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Italian Pages 235 [238] Year 2007
Etica e bioetica 1
Chiara Lalli
Dilemmi della bioetica
Liguori Editore
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Indice
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Introduzione
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Capitolo primo Decisioni morali Intuizioni morali (questioni di metodo) 5; Il bambino affamato e Jack Palance 7; Argomentazioni 10; Il reale e il preferibile 11; Il caso particolare: esempio, illustrazione, modello 13; Fiction e case study 16; Come si analizza un caso 18.
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Capitolo secondo Organismi geneticamente modificati (OGM) Il precedente: la ‘mucca pazza’ 21; L’encefalopatia spongiforme bovina 22; Il cibo di Frankenstein 25; Agrobusiness: rivoluzione biotecnologica 28; Occidente e Italia 30; Il principio di precauzione 31.
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Capitolo terzo Espianto di organi ‘Tutto su mia madre’ 35; Dilemmi correlati: equa distribuzione delle risorse e commercio d’organi 36; Morte cerebrale 42; Il risveglio di Salvatore e il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica sull’alimentazione e idratazione artificiali 45.
48
Capitolo quarto Eutanasia L’omicidio impossibile 48; Eutanasia attiva e passiva 50; I punti di vista sul caso di Ezio Forzatti 53; Analisi razionale dei pareri autorevoli 54; Sedazione terminale 56; Il testamento biologico (o direttive anticipate) 60.
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Capitolo quinto Eutanasia pediatrica Il caso Luke Winston-Jones: quali dilemmi? 66; Il protocollo di Groningen 68; Baby Doe 70; Uccidere e lasciar morire 75; La tesi dell’equivalenza 77.
viii 80
Indice
Capitolo sesto Fecondazione eterologa Chi subisce un danno? 81; Il divieto di fecondazione eterologa 82; Fecondazione eterologa naturale 83.
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Capitolo settimo Il genitore ideale La selezione genitoriale della legge 40 93; Il perfetto genitore naturale 95.
97
Capitolo ottavo Diagnosi genetica di preimpianto Il piccolo Luca 97; Lo statuto morale dell’embrione 99; La diagnosi genetica di preimpianto e la legge 40 100; Selezione embrionale 102; Una storia semplice (e come tante altre) 103; Cosa succede in Inghilterra nel frattempo: bimbo cancer-free 106.
109
Capitolo nono Eugenetica Eugenetica positiva e negativa 110; Eutanasia: la morte pietosa 111; Auschwitz: il Blocco 10 116; Esperimenti umani: Josef Mengele 118.
121
Capitolo decimo Implicazioni del conferimento di diritti all’embrione Alcuni possibili scenari 121; Regina McKnight 123; South Carolina vs Cornelia Whitner 125; L’embrione come persona: Unborn Victims of Violence Act 128; Madre vs embrione 132; Interruzione volontaria di gravidanza 137; Analisi della 194 138; RU486 e pillola del giorno dopo 145; Piastra metafisica: anche l’ootide e` una persona 151.
161
Capitolo undicesimo Legge e morale: il caso della legge 40/2004 Liberta` e coercizione legale 163; Il principio del danno 169; La legge 40 e la clonazione riproduttiva 173; Soppressione di embrioni 176; Selezione eugenetica, sperimentazione e crioconservazione degli embrioni 178; Commercio di gameti e di embrioni e maternita` surrogata 182; Embrioni in adozione 183.
191
Capitolo dodicesimo Trasferimento nucleare Dolly: risvolti morali 191; La bambina fotocopia: Eva 192; L’opinione di Mary Warnock 199; Clonazione terapeutica 202.
ix
Indice
204
Capitolo tredicesimo Baby M e la maternita` surrogata La storia della bambina contesa 204; Due casi italiani 207; Analisi degli argomenti contro la maternita` surrogata 209.
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Bibliografia
Ringraziamenti Giuseppe Regalzi, Anna Meldolesi, Gianfranco Bangone e Stella, Filomena Gallo, Gilberto Corbellini, Serena Tucci, Nicola Lalli, Giampiero Muroni e Caterina Brau, Massimo Cuzzolaro, Piergiorgio Odifreddi, Raffaele Carcano, Roberto Frega, Cristina Casini e Nicola Guaglianone. Giampaolo Ferranti e Guido Liguori. Dino Valls.
Introduzione Immagino cambiamento si dica «Non Philip
che ogni profondo nella vita richieda che ti conosco» a qualcuno. Roth, La macchia umana
Claire Breton ha 27 anni, vive a Parigi e ha scritto un libro sulla sua vita con due mamme. Claire racconta la sua storia, e il suo disagio nel crescere in una famiglia ‘anomala’. “Il Foglio” la sbatte in prima pagina come fosse la dimostrazione che avere due mamme implica guai e disastri (Cazzo, mia madre, “Il Foglio”, 28 marzo 2006). Claire ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta, quindi (secondo l’accusa) c’e` qualcosa che non va nell’essere stata allevata da due mamme, anziche´ da una con papa` annesso. L’equazione “crescere con due madri (lesbiche)” = “avere tanti guai da ricorrere alla psicoterapia” non e` che una fragile argomentazione, valida peraltro nel caso particolare di Claire ma difficilmente universalizzabile. Difficile sostenere, quindi, che tutti i bambini cresciuti in una situazione simile abbiano problemi relazionali e esistenziali. «A Claire sembra “una cosa pazzesca”, visto che ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta, visto che per un sacco di tempo ha temuto di diventare lesbica come le sue madri, visto che non si e` mai sentita un’eroina di Almodo´var, e oggi ha scritto un libro per provare a capirci qualcosa temendo, come sempre, la reazione della madre (biologica). Perche´ non tutti stanno perfettamente in mezzo al casino, e non per tutti c’e` il pranzo della domenica sul terrazzo di un film di Ozpetek, stoviglie e vite colorate. “Sognavo di avere una vita banale, quella che hanno tutti”», racconta Claire, «e piangeva davanti alle pubblicita` simil Mulino Bianco, mamma papa` figli cane insieme a colazione». Una famiglia normale. Considerato il numero elevato di persone che ricorrono alla psicoterapia, dovremmo inferire che tutte le famiglie di provenienza hanno qualcosa che non va (indipendentemente dalle preferenze sessuali dei genitori e dall’assetto familiare scelto). E sono pronta a scommettere che molte sono quelle famiglie tradizionali che tanto si invocano come baluardo della tranquillita` domestica (e non solo). Non e` possibile stabilire un nesso causale tra il non avere una ‘vita banale’ e lo scompiglio esistenziale.
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Introduzione
Il racconto di Claire potrebbe ‘funzionare’ anche se apportassimo dei cambiamenti. Marie ha 29 anni, vive a Marsiglia e ha scritto un libro sulla sua vita in una famiglia borghese (e` abbastanza normale una famiglia borghese?). Marie racconta la sua storia, e il suo disagio nel crescere in una famiglia ‘normale’. Anche Marie ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta. «A Marie sembra “una cosa pazzesca”, visto che ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta, visto che per un sacco di tempo ha temuto di diventare borghese e banale come i suoi genitori, visto che non si e` mai sentita un’eroina di Bun˜uel, e oggi ha scritto un libro per provare a capirci qualcosa temendo, come sempre, la reazione della madre (mediocre). Perche´ non tutti stanno perfettamente in mezzo alla banalita`, e non per tutti c’e` il pranzo della domenica sul terrazzo di un film di Muccino, stoviglie color nostalgia e vite convenzionali. “Sognavo di avere una vita straordinaria, diversa da quella che non hanno tutti”», racconta Marie, «e piangeva davanti alle pubblicita` simil Vigorsol, effetti inconsueti di una gomma da masticare». Argomenti simili sono spesso utilizzati per condannare le tecniche di procreazione artificiale nel (tentativo di) dimostrare l’esistenza infelice dei figli artificiali, come se nascere in seguito a procreazione artificiale fosse una condizione sufficiente a determinare una esistenza disgraziata. Dimenticando che non sarebbe difficile enumerare casi di famiglie normali, padre madre e figli, che potrebbero contraddire e smentire l’ingenua attribuzione di effetti indesiderati al dissolvimento e ai cambiamenti che la famiglia tradizionale ha subito. Molte foto ritraggono Joseph Goebbels circondato dai suoi figli: chi oserebbe giudicare migliore la famiglia Goebbels rispetto alle tante famiglie che non rispettano i canoni formali di un assetto che in un certo periodo ha predominato? Nei secoli passati, infatti, sono stati molteplici e diversi i modelli familiari. Cosı` come esistono oggi modelli familiari differenti in culture differenti. La cosiddetta famiglia tradizionale si mostra per quello che e`: un modello storicamente determinato e soprattutto non necessariamente superiore agli altri modelli possibili. Per condannare il ricorso alle tecniche di procreazione artificiale (intese come sconvolgimento dei canoni familiari) o gli altri assetti familiari (famiglie ricomposte o monogenitoriali) non e` sufficiente invocare il fantasma della corruzione della famiglia tradizionale. L’inefficace attacco alle tecniche riproduttive non e` un caso isolato, perche´ i cattivi argomenti sono spesso presenti nei dibattiti bioetici in
Introduzione
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generale. Irrazionalita`, emozioni, pareri personali sono i protagonisti illegittimi e fallaci delle controversie bioetiche, e arrivano addirittura a costituire le fondamenta di testi normativi: il caso piu` emblematico e` rappresentato dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Non significa estromettere la soggettivita` o le credenze personali, ma dare loro il giusto spazio. Se ogni posizione bioetica include i punti di vista soggettivi e personali, l’obiettivo cui ogni posizione bioetica dovrebbe tendere e` quello di offrire una spiegazione razionalmente fondata, in quanto «i criteri della razionalita`, come i criteri della verita`, sono infatti universalmente validi per tutti gli individui e tutte le culture»1. La bioetica e` una disciplina in cui ogni voce puo` legittimamente rivendicare di essere ascoltata: il filosofo, il giurista, il medico, il biologo, a condizione che non sia la proposizione di un parere soggettivo privo di argomenti a sostegno. Nonostante questa complessita` sinfonica, ogni decisione bioetica e` una decisione morale. Le decisioni morali sono decisioni che non possono essere affidate a argomenti di tipo fattuale, e il disaccordo morale non trova una soluzione nella verifica della verita`: enunciati come ‘y e` moralmente inammissibile’ non possono essere dimostrati attraverso la verifica di fatti empirici, diversamente dagli enunciati del tipo ‘x e` giallo oppure ‘y e` dietro a quella porta’. In questo caso dispongo di strumenti per accertare se l’enunciato corrisponde a verita` oppure no. Una posizione morale, invece, puo` essere ben sostenuta ma non puo` mai essere vera. Dirimere una questione morale rimanda a questioni di valore, e pertanto tutte le informazioni relative a x sono necessarie ma non sufficienti per sostenere una posizione. Gli strumenti per sciogliere un dilemma morale (bioetico) sono costituiti da buone argomentazioni razionali per sostenere x, o per criticare x (o y o z). E` bene sottolineare fin d’ora che qualunque teoria della razionalita` non puo` (e non deve) fornire soluzioni precostituite da applicare a ciascuna situazione specifica. Non puo` fornire un passepartout per prendere le giuste decisioni, bensı` si limita ad esplicitare le caratteristiche strutturali del prendere decisioni razionali. E le buone argomentazioni saranno convincenti o inefficaci, mai evidenti e necessarie:
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John Searle, 2001, Rationality in Action, Cambridge, MIT Press; tr. it. La razionalita` dell’azione, Milano, Cortina, 2003, p. XV.
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Introduzione
La natura stessa dell’argomentazione e della deliberazione s’oppone alla necessita` e all’evidenza, perche´ non si delibera dove la soluzione e` necessaria, ne´ s’argomenta contro l’evidenza2.
L’impossibilita` di raggiungere la verita` non esclude la possibilita` di giudicare una bioetica migliore di un’altra. O meglio, la possibilita` di giudicare un argomento migliore di un altro sulle questioni bioetiche. La democrazia funziona (o meglio, e` giusta) nelle riunioni di condominio in cui ogni condomino ha il pieno diritto di parola e il suo diritto (anche se dice sciocchezze) ha lo stesso valore del diritto degli altri. Nella scienza non funziona. Nel dominio della bioetica possiamo sperare di imitare quanto avviene nella scienza: essere inclini a vagliare i pareri offerti, a saggiarne la tenuta e analizzarne le implicazioni. A evitare i pareri soggettivi ‘perche´ sı`’ o ‘l’ha detto il Papa’. La sfida e` quella di costruire percorsi coerenti e che partano da premesse il piu` condivisibili possibile. In questa cornice, non credo che esista una bioetica laica e una bioetica cattolica. Una bioetica liberale e una conservatrice. Almeno non sono queste le categorie rilevanti. Esiste una bioetica sostenuta da valide ragioni. Punto. Sono le ragioni che devono essere confrontate. I risultati delle scelte morali proposte, le conseguenze delle azioni, le gerarchie dei valori. La ragione accomuna gli uomini. Partiamo da questo terreno comune. Gli argomenti sono numerosi: eutanasia, interruzione volontaria di gravidanza, accanimento terapeutico, tecniche di procreazione assistita, trapianti d’organi, eugenetica, manipolazione genetica, organismo geneticamente modificati, maternita` surrogata e trasferimento nucleare. Il modo di analizzarli e` sempre lo stesso: individuare le ragioni per sostenere una condanna o una assoluzione. E mirando piu` a sollevare domande che a fornire risposte precostituite e mascherate da soluzioni valide e universali.
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Chaı¨m Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, 1958, Traite´ de l’Argumentation. La Nouvelle Rhe´torique, Paris, Presses Universitaires de France; tr. it. Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Torino, Einaudi, 1966, p. 3.
1 Decisioni morali I criteri della razionalita`, come i criteri della verita`, sono universalmente validi per tutti gli individui e tutte le culture. John Searle, La razionalita` dell’azione
1. Intuizioni morali (questioni di metodo) Su cosa si fonda un giudizio morale? Su quali basi possiamo definire un atto come giusto oppure sbagliato? Una corposa tradizione filosofica attribuisce grande valore alle intuizioni morali. Le considera la piattaforma su cui ergere un sistema morale; addirittura il criterio per giudicare un atto moralmente ammissibile o riprovevole. Le intuizioni sono credenze preriflessive riguardo a cosa e` giusto e a cosa e` sbagliato. E` frequente che chi attribuisce importanza all’intuizione sia moralmente conservatore, perche´ da` valore a una credenza in virtu` del fatto che per lungo tempo e` stato cosı`. L’intuizione acquista credibilita` morale senza che vi sia altra ragione a sostenerla; una teoria morale che si affida alle intuizioni non fa che cercare di sistematizzare quanto alle persone accade di credere. La condizione che queste persone debbano essere sobrie e ragionevoli non intacca la natura ‘emotiva’ di un simile sistema morale. In presenza di una confutazione dell’intuizione per mezzo di un argomento, i sostenitori delle intuizioni scelgono la difesa di queste, nonostante non siano in grado di darne una dimostrazione. Se l’argomento morale implica una conseguenza antintuitiva, si sceglie di rigettare l’argomento e di conservare la credenza. La tendenza conservativa del sistema morale intuitivo e` evidente se si pensa alla forza di cui in passato godevano giudizi morali che oggi riteniamo inammissibili: la moralita` di ritenere inferiori alcune razze; l’immoralita` dei matrimoni misti; la moralita` nel picchiare i bambini, e cosı` via. Lo strumento per modificare tali credenze morali, e` evidente, non
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Dilemmi della bioetica
risiede nell’intuizione stessa, che viene tramandata e permane immutata. Il cambiamento di giudizio morale deriva piuttosto dall’analisi razionale. La morale puo` essere razionalmente fondata. Questo significa che le intuizioni morali sono sacrificabili in presenza di argomenti decisivi e persuasivi. E che sono modificabili. Le intuizioni morali possono essere le medesime; a cambiare e` il ruolo che si attribuisce loro. Tanto A che B possono pensare visceralmente che il sesso non a fini procreativi sia immorale. A accetta acriticamente un simile enunciato morale, mentre B indaga la sua sensazione: perche´ sarebbe immorale? Quali sono le premesse di tale giudizio morale? Quali pregiudizi puo` nascondere? E cosı` via, fino a scardinare, o a confermare ma a un livello piu` alto, la sensazione iniziale. Se le ragioni contro la credenza che il sesso non a fini procreativi sia immorale si dimostrano forti e convincenti, allora B dovra` essere disposto ad abbandonare tale credenza e a sostituirla con la credenza contraria: il sesso non a fini procreativi non ha nulla di immorale. E` bene specificare che le intuizioni morali non sono necessariamente sbagliate. Devono essere considerate come il dato primitivo sul quale deve intervenire lo strumento razionale. Il risultato potrebbe anche essere che l’intuizione di partenza venga confermata razionalmente. Se non accade, e` bene abbandonarla a favore delle conclusioni degli argomenti razionali. Secondo James Rachels (1986) la priorita` delle intuizioni rispetto agli argomenti razionali si e` affermata a partire dal diciannovesimo secolo. Gli idealisti cominciarono a sostenere tesi metafisiche poco plausibili, come quella dell’irrealta` del tempo o dell’inesistenza degli oggetti fisici. Quando George E. Moore asserı` la falsita` di simili tesi, non si soffermo` a dimostrarne la falsita`. Invoco` il senso comune (sappiamo che sono false, e tanto basta). L’implicazione era che argomenti contrari al senso comune devono contenere qualche errore, anche se non riusciamo a individuarlo. Lo stesso Moore non spreco` molto tempo a cercare di identificare gli errori specifici negli argomenti degli idealisti e, come risultato della sua influenza, divenne accettabile dire: X e` piu` certo di ogni argomento contrario (Rachels 1986, p. 139).
Il conflitto tra senso comune e argomento veniva in tal modo risolto a favore del primo. L’appello al senso comune ha dilagato nella filosofia morale (per fare solo un esempio, l’utilitarismo e` di frequente giudicato inaccettabile pro-
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prio perche´ produce conseguenze incompatibili con le intuizioni). Al punto che la conformita` con le intuizioni e` diventato il test di accettabilita` delle teorie morali. Se una teoria era in conflitto con le credenze preriflessive, era la teoria, e non le credenze, ad essere considerata manchevole (Rachels 1986, p. 140).
Secondo James Rachels il compito di una teoria morale consiste nel formulare principi che giustifichino i giudizi (questa azione e` giusta; quest’altra e` sbagliata). Non esiste alcuna garanzia a sostegno della veridicita` delle nostre percezioni morali. Una credenza morale diffusa puo` essere sbagliata. Puo` derivare da pregiudizi, condizionamenti religiosi e culturali, egoismo. Puo` essere intrisa di irrazionalita` e contaminata da sistemi metafisici ormai screditati. I principi di una teoria morale che resti fedele a tutte le nostre «intuizioni» custodiranno soltanto la nostra irrazionalita` (Rachels 1986, p. 141).
2. Il bambino affamato e Jack Palance Jack Palance, il cattivo di tanti film, e` chiamato a condurci nel terreno di scontro tra intuizioni comuni e argomenti razionali. Una intuizione comune e resistente consiste nel credere peggiore uccidere piuttosto che lasciar morire qualcuno. Questa credenza implica che la crudelta` dell’uccidere sia sopravvaluta e, al contrario, la crudelta` del lasciar morire sia sottovalutata. (1) L’intuizione morale sostiene: uccidere X e` peggiore di lasciar morire di fame persone in Paesi lontani. (2) L’argomento razionale sostiene: uccidere X e` grave quanto lasciar morire di fame persone in Paesi lontani. Primo scenario. In una stanza c’e` un bambino gravemente denutrito e che sta morendo di fame. E poi ci siamo noi, in buona salute e con un panino. Se gli diamo il nostro panino (e portiamo in ospedale il bambino) non ci riteniamo meritevoli di lodi speciali, piuttosto ci riterremmo biasimevoli se ignorassimo il bambino e addentassimo con gusto il nostro panino. Immaginiamo che nella stanza con il bambino ci sia Jack Palance, con un panino simile al nostro. Jack Palance ignora il bambino, e si tiene il panino senza degnarlo della minima attenzione. Che cosa penseremmo di Jack Palance? Che e` moralmente riprovevole.
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Secondo scenario. Ci siamo noi con tutto il necessario per sopravvivere e tutte le persone che muoiono di fame in Paesi lontani. Se non facciamo niente, le lasciamo morire proprio come Jack Palance fa con il bambino. Eppure non ci consideriamo moralmente dei mostri come invece giudichiamo Jack. Lui potrebbe facilmente salvare il bambino, non lo fa e il bambino muore. Noi potremmo facilmente salvare alcune di quelle persone che muoiono di fame; non lo facciamo ed esse muoiono. Se lui e` un mostro morale, e noi no, allora ci dev’essere qualche importante differenza tra lui e noi. Ma qual `e? (Rachels 1986, p. 143, il corsivo e` mio).
La prima possibile risposta e` che il bambino e` nella nostra stessa stanza e che gli altri sono lontani. Ma la collocazione spaziale non e` assolutamente rilevante dal punto di vista morale; a meno che tale distanza non renda impossibile fornire quell’aiuto che, stando nella stessa stanza, e` facile da offrire. E per questo esistono le associazioni umanitarie. In assenza di un ostacolo insuperabile nell’aiutare qualcuno, e` assurdo pensare che trovarsi in un certo luogo diminuisca o annienti l’impegno morale nei confronti di chi e` bisognoso. La differenza tra il (non) aiutare un bambino che ci troviamo davanti ai nostri occhi e il (non) aiutare persone lontane e` soltanto psicologica; ma non morale. Ci sono altre differenze psicologiche: il fatto che le persone che muoiono di fame siano disperse su una vasta superficie (mentre il bambino e` lı` davanti a noi); il fatto che siano milioni le persone bisognose di cibo e che non potremmo aiutarle tutte (mentre il bambino e` uno e possiamo aiutarlo) e che per ogni persona bisognosa che potremmo aiutare ci sono tante altre persone ricche che potrebbero aiutarla come noi. Ancora una volta le differenze non sono moralmente rilevanti. Anche se non possiamo aiutare tutti, e anche se come noi molti altri potrebbero offrire aiuto, la nostra responsabilita` di fare quanto piu` possibile per aiutare le persone bisognose rimane intatta. Se non lo facciamo dovremmo sentirci colpevoli per l’aver lasciato morire le persone. Ma di nuovo, questo non significa che non ci dovremmo sentire colpevoli o vergognare piu` di quanto facciamo adesso. Una spiegazione psicologica dei nostri sentimenti non costituisce una giustificazione morale della nostra condotta (Rachels 1986, p. 145).
E` piu` evidente la non dipendenza della moralita` del nostro comporta-
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mento da quello degli altri se pensiamo a Jack Palance. L’abbiamo giudicato un mostro qualora se ne rimanesse indifferente davanti al bambino affamato. Se nella stanza vi fossero altre persone altrettanto indifferenti, giudicheremo forse Palance meno immorale rispetto allo scenario in cui era da solo? Assolutamente no. L’idea che la colpa si divida tra i corresponsabili e` sbagliata: non esiste una quantita` fissa di colpa che viene suddivisa tra i colpevoli. Il comportamento di Jack Palance e` moralmente riprovevole tanto nel caso in cui sia da solo quanto che sia in compagnia. Se egli e` consapevole di quanto sta accadendo intorno a lui, potrebbe anche moltiplicare le persone presenti nella stanza, ma non servirebbe ad alleggerire la sua colpa. E` ancora piu` ovvio se pensiamo, come suggerisce James Rachels, che se Jack Palance e` un mostro morale se guarda morire il bambino, se «chiama un gruppo di amici per guardare con lui, non diminuisce la colpa dividendola con loro. Al contrario, sono tutti mostri morali» (Rachels 1986, p. 145). L’indifferenza altrui costituisce anzi un motivo in piu` per agire. Se nella stanza ci sono due bambini e Palance insieme a un amico, ognuno dovrebbe prendersi cura di un bambino. Se l’amico non fa niente, Palance potrebbe forse nutrire il suo bambino e sentirsi moralmente irresponsabile per la sorte dell’altro? Molte delle differenze che abbiamo esaminato non reggono al vaglio dell’analisi razionale. E` evidente quanto siano fragili le intuizioni morali. La strada migliore per arrivare alla verita` consiste nel cercare argomenti a sostegno dei nostri giudizi morali. Dobbiamo, tuttavia, ammettere di affidarci all’intuizione: a qualche punto del nostro ragionamento morale dobbiamo accogliere per buona un’assunzione senza la possibilita` di offrire argomenti a sostegno. Questo succede anche per le scienze esatte: i dati di partenza, le assunzioni e gli assiomi. I ragionamenti partono da lı`, non possono rimandare indietro all’infinito. In morale il dato di partenza e` costituito dall’assunzione di cosa sia moralmente importante. Una simile concessione all’intuizione e` inevitabile. L’importanza attribuita agli argomenti, pero`, fa sı` che venga sempre mantenuto un atteggiamento di sospetto, e che vi si faccia ricorso solo quando non e` piu` possibile evitarlo. E` una concessione iniziale, che non diminuisce la sfiducia nei confronti delle intuizioni come fondamento della morale.
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3. Argomentazioni Il campo dell’argomentazione e` quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui quest’ultimo sfugge alle misure del calcolo (Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958, p. 3).
Da questa premessa e` possibile inferire che la morale puo` soltanto tendere verso la persuasione e non verso la certezza assoluta. Non gode, in altre parole, della caratteristica propria della scienza. Per la scienza sperimentale cio` che conta e` la verita`, ovvero la conformita` ai fatti. Applicare il metodo razionale alla morale significa costruire un sistema coerente e convincente; non puo` pero` mai significare raggiungere la verita`, perche´ la verita` in morale non esiste. Una argomentazione convincente e` una argomentazione che si ritiene possa ottenere l’adesione di qualunque essere ragionevole, e non soltanto un uditorio particolare. L’uditorio universale cui ci rivolgiamo e` necessariamente eterogeneo. Gli individui sono difatti caratterizzati da credenze, idee e valori molto diversi tra di loro. Quale puo` essere l’elemento che accomuna persone tanto differenti? Il fatto di essere esseri ragionevoli. Il consenso dell’uditorio universale non potra` mai essere sperimentalmente provato; piuttosto e` un consenso che sarebbe possibile ottenere. Il consenso di un uditorio universale non `e dunque una questione di fatto ma di diritto. Si fa assegnamento sull’adesione di coloro che si sottomettono ai dati dell’esperienza o alla luce della ragione, perche´ si afferma cosa conforme a un fatto obiettivo, cosa che costituisce una asserzione vera e perfino necessaria. L’argomentazione rivolta a un uditorio universale deve convincere il lettore del carattere di assoluta validita` delle ragioni fornite, della loro evidenza, del loro valore extratemporale e assoluto, indipendentemente dalle contingenze locali o storiche (Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958, p. 34).
Soggiace una contraddizione tra il negare la verita` affermata dalle argomentazioni (ove c’e` solo il verosimile) e l’affermare il carattere assoluto del valore dell’argomentazione stessa. Perche´ in presenza di una verita` assoluta l’argomentazione dilegua. L’argomentazione, allora, avra` il potere di condurci a una verita` che non e` mai quella definitiva, che sappiamo sempre rivedibile (nel corso dei secoli concetti quali ‘fatti obiettivi’ o ‘verita` evidenti’ sono cambiati notevolmente). Nel campo morale e` difficile che ci sia una verita` da rivelare (come puo` accadere in uno scontro giudiziario o in una disputa scientifica). Piuttosto si appoggiano dei valori giudicati piu` importanti di altri; si
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cercano soluzioni ai conflitti e alle contraddizioni. Il risultato sara` sempre determinato dall’argomentazione piu` convincente. La base di partenza dell’argomentazione presuppone un accordo. Questo accordo puo` riferirsi al contenuto delle premesse esplicite, cosı` come ai collegamenti usati e al modo di usarli. D’altra parte, anche la scelta delle premesse e la loro formulazione con gli adattamenti che ne conseguono, sono solo raramente privi di valore argomentativo: si tratta di una preparazione al ragionamento che, piuttosto che una sistemazione degli elementi, costituisce gia` un primo passo nella loro utilizzazione persuasiva (Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958, p. 69).
L’oratore, partendo da determinate premesse, fa affidamento sull’adesione degli ascoltatori. Tale adesione puo` essere negata per diversi motivi: perche´ non si accetta quanto l’oratore presenta per acquisito; perche´ si rifiuta il carattere unilaterale delle premesse; perche´ si rifiuta la natura tendenziosa della presentazione delle premesse. La critica, allora, puo` svolgersi sui seguenti tre piani: 1) l’accordo relativo alle premesse; 2) l’accordo relativo alla scelta delle premesse; 3) l’accordo relativo alla presentazione delle premesse. Quali accordi possono servire da premesse? Esistono due categorie di oggetti che possono esercitare tale ruolo: il reale (fatti, verita`, presunzioni) e il preferibile (valori, gerarchie, luoghi del preferibile). La concezione del reale cambia di molto a seconda della concezione filosofica di riferimento. Tuttavia, quanto si riferisce al ‘reale’ e` caratterizzato dalla pretesa di validita` per l’uditorio. Quanto invece si riferisce al ‘preferibile’ e` legato a un punto di vista particolare, a una preferenza soggettiva.
4. Il reale e il preferibile Tra gli oggetti appartenenti al reale troviamo i fatti, le verita` e le presunzioni. Non e` possibile fornire una definizione di ‘fatto’ valida in ogni tempo e in ogni luogo. Nell’argomentazione la nozione di ‘fatto’ e` caratterizzata unicamente dall’idea che si ha di un certo genere di accordi riguardo ad alcuni dati, quelli che si riferiscono ad una realta` obiettiva e indicano in ultima analisi, per citare J.-H. Poincare´ “cio` che e` comune a piu` esseri pensanti e potrebbe essere comune a tutti” (Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958, p. 71).
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Dilemmi della bioetica
I fatti, almeno provvisoriamente, si sottraggono all’argomentazione, ovvero l’intensita` di adesione non deve essere aumentata ne´ generalizzata e l’adesione stessa non richiede giustificazione. L’adesione al fatto sara` per l’individuo una reazione soggettiva a qualcosa che si impone a tutti. Un fatto e` tale se e` possibile postulare un accordo universale per esso. L’accordo non e` mai definitivo, perche´ l’accordo puo` sempre essere messo in discussione. Un evento perde lo statuto di fatto in due modi: quando sono presenti dei dubbi nell’uditorio, e quando si aggiungono all’uditorio nuovi componenti che rifiutano che si tratti di un fatto. I fatti ammessi possono essere sia fatti di osservazione, sia fatti possibili o probabili. Le verita` sono sistemi piu` complessi, relativi a legami tra fatti. Possono essere concezioni filosofiche o teorie scientifiche. Le presunzioni godono di un accordo universale, sebbene l’adesione non sia massima. Ci si aspetta un rafforzamento offerto da altri elementi. Se la giustificazione di un fatto rischia di indebolire il suo statuto, nel caso delle presunzioni cio` non accade. Le presunzioni, in ogni caso particolare, sono legate a quanto e` normale e verosimile (la presunzione che ogni azione umana sia sensata, ad esempio). Una presunzione piu` generale e` che esista per ogni categoria di comportamenti e di fatti un aspetto che viene considerato normale, e che puo` costituire la base dei ragionamenti. Lo stesso vincolo tra presunzioni e normalita` costituisce una presunzione generale ammessa da tutti gli uditori. Si presume fino a prova contraria che sia normale cio` che avverra` o e` avvenuto, o piuttosto che il normale sia una base sulla quale possiamo fondare i nostri ragionamenti (Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958, p. 75).
Questa base non puo` corrispondere ad una rappresentazione definibile in termini di rappresentazione statistica delle frequenze. Per questa ragione parliamo di presunzioni e non di probabilita` calcolate. La nozione di normale dipende necessariamente dal gruppo di riferimento sui cui c’e` un accordo piu` o meno implicito. Il gruppo di riferimento e` instabile, e puo` anche variare il modo di intenderlo. I diversi modi di intenderlo sono spesso in contraddizione: nell’argomentazione giudiziaria si oppone l’argomentazione in base ai moventi del delitto alla condotta dell’accusato. Ogni informazione puo` modificare il gruppo di riferimento e modificare di conseguenza il concetto di eccezionalita` (di contro al normale). Le presunzioni sono trattate come equivalenti a dei fatti osservati, e servono allo stesso titolo come premessa di argomentazioni, fino al momento in cui la presunzione e` messa in discussione.
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Decisioni morali
Il preferibile comprende oggetti per i quali e` possibile postulare l’adesione di un gruppo particolare: valori, gerarchie, luoghi del preferibile. L’accordo su un valore significa concordare sul fatto che un oggetto deve esercitare sull’azione o sulle disposizioni all’azione una determinata influenza; non vi e` pero` la pretesa che questo accordo valga per tutti. Questa particolarita` conferisce ai valori un carattere precario. In ogni argomentazione sono presenti dei valori.
5. Il caso particolare: esempio, illustrazione, modello Esempio, illustrazione e modello sono tre modi diversi per fondare il reale su un caso particolare. La funzione del caso particolare puo` essere quella di permettere una generalizzazione (esempio); di sostenere una regolarita` gia` fissata (illustrazione); di incitare all’imitazione (esempio). L’argomentazione basata sull’esempio sottintende un qualche disaccordo riguardo alla regola particolare che l’esempio in questione supporta. Tale argomentazione presuppone la possibilita` di inferire una generalizzazione a partire da casi particolare (non e` in discussione l’induzione e la sua validita`). Le due domande principali che riguardano l’argomentazione basata sull’esempio sono le seguenti: Quand’e` che un fenomeno viene introdotto nel discorso in qualita` di esempio, cioe` come principio di una generalizzazione? In favore di quale regola costituisce un argomento l’esempio citato? (Perelman, OlbrechtsTyteca 1958, p. 370).
Non tutte le descrizioni di un fenomeno possono essere considerate come esempi. Quando il racconto di un caso particolare (una vita di un uomo politico; la storia di una attrice famosa) da descrizione diventa un esempio? Il racconto di un caso singolo e` piu` facilmente considerabile come una semplice informazione; se fenomeni particolari vengono evocati o elencati uno dopo l’altro, e soprattutto se presentano qualche somiglianza, si sara` inclini a considerarli degli esempi. Per essere certi di essere di fronte a una argomentazione per mezzo di un esempio la cosa migliore sono le esposizioni in cui si presenta proprio nella sua forma. Perelman e
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Olbrechts-Tyteca portano l’esempio della seguente frase articolata in cinque proposizioni degli antichi logici indiani: Il monte e` fiammeggiante Perche´ e` fumante Tutto cio` che e` fumante e` fiammeggiante, come il focolare; Cosı` quello Dunque cosı`.
Quando l’oratore non trae per conto suo le conclusioni dei fatti illustrati, non c’e` mai la certezza che egli desideri che i suoi enunciati siano considerati degli esempi. Rispetto ad una stessa regola l’enumerazione di esempi differenti ha lo scopo di rinforzare quella regola. Quando la regola ha una varieta` di casi di applicazione e` utile fornire esempi tra loro il piu` diversi possibile. L’enumerazione di esempi non differenziati, invece, mira a sottolineare la frequenza di un evento, e la conseguente idea che si avra` modo di osservarlo ulteriormente. In presenza di un caso invalidante la regola puo` essere indebolita, oppure il caso invalidante puo` essere considerato come una eccezione. (Un caso particolare osservato non puo` mai costituire una contraddizione assoluta rispetto a un giudizio la cui universalita` e` empirica: puo` solo rafforzarlo o indebolirlo. La legge puo` essere conservata se le si attribuira` una portata diversa che tenga conto anche del caso invalidante). Il caso invalidante puo` assumere anche le sembianze del miracolo (la regola non subisce nessuna restrizione; perche´ ci sia miracolo il fatto e la regola coesistono in campi diversi). Ancora, sotto l’influsso del caso invalidante la regola puo` essere trasformata in regola convenzionale (determinismo o presunzioni legali). L’illustrazione ha il compito di rafforzare l’adesione a una regola ammessa e conosciuta, fornendo casi particolari che chiariscono l’enunciato generale. A differenza dell’esempio, che deve essere incontestabile pena la possibilita` di essere il fondamento di una regola, l’illustrazione puo` essere piu` discutibile. Deve avvalersi di toni vividi per colpire l’immaginazione dell’ascoltatore. Si presta meno dell’esempio a mal interpretazione, perche´ la regola cui si riferisce e` nota e costituisce la guida principale. Non c’e` il rischio che l’ascoltatore sia distratto da particolari concreti e numerosi (l’esempio e` bene che sia spoglio per non confondere gli ascoltatori che devono da questo inferire la regola). Nel corso di una enumerazione i casi particolari non hanno tutti la stessa funzione: se i primi devono essere
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indiscutibili per guidare l’uditore, i successivi godono del credito accordato ai precedenti; gli ultimi possono servire anche soltanto come illustrazioni. Cio` spiega non soltanto come non tutti i casi siano sullo stesso piano e come l’ordine della loro presentazione non sia reversibile, ma spiega anche come il passaggio dall’esempio all’illustrazione si effettui molte volte in modo insensibile, e come siano possibili controversie circa il modo di comprendere e qualificare l’uso di ogni caso particolare e i suoi rapporti con la regola (Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958, p. 380).
L’illustrazione avvalora quella regola che puo` servire a enunciare, come il proverbio. Spesso facilita la comprensione della regola tramite un caso di applicazione indiscutibile. L’illustrazione inadeguata non ha la funzione del caso invalidante (la regola non e` messa in discussione), e l’inadeguatezza ricade sull’oratore. Il modello incita all’azione attraverso il meccanismo dell’imitazione (spesso spontaneo). Serve anche come garanzia per una condotta gia` adottata. Seguire un modello riconosciuto costituisce una garanzia del valore della condotta (il soggetto valorizzato da tale attitudine puo` a sua volta servire come modello: il filosofo come modello alla citta` perche´ ha come modello gli dei). Anche l’indifferenza al modello proposto puo` costituire un modello: di indifferenza verso il modello, di rifiuto dell’imitazione. Il modello deve vigilare sul proprio comportamento, perche´ il minimo sgarro potrebbe giustificarne molti altri. Servire da modello per la condotta altrui e` prestigioso; il ravvicinamento che avviene tra il modello e le persone che lo prendono come proprio punto di riferimento (e che sono necessariamente inferiori al modello) rischia di svalutare il modello stesso. La comparazione implica una azione reciproca tra i due termini, e sara` il modello a rimetterci un po’ di smalto nel confronto con le altre persone. Volgarizzando il modello, inoltre, lo si priva della sua unicita`, del suo distinguersi tra tutti. Sebbene in modo imperfetto, le persone tenderanno ad assomigliargli. Se il modello costituisce la molla per promuovere certe condotte (quelle del modello), l’antimodello costituisce la molla per evitarne altre. Ascoltare un cattivo suonatore per evitare le stonature: questo e` il meccanismo dell’antimodello. Nel caso del modello ci si propone di conformarsi ad una certa condotta, per quanto delineata in modi piu` o meno espliciti. Nel caso dell’antimodello si incita a distinguersi da qualcuno senza che la condotta sia precisata: non ci si deve comportare come x ma non e` chiaro a che tipo di condotta bisogna adeguarsi.
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La forza degli argomenti dipende in parte dall’intensita` dell’adesione alle premesse da parte degli ascoltatori, e in parte dal rilievo degli argomenti nel dibattito. L’intensita` dell’adesione e il rilievo di ogni argomento sono soggetti agli argomenti contrari. La forza di un argomento puo` essere misurata dalla resistenza alla confutazione, oltre che dalle sue qualita` proprie.
6. Fiction e case study Usare la fiction o i casi di cronaca ha il vantaggio di costituire un punto di partenza facilmente comprensibile e di rendere le domande cui dobbiamo rispondere piu` concrete. Domanderemo: e` giusto in queste circostanze ricorrere a x? Oppure, quali sarebbero le ragioni per impedire al Dr. Ross (George Clooney nella serie televisiva ER) di ricoverare quel bambino? Lavorare su un case study facilita i processi di identificazione, e avvicina i dilemmi bioetici alla vita di tutti: ‘potrebbe succedere a me’. Le modalita` possono essere differenti: nei vari case study che analizzero` ci saranno differenti modi di procedere. Esistono pero` alcune condizioni necessarie: fornire le informazioni necessarie sul caso specifico e in generale (se parliamo degli aspetti morali di un caso di diagnosi genetica di preimpianto, ad esempio, e` necessario sapere in cosa consiste la diagnosi genetica di preimpianto, cosa sono le malattie genetiche, etc.); l’esplicitazione delle premesse; rispettare la razionalita` e la coerenza interna, etc. Una storia specifica puo` diventare un caso esemplare in grado di illuminare un problema morale (come risolvere x in determinate circostanze). La decisione finale deve essere razionalmente argomentata per aspirare ad essere una decisione valida ‘in generale’. Una regola morale che, seppure non definitiva, possa costituire un riferimento decisionale. Quali sono le caratteristiche che fanno di un caso un buon caso? Secondo Clyde Freeman Herreid (1997-1998), in base a una ricerca condotta nel 1978 all’Universita` di Harvard sull’uso dei casi come strumenti didattici, un buon caso deve avere alcune caratteristiche per avere una valenza didattica. Queste caratteristiche possono essere tenute in considerazione anche per un uditorio differente. Un buon caso deve raccontare una storia: deve in qualche modo riguardare l’esperienza degli uditori; deve avere un inizio, un corpo centrale e una fine. Un buon caso deve svilupparsi intorno a un tema centrale, deve
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diventare quanto piu` possibile ‘reale’ e sentito dagli studenti (e in generale dall’uditorio) come proprio. Un buon caso deve riguardare gli ultimi anni, deve essere di attualita`. Se gli studenti hanno gia` sentito parlare dell’argomento trattato, la loro attenzione sara` piu` vivace. Un buon caso deve creare empatia verso i protagonisti. Le caratteristiche dei personaggi del caso influiranno sulle decisioni degli studenti, essendo i loro valori e le loro credenze una parte integrante della decisione finale. Un buon caso include le testimonianze dirette dei protagonisti: documenti personali, lettere e cosı` via, contribuiscono a fornire realismo alla storia e ai protagonisti. In questo modo gli studenti si avvicinano alla vita e ai dilemmi su cui devono riflettere e decidere. Un buon caso deve essere rilevante per gli studenti. Se un caso tratta una situazione che gli studenti conoscono, sara` piu` facile ottenere il loro coinvolgimento. Perche´ sara` piu` facile suscitare empatia e piu` immediato esporre con chiarezza i dilemmi sottostanti. Un buon caso deve avere una utilita` pedagogica. Il caso deve soddisfare alcune richieste educative: qual e` la funzione di un caso? Quale il ruolo all’interno di un curriculum specifico? Qual e` il cuore della storia e quali finalita` pedagogiche si prefigge? Un buon caso stimola conflitti. E` animato da una controversia, da un dilemma che deve essere risolto con gli strumenti analitici e deve condurre a una conclusione. Questa conclusione non deve essere scontata, ma deve essere raggiunta attraverso un percorso complesso. Potrebbero esserci conclusioni diverse apportando modifiche: ad esempio, le credenze dei protagonisti, la concezione della vita e cosı` via. Un buon caso deve portare a una decisione finale. Gli studenti non si limitano a studiare il caso, ma devono essere parte attiva, devono decidere come se si trovassero in quelle circostanze e venisse chiesto loro di scegliere. Un buon caso deve avere una valenza generale. Se fosse soltanto un caso particolare non avrebbe valore. Deve essere applicabile in altre circostanze, deve in altre parole costituire una ‘regola’ generale valida in situazioni simili. Un buon caso e` breve. La brevita` evita che l’attenzione degli studenti venga meno. Devono essere forniti i dati principali. Altre informazioni possono eventualmente essere fornite nel corso della discussione (anche stimolate dalle domande degli studenti).
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7. Come si analizza un caso L’analisi dei casi avviene attraverso l’individuazione dei nodi principali della storia e del dilemma morale. Ogni caso sollevera` domande specifiche; ci sono pero` delle questioni generali cui si dovra` rispondere. 1. Quali sono le parti interessate (individui, istituzioni, societa`) nel caso che stiamo analizzando? 2. Quali interessi (economici, etici, finanziari, etc.) le singole parti hanno in questa storia? Quali interessi entrano in conflitto? 3. Le azioni delle diverse parti sono ammissibili (dal punto di vista morale, legale, del senso comune)? Se non lo sono, quali sarebbero le circostanze in cui queste stesse azioni sarebbero ammissibili? 4. Quali altre azioni sarebbero possibili per le parti? Quali sarebbero le conseguenze? 5. Per ogni parte coinvolta, quale corso di azioni verrebbe scelto e perche´? 6. Quali azioni possono essere scelte per evitare conflitti? Non e` detto che l’analisi di un caso conduca a una decisione che convinca tutti. Nel caso in cui manca il consenso, deve essere valutata la credibilita` delle diverse soluzioni. Molti problemi morali possono avere molteplici soluzioni; e a volte non c’e` una soluzione ottimale. La migliore soluzione puo` implicare conseguenze sgradite e indesiderabili. Questa molteplicita` di soluzioni non significa, ovviamente, che tutte le soluzioni vadano bene. Ve ne sono alcune inaccettabili, come nel caso della violazione di regole specifiche o di esplicita contraddizione con le credenze e i valori delle parti in questione. Tra le soluzioni inaccettabili possono rientrare anche quelle determinate dalla cieca aderenza a regole accettate (perche´ implicano la violazione di regole ancora piu` radicate, ad esempio, oppure perche´ causano la violazione di valori affermati con decisione, e cosı` via). Il processo di analisi che conduce alla decisione (ethical decision-making) e` un processo piuttosto che il raggiungimento di un esito. Gli errori, perlopiu`, si annidano in tale processo, nell’impostare l’analisi razionale delle questioni, nel non approfondire le caratteristiche dei protagonisti e nel raccogliere informazioni insufficienti sul caso specifico.
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Esempio 1: il caso degli embrioni congelati La storia: John e Peggy R. vivono a Seattle e sono sposati dal 1992. Entrambi desiderano dei figli, ma per molti anni tentano senza successo. Vanno in una clinica per l’infertilita`. Peggy si sottopone alle tecniche di procreazione assistita. Le vengono prelevati molti ovociti, sono fertilizzati con il seme del marito e numerosi embrioni vengono congelati. Per cinque volte si procede all’impianto, ma in nessun caso la gravidanza va a buon fine. Dopo pochi anni Peggy e John si lasciano. La clinica ha ancora 10 embrioni congelati, e Peggy decide di continuare a provare ad avere un figlio. Quegli embrioni congelati rappresentato, secondo Peggy, la sua ultima possibilita` di diventare madre. Ma John decide che non vuole avere bambini dalla sua ex moglie, e desidera donare gli embrioni alla ricerca. Che cosa dobbiamo sapere in generale: 1. Come e` possibile per una donna produrre piu` cellule uovo? 2. Quando le cellule uovo sono prelevate dalla madre nello stesso momento, gli embrioni potenziali diventeranno gemelli? Perche´ e perche´ no? 3. Gli embrioni congelati sono allo stadio di 4-8 cellule. Un embrione congelato puo` essere considerato legalmente alla pari di un essere umano adulto? 4. Gli embrioni congelati dovrebbero essere considerati come una proprieta`? E in particolare: 1. Qual e` la differenza tra la procedura descritta nel caso di Peggy e quella della clonazione di Dolly? 2. Chi, tra Peggy e John, dovrebbe essere considerato il ‘proprietario’ degli embrioni? 3. Quali sono le ‘buone ragioni’ di Peggy e quelle di John? Peggy e John hanno firmato un consenso secondo il quale gli embrioni non utilizzati sarebbero stati donati alla ricerca scientifica, ma gli embrioni non possono essere trasferiti dalla clinica o destinati altrove senza il consenso di entrambi i donatori. Il consenso stabilisce inoltre che, in caso di divorzio, la proprieta` sara` stabilita` in sede giudiziaria. Il desiderio di John ha avuto la meglio: la Corte di Washington ha stabilito che gli embrioni non sono esseri umani. La Corte di Stato invece
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ha dato ragione a Peggy: una volta che il seme e la cellula uovo si sono incontrati ha inizio una vita umana e la decisione di portarla alla nascita oppure no spetta alla donna. Alcune questioni conclusive: 1. Ci sono somiglianze tra la decisione della Corte rispetto agli embrioni e la scelta di abortire? 2. Esiste una contraddizione tra il considerare che la vita umana abbia inizio a partire dal concepimento e l’autorizzare l’interruzione di gravidanza? 3. Quali sono altri esempi in cui la giurisprudenza non tiene il passo delle nuove tecnologie? Esempio 2: Terri Schiavo Nel 1990 Terri ha un arresto cardiaco a causa della carenza di potassio nel sangue dovuta alla bulimia; soffre a lungo di mancanza di ossigeno al cervello. Torna a casa per poco tempo, ma le sue condizioni sono gravissime. Riceve cure intensive in Florida e in California. Nel 1998 Michael, il marito di Terri, chiede che le sia staccato il tubo dell’alimentazione (i genitori di lei si oppongono), perche´ cosı` lei avrebbe desiderato. Per anni Terri sara` al centro di polemiche e battaglie legali. Il 18 marzo 2005 il tubo viene staccato per la terza e ultima volta. Il 31 marzo Terri muore. Seppure in una versione sintetica degli avvenimenti, la storia di Terri solleva alcune domande fondamentali. 1. Quali erano le condizioni mediche di Terri: diagnosi approfondita, prognosi, e terapie possibili? 2. Qual e` lo statuto morale di chi si trova nelle condizioni di Terri? 3. In casi, come questo, di conflitto tra le parti (marito di Terri e genitori di Terri), chi dovrebbe decidere al posto del paziente? 4. Sarebbe stata possibile una prevenzione? 5. Quali sono le implicazioni del caso Schiavo per le persone gravemente disabili?
2 Organismi geneticamente modificati (OGM) Dubitare di tutto o credere tutto sono due soluzioni egualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere. Henry Poincare´, La scienza e l’ipotesi
Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati e` caratterizzato da semplificazioni e fraintendimenti sull’ingegneria genetica vegetale (la Chernobyl genetica, qualcuno l’ha definita). In Europa e nel mondo si e` diffusa una feroce e irrazionale contestazione degli organismi geneticamente modificati (OGM) che ha spinto in un angolo problemi ambientali ben piu` gravi e si e` nutrita di pregiudizi ideologici, di voci di corridoio, di ignoranza scientifica; ha raccolto sotto una unica bandiera individui piuttosto eterogenei, opposti schieramenti politici e, soprattutto, quasi la totalita` dei media. I governi del vecchio continente invocano il principio di precauzione e caldeggiano moratorie sugli organismi geneticamente modificati, accogliendo e inasprendo il parere negativo dell’opinione pubblica. Anna Meldolesi (2001) ha ricostruito, in un libro avvincente e somigliante alle vecchie e gloriose inchieste giornalistiche, le argomentazioni che hanno caratterizzato e alimentato un dibattito isterico e indifferente ai molti dati scientifici rassicuranti che le colture transgeniche hanno offerto a loro discolpa. E ha disegnato uno scenario, purtroppo, esemplare dei dibattiti sulle biotecnologie in generale.
1. Il precedente: la ‘mucca pazza’ Secondo Meldolesi la condanna irrazionale degli organismi geneticamente modificati affonda le radici nello scandalo della ‘mucca pazza’, che ha incrinato in modo irreversibile la fiducia che caratterizzava il rapporto tra consumatori, politici e scienziati. Il caso della encefalopatia spongiforme
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bovina (BSE) e` effettivamente contaminato da imperdonabili ritardi nell’accertamento del rischio e da errori grossolani, e da pressioni politiche per dissimulare il rischio nel consumare carne bovina infetta; significativamente, la prima pubblicazione scientifica sull’argomento risale al 1998, quando l’epidemia e` gia` in atto e il panico si e` diffuso. Le autorita` britanniche, in particolare il Ministero dell’Agricoltura (MAFF), si macchiano di gravissime colpe, e si ostinano a minimizzare il rischio per l’uomo fino a quando l’evidenza non costringe alla resa e all’ammissione che una nuova patologia umana abbia dei legami con il consumo di carne contaminata (e` il 1996; fin dal 1987 alcuni ricercatori del MAFF avanzano una ipotesi di rischio della encefalopatia spongiforme bovina per l’uomo). Il panico dilaga: i casi accertati di vittime di una variante della sindrome di Creutzfeldt-Jacob sono dieci, e nel giro di pochi mesi il rapporto tra questa variante e la encefalopatia spongiforme bovina riceve la conferma scientifica. La Gran Bretagna e` travolta dallo scandalo, e l’allarme si diffonde in tutta Europa. Il caso dalla encefalopatia spongiforme bovina si imprime a fuoco nella memoria delle persone, e crea un precedente che induce al sospetto verso le ‘novita`’ alimentari. Dopotutto se i governi hanno taciuto sulla mucca pazza, se gli scandali alimentari si moltiplicano tra polli alla diossina e uova alla salmonella, perche´ si dovrebbe credere a chi giura che i prodotti transgenici sono sicuri? [...] Chi puo` garantire che anche il cibo transgenico non riservera` qualche sorpresa? (Meldolesi 2001, p. 17).
2. L’encefalopatia spongiforme bovina1 L’encefalopatia spongiforme bovina, conosciuta anche con il termine di “BSE” (Bovine Spongiform Encephalopathy) o “malattia della mucca pazza”, e` una malattia neurologica di tipo degenerativo dei bovini ad esito costantemente fatale, rinvenuta per la prima volta in Inghilterra nel 1985 dove si e` manifestata in forma epidemica a seguito del consumo da parte di bovini di farine animali contaminate. Tale malattia rientra nel gruppo delle “encefalopatie spongiformi trasmissibili” definite anche come “TSE” (Transmissible Spongiform Encephalopathies), provocate da agenti non classificabili come virus o batteri. In
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I dati sono forniti dal Ministero della Salute.
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questo gruppo di malattie rientrano anche la scrapie degli ovi-caprini, la malattia di “Creutzfeldt-Jacob” dell’uomo, la Chronic Wasting Disease del cervo e dell’alce, l’Encefalopatia Trasmissibile del Visone (TME) e l’Encefalopatia Spongiforme Felina (FSE). Nel 1995 in Inghilterra e` stata individuata una “variante” della malattia di Creutzfeldt-Jacob caratterizzata dalla comparsa di un nuovo quadro sintomatologico in individui molto piu` giovani rispetto alla forma “classica” conosciuta in precedenza. Studi sperimentali ed epidemiologici effettuati su tale malattia hanno portato alla luce l’esistenza di un legame tra la BSE e la “nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob” che ha quindi portato questo gruppo di malattie all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Le encefalopatie spongiformi trasmissibili determinano una degenerazione progressiva del sistema nervoso centrale, hanno un periodo di incubazione molto lungo con un decorso clinico generalmente breve e provocano inevitabilmente la morte degli animali infetti. Gli agenti eziologici delle encefalopatie spongiformi trasmissibili non sono stati perfettamente identificati. Si prospettano 3 principali teorie sulla loro natura: 1. Gli agenti sono dei prioni, ovvero delle proteine anomale, principalmente isolate dal Sistema Nervoso Centrale. 2. Gli agenti sono un virus non convenzionale. 3. Gli agenti sono un virus “incompleto” (virino), costituito da acido nucleico protetto da proteine provenienti dall’animale infettato. Sono agenti eziologici che non evocano nessuna risposta anticorpale o infiammatoria da parte dell’animale ospite; inoltre sono molto resistenti al calore e alle normali procedure di disinfezione. La diagnosi certa della malattia si ottiene con l’identificazione di una proteina specifica denominata PrP resistente (“prione”), la quale si accumula all’interno delle cellule del sistema nervoso centrale (SNC) fino a provocarne la morte e successivamente si deposita nello spazio intercellulare. Rispetto ad altre encefalopatie spongiformi trasmissibili l’encefalopatia spongiforme bovina e` una malattia relativamente recente. E` stata infatti riscontrata per la prima volta nel Regno Unito nel novembre del 1986, dove si e` poi successivamente manifestata sotto forma di una imponente forma epidemica che ha colpito clinicamente oltre 180.000 bovini. Oggi si pensa che l’epidemia abbia avuto origine dall’utilizzo per l’alimentazione del bestiame di farine di carne derivate da carcasse bovine infette. L’utilizzo delle carcasse infette e le modifiche apportate intorno al 1981-82 alle
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tecnologie di produzione delle relative farine di carne (abbassamento delle temperature e modifica del solvente per l’estrazione dei grassi) avrebbero consentito la comparsa e la successiva diffusione della encefalopatia spongiforme bovina. Una seconda teoria inizialmente postulata prevedeva invece il riciclaggio, con le stesse modalita`, della scrapie (un’altra encefalopatia spongiforme trasmissibile che colpisce le pecore) attraverso carcasse di pecora infette. La responsabilita` delle farine di carne contaminate e` oggi ammessa dalla maggior parte del mondo scientifico, di conseguenza i vari Stati membri hanno ritenuto necessario prendere provvedimenti legislativi per quanto riguarda l’alimentazione dei ruminanti a cominciare dalla Gran Bretagna che nel 1988 ha vietato l’utilizzo di farine di carne per l’alimentazione dei ruminanti. Nel 1994 la Commissione Europea ha vietato la somministrazione di farine di carne di mammifero ai ruminanti. Oltre che in Gran Bretagna la encefalopatia spongiforme bovina e` stata segnalata, in numero inferiore, in diversi altri Paesi. La malattia si trasmette per via alimentare. Una possibile trasmissione dell’agente attraverso il semplice contatto tra animali sani e infetti (orizzontale) non e` stata dimostrata, mentre da madre a figlio (verticale) e` stata al momento dimostrata su base statistica nel 10% dei casi. L’agente e` stato finora isolato solo in specifici organi e tessuti degli animali colpiti, rappresentati da encefalo, midollo spinale, occhi, tonsille, piccolo intestino. La malattia si presenta dopo un lungo periodo di incubazione di circa 4-5 anni. I bovini colpiti da encefalopatia spongiforme bovina presentano una sintomatologia ad andamento progressivo, caratterizzata dalla presenza di sintomi diversi a volte presenti in contemporanea tra loro. Tra questi sono caratteristici: 1. L’apprensione. 2. L’esagerata reazione a stimoli sonori o tattili effettuati in particolare sul collo. 3. Il nervosismo che puo` portare in alcuni casi anche a forme di aggressivita` verso altri bovini o personale di stalla. 4. La difficolta` a superare ostacoli seppur piccoli o entrare in passaggi stretti od angolati. 5. Il tremore o la contrazione muscolare di labbra, muso, orecchie, collo. 6. Il lento dimagrimento e il calo della produttivita`. Questi rappresentano i sintomi “classici”, ma nel corso di indagini effettuate nell’ambito della attivita` di sorveglianza attualmente svolta in
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Italia, e` stato possibile osservare che bovini colpiti da BSE possono presentare anche sintomi molto piu` generici, usualmente molto comuni negli animali allevati, quali ad esempio incapacita` ad alzarsi dopo il parto o instabilita`. Gli animali colpiti vengono inesorabilmente a morte in media dalle 2 settimane ai 6 mesi dopo la comparsa dei sintomi. La diagnosi di certezza puo` essere fatta solo dopo che i soggetti sospetti sono deceduti in quanto occorrono specifiche porzioni di cervello su cui per poter effettuare determinate prove di laboratorio. Normalmente vengono effettuate tre prove: 1) Istopatologica. 2) Immunoistochimica. 3) Western-blot. A partire dal 2001 vengono utilizzati come metodo di screening sui bovini macellati i cosiddetti “test rapidi” (risultato medio in 24 ore dall’accettazione del campione da parte del laboratorio) che permettono di elevare un fondato sospetto di BSE sui soggetti risultati positivi. Per tali soggetti devono essere comunque poi effettuate le prove di conferma definitiva.
3. Il cibo di Frankenstein La causa dell’atteggiamento sospettoso verso gli organismi geneticamente modificati e` senza dubbio legittima; pero` la sua pervicacia di fronte a rassicurazioni basate scientificamente (di contro alla reticenza britannica ai tempi dell’encefalopatia spongiforme bovina) e` irrazionale e dimostra una ostinazione cieca. L’opinione pubblica fatica a distinguere la raffinatezza tecnologica della produzione ingegnerizzata di alimenti dall’impiego di farine animali per l’allevamento bovino (farine animali contaminate che hanno fortemente contribuito alla diffusione dell’epidemia bovina). Ma la prossimita` temporale rafforza il legame tra il pericolo reale della ‘mucca pazza’ e il pericolo soltanto presunto degli alimenti transgenici; e la mancanza di una politica trasparente a livello nazionale e comunitario circa gli organismi geneticamente modificati non tranquillizza gli animi e non spegne gli allarmismi e le previsioni catastrofiche. Il fronte antitransgenico ha anche un eroe, un martire: Arpad Pusztai, ricercatore del Rowett Institute di Aberdeen, che un giorno dichiara di avere le prove della pericolosita` dei cibi transgenici in base a esperimenti che egli avrebbe condotto – cinque ratti nutriti per circa 4 mesi con patate modificate presenterebbero un rallentamento nella crescita e una diminuzione delle difese immunitarie. E` il 10 agosto 1998, e nel clima gia` surriscaldato questa testimonianza
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e` una bomba. Si succedono polemiche, colpi di scena, minacce di licenziamento per Pusztai da parte del Rowett Institute, ritrattazioni e rassicurazioni parziali da parte delle autorita` scientifiche e dello stesso Pusztai, scandali giornalistici. Prima della dimostrazione della estrema debolezza delle tesi di Pusztai passa piu` di un anno (si veda il rapporto della Royal Society diffuso il 18 maggio 1999: www.gn.apc.org/pmhp/dc/genetics/royal2 soc.htm ): durante questi mesi le autorita` politiche prendono decisioni alla cieca per tacitare una opinione pubblica incontrollabile, e hanno inizio le prime contestazioni, quelle ‘gentili’, come il manuale per la decontamina3 zione antitransgenica , e quelle violente e vandaliche, come la distruzione dei campi transgenici. L’annunciata catastrofe delle patate transgeniche non e` un caso isolato, e non smette di agitare gli animi nonostante ne sia stata dimostrata l’infondatezza e la comunita` scientifica non giudichi opportuno neanche ripetere gli esperimenti di Pusztai in cerca di una qualche credibilita` scientifica. Nel maggio 1999 ad attirare i sospetti e` il Bt-mais, concepito per evitare l’uso dei pesticidi chimici e accusato di minacciare la sopravvivenza delle farfalle monarca, le farfalle arancioni striate di nero (per informazioni circa le farfalle monarca, vedi www.monarchinfo.com/monarche´brochure/factors/index.htm). Ancora oggi le loro ali spiccano sui poster delle campagne americane contro i cibi transgenici (con la scritta ‘La prossima specie in via di estinzione?’), nonostante da anni gli ambientalisti denuncino il declino numerico di queste farfalle a causa della distruzione del loro habitat e delle comuni pratiche della vecchia agricoltura industriale. Un solo esperimento condotto, qualsiasi affermazione soltanto verosimile sugli organismi transgenici, sono in grado di ritrascinare l’opinione pubblica nel terrore; esiste una spiccata asimmetria tra la causa sufficiente a scatenare la reazione di panico, e la quantita` di dimostrazioni richieste per sopire il sospetto. Oltre alla scarsa disposizione a cambiare idea nei riguardi dei prodotti geneticamente modificati, e` impressionante la trascuratezza nei riguardi dei rischi e dei danni ‘tradizionali’: urbanizzazione, industrializzazione, presenza di pesticidi, per citarne solo alcuni. L’unico 2
I 6 rapporti di specialisti consultati dalla Royal Society: www.freenetpages.co.uk/hp/A. Pusztai/RoyalSoc/ReportsandReplies/RSe´refereee´reports.txt, e le repliche di Pusztai: www.freenetpages.co.uk/hp/A.Pusztai/RoyalSoc/ReportsandReplies/RSe´refereee´reporte´comments.txt; inoltre la corrispondenza tra Pusztai e la Royal Society: www.freenetpages.co.uk/hp/A.Pusztai/correspondace.htm. 3 Il manuale e` ideato dal gruppo GenetiXsnowballer ed e` disponibile presso il loro sito: www.gn.apc.org/pmhp/gs/handbook/index.htm.
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imputato e` la nuova biotecnologia agricola, che riesce a garantire l’assoluzione all’inquinamento, all’uso dei pesticidi, o alla deforestazione. Quali sono le radici profonde del cosı` diffuso rifiuto degli organismi geneticamente modificati? Questo irragionevole atteggiamento muove da paure fantascientifiche costruite sull’ignoranza4 dei processi biologici piu` elementari fino a problemi reali decisamente sovradimensionati. E non c’e` da stupirsi troppo se portare un po’ di razionalita` nel dibattito e` un compito tanto arduo (Meldolesi 2001, p. 61).
«I pomodori geneticamente modificati contengono geni, quelli normali no», e` stata la risposta forse piu` strampalata a un questionario per rilevare la conoscenza in tema di biotecnologie. Risposta che suscita, dopo una sommessa risata, preoccupazione e allarme per il livello di analfabetismo scientifico. E ancora: «ma se il riso non lo mangia il parassita, perche´ dovrei mangiarlo io?», ha risposto un cittadino piemontese a un biotecnologo che illustrava i vantaggi del riso geneticamente modificato sperimentato in zona (Bucchi e Neresini, 2006). La scarsa conoscenza dei processi biologici spesso si accompagna (anzi, spesso da` origine) alla interpretazione della manipolazione dei geni come un attentato alla Natura, un atto di arroganza foriero di pericoli, un gesto che promette vantaggi e invece scoperchia un vaso di Pandora. Alla base di questa interpretazione vi sarebbe l’idea che esista un ambiente naturale caratterizzato da equilibrio e armonia che verrebbe sconvolto dalle manipolazioni genetiche. Una specie di Arcadia agricola corrotta dall’uomo. Ma, e` evidente, la maggior parte di quello che viene chiamato ‘ambiente’ non e` altro che il prodotto dell’azione degli organismi viventi. Se si pensa all’agricoltura e` ancora piu` lampante: tutte le specie agricole esistono perche´ sono state create dall’uomo, che per millenni ha selezionato e incrociato le specie vegetali da coltivare (le varieta` agricole sono profondamente innaturali), spostando migliaia di geni e perseguendo lo stesso scopo che persegue l’agricoltura transgenica – aumentare la produttivita`, la resistenza alle malattie e ai parassiti, l’adattamento alle condizioni ambientali sfavorevoli –; la differenza e` che l’agricoltura transgenica si avvale di tecniche assai piu` precise rispetto a quella tradizionale.
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Il sondaggio della Comunita` europea sui cibi transgenici dimostra una disfatta dei sistemi educativi dell’Europa: http://europa.eu.int/comm/researc/pdf/eurobarometer-en.pdf.
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4. Agrobusiness: rivoluzione biotecnologica La storia degli organismi geneticamente modificati non puo` prescindere dall’analisi del loro impatto deflagrante sull’agrobusiness. Prima dell’immissione in commercio delle sementi geneticamente modificate il percorso dalla produzione alla commercializzazione dei prodotti agricoli era piuttosto stabile: industrie agrochimiche, compagnie di sementi, agricoltori e industrie di lavorazione davano vita a un gioco che negli anni sembrava destinato a conservare le stesse regole. Le sementi modificate sconvolgono il precedente sistema di relazioni, e implicano una rivoluzione tanto nei rapporti tra le diverse tipologie di industrie, che all’interno delle singole industrie. Tutte le industrie chimiche e farmaceutiche hanno avviato una ricostruzione delle strategie industriali per affrontare la rivoluzione biotecnologica. Monsanto, DuPont, Novartis – per nominare solo alcuni di questi giganti – vivono travolgenti entusiasmi e dolorose cadute. L’investimento sulle life sciences richiede ristrutturazioni strategiche, coraggiose scommesse economiche, accorpamenti, e qualche volta determina fallimenti e ingenti perdite di capitali e di prestigio. Un rischio consistente e` quello di rimanere schiacciati dal sospetto dei consumatori e da regolamentazioni restrittive. A causa di questo clima, la ricerca in campo agroalimentare rischia di subire pesanti rallentamenti – la scelta della policy e` fortemente condizionante per il destino delle biotecnologie alimentari. E` sorprendente, ma il principio di precauzione sembra valere esclusivamente per gli organismi geneticamente modificati e non per i prodotti creati con le tecniche classiche. Il rischio transgenico viene indagato isolandolo dal contesto e da` l’impressione di mettere in ombra l’eventualita` di un rischio anche per i prodotti agricoli tradizionali, non sottoposti ai severi controlli che gli organismi geneticamente modificati devono superare. Il kiwi, ad esempio, ha caratteristiche allergeniche riconosciute, eppure non e` stata presa nessuna precauzione per limitarne il consumo. Esiste poi un prodotto transgenico molto particolare: il riso arricchito di β-carotene (diretto precursore della vitamina A), nato da decenni di ricerca pubblica e finalizzato a risolvere i problemi di malnutrizione dei Paesi piu` poveri (questa varieta` non avrebbe potuto esistere con le tecniche tradizionali di incrocio, i semi saranno forniti gratuitamente ai piccoli agricoltori e saranno incrociati con le varieta` locali per favorire la biodiversita`). A causa delle sue caratteristiche, il golden rice potrebbe modificare la percezione pubblica delle biotecnologie agricole, incrinando cosı` il fronte di opposizione transgenico; ma soprattutto costituisce un potente microscopio usato da Meldolesi per stanare le deformazioni e le assurdita`
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nel dibattito sugli organismi geneticamente modificati. Inoltre, la creazione del riso dorato arricchito di vitamina A rappresenta un importante successo scientifico: Ingo Potrykus e Peter Beyer hanno dedicato anni della loro ricerca al miglioramento della qualita` nutritiva del riso, che per molte popolazioni costituisce l’unica fonte di sopravvivenza. Le conseguenze di una dieta basata sul riso sono elevata mortalita` infantile e cecita` perma5 nente (causate dalla carenza di vitamina A ; una integrazione vitaminica potrebbe salvare milioni di bambini, e l’inserimento della vitamina all’interno del riso potrebbe aggirare le difficolta` sollevate dalle soluzioni tradizionali – come la distribuzione di pillole vitaminiche oppure l’incoraggiamento a coltivare verdura. Il fronte transgenico non demorde, e le polemiche contro il golden rice sono violente, fantasiose e spesso contraddittorie. Esse vanno dalla denuncia di inutilita` dell’aggiunta di β-carotene, a quella di dannosita` (molti dei critici hanno sostenuto disinvoltamente entrambe le obiezioni contemporaneamente: il β-carotene presente nel golden rice sarebbe allo stesso tempo inutile e dannoso); dall’accusa verso i ricercatori di volersi arricchire, alla critica di eccesso di ottimismo nel volere risolvere i problemi di malnutrizione tramite un approccio tecnofilo verso le politiche alimentari. La replica puo` essere affidata alle parole di Potrykus che, dopo avere smentito i presunti rischi causati dall’assunzione di β-carotene, risponde alle accuse del Rural Advancement Foundation International (RAFI) di avere ceduto il golden rice alle industrie, ribadendo l’uso umanitario del prodotto: L’idea di usare questi fondi per una ricerca competitiva e allo stesso tempo utile per la sicurezza alimentare e` stata una mia libera scelta. Avrei potuto usare gli stessi soldi per studiare perche´ i peli delle foglie della piccola infestante Arabidospis thaliana talvolta sono biforcati in due e talvolta in tre parti. Ma probabilmente se mi fossi dedicato a studiare la peluria delle foglie non avrei avuto alcun problema con voi, ne´ con Greenpeace, ne´ con tutti gli altri oppositori (Meldolesi 2001, p. 146).
Nonostante le polemiche, il riso arricchito di β-carotene, dopo essere sottoposto a scrupolose analisi (tossicita`, allergenicita`, biodisponibilita`, studi ambientali e socio-economici) dovrebbe finalmente arrivare nelle mani dei piccoli coltivatori dei Paesi poveri, portando una speranza per la vita e la salute di milioni di individui.
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A proposito delle implicazioni della carenza di vitamina A sulla salute pubblica si veda www.who.int/nut, e www.unicef.org/vitamina.
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5. Occidente e Italia In Occidente il dibattito sugli organismi geneticamente modificati e` innegabilmente politicizzato; e se e` indubbia la diffidenza trasversale espressa dai consumatori benestanti, l’ostilita` manifesta e` propria dell’estrema sinistra, spesso supportata da una avversione piu` cauta da parte dell’ala riformista. E` interessante rivolgere l’attenzione a quanto accade in tema di rivoluzione biotecnologica in Paesi in cui il socialismo e` al potere. La Cina e` una entusiasta sostenitrice dell’ingegneria genetica a tutto campo; a Cuba l’agricoltura biologica convive armoniosamente con quella transgenica; in Brasile la lotta contro il transgenico si serve di misure poco democratiche. Le reazioni sollevate dagli organismi geneticamente modificati sono a dir poco contraddittorie, e indubbiamente caratterizzate dalla carenza di spirito critico e buon senso, forse smarriti nel dibattito assordante di questi anni. In Italia la situazione e` ben poco lusinghiera: non soltanto l’Italia ha subito passivamente la corrente antitransgenica, ma addirittura nel 2000 e` stato il Paese europeo piu` ostile nei confronti delle tecnologie agroalimentari. Il Ministero dell’Agricoltura ha bloccato la ricerca pubblica, scatenando la ribellione della comunita` scientifica, e il governo ha sospeso la commercializzazione di alcuni prodotti geneticamente modificati (farine, amidi e oli) tramite un decreto dell’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, confuso, pieno di errori dal punto di vista scientifico e giuridicamente dubbio. Un decreto, peraltro, smentito tempestivamente 6 dal parere dello Scientific Committee on Food . L’analisi del caso italiano offre l’occasione di illuminare, ancora una volta, la radicata irrazionalita` che caratterizza i processi decisionali in tema di sicurezza alimentare. Al di la` della ingiusta sospensione della commercializzazione dei prodotti in questione e del loro burrascoso destino, il danno piu` grave causato dal decreto Amato riguarda la risonanza su una opinione pubblica, che gia` confusa e disorientata e` stata indotta a credere che i prodotti geneticamente modificati in commercio non siano sicuri. E, cosa ancora peggiore, il mondo politico italiano ha avuto l’ennesima conferma che il rispetto dei fatti e delle verita` scientifiche puo` essere calpestato impunemente (Meldolesi 2001, p. 200).
Il bilancio e` deprimente: l’ostruzionismo e la smodata forzatura pru6
http://europa.eu.int/comm/food/fs/sc/scf/out66e´en.pdf.
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denziale hanno comportato il sacrificio di una policy razionale e il baratto del rispetto dei fatti e di una corretta informazione con un facile consenso elettorale. L’unica soluzione possibile consiste nel ricercare un confronto razionale con argomenti che la stampa e la politica trattano con superficialita` e passivita`, scavando dietro alle direttive europee e ai provvedimenti ufficiali. Il confronto razionale e la battaglia contro le reazioni quasi automatiche di condanna sono obiettivi difficili, anche in presenza di rassicurazioni. E` un problema che affligge tutte le biotecnologie. A proposito di organismi geneticamente modificati, solo per fare un esempio, nell’aprile del 2006 l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha sdoganato 5 prodotti geneticamente modificati vietati in alcuni Paesi dell’Unione europea (Ogm, l’agenzia alimentare europea sdogana 5 prodotti, Reuters Italia, 12 aprile 2006). I divieti riguardavano tre tipi di sementi di mais e due di colza. L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha dichiarato: Non ci sono motivi di credere che la presenza sul mercato di questi cinque Ogm possa causare con qualche probabilita` un effetto negativo sulla salute delle persone, degli animali o sull’ambiente.
Chissa` se una simile rassicurazione, con il tempo, contribuira` a modificare la percezione degli organismi geneticamente modificati da 7 parte dell’opinione pubblica; e a diminuire il sospetto che suscitano . Ci si puo` augurare che agli organismi geneticamente modificati e alle biotecnologie venga almeno concesso il beneficio del dubbio invece che l’immediata riprovazione.
6. Il principio di precauzione Viene scongiurata spesso la cautela o la prudenza quale limite alla temeraria ‘scienza’. Il principio di precauzione sembra essere diventato l’attuale rimedio per la tracotanza umana, immortale e da sempre foriera di terribili mali e oggi genitrice di antichi fantasmi in abiti tecnologici (la definizione ‘cibo di Frankestein’ per denotare gli alimenti geneticamente modificati e` significativa). Richiamare il principio di precauzione e` ormai 7
Per una ricostruzione del dibattito recente, dei luoghi comuni e delle reazioni alle biotecnologie si veda Bucchi e Neresini (2006).
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una abitudine diffusa, di cui pochi osano domandare il significato e meno che mai svelarne l’ambiguita`. Che cosa vuol dire esattamente ‘precauzione’? Esistono numerosi sinonimi, ma il punto e`: come dovremmo comportarci se qualcuno ci dicesse: ‘sii cauto’ (l’equivalente e` l’affermazione del principio di precauzione come principio guida)? Non sarebbe immediatamente chiaro; ma anche nel caso in cui venisse specificato il seguito (‘sii cauto nell’usare le tecniche riproduttive’, ad esempio, o nel trattare gli organismi geneticamente modificati), continueremmo ad avere dei problemi. Il principio di precauzione difetta di una definizione precisa. E` uno strumento che sembra essere adatto a tutte le circostanze: in altre parole e` inservibile; o meglio, e` utilizzabile soltanto arbitrariamente. Come un passepartout universale e magico che apre le porte ma non si capisce come. Sono in molti a rintracciare in questa ‘adattabilita` universale’ un pregio, o almeno a non condannarne l’eccesso di formalita`: «e` un principio generale, non un pacchetto di regole, e deve essere rispondente al contesto sociale ed ecologico» (Raffensperger e Barrett 2001). Non vengono pero` specificati i criteri del suo utilizzo. Quando si tenta di disciplinarne l’applicazione, il risultato non e` convincente. Proseguono Carolyn Raffensperger e Katherine Barrett (2001): «se c’e` una ragione per credere che una tecnologia oppure una attivita` possa essere dannosa e c’e` una incertezza scientifica riguardo alla natura e all’estensione di questo danno, allora le misure per anticipare e prevenire il danno sono necessarie e giustificabili». Ecco il problema serio: come ci si deve comportare di fronte al rischio? Il principio di precauzione non sembra costituire una buona soluzione. Perche´ rischia di essere o troppo permissivo, oppure intransigente – in entrambi i casi, insensato e dannoso. Non e` chiaro perche´ in presenza di rischi accertati bisognerebbe essere cauti invece che intransigenti, ne´ perche´ in assenza di rischi si debba essere cauti. Nelle situazioni di lieve rischio (cosı` come e` sempre avvenuto nelle sperimentazioni della medicina o nelle sperimentazioni della scienza) il richiamo alla precauzione bloccherebbe la ricerca e impedirebbe la sperimentazione stessa (che inevitabilmente implica una dose di rischio, ridotta al minimo possibile ma pur sempre presente). Pretendere di azzerare quel margine di rischio e` ingenuo e inverosimile, e implica proibizioni e vincoli irragionevoli. La ricerca farmacologica si spinge a un grado di sicurezza elevata prima di sperimentare sugli uomini, ma questa sicurezza non puo` mai essere assoluta (il “rischio zero” non esiste); inoltre, il valore di rischio della sperimentazione e` il risultato della valutazione del rischio potenziale del nuovo farmaco e del rischio sicuro della patologia che si vuole sconfiggere. La valutazione del
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rischio non puo` mai avvenire in un contesto di beato isolamento. La prudenza, in alcuni casi, puo` addirittura diventare criminale. La sperimentazione in campo oncologico, per esempio, comporta dei rischi e i protocolli sperimentali partono in assenza di una totale sicurezza riguardo alla loro efficacia e agli effetti collaterali. Ma il cancro e` un rischio senza dubbio superiore al rischio che si manifestino alcuni effetti collaterali della nuova terapia (una volta esclusi, ragionevolmente, quelli piu` gravi) o al rischio di inutilita` del farmaco in uso. Il principio di precauzione si offre come uno strumento versatile; e questa ambiguita` gli permette di servire scopi completamente differenti, addirittura opposti. E` indubbio, pero`, che la sua originaria, bonaria e ambivalente accezione neutrale (‘sii cauto nell’agire’), abbia lasciato il posto a un significato quasi esclusivamente di divieto o di scoraggiamento (‘non agire’). Nancy Myers (2002) ricorda l’origine tedesca del principio di precauzione: Vorsorgeprinzip. Vorsorge e` traducibile con forecaring piuttosto che con precaution. To care fore – ovvero interessarsi di qualcosa in anticipo, ma anche preoccuparsi in anticipo. Che Myers propenda per il secondo significato allarmista e` dimostrato da quanto segue: «Vorsorge introduce il significato di prepararsi per una difficolta` futura, come quando si fanno scorte di cibo e candele prima di una tormenta». Il principio di precauzione avvia un piano inclinato di immobilita` e di stasi scientifica. Se si applicasse (e perche´, poi, non dovrebbe essere applicato ovunque se viene considerato una valida cintura di sicurezza nel campo delle biotecnologie?) agli aeroplani o ai parti cesarei implicherebbe l’abbandono di queste tecnologie in nome di un rischio che non e` il caso di correre. Gli aeroplani cadono e i parti cesarei comportano una percentuale di complicazioni e di morte, ma non per questo motivo vengono scoraggiati ne´ vietati. E allora viene da domandare: perche´ in questi casi il principio di precauzione non dovrebbe valere? Perche´ con gli aerei si puo` essere sconsiderati e temerari, e rispetto alla clonazione o agli organismi geneticamente modificati si deve rispettare una cautela – che altro non significa che vietare e scoraggiare? Che cosa rende differente una patata tradizionale da una geneticamente modificata rispetto ai test di sicurezza alimentare cui sottoporle? Ma soprattutto, che cosa rende le biotecnologie il bersaglio preferito dell’azione soffocante del principio di precauzione? Henry I. Miller e Gregory Conko (Meldolesi 2001) affermano: La paura di cio` che e` nuovo e la tentazione di restare saldamente ancorati allo status quo sono sentimenti umanamente comprensibili, specialmente se
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le nuove tecnologie appaiono arcane (la fissione nucleare) o vengono percepite come una manomissione della natura (l’ingegneria genetica). Ma la percezione del rischio si struttura intorno a un’asimmetria di base: mentre i potenziali pericoli legati a un nuovo prodotto tendono a essere facilmente riconoscibili, i vecchi rischi che potrebbero essere ridotti con l’introduzione di un nuovo prodotto vengono spesso trascurati. Per questo la distorsione nella percezione del rischio, benche´ comprensibile a livello individuale, necessita di correttivi razionali quando politici e regolatori sono chiamati a provvedere a una gestione efficace delle nuove tecnologie e dei nuovi prodotti. Sfortunatamente l’approccio precauzionale, cosı` come oggi viene applicato, va nella direzione esattamente contraria (p. X, i corsivi sono miei).
L’esempio che Miller e Conko portano per evidenziare il rischio del principio di precauzione e` allarmante. Sulla scia di una feroce campagna ambientalista contro i composti del cloro alcuni attivisti hanno chiesto che il cloro fosse eliminato dall’acqua potabile. Alla fine degli anni ottanta alcuni ambientalisti hanno sostenuto che vi era la possibilita` che la presenza di derivati del cloro rendesse cancerogena l’acqua potabile. In quegli stessi anni il Peru` stava attraversando una crisi economica, e i funzionari hanno deciso di prestare fede alla possibilita` di un rischio cancerogeno causato dal cloro, e hanno interrotto la clorazione di molta acqua potabile del paese. Secondo il parere di alcuni esperti in malattie infettive la volonta` di cautela e di riduzione del presunto rischio cancerogeno ha contribuito all’epidemia di colera scoppiata nella prima meta` degli anni novanta: tra il 1991 e il 1996 in America Latina quasi un milione e mezzo di persone sono state contagiate e undicimila sono morte. Il principio di precauzione, e` evidente, non e` innocuo; la sua ambivalenza deve essere illuminata, cancellando quella ingenua visione secondo la quale il principio di precauzione sarebbe un principio morale di indubbia tenuta e i cui effetti non possono che essere benefici. E` «un lupo nei panni di una pecora» (Conko e Miller 2001), e la sua natura aggressiva deve essere smascherata. Insomma, oltre a essere dubitabile che il principio di precauzione implichi sempre la scelta preferibile e moralmente piu` giusta, la sua incauta applicazione puo` rivelarsi rovinosa. E` bene non dimenticare che anche non agire comporta conseguenze e non puo` sottrarsi a una valutazione morale.
3 Espianto di organi Il signor L. Prosser era, come si suol dire, soltanto umano. In altre parole era una forma di vita bipede a base carbonio, discendente da una scimmia. Douglas N. Adams, Guida galattica per gli autostoppisti
1. ‘Tutto su mia madre’1 Siamo in un ospedale, un uomo giace in un letto e il tracciato dell’elettroencefalogramma e` piatto. L’ospedale si mette in contatto con il centro che organizza i trapianti (ci sono gli elenchi di tutti i potenziali riceventi) per segnalare la disponibilita` di organi e fornire le caratteristiche del donatore. Nello stesso ospedale si svolge una simulazione a scopo didattico. La simulazione consiste in un dialogo tra una donna il cui marito e` in coma cerebrale e due medici che le spiegano la situazione e le chiedono l’autorizzazione per l’espianto. Medico 1: Suo marito e` morto. Donna: Non puo` essere, l’ho appena lasciato in terapia intensiva. Respirava. Medico 2: Le abbiamo gia` spiegato, sono le macchine. Da vivo suo marito le ha detto qualcosa riguardo alla donazione di organi, si preoccupava di queste cose? Donna: Da vivo mio marito si preoccupava solo di vivere. Medico 2: Pero` suppongo che fosse solidale con la vita degli altri. Donna: Non capisco. Medico 1: Quello che il mio collega vuole dirle e` che gli organi di suo marito possono salvare la vita a dei malati. Ma ci occorre la sua autorizzazione per questo. 1
Todo sobre mi madre, 1999, di Pedro Almodo´var, con Cecilia Roth, Marisa Peredes, Pene´lope Cruz, Candela Pen˜a.
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Donna: Ossia per potergli fare un trapianto? Medico 1: Non esattamente. Il contrario.
E` palese l’ambiguita` del concetto stesso di ‘morte’. I medici parlano di morte cerebrale, mentre la donna identifica la morte con la cessazione della respirazione (e potremmo dire con il battito cardiaco, in altre parole con la morte totale dell’individuo, la morte tradizionalmente intesa): non puo` essere morto, respirava. Si scontrano il significato medico e il senso comune. La convinzione che il marito sia in vita nel senso tradizionale fa chiedere alla donna: ‘per potergli fare un trapianto?’. E` verosimile pensare che ci siano anche resistenze di natura psicologica a prendere coscienza della morte del marito; ma senza dubbio la morte cerebrale, morte per sineddoche potremmo dire, rende necessario l’abbandono dell’identificazione tra respiro e vita in senso pieno. Identificazione difficile da scardinare. La definizione di morte cerebrale, inoltre, pone come premessa la differenza tra il corpo e la mente, tra l’organismo vivente e la persona.
2. Dilemmi correlati: equa distribuzione delle risorse e commercio d’organi Il trapianto di organi solleva inevitabilmente altri dilemmi: l’equa distribuzione delle risorse; i criteri di trapianto e la commercializzazione degli organi. L’equa distribuzione delle risorse: e` un problema che emerge ogni volta che un bene e` disponibile in misura inferiore rispetto a coloro che ne avrebbero bisogno. Nel campo sanitario e` frequente: dalla distribuzione dei farmaci all’assistenza medica; dai posti letto disponibili alle terapie intensive. E` un problema che emerge anche per la concessione di case popolari o di risorse economiche; o per i biglietti disponibili per un concerto. La differenza si radica nella considerazione del bene: se, ad esempio, la salute viene giustamente considerata un bene necessario e che dovrebbe essere garantito a tutti, la possibilita` di assistere a un concerto rientra in quei beni superflui la cui fruizione non solleva profondi dilemmi morali. E` necessario stabilire dei criteri di priorita`, una gerarchia dei potenziali riceventi nel caso dei trapianti. Quali potrebbero essere i criteri? Un primo possibile criterio potrebbe essere il tempo: una lista d’attesa ordinata in base al giorno della richiesta, come al supermercato o alle poste. Un simile criterio, pero`, trascura del tutto la valutazione medica: non sarebbe moralmente ammissibile rispettare un simile criterio cronologico e destinare l’unico rene disponibile a X affetto da un malfunzionamento non
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letale piuttosto che a Y che versa in condizioni piu` gravi (potrebbe rischiare la vita), soltanto perche´ X si e` inserito nella lista prima di Y. Sembra ragionevole tenere in considerazione la gravita` dello stato di salute dei possibili riceventi. Se Y rischia di morire qualora non fosse immediatamente sottoposto al trapianto, mentre X puo` permettersi di aspettare ancora, bisognerebbe indicare come primo ricevente Y, con il proposito di salvare la vita a entrambi (a X andra` il prossimo organo disponibile, non rischia di morire). Tuttavia il criterio della maggiore gravita` del ricevente ha un risvolto problematico: potrebbe essere che il trapianto su Y, proprio a causa della maggiore gravita` delle sue condizioni, abbia poche speranze di riuscita (mettiamo, il 20%), mentre oggi X avrebbe una prospettiva di successo elevata (l’80%). L’attesa del prossimo organo disponibile potrebbe essere direttamente proporzionale al peggioramento delle condizioni di X, tanto da condurlo alla stessa percentuale di successo di Y in poche settimane. Non sarebbe allora preferibile avvalersi del criterio della previsione della maggiore riuscita del trapianto? Anche a costo della morte certa di Y? Ogni criterio ha delle conseguenze sgradite, e la scelta inevitabilmente comporta un esito non ideale. Alcuni criteri sono inaccettabili o peggiori di altri: e` il caso del criterio economico. In questo scenario soltanto le persone benestanti potrebbero permettersi di ricevere un organo, e un bene necessario come la salute verrebbe equiparato a un bene di lusso (potremmo accettare che il criterio economico valga per l’allungamento artificiale dei capelli, ma non per l’assistenza medica nel caso di un infarto). Il problema dell’equa distribuzione delle risorse implica anche il tentativo di risolvere la carenza di beni disponibili, ad esempio incentivando la donazione oppure sviluppando linee di ricerca sostitutive. (E` recente la notizia che sono stati creati degli organi destinati alla sostituzione di organi originaria danneggiati. Nell’aprile 2006 a sette giovani pazienti e` stata impiantata una vescica artificiale. Erano state prelevate loro cellule del tratto urinario con una biopsia. Lasciate moltiplicare in laboratorio, sono poi state inserite su un’impalcatura tridimensionale simile a una vescica umana. L’intervento e` stato eseguito negli Stati Uniti, presso l’Istituto di Medicina Rigenerativa della Wake Forest University School of Medicine, nell’ambito di una ricerca avviata nel 1999 e condotta dal dottor Anthony Atala e il suo team. I malati, tra i 4 e i 19 anni, soffrivano per una bassa funzionalita` della vescica, a causa di un difetto congenito. Finora l’unico rimedio sarebbe stato la ricostruzione della vescica con cellule intestinali. Ricostruzione che causa pero` molti effetti collaterali. La speranza e` che si riesca a coltivare altri tessuti, in modo da poter sostituire
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quelli danneggiati, fino a ricreare organi complessi come il fegato o il cuore. Il team di Atala sta gia` lavorando alla coltivazione in laboratorio di altri 20 tipi di tessuto. Una simile soluzione risolverebbe anche il rischio di rigetto, dovuto alle naturali difese del sistema immunitario.) La legge italiana propone di considerare tutti potenziali donatori, a meno che non ci sia l’esplicita dichiarazione di non volere donare i propri organi: e` la legge chiamata del silenzio-assenso (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti, n. 91, aprile 1999). Articolo 4 (Dichiarazione di volonta` in ordine alla donazione), 1: “Entro i termini, nelle forme e nei modi stabiliti dalla presente legge e dal decreto del Ministro della sanita` di cui all’articolo 5, comma 1, i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volonta` in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volonta` e` considerata quale assenso alla donazione, secondo quanto stabilito dai commi 4 e 5 del presente articolo”. Quali altre soluzioni si potrebbero trovare? Ad esempio, John Harris ha proposto, e ha scatenato feroci polemiche, che si renda legale la vendita di organi al sistema sanitario nazionale, in accordo con molti chirurghi. Sostiene Harris: La vendita legale evitera` che i piu` ricchi usino il loro potere di acquisto per dominare il mercato, a scapito dei piu` poveri. Il servizio sanitario acquisterebbe organi e tessuti allo stesso modo in cui compra farmaci o macchine per la dialisi. In questo modo ci sarebbero tanti organi a disposizione quanti ne servono, senza costi per chi ne ha bisogno.
Ammesso che si accetti una simile proposta, resta da stabilire la valutazione degli organi in vendita; secondo Harris dovrebbe trattarsi di una somma considerevole, esente da tasse. Inoltre, i donatori-venditori avrebbero l’assoluta priorita` nel caso avessero bisogno di un trapianto nel corso della loro vita (Organi proposta choc. “Li acquisti il sistema sanitario nazionale”, Cristina Nadotti, “la Repubblica”, 3 dicembre 2003). La proposta di Harris ci conduce al secondo dilemma. La commercializzazione degli organi: strettamente collegato all’equa distribuzione delle risorse, e` un problema di natura sociale (e` evidente che e` causato principalmente dalla poverta` dei venditori). Come risolverlo? Ma e` un problema anche di natura filosofica: posso vendere il mio corpo? Chi ne detiene il possesso? Se io volessi vendere il mio sangue o un rene, perche´ non potrei farlo? (Se A e B, entrambi consapevoli e adulti e
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benestanti, si accordano sull’acquisto da parte di A di un rene di B per 30.000 dollari, lo Stato dovrebbe impedirlo? Quali differenze ci sono rispetto alla vendita di un automobile sempre da A a B e sempre per 30.000 dollari? Cambierebbe il giudizio a seconda delle conseguenze su A? Se si vendesse il sangue invece di un rene?) L’altruismo non basta. La domanda di organi e` di molto superiore all’offerta, e l’offerta ha le sembianze della donazione, anonima e indiretta. Con l’eccezione della donazione diretta da vivente tra familiari: e` il caso di un rene o di una parte del fegato. Le domande insoddisfatte conducono spesso alla morte. Soltanto negli Stati Uniti ogni anno muoiono 18 persone in attesa di un rene che potrebbe salvare loro la vita. Muoiono nell’attesa di un rene donato. Ogni 90 minuti una persona muore perche´ gli organi disponibili sono inferiori alle richieste. L’attesa puo` durare dai 5 agli 8 anni; troppo per quanti soffrono di una malattia che non ha terapia. Nel maggio 2006 sono stati pubblicati due articoli sul “New York Times” e sul “Wall Street Journal” che hanno riproposto una soluzione spinosa: autorizzare legalmente un vero e proprio mercato degli organi umani per rimediare alla carenza di organi. La proposta non e` nuova e scatena le piu` feroci polemiche. Alla base della possibilita` di permettere la compravendita degli organi c’e` la seguente idea: se non basta incentivare le donazioni di organi, che se ne permetta il commercio. Viene chiamato mercato di organi, con palese disprezzo. I difensori di questa proposta devono vedersela con tabu` profondamente radicati e con obiezioni di natura etica e sociale: come l’ammissibilita` di vendere il proprio corpo o il rischio che siano solo i poveri a ricorrere alla vendita di parti di se´. Un’arringa difensiva potrebbe fare leva su alcuni argomenti. Il richiamo alla realta` dei troppi morti per carenza di organi disponibili. Oppure al fatto che il mercato di organi gia` esiste, illegale e mal gestito: meglio sarebbe renderlo legale e gestito dalle istituzioni sanitarie, dunque. Quanto all’attrattiva di un compenso economico per i piu` poveri, un possibile bilanciamento potrebbe essere rappresentato dall’offerta di assistenza sanitaria o di altro genere invece che soldi. O rendere il risarcimento proporzionale al reddito. Il veto morale sulla possibilita` di disporre del proprio corpo, poi, e` gia` stato intaccato dalla ‘vendita’ di sangue e gameti. La forma puo` essere quella del rimborso spese, o di prestazioni
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mediche in cambio, ma e` pur sempre ‘dare qualcosa in cambio di qualcos’altro’. Si dice che servono almeno un paio di generazioni per cambiare l’opinione pubblica; troppo tempo per quanti aspettano di avere qualche possibilita` di sopravvivere. La proposta di Sally Satel (Death’s Waiting List, “New York Times”, 15 maggio 2006) ripropone sostanzialmente argomenti gia` noti per affrontare le obiezioni alla legalizzazione della compravendita di organi. Primo tra tutti la discriminazione a svantaggio dei piu` poveri: vendere un rene rischierebbe di essere una possibilita` di sopravvivenza per gli indigenti, e una opzione, invece, che i ricchi non prenderebbero nemmeno in considerazione. Secondo Satel questo ostacolo potrebbe essere superato tramite l’informazione e l’educazione, e l’offerta di una assistenza medica e psicologica. Si potrebbe persino proporre una modalita` di donazione che favorisca i piu` abbienti, ricompensando i donatori con deduzioni fiscali. Inoltre, dov’e` l’ingiustizia nei confronti dei poveri, se il compenso migliora la loro qualita` della vita?,
aggiunge Satel. E Richard Epstein, (Kidney Beancounters, “Wall Street Journal”, 15 maggio 2006) aggiunge alcuni criteri per la vendita di organi da vivente: prezzi determinati dal gioco della domanda e dell’offerta, per incoraggiare offerte al rialzo da parte di quelli che hanno bisogno piu` urgentemente di un trapianto, assistenza sociale fornita ai potenziali donatori, finanziata con i risparmi ottenuti dalla fine dei programmi di dialisi, e imponendo ovvie limitazioni ai donatori.
Difficile non pensare al paladino del mercato degli organi, l’economista Gary Becker. La premessa di Becker e`: Se l’altruismo fosse sufficientemente forte, l’offerta di organi sarebbe tanto abbondante da soddisfare la domanda, e non ci sarebbe bisogno di cambiare il sistema attuale. Ma questo non succede in nessun paese in cui si pratichi un numero significativo di trapianti (Should the Purchase and Sale of Organs for Transplant Surgery be Permitted?, in “The Becker-Posner Blog”, 1 gennaio 2006).
Prosegue Becker: Se le leggi venissero cambiate in modo da permettere l’acquisto e la vendita degli organi, alcune persone li offrirebbero non per altruismo, ma per
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trarne un guadagno economico. Il risultato sarebbe un incremento dell’offerta di organi.
E sull’incremento causato dalla possibilita` di vendere gli organi non ci sono molti dubbi. Ma la questione scottante e`: sarebbe morale permettere di vendere i propri organi? In effetti, alcuni credono che i poveri sarebbero indotti a vendere i propri organi alle persone del ceto medio e ai ricchi. E` difficile trovare una qualsiasi ragione per lamentarsi se gli organi dei poveri fossero venduti col loro permesso dopo la loro morte, e il ricavato andasse ai loro genitori o ai loro figli. L’opposizione sarebbe piu` vocale se, per esempio, fossero soprattutto i poveri a vendere uno dei propri reni per un trapianto da vivo a vivo, ma per quale ragione le persone economicamente disagiate starebbero meglio se questa possibilita` fosse loro negata? Volendo, si potrebbe imporre un tetto massimo alla percentuale di organi forniti da persone con redditi inferiori a un certo livello, ma in che modo questo migliorerebbe il loro stato?
Steven D. Levitt e Stephen J. Dubner, affrontano il tema della compravendita di organi per trapianti (Flesh Trade, “New York Times”, 9 luglio 2006) partendo dall’analisi del fattore ripugnanza. La ripugnanza e` un sentimento soggetto a cambiamenti profondi. Basti pensare che oggi nessuno considera ripugnante stipulare una assicurazione sulla vita di un proprio caro; ma fino alla meta` del diciannovesimo secolo l’idea di ‘guadagnare’ dalla sua morte era ritenuta indecente. Una profanazione di un evento sacro quale la morte trasformato in una volgare oggetto di lucro, come ha scritto Viviana Zelizer. Potrebbe essere che l’attuale condanna del mercato degli organi abbia lo stesso destino di quella dell’assicurazione sulla vita? In altre parole, non ci sarebbero argomenti razionali per condannare la compravendita, ma soltanto emotivi e irrazionali, che il tempo e l’abitudine potrebbero scalfire fino ad annientarli. Esiste un’altra questione soggiacente: e riguarda la proprieta` del proprio corpo, la possibilita` di disporne. Virginia Postrel (Kidney Blogging Cont’d, “The Dynamist”, 11 luglio 2006; la Postrel ha un interesse particolare per il tema, avendo donato un rene a un’amica). Comunque la si pensi su tutta la questione, non si puo` rimanere toccati dalla parte finale dell’articolo: Chi, fra le persone sane di mente, si farebbe mai avanti per donare un rene a un perfetto sconosciuto? In effetti, abbiamo parlato recentemente con un
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donatore potenziale di questo genere, che ha chiesto di restare anonimo. Il donatore e` sposato, con quattro figli e una situazione economica precaria. Poiche´ aveva un parente che si era quasi trovato ad aver bisogno di un trapianto, il donatore aveva avuto l’idea di provare a vendere un rene a un estraneo. Tramite un apposito sito web aveva trovato un potenziale ricevente. Solo quando le varie procedure erano gia` a uno stadio avanzato aveva saputo che e` illegale venire pagati. Alla fine, tuttavia, il senso di missione morale aveva avuto la meglio sul bisogno di denaro, e il donatore aveva deciso di andare avanti col trapianto. Si era sottoposto a molteplici test nell’ospedale presso il quale avrebbe avuto luogo il trapianto. Sia il donatore che il ricevente avevano dovuto mentire ripetutamente ai medici, fingendo di essere vecchi amici. “Se scoprissero che mi hai trovato su Internet”, aveva spiegato il donatore, “penserebbero che lo sto facendo per i soldi, e annullerebbero l’operazione”. Se tutto andra` bene, il trapianto potrebbe essere effettuato tra poco tempo. Considerate chi ne trarra` beneficio: il ricevente, senza dubbio, assieme all’equipe medica, agli infermieri, all’ospedale e alle aziende farmaceutiche. Ognuno di questi verra` pagato, in un modo o nell’altro – ma non il donatore, che non solo non ricevera` un soldo, ma che, in cambio di un gesto profondamente altruistico, dovra` pagare il prezzo aggiuntivo di mentire su di esso. Ci saranno sicuramente molti, e non solo economisti, che troveranno questa situazione – come dire? – ripugnante.
I criteri di trapianto: se non vi fossero problemi di disponibilita` di organi, sarebbe giusto impiantare senza nessuna restrizione? E quali criteri potrebbero esserci? Si pensi: e` morale trapiantare un fegato ad un alcolizzato (che verosimilmente rovinera` anche il fegato nuovo)? Ma, d’altra parte, non sarebbe immorale escluderlo? Che differenza vi sarebbe tra il rifiutare un fegato nuovo ad un alcolizzato e rifiutare la rianimazione a un tossicomane? O rifiutare le cure a un incallito guidatore spericolato o tentare di salvare la vita ad un suicida? In generale e` necessario rispondere alla seguente domanda: curare qualcuno puo` o deve essere vincolato dal giudizio su quel qualcuno, dalla sua vita e dalle ragioni per cui richiede una cura?
3. Morte cerebrale «La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo» (articolo 1. Definizione di morte, legge 578/1993). La possibilita` di distinguere la morte cerebrale dalla morte totale dell’individuo accoglie come premessa implicita la separazione tra essere umano e persona.
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La morte cerebrale denota la morte dell’individuo facendo ricorso a criteri cerebrali piuttosto che a criteri cardiologici. I criteri cerebrali sono piu` rigorosi e permettono di accertare la morte anche quando i singoli organi di un individuo sono ancora parzialmente funzionanti, sebbene il processo di morte sia irreversibile e indubitabile. La diagnosi di morte cerebrale e` finalizzata a rendere possibile il prelievo di organi non deteriorati a causa della mancanza di ossigeno che interviene alla morte ‘totale’ dell’individuo (si parla di morte a cuore battente); ma ha anche l’intento di interrompere la erogazione di prestazioni sanitarie ad altissimo costo socio-economico in soggetti che non hanno nessuna possibilita` di sopravvivere (il cui encefalo e` gia` morto, completamente distrutto). L’accertamento della morte e` eseguito da un Collegio Medico «nominato dalla direzione sanitaria, composto da un medico legale o, in mancanza, da un medico di direzione sanitaria o da un anatomo-patologo, da un medico specialista in anestesia e rianimazione e da un medico neurofisiopatologo o, in mancanza, da un neurologo o da un neurochirurgo esperti in elettroencefalografia. I componenti del Collegio Medico sono dipendenti di strutture sanitarie pubbliche» (articolo 2, comma 5). «Il Collegio Medico deve esprimere un giudizio unanime sul momento della morte» (articolo 2, comma 9). Il Collegio Medico valuta il paziente per un periodo di osservazione, durante il quale viene registrato un elettroencefalogramma, sono valutati i riflessi del tronco e viene eseguito un test di apnea. (L’assenza di attivita` elettrica cerebrale viene stabilita con un elettroencefalogramma registrato per 30 minuti. Il paziente non deve avere assunto farmaci in grado di alterare lo stato di coscienza nelle ore precedenti l’osservazione, e il dosaggio plasmatico del fenobarbital e del diazepam deve comprovare la assenza di tali farmaci in circolo. L’attivita` respiratoria e` fisiologicamente controllata a livello del tronco cerebrale, e la persistenza di apnea, in condizioni ematochimiche normalizzate, indica l’assenza di attivita` del tronco. Il test di apnea viene eseguito per tre volte nel periodo di osservazione: il paziente non deve avere assunto farmaci in grado di deprimere la funzione ventilatoria, in particolare oppioidi e soprattutto curari, successivamente a documentazione di pCO2=60 mmHg, dopo 10 minuti di ventilazione controllata a FiO2=1, VC=4-5 ml/kg. Il paziente viene collegato a circuito di Waters con alto flusso di O2, e mantenuto in tale condizione – ventilazione apnoica – sotto monitoraggio elettrocardiografico e della saturimetria per 5-10 minuti.) E` sufficiente la comparsa di uno solo dei riflessi del tronco per interrompere l’osservazione e per non confermare l’irreversibilita` della
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morte. La comparsa (o la mancata assenza) di riflessi sovraspinali non consente la diagnosi di morte. Cosı` come il manifestarsi di crisi tonicocloniche, che denotano la sussistenza di sofferenza cerebrale e dunque dell’esistenza di tessuto cerebrale ancora vitale. Una volta concluso il periodo di osservazione, se non si sono verificate variazioni nei criteri sotto controllo, si puo` testimoniare della irreversibilita` del processo di morte del paziente. Durante il periodo di osservazione si 2 effettuano per tre volte i rilievi previsti dalla Legge . Alcune circostanze richiedono un ulteriore accertamento, ovvero la 3 valutazione del flusso ematico cerebrale : i bambini di eta` inferiore a un anno e i pazienti in condizioni cliniche in cui non siano valutabili i riflessi del tronco cerebrale (come in alcuni traumi facciali) oppure quando non sia affidabile (per la presenza di artefatti ineliminabili) la registrazione di un elettroencefalogramma. Dopo che lo stato di morte e` stato attestato, il paziente puo` essere candidato all’espianto di organi. Il paziente candidato al prelievo di organi deve essere mantenuto in condizioni di perfusione ottimale anche post-mortem, al fine di garantire le migliori condizioni possibili degli organi prelevabili. L’annientamento delle funzioni cerebrali provoca una compromissione 4 neurovegetativa multifunzionale; il monitoraggio deve essere continuo al fine di garantire una ottimale perfusione d’organo, mantenendo una stabilita` emodinamica ed un sufficiente equilibrio elettrolitico. Per individuare i riceventi adatti, vengono descritte le caratteristiche morfologiche e di istocompatibilita`. La positivita` ai markers per epatiti e per HIV esclude i pazienti dalla donazione d’organi, come pure il riscontro anamnestico di comportamenti a rischio per malattie infettive. L’eta` e` invece un fattore che puo` essere valutato occasionalmente con il Centro di Riferimento Trapianti, in base alle caratteristiche di ogni organo e alle esigenze della lista di attesa.
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Durante il periodo di osservazione, per tre volte deve essere evidenziata la assenza di riflessi del tronco cerebrale: riflesso corneale; riflesso oculo-vestibolare; riflesso oculocefalico; riflesso fotomotore; riflesso cilio-spinale; assenza del riflesso tussigeno alla stimolazione bronchiale. 3 Tramite una indagine ecodoppler o un’arteriografia del circolo cerebrale si puo` accertare l’inesistenza di flusso ematico cerebrale, conseguenza della ipertensione endocranica. Una valutazione del flusso cerebrale puo` essere ottenuta anche con un doppler transcranico, o una angioscintigrafia, o una CT con mezzo di contrasto. 4 Monitoraggio continuo delle funzioni generali, comprendente il monitoraggio cruento continuo della PA, il controllo frequente della PVC e orario della diuresi, il controllo della temperatura, e cosı` via.
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4. Il risveglio di Salvatore e il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica sull’alimentazione e idratazione artificiali Nell’ottobre 2005 Salvatore Crisafulli, in coma da due anni dopo un incidente stradale, si risveglia e pronuncia qualche parola. L’avvenimento ha sollevato un dibattito confuso e si e` trasformato nel pretesto per spostare l’attenzione sull’eutanasia, sulla morte cerebrale e sul trattamento dei malati in stato vegetativo. E` ambiguo e privo di senso parlare di coma senza entrare nel merito delle condizioni specifiche; sarebbe come parlare di mal di pancia pretendendo di annullare le differenze tra tutti i mal di pancia possibili. Sono stati molti a sostenere un argomento simile al seguente: “Se Crisafulli si e` svegliato dal coma, allora non si deve mai perdere la speranza”. Ma lo spazio della speranza puo` essere tracciato soltanto da una approfondita valutazione medica: non basta una approssimativa appartenenza allo stato di coma. Nel caso di Salvatore Crisafulli lo stadio di coma concedeva la speranza di un risveglio; al contrario, esistono stadi di coma dai quali non e` mai possibile emergere. Ma c’e` di piu`. Questo risveglio ha offerto una buona occasione per ribadire l’opportunita` del divieto di sospendere i trattamenti di alimentazione e idratazione artificiali nei pazienti in stato vegetativo, anche in presenza di una precisa dichiarazione di volonta` del paziente stesso, nonostante esista la possibilita` garantita dalla legge di rifiutare trattamenti sanitari. E proprio un caso ritenuto simile a quello di Crisafulli ha spinto il Comitato Nazionale per la Bioetica a redigere un parere su L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente (30 settembre 2005): Di recente l’opinione pubblica mondiale e` stata profondamente scossa dalla storia di una donna vissuta per quindici anni in stato vegetativo e lasciata morire a seguito della decisione di un giudice che ha autorizzato la richiesta del marito (contro il parere dei genitori) a staccare il tubo dell’alimentazione dal quale dipendeva la vita della donna. Considerato il cospicuo numero di persone che, anche in Italia, si trovano a vivere nel cosiddetto stato vegetativo persistente (SVP); considerata altresı` la controversia in atto sul considerare o no trattamento medico e/o accanimento terapeutico la nutrizione e idratazione con sondino o con enterogastrostomia percutanea (PEG), il CNB ritiene utile ribadire in proposito alcuni principi bioetici fondamentali.
La donna era Terri Schiavo, e il documento del CNB trascura di soffermarsi sul parere della donna e insiste su quello contrario dei genitori.
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Secondo il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica un paziente in coma deve sempre essere nutrito e idratato, anche se in precedenza aveva esplicitamente rifiutato una simile prospettiva; anche se i suoi cari esigono che questa volonta` sia rispettata; anche se i medici giudicano la prosecuzione dei trattamenti una inutile agonia. Ma non c’era la liberta` di decidere se essere curati oppure no? Non c’era la possibilita` di rifiutare un trattamento medico? La soluzione proposta dal Comitato sembra astuta: sarebbe legittimo imporre i trattamenti di alimentazione e idratazione in quanto non sono atti medici. Nutrizione e idratazione vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere (garantendo la sopravvivenza, togliendo i sintomi di fame e sete, riducendo i rischi di infezioni dovute a deficit nutrizionale e ad immobilita`). Anche quando l’alimentazione e l’idratazione devono essere forniti da altre persone ai pazienti in SVP per via artificiale, ci sono ragionevoli dubbi che tali atti possano essere considerati “atti medici” o “trattamenti medici” in senso proprio (p. 2).
La conseguenza immediata di considerare nutrizione e idratazione artificiali non come atti medici consiste nell’impossibilita` di paragonare il loro prolungamento all’accanimento terapeutico. Prosegue il documento: In genere si ritiene doveroso sospendere un atto medico quando costituisce accanimento, ossia persistenza nella posticipazione ostinata tecnologica della morte ad ogni costo, prolungamento gravoso della vita oltre i limiti del possibile (quando la malattia e` grave e inguaribile, essendo esclusa con certezza la reversibilita`, quando la morte e` imminente e la prognosi infausta, le terapie sono sproporzionate, onerose, costose, inefficaci ed inutili per il miglioramento delle condizioni del paziente, sul piano clinico). Nella misura in cui l’organismo ne abbia un obiettivo beneficio nutrizione ed idratazione artificiali costituiscono forme di assistenza ordinaria di base e proporzionata (efficace, non costosa in termini economici, di agevole accesso e praticabilita`, non richiedendo macchinari sofisticati ed essendo, in genere, ben tollerata). La sospensione di tali pratiche va valutata non come la doverosa interruzione di un accanimento terapeutico, ma piuttosto come una forma, da un punto di vista umano e simbolico particolarmente crudele, di “abbandono” del malato (p. 3).
A ben guardare, pero`, e` una trovata fragile e inconsistente. La dimostrazione della natura non medica dell’alimentazione artificiale, se-
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condo l’allora5 presidente del Comitato di Bioetica Francesco D’Agostino, e` facile: i pazienti in stato vegetativo possono essere nutriti e idratati anche in casa e non necessariamente in ospedale; questo significherebbe che non sono atti medici, bensı` di assistenza. Pertanto, non ci troviamo di fronte ad un possibile accanimento terapeutico, ma solo di fronte ad un accanimento che potremmo definire alimentare o assistenziale. Davvero i sostenitori di questa linea coercitiva sono convinti che sia il luogo a determinare la natura di un atto? E` possibile svolgere molti atti medici in casa, basti pensare all’assistenza domiciliare dei malati terminali. Volendo anche concedere che l’alimentazione artificiale non possa essere considerata un atto medico, la questione allora diventa: possiamo essere obbligati a subire atti non medici contro la nostra volonta`? O meglio, e` legittima l’imposizione di atti che abbiano come unico scopo il nostro bene, e non la protezione di un bene comune o di altre persone? Non sembra, se non invocando un principio di paternalismo che l’affermazione della possibilita` di rifiutare i trattamenti sanitari o di rifiutare interventi di qualsiasi natura ha scansato. Sostituendo il paternalismo con la liberta` e l’autodeterminazione. In nessuna circostanza qualcuno puo` essere obbligato contro la propria volonta` a subire un atto non medico per il suo bene. L’unica eccezione e` costituita dalla presenza del rischio che altri siano danneggiati, come nel caso del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) o della quarantena per le malattie contagiose. Quando il possibile danno riguarda la stessa persona che sta rifiutando un trattamento, non e` possibile ricorrere all’imposizione, anche se e` verosimile che quel trattamento possa arrecare un beneficio. Nessuno puo` decidere qual e` il nostro bene. Soprattutto, nessuno puo` imporlo a chi lo rifiuta. A meno che non fossimo disposti a considerare legittime tutte le possibili imposizioni per il bene di chi le subisce: le vacanze intelligenti, gli amici giusti, il lavoro piu` adatto. Tutto imposto, ma per il nostro bene. Il nostro bene, pero`, non puo` essere valutato dagli altri.
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Il mandato del Comitato Nazionale per la Bioetica e` scaduto il 12 giugno 2006.
4 Eutanasia Torno` a guardare lo stagno e vide confusamente una testa affiorare, una mano che annaspava e poi tornava sotto, e si volto` ancora dall’altra parte; e mentre avvicinava il braccio irrigidito alla bocca si afferro` il gomito con la mano. Si giro` di nuovo, e di nuovo porto` la sigaretta alle labbra. Patrick McGrath, Follia
1. L’omicidio impossibile Il 21 giugno 1998 Ezio Forzatti entra nell’Ospedale in cui e` ricoverata la moglie, Elena Moroni, e stacca il respiratore che tiene in vita la donna. La donna era stata operata per un edema cerebrale insorto a causa di una malattia che distrugge le piastrine; da tempo era in stato di ventilazione assistita. La mattina del 21 giugno Forzatti chiede di vedere la moglie; il medico gli dice di aspettare la fine delle pulizie. Forzatti estrae una pistola regolarmente detenuta e sprovvista di proiettili e va dalla moglie. Stacca il respiratore, aspetta di avere la certezza assoluta che la moglie sia morta (chiede consiglio a un cugino infermiere e a un amico medico nel frattempo intervenuti), e si consegna alla polizia. Trascorre due giorni in carcere, e poi viene rilasciato in attesa del processo. La Corte d’Assise di Monza emette la sentenza nel giugno di due anni dopo; Forzatti e` condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione, per omicidio volontario premeditato con le attenuanti generiche e della seminfermita` mentale. I pubblici ministeri avevano chiesto una pena piu` dura; Forzatti si e` sempre dichiarato consapevole di quanto stava facendo e non e` mai stato sottoposto a perizia psichiatrica. Trascorrono altri due anni e il Tribunale di Milano (Appello, 24 aprile 2002) assolve Forzatti perche´ il fatto non sussiste, ovvero la moglie era gia` morta quando Forzatti stacco` il respiratore. I giudici hanno
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rilevato che nel processo non si e` formata prova incontrovertibile che al momento del fatto la donna presentasse qualche segno di vita o fosse gia` morta, poiche´ nella perizia medica non risultava accertabile se la stessa mostrasse ancora funzioni cerebrali. Posto che, nel nostro ordinamento, il giudice e` tenuto a pronunciare l’assoluzione “anche quando manca, e` insufficiente o e` contraddittoria la prova che il fatto sussiste», la sentenza della Corte e` stata di assoluzione del marito ai sensi dell’art. 530, comma 2 c. p.p. (Francesca Orlandi, Assolto l’uomo che stacco` il respiratore alla moglie, 2002, “Jei”).
E` stato invece condannato per porto illegale d’armi e violenza privata a un anno e cinque mesi, con la sospensione condizionale e la non menzione e a 400 euro di multa. La Corte d’Assise d’Appello fa riferimento alla morte cerebrale per arrivare alla assoluzione di Forzatti, come condizione per interrompere legittimamente l’erogazione delle prestazioni sanitarie. Il quesito fondamentale cui i giudici si sono trovati a dover rispondere e` stato: accertare che Elena Moroni «fosse in vita al momento dell’atto di estubazione compiuto dal marito (A) – presupposto indispensabile per la sussistenze del delitto di omicidio volontario – e quindi, se la condotta attribuita al (A) sia stata la causa determinante della morte». Pertanto la Corte ha ritenuto che proprio alla luce di un piu` meditato controllo delle risultanze dibattimentali, non si possa dire sufficientemente provato, oltre ogni ragionevole dubbio, il nesso tra la condotta del (A) e l’evento morte della (C). Pertanto, si impone una decisione di assoluzione del (A), in riforma dell’impugnata sentenza del reato di uxoricidio premeditato, perche´ il fatto non sussiste. Infine va precisato che, ai fini della suddetta dichiarazione, e` rimasto un dato del tutto inconferente che egli intendesse porre fine all’esistenza della sventurata moglie, con l’eliminazione di una (ritenuta) «trappola», tesa dalla tecnologia, alle sue emozioni e ai suoi affetti, per convinzioni personali di ordine etico e culturale. Come estranea alla valutazione e` rimasta la sua intenzione di agire non certo per un interesse personale, bensı` per svolgere, con un gesto estremo di amore, un compito – stando a quanto da lui stesso, piu` volte affermato – di interpretazione e realizzazione della stessa volonta` della moglie, espressa quando era ancora in vita, al fine di evitare un inutile – secondo la sua visione delle cose – futuro accanimento terapeutico, contrario al principio di una vita o di una morte portata avanti con dignita`. Ed infatti, nel caso di difetto del rapporto di causalita` tra azione ed evento, la formula assolutoria perche´ il fatto non sussiste prevale su qualsiasi altra formula diversa ed in particolare rende superflua ogni valutazione della
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condotta, poiche´ siffatto esame comporterebbe un giudizio che, comunque, si risolverebbe, comunque, in un obiter dictum. Si e`, dunque, in presenza di un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto dell’azione criminosa e, in particolare, di un omicidio impossibile per insufficienza della prova dell’esistenza in vita della persona che l’imputato avrebbe inteso sopprimere. [...] L’assoluzione dell’imputato, per difetto della prova della causazione della morte di (C) rende non prospettabile l’ipotesi subordinata dell’omicidio del consenziente, dato che anche tale fattispecie presuppone la causazione dell’evento mortale (App. Pen. Milano, Sez. I, 24 aprile, 21 giugno 2002, n. 23/02 – Pres. Passerini, Rel. Ocello).
La decisione della Corte e le motivazioni addotte sono rivoluzionarie e costituiscono un contributo fondamentale per una discussione razionale riguardo all’eutanasia e ai problemi implicati dallo stato vegetativo permanente. Come sottolineano Frati, Montanaro Vergalli e Di Luca (2001) l’introduzione di concetti innovativi [...] come quello della libera determinazione del paziente di accettare o rifiutare un trattamento sanitario o ancora la possibilita` di scegliere, considerando la vita non alla stregua di un bene in se´, ma come intimamente correlato alla sua qualita`, non puo` non influenzare qualsiasi trattazione relativa all’eutanasia. Del resto, ogni possibile ed auspicata soluzione del problema si muove entro i difficili e talvolta angusti confini della perenne ricerca di equilibrio fra la potesta` di cura del medico e la liberta` decisionale del paziente, in nome di una tutela del bene salute radicalmente mutata negli ultimi anni. La lenta evoluzione di questo passaggio culmina, infatti, all’inizio degli anni ’90 con il riconoscimento esaustivo del principio di autonomia e di autodeterminazione nel rapporto medico-paziente.
2. Eutanasia attiva e passiva1 Lo Zingarelli, il piu` diffuso vocabolario della lingua italiana, da` la seguente definizione del termine ‘eutanasia’: «Morte non dolorosa provocata in caso di prognosi infausta e di sofferenze ritenute intollerabili», e distingue una “Eutanasia attiva” (ovvero per somministrazione di determinate sostanze) da una “Eutanasia passiva” (ovvero per sospensione del trattamento medico). Questa definizione comprende alcune caratteristiche fondamentali dell’eutanasia, ma rischia di trascurare una proprieta` sostanziale della dolce morte. 1
Vedi anche capitolo “Eutanasia pediatrica”, pp. 67-80.
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Infatti, l’eutanasia oltre a denotare la modalita` di una morte (“non dolorosa”) richiede la presenza di una volonta`, accertata o presunta, riguardo la preferibilita` della morte rispetto a una vita dolente; l’eutanasia e` un atto che mira al bene di colui la cui morte e` in discussione; naturalmente, la valutazione di questo bene e` estremamente difficile e implica una riflessione sul valore della vita: quando la vita e` un bene, e quando invece e` la morte a costituire un beneficio? (E, facendo un passo indietro, puo` mai la morte costituire un bene?) Inoltre, la distinzione tra eutanasia passiva e attiva e` una distinzione che dovrebbe valere soltanto sul piano medico e fattuale: sul piano squisitamente morale, un atto (la somministrazione di una sostanza mortale) o una omissione (del trattamento necessario a vivere) sono equivalenti e condividono l’idea di fondo, cioe` l’idea di una scelta volta alla morte di una persona quando vi siano delle condizioni di vita estremamente penose e quando la malattia non offra alcuna speranza di guarigione ne´ di miglioramento. Questo scopo, il decesso, puo` essere perseguito tramite una azione, oppure tramite una non-azione, tale che in entrambi i casi la diretta conseguenza sia la morte. E allora, l’eutanasia e` una morte non dolorosa provocata nei casi in cui una persona abbia una diagnosi infausta e dolori insopportabili, e la cui volonta` (accertata o presunta) e` di porre fine a tale condizione, una morte ottenuta tramite la sospensione del trattamento medico o dei macchinari, oppure tramite la somministrazione di una sostanza letale. In tutta la Comunita` europea – con la sola eccezione dell’Olanda e, a certe condizioni, del Belgio – l’eutanasia e` illegale. Tuttavia alcuni Paesi ammettono delle eccezioni: in Gran Bretagna, ad esempio, la giustizia ha autorizzato alcuni medici ad abbreviare la vita di malati tenuti in vita artificialmente. In Scozia, per la prima volta nel 1996, un paziente e` stato ‘autorizzato a morire’; oppure, in Germania nel 1998 la Corte d’appello di Francoforte ha aperto la strada all’autorizzazione dell’eutanasia per le persone in coma irreversibile. Secondo la corte tedesca, l’eutanasia puo` essere in linea di principio autorizzata solo se corrisponde inequivocabilmente alla volonta` del paziente e dovra` comunque essere approvata dai tribunali tutori. In Italia l’eutanasia e` illegale. Alcune proposte di legge, pero`, riguardano la possibilita` di ammorbidire il divieto di farvi ricorso, proponendo una regolamentazione piuttosto che un muro di illegalita`. Il conflitto sottostante e` tra un assoluto valore della vita e un valore relativo, legato alla qualita` della vita stessa. In alcuni casi mantenere in vita una persona potrebbe non equivalere alla scelta migliore, terapeuticamente e umanamente, per la persona stessa.
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In presenza di una malattia incurabile, fortemente disabilitante e frequentemente accompagnata da atroci sofferenze, si offre come possibilita` l’interruzione di tale dolorosa condizione. Interruzione anticipata rispetto al momento in cui avverrebbe senza un intervento (o una omissione) il cui scopo e` porre termine a quella esistenza. Una scelta di resa di fronte a una battaglia che e` stata preannunciata come gia` persa. Lo sviluppo della medicina e il costante prolungamento della vita pone sempre piu` frequentemente il problema di una malattia che non e` curabile, ma che non determina necessariamente, come qualche anno fa, la morte del paziente; la scelta tra il mantenere in vita qualcuno in queste condizioni oppure lasciarlo morire e` una complessa scelta etica, perche´ include le proprie credenze personali e i propri valori. La decisione spetta, ovviamente, al paziente; e` bene sottolineare che si tratta di una possibilita` offerta al paziente, e in nessun modo di una imposizione da parte dello Stato. Nel caso in cui il malato non e` cosciente esiste anche il problema di decidere se e chi si puo` sostituire alla sua attuale capacita`, irrimediabilmente compromessa, di esprimere un parere. Spesso si fa ricorso a una dichiarazione fatta in precedenza dalla persona in questione, quando la malattia non esisteva (in via ipotetica), oppure quando la persona era a conoscenza di una malattia dalla prognosi infausta e aveva espresso la volonta` di non essere mantenuto in vita (sebbene questo sia il caso piu` semplice, solleva comunque problemi di ordine filosofico e morale, quali la questione dell’identita` personale e dell’accertamento delle condizioni tali che l’espressione della volonta` possa essere ritenuta valida – prima tra tutte, la capacita` di intendere e di volere). Puo` accadere che il paziente abbia scritto la propria volonta` al riguardo o abbia esplicitamente formulato il desiderio di interrompere la propria vita nel caso di malattia terminale e assenza di coscienza. In questo caso sembra verosimile inferire che, se fosse ancora in grado di farlo, confermerebbe tale opinione e che pertanto la genuina interpretazione della sua volonta` passata sia che egli preferirebbe interrompere la propria esistenza attuale. Esiste tuttavia un problema: quel paziente ha espresso una preferenza quando si trovava in una condizione diversa da quella per cui l’ha espressa. In altre parole, se dichiaro che vorrei non parlare piu` a un mio amico se mi dovesse tradire quando quel mio amico mi e` fedele, la mia volonta` potrebbe essere imperfetta in quanto espressa prima che il tradimento si consumasse (si tratta di una sorta di esperimento mentale); soprattutto la mia volonta` potrebbe essere diversa quando
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l’ipotesi di tradimento si dovesse verificare. Il mio amico mi tradisce e io non desidero non parlargli piu`, ma capire, chiedergli spiegazioni, e cosı` via. E` evidente, posso cambiare idea – ed e` legittimo che io lo faccia se ho la condizione per farlo. Ma se quando il mio amico mi tradisce io non fossi piu` capace di esprimere la mia volonta`? Potrei affermare che la mia volonta` passata, per quanto potenzialmente revisionabile (in un processo virtualmente infinito), e` comunque stata una mia volonta`, e che ha piu` diritto di essere considerata la mia volonta` ancora oggi. Una mia volonta` passata avrebbe piu` ragione di essere considerata la volonta` piu` vicina ai miei desideri attuali (se potessi esprimerli, o addirittura se potessi averli) rispetto alla volonta` di un’altra persona. La situazione si complica ulteriormente quando non c’e` una passata dichiarazione di volonta` di una persona che si trova in coma irreversibile, o in una qualsiasi condizione in cui non possa piu` esprimere una tale volonta`. Nel caso di incidenti o di improvvisi peggioramenti, o comunque in tutti i casi in cui sia assente una esplicita dichiarazione di volonta`, chi puo` prendere una decisione al posto di chi non puo` piu` farlo? E` ragionevole delegare il migliore interprete della volonta` del paziente, ma non e` affatto semplice stabilire chi sia. Spesso sono i familiari ad essere investiti dei dilemmi etici riguardanti le decisioni da prendere e della responsabilita` di ‘decidere per lui’. Questo atteggiamento presuppone che siano proprio i familiari a potere avere una conoscenza profonda della possibile volonta` della persona che e` in coma irreversibile, che siano i familiari a sapere cosa avrebbe scelto, cosa sarebbe meglio per lui. Inevitabilmente e` una presupposizione che ha dell’arbitrario, e che e` costretta a fare una scommessa, a compiere un azzardo le cui ombre non sono eliminabili.
3. I punti di vista sul caso di Ezio Forzatti Una possibile indagine puo` seguire i punti di vista dei diversi protagonisti. Cominciando dai principali, fino a giungere a quelli marginali. La moglie: lo stato di salute della donna e` tale da non consentirle una vita cosciente, e nemmeno una speranza di recupero seppure minimo. E` tenuta in vita da un respiratore. Il suo punto di vista non esiste piu`, nel senso che non e` in grado di avere una preferenza (non soltanto di comunicarla, ma di percepirla), non si rende conto di quanto le e` successo e di quanto le sta succedendo. Il suo punto di vista potrebbe essere solo
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ipotizzabile: che cosa avrebbe desiderato nel caso in cui le fosse possibile farlo? Che cosa avrebbe scelto tra il rimanere collegata ad un respiratore e lo scollegarsi? (Scollegarsi significa morire; il suo parere potrebbe essere stato espresso in passato: non sarebbe tuttavia un parere decisivo perche´ maturato in un momento in cui le condizioni che richiedevano quel parere erano soltanto immaginate: si insinua il problema del valore delle nostre espressioni di volonta` riguardo al futuro, a una circostanza che non stiamo vivendo). Il marito: preferisce la morte della moglie piuttosto che una caricaturale esistenza, che non lascia spazio a speranze ne´ a futuro. Il suo punto di vista e` rafforzato dal ricordo di alcune affermazioni della moglie e dalla conoscenza del carattere di lei, che non avrebbe mai accettato una simile condizione. I medici: per i medici ci sono scelte difficili da compiere, che addirittura entrano in conflitto con l’intento originario e principale della medicina: curare. In casi simili sono chiamati a astenersi dal curare (almeno in apparenza, questo accade con la sospensione dei trattamenti). Che cosa significa ‘curare’, e quali sono le condizioni affinche´ una azione sia curativa? Come e` possibile stabilire quando e` bene sospendere una cura, perche´ cura non e` piu` ma diventa accanimento? Quali valori entrano in contrasto? Un primo conflitto, ad esempio, esiste tra la durata e la qualita` della vita; tra l’efficacia e gli effetti collaterali dei farmaci, e cosı` via. Cugino infermiere e amico medico: come potrebbero vivere la loro complicita`, per quanto obbligata? Quali sono i conflitti che potrebbero vivere? Si possono poi cercare altri punti di vista: i parenti, la societa`, l’ospedale, e cosı` via. Per esempio, e` ammissibile che una simile vicenda abbia una ricaduta sulla societa` civile? E in che modo?
4. Analisi razionale dei pareri autorevoli L’analisi di alcuni pareri e` utile da diversi punti di vista: in primo luogo, bisogna partire dall’idea che non e` l’autorevolezza di chi espone un parere a contare, bensı` la tenuta di quello stesso parere; in secondo luogo, si evidenzia che pareri diversi (a volte addirittura opposti) possono coesistere a seconda delle premesse da cui si e` partiti – percio` l’ulteriore passo consiste nell’analizzare queste premesse per giudicare se ne esiste una piu` forte delle altre.
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Analisi del parere di Ersilio Tonini. Non credo che si tratti di eutanasia. Escludo assolutamente che questo sia un caso di eutanasia. Sarebbe una legittimazione indebita che nessun tribunale italiano potrebbe fare. Alla luce della uguaglianza (morale) di eutanasia attiva e passiva l’affermazione di Tonini non e` corretta. Dal momento che ‘fare una iniezione letale’ e ‘staccare la spina’ e` equivalente dal punto di vista morale, e` difficile non definire l’azione di Forzatti come ‘eutanasia’. I timori di Tonini sono comuni: l’atto di Forzatti sia pure giustificato e giustificabile (per carita` cristiana, magari) ma si badi a non definirlo ‘eutanasia’, perche´ una simile definizione aprirebbe la strada alla accettazione, morale prima e legale poi, all’eutanasia – conseguenza agli occhi di Tonini e di molti altri inammissibile. Se, pero`, ammettiamo quanto detto finora e` impossibile non considerare la sospensione dei trattamenti di Elena Moroni come un atto eutanasico e e` impossibile non ammettere ogni forma di eutanasia – se ammettiamo l’atto di Ezio Forzatti (e la legge l’ha fatto; decisione che giustamente preoccupa i nemici della legalizzazione dell’eutanasia). Non rimane che l’altra soluzione. Vuol dire che qui i giudici hanno riconosciuto il caso di accanimento terapeutico; l’accanimento terapeutico `e un’ingerenza indebita e una violazione dei diritti del cittadino. Il virtuosismo tentato da Tonini e` destinato a fallire. I problemi cominciano dalla difficolta` di definire l’accanimento terapeutico: come e` possibile distinguere un accanimento terapeutico da un intervento medico, magari disperato, magari invasivo, che accanimento terapeutico non e`? La differenza affonda piu` nei modi o nelle finalita`? Chi ha la liberta` e il diritto di scegliere? Il paziente puo` decidere, se e` cosciente, di rifiutare trattamenti sanitari, incluso l’accanimento terapeutico (anzi, esiste un largo consenso sul rifiuto dell’accanimento terapeutico). Ma se quel paziente e` incosciente, chi deve decidere? Se e` lecito parlare di accanimento terapeutico nel caso di Elena Moroni, sarebbe altrettanto lecito farlo nel caso dei molti pazienti che si trovano in condizioni simili. Questo implica che per tutti loro sarebbe ammissibile l’interruzione dei trattamenti (che sono giudicati accanimento) e la conseguente morte. Questo, pero`, significa eutanasia e segna un autogol. Interrompere i trattamenti implica la morte, e il fatto che la morte non sia direttamente intenzionale non cambia la valutazione dell’accaduto o della procedura in generale.
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Analisi del parere di Francesco D’Agostino. Cosı` decidendo i giudici hanno creato un precedente pericoloso: d’ora in poi in tanti si sentiranno autorizzati a staccare la spina. Le preoccupazioni di D’Agostino sono piu` che legittime. La condanna di D’Agostino e` implicita ma evidente, sebbene non vengano offerte le ragioni. Egli dice, a ragione: i giudici hanno permesso x, questo autorizzera` molti altri a fare x (si capisce che secondo lui x e` sbagliato, ma non si sofferma ad esplicitare le ragioni). La semplice affermazione x e` sbagliato e` insufficiente per sostenere una accusa: perche´ sarebbe sbagliato quanto hanno fatto i giudici e quanto potrebbero fare in circostanze simili? O meglio, perche´ e` stato sbagliato, secondo D’Agostino, che Forzatti abbia staccato la spina alla moglie avviando il primo di altri casi simili? D’Agostino parte dalla premessa (o forse sarebbe meglio dire dal dogma) che l’eutanasia sia sbagliata, ovvero moralmente e legalmente inammissibile. Anche per la donazione di organi potrebbe costituire un esempio negativo: a questo punto sembra giustificato anche l’espianto da persone in coma e questo francamente sarebbe spaventoso. La donazione di organi e` regolamentata da una legge, e come condizione necessaria impone la morte cerebrale dell’individuo. La conseguenza invocata da D’Agostino come obiezione non e` affatto necessaria: sembra piuttosto la materializzazione di una paura irrazionale. La legalizzazione dell’eutanasia non costituisce di per se´ l’autorizzazione a prelevare organi da pazienti in coma (contro la loro volonta` e non morti cerebralmente).
5. Sedazione terminale La cosiddetta sedazione terminale o totale e` moralmente molto prossima all’eutanasia, sebbene le emozioni e le considerazioni di strategia ‘politica’ suggeriscano spesso l’esistenza di una netta separazione. La reazione normale al dolore e` quella di sottrarsi. Il dolore fisico e` uno strumento per sopravvivere (tocco il fuoco – provo dolore – mi allontano). Oppure e` un effetto collaterale di uno stato patologico (provo dolore – mi faccio visitare – mi curo); di un trauma o di un intervento chirurgico (e` un dolore momentaneo e destinato a finire). In alcune circostanze puo`
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diventare somigliante a un meccanismo inceppato, un dolore inutile. Succede nelle malattie incurabili e mortali. Il dolore delle malattie terminali non e` un dolore per la sopravvivenza, non e` un dolore della convalescenza. E` un dolore che ha come unica possibilita` di estinzione la morte. Il tentativo di alleviarlo e` un preciso dovere medico e morale: quando il medico non puo` piu` curare, deve rendere la vita del paziente meno penosa possibile. La moralita` del lenimento del dolore e` ammessa in larga misura. E` ovvio che qualora il paziente non desideri che il suo dolore venga controllato, la sua volonta` deve essere rispettata, foss’anche sostenuta dalle credenze piu` bizzarre. Siamo nel campo delle opinioni personali e non delle dimostrazioni morali: chi crede che la sofferenza nobiliti l’animo umano o sia la strada preferenziale verso la salvezza ha il diritto, protetto anche dalla legge, di rifiutare qualunque intervento medico che miri ad alleviare il suo dolore. Un intervento medico, anche se compiuto ‘per il bene’ del paziente, e` illegale e immorale se il paziente capace di intendere e di volere lo rifiuta. La medicina palliativa interviene quando non c’e` piu` la prospettiva di una guarigione, e la malattia non puo` essere sconfitta, ma soltanto controllata nei suoi gravosi sintomi. Le cure palliative hanno l’intento di alleviare la sofferenza di quanti si trovano in una situazione di morte imminente. L’imminenza del decesso e` difficile da valutare con esattezza e sebbene in genere l’aspettativa di sopravvivenza non superi le 48 ore, il dibattito al riguardo e` vivace, e tocca anche conflitti profondi come quello tra la qualita` della vita e la sua durata (qualcuno direbbe la sacralita` della vita). La medicina palliativa controlla i sintomi refrattari tramite la somministrazione di farmaci sedativi fino all’induzione di un sonno profondo. Quando lo scopo palliativo e` raggiunto attraverso la privazione di coscienza si parla di sedazione terminale (o totale, o palliativa). Secondo il National Hospice and Palliative Care Organization (NHPCO) lo scopo della sedazione terminale e` di indurre uno stato di ridotta o assente vigilanza (incoscienza) con l’intento di attutire i sintomi intrattabili altrimenti. La sedazione terminale e` prevista non solo per lenire i sintomi fisici della malattia terminale, ma anche quelli mentali, come depressione e sofferenza psichica. Per sedazione terminale si intende dunque: l’induzione deliberata e protratta di un sonno profondo qualora non ci sia altro modo per alleviare i sintomi refrattari; lo scopo della sedazione e` il sollievo e non direttamente la morte del paziente. Secondo Shea (1997-2004) e Bonito e altri (2004) l’aggettivo ‘termi-
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nale’ e` ambiguo, ed e` quindi preferibile definire la sedazione come palliativa (o totale), perche´ l’aggettivo terminale puo` denotare sia la condizione del paziente, sia lo scopo di terminare la sua vita. L’ammissibilita` morale della medicina palliativa e` abbastanza condivisa. Invece l’equivalenza morale tra la sedazione palliativa e l’eutanasia vanta pochi sostenitori. E` indubbio che l’eutanasia suscita una reazione emotiva intensa; e spesso di condanna. Soprattutto la cosiddetta eutanasia attiva. Ma le credenze personali o le prese di posizione devono poi essere giustificate per pretendere una validita` piu` generale: esistono buone ragioni per rifiutare l’equivalenza tra sedazione palliativa ed eutanasia (attiva e passiva)? E` importante ricordare che e` stato riconosciuto, anche giuridicamente, come fondamentale il diritto di rifiutare le cure, perfino in quelle circostanze in cui tale rifiuto conduce alla morte. Secondo il celebre argomento di James Rachels (Rachels 1986) c’e` equivalenza morale tra eutanasia attiva e passiva, che poggia sulla molto controversa equivalenza morale tra uccidere e lasciar morire. Dal punto di vista morale non esisterebbe differenza tra una azione e una omissione che abbiano come risultato consapevole lo stesso effetto: sopprimere intenzionalmente una persona e guardarla morire senza intervenire sono ‘atti’ 2 condannabili moralmente allo stessa stregua. Rachels ci invita a riflettere sul caso di un uomo pasciuto e in buona salute che non offre il suo panino ad un bambino denutrito e evidentemente sofferente: non e` forse costui un mostro morale alla pari di chi stringe le mani al collo di qualcuno fino a provocarne la morte? In ogni caso, in ambito medico la distinzione tra uccidere e lasciar morire e` difficile da tracciare con nettezza. Cio` che e` inequivocabile e` che omettere non e` ‘un luogo neutro’ in cui nascondersi. Non agire non mette al riparo dalla colpevolezza (l’omissione di soccorso). Secondo Bonito e altri (2004) non esiste una differenza rilevante in termini di sopravvivenza tra i pazienti sedati e quelli non sedati. Pertanto la morte non viene accelerata, bensı` si cerca soltanto di permettere che il decesso del paziente avvenga senza sofferenza. L’intento sarebbe esclusivamente palliativo. Questa sarebbe una ragione contro l’equivalenza. Pero`: almeno nelle circostanze in cui per ottenere la sedazione si induce al paziente uno stato di incoscienza, incoscienza che permane dal momento della sedazione fino al momento della morte, che senso ha quel 2
Vedi supra “Il bambino affamato e Jack Palance”, pp. 7-9.
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tempo? Non e` equivalente (anche dal punto di vista soggettivo) morire oggi piuttosto che tra 4 giorni, se quei 4 giorni sono privi di ogni barlume di autocoscienza? E, dal punto di vista morale, indurre in un paziente uno stato di definitiva e totale assenza di vigilanza non e` equivalente a provocare la sua morte qui ed ora? Soprattutto in Italia, in cui anche le cure palliative e la sedazione palliativa sono pratiche poco diffuse e poco note, non e` possibile pronunciare la parola ‘eutanasia’ senza incorrere in condanne quasi assolute e in reazioni emotive di scandalo3. E i piu` tolleranti ammettono l’eutanasia cosiddetta passiva ma innalzano barricate di fronte a quella attiva. Le ragioni razionalmente sostenute difettano. E a ben guardare ci troviamo di fronte a una serie di classi contigue priva di steccati solidi e inamovibili. Una volta ammessi il diritto di rifiutare le cure, la condanna dell’accanimento terapeutico, la moralita` delle cure palliative e della sedazione totale, e` difficile cementare un muro di cinta per tenere fuori l’eutanasia. Si pensi ad esempio al caso di un paziente cui si decida di ‘staccare la spina’ perche´ si e` stabilito che e` moralmente preferibile lasciarlo morire (interrompendo i trattamenti) piuttosto che prolungare una condizione disperata e senza alcuna prospettiva. Le premesse di una simile decisione sono: 1) avere giudicato preferibile la morte per quel paziente piuttosto che la sopravvivenza; 2) avere giudicato moralmente ammissibile sospendere i trattamenti (medici e/o di alimentazione e idratazione artificiali), con la consapevolezza che tale sospensione avrebbe preluso alla morte; si puo` anche parlare di rifiuto dell’accanimento terapeutico. Molti sono disposti ad accettare una decisione basata su 1) e 2), ma rifiutano con ardore la proposta di porre fine intenzionalmente e direttamente alla vita del nostro paziente tramite una azione volontaria (una iniezione letale, ad esempio). Ma a ben guardare non ci sono ragioni per condannare l’intenzionale uccisione del paziente, se non ci si e` opposti allo
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Esistono senza dubbio anche spiegazioni emotive nella condanna verso l’eutanasia. Secondo Shea (1997-2004): «La sedazione totale e` anche caratterizzata come ‘uno strizzare l’occhio all’eutanasia da parte della societa`’, e ‘come un meccanismo di difesa psicologica per gli operatori delle cure palliative, che permette loro di concentrarsi sull’induzione farmacologica di incoscienza nei malati terminale, piuttosto che sulla consapevolezza di porre fine attivamente alla vita di qualcuno’».
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staccare la spina4. E poi staccare la spina e` una azione e non di certo una omissione. Infatti, in base ad 1) non esiste una differenza moralmente rilevante tra la morte del paziente avvenuta mercoledı` per omissione e la sua morte avvenuta la domenica precedente in seguito ad una azione. Anche nel primo caso la morte e` l’unica prospettiva (se si escludono i miracoli) per il paziente, che spesso e` incosciente e non ha alcuna percezione mentale di quanto sta accadendo. Quel tempo soggettivamente inesistente, allora, che senso puo` avere? E se invece il tempo e` denotato da una sofferenza percepita piu` o meno intensamente dal paziente, non e` forse piu` morale interromperla? Non dimentichiamo che lo sfondo e` sempre la morte imminente del paziente, l’irreversibilita` del suo male e l’assoluta assenza di prospettive di guarigione. Sembra essere soltanto l’ipocrisia la ragione per rimandare la morte di un condannato (non e` il paziente a chiederlo, si badi; in questo caso la sua volonta` sarebbe ovviamente l’unico binario da seguire). Per di piu`, spesso la sospensione dei trattamenti comporta una morte lenta e straziante per chi la osserva (benche´ il morente non ne sia consapevole). I medici e le persone che sono legate al moribondo assistono ad una agonia che non ha nessuna ragione medica, umanitaria o morale. A volte ci vogliono giorni, settimane. Qual e` l’ostacolo morale che sbarrerebbe la strada ad un intervento attivo che induca la morte di un paziente immediatamente dopo la decisione che per lui sia preferibile morire?
6. Il testamento biologico (o direttive anticipate)5 Nello sterminato programma di Governo dell’Unione per il 2006-2001 a pagina 71 si trova un accenno al testamento biologico, unico spazio di discussione concesso sugli argomenti di bioetica. Tutelare chi soffre Vogliamo costruire un sistema di garanzie per la persona malata, che abbia come premessa il consenso informato e l’autodeterminazione del paziente, 4 Non mi soffermo in questa sede a valutare le eventuali buone o cattive ragioni per considerare immorale l’eutanasia passiva. 5 In questi ultimi mesi sono stati presentati numerosi disegni di legge sul testamento biologico: da quello di Umberto Veronesi a quello dell’Associazione Luca Coscioni.
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garantendo a tutti i cittadini le cure palliative e tutte le terapie del dolore disponibili. Tra queste garanzie il rifiuto dell’accanimento terapeutico e del dolore non necessario. Lo strumento piu` efficace, per rendere effettivo quel diritto, e` la Dichiarazione anticipata di volonta` (o Testamento biologico) secondo quanto indicato nelle raccomandazioni bioetiche conclusive approvate dal Comitato Nazionale per la Bioetica nel dicembre 2003.
Il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (18 dicembre 2003) e` forse l’ultimo parere a presentare argomenti sensati. Con direttive anticipate di trattamento o living will, o testamento biologico, o testamento di vita, o volonta` previe di trattamento e cosı` via, si intende, come lo stesso parere del Comitato Nazionale per la Bioetica afferma, un documento con il quale una persona, dotata di piena capacita`, esprime la sua volonta` circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse piu` in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato.
Il parere elenca poi alcuni riferimenti normativi: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, da cui emerge come il consenso libero e informato del paziente all’atto medico non debba piu` essere visto soltanto come un requisito di liceita` del trattamento, ma vada considerato prima di tutto alla stregua di un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino europeo, afferente al piu` generale diritto all’integrita` della persona (titolo I. Dignita`, art. 3. Diritto all’integrita` personale). In modo piu` specificamente attinente al tema in esame, va altresı` ricordata che e` stata deliberata dal Parlamento Italiano la ratifica della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (L. 28 marzo 2001, n. 145), gia` firmata a Oviedo il 4 aprile 1997. Ribadendo la centralita` della tutela della dignita` e identita` della persona, la Convenzione attribuisce, all’articolo 9, particolare rilievo ai desideri precedente espressi dal paziente, stabilendo che essi saranno presi in considerazione («The previously expressed wishes relating to a medical intervention by a patient who is not, at the time of the intervention, in a state to express his or her wishes shall be taken into account»). Si osservi, inoltre, che prima ancora dell’approvazione della legge di ratifica della Convenzione, il principio dell’articolo 9 era gia` stato accolto, nel 1998, dal Codice di deontologia medica italiano, che all’articolo 34, sotto la rubrica Autonomia del cittadino, dispone:
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Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignita`, della liberta` e dell’indipendenza professionale, alla volonta` di curarsi liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non e` in grado di esprimere la propria volonta` in caso di grave pericolo di vita, non puo` non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso (i corsivi sono miei).
Dal punto di vista concettuale, insomma, le direttive anticipate si pongono in stretta continuita` con alcuni principi fondamentali e condivisi. Questo non significa che non presentino problemi attuativi specifici, ma che non dovrebbe essere messa in discussione la legittimita` degli intenti. La finalita` fondamentale delle dichiarazioni e`, quindi, quella di fornire uno strumento per recuperare al meglio, nelle situazioni di incapacita` decisionale, il ruolo che ordinariamente viene svolto dal dialogo informato del paziente col medico e che porta il primo, attraverso il processo avente per esito l’espressione del consenso (o del dissenso), a rendere edotto il medico di ogni elemento giudicato significativo al fine di far valere i diritti connessi alla tutela della salute e, piu` in generale, del bene integrale della persona. E` come se, grazie alle dichiarazioni anticipate, il dialogo tra medico e paziente idealmente continuasse anche quando il paziente non possa piu` prendervi consapevolmente parte. Nell’affermare questo, il Comitato Nazionale per la Bioetica intende anche sottolineare, da un lato, che le dichiarazioni anticipate assegnano al medico e al personale sanitario un compito valutativo reso assai complesso dall’impossibilita` materiale di interazione col paziente, un compito, tuttavia, che ne esalta l’autonomia professionale (ma anche la dimensione umanistica); e, dall’altro, che le dichiarazioni anticipate non devono in alcun modo essere intese come una pratica che possa indurre o facilitare logiche di abbandono terapeutico, neppure in modo indiretto: infatti, le indicazioni fornite dal paziente, anche quando espresse (come e` in parte inevitabile) in forma generale e standardizzata, non possono mai essere applicate burocraticamente e ottusamente, ma chiedono sempre di essere calate nella realta` specifica del singolo paziente e della sua effettiva situazione clinica.
In conclusione «si puo` ben affermare che, pur essendo numerosi e complessi i problemi bioetici sollevati dalle dichiarazioni anticipate, sul piano etico non esistono radicali obiezioni di principio nei loro confronti». Il parere affronta poi il tema del fiduciario, mettendo in luce le possibili difficolta` ma senza tirarsi indietro. Il principio generale al quale il contenuto delle dichiarazioni anticipate dovrebbe ispirarsi puo` quindi essere cosı` formulato: ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in relazione
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a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali puo` lecitamente esprimere la propria volonta` attuale.
Non mancano le feroci critiche alla possibilita` di disporre oggi del trattamento sanitario di domani nel caso di impossibilita` di esprimere la propria volonta`. E` esemplare a questo proposito il parere di Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Universita` Cattolica, sul testamento biologico. «Il testamento biologico e` uno strumento che non dovrebbe esistere, perche´ parte dall’idea conflittuale del rapporto tra medico e paziente», sostiene Pessina. Il medico – ha affermato Pessina all’inizio di luglio 2006 – non deve fare l’accanimento terapeutico perche´ e` sbagliato, e non perche´ glielo chiede o impone una carta. Quello del testamento biologico e` un discorso ideologico, che pone una frattura tra medico e paziente, in cui ci si affida a una mediazione legislativa. Il consenso informato era invece nato proprio per migliorare il dialogo tra malati e medici.
Il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sulle Direttive Anticipate sembra avere un parere diverso (e ben piu` condivisibile del parere di Pessina): Le dichiarazioni non possono essere intese soltanto come un’estensione della cultura che ha introdotto, nel rapporto medico-paziente, il modello del consenso informato, ma hanno anche il compito, molto piu` delicato e complesso, di rendere ancora possibile un rapporto personale tra il medico e il paziente proprio in quelle situazioni estreme in cui non sembra poter sussistere alcun legame tra la solitudine di chi non puo` esprimersi e la solitudine di chi deve decidere.
L’argomento di Pessina presenta anche una fragilita` che diventa evidente se si ricorre ad una analogia. Proviamo a sostituire ‘medico’ e ‘accanimento terapeutico’ (ovvero l’attore e l’azione specifici). L’amministratore di un condominio non deve usare i soldi dei condomini per scopi personali perche´ e` sbagliato, e non perche´ glielo chiede o impone una carta. Sı`, d’accordo. In un mondo ideale non ci sarebbe da obiettare. Ma in quello reale e` meglio che ci sia una garanzia scritta della possibilita` del paziente di rifiutare l’accanimento terapeutico, senza affidarsi completamente al buon cuore del medico. E` davvero oscuro perche´ il testamento biologico sarebbe un discorso ideologico. Il testamento biologico e` una diretta e coerente conseguenza anche del consenso informato (che Pessina sembra apprezzare): il paziente
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puo` decidere di se stesso, viene informato (dovrebbe venire informato) degli aspetti di un intervento o di un trattamento medico e poi puo` decidere di sottoporvisi (firmando). Ma puo` anche decidere di rifiutare: anche questo sarebbe ideologico secondo Pessina? Che il consenso informato sia nato per migliorare il dialogo tra malati e medici e` piuttosto discutibile, e senza dubbio parziale. Perche´ e` nato soprattutto per dirimere contenziosi legali. Perche´ appunto siamo nel mondo reale e il rapporto tra medici e pazienti e` difficile (conflittuale, per dirla con Pessina), tormentato a volte, e sicuramente non puo` essere regolato esclusivamente dal senso di giustizia del medico (che il consenso informato non sia lo strumento migliore e` un altro discorso). La questione fondamentale, tuttavia, sembra essere un’altra: e riguarda la legittimita` di poter decidere della propria esistenza, trattamenti sanitari inclusi (attuali e rimandati). Puo` essere utile accennare, seppure brevemente, ai costi dell’accanimento terapeutico (costi che non sono soltanto economici). 6 Secondo una stima del 2005 di Antea su circa 8.000 malati terminali di cancro, spesso provenienti dalle piu` diverse regioni italiane «in almeno il 70% dei casi abbiamo potuto rilevare forme di accanimento terapeutico completamente inutile», ha affermato Giuseppe Casale, responsabile dell’Antea nel corso di un recente convegno dedicato all’accanimento. In Italia si stimano oltre 160.000 malati terminali per anno. Il nuovo codice di deontologia medica (1998) all’Articolo 14 stabilisce che «il medico deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti, da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualita` della vita» (il corsivo e` mio). Generalizzando si ritiene che oltre 100.000 persone subiscano forme di accanimento terapeutico. In alcuni casi limite l’accanimento si spinge fino al punto di realizzare vere e proprie mostruosita`; basti pensare ad alcuni interventi definiti in gergo “commando”, in cui vengono rimosse le masse tumorali fino alla distruzione totale della fisionomia di una persona. L’accanimento terapeutico in un malato terminale comporta dal punto di vista umano una vera e propria tortura inutile. Tuttavia, se un medico si ritrova facilmente in tribunale o sulle prime pagine dei giornali se si ritiene 6
Un’associazione senza fini di lucro costituita nel novembre 1987 che garantisce assistenza gratuita, sia a casa che in Hospice, ai malati in fase terminale e che applica le metodologie piu` moderne seguendo i principi delle cure palliative.
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che non siano state applicate alcune terapie, se pratica accanimento terapeutico non e` sanzionabile. Una simile asimmetria e` incresciosa e ingiustificabile. L’accanimento terapeutico comporta dei costi reali elevatissimi, ma anche un rilevante costo sociale: molti posti letto ospedalieri sono occupati da pazienti che potrebbero essere assistiti in maniera piu` idonea in altre strutture (si pensi agli Hospice), o a volte ancora meglio in casa. E secondo lo spirito che anima le cure palliative, che dedicano piu` attenzione al malato che alla malattia. La stima per difetto del costo dell’accanimento terapeutico si aggira intorno al miliardo di euro l’anno, pari a un decimo circa della spesa sostenuta per i normali ricoveri ospedalieri, risorse che potrebbero senz’altro essere utilizzate per garantire al paziente una qualita` di vita migliore ed in molti casi addirittura una maggiore sopravvivenza attraverso lo sviluppo di una rete di cure palliative idonea ed in linea con le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanita`.
5 Eutanasia pediatrica Il fatto che si creda che qualcosa e` sbagliato non implica mai, di per se´, che cio` `e sbagliato. James Rachels, La fine della vita
Luke Winston-Jones e` un bimbo gravemente malato. E` nato con una anomalia genetica chiamata sindrome di Edwards o trisomia del 18. Non ha mai lasciato l’ospedale dal giorno della sua nascita nel gennaio 2004, ha tre buchi nel cuore, difficolta` a respirare, a nutrirsi e le sue prospettive di sopravvivenza sono inesistenti. La sindrome di Edwards spesso causa la morte entro i primi giorni di vita, una minima percentuale arriva fino al primo compleanno. I medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool credono che non sia giusto rianimare Luke in caso di arresto respiratorio, perche´ significherebbe peggiorare ulteriormente la sua condizione gia` disgraziata. Secondo i medici rianimarlo non sarebbe nell’interesse del bimbo. La madre non e` d’accordo, e chiede che Luke sia tenuto in vita. L’Alta Corte di Londra e` chiamata a dirimere il contrasto tra medici e genitori. Il 22 ottobre l’Alta Corte autorizza i medici a astenersi da trattamenti aggressivi nel tentativo di tenere in vita Luke. Il piccolo muore il 12 novembre.
1. Il caso Luke Winston-Jones: quali dilemmi? Il caso di Luke solleva diversi problemi di natura morale: a cominciare dal valore dell’esistenza (qualita` della vita vs la sacralita` della vita, ad esempio), dall’attribuzione di responsabilita` (i genitori o i medici?), dalla stessa possibilita` di decidere per un altro individuo. Ma c’e` di piu`: ogni volta che la tecnica rende possibile qualcosa che prima non lo era, ci troviamo a dover rispondere a nuovi dilemmi che non
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possono essere semplicemente ignorati. Ignorarli e` gia` una precisa scelta morale; non fare niente implica delle conseguenze proprio come scegliere di agire in un modo piuttosto che in un altro. Puo` essere una scelta legittima in alcune circostanze, ma non e` mai priva di connotazione morale. E` evidente che soltanto qualche anno fa non ci sarebbe mai stato un caso Luke: l’avanzamento della medicina ha permesso di tenere in vita un bambino che sarebbe morto poche ore dopo il parto. Questa possibilita` come e` connotata moralmente? Per rispondere e` necessario analizzare le conseguenze di queste nuove possibilita`. E` un bene per Luke essere vissuto per 10 mesi? Sarebbe forse stato meglio per lui morire appena nato? Solo queste domande sollevano questioni importantissime. L’idea tradizionale che la vita sia intrinsecamente un bene viene intaccata dal dubbio. In alcune circostanze potrebbe essere preferibile una morte immediata piuttosto che il prolungamento di una vita compromessa. In quali situazioni potrebbe essere meglio morire piuttosto che continuare a vivere? La valutazione della preferibilita` della non esistenza rispetto all’esistenza e` complessa e si fonda su ragioni non esclusivamente mediche. In Olanda sono state tracciate delle Linee Guida per regolare l’eutanasia pediatrica, che cercano di indicare quali sono le condizioni mediche che permettono di interrompere la vita dei bambini; con quali modalita` devono essere prese e cosı` via. La possibilita` di ricorrere ad eutanasia (senza distinguere cavillosamente tra sospendere i trattamenti e causare attivamente la morte) ha suscitato un putiferio in Italia e altrove; il cosiddetto protocollo di Groningen ha infatti risvegliato la mai sopita polemica sull’eutanasia e l’insensato paragone con la politica razziale nazista. Nel caso di Luke (come nel caso della maggior parte dei bambini per i quali si prende in considerazione il ricorso all’eutanasia), non c’e` la possibilita` di chiedere al diretto interessato un parere. Luke non puo` esprimere un parere, non lo ha mai potuto esprimere. La decisione viene pertanto delegata ai genitori e ai medici. Nel suo caso si e` creato un conflitto, la cui risoluzione presenta una certa difficolta`. Da un lato e` necessario tenere conto della condizione medica di Luke; ma e` impossibile sottrarsi alla domanda: cosa avrebbe scelto Luke? O, in altri termini, cosa sarebbe meglio per lui? La questione sulla scelta investe le questioni di chi possa essere il migliore interprete di una volonta` che non ha mai potuto prendere corpo. Nessuno ha mai conosciuto Luke, nessuno gli ha parlato o conosce le sue preferenze. I medici arrivano alla decisione di non riani-
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marlo valutando le conseguenze di una ennesima crisi respiratoria sul futuro di Luke. Futuro, e` bene ricordarlo, gia` profondamente compromesso dalla sua malattia. Le sue condizioni sarebbero cosı` disgraziate che rianimarlo equivarrebbe a imporre al piccolo una tortura inutile. I genitori, al contrario, insistono sulla sopravvivenza del figlio a tutti i costi. Nel caso di Luke per dirimere il conflitto e` intervenuta l’Alta Corte. Sembra inevitabile porre l’ennesima domanda: e` giusto che una decisione tanto privata sia conferita a un organo pubblico?
2. Il protocollo di Groningen Nella primavera 2006 l’Olanda ha incaricato una commissione di regolare l’eutanasia pediatrica. L’Olanda e` il primo paese al mondo a valutare la possibilita` di permettere legalmente l’interruzione della sofferenza di bambini affetti da terribili malattie. Nei casi in cui l’interruzione della sofferenza puo` coincidere solamente con l’interruzione delle loro vite. La storia della piccola Chanou illustra la drammatica condizione di una bimba nata con una patologia incurabile e che rende la sua vita insopportabile. La piccola nasce nel 2000 con una grave anomalia metabolica; piange continuamente, soffre e prova intenso dolore non appena la si sfiora. Viene nutrita artificialmente fin dalla nascita; ha una prospettiva di vita (dolorosa) inferiore ai tre anni. I genitori Frank e Anita implorano i medici di farla smettere di soffrire. Quando Chanou ha sette mesi le e` sospesa l’alimentazione e somministrata della morfina. Secondo i genitori la bimba ha sofferto anche troppo a lungo, piu` di quanto avrebbe dovuto. In Olanda i medici hanno aiutato a morire alcuni bambini tanto gravemente ammalati, con il consenso dei genitori, anzi in seguito alla richiesta di porre fine alle sofferenze dei propri figli. Ma questi medici convivono con il timore di essere perseguiti per omicidio. Per questa ragione il problema e` stato sottoposto all’attenzione del governo olandese. Secondo molti medici la possibilita` di ricorrere all’eutanasia pediatrica alla luce del sole puo` essere un passo di fondamentale importanza. Eduard Verhagen, direttore di una Clinica Pediatrica a Groningen, ha stilato delle linee guida (il cosiddetto protocollo di Groningen) che sono state sottoposte al governo olandese, che contrariamente a quello indigeno non si e` sottratto dall’affrontare una questione tanto delicata e discussa. Le argomentazioni di Verhagen a favore dell’eutanasia infantile sono convincenti e ragionevoli: se un bambino e` condannato a morire senza
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avere alcuna possibilita` di guarigione, non sarebbe giusto evitargli tutta quella sofferenza che intercorre tra ‘adesso’ e l’inevitabile morte (spesso imminente, ma in ogni modo prevista entro un breve periodo di tempo)? E ancora, se si ammette, in simili circostanze, di lasciare morire il bimbo sospendendo i trattamenti e l’alimentazione, perche´ non si dovrebbe ammettere la somministrazione di una sostanza letale? L’ammissibilita` dell’eutanasia passiva e` abbastanza condivisa di fronte ad una grave malattia incurabile; ma quando dal lasciar morire si passa al provocare la morte direttamente, l’accettazione muta in condanna. Basta immaginare uno scenario diverso per capire che dal punto di vista morale, in verita`, non esiste una simile differenza. Come domanda Verhagen: c’e` forse una differenza tra il guardare un uomo annegare senza alzare un dito e spingerlo in acqua? La risposta giusta e`: no. E ‘no’ e` la risposta che le linee guida intendono offrire, senza ipocrisie e senza banali semplificazioni. E` terribile per un medico rinunciare a guarire, afferma Verhagen, ma accanirsi a prolungare una sofferenza che nemmeno la somministrazione di potenti antidolorifici puo` alleviare e` altrettanto terribile. Forse e` addirittura peggiore, perche´ si assiste ad una sofferenza che alimenta se stessa. L’Olanda ha il coraggio di non essere ipocrita. E` bene ricordare che permettere l’eutanasia (sia nel caso dei bambini, che nel caso degli adulti) in nessun caso implicherebbe una imposizione, ma costituirebbe soltanto una possibilita`, in circostanze tragiche e in caso di accordo dei genitori e di diversi medici. I criteri sono piuttosto severi, dunque. I genitori di Chanou sono riconoscenti a Verhagen e sono assolutamente convinti che la scelta, drammatica e amara, di darle la morte sia quella giusta, come unica ed estrema possibilita` di interrompere un dolore irrimediabile e insensato. Il protocollo di Groningen riguarda tre categorie di bambini affetti da gravi malattie. Nel primo gruppo ci sono i bambini senza alcuna speranza di sopravvivenza. Questo gruppo consiste in bambini che moriranno poco dopo esser nati nonostante i migliori e piu` avanzati trattamenti disponibili localmente. Questi bambini hanno malattie estremamente gravi, quali la ipoplasia polmonare e renale. I bambini nel secondo gruppo hanno una prognosi pessima e sono dipendenti dalle cure intensive. Questi pazienti possono sopravvivere dopo un periodo di cure intensive, ma le aspettative sul loro futuro sono bieche. Sono bambini con gravi anormalita` celebrali e danni estesi agli organi
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causati da ipossemia severa. Quando questi bambini possono sopravvivere oltre la degenza in terapia intensiva, hanno prognosi pessime ed una cattiva qualita` della vita. Nel terzo gruppo ci sono i bambini con prognosi disperata che vivono quella che i genitori e gli esperti di medicina considerano una sofferenza insopportabile. Anche se e` difficile definirlo in astratto, questo gruppo include i pazienti che non sono dipendenti da terapia intensiva ma per i quali e` prevista una pessima qualita` della vita associata a continua sofferenza. Per esempio, un bambino affetto dalla piu` grave manifestazione di spina bifida avra` una qualita` della vita estremamente bassa, anche dopo molte operazioni. Questo gruppo include anche bambini che sono sopravvissuti grazie alla terapia intensiva ma per i quali e` chiaro che dopo il completamento delle cure intensive la qualita` della vita sara` misera e non esiste alcuna speranza di miglioramento. Decidere di non iniziare o di sospendere i trattamenti di sostentamento vitale nei neonati con nessuna speranza di sopravvivenza e` considerata una buona pratica dai medici in Europa ed e` accettabile per i medici negli Stati Uniti. La maggior parte di questi bambini muoiono subito dopo l’interruzione del trattamento.
3. Baby Doe Le cosiddette Baby Doe Rules sono formalmente conosciute come Child Abuse Amendments to Public Law 98-457 o Child Abuse and Prevention and Treatment Act. Sono in vigore dal 1985, ovvero tre anni dopo la morte di Baby Doe. Le Baby Doe Rules sono criteri per il trattamento di bambini gravemente disabili o malati, indipendentemente dal volere dei genitori e dal parere dei medici. Baby Doe nasce a Bloomington nel 1982; soffre della sindrome di Down, di una fistola tracheoesofagea e di altri problemi di salute. I genitori hanno rifiutato di sottoporre il neonato all’intervento chirurgico per correggere il difetto e il bimbo e` morto dopo pochi giorni. Lo Stato dell’Indiana non ha ostacolato la decisione dei genitori, e un appello presentato alla Corte Suprema e` stato reso inutile dal decesso. (Secondo il Surgeon General di allora, C. Everett Koop, il rifiuto dei trattamenti a Baby Doe sarebbe stato deciso in considerazione del ritardo mentale e non perche´ i trattamenti fossero rischiosi; Koop manifesto` pubblicamente il proprio parere contrario. La maggior parte dei medici e dei pediatri erano invece d’accordo con i genitori di Baby Doe, accordo che tanto ha scandalizzato le associazioni a favore della sacralita` della vita. Right to Life Greater di Cincinnati dichiara (alla voce infanticidio):
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The cases of Baby Doe in Bloomington, Indiana [...] demonstrate to what degree the respect for human life has been eroded even after birth. [...] Both cases1 provide examples of how the abortion on-demand mentality has infected the American legal system. Instead of being welcomed into life and protected by law, many disabled children are seen as “burdens” to be disposed of as others see fit. Actual Text of the Law: The following text is found under the eligibility requirements for federal funding in U.S.C.A. TITLE 42, CHAPTER 67, Sec. 5106a. Grants to States for child abuse and neglect prevention and treatment programs: (B) an assurance that the State has in place procedures for responding to the reporting of medical neglect (including instances of withholding of medically indicated treatment from disabled infants with life-threatening conditions), procedures or programs, or both (within the State child protective services system), to provide for (i) coordination and consultation with individuals designated by and within appropriate healthcare facilities; (ii) prompt notification by individuals designated by and within appropriate health-care facilities of cases of suspected medical neglect (including instances of withholding of medically indicated treatment from disabled infants with life-threatening conditions); and (iii) authority, under State law, for the State child protective services system to pursue any legal remedies, including the authority to initiate legal proceedings in a court of competent jurisdiction, as may be necessary to prevent the withholding of medically indicated treatment from disabled infants with life threatening conditions.
Loretta M. Kopelman (Are the 21-Year-Old Baby Doe. Rules Misunderstood or Mistaken?, “Pediatrics” 2005; 115; 797-802) compie una analisi delle Baby Doe Rules molto interessante. Many neonatologists and other pediatricians reported that these rules immediately altered standards of care and limited clinicians’ and parents’ abilities to select individualized treatment plans and act in the best interests of infants.
La prima ragione per sostenere l’opportunita` di rivedere le Baby Doe Rules e` che «are inconsistent with other AAP [American Academy of Pediatrics] guidelines recommending individualized decisionmaking by clinicians and families for seriously ill children based on the best-interests standard». Kopelman ritiene piu` adatta una valutazione di ogni singolo 1
L’altro e` il caso di Baby Jane Doe, nata a New York nel 1983 con la spina bifida, idrocefalia, insufficienza renale e microcefalia.
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caso piuttosto che linee guida d’azione rigide e impersonali. Kopelman riporta un esempio dell’inadeguatezza di regole tanto astratte. Una famiglia e` alle prese con la penosa decisione di cosa fare per il loro bimbo nato prematuramente e gravemente malato, la famiglia e` una famiglia ‘allargata’, che comprende una zia che lavora come infermiera in un hospice e un cugino pneumologo. Tutti concordano sul fatto di non accanirsi sul piccolo e «that given the infant’s poor prognosisand suffering intrinsic to his illness and treatments, it was in his best interest to have comfort care and to forgo aggressive life-sustaining treatments» (Kopelman 2005, p. 798). Tre neonatologi sono d’accordo con la posizione della famiglia, ma non possono che contraddirla nei fatti perche´ le Baby Doe Rules impongono una scelta diversa e dunque e` necessario «to continue maximal treatments because the treatments for the infant’s condition were not virtually futile in terms of survival, he was not dying, and the infant was not in a chronic and irreversibile coma». Infermiera e pneumologo, oltre che addolorati, sono molto sorpresi del fatto che una decisione che sarebbe stata rispettata nel caso di un adulto, sia invece cosı` violata nel caso di un infante. La questione che Kopelman affronta e` se le Baby Doe Rules permettano decisioni sul caso singolo e se rispettino il principio del miglior interesse del bambino. In altri termini Kopelman si chiede se davvero i tre neonatologi (e molti altri) abbiano mal interpretato le Baby Doe Rules oppure no. The best-interests standard is a moral and legal standard for guiding decisions for persons lacking decision-making capacity and who have not left advance directives; it should be used by guardians, judges, clinicians, or other responsible persons for making decisions for the incompetent person by assessing the net benefits and burdens and selecting the best available options for the incompetent person (p. 789).
Il caso di Baby Jane Doe ha messo alla prova questa teoria legale. I genitori, informati del grave ritardo della figlia e della paralisi cui non sarebbe stato possibile rimediare, in accordo con i medici non volevano sottoporre la figlia a trattamenti aggressivi o a interventi chirurgici, ma ricorrere alle cure palliative nel migliore interesse della neonata. Ha inizio una battaglia legale. The US Supreme Court in Bowen vs American Hospital Association rejected the Reagan-Administration interpretation of the civil rights law that generated the first set of Baby Doe rules and went on to offer a stinging criticism of the purposes behind these regulations. The Bowen Court viewed these rules as unnecessary to protect the rights of disabled infants and as interfering
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with parental rights to consent or refuse treatment based on what they deemed to be in their infants’ best interest. The court also viewed these regulations as naive in their approach to medical decision-making, because the degree of disability is relevant to making good life-sustaining medical treatment decisions. The court concluded that these rules represented an unwarranted attempt to influence standards of care and that «no evidence of discrimination or discriminatory care was given». The court also endorsed the best interests of the child standard when it agreed with the Appellate Division ruling that «concerned and loving parents had chosen one appropriate medical course over another and made an informed decision in the best interests of the infant».
Altre decisione delle Corti hanno confermato questa visione; come la Corte d’appello nel Maryland («we have long stressed that the ‘best interest of the child’ is the overriding concern of this court in matters 2 3 relating to children» o la Corte Suprema del Texas in Miller vs HCA , che ha stabilito che i genitori avessero il diritto di decidere circa i trattamenti per i propri figli e che per aggirare il parere dei genitori fosse necessario un ordine legale da una Corte di giustizia. Secondo la decisione emersa da Miller vs HCA lasciare ai genitori la responsabilita` principale del destino dei propri figli avrebbe promosso l’interesse e la sicurezza dei bambini. Indicazioni ben diverse dalle Baby Doe Rules. Loretta Kopelman analizza le ragioni per le quali l’American Academy of Pediatrics dovrebbe sostenere le Baby Doe Rules. L’AAP Committee on Fetus and Newborn (1995) ha stabilito: The medical treatment of infants should be based on what is in their best interest. However, because the infant’s ‘best interest’ is not always clear, parents and health care givers are often faced with difficult treatment decisions when faced with the situation of a severely ill, extremely premature, or terminally ill infant (p. 362).
Proprio come nel caso di Luke Winston-Jones, il miglior interesse dei bambini puo` essere soltanto ipotizzato, e i criteri per inferirlo somigliano a quelli utilizzati per gli adulti che non possono esprimere una preferenza. E` evidente che la ricostruzione e` difficile e l’esito incerto; tuttavia sarebbe ingenuo sostenere che la mera sopravvivenza sia un criterio valido universalmente. E` necessario considerare le condizioni di quella sopravvivenza e 2
Grimes vs Kennedy Krieger Institute, Inc. 782 A. 2d 807, 366 Md. 20 (Court of Appeals of Maryland, 2001) at 853. 3 Miller vs HCA, 47 Tex. Sup. J 12, 118S.W. 3d 758 (2003).
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tentare di valutare l’interesse soggettivo del bambino o dell’adulto incapaci di manifestare o anche solo di provare una preferenza. Potrebbe essere che le Baby Doe Rules siano state mal interpretate e che sia stato malinteso il loro spirito? Secondo la AAP Committee on Bioethics (1996) [T]he actual language of the 1984 Child Abuse Amendments may permit more physician discretion than some realize. Although the law mandates provision of LSMT [life-sustaining medical treatment] to most seriously ill infants, it does provide for exceptions in the case of permanent unconsciousness, ‘futile’ treatment, and ‘virtually futile’ therapy that imposes excessive burdens on the infant. Physicians, with parental agreement, may even forgo giving hydration and nutrition when they think these measures are not ‘appropriate’ (p. 149).
Tuttavia l’affermazione del “right-to-life” e` cristallina. L’unica concessione alla qualita` della vita e` costituita dalla non obbligatorieta` del trattamento in caso di cronicita` e irreversibilita` dello stato di coma (Appendice 1). Condizione troppo angusta per una decisione sanitaria che dovrebbe essere presa nel miglior interesse dei bambini gravemente malati. Lo stato di sofferenza di un infante puo` essere terribile, appare ovvio, anche se non si trova in una condizione di coma irreversibile e cronico. Se un bambino gravemente malato e sofferente potesse sopravvivere a lungo ma senza prospettive di miglioramento ne´ di guarigione, potrebbe essere per lui la scelta migliore quella di sospendere o di non avviare trattamenti aggressivi, ma solo terapie per alleviare il suo dolore. La definizione di ‘trattamento futile’ finisce per confermare l’idea di santita` della vita. La condanna di Kopelman verso le Baby Doe Rules e` senza appello: in base ad una indagine condotta con altri medici le Baby Doe Rules vengono considerate non necessarie per proteggere i diritti dei bambini disabili, poco attente nel considerare la sofferenza degli infanti e una intrusione nel diritto genitoriale di stabilire quale sia il miglior interesse per il proprio figlio. Sulla questione, proprio come sul protocollo di Groningen, in Italia c’e` stato chi ha voluto metterci in guardia sulle rischiose implicazioni della faccenda. Ricordando che il presidente Ronald Reagan autorizzo` squadre speciali di medici a irrompere senza autorizzazione negli ospedali per vigilare che non si ripetessero
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casi simili [a quelli di Baby Doe]. La vera questione e` se affermare e proteggere la santita` della vita umana o abbracciare un’etica sociale in cui alcune vite umane sono degne e altre no. Come nazione dobbiamo scegliere fra la santita` della vita e la ‘qualita` della vita’ (Attenzione, i pediatri americani discutono di “qualita` della vita”, Giulio Meotti, “Il Foglio”, 23 agosto 2006).
E` impressionante che uno Stato si avvalga di termini quali santita`. Per etica sociale, e` evidente, si intende darwinismo sociale. Inoltre: non si sta parlando (vale per Baby Doe e per il protocollo di Groningen) di una entita` sovraindividuale che assegna il valore alle esistenze dei cittadini, decidendo poi che quanti non raggiungono la ‘sufficienza’ siamo eliminati. Piuttosto se gli individui siano liberi di scegliere della propria vita. Nel caso degli infanti (e di coloro che non possono piu` esprimere una volonta`), come piu` volte e` stato detto, la complicazione e` costituita dalla necessita` di ipotizzare o ricostruire la volonta`. Operazione difficile e imprecisa: d’altra parte l’alternativa sarebbe non fare niente, dimenticando che non fare niente (non interrompere un trattamento, ad esempio) ha implicazioni morali, non e` un gesto neutrale e amorale. Meotti, come d’abitudine, non espone nessuna valida ragione a sostegno della sua tesi, se non sproloqui sulla santita` della vita, l’assurdita` di rivedere la legge del 1984 e l’immancabile strizzata d’occhio all’eugenetica. Per Meotti e` infatti assurdo voler rivedere regole che «hanno consentito a piu` di 430.000 infanti invalidi di venire alla luce», e` talmente evidente da non richiedere discussioni. Ritengo che Kopelman abbia spiegato a fondo le sue ragioni e che queste possano essere una risposta al parere di Meotti e di quanti la pensano come lui.
4. Uccidere e lasciar morire E` opinione diffusa che esista una differenza tra uccidere e lasciar morire (differenza su cui si fonderebbe la distinzione tra eutanasia passiva ed eutanasia attiva). Dal punto di vista morale non esiste una differenza. Intendo discutere le conseguenze della posizione tradizionale (Rachels 1986) e dimostrare l’identita` morale tra un’azione e un’omissione che abbiano il medesimo esito: la fine della vita. La posizione tradizionale implica conseguenze dannose per i pazienti. Si pensi al seguente caso: c’e` un malato terminale e tre possibili scelte. 1. Interrompere la sua vita con una iniezione letale. 2. Sospendere le cure e lasciarlo morire (mettiamo, in due giorni; due giorni di atroci sofferenze). 3. Prolungare il piu` possibile la sua vita (x giorni).
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Secondo la posizione tradizionale i medici possono scegliere 2. ma non 1. Quali sono le ragioni per permettere la sospensione dei trattamenti e la conseguente morte del paziente? L’insensatezza di prolungare le sue sofferenze (si ricordi che non esiste nessuna possibilita` di guarigione). Ma nel caso 2. il paziente soffrira` terribilmente per due giorni. L’iniezione metterebbe fine alle sue sofferenze (certo, anche alla sua vita, ma lo stesso accade nella sospensione dei trattamenti). In altre parole, gli ci vorra` piu` tempo per morire, e questo tempo e` connotato dal dolore e dallo stesso esito di 1.: la morte. La ragione per cui 2. viene ammesso (risparmiare inutili sofferenze) dovrebbe far preferire di gran lunga 1. Scegliere 2. e` crudele e insensato. Il caso dei bambini affetti da sindrome di Down discusso da James Rachels (1986) e` particolarmente interessante. La sindrome di Down e` complicata a volte dall’atresia duodenale, una ostruzione intestinale che impedisce di ricevere nutrimento. In alcune circostanze i medici e i genitori decidono di non sottoporre il bambino all’intervento per correggere il difetto intestinale e lo lasciano morire. Anthony Shaw, medico e sostenitore della moralita` di lasciare morire tali bambini sostiene: [...] mettersi da parte e guardar morire un neonato salvabile e` una esperienza emotivamente terribile [...] restarsene nel nido tra le incubatrici e guardare come disidratazione e infezioni martoriano un esserino per ore e giorni (Rachels 1986, p. 118).
Se si decide di non operare un bambino Down e occluso, perche´ mai lo si dovrebbe lasciare morire dopo atroci sofferenze, quando una iniezione provocherebbe subito la morte senza dolore? Naturalmente, se si contesta la scelta di lasciare morire questi neonati, si contestera` anche la scelta di ucciderli. Ma se e` ammessa la possibilita` di lasciarli morire, allora perche´ non ricorrere all’iniezione piuttosto di lasciarli languire e martoriare dalle infezioni? Queste considerazioni sarebbero gia` sufficienti per scardinare la posizione tradizionale riguardo all’uccidere e al lasciar morire. Ma il caso di questi bambini illumina una conseguenza ancora piu` sorprendente. L’atresia duodenale non e` un sintomo necessariamente implicato dalla sindrome di Down; qualche volta e` presente. Quando un bambino ha sia la sindrome di Down che l’atresia duodenale, a volte si decide di lasciarlo morire. Quando ha solo la sindrome di Down, i bambini vivono. La situazione e` la seguente. Alcuni bambini soffrono della Sindrome di Down e di atresia duodenale: muoiono. Altri bambini soffrono della Sindrome di Down ma non di atresia: vivono.
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Perche´ si lascia morire i bambini con una ostruzione intestinale? Non certo per l’atresia, risolvibile con un intervento chirurgico abbastanza semplice. E allora? L’unica risposta sembra essere: perche´ il bambino e` affetto dalla sindrome di Down e i medici insieme ai genitori decidono che per lui e` preferibile morire piuttosto che vivere in simili condizioni. Questo e` il motivo della decisione. Pero` i bambini Down senza ostruzione intestinale vivono: sono bambini afflitti dallo stesso problema per cui si e` deciso di lasciare morire i primi. Se si ritiene che la sindrome di Down sia tanto grave da preferire la morte di quei bambini che ne sono affetti, allora e` irrilevante che quegli stessi bambini siano o no affetti anche da un problema intestinale (facile da correggere). L’assurdita` e l’irrazionalita` di tale scenario sono una conseguenza della visione tradizionale: e` possibile lasciar morire un bambino per una malformazione intestinale (non intervenendo chirurgicamente), ma non e` poi possibile scegliere in assenza di malformazione, perche´ non possiamo uccidere.
5. La tesi dell’equivalenza La tesi dell’equivalenza dice che non esiste una differenza rilevante dal punto di vista morale tra uccidere e lasciar morire. Cio` non significa che non ci possano essere ragioni per ritenere un atto di uccisione peggiore di un atto di lasciar morire, piuttosto che «il semplice fatto che uno e` uccidere, mentre l’altro e` lasciar morire, non fa parte di queste ragioni» (Rachels 1986, p. 120). L’esempio di James Rachels e` il seguente. Caso 1: Rossi erediterebbe molti soldi se suo cugino di 6 anni morisse. Una sera il bambino fa il bagno; Rossi entra, lo affoga, sistema le cose per simulare un incidente. Nessuno lo scopre, e lui eredita. Caso 2: Verdi erediterebbe molti soldi se suo cugino di 6 anni morisse. Una sera il bambino fa il bagno; Verdi entra con l’intento di affogarlo, ma il bambino scivola e batte la testa. Nel giro di qualche minuto affoga senza che Verdi sia intervenuto. Verdi eredita.
Rossi ha ucciso il cuginetto, invece Verdi lo ha soltanto lasciato morire. Saremmo forse disposti a dire che il comportamento di Verdi sia moralmente preferibile al comportamento di Bianchi? In base alla tesi tradizio-
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nale dovremmo: se lasciar morire e` diverso e moralmente preferibile all’uccidere, allora dovremmo dire che Verdi si e` comportato meglio di Rossi. L’intento di Rossi e Verdi e` il medesimo: ottenere l’eredita` tramite l’eliminazione dell’ostacolo (il cugino di 6 anni). Il risultato e` il medesimo: la morte del bambino e l’eredita` al farabutto. La conseguenza era ugualmente necessaria tanto nell’azione che nell’omissione: la morte. Tutte le attenuanti sarebbe valide tanto nel caso di Rossi che in quello di Verdi. Il fatto che il primo abbia ottenuto l’eredita` tenendo il bambino sott’acqua, e il secondo si sia limitato a guardarlo affogare, non costituisce di per se´ una differenza rilevante. Alcuni degli argomenti proposti per contrastare questa equivalenza sono noti, si potrebbe dire abusati. Ne propongo alcuni. La condanna assoluta dell’uccidere e la profonda differenza rispetto al lasciare morire, secondo alcuni, sarebbe dimostrata dall’evidente inaccettabilita` morale dell’essere la causa della morte di qualcuno. Ma quanto andrebbe dimostrato, ancora una volta, e` che esiste una differenza moralmente rilevante tra staccare il respiratore e praticare una iniezione. Differenza invece flebile, e moralmente inconsistente. Per tutte le ragioni che sono state esposte. Per alcuni sarebbe sufficiente invocare il compito proprio della medicina per scansare il dubbio che anche provocare la morte rientri nel dominio squisitamente medico. In altre parole si richiama il dovere di non far male al prossimo (in generale, non solo del medico) e lo si definisce molto piu` forte del dovere di aiutare il prossimo. Senza dubbio il dovere morale e professionale del medico e` quello di stare vicino al paziente, di aiutarlo. Ma la questione diventa allora: uccidere (aiutare a morire) un paziente in agonia significa necessariamente e unicamente fargli del male? Oppure in alcune circostanze puo` essere un atto pietoso, e addirittura preferibile rispetto al tenerlo in vita a tutti i costi? D’altra parte lo spirito della condanna verso l’accanimento terapeutico e` proprio la consapevolezza che in alcune circostanze la resa e` la scelta giusta, e che anche la morte rientra nei compiti del medico. Qualcuno invoca il coinvolgimento del medico come ostacolo insuperabile al provocare attivamente la morte di un paziente. Se e` comprensibile che ci possano essere resistenze e difficolta` nel causare direttamente la morte di una persona (per quanto gravemente malata e per quanto abbia espresso il desiderio di morire), non bisogna mai dimenticare che le reazioni personali o psicologiche devono essere distinte dagli ostacoli
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morali, e soprattutto le credenze morali devono essere sottoposte al vaglio, perche´ non e` detto che credere che un atto sia sbagliato (eutanasia attiva) implichi che quell’atto sia davvero sbagliato. La concezione della medicina e` mutata anche in seguito all’impetuoso sviluppo della biomedicina, che ha permesso atti un tempo impensabili. Quando curare diventa impossibile la medicina deve affrontare la morte; la medicina ha a che fare con la vita e la guarigione, ma deve necessariamente fare i conti con la morte e, per il bene del paziente, questa dovrebbe essere meno dolorosa possibile. La medicina dovrebbe essere maggiormente estranea all’accanimento terapeutico piuttosto che al porre fine ad una vita destinata alla morte imminente e alle sofferenze piu` crudeli (e inutili).
6 Fecondazione eterologa POZZO Lei e` proprio sicuro? VLADIMIRO E come no, se ce l’ha gia` detto. POZZO Ve l’ho gia` detto? ESTRAGONE Ce l’ha gia` detto? Samuel Beckett, Aspettando Godot Le verita` accettate irrazionalmente possono far piu` danni dell’errore ragionato. Aldous Huxley, Saggi
In una puntata della popolare sitcom Friends (Stagione 3, episodio 3, The 1 One with the Jam, 1996) Monica consulta un catalogo di donatori di seme alla ricerca del donatore ideale; il donatore di sperma per avere un figlio. Un figlio della fecondazione eterologa. Per quanti hanno un certo problema di sterilita` o sono single, il ricorso a un gamete, maschile o femminile, e` l’unica possibilita` di avviare una gravidanza. Anche in Italia, fino a qualche tempo fa, alcune coppie ricorrevano alla donazione di gameti perche´ l’uomo non produceva piu` spermatozoi a causa di una chemioterapia; oppure perche´ la donna aveva subito un intervento chirurgico e non aveva ovociti. I singles hanno avuto sempre una vita piu` difficile. La legge 40 del 2004 ha eliminato la discriminazione: ha vietato a tutti la possibilita` di ricorrere alla donazione di un gamete.
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Courteney Cox.
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1. Chi subisce un danno? C’e` qualcuno che potrebbe subire un danno in seguito alla fecondazione eterologa? Questa e` la domanda cruciale cui e` necessario rispondere per giudicare l’ammissibilita` morale e legale della fecondazione eterologa. I protagonisti sono quattro: i genitori, il nascituro, i medici e la societa`. 1. I genitori. Credo sia facile escludere che i genitori potrebbero essere danneggiati dal ricorso alla fecondazione eterologa. Infatti, ricorrervi permette loro di realizzare un desiderio che altrimenti non potrebbero realizzare oppure che potrebbero realizzare a costo di rischi eccessivi (come nel caso di malattie geneticamente trasmissibili). Le uniche premesse che servono riguardano l’assenza di costrizione nel ricorrere alla fecondazione eterologa (ma questa e` una premessa universale e non riguarda in alcun modo il caso specifico) e un trattamento sanitario ed economico adeguato (e anche questa premessa e` universale). Esistono alcune persone che desiderano avere un figlio, ma che hanno un impedimento che frustra il loro desiderio di genitorialita`. La fecondazione eterologa restituisce loro la speranza e diventa uno strumento di felicita`, non certo foriero di danni. 2. Il nascituro. Il nascituro e` il soggetto piu` debole e il meno responsabile: subisce un qualche danno come figlio di una fecondazione eterologa? (Vedi il prossimo paragrafo) 3. I medici. I medici sono coinvolti inevitabilmente in un processo di fecondazione eterologa e, sebbene marginalmente, ne potrebbero subire le conseguenze. Sono forse i medici ad essere danneggiati? Con le premesse generali di correttezza professionale e competenza, non credo verosimile ipotizzare un danno per gli operatori sanitari; piuttosto potrebbero partecipare della gioia di una nascita che non ci sarebbe stata altrimenti e della soddisfazione per una tecnica che restaura la possibilita` di avere figli. 4. La societa`. Non esiste alcuna ragione per cui la fecondazione eterologa possa considerarsi intrinsecamente immorale; quindi la societa` non avrebbe alcuna valida ragione per scoraggiarla o per vietarla in nome di un presunto danno all’organismo sociale. Nascere come figlio dell’eterologa non implica caratteristiche pericolose socialmente o lesive; nascere con l’eterologa e` soltanto un modo un po’ diverso rispetto a quello tradizionale, e devono valere le stesse limitazioni che valgono per la procreazione naturale. La societa` non potrebbe essere in alcun modo danneggiata dalla fecondazione eterologa in quanto fecondazione eterologa.
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2. Il divieto di fecondazione eterologa Ogni bambino nasce dall’unione di un ovocita (gamete femminile) e di uno spermatozoo (gamete maschile). Ci sono alcune persone che hanno bisogno di ricorrere all’aiuto della medicina per avere un figlio e ricorrono alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. In molti casi si utilizzano i gameti della coppia (fecondazione omologa). In alcune circostanze questo non e` possibile e l’unica possibilita` di avere un figlio e` di ricorrere alla donazione di un gamete, femminile o maschile, proveniente da un donatore esterno alla coppia. La legge 40 vieta questa possibilita`: siamo d’accordo su questo divieto, oppure riteniamo ingiusto vietare per legge la possibilita` di diventare genitore in un modo un po’ diverso da quello tradizionale? Partendo dalla premessa che dovremmo essere liberi di compiere le nostre scelte in assenza di ragioni valide a sostenere un divieto, dobbiamo chiederci se esistono queste ragioni nel caso del divieto di fare ricorso alla fecondazione eterologa. In primo luogo e` bene ricordare che condannare il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa significa soltanto dare la liberta` alle persone che lo desiderano di fare ricorso a questa soluzione, mantenendo intatta la nostra eventuale scelta diversa (in altre parole, ‘io non lo farei’ non sarebbe minacciato dalla possibilita` concessa agli altri; d’altra parte, ‘io non lo farei’ non dovrebbe diventare automaticamente ‘nessuno puo` farlo’). Secondo molti la ragione per proibire la fecondazione eterologa consiste nel fatto che l’esistenza del figlio dell’eterologa sarebbe una esistenza sciagurata. Si puo` rispondere a questo argomento ricordando che esistono gia` moltissimi figli dell’eterologa, e non c’e` alcuna evidenza sulla loro presunta infelicita`; anzi il contrario. Spesso questi sono figli cosı` desiderati da ricevere cure e attenzioni maggiori rispetto a tanti figli “naturali”, magari trascurati, magari non desiderati. Secondo molti desiderare un figlio ‘a tutti i costi’ e` un male, e non dovrebbe essere permesso realizzare un desiderio malsano. E` forse superfluo ricordare che a questo rischio sono esposti anche coloro che non hanno bisogno di ricorrere alla fecondazione eterologa; ma soprattutto non e` verosimile collegare il desiderare fortemente un figlio all’essere un cattivo genitore. Addirittura si potrebbe sostenere il contrario: chi affronta difficolta` e ostacoli per avere un figlio, probabilmente sara` un genitore molto premuroso e affettuoso. In ogni modo, chi per un problema di sterilita` deve ricorrere alla fecondazione eterologa ha tutte le carte in
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regola per essere un buon genitore – di certo non meno di chi puo` avere un figlio ‘naturalmente’. Alcuni condannano la fecondazione eterologa, e appoggiano il divieto legale di farvi ricorso, in nome della somiglianza con l’adulterio. Innanzi tutto e` giusto e doveroso ricordare che l’adulterio non e` vietato per legge. La condanna puo` essere di ordine morale; ma il giudizio morale non deve trasformarsi in coercizione legale. Il motivo per cui condanniamo (moralmente) l’adulterio e` la presenza di un inganno, il tradimento di un patto liberamente stipulato tra due persone, il dolore arrecato a colui che e` tradito, e cosı` via. Nel caso della fecondazione eterologa non c’e` inganno, non c’e` tradimento; al contrario, c’e` una decisione comune, un accordo tra i futuri genitori che insieme scelgono di utilizzare una tecnica e un gamete donato da qualcun altro per rimediare all’impossibilita` di avere un figlio altrimenti. Senza inganni ne´ tradimenti, essi stabiliscono di percorrere una strada un po’ diversa da quella tradizionale, allo scopo, legittimo, di avere un figlio. Il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa appare ancora piu` assurdo se si pensa che quel figlio non sarebbe mai potuto nascere altrimenti. Non sarebbe potuto nascere come figlio di una fecondazione omologa, e la sua unica alternativa e` non esistere. Davvero l’esistenza come figlio dell’eterologa sarebbe tanto penosa da preferirle la non esistenza? Io credo proprio di no. Questi bambini sono accolti affettuosamente e amati, e poco importa che non vi sia una relazione genetica tra un genitore e il figlio. La genitorialita` non puo` essere ridotta a legame biologico, ma e` fatta di affetto, di cura, di rapporto. Il genitore e` colui che cresce un figlio, chi gli legge le favole e lo va a riprendere alle feste; non chi gli e` legato geneticamente. Molti di noi sono stati allevati da papa`, mamme o nonni che non erano papa`, mamme e nonni genetici. Qualcun altro aveva fornito il materiale genetico; ma e` morto, o ha fatto altre scelte. Noi, pero`, siamo stati bambini e bambine felici con quei genitori e quei nonni che ci hanno cresciuto con amore. Non e` importante che abbiano davvero fornito loro l’ovocita o lo spermatozoo. Quel che conta e` quanto ci hanno voluto e ci vogliono bene. Questa e` l’unica ‘legge’ che dovremmo considerare giusta.
3. Fecondazione eterologa naturale La fecondazione eterologa non e` impedita qualora sia naturale. E maschile (per una questione meramente tecnica la fecondazione femminile naturale
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non e` possibile). Se, infatti, una donna decide di avere un rapporto sessuale con un uomo diverso dal compagno o dal marito, lo Stato non interviene per impedirglielo. Allo stesso modo se una donna e` single, puo` decidere di avere un rapporto sessuale a scopo procreativo con un uomo che non sara` il padre del nascituro. Se la stessa donna (accompagnata o sola) volesse ricorrere alla donazione del seme (volesse cioe` perseguire lo stesso risultato tramite uno strumento diverso, la banca del seme invece del sesso), le sarebbe impedito dalla legge 40. Per la coppia sarebbe lo sperma di un terzo individuo a costituire il 2 patrimonio genetico ‘paterno’ del nascituro (che sia un amico o un donatore e` moralmente irrilevante). Per la donna sarebbe lo sperma di un uomo che non sara` il padre del nascituro (che sia un amico o un donatore e` moralmente irrilevante). Vietato. Se lo Stato impedisce per legge di ricorrere alla fecondazione eterologa artificiale, coerenza vorrebbe che intervenisse anche nel caso di promiscui rapporti sessuali volti ‘esclusivamente’ alla procreazione e che determinano una separazione tra padre genetico e padre sociale (o l’assenza del padre genetico nel caso della donna single). La distinzione tra naturale e artificiale non giustifica la diversita` del trattamento riservato alla fecondazione eterologa. E nemmeno il fatto che nel caso di fecondazione eterologa naturale il fattaccio si consumerebbe in privato. Lo Stato dovrebbe intervenire tramite una azione coercitiva, volta a impedire il rapporto sessuale tra una donna e un uomo diverso dal padre del nascituro. E qui si apre anche uno spiraglio grottesco: il rapporto sessuale dovrebbe essere impedito solo nel caso fosse procreativo? E` evidente che e` quantomeno difficile sapere se un rapporto sessuale sara` coronato dal successo fecondativo oppure no. E soprattutto lo Stato dovrebbe conoscere in anticipo l’intenzione degli attori e l’esito del rapporto stesso per intervenire nel caso sia a scopo riproduttivo e lasciar correre nel caso sia solo a scopo lussurioso. Ma ancora: bisognerebbe richiedere una qualche assicurazione all’uomo rispetto al suo futuro di padre? E ottenere una qualche dimostrazione della sua intenzione ‘seria’ di curarsi della prole? Pur concedendo che una simile lungimiranza fosse realizzabile, le conseguenze disastrose non finiscono qui. 2
E, simmetricamente, sarebbe l’ovocita della donatrice a fornire parte del patrimonio genetico.
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L’intervento coercitivo dello Stato implicherebbe, con le parole di Joel Feinberg, l’entrare nel buio delle stanze private, confiscare la privacy dei cittadini, accettare le sgradevoli conseguenze della coercizione per ottenere, nel migliore dei casi, un ipocrita conformismo alla moralita` di Stato. Se l’idea dello Stato che si intrufola nell’intimita` e` intollerabile e ridicola, il regime sanzionatorio previsto dalla legge sulla procreazione assistita aggrava l’assurdita` del divieto delle tecniche eterologhe. La punibilita` del medico che ha effettuato una fecondazione eterologa richiede la prova positiva dell’adozione di tale tecnica, e la necessita` di rifiutare l’insidiosa tentazione di inferire l’avvenuta fecondazione eterologa dalla diversita` del patrimonio genetico tra il bambino e il padre, eventualita` realizzabile attraverso un rapporto sessuale della donna con un altro uomo. Prima di stabilire la consumazione del reato, inoltre, e` necessario escludere un eventuale scambio in culla o un errore nelle provette da cui i gameti sono stati prelevati. Infine va rimarcato come la sanzione amministrativa prescinda dalla presenza di dolo o di colpa del medico il quale si troverebbe in questo modo nella necessita` di dare la prova positiva di un evento a lui non imputabile; prova estremamente difficile se non impossibile (Documentazione della Societa` Italiana Scienze della Medicina della Riproduzione sul Ddl 1514, 1 ottobre 2002).
Spesso viene proposto l’argomento che lo Stato non puo` legittimare qualcosa che di fatto avviene (e che forse si vorrebbe impedire ma sarebbe troppo impopolare farlo – come nel caso di proibire per legge che qualcuno possa avere rapporti sessuali con un individuo che non sia il proprio uomo o la propria donna, o con piu` individui). Ma il nodo centrale e` che devono essere spiegate le ragioni di quel ‘non puo`’, e devono essere proposte valide argomentazioni a sostegno del divieto e non della permissivita`. Ancora una volta, e` il divieto e la coercizione legale che devono essere giustificati e non la possibilita` di scegliere individualmente se compiere o non compiere una azione non dannosa. La liberta` deve essere ritenuta innocente fino a prova contraria. La presenza di un (presunto) reato morale non e` un motivo convincente di colpevolezza. Ne´ tanto meno sembra ragionevole sostenere, nel caso della fecondazione eterologa, che il divieto e` basato su un bene maggiore (‘per il tuo bene’) che chi desidera un figlio e puo` averlo solo ricorrendo all’eterologa non e` capace di vedere o che il desiderio di genitorialita` non sarebbe genuino. La verita`, secondo il paternalismo, e` che il reale bene di chi ha
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bisogno di fare ricorso all’eterologa e` non procreare (come la natura ha stabilito? E come la mettiamo nel caso dell’eterologa naturale?). Uno Stato davvero laico su quali basi legittime potrebbe poggiare il divieto di ricorrere al seme di un donatore? Soltanto in base al principio del danno, che in questo caso non esiste. Per nessuno.
7 Il genitore ideale Nobody born of woman shall harm Macbeth. William Shakespeare, Macbeth Qualunque persona dotata di una superficiale religiosita` potrebbe credere che il pane rappresenti simbolicamente il corpo di Cristo; ma ci vuole un vero cattolico purosangue per credere in qualcosa di cosı` folle come la transustanziazione. Richard Dawkins, Il Cappellano del Diavolo
Esistono molti casi in cui gli aspiranti genitori sono sottoposti a screening; l’intento e` quello di verificare se sono adatti oppure no ad assumersi il ruolo genitoriale. Persone mentalmente ritardate, donne incinte in condizioni sociali e economiche disagiate, quanti richiedono una adozione o un affidamento, o genitori sospettati di non prendersi cura dei propri figli. In tutti questi casi lo scopo dichiarato e` la protezione dell’esistenza dei bambini e la garanzia della qualita` della loro vita. Pur assumendo la buona fede della protezione filiale, tutti questi casi si configurano come possibili o potenziali violazioni della liberta` procreativa. Oltre ai casi menzionati, c’e` un’altra categoria che deve sottoporsi alla selezione genitoriale per avviare il percorso riproduttivo – ingenerosa espressione per denotare il desiderio di avere un figlio. Sono tutti coloro che richiedono l’accesso alla fecondazione in vitro (FIV). E` sorprendente che lo screening degli aspiranti genitori tramite FIV abbia lo scopo di «stabilire non solo la loro adeguatezza medica alle procedure, ma precisamente la loro idoneita` come genitori per se´ oltre che come destinatari di una risorsa scarsa» (Harris 1992, p. 129). John Harris propone di analizzare i criteri di screening impiegati dal St Mary’s Hospital di Manchester, prima clinica del servizio sanitario nazionale inglese autoriz-
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zata a praticare la FIV. I criteri adottati al St Mary’s somigliano infatti ai criteri adottati in molti altri centri in Inghilterra e in altri Paesi. I seguenti criteri (Harris 1992, p. 130) sono i criteri per essere ammessi alla lista d’attesa, e non costituiscono una garanzia di ricevere il trattamento di fecondazione in vitro. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
L’eta` massima e` di 36 anni per le donne e 46 per gli uomini. La coppia deve convivere da almeno tre anni. La coppia dei richiedenti non deve avere altri figli viventi. La coppia non deve avere nessuna malattia fisica o psichiatrica importante. La donna deve avere un’ovulazione regolare. La coppia non e` ammessa se la sola causa di infertilita` e` un fattore maschile. Le ovaie devono essere accessibili alla laparoscopia o agli ultrasuoni. La coppia deve avere la residenza nella zona di pertinenza dell’autorita` sanitaria della regione nord-occidentale. La donna deve avere un peso corporeo pressoche´ ideale in relazione all’altezza. La coppia non deve avere beneficiato di piu` di due trattamenti completi di FIV o GIFT altrove. La coppia deve soddisfare i criteri per l’adozione.
Il trattamento e` destinato soltanto alle coppie eterosessuali. Molte coppie vicine al termine della fertilita` sono scartate; tra gli esclusi ci sono inoltre: i singles, le coppie omosessuali, le coppie con figli viventi non geneticamente propri. Gli obiettivi di questi criteri sono i seguenti: stabilire un criterio di scelta tra i richiedenti a causa della limitatezza delle risorse; ottenere il piu` alto grado di successo procreativo (nascita del piu` alto numero di bambini); valutazione dell’adeguatezza dei potenziali genitori. Tutti questi criteri sono discutibili e possono costituire un pretesto per diverse e odiose discriminazioni. Il primo obiettivo e` reso necessario ogniqualvolta una risorsa non sia presente in misura sufficiente da soddisfare tutti coloro che ne fanno richiesta. E` il problema dell’allocazione delle risorse sanitarie, ad esempio, o dell’assegnazione di alloggi popolari: il bene disponibile puo` essere accessibile soltanto a un sottoinsieme tra coloro che lo desiderano o ne
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hanno bisogno. Seppure brevemente, vi sono alcune questioni che devono essere ricordate nella scelta di un criterio selettivo. La natura del bene influisce sul criterio stesso e influisce anche sulle politiche (sanitarie o sociali o demografiche) che hanno il compito di stabilire quel criterio e di cercare di allargarne i confini. I problemi sanitari rappresentano uno dei problemi piu` spinosi: quale morale puo` essere invocata a giustificazione del fatto che un bene primario non sia disponibile per tutti? Quale morale, soprattutto, puo` essere invocata a giustificazione del fatto che spesso il criterio di selezione e` un criterio economico? Se il bene in questione e` secondario la scelta del criterio selettivo pone meno problemi morali, e generalmente richiede motivazioni intelligibili e la garanzia della loro esecuzione; in altre parole, il rispetto delle regole del gioco. Il rimedio alla sterilita` deve essere considerato come la restaurazione di un bene primario oppure di un bene secondario? Nel primo caso la policy dovrebbe prefiggersi lo scopo di fornire a tutti coloro che soffrono di sterilita` la possibilita` di ricorrere alla FIV e in generale alle tecniche di procreazione assistita. Nel frattempo (finche´ sono presenti ostacoli di natura economica), i criteri di selezione dei candidati dovrebbero confrontarsi con dilemmi morali 1 simili a quelli che solleva la questione dei trapianti d’organi . La somiglianza diverrebbe identita` nei casi in cui fosse necessario ricorrere alla donazione di ovociti o all’utero surrogato. Il secondo obiettivo (ottenere il piu` alto grado di successo procreativo, ovvero la nascita del piu` alto numero di bambini) e` strettamente legato alla limitatezza delle risorse e asserisce che la scelta dei candidati deve cadere su quegli individui che offrono le maggiori assicurazioni di riuscita della FIV – o di qualunque altra tecnica procreativa. E` un criterio analogo a quello che asserisce che un organo deve essere trapiantato nel corpo che offre le maggiori garanzie di sopravvivenza. E` evidente che una scelta di questo tipo solleva dei problemi di natura morale. Spostiamo la nostra attenzione alla scelta del migliore candidato nel ricevere un cuore nuovo, e immaginiamo che vi sia il candidato A, 35 anni, risultati buoni ai test di rigetto, organismo in buone condizioni; e il candidato B, 55 anni, mediocri risultati ai test di rigetto, diabetico. In base al criterio del migliore risultato possibile, non c’e` dubbio che la scelta cadrebbe su A: in presenza di un solo cuore, questo sarebbe l’argomento a difesa della scelta di A come ricevente, e` necessario privilegiare la situazione che garantisce una maggiore possibilita` di successo; il candidato A offre senza dubbio buone garanzie di riuscita del trapianto (mettiamo l’80% di probabilita` di riusci1
Vedi supra capitolo “Espianto d’organi”, pp. 35-47.
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ta), mentre il candidato B ha una probabilita` di successo terapeutico inferiore (mettiamo intorno al 45%). Ricordiamo che e` necessario compiere una scelta, e ammettiamo che il criterio suddetto costituisca un modello decisionale. L’importante e` non dimenticare che il dilemma morale non e` stato azzerato: qualcuno potrebbe proporre la seguente obiezione. Il candidato B, qualora non gli venisse trapiantato un cuore nuovo, rischia di morire entro pochi giorni; il candidato A presenta una prognosi migliore. Dare oggi il cuore nuovo al candidato A significa mettere B nelle condizioni di rischiare la propria vita nell’attesa di un secondo cuore; al contrario, decidere di operare B, non comporta gravi pericoli di vita per A, il quale potrebbe aspettare un secondo cuore anche per alcuni mesi. Che fare? Non essere il candidato prescelto per la FIV non comporta pericoli di morte; ma potremmo immaginare, in un analogo conflitto tra due pretendenti per una sola prestazione medica, che privilegiare – mettiamo – la coppia piu` giovane potrebbe rendere per sempre impossibile, per la coppia piu` anziana, il conseguimento di un successo procreativo. Ma veniamo al terzo obiettivo: la valutazione dell’adeguatezza dei potenziali genitori. Harris elenca quattro assunti circa il concetto di genitorialita` adeguata che possono essere inferiti dai criteri per la selezione dei candidati alla FIV (Harris 1992, p. 131). 1. Una genitorialita` adeguata richiede due genitori, uno per ciascun sesso. 2. Una genitorialita` adeguata richiede genitori di eta` inferiore ai 65 anni, nel periodo in cui i figli restano nella loro casa. 3. Una genitorialita` adeguata richiede che nessuno dei due genitori abbia malattie fisiche o psichiche importanti. 4. Una genitorialita` adeguata richiede che tra i genitori ci sia una relazione stabile attestata da tre anni di coabitazione. Questo elenco somiglia al tentativo di prevenire le azioni criminose nel racconto di Philip K. Dick Minority Report (1956), o a qualunque tentativo di costruire su vacillanti indizi una indubbia colpevolezza. Il tentativo di prevenire i crimini, sebbene legittimo e comprensibile, si presta a gravi abusi ai danni della liberta` individuale, poiche´ non vi e` quasi alcun aspetto della legittima liberta` d’azione di un individuo che non potrebbe essere descritto, e in modo plausibile, come creazione di condizioni favorevoli a qualche forma di azione criminosa (Mill 1859, p. 134).
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Nessuno dei criteri indicati come necessari al riconoscimento del ‘genitore adeguato’ potrebbe addurre una qualche dimostrazione della sua verosimiglianza, ne´ viceversa la violazione di uno o piu` criteri potrebbe ragionevolmente disegnare il profilo del ‘genitore criminale o sconsiderato’. Inoltre, sarebbe semplice trovare casi per falsificarne la presunta validita`. Ognuno di noi, credo, potrebbe enumerare diversi genitori che contraddicono uno o tutti i criteri proposti per la selezione dell’accesso alla FIV, e che nonostante questo sono considerati genitori adeguati (ma forse e` lo stesso modello di ‘adeguatezza’ a essere fallace: cosa significa essere un genitore adeguato? E, soprattutto, quali sarebbero i criteri per dimostrare o confutare l’adeguatezza di un genitore?). Probabilmente i controesempi sarebbero rappresentati da genitori naturali – questo per una mera questione di numero, dal momento che coloro che ricorrono a tecniche procreative sono una esigua percentuale della popolazione. Il riferimento a genitori naturali che potrebbero mettere in crisi la sensatezza dei criteri suddetti suggerisce due riflessioni. In primo luogo, e` evidente la differenza di trattamento verso i potenziali genitori che richiedono tecniche di procreazione assistita e verso i genitori naturali. I primi ricevono un trattamento ispirato a un legittimo sospetto, e si trovano nella condizione di dovere dimostrare di essere genitori adeguati (conformandosi, peraltro, a dubbi criteri di rilevazione di adeguatezza). Nulla di simile accade per i potenziali genitori naturali, la cui liberta` procreativa gode di un rispetto ampiamente riconosciuto, e il cui limite e` segnato dall’accertamento di una eventuale inadeguatezza (il principio del danno) e non dalla previsione della loro futura inadeguatezza. I genitori che aspirano ad esserlo artificialmente si trovano nelle medesime condizioni di coloro i quali devono dimostrare la propria innocenza per non essere ritenuti colpevoli; al contrario, i genitori naturali somigliano a coloro che finche´ non sono dimostrati colpevoli, sono innocenti (come in tutti i Paesi civili sostiene la procedura penale). In secondo luogo, se vi fosse la possibilita` di stabilire criteri affidabili, se vi fossero cioe` delle prove a sostegno del fatto che l’assenza di determinati requisiti necessariamente comportera` una condotta genitoriale non adatta, allora lo screening genitoriale dovrebbe essere imposto a tutti i genitori potenziali, e non soltanto a coloro che cercano di diventarlo ricorrendo a tecniche per rimediare alla sterilita`. Dovremmo applicare [quei criteri affidabili] a tutti coloro che richiedono l’assistenza medica alla riproduzione. Poiche´ il consiglio del medico di famiglia e` probabilmente la forma piu` comune di assistenza medica alla procreazione, il medico di famiglia certamente dovrebbe essere negato a chiunque non soddisfi criteri difendibili. Lo stesso si dica della prescrizione
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di farmaci come il clomifene e di altre forme di assistenza all’ovulazione o alla fertilita`. Per analogia, l’uso di HCG (gonadotropina corionica umana) e di altri farmaci che servono a sostenere le gravidanze gia` avviate dovrebbe essere negato a tutti coloro che non permettessero di assicurare una genitorialita` adeguata, e cosı` via. Naturalmente, per cio` che riguarda la consulenza del medico di famiglia, i pazienti possono benissimo insistere e cercare di avere comunque dei figli; ma in questi casi, per ragioni di coerenza, si dovrebbe negare ogni assistenza medica che serva a facilitare la gravidanza o a renderla piu` probabile. Naturalmente il medico di famiglia non serve solo a favorire una gravidanza, ma anche a minimizzare i pericoli per il bambino, e limitatamente a questo aspetto il servizio deve continuare ad essere assicurato a tutti (Harris 1992, p. 132).
Il criterio di adeguatezza genitoriale oltrepassa l’originario motivo dello screening genitoriale: la necessita` (contingente) di indicare un criterio di scelta tra candidati piu` numerosi di quanto sia possibile sottoporre al trattamento FIV. E` un criterio di selezione intrinsecamente indifferente all’abbondanza o alla limitatezza delle risorse: se ammettiamo che esistano criteri per prevenire comportamenti irresponsabili e che non garantiscono una genitorialita` adeguata, allora nessuno puo` sottrarsi a un tale esame preventivo. Se invece riteniamo che sia impossibile stabilire in anticipo l’idoneita` genitoriale, non possiamo sottoporre una certa categoria di individui a un esame privo di legittimita`. L’unico effetto consisterebbe in una discriminazione ai danni di coloro che non possono riprodursi senza ricorrere alle tecniche procreative; e in una violazione di quella liberta` procreativa che non puo` essere limitata in base alle circostanze con le quali viene esercitata e che si situa in quello spazio di liberta` personale che non puo` essere violato senza l’intervento di gravi ragioni. Per concludere, e` moralmente inammissibile qualunque distinzione tra genitori potenziali che devono ricorrere a tecniche di procreazione assistita e genitori potenziali che non ne hanno bisogno; i criteri di selezione nel caso in cui i trattamenti contro la sterilita` siano limitati non possono poggiare su principi selettivi discriminanti e di incerta validita`. Alla fine di agosto 2006 la British Fertility Society ha elencato alcune raccomandazioni per l’accesso alla fecondazione assistita. Sulla base di criteri di sicurezza, perche´ la procedura non e` esente da rischi. Proprio un anno fa la British Fertility Society aveva “ribadito” il rischio di ogni ciclo di fecondazione assistita in seguito alla morte di una donna che aveva intrapreso la fecondazione artificiale. Rischio implicato dai farmaci per la stimolazione ovarica, dal prelievo chirurgico degli ovociti e dalla gravidanza stessa. Senza trascurare il rischio psicologico ed emotivo nell’affrontare l’intera procedura. Il docu-
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mento e` interessante anche alla luce della legge 40 e della derivante moltiplicazione del ciclo di stimolazione ovarica e del prelievo chirurgico. Le raccomandazioni ‘innovative’ riguardano il peso della donna che richiede un ciclo di fecondazione assistita: 7. Weight. Women with a body mass index of < 19 and > 29 should be referred for advice from a dietician, warned of the potential risks in pregnancy, if appropriate, provided with access to exercise advice and offered psychosocial support. NHS funding of their treatment should be deferred until they demonstrate response to these interventions. Assisted conception may be provided if the BMI is < 36;
e la ‘vita privata’ delle richiedenti: 10. Same sex couples and single women. Single women and same sex couples should be eligible for up to six cycles of NHS funded donor insemination treatment provided assessment of the Welfare of the Child has been undertaken in line with the Human Fertilisation and Embryology Authority Code of Practice, 2004. After failed donor insemination treatment or in the presence of an indication for IVF allocation of cycles should be on the same basis as for heterosexual couples.
1. La selezione genitoriale della legge 40 Possiamo inferire il profilo del ‘genitore perfetto’ dagli articoli 4 e 5 della legge 40/2004. Secondo la legge sulla procreazione medicalmente assistita l’accesso alle tecniche e` consentito a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in eta` potenzialmente fertile, entrambi viventi (capo II, articolo 5, Requisiti soggettivi).
tutte quelle persone che non rientrano nel suddetto elenco ne sono escluse. Si pensi a una donna single: puo` avere un figlio naturalmente, ma non puo` accedere alle tecniche di riproduzione assistita. I requisiti necessari per usufruire delle tecniche di procreazione assistita elencano le caratteristiche dell’individuo adatto ad essere genitore, almeno genitore di un figlio concepito attraverso il ricorso all’artificio. Se rifiutiamo che ci sia una qualche differenza rilevante tra l’essere genitori artificiali e l’essere genitori naturali, quei requisiti diventano una condizione necessaria dell’essere valutato un individuo in grado di essere genitore, in assoluto e non solo di un figlio della provetta.
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Il profilo del genitore ideale e` il seguente: e` sposato o convivente, ha un’eta` in cui si e` potenzialmente fertili, ha gusti sessuali normali, e` in vita e maggiorenne. In effetti per quanto riguarda il padre adeguato c’e` un requisito in piu`: non deve essere proprio del tutto sterile, perche´ altrimenti (non potendo fare ricorso alla fecondazione eterologa) non sarebbe un buon padre e dunque lo Stato non puo` autorizzarlo a fare un figlio. Per la madre ce n’e` uno simile: deve avere un utero capace di portare a termine la gravidanza, deve essere abbastanza in salute da essere in grado di affrontare una gravidanza e di rispondere con successo alla stimolazione ormonale producendo delle cellule uovo (nemmeno la donna puo` fare ricorso alla donazione di un ovocita e tanto meno ad una gravidanza surrogata). Le obiezioni contro i comandamenti del buon genitore le ho gia` sostenute, e non credo che ci sia molto da aggiungere; soltanto mi piacerebbe ricordare una volta ancora tutti coloro che hanno allevato bambini in situazioni molto diverse da quelle richieste dagli articoli 4 e 5, tutti coloro che magari soli, in grado oppure no di avere un rapporto eterosessuale, piu` vecchi dell’eta` in cui si e` ‘potenzialmente fertili’, hanno cresciuto amorevolmente figli geneticamente propri oppure no. C’e` un altro grave esito nello stabilire che l’accesso alla procreazione assistita e` limitato a coloro che sono infertili. La discriminazione non colpisce soltanto gli uomini e le donne che sono giudicati essere non all’altezza del ‘buon genitore’, ma anche tutti gli uomini e le donne affetti o portatori di malattie genetiche. L’esclusione da un trattamento sanitario di una categoria di pazienti entra in collisione con l’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettivita`». Non e` superfluo ricordare che il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa, e in generale alla procreazione medicalmente assistita, che viene imposto ad alcune persone corrisponde alla limitazione della liberta` individuale (di avere un figlio) per quelle persone nel caso in cui non possano avere un figlio se non tramite il ricorso alla fecondazione eterologa (naturalmente). Questa limitazione e` assolutamente illegittima. Se non c’e` alcuna coercizione legale nell’avere figli naturalmente imposta a quelle stesse persone, non puo` essere in alcun modo giustificabile imporre loro dei vincoli nell’avere figli artificialmente.
Il genitore ideale
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2. Il perfetto genitore naturale Siamo osservatori ideali e nascosti di un incontro amoroso tra un uomo e una donna. I due si baciano e si abbracciano; dalla cucina si spostano in camera da letto e cominciano a togliersi i vestiti. Quando stanno per fare l’amore nella camera da letto entra una funzionario governativo (FG) addetto alle Politiche Procreative e alla Verifica Genitoriale. Impettito nella sua uniforme blu e verde intima ai due innamorati di fermarsi, giusto il tempo per rispondere ad alcune domande, aggiunge per rendere l’imposizione meno amara. La prima informazione riguarda la natura del rapporto sessuale. FG: usate precauzioni? U & D: (dopo qualche secondo di perplessita`) no. FG: dunque rischiate di concepire, ne siete consapevoli? U: sı`, abbiamo smesso di preoccuparci di una eventuale gravidanza. D: anzi, ci piacerebbe avere un figlio. FG: ah! E avete fatto domanda? D: domanda? FG: deve essere stata una nostra svista; in ogni modo rimediamo. Vi faro` qualche domanda per concedervi il permesso di procedere alla procreazione. Siete sposati? U: no, non siamo sposati. FG: almeno conviventi? Altrimenti non proseguiamo nemmeno con il test. D: viviamo insieme, ma che cosa vi importa? FG: signora, noi dobbiamo garantire il profilo genitoriale ideale per il nascituro. Andiamo avanti. Quanti anni avete? D: 34 anni. U: 32. FG: lo sa signora che e` preferibile avviare una gravidanza in eta` meno avanzata? D: ? FG: e` in buona salute almeno? Oppure ha avuto qualche episodio di malattia importante? D: godo di ottima salute, e non vedo in che modo possa essere pertinente. U (rivolto a D): ti hanno operata due anni fa. D (rivolta a entrambi): sı`, mi hanno asportato la milza, e allora? FG: mmh.., verificheremo questo particolare e (rivolto all’uomo) di lei che mi dice? U: ho qualche allergia, niente di grave, credo. FG: e siete a conoscenza del fatto che una valida alternativa alla procreazione naturale e` rappresentata dall’adozione? D: che cosa c’entra? Io voglio un figlio mio. FG: ecco, questo e` un tipica reazione egoistica di voi aspiranti genitori. Ma
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e` talmente comune che l’abbiamo dovuto togliere dai criteri impeditivi. Avete intenzione di stare insieme in futuro e a lungo? U: senta, adesso sta davvero esagerando. FG: e` la prassi, mio caro signore. Ripeto, vi considerate una coppia stabile? D: sı`, e` soddisfatto? FG: e toglietemi una curiosita` personale, perche´ non vi sposate? U: vogliamo finire l’interrogatorio? FG: almeno uno dei due ha un lavoro stabile? D: sono impiegato statale. FG: bene! Potete tornare alla vostra attivita`! E buona fortuna. (poi aggiunge quasi sulla soglia): qual e` il suo peso, signora? La risposta e` un libro che va a sbattere sulla porta prontamente richiusa.
Il funzionario chiude la porta ed esce lasciando ai due innamorati un certificato per attestare che hanno superato l’esame del ‘buon genitore’ e hanno pertanto l’autorizzazione a procreare. Se questo scenario e` giudicato assurdo e inaccettabile, allora l’imposizione di prerequisiti nel caso della procreazione artificiale deve essere giudicato altrettanto assurdo e inaccettabile. Tra il primo caso e il secondo non vi sono rilevanti differenze morali, e la patente del buon genitore deve essere strappata oppure imposta a tutti.
8 Diagnosi Genetica di Preimpianto Every sperm is sacred, Every sperm is great, If a sperm is wasted, God gets quite irate... Monthy Python, Every sperm is sacred – The Meaning of Life
1. Il piccolo Luca Luca ha cinque anni ed e` talassemico. L’unica speranza di guarire consiste in un trapianto di cellule staminali compatibili. I genitori fanno un altro figlio per cercare di salvare la vita di Luca, ma il fratellino non e` compatibile. Decidono allora di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita e alla possibilita` di selezionare gli embrioni (allo scopo di scegliere quelli sani e compatibili). Nascono due gemelle; le cellule staminali vengono prelevate dal loro cordone ombelicale e trapiantate. Luca e` guarito. Il caso scatena accese polemiche, anche perche´ in Italia la Diagnosi Genetica di Preimpianto e` vietata dall’entrata in vigore della legge 40 (2004). Inoltre secondo alcuni sarebbe immorale far nascere un bambino per curare il fratello malato. I genitori di Luca sono felici e il padre dichiara: il ministro non ha un bambino che si spegne ogni giorno un po’. Altrimenti credo che sarebbe favorevole alla selezione degli embrioni pur di salvargli la vita (Dovevamo salvare un figlio. Come non capirlo?, “Il Corriere della Sera”, 8 settembre 2004).
Le domande principali sul caso di Luca sono: 1. 2. 3.
E` legittimo far nascere un bambino per salvare il fratello? E` morale ricorrere alla procreazione assistita? E` morale selezionare gli embrioni per non impiantarne alcuni?
(ognuna ha anche il risvolto legale: e` legale 1., 2. e 3.)
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1. La prima questione riguarda l’analisi delle motivazioni per le quali si fanno nascere i figli in generale. E se ne esistono alcune legittime e altre no: e` legittimo far nascere un bambino per fare compagnia al fratello? Oppure per fargli ereditare i beni di famiglia? E` legittimo far nascere un figlio per rimediare alla propria noia? La difficolta` di trovare una risposata affonda non solo nel giudizio nei confronti della presunta motivazione, ma anche nei metodi per accertarla. Nel caso di Luca una delle ragioni era esplicita: per cercare di salvare la vita al fratello. E` evidente, credo, che una simile ragione non puo` escludere che il bimbo sara` amato e desiderato come qualunque altro figlio, e non soltanto come pezzo di ricambio. Come sara` l’esistenza del fratellino di Luca? Per quali ragioni dovrebbe essere una esistenza penosa o sofferente? 2. La seconda questione e` piu` complessa e riguarda la stessa ammissibilita` morale della procreazione assistita in generale. I temi interessati dalla presente questione sono: il rapporto tra morale personale e legge, e lo spazio destinato alla liberta` individuale e quello invece in cui lo Stato puo` intervenire vietando; l’equa distribuzione delle risorse sanitarie; la considerazione della sterilita`, la differenza tra un bene primario e un bene secondario (l’accesso alla procreazione assistita deve essere garantito dallo Stato come l’accesso al sistema sanitario? Oppure somiglia alla chirurgia estetica piuttosto che a un intervento di colectomia?); la limitazione dell’accessibilita` alle tecniche (in Italia, ad esempio, la legge 40 vieta l’accesso ai non sterili con gravi conseguenze). Molti degli argomenti utilizzati per condannare la procreazione assistita offrono lo spunto per discutere su: la differenza tra artificialita` e naturalita`; la considerazione morale di entrambe (un luogo comune resistente e` l’identificazione tra artificiale e moralmente inammissibile, e tra naturale e moralmente ammissibile); i modelli di famiglia; gli screening genitoriali e cosı` via. Tutti temi affrontati in questo libro. 3. Rispondere alla terza questione richiede la discussione dello statuto morale dell’embrione: il giudizio sulla possibilita` di sottoporre gli embrioni a Diagnosi Genetica di Preimpianto dipende dalla considerazione stessa degli embrioni. Se non ci sono ostacoli morali nel selezionare i jeans da indossare, selezionare gli embrioni da impiantare (ma soprattutto selezionare quelli da non impiantare) potrebbe risultare immorale. Per quali ragioni?
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2. Lo statuto morale dell’embrione La domanda cruciale e`: come dobbiamo considerare l’embrione dal punto di vista morale? Esistono due posizioni: come una persona, oppure come una non-persona. La soluzione non puo` essere rintracciata nella scienza; non serve perfezionare strumenti o aspettare l’avanzamento della conoscenza scientifica, perche´ dobbiamo compiere una scelta morale. Dal punto di vista filosofico essere una persona significa possedere stati mentali, speranze, aspettative; essere consapevoli della propria esistenza e essere in grado di attribuire significati. Ma soprattutto essere una persona significa essere titolare di diritti, in primo luogo il diritto alla vita. Questo e` l’aspetto cruciale nel giudicare la possibilita` di selezionare gli embrioni da impiantare. Se l’embrione e` una persona, e se e` titolare di un diritto alla vita; se, in altre parole, e` come noi, la selezione e` una procedura immorale, una procedura che dovrebbe essere vietata per legge. E` facile capirne le ragioni. Immaginiamo di avere a disposizione 7 embrioni fecondati fuori dal corpo materno. Li sottoponiamo alla diagnosi genetica di preimpianto: ne scegliamo 4 e ne scartiamo 3. Quei 4 saranno impiantati o crioconservati (a seconda delle decisioni, e anche a seconda della legislazione vigente), e in una certa percentuale arriveranno fino alla nascita. Gli altri 3, invece, non avranno mai la possibilita` di svilupparsi fino alla nascita, perche´ sono stati scartati. Ma se li consideriamo persone, e titolari di un diritto alla vita, noi stiamo compiendo un omicidio, stiamo violando impunemente il diritto alla vita di quelle 3 persone. Stiamo impedendo loro di continuare a vivere. Quest’ultima affermazione e` letteralmente vera; ma se rigettiamo l’identita` tra persone e embrioni, il fatto di interrompere la loro vita non e` un atto immorale. Torniamo all’esempio dei 7 embrioni: possiamo decidere di non impiantarne 3 se non li consideriamo come persone. In questo caso non violiamo il loro diritto alla vita, perche´ non possiedono alcun diritto alla vita. Elenco brevemente alcune obiezioni alla selezione embrionale costruite su alcune caratteristiche degli embrioni che sarebbero sufficienti, secondo l’accusa, a sostenere il divieto della diagnosi genetica di preimpianto: A) B) C) D)
Gli Gli Gli Gli
embrioni embrioni embrioni embrioni
sono vivi. sono esseri umani. diventeranno persone. sono unici e irripetibili.
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E poi propongo, in sintesi, le parallele controbiezioni: A) Essere vivi non basta: i lombrichi, ad esempio, sono vivi ma non li consideriamo persone. L’essere vivo non e` sufficiente per attribuire i diritti fondamentali, quali l’inviolabilita` o la protezione assoluta. B) Appartenere alla nostra specie non basta (vedi espianto) per sostenere una posizione morale a scapito di un’altra. Lo specismo e` una posizione debole e paragonata da molti, tra cui Richard Dawkins, al razzismo. C) La potenzialita` non costituisce un buon motivo per trattare oggi gli embrioni (che diventeranno persone) come se gia` fossero persone. Allo stesso modo non trattiamo oggi un ragazzino di 8 anni (che diventera` maggiorenne tra 10) come se fosse gia` maggiorenne. D) L’unicita` e l’irripetibilita` non sono motivi sufficienti per invocare i diritti fondamentali: anche una mosca e` unica e irripetibile, ma non per questo la difenderemmo a spada tratta. Le ragioni risiedono altrove. Alla possibilita` di selezionare gli embrioni prima dell’impianto e` legata a doppio filo un’altra scottante questione: quella delle diagnosi prenatali, e dell’eventuale interruzione volontaria di gravidanza in caso di esito infausto.
3. La diagnosi genetica di preimpianto e la legge 40 Chi e` affetto o portatore di una malattia genetica rischia di trasmettere quella malattia al proprio figlio. Fino a qualche decennio fa l’unico strumento che consentiva di conoscere lo stato di salute dell’embrione era l’amniocentesi: l’analisi del liquido amniotico a partire dalla sedicesima settimana. Qualora questa indagine, piuttosto invasiva, avesse riscontrato una patologia fetale, le scelte offerte alla donna erano due: portare avanti la gravidanza facendo nascere un individuo gravemente malato, oppure interrompere la gravidanza (interrompendo lo sviluppo dell’embrione). Piu` recentemente e` stato possibile utilizzare una tecnica diagnostica precoce, la villocentesi: tramite il prelievo dei villi coriali si poteva diagnosticare lo stato di salute dell’embrione intorno alla decima settimana. L’eventuale scelta di interrompere la gravidanza poteva essere compiuta in una fase di gestazione iniziale, implicando meno rischi per la donna e rendendo meno drammatica la decisione dal punto di vista psichico.
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Lo sviluppo delle tecniche di procreazione assistita, oltre a rimediare alla sterilita`, hanno anche offerto una possibilita` diagnostica importante per coloro che non sono affetti da sterilita`, ma che soffrono di una malattia genetica: la diagnosi genetica di preimpianto. Questo esame viene compiuto non a gravidanza avviata, bensı` sull’embrione fecondato in vitro fuori dal grembo materno e non ancora impiantato in utero. Sull’embrione costituito da 6-8 cellule. Nel caso in cui l’embrione risulti affetto da malattie, questo embrione non e` impiantato: la gravidanza non viene avviata e l’interruzione dello sviluppo dell’embrione avviene ad uno stadio precocissimo. La scelta dolorosa di interrompere una gravidanza puo` essere percio` sostituita dalla possibilita` di non procedere all’impianto. Le tecniche di procreazione assistita, insomma, costituiscono una risorsa anche per molte persone non sterili. La diagnosi genetica di preimpianto rappresenta l’unica possibilita` di avere un figlio sicuramente non affetto da gravi patologie per tutti i portatori di malattie genetiche, per tutti i malati di malattie genetiche e per tutti i sieropositivi. O meglio, rappresentava l’unica possibilita` prima dell’entrata in vigore della legge 40. La legge 40 infatti vieta l’accesso alle tecniche di procreazione assistita ai non sterili; soprattutto, vieta il ricorso alla diagnosi genetica di preimpianto, che e` poi l’unica ragione per cui i non sterili potrebbero voler ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (quest’ultimo divieto compare esplicitamente nelle Linee Guida). Perche´? ‘Perche´ – questa e` la risposta – e` giusto vietare la selezione degli embrioni, e` giusto vietare che gli embrioni vengano scartati e soppressi’. Anche nei casi di gravi malattie genetiche, che spesso condannerebbero il nascituro a profonde sofferenze e a una inesistente prospettiva di vita. E` facile dimostrare che la motivazione a sostegno del divieto della diagnosi genetica di preimpianto e` fragile e insoddisfacente. Innanzitutto perche´ quelle stesse Linee Guida consentono il ricorso alla diagnosi osservazionale compiuta tramite il microscopio, e consentono il non impianto dell’embrione in caso di anomalie. Quali anomalie puo` riscontrare la diagnosi osservazionale? Soltanto le anomalie morfologiche visibili al microscopio; tutte le anomalie genetiche (gravi e irreversibili) supererebbero brillantemente l’esame microscopico. Il risultato e` che l’embrione affetto da una certa anomalia (morfologica) sarebbe scoperto e di conseguenza non impiantato; l’embrione affetto da un’altra anomalia (soltanto genetica) non sarebbe scoperto e non ci sarebbe la possibilita` di non impiantarlo – ma soltanto di abortirlo dopo qualche settimana. Non e` superfluo ricordare che le malattie genetiche individuabili tramite la diagnosi genetica di preimpianto sono malattie
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gravissime, come la talassemia, la Corea di Huntington o la fibrosi cistica. Chi condanna la diagnosi genetica di preimpianto non puo` quindi dire che ammette soltanto la diagnosi osservazionale in quanto diagnosi di malattie piu` gravi, tanto gravi da rendere ammissibile scartare l’embrione malato. In entrambi i casi parliamo di patologie devastanti per l’esistenza. E qui emerge tutta l’assurdita` del divieto: anche la diagnosi osservazionale ha dunque una finalita` selettiva, perche´ crea le condizioni per scartare l’embrione affetto da anomalie (sebbene soltanto da quelle osservabili e non da quelle genetiche). Sebbene condividano gli intenti e le motivazioni, la diagnosi genetica di preimpianto viene vietata per legge, mentre la diagnosi osservazionale viene giustamente permessa come strumento per compiere una scelta riproduttiva responsabile. Ma c’e` di piu`. La legge italiana permette di fare ricorso a quelle diagnosi prenatali, cioe` l’amniocentesi o la villocentesi, il cui intento e le cui motivazioni sono uguali alle indagini effettuate prima dell’impianto. Se vietando la diagnosi genetica di preimpianto si vuole evitare l’eliminazione di un embrione affetto da una grave malattia, e` evidente che a maggior ragione si dovrebbe vietare qualunque indagine prenatale che inevitabilmente puo` portare la donna a decidere di abortire in caso di diagnosi infausta, con il conforto della legge. Per riassumere: la diagnosi genetica di preimpianto e` vietata; la diagnosi osservazionale prima dell’impianto e tutte le indagini prenatali sono permesse. Ci troviamo di fronte a diversi modi per effettuare una diagnosi sull’embrione. Tutte creano le condizioni per la stessa libera decisione: interrompere lo sviluppo dell’embrione affetto da gravi patologie. Alcune di queste diagnosi sono permesse, una e` vietata senza che esista una buona ragione.
4. Selezione embrionale Il paragone con l’eugenetica1 e` spesso invocato per condannare la diagnosi genetica di preimpianto e altre tecnologie riproduttive. Il riferimento e` costantemente all’eugenetica nazista, riferimento sufficiente a condannare la tecnica in questione. L’eugenetica di Francis Galton si e` diffusa in molti Paesi durante il diciannovesimo secolo: Stati Uniti, Inghilterra, Svezia, Danimarca e anche
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Vedi a questo proposito il capitolo dedicato all’eugenetica, infra, pp. 111-122.
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Germania. Esistono profonde differenze tra quella eugenetica e quella attuale, che potremmo chiamare eugenica oppure genetica migliorativa. L’ideologia eugenetica aveva uno scopo comune, sebbene in contesti dissimili: migliorare la razza attraverso l’eliminazione degli elementi giudicati difettosi. Mascalzoni, insufficienti mentali, prostitute, pazzi, poveri o appartenenti a presunte razze inferiori dovevano essere cancellati per non macchiare la razza; andavano eliminati o almeno dovevano essere esclusi dai processi riproduttivi per non trasmettere i geni difettosi (alla base c’era anche il pensiero che esistessero i geni della poverta` o della criminalita`). E` tristemente noto cosa accadde in Germania durante il nazismo. Meno conosciuto quanto accadde negli Stati Uniti: tra il 1907 e il 1940 furono sterilizzati o castrati migliaia di esseri umani considerati indegni (unfit). Nella categoria di indegni rientravano: deboli di mente, malviventi o moralmente degenerati; molti furono categorizzati come “altro”. In nome di una idea autoritaria, quella eugenetica schiacciava le persone. Per raggiungere un benessere del tutto (la razza, il popolo, o la Nazione) eliminava quelle parti considerate imperfette. Gli individui erano maltrattati, spesso uccisi; gli esseri umani venivano sacrificati per il benessere dell’umanita`. La liberta` individuale era cancellata dalla necessita` di raggiungere un fine che trascendeva le persone. L’eugenetica attuale non eredita la condanna assoluta di quella passata; l’eugenetica attuale si offre come strumento per ampliare la liberta` individuale delle persone. Si offre come strumento per compiere una scelta riproduttiva responsabile in tutti quei casi a rischio (di malattie genetiche, di malattie virali). Nessuna persona e` sacrificata in nome di un bene superiore.
5. Una storia semplice (e come tante altre) La storia di Manuela e Paolo e` la storia di tutti coloro che sono affetti da una malattia geneticamente trasmissibile o virale. E` una storia che mette in evidenza le assurdita` del divieto di accesso alle tecniche procreative e il divieto della diagnosi genetica di preimpianto. Manuela, chiamata cosı` per proteggere la sua privacy, scopre di essere affetta da Corea di Huntington, una malattia ereditaria autosomica dominante che implica una progressiva distruzione del sistema nervoso centrale. Manuela non ha problemi di fertilita` e i sintomi della malattia non sono ancora manifesti. Il rischio che la malattia venga trasmessa al proprio
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figlio e` molto elevato, e gli aspiranti genitori sono intenzionati ad evitare al nascituro un calvario simile a quello che sta vivendo la giovane donna. Manuela rimane incinta naturalmente, ma la diagnosi prenatale emette un verdetto inappellabile: il feto e` portatore del gene malato e condannato a manifestare la patologia (per la Corea di Huntington e` possibile eseguire un test genetico di diagnosi e di previsione di insorgenza dei sintomi che annunciano l’inarrestabile degenerazione neuronale). Le possibilita` sono due: portare avanti la gravidanza facendo nascere un bimbo destinato ad ammalarsi, oppure interromperla. Il cosiddetto aborto terapeutico e` stato fino a qualche anno fa l’unica, e insoddisfacente, alternativa alla trasmissione delle patologie geneticamente trasmissibili. Fin troppo bene lo sanno tutti coloro che sono affetti, ad esempio, da beta talassemia o che sono portatori sani (comunemente conosciuta come anemia mediterranea, e` una malattia del sangue a carattere ereditario autosomico recessivo, che implica la progressiva distruzione dei globuli rossi che non e` compensata dalla attivita` del midollo osseo. I malati sono il 3-4% della popolazione italiana; i portatori sani circa due milioni di individui. Tutti, in percentuali 2 diverse , corrono il rischio di trasmettere la malattia al proprio figlio e la diagnosi preimpianto ha offerto loro una valida ed efficace alternativa all’interruzione di gravidanza in caso di diagnosi prenatale infausta). L’evoluzione della medicina ha pero` offerto loro una possibilita` diversa: la possibilita` di eseguire una diagnosi precocissima. Ovvero: la possibilita` di ricorrere alla fecondazione in vitro, di eseguire la diagnosi sugli embrioni prima di procedere all’impianto, e di trasferire solo l’embrione sano nell’utero, scartando quelli malati. In questo modo e` possibile: assicurare al nascituro di non ereditare la malattia, non sottoporre la donna a esami invasivi quali la diagnosi fetale intrauterina, e evitarle altri aborti terapeutici (la mia posizione rintraccia il principale vantaggio dell’alternativa di selezionare l’embrione sano piuttosto che di abortire, in linea teorica un numero indefinito di volte, per evitare la nascita di un essere umano gravemente malato e nel risparmiare alla donna altri interventi di interruzione di gravidanza, che seppure in bassa percentuale presentano dei rischi per la sua salute; ma, d’altra parte, sarebbe possibile aggiungere un’altra considerazione: non e` preferibile interrompere lo sviluppo embrionale – non impiantando gli embrioni affetti da patologia – piuttosto che interrompere lo sviluppo del feto malato tramite l’aborto? In
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Se A e B sono portatori hanno: il 25% di possibilita` di generare un figlio sano; il 25% di generare un figlio malato; il 50% di generare un figlio portatore.
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altre parole, non e` preferibile interrompere lo sviluppo embrionale in uno stadio precoce del suo sviluppo?). Questo e` il percorso che sarebbe stato possibile anche per Manuela. In assenza della legge 40. Perche´ la legge 40 sbarra la strada a Manuela per due ‘ragioni: Manuela non e` infertile, dunque non puo` ricorrere alla procreazione assistita, e la diagnosi genetica di preimpianto e` vietata in assoluto, fertili e infertili. L’unica strada consentita e`, nuovamente, la sorte. La puntata al buio. A dispetto della possibilita` di squarciare quell’oscurita`, a dispetto di una scelta procreativa responsabile. La legge 40 impone di scommettere sulle carte coperte offrendo motivazioni assurde e inconsistenti. Che cosa e` piu` immorale, mettere artificialmente Manuela (e le donne che si trovano in simili condizioni) al riparo da un destino capriccioso, oppure rispettare la naturale bizzarria della trasmissione genetica di una malattia? E` piu` immorale garantire una gravidanza sicura, oppure lasciarne l’esito al caso? Stessa sorte e` imposta ai sieropositivi (Anna Meldolesi, La procreazione non `e uguale per tutti, “Il Riformista”, 26 settembre 2003): oltre centomila persone in Italia, di cui il 75% in eta` riproduttiva. L’allungamento della sopravvivenza dei sieropositivi dal momento della diagnosi e` notevole, e il ricorso alla procreazione assistita offre loro una significativa riduzione del rischio di trasmissione. Lo sperm washing permette di eliminare il virus prima di procedere alla fecondazione artificiale e protegge il nascituro dall’Hiv, soddisfacendo l’eventuale (e legittimo) desiderio di avere un figlio, e di averlo sano, da parte di un sieropositivo. Per la donna la riduzione del rischio di trasmissione e` determinata da una terapia farmacologica ad hoc, dal ricorso al parto cesareo e dall’uso dell’allattamento artificiale. La necessaria sospensione della terapia antiretrovitale per non danneggiare il feto durante i primi tre mesi di gravidanza rende pero` rischioso ‘moltiplicare’ i tentativi di concepire naturalmente, e dunque il ricorso alla procreazione artificiale potrebbe ridurre il tempo della sospensione del trattamento attraverso un concepimento controllato e temporalmente delimitato. Anche per i sieropositivi la soluzione che la tecnica procreativa e` in grado di offrire viene disattivata da un moralismo ingiustificabile e sostituita dall’angusta possibilita` di scegliere se abortire in caso di trasmissione del virus al feto (oppure, quella di rinunciare). (Secondo il bollettino semestrale a cura del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanita` nel ventennio tra il 1982 e il 2002 sono stati segnalati 725 casi di casi di AIDS pediatrico, pari all’1,4% dei casi complessivi. Nel 1997 si assiste a una drastica diminuzione proprio come
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effetto combinato dell’applicazione delle linee guida relative al trattamento della terapia antiretrovirale delle donne in gravidanza per ridurre la trasmissione verticale ed all’effetto della terapia antiretrovirale nell’allungamento del tempo di incubazione della malattia (Aggiornamento dei casi di AIDS notificati in Italia al 31 dicembre 2002, p. 7).
Si passa da una media di circa 60 casi per anno tra il 1982 al 1996, ai 30 del 1997, 22 del 1998 e infine a circa 10 casi l’anno per gli anni seguenti). Per analoghe ragioni uomini e donne in eta` riproduttiva che si sono sottoposti a cure per combattere un cancro infantile o adolescenziale (nella popolazione dei ventenni un giovane su diecimila e` un sopravissuto al cancro), e che in seguito a queste cure hanno visto compromessa o gravemente danneggiata la loro capacita` riproduttiva, sono discriminati dal divieto di ricorrere alle tecniche eterologhe. Per tutti questi individui si chiude la possibilita` di compiere una libera scelta riproduttiva; a seconda dei casi la scelta sara` ristretta alla rinuncia, al brivido del rischio, al turismo procreativo.
6. Cosa succede in Inghilterra nel frattempo: bimbo cancer-free In Inghilterra la diagnosi genetica di preimpianto e` permessa dalla legge. Fino a qualche tempo fa solo nei casi in cui i geni fossero portatori al 100% della patologia, come nel caso della fibrosi cistica o della Corea di Huntington. Di recente la possibilita` di utilizzo e` stata estesa anche per alcune patologie meno ‘sicure’, quei casi in cui non esiste una corrispondenza biunivoca e assoluta tra gene e malattia. Come, ad esempio, nel caso di una forma di cancro intestinale o di cancro al seno. Nel maggio 2006 e` nato il primo bambino selezionato per non sviluppare una forma di cancro oculare (il retiblastoma) di cui era affetta la mamma. Il gene imputato e` responsabile al 90% nello sviluppo del cancro maligno che colpisce la retina. La coppia ha potuto, nonostante non avesse problemi di sterilita`, ricorrere alla fecondazione artificiale e alla diagnosi genetica di preimpianto. Tutto questo e` successo nei laboratori dell’University College 3 Hospital di Londra grazie a Paul Serhal, pioniere della diagnosi di preimpianto, che ha espresso la sua soddisfazione e quella della famiglia: 3
La diagnosi di preimpianto era stata usata per la prima volta per il retinoblastoma nel 2003 da un team presso la Cornell University di New York.
Diagnosi Genetica di Preimpianto
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Siamo tutti al settimo cielo, stiamo parlando della possibilita` di sradicare questa anomalia genetica per generazioni intere. Lo facciamo spesso, ma e` straordinario quando riesce (Embrione selezionato. «Cosı` non avra` il cancro», “Il Corriere della Sera”, 16 maggio 2006).
Il retinoblastoma colpisce oltre un bambino su quindicimila, e rappresenta oltre il 10% dei cancri infantili (entro il primo anno d’eta`). E` causato da una mutazione ereditaria del gene RB1. In genere il cancro oculare riguarda un occhio, e se diagnosticato in tempo puo` essere curato con la chemioterapia o la radioterapia senza che vi siano danni permanenti. Si sospetta che possa innalzare il rischio di contrarre altre forme di cancro in futuro. La tecnica e` stata perfezionata nel 1989, ma soltanto nel 2004 l’Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA) ha permesso la selezione embrionale anche per una forma di cancro intestinale, e poi per il retinoblastoma. Oggi sono circa duecento le patologie per le quali nel Regno Unito si puo` effettuare la diagnosi di preimpianto. Non sono risparmiate feroci critiche per i designer babies, in patria e non. I medici e i pazienti sono invece contenti della possibilita` offerta dalla diagnosi di preimpianto. L’immancabile Francesco D’Agostino ha commentato la notizia con l’enigmaticita` che contraddistingue spesso il suo pensiero. A domanda: «Cosa ne pensa di questo bambino che a Londra e` stato creato su misura per non ammalarsi di cancro, della stessa malattia di sua mamma?» (Alessandra Arachi, «Ma questo intervento `e eticamente scorretto», “Il Corriere della Sera”, 15 maggio 2006), [risponde]: «Detta cosı` potrebbe sembrare una cosa soltanto positiva».
E` comprensibile che l’intervistatrice incalzi: cosa ci sarebbe che non va allora? E` piu` sintetica, le basta un “Ma...?”. «Ma – risponde D’Agostino – non lo e` piu` se invece stiamo parlando di un intervento genetico a fine selettivo. Nel nostro Paese questo non e` ammesso nemmeno legalmente». E qui e` necessario fermarsi per riflettere. In primo luogo il fatto che x non sia permesso legalmente non puo` fornire una risposta soddisfacente e definitiva riguardo alla sua moralita`. Altrimenti non si cambierebbero le leggi e non avrebbe senso il diritto di resistenza (posso citare anche io Kant dopo l’abuso che se ne fa riguardo al non usare le persone come mezzi ma come fini?). D’Agostino e` un uomo di legge e magari si sente rassicurato dall’invocare un testo normativo. L’interpretazione del suo
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pensiero riguardo al fine selettivo e` ostica e richiede il supporto delle sue dichiarazioni successive. Aggiunge: Lo scopo terapeutico e` sicuramente lodevole. Pero` non stiamo parlando di un embrione che era gia` malato, bensı` di un embrione che rischiava di ammalarsi. E` stata dunque fatta una selezione a prescindere a danno di altri embrioni: selettiva, appunto. E` questa pratica che non e` eticamente corretta.
Ecco ci siamo, per quanto alcune difficolta` ermeneutiche permangano. Non va giu` a D’Agostino che tra piu` embrioni sia stato scelto quello non affetto dalla patologia, e non curato l’embrione gia` malato. D’Agostino avrebbe approvato se avendo l’embrione E malato di una qualche malattia, si fosse intervenuti su di lui, eliminata la patologia, impiantato (o curato in utero) e portato alla nascita. Invece disapprova che tra n embrioni sia stato scelto uno non affetto da patologia e impiantato nell’utero materno. Per D’Agostino questo secondo intervento (la selezione) e` immorale, pero` non ritiene necessario spiegare le ragioni. La premessa implicita e` sempre la sacralita` degli embrioni e il loro statuto personale. Il ragionamento di D’Agostino, se spostato su bambini di 7 anni, funzionerebbe. Applicato agli embrioni richiede argomenti e motivazioni esplicite, e non lasciate nell’ombra dogmatica della loro intoccabilita`. D’Agostino poi aggiunge cosa considera moralmente accettabile: Qualunque intervento di terapia genica che va a favore dell’embrione, ma questo soltanto dopo che l’embrione si e` formato. Questo in Italia e` corretto sia da un punto di vista etico sia da un punto di vista giuridico. Soltanto che da noi non abbiamo ancora mai effettuato alcun intervento di terapia genica.
La ripetizione non basta per convincere e la condanna di quanto accaduto in Inghilterra rimane un suo parere personale.
9 Eugenetica Il nostro punto di partenza non e` l’individuo, e non accogliamo il punto di vista secondo il quale dovremmo nutrire l’affamato, dare da bere all’assetato, o vestire colui che e` nudo... Il nostro obiettivo e` del tutto diverso: dobbiamo avere un popolo sano al fine di prevalere nel mondo. Joseph Goebbels, 1938
L’eugenetica e` spesso richiamata per condannare la genetica attuale. Una simile accusa e` radicata su errori di varia natura. Innanzi tutto il sottinteso e` che l’eugenetica e` l’eugenetica nazista. Se e` vero che il nazismo rese tragicamente famosa l’eugenetica, e` vero che le sue origini sono lontane dalla Germania nazista e la sua diffusione e` stata molto piu` ampia (Stati Uniti, Inghilterra, Svezia, tanto per citare qualche Stato occidentale). In secondo luogo, e questo e` il cuore della differenza, l’eugenetica nazista era uno strumento utilizzato in modo perverso da una visione politica e ideologica autoritaria e antilibertaria. L’idea di una presunta superiorita` di una razza su base biologica, l’idea (non necessariamente implicata) che tale superiorita` dovesse essere affermata con ogni mezzo, l’assenza di limiti morali alla realizzazione di un paradiso genetico: tutto questo costituisce l’orrore di quella eugenetica (nazista, ma anche di quel movimento che si diffuse negli Stati Uniti e che in nome del miglioramento razziale porto` a sterilizzare migliaia di persone). La condanna morale investe gli scopi di una ideologia, cui l’eugenetica (e la scienza in generale) veniva asservita. Oggi, l’eu-genetica, ovvero la possibilita` di intervenire sul patrimonio genetico di un individuo, non eredita necessariamente la condanna. La possibilita` di manipolazione genetica non intacca la liberta` individuale, non sacrifica le persone in nome di un principio che li trascende (razza, popolo, Stato), non schiaccia gli individui; al contrario, offre loro alcune possibilita`. Oggi, l’eugenetica si
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offre come un avanzamento scientifico e medico al servizio delle persone. I limiti morali sono tracciati dalla liberta` individuale e dal principio del danno. L’eugenetica nazista era intrisa di ideologia e contaminata da idee sbagliate riguardo alla trasmissione di tratti e riguardo alla presunta superiorita` di alcune razze rispetto ad altre su base ‘oggettiva’ (genetica, appunto). L’ideologia politica di una razza ariana superiore pervase la medicina e la biologia, che divennero strumenti per affermare principi moralmente discutibili e per ammantare le azioni piu` atroci di un alone scientifico. Rudolf Hess dichiaro` che il nazionalsocialismo non e` altro che biologia applicata. In questo contesto la medicina venne pervertita: la convinzione, ad esempio, che il medico non dovesse togliere la vita ai pazienti era ritenuta ingenua ed erronea. Verso i malati affetti da patologie fisiche o mentali l’eutanasia era il trattamento giusto, anzi addirittura era quello piu` pietoso e costituiva un dovere verso il Volk che doveva essere preservato da ‘contagi’. Il medico doveva interessarsi alla sanita` del Volk piuttosto che alle malattie dei singoli individui, aiutando le persone a sbarazzarsi di concetti stupidi quali il principio individualistico del diritto al proprio corpo. Il principio da salvaguardare era il dovere di essere sani, anche se richiedeva il sacrificio di alcuni. Salvaguardare il ‘tutto’ costituiva uno scopo tanto importante che l’eliminazione delle parti ritenute dannose non solo era ammissibile, ma doveroso. Le parti, pero`, erano persone. La rottura con la tradizione medica e` evidente, e le parole di Arthur Guett, un importante funzionario sanitario, ben esprimono la deriva che stava subendo la medicina: e` dovere supremo dello Stato [...] garantire vita e mezzi di sussistenza solo alla parte in buona salute ed ereditariamente sana della popolazione, allo scopo di assicurare [...] un popolo ereditariamente sano e razzialmente puro per l’eternita`. [...] La vita dell’individuo ha significato solo alla luce di un tale fine supremo (Lifton 1986, p. 53).
1. Eugenetica positiva e negativa La sterilizzazione e le altre misure volte allo sradicamento delle disposizioni morbose ereditarie si collocano nel progetto di purificazione della razza. Queste pratiche rientrano nell’eugenetica negativa, il cui scopo e` di cancellare tutte le caratteristiche ritenute contagiose (ove il contagio non e` soltanto medico, ma anche spirituale, caratteriale, razziale) e il mezzo e`
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l’eliminazione fisica delle persone con tali caratteristiche oppure l’impedimento di trasmetterle ai discendenti. L’orrore delle sterilizzazioni e` gravato anche di ridicolo, perche´ spesso i presunti difetti non rientravano nei caratteri ereditari. Il controllo della riproduzione avveniva anche attraverso ordinanze in cui si impedivano matrimoni tra persone affette da alcune malattie o poste sotto tutela legale. Le ordinanze elencavano tutti i casi in cui le licenze di matrimonio non dovevano essere concesse: malattie ereditarie, malattie mentali, disturbi caratteriali. Esistevano delle commissioni incaricate di autorizzare o negare richieste di matrimoni sulla base delle leggi razziali di Norimberga. Divieti a contrarre matrimoni, sterilizzazioni forzate, aborti imposti dai tribunali per la sterilizzazione in caso di ‘emergenza razziale’, eutanasia: questi erano gli strumenti di quella eugenetica negativa. A questa era strettamente connessa l’eugenetica positiva, o la lotta per le nascite: l’incoraggiamento alla riproduzione nelle coppie ariane. Un nuovo istituto, ‘la Citta` delle Madri’, era impegnato nell’incentivare la nascita di bambini superiori. Heinrich Himmler aveva fondato il Lebensborn (o Fonte della vita) per creare nelle SS, attraverso l’accoppiamento di individui superiori, un’e´lite biologia, [un] nucleo razziale da cui la Germania potesse attingere per rinvigorire un’eredita` ariana ora pericolosamente diluita attraverso generazioni di mescolanza razziale (Lifton 1986, p. 67).
Il programma forniva assistenza gratuita alle famiglie di SS a beneficio di bambini ritenuti razzialmente eccellenti. Si impegnava anche a rapire bambini biologicamente pregevoli nei territori occupati (spiegava Himmler: «intendo prendere il sangue tedesco dovunque si trovi nel mondo, rubarlo e carpirlo dovunque mi sia possibile» [Thompson 1971, p. 55]). Il rapimento di bambini nordici era solo una parte del programma generale che includeva la sterilizzazione dei bambini non apprezzabili e addirittura l’uccisione di alcuni.
2. Eutanasia: la morte pietosa L’idea di eliminare le vite prive di valore ha trovato terreno fertile nella Germania nazionalsocialista: il legame tra orrore e ideologia ha permesso di dare seguito al progetto di razzismo scientifico che affondava le radici nell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo. Il principio era il rispetto
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dell’integrita` del Volk (il popolo o la nazione o la collettivita`) inteso come organismo, anche a discapito dei destini individuali. Lo Stato esercita il diritto di vita e di morte sugli individui; non e` il singolo uomo a detenere il diritto alla morte (questo e` il cuore dell’eutanasia attuale: detenere il diritto di scegliere di morire come estrema liberta` del singolo), ma e` l’organismo sociale che gode del diritto di uccidere i singoli. Certo, si parla spesso di alleviare sofferenze o di gesti di compassione verso uomini afflitti da mali incurabili; ma la decisione spetta allo Stato e il fine principale e` preservare il Volk dalla contaminazione, dalla corruzione della malattia. Eliminare i soggetti malati o imperfetti era considerato un atto terapeutico. Nell’elenco degli eliminabili rientravano i malati incurabili, i malati di mente, i ritardati, i deformi (zavorre umane, gusci vuoti di esseri umani). Uccidere simili individui e` lecito, e` giusto; non e` nemmeno propriamente uccidere, perche´ queste persone sarebbero gia` morte. Il programma di eutanasia nazista riguardava sia bambini che adulti. Il primo bambino viene ucciso tra il 1938 e il 1939: il piccolo Knauer, nato cieco, mancante di arti e apparentemente idiota. Il medico personale di Hitler, Karl Brandt, visita personalmente il bimbo nella clinica dell’Universita` di Lipsia per autorizzare l’eutanasia (e per rassicurare i medici che per ordine di Hitler sarebbero stati annullati eventuali procedimenti legali contro di loro). Brandt dichiara che non esiste alcun motivo per tenere in vita Knauer, in accordo con il direttore della clinica pediatrica. La procedura di uccisione doveva essere camuffata come un procedimento medico, e i genitori non dovevano rischiare di sentirsi responsabili per la morte del figlio. Il caso del piccolo Knauer e` utilizzato per avviare il progetto eutanasia, sia per i bambini che per gli adulti. E` impressionante la testimonianza del padre nel 1973: Il Fu¨hrer voleva esplorare il problema delle persone prive di un futuro, la cui vita era senza valore. Da allora in poi, non avremmo piu` dovuto soffrire per questa terribile disgrazia, poiche´ il Fu¨hrer ci aveva concesso l’uccisione pietosa di nostro figlio. In seguito avremmo potuto avere altri figli, belli e sani, di cui il Reich avrebbe potuto essere fiero... Si doveva costruire la Germania e c’era bisogno di ogni particella di energia. Ecco quel che mi spiego` Herr Brandt. Era un uomo magnifico: intelligente, molto convincente. Fu per noi come un salvatore: l’uomo che poteva sollevarci di un peso molto grande. Lo ringraziammo e gli esprimemmo tutta la nostra gratitudine (Lifton 1986, p. 139).
I programmi di uccisioni pietose prendono piede. Per quanto riguarda
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i bambini si comincia da quelli piu` piccoli, come se fosse piu` facile cominciare e abituarsi a sopprimere i neonati, poi i bambini di due o tre anni e infine quelli piu` grandi. Le uccisioni, nella scelta delle vittime e nelle procedure, diventano sempre piu` disinvolte. Per gestire il programma viene creato il Comitato del Reich per il rilevamento di malattie ereditarie e congenite gravi. Lo scopo era di registrare tempestivamente tutti i bambini con malattie ereditarie gravi: idiozia e mongolismo (specialmente se associato a cecita` e sordita`); microcefalia; idrocefalia; malformazioni di ogni sorta, specialmente di arti, testa e colonna vertebrale; e paralisi, comprese condizioni spastiche (Ordine segreto, 18 agosto 1939: oggetto – dovere di riferire su neonati con malformazioni etc.). Alla nascita la levatrice doveva denunciare lo stato del bambino; i medici avevano il compito di riferire sulle loro condizioni fino all’eta` di tre anni. Il Ministero della Sanita` del Reich distribuiva questionari, che i responsabili delle cliniche pediatriche dovevano compilare. A partire dal 1940 le informazioni richieste comprendevano notizie sulla nascita, sulla storia familiare (soprattutto riguardo a malattie ereditarie ma anche ad abuso di alcol, nicotina o farmaci); la previsione di miglioramenti, speranza di vita e la descrizione dello sviluppo fisico e mentale. Compilati questi questionari, una commissione composta da tre medici doveva giudicare quelli da sottoporre a eutanasia (senza vedere i bambini e senza nemmeno leggere la documentazione medica). C’era una apposita colonna del questionario dedicata al Behandlung (trattamento): (+) significava a favore del trattamento (uccisione); (-) contro; nell’incertezza veniva specificato: rinvio temporaneo o osservazione. Ogni medico esaminava il modulo e dopo averlo compilato lo passava al collega: il secondo conosceva il parere del primo, e il terzo dei primi due. Per procedere al trattamento serviva unanimita` nel giudizio: e` evidente che questo modo di procedere favoriva la condanna di quei bambini che il primo esaminatore giudicava indegni di vivere. In caso di mancato accordo, i bambini venivano mandati insieme a quelli condannati nelle unita` pediatriche deputate alle uccisioni per ‘accertamenti’. Trascorrevano un periodo di tempo in questi Istituti Specialistici Pediatrici (o Dipartimenti Specialistici Pediatrici o anche Istituzioni Terapeutiche di Convalescenza) per poi essere sottoposti nuovamente al giudizio della commissione, sulla base dei vecchi questionari. Questi Dipartimenti erano presentati come luoghi in cui venivano offerte ai bambini le migliori terapie pediatriche; la morte era mascherata da assistenza specialistica.
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Tutti procedevano come se quei bambini fossero effettivamente destinati a ricevere i doni della scienza medica, come se dovessero essere guariti invece che uccisi. La falsificazione era chiaramente intesa a ingannare: le famiglie dei bambini, i bambini stessi quando erano abbastanza grandi e il pubblico in generale. Ma serviva anche a soddisfare i bisogni psicologici degli assassini esprimendo letteralmente il rovesciamento nazista di terapia e uccisione (Lifton 1986, p. 80).
Spesso il medico spiegava ai genitori che il figlio aveva bisogno di un intervento rischioso, oppure che bisognava ricorrere a terapie straordinarie (in tutti i casi si preparava il terreno per l’annuncio del decesso prestabilito, e giustificato proprio dal ‘rischioso’ e dallo ‘straordinario’). Serviva anche a favorire l’autoinganno dei medici: l’autoinganno colpevole di credere che i bambini fossero davvero morti per un incidente o a causa della loro anormalita`. L’autoinganno era nutrito anche da altre espressioni, come ad esempio il ‘mettere a dormire i bambini’ (ucciderli). L’inganno ai genitori era costruito a seconda della ritrosia, e comunque seguiva alcune tappe: venivano inviate loro lettere nelle quali la disabilita` del figlio era sottolineata, esasperando la non curabilita`. Poi con un qualche pretesto si invocavano misure eccezionali e il trasferimento nelle istituzioni adatte (all’uccisione). Di fronte a resistenze ostinate si minacciava anche il ritiro della tutela genitoriale in nome del miglior trattamento per il bambino. Una volta trasferiti, i bambini venivano tenuti in vita per qualche tempo per simulare una terapia sperimentale. La morte era provocata dalla ripetuta somministrazione di luminal. Nel giro di qualche giorno il bimbo cadeva in un sonno continuo, poi nel coma e infine moriva. Se il luminal non bastava a uccidere abbastanza in fretta, gli veniva fatta una iniezione di morfina o di scopolamina. Il limite dell’eta` dei bambini da sottoporre al trattamento si alzo` fino all’adolescenza, e tra le condizioni considerate come ragioni sufficienti per l’eliminazione fisica rientrarono il mongolismo, disabilita` limitate, delinquenza e stranezze non meglio specificate. I bambini ebrei erano oggetto del trattamento per il solo fatto di essere ebrei. L’eventuale senso di colpa nei medici era tenuto a bada dall’impostura dell’uccisione mascherata da terapia, ma anche dalla burocratizzazione del processo, facilitata dalle strutture mediche destinate alla eutanasia (sia infantile che di adulti). Il meccanismo era costituito da diverse persone, ognuna delle quali poteva coltivare l’illusione di non essere responsabile di un vero e proprio omicidio; ognuno poteva considerarsi un piccolo (e irresponsabile) agente il cui influsso era cosı` piccolo da essere irrilevante.
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Non c’era un comando esplicito nemmeno per le infermiere che dovevano eseguire l’omicidio somministrando sonniferi in dosi massicce. E` significativo quanto affermato da un direttore di uno di questi Istituti di morte: A coloro che venivano prescelti per essere uccisi venivano prescritte dosi di luminal molto piu` elevate [...] Erano bambini spastici, [...] avevano la polio cerebrale, erano idioti, erano incapaci di parlare o di camminare. Come si dice oggi, date loro un sedativo perche´ sono agitati. E con questi sedativi [...] il bambino dorme. Se non si sa cosa sta accadendo, [il bambino] dorme. Si dev’essere ben introdotti per sapere che in realta` lo stanno uccidendo e non solo calmando (Lifton 1986, p. 84).
Il progetto di eutanasia inizialmente infantile fu esteso agli adulti. Eliminare i pazienti incurabili costituiva, secondo Hitler, un risparmio notevole di risorse sanitarie. Inoltre, l’eliminazione intendeva essere la scelta migliore anche nella prospettiva dei paziente incurabili, perche´ offriva loro una morte pietosa in cambio di una vita di sofferenze. L’organizzazione dell’eccidio e` tristemente famosa. Un questionario destinato agli istituti psichiatrici, agli ospedali e ai cronicari rappresentava lo strumento di selezione. Il discrimine tra chi poteva salvarsi e chi era invece condannato risiedeva nella capacita` lavorativa dei pazienti. Le domande centrali a tale riguardo erano: per lo piu` costretto a letto? Molto agitato? Rinchiuso? Malattia fisica incurabile? E cosı` via. Alla fine del questionario, alla voce Tipo di occupazione, si doveva fornire una descrizione il piu` possibile esatta di lavoro e produttivita`: per es. lavoro nei campi, non molto adatto. Officina di fabbro, lavoratore esperto. Niente risposte vaghe, come lavori di casa, piuttosto precisare: lavori di pulizia ecc. Indicare 1 sempre anche se occupato costantemente, spesso o solo occasionalmente . I pazienti da sottoporre al questionario erano suddivisi in quattro categorie. 1. Pazienti con malattie che compromettono la possibilita` lavorativa: epilessia, schizofrenia, paralisi e conseguenze della sifilide, malattie senili, debolezza di mente, encefalite, Corea di Huntington e altre patologie neurologiche terminali. 2. Pazienti con un ricovero continuativo di almeno cinque anni. 3. Pazienti in custodia come pazzi criminali. 1
Questionario tradotto dagli atti del processo di Hadamar, Frankfurt an Mein, febbraiomarzo 1947 (4 KLS 7/47), Landgericht Frankfurt.
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4. Pazienti non cittadini tedeschi (non di sangue tedesco) di cui si chiedeva razza e nazionalita`. Dalla meta` degli anni quaranta il questionario doveva essere compilato anche per chi non rientrava nelle quattro categorie; tutti i degenti erano sottoposti al questionario che decideva del loro destino. Era frequente che migliaia di pazienti fossero esaminati in pochi giorni; la fretta e l’indifferenza del personale sanitario contribuiva a condannare a morte molti di loro. Addirittura all’inizio qualche tentativo da parte dei medici di proteggere i loro pazienti risulto` controproducente: non conoscendo lo scopo dei questionari, alcuni medici descrivevano le condizioni dei pazienti un po’ piu` gravi della verita` per timore che lo scopo fosse quello di dimetterli prima del tempo per mandarli a lavorare. Non immaginavano che l’intento era invece di alleggerire gli istituti delle persone ‘inutili’. 2 Una volta arrivati nel centro di eliminazione , i pazienti venivano uccisi entro ventiquattr’ore. Il programma T4 (da Tiergarten 4, l’indirizzo della Cancelleria di Berlino ove aveva sede l’organizzazione per lo sterminio di massa) inizialmente utilizzava iniezioni letali di sostanze tossiche, un misto di scopolamina, curaro, morfina e acido prussico. L’esperienza, pero`, diede ragione ad un altro metodo di uccisione: il gas. Le camere a gas somigliavano a locali per le docce, con panche e condotti nei quali passava il monossido di carbonio invece dell’acqua. La ragione del successo era nell’efficacia, ma anche perche´ offriva una morte migliore: indolore, umana, rapida.
3. Auschwitz: il Blocco 10 La visione biomedica e l’ideologia razziale sono alla base di una espressione dell’eugenetica negativa per alcuni aspetti ancora piu` atroce delle uccisioni dirette: la sterilizzazione. Gli individui in buone condizioni fisiche potevano essere sfruttati per lavorare, invece che eliminati; a condizione, pero`, che fosse loro impedito di trasmettere il loro sangue impuro, propagando l’infezione razziale. La Legge sulla Sterilizzazione (14 2
I principali centri di eliminazione erano: Hartheim, Sonnenstein, Grafeneck, Bernburg, Brandeburgo e Hadamar. Un tempo ospedali psichiatrici o case di cura erano stati riconvertiti in centri di sterminio. Erano isolati e circondati da alte mura di cinta, in modo che cio` che accadeva all’interno fosse nascosto e le grida non insospettissero eventuali abitanti del luogo.
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aprile 1933) aveva giustificato la sterilizzazione chirurgica di mezzo milione di cittadini tedeschi indegni di riprodursi; ma questa prima fase del progetto di ‘igiene razziale’ era costato quattordici milioni di Reichsmark, troppo per ampliare la sterilizzazione al mondo. L’obiettivo era di trovare un metodo economico e veloce per la sterilizzazione di massa. I campi di concentramento erano il luogo ideale per sperimentare metodi alternativi alla costosa chirurgia. Erano disponibili cavie umane in assenza totale di limiti morali. Il Blocco 10 di Auschwitz era composto principalmente da prigioniere; era un luogo inaccessibile agli sguardi esterni e all’interno si consumarono crimini atroci camuffati da esperimenti medici e scientifici. Le condizioni di vita nel Blocco 10 erano migliori delle condizioni del Lager, perche´ altrimenti il materiale da esperimento non sarebbe stato adatto. Le cavie non dovevano morire prima di avere svolto il compito assegnato loro. Una parte del Blocco 10 era esclusivamente destinata alla ricerca sulla sterilizzazione. La principale autorita` medica in questo settore era Carl Claunberg, sostenuto da Himmler nella ricerca di un metodo economico e efficace di sterilizzazione di massa. Claunberg usava un metodo sperimentale: iniettava una sostanza caustica nella cervice uterina allo scopo di ostruire le tube di Falloppio. Scelse donne diverse per costituzione ed eta`, con preferenza verso quelle che avevano avuto figli. A tutte faceva diverse iniezioni nel corso di alcune settimane per provocare ostruzioni e danni nell’apparato riproduttivo, che egli verificava tramite radiografie. Molte delle donne morivano a causa di infezioni. In una lettera scritta a Himmler emergono gli obiettivi criminali della ricerca di Claunberg, intrisa di ideologia politica. Claunberg sottolinea l’importanza della politica demografica negativa, e la possibilita` di sterilizzare senza interventi chirurgici donne indegne di riprodursi: la sterilizzazione eugenica per mezzo di farmaci. Un altro programma di sterilizzazione di massa venne portato avanti da Horst Schumann tramite i raggi X: in poco tempo e con una spesa molto bassa potevano essere sterilizzate molte persone. L’ideale per preservare gli ebrei in grado di lavorare, ma per impedire loro di riprodursi. L’esperimento prese il via nel Blocco 30 di Birkenau, in cui i soggetti sperimentali – spesso all’oscuro di cio` che stava per accadere – venivano fatti entrare in una saletta di attesa, introdotti uno per uno nel laboratorio e sottoposti a raggi X. Le donne venivano inserite in due lastre che comprimevano la schiena e l’addome prima di subire le radiazioni; gli uomini poggiavano i testicoli e il pene su una speciale lastra. Molto spesso le donne riportavano gravi ustioni e sintomi di peritonite. Qualche tempo
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dopo le ovaie erano asportate chirurgicamente, con un intervento invasivo e grossolano che implicava complicazioni di varia natura, emorragie, infezioni, morte. L’intervento durava pochi minuti, dopo una rozza e dolorosa puntura lombare per l’anestesia parziale. «Presero noi perche´ non avevano conigli», racconto` una giovane ebrea greca sopravvissuta all’intervento e alle gravi conseguenze. Gli uomini riportavano scottature nell’area intorno ai genitali. Le vittime raccontarono della raccolta dello sperma tramite un apparecchio ideato da Schumann stesso (una specie di bastone introdotto nel retto che stimolava la prostata e provocava l’eiaculazione), dell’asportazione di uno o entrambi i testicoli in leggera anestesia. Le conseguenze di questi brutali interventi erano emorragie, setticemia, perdita di tono muscolare derivante dalle ferite. Molti morivano in poco tempo. Un gruppo di giovani polacchi dovette essere sottoposto a dosi particolarmente massicce di raggi X, tanto che i loro genitali marcirono. Il delirio di sperimentazione godeva di assoluta liberta` in assenza di ostacoli morali: la piu` potente arma di assoluzione si radicava nell’idea che quelle persone erano comunque condannate a morte, e pertanto non si stava procurando loro alcun danno.
4. Esperimenti umani: Josef Mengele Uno dei rappresentanti piu` noti dell’eccidio nazista compiuto sotto la copertura della medicina e` Josef Mengele. Il suo interesse per la genetica, e l’assurda applicazione delle sue ricerche (prive di ogni limite morale e spesso discutibili anche soltanto sul fronte teorico) su cavie umane, era sostenuto dalle tipiche idee perverse di superiorita` razziale e purezza di sangue, miste a una durezza di animo e una spregiudicatezza assolute. Auschwitz era il luogo ideale per condurre i suoi ‘esperimenti scientifici’. A parte le selezioni cui partecipava in prima persona e con entusiasmo, egli si macchio` di diversi delitti, compiuti con le sue mani, e non risparmio` dal suo furore nemmeno i suoi (s)oggetti di studio prediletti: i gemelli. Mengele usava i gemelli per studiare la trasmissione di caratteri ereditari identici; il suo intento era di trovare conferme al determinismo genetico. Secondo un suo stretto collaboratore, avrebbe coltivato il desiderio di utilizzare le conoscenze genetiche derivate dallo studio sui gemelli per ripopolare la Germania di individui biologicamente superiori (come un allevatore di bestiame). La ricerca sui gemelli fu senza dubbio lo studio a lui piu` caro, in modo
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particolare lo studio sui gemelli omozigoti. I gemelli erano raggruppati in una struttura a loro destinata e godevano di un trattamento di favore; spesso convivevano con altri individui che presentavano caratteristiche interessanti: nanismo o altre anomalie curiose (secondo la descrizione di un sopravvissuto, «una sorta di nave dei folli molto macabra»). Alcune apparenti concessioni di umanita` miravano soltanto alla riuscita dei suoi studi: permettere, ad esempio, alle madri di gemelle di rimanere con loro aveva l’intento di calmare le bambine, in modo da sottoporle a osservazione nelle condizioni mentali e fisiche migliori. Arrivava sempre, pero`, il momento della separazione e della destinazione delle madri alle camere a gas. I gemelli erano cavie come tutti gli altri, soltanto piu` preziose. Era come un laboratorio. Dapprima ci pesarono, poi ci misurarono e compararono le nostre misure [...] Non c’e` una parte del corpo che non sia stata misurata e comparata [...] Eravamo sempre sedute assieme, sempre nude [...] Stavamo sedute assieme per ore, e loro misuravano lei, e poi misuravano me, e poi di nuovo misuravano me e misuravano lei (Lifton 1986, p. 455).
Queste analisi si svolgevano fino a due volte alla settimana, per mesi e mesi; venivano scrupolosamente misurate le parti del corpo; veniva prelevata una gran quantita` di sangue; venivano raccolti dati sulla famiglia di origine. Su alcuni di loro Mengele compiva, come ultima fase della ricerca, un esame autoptico accurato (e una comparazione autoptica in condizioni ideali: gemelli morti insieme e in buona salute). Non in caso di morte accidentale, ovviamente. Una speciale stanza era stata dedicata alla dissezione dei cadaveri, organizzata come un vero e proprio istituto di patologia. Secondo la testimonianza del principale patologo prigioniero 3 Miklos Nyiszli , Mengele uccideva direttamente i suoi gemelli. Una notte raduno` quattordici gemelli zingari, e li uccise uno per volta. Distesi sul tavolo di dissezione, venivano addormentati con una iniezione di Evipan; e poi uccisi con una iniezione di cloroformio nel ventricolo sinistro. A volte Mengele uccideva i gemelli per dirimere un dubbio riguardo a una diagnosi, come nel caso di due bambini sospettati di avere la tubercolosi. Nonostante il parere di vari medici prigionieri, non convinto, Mengele sparo` ai due e li seziono`, scoprendo che non erano malati. O li uccideva per disappunto, come nel caso di una gemella di cui stava studiando l’evoluzione della sifilide, morta al momento sbagliato per 3
Deposizione di Miklos Nyiszli, 28 luglio 1945, alla Commissione di Budapest per l’assistenza agli ebrei ungheresi deportati.
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l’intervento di un’altra malattia. Disappunto che costo` la vita all’altra gemella. Gli interessi di ricerca di Mengele non si limitavano ai gemelli o agli sviluppi fisici anormali. Si interesso` di una forma cancerosa causata dalla cachessia, con lo scopo di metterne in luce le cause genetiche e razziali. Allo scopo di esaminare piu` casi possibile, lasciava che la malattia avanzasse nei piccoli pazienti, e spesso li uccideva per condurre esami batteriologici o di altra natura. La curiosita` per i fattori ereditari nel colore degli occhi lo spinse a crudelta` caratterizzate da una profonda ingenuita` scientifica. Iniettare del blu di metilene negli occhi castani di alcuni bambini, ad esempio, per farli diventare azzurri. Ovviamente nessun bambino acquisı` gli occhi ariani, piuttosto infiammazioni, bruciori, a volte cecita` e in qualche caso la morte.
10 Implicazioni del conferimento di diritti all’embrione Nasciamo, per cosı` dire, provvisoriamente, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno piu` definitivamente. Rainer Maria Rilke, Lettere milanesi
Per dirimere una questione e` possibile analizzare le conseguenze implicate da una determinata scelta morale. Riguardo allo statuto dell’embrione questa possibilita` si apre con la concessione che l’embrione sia una persona e goda pertanto di diritti. Premesso cio`, andiamo a scoprire alcune delle implicazioni dell’attribuzione di diritti all’embrione.
1. Alcuni possibili scenari Se l’embrione e` una persona e gode del diritto alla vita, e` inevitabile che nasca un conflitto con il diritto alla vita conferito alla madre. La prima e immediata conseguenza consiste nella revisione della possibilita` di ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza (possibilita` consentita in Italia dalla legge 194 del 1978 e negli Stati Uniti dalla sentenza Roe vs Wade del 1973). Interrompere una gravidanza potrebbe essere concesso soltanto se proseguirla causasse un pericolo per la vita della madre: si badi, solo nel caso in cui il diritto alla vita della madre fosse ritenuto piu` forte di quello dell’embrione. In caso contrario, la madre dovrebbe portare avanti la gravidanza anche a rischio della propria vita. E` evidente che se il rischio fosse per la sua salute e non per la sua stessa vita, l’interruzione di gravidanza non sarebbe possibile perche´ il diritto alla vita (dell’embrione persona) e` piu` forte del diritto alla salute (della madre persona). Ma i problemi non finiscono qui: sono molte le situazioni che potreb-
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bero essere lesive del diritto alla vita dell’embrione. Una vita stressante, gli alcolici, il fumo, prendere l’aeroplano. Bisognerebbe stilare un elenco dei comportamenti dannosi e di quelli sconsigliati, con tanto di sanzioni commisurate alla gravita`. Bisognerebbe, inoltre, cercare di garantire quel diritto alla vita che abbiamo attribuito all’embrione attraverso un attento e meticoloso controllo sulle condizioni di esistenza delle madri, potenziali violatrici dei diritti degli embrioni. Quali strumenti avrebbe lo Stato per garantire il diritto alla vita degli embrioni? Quale sarebbe l’elenco completo delle azioni lesive? Ma ancora, sarebbe possibile dimostrare sempre la connessione causale tra una certa azione e la lesione del diritto alla vita dell’embrione? Per fare un esempio: continuare a lavorare o guidare la macchina in una citta` caotica in quale elenco di azioni rientrerebbe? Permesse, sconsigliate oppure vietate? E come stabilire l’effetto di guidare per le strade di Roma al settimo mese di gravidanza sul benessere dell’embrione? Spesso e` molto difficile stabilire perfino l’effetto dell’assunzione di farmaci o droghe sulla salute del nascituro. Spesso, soprattutto nelle prime fasi di gravidanza, lo sviluppo del concepito si arresta senza che vi sia una ‘causa’ o una responsabilita` della madre: circa l’80% dei concepimenti non si conclude con una nascita. Il diritto alla vita di questa larga parte degli embrioni e` violato: non solo lo Stato dovrebbe tentare di proteggerlo, ma soprattutto dovrebbe punire le donne sospettate di essere responsabili di questo vero e proprio genocidio. Se abbiamo accettato di conferire un diritto alla vita all’embrione, saremmo senza dubbio anche disposti ad accettare una serie di limitazioni sul comportamento della madre: smettere di fumare, di bere vino, di andare in macchina, di prendere l’aeroplano e cosı` via. Ma la situazione si complica se l’attentato alla incolumita` dell’embrione proviene da altre circostanze. Immaginiamo che una donna al quarto mese di gravidanza scopra di essere affetta da un carcinoma che richiede una tempestiva decisione tra due alternative: non intervenire fino alla nascita dell’embrione, e andare incontro a morte certa; intervenire immediatamente. Intervenire immediatamente, pero` , comporta la morte dell’embrione, come conseguenza della chemioterapia. Ci sono due persone, due diritti alla vita, e un conflitto insanabile: preservarne una significa uccidere l’altra. Chi ha piu` diritto di vivere? Le ragioni per considerare piu` forte il diritto alla vita della madre sono le seguenti: la madre e` una persona che ha una vita alle spalle, ha rapporti sociali e affetti, in altre parole oltre al diritto alla vita, ha una esistenza la cui interruzione arrecherebbe dolore a lei e a tutti quelli con cui ha stretto legami affettivi. Al contrario l’embrione, seppure ha il diritto alla vita, non
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ha ancora una vita, non ha ancora avviato la propria esistenza relazionale e affettiva, e l’interruzione di questa esistenza aurorale implicherebbe conseguenze meno gravi dell’interruzione dell’esistenza della donna. D’altro canto, proprio il fatto che la madre abbia gia` avuto la possibilita` di godere dell’esistenza, mentre l’embrione non l’ha ancora avviata quella esistenza, potrebbe spostare la decisione a favore di quest’ultimo. La madre ha gia` goduto dell’esistenza, non sarebbe giusto che ora ne godesse l’embrione? A dare ancora piu` forza alla decisione a favore della vita dell’embrione a scapito della madre interviene anche un’altra valutazione: e` a causa della madre che il conflitto si e` creato, l’embrione non e` in alcun modo responsabile, perche´ dovrebbe subirne le conseguenze? E` la madre a minacciare l’incolumita` dell’embrione ricorrendo a terapie invasive; e` la madre che ha un problema da risolvere e che scegliendo la chemioterapia causerebbe la morte dell’embrione. Nessuna persona puo` causare la morte di un’altra persona per salvarsi la vita, tranne che nel caso di legittima difesa. Ma in questo scenario la legittima difesa non puo` essere invocata (si potrebbe nel caso in cui fosse l’embrione a minacciare la vita della madre). In conclusione, l’attribuzione di un diritto alla vita all’embrione delinea uno scenario in cui i diritti di due persone entrano in conflitto: un comportamento volto a non danneggiare lo sviluppo prenatale, ad esempio, dovrebbe essere imposto per legge (e non soltanto essere ritenuto morale e consigliabile), pena la violazione di un diritto di un soggetto di diritti (l’embrione durante tutta la gestazione), e dunque punibile. Se gli scenari immaginari appaiono troppo ‘fantasiosi’, esistono molti casi reali che ben rappresentano la pericolosita` del conferimento all’embrione di quei diritti di cui godono le persone.
2. Regina McKnight Di Regina McKnight ho gia` parlato in altro luogo1. Ma il suo caso e` talmente esemplare e scabroso da indurmi a riportarlo nuovamente. Regina e` una giovane donna senza casa, dipendente dalla cocaina e 2 mentalmente ritardata; vive nel South Carolina ed e` nera . Il 15 maggio 1989 partorisce all’ottavo mese e mezzo di gravidanza: il bambino nasce 1
Cfr. C. Lalli, 2004, Liberta` procreativa, Napoli, Liguori, pp. 52-54. Il movimento per i diritti dell’embrione (unborn child ) sta assumendo in questo Stato l’aspetto di una persecuzione condotta soprattutto verso donne povere e, nella maggior parte dei casi, nere. Su 167 procedimenti contro donne incinte fino al 1992, 87 sono nel South Carolina. 2
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morto. Alla fine del maggio 2001 e` dichiarata colpevole di omicidio e condannata a 12 anni di prigione. Regina fumava crack durante la gravidanza: l’autopsia evidenzia alcune tracce di tale sostanza nel corpo del feto e il medico che esegue l’autopsia stabilisce che la morte del piccolo si possa collocare uno o due giorni prima del parto. I medici che intervengono al processo non concordano nel ritenere la tossicomania della madre la causa della morte del feto: determinare la causa del decesso nel caso di un parto di un bambino morto e` spesso difficile, e a volte impossibile. In altre parole, non e` possibile stabilire con certezza che la condotta di Regina abbia causato la morte del feto. Nonostante questo, una giuria dichiara Regina colpevole di omicidio dopo aver deliberato per soli quindici minuti. Charles Condon, candidato repubblicano al governo, definisce questa condanna come una importante testimonianza della volonta` del South Carolina di proteggere la vita innocente tanto delle persone born quanto delle persone unborn. La legislazione del South Carolina considera persona il feto vitale: di conseguenza ogni comportamento potenzialmente dannoso per il feto e` perseguibile come criminal child abuse. Nei procedimenti contro donne incinte viene spesso richiamato lo Statuto a difesa dei minori e addirittura invocato il reato di spaccio di sostanza stupefacenti. L’uso di sostanze stupefacenti e` infatti il comportamento maggiormente sanzionato; seguono il fumo, gli alcolici, le droghe legali o la violazione delle prescrizioni mediche. E` interessante sapere che il South Carolina, oltre ad essere la roccaforte della tutela degli embrioni, e` anche uno degli Stati che stanzia meno fondi per i programmi di disintossicazione e la prevenzione delle tossicodipendenze; spendera` pero` circa 300.000 dollari per la lunga detenzione di Regina McKnight. Nel maggio del 2003 la difesa di Regina McKnight chiede che la Corte Suprema degli Stati Uniti compia una revisione della decisione 3 presa dalla Corte Suprema del South Carolina. La petizione afferma che la condanna della giovane per omicidio viola la Costituzione: l’Ottavo Emendamento (proibizione di crudeli e insolite pene) e il diritto di procreare. La petizione, inoltre, sottolinea che la Corte del South Carolina ha trasformato un parere medico (la cui verosimiglianza non e` stata confermata) in una prova schiacciante di colpevolezza: in questo modo ha trattato una donna come una spietata assassina (“depraved heart” murderer) e 3
La petizione e` sostenuta da una trentina di organizzazioni mediche, tra cui l’American Nurses Association, il South Carolina Medical Association e l’American Public Health Association.
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ha infamato la tradizione legale americana. Nel giugno dello stesso anno la Drug Policy Alliance (vedi http://www.lindesmith.org) a sostegno della petizione afferma quanto segue: (1) non c’e` alcuna evidenza scientifica e clinica per affermare che l’uso di droga da parte di Regina abbia causato la morte del feto; (2) il caso di Regina e` pericoloso perche´ scoraggia tutte le donne incinte che fanno uso di droga a richiedere assistenza pre e postnatale per paura di essere incriminate; (3) trattare una donna che ha partorito un bambino morto come una criminale invalida i tentativi di aiutarla a superare una esperienza tanto traumatica. Il 6 ottobre del 2003 la Corte Suprema degli Stati Uniti rifiuta di ascoltare l’appello a favore di Regina McKnight. Regina e` il primo caso in cui una donna venga accusata di omicidio in tali circostanze: negli anni precedenti molte altre donne sono state coinvolte in processi a causa di un comportamento ritenuto dannoso per il feto. La violazione dei diritti delle donne e` una inevitabile conseguenza dell’equiparazione giuridica tra l’embrione e le persone; ma vi e` un’altra conseguenza piuttosto allarmante. Le donne incinte il cui comportamento e` giudicato, da loro stesse, trascurato verso l’unborn child e quindi condannabile, le donne che fanno uso di sostanze stupefacenti, sempre piu` spesso si guardano bene dall’andare in ospedale per sottoporsi a controlli durante la gravidanza, per evitare la prigione. Quando lo fanno, e` per partorire, oppure e` a causa di qualche complicazione a cui puo` essere tardi rimediare. Cio` che e` accaduto a Regina McKnight suscita una domanda: com’e` possibile considerare una conseguenza non desiderata e forse non determinata dall’uso di crack come omicidio e, allo stesso tempo, affermare che e` legale abortire? Causare quello stesso effetto (la morte) deliberatamente non puo` essere legittimo se si dichiara che e` un crimine farlo involontariamente. La maggiore gravita` di un omicidio intenzionale rispetto a un omicidio colposo sembra paradossalmente invertita in tale caso.
3. South Carolina vs Cornelia Whitner Nel 1992 comincia per Cornelia Whitner un procedimento penale per abuso infantile perche´ durante la gravidanza aveva fatto uso di droghe. Secondo l’accusa Cornelia aveva mancato di provvedere alle cure mediche necessarie per il suo bambino non-nato (unborn child ) mettendone a rischio la vita e violando lo Statuto che regola l’abuso infantile. L’avvocato della
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difesa, Cheryl Aaron, non incontro` Cornelia fino al giorno dell’udienza preliminare; aveva inoltre alle spalle una storia di avvocato dell’accusa di molte donne incinte con problemi di dipendenza da droghe in nome del Child Neglect Statute. Le carenze della difesa non finiscono qui, tanto che la Aaron dichiaro`: «forse avevo qualche pregiudizio derivante dalla mia precedente esperienza di avvocato dell’accusa...». Pregiudizio che costo` caro a Cornelia. L’avvocato Aaron non avvertı` Cornelia del fatto che l’accusa si basava su uno statuto che riguardava bambini (gia` nati) e non feti (non ancora nati), e che una simile applicazione violava i diritti costituzionali della donna. Nemmeno la avvertı` che in nessuna altra Corte era stato applicato il Child Neglect Statute per i comportamenti tenuti dalla madre durante la gravidanza. Senza dubbio l’omissione piu` grave riguardava addirittura la possibilita` di chiudere il caso, senza arrivare al processo, proprio sulla base delle circostanze del giudizio: uno Statuto che riguardava il trattamento dei bambini veniva esteso dallo Stato agli embrioni, senza che vi fosse alcuna evidenza a sostegno della ammissibilita` dello slittamento. Cornelia fu solo informata dall’avvocato Aaron che aveva il diritto ad un processo con una giuria, che avrebbero potuto dimostrare che il bambino aveva i sintomi di una intossicazione da cocaina o crack; e ‘rassicurata’ del fatto che avrebbe fatto di tutto per aiutarla e per farla tornare dal figlio. Troppe cose andarono storte: il risultato fu disastroso. Cornelia fu condannata a 8 anni di carcere – non soltanto per l’inettitudine del suo avvocato, pero`. Come la avvertı` il giudice, infatti, il South Carolina punisce le donne che hanno dato alla luce bambini positivi al test per rilevare droghe con una punizione fino a 10 anni di prigione: l’idea sottostante e` che gli embrioni sono bambini non-nati (unborn children); e che debbano essere trattati alla pari di bambini (la differenza tra unborn e born non avrebbe alcuna importanza). Cornelia finisce in carcere, nonostante fosse lontana dalla droga da mesi, seguisse una terapia e il suo bambino fosse in buona salute. Il suo avvocato non si prese la briga di informarla che avrebbe potuto ricorrere in appello, e dovettero passare molti mesi prima che l’American Civil Liberties Union contattasse Cornelia per informarla che era stata condannata per un crimine inesistente. A parte le negligenze della difesa, il caso di Cornelia e` interessante per 4 le riflessioni che sostengono l’inammissibilita` della condanna di Cornelia . 4
Purtroppo queste riflessioni non sono sufficienti se l’embrione e` una persona (unborn child), perche´ allora sarebbe non solo lecito, ma doveroso, fare riferimento alla giurisdizione che regola il trattamento dei bambini.
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In primo luogo, uno Statuto che regola il maltrattamento dei bambini non puo` affatto essere applicato alla condotta delle donne incinte in riferimento all’embrione: accusare una donna di abuso infantile, nel caso di un comportamento di una donna incinta ai danni dell’embrione, e` una accusa che non puo` essere sostenuta perche´ il crimine non esiste. Includere l’embrione tra le potenziali vittime (i bambini) causerebbe la violazione di alcuni diritti fondamentali delle donne, come il diritto a un giusto processo e il diritto alla privacy. Se il crimine non esiste, e` evidente, non puo` esserci accusa o processo. Questo basterebbe a scardinare il procedimento contro Cornelia Whitner. Oltre a essere condannata per un crimine inesistente, Cornelia ha subito una criminalizzazione della sua gravidanza. Questo passaggio e` molto interessante: In addition, the Petitioner’s [lo Stato] interpretation of § 20-7-50 [la legge sull’abuso infantile] violates the constitutionally protected right to procreate because the unprecedented interpretation of § 20-7-50 urged by the Petitioner has the effect of punishing drug-using women for having babies and of coercing abortions. In addition, because Petitioner’s interpretation of § 20-7-50 opens the door to prosecutions for any behavior that could endanger the fetus, it violates the more general right to privacy from unjustified state intrusion. The Petitioner’s interpretation, moreover, cannot be justified by any state interest. Its interpretation endangers both fetal and maternal health by frightening pregnant women with substance abuse problems out of the health care system.
Le conseguenze dell’estensione del Child Neglect Statute agli embrioni e alla condotta prenatale sarebbero inaccettabili e contrarie all’intento legislativo. Secondo l’American Civil Liberties Union il legislatore non ha mai pensato di includere il feto tra i bambini (oggetto dello Statuto). Una simile estensione sarebbe pericolosa e inaccettabile. La motivazione e` affidata al rifiuto della Corte Suprema dell’Illinois di considerare un abuso infantile una negligenza della madre durante la gravidanza (Supreme Court of Illinois, 1988, Stallman vs Youngquist, 531 N.E. 2d 355, 359, 360): [S]ince anything which a pregnant woman does or does not do may have an impact, either positive or negative, on her developing fetus, any act or omission on her part could render her liable to her subsequently born child [...] Mother and child would be legal adversaries from the moment of conception until birth [...] Holding a third person liable for prenatal injuries furthers the interests of both the mother and the subsequently born child and does not
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interfere with the defendant’s right to control his or her own life. Holding a mother liable for the unintentional infliction of prenatal injuries subjects to State scrutiny all the decisions a woman must make in attempting to carry a pregnancy to term, and infringes on her right to privacy and bodily autonomy [...] Logic does not demand that a pregnant woman be treated in a court of law as a stranger to her developing fetus [...] As opposed to the third-party defendant, it is the mother’s every waking and sleeping moment which, for better or worse, shapes the prenatal environment which forms the world for the developing 5 fetus .
Trattare l’embrione come un bambino significherebbe inevitabilmente una intromissione inammissibile nella vita della madre, una violazione del suo diritto all’integrita` fisica e al suo fondamentale diritto all’autonomia e all’autodeterminazione. Perche´ il destino dell’embrione e` cosı` strettamente legato alla donna che ogni azione durante la gravidanza potrebbe diventare un motivo per avviare una indagine criminale. Le ragioni a difesa di Cornelia, pero`, si scontrano con l’equiparazione dell’embrione a bambino non nato, che la legge del South Carolina appoggia e che nel 2001 e` diventata il cardine di una legge federale.
4. L’embrione come persona: Unborn Victims of Violence Act Esiste un preciso e corretto sfondo legislativo. E si chiama Unborn Victims of Violence Act. E` una legge federale che e` stata approvata qualche anno fa negli Stati Uniti e che equipara il neonato all’unborn child, al fine di proteggerlo e di tutelarne i diritti (alla vita, alla nascita, all’integrita`). E` l’aprile del 2001 e l’idea centrale della legge consiste nel considerare l’interruzione della vita del feto equivalente all’uccisione di una persona non nata (unborn child): 6 omicidio . L’Unborn Victims of Violence Act intende rimediare alla carenza di specifiche tutele del feto nella legislazione federale americana. Qualche anno prima, nella base dell’Air Force di Wright Petterson, Gregory Robbins aggredı` la moglie incinta, causando la perdita del bambino. Robbins fu incriminato soltanto per le percosse inflitte alla moglie, ma non per 5
Il corsivo e` mio. Gia` ventiquattro Stati americani riconoscevano l’unborn child come una persona, alcuni per tutto lo stadio della gestazione, a partire dal concepimento, altri solo a partire da un certo momento dello sviluppo prenatale. 6
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l’interruzione della gravidanza. Considerare l’embrione come una persona, secondo i sostenitori dell’Unborn Victims of Violence Act, e` l’unico modo per proteggerlo da aggressioni o da maltrattamenti. I sostenitori della legge federale si fanno forza dei numerosi casi di cronaca (oltre a quello di Robbins), ove le percosse inflitte a donne incinte – spesso dal padre del nascituro e spesso con conseguenze drammatiche – venivano punite soltanto in base ai danni loro arrecati, non tenendo conto delle eventuali conseguenze sul nascituro (aborto, danni permanenti o temporanei). L’Unborn Victims of Violence Act afferma l’esistenza di due vittime nel caso di una aggressione ai danni di una donna incinta: una vittima e` la donna, l’altra e` l’unborn child. Ci sono due persone; due crimini distinti; due potenziali vittime. In base alla modalita` e agli effetti dell’aggressione vengono stabilite le sanzioni: intenzionalita`, consapevolezza, gravita` degli effetti e cosı` via. Se picchiare una donna incinta causa l’interruzione della gravidanza (ignorata dall’aggressore), ad esempio, la pena risultera` dalla considerazione delle percosse e di un omicidio colposo – poco importa se non ci fosse cognizione della situazione, e quindi dei rischi di un gesto violento. Se considerare il feto come un soggetto avente diritti implica coerentemente l’equiparazione tra la procedura penale riguardo al feto e quella riguardo alla madre, comporta pero` un serio problema: come possiamo considerare ancora legale l’aborto (sentenza della Corte Suprema del 1973, Roe vs Wade)? Se l’embrione e` una persona, e come tale gode di diritti, allora interrompere il suo sviluppo e` inammissibile. Anche se nel testo normativo si cerca un funambolico accordo, e` evidente che non e` concesso alcun compromesso: o l’embrione non e` una persona e allora l’interruzione di gravidanza e` permessa; oppure l’embrione e` una persona 7 e allora l’interruzione di gravidanza non e` permessa . (Nella sezione c del paragrafo Protection of unborn children viene esclusa la perseguibilita` di qualunque persona esegua un aborto con il consenso della donna incinta o nel caso in cui tale consenso sia implicato dalla legge, e viene altresı` esclusa la perseguibilita` della madre che decide di abortire. Ma tale esclusione non elimina le implicazioni derivanti dall’affermazione che l’embrione possiede dei diritti. Se l’unborn child e` un bambino (seppure non ancora nato), e se la sua morte comporta l’accusa di omicidio per chi commette il crimine, e` difficilmente comprensibile cosa renda un tipo particolare di omicidio, cioe` l’aborto, legalmente ammissibile e non punibile.) In questi mesi alcuni Stati (come l’Oklahoma o la Louisiana) caldeg7
Almeno non alle condizioni in cui e` permessa dopo Roe vs Wade.
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giano testi normativi contro al possibilita` di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, salvo in casi di stupro o incesto (Oklahoma) o se la vita stessa della donna e` in pericolo (Louisiana). Nell’aprile 2006 e` stata firmata dal governatore del South Dakota una legge, South Dakota Women’s Health and Human Life Protection Act (HB 1215), per consentire la possibilita` di abortire soltanto nei casi in cui la vita della madre sia minacciata dalla prosecuzione della gravidanza. Stupri e incesti esclusi. Il sottotitolo e` significativo: An Act to establish certain legislative findings, to reinstate the prohibition against certain acts causing the termination of an unborn human life, to prescribe a penalty therefore, and to provide for the implementation of such provisions under certain circumstances.
La proibizione dell’aborto viene motivata con la necessita` di proteggere i diritti, gli interessi e la salute della madre e del bambino non nato e «the mother’s fundamental natural intrinsic right to a relationship with her child». Si afferma esplicitamente che i nati e i non nati («born and unborn human beings») devono essere trattati allo stesso modo di fronte alla legge, specificando che «a pregnant mother and her unborn child, each possess a natural and inalienable right to life» (il corsivo e` mio). Come con amaro sarcasmo sottolinea Edward M. Gomez, un giornalista del “San Francisco Chronicle”, agli stupratori e` stato riconosciuto il diritto di diventare padri. E i padri che violentano le proprie figlie godrebbero di uno strampalato diritto di diventare al contempo padri e nonni della stessa creatura (che ne sara` del destino del nascituro e della volonta` della madre, a nessuno sembra importare). I medici che infrangono il divieto rischiano fino a cinque anni di prigione. Un finanziatore anonimo ha donato un milione di dollari per la causa della restrizione legale dell’aborto. Stati come il Mississippi, la Georgia, l’Ohio, il South Carolina, il Tennessee e l’Indiana sono pronti a formare una cintura di difesa della vita degli embrioni: gli Unborn Children, appunto, minacciati dall’aborto. Le foto dei sostenitori del governatore Mike Rounds, primo firmatario della legge, ritraggono spesso e volentieri bambini che sostengono cartelloni piu` grandi di loro e ostentano ringraziamenti a lettere cubitali per l’impegno a difendere della vita. Il messaggio veicolato dai fanciulli e` all’incirca: “grazie governatore Rounds, noi abbiamo rischiato di non nascere, e in futuro sara` giusto che nessuno correra` questo rischio!”. Spesso le campa-
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gne ‘pro-life’ sono connotate da simili argomenti fragili e potenzialmente commoventi. “Io non sarei nato”, la vocetta flebile di un bambino roseo a rafforzare l’effetto emotivo. Gloria Steinem ricorda che la maggioranza degli americani e` a favore della liberta` di scelta (‘pro-choice’) e contraria alla gravidanza coercitiva, ma che questa non e` ovviamente una garanzia sufficiente. Come la pensano i legislatori? La studiosa ha asserito che la liberta` riproduttiva delle donne e` un diritto inviolabile. E ha accusato la legge del South Dakota di renderle prigioniere politiche, forzandole a portare avanti una gravidanza di uno stupro, e di nazionalizzare il corpo femminile obbligandole a partorire. Pochi giorni dopo la firma nel South Dakota e` stata avviata la raccolta delle firme per un referendum contro l’attacco alla possibilita` di abortire (Abortion ban foes gain steam, “Chicago Tribune”, 10 aprile 2006). E` evidente che queste proposte legislative affondino nella concezione personale della vita a partire dal concepimento, e che abbiano l’intento di salvaguardare i diritti del feto. Anche se appare bizzarro, dal punto di vista dell’embrione-persona, essere condannato a morire nel caso la sua esistenza sia avviata da uno stupro o un incesto. Che colpa ne ha? Se e` comprensibile la ragione che puo` portare la donna ad abortire in una simile circostanza, forse questa ragione non sarebbe sufficientemente vigorosa da indebolire il diritto alla vita dell’embrione (cosa che invece sarebbe piu` intelligibile nel caso del rischio della vita per la madre: qui ci sarebbe uno scontro tra due diritti alla vita, mentre nel caso del concepimento dovuto a stupro o incesto non e` a rischio la vita della donna; piuttosto si parla di un danno morale o psicologico; piu` debole, temo, del diritto dell’embrione di nascere). Anche la Regione Lazio ha cercato di equiparare il concepito alle persone. Nel novembre 2001 la Commissione Sanita` ha approvato un disegno di legge in cui il concepito e` considerato un cittadino e ha personalita` giuridica. Lo scopo e` encomiabile, aiutare le famiglie, ma gli strumenti sono a dir poco difettosi: permettere di detrarre il nascituro dalle tasse. L’articolo 3, che definisce il piano per la famiglia, prevede a tal fine che nel numero dei membri della famiglia per calcolare il reddito venga compreso il concepito. Il concepito viene inserito a pieno titolo nel nucleo familiare. Oltre ai problemi giuridici e all’insorgenza di conflitti tra diritti, la legge laziale di famiglia deve affrontare complesse e grottesche questioni organizzative: in che modo sarebbe possibile assicurarsi che tutti i concepiti siano iscritti all’anagrafe? Un alto numero di concepiti non si impianta
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in utero e nel giro di alcuni giorni si perde con il primo ciclo mestruale. Le conseguenze di questa dinamica naturale sono almeno due: la difficolta` di controllare l’effettiva presenza di un concepito durante questo stadio (dovrebbe svolgersi un controllo ogni due settimane di tutte le donne in eta` fertile) e la creazione di un registro la cui gestione sarebbe estremamente complicata. Non e` chiaro se la cancellazione da tale registro di un concepito non impiantato (o nel caso di una interruzione di gravidanza) verrebbe considerato un decesso, e non e` nemmeno chiaro se nel caso di una interruzione di gravidanza volontaria o involontaria vi sia una somma da restituire, non essendoci piu` la ragione della detrazione fiscale (probabilmente nel caso di aborto volontario). La possibilita` di ovviare, almeno in parte, a queste difficolta` iscrivendo all’anagrafe soltanto i concepiti impiantati non e` soddisfacente e sarebbe un atto discriminatorio (Demetrio Neri, «Concepiti» e «Contenitori», “l’Unita`”, 14 giugno 2002): il mancato impianto e` un fenomeno comune e naturale, ma se attribuiamo il diritto alla vita al concepito dovremmo almeno adoperarci per studiare e contrastare questo fenomeno naturale. La ricerca biomedica serve appunto a combattere gli effetti dei fenomeni naturali che danneggiano gli esseri umani e se – come propongono i firmatari del documento dei ginecologi romani (Manifesto “L’embrione come paziente”, firmato da Adriano Bompiani, Pierluigi Benedetti Panici, Ermelando Vinicio Cosmi, Bruno Dallapiccola, Vito Fazio, Salvatore Mancuso, Massimo Moscarini, Emilio Piccione, Domenico Arduini, Giuseppe Noia, Giuseppe Benagiano, Giovanni Pirone, Roma 2 febbraio 20028) – vogliamo assumere a pieno titolo gli embrioni come pazienti, non possiamo discriminare tra embrioni impiantati o non impiantati. Anche questi ultimi, in quanto concepiti, hanno lo stesso diritto alla nostra protezione.
Difatti la ricerca biomedica intende proteggere il diritto alla vita (e alla salute) di tutti i pazienti, e a contrastare fenomeni naturali come le malattie.
5. Madre vs embrione Se l’organismo cellulare che si trova nel grembo materno e` una persona, allora necessariamente le conseguenze sono gravi. Il conflitto tra la madre 8
Pubblicato integralmente il giorno successivo: L’embrione, da subito individuo, “Avvenire”, 3 febbraio 2002.
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e il nascituro esiste a partire dal concepimento: chi ha piu` diritto di essere protetto? Ho gia` indagato alcune delle ragioni a favore dell’embrione e a favore delle donne. Nel caso in cui lo scontro fosse tra il diritto alla vita (dell’embrione) e il diritto di scegliere cosa avviene del suo corpo e al suo interno (della donna), sembra ragionevole dare piu` forza al diritto alla vita dell’embrione. L’assurdita` di questa scelta emerge dal celebre esempio di Judith Jarvis Thomson (1971). Immaginiamo la seguente situazione: una mattina ci svegliamo distesi accanto a un famoso violinista al quale e` stata diagnosticata una grave malattia. La societa` dei musicofili, dopo accurate ricerche negli archivi medici, ha scoperto che soltanto noi possediamo il tipo di sangue adatto per le trasfusioni necessarie a salvargli la vita. Durante la notte siamo stati portati in un ospedale, e il nostro sistema circolatorio e` stato collegato a quello del violinista allo scopo di depurare il suo sangue. Al nostro risveglio il direttore dell’ospedale ci informa delle novita`: [...] il violinista e` collegato al suo corpo. Staccarsi vorrebbe dire ucciderlo. Ma non c’e` da preoccuparsi, e` solo per nove mesi. Per allora sara` guarito dalla sua insufficienza, e potra` essere staccato senza pericoli. [...] Ricordi che ogni persona ha diritto alla vita, e i violinisti sono persone. Certo, lei ha il diritto di decidere cosa avverra` del suo corpo e al suo interno, ma il diritto alla vita di una persona prevale sul suo diritto a decidere cosa avverra` del suo corpo e al suo interno (Thomson 1971, p. 5).
Avremmo forse il dovere morale di accettare tale situazione? Qualcuno potrebbe obbligarci a rimanere collegati al violinista? Saremmo di certo gentili a concederglielo, ma il diritto alla vita attribuito ad una persona non implica il diritto ad usare il corpo di un’altra persona, e non puo` essere considerato agevolmente piu` forte del diritto di ognuno di decidere del proprio corpo. Nel caso in cui lo scontro fosse tra il diritto alla vita dell’embrione e il diritto alla vita della donna, i difensori del diritto alla vita dell’embrione affermano che: abortire significherebbe provocare direttamente la morte del feto, mentre non intervenire significherebbe soltanto lasciare morire la madre. L’assunzione implicita e` che sia meno grave lasciare morire qualcuno piuttosto che provocarne direttamente la morte. Inoltre abortire significherebbe uccidere una persona innocente. E allora, essendo le uniche scelte possibili il lasciare morire una persona o ucciderne una direttamente (per di piu` innocente), si deve preferire lasciar morire la persona. (Tanto piu`, abbiamo gia` detto, che ad essere malata e` la madre, non l’embrione.
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Nel caso in cui non si possa salvare la vita di entrambi, non puo` essere privilegiata la vita della persona malata – la madre – al prezzo della vita della persona sana – l’embrione –, altrimenti cio` istituirebbe il principio in base al quale per salvare qualcuno che e` malato si puo` sacrificare qualcun altro che e` sano e che per sua fortuna non era stato colpito da quella malattia: un cardiopatico potrebbe essere salvato uccidendo una persona sana il cui cuore potrebbe essere trapiantato al primo per salvargli la vita; una persona morente a causa di un fegato danneggiato potrebbe pretendere un fegato nuovo appartenente ad un’altra persona.) Ma non si puo` seriamente considerare l’idea dell’omicidio se la madre abortisce per salvarsi la vita. Non si puo` affermare sul serio che ella deve astenersi dal farlo, che deve attendere passivamente la propria morte (Thomson 1971, p. 8).
Pensando al violinista, ci troveremmo in questa situazione: lo sforzo a cui vengono sottoposti i nostri reni ci condurra` a morte nel giro di qualche tempo; ma dobbiamo rimanere dove siamo, perche´ decidere di staccare i collegamenti che ci legano a lui significherebbe uccidere direttamente un violinista innocente. E questo sarebbe inammissibile. E` la stessa natura problematica del diritto alla vita a sollevare diversi problemi. Per alcuni il significato dell’avere un diritto alla vita consiste nell’affermare che l’individuo al quale viene attribuito gode del diritto di avere lo stretto necessario per vivere. Ma il guaio e` che in alcune circostanze quello stretto necessario di cui un individuo ha bisogno per vivere e` qualcosa su cui non puo` rivendicare un diritto. L’embrione ha bisogno del grembo materno per vivere; ha il diritto di farne uso? Il fatto che l’embrione abbia bisogno del grembo materno per vivere non basta per istituire il diritto di farne uso, e non puo` rivolgersi a nessuno per ottenerlo. Soltanto la donna puo` decidere se offrirgli una opportunita` su cui l’embrione non puo` avanzare pretese. Una analogia chiarisce ancora meglio l’assurdita` di una simile pretesa. Se giaccio mortalmente malata, e la sola cosa che puo` salvarmi e` il tocco della fredda mano di Henry Fonda sulla mia fronte febbricitante, nondimeno non ho il diritto di ricevere il tocco della fredda mano di Henry Fonda sulla mia fronte febbricitante. Sarebbe estremamente gentile da parte sua volare dalla West Coast per questo (Thomson 1971, p. 12).
Sebbene la malata goda di un diritto alla vita, questo non significa che
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possa avvalersi del diritto di usare il corpo di un’altra persona, fosse anche questione di vita o di morte. L’embrione non acquisisce un diritto inviolabile di usare il corpo della madre nemmeno in base alla considerazione della parziale o totale responsabilita` della donna nell’avviare la gravidanza (elemento che costituisce una differenza rilevante rispetto a un irresponsabile individuo ‘usato’ per tenere in vita un altro). Vi sarebbero, in primo luogo, difficolta` nello stabilire la dose di responsabilita` da attribuire alla donna. Ma se anche fosse superata questa difficolta`, e` insensato sostenere che se abbiamo lasciato la finestra aperta diventiamo corresponsabili di un furto e dunque attribuiamo al ladro il diritto di rimanere in casa nostra e di prendere cio` che desidera. Ma soprattutto, se anche fossimo disposti a riconoscere una responsabilita` speciale della madre nei confronti dell’embrione (responsabilita` che nessuna persona ha nei confronti di un’altra persona indipendente), questo non significa che sia legittimo impedire di ricorrere all’interruzione di gravidanza, esercitando una libera scelta. La violazione di una simile assunzione di responsabilita`, tramite l’interruzione di una gravidanza magari inizialmente desiderata, puo` anche essere ritenuta immorale (e la stessa Thomson sembra propendere per questo giudizio) ma in nessun caso puo` essere impedita in nome di un diritto dell’embrione di vivere. La condotta di ogni donna incinta dovrebbe essere tenuta sotto stretta sorveglianza (per evitare la morte inintenzionale del concepito). E` ragionevole ammettere una differenza morale tra una donna che decide di abortire e una donna che decide di portare a termine la gravidanza, e dunque una distinzione tra un bambino soltanto potenziale (potential child ) e un bambino che nascera` (child-who-will-be-born) (Steinbock 1992). E` ragionevole anche ammettere che la decisione di avere un figlio implichi degli obblighi morali nei confronti del bambino che nascera`, anche se non appena si provi a precisare di quali obblighi si tratti e fino a che punto possano spingersi, insorgono numerose difficolta`. L’esistenza di obblighi morali materni non implica l’attribuzione di diritti al concepito, se non in un senso concettuale che non lascia spazio alcuno al riconoscimento giuridico di tali diritti. Per una donna incinta, l’esistenza di una legge sul danno al feto potrebbe rendere quasi ogni azione potenzialmente criminale. I suoi spostamenti quotidiani, la dieta, i rapporti sessuali, i divertimenti e le altre attivita` sarebbero sottoposte all’esigente e sospettoso esame critico dei medici, della collettivita` e magari anche di una giuria. Una donna potrebbe trovare difficile spiegare le forze che determinano il suo comportamento, e convincere una giuria
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che non era mossa da un’ostilita` verso il feto (Schott, 1988, p. 239, il corsivo e` mio).
Le donne rischierebbero di diventare ‘nutrimento’ e contenitori degli embrioni. Il compito delle donne, una volta rimaste incinte (intenzionalmente o accidentalmente), sarebbe quello di portare a termine la gravidanza e alla nascita l’embrione evitandogli qualunque rischio, consensualmente oppure no, anche a costo della propria vita. Il diritto dell’embrione, una volta attribuito, deve essere protetto contro i possibili danni causati da un comportamento ‘sconsiderato’ della madre. A questo scopo, bisognerebbe impedire alle donne incinte di fumare e di condurre una vita faticosa e potenzialmente dannosa per il nascituro. Ma se smettere di fumare durante la gravidanza sarebbe forse preferibile moralmente, non puo` mai essere un dovere, e nessuno puo` imporre ad una donna di smettere di fumare a causa della sua gravidanza. Inoltre, anche un comportamento precedente alla gravidanza puo` essere dannoso per il feto: si dovrebbe forse impedire a tutte le donne di fumare o di avere un comportamento imprudente perche´ potenziali portatrici di feti? Non pretendiamo questo standard di genitori [quelli con il comportamento piu` sicuro] rispetto ai loro bambini gia` nati. Se lo facessimo, non potremmo giustificare il fatto di lasciare i bambini con una baby-sitter per andare a cena fuori (Steinbock 1992, p. 132).
Vi sono donne, infine, che potrebbero arrecare danni al nascituro non a causa di un comportamento sbagliato, ma a causa di una condizione strutturale: una malattia, un difetto genetico, un tratto caratteriale. A partire da queste premesse l’elenco di donne escluse appare potenzialmente infinito: donne affette da AIDS o portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, donne che non si sottopongono al vaccino contro la rosolia, oppure che si trovano in una condizione di indigenza che causerebbe privazioni dannose per il corretto sviluppo del feto, donne stupide, povere o sole, perche´ sarebbero costrette a lavorare durante gran parte della gestazione e per questo la gravidanza potrebbe essere compromessa. Quali sarebbero allora i criteri per permettere o negare alle donne la liberta` di rimanere incinte? Lo screening a cui sarebbero sottoposti gli aspiranti genitori naturali diventerebbe ancora piu` severo che nei confronti degli aspiranti genitori adottivi o con coloro che aspirano alla procreazione medicalmente assistita.
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6. Interruzione volontaria di gravidanza Se il diritto alla vita all’embrione implica la sorveglianza della condotta della madre, a maggior ragione le impedisce di decidere intenzionalmente di ucciderlo abortendo. L’aborto non puo` essere permesso, perche´ equivale ad un omicidio (tranne in qualche caso eccezionale). Oltre ad essere una conseguenza immediata e legittima, risolverebbe una profonda contraddizione nel conferimento di diritti all’embrione (attribuire un diritto alla vita all’embrione, e allo stesso tempo considerare l’aborto legittimo: attribuire allo stesso tempo un diritto alla vita a X, e attribuire a Y – nella maggior parte dei casi la madre – il diritto di violare impunemente il diritto alla vita di X). Se l’embrione gode di diritti, per quale motivo quello stesso titolare di diritti puo` essere soppresso in seguito alla decisione della madre di abortire? A rendere l’aborto non punibile sarebbe la volonta` della donna, piuttosto che le caratteristiche dell’embrione; e questo e` assurdo. La decisione della donna sarebbe investita della possibilita` di trasformare un divieto (omicidio) in una possibilita` legalmente riconosciuta (interruzione volontaria di gravidanza). Volendo forzare tale argomentazione, arriveremmo a conclusioni aberranti. Anche il divieto di sopprimere un bambino di 10 mesi o 10 anni affonda nell’attribuzione di un diritto alla vita al bambino (stessa attribuzione concessa all’embrione). Analogamente al riconoscimento della legittimita` dell’aborto, dovrebbe essere riconosciuta l’ammissibilita` dell’interruzione della vita del bambino qualora la madre lo decidesse: una madre che decidesse di uccidere il proprio bambino di qualunque eta` sarebbe non punibile, come una donna che decidesse di interrompere una gravidanza. Rifiutare tale conclusione obbliga a stabilire cosa rende moralmente diversi un bambino da un embrione: l’essere dentro o fuori dell’utero materno non sembra costituire una differenza moralmente rilevante. L’attribuzione di diritti all’embrione rende piuttosto difficile non classificare l’aborto come omicidio, oppure rifiutare l’estrema conseguenza che se una madre puo` abortire, allora puo` anche uccidere il proprio figlio di 10 mesi o 10 anni. Inoltre, una donna si troverebbe a essere non punibile se abortisce o se uccide il proprio figlio, mentre l’uccisione inintenzionale degli embrioni – da parte della stessa madre e di estranei – e, naturalmente, l’omicidio (escluso quello compiuto dalla madre sui propri figli) sono penalmente perseguibili. Una azione che ha lo stesso esito (la morte di un soggetto
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avente diritti, sia esso l’embrione o un altro individuo) sarebbe perfettamente lecita quando viene commessa intenzionalmente da un soggetto particolare (la madre) in condizioni particolari (gravidanza naturale e maternita`), e invece perseguibile penalmente o quando viene commessa da un soggetto qualunque diverso dalla madre oppure quando viene commessa tanto dalla madre quanto da un soggetto diverso senza l’intenzione di arrecare danni o morte all’embrione. Vi sono due paradossi che possono essere evidenziati. Il primo e` che un’azione con lo stesso esito (un danno per C) e` perseguibile penalmente quando la compie A e non perseguibile penalmente quando la compie B, dove sia A che B sono diversi da C. A questo paradosso si potrebbe scampare solo dicendo che c’e` un particolare soggetto B, la madre, che gode di una speciale immunita` nel causare la morte del soggetto C, l’embrione e l’individuo che ne scaturira`. Benche´ questa sia l’unica soluzione a tale paradosso, non e` certo la soluzione adottabile dalla legge. Infatti c’e` un secondo paradosso che impone di scartare la soluzione dell’immunita`. Un’azione con lo stesso esito (la morte del soggetto C, cioe` l’embrione) e compiuta dallo stesso soggetto B, la madre, e` perfettamente legittima quando il soggetto B la compie con l’intenzione di causare la morte di C, e perseguibile penalmente quando il soggetto B la compie senza l’intenzione di causare la morte di C. Questo secondo paradosso e` grave di per se´ ed e` anche cio` che garantisce l’irresolubilita` del primo paradosso, a cui si accompagna. L’ammissibilita` dell’interruzione della vita embrionale dipenderebbe dall’intenzione del soggetto che la interrompe in un modo bizzarro: se ho l’intenzione di uccidere non sono colpevole, se non ho l’intenzione di uccidere sono colpevole (contrariamente a quanto avviene in tutte le altre circostanze: la non intenzionalita` costituisce difatti una attenuante). Rendere la decisione della donna una differenza moralmente rilevante tra aborto e omicidio e` insensato e contraddittorio, e costituisce una difesa troppo debole del diritto di abortire, che dovrebbe intendersi come un diritto di compiere una azione moralmente riprovevole e ai limiti dell’illegalita`. E, aggiungerei, soltanto fino a quando a tale immoralita` non verra` posto rimedio e l’aborto tornera` ad essere illegale.
7. Analisi della 194 La legge 194 del 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternita` e sull’interruzione volontaria della gravidanza, e` spesso, e inevitabilmente, implicata nei dibattiti che riguardano lo statuto dell’embrione e i
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temi affini. Puo` essere utile analizzare le parti che piu` da vicino toccano la valutazione dell’embrione e la possibilita` (il diritto?) della donna di interrompere la gravidanza. Secondo l’articolo 1 Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternita` e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non e` mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonche´ altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.
Gia` la prima frase solleva diversi problemi. Sarebbe innanzitutto necessario capire cosa si intende per cosciente e responsabile. Se a ‘cosciente’ appare piu` semplice attribuire un significato non ambiguo, ‘responsabile’ lascia adito a molti significati. Spesso la procreazione responsabile e` stata attribuita alle scelte di salute e di vita della gestante; alla cura della gravidanza e cosı` via. Ma si e` parlato di procreazione responsabile anche in circostanze molo diverse. Per il ricorso alle indagini prenatali, e addirittura per la diagnosi genetica di preimpianto. In questi ultimi casi, la procreazione responsabile spesso puo` condurre a nessuna procreazione. Responsabilita` significa non mettere al mondo un individuo la cui esistenza giudichiamo insoddisfacente. O anche non metterlo al mondo perche´ noi non vogliamo metterlo al mondo. Abbracciare la sacralita` della vita o la qualita` della vita consegnano all’aggettivo responsabile significati molto diversi. Qual e` la premessa accolta dalla 194? E poi c’e` la questione della “tutela della vita umana dal suo inizio”. Che significa tutela? Giuridica, o morale? E vita umana? Le discussioni su questo punto costituiscono il cuore di tutte le controversie su aborto, PMA, e sperimentazione embrionale. E la vita umana deve essere distinta dalla vita personale: le teorie estreme pongono da un lato la coincidenza di concepimento e vita personale, dall’altro l’acquisizione del carattere ‘persona’ in un tempo successivo al concepimento. L’inizio della vita umana (come vita personale) secondo la 194 e` da intendere come coincidente con la nascita, oppure il concepimento? Se l’inizio corrispondesse con il concepimento, l’esercizio funambolico si complicherebbe fino a diventare impossibile da eseguire in un testo di legge per l’interruzione di gravidanza, ovvero per l’interruzione di quella nuova vita che si intende tutelare.
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Che l’aborto non sia un mezzo di controllo delle nascite e` una premessa importante. Sia nel significato che nelle conseguenze. Per far sı` che non lo sia mai e` necessario potenziare informazione, divulgazione e contraccezione. Gli articoli 2 e 3 riguardano i consultori familiari. Sorprende che nell’articolo 2 non si faccia affatto riferimento all’interruzione di gravidanza; bisogna aspettare fino all’articolo 5. Articolo 2: I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza: a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio; b) informandola sulle modalita` idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante; c) attuando direttamente o proponendo allo ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternita` creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a); d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternita` difficile dopo la nascita. La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalita` liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile e` consentita anche ai minori.
L’articolo 3 verte sui fondi per l’adempimento dei compiti dei consultori. Con l’articolo 4 entriamo nella zona calda: Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternita` comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui e` avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a cio` abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.
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Proprio in questo articolo prende forma l’ipocrisia (che potremmo definire ‘buona’ o ‘utile’) che permea tuta la legge, miracoloso compromesso che oggi ci fa impallidire dalla vergogna. Nel senso che non solo probabilmente non sarebbe possibile fare di meglio considerando la realta`, ma che si rischierebbe di tornare agli aborti clandestini e alle mammane in nome di quella assoluta protezione del concepito che la legge 40 ha sancito. La liberta` di scelta non e` una delle ragioni elencate come motivazione dell’interruzione di una gravidanza. Le possibilita` previste comprendono il pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Vaghi e ampi contenitori, pero`, delle motivazione piu` eterogenee. Almeno esplicitamente, si esclude l’ipotesi che un aborto si decida perche´ non si desidera quel figlio o nessun figlio. Intento impossibile da verificare, e tuttavia ritenuto moralmente sbagliato. E allora danni psichici o fisici, questi sono i possibili motivi per abortire. Per ampliare lo spettro si aggiunge: in relazione allo stato di salute della donna, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui e` avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. L’articolo 5, come anticipato, definisce i compiti dei consultori familiari riguardo all’interruzione di gravidanza. Il consultorio ha il compito di di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignita` e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.
Sembra una leggera e inoffensiva forzatura semantica quella di chiamare i futuri genitori ‘madre’ e ‘padre’ del concepito. Se e` chiaro cio` che il testo normativo intende, e` meno chiaro se dietro alla denominazione piu` semplice e diretta (al posto di gestante o di futuro genitore) ci sia anche un intento di rafforzare il l’aspetto di figlio (seppure non nato), proprio come nel caso di unborn child. E` certo vero che si usino, e non scorrettamente, le espressioni ‘aspetto un figlio’; ma l’idea di nascituro e` rinforzata dal verbo che indica attesa. In altre parole, il figlio esistera`, ma oggi come sarebbe piu` corretto definire quell’embrione (desiderato e atteso o abortito)?
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Prosegue l’articolo 5: Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa puo` presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna puo` presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate.
In assenza di urgenza medica si affaccia nuovamente una componente di eccessiva prudenza, al limite con l’ipocrisia. Si invita infatti la donna a pensarci altri sette giorni. Se spostassimo la proposta in un contesto diverso, rischierebbe di essere comica: una donna chiede un intervento medico e la si invita a pensarci altri sette giorni! Si dira`: ma l’aborto non e` un intervento come tutti gli altri. La differenza pero` e` emotiva e irrazionale fin qui: perche´ non sarebbe un intervento come tutti gli altri? (Ribadisco che l’analogia serve a mettere in luce le contraddizioni, e non ha l’intento di affermare l’uguaglianza assoluta tra gli interventi: e` necessario che vengano chiarite le ragione per le quali sarebbe giusto consigliare di pensarci, nel caso di un aborto, “ancora sette giorni” – e non nel caso di una estrazione di un dente del giudizio). L’articolo 6 riguarda il cosiddetto aborto terapeutico. L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, puo` essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Seguono le procedure mediche da seguire nell’articolo seguente, che si chiude:
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Quando sussiste la possibilita` di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza puo` essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.
La 194 prevede l’obiezione di coscienza (articolo 9), chiarendo che l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attivita` ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attivita` specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
Inoltre: Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalita` previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilita` del personale. L’obiezione di coscienza non puo` essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attivita` ausiliarie quando, data la particolarita` delle circostanze, il loro personale intervento e` indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
Nel caso di minorenni (articolo 12) e` richiesto l’assenso di chi ne esercita la potesta` o la tutela. In caso di inopportunita` nel consultarli o di discordi pareri si ricorre al giudice tutelare. Nel caso di infermita` mentale (articolo 13), la richiesta di interruzione puo` essere presentata, oltre che da lei personalmente, anche dal tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato. Nel caso di richiesta presentata dall’interdetta o dal marito, deve essere sentito il parere del tutore. La richiesta presentata dal tutore o dal marito deve essere confermata dalla donna. Il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, trasmette al giudice tutelare, entro il termine di sette giorni dalla presentazione della richiesta, una relazione contenente ragguagli sulla domanda e sulla sua provenienza, sull’atteggiamento comunque assunto dalla donna e sulla gravidanza e specie dell’infermita` mentale di essa nonche´ il parere del tutore, se espresso. Il giudice tutelare, sentiti se lo ritiene opportuno gli interessati, decide entro cinque giorni dal ricevimento della relazione, con atto non soggetto a reclamo.
L’articolo 15 e` di grande aiuto nel dirimere le feroci polemiche nate
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intorno alla RU486, la pillola che causa un aborto farmacologico. Le regioni, d’intesa con le universita` e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche piu` moderne, piu` rispettose dell’integrita` fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza. Le regioni promuovono inoltre corsi ed incontri ai quali possono partecipare sia il personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sia le persone interessate ad approfondire le questioni relative all’educazione sessuale, al decorso della gravidanza, al parto, ai metodi anticoncezionali e alle tecniche per l’interruzione della gravidanza. Al fine di garantire quanto disposto dagli articoli 2 e 5, le regioni redigono un programma annuale d’aggiornamento e di informazione sulla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali esistenti nel territorio regionale (i corsivi sono miei).
L’articolo 17 e` interessante ai fini della risoluzione dell’intricato dilemma dello statuto dell’embrione. Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza e` punito con la reclusione da tre mesi a due anni.
Una pena ben lontana da quella prevista nel caso di omicidio. Una conferma indiretta del fatto che l’embrione non sia trattato davvero come una persona? Ipotesi confermata dall’articolo 18: «Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna e` punito con la reclusione da quattro a otto anni». La pena qui e` maggiore verosimilmente in seguito alla violazione della volonta` della donna, ovvero alla violazione di un diritto fondamentale della donna (e non in seguito alla violazione di un diritto dell’embrione). La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna. Detta pena e` diminuita fino alla meta` se da tali lesioni deriva l’acceleramento del parto.
La gravita` delle lesioni (fino alla morte) e la minore eta` incidono sull’aumento della pena. Cosı` come la dichiarazione di obiezione di coscienza da parte del responsabile dell’aborto (articolo 20). Articolo 19:
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Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalita` indicate negli articoli 5 o 8, e` punito con la reclusione sino a tre anni. La donna e` punita con la multa fino a lire centomila.
Pene simili a quelle comminate a reati amministrativi che a quelle per reati contro la persona (l’embrione). Ad essere punito e` il mancato rispetto delle regole, piuttosto che l’uccisione dell’embrione. Ancora una volta: se davvero l’embrione fosse considerato individuo da tutelare non ci si potrebbe allontanare dalla punizione prevista per l’uccisione di una persona e la violazione di alcune regole potrebbe rappresentare soltanto un aggravante (come nel caso delle aggravanti che si sommano al reato di omicidio).
8. RU486 e pillola del giorno dopo Da quando in Italia e` stato possibile somministrare la RU486 il polverone mai sopito riguardo all’interruzione volontaria di gravidanza si e` ispessito e non accenna a placarsi. L’aborto farmacologico e` oggetto delle critiche piu` feroci, dalla folkloristica definizione di kill pill alla condanna come aborto facile e fai-da-te, accusa piuttosto incomprensibile. La sperimentazione della RU486 e` partita in Italia in netto ritardo rispetto ad altri Paesi. E a voler essere rigorosi non si dovrebbe nemmeno parlare di sperimentazione, perche´ non c’e` alcun bisogno di sperimentare: l’efficacia e gli effetti collaterali sono noti da diversi anni. Ma l’aborto e` un argomento delicato, e la RU486 e` una forma di aborto. Questo e` sufficiente per scaldare gli animi e costituisce l’occasione per ribadire una severa e assoluta condanna dell’interruzione di gravidanza. Spesso irrazionale e scarsamente motivata. Secondo alcuni la RU486 e` moralmente peggiore dell’aborto chirurgico, in quanto piu` semplice e indolore. L’idea assurda che anima una simile considerazione e` che almeno nel compiere una azione turpe e tollerata, ma non ammessa, vi sia il dolore e la sofferenza. Una sorta di espiazione contemporanea al peccato. E` utile ricordare che l’interruzione di gravidanza non solo e` permessa dalla legge italiana, ma le ragioni che la rendono moralmente ammissibile sono a mio avviso piu` forti di quelle che invece la condannerebbero. Se e` possibile eseguire un aborto in modo diverso da quello tradizionale, in un modo piu` sicuro e con meno rischi, e` doveroso lasciare alle persone la possibilita` di farvi ricorso. Non si tratta che di ottenere lo stesso effetto (l’interruzione di gravidanza) usando modi differenti. Se l’effetto e`
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lecito, allora lo sara` in entrambi i casi – e in tutti gli innumerevoli altri casi in cui un qualche tipo di intervento procurera` l’interruzione della gravidanza. Esistono comunque soltanto due possibilita`: considerare moralmente ammissibile l’aborto (qualunque strumento venga utilizzato per causarlo) oppure condannarlo. La posizione che ammette l’aborto chirurgico e condanna quello farmacologico e` irrimediabilmente contraddittoria. Oltre al problema del condannare o dell’assolvere l’aborto, il dibattito che la RU486 ha sollevato e` stato caratterizzato spesso da un errore piuttosto grossolano. Piu` volte, infatti, la RU486 e` stata confusa e identificata con la pillola del giorno dopo. La pillola del giorno dopo contiene un ormone progestinico (il Levonorgestrel) ed e` un contraccettivo di emergenza. Nel caso di un rapporto a rischio il farmaco deve essere assunto il piu` presto possibile e non oltre le 72 ore. Nel caso in cui il rapporto sia avvenuto nella fase preovulatoria, la pillola blocca o posticipa l’ovulazione e impedisce l’unione del gamete maschile e di quello femminile. Se invece il rapporto e` avvenuto dopo l’ovulazione e la fecondazione potrebbe essere avvenuta, la pillola impedisce l’annidamento dell’ovulo fecondato, intervenendo sulla parte interna dell’utero in cui avverrebbe l’impianto. Possiamo dire che la sua azione somiglia all’effetto degli estroprogestinici assunti per via orale o all’azione della spirale (IUD). Nemmeno la pillola del giorno dopo e` immune da critiche. Proprio alla fine di agosto 2006 negli Stati Uniti la decisione della Food and Drug Administration di autorizzarne la vendita senza ricetta ha fornito il pretesto per l’ennesimo scontro tra opposte fazioni. Il via libera per la vendita della pillola del giorno dopo senza bisogno della ricetta medica riguarda per ora soltanto i maggiorenni. Chi ha meno di 18 anni ha ancora bisogno della prescrizione medica. Finora gia` nove Stati, tra cui la California, potevano vendere la pillola del giorno dopo senza ricetta. La decisione della FDA potrebbe facilitare ulteriormente l’accesso al farmaco anche in questi Stati, ma soprattutto nelle aree rurali e lontane dai grandi centri cittadini. Sono molte le associazioni che hanno salutato la notizia con entusiasmo e che l’hanno giudicato un aiuto prezioso per evitare almeno una parte delle gravidanza indesiderate, circa un milione e mezzo all’anno negli Stati Uniti. I conservatori, invece, mettono in guardia contro il pericolo dell’aumento della promiscuita` sessuale adolescenziale e della diffusione di malattie sessualmente trasmissibili.
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Addirittura Wendy Wright, presidente del Concerned Women of America, avverte che la liberalizzazione potrebbe favorire la copertura di abusi sessuali: gli stupratori avrebbero facilita` di acquistare il farmaco per cancellare la violenza sessuale! E il presidente dell’Ethics & Religious Liberty Commission (ERLC) Richard Land ha dichiarato il giorno seguente la decisione della FDA: It’s a sad day for America. Allowing drugs with such powerful physiological and emotional effects to be sold over the counter to adults without a prescription will have significant consequences, none of them good.
Condanna assoluta, dunque: ma quali sarebbero le terribili conseguenze secondo Land? Non ci risponde direttamente, ma e` verosimile che sarebbe d’accordo con quanto un altro rappresentante del fronte del no, Carrie Gordon Earll: This decision is a disaster and a danger for girls and their parents. There are no safeguards, legal or otherwise, to prevent this powerful drug from falling into the hands of teen girls – or, worse, into the hands of men bent on sexually exploiting teen girls by flashing a magic pill as a promise that they won’t have to worry about getting pregnant.
Scenari catastrofici e inquietanti. La pillola del giorno dopo potrebbe essere utilizzata per coprire abusi sessuali, soprattutto in ambito familiare, perche´ i bruti potrebbero usare la pillola del giorno dopo come un rimedio magico al rischio di rimanere incinte, vincendo cosı` l’eventuale resistenza delle vittime. Appare davvero grottesco. “Non preoccuparti, bambina, posso abusare di te tanto non c’e` da preoccuparsi per una gravidanza indesiderata!”, dice l’uomo cattivo alla sua vittima sventolando una confezione del farmaco miracoloso. E` sorprendente che qualcuno possa avere solo pensato qualcosa di simile. E dall’inverosimile si scivola nella meschinita` piccolo-borghese. Land ribadisce il rischio che la pillola del giorno dopo possa diventare un vero e proprio «sexual predator’s seduction kit» per irretire giovani donne. E poi aggiunge che l’acquisto senza ricetta potrebbe incrementare l’attivita` sessuale nelle giovani donne fuori dal matrimonio (sic!). Le conseguenze, va da se´, del sesso giovanile e fuori dal matrimonio sono «physical, emotional, and spiritual consequences», malattie sessualmente trasmissibili incluse. Fortunatamente ci sono anche pareri positivi, come da parte di Planned Parenthood.
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Nonostante le polemiche, la decisione della Food and Drug Administration e` un segnale importante, e ancora piu` importante e` la classificazione del farmaco come contraccettivo (e non come abortivo). La pillola del giorno dopo (come in Italia) e` entrata nella discussione sull’aborto proprio in considerazione di uno dei due modi di agire nel bloccare l’avvio di una gravidanza, impedendo l’annidamento dell’ovocita fecondato. E forse per questa ragione e` stata confusa con la RU486, che agisce a gravidanza avviata. La RU486 (mifepristone), infatti, impedisce l’azione del progesterone, ormone necessario alla prosecuzione della gravidanza. Agisce su un embrione gia` impiantato; il misoprostolo, somministrato in seguito, ne provocando l’espulsione. Puo` essere somministrata entro le prime 7 settimane di gravidanza. L’aborto farmacologico e` meno rischioso e meno invasivo di quello chirurgico. Interrompe lo sviluppo dell’embrione in una fase piu` precoce del suo sviluppo. Non e` un incentivo all’interruzione di gravidanza, ma soltanto una alternativa per chi ha gia` scelto. Ma torniamo alla RU486 e alle polemiche che ha suscitato. Se e` una pessima e comune abitudine quella di condannare senza offrire le ragioni (l’abbiamo ripetuto fino alla noia); e` pessima, e comune, anche l’abitudine di invocare erroneamente avvenimenti come esemplari, come presunte prove di quanto si intende sostenere. E` quanto accaduto nel caso della condanna della RU486 e del pretestuoso utilizzo della morte di una giovane in seguito alla somministrazione della pillola abortiva. Holly Patterson, californiana, muore a causa di una infezione dopo una settimana dall’assunzione della RU486. Le ragioni della morte di Holly Patterson non sono state ancora del tutto chiarite: l’ipotesi piu` verosimile e` che la setticemia sia stata causata da una non completa espulsione dell’embrione, che le avrebbe causato un processo infettivo. Ma non e` questo il punto. La prima inferenza scorretta e` quella di considerare la RU486 come la causa unica e diretta della morte e di condannarla per questo senza appello. Potrebbero essere altre le ragioni del tragico decesso di Holly: trascuratezza o negligenza da parte dei medici, ad esempio (Holly e` andata in ospedale due giorni prima di morire per una copiosa emorragia, ed e` stata rimandata a casa con un antidolorifico); o l’avere utilizzato la RU486 in una fase troppo avanzata della gravidanza (alla fine della settima settimana, limite indicato dalla Food and Drug Administration per l’uso della pillola abortiva). Ma anche se vi fosse una corresponsabilita` evidente e accertata del farmaco che induce l’aborto, cio` non basterebbe a investirlo di una
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condanna assoluta. Non bisogna dimenticare che qualunque farmaco implica una percentuale di rischio. Anche l’aspirina, anche il nebulizzatore per nasi raffreddati. Qualunque azione implica una percentuale di rischio: attraversare la strada o prendere l’aereo. Pretendere di assolvere un farmaco o una azione soltanto quando si perviene al rischio zero e` da sciocchi e creduloni. Il rischio deve essere limitato e abbassato quanto piu` possibile, ma non puo` mai essere azzerato. I camminatori vengono investiti e gli aerei cadono: non possiamo concludere che non bisogna andare a passeggio e che gli aerei non si devono prendere. Usare la morte di Holly per portare avanti una battaglia ideologica e impregnata di moralismo e` squallido e offensivo. Ma e` evidente, d’altra parte, che la RU486 sia solo un pesce piccolo, perche´ il vero bersaglio e` l’interruzione volontaria della gravidanza, qualunque sia il modo per attuarla. Il bersaglio e` demolire la possibilita` di farvi ricorso per legge. Le presunte prove a carico della RU486 non si fermano a Holly. Secondo la Food and Drug Administration dall’approvazione del mifepristone nel settembre 2000 sarebbero cinque o sei le donne decedute negli Stati Uniti in seguito alla somministrazione della pillola abortiva. Questo dovrebbe bastare per mettere al bando la RU486 secondo gli accusatori. Gli ultimi due decessi risalgono al marzo 2006. Ma di recente la morte di una delle due donne e` stata dimostrata non essere in relazione con l’assunzione del mifespristone; e l’altra e` oggetto di indagine. Le altre morti sono imputabili ad una infezione causata da un batterio piuttosto raro e letale. Le donne, di cui quattro californiane, sono morte dopo avere interrotto chimicamente una gravidanza. Se e` innegabile il nesso temporale, non lo e` quello causale. Infatti, non c’e` nessuna prova che la somministrazione del mifepristone abbia causato l’infezione e la conseguente morte. Secondo la FDA, in altre parole, la pillola abortiva non puo` essere ritenuta ‘mortale’ (kill pill ). Nonostante le difficolta`, l’incidenza della mortalita` dell’aborto farma9 cologico puo` essere valutata come segue . Negli Stati Uniti: una per gravidanza ectopica; cinque per infezione da clostridium (di cui quattro sicuramente in California); una per infezione ma solo con il misoprostolo (niente RU486), su un totale di 460.000 interventi; la mortalita` dell’aborto farmacologico e` superiore di circa dieci
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Desidero ringraziare, piu` del solito, Giuseppe Regalzi per la parte riguardante la RU486.
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volte rispetto a quella dell’aborto chirurgico effettuato negli stessi limiti di tempo di quello farmacologico. In Canada: una morte per infezione da clostridium. In Francia: una morte a causa della prostaglandina, che e` stata poi sostituita. Sembra che il totale degli interventi non sia di 1.200.000, 10 nonostante quello che dice E´tienne-E´mile Baulieu (1.200.000 dovrebbe essere il totale in occidente): secondo le statistiche ufficiali il totale dovrebbe essere di circa 400.000. Difficile fare confronti con l’aborto chirurgico, ma la mortalita` dovrebbe essere paragonabile. Nel Regno Unito: tra due e quattro morti, di cui non si sa nulla. In Svezia: una morte per emorragia. La kill pill ha fatto “vittime” anche in Italia. Dell’ignoranza e dell’approssimazione, e non del mifepristone. A meta` giugno 2006 l’Udc ha presentato al Ministro della Salute un’interpellanza parlamentare sulla pillola abortiva. L’interpellanza e` infarcita di errori goffi e di questioni insensate. Proprio come potrebbe esserlo un dibattito tra sprovveduti. Il primo passo piu` lungo della gamba riguarda una verosimile confusione, nell’ipotesi piu` conciliante, tra la RU486 e la cosiddetta pillola del giorno dopo, dal momento che si paventa il rischio che l’aborto farmacologico possa diventare un metodo di controllo delle nascite. Il ricorso alla RU486 non puo` essere considerato un mezzo per controllare le nascite piu` di quanto (erroneamente) si possa considerare l’interruzione di gravidanza chirurgica. L’interruzione di gravidanza, chirurgica o farmacologica, non e` un mezzo per controllare le nascite. Disonesta` o ignoranza a parte. Entrambe dovrebbero essere combattute e non alimentate nelle aule del Parlamento. Il secondo e piu` importante malinteso riguarda le morti imputabili alla RU486. L’interpellanza ‘dimentica’ di citare il particolare che non c’e` accordo medico sul nesso causale tra la somministrazione del mifepristone e il decesso di alcune donne; ‘dimentica’ di dire che le morti sospette negli Stati Uniti sono state cinque su 460.000 interventi effettuati (l’Udc inferisca la percentuale di rischio) e di sottolineare la stranezza geografica (quattro morti sono avvenute nella sola California); ‘dimentica’ che in Francia gli interventi sono stati quasi mezzo milione e una donna e` morta a causa di un farmaco complementare al mifepristone abbandonato subito dopo il decesso (il misoprostolo). E veniamo al terzo punto: la richiesta di sperimentare prima dell’even10
In una lettera al New England Journal of Medicine (354, 2006, pp. 1645-47).
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tuale commercializzazione in Italia. Cosa c’e` da sperimentare di un farmaco che e` utilizzato da almeno 20 anni in tutto il mondo? Se la preoccupazione di quanti attaccano ferocemente la RU486 e` davvero la salute delle donne, sarebbe opportuno non fondare le proprie preoccupazioni su dati sbagliati. 11
9. Piastra metafisica : anche l’ootide e` una persona Nell’estate 2005 il Comitato Nazionale per la Bioetica ha redatto un documento intitolato Considerazioni bioetiche in merito al c.d. ‘ootide’. Lo scopo dichiarato del documento e` quello «di elaborare una visione bioetica in merito ai c.d. ootidi, con particolare riferimento all’eticita` del 12 loro congelamento nel corso delle procedure di fecondazione assistita» . La legge 40/2004 aveva impedito la crioconservazione degli embrioni concepiti tramite le tecniche di procreazione assistita, ma rimaneva uno spazio di ambiguita` per quanto fosse lecito fare dei cosiddetti embrioni a due pronuclei (o ootidi), ovvero in quello stadio in cui i patrimoni genetici dell’ovocita e dello spermatozoo non sono ancora fusi. Credo che sia corretto ribadire che ci muoviamo in un dominio morale, caratterizzato da domande come: in che modo e` lecito trattare un ootide? Quali diritti possiede un ootide? Qual e` il suo statuto morale e giuridico? Le posizioni morali non possono essere risolte da indagini fattuali, non possono rintracciare una soluzione nella verita` perche´ domandano se un atto e` giusto o sbagliato, e non se un’asserzione e` vera e sbagliata. Questo non significa che le decisioni morali siano slegate da considerazioni oggettive, in questo caso fornite dalla biologia dello sviluppo. Significa pero` che la descrizione e la conoscenza scientifica dell’embriologia umana non sono sufficienti per definire l’ootide (e l’embrione e il feto) dal punto di vista morale. Se concordo sulla necessita` di chiarezza semantica e di accordo esplicito sui termini usati e sui loro significati, ritengo pero` la proposta del Comitato Nazionale per la Bioetica assolutamente insoddisfacente. La questione riguarda i termini ‘concepito’ ed ‘essere umano’. Secondo la 11 ` E interessante che nel documento vi siano due occorrenze di piastra metafisica invece di piastra metafasica. 12 Ove non specificato le citazioni provengono dal documento del Comitato Nazionale per la Bioetica consultabile all’indirizzo http://www.palazzochigi.it/bioetica/pareri.html.
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maggioranza del Comitato e` appropriato l’uso – in generale – dei vocaboli ‘concepito’ ed ‘essere umano’, ambedue di ampio significato. Essi non interferirebbero con ulteriori specificazioni semantiche che – all’interno del campo concettuale che tali termini suggeriscono – possano adottarsi per la piu` precisa descrizione dei fatti biologici. Inoltre, secondo il Comitato, le espressioni ‘concepito’ ed ‘essere umano’ hanno il pregio d’essere usate con facile comprensione nel linguaggio corrente, essendo trasparente il riferimento all’atto generativo (con qualsiasi tecnica ottenuto) dell’uomo. Il termine ‘essere umano’ e` terribilmente ambiguo, e soprattutto considerarlo interscambiabile con il termine ‘persona’13 comporta una gran confusione. Credo che sia piu` appropriato parlare di persona, come concetto puramente morale, e abbandonare il termine descrittivo ‘essere umano’ (equivalente a ‘appartenente alla specie homo sapiens’, come descrizione in termini fisiologici di un certo tipo di organismo biologico). Essere una persona significa possedere un inviolabile diritto alla vita. La domanda cui il documento del Comitato per la Bioetica intende rispondere, allora, e` se l’ootide appartenga al dominio delle persone oppure no – che sia umano e` innegabile ma non implica nulla. Non e` possibile, a mio avviso, risolvere tale questione con i soli strumenti scientifici («e` da ritenere in definitiva che una “risposta” al quesito da cui questo documento ha preso le mosse possa essere data in termini strettamente scientifici gia` attraverso la descrizione degli eventi biologici e la riflessione razionale sui medesimi»). La risposta e` morale e giuridica e non scientifica, sebbene ci sia bisogno di nozioni scientifiche, come un palazzo ha bisogno delle fondamenta. Sono le condizioni necessarie ma non sufficienti per erigere il concetto di persona. Non e` del tutto chiaro il significato di quanto viene aggiunto subito dopo: Non si tratta in ogni caso di far dipendere ogni posizione etica o giuridica dalle evidenze scientifiche, ma di riconoscere che – nella fattispecie considerata, e cioe` nelle prime ore dello sviluppo dell’essere umano – il concepito interessa anzitutto per la sua natura e individualita` biologica la quale e` fattore imprescindibile per qualsiasi giudizio bioetico o giuridico che riguardi la vita e/o la salute dell’uomo.
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‘Essere umano’ ha innegabilmente per il Comitato il significato di ‘meritevole di assoluta tutela’. Nella parte finale del documento l’identificazione e` evidente.
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La sezione piu` interessante per la mia riflessione e` la 3.1. L’interpretazione degli eventi. L’accordo sull’interpretazione non e` unitario all’interno del Comitato; la linea interpretativa della maggioranza e` a favore dell’assoluta tutela dell’ootide (l’ootide e` una persona). Per usare le parole del documento: L’evento di incontro-penetrazione dello spermatozoo nell’interno del citoplasma dell’ovocita e` l’evento che va ritenuto fondamentale, poiche´ e` quello che nello spazio e nel tempo congiunge e letteralmente “fonde” due cellule gametiche dotate ciascuna di un patrimonio genetico aploide e ne fa una “unita`” biologica non presente anteriormente, fornita delle strutture molecolari genetiche veicolanti la informazione necessaria per guidare (modulandosi ed interagendo con l’ambiente) ogni stadio del successivo sviluppo.
Tale unita` biologica sarebbe uguale a noi in quanto titolare di un inviolabile diritto alla vita. A conferma di cio`, prosegue il documento, si puo` invocare il fatto che il processo di sviluppo non subisce interruzione o arresto, ma costituisce un continuum che non ha bisogno di impulsi genetici esterni, e si svolge con “assoluta continuita`”. Tutte le fasi che si susseguono dopo la penetrazione spermatica nelle prime ore di vita del nuovo “essere”, hanno la stessa “necessita`” di verificarsi essendo regolate lungo una linea di sviluppo che appare palesemente orientata, continua, progressiva, e che almeno nelle condizioni naturali non puo` regredire su stadi gia` percorsi (pena l’arresto del processo e la dissoluzione materiale dell’entita` coinvolta).
E allora? Se anche fossimo di fronte a una individualita` irripetibile (nuovo essere umano) e necessariamente causata, non potremmo considerare quell’entita` una persona. Non attribuiamo un valore particolare all’individualita` ne´ alla necessita`, ma ad alcune caratteristiche che possono essere presenti o assenti (stati mentali, consapevolezza di quegli stati mentali, possibilita` di metariflessioni, e cosı` via). Invocare il continuum per sostenere che un organismo X in un tempo T1 e` uguale allo stesso organismo in T2 e` sbagliato, anche se la trasformazione da di X/T1 a X/T2 non presenta fratture o passaggi decisivi, bensı` una lenta e graduale trasformazione. Come la trasformazione del bruco in farfalla, o il lento rifluire della marea. Non potremmo sostenere che il bruco e` una farfalla in base all’argomento che il passaggio dallo stadio di bruco a quello di farfalla e` continuo e non e` possibile individuare il momento preciso del passaggio da uno stadio all’altro.
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Il principio di continuita` non e` sufficiente, contrariamente a quanto sostenuto dal Comitato. In definitiva il “principio di continuita`” dello sviluppo si applica immediatamente dalla penetrazione spermatica in poi, e supera ovviamente il termine temporale di cio` che viene didatticamente chiamata la fecondazione, pervadendo l’intera vita dell’individuo, sia pure modulandosi nel tempo a seconda dell’eta` considerata. D’altra parte anche la riflessione filosofica offre un ulteriore argomento a sostegno del principio di continuita` nella misura in cui riconosce che l’inizio della vita dell’essere umano costituisce un “salto di qualita`” (un passaggio dal non essere all’essere) e che, una volta che tale passaggio sia avvenuto, ci siano solo modificazioni accidentali (quantitative) e non trasformazioni sostanziali (qualitative).
Esistono delle ragioni filosofiche, pero`, che collocano quel ‘salto di qualita`’ nel passaggio da pre-persona a persona, e negano che si realizzi con l’incontro dell’ovocita e dello spermatozoo (e nemmeno con la fusione dei rispettivi patrimoni genetici). Si diventa persona molto piu` tardi; anche volendo invocare l’abusato principio di precauzione (o tuziorismo) non e` pensabile sostenere che si diventi persona allo stadio di embrione a due pronuclei, stadio in cui non e` formata nemmeno una cellula nervosa. E prosegue il documento: Infine, non ostacola questa interpretazione il fatto che si manifesti la possibilita` di deviazioni di sviluppo, o di arresti dello stesso a vari stadi (ormai documentati anche nella fecondazione in vitro); eventi che vanno considerati come errori di funzionamento di un delicatissimo (ed ancora per molti aspetti non del tutto conosciuto) equilibro di azioni molecolari.
E difatti: perche´ dovrebbe costituire un ostacolo? Forse il riferimento e` all’obiezione che fino ad un certo momento puo` accadere che lo sviluppo si avvii sulla strada della gemellarita`. Tale obiezione e` rivolta all’asserzione che a partire dal concepimento ci sarebbe un individuo (mentre potrebbero essere piu` individui). Ma comunque sia, non e` calzante. Vorrei suggerire, prima di analizzare la sezione successiva, che se dall’incontro di un ovocita e di uno spermatozoo ci troviamo di fronte ad una persona (titolare di un diritto alla vita e pertanto meritevole di assoluta tutela), non e` allora contraddittorio permettere la procreazione assistita? Non diventa troppo permissiva anche l’angusta legge 40? Il limite di creare soltanto 3 embrioni, infatti, non risparmia quei 3 embrioni (che sono persone) dal rischio elevato di morire. In altre parole, si creano in
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laboratorio persone e si consegna loro un destino con una elevata probabilita` di andare incontro alla morte. Con il paragrafo seguente, 3.2. Le conseguenze etiche e giuridiche, entriamo ancora piu` nel vivo dell’affaire embrionale: risolvere la questione dello statuto dell’ootide non e` una mera disputa teorica consumata tra accademici. Non lo e` perche´ da come consideriamo l’ootide dipende cosa possiamo farne. E` una questione di pratica, potremmo dire, e non soltanto una astratta speculazione filosofica. La posizione maggioritaria del Comitato e` condensata nelle seguenti righe: Dato per scontato che siamo nel campo delle valutazioni riguardanti la tutela da assegnare all’embrione, chi ritiene che l’intero processo diacronico della fecondazione mostri una unita` sostanziale nel proprio telos, cioe` concatenazione e articolazione degli eventi microscopici, submicroscopici e biomolecolari (che le moderne tecnologie gia` in notevole misura hanno consentito di accertare) – tale da portare senza soluzione di continuita` alla prima divisione mitotica dello zigote (formazione dei due primi blastomeri) e poi alla segmentazione, alla differenziazione del destino cellulare e agli stadi successivi nel proseguimento dello sviluppo embrionale – non puo` non accettare un’etica tuzioristica unica dell’essere umano, come tale “riconosciuto” in base al suo stesso “esistere” indipendentemente dallo stadio al quale e` pervenuto al momento dell’osservazione. E se si accetta che all’essere umano debba essere riconosciuta e garantita la dignita` e l’identita` – come la stessa Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Convenzione di Oviedo, 1997) afferma all’articolo 1 – chi sostiene la linea interpretativa innanzi indicata ritiene che tali condizioni siano soddisfatte sin dalla “penetrazione” dell’ovocita da parte dello spermatozoo.
In primo luogo, potrebbe essere utile approfondire il significato del 14 termine tuziorismo. Il Dizionario della lingua italiana definisce il tu|zio|rı`|smo, s.m. come 1 TS teol., nella teologia morale cattolica del XVII sec., dottrina secondo la quale, nei casi in cui l’applicazione di una regola morale e` incerta, bisogna attenersi all’opinione che si conforma alla legge; e 2 TS dir., nel linguaggio giuridico, atteggiamento improntato a grande cautela, volto alla ricerca della maggiore sicurezza possibile, anche rispetto a eventualita` improbabili.
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Tullio De Mauro, Il Dizionario della lingua italiana, Torino, Paravia, 2000; http://www.demauroparavia.it/124185.
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Elio Sgreccia ha spiegato con chiarezza il significato del principio tuziorista applicato alle questioni bioetiche: La posizione della Chiesa Cattolica coincide con questa seconda linea di pensiero, aggiungendo anche una affermazione di un principio eticamente importante che consiste nel c.d. principio del “tuziorismo” per cui anche qualora ci fossero dei dubbi sulla esistenza del carattere pienamente umano dell’embrione, di fronte al dubbio e di fronte anche alla seria possibilita` che si tratti di un essere umano individuale che ha la dignita` di figlio e di persona, ci si deve astenere da ogni atto che possa danneggiarlo o sopprimerlo. Allo stesso modo come si fa divieto al cacciatore di sparare quando avesse il dubbio che non si tratti di un cinghiale o di un capriolo, ma di un collega o comunque di un individuo umano (Elio Sgreccia, La Chiesa e la fecondazione artificiale, “Il Corriere della Sera”, 8 febbraio 2005).
Si potrebbe definire la versione ‘teologica’ del principio di precauzione (o cautela) tanto caro a Francesco D’Agostino e al Comitato Nazionale di Bioetica. Il sillogismo che deriva lo statuto personale dall’appartenenza alla specie umana prende le mosse da una premessa sbagliata: che ogni essere umano sia anche una persona. La struttura e` la seguente: 1. Ogni essere umano e` una persona. 2. L’ootide e` un essere umano. 3. Allora l’ootide e` una persona. Io contesto la premessa maggiore. E` la possibilita` di scindere l’essere umano dalla persona che permette, ad esempio, di espiantare gli organi da un essere umano che non e` piu` persona (perche´ ha perso quelle caratteristiche per cui un essere umano possa essere considerato anche una persona). Se cosı` non fosse, la pratica di espiantare gli organi sarebbe immorale e oscena. E` evidente che se l’ootide e` una persona, manipolarlo «anche durante il breve processo diacronico denominato della fecondazione, la quale non sia diretta al “bene” dell’essere umano su cui venga compiuta» e` immorale, perche´ e` immorale manipolare le persone. A maggior ragione lo e` perche´ nel manipolare l’ootide lo si esporrebbe al rischio di morire (spesso la morte interviene naturalmente). Le manipolazioni ‘rischiose’ comprendono la crioconservazione, il cui divieto si estende cosı` fino alle prime fasi del processo di sviluppo (allo stadio di ootidi). Il fatto che crioconservare l’ootide offra buoni risultati, migliori ri-
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spetto a crioconservare l’ovocita, non ci permette di giustificarne la crioconservazione. E questa e` una conseguenza senza dubbio coerente: se pure avessimo un vantaggio nell’uccidere il nostro rivale in amore piuttosto che accettare la sfida per conquistare il cuore di una bella fanciulla, questa considerazione non ci autorizza a compiere un omicidio. A rafforzare una simile considerazione, secondo il Comitato, interviene il giudizio morale gia` espresso (nella legge 40) riguardo all’embrione, in quanto ootide ed embrione si collocano sulla medesima «linea “necessitata” dello scorrere degli avvenimenti naturali senza alterazione della continuita`». Dal momento che l’embrione e` (secondo la legge 40) titolare di diritti, bisogna conferire quegli stessi diritti all’ootide. A questo riguardo desidero fare due considerazioni: 1. Per lo statuto personale dell’embrione vale quanto ho detto circa l’ootide, e 2. Il fatto di collocarsi su una linea di sviluppo continua non ci autorizza automaticamente a trattare due stadi temporalmente diversi come uguali. Un esempio basti a illustrare il problema: anche l’adulto si colloca sulla stessa linea continua di sviluppo dell’adolescente (o dell’anziano), tuttavia non possiamo annullare le differenze che esistono tra l’adulto e l’adolescente (o l’anziano) richiamando il continuum che li accomuna. Le differenze permangono, sebbene individuarle non sia semplice e non siano indicate da un avvenimento discreto e evidente. Qual e` il suggerimento del Comitato di Bioetica? Incentivare la ricerca per crioconservare gli ovociti con successo. Questo e` l’unico modo per risolvere i dilemmi etici che circondano la crioconservazione delle persone nella fase di ootide o di embrione (soluzione caldeggiata dai membri del Comitato, i quali avrebbero espresso, seppure in via non ufficiale, pareri «positivi al riguardo, tali da definirsi plebiscitari purche´ si trattasse di ovociti “non penetrati”, o di “sezioni di ovaio”»). Esiste una parte dissidente del Comitato che non abbraccia la visione estrema dell’ootide come persona (4. Valutazioni bioetiche alternative), e che si affanna a sostenere che «la transizione dai gameti all’embrione comporta fasi biologiche cronologicamente distinte e successive che presentano ampie sovrapposizioni funzionali e temporali che pur costituendo un continuum, non sono tuttavia assimilabili tra loro sul piano ontologico». In altre parole, alcuni non sono d’accordo circa l’intoccabilita` dell’ootide (perche´ «ritengono che, attraverso il processo di fecondazione precedentemente descritto, si realizzi un “passaggio generazionale” che in natura riguarda una minoranza di casi a causa della complessita` e delicatezza delle interazioni biomolecolari e degli eventi biologici: l’indice di fecondabilita` nelle coppie di 25-30 anni e` circa del 25-30% per ciclo. La specie
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umana ha una scarsa resa riproduttiva e la formazione di una nuova “entita` biologica”, l’embrione originato dai genitori, prevede una perdita del 70-75%». Tutto questo per sostenere che l’ootide non e` una persona perche´ sarebbe ontologicamente diverso dal concepito – che in questa visione continua ad essere considerato una persona. Nell’impossibilita` di arrivare a opinioni morali comuni, la spaccatura si compie e si allarga sul significato dei dati biologici. Secondo i dissidenti il processo di sviluppo embrionale nei suoi primi stadi comporta una rete complessa di eventi che risulta molto meno consequenziale di quanto sia opinione comune. A loro giudizio, i dati biologici dimostrano che ogni fase puo` implicare sviluppi alternativi imprevedibili, nelle prime fasi addirittura reversibili, con una distribuzione non uguale delle competenze e delle funzioni degli oociti e degli spermatozoi, motivo per il quale sarebbe davvero arduo definire il momento in cui inizia la vita individuale (il corsivo e` mio).
Ho gia` sostenuto che l’inizio della vita individuale non e` risolutivo dal punto di vista morale. E si prosegue: Adottando un approccio di estrema, persino eccessiva precauzione, alcuni potrebbero arrivare a non escludere (in senso probabilistico) che tale inizio corrisponda al momento in cui si forma lo zigote. Rimane tuttavia assai problematico ritenere che tale inizio coincida con l’incontro-penetrazione dello spermatozoo nel citoplasma dell’ovocita e che dal quel momento occorra proteggere in modo assoluto l’“unita`” che si forma. Tale interpretazione, ovviamente legittima, si fonda sulla “necessita`” che da quell’incontropenetrazione il processo continui senza soste, irreversibilmente e in modo preordinato. Il fatto che un individuo della nostra specie sia il risultato dell’incontro di uno spermatozoo con un ovocita non ci autorizza pero` a concludere che da tale incontro nasca necessariamente un essere umano: l’osservazione scientifica ci insegna invece che la probabilita` che cio` avvenga e` piuttosto bassa, come e` gia` stato riferito, che il processo non e` neppure necessario, e che certamente nei suoi stadi iniziali esistono una molteplicita` di opzioni alle quali sono associate probabilita` che non conosciamo.
L’argomento della probabilita` (o meglio, della improbabilita`) non e` conclusivo: siccome la probabilita` che dall’unione dei gameti si arrivi effettivamente alla nascita di un essere umano e` bassa (mettiamo del 20%), e non possiamo affermare che necessariamente da quell’unione nascera` una persona (il documento parla di essere umano), allora non siamo tenuti
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a difendere strenuamente l’ootide (in quanto non e` una persona). Ancora una volta, mi sembra che il cuore della questione sia schivato: la probabilita` e la necessita` della nascita di una persona, valutate al momento dell’incontro dei gameti, non sono le condizioni per giudicare se ci troviamo di fronte a una persona oppure no. E ancora una volta qualche analogia puo` venirci in aiuto. Se qualcuno volesse sostenere che il bruco non e` ancora una farfalla non potrebbe farlo invocando il seguente argomento: siccome la probabilita` che il bruco diventi farfalla e` x% (perche´ i predatori mangiano il bozzolo), e non possiamo affermare che necessariamente quel bruco diventera` una farfalla, allora non siamo tenuti a considerare il bruco come una farfalla. La questione e` che la differenza concettuale tra bruco e farfalla esiste, e non riguarda la probabilita` del diventare farfalla, bensı` il chiarimento delle proprieta` che definiscono il bruco e delle proprieta` che definiscono la farfalla. La riflessione si chiude con un richiamo a quanto stabilito in un precedente documento: Ancora piu` importante e` rilevare come l’affermazione fatta da autorevoli membri del CNB che il concepito “e` uno di noi” non puo` essere per altri accettabile: dovremmo infatti accordarci su che cosa di noi vogliamo sia presente per “renderci individui” e l’embriologia potrebbe allora fornirci indicazioni per stabilire delle condizioni necessarie, ma non per questo sufficienti. La biologia fornisce infatti una mera descrizione dei fenomeni senza dar loro una gerarchia sul piano ontologico ed etico. I dati offerti dalla ricerca biologica sullo sviluppo dell’embrione non sono cioe` adeguati a definire con chiarezza e autorevolezza quale segmento dell’intero processo possa essere assunto come cruciale per l’identificazione del momento in cui si costituisce la nuova identita` individuale. D’altronde, gia` nel documento del CNB Identita` e statuto dell’embrione umano del 1996 si indicava come controversa la possibilita` di poter dirimere sul piano biologico la questione dell’inizio del possesso di una identita` individuale (persona)15 da parte dell’embrione e veniva proposto, da un punto di vista filosofico, il criterio di reidentificazione, ritenuto particolarmente appropriato per appurare l’identita` individuale dell’embrione: “Fino a quando si puo` regredire per trovare il punto in cui collocare questa identita` individuale? Secondo tale criterio, al prodotto del concepimento viene riconosciuto lo statuto di individuo a partire dal momento in cui viene irreversibilmente perduta la capacita` di suddivisione in due o piu` embrioni. Il criterio della reidentificazione e` un
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criterio che tuttavia esprime una condizione sufficiente ma non necessaria. Cio` significa che l’identita` individuale potrebbe sussistere anche se mancano i mezzi adeguati per verificarla. Pertanto l’interpretazione ontologica dei dati biologici finisce con il risultare influenzata dalle opzioni morali dell’interprete, ossia dal modo con cui egli avverte in coscienza di doversi atteggiare di fronte all’embrione fin dalla fecondazione”16.
Cio` che mi interessa in questo passaggio e` l’esplicita identificazione tra identita` individuale e persona. L’identita` individuale assume i connotati di una inconoscibile condizione, che come tale impone la cautela: nel dubbio trattiamo tutto come fosse una persona. L’insieme delle persone, in questo modo, si amplia fino a includere elementi che nessuno si azzarderebbe a considerare persone. Perche´ non dovremmo trattare anche l’ovocita non ancora avvicinato dallo spermatozoo come una persona? Le condizioni per considerarlo tale sono simili a quelle valide per l’ootide: con una certa probabilita` e in determinate circostanze diventera` una persona. E` evidente che e` assolutamente insensato considerare l’ovocita come una persona. Ma e` altrettanto insensato considerare una persona l’ovocita avvicinato dallo spermatozoo, cosı` come i due gameti fusi. Nessuno possiede i requisiti minimi per essere una persona. Inoltre, il momento di incontro tra i due gameti non costituisce un momento miracoloso, l’istante della creazione in cui dal nulla si passa alla presenza di una persona. Almeno in un mondo fisico; forse in un atlante teleologico sı`, ma non tutti l’accolgono come verita` rivelate.
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Identita` e statuto dell’embrione (1996), pp. 17. http://www.palazzochigi.it/bioetica/testi/220696.html.
11 Legge e morale: il caso della legge 40/2004 Non si puo` dire che un’atmosfera di alta moralita` sia molto propizia alla salute o alla felicita`. Oscar Wilde, Aforismi Se c’e` qualcosa di peggio dell’odierno indebolirsi dei grandi principi morali, e` l’odierno irrigidirsi dei piccoli principi morali. Gilbert Keith Chesterton, Tremendous Trifles
La legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita e` un testo che ben si presta a una indagine riguardo al rapporto tra legge e morale. Gli argomenti trattati sono numerosi: dallo statuto giuridico del concepito ai limiti stessi dell’accesso alle tecniche riproduttive, dai vincoli imposti alla ricerca scientifica alla collisione con altri testi normativi – primo tra tutti quello sulla interruzione volontaria di gravidanza (legge 194\1978). Dagli articoli 12, 13, 14 e 17 della legge 40\2004 si ricava la lista dei divieti: • Fecondazione eterologa (ricorso a gameti estranei alla coppia): sanzione amministrativa pecunaria da 300.000 a 600.000 euro. • Applicazione delle tecniche di procreazione assistita su coppie di individui non entrambi viventi o minori o omosessuali o ne´ sposati ne´ conviventi: sanzione amministrativa pecunaria da 200.000 a 400.000 euro. • Violazione del consenso informato: sanzione amministrativa pecunaria da 5.000 a 50.000 euro. • Applicazione delle tecniche di procreazione assistita in centri non
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autorizzati: sanzione amministrativa pecunaria da 100.000 a 300.000 euro. Organizzazione o pubblicizzazione della commercializzazione di gameti o di embrioni o della surrogazione di maternita`: reclusione da tre mesi a due anni e multa da 600.000 a un milione di euro Clonazione riproduttiva: reclusione da dieci a venti anni e multa da 600.000 a un milione di euro. Per il medico e` prevista l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione (in tutti gli altri casi suddetti la sospensione va da uno a tre anni). In caso di una violazione viene sospesa per un anno l’autorizzazione alla struttura; in caso di reiterazione puo` essere revocata. Sperimentazione su embrioni umani: reclusione da due a sei anni e multa da 50.000 a 150.000 euro. In caso di: produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla legge 40; selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti (manipolazione del patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalita` diagnostiche e terapeutiche); interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca; fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere la pena e` aumentata. Per l’operatore sanitario sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale. Crioconservazione e soppressione di embrioni (fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194); produzione di embrioni in numero superiore a tre; riduzione embrionaria di gravidanze plurime (salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194): reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro. Per l’operatore sanitario sospensione fino ad un anno dall’esercizio professionale. Crioconservazione dei gameti maschile e femminile senza consenso informato e scritto: sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
La legge 40 elenca molti divieti; e i divieti implicano necessariamente le sanzioni in caso di violazione. Sono giusti questi divieti? I divieti imposti da uno Stato limitano necessariamente la liberta` individuale: se lo Stato
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mi vieta di compiere t e f, e` evidente, io non potro` piu` (non sono piu` libera di) scegliere di compiere t e f senza commettere un reato. Allo stesso modo, se lo Stato mi impone di compiere h, io non potro` piu` (non sono piu` libera di) scegliere di non compiere h senza commettere un reato. Quali sono le ragioni per cui uno Stato puo` legittimamente vietare o imporre?
1. Liberta` e coercizione legale L’intervento coercitivo da parte dello Stato ha un impatto distruttivo sugli interessi personali; la sua azione e` legittima solo in presenza di una forte giustificazione, in grado di compensare gli svantaggi che la limitazione della liberta` comporta. La liberta` individuale e` il dominio in cui e` vietato vietare. La liberta` individuale comprende tutte quelle azioni che lo Stato permette di compiere oppure di non compiere. La decisione spetta totalmente ai singoli individui. Le frontiere della zona di liberta` individuale cosı` segnate non possiedono ancora alcun rinforzo contro la possibilita` di infrazione da parte di altri individui. Affermare che ‘A ha la liberta` di compiere x’ significa che ‘A non ha il dovere legale di astenersi da x’. Naturalmente A non ha nemmeno il dovere di compiere x o di non compiere x: piuttosto ha la possibilita` di agire come piu` gli piace, e` libero di scegliere. Nulla e` stato ancora detto circa il dovere degli altri individui di rispettare la liberta` di A. Il dovere di non interferire nelle scelte di A non deriva direttamente dal fatto che A ha la liberta` di compiere scelte. Due o piu` individui potrebbero avere la liberta` di compiere la stessa azione, e in alcune circostanze soltanto uno di loro potrebbe riuscire in quello che entrambi o molti desidererebbero. Sia A che B possono (‘hanno la liberta` di’) comprare l’ultima copia rimasta di un libro tanto anelato. Entrambi possono esercitare la propria liberta`, ma soltanto uno di loro potra` soddisfare il proprio desiderio. Se A arriva per primo e acquista il libro, aggiunge alla sua liberta` di comprare quel libro il dovere di non interferenza imposto a B. A ha acquisito un diritto (claim-right) al libro e questo diritto crea un dovere (di non interferenza) di B. La regola sottintesa e condivisa (piu` o meno) e` che chi arriva prima puo` rivendicare il biglietto n. 1, sia esso per ordinare al banco della pizzicheria o per portarsi a casa l’ultima copia di un libro. La legge ci conferisce anche dei diritti contro gli altri individui, e ci protegge da loro nell’esercizio delle nostre liberta`. Non tutti i doveri legali
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hanno delle ragioni di protezione della liberta` (liberty-protecting rationales) (Feinberg 1984, p. 8). Secondo Joel Feinberg e` essenziale distinguere la coercizione imposta per legge rispetto alle impossibilita` di compiere x (inability) di altra natura. Posso non poter compiere x per innumerevoli ragioni: incapacita`, fatica, pigrizia, momentanea o permanente disabilita` fisica. Cio` non significa che io non sia libero (not at liberty) di compiere x, ma significa che non sono nella condizione di farlo (unable). La liberta` e` l’assenza di un tipo partico1 lare di impossibilita` , quella impossibilita` delineata da regole e da divieti imposti per legge. In base a questo significato di liberta`, non posso dire di ‘non essere libero di sopravvivere a lungo in assenza di ossigeno’: bensı` non ne sono capace, la mia fisiologia pone come condizione necessaria della mia sopravvivenza la presenza di ossigeno. Tutti i limiti che non derivano dalla coercizione legale non costituiscono propriamente una violazione della mia liberta`. In assenza di restrizioni legali la mia liberta` e` assoluta; tuttavia, qualunque forma di vita organizzata necessariamente richiede la limitazione della liberta` individuale, perche´ la liberta` illimitata e` la tirannide dei forti sui deboli: la limitazione della liberta` di X di aggredire Y, infatti, e` la protezione della liberta` di Y di non essere aggredito da X; e inoltre, chiunque riceve la protezione [della societa`] deve ripagare il beneficio, e il fatto di vivere in societa` rende indispensabile che ciascuno sia obbligato a osservare una certa linea di condotta nei confronti degli altri (Mill 1859, p. 105).
Minori sono le restrizioni imposte alla liberta` individuale, maggiore e` la quantita` della liberta` individuale. Per godere pienamente della propria liberta`, pero`, ogni individuo deve godere anche di altri requisiti. Difatti, sebbene la liberta` sia un bene irrinunciabile, addirittura necessario per una vita soddisfacente, non e` l’unico bene importante; e a volte puo` rivelarsi inutile in assenza di altri beni. In un Paese libero sia un ricco che un povero hanno la liberta` di acquistare una Cadillac (non esiste nessuna legge che impedisca l’acquisto di una Cadillac); mentre il ricco gode di due beni, la liberta` e la ricchezza, il povero ha soltanto la liberta`, e l’esclusivo godimento della liberta` e` inutile in questa circostanza – egli e` di fatto impossibilitato a realizzare la sua liberta` di acquistare una Cadillac. E` evidente che ‘liberta`’ abbia innumerevoli significati: in questa sede ho deciso di discutere quasi esclusivamente l’accezione di liberta` come assenza di coercizione legale. 1
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Rispetto alla possibilita` effettiva di acquistare una Cadillac, godere della liberta` senza possedere del denaro e` inutile allo stesso modo in cui lo e` possedere il denaro e non la liberta`. Lo stesso vale per la liberta` in assenza di talento, di salute o di conoscenza. Ogni individuo e` libero di diventare un romanziere, di correre la maratona e di partecipare a un concorso pubblico; ognuna di queste liberta` puo` essere di fatto disinnescata da una incapacita` (di scrivere, di avere resistenza fisica, di essere al corrente delle informazioni necessarie per compilare la domanda). L’esercizio della liberta` e` ristretto da diverse altre circostanze: la ricchezza, in primo luogo, la carenza di informazioni, la costituzione fisica, le credenze religiose. Quali di queste limitazioni lo Stato dovrebbe annullare? Nel caso di beni primari (come istruzione e salute), e` evidente, e` necessario affrontare anche la questione del Welfare e dell’equa distribuzione delle risorse, come in tutti quei casi in cui un bene e` disponibile in quantita` inferiore rispetto a coloro che ne fanno richiesta. I criteri di accesso dipendono in larga misura dalla natura del bene in questione: se nel caso dell’ultima copia di un libro accettiamo che sia chi arriva primo a spuntarla, nel caso di un intervento chirurgico la lista d’attesa non puo` essere compilata soltanto in base all’ordine di arrivo degli aspiranti pazienti. La liberta` e` un bene inviolabile: questa presunzione a favore della liberta` (presumption in favor of liberty) implica che quando il legislatore si trova a scegliere se imporre un dovere legale ai cittadini o se lasciarli liberi di scegliere, ceteris paribus, egli dovrebbe lasciarli scegliere liberamente. La liberta` dovrebbe essere la norma; la coercizione richiede sempre alcune speciali giustificazioni. Possiamo chiamare “argomento presuntivo per la liberta`” (presumptive case for liberty) questa “presunzione” insieme alla richiesta di ragioni giustificative (Feinberg 1984, p. 9).
Il fatto che la liberta` sia un bene inviolabile e` evidente se si prova ad immaginare la nostra condizione qualora ne fossimo privati: vivremmo questa perdita come dolorosa e umiliante. Inoltre, le conseguenze, sia individuali che collettive, sarebbero infauste: gli uomini, e le societa`, sarebbero poco creativi, incapaci di compiere delle scelte o di agire secondo responsabilita`, abituati dalla tirannia soltanto a eseguire, mai a prendere decisioni, alleggeriti delle gravose scelte morali e allo stesso tempo della nostra piu` profonda natura. Sono innumerevoli le descrizioni di tirannie reali o immaginarie che ritraggono gli uomini ridotti a corpi privati di dignita` e volonta`. La morale non avrebbe senso in un mondo senza liberta`. Esisterebbe solo una
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caricatura di morale se gli individui non avessero la possibilita` di percorrere molteplici strade. Potremmo descrivere la nostra esistenza libera attraverso una metafora semplificante ma efficace. L’esercizio della nostra liberta` equivale al percorso che possiamo fare all’interno di un immenso giardino solcato da numerosi vialetti che si intersecano e si moltiplicano. Lungo il tragitto possiamo decidere se andare avanti, tornare indietro, fermarci, oppure girare a destra o a sinistra. A voler essere rigorosi possiamo anche decidere di non intraprenderlo quel tragitto, e rimanercene a guardare entrare gli altri. Varcata la soglia ci troviamo a scegliere tra due, tre, quattro o cinque opzioni (n+1). Di volta in volta le opzioni a nostra disposizione sono piu` o meno numerose: posso stare a casa oppure uscire; oppure posso decidere se comprare un maglione, un cappotto o una sciarpa; o scegliere chi votare tra quattro o piu` candidati, e cosı` via2. Ogni qualvolta l’arretramento, l’avanzamento, o la possibilita` di girare sia impossibile a causa di un cartello che dichiara l’illegalita` della eventuale opzione (lo stesso discorso vale se ci trovassimo di fronte a un cartello che ci vieta di rimanere fermi), la nostra liberta` e` amputata, limitata dall’intervento di una coercizione esercitata attraverso la legge. Tanti piu` cartelli sono disseminati nel giardino, tanto meno noi siamo liberi di andare dove piu` ci piace. La quantita` di liberta` ancora a nostra disposizione e` valutabile anche in base alla natura dei vialetti in cui e` vietato transitare o dei luoghi in cui e` vietato sostare. Nel caso in cui un divieto e` imposto in un vialetto impervio, breve e senza sbocchi la diminuzione della mia liberta` in seguito al divieto di imboccarlo sara` inferiore rispetto alla intransitabilita` di un vialetto dal fondo pianeggiante, che si snoda e si biforca perdendosi all’orizzonte. In definitiva, perche´ attribuiamo tanta importanza alla liberta` di scegliere tra innumerevoli vialetti dalla meta magari incerta, al punto da essere addirittura restii a barattarla con delle rotaie a senso unico che conducessero fino a una felicita` promessa e indubitabile? La predestinazione, intesa come una esistenza a un’unica opzione, insieme alla molteplicita` di opzioni cancella anche molte delle piu` specifiche qualita` umane. Gli individui
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Nella realta` le opzioni a nostra disposizione possono essere piu` di 5, come nel caso in cui io abbia la liberta` di scegliere quale libro comprare tra gli infiniti libri in commercio; ma e` pur vero che ogni opzione multipla possa essere riportata alla scelta tra x o non-x e, soprattutto, cio` che conta e` accertare la legittimita` di una eventuale limitazione delle opzioni in ballo da parte di un divieto legale.
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non potrebbero lodare o biasimare alcune delle loro imprese, e non potrebbero piu` essere responsabili della propria vita, in futuro come in passato, dal momento che sono robots [...] Non potrebbero sviluppare o ricercare nuovi interessi, ne´ incanalare l’esercizio di vecchi interessi in direzioni nuove e congeniali (Feinberg 1984, p. 211).
Non troverebbero il modo, ne´ forse la ragione, di cambiare la propria vita, le proprie opinioni, oppure le mete prefissate, le ambizioni, i desideri. Lo spirito critico si scioglierebbe come neve al sole, e nessuna delle previste soddisfazioni di cui tali individui potrebbero godere somiglierebbe alla felicita`. Un meccanismo regolato da un rigido determinismo non puo` aspirare alla felicita`. Il valore attribuito alla liberta` trasferisce l’onere di dimostrare il contrario sulle spalle degli eventuali sostenitori della coercizione legale. Qualunque limitazione della liberta` richiede ragioni che ne bilancino le infauste conseguenze, e che dimostrino l’opportunita` e la preferibilita` di quella limitazione di contro all’astensione da qualunque divieto. Quali ragioni possono giustificare la restrizione della liberta` individuale? In altre parole, quando la coercizione e` legittima? La questione della legittima restrizione della liberta` e` simmetricamente rappresentata dalla questione di un principio di legittima coercizione (“coercion-legitimizing principles”). Un principio di limitazione della liberta` (liberty-limiting principle) e` quello che stabilisce che un certo tipo di considerazione e` sempre una ragione moralmente rilevante nell’appoggiare una legislazione penale sebbene altre ragioni possano essere piu` rilevanti nel caso specifico (Feinberg 1984, pp. 9-10).
Un principio di limitazione della liberta`, di conseguenza, non e` una condizione necessaria e sufficiente per esercitare una coercizione statale legittima. Non e` una condizione sufficiente perche´ in alcune circostanze il principio di limitazione della liberta` non riesce a offrire ragioni piu` vantaggiose rispetto agli svantaggi che la coercizione provoca. Anche se ci fosse una ragione moralmente rilevante per sanzionare penalmente un certo comportamento, tra le premesse da cui inferire la conclusione (stabilire un nuovo crimine) devono essere immesse altre considerazioni. La preferenza nei riguardi della liberta` puo` essere mantenuta anche in base alla valutazione degli effetti della criminalizzazione di una azione (spese da sostenere, coinvolgimento di uomini, sovraffollamento carcera-
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rio, etc.). Si pensi alla criminalizzazione del consumo di alcolici. Il consumo di alcolici viene aggiunto alla lista dei crimini. Le possibili conseguenze possono essere le seguenti: l’utilizzo di uomini sottratti a compiti diversi (magari di pubblica utilita`); l’investimento di fondi per combattere la probabile nascita di un mercato nero; la disponibilita` di luoghi di detenzione, etc. John Stuart Mill considera alcune interferenze nel commercio come questioni riguardanti la liberta`, alla luce della premessa che «lasciare gli uomini a se stessi e` sempre meglio, ceteris paribus, che controllarli» (Mill 1859, p. 133). Prendiamo il caso del divieto di vendere sostanze tossiche, come strumento per rendere pressoche´ impossibile procurarsi quella sostanza e dunque prevenire atti criminosi o incidenti. La prevenzione e` uno dei compiti dell’autorita`, ma fino a che punto e` lecito spingersi nel prevenire il crimine? I veleni possono essere utilizzati per scopi innocui, per difendersi dai topi o per uccidere i parassiti che hanno attaccato una coltivazione. Pero` possono anche essere utilizzati per commettere un omicidio o possono provocare incidenti mortali. Quasi ogni oggetto o sostanza si presenta intrinsecamente ambivalente, i coltelli, i maglioni, l’acqua potabile, il fuoco. Impedire la commercializzazione di una sostanza tossica, secondo Mill, e` un atto di violazione della liberta` degli individui (dell’acquirente, piuttosto che dei produttori e dei venditori), e il rischio che il governo abusi della funzione preventiva e` troppo alto. L’unica possibilita` di operare un controllo senza violare la liberta` individuale e` rappresentata dalla divulgazione dell’informazione sui pericoli della sostanza in questione. Una persona in possesso delle proprie facolta` mentali dovrebbe solamente «essere avvertita del pericolo; non impedita con la forza a esporvisi» (Mill 1859, p. 135). Munire di una etichetta che specifichi le proprieta` venefiche di una sostanza non viola la liberta` degli individui e risponde a quella esigenza di cautela e prevenzione: costituisce quell’accertamento preventivo, per usare le parole di Jeremy Bentham, che consiglia ma non costringe. Un principio di limitazione della liberta` (nel caso specifico suddetto della liberta` di acquistare sostanze venefiche) puo` solamente suggerire di prendere in considerazione la possibilita` di una coercizione legale, ma non puo` mai essere decisivo.
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2. Il principio del danno Secondo Joel Feinberg vi sono azioni che possono essere giudicate senza alcun dubbio criminali. Tali azioni possono essere distinte tra crimini contro la persona e crimini contro la proprieta`: l’omicidio intenzionale, l’aggressione, la frode o il furto con scasso. Tutte queste azioni hanno qualcosa in comune: causano un danno a un individuo o a un gruppo di individui. La presenza di un danno, come conseguenza di una certa azione, rende quella azione un crimine. Anche un rischio significativo di procurare un danno a qualcuno e` sufficiente a giudicare un comportamento come criminale (si pensi alla guida in stato di ubriachezza). Infine, sono crimini anche alcune azioni che non comportano esplicitamente e direttamente un danno a un individuo o a un gruppo di individui, ma causano un danno al clima, ad esempio, oppure alla societa`, alle istituzioni, all’economia o alla qualita` di vita di una popolazione. I danni provocati da simili azioni possono essere definiti pubblici di contro ai danni privati, sebbene non vi sia una opposizione ne´ tanto meno un contrasto; bensı` un confine piu` o meno labile. Non si deve dimenticare che cio` che e` chiamato ‘pubblico’ e` composto da una serie di individui che mantengono tra di loro relazioni private, sociali, legali. Nel caso in cui venga consumato un danno pubblico questi individui possono essere danneggiati con minore o maggiore gravita`. Nel caso in cui venga avvelenato un campo di grano o un allevamento di mucche, la popolazione che se ne nutrira` sara` gravemente e direttamente danneggiata. Una irregolarita` amministrativa causera`, invece, un danno piccolo o addirittura impossibile da percepire per gli individui. Dall’analisi di questi casi Feinberg inferisce un principio generale, secondo il quale si puo` stabilire che e` legittimo che lo Stato proibisca condotte che causino seri danni privati, o l’irragionevole rischio di tali danni, o danni a istituzioni pubbliche o a pratiche importanti. In breve, l’interferenza dello Stato con il comportamento di un cittadino tende a essere moralmente giustificata quando e` ragionevolmente necessaria (ovvero, quando ci sono ragionevoli basi per ritenerla necessaria e efficace) al fine di prevenire un danno o l’irragionevole rischio di un danno a soggetti diversi dalla persona con cui si interferisce (Feinberg 1984, p. 11).
La prevenzione di un danno o di un ragionevole e probabile rischio di danno costituisce una condizione necessaria della legittimita` della coercizione legale. Non e` pero` una condizione sufficiente affinche´ l’intervento dello Stato sia lecito. Il principio del danno enunciato da Feinberg e` in
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realta` il ‘principio del danno agli altri’ (harms to others), o piu` semplicemente il ‘principio del danno’; inoltre non tutti i danni possono invocare la protezione di uno potere che ambisca a definirsi legittimo. E` evidente che esistono molte condizioni spiacevoli che non riguardano il diritto penale e il principio del danno richiede in primo luogo una indagine semantica. Se vogliamo che il principio del danno abbia una qualche utilita` normativa, e` necessario chiarire il significato di ‘danno’. Feinberg distingue tre significati con cui il termine ‘danno’ viene utilizzato. Il primo significato e` irrilevante per la nostra indagine. Possiamo dire che la ruggine danneggia la nostra bicicletta o che la grandine danneggia il raccolto. Ma in questo caso utilizziamo il concetto di danno in un senso derivato; il danno si riferisce indirettamente al proprietario della bicicletta o all’agricoltore, e non alla bicicletta o al raccolto. In senso stretto, diremmo che la bicicletta si e` rotta (in inglese la sfumatura e` ben resa dalla differenza tra harmed e damaged), e che il raccolto si e` rovinato o guastato. Qualcosa puo` essere danneggiata se e` di un qualche valore per un essere umano, altrimenti e` soltanto rotta (broken). Il secondo significato e` suggerito da quello precedente: un danno e` cio` che impedisce o ostacola un interesse di qualcuno. Un interesse e` l’oggetto del desiderio di una persona, sia esso attuale oppure no, la cui frustrazione implica una perdita grave per la persona danneggiata. Una persona ha un interesse a x quando il destino fausto o infausto di x comporta la soddisfazione o la delusione di quella persona. Si puo` dire che A abbia un interesse di prendere una medicina, anche se rifiuta di prenderla; le oscillazioni del suo stato generale sono direttamente proporzionali alla maggiore o minore protezione di quell’interesse. (Il contrasto tra la volonta` espressa da A – ‘non desidero la medicina’ – e l’affermazione che prendere la medicina e` nell’interesse di A, come condizione necessaria al recupero della salute, richiede un passaggio ulteriore nel collegamento tra interesse e desiderio: per affermare che A ha un interesse per la medicina, sebbene affermi di non desiderarla, si deve considerare la medicina come un efficace strumento per soddisfare alcuni desideri espressi da A (uscire, andare allo stadio, incontrare gli amici), che non possono essere soddisfatti se A e` malato. In questo senso, deve desiderare la medicina). Anche in questo caso e` impreciso parlare di una violazione dell’interesse di qualcuno da parte del fato o di una slavina. La violazione di un interesse puo` essere compiuta soltanto da un atto (negligente o intenzionale) di una persona a svantaggio di un’altra. Se la morte o la malattia annienta gli interessi di una persona, non commette pero` alcuna violazione.
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Il terzo significato si avvicina a una accezione piu` propriamente normativa. In questo senso, affermiamo che A danneggia B se A fa torto (wronged ) a B. Una persona fa torto a un’altra quando la sua indifendibile (ingiustificabile e inscusabile) condotta viola i diritti dell’altro (Feinberg 1984, p. 34).
In genere il torto costituisce sempre un danneggiamento di un interesse dell’individuo che lo subisce. Magari in un modo non diretto o attuale, ma senza dubbio la presenza di un torto implica la violazione di un interesse. Non tutte le frustrazioni di un interesse, pero`, sono torti (wrongs), dal momento che in alcune circostanze questa frustrazione e` giustificabile oppure riguarda un interesse che non gode del diritto di protezione. E` inevitabile che gli interessi delle persone siano in costante conflitto; spesso la soddisfazione di un interesse da parte di A implica l’umiliazione dell’interesse di B. Un sistema legale deve dichiarare quali interessi hanno maggiore diritto di ricevere protezione e quali invasioni dell’interesse di A possono essere invece ammissibili e non legalmente sanzionabili. In altre parole, in alcuni casi la coercizione legale interviene a difesa di un interesse di A, in altri casi si astiene; e` evidente che in entrambi i casi per A e` preferibile non subire ostacoli nel soddisfare i propri interessi, e che se questo accade A subisce un danno, ma non subisce un torto. Le competizioni sportive, le scommesse o i giochi in cui necessariamente ci sono vincitori e sconfitti rientrano nella categoria di danni che non sono anche torti. Se A e B decidono di giocare una partita di scacchi, verosimilmente condividono l’interesse di vincere; se B vince, l’interesse di A viene frustrato, ma A non puo` sperare che il suo interesse sia protetto legalmente dalla sconfitta e dalla maggiore abilita` di B nel gioco (e` ovvio, la premessa e` che le regole del gioco siano a conoscenza dei partecipanti e che il gioco si svolga senza trucchi). A e` danneggiato dalla sconfitta, perche´ avrebbe preferito vincere e la sua giornata sarebbe senza dubbio piu` felice in caso di successo, ma non subisce un torto. Qualunque situazione in cui la possibilita` di soddisfare un interesse sia riservata a un insieme di individui meno numeroso rispetto all’insieme degli individui che vorrebbero soddisfare quello stesso interesse esclude la presenza di un torto se: vi sono regole rispettate e accettate senza coercizione o frode, il rischio o la possibilita` di sconfitta insita nello scontro tra gli interessi dei diversi individui e` assunto, il danno e` volontariamente inflitto su se stessi.
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Il principio del danno non giustifichera` la proibizione di attivita` consensuali anche quando possano verosimilmente costituire un danno per gli interessi delle parti consenzienti; intende evitare soltanto quei danni che siano anche torti (Feinberg 1984, pp. 35-36).
La condizione di A puo` essere definita come una condizione danneggiata (harmed ) se una certa azione compiuta da B causa un (1) peggioramento della condizione di A rispetto a un’altra condizione dello stesso A e (2) viola un diritto di A. Il principio del danno e` un principio del danno ‘personale’ (il danneggiamento e` sempre il danneggiamento della condizione di qualcuno, e il peggioramento e` il peggioramento della condizione di un individuo rispetto a una condizione diversa dello stesso individuo) e afferma una connessione causale dell’azione di B ai danni di A, e una consapevolezza da parte di B dell’esito della sua azione. Quando si puo` dire che una condizione di un individuo e` danneggiata, vuol dire che quell’individuo ha subito un danno in senso stretto. Quando e` presente soltanto il requisito (1), ma non il (2), non si puo` parlare di danno in senso stretto e in questo caso la condizione di un individuo e` danneggiata in un senso che non riguarda il diritto penale: dispiaceri amorosi, sconfitte sportive o delusioni lavorative costituiscono tutti peggioramenti delle condizioni di quell’individuo che avrebbe avuto una esistenza migliore senza il realizzarsi di un simile avvenimento, ma nessuna violazione di un diritto di quell’individuo si e` consumata. Siamo in presenza di un danno che non e` anche un torto. Per quanto riguarda il criterio di confrontabilita` tra le condizioni di uno stesso individuo per valutare l’eventuale peggioramento di una condizione rispetto ad un’altra condizione, Feinberg (1984) oscilla tra il criterio cronologico e il criterio controfattuale. Secondo il criterio cronologico per giudicare il peggioramento della condizione di un individuo il confronto viene effettuato con una condizione precedente dell’individuo: la condizione di A in un tempo t1 viene confrontata con la condizione di A in un tempo t precedente a t1 (e in seguito a una azione di B). Secondo il criterio controfattuale, invece, il confronto viene effettuato con una condizione alternativa: la condizione di A in un tempo t1 viene confrontata con la condizione alternativa di A in un tempo t1 (se B non avesse agito). Questa indecisione nasce dalla difficolta` di ammettere il danno da procreazione in base al criterio cronologico. Intuitivamente e` ragionevole ammettere che un bambino che nasce con seri handicap tali da frustrare la maggior parte dei suoi interessi viva in una condizione danneggiata. Ma la condizione di un simile bambino non si potrebbe chiamare danneggiata in senso stretto perche´ non esisterebbe nessuna condizione precedente con cui confrontarla. Se non esiste alcuna condizione prima dell’avvio dell’esi-
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stenza di un individuo, che e` la condizione iniziale, allora non e` possibile confrontare l’esistenza caratterizzata da gravi handicap con una esistenza precedente inesistente, e giudicare eventualmente che la prima costituisca un peggioramento dell’esistenza del bambino. Anche il ricorso al criterio controfattuale rende impossibile il danno da procreazione, perche´ il paragone (impossibile) in questo caso sarebbe tra la condizione di esistere e la condizione in cui si sarebbe trovato non esistendo. Un problema ulteriore e` che Feinberg sembra trascurare che tra i due criteri non esiste una differenza solo formale, ma una differenza essenziale: azioni che risultano danni in base al primo criterio, non risultano danni in base al secondo, e viceversa. Il danno da procreazione richiede una eccezione al principio del danno: la sostituzione del concetto di confrontabilita` tra due condizioni di un individuo con quello di preferibilita` (della non esistenza rispetto all’esistenza). In base al criterio della preferibilita` A si trova in una condizione danneggiata se A ritiene che sarebbe stato preferibile non esistere piuttosto che vivere in quella condizione (la giustificazione dell’eccezione al principio del danno e la fondazione della nozione di preferibilita` che sia razionale e oggettivamente sostenibile sollevano alcuni problemi). Quando la non esistenza e` considerata preferibile rispetto a una certa condizione, quella condizione e` una condizione danneggiata (harmed ). Secondo Feinberg nelle peggiori circostanze di salute, come la sindrome di Tay-Sachs o la spina bifida, e` razionale preferire la non esistenza, e nonostante la difficolta` di dimostrare questo giudizio, egli e` convinto che la maggior parte delle persone concorderebbe almeno nel ritenerlo plausibile. Il principio del danno ha bisogno di misure supplementari (mediating maxims) per essere uno strumento legale valido (Feinberg 1984, p. 187 e seguenti), e molte circostanze possono costituire un rompicapo per la sua corretta applicazione. Tuttavia il criterio per distinguere la coercizione legale legittima dalla coercizione legale illegittima e` chiaro: la coercizione legale puo` intervenire per limitare la liberta` di A se A agisce frustrando un interesse di B e violando un diritto che B puo` rivendicare (l’azione di A e` una componente causale della conseguenza su B e la condotta di A non e` giustificabile ne´ scusabile).
3. La legge 40 e la clonazione riproduttiva La sanzione piu` dura e` quella relativa alla violazione del divieto di clonare un essere umano: da dieci a vent’anni di reclusione. La severita` della punizione potrebbe affondare le radici o nel rischio
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per la salute del nascituro clonato, ad oggi probabile, oppure proprio nel ricorrere alla clonazione riproduttiva, anche in assenza di danni tecnici e medici; in altre parole indipendentemente dall’assenza di conseguenze dannose e dalla perfettibilita` tecnologica. Nella prima ipotesi cio` che viene condannato e` l’imperfezione di una tecnica che comporta un elevato rischio di danno per il nascituro; sarebbe verosimile, pertanto, che la sanzione (e il divieto da cui ha origine) decadesse appena la tecnica venga perfezionata. La clonazione riproduttiva sarebbe punita alla stregua di qualunque altra tecnica riproduttiva 3 non sufficientemente rodata il cui uso causasse danni al nascituro, oppure di qualunque azione o omissione che causasse danni al nascituro: la somministrazione alla madre di un farmaco con effetti nocivi sull’apparato respiratorio del feto, ad esempio. Questa condanna e` condivisibile, come lo e` la condanna di qualunque malpractice da parte del medico che abbia un effetto sull’esistenza del nascituro: sono i danni da procreazione. In tutti questi casi l’esistenza dell’individuo e` resa peggiore di quanto avrebbe potuto essere (senza la somministrazione di quel farmaco che ha causato una insufficienza respiratoria, per proseguire con il nostro esempio). Nella seconda ipotesi e` la tecnica stessa della clonazione riproduttiva che viene vietata come intrinsecamente lesiva, anche in assenza di difetti materiali dell’individuo clonato. Le ragioni di tale considerazione possono essere rintracciate nel dibattito che circonda la clonazione riproduttiva e nei consunti anatemi che la investono. La clonazione riproduttiva violerebbe (presunti) diritti fondamentali di ogni essere umano: autodeterminazione (o autonomia o liberta`), unicita` genetica, famiglia ‘standard’. Una indagine anche non approfondita dei suddetti diritti che la clonazione riproduttiva violerebbe ci porta a conclusioni strabilianti. 1) Se e` innegabile che le persone hanno diritto all’autodeterminazione (o autonomia o liberta`), e` anche vero che la clonazione riproduttiva non costituisce una minaccia, non piu` di quanto lo faccia la nascita in seguito a un tradizionale rapporto sessuale (e` la stessa nascita ad essere una inevitabile violazione dell’autodeterminazione del nascituro, che non puo` dare il suo consenso). I fautori della condanna della clonazione riproduttiva costruita sulla presunta violazione della liberta` personale sostengono che un individuo clonato (geneticamente identico al donatore della cellula somatica di partenza) sarebbe destinato a conoscere in anticipo il suo futuro in base all’esistenza dell’individuo donatore; un po’ come un film visto per la seconda volta. In altre parole, l’identita` genetica implicherebbe una iden3
Come quasi ogni tecnologia riproduttiva al suo esordio e ogni tecnologia tout court.
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tita` di esistenza, di esperienza, di vita. E` sufficiente rigettare il determinismo genetico per incrinare questa posizione: la nostra esistenza e` irriducibile al nostro codice genetico, e basta pensare alle esistenze dei gemelli omozigoti per averne una ulteriore dimostrazione. Il rimando ai gemelli omozigoti ci porta a considerare 2) la presunta rilevanza dell’unicita` genetica. Non mi sembra ragionevole condannare una tecnica perche´ infrange l’unicita` genetica, perche´ quest’ultima non ha nessun valore (ancora una volta, pensiamo ai gemelli omozigoti e chiediamoci: impediremmo la loro nascita in quanto violazione dell’unicita` genetica? O forse la nascita di uno dei due? E nel caso di gravidanze plurime saremmo costretti a ridurre gli embrioni ad un unico embrione?). Lo scheletro genetico ha bisogno di vissuti soggettivi, di esperienze e di ricordi per diventare una persona; e medesimi scheletri genetici possono dare origine a persone diversissime o simili, ma in ogni modo a persone distinte. Percio`, l’unica differenza tra un individuo clonato e un individuo generato dall’unione di due cellule di partenza sara` costituita da una somiglianza somatica piu` forte rispetto al proprio genitore nel primo caso – ma spesso le somiglianza somatiche sono marcate anche tra figlio e genitore ‘normali’, e nessuno ha mai pensato che potessero costituire una ragione di infelicita` per il figlio. Infine, un motivo di disapprovazione per la clonazione riproduttiva e` 3) lo sconvolgimento della famiglia madre genetica+padre geneticoAfiglio per meta` geneticamente uguale alla madre e per meta` geneticamente uguale al padre. Nella clonazione, infatti, ci troveremmo di fronte a madre geneticaAfiglia geneticamente uguale oppure a padre geneticoAfiglio geneticamente uguale. In primo luogo lo sconvolgimento potrebbe essere soltanto genetico (madre genetica+padre socialeAfiglia geneticamente uguale alla sola madre), e non credo che questo assetto familiare costituisca una violazione di un qualche diritto del figlio. In secondo luogo, se anche la struttura triadica familiare non venisse rispettata, non saremmo autorizzati a sacrificare in nome di un modello familiare l’esistenza stessa dell’individuo clonato e la liberta` individuale. In altre parole, siamo forse disposti a considerare un modello di famiglia migliore di un altro, al punto da impedire a quest’ultimo di esistere? Quali sono i criteri per definire la famiglia giusta? Ma la controbiezione piu` formidabile contro chi condanna la clonazione consiste nel rilevare che l’individuo clonato non puo` che nascere in queste condizioni, e che l’unica alternativa e` rappresentata dalla non esistenza; e non c’e` alcuna fondata ragione per giudicare preferibile la non esistenza rispetto alla vita da clone. 4 In conclusione, se si escludono i danni medici ritengo che non ci
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siano valide ragioni per vietare la clonazione riproduttiva; allo stesso modo, se si escludono i danni medici, non ci sono valide ragioni per 5 vietare il ricorso alla ICSI o l’utilizzo del forcipe o dell’amniocentesi. Tuttavia, la legge 40 impone sanzioni durissime: da dieci a vent’anni di reclusione, una multa da 600.000 a un milione di euro e l’interdizione perpetua dall’esercizio professionale. In base a quanto ho affermato queste sanzioni non hanno ragione di essere salvo nel caso in cui la clonazione riproduttiva fosse uno strumento imperfetto. La durezza della pena e` tanto piu` inaccettabile se andiamo a vedere quali sono le sanzioni previste dal Codice Penale riguardo ad altri reati. La sanzione prevista per il sequestro di persona (605) e` la reclusione dai sei mesi a otto anni; la reclusione e` tra uno e dieci anni se il sequestro si compie ai danni di un ascendente, di un discendente o del coniuge, oppure da parte di un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni. Se si escludono le aggravanti, la massima pena comminata per avere sequestrato una persona coincide con la pena minima per chi clona un essere umano (per semplicita` non sto considerando le attenuanti e le aggravanti generiche e specifiche). Chi costringe qualcuno a compiere o a subire atti sessuali (violenza sessuale, 609 bis) e` punito con la reclusione da cinque a dieci anni; alla stessa pena e` condannato chi induce qualcuno a compiere o a subire atti sessuali approfittando delle condizioni di inferiorita` psichica o fisica, oppure chi inganna la persona vittima della violenza sessuale facendogli credere di essere qualcun altro. Nel caso di violenza sessuale di gruppo (609 octies) la reclusione va dai sei ai dodici anni. Per la rapina (628) a mano armata e` prevista la reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e una multa da 1.032 a 3.098 euro.
4. Soppressione di embrioni Chi sopprime un embrione e` punibile con la reclusione fino a tre anni, una multa da 50.000 a 150.000 euro, e la sospensione di un anno dall’esercizio professionale: per questo divieto il problema principale ha origine dall’inevitabile collisione con la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, sebbene la legge 40 esplicitamente afferma: «fermo restando 4
Escludere i danni medici non significa che siamo al rischio ‘zero’, per il banale motivo che il rischio ‘zero’ non esiste e che ogni gravidanza naturale comporta dei rischi, cosı` come l’assunzione di una aspirina o una passeggiata in riva la mare. 5 IntraCytoplasmic Sperm Injection: introduzione di uno spermatozoo nel citoplasma di un ovocita.
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quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194» (articolo 14, comma 1). Ma la contraddizione permane: l’esito della soppressione dell’embrione in vitro e` lo stesso dell’interruzione volontaria di gravidanza (soppressione dell’embrione nel corpo materno), cioe` l’eliminazione di un organismo vitale (poco importa il luogo in cui quell’organismo si trova, la provetta o il ventre di una donna). Il medesimo esito e` punito dalla legge 40 e permesso dalla legge 194. E` inaccettabile che un determinato risultato sia considerato diversamente sul piano morale: o e` immorale interrompere il processo vitale che inizia dal concepimento, oppure non lo e`. Non puo` costituire una valida differenza morale il luogo in cui l’interruzione viene effettuata. Ma e` inaccettabile anche dal punto di vista legale, se non ci vengono fornite delle ragioni per considerare diversamente un atto y da un atto z che abbiano lo stesso esito (uccidere una persona assume connotati molto diversi se si tratta di legittima difesa o di omicidio intenzionale, sebbene l’esito sia identico: la morte di una persona). Inoltre, a rendere ancora piu` grave l’incoerenza e` il fatto che la legge 194 assolve chi compie un atto (sopprimere x nel tempo t2) ad uno stadio evolutivo piu` avanzato rispetto a quanto accadrebbe nei casi di fecondazioni extracorporee, ovvero quell’embrione che la legge 40 protegge e la cui soppressione e` sanzionata (sopprimere x nel tempo t1). A onor del vero, per coloro i quali affermano la coincidenza temporale tra concepimento e avvio della vita personale la gravita` sarebbe la stessa, e di conseguenza il divieto dovrebbe essere assoluto e investire anche i casi permessi dalla 194 (in effetti, l’unico modo per attribuire coerenza alla legge 40 e` di considerarla l’antecedente causale della demolizione della 194). In ogni modo e` assolutamente evidente l’assurdita` di attribuire inviolabilita` all’embrione tra il concepimento e l’impianto, per poi condizionare quella inviolabilita` al volere della donna tra l’impianto e il terzo mese (e oltre in caso di gravi problemi di salute), per poi restituirgliela alla nascita. E` come se dicessimo: dalla nascita agli 8 anni non si puo` picchiare il proprio figlio, da 8 anni fino ai 12 e` possibile se la madre e` molto nervosa, poi dai 12 in poi torna il divieto. Se la soppressione di un embrione e` vietata perche´ l’embrione e` equivalente a una persona, pero`, sarebbe necessario distinguere il tipo di reato e le conseguenti sanzioni a seconda del numero di embrioni soppressi, per lo stesso motivo per cui si differenzia l’omicidio di un uomo dalla strage (e le eventuali opzioni intermedie). La soppressione di un embrione puo` anche avvenire incidentalmente:
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molti aborti spontanei sono inintenzionali (appunto, non volontari) ma dovuti a comportamenti potenzialmente oggetto di biasimo e di condanna. Lo scenario che si delinea e` quello dell’omicidio colposo qualora, ad esempio, una donna conduca una esistenza che provoca la morte dell’embrione. Il fatto che possa essere difficile stabilire una connessione causale tra comportamento sconsiderato e morte dell’embrione nulla toglie alla gravita` di equiparare una interruzione involontaria di gravidanza e un omicidio colposo (se l’embrione e` una persona, assumere sostanze stupefacenti e investire un uomo a causa di uno stato alterato di coscienza, oppure bere e assumere sostanze stupefacenti e provocare un aborto sono azioni moralmente equivalenti: in entrambi i casi si consuma un omicidio, seppure non intenzionale). L’implicazione e` necessaria, e l’unico modo per rifiutarla sarebbe cercare di offrire motivazioni secondo le quali il concepito di cui parla la legge 40, quel concepito cui si conferiscono diritti e che non puo` essere soppresso, sarebbe diverso dal concepito (impiantato naturalmente oppure impiantato tramite tecniche procreative) che ormai e` annidato nel ventre materno. Il tentativo sarebbe destinato a fallire, perche´ e` inammissibile sostenere che il concepito prima dell’impianto e` diverso dal concepito dopo l’impianto; oppure che il concepito tramite tecniche procreative e` diverso dal concepito naturalmente. Ogni tentativo di discriminare un certo tipo di concepito e` fallimentare. Tutti i concepiti devono essere persone secondo l’articolo 1 della legge 40 (oppure nessuno, tertium non datur).
5. Selezione eugenetica, sperimentazione e crioconservazione degli embrioni La selezione a scopo eugenetico e` punita in modo analogo. Pur rientrando nel capo “Sperimentazione sugli embrioni” la selezione eugenetica (qui intesa come scelta di un embrione sano a scapito di quelli malati), ovviamente, somiglia di piu` alla soppressione diretta di embrioni – anche se la sperimentazione comporta ugualmente la soppressione, sebbene indiretta. In effetti il divieto di sperimentazione ha un risvolto spassoso; al divieto segue l’eccezione: la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano e` consentita a condizione che si perseguano finalita` esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso (articolo 13, comma 2).
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Anche un ignorante intuisce che sperimentare sull’embrione z implica necessariamente la distruzione di z, pertanto non si da` l’occorrenza che si possa sperimentare su z e al contempo a favore di z. Ma i problemi non finiscono qui: se potessimo ipotizzare che ‘ricercare’ sull’embrione significasse curarlo (in questo caso il permesso sarebbe accordato), ci troveremmo con il difficile compito di distinguere cio` che e` terapeutico da cio` che e` migliorativo (quella manipolazione genetica positiva che viene altresı` condannata). La distinzione non e` affatto agevole, nonostante di primo acchito potrebbe dare questa impressione. La correzione di una scoliosi e` terapia oppure miglioria? E come considerare la trisomia del 21 o un quoziente intellettivo pari a 100? Al divieto di selezione a scopo eugenetico e` legata a doppio filo la questione della diagnosi di preimpianto, che la legge 40 chiama in causa 6 ma non nomina esplicitamente e che le Linee Guida dirimono vietandone il ricorso senza appello. E` proibita ogni diagnosi preimpianto a finalita` eugenetica. Ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’articolo 14, comma 5, dovra` essere di tipo osservazionale. Qualora dall’indagine vengano evidenziate gravi anomalie irreversibili dello sviluppo di un embrione, il medico responsabile della struttura ne informa la coppia ai sensi dell’articolo 14, comma 5. Ove in tal caso il trasferimento dell’embrione, non coercibile, non risulti attuato, la coltura in vitro del medesimo deve essere mantenuta fino al suo estinguersi (Linee Guida, sull’articolo 13).
E` ragionevole pensare che qualora la coppia rifiuti l’impianto dell’embrione gravemente malato, l’embrione non verra` impiantato (non coercibile). Ma come facciamo a sapere se l’embrione e` affetto da ‘gravi anomalie irreversibili’? Secondo le Linee Guida utilizzando una diagnosi osservazionale: il microscopio. E quali sono le anomalie irreversibili? Ma, soprattutto, quali sono le anomalie irreversibili che la diagnosi osservazionale puo` rilevare? Soltanto alcune, e soltanto quelle che presentano anomalie morfologiche riscontrabili dal microscopio; tutte le anomalie genetiche supererebbero l’esame microscopico. Il risultato e` che l’embrione affetto da una certa anomalia (morfologica) sarebbe scoperto e potrebbe di conseguenza non essere impiantato; l’embrione affetto da un’altra anomalia (soltanto genetica). 6
Decreto del 21 luglio 2004 (GU n. 191, 16/8/2004), Linee Guida in materia di Procreazione Medicalmente Assistita.
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Anche la diagnosi osservazionale ha ‘finalita` eugenetiche’, perche´ crea le condizioni per scartare l’embrione affetto da anomalie (sebbene soltanto da quelle osservabili). Mi sembra che la legge 40 e le Linee Guida si affidino ad una grottesca assimilazione tra eugenetica e genetica (di preimpianto), condannando la diagnosi di preimpianto per assonanza perche´ genetica (e di conseguenza, come in una cantilena, eugenetica) e invece assolvendo le diagnosi osservazionali, nonche´ implicitamente le diagnosi prenatali: amniocentesi o villocentesi. E` evidente che se vietando la diagnosi genetica di preimpianto si vuole evitare l’eliminazione ‘eugenetica’ di un embrione non sano, a maggior ragione si dovrebbe vietare qualunque indagine prenatale che inevitabilmente puo` portare la donna a decidere di abortire in caso di diagnosi infausta. Lo stesso discorso vale se l’embrione in vitro e` sottoposto alla sola indagine osservazionale e non a quella genetica: l’unica conclusione possibile, e al contempo incongrua, e` che il fantasma dell’eugenetica razziale circonda soltanto la diagnosi genetica di preimpianto, e risparmia la diagnosi osservazionale prima dell’impianto e le indagini prenatali. Ci troviamo di fronte a tre diverse diagnosi che creano le condizioni per la stessa libera decisione: interrompere lo sviluppo dell’embrione affetto da gravi patologie. Due di queste diagnosi sono permesse, una e` vietata a causa del suo nome (un po’ come si prova antipatia per un nome proprio: per una associazione magari ormai dimenticata con una persona sgradevole). L’unico aspetto di cui rallegrarsi e` l’esplicita affermazione che il trasferimento dell’embrione non e` coercibile, sebbene si parli di embrioni gravemente malati e soltanto di alcune gravi malattie. Quanto invece potrebbe accadere nel caso la coppia rifiutasse l’impianto di un embrione sano e` piuttosto incomprensibile: Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per cause di forza maggiore relative allo stato di salute della donna non prevedibili al momento della fecondazione e, comunque, un trasferimento non risulti attuato, ciascun embrione non trasferito dovra` essere crioconservato in attesa dell’impianto che dovra` avvenire prima possibile (Linee Guida, sull’articolo 14).
Quali sono le cause di forza maggiore che le Linee Guida giudicano sufficienti a rifiutare l’impianto? Che cosa significa ‘prima possibile’? E cosa succede se non si verificano mai le condizioni per l’impianto? Non e` assolutamente chiaro. In ogni modo si apre uno spiraglio rispetto alla
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legge 40, pur nella confusione concettuale e linguistica, come sottolinea giustamente Giuseppe Regalzi: in italiano corretto si sarebbe detto “o, 7 comunque”, non “e, comunque” (oppure, aggiungerei, “e, dunque”). Che ne e` degli embrioni non impiantati? Nel caso di un embrione malato «la coltura in vitro deve essere mantenuta fino al suo estinguersi». Verrebbe da domandare: se l’unica possibilita` per quell’embrione malato e` di languire fino alla morte, perche´ non lasciarlo morire adesso? Il tempo che intercorre tra ‘adesso’ e la morte per decadimento naturale non e` un tempo che abbia un qualche significato per l’embrione (emerge inoltre la domanda che riguarda anche tutti gli embrioni sovrannumerari: perche´ non destinarli alla ricerca scientifica?). Ancora una volta e` necessario chiamare in causa l’equiparazione tra concepito e persona: con questa premessa i dilemmi sollevati dalla scoperta di una grave anomalia dell’embrione, tale che non venga impiantato ma mantenuto in coltura e lasciato morire naturalmente, somigliano impropriamente ai dilemmi sollevati dalla eutanasia. Se l’embrione e` una persona, e se l’eutanasia non e` permessa (al piu` e` concesso non accanirsi terapeuticamente), allora nemmeno l’eutanasia dell’embrione e` concessa. Nel caso in cui il trasferimento non venga attuato per «grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione e` consentita, la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile». A parte l’impropria virgola tra il predicato e il soggetto, sono troppe le domande inevase che ho gia` formulato, soprattutto dal momento che queste Linee Guida dovrebbero essere indicazioni operative per l’applicazione delle norme in materia di procreazione assistita. Anche soltanto il dominio delimitato dallo ‘stato di salute della donna’ e` troppo vasto e impreciso per offrire una strada da seguire. L’interpretazione, allora, rischia di essere o troppo allargata oppure troppo ristretta, comunque quasi a totale discrezione del medico (ma e` il medico il responsabile di valutare lo stato di salute della donna? E la salute si limita ad essere quella fisica, oppure si estende anche a quella psichica?). Anche la crioconservazione e` vietata (e punita come la soppressione di embrione), sebbene le Linee Guida la permettano nel caso di non impianto di un embrione sano. Per comprendere questo divieto non e` sufficiente richiamare lo statuto personale dell’embrione, perche´ tra il congelamento di un embrione creato in vitro e una persona (che non sia un 7
Conversazione privata.
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embrione, ma ad esempio un bambino) c’e` una differenza rilevante: crioconservare un bambino implica la sua morte; crioconservare un embrione no. O meglio, non necessariamente. Gli embrioni crioconservati sono spesso usati per ulteriori tentativi di impianto; puo` succedere pero` che rimangano congelati, e che dunque siano destinati a morire dopo un certo numero di anni. Mi domando se il divieto di crioconservare gli embrioni verrebbe meno se 1) ci fosse una tecnologia in grado di non far morire gli embrioni, 2) si potesse avere l’assicurazione che gli embrioni cosiddetti sovrannumerari sarebbero adottati.
6. Commercio di gameti e di embrioni e maternita` surrogata La commercializzazione di gameti o di embrioni e la surrogazione di maternita` sono accomunate dalla stessa sanzione (reclusione da tre mesi e due anni e multa da 600.000 a un milione di euro). Mettere sullo stesso piano il commercio di gameti, quello di embrioni e quello della madre surrogata mi sembra una grossolana uniformazione. Il commercio di gameti sembra somigliare al commercio di organi; mentre quello della madre (‘usata’ per portare a compimento la gestazione, come una incubatrice vivente) somiglia alla riduzione in schiavitu`, per quanto temporanea, di una persona. Quest’ultima azione mi sembra piu` grave della prima, e sarebbe conveniente che fossero trattate separatamente (sebbene l’oscillazione della reclusione sia ampia, e verosimilmente vi sia una gerarchia di gravita`, dalla minore alla maggiore, dalla commercializzazione di gameti alla maternita` surrogata; ma forse sarebbe augurabile renderla esplicita). Inoltre viene spontaneo domandarsi: come interpretare la commercializzazione degli embrioni, come vendere un rene oppure come ridurre in schiavitu` una persona? Nell’affannoso tentativo di cercare una coerenza nella legge 40, se l’embrione possiede dei diritti e viene considerato alla stregua di una persona, vendere un embrione dovrebbe essere molto piu` grave di affittare un utero: vendere uno schiavo e` piu` grave che ‘usarlo’ per un periodo limitato di tempo. Anche se parliamo di un bene di cui non possiamo disporre (una persona, oppure la Fontana di Trevi) e` verosimile ritenere piu` deplorevole (cercare di) alienarlo eternamente piuttosto che temporaneamente. Ma soprattutto la maternita` surrogata implica il consenso della donna (non e` una implicazione necessaria, ovviamente, perche´ e` possibile immaginare uno scenario in cui una donna sia costretta a prestare il proprio corpo contro la sua volonta`; ma questa e`
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un’altra storia): e` la stessa idea che soggiace e che rende differenti l’omicidio del consenziente dall’omicidio. Se anche ammettessimo che la surrogazione di maternita` costituisca un reato, il fatto che vi sia il consenso della persona oggetto di quel reato deve rendere la sanzione piu` morbida rispetto a quello stesso reato consumato non soltanto irreversibilmente, ma senza che il consenso della vittima possa essere mai preso in considerazione.
7. Embrioni in adozione Sulla questione embrionale sono gia` state trattate le questioni attinenti alla pretesa inviolabilita` della vita a partire dal concepimento. Le tecniche di procreazione assistita hanno suscitato un ennesimo quesito: che fare degli embrioni crioconservati e non utilizzati per gli impianti? Il problema degli embrioni sovrannumerari e` stato ‘risolto’ dalla legge 40 tramite il divieto di produrne piu` di 3 e l’obbligo di impianto di tutti e 3 contemporaneamente. Prima della legge 40/2004 era possibile crioconservare gli embrioni prodotti in eccesso. Prima della legge 40/2004 era possibile fecondare tutti gli ovociti prodotti. Ogni donna che si sottoponeva ad un ciclo di procreazione medicalmente assistita aveva la possibilita` di fare diversi tentativi di impianto utilizzando gli embrioni crioconservati. Alcuni di questi embrioni non sono stati utilizzati per l’impianto, o perche´ la coppia e` riuscita ad avere figli, oppure perche´ non li ha piu` richiesti. Il caso del destino degli embrioni ante legge 40 in Italia e` scoppiato nel 2005: e a novembre il Comitato Nazionale per la Bioetica ha redatto un parere il cui titolo la dice lunga sul contenuto: Adozione per la nascita degli embrioni (APN) crioconservati e residuali derivanti da procreazione medicalmente 8 assistita (P.M.A) . Il parere parte da una valutazione della legge 40: il CNB ha immediatamente avvertito come una delle sue disposizioni piu` significative quella che proibisce la distruzione di ogni singolo embrione prodotto da PMA, ivi compresi quelli crioconservati e in stato di abbandono, appare significativamente e in qualche misura incoerente. Tale incoerenza non concerne la rigida tutela legale della vita embrionale: questa disposizione potra` essere ritenuta da alcuni eccessiva e/o eticamente critica8
Il parere ha 5 postille: alcune di chiarimento ulteriore delle ragioni del consenso; altre di dissenso, totale o parziale (vedi pp. 8-11). L’unico voto negativo e` stato quello di Mauro Barni.
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bile (non pero` da chi scrive queste righe), ma indubbiamente non ha in se´ nulla di incoerente.
La legge 40 pero` non si esprime sul futuro degli embrioni e richiede una integrazione: Se sono vite umane a pieno titolo e` giusto dare agli embrioni la possibilita` di nascere, anche attraverso quella pratica, per alcuni obiettivamente conturbante, che il CNB ha denominato Adozione per la nascita (APN). Il diritto alla nascita non puo` che prevalere su ogni considerazione etica e giuridica in senso contrario, che pur metta in corretta evidenza i non piccoli problemi che scaturiscono da questa soluzione.
Il Comitato ritiene il futuro di questi embrioni un problema bioetico rilevante, perche´ «il loro paradossale destino [...] non potrebbe inevitabilmente essere altro che quello di coloro che, essendo stati intenzionalmente chiamati alla vita, dovrebbero morire senza essere mai nati». Brevemente il parere passa in rassegna le soluzioni adottate dagli altri Paesi in merito agli embrioni. Alcuni hanno stabilito che vengano distrutti dopo un certo periodo di tempo; questa soluzione viene ricusata dal CNB «perche´ la distruzione di questi embrioni avviene per legge, diviene cioe` un obbligo amministrativo, la cui giustificazione non viene esplicitamente indicata». La condanna dell’assenza di giustificazione e` pienamente condivisibile. Pero` solleva due problemi. Il primo riguarda la necessita` di giustificare una azione o la sua proibizione; attiene pertanto alla legittimita` della coercizione legale e al bisogno di sostenere le ragioni per impedire e non le ragioni per permettere (se la liberta` e` considerata una bene fondamentale e inviolabile fino a prova contraria). Accogliere una posizione o l’altra richiederebbe almeno una dichiarazione esplicita. Il CNB sembra accogliere la posizione che impone di giustificare la liberta` e non la coercizione. Il secondo problema riguarda la mancanza di una giustificazione (qualunque sia la teoria abbracciata): fa bene il CNB a rilevarne l’importanza, ma poi spesso inciampa proprio in quanto critica, omettendo di giustificare le proprie posizioni. Alcuni Paesi hanno stabilito che gli embrioni residuali possono essere destinati alla ricerca. Esistono diversi pareri riguardo a questa proposta. Secondo alcuni «indipendentemente dalle modalita` della procreazione, fin dal concepimento l’embrione e` vita umana personale e che di conseguenza i pur legittimi interessi della ricerca scientifica non possano prevalere sul suo “diritto alla vita”». Secondo altri la condizione di embrione abbando-
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nato sarebbe sufficiente per destinarlo («pur non negando all’embrione umano tutela e rispetto»9) alla ricerca. Aecondo altri, ancora, la ricerca sarebbe possibile «ove esista la ragionevole certezza di una incapacita` dell’embrione a svilupparsi e quindi la sua non idoneita` all’impianto». Il Comitato Nazionale per la Bioetica ritiene che l’embrione debba essere protetto e salvaguardato con la finalita` primaria dell’ottenimento della nascita (valore prioritario rispetto ad altri valori) e che pertanto sia necessario trovare strumenti giuridici idonei a realizzare tale possibilita`.
In molti hanno applaudito la proposta di permettere e incoraggiare l’adozione degli embrioni residuali, appoggiando la considerazione personale degli embrioni e ignorando le numerose contraddizioni che ne derivano. A volte ribadendo l’essere persona dell’embrione con argomenti discutibili e inconcludenti. E` con profondo rammarico che ci si imbatte in affermazioni che hanno del ridicolo quando a sostenerle e` persona colta e raffinata. Come nel caso di Claudio Magris, che in un articolo per “Il Corriere della Sera” commenta la vicenda del trasferimento degli embrioni abbandonati a Milano, nella casa degli embrioni orfani (A Milano apre la “casa degli embrioni orfani”, “Cellule Staminali”, 23 dicembre 2005), intermezzo temporale in attesa della destinazione finale. Dopo una premessa piuttosto claudicante riguardo a Steven D. Levitt10, Magris affonda gli artigli con la sua requisitoria e domanda: Se si pensa che la ricerca scientifica legittimi il sacrificio di alcuni embrioni, come di alcuni soldati in una battaglia, perche´ scegliere proprio questi quattrocento fra trentamila? (i corsivi sono miei).
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Questa opzione e` contraddittoria: se l’embrione merita tutela, non basta la sua condizione di ‘abbandonato’ a eliminarla. E` evidente se spostiamo il ragionamento su un bambino. Il fatto che sia abbandonato non autorizza in alcun modo la sua destinazione alla ricerca (ovvero, la sua uccisione). 10 Levitt e` un economista, autore di Freakonomics e altri volumi in cui propone una interpretazione dell’aborto controversa; sembra che Magris, pero` lo liquidi troppo ingenerosamente affermando che «Levitt considera l’aborto una provvidenziale misura anticrimine, in quanto elimina figli indesiderati e dunque – a suo avviso – probabili futuri criminali (come se ogni disagio producesse necessariamente delinquenza, come se fosse percio` giusto eliminare tutti i disagiati e come se gli aborti avvenissero sempre e solo in situazioni esistenzialmente drammatiche)».
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La prima obiezione, banale forse, e`: perche´ no? Forse Magris offre la sua risposta nelle righe seguenti; ma e` sempre utile ricordare che sarebbe il divieto a dover essere motivato (perche´ no?), e non il contrario. Perche´ non scegliere proprio questi embrioni? La seconda obiezione si avvicina inevitabilmente al cuore del problema: come considerare questi (tutti gli) embrioni? Se l’equivalenza tra embrioni e persone fosse presa sul serio, la domanda da fare non e` ‘perche´ scegliere questi e non altri?’, piuttosto e` ‘come vi permettete di usare gli embrioni?’. Non solo la ricerca scientifica non potrebbe legittimare il sacrificio di alcuni embrioni, ma la ricerca scientifica e la politica dovrebbero affannarsi a non sacrificarne alcuno: da quelli prodotti con le tecniche riproduttive, a quelli abortiti naturalmente (2 su 3 circa) fino a quelli abortiti volontariamente. Non permettiamo e non permetteremmo che in nome della ricerca scientifica fossero scelti quattrocento bambini di 8 anni su trentamila e sacrificati per la scienza. Credo che ci sia consenso abbastanza esteso su questo e soprattutto fondato su argomenti saldi. Ora, qual e` la differenza tra un bambino di 8 anni e un embrione? Se Magris non ne intravede nessuna, allora dovrebbe accettare tutte le conseguenze di una simile equivalenza. Aggiunge Magris: Anzitutto, con grave imbarazzo degli abortisti, in tal modo si considerano implicitamente gli embrioni quali esseri umani, alcuni dei quali, in quanto privi di genitori, si pensa siano destinati a una vita piu` infelice e dunque piu` degni di essere eliminati.
Non si ripetera` mai abbastanza la necessita` di nitidezza terminologica e concettuale, e l’opportunita` di dismettere la parola ‘essere umano’ senza specificarne il senso. E` verosimile che Magris intenda qui ‘persone’. Destinare al sacrificio gli embrioni privi di genitori dimostrerebbe, secondo Magris, che tutti li considerano persone perche´ la selezione sarebbe avvenuta in base a un criterio di maggiore o minore felicita` della loro vita futura. L’argomento e` contorto e soprattutto lega la decisione degli individui da sacrificare agli individui stessi. Innanzi tutto, gli embrioni non hanno una prospettiva perche´ non sono in grado di avere pensieri coscienti ne´ giudizio ne´ investimento temporale. Se poi provassimo a spostare il ragionamento di Magris, di nuovo, su bambini di 8 anni, ci renderemmo conto che non funzionerebbe affatto. Inoltre, una buona ragione per destinare alla ricerca gli embrioni cosiddetti orfani risiede nella prospettiva dei genitori – che hanno gia` avuti figli oppure
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hanno cambiato idea e non vogliono piu` usare quegli embrioni per l’impianto. In base a questo criterio, se un indovino indicasse chi, fra i trentamila congelati, sara` domani piu` ricco e chi piu` povero e quindi piu` esposto alle avversita`, si potrebbero eliminare i futuri poveri.
Qui lascerei correre, non credo che l’ingenuita` che soggiace a queste parole sia da prendere sul serio. La possibilita` di prevedere i futuri poveri e` tanto inverosimile da essere ridicola; e la scelta di eliminarli sarebbe tanto oscena moralmente da far impallidire anche il piu` temerario dei fautori delle biotecnologie! Un’ora fa, commentando la notizia, un amico – decisamente favorevole, in linea di principio, all’uso e dunque alla soppressione degli embrioni per la ricerca – si diceva scandalizzato e si chiedeva perche´, se quel sacrificio e` necessario, non si tirano piuttosto a sorte gli embrioni da sacrificare alla ricerca scientifica.
Qual e` la ragione di tanto scandalo? Se si puo` sperimentare sugli embrioni (e si puo` fare perche´ non sono persone) i criteri di scelta dovrebbero lasciare piuttosto indifferenti. Se si puo` sperimentare, e` legittimo operare una selezione sui criteri piu` strampalati. La data di creazione o l’umore dello scienziato. Ad essere imputabile potrebbe essere lo spreco di tempo (ma ci sarebbe anche nel caso di un sorteggio) nell’applicare le scelte in base a certi criteri. Cio` che intendo dire e` che se raccolgo in una busta quello che devo buttare (e di fatto cosı` facciamo nella spazzatura) perche´ privo di valore, non c’e` motivo di scaldarsi tanto se decido di dividere il contenuto e buttare prima gli oggetti ingombranti o quelli gialli. Per pieta`, non mi si risponda che gli embrioni non sono oggetti, perche´ l’analogia puo` essere contestata ma non in base all’affermazione, peraltro non supportata da argomenti, che l’embrione non e` un oggetto. Quella notizia rivela la perversione in cui spesso viene stravolto il giustissimo concetto della qualita` della vita: anziche´ cercare di dare una dignitosa qualita` di vita a chi non ce l’ha, lo si elimina. A parte la difficolta` di stabilire quale sia la qualita` di vita accettabile e chi debba decidere quale essa sia, si apre l’orribile, dostoevskijana visione di un mondo in cui «tutto e` permesso» e l’irrazionalita` piu` mostruosa si traveste da razionalita` contabile, come un corpo insanguinato celato da un lindo camice.
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‘Anziche´ cercare di dare una dignitosa qualita` di vita a chi non ce l’ha, lo si elimina’. Chi? Proprio nel pronome personale risiede il nodo della domanda (e si manifesta la posizione di chi domanda). Se a ‘chi’ sostituiamo ‘persona’ non possiamo che concordare. Ma questo era quanto andava dimostrato e non accolto tra le premesse per procedere nella inferenza. Non dimentichero` mai, durante una lezione, la reazione piccata di molti studenti ai primi anni di medicina insorgere contro la diagnosi genetica di preimpianto con argomenti simili: i pazienti si curano e non si eliminano. Qui l’equivalenza era tra un paziente ed un embrione 11 (ricorda qualcosa: il manifesto dell’embrione come paziente ), ma il paziente e` una persona e dunque torniamo al cuore del problema come in un labirinto da cui non riusciamo ad uscire. La difficolta` di stabilire quale sia la qualita` di vita accettabile e` parzialmente risolta attribuendo la facolta` di deciderlo al diretto interessato. Esiste, naturalmente, il problema di chi non puo` esprimere e comunicare la propria decisione, embrioni compresi. Non e` pero` molto chiaro perche´ gli embrioni avrebbero poca dignita`: perche´ sono stati congelati? Perche´ sono stati prodotti in laboratorio? Per entrambe le ragioni? Gli orfani dell’esistenza esposti a questa igiene sociale sono tanti; moltitudini di sofferenti, affamati, dannati della terra che attendono il loro uragano.
Giudico il paragone di Magris gravissimo e immorale. Parlare di igiene sociale, paragonare persone sofferenti e affamate agli embrioni senza nemmeno rendersi conto delle conseguenze che questo impone e` da irresponsabili. Ce lo si aspetta da un Antonio Socci o dalle tante suffragette della difesa ad oltranza del frutto del concepimento. Il terrore che viene dalla scienza mantiene sempre un fascino idiota, che alimenta le fobie figlie di Frankenstein e della ubris. E figlie dell’ignoranza, confusa e spacciate per giusta riprovazione per le innovazioni tecnologiche. Sorprende, e dispiace, che il fronte degli agitatori della paura si sia arricchito di Claudio Magris. Un intervento piu` recente sul tema del destino degli embrioni orfani ripropone vecchi adagio e aggiunge qualche imprecisione. A proposito di parole, di difesa ad oltranza dell’embrione e di cattivi argomenti. Lucetta Scaraffia (Embrioni orfani, che fare? I cattolici si dividono, “Il Corriere della Sera”, 31 11
Vedi p. 134.
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agosto 2006) adotta alcune delle disattenzioni lessicali e concettuali che infestano il dibattito bioetico. Prima tra tutte la sovrapposizione tra essere umano e persona (o tra vita personale e vita umana). Scaraffia definisce un termine poco felice l’aggettivo residuale (aggettivo usato anche dal parere del Comitato Nazionale per la Bioetica e accettato da Francesco D’Agostino) per denotare quegli embrioni crioconservati che tanto scandalo hanno suscitato. E preferisce chiamarli ‘abbandonati’ dai genitori che hanno intrapreso la fecondazione artificiale. Riportando il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sull’adottabilita` di questi embrioni, Scaraffia ne mutua le imprecisioni: l’adozione per la nascita (cosı` il CNB) «non solo salverebbe delle vite umane, ma sottolineerebbe, dal punto di vista giuridico e simbolico, lo statuto di vita umana degli embrioni, rendendo piu` difficile, se non impossibile, il loro utilizzo a fini di ricerca». E prosegue: «Come ha sottolineato D’Agostino nella presentazione del documento “il diritto alla nascita non puo` che prevalere su ogni considerazione etica e giuridica in senso contrario”». Naturalmente, Scaraffia non si prende il disturbo di giustificare simili affermazioni, dando per scontata una serie di premesse che invece dovrebbero essere discusse: l’equivalenza di essere umano e persona, appunto, l’attribuzione dei diritti fondamentali e le ragioni di tale attribuzione. «Confermare l’identita` di esseri umani» agli embrioni e` superfluo: chi negherebbe loro l’appartenenza alla nostra specie? Scaraffia non si prende nemmeno il disturbo di consultare l’ultimo censimento condotto dall’Istituto Superiore di Sanita`, che parla di 2.527 embrioni e non dei 30.000 menzionati da Scaraffia e da molti altri (Italia. Finora censiti 2.527 embrioni “orfani”, “Cellule Staminali”, 23 giugno 2006). Inoltre, D’Agostino e` ex presidente del CNB, il cui mandato e` scaduto il 12 giugno scorso e non e` stato ancora rinnovato. Troppe imprecisioni, troppe dimenticanze. E cattive abitudini, come quella di usare il parere di qualcuno (D’Agostino in questo caso) come una spada per tagliare i dilemmi. L’argomento di autorita` non e` un buon argomento, perche´ capita a tutti di sostenere tesi fallaci o deboli. Il secondo parere riportato da Scaraffia e` quello di Adriano Pessina, che partendo dalla coincidenza di madre con gestante e partoriente giunge a una conclusione molto diversa dall’adozione (se e` inevitabile ridefinire concettualmente la ‘maternita`’ e la ‘paternita`’ in seguito alla rivoluzione delle tecniche riproduttive, sembra riduttivo identificare la genitorialita` in generale, e la maternita` in particolare nella dichiarazione riportata da Scaraffia, con i dati biologici e materiali quali la gestazione e il parto. Andrebbe almeno considerata l’aspetto ‘sociale’, quello di crescita e cura dei figli, non necessariamente biologicamente propri, e non necessaria-
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mente partoriti). Gli embrioni prima del trasferimento in utero «non si capisce di chi siano figli (verrebbe da chiedere: quali sono le conseguenze di questa domanda? E come e` possibile rispondere?). Egli [Pessina] va alla radice del problema, che sta nel “significato proprio, antropologico e, quindi, simbolico e non solo funzionale, della procreazione umana e dell’identita` femminile” [che consiste in un processo unitario]: “La procreazione umana, infatti, non e` soltanto l’atto sessuale, o la fecondazione, oppure la gestazione o il parto [...] la procreazione e` quel processo unitario che lega in una relazione esistenziale, morale e corporea, un padre, una madre e un figlio”». E la relazione esistenziale non implica rapporti ‘incorporei’? Sono in molti ad avere cresciuto figli il cui inizio risiede altrove biologicamente: si pensi alle adozioni (dei bambini e non degli embrioni!) o alle famiglie ricomposte, ove alcuni figli sono acquisiti e allevati. In base alla presunta disgregazione del legame parentale l’adozione degli embrioni ‘abbandonati’ sarebbe insoddisfacente, perche´ spezzetterebbe questo processo, ponendo da un lato il concepimento e dall’altro la gestazione e il parto. L’adozione di un bambino porterebbe ancora avanti questa sgretolazione: concepimento e parto (a volte iniziale allevamento), da un lato, e allevamento dall’altro. Questa frammentazione e` necessariamente un male? E per quali ragioni? Adottare quegli embrioni sarebbe una legittimazione della frantumazione del processo di maternita`, secondo Pessina. Non va bene, meglio allora la loro morte. Meglio considerare «la loro esistenza nel ghiaccio come una sorta di accanimento terapeutico, che si puo` interrompere staccando la spina». Si puo`, o si deve? E perche´ si puo` staccare la spina agli embrioni, e non agli adulti (dobbiamo ricordare, per tutti, il caso di Eluana Englaro?)? Ma soprattutto, non dovevano essere salvaguardati e difesi gli embrioni-persone? La frantumazione del processo di maternita` finirebbe per legittimare un vero e proprio omicidio, per chi ritiene che l’embrione sia una persona. Attenzione: se e` legittimo staccare la spina per gli embrioni-persona, perche´ non sarebbe legittimo staccare la spina per quei figli (quelli gia` nati e cresciuti, per intendersi) le cui figure parentali sono frantumate? L’esistenza finisce per avere meno valore della compattezza della procreazione umana. Ben grottesco esito per una posizione che prendeva le mosse dalla tutela assoluta degli embrioni.
12 Trasferimento nucleare Eliminato l’impossibile, cio` che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verita`. Arthur Conan Doyle, Il segno dei quattro
1. Dolly: risvolti morali Il 5 luglio 1996 nasce un agnellino destinato alla notorieta` mondiale: si chiama Dolly. Dolly nasce da una cellula uovo e da una cellula somatica di una pecora adulta; la cellula uovo e` stata privata del nucleo, rimpiazzato dalla cellula somatica. I geni di quest’ultima sono stati fusi con l’uovo, poi e` stato avviato il processo di crescita e divisione cellulare. Il risultato e` stato un embrione geneticamente identico alla cellula del donatore: Dolly e` una gemella della pecora adulta da cui la cellula somatica e` stata prelevata. Dolly e` stata la prima; dopo di lei molti animali, selvatici e domestici, sono stati clonati. Uno dei casi piu` rilevanti e` il cane Snuppy, clonato dall’e´quipe di Hwang prima questi fosse travolto dallo scandalo riguardante le linee cellulari clonate. L’inchiesta eseguita dopo la scoperta di frode ha pero` confermato l’autenticita` della clonazione di Snuppy. Il clamore intorno a Dolly e` senza dubbio radicato nell’eccezionalita` dell’impresa scientifica. Ma esiste un’altra ragione alla base della notorieta` della pecora e del suo creatore Ian Wilmut. Questa ragione puo` essere espressa attraverso una domanda: e` solo questione di tempo e si potra` clonare l’uomo? E di conseguenza: sara` morale farlo? La fantascienza ci ha preparato a diversi scenari, esasperando gli aspetti di determinismo genetico (come in The Boys from Brasil [I ragazzi venuti dal Brasile], 1979, di Franklin J. Schaffner, con Gregory Peck, Laurence Olivier, James Mason) oppure di orrore per esperimenti tanto presuntuosi (come in Alien Resurrection [Alien IV, La clonazione], 1997, di Jean-Pierre Jeunet, con Sigourney Weaver, Winona Rider, Ron Perlman),
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abusando dell’ingenua idea che una nostra copia geneticamente identica sarebbe una via per l’eternita`, oppure facendo leva sulle terribili conseguenze di metterci al posto di Dio. Idea piuttosto stravagante, a pensarci bene, se chi tenta l’ardua prova non crede all’esistenza di Dio. Dolly ha reso all’improvviso verosimili questi scenari, e ha trasformato oziose questioni letterarie in urgenti interrogativi: e` solo questione di tempo? A quando la clonazione degli esseri umani? Generalmente la reazione piu` comune (per non dire universale) e` di dura condanna morale della clonazione umana. Condanna intrisa di emozioni e priva di solide ragioni.
2. La bambina fotocopia: Eva Alla fine del 2002 Clonaid1 annuncia la nascita della prima bambina clonata: Eva. L’annuncio della avvenuta clonazione e` esplosiva. La repulsione che la nascita di Eva suscita e` unanime, eccezione fatta per i diretti interessati: i raeliani, in primo luogo, la dottoressa Brigitte Boissilier, responsabile dell’avvenuta clonazione, e pochi altri. Molti hanno addirittura il dubbio che la clonazione non possa essere avvenuta. La nascita di Eva solleva molte perplessita` riguardo alla sua veridicita`: potrebbe essere un clamoroso imbroglio, nessuno ha visto la bambina e soprattutto nessuno ha avuto le prove che Eva (ammesso che esista una bambina nata nel dicembre 2002 che si chiama Eva e che Clonaid, o chiunque altro, puo` mostrare in televisione) sia davvero nata in seguito alla rimozione del nucleo di una cellula uovo e alla sua fusione con la cellula del donatore (e a tutt’oggi il dubbio permane). Esiste davvero questa bambina? E, soprattutto, davvero e` stata clonata? Il fronte di coloro che si dichiarano scettici al riguardo e` vasto e degno di credibilita`: secondo gli scettici la tecnologia attuale non permetterebbe ancora di procedere con successo alla clonazione umana. E` bene ricordare che Dolly nacque dopo la morte di 276 embrioni. Quasi tutti gli embrioni di pecora sono morti in uno stadio precoce di sviluppo, nello stadio di morula. Dei ventinove embrioni impiantati in utero, soltanto uno si presento` come un feto dopo cinquanta giorni nell’utero. Solo quando Dolly divenne adulta il timore che il suo sviluppo postnatale potesse essere 1
Clonaid e` la prima compagnia di clonazione umana al mondo. Fondata nel 1997 da Rael ha raggiunto la notorieta` mondiale con la storia della piccola Eva (http://www.clonaid.com/news.php).
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irregolare venne fugato (Lewontin 2002). Poi, il decesso della pecora nel febbraio 2003 ha riaperto le polemiche, mai sopite, sulla sicurezza della clonazione. Alcuni mesi prima della morte, Dolly avrebbe presentato segni precoci di invecchiamento, dovuti ai ridotti telomeri delle sue cellule. Secondo alcuni, i telomeri ridotti potevano essere stati ereditati dalla madre, che aveva sei anni quando e` stato prelevato il materiale genetico da cui e` nata Dolly. Possibile che Dolly fosse nata con una eta` genetica di sei anni? E possibile che la senescenza prematura fosse responsabile dell’artrite e della infezione polmonare (giudicata prematura) che poi l’ha condotta alla morte? Dalla nascita di Dolly la tecnica di clonazione e` migliorata, ma secondo la quasi totalita` degli esperti, non e` ancora il momento di sperimentare sull’uomo l’affidabilita` della clonazione riproduttiva. Di conseguenza, la notizia che una bambina sarebbe nata per clonazione e` giudicata come una bolla di sapone, destinata prima o poi a evaporare. L’incertezza tra la verita` e la falsita` dell’annuncio, comunque, non suscita complesse questioni morali. Piuttosto, Eva offre una buona occasione per riflettere sul dibattito sulla clonazione in generale. L’analisi del dibattito scatenato dalla rivelazione che un essere umano sarebbe stato clonato evidenzia due proprieta` fondamentali: (1) gode di una monolitica compattezza nel condannare la clonazione, e (2) pressoche´ nessuno argomenta le feroci critiche contro la clonazione. La conversazione che ne scaturisce e` in realta` una somma di monologhi schizofrenici: ognuno esprime compulsivamente il proprio parere ostile. Queste critiche, si badi, non sono rivolte soltanto contro la clonazione di Eva, ma slittano verso la condanna della clonazione tout court, vissuta come un atto di tracotanza umana inammissibile. All’assenza di razionalita` nel dibattito si aggiunge cosı` una disapprovazione per metonimia: la condanna (emotiva, viscerale e non razionalmente argomentata) di questo specifico episodio implica la condanna assoluta della clonazione (di tutte le possibili clonazioni future). L’irrazionalita` e l’assolutezza della condanna sono strettamente correlate. E` evidente che condannare la clonazione di Eva sia piuttosto facile: in primo luogo, i rischi per la salute sono ancora troppo elevati e gravi per procedere nella clonazione umana; in secondo luogo, la Clonaid non sembra porsi problemi morali riguardo al destino di Eva e alle sue condizioni di salute. Inoltre, il fatto che il leader della setta, l’ex giornalista sportivo Claude Vorilhon che si fa chiamare Rael, dichiari di avere ricevuto dagli alieni le chiavi per accedere ai segreti dell’umanita`, e
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definisca la clonazione il primo passo dell’uomo verso la vita eterna, non e` affatto rassicurante. Opporsi alla clonazione alla luce dei rischi per la salute e` un argomento abbastanza saldo, e ‘tecnico’, piuttosto che un argomento moralmente conflittuale: si pronuncia per la immoralita` di una azione specifica (clonare X ) in base al fatto che e` in genere immorale sottoporre gli esseri umani a rischi troppo elevati per la salute (e` immorale sottoporre un essere umano al peggioramento della sua condizione di salute, ma anche sottoporlo a un elevato rischio di peggiorare la sua salute). Allo stesso modo, sarebbe immorale sottoporre un paziente con una forte anemia causata da emorragia interna a intervento chirurgico prima di aver fatto una trasfusione perche´ rischierebbe di morire (il limite e` propriamente medico; su questo si fonda l’argomento generale di condanna). Oppure, sottoporre un essere umano a una sperimentazione non sufficientemente sicura. La pretesa di sperimentare (un farmaco, una terapia) soltanto a ‘rischio zero’ e` scientificamente infondata e insensata: ogni somministrazione implica una quota di rischio, anche la somministrazione di un’aspirina. Ma, in assenza di ostacoli tecnici, ovvero una volta che il rischio per la salute umana sia ridotto, permangono ostacoli di natura morale a proposito della clonazione? Nel caso di Eva, gli attacchi non si sono limitati a colpire l’irresponsabilita` del tentativo di clonazione raeliano, ma sono stati rivolti contro la clonazione in generale; e si e` trattato per di piu` di attacchi di natura puramente emotiva. Girolamo Sirchia spiega che la clonazione e` «un crimine contro l’umanita`» (verrebbe la tentazione di stilare un elenco dei crimini contro l’umanita` e destinarlo all’indirizzo dell’ex ministro della Salute); Umberto Bossi interroga la chiesa e l’intero Occidente: «devono rispondere a una semplice domanda: Dio esiste?» (la questione posta da Bossi e` doppiamente imbarazzante e ridicola, per la questione della esistenza di Dio e per le scontate implicazioni che se seguirebbero); Elio Sgreccia definisce la clonazione «una forma di manipolazione totale, significa schiavizzare il clonato»; e Francesco D’Agostino sostiene che «il desiderio di un bebe` fotocopia nasce da uno sconfinato e riprovevole narcisismo» (Margherita De Bac, Condanna della scienza «non hanno credibilita`», “Il Corriere della Sera”, 28 dicembre 2002). Si pretende che l’assurdita` del singolo caso (per ragioni contestuali e specifiche) si estenda a tutti i possibili casi. Sarebbe come sostenere che un farmaco che si sia rivelato nefasto, implichi che tutti i possibili farmaci siano necessariamente dannosi per la salute, e che dunque vanno banditi.
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In questo scenario, una affermazione di Rael e` meritevole di attenzione: «in realta` – dichiara provocatoriamente in una intervista raccolta da ‘la Repubblica’ il 28 dicembre 2002 (Rael: «E` il primo passo verso l’immortalita`») – gli oppositori della clonazione sono piu` spaventati dall’idea che la bimba sia perfettamente sana e senza problemi». Se la bimba fosse sana e senza problemi, infatti, ci si troverebbe alle prese con un dilemma etico depurato dai rischi tecnici e medici. Ma anche coloro che hanno tentato di non limitarsi a esprimere un’opposizione emotiva verso un bersaglio indistinto, e che al contrario si sono adoperati per motivare la loro contrarieta` a ogni tipo di clonazione, per quanto perfetta, non sono riusciti a fornire argomenti convincenti. Le consuete critiche di ordine morale nei confronti di una ipotetica clonazione perfetta sono difatti piuttosto fragili 2 se sottoposte a un vaglio critico . Molti invocano un diritto all’unicita` genetica, trascurando di prendere una posizione altrettanto critica anche riguardo ai gemelli omozigoti, le cui madri violerebbero ancor piu` un diritto di unicita` genetica, perche´ i gemelli monozigoti «sono piu` identici di quanto non sia un organismo clonato col suo donatore» (Lewontin 2002, p. 227). L’informazione biologicamente ereditata e` trasmessa principalmente dai geni del nucleo di una cellula, ma un piccolo numero di geni e` portato da corpi intracellulari, i mitocondri. La cellula uovo cui e` stato asportato il nucleo per accogliere i geni della cellula del donatore conserva i propri mitocondri. L’embrione clonato ha origine da una fusione cellulare che e` costituita da una miscela di geni mitocondriali del donatore e del ricevente. Cosı`, l’embrione clonato non e` un perfetto clone genetico dell’organismo donatore. Al contrario, i gemelli monozigoti hanno gli stessi nuclei e gli stessi mitocondri. Coloro che affermano un presunto diritto di unicita` genetica, inoltre, probabilmente dimenticano l’elevatissima percentuale di DNA che tutti gli esseri umani condividono. Nelle parole di Francesco D’Agostino emerge un altro degli argomenti tradizionali contro la clonazione, la reificazione del nascituro clonato (La bioetica si divide sull’embrione, “Il Sole 24 Ore”, 28 dicembre 2002): Clonare un bambino significa sottrargli la sua unicita`, ridurlo cioe` ad un prodotto, sofisticato, anzi sofisticatissimo, ma pur sempre ad un prodotto.
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Spesso, e` evidente, le stesse critiche morali vengono proposte per altre biotecnologie.
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D’Agostino introduce una connessione tra la reificazione degli esseri umani e la loro unicita`. Egli sembrerebbe volere affermare che e` il non essere unico a rendere il nascituro clonato un prodotto, a renderlo oggetto. Questa connessione causale e` piuttosto discutibile, e implicherebbe una grottesca e improbabile mercificazione di tutti i gemelli e anche del donatore, gemello genetico dell’individuo clonato. Se la causa della reificazione e` l’identita` genetica, e` legittimo ritenere che la mercificazione investa entrambi i protagonisti della relazione di identita`. Non e` chiaro perche´ la clonazione implicherebbe la riduzione di un bambino a prodotto, anche se D’Agostino ritiene di avere offerto una salda argomentazione a sostegno della sua tesi. Ridurre un bambino a prodotto Significa dirgli: “Se esisti, esisti perche´ qualcuno ti ha progettato per come esattamente tu sei e per come voleva che tu esattamente fossi. Per questo tu sei al mondo e non per altra ragione. Con la fecondazione naturale ottenere questo risultato non era possibile; con la clonazione sı`. Accetta quindi il tuo destino, non recriminare e non ribellarti” (“Il Sole 24 Ore”, 28 dicembre 2002).
Sebbene tutti siamo d’accordo nel condannare moralmente l’utilizzo di esseri umani come strumenti per i nostri scopi, non e` forse quello che facciamo quando chiamiamo l’idraulico? Lo stesso termine ‘impiegato’ denota brutalmente una relazione reificata, in cui un essere umano e` valutato per quello che e` in grado di produrre. E Richard Lewontin (2002) rincara la dose: non vale forse anche per concetti quali ‘braccia da lavoro’, ‘capitale umano’ o per l’immenso numero di bambini che nascono per realizzare ambizioni frustrate dei genitori, per ereditare un impero o per soddisfare biechi desideri di immortalita`? Il problema della reificazione permea le relazioni umane. Caricando tutto il peso di questo peccato sulla testa di un agnello clonato, noi abilmente eludiamo la necessita` di considerare la nostra piu` generale responsabilita` personale (Lewontin 2002, p. 235).
L’identita` genetica con il proprio genitore, proseguirebbe l’accusa, metterebbe il clonato nelle condizioni di prevedere il proprio destino, e causerebbe la violazione della liberta` e dell’autodeterminazione. Per contestare l’argomento della violazione della liberta` personale o della predestinazione e` sufficiente sottolineare l’ingenuita` del determinismo genetico. Lo smascheramento dell’errore secondo il quale i geni fanno l’uomo serve a criticare tutti gli argomenti simili all’argomento della predestinazione,
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quali quelli della schiavitu`, della fotocopia o del doppio. Richard Lewontin, ai microfoni della Canadian Broadcasting Corporation, ha dichiarato: Lo sviluppo [di un organismo] dipende non solo dai materiali ereditati dai nostri genitori – cioe` i geni e le altre sostanze presenti nello sperma e nell’uovo – ma anche dalla particolare temperatura, umidita`, alimentazione, dagli odori, dalle immagini, dai suoni (compresa cio` che chiamiamo educazione) che interferiscono con il nostro organismo in crescita. Anche se conoscessi nel modo piu` particolareggiato la descrizione molecolare di ogni gene di un organismo, non potrei prevedere che cosa sara` quell’organismo (ora in Lewontin 1993).
Le impronte digitali di gemelli identici sono differenti, e sebbene vi sia la tendenza da parte di molti genitori di omologare il piu` possibile i gemelli (vestiti uguali, identici giocattoli, stesse lezioni di pianoforte, stesso sport), le differenze personali permangono. In ogni modo, non sarebbe l’identita` genetica a minacciare l’individualita` psichica degli individui, ma il tentativo patologico e coercitivo da parte dei genitori di creare una somiglianza inumana, ‘come due gocce d’acqua’. Suscita rammarico, invece, che un autorevole filosofo quale Remo Bodei abbia rivelato (su Radio Tre, il 1 gennaio 2003) di essere contrario alla clonazione perche´ «costituisce una minaccia all’identita` personale», avallando cosı` un’idea irrazionale, scientificamente infondata, che tuttavia e` fatta propria dalla quasi totalita` dell’opinione pubblica. Idea presente anche nel Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla clonazione redatto nell’ottobre 1997, che la condanna «in quanto costituisce un attentato all’unicita` biologica del soggetto umano, generato 3 tramite clonazione» . Anche chi riconosce l’assurdita` del determinismo genetico e` disposto a condannare la clonazione in nome di una specie diversa di violazione dell’autodeterminazione individuale. Nonostante la differenza tra identita` genetica e identita` personale, secondo l’argomento contrario alla clonazione, e` sufficiente che erroneamente si pensi che il proprio futuro sia deciso geneticamente, per ritenere la clonazione un attentato all’individualita`. In altre parole, sarebbe la credenza di non poter decidere del proprio futuro a rendere schiavo l’individuo in questione: a causa dell’identita` genetica con un altro individuo la cui esistenza si e` svolta in un certo modo, l’individuo clonato si sentirebbe impossibilitato a deviare la propria esistenza da un percorso gia` tracciato, gia` vissuto. Questo argomento ha un sapore 3
http://www.palazzochigi.it/bioetica/testi/171097clonazione.html.
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reazionario e ammette grottesche analogie. Di numerosi atti o tecnologie si potrebbe dire che suscitano una falsa credenza di schiavitu`. Per alcuni gli oroscopi sono veritiere previsioni del proprio futuro; molti sono felici di prevedere cosa accadra`, ma qualcuno potrebbe dichiarare che sapere in anticipo il proprio futuro lo rende schiavo. La soluzione non puo` certo trovarsi nell’ignoranza (accetteremmo forse di risolvere il problema della schiavitu` determinato dal conoscere l’identita` dei propri geni con un altro individuo, proponendo di nascondere all’individuo clonato l’origine della sua esistenza?). Si dovrebbero per questo proibire gli oroscopi? Il peso delle credenze e` vasto, ma uno Stato non puo` vietare una tecnologia in base al fatto che le persone potrebbero avere una erronea convinzione dei suoi effetti, e pertanto potrebbero sentirsi limitati nella loro liberta`. Se gli individui credessero che sottoporsi a una lastra o a una TAC causa un grave danno alla salute, dovremmo accettare che lo Stato vietasse l’uso di lastre e TAC? Oppure che vietasse l’uso di macchine fotografiche in base alla credenza che una fotografia ruba l’anima di colui che viene ritratto? Uno Stato dovrebbe cercare di intervenire sull’erroneita` di quella credenza, offrendo informazione, e non avallarla tramite un condiscendente paternalismo. Un altro argomento usato per rifiutare la clonazione consiste nel sottolineare la presunta violazione del diritto di avere due genitori (o il diritto di avere una presunta famiglia standard ). Nel caso in cui la clonazione avviene come rimedio alla sterilita` all’interno di una coppia – recita l’accusa – solo uno dei due membri della coppia sarebbe genitore del neonato. E` possibile criticare questo argomento sottolineando l’eccessiva ristrettezza del significato di ‘genitore’, inteso qui unicamente nel senso di ‘genitore biologico’: eppure molti individui hanno svolto e svolgono il ruolo di genitori pur non condividendo il proprio patrimonio genetico con i figli. Negare loro l’appellativo di ‘genitori’ vorrebbe dire screditare tutti coloro che hanno avuto cura di figli adottivi e di figli acquisiti (in seconde nozze, in affido). Nel caso in cui sia una persona single a ricorrere alla clonazione, sostengono gli avversari della clonazione, il diritto di avere due genitori e` violato in modo ancor piu` manifesto: ma la presunta violazione di un tale diritto non dovrebbe allora essere attribuita anche a coloro che si sono trovati a crescere un figlio da soli (ragazze madri, vedovi e vedove)? Il concepimento naturale non e` sottoposto ad alcun vaglio, sebbene si macchi di molti crimini che vengono attribuiti alla clonazione per dimostrarne l’immoralita`. Chi accusa la clonazione di essere una meschina tecnica di programmazione a tavolino, forse dimentica le innumerevoli vite predeterminate di
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figli naturali (il figlio ‘desiderato’ magistrato, o il figlio ‘pensato’ a capo dell’azienda di famiglia). E chi intende affermare un discrimine ricorrendo alla irreversibilita` delle imposizioni genetiche contro la reversibilita` delle imposizioni culturali, dimentica che l’imposizione di identita` genetica e` alleggerita da innumerevoli altri fattori. Infine, gli avversari della clonazione devono vedersela con una obiezione formidabile: dal momento che quel bambino clonato non sarebbe mai potuto nascere altrimenti (il bambino clonato ha soltanto due possibilita`: nascere clonato e non nascere), sono davvero disposti a negargli l’esistenza perche´ sarebbe un’esistenza clonata? Dove va a finire l’appassionata difesa della vita? E` davvero preferibile la non esistenza rispetto a una esistenza caratterizzata da identita` genetica con il proprio genitorefratello?
3. L’opinione di Mary Warnock In una intervista del 27 luglio 2002 Mary Warnock (No ethical reason to ban cloning, “The Independent”) dichiara di essere a favore della clonazione a fini riproduttivi, a patto che vengano esclusi rischi di ordine medico: e` prevedibile che in futuro la ricerca medica possa rendere la clonazione sicura, e allora non ci dovra` essere alcun divieto di ricorrere a questa tecnica riproduttiva. L’implicazione piu` importante delle affermazioni della Warnock consiste nella negazione di ragioni etiche nel vietare la clonazione. «E` forse un peccato – dichiara – che l’Inghilterra abbia raggiunto il resto dell’Europa nell’assoluto divieto della clonazione riproduttiva». Il divieto alla clonazione e` motivato senza dubbio da ragioni mediche (rischi di malformazioni, alta percentuale di fallimenti, morti frequenti degli embrioni e dei feti), ma l’assolutezza e` determinata da motivi irrazionali e inamovibili moralismi. La clonazione riesce a evocare paure ancestrali rafforzate da un ingenuo determinismo genetico: il fantasma del doppio, la possibilita` di riprodurre Hitler, o un altro potenziale distruttore dell’umanita`. Il Governo Britannico ha introdotto un articolo nello Human Fertilisation and Embryology Act (1990) allo scopo di vietare la clonazione embrionale, per paura che uno spericolato ginecologo italiano potesse usare l’Inghilterra come base per i suoi esperimenti di clonazione. Il caso di Severino Antinori, scoppiato nell’estate 2001, ha causato anche altre conseguenze: una valanga di insulti, provenienti da tutto il mondo, sulla clonazione e sullo stesso Antinori. Egli e` stato definito presuntuoso, irriverente, un medico in cerca solo di pubblicita`. E la clonazione e` stata
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universalmente condannata moralmente, dichiarata una offesa alla natura, una aberrazione inaccettabile. Perche´ la clonazione suscita tanta ostilita` e indignazione morale? Perche´ la clonazione dovrebbe essere vietata e condannata moralmente? Una delle piu` comuni argomentazioni a sfavore della clonazione e` che sarebbe sacrilego intromettersi nei processi riproduttivi naturali. L’artificialita` della clonazione e` ritenuta inaccettabile e immorale. I fautori di questa critica sarebbero pronti a rifiutare le ecografie, i tagli cesarei, le incubatrici, in nome dello stesso rifiuto indignato verso le pratiche artificiali? L’assistenza medica durante la gravidanza, e la medicina in generale, e` fortemente caratterizzata dalla innaturalita`, ma nessuno (quasi nessuno) ammette che le infezioni debbano essere protette dai farmaci in quanto processo naturale, o che le radiografie ad arti fratturati dovrebbero essere rimpiazzate da uno sguardo a occhio nudo. L’argomento della artificialita` e` chiaramente inutilizzabile, a meno che non sia abbia la temerarieta` di accoglierne tutte le conseguenze. Qualcuno potrebbe tentare di sciogliere la contraddizione sostenendo che la medicina cerca di rimediare a un processo patologico, cura una malattia; al contrario, la clonazione non avrebbe alcun aspetto terapeutico, ma sarebbe una stravaganza, un desiderio irragionevole. E ammetterla vorrebbe dire permettere un capriccio moralmente dubbio. La risposta a questo argomento puo` avvenire su due piani: il primo riguarda la legittimita` di vietare capricci innocui che qualcuno ritiene moralmente dubbi; il secondo verte sulla classificazione della clonazione: e` terapia o una mera stravaganza? Il primo punto implica una riflessione sui limiti dell’azione della coercizione statale. Giudicare un’azione moralmente dubbia (ma anche oscena, oppure offensiva) non e` una condizione sufficiente per introdurre un divieto legale, perche´ di divieto stiamo parlando rispetto alla clonazione, non di un’azione di scoraggiamento o di una manifestazione di riprovazione sociale. Vietare un’azione, in una democrazia liberale, richiede la dimostrazione che quell’azione danneggerebbe qualcuno e ne violerebbe i diritti; non e` sufficiente che un individuo ritenga quell’azione immorale, contraria alle proprie idee, alla propria religione o al proprio senso del pudore. Gli omicidi sono vietati perche´ danneggiano la condizione delle eventuali vittime e ne violano i diritti (il diritto alla vita in primo luogo), ma i tradimenti amorosi non sono vietati dalla legge (sebbene ci sia un danno per chi e` tradito, e molti li ritengano immorali) perche´ non esiste nessuna conseguente violazione di un diritto (il diritto di non essere traditi dal proprio amante). La liberta` e` considerata un bene
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inviolabile: questa presunzione a favore della liberta` implica che quando il legislatore si trova a scegliere se imporre un dovere legale ai cittadini o se lasciarli liberi di scegliere, ceteris paribus, egli dovrebbe lasciarli scegliere liberamente. La liberta` dovrebbe essere la norma; la coercizione richiede sempre alcune speciali giustificazioni. Possiamo chiamare, come gia` detto, presumptive case for liberty questa “presunzione”, insieme alla richiesta di ragioni giustificative per la coercizione. Tale presunzione puo` essere superata solo in presenza di un danno o di un probabile danno ingiusto. A questo punto la domanda cruciale e`: chi subirebbe o rischierebbe di subire un danno in seguito alla clonazione? E` ovvio che a essere danneggiato sarebbe il nascituro se nascesse o rischiasse di nascere con malformazioni o una predisposizione alle malattie; ma in questo caso si tratterebbe di ostacoli medici, non morali. Cosı` come sarebbero i genitori a subire un danno se la clonazione richiedesse loro impegno e soldi in eccesso rispetto al necessario. Ma supponiamo che a nascere sarebbero individui perfettamente normali e sani, che non ci sarebbero embrioni soprannumerari e che sarebbero garantite le condizioni economiche giuste. In questo caso i genitori non potrebbero essere danneggiati, dal momento che soddisfano un desiderio e non corrono rischi. Il nascituro potrebbe essere danneggiato? Va detto che quell’individuo nato in seguito alla clonazione non sarebbe mai potuto nascere altrimenti, cioe` non sarebbe potuto nascere se non ricorrendo alla clonazione. Non sembra sostenibile ritenere preferibile la non esistenza di un individuo rispetto alla sua esistenza caratterizzata dall’avere un patrimonio genetico uguale a quello del proprio padre (ogni individuo condivide con tutti gli altri oltre il 90% del patrimonio genetico). Il secondo punto suscita la questione se la clonazione debba essere considerata alla pari della medicina o invece di una stravaganza. Qualunque sia la risposta, e` irrilevante ai fini di un divieto legale. Ci sono innumerevoli stravaganze su cui lo Stato non interviene e sarebbe ingiusto che intervenisse: il modo in cui ci vestiamo, quanti orecchini portiamo, a che ora andiamo a dormire. Tutte le stravaganze che non danneggiano nessuno rientrano nella sfera inviolabile della liberta` individuale, e se lo Stato intervenisse si macchierebbe di illegittimita`. Inoltre, non tutti sono d’accordo nel rifiutare alla clonazione la definizione di pratica medica: come rimedio alla infertilita` maschile, infatti, la clonazione sarebbe a tutti gli effetti una terapia medica. Il dibattito potrebbe proseguire sull’eventuale attribuzione agli individui di un diritto di avere figli. Il problema piu` scottante riguarderebbe l’atteggiamento dello Stato riguardo un eventuale diritto (per tutti) di ricorrere alla clonazione. In altre parole, se la clona-
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zione deve essere garantita a tutti come le cure sanitarie per le gravi patologie oppure deve essere ritenuta un lusso, come la chirurgia estetica. Se la clonazione non danneggia nessuno, non deve essere vietata (lo ripetiamo, in assenza di ostacoli medici). Ognuno puo` conservare il proprio biasimo e la propria indignazione verso la clonazione, puo` continuare a ritenerla immorale e innaturale, ma tale giudizio deve essere distinto dall’impedimento imposto agli altri di farvi ricorso. In assenza di danni, e in assenza di rischi medici, la clonazione dovrebbe rientrare in quel dominio di azioni che si e` liberi di compiere e di non compiere.
4. Clonazione terapeutica Possibili applicazioni della cosiddetta clonazione terapeutica4: la tecnica utilizzata e` la stessa della clonazione riproduttiva, cioe` il trasferimento nucleare. Il nucleo di una cellula adulta viene trasferito in un uovo precedentemente enucleato, e l’embrione risultante viene coltivato in provetta. La divisione cellulare e` interrotta allo stadio di blastocisti, da cui si ottengono le cellule staminali embrionali. La coltivazione delle staminali in provetta prosegue allo scopo di ottenere cellule differenziate geneticamente identiche a quelle del proprietario dell’originaria cellula adulta, e aggirando in questo modo i problemi di rigetto presenti in ogni trapianto. Le cellule staminali sono cellule totipotenti, non ancora differenziate, che hanno la potenzialita` di trasformarsi in cellule altamente specializzate, e che nello sviluppo embrionale di fatto evolvono in cellule del midollo osseo, cellule del sangue, cellule del fegato e cosı` via. La speranza e` quella di costringere in laboratorio l’evoluzione delle cellule staminali in specifiche cellule specializzate allo scopo di rimpiazzare cellule adulte deteriorate o danneggiate da malattie al momento incurabili, come il morbo di Parkinson, il morbo di Gehrig, il diabete e l’infarto. La legge sulla procreazione assistita blocca definitivamente la ricerca embrionale tout court (e con essa, naturalmente, congela le prospettive terapeutiche), inevitabile esito di quei diritti che l’articolo 1 attribuisce al concepito e dei conseguenti divieti. Sebbene ci siano molti dubbi sui tempi e sulla effettiva utilita` clinica delle cellule staminali, imporre un ostacolo di natura morale alla ricerca embrionale e` ingiustificabile. Spesso per aggirare i problemi morali sono 4
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state proposte soluzioni alternative: la ricerca sulle cellule staminali adulte o su quelle fetali, l’utilizzo degli embrioni sovrannumerari destinati alla distruzione piuttosto che la creazione ad hoc di embrioni allo scopo di ricerca, o la partenogenesi. Qualunque sia la portata tecnica delle suddette linee alternative di ricerca, la premessa per rifiutare la limitazione della ricerca embrionale affonda le radici nella negazione dello statuto di persona al concepito. Se l’embrione ai primi stadi di sviluppo non gode di alcun diritto alla vita o alla protezione, le ragioni dell’astenersi dalla sperimentazione cadono; ho gia` sostenuto la mia posizione al riguardo.
13 Baby M e la maternita` surrogata C’eravamo capiti, capiti all’inverso. Ci diventammo leciti per questo. D’altronde, d’altro canto. A volte essere nemici facilita, piacersi e` cosı` inutile. Lucio Battisti, Hegel
1. La storia della bambina contesa Elizabeth e William Stern vivono nel New Jersey, hanno circa quarant’anni e sono sposati da oltre dieci anni. Lui e` biochimico, lei pediatra. Elizabeth non e` sterile, ma e` affetta da una forma leggera di sclerosi multipla e teme che le sue condizioni di salute possano aggravarsi nel corso di una gravidanza. Gli Stern decidono di cercare una soluzione che possa preservare Elizabeth da una rischiosa gestazione e si rivolgono a Noel Keane (Infertility Center of New York). Noel li mette in contatto con una giovane donna che vive non lontano, e` disoccupata e ha due figli. Mary Beth Whitehead accetta di prestare il proprio corpo e una cellula uovo per portare avanti una gravidanza al posto di Elizabeth, e le parti firmano un contratto in cui, tra le altre clausole, viene stabilito che il bambino dovra` essere affidato agli Stern alla nascita (gli accordi economici prevedono un versamento immediato a Noel di 7.500 dollari; la copertura di tutte le spese che Mary Beth sosterra` e il pagamento di 10.000 dollari alla nascita). Mary Beth viene fecondata con gli spermatozoi di William; la gravidanza si svolge senza nessuna complicazione e il 27 marzo 1985 nasce Baby M. Mary Beth, pero`, ha una reazione inaspettata (inaspettata anche per lei): la bambina nata dal suo ventre e` la sua bambina, somiglia all’altra sua figlia e il legame costruito durante la gravidanza e` troppo saldo per essere reciso. Mary Beth compila il certificato di nascita della neonata con il nome di Sara Elizabeth Whitehead. Dopo pochi giorni la bambina viene consegnata, come da accordi, agli Stern che la chiamano Melissa. Trascorrono poche ore e Mary Beth si
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reca a casa degli Stern: non riesce a vivere senza la bambina, non mangia, non dorme; vorrebbe poterla tenere con se´ per una settimana – una settimana soltanto. Elizabeth e William accettano, con la speranza che la vicinanza della piccola riesca in qualche modo a calmare Mary Beth e sperando che nel giro di qualche giorno la bimba possa essere riconsegnata a loro, come Mary Beth aveva promesso. La speranza degli Stern si rivela ingenua e infondata: Mary Beth rifiuta i 10.000 dollari e si tiene la bambina per oltre un mese. Gli Stern si rivolgono al tribunale, e ottengono un decreto di affidamento della piccola; ma di fronte alle pretese legali dell’ufficiale giudiziario che accompagna Elizabeth e William in casa Whitehead, si consuma una vera e propria fuga. La bambina viene fatta evadere da una finestra situata sul retro della casa, e tutto quello che si riesce ad ottenere e` l’accertamento della scomparsa di Melissa/Sara. Nel giro di qualche giorno anche Mary Beth scompare. Elizabeth e William incaricano un investigatore privato della ricerca della piccola e della madre surrogata (e anche genetica, in questo caso). Passano quasi quattro mesi di attesa angosciosa, e finalmente il detective scopre il nascondiglio di Mary Beth: la casa della madre in Florida. L’FBI fa circondare la casa, e la bambina viene presa e portata via per essere consegnata agli Stern. La loro felicita` nel riabbracciare Melissa e` indirettamente la causa dell’angoscia e del dolore degli Whitehead. Da questo momento inizia un processo che vede come oggetto del contendere l’affidamento di Baby M. Quando la bimba ha un anno (tanto e` il tempo trascorso) il giudice Harvey Sorkow riconosce la validita` dell’accordo riguardo alla gravidanza surrogata e affida definitivamente Melissa agli Stern, negando qualsiasi forma di potesta` genitoriale a Mary Beth e dichiarando Elizabeth Stern la madre legale. Mary Beth non si rassegna alla perdita della piccola e presenta ricorso presso la Corte Suprema del New Jersey. Nel febbraio del 1988 la Corte emette il verdetto. Il giudice Wilentz dichiara che «il pagamento di denaro a una madre surrogata [e`] illegale, forse criminale, e potenzialmente degradante per una donna» (In the Matter of Baby “M”); il contratto tra gli Stern e Mary Beth e` dunque invalidato e la madre surrogata ‘ridiventa’ la madre. Nonostante questo, viene confermato l’affidamento di Baby M al padre naturale (e a sua moglie) in nome del migliore interesse della bambina, che da due anni vive con loro e li chiama ‘mamma’ e ‘papa`’. Mary Beth ha il diritto di vedere Melissa tutte le settimane. La vicenda legale di Baby M ha conseguenze legali gravi. A partire dalla dichiarazione di illegalita` del contratto di maternita` surrogata formulata dalla Corte del New Jersey a proposito del caso Baby M, molti altri
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Stati dichiarano legalmente non validi i contratti di prestito; altri dichiarano simili contratti illegali e stabiliscono pene piu` o meno severe per tutti coloro che si trovano coinvolti in una maternita` surrogata (al momento 26 Stati permettono la maternita` surrogata; Arizona, Utah, New York, Washington, Michigan e Stato di Washington la criminalizzano; gli altri 1 dichiarano i contratti di maternita` surrogata non validi) . Non e` accaduto diversamente fuori degli Stati Uniti d’America, e Baby M continua a rappresentare un (presunto) argomento contro la maternita` surrogata. Tutto quello che e` accaduto nel caso di Baby M, questo il cuore dell’argomento avverso, inevitabilmente accadrebbe a qualunque altro bambino che si trovi a nascere in circostanze simili. Ma quasi nessuno sembra accorgersi della fragilita` di un simile ragionamento: basterebbe applicarlo a un altro episodio per lasciarla emergere. Che cosa risponderemmo a chi usasse l’affondamento del Titanic come argomento contro la navigazione oceanica? Che cosa risponderemmo a chi usasse le cause di divorzio come deterrente e come scoraggiamento per le unioni matrimoniali? Ma se fosse possibile praticare il prestito evitando ogni possibile caso Mary Beth? Se fosse possibile garantire che ogni madre surrogata che ha stipulato un contratto affidera` liberamente e senza alcun rimpianto il bambino da lei concepito e partorito alla coppia o alla persona con cui si era accordata? Eliminare quello che e` il «problema di fondo del prestito» costituirebbe una qualche differenza, se non agli occhi della legge almeno per la gente? (Silver 1997, p. 155).
Gli avversari della maternita` surrogata, pero`, dimenticano regolarmente di riferire qualche dato sui rifiuti da parte della madre surrogata di attenersi al contratto; in effetti, tale dimenticanza rischia di apparire piuttosto intenzionale e strategicamente ben comprensibile. Secondo la Surrogate Mothers, Inc., su circa 2.000 bambini nati negli Stati Uniti, in meno dell’1% dei casi e` nata una controversia. Il motivo principale di questa minima percentuale di insuccesso consiste nell’esame accurato cui ogni potenziale madre surrogata e` sottoposta. Steven Litz, avvocato e direttore dal 1984 della Surrogate Mothers, Inc., spiega che le condizioni minime iniziali delle aspiranti mamme surrogate sono tre: una eta` compresa tra i 18 e i 35 anni, almeno un figlio e buone condizione di salute. 1
Vedi www.surrogacy.com/legals/map.html oppure www.surrogatemothers.com/issues. html.
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In seguito sono sottoposte a diversi controlli: sono controllate le loro dichiarazioni, i referti medici delle precedenti gravidanze, la fedina penale; infine sono sottoposte a un esame psicologico completo, insieme all’eventuale marito. Secondo Litz, questa attenta selezione difficilmente offre sgradire sorprese.
2. Due casi italiani Nel 1993 una giovane donna ha un tumore che causa l’asportazione dell’utero; le ovaie sono salve. Attraverso la fertilizzazione in vitro vengono creati cinque embrioni a partire dagli ovociti della donna e dallo sperma del marito. E` il 1995 e gli embrioni vengono criocongelati da un ginecologo italiano nella speranza che la legislazione diventi piu` permissiva e arrivi a permettere l’impianto di questi embrioni nell’utero di un’altra donna. Gli anni passano senza che si apra uno spiraglio legale per gli embrioni e per la coppia che desidera avere un figlio. Nell’ottobre 2000 gli embrioni vengono inviati negli Stati Uniti, vengono impiantati nell’utero di una madre surrogata, una donna americana di 35 anni trovata tramite una agenzia e pagata 20.000 dollari. Nel dicembre 2001 nascono due gemelli, che tornano in Italia insieme ai genitori genetici (che posseggono un certificato rilasciato dallo Stato della California in cui si dichiara che sono gli ‘unici’ genitori; della maternita` surrogata non si fa menzione). La notizia suscita scandalo e sdegno. Le dichiarazioni riguardo a questa vicenda sono unanimemente scandalizzate (e gia` questo suscita un certo stupore). Girolamo Sirchia dichiara di voler rimediare al vuoto legislativo italiano e di voler «chiudere le vie di fuga», scongiurando in tal modo un turismo di embrioni. Domenico Di Virgilio, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, definisce l’accaduto «aberrante e inaccettabile». Livia Turco afferma: «e` una cosa abominevole, un vero degrado che si debba ridurre la nascita di un figlio al Postalmarket» e invoca una legge che metta ordine, senza pero` aggiungere esplicitamente se questa legge debba essere permissiva o restrittiva. Qualunque declinazione particolare possa prendere la condanna, questa e` assoluta ma spesso priva di giustificazione – come risultasse superfluo fornire delle ragioni – o sostenuta da ragioni deboli. Una giovane donna, Novella Esposito, ha perso al nono mese di gravidanza la bambina che aspettava; a causa di complicazioni e` stata sottoposta a isterectomia. Qualche tempo dopo l’embrione fecondato a
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partire da un suo ovocita e dal seme del marito e` stato impiantato nel grembo della madre di Novella. Due dei quattro tentativi di impianto danno origine a una gravidanza. Entrambe le volte, pero`, la gravidanza si interrompe entro il terzo mese. La maternita` surrogata, in questo caso, non implica la presenza di compensi monetari e coinvolge due donne che sono madre e figlia, rispettivamente la gestante e la donatrice di ovocita. Novella potrebbe essere giustificata per un eventuale eccesso dovuto all’emotivita`; invece e` pacata e parla solo per se´, non pretende di tramutare il suo disaccordo nei riguardi dei gemelli tanto discussi in giudizio morale assoluto e, tanto meno, in una coercizione legale per chi volesse ricorrere all’utero in affitto. Novella spiega che l’atto compiuto da parte della propria madre era una donazione, un atto d’amore, e che sarebbe perplessa sull’intervento del denaro in una vicenda del genere. Ma aggiunge anche che non condanna chi fa ricorso al pagamento di una maternita` surrogata. Vogliono fare una legislazione che riguarda i sentimenti delle persone. Vietare di sentire le cose: io amo una persona e me lo vietano; voglio un figlio e me lo vietano.
La madre di Novella dice di essersi sentita nonna da subito; tante nonne guardano i nipoti quando le mamme lavorano: «io glielo guardavo un po’ piu` piccolo» – questa e` l’unica differenza. Molti sembrano approvare queste affermazioni (comunque giudicarle con meno severita` rispetto alla surrogazione tra estranei); ma a ben guardare accettare il discorso della madre di Novella (essere gia` nonna durante la gestazione) implica la possibilita` di accettare l’analogia tra una babysitter che bada a un bambino piccolo (e pochi troverebbero il ricorso alla babysitter per il proprio figlio un atto immorale e condannabile) e la babysitter che bada a un bambino un po’ piu` piccolo – ovvero durante la gestazione (la madre surrogata). Se si accetta questa analogia, viene meno anche la riprovazione per il coinvolgimento del denaro in qualcosa di «cosı` sacro come la gravidanza» (e` stato detto); anche la maternita` e` sacra, l’educazione dei propri figli e occuparsi di loro. Eppure, nonostante sia una sostituta e nonostante svolga il suo compito in una occupazione ‘sacra’, si accetta come moralmente ineccepibile che una babysitter ricava dei soldi: perche´ sarebbe immorale che una donna che presti il suo utero riceva dei soldi?
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3. Analisi degli argomenti contro la maternita` surrogata * Non si puo` di ‘usare’ il proprio corpo (come un mezzo). Alla base della discussione riguardo alla surrogazione di maternita` c’e` il problema del possesso del proprio corpo e dei propri organi. 1) Se siamo proprietari del nostro corpo e dei nostri organi, allora possiamo disporne. 2) Se non siamo proprietari del nostro corpo e dei nostri organi, allora non possiamo disporne. Uno degli argomenti piu` usati per sostenere (2) consiste nel citare la posizione kantiana secondo cui l’uomo puo` essere soltanto fine ma non mezzo, e pertanto il suo corpo non puo` essere usato (non posso usare il mio corpo e non ne sono proprietaria). Citare Kant non e` assolutamente sufficiente per rigettare la proprieta` e l’uso del proprio corpo, e bastano pochi esempi per capirne la ragione. Non ‘uso’ forse il mio corpo anche quando avvio e porto avanti una gravidanza ‘normale’? Oppure quando dono il mio sangue, il mio midollo osseo o un mio rene? Nessuno pero` condannerebbe moralmente questo uso del corpo: deve esistere una differenza per condannare la maternita` surrogata e per accettare il dono di sangue, e non puo` essere il rifiuto dell’utilizzo del corpo come mezzo perche´ si verifica in entrambi i casi. Le ragioni per condannare la maternita` surrogata devono essere altre. * Non si puo` fare commercio del corpo femminile. La maternita` surrogata e` spesso (ma non necessariamente) ‘contaminata’ dal mercato: esistono vere e proprie agenzie di madri surrogate, con tanto di book fotografico e profilo caratteriale e anamnesi medica della donna, che offrono bebe` chiavi in mano – secondo le espressioni dispregiative degli oppositori di questa pratica. Nemmeno il richiamo al commercio e al mercato e` di per se´ un motivo per condannare la maternita` surrogata. Anche in questo caso basta qualche analogia per illuminare l’infondatezza della condanna. Le incubatrici e le balie implicano il mercato (le incubatrici) e il commercio del corpo femminile (le balie), ma nessuno di coloro che condannano la maternita` surrogata per questi motivi, sarebbe d’accordo nel condannare incubatrici e balie. Che cosa distingue l’affitto di un utero dall’affitto di un seno baliatico al posto di quello materno? Quale differenza moralmente rilevante potrebbe esserci tra il ricorso a una parte del corpo umano (il seno baliatico) rispetto a un’altra (l’utero surrogato)? * La surrogazione di maternita` implica discriminazione economica, percio` e` immorale.
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Innanzi tutto non e` una conseguenza necessaria: esistono circostanze in cui una donna si e` offerta gratuitamente di portare avanti una gravidanza per un’altra donna. Almeno tutti questi casi sarebbero percio` esenti dalla condanna morale. In secondo luogo, per aggirare questo ostacolo sarebbe sufficiente proporre la gratuita` del ricorso alla maternita` surrogata, come una forma di assistenza sanitaria che deve essere garantita a tutti. Il fatto che potrebbero esserci ostacoli di fatto – gli stessi ostacoli presenti nei dilemmi di equa distribuzione delle risorse – a una proposta di questo tipo e` irrilevante ai fini di una considerazione dell’ammissibilita` morale. Il biasimo morale sarebbe rivolto esclusivamente verso la discriminazione economica, conseguenza dell’attuale costo elevato delle pratiche necessarie a una maternita` surrogata. * Risponde unicamente al desiderio di arricchirsi. Ancora una volta: il desiderio di arricchirsi non puo` costituire una valida ragione per condannare le azioni in quanto animate da un tale desiderio. Chi decide di aprire un ristorante puo` avere il desiderio di arricchirsi (il fatto che possa essere accompagnato dal desiderio di fama, dal piacere di cucinare, o dal rispetto di una tradizione di famiglia e` irrilevante) senza che la sua azione diventi per questo immorale. Se anche esistessero delle donne che si prestano ad affittare il proprio utero soltanto per arricchirsi, non saremmo autorizzati a condannarle per il loro intento di arricchirsi. Ma c’e` di piu`: la presenza di un pagamento non basta a dimostrare che lo scopo sia proprio e unicamente il pagamento. Secondo alcuni le donne che decidono di affittare il proprio utero non lo fanno soltanto per denaro, ma anche per scopi umanitari. Le donne che prestano il proprio corpo a una gestazione destinata a far nascere un figlio per un’altra donna, chiedono di conoscere il caso specifico e di incontrare personalmente la coppia che desidera avere un figlio. Il pagamento e` interpretabile come un rimborso spese per i mesi di gravidanza durante i quali, e` verosimile, si sospende il lavoro e si ha la necessita` di affrontare dei costi (vitamine, spese mediche, abiti premaman, etc.). Molti individui coinvolti in missioni umanitarie ricevono dei soldi: questo fatto incrina forse la natura della missione? La presenza di soldi non esclude senza appello la possibilita` di una componente umanitaria. Definire una certa quantita` di soldi come rimborso spese oppure come un modo per arricchirsi dipende dalla valutazione del tempo che l’individuo dedica alla missione, dalle spese che egli verosimilmente deve affrontare, dai cambiamenti riguar-
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danti la propria esistenza (sebbene siano una conseguenza di una scelta volontaria). Quanto saremmo disposti a stanziare per un medico che decida di andare in un Paese povero per nove mesi? Quali sarebbero le differenze rilevanti tra un medico che decide di andare in un Paese straniero e una donna che decide di portare avanti una maternita` surrogata? * La presenza di soldi causa necessariamente terribili conseguenze. Non e` assolutamente sensato affermare che la presenza di soldi nella maternita` surrogata (ma in qualsiasi altra azione) sia foriero di una inevitabile disgrazia. Un simile ragionamento somiglia troppo a una minaccia irrazionale per essere credibile. Infatti la presenza di soldi non implica, ad esempio, un abbassamento dei controlli sanitari, o una carenza di assistenza medica e cosı` via. Il solo fatto che avvenga un pagamento non puo` ne´ condannare moralmente un’azione ne´ renderla meno sicura. * Il rischio di incidenti e` troppo alto, e` meglio essere prudenti (il principio di precauzione). Invocare la prudenza e` un argomento di cui si abusa nel campo delle biotecnologie, e che rivela tutta la sua fragilita` non appena si provi a invocarlo in altri domini. Nessuno suggerisce di non prendere gli aerei perche´ esiste un rischio, e allora e` meglio essere prudenti. Nessuno vieta di usare le automobili, ne´ di compiere azioni piu` o meno rischiose (sport estremi, terapie mediche, stili di vita dannosi per la salute). La differenza tra aerei e automobili e la maternita` surrogata non sta nella differenza di rischio: il rischio relativo alla maternita` surrogata viene in genere quantificato dagli incidenti (l’incidente per antonomasia e` Baby M) connessi con la maternita` surrogata stessa. Litigi, cambiamenti di opinione, mancato rispetto di un contratto tra le parti e cosı` via. Ebbene, la percentuale di questi incidenti e` minima, inferiore all’1% dei casi di maternita` surrogata. Percentuale di molto inferiore agli incidenti aerei e agli incidenti automobilistici. Francesco D’Agostino e` uno dei piu` convinti sostenitori del principio 2 di precauzione. Egli afferma : Il mio argomento fondamentale riguarda l’interesse del bambino che deve venire al mondo, e che e` il vero protagonista della vicenda... Non e` tanto per ragioni etiche, ma per ragioni psicologiche – ci sono moltissimi studi
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Porta a Porta, Ma la mamma chi `e?, 29 gennaio 2002.
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psicologici al riguardo – un bambino che nasce in una situazione di alterazione delle relazioni familiari e` un bambino a rischio. Esiste una salute mentale, accanto a una salute fisica. E la salute mentale ha la stessa dignita` della salute fisica; quando noi moltiplichiamo le figure genitoriali, quando noi diamo a un bambino una madre genetica, una madre uterina, eventualmente potrebbe anche avere anche una madre sociale diversa dalle prime due, poniamo questo bambino in una situazione di anomalia per quello che riguarda la sua crescita adolescenziale. Credo che questo e` gia` argomento ci dovrebbe invitare a una prudenza estrema...
La condanna (o la prudenza) di D’Agostino si estende anche al caso in cui la madre surrogata sia la nonna del nascituro, perche´ anche in questo caso ci sarebbe un rischio per la crescita del bambino. Non basta esibire il proprio desiderio. Bisogna capire che il proprio desiderio si riverbera e ricade su una personalita` fragile come quella di un bambino. E` lui che dobbiamo tutelare.
E` importante non dimenticare che quel bambino che nascerebbe, secondo D’Agostino, in una situazione di alterazione delle relazioni familiari, non potrebbe nascere che in questa situazione: la sua unica alternativa e` non esistere. Sarebbe forse preferibile la non esistenza rispetto ad una esistenza in una situazione familiare atipica? E poi, perche´ D’Agostino non cita qualcuno dei ‘moltissimi studi psicologici al riguardo’? Se c’e` un principio – egli prosegue – che domina tutta la bioetica contemporanea e` il principio della precauzione. Lo usiamo banalmente quando vogliamo immettere sul mercato dei farmaci [...] vogliamo essere garantiti contro rischi imprevedibili e nocivi (il corsivo e` mio).
‘Essere garantiti da rischi imprevedibili’ sembra essere una dichiarazione piuttosto ingenua; e` difficile pensare a un modo per difendersi da un rischio imprevedibile, perche´ e` la natura del rischio a suggerire le strategie difensive contro quello stesso rischio. ‘Essere garantiti da rischi nocivi’ appare una richiesta piu` ragionevole ma comunque ambigua, e il rimedio che viene indicato, il principio di precauzione, non e` sufficiente. La prudenza non e` una difesa sufficiente contro un rischio accertato (se possiamo intendere in questo senso l’aggettivo ‘nocivo’). E` necessario stabilire quali siano i criteri per stabilire l’entita` del rischio, e la valutazione deve avvenire non nell’angusto orizzonte disegnato soltanto dal rischio che si vuole analizzare. Isolare i rischi di un farmaco, ad esempio, senza considerare i rischi della malattia che si vuole
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curare e senza considerare i rischi dei precedenti farmaci implica una valutazione del rischio scorretta. Gli studi esistenti sui bambini nati da madri surrogate dichiarano che i test psicologici, attitudinali e fisici di questi bambini sono equivalenti a quelli dei bambini normali. Veniamo a Baby M. Secondo D’Agostino il destino di Baby M basta a sostenere la condanna per tutte le possibili maternita` surrogate. Ma D’Agostino non si prende la briga di spiegare i motivi per i quali la vita di Baby M sarebbe una vita disgraziata, lasciando che le ragioni restino implicite. Se dovessero essere espresse forse potrebbero chiamare in causa l’avere subito procedimenti giudiziari e l’essere stato sballottato da un contesto familiare all’altro. D’Agostino condanna una pratica (la maternita` surrogata) in base a conseguenze assolutamente non necessarie (i litigi e la contesa del bambino). Se e` vero (ed e` da appurare) che la vita di Baby M sia stata compromessa gravemente e che la sua salute mentale sia stata indebolita dai procedimenti giudiziari, cio` che si dovrebbe condannare sono precisamente i procedimenti giudiziari (evitabili). La condanna nei confronti del contenzioso giudiziario non puo` estendersi automaticamente alla maternita` surrogata, sebbene sia – in questo caso specifico – la causa del contenzioso. Non possiamo dimenticare che bambini piccoli come Baby M subiscono ‘tradizionali’ battaglie sull’affidamento in caso di ‘tradizionali’ separazioni; subiscono un brutale cambiamento del contesto familiare e spesso diventano il territorio di una feroce contesa. In questo caso, saremmo disposti a negare la legittimita` di una nascita in base al fatto che il nato potrebbe vivere una situazione del genere? Gli sforzi dei legislatori (e dei filosofi morali e degli psicologi dell’evoluzione) dovrebbero essere rivolti a evitare o attenuare le possibili e spiacevoli conseguenze di una pratica, sia essa la stipulazione di un contratto oppure la fecondazione assistita. Baby M – nella sua veste di rischio conseguente alla maternita` surrogata – non puo` costituire un valido motivo per rifiutare in blocco la maternita` surrogata. Lo stesso ragionamento porterebbe a condannare l’assunzione di un’aspirina perche´ in qualche caso ha provocato gravi danni alla salute, o a condannare i contratti di locazione perche´ qualche volta si verificano spiacevoli contese tra l’inquilino e il proprietario. Secondo D’Agostino l’interesse del bambino e` quello di nascere come tutti gli altri bambini, ovvero in una situazione ordinaria, nella situazione tipica in cui vi siano una madre e un padre certi e non in una rete paradossale di madri e padri che si moltiplicano, si dividono e possono arrivare a litigare. Tuttavia non e` chiaro quale sarebbe il modo in cui
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‘tutti i bambini nascono’: non esiste un modo tipico in cui i bambini nascono; e non esiste un modello unico e assoluto da imitare o, peggio, da imporre. D’Agostino sembra dimenticare che la situazione tipica cui fa riferimento e` uno dei possibili contesti familiari, accanto al quale ne esistono altri. Quali sarebbero i criteri per condannare tutti i modelli familiari che si differenziano da quello madre-padre-figli? Un altro dei pochi principi etici generalmente condivisi, secondo D’Agostino, e` che non si puo` mercificare il corpo umano (la dignita` umana scompare) – e di questo ho gia` parlato. * Non si puo` (e` moralmente sbagliato) avere un figlio a tutti i costi. Ricorrere alla maternita` surrogata significa ostinarsi nel volere qualcosa cui si dovrebbe rinunciare: in altre parole, se una donna non puo` portare a termine una gravidanza non dovrebbe cercare (a tutti i costi) di realizzare comunque il desiderio di avere un figlio. D’altra parte, e` verosimile che un figlio cosı` tanto desiderato da richiedere l’intervento di pratiche artificiali spesso lunghe e penose, potrebbe addirittura ricevere piu` amore di un figlio nato in una situazione normale. Purtroppo – sono ancora le parole di D’Agostino – esistono anche amori autentici ma nevrotici. E nevroticamente soffocanti; non basta semplicemente fare appello all’amore, bisogna che l’amore sia un amore normale. E certe volte c’e` da dubitare che questo amore sia tale.
Non e` chiaro, pero`, quali siano secondo D’Agostino i mezzi per classificare i diversi tipi d’amore: cosa distingue un amore nevrotico da un amore normale? Ammesso che sia possibile classificare gli amori nevrotici, e di conseguenza dannosi per i figli, sarebbe interessante conoscere la posizione di D’Agostino circa tutti quei figli di un amore nevrotico concepiti naturalmente: coerentemente, bisognerebbe impedire la nascita di questi bambini, ogni volta che un amore genitoriale venga riconosciuto come amore nevrotico.
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