Donne, granai e capitali. Uno studio antropologico dell'imperialismo contemporaneo 9788868024437


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Donne, granai e capitali. Uno studio antropologico dell'imperialismo contemporaneo
 9788868024437

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Claude Meillassoux (1925-2005) antropologo e africanista francese, economista di formazione, ha compiuto ricerche da una prospettiva teorica marxista, analizzando le società non capitaliste.

PGreco Edizioni

16,00 euro

9 788868 024437

PGRECO | filorosso

ISBN 978-88-6802-443-7

CLAUDE MEILLASSOUX DONNE, GRANAI E CAPITALI

Donne, granai e capitali è una pietra miliare dell’antropologia che segna l’ingresso dell’apparato concettuale marxista negli studi antropologici. Quest’opera costituisce il risultato di una lunga riflessione che ha inizio nel 1958, anno in cui Claude Meillassoux esordisce come etnologo tra i Guro della Costa d’Avorio. Ma rappresenta anche uno dei tentativi più efficaci di situare storicamente i modi di produzione che hanno preceduto la comparsa del capitalismo e resta a tutt’oggi il primo lavoro di un antropologo inteso a cogliere la funzione essenziale svolta da uno di questi modi di produzione – quello domestico – nel processo riproduttivo del capitalismo stesso. Per Meillassoux, la riproduzione della comunità domestica si fonda infatti sullo sfruttamento delle capacità riproduttive della donna e, nelle condizioni storiche del dominio imperialista, il capitalismo riesce a fare proprio della comunità domestica il centro della riproduzione a buon mercato di una parte della forza-lavoro a esso indispensabile. Da questo punto di vista Donne, granai e capitali è anche e soprattutto un libro militante, nel senso che amplia la nostra conoscenza delle basi strutturali del sistema capitalistico, fornendo una serie di elementi teorici che rendono più efficace la comprensione delle contraddizioni di cui questo sistema è portatore.

CLAUDE MEILLASSOUX DONNE, GRANAI E CAPITALI

UNO STUDIO ANTROPOLOGICO DELL’IMPERIALISMO CONTEMPORANEO Prefazione di Lorenzo D’Angelo

PGRECO | filorosso

PGRECO filorosso

17

COMITATO DI REDAZIONE Giacomo Clemente, Didier Contadini, Lorenzo D’Angelo, Vittorio Morfino, Michele Parodi, Luca Pinzolo, Stefano Pippa, Gianluca Pozzoni, Elia Zaru. COMITATO SCIENTIFICO Cinzia Arruzza (The New School for Social Research) Luca Basso (Università di Padova) Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo) Fortunato Cacciatore (Università della Calabria) Viola Carofalo (Università ‘L’Orientale’, Napoli) Andrea Cengia (Università di Padova) Giorgio Cesarale (Università Ca’ Foscari, Venezia) Mario Cingoli (Università di Milano-Bicocca) Luisa Lorenza Corna (Winchester School of Art) Simona De Simoni (Teoria critica della società) Mauro Farnesi Camellone (Università di Padova) Roberto Finelli (Università di Roma Tre) Roberto Fineschi (Siena School for Liberal Arts) Fabio Frosini (Università di Urbino) Andrea Fumagalli (Università di Pavia) Chiara Giorgi (Università ‘La Sapienza’, Roma) Augusto Illuminati (Università di Urbino) Simone Lanza (Università di Milano-Bicocca) Sandro Mezzadra (Università di Bologna) Cristina Morini (ricercatrice indipendente) Stefano Petrucciani (Università ‘La Sapienza’, Roma) Maurizio Ricciardi (Università di Bologna) Paola Rudan (Università di Bologna) Giovanni Sgro’ (Università eCampus, Novedrate) Salvatore Tiné (Università di Catania) Massimiliano Tomba (University of California, Santa Cruz) Maria Turchetto (Università Ca’ Foscari, Venezia) Giovanna Vertova (Università di Bergamo)

CLAUDE MEILLASSOUX

DONNE, GRANAI E CAPITALI

UNO STUDIO ANTROPOLOGICO DELL’IMPERIALISMO CONTEMPORANEO Prefazione di Lorenzo D’Angelo

PGRECO | filorosso

Titolo originale dell’opera: Femmes, greniers & capitaux Traduzione di: Ugo Fabietti Prima edizione: Maspero, Paris 1975. Prima edizione italiana: Nicola Zanichelli S.p.A., Bologna 1978

© 2022 – PGRECO EDIZIONI Via Gabbro 4-20100 Milano Per informazioni E-mail: [email protected] www.edizionipgreco.it Collana: filorosso, n. 17 ISBN: 9788868024437 L’editore ha effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare gli aventi titolo rispetto ai diritti dell’opera. Pertanto resta disponibile ad assolvere le proprie obbligazioni.

Indice

p. VII

Prefazione di Lorenzo D’Angelo

XXIX

Prefazione di Ugo Fabietti

1

Introduzione

Parte I Capitolo 1

La comunità domestica Situazione della comunità domestica

15

1.1. L'incesto inutile

20

1.2. L'orda e i rapporti di adesione

27

1.3. Accoppiamento e filiazione

30

1.4. Donne trattenute e donne rubate

Capitolo 2

La riproduzione domestica

43

2.1. Il livello delle forze produttive

49

2.2. Ll costituzione dei rapporti di produzione

53

2.3. La costituzione dei rapporti di riproduzione

Capitolo 3

Le strutture alimentari della parentela

63

3.1. La riproduzione dell'energia umana, ovvero il processo di produzione energia-sussistenza-energia

68

3.2. Il pluslavoro

71

3 .3. La circolazione della prole

Capitolo 4

La dialettica dell'eguaglianza

74

4.1. La circolazione delle spose e delle doti

76

4.2. La dote come credito

p. 78 81

4.3. Lo scambio identico 4.4. Il valore sornione

Capitolo 5 90

5.1. Le donne

94

5.2. I cadetti

Capitolo 6 glianza

Chi sono gli sfruttati?

Contraddizioni e contatti: le premesse dell'inegua-

Parte H Lo sfruttamento della comunità domestica: l'imperialismo come modo di riproduzione della manodopera a buon mercato 108

1. I paradossi dello sfruttamento coloniale

117

2. Salari diretti, salari indiretti

124

3. L'accumulazione primitiva

127

4. Senza casa e senza terra: l'esodo rurale

131

5. L'eterno ritorno al paese natale: le migrazioni tornanti

140

6. Il mantenimento dei « giacimenti di manodopera»

144 149

7. Il doppio mercato del lavoro e la segregazione

153

9. I limiti del supersfruttamento del lavoro: a) La soglia di depauperazione; Criterio oggettivo della divisione del proletariato; b) La concorrenza

16 7

Conclusioni

177

Riferimenti

8. I benefici dell'immigrazione

Prefazione. Antropologia e marxismo di Lorenzo D’Angelo

1. Premessa Claude Meillassoux (1925-2005) è stato tra gli antropologi sociali più influenti e impegnati della sua generazione. Nato a Roubaix in Francia, di famiglia benestante, dopo essersi laureato, nel 1947, prosegue i suoi studi negli Stati Uniti presso la University of Michigan. Nel 1949 ottiene così un master in economia e scienze politiche che lo avrebbe dovuto preparare a gestire l’impresa tessile di famiglia. Tornato in Francia, lavora invece per qualche anno come interprete all’interno di un programma del Piano Marshall e poi in una impresa pubblicitaria. Agli inizi degli anni Cinquanta la passione politica lo avvicina a un gruppo di intellettuali politicamente impegnati che sono legati alla figura di Jean-Paul Sartre, il Comité d’Action des Gauches Indépendantes (CAGI). Inizia a leggere il Capitale con gli occhi di un militante di sinistra e inizia così un suo autonomo percorso di riflessione sul marxismo1. Negli anni del CAGI conosce un giovane ma già apprezzato antropologo sociale, Georges Balandier, il cui corso “Sociologie de l’Afrique noire” presso Institut d’Études Politiques di Parigi appassiona e catapulta il giovane Meillassoux negli studi antropologici. Balandier lo incoraggia a confrontarsi con la letteratura internazionale e in particolare con i lavori dei colleghi antropologi britannici. Nel 1955, lo assume per un progetto di ricerca finanziato dall’UNESCO2. Due anni dopo, Meillassoux si ritrova in Costa d’Avorio per condurre una ricerca sui Gouro, una ricerca che sarà relativamente breve per i canoni etnografici tradizionali (dal luglio del 1957 al gennaio del 1958), ma che gli permetterà di produrre analisi sorprendentemente ricche3. A partire da questa sua prima esperienza di campo in Africa, Meillassoux pubblica, nel 1960, il suo primo articolo4. L’articolo viene subito accolto molto positivamente, anzi, si potrebbe dire, con entusiasmo dai colleghi francesi C. Meillassoux, Preface to the English translation, in id. Maidens, Meal and Money: Capitalism and the Domestic Community, Cambridge University Press, Cambridge 1981. 2 M. Saul, Claude Meillassoux (1925-2005), in “American Anthropologist”, a. 107, n. 2005, pp. 753-757. 3 J. Copans, Claude Meillassoux (1925-2005), in “Cahiers d’études africaines”, n. 177, 2005 (http://journals. openedition.org/etudesafricaines/4887). 4 C. Meillassoux, Essai d’interpretation du phenomene economique dans les societes traditionnelles d’autosubsistance, in “Cahiers d’études africaines”, n. 4, 1960, pp. 38-67. 1

VIII

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che ne applaudono l’originalità5. In questo articolo Meillassoux espone per la prima volta le sue tesi circa il ruolo degli anziani nella gestione e nel controllo dei matrimoni e delle riserve di grano della società Gouro. Questa analisi viene estesa e approfondita nella sua tesi di dottorato discussa, nel 1962, con Balandier nel ruolo di relatore, e infine pubblicata in un voluminoso libro uscito due anni dopo6 – considerato da alcuni7 come un punto di svolta per l’antropologia economica francese8. Il 1964 è anche l’anno in cui Meillassoux inizia a lavorare al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e in cui comincia una nuova ricerca di campo, questa volta tra Mali e Senegal, per un progetto la cui direzione è affidata a Jean Rouch. Meillassoux si focalizza sul mondo culturale Mande e, in particolare, sui Soninke. In questo contesto lavorerà a lungo e ciò gli consentirà di pubblicare libri e testi vari su molteplici argomenti – tra gli altri, un dizionario della lingua Soninke, un’analisi delle acconciature femminili, raccolte di testi griot e leggende locali – argomenti in cui antropologia e storia si sostengono vicendevolmente9. In questi stessi anni, una parte del dibattito antropologico francese si accende intorno alla questione dei modi di produzione sollevata dallo storico dell’Africa Jean Suret-Canale. Ma, la figura dominante dell’antropologia francese è quella di Claude Lévi-Strauss, la cui teoria strutturalista travalica i confini disciplinari e nazionali. Uno dei suoi allievi, Maurice Godelier – che aveva fatto brevemente parte del gruppo di giovani studiosi nato agli inizi degli anni Sessanta intorno al filosofo marxista Louis Althusser10 – si incarica di coniugare questa teoria antropologica con il marxismo11 e, a partire da questa, elaborare la propria esperienza di campo in Papua Nuova Guinea12. Meillassoux segue un percorso intellettuale diverso, seppure inevitabilmente contiguo. Alla fine degli anni Sessanta, è uno studioso già riconosciuto a livello internazionale, attivo su più fronti, anche extra-accademici. I suoi lavori entrano B. Campbell, B. Schlemmer, A tribute to Claude Meillassoux, in “Review of African Political Economy”, a. 32, n. 103, 2005, pp. 197-201. C. Meillassoux, Anthropologie économique des Gouro de Côte d’Ivoire, Mouton, Paris 1964. 7 B. Campbell, B. Schlemmer, A tribute to Claude Meillassoux, cit.; J. Copans, Claude Meillassoux (1925-2005), cit. 8 Nella prefazione inglese di Donne, granai e capitali, Meillassoux afferma che quando pubblicò i suoi primi lavori agli inizi degli anni Sessanta, nessuno dei colleghi era interessato all’antropologia economica, a parte Pierre Bessaignet (C. Meillassoux, Preface to the English translation, cit., p. viii). Tuttavia, occorre ricordare che Maurice Godelier ebbe nel 1963 il primo incarico di antropologia economica in Francia. Il suo corso si teneva al College de France (N. Besnier, A. Howard, Maurice Godelier, in Newsletter of the Association for Social Anthropology in Oceania, 1997). 9 C. Meillassoux, The social structure of modern Bamako, in “Africa. Journal of the International African Institute”, a. 35, n. 2, 1965, pp. 125-142; id., Urbanization of an African Community: Voluntary Associations in Bamako, University of Washington Press, Seattle 1968; id., Lexique soninké (sarakolé)-français, Centre de linguistique appliquée, Dakar 1975. 10 V. Morfino, Introduzione, in E. Balibar, Cinque studi di materialismo storico, PGreco, Milano 2021, pp. I-LVI. 11 M. Godelier, Système, structure et contradiction dans “Le Capital”, in “Les Temps Modernes”, n. 246, 1966, pp. 828-64. 12 Id., Horizon, trajets marxistes en anthropologie, Maspero, Paris 1973; tr. it. di C. Damiani, Antropologia e marxismo, Editori Riuniti, Roma 1977. Altri antropologi aiuteranno Godelier in questa impresa concettuale (es. M. Augé, Théories du pouvoir et idéologie: étude de cas en Côte d’Ivoire, Herman, Paris 1975; M. Augé, Pouvoirs de vie, pouvoirs de mort. Introduction à une anthropologie de la répression, Flammarion, Paris 1977, cit. in J-L. Amselle, Beyond Marxist anthropology, in “Canadian Journal of African Studies”, a. 19, n. 1, 1985, pp. 99-105). 5

6

prefazione

IX

in dialogo con quelli di altri colleghi accomunati da una visione del marxismo che si ispira, in modo particolare, al lavoro di Althusser. Nel 1967 prende il posto di Jean Rouch nella direzione della linea di ricerca sulla cooperazione condotta all’interno del CNRS13. Nel 1969, organizza un seminario, passato alla storia, tra i colleghi universitari, come “Il seminario Meillassoux”: un luogo di incontro transdisciplinare in cui si discute, tra le altre cose, di economie tradizionali e capitaliste, sviluppo e sottosviluppo, neocolonialismo e imperialismo14. Queste riflessioni confluiranno in diversi lavori collettanei15, incluso un dossier sulla fame nel Sahel, pubblicato come collettivo16. A questo proposito, Meillassoux scrive anche un articolo di stampo accademico in cui evidenzia come le carestie non sono fatti naturali, ma il risultato di politiche agricole di sfruttamento liberali di cui beneficiano solo le imprese capitaliste17. La riflessione del gruppo di Meillassoux sul Sahel riesce ad uscire dagli angusti ambiti accademici ed è accompagnata dall’organizzazione di diversi momenti pubblici con discussioni e proiezioni di film che mirano a sensibilizzare lo spirito critico del pubblico francese su questo tema d’attualità – tutte attività che, per l’attenzione sollevata, procureranno a Meillassoux qualche difficoltà professionale18. Meillassoux è un africanista, e sa bene che un filo rosso unisce le forme di sfruttamento agricolo nel Sahel a quello delle periferie urbane di Parigi in cui egli ritrova gli stessi contadini africani, qui, proletarizzati. Si tratta allora di unificare all’interno di una cornice interpretativa comprensiva queste diverse geografie dello sfruttamento. Prende così forma quello che è forse il suo lavoro più famoso19: Femmes, greniers et capitaux, pubblicato nel 1975 e tradotto in italiano tre anni dopo con il titolo Donne, granai e capitali (1978). La ripubblicazione di questo testo a distanza di oramai più di quarant’anni dalla sua prima edizione italiana – curata da un giovanissimo Ugo Fabietti, di cui riproponiamo di seguito la prefazione – richiede un più approfondito lavoro di contestualizzazione rispetto a quanto fin qui fatto, un lavoro che permetta di dipanare, almeno in parte, il complesso intreccio di traiettorie rappresentato dall’antropologia marxista occidentale20. Questo lavoro di contestualizzazione è reso necessario J. Copans, Claude Meillassoux (1925-2005), cit. B. Campbell, B. Schlemmer, A tribute to Claude Meillassoux, cit.; M. Saul, Claude Meillassoux (1925-2005), cit.; B. Schlemmer, Hommage à Meillassoux, in www.alencontre.org, 2005. 15 Cfr. ad es. C. Meillassoux, (a cura di), L’évolution du commerce africain depuis le XIXème siècle en Afrique de l’Ouest, Oxford University Press, London 1971 [tr. ing.: The Development of Indigenous Trade and Markets in West Africa: Studies Presented and Discussed at the Tenth International African Seminar at Fourah Bay Collège Freetown, December 1969]; C. Meillassoux, Id., Femmes, greniers et capitaux, Maspero, Paris 1975. 16 Comité Information Sahel, Qui se nourrit de la famine en Afrique ? Le dossier politique de la faim au Sahel, Maspero, Paris 1974. 17 C. Meillassoux, Development or exploitation: Is the Sahel famine good business?, in “Review of African Political Economy”, n. 1, 1974, pp. 27-33. 18 Id., Preface to the English translation, cit., p. ix. 19 F. Viti, Claude Meillassoux, in “Africa. Rivista Trimestrale di Studi e Documentazione dell’Istituto per l’Africa e l’Oriente”, a. 60, n. 1, 2005, pp. 111-113. 20 Per quanto riguarda la contestualizzazione della traduzione italiana di Donne, granai e capitali uscita nel 1978, è utile ricordare che tre anni prima era stata tradotta una raccolta di saggi di Meillassoux, curata da P. Palmeri e pubblicata da Feltrinelli, intitolata L’economia della savana (1975). Il 1975 è anche l’anno in cui U. Fabietti si 13 14

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l. d’angelo

dal fatto che quello tra l’antropologia e il marxismo è un rapporto complesso, non sempre dichiarato, che, nel corso della sua storia, si è consumato, spesso, di nascosto o in maniera obliqua, come in certi contesti anglofoni di cui parleremo a breve. Al fine di riflettere sulle ragioni di questo particolare rapporto occorre però fare un passo indietro rispetto agli anni in cui prendeva forma il lavoro di Claude Meillassoux e, sulle orme di Maurice Bloch e del suo sempre attuale Marxism and anthropology (1983), provare a delineare lo scenario storico-intellettuale che fa da sfondo al lavoro di una generazione di studiosi che si affacciava all’antropologia accademica negli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, alcuni dei quali coetanei dello stesso Meillassoux. Per tratteggiare questo scenario è utile esaminare in che modo l’antropologia anglofona, e in particolare quella statunitense, ha recepito il marxismo, poiché è anche dal confronto con questa tradizione che ha preso forma l’antropologia francese post-bellica. A questo riguardo è importante tenere a mente che l’antropologia britannica, dagli anni Venti fino agli anni Sessanta, ha sostanzialmente ignorato il marxismo21, a parte qualche significativa eccezione22 – ragione per cui, in questa introduzione sorvoleremo sugli scambi tra antropologia statunitense, britannica e francese23. L’antropologia italiana ha laureava con una tesi seguita dal filosofo F. Papi e dallo stesso C. Meillassoux. Il titolo della tesi di Fabietti era: “Teoria dei modi di produzione e l’esperienza sociale degli Yanomamö” (cit. in F. Remotti, In ricordo di Ugo Fabietti. Come si può giungere all’antropologia, in “Anuac”, a. 6, n. 1, 2017, pp. 11-21). Per una ricostruzione della biografia accademica di U. Fabietti e dei suoi punti di contatto con il lavoro e la biografia di C. Meillassoux, vedi anche A. Bellagamba, Futuri passati: La frontiera in divenire tra antropologia e storia, in “Antropologia”, a. 6, n. 1, 2019, pp. 277-297 e R. Malighetti, M. Van Aken, The anthropologist as nomad. On the ethnographic legacy of Ugo Fabietti (1950-2017), in “Nomadic People”, a. 22, n. 1, 2018, pp. 1-9. Più in generale, è importante rammentare il clima intellettuale (e politico) della fine degli anni Settanta in Italia nonché la presenza di una nuova generazione di antropologi che guardava con interesse al marxismo in un periodo in cui, tuttavia, molti intellettuali italiani, e non solo italiani, avevano già iniziato ad abbandonarlo (R. Finelli, Il disagio della “totalità” e i marxismi italiani degli anni ’70, comunicazione al seminario: La crisi del soggetto. Marxismo e filosofia negli anni Settanta e Ottanta, Roma 26-28 novembre 2014). Per dare una idea di quel clima, basti ricordare che nel 1977 F. Remotti aveva organizzato a Milano un seminario su antropologia culturale e marxismo in collaborazione con la Fondazione Feltrinelli. Questo seminario ebbe vasta eco e fu recensito e discusso sui più importanti quotidiani e sulle riviste accademiche nazionali da A.M. Sobrero, L.M. Lombardi Satriani, A. Signorelli, D. Parisi, T. Tentori e lo stesso Remotti (vedi M. Squillacciotti, Prima lezione di antropologia cognitiva, ovvero i sette giorni dell’antropologia cognitiva, in A. Lutri (a cura di), Modelli della mente e processi di pensiero. Il dibattito antropologico contemporaneo, ed. it, Catania 2008, p. 281, nota 19). È bene precisare, tuttavia, che quest’ultimo scrisse un articolo in cui esprimeva le sue forti perplessità sull’antropologia marxista e su quelle che considerava le tendenze autarchiche dell’antropologia italiana (F. Remotti, Tendenze autarchiche nell’antropologia culturale italiana. Note in margine a un convegno su “Antropologia culturale e marxismo”, in “Rassegna Italiana di Sociologia”, a. 19, n. 2, 1978, pp. 183-226, cit. in F. Dei, Filosofia più fieldwork. L’antropologia di Francesco Remotti, in “Studi Culturali”, a. 15, n. 2, 2018, pp. 261-269). Alle critiche di Remotti rispose in seguito A. Signorelli (Antropologia, culturologia, marxismo. Risposta a Francesco Remotti, in “Rassegna Italiana di Sociologia”, a. 21, n. 1, 1980, pp. 97-116. 21 M. Bloch, Marxism and Anthropology. The History of a Relationship, Clarendon Press, Oxford 1983, p. 145. 22 Cfr. ad es. P. Worsley, The Trumpet Shall Sound: A Study of “Cargo Cults” in Melanesia, Paladin, London 1957. 23 Per una visione approfondita sull’antropologia britannica della prima metà del Novecento, vedi A. Colajanni, Gli usignoli dell’imperatore. Lo studio dei mutamenti sociali e l’antropologia applicata nella tradizione britannica del contesto coloniale dagli anni ’30 agli anni ’50, CISU, Roma 2012, e R. Malighetti, Antropologia applicata. Dal nativo che cambia al mondo ibrido, Unicopli, Milano 2003. Per una visione di insieme critica degli sviluppi più recenti dell’antropologia statunitense, in relazione anche all’antropologia francese e italiana, vedi B. Palumbo, Immagini del mondo. Etnografia, storia e potere nell’antropologia statunitense contemporanea, in “Meridiana”, n. 15, 1992, pp. 109-140.

prefazione

XI

seguito invece una sua specifica traiettoria legata, prevalentemente, al pensiero di Antonio Gramsci così come ai lavori di Ernesto De Martino e dei suoi allievi24 – una traiettoria che, per la ricchezza e varietà di posizioni, meriterebbe anch’essa un discorso a parte25. Per tornare all’antropologia statunitense, essa ha conosciuto vari tentativi di dialogo con il marxismo avvenuti, tuttavia, in un contesto accademico e ideologico spesso sfavorevole o persino ostile che è utile qui ricostruire. 24 es. A.M. Cirese (a cura di), Folklore e antropologia tra storicismo e marxismo, Palumbo, Palermo 1974; L.M. Lombardi Satriani, Analisi marxista e folklore come cultura di contestazione, in “Critica Marxista”, a. 6, n. 6, 1968, pp. 64-86; C. Pasquinelli, The history of a relationship: Contemporary cultural anthropology and Marxism in France and Italy, in “Dialectical Anthropology”, a. 7, n. 3, 1983, pp. 195-207; P.G. Solinas, Idealismo, marxismo, strutturalismo, in P. Clemente (a cura di), L’antropologia italiana. Un secolo di storia, Laterza, Bari 1985, pp. 205-264. 25 Sfugge agli scopi di questa introduzione esaminare il rapporto tra marxismo e antropologia italiana, ma vale la pena ricordare, oltre ai riferimenti nel testo, i due numeri dei Quaderni di “Problemi del Socialismo” intitolati “Orientamenti marxisti e studi antropologici italiani” (15/16, 1979) curati da S. Puccini, V. Padiglione, A. M. Sobrero, e M. Squillacciotti (cit. in Palumbo, Immagini del mondo, cit.; M. Squillacciotti, Prima lezione di antropologia cognitiva, cit.) a cui hanno contribuito G. Angioni, A.M. Cirese, P. Clemente, C. Gallini, C. Pasquinelli, T. Seppilli e P.G. Solinas. Il pensiero di Gramsci, in particolare, continua a influenzare, ancora oggi, nuove generazioni di antropologi italiani che hanno saputo riattualizzarlo e applicarlo in maniera originale ai propri campi di ricerca come, per esempio, in antropologia medica (es. G. Pizza, Second nature: on Gramsci’s anthropology, in “Anthropology and Medicine”, a. 19, n. 1, 2012, pp. 95-106; G. Pizza, L’antropologia di Gramsci. Corpo, natura, mutazione, Carocci, Roma 2020; P. Schirripa, L’efficacia tra simbolo e condizioni materiali di esistenza, in “AM Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica”, a. 21, n. 49, 2020, pp. 181-193), antropologia politica e africanistica (es. R. Ciavolella, Gramsci in antropologia politica. Connessioni sentimentali, monografie integrali e senso comune delle lotte subalterne, in “International Gramsci Journal”, a. 2, n. 3, 2017, pp. 174-207; R. Ciavolella, Tra subalternità e autonomia. Tracce di Gramsci nel “pensiero africano” e nella ricerca africanistica, in “International Gramsci Journal”, 4 (4), 2022, pp. 282-295) o negli studi sulle culture popolari (es. F. Dei, Cultura popolare in Italia. Da Gramsci all’Unesco, Il Mulino, Bologna 2018; F. Dei, A. Fanelli (a cura di), La demologia come “scienza normale”? Ripensare Cultura egemonica e culture subalterne, in “Lares. Quadrimestrale di studi demo-etno-antropologici”, n. 2-3, 2015). Di recente, A.M. Pusceddu e F.M. Zerilli hanno curato un dossier sul rapporto tra A.M. Cirese e il pensiero di Gramsci con vari contributi (Cirese 101: Rileggere le “Osservazioni sul folclore” di Antonio Gramsci, ANUAC, a. 11, n. 1, 2022, pp. 7-86) mentre P. Schirripa ha messo in luce come l’influenza di Ernesto de Martino su Vittorio Lanternari sia filtrata da una prospettiva storico-materialista marxista, seppure Marx non venga citato, per esempio, nell’edizione del 1959 de La grande festa, ma venga richiamato nella prefazione dell’edizione del 1976 (P. Schirripa, La grande festa e i movimenti religiosi, una prospettiva materialista nell’antropologia religiosa”, in “AM Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica”, in stampa). Altri antropologi italiani hanno seguito percorsi marxisti diversi. Per esempio, il lavoro di C. Capello spicca per la sua originale interpretazione del concetto althusseriano di transindividuale (vedi C. Capello, Dai Kanak a Marx e ritorno: Antropologia della persona e transindividuale, in “DADA Rivista di Antropologia Post-Globale”, a. III, n. 1, 2013, pp. 99-114) così come per l’impiego del concetto di ideologia sempre in chiave althusseriana (vedi C. Capello, Rituali neoliberali. Uno sguardo antropologico sui servizi per la ricerca attiva del lavoro, in “Etnografia e Ricerca Qualitativa”, 2, 2017, pp. 223-242). È utile rammentare che il concetto di transindividuale è qui ripreso dal filosofo marxista V. Morfino il cui lavoro segue, e al tempo stesso sviluppa, alcune delle intuizioni di E. Balibar (es. E. Balibar, La filosofia di Marx, manifestolibri, Roma 2005; E. Balibar, Filosofie del transindividuale: Spinoza, Marx, Freud, Mimesis, Milano 2020; E. Balibar, V. Morfino (a cura di), Il transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni, Mimesis, Milano 2014). Da parte mia, mi sono ispirato al concetto di temporalità plurale – proposto anch’esso da Morfino in Plural Temporality. Transindividuality and the Aleatory Between Spinoza and Althusser (2014) – così come ai concetti althusseriani di “materialismo dell’incontro” e di “articolazione dei modi di produzione” (es. L. D’Angelo, The art of governing contingency. Rethinking the colonial history of diamond mining in Sierra Leone, in “Historical Research”, a. 89, n. 243, 2016, pp. 136-157; L. D’Angelo, Diamonds and plural temporalities. Articulating encounters in the mines of Sierra Leone, in R.J. Pijpers, T.H Eriksen (a cura di), Mining encounters. Extractive industries in an overheated world, Pluto Press, London 2019, pp. 138-155).

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2. L’antropologia statunitense e il marxismo Fino alla prima metà degli anni Quaranta del Novecento, il capitalismo e il colonialismo non erano considerati, di per sé, oggetti di interesse per l’antropologia26. Essendo focalizzati sulle cosiddette “società primitive” – o, più in generale, su quelle società basate su una economia di sussistenza o di piccola scala generalmente trattate come “popoli senza storia”27 – gli antropologi non sembravano sentire l’urgenza di confrontarsi con la questione di come l’economia capitalista avesse a che fare anche con la vita sociale, economica e politica di queste società28. Bisognerà attendere quella generazione di antropologi che si formerà nel dopoguerra sotto la guida di Julian Steward per trovare dei lavori che mettano a fuoco tali questioni. L’originalità di questi studiosi sarà quella di leggere quei testi di Marx che aiutano a comprendere il ruolo delle società contadine nell’economia capitalista invece di partire dagli interessi dello stesso Marx per le cosiddette società “precapitaliste”. A questo proposito, bisogna ricordare che Marx fu significativamente influenzato, così come Engels, dall’antropologia americana quando questa era ancora ai suoi albori. Sia Marx che Engels, infatti, erano stati avidi lettori di Lewis Henry Morgan, l’autore di Ancient Society (1877)29 nonché esponente di spicco, insieme al collega britannico Edward Burnett Tylor, dell’antropologia evoluzionista. Questo interesse derivava dal fatto che i due filosofi rivoluzionari tedeschi intravedevano nelle società dei nativi americani una forma di comunismo primitivo che poteva ispirare la futura società post-capitalista. Leggendo Morgan, Marx raccolse una mole considerevole di appunti confluiti in quelli che sono divenuti noti come i Quaderni antropologici 30, mentre Engels fu chiaramente influenzato dall’autore di Ancient Society quando scrisse L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884)31. Con queste premesse, sembravano esserci le condizioni per un lungo e proficuo dialogo tra antropologia e marxismo32. In realtà, le cose andarono diversamente. Il progetto teorico di Morgan era strettamente legato all’evoluzionismo e, dopo la fine della Prima guerra mondiale, questa teoria fu ampiamente criticata e rimpiazzata da altri approcci che diventeranno dominanti, come il particolarismo di Franz Boas e dei suoi allievi. Per Boas il concetto di cultura ha una tale centralità che le condizioni materiali che partecipano alla formazione della cultura stessa finiscono in secondo piano. Il suo approccio è anti-evoluzionista in un contesto ideologico in cui l’evoluzionismo è frequentemente associato al M. Bloch, op. cit., p. 138; R. Layton, An Introduction to Theory in Anthropology, Cambridge University Press, Cambridge 1997. 27 E. Wolf, Europe and the People Without History, University of California Press, Berkeley 1982. 28 M. Bloch, op. cit., p. 138, 160-1. 29 L.H. Morgan, Ancient Society, or Researches in the Lines of Human Progress from Savagery through Barbarism to Civilization, Henry Holt & Co, New York 1877. 30 K. Marx, Quaderni antropologici. Appunti da L.H. Morgan e da H.S. Maine, Unicopli, Milano 2009. 31 La prima edizione del libro di Engels in tedesco è del 1884 mentre la prima traduzione in inglese è del 1902 (F. Engels, L’ origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. In rapporto alle indagini di Lewis H. Morgan; trad. it. di D. Della Terza, a cura di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 2019). 32 M. Bloch, op. cit. 26

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comunismo. La proposta di Boas sottolinea invece l’irriducibilità delle culture e difende una forma di relativismo per la quale la validità di ogni cultura è stabilita in rapporto a sé stessa33. L’antropologia di Boas e dei suoi allievi – tra cui, le più dotate ed influenti furono senz’altro Ruth Benedict e Margaret Mead – si impose nella scena accademica antropologica come la più vicina alla sensibilità e ai valori della cultura liberale statunitense34. Nonostante l’influenza della scuola boasiana, le tesi evoluzionistiche di Morgan, così come quelle di Tylor, non furono dimenticate del tutto. Negli anni Trenta del Novecento, Leslie Alvin White si fece promotore di un tentativo di ravvivare i lavori di queste due figure centrali del pensiero antropologico evoluzionista. White conobbe l’antropologia negli anni Venti seguendo i corsi di Alexander Aleksandrovich Goldenweiser, uno studioso nato in Ucraina nel 1880 e migrato negli Stati Uniti nel 1900 che si era addottorato con Franz Boas. White si era avvicinato al marxismo alla fine degli anni Venti mentre il paese era scosso dalla crisi del 1929. In quello stesso periodo stabilì contatti con antropologi sovietici, compì un viaggio in Unione Sovietica, e si iscrisse al Socialist Labour Party americano quando quest’ultimo era sotto la guida di Arnold Petersen – un promotore del marxismo libertario di Daniel De Leon. Così come Franz Boas si era prodigato nel criticare l’evoluzionismo culturale mostrando quelli che, a suo modo di vedere, erano i suoi punti teorici più deboli – e i suoi assunti razzisti –, allo stesso modo, White divenne un fervido anti-boasiano che rivendicava la validità e l’attualità scientifica dell’evoluzionismo. Gli antropologi sovietici del tempo, per quanto condividessero con White lo stesso interesse per i lavori di Morgan e, più in generale per l’antropologia evoluzionista, erano, tuttavia, più simpatetici con il centralismo democratico del marxismo-leninismo che con il comunismo libertario americano, e non recepirono positivamente la sua teoria neo-evoluzionista, che pure era stata influenzata dal confronto con la stessa antropologia sovietica35. Al contempo, questo interesse di White per l’evoluzionismo di Morgan non fu visto di buon grado da vari colleghi americani poiché, come si è fatto cenno, veniva associato al comunismo e al marxismo – e quindi era visto come una prospettiva contraria agli assunti ideologici della vita americana. A partire dagli anni della Seconda guerra mondiale, con il mutato assetto geopolitico internazionale, White fu apertamente considerato come un pericoloso sovversivo comunista nonostante lo stesso antropologo non si fosse mai dichiarato tale e i suoi lavori non citassero apertamente Marx o Engels. Egli fu quindi osteggiato e poi ignorato fino agli anni Sessanta36, ossia, fino a quando le teorie evoluzioniste ritornano brevemente in auge grazie al lavoro di Julian Haynes Steward e alla sua proposta teorica: l’ecologia culturale. Steward e White erano quasi coetanei e condividevano in linea di massima un approccio all’evoluzione culturale che mostrava interesse per i cambiamenti tec-

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F. Boas, Race, language, and culture, MacMillan, New York 1940. M. Bloch, op. cit., p. 128. Ivi, pp. 128-9. Ivi, p. 129.

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nologici e rifuggiva il particolarismo boasiano37. Essi differivano però sotto altri importanti aspetti. In particolare, White difendeva una versione unilineare dell’evoluzionismo. Steward, invece, abbracciava una prospettiva che esaltava la pluralità o la multilinearità dell’evoluzione sociale come risulta chiaro, per esempio, in Theory of Cultural Change: The Methodology of Multilinear Evolution (1955)38. Inoltre, Steward prestava attenzione ai contesti ambientali che nelle analisi di White erano invece ignorati. Ispirato dai lavori di Karl Wittfoegel, e dalla nozione di modo di produzione asiatico, Steward esaminava come le diverse società si adattano a specifiche condizioni ambientali sulla base delle tecnologie a loro disponibili. Per questa attenzione agli aspetti ambientali o ecologici dell’evoluzione sociale la sua prospettiva fu definita appunto ecologia culturale. Sia White che Steward ebbero molta influenza su una generazione di giovani studiosi, alcuni dei quali erano stati veterani di guerra e provenivano dalla classe proletaria americana. Questi giovani si erano iscritti all’università avvicinandosi all’antropologia grazie ai benefici del GI Bill – un programma di borse di studio che concedeva, tra le altre cose, educazione superiore gratuita a chi aveva prestato servizio militare durante il conflitto mondiale. Alcuni di questi studiosi diventeranno stelle dell’antropologia americana come, per esempio, Stanley Diamond, Sidney Mintz e Eric Wolf – per citare solo alcuni degli allievi di Steward più famosi e influenti a livello internazionale che fecero anche parte del noto progetto People of Puerto Rico39. Anche Marvin Harris, come i colleghi qui menzionati, aveva ottenuto i benefici del GI Bill e si era potuto iscrivere alla Columbia University pur provenendo da un contesto proletario. Non aveva però fatto parte del progetto People of Puerto Rico. Sotto la guida di Charles Wagley, un antropologo esperto del Brasile, aveva condotto la sua prima esperienza di campo in Mozambico nel 1957. Vale la pena soffermarsi un momento proprio sul lavoro di Harris, il teorico del “materialismo culturale”, per mettere a fuoco una questione che sarà importante tenere a mente per contestualizzare gli sviluppi dell’antropologia marxista negli Stati Uniti ed evidenziare la specificità della prospettiva antropologica francese. Di fondo, la proposta di Harris si basa su due assunti. Primo, il materialismo culturale non si deve preoccupare, quantomeno in linea di principio, delle proprie implicazioni politiche – anche se poi, di fatto, Harris le esamina spesso. Secondo, e forse più importante assunto di questa proposta teorica: bisogna fare a meno della nozione di dialettica. Seguendo l’insegnamento di Steward, inoltre, il materialismo culturale di Harris fa proprio l’evoluzionismo multilineare, che ritiene pienamente in sintonia con la visione evolutiva dello stesso Marx. Come per i suoi predecessori, il principale bersaglio polemico del materialismo culturale è, ancora una volta, il particolarismo di Boas. Nel corso della sua lunga carriera, però, Harris si confronterà polemicamente anche con gli antropologi marxisti “ortodossi”, ossia, con U. Fabietti, Storia dell’antropologia, Zanichelli, Milano 2001, p. 175. J.H. Steward, Theory of Cultural Change: The Methodology of Multilinear Evolution, University of Illinois Press, Urbana-Chicago 1955. 39 Per approfondimenti, vedi G. Baca, Sidney W. Mintz: From the Mundial Upheaval Society to a dialectical anthropology, in “Dialectical Anthropology”, a. 40, n. 1, 2016, pp. 1-11. 37 38

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coloro che, a suo modo di vedere, ricorrono al pensiero dialettico ogni qual volta si tratta di comprendere, per esempio, le interazioni tra economia, società e morale. Qui, il riferimento è, soprattutto, all’antropologia francese che affronteremo in seguito. Per gli scopi di questa riflessione introduttiva basti osservare che il materialismo culturale di Harris semplifica eccessivamente questo tipo di interazioni e, come ha osservato più di un lettore critico, propone, di fatto, una forma di analisi deterministica in cui “la spiegazione delle credenze e dei valori delle persone è da ricercarsi direttamente nella natura della combinazione tecno-ambientale”40. Viste queste premesse c’è da domandarsi che cosa ci sia di veramente marxista nel “materialismo culturale” di Harris al di là del modo in cui lo presenta e lo definisce il suo artefice. La questione è rilevante in quanto Harris, a differenza dei suoi maestri e di altri suoi colleghi, si è sempre dichiaratamente definito come un marxista – e come tale è stato percepito nel dibattito accademico dagli anni Sessanta in poi, quando era meno problematico che negli anni precedenti dichiararsi tale visto il mutato contesto culturale. Fondando la sua proposta su assunti altamente problematici da un punto di vista marxista, Harris ha contribuito, però, a diffondere una immagine distorta di questo pensiero, una immagine che si è prestata a facili critiche41 e che ha diffuso l’idea che le debolezze teoriche del materialismo culturale fossero le stesse del marxismo tout court 42. Come si è fatto cenno, tra gli allievi di Stewart vi erano però anche studiosi di notevole spessore teorico come Eric Wolf e Sidney Mintz. Saranno loro a capire l’importanza di uscire dai ristretti ambiti della ricerca di campo per allargare lo sguardo e collegare le esperienze locali entro più ampie cornici interpretative economiche, politiche e storico-geografiche, spesso, di livello mondiale43. Per questa via, entrambi si avvicinano a posizioni marxiste in quanto le considerano utili a comprendere le economie rurali in rapporto alle società capitaliste e al colonialismo – prime fra tutte quelle espresse da Karl Kautsky, ossia, colui che Vladimir Lenin considerava un “rinnegato”, ma che Eric Wolf, per esempio, apprezza per il suo interesse verso le masse contadine – e, in particolare, le posizioni di Rosa Luxemburg, a sua volta criticata da Lenin così come da Trotskij44. Prima di passare ad esaminare la traiettoria francese è importante rimarcare un aspetto a cui si è fatto sopra rapidamente cenno e che ci consente di comprendere ancora più a fondo il modo in cui ha preso forma il rapporto tra antropologia e marxismo negli Stati Uniti. Fino agli inizi degli anni Sessanta, erano pochi gli studiosi che potevano dichiararsi apertamente marxisti senza correre il rischio di essere ostracizzati e relegati ai margini dell’accademia o espulsi da essa del tutto. Uno di questi studiosi era M. Bloch, op. cit., p. 133 (corsivo in originale). Vedi, per esempio, M. Sahlins, Culture and Practical Reasons, University of Chicago Press, Chicago 1976; tr. it. di B. Amato, Cultura e utilità, Anabasi, Milano 1994. 42 M. Bloch, op. cit., p. 135. 43 Tra le principali opere dei due antropologi americani vedi, per esempio, S.W. Mintz, Worker in the Cane: A Puerto Rican Life History, Greenwood Press, Westport, CN 1974; S.W. Mintz, Sweetness and Power. The Place of Sugar in Modern History, Sifton, New York 1985; E.R. Wolf, Peasant Wars of the Twentieth Century, Harper & Row, New York 1969. 44 M. Bloch, op. cit., p. 139. 40 41

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Karl August Wittfogel, l’autore di Oriental Despotism (1957)45. Wittfogel ebbe molta influenza sugli antropologi americani e il suo libro viene ancora citato da chi si occupa di studi agrari e sistemi di irrigazione, anche se per liquidarne rapidamente (e facilmente) le posizioni fin troppo meccanicistiche46. L’ipotesi materialista del suo magnum opus è che la ricorrenza di certi aspetti tecnologici, economici, ambientali e politici può spiegare l’insorgenza di configurazioni statuali simili in regioni del mondo diverse – che è poi l’idea di fondo che abbiamo già intravisto anche nell’ecologia culturale di Steward e che ricorre, più in generale, in molti movimenti ecologisti americani tra gli anni Cinquanta e Settanta47. Poco noto è il fatto che Wittfogel è stato uno studioso, a dir poco, controverso. Studi d’archivio hanno rivelato cupi retroscena sul suo operato accademico che gettano ombre, più in generale, sul mondo universitario americano dell’immediato Dopoguerra48. Questa vicenda merita un approfondimento. Wittfogel era nato in Germania nel 1896 e in gioventù era stato un membro attivo del partito comunista tedesco nonché un convinto antinazista al punto da essere arrestato e internato quando Hitler salì al potere nel 1933. Nel 1934 riuscì a scappare negli Stati Uniti dove riprese i suoi studi concentrandosi sul contesto economico e politico cinese. In questi studi, Wittfogel fa ampio uso di analisi materialiste di impianto marxista ed elabora una interpretazione della nozione di modo di produzione asiatico che lo porta a un profondo ed irrimediabile disaccordo con i teorici sovietici, i quali ritenevano che questa nozione – che pure era stata proposta, anche se non particolarmente elaborata, da Marx e Engels – non fosse conciliabile con la visione evolutiva lineare che gli stessi Marx e Engels avevano discusso in maniera più approfondita nei loro lavori principali, né essa era compatibile con il progetto politico e statuale sovietico49. La dismissione della nozione di modo di produzione asiatico fu sancita dalla conferenza di Leningrado del 1931 – su cui ritorneremo a breve – e questa decisione fu, secondo l’antropologo David Price50, una delle ragioni teoriche e ideologiche che spinse Wittfogel ad allontanarsi sempre di più dal comunismo pur rimanendo fedele ad una visione materialista di tipo meccanicista che traeva ampia ispirazione dal marxismo. Senza entrare troppo nei dettagli di una complessa vicenda che è al contempo politica ed accademica, Wittfogel si trasferì negli Stati Uniti nel 1934 e dopo qualche anno, a partire dagli anni Quaranta, divenne un informatore della Federal Bureau of Investigation (FBI) – come testimoniano in maniera dettagliata gli archivi de-secretati esaminati in tempi recenti da David Price. In K.A. Wittfogel, Oriental Despotism. A Comparative Study of Total Power, Yale University Press, New Haven 1957. Wittfogel è noto principalmente per la sua teoria idraulica elaborata mettendo a confronto gli aspetti tecnologici, economici, ambientali e politici condivisi dalle cosiddette “società idrauliche” – solitamente società repressive o dispotiche – presenti in varie parti del mondo (vedi D.H. Price, Wittfogel’s neglected hydraulic/hydroagricultural distinction, in “Journal of Anthropological Research”, a. 50, n. 2, 1994, pp. 187-204). 47 D.H. Price, Materialism’s free pass: Karl Wittfogel, McCarthyism, and the “bureaucratization of guilt ”, in D.M. Wax (a cura di), Anthropology at the Dawn of the Cold War. The Influence of Foundations, McCarthyism and the CIA, Pluto Press, London 2008, p. 38. 48 Ibid. 49 Ivi, p. 39. 50 Ibid. 45

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quanto informatore dell’FBI, Wittfogel aveva il compito di segnalare al governo americano colleghi e studenti che, a suo modo di vedere, mostravano simpatie comuniste. In diversi casi, si è scoperto poi, queste segnalazioni erano motivate più da antipatie o rivalità accademiche personali che da un effettivo interesse o passione per il comunismo delle persone denunciate. Quando la collaborazione di Wittfogel divenne, in parte, nota al pubblico – un articolo di giornale rivelò, infatti, che egli aveva testimoniato contro alcuni colleghi di fronte ad un’audizione con il senatore Patrick McCarran nel 1950 – egli fu isolato dai principali circoli intellettuali accademici liberali. Tenuto alla larga da gran parte dei colleghi e abbandonato dagli studenti, si ritrovò così a lavorare interamente alla sua opera più famosa, pubblicata nel 1957. Questo isolamento non fu però totale. Julian Steward, per esempio, lo invitò a una sessione da lui coordinata all’incontro annuale dell’American Anthropological Association del 1953 e pubblicò il suo contributo in una collettanea del 195551 in cui, come evidenzia Price52, tutti citano Wittfogel, ma lui è l’unico a citare direttamente Marx53. Perché questa relativamente lunga escursione nella vicenda di Wittfogel? Perché essa aggiunge altri importanti tasselli per ricostruire il panorama accademico che fa da sfondo al rapporto tra antropologia e marxismo negli Stati Uniti mostrando, in particolare, come sia stato possibile “disarticola[re] l’analisi materialista dalla più tradizionale impresa politica marxista”54. Negli anni del maccartismo, il paradosso che si crea è che, per molti studiosi, l’unico modo di applicare analisi materialiste senza correre il rischio di essere accusati di essere comunisti, e pagarne le conseguenze in termini di carriera professionale, è di appoggiarsi ai lavori di Wittfogel il quale, per il suo ruolo di informatore dell’FBI, aveva ottenuto una sorta di “lasciapassare”55. A ben vedere, questo lasciapassare non fu però concesso ignorando del tutto il modo in cui egli faceva uso del marxismo. La tesi da lui difesa secondo la quale l’eliminazione della proprietà privata e la gestione da parte dello Stato di lavori pubblici conduceva gli stati a forme di potere dispotico o tirannico aveva chiaramente nel mirino gli stati comunisti. È quindi un errore pensare che le analisi di Wittfogel siano distinguibili dalla sua azione di collaborazione con il governo americano in chiave anticomunista. Come osserva ancora una volta Price56, se Wittfogel avesse veramente seguito Marx fino in fondo, e non si fosse invece prefissato di criticarlo e di combattere, con ogni sua energia intellettuale, il comunismo, probabilmente, sarebbe stato anche lui vittima del maccartismo. Curiosamente, Marvin Harris è stato tra coloro che hanno fatto notare come la vicenda di Wittfogel, e il suo modo di usare concetti marxisti, abbia danneggiato

J.H. Steward et al., Irrigation Civilizations: A Comparative Study, Pan American Union, Washington 1955. D.H. Price, Materialism’s free pass, cit., pp. 52-53. 53 Non era insolito, tra gli antropologi che lavorarono negli anni del maccartismo, rimuovere riferimenti alle opere di Marx poco prima di essere pubblicati (J. Vincent, Anthropology and Politics: Visions, Traditions, and Trends, University of Arizona Press, Tucson 1990, pp. 238-242, cit. in D.H. Price, Materialism’s free pass, p. 55). 54 D.H. Price, Materialism’s free pass, cit., p. 52. 55 Ibid. 56 Ivi, p. 55. 51

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la reputazione del materialismo tra gli antropologi americani57. Come abbiamo visto, tuttavia, una simile critica è stata avanzata a proposito delle stesse posizioni di Harris. In sintesi, si potrebbe dire che entrambi hanno contribuito, seppure in contesti e per ragioni molto diverse, a indebolire la diffusione e la discussione di approcci materialisti e marxisti nell’antropologia statunitense58. Tenuto conto di tutto ciò, si comprenderà meglio la portata innovativa del tentativo francese di elaborare un’antropologia marxista e la ragione per cui, agli occhi di tanti antropologi statunitensi attivi dalla metà degli anni Sessanta in poi, questo modo di fare antropologia diventerà un “oggetto di culto”59. 3. L’antropologia francese marxista Fino alla fine degli anni Trenta l’antropologia francese era stata fortemente influenzata dai lavori di Marcel Mauss che, come è noto, era nipote e allievo prediletto di Émile Durkheim, il quale era un convinto repubblicano conservatore che nel 1871 aveva accolto con favore la soppressione dell’esperienza della Comune di Parigi60. La Seconda guerra mondiale sferzò un duro colpo al sistema universitario francese e alla scuola nata intorno a Mauss. Alcuni studiosi dovettero fuggire dalla Francia e dall’Europa come, per esempio, Claude Lévi-Strauss – a cui fu tolta la cittadinanza francese in quanto di origini ebraiche. L’antropologo parigino trovò rifugio negli Stati Uniti, a New York, dove, in quegli anni, la presenza di altri studiosi in fuga dall’Europa aveva contribuito a formare una vivace comunità intellettuale. Durante il suo soggiorno newyorchese, furono principalmente due le figure che influenzarono il suo percorso teorico: il linguista Roman Jakobson, rifugiato anch’egli dall’Europa a causa della guerra, e l’antropologo Franz Boas, nato in Germania ed emigrato negli Stati Uniti nel 1887, considerato da tanti il “padre dell’antropologia nordamericana”. È in rapporto alle teorie di questi due studiosi che Lévi-Strauss elaborò una nuova teoria per l’antropologia: lo strutturalismo61. Finita la guerra, e tornato a Parigi nel 1948, Lévi-Strauss si incaricò di rifondare la disciplina dopo il disastro provocato dal conflitto mondiale. Fino agli anni Sessanta, lo strutturalismo incoraggiò un modo di fare antropologia che non era né marxista né antimarxista – per quanto Lévi-Strauss affermasse che la sua teoria M. Harris, The Rise of Anthropological Theory: A History of Theories of Culture, Crowell, New York 1968; tr. it. di P.G. Donini, M. Sofri, M. Callari Galli (a cura di), L’evoluzione del pensiero antropologico. Una storia della teoria della cultura, Il Mulino, Bologna 1971. 58 Per un’analisi critica del materialismo culturale e delle ragioni del disinteresse verso questa proposta teorica in Italia, vedi P. Vereni, L’evoluzione del pensiero di Marvin Harris. Note sul materialismo culturale, in “L’Uomo”, a. 6, n. 1-2, 1993, pp. 267-289. 59 C.M. Hann, K. Hart, Economic Anthropology: History, Ethnography, Critique, Polity, Cambridge 2011; trad. it. di E. Guzzon, Antropologia economica. Storia, etnografia, critica, Einaudi, Torino 2011; p. 91. 60 P. Neveling, L. Steur, Introduction: Marxian anthropology resurgent, in “Focaal – Journal of Global and Historical Anthropology”, n. 82, 2018, pp. 1-15. 61 C. Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Plon, Paris 1962; tr. it. di P. Caruso, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano 2015; Id., Anthropologie structurale, Plon, Paris 1964; tr. it. di P. Caruso, Antropologia strutturale, Net, Milano 2002. 57

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era ispirata dal marxismo e compatibile con esso – con il risultato pratico che l’antropologia francese non cercò nel marxismo una effettiva sponda teorico-politica per diversi anni nonostante ci fossero studiosi ideologicamente e politicamente vicini ad esso62. Così, in questo periodo post-bellico, furono pochi gli antropologi francesi che potevano dirsi effettivamente marxisti o che usavano nei propri lavori idee apertamente ispirate al marxismo. I pochi tentavi fatti produssero analisi legate a visioni rigidamente ortodosse risultando conseguentemente poco convincenti, anzi, questi tentativi confermavano i (pre)giudizi di chi le considerava troppo riduzionistiche. L’antropologia di Lévi-Strauss si proponeva invece come una novità rispetto ai paradigmi fino ad allora dominanti, e offriva un tipo di analisi che mirava a prevenire ogni forma di riduzionismo, al contrario di quanto si poteva dire dello struttural-funzionalismo legato alla scuola britannica di Radcliffe-Brown. Sarà la mutata atmosfera degli anni Sessanta – nel contesto della guerra in Algeria e in Vietnam, dello sforzo di destalinizzazione dell’Unione Sovietica, dei processi oramai avviati e, per certi aspetti conclusi, di decolonizzazione delle potenze imperiali europee in Africa e Asia, nonché della rivoluzione culturale proletaria promossa da Mao Tse Tung in Cina – a creare le condizioni culturali affinché vari studiosi si appoggiassero in maniera sempre più aperta e convinta a concetti e teorie marxiste. C’è una questione teorica, in particolare, che esprime bene questa esigenza di confrontarsi con le teorie marxiste, incluse quelle promosse dall’ortodossia sovietica, ossia, la questione della teoria dei cinque stadi della storia63. La visione della storia che gli antropologi ricavavano dai loro studi sulle cosiddette società “tradizionali” non si adattava a questo schema rigido. Lo storico dell’Africa Jean Suret-Canale, esponente di spicco degli intellettuali comunisti francesi e fondatore, nel 1960, del Centre d’Études et de Recherches Marxistes (CERM), fece il tentativo di risolvere questa problematicità rispolverando il concetto di modo di produzione asiatico proposto da Marx intorno al 185064. Marx aveva elaborato questo concetto quando si era interessato, in particolare, all’India e ad altri paesi del continente asiatico, tra cui la Cina, sentendo la necessità di includere questa enorme porzione di mondo nello schema di sviluppo del materialismo storico. Tuttavia, nei suoi lavori successivi, congiuntamente a Engels, Marx favorì un modello di sviluppo pensato a partire dall’esperienza storica dell’Europa occidentale. Tra il 1929 e il 1931 il concetto di modo di produzione asiatico fu al centro di un acceso dibatti-

M. Bloch, op. cit., p. 146-7. Secondo questa teoria, promossa da Stalin in un saggio pubblicato alla fine degli anni Trenta, la storia umana avrebbe dovuto seguire uno schema di sviluppo lineare attraverso cinque stadi: comunismo primitivo, società schiavistica, feudalesimo, capitalismo e socialismo (I. Stalin, Materialismo dialettico e materialismo storico, Editori Riuniti, Roma 1950). In questo schema non c’era spazio per altri modi di produzione come, ad esempio, quello asiatico, sebbene Marx e Engels lo discussero. Per porre rimedio a questo limite, alcuni pensatori marxisti suggerirono varie soluzioni, tra cui quella di considerare il modo di produzione asiatico come una variante dello stadio schiavistico (J.A. Fogel, The debates over the Asiatic mode of production in soviet Russia, China, and Japan, in “The American Historical Review”, a. 93, n. 1, pp. 56-79. 64 J. Suret-Canale, Les sociétés traditionnelles en Afrique tropicale et le concept de mode de production asiatique, in “La Pensée”, n. 117, 1964, pp. 21-42. 62 63

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to che si concluse con la Conferenza di Leningrado del 1931 durante la quale fu rigettato dai suoi partecipanti65. Per Suret-Canale, il concetto di modo di produzione asiatico doveva essere invece ripreso e riadattato alle condizioni esaminate dagli storici e antropologi francesi in Africa evitando così le secche del modello eurocentrico imposto dall’establishment sovietico66. In questo modo, si aprì la strada per l’elaborazione del concetto di modo di produzione africano e, cosa ancor più importante, passò l’idea che “non si trattava più di confermare le conclusioni dei classici marxisti, ma di continuare i loro lavori alla luce di nuove evidenze”67. L’antropologia, con la sua metodologia basata sulla ricerca di campo, poteva produrre queste nuove evidenze e rigenerare continuamente l’analisi materialista. Del resto, Marx ed Engels si erano appoggiati proprio ai lavori di un antropologo le cui teorie, tuttavia, erano oramai desuete. Così, come si è già fatto cenno, Suret-Canale ebbe un ruolo fondamentale nell’avviare, negli anni Sessanta, il dibattito francese sul modo di produzione asiatico mostrando come l’antropologia contemporanea potesse offrire riflessioni utili per andare al di là di Marx68. La nascente antropologia marxista non poteva però fare a meno di confrontarsi anche con lo strutturalismo di Lévi-Strauss per aspirare a una qualche forma di riconoscimento accademico. Vari studiosi hanno contribuito ad unificare marxismo e strutturalismo ma, fra questi, ebbe senz’altro un ruolo centrale, soprattutto tra gli antropologi, Maurice Godelier, il quale fu tra coloro che raccolsero la sfida lanciata da Suret-Canale di rinnovare le analisi di Marx e Engels sulle società precapitalistiche. A tal riguardo, Godelier elaborò un contributo teorico già nella prima metà degli anni Sessanta con un articolo pubblicato dal neonato CERM69. Il passo fondamentale compiuto in questa direzione fu congedare, innanzitutto, la teoria dei cinque stadi70. Come vedremo a breve, questo passaggio aprì il dibattito sviluppato dalla corrente più althusseriana dell’antropologia marxista francese sui modi (da sottolineare il plurale) di produzione in una ottica che rifiuta ogni linearità di sviluppo storico di stampo eurocentrico. Lo sforzo congiunto della generazione di antropologi francesi di quegli anni fu quindi improntato a superare questa visione della storia usando il concetto di modi di produzione non come una griglia entro la quale classificare le diverse società, ma come uno strumento teorico a tutti gli effetti, definito in maniera rigorosa e applicabile a realtà concrete71. Ciò implicava un diverso approccio e una parziale riconcettualizzazione del marxismo. La 65 K. Currie, The Asiatic mode of production: Problems of conceptualising State and economy, in “Dialectical Anthropology”, a. 8, n. 4, 1984, pp. 251-268. 66 J. Suret-Canale, Essais d’histoire africaine. De la traite des Noirs au néocolonialisme, Editions Sociales, Paris 1980. 67 M. Bloch, op. cit., p. 149. 68 L’idea che occorra andare “al di là di Marx” attraverserà per decenni varie discipline, in particolare, la storia, l’antropologia e la filosofia (es. J-L. Amselle, Beyond Marxist anthropology, cit.; T. Negri, Marx oltre Marx, manifestolibri, Roma 2003; M. Van der Linden, K.H. Roth (a cura di), Beyond Marx. Theorising the Global Labour Relations of the Twenty-First Century, Brill, Leiden-Boston 2014). Tale espressione, e i corrispondenti sforzi, meriterebbero un approfondimento che chiarisca fino a che punto si possa andare al di là di Marx con Marx. 69 M. Godelier, La notion de “mode production asiatique” et les schémas marxistes d’évolution des sociétés, Editions sociales, Paris 1963. Vedi anche M. Bloch, op. cit., p. 150. 70 es. M. Godelier, Système, structure et contradiction dans “le Capital”, cit. 71 M. Bloch, op. cit., p. 151.

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rilettura di Marx fatta da Louis Althusser a partire dalla metà degli anni Sessanta offriva, in tal senso, un più che valido sostegno teorico72. Con la pubblicazione di Lire le Capital (1965) e di altri lavori concomitanti, primo fra tutti Pour Marx (1965), il filosofo francese diventò infatti un riferimento per quanti intendevano smarcarsi dallo strutturalismo lévi-straussiano senza rinunciare al concetto fondamentale di struttura73. Il contributo filosofico di Althusser consentiva inoltre di definire meglio il concetto di modo di produzione mettendo sul tavolo della riflessione un altro concetto ad esso correlato, ossia quello di articolazione, su cui vale la pena qui soffermarsi brevemente. L’invenzione del concetto di articolazione viene spesso attribuita a Louis Althusser, che lo adotta nell’opera scritta insieme ai suoi allievi dell’École Normale Supérieure di Parigi, Lire le Capital 74. In questa opera collettiva, i contributi specifici di Louis Althusser ed Étienne Balibar spiccano in quanto impiegano questo concetto al fine di indicare una particolare forma di collegamento tra livelli diversi, una forma che non produce necessariamente una unità integrata e omogenea. Secondo Aidan Foster-Carter, è stato però Pierre-Philippe Rey a raffinare il concetto di articolazione nel dibattito storico-antropologico che diventerà noto come “controversia sui modi di produzione”. Questa controversia nacque negli anni Settanta dal tentativo di proporre una teoria marxista alternativa alla teoria della dipendenza di Gunder Frank. Secondo il principale rappresentante della scuola latino-americana della teoria della dipendenza, il responsabile primario del “sottosviluppo” dei cosiddetti “Paesi del Terzo Mondo” – per usare la terminologia allora in voga – è il capitalismo75. La sua divisione del mondo in “metropoli” e “satelliti”, e la sua concezione del capitalismo come entità omogenea e ubiqua, appaiono però agli occhi di tanti studiosi marxisti, e in particolare agli allievi di Althusser, troppo semplicistiche. Per questi ultimi, la relazione tra il modo di produzione capitalistico e gli altri modi di produzione non può essere pensata né in termini di semplice successione o transizione né in termini di dissoluzione o di trascendenza dialettica76. In questa ottica, il concetto di articolazione ha la funzione primaria di ripensare la relazione tra capitalismo e modi di produzione non-capitalistici a partire dall’assunto empirico secondo cui in ciascuna formazione sociale coesistono diversi modi di produzione. Rey considera il concetto di articolazione come un processo storico, e dunque temporale, che si sviluppa a stadi, ma che non si completa mai. Infatti, il capitalismo non può mai eliminare del tutto i modi di produzione non-capitalisti77. Non lo può fare perché ne va della sua stesPer una efficace sintesi del pensiero di L. Althusser, e della sua influenza sui suoi principali allievi e, in particolare, su E. Balibar, vedi V. Morfino, Introduzione, cit., così come L. Pinzolo, Il materialismo aleatorio. Una filosofia per Louis Althusser, Mimesis, Milano 2012; S. Pippa, Althusser and contingency, Mimesis International, Milano 2019. 73 L. Althusser, Pour Marx, Maspero, Paris 1965; tr. it. a cura di M. Turchetto, Per Marx, Mimesis, Milano 2015; L. Althusser et. al., Lire le Capital, Maspero, Paris 1965; tr. it. a cura di M. Turchetto Leggere il Capitale, Mimesis, Milano 2006. 74 A. Foster-Carter, The modes of production controversy, in “New Left Review”, n. 107, 1978, a pp. 52-3. 75 A. Gunder Frank, Development and underdevelopment in the new world: Smith and Marx vs. the Weberians, in “Theory and Society”, a. 2, n. 1, 1975, pp. 431-466. 76 A. Foster-Carter, The modes of production controversy, cit. p. 51. 77 Ivi, p. 59. 72

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sa esistenza come forma di appropriazione di lavoro non retribuito. Per cui, viene abbandonata anche l’idea che esista un numero definito di modi di produzione78. Che il capitalismo abbia bisogno dei modi di produzione non capitalistici per il suo stesso funzionamento era stato già messo in luce da Rosa Luxemburg79, ma il lavoro di Claude Meillassoux, e in particolare Donne, granai e capitali, ha il merito di fare emergere questo aspetto in tutta la sua evidenza etnografica: dalle regioni aride e semiaride dell’Africa occidentale ai sobborghi parigini dove vivono gli ex contadini proletarizzati, i modi di produzione non-capitalistici, di fatto, sostengono le comunità risolvendo una questione cruciale di cui il capitalismo non si fa carico, ossia, garantire la riproduzione e la sicurezza sociale. Meillassoux ha anche un altro merito all’interno di questo dibattito: introduce, già in L’Anthropologie économique des Gouro de Côte d’Ivoire (1964), la nozione di “modo di produzione lignatico” o segmentario80. Secondo Meillassoux, tra i Gouro il modo di produzione lignatico mette in gioco le alleanze tra gruppi famigliari, a loro volta, controllati in maniera collettiva dagli anziani. La peculiarità di questo modo di produzione è che gli anziani utilizzano la parentela sia come strumento di controllo ideologico con il quale confermare le strutture di potere esistenti sia come mezzo di organizzazione del lavoro dei giovani. In questo sistema di organizzazione sociale i matrimoni diventano invece modi per stabilire o rafforzare rapporti e alleanze tra gruppi distinti. Il lavoro di Meillassoux fu ripreso dall’amico Emmanuel Terray – tra gli antropologi qui menzionati, uno dei più fedeli interpreti di Althusser insieme a Pierre-Philippe Rey – in Le marxisme devant les sociétés “primitives” (1969)81. Questo testo, tradotto anche in inglese, si compone di due lunghi saggi che contribuiranno a far conoscere e a diffondere i risultati dell’antropologia francese in ambito anglosassone, soprattutto, il lavoro di Meillassoux. Il primo saggio è una rilettura dell’opera principale di Morgan, Ancient Society, che mira a fare i conti una volta per tutte con gli approcci marxisti evoluzionistici mostrando le differenze, ma anche le convergenze, tra marxismo, strutturalismo ed evoluzionismo. Il secondo saggio, invece, riesamina appunto il lavoro condotto da Meillassoux tra i Guro in Costa d’Avorio – paese africano che lo stesso Terray conosce molto bene in quanto anch’egli vi ha condotto la sua ricerca di campo, ma tra i Dida82. Meillassoux aveva impiegato il concetto di modo di produzione, ma non lo aveva elaborato a fondo. Terray rilegge il testo di Meillassoux attraverso lenti althusseriane – la pubblicazione di Leggere il capitale, vale la pena ricordarlo, è di un anno successivo alla pubblicazione sui Gouro e Meillassoux ha sempre affermato di essersi avvicinato a Marx M. Bloch, op. cit., p. 150. R. Luxemburg, Die Akkumulation des Kapitals. Ein Beitrag zur ökonomischen Erklärung des Imperialismus, Vereinigung internationaler Verlagsanstalten, Berlin 1923; tr. it. di B. Maffi, prefazione di M. Turchetto, L’accumulazione del capitale, PGreco, Milano 2021. 80 Il concetto di modo di produzione lignatico è stato ripreso anche da Godelier, Terray e Wolf. 81 E. Terray, Le marxisme devant les sociétés “primitives”, Maspero, Paris 1969; tr. it. di C. Damiani, Il marxismo e le societá primitive, Savelli, Roma 1975. 82 E. Terray, L’organisation sociale des Dida de Côte d’Ivoire. Essai sur un village dida de la région de Lakota, Université d’Abidjan, Abidjan 1969. 78 79

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in maniera autonoma a partire dal suo impegno politico negli anni Cinquanta – e mostra come un uso più rigoroso dei concetti di modo di produzione e di formazione sociale riveli la presenza, nella società Gouro, di due diversi modi di produzione che si articolano: il modo di produzione legato al sistema tribale del villaggio, a sua volta associato all’attività della caccia, e il modo di produzione dominante legato al sistema di lignaggio e alle attività agricole, che è poi quello su cui si concentra l’attenzione di Meillassoux. In breve, la critica fondamentale rivolta da Terray al lavoro del collega e amico antropologo è che le società tradizionali non possono essere comprese nei termini di un unico modo di produzione, né i modi di produzione possono essere intesi sottolineando quasi esclusivamente gli aspetti tecnologici che li costituiscono, come tende a fare Meillassoux. Terray, da parte sua, evidenzia l’importanza di dover spiegare le variazioni e le trasformazioni sociali e il poterlo fare proprio attraverso il concetto di modi di produzione, i quali, articolandosi in maniere distinte a seconda dei diversi contesti, producono specifiche formazioni sociali capaci di attivare specifici cambiamenti. Le riflessioni di Terray sulla società Gouro sono state a loro volta oggetto di critiche da parte di un altro antropologo africanista althusseriano, vale a dire, il già menzionato Pierre-Philippe Rey. Quest’ultimo osserva che il modo in cui Terray usa il concetto di modi di produzione è problematico in quanto tende a presentarlo in termini statici, ossia, in un modo che non riflette la dinamicità che traspare invece dai testi di Marx. Secondo Rey, infatti, Terray usa il concetto di articolazione per descrivere il semplice accostamento o la mera coesistenza di diversi modi di produzione. Ma il concetto di articolazione rimanda a una realtà processuale che non integra le parti a un intero definito e delimitato, bensì conserva, almeno in parte, le tensioni e le contraddizioni di ciascuna realtà articolata. Per Rey, dunque, la contraddizione è – come per Marx nella Prefazione a Il capitale – il motore delle trasformazioni sociali o del cambiamento. Dal canto suo, Rey applica questa prospettiva nei suoi lavori dedicati ai modi di produzione della società congolese da lui descritta, per esempio, in Colonialisme, néo-colonialisme et transition au capitalisme (1971)83. 4. Donne, granai, capitali Le critiche e le riflessioni di Rey nel solco della riflessione segnata da Althusser hanno influenzato tanto i lavori successivi di Terray84 quanto quelli di Meillassoux, a cominciare da Donne, granai e capitali. L’attenzione di questa opera non è più su una circoscritta comunità africana, come nel suo primo importante studio sui Gouro. Ora, lo sguardo si allarga ai rapporti tra economie capitaliste mondiali centrali, da un lato, ed economie domestiche dei paesi del “Terzo Mondo” dall’al83 P-P. Rey, Colonialisme, néo-colonialisme et transition au capitalisme. Exemple de la “Comilog” au Congo-Brazzaville, Maspero, Paris 1971; vedi anche Id., Contradiction de classe dans les sociétés lignageèes, in “Dialectiques”, n. 21, 1977, pp. 116-133. 84 Cfr. ad es. E. Terray, Event, structure and history: The formation of the Abron Kingdom of Gyaman (1700-1780), in J. Friedman, M.J. Rowlands (a cura di), The Evolution of Social Systems, Duckworth London 1977, pp. 279-301; E. Terray, De l’exploitation: Éléments d’un bilan autocritique, in “Dialectiques”, 21, 1977, pp. 134-143.

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tro. Le due parti di cui si compone il testo riflettono questa ambiziosa estensione che non è solo geografica ma anche storica: dall’Africa precoloniale, coloniale e postcoloniale all’Europa contemporanea. In particolare, la prima parte si concentra sul riesame delle comunità domestiche attraverso un confronto teorico, in particolare, con Marshall Sahlins e con quello che in quegli anni era considerato il suo lavoro più importante: Stone Age Economics (1972) – un libro oramai diventato un classico dell’antropologia economica85. Marshall Sahlins – allievo, tra gli altri, di Leslie White, e profondamente influenzato dallo strutturalismo di Lévi-Strauss – si appoggia alle tesi dell’economista russo A.V. Čajanov86. Per quest’ultimo, nelle economie contadine – che per Sahlins sono un modo domestico di produzione – vige il principio secondo cui gli individui tendono a lavorare, e quindi a produrre, quel tanto che è necessario alla propria sussistenza. In un contesto in cui i bisogni e i desideri sono limitati, come quello delle società primitive e contadine, ciò si traduce in una economia dell’abbondanza in cui l’ozio occupa gran parte di una giornata tipo, molto più di quanto accada in una società basata sull’accumulo e sul soddisfacimento di bisogni e desideri illimitati come quella capitalista. Per Meillassoux, la questione si pone in termini diversi, per certi aspetti, opposti. Infatti, per Sahlins la comunità domestica è il regno dell’improduttività, per Meillassoux quello della produzione e riproduzione continua dei produttori87. Ciò che non risulta convincente della proposta di Sahlins – dal punto di vista di Meillassoux – è che essa si pone su un piano di astrattezza dal quale non è possibile capire a quale specifico contesto storico egli si riferisca quando prende in considerazione le “società primitive”. Analogamente, per Meillassoux è scorretto trattare uniformemente i cacciatori-raccoglitori e le comunità domestiche agricole senza considerare le loro differenze. Conseguentemente, non risulta nemmeno chiaro come l’economia domestica contribuisca alla riproduzione della forza lavoro necessaria al funzionamento dei modi di produzione di volta in volta dominanti88. Per di più, Sahlins non spiega cosa tenga insieme le comunità basate su un’economia domestica. Non è chiaro, infatti, come possa emergere da quest’ultima una economia che richiede, invece, una intensificazione della produzione – al di là dei bisogni limitati e contingenti degli individui –, così come non è chiaro come nasca l’esigenza di creare alleanze sociali, come quelle espresse attraverso i legami matrimoniali tra gruppi domestici differenti, regolate solitamente dai maschi anziani. La seconda parte di Donne, granai e capitali mostra come le comunità domestiche vengano sfruttate su scala internazionale seguendo logiche imperialiste che non distruggono necessariamente i modi di produzione non capitalistici, ma li conservano per sfruttarli quanto più possibile. Le economie domestiche non sono infatti più viste nei loro rapporti interni o locali, ma in relazione al contributo che offrono all’economia capitalista nel suo insieme, per esempio, attraverso quei lavoratori M. Sahlins, Stone Age Economics, Tavistock, London 1972; tr. it. di L. Trevisan, a cura di R. Marchionatti, L’economia dell’età della pietra, eléuthera, Milano 2020. A.V. Čajanov, The Theory of Peasant Economy, Richard D. Irwin, Homewood 1966. 87 U. Fabietti, Between two myths: Underproductivity and development of the Bedouin domestic group, in “Cahiers de Sciences Humaines”, a. 26, n. 1-2, 1990, a p. 238. 88 Ivi, pp. 238-9. 85

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migranti che forniscono manodopera a basso costo nei paesi più industrializzati e ricevono cura nei paesi d’origine. Ciò che tiene insieme queste economie sono proprio le comunità domestiche che, per Meillassoux, non sono retaggi del passato o parti, per così dire, esterne al capitalismo, ma rappresentano il tratto comune a diverse forme di sfruttamento economico, tanto nei villaggi rurali africani controllati dagli anziani maschi quanto nelle metropoli europee in cui dominano le imprese capitaliste. Assume particolare rilevanza qui il ruolo (extra)economico giocato dalle donne – che le precedenti analisi antropologiche marxiste, viziate da varie forme di androcentrismo, tendevano a ignorare o sottostimare e che Meillassoux, invece, mette in rilievo. In questo modo egli, in parte, accompagna e, in parte, anticipa analisi femministe materialiste dedicate al tema della cura e della riproduzione sociale. Conseguentemente, il concetto stesso di lavoro viene esteso anche a quelle attività che, non essendo retribuite, vengono spesso escluse dalla sua definizione come, per esempio, i lavori di cura o di accudimento89. L’attenzione di Meillassoux per le forme dello sfruttamento economico e per le ideologie discriminatorie che le legittimano – in particolare, il razzismo – riflette l’esigenza di mostrare la rilevanza dell’antropologia per la comprensione del mondo contemporaneo. Sullo sfondo di questa esigenza si staglia però anche una preoccupazione, ossia, che la distruzione delle forze produttive causata dal capitalismo non crei solo le condizioni per la crisi finale del capitalismo stesso – che tanti auspicano e vedono come una forma di liberazione –, ma anche per il sorgere di uno stato di barbarie che può essere evitato solo se i proletari di tutto il mondo riescono ad organizzarsi per affermare un’alternativa socialista. È tenendo conto di tutto ciò che si comprende meglio quanto intende dire l’antropologo francese nella sua prefazione all’edizione inglese di Donne, granai e capitali (infelicemente tradotto in Maidens, Meal and Money) laddove scrive: “la disciplina dovrebbe smettere di essere un pretesto per fantasie esotiche e diventare uno strumento di libertà”90. 5. Conclusioni Seguendo Layton91, si potrebbe affermare in conclusione che il contributo critico dell’antropologia marxista è stato, quantomeno, triplice: 1) spingere l’analisi antropologica al di là dei confini delle comunità ristrette con cui solitamente interagiscono gli antropologi durante le loro ricerche di campo e stabilire connessioni spazio-temporali più ampie rispetto a quelle incoraggiate da gran parte della generazione che si è formata leggendo i testi di Malinowski o Boas, e dei loro allievi92 – perché non esistono né società isolate né popoli fuori dalla storia; 2) mettere in rilievo la strutturale debolezza delle posizioni funzionaliste dal momento che queste ultime tendono a porre tutti gli elementi di un sistema 89 D. Tocheva, Domestic mode of production, in H. Callan (a cura di), The international encyclopaedia of anthropology, Wiley & Sons, Oxford 2018, https://doi.org/10.1002/9781118924396.wbiea1803. 90 C. Meillassoux, Preface to the English translation, cit., p. x. 91 R. Layton, op. cit. 92 C. Hann, K. Hart, op. cit., tr. it. p. 18.

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sullo stesso piano e, così facendo, allentano la presa teorico-politica sulle questioni che stanno invece a cuore all’antropologia marxista, in particolare, quelle relative a gerarchie e potere; 3) rovesciare o, quantomeno, problematizzare l’assunto strutturalista per cui la vita sociale è interamente guidata dalle strutture di pensiero, e non dalle condizioni pratiche e materiali della stessa, come suggerisce lo strutturalismo di Lévi-Strauss. In questo contesto, come osservano Neveling e Steur, Donne, granai e capitali spicca nella letteratura antropologica marxista per la capacità di unire l’analisi dei temi classici dell’antropologia (es. parentela, miti, ed economie domestiche) con l’analisi del capitalismo su larga scala, quello che opera nelle fabbriche o nelle multinazionali sfruttando la divisione internazionale del lavoro ed incide sulla vita delle comunità rurali solo apparentemente separate da esso93. Ed è forse proprio per questa capacità di unificare l’analisi di situazioni e contesti diversi che il libro di Meillassoux continua ad essere una fonte di ispirazione sia per gli antropologi che per gli storici94, una fonte su cui e con cui ragionare intorno alle eterogenee e sempre mutevoli forme attraverso le quali il capitalismo sfrutta le classi sociali subalterne e, su questo sfruttamento, costituisce la propria contingente esistenza95. Ci auguriamo che la ripubblicazione di questo libro possa contribuire a riaccendere una discussione critica su questi temi, oggi più che mai necessaria. Ringraziamenti Desidero ringraziare Michele Parodi, Vittorio Morfino, Gianluca Pozzoni, Carlo Capello e Pino Schirripa per aver letto e commentato versioni precedenti di questa introduzione; il gruppo MIR per la oramai pluriennale condivisione di esperienze, idee e passioni. Ovviamente, sono il solo responsabile di tutti gli eventuali errori, dimenticanze o imprecisioni di questo testo. Opere citate di C. Meillassoux C. Meillassoux, Essai d’interpretation du phénomene économique dans les sociétés traditionnelles d’autosubsistance, in “Cahiers d’Etudes Africaines”, a. 1, n. 4, 1960, pp. 38-67. P. Neveling, L. Steur, Introduction, cit., p. 8. es. J.-L. Paul, Au-delà de “Femmes, Greniers et Capitaux”: Faire fructifier l’héritage de Claude Meillassoux, in “Journal des Anthropologues”, n. 114-115, 2008, pp. 223-245; Id., Les structures alimentaires de la parenté de Meillassoux, in “Journal des Anthropologues”, n. 118-119, 2014, pp. 113-130; F. Viti, Travail et apprentissage en Afrique de l’Ouest: Senegal, Cóte d’Ivoire, Togo, Karthala, Paris 2013; H. Weiss, Reclaiming Meillassoux for the age of financialization, in “Focaal – Journal of Global and Historical Anthropology”, n. 82, 2018, pp. 109-117. 95 Tra le iniziative più recenti dedicate alla rivalutazione dell’opera di Meillassoux vale la pena menzionare la conferenza tenuta da Glauco Sanga nel 2018 e dedicata in modo particolare alla comprensione del fenomeno delle migrazioni da parte dell’antropologo francese. In questa conferenza Glauco, Sanga ha messo in luce la profeticità di alcune intuizioni di Meillassoux degli anni Settanta, incluse quelle contenute in Donne, granai e capitali (C. Sanga, A cosa serve l’antropologia. Il contributo di Claude Meillassoux alla comprensione del fenomeno delle migrazioni, Dipartimento di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia, Venezia, 23/04/2018). 93 94

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C. Meillassoux, L’Anthropologie économique des Gouro de Côte d’Ivoire, Mouton, Paris 1964. C. Meillassoux, The social structure of modern Bamako, in “Africa. Journal of the International African Institute”, a. 35, n. 2, 1965, pp. 125-142. C. Meillassoux, Urbanization of an African Community: Voluntary Associations in Bamako, University of Washington Press, Seattle 1968. C. Meillassoux, (a cura di), L’évolution du commerce africain depuis le XIXème siècle en Afrique de l’Ouest, Oxford University Press, London 1971 [tr. ing.: The Development of Indigenous Trade and Markets in West Africa: Studies Presented and Discussed at the Tenth International African Seminar at Fourah Bay Collège Freetown, December 1969]. C. Meillassoux, Development or exploitation: Is the Sahel famine good business?, in “Review of African Political Economy”, n. 1, 1974, pp. 27-33. C. Meillassoux, (a cura di) L’esclavage en Afrique précoloniale, Maspero, Paris 1975. C. Meillassoux, Femmes, greniers et capitaux, Maspero, Paris 1975. C. Meillassoux, Lexique soninké (sarakolé)-français, Centre de linguistique appliquée, Dakar 1975. C. Meillassoux, Sur deux critiques de “Femmes, greniers et capitaux” ou “Fahrenheit 450,5” in “L’Homme”, a. 17, n. 1, 1976, pp. 123-128. C. Meillassoux, Preface to the English translation, in C. Meillassoux, Maidens, meal and money. Capitalism and the domestic community, Cambridge University Press, Cambridge 1981, pp. vii-x.

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Donne, granai e capitali costituisce il risultato di una lunga riflessione che ebbe inizio nel 1958, anno in cui Claude Meillassoux esordì come etnologo tra i Guro della Costa d'Avorio. Da allora questa riflessione è venuta articolandosi in relazione al problema di studiare i modi di produzione caratteristici delle formazioni sociali africane anteriori alla colonizzazione. Donne, granai e capitali rappresenta anche uno dei tentativi più efficaci fino ad ora intrapresi di situare storicamente i modi di produzione che hanno preceduto la comparsa del capitalismo a partire dall'impiego di nozioni e concetti specifici, pertinenti cioè a ciascuno dei modi di produzione presi in esame, e resta a tutt'oggi il primo lavoro di un antropologo inteso a cogliere la funzione essenziale svolta da uno di questi modi di produzione - quello domestico - nel processo riproduttivo del capitalismo stesso. Da questo punto di vista Donne, granai e capitali è anche un libro militante, nel senso che amplia la nostra conoscenza delle basi strutturali del sistema capitalista fornendo una serie di elementi teorici che rendono più efficace la comprensione delle contraddizioni di cui questo sistema è portatore. Situato all'interno del campo teorico marxista, il libro di Meillassoux rompe in maniera definitiva tanto con la tradizione proto-marxista rappresentata dai vari tentativi di situare i modi storici di produzione sulla base di schemi precostituiti desunti dalle Formen o dalle poche osservazioni di Marx sul « modo di produzione asiatico », 1 quanto con la tradizione dell'antropologia economica classica rappresentata dai lavori delle cosiddette scuole « formalista » e « sostantivista ». 2 Due rotture che hanno al fondo motivazioni ideologiche e scientifiche senz'altro dif-

I. Si vedano a questo proposito i lavori del C.E.R.M., Sur le mode de productio11 asialÙJue e l:tudcs sur /es sociétés dc pasteurs nomades, Paris, 1970 e 197-l rispettivamente. 2. Sulla differenza tra queste ultime e lo spazio teorico dell'antropologia marxista è utile consultare il libro di S. Borutti, Analisi marxista e antropologia eco11omica, De Donato, Bari, 1973 e l'introduzione di P. Palmeri a Meillassoux, L'economia della savana, Feltrinclli, Milano, I 975.

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ferenti ma che comunque avvengono all'insegna di un tentativo di elaborazione di concetti specifici intesi a cogliere la logica altrettanto specifica di funzionamento delle altre formazioni sociali. È utile precisare che questo duplice distacco si situa all'interno di un progetto di ridefinizione dell'antropologia marxista su basi non economicistiche, venendo così a dissipare tra l'altro un malentendu che vedrebbe assimilata l'antropologia marxista all'antropologia economica. Donne, granai e capitali è invece la dimostrazione del fatto che le due nozioni di antropologia marxista e di antropologia economica, lungi dal ritagliarsi a vicenda, occupano spazì ideologicamente e teoricamente differenziali, anche se talvolta compatibili. Questa compatibilità può essere ottenuta solo qualora l'antropologia che si proclama marxista miri alla elaborazione, secondo il progetto del Capitale di Marx, di una teoria della pratica economica e sociale che corrisponda effettivamente a una comprensione della logica che regola il processo di riproduzione delle formazioni sociali storiche o contemporanee, ma in ogni caso eccentriche rispetto a quelle capitaliste. In questo senso viene ad essere scartata la possibilità che l'antropologia marxista prenda ad oggetto l'economico in sé, il cui studio, per essere corretto, deve avvenire secondo modalità procedurali che non lo isolino dal contesto delle altre istanze che compongono la totalità di un sociale strutturato. Lo stesso Polanyi aveva del resto perfettamente compreso la natura differenziale dello spazio occupato dall'economico all'interno delle società « senza mercato », ma si era arrestato a questa considerazione separando poi arbitrariamente l'economico dal sociale nel caso del sistema capitalistico. 3 Ora, è chiaro che l'antropologia marxista non si situa in modo originale in rapporto all'antropologia economica liberale per il solo fatto di riconoscere l'indissociabilità dell'economico dal sociale anche all'interno del modo capitalistico di produzione; e neppure per il fatto di ammettere, come Polanyi ammise in polemica coi sostenitori delle teorie dell'homo economicus, che nelle società « senza mercato » l'economico sussiste « incastrato » nel sociale. A differenza dell'antropologia economica in generale, quella marxista parte dall'analisi del processo produttivo come luogo privilegiato di costituzione dei rapporti di produzione e di riproduzione delle formazioni sociali. Le domande che essa si pone sono: chi lavora e per chi lavora? chi è il destinatario del prodotto di quel lavoro? chi controlla le modalità di circolazione di questo prodotto?

3. Polanyi, Arensberg e Pearson, Trade and Market in the Early Empires, The Free Press, Glencoe, Ili. 1957

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quali sono i mezzi attraverso i quali questo controllo si realizza affinché il sistema sociale possa riprodursi? ecc. È mediante la presa in considerazione dei meccanismi che regolano la formazione dei rapporti osservabili a partire dal processo produttivo dunque ( e non solo dal processo di circolazione dei beni prodotti come fa invece l'antropologia economica liberale), che l'antropologia marxista perviene ad elaborare un sapere originale delle altre formazioni sociali. Quando Meillassoux pubblicò nel 1960 il suo celebre Saggio d'interpretazione del fenomeno economico nelle società tradizionali di autosussistenza,4 egli partì proprio dalla considerazione dell'esistenza di questi rapporti di produzione che la precedente tradizione dell'antropologia economica aveva fino a quel momento ignorato. All'interno delle cosiddette società segmentarie e successorie agricole africane, società costituite da comunità omologhe in rapporto tra loro, strutturate sulla base del principio di lignaggio e dell'anzianità, e dove il potere politico di tipo centralizzato è assente, i rapporti di produzione, che secondo la tradizione antropologica classica (lungo la linea Malinowski-Mauss-Polanyi) trovavano la loro spiegazione a livello istituzionale come rapporti di prestazione-ridistribuzione e che quindi venivano situati a livello della circolazione, erano ora esplorati da Meillassoux con l'intenzione esplicita di ricercare quali fossero le condizioni strutturali che ne determinano la funzione e la riproduzione. Meillassoux, che doveva pervenire per questa via alla elaborazione di modelli teorici specifici relativi a due forme radicalmente differenti di sfruttamento della terra, tipiche dei cacciatori-raccoglitori e degli agricoltori cerealicoli rispettivamente, individuava nel rapporto con la terra come mezzo di lavoro la peculiarità delle comunità domestiche che costituiscono la struttura di base delle società segmentarie africane. Sono le particolari modalità in cui accade la produzione a far sì che i rapporti di produzione, quelli che apparivano come rapporti di prestazione-ridistribuzione del prodotto tra giovani e anziani, si strutturino secondo un principio di prestito-restituzione del prodotto agricolo in modo tale da giustificare la costituzione di rapporti sociali basati sul principio del]' anzianità. Qui Meillassoux era nella condizione di introdurre un elemento di novità rispetto alle teorie classiche della struttura e dei rapporti sociali. Una volta definita la natura dei rapporti di produzione che vengono a costituirsi sulla base di un meccanismo di investimento ciclico della forza-lavoro neila terra, la quale per questo motivo è mezzo di lavoro e

4. In Meillassoux, op. cit., pp. 31-62.

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non più semplice oggetto di lavoro come nel caso dei cacciatori-raccoglitori, la ricerca si apriva verso l'analisi dei rapporti di riproduzione che vigono all'interno della comunità domestica, e ciò in conseguenza della duplice funzione che i rapporti di produzione vengono ad assolvere all'interno di questo tipo di comunità. Da un lato infatti i rapporti di produzione costituiscono il quadro entro il quale si rende possibile riprodurre in continuazione, e secondo le stesse modalità, il ciclo del processo produttivo; dall'altro, questi rapporti di produzione, strutturati sul principio dell'anzianità, appaiono dominanti a livello ideologicosociale in quanto rapporti di parentela, e ciò per il fatto che la parentela è l'elemento che viene a svolgere una funzione strutturante in seno al processo produttivo e che assicura allo stesso tempo l'equilibrio interno della cellula produttiva. Le forme di cooperazione e le modalità di circolazione del prodotto accadono infatti entro un quadro istituzionale espresso nel linguaggio della parentela, e la ripartizione degli individui tra le cellule produttive, come pure l'appartenenza giuridica ad esse, si definisce esclusivamente sulla base dell'ideologia della parentela. Il concetto di riproduzione viene qui a designare non solo l'insieme delle condizioni materiali e ideologiche che consentono a queste comunità di riprodurre secondo le stesse modalità il processo produttivo e i rapporti di dominio nei quali esso si inscrive, ma altresì quella che appare la condizione fondamentale della riproduzione sociale stessa: la riproduzione degli individui all'interno delle cellule produttive, quindi la riproduzione dei produttori. È a partire da queste premesse che Meillassoux sviluppa tanto la critica alle teorie classiche della parentela quanto l'analisi del modo di produzione domestico. Nella prospettiva di Meillassoux la proibizione dell'incesto assume un significato completamente diverso da quello che essa riveste nell'antropologia classica e strutturale in modo particolare. Una volta adottata una prospettiva di tipo materialistico, la proibizione dell'incesto non appare più come il corollario del principio di reciprocità che mette i gruppi umani in condizione di doversi rapportare gli uni agli altri attraverso il meccanismo dello « scambio delle donne »; tantomeno la risposta a una domanda filosofica sul passaggio dalla natura alla cultura. Nell'ottica della riproduzione sociale, la proibizione dell'incesto appare come il mezzo ideologico attraverso il quale viene « ordinato » ai membri di piccole comunità continuamente minacciate nel loro equilibrio interno di reperire un partner esterno alla loro comunità d'origine. Meillassoux analizza il livello di efficacia funzionale posseduto dalle cellule elementari di produzione e mostra come esse non siano autosufficienti per quanto riguarda la loro riproduzione.

Prefazione XXXIII

Lo « scambio delle donne » e quindi l'esogamia, assieme al correlato ideologico di entrambe, la proibizione dell'incesto, appaiono così come i mezzi che consentono a queste comunità di far fronte agli accidenti demografici cui sono soggette e di riprodurre le condizioni strutturali della produzione materiale e della riproduzione sociale. Mediante una circolazione bilanciata delle donne e della loro prole viene così ad essere tendenzialmente assicurata la possibilità, per ogni cellula produttiva, di ricostituire al proprio interno la forza-lavoro necessaria all'espletamento delle operazioni produttive. Siamo qui molto lontani dalla filosofia lévistraussiana dei fondamenti « naturali » della cultura e dall'immagine delle società primitive che gli odierni ideologi del buon selvaggio vorrebbero offrire. 5 Il fatto che all'interno delle società segmentarie africane la circolazione ordinata delle donne sia il meccanismo dominante che consente ad esse di ricostituire le condizioni strutturali della propria esistenza non significa che esso sia un dato di portata etnografica universale come invece pretende che sia l'antropologia strutturale: la circolazione delle donne è solo uno dei diversi modi in cui viene assicurato l'equilibrio della cellula produttiva, nella fattispecie il risultato delle condizioni strutturali determinate che fanno del gruppo domestico il centro della produzione e della riproduzione della società globale. È nelle società segmentarie, dove i rapporti di parentela assumono una funzionalità produttiva e ideologica dominante, che questo meccanismo si impone. Diversamente da altre società, come per esempio quelle di cacciatori-raccoglitori o di protoagricoltori, la cui riproduzione avviene sulla base di condizioni strutturali differenziali rispetto alle società agricole africane di tipo segmentario, la circolazione delle donne diviene un processo ordinato, pacifico, che esclude la violenza e il ratto di esse come sistemi correttivi di un equilibrio demografico frequentemente compromesso. Meillassoux restituisce alla « circolazione delle donne » una pertinenza storica che la situa in rapporto a una particolare forma di organizzazione socio-economica, il modo di produzione domestico, e la parentela, che per l'antropologia strutturale e funzionalista è la chiave universale per poter comprendere l'essenza delle società primitive, diviene un « modo di produzione dei produttori ». Il libro di Meillassoux esplora così le modalità in cui, all'interno di questo modo di produzione, accade la circolazione delle « produttrici di produttori », le donne, e demistifica le condizioni ideologiche della teoria dello « scambio » come fatto universale. 5. Come ad esempio Clastres (La società contro lo Stato, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1977) e Lizot (« Economie ou société? », Joumal de la Société des Américanistes, Tome LX, 1971, pp. 136-175).

XXXIV Prefazione

Organizzato attorno al concetto di riproduzione, Donne, granai e capitali mira a situare questa forma di organizzazione socio-economica rappresentata dalla comunità domestica all'interno del contesto più generale costituito dal ruolo funzionale che tale forma assume nel processo riproduttivo dei modi storici di produzione che sono ad essa succeduti e del capitalismo in particolare. Ciò presuppone una precisazione rigorosa dei tratti critici che caratterizzano il modo di produzione domestico, definibile, secondo Meillassoux, sulla base del livello delle forze produttive ad esso corrispondente. Sono le stesse modalità teoriche di impostazione e di soluzione del problema che consentono a Meillassoux di spostare lo sguardo dalla comunità domestica in sé al rapporto di sfruttamento impostale dal sistema capitalista. Questo è un altro elemento che pone Meillassoux in uno spazio originale rispetto a quegli stessi autori che prima di lui si sono occupati dello studio della comunità e del modo di produzione domestici. Per quegli autori che si rifanno alla tradizione del funzionalismo britannico, la comunità domestica non è analizzabile che dal punto di vista del processo ciclico che consente il rimpiazzamento di una generazione precedente da parte di una generazione successiva. Di questo rimpiazzamento non vengono colte che le caratteristiche formali, con l'effetto di fornire un'immagine del processo riproduttivo molto simile a quella di un semplice processo ripetitivo. 6 La persistenza di un'idea dell'unità sociale domestica fondata sull'analogia biologica da un lato, e la tendenza a pensare il gruppo domestico indipendentemente dalle relazioni che lo mettono in rapporto con gruppi omologhi assicurandone la riproduzione dall'altro, non solo elimina la possibilità di mettere in evidenza quelli che sono i rapporti di produzione e di riproduzione dominanti all'interno di esso, ma contribuisce anche ad occultare quelle che sono le sue reali possibilità di trasformazione e di adattamento a situazioni storiche radicalmente nuove. Il gruppo domestico viene così pensato come un tratto caratteristico ed esclusivo delle « società primitive », e lo studio di esso non sfiora neppure lontanamente il problema di un suo eventuale inserimento in un contesto più ampio. Il funzionalismo, anche nei suoi contributi più intelligenti e originali, non è mai riuscito a cogliere il problema dell'inserimento della comunità domestica all'interno del processo di riproduzione capitalistico attraverso la messa in luce delle caratteristiche strutturali di tale comunità e dei rapporti di produzione che vigono al suo interno. In alcuni casi gli antro6. Questo è esattamente l'esito cui approdano gli studi sul « gruppo domestico » raccolti da J. Goody in The Developmental Cycle in Domestic Groups, C.U.P., Cambridge, 1958.

Prefazione

XXXV

pologi funzionalisti hanno denunciato la brutalità dello sfruttamento di queste comunità attraverso il sistema delle « riserve », ma la loro analisi non si è mai liberata di un approccio empirico che poco ha permesso di sviluppare lo studio dei rapporti economici e sociali su cui si fonda questo sfruttamento. Anche a differenza di Marshall Sahlins, una parte del celebre libro 7 del quale costituisce un classico sul modo di produzione domestico, Meillassoux mostra di voler definire l'appartenenza storica di questo particolare modo di produzione al fine di poterne comprendere la funzione che esso ha svolto e continua a svolgere all'interno di sistemi socioeconomici che lo dominano lasciando ad esso il costo sociale della riproduzione della forza-lavoro. Benché Sahlins sia uno dei pochissimi antropologi americani ad essersi aperto ai concetti e ai metodi del marxismo, contravvenendo così alla tradizione prevalentemente « culturologica » che determina l'orientamento di questo genere di studi negli Stati Uniti, la sua analisi del modo di produzione domestico resta fortemente confusiva per quanto riguarda l'attribuzione indiscriminata di questa nozione a « tutte » le comunità primitive, fatta eccezione per le società di cacciatori-raccoglitori che egli definisce, raggiungendo così gli ideologi del buon selvaggio, « prime società d'abbondanza ». 8 Al modo di produzione domestico viene così assegnato uno spazio di esistenza storica largamente indefinito che impedisce di analizzare i diversi rapporti di dominazione che lo hanno legato ad altri modi di produzione. La seconda parte di Donne, granai e capitali tratta dell'inserimento delle formazioni sociali africane tradizionali, e quindi della comunità domestica, nel processo di riproduzione del capitale. Partendo da una critica delle teorie dello « scambio ineguale » tra paesi occidentali e paesi del « terzo mondo », tra le formazioni sociali del « capitalismo del centro », e le formazioni sociali del « capitalismo periferico », Meillassoux mostra come il trasferimento di valore dai paesi sottosviluppati verso quelli industrializzati avvenga non già sulla base 7. Stone-Age Economics, Aldine, Chicago, 1972. 8. Questo in effetti è il titolo dell'edizione francese del libro di Sahlins curata da Pierre Clastres. Secondo Sahlins il modo di produzione domestico fondato sullo sfruttamento della terra mediante l'agricoltura sarebbe un «regresso» rispetto alle modalità di appropriazione della natura messe in atto dai cacciatori-raccoglitori. Qui Sahlins porta all'estremo la confusione concettuale poiché, malgrado dichiari di rifarsi teoricamente a Marx, egli assolutizza il carattere istantaneo che la produttività del lavoro riveste presso queste popolazioni per giungere alle stesse conclusioni cui giungono i teorici dell'homo economicus: adattando i propri mezzi ( tecniche produttive) ai propri fini (gli elementari bisogni connessi con la sopravvivenza), il cacciatore-raccoglitore lavora meno dell'agricoltore.

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di uno « scambio », ma attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro alla cui riproduzione e al cui costo sociale provvedono la comunità e il modo di produzione domestico. È una strategia che consente, attraverso la messa in opera di meccanismi esplicitamente studiati o inconsci (il razzismo) di creare, all'interno dei paesi capitalisti più avanzati come nei paesi dominati da una élite bianca, un doppio mercato del lavoro e di risparmiare allo stesso tempo al capitale l'onere del costo della riproduzione fisica e della formazione professionale di una parte della manodopera. La comunità domestica, grazie alle sue eccezionali capacità di mobilitazione delle sue risorse produttive e riproduttive, viene così a trovarsi inserita nel quadro più ampio della riproduzione capitalistica. Il capitalismo da parte sua tende a mantenerla in vita per quel tanto che essa risulta funzionale al contenimento dei costi della sua riproduzione, mentre tende invece a distruggerne le basi strutturali per potersi rifornire incessantemente di ciò che si riproduce all'interno di essa e che gli necessita come elemento imprescindibile della sua riproduzione: il lavoratore libero. La comunità domestica dunque, tanto in Africa, dove essa possiede ancora dei caratteri fortemente originali, quanto in Europa, dove essa sussiste nella forma residuale della famiglia cui è demandato ormai il compito quasi esclusivo di riprodurre la forza-lavoro, viene sottoposta ad un duplice processo di mantenimento e di distruzione, duplice processo suscettibile di portare alle estreme conseguenze quelle che sono le sue stesse condizioni strutturali: lo sfruttamento delle capacità produttive e riproduttive della donna e la trasformazione in diseguaglianze sociali permanenti di quelle che erano solo differenze di status momentanee (il rapporto anziani-cadetti). Il duplice controllo della circolazione delle donne e dei beni di sussistenza (il controllo cioè delle politiche matrimoniali e dei granai nella comunità domestica tradizionale) tende così ad essere assunto, nella congiuntura storica del colonialismo, dal capitale, con l'effetto di destrutturare tanto i rapporti sociali quanto i legami affettivi caratteristici di quel modo di riproduzione sociale. Le due parti del libro dedicate all'analisi della comunità domestica e all'esplicitazione del tipo di sfruttamento cui essa è sottoposta dal capitalismo rispettivamente potrebbero dare l'impressione di una distanza storica concettualmente irrecuperabile. Al contrario, questa distanza riproduce la traumaticità dell'impatto della comunità domestica col colonialismo e il dramma di tante popolazioni esposte alla brutalità dei rapporti di sfruttamento imposti loro da un sistema socio-economico e da una cultura completamente estranei. Il progetto parallelo di Meillassoux, quello di studiare le trasformazioni del modo di produzione domestico in direzione di altri modi di produ-

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zione ad esso logicamente success1v1, non appare, m Donne, granai e capitali, che appena abbozzato. Esso è stato momentaneamente sacrificato all'urgenza di rendere noti quei risultati della ricerca suscettibili di fare dell'antropologia uno strumento di comprensione della realtà sociale nella quale noi stessi ci muoviamo, e non più un possibile « pretesto ai fantasmi dell'esotismo ». UGO

FABIETTI

Introduzione*

Se la nozione di parentela ha invaso l'etnologia, è perché essa designa un principio d'organizzazione sociale molto diffuso - ancorché non generale, nemmeno presso le società « primitive » - che tende a istituzionalizzare e a regolare una funzione comune a tutte le società, compresa la nostra: quella della riproduzione degli individui in quanto soggetti produttori e riproduttori e, in modo più specifico nell'ambito dell'economia domestica, quella della riproduzione sociale in generale. L'etnologia classica non ha saputo cogliere, della riproduzione, che le sue manifestazioni istituzionali, senza preoccuparsi di cercare di comprenderne la funzione essenziale. In conseguenza di ciò l'etnologia, non essendo in grado di mettere in rapporto la parentela con gli altri dati dell'organizzazione economica e sociale, la considera come un dato primario e di portata universale trattandola principalmente sotto gli aspetti formale e normativo. « Secondo la concezione materialistica, il momento determinante della storia, in ultima istanza, è la produzione e la riproduzione della vita immediata. Ma questa è a sua volta di duplice specie. Da un lato, la produzione di mezzi di sussistenza, di generi per l'alimentazione, di oggetti di vestiario, di abitazione e di strumenti necessari per queste cose; dall'altro, la produzione degli uomini stessi: la riproduzione della specie » (F. Engels, 1884, 33 ). Engels commise un errore mettendo sullo stesso piano la produzione dei mezzi di sussistenza e la produzione degli uomini? È ciò che lascia intendere la nota di redazione al suo libro pubblicato presso le Editions Sociales, secondo la quale questa assimilazione dei due piani sarebbe una « inesattezza ». Il che significa liquidare un genere di produzione fonQuesto lavoro fa parte di un programma di studi sui sistemi economici africani intrapreso a partire razione rapportantesi a un antenato comune all'interno del lignaggio. È estremamente utile ricondurre simili problemi ai lavori di Emile Benveniste. Si veda, in particolare su questo punto, le sue ricerche sulla nozione di «fratello» e di «sorella» (Benveniste, 1969, 164 e segg.; si veda anche Jaulin, 1973, II, 142).

Situazione della comunità domestica

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getto. A questo riguardo l'etnologia può essere veramente sospettata di aver intrapreso un'interpretazione al contrario della storia invece di aver cercato di rintracciare il movimento reale di essa.

1.3.

Accoppiamento e filiazione

Questa tendenza alla generalizzazione arbitraria si ritrova in un altro genere di confusione, quella tra regole di accoppiamento e regole di filiazione. Le prime indicano i congiunti possibili, le seconde - attraverso il matrimonio e le nascite che ne derivano - i rapporti di dipendenza di un individuo nei confronti delle generazioni che vengono prima di lui. In altre parole, si è confuso tra la ricerca di una compagna e la ricerca di una progenitura. La parentela, in quanto categoria, non si applica che al secondo caso. È la filiazione che conduce alla nozione di parentela tra persone i cui rapporti si definiscono sulla base dei loro legami permanenti, eterni e intangibili con un « padre » comune, vicino o lontano, reale o putativo (Cap. 2.2.). Ora, un'opera come Le strutture elementari della parentela è interamente rivolta verso il problema della scelta del congiunto, cioè dell'accoppiamento.2J Lévi-Strauss (196 7) non discute della filiazione ( capitolo 8) che in rapporto ai problemi sollevati dal matrilignaggio o dal patrilignaggio nella scelta dei partners, senza prestare alcuna attenzione a quello che è il problema della parentela per eccellenza, e cioè la destinazione della progenitura. In queste condizioni la « parentela » assume i caratteri di un fenomeno di portata applicativa generale poiché essa non tratta che del fenomeno generale dell'accoppiamento al quale essa si riduce, senza che vengano presi in considerazione gli aspetti legati alla procreazione. Tutte le società, qualunque sia la loro organizzazione sociale e il loro scopo, vengono così a confondersi tra loro. Certo, la parentela regola anche l'accoppiamento in riferimento alla posizione degli individui all'interno di un quadro genealogico, ma non il contrario. Le norme che regolano soltanto l'accoppiamento, qualora siano presenti, si accontentano di quadri di riferimento più semplici, che permettono di riconoscere da una generazione all'altra i partners possibili, senza intervenire nella

20. « Intendiamo per strutture elementari della parentela i sistemi [ ... ] che prescrivono il matrimonio con un certo tipo di parenti; o, se lo si preferisce, i sistemi che, pur definendo tutti i membri del gruppo come parenti, Ii distinguono in due categorie: coniugi possibili e coniugi proibiti » (Lévi-Strauss, 1967, 11 ).

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Capitolo 1

destinazione della progenitura. I sistemi fondati su metà (moitiés) 21 s1 limitano a fornire soltanto questo tipo di indicazioni. Qui le metà si sostituiscono alle genealogie come mezzo di identificazione. La nozione di filiazione si arresta nel punto in cui il ciclo delle proibizioni matrimoniali si chiude - dopo una o più generazioni a seconda del numero delle sotto-sezioni - ma sempre con la sola prospettiva di contribuire all'identificazione del possibile coniuge. Le regole d'accoppiamento, al contrario di quelle di filiazione, sono rivolte in misura ben maggiore verso il passato e il presente che non verso il futuro: è in ragione dei rapporti stabiliti nelle generazioni precedenti che vengono definiti i rapporti presenti di ego. Per contro, le regole d'accoppiamento ignorano le preoccupazioni che tutte le società strutturate sulla base della parentela mostrano per la loro posterità. Limitare lo studio della parentela al problema dell'accoppiamento implica una considerazione del matrimonio come avente per scopo principale, se non esclusivo, quello di permettere ad individui di sesso differente di vivere insieme. Lévi-Strauss, curiosamente materialista su questo punto, pensa in effetti che vi siano delle cause economiche sufficienti per rendere ragione del semplice accoppiamento (1967, 77), in particolare la complementarità del lavoro maschile e femminile. Ma questa causa economica non è l'unica. La ripartizione dei compiti sulla base della differenza sessuale è - è il caso di ricordarlo? - un fatto di « cultura » e non di « natura ». Se si può osservare l'esistenza di una divisione dei compiti, molto variabile secondo i casi d'altra parte, tra uomini e donne - o comunque tra coloro che rispondono alle definizioni sociali dell' « uomo » e della « donna » - compiti che fanno della donna (o dello schiavo) la serva dell'uomo, questa divisione è consecutiva a una sottomissione precedente della donna e non a immaginarie capacità distinte. Non vi è che il parto e l'allattamento di cui le donne siano le sole capaci. Ora, questa specializzazione naturale non spiegherebbe l'accoppiamento che nella prospettiva della riproduzione, ancorché le donne, una volta fecondate, sarebbero in grado di bastare ad essa dal punto di vista economico e sociale da sole. In realtà nulla, nella natura, spiega la divisione sessuale del lavoro, non più che istituzioni come il matrimonio o la discendenza per via paterna. Tutti i compiti loro spettanti sono imposti alle donne con la costrizione e quindi tutti sono fatti culturali che devono essere spiegati, e non servire da spiegazione.

21. Una società è divisa in metà allorché essa riconosce al proprio interno l'esistenza di due categorie principali - eventualmente divise in sotto-sezioni - alle quali appartengono tutti gli individui membri di questa società secondo un tipo di appartenenza definita attraverso quella dei loro genitori e entro le quali l'unione è o sconsigliata o proibita, a seconda dei casi. Si tratta di una considerazione puramente tassonomica poiché gli individui appartenenti alla stessa metà non vivono necessariamente nella stessa orda o in orde separate. Su questo sistema gli etnologi hanno costruito delle combinazioni che, risalendo per molte generazioni indietro nel tempo, divengono d'una complessità estrema, comprensibile soltanto mediante l'impiego di raffinati strumenti matematici. In pratica sembra che simili prescrizioni siano spesso trasgredite, che l'appartenenza sia cambiata secondo convenienza, e che di fatto gli individui non si definiscano in tal modo che da una generazione all'altra.

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Le strutture elementari della parentela di Lévi-Strauss non sono altro che una generalizzazione delle regole dell'accoppiamento a tutte le società in cui esiste l'istituzione della parentela. Qui, tuttavia, la generalizzazione agisce all'inverso. Mentre prima abbiamo potuto osservare come i termini esprimenti l'appartenenza per adesione vengano assimilati a termini di parentela per filiazione e come la loro trasposizione trasformi l'orda in una specie di proto-lignaggio, ora, al contrario, le regole di parentela delle società con struttura di lignaggio vengono ridotte alle norme d'accoppiamento che dominano nell'orda, per cui le società con struttura di lignaggio tendono ad essere presentate come società composte da protometà esogamiche. Sembra dunque che né il funzionalismo, né lo strutturalismo riescano a fornire i mezzi teorici atti a differenziare due tipi distinti di organizzazione sociale, quello cioè al cui interno domina il principio dell'adesione e l'altro al cui interno domina il principio della filiazione; un tipo al cui interno la posizione sociale dell'individuo è funzione della sua partecipazione presente alle attività comuni, l'altro ove tale posizione è funzione della sua crescita in seno di una cellula produttiva e del suo posto nel ciclo della riproduzione tramite un referente genealogico. Queste caratteristiche, associate alla differenza radicale che oppone questi due tipi di società sul piano del modo di sfruttamento della terra, contribuiscono pertanto a distinguere due sistemi economici e sociali primari i cui principi fondamentali non sono riducibili alle stesse categorie. Benché Serge Moscovici proponga una distinzione tra rapporti di adesione (che egli chiama rapporto di affiliazione) e rapporti di parentela, le nostre idee non concordano su molti altri punti. In primo luogo per Serge Moscovici questa distinzione riguarda la differenza tra i gruppi di ominidi e i gruppi di cacciatori-raccoglitori, mentre per me essa si situa tra cacciatori-raccoglitori e agricoltori." Cosi facendo egli introduce di nuovo, come del resto la maggior parte degli autori, una confusione arbitraria tra questi due tipi di civiltà, attribuendo incautamente le caratteristiche dell'uno all'altro. Serge Moscovici per contro stabilisce una differenza fondamentale tra la raccolta e la caccia sulla base del fatto che i rapporti di produzione sarebbero del tutto diversi nei due casi. I rapporti di raccolta sarebbero individuali e non necessiterebbero né di conoscenze di tipo particolare né di allenamento fisico. I rapporti di caccia, in-

22. Senza che ciò implichi da parte mia una qualche assimilazione degli uomini agli ominidi. L'idea di una continuità sociale o culturale tra l'uomo e l'animale, come l'idea dominante dell'etologia contemporanea secondo la quale sarebbe possibile rintracciare tra gli animali l'origine di alcune nostre istituzioni sociali e dei nostri comportamenti, si fonda su di un antropocentrismo implicito illustrato da esempi presi dalla vita di specie molto diverse e avulsi dal loro contesto. Questo antropocentrismo apparentemente bizzarro, messo sotto accusa ancor più dell'etnocentrismo degli etnologi, conduce diritto a un determinismo naturalista senza uscita e alle dottrine totalitarie del potere.

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Capitolo 1

vece, sarebbero di natura collettiva ed esigerebbero tanto un allenamento quanto un apprendistato. Nel primo caso la società resterebbe perciò individualizzata, nel secondo caso invece apparirebbero i rapporti organizzati e la parentela di tipo paterno. Ora, ciò che noi sappiamo della realtà dei rapporti sociali di produzione (vedi in particolare i contributi raccolti in Lee e Devore, 1968) non conferma questa ricostruzione immaginaria. La raccolta esige talvolta il percorrimento di lunghe distanze. Essa viene condotta in gruppo allo scopo di difendersi dalle belve. Richiede perciò un allenamento fisico come una conoscenza precisa delle piante, dei luoghi, degli animali pericolosi, dei mezzi per proteggersi da essi, di materie prime utilizzabili per tagliare, trasportare, custodire, ecc. Per contro, la caccia e la cattura mediante trappole dei piccoli animali vengono praticate correntemente in prossimità degli accampamenti dai cacciatori, uomini o donne, giovani o vecchi che siano, che tengono il prodotto ricavato per loro, senza spartirlo: entrambe queste attività non esigono che poche conoscenze, nessun allenamento fisico e non suscitano alcuna forma di cooperazione. È a un certo tipo di caccia collettiva o alla battuta che si riferisce Serge Moscovici, ma senza precisare e senza analizzare il rapporto di queste attività alle altre. È in questa stessa prospettiva che Serge Moscovici collega la comparsa della parentela a quella della società di caccia, la quale sarebbe all'origine di « legami duraturi ». È piuttosto vero il contrario: le società di caccia sono instabili. Secondo Serge Moscovici la parentela emergerebbe tuttavia dalla paternità, essa stessa suscitata dal desiderio del padre cacciatore di « riprodurre l'uomo » per mezzo della trasmissione del suo sapere a suo figlio! È una teoria ben bizzarra e ben naturalista quella di pensare che la voce del sangue si faccia sentire tutt'a un tratto in questa occasione. In questa società la paternità non è ancora individuale; essa interessa l'insieme del gruppo. Perché, oltretutto, scegliere un ragazzo invece di una ragazza per questo apprendistato? Inoltre Serge Moscovici stesso mostra che l'apprendimento, allorché si istituzionalizza - ma ciò avviene in società di un altro ordine - è quasi sempre affidato non al padre, ma a parenti o alleati lontani, cosa che indebolisce notevolmente la sua dimostrazione. L'apprendimento delle tecniche relative alla sopravvivenza è, per di più, relativamente rapido. Il più delle ,,o!te avviene per imitazione e non è suscettibile di far nascere dei rapporti durevoli (Meillassoux, 1960). Allorché il potere degli adulti sui giovani viene esercitato tramite la conoscenza, esso si fonda non più sulla trasmissione di conoscenze pratiche, ma sulla trasmissione di co11osce11ze artificiali, esoteriche, irrazionali, le quali, dal momento che non si basano su alcuna forma d'empiria o di ragionamento, non possono mai essere scoperte nuovamente. Ora questa invenzione del sapere esoterico come strumento di dominazione è ben posteriore al paleolitico.

1.4.

Donne trattenute e donne rubate

Se la mobilità degli individui è generale e contribuisce comunque alla riproduzione sociale, la sua forma e la sua portata variano dall'orda alla società agricola. Nella prima, al cui interno dominano i rapporti di adesione, una riproduzione aleatoria si realizza tramite il flusso di adulti d'ambo i sessi, poiché la riproduzione fisica costituisce il sottoprodotto delle unioni che sono conseguenza di questa mobilità. Nella seconda, invece, la mobilità degli individui di un sesso o dell'altro è oggetto di una

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politica, violenta oppure pacifica, destinata a mettere in rapporto, al fine della procreazione, degli individui puberi la cui prole verrà inserita, alla nascita, all'interno dei rapporti di discendenza. Per il funzionalismo, come per lo strutturalismo, la mobilità matrimoniale - lo si è visto - è circoscritta al problema della scelta del coniuge: tale problema può essere affrontato e risolto in modo formale. Per noi invece, siccome questa mobilità agisce contemporaneamente sulla composizione degli effettivi dal punto di vista della ripartizione dei sessi e dell'età, sulla loro crescita numerica, sulla distribuzione sociale degli individui e infine sui meccanismi del potere, essa riflette l'insieme dei meccanismi per mezzo dei quali una società organizza la propria produzione e la riproduzione dei rapporti della produzione, meccanismi che non sono universali, ma che sono soggetti alle condizioni storiche della produzione. Più avanti (Cap. 2.2. e 2.3.) faccio vedere come la produzione agricola per mezzo dello sfruttamento della terra come mezzo di lavoro favorisca, date certe condizioni, la costituzione di legami sociali permanenti e continuamente rinnovati, e come la circolazione dei beni di sussistenza tra generazioni contigue e la solidarietà che si stabilisce in tal modo tra di esse facciano insorgere delle preoccupazioni legate alla riproduzione fisica e strutturale del gruppo. Allorché sono presenti queste preoccupazioni connesse alla riproduzione dei rapporti organici che associano nel tempo i membri della cellula produttiva, le donne sono ricercate per la loro qualità di genitrici oltre che come compagne. Dato che in generale l'accoppiamento esige l'unione di individui di sesso opposto appartenenti a cellule produttive differenti (Cap. 1.1.), il problema che si pone nelle società preoccupate della loro riproduzione ciclica è perciò quello dell'appartenenza della progenitura. Secondo l'etnologia classica la discendenza viene a stabilirsi lungo due assi principali: la matrilinearità e la patrilinearità. 23 Nel primo caso la prole viene affiliata alla comunità d'origine della genitrice e la discendenza viene a stabilirsi attraverso delle sorelle o delle figlie degli uomini della comunità. Lo zio materno ( il fratello maggiore della madre) ha autorità sui figli della sua o delle sue sorelle. Nel secondo caso, invece, la prole di una donna è affiliata alla comunità dello sposo riconosciuto di costei, in genere attraverso quest'ultimo. È il rapporto « padre-figlio » a noi familiare. Tra la matrilinearità e la patrilinearità l'etnologia ha individuato l'esistenza di forme miste dette per esempio bilineari, forme in base alle quali le famiglie dei coniugi si dividono alcune prerogative

23. Per una comparazione relativa al funzionamento delle due formule e alle contraddizioni che esse comportano, si deve leggere un ottimo studio di A. Marie (1972).

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Capitolo 1

sui figli di questi ultimi oppure attraverso le quali la successione avviene sulla base di entrambe le linee. Questa terminologia tuttavia non esprime una simmetria. Se la patrilinearità viene a stabilirsi, secondo questa classificazione, tra « padre » e figli della moglie, la matrilinearità non viene a stabilirsi tra la madre e i suoi figli (poiché in tal caso saremmo in presenza di un sistema matriarcale), ma tra il fratello della madre e i figli di quest'ultima. (È solo perché non esistono società che a nostra conoscenza praticano la filiazione madre/figlia che questo linguaggio non si presta ad equivoci.) Se la terminologia classica suppone sempre l'esistenza di una filiazione istituzionale e genealogica, sottostante cioè alle strutture della società attraverso il tempo, le regole di residenza vengono date per rapporto al genitore col quale risiede la coppia, ma senza alcun riferimento alla prole. Si possono distinguere in tal modo la patrilocalità, allorché gli sposi risiedono col padre del marito; l'avuncolocalità (quando essi risiedono presso lo zio dello sposo); la matrilocalità, al quale termine si preferisce spesso quello più preciso di uxorilocalità (residenza nella famiglia della sposa); la virilocalità (residenza presso lo sposo) ecc. Sembra anche importante enunciare le regole di residenza dei figli della coppia per rapporto alle comunità d'origine degli sposi, residenza che in genere determina quella della madre, poiché quest'ultima deve restare accanto al bambino per l'intero periodo dell'allattamento che prolunga la fatica della maternità. Ora, questa residenza può variare a seconda che il matrimonio valga per uno solo o per più figli. Nel primo caso, ad esempio, i figli possono essere trattenuti nella comunità del padre a partire dalla fine dell'allattamento, mentre la madre resterà o ritornerà nella sua. Il modo di residenza più comune per la donna è quello in base al quale ella resta nella comunità nella quale procrea e nella quale la sua prole viene inserita in un quadro di discendenza. 24 Come dunque si sarà potuto notare, il vocabolario etnologico classico relativo a questo problema si riferisce interamente a società che possiedono una struttura di parentela, società al cui interno i rapporti di discendenza vengono istituzionalizzati e sono di natura genealogica. Tale vocabolario ha un contenuto più giuridico che funzionale. Il suo impiego per tutte le forme di organizzazione sociale crea una confusione generale. In quelle società al cui interno i rapporti di filiazione non sono istitu-

24. La pratica di lasciare i figli a balia, pratica che permette di incrementare la riproduzione affidando i bambini di una stessa madre nati durante il periodo di allattamento di un figlio precedente a una donna che ha latte ma non figli, non sembra poter raggiungere il carattere di una pratica corrente che all'interno della famiglia estesa poliginica, cioè all'interno della comunità domestica.

Situazione della comuniliì domestica

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zionalizzati, dove c1oe essi restano subordinati parzialmente all'opportunità del caso, il problema della destinazione della prole è generalmente connesso a quello della mobilità delle donne nubili: si trattengono i figli di quelle stesse donne che sono trattenute, di modo che la filiazione immediata ( quella che viene a stabilirsi per un individuo, senza pregiudicare quella della sua futura prole) viene decisa dalla residenza della madre ( almeno fino allo svezzamento), sia all'interno della sua comunità, sia in quella dello sposo. Su di un piano strettamente funzionale, perciò, e indipendentemente dalle regole di discendenza o di residenza, vengono a stabilirsi due forme di mobilità degli adulti puberi ( che sono spesso anche delle norme in ragione della loro reciproca incompatibilità), due forme di mobilità indispensabili alla costituzione dei rapporti di discendenza e le cui implicazioni demografiche, sociali e politiche mi paiono decisive. In un caso le donne restano nella loro comunità di origine e gli uomini vengono sollecitati a procrearvi ed eventualmente a risiedervi. Si tratta di un sistema che potrebbe essere definito come ginecostatico: la riproduzione del gruppo si fonda unicamente sulle capacità generatrici delle donne nate nel gruppo. Nell'altro caso le donne, scambiate su di una base di reciprocità, non procreano all'interno della loro comunità, ma in una comunità alleata che ne incorpora la prole. La riproduzione dipende dalle capacità politiche che i gruppi hanno di negoziare, in qualunque momento, un numero adeguato di donne. Queste due modalità di circolazione non possiedono la stessa efficacia, poiché esse giocano sulle differenti funzioni riproduttive dei due sessi: le capacità di fecondare dell'uomo sono in pratica illimitate, ma possono essere esercitate nei confronti di una donna non importa da quale individuo specifico; le capacità generative della donna si limitano al quoziente del numero degli anni fecondi per la durata del periodo della gravidanza e dell'allattamento (prolungata talvolta per mezzo di proibizioni di natura culturale). Durante questo periodo di gestazione la simbiosi della donna e del suo bambino fanno di essa un essere unico e insostituibile. Si può allora pensare che, poiché la posta è costituita dalla prole delle donne, quando una di queste due pratiche è in funzione tende ad escludere l'altra, poiché la contemporanea mobilità degli individui dei due sessi non è in grado di assicurare alcuna distribuzione ordinata delle donne puberi e quindi una distribuzione ordinata del vantaggio rappresentato dalle loro capacità di genitrici, per cui o ci si tiene tutte le donne oppure le si scambia tutte con delle altre. La mobilità, a seconda che essa sia maschile oppure femminile, produce effetti pratici e logici sulla residenza e sulla discendenza che sono osser-

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Capitolo 1

vabili presso tutte le società dette « armoniche », cioè nella stragrande maggioranza dei casi. La relazione più frequente si stabilisce entro ginecostatismo, matrilocalità e matrilinearità da un lato; ed entro ginecomobili tà, patrilocalità e patrilineari tà dall'altro. Gli effetti sociali di queste due diverse soluzioni sono importanti poiché, come rivedremo più oltre ( p. 3 7 ), il ginecostatismo non permette di affrontare altrettanto bene la correzione di quegli incidenti che mettono in causa la riproduzione delle piccole unità demografiche ( epidemie, sterilità, morti premature, ecc.).

• Il criterio della mobilità permette di introdurre nell'analisi la possibilità di collegare il modello della discendenza alle condizioni generali della produzione presso le società agricole. Le regole di residenza e di discendenza proposte dall'etnologia classica si riferiscono al piano normativo o giuridico, non sono legate ad alcuna necessità apparente e non possono che suggerire l'esistenza di una « scelta » arbitraria della società in favore di questo o quel complesso di regole. Per contro si può osservare che la mobilità matrimoniale, che produce degli effetti immediati sulla discendenza e sulla residenza, è associata a pratiche agricole distinte tra loro in ciascun caso. La scuola etnografica tedesca aveva individuato da molto tempo una relazione apparente entro l'agricoltura per innesto di talee (plantagebouturage) e le forme di organizzazione sociale dette matrilineari. È infatti notevole constatare che il ginecostatismo e la discendenza attraverso le figlie o le sorelle sono maggiormente diffusi in quelle zone ove domina questo tipo di agricoltura (nella foresta africana o nella foresta amazzonica, per esempio), mentre le società ginecomobili e patrilineari si incontrano più generalmente nelle zone a produzione cerealicola. Se si esaminano brevemente le condizioni che predominano nell'agricoltura per innesto di talee, si possono individuare alcuni elementi che conferiscono una certa logica a questa relazione e che permettono, attraverso due modi differenti di circolazione matrimoniale, di osservare l'instaurarsi dei rapporti di produzione e di riproduzione di tipo domestico. Precisiamo che questa correlazione discende da una tendenza e non da un determinismo di tipo assoluto, poiché i rapporti di produzione sono essenzialmente gli stessi, qualunque sia il genere di agricoltura praticata. Essi servono dunque da supporto a dei rapporti istituzionali di riproduzione. Come vedremo, ciò che decide del modo di discen-

Situa::ione della cou1111it,ì domestica

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) individuale della terra, un punto questo sul quale quasi tutti sono d'accordo. Poiché tuttavia l'appartenenza a una comunità è la condizione di accesso alla terra, si ritiene generalmente che tale collettività ne abbia la « proprietà comune ». In realtà la coscienza di una « appropriazione », cioè di un rapporto esclusivo con una porzione del suolo, non è conseguenza né del processo di esplorazione e di occupazione delle terre, né del lavoro investito dai membri presenti e passati del gruppo. Tale coscienza non emerge se non quando il godimento di questa terra è minacciato da un'altra collettività. Ora, si può constatare che la conquista di terre è praticamente assente dalle relazioni tra società domestiche, anche quando la densità della popclazione è elevata. La comunità domestica non frappone solitamente ostacoli

3. Contrariamente agli etnologi francesi, impiego il termine affinità (afji11ité) - e non per designare: i rapporti di un individuo con i parenti del proprio coniuge, e il termine alfine (a/Jin) - e non alleato (allié) - per indicare gli individui compresi in questo rapporto (Littré). Preferisco riservare :I termine alleanza a quei rapporti sanzionati da « atti » (giuramenti, patti, trattati, ecc.) e che vengono stretti al di là dei rapporti di parentela e di affinità.

allean~a (alliance) -

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Capitolo 2

all'ammissione di individui o di famiglie straniere una volta che siano definiti i rapporti sociali che legheranno questi ultimi alla collettività. Le « conquiste » si rivelano spesso come l'effetto di una lunga infiltrazione di immigrati accolti in questo modo, ma il cui numero o le cui attività permettono loro a un dato momento di imporsi ai loro ospiti. Anche ammettendo che la terra sia oggetto di contesa e di conquista da parte di società militari, la sua protezione non comporta ipso facto la costruzione di un diritto reale elaborato a tal punto da far nascere, indipendentemente dalle circostanze storiche adatte, il concetto di proprietà. La proprietà, che implica, nel senso completo del termine, i diritti di usus, fructus e abusus, è connessa all'economia di mercato, la quale consente l'alienazione del prodotto e la sua trasformazione in merce, il suo inserimento cioè in rapporti di produzione contrattuali di un altro ordine rispetto a quelli che prevalgono nella comunità domestica. Il termine « proprietà » è dunque inesatto, anche se accompagnato dalla qualifìcazione di « comune » che a questo riguardo non ne cambia il senso. Il diritto moderno fornisce, come categoria più prossima, quella di patrimonio, indicante cioè una sorta di bene appartenente, indiviso, ai membri di una collettività (familiare) e che si trasmette normalmente per mezzo dell'eredità, del prestito o della donazione tra membri di questa comunità, cioè sempre senza contropartita. 4 Ora, la relazione alla terra di tipo patrimoniale deriva dai rapporti di produzione domestici che la proprietà, lungi dal rinforzare, contribuisce, al contrario, a dissolvere. A queste stesse condizioni storiche si associa l' autosussistenza, cioè la capacità, da parte della comunità, di produrre i beni di sussistenza necessari alla propria sopravvivenza e alla propria riproduzione a partire dalle risorse che sono alla sua portata e che sono ottenute per sfruttamento diretto. L'autosussistenza non è caratteristica della sola comunità domestica, ma è riferibile anche all'orda, seppure all'interno di condizioni sociali della produzione differenti. Nella comunità domestica l'autosussistenza è strettamente legata a un modo specifico di circolazione del prodotto che si oppone alla emergenza di una divisione sociale del lavoro 5 e che esclude lo scambio equivalente a vantaggio dello scambio identico (Cap. 4.3. b). Senza essere determinante, l'autosussistenza può essere considerata una

4. La vendita dd patrimonio, cioè la conversione in merce, è un atto straordinario che richiede, anche all'interno delle nostre società capitalistiche di mercato, garanzie c precauzioni particolari. 5. Vi è divisione sociale del lavoro quando le cellule produttive non possono far fronte ai propri bisogni che per mezzo dello scambio equivalente dei loro prodotti. Nella società domestica, \'i è una ripartizione dei compiti.

La riproduzione domestica

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carattensuca cnttca, poiché la sua scomparsa comporta alla fine la dissoluzione dei rapporti di produzione domestici. 6 Il concetto di autosussistenza non va confuso tuttavia con quello di autarchia. L'autosussistenza non esclude rapporti con l'esterno, e neppure certi scambi di mercato i cui effetti sono sempre suscettibili di venir neutralizzati, e senza che venga raggiunta quella soglia critica al di là della quale le trasformazioni dei rapporti di produzione che esse comportano divengano irreversibili. Ho mostrato altrove ( 1964, 1968, 1971) come per esempio le merci e il denaro vengano neutralizzati attraverso la loro trasformazione in tesori o in beni patrimoniali nell'economia domestica o « di palazzo », e come gli scambi vengano concentrati nelle proprie mani da parte del più anziano o del sovrano e non penetrino nella sfera dei rapporti domestici o di affinità. 7 L'autosussistenza non esclude nemmeno l'esistenza di specialisti legati alla pratica di una tecnica come la metallurgia. Specialità non implica specializzazione, cioè la pratica esclusiva, da parte di una unità di produzione autonoma, di un'attività non produttiva di alimenti implicante un trasferimento continuo di beni di sussistenza verso questa unità specializzata. La pratica di una specialità non implica necessariamente l'abbandono delle attività agricole. Quando ciò avviene - e spesso soltanto in parte - la sussistenza della comunità specializzata è assicurata nel quadro allargato dei meccanismi di ridistribuzione. Il gruppo specializzato viene a trovarsi allora in una posizione di cliente verso una o più comunità agricole, che lo riforniscono di prodotti per la sussistenza contro l'obbligo di sopperire ai bisogni dei suoi padroni relativamente ai prodotti della sua specialità. Attraverso questo sistema gli effetti della divisione sociale del lavoro vengono prevenuti, i meccanismi fondamentali della comunità domestica vengono preservati anche se, alla fine, questi trasferimenti possono agire sulle condizioni sociali della produzione dei beni di sussistenza (Meillassoux, 1973 ). Il modello che io propongo può essere applicato a situazioni di questo genere mentre le istituzioni conservatrici continuano ad operare. Ciò che definisce il livello delle forze produttive non è solo la pratica di una tecnica, ma gli effetti socialmente ~ccettati della sua applicazione. Questo è il motivo per cui l'impiego di una nuova tecnica non rivoluziona subito la società nella misura in cui essa vi si adatta, spesso per lungo tempo, resistendo istituzionalmente agli effetti sociali che una 6. È oltretutto un concetto necessario per poter comprendere i meccanismi e.li supersfruttamento di cui è suscettibile questo modo di produzione durante il periodo coloniale ( II parte, e Dupriez, 1973). 7. Questo fenomeno è ancora imperfettamente compreso da M. Godelier, il quale (1973 a) non distingue che tra « merci » e « beni che possono essere donati ».

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Capitolo 2

produzione specializzata comporta e allo scambio ristretto al quale essa dà luogo. 8 È più spesso a livello degli insiemi politici che non a livello delle comunità che queste trasformazioni operano .

• L'organizzazione sociale della comunità agricola domestica si costituisce contemporaneamente, e in modo indissociabile, attorno ai rapporti di produzione quali vengono a formarsi a partire dai limiti economici imposti dall'attività agricola, praticata entro le condizioni definite dal livello delle forze produttive, e attorno ai rapporti di riproduzione necessari alla perpetuazione della cellula produttiva. Se l'esposizione di questo processo esige la separazione dei due tipi di rapporti, la loro interazione è continua in ragione della simultaneità dei bisogni della produzione e della riproduzione da un lato, e della necessità di risolverli nel campo della loro azione reciproca dall'altro. Che la riproduzione sia la preoccupazione dominante in queste società, è chiaro. Tutte le istituzioni sono rivolte a questo fine. L'enfasi posta sul matrimonio, le istituzioni matrimoniali e paramatrimoniali, la discendenza, il culto della fecondità, le rappresentazioni concernenti la maternità, l'evoluzione della condizione della donna secondo la sua posizione nel ciclo della fecondità; le inquietudini suscitate dall'adulterio e dalle nascite fuori del matrimonio, le proibizioni sessuali, ecc., sono altrettante testimonianze del posto occupato dalla funzione della riproduzione. I rapporti di parentela derivanti dal matrimonio (in quanto istituzione) più ancora che dalla nascita (la quale non è altro che un avvenimento codificato in occasione del matrimonio), sono chiaramente rapporti che vengono a costituirsi attorno alla riproduzione degli individui. 9 Nella società domestica la riproduzione degli individui e il loro mantenimento dalla nascita in poi per tutta la vita, costituiscono l'oggetto di un controllo sociale attento che domina l'insieme dei rapporti sociali. Invece di essere, come è nell'orda, un atto breve e di portata immediata (l'accettazione o l'accoppiamento), il processo di riproduzione vi si compie per mezzo di un'operazione a scadenza molto lunga (promessa, fidanzamento, matrimonio, dote, ecc.). La nozione di discendenza vi si sviluppa in questa prospettiva. È la discendenza, e quindi la successione, che viene sanzionata dalle cerimonie più importanti come possono es8. C'è bisogno

  • P (J.

    V:

    volume annuale del prodotto della comunità;

    ~V: accrescimento di V, sovrapprodotto;

    P:

    numero dei componenti della popolazione della comunità.

    Le riserve che le comunità costituiscono non rappresentano mai dei il loro scopo è quello di scaglionare nel tempo le loro capacità autoriproduttive ed eventualmente di crescita. In tal modo il prelievo esercitato eventualmente sul prodotto sociale da parte di una classe sfruttatrice avviene sempre a scapito della crescita o persino della riproduzione semplice del gruppo allorché questo prelievo porta alla morte prematura di una parte della popolazione {la morte prematura dovuta alla miseria non è mai contabilizzata come perdita economica nei calcoli dell'economia liberale). « surplus », poiché

    3.2. Il pluslavoro Più ancora che di un sovrapprodotto, la comunità domestica è capace di produrre pluslavoro. La divisione delle attività agricole in stagioni produttive e improduttive fa apparire chiaramente la capacità dell'agricoltura consistente nel fornire un volume di prodotti di sussistenza L~, il cui consumo produce una massa di energia '1:.E superiore a quella necessaria alla riproduzione di L~. Ciò può essere facilmente valutato per mezzo del tempo di lavoro necessario alla produzione del prodotto agricolo, che non costituisce in genere che una frazione dell'anno solare. A questo periodo va aggiunto il tempo di lavoro necessario alle operazioni annesse, in particolare a quelle relative alla fabbricazione degli utensili agricoli come il tempo di lavoro necessario alla preparazione delle sostanze alimentari e alla fabbricazione degli strumenti di cucina. Durante le stagioni morte vengono compiuti i lavori indispensabili al mantenimento del produttore di energia: costruzione dell'habitat, fabbricazione dei vestiti, beni diversi, ecc. Queste operazioni, strettamente necessarie alla produzione e alla riproduzione, non assorbono generalmente la totalità dell'energia dei lavoratori durante la stagione morta. Benché spesso il periodo improduttivo sia

    Le strutture alimentari della parentela

    69

    difficile, resta una parte di energia che può venire impiegata in attività produttive supplementari (caccia, raccolta, ecc.), in attività sociali o politiche (dibattiti, competizioni, guerre, ecc.), o alla produzione di beni artigianali non produttivi. Cosi, essendo E la quantità di energia prodotta annualmente da ogni produttore attivo, uomo o donna che sia, - una frazione Eb di E viene utilizzata per la produzione di un volume di beni di sussistenza di origine agricola necessario alla ricostituzione delle forze del produttore e alla formazione di futuri produttori ( cfr. Cap. 3.1.). - una frazione E; è destinata agli investimenti necessari alla fabbricazione dei mezzi di produzione, utensili, strumenti culinari, ecc., e al mantenimento del produttore ( abitazione, vestiti); - la frazione E,1 di energia viene applicata ad altre attività economiche non strettamente necessarie alla produzione di E, così come ad altre attività di natura sociale e politica. -

    Il rimanente è costituito dalla frazione E,.

    Quindi, E

    =

    (E,,

    + E;) + (E., + E,).

    5

    La differenza entro la quantità di energia prodotta E e la quantità di energia spesa E, + E; per la produzione di E è: Ed + E,. Questa differenza tra quantità di energia prodotta e spesa si traduce in una differenza tra il tempo di lavoro strettamente necessario alla produzione dell'energia E e la durata dell'impiego di questa energia, durata sempre eguale come minimo a un ciclo agricolo completo, cioè a un anno. 6 In altri termini, il pluslavoro è la quantità di energia disponibile al di là delle quantità che vengono utilizzate per la produzione dei beni di sussistenza necessari alla riproduzione semplice della comunità. 7 EJ + E, si traduce per la comunità stessa in un tempo libero di cui essa gode grazie ai suoi sforzi e allo sfruttamento delle sue forze fisiche e intellettuali, tempo che essa gestisce secondo la propria convenienza

    5. Le quantità rispettive E,,, E,, E, dipendono dal livello di produttività raggiunto dalla comunità. Un miglioramento dell'attrezzatura accresce E, a profitto di una diminuzione di E,., allo stesso modo in cui comporta un miglioramento delle tecniche agricole. 6. Affinché E, + E, appaia, bisogna che sia rispettata la nostra ipotesi di partenza, e cioè la presenza di una agricoltura a produttività abbastanza elevata da soddisfare i bisogni alimentari necessari al mantenimento e alla riproduzione dei membri della comunità. cosl come alla ripetizione del ciclo agricolo (dr. Cap. 2.1.). 7. Questo pluslavoro è, per essenza, la rendita in lavoro nell'economia feudale e il plusvalore nell'economia capitalista. In entrambi i casi, è a causa della privazione di questo tempo libero che l'uomo si aliena.

    70

    Capitolo 3

    e a fini ad essa propri, tempo indispensabile per ogni tipo di floridezza e di progresso.

    • Per partecipare al ciclo produttivo, per appartenere cioè alla comunità - e noi vedremo le implicazioni di questa osservazione allorché verremo ad esaminare la schiavitù - allo stesso modo che per contribuire alla perpetuazione di essa, ogni produttore deve: 1) restituire alla comunità la parte a.A 21, che egli ha consumato durante il suo periodo di vita improduttivo, affinché essa possa essere reinvestita nella formazione di un futuro produttore; 2) anticipare la parte a.C01 che egli consumerà quando sarà diventato inattivo; 3) produrre la parte a.B 11 necessaria al suo mantenimento presente di produttore. L'eccedenza 5, se esiste, viene normalmente devoluta alla riproduzione allargata dei produttori, cioè alla crescita della comunità che permette di raggiungere meglio gli obbiettivi di cui sopra. La circolazione del prodotto tra generazioni, circolazione necessaria alla ricostituzione dell'energia umana, rende ciascun individuo, sia esso produttore o futuro produttore, dipendente da tutti gli altri membri della comunità. La capacità per ogni produttore di produrre un eccedente energetico è subordinata alla appartenenza di questi alla comunità. L' energia di ciascun produttore è il prodotto sociale e temporale della comunità e dei rapporti di produzione e di riproduzione, edificati su di un periodo equivalente alla durata di tre generazioni successive. Da un punto di vista strettamente economico, la parte consacrata all'alimentazione degli individui improduttivi, e dei vecchi in particolare, sembrerebbe superflua. Ciò equivarrebbe a dimenticare che le condizioni stesse della produzione portano a situare i più anziani al centro dei rapporti di produzione e contribuiscono ad accrescere la loro autorità, a concentrare le funzioni di gestione nelle loro mani e allo sviluppo dell'ideologia dell'anzianità. Tali strutture definiscono le finalità di questo modo di produzione: la riproduzione continua e la moltiplicazione dei suoi membri. Da questo punto di vista la comunità domestica rappresenta un progresso rispetto all'orda, poco capace da parte sua di sostenere i malati e gli infermi o di assicurare la sopravvivenza dei vecchi a partire dal momento in cui essi non hanno più la forza di produrre. Ora, nella comunità domestica la sopravvivenza dei post-produttivi non è possibile che per mezzo dell'investimento dell'energia prodotta durante il periodo produttivo della loro vita nella formazione dei futuri produttori. Se non investisse in una cellula di produzione o di ripro-

    Le strutture alimentari della parentela

    71

    duzione, un lavoratore isolato non potrebbe sopravvivere - a partire dal momento in cui cessa di produrre - al di là del periodo di conservazione dei prodotti di sussistenza che egli avrebbe accumulato prima di ritirarsi dall'attività, cioè qualche anno. In mancanza di un modo di scambio che gli permetta di risparmiare su di una lunga durata attraverso la trasformazione del prodotto agricolo deperibile in un valore durevole e ricambiabile a una certa scadenza - come la moneta, per esempio - , l'avvenire non può investirsi che nella produzione e riproduzione della forza-lavoro dei dipendenti immediati, nella costituzione e nella ricostituzione della cellula produttiva domestica.

    3 .3.

    La circolazione della prole

    Una delle condizioni della riproduzione strutturale della comumta e che i futuri produttori ricevano la parte aA dei beni di sussistenza necessari alla loro crescita. Dato che il volume della produzione ~B di ciascun produttore è in media equivalente, e che per contro la capacità procreatrice di ciascuno di essi non è legata alle sue capacità produttive, ecco che si impone una ridistribuzione in grado di armonizzare produzione e riproduzione tra loro. Infatti, contrariamente a ciò che sembra superficialmente logico, questa armonizzazione si realizza più attraverso la ridistribuzione della progenitura che attraverso la ridistribuzione del prodotto. Nella maggior parte dei casi, tale ridistribuzione si effettua attraverso la pratica della commensalità: il prodotto comune viene trasformato e il cibo viene distribuito in modo eguale fra tutti i membri. Ma ciò che viene realizzato mediante questo artificio non è tanto una ridistribuzione del prodotto, quanto piuttosto una messa in comune della progenitura, considerata egualmente come quella dell'anziano. Per questa ragione la poligamia è più ineguale presso le comunità fortemente centralizzate dal punto di vista economico (dove la totalità del prodotto è gestita dall'anziano) che non presso le comunità decentralizzate. Nelle prime l'anziano può disporre di numerose mogli e avere una numerosa prole senza che questa situazione agisca in modo determinante sulla ridistribuzione dei mezzi di sussistenza, poiché ciascuno è, allo stesso titolo, figlio dell'anziano. Se la comunità è divisa in famiglie che possono disporre di una parte o della totalità del loro prodotto, si rende necessaria una ridistribuzione al fine di correggere i rischi della fecondità. All'interno di una comunità decentralizzata, in effetti, la ripartizione delle mogli puberi, degli individui produttivi e

    72

    Capitolo 3

    della prole deve, bene o male, accordarsi con la distribuzione del prodotto. Nei limiti della disponibilità del prodotto, questa ripartizione tra cellule produttive tende a venire equilibrata, poiché il prodotto di cui ogni famiglia dispone a un dato momento non acquista valore se non è consumato e perciò trasformato in un prodotto futuro. Il gruppo familiare che non ha abbastanza figli per assorbire il proprio prodotto non realizza il « valore » di quest'ultimo. L'accumulazione dei beni di sussistenza ( al di là delle riserve necessarie per far fronte alle variazioni accidentali della produzione) non equivale allora che alla loro sterilizzazione. D'altra parte, il gruppo familiare che ha troppe bocche da sfamare non realizza le potenzialità produttrici della sua progenitura. Nelle condizioni storiche del funzionamento della comunità, ammesso che quest'ultima non abbia che delle possibilità limitate di reclutare al proprio esterno (al contrario di ciò che accade nella società schiavista), l'adattamento del prodotto sociale al consumo viene realizzato per mezzo dello spostamento degli individui tra le cellule produttive più che per mezzo del trasferimento dei beni di sussistenza. Nei limiti degli effettivi della comunità, il numero di figli di ogni gruppo familiare è suscettibile di subire variazioni maggiori e più veloci che non la produzione. La ridistribuzione dei dipendenti permette di ripartire meglio l'energia umana tra le cellule produttive e di proporzionare meglio al loro interno il numero degli individui produttivi e improduttivi. Questa politica di ridistribuzione degli effettivi in funzione delle esigenze della produzione traspare nella pratica e all'interno di diverse istituzioni - come l'adozione di nipoti, maschi e femmine - ; può essere osservata nella mobilità degli individui tra i gruppi familiari di una stessa comunità, tutte istituzioni che favoriscono, attraverso una manipolazione dei rapporti di parentela, la ricostituzione permanente dei rapporti di produzione (si vedano: Meillassoux, 1964, cap. 4; Pallet e Winter, 1971, 385; J. Schmitz, 1975, ecc.). Se invece di una ridistribuzione della prole secondo le modalità che si sono viste si avesse una ridistribuzione del prodotto, la concentrazione di un numero di bambini in proporzione più grande all'interno di un gruppo familiare più prolifico permetterebbe a quest'ultimo di raccogliere, in una prima fase, una parte del prodotto sociale superiore alla propria produzione, parte prelevata dalla produzione della comunità nel suo insieme. Ciò equivarrebbe di già ad accordare a questo gruppo un diritto privilegiato sulla produzione futura della sua progenitura, la cui crescita sarebbe accentuata ulteriormente da questo prelievo esercitato nei confronti delle altre famiglie della comunità. Se si ammette che il prodotto del lavoro di questa progenitura cosl costituitasi rimarrà all'interno di questo gruppo familiare, vi sarà una interruzione nel ciclo di prestiti e di restituzioni e quindi un accaparramento definitivo di questa parte del prodotto sociale che è stato utilizzato per la formazione dei produttori del gruppo familiare. Tuttavia, il sovrapprodotto iniziale ac-

    Le strutture ali111c11tari della parentela

    73

    caparrato in questo modo non si riproduce che in presenza delle circostanze sociali che permettono l'investimento di esso indipendentemente dalla crescita demografica in senso stretto. In altri termini, il sovrapprodotto proveniente dai produttori formati all'interno del gruppo familiare grazie a queste risorse esterne deve corrispondere, alla generazione seguente, a una progenitura proporzionata da nutrire, altrimenti il sovrapprodotto viene perduto. Per godere di esso il gruppo familiare deve dunque trovare fuori di sé - e fuori della comunità con la quale vengono interrotti i cicli di ridistribuzione - individui che esso deve far entrare al proprio interno, al fine di poter investire in essi il sovrapprodotto di cui esso dispone. Una accumulazione differenziale del prodotto presuppone questa possibilità di reclutare dipendenti stranieri. Ora, le condizioni storiche di funzionamento della comunità domrstica limitano questa eventualità a circostanze di carattere occasionale, non suscettibili di ripresentarsi in modo regolare, circostanze quindi non istituzionali e neppure di natura organica. Se tale eventualità si realizzasse, essa renderebbe possibile, attraverso l'utilizzazione di una ridistribuzione iniziale del prodotto, l'inizio di un processo di accumulazione differenziale, ma a prezzo di una rottura dei rapporti di produzione e di riproduzione domestici, quindi di una trasformazione radicale delle strutture sociali.

    In tal modo, entro le condizioni imposte dalla produzione, la logica della ridistribuzione si esercita più sugli individui che non sul prodotto, poiché ogni gruppo familiare è considerato sotto l'aspetto delle sue capacità relativamente stabili della produzione, più che sotto l'aspetto delle sue aleatorie capacità riproduttive: il sistema sociale viene gestito a partire dagli elementi più pertinenti. Attraverso la ridistribuzione dei dipendenti, nessun produttore viene leso, salvo in caso di morte precoce, nei riguardi del prodotto del proprio lavoro. Il suo sovrapprodotto gli ritorna, qualunque sia il numero di figli che egli avrà procreato. Questo sovrapprodotto gli permetterà di nutrire uno stesso numero di bambini 5/a.A (sia che questi bambini siano suoi, oppure facciano p2:-te della comunità). L'idea della famiglia, allargata alla parentela classificatoria che prevede istituzionalmente questa circolazione degli individui, è dunque in accordo con le condizioni della produzione e della circolazione dei beni di sussistenza che danno logicamente pit1 peso al lavoro produttivo che alla semplice capacità generatrice del maschio.

    Capitolo 4

    La dialettica dell'eguaglianza

    La circolazione della progenitura che si compie in seno alla comumta domestica non si accompagna ad alcuna contropartita di carattere materiale. La circolazione delle spose che avviene tra comunità diverse comporta talvolta una circolazione di oggetti in senso inverso, circolazione di cui ora vedremo le modalità di realizzazione, l'evoluzione e gli effetti.

    4.1.

    La circolazione delle spose e delle doti 1

    All'interno dell'insieme matrimoniale costituito attraverso l'alleanza di diverse comunità, la riproduzione di ciascuna di queste viene assicurata mediante la ridistribuzione tra di esse delle donne puberi disponibili. Lo scopo fondamentale di questa ridistribuzione è la riproduzione, della quale la donna è lo strumento. L'oggetto ultimo della circolazione delle donne non è tanto la loro ripartizione, quanto piuttosto la ripartizione della loro progenitura. Nelle pagine che seguono l'espressione « circolazione delle donne » sottintende quella di « assegnazione della progenitura ». Dato che le donne non procreano all'interno della loro comunità (salvo casi di matrimonio preferenziale), esse sono trasferite in altre comunità. Questo trasferimento non può realizzarsi che sulla base di una reciprocità assoluta, poiché una donna pubere non ha altro equivalente funzionale che in un'altra donna pubere. In queste condizioni, e se questa regola viene rispettata, ogni comunità non può che ricevere dalle altre un numero di donne strettamente eguale a quello che essa stessa ha generato. Sul piano degli effettivi, dunque, lo scambio delle

    1. Per dote intendo l'insieme di beni materiali e/o di prestazioni richiesti per com·enzione dalla comunità che cede la sposa alla comunità che la riceve. La dote si distingue dal corredo, insieme degli oggetti personali che la fidanzata porta presso il suo sposo e che restano di sua proprietà, e dai regali accordati a certi parenti a titolo personale.

    La dialettica dell'eguaglianza

    75

    spose non permette a una comunità di disporre di più donne di quante non ne siano nate al suo interno. Tuttavia questo numero può essere scaglionato nel tempo grazie al meccanismo delle promesse, che permettono di ricevere in un dato momento una ragazza nubile in cambio della restituzione differita di una ragazza che deve ancora nascere oppure che è ancora troppo giovane. In virtù di questo stratagemma, quelle comunità che si trovassero in un certo momento sprovviste di ragazze nubili potrebbero fruire nondimeno di quelle che sono state loro anticipate in cambio della crescita del numero di individui di sesso femminile atteso da questa operazione, oppure in compenso di una ragazza ceduta in precedenza. In tal modo nessuna comunità è votata all'estinzione per il semplice fatto che una fecondità differenziale potrebbe privarla di giovani donne (essa non si estinguerebbe, paradossalmente, che per mancanza di uomini puberi). Al contrario viene preservata la possibilità di una ripartizione uguale delle donne tra tutte le comunità. La mobilità regolata delle donne presenta il vantaggio pratico, rispetto all'endogamia e al matrilignaggio, di poter ripartire le donne puberi non solo nello spazio, ma anche nel tempo. La contropartita di questi meccanismi è la poligamia, che permette di accogliere in ogni comunità un numero di donne indipendente dal numero degli uomini puberi che essa conta al suo interno (a condizione che questo numero sia almeno uguale ad uno). Lo scambio delle donne, come si è visto, si realizza tanto per via bilaterale che per via multilaterale. Lo scambio bilaterale viene praticato tra due comunità alleate e - in genere a causa dello scarso numero di individui che le compongono - sulla base di un ciclo temporale. La consegna di una donna comporta la promessa di un'altra. Lo scambio bilaterale limita le transazioni al numero di donne puberi di cui le due comunità dispongono in un dato momento e le scagliona in un arco di tempo molto lungo. La moltiplicazione degli scambi bilaterali con un numero maggiore di comunità sopprime in parte questo inconveniente e assicura una maggiore fluidità alle transazioni. Le comunità, impegnate a questo modo in un circuito di scambi multilaterali, debbono essere perfettamente in grado di conoscere lo stato delle transazioni matrimoniali e della circolazione delle donne cedute in anticipo, affinché nessuna di queste comunità riceva un numero di donne maggiore di quello che essa stessa ha ceduto o promesso. Allorché queste transazioni sono in numero limitato, questo controllo può essere esercitato attraverso la semplice memorizzazione, mentre la loro moltiplicazione rende più difficile, se non impossibile, una memorizzazione di questo tipo. La circolazione delle donne cedute in anticipo tende allora a venir materializzata convenzionalmente per mezzo di una circo-

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    Capitolo 4

    lazione contraria di oggetti simbolici. Si può infatti osservare, nel momento del passaggio dallo scambio bilaterale allo scambio multilaterale, l'emergenza di una circolazione concomitante di oggetti materiali (Douglas, 1963 ). La natura di questi oggetti è strettamente connessa al funzionamento della transazione matrimoniale e alle caratteristiche peculiari di quest'ultima. Vedremo, a partire dalle osservazioni che seguono, come questi oggetti riflettano questa funzione e come essi siano suscettibili allo stesso tempo di trasgredirla. 4.2.

    La dote come credito

    Poiché la circolazione delle donne può venir regolata per mezzo della semplice memorizzazione, la natura degli oggetti destinati ad assolvere la stessa funzione della memoria può essere astratta, allo stesso modo di quest'ultima. Il loro carattere materiale, il quale non rappresenta che il credito e non l'oggetto di questo credito, sarà dunque indipendente dal contenuto di quest'ultimo. Allo stesso modo che in qualunque sistema di credito, il credito matrimoniale può essere rappresentato da un oggetto qualsiasi, senza un valore intrinseco, oggetto che può avere esclusivamente un valore di tipo fiduciario fondantesi sul consenso unanime delle parti in gioco e sulla reciproca fiducia che esse si accordano. Attraverso lo scambio multilaterale, una qualunque donna pubere appartenente all'insieme matrimoniale può essere ricevuta come contropartita di una donna ceduta in precedenza a una comunità qualsiasi, se la prima viene designata tale dal circuito del credito. Nei limiti della loro appartenenza parentale, le donne in età pubere divengono utilizzabili, il che equivale a dire che esse, all'interno di questo circuito, perdono una parte della loro identità. La sposa viene scelta non in base alle sue personali qualità, bensì in funzione di una opportunità creata contemporaneamente dalla trama delle alleanze all'interno della quale si situa la sua comunità, dagli obblighi contratti anteriormente da quest'ultima, e dalla fase del ciclo matrimoniale alla quale corrisponde la sua età. 2 La fungibilità delle donne puberi si manifesta anche attraverso l'istituzione del sororato nel quadro più ristretto della comunità che ha ceduto la donna, la quale può proporre una « sorella » per rimpiazzare una sposa inferma o deceduta. Fungibilità limitata, tuttavia, poiché le donne non circolano all'interno di un sistema di « scambio generalizzato », come tende a 2. È chiaro che, in una simile congiuntura, solo molto difficilmente può a\·venire la libera scelta del congiunto.

    La dialettica dell'eguaglianza

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    far credere una formula errata dello strutturalismo, bensì all'interno di una serie di circuiti multilaterali attraverso i quali l'appartenenza di una donna alla sua comunità di origine non viene mai ad essere smentita. A differenza di ciò che succede nello scambio generalizzato, la donna, all'interno della circolazione matrimoniale, non viene mai acquisita definitivamente dalla comunità del marito: costei non può essere nuovamente ceduta da quest'ultima a una terza comunità. La sua circolazione non avviene che tra la sua comunità di origine e un'altra comunità, ma mai tra due comunità terze. Entro questi limiti la fungibilità delle donne può riflettersi nella fungibilità delle cose; esse possono venir rappresentate da oggetti sostituibili gli uni con gli altri. Rappresentative dei crediti i quali non coincidono, ciascuno, che con una sola donna, poiché tutte sono considerate a priori come identiche nelle loro funzioni riproduttive, le doti restano equivalenti tra loro qualunque sia la loro natura, il loro contenuto, il loro volume o la loro quantità, la qualità o la rarità dei beni matrimoniali che le compongono. Tuttavia, un certo numero di considerazioni interviene al fine di definire la natura dei beni matrimoniali che devono, per poter essere accettati come tali, possedere delle qualità precise. È indispensabile, innanzi tutto, che i beni che compongono la dote possiedano intrinsecamente un carattere distintivo, ma non delle donne - dal momento che esse non si distinguono le une dalle altre - , ma degli uomini che li manipolano e che devono possedere. loro, certe qualità. I beni che compongono la dote devono testimoniare delle prerogative sociali di coloro che ne dispongono e della loro capacità ad intavolare le trattative matrimoniali. Per la sua natura e per la sua composizione, la dote deve essere associata alle qualità sociali dell'anziano. Situato nel punto verso il quale confluiscono, tramite la circolazione, i beni prodotti dalla comunità, l'anziano è colui che si trova in possesso delle capacità sociali che gli consentono di accumulare, capacità che egli solo può legittimamente assumere. I beni matrimoniali saranno dunque in genere dei prodotti che testimoniano di una concentrazione di energia umana, sia in quantità sia in qualità, che solo un anziano, in virtù della sua posizione, può riunire (Meillassoux, 1960). Ma se la dote, in ragione della sua composizione, distingue l'anziano dagli altri membri della sua comunità, essa non lo distingue dagli altri anziani le cui prerogative, in materia matrimoniale, sono a priori identiche. Poiché dunque le doti sono da un lato la rappresentazione astratta delle donne puberi tra loro simili, mentre dall'altro sono la rappresentazione concreta dell'eguaglianza degli anziani tra loro, esse restano sottoposte alle leggi dell'uniformità.

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    I beni matrimoniali infine, poiché sono destinati ad assolvere una doppia funzione rappresentativa, e cioè a rappresentare una promessa di donne e il rango dell'anziano, possono essere dei beni improduttivi, caratteristica questa che la loro destinazione alla sola circolazione accentua ulteriormente. Beni simili, oziosi e rappresentativi, non possono avere che un valore convenzionale e fiduciario. Se è così, essi non circoleranno come beni matrimoniali che in seno a una società costituitasi sulla base di queste convenzioni, in seno cioè all'insieme delle modalità alleate all'interno di una stessa area matrimonale. È dunque possibile, in queste condizioni, fissare convenzionalmente per un tale insieme il volume e la composizione della dote: il tasso convenzionale e uniforme delle doti esprime l'eguaglianza di principio dei crediti e dei partenari. Se il volume della dote può variare, ciò non modificherà né la natura, né il contenuto del credito. Colui che sceglie di dare una dote più cospicua non verrà per questo ad acquistare diritti matrimoniali supplementari. In altri termini, la qualità, il volume, il contenuto della dote restano indipendenti dalle sue capacità di rendere possibile la circolazione delle donne. I beni che compongono la dote possono essere di natura deperibile oppure durevole. I meccanismi della circolazione matrimoniale saranno diversi in ciascun caso. Nella nostra ipotesi - quella per cui il sistema della dote permette l'ampliamento dei rapporti matrimoniali - la circolazione e la tesaurizzazione dei beni che compongono la dote favoriscono la scelta dei beni durevoli. 3

    4.3.

    Lo scambio identico

    L'analisi della circolazione dei beni di sussistenza e delle donne puberi mette in evidenza un fatto fondamentale che la distingue da qualsiasi forma di circolazione mercantile: sono dei beni identici quelli che ven3. I problemi relàtivi all'impiego del bestiame come bene matrimoniale sono, benché numerose popolazioni di agricoltori sedentari lo abbiano adottato, in stretta relazione con lo studio delle società di allevatori. In ragione delle condizioni della produzione del bestiame, più lenta e meno soggetta al controllo rispetto alla produzione di oggetti materiali, l'accaparramento avviene più per mezzo della razzia che per mezzo del lavoro. Essa comporta delle attività belliche. Per contro, il bestiame non possiede carattere duraturo che in virtù della sua riproduzione naturale che può essere concepita come « parallela » a quella della popolazione del gruppo, e quindi meno soggetto ad essere distrutto. Infine, le convenzioni relative alla rappresentatività del bestiame possono più facilmente estendersi a popolazioni numerose (ancorché il colore della veste stabilisca sovente dei limiti agli scambi matrimoniali tra allevatori vicini).

    La dialettica dell'eguaglianza

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    eono scambiati tra loro; beni di sussistenza contro beni di sussistenza ~el ciclo di prestiti e di restituzioni del prodotto agricolo; sposa contro sposa nel ciclo matrimoniale. La circolazione dei beni di sussistenza e delle donne riposa sull'impiego differito nel tempo che di entrambi viene fatto. I beni che si inseriscono in questi circuiti, come quelli che compongono la dote nel circuito matrimoniale, non sono che degli intermediari tra due momenti dello scambio identico. Lo scambio differito dei beni identici contribuisce a dare una spiegazione di un'altra particolarità della circolazione osservata dagli etnologi da R. Firth in poi: la costituzione di sfere riservate ed esclusive di circolazione al cui interno non si sostituiscono gli uni agli altri che prodotti specifici, appartenenti a un livello determinato della circolazione e che non sono comparabili ad altri prodotti circolanti a un altro livello. Questa circolazione non obbedisce alle leggi del mercato poiché questi beni sostitutivi non hanno altro « valore » di quello di beni sempre identici, in modo tale che la loro variazione sotto l'aspetto del volume e del contenuto è senza alcun effetto considerevole e neppure accettato sullo scambio fìnale. 4

    • Attraverso questo scambio differito tende a compiersi, nel tempo, una ripartizione eguale dei mezzi di riproduzione: dei beni di sussistenza tra i membri della comunità; della prole tra le cellule componenti la comunità; delle donne puberi tra le diverse comunità; mentre l'insieme di questo processo rappresenta la condizione della ricostituzione permanente dei rapporti di produzione. Tuttavia, i meccanismi che abbiamo studiato rivelano la portata e i limiti di questa tendenza all'eguaglianza. Se la preoccupazione di mantenere rapporti di tipo egualitario domina l'ideologia delle comunità domestiche, tale preoccupazione non si fonda che su di una tendenza a lungo termine, talvolta elusa dalla storia stessa ( Cap. 6. ). Questi meccanismi contribuiscono senz'altro ad assicurare, in seno ad ogni comunità, un equilibrio ( a più o meno lungo termine, a seconda degli elementi in gioco) tra beni di sussistenza e di consumo, tra individui produttivi e individui improduttivi, tra donne puberi ed effettivi totali. Ma, se essi tendono a costituire in tal modo comunità omologhe o simili, essi non realizzano in ogni istante una ripartizione eguale della popolazione tra tutte le comunità 4. Gli elementi che compongono la dote non possono dunque venire assimilati a una moneta per il fatto che non vi è scambio di valori differenti. Perché vi fosse scambio di valori, bisognerebbe che gli oggetti scambiati fossero differenti, la funzione della moneta essendo allora quella di ridurre questa differenza a un'equivalenza (Brunhoff, 1967). La dote non assolve questa funzione, poiché essa non fa che trasferire nel tempo un valore sempre identico a se stesso, senza essere essa stessa identica o costante.

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    costituenti l'insieme sociale e che possono trovarsi, quanto alla loro importanza numerica, in posizioni diverse e mutevoli le une in rapporto alle altre. L'ideale egualitario che regna tra le comunità riflette le esigenze della produzione sociale e si afferma tanto più fortemente quanto più la minaccia dell'ineguaglianza viene a pesare per effetto di elementi esterni. Il caso dei Lugbara riferito da J. Middleton (197 4 ), ove ogni comunità si afferma come identica a tutte le altre, è un notevole esempio di questo fatto, mentre il processo di degradazione di questo ideale nella società contemporanea dei Soninké è stato descritto da Pollet e Winter ( 1971 ). L'ideologia egualitaria è stata còlta da parte dello strutturalismo attraverso la nozione di « reciprocità », nella quale Lévi-Strauss ha creduto di vedere il principio motore del sistema sociale. In mancanza di un trattamento di carattere scientifico, però, questa nozione intuitiva si è degradata per andare a coprire infine qualsiasi movimento o intenzione agente in senso inverso ( o apparentemente tale). Malgrado la definizione più precisa che Polanyi ( 1957) aveva tentato di attribuirle, certi autori l'hanno estesa a società al cui interno essa non interviene, e persino a rapporti di sfruttamento, come per esempio il versamento del tributo « in cambio » della protezione del signore, o quello della decima in cambio delle preghiere del prete. 5 Limitata all'economia domestica, la nozione di reciprocità rende ideologicamente conto del modo di circolazione identico ed egualitario che ho cercato di illustrare. Questa ideologia, d'altronde, si proietta, all'interno di questo tipo di società, al di là dei rapporti sociali, sui rapporti tra l'uomo e la terra. Per un agricoltore nulla può venire dalla terra senza contropartita: egli investe in essa il proprio lavoro e le sementi, e ne trae la sussistenza. All'interno di questa prospettiva, le attività predatorie o estrattive lo inquietano: esse devono venir compensate da un « sacrificio » che ristabilisca l'equilibrio, poiché ogni sottrazione esercitata nei confronti della natura contraddice il principio dei prestiti e delle restituzioni che presiede all'economia agricola. Simili credenze e simili rituali non conoscono uno sviluppo pari nelle economie di caccia o di raccolta ove la terra non è che un semplice oggetto di lavoro. Il bisogno di una restituzione non si sviluppa allo stesso modo agli occhi del cacciatore, per il quale l'esperienza dell'investimento non esiste. Nelle società aristocratiche di classe, per contro, l'ideologia della reci5. Confusione palese contenuta in una serie di lavori consacrati a

    « La reciprocità» (A11nales, 6, déc. 1974. 1309-1380). Si tratta di una confusione che permette di camuffare qualunque forma di sfruttamento sotto la veste di normali equivalenze.

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    proC!ta viene mantenuta e utilizzata al fine di giustificare i rapporti di sfruttamento, e questo malgrado essa non possieda, all'occorrenza, alcun fondamento organico (si veda su questo punto l'intelligente critica di Vilakazi all'articolo di E. E. Ruyle, 197 3 ). 4 .4.

    Il valore sormone

    Allorché la circolazione dei beni che compongono la dote si unisce alla memorizzazione delle transazioni, ciascuno dei responsabili delle comunità sa chi è debitore o creditore di donne. La funzione di credito che la dote possiede è dominante. Per tutto il tempo in cui i partners delle trattative restano in rapporti stretti che permettono a ciascuno di controllare l'esaustione degli obblighi matrimoniali, la dote viene mantenuta entro le funzioni che ad essa vengono assegnate e la circolazione di essa resta subordinata alle esigenze della riproduzione dei rapporti di produzione. Il circuito dotale si inscrive all'interno dei rapporti sociali che ne limitano gli effetti alla sopportazione del sistema. Inoltre il carattere composito della dote, le prestazioni di lavoro dalle quali è spesso accompagnata, non facilitano una manipolazione semplice e a senso unico che accorderebbe alla dote, come adesso vedremo, funzioni di scambio peraltro latenti. Il possesso di una dote non è sufficiente per intavolare una trattativa matrimoniale. Occorre anche che il principio di questa trattativa venga ammesso e che la qualità dei partners della eventuale trattativa sia riconosciuta. La dote subisce un trasferimento per il fatto che la trattativa riguarda una donna. La circolazione della dote non fa che raddoppiare la circolazione primaria, e necessaria, degli agenti produttori e riproduttori, senza che sia possibile modificare, per suo mezzo, la ripartizione che ne segue. Al di là dei limiti convenzionali e istituzionali che mantengono la dote entro i confini della sua stretta funzione di credito, contribuiscono a ciò anche delle condizioni di fatto. Se, come si è visto, il volume della dote non modifica i termini della transazione, che ne è della moltiplicazione del numero delle doti, della loro produzione in grande quantità? Si possono avere due casi: o non ci sono limiti al volume delle doti e non è possibile determinare la quantità a partire dalla quale una dote si riduce; oppure il volume delle doti è fissato convenzionalmente ma la loro moltiplicazione non suscita una moltiplicazione proporzionale delle donne nubili. Ora, una dote non esercita la sua funzione se non esiste la possibilità di impegnarla in una transazione matrimoniale. Una sovrapproduzione di doti non dovrebbe

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    pertanto apportare alcun vantaggio al produttore di essa, né immediatamente, né in futuro. Riassumendo, dato che la dote non è composta che da oggetti improduttivi incapaci di intervenire direttamente nella produzione o nella riproduzione; dato che essa si presenta come termine mediano di uno scambio identico; visto che essa rappresenta non una donna, bensì il trasferimento di quest'ultima; dato che questo trasferimento non fa che rimuovere una proibizione ( quello dell'unione libera), e quindi liberare delle funzioni riproduttive latenti senza contribuire a crearle; visto poi che la sua circolazione non accresce il numero di donne puberi e neppure la loro fecondità; dato infine che la sua sola funzione è quella di memorizzare una ripartizione delle donne puberi nel tempo e nello spazio, pur essendo tale funzione puramente astratta, la dote non sembra in grado di intervenire in un circuito di equivalenza che le accorderebbe un valore di scambio. Pertanto, l'intervento di oggetti materiali e durevoli nelle transazioni matrimoniali, oggetti che, in ragione delle condizioni della loro produzione e della loro circolazione differiscono dalle persone e dai beni che essi vengono a rappresentare, comporta l'emergenza di contraddizioni veicolo di trasformazioni. Se ogni dote venisse identificata con la donna per la quale essa è stata trasferita, essa dovrebbe essere conservata da colui che cede delle donne fino al momento in cui, ricevendo una donna in cambio, egli la restituisce al suo debitore. La dote allora non sarebbe che una garanzia. Essa non farebbe altro che sanzionare degli accordi bilaterali senza permettere a tali accordi di estendersi. Vi sarebbero in deposito tante doti quante sono le donne che sono state trasferite senza una contropartita immediata. Ora si è visto che un vero e proprio sistema di doti non esiste, a meno che esso non consenta una ripartizione di donne nel tempo attraverso una circolazione estesa a un numero ottimale di comunità appartenenti a uno stesso insieme matrimoniale che accetta le stesse convenzioni. Attraverso l'estensione della sua circolazione che le permette di essere accettata in tutte queste comunità, la dote non è più solamente una garanzia, ma diventa piuttosto un credito. Per assolvere a questa funzione la dote non può perciò circolare come le donne. Quest'ultime infatti non circolano che tra le loro rispettive comunità di origine e quelle dei loro mariti. Esse non possono venir trasferite da queste ultime a un'altra comunità. In caso di rottura del matrimonio, esse non possono che ritornare presso la loro comunità di origine. Ogni donna pertanto non entra che in un circuito reversibile, mentre le doti circolano all'interno di un circuito aperto. A ciò si aggiunge la destinazione opposta dei due oggetti, le donne e le doti: le donne - salvo in caso di divorzio - vengono, col matri-

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    monio, ritirate dalla circolazione, « consumate », utilizzate fìno all'esaurimento delle loro capacità procreatrici, mentre le doti, composte di oggetti durevoli ma superflui, hanno un'esistenza illimitata che permette loro di essere rimesse in circolazione senza sosta. Se i trasferimenti di tipo matrimoniale si succedessero nel tempo, nell'ordine dei bisogni successivi delle comunità, una sola unità dotale sarebbe sufficiente ad assicurare la circolazione di tutte le donne. In realtà non è evidentemente così, e diverse circostanze favoriscono la produzione e la messa in circolazione di doti nuove: più trasferimenti possono aver luogo all'interno dell'insieme matrimoniale; una famiglia alla quale venga resa una giovane donna non possiede né altre giovani da offrire né dispone di altre doti, mentre altre famiglie conservano le doti che hanno ricevuto. Il numero delle doti messe in circolazione è tanto più grande quanto più piccolo è il numero delle donne immediatamente disponibili. Ora, il compito di produrre i beni che compongono la dote spetta alla comunità che, sprovvista di ragazze nubili, intavola una transazione con una comunità in grado di cedere donne. Solo per questo fatto un oggetto la cui vocazione è sociale si trova ad essere sospinto nel dominio del privato. La dote appare come un oggetto di appropriazione privata la cui creazione e la cui esistenza materiale sono lasciate alla discrezione del possessore. Ora, la comunità produttrice della dote è quella che ridiviene sempre, alla fìne, l'ultima detentrice di essa. Allorché questa comunità fornisce a sua volta una donna in cambio di quella che le era stata data in precedenza, una dote effettivamente le ritorna. Pervenendo nelle mani di un debitore di donne la dote estingue un debito. Essa dovrebbe dunque venire distrutta in quello stesso momento. Ma, in ragione della sua costituzione materiale, e del suo contenuto, consistente in beni durevoli e di prestigio, la dote perdura al di là del credito astratto che essa rappresenta. Se si permette che la dote abbia ancora corso nel momento in cui il circuito matrimoniale si chiude, il sistema viene alterato. In effetti, allorché il produttore iniziale di una dote ne riceve un'altra ( o la stessa), quando egli mette in circolazione la ragazza che egli deve alla comunità non riceve questa dote allo stesso titolo di un altro che ceda una donna. Tra le sue mani, la dote, invece di aprire un credito, lo estingue. Benché egli riceva la dote nelle stesse condizioni apparenti di un creditore nel momento del matrimonio di sua fìglia, costui non ha ceduto nessuna ragazza in anticipo, ma ha solamente restituito quella che doveva. Essendo detentore di un oggetto che conserva le apparenze fisiche e convenzionali di un credito, e tuttavia estinto per il solo fatto che è stato restituito, egli viene a trovarsi nondimeno nella situazione apparente di un creditore. In tal modo la rimessa in circo-

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    ìazione di una dote che ha direttamente o indirettamente chiuso il suo ciclo di prestiti e di restituzioni di donne, rovescia la natura di questa dote: da rappresentazione di un debito estinto essa diviene credito attivo. Con la moltiplicazione e l'estensione delle transazioni matrimoniali e il carattere fungibile dei beni componenti le doti, diventa sempre più difficile seguire il fìlo esatto delle transazioni matrimoniali che sottintendono la circolazione delle doti e fare distinzione tra le doti che pervengono tra le mani di un debitore e quelle che aprono un nuovo credito. Ora, la circolazione continua delle doti trasforma, a ogni chiusura del circuito di cessioni e di restituzioni di donne, una comunità produttrice di doti in una comunità creditrice. Mano a mano che nuove doti entrano in circolazione, e che esse completano il loro ciclo primario di circolazione, le comunità meno provviste di ragazze divengono le meglio provviste di doti e di spose. E sufficiente, per arricchirsi e per attirare il più gran numero di spose nella propria comunità, aver prodotto una dote che, ad ogni rotazione, accordi un nuovo credito al suo produttore. I lignaggi produttori di doti - all'origine i meno favoriti - verrebbero dunque ad esercitare una domanda crescente delle ragazze dell'insieme matrimoniale senza essere costretti a fornirne un numero equivalente. Se la dote, attraverso il suo ritorno nelle mani del suo produttore, permette di acquisire una sposa senza aver ceduto una ragazza, essa cessa di essere un bene mediato. Essa viene ad acquistare un valore di per sé in virtù del confronto che di essa viene fatto con il solo termine esistente dello scambio identico: una sposa. La dote diviene espressione di un valore fìsso, equivalente a quello di una donna in età pubere e convenzionale, dal momento che essa rinnova la convenzione dotale. La dote, nei limiti della circolazione matrimoniale, acquista un valore di scambio. Altri elementi concorrono a conferire a questo « valore » la possibilità di variare e di conseguenza di acquistare la capacità di misurare l'equivalenza. Qualora non sia la sposa stessa a costituire l'oggetto ultimo della transazione matrimoniale, bensì la progenitura di essa, alla funzione di credito fìsso che la dote assolve si aggiunge quella di sanzione del compimento del matrimonio, cioè della realizzazione delle funzioni procreatrici che ci si attende da esso. Poiché il potenziale procreativo della donna è legato al suo periodo fecondo, l'accordo tanto per il matrimonio quanto per il volume della dote riguarda un periodo che va dalla pubertà alla menopausa. Se la dote sanziona la realizzazione del matrimonio, essa dovrà per questo essere proporzionale a questa durata e al numero dei fìgli. Ciò può essere osservato nella pratica quando vi è un versamento progressivo di beni matrimoniali. Da questo momento in poi la dote tende a diventare la contropartita della progenitura della sposa, come

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    diversi elementi tendono a confermare: rimborso di una parte della dote in caso di divorzio se i fìgli si allontanano con la madre; doni supplementari da parte dello sposo ai suoceri in occasione di ogni nascita; dote inferiore versata per una donna risposata, ecc. Nello stesso momento in cui essa varia in proporzione alla progenitura, la dote riflette anche la ricchezza della comunità. Attraverso la divisione di essa, il suo valore si propaga ai suoi elementi costituenti. I beni dotali sono così in grado di intervenire nella regolazione di diversi affari di ordine giuridico, come per esempio le ammende o i casi di assassinio o di adulterio. Tutti questi fenomeni sono latenti. La comparsa potenziale del valore di scambio si limita ad un settore, quello delle transazioni matrimoniali e para-matrimoniali, senza mettere in gioco che i beni dotali. Le equivalenze vengono tenute nell'ombra dall'assenza di confronto diretto dei beni primari dello scambio: le donne e la loro prole. All'interno di questo settore limitato, il valore di scambio non può essere capace di rnrmontare gli ostacoli opposti a una tale metamorfosi dalle forze istituzionali. Tuttavia resta aperta la via verso la realizzazione della comparazione, dal punto di vista del valore, della forza-lavoro (applicata alla produzione dei beni matrimoniali) con l'agente riproduttore, e perciò verso il conferimento, ::il lavoro, della possibilità di agire non pit1 soltanto sulla crescita della progenitura, ma sulla ripartizione e sulla accumulazione di questa: i produttori di doti vengono ad acquistare la capacità latente di acquisire delle spose sulla base della loro produzione materiale. Ma soprattutto la dote, in quanto valore di scambio, permette di mettere in equivalenza con una donna una parte dell'energia umana che sarebbe altrimenti inutilizzabile per mantenere degli agenti produttori. Poiché la fabbricazione dei beni durevoli che compongono la dote può avvenire durante le stagioni non agricole e dopo che sono stati prodotti gli oggetti necessari al mantenimento di questo ciclo, una porzione dell'energia che non può venire impiegata nella produzione diretta o indiretta dei beni di sussistenza acquista la virtù di essere l'equivalente di una donna pubere, di una genitrice, e quindi di reintegrare il ciclo di riproduzione dell'energia. Affinché queste molteplici contraddizioni latenti nel sistema dotale possano essere scongiurate, affinché il valore non si insinui nella circolazione, bisogna che le doti vengano prodotte per un potere centrale che ne regoli la circolazione, oppure bisogna che esse vengano distrutte allorché il credito si estingue, nel momento cioè in cui essa torna nelle mani di colui che l'ha messa in circolazione. Nel quadro di una società domestica senza un potere centralizzato la prima soluzione è da escludere. La distruzione o la neutralizzazione dei beni che compongono la dote nelle mani di coloro che si situano tanto

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    all'origine che alla fine del loro ciclo di natura creditizia sono i soli mezzi per ristabilire l'autentica funzione della dote. Distruzione che presso questo tipo di società avviene in diverse occasioni - per esempio durante i funerali in cui un anziano viene sepolto con una parte delle sue ricchezze - , ma distruzioni il più delle volte sporadiche e incontrollate.6 In mancanza di mezzi precisi di identificazione delle doti composte di oggetti fruibili, poiché non si può riconoscere immediatamente il creditore dal debitore, una parte di queste doti corrisposte continua a esistere e a circolare. Certo, le comunità che ne accumulano la maggior parte sono quelle che si ritiene le abbiano recuperate dopo averle prodotte. Una pressione sociale può essere esercitata affinché esse le distruggano o le neutralizzino in un modo o nell'altro. Ma se questa distruzione non avviene proprio nel momento in cui si estingue ogni debito, permane la libertà di servirsi della loro nuova e fantastica virtù di valore di scambio. La distruzione di beni, di ricchezze, si rivela pertanto come la soluzione logica a una contraddizione nata dalla circolazione del sistema dotale, cioè dalla insinuazione del valore in oggetti altrimenti votati alla neutralità e alla passività economica. La donna rimane, in qualità di mezzo di riproduzione, la ricchezza insostituibile, e la sua progenitura il bene ultimo nel quale può investirsi l'energia degli individui. La riproduzione del sistema, la perpetuazione degli individui ( tanto quella dell'uomo ricco come quella degli altri) riposano sulla capacità di produrre e di far crescere una progenitura. Quando ben bene persino l'oro, i perizomi, gli avori, gli anelli, il metallo e il bestiame seducono, quando ben bene queste cose acquistano le apparenze del tesoro, esse non sono adatte a produrre e a riprodurre le ricchezze se non a condizione che esse pervengano a riconvertirsi in strumenti della vita. Le capacità di un controllo sociale che verrebbe ad esercitarsi attraverso di esse sono dunque sempre rinviate alle ricchezze reali che esse rappresentano: i beni di sussistenza, le donne procreatrici e la loro progenitura. La ripartizione di questi mezzi di produzione attraverso le ricchezze non esce dal quadro dei rapporti allacciati in modo organico tra produttori e riproduttrici, né dai limiti stabiliti tra il volume della produzione dei beni di sussistenza e gli effettivi dei produttori passati, presenti e futuri. Poiché l'impiego di questi beni rappresentativi non è, in altri termini,

    6. I doni fatti a certi strati sociali non amalgamati (interdetti matrimonialmente) come le caste, rappresentano una neutralizzazione dei beni dotali equi,·alente alla distruzione. Nelle società reali, la distruzione dei beni produttivi assolve un'altra funzione (Meillassoux, 1968).

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    mai necessario, essi non costituiscono mai la ricchezza, bensì l'immagine di essa. La loro messa in circolazione è all'origine di fenomeni così complessi e così difficilmente controllabili che essa si risolve per mezzo dell'ammassamento o la distruzione. In definitiva, il controllo sociale riposa dunque sempre non sul possesso di tesori, ma sulla gestione della riproduzione, dove questa gestione viene più spesso esercitata in modo diretto piuttosto che in modo indiretto. Da questo fatto deriva l'apparente generosità degli anziani ai quali le ricchezze non tornano di vantaggio, a meno che non siano rimesse continuamente in circolazione; all'opposto di ciò che accade per l'oro, come nota Marx, agli inizi della circolazione deìle merci (cfr. anche Meillassoux, 1968, 765, per una distinzione tra distruzione di beni produttivi e improduttivi). Questa contraddizione latente all'interno del sistema sociale tuttavia non basta, da sola, a trasformarlo. Perché la comparsa circostanziale del valore sia all'origine di trasformazioni sociali e di una ineguaglianza strutturale in grado di dar luogo all'accaparramento di questo valore, bisogna ancora che questa contraddizione venga spinta alle sue estreme conseguenze, cioè còlta nelle sue implicazioni e sfruttata intenzionalmente a profitto di una frazione del gruppo sociale. Bisogna dunque che i suoi effetti siano istituzionalizzati e radicati nei meccanismi più profondi della produzione e della circolazione. Bisogna che intervenga una volontà di dominazione perché la storia abbia il suo corso. La valorizzazione latente della dote può in effetti favorire l'emergenza di una classe dominante, quella dei prelevatori di donne su quella di coloro che le cedono, ma, a meno che non si inscriva all'interno di un'economia di mercato generalizzata, essa non è suscettibile di conservare questa superiorità se non nell'eventualità che i produttori di doti vengano definiti in modo istituzionale. Nulla definisce questi ultimi a priori se non, paradossalmente, il fatto che essi sarebbero stati, nel circuito matrimoniale originario, meno provvisti di giovani donne. Perché la loro superiorità possa affermarsi bisogna che il cerchio delle transazioni matrimoniali si allarghi a tal punto che il controllo, esercitato sul processo in maniera mnemonica, venga meno; bisogna che l'illusione fiduciaria si impossessi degli interessati al punto che una dote venga desiderata per se stessa, che si moltiplichino dunque le possibilità di utilizzare i beni dotali come mezzi per liberarsi da altre obbligazioni. Bisognerebbe allora che i produttori di doti, nel caso essi volessero sfruttare il « valore » di queste a scopi di dominio, ne limitassero la produzione solamente a se stessi e che poi ne polarizzassero la circolazione. Ma proibire la produzione di beni matrimoniali a certe classi significa allo stesso tempo fare attenzione affinché non si

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    creino circmtl dipendenti all'interno dei quali altri beni potrebbero acquisire le stesse virtù convenzionali di regolazione matrimoniale che altri vorrebbero riservarsi. Ora, a meno che non escano dai circuiti matrimoniali o para-matrimoniali, le doti non accumulano mai più « valore » di quello che la totalità delle donne puberi appartenenti all'insieme matrimoniale rappresenta. Se il controllo del sistema dotale esige una centralizzazione della produzione dei beni matrimoniali, il carattere fiduciario e rappresentativo di questi ultimi non accorda loro la capacità esclusiva di regolare i matrimoni: un qualunque altro gruppo può venire a costituirsi sulla base delle convenzioni matrimoniali ad esso caratteristiche. Insomma, il gruppo che vorrebbe riservarsi il monopolio del sistema dotale si accorge che quest'ultimo deve essere generale oppure scomparire. La logica di questa constatazione è allora quella di sostituire al sistema dotale un sistema di gestione diretta e centralizzata delle donne sul modello di quello che precedeva la comparsa della dote, ma questa volta a beneficio di una classe che sarebbe nata dallo sfruttamento delle contraddizioni inerenti allo sviluppo della società domestica. Il processo di valorizzazione della dote che abbiamo descritto si situa all'interno della società domestica, in seno a un insieme matrimoniale delimitato. All'interno di questo, il valore della dote eredita la funzione convenzionale di credito e resta perciò convenzionale. Questo processo non è perciò identico a quello che si ha quando gli oggetti matrimoniali in circolazione in un insieme matrimoniale acquistano un valore di merce (in conseguenza della loro natura) all'esterno di tale insieme. Ad esempio se questi oggetti sono degli avori, oro o altri beni preziosi ricercati da gente in rapporti di trattativa. In circostanze di questo genere, i produttori di doti si trovano nelle condizioni di poter ottenere donne provenienti da altri insiemi matrimoniali in cambio di merci sotto la veste apparente di versamenti di doti. Aprendo in tal modo il circuito matrimoniale, essi possono egualmente sperare di allontanare il regolamento finale della dote per mezzo della sua propagazione verso comunità sempre pit1 lontane ed estranee.' Allorché la moneta - proveniente gene-

    7. Si tratta, pare, del processo osservato presso i Dida e analizzato da Terray ( 1969 b): « Il meccanismo della dote mette a disposizione delle comunità uno strumento di regolazione e di controllo che permette loro di evitare la scarsità di donne in un punto altrettanto bene che la loro accumulazione in un altro. [ ... ] Nella società tradizionale, la natura di questi mezzi di scambio [che costituiscono la dote, C. M.] e l'impossibilità di produrli o di acquisirli a volontà impediscono l'inflazione, mentre nessuno ha interesse a tesaurizzarli dal momento che non possono circolare al di fuori degli insiemi matrimoniali» (p. 237). Ora, sotto l'effetto della tratta un tempo e dell'economia di piantagione oggi, vi è da un lato introduzione continua di mezzi di pagamento nei circuiti dotali, mentre dall'altro vi è una richiesta di donne provenienti dal Nord in direzione della società dida. Terray nota allo stesso modo le premesse di una gerarchizzazione dei lignaggi attraverso il funzionamento particolare dei meccanismi matrimoniali (213-214) che pare logicamente legato, in effetti, a ciò che « i matrimoni conformi alla procedura presentata come normale - dove la dote versata proviene dalla dote ricevuta per una ragazza - costituiscono oramai la minoranza dei casi (37,8 %) » (p. 223; vedi anche Augé, 1969).

    La dialettica dell'eguaglianza

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    ralmente da un sistema economico esterno - si sostituisce ai beni matrimoniali locali, le donne divengono tra le mani dei loro guardiani l'equivalente di un capo di bestiame e il matrimonio quello di un affitto di bestiame attraverso il quale viene ceduto l'eccedente delle donne per un periodo proporzionato alla somma versata. Si tratta ancora di un fenomeno differente da quello trattato più sopra. Allo stesso modo la maniera in cui le donne pervengono a rivolgere i rapporti matrimoniali contro gli uomini. (Waast, 1974.)

    Capitolo 5

    Chi sono gli sfruttati?

    5 .1.

    Le donne

    In tutte le analisi che precedono, la donna, malgrado la sua insostituibile funzione di riproduttrice, non interviene mai come vettore dell'organizzazione sociale. Essa scompare dietro l'uomo: suo padre, suo fratello o suo marito. Questa condizione della donna non è, lo abbiamo visto, una condizione naturale. Essa è piuttosto il risultato di circostanze storiche mutevoli, sempre legate alla sua funzione di riproduttrice. Nelle orde di cacciatori, al cui interno dominano i problemi di appartenenza e di accoppiamento e dove esiste una scarsa preoccupazione nei riguardi delle necessità imposte dalla riproduzione a lungo termine, le donne sono ricercate più come compagne che come riproduttrici. Presso questi gruppi il ratto è poco praticato, le guerre sembrano essere rare e, quando vi sono, non hanno quasi mai la donna per oggetto. Le unioni sono precarie. Molti osservatori sono d'accordo nel riconoscere che le donne giocano un ruolo influente presso questi gruppi, almeno fino a quando l'esempio dei loro vicini agricoltori non modifica il loro modo di vita. 1 Allorché le donne sono desiderate, per esempio nelle società agricole, per le loro qualità di riproduttrici, esse sono maggiormente minacciate. Come s'è visto, qualunque sia la loro costituzione fisica o la loro capacità di difendersi, esse sono più vulnerabili in quanto oggetto permanente di aggressione da parte di uomini alleati tra loro allo scopo di rapirle. La loro difesa, il loro trattenimento all'interno del gruppo di origine - che diventa una delle maggiori preoccupazioni - richiedono entrambi l'intervento organizzato di tutti i membri di essa e in particolare di coloro sui quali non pesano le stesse minacce di rapimento, e cioè gli uomini. 1. Su questo punto è utile fare riferimento allo studio di G. Althabe (1965) che mostra la progressione, presso i pigmei Mbaka, delle istituzioni ricalcate sul modello di quelle Bantu in seguito all'adozione dell'agricoltura.

    Chi sono gli sfruttati?

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    Questi vengono di conseguenza ad esercitare in un primo tempo la loro protezione, e poi il loro dominio su di esse. In tal modo, tanto nei confronti degli uomini del loro gruppo, quanto nei confronti di quelli di altri gruppi che le rapiscono per poi proteggerle a loro volta, le donne si trovano relegate in una posizione di dipendenza che prelude alla loro secolare sottomissione. Nelle società in cui lo scambio matrimoniale resta associato alla guerra e al rapimento, la donna, resa inferiore dalla sua vulnerabilità sociale, è messa al lavoro sotto la protezione del maschio. Il sistema ginecolocale che prevale in questa situazione conferisce per contro alla donna il vantaggio di risiedere in permanenza all'interno del gruppo, e quindi di essere l'elemento più stabile di esso, l'elemento attraverso il quale passa necessariamente ogni genere di trasmissione di beni (eventualmente di patrimoni) ai quali spesso viene associato il territorio. 2 Quando la società domestica giunge a regolare pacificamente la riproduzione attraverso il movimento ordinato delle donne puberi, queste ultime non possono essere più considerate protette allo stesso modo di prima. Esse ereditano tuttavia un passato di alienazione che le predispone a una sottomissione sempre necessaria per potersi prestare alle alleanze ed agli esili che la loro condizione comporta, e soprattutto per rinunciare alla instaurazione di una filiazione con la loro progenitura. In ragione del fatto che, una volta sposata, essa vive tra i suoi affini, i suoi rapporti di filiazione sono sempre subordinati ai suoi rapporti di tipo coniug,ale. Volere che sia diversamente significa tradire, e la sposa è sempre sospetta di tradimento. La sua condizione tuttavia non è necessariamente pesante sotto tutti gli aspetti, ma nella misura in cui il prodotto del suo lavoro è meno determinante delle sue capacità di riproduttrice (che vengono sì dominate, ma anche venerate al tempo stesso) le è riservata una sfera di autonomia strettamente connessa alla sua funzione di madre. 3 La nozione di « donna » viene così a ricoprire, nella società domestica, funzioni precise ma variabili a seconda dell'età. Il ruolo sociale della donna comincia con la pubertà, con la comparsa delle sue capacita potenziali di riproduttrice. Ma questa qualità di fatto le è negata per via istituzionale: l'uomo soltanto possiede la capacità di riprodurre il legame ~ociale: la filiazione non si articola che attraverso di lui. La donna pubere è dunque controllata, sottomessa, orientata verso le alleanze definite attraverso gli obblighi della sua comunità, in modo tale

    2. Per territorio intendiamo. alla maniera di G. Sautter, la terra colti\'ata, terra nella quale è incorporata una parte considerevole dell'energia della comunità presente e passata. 3. Nelle ~ocietà a produzione cerealicola, le donne lavorano pit1 raramente i campi (Goody,

    1973, 108).

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    Capitolo 5

    che la riproduzione s1 compie nel quadro dei rapporti di filiazione di tipo maschile.4 Una volta sposata, cioè una volta divenuta potenzialmente feconda, la sua condizione è subordinata alle regole di assegnazione della sua progenitura. Una volta entrata in menopausa e una volta divenuta anziana, essa viene per contro liberata da tutti questi impedimenti sociali, si apre alla società e acquisisce un'autorità che le era negata in precedenza, quando era cioè sposa e madre. Una volta divenuta vedova e incapace di procreare, la sua condizione diviene simile a quella dell'uomo al quale essa può essere all'occorrenza sostituita allorché, in mancanza di un « fratello » o di un « padre » all'interno del lignaggio, si rende necessario stabilire per suo tramite un legame di filiazione patrilineare allo scopo di rinnovare delle relazioni parentali altrimenti definitivamente interrotte: è quando ha perduto le sue capacità fisiologiche di riproduttrice che essa può acquisirne le capacità sociali. 5 La subordinazione della donna la rende suscettibile di due forme di sfruttamento: sfruttamento del suo lavoro, nella misura in cui il prodotto di esso, una volta consegnato allo sposo che ne assume la gestione o che lo trasmette all'anziano, non le ritorna integralmente; sfruttamento sopprattutto delle sue capacità di riproduttrice, dal momento che la filiazione, e cioè i diritti sulla progenitura, si stabilisce sempre tra individui di sesso maschile. Lo sfruttamento diretto della donna all'interno della comunità domestica è spesso attenuato dal fatto che le viene concesso di coltivare un piccolo campo o un orto, i prodotti del quale le spettano in parte o completamente. Ma il grado di sfruttamento della donna non è calcolabile soltanto in base al tempo di lavoro che essa fornisce senza contropartita alla comunità, bensì in base anche alla forzalavoro che costei recupera sulla sua progenitura, cioè in base al tempo che i suoi figli le dedicheranno per soddisfare i suoi bisogni. Nelle società domestiche accade che una donna benefici d'una parte del lavoro agricolo dei suoi figli non ancora sposati, e che la sua influenza dipenda dal numero di figli e dalla loro situazione. Tuttavia, spossessata in via di diritto della sua progenitura, i rapporti che essa intrattiene coi suoi figli non hanno il carattere stringente di quelli che legano questi ultimi al padre. Una volta abbandonata dai suoi figli, per lei non vi è alcun rimedio; una volta senza prole, essa non ha lo stesso diritto che ha l'uomo di adottarne. Se 4. W. Reich (1932) nota che pratiche come l'excisione o l'infibulazione rivelano « gli sforzi del patriarcato » per sopprimere la sessualità delle donne al solo scopo di farne delle genitrici particolarmente docili. 5. « Per un estremo paradosso, una donna africana deve cessare di poter essere madre per poter essere definitivamnte adottata dalla famiglia di suo marito [ ... ] . Oltrepassata una certa età, una donna non si distingue quasi più da un uomo». (D. Paulme, 1960, 21.)

    Chi sono gli sfruttati?

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    è sterile finisce per acquistare, negli ultimi anni della sua vita, la fama di strega. Quando muore i suoi funerali passano spesso inavvertiti, poiché la donna non muore, ma scompare semplicemente senza accedere, salvo eccezioni, al rango di antenato. La sottomissione all'uomo delle capacità riproduttive della donna, la sottrazione ad essa della sua progenitura a profitto dell'uomo, e la sua impossibilità di creare dei rapporti di filiazione, si accompagnano ad una identica incapacità da parte di costei di acquisire uno stato sociale a partire dai rapporti di produzione. La donna infatti, malgrado il posto dominante che essa occupa a volte tanto nell'agricoltura quanto nei lavori domestici, non è ammessa allo statuto di produttrice. Sottomessa ai suoi rapporti di natura coniugale, rapporti che dominano i suoi rapporti di filiazione, il prodotto del suo lavoro non entra nel circuito domestico se non servendosi dell'uomo come intermediario. 6 In conseguenza di ciò essa è esclusa dal ciclo produttivo dei prestiti e delle restituzioni, il solo in grado di instaurare il rapporto di tipo collaterale; essa non è originaria della comunità di suo marito. La discendenza delle donne tra lor~ è, quand'è riconosciuta, strettamente connessa al rapporto madrefiglia. Essa viene a costituirsi tra madre e figlia, mai tra sorelle. La pratica del sororato che viene imposta dalhmziano allo scopo di rimpiazzare una sposa scomparsa non è in alcun modo una pratica simmetrica a quella del levirato. 7 Françoise Héritier ( 197 4) ha mostrato con chiarezza che tra i Samo è proprio così, persino a livello mitico e rituale: qui infatti la trasmissione collaterale tra donne non è conosciuta. 8 Marx aveva dunque ragione quando considerava le donne come le rappresentanti indiscusse della prima classe di sfruttati. Bisognerebbe distinguere ancora differenti categorie di esse in considerazione delle diverse funzioni che la donna è suscettibile di assolvere durante periodi differenti della sua vita, funzioni che fan sì che non tutte si situino all'interno degli 6. La donna non puc'_, acquistare uno statuto economico che per mezzo della circolazione del prodotto del suo lavoro sotto forma di merce, cioè fuori dai circuiti di natura domestica. Da ciò il ruolo attivo delle donne nel commercio, dal momento cioè che le circostanze storiche divengono favorevoli a ciò. 7. Sororato: istituzione in base alla quale una sposa che venga meno può essere rimpiazzata da una delle sue sorelle classificatorie. Levirato: istituzione attraverso la quale la vedova è data in moglie al fratello classificatorio, maggiore o minore secondo il caso, del marito defunto. Parentela classificatoria: estensione del legame di parentela lineare (o verticale) a tutti i collaterali (esempi: tutti i fratelli di mio padre sono miei «padri»; tutti i figli dei fratelli di mio padre sono miei « fratelli »; « fratello » e « padre » sono termini di tipo classificatorio). 8. Nella società di tipo aristocratico la sostituzione della filiazione collaterale con quella verticale genererà delle contraddizioni nella nozione di parentela. L'affermazione della filiazione verticale maschile fa sembrare come totalmente arbitraria, sul piano giuridico, la negazione di questa stessa filiazione tra la madre e la sua progenitura, filiazione che è nondimeno palese.

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    Capitolo 5

    stessi rapporti di sfruttamento o di subordinazione. A questo proposito abbiamo richiamato le diverse condizioni della donna pubere e della donna ormai infeconda rispettivamente. Le ricerche compiute in questa direzione, suscettibili di mettere in luce i meccanismi e le varianti di questo sfruttamento, non sono state ancora compiute. Si dovrebbe altresì rimettere in discussione la tesi di Engels sulla « sconfitta storica del sesso femminile » che egli associa alla comparsa della proprietà costituita da beni mobili presso i popoli nomadi. La comparsa della « proprietà privata » 9 genera senza dubbio dei cambiamenti importanti nella condizione delle donne (Goody e Buckley, 1973) come Engels aveva intuito, ma questa sottomissione ha, come si è visto, motivi più intimi e più remoti. Infine, culmine forse estremo dell'alienazione, la donna è lo strumento dell'autorità degli anziani sui cadetti e, al tempo stesso, mezzo di emancipazione di questi ultimi nei confronti dei primi. Alla dipendenza dalle donne della comunità intera per ciò che riguarda la riproduzione, si aggiunge una dipendenza degli uomini da esse per quanto riguarda l'alimentazione. Nelle società agricole le spose sono, sempre, designate alla preparazione del cibo, al trattamento speciale dei prodotti agricoli allo scopo di renderli commestibili. La produzione agricola rimane sterile se essa non può essere affidata ad una sposa con l'incarico di far compiere a tale produzione l'intero ciclo metabolico di mantenimento della vita. 10 Mentre l'uomo cacciatore può sopravvivere coi propri mezzi, dal momento che l'alimentazione carnea non richiede che una preparazione sommaria del cibo, l'uomo agricoltore è votato al matrimonio. In ragione di questa dipendenza, che deriva da una ripartizione culturale dei compiti, i giovani non possono realizzarsi socialmente che attraverso una moglie. Ma questa scelta culturale è quella degli anziani: a questo punto la donna non costituisce ancora nient'altro che lo strumento della loro autorità, poiché la dipendenza reale è nei confronti di costoro.

    5 .2.

    I cadetti

    Diversamente dall'orda, la quale non fa che mantenere la vita, la comunità domestica è costituita al fine di riprodurla. La sopravvivenza degli individui post-produttivi e la moltiplicazione dei produttori rappresentano la doppia finalità di questo modo di produzione. 9. Si tratta della comparsa del «patrimonio» piuttosto che della proprietà privata (dr. Cap. 2.1.).

    10. Anche attraverso la preparazione del cibo la donna si afferma come procreatrice. (Weil, P. M., 1970).

    Chi sono gli sfruttati?

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    Ora, se una finalità di questo tipo favorisce lo sfruttamento delle donne, essa si oppone ad uno sfruttamento organizzato degli uomini tra di loro. I produttori maschi, durante una vita dalla durata media, recuperano uno per uno il prodotto del loro lavoro produttivo agricolo; nella comunità al cui interno la produzione è decentralizzata, la poligamia tende ad essere limitata (spesso l'individuo più vecchio è poligamo perché ha ereditato le mogli dei suoi « anziani », cioè il compito di mantenerle durante la loro vecchiaia). Ad ogni modo, gli effetti della poligamia sono attenuati dalla circolazione della progenitura e dei mezzi di sussistenza. Si avrebbe sfruttamento tra gli uomini se questa ridistribuzione dei mezzi di sussistenza e/ o dell'energia umana si realizzassero entrambe in modo organico a svantaggio di una categoria determinata di essi. Se ciò avviene secondo modalità istituzionali, favorendo la riproduzione specifica di una classe a spese di un'altra, si tratta di un sistema sociale diverso da quello da noi descritto, anche se si nascondesse dietro rappresentazioni ideologiche ricalcanti quelle della comunità domestica. E tuttavia i rapporti tra anziani e cadetti sono interpretati da certi autori, e da P.-P. Rey in particolare (1971, 1975), come rapporti di classe. Giustamente Rey descrive la funzione dell'anziano come quella di « distribuzione dei produttori tra le differenti unità di produzione» (1975, 519). Ma l'esercizio di una funzione di gestione da parte di un individuo ( esercizio che è d'altronde messo spesso in discussione e sovente condiviso da parte dei suoi cadetti più prossimi) non accade necessariamente a detrimento dei cadetti ma al contrario, poiché essa assicura loro l'accesso ai mezzi della riproduzione sociale. Al fine di poter sostenere che l'insieme degli anziani capi di lignaggio costituisce una classe sociale, Rey si appoggia alla circostanza storica di popolazioni che sono andate fortemente soggette agli effetti generati dal commercio europeo degli schiavi, schiavi che esse stesse provvedevano a fornire. Per queste popolazioni i cadetti non erano più solo degli agenti produttori, ma anche delle merci potenziali. La durezza del comportamento degli anziani nei loro confronti è attivata in questo caso dalla loro cupidigia. Bandendoli per delle colpe reali o supposte tali, li si rendeva buoni per la tratta. Venivano a crearsi delle alleanze tra anziani al fine di potersi vendere reciprocamente i propri cadetti rispettivi sotto la copertura del sistema di garanzia oppure della regolazione di ammende. Ora, la possibilità che i membri della comunità vengano alienati tramite vendita, modifica in maniera radicale la natura del sistema sociale. La finalità del sistema subisce una trasformazione. Si può allora senz'altro osservare, in questa trasformazione, l'esistenza di ineguaglianze tra categorie di individui. Tuttavia, contrariamente a ciò che Rey suggerisce, le classi non si costituiscono entro le due categorie di individui che egli prende in

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    considerazione, e cioè a dire l'insieme di tutti gli anziani e l'insieme di tutti i cadetti delle comunità nel loro insieme. La vecchiaia, anche intesa in senso sociale, non è che un momento transitorio della vita di un individuo. Se gli anziani costituiscono una classe sfruttatrice, ciascun membro che compone tale classe non potrà entrare a farvi parte che a condizione di essere appartenuto in precedenza alla classe inferiore sfruttata, dunque dopo essere stato a sua volta sfruttato. Se, al contrario, l'anziano ha da sempre goduto della sua condizione di sfruttatore, non è la categoria degli anziani ad essere in questione, ma un gruppo sociale più complesso, capace di produrre e di riprodurre degli individui che godono del privilegio di vivere del lavoro altrui indipendentemente dall'età o dal sesso, un gruppo sociale in grado di reclutare tali individui prima che essi possano andare soggetti a sfruttamento. Nella società domestica gli anziani non sono tali che per aver investito e restituito la loro energia nella produzione di cadetti destinati allo stesso ciclo di prestiti e restituzioni. Gli anziani non possono perpetuarsi come categoria che concedendo ai cadetti i mezzi della riproduzione, e cioè una moglie. In conseguenza di ciò, la dipendenza dei cadetti nei confronti degli anziani viene allo stesso tempo ad attenuarsi, poiché i primi acquistano la possibilità di diventare «padre » a loro volta e di poter godere, col tempo, di una autorità sempre maggiore." Traendo beneficio tuttavia dal prodotto del lavoro delle loro madri prima 12 e delle loro mogli poi, i cadetti si situano, in rapporto alle donne, come gli alleati degli anziani. Nei confronti di questi ultimi la loro situazione assomiglia più a quella di clienti che di veri e propri sfruttati. I conflitti tra anziani e cadetti riflettono sempre una opposizione che si situa all'interno di un sistema che i cadetti si trovano in condizione di dover ricostituire il più presto possibile a proprio vantaggio attraverso l'ottenimento di una moglie. Ma questa opposizione non è radicale, essa non mira a mettere in discussione le istituzioni, ma soltanto a beneficiarne, e ciò sempre per mezzo dell'alienazione di una donna. 13 L'accesso al rango di adulto, di padre di famiglia, presuppone che i 11. P.-P. Rey (1973, 115) nega l'esistenza di qualunque scambio tra anziani e cadetti; secondo lui non c'è scambio che tra anziani e solo prestazioni senza ridistribuzione dei cadetti verso gli anziani. Ciò che Rey dunque non coglie è la metamorfosi del cadetto in anziano. Egli ragiona come se il cadetto rimanesse per sempre nella sua condizione costituendo una categoria sociale distinta a priori. 12. M. Sahlins fa notare che, in numerose società domestiche, gli uomini giovani lavorano poco fino all'età della pubertà (1972, 53-54). 13. L'opposizione delle donne al sistema patrimoniale potrebbe essere, al contrario, radicale, tanto da invertire i rapporti di dominio tra i sessi come per esempio si può veder accadere in un contesto di natura coloniale, in un caso magistralmente analizzato da R. Waast (1974).

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    cadetti si conformino alle regole coercltlve dell'ordine sociale di cui gli anziani sono i vigili e severi guardiani; regole che piegano l'individualità e il loro potere decisionale ai voleri della collettività. Essi non godono del prodotto immediato del loro lavoro, non possono accumulare a loro vantaggio, non hanno la possibilità di scegliere il coniuge e sono spesso costretti a dure astinenze sessuali. Durante i conflitti che li oppongono ai loro anziani, la partecipazione all'assemblea dei vecchi è di solito preclusa loro. La segmentazione è un sistema per risolvere le tensioni generate da questo regime allorché esse sono spinte al grado estremo. Sappiamo inoltre che sotto l'effetto della colonizzazione e dell'economia monetaria, i giovani dei villaggi cercano di sottrarsi a questa serie di limitazioni emigrando_l 4 All'interno del processo di accesso alla condizione di padre di famiglia, i più giovani tra i cadetti sono collocati meno bene di quelli più anziani, ed alcuni di loro vengono lasciati da parte e rimangono scapoli a vita. Se non possiedono i mezzi intellettuali, fisici o sociali per separarsi dalla loro comunità, essi vanno a costituire una piccola categoria di sfruttati, ma mai numerosa a tal punto che la si possa considerare come formante una classe sfruttata, cioè mantenuta e riprodotta come tale. L'esercizio d'una autorità sui cadetti da parte dell'anziano non crea di per sé un rapporto di classe. Perché fosse così bisognerebbe che tale esercizio si accompagnasse ad un rapporto di sfruttamento di tipo organizzato. Ora, nessuna classe dominante cede spontaneamente gli strumenti del potere alla classe dominata. Il capitalismo non cede il capitale all'operaio; il signore non concede la terra al servo: questa è la condizione della riproduzione dei rapporti di classe. L'anziano invece, al fine di assicurare la riproduzione domestica, cede una moglie al suo dipendente. Quando i rapporti di classe si affermano, non accade più la stessa cosa: lo schiavo non è mai lo sposo della sua compagna, né il padre della sua prole; le classi aristocratiche non concedono le loro giovani ai membri delle classi sfruttate; l'endogamia o l'ipergamia sono infatti proprio i sintomi della formazione delle classi sociali. Queste ultime infatti non si formano sulla base delle « categorie » « anziani » o « cadetti », ma attraverso il dominio di comunità intere, organicamente costituite, accordanti a tutti i loro membri, indipendentemente dall'età o dal sesso, delle prerogative o dei privilegi nei confronti di tutti i membri delle comunità dominate (Meillassoux, 1960 ). Le classi non 14. Si conoscono anche casi recenti in cui la rottura è promossa dal capo della famiglia. Sulle contraddizioni cui vanno soggetti i rapporti domestici in conseguenza della colonizzazione si vedano Pollet e Winter (1971, 377 e segg., 513 e segg.), M. Samuel (inedito) e la Parte I I di questo lavoro.

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    Capitolo 5

    possono infatti ridursi a categorie basate sull'età o sul sesso, ma sono invece dei gruppi sociali organici, situati in rapporti di tipo funzionale, dipendenti l'uno dall'altro e in possesso di un modo di riproduzione proprio a ciascuno di essi. Presso i Kikuya (Bonnafé, 1975, 530), la discriminante sociale passa tra lignaggi signorili e lignaggi sottomessi, e non tra anziani e cadetti. Vedere delle classi sociali nelle « classi » d'età, e per di più esclusivamente maschili, mi sembra la conseguenza di una confusione dello stesso genere di quella molto spesso fatta tra classi e caste, cioè tra gruppi di clienti e classi sfruttate (Meillassoux, 197 3 ). Aggiungiamo inoltre che P.-P. Rey nelle sue analisi dei rapporti di classe non riconosce nessuna condizione particolare come propria delle donne. In realtà ciò che Rey analizza è una società i cui rapporti comunitari (a base matrilineare) sono stati profondamente trasformati sotto l'effetto della tratta. Ma poiché le differenze tra il sistema anteriore alla tratta degli schiavi e il sistema che da essa è derivato non appaiono in modo chiaro, è difficile, in queste condizioni, riuscire a caratterizzare i rapporti sociali che dominano nell'uno e nell'altro rispettivamente.

    Capitolo 6

    Contraddizioni e contatti: le premesse dell'ineguaglianza

    La società domestica è suscettibile di trasformarsi per effetto delle contraddizioni che si sono individuate nel modo di produzione e di riproduzione. A livello politico la contraddizione più profonda è suscitata dal necessario rafforzamento del potere dell'anziano mano a mano che, in concomitanza con l'allargamento della comunità domestica, si indeboliscono le basi oggettive di questo potere. Abbiamo visto che l'esercizio del potere da parte dell'anziano, allorché si è trasferito dalla gestione dei beni materiali verso la gestione del sistema matrimoniale, esige il rafforzamento dell'esogamia mano a mano che, in conseguenza dell'estensione della comunità, aumenta all'interno di essa il numero dei possibili partners sessuali. A ciò si aggiunge il fatto che da un punto di vista strettamente demografico l'estensione delle cellule esogamiche contribuisce a neutralizzare un numero eccessivo di potenziali partners matrimoniali. Le possibilità di prendere moglie sono minori per i giovani appartenenti ai rami cadetti delle più grandi unità esogamiche, ed alcuni di loro saranno svantaggiati. I rischi di tensioni sociali si aggravano con l'estensione della comunità, mentre vengono minacciate le condizioni della sua riproduzione. Oltre alle sue funzioni gestionarie e all'autorità che da esse deriva, il principale mezzo di cui dispone l'anziano per mantenere la coesione della comunità è di natura ideologica: la morale, il terrore superstizioso, le proibizioni sessuali, la sacralizzazione della figura paterna e degli antenati che essa rappresenta, ecc. Questo apparato ideologico, accompagnato spesso dall'esercizio di sanzioni, tende a compensare l'indebolimento delle basi oggettive del potere. Ma questi mezzi non possono tuttavia venire utilizzati al di là del punto in cui la riproduzione sociale della comunità è minacciata. La segmentazione, anche se ritardata, resta perciò il modo di risolvere la contraddizione entro l'estensione della comunità domestica, la quale consente al potere di rafforzarsi attraverso la gestione del sistema matrimoniale, e l'indebolimento di questo potere per effetro di questo stesso processo di esten-

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    Capitolo 6

    sione. Si tratta tuttavia di un genere di soluzione che se non rimette in discussione le strutture della società domestica, ma anzi, al contrario, le estende riproducendole, indebolisce non di meno ciascuna comunità. L'unità e il rafforzamento dell'insieme della società vengono così conservati attraverso un fenomeno di disintegrazione e di indebolimento delle comunità che lo compongono. Perché si abbia la trasformazione radicale della società domestica, bisogna che la riproduzione sociale venga esercitata a profitto di un gruppo organico e a spese di un altro. Bisogna che si produca una dissociazione dei cicli produttivo e riproduttivo, confusi organicamente e istituzionalmente nel modo di produzione domestico. All'interno di questo, lo si è visto, la riconciliazione dei due cicli avviene attraverso una serie di operazioni che subordinano la paternità alle capacità produttive per mezzo della mobilità degli individui, e in modo particolare dei bambini. Vi è invece dissociazione dei due cicli quando alla mobilità degli individui si sostituisce il movimento dei prodotti ( o dei beni mediati che li rappresentano), mentre gli individui restano legati, per loro condizione, alla loro famiglia di origine. Mentre la circolazione della prole non consente, all'interno di una comunità, l'estensione di una famiglia o di una stirpe a spese delle altre, la circolazione dei beni di sussistenza apre la via all'accumulazione, sia a vantaggio delle famiglie più prolifiche, se le transazioni si fanno in natura, sia a vantaggio delle più produttive, se tali transazioni avvengono per mezzo di beni mediati. Perché questa dissociazione si realizzi e divenga istituzionale, bisogna anche che la riproduzione dell'insieme della società domestica sia controllata da una frazione di essa ed orientata a suo vantaggio. Questo controllo passa tanto attraverso la sottomissione a questa classe di tutte le donne in età pubere ( o di una parte decisiva di queste), quanto attraverso l'accaparramento dei beni dotali - senza tuttavia che questi beni vengano a perdere, in conseguenza di un simile accaparramento, il loro valore rappresentativo. L'impiego della dote e la sua valorizzazione latente creano, come si è visto, le condizioni favorevoli all'accaparramento, malgrado questo trovi numerose resistenze. L'accaparramento è istituzionaì mente e strutturalmente favorito quando la segmentazione non è accompagnata da una decentralizzazione del controllo del sistema matrimoniale. Le prerogative dell'anziano sono in tal modo mantenute e trasmesse a tutti i membri del suo lignaggio che acquistano così le prerogative dell'anzianità nei confronti dei membri dei lignaggi cadetti. Il lignaggio anziano, che per questo privilegio ricevuto dall'anziano controlla la politica matrimoniale e all'occorrenza i beni dotali dei lignaggi cadetti, viene a trovarsi in una posizione favorevole per organizzare e gestire la riproduzione sociale a proprio vantaggio (Meillassoux, 1960).

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    Come si è già detto in precedenza, questa tendenza, latente nella società domestica, non si manifesta che in presenza di circostanze storiche che incoraggiano una frazione della comunità a sottoporla a sfruttamento, ad organizzare cioè la riproduzione e l'istituzionalizzazione di essa a proprio vantaggio. Gli esempi di una simile trasformazione non sembrano essere molto frequenti nella letteratura etnologica. Un processo di questo tipo avrebbe potuto essere all'origine della società aristocratica dei Bamileke osservata da Tardits (1960). Il /o, il vecchio del lignaggio anziano, si autoconferisce, attraverso la pratica del matrimonio nkap, il potere di agire sulla riproduzione sociale dei lignaggi cadetti o subordinati. Le pratiche dei « signori del cielo » kukuya, che esigono, senza alcuna contropartita, delle donne dei lignaggi subordinati (Bonnafé, 1975), o il matrimonio napogsyure dei Mossi (Izard, 1975; Capron e Kohler, 1975), si equivalgono. Simili società, le cui componenti sociali acquisiscono, attraverso questo genere di pratiche, modi di riproduzione differenti, dove uno è subordinato all'altro, devono essere considerate società di classe. 1 Se l'esame delle condizioni storiche mostrasse che questo processo prende il via e si sviluppa in seno alla comunità domestica sotto il solo effetto delle sue contraddizioni interne, saremmo certi dell'esistenza di una trasformazione dialettica di questo modello di organizzazione sociale.

    • Più spesso di una trasformazione di tipo endogeno, l'osservazione ci fornisce esempi di processi di costituzione delle classi sociali come conseguenza dell'incontro, tanto pacifìco quanto violento, di popolazioni straniere l'una all'altra. Se la struttura e l'organizzazione della comunità domestica conduce a una polarizzazione dell'autorità al proprio interno, i rapporti tra comunità sembrano al contrario poco adatti a generare una struttura coordinata del potere. La comunità domestica non costituisce una società di per sé, ma attraverso l'associazione a scopi riproduttivi con altre comunità simili. Sia essa violenta o ordinata, questa associazione, sempre necessaria, costituisce ad ogni momento un insieme sociale determinato, una collettività corrispondente ad un'area matrimoniale che ricopre lo spazio occupato da tutte le comunità impegnate tra loro in transazioni matrimoniali. Questo insieme, se è immune dall'influenza dell'economia di mercato,2 può essere considerato una società I. Pollet e Winter fanno questa stessa o~servazione a proposito della schiavitù (1971, 524 ). 2. Da un'influenza cioè abbastanza forte da permettere ai beni di acquistare un valore di

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    Capitolo 6

    fondata su rapporti di produzione e di riproduzione allo stesso tempo, rapporti che, al livello delle forze produttive alle quali esse corrispondono, costituiscono ciò che si può chiamare modo di produzione domestico. Ma le contraddizioni che abbiamo individuato e che non permettono ai rapporti matrimoniali di assicurare uno sviluppo armonico, né alla dote una rappresentatività priva di ambiguità; i tentativi vòlti a sfruttare queste contraddizioni a vantaggio di una delle due controparti; la possibilità che una comunità ha di ripiegarsi sulle proprie capacità di autosussistenza; tutti questi elementi fanno sì che questa società, malgrado le alleanze, malgrado le procedure di conciliazione e malgrado essa si fondi sulla circolazione pacifica delle donne, sia nondimeno in uno stato permanente di conflitto, larvato o esplicito. Tra queste diverse e spesso numerose comunità, la regolazione del sistema matrimoniale è lasciata alle decisioni non coordinate dei capi di ciascuna comunità, decisioni che modificano continuamente la trama delle relazioni matrimoniali e che contribuiscono a spostare i limiti dell'area matrimoniale, oltre a moltiplicare le cause di conflitto. Il matrimonio in molti casi viene ad essere considerato più un casus belli che non una garanzia di pace. 3 A ciò si aggiunge una circostanza storica che presiede frequentemente alla costituzione degli insiemi matrimoniali: le comunità che li compongono sono molto spesso le discendenti di gruppi venuti a stabilirsi in tempi successivi. Ora, sempre o quasi, quella che pretende di aver preceduto le altre si situa in una posizione di anteriorità nei confronti delle comunità che essa ha accolto, proprio come l'anziano nei confronti dei suoi cadetti: è essa che ha prestato ai nuovi venuti le sementi e il cibo necessario alla messa in funzione del ciclo agricolo. Non ha essa egualmente prestato una o più spose? Conseguentemente a ciò le comunità nuove venute sono poste in una posizione di eterna obbligazione secondo la logica del processo che abbiamo osservato tra anziani e cadetti della stessa comunità, ma con una differenza, grande a dire il vero, e cioè che il rapporto viene a stabilirsi non tra individui, bensì tra cellule sociali organizzate per la produzione e la riproduzione. La cessione di terre non è che il corollario dell'instaurazione di questi rapporti organici che costituiscono la condizione stessa di ogni lavoro agricolo. In tal modo tendono a instaurarsi dei rapporti non egualitari più o meno mal sopportati, che d'altra parte vengono talvolta rifiutati oppure contraccambiati e che si aggiun-

    mercato su un mercato esterno, e da consentire alle transazioni matrimoniali di propagarsi tra le popolazioni raggiunte da questo mercato. 3. Presso numerose società da me studiate in Mali e in Senegal, l'alleanza politica comporta una clausola che proibisce lo stabilirsi di relazioni matrimoniali tra le parti in causa.

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    gono alle tensioni inerenti agli scambi matrimoniali. In genere, le esigenze della conciliazione matrimoniale non bilanciano gli effetti politici dell'autosussistenza, e neppure impediscono che delle comunità restino economicamente separate, senza alcun interesse materiale comune e sempre preoccupate di conservare o di riacquistare la libertà dalle loro alleanze. Al di là di questa debolezza, le comunità agricole risultano vulnerabili per altri motivi: la loro sedentarietà, che rende facilmente rintracciabili i loro insediamenti; la necessità di immagazzinare un prodotto agricolo, cosa che di per sé rende tale prodotto un bottino ambito; la dispersione degli individui adulti nei campi durante il periodo agricolo, ecc. Esse sono in tal modo preda di bande di saccheggiatori, Ciò non impedisce certamente che esse siano in grado di difendersi, fatto che si è spesso concretizzato nella costruzione di fortificazioni in legno o in terra. La sottomissione di esse mediante la forza non è impresa facile ( la conquista coloniale ha trovato più spesso resistenza da parte di queste società segmentarie che non da parte di regni o imperi ritenuti molto forti), ma queste comunità sono esposte al saccheggio, alle razzie di donne, di schiavi o di bestiame, agli assedi, ecc. Esse sono costrette a proteggersi contro coloro che mirano ad impossessarsi dei loro prodotti o dei loro agenti produttori, e questo genere di protezione impone nuove condizioni di esistenza. Diverse comunità esogame possono unirsi e risiedere insieme per costituire un villaggio che verrà ad assolvere più funzioni: protezione comune, cacce collettive, cooperazione agricola, ecc. I problemi comuni vengono così dibattuti e risolti tra i rappresentanti dei lignaggi. Tuttavia, e si tratta di un fatto constatato, un potere centralizzato non emerge in genere dalle funzioni di arbitraggio esercitate al fine di derimere i conflitti. A volte si cerca di ottenere una protezione militare per mezzo dell'alleanza con villaggi o comunità vicine; ma poiché la vicinanza e le relazioni matrimoniali sono più spesso causa di dispute che di alleanze, queste coalizioni possono rivelarsi instabili. Una protezione efficace sarà più spesso il risultato del dominio da parte di un lignaggio - perfino di un lignaggio straniero,4 - sugli altri che non di una intesa tra le parti appartenenti alla stessa area matrimoniale. Paradossalmente, la parentela risorge in questa situazione, ma trasformata stavolta, per sostenere l'ideologia del potere. Quando un dominio 4. Come è stato per le dinastie mandinghe del Senegambia (comunicazione di Innes, Sidibé, Cissoko al Congresso di Studi mandinghi, Londr.a, 1972) o ad esempio per gli Alur (Southall, 1956).

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    di classe viene a stabilirsi su queste comunità, esso si esprime nel linguaggio della parentela, anche quando tale dominio è esercitato da una forza straniera. La classe dominante, o il sovrano che la rappresenta, si autoassimila all'anziano (adulto o signore), o al padre. Costui è autorizzato a « mangiare » i suoi sottoposti così come il padre è autorizzato a ricevere dai propri figli il loro prodotto e il loro lavoro. In cambio ci si aspetta da lui protezione. Meccanismi di ridistribuzione, ma che sono tali solo in apparenza, vengono così attivati tra il sovrano e i suoi dipendenti. A volte il sovrano giunge a donare delle spose ai suoi sottomessi secondo un complesso meccanismo di devoluzione matrimoniale. Il sovrano viene insomma ad assolvere, a livello del regno, quelle funzioni simboliche ed esteriori che il « padre » assolve nel contesto della sua comunità. Questi rapporti sono talvolta accompagnati da una ideologia che associa l'insieme del gruppo a una parentela mitica comune, dove il sovrano si presenta come il successore dell'antenato. Relazioni di questo genere non sono tuttavia identiche, nella loro essenza, a quelle caratteristiche dei rapporti di tipo domestico. Esse non fanno che conservare i caratteri esteriori di queste ultime allo scopo di nascondere dei rapporti di sfruttamento (Meillassoux, 1968 ), poiché a partire dal momento in cui i rapporti sociali vengono a costituirsi non più tra persone ma tra gruppi costituiti, dal momento in cui essi vengono a dipendere dallo stato delle parti, cioè dall'appartenenza per nascita a questi gruppi - lignaggi aristocratici e lignaggi plebei - la parentela non esprime più i rapporti derivanti dalla crescita e dall'organizzazione di una società come è nel caso della comunità domestica, ma serve da supporto ideologico allo sfruttamento di una classe da parte di un'altra. Questa ideologia cela al proprio interno le condizioni di una trasformazione dei rapporti di parentela a tre livelli contemporaneamente: all'interno dei lignaggi aristocratici, in seno ai quali prevarrà ad esempio la successione verticale sotto l'effetto dei limiti che impone la dominazione politica; all'interno delle classi dominate, alle quali verrà imposta una dottrina della parentela adeguata alla loro posizione subordinata e alla loro funzione produttrice affinché i rapporti di sfruttamento vengano mantenuti; tra classi dominanti e classi dominate infine, affinché le condizioni caratteristiche della riproduzione di ciascuna di esse vengano rispettate. 5 In tal modo, nello stesso momento in cui la parentela tra tutte le classi viene affermata sul piano ideologico, essa viene

    5. J.-P. Olivier de Sardan (1975) arreca elementi di questo tipo nei suoi lavori sulla

    schiavitù. Si veda anche come si organizzino diversamente i rapporti di parentela tra la popolazione contadina e la « gentry » nella Cina imperiale (Feuchtwang, 1974). Si tratta di studi che aprono la via a un approfondimento di questo genere di discussione.

    Contraddòoni e contatti: le premesse dell'ineguaglianza

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    negata nella pratica attraverso il rafforzamento dell'endogamia e dell'ipergamia. Quando la parentela giunge a rivestire una dimensione religiosa, quando il signore o il re divengono il rappresentante di un « dio padre » in terra, essa può acquistare abbastanza forza per essere compresa ed accettata come giustificazione divina dello sfruttamento e del dominio. La società si organizza in funzione di un'ideologia dominante a carattere giuridico che appare come la carta costituzionale del sistema sociale, portatrice di ciò che gli antropologi culturali chiamano « valori ». A questo stadio giuridico-ideologico dell'organizzazione sociale, i « valori » possono apparire in effetti come esplicativi, e gli ideologi dell'antropologia vi si rifugiano volentieri. Agendo in questa maniera essi ignorano le condizioni economiche e storiche che sono all'origine dell'ideologia e del diritto di cui noi osserviamo le manifestazioni.

    • Il modo di produzione domestico, così come lo si è descritto, come costituito cioè di comunità omologhe aventi rapporti organici soltanto con altre comunità ad esse simili, non esiste più. Le sue capacità di produrre e di riprodursi in maniera ordinata e coerente, la capacità che esso aveva di perpetuarsi senza esercitare, cosa importantissima, alcun tipo di sfruttamento su forme subordinate di organizzazione sociale, l'hanno votata ad ogni sorta di sfruttamento. Sull'economia domestica si sono fondate tutte le altre, dall'economia aristocratica al capitalismo e persino la schiavitù, la quale, per essere la negazione di essa, non può che esistere in ragione di essa. Ma schiacciata, spremuta, divisa, recensita, tassata, reclutata, la comunità domestica, quanto a lei, vacilla e tuttavia resiste in quanto i rapporti domestici di produzione non sono scomparsi completamente. Su di essi si fondano ancor oggi milioni di cellule produttive inserite a diversi livelli nell'economia capitalista che le dissangua dei loro beni e delle loro energie sotto il peso schiacciante dell'imperialismo. Questi rapporti comandano, nelle società più avanzate, i rapporti familiari, base ristretta ma essenziale della produzione della vita e delle forze lavorative. Lo studio di una forma obsoleta e tuttavia persistente di produzione non è dunque senza significato in vista della comprensione del presente, poiché bisogna poterne riconoscere la specificità per poter comprendere tanto il ruolo essenziale che essa non ha cessato di giocare nella storia della società quanto le implicazioni remote della sua scomparsa.

    Parte II Lo sfruttamento della comunità domestica: l' imperiaìismo come modo di riproduzione della manodopera a buon mercato

    Questa seconda parte è l'elaborazione di una comunicazione fatta al Colloquio di Bielefeld su « L'applicazione della teoria delle formazioni precapitalistiche ai capitalismi detti periferici » nel dicembre del 19 72 col titolo « Imperialism as a Mode of Reproduction of Cheap Labour Powcr ».

    l. I paradossi dello sfruttamento coloniale Molti studi recenti consacrati al sottosviluppo da autori con fama di marxisti portano la discussione più sullo scambio ineguale che sullo sfruttamento del ìavoro. Tuttavia, a meno che non si sostenga come i classici che è lo scambio che crea il valore, l'arricchimento dei paesi imperialisti non può provenire che da uno sfruttamento dei lavoratori in quei paesi e non dal commercio internazionale. Tutti questi autori ammettono senz'altro che lo scambio ineguale si accompagna a una bassa remunerazione del lavoro, ma senza che si sappia se questi due fenomeni siano causa o effetto l'uno dell'altro. Per Samir Amin (1970) la spiegazione è abbastanza semplice: se « a pari produttività » il lavoro è remunerato a un tasso inferiore presso i paesi della « periferia 1 » è a causa di un eccesso crescente di manodopera, eccesso organizzato attraverso « mezzi politici » (pp. 144, 151 ). La sovrappopolazione relati va ( cioè a dire l'eccedente della popolazione, rispetto alle capacità congiunturali di impiego proprie del capitalismo a un momento dato) sarebbe dovuta anche, talvolta, a circostanze di tipo strutturale come la predominanza di una agricoltura basata sul latifondo - in America Latina - che investe poco ma importa molto, o alla scomparsa dell'artigianato senza che esso sia rimpiazzato dall'industria (pp. 108-9). L'insieme di queste circostanze provocherebbe uno « squilibrio crescente tra l'offerta e la domanda di lavoro» (p. 189). Questo ragionamento proviene in modo diretto dall'arsenale teorico degli economisti liberali. I mezzi « politici », extra-economici, vengono a ristabilire nella dimostrazione le contingenze stocastiche che gli economisti, chiusi nella loro ristretta specializzazione disciplinare, si tro-

    1. S. Amin distingue i paesi del «centro», che sarebbero quelli della « periferia », cioè da quelli sottosviluppati.

    paesi industrializzati, da

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    vano costretti a far intervenire quando abbordano la soglia convenzionale e sempre inspiegata del « politico ». Ora, i mezzi di gestione messi in opera dallo Stato capitalista, compresi gli apparati di coercizione, di repressione e di corruzione, fanno parte dell'arsenale economico del capitalismo. Essi rappresentano un costo. È vero che durante il periodo coloniale la manodopera fu stanata dalle campagne più spesso attraverso il reclutamento forzato che non per mezzo della espropriazione, ma quale di questi due mezzi è più economico dell'altro? Il vantaggio dei metodi costrittivi di reclutamento consisteva, per gli imprenditori, nello scaricare sull'amministrazione il costo pressoché integrale della manodopera e di ricevere, come conseguenza di ciò, una sovvenzione mascherata, conformemente all'orientamento generale della politica imperialista del momento. Dopo la scomparsa del lavoro forzato nelle colonie si dovette, allo scopo di ottenere la stessa manodopera, offrire un salario minimo suscettibile di attirarla nel settore d'impiego capitalistico. Il costo della mobilitazione della forza-lavoro cadeva sulle imprese. Invece di consistere in spese amministrative e di polizia, questo costo consisteva ora in salari un po' più elevati. Ma lo sviluppo del regime salariale non elimina affatto le spese per la repressione, indispensabili allo sfruttamento del lavoro, spese che si assume sempre e ovunque lo Stato capitalista, tanto a casa propria quanto nei paesi colonizzati. In nessun caso si può considerare il ricorso a questi mezzi politici come un'operazione di carattere extra-economico. Un simile ricorso non fa che esprimere, in funzione di ogni congiuntura, una ripartizione opportuna dei costi e dei compiti tra gli imprenditori privati e lo Stato capitalista al fine di assicurare la costituzione di strutture adatte allo sfruttamento del lavoro e alla realizzazione del profitto. Il ricorso alla legge della domanda e dell'offerta per spiegare i bassi salari, altro argomento dell'economia classica, si fonda su una serie di errori. Da Marx in poi si sa che l'offerta e la domanda, allorché esse entrano veramente in gioco, non spiegano il tasso al quale si fissa, una volta raggiunto l'equilibrio, il salario sul lungo periodo. Ciò che fissa questo tasso è il costo di riproduzione della forza-lavoro. Applicata ai paesi sottosviluppati, la legge dell'offerta e della domanda non ha più praticamente alcun senso. Contrariamente a ciò che pensa Amin, essa non permette di spiegare i bassi salari. A. G. Hopkins ( 1973, 229) afferma, a proposito dell'Africa occidentale, che la mancanza di manodopera è cronica senza che il tasso di remunerazione del lavoro rifletta questa situazione. Hymer (1970 ), per contro, constata che all'inizio della colonizzazione del Ghana « \X1ages were high, since much of the population had access to land to grow food or export crops without paying high rent. [ ... ] Europeans (including the United Africa Cy, a Lever

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    subsidiary) were able to obtain land; what they were not able to do was to earn a profìt at the going wage-rate or to compete with ghanian farmers. Similarly, the mines found it diffìcult to pay the going wages ». 2 Il problema fu risolto per mezzo dell'emigrazione delle popolazioni del Nord e dei territori francesi sottosviluppati che non avevano colture d'esportazione. Durante quegli anni pionieristici della colonizzazione, i teorici dello sviluppo avevano anche scoperto che per aumentare l'offerta di lavoro bisognava abbassare i salari poiché i lavoratori provenienti dal settore rurale ritornavano a casa una volta che avevano ammassato la somma che si erano prefissati. Se tutti questi esempi contraddittori non si accordano con la legge dell'offerta e della domanda è perché, come Marx aveva notato (186 7, I, VII, 830 ecc.), quando « la massa della terra è ancora proprietà del popolo [ permettendo a ciascuno di istallarsi come coltivatore o artigiano indipendente] la legge della domanda e dell'offerta di lavoro se ne va in pezzi ». In Africa, dove questa situazione domina ancora, bisogna dunque trovare un altro principio di spiegazione dei bassi salari. Infine, se l'argomentazione di Amin non investe che i settori industriali dove la produttività dei paesi sottosviluppati è la stessa di quella dei paesi sviluppati ( « a produttività uguale » ), essa si riduce alla constatazione banale del fatto che, poiché gli operai sono pagati peggio alla « periferia », le società straniere - supponendo che esse non impieghino un personale importato - possono evidentemente far rientrare in patria benefici maggiori. Ma ciò che Amin non spiega, e che rappresenta la chiave del problema, sono le condizioni particolari della produzione degli elementi della riproduzione della forza-lavoro che permettono una remunerazione così bassa, mentre la produttività nel settore agricolo della produzione di beni di sussistenza è più bassa che nei paesi sviluppati - e ciò in contrasto con la sua ipotesi. O. in altri termini, quali sono le condizioni del supersfruttamento del lavoro nei paesi colonizzati? 3 La scelta che consiste nell'eliminare dal dibattito, e di conseguenza dalla 2. « I salari erano elevati, poiché la maggior parte della gente aveva accesso alla terra per produrre il cibo o colture d'esportazione senza pagare alti affitti. [ ... ] Gli Europei (compresa la United Africa Cy, una filiale della Lever) potevano ottenere della terra; ciò di cui essi non furono capaci fu di realizzare un profitto sulla base dei salari praticati e di fare concorrenza ai contadini indigeni. Allo stesso modo le miniere trovarono delle difficoltà a pagare i salari correnti ». 3. In un lavoro posteriore Amin ( 1973) corregge la sua opposizione tra centro e periferia riconoscendo che le relazioni si stabiliscono tra « modi di produzione» (cosa che demolisce tutta l'argomentazione del!'« accumulazione su scala mondiale»). Accanto a considerazioni giuste, Amin continua a vedere « scambio ineguale» dove vi è supersfruttamento del lavoro (p. 63) - facendo questa volta intervenire differenze di produttività - e semb-a accettare implicitamente l'ipotesi della « immobilità del lavoro».

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    lotta di classe, il problema dello sfruttamento del lavoro per non prendere in considerazione il sottosviluppo che attraverso la sola dinamica degli scambi, è un'operazione non priva di implicazioni ideologiche. Se infatti il sottosviluppo trova la sua origine e la sua spiegazione nei meccanismi del commercio internazionale, esso troverà la sua regolazione tra Stati, come pretendono di regolarlo le istituzioni internazionali (G.A.T.T., F.A.O., Conferenza internazionale sulle materie prime, ecc.). La lotta dei popoli sfruttati contro la miseria e la dominazione passerebbe così attraverso l'indiscussa funzione di intermediario svolta dai loro governi. Essa allora si situerebbe a giusto titolo sul terreno del riformismo e del nazionalismo. Non vi sarebbe allora nessun'altra azione che i « rivoluzionari » possono compiere che non sia quella di « consigliare» questi governi, qualunque sia il loro regime. L'« esperto», l'economista - spesso straniero - , si troverebbe così investito di tutti i mezzi della lotta politica. Se invece il sottosviluppo deriva da un supersfruttamento del lavoro, l'azione politica ricade nelle mani dei rivoluzionari di questi paesi sbarazzati della tutela della cooperazione benpensante. Situandosi sul piano degli scambi internazionali, le tesi di Amin oppongono degli Stati di cui gli uni sarebbero vittime degli altri, e non delle classi. Il divario economico coincide, per Amin, esattamente con le frontiere nazionali. Queste tesi sono in verità completamente accettabili ( e sono accettate) secondo le burocrazie al potere e più ancora dalle borghesie locali che si pretendono nazionali e che, se non traggono profitto volontariamente dallo sfruttamento coloniale, ne sono nondimeno complici (Amin, 1969 ). Queste tesi permettono loro di rivendicare presso i loro potenti alleati una parte più cospicua dei profitti e di apparire contemporaneamente, di fronte al popolo, come i difensori di esso. C. Palloix (1970) pone il problema in modo più corretto: « Ciò che si tratta di inventariare, egli scrive, sono i meccanismi che conducono a una sottovalutazione del valore della forza-lavoro nei paesi non industrializzati, sottovalutazione dalla quale dipende, nello spazio della circolazione, la realizzazione effettiva dell'ineguaglianza degli scambi » 4 ( p. 27 ). Palloix intravvede la soluzione in una rivalutazione del valore di scambio della forza-lavoro, poiché questa « non è considerata » dal settore capitalista d'esportazione nei paesi sottosviluppati, « dal momento che gli è possibile confinare il costo di riproduzione e di formazione, come quello di mantenimento, sul settore tradizionale dal quale prende la forza-lavoro di cui ha bisogno » ( p. 30 ). È esattamente qui che il problema risiede.

    4. PiL1 che di sottovalutazione, è di non valutazione che si dovrebbe parlare. Cfr. qui sopra e Comité lnformation Sabei, 1974, cap. 3

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    L1 munodopera a buon mercato

    Tuttavia non saremmo in grado di spiegare il basso costo di questa manodopera per mezzo della « scarsa produttività del settore di sussistenza » (p. 33 ), ma semmai il contrario: l'analisi di Palloix si arresta sulla soglia del « settore tradizionale » di cui egli ignora la natura. In tal modo Palloix, malgrado le premesse del suo ragionamento siano giuste, finisce per considerare lo scambio ineguale come qualche cosa che accade tra branche di produzione capitalistiche a diversa composizione organica del capitale,5 quindi come se fosse il semplice effetto di un trasferimento di plusvalore dalle une, quelle aventi una composizione organica inferiore (cioè quelle che impiegano proporzionalmente più manodopera), verso le altre. Né Palloix, né Amin considerano il sottosviluppo come derivante anche, e soprattutto, da un trasferimento tra settori economici funzionanti sulla base di rapporti di produzione differenti. Il loro ragionamento spiega il trasferimento del profitto, non la maniera in cui esso si realizza. 6 A ciò si aggiunge l'incapacità di queste teorie a spiegare il doppio paradosso dell'economia agricola nei paesi sottoposti a sfruttamento coloniale. Se il valore della forza-lavoro consiste nel tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione dell'insieme dei beni e in particolare delle sussistenze necessarie alla riproduzione fisiologica e intellettuale dei lavoratori ( quindi deìla loro forza-lavoro), così come alla riproduzione dei futuri lavoratori, ne segue che, nella sfera capitalista, un'agricoltura che produca per la sussistenza a produttività bassa, come quella che esiste nei paesi sottosviluppati, eleverà il costo della forza-lavoro, dal momento che per produrre i beni necessari alla sussistenza dei lavoratori occorreranno più ore che non nel caso di una agricoltura ad alta produttività (Marx, 1867, I, 220; III, 736). Ora tuttavia accade che in questi paesi la forza-lavoro proveniente dal settore domestico, come del resto le derrate prodotte dallo sfruttamento familiare, siano a buon mercato. Siamo qui in presenza di un paradosso che non può essere risolto né attraverso il ricorso alla composizione organica differenziale del capitale, né attraverso la legge della domanda e dell'offerta, e neppure entro i limiti ristretti dell'analisi del plusvalore. Questo paradosso si accompagna a un altro, a quello cioè per cui, nella logica capitalistica, i capitali dovrebbero essere investiti in quel settore a bassa produttività all'interno del 5. Secondo i\larx la composizione organica del capitale consiste nel rapporto tra il capitale fisso - macchine, materiale, impianti, ecc. - e il capitale variabile - volume dei salari. 6. Applicata alla situazione storie:! francese, l'analisi di Servolin ( 1972) costituisce una delle migliori basi di discussione poiché mostra che la produzione commercializzata della piccola produzione mercantile è « necessariamente venduta al di sotto del suo valore » e che di conseguenza « i prezzi sono meno elevati di quanto non sarebbero se la produ-

    zione avvenisse nelle condizioni capitalistiche ».

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    quale i profitti tratti dall'introduzione di quei capitali dovrebbero essere i più elevati. Ora, l'agricoltura orientata verso la produzione dei beni di sussistenza, come è quella dei paesi sottosviluppati, è invece un settore fino a questo momento quasi del tutto trascurato dal capitalismo. Questi due paradossi si chiariscono nella prospettiva di una riconsiderazione delle teorie del salario e dell'accumulazione primitiva. 7 È risaputo che, nei paesi sottosviluppati, l'agricoltura orientata verso la produzione di beni di sus'ìistenza resta quasi del tutto estranea alla sfera di produzione del capitalismo, pur essendo direttamente o indirettamente in rapporto con l'economia di mercato attraverso il rifornimento di manodopera mantenuta nel settore domestico, o attraverso la fornitura di derrate d'esportazione prodotte da coltivatori che traggono sussistenza dai loro stessi raccolti. Questa economia orientata verso la produzione di beni di sussistenza appartiene perciò alla sfera di circolazione del capitalismo, e ciò nella misura in cui essa lo rifornisce di forza-lavoro e di derrate, mentre invece essa resta fuori dalla sfera della produzione capitalista in quanto non vi è alcun investimento di capitale in essa, e dal momento che i rapporti di produzione sono al suo interno di tipo domestico e non capitalistico. Le relazioni tra i due settori, quello capitalista e quello domestico, non possono venir considerate come relazioni tra i due rami del capitalismo come è invece sufficiente fare per spiegare lo scambio ineguale: il rapporto è invece tra settori all'interno dei quali dominano dei rapporti di produzione differenti. È attraverso i rapporti organici che viene ad instaurare tra economie capitaliste e domestiche che l'imperialismo mette in gioco i mezzi di riproduzione di una forzalavoro a buon mercato a profitto del capitale: processo di riproduzione che, nella sua fase attuale, è la causa essenziale del sottosviluppo e della prosperità del settore capitalista allo stesso tempo. Dal punto di vista sociale e politico, esso è anche all'origine delle divisioni della classe operaia internazionale. Questo processo non ha mai smesso di accompagnare, fino al giorno d'oggi, lo sviluppo del capitalismo, e ciò a un ritmo sempre più rapido e con un'ampiezza crescente, di tal sorta che esso deve essere considerato, come gli altri meccanismi della riproduzione capitalista, come inerente ad esso. Prima di proseguire, l'impiego della nozione di « modi di produzione» all'interno di questo ragionamento merita una breve discussione. L'espressione non ha in Marx un vero e proprio statuto scientifico. Essa

    7. Si ha accumulazione pnm111va quando l'accumulazione è conseguenza di un trasferimento di valore da un modo di produzione a un altro.

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    La manodopera a buon mercato

    oppone nel tempo le forme successive di organizzazione sociale ed economica fondate su dei rapporti di produzione distinti, allo scopo di illustrare il movimento storico. È un'operazione che differisce da quella che compiamo in questa sede e che consiste nel contrapporli sulla base del loro incontro odierno, della loro articolazione o della dominazione eventuale dell'uno da parte dell'altro. Se, come questa seconda parte tende a mostrare, la riproduzione della forza-lavoro avviene, persino all'interno del sistema capitalista, nel quadro dei rapporti sociali di tipo domestico, cioè attraverso l'inserimento organico nel modo di produzione capitalista di un elemento di tipo eterogeneo (mentre il modo di produzione domestico funziona sulla base di rapporti omogenei), i modi di produzione successivi, nella misura in cui gli uni contengono organicamente ( e non residualmente) gli altri, non saranno affatto omogenei e non saranno designabili sulla base della stessa defìnizione. Questa circostanza non consente di opporre come l'uno escludente l'altro il capitalismo o il feudalesimo da un lato e l'economia domestica dall'altro, dal momento che i primi due dipendono, per ciò che riguarda la loro riproduzione, dai rapporti di tipo domestico. 8 La loro opposizione non potrebbe comunque essere concepita esclusivamente come sfociante nella sostituzione di uno da parte dell'altro, ma anche come la trasformazione reciproca di essi, o come la subordinazione dell'uno - preservato, ma fìno a che punto come « modo di produzione »? - ad opera dell'altro. Il materialismo dialettico ammette che vi sia un trasferimento possibile di valore da un modo di produzione a un altro attraverso il meccanismo dell'accumulazione primitiva semplice, cioè quando questo trasferimento avviene tramite la distruzione di un modo di produzione a vantaggio di un altro. 9 Ma non esiste alcuna teoria circa il continuo prelievo di valore che avverrebbe non in virtù di una distruzione, bensì di una conservazione. Quando si tratta di quest'ultimo caso, questo insieme organico costituisce un nuovo modo di produzione, oppure si deve riconoscere che i modi di produzione inizialmente in contatto si conservano? Se ciò è vero, fìno a che punto? È merito di P.-P. Rey quello di aver posto questo problema nel quadro della situazione coloniale. Secondo Rey, contrapporre in questo contesto dei « modi di produzione » è corretto, dal momento che si tratta di una strategia operativa; anche se uno 8. Questa osservazione è sufficiente per sottrarre all'espressione « modo di produzione» un contenuto scientifico rigoroso, e limita l'impiego di essa a una prima approssimazione designante l'insieme dei rapporti di produzione e di riproduzione organicamente associati a un dato livello di sviluppo delle forze produttive. 9. Si veda su questo punto la discussione di P.-P. Rey (1973, 139 e segg.) sulle concezioni di Marx, Lenin, R. Luxemburg e O. Bauer sull'imperialismo; si vedano anche Laclau, 1971 e Netti, 1966.

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    di questi modi, essendo sottomesso all'altro, si degrada sotto l'effetto dello sfruttamento cui è sottoposto: si potrebbe essere in presenza tanto di riproduzione ristretta quanto di riproduzione allargata senza che la natura profonda dell'organizzazione socio-economica sia differente. 10 Tuttavia, nel suo lavoro del 1971, Rey non concepisce questa articolazione tra capitalismo e « modo di produzione di lignaggio » se non attraverso la mediazione del politico. Nei suoi rapporti col modo capitalistico di produzione, le funzioni del « modo di produzione di lignaggio », ridotte a quelle di un rifornitore di manodopera, si realizzerebbero grazie al rinforzo politico, da parte del colonizzatore, dei capi tradizionali incaricati di sospingere i giovani verso il settore capitalistico della produzione ( Rey, 1971, 460 ). In mancanza di una espropriazione massiccia analoga a quella che cacciò i contadini d'Europa verso le fabbriche, il compito storico della « classe » degli anziani sarebbe quello di fornire così al capitalismo lavoratori liberi per mezzo della separazione forzata dei produttori diretti dai loro mezzi di produzione (idem). Ma si tratta qui di una visione sui tempi lunghi di una serie di effetti localizzati del colonialismo; una visione che tralascia di prendere in considerazione una fase importante e tutt'ora presente dell'imperialismo, dal momento che, come farò vedere, la realizzazione di questa separazione in tutti i casi, in presenza di condizioni storiche determinate e in una certa fase del suo sviluppo, non torna a vantaggio immediato del capitalismo. È invece attraverso la conservazione di un settore domestico produttore di beni di sussistenza che l'imperialismo realizza, e soprattutto perpetua, l'accumulazione primitiva. Non è dunque soltanto a livello delle « alleanze di classe » tra capitalisti e capi di lignaggio corrotti che i modi di produzione si articolano, ma al contrario in maniera stretta e organica sul piano economico. Ali 'inizio il contatto avviene inequivocabilmente tra due modi di produzione, dove l'uno domina e coinvolge l'altro in un processo di trasformazione. Fintantoché persistono i rapporti di produzione e di riproduzione domestici, le comunità rurali in trasformazione rimangono qualitativamente differenti dal modo di produzione capitalistico. Per contro, le condizioni generali della riproduzione dell'insieme sociale non vengono più a dipendere, in conseguenza di ciò, dai determinismi interni al modo di produzione domestico, ma dalle decisioni prese nel settore capitalistico. Attraverso questo processo, per sua essenza contraddittorio, il

    10. P.-P. Rey ( 19ì3) suggerisce anche la nozione di un « modo di produzione di transizione » corrispondente a una fase del neo-colonialismo.

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    modo di produzione domestico viene preservato e distrutto allo stesso tempo: preservato come modo di organizzazione sociale produttore di valore a vantaggio dell'imperialismo, distrutto perché privato alla lunga, attraverso lo sfruttamento che viene a subire, dei mezzi della sua riproduzione. In queste circostanze, il modo di produzione domestico è e non è. 11 Se è a giusto titolo che diversi autori (Stavenhagen, 1969, 1973, 16; G. Franck, 1969; Amin, 1970) respingono la tesi liberale di un dualismo economico che scopre nei paesi sottosviluppati due settori, uno industriale e uno « tradizionale » senza comunicazione tra loro, non ne consegue tuttavia che l'economia domestica si trasformi ipso facto e del tutto in una forma impoverita di capitalismo sotto l'effetto della dominazione imperialista. Secondo le circostanze, e soprattutto in base ai bisogni di questa dominazione, l'economia domestica subisce diverse trasformazioni (Laclau, 1971; Wolpe, s.d.). Non basta dunque negare semplicemente il dualismo e poi pretendere che per effetto della colonizzazione tutti i rapporti di produzione divengano di tipo capitalistico, ma si tratta di studiare come l'imperialismo moderno gestisca i rapporti di produzione di tipo domestico e quelli di tipo capitalistico, e come gestisca gli uni attraverso gli altri a proprio vantaggio. Ciò che noi esamineremo non è la distruzione di un modo di produzione da parte di un altro, ma l'organizzazione contraddittoria dei rapporti economici tra i due settori, quello capitalista e quello domestico, dove uno mantiene in vita l'altro per sottrargli beni di sussistenza e quindi, per questo stesso fatto, lo distrugge.

    11. Non è più lo stesso a partire dal momento m cui ai rapporti di produzione domestici si sostituiscono, in maniera dominante, rapporti di tipo salariale; allorché la terra, da patrimonio inalienabile diviene merce; allorché i mezzi di lavoro sono acquistati sul mercato capitalista e non più prodotti e trasmessi nel quadro dei rapporti domestici.

    2.

    Salari diretti, salari indiretti

    Il problema dello sfruttamento capitalista si pone nei termini generali della produzione e della riproduzione della forza-lavoro. Il fatto che quest'ultima venga prodotta nel quadro di una istituzione avente uno statuto specifico e distinto da quello dell'impresa capitalista, e cioè la famiglia - istituzione al cui interno dominano i rapporti di produzione domestici, di dipendenza personale e non contrattuale - pone al materialismo dialettico problemi teorici che non sembrano aver attirato abbastanza l'attenzione. 1 Le circostanze particolari che presiedono alla produzione e alla riproduzione della forza-lavoro esigono che ne sia riesaminato il contenuto, in particolare quando i rapporti domestici persistono non solo come rapporti di riproduzione, ma anche come rapporti di produzione ( caso delle zone rurali sottosviluppate). Lo sfruttamento del lavoro si realizza infatti in condizioni differenti, a seconda che l'economia di mercato, là dove il capitalismo si presenta come il solo modo di produzione, regoli la totalità dei trasferimenti di beni ( cioè nel caso teorico di un capitalismo integrale), o che il capitalismo domini delle forme di produzione non capitaliste, sfruttando in tal modo non solo i lavoratori liberi, ma delle cellule produttive organizzate ( capitalismo imperialista). Cercherò di mostrare che se la teoria del plusvalore, come è stata esposta da Marx nel Capitale, si applica nell'ipotesi di un capitalismo integrale, essa deve essere corretta per poter rendere conto dello sfruttamento del lavoro nel quadro dell'imperialismo.



    È ormai riconosciuto che Il Capitale è il modello di un capitalismo integrale funzionante sulla base delle seguenti ipotesi: I. Bare! ( 1973), in un'opera erudita consacrata alla riproduzione sociale,