Introduzione alla semiotica dello spazio
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BIBLIOTECA DI TESTI E STUDI/

833

SCIENZE DELLA COMU ICAZIONE

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele n, 2 29 oo186 Roma telefono o6 l 42 81 84 17 fax o6 l 42 74 79 31

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Alice Giannitrapani

Introduzione alla semiotica dello spazio

Carocci editore

ristampa, maggio 2017 edizione, marzo 2013 ©copyright 2013 by Carocci editore S.p.A . , Roma ra

ra

Realizzazione editoriale: Le Varianti, Roma ISB

978-88-430-6820-3

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 17 I della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

9

Spazializzare

13

!. 2.

S oggettivi tà e oggettività L ingui stici tà

14

!. 3 .

T estuali tà

19

2.

Segmentare

25

2.!.

D elimi tazi oni

25

I.

I. I.

r.2.r.

2.r.r.

13

Società l r.2.2. Individualità

Soglie e limiti l 2.1.2. lnterfacce

2. 5.

Si gnificazi oni Tr asfor mazi oni N arr azioni L ocali zzazioni

32 34 36 38



Enunciare

41

3 ·!. 3 .2. 3 ·3 · 3 ·4· 3 · 5· 3 .6.

Enunci atorilenunci atari R appr esentazi onale/ costr utti vo Civitas/polis Vi sioni/ conoscenze O sserv atori/ infor matori C ooper azioni/ confli tti

2.2. 2. 3. 2. 4 .

3 . 6.r.

Mediazioni

7

41 43

51 53 56 58

INDICE



Praticare

65

4·!.

S pazi e luoghi C ontesti P rogetti

66

4.2. 4·3·

4.3.r.

4·4·

67

Efficacia l 4.3.2. Eterotopie

U si 4.4.r.

4·5·

65

75 Instabilità

P ercorsi 4.5.r.

81

Vincoli e obiettivi l 4. 5.2. Tappe l 4·5·3· Ritmi

4.6.

C orpi, spazi, lingua

88



Rappresentare

91

5 .I.

S pazio del testo T esti v isiv i

91

5.2.

92

5 . 2.r. Classico e barocco l 5 .2.2. Dallo spazio simulato allo spazio di visione l 5 . 2.3. Mappe

5·3·

T esti v erbali 5 .3.r.

5·4·

101

Ekphrasis l 5 .3.2. Equivalenze

T esti sincretici 5-4.r.

107

Alcuni esempi televisivi l 5-4.2. Dexter

6.

Luoghi di ristorazione

II9

6.r.

S egn alarei confini , sedurre i clienti D all' esterno all' intern o P arola d' ordi ne: coerenza M ulti funzi onali tà en uov i format ristorativi S pazio della ri storazi one, tempo della degustazi one A l di là della standardizzazi one V erso una ti pologia formale

122

6.2. 6.3. 6.4. 6.5. 6. 6. 6.7.

Glossario

125 127 132 133 135 137

141

Bibliografia

8

Introduzione

Vi vi amo nello spazi o, i n questi spazi , i n queste ci ttà, i n queste campagne, i n q uesti corri doi , i n q uesti gi ar di ni. Ci sembr a evi dente. F or se dovr ebbe essere effetti vamente evi dente. M a non è evi dente, non è scontato [ . ]. I n ogni caso, è cer to che i n un' epoca pr obabi lmente troppo lon tana per ché q ualcuno di noi ne abbi a conser vato un ri cor do un mi ni mo pr eci so, non c' er a ni ente di tutto q uesto [ .. ]. I l pr oblema non è tanto sapere come ci si amo arri vati , quanto sempli cementeri conos cere che ci si amo arri vati , ch e ci si amo: non c'è uno spazi o, un bello spazi o, un bello spazi o tutt'i ntor­ no, un bello spazi o i ntor no a noi , c'è un mucchi o di pezzetti di spazi o, e uno di questi pezzi è un corri doi o della metropoli tana, e un altr o di questi pezzi è un gi ardi no pubbli co; un altr o (qui sti amo entr andoi n spazi molto pi ù par ti colareggi ati) , ori gi nari amente di gr andezza pi uttosto modesta, h a r aggi unto di mensi oni pi uttosto colossali ed è di venuto P ari gi , mentr e uno spazi o vi cin o, non necessari amente meno dotatoi n par tenza, si è acconten­ tato di r estar e P ontoi se. U n altr o ancora, molto pi ù gr osso, e vagamente esagonale,è stato cir condato da una grossa li nea punteggi ata (i nnumer evoli avveni menti , alcuni dei q uali par ti colarmente gravi , hanno avuto come uni­ ca ragi one d' esser e i l tr acci ato di questa li nea) ed è stato deci so ch e tutto q uello ch e si fosse tr ovato all'i nter no della il nea punteggi ata sar ebbe stato color ato di vi ola e si sar ebbe chi amato Fr anci a, men tr e tutto quello che si fosse tr ovato all' ester no della li nea punteggi ata sar ebbe stato color ato i n un modo di ver so (ma all' es ter no del suddetto esagono non ci tenevano affatto ad esser e uni for memente color ati: un pezzo di spazi o volevai l pr o­ pri o color e e l' altro ne voleva un altr o, donde conseguei l famoso pr oblema topologi co dei quattr o colori , n on ancor a ri solto oggi gi or no) e si s arebbe chi amato di versamente [. . ]. I nsomma gli spazi si sono molti pli cati , spezzettati , di ver si fi cati. C e ne sono oggi di ogni mi sura e di ogni speci e, p er ogni uso e per ogni funzi one. Vi ver e è passar e da uno spazi o all' altr o, cer cando i l pi ù possi bi le di non farsi tr oppo male. .

.

.

9

.

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

Così lo scrittore francese Georges Perec, nelle prime pagine del suo libro Specie di spazi ( 2oo8) , sintetizza ed esemplifica, in termini illu­ minanti, le questioni nevralgiche per uno studio della spazialità come linguaggio o - meglio - come sistema e processo di significazione. Egli evidenzia innanzitutto come i luoghi non siano sempre uguali a loro stessi. E se pure nell'esperienza quotidiana conserviamo la sensazione di avere punti di riferimento fermi e immutabili (il territorio, l'abita­ zione ecc. ), cionondimeno eventi più o tneno trautnatici, più o meno complessi, più o meno immaginari fanno comprendere come i luoghi si evolvano, cambino, nutrendosi di ciò che vi accade all'interno e conservando memoria delle trasformazioni che li attraversano. Il loro senso dipende dal legame che intrattengono con chi li vive, li abita, li investe di un qualche valore; dipende, in altri termini, dal legame che si viene a instaurare tra spazio e individuo, tra spazio e società. A conferire identità a un luogo contribuisce in maniera determi­ nante, ricorda ancora Perec, il confine; spesso arbitrario, ma non per questo privo di significato. Il confine definisce un dentro e un fuori, un interno e un esterno che derivano, a loro volta, dal punto di vista a partire dal quale quel dato territorio è inquadrato, vissuto, raccontato. Non solo, ma a dotare di significato uno spazio è anche il modo di rap­ presentarlo (i colori e le linee riflettono e al contempo determinano, nel brano citato, l'identità della Francia e le sue relazioni con i paesi confinanti) . Al di là della variabilità del significato socio- culturale di un determinato posto, resta il fatto - Perec lo sottolinea - che lo spa­ zio è un elemento ineliminabile, costitutivo della nostra esperienza, tanto che la vita di ciascun individuo, così come la storia di un'intera società, può essere narrata in termini di spostamenti e variazioni di posizione. Proprio per questa sua centralità, lo spazio è oggetto di riflessioni di numerose discipline, le quali, ciascuna dalla propria prospettiva, cercano di definirne i tratti salienti, le caratteristiche evidenti, le di­ namiche di costituzione e di sviluppo. Geometria, geografia, fisica, architettura, urbanistica, antropologia, sociologia, linguistica, market­ ing, geologia, astrologia, filosofia. Forse, a ben pensarci, quasi tutte le scienze e i saperi, a vario titolo, si occupano di spazi, hanno qualcosa a che vedere con essi. Anche la semiotica, in quanto scienza deputata allo studio dei meccanismi di produzione e riproduzione del senso utnano e sociale, si è da tempo interessata all'argomento, focalizzando la propria attenzione sulla spazialità, intesa come principio astratto di

IO

INTRODUZIONE

organizzazione delle più diverse manifestazioni antropologiche, come meccanismo discorsivo che, tra l'altro, rende evidente quell'inevitabi­ le processo di traduzione di testi in altri testi che è la cultura. Questo libro è pensato come un percorso che parte da concetti generali per trattare casi via via più specifici. Il CAP . r è dedicato a illustrare le nozioni fondamentali sulle quali poggia il concetto semi­ otico di spazialità. I CAPP . 2 e 3, ricorrendo ad esempi quanto mai vari, illustrano i più basilari strumenti di analisi testuale che rendono conto della stratificazione del senso dei luoghi. I CAPP. 4 e 5 studia­ no, rispettivamente, gli spazi " praticati" e quelli " rappresentati" . Si tratta, nel primo caso, di entrare nel merito della dialettica tra proget­ tazione e uso, verificando come il significato di un certo luogo (co­ struito o meno) sia soggetto a continui sommovimenti. Nel secondo caso, l'idea è quella di indagare le strategie comunicative che portano alla creazione di un effetto di spazialità all'interno dei racconti e di evidenziare il ruolo fondamentale che la definizione di un 'ambien­ tazione può assolvere in una qualsiasi forma di narrazione. Il CAP. 6, l'ultimo, si concentra sui luoghi di ristorazione, mettendo alla prova gli strumenti illustrati nei capitoli precedenti. Segnalo infine che ter­ mini seguiti da un asterisco sono richiamati nel Glossario in calce al volume, nel quale è possibile trovare un approfondimento su alcune nozioni specificatamente semiotiche. Va sottolineato che la distinzione tra spazio praticato e rappre­ sentato è qui posta per comodità esplicativa e non, sottolineiamo, per ragioni di principio. Tocchiamo, infatti, qui un punto centrale: siamo certi che abbia davvero importanza la tradizionale distinzione tra luo­ ghi " reali" , concreti, fisici da un lato e luoghi " immaginari" , fittizi, rappresentati dall'altro? Non si tratta piuttosto di due facce di una stessa medaglia? Non stiamo in fondo parlando di spazi spesso acco­ munati da una medesima forma? Un museo, un quartiere urbano, un negozio, così come la città in cui è ambientato un fumetto, il posto denso di valore affettivo di cui parla una canzone sono tutti " testi" che condividono, vedremo, un'organizzazione profonda. A variare è piuttosto la sostanza attraverso cui questi spazi si esprimono (il mon­ do naturale, l'oralità, la scrittura, la musica ecc. ) . Proprio per questa ragione, gli strumenti di analisi e le categorie esplicative che saranno illustrati nel corso di questo lavoro possono essere applicati a qual­ siasi allestimento spaziale, sia esso " reale" o " itnmaginario" , fisico o mitologico. Non solo, infatti, il luogo praticato e quello rappresenta-

II

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

to non hanno spesso confini chiaramente definiti (si pensi ad alcuni territori " virtuali" , co1ne i social network, che diventano veri e propri centri aggregatori al pari delle piazze cittadine) , ma i due possono anche influenzarsi reciprocamente, trasformandosi gli uni negli altri e arricchendosi a ogni passaggio (luoghi iper-rappresentati nei media diventano, ad esempio, di colpo affollati, così come, di contro, zone urbane particolarmente frequentate possono ritrovarsi al centro di discorsi televisivi, cine1natografici, turistici ecc . ) . Dal punto di vista semiotico, lo spazio è un linguaggio, uno dei principali modi in cui le diverse società parlano di se stesse a se stesse. Gli spazi dunque, tutti gli spazi, sono al tempo stesso reali e immaginari, espressioni fisiche di contenuti ideali.

Questo libro non sarebbe esistito senza l'aiuto, il supporto e l' incorag­ giamento di Gianfranco Marrone, che ringrazio di cuore. Un grazie anche a Ilaria Ventura per l'attenta lettura del manoscritto. Questo libro è dedicato a Maria e Iole, due grandi donne, due esempi da se­ guire, e a U go, ancora così vicino.

12

I

Spazializzare

I. I

Soggettività e oggettività

La relazione uomo/ambiente è quanto mai paradossale: il mondo esi­ ste di per sé, ma si dà solo a partire da un soggetto che lo coglie. Per di più la percezione dell'esterno non è mai immediata, ma sempre già orientata dal soggetto, dai suoi programmi di azione, e mediata dal corpo. Alla luce di questi ragionamenti, il filosofo Maurice Merleau­ Ponty ( 2003 ) distingue uno spazio antropologico, frutto di un vissuto, di un'esperienza soggettiva, da uno spazio geometrico, assoluto, eucli­ deo. Quest'ultimo non coincide con la "realtà" , ma è frutto di un'a­ strazione ed è pensabile a partire da un soggetto che «abbandoni il suo posto, il suo punto di vista sul mondo e si pensi in una sorta di ubiquità» (ivi, p . 340 ) . Tale distinzione è stata variamente ripresa. S i è parlato d i uno spa­ zio centrico, discontinuo, finito, eterogeneo, che pone il soggetto e le sue percezioni come perno organizzatore dell'estensione, e di uno spa­ zio acentrico, continuo, infinito, omogeneo, che coincide con quello fisico-matematico e non conte1npla alcuna forma di presa individuale (Zilberberg, 2010). O, ancora, si può discernere uno spazio globale, che si presenta come assoluto ed è retto da un sistema di riferimento " oggettivo " (quello della geometria euclidea o dei punti cardinali) , da uno locale, qualitativo, retto da un sistema di riferimento relativo che implica una soggettività, sia essa individuale (come quando si utilizza­ no termini che si riferiscono alla persona, quali " alle mie spalle" , " alla mia sinistra" e simili) o collettiva (è il caso di alcune mappe che espan­ dono il centro di un paese rispondendo a criteri socialmente deter­ minati di valorizzazione turistica di un territorio) (Cavicchioli, 2002) . L'oggettività e la soggettività dello spazio vanno quindi intese come effetti di senso del discorso, risultato dei diversi modi in cui lo spazio

13

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

stesso viene posto in essere. La pianta architettonica di un apparta­ mento che riporti esclusivamente le misure delle stanze è un esempio di spazialità oggettivante, poiché quel disegno è costruito in modo tale da presentarsi come riproduzione della " realtà " e non lascia emergere qualcuno che lo ha pensato e prodotto. Viceversa, un progetto in cui sia riportata la firma dell'architetto, il suo " stile " , si può considerare una spazialità soggettivante, dal momento che nel testo viene messo in luce il legatne con il suo creatore. Allo stesso modo si può parlare di vista oggettivante, ovvero di uno sguardo guidato da un "sapere anteriore" in grado di determinare la sensazione che l' oggetto esista di per sé (come quando, di fronte a un panorama su una città, si cerca di ritrovare le vie, i palazzi e i monumenti che già si conoscono) , e di vista soggettivante, che invece pone in primo piano la percezione contingente e favorisce nuove intuizioni (come quando, di fronte a un paesaggio, ci si abbandona alle sensazioni e si lascia lo sguardo libero di divagare) (Geninasca, 1995). Bachelard (1975) rifiuta l'idea di uno spazio geometrico, riconoscen­ do piuttosto una serie di "figure" spaziali fortemente evocative, in gra­ do di far scattare l'immaginazione poetica, la reverie: la casa, la cantina, gli armadi sono luoghi densi che richiatnano alla mente ricordi e affetti e stimolano il soggetto ad abbandonarsi a un'intricata serie di sensazio­ ni. Si tratta certo di una concezione romantica che non è stata esente da critiche ( Greimas, 1970) , ma che ha il merito di mettere in rilievo il ruolo significativo che i luoghi assumono in relazione all'individuo, anche e soprattutto in termini passionali. Lo spazio è legato alla sogget­ tività ed è popolato di oggetti e individui che lo formano e lo deforma­ no in relazione alle loro esigenze. I luoghi incarnano specifici modi di concepire relazioni sociali, quando non si preoccupano di naturalizzare forme di gerarchizzazione. Ne sono un esempio gli ospedali, le carceri, i collegi studiati da Foucault Ù975): a un certo punto della storia, que­ ste architetture iniziano a organizzarsi per piccole cellule, segmenti che consentono di identificare facilmente gli individui, di categorizzarli, di esercitare, in altri termini, il controllo e il potere disciplinare. 1.2 Linguisticità

Il punto di vista che adotteremo considera lo spazio non come un mero contenitore di soggetti, oggetti, avvenimenti, ma come una struttura 14

I. SPAZIALIZZARE

significante in grado di parlare di una molteplicità di aspetti della vita sociale. È noto il lavoro di Lévi- Strauss (1958 ) , il quale evidenziò come, già dall'analisi delle mappe dei villaggi bororo, si potesse risalire alla struttura sociale della popolazione che vi abitava. La spazialità è un linguaggio: suggerisce determinati significati a partire da allestimenti significanti (dimensioni, altezze, profondità, pie­ ni e vuoti ecc . ) , proprio come la lingua naturale esprime i concetti at­ traverso articolazioni sonore (vocali, consonanti, sillabe ecc . ) . Il podio delle gare sportive indica la gerarchia degli atleti grazie alle differenti altezze dei suoi gradini; l'assegnazione dei posti a tavola parla dello sta­ tus sociale dei convitati. Allo stesso modo se chiudo una porta di fronte a una persona frappongo tra me e l'altro soggetto una barriera che è al contempo fisica e sociale: sul piano dell'espressione avrò una variazione dell'organizzazione del luogo (porta aperta prima, porta chiusa dopo), sul piano del contenuto una certa disposizione relazionale (apertura vs chiusura) . In molti casi, cioè, si dà, seguendo Hammad (2003), una vera e propria omologia tra strutture sociali e strutture spaziali. Si comprende allora come sia impossibile considerare isolatamen­ te da un lato come si presenta un luogo e dall' altro ciò che in esso accade, proprio perché si tratta di due facce di una stessa medaglia, ovvero proprio perché, come in qualsiasi linguaggio, il piano dell'e­ spressione e quello del contenuto si trovano in una relazione di pre­ supposizione reciproca (cfr. PAR. 2.2): [... ] non si può avere un' azione senza uno spazio che la contiene; non si può avere una percezione dello spazio senza compiervi, vedervi o immaginarvi una q ual che azione. C ompiere o vedere un' azione impl ica che q uesta azione esiste, e la rel azione di presupposizione è soddisfatta. I mmaginare un' azione impl ica che essa non esiste, ma è latente. La presupposizione non è meno effettiva (G roupe 107, 1971, pp. 29-30, trad. mia).

Quel che bisognerà fare, quindi, sarà mettere a fuoco le dinamiche attraverso cui lo spazio riesce a parlare di altro che non di se stesso, comprenderne la portata sociale, coglierne il rilievo in relazione alla soggettività e all' intersoggettività. Anzi, proprio questo può dirsi, con Greimas (1991 ) , l'obiettivo finale di una qualsiasi analisi di semiotica dello spazio: T utto si svolge come se 'l oggetto dell a semiotica topol ogica fosse duplice, come se il suo oggetto fosse definibil e contemporaneamente come iscrizione

15

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

dell a società nell o spazio e come lettura di q uesta società attraverso lo spazio (ivi, p. 1 2 9 ).

1 . 2.1. Società

«In virtù di un inevitabile pleonasma, lo spazio è dappertutto». Così Zilberberg (2oo8, trad. mia) , in maniera sintetica ed efficace, descrive l'ineliminabilità di questa dimensione dalla nostra vita. La semiotica dello spazio si sovrappone così in parte a quella del mondo natura­ le (Greimas, 1970; Greimas, Courtés , 2007) , da intendere come tutto ciò che ci circonda. Va precisato che, così come le lingue sono dette naturali pur essendo sistemi di segni culturalmente definiti, allo stes­ so modo questo mondo di cui parliamo è una fonna di linguaggio, composto da una serie di tratti espressivi e "qualità sensibili" che ri­ chiamano determinati contenuti. È per questo che la relazione lingua­ mondo non va interpretata, dal nostro punto di vista, come passaggio da un codice (linguistico) a un referente esterno, ma come forma di traduzione tra sistemi di segni. Il semplice essere-nel-mondo implica già una qualche relazione con esso, così come d'altro canto, il modo in cui pensiamo e ci rappresen­ tiamo gli spazi è, secondo Thom ( 2on) , un elemento distintivo fonda­ mentale delle società: se per gli animali il mondo è costituito da una serie di mappe distinte tra loro e deputate ciascuna a identificare una zona correlata a una funzione primaria (il posto in cui nutrirsi, quello in cui accoppiarsi ecc. ) ; l'uomo, invece, si è affrancato da questa forma di segmentazione, e, attraverso un processo di astrazione, ha congiunto le mappe e definito una «rappresentazione globale dello spazio della geometria» (ivi, p. 76) . L o spazio identifica. I l luogo d i appartenenza è uno dei primi trat­ ti che consentono di individuare una realtà sociale: gli italiani sono coloro che risiedono in Italia, i nomadi sono coloro che non hanno una referenza geografica fissa, per non parlare di tutti i fenomeni di ghettizzazione, che altro non sono se non tentativi di definire entità collettive a partire (anche) da unità territoriali. Non solo, ma lo spazio comunica. Ci indica come dobbiamo percorrere le strade (ad esempio, sulle strisce pedonali) , come dobbiamo comportarci in un certo posto (non alzare la voce all'interno di una chiesa) , come è bene relazionarsi con gli altri soggetti che ci circondano (non oltrepassare senza per­ messo l'ingresso di un' abitazione altrui) . Eppure, nella maggior parte

r6

I. SPAZIALIZZARE

dei casi, «il discorso architettonico [ma potremmo dire in generale lo spazio] viene fruito nella disattenzione» (Eco, 1968, p . 228 ) , per cui spesso non facciamo caso ai significati espressi dai luoghi. In banca, è molto scortese stare accanto a un cliente mentre parla con l'impiegato ed è bene non attraversare la linea di demarcazione che disciplina il turno. Tale linea è una soglia che si incarica di creare e mantenere due zone distinte (una di interazione privata, l'altra di attesa) ; essa consen­ te alcune azioni e ne prescrive altre, parla di una società che tutela il valore della privacy, in altri termini significa. Il senso di un' articolazio­ ne di questo tipo è chiaro ed evidente e racchiude un consenso sociale così ampio da farci dare per scontato il suo significato. Andando oltre, va constatato che le categorie spaziali hanno una tale rilevanza e sono così radicate nella nostra vita da poter essere uti­ lizzate per spiegare le dinamiche culturali. Van Gennep (r98r) parla, ad esempio, della società come «una specie di casa divisa in camere e corridoi» (ivi, p. 22) . Analogamente, secondo Lotman e Uspenskij (1975 ) ogni società si istituisce sulla base di un 'opposizione tra un in­ terno (proprio) e un esterno (altrui) ed è a sua volta ripartita in zone, organizzata in centri (noccioli duri della cultura, istituzionalizzati e sedimentati) e periferie (margini meno organizzati in cui avviene il contatto con l'esterno e in cui i cambiamenti possono penetrare con più facilità ) . Le relazioni interculturali, nella concezione lotmaniana, si rendono possibili proprio a partire da queste frontiere, che, se da un lato delimitano le rispettive identità, dall'altro, in quanto porose, sono una continua fonte di contatto e di cambiamento. N o n solo la cultura è descrivibile secondo modelli spaziali, ma il modo di articolare e concepire i luoghi è un elemento fondante delle culture. Lo spazio geografico assume diverse forme in relazione al si­ stema in cui è inserito (ibid. ) . Come, ad esempio, accade nel Medioevo russo, in cui la verticalità riveste un vero e proprio significato etico, con la contrapposizione tra vita terrena (in basso) e vita celeste (in alto) e la concezione di un paradiso non inteso come posto immagina­ rio e astratto, ma come luogo concreto dello spazio geografico. Allo stesso modo, viaggi e spostamenti assumevano in quel periodo sempre significati morali, con la distinzione tra mete " peccaminose" e posti "santi" . Un po' come oggi, persino nelle nostre società secolarizzate, le vacanze sono pensate in termini nettamente diversi a seconda che si vada, poniamo, ad Amsterdam, percepita come luogo di trasgressio-

17

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

ne, o a Lourdes, intesa come destinazione legata a un arricchimento spirituale. r. 2.2.

Individualità

Non solo, come abbiamo visto, lo spazio è a fondamento delle culture, ma esso è anche un mezzo attraverso cui si pensa e si costruisce l' iden­ tità individuale: quando ci si presenta a uno sconosciuto una delle pri­ me informazioni che si forniscono è il luogo di provenienza, quando si interviene come relatore a un convegno accademico si è abitualmente identificati con la localizzazione dell'ateneo di appartenenza e così via. Secondo Cavicchioli (1996) , lo spazio è il " luogo " , la "forma" e il " prodotto" dell'esperienza e, in quanto tale, è costitutivamente legato alla soggettività. La spazialità contribuisce a dire chi siamo, cosa amiamo, come interpretiamo il nostro rapporto con gli altri. Anzi, è largamente con­ divisa l' opinione secondo cui spazio e soggetto si interdefiniscono1• Il modo in cui decidiamo di arredare la nostra casa dirà molto di noi: ho bisogno di uno studio perché il mio lavoro si svolge prevalentemente a casa, i pezzi di arredamento giocano con colori e stili diversi perché sono una persona creativa ed estrosa e così via. Gli studi di prossemica hanno d'altro canto da tempo dimostrato come le distanze tra gli individui definiscano tipi di relazione e gerar­ chie sociali2• Tali distanze variano in base alla cultura di riferimento (gli arabi, rispetto agli europei, tendono ad aumentare prossimità e contatto fisico; gli americani, al contrario, tendono a distanziarsi) e al contesto comunicativo (la distanza tra due interlocutori sarà maggiore se tra loro c'è una relazione formale, minore nel caso di un rapporto amicale) . Di più, gli spazi diventano oggetto di rivendicazioni sociali da parte dei soggetti, e ciò avviene non solo quando il possesso è isti­ tuzionalmente definito (come nel caso dell'invasione illecita di una casa privata punita dalla legge), ma anche nel caso di proprietà tem­ poranee (marco un posto al cinema con una giacca o sottolineo la mia momentanea occupazione di una porzione di spiaggia con un telo da mare) . Con dividere un luogo, specie se ristretto, determina tutta una

L Cfr., tra gli altri, Bertrand, Bordon (2009) . 2 . Hall (r966), Goffman (1971 ) . Una rilettura che rawisa i punti d i contatto tra questi studi e la prospettiva semiotica si trova in Eco (r968 ), Marrone (2001 ).

18

I. SPAZIALIZZARE

serie di procedure di aggiustamento, come quando qualcuno entra in un ascensore affollato e la nuova presenza provoca un riassetto di posizioni e di sguardi finalizzati alla difesa dello spazio personale. Gli aggiustamenti, tra l'altro, coinvolgono il corpo del soggetto nella sua totalità: così, se in una biblioteca chi mi sta accanto inizia a parlare, mi difenderò da questa " invasione di campo " tappandomi le orecchie e ricreando, attraverso il canale uditivo, una bolla personale protetta. Se vivere uno spazio è già di per sé un fatto costitutivamente legato alla soggettività, poco convince la celebre distinzione di Augé (1992) tra luoghi (identitari, relazionali e storici) e non-luoghi (ovve­ ro ambienti che negano le caratteristiche dei primi). I non-luoghi sarebbero il regno dell'anonimato, posti in cui una persona per­ derebbe le sue caratteristiche individuali per diventare un fruitore aprioristicamente definito : aeroporti, autogrill, grandi centri com­ merciali prevedono comportamenti standardizzati (spesso rimarcati da forme mediali, come cartelli e scritte che prescrivono percorsi o pratiche d'uso) e accolgono viaggiatori, automobilisti, clienti che si appiattiscono sul loro ruolo e si adeguano a quanto suggerito dall'organizzazione dell' area in cui sono immersi. Sebbene lo stesso Augé abbia chiarito come luoghi e non -luoghi siano spesso difficili da identificare come forme pure, dal nostro punto di vista nessuno spazio è di per sé etichettabile, ma è piuttosto soggetto a continue ri­ definizioni non prevedibili a priori. Ne è un esempio il film T he Ter­ mina! di Steven Spielberg (usA 2004 ) , dove il protagonista, bloccato all'interno di un aeroporto americano, reinventa l' ambiente in cui è suo malgrado recluso adattandolo alle proprie esigenze e facendo di un cosiddetto non -luogo un posto sociale e iden titario (Marrone, 200?b ) . 1. 3 Testualità

La semiotica si definisce come scienza della significazione, ovvero come disciplina che studia tutti quei fenomeni, più o meno intenzio­ nali, attraverso cui il senso è prodotto e circola nella società. Un com­ pito così ambizioso è assolto attraverso la messa a fuoco di un oggetto di studio specifico, il testo, la cui definizione merita in questa sede qualche precisazione.

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

Il legame tra spazio e testualità può essere specificato, seguendo una categorizzazione proposta da Marrone (2oor), in tre diverse dire­ zioni. Vi è innanzitutto uno spazio del testo , ovvero una superficie di iscrizione in cui si concretizza e si manifesta un certo testo (la pagina di un libro, la schermata di un sito web , la tela di un dipinto ecc . ) . Tale supporto, come vedremo (PAR. 5.1), non è mai neutro, ma contribuisce alla definizione della pratica di fruizione dell'opera (per ammirare un quadro molto grande dovrò pormi a una distanza adeguata, per legge­ re un libro su un tablet dovrò adottare una gestualità diversa da quella che compio se ne sfoglio uno cartaceo) , di alcune sue caratteristiche (le differenze tra un quotidiano e un magazine sono rese evidenti an­ che a partire dal formato e dal tipo di carta utilizzato) , del suo genere (i libri per bambini, ad esempio, giocano con le pagine attraverso rita­ gli e figure che si aprono in tre dimensioni). In secondo luogo, vi è uno spazio nel testo , cioè la rappresentazione di ambientazioni, territori, paesaggi all'interno di diversi tipi di racconto, dai quadri alle fotogra­ fie artistiche, dai romanzi alle guide turistiche. Dall'analisi delle varie forme di descrizione dei luoghi possono emergere significati im p lici­ ti, organizzazioni narrative, valori profondi delle opere in questione (cAP . 5 ) . Infine, vi è lo spazio come testo, nel senso che i luoghi, con le loro articolazioni e forme di vissuto che vi si esplicano, sono interpre­ tabili e analizzabili come forma testuale (CAPP . 2-4) . In effetti, la semiotica ha progressivamente ampliato la nozione di testo, applicandola non solo a oggetti riconosciuti come tali dal senso comune (opere letterarie, fumetti, quadri ecc . ) , ma anche a una pluralità di manifestazioni (spazi, pratiche sociali, oggetti ecc. ) che, a ben pensarci, presentano analoghe caratteristiche formali. Dobbiamo allora chiederci, per esplicitare i presupposti teorici che sottenderan­ no il corso di questo lavoro, quali siano queste caratteristiche formali fondanti della testualità che ritroviamo anche nel caso dello spazio. Faremo riferitnento al lavoro di Marrone (2oroa) , cui rimandiamo per eventuali approfondimenti sulla teorizzazione del concetto di testo e sul suo statuto all'interno della semiotica. Innanzitutto in ogni testo, inteso come dispositivo all'interno del quale sono all'opera uno o più linguaggi, è riconoscibile un' organiz­ zazione biplanare, ovvero una correlazione, cui abbiamo già accen ­ nato, tra un piano dell'espressione e un piano del contenuto. Sia che in un romanzo la descrizione dei luoghi rimandi a caratteristiche dei personaggi o a forme di azione che vi si svolgono (il minuzioso trat-

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I. SPAZIALIZZARE

teggio di un bosco fitto e cupo potrà indicare la centralità di questo posto in cui avverranno intrighi e rapimenti; la bucolica descrizione di un giardino potrà rimandare a una distesa atmosfera in cui trove­ ranno posto incontri romantici) sia che un 'architettura si incarichi, poniamo, di incarnare una data concezione del potere, non è difficile riconoscere questo tipo di relazione a doppio filo che lega l'articola­ zione di uno spazio a un suo sign ificato. In secondo luogo il testo è sempre frutto di una forma di negozia­ zione. Il suo senso, la sua forma, la sua esistenza possono essere più o meno misconosciuti: se non mi fermo a uno stop o a un semaforo rosso, sto di fatto negando un limite, un confine, ossia la distinzione tra due spazi diversi, appiattendone le differenze, negandone il loro rispettivo valore testuale. Ciò si lega alla caratteristica della biplanarità e alla stessa definizione di segno, che già Saussure (1922) designava come un legame arbitrario tra un significante (quello che abbiamo chiamato piano dell'espressione) e un significato (quello che chiamia­ mo contenuto) . L'arbitrarietà si spiega con il fatto che non c'è una ragione "naturale e assoluta" per cui, poniamo, gli spogliatoi di una palestra debbano essere distinti in maschili e femminili (in un'altra società potrebbero essere poste altre forme di differenziazione, ad esempio, tra spogliatoi per ragazzi e per adulti). D'altro canto, Ben­ veniste ha parlato di necessarietà del segno: le relazioni tra un certo piano dell'espressione e un certo piano del contenuto, una volta po­ ste, non sono modificabili a piacimento, ma vanno rispettate perché riproducono determinati ordini e valori sociali. Si danno, è vero, nei testi margini di negoziabilità sui significati, ma ciò non porta a postu­ lare la libera interpretazione, individuale e autonoma, di una qualsiasi occorrenza testuale. In terza battuta il testo è dotato di una forma di chiusura: ha dei confini che consentono di distinguerlo da ciò che è altro da sé, da ciò che lo circonda. Torneremo più specificatamente su questa questione di fondamentale importanza per la spazialità. Basti per il momento dire che spesso non si tratta di confini antologicamente dati, ma an­ c ora una volta definiti in termini negoziali. Anche in un caso relativa­ mente semplice in cui si decide di studiare, per esempio, uno specifico museo ci si dovrà porre il problema di dove iniziare e terminare l' ana­ lisi, di quali, cioè, sono i confini di questo spazio (il bookshop fa parte del museo? E lo spazio antistante ? ) .

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Si dà, in altri termini, una continua tensione dialettica tra una for­ ma di chiusura e una speculare apertura del testo, determinata tanto dall'osservatore (un semiologo e un urbanista definiranno probabil­ mente diversamente i confini della città per via dei loro punti di vista disciplinari differenti, ancora diversa sarà la concezione che ne avrà un turista o un abitante) , tanto dal modo in cui i luoghi sono vissuti (la pratica di sostare davanti a un locale notturno ne amplia di fatto i confini) , tanto dall'intrinseco dialogo che ciascun testo intrattiene con altri (intertestualità) . Il Guggenheim dialoga con gli altri Guggen­ heim , la città parla con i sobborghi vicini, Milano cita per analogia o per contrasto Roma. E questo meccanismo espande inevitabilmente i confini di ciò che guardiamo. Resta, comunque, il fatto che ogni testo è caratterizzato da una certa tenuta, ovvero possiede una coerenza che ce lo fa riconoscere come un 'unità. Dove per unità non si deve intendere monade statica, ma articolazione processuale e stratz/icata. Ogni testo, infatti, è dina­ mico perché è una forma di racconto, perché possiede una matrice narrativa , ovvero un' articolazione logica basata su trasformazioni e su un'organizzazione valoriale profonda che è compito dell'analisi an da­ re a rintracciare. La narratività non è da intendere come narrazione, ma come ipotesi interpretativa che regge i più svariati fenomeni socia­ li. C osì, ad esempio, andare in un supermercato comporta una serie di passi standardizzati che rievocano alcuni momenti tipici delle fiabe (Pozzato, 2002 ) : ci si dota di un carrello, ovvero di un mezzo che aiu­ terà a congiungersi con i prodotti ricercati, proprio come il mantello dell'invisibilità acquisito dal principe lo aiuterà a ritrovare la princi­ pessa rapita. Allo stesso modo, una persona che si procura il biglietto della metropolitana per giungere a un appuntamento importante fa un po' la stessa cosa di un eroe che deve recuperare la chiave per libe­ rare il re e salvare il regno. La narratività è, cioè, una caratteristica di tutti i testi, anche di quelli che non sono racconti comunemente intesi. Abbiam o parlato di struttura stratificata perché, al di là del piano della manifestazione (cioè a prescindere da come si p resenta, nel no­ stro caso, un dato spazio) , vanno ricostruiti i meccanismi profondi che lo reggono, le dinamiche che lo attraversano (va compreso il ruolo che un certo luogo assolve, i significati che esso veicola) . Si tratta, in altri termini, con l'analisi, di scendere verso livelli sempre più impliciti e meno evidenti, livelli che consentono di mettere in luce le più autenti­ che dinamiche attraverso cui il senso si costruisce e si rende esplicito.

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I. SPAZIALIZZARE

Infine, di ogni testo non va considerato soltanto il messaggio tra­ smesso, ma anche tutto quel coté comunicativo che rende conto di un certo modo di concepire la relazione tra il suo produttore e il suo ri­ cettore. Un museo in cui il percorso è prestabilito e chiaramente indi­ cato (attraverso sbarramenti, segnaletica, personale) ci fa pensare a un ideatore/gestore di quello spazio che intende determinare in termini prescrittivi l'andamento del visitatore; un altro in cui si danno diverse possibilità di attraversare gli ambienti rimanda invece a un produttore che vuole concedere al fruitore la libertà di muoversi e di costruire da sé un proprio percorso (fisico e interpretativo) . La semiotica, cioè, va a indagare il modo in cui le figure degli autori e dei lettori siano nei te­ sti in un certo senso già presenti. È questo il livello dell'enunciazione, sul quale ritorneremo (cAP. 3 ) .

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2

Segmentare

2.1 Delimitazioni

Se, cotne abbiamo visto, possiamo considerare lo spazio come un testo e se il testo è sempre caratterizzato da una forma di chiusura, la prima domanda che dobbiamo porci in un'analisi è: cosa delimita questo testo? Soglie, bordi, frontiere, limiti si occupano di definire uno spazio e di distinguerlo da ciò che gli sta intorno, sono elemen­ ti che contribuiscono fortemente a fondare la specificità di un dato luogo (Greimas , 1991; Hammad, 2004; Greimas , Courtés , 2007 , s.v. " Spazio " ) . Non a caso, una delle prime informazioni fornite dai libri di geografia per identificare un certo stato è proprio quella relativa alle nazioni confinanti («Andorra è quel piccolo Stato che si trova tra la Spagna e la Francia») , a testimonianza di come un paese costruisca la propria identità non solo in base alle sue peculiarità (geomorfologia del territorio, tipi di coltivazioni, popolazione ecc . ) , ma anche e prima di tutto attraverso la sottolineatura delle diversità rispetto ai dintorni. Diversità marcate da dispositivi di confinamento. Il senso si produce nella differenza, la quale emerge come forma di discontinuità, di separazione rispetto a ciò che è altro. Una zona in­ differenziata non ha in sé una propria identità, è una pura estensione, continua e priva di senso; è necessario che essa venga messa in forma, segmentata, perché si crei uno spazio: l'oasi stabilisce un'opposizione con ciò che gli sta intorno, introduce uno scarto (presenza di vegeta­ zione, di acqua) e, in tal modo, per contrasto, amplifica il senso del deserto. Analogamente, i miti di fondazione delle città si soffermano spesso su un rituale gesto di confinamento che sta all'origine della nascita di un tessuto urbano (Volli, 2009) . La città medievale, d'altro

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

canto, marcava il proprio territorio attraverso un sistema di mura e fossati; le proprietà private sono di solito segnalate da elementi diviso­ ri come muri, tralicci, griglie; un pub all'aperto si può differenziare da un altro confinante attraverso piante e gazebo ; un dislivello verticale (insieme ad altri elementi) distingue il palcoscenico dalla platea; un dipinto è delimitato dalla sua cornice. In effetti, in tutti questi casi il confine si preoccupa di tracciare uno spazio omogeneo e pressoché continuo al proprio interno (la città, la proprietà, il pub, il palcosce­ nico, la tela) e di opporlo a uno spazio eterogeneo, differente e di­ scontinuo rispetto al primo (la campagna, la proprietà vicina, il pub adiacente, la platea, il muro che circonda il quadro) . In questa direzione Lotman e Uspenskij ( 1975 ) segnalano come la continuità sia il principale tratto distintivo di un luogo e viceversa come la frammentazione porti alla costituzione di posti diversi: è il caso di quei grandi appartamenti che, una volta ristrutturati, vengo­ no suddivisi, formando di fatto unità abitative distinte. Il processo di frammentazione, se portato all'estremo, degenera però in una non­ spazialità: se, idealmente, continuiamo a suddividere le unità abitative otterremo dapprima singole stanze, poi luoghi sempre più ristretti e inabitabili fino a scadere in una congerie di singoli punti. Ma se è vero che il confine definisce unità spaziali, è anche vero che esso può essere segnalato in maniera più o meno forte. 2. 1 . 1 .

Soglie e limiti

N ella nostra esperienza vissuta non ci sono zone giustapposte senza soluzione di continuità, molto spesso i passaggi da un luogo a un altro sono graduali e ciò induce a pens are la problematica dei confini in termini modulari. L'esempio di un campo di pallavolo può essere chiarificatore. Il campo è definito, infatti, da alcune linee che costi­ tuiscono dei limiti, fratture forti che si occupano di indicare un'area interna al gioco, marcata e valorizzata, e un fuori-campo esterno, non marcato e devalorizzato (la palla non deve oltrepassare i limiti, pena la concessione di punti all' avversario) . Lo spazio interno prevede a sua volta sottoarticolazioni che segnalano ulteriori distinzioni: la li­ nea centrale con la rete divide le due metà rivali, identificando un luogo proprio (di una squadra) e uno altrui (dell' avversario) . Diremo allora che la linea del centro campo, rispetto a quella esterna, rappre­ senta una soglia , ovvero marca una distinzione più debole rispetto

2. SEGMENTARE

alla precedente. I limiti assolvono una funzione demarcativa (nell'e­ sempio in questione distinguono un dentro da un fuori) , mentre le soglie una funzione segmentativa (introducono scansioni, nel nostro caso segnalano due spazi simmetrici all'interno del campo) (Zilber­ berg, 1993 ) . Soglie e limiti n o n sono però concetti fissi e aprioristicamente dati, ma tennini che si definiscono a partire da una relazione recipro­ ca. Proseguendo nel nostro esempio, notiamo infatti che nell'area li­ bera che ingloba il cmnpo (marcata solitmnente da un colore diverso) avvengono altre azioni non del tutto estranee alla partita (è il luogo in cui stanno gli arbitri, ma anche quello da cui parte il servizio) . Se adottiamo questa prospettiva allargata, diremo che il limite forte è costituito da quei pannelli pubblicitari o transenne che delimitano l'area libera, mentre le linee di campo sono semplici soglie. Vicever­ sa, se focalizziamo lo sguardo su una sola metà del campo, possiamo notare un'ulteriore linea a tre metri dalla rete: essa distingue una zona di attacco (prossima alla rete) e una zona di difesa (più distante) e differenzia, dunque, due spazi destinati a due diverse azioni della squadra. In questo caso la linea di metà campo rappresenta un punto di rottura forte, un limite, tnentre la linea di attacco costituisce una soglia. Nella nostra esperienza quotidiana, numerosi elementi marcano sistemi di soglie e limiti: se guardiatno un muro e una porta, ad esem­ pio, riconosciamo che il primo elemento costituisce un limite e invita a non oltrepassare, mentre il secondo è una soglia e consente un accesso condizionale (un permesso di entrare, valido per certe categorie di soggetti). Un muro, infatti, come nota Hammad ( 2003) , da un lato ci prescrive un divieto più o meno forte (il cartongesso impone un vin­ colo più debole rispetto al cemento ) , dall'altro ci induce a cercare un punto di accesso, una soglia che consenta un passaggio tra due spazi. Il muro, in altri termini, ci fa una proposta di contratto, ci invita a un non dover fare (non dover attraversare) , che possiamo decidere di accettare o meno (i ladri, per definizione, rifiutano questo contratto in scritto nella materialità del limite) . D'altro canto, così come un'estensione infinita e continua, priva di punti di rottura, sarebbe priva di senso, uno spazio discontinuo e impermeabile, dotato di un limite incorruttibile non potrebbe essere conosciuto, semplicemente non esisterebbe (una stanza bunker, a pro­ va di bomba atomica, priva di porta e inaccessibile, esiste solo nel no-

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stro spazio mentale, e, se possiamo immaginarla, è perché idealmente riusciamo ad attraversarne confini) . È esemplificativa, a tal proposito, una notizia di cronaca che ha fatto il giro del mondo alla fine dell'ago­ sto 2010: alcuni minatori cileni, intrappolati a 700 metri sotto il suolo a causa di uno smottatnento, riescono a inviare un messaggio al mondo e a far capire che, contro ogni speranza, sono ancora vivi. Cosa ha fat­ to sì che questo sottosuolo fosse conosciuto e ritenuto esistente? Un canale tra i due spazi che ha messo in comunicazione il profondo e il superficiale. Se questo dispositivo non fosse stato realizzato, lo spazio del sottosuolo sarebbe rimasto sconosciuto e non avremmo mai sapu­ to della sopravvivenza dei minatori. Questo gioco di continuità e di discontinuità può essere articolato nel quadrato semiotico-:�. Facciamo un esempio: un normale foglio di car­ ta è al suo interno continuo; un foglio strappato è invece discontinuo; un foglio piegato si pone sul polo della non continuità (la piega introdu­ ce un punto di rottura nello spazio continuo della superficie); due parti di un foglio ricucite insieme invece su quello della non-discontinuità (si avvicinano i due spazi pur non rendendoli perfettamente contigui) . Ma il quadrato semiotico è in grado di rendere conto dei processi, ovvero, nel nostro caso, delle trasformazioni che attraversano gli spazi: come ri­ assunto nello SCHEMA 2.1, la piega modifica la struttura del foglio, nega la sua continuità (1); marcando ancor più la frattura, strappando il foglio, si affermerà invece la discontinuità dello spazio (2); questa separazione potrà essere attutita ricucendo il foglio, attuando cioè una trasformazio­ ne che nega la discontinuità (3) e mette in comunicazione le due metà separate; infine i lembi, se perfettamente ricongiunti, andranno nuova­ mente a costituire un'unica unità, affermando la continuità dello spazio del foglio (4) . SCHEMA 2.1

Continuità Foglio integro

Discontinuità Foglio strappato

Non discontinuità Foglio ricucito

Non continuità Foglio piegato

2. SEGMENTARE

Il continuo e il discontinuo, con le loro relative articolazioni, sono fondamentali per un discorso sulla spazialità e si ritrovano all'opera in una pluralità di campi (cfr. Floch, 1990) . Nell'ambito dell'arredamen­ to, ad esempio, gli open space, le porte scorrevoli, la delimitazione delle possibilità di visione tra una stanza e un'altra attraverso muri e tramezzi giocano tutte con questa categoria, creando differenti moda­ lità di collegamento tra gli ambienti. A questo punto è bene fare due precisazioni. Innanzitutto, va te­ nuto presente che stiamo trattando esempi prototipici, destinati a es­ sere più o meno confermati dalle situazioni specifiche: in una fiaba, ad esempio, potranno darsi soggetti che attraversano i muri, i quali, allora, saranno valorizzati come soglie (e non come limiti) . Sarà il te­ sto di volta in volta preso in considerazione a indicarci il senso da attribuire allo spazio e agli elementi che lo compongono. In secon­ do luogo, i dispositivi di delimitazione possono essere incarnati da elementi diversi: il ruolo di muro, che pone un ostacolo al soggetto, può essere interpretato da una serie di uomini in fila a formare una barriera, da una transenna, da un filo elettrificato ecc. In altri termini, non ci interessa tanto la materialità di cui sono fatti i confini (ovvero il livello superficiale della tnanifestazione) , quanto piuttosto il ruolo e la funzione che essi assolvono (cfr. PAR. 2.4) . Accomunare il tnuro, la transenna, la barriera di persone significa, in altri termini, conside­ rare questi elementi non come attorz-::, ma come attanti'"1�. Una porta automatica assolve la stessa funzione di un portiere di albergo che agevola l'ingresso dei clienti ogni volta che passano; un buttafuori in una discoteca consente l'accesso a determinate categorie di persone e si com porta come una chiave che dona a chi la possiede la facoltà di entrare. Il confine, se inscritto in un oggetto, diventa perpetuo e meno negoziabile: posso implorare e sperare di convincere un butta­ fuori per guadagnare l'ingresso in discoteca, ma se non ho una chiave non posso entrare, a meno di non commettere un'infrazione. In ogni caso, sarà chiaro come gli oggetti molte volte portino inscritte nella loro materialità delle deleghe umane, com piano azioni, possano essere considerati come veri e propri soggetti, se pensati in tennini attanziali. 2. 1 . 2. Interfacce In questa prospettiva assumono rilevanza tutti quegli elementi che si incaricano di unire e dividere gli spazi, di marcare continuità e di-

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

scontinuità, elementi per certi versi paradossali: è indispensabile che i luoghi abbiano una propria identità ben definita (e siano dunque disgiunti) per poterli collegare, ma, d'altro canto, se penso due spazi come separati, li lego in qualche modo tra loro (Alonso, 2009 ) . Ebbe­ ne, le interfacce incarnano proprio questa ambivalenza di prossimità e separazione. Una figura esemplare in questo senso è quella del ponte, che ma­ nifesta la volontà dell'uomo di porre in collegamento luoghi dapprima disgiunti. Ele1nento ambiguo, esso unisce due spazi, ma, allo stesso tempo, li oppone: elimina uno stato di segregazione, ma, contempo­ raneamente, marca la reciproca estraneità tra le due zone che con­ giunge (Simmel, 1909; de Certeau, 1990 ) . Calabrese (198 5 ) , analizzan­ do la rappresentazione del ponte all'interno delle opere pittoriche, ne individua tre caratteristiche fondamentali: conduzione (nei quadri il ponte si incarica di condurre un soggetto verso qualcosa o qualcuno, di collegare due tempi diversi rappresentati nella scena, o, ancora, di connettere due luoghi differenti) , giunzione (congiunge e al contem­ po divide gli spazi che collega) , conflitto (il ponte funge spesso da demarcatore, facendo da 1nediatore tra due elementi opposti, ma adia­ centi) . La criticità di questa figura, d'altro canto, si rileva nella radice etimologica della parola " pontefice" , che molti studiosi riconducono a pons /a cere (il pontefice nell'antica Roma è il sacerdote deputato alla costruzione e alla manutenzione dei ponti ) . Secondo questa inter­ pretazione, anticamente il ponte era percepito come un elemento che violava la sacralità dell'acqua e la discontinuità naturale della terra; costruirlo costituiva quasi un sacrilegio e, per questo, l'edificazione del raccordo doveva essere incanalata in una dimensione rituale e deputata a una persona con funzioni religiose, appunto il pontefice (Seppilli, 1977 ) . L a nostra esperienza quotidiana è piena d i punti d i passaggio che conservano molte delle funzioni appena esposte. Provate a recarvi in un porticciolo di una località balneare, in estate. Vedrete una serie di barche a vela allineate e capirete che sono in partenza (o in arrivo) se un piccolo passaggio le collega alla banchina. Questo minuscolo ponte si rivela un elemento denso di significazione: rende possibile l'attraversamento e l'accesso in barca (conferisce al soggetto un poter entrare); segnala un cambiamento dello statuto di chi lo attraversa (da semplice passante a passeggero o membro dell'equipaggio) ; met­ te in continuità due luoghi distinti, marcandone allo stesso tempo le

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2. SEGMENTARE

diversità. Il ponte, infatti, è a cavallo tra un'area concentrata e isolata (la barca) e una diffusa e contigua alla terraferma; distingue una zona intima e privata, cui può accedere solo chi ne ha il diritto, e una pub­ blica in cui si muove una pluralità di soggetti animati dalle più diverse intenzioni; media tra uno spazio ordinario e uno spazio altro. Levare questo ponte dalla banchina equivale a interrompere le comunicazio­ ni (non a caso, l'espressione " tagliare i ponti" sta a indicare una frattu­ ra delle relazioni sociali) , trasforma l'imbarcazione in un'isola pronta a salpare, segna l'inizio dell'esperienza dell'andar per mare. Non solo, ma durante le soste questo stesso ponte funge di solito da scaletta per l'accesso al mare e qui, di nuovo, riacquista il suo potere di congiun­ gere e opporre universi separati: la barca e il mare, lo spazio privato e lo spazio per eccellenza pubblico, un luogo chiuso e ben delimitato e uno aperto, tendente all'infinito. Così, il ponte-scaletta congiunge la barca dapprima con un universo terrestre e successivamente con un universo marino, preoccupandosi di segnalare l'estraneità e al con­ tempo l'appartenenza dell'imbarcazione a questi due mondi opposti. Le zone di passaggio sono sempre teatro di negoziazioni, luoghi in cui si svolgono programmi di attraversamento, di appropriazione, di risemantizzazione. Gli spazi intermediari, secondo Alonso, sono defi­ niti da termini subcontrari (né interni né esterni; né propri né altrui) e, per questo, al pari di molti luoghi abbandonati (cfr. PAR. 4.4.1), sono instabili e aperti a una pluralità di sensi possibili. Così, ad esempio, ne La zattera di pietra Saramago immagina che la penisola iberica si distacchi dalla Francia lungo la sua linea di confine. Quali effetti pro­ duce una tale catastrofica trasformazione? Da un lato, il confine si rende più forte ed evidente inscrivendosi nella materialità del terreno; dall'altro, nella fase iniziale, quando ancora la separazione non è defi­ nita e non si capisce bene cosa stia per accadere, si assiste a uno svuo­ tamento delle aree limitrofe al distaccamento che di fatto corrisponde a un'espansione dello spazio neutro della frontiera («Per una fascia di un centinaio di chilometri ai due lati della frontiera le popolazio­ ni abbandonarono le loro case, si rifugiarono nella sicurezza relativa delle terre all'interno», Saramago, 1997, p. 28) . La zona abbandonata diventa terra di nessuno o, di contro, terra di tutti i possibili soggetti pronti ad appropriarsene («Nel deserto così creato dall'evacuazione generale circolavano solo [ . . ] alcune pattuglie militari sorvolate di continuo da elicotteri [. . . ] e quegli inevitabili saccheggiatori, in gene­ re isolati, che le catastrofi fanno sempre uscire dai loro covi [ . . . ] », ivi, .

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p . 29 ) . Frontiera come spazio di tensione, continua Alonso, in cui le relazioni possono facilmente cambiare segno, in cui i conflitti possono risolversi in contratti e viceversa. Ecco perché in questi luoghi è molto spesso necessario istituire un controllo, rendere manifesto l'esercizio di un potere, talvolta legato a un sapere: blocchi militari che perqui­ siscono chi attraversa i confini, eserciti che si scrutano a vicenda per anticipare eventuali mosse dell'avversario, telecamere che inquadrano i punti attraversamento e così via. Le frontiere nazionali, se pure fissate in una linea ben definita in termini amministrativi, estendono la loro influenza nei territori limi­ trofi: l'attacco a uno stato nemico non inizia setnplicemente quando si attraversa il confine vero e proprio, ma quando ci si approssima a esso, facendo percepire all'avversario una volontà di invasione (Mar­ rone, 2001 ) . C'è tutto un intorno della linea di demarcazione vera e propria che ha un'identità ibrida: non è interdetto perché appartiene a uno spazio proprio, ma non è consentito perché è una zona sensi­ bile. La frontiera, spazio di passaggio per eccellenza, in altri termini, non pone in gioco due soggetti e due spazi suddivisi da un confine (configurazione adatta piuttosto a descrivere il concetto di limite) , ma due soggetti correlati a due spazi che si incontrano/scontrano in un terzo luogo prossimo a entrambi. Essa implica, cioè, un contesto pole­ mico effettivo (come nel caso dei paesi in lotta) o presupposto1 • 2.2 Significazioni

Se siamo interessati alle questioni relative ai limiti è perché essi marcano differenze e, dunque, tipi di relazioni tra spazi, soggetti e oggetti che li popolano. Così, ad esempio, un cancello posto all'ingresso dei ruderi di Poggioreale segnala che ciò che sta oltre non è un semplice luogo ab­ bandonato, cotne a prima vista potrebbe setnbrare, né un mero conte­ nitore di macerie privo di senso, bensì un sito valorizzato, al cui interno si possono ritrovare le tracce della memoria storica del paese. Seguendo questo ragionamento, stiamo esplicitando la relazione di significazione

L Come fa notare Hammad (2004) , una frontiera già fissata presuppone una prece­ dente battaglia. 2. Piccolo paese della Valle del Belìce distrutto da un terremoto nel 1968 e ricostruito a pochi chilometri di distanza.

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che si ha nella messa in correlazione di un piano dell'espressione ( chiu­ sura di un'area) e un piano del contenuto (valorizzazione della memoria del luogo) . Analogo collegamento compie C assirer (1925) quando evidenzia come il processo di sacralizzazione prenda il via innanzitutto attraver­ so un' operazione di chiusura, di delimitazione, a partire dalla quale si possono distinguere uno spazio profano, consuetudinario, regno dell'abituale, e uno spazio sacro, eccezionale e protetto dal resto. Que­ sto ragionamento trova esplicita conferma nella parola templum, la cui etimologia (dal greco temno, tagliare) rinvia all'interrotto e, dunque, a ciò che è delimitato rispetto ad altro. Lo stesso Benveniste ( 1969) ha illustrato come in molte lingue indoeuropee la nozione di " sacro" fosse espressa ricorrendo a una coppia di termini ( ''sacro " e " san­ to" ) destinati a specificare una doppia natura del concetto, positiva (sacralità come potenza divina) e negativa (interdizione, separazione rispetto al mondo umano) . A partire da questi studi, Agamben (2005) ha proposto un correlato concetto di " profanazione" come fonna di eliminazione della separazione3 • E di disgiunzioni e congiunzioni spa­ ziali, reali o metaforiche, è d'altro canto intriso tutto il mondo cristia­ no (dove troviamo l'aldilà, il cielo contrapposto agli inferi, Cristo che si fa uomo e scende sulla terra ecc . ) . N o n solo, ma anche buona parte della nostra vita è scandita da separazioni e aggregazioni e da relativi attraversamenti di spazi. Si pensi ai riti di passaggio, che mirano a regolare i momenti critici delle trasformazioni sociali; essi si basano su una sequenza standard che chiama in causa, ancora una volta, la categoria della giunzione (con riti di separazione o preliminari, riti di margine o liminari e riti di riaggregazione o postli1ninari) ( van Gennep, 1981 ) . Il matrimonio, ad esempio, comporta, nella maggior parte dei casi, la separazione dalla casa di origine e l'ingresso in una nuova abitazione, ma questo trasfe­ rimento non è brusco e istantaneo, piuttosto è graduato da un periodo di transizione che è il viaggio di nozze. Le fasi dei riti sono cioè scandi­ te da attraversamenti che spesso non sono metaforici, ma comportano veri e propri " passaggi materiali" tra spazi diversi - da cui, ancora una volta, l'importanza dei margini, dei confini, dei luoghi di transizione deputati a rimarcare la trasformazione.

3. Per una discussione critica su questi temi cfr. Fabbri (2oo8).

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

La relazione reciproca e imprescindibile tra piano dell'espressione e piano del contenuto deriva, come abbiamo visto (PAR. 1 . 2) , dalla con­ siderazione della spazialità come linguaggio. Tale relazione tuttavia non è da intendere in termini statici e fissati una volta per tutte, ma va indagata di volta in volta in base al caso esaminato, alla cultura di riferimento, al periodo storico considerato. Nelle nostre società, ad esempio, la dimensione della verticalità (che oppone alto e basso) si rivela pertinente in relazione al grado di prestigio di un appartamento cittadino (l'attico è valorizzato positivamente 1nentre il piano terra è valorizzato negativamente, con effetti del tutto evidenti nei prezzi di mercato) ; nel Settecento, invece, il " piano nobile " degli edifici cit­ tadini era solitamente il secondo. In altri termini, un buon punto di partenza per un' analisi semiotica degli spazi è quello di rintracciare differenze che si rendono manifeste e percepibili e correlarle ad altret­ tante distinzioni di tipo semantico. Questo ragionamento può essere ulteriormente approfondito. Se, infatti, di norma possiamo considerare come piano dell'espressione l'articolazione fisica degli spazi e come piano del contenuto i correlati valori e comportamenti sociali, non è detto che le cose stiano sempre in questo modo. Si può infatti parlare di reversibilità dei due piani, nel senso che i comportamenti possono porsi co1ne elementi espressivi che veicolano altri significati (Marrone, 201ob). Se cercate di prendere gli ultimi biglietti di un'importante partita di calcio, vi troverete di fronte a un botteghino a dover fronteggiare tanti altri pretendenti, vedrete gente accalcarsi e magari assisterete a una rissa provocata dall'eccessiva densità di corpi. Una persona solo parzialmente patita di sport, attratta dalla confusione, potrà informarsi su quanto sta accadendo e, magari, se interessata all' awenimento, decidere di aggregarsi al gruppo. Cosa è successo? Sono state le persone e le loro pratiche di fruizione dello spazio a indicare l'esistenza del botteghino, esse hanno funzionato cioè come piano dell'espressione, agendo come vera e propria awertenza dell'esistenza di un luogo interessante. 2. 3 Trasformazioni I luoghi sono continuamente dinamizzati dagli individui che li per­ corrono e che, così facendo, gli conferiscono un senso e un valore. Di converso, attraversare gli spazi cambia i soggetti, ne ridefinisce lo sta-

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2. SEGMENTARE

tuto e, dunque, in parte, l'identità. In questa direzione, le soglie posso­ no essere considerate dispositivi di passaggio che modificano il ruolo tematico··� di chi le attraversa (Barcellona, 2002) : entrare in un negozio significa trasformarsi da semplice /laneur in potenziale consumatore; prendere un aereo e varcare una frontiera marca un cambiamento di ruolo da residente in viaggiatore; attraversare l' ingresso di una chiesa per partecipare a una messa porta a ridefinirsi in quanto fedele. Le effettive trasformazioni dipendono però dal modo in cui i sog­ getti vivono gli spazi. Accedere all'interno di un negozio significherà assecondare quella manipolazione seduttiva che la vetrina tnette in atto invitando a entrare, accettare il contratto proposto da questo com­ plesso dispositivo semiotico (Oliveira, 1997; Mangiapane, 2oo8) . Ma non è detto che le cose vadano in questo modo: un individuo non interessato all'acquisto potrà proseguire per la sua strada senza ac­ cogliere l' invito della vetrina; un altro potrà fermarsi semplicemente a guardare, mantenendo un voler /are (voler acquistare) ma non con­ vertendolo in un fare effettivo. Lo spazio non è quindi da intendere in termini deterministici (un dato dispositivo definisce a priori alcune prevedibili forme di fruizione dei luoghi) ; il suo senso dipende piutto­ sto dalle relazioni che esso instaura con gli altri elementi che gli stanno intorno e dal valore che gli individui gli attribuiscono: una pensilina di attesa degli autobus può diventare un centro di aggregazione e, viceversa, uno spazio in linea di principio deputato alla socialità come una piazza può essere valorizzato come mero luogo di attraversamen­ to (Mangano, Ventura, 2010). Così, una visione statica e di sistema (rilevazione delle differenze, correlazione tra piano dell'espressione e piano del contenuto) corre parallela a una concezione dinamica che inquadra i processi (il modo in cui i luoghi sono esperiti e si trasformano) e questi due aspetti van­ no entrambi tenuti presenti in qualsiasi analisi semiotica della spazia­ lità. La frontiera, ad esempio, non solo distingue due luoghi differenti, ma prevede precise procedure di attraversamento che implicano una serie di prove cognitive, di riconoscimento (Hammad, 2003) : posso entrare in una sala vip solo se mostro un pass, posso recarmi in un altro paese solo se posseggo un passaporto, sono accolto in una casa solo se mi faccio riconoscere come amico. In una situazione contrat­ tuale questi passaggi condizionali implicano la p resenza di soggetti delegati a esercitare un controllo (il buttafuori, il doganiere, il padro­ ne di casa) e di elementi finalizzati a fornire una competenza al sog-

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

getto (il pass, il passaporto, il riconoscimento visivo garantiscono un poter attraversare) . In una situazione conflittuale, invece, il soggetto si attribuisce il potere non rispettando le procedure istituzionalizzate (il ladro che scassina la casa). Che questi criteri siano così radica ti nella nostra società è dimostrato da molti racconti di cronaca nera: se non si trovano segni di infrazione in un appartamento, inquirenti e gior­ nalisti sono pronti a scommettere che la vittima conosceva il proprio carnefice. L'assenza di segni di forzatura lascia, cioè, presupporre un attraversamento di frontiera basato su una procedura contrattuale, regolato dall'esercizio di un controllo (da parte della vittima) , da un riconoscitnento visivo e da un conseguente accordo di permesso. Non è difficile riconoscere in tutti questi esempi di spostamento attraverso soglie e limiti una matrice narrativa, l'idea di un racconto in nuce. E se, di solito, nelle fiabe il racconto ha inizio con lo spostamen­ to dell'eroe da un luogo familiare a uno estraneo (il principe che parte per andare a recuperare la principessa rapita) (Propp, 1928; Lotman, Uspenskij , 1975), non sono rari i casi in cui un eroe da lontano giunge in uno spazio consuetudinario (si pensi al film di Hallstrom Chocolat [ UK- USA 2ooo ] , in cui l'arrivo di Juliette Binoche da un altrove scono­ sciuto in una piccola cittadina francese turba le abitudini degli abi­ tanti e costringe la popolazione a rimettere in discussione i valori e le relazioni sociali) . Al di là della direzionalità, dunque, resta il fatto che lo spostamento e l'attraversamento del limite sono fondativi per molti racconti (Greimas, 1976) . 2. 4 Narrazioni

Ogni racconto parla di equilibri che si disfano e si ricostituiscono, di fratture e ricomposizioni, di sopravvenute mancanze e successive ap­ propriazioni, di insiemi di programmi narrativi* variatnente incasel­ lati tra loro. In effetti, in ogni storia che si rispetti si succedono alcu­ ne fasi tipiche, logicamente ordinate in successione, di cui possiamo rendere conto grazie allo schema narrativo canonico, un modello a quattro tappe che ci restituisce l'ossatura nascosta di ogni narrazio­ ne. Durante la prima fase, detta manipolazione, il destinante mani­ polatore propone al soggetto'� un contratto, indicandogli la missione da com piere e dotandolo della modalità'� del dovere o del volere: un precipizio , ad esempio, impone un dovere (dover non attraversare) ;

2. SEGMENTARE

una vetrina, invece, manipola secondo il volere (induce a entrare nel negozio) . Durante la seconda fase, detta competenza, il soggetto mette in moto il suo programma narrativo d'uso e si dota delle modalità del potere e/o del sapere. In questo sarà coadiuvato da aiutanti e osta­ colato da oppositori: un centro di smistamento dei rifiuti può essere considerato un aiutante che collabora con l'amministrazione locale al raggiungimento del programtna di mantenitnento della pulizia; un carcere può essere considerato un aiutante del sistema sociale, ma an­ che un oppositore dei condannati (in quanto ostacola il loro program­ ma di evasione) . La performance è il momento clou del racconto, quello in cui sog­ getto e antisoggetto si scontrano per il raggiungimento dell'oggetto di valore (ad esempio, due eserciti si battono per la conquista del territorio) . In ogni racconto si assiste a una duplicazione dei pro­ grammi narrativi: uno sarà proprio del soggetto, l'altro - uguale e contrario - dell' antisoggetto. Ecco perché si parla di logica polemica della narrazione. Infine, con la sanzione, il soggetto torna al cospetto di un desti­ nante giudicatore che avrà il compito di valutare il suo operato, verifi­ cando se ha adempiuto al contratto iniziale. Dire che le catastrofi na­ turali sono interpretabili come forme di ribellione alle trasformazioni ambientali provocate da processi di inquinamento equivale a pensa­ re la terra come un destinante giudicatore che esprime una sanzione negativa sull'operato umano. Il suono del dispositivo an titaccheggio all'uscita di un negozio esprime una sanzione negativa sul soggetto che lo attraversa; viceversa il passaggio senza impedimenti costituisce una sanzione positiva. Riassumiamo nella TAB. 2 . 1 : TABELLA 2 . 1

Schema narrativo canonico Tappe

Manipolazione

Competenza

Performance

Sanzione

Attanti

Destinante manipolatore Soggetto

Aiutante Oppositore (Soggetto)

Soggetto Antisoggetto Oggetto di valore

Soggetto Destinante giudicatore

Competenza e performance sono le tappe in cui si mettono in atto i programmi narrativi, si portano avanti le trasformazioni e, per questo,

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

sono dette momenti pragmatici; manipolazione e sanzione, invece, incorniciano l'azione, sono dedicati rispettivamente allo stabilirsi dei valori in gioco e alla valutazione delle azioni, e sono quindi dette mo­ menti cognitivi. Non tutte le fasi dello schema sono necessariamente esplicitate all'interno di un testo, ma a partire da quelle effettivamente rappresen­ tate è possibile presupporre le precedenti. Facciamo un esempio. Se partecipo all'inaugurazione di una struttura runbulatoriale, con tanto di taglio di nastro e brindisi, sono di fronte al momento della sanzione (una valutazione positiva dell'amministratore che ha portato alla na­ scita di una nuova struttura). Anche se non ho assistito a tutto ciò che ha condotto a questo esito, posso facilmente presupporre che esso sia stato preceduto da una performance: il titolare avrà superato impedi­ menti burocratici per ottenere le autorizzazioni, avrà affrontato alcuni colleghi che lo ostacolavano, avrà apportato le modifiche necessarie all'edificio per renderlo compatibile con la normativa di riferimen­ to. Per fare ciò, tuttavia, l'amministratore si sarà dotato, a monte, di una competenza: un'impresa edile lo avrà aiutato nel programmare gli interventi architettonici, un'analisi di mercato gli avrà consentito di conoscere l'ambito in cui operare e così via. Ma sicurrunente, per intra­ prendere tutti questi passi, il titolare si sarà in primo luogo dotato di un volere, motore di innesco delle azioni successive. Se tra le tappe dello schema vige la logica della presupposizione non è vero il contrario: a partire da una data fase non posso inferire quelle che seguono. Se ho acquistato un biglietto aereo, e mi sono quindi dotato delle competen­ ze necessarie per affrontare il viaggio, non è detto che io effettivamente parta e dunque attui la mia performance vacanziera. 2. 5 Localizzazioni

Se osservato a un livello astratto, lo spazio può quindi assumere di­ versi ruoli attanziali'': , rivelandosi ora un oggetto di valore (la meta turistica da visitare) , ora un aiutante (il centro di smistamento rifiuti) , ora u n destinante (il precipizio) e così via. Non solo, m a la spazialità installata nel racconto fa da sfondo alle azioni, anzi, ogni trasforma­ zione narrativa comporta un cambiamento di luogo (lo abbiamo in parte visto con l'esempio dei riti di passaggio) . Possiamo così distin­ guere, a partire dalle fasi dello schema narrativo canonico, gli spazi

2. SEGMENTARE

topici - quelli in cui si svolgono i momenti pragmatici dello schema e, dunque, competenza e performance - e gli spazi eterotopia· - che incorniciano l'azione, ovvero i posti in cui si situano manipolazione e sanzione (Greimas , 1976 Greimas, Courtés, 2007, s. v. "Localizzazio­ ne" ) . A sua volta, lo spazio topico si divide in utopico (in cui avviene la performance vera e propria) e paratopico (in cui avviene l'acquisizione della competenza). Riassumiamo nella TAB. 2.2:

TABELLA 2 . 2

Spazi e schema narrativo Manipolazione Spazio eterotopico

Performance

Competenza

Spazio topico Spazio paratopico

Sanzione Spazio eterotopico

Spazio utopico

Quei limiti che abbiamo rilevato come significanti sul piano dell'e­ spressione si ritrovano, cioè, come limiti sul piano del contenuto, tanto che possiamo proporre una segmentazione del racconto basata sulle cornici spaziali in cui esso si articola. Facciamo qualche esempio. Il principe (soggetto) viene convocato dal re ( destinante) e incaricato (manipolazione secondo il dovere) di andare recuperare la principessa rapita (oggetto di valore) in un castello lontano. La reggia in cui viene convocato il principe sarà uno spazio eterotopico. Pritna di raggiun­ gere la principessa, il nostro eroe si reca nel bosco dove acquisirà il mantello (aiutante), che gli garantirà l'invisibilità (un poter non essere visto) , e la pozione (altro aiutante) , che gli permetterà di localizzare esattamente il punto in cui si trova la principessa (e che quindi gli con­ ferisce un sapere). Il bosco è lo spazio paratopico. Successivamente, grazie ai suoi aiutanti, il principe raggiungerà il remoto castello, scon­ figgerà il rapitore (antisoggetto) e si congiungerà con la principessa. Il castello è il teatro dell'azione e, dunque, lo spazio utopico. Infine il protagonista tornerà al cospetto del re (destinante giudicatore) che lo premierà per la missione compiuta, concedendogli in sposa la princi­ pessa. La reggia sarà nuovamente lo spazio eterotopico. Questo schema elementare può essere applicato ai testi più di­ sparati. Nel programma TV Il Grande Fratello, ad esempio, il " confes­ sionale" è lo spazio eterotopico legato alla manipolazione (è qui che

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

i partecipanti ricevono da parte del Big Brother messaggi relativi alle missioni da co1npiere, alle prove settimanali da superare ecc . ) , mentre la "stanza delle sorprese" e il "tugurio" rappresentano i luoghi etero­ topici legati rispettivamente alla sanzione positiva e a quella negativa. Analogamente, in molti talent show si ritrova una sala prova, il luogo in cui i concorrenti acquisiscono e implementano il loro saper fare (spazio paratopico dedicato ora al ballo, ora al canto) , e un palco del prime time serale, spazio utopico della performance in cui i concor­ renti si scontrano e affrontano la prova decisiva. Ma se in semiotica possiamo considerare le pratiche sociali alla stregua dei testi (cfr. CAP. 4) , si rende evidente come anche il modo di utilizzare alcune zone cittadine possa perseguire la stessa logica. In una delle più frequentate zone della movida palermitana, la Champagneria, i movimenti serali dei ragazzi seguono alcune tappe facilmente ricon­ ducibili a quelle previste dallo schema narrativo canonico (Brucculeri, Giannitrapani, 2010 ) . In genere ci si dà appuntamento di fronte al Te­ atro Massimo per decidere sul da farsi, in uno slargo che si configura, quindi, come spazio eterotopico legato alla manipolazione: è qui che si negozia il volere del gruppo e si definiscono i passi successivi da com­ piere. Un forte lilnite, rappresentato da piante e bancarelle, immette nello spazio topico, in cui i giovani si attivano in vista della performan­ ce socializzante. Subito dopo il limite, si trova lo spazio paratopico: una strada, piena di locali, dove in genere si fa una sosta breve per bere qualcosa, iniziare a entrare nell'atmosfera notturna, prendere biglietti e riduzioni per altri pub (si acquisisce cioè un potere e/o un sapere) . Il flusso di gente sembra seguire una direzione quasi obbligata e attraver­ sa una piazza che funge da soglia neutra e distingue lo spazio paratopi­ co da quello utopico. A questo punto si danno due possibili luoghi di performance (utopici) : uno è rappresentato da una piazza verso cui si dirige il flusso di gente e in cui si può sostare per un pasto veloce; l'al­ tro è rappresentato dai vicoli adiacenti a questa piazza, in cui si trovano altri pub, distanziati tra loro e caratterizzati da un' at1nosfera più inti­ ma. A un primo sguardo sembra che il percorso narrativo dei ragazzi termini qui, senza alcuna forma di sanzione. In realtà, è la stessa piazza antistante al Teatro Massimo a costituire il luogo eterotopico: qui i ra­ gazzi non solo decidono di volta in volta il da farsi (manipolazione) , ma rinsaldano, grazie alla reiterazione dell'incontro, la solidità del gruppo, sanzionando positivamente la loro stessa pratica socializzante.

3

Enunciare

3-1 Enunciatori/enunciatari

Qualsiasi testo (e dunque anche qualsiasi spazio) non solo significa, veicola informazioni, trasmette un messaggio, ma contiene anche una serie di elementi che consentono di risalire alla figura del suo enuncia­ tore-/{ e a quella del suo enunciatario.1\ a coloro i quali, cioè, in linea di principio, lo hanno posto in essere e lo vivono. Pensiamo a una città: amministratori, istituzioni, gruppi di pres­ sione e, più in generale, una pluralità di istanze individuali e collettive enunciano costantemente il tessuto urbano, ne modificano lo statuto e lasciano tracce di questo loro atto di produzione. I cartelli stradali, ad esempio, sono segnali, marche dell'enunciazione istituzionale che ci indicano che tipo di uso fare (o non fare) di determinate zone (Manga­ no, 2oo8a) . Allo stesso modo, marciapiedi transennati con aperture in corrispondenza dei setnafori presuppongono un enunciatore urbano che impone un dato percorso e un preciso punto di attraversamento a chi cammina, prendendosi cura del pedone ma anche obbligandolo a utilizzare lo spazio in un certo tnodo. D'altro canto, a partire dal­ la lettura dell'enunciato cittadino, possiamo risalire alla figura di un utente-tipo: a Dubai, per esempio, intere zone costruite intorno ad ampi assi viari a più corsie, con radi sottopassaggi e strisce pedonali, postulano un enunciatario che si muove prevalentemente in automo­ bile ( Sedda, 2oo8); un ipermercato costituito da lunghi corridoi paral­ leli delimitati da alte scaffalature itnplica un consumatore poco inte­ ressato a divagare all'interno dell'area espositiva e incline a compiere percorsi standardizzati (Agnello, Scalabroni, 2010) . Una fila non disciplinata presuppone un enunciatore che si fida del suo pubblico e un enunciatario corretto che rispetta il turno: ci

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

ha ironizzato Bruno Bozzetto, che, in uno dei suoi corti1, mostra una fila europea tipicamente ordinata e una italiana ben presto ridotta a un ammasso caotico di persone. Ecco perché in casi simili, l'enuncia­ tore, anziché rimanere implicito, marca più fortemente la sua presen­ za, ricorrendo a dispositivi spaziali, quali transenne o eliminacode, deputati al rispetto della turnazione. Tocchiamo, così, un punto di fondamentale importanza: l'enunciatore e l'enunciatario sono sempre presenti in qualsiasi testo, ma mentre in alcuni casi si manifestano più chiaramente (producendo un effetto soggettivante) , in altri tendono a occultarsi (producendo un effetto oggettivante, cfr. PAR. L I ) . Nel percorso generativo del senso'�, l'enunciatore è inquadrato come quella figura che convoca, a partire dal sistema narrativo (fatto di attanti, modalità, programmi narrativi), attori ben precisi (ad esempio, il sog­ getto diventerà una truppa di soldati, l'oggetto di valore sarà incarnato da uno specifico territorio da liberare), spazi definiti (il racconto si svol­ gerà tra la Spagna e la Francia) e tempi identificati (poniamo il Medioe­ vo) . Per quel che più da vicino ci riguarda, si situa a livello discorsivo un processo di spazializzazione, ovvero la messa in forma di un allestimento spaziale che deriva dalle strutture più profonde (cfr. Greimas, Cour­ tés , 2007, s. v. " Spazializzazione " , "Localizzazione " ) . L'enunciazione è, quindi, un processo che mette in moto e concretizza il racconto e lo fa essenzialmente attraverso débrayage'� ed embrayage'\ variamente in­ cassati tra loro. Nel programma televisivo Le Iene, ad esempio, si nota come lo studio sia il frutto di un primo débrayage che noi non vediamo ma che è presupposto (l'enunciatore Italia I cede la parola al program­ ma con la sua sceneggiatura e i suoi presentatori); i conduttori delega­ no poi (altro débrayage) la parola su una " iena" , situata in una stanza blu, che introduce l'argomento del servizio; infine, un terzo passaggio (débrayage) immette in uno spazio esterno in cui verrà approfondita la notizia grazie anche alla presenza di nuovi attori del racconto. Al termine del servizio, la ripresa di parola da parte della iena nella stanza blu e il successivo rientro in studio sono parallele e inverse procedure di embrayage. In particolare, il movimento dallo studio alla stanza blu si preoccupa di marcare un passaggio tra diversi generi televisivi: dall'in­ trattenimento (scenografia curata, pubblico in sala, balletti, momenti di spettacolo) all'informazione (arredo minimale con scrivania e schermo per proiettare i filmati, presenza di un solo giornalista) . La spazializza1. Ci riferiamo al divertente EUROPA&ITALIA del 1999, visibile su YouTube.

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3· ENUNCI ARE

zione, dunque, produce effetti di senso che vanno al di là della semplice individuazione di contesti ambientali: essa marca passaggi di parola, crea aspettative sul tipo di messaggi, fornisce indicazioni su come inten­ dere il senso dei programmi televisivi e, più in generale, dei testi. 3· 2 Rappresentazionale/costruttivo

L'enunciazione, quindi, mettendo più o meno in evidenza le sue tnar­ che, punteggiando di segnali l'enunciato, ci fornisce anche " istruzioni per l'uso" del testo. Applicato al nostro ambito di indagine, ciò signi­ fica che la messa in forma di uno spazio, ovvero la sua organizzazione a livello discorsivo, conserva indicazioni sulle strategie comunicative adottate nell'allestimento. Ci si può allora chiedere se, a partire da date articolazione dei luoghi, si possano riconoscere specifici generi enunciativi. Per fornire una risposta a questa domanda, faremo rife­ rimento a un modello di Floch (1990) sui generi pubblicitari, model­ lo successivamente ampliato e ridiscusso da Marrone (2oo7a) . Floch parte dall'assunto che storicamente negli studi sul linguaggio si sono distinti due tipi di idee: in base a una concezione rappresentazionale, la lingua si limita a riportare al suo interno gli elementi del mondo esterno; secondo la teoria costruttiva, di contro, ciò di cui si parla vie­ ne costruito dal e nel linguaggio. Allo stesso modo, nel campo pub­ blicitario, ci sono casi in cui l'annuncio sembra dirci " ti sto dicendo la verità" (si tratta della pubblicità re/erenziale, fondata su una visione rappresentazionale); mentre altre volte è come se il tono utilizzato ci invitasse a " fantasticare" (pubblicità mitica, basata su un principio co­ struttivo) . È bene sottolineare che in entrambi i casi si tratta di effetti di senso costruiti sulla base delle strategie enunciative adottate, di stili comunicativi che prescindono dal contenuto del messaggio: la pubbli­ cità referenziale, in altri termini, non è tale perché dice effettivamente il vero, ma perché utilizza una serie di espedienti (una situazione ve­ rosimile, un esperto con il camice che enuncia statistiche ecc . ) volti a creare questo risultato; allo stesso modo, la pubblicità mitica non è quella che si basa su elementi che si astraggono dalla realtà, ma quella che definisce il proprio discorso in modo da arricchire di senso il mes­ saggio prodotto (da cui il ricorso a mondi onirici e surreali utilizzati per l'ambientazione, la ricerca di un coinvolgimento passionale del pubblico ecc . ) . Funzione rappresentazionale e funzione costruttiva

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

sono suscettibili di essere articolate in un quadrato semiotico, appli­ cabile anche alla spazialità. È stato mostrato come alcuni edifici dell'D niversità di Palermo si incarichino di veicolare un preciso discorso sul modo di intende­ re il ruolo della facoltà ospitata (Brucculeri, Giannitrapani, Ventura, 2010 ) . Si danno esempi in cui, secondo una visione rappresentaziona­ le, la facoltà afferma il proprio essere luogo universitario, e altri in cui, secondo una visione costruttiva, la facoltà sembra voler dichiarare di essere altro da sé. Nel primo caso (edificio referenziale) , l' architettura si presenta con articolazioni interne chiare e ben definite, con distin­ zioni evidenti tra presidenza e dipartimenti, aule e studi dei docenti. Nel secondo caso (edificio mitico), la struttura comunica di voler an­ dare al di là di un mero intento pedagogico e istituzionale, si pone come centro aggregatore, con zone di ingresso adibite a pratiche di so­ cializzazione e numerose, piccole biblioteche che attivano una dimen­ sione quasi familiare dello studio. Ancora, negando la funzione rap­ presentazionale, si trovano edz/ici obliqui che sembrano voler smentire il proprio statuto, con bar posti all'ingresso della costruzione, aree di cui non si comprende bene la funzione, zone dedicate allo studio dai confini indefiniti - tutti elementi che disorientano il fruitore e lo chiamano a interpretare costantemente il ruolo e il senso dello spazio. Infine, ci sono strutture che negano la funzione costruttiva, negano, cioè, di essere altro da sé: è il caso di quegli edifici che si itn pongono innanzitutto in termini propriamente materici e che l'utente perce­ pisce principalmente attraverso il suo corpo (architetture possenti e imponenti di cui quasi si perde la visione di insie1ne, zone interne ed esterne soggette a sbalzi termici e correnti, strutture da percorrere in lungo e in largo) . Si tratta di edifici sostanziali, così detti proprio per­ ché centrati sulla materialità e sulla fisicità dello spazio. Allo scopo di approfondire quanto fin qui introdotto e riassunto nello SCHEMA 3 . 1 , prenderemo in considerazione il modo in cui due comuni della Valle del Belìce in Sicilia - Santa Margherita di Belìce e Montevago -, duramente colpiti da un sisma nel 1968, mettano in scena i residui del terremoto, costruendo un discorso sul senso da conferire ai ruderi2• A Santa Margherita, alle spalle della piazza prin-

2. Questi esempi derivano da un'osservazione etnografica compiuta da chi scrive nel settembre 2010 insieme a Gaspare Caliri, Francesco Marsciani, Francesco Mazzucchelli. Su questo argomento cfr. anche Augé (2003).

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3 · ENUNCI ARE

SCHEMA 3. 1

Funzione rappresentazionale

Funzione costruttiva

EDIFICIO REFERENZIALE

EDIFICIO MITICO

La facoltà afferma di essere facoltà

La facoltà afferma di essere altro

La facoltà nega di essere altro

La facoltà nega di essere facoltà

EDIFICIO SOSTA ZIALE

Negazione della funzione costruttiva

EDIFICIO OBLIQUO

Negazione della funzione rappresen taziona le

ci pale completamente ricostruita, si estende su un pendio un'ampia zona di macerie (FIG. 3 . 1) che possiamo definire re/erenziali: è il grado zero del rudere, quello in cui, se pure sono stati fatti interventi di ri­ pristino e recupero, non se ne vedono le tracce. Qui prevale un effetto

FIGURA 3.1

Ruderi referenziali a Santa Margherita di Belìce

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

di immobilità e di presenza immediata del terremoto. La maceria si presenta così com'è, come se non fosse accompagnata da nessuna for­ ma di messa in valore (né positiva né negativa) , come se nessuno se ne occupasse ed essa vivesse di vita propria, in una visione tipicamente rappresentazionale. Questa posizione è contraria rispetto alla strategia di messa in valore del vecchio centro di Montevago. Qui, infatti, è stato istituito un Parco della Memoria che segue una strategia mitica. Nel Parco, delimitato da un cancello, un ampio viale pavimentato presenta alcu­ ne aperture in corrispondenza delle vecchie strade del paese e per­ mette di avvicinarsi a ciò che resta degli edifici preterremoto. Vi si alternano, in maniera evidente, elementi di arredo urbano (pavimen­ tazione, lampioni, panchine, ringhiere) , che segmentano lo spazio e creano precisi ingressi o inviti alla visione, e resti del terremoto (ru­ deri, macerie, strade sterrate, FIG. 3 . 2 ) . Il viale termina con una rin­ ghiera che si affaccia su uno scorcio panoramico. Al visitatore viene proposta, quindi, una romantica passeggiata che consente un viaggio nella memoria degli eventi catastrofici trascorsi (sono presenti all'in­ terno di quest'area anche due giardini, dedicati rispettivamente ai caduti della Prima guerra mondiale e alle vittime del terremoto) e si conclude con uno sguardo ammirato al paesaggio naturale. Un per­ corso per certi versi catartico che, dalla contemplazione delle rovine del passato, giunge all'ammirazione delle bellezze della natura del presente e presagisce a una riflessione verso il futuro. Laddove nel caso delle rovine di Santa Margherita il rudere è esposto in modo tale da presentarsi così com'è, pura maceria, qui c'è tutta un'opera ben evidente di costruzione del valore simbolico dell'area. Disposi­ tivi di valorizzazione della memoria s torica del paese di Montevago sono la chiusura del Parco, così come gli elementi di arredo urbano (le panchine che invitano alla sosta, l'illuminazione che consente la visione notturna, i giardini dedicati ai caduti e il belvedere che pre­ dispongono alla contemplazione) . Il racconto dello spazio, in questo caso, si preoccupa di riempire il senso dei ruderi, arricchisce ciò che resta del vecchio paese facendo leva su una dimensione prettamente passionale, invitando al nostalgico ricordo, alla commossa rievoca­ zione, al partecipato sostegno. Con chiari effetti di sacralizzazione e monumentalizzazione. In questo senso il Parco diventa uno mnemo­ topo (Assmann, 1999 ) , ovvero uno spazio dedicato al mantenimento della memoria del paese.

3· ENUNCI ARE

FIGURA 3 . 2

La strategia mitica del Parco della Memoria a Montevago

Molto diversa è un' altra zona di Montevago, la vecchia periferia, i cui i ruderi sono stati, per così dire, privatizzati dal basso: la popo­ lazione se ne è riappropriata (concreti segni di privatizzazione sono dispositivi di chiusura quali porte e lucchetti) e li utilizza per coltivare, custodire animali, conservare attrezzi. Ma al di là di questa rifunziona­ lizzazione dello spazio , è lo stesso ambiente a presentarsi in modo del tutto diverso: camminando per le strade di quest'area ci si immerge totalmente nel mondo degli effetti del terremoto (FIG. 3 . 3 ) , che diventa una presenza talmente preponderante da far venire in secondo piano tutto il resto. Se a Santa Margherita, con cui pure questa parte rivela similarità, i ruderi sono posti sulla sommità di un terreno in declivio (con la conseguenza che quando si è in alto tra le macerie si mantiene un contatto, quanto meno visivo, con il nuovo e con le altre zone in cui si estende la vasta area dei ruderi) , nella vecchia periferia di Mon­ tevago non si vede nient'altro, il territorio è pianeggiante e si è " co­ stretti" a focalizzare lo sguardo su quella porzione di spazio che ci si presenta davanti. Chi passeggia è introdotto in primo luogo con il suo corpo a percepire il paesaggio. Con la strategia sostanziale viene posta

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

in primo piano la dimensione estesica, ovvero la sfera riguardante la sensorialità: si deve fare attenzione a dove si mettono i piedi, si sente il contatto con una superficie sconnessa, si avverte l'odore della terra, su uno sfondo di assoluto silenzio vengono amplificati i radi suoni am­ bientali. È come se il tnondo circostante si imponesse sul soggetto, e non viceversa. Se con il Parco della Memoria assistevamo a un preciso disegno tendente a valorizzare le tracce del terremoto, qui la funzione costruttiva viene negata in favore di una percezione " imtnediata" ed eminentemente sensoriale del rudere. Infine, tornando a Santa Margherita, troviamo due edifici colpiti dal terremoto e successivrunente riscostruiti, che, pur nella loro di­ versità, perseguono una medesima strategia. Il primo è una vecchia chiesa, il cui interno è stato restaurato, ma che all'esterno si presen­ ta come un'architettura moderna (FIGG. 3·4-3· 5) . Esso ospita il Museo della Memoria, in cui sono conservati articoli di giornali, fotografie e documenti dei giorni del terremoto. C ' è una netta opposizione tra l'esterno dell'edificio e il suo interno, tra un'apparente forma di ne­ gazione del passato e la sua sacralizzazione. Come se, grazie a dispo­ sitivi spaziali, si bilanciassero due esigenze: non far cadere nell'oblio la dolorosa esperienza vissuta e al contempo filtrare il ricordo, porre

FIGURA 3 · 3

I ruderi sostanziali della vecchia periferia di Montevago

3· ENUNCI ARE

FIGURA 3 -4

Esterno dell'ex chiesa di Santa Margherita di Belice, oggi Museo della Memoria

il trauma a una certa distanza3 • Il secondo edificio è una chiesa che è stata "messa in vetrina" : le sue pareti sono composte da vetri che consentono di vedere l'interno recuperato. La cosa più curiosa è che la chiesa è ancora attiva e vi si svolgono le funzioni religiose (con una sorta di effetto di reality show per chi, durante le messe, passando può sbirciare voyeuristicamente ciò che avviene dentro) . Mentre il Museo della Memoria si scherma all'esterno e si trasforma da edificio sacro in luogo deputato alla celebrazione valoriale del passato, la chiesa in vetrina si apre al suo esterno e continua ad assolvere la tradiziona­ le funzione religiosa. Possiamo parlare in questi casi di una strategia obliqua, perché il senso e la scoperta del rudere non sono immediati,

3. Sul meccanismo della memoria in termini semiotici cfr. Demaria (2oo6) , Mazzuc­ chelli (2oro) .

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

FIGURA 3 · 5

Interno dell ' ex chiesa di Santa Margherita di Belìce, oggi Museo della Memoria

ma vanno ricostruiti grazie al lavoro interpretativo dell'osservatore di questi spazi. Tali architetture alludono ai ruderi senza però affermarli direttamente, li trasformano in altro, sono una citazione indiretta de­ gli eventi catastrofici che li hanno attraversati, di cui pure conservano una traccia. È come se l' enunciatore di questi spazi li avesse messi tra virgolette attivando un gioco " meta " con l'enunciatario. A Santa Margherita sembrano essere in opera due estetiche per certi versi opposte: da un lato un'estetica del!)identificazione (Lotman, 1972), basata cioè sulla prevalenza di un effetto di continuità con il passato precedente al 1968 (come dimostrano anche le ricostruzioni à l'identique dei palazzi che si affacciano sulla piazza principale) e con il momento del terremoto (come avviene per la zona dei ruderi refe­ renziali) ; dall'altro un'estetica della contrapposizione (ibid. ) , tendente a produrre una rottura con ciò che è stato (come nel caso dei ruderi obliqui) . Si tratta, in entrambi i casi, di un problema traduttivo, cioè di un differente modo di relazionarsi con la storia, di riprenderla e modi-

3· ENUNCI ARE

ficarla, di renderne pertinenti alcuni tratti e tralasciarne altri (Cervelli, Sedda, 2oo6) . Riassumiamo nello SCHEMA 3.2:

SCHEMA 3 . 2

Rudere re/erenziale

Rudere mitico

RUDERI SANTA MARGHERITA

VECCHIO CENTRO MO

TE ­

VAGO

VECCHIA PERIFERIA MO TE­

CHIESA I

VAGO

DELLA MEMORIA

Rudere sostanziale

Rudere obliquo

VETRI A, MUSEO

Solo per fare un altro esempio, forse tra i più noti del territorio be­ licino, citiamo il caso di Gibellina e del suo Cretto (opera di Burri). Grandi dibattiti si sono accesi intorno a questo atipico memoriale; dibattiti che contrappongono chi vi vede una sublimazione artistica della tnemoria e chi, invece, vecchi abitanti in primis, lo taccia di aver messo, letteralmente, una pietra sopra al terremoto e ai suoi effetti, di aver voluto cancellare il ricordo. Una disputa chiaramente centrata sulla natura obliqua del monumento in questione. Il modello fin qui descritto ha innanzitutto una valenza analitica, in quanto può rivelarsi utile a mappare diversi territori, ma può essere sfruttato anche in termini progettuali nel momento in cui ci si chiede a monte quale tipo di effetto si voglia creare attraverso una data arti­ colazione spaziale e che genere di coinvolgimento si intenda attivare nel potenziale fruitore di uno spazio. 3· 3

Civitaslpolis Il discorso sul modo di trattare, interpretare, utilizzare i ruderi con­ sente di introdurre alcune riflessioni sui modelli di sviluppo urbani implicati. Al di là della molteplicità di realizzazioni progettuali e pra­ tiche d'uso, ci sembra di poter ricondurre la varietà osservata a due

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

proto-modelli urbani che Benveniste ( 1970) ha individuato studian­ do le derivazioni intralinguistiche dei termini greci e latini di "città" e "cittadino" . L'autore ricorda, infatti, che in latino civitas (città) è un termine derivato da civis (cittadino): ciò significa che viene prima l'idea di abitante e poi quella di agglomerato urbano, inteso quindi come accorpamento di un insieme di soggetti che lo popolano. Civis è, tra l'altro, un termine relazionale che non indica tanto il cittadino, quanto piuttosto il con-cittadino (sono cittadino di qualcun altro) . In tal senso, è l'insieme di relazioni (orizzontali) tra i soggetti a costituire l'idea di città. I rapporti di derivazione si invertono nel greco, in cui polites (cittadino) deriva da polis (città) . In questo caso viene prima l'idea di città e poi l'idea di cittadino, definito come elemento appar­ tenente a tale entità superiore. Laddove, cioè, in latino prevalgono le relazioni orizzontali e paritetiche, a partire dalle quali si ricava l'idea di un'entità aggregante che le riunifica, in greco la relazione è inver­ tita, essendoci prima un agglomerato che si incarna in una qualche estensione spaziale e dopo i soggetti che lo popolano e che intratten­ gono con esso un rapporto verticale, di subordinazione. Nel modello latino sono le relazioni e i movimenti provenienti dal basso a definire l'idea di città; nel modello greco, al contrario, è la superiore entità ur­ bana, un " centro permanente di autorità " , a fondare l' idea di abitante. Quale utilità possano avere queste nozioni, a un primo sguardo teoriche concettualizzazioni che nulla hanno a che vedere con la con­ creta articolazione degli spazi, risulta evidente se riprendiamo alcuni degli esempi dei traumi territoriali già citati. Nel caso della vecchia periferia di Montevago, infatti, l'utilizzo dei ruderi da parte della po­ polazione secondo un movimento " spontaneo" e creativo di riappro­ priazione del territorio4 segue chiaramente un modello di tipo civitas. Allo stesso modo funziona il cosiddetto "Popolo delle carriole " aqui­ lano che si è preoccupato di dar vita, dal basso, ad alcune iniziative di sgombro dalle macerie del terremoto del 2oo9 , allo scopo di sensi­ bilizzare l'opinione pubblica e di contrapporsi a quella polis, ritenuta carente e inefficiente riguardo alla questione della ricostruzione. In direzione polis è andata, invece, la risistemazione del vecchio centro di Montevago con l'istituzione del Parco della Memoria, definito dall'al­ to come area deputata al ricordo di quanto accaduto. O, ancora, in

4· I cittadini di Montevago, ricordiamo, si sono riappropriati dei ruderi e li utilizzano per lo più come magazzini.

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3· ENUNCI ARE

questa direzione si può inquadrare il caso di Gibellina, ricostruita a diciotto chilometri di distanza dal vecchio paese, in un punto ritenuto strategico perché vicino alla stazione e all'autostrada. Il sindaco dell'e­ poca, con un appello di solidarietà, invitò a partecipare alla ricostru­ zione artisti e architetti, che lasciarono alla nuova Gibellina opere, ar­ chitetture e installazioni che ancora oggi ne punteggiano il paesaggio. Questa radicale trasformazione fu controversa perché molti abitanti si sentirono estranei alla nuova realtà, non vi si riconobbero e non ne riconobbero il valore. E ancora oggi, in molti discorsi sulla città, si dice che Gibellina sia poco animata perché amministratori e urbanisti non tennero a suo tempo conto delle reali esigenze della popolazione locale, in altri termini perché si basarono su un modello di tipo polis. Ma l'opposizione civitas/polis è riscontrabile anche in altri contesti: si pensi, ad esempio, a quartieri marginali che vengono rivitalizzati per­ ché eletti a location di grandi eventi (modello polis) o a luoghi scarsa­ mente frequentati che iniziano a diventare parte importante del tessu­ to urbano grazie a qualche iniziativa imprenditoriale privata come, ad esempio, l' apertura di pub e locali destinati a divenire centri attrattori per la vita notturna (modello civitas) (Brucculeri, Giannitrapani, 2010 ) . 3·4 Visioni/conoscenze N el capitolo precedente abbiamo visto come una delle dimensioni fondative dello spazio sia costituita dall'opposizione tra luogo pro­ prio e altrui, tra dimensione familiare ed estranea. Dobbiamo a questo punto fare un'osservazione: il proprio e l'altrui, così come l'interno e l'esterno, dipendono sempre da un punto di vista fissato sul fenomeno. Se vado a Londra e guardo gli automobilisti tenere la sinistra rimarrò colpito da questa diversità, ma la stessa cosa capiterà a un inglese che si trova a osservare il nostro abituale modo di guidare. In questi casi, infatti, si ha un tipo di orientamento che Lotman e Uspenskij ( 1975 ) definiscono inverso, in cui, cioè, lo sguardo proviene dall'esterno. Vi­ ceversa, le nostre abitudini ci se1nbrano normali perché adottiamo un orientamento diretto, fissiamo, cioè, il testo a partire dall'interno. Il punto di vista rende conto di un modo di " inquadrare" lo spazio a partire da una certa prospettiva e ha a che vedere con una plurali­ tà di dimensioni: pragmatico-percettiva , relativa al posizionamento di un punto da cui diparte lo sguardo (ad esempio, per osservare il più

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

bel panorama sulla città bisogna recarsi sulla sommità della torre); cognitiva, relativa al sapere collegato a un certo tipo di visione (ad esempio, uno sguardo da un'automobile coglierà meno particolari del paesaggio rispetto a uno sguardo durante una passeggiata) ; timico­ assiologica, relativa al coinvolgimento e al giudizio nei confronti di ciò che mi si presenta di fronte (ad esempio, secondo il mio punto di vista una certa opera è riprovevole) (Genette, 1972; Bertrand, 2ooo; Pozza­ to, 2001; Cavicchioli, 2002 ) . Il punto di vista è quindi il frutto di una presa di posizione, fisica o metaforica che sia. Esso va inteso sia come dispositivo legato a un'attività di visione vera e propria sia come ele­ mento che rende conto dell'inquadramento generale di un racconto (narrare Cappuccetto Rosso dal punto di vista del lupo piuttosto che della bambina cambia notevolmente l'andamento della fiaba) . In ogni testo i punti di vista si alternano spesso tra loro, andando a creare effetti di volta in volta differenti. Si legga il seguente brano, tratto da La zattera di pietra di Saramago (1977 ), in cui si rende perfet­ tamente l'idea della frattura che si viene a produrre lungo la linea del confine tra Spagna e Francia5: la ragazza che serviva ai tavoli si fermò con gli occhi sbarrati [ . . . ] sullo scher­ mo si vedeva un elicottero filmato da un altro elicottero e tutti e due si ad­ dentravano nel canale spaventoso e mostravano le pareti altissime, tanto alte che a stento si vedeva il cielo lassù (ivi, p. 5 1) .

A partire dall'attore-ragazza che inquadra la scena da un punto di vista fissato su uno schermo televisivo, si susseguono in poche righe molteplici osservatori. La loro presenza ha il compito di rendere conto della difficoltà, dovuta all'eccezionalità della situazione, di fornire un inquadramento complessivo dello spazio e di integrare i diversi saperi provenienti dalle visioni parziali. Gli elicotteri operano un movimento discendente e, tanto più sono situati in basso, tanto più la visione che da essi diparte tenderà verso l'alto, in una contrapposizione tra due forze che crea la tensione del racconto e rima perfettamente con la spaccatura orizzontale avvertita nella terra. Nonostante la moltiplicazione dei punti di vista, il campo visivo rimane limitato in termini di ampiezza, ancorato com'è alla dimensione

5· Nel romanzo, ricordiamo, la penisola iberica si distacca dal resto del continente europeo.

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3· ENUNCI ARE

verticale e ai limiti delle pareti rocciose: il risultato è un incanalamento forzato dello sguardo, un effetto " scorcio " , una visione claustrofobica che non può andare oltre i limiti e trova come unico punto di sbocco il cielo (tanto più difficile da cogliere quanto più si è in basso) . Se il bra­ no citato rende quindi pertinente la dimensione verticale (contraria­ mente a quanto avviene, ad esetnpio, con lo sguardo da un'automobile, impegnato ad esaminare per lo più la dimensione orizzontale del pae­ saggio), a essere valorizzata è la parte superiore, che tende a presentarsi come via di fuga e di salvezza rispetto a un' anotnala frattura terrena. Lo sguardo fatto proprio dalla ragazza, ovvero quello proposto dallo schermo televisivo, riesce a inglobare tutti gli altri: la visione che parte dal primo elicottero, quella del secondo e, infine, quella di un altro osservatore presupposto, situato ancora più in profondità, che inquadra entrambi i velivoli. Se si esclude quello della ragazza, i diversi punti di vista convocati nel racconto si situano allora su una stessa verticale, a diversi gradi di profondità, e la loro moltiplicazione non fa che amplificare, grazie a questa visione caleidoscopica, un ef­ fetto vertiginoso e sublime, in senso kantiano, di una natura talmente prorompente da sopraffare i nostri sensi. Il valore del brano può allora essere riconosciuto nella resa della profondità, dimensione che implica sempre la presenza di un corpo percipiente (al contrario di quanto avviene per la larghezza, descrivi­ bile come relazione tra le cose che popolano lo spazio a prescindere dal soggetto) (Merleau-Ponty, 2003 ) . La profondità presuppone uno spazio incavo, percepito da un corpo che si muove (anche solo con la fantasia) al suo interno; nelle parole di Badir ( 2009, trad. mia): «Per­ ciò, il profondo non è il lontano ma l'allontanato. Non è il distante ma il distanziato. Le esperienze di grande profondità o di senza fondo [ ] dimostrano che questi oggetti, irraggiungibili, sono ancora legati a me, nonostante la distanza infinita che sembra instaurarsi tra noi». È quindi grazie allo spostamento degli elicotteri nello spazio scavato tra le pareti rocciose che possiamo cogliere l'effetto di profondità, ma è anche grazie alla presenza del cielo, che, per quanto distante e dif­ ficilmente raggiungibile, ritnane legato al (e percepito dal) soggetto della visione. Lo sguardo che arriva al lettore è tnediato e moltiplicato (dalla pluralità di osservatori, dalle telecamere, dai punti di vista parziali da­ gli elicotteri e, infine, dallo schermo televisivo) e questa ri-mediazione pone l' enunciatario (noi, lettori del romanzo) a distanza rispetto a un . . .

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

afflato emotivo che invece percorre i personaggi: è come se le diverse cornici fungessero da filtro, non solo cognitivo, ma anche emotivo; come se l' enunciatore, grazie a questi espedienti narrativi, costruisse una distanza rispetto al contenuto del racconto. 3· 5 Osservatori/informatori

Il punto di vista è, come si può evincere dagli esempi sin qui riportati, sempre collegato a un osservatore'\ una figura che può essere più o meno esplicitamente manifestata nel testo e che spesso varia nel corso della narrazione in base a specifiche esigenze enunciative e narrative. Nei film e nelle fiction, ad esempio, si alternano di solito inquadrature dall'alto a immagini soggettive: nelle prime l'osservatore è astratto e agisce in sin­ eretismo (ovvero in tutt'uno) con l'enunciatore, il quale manifesta così il suo sapere globale e la volontà di tenere le fila della narrazione; nelle seconde l'osservatore coincide con i personaggi, di cui l' enunciatario assumere il punto di vista, il sapere (spesso parziale) sui fatti. L'osservatore rende tra l'altro conto della distanza rispetto a ciò che si osserva e della dinamica di messa a fuoco di una figura rispetto a uno sfondo: posso focalizzare la mia visione su un edificio e tenere sul­ lo sfondo l'ambiente circostante, oppure indirizzare la mia attenzione su un capitello rispetto al quale quello stesso edificio farà da contorno. Così, gli arcipelaghi di isole artificiali a forma di mondo e di palma (The World, Palm Islands) che sorgono a pochi chilometri dalla costa di Dubai presuppongono un osservatore che non è il semplice citta­ dino né il turista: l'unico modo per apprezzare in pieno le grandiose costruzioni e la forma globale delle architetture è attivare una visione dall'alto e da 1nolto lontano, tipicamente quella che tutti noi possiamo avere consultando Google Maps o fotografie satellitari. Viceversa, la funzione " macro" presente nella maggior parte delle moderne mac­ chine fotografiche implica e costruisce uno sguardo ravvicinato, una visione interessata a cogliere i dettagli dello spazio. Fontanille (r989) ha proposto una tipologia che ha il merito di te­ ner conto della gradualità con cui l'osservatore può manifestarsi nei racconti6• Di seguito i tipi individuati dal semiologo francese.

6. Questa tipologia è stata applicata in ambito semiotico a diverse manifestazioni te­ stuali, tra cui: fiction (Marrone, 2003; Dusi, 2008 ), opere pittoriche (Valenti, 1996; Calabre-

3· ENUNCI ARE

ll focalizzatore è un osservatore che inquadra la scena ma non è impli­ cato nel racconto. È quello che si ritrova, ad esempio, nelle inquadrature zenitali, a volo d'uccello, tipich e di molti film, o nel punto di vista che ci offre Google Maps. Lo spettatore, invece, è un osservatore ch e, pur non essendo atto­ rializzato, ovvero incarnato in un personaggio specifico, non è una pura istanza sottesa al racconto (come nel caso del focalizzatore) , in quanto convoca l'articolazione di categorie spazio-temporali. È il caso della pro­ spettiva rinascimentale , in cui è presupposto un attante che percepisce la profondità e articola un "vicino " e un "lontano " . Ma possiamo anche ricordare la scena iniziale del film Forrest Gump (Zemeckis, USA 1994) , in cui la telecamera segue il movimento di una piuma, spostandosi lateral­ mente e dall'alto verso il basso fino a incontrare il protagonista. Infine, possiamo pensare a Google Street View, in cui l'operazione di zoom con­ voca un osservatore, che, sebbene invisibile, è maggiormente presente rispetto a quanto non accade per Google Maps. L'assistente è un osservatore incarnato in un personaggio che però non riveste altri ruoli negli eventi narrati. Lo si ritrova in alcuni quadri in cui in basso è raffigurato un individuo di spalle che osserva la scena rappresentata. L'assistente partecipante è, infine, un osservatore incarnato in un at­ tore che non solo inquadra la scena, ma partecipa alle vicende (con un ruolo più o meno centrale) , investendo attivamente lo spazio dal punto di vista pragmatico (si pensi a un personaggio che, spostandosi in un luogo, ci fornisce una descrizione di quanto gli si presenta davanti) o timico (nel senso che investe di valore lo spazio e manifesta nei confron­ ti di ciò c h e lo circonda un'immediata reazione euforica o disforica) . The Blair Witch Project (Myrick, Sanchez, USA 1999) , per esempio, pro­ prio grazie alle inquadrature in soggettiva dei protagonisti, determina un effetto di tensione in grado di coinvolgere l' enunciatario in termini passionali. L'osservatore, con i suoi sguardi e con i suoi movimenti, ci fa cogliere i luoghi non come un'entità data, ma come un processo. È quindi grazie alla presenza di questa figura che possiamo parlare di aspettualizzazione spaziale, ovvero del farsi dello spazio in relazione a un soggetto (effettivo o presupposto) che lo percepisce e che per questo ce lo restituisce come entità dinamizzata. Osservare l'esterno da un finestrino del treno, uno dei tipici topoi della visione, ci fa cose, 2006) , film (Marrone, 2007b), guide turistiche (Giannitrapani, 2010) .

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

gliere uno scenario in rapido divenire, un paesaggio di tipo impres­ sionista, in cui, come sostengono Lotman e Uspenskij (197 5, p. 210) , «lo spostarsi dell'osservatore s i manifesterà come movimento degli oggetti immobili». Questo tipo di visione sarà molto differente dalla contemplazione di un panoratna, frutto di una presa durativa, ampia e statica di un luogo posto di fronte a noi. Un osservatore attorializ­ zato in un racconto potrà in altri termini rendere molto diversamente gli effetti di spazialità in relazione al ritmo della sua camminata, al percorso intrapreso, alle soste effettuate, alle barriere incontrate e superate ecc. In realtà, ogni sguardo presuppone non solo un soggetto della visione, l'osservatore, ma anche un oggetto dello sguardo, un attante definito informatore�\ che a sua volta potrà darsi alla vista in termi­ ni più o meno cooperativi. Un conto è voler guardare un panorama che ci si apre di fronte liberamente, privo di barriere, un altro vo­ ler osservare un giardino privato delimitato da confini ben precisi: nel pritno caso osservatore e infonnatore si situano in una posizione complementare; nel secondo , invece, i due attanti si confrontano in una situazione polemica e attivano programmi e controprogrammi per perseguire i propri obiettivi (l'osservatore, ad esempio, potrà mu­ nirsi di una scala per assumere una posizione dominante rispetto ai muri che impediscono lo sguardo: i proprietari del giardino potran­ no ricorrere a ulteriori coperture per schermarsi) . Questo ci porta a indagare con maggiore attenzione la dinamica degli sguardi e, di conseguenza, le connesse tematiche di costruzione e appropriazione cognitiva degli spazi. 3· 6 Cooperazioni/conflitti

Le relazioni tra osservatore e informatore possono essere indagate alla luce delle modalità che le determinano (Landowski, 1989 ) . Perché io guardi qualcosa è necessario che sia dotato, ad esempio , di un vo­ ler vedere (pensiamo ai turisti, determinati a catturare con lo sguardo monumenti, panorami o animazioni locali) , di un dover vedere (si ri­ cordi la " cura Ludovico" nel film del 1971 di Stanley Kubrick Arancia meccanica, in cui il protagonista era costretto a tenere gli occhi aperti di fronte a filmati violenti; cfr. Marrone, 200 5 ) , di un poter vedere (si pensi ai filtri che consentono di osservare le eclissi solari, altrimenti

3· ENUNCI ARE

nocive per l'occhio nudo) o, infine, di un saper vedere (i medici, ad esempio, guardando radiografie ed ecografie riescono a fornire una diagnosi, a riconoscere parti del corpo, laddove un profano nota inve­ ce solo forme e variazioni cromatiche) . In particolare, alla luce della modalità del volere, le diverse posi­ zioni dell'osservatore potranno essere le seguenti (SCHEMA 3 . 3 ) :

SCHEMA 3·3

Voler vedere

Voler non vedere

N on voler non vedere

Non voler vedere

Analogamente, per l'informatore le posizioni saranno quelle riasunte nello SCHEMA 3 .4:

SCHEMA 3·4

Voler esser visto

Voler non esser visto

Non voler non esser visto

Non voler esser visto

Le posizioni di osservatore e informatore si possono incastrare in di­ versi modi, dando vita a quelli che Landowski (r989) definisce giochi ottici. N el caso in cui l'osservatore vuol vedere e l'informatore vuole esser visto, i due attanti si pongono in una posizione perfettamente complementare, di mutuo interesse; se, invece, l'osservatore vuol vede­ re e l'informatore vuole non esser visto avremo un esempio di voyeuri­ smo. I diversi casi esposti da Landowski, cui si rimanda per ulteriori

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

approfondimenti, rendono conto, in altri termini, di come lo sguardo sia sempre un processo di tipo dialettico. Così, ad esempio, nelle descrizioni fornite dalle guide turistiche, si danno casi in cui si suggerisce al visitatore di sostare su una posizione sopraelevata in modo da poter contemplare il panorama sottostante: la presenza di un dislivello tra soggetto e paesaggio pone il turista in una posizione di dominio (Greimas , 1976) , gli conferisce un poter essere, consentendo una presa sullo spazio circostante. Osservatore e informatore sono in questo caso conformi, essendo il primo carat­ terizzato da un voler vedere e il secondo da un non voler non esser visto (una situazione di interesse, nei termini di Landowski) . In altri punti, invece, le guide descrivono posti difficili da raggiungere, se non addirittura inaccessibili, e suggeriscono piccoli escamotage per aggi­ rare gli ostacoli, come sbirciare attraverso le inferriate o compiere giri alternativi per ottenere un punto di vista preferenziale sulla scena (in questo caso il turista sarà caratterizzato da un voler vedere, mentre lo spazio da un non voler esser visto , in una configurazione tipica della

riservatezza) . Il problema degli sguardi in relazione agli spazi s i pone, cioè, spes­ so, in termini di accessibilità e si collega, conseguentemente, alla de­ finizione di soglie e limiti (cfr. PAR. 2 . 1 ) . In questa direzione si muove uno studio di Marsciani ( 2007) sui luoghi dedicati alla cura del sé. Dal parrucchiere siamo di solito proiettati in un luogo aperto, in cui lo sguardo può cogliere la complessità dell'articolazione spaziale possibilità spesso amplificata da specchi e vetrine non schermate che moltiplicano le possibilità di visione anche dall'esterno. Al contrario in un ambulatorio medico prevalgono aree chiuse, nettamente distinte tra loro, che rimano alla rigidità della relazione medico-paziente (ca­ ratterizzata da un marcato divario di competenze e conoscenze) . Nei centri estetici, invece, lo spazio nega le aperture, propone separazioni che non si configurano però come chiusure assolute: lo sguardo è in­ canalato in percorsi predefiniti e, in ogni caso, non può arrivare ovun­ que (si pensi alle divisioni tra le varie postazioni ottenute attraverso tende o muri che non raggiungono il soffitto) . Infine, nel caso delle cure dentistiche siamo di fronte a uno spazio non chiuso, organizzato secondo un " regime dell'intravisione" , in cui si danno possibilità di sbirciare quanto avviene nelle altre stanze. Queste diverse posizioni sono sintetizzate nella FIG. 3 . 6. Le immagini non vanno intese come progettazioni effettive, ma come forme di spazialità astratte (figurali

6o

3· ENUNCI ARE

FIGURA

3.6

Planimetria tipo di alcuni spazi della cura (da s inistra: parrucchiere, ambulatorio me­ dico, centro estetico, studio dentistico) (Marsciani, 2009)

nei tennini di Marsciani, cfr. PAR. 5 . 2) che rendono conto del tipo di articolazione interna ai luoghi e dei regimi di visione che questi ultimi convocano. In altri termini, non è detto che il salone del parrucchiere debba essere organizzato su pianta circolare, ma la sua " planimetria­ tipo " prevede una valorizzazione delle aperture tale da garantire una visibilità quanto più possibile ampia e sgombra da ostacoli. 3 . 6. r . Mediazioni

Guardare, appropriarsi degli spazi sono quindi processi complessi che implicano una pluralità di elementi (osservatori, informatori, relazio­ ni intersoggettive, uso di strumenti, materiali, condizioni climatiche ecc . ) . La luce è, ad esempio, una condizione indispensabile affinché si dia una visione; essa è una fonte di energia che anima lo spazio, ne valorizza alcune parti, ne pone in ombra altre, lo mette in forma e lo vettorializza (Fontanille, 1995a) . In qualsiasi negozio, i dispositivi di illuminazione non sono frutto del caso: faretti puntati su un certo oggetto lo presentano come prodotto di punta di una data collezione, luci soffuse verso l'alto contribuiscono a costruire una zona intima in cui il cliente può rilassarsi (Baldassari, 2oo6; Teotti, 2oo6; Cervelli, Torrini, 2oo6) . Emblematico il caso degli shop Abercrombie & Fitch, caratterizzati da ambienti bui con sprazzi di luci sugli espositori dei prodotti; un punto vendita che tende a presentarsi come altro, di­ staccandosi dalla classica logica dei negozi (solitamente caratterizzati da un regime di massima visibilità) e quasi simulando una discoteca (effetto amplificato dalla presenza di modelli -commessi che ballano al ritmo della musica ad alto volume diffusa all'interno) . Il modo di illu-

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

minare gli ambienti, quindi, è in grado di trasformarli radicalmente, suscitando tensioni e distensioni, provocando azioni e passioni. Non solo, ma vedere è un processo culturalizzato e socialmente situato: uno stesso paesaggio, posto di fronte a due soggetti, potrà essere colto in maniera differente e questo perché ciascun individuo, dotato di proprie attitudini e intenzionalità, fa emergere differenti aspetti del guardato, portandone alla luce alcune porzioni e tenendo­ ne sullo sfondo altre. Persino le scoperte scientifiche sono frutto di sguardi negoziati; le co1nunità di esperti contrattano il significato di ciò che si presenta loro di fronte, cooperano nella costruzione del loro oggetto di sapere, dando vita a una visione che deriva dall'interazione di soggetti e oggetti (Goodwin, 2003 ). Pensiamo agli occhiali da vista che regolano le nostre possibilità di osservazione o a quelli da sole che modificano la percezione di ciò che ci circonda (Marrone, 201oa) , per non parlare degli occhiali 3D utilizzati come supporto per la visione di alcuni film . Taluni strumenti si interpongono tra noi e il mondo, alterando il grado di focalizzazio­ ne dello sguardo (un microscopio consente di cogliere, ad esempio, presenze nello spazio invisibili a occhio nudo) , costruendo nuove re­ lazioni e soggettività ibride (l' attore uomo + occhiali sarà radicalmente diverso dalla soggettività privata di tale oggetto e si relazionerà diffe­ rentemente con l'ambiente circostante, cfr. Latour, 1992) . In queste successive mediazioni rientrano anche le condizioni atmosferiche, che possono essere considerate a tutti gli effetti come attanti che modulano la percezione dello spazio e le possibilità di os­ servazione. Esse assumeranno un valore euforico o disforico in rela­ zione ai programmi narrativi dei soggetti che vi entrano in contatto: la nebbia potrà evocare un'aura di mistero ed essere affascinante agli occhi di un turista, ma potrà porsi come una patina, come un attante di controllo negativo della percezione per l'automobilista (Fontanille, 2002; Zilberberg, 2010). Allo stesso modo, anche i materiali sono elementi che mediano i nostri sguardi e definiscono l'accessibilità degli spazi (Ventura, 2009). Un vetro che separa due ambienti, ad esempio, consente all' osser­ vatore una congiunzione visiva (posso guardare e impadroninni co­ gnitivamente del spazio separato) , ma ne impedisce una pragmatica (non posso attraversarlo) (Hammad, 2003 ) . La superficie trasparente, tuttavia, ci fa talvolta, come dice Hammad, una promessa: ci dice che, a certe condizioni, potrò appropriarmi di ciò che sta oltre (se com-

3· ENUNCI ARE

pio un dato percorso, ad esempio, potrò arrivare dall'altra parte; se decido di entrare in un negozio potrò acquistare gli oggetti che la vetrina mostra) . L'opposto avviene, chiaramente, con una parete in cemento, che introduce un forte limite e impedisce una congiunzione, sia pragmatica sia visiva, del soggetto con il luogo separato. Tra questi due casi estremi si danno infinite variazioni, di cui sono perfettamente consapevoli gli architetti, abituati nella progettazione a giocare con le superfici e con gli effetti di luminosità, riflessione e trasparenza. Un vetro satinato, ad esempio, schenna due ambienti, li rende reciproca­ mente impermeabili, ma non del tutto: l'osservatore non sa cosa sta oltre, ma è in grado di riconoscere sagome e movimenti. Su questo tipo di visione si possono così creare effetti seduttivi - è il caso della celeberrima scena dello striptease di 9 settimane e Ij2 (Lyne, USA 1986) - o legati all'innalzamento di tensione - come avviene nell' altrettanto nota sequenza della doccia in Psycho (Hitchcock, USA 1960) . Una ten­ da alla veneziana posta su una parete in vetro consente di modulare gli sguardi: se completamente aperta permette una visione simmetrica (si può guardare ed essere visti); se completamente chiusa si propone come schermo (non si può guardare né essere visti) ; se semioscurata dà vita a una visione asimmetrica in cui chi sta all'interno , in una po­ sizione di superiorità, può sbirciare l'esterno ma difficilmente essere notato. Il vetro più la tenda, in altri termini, creano una concatenazio­ ne di oggetti, un sintagma interoggettivo (Marrone, 2002 ) , che modula i limiti dello spazio e regola le relazioni interpersonali. Lo sguardo è cioè simmetrico nel caso in cui due soggetti possono diventare l'uno osservatore dell'altro, viceversa è asimmetrico quando l'articolazione complessiva del luogo e/o l'uso di determinati materiali consentono di vedere senza esser visti. È questo il principio sul quale si basa il Panopticon di Bentham, studiato da Foucault (1975): una pri­ gione a pianta circolare intorno alla quale sono disposte le celle con al centro una torre di controllo. La guardia posta sulla torre, grazie alla sua posizione sopraelevata, domina con lo sguardo i carcerati, che, però, non possono verificare l'effettiva presenza di un sorvegliante: paradossalmente il dispositivo continuerebbe a funzionare anche se sulla torre non ci fosse nessuno; la sola consapevolezza di essere co­ stantemente osservati impedirebbe ai prigionieri di compiere atti di rivolta. L'articolazione spaziale regge, in sostanza, il dispositivo del controllo, grazie proprio a un'asimmetria di sguardi che si traduce in un'asimmetria nelle relazioni di potere. Contrariamente a quanto ac-

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

cadeva nelle segrete, in cui il condannato doveva essere privato della luce, qui vige il principio della piena visibilità, che, però, dice Fou­ cault, si rivela " una trappola" . A un simile principio si è ispirata un' ar­ tista di origini italiane, Monica Bonvicini, quando nel 2004 ha esposto in una via di Londra Don't Miss a Sec (FIG. 3.7) , una toilette pubblica con pareti specchiate: chi vi entrava dentro poteva guardare verso l'e­ sterno, mentre da fuori si notava soltanto un parallelepipedo fatto di specchi. L'opera mirava a sedurre e attrarre gli spettatori proprio in virtù di questo gioco di esibizione e voyeurismo negati, proponen­ do, tra l'altro, un ragionamento ironico sulla definizione della catego­ ria pubblico/privato. Non a caso, tra l'altro, l'opera è stata installata proprio dove nei secoli precedenti era sorto il primo penitenziario di Stato inglese progettato sul 1nodello panopticon: Don't Miss a Sec produceva senso già a partire dalla sua ubicazione, portando memoria e citando uno dei suoi modelli ispiratori.

FIGURA 3 · 7

Don )t Miss a Sec, di Monica Bonvicini, Londra

2004

4

Praticare

Spazi

4- 1 e luoghi

Se si decide di " comprare uno spazio" (una casa, un'automobile, un viaggio, un posto a sedere in una sala cinematografica) ci si porrà il problema di cosa esattamente acquistare (come si susseguono le stan­ ze nell' appartamento? Come è fatta la macchina? Quale meta andare a visitare? Dove sedersi? ) . A questo punto, probabilmente, entrerà in gioco l'immaginazione insieme a tutta una serie di supporti (mappe, piante, planimetrie, fotografie, depliant ecc . ) in linea di principio volti ad agevolare la decisione e a far com prendere quale soluzione si confà meglio alle proprie esigenze. Si potrà lavorare su un doppio binario: cercare di capire l'articolazione complessiva di ciò che si vuole acqui­ stare oppure immaginarsi già immersi nel luogo, dediti a una qualche attività (abitare, guidare, visitare, guardare il film ) . Nel primo caso si vedrà lo spazio come se fosse "vuoto" e inquadrato dall'alto, nel secondo come se fosse " pieno" e praticato dal basso. Un conto sarà valutare l'automobile dall'esterno o osservare una sua rappresentazio­ ne in sezione, verificando qual è la distanza relativa tra le parti che la compongono, quali sono le sue dimensioni ecc. ; un altro sarà fare un giro di prova, cimentarsi nel posteggio, controllare dal vivo l'effettiva capienza del bagagliaio. È su questo genere di considerazioni che si basa de Certeau ( 1990) quando distingue luogo e spazio : il primo è una " configurazione istan­ tanea di posizioni " , un' articolazione che è, per così dire, il frutto di un'astrazione da quello che vi accade; il secondo è invece un " luo­ go praticato" , territorio popolato da soggetti e animato dai loro pro­ grammi di azione. Vedere la pianta della casa (in quanto luogo) avrà il pregio di fornirci un quadro complessivo della sua organizzazione,

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

percorrerla (in quanto spazio) ci renderà consapevoli di ostacoli e det­ tagli (a scapito di una visione di insieme) . Da qui, ad esempio, la sem­ pre maggiore diffusione dei virtual tour che invadono portali turistici e siti di agenzie immobiliari e che cercano di integrare la visione delle mappe con simulazioni dell'esperienza di fruizione. Analogamente, salire sulla Tour Eiffel a Parigi permetterà di indi­ viduare i diversi quartieri e di comprenderne le reciproche relazioni spaziali; girare per le vie del centro invece consentirà di soffermarsi sui particolari degli edifici e sugli spostamenti degli abitanti che ani­ mano il tessuto cittadino. La visione panoramica itnplica una volontà di presa onnicomprensiva della città; tuttavia questo tipo di sguardo " interpone una distanza " , definisce una relazione impersonale tra il soggetto e lo spazio, costringendo l'osservatore ad astrarsi da ciò che effettivamente accade. Nella città inquadrata dal basso, invece, a una perdita di configurazione globale si accompagna un arricchimento di comprensione localizzata, si vive un dialogo faccia a faccia con l' abi­ tato. Se vogliamo, è quello che grosso modo accade nel passaggio da Google Maps (luogo, presa globale) a Google Street View (spazio , lo­ calizzazione parziale) . Nella visione di de Certeau, insomma, lo sguar­ do dall'alto corrisponde a una visione ordinatrice e in un certo senso falsata; viceversa lo sguardo dal basso, quello della pratica, introduce il soggetto nel regno del disordine, una sorta di anarchica libertà me­ glio in grado di restituire il reale senso dei luoghi. 4· 2 Contesti

Ogni elemento dello spazio assume significato anche in base a ciò che lo circonda: un hotel posto nei pressi di un aeroporto, e dunque al di fuori del circuito urbano, servirà principalmente ad accogliere viag­ giatori in transito verso altre destinazioni o coloro che hanno avuto disguidi con i voli; cosa ben diversa sarà una struttura ricettiva ubicata nel centro storico, deputata per lo più a ospitare turisti che intendono visitare la zona. L'albergo assume significati differenti in relazione al più ampio contesto in cui si situa (l'aeroporto in un caso, i monumenti nell'altro) ed è di conseguenza destinato a essere investito di valori differenti dai soggetti che vi entrano in contatto. Ancora una volta, si impone la lezione strutturalista per cui sono le relazioni sintagma­ tiche·:� (l'albergo assume significato sulla base dei posti che lo circon-

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4· PRATIC ARE

dano) e paradigmatiche1: (l'albergo assume significato sulla base degli altri alberghi da cui potrebbe essere sostituito) - a definire il senso dei singoli elementi che compongono un dato sistema. Non solo, ma la distinzione tra testo e contesto è arbitraria: posso scegliere di andare a fare shopping nel (e dunque considerare come testo il) negozio di Gucci di Milano o soffermarmi sull'intera via Montenapoleone o ancora prendere in considerazione il quadrilatero della moda, il quartiere, la città e così via. La scelta di cosa definire come testo si determina, cioè, a partire da un dato livello di pertinenza dell'esperienza che si vive o ci si appresta a vivere. Analogamente, se intendo intraprendere un'analisi semiotica degli spazi posso decidere di considerare come testo un quadro, la stanza in cui l'opera è conte­ nuta, il museo, l'insieme dei musei della città e così via. Ciò che rima­ ne escluso dallo sguardo situato dell'osservatore, sia esso utente del­ lo spazio o analista, può essere indicato, in sostanza, come contesto. Quest'ultimo, quindi, non è qualcosa di totalmente avulso dal testo, ma risponde alle stesse logiche e può essere, a determinate condizioni, esso stesso un testo. Ragione per cui preferiamo parlare di co-testo, nel senso di ciò che accompagna il nostro oggetto di riferimento. Se scelgo di focalizzarmi su una singola attività commerciale ( Gucci) , via Montenapoleone rappresenterà il co- testo (e non potrò non rilevare quali siano le caratteristiche distintive del negozio rispetto a quelli vicini, per esempio) ; se invece decido di concentrarmi sull'intera via dello shopping del lusso per antonomasia, non potrò evitare di fare riferimento alle arterie circostanti, andando a identificare, per rile­ vazione di analogie e differenze, quali siano le caratteristiche distin­ tive della strada di riferimento. È il testo (per come viene definito da chi lo osserva), in altri termini, a indicare quale sia il suo contesto (o co-testo) di riferimento o, di converso, seguendo Lotman (1998, pp. 39-40 ) : «[ . . . ] qualsiasi testo complesso può essere considerato come un sistema di sottotesti, per i quali esso rappresenta il contesto, uno spazio entro cui si compie un processo di formazione semiotica di significa t o». 4·3 Progetti

Progettare i luoghi è un'operazione complessa: non basta, infatti, pen­ sare strutture resistenti, ambienti capienti o aree dedicate a specifiche

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

funzioni, ma occorre più profondamente inscrivervi dei valori, preve­ dere un utente che li condivida e se ne appropri, costruire un percorso di lettura dello spazio, immaginare l'uso che se ne farà. Non a caso esistono esperti di visual merchandising che si occupano di studiare la migliore disposizione delle merci all'interno dei negozi, l'illuminazio­ ne, la strutturazione delle vetrine al fine di agevolare il percorso del cliente, di rendere attrattivo il punto vendita e di favorire un incontro accattivante tra prodotto e fruitore degli spazi. Si danno in questo ambito vere e proprie regole di esposizione: il layout a griglia delle attrezzature (la disposizione delle scaffalature su linee parallele) , ad esempio, garantirebbe una buona visibilità dei prodotti e si rivelereb­ be adatto a comunicarne la convenienza economica; il layout a isola, invece, con le sue disposizioni irregolari intorno a un nucleo centrale, determinerebbe un percorso più libero ( Sabbadin, 1991) . Nel fornire un contributo alla progettazione del supermercato della catena Mammouth a Lione, Floch (1988) si chiese, a partire da una serie di focus group e interviste ai clienti, quale potesse essere la migliore organizzazione della superficie di vendita. Gli spazi erano investiti dai potenziali utenti di valori differenti: da un lato c'era chi considerava il supermercato per il suo valore d'uso (come mezzo di approvvigionamento dei prodotti), dall'altro chi invece lo investiva di un valore di base (il luogo rappresentava non un mezzo, ma un fine at­ traverso il quale esprimere la propria identità) . Da un lato, cioè, c'era chi vi inscriveva un valore di tipo pratico e desiderava un'organizza­ zione comoda e funzionale del negozio, dall'altro chi vi ricercava un valore di tipo utopico, preferendo un 'articolazione in grado di favorire la convivialità. Ancora, negando i valori di base, c'era chi investiva il negozio di valori critici, apprezzando tutte quelle strutturazioni in grado di aumentare la leggibilità interna degli spazi, e chi, negando i valori d'uso, preferiva vivere l'ambiente come un gioco, in cui lasciar­ si sorprendere e divertirsi, in una valorizzazione prettamente ludica. Riassumendo quanto detto all'interno del quadrato semiotico, avremo l'assiologia dei valori di consumo, un modello che è stato applicato a una pluralità di ambiti differenti, tra cui, appunto, anche quello della spazialità (SCHEMA 4. 1). Sulla scia di queste considerazioni, Floch propose una serie di in­ dicazioni operative per la progettazione che tenessero conto dei valori inscritti nell'ipermercato da diverse possibili categorie di utenti. Chi si posizionava sui poli pratico-critici avrebbe apprezzato uno spazio

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4· PRATIC ARE

SCHEMA 4.1

Valori d'uso o utilitari

Valori di base o esistenziali

VALORIZZAZIONE

VALORIZZAZIO E

PRATICA VALORIZZAZIONE CRITICA

Negazione dei valori esistenziali

x

UTOPICA VALORIZZAZIO E UTOPICA

Negazione dei valori utilitari

"semplice e continuo " in cui rintracciare agevolmente la merce cer­ cata, mentre chi si poneva dal lato ludico-utopico avrebbe prediletto uno spazio " complesso e discontinuo" in cui perdersi e divagare. Al cliente che apprezzava la valorizzazione pratica, ad esempio, si poteva proporre un luogo ben illuminato, organizzato per svincoli e viali at­ traverso cui districarsi setnplicemente nel negozio; all'utente critico si potevano affiancare cartelli e indicazioni in grado di facilitare l' orien­ tamento. Ancora, al consumatore utopico potevano essere dedicate zone che simulavano un giardino in cui far rivivere l'esperienza di un acquisto al mercato; infine, per il fruitore ludico potevano essere pensati piccoli corner organizzati come un " mercatino delle pulci" , in cui divertirsi alla ricerca della merce. Come si può notare, questo modello è in grado di motivare gli stru­ menti utilizzati dal visual merchandising (il layout a griglia è più adatto a un consumatore pratico-critico, quello a isola a uno ludico-utopico) e di fornire indicazioni su possibili soluzioni da adottare in relazione al tipo di clientela previsto. Oltretutto, questa classificazione ha il me­ rito di suddividere i fruitori non sulla scorta delle classiche variabili socio-demografiche solitamente utilizzate per segmentare il mercato (e sempre meno adatte a catturare stili di consumo sfuggenti ) , ma in base al tipo di valore che gli stessi soggetti ricercano in un dato spazio. Strutturare un luogo significa fornire istruzioni per l'uso su come fruirne e definire chiaramente i soggetti enunciazionali dello spazio (Marrone, 2001 ) , ovvero enunciatori ed enunciatari. Nel progettare un impianto sportivo terrò conto del tipo di utilizzatore previsto, provvedendo a crearmi un'immagine del mio Utente Modello (Eco, 1979): saranno richiesti interventi radicalmente diversi a seconda che si tratti di una struttura olimpica o di un campo urbano dedicato ad attività non agonistiche (materiali differenti, dimensioni più o meno

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

standard, strumenti qualitativamente diversi ecc. ) . Così, per fare un altro esempio, il percorso ben strutturato presente all'interno di tut­ ti i punti vendita IKEA ci fornisce l'immagine di un enunciatore che accompagna il cliente, indicandogli, attraverso le frecce stampate sul pavimento (un buon esempio di istruzioni per l'uso debrayate nello spazio ) , il più corretto percorso da intraprendere. Parallelamente l'e­ nunciatario inscritto in questo testo si adatta e accetta di farsi guidare: egli osserverà dapprima le atnbientazioni complete e le proposte di arredo, successivamente potrà girovagare e scegliere dagli espositori oggetti e complementi e, infine, recuperare e acquistare il mobilio in­ dividuato in confezioni compatte e relativamente pratiche da traspor­ tare. N o n convince quindi il risultato di una ricerca del Virtual Reality Centre for the Built Environment dell'University College of London (ucL), secondo cui l'organizzazione labirintica degli spazi IKEA farebbe perdere l'orientamento ai clienti per indur li ad acquistare un maggior numero di prodotti. Si tratta di una concezione troppo deterministica, tale per cui a certe articolazioni rispondono, secondo un principio causa-effetto, specifici comportamenti (la struttura labirintica auto­ maticamente indurrebbe all' acquisto)1• Piuttosto, quella dell'rKEA va letta come una proposta di senso, una proposta che va in direzione di un percorso di fruizione ritualizzato, scandito in precise tappe che dall'ammirazione di ambienti realizzati conduce all'acquisto di pezzi da riproporre a casa propria. Di modo che, come sempre più spesso accade, gli spazi commerciali propongono un'esperienza di fruizio­ ne quasi sacrale, configurandosi come luoghi di culto, vere e proprie " cattedrali del consumo" (Ritzer, 1999) . 4 . 3 . 1 . Efficacia

Più che ritenere deterministicamente che date articolazioni dei luo­ ghi producano certi risultati, è preferibile pensare in termini di effi­ cacia simbolica degli spazi. Ciò significa comprendere che tra luoghi e comportamenti non si danno relazioni di causa ed effetto, ma di significazione, ovvero relazioni solidali, di presupposizione recipro­ ca, tra elementi del piano dell'espressione ed elementi del piano del contenuto (cfr. PAR. 1 . 3 ) ; produrre alterazioni in uno dei due piani si-

1 . Si pensi, a mo' di controprova, a quante organizzazioni di questo tipo producono piuttosto un senso di disordine e disorientamento.

4· PRATIC ARE

gnifica trasformare anche l'altro. Lévi-Strauss (1958 ) , nell'introdurre il concetto di efficacia simbolica in campo antropologico, parlava del comportamento di uno sciamano, che, con il suo canto, agevolava il difficile parto di una donna della popolazione C una. Molti musei e monumenti dedicati alla consacrazione della me­ moria propongono visite fortemente ritualizzate e percorsi, fisici e mentali, che alla fine trasformano i fruitori (Pezzini, 2oro; Violi, 2oro; Mangano, 2oo8b) . Queste architetture si rivelano efficaci su più livelli di senso: somatico (la diffusione di suoni nell'ambiente, l'uso e l' acco­ stamento di materiali diversi nelle esposizioni, l'emanazione di odori implicano e attivano la presenza del corpo senziente del visitatore), pragmatico (barriere, aperture, ostacoli incanalano gli spostamenti fa­ cendo sì che l'utente attraversi lo spazio in modi più o meno liberi) , cognitivo (la visita trasforma il sapere del soggetto s u u n dato evento o periodo storico) e passionale (il percorso suscita una serie di reazioni patemiche che vanno dalla contemplazione alla rabbia, dal turbamen­ to alla speranza per un futuro migliore) . M a non si deve pensare che l'efficacia dello spazio coincida neces­ sariamente con le intenzioni di chi lo ha progettato; un luogo risulta efficace se agisce con e nei soggetti, indipendentemente dal fatto che gli effetti siano voluti o meno. Un edificio che ospita una facoltà uni­ versitaria, se non è chiaramente articolato o magari è punteggiato da porte chiuse che negano l'accesso ad alcune zone, può essere percepi­ t o come ostile e divenire oggetto di atti vandalici (Marrone, 2oor) . An­ che in casi del genere diremo che lo spazio si rivela efficace in quanto è in grado di innescare nei soggetti una serie di azioni e di reazioni, in un dialogo tra facoltà e studenti che avviene proprio a partire dai (e attraverso i) luoghi. Un caso particolarmente emblematico è quello della "Love Para­ de" svoltasi a Duisburg nel luglio 2010 e passata alla storia per i morti causati da un panico di massa . La conformazione della zona deputata a ospitare l'evento e i corpi che lo popolavano sono stati tra loro in una relazione di presupposizione tale per cui hanno funzionato in­ sieme creando un dispositivo tristemente efficace: un problema che è dipeso da limiti, restringimenti, passioni, densità di corpi, pratiche di attraversamento e configurazione complessiva dello spazio. La pre­ senza di un unico tunnel che regolava l'accesso ha creato quello che molti giornalisti hanno definito un effetto " imbuto" , un incanalamen­ to obbligato, in cui due forze ( in ingresso e in uscita) si sono scontrate.

7I

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

Da un lato due modalità di spostamento prospettico uguali e contra­ rie si sono trovate a convergere, incarnando un desiderio (di entrare e di uscire) ; dall'altro nuove forze hanno cercato di mettere in atto uno spostamento retrospettivo, frutto del timore (cercare di tornare indietro verso spazi precedentemente occupati) ( Greimas, 1976) . Con il risultato di un'inquietudine crescente che ha dapprima determinato una paralisi e successivamente è sfociata andando oltre le norme del senso comune che regolano la scansione dei percorsi e le modalità di appropriazione degli spazi. La tensione verso il 1novimento si è tra­ sformata in immobilità e ciò ha provocato un effetto contagio (L an­ dowski, 2001) , in cui la semplice co-presenza dei corpi ha causato la trasmissione di una forma patemica e pragmatica di comportamento. I presenti sono entrati tra loro in risonanza (Thom, 1968 ) , divenendo parte di un unico sistema di fatto non sco m poni bile. Ogni parteci­ pante ha perso la propria individualità, affermandosi come parte inte­ grante di una massa, soggetto collettivo dotato di un proprio corpo e di una propria passionalità. Non potendo sfruttare la dimensione oriz­ zontale, i giovani presenti hanno iniziato a utilizzare come via di fuga la dimensione verticale, arrampicandosi su per i muri e le recinzioni: i numerosi video che si ritrovano in rete sono per lo più girati dall' alto, mostrano il punto di vista di chi si è già salvato (punto di vista che corrisponde alla posizione del narratore onnisciente) . L'incertezza cognitiva, data dalla visione parziale di chi era a terra (ogni soggetto accalcato sugli altri era modalizzato secondo un non sapere cosa stava accadendo) e accentuata dalla copertura claustrofo­ bica del tunnel (figura che funziona fintantoché si riesce a intravedere un'uscita) , ha negato l'euforia della festa, attivando una passione di­ sforica, la paura, il panico generalizzato . L'efficacia simbolica è quindi il frutto delle relazioni che si pongono tra soggetti, spazi e oggetti, relazioni non universalmente individuabili, ma valide in specifici mo­ menti e contesti. 4·3 · 2 .

Eterotopie

Al di là dell'effettivo andamento dell'evento, il sito della "Love Para­ de" può essere considerato come un' eterotopia . Con questo termine, Foucault (1966, 1996) indica quegli spazi altri che estrapolano il sog­ getto dal contesto abituale riportandolo in un mondo per certi versi autosufficiente. Contrariamente alle utopie, luoghi immaginari che

4· PRATIC ARE

sovvertono o ricalcano uno spazio sociale, le eterotopie sono posti concreti, isolati dal resto, che riproducono il reale e al contempo lo ridicono, catapultando il soggetto, seppure per un periodo di tempo limitato, in una dimensione straniante. Se le utopie " consolano " , le eterotopie " inquietano" , hanno il potere di rimettere in discussione le abituali relazioni tra soggetto e mondo. Foucault illustra sei principi che reggono questi peculiari spazi. In primo luogo egli distingue eterotopie di crisi e di deviazione: le prime, sempre più rare nelle società contemporanee, accolgono soggetti che attraversano una particolare fase di passaggio (l'esempio riportato è quello del viaggio di nozze ) ; le seconde, invece, sempre più comuni nel mondo di oggi, sono destinate a ospitare soggetti devianti (come nel caso di manicomi, prigioni ecc. ) . Il carcere è una tipica eterotopia di deviazione: spazio precluso a molti, vi si può accedere dietro spe­ cifiche autorizzazioni (se si è in visita) o imposizioni (se si è detenuti); ha limiti forti che lo distinguono da ciò che lo circonda ed è in sé un piccolo mondo, con proprie regole di funzionamento, rituali, leggi. Il caso di prigionieri maltrattati da loro pari per aver commesso reati contro minorenni evidenzia, ad esempio, l'esistenza di un vero e pro­ prio codice etico secondo, valido in quel contesto, che si sovrappone a (e in parte riscrive) quello sociale. Il secondo principio si riferisce al fatto che nel tempo le etero­ topie possono vedere modificato il loro statuto. Si pensi al viaggio, in passato pratica esclusiva di giovani provenienti dalle classi agiate che dovevano istruirsi ed elevarsi spiritualmente attraverso l'incontro con le culture classiche (era questa la ratio del " Grand Tour" ) ; oggi sempre più meccanismo massificato di sospensione dalle attività quo­ tidiane (come dimostrano, tra l'altro, alcune politiche governative che concedono a famiglie a basso reddito bonus per i viaggi) . In terzo luogo all'interno dell'eterotopia si ritrovano in relazione dialettica più spazi in tensione tra loro. Così, ad esempio, in un parco giochi ci saranno diverse attrattive che implicano emozioni e prati­ che opposte, dai rilassanti tour all'interno di ambientazioni a tema ad adrenaliniche tnontagne russe. Analogamente, Googleplex, quartier generale di Google in California, accoglie aree adibite al lavoro e zone dedicate alla cura del sé e al tempo libero (parrucchieri, piscine, cam­ pi di bea eh volley). I l quarto punto evidenzia come l e eterotopie siano anche eterocro­ nie, nel senso che, analogamente a quanto accade per la dimensione

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

spaziale, viene rimessa in discussione anche la relazione dell'individuo con il tempo. In due possibili direzioni. Da un lato, ci sono luoghi che tendono a ricreare l'eternità: è il caso di musei e biblioteche, in cui prevale l'accumulo continuo (i musei della memoria, ad esempio, si propongono di perpetrare il ricordo) . Dall'altro, ci sono spazi che rimandano al tema della festa e ripetono un tempo cronico, come nel­ la "Love Parade" sopra citata, in cui è la continuità della musica e del ballo a definire lo scorrere delle ore. O ancora si pensi ai villaggi turistici: qui, in effetti, ci si distacca dal fluire abituale del tempo, che risulta piuttosto scandito dal palinsesto di attività proposte, in un ri­ petersi ciclico di momenti topici. Ma le due dimensioni (eterna e cicli­ ca) possono intrecciarsi tra loro, come avviene per tutte quelle mani­ festazioni folcloristiche finalizzate a illustrare i modi di vivere arcaici. Si pensi ai presepi viventi o alla cittadina di Williamsburg, in Virginia, che durante le festività natalizie diventa uno spazio di rappresentazio­ ne, con gli abitanti in costumi d'epoca che illustrano antichi mestieri e metodi di produzione di manufatti. In quinto luogo, le eterotopie sono regolate da un sistema di ac­ cesso differenziale, che spesso prevede precisi rituali: dal lascito degli oggetti personali e vestiti in favore di una divisa (come avviene in al­ cune carceri) , alla consegna di pass (è il caso dell'ingresso in crociera) , fino all'uso d i piccoli emblemi che sanciscono l'appartenenza a un dato spazio (in alcuni villaggi turistici il denaro è sostituito da palline di plastica colorate) . Infine, le eterotopie sono sempre in qualche modo correlate ai luo­ ghi abituali, li citano per modificarne alcuni aspetti; esse creano uno «spazio illusorio che indica come ancor più illusorio lo spazio reale» o definiscono un luogo «così perfetto, così meticoloso, così ben arredato al punto da far apparire il nostro come disordinato, maldisposto e ca­ otico» (Foucault, 1996, p. 3 1 ) , sorta di iperrealtà che per contraccolpo restituisce del mondo un'imtnagine confusa. Un interessante esempio in tal senso è costituito da Arcosanti, in Arizona, laboratorio urbano voluto da Paolo Soleri, in cui volontari provenienti da diversi paesi collaborano gratuitamente alla costruzione di una città sostenibile che risponde a precisi dettami (minitno itnpiego di spazi e materiali, campi di agricoltura biologica, uso di fonti energetiche rinnovabili ecc. ) . En­ trare in questo mondo separato e regolato da principi propri non può non richiamare alla mente il suo termine speculare, la città "normale " , quella che tutti noi siamo abituati a vivere.

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4· PRATIC ARE

4·4 Usi

Per studiare il modo in cui funziona lo spazio non basta fermarsi all'indagine della sua articolazione complessiva, ma occorre verificare il modo in cui esso è concretamente vissuto. Per quanto le proget­ tazioni definiscano i loro Utenti Modello, va sempre tenuto presen­ te che i soggetti empirici (quelli che Marrone, di contro ai soggetti enunciazionali, definisce soggetti sociali) potranno accettare o meno l'immagine che di loro è proiettata nello spazio, cioè potranno sceglie­ re di aderire al tipo di fruizione che gli viene proposta o reinventarne una diversa. Detto in altri termini, da un lato ci sono le pratiche per così dire im1naginate a monte (sorta di pianificazione strategica istitu­ zionale), dall'altro il concreto modo di vivere i luoghi (risposta tattica degli utenti con programmi e contro-programmi d'uso degli ambien ­ ti) . In quest'ottica, la città praticata è più autentica della sua forma astratta rintracciabile nelle mappe, poiché i cittadini d-enunciano co­ stantemente il testo urbano nel momento stesso in cui lo attraversano e lo abitano (Lynch, 196o; Barthes , 1967; de Certeau , 1990; Marrone, 201ob ). De Certeau (1990) parla di vere e proprie enunciazioni pedona­ li: percorrere è appropriarsi dei luoghi, proprio come parlare è appro­ priarsi della lingua. Con le loro pratiche individuali, gli abitanti con­ feriscono un senso allo spazio, confermando o spesso ri- inscrivendovi nuovi valori e nuovi significati. Le pratiche non sono ininfluenti sul sistema: l'uso individuale di un luogo può non essere previsto a monte, ma, secondo il meccanismo della prassi enunciativa (Fontanille, Zilberberg, 1998 ) , può sedimen­ tarsi a tal punto da diventare istituzionalizzato. Se vogliamo continua­ re con l'esempio dell'impianto sportivo (PAR. 4.3 ) , possiamo dire che dopo l'effettiva realizzazione del progetto potranno darsi due casi: gli utenti empirici coincidono con quelli modello e si adeguano alle prati­ che previste a monte (i cittadini si recano presso la nuova struttura per dedicarsi ad attività sportive di vario tipo); oppure gli utenti empirici non corrispondono agli utenti modello (ad esempio, il campo non è frequentato da aspiranti atleti, ma da giovani che lo utilizzano come luogo di incontro) . In questo secondo caso le pratiche risemantizza­ no lo spazio , vi inserivano un nuovo valore, lo utilizzano in maniera creativa per usi non previsti a priori. La cosa più interessante è che, in occasioni come questa, possono darsi effetti di ritorno: se la pratica

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diventa consuetudine può essere inglobata nel sistema (per esempio, il gestore può decidere di tenere aperta la struttura anche la sera così da istituzionalizzare l'abituale modo che i cittadini hanno di utilizzare questo spazio ) . Ancora, Piazza Magione a Palermo, un tempo sito abbandonato e dimenticato della città, ha iniziato ad accogliere nelle serate estive gruppi di giovani che ricreavano in termini flessibili siti di socializza­ zione (i ragazzi portavano con loro bibite, cibo, strumenti musicali e occupavano il prato di cui è composta la pavimentazione della piazza per trascorrervi la serata) . Successivamente, sono sorti chioschi adibiti alla vendita di snack e bevande, che hanno iniziato a strutturare la pratica. Infine, la nascita di veri e propri locali notturni intorno alla piazza ha affiancato all'abituale modo di vivere l'area spazi per defi­ nizione deputati alla socializzazione giovanile (Brucculeri, Giannitra­ pani, 20 1 0 ) . Per prassi enunciativa si è assistito a una trasformazione della zona in direzione di una sempre maggiore strutturazione: si è cioè nel tempo passati da uno spazio in/armale (quello dei gruppi che spontaneamente ricostituivano di continuo l'organizzazione del luo­ go) , a uno spazio semi-determinato (le strutture mobili dei chioschi), a uno pre-ordinato (i locali adibiti a una specifica funzione) (Hall, 1966) . Il fatto che molte persone si recassero nei negozi non solo per fare acquisti, ma per vivere un'esperienza di evasione, per ingannare il tempo o per ricreare momenti conviviali, ha indotto molti proget­ tisti a includere a monte plurime possibilità di lettura delle superfici commerciali; così, presso l'NBA stare di New York i clienti possono visitare una sorta di museo dedicato al basket, giocare a pallacane­ stro o guardare le partite in diretta. Allo stesso modo, in molti musei non è prevista soltanto una visita educativa, ma anche un'attività di svago, con angoli bar o punti scenografici da cui ammirare il panora­ ma sulla città2• Questi percorsi di lettura plurimi costituiscono inviti all'uso dello spazio predisposti dall' enunciatore che poi potranno più o meno essere realizzati dagli utenti (nulla vieta che ci si rechi all'NBA stare solo per fare acquisti o che si vada al museo esclusivamente per ammirare le opere esposte ) . L a prassi enunciativa implica proprio l'emergenza e il declino di modi di utilizzare un linguaggio (spaziale, nel nostro caso) e ciò ci

2. Così avviene all'Ara Pacis a Roma (cfr. Pezzini, 2009a, 2011 ) o presso lo scenografico ascensore del Reina Sofia a Madrid.

4· PRATIC ARE

porta ad affermare che la strutturazione e la progettazione non sono mai operazioni stabilmente definite, ma processi soggetti a continui cambiamenti in cui si trovano a interagire più voci. 4.4. 1 . Instabilità

Il senso dei luoghi non è quindi stabilmente istituito, ma soggetto a continue ridefinizioni; spesso gli utenti ri-semantizzano lo spazio, ov­ vero vi inserivano un nuovo valore, comportandosi da veri e propri bricoleur�:. Nell'estate 2010 si è affermata la moda del balconing, per cui gruppi di giovani turisti si tuffavano nelle piscine degli alberghi dai balconi e dalle terrazze dei piani superiori, sfidando la sorte pur di poter mettere on line il video della propria bravata. Al di là del richiamo a un motivo, quello del salto nell' acqua, che rimanda a un universo mitico e rituale di origini antiche ( Seppilli, 1977), ci interessa qui rilevare come la funzione primaria del balcone (affacciarsi, con­ templare il panorama, prendere una boccata d'aria) veniva negata in favore di un'altra (lanciarsi come da un trampolino) . Analogamen­ te nell'ottobre 2010 a Terzigno, in occasione delle proteste contro la creazione di una discarica, gli abitanti hanno eletto a centro ideale della rivolta la discussa rotatoria di via Panoramica, ridefinendo così il senso di quel segmento urbano. Se la rotonda è infatti solitamente un luogo di passaggio automobilistico deputato alla disciplina del traffi­ co, in questo caso essa è divenuta perno nevralgico di socializzazione, centro simbolico della protesta, elemento aggregante e identificativo dei rivoltosi, non a caso soprannominati " i ribelli della rotonda" . Ma non sono solo le concrete pratiche d'uso a determinare som­ movimenti nel significato dei luoghi; a ciò contribuisce anche la so­ vrapposizione e la stratificazione di diverse voci che enunciano uno stesso spazio. Ne sono un esempio tutte quelle attività di co-marke­ ting attraverso cui più brand instaurano all'interno dei punti vendita una narrazione polifonica, caricando i luoghi, per periodi di tempo più o meno lunghi, di nuovi significati. Qualche anno fa Lafayette Gourmet e Yahoo (in quel 1no1nento interessato a far conoscere la sezione del portale dedicata agli incontri on line) hanno progettato una singolare iniziativa per cui, un giorno a settimana, i consumatori single potevano dotarsi all'interno del negozio di un carrello viola e rendersi così facilmente identificabili agli occhi degli altri clien­ ti. L' inserimento di un nuovo enunciatore (Yahoo ) e la presenza di

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nuovi attori ( i carrelli viola e gli ormai riconoscibili single) hanno ridefinito il senso dello spazio, considerandolo non solo come posto in cui andare a fare la spesa, ma anche come punto di incontro in cui mettersi in mostra di fronte a potenziali anime gemelle. Ancora più evidentemente i luoghi si trasformano nel tempo, non cancellando però del tutto caratteristiche precedenti. Il presente di uno spazio tiene, infatti, traccia del passato, dei diversi enunciatori che vi si sono susseguiti, delle funzioni cui è stato adibito, delle pra­ tiche che vi hanno avuto luogo. E tanto più complesso è il testo spa­ ziale, tanto più sarà necessario evidenziare queste trame: Volli (200 5 ) , ad esempio, parla della città come d i u n intreccio stratificato e i n con­ tinuo divenire, in cui la dimensione conflittuale è in un certo senso ineludibile. Nella prospettiva lotmaniana, le città sono poliloghi (Lot­ man, 1987) , entità in cui dialogano tra loro diverse istanze frutto di in­ tersezioni sin croniche (nel quartiere della moda milanese, ad esempio, si incontrano e si scontrano discorsi giornalistici, rituali di consumo, elementi di politica commerciale ecc . ) e diacroniche (ogni edificio, ad esempio, reca traccia della sua epoca di appartenenza e dialoga con le architetture che gli sorgono intorno). Il Museo d'Orsay di Parigi era una stazione (Zunzunegui, 2003 ) , l'ex centrale termoelettrica Montemartini d i Roma è divenuta un polo espositivo dei Musei Capitolini: in questi casi l'operazione di rifunzio­ nalizzazione degli spazi ha previsto una cancellazione del significato pratico (la stazione come luogo deputato agli spostamenti, la centrale come area dedicata alla produzione di energia) e un investimento di tipo estetico-cognitivo (il 1nuseo co1ne centro adibito all'esposizione di oggetti da ammirare e da cui apprendere). Tali trasformazioni non sono mai neutre, ma danno vita, come dicevamo, a nuovi processi che si intrecciano con quelli passati: Questo gioco di oscillazioni tra le forme e la storiaè un gioco di oscillazioni tra strutture ed eventi, tra configurazioni fisicamente stabili (e descrivibili oggettivamente in quanto forme significanti) e il gioco mutevole degli acca­ dimenti che conferiscono loro nuovi significati (Eco, 1 9 68, p. 212) .

Così, nel caso della Centrale Montemartini, statue e oggetti che vanno dalle origini di Roma fino all'epoca imperiale si stagliano sullo sfondo dei vecchi macchinari della centrale producendo un discorso innova­ tivo e portando avanti una doppia narrazione: di archeologia indu­ striale e di archeologia artistica (Ham1nad, 2oo6) .

4· PRATIC ARE

Infine, il senso dei luoghi non varia solo nel tempo, ma anche con il mutare della cultura di riferimento: il mare è un elemento quoti­ diano e talvolta un ostacolo per un isolano che vuole raggiungere la terraferma, mentre è un qualcosa di eccezionale e un oggetto di desi­ derio per un abitante dell'entroterra in cerca di vacanza. Il significato di uno spazio dipende da una griglia di lettura, collettiva o individuale che sia, dall'adozione di un livello di pertinenza a partire dal quale si decide di inquadrare una data zona. Allo stesso modo, il centro e la periferia non hanno un significato antologico, ma si definiscono reci­ procrunente (un centro è tale a partire dall'identificazione di un ele­ mento periferico e viceversa) ; sono esiti di processi di valorizzazione e de-valorizzazione degli spazi (Cervelli, 2oo8 ) . Non si tratta quindi di entità stabili, ma soggette a continue variazioni che veicolano preci­ se concezioni della struttura urbana e delle relazioni di potere che si evolvono al suo interno. Non solo, ma il centro di una città è ciò che risulta primario in relazione a una qualche dimensione ritenuta rile­ vante: il centro di affari sarà differente dal centro turistico, che, a sua volta, potrà non coincidere con il centro inteso in termini commerciali o politici e così via.

Terrain vague Un tipo di luogo per definizione instabile che per il suo peculiare sta­ tuto merita un approfondimento è il terrain vague. Si tratta di una porzione di spazio abbandonata, "vaga" appunto, residuale e spesso definita in negativo (non abitata, non frequentata, estranea) . Aree di­ smesse e non edificate, sottopassaggi, zone ingombre di macerie: posti esistenti eppure non considerati, marginalizzati, reclusi in uno statuto di sospensione rispetto al resto che li circonda. I terrain vague si ritrovano spesso anche vicino a zone urbane in­ tensamente popolate e vissute, si configurano come vere e proprie " periferie centrali" che fanno emergere per contraccolpo lo spazio intorno come luogo normalizzato e destinato a specifiche funzioni, come centro pieno e significante. Ciò consente di identificare un più profondo meccanismo di strutturazione dei testi spaziali, indicato da Lotman (1987, 1992) con il termine omeomor/ismo: non solo, come ab­ biamo visto, ogni luogo per definirsi ha bisogno di contrapporsi a ciò che ne sta al di fuori, ma, a un livello inferiore, esso ripropone al suo interno quelle stesse opposizioni che lo fondano. Non solo, cioè,

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il centro si istituisce di contro alla periferia, ma la riproduce al suo interno, di modo che ci sarà una periferia del centro (il terrain vague), così come un centro della periferia (ad esempio, un piazzale di un quartiere periferico, eletto a luogo di incontro degli abitanti) . I n un'ideale passeggiata, avvertire l a presenza d i u n terrain vague significa cogliere uno scarto percettivo, una variazione di ritmo rispet­ to a una presa abituale dei luoghi (Granelli, 2oo8 ). Entrarvi dentro, attraverso un sistema di soglie e di limiti variamente definiti (ci sono terrain vague che si distinguono solo per variazioni graduali nel tipo di terreno o spazi privati e abbandonati con precise recinzioni) , implica il venire in primo piano di una dimensione estesica, relativa, cioè, ai sensi: bisogna attraversarli facendo attenzione a ciò che si calpesta, alle superfici sconnesse; è necessario guardarli attentamente, metten­ do in funzione uno sguardo aptica�·� (Solà-Morales, 1994) . I terrain vague sono spesso definibili come termini neutri (non sono luoghi naturali e neanche culturali, non sono aperti e non sono chiusi, non fanno parte a pieno titolo della città ma non ne sono al di fuori) e proprio per questo loro statuto sono soggetti a continue ri- attribuzioni di senso da parte degli attori che li frequentano (Marrone, 201oc; Ciuffi, 2oo8) . A causa di questa scarsa strutturazione i soggetti che vi entrano in contatto possono reagire patemicamente in modi opposti: c'è chi li vive euforicamente come posti in cui poter fare ciò che si vuole, c'è chi ha paura di quanto può avvenirvi all'interno (Cervelli, Sedda, 2oo6) . Spazi in un certo senso di libertà, proprio perché non istituzionalizzati, deviano tra usi che non si lasciano irreggimentare e sono spesso vissuti in primo luogo da individui anch'essi non incanalati in una visione nor­ mativa (clochard, soggetti devianti ecc. ) . Ecco perché possono essere scelti come location di pratiche alternative, dallo spaccio di droga al rave, ma anche essere al centro di ridefinizioni dall'alto, come nel caso di amministrazioni che decidono di riportarli all'uso, di stabilizzarne il senso. È quanto accaduto al Foro Italico a Palermo ( Marrone, 201oc) , u n tempo parte integrante del tessuto urbano (era l a passeggiata a mare della città) e successivamente, dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, divenuto runpio terrain vague. Questa zona ha con­ tinuato a essere vissuta da migranti e talvolta da bambini, per via di alcune giostre che vi si trovavano, assurgendo in particolari occasioni (i festeggiamenti in onore di santa Rosalia) al suo vecchio ruolo di centro aggregatore. Un progetto di ltalo Rota ha dotato il Foro Italico di con­ fini ben precisi, facendolo diventare un nuovo spazio verde della città,

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4· PRATIC ARE

oggi pienamente riabilitato come parte integrante del tessuto urbano. Non solo, quindi, i terrain vague vengono quotidianamente vissuti da alcune categorie di soggetti, ma essi sono suscettibili di ridefinizioni dall'alto, di rinegoziazioni e risemantizzazioni secondo quei meccani­ smi di prassi enunciativa di cui abbiamo parlato (cfr. PAR. 4-4) . 4· 5 Percorsi

Spostarsi all'interno di uno spazio significa in qualche modo attribuir­ gli un valore, vettorializzarlo, metterlo in forma. Anzi, se ci pensiamo, non c'è prima il luogo vuoto con le sue dimensioni che poi viene vis­ suto, popolato e dotato di una direzione, ma un ambiente abitato che, semmai, per via di un processo di astrazione si svuota e diventa statico (Violi, 1996) . È cioè spesso la direzionalità del soggetto (data da sguar­ di, movimenti, individuazioni di figure) a fondare la dimensionalità dello spazio (Bertrand, 1995; Cavicchioli, 2002) . Ma come si articola il movimento? Da cosa è composto un percorso? Esso implica sempre un 'area di attraversamento, una serie di punti entro cui si snoda il tragitto, nonché qualcuno che lo com pie a partire da proprie com­ petenze e programtni di azione. Se decido di andare al supermercato vicino casa, lascerò la mia abitazione, supererò un incrocio, svolterò a destra e, infine, raggiungerò il mio obiettivo. Più precisamente, secon­ do Hammad ( 2008) , il percorso è dato, nel caso più semplice, da un soggetto che si muove attraverso una serie di disgiunzioni parziali (pri­ ma abbandono casa, poi l'incrocio, poi la strada) cui si accompagna­ no correlate congiunzioni parziali (lasciando l'abitazione, conquisto l'incrocio) , fino a raggiungere una congiunzione totale (il traguardo­ supermercato) . Si susseguono così diversi stati (soggetto congiunto o disgiunto da segmenti spaziali) e trasformazioni (progressive sepa­ razioni e unioni) che conferiscono al movimento un'intrinseca natu­ ra narrativa. Così, la vacanza è definita da spostamenti nello spazio (disgiunzione dal luogo di residenza, congiunzione con un ambiente nuovo, rientro alla normalità) tra cui si situa una qualche forma di trasformazione del soggetto (al tennine del viaggio il turista avrà ac­ quisito nuove conoscenze, sarà più rilassato o si sentirà spiritualmente diverso) . A ben pensarci un meccanismo analogo a quello in opera nelle fiabe, in cui la partenza e il ritorno incorniciano la trasformazio­ ne dell'eroe (Propp, 1928 ) . Si capisce così come l'idea del movimento

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

sia intimamente connessa all'idea di cambiamento (Violi, 1996): ogni spostamento implica una successione temporale all'interno della qua­ le succedono eventi, non fossero altro che modificazioni di posizione. Il percorso, però, non implica soltanto un soggetto che si sposta, ma anche un osservatore che lo inquadra. È a partire da un dato si­ stema di riferimento (e dunque da un dato punto di osservazione), infatti, che possiamo definire stasi e tnoto. Se sono su una nave che inizia a staccarsi dalla banchina, tni sembrerà che a muoversi sia l'im ­ barcazione accanto; solo adottando u n altro punto d i vista (ponendo un ideale osservatore sulla terrafenna) cotn prenderò che è il mezzo che mi ospita ad allontanarsi dal porto. Lo stesso vale per i piane­ ti: se adotto come sistema di riferimento locale la Terra, sarà il Sole a spostarsi intorno a essa, inversamente a quanto accade se pongo un immaginario osservatore in un punto della galassia. Il movimento presuppone, cioè, la presenza di un soggetto, che, con il suo campo percettivo, regola e definisce i rapporti tra le cose che gli si presentano di fronte (Merleau-Ponty, 1945 ) . Un itinerario è una successione ordinata d i tappe in cui s i susse­ guono attori, i quali, se compresenti, spesso seguono precisi rituali per la regolamentazione del passaggio (pensiamo a tutte le complesse norme del cerimoniale in materia di successioni tra cariche istituzio­ nali o allo stesso codice della strada che disciplina le precedenze). Focalizzandosi sulla struttura formale del percorso, Hammad compie un passo in più e propone un'idea secondo cui individui e spazi svol­ gono ruoli reversibili: un itinerario non sarà dato esclusivamente dalla progressione di un soggetto tra diversi punti, ma anche dalla succes­ sione di più individui all'interno di uno stesso sito. Se nel primo e più immediato caso l'attore si sposta nello spazio, nel secondo è il luogo a " percorrere" i soggetti. Facciamo un esempio. I cortei di protesta, manifestazioni di dis­ senso popolare, seguono regole ben precise. Essi prevedono, infatti, un unico corpo sociale percorrente che avrà maggiore peso politico e potere contrattuale quanto più sarà esteso (da qui le dispute sul nume­ ro di partecipanti) . All'interno di questa massa coesa, però, è possibi­ le ravvisare una precisa gerarchia di matrice passionale che regola la successione degli individui; essa si basa sulla categoria dell'intensità, ovvero del coinvolgitnento emotivo: le prime file ospitano i soggetti maggiormente presi dalla causa e via via di seguito fino alle ultime postazioni, per lo più com poste da semplici curiosi. Il percorso che il

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corteo compie si snoda lungo vie centrali e luoghi significativi che da un lato si correlano alla strategia della massima visibilità, dall'altro de­ vono toccare punti nevralgici per il tema della protesta e terminare in un luogo particolarmente significativo (il palazzo del governo, l' azien­ da che vuole licenziare ecc. ) . Un altro modo di protestare è dato però da quelle che possiamo definire manifestazioni " statiche" dei so m­ movitnenti sociali: i partecipanti, in questi casi, spesso sostano in una piazza e assistono a una serie di performance di diversi soggetti (poli­ tici, cantanti, opinionisti ecc. ) . Il criterio non è però, a ben pensarci, così diverso dal precedente: la progressione su un palco di personaggi noti, solitamente anch'essi gerarchicamente strutturati (le guest stars si esibiscono alla fine) , equivale a un percorso (che, quindi, in questo caso non implica un movimento in senso tradizionale) . In entrambi i casi citati, infatti, si tratta pur sempre di una successione ordinata, sebbene i ruoli svolti da spazi e soggetti siano invertiti. 4· 5.1.

Vincoli e obiettivi

L'esempio della spesa al supermercato rappresenta una particolare categoria di spostamento, ovvero quella finalizzata al raggiungimento di uno specifico obiettivo, ma nulla vieta che io mi sposti senza una meta ben precisa, in un movimento ondivago il cui fine diventa lo spo­ stamento in sé. Si possono così distinguere la ricerca e la passeggiata (Greimas, 1976) , in cui il "volere con oggetto" della prima si oppone al "volere senza oggetto" della seconda. Un conto è se un itinerario turi­ stico suggerisce di girovagare per la città alla scoperta della sua pecu­ liare atmosfera, un altro se indica precise vie da seguire e monumenti da andare a visitare. Nel primo caso, l'enunciatario sarà una sorta di vagabondo, definibile come colui che non ha doveri e non è assogget­ tato a uno spazio (Barcellona, 2002) , nel secondo sarà un visitatore che percorre tappe " obbligate" . Da un lato avremo un viaggiatore se­ dotto in nome di una sua presupposta competenza a orientarsi, di una sua autonomia e libertà di fare, dall'altro un turista il cui spostamento in un luogo sconosciuto è agevolato da precise indicazioni. Forse proprio perché spesso l'assenza di vincoli riesce a sedurre maggiormante il pubblico, molti musei hanno modificato la loro stra­ tegia comunicativa: da strutture in cui i percorsi erano rigidamente scanditi e seguivano un'evoluzione cronologica delle opere esposte (in un tipico patto comunicativo'" pedagogico) , si è passati a modelli crea-

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

tivi e flessibili che mirano a un impatto estetico sempre più svincolato dalla trasmissione di un sapere precostituito (Zunzunegui, 2003 ) . È il passaggio, in sostanza, dall'idea di museo-contenitore (deputato a far vedere le opere) a quella di museo-comunicazione che rilancia la crea­ tività delle diverse letture e coinvolge i visitatori attraverso esperienze di fruizione attive e polisensoriali (Ferraro, 2oo6; Hooper- Greenhill, 2ooo). Accanto a questa, va rilevata la tendenza a puntare sull'identità fisica del museo, grazie ad architetture eccentriche e attrattive che si impongono allo sguardo (si pensi al Guggenheim di Bilbao o a quel­ lo di New York) . Non solo il contenuto, dunque, ma anche lo stesso contenitore diventa opera estetica da ammirare (Pezzini, 2on) , vero e proprio brand che trascende i singoli elementi di cui è composto. C 'è da dire che anche quando sembra che il movimento non sia orientato verso un fine, in realtà esso non è privo di senso. Così, il viaggiatore che vaga senza una meta definita è in realtà impegnato a scoprire un volto della città, non meno del turista che ha già chiaro il programma da seguire; o, ancora, la passeggiata può avere un obiettivo preciso (ad esempio, scaricare la tensione, staccare dal lavoro ecc. ) , non meno evidente d i quello d i andare ad acquistare qualcosa al su­ permercato. Non solo, ma spesso anche le passeggiate senza meta sono soggette a precise regole sociali (Marsciani, 2007 ) . N e è un esempio, a Palermo, la zona di Piazza Politeama, frequentata il sabato sera da adolescenti, i quali, dietro apparenti forme di libertà di espressione, mettono in moto tutta una serie di com portamenti legati a singole por­ zioni di spazio urbano: c'è un'area deputata all'esibizione degli skaters, una zona in cui le ragazze si mettono in mostra come su una passerella, una galleria in cui ci si può lasciare andare a urla e schiamazzi e così via. La passeggiata, dunque, in questi casi, lungi dall'essere movimento de­ funzionalizzato, risponde a precisi rituali e manifestazioni identitarie (Mangano, Ventura, 2010) . 4· 5.2. Tappe

Come sottolinea Hammad ( 2oo8 ) , i percorsi sono elastici, ovvero espandibili e restringi bili in base ai livelli considerati: l'itinerario tu­ ristico all'interno di una chiesa può esser parte di un tour della città, che, a sua volta, può costituire un momento di un viaggio in una più ampia regione. Allo stesso modo la staffetta è una corsa di squadra, dotata di un inizio e una fine, e com posta da sotto percorsi di singoli

4· PRATIC ARE

corridori (segmentati a loro volta da un punto di partenza e da un punto di arrivo) . Ogni itinerario prevede, cioè, delle tappe, punti co­ spicui e salienti che scandiscono e ritmano il movimento (al semaforo ci si ferma per poi riprendere il cammino) , segnalano cambiamenti di direzione («Quando incontri la chiesa svolta a sinistra») o innestano altri percorsi (si pensi alle coincidenze dei treni) . I modi di porre in continuità i luoghi spesso prevedono vere e pro­ prie retoriche degli spostamenti (Augoyard, 1979; de Certeau, 1990). Si può, ad esempio, parlare di sineddoche quando si ravvisa una pro­ cedura di " addensamento" , tale per cui un certo elemento è eletto a rappresentante di un più ampio segmento spaziale. Così funziona spesso l'immaginario turistico che condensa l'idea di una città nella somma delle sue attrattive più rappresentative, dei suoi monumenti­ lago (Pezzini, 2oo6) : Parigi sarà la Tour Eiffel, il Louvre, N otre-Dame; Londra il Big Ben, la Tate Modern , Piccadilly Circus e così via. Al­ tro tipo di retorica è dato invece dall'asindeto, che prevede l'elisione, la cancellazione di determinate porzioni di spazio, come quando, ad esempio, pur di raggiungere il museo che intendo visitare prendo una scorciatoia, escludendo altre attrattive che mi si presenterebbero per­ correndo una strada più lunga. In generale, in un itinerario se non sono interessato a ciò che mi sta intorno tenderò a sottovalutare le tappe intermedie valorizzando la continuità del movimento; viceversa se sono un soggetto curioso tenderò a interrompere gli spostamenti a ogni piè sospinto, focaliz­ zandomi sugli elementi che mi circondano e divagando rispetto al mio traguardo finale. Proprio sulla base di queste considerazioni, Floch (1990) ha proposto una tipologia di frequentatori della metropolitana di Parigi basata sul modo di valorizzare il percorso all'interno delle stazioni. Gli esploratori sono coloro che prestano attenzione a quanto offre l'ambiente circostante; essi compiono veri e propri percorsi, che anche in un contesto standardizzato, come quello della stazione me­ tropolitana, presentano continue fratture (ad esempio, si soffermano a osservare i comportamenti degli altri passeggeri o a notare le varia­ zioni e le innovazioni presenti nello spazio ) . Al contrario i sonnambuli sono coloro che si lasciano trasportare dal flusso, tracciano traietto­ rie, non valorizzano lo spostamento, anzi, se possono si dedicano nel frattempo ad altre attività (ad esempio, leggono il giornale mentre si spostano da un punto all'altro della stazione) . I professionisti, invece, negano la discontinuità del movimento, realizzando sequenze, muo-

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

vendosi, cioè, all'interno dello spazio con grande maestria per aggi­ rare eventuali ostacoli e raggiungere velocemente il punto desiderato (cercano di evitare gli addensamenti di persone, tirano fuori in antici­ po il biglietto in modo da evitare inutili attese di fronte all'obliteratri­ ce) . Infine, i bighelloni atnano divagare, sospendono il movimento per lasciarsi sorprendere di tanto in tanto dalle attrattive che si presentano lungo il tragitto (ad esempio, si soffermano, incuriositi, a osservare concerti e spettacoli) , compiendo delle passeggiate.

SCHEMA 4.2

Dis continuità Esploratori

Continuità Sonnambuli

Percorsi

Traiettorie

Passeggiate

Sequenze

Bighelloni Non continuità

Professionisti Non discontinuità

Il modo di mettere in continuità i luoghi attraverso i percorsi è, dun­ que, correlato agli obiettivi degli individui. I fruitori degli spazi urbani, ad esempio, compiono un vero e proprio zapping (Amendola, 2005), attivano collegamenti tra nodi salienti della città che sono frutto di una certa chiave di lettura dello spazio (congiungere La Scala, il Piccolo e il Manzoni significa percorrere Milano in base a un' isotopia·k teatrale; unire invece La Scala, il Duomo e la Triennale evidenzia una più ge­ nerale isotopia estetico-culturale) . Non solo, ma le successioni tra le tappe dipendono anche da strategie progettuali: la scelta di istituire nuove arterie urbane (e dunque di consentire nuove forme di conti­ nuità tra spazi) non è mai neutra, in quanto determina nuove relazioni tra le zone che si vengono a congiungere; analogamente, collegatnenti frequenti tra due paesi limitrofi sono sintomo e al contempo causano maggiori interscambi (economici e sociali) tra gli abitanti. 4· 5·3· Ritmi

Non è soltanto la direzionalità e la congiunzione tra punti a definire un percorso, fondamentale risulta infatti anche la velocità. Da un lato

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4· PRATIC ARE

essa consente di distinguere il movimento dalla stasi (la velocità pari a zero corrisponde all'assenza di spostamento) , dall'altra lega tra loro spazio e tempo (anche in fisica, si ricorderà, la velocità è uguale al prodotto dei due), due dimensioni fondamentali dell'esperienza che intrattengono profondi e complessi legami. Abbiamo già visto come il percorso, in quanto processo orienta­ to, abbia una sua durata; rimane adesso da indagare la sua scansione interna, l' agogia, definibile come " ritmo musicale" dello spostamento (Alonso, 2005; Marrone, 2003; Zilberberg, 1994). Ogni tragitto è fatto di rallentamenti e accelerazioni, di velocità variabili che si rifanno a un differente rapporto con lo spazio. Talvolta il rittno è istituzionalmen­ te determinato: l'ingresso in chiesa di una sposa, ad esempio, è per definizione lento e cadenzato; il circuito delle automobili in un velo­ dromo prevede uno scatto iniziale, cui seguono fasi di rallentamento; una gara di nuoto prevede un inizio a velocità sostenuta e un' accele­ razione nello sprint finale. Altre volte è il modo abituale di praticare i luoghi a suggerire una certa scansione del percorso: chi attraversa una metropolitana tende a muoversi velocemente, adeguandosi quasi per contagio al flusso di gente che gli sta intorno; chi va in centro a fare spese può invece sperimentare la lentezza della passeggiata che rima spesso al venir meno di obblighi di altro tipo. Al variare della cadenza, muta anche il tipo di conoscenza del soggetto: l'accelerazione determina una diminuzione della porzione di spazio colta, viceversa il rallentamento amplia le possibilità per­ cezione (Beyaert-Geslin, 2010) ; la prima tende a far prevalere la " o " , l a disgiunzione tra spazi ( o m i soffermo s u u n elemento o s u u n al­ tro ) , il secondo la "e" , la possibilità di cogliere contemporaneamen­ te più luoghi (Zilberberg, 1994) . Si può così riprendere il tema delle possibilità di visione connesse ai dispositivi di mediazione (cfr. PAR. 3 . 6.1) . Spostarsi in città in automobile piuttosto che a piedi cambia non solo la velocità del percorso, ma anche il tipo di contatto con i luoghi, amplificando alcune possibilità (posso percorrere distanze più ampie) e narcotizzandone altre (noto meno particolari) . Muoversi in bici, invece, mette maggiormente in evidenza un gioco di sensazioni che lavorano sinergicamente tra loro (contatto con il terreno, odori, visione ravvicinata ecc . ) (Brucculeri, 2010) . Il ritmo del paesaggio è, in altri termini, come sostiene Fabbri (1998, p. 46) il frutto al contempo di «una organizzazione del territorio e una sintassi della visione». E proprio per questo ordine di ragioni, durante un viaggio la scelta del

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mezzo di trasporto non è mai neutra: il treno, ad esempio, consente di appropriarsi in termini graduali del nuovo spazio-tempo con cui si entra in contatto; l' aereo, di contro, catapulta istantaneamente il turista in una nuova dimensione cancellando la transizione graduale tra luogo di residenza e meta visitata; il primo presuppone uno sposta­ mento che fa parte integrante del viaggio, il secondo una vacanza che comincia non appena si tocca terra (Landowski, 1996; Urbain, 1991) . 4· 6 Corpi, spazi, lingua

Come abbiamo più volte ribadito, una relazione biunivoca lega spazi e soggetti. Da un lato, infatti, lo spazio acquista un significato a partire da qualcuno che gli inscrive un valore: una piazza, ad esempio, è un luogo di socialità conviviale solo se viene vissuta dai cittadini (altri­ menti rischia di divenire un terrain vague) ; una biblioteca funziona se gli individui vi si recano per studiare e consultare i libri (se chiunque vi accede parlando ad alta voce, verosimilmente essa diverrà un luogo di bivacco ) . Dall'altro lato, il soggetto è ineludibilmente inserito in una struttura spaziale che contribuisce alla definizione della sua iden­ tità (cfr. PAR. 1.2.2 ) : all'interno di una chiesa egli dovrà adottare certi comportamenti (parlare a bassa voce, meditare, pregare) e metterà in luce alcune sue caratteristiche (la spiritualità, la fede ecc. ) ; in pale­ stra quella stessa persona si comporterà diversamente (porrà in primo piano la sua prestanza fisica e il suo impegno, utilizzerà gli attrezzi, suderà ecc. ) . Come ha ben messo in evidenza l' actor-network theory (ANI) , d 'altro canto, le interazioni sociali avvengono in uno spazio che non si limita a fornire una cornice, ma contribuisce alla strutturazione dell'esperienza (cfr. Mattozzi, 2oo6 ) : in ambito lavorativo, ad esempio, i risultati raggiunti sono frutto di negoziazioni tra gli attori coinvolti anche a partire dal contesto spaziale di riferimento, dagli strumenti a disposizione e così via (Goodwin, 2003 ) . Tale ordine di considerazioni pone in primo piano l'ampia pro­ blematica relativa alla corporeità, proprio perché è in primo luogo attraverso questo fondamentale elemento di mediazione che il sog­ getto si relaziona con il mondo esterno. Anzi, non esiste corpo che non sia inserito nello spazio e ciò rende il contenimento la prima e più elementare esperienza umana (Violi, 1991 ) . La lettura del mondo avviene attraverso un corpo che è però già orientato e costituisce il

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4· PRATIC ARE

centro di referenza dello spazio: davanti/dietro, sopra/sotto, destra/ sinistra costituiscono i cosiddetti sei lati del mondo a partire da cui si rende possibile la localizzazione degli oggetti e l'orientamento nei luo­ ghi (Cardona, 1988 ) . Se dico «siediti alla mia destra» sto utilizzando il mio corpo come asse di riferimento; analogamente nella frase «vai nel retro della casa» sto proiettando quella stessa griglia sull'abitazione; o ancora il navigatore satellitare che suggerisce di girare a sinistra, lo fa in base a un orientamento corporeo che è quello del guidatore. A essere determinante nella percezione di uno spazio è la senso­ motricità che coinvolge contemporaneamente i sensi e il movimento (Fontanille, 2004) : è a partire dallo spostamento, lo abbiamo visto, che i luoghi vengono dotati di una direzione, di un orientamento, di un valore. E a essere coinvolta nella percezione del mondo non è solo la vista, ma anche suoni, odori, sensazioni tattili, in una presa che è, per definizione, sinestetica. L'idea del corpo come sensorio comune (Merleau-Ponty, 2003), in cui cioè le differenti sensazioni sono in­ trinsecamente legate tra loro, e della percezione polisensoriale dello spazio è, d'altro canto, riconosciuta sin dalle prime riflessioni semioti­ che sull'argomento ( Greimas, 1991; Greimas , Courtés , 2007) . L'effetto di accoglienza di un negozio non si avrà, ad esempio, solo a partire dalla gradevole disposizione della merce venduta, ma anche da una temperatura ambientale adeguata (né troppo caldo né troppo fred­ do) , da una musica consona al tipo di prodotto esposto (canzoni per bambini in un negozio di giocattoli, ad esempio) e così via. I già citati Abercrombie & Fitch creano un'esperienza di consumo polisensoria­ le grazie alla musica pop ad alto volume e al profumo che, diffuso co­ stantemente all'interno del punto vendita, colpisce il visitatore. Ana­ logamente, a Madrid, camminando sulla Gran Via, si viene a un certo punto attratti da un gradevole odore, che, si capirà dopo successivi percorsi, è emanato dalla sede della compagnia Telefonica: il soggetto impara quindi a riconoscere quel profumo, che diviene più intenso m an mano ci si avvicina all'edificio. Esso è un tratto identitaria della compagnia e, di fatto, modifica la percezione dello spazio espanden­ done i confini al di là della soglia di ingresso. Su questa scia Rastier ( 2001) ha individuato tre zone antropiche: una zona identitaria che coincide a livello spaziale con il luogo proprio (il qui) , una zona prossima identificabile nelle aree limitrofe (il là) e una zona distante individuabile nei luoghi percepiti o vissuti come estranei (l'altrove) . Queste articolazioni possono essere utili per analizzare il

INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

nostro modo di relazionarci agli spazi: il pericolo nucleare avverti­ to in Giappone dopo lo tsunami dell'n marzo 2on, ad esempio, non ha determinato reazioni di panico immediate in Italia perché situato nella zona distante; viceversa, il problema della localizzazione delle di­ scariche in alcuni centri italiani attiva numerose proteste dei residenti perché tocca la loro zona identitaria. C 'è chi ama viaggiare verso mete esotiche e magari sogna di trasferirvisi (valorizzando la zona distante) , chi preferisce vacanze che non provocano bruschi shock culturali (ad esempio, viaggia solo in Europa, prediligendo la zona prossima) e chi, infine, non si vuole mai spostare dalla propria città (zona identitaria) . Ma, c'è da dire, si tratta se1n p re di costruzioni discorsive (di come cioè questi effetti vengono ricreati all'interno dei testi) e di modi di abitare i luoghi da parte dei soggetti: nulla vieta di vivere il proprio ambiente come un posto esotico e distante o, viceversa, di sentirsi a casa propria all'interno di un'altra cultura. L'intrinseco legame tra spazio e corpo ci è restituito anche dal pro­ liferare di metafore spaziali nel linguaggio (Lakoff, Johnson , 1970): " essere giù di tono" , "stare in prima linea " , "saltare di gioia" sono espressioni che, più che vere e proprie metafore, pongono, come sostiene Violi (1991, pp. 82-3) , «corrispondenze fra categorie dell'e­ sperienza fisico-motoria e categorie dell'esperienza psichi co emotiva, che sono esperite insieme e congiuntamente». E anche laddove sem­ brerebbe esserci un'incoerenza, come nel caso di una valorizzazione discordante della polarità inferiore in espressioni quali " un pensiero profondo" e " un pensiero basso " , in realtà essa è perfettamente espli­ cabile in relazione all' intenzionalità di un soggetto in movilnento (un pensiero profondo coinvolge l'idea di una forza consapevole che lotta per conquistare quella posizione, mentre un pensiero basso implica il raggiungimento di una inferiorità involontaria) (Cavicchioli, 1996) . Spesso, poi, una griglia antropomorfa è proiettata sul mondo ester­ no, di modo che si avranno le " arterie" di comunicazione, il " cuore" della città, i " piedi" del monte, le " facciate " dei palazzi e così via: lo spazio diviene corpo esso stesso, organismo vivente, quando non ad­ dirittura dotato di propri programmi di azione e proprie emozioni (i terremoti sono, ad esempio, un " trauma" , la natura " parla e si ribella" ecc . ) . Tutti questi meccanismi che coinvolgono linguaggio, soggetti e spazialità si danno proprio perché il corpo è un 'istanza di referenza di base a partire dalla quale si conferisce un senso al 1nondo.

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Rappresentare

5·1 Spazio del testo

Qualsiasi testo si inscrive all'interno di una superficie e dunque di uno spazio: la pagina di un libro, la tela di un dipinto, la schermata di un sito web impongono ai contenuti precisi vincoli, che, come abbiamo accennato (cfr. PAR. 1 . 3 ) , non sono di per sé p rivi di significato. Le edi­ zioni pregia te di un 'opera, ad esempio, saranno stampate su una carta pesante e avranno ampi margini bianchi in modo da dare respiro alla parte scritta; viceversa, i libri economici si avvarranno di un supporto più leggero che sarà per di più fittamente stampato. E se pure le scelte di impaginazione di un libro non ne alterano in linea di principio i contenuti (le stesse parole possono essere riportate in svariati forma­ ti) , esse possono nondimeno modificare abitudini di lettura, proporre una certa immagine dell' enunciatore, instaurare rime o contrasti con i concetti esposti, invitare l' enunciatario a usufruire del testo in un certo modo. Quello che abbiamo definito spazio del testo non è cioè un sem­ plice supporto, ma un vero e proprio dispositivo significante. Nella fitta pagina delle "guide rosse " del Touring Club, ad esempio, la scrit­ tura fluisce continua, priva di brusche separazioni tra i paragrafi, in un'articolazione del piano dell'espressione che fa da rima alla conti­ nuità dell'itinerario proposto sul piano del contenuto (Giannitrapani, 2005). In questa guida, infatti, non vengono differenziati spostamenti esterni (da un paese all'altro) e interni (tra diverse attrattive di uno stesso luogo) , ma si descrivono in successione la strada per arrivare in un certo paese, il percorso per giungere ai monumenti da visitare, il cammino da compiere all'interno di una data chiesa.

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

5· 2 Testi visivi

Lo stesso vale per i dipinti, in cui la tela impone limiti di spazio all'espressione artistica, quando non diventa essa stessa la principa­ le protagonista dell'opera (si pensi ai celebri tagli di Fontana) . In un testo visivo andranno distinti da un lato la rappresentazione dei luoghi (spazio nel testo, cfr. PAR. 1 . 3 , o spazio simulato nei termini di Thiirlemann, 1981 ) , dall'altro la disposizione degli elementi all'inter­ no della superficie espressiva (spazio del testo o topologia planare) (ibid. ) . Il primo aspetto è relativo al cosiddetto livello figurativo��, e la riproduzione sarà a sua volta più o meno riconoscibile e verosimile in relazione al suo grado di densità figurativa-:� (un' opera impressio­ nista è più realistica di un dipinto astratto, ma meno di un quadro iperrealista) ; il secondo aspetto, invece, pertiene al cosiddetto livello plastico'� e prescinde da ciò che è raffigurato ( Greimas , 1984) . Questo livello è particolarmente interessante dal nostro punto di vista, per­ ché in grado di veicolare significati immediatamente comprensibili che vanno al di là del contenuto manifesto del testo in questione. Ad esempio, in molti dipinti a soggetto religioso gli elementi posti in alto rimandano a una sfera sacra, mentre quelli posti in basso a una profana; in tal modo si viene a determinare un sistema semisimboli­ co �� tale per cui: ESPRESSIONE

alto

CONTENUTO

basso

sacro

profano

O ancora, per raffigurare i danni dello tsunami avvenuto in Giap­ pone l'n marzo 2on, "Repubblica.it " ha proposto, nei giorni succes­ sivi alla catastrofe, una serie di foto satellitari (FIG. 5.1) in cui a sini­ stra veniva inquadrato il territorio prima dello tsunami e a destra la continuazione dello stesso territorio, ma colpito dall'onda anomala. L'itnmagine risultava comunicativamente efficace proprio a partire dal livello plastico, con categorie cromatiche (prevalenza del verde a sinistra vs prevalenza del marrone a destra) , eidetiche (linee ortogo­ nali a sinistra vs amalgama confuso a destra) e topologiche (sinistra vs destra) che si preoccupavano di rimandare, semisimbolicamente, all'opposizione tra prima e dopo, tra euforia e disforia, tra normalità ed eccezionalità (cfr. SCHEMA 5.1) .

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5 · RAPPRESENTARE

FIGURA 5 . 1 Raffigurazione del pre- e post-tsunami in Giappone

Fonte: http://tv.repu b blica.it/copertina/giappone-la-distruzione-vista-dal-cielo-foto-satellitari -a-confronto/6 4049?video=&ref=HREA-1

SCHEMA 5 . 1

E

c

sinistra

destra

linee ortogonali

amalgama confuso

CAT. EIDETICHE

verde

marrone

CAT. CROMATICHE

CAT. TOPOLOGICHE

euforia

disforia

CAT. TIMICHE

prima

dopo

CAT. TENIPORALI

normalità

eccezionalità

VALORI

In più, una barra al centro della foto poteva essere mossa con il cur­ sore (uno spostamento che, tra l'alto, rievocava il percorso dell'onda) per modificare la zona inquadrata ora in spazio p re-tsunami (m ovi­ mento della barra verso destra) , ora post-tsunami (movimento della barra verso sinistra) : in questo modo il lettore diveniva in un certo senso co-enunciatore del testo, trasformando l'immagine in base alle sue esigenze e focalizzandosi su un dato momento del processo rac­ contato (prima o dopo la tragedia) . Questo tipo di ragionamento mostra, tra l'altro, il superamento della tradizionale distinzione tra " arti del tempo" (la poesia, ad esem­ pio), che tenderebbero a privilegiare la dimensione dell'azione e dun­ que del susseguirsi degli eventi, e " arti dello spazio " (tra cui le opere pittoriche), che rappresenterebbero invece corpi legati da un rappor-

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INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DELLO SPAZIO

to di simultaneità. Come abbiamo appena visto, in un 'immagine pos­ sono darsi relazioni di successione (il prima e il dopo dello tsunami nell'esempio proposto) , così come, d'altro canto, nei testi verbali gli effetti di spazialità assumono un peso non indifferente nell'economia generale del racconto. Va in ogni caso sottolineato che se nelle opere astratte la sola an a­ lisi possibile riguarda il livello plastico, in quelle figurative lo spazio si­ mulato e la topologia planare si intersecano tra loro. Anzi spesso, come mette in evidenza Thurletnann, la seconda è in grado di d-significare il primo in termini poetici: così come nella poesia, infatti, la musicalità e il ritmo dei versi non sono indifferenti rispetto al messaggio trasmes­ so, allo stesso modo spesso in pittura il linguaggio plastico ispessisce la significazione del testo (come nel caso, sopra citato, dell'alto che rimanda al sacro e del basso che rinvia al profano) . 5.2.1. Classico e barocco

Di solito le categorie plastiche lavorano sinergicamente tra loro in modo da veicolare significati coerenti (è il caso delle foto satellitari del Giappone in cui aspetti cromatici, topologici ed eidetici contribu­ iscono insieme alla definizione dei semisimbolismi sopra individua­ ti) , fino a costituire vere e proprie estetiche dei testi. In semiotica, in particolare, si è fatto spesso riferimento al classico e al barocco, intesi non come riferimenti a precisi periodi storici, ma come modalità, in­ terdefinite, di trattare i testi visivi (Wofflin, 1915; Floch, 1995; Zilber­ berg, 2010) . L'identificazione di queste due estetiche si basa proprio sul livello plastico e, in particolare, su opposizioni topologiche. Di seguito, le cinque categorie che consentono di distinguere la conce­ zione classica (le cui caratteristiche sono indicate per prime) da quella barocca (secondo termine) . 1. Lineare vs pittorico: laddove con il classico predominano i contor­ ni, le linee rette e ben definite, l'isolamento degli oggetti; con il baroc­ co si assiste al primato della massa, in cui le singole forme tendono a confondersi. 2. Piano vs profondo: nelle rappresentazioni classiche è possibile iso­ lare una serie di piani ben distinti; in quelle barocche prevale un effet­ to di profondità complessiva. 3· Forma chiusa vs /orma aperta: la superficie espressiva delle opere classiche che racchiude gli elementi raffigurati; nelle opere barocche, invece, spesso le figure tendono a debordare oltre i limiti del supporto.

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5 · RAPPRESENTARE

4· Molteplicità vs unità: di fronte a un testo classico risulta facile identificare co1nponenti relativamente indipendenti tra loro; con il barocco, di contro, si impone una raffigurazione compatta e unitaria. 5· Chiarezza vs oscurità: non si tratta qui di individuare superfici chiare e scure, ma di comprendere se la luce si preoccupa di scandire la narrazione (effetto classico di chiarezza) o cade in termini per lo più casuali e irrazionali nello spazio (effetto barocco di oscurità) . Per illustrare i l funzionamento d i queste due estetiche, possiamo prendere in considerazione un annuncio Splendid (FIG. 5.2) : dal pun­ to di vista figurativo, molto semplicemente, esso mostra il momento terminativo di un incontro tra due tazzine (di cui sono evidenti i passi nelle orme lasciate sul piano) , incontro andato a buon fine e sanzio­ nato dalla headline «buono da soli, splendido insieme». In basso sulla destra compare il packshot, ovvero la raffigurazione del packaging del prodotto, che evidentemente riprende la scena raffigurata nel visual dell'annuncio. Se in quest'ultimo il racconto è chiaro, nel pack l'inter­ pretazione si fa più aperta; e, viceversa, il significato indeterminato della confezione, viene a specificarsi nell'immagine principale. Alla luce di quanto detto, possiamo affermare che il visual riprende in

FIGURA 5 . 2

Annuncio Splendid

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chiave classica la visione barocca del packaging. Nel visual, infatti, le figure sono racchiuse entro limiti chiari e definiti; si possono isolare tre piani (lo sfondo, la superficie di appoggio delle tazzine, la fascia in basso dedicata al testo promozionale) , distinti e frontali rispetto allo sguardo del lettore; la scena si svolge all'interno della pagina; non è difficile identificare e isolare gli elementi di cui è composta l'imma­ gine; la luce, proveniente dall'angolo in alto a sinistra, è abbastanza uniforme e contribuisce a focalizzare l'attenzione sul perno del rac­ conto (l'incontro tra le tazzine) . Nel packshot, di contro, le forme si intrecciano e si fanno meno chiare (la linea obliqua in alto del visual si trasforma, ad esempio, in due morbide fasce ondulate che contorna­ no, non nettamente, il brand name) ; i piani non risultano distinguibili; le tazzine fuoriescono dal pack; ogni elemento perde la sua indivi­ dualità, mentre la luce sembra illuminare a caso alcune porzioni dello spazio di rappresentazione. In sostanza, nell'insieme queste cinque categorie ci dicono che mentre nel classico prevale una forma di ordine e di discretizzazione degli elementi, nel barocco è preminente un effetto di con-fusione (nel senso che gli oggetti tendono a fondersi tra loro). 5. 2. 2. Dallo spazio simulato allo spazio di visione

Seguendo una quadripartizione proposta da Calabrese ( 1987 ), possia­ mo ulteriormente articolare la distinzione tra spazio simulato e topo­ logia planare. È possibile, infatti, distinguere una «profondità aldilà del quadro» (ivi, p. 162) , determinata da un effetto prospettico (reso possibile grazie anche alla cooperazione interpretativa dell'osservato­ re che riconosce nella superficie piana della tela un' articolazione tri­ dimensionale) e una «profondità aldiqua del quadro» (ibid. ), che si ha laddove lo spazio rappresentato sembra andare incontro allo spettato­ re invadendo il luogo della visione. È questo, per esempio, il caso delle nature morte, in cui la presenza di sfondi scuri, nicchie, mensole e si­ mili tende a favorire l'aggetto: gli elementi raffigurati debordano verso di noi, stimolando quasi effetti prensili (Calabrese, 1987; Corrain, Fab­ bri, 2004) . A queste spazialità simulate vanno aggiunte la «superficie del quadro in quanto superficie geotnetrica», con tutto ciò che abbia­ mo detto a proposito del livello topologico, e la «superficie materica» (Calabrese, 1987, p. 162) , ovvero lo spessore del quadro. Mentre, cioè, le prime due spazialità consentono di distinguere quelli che Fontanille

5 · RAPPRESENTARE

(1995b) chiama piani, ovvero elementi che convocano l' enunciatario a interpretare gli effetti di profondità dello spazio simulato, la super­ ficie materica si concentrerebbe sullo strato, ovvero sulle tracce suc­ cessive lasciate sulla tela dall' enunciatore. Queste tracce rinviano alla materialità del quadro, alla sua testura (si pensi alle gocciolature di Pollock ottenute con la tecnica del dripping) (cfr. Marin, 1980) . C om prendiamo così che tra l e com p lesse relazioni che legano spazialità e testi visivi rientrano anche tutte le problematiche con­ nesse all'enunciazione, relative al modo in cui l' artista inscrive la sua figura all'interno dell'opera e alle strategie attraverso cui si prefigura all'osservatore un certo modo di relazionarsi con essa. Si pensi, anco­ ra una volta, ai tagli di Fontana che imprimono sulla tela il gesto stes­ so della creazione, rendendo evidente la figura di colui che ha creato il quadro. O, di contro, alle nature morte, in cui l' effetto di reale* è frutto di una complessa strategia di simulazione a livello enunciato (gli oggetti riproducono con un'elevata densità figurativa le figure del mondo naturale) e di contemporanea dissimulazione dell'enun­ ciatore (la raffigurazione è oggettivante, sembra essersi fatta da sé, non ci sono tracce che rinviano al pittore) (Calabrese, 1987 ). A essere chiamato in causa in questo genere pittorico è invece l' enunciatario perché il quadro, attraverso l'aggetto, si proietta, come abbiamo det­ to, verso il fruitore. Un importante dispositivo che consente di modulare la distanza tra spazio della rappresentazione e spazio della visione è quello della cornice, che isola il quadro, lo definisce come testo a sé stante ed equivale, quindi, a un débrayage (proiezione di spazio, tempo e attori dell'enunciato, distinti dall'io-qui-ora dell' enunciatore, cfr. PAR. 3 . 1 ) . L a cornice è u n confine, u n limite (cfr. PAR. 2. 1 . 1 ) , e come tale intro­ duce uno scarto rispetto a ciò che la circonda (come se qualcuno, isolando l'opera rispetto al resto, ci indicasse una porzione di spazio privilegiata, da guardare) (Stoikita, 1993 ) . Essa funziona allora come la cinta muraria di una città che definisce un luogo interno urbano e valorizzato, opposto a un esterno desemantizzato ( Schapiro, 1996) . Di converso, i dipinti senza cornice tendono a invadere lo spazio non artistico, fino al limite a far coincidere l'opera con il mondo (si pensi in generale alla land art, che utilizza il territorio come supporto espressivo) . Nei trompe f ceilr lo spazio del quadro prosegue senza 1 . Su questo genere pittorico cfr. Calabrese (1987).

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soluzione di continuità nel luogo che lo circonda, producendo, pe­ raltro, un forte effetto di reale (non a caso, " inganno dell'occhio " ) . Questo genere pittorico prevede u n patto comunicativo basato sul­ la complicità e sull'ironia (l'artista sembra quasi sfidare il pubblico chiamandolo a interpretare !"'inganno" ) , laddove invece un classico dipinto incorniciato presuppone un enunciatore che mette fra vir­ golette l'opera indicandone esplicitamente la natura testuale. Ma si pensi anche a quei trompe f ceil che ricoprono edifici in restauro e mostrano anticipatamente l'esito del processo di ristrutturazione; essi convocano il fruitore e gli fanno una promessa, postulano un qualcuno che si impegna nei confronti del pubblico, mettendo in scena quello che sarà il risultato del lavoro2• 5 . 2. 3 . Mappe

Un tipo di rappresentazione di spazi talmente diffuso e sedimenta­ to da apparire come riproduzione naturale del mondo è quello delle mappe. In realtà, come la semiotica ha da tempo mostrato, il problema di questo genere di testo non è tanto quello di illustrare un referente (un progetto può esistere su pianta, ma non essersi ancora realizzato) , quanto piuttosto quello d i instaurare, come sempre, una relazione di presupposizione reciproca tra uno spazio significato (quello cui il di­ segno si riferisce) e uno spazio significante (quello rappresentato nel supporto espressivo) (Groupe 107, 1974). Dove spazio significato non è da intendere come luogo " reale " , ma semplicemente come elemento dotato, in quel testo, di un senso e, dunque, di una qualche forma di valore. Nelle guide della collana "jetlag" compaiono, ad esempio, rap­ presentazioni cartografiche di territori del tutto inventati: le mappe, in questo caso, mirano a costruire, insieme ad altri elementi, un effetto di reale, a istituire uno spazio valorizzato turisticamente, anche se non esistente (le " Guide jetlag" sono vere e proprie guide a luoghi imma­ ginari che ironizzano sul modo, spesso stereotipato, di comunicare mete e attrattive turistiche) . L a rappresentazione cartografica è sempre frutto d i un'inquadra­ tura su un dato spazio: l'osservatore è posto solitamente in alto, adotta una veduta zenitale, e il suo punto di vista è più o meno ravvicinato in relazione all'ampiezza del luogo raffigurato (se ci si sposta verso l'alto 2. Su questo tema cfr. Calabrese (2o1o) .

5 · RAPPRESENTARE

si riesce a inquadrare una più ampia porzione di territorio, se ci si avvicina a terra si restringe il campo di visione) . L'allo n tan amen t o del punto di vista fa perdere i particolari e dunque i dettagli figurativi dei singoli elementi: nelle fotografie satellitari laddove ci sono, poniamo, filari di viti, riusciamo al più a intravedere macchie di verde. Questa diminuzione di densità figurativa la ritroviamo anche nelle piante ur­ bane, dove è invalsa l' abitudine di segnalare boschi, parchi e simili attraverso quadrati verdi; edifici sacri, con contorni perimetrali e ri­ empimenti marroni ecc. C osì la mappa deriva da una forma di astrazione che trasceglie dal mondo alcune porzioni salienti e ne elimina altre (Farinelli, 2003 ) : in una carta geografica dell'Italia i piccoli vicoli urbani non troveranno posto (saranno semplicemente cancellati) . L'attività di selezione è, insomma, una caratteristica distintiva di questo tipo di testo. D'altro canto, già Borges notava come una carta che avesse rappresentato con dovizia di particolari la totalità del territorio sa­ rebbe stata grande quanto il territorio stesso e, dunque, inservibile. Grazie all'adozione di tutta una serie di strategie comunicative, la mappa crea però un effetto "sinottico " , ovvero fornisce un quadro generale delle articolazioni interne a un dato spazio. In tal senso, secondo Marin ( 2007, p. 148 ) , essa è «una forma di rappresentazione totalizzante, sostituto strutturale della successione dei percorsi pos ­ sibili». L'eco di de Certeau e della sua distinzione tra spazi e luoghi è evidente (cfr. PAR. 4. 1 ) . In qualsiasi mappa si possono poi rilevare una dimensione transi­ tiva (la pianta si incarica di rappresentare un territorio, enunciato) e una dimensione riflessiva (la pianta rimanda a un qualcuno che l'ha prodotta, enunciazione) (Marin , 1994) . In tale direzione, tutti gli ele­ menti che corredano la raffigurazione (simboli, legende, colori, anche solo scale di rappresentazione) richiamano la figura di un enunciato­ re-produttore di quel testo ( Stoichita, 1993 ) . La mappa, o almeno il suo grado zero, è una rappresentazione solitatnente oggettivata non perché si preoccupa di riportare uno spazio così com'è, ma perché fa ricorso a una serie di codificazioni standard che attivano altrettan­ to standardizzate abitudini interpretative dei fruitori (se vedo una macchia verde so che si tratta di un bosco) e che cancellano le tracce della sua produzione. Nelle carte delle guide del Touring Club , ad esempio, la voce dell'enunciatore è poco evidente, ma non per questo assente: la sola presenza della griglia a riquadri che parcellizza lo spa-

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zio, l'indicazione dei toponimi, la segnalazione delle arterie principali con un diverso colore sono, infatti, già marche di enunciazione. Nelle guide Mondadori, al contrario, si trovano piante con un percorso tratteggiato in rosso : esse mostrano allora il potere deontico tipico di alcune mappe (Marin , 1994; Pezzini, 2oo6) , le quali sono in grado di indicare come si deve leggere un territorio (nel nostro caso come va percorso per conoscerlo turisticamente al meglio ). Più che parlare allora di rappresentazioni oggettive sarà meglio individuare, ancora una volta, una diversa scala di aggettivazione e soggettivazione, una diversa esplicitazione della presenza dei soggetti dell'enunciazione all'interno dei testi: diremo allora che le carte delle guide Mondado­ ri propongono una spazialità maggiormente soggettivante rispetto a quelle del Touring ( Giannitrapani, 2010) . L a mappa è sempre in qualche modo ancorata a u n sapere, poiché uno dei suoi principali compiti è quello di restituirei un'immagine di un luogo, dunque, di trasmetterei informazioni. Essa è una forma in­ terpretativa, una chiave di lettura che traduce al suo interno uno spa­ zio. Si pensi a quei testi che alterano le proporzioni fisiche dei territori perché adottano un criterio diverso da quello strettamente geografi­ co: carte demografiche che ingrandiscono e rim piccioliscono i paesi in base ai rispettivi tassi di natalità, carte che tnettono in evidenza i luoghi tnaggionnente colpiti da un evento naturale per visualizzare le entità delle catastrofi, carte dedicate ai ciclisti che si concentrano solo sui posti in cui sono presenti percorsi attrezzati e così via. Sofferman­ doci su cosa è posto in rilievo (e su cosa di conseguenza è cancellato) in una data rappresentazione potremo risalire al criterio di pertinenza adottato per la costruzione di quel testo (se sono cancellate le zone non colpite da un terremoto, si comprende che la mappa intende evi­ denziare gli effetti del sisma) e alla definizione del fruitore inscritto (una carta geografica di tutta l'America difficilmente si rivolge a un turista che deve recarsi a New York per un paio di giorni) . Per concludere, possiamo dunque rilevare come non ci sia diffe­ renza, in linea di principio, tra un quadro che raffigura un paesaggio e una mappa, perché sono entrambi il frutto di una presa dello spa­ zio, di una sua interpretazione da parte di un enunciatore, del ricorso a codici di rappresentazione. La differenza sta nel " genere" testuale convocato e in un conseguente diverso patto comunicativo instaurato con l' enunciatario: la veduta pittorica attiva più che altro un' attitu­ dine estetico-contemplativa (la guardo perché è bella) , la mappa una

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pragmatico-cognitiva (la guardo per com prendere l'articolazione di uno spazio e per capire come orientarmi) ( Stoichita, 1993 ) . Salvo poi poter ribaltare le cose: guardo una veduta artistica per leggere l' arti­ colazione di un luogo, guardo una mappa come oggetto estetico (pen­ siamo alle antiche raffigurazioni dei territori esposte in musei e abi­ tazioni private). Le carte cui oggi siamo abituati, d'altro canto, sono frutto di un'evoluzione nelle abitudini di rappresentazione, e dunque ulteriormente destinate a modificarsi nel tempo. 5·3 Testi verbali

È stato dimostrato come in molti testi letterari (racconti, romanzi, po­ esie) la descrizione e la trasformazione dei luoghi in cui sono ambien­ tate le azioni non costituiscono semplici riempitivi, ma veri e propri elementi fondanti in grado di rendere conto di meccanismi narrativi profondi (Lotman , Uspenskij , 1975; Bertrand, 199 5; Marsciani, 1996; Pezzini, 1998; Cavicchioli, 2002 ) . In Cecità, celebre romanzo di Saramago ( 2o1o ) , un 'epidemia, che ben presto renderà tutti gli abitanti di una città ciechi, è l'occasione per proporre un'esperienza di straniamento ( S klovskij , 1981 ) , ovvero una de-automatizzazione degli abituali modi di percepire gli spazi e la vita quotidiana, finalizzata a una riflessione su ciò che normalmente si dà per scontato. I malati contagiosi della città (spazio inglobante) vengono segregati in un ex manicomio (spazio inglobato e ben deli­ mitato ) , dove ben presto, isolati e abbandonati, dovranno ritrovare un assetto gerarchico e nuove regole per disciplinare il loro nuovo mondo. Successivamente, la capillare diffusione dell'epidemia porterà a una sorta di anarchia, facendo venir meno i controlli sulla struttura e lasciando libero il gruppo di protagonisti di riappropriarsi dell' am­ biente urbano. Essi troveranno però una città trasformata e stravolta: chiunque si impossessa di abitazioni private trovate vuote, saccheggia supermercati e negozi, si arrangia ricreando i propri ambienti laddove trova luoghi disponibili. L'epidemia porta, in altri termini, a sospen ­ dere le opposizioni e le articolazioni sulla base delle quali si istituisco­ no abitualmente le identità degli spazi, come per esempio quelle tra pubblico e privato o tra proprio e altrui. Alla fine di questo racconto parabolico che, come ogni parabola (Fabbri, 1998 ) , con la sua esem­ plarità si fa metafora dell'organizzazione sociale e del vero senso del

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" vedere" («Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. C iechi che, pur vedendo, non vedono», si dirà nelle ultime pa­ gine) , i protagonisti riacquisteranno la facoltà della vista. Come in una classica fiaba, la situazione di partenza e quella di arrivo apparente­ mente coincidono, ma in realtà in mezzo è avvenuta la trasformazione, con tutto il portato didascalico che ha investito i personaggi. L'articolazione dello spazio segue e fonda le fasi del romanzo di Saramago, con un climax, prima discendente e poi ascendente, riassu­ mibile in cinque tappe. I. Nella fase di avvio si ha una percezione piena e " normale" della città. 2. L'equilibrio si rom p e con il diffondersi della malattia: chi ne è col­ pito ha una percezione monca del tessuto urbano (un numero sempre maggiore di persone non è in grado di orientarsi e di riconoscere luo­ ghi e oggetti) . 3 · Il trasferimento nell'ex manicomio coincide con una fase di tran ­ sizione, che, come nei rituali studiati dagli antropologi, si situa in un luogo liminare, un'eterotopia (cfr. PAR. 4. 3 . 2) in cui vengono ri­ messe in discussione le regole sociali. Il luogo di reclusione è un microcosmo, un vero e proprio testo nel testo rispetto alla città (cfr. PAR. 4.4. 1 ) . Qui si sperimenta il progressivo degrado igienico, etico, passionale, in una lotta per la sopravvivenza che si fa di giorno in giorno più dura. Questo punto rappresenta il momento centrale del racconto a partire dal quale, specularmente a quanto accade in aper­ tura, si riavvierà l'ascesa verso la normalità. 4· Scappati dall'ex manicomio, i protagonisti si ritrovano nuovamen­ te all'aperto nella città, ma percepiscono gli spazi senza l'ausilio della vista e devono arrangiarsi in ambienti spesso poco familiari. 5· Infine, gli attori si riappropriano del loro campo percettivo pieno e dei loro luoghi di origine. Interessante è poi il trattrunento della categoria della luce: la cecità, infatti, non è percepita da chi ne è colpito come oscurità, ma, al contra­ rio, come luce bianca e accecante (tanto che sarà indicata in più punti del racconto come "mal bianco " ) ; di converso, l'unica protagonista (la moglie del medico) che mantiene la vista per tutto il racconto parla, rinchiusa nel manicomio, di offuscamento dello spazio esterno («In po­ chissimo tempo ho perduto l'abitudine al chiarore», Saramago, 2010, p. 223 ) . Proprio attraverso gli occhi di questa donna è narrata la mag­ gior parte della storia: grazie alle sue descrizioni comprendiamo come

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è fatto il manicomio e sappiamo cosa fanno gli altri, che, soprattutto inizialmente, inciampano, cadono, si trovano in difficoltà. Pian piano i personaggi imparano a orientarsi grazie a una percezione sinestetica e ci restituiscono il degrado e la sporcizia dello spazio di reclusione per lo più in termini di odori sgradevoli, superfici unte, suoni estranei ecc. Ci rendiamo quindi conto come nel caso qui preso in considera­ zione il sistema degli s pazi contribuisca a fondare la soggettività dei personaggi, ne determini le trasformazioni, si faccia, in altri termini, un ele1nento portante dei sistemi di valori presentati nel romanzo. 5 . 3 . 1 . Ekphrasis

L' ekphrasis, ovvero la descrizione (nel nostro caso di spazi ) , contribu­ isce fortemente a marcare l'andamento stilistico e narrativo dei testi. Le sue origini antiche e le sue sorti alterne nelle diverse epoche e nei differenti generi letterari ne fanno un oggetto di studio, dal nostro punto di vista, affascinante. Adam e Petitjean (r989) distinguono de­ scrizioni ornamentali (che hanno origine nella letteratura greca e lati­ na) , in cui la voce dell'autore si nasconde e i sintagmi descrittivi rico­ prono una funzione estetica; descrizioni espressive (in voga tra il XVII e il XVIII secolo con i romanzi di viaggio e la letteratura burlesca) , intese come dirette manifestazioni dell'individualità dell'autore; descrizioni rappresentative (tipiche delle poetiche realiste) , volte a produrre un ef­ fetto di oggettività del racconto; descrizioni produttive (caratteristiche del nouveau roma n), in cui si afferma la soggettività della percezione. Al di là delle tassonomie proposte, i due autori notano come uno degli storici pregiudizi associati all' ekphrasis sia derivato da una frattura posta tra descrizione e narrazione: la prima vista come so­ spensione, pausa e attinente al piano dell'essere (stati di fatto) ; la se­ conda come progressione narrativa, azione e relativa al piano del fare (trasformazioni e dinamismo). In realtà, le due cose sono variamen­ te intrecciate tra loro, si possono al più individuare di volta in volta tendenze dominanti. Si può mostrare, ad esempio, un personaggio che edifica progressivamente le varie stanze della propria abitazione: è una descrizione dello spazio o uno sviluppo narrativo della storia? Chiaramente, entrambe le cose. È soprattutto con il romanzo realista che la descrizione si natura­ lizza all'interno del racconto e assume un ruolo di primo piano, fina­ lizzato innanzitutto a costruire un'illusione re/erenziale-��. E, con que-

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sta forma letteraria, si assiste anche all'ingresso di quelle che Hamon (1977) chiama "tematiche giustificatrici " che hanno il compito di intro­ durre la descrizione naturalizzandola e inglobandola all'interno della narrazione; in questo modo lo scarto tra le due si attenua e l'istanza autoriale si nasconde: una porta che si apre costituirà lo spunto per esporre cosa sta oltre, il ruolo tematico del turista introdurrà natural­ mente una voce che racconta i luoghi visitati e così via. Spesso, poi, se si va in cerca di un effetto di senso oggettivante, più che instaurare un rapporto diretto tra narratore e lettore (un dialogo io-tu), si preferirà delegare la parola a un personaggio che trasferirà le informazioni a un altro attore: in tal modo la relazione tra enunciatore ed enunciatario viene delegata su altre voci che fanno parte del mondo enunciato (è il caso, ad esempio, di alcuni passi di Cecità in cui il lettore viene a conoscenza di certi particolari del manicomio non dalla voce diretta dell'autore, ma attraverso le parole della moglie del medico che descri­ ve gli spazi al marito cieco). Potremo poi distinguere, continuando con una teorizzazione pro­ posta da Hamon (1977, 1981) , tre tipi di descrizione: la prima retta dal " vedere" (una persona in cerca di abitazione, ad esempio, si reca in un appartamento e ci restituisce ciò che gli si presenta di fronte) ; la seconda retta dal " parlare " (un immobiliarista, in qualità di esperto, descrive la casa) ; la terza retta dal "fare" (sarà il caso di un muratore che, impegnato in un cantiere, racconta cosa sta facendo per edifi­ care un palazzo) . In un certo senso la distinzione tra il " vedere" e il fare" può essere sovrapposta a due modi di definire gli spazi o gli spostamenti al loro interno; de Certeau (1990) parla a tal proposito di descrizioni di tipo mappa e descrizioni di tipo percorso3• Le prime sono rette appunto da un "vedere" , inquadrano le articolazioni dei luoghi facendo riferimento alle posizioni relative tra elementi o a riferimen­ ti oggettivanti (per esempio, «Accanto alla stanza da letto si trova il bagno», «A Nord-Est di quel paese si trova quella città») , le seconde invece sono rette da un " fare" e implicano un corpo che percorre gli spazi («Andando dritto, dopo il corridoio sulla destra si trova la stan­ za da letto», «Arrivati al cinema, imbocca la seconda traversa a sini­ stra») . Un a delle caratteristiche distintive della guida Routard è quella di tracciare per lo più gli itinerari sotto forma di percorso , convocando un turista che si muove all'interno della meta visitata; le " guide verdi" 3. Cfr. anche Linde, Labov (1975 ) .

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del Touring Club tendono, invece, a predisporre mappe, escludendo dalla narrazione un corpo che esperisce il luogo. Mappe e percorsi si possono poi chiaramente intrecciare tra loro. Così, se il classico navigatore satellitare crea un percorso basato su una mappa (la voce, a partire dall' articolazione complessiva dello spazio, identifica uno tra gli itinerari possibili e dirige l'utente utilizzando ri­ ferimenti soggettivanti) , Green/ield, un'applicazione ancora sperimen­ tale di Microsoft, farà l'esatto contrario, ovvero creerà mappe a partire dai percorsi: questo oggetto, infatti, propone una navigazione basata sull'azione, memorizza i tragitti degli utenti ed è in grado di riproporli. Se ho dimenticato il punto in cui ho parcheggiato, Green/ield riesce a riportarmi indietro perché ha memorizzato i miei passi precedenti (ha cioè costruito una mappa a partire dai miei spostamenti). 5.3.2. Equivalenze Ma come funziona una descrizione? Secondo Hamon ( 1977) , essa è fondamentalmente un'equivalenza tra un tema-titolo e una serie di predicati e nomenclature che lo espandono. D'altro canto il testo de­ scrittivo per antonomasia è il dizionario, in cui ogni lessetna (tema­ titolo) viene sviluppato in una serie di definizioni (predicati e nomen­ clatura) . Non ci sono, quindi, in linea di principio, limiti a una descri­ zione, dal momento che essa è una parafrasi e deriva dalla proprietà di elasticità del linguaggio (posso spiegare una parola con un sinonimo, con una frase, con un in tero romanzo) . Ritorna la questione della den­ sità figurativa, tale per cui posso dire " Torre Eiffel" o spiegarne la composizione in poche parole, o ancora descrivere ogni singolo pezzo di cui è composta la sua struttura. Proprio in virtù di questa equivalenza, la descrizione stabilisce una spiegazione e, in questo senso, non è mai priva di effetti, ma interviene sulla realtà: pensiamo a quanto i media abbiano dibattuto su quali do­ vessero essere considerati i confini europei durante l'emergenza im­ migrazione scatenatasi dopo la crisi del N or d Africa nella primavera del 2on. Porre una definizione netta delle frontiere equivale a stabilire precise regole sociali e identità culturali e territoriali. Ecco perché la descrizione, secondo de Certeau ( 1990, p. r83 ) , ha «un potere distribu­ tivo e una forza performativa» e, parallelamente, per Hamon ( 1981) è un segmento argomentativo, ma anche persuasivo. Elemento da non sottovalutare, dunque, in qualsiasi analisi.

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Il tema-titolo e la sua espansione possono poi collegarsi tra loro, secondo Adam e Petitjean (1979 ) , in due modi opposti. Da un lato tramite l'ancoraggio , ovvero la messa in correlazione tra il termine da descrivere e un fascio di elementi che lo sviluppano; dall'altro lato tramite l'attribuzione, ovvero l'esibizione di una definizione che non si aggancia direttamente, almeno in prima battuta, all'elemento da de­ scrivere. Se il prototipo di funzionamento dell'ancoraggio è il diziona­ rio, quello dell'attribuzione è il cruciverba ( definizione non collegata direttamente al tema) . Un conto sarà, cioè, se all'inizio di un romanzo si dichiara di trovarsi in quella data città, all' interno della casa del protagonista; un altro se si evidenzieranno dei riferimenti generici e magari la descrizione di un ambiente chiuso che però potrebbe essere qualsiasi cosa: nel primo caso si determinerà un effetto di reale e una comprensione immediata; nel secondo si favorirà l'immaginazione de­ rivante dall'ambiguità delle informazioni fornite. Infine i due autori evidenziano una similarità tra il procedimento descrittivo e l'operazione di schematizzazione: entrambi sono espan­ dibili pressoché all' infinito, ma a un certo punto devono arrestarsi pena la loro illeggibilità; non solo, ma entrambi funzionano scompo­ nendo il campo di indagine in elementi solitamente gerarchicamente ordinati. Ecco che il discorso ritorna a quanto detto in relazione alle mappe, dove avevamo notato che spesso esse funzionano non tanto se sono iperdettagliate, quanto piuttosto se riescono a tralasciare (e dunque a semplificare) particolari superflui. Come ha scritto Sandra C avicchioli (2002, p . 232) : «L'efficacia della descrizione sembra infatti connessa a un accurato lavoro di selezione. Il testo intensifica il pro­ prio potere allucinatorio non tanto quando mette in scena una pletora di dati, ma piuttosto quando esibisce pochi tratti ben scelti». La descrizione diventa ipotiposi quando rende vivo, fulgido e ani­ mato l'oggetto descritto (Fontanier, 1977 ) . Secondo Eco ( 2002, p. 231 ) , l'ipotiposi è «un fenomeno semantico-pragmatico, esempio principe di cooperazione interpretativa»: per rendersi così efficace la descrizio­ ne necessita sicuramente di uno sforzo dell'enunciatore (nel rendere al meglio l'ele1nento da descrivere) , ma anche di un parallelo sfor­ zo dell'enunciatario (che, a partire da quelle parole, si costruisce una rappresentazione vivida) . Ecco, dunque, che, come sottolinea Parret (2001) , l'ipotiposi si pone a cavallo tra enunciato ed enunciazione: da un lato è descrizione di qualcosa del mondo narrato, dall'altro ha a che vedere con la relazione che si viene a creare tra enunciatore ed

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enunciatario. Non solo, ma essa si rende possibile quando «c'è per­ fetta corrispondenza tra espressione e contenuto, tra la luminosità del modo di dire e il fulgore di ciò che è espresso» (ivi, p. 140) . Se prendiamo ancora una volta in considerazione l'esempio di Cecità, ci rendiamo conto di come nel romanzo la fluidità della situazione e la vaghezza della percezione dello spazio corrano in parallelo e risultino rafforzati dallo stile di scrittura, anch'esso fluido e vago (isomorfismo tra piano del contenuto e piano dell'espressione): i discorsi diretti non sono riportati tra virgolette, i periodi sono lunghi e i protagonisti non hanno un nome, ma vengono identificati da quella che Russel chia­ ma descrizione definita, ovvero da una parafrasi che identifica univo­ camente un elemento e sostituisce il nome proprio (abbiamo così il medico, la moglie del medico, il bambino strabico, la ragazza con gli occhiali scuri ecc. ) . 5·4 Testi sincretici

Lo sforzo che ci resta da compiere, a questo punto, è quello di andare a indagare come in alcuni testi, cosiddetti sincretici (che utilizzano cioè contemporaneamente diverse sostanze dell'espressione) , le con­ siderazioni fin qui svolte separatamente vengano sussunte in qualcosa che è più della somma delle parti: per considerare la spazialità, po­ niamo, in un film non dovrò guardare isolatamente da un lato come se ne parla, dall'altro come essa è resa nelle immagini, ma indagare come parole, musiche, inquadrature, luci ecc. costruiscano lo spazio in questione. 5.4. 1. Alcuni esempi televisivi

In molti programmi televisivi l'analisi dell'articolazione degli spazi può contribuire a chiarire il ruolo del conduttore, il genere del pro­ gramma, così come il tipo di cornice dialogica possibile. Si pensi agli spettacoli che mettono in scena performance musicali (da X-Factor al Festival di Sanremo) in cui si può chiaramente distinguere un palco­ scenico e una platea. A essere marcato in questi casi è un flusso co­ municativo per lo più unidirezionale che parte dal palco per rivolgersi verso un altrove. Il pubblico in sala, simulacro dello spettatore televi­ sivo, è nettamente separato dagli attori protagonisti e situato in uno

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spazio extrascenico che rappresenta l'estensione di quello casalingo da cui guardiamo la TV. Si possono poi distinguere gli spazi cornice, che esaltano la dimen­ sione spettacolare, e gli spazi salotto, tipici dei talk show e caratterizza­ ti dalla ricreazione di ambienti più intimi e informali (Calabrese, Ca­ vicchioli, Pezzini, 1989 ) . Ma è anche vero che i due modelli si possono trovare compresenti in uno stesso programma televisivo (quando in un talk show viene allestito un palco per far cantare gli ospiti si ricrea uno spazio cornice all'interno di uno spazio salotto) . Non solo, ma tra questi due tipi si ha una sorta di gradualità modulare: a un estremo troveremo ampi studi destinati a ospitare grandi platee che urlano e inneggiano ai partecipanti (tipici di molti talent show) e sembra­ no riprodurre un modello-stadio (amplificando al massimo lo spazio cornice) ; dall'altro lato luoghi raccolti che ammiccano a un modello teatrale e creano l'effetto di assistere a una performance dedicata a un'élite. Si pensi anche ai programmi di approfonditnento politico. A Bal­ larò gli ospiti si accomodano su poltrone, disposte frontalmente su due file parallele, alle cui spalle è seduto il pubblico; al centro, in una sorta di corridoio-passerella, si sposta il conduttore, Giovanni Floris, che, con i suoi movimenti, vettorializza e dinamizza lo spazio (FIG. 5 . 3 ) . I l fronteggiarsi d i due sezioni nettamente distinte marca, seguendo Hammad ( 2003 ) , una tipica configurazione polemica; nel nostro caso definisce uno schieramento netto degli invitati e un presentatore che nella parte centrale lavora per favorire il dibattito. Gli spostamenti di

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Articolazione dello spazio in Ballarò

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Articolazione dello spazio in Anno Zero

Floris corrono in parallelo ai turni di parola e rimandano sul piano del contenuto all'idea del confronto e a un presentatore-mediatore che si adopera per farlo riuscire al meglio. Ad Anno Zero , invece, la scenografia era costruita sulla base di quattro cerchi concentrici: schermi in alto a parete giravano intorno allo studio senza soluzione di continuità; a un livello più basso si si­ tuava il pubblico; più giù ancora gli ospiti, anch'essi disposti intorno a uno spazio circolare anche se non continuo (di solito tre persone da un lato e tra da un altro separate da sezioni vuote) ; infine il condut­ tore, Michele Santoro, che si trovava al centro di questa articolazione fortemente centripeta, nel punto in cui convergevano tutti gli sguardi (FIG. 5.4) . La struttura spaziale confermava così Santoro come condut­ tore-protagonista, un presentatore-accentratore, deputato a muovere le fila della trasmissione e a dirimere in ultimo le questioni. L'articola­ zione circolare con un vuoto al centro sarebbe tipica, sempre secondo Hammad (2003 ) , di una configurazione contrattuale, ma va rilevato come nel caso di Anno Zero essa non fosse perfettamente in opera sia perché gli ospiti non ricoprivano lo spazio in termini continui (di fatto annullando la circolarità e ricreando gli schieramenti) sia perché il centro non era vuoto, ma occupato da San toro, che diventava così il perno organizzatore del programma. Ancora diverso è il caso di Porta a Porta, in cui gli ospiti sono disposti su due file convergenti verso un punto centrale, in fondo alla studio, in cui è situato il conduttore, Bruno Vespa. È come se lo spazio suggerisse la possibilità per gli schieramenti opposti di trovare un ac-

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FIGURA 5 · 5

Articolazione dello spazio in Porta a Porta

cordo grazie a questa figura super partes. Vespa è per lo più statico, sta dietro a una scrivania (FIG. 5 . 5) , configurandosi come un presentatore­ dzplomatico, un arbitro che non ha un ruolo attivo rispetto al dibattito, se non in termini, appunto, pacificatori. Egli si pone in posizione fron­ tale rispetto al pubblico (in studio e a casa), da cui co1nunque rilnane separato, instaurando al più un dialogo imperniato a un patto di tipo pedagogico, in cui la distanza fisica spettatore/conduttore costituisce la rima spaziale del loro divario di competenze. Infine, con I:infedele ci troviamo di fronte a uno spazio comples­ so che prende a prestito elementi dagli altri programmi citati. Alcuni ospiti sono disposti su linee convergenti, incorniciati in un semicer­ chio (si tratta solitamente delle persone maggiormente coinvolte in termini istituzionali rispetto al tema affrontato nella puntata) ; altri sono situati nel punto di confluenza, su un piano leggermente rialzato (opinion leader a vario titolo implicati nella questione) . Il pubblico in studio è posizionato, ad altezze differenti, alle spalle di ospiti e con­ duttore ( Gad Lerner) e si trova di fatto di fronte al telespettatore di cui non costituisce il prolungamento ideale (come in Porta a Porta ), ma lo specchio (FIG. 5 . 6) . Questa complessa articolazione (piani distin­ ti, compresenza di elementi curvilinei e rettilinei, disposizione sparsa degli ospiti) viene a definire una rete composta da nodi variamente interconnessi, un luogo di cui gli spettatori a casa sono chiamati a far parte (lo studio si apre verso i telespettatori che di fatto completano la circolarità dello spazio ) . Così, in piena sintonia con il nome del

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FIGURA 5 . 6

Articolazione dello spazio n e D infedele

programma4 , si definisce un'arena di confronto che tende a mettere in discussione le gerarchie istituzionali, a sovvertire gli schieramenti, a trasgredire le norme. Lerner si muove in questo spazio fluido, si istituisce come portavoce della gente comune (a inizio puntata è tra il pubblico da cui lentamente si distacca per occupare il centro della scena), come presentatore-provocatore che da un lato ha il compito di definire e chiarire le connessioni tra i nodi della rete, dall'altro di metterli in discussione. 5.4. 2. Dexter

In Dexter, fiction che narra la storia di un seria! killer di notte e poli­ ziotto di giorno, l'articolazione degli spazi è un meccanismo centrale che regge dal profondo la narrazione. Alla base di questo racconto c'è una profonda frattura tra il piano dell'apparire (Dexter è un esper­ to ematologo che lavora presso il dipartimento di polizia di Miami e conduce una vita apparentemente ordinaria) e il piano dell' essere (Dexter è in realtà un seria! killer che non riesce a tenere a bada i suoi istinti omicidi) . Ebbene, la prima evidente opposizione riguarda ap­ punto quei luoghi (pubblici) in cui il protagonista è costretto a met­ tere in atto tutta una serie di comportamenti per sembrare un " uomo 4· "Infedele" è, secondo il dizionario Garzanti, colui