Théorie Générale de l'Emploi, de l'Intérét et de la Mannaie, Paris 1966; In., Esortazioni e profezie, Milano 1968. 149 Cfr. K. PoLANYI, The Great cit., p, 39; G. DALTON, Introduzione cit., pp. XXII ss.

288

GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

lo

,

in un deserto». Pertanto il sistema di mercato non costituisce sbocco necessario dello sviluppo storico, il portato delle trasformazioni> dell'economia. La sottolineatura polanyiana della eccezionalità di tale/ evento, intende appunto mettere in questione la tesi continuista, am. pliata successivamente in concezione organica, che non solo, come ognL/ ogni storicismo, costituisce una tesi giustificazionista e infondatamente \ ottimista e progressista, ma soprattutto tende a legittimare la neutra. i lizzazione della capacità di intervento umano, la necessità che l'uomo ( ha di intervenire per controllare e dirigere il mutamento. dell'uomo nel foggiare la propria storia » 150 • Questo aderire ad una concezione > 152 . Gli elementi prima sconnessi - mercato, monetascambio - , vengono ora riunificati per costituire il sistema di mercato. Non esiste una necessità di questo sviluppo, né una universalità delle leggi di mercato. « Soltanto nella struttura istituzionale dell'economia di mercato le leggi di mercato sono rilevanti » 153 • Si tratta ora di spiegare l'insorgenza nella storia del modello di mercato, ovvero di spiegare il passaggio dal feudalesimo al capitalismo. Con Pirenne 154 , Polanyi è d'accordo nel sottolineare il ruolo centrale

150 Cfr. K. PoLANYI, The Livelihood cit., p. LIV; M. GODELIER, Introduzione pp. XXXIV ss.; A. SALSANO, op. cit., pp. VII ss.; E. GRENDI, Polanyi cit., pp. 12 ss. 151 Cfr. K. POLANYI, Our Obsolete cit. 152 Cfr. K. PoLANYI, The Livelihood cit., pp. LIII ss. 153 Cfr. K. PoLANYI, The Great cit., pp. 51 ss.

cit.,

154

Cfr. H.

PIRENNE,

Storia economica e sociale del medioevo, Milano 1967;

SOCIETÀ, ECONOMIA, STORIA: K l'OLANYI

\

289

che in questo passaggio ha il commercio a lunga distanza, che viene a formare un mercato permanente in grado di assicurare continuità e stabilità al commercio 155 . Quindi le ragioni della trasformazione non sono da ricercarsi nello sviluppo di contraddizioni interne al sistema feudale, come vuole il marxismo, ma sono determinate dall'affermarsi di elementi esterni, come il mercato permanente, che trasforma la produzione finora finalizzata all'uso, in una produzione orientata allo scambio. Questa interpretazione, accolta ancora da Polanyi nella Grande t~asformazione, viene successivamente modificata, in quanto ancora ritenuta insufficiente a motivare l'emergere della figura del mercato autoregolato. Per spiegare questo evento occorre riferirsi alla comparsa non tanto della macchina, quanto dei macchinari complessi. È questo fatto che muta radicalmente il rapporto del mercante con la produzione 156 • Solo allora « la produzione industriale cessò di essere un elemento accessorio del commercio organizzato del mercante come una questione di compravendita; esso ora implicava investimenti a lungo termine, con i rischi ad esso corrispondenti. A meno che la continuità della produzione non venisse ragionevolmente assicurata, un rischio del genere non era sopportabile». La creazione del sistema del mercato autoregolato costituisce l'istituzione che deve adattare l'uomo e la società allo sviluppo della macchina. Comincia cosi l'era e la civiltà della macchina. L'uomo deve adattarsi alla macchina e alla tecnica. Il mercato costituisce la forma di adattamento alle origini dell'industrialismo 157 • Nei lavori successivi alla Grande trasformazione, Polanyi porrà al centro del proprio interesse il problema dell'età della tecnica, con le trasformazioni radicali che l'avvento della macchina pone alla razza umana 153. L'acquisizione della macchina apre prospettive del tutto nuove, campi di possibilità finora inesplorati, sfide epocali. Se è vero che il progresso tecnologico non deve essere trasformato in idolo, al quale sacrificare moralità e felicità umana, è però altrettanto vero che non si può elevare il primitivismo a moralità, né tantomeno si deve ricercare la salvezza nel ritorno alla caverna, ignorando del tutto l'irre-

In., La città del medioevo, Bari 1971; il debito nei confronti di Pirenne è esplicitamente riconosciuto: cfr. K. PoLANYI, The Great cit., pp. 83, 347. 15s Cfr. La transizione dal feudalesimo al capitalismo, a cura di G. BoLAFFI, Roma 1975, p. 9. 116 Cfr. K. PoLANYI, The Great dt., p. 97; In., Economie primitive cit., pp. 58 ss. 157 Cfr. K. PoLANYI, The Livelihood cit., pp. XLVIII ss. 1ss Ibidem, p. XLVIII.

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GENESI DELLO Sl'AZIO

ECON0Mrco .·

versibilità del progresso e consegnandosi alla inerzia della disperazione .. ·•·•· ·• Si tratta di un evento che trascende di molto il campo economico e · che manifesterà tutte le implicazioni per la esistenza dell'uomo solo nel tempo. Gli sconvolgimenti provocati dalla macchina toccano tutti . i campi, nessuno escluso, con la velocità del lampo e la potenza di un i terremoto 159 • L'acutezza di questo pericolo era stata intravista, ai suoi·· i albori, dai socialisti utopisti, come Owen, Fourier, Saint.Simon, i quali anticipano « la minaccia di uno sviluppo culturale che un secolo più tardi sarebbe divenuto familiare a tutto il mondo, come la frammentazione dell'uomo, la standardizzazione dello sforzo, la supremazia del·· · meccanismo sull'organismo e dell'organizzazione sulla spontaneità~> mi. .· La tecnica è pericolo ma nello stesso tempo possibilità e destino. IL • sistema di mercato costituisce la risposta in termini istituzionali rie ..·•·.·•· chiesta dall'adattamento dell'uomo alla macchina. La filosofia del laissez-faire ~< si è mostrata utile in quella fase della civilizzazione· industriale che appartiene al nostro passato. A costo di impoverire l'individuo, essa ha arricchito la società ». Ma la crisi del sistema di . mercato evidenzia l'innaturalità di quella forma di adattamento che· i consegna la società alla macchina. L'esigenza primaria è quella di autoproteggere la società, cato, quanto la liber.azione di lavoro terra e moneta dal dominio del mercato, l'abolizione della finzione sociale che ha trasformato questi elementi in merci. Così non sussiste uno stretto legame di necessità tra le libertà che si sono costituite nell'età della borghesia e il sistema ~i m~r_ct6, quasi che la caduta dell'uno co1:1po~ti nece.ssariamente \ 1abohz11ne delle altre. Altrettanto deve avvenire m relaz10ne a con- •· ·· cetti essenziali come quelli di sviluppo, surplus, crescita, potere, costruiti \n funzione del mercato, che debbono essere reinventati in i funzione Idella società. Il _p~blema del potere e dello stato diviene così primario nella·. riflessione di Polanyi, come strumenti necessari attraverso i quali la ,· societ~ si o -~i:za per _ge~tire la propria li~ertà. In questo contesto, la tesi marxiana d.ell'est1nz10ne dello stato si mostra ancora una volta subalterna alla logica del mercato, sviluppo della radicalizzazione della •.·.• separazione della economia dalla società, piuttosto che momento di i liberazione della società. « Quella industriale è una società complessa, , e nessuna società complessa può esistere senza un potere centrale organizzato ... Una società umana in cui il potere e la costrizione siano> · assenti non è possibile, né lo è un mondo in cui la forza non abbia .· . · alcuna funzione » 173 • Il potere non è una funzione demonica, ma ha . il compito di « assicurare quella misura di conformità che occorre sopravvivenza del gruppo(. .. ) Un ideale che metta il potere e la cO- ·.·... strizione al bando della società è intrinsecamente privo di validità.•··.· Nell'ignorare questo limite dei desideri sensati la concezione della . ·•·•· società basata sul mercato rivela la sua sostanziale immaturità» 174 • · Porre nuovamente la società al centro dell'attenzione e delle costruzioni istituzionali costituisce la novità della coscienza moderna. Governare i la complessità mantenendo e allargando la libertà il nuovo imperativo; ···· frutto non di richiamo astratto o retorico, ma di un consapevole im- .· pegno della riaffermazione della sostanza umana. Ritenere tutto questo ·.·

alla

173 174

Cfr. K.

Ibidem.

PoLANYI,

Economie primitive

cit.,

pp. 71-72.

SOCIETÀ, ECONOMIA, STORIA: K. POLANYI

295

utopismo, significa solo soggiacere alle suggestioni dell'ideologia del mercato.

10. Neopositivismo, empmsmo e funzionalismo: lo sfondo epistemo-

logico dell'interpretazione di K Polanyi. Piuttosto scarse e rapsodiche risultano le considerazioni e gli approfondimenti critici e sistematici dedicati da Polanyi allo sfondo epistemologico che sorregge il proprio metodo e gli assunti di fondo utilizzati nella ricerca. Ma errato sarebbe interpretare questo fatto come espressione di una posizione ingenua o come manifestazione di disinteresse nei confronti di una messa a punto rigorosa delle coordinate filosofiche che sottendono la propria posizione. Inoltre, egli è ben conscio delle conseguenze di ordine teorico in ordine alla costituzione delle scienze sociali e in rapporto al significato e alla natura del p~siero economico che scaturiscono dal proprio approccio. Non a caso la discussione sulla interpretazione delle società precapitaliste, come quella sulla nascita dell'economia e della società di mercato, coinvolge immediatamente e direttamente il problema del « fondamento » e del significato della scienza economica, nonché l'insieme delle categorie adottate nella costruzione e nella interpretazione della società e della storia. Più esplicitamente, questo tipo di discussione emerge in taluni lavori di esponenti della scuola polanyiana. La necessità di discutere sui presupposti epistemologici e di metodo impliciti nell'approccio polanyiano è stata colta soprattutto dai critici; ma la riflessione non sempre coglie lo sfondo teorico corretto al quale Polanyi si ispira, le coordinate storiche e teoriche che lo motivano. Preziose indicazioni in questa direzione ci vengono fornite da quanti si sono occupati della storia della formazione di Polanyi, particolarmente da Humphreys e da Salsano. In particolare, occorre ricordare l'influsso esercitato da Mach fin dagli inizi del novecento su Polanyi e parallelamente sulla revisione critica che negli anni venti viene operata dal circolo di Vienna nei confronti della scienza 175 • A più riprese K. Popper ricorda discussioni avute con Polanyi, « teorico

175 C. H. HUMPHREYS, Saggi cit., p. 77, ricorda l'importanza che il pensiero di K Mach aveva nel circolo Galilei, di cui Polanyl faceva parte nei suoi anni ungheresi (1908). Polanyi tradusse anche Analyse der Empfindungen di Mach (parzialmente). Cfr. A. SALSANO, op. cit., p. IX; F. BARONE, Il neopositivismo logico, Bari 1977, pp. 61 ss.; A. VASA, Logica, scienza, prassi, Firenze 1980, pp, 23 ss.

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dell'economia e della politica», ~lla opportunità di estendere il « nomi?alismo metodologie~»,. finora\ ado:tato nelle_ scienze nat~rali, anche m rapporto alla cost1tuz1one e i.tlla mterpretaz10ne delle scienze > sociali 176 • ~'iniziale. ori~nt~ment~ empiriù~iticista ~i Polanyi. si viene così determmando m d1rez10ne d1 un empirismo radicale che s1 estende · all'oggetto delle scienze sociali. Attraverso questo processo di unifi~ ·. cazione metodologica delle scienze Polanyi si accosta alla impostazione··.•·•• del circolo di Vienna. Spunti simili ritroviamo negli scritti di O. Neurath, ·· · •· · nella tesi fisicalista della intrascendibilità del linguaggio come fatto .·.·. fisico, nel superamento della divisione fra scienze della natura dello:·.··.·• spirito, nella eliminazione di ogni riferimento a differenti essenze al di là degli eventi. « Ciò che non è esprimibile in termini di relazioni·· fra gli elementi non è esprimibile affatto. È pertanto privo di senso andare al di là delle correlazioni e parlare delle « essenze delle cose» ... ·. . In questo modo si pone come privo di senso il problema della verità •· •. come corrispondenza, per tradurne il suo valore nella coerenza con gli asserti di un certo campo 177 • La negazione della distinzione tra scienze della natura e scienze .• .·•· dello spirito procede in direzione del superamento della distinzione · • · tra « oggettì psichici » e oggetti che si assume siano di tipo differente: ··•· « Questa separazione è stata sistematicamente eliminata solo dal com• portamentismo ... Nel sistema del comportamentismo possono essere i incorporate solo proposizioni fisicalistiche intorno al comportamento ...·. umàno » 178 • La sociologia può, pertanto, essere definita come compor. tamentismo sociale. Ma se la riduzione della realtà a linguaggio e la determinazione della conoscenza come individuazione delle correlazioni tra fatti accosta il punto di vista di Polanyi a quello di Neurath - pe; ·· .· raltro la posizione di Polanyi pare essere maturata parecchi anni< prima - , egli se ne distacca per un atteggiamento di maggiore cautela i metodologica e per il rifiuto del dogmatismo proprio del Neurath; ma · insieme lo separano un giudizio radicalmente diverso nei confronti del marxismo, concepito ancora da Neurath come la forma di sociologia·.·· empirica più produttiva e più in particolare dalla considerazione «tra- ...·.· dizionale » della economia presente in Neurath stesso 179 . Nel suo··· scritto, infatti, troviamo asserzioni come questa: « l'economia, ad esempio, opera con un tipo d'uomo costante}>; si introducono come i·


) della determinazione del suo funzionamento, non dal « se » della sua esistenza. Appunto reciprocità, redistribuzione e scambio, con le forme della simmetria e della centricità, sono il concreto «come» all'interno della totalità sociale funziona il meccanismo economico. Il quale meccanismo, pertanto, in quanto tale, non ha alcuna autonomia di esistenza e di funzionamento. In questo senso, e solo in questo, Polanyi può parlare di « primato del sociale ». Gli schemi di integrazione possono essere intrecciati o meno, disposti in un ordine gerarchico che, storicamente, pone come dominante l'uno o l'altra di quelle istituzioni. Il mutamento di posto assunto dall'economia e la forma di integrazione volta a volta dominante introducono la variazione storica e la peculiarità di ciascuna società. Ma gli schemi di integrazione non costituiscono affatto le

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tappe di una presunta evoluzione, mentre la funzione integrativa svolta dalla istituzione dominante fa emergere la peculiarità della società. In questo schema, l'affermazione dell'autonomia dell'economico si pone come espressione di una forma specifica di società, quella in cui il comando sul sociale si è trasferito nel territorio della produzione e della riproduzione economica della società, come è avvenuto nella società capitalistica attraverso la generalizzazione della forma dello scambio e del mercato. Si è osservato che la catalogazione dei diversi sistemi economici sulla base di questi schemi è insieme superficiale e confusa; che le pratiche e le nozioni di reciprocità, ad esempio, non hanno lo stesso contenuto in relazione a società diverse 188 • Se queste osservazioni possono essere in parte vere, tenuto conto dei risultati particolari delle ricerche, tuttavia non ci pare che esse vengano ad intaccare la validità dello schema di fondo, quanto pongono problemi di ulteriore articolazione e specificazione del modello stesso. Il problema vero è se questa impostazione consente di spiegare i dati a disposizione, la specificità storica delle diverse società, le forme di integrazione e di stabilità che in esse si danno, ma insieme il mutamento e le trasformazioni da una forma all'altra. Non pare sussistano condizioni pregiudiziali che impediscano di dare risposta affermativa all'insieme delle domande. Fra l'altro, il pregio della spiegazione offerta da Polanyi consiste nella sua capacità di spiegare le trasformazioni che avvengono nelle. società tardocapitaliste, con il ruolo che in esse lo stato e la politica assumono, con lo spostarsi di luogo dell'economico, con la comparsa di forme di collocazione dell'individuo nella società che non si rifanno più o solo al ruolo che esso ha nei rapporti di produzione. Sulla base di questi termini ci spieghiamo l'attualità e il peso sempre più crescente assunto da Polanyi negli anni settanta, la sua riscoperta da parte di posizioni che ad essa dovrebbero essere contrarie in linea di principio. Si osserva ancora, particolarmente da parte dei marxisti 189 , che questi schemi sono del tutto insufficienti in quanto essi riguardano la circolazione e la distribuzione dei beni, ma non la produzione. Questa osservazione sembra dimenticare che reciprocità, redistribuzione e scambio riguardano non solo la circolazione dei beni, ma anche quella dei servizi e delle prestazioni. La particolare forma di organizzazione della produzione e quindi insieme i rapporti sociali di

tss 189

Cfr. M.

GonELIER,

Horizon cit., p. 51.

Ibidem, pp. 53 ss.; Y. GARLAN, op. cit., pp. 126-127; A. forme di produzione cit., p. 232.

CARANDINI,

Le

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·

SOCIETÀ, ECONOMIA, STORIA: K. POLANYI

301

produzione che ne scaturiscono si mostrano sempre in grado di rispondere contemporaneamente al problema dell'acquisizione dei mezzi di sostentamento degli individui e della società nel suo insieme, e nello stesso tempo al problema della sua integrazione sociale. Meglio: rispondendo positivamente a questa ultima questione, che è primaria, si risolve con essa e in essa anche la prima. Né è vero che gli schemi polanyiani ci dicano poco circa il controllo della produzione, dal momento che ciascuna forma domina solo in quanto in essa passa anche l'integrazione della terra e del lavoro nella società. Ma, normalmente, è dalla collocazione di status e non dalla posizione economica che dipende la struttura del controllo 1911 • Così a forme identiche di collocazione economica - pensiamo ad esempio a certi tipi particolari di schiavi e di liberi nella società antica - , possono tuttavia non corrispondere forme di unità di classe, proprio perché la collocazione di status è primaria e dominante rispetto a quella economica. O ancora, a diversità di collocazione economica possono tuttavia corrispondere forme identiche di controllo sociale e politico. Nello stesso tempo, quello che per i marxisti è traducibile nel dominio della fotma di produzione, si mostra interno e comunque vincolato dalla organizzazione sodale, non viceversa. È chiaro che Polanyi rifiuta la dottrina circa la natura essenzialmente economica della collocazione degli individui nella classe. Meglio: tale dottrina risponde soltanto a quella particolare struttura della società in cui l'economico si costituisce come forma autonoma che controlla l'intero sociale, cioè della forma della società di mercato. « Ma gli interessi di una classe sono, nel modo più diretto, affare di posizione e di rango, di statuto e di sicurezza, cioè essi sono fondamentalmente (primariamente) di natura non economica ma sociale » 191 • Come si vede, si tratta di rifiuto dello schema aprioristico del marxismo volgare, e d si appella non tanto al rifiuto pregiudiziale della forma e della consistenza degli interessi economici, particolarmente in talune società, ma ciò che si richiede è una ricerca attenta e puntuale, sulla base della determi• nazione concreta e definita che si fonda sui dati - empirismo! - , circa la forma statica in cui si reali":za il controllo sul sociale. Dobbiamo ancora osservare che la maggior parte delle obiezioni rivolte a Polanyi da parte di un certo marxismo, si fondano sul pregiudizio che non si possa costituire discorso economico senza l'intro-

Cfr. M. VEGETTI, Marxismo clt.; J, P. VERNANT, La lotta di classe cit.; P, VIDAL NAQUET, Economie e società nella Grecia antica, in M. VEGETTI, Marxismo cit. 19! Cfr. Y. GARLAN, op. cìt., p. 126. 190

M.

AuSTXN,

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GENESI

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SPAZIO

ECONOMICO.•

duzione della teoria del valore-lavoro e che, solo sulla base di·•• quest'ultima, è possibile offrire una spiegazione della costituzione del surplus, del plusvalore e quindi dello sfruttamento. Questo è però solo un pregiudizio: infatti il marxismo non riesce ad offrire una spiegazione / scientificamente fondata del problema della trasformazione, cioè del ·. · passaggio dal valore ai prezzi; inoltre, la teoria del valore-lavoro si.· fonda su una concezione naturalistica dell'economia; infine privilegia < il ruolo economico di lavoro e della terra, soffocando i significati primariamente sociali che questi aspetti hanno nelle diverse società 19l. ( Infine: la fondazione naturalistica dell'economia pretende di es-· . . •. sere oggettiva ed esclusiva, l'espressione più adeguata delle leggi di.·•·. natura, così come a suo tempo la geometria euclidea veniva intesa•···• come espressione unica, e la sola adeguata delle relazioni dello spazio i naturale. Nel frattempo, tuttavia, si sono costituite economie «non·•·· euclidee», come ad esempio quella di Sraffa 193 , che non solo fanno . a meno della teoria del valore-lavoro, ma che prescindono dalla capacità dell'economia di rappresentare i rapporti di classe, assumendo .·· dall'esterno la variabile salariale. Il discorso economico non è totale ma parziale e assume da altri territori, particolarmente quello delle ·. relazioni sociali, taluni dati che nella considerazione classica costi- ·. · tuiscono invece i risultati della spiegazione indotta dal valore-lavoro.·•· Non solo, come ricorda Napoleoni, « le ragioni di scambio tra lei. merci non coincidono con i rapporti tra le quantità di lavoro contenute, e che, al mutare del salario e quindi del saggio del profitto, quelle < ragioni di scambio mutano, pur essendo rimaste immutate le quantità:·. · di lavoro ... Viene dunque da Sraffa la conferma in termini rigorosi non solo del fatto che i prezzi si possono determinare indipenden- •• temente dalle quantità di lavoro complessivamente contenute nelle i merci, ma anche del fatto che è impossibile determinarli sulla base dL/ queste quantità» 194 • Da questa posizione scaturisce anche il mutamento di significato che hanno termini quali lavoro, ora considerato essenzial- .·.·.•

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192 Cfr. R. L. MEEK, Studi sulla teoria del valore lavoro, Milano 1973, ca, pitoli IV-V-VI; J. RoBINSON, Marx e la scienza economica, Firenze 1975, capi• .· tolo terzo; C. NAPOLEONI, Il valore cit.; M. LIPPI, Marx cit. 193 L'accostamento di Polanyi con Sraffa è stato proposto da M. GoDELIER, .·.·. Horizon cit., pp. 46 .ss., in termini critico-polemici, mentre deve essere raccolto in senso positivo. Cfr. C NAPOLEONI, Sulla teoria della produzione come processo circolare, in Il dibattito su Sraffa, a cura di F. BOTTA, Bari 1974; B. GIACOMINI, Sulla crisi dei modelli classici di razionalità nel dibattito economico, in La razionalìtà scientifica, a cura di U. Cu1u, Abano 1978; i saggi raccolti a cura di ·•• F. BOTTA, op. cit. · 194 Cfr. C. NAPOLEONI, Il valore cit., p. 169.

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303

mente in rapporto ai mezzi di sussistenza; la merce, che diviene un valore d'uso che ha un valore di scambio perché lo riceve dal mercato; inoltre, non sussiste una spiegazione economica della distribuzione, che viene invece recepita dall'esterno, da una dimensione ~ racconto biblico della pena del lavoro in espiazione della colpa oti- ··• ginaria, senza che tuttavia ciò possa ancora costituire l'emergenza di uno spazio economico 6 • Giacché lo sforzo per procurarsi i beni l'ientra all'interno di una forma che è quella, per un verso, della··.·. liberazione dal bisogno necessario del sostentamento, e per altro verso, ·•


non naturale, indotta attraverso un complesso di atti « artificiali>/ di natura politico-sociale. È cioè la stessa sostanza sociale che sì nega, ponendo in essere quei provvedimenti che sembrano atti ad•·•·· ampliare e consolidare l'essere sociale stesso, mediante l'espansione della ricchezza. Ma condizione di questo sviluppo sembra essere quella> dello svincolamento della ricchezza medesima dalle leggi dell'essere sociale e infine della subordinazione della società stessa alla presunta assolutezza e necessità delle leggi economiche. Il modello di mercato. costruisce la società di mercato. 9 RuGGlU L., La scienza ricercata, cit., pp. 70 ss.; HEILBRONNER R. L., Nascita e sviluppo della società capitalistica, Napoli 1978, pp. 101 ss.; GonELIER M:, Antropologia e Marxismo, Roma 1977, pp. 62 ss.; ID., Rapporti di produzione) miti e società, Milano 1976, p. 38; CARANDINI A., L'anatomia della scimmia. La formazione economica della società prima del capitale, Torino 1979, pp. 23 ss:; ID., Le forme di produzione dell'economia politica e le forme di circolazione dell'antropologia economica, in: Problemi teorici del Marxismo, 1976, pp. 215-234, 1-0 PoLANYI K., La grande trasformazione, cit., pp. 60 ss.

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La crisi che ha investito la società e il modello di mercato si realizza insieme come negazione della negazione: il ricostituirsi di forme di controllo politico e sociale sull'economia divengono ora elementi costitutivi per consentire Io sviluppo della stessa ricchezza 11 • Il riassorbimento dell'economico nel politico e nel sociale - che si manifesta con le forme dello stato keynesiano - , mostra il riaffermarsi della sostanza sociale dell'uomo sull'economia e quindi la fine dell'autonomia e egemonia dell'economico sull'intero, il suo vincolamento alle leggi dell'agire sociale. Sembra infine affermarsi la capacità, da parte della società, di governare il processo della propria riproduzione attraverso forme di economia diretta e pianificata in modo democratico (Cfr. anche Marx K. 1965 c, p. 9 33). 1.2. Critica dell'economia come spazio costitutivo assoluto. L'intervento critico di Polanyi e della sua scuola vale innanzitutto come messa in questione della conce7Jone che pensa l'economia costituirsi nella storia con momenti di identità e di immutabilità strutturale, che fanno sì che lo spazio «economico» si determini nell'identico modo. Tra le società antiche e primitive e quelle. moderne, la differenza è di grado, non di forma o d'essenza. Nella direzione della costituzione di una scienza universale dell'economico si sono mossi sia i classici, compreso Marx, come i neoclassici 12 • Ma, mentre i primi hanno insistito sugli aspetti contenutistici come elementi caratterizzanti, il tentativo dei secondi si è distinto per la ricerca di una fondazione dell'economia basata sugli aspetti storia naturale del profitto, in 'Problemi del socialismo', 15, XX, 1979, pp. ·.··• 11-47; dr. saggi raccolti in FIORITO R., (a cura di), Il disagio degli economisti,·.·.·•· Firenze 1967; CAFFÈ F., (a cura di), Autocritica dell'economista, Bari 1975. .. 16 WEBER M., Il metodo, eit., p . .358; LUKÀCS G.; Storia e coscienza dF classe, Milano 1967, pp. 114 ss.; pp. 124 ss.; VECA S., Marx e la critica, cit.,. pp. 157-158; HEIDEGGER M., Questions III, Paris 1966, pp. 171-174. 17 GODELIER M., Razionalità e irrazionalità, cit., p. 129. 18 PoLANYI K., Aristotle Discovers the Economy, in PoLANYI K., Trade > and Market, cit., p. 240.

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Il problema, che era sembrato avanzare rispetto alla impostazione e alla soluzione data ad essa dai classici, resta in realtà fermo al medesimo punto. Classici e neoclassici, infatti, sembrano convt:rgere nella posizione della forma economica capitalista come la ratio dello economico senza eccezioni. In ciò « la propensione allo scambio e al baratto» dell'uomo di Smith 19 converge con l'apparente forma universale dell'homo oeconomicus del marginalismo, che altro non è se non l'espressione dell'agire economico all'interno del sistema di mercato. Acquisito questo risultato attraverso un processo di riduzione, il secondo passo consiste nel dimostrare il carattere non assoluto, ma st9ricamente determinato del sistema di mercato, mostrando che esso non è sempre stato, ma ha avuto una sua particolare genesi, che lo ha portato a sostituirsi a forme e modi storicamente diversi di appagare il bisogno economico. La differenza di forma fra le diverse società comparse nella storia è ravvisabile sia mediante l'analisi diacronica e il confronto fra le società di mercato e le società precapitaliste, sia mediante la ricerca e la comparazione sincronica con le società primitive. Appare così la totale assenza, nelle società precapitaliste, delle istituzioni di mercato, mentre quegli aspetti che possono richiamare momenti di identità con le strutture del sistema capitalistico, come il mercato, la moneta e lo scambio, obbediscono in realtà a leggi del tutto diverse da quelle di un sistema autoregolantesi. In ciò la critica di Polanyi coincide con quella di Marx. Se ne differenzia, tuttavia, su un punto essenziale che coinvolge 1a stessa natura e significato dell'economico, nonché lo spazio che esso occupa all'interno della società. Per Polanyi, infatti, l'economia esiste come tale solamente nella società capitalista, mentre nelle società precapitaliste essa vive confusa e vincolata in strutture metaeconomiche. L'esistenza dell'economia come tale si identifica con il suo costituirsi in modo autonomo come sistema autoregolantesi. Inoltre, il problema della « separazione» dell'economia per molti versi coincide con quello della natura e del ruolo che essa gioca rispetto all'intero sociale. Per Marx, infatti, indipendentemente dallo spazio che può occupare, l'economia nella società gioca un ruolo strutturale e determinante in ultima istanza rispetto alla totalità dei processi e delle articolazioni che in essa si danno. Quindi la funzione di « egemonia» compete all'economia indipendentemente dal fatto che e~sa abbia o meno la forma dell'autonomia. V'è storia, sotto quest'aspetto, 19 SMITH A., Indagine sulla natura e te cause della ricchezza delle nazioni, Milano 1977, p. 17; PoLANYr K., La grande trasformazione, cit., p, 58.

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solo in rapporto alla relazione di trasparenza, di visibilità o meno che l'economia può acquistare. Detto in altri termini, mentre nelle società precapitaliste il ruolo strutturale ed egemonico si cela dietro . i forme metaeconomiche - come i rapporti di parentela, la religione · o il mito, la politica o altre forme di questo tipo - , solamente nella· società di mercato, con la separazione, si dà coincidenza di primato strutturale e di egemonia sul piano fenomenico. Il dominio della . economia sull'intero è diretto e immediato, né ha più bisogno di i.··. celarsi dietro forme sovrastrutturali 20 • Per Polanyi, al contrario, la funzione di egemonia è strettamente connessa e subordinata alla funzione di autonomia. In quanto si separa, l'economia è egemone sopra ogni altra forma. Sicché il vincolamento sotto altre forme dell'economia significa, realmente, ché · la funzione di dominio dell'intero sociale è tenuta da forme metaeconomiche. Quindi la funzione di dominio caratterizza la società in cui l'economia vive separata: quella capitalista. Pertanto, parlare di do-• minio dell'economia nelle società precapitaliste è possibile solo a patto di reintrodurre come universale e dominante la forma della società capitalista. Sotto questo aspetto, il postulato marxiano del matedalismo storico costituisce un altro dei possibili modi in cui si fa valere nella storia un'istanza pancapitalista. Così, sebbene espulso dalla porta della critica dell'economia politica, il pancapitalismo ricom~ · · .> pare dalla finestra del materialismo storico . .Ciò che a questo punto viene messo in discussione non è sola. . . . mente lo spazio che l'economia occupa nell'intero della società, ma •·· in causa è chiamato lo stesso concetto di spazio economico, nel suo ·.·. significato e rilevanza e nei modi della sua costituzione. Il problema genetico si traduce cosl nel problema del fondamento. 1.3. L'origine come fondamento: la genesi dell'economia politica· classica. Tuttavia affrontare il problema del « fondamento » dell'eco~ .·. ·. nomia come scienza è possibile solo a patto di rivolgere l'attenzione. al momento della «origine» dell'economia politica. Il momento della nascita condiziona il successivo sviluppo della scienza, in quanto il · . processo successivo risulta condizionato dai « modi » della costi tu- •·. zione dell'economia al suo sorgere. L'autonomia di oggetto, infatti, è i stata resa possibile solo grazie all'adozione di metodi e di strutture .•· assunti dai modelli delle scienze dominanti, i quali in larga misura

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2 Cfr. RuGGiu L., La scienza ricercata, dt., passim; MARX K., Il capitale, III, Roma 1965, p. 244; ID., Per la critica dell'economia politica, Roma 1972; pp. 31-.32; ID., Grundrisse, cit., p. 439.

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sono stati considerati come il paradigma stesso della scientificità. Il ricorso al modello delle scienze naturali e a quello delle scienze fisicomatematico, di impostazione newtoniana, risultò pertanto decisivo 21 . Di non minore importanza, per l'andamento successivo della scienza, risulta il modo in cui le domande di fondo dell'economia sono state poste, i contesti in cui esse sono nate. Ciò che intendiamo sostenere è che i modi della formulazione dei problemi e delle loro risposte vengono a costituire parti determinanti nella stessa nascita dei problemi e neHa sostanza delle risposte ad essi date. Tra questi temi rientra ad esempio quello venerando del valore-lavoro, strettamente vincolato in Smith con l'ipotesi dello stato rozzo e primitivo dell'umanità e che, invece, successivamente, si è considerato e sviluppato indipendentemente da questo. Non solo si presuppone la scindibilità del problema e della soluzione dalle condizioni in cui problema e soluzioni vennero concretamente ad essere posti, ma anche i risultati di tale processo sono stati assunti e sviluppati prescindendo totalmente dal procedimento che ne aveva determinato gli esiti. Si tratta solo di un esempio, certo, ma altamente significativo, se è vero che la stessa scienza economica si è costituita attorno al nucleo del problema del valore. In questo senso, occorre riprendere il problema dell'origine. Quella « origine » infatti non cessa, ancora oggi, di « originare » e di fondare problemi e soluzioni. Compito tanto più importante - e certamente minimamente esauribile nella nostra ricerca - , in quanto sembra oggi di assistere ad una sorta di processo di « rimozione » del problema delle origini. È stata avanzata l'ipotesi 22 che tale rimozione sia dovuta ad una sorta di horrnr vacui che potrebbe cogliere lo studioso alla vista della fragilità e talvolta persino inconsistenza 21 POLANYl K, La grande trasformazione, cit., pp. 141 ss.; LEVlNE D. P., Economie Studies, dt., p. 157; VECA S., Saggio sul programma scientifico di Ma!'x, Milano 1977, pp. 65 ss.; SHACKLE G. L. S., The Nature of Economie Thought. Selected Papers 1955-1964, Cambridge 1966, p. 5 ss. Il rappoito è stato messo in luce già da WEBER M., Il metodo, cit., pp. 57 ss.; LuKÀcs G., Storia e coscìenza di classe, cit., pp. 287-288. Cfr a titolo esemplificativo RicARDo D., Sui principi della economia politica e della tassazione, Mihmo 1979, p. 72; « Il principio di gravitazione non è piì1 certo della tendenza che hanno queste leggi a trasformare ricchezze e forza in miseria e debolezza». Sul significato della sintesi newtoniana cfr. i classici studi di KoYRÈ A., Studi 11ewtoniani, Torino 1972, pp. 3-27, e passim; STRONG E. W., Il punto di vista rnatematico dì Newton, in WIENER P. P. - NOLAND A. (a cura di), Le radici del pensiero scientifico, Milano 1971, p. 310; BELLONE E., I modelli e la concezione del mondo nella fisica moderna, Milano 1973, p. 31, p. 64. 22 LEvINE D. P., Economie Studies, dt., p. 153.

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che caratterizza l'assunzione dei fondamenti sui quali è cresciuta questa forma di conoscenza scientifica. Si delineano pertanto i temi complessivi della nostra ricerca. La questione della « genesi » dello spazio economico implica insieme la domanda sulla natura e sul fondamento dell'economia. L'esame di autori quali Platone, Aristotele, Duns Scoto evidenzia l'inesistenza di una riflessione autonoma, nelle società precapitaliste, avente per oggetto l'economia. Qui l'economia non appare non perché non è vista, ma semplicemente perché essa non è affatto. Il discorso economico è parte integrante costitutivo di altri discorsi, dai quali esso attinge forma e regole di sintassi. Non esiste quindi un linguaggio autonomo in quanto non esiste un'autonomia dell'oggetto intorno al quale il dire dovrebbe vertere 23 • L'economia ha dunque una genesi che si identifica con la nascita della società capitalista. Certo, questa nascita non avviene dal nulla, ma ha una storia precedente. Ma si tratta di processi e di sviluppi di altre forme, interni ad altri orizzonti di discorso, non dello sviluppo del discorso economico. Tra le forme precedenti in cui si svolgono i fatti economici e la forma economica, esiste salto e rottura, non continuità e sviluppo 24 • Si tratta perciò di un vero e proprio passaggio verso altro genere, non di processo che si muove all'interno del medesimo genere, l'economico appunto. Questa genesi ha un suo testimone privilegiato: A. Smith. Che si mostra insieme come luogo storico e teorico in cui si conclude e quindi insieme ancora vive la forma precedente di discorso, e nello stesso tempo si apre e si dispiega il nuovo orizzonte in discorso: l'economia politica. La riflessione su due autori quali K. Marx e K. Polanyi è un tentativo di porre a tema due fondamentali chiavi di lettura che condizionano l'approccio al problema delle società precapitaliste, antiche o/e primitive. Ma tali autori sono considerati in quanto pongono a tema il problema che risulta quasi una assunzione preanalitica: quello della natura e del fondamento dello spazio economico

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.. • ·· .

23 DUMONT L., Homo aequalis. Genèse et epanouissement de l'idéologiè économique, P.al!is 1977, pp . .3.3 ss. 24 KuHN T. S., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino 1969, passim; MARX K., Grundrisse, dt., pp. .36.3 ss.; BoRKENAU F., Per una sociologia della .· concezione meccanicistica del mondo, in SCHIERA P. A. (a cura di), Manifattura,< società borghese, ideologia, Rot1a 1978; BoLAFFI G. (a cura di), La transizione dal feudalesimo al capitalismo, Roma 1975; 1-foBSBAWM E. I., Introduzione a ..·•· MARX K., Forme economiche precapitalistiche, Roma 1974; PIRENNE H., Storia •.· economica e sociale del medioevo, Milano 1967; PoLANYl K., La grande trasformazione, dt., pp. 7.3 ss.

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315

stesso. È chiaro che essi non esauriscono il campo delle interpretazioni, anche se per molti versi sembrano costituire due veri e propri « paradigmi » di lettura 25 • Che sono tali, non solo nel versante rivolto verso le società precapitaliste, ma anche in rapporto al versante della stessa società capitalista. O se si vuole: in rapporto all'economia

tout-court. Ancora una volta, i sentieri del nostro discorso convergono nel punto in cui origine e fondamento, discorso storico e discorso analitico-fondativo sembrano coesistere. Ed è questa convergenza che costringe a ripercorrere l'origine per insieme comprendere la fine, sia pure temporanea, del discorso nell'oggi. Questo è il compito di questa ricerca. La quale intende dischiudere problemi, non offrire soluzioni.

2. Lo spazio economico dei classici.

2.1. Il primato della produzione. Problema fondamentale da Quesnay a Marx è la ricerca della natura della• ricchezza, cioè di che cosa fa sì che le molteplici determinazioni della ricchezza siano tali, della forma che ha la ricchezza 26 • Con questo si pone il problema della ricerca dell'identico nel diverso, di quel fattore unico che, presente nelle diverse espressioni di ricchezza, consente che esse siano tali, in quanto ridotte all'unità del principio all'interno della totalit:} compiuta ad autosufficiente che costituisce lo spazio economico. Questa entità sufficiente a se stessa e che perciò non rinvia ad altro, sarà chiamata significativamente la « sostanza >> della ricchezza. Il problema della ricchezza diviene la questione della determinazione del valore, della sostanza valore, come ancora dirà Marx a.

25

KUHN T. S., La struttura, cit., pp. 65 ss.; MASTERMANN M., La natura di un paradigma, in LAKATOS I. - MusGRAVE A., Critica e crescita della conoscenza, Milano 1976, pp. 129-163; CoATs A. W., Is There a « Structure of Scientìfic Revolutions » in Economics?, in degli economisti, cit., pp. 147•168. 41 VEGA S., Saggio, cit., p. 49; MAuTSOPOULOS E., L'idée de dévefopment, . ·· in 'Rev. Phil. France et de l'Etr. ', 1 (1978) pp. 79-84. 42 PEARSON H., The E'conomy, cit., pp. 322 ss.

cit. p. 91.

C., Il valore, cit., p. 13;

SCHUMPETER

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319

livelli dati sembra rientrare anche quello di costo di produzione, fissato al livello della sussistenza dei lavoratori. Il prodotto netto è , nota che Quesnay procede « dall'asserzione della compatibilità anzi complementarità universale degli interessi individuali in condizioni di concorrenza all'asserzione dell'armonia universale degli interessi di classe, ciò che fa di lui un precursore dell'armonismo del secolo diaciannovesimo i>. 45 ScHUMPETER J.A., Storia, cit., p. 81. Quesnay nel 'Diritto naturale', cap. V, parlando delle leggi, dice: « Le leggi naturali sono o fisiche o morali. Intendiamo qui per legge fisica il corso regolato di tutti gli avvenimenti fisici dell'ordine naturale evidentemente più vantaggioso -al genere umano. Intendiamo qui per legge morale la regola di ogni azione umana dell'ordine morale conforme all'ordine fisico evidentemente più vantaggioso al genere umano. Queste leggi insiieme formano ciò che è detta la Legge Naturale» (Cit. da DUMONT L., Homo aequalis, ait., p. 53). L'identità di ordine naturale e di bene è immediata. Essa si dispiega in quanto la natura sia libera di sviluppru:e il propm.o corso. 46 Sul rapporto tra stato di natura e società nella concezione giusnaturalistica cfr. CotLETTI L., Ideologia e società, Bari 1969, pp. 233 ss.; BoBBIO N., Da Hobbes a Marx, Napoli 1965, pp. 11 ss.; RrnDEL M., Dialettica nelle istituzioni, Quaderni di Verifiche, 2, Trento 1977, pp. 40 ss.; Grnrurn O., Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, Torino 1974.

J.

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alla natura, al libero e pieno esplicarsi della sua forza espansiva. Il i rapporto con la natura, nella sua forma di madre produttrice di ogni .· ricchezza, assume cosi la veste ottimistica del postulato del liberismo, .•· cioè della neutralizzazione della forza di governo politico. A questo > postulato, segue la fede nella capacità del sistema di produrre armonia ·.· fra i diversi e contrastanti interessi dei singoli. Questa tesi è mediata dalla collocazione dell'individuo e del suo operare « egoistico » come . momento ed espressione essenziale dell'operare della natura. Ciò che è artificiale, la società, deve dissolversi idealmente nei suoi elementi componenti, nell'atomismo dell'esistere e dell'agire. Permane nell'economia politica classica un paradigma che intende la struttura sociale come parte integrante della natura, in grado di i produrre, mediante l'articolazione dei propri rapporti, sviluppo o arretratezza. La struttura e articolazione dei rapporti sociali possono< contraddire Io sviluppo delle forze produttive. La verità sociale e ·•· . politica consiste allora in questa adaequatio di rapporti sociali e forze ·.• produttive. Questo modello varia nella determinazione delle proprie componenti, a seconda che questo adeguamento consista nella posizione del rapporto della proprietà privata, inteso come parte inte- ·· grante dell'ordine naturale, oppure nella eliminazione di quel rapporto . in quanto non naturale e non originario, a favore del rapporto natus ·.·• rale e necessario di unità di lavoro e di mezzi di produzione, di indi~ i viduo e di società 47 • 2.3. Il principio unificatore: la totalità come sistema. La posizione del principio che unifica le. diverse e molteplici forme della ricchezza, la sostanza che rimane immutata nella variazione degli accidenti, costituisce il molteplice economico nella forma dell'unità-tetalità 48 • Dalla variazione della sostanza dipende anche la variazione della totalità che si articola e si struttura nelle molteplici connessioni. L'intero economico si costituisce pertanto come sistema. Sulla base di questa nozione si costruisce la stessa idea del Tableau di Quesnay: il mondo dell'economico è un mondo di connessioni necessarie. Sicché ogni mutamento nella parte si ripercuote nel tutto, così come ogni modificazione del tutto trasmette una pari variazione in ogni momento del molteplice 49 .

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K., Grundrisse, cita, p. 375, Sull'importanza in Quesnay della costituzione dell'economico come totalità hanno insistito DuMONT L., Homo aequalis, cit., pp. 50 ss.; ScHUMPE'l'ER · · J.A., Storia, cit., pp. 92 ss. 49 VEGA S., Saggio, cit., pp. 53 ss. 47 MARX

4S

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321

L'idea di sistema si accompagna alla nascita della scienza moderna; né è sfuggita la connessione tra la considerazione della realtà sociale in termini scientifici e la costruzione della scienza moderna, partico1armente nel suo versante newtoniano 50 • Il modello fisico-matematico del cosmo viene utilizzato per interpretare il mondo della realtà sociale. Un'unica legge dovrebbe reggere il mondo delle relazioni naturali degli astri e quello delle relazioni fra gli uomini, Di qui il costante uso della metafora del moto dei pianeti per indicare e contrassegnare l'unità e le leggi di movimento dell'universo economico. Che quindi è sottratto alla interferenza del caso e dell'arbitrio, all'imporsi del volere soggettivo 51 • L'idea di sistema mostra connessioni e significati che vanno atten• tamente distinti e analizzati; essi non sono immediatamente evidenti in queste connessioni, né la presenza di una determinazione implica necessariamente l'esistenza delle altre. Certo, propria dell'idea di sistema è la considerazione che fenomeni che sembrano apparentemente separati e reciprocamente contraddittori, in realtà si armonizzano, formano momenti di un tutto, rientrano in un ordine di legalità assoluta, che lascia scarso margine al caso o all'arbitrio. Hegel · esprime questa situazione in modo del tutto adegua.te. « Ci sono alcuni bisogni universali, come mangiare, bere, vestirsi etc.; e dipende unicamente da circostanze accidentali il modo in cui questi sono soddisfatti. Il terreno è, qui o là, più o meno fruttifero, le annate sono diverse nella loro produttività, un uomo è attivo, l'altro è pigro: ma questo formicare dell'arbitrio produce, da sé, determinazioni universali, e quest'apparente dispersione e inconsideratezza è conservata da una necessità che interviene da se stessa. Rinvenire, qui, questa necessità è oggetto dell'economia politica, scienza che fa onore al pensiero, perché essa stessa trova le leggi in una massa di accidentalità. È spettacolo interessante vedere come tutte le connessioni sono qui reattive, come le sfere particolari si raggruppano, hanno influenza sulle altre, e sperimentano da esse il loro incoraggiamento o il loro

so WEBER M., Il metodo, cit., p. 57; PoLANYI K., La grande trasformazione, dt., p. 161; LuKÀcs G., Storia e coscienza di classe, cit., pp. 287-288; STRONG E. W., Il punto di vista matematico di Newton, dt. 51 Significativo è quanto osserva Ricardo neii suoi Principi, p. 86: ragione di scambio. La proprietà è il lavoro, ovvero il lavoro soltanto •· . legittima ogni proprietà 73. In sintonia con le tesi lockiane 74 , il diritto di proprietà è diritto naturale in quanto si identifica con il controllo ·.· e la disposizione sul proprio lavoro. Si tratta di una società di indi~ vidui, che si costituiscono pienamente, nella loro individualità na- i turale, solo in quanto siano nello stesso tempo proprietari privati del · proprio lavoro. Da questa proprietà è quindi esclusa quella della . · • terra, in quanto non è prodotta dal proprio lavoro e quella che risulta dallo sfruttamento di capitale. 3.3. La confusione di « stato originario» e « stato sodale». Smith costruisce quindi lo spazio economico naturale come ipotesi norma- .... tiva sottesa alla lettura dello stato civilizzato, cioè della società capitalistica. La peculiarità della procedura consiste nel fatto che « Io . ·• stato primitivo e rozzo » dell'umanità riflette nelle sue determinazioni .·• di fondo la stessa società capitalistica, ciò che dovrebbe costituire invece •.. l'oggetto della spiegazione. Marx ha per primo denunciato in Smith ·•. • e nei classici la presenza di un processo di proiezione della società • capitalistica nello stato originario, spiegandolo come un tentativo apologetico di porre i principi della società del capitale come norme che ·.· ... hanno una valenza necessaria e naturale, a prescindere da ogni indivi, A., Indagine, cit., p. 49. MARX K., Grundrisse, cit., pp. 9-10. 74 LocKE J., Trattato sul governo, Roma 1974, pp, 70 ss.

12 SMITH

73

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duazione storica. Il processo è: dall'individuo (borghese) alla proprietà privata, al principio dell'isolamento che in tanto produce scambio in quanto esso sia identico all'isolamento della specializzazione e della divisione del lavoro 75 • Ma che cosa è realmente proiettato in questo stato originario dell'umanità? Che cosa, detto in altri termini, fa parte integrante dello stato originario e che cosa invece è solo risultato di confusione prospettica? E questo significa: che cosa rimane dell'elemento centrale della costruzione smithiana, il principio del valore lavoro, una volta che esso sia disancorato dal modello di cui faceva parte costitutiva, come principio unificatore e sostanza della ricchezza, ma insieme come fondamento normativo per il costituirsi della proprietà, dello scambio e delle ragioni di scambio? In particolare la natura e il significato della determinazione del valore nel suo aspetto qualitativo e quantitativo - in che misura dipendono dalla considerazione dell'individuo isolato e dall'astrazione da ogni ulteriore determinazione che non sia quella inerente alla erogazione di lavoro come energia naturale che costituisce l'individuo? Si tratta di problemi che andranno ripresi in seguito, ma che era necessario individuare a questo punto, laddove essi hanno la propria genesi. Procedendo nell'ulteriore esame dello stato naturale smithiano, troviamo che lo scambio scaturisce come espressione diretta e immediata di una qualità naturale di ogni uomo: la sua propensione allo scambio e al baratto 76 . Il quale scambio pertanto, non nasce dalla · divisione capitalistica del lavoro, ma risiede in un fatto pre-storico e presociale, che fa parte delle qualità naturali dell'individuo. Ora, poiché tale propensione per esprimersi deve presupporre mercato e prezzi, anche il modello del mercato autoregolantesi è naturale. Questo continuo slittamento e sovrapporsi di piano, da quello naturale e originario a quello storico, si può ancora osservare in relazione ad altri concetti essenziali, come ad es. quello di prezzo « normale ». Proprio perché così definito, esso vuole essere prezzo naturale; ma, nello stesso tempo, esso riveste come propria determinazione essenziale la valenza sociale. Quando infatti il valore si dispone come « labour commanded », come ~< quantità del lavoro che esso deve comunemente acquistare, disporre o avere in suo cambio » 77, esso

75 MARX K., Grundrisse, cit., pp. 76 Sintomatica è in proposito la

5-6. connessione stretta in Smith tra valore del lavoro e divisione del lavoro. La divisione del lavoro è la principale causa della ricchezza; cfr. 5MITH A., Indagine, dt., pp, 9 ss. 77 Ib., p. 49.

330

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è valore di scambio della merce e, come tale, determinato non dalla quantità di lavoro effettivamente speso dall'individuo nella produzione del prodotto, ma da quella determinata dalla media del tempo di lavoro che si impone in una certa società, ovvero dai valori sta-· . •· biliti dal mercato 78 . Allora i casi sono due: o il concetto di lavoro socialmente necessario non può determinare il reale valore .delle cose ·· ed è perciò « ingiusto », « non naturale », oppure il valore fondato sul rapporto di tipo individuale tra soggetto-prodotto del lavoro è .· falso. In realtà, il primo significato pone un termine del mercato - gli individui isolati - , senza però porre il mercato, mentre il secondo introduce il mercato non tanto come regolatme o misuratore del valore, ·. quanto come vero e proprio fondamento e luogo d'origine del valore ...· Allora il valore non è senza o al di fuori del mercato; esso nasce ed è funzione essenziale del mercato, principio regolatore degli scambi e quindi insieme della distribuzione della ricchezza. Ma tutto ciò avviene non sulla base del lavoro effettivamente speso, quanto sulla scorta · del valore determinato socialmente per ciascun bene. Il valore si . ·· presenta quindi come essenziale funzione sociale, espressione del rapporto tra gli uomini. Il lavoro come funzione sociale si manifesta . attraverso l'espressione della « medietà ». Si intrecciano così nella concezione del valore una funzione oggettivistico-sostanzialista di stampo individualista assieme ad una di carattere relazionale, fondata su una concezione sociale del valore 79 • . •··. Nel primo caso, che si parli di « sostanza >> lavoro in rapporto al ··· valore del prodotto, è del tutto appropriato, in quanto il lavoro entra, nel prodotto in termini di erogazione fisica di energia, la quale produce accrescimento reale o fisico del prodotto. In questo senso, il lavoro è sostanza come unità di materia e di forma. Inoltre, esso è sostanza · · in quanto oggettivazione diretta dell'individuo, sostanza nella sua espressione « fluida » di attività di lavoro. Ma, in entrambi i casi si tratta di « determinazioni borghesi »; ma la prima non sa - o comunque tenta di prescinderne - di essere determinazione come parte della seconda, in cui è contenuta. Ma dal primo non può nascere il secondo significato per aggiunta successiva.

3.4. La misura del valore e la determinazione dello sfruttamento. Lo stato rozzo e primitivo della società avrebbe dovuto costit11ire, nelle intenzioni di Smith, il semplice e naturale che deve consentire di spiegare il complesso e sociale, la «norma» in grado di imporre 1s lb., p. 56. 79 DuMONT

L., Homo aequalis, cit., p. 124.

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una valutazione dell'ordine economico esistente. Ma, per le ragioni che sopra abbiamo richiamato, questo passaggio dallo stadio naturale a quello civilizzato non· può avvenire attraverso un rapporto di con. tinuità, ma deve comportare una rottura. A differenza di quanto avviene nello stato di natura, nella società civilizzata « non sempre tutto il prodotto del lavoro appartiene al lavoratore. Nella maggior parte dei casi egli dovrà spartirlo con i proprietari dei fondi che lo occupano. E la quantità di lavoro comunemente impiegata nel procurarsi o nel produrre una merce non è più l'unica circostanza che può regolare la quantità di lavoro che essa dovrebbe comunemente comprare o comandare o ricevere in cambio. È evidente che una quantità addizionale deve spettare ai profitti dei fondi che hanno anticipato i salari e fornito i materiali di quel lavoro » 80 , Qui il lavoro deve produrre non più solo salario, ma anche profitto e rendita. Questi ultimi risultano pertanto valori non direttamente prodotti dalle e' assi che in essi si esprimono - capitalisti e proprietari terrieri - , ma dallo sfruttamento dell'unico lavoro direttamente produttivo di ricchezza. Donde derivano e come si giustificano, allora, profitto e rendita? I casi sono due: o si tratta di redditi derivati dal furto del singolo nei confronti della società, oppure di forme di accumulazione derivate nel tempo dal sacrificio dei proprietari originari di quote del lavoro sottratte al consumo e accumulate per acquistare nuova produzione. Enttambe le ipotesi sembrano convivere in Smith. Quello che tut• tavia risulta essere ormai un dato acquisito della società borghese è l'impossibilità per il lavoro di realizzarsi senza l'apporto di terra e di capitale, cioè senza gli essenziali mezzi di produzione. Il lavoro è quindi ora scisso per essenza dai suoi mezzi di produzione, pura potenza, che può passare all'atto - e quindi produrre in modo effet• tuale - solo mediante terra e capitale 81 • Il lavoro diviene perciò pura materia, inespressivo e del tutto inerte senza l'apporto vivificatore di terra e capitale 82 • Quindi il lavoro è produttivo, in questo nuovo contesto, solo in quanto esso produca e realizzi nello stesso atto lavoro proprio e sfruttamento altrui, cioè salario e insieme pro• fitto e rendita. Nel modello del mercato, infatti, il valore delle merci so

SMITH A., Indagine, cit., p. 51. MARX K., Grundrisse, cit., p. 402, 375, 365•367. 82 Ib., pp. 265-268; p. 296: « Il lavoro stesso è produttivo solo in quanto è assunto nel capitale, ove ~1 capitale costituisce la base della produzione e il capitalista è colui che comanda 1a produzione... Il lavoro quale esiste per sé nell'operaio, in antitesi al capitale, il lavoro dunque nella sua esistenza immediata, separata dal capitale, non è produttivo}}, 81

332

GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

trova la propria necessaria espressione nei prezzi: « in ogni società

il prezzo di ogni merce si risolve, in definitiva, nell'una o nell'altra di queste parti o in tutte e tre, mentre in 0gni società progredita tutte e tre entrano, poco o tanto, come componenti del prezzo della maggior parte delle merci » 83 • In rapporto a questa nuova situazione assunta come data, il. prezzo di una merce è giusto o naturale, quando « non è né più n{ meno di ciò ché è sufficiente a pagare la rendita della terra, i salari del lavoro e i profitti dei fondi impiegati nel coltivare, preparare e portare al mercato la merce stessa, secondo i loro saggi natmali, quella merce verrà venduta per quello che si può chiamare il suo prezzo ·.·. naturale ~> 84 • Il prezzo naturale corrisponde al valore reale di tutte . le diverse parti componenti del prezzo, ed « è misurato dalla quantità di lavoro che ognuna di esse può comprate o comandare. Il lavoto ... misura il valore non solo della parte del prezzo che si risolva Ìti lavoro [ cioè nel salario] ma anche di quella che si risolve in rendita •.· e di quella che si risolve in profitto» 85 • Profitto e rendita, d'altra parte, non pagano alcun presunto « lavoro » dei rispettivi percettori ..· Essi sono del tutto diversi, « regolati da principi assolutamente auto• nomi e non hanno alcun rapporto con la quantità, con la durezza e con l'impegno di questo supposto lavoro di ispezione e di dire. zione. Essi sono regolati esclusivamente dal valore dei fondi impiegati, e sono maggiori o minori in rapporto all'ammontare di questi » 86 • . Il fatto che per Smith profitto e rendita siano regolati « da prin-. ·• · cipi fateramente diversi » 87 rispetto al salario, sembra spezzare l'unità di questa totalità, mettere cioè in crisi il lavoro come principio uni- . 92 . E in precedenza, in un passo enfaticamente laudativo sul metodo scientifico di Ricardo, Marx osserva: « Il fondamento, il punto di pattenza della fisiologia del sistema borghese·...· • - della comprensione della sua intima connessione organica e del suo ·.· processo vitale - è la determinazione del valore mediante il tempo . di lavoro » 93 • · Nel brano marxiano in esame, troviamo concentrate le intenzioni .· • di cui viene caricato il principio del valore lavoro: esso è infatti fondamento reale della ricchezza, principio unico dal quale derivano . la molteplicità delle forme apparenti, criterio che consente di spiegare·•······ il rapporto di contraddizione che sussiste tra movimento apparente .· . · e movimento reale. Costituisce così il principio che consente di .. chiarire la « fisiologia reale della società borghese » 94, il fondamento •· •·• che rende conoscibile la contraddizione che esiste tra la distribuzione·· della ricchezza come si attua nella società borghese e la sua produ- .· •· • 91 MARX K., 92 Ib., II, p.

93 94

Storia delle teorie. economiche, cit., III, p. 373. 149. Ib., II, pp. 146-147. Ib., MARX K., Per la critica, cit., pp. 30 ss,

J.,A RAGIONE E IL SOCIALE

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zione. Ricardo scopre così la ragione dell'articolazione fra le diverse classi nel loro antagonismo economico. « A questo merito scientifico è strettamente collegato l'altro di aver scoperto e messo in luce l'antagonismo economico delle classi - come rivela nella loro intima connessione - e quindi di aver scoperto che nell'economia sono le radici della lotta e del processo di sviluppo storico ». Proprio per queste ragioni, Ricardo viene denunciato da Carey come « padre del comunismo_! » 95 • L'assunzione del valore-lavoro come unità di misura consente inoltre la riduzione di tutti gli aspetti qualitativi della ricchezza a determinazioni quantitative, connesse fra di loro in modo sistematico. In tal modo può essere affidato semplicemente al calcolo più freddo ed oggettivo la determinazione delle leggi della statica e della dinamica del sistema, la rivelazione delle contraddizioni insanabili che rendono la forma sociale di questo sistema transeunte. L'insoddisfazione di Ricardo per l'unità di misura trovata, la ricerca continua di una unità di misura che risponda a canoni di assolutezza e di immutabilità attraverso l'individuazione della merce media, sono tutti elementi connessi alla stessa costituzione dell'economia politica come scienza rigorosa 96 • E Marx riterrà che, con l'introduzione del concetto che il salario paga la forza lavoro e non il lavoro effettivamente svolto dall'operaio, sia possibile porre in luce l'esistenza di un plus-lavoro non pagato, che costituisce la base del profitto. La critica dell'economia politica deve essere spiegazione scientifica dello sfruttamento. i< Non è H valore che produce, ma il valore che costa, quello che è dovuto al lavoratore» 97 • Con questo sembra essere ritrovata la strada che consente la saldatm-a tra stato primitivo e stato sociale che in Smith si mantenevano reciprocamente separati. Si tratta di una saldatura che consente di porre la continuità sia storica sia logica tra valore lavoro e sistema economico. 4.2. La misura assoluta. Il problema che non cessa di sollecitare e angustiare Ricardo è quello di andare oltre la determinazione del valore relativo delle merci, per sapere in quale delle merci poste in relazione la variazione ha realmente avuto luogo 98 • Che cosa ha costretto le merci a mutare il loro reciproco rapporto di scambio? Ciò

95 MARX K., 96 ROBINSON

Storia delle teorie economiche, cit., II, p. 148. cit., p. 68; NAPOLEONI C., Il valore, cit., p. 31, 39.

J., Ideologia,

p. 31, 39. 97 ROBINSON J., Ideologia, cit., p. 76; RoBINSON J., Marx e la scienza economica, Firenze 1975, pp. 14 ss.; NAPOLEONI C., Il valore, cit., pp. 48 ss.

GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO:

336

dipende dal fatto che è mutata la produttività del lavoro necessario a produrle, o è mutato il valore del lavoro, oppure intervengono entrambe le cause combinate? . stere senza la risoluzione del problema crudale della unità di misura • assoluta del valore. « La distribuzione del prodotto fra le classi l'oggetto specifico dell'economia politica, e la teoria del valore ne è > lo strumento, il fondamento, la garanzia di sdentificità » 101 • Le con~ i tinue variazioni apportate alla soluzione del problema, scaturiscono ··.•. ormai dalla identificazione del problema della misura con quello della legge del valore. Non esiste più scissione tra problema della .·· sorgente del valore e questione della misura. La conclusione tratta ill< Absolute Value and Exchangeable V alue che non esiste una perfetta < misura del valore, costringe, come s'è detto, a ricercare la misura

è>

98 RrcARDO

D., Sui principi, cit., pp. 31 ss.; TESCARI G., Ricardo e Marx, in: VECA S., (a cura di), Marxismo e critica delle teorie economiche, cit., pp. 40 ss.; SRAFFA P., Introduzione ai 'Principi' di Ricardo, Bologna 1979, pp. 37 ss.; i VEGA S., Saggio, cit., pp. 73-95; VECA S., Marx, cit., pp. 9-34, pp, 65 ss.; \ \ DE VECCHI N., Valore e profitto nell'economia politica classica, Milano 1976; LUNGHINI G., La crisi del!'economia politica e la teoria del valore, Milano 1977; .

.

MEEK R.L., Studio, cit., pp. 77-114. :·•.·.. : 99 RrcARDO D., Sui principi, cit., p. 33; TESCARI G., Ricardo e Marx, \ cit., p. 42. 1oo TESCARI G., Ricardo e Marx, cit., p. 43. 101 Ib., p. 45.

LA RAGIONE E IL SOCIALE

337

meno imperfetta, dopo avere tuttavia confutato la tesi secondo la quale il lavoro costituisce una misura perfetta del valore 102 • Sembra quindi

  • entro le quali essi devono operare 106 • Ma tale operatività 102

    Ib.

    !03

    Su questo aspetto siamo debitori all'impostazione del volume di

    D. P., cit., passim. 104 SRAFFA P., Introdtt:done,

    LEVINE

    cit., p. 37, pp. 56 ss.; RrCARDO D., Sui principi, cit., p. 3; GATTEI G., Il profitto di Ricardo, in: SRAFFA P., Introduzione, dt., pp. 92 ss.; TESCAlU G., Ricardo e Marx, cit., pp. 33 ss. !Os SMITH A., Indagine, dt., p. 417, 673. l06 MEEK R.L., Studi, cit., pp. 78-79.

    338

    GENESI DELLO SPAZIO ECONOM:!C()

    comporta innanzitutto chiarezza circa il significato e la natura della ricchezza, come dei bisogni cui essa deve provvedere. Laddove i . bisogni sono naturali, anche la ricchezza è costituita dai beni dati dalla natura. Sul piano normativo deve esistere equilibrio tra 1a quantità data delle risorse e 1a quantità e qualità dei bisogni. Gli uni e gli altri sono dati 107• Allo squilibrio fra di essi è da imputare la povertà. Non esiste una condizione di scarsità naturale, se non quella determinata·.. dallo scarto tra i nostri desideri e le risorse date 106 • Non esiste come i primario un problema dell'accumulazione, giacché non è rilevante il primato della produzione e dell'espansione. « L'essere ricchi consiste nell'usare i beni piuttosto che nel possederli: infatti la ricchezza è l'esercizio e l'uso di essi » !09. Sotto quest'aspetto, 1a ricchezza conci traddice la forma del mondo antico, in quanto spezza l'orizzonte della sua limitatezza strutturale uo_ La sua acquisizione e i modi della sua•·· proprietà sono sempre visti in funzione della polis e della creazione ·· dei migliori cittadini, mai per se stessi. La ricchezza esprime una determinazione che è insieme qualitativa, non solo quantitativa. Laddove i bisogni sono considerati come facenti parte dell'entità naturale dell'oikos, anche essi sono elementi della•··. natura m. La distanza tra questa concezione e l'economia politica classica è determinata dal fatto che i bisogni di sussistenza, i bisogni naturali, non possono formare oggetto della teoria economica. Essa si occupa solo dei bisogni sodali 112 • La vita economica ha per oggetto i07 Cfr. le parti di questo volume dedicate rispettivamente a Platone e ad Aristotele, con la bibliografia ivi indicata, 10s PLATONE, Leggi, V, 736. iw AfilSTOTELE, Reth., 1361 a 25. 110 MARx K., Grundrisse, cit., p. 387. 111 ArusTOTELE, Po!., I. 3. 1253 b 1; 1253 6 23 ss.; Eth. Nic. V. 5. 1053 b 6 ss,; 12. 1162 a 17 ns. .· .. uz LEVINE D. P., Economie Studies, eit., pp. 3 ss. FoucAuLT M., Le parole .·· e le cose, cit., p. 241. Questo aspetto dei nuovi bisogni è colto da Hegel: dr, ·.·. HEGEL G. W. F., Filosofia dello spirito jenese, cit., pp. 97 ss., 147 ss., 167-168; HEGEL G. W. F., Enciclopedia, cit., par. 524. Cosi HEGEL G. W. F., Filosofia dello spirito jenese, cit., p. 167, sottolinea che « l'universale è pura necessità rispetto al singolo lavoratore. Questo ha 1a sua inconscia esìstenza nell'universale; la società è 1a sua natura, dal cui movimento clement·are, cieco, egli dipende, . che spiritualm.ente e fisicamente 1o conserva oppure lo sopplìime ». Cfr. ancora ib., p. 82 ss.; 132 ss. Cfr. BARCELLA F., Contributo alla discussione marxista sulla dialettica. Economia e sociologia nello Hegel jenese, in ' Rivista storica ·· del socialismo', n. 30 (1967), pp. 1-48; BODEI R., Sistema ed epoca in Hegel, cit.; CHAMLEY P., Economie politique et philosophie chez Steuart et Hegel, Paris 1963; CONSIGLIO F., Sul pensiero economico di Hegel, in ' Studi Urbinati', XLIII, n.s. n. 1 (1963), pp. 183-242; MERCIER·}OSA S., La notion de besoin

    LA RAGIONE E IL SOCIALE

    339

    le relazioni che appartengono allo stato, non quelle che competono alla famiglia. La rottura dello stadio della naturalità avviene disancorando la vita economica dalla sfera della famiglia per accentrare il proprio interesse sull'individuo, il quale non è naturale, ma in quanto tale, sociale. Esso è risultato della costruzione dell'economia capitalistica. Il sistema dei bisogni è l'espressione sociale della vita di relazione, non la relazione tra bisogni naturali dati. « Soltanto con la costituzione del sistema economico come una sfera distinta, diviene possibile concepire la produzione come sociale e perciò pienamente come attività economica » 113 • Il bisogno che è oggetto di questa nuova scienza è quello che è caratteristico della nuova « società civile ». Sono oggetti sociali quelli che possono appagare questi bisogni sociali. Il problema della ricchezza si riconduce cosl alla costituzione della « sostanza sociale » in cui si esprime la ricchezza come valore. Tale ricchezza appaga i bisogni non in quanto li estingue, ma anzi in quanto li moltiplica, assieme alla moltiplicazione dei mezzi per appagarli. Nella società borghese, la socialità si esprime come valore che si autoespande, capitale 114 • Proprio per questi motivi, centrale è il problema della riproduzione del surplus, non quello della sussistenza. Solo il surplus espande l'industria e il commercio. In questo senso il surplus esprime il centro dell'opposizione della società alla natura, l'emancipazione dalla natura e dal limite, la costruzione di una realtà del tutto nuova, non data, il mondo della sostanza sociale, in cui il nuovo mondo delle nazioni si esprime. Non si tratta di mera estensione quantitativa, ma esso indica la manifestazione di un nuovo principio, quello che ora si esprime nella ricchezza delle nazioni. La nozione di divisione del lavoro, con la quale la nuova scienza dell'economia politica comincia, rende manifesta la natura intrinsecamente sociale della ricchezza 115 • Tuttavia la nuova scienza non si impadronisce completamente del nuovo principio, ma, accanto ad esso, convive un principio che si esprime in un paradigma naturale, che vincola e insieme contraddice la nuova realtà. Gli esempi sono molteplici e di grande significato. A cominciare dal « teorema del surplus», come lo chiama H.W.

    chez Hegel, in 'La pensèe' 162 (1972); FoRNARO M., Il lavoro negli scritti ienesi di Hegel, Milano 1978. 113 LEVINE D. P., Economie Studies, cit., pp. 4-5. 114 Ib., p. 7. m Ib., pp. 25 ss.; GATTEI G., Il profitto di Rù:ardo, cit., pp. 86-87; MARX K., Crtmdrisse, cit., p. 387.

    340

    GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO•·

    Pearson 116, il quale è visto consistere in una semplice eccedenza di·.· carattere naturale che supera i bisogni immediati della sussistenza. A questo fattore naturale derivante dalla maggiore produttività della . . natura o del lavoro naturalisticamente inteso è attribuita quindi la·• capacità di sviluppi tipici di carattere economico e sodale. Commercio,.·· mercati, moneta, differenziazione in classi, la stessa civiltà, come ricorda Pearson, sono posti come fondati suII'emergenza del surplus, che·.· diviene in tal modo, attraverso una concezione rozzamente meccani> cistica, principio della spiegazione del complesso delle istituzioni pi~ complesse. Di qui la ricerca di un surplus assoluto, ancorato a ragioni di carattere naturale, siano esse biologiche o di altro tipo. Pearson ha mostrato come il surplus è socialmente derivato, e quindi esso è ·.·. sempre e solo relativo, e sorge in relazione a fini definiti della società.·.·• In realtà le variabili che lo determinano sono molteplici, e si ricon> ducono all'economico come processo sodale costruito. L'intreccio tra .• · una componente naturale - di origine possiamo dire fisiocratica che ·· vede il prodotto netto come « dono » di natura - e invece la com- .· ponente sociale si mostra strettissimo, fino a ritradursi nei concetti. di plusvalore e di pluslavoro 1!7. Il surplus in quanto identificato con la ricchezza segna la rottura con lo stadio dei bisogni naturali, ren~ dendo cosi possibile la economia politica, ma nello stesso tempo non cessa di mantenere le radici primitive all'interno della considerazione « naturale» del surplus. Che rimane nella stessa ipotesi dello stato rozzo e primitivo di A. Smith, che è quello della società dei cacciatori,··.. con· una struttura di sussistenza, superata dall'industriosità dell'agrico]- ·... tura e dalla nascita in essa di un surplus rispetto ai bisogni necessari, La parte addizionale della produzione è propriamente la ricchezza ..··•·. L'economia politica classica interpreta tuttavia le relazioni eco- ... · nomiche come fondate sul processo della natura che si rinnova e .. ·.··· riproduce continuamente. I processi sociali vengono quindi ad innestarsi su strutture naturali 118 • Sono queste ultime che comunque debbono farsi valere sotto la scorza delle forme sociali transeunti ll9. Esse si impongono come norme assolute. Risultano così sussistere prezzi naturali, una produzione e distribuzione naturale, un salario• natutale etc. Natura e capitale vengono a costituire le categorie com~ ·. piute e insieme contraddittorie che debbono consentire la spiega-


    •· · i

    196 LUNGHINI G., Teoria economica, cìt., p. XVIII, introduce questo / tema; sostiene giustamente che voler ' chiudere ' dopo il modello sraffianò, ·• ·• · che può funzionate soltanto in quanto costruito per rimanere 'aperto',.· un non senso (ib., p. XIX). ·.· i < 197 È questa la posizione ultima di NAPOLEONI C., L'enigma del valore/ < dt., il quale rit)iene irreversibile la crisi del marxismo come sdenza, ma ne tenta un ricupero come filosofia. Su questa posizione si muovono anche i saggi di \ VECA S., Saggio, cit., e ID., Ancora su scienza e filosofia in Marx; in> 'Rinascita', 11 (1977); LlPPI, Marx, cit. ·. ··· ·. 198 GrNZBURG A.• VIANELLO F., Il fascino discreto della teoria economica, in AA.VV. Un dibattito di Rinascita, Padova 1974, p. 19. 199 B6HM-BAWERK E., La conclusione del sistema marxiano, in SwEEZY P. M. (a cura di), Economia borghese ed economia marxista, Firenze 1971.

    capitalistica. La teoria del valore lavoro, quindi, liquidata sul piano. « scientifico », viene recuperata tuttavia e fatta valere sul piano « filosofico». Noi possiamo .····· .· 233 Cfr. il profilo tracciato dallo stesso KEYNES J. M., Politici ed Economisti, Torino 1974, pp. 293-303. 234 VICARELLI F., Keynes, cit., pp. 145-146; RomNSON J., La seconda. crisi della teoria economica, in FIORITO R., dt.; SHAKLE GL.S., The Years of High Theory, Cambridge 1967. 235 KEYNEs J. M., Politici ed Economisti, eit., pp. 296-297. 236 Cit. da ROBINSON J., Ideologia, cit., p. 46; cfr. PoPPER K.R., La logica della scoperta scientifica, Torino 1970, pp. 150 ss.

    375

    LA RAGIONE E IL SOCIALE

    la quale è tuttavia orientata in direzione della prassi, del futuro, concepito come « tempo atteso, la storia immaginata del futuro, che ciascun uomo libero deve trovare con modalità proprie, fra i vincoli di plausibilità imposti dalla propria esperienza » 237 • Si tratta di escludere su questo terreno i giudizi fondati sulla certezza matematica, assumere fino in fondo la contingenza, sostituire nella scienza il postulato marginalista della scarsità con quello della insicurezza e del rischio 238 . L'equilibrio non è un fatto naturale e spontaneo, ma risultato di una cosciente costruzione dell'agire collettivo. Ruolo centrale avrà, in questa prospettiva, l'atteggiarsi del soggetto investitore nei confronti della realtà mutevole. Si tratta di un soggetto caratterizzato dalle sue « aspettative », sia che queste siano fondate su fatti presenti conosciuti, o su eventi futuri, che possono prevedersi con maggiore o minore certezza 239 • Comunque i secondi non possono costituirsi che sulla base dei primi. Il presente è sempre gravido del futuro, anche se arbitraria risulta la convenzione secondo la quale « lo stato di cose esistente continuerà indefinitamente, salvo in quanto vi siano motivi specifici per attendere un cambiamento» 240 • Si tratta tuttavia di ipotesi arbitraria, che non risponde al reale stato· delle cose, ma al tentativo continuo di annullare il tempo, di ridurre il futuro · al presente, anzi al passato in quanto questo, come già avvenuto, non ammette più rischio e incertezza. Sùssiste pertanto questo scarto irreducibile fra presente e futuro, tra « equilibrio stazionario » e « equilibrio dinamico ». Teoria dell'equilibrio dinamico è, come dice Keynes, « la teoria d'un sistema in cui le variazioni di veduta sull'avvenire possono influire sulla situazione presente» 241 • In relazione alla ricerca dei volumi globali di produzione e d'impiego delle risorse, la teoria della moneta diviene essenziale. « Giacché l'importanza della moneta scaturisce essenzialmente dal fatto che essa costituisce un legame tra presente e futuro » 242 • Quindi, la teoria dell'equilibrio dinamico deve essere necessariamente concepita nel quadro d'una teoria monetaria, senza che questo comporti la sua scissione dalla teoria del valore e della distribuzione. Senza la moneta, osserva ancora Keynes, « non si potrebbe neppure ini-

    237 SHACKLE

    G.L.S.,

    ]he Nature of Economie Thought, cit., pp. 27-28. J., La seconda crisi, dt., pp. 105 ss. cit., p. 108; MORGENSTERN O., Teoria dei

    23S Ib., p. 35; RoBINSON 239 VICARELLI F., Keynes ... ,

    giochi, pp. 18 ss. 240 KEYNES J.M., dt. da V1CARELLI F., Keynes, cit., p. 110. 241 KEYNES J.M., Théorie Générale, cit., p. 309. 242 Ib., dr. LuNGHINr G., La crisi dell'economia politica, cit., p. 60.

    376

    GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

    ziare l'analisi degli effetti prodotti sulle attività correnti dalle previsioni mutevoli » 243 • 8.4. Critica dell'autonomia dell'economia. La critica della teoria economica trova il suo nucleo essenziale nella posizione della società e del sistema capitalistico al centro della riflessione economica. Si tratta tuttavia, a parere di Keynes, del sistema capitalistico quale esso è, anche sulla scorta dei risultati del processo di sviluppo da esso indotti. In particolare, Keynes rimprovera gli economisti di essersi attenuti ad un modello di tipo ottocentesco ormai del tutto scomparso. Questo modello si fonda sulla concezione dell'autonomia dell'economico, sulla sua costituzione come processo separato, guidato da proprie leggi, in grado di raggiungere naturalmente il proprio equilibrio. Questa fede si.llla capacità del sistema di disporsi verso il meglio trova la sua espressione nella ideologia del laissez-faire 244 e nella mano invisibile che si sviluppa attraverso la libera concorrenza. Ne La fine del laissez /aire, Keynes fa risalire questa ideologia all'utilitarismo inglese, piuttosto che alle teorizzazioni dei grandi economisti. In essi non troviamo questa dottrina. Si tratta di una credenza sul fun- ·. zionamento del sistema di mercato, secondo la quale l'impiego ottimale delle risorse è il risultato di comportamenti indipendenti e del tutto irrelati fra loro degli individui. Si postula la scissione di attività di produzione e di consumo e insieme la perfetta conoscenza delle condizioni di mercato. La realtà si incarica di contraddire vistosamente questi postulati, mostrando non solo l'interdipendenza dei primi . due fattori, ma anche che « molti dei maggiori mali economici del ··..· nostro tempo sono una conseguenza del rischio dell'incertezza e della . ignoranza » 245 • Si determina assieme alla fede sui riassestamenti auto ·•···.·i matici, anche la « sostanziale indifferenza ai particolari di carattere ·.· .· .·. sociale» 246 • Ma occorre immediatamente, come dice Keynes, sbaraz: zarsi dei postulati metafisici o generali del laissez-faire 247 : la libertà naturale degli individui nel loro operare economico; il diritto di chi ha; la provvidenza che governa con la sua mano invisibile in modo tale da far coincidere sempre e comunque interesse privato e inte 0 resse sociale. Inoltre, « l'esperienza non dimostra che gli individui, .· · 0

    243 KEYNES J.M., Théorie Générale, cit., p. 310. 244 VrcARELLI F., Keynes, dt., pp. 61 ss. 245 KEYNES M., Esortazioni e profezie, Milano

    J.

    246 247

    lb., p. 201. lb., pp. 240 ss.

    1963, p. 244.

    .

    ··

    377

    LA RAGIONE E IL SOCIALE

    quando costituiscano una unità sodale, abbiano sempre una visione meno limpida di quando operano singolarmente». Sgomberato il campo da questi articoli di fede, Keynes mostra in concreto che le trasformazioni in atto . nel capitalismo tendono sempre pit1 ad avvicinare le grandi imprese « allo status di enti pubblici piuttosto che di imprese private di tipo individualistico». Si sta quindi affermando un capitalismo sodale, lungo una ~< linea di evoluzione naturale>> 248 • Tale forma di socializzazione rende del tutto obsolete le contrapposizioni tra socialismo di stato e individualismo, che si mostrano come gli aspetti speculari della medesima realtà. Si tratta di ideologie ottocentesche, nate all'interno di quel clima intellettuale, che sopravvivono per l'inerzia di esaminare come le cose realmente stanno. Keynes accetta il capitalismo come sistema in grado di giungere a realizzare taluni obiettivi apprezzabili, pur respingendolo come sistema di valori 249 • In particolare, esso non costituisce affatto un sistema naturale, come avevano ritenuto gli scrittori post-ricardianì. Spesso egli pone, al contrario, l'accento sulla casualità della .sua genesi, sulla probabilità di una sua trasformazione e transitorietà. « Difensore del capitalismo al presente, Keynes non ne apologizza· il passato, né ne proietta l'immagine nel lontano futuro » 250 • In particolare, come dice in una lettera a G. Bernard Shaw, ritiene che la sua dottrina sarà in grado di trasformare profondamente questo sistema e nello stesso tempo di spazzare via « le fondamenta ricardiane del marxismo » 251 • Il processo di socializzazione dell'economico deve svilupparsi attraverso l'ingresso più deciso dello Stato nell'economia, non per sostituire « le attività che i singoli individui già svolgono, ma le funzioni che cadono al di fuori della sfera dell'individuo, le decisioni che, se non le assume lo stato, nessuno prende » 252 • Si tratta di costituire quindi un sistema economico misto, dove libertà dei singoli e potere della collettività possono coesistere.

    85. Il dominio politico dell'economico. Della crmca dell'autonomia dell'economico fa inoltre parte integrante l'assunzione da parte di Keynes del punto di vista dell'economia politica e il parallelo rifiuto dell'economica. Questo rifiuto si concretizza positivamente nel pas-

    243

    Ib., pp. 241-242.

    249 VIcARELLI F., Keynes, dt., 250 FAuccr R., Introduzione a

    p. 65.

    J. M. Keynes nel pensiero e nella politica economica, Milano 1977, p. 17. 251 HARROD R. F., La vita di ]. M. J(eynes, Torino 1965. 252 KEYNES J. M., Esortazioni e profezie, cit., p. 243.

    378

    GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

    saggio dalla mkro alla macroeconomia, nell'assunzione del punto di vista della « teoria generale ». « Con ciò ho voluto sottolineare che oggetto principale del mio interesse è il funzionamento del sistema economico preso nel suo complesso e che la mia indagine si rivolge ai redditi globali, ai profitti globali, alla produzione globale, all'occiipazione globale e al risparmio globale, più che ai redditi, ai profitti, àlia produzione, all'occupazione, all'investimento e al risparmio di industrie, di imprese o di individui considerati isolatamente » 253 • La. · considerazione delle singole parti prese isolatamente non varia solo · sul piano della grandezza, ma sul piano della qualità dei suoi componenti e del metodo, in rapporto alla considerazione globale. Estendere le conclusioni raggiunte sulla scorta di elementi limitati al tutto è uno dei principali errori compiuti dall'economica. L'individuo o la singola impresa come unità di produzione e di consumo vengono riassorbiti all'interno delle relazioni economiche considerate come . un intero 254 • Il concetto di capitale totale diviene l'oggetto vero dell'analisi. La critica alla ideologia dell'equilibrio statico ne è parte costitutiva. L'unità produzione-consumo si scinde con l'incunearsi fra essi del tempo e con il rendere possibile, anche concettualmente, l'accumulazione e l'espansione del capitale 255 • Porre al centro il capitale totale significa anche privilegiare la forma del capitalismo sociale nei confronti dell'assetto individualista del capitalismo stesso. La razionalità si trova solamente dal lato del capitale come intero, non del capitalista come singolo che, quindi, come dice Marx, è solamente portatore e maschera del rappotto di capitale 256 • Il dominio delle condizioni di instabilità e di incertezza 257 ; la possibilità di conoscere con il massimo di apertura possibile nella situazione di rischio ineludibile in cui gli affari umani si trovano, è data dal riconoscere che il nuovo soggetto economico non è l'individuo ma lo stato, l'espressione del soggetto collettivo. Sarebbe tuttavia del tutto arbitrario intendere questo stato come l'espressione pura e semplice del dominio del capitale come classe, « come nuovo e più alto momento di aggregazione e esercizio del potere sociale del capitale » 258 • Se così fosse, il passaggio dal capitalismo dell'ottocento

    J.M., Théorie Générale, cìt., Intr. D.P,, Economie Studies, cit., pp. 266 ss. Ib., pp. 267-268.

    253 KEYNES 254 LEVINE 255

    S,, Marx, cit., p. 197. J. M., Esortazioni e profezie, cit., p. 244. VECA S., Marxismo, cit., p. 198; NEGRI A., Keynes e la teoria dello

    256 VECA

    251 KEYNES 258

    stato capitalistico oggi, in FAuccr R., cit.

    LA RAGIONE E IL SOCIALE

    379

    a quello che Keynes auspica sarebbe costituito semplicemente da una più marcata ed esplicita funzione di classe dello stato, rispetto a quella implicita ma tuttavia presente nel capitalismo tradizionale. Certo, Keynes accetta il capitalismo, ma nello stesso tempo egli pone l' accento sulla necessità di elaborare « l'organizzazione sociale più efficiente possibile senza offendere il nostro concetto di una vita soddisfacente» 259 • Sotto questo aspetto l'intervento diretto dello stato nell'economia, il fatto che esso diventa soggetto economico e insieme che l'economia acquista valenza politica, è condizione ineliminabile per raggiungere i livelli di « efficienza » necessari. Ma il nodo consiste appunto nello sciogliere il concetto keynesiano di « efficienza », che è concetto solo apparentemente tecnico-funzionale, mentre è più decisamente concetto valutativo. « La verità è che siamo al bivio fra due teorie della società economica. L'urna sostiene che i salari dovrebbero essere determinati facendo riferimento a quanto è « giusto » e « ragionevole » in un rapporto di classi. L'altra, la teoria del Moloch economico, afferma che i salari dovrebbero essere determinati dalla pressione economica, altrimenti detta « realtà dei fattì », e che tutta la nostra grande macchina debba prncedere a rullo compressore, tenendo presente soltanto l'equilibrio generale, e senza prestare attenzione alle conseguenze casuali che comporta per i singoli gruppi» 260 • È il punto di vista del riequilibrio fra le classi e della redistribuzione della ricchezza quello che viene assunto, con l'assunzione di una nuova valutazione del salario in rappotto al « giusto », non solo in relazione a presunte leggi universali e necessarie. Non a caso, il tema della

    261 262

    l63 264 205

    Ib., p. 24.3. Ib., p. 89. Ib., pp. 242 SS, KEYNES J.M., Théorie Générale, cit., pp . .391-.393. Ib., p. 258.

    LA RAGIONE E IL SOCIALE

    381

    scelta tra economia libera e economia controllata; la scelta è solo tra differenti serie di controllori 2(\6. Il nuovo Stato sociale deve realizzare questo controllo in grado di armonizzarsi con la libertà e l'iniziativa dei singoli e dei gruppi. Trasformazione profonda dello stato, quindi, ma anche di quella dei partiti, non attrezzati per questi scopi 267 • 8.6. Keynes, Weber e il politico. In questa direzione, il lavoro di Keynes si incontra con l'impegno di trasformazione della macchina di Stato di Max Weber 268 • In Economia e società il problema è appunto costituito dal processo di socializzazione dell'economia 269 , che vede la trasformazione dell'atto imprenditoriale di cui tratta Schumpeter, da « soggetto in generale dello sviluppo capitalistico » a « articolazione di una soggettività più vasta: quella del politico, della direzione politica» 270 • Il problema di Weber è quello « di porre il Politico come Soggetto autentico dello sviluppo capitalistico all'epoca della o comparsa di nuove scoperte oppure semplicemente la introduzione .•· di nuove combinazioni fra gli elementi dati. La crisi non dipende i dagli sbagli dei soggetti economici, imprenditore o semplice uomo> economico, ma « solamente la situazione oggettiva che l'espansione· necessariamente crea, spiega l'essenza della cosa» 285 • La comparsa dei nuovi prodotti determina la caduta dei prezzi che pone fine alla .i espansione, che si traduce in crisi e in depressione; mentre la comparsa « a frotte» delle nuove imprese, imprime caratteri non facilmente prevedibili, e processo di riassorbimento lento del nuovo che produce la depressione. Che quindi in quest'ottica, costituisce « la .· · · lotta del sistema economico per un nuovo stato d'equilibrio, adattato < ai dati mutati della ' perturbazione ' dell'espansione » 266. La depres-> sione diviene quindi il « normale » processo di riassorbimento dell'in• •·•·.· • .· • novazione, mentre anormale diviene il processo contrassegnato dall()

    2s2 ScHUMPETER 283 Ib., p. 259.

    J. A.,

    ™ Ib., p. 266, 260. 285

    2S6

    Ib., p. 270. Ib., p. 273.

    Teoria dello sviluppo economico, cit., p. 267.

    385

    !.A RAG!ONE E IL SOCIALE,

    scoppio di una vera e propria crxs1-panko, crollo del sistem:a creditizio, epidemie di fallimenti. Ma il vero problema è posto dal processo «normale», non da quello « anormale» che, in linea di massima, non presenta alcun problema di principio 287 , II ristagno è allora sem• plicemente l'intervallo di tempo che intercorre tra due espansioni, lo stato di riassorbimento e la ricerca di un nuovo equilibrio provvisorio. Nella depressione l'espansione si universalizza; « il flusso dei beni si è arricchito, la produzione è parzialmente riorganizzata, i costi di produzione sono diminuiti e quello che si è dapptima presentato come profitto imprenditoriale aumenta in definitiva i redditi reali durevoli delle altre classi » 288 • Questo effetto è quello durevole, mentre è transitoria la crisi. Schumpeter chiude questa analisi con la profezia che « in ogni caso... il fenomeno della crisi scomparirà prima del sistema capitalistico di cui è figlio » 289 • Il riconoscimento schumpeteriano della crisi si pone in realtà nella ottica di uno sviluppo teleologico, rivolto verso il meglio dell'espansione, affidato comunque all'autoregolazione dinamica invece che statica del sistema. La legge naturale del mercato regna comunque sovrana. La crisi non è malattia, ma costituente essenziale della fisiologia del sistema. Il realizzarsi di condizioni di piena occupazione dei fattoti produttivi è l'espressione dello sviluppo. 8.8. Crisi, analisi della probabilità e orizzonte della decisione. Keynes ha in comune con Schumpeter il riconoscimento del « fenomeno della crisi» 290 ; ne riconosce l'andamento ciclico, ne indaga le cause. I momenti sui quali si costruisce l'ideologia omeostatica della legge di Say - l'equilibrio produzione-consumo, il meccanismo della occupazione, la teoria dell'interesse - , si mostrano i centri nevralgici in cui vive la disarmonia del sistema medesimo. Il caso speciale a cui si applica il modello dell'equilibrio economico generale, quello deila piena occupazione, non ha nulla a che vedere con 1a realtà economica in cui noi viviamo 291 • Questo significa anche, come abbiamo mostrato in precedenza, critica ad ogni forma di naturalismo, sia quella ottimistico dell'armonia prestabilita dei riaggiustamenti automatici, come anche quello della tendenza naturale del sistema al

    287 288

    289 290

    lb,, p. 279. lb., p. 288. lb., p. 297. KEYNES J.M., Théorie Générale, cit., p. 327;

    cit., p. 206 ss. 291

    lb., p. 25.

    VECA

    S., Marx, cit., p. 206 ss.

    386

    GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

    suo crollo 292 • Keynes sa bene che il sistema capitalistico è transitorio, ma sa anche che nel campo economico noi abbiamo a che fare essenzialmente con il terreno della contingenza 293 • In esso le realtà non sono determinate da leggi necessarie, ma neppure dal puro caso. Proprio per questo l'economia si apre alla possibilità dell'intervento operativo umano, in grado sia di ritrovare « frequenze >> e quindi certe regolarità negli eventi, sia nello stesso tempo in grado di intervenire per regolare, controllare e dirigere questo aspetto del mondo «morale», del mondo dei rapporti sociali che è l'economia. Ciò che Keynes avverte è la crisi della concezione euclidea dell'economia, fondata su postulati supposti necessari e sulla deduzione dì una catena di proposizioni assolute e tali da vincolare con necessità lo spazio dell'economico 294 • Ma la concezione euclidea dell'economico si mostra in contraddizione con la realtà per un duplice ordine di motivi: in quanto questa contraddice il postulato base, quello delle parallele, mostrando che esse invece si incontrano; e in quanto contraddice la forme in cui la · geometria stessa è costruita, quella della sua necessità e unicità. Fuori di metafora: non è valido il suo postulato di fondo, la legge di Say, non esiste un sistema di proposizioni necessarie. Si tratta allora di mettere in piedi una delle possibili geometrie non euclidee, in grado di rispondere ai fatti o, almeno, al livello dei fatti che reputiamo di nostro interesse. Si passa così dalla forma del semplice riconosci- . . · mento della legalità naturale alla forma della costruzione di un sistema economico « in cui la disoccupazione involontaria nel senso stretto . della parola sia possibile » 295 • Il modello deve quindi rispondere al · duplice requisito della possibilità oggettiva e della possibilità operati:va •· di intervento per realizzare la piena occupazione delle risorse. Analisi delle probabilità e orizzonte della decisione si mostrano così strettamente connesse. Non esiste la base per una previsione di ·.· . tipo matematico in grado di eliminare la scelta e la decisione; l'in~ stabilità dei fattori comporta semplicemente la decisione fra uria serie di soluzioni possibili, « calcolando ogni volta che essa può, ma · · trovandosi sovente disarmata davanti al capriccio, al sentimento o la fortuna » 296 . La forma della previsione, il « sentimento » che il ··. soggetto assume di fronte all'incertezza del futuro, le sue aspettative, ·. e insieme il calcolo delle previsioni e delle aspettative altrui aprono il.>

    292 VICARELLI

    293 FAUCCI 294 KEYNES 295

    296

    F., Keynes, cit., pp. 61 ss. R., qit., p. 17. J.M., Théorie Générale, cit., pp. 38·39.

    Ib., p. 38. Ib., p. 178.

    LA RAGIONE E IL SOCIALE

    387

    campo all'analisi della « psicologia degli affari », al calcolo dell'influenza degli stati del soggetto nel campo dell'economico 297 • Il problema della instabilità economica si giova anche in rapporto all' atteggiarsi del soggetto: ottimismo o pessimismo senza previsione. La previsione a lungo termine, perciò, non dipende solo dall'eventualità più probabile dal lato dell'oggetto, ma anche dalla fiducia con la quale essa viene prevista-Iato del soggetto. Il controllo si lega alla previsione, e questa è in rapporto con la possibilità del soggetto di possedete un più ampio numero di dati possibile 298 • L'intervento dello Stato consente quella capacità di previsione e insieme di decisione e di indirizzo che non è invece possibile in regime di laissez-faire. « Ogni fluttuazione dell'investimento, non compensata da una variazione corrispondente a consumare, si traduce necessariamente in una fluttuazione dell'impiego ». La scissione tra la decisione di risparmiare e quella di investire costituisce Ia ragione principale della crisi. Questa si manifesta nella disoccupazione, nella incapacità del sistema di utilizzare la totalità delle risorse si manifesta la crisi del sistema stesso 299 . Contro la teoria dei fattori produttivi del marginalismo, pet Keynes « è preferibile considerare il · lavoro ... come l'unico fattore di produzione, operante in un dato ambiente di tecnica, di risorse naturali, di attrezzatura di capitale e di domanda effettiva ». Pertanto, la tendenza alla disoccupazione appare come il punto debole del sistema capitalistico. Ma questa dipende dalla diseguale distribuzione del reddito, che potta allo squilibrio della domanda rispetto alla capacità produttiva del sistema. Il risparmio sottrae investimento, e quindi in sé non gatantisce accumulazione di capitale 300 • La spiegazione essenziale della crisi sta nella caduta improvvisa della efficacia marginale del capitale. Il nodo da risolvere timane pertanto quello di regolare il flusso conente di investimenti. Questo non può essere abbandonato all'intervento casuale e spontaneo dell'iniziativa pdvata. Senza un controllo e una direzione consapevole, il flusso d'investimenti si trova del tutto in balia di valutazioni sull'efficacia marginale « dipendenti dalle opinioni personalì di individui ignoranti o speculatori » 301 • Il ribaltamento di questa situazione di cecità può avvenire solamente attraverso il supetamento del laissez-faite, l'intervento dello stato nel ptocesso economico attraverso il piano. Si tratta

    297 298

    299 300 301

    Ib., pp. 164 ss.; pp. 176-178. Ib., pp. 176-177; p. 162. Ib., p. 327; RoBINSON J., Marx e Keynes, cit., p. 95. KEYNES JM., Théorie Générale, cit., pp, 176-177. Ib., p. 328, 333, 337.

    388

    GENESI DELLO SPAZIO ECONOMICO

    della forma concreta di progettualità che consente il dominio delle contraddizioni, il controllo e la direzione dello sviluppo, l'intervento qualificato per l'utilizzazione della totalità delle risorse produttive con la politica di pieno impiego del suo fattore centrale, il lavoro; L'anarchia deve essere vinta. Occorre spostare il piano dell'intervento • dal singolo alla comunità, dalle considerazioni mieto a quelle macroeco- .· nomiche. In questo senso, il superamento della crisi si collega al·.· rilancio dell'economia «politica», nella dimensione che la politica ha raggiunto nella forma del capitale sociale.

    Conclusione provvisoria. Una « introduzione » deve facilitare la collocazione del lettore sul terreno nel quale i saggi di questa ricerca comune si muovono, · Il discorso verte sull'economia, ma nelle società precapitaliste l'eco- •· · ·· nomia non è uno spazio originario, immediatamente dato. Essa non .· • ·· ha autonomia, non esiste come tale, ma, nel suo contenuto, fa parte · di forme metaeconomiche. In ciascuna di queste forme, essa è visibile per le tensioni che provoca, per una tendenza centrifuga alla rottura dell'unità precedente, per il contrasto con le forme che debbono vin- · colarla. Tali forme sono sociali, non naturali. Anche se lo sviluppo .· .. delle forze sociali assume la veste della determinazione naturale, ' · ·. mentre• il riconoscimento dello sviluppo del soggetto sociale si deter~ mina come proiezione nell'oggetto e come determinazione da parte dell'oggetto di ciò che è crescita e sviluppo del soggetto. Lo spazio economico è stato interpretato in modo ·•

    scientifica, Milano. NAPOLEONI C., 1960, Sulla teoria della produzione come processo circolare, ora. _..-,·._·.:·. in Botta F., 1974, pp. 37-62. NAPOLEONI C., 1963, Il pensiero economico del '900, Torino. NAPOLEONI C., 1966, Sul significato del problema marxiano della trasformazio~e/ •· •·· in La Rivista Trimestrale, nn. 17-18, pp. 110-119. NAPOLEONI C., 1970, Smith, Ricardo, Marx, Torino. NAPOLEONI C., 1976, Il valore, Milano. NAPOLEONI C., 1978, L'enigma del valore, in Rinascita N. 3, NATALI C., 1977, L'uso del termine contraddizione nel libro Marx, in Betti E. (a c. di), La contraddizione, Roma. · ·. ·•· .· NEGRI A., 1978, Manifattura e ideologia, in (a c. di), Schiera P., 1978, p. 138•15'7. .. NEGRI A., 1977, Keynes e la teoria dello stato capitalistico, oggi, in Faucci R., 1977, .·.· · NuTI M., 1970, Economia volgare e distribuzione del reddito, in Botta F., 1974, ·

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