Dentro l'officina di Giovanni Boccaccio. Studi sugli autori autografi in volgare e su Boccaccio santista 8821009289, 9788821009280


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Dentro l'officina di Giovanni Boccaccio. Studi sugli autori autografi in volgare e su Boccaccio santista
 8821009289, 9788821009280

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D E N TRO L ’OFFICIN A D I G I OVAN N I B OCCACCIO

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STUDI E TESTI 486

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO. STUDI SUGLI AUTOGRAFI IN VOLGARE E SU BOCCACCIO DANTISTA a cura di Sandro Bertelli e Davide Cappi

CITTÀ DEL VATICANO

B IBLIOTECA A POSTOLICA VATICANA 2014

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Pubblicazione curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Marco Buonocore (Segretario) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio Adalbert Roth Paolo Vian

Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va

Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2014 ISBN 978-88-210-0928-0

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SOMMARIO

Presentazione di Stefano Zamponi . . . . . . . . . . . . . . . .

VII

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IX

SANDRO BERTELLI, Codicologia d’autore. Il manoscritto in volgare secondo Giovanni Boccaccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1

MARCO CURSI, Cronologia e stratigrafia nelle sillogi dantesche di Giovanni Boccaccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

81

SANDRO BERTELLI - MARCO CURSI, “Homero poeta sovrano” . . . . . . .

131

FRANCESCA FALERI, Riflessioni sulla lingua di Giovanni Boccaccio (a partire dalle opere volgari in copia autografa) . . . . . . . .

137

ANGELO EUGENIO MECCA, Giovanni Boccaccio editore e commentatore di Dante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

163

LUCA CARLO ROSSI, Il Boccaccio di Benvenuto da Imola . . . . . . . .

187

DAVIDE CAPPI - MARCO GIOLA, La redazione non autografa del “Trattatello in laude di Dante”: tradizione manoscritta e rapporti con le altre redazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

245

CARLO PULSONI, Le straordinarie vicende di un postillato: Bembo, Dolce e un’edizione inedita del “Decameron” . . . . . . . . .

327

M ARCO B ERNARDI, Una lettura cinquecentesca del “Decameron”: testimonianza indiretta di un affine dell’autografo Hamiltoniano . .

349

Abbreviazioni bibliografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . .

409

Tavole

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

441

Indici

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

491

Indice dei manoscritti, degli stampati e dei documenti d’archivio . . .

493

Indice degli autori e delle opere . . . . . . . . . . . . . . . . .

497

Indice degli studiosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

505

Indice delle tavole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

509

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PRESENTAZIONE Il convegno Dentro l’officina di Giovanni Boccaccio. Studi sugli autografi in volgare e su Boccaccio dantista (Ferrara, Biblioteca Ariostea, 15-16 novembre 2012) insieme al convegno Boccaccio e i suoi lettori. Una lunga ricezione (Bologna-Ravenna, 7-9 novembre 2012) ha di fatto aperto le celebrazioni per il settimo centenario della nascita di Giovanni Boccaccio, che si sono svolte lungo tutto il 2013. Avvicinandosi questa ricorrenza e considerando le modeste risorse disponibili per le università statali e gli istituti di cultura, che ne imponevano un oculato e razionale utilizzo, l’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio aveva già promosso due seminari internazionali a Firenze, a Palazzo Strozzi, presso la sede dell’Istituto Italiano di Scienze Umane (23 giugno 2011: Boccaccio 2013: verso il settimo centenario; 5 ottobre 2012: Boccaccio 2013. Proposte per un centenario), con lo scopo di rendere pubbliche e coordinare le diverse iniziative che stavano delineandosi, soprattutto in Italia, ma anche in sede internazionale. Questi due incontri fiorentini hanno dato risultati apprezzabili, perché hanno favorito un’opportuna distinzione dei tempi e dei temi dei singoli convegni, che a loro volta hanno potuto fruire del coinvolgimento di studiosi che in quei temi si riconoscevano per formazione e interessi. Nel panorama delle diverse iniziative, il convegno di Ferrara, che si inserisce all’interno di un ampio progetto di ricerca sugli autografi in volgare, si è subito caratterizzato per la sua riconoscibilità tematica, perché è incentrato entro un ambito di indagini che negli ultimi decenni ha offerto significative novità, in una straordinaria fioritura di studi sulla cultura, la lingua e la biblioteca di Boccaccio, che ha preso spunto dai risultati della fondamentale mostra laurenziana del 1975, sesto centenario della morte. Sta ormai emergendo, con sempre maggiore chiarezza, Boccaccio che copia, postilla, illustra con disegni i suoi manoscritti (gli autografi delle sue opere e testi classici latini e volgari), grazie a un dispiegarsi di ricerche che si fondano sulla convinzione che anche gli aspetti esteriori del libro manoscritto (dimensioni, distribuzione del testo, decorazione) possono contribuire a precisare l’interpretazione di un testo (come Boccaccio leggeva un autore classico, come voleva che fosse letta una sua opera letteraria). Il convegno di Ferrara circoscrive con chiarezza l’ambito tematico dei diversi interventi e si distacca nettamente da altre iniziative, incentrate soprattutto sull’interpretazione e sulla ricezione dell’opera di Boccaccio. Nel nostro caso tutto ruota intorno agli autografi del Boccaccio volgare, e soprattutto intorno a Boccaccio lettore e interprete di Dante, dai tre manoscritti della Commedia alle redazioni del Trattatello in laude di Dante

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VIII

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

per finire col Decameron. Questa materia è affrontata attraverso percorsi di ricerca che si servono degli strumenti della paleografia, della codicologica, della filologia, della linguistica, in una costante valorizzazione della fonte manoscritta. Questo volume riveste anche un’importanza specifica sotto un altro riguardo, in un momento in cui, in tutta Europa, gli studi umanistici per primi subiscono le conseguenze negative di una prolungata crisi economica che mette a rischio la traditio studiorum verso i più giovani: la varietà e l’articolazione dei singoli contributi testimoniano la vitalità di ambiti di ricerca duri e severi, in cui si sta imponendo a pieno titolo una nuova generazione di studiosi. Nel panorama delle ricerche su Giovanni Boccaccio i saggi raccolti in questa sede fanno bene sperare nella solidità di una tradizione di studi che l’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio intende continuare a sostenere utilizzando tutte le risorse a sua disposizione.

STEFANO ZAMPONI

Presidente dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio

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INTRODUZIONE Il presente volume raccoglie una serie di contributi accomunati dallo studio ravvicinato di alcuni celebri codici scritti dalla mano di Giovanni Boccaccio: gli “autografi volgari”, sia “autoriali” che “editoriali”. Quello degli autografi di Boccaccio è un campo di ricerca, di evidente rilevanza, che è stato ed è sempre più coltivato da codicologi, filologi, paleografi, storici della lingua e dell’arte negli ultimi decenni: a misurare i progressi nella loro conoscenza (frutto anche di nuove acquisizioni) basta oggi confrontare la ben diversa ricchezza di dati e interpretazioni che offre il recentissimo catalogo della Mostra fiorentina del 2013 (pubblicato quando il presente volume era ormai già pronto per la stampa) rispetto al (peraltro già ottimo) catalogo della precedente Mostra “centenaria” del 1975. Nessuno dei trentatré autografi o postillati boccacciani attualmente noti – numero senza paragone tra i letterati italiani tardomedievali – è rimasto in questi anni privo di studi, spesso minuziosi e sistematici. Tra di essi, al centro dell’attenzione degli specialisti, ma anche più in generale degli italianisti, sono, oltre al celeberrimo autografo del Decameron, le copie della Commedia e del Canzoniere, per l’indubbia suggestione del contatto, tramite la mano di Giovanni Boccaccio, dei testi principali delle famose Tre Corone. L’idea di indagare specificamente e in modo (almeno nelle intenzioni) sinergico gli autografi volgari, e in particolare le copie dantesche del Certaldese, risale al 2008, quando gli scriventi ne discussero con Carlo Delcorno, condirettore degli Studi sul Boccaccio, ottenendone un incoraggiamento, in vista del non lontano centenario boccacciano. Il progetto si è poi precisato, facendo inevitabilmente i conti colle esigenze e le concomitanti incombenze dei singoli. Ad esso hanno aderito studiosi che, pur relativamente giovani, già erano boccaccisti provetti, e ricercatori di più recente specializzazione in tale ambito. Esso ha coinvolto colleghi (e amici) che hanno voluto unire le proprie forze per onorare il Centenario boccacciano del 2013, anche (come ovvio) mettendo in comune ricerche nate da tempo, e sviluppatesi secondo esigenze in parte diverse. L’idea iniziale si è così allargata allo studio di aspetti solo apparentemente laterali, illustranti casi di tradizione recenziore o di ricezione critica dell’opera di Boccaccio, in grado comunque di suggerire dati o ipotesi utili per una migliore conoscenza storica degli autografi. Ciò ha dato luogo a contributi di taglio ed estensione diverse: descrizioni paleografiche e codicologiche integrali e analitiche, riflessioni su alcuni aspetti linguistici, saggi preparatori di edizione critica, analisi di

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X

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

postillati e di estratti derivati da autografi, approfondimenti storico-critici di rapporti culturali tra intellettuali partecipi della fortuna critica dell’opera dell’autore. Elemento unificante tra tutti l’ineludibile rapporto con gli autografi volgari e danteschi. Cioè con il dato, la base codicologica, a partire dal quale sono scaturite le interpretazioni e le ipotesi che qui si sottopongono al giudizio dei lettori. Dopo l’annuncio e la prima ufficializzazione nei Seminari fiorentini dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio del 23 giugno 2011 e del 5 ottobre 2012, una tappa fondamentale per lo svolgimento e la realizzazione del progetto è stata la messa in cantiere di un convegno, tenutosi a Ferrara il 15 e 16 novembre 2012, al quale hanno partecipato numerosi studiosi specialisti nelle diverse discipline. Le due giornate di lavoro ferraresi, presiedute rispettivamente da Carlo Delcorno e da Teresa De Robertis, hanno rappresentato il viatico alla conclusione delle principali ricerche programmate.1 Il volume venutosi così a configurare si apre con una corposa sezione codicologico-paleografica (Bertelli, Cursi e Bertelli-Cursi), per poi passare, dopo un breve ma denso contributo linguistico (Faleri), a una sezione “dantesca” (Mecca, Rossi, Cappi-Giola), e finire con una sezione riservata a testimonianze recenziori sulla tradizione del Decameron (Pulsoni, Bernardi). *** Nel licenziare questo volume ci è gradito esprimere un ringraziamento alle direzioni e al personale delle Sale Manoscritti e Rari delle Biblioteche che hanno contribuito allo svolgimento delle ricerche e alla pubblicazione delle immagini dei codici da loro conservati, in particolare: la Biblioteca Ariostea di Ferrara; la Biblioteca Medicea Laurenziana, la Biblioteca Riccardiana e la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; l’Archivo y Biblioteca Capitulares di Toledo; la Staatsbibliothek zu Berlin; la Biblioteca Forteguerriana di Pistoia; e la Biblioteca Apostolica Vaticana. Un ringraziamento particolare va anche ai colleghi, amici e studiosi che hanno contribuito, a vario titolo, alla realizzazione del lavoro: Carlo Delcorno, Teresa De Robertis, Marco Petoletti, Paolo Trovato e soprattutto Stefano Zamponi, che in qualità di Presidente dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio ha concesso il patrocinio al progetto. Siamo infine Del convegno di Ferrara riferisce la cronaca pubblicata nel volume XLI degli Studi sul Boccaccio. Mancano qui due contributi: quello di Francesca Pasut e quello di Chiara Teodori e Sonia Tempestini, purtroppo non ancora perfezionati dalle rispettive autrici al momento fissato per la loro consegna all’editore. Ci auguriamo che possano presto apparire in altra sede. 1

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INTRODUZIONE

XI

grati al dott. Paolo Vian e al Vice Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, dott. Ambrogio M. Piazzoni, che hanno agevolato in ogni modo le nostre ricerche e accolto il volume nella collana di Studi e Testi. Ferrara-Padova, 28 novembre 2013

SANDRO BERTELLI E DAVIDE CAPPI

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SANDRO BERTELLI

CODICOLOGIA D’AUTORE. IL MANOSCRITTO IN VOLGARE SECONDO GIOVANNI BOCCACCIO Il mio intervento […] vuole essere una esemplificazione del rilievo che i fatti grafici, la struttura materiale del codice vanno acquistando nella storia della tradizione e nella ecdotica; un’apologia del « signum signi » che è la scrittura. Per questo aspetto della tradizione sembra avvenire qualcosa di non molto diverso da quando [sic, -to] accadde molti decenni orsono per i fatti linguistici, che dalla periferia passarono al centro della indagine filologica. Con l’espressione fatti grafici intendo ovviamente non soltanto il sistema dei segni e la loro sequenza (forme, legature, abbreviazioni, ecc.), le diverse tipologie grafiche, i fatti di stile, ma l’intero complesso fenomeno della realizzazione del testo; quindi anche i fatti grafematici, l’interpunzione, l’impaginazione, la struttura stessa del codice, ecc. CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio, p. 253.

Premessa La ricerca sui manoscritti autografi – ovviamente non soltanto del Boccaccio e in lingua volgare – ha avuto in questi ultimi anni un grado sempre maggiore di attrazione e d’interesse da parte degli studiosi, con risultati notevoli tanto per la storia della tradizione dei testi e per l’ecdotica, quanto per le discipline che si occupano precipuamente degli aspetti materiali dei codici.1 1 Basti pensare a BALDASSARRI et alii, Di mano propria, in cui filologi, storici della lingua, della letteratura e della scrittura hanno esaminato numerosi autografi di letterati italiani, da Petrarca e Boccaccio a Leonardo e Machiavelli, fino ad arrivare ad autori moderni come Leopardi, Manzoni, Gadda. Un volume vòlto a far conoscere e promuovere un progetto di ben altro respiro, quello appunto sugli Autografi dei letterati italiani, di cui è uscito il primo tomo a cura di MOTOLESE-PROCACCIOLI-RUSSO, Il Cinquecento, dove sono censiti oltre trenta autori (fra i quali Bembo, Vasari, Castiglione, Guarini, Machiavelli, Guicciardini), con ampio corredo fotografico. Il progetto prevede la pubblicazione di altri due volumi (anch’essi in più tomi), che saranno rispettivamente dedicati agli autori compresi nel periodo dalle Origini al Trecento (per cui si veda ora BRUNETTI-FIORILLA-PETOLETTI, Le Origini e il Trecento) e quindi a quelli del Quattrocento. Oppure si segnala anche il volume – primo anch’esso di una serie – di MURANO, Autographa, in cui si presentano numerosi esempi di scrittura di 48 tra giuristi, giudici e notai italiani (tra cui Accursio, Cino da Pistoia, Giovanni d’Andrea, Baldo

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Per le opere del Boccaccio, la fortunata ed imponente presenza degli autografi – intesi lato sensu, cioè di opere del Certaldese, ma anche come frutto della sua attività di copista, in particolare delle opere del suo maestro putativo, Dante Alighieri 2 – ha richiamato prepotentemente l’attenzione degli specialisti proprio sui fatti grafici. Con l’aiuto degli strumenti offerti dalle discipline che studiano il libro manoscritto, soprattutto la paleografia e la codicologia (ma non solo), sono emersi nuovi testimoni,3 aspetti inediti, magari di corredo alla costruzione formale del manufatto,4 così com’è stato possibile anche dirimere problematiche indubbiamente complesse per lo studio e la conoscenza della tradizione dei testi.5 degli Ubaldi, Bartolo da Sassoferrato) vissuti entro il periodo considerato. Altra categoria di strumenti è quella dei facsimili, che comunque attestano la fortuna del genere, soprattutto quando corredati di contributi specialistici di ampio respiro e di varia natura, come quello allestito per le celebrazioni dell’ultimo centenario petrarchesco, dedicato ai Rerum vulgarium fragmenta. Codice Vat. Lat. 3195, col commentario a cura di G. BELLONI, F. BRUGNOLO, H.W. STOREY e S. ZAMPONI. Al tema è stato dedicato anche il XVIIe Colloque international de Paléographie latine, tenutosi a Lubiana (7-10 settembre 2010), dal titolo Les autographes du Moyen Âge, i cui atti sono appena usciti a stampa per l’editore Brepols (cfr. Medieval Autograph Manuscripts). Sul libro d’autore, è d’obbligo il rimando a PETRUCCI, Minuta, autografo, libro d’autore, pp. 397-414. 2 I cui autografi – scomparsi e forse non più ritrovabili – continuano ancora oggi ad accendere la fantasia degli studiosi: sull’argomento è d’obbligo il rimando a SAVINO, Autografo virtuale della Commedia. Del Boccaccio, secondo le ultime stime (cfr. CURSI-FIORILLA, Boccaccio, p. 43), si conoscono ben 34 testimoni (alcuni dei quali, ora smembrati, provenienti però da un manoscritto originario), in cui è stata riconosciuta la mano del Certaldese: 17 sono stati da lui copiati integralmente o parzialmente; 11 recano suoi marginalia; ai quali si aggiunge anche una lettera privata. 3 Come l’Ambrosiano C 67 sup., contenente gli Epigrammata di Marziale e l’Entheticus in Policraticum di Giovanni di Salisbury, scoperto e studiato da PETOLETTI, Marziale autografo di Boccacccio, pp. 35-55, cui ha fatto seguito ID., Postille a Marziale, pp. 103-184; oppure il Riccardiano 2795 (studiato da DE ROBERTIS, Restauro, pp. 215-227), che assieme all’Harley 5383 (studiato da PANI, “Propriis manibus ipse transcripsit”, pp. 305-325) costituivano parte dell’autografo Riccardiano 627, nell’insieme contenente testi di Orosio, Paolo Diacono e Pasquale Romano. Ma corre obbligo ricordare anche le scoperte, un po’ meno recenti, di PUNZI, I libri del Boccaccio, pp. 193-203; e di PALMA, Un codice di Santo Spirito ritrovato, pp. 415-417. 4 Come la recentissima scoperta del ritratto di Omero, rinvenuto sul verso dell’ultimo foglio dell’autografo Toledano (per cui, si veda BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, pp. 287-295; e ora in questo volume alle pp. 131-136). Di grande interesse sono gli studi che Francesca Malagnini ha dedicato sia ad alcuni aspetti formali dell’autografo del Teseida (per cui si veda MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 3-102), sia all’autografo del Decameron (EAD., Sistema delle maiuscole, pp. 31-69; e si veda anche il recente saggio EAD., Ripetizione testuale, pp. 203-218). Altrettanto interessanti ed innovativi sono anche i contributi di Maurizio Fiorilla, dedicati soprattutto allo studio dei marginalia, per cui si veda FIORILLA-RAFTI, Marginalia figurati, pp. 199-213; e FIORILLA, Marginalia, con importanti implicazioni – e nuove attribuzioni – boccaccesche. 5 Come nel caso del codice Parigino Italiano 482 del Decameron, la cui autografia (proposta e più volte sostenuta da ROSSI, Cinquanta lezioni, p. 129; ID., Decameron 2000, pp. 82-124; e ID., Da Dante a Leonardo, p. 79) è stata persuasivamente negata da CURSI, Nuovo autografo, pp. 5-34.

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SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

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Se questa è stata la via più innovativa e sorprendente degli studi boccacceschi in questi ultimi anni, bisogna però anche osservare che un contributo che abbia una visione d’insieme, sinottica, espressamente dedicata allo studio degli autografi in volgare di Giovanni Boccaccio finora non è mai stato condotto.6 È questo, dunque, l’obiettivo del presente saggio: offrire al lettore una descrizione essenziale – ma completa per tutti gli elementi codicologici, grafici e di contenuto (col corredo di numerose tavole fotografiche) – dei testimoni in lingua volgare di mano del Boccaccio.7 Si tratta in tutto di 6 manoscritti (ma 5 unità, poiché i due Chigiani – come si vedrà in seguito – facevano originariamente parte di un unico corpus): 8 dal novero è stata esclusa la lettera – anch’essa in volgare – inviata il 20 maggio del 1366 dal Boccaccio a Leonardo Del Chiaro, conservata presso l’Archivio di Stato di Perugia, di cui il “Progetto sugli autografi” non si occupa.9 Alla descrizione dei codici (tutti ispezionati direttamente sugli originali), che procederà in ordine alfabetico, dei Paesi in cui i manoscritti sono conservati (e al loro interno delle biblioteche), seguiranno 6 Neppure il catalogo della Mostra del Boccaccio riuscì a raccogliere le descrizioni di tutti gli autografi (latini e volgari): allora si conoscevano 29 autografi, integrali o parziali; dall’impresa restarono esclusi gli « inamovibili Chigiani L V 176 e L VI 213 della Biblioteca Vaticana ». Sull’importanza della Mostra fiorentina del 1975, sarà sufficiente il rimando a PASTORE STOCCHI, Su alcuni autografi, pp. 123-143, che si sofferma anche sulle edizioni facsimilari di Domenico De Robertis (Chig. L.V.176), del 1974, e di Vittore Branca (Hamiltoniano 90), del 1975, con acute osservazioni su entrambi i codici autografi. Il difetto di quella mostra è ora colmato dal recentissimo catalogo della mostra Boccaccio autore e copista, allestita per il VII centenario della nascita del poeta, dove le schede di descrizione degli autografi in volgare, corredate di commento e di immagini, ma impostate ovviamente secondo un protocollo funzionale alla mostra stessa, si trovano alle pp. 270-272 nr. 51 (Città del Vaticano, BAV, Chig. L.V.176 + L.VI.213, a cura di S. Bertelli); 137-138 nr. 22 (Berlin, Staatsbibl., Hamilton 90, a cura di M. Cursi); 94-95 nr. 9 (Firenze, BML, Acq. e Doni 325, a cura di W.E. Coleman); 268-270 nr. 50 (Firenze, BR, 1035, a cura di S. Bertelli); 266-268 nr. 49 (Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, a cura di S. Bertelli). 7 Obiettivo che risponde logicamente anche alle esigenze dell’intero volume, come anticipato nell’Introduzione. 8 Come già il Vandelli aveva felicemente intuito (cfr. VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, p. 151; ma si veda anche ID., Boccaccio. Rubriche dantesche, pp. 9-10), senza però fornire alcuna prova, salvo osservare l’identità dell’altezza dello specchio di scrittura e delle dimensioni dei due codici (con una qualche differenza in più di circa un centimetro nel Chig. L.VI.213 attribuibile alla meno drastica rifilatura). Com’è noto, la dimostrazione – fondata su prove materiali e convincente – dell’unitarietà dei due manoscritti è stata fatta da Domenico De Robertis nel 1974, nell’introduzione al facsimile dedicato proprio al Chig. L.V.176 (cfr. DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 17-30). 9 Alla segnatura: ASPe, Carte Del Chiaro. Lettera in volgare (l’unica) che Boccaccio spedì da Certaldo il 20 maggio 1366 a Leonardo Del Chiaro, cambiatore in Avignone, dove arrivò in data 18 giugno 1366. « Al sollecito di un privilegio, promessogli dal segretario pontificio Francesco Bruni, unisce saluti, commissioni, e la notizia della cattura del capitano di ventura Anichino Baumgarden da parte di Blasco Fernandez duca di Spoleto e nipote del cardinale Albornoz », cfr. Mostra del Boccaccio, p. 164 nr. 142. D’obbligo il rimando ad ABBONDANZA, Lettera autografa, pp. 5-13; e ad AUZZAS, Codici autografi, p. 18; e ora anche a CURSI-FIORILLA, Boccaccio, p. 53 nr. 22 (con ripr. e altra bibliografia).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

alcune osservazioni e/o approfondimenti su singoli aspetti che caratterizzano i testimoni studiati. I. Descrizione degli autografi10

Città del Vaticano 1 Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigiani L.V.176 + L.VI.213 [Firenze], sec. XIV settimo decennio Manoscritto unico, ora separato in due volumi: I. Chigiano L.V.176 [Tavv. 1-6] 1. GIOVANNI BOCCACCIO, Vita di Dante (ff. 1r-13r), nel testo A (Ricci) della seconda redazione. Inc.: (rubrica) « Comincia della origine, vita, costumi (e) studij del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firençe (e) dell’opere composte da llui »; (testo) « Solone, il cui pecto uno humano tempio di divina sapiença fu reputato (e) le cui sacratissime leggi sono ancora testimoniança dell’antica iustitia (e) della sua gravità, era secondo che dicono alcuni usato talvolta di dire ogni republica, sì come noi andare (e) stare sopra due piedi ». 2. DANTE ALIGHIERI, Vita nuova (ff. 13r-28v), con le divisioni a margine. Inc.: (rubrica) « Qui finiscie della origine, vita (e) studij (e) costumi di Dante Alighieri poeta chiarissimo (e) dell’opere composte da lui. Et comincia la sua vita nuova. Nella quale esso in sonetti, ballate (e) cançoni distese discrive come di Beatrice s’innamorasse (e) del suo amore gli accidenti mentre ella visse. Et appresso quanta (e) quale fosse la sua amaritudine dopo la partita di Beatrice della presente vita »; (testo) « In quella parte del libro della mia memoria ». 10 La struttura della scheda è basata sul modello applicato al censimento e studio dei più antichi codici in volgare italiano, per cui si veda l’ultimo volume pubblicato a cura di BERTELLI, Mss. Origini. BML, pp. 31-33. Si è comunque tenuto presente anche le regole utilizzate per la catalogazione dei manoscritti datati d’Italia (cfr. Norme per i collaboratori dei Manoscritti datati d’Italia, consultabili anche on line, www.manoscrittidatati.it/mdi/norme.htm).

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SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

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3. GUIDO CAVALCANTI, Canzone: Donna me prega (ff. 29r-32v). Inc.: (rubrica) « Chomincia la cançone di Guido di messer Cavalcante de’ Cavalcanti di Firençe »; (testo) « Donna mi priega che io deggia dire ». 4. DINO DEL GARBO, Commento a Donna me prega (ff. 29rA-32vB). Inc.: « Incipit scriptum super cantilena Guidonis de Cavalcantibus a magistro Dino del Garbo egregio medicine doctori editum »; (testo) « Ista cantilena, que tractat de amoris passione, dividitur in tres partes ». 5. GIOVANNI BOCCACCIO, Carme: Ytalie iam certus honos (f. 34r). Inc.: (rubrica) « Illustri viro Francisco Petrarce laureato »; (testo) « Ytalie iam certus honos cui tempora lauro ». 6. DANTE ALIGHIERI, Rime: quindici canzoni (ff. 34v-43r). Inc.: (rubrica) « Qui cominciano le cançoni del chiaro poeta Dante Alighieri di Firençe »; (testo) « Così nel mio parlar voglio essere aspro ». 7. FRANCESCO PETRARCA, Rerum vulgarium fragmenta (ff. 43v-79r), secondo l’ordinamento del 1359-1362. Inc.: (rubrica) « Viri illustris atque poete celeberrimi Francisci Petrarce de Florentia Rome nuper laureati fragmentorum liber incipit feliciter »; (testo) « Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono ». Membr.; ff. VI, 79, II’ (I-II cart. mod. di formato ridotto, numerati a-b; III-IV membr. mod. numerati c-d; V cart. mod. numerato e; VI membr. ant. numerato I; I’-II’ membr. mod. numerati 80-81; bianchi i ff. 33r-v, 72v e 79v); tracce di antica numerazione in cifre arabiche, sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli (erasa e rifilata: suggerisce un ordinamento dei fogli diverso da quello attuale); numerazione moderna (sec. XVI con inchiostro marrone chiaro) in cifre arabiche, sul verso, nell’angolo superiore esterno dei fogli (anch’essa suggerisce un ordinamento dei fogli diverso da quello attuale e collima con la precedente numerazione, ovviamente dove questa è visibile); numerazione moderna in cifre arabiche (anch’essa del sec. XVI, ma più tarda della precedente, con inchiostro nero), sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli, da 1 a 79 (non numera un foglio dopo f. 48, poi numerato da mano più recente 49; numera 79 f. I’);11 fasc.: 1-38, 44, 55, 65, 7-118, 121;12 richiami (delimitati da due puntini); mm 267 × 184 = 17 [178] 72 × 38 [93] 53 (f. 13r);13 rr. 43/ll. 42; rigatura a secco. Questa mano più recente corregge la numerazione moderna a partire da f. 49 (numerato 50) fino alla fine del codice, ossia fino al f. 79 (numerato 80, in realtà f. I’). 12 Al fasc. 5 (ff. 29-33) asportati tre fogli (molto probabilmente bianchi): il quinto foglio del fascicolo (f. 33) è stato applicato al primo (f. 29) e presenta uno schema di rigatura sul verso (59 righe tracciate a secco: le prime due più distanziate dalle altre). Al fasc. 6 (ff. 34-38) probabilmente asportato – senza lacuna di testo – il quinto foglio. Il fasc. 12 è ora costituito da un foglio originario (f. 79) e f. I’, che vi è stato applicato mediante brachetta. 13 Diversa la mise en page dei ff. 29-32, che presentano il testo della canzone di Cavalcanti al centro del foglio (con numero variabile di versi) con la chiosa garbiana distribuita tutto 11

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Scrittura di mano di Giovanni Boccaccio (attr.): littera textualis; glosse, integrazioni e correzioni di mano del Boccaccio; sporadiche varianti di due mani recenziori (sec. XV); rare note di altra mano recenziore (forse già sec. XVI) più incerta (scrive con inchiostro scuro); frequenti postille (in greco, in latino e in volgare) di mano di Iacopo Corbinelli (1535-1590 ca.), eseguite in tempi diversi (quindi con variazioni di scrittura e d’inchiostro); sporadiche note a matita di mano di Fabio Chigi (poi papa Alessandro VII, 1599-1667); segni di nota. Iniziali medie (4/5 linee di scrittura) bipartite rosse e azzurre filigranate ai ff. 13r, 29r, 34v e 43v; iniziali piccole (2 linee) rosse e azzurre alternate e filigranate; iniziali piccole (1 linea) rosse e azzurre alternate; rubriche; segni di paragrafo rossi e azzurri alternati; letterine maiuscole toccate di giallo; al f. 1r, aggiunta di mano del tardo sec. XV, una iniziale riquadrata in oro su sfondo rosso e azzurro con fregio (a motivi vegetali con lunette dorate); al centro del margine inferiore, sorretto da due putti alati, lo stemma di un antico possessore (non identificato).14 Legatura di restauro (laboratorio BAV, marzo 2001: cartellino controguardia posteriore) in assi ricoperta di pergamena, con recupero di parti della legatura moderna (applicate sopra: si tratta della tipica legatura Chigiana in cuoio verde con fregi in oro e l’emblema della famiglia Chigi). Storia del codice: sulla controguardia anteriore, al centro della parte superiore: « 1279 » (probabile vestigia di un’antica segnatura; ripetuta a matita al f. ar); nell’angolo superiore sinistro, cartellino dell’attuale collocazione. Al f. cr, al centro, probabilmente della stessa mano moderna, altra indicazione numerica: « 317 » (forse anch’essa vestigia di una precedente segnatura Chigiana). Al f. er, di mano moderna (a matita), si legge: « Lassato per legato a papa Alessandro VII dal conte Federigo Ubaldino, che l’acquistò da Parigi, ove l’haveva portato seco Iacobo Corbinelli fiorentino, autore delle postille moderne, e come fuoruscito era andato in Francia a ricoverarsi dalla regina Caterina de’ Medici ».15 Non più visibile l’indicazione della sala (era la « D ») dove il ms. era conservato all’interno della biblioteca Chigiana. Nel 1922, insieme all’intera collezione Chigiana, il manoscritto fu donato dallo Stato italiano alla Biblioteca Apostolica Vaticana. intorno, divisa su due colonne (al f. 29r: rr. 64/ll. 63; al f. 30 si passa a rr. 62/ll. 61; e ai ff. 31-32 si mantiene costante il rapporto rr. 61/ll. 60, con rigatura sempre a secco). Questa differenza d’impaginazione, che coinvolge anche la parte petrarchesca, ha giustamente fatto pensare in passato (dal Cesareo, al Barbi, al Ricci) a tempi successivi di trascrizione: quello della Vita e dei testi danteschi, Vita nuova e canzoni (ff. 1r-28v + 34v-43r; ma per Barbi solo Vita e Vita nuova, ff. 1r-28v), quello dei Rerum vulgarium fragmenta (ff. 43v-79r, a cui Barbi univa le canzoni di Dante) e infine quello della canzone di Cavalcanti (ff. 29r-32v). 14 Lo stemma è a forma di scudo su sfondo d’oro, presenta al centro un leone rampante rosso e nella parte inferiore tre fasce orizzontali sempre di color rosso. 15 Federico Ubaldini (1610-1657) fu segretario del cardinale Francesco Barberini (15971679), entrò poi al servizio della famiglia Chigi. Erudito e bibliofilo, raccolse una cospicua biblioteca: gran parte dei “codici Ubaldini” si conservano nel Fondo Chigi della Vaticana.

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II. Chigiano L.VI.213 [Tavv. 7-10] 1. GIOVANNI BOCCACCIO, Brieve raccoglimento: Inferno (ff. IVr-VIv), Purgatorio (pp. 117-122), Paradiso (pp. 238-242).16 Inc.: (rubrica) « Brieve raccoglimento di ciò che in sé superficialmente contiene la lettera della prima parte della cantica, overo Comedia di Dante Alighieri di Firençe chiamata Inferno »; (testo) « Nel meço del cammin di nostra vita / smarrito in una valle, l’auctore / (e) la sua via da tre bestie impedita ». 2. DANTE ALIGHIERI, Commedia: Inferno (pp. 1-116), Purgatorio (pp. 123238), Paradiso (pp. 243-359). Inc.: (rubrica; f. VIv) « Comincia la prima parte della cantica overo Comedia chiamata Inferno del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firençe, (e) di quella prima parte il canto primo. Nel quale l’auctore monstra sé smarrito in una valle (e) impedito da tre bestie, (e) come Virgilio apparitogli sé gli offerse per duca ad trarlo da quel luogo mostrandogli per qual via »; (Inf. I 1; p. 1) « Nel meço del cammin di nostra vita ». Membr.; ff. III, 183, III’ (I-II e II’-III’ membr. mod.; III e I’ membr. ant.);17 paginazione di mano moderna (sec. XVI), verso l’angolo superiore esterno dei fogli, da 1 a 359 (la numerazione inizia appunto dal 4° foglio della compagine, dove cioè ha principio la rubrica introduttiva alla Commedia, e ripete 183; p. 359 numerata poi da altra mano moderna per 360); fasc.: 14, 2-238, 243;18 richiami (delimitati da due puntini); mm 278 × 186 = 29 [181] 68 × 36/5 [88] 57 (p. 11); rr. 43/ll. 42 (14 terzine); rigatura a secco (con tracce di colore). Scrittura di mano di Giovanni Boccaccio (attr.): littera textualis; sporadiche correzioni e varianti di mano del Boccaccio; interventi sul testo (glosse, varianti, sottolineature, indicazioni numeriche, etc.), in greco, latino e volgare, di per lo meno cinque mani moderne (dal sec. XVI al sec. XIX); segni di nota. Iniziali di cantica grandi bipartite 16 I fogli computati in numeri romani da IV a VI non sono fogli di guardia; sono stati così numerati (cioè in prosecuzione dei fogli di guardia anteriori) da una mano moderna, diversa da quella che poi, a partire da f. 4, esegue la paginazione. 17 Al f. I è stata applicata una cedolina cartacea (non numerata) di dimensioni ridotte (mm 200 × 130) con scritto (sec. XVII-XVIII): « [precede la scrittura, al centro del margine superiore, un piccolo segno di croce, e sotto:] NB. Le postille assai buone, e di / buon carattere e in greco, come / latino sono di mano di Iacomo / Corbinelli fiorentino, che fuo/riuscito della Patria visse / in Parigi accolto dalla Re/gina Caterina de’ Medici. / 1559 ». Il f. I’, numerato da mano moderna come p. 361 (la stessa mano che, poco sotto alla numerazione, indica la consistenza del codice: « fogli 187 »). 18 Da notare la presenza, sul margine inferiore sinistro di f. IVr, di un piccolo « 2 », in una posizione solitamente destinata alla numerazione dei fascicoli, ma che non trova altra corrispondenza o conferma lungo tutto il codice. Questa indicazione sembrerebbe di mano più antica rispetto a quella che ha eseguito la paginazione del codice (diversa rispetto anche a quella che ha numerato in numeri romani i primi tre fogli).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

rosse e azzurre filigranate alle pp. 1, 123 e 243; iniziali degli argomenti medie bipartite rosse e azzurre filigranate al f. IVr e alle pp. 117 e 238; iniziali di canto piccole rosse e azzurre filigranate; rubriche alla Commedia in volgare (2-9 linee di scrittura, di mano di Boccaccio); tocchi di giallo alle maiuscole; titolo corrente (di mano moderna). Legatura moderna in cartoni ricoperta di cuoio verde, con impressioni dorate (tipica legatura Chigiana con gli emblemi di famiglia): piatto anteriore e dorso staccati. Stato di conservazione: macchie di umidità e tracce di usura; sporadiche cadute di inchiostro, rasure, fori e cuciture ab antiquo. Storia del codice: a pag. 359, di mano del Boccaccio, il colophon (in rosso): « Qui finiscie la terça (e) ultima parte della cantica, overo Co/media di Dante Alighieri chiamata Paradiso », e sotto (in esametri): « Finis adest longi Dantis cum laude laboris / Gloria sit summo regi matrique precamur / Quos oro celsas prestent conscendere sedes / Dum supprema dies veniet morientibus egris ».19 Al f. IIIr (carta di guardia), nota di possesso di mano del sec. XVI: « Est Iacobi Raffaelli Corbinelli » (poi depennata). A pag. 359, sotto al colophon, di mano di Iacopo Corbinelli: « Queste variazioni trassi dal Dante di M. Bartolommeo Barbadori da lui come qui poste in margine, et raccolte dal manuscritto libro antichissimo di M. Piero Vettori. Luglio 1559 ». Appartenne poi alla famiglia Chigi; nel 1922, insieme all’intera collezione Chigiana, il manoscritto fu donato dallo Stato italiano alla Biblioteca Vaticana. Sulla controguardia anteriore, oltre al cartellino dell’attuale collocazione, al centro, l’indicazione di mano moderna di una precedente segnatura Chigiana: « [N°] 369 »; al centro della parte superiore (a fianco del cartellino), un’altra indicazione numerica (forse anch’essa vestigia di una precedente segnatura): « 2283 ». Sul piatto anteriore, al centro del margine superiore (poco sotto la filettatura dorata), l’indicazione di una lettera (inchiostro evanito): « E » (in riferimento alla sala dove il ms. era conservato all’interno della biblioteca Chigiana). Numerosi timbri di appartenenza alla collezione Chigi: ff. Ir (cedolina cartacea e foglio di guardia), IIIr (ancora carta di guardia), IVr (due timbri diversi); e alle pp. 19, 31, 359 e 361 (ossia f. I’v). Bibl. (essenziale): BARONCI, Inventario dei manoscritti Chigi, pp. 255-256, 267; BATINES, Bibliografia dantesca, II, pp. 204-205 nr. 380, 342 nr. 581, 365 nr. 618; HECKER, Boccaccio-Funde, p. 17; VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, pp. 151, 156; BARBI, Dante. Vita nuova2, pp. XXII-XXV nr. 2, CXLI-CXLIX, CXCV; BILLANOVICH, Prime ricerche, p. 75; BRANCA, Tradizione I, pp. 22, 75, 83; RICCI, Svolgimento della grafia,

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La stessa formula finale si legge nel Riccardiano 1035 (scheda nr. 4).

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pp. 49, 59, 61; QUAGLIO, Prima fortuna, pp. 341-345, 351-354; PETROCCHI, Dante. Commedia, I, pp. 18 e sgg., 486 (= Chig); MAZZA, Inventario, p. 73; IANNI, Elenco, pp. 100-102; AUZZAS, Codici autografi, pp. 3-5; DE LA MARE, Handwriting, pp. 22, 2829; RICCI, Boccaccio. Trattatello2, pp. 435, 849-851, 854-856; DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 11 e sgg. (facs. L.V.176); Mostra del Boccaccio, pp. 29, 86-88; CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio, p. 259; RODDEWIG, Commedia-Handschriften, pp. 287-288 nr. 668; RICCI, Studi sulla vita e sulle opere, pp. 72-76, 82-83; PULSONI, Il Dante di Petrarca, pp. 163 e sgg.; SANGUINETI, Dante. Comedia, p. XVIII (= Chig); DE ROBERTIS, Dante. Rime, I/2, pp. 745-747; BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 113 nr. 36; MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 60 e n. 81, 61-87; BERTELLI, Commedia all’antica, pp. 44 e n. 28, 45, 49; FEOLA, Varianti marginali, pp. 121-134; ROMANINI, Altri testimoni, p. 69; BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, pp. 123 n. 2, 128 (cit. err. Chig. L.V.173), 135, 137; BERTELLI, Tradizione della Commedia, pp. 3 e n. 6, 28; REA, Questioni di ecdotica, pp. 241-262; BRUNETTI, Franceschi e provenzali, pp. 2728, 31 n. 27; BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, p. 288; DI BERARDINO, Trattatello, pp. 31 e sgg.; MECCA, Canone editoriale, pp. 119, 126-177; CURSI-FIORILLA, Boccaccio, pp. 43-44, 48-49 nr. 2 (Chig. L.V.176), 49 nr. 3 (Chig. L.VI.213), 65-68, e figg.

Germania 2 Berlin, Staatsbibliothek – Preußischer Kulturbesitz, Hamilton 90 [Tavv. 11-16] [Firenze], sec. XIV inizi ottavo decennio GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron (ff. 1rA-110vB), lacunoso.20 Inc.: (rubrica) « Comincia il libro chiamato Decameron, cogniominato principe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne 20 La lacuna riguarda certamente anche il foglio incipitario, che appare integrato agli inizi del sec. XV da una mano imitativa della scrittura del Boccaccio, come dimostra anche l’utilizzo di una pergamena più sottile rispetto a quella impiegata nel resto del codice. Essa dovrebbe aver coinvolto anche la Tavola del contenuto del codice, dove erano riportate le rubriche delle novelle, ciascuna delle quali doveva essere accompagnata da una duplice numerazione in cifre arabiche: una relativa alla giornata; l’altra relativa al numero d’ordine delle singole novelle all’interno delle stesse giornate. L’esistenza di tale duplice numerazione è dimostrata dalla presenza di doppie cifre arabiche, disposte nei margini interni dei fogli (in quelli esterni sono state evidentemente rifilate), in corrispondenza degli inizi delle novelle. Per un elenco di queste cifre, si veda PETRUCCI, Ms. Berlinese. Note codicologiche e paleografiche, p. 659 n. 2 (si integri la presenza di un’altra coppia di numeri, al f. 10r, dove si legge: « 1 » e sotto « 6 ». Inoltre si corregga l’indicazione dei numeri presenti al f. 14r, che sono « 2 » e « 2 », non 2 e 1).

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e da tre giovani huomini. Proemio »; « [H]umana cosa è l’avere compassione degli afflitti »; (rubrica; f. 1vA) « Comincia la prima giornata del Decameron [De- aggiunto in interlinea da altra mano], nella quale dopo la dimostraçion fatta dall’autore perché cagione advenisse di doversi quelle persone che appresso si mostrano ragunare a ragionare insieme sotto i [ritoccato dalla stessa mano moderna nella parte superiore del tratto per l] reggimento di Pampinea si ragiona di quello che più agrada a ciaschuno »; (testo) « [Q]uatunque [sic] volte graçiosissime donne meco pensando riguardo quanto voi naturalmente tutte piatose siate tante conosco che lla presente opera al vostro giudicio avrà grave e noioso prencipio »; expl. (f. 110vB) « forse alcuna cosa giova l’averle lecte » e dopo una riga lasciata in bianco, il colophon (con inchiostro rosso) « Qui finiscie la decima (e) ultima giornata del libro chiamato Decameron, cognominato prencipe Galeotto ». Membr.; ff. I, 112, I’ (I e I’ membr. mod.; bianco f. 112r); tracce di numerazione antica in cifre arabiche, sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli (caduta per rifilatura); numerazione moderna in cifre arabiche, anch’essa nell’angolo superiore destro dei fogli, da 1 a 111 (non numerato un foglio dopo f. 20, poi numerato a matita « 20a »); fasc.: 1-148;21 richiami figurati (colorati ad acquerello), che rappresentano alcuni protagonisti delle novelle; mm 372 × 270 = 27 [268] 77 × 35 [82 (20) 81] 52; rr. 54/ll. 53 (variabili); rigatura a secco.22 Scrittura di mano di Giovanni Boccaccio (attr.): littera textualis; sporadiche integrazioni e correzioni di mano del Boccaccio; sporadici interventi di numerose mani posteriori (sec. XIV e seguenti);23 al f. 112v, di mano del tardo XIV secolo, il « Sonnetus PereCaduti tre fascicoli: il primo in apertura del manoscritto (forse due soli fogli), che doveva presumibilmente contenere la Tavola delle rubriche e l’intestazione dell’opera; il secondo è caduto dopo l’attuale fasc. 10, tra f. 79 e f. 80, che conteneva quasi tutta la settima giornata (da VII 1,16 « pare che l’uscio » a VII 9,32 « ciascuno altro se »); il terzo era posizionato dopo l’attuale fasc. 13, tra f. 103 e f. 104, che conteneva la fine della giornata IX e quasi tutta la X (da IX 10,12 « tu di’ » a X 8,50 « i fatti suoi a Roma »). 22 La misura dei fogli varia leggermente; è compresa fra i 372-370 mm per l’altezza e i 270-263 mm per la larghezza. Anche il numero delle righe è variabile: oscilla fra 52 (ai ff. 19vB, 28rA, 38rB e 55rA) e 65 (al f. 105vB) unità (elenco completo in BRANCA, Tradizione II, p. 216 n. 7). 23 Dodici secondo CURSI, Decameron, p. 163: « mano Į, in cancelleresca del tardo Trecento: cc. 22rA, 26vA, 36rA, 48rA, 52vB; mano ȕ, in cancelleresca del tardo Trecento: c. 11vA; mano Ȗ, in mercantesca del tardo Trecento: c. 64vB; mano į, in cancelleresca con influenze della mercantesca del tardo Trecento: cc. 30rB, 64vB; mano İ, in mercantesca quattrocentesca: 99vB (due note, la seconda delle quali appena visibile con la lampada di Wood); mano ȗ, in cancelleresca con influenze della mercantesca quattrocentesca: c. 31vA (visibile alla lampada di Wood); mano Ș, in italica cinquecentesca: cc. 1rB (due note: “et se” e al di sotto “esse”), 1vA (“sentiero”); mano ș, in italica cinquecentesca posata: cc. 1vA (“allegrezza”), 2vB (“li quali”); mano Ț, in italica cinquecentesca corsiva: cc. 1rA, 5vA (“Ciappelletto”, leggibile 21

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grini de Zambecariis »: « Qual Phidia nel scudo de Minerva »;24 maniculae ai ff. 65v e 88r; rari segni di nota. Iniziali di giornata grandi (4-6 linee di scrittura) azzurre filigranate; iniziali dei vari capitoli medie (2-3 linee di scrittura) rosse e azzurre alternate e filigranate; iniziali di altre parti minori interne ai capitoli piccole (1-2 linee) rosse e azzurre alternate; rubriche; maiuscole toccate di giallo; spazio riservato per una miniatura al f. 1rA (17 linee di scrittura); spazio riservato per l’iniziale della prima giornata (6 linee di scrittura). Legatura di restauro (laboratorio della Staatsbibliothek di Berlino: ottobre-dicembre 1962) in assi ricoperte di cuoio; sul dorso, il cartellino (rosso) dell’attuale collocazione e l’indicazione impressa del contenuto; due fermagli ne assicurano la chiusura (il ms. è conservato all’interno di un apposito contenitore rigido). Stato di conservazione: pergamena di mediocre qualità, che si presenta piena di rattoppi, ingiallita e poco trattata. Sporadiche macchie di umidità. Molto spesso l’inchiostro è caduto o fortemente rovinato (in specie sul recto dei fogli), di quando in quando ravvivato da diverse mani (anche antiche). Storia del codice: si ignora la storia del manoscritto più alta. Sappiamo soltanto che il codice non passò con la biblioteca del Boccaccio al convento fiorentino di Santo Spirito. È possibile che sia passato per le mani del bolognese Pellegrino Zambeccari (ca. 1350-1400), qualora venisse accertata l’autografia del sonetto trascritto al f. 112v. Sembra che il manoscritto fosse in possesso di Giuliano de’ Medici, come indicato dall’erudito proprietario settecentesco Apostolo Zeno (« Fu un tempo di Giuliano de’ Medici, come si cava da altro nostro manoscritto in cui è notato che in fine d’un Codice del Boccaccio posseduto da Giuliano de’ Medici v’era il sonetto riferito del Zambeccari »).25 Comunque sia, nel sec. XVIII il codice è solo alla lampada di Wood), 34rA; mano ț, del tardo Cinquecento: c. 82rA; mano di Pietro Bembo: cc. 33rB; mano di Angelo Colocci: cc. 72vA, 78vB ». L’elenco completo degli interventi sul testo si legge in BRANCA, Tradizione II, pp. 229-235. 24 Pellegrino Zambeccari (ca. 1350-1400), noto letterato e notaio, fu cancelliere del cardinale Filippo Carafa e, alla sua morte (1389) del Comune di Bologna. È probabile che la trascrizione di questo sonetto (per cui, cfr. FRATI, Rimatori bolognesi, p. 65) si debba allo stesso autore, come « si può dedurre dal confronto con altri autografi e dall’assenza di ogni titolo o qualifica che, data la fama e l’autorità di Pellegrino, difficilmente un trascrittore avrebbe omesso » (cfr. BRANCA, Tradizione II, p. 227). 25 Il passo è riportato in ID., Tradizione II, p. 237, dove si suppone che il probabile possessore fosse Giuliano de’ Medici duca di Nemours (1479-1516), discepolo del Poliziano, raccoglitore di codici e di libri (sull’attività letteraria di Giuliano de’ Medici, cfr. CIAN, Musa medicea; e FATINI, Giuliano de’ Medici. Poesie, pp. XXII e sgg.). Ipotesi accolta da DE LA MARE, Handwriting, p. 25; e in Mostra del Boccaccio, p. 48 (scheda di E. Casamassima). L’« altro nostro manoscritto » di cui parla Zeno è l’attuale Marciano italiano IX.203 (6757, già Zeno 298), anch’esso un tempo contenente, al f. 31 (foglio inizialmente ritenuto disperso, ma sem-

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sicuramente a Venezia, appunto fra i libri di Apostolo Zeno (1668-1750).26 Dopo la morte dello Zeno, per lascito, il manoscritto passò ai padri domenicani delle Zattere di Venezia, insieme alla libreria zeniana.27 Nel giro di qualche decennio, forse tra la fine del ’700 e i primi anni dell’800, magari sotto la minaccia delle continue soppressioni napoleoniche, la biblioteca dei padri domenicani subì numerosi trafugamenti, fra cui anche quello del nostro codice. Infatti, non figura nell’elenco dei manoscritti depositati, fra il 1821 e il 1823, alla Marciana.28 Dunque, è molto probabile che il codice, tra la fine del XVIII e gli inizi del sec. XIX, sia stato acquistato insieme ad altri manoscritti zeniani dal marchese Alexander Douglas (1767-1852), decimo duca di Hamilton.29 Nel 1882, fu quindi inserito, inplicemente spostato dal restauratore, cfr. QUAGLIO, Boccaccio e il Veneto, pp. 93-118), il sonetto dello Zambeccari: sullo stesso foglio si trova infatti la nota che testimonia il possesso del codice da parte di Giuliano de’ Medici (per ulteriori notizie, cfr. BRANCA, Tradizione II, pp. 237-239, 262). 26 È citato nell’Indice dei codici manoscritti posseduti da Apostolo Zeno (ms. Marciano italiano XI.285, o 7165, al f. 189), di mano di Marco Forcelli, che trascrisse l’inventario sotto la diretta sorveglianza dello stesso Zeno. Ecco la descrizione che vi compare: « Cod. CLXXV Decameron del Boccaccio. Comincia: “Comincia il libro chiamato Decameron, cogniominato Principe Galeotto, ecc. Humana cosa è”; finisce a car. 110v “alcuna cosa giova l’averle lecte. Qui finiscie la decima et ultima giornata del libro chiamato Decameron, cogniominato Prencipe Galeotto”. A car. 111 trovasi “Sonnettus Peregrini de Zambeccaris”: Qual Phidia nel scudo de Minerva / Pinse si stesso cum acto immortale. Codice membranaceo in foglio maggiore, a due colonne, con margini spaziosi e reali, scritto circa il fine del secolo quartodecimo. Gli argomenti premessi a’ Proemii, alle Giornate, ed a ciascuna Novella sono in caratteri rossi; e le iniziali tutte in miniatura rossa od azzurra, toltene alcune, che mancano. Nella settima giornata da quelle parole della prima novella: “Odi tu quel ch’io? E…” sino a quell’altre della nona: “n’andò alla stanga, sopra la quale”, ecc. è mutilo: e così pure nella Giornata nona, novella decima da quelle parole: “così tuo come…” sino a quest’altre della novella ottava, Giornata decima: “sene tornasse, et perciò egli”. Con tutto ciò è pregevolissimo, e per li confronti fattisi con le lezioni de’ migliori testi recate dal Salvini in fine al suo Decamerone, è da riporsi tra i più stimabili. Fu un tempo di Giuliano de’ Medici, come si cava da altro nostro manoscritto in cui è notato che in fine d’un Codice del Boccaccio posseduto da Giuliano de’ Medici v’era il sonetto riferito del Zambeccari » (cfr. BRANCA, Tradizione II, p. 237 n. 38). 27 Infatti, il codice è descritto anche nel Marciano italiano XI.284 (6787), che contiene un elenco di 213 manoscritti zeniani passati appunto alla biblioteca dei padri domenicani delle Zattere, dove ai ff. 203v-204v si legge la sua descrizione, nella quale si ribadisce che il ms. « Fu un tempo di Giuliano de’ Medici, come si ricava da altro nostro manoscritto (dice il Zeno) ove è notato che in fine di un codice del Boccaccio posseduto da Giuliano de’ Medici c’era il riferito sonetto del Zambeccari » (cfr. BRANCA, Tradizione II, p. 239 n. 46). 28 Nel citato Indice (contenuto nel Marciano italiano XI.285), al f. 189, all’inizio della descrizione del codice compare la nota (di mano di Pietro Bettio, bibliotecario all’epoca alla Marciana): « Non trovato ». 29 Su Sir Alexander, cfr. The Dictionary of National Biography, 5, London 1917, 1164. Com’è noto, Lord Hamilton trascorse gran parte della giovinezza in Italia, in particolare a Venezia, dove si trattenne fino al 1801. Fu sicuramente in questo periodo che il Duca ebbe modo di arricchire la sua biblioteca di numerosi e pregiatissimi manoscritti, non soltanto italiani, ma anche latini e greci (cfr. BOESE, Die lateinischen Handschriften, in part. pp. IX-XXVIII).

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sieme all’intero patrimonio librario degli Hamilton, nel Catalogue of the magnificent Collection of Manuscripts from Hamilton Palace, e destinato così all’incanto.30 Fu così che, agli inizi di novembre dello stesso 1882, per intercessione di Friedrich Lippman (direttore del Kupferstichkabinett di Berlino), l’intera raccolta Hamiltoniana (692 mss. secondo il Catalogue)31 fu divisa tra gli Staatliche Museen, Kupferstichkabinett und Sammlung der Zeichnungen (dove furono destinati i codici di più spiccato interesse figurativo), e la Königliche Bibliothek (dal gennaio del 1992, dopo le varie vicende post-belliche, divenuta Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz). Bibl. (essenziale): BIADENE, Codice Berlinese, pp. 296-298; BIADENE, Manoscritti italiani, p. 332 nr. 14; TOBLER, Berliner Handschrift, pp. 375 e sgg.; HECKER, Parentela, pp. 162-175; BARBI, Sul testo, pp. 52 e sgg.; CHIARI, Autografo del Decameron, p. 4; SAMPOLI SIMONELLI, Problemi e discussioni, pp. 129-172; BRANCA, Per il testo I, pp. 69-71; II, 171-194, 197 e sgg.; SINGLETON, Boccaccio. Decameron, II, pp. 335 e sgg.; CHIARI, Ancora sull’autografia, pp. 352-356; BRANCA-RICCI, Autografo; BERTI, Prime illustrazioni, p. XX; MAZZA, Inventario, pp. 72, 74; DEGENHART-SCHMITT, Corpus, I, p. 138; III, figg. 114e-k; PETRUCCI, Ms. Berlinese. Nota descrittiva, pp. 1-12; IANNI, Elenco, pp. 99-100; DI BENEDETTO, Considerazioni, p. 104; AUZZAS, Codici autografi, pp. 2-3; DE LA MARE, Handwriting, pp. 21 n. 11, 23-25; PETRUCCI, Manoscritto Berlinese. Note codicologiche e paleografiche, pp. 647-661; ROSSI, Proposte, pp. 3-31; BRANCA, Boccaccio. Decameron. Fac-simile, pp. 9 e sgg.; Mostra del Boccaccio, pp. 47-50; BRANCA, Boccaccio. Decameron3; ROSSI, Boccaccio. Decameron, pp. 625-628; PICCHIO SIMONELLI, Prima diffusione, pp. 125-130; PASTORE STOCCHI, Su alcuni autografi, pp. 130-131, 135-143; CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio, pp. 731, 735-737; PADOAN, Il Boccaccio, le Muse, pp. 259-276; CHIARI, Precisazione, pp. 365-372; BRANCA, Studi sulla tradizione, pp. 21 e sgg.; COSTANTINI, Correzioni autografe, pp. 69-77; BRANCA, Inter30 Questa la descrizione del nostro codice che si legge nel Catalogue: « 90. BOCCACCIO (GIOVANNI) IL DECAMERONE. Manuscript on vellum (14 ½ by 10 ½ inches), with 13 curious Drawings, russia folio. Saec. XIV. The extraordinary rarity of Manuscripts of the Decameron, prior to being printed, is too well known to require any comment. Even the early impressions are excessively scarce, so much so, that the first Edition printed by Valdarfer, in 1471, a century later than this Manuscript, sold for £2260 in the Roxburghe sale ». 31 In realtà, come già osservava BIADENE, Manoscritti italiani, p. 314 e n., il numero dei codici giunti a Berlino sembrerebbe diverso (cioè leggermente inferiore), poiché, oltre ai 29 mss. restituiti al British Museum (evidentemente per sanare le difficoltà di pagamento), si contano (« in uno specchietto a mano, che sta innanzi ad uno degli esemplari del catalogo inglese della R. Biblioteca »): 99 codici italiani, 364 latini, 112 francesi, 22 greci, 56 orientali, 1 tedesco, 3 slavi, 1 spagnolo e 2 portoghesi. Per un totale dunque di 689 manoscritti (cioè 660 + 29). Ma i numeri divergono anche rispetto a quanto indicato dal Biadene, che invece ne computava 662 (da assommarsi ai 29 di cui sopra, quindi per un totale di 691 unità). Altri 79 codici (quelli di minor pregio) furono successivamente messi all’asta, sempre con l’intento di « lenire un po’ il considerevole sforzo finanziario »: cfr. STACCIOLI, Sul ms. Hamilton 67 di Berlino, p. 28, a cui si rimanda anche per le vicende del fondo hamiltoniano, e non solo, durante l’ultima guerra mondiale e per il periodo post-bellico.

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pretazioni visuali, pp. 90-95; BATTAGLIA RICCI, Leggere e scrivere novelle, pp. 640-655; BRANCA, Boccaccio medievale, pp. 399-406, figg. 49-64; BRANCA, Tradizione II, pp. 211 e sgg.; BOLOGNA, Tradizione e fortuna, I, pp. 340-355; BRANCA, Possibile identificazione, pp. 225-234; CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus, pp. 201-203, 222-225; VARANINI, Idiotismi, pp. 249-261; BRANCA, Redazione I, pp. 3 e sgg.; BRANCA, Ancora su una redazione, pp. 3-97; MORELLO, Disegni, pp. 162-168; BRANCA, Boccaccio visualizzato, I, pp. 15-18; II, pp. 8-10, 62-66; NOCITA, Nuova paragrafatura, pp. 925-934; CURSI, Nuovo autografo, pp. 23-29; RAFTI, Lumina dictionum. IV, pp. 3 e sgg.; LIPPI, Boccaccio, pp. 341-347; NOCITA, Redazione hamiltoniana, pp. 351-366; MALAGNINI, Mondo commentato, pp. 123-124; MALAGNINI, Sistema delle maiuscole, pp. 31-69; MARTI, Note e discussioni, pp. 251-259; CURSI, Frammento decameroniano, pp. 1725; FIORILLA, Marginalia, pp. 36 n. 67, 46 n. 104, 50 n. 122, 64 n. 154, fig. 49; CURSI, Decameron, pp. 161-164 nr. 1, figg. 10-11; BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, pp. 125 e sgg.; FIORILLA, Boccaccio. Decameron, pp. XX-XXXV, XLV-XLVIII; CURSI-FIORILLA, Boccaccio, pp. 43, 46, 48 nr. 1, 66-69, e figg.

Italia 3 FIRENZE, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni 325 [Tavv. 17-20] [Firenze], sec. XIV quinto decennio 1. GIOVANNI BOCCACCIO, Teseida (ff. 3r-141r), precedono la dedica a Fiammetta (ff. 1r-2v), il sonetto introduttivo all’opera (ff. 2v-3r) e il sonetto introduttivo al l. I (f. 3r), lacunoso.32 Inc.: (f. 1r; dedica) « Come che ad memoria tornandomi le felicità trapassate »; (f. 2v; rubrica al I sonetto) « Sonetto nel quale si contiene uno argomento generale ad tutto i· libro »; (f. 2v; sonetto I) « Nel primo vince Theseo l’Amaçone »; (f. 3r; rubrica al II sonetto) « Sonecto nel quale si contiene uno argomento particulare del primo libro »; (f. 3r; sonetto II) « La prima parte di questo libretto »; (f. 3r; rubrica al testo) « Incomincia il primo libro del Theseyda delle noççe d’Emilia (e) prima la invochatione dell’autore »; (f. 3r; testo) « O sorelle Chastalie, che nel monte / Elicona contente dimorate ». 2. GIOVANNI BOCCACCIO, Chiose al Teseida (ff. 3r-141r). Inc.: « O sorelle, et cetera. Nel principio del suo libro fa l’autore, secondo l’anti[c]o costuAl f. 137v, verso l’angolo inferiore destro, di mano recenziore (forse quattrocentesca): « Diliberò Teseo ». La presenza del richiamo alle prime due parole della 47a ottava del l. XII, ovverosia all’inizio della parte che è andata perduta, suggerisce che a quest’altezza cronologica il secondo foglio del fasc. 18 era o sciolto e messo fuori posto, oppure già caduto. 32

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me d’esponitori, una sua invocatione (e) chiama le muse in suo aiuto alla presente oper[a] ». 3. GIOVANNI BOCCACCIO, Sonetto alle muse (f. 141v). Inc.: (rubrica) « Sonetto nel quale l’autore priegha le muse che il presente libro presentino ad la donna ad chui istantia è fatto acciò che ella secondo il suo piacere lo ’ntitoli »; (testo) « O sacre Muse, le quali io adoro ». 4. GIOVANNI BOCCACCIO, Sonetto di risposta delle muse (f. 141v). Inc.: (rubrica) « Risposta delle muse al soprascripto sonecto, nel quale esse li singnificano il titolo dato al libro suo »; (testo) « Portati abbiam tuoi versi (e) bel lavoro ». Membr.; ff. I, 141, I’ (I e I’ cart. mod.); numerazione antica in cifre arabiche, sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli (seguibile fino a 100, poi caduta per rifilatura); fasc.: 1-178, 185; 33 richiami, quello del fasc. 8 ornato (f. 64v); 34 tracce di antica segnatura a registro, sul recto, nell’angolo inferiore destro dei fogli; mm 275 × 197 = 24 [196] 55 × 32/5 [100] 5/55; rr. 41/ll. 40 (f. 10r); rigatura a secco (con tracce di colore). Scrittura di mano di Giovanni Boccaccio (attr.): littera textualis; glosse, note, correzioni ed integrazioni di mano del Boccaccio; rare note (ai ff. 52v, 94v-95r) di mano recenziore (tardo quattrocentesca o degli inizi del sec. XVI); al f. 60v, nota parzialmente erasa e cancellata, di altra mano tardo quattrocentesca; al f. 64v, al centro del margine inferiore, una nota erasa di altra mano recenziore; maniculae (di mano del Boccaccio); segni e indicazioni di nota. Miniatura a illustrazione del testo al f. 1r (rappresentante l’autore che offre il libro alla dedicataria); iniziali grandi ornate con fregio ai ff. 1r e 3r; iniziali grandi bipartite rosse e azzurre filigranate ai ff. 30v, 40r, 50r, 62v, 70r, 100r, 122v e 133r (in corrispondenza dell’inizio dei varî libri); iniziali grandi azzurre filigranate ai ff. 18v, 86r e 109v (inizio libri II, VIII, X); iniziali medie rosse e azzurre alternate e filigranate; rubriche (con lettere rosse e azzurre alternate quelle dei ff. 30v, 31r, 60v e 139v; maiuscole toccate di giallo; segni paragrafali rossi e azzurri alternati; al f. 18v, all’interno di un cerchio, disegnati dieci diametri in corrispondenza dei punti cardinali a formare una sorta di croce (già dal Vandelli interpretato come una rosa dei venti); spazi riservati per l’inserimento di illustrazioni ai ff. 5r, 8v, 11r, 15r, 17r-v, 19r-v, 21v, 25r, 26v, 27v, 28v, 29r, 30r, 32v, 35v, 36v, 33 Caduto, con perdita di testo, il secondo foglio del fasc. 18; tagliati due fogli in fine, molto probabilmente bianchi. 34 Le ornamentazioni sono rappresentate da dei tralci da cui si sviluppano piccoli fiorellini: nella parte superiore, si trova una corona (e poco sotto, forse la lettera « c »); al centro di quella inferiore, inquadrata dalle volute dei tralci, la lettera « F » (l’iniziale del nome di Fiammetta?) (cfr. Tav. 19).

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39r, 40r, 41v, 44v, 49r, 51r, 53r-v, 54v, 59r-v, 62r, 71v, 73r, 76v, 78r, 81r, 84r, 87r, 99r, 100v, 103r, 104v, 107r, 109r, 110v, 111r, 113r, 115r, 117r, 120v, 124r, 125r, 126v, 127v, 129r, 130r, 132v e 139r-v. Legatura moderna in cartone ricoperto di pergamena (legatoria Masi-Andreoni, Firenze: cartellino al f. I’v); dorso con indicazioni del contenuto, su cartellino in cuoio, e ornamentazioni in oro. Stato di conservazione: diffuse macchie di umidità, che hanno provocato gravi danni alla miniatura di f. 1r e cadute di inchiostro (talvolta ripreso da mano moderna, con evidente alterazione del ductus delle lettere). Storia del codice: si ignora la storia del manoscritto più alta. Sappiamo soltanto che il codice non passò con la biblioteca del Boccaccio al convento fiorentino di Santo Spirito. Al f. 104v, al centro del margine superiore, di mano primo cinquecentesca: « Vexatus totiens rauci Theseide codri [sic]. Iuvenalis satyra prima » (= Iuvenalis, Satirae, I 2); al f. 139v, della stessa mano cinquecentesca: « Quel animal gallina nominato / Tace, volendo parturir el fructo; / Poi che l’à facto, el mira et vede nato, / Canta, lassando ogni tristitia e lucto ». Nel 1840 apparteneva al bibliofilo francese Stefano Audin, che lo pubblicò parzialmente in edizione semidiplomatica (l. I, 6-138), giudicandolo come sicuramente autografo (cfr. AUDIN, Boccaccio. Libro dell’Amazonide). Passò poi, intorno al 1853, alla biblioteca di Lord Vernon (ex libris al centro della controguardia anteriore). Nel 1928 fu acquistato dal Governo italiano all’asta di Ulrico Hoepli (vendita, 7-9 aprile 1927, il nr. 356) e assegnato alla Biblioteca Medicea Laurenziana (ulteriori notizie, di mano di Enrico Rostagno, sulla cedolina cartacea applicata alla controguardia posteriore). Indicazione del numero di inventario al f. 141v: « 14274/44 » (ripetuto al f. Iv). Sulla controguardia anteriore, il cartellino dell’attuale collocazione (ripetuto ai ff. Ir, 1r, come anche sul piatto anteriore). Bibl. (essenziale): Inventario Acquisti e Doni, I, p. 34; VANDELLI, Autografo della Teseide, pp. 5 e sgg., figg. 1-7; BARBI, Dante. Vita Nuova2, p. CXCVI; BATTAGLIA, Boccaccio. Teseida, pp. XI-XV nr. 1 (= Aut. Laur.); CONTINI, rec. Battaglia, pp. 535-546; RONCAGLIA, Boccaccio. Teseida, pp. 470, 472-496; BILLANOVICH, Restauri boccacceschi, pp. 83-84, 126-127; Mostra di codici romanzi, pp. 44-45, fig. 3; BRANCA, Tradizione I, p. 66; LIMENTANI, Ritocchi, pp. 91-100; LIMENTANI, Boccaccio. Teseida, pp. 873, 874 (= Aut. Laur.); MAZZA, Inventario, p. 72; IANNI, Elenco, pp. 108-109; DI BENEDETTO, Considerazioni, pp. 91 n. 1, 106 e n. 2; AUZZAS, Codici autografi, pp. 12-13; DE LA MARE, Handwriting, pp. 20 n. 4, 22 n. 6, 27 nr. 9; Mostra del Boccaccio, pp. 32-33 nr. 10, fig. 1; PASTORE STOCCHI, Su alcuni autografi, p. 138; Mostra di autografi, p. 5 nr. 2; PETRUCCI, Libro manoscritto, p. 515; RICCI, Evoluzione, p. 287; AGOSTINELLI, Catalogue, pp. 17-19; CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus, p. 204 e fig. 22; CORRADINO, Rilievi grafici, pp. 5 e sgg.; ROSSI, Cinquanta lezioni, pp. 170, 214; MORELLO,

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Disegni, pp. 161 n. 7, 167 n. 47, 168 n. 58; POMARO, Memoria, p. 273 e fig. 3a; ROSSI, Da Dante a Leonardo, p. 213; CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Iconografia dei codici boccacciani, pp. 5, 10; KIRKHAM, Immagine, p. 121 nr. 17; BRANCA, Boccaccio visualizzato, II, pp. 56-57 nr. 4, e fig. 7 (scheda di M.C. Castelli); CURSI, Nuovo autografo, pp. 13 n. 32, 28 n. 73; CASTELLANI, Grammatica storica, p. 519; VITALE-BRANCA, Capolavoro, I, pp. 30 n. 11, 45; MANNI, Trecento toscano, p. 239; VECCE, Postille, p. 1382; CARRAI, Commento d’autore, p. 226; CURSI, Frammento decameroniano, p. 10 n. 42; FIORILLA, Marginalia, pp. 64 n. 154, 77, 78 n. 200, 79 n. 208, figg. 64-65; MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 4-5, 8-9, 14 e sgg., figg. 1-2, 5, 7-8, 11, 13-14; CURSI, Decameron, pp. 40 n. 164, 45; ROHRBACH-WEBER, Boccaccio, pp. 216-217 e fig.; BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, pp. 125-126; BERTELLI, Mss. Origini. BML, pp. 74-76 nr. 45, figg. 65-66; COLEMAN, Oratoriana Teseida, pp. 108 e sgg.; MALAGNINI, Reinterpretazione figurativa, pp. 187-189, 191, 192 n. 18, 193-272; CURSI-FIORILLA, Boccaccio, pp. 43, 49 nr. 4, 65-67, 69, e figg.

4 FIRENZE, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035 (già O.II.17) [Tavv. 21-24] [Firenze], sec. XIV settimo decennio 1. GIOVANNI BOCCACCIO, Brieve raccoglimento: Inferno (ff. 1r-3v), Purgatorio (ff. 56r-58v), Paradiso (ff. 121v-123v). Inc.: (rubrica) « Brieve raccoglimento di ciò che in sé superficialmente contiene la lectera della prima parte della cantica, overo Comedia di Dante Alighieri di Firençe, chiamata Inferno »; (testo) « Nel meçço del camin di nostra vita / smarrito in una valle l’autore ». 2. DANTE ALIGHIERI, Commedia: Inferno (ff. 4r-56r), Purgatorio (ff. 59r-121r), Paradiso (ff. 124r-178r), lacunoso.35 Inc.: (rubrica) « Comincia la prima parte della cantica, overo Comedia, chiamata Inferno del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firençe (e) di quella prima parte il canto primo »; (Inf. I 1) « Nel meçço del camin di nostra vita ». 3. DANTE ALIGHIERI, Rime: quindici canzoni (ff. 179r-187r). Inc.: (rubrica) « Qui cominciano le cançoni distese del chiaro poeta Dante Alighieri di Firençe, nelle quali di varie cose tractando, nella prima la rigidità della sua donna con rigide rime dimostra »; (testo) « Così nel mio parlar voglio esser aspro ».

35 Mancanti i vv.: Inf. XXI 101-139 e XXII 1-136 (per caduta di due fogli, come segnalato al f. 35v da mano moderna), e tra f. 70 e f. 87, Purg. VIII 71-XIII 68. Saltati i vv. Purg. XXVI 10-12 (f. 107v), poi reintegrati a margine dalla mano recenziore che glossa il testo.

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Membr.; ff. III, 187, II’ (I-III e I’-II’ cart. mod.; bianco il f. 178v);36 tracce di numerazione antica (forse originale) in cifre arabiche, sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli (erasa e/o caduta per rifilatura); fasc.: 1-48, 56, 6-98, 10-118, 12-238, 245;37 richiami (delimitati da due puntini); mm 292 × 195 = 25 [188] 79 × 35/6 [81] 6/67 (f. 15r; ff. 1-178), 25 [188] 79 × 40 [90] 65 (f. 183r; ff. 179-187); rr. 45/ll. 44 (14-15 terzine); rigatura a secco (con sporadiche tracce di colore). Scrittura di mano di Giovanni Boccaccio (attr.): littera textualis; sporadiche integrazioni, correzioni e varianti di mano del Boccaccio; glosse e rare integrazioni di mano recenziore;38 manicula al f. 70r (del Boccaccio). Iniziali di cantica grandi (6, 11 e 7 linee di scrittura) azzurre filigranate ai ff. 4r, 59r e 124r; iniziali di canto medie (3-4 linee) azzurre filigranate; rubriche in volgare (1-3 linee di mano del copista); tocchi di giallo alle maiuscole; iniziali grandi (6, 7 e 5 linee) azzurre filigranate ai ff. 1r, 56r e 121v (Brieve raccoglimento); iniziali medie (2-3 linee) azzurre filigranate, iniziali piccole (1 linea) rosse e azzurre alternate, rubriche in volgare, tocchi di giallo alle maiuscole, sporadici segni ornamentali di riempimento anch’essi toccati di giallo (Rime); sette disegni (di mano del Boccaccio?) ad illustrazione del testo ai ff. 4v (Dante e Virgilio nella selva con le tre fiere), 7r (Dante e Virgilio di fronte alla porta dell’Inferno, che reca l’iscrizione in caratteri epigrafici: « PER ME SI VA NELA »), 10v (Dante e Virgilio di fronte a Paolo e Francesca), 15r (Dante e Virgilio nella barca con Flegias, dalla palude emerge Filippo Argenti), 17r (Dante e Virgilio di fronte alla porta di Dite), 20v (Dante e Virgilio di fronte a Gerione) e 29r (Dante e Virgilio fra gli usurai, che recano al collo le bisacce con lo stemma di famiglia: Virgilio parla a Gerione). Legatura di restauro (legatoria Masi-Andreoni, Firenze: a. 1967) in cartoni marmorizzati; dorso in cuoio con incisioni dorate. Stato di conservazione: macchia di umidità al margine esterno dei ff. 1-2; sporadici buchi al supporto, cuciture ab antiquo e margini irregolari; fori di tarlo (fogli iniziali); e cadute d’inchiostro. Storia del codice: al f. 178r, di mano del Boccaccio, il colophon (in rosso): « Finis adest longi Dantis cum laude laboris / Gloria sit summo regi Sono cartacei moderni anche i ff. 71-86 (fasc. 10-11), in sostituzione di un quaterno originario mancante (che costituiva il fasc. 10). 37 Al fasc. 5, caduto il bifoglio centrale; al fasc. 24, tagliato l’ultimo foglio (bianco). 38 Questi interventi, inizialmente accostati alla mano di Bartolomeo di ser Benedetto Fortini, possessore del codice (Casamassima in Mostra del Boccaccio, p. 104), sono stati poi attribuiti ad un copista collaboratore di frà Tedaldo della Casa (cfr. POMARO, Itinerario dantesco, pp. 13-17). BRUNETTI (Franceschi e Provenzali, pp. 48-59) lascia supporre che potrebbe trattarsi di un personaggio appartenente alla cerchia di Benvenuto da Imola. Su questo aspetto si veda il contributo di Luca Carlo Rossi in questo stesso volume. 36

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matrique precamur / Quos oro celsas prestent conscendere sedes / Dum supprema dies veniet morientibus egris ».39 Al f. 187r, di mano del sec. XV, nota di possesso: « Liber Bartholomei ser Benedicti Fortini de Florentia ». Ai ff. 80r e 81r, alcune note in latino di mano del sec. XVII (di mano di Vincenzo di Bernardino Capponi?). Il manoscritto è arrivato nella biblioteca dei marchesi Riccardi (poi Biblioteca Riccardiana) prima del 1756 (come dimostra la sua presenza nel catalogo del Lami). Al f. 1r, verso il centro del margine inferiore, timbro antico della « R. Biblioteca Riccardiana. Firenze ». Al IIr, nell’angolo superiore destro, oltre l’indicazione dell’attuale collocazione (ripetuta anche sulla controguardia anteriore e sul dorso), quella della precedente segnatura riccardiana: « O.II.17 ». Bibl. (essenziale): LAMI, Catalogus, p. 20; Inventario e stima, I, p. 24; RIGOLI, Illustrazioni, p. 700; BATINES, Bibliografia dantesca, I, p. 218; II, pp. 74 nr. 131, 81, 353; MORPURGO, Codici della Commedia, pp. 80-84 nr. 21; VOLKMANN, Iconografia dantesca, p. 50; MORPURGO, Mss. Riccardiani, pp. 28-29; HECKER, Boccaccio-Funde, pp. 43-92; D’ANCONA, Miniatura fiorentina, I, p. 28; II, p. 164 nr. 179; VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, pp. 151, 156-157; MASSÈRA, Boccaccio. Opere latine minori, p. 299; ZAMBRINI-MORPURGO, Opere volgari a stampa, II, p. 270; Mostra storica della miniatura, pp. 169-170 nr. 254; SCURICINI GRECO, Miniature Riccardiane, pp. 197198 nr. 181; Mostra di codici romanzi, pp. 196-197; BRANCA, Tradizione I, pp. 21, 82; RICCI, Svolgimento della grafia, p. 61 n. 33; Mostra del 650° anniversario, p. 16; Mostra di codici danteschi, pp. 104-105 nr. 145; PETROCCHI, Dante. Commedia, I, pp. 18, 40-47, 528 (= Ri); MAZZA, Inventario, p. 72; DEGENHART-SCHMITT, Corpus, I, pp. 137-138 nr. 66; BRIEGER-MEISS-SINGLETON, Illuminated Manuscripts, I, pp. 249-250; IANNI, Elenco, pp. 110-111; AUZZAS, Codici autografi, pp. 14-15; DE LA MARE, Handwriting, pp. 22, 27-28 nr. 11; DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 11 e sgg.; Mostra del Boccaccio, pp. 103-105 nr. 86; CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio, p. 259; RODDEWIG, Commedia-Handschriften, pp. 133-134 nr. 321; BRANCA, Interpretazioni visuali, p. 91; POMARO, Itinerario dantesco, pp. 13-17; PULSONI, Il Dante di Petrarca, pp. 163 e sgg.; CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus, pp. 197 e sgg.; Danti Riccardiani, pp. 63-64 nr. 16; SANGUINETI, Dante. Comedia, p. XXXVI (= Ri); DE ROBERTIS, Dante. Rime, I/1, pp. 335-338; BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 129 nr. 156; LAZZI, Tesori di famiglia, pp. 35-37; MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 13, 63-64, 67, 70-71, 83, 87-88; BERTELLI, Commedia all’antica, pp. 11 n. 49, 44 e n. 28, 45 e n. 34, 49, 87 nr. 40; FEOLA, Varianti marginali, pp. 121-134; ROMANINI, Altri testimoni, p. 90; BOSCHI ROTIROTI, Censimento, pp. 57-59 nr. 24; BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, pp. 123 n. 2, 156-157; BERTELLI, Tradizione della Commedia, pp. 3 e n., 28, 397; VOLPE, Boccaccio illustratore, pp. 287-300; BRUNETTI, Franceschi e provenzali, pp. 27 e sgg.; BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, pp. 288, 293; MECCA, Canone editoriale, pp. 119, 128-177; CURSI-FIORILLA, Boccaccio, pp. 44, 52 nr. 15, 65, 67, fig. 14a. 39

La stessa formula finale si legge nel Chig. L.VI.213 (scheda nr. 1).

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Spagna 5 TOLEDO, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6 [Tavv. 25-30] [Firenze], sec. XIV sesto/inizi settimo decennio 1. GIOVANNI BOCCACCIO, Vita di Dante (ff. 1r-27r), nel testo della prima e più ampia redazione. Inc.: (rubrica) « De origine, vita, studiis (et) moribus viri clarissimi Dantis Aligerii Florentini poete illustris (et) de operibus compositis ab eodem. Incipit feliciter »; (testo) « Solone, il cui pecto uno humano tempio di divina sapientia fu reputato (e) le cui sacratissime leggi sono ancora alli presenti huomini chiara testimoniança della anticha giustitia, era, secondo che dicono alcuni, spesse volte usato di dire ogni republica ». 2. DANTE ALIGHIERI, Vita nuova (ff. 29r-46v), con le divisioni a margine. Inc.: (rubrica) « Incipit Vita nova clarissimi viri Dantis Aligerii Florentini »; (testo) « In quella parte del libro della mia memoria dinançi alla quale poco si potrebbe leggere si truova una rubrica, la quale dice: incipit Vita nova ». 3. GIOVANNI BOCCACCIO, Brieve raccoglimento: Inferno (ff. 48r-51r), Purgatorio (ff. 117r-120r), Paradiso (ff. 188r-190v). Inc.: (rubrica; f. 48r) « Argumentum super tota prima parte Comedie Dantis Aligherii Florentini, cui titulus est Infernus »; (testo) « Nel meço del camin di nostra vita / smarrito in una valle l’autore ». 4. DANTE ALIGHIERI, Commedia: Inferno (ff. 52r-116v), Purgatorio (ff. 121r-187v), Paradiso (ff. 191r-256r). Inc.: (rubrica) « Incipit prima cantica Comedie poete excellentissimi Dantis Alagherii distincta in cantus XXXIIIJor, quorum primus incipit in quo prohemiçatur ad totum opus. Feliciter »; (Inf. I 1) « Nel meçço del cammin di nostra vita ». 5. DANTE ALIGHIERI, Rime: quindici canzoni (ff. 257r-266v). Inc.: (rubrica) « Incipiunt cantilene Dantis Aligerii (et) primo de asperitate domine »; (testo) « Chosì nel mio parlar voglio essere aspro ». Membr.; ff. II, 269, II’ (I-II e I’-II’ cart. mod.; bianchi i ff. 27v, 47r-v, 51v, 120v e 256v); numerazione moderna in cifre arabiche, sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli da 1 a 267 (la numerazione salta da 27 a 29 per asportazione di un foglio, forse bianco; non numerato il foglio dopo 39, poi a matita 392; non numerato un foglio dopo 64, poi 642 a matita; non numerato un foglio dopo 228, poi 2282 a matita); fasc.: 1-38, 43 (Vita di Dante), 5-68, 74 (Vita nuova), 84 (Brieve racc. all’Inf.), 9-158, 1610 (Inf.), 174

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(Brieve racc. al Purg.), 18-258, 263 (Purg.), 273 (Brieve racc. al Par.), 28-368 (Par. + inizio Rime), 376, con cesura di fascicolo fra le cantiche;40 fascicoli numerati in cifre arabiche (numerazione antica), sul recto, verso l’angolo inferiore sinistro del primo foglio di ciascun fascicolo;41 richiami (delimitati da due puntini); mm 276 × 194 = 31 [172] 73 × 6/25/7 [98] 7/42/9 (f. 35r; ff. 1-16, 29-46 e 257-267), 23/8 [172] 10/53/10 × 6/25/7 [98] 7/42/9 (f. 19r; ff. 17-27, 48-51, 117-120 e 188-190),42 e 35 [171] 70 × 41/5/5 [68] 5/5/65 (f. 69r; ff. 52-256); rr. 37/ll. 36 (ff. 1-47 e 257-267), e rr. 37/ll. 36 (12 terzine; ff. 48-256); rigatura a secco (sporadiche tracce di colore). Scrittura di mano di Giovanni Boccaccio (attr.): littera textualis; tre glosse ai ff. 53r, 142r e 142v (rispettivamente a Inf. I 70, Purg. XI 103 e a Purg. XI 138); brevi note, integrazioni, correzioni, rasure e varianti di mano del Boccaccio; maniculae e segni di nota, sempre di mano del Boccaccio (alla Commedia come agli altri testi); al f. 11r, nota di mano del sec. XVI; al f. 261v, a integrazione di una rasura, alcune parole forse di mano recenziore (ancora trecentesca?). Iniziali di cantica grandi azzurre filigranate ai ff. 52r (5 linee), 121r (9 linee) e 191r (5 linee); iniziali di canto medie azzurre filigranate (2 linee); rubriche in latino (1-3 linee di scrittura di mano del copista); tocchi di giallo alle maiuscole; al f. 267v, il disegno del busto di Omero (rivolto verso sinistra e con corona d’alloro; visibile solo con lampada a raggi ultravioletti), accompagnato dalla didascalia (di mano del Boccaccio): « HOMERO POETA SOVRANO »;43 iniziale grande bipartita rossa e azzurra filigranata al f. 1r (8 linee); iniziali grandi azzurre filigranate ai ff. 29r (8 linee), 48r (4 linee), 117r (6 linee), 188r (5 linee) e 257r (3 linee); iniziali medie (2 linee) e piccole (1 linea) rosse e azzurre alternate e filigranate; iniziali semplici piccole (1 linea) rosse e azzurre alternate; Al fasc. 4, asportato l’ultimo foglio (bianco); al fasc. 26, asportato l’ultimo foglio (bianco); al fasc. 27, asportato l’ultimo foglio (bianco); al fasc. 37, asportati gli ultimi due fogli (anch’essi probabilmente bianchi). Il Paradiso è separato dalle Rime da una carta bianca (f. 256v). 41 La numerazione è regolare fino a 26 (f. 185): numerati come fasc. 27 i ff. 186-187, in realtà facenti parte del fasc. 26, come dimostra il foglio coniugato al f. 185, che è stato tagliato in quanto bianco e che si trovava dopo f. 187 (si tratta quindi di un binione con l’ultimo foglio tagliato); prosegue poi regolarmente fino a 31 (f. 207r): il fascicolo successivo è erroneamente numerato per 22 (f. 215r); la numerazione di quello dopo, riprende da 32 (f. 223r) e procede quindi in difetto fino alla fine, cioè fino al numero 37 (f. 262; la numerazione di quest’ultimo non è però visibile, forse perché nascosta dentro alla cucitura). 42 Per questi fogli è da notare anche la presenza di una ulteriore riga, che attraversa l’intera pagina, passante poco al di sopra della metà del foglio, distante dal margine superiore circa 75 mm (si veda l’Appendice II. Organizzazione della pagina, Fig. c). 43 La didascalia è parzialmente ripassata con inchiostro scuro, cioè per le parole: « … POETA SOV… » (cfr. Tav. 36c). Sotto al busto, sempre di mano del Boccaccio, si intravede un’altra didascalia, in alfabeto greco di difficile lettura (sull’argomento si tornerà in altra sede). Sulla scoperta del ritratto di Omero, cfr. BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, pp. 287-295; e ora in questo volume. 40

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rubriche; tocchi di giallo alle maiuscole. Legatura moderna (sec. XVIII) in assi ricoperta di cuoio marrone con fregi dorati; sul dorso, l’indicazione del contenuto. Stato di conservazione: alcuni fogli danneggiati con perdita di supporto (restaurati ab antiquo), in particolare ff. 71 e 73 (al marg. inf.); frequenti macchie di umidità; e diffuse cadute di inchiostro. Storia del codice: al f. 267r, nell’angolo inferiore destro, di mano antica, l’indicazione di una data: « 1372 » (cfr. Tav. 36a).44 Al f. 267r, nota di possesso di mano del sec. XV: « Hic liber est [d…] de [C…] »; a cui seguono, sempre della stessa mano, una serie di motti o sentenze e una « Nota Aristotelis » (inc.: « Si vis virtutem acquirere largitatis, considera posse tuum tempora necessitates et merita hominum »). Appartenne al cardinale Francesco Saverio de Zelada (1717-1801) (stemma sul dorso). Il codice è arrivato nell’Archivo y Biblioteca Capitulares di Toledo verso la fine del sec. XVIII, insieme ad altri manoscritti appartenuti al cardinale Zelada.45 Al f. IIr, oltre all’indicazione dell’attuale collocazione (ripetuta sul dorso), in basso a destra anche quella di una precedente segnatura zeladiana: « [N°] 1339 ». Numerosi timbri (con inchiostro viola) di appartenenza del codice alla « Biblioteca del Cabildo primado de Toledo ». Bibl. (essenziale): FRÍAS, Manuscritos, I, p. 54; BATINES, Bibliografia dantesca, II, p. 261 nr. 474; OCTAVIO DE TOLEDO, Catálogo, pp. 88-89; VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, pp. 150-157; BARBI, Dante. Vita nuova2, pp. LXIV-LXV nr. 38, CXLI-CXLIX, CXCCXCIX; BRANCA, Tradizione I, pp. 22, 73; RICCI, Svolgimento della grafia, p. 61 n. 32; RICCI, Boccaccio. Opere in versi. Trattatello. Prose latine. Epistole, pp. 1271-1272; PETROCCHI, Dante. Commedia, I, pp. 18-19, 559 (= To); MAZZA, Inventario, p. 73; IANNI, Elenco, p. 113; AUZZAS, Codici autografi, pp. 18-19; RICCI, Boccaccio. Trattatello2, pp. 848-851, 856-857; DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 11-12, 37-47; Mostra del Boccaccio, pp. 102-103 nr. 85; CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio, p. 259; RODDEWIG, Commedia-Handschriften, p. 324 nr. 757; DE LA MARE, Handwriting, pp. 22, 28 nr. 14; PULSONI, Il Dante di Petrarca, pp. 163 e sgg.; GORNI, Paragrafi, pp. 21244 Tale indicazione non è da ricondurre all’anno in cui si conclusero le operazioni di stesura del codice (tra l’altro, le cifre non paiono appartenere al repertorio del Boccaccio, soprattutto per quanto riguarda la morfologia del numero 7, che il Certaldese esegue solitamente nella forma cosiddetta ‘a cuspide’): in questo caso l’indicazione avrebbe avuto un’altra posizione e sicuramente anche un’altra fisionomia (più didascalica e distesa, se non più elaborata). È invece molto probabile che faccia riferimento all’anno in cui il manoscritto (magari tenuto a lungo slegato sullo scrittoio) fu riordinato e fatto rilegare: un’operazione quindi che potrebbe essere avvenuta tranquillamente anche a distanza di anni rispetto alla stesura del codice. 45 Al Cardinale è appartenuta anche un’altra Commedia, l’attuale manoscritto 10057 della Biblioteca Nacional di Madrid (già conservato a Toledo, alla segnatura Zelada 104.7 ed ex 1338 della biblioteca zeladiana), databile alla seconda metà del Trecento e ricco di splendide illustrazioni al testo (per le quali si veda BRIEGER-MEISS-SINGLETON, Illuminated Manuscripts, I, pp. 276-279).

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217; SANGUINETI, Dante. Comedia, p. XXXIX (= To); DE ROBERTIS, Dante. Rime, I/2, pp. 657-658; BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 142 nr. 269; MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 60 e n. 81, 61-88; BERTELLI, Commedia all’antica, pp. 10 n. 40, 44 e n. 28, 45, 47 n. 39, 49; FEOLA, Varianti marginali, pp. 121-134; ROMANINI, Altri testimoni, p. 93; BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, p. 123 n. 2; BERTELLI, Tradizione della Commedia, pp. 3 e n. 6, 28, 45 e n. 161; REA, Questioni di ecdotica, pp. 241-262; BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, pp. 287-295; DI BERARDINO, Trattatello, pp. 31 e sgg.; MECCA, Canone editoriale, pp. 119, 128-177; CURSI-FIORILLA, Boccaccio, pp. 43-44, 46, 53 nr. 23, 65, 67, 70, e figg.

II. Prime osservazioni, divagazioni e qualche spunto di ricerca La ricognizione complessiva degli autografi in volgare del Boccaccio permette, oltre ovviamente di ottenere una visione d’insieme dei codici attraverso delle descrizioni uniformi, aggiornate (anche in senso bibliografico) ed eseguite con tecniche e linguaggio moderni, grazie anche ai progressi compiuti in quest’ultimi anni dalle discipline legate al libro manoscritto,46 il tentativo di carpire la ratio che sta dietro alle scelte operate dal Certaldese per la costruzione e confezione materiale dei suoi manoscritti. Si tratta di un’operazione complessa, molto insidiosa, ed anche a rischio di risultare incompleta: in primis perché necessita il confronto sia con la coeva produzione in volgare,47 sia con quella – più analitica – legata al codice dantesco (in particolare della Commedia);48 in secondo luogo per l’arbitraria – ma necessaria – astrazione dagli autografi in lingua latina, che non sono oggetto della presente indagine.49 46 Soprattutto sul versante della catalogazione, per cui si veda per lo meno PALMA, Catalogazione, pp. 333-351; ZAMPONI, Esperienze di catalogazione, pp. 471-498; ID., Iniziative di catalogazione, pp. 369-393 (che riproduce, con qualche modifica, il contributo precedente); e, infine, ID., Stato della catalogazione dei manoscritti in Italia. Per il volgare, un quadro generale sintetico è offerto in BERTELLI, Mss. Origini. BNCF, pp. 3-6. Sulla necessità di operare in questa direzione, sono d’obbligo i rimandi ai due saggi di PETRUCCI, Libro manoscritto, pp. 499-524: sul libro in volgare e d’autore, si veda in part. 504-517; e ID., Storia e geografia, pp. 1216-1219, 1223. 47 Il riferimento sarà ai volumi curati da chi scrive, ovverosia BERTELLI, Mss. Origini. BNCF; e ID., Mss. Origini. BML. Il terzo volume, relativo al censimento e studio dei codici conservati in Biblioteca Riccardiana, è attualmente in corso d’opera. Sul progetto in generale, si veda ora ID., Manoscritti della letteratura italiana delle Origini, pp. 311-328. 48 Per cui si farà riferimento soprattutto a BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca; e a BERTELLI, Tradizione della Commedia. 49 D’altra parte, l’ampliamento della ricerca agli autografi latini (oltre 20 unità) non soltanto travalica gli obiettivi prefissi, ma avrebbe anche chiaramente finito per minare alle fondamenta il progetto stesso.

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II.1. L’autografo del Teseida Quando Boccaccio intraprese il progetto librario rappresentato dall’autografo del Teseida, l’attuale Laurenziano Acquisti e Doni 325 (scheda nr. 3), molto probabilmente qualche anno dopo il rientro da Napoli a Firenze (avvenuto agli inizi degli anni ’40),50 la letteratura in volgare non soltanto aveva già ampiamente preso forma, ma veniva anche richiesta e quindi prodotta in un crescendo esponenziale di manoscritti.51 In questo senso, la Firenze della prima metà del Trecento doveva essere il centro di maggior produzione del Paese.52 I libri in volgare di buona qualità prodotti in quel torno d’anni avevano delle caratteristiche formali ben precise: erano scritti su pergamena (non palinsesta) e allestiti con una struttura fascicolare basata prevalentemente su quattro bifogli (quaterni); la loro taglia (cioè le dimensioni assolute, base + altezza) si assestava su valori medî (compresi fra 341 e 540 mm), con delle proporzioni del foglio (cioè il rapporto fra base ed altezza) oscillanti fra 0,701 e 0,740, generando così un’area sostanzialmente rettangolare della pagina;53 la disposizione del testo all’interno del foglio avveniva indifferentemente su due colonne o a piena pagina (con una leggera predilezione per la prima forma), con una griglia di scrittura (dalle proporzioni più larghe o più strette a seconda della partizione scelta) preparata a secco o con mina metallica (raramente tramite l’uso dell’inchiostro); per quanto riguarda la scrittura, non vi è dubbio alcuno che la tradizione grafica più forte, consolidata nella mentalità degli scriventi e dei lettori, che individuava al meglio il libro in quanto tale, era rappresentata dalla littera textualis, sebbene a partire dal secondo quarto 50 Cfr. BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico, p. 54. Del resto, sia BARBI (Seconda redazione, p. 423; ma già ID., Dante. Vita nuova1, p. CLXXII [= ID., Dante. Vita nuova2, pp. CXCV-CXCVI]) che RICCI (Evoluzione, p. 287), già concordavano per una datazione del codice anteriore « al 1350 o a quel torno » d’anni. Datazione proposta anche nella scheda offerta nella Mostra del Boccaccio, pp. 32-33 nr. 10: « a. 1340-1350 »; e da DE LA MARE, Handwriting, p. 27 nr. 9: « possibly copied late 1340s but probably 1350s ». Al periodo fiorentino rimanda anche BILLANOVICH, Restauri boccacceschi, pp. 126-127. BRUNI, Boccaccio, p. 189 (come altri prima di lui: cfr. BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico, pp. 48-49) ritiene la stesura del Teseida avviata a Napoli e conclusa nella città toscana. Propende per una datazione agli anni 1348-1350 circa AGOSTINELLI, Catalogue, p. 17; e COLEMAN, Oratoriana Teseida, p. 108. In CURSI-FIORILLA, Boccaccio, p. 65, per la datazione dell’autografo Laurenziano si parla di un periodo forse di poco anteriore alla stesura dell’epistola Quam pium, conservata nel Laurenziano Pluteo 29.8, e datata 1348. Del Teseida si attende una nuova edizione, corredata da una versione digitale, per le cure di Edvige Agostinelli e William E. Coleman. 51 Sui modi e sui tempi di produzione della letteratura in volgare è d’obbligo il rimando a PETRUCCI, Libro manoscritto, pp. 504-517. Sulla correlazione – facilmente prevedibile, quasi scontata – tra progredire del tempo e aumento della produzione di manoscritti, si veda il grafico 1 in BERTELLI, Mss. Origini. BML, p. 16. 52 Cfr. ID., Mss. Origini. BML, grafici 2-3 alle pp. 16-17. 53 Si vedano gli esempi di riferimento riportati poco più avanti.

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del Trecento subentrò sul mercato della produzione manoscritta anche un’altra tipologia grafica, di origine notarile, la cancelleresca o bastarda, che venne utilizzata in maniera particolarmente massiccia per la prima diffusione della dantesca Commedia;54 dal punto di vista del corredo decorativo, il livello qualitativamente medio-alto andava per la maggiore, ed era garantito dalla presenza di ornamentazioni eseguite a pennello, eventualmente impreziosite con l’aggiunta dell’oro.55 La prima scelta da compiere era quella delle dimensioni assolute che il codice doveva assumere, oltre ovviamente alla tipologia del materiale scrittorio. Boccaccio decise di progettare un manoscritto pergamenaceo di dimensioni medie: il Laurenziano Acquisti e Doni 325 misura infatti mm 275 (altezza) × 197 (larghezza) (f. 10r), misure che non dovrebbero discostarsi poi tanto da quelle che dovevano essere le dimensioni originarie, poiché la rifilatura dei fogli non pare essere stata eccessiva.56 Esse originano una taglia di 472 mm, che si viene dunque a collocare pienamente all’interno dei valori medî adottati per i manoscritti in volgare della prima metà del Trecento.57 Attestata e diffusa anche la proporzione 0,716 del foglio, che individua la scelta di un formato sostanzialmente rettangolare della pagina.58 Cfr. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 65. È la sintesi che emerge dall’indagine condotta sui manoscritti in volgare conservati nella Biblioteca Nazionale di Firenze e nella Biblioteca Laurenziana, per cui si veda BERTELLI, Mss. Origini. BML, pp. 7-28 (a cui si rimanda per i dettagli numerici e per la bibliografia specifica). 56 Rifilatura che comunque ha asportato sistematicamente i forellini per la rigatura dal margine esterno dei fogli, lasciando invece sopravvivere un’antica numerazione in cifre arabiche eseguita sul margine superiore destro delle carte (seguibile fino a 100, poi presumibilmente interrotta, oppure appunto rifilata). Considerando l’operazione di rifilatura, potremmo ipotizzare che le dimensioni originarie di questi fogli fossero di circa 285 mm in altezza per 207 di larghezza. 57 Nel campione offerto dai due corpora (Biblioteca Nazionale e Biblioteca Laurenziana), la taglia media è rappresentata da 167 manoscritti (su 254), ovverosia il 65,75% del totale (cfr. BERTELLI, Mss. Origini. BML, grafico 8 p. 19). 58 Cfr. Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 4. La correlazione tra taglia media e proporzione di 0,716 del foglio ricorre nei due corpora in altri 6 manoscritti (e in numerosi altri – 26 per l’esattezza – le proporzioni comprese fra 0,710 e 0,720); ovverosia, nel censimento della Biblioteca Nazionale: il ms. II.II.158, contenente il volgarizzamento delle XIX declamazioni maggiori dello ps. Quintiliano, databile al secondo quarto del Trecento; il Magliabechiano VII.624, contenente un frammento di rime antiche – 7 fogli – facente parte del Laurenziano Pluteo 42.38, forse però di qualche anno successivo al Teseida; il Magliabechiano VII.1035, contenente il poemetto dell’Intelligenza, databile alla prima metà del sec. XIV; e il Nuove Accessioni 350, contenente le Meditazioni sulla vita di Gesù Cristo di Giovanni da Calvoli, databile anch’esso al secondo quarto del secolo; nel censimento della Laurenziana: il Pluteo 42.20, contenente il Tesoro di Brunetto Latini, databile al 1298 ca.; e l’Acquisti e Doni 224, contenente un frammento della Vita nuova di Dante, databile al secondo quarto del Trecento. Proprio quest’ultimo manoscritto si segnala su tutti non soltanto per la quasi coincidenza di misure (mm 272 × 195, che originano appunto una taglia media di 467 mm), ma anche per il suo contenuto. 54 55

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Gli esempi riportati di seguito mostrano alcuni bifogli che permettono di giudicare la larghezza relativa ad un bifoglio per i valori da 0,500 a 0,800:

0,500

0,600

0,700

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0,800 La pergamena destinata dal Certaldese al confezionamento di questo manoscritto era decisamente di buona qualità: infatti, i difetti e le imperfezioni sono piuttosto rari e di modesta entità (si notano soltanto alcuni incavi marginali ai ff. 2, 18, 21, 22, 30, 31, 40, 76, 77, 106, 118, 123 e 135, ora restaurati); minime le differenze cromatiche tra lato pelo e lato carne dei singoli fogli, a dimostrazione anche del buon livello di preparazione del supporto (sebbene qualche foglio presenti delle irregolarità di grana, come si può vedere ai ff. 17 e 118, oppure addensamenti di bulbi piliferi non del tutto eliminati, come ai ff. 9v, 22r, 42r, 47r-v, 64r, 83v, 111v, 125v, 131v, 132r, 133v, 134r, 138v), che tra l’altro presenta uno spessore medio piuttosto contenuto, di 13,3 centesimi di millimetro.59 Insomma, in origine, le pergamene dovevano garantire una qualità piuttosto elevata a questo progetto librario, ora purtroppo compromessa da diffuse macchie di umidità e dall’usura che l’opera dell’uomo e il tempo gli hanno riservato,60 danneggiando seriamente la miniatura di f. 1r (come vedremo anche in seguito) e in non pochi casi provocando anche la caduta di inchiostro nel testo (in parte successivamente ravvivato, come accade ai ff. 1r, 6v, 10v, 34r, 45r, 46v e 72v). I bifogli furono poi regolarmente organizzati in 18 quaterni, per un totale di 144 fogli. Ma l’ultimo fascicolo, appunto il 18°, col trascorrere del tempo e forse anche a causa dell’asportazione dei due fogli finali (molto probabilmente bianchi), ha perduto il secondo foglio (quello compreso fra gli attuali 137 e 138), con relativa lacuna testuale, così come avverte una mano quattrocentesca (sul margine inferiore destro di f. 137v): « Diliberò Teseo ».61 Si tratta delle prime due parole che introducono l’ottava XII 47, Per cui si veda l’Appendice I. Rilevamento degli spessori delle pergamene, Fig. a. Si presentano duramente colpiti i ff. 1r-v, 2r-v, 7v, 9r-v, 10r-v, 11r-v, 12v, 20r, 27v, 28r, 31r, 32r, 33r-v, 40r, 45r, 46r, 51v, 53r, 56v, 61v, 62r, 65r, 67v, 68r, 72v, 73r-v, 76r, 77r, 88v, 92r, 93r-v, 94r-v, 95r-v, 96r-v, 97r-v, 98r-v, 99r-v, 100r-v, 101r-v, 102r-v, 103r-v, 108r-v, 109v, 110r, 111v, 112r, 123r, 128v, 129r-v, 136r, 140r-v e 141r-v. 61 La lacuna è segnalata anche dalla infrazione della cosiddetta regola di Gregory (secondo la quale ad apertura di libro sono sistematicamente affrontati lato carne con lato carne 59 60

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interamente perduta, così come sono cadute le ottave seguenti fino alla 55 compresa e i primi 6 versi della 56.62 La presenza del richiamo alle prime due parole dell’ottava XII 47 suggerisce chiaramente che a quell’altezza cronologica il secondo foglio del fasc. 18 era o sciolto e messo fuori posto, oppure già caduto. Anche la scelta di allestire una struttura fascicolare in quaterni rientra perfettamente nella prassi artigianale di costruzione del libro in volgare del primo Trecento, essendo rappresentata da 132 manoscritti su 260 unità censite (quindi il 50% circa del totale).63 Selezionate le pergamene (con tutto ciò che comporta – come abbiamo visto – per le dimensioni e le proporzioni del foglio) e organizzata la struttura fascicolare, Boccaccio doveva decidere quale aspetto dare al manoscritto, la sua facies, ovverosia la disposizione della mise en page. Una scelta importantissima, condizionata da almeno tre fattori: la tipologia del contenuto; lo spazio eventualmente da destinare al commento; e la presenza o meno di illustrazioni. Boccaccio optò per uno schema di rigatura a piena pagina, mantenendolo invariato in tutto il manoscritto, avente le seguenti caratteristiche (misure in millimetri rilevate al f. 10r): 24 [196] 55 × 32/5 [100] 5/55, con 41 righe tracciate a secco (con sporadiche tracce di colore) per un’unità di rigatura di 5 mm e 40 linee scritte, poiché la scrittura inizia dalla seconda riga.64 Dunque, uno schema di rigatura abbastanza semplice, sebbene non frequentissimo nella coeva produzione in volgare. Soltanto il Conventi Soppressi C.III.1266 della Nazionale di Firenze si avvicina (non poco) all’autografo del Teseida: si tratta di un frammento della Commedia (contiene Inf. VII 7-XX 33) databile alla metà del sec. XIV, prodotto in Emilia. Le sue dimensioni e la sua mise en page sono le seguenti: mm 275 × 201 = 25 [216] 34 × 41/7 [89] 7/57.65 Non è improbabile che Boccaccio, nel momento in cui si è trovato a dover decidere sulla disposizione delle ottave nella e lato pelo con lato pelo); l’osservanza della regola è costante in tutto il codice, tranne che nel fasc. 18 (costituito dai ff. 137, 138, 139, 140, 141), che presenta la seguente successione (C = carne; P = pelo): CP-CP-PC-CP-PC (il grassetto indicata la mancata corrispondenza); dunque il foglio caduto (fra 137 e 138, nello schema da inserire in seconda posizione) era così disposto: PC. 62 Cfr. BATTAGLIA, Boccaccio. Teseida, pp. XI-XII e 361. 63 Cfr. BERTELLI, Mss. Origini. BML, grafico 7 p. 19. Le altre tipologie di fascicolo più o meno forti, ma – come si può notare – con uno scarto notevole rispetto al quaterno, sono il quinterno (25 unità, il 9,62% del totale) e il sesterno (17 codici, il 6,54% del totale). Dati che sembrano abbastanza in sintonia con quanto rilevato anche da BUSONERO, Fascicolazione, pp. 37-38, 74, tabella 13 a p. 94, e grafico 3 a p. 110. 64 Si veda l’Appendice II. Organizzazione della pagina, Fig. a. 65 Per una descrizione di questo manoscritto, cfr. BERTELLI, Mss. Origini. BNCF, pp. 117 nr. 49 e fig. 62. Per uno studio più analitico del frammento e delle sue caratteristiche codicologiche e paleografiche, si veda anche ID., Tradizione della Commedia, pp. 27 n. 85, 31, 43, 44-50, 119, 372-373 nr. 28, e fig. 34.

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pagina del suo autografo, abbia pensato proprio ad una Commedia avente le stesse caratteristiche che presenta l’attuale manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze.66 Infatti, questo codice, oltre ad avere le medesime dimensioni e una mise en page molto simile a quella del Teseida, mostra anche un’altra caratteristica importante, alla quale il Boccaccio potrebbe essersi ispirato: il Conventi Soppressi C.III.1266, scritto tra l’altro in littera textualis, reca il testo della Commedia al centro della pagina e un apparato illustrativo del tutto sui generis, cioè non con le miniature collocate ad apertura di cantica – come nella maggior parte dei codici primo-trecenteschi del Poema –,67 ma infra testo.68 I 20 fogli che costituiscono l’attuale frammento della Commedia conservato a Firenze recano ben 15 disegni policromi (più un altro disegno – al f. 20v – non terminato):69 dunque un progetto librario molto simile a quello predisposto per l’autografo del Teseida, che prevedeva un corredo di numerose illustrazioni, anch’esse posizionate infra testo, purtroppo non eseguite.70 L’unica miniatura che invece è stata realizzata si trova al f. 1r (cfr. Tav. 17), in apertura di libro e come anticipazione visiva della dedica: infatti, sebbene danneggiata dall’umidità e dall’usura del tempo, la scena in essa rappresentata è ancora abbastanza leggibile, raffigura l’autore inginocchiato che porge il suo libro a una donna.71 66 Sull’organizzazione della pagina nell’autografo Laurenziano, si veda anche quanto osservato in MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 8-31. 67 Sarà sufficiente sfogliare le tavole di riproduzione dei codici a corredo dei volumi di BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca; e di BERTELLI, Tradizione della Commedia. 68 E forse non sarà quindi un caso che anche le Commedie di mano del Boccaccio, ovverosia To, Ri e Chig (che vedremo a breve), presentino una disposizione del testo a colonna unica, con margini molto ampi (soprattutto quello esterno e quello inferiore) lasciati spesso completamente vuoti (su questo aspetto si tornerà anche in seguito). 69 Per la descrizione dei quali, si veda BRIEGER-MEISS-SINGLETON, Illuminated Manuscripts, I, pp. 244-245. 70 Gli spazi riservati (mediamente di ampiezza pari a circa 12-13 linee di scrittura) destinati ad accogliere le illustrazioni si trovano ai ff. 5r, 8v, 11r, 15r, 17r-v, 19r-v, 21v, 25r, 26v, 27v, 28v, 29r, 30r, 32v, 35v, 36v, 39r, 40r, 41v, 44v, 49r, 51r, 53r-v, 54v, 59r-v, 62r, 71v, 73r, 76v, 78r, 81r, 84r, 87r, 99r, 100v, 103r, 104v, 107r, 109r, 110v, 111r, 113r, 115r, 117r, 120v, 124r, 125r, 126v, 127v, 129r, 130r, 132v e 139r-v. Essi sono delimitati da una doppia rigatura (ove necessario sia in alto che in basso del riquadro destinato ad accogliere l’illustrazione), che attraversa tutta la larghezza della pagina. Inoltre, si noterà che la loro distribuzione all’interno della pagina lungo tutto il codice è sostanzialmente equilibrata. Infatti, su un totale di 58 spazi riservati, 19 si trovano nella parte superiore della pagina, altri 22 in quella centrale (concentrati prevalentemente nella prima metà del manoscritto) e 17 nella parte inferiore. Per la distribuzione delle illustrazioni lungo i XII libri del Teseida e per l’entità degli spazi stessi, cfr. MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 26-28. 71 Sulla presenza nella miniatura di una terza figura, si rimanda a quanto osservato in EAD., Libro d’autore, pp. 24-25 e n. 40, ma a nostro avviso è cosa piuttosto improbabile, come già ebbe modo di rilevare il VANDELLI, Autografo della Teseide, p. 24 n. 1: « con un po’ di buona volontà si potrebbero anche vedere le traccie di più di una figura davanti alla donna e a

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Ma Boccaccio è andato oltre. Nel distribuire e disporre le ottave sulle pagine del suo autografo ha pensato anche di lasciare ai margini uno spazio sufficientemente ampio per accogliere il suo commento (tanto che il bianco rappresenta il 63,8% della superficie dell’intera pagina).72 Infatti, l’autografo Laurenziano presenta, sebbene saltuariamente, un quadro di giustificazione predisposto ad accogliere la glossa, l’autocommento (che oltre ad essere sporadico è anche molto variabile in estensione).73 Esso viene preferibilmente destinato al margine esterno – com’è ovvio che sia proprio per questioni di spazio –, ma sono frequenti anche i casi in cui il commento è disposto sul margine interno, mentre più raramente si sfrutta il margine inferiore (cfr. Tav. 20). Si tratta, in definitiva, di un’architettura della pagina abbastanza semplice, ma alquanto funzionale: una sola colonna di scrittura (di mm 196 × 100), delimitata ai lati da una coppia di righe verticali parallele (a 5 mm di distanza), che ospitano al loro interno la letterina maiuscola iniziale dell’ottava (toccata di giallo e alta circa 5 mm, cioè tanto quanto una riga di scrittura); i versi vengono quindi sistematicamente allineati lungo la prima riga di giustificazione verticale interna allo specchio di scrittura (nel caso del recto di un foglio), oppure lungo la riga esterna (nel caso del verso), e si susseguono gli uni agli altri senza alcuna interruzione, tranne quando l’autore-copista prevede l’inserimento di una vignetta illustrativa. Le partizioni testuali dei XII libri sono ovviamente segnalate da rubriche e da iniziali colorate di grandezza variabile a seconda dell’importanza della partizione stessa.74 Da notare anche la presenza, all’inizio del verso 7, di un’altra maiuscola (ma di modulo inferiore rispetto all’iniziale smarginata), sempre toccata di giallo, a indicare l’articolazione strofica dell’ottava. Questa disposizione, come ha giustamente rilevato Francesca Malagnini, ha lo scopo di creare « un effetto di perpendicolarità e di gioco tra linee verticali della scrittura e orizzontali nelle carte che ospitano anche gli spazi bianchi ».75 Denota insomma una straordinaria capacità di visualizzasinistra di quella inginocchiata; ma, oltre alla consunzione dei colori e del disegno, ci sono purtroppo macchie numerose nella pergamena, sicché quelle che possono sembrar tracce di figure umane, saranno forse apparenze illusorie prodotte da fortuite combinazioni di tali macchie ». 72 Cfr. Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 4. 73 Si va, per esempio, da qualche riga esplicativa (molto frequenti) a intere colonne, anche molto dense (l’unità di rigatura è di 2,5 mm, la metà rispetto a quella applicata per il testo), di commento (come accade, per esempio, ai ff. 20r o 56v), in cui la glossa inizia sulla riga di testa e prosegue fino a sconfinare nel margine inferiore. Degni di nota sono anche i casi in cui il testo del poema è affiancato, sia sul margine interno sia su quello esterno, da due colonne molto fitte di commento, come accade, sempre a titolo d’esempio, ai ff. 73v, 75v, 76r-v, 77r. 74 Per questo aspetto, si rimanda allo studio di MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 31-57. 75 Cfr. EAD., Libro d’autore, p. 18.

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zione della pagina, in cui tutti gli elementi (testo, paratesto, scrittura e decorazione) sono disposti in maniera tale da creare un sostanziale equilibrio, una ricercata armonia tra le parti, frutto chiaramente di un bagaglio tecnico ed artistico assai pronunciato. Definita ed organizzata la pagina, a Boccaccio non restava altro che decidersi sulla scrittura e sulla decorazione (di cui in parte abbiamo già detto) da destinare al suo autografo.76 Com’è noto, il Certaldese padroneggiava diverse tipologie grafiche: di natura corsiva e libraria, dalla mercantesca alla littera textualis, o gotica che dir si voglia.77 Per il suo habitus intellettuale, per la concezione che egli aveva del libro (libro-registro di lusso, nella definizione di Armando Petrucci),78 Boccaccio non poteva che optare per la littera textualis, che sarà adoperata costantemente sia per i suoi manoscritti latini, sia per gli autografi in lingua volgare.79 Una scelta chiara, voluta, nel segno della tradizione, che si richiama a modelli del passato, alla cultura ecclesiastica e a quella scolastico-universitaria, ma anche in linea con la produzione manoscritta in volgare – soprattutto di livello medio-alto – primo-trecentesca.80 Le caratteristiche della littera textualis del Laurenziano Acquisti e Doni 325 sono quelle che appartengono al periodo della ‘prima maturità’ della 76 Per quanto riguarda la scrittura, di questo come degli altri autografi, ci limiteremo ad alcune osservazioni di massima, essendo questo aspetto trattato nello specifico da Marco Cursi in questo stesso volume. 77 D’obbligo il rimando a DE LA MARE, Handwriting, pp. 17-29. 78 Cfr. PETRUCCI, Libro manoscritto, pp. 514-515. 79 Ad eccezione dello Zibaldone Magliabechiano, l’attuale Banco Rari 50 della Biblioteca Nazionale di Firenze, che è l’unico manoscritto cartaceo del Boccaccio, in cui adopera una scrittura genericamente definibile come corsiva. Sullo Zibaldone Magliabechiano, si veda Mostra del Boccaccio, pp. 124-126 nr. 102; e POMARO, Memoria, pp. 259-306 (con bibliografia pregressa). È invece in scrittura mercantesca la lettera inviata il 20 maggio del 1366 dal Boccaccio a Leonardo Del Chiaro, conservata all’Archivio di Stato di Perugia. Per una descrizione della lettera, si veda Mostra del Boccaccio, p. 164 nr. 142. Sulla sua scrittura, con osservazioni anche su quella dello Zibaldone Magliabechiano, in relazione alla scrittura del Parigino italiano 482, si veda CURSI, Nuovo autografo, pp. 12-21, al quale si rimanda anche per una riproduzione della lettera al Del Chiaro (tavola 6), che comunque si può vedere anche in DE LA MARE, Handwriting, Plate V(h); e in CURSI-FIORILLA, Boccaccio, fig. 20. 80 Sull’impiego della littera textualis in àmbito volgare, si veda BERTELLI, Mss. Origini. BNCF, pp. 33-53. Significativo il caso dei volgarizzamenti: su un corpus di 97 manoscritti (ma 109 mani), ben 69 (il 63% del totale) sono in littera textualis, mentre 35 sono in bastarda (il 32%) e 5 in mercantesca (il 5%). Il censimento dei manoscritti in volgare in Laurenziana sembra invece incrementare i numeri della scrittura bastarda in rapporto alla littera textualis (grafico 13: scrittura bastarda 41,45%, littera textualis 50,66%; nel censimento della Biblioteca Nazionale, sempre grafico 13, le percentuali sono: scrittura bastarda 36,59%, littera textualis 59,15%). Ma il rapporto è condizionato dalla massiccia presenza di Commedie, che nella Firenze della prima metà del Trecento sono prevalentemente vergate in scrittura bastarda (cfr. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 65).

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scrittura del Boccaccio:81 anzi tutto, è da notare la mancanza di regolarità sia nell’allineamento della catena grafica sulla riga di base (particolarmente evidente nei fogli iniziali, cioè nella parte in prosa, ma anche nei versi), sia nell’esecuzione del modulo delle lettere (tanto nelle dimensioni dei corpi, quanto nel prolungamento delle aste); inoltre, ricorre spesso anche un altro ‘difetto’ della sua scrittura giovanile, ovverosia « la mancanza di un perfetto parallelismo delle assi delle varie lettere (quale è verticale, quale pencola a destra, quale a sinistra) ».82 Si tratta di una scrittura chiara e piuttosto sobria, eseguita con uno strumento a punta tendenzialmente fine e morbida, che non crea forti contrasti fra tratti leggeri e pesanti: infatti, la catena grafica non è molto serrata e gli spazi bianchi, fra le parole e le lettere, sono ben distribuiti e sempre presenti. Da un esame a campione di alcuni fogli (iniziali, centrali e finali) del manoscritto, si può affermare anche che l’osservanza delle regole che disciplinano la littera textualis (fusione di curve contrapposte, uso di r rotonda dopo curva, elisione dei trattini d’attacco e chiusura di alcune lettere – soprattutto c e t – sul segno successivo) è, nella maggior parte delle occorrenze, rispettata.83 Per quanto riguarda la morfologia delle lettere, si noterà che: la a è nettamente prevalente nella forma di a, cioè con la ‘spalla’ che soverchia il corpo della lettera, secondo l’uso più antico della grafia del Boccaccio; la lettera h presenta spesso il tratto breve appoggiato alla base di scrittura, talvolta però mostra anche il tipico ritocco boccaccesco (molto sottile, probabilmente eseguito a dorso di penna) che dal vertice inferiore di questo tratto discende abbondantemente sotto la riga di base;84 la r di forma rotonda presenta un tratto discendente molto prolungato, ben al di sotto della base di scrittura; la z è resa prevalentemente con la ç. Quanto alle maiuscole, osserviamo che: la A è regolarmente eseguita col corredo di due apici, il primo si trova al vertice dell’asta di sinistra ed è rivolto verso l’esterno, mentre il secondo è posizionato al pedice (sempre della prima asta) ed è rivolto verso l’interno; la U/V presenta i due ritocchi sistematicamente rivolti a sinistra (e non all’interno, come nella fase più alta); la F reca il secondo tratto, quello orizzontale, che taglia leggermente l’asta; e 81 D’obbligo il rimando a RICCI, Evoluzione, pp. 287-290, dove sono riportate (a p. 287) le peculiarità grafiche che connotano la scrittura del Boccaccio secondo quanto rilevato da Michele Barbi, alcune delle quali (quelle che riguardano la y, la r e la h) però smentite da Ricci (perché « non trovano esatto riscontro nella realtà e quindi non riescono utili per una classificazione cronologica degli autografi », pp. 287-288). 82 Cfr. RICCI, Evoluzione, p. 289. 83 Per il nesso di curve contrapposte e l’esecuzione della r rotonda dopo curva convessa a destra, si veda MEYER, Die Buchstaben-Verbindungen, pp. 1-124; per l’elisione dei trattini di attacco e la chiusura di alcune lettere su quelle successive, cfr. ZAMPONI, Scrittura, pp. 315354; e ID. Elisione e sovrapposizione, pp. 135-176. 84 RICCI, Evoluzione, p. 294, colloca questo segno negli anni ’60.

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la T ha ora assunto una forma più ariosa e rotondeggiante (queste ultime due lettere, secondo Ricci, sarebbero tipiche di una fase più avanzata della scrittura del Certaldese).85 Infine, merita segnalare anche i frequentissimi ritocchi (anch’essi eseguiti a dorso di penna) ai vertici delle aste di b, h ed l, che « testimoniano » – sempre secondo Ricci –, insieme al ritocco verso il basso al secondo tratto della lettera h e al prolungamento dell’articulus finale della e (questo in realtà è maggiormente realizzato se la lettera si trova in fine di verso, mentre è più sporadico al suo interno), « un ideale estetico assiduamente perseguito » dal Boccaccio durante la terza fase evolutiva della sua scrittura.86 In conclusione di questa breve analisi paleografica sembrerebbe emergere che l’autografo del Teseida (nella scheda di descrizione datato al quinto decennio del sec. XIV) non appartenga alla fase più antica, quella propriamente giovanile o della formazione, della scrittura del Boccaccio (anni ’30-inizi anni ’40), ma ad un periodo leggermente più avanzato, diciamo ‘intermedio’ rispetto ad una fase di avanzata maturità, in cui il Certaldese sperimenta altre forme di lettera e altri espedienti tecnici, probabilmente da collocarsi alla fine degli anni ’40 o, al più tardi, agli inizi del decennio successivo. Nelle intenzioni dell’autore-copista doveva configurarsi come decisamente importante anche l’apparato decorativo, a suggellare un progetto librario comunque molto curato ed ambizioso. Infatti, nel progetto originario era previsto un ciclo di numerose illustrazioni (ben 58), purtroppo non eseguite.87 L’unica miniatura realizzata (tramite un sottile tratto di penna) si trova nella parte superiore di f. 1r, e rappresenta l’autore che, inginocchiato, porge il suo libro a una donna seduta (Tav. 17). Artefice di 85 Infatti, Ricci le fa risalire alla cosiddetta terza fase dello sviluppo della grafia del Boccaccio, « rappresentata magnificamente » dagli autografi del Buccolicum carmen (il Riccardiano 1232), databile agli anni 1367 circa; e delle Genealogie deorum gentilium (il Laurenziano Pluteo 52.9), ascrivibile agli anni 1363-1366 (cfr. RICCI, Evoluzione, p. 291 n. 2). 86 Cfr. ID., Evoluzione, p. 292. 87 Si veda quanto osservato alla n. 70. La corrispondenza tra il numero di questi spazi riservati (appunto 58) e il numero degli spazi totali destinati alle illustrazioni (35 però sono state eseguite) nel codice C.F.2.8 della Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini di Napoli ha indotto a supporre che questo testimone, vergato in mercantesca da Guido di Piero di Giovanni de’ Ricci da Firenze intorno alla metà del sec. XV (sottoscrizione al f. 138v), fosse in stretta relazione con l’autografo Laurenziano. Per un’analisi dettagliata delle illustrazioni del codice Napoletano, e degli spazi riservati in esso contenuti, in rapporto all’autografo Laurenziano, si veda MALAGNINI, Reinterpretazione figurativa, pp. 187-272 (con bibliografia pregressa). Sui Ricci, si veda COLEMAN, Oratoriana Teseida, pp. 115-117, al quale si rimanda anche per i rapporti testuali fra l’autografo e il testimone conservato a Napoli (alle pp. 120 e sgg.), per l’apparato di glosse presente in entrambi i codici (alle pp. 154-162) e per gli spazi riservati dell’autografo Laurenziano in confronto col manoscritto dei Girolamini (alle pp. 165-174).

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questa miniatura (acquerellata, le cui tinte violacee, d’azzurro e d’arancio sono molto rovinate, ma ancora visibili), secondo Maria Grazia Ciardi Dupré Dal Poggetto, sarebbe lo stesso Boccaccio.88 La studiosa sembra propensa ad attribuire al Certaldese anche le due iniziali grandi ornate con brevi fregi eseguite ai ff. 1r e 3r (Tavv. 17-18), che presentano gli stessi colori. Se così fosse, sorge spontanea la domanda: Boccaccio avrà pensato anche di eseguire lui stesso il previsto ciclo di illustrazioni? Oppure, proprio perché non realizzate, avrà pensato di commissionarle a un artista professionista, limitandosi così alla semplice progettualità? Domande a cui è difficile dare una risposta. Tuttavia, visto che l’apparato decorativo è stato eseguito in tutti i suoi particolari (eccezion fatta per le illustrazioni al testo, ovviamente), cioè con l’inserimento di iniziali grandi bipartite rosse e azzurre filigranate ai ff. 30v, 40r, 50r, 62v, 70r, 100r, 122v e 133r (in corrispondenza dell’inizio dei varî libri; ma per i libri II, VIII e X, ai ff. 18v, 86r e109v, le iniziali sono grandi azzurre filigranate rosse), di iniziali medie rosse e azzurre filigranate (in corrispondenza dell’incipit dell’ottava dopo la rubrica e nelle terzine dei sonetti), di segni paragrafali rossi e azzurri alternati e di tocchi di giallo alle maiuscole dei vv. 1 e 7 di ciascuna ottava, riteniamo più probabile che Boccaccio avesse l’intenzione di far eseguire le illustrazioni al Teseida da un artista professionista. Progetto che, per qualche ragione a noi ignota, è poi definitivamente naufragato. II.2. Gli autografi dedicati a Dante La fervida venerazione che Giovanni Boccaccio nutrì per Dante e per la sua opera, coltivata fin dalla giovinezza e mai trascurata nell’arco di tutta la vita, è chiaramente testimoniata da un’indefessa, molteplice operosità: di biografo, di commentatore ed interprete, ma anche e forse soprattutto di copista e di ‘editore’ delle opere dantesche, che ci consegna un’immagine, certamente statuaria, ma ancora fresca ed attuale, del più insigne e appassionato conoscitore trecentesco del Sommo Poeta.89 Non vi è alcun dubbio che Boccaccio fu un grande promotore, oltre che dell’opera, anche della fama dantesca, presso amici e letterati, così come è altrettanto sicuro che Dante e la Commedia fossero frequentemente al centro delle conversazioni che il Certaldese intratteneva con l’amico e maestro Francesco Petrarca.90 Sebbene il nome di Dante non venga praticamente mai esplicitato dal poeta d’Arezzo nei suoi scritti, con l’eccezione della famosa po88 Cfr. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus, pp. 204-205; EAD., Iconografia dei codici boccacciani, pp. 10-11. 89 Per l’argomento trattato è d’obbligo il rimando a VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, pp. 145-161. Ma si veda ora anche il catalogo Boccaccio autore e copista. 90 Cfr. SANTAGATA, Frammenti, p. 201; PASQUINI, Dantismo petrarchesco, pp. 21-38.

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stilla “Nota contra Dantem”, che Petrarca vergò in margine ad un suo codice contenente la Chorografia di Pomponio Mela,91 i debiti contratti con l’opera dantesca sono indubbiamente numerosi.92 Tali comunque da non rendere credibile che « Francesco riuscisse veramente a tener fede fino quasi ai cinquant’anni a un presunto programma di non leggere la Commedia ».93 Infatti, secondo la ricostruzione tradizionale, fu proprio Boccaccio che avrebbe inviato (tra l’estate del 1351 e il maggio del 1353)94 in dono al Petrarca una copia del Poema, identificata, com’è noto, nel codice Vaticano latino 3199 (Vat), accompagnata dal carme Ytalie iam certus honos,95 con cui invitava il ritroso amico a leggere ed apprezzare quell’esempio straordinario di poesia in volgare. Per l’importanza che Vat assume nell’economia del volume, si offre una sua descrizione aggiornata: Vaticano lat. 3199 [Tavv. 37-38] [Firenze], sec. XIV quinto decennio 1. GIOVANNI BOCCACCIO, Carme: Ytalie iam certus honos (f. dv), aggiunta di mano recenziore (diversa dalle altre mani presenti in fine codice), forse della fine del XIV secolo o, più probabilmente, degli inizi del sec. XV. 2. DANTE ALIGHIERI, Commedia (ff. 1rA-78rA). Inc.: (rubrica) « Incipit prima cantica Comedie excellentissimi poete Dantis Alagherii Florenti91 Manoscritto perduto, ma ricostruibile grazie all’Ambrosiano H 14 inf., che ne è copia fedele (cfr. BILLANOVICH, Antica Ravenna, pp. 344-345). In margine a De Chor. I 13, 76, dove il geografo, descrivendo la Sicilia, parla di uno speco nominato Tifone, il Petrarca scrisse “Nota contra Dantem”, intendendo cioè che il testo si oppone alla tradizione raccolta in Par. VIII 67-70, che colloca Tifeo in Sicilia (cfr. FEO, Petrarca, p. 450). Il nome di Dante non emerge neppure nella famosa Fam. XXI 15, inviata a Boccaccio sul finire degli anni ’50, dove Petrarca è costretto a difendersi dalla communis opinio che soffrisse d’invidia nei confronti dell’Alighieri, come dichiarato apertamente fin dal titolo della lettera: « Ad Iohannem de Certaldo, purgatio ab invidis obiecte calumnie ». 92 Come dimostrato, per esempio, negli studi di SANTAGATA, Presenze, pp. 163-211; TROVATO, Dante in Petrarca; e SANTAGATA, Per moderne carte. 93 Cfr. FEO, Petrarca, p. 450. 94 Si tratta della datazione più accreditata, per cui si veda almeno HECKER, Boccaccio-Funde, p. 14; TRAVERSARI, Boccaccio, p. 29; VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, p. 150; BILLANOVICH, Petrarca letterato, pp. 147-148; e più recentemente PETROCCHI, Dante. Commedia, I, p. 89; PETRUCCI, Scrittura di Francesco Petrarca, pp. 48 n. 4, 118; RODDEWIG, Commedia-Handschriften, p. 270; PULSONI, Il Dante di Francesco Petrarca, p. 156; e anche BOSCHI ROTIROTI, Sul carme, p. 131. Ma in CIOCIOLA, Dante, p. 184, si fa riferimento, sebbene dubitativamente, al 1359. 95 Sull’argomento si vedano ora i risultati della ricerca sul carme – con nuova edizione critica e descrizione dei testimoni – contenuti in TROVATO et alii, Tradizione e testo, pp. 1-111 (con bibliografia pregressa).

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ni, continens cantus trigintaquatuor. Incipit primus cantus, in quo proemiçatur ad totum opus. Rubrica »; (Inf. I 1) « Nel meço del camin di nostra vita ». 3. BERNARDO DI CANACCIO SCANNABECCHI, Epitaffio: Iura monarchie (f. 80v), di mano recenziore. 4. EPITAFFIO: Frigida Francisci lapis (f. 80v), di mano recenziore. 5. EPITAFFIO: Cura labor meritum (f. 80v), di mano recenziore. 6. BERNARDO BEMBO, Epitaffio: Exigua tumuli Dantes (f. 80v), di mano recenziore. Membr.; ff. VI, 80, I’ (bianchi i ff. 26r-v, 52v, 78v e 79v);96 numerazione in cifre arabiche, sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli; fasc.: 1-28, 310 (Inf.), 4-58, 610 (Purg.), 7-88, 910 (Par.), 102, con cesura di fascicolo fra le cantiche; richiami; mm 361 × 246 = 26 [256] 79 × 38 [70 (18) 69] 51 (f. 13r); rr. 49/ll. 48 (16 terzine); rigatura mista a secco e a mina di piombo. Scrittura di mano del cosiddetto « copista di Vat »:97 bastarda su base cancelleresca; rare correzioni di mano del copista; una postilla (al f. 1v) e segni di nota attribuiti alla mano di Francesco Petrarca;98 altre sporadiche Il f. I non è numerato; i ff. II-VI sono numerati (da mano moderna) rispettivamente a, a , b, c, d. Il f. a1 è costituito da un lembo di pergamena lungo e stretto (mm 355 × 33), che mostra tracce di scrittura quattrocentesca (in rima di area veneta). Al f. av, è applicata, nella parte superiore, una carta velina che riproduce la mano del Boccaccio, così come avverte una nota a matita di mano moderna: « Fac-simile del Terentius della Laurenziana di mano del Boccaccio ». Al f. 80v, al centro del margine superiore, sempre di mano recenziore, descrizione dello stemma della famiglia Alighieri. 97 Alla mano del « copista di Vat », che si identifica con la sigla del nostro codice, si devono – oltre al Vaticano lat. 3199 – altri 6 manoscritti della Commedia: Chantilly, Musée Condé 597 (Cha); Città del Vaticano, BAV, Barb. lat. 3644; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo 40.13; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari 330 (già Pal. 314); Firenze, Biblioteca Riccardiana 1012; e Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Italiano Z.55. Sull’attività di questo copista, si veda POMARO, Codicologia dantesca, pp. 343-374; e ora BERTELLI, Tradizione della Commedia, pp. 80-83 (con bibliografica specifica). 98 La postilla – più volte mal decifrata – recita (su quattro linee di scrittura): « Sic(ut) 2. 24 / i(n) med(io) (et) / i(nfra) e(st) 7° i(n) / fi(ne) » (cfr. Tav. 38a). La lettura di « e(st) » è giustificata anche dalla morfologia della lettera: infatti, sarà sufficiente il confronto con la c di « Sic(ut) » per notare la differenza e distinguere così le due lettere (il tratto di testa della e è rivolto verso il basso – e non orizzontale come quello della c –, da cui si diparte il tratto di stacco finale; si potrebbe obiettare che la e di « med(io) » è però molto simile alla c di « Sic(ut) »: ma questo esito della e è assolutamente normale – come lo sarebbe per c, t ed x –, poiché trattasi di lettera concava verso destra, che va – secondo regola – a chiudersi sulla lettera successiva, cfr. ZAMPONI, Scrittura, pp. 333-334). La postilla è stata eseguita a fianco di Inf. II 24 (« u’ siede ’l successor del maggior Piero »), probabilmente riferendosi sia a Purg. XXIV 20-24 (« et quella faccia / di là da lui più ke l’altre trapunta / ebbe la santa chiesa in le sue braccia: / dal Torso fu, et purga per digiuno / l’anguille di Bolsena et la vernaccia »), dove si parla di un altro successor del maggior Piero, ovverosia Martino IV, sia a Par. XXVII 47 (« de’ nostri successor parte sedesse »), cioè il 7° canto dalla fine del Poema, come ha ben intuito e commentato PULSONI, Il Dante di Francesco Petrarca, pp. 158-161. Per l’attribuzione della 96

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varianti di mano recenziore, forse ancora trecentesca (la stessa mano del Carme);99 sporadici interventi di mano di Pietro Bembo; maniculae ai ff. 59v e 60v (secondo Pulsoni, del Petrarca; cfr. Tav. 38b). Iniziali di cantica figurate in oro con fregio ai ff. 1r, 27r e 53r; iniziali di canto ornate in oro, talvolta con volti all’interno (ff. 13v, 20v, 34r con fregio che corre lungo tutto l’intercolumnio, 35r, 36v, 39v, 47r, 48r, 51r, 54v, 68v e 77r); rubriche latine brevi (1 linea, di mano del copista); letterine maiuscole toccate di giallo; al f. 80r, è incollata una carta contenente i ritratti a penna, probabilmente di mano del sec. XVI, acquerellati di Dante e di Petrarca, che si presentano in piedi coi libri aperti in mano. Legatura moderna in cartone rigido ricoperta di pergamena; sul dorso, incisioni dorate con stemmi e i cartellini con l’attuale segnatura. Storia del codice: al f. 1r, al centro del margine inferiore, entro il fregio, stemma di un antico possessore, molto deteriorato (non identificato); altro stemma, più piccolo e anch’esso deteriorato e maggiormente rovinato (con caduta anche di colore), al centro del margine superiore, sempre entro il fregio.100 Al f. 53r, entro il fregio sul margine destro, altro stemma su campo rosso, sempre di piccole dimensioni (e parzialmente danneggiato), con all’interno una colonna. Se si accetta l’attribuzione della postilla di f. 1v (come pare probabile), il ms. è appartenuto a Francesco Petrarca. Passò poi a Bernardo Bembo (1433-1519; al f. b, di sua mano: « Invidiam qui habet non solet esse dives ») e quindi al di lui figlio, Pietro (1470-1547). Nel 1582, Fulvio Orsini (1529-1600) acquistò il manoscritto da Torquato Bembo.101 Alla morte dell’Orsini, per legato testamentario, il codice passò alla Biblioteca Apostolica Vaticana.102 postilla alla mano del Petrarca (che l’avrebbe « vergata con ogni probabilità nel periodo 13501355 »), è d’obbligo il rimando a PETRUCCI, Scrittura di Francesco Petrarca, p. 48 n. 4. 99 Ad un primo esame, a questa mano, sembrerebbero potersi ricondurre le varianti presenti ai ff. 36v (« postura »), 38v (« Gherardo »), 40v (« al. laperto »), 44v (« ale »), 46r (« ciel » e « alti »), 49v (« di la ») 50v (« fansi » e « -tor »). Le due varianti di 38v (« Gherardo ») e 46r (« ciel ») sono state tuttavia attribuite da VATTASSO, Codici petrarcheschi, p. 21 – attribuzione poi confermata da Armando Petrucci – alla mano del Petrarca (cfr. PULSONI, Il Dante di Francesco Petrarca, p. 180). Sulla questione, ci riserviamo di tornare in altra sede. 100 Da ciò che si può ancora vedere sul codice, lo stemma più grande sembra uno scudo su campo azzurro, diviso diagonalmente da una barra in oro con una stella nella metà di destra. Dovrebbe essere lo stesso stemma che è stato inserito, sebbene in dimensioni più ridotte, nel fregio sia al f. 27r (anch’esso parzialmente danneggiato), sia in quello di f. 53r. 101 Al f. b, di mano del bibliotecario ed erudito Giuseppe Simonio Assemani (1687-1768), si legge: « Dante, Le poesie, scritto di mano del Boccaccio, una epistola sua in verso latino diretta al Petrarca, con la mano d’esso Petrarca in alcuni luoghi, in foglio. Ful. Vrs. ». 102 Tuttavia, nel 1797, il manoscritto fu confiscato dai francesi e portato alla Bibliothèque Nationale de Paris (timbro ai ff. dv, 1r e 80v), da dove fu recuperato nell’ottobre del 1815 (al f. b, sul margine inferiore: « ricuperato dì 14 8bre 1815 / Dalla Biblioteca parigina. Angeloni, Frusinate »; sotto la data, parzialmente erasa, si legge ancora una sigla: « M[arino]

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Bibl. (essenziale): Inventarium, t. IV, p. 298; BATINES, Bibliografia dantesca, I, pp. 148-150, 195, 359 nr. 14, 370-371 nr. 62; II, pp. 165-168 nr. 319, 181 nr. 341, 227 nr. 413, 250 nr. 446, 302 nr. 552; III, p. 49; NOLHAC, Fulvio Orsini, p. 304; FRANCIOSI, Dante Vaticano, pp. 15-18, 24-25, 29-31, 105-119; BILLANOVICH, Petrarca letterato, pp. 147, 161, 163-164; BRANCA, Tradizione I, p. 83; PETRUCCI, Scrittura di Francesco Petrarca, p. 118 nr. 5; PETROCCHI, Dante. Commedia, I, pp. 89-91 (= Vat); RODDEWIG, Commedia-Handschriften, pp. 270-271 nr. 632; VELLI, Il Dante di Francesco Petrarca, pp. 185-199; POMARO, Codicologia dantesca, pp. 343-374; PULSONI, Il Dante di Petrarca, pp. 155-208; BOSCHI ROTIROTI, Sul carme, pp. 131-137; BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, pp. 114 nr. 47, fig. 5; PASUT, Dante illustrato, pp. 115-147, e figg.; BERTELLI, Tradizione della Commedia, pp. 36-37, 80-81, 331; Boccaccio autore e copista, pp. 379-380 nr. 78 (scheda di G. Breschi); CURSI-FIORILLA, Boccaccio, p. 45.

Per quanto riguarda la Commedia, da Vat – o più probabilmente da un suo gemello103 – derivano i tre esemplari di mano del Boccaccio giunti sino a noi (in sequenza cronologica, cioè dal più antico al più recente): il codice Zelada 104.6 della Biblioteca Capitolare di Toledo (To); il lacunoso Ms. 1035 della Biblioteca Riccardiana di Firenze (Ri); e, infine, il Chigiano L.VI.213 della Biblioteca Apostolica Vaticana (Chig), al quale – com’è noto – è da ritenersi congiunto il Chigiano L.V.176.104 Per lo meno un’altra silloge autografa, oltre a quella conservata nel codice Toledano e in quello Chigiano (considerato appunto nel suo insieme), oggi perduta, sarebbe stata scritta dal Boccaccio tra il testimone Spagnolo e quello Vaticano, di seguito al Riccardiano, e secondo Michele Barbi avrebbe contenuto il Trattatello (nella sua seconda redazione), la Vita nuova, la Commedia e le 15 canzoni dantesche:105 ma non è da scartare l’ipotesi che l’interposito tra le due sillogi dantesche suggerito dal Barbi sia in realtà proprio il codice Riccardiano 1035, inteso come troncone fiM[arini] »). Al f. cr, al centro, è applicata una cedolina cartacea in francese con le indicazioni sul contenuto del manoscritto. 103 Cfr. PETROCCHI, Dante. Commedia, I, pp. 42, 89; e ora anche MECCA, Canone editoriale, p. 156. 104 Sulla sequenza To > Ri > Chig è d’obbligo il rimando a PETROCCHI, Dante. Commedia, I, pp. 18-19; e, da ultimo, a MECCA, Canone editoriale, p. 119. Sulla base dell’esecuzione delle lettere maiuscole di grandi dimensioni MALAGNINI, Libro d’autore, pp. 86-88, sembra suggerire una sequenza diversa dei tre autografi, in cui il Chig. L.V.176 precederebbe il Toledano e il Riccardiano, precisando tuttavia (a p. 87): « Non sono in grado di affermare quale dei due codici – Toledano e Chigiano L.V.176 – possa essere stato composto prima; premesso che sovrapposizioni di sistemi diversi e ritorni all’indietro sono a priori possibili, è certo in ogni caso che le risultanze di una analisi di filologia materiale indicano se non il rovesciamento della sequenza Toledano-Chigiani un forte avvicinamento cronologico tra il primo e i secondi ». 105 Cfr. BARBI, Seconda redazione, pp. 425-426.

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nale (Commedia + 15 canzoni) di una terza silloge più ampia, sebbene non rechi alcuna traccia di asportazione.106 Il Toledano Zelada 104.6 (scheda nr. 5) è la prima raccolta autografa boccaccesca di testi danteschi: è molto probabile che sia stata allestita dal Boccaccio a Firenze nel corso del sesto decennio del Trecento o, al più tardi, agli inizi degli anni ’60.107 Infatti, è questo il torno d’anni in cui si deve collocare la stesura del De origine, vita, studiis et moribus viri clarissimi Dantis Aligerii Florentini poete illustris et de operibus compositis ab eodem,108 successivamente ribattezzato Trattatello in laude di Dante, che significativamente è posto in apertura del codice.109 Ma l’intenzione del Boccaccio andava ben al di là della semplice raccolta, di una mera operazione di trascrizione delle opere in volgare di Dante: di fatto si trattò di una vera e propria operazione filologica. Infatti, nella stesura della Vita nuova il Certaldese estrapolò dal testo le cosiddette divisioni (dove Dante spiega il contenuto delle liriche), a suo dire assecondando così una volontà espressa dallo stesso Alighieri in tarda età, destinandole ai margini.110 106 Cfr. DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 38. Lo studioso poco oltre (a p. 46), scrive: « Il codice intermedio postulato dal Barbi si configura sempre meglio come un affine del Riccardiano. Si vorrebbe dire come il Riccardiano stesso nella sua primitiva consistenza, se fosse possibile trovare, come nel nostro codice [il Chigiano], tracce di uno smembramento. Certo che il semplice accoppiamento Commedia più canzoni, visto anche l’esito rappresentato dal Chigiano, appare come anomalo nella linea editoriale del Boccaccio ». Ma poi in DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 256, cambiò idea, almeno per il Trattatello. Sull’argomento si veda ora il saggio di Davide Cappi e di Marco Giola in questo stesso volume. 107 La cronologia relativa degli autografi boccacceschi è sempre stata molto controversa: per To, la forbice delle datazioni è compresa fra gli anni 1351-1355 (RICCI, Tre redazioni del Trattatello, pp. 71-72; e ID., Evoluzione, p. 295) e « tra 6° e 7° decennio » del Trecento (DE ROBERTIS, Dante. Rime, I/2, p. 657). Ma sull’argomento, si vede ora il saggio di Cursi in questo volume. 108 « Tra l’estate del 1357 e i primi mesi del 1359 », secondo BILLANOVICH, Prime ricerche, pp. 56-57 n. 2; ID., Petrarca letterato, p. 236. Di altro parere RICCI, Tre redazioni del Trattatello, pp. 70-72, dove con argomenti testuali (inerenti le fonti del Trattatello) e paleografici (la massiccia presenza della lettera a – in questa forma, considerata appunto più recente rispetto alla a con la ‘spalla’ che soverchia il corpo della lettera – in To) propende per una datazione del manoscritto Toledano di qualche anno antecedente rispetto alla proposta di Billanovich. Una posizione ribadita anche in RICCI, Boccaccio. Trattatello2, pp. 426-427. Sulla datazione del Trattatello, si veda anche PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, e qui la sez. I del contributo di Cappi-Giola. 109 Così il Ricci: « Non v’è dubbio che l’elogio [il De origine, vita, studiis et moribus viri clarissimi Dantis Aligerii Florentini] sia stato concepito dal Boccaccio non già quale opuscolo per se stante, ma quale corredo appropriato d’una raccolta di opere poetiche dell’Alighieri, comprendente i versi della “Vita nuova”, della “Commedia”, di quindici canzoni: monumento [...] alla memoria del poeta ed al tempo medesimo strumento efficace per divulgarne le opere », cfr. RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 426. 110 Un’operazione – com’è noto – non perfettamente riuscita e non sempre corretta, con forti conseguenze sulla tradizione del testo. Sull’argomento è d’obbligo il rimando a BARBI, Dante. Vita nuova2, pp. XVI-XVIII, CXLI-CXCIX.

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Ecco infatti quanto si legge nel testo dell’intera prima glossa (al f. 29r): Maraviglerannosi molti per quello che io advisi, perché io le divisioni de’ sonetti non ò nel testo poste come l’autore del presente libretto le puose, ma a cciò rispondo due essere state le cagioni. La prima, per ciò che lle divisioni de’ sonetti manifestamente sono dichiarationi di quegli: perché più tosto chiosa appaiono dovere essere che testo; e però chiosa l’ò poste, non testo, non stando l’uno con l’altre bene mescolato. Se qui forse dicesse alcuno – e le teme de’ sonetti e cançoni scripte da lui similmente si potrebbero dire chiosa, con ciò sia cosa che esse sieno non minore dichiaratione di quegli che lle divisioni –, dico che, quantunque sieno dichiarationi, non sono dichiarationi per dichiarare, ma dimostrationi delle cagioni che a fare lo ’ndusse i sonetti e le cançoni. E appare ancora queste dimostrationi essere dello intento principale; perché meritamente testo sono, e non chiose. La seconda ragione è che, secondo che io ò già più volte udito ragionare a persone degne di fede, avendo Dante nella sua giovaneça composto questo libello, e poi essendo col tempo nella sciença e nelle operationi cresciuto, si vergognava avere facto questo, parendogli opera troppo puerile; e tra l’altre cose di che si dolea d’averlo facto, si ramaricava d’avere inchiuse le divisioni nel testo, forse per quella medesima ragione che muove me; là onde io non potendolo negli altri emendare, in questo che scripto ò, n’ò voluto sodisfare l’appetito de l’autore.111

Boccaccio giustifica così la novità del proprio operato, rivolgendosi direttamente al pubblico dei lettori, manifestando quindi un atteggiamento più da ‘editore’ che non da semplice copista.112 Alla Vita nuova, seguono le tre cantiche della Commedia, ciascuna delle quali preceduta da un Argumentum in terza rima (la cui rubrica iniziale, al f. 48r, recita: « Argumentum super tota prima parte Comedie Dantis Aligherij Florentini, cui titulus est Infernus »; che più tardi, negli altri due autografi, diventerà il Brieve raccoglimento), in cui il Certaldese espone in maniera concisa, ma attenta e puntuale, il contenuto dell’intero Poema.113 È questo l’inizio della cosiddetta editio dantesca del Boccaccio che, secondo quanto ipotizzato da Giorgio Petrocchi, avrebbe tagliato in due la tradizione della Commedia: da una parte i 27 testimoni antiquiores (datati o databili entro il 1355), portatori di una lezione più o meno ancora genuina; dall’altra, tutto il resto della tradizione, non soltanto manoscritta, assolutamente deteriore.114 Chiosa già più volte edita, per cui si veda per lo meno ID., Dante. Vita nuova2, pp. XVI-XVII n. 1. 112 Secondo la felice definizione del VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, pp. 145-161. 113 D’obbligo il rimando a CASALI-VANDELLI, Boccaccio. Raccoglimento, pubblicato secondo l’autografo Toledano. 114 « Se il processo alterante del testo iniziò sùbito dopo la pubblicazione delle prime due cantiche, e comunque fu immediatamente successivo al 1321, occorre però affermare: l’alterazione del testo negli anni 1321-1355, sebbene grave e diffusa in ogni canto del poema e in ogni nucleo scrittorio dell’Italia centro-settentrionale, è valutabile e ovviabile, entro i 111

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In chiusura del manoscritto, il Certaldese volle inserire anche una serie di Rime dantesche (f. 257r: « Incipiunt cantilene Dantis Aligerii et primo de asperitate domine »), o meglio 15 canzoni (nell’ordine di comparizione sul manoscritto): « Chosì nel mio parlar voglio essere aspro » (f. 257r), « Voi che ’ntendendo il terço ciel movete » (ff. 257v-258r), « Amor che nella mente mi ragiona » (f. 258r-v), « Le dolci rime d’amor ch’io solea » (ff. 258v-259v), « Amor che movi tua virtù dal cielo » (ff. 259v-260r), « Io sento sì d’amor la gran possança » (ff. 260r-261r), « Al poco giorno (e) al gran cerchio d’ombra » (f. 261r-v), « Amor tu vedi ben che questa donna » (ff. 261v-262r), « Io son venuto al puncto della rota » (f. 262r-v), « E’ m’increscie di me sì malamente » (ff. 262v-263r), « Poscia ch’amor del tutto m’à lasciato » (ff. 263r-264r), « La dispietata mente che pur mira » (f. 264r-v), « Tre donne intorno al cor mi son venute » (ff. 264v-265r), « Doglia mi recha nello core ardire » (ff. 265v-266r) e « Amor da che convien pur ch’io mi doglia » (f. 266r-v).115 Un corpus che avrà una fortuna straordinaria: si ripeterà sostanzialmente identico, tanto nella lezione quanto nella disposizione delle canzoni, sia nell’autografo Riccardiano, sia in quello Chigiano.116 L’unica macroscopica differenza si riscontra nelle rubriche: nel Toledano sono brevi e in latino; nel Riccardiano sono in volgare; mentre nel Chigiano, a parte la rubrica introduttiva (« Qui cominciano le cançoni del chiaro poeta Dante Alighieri di Firençe »), sono state del tutto omesse (con i componimenti separati gli uni dagli altri da una sola riga lasciata in bianco). La consistenza del codice Toledano è di 269 fogli membranacei. Se la scelta del supporto pergamenaceo – tutto sommato di qualità piuttolimiti di una moderna intelligenza delle difficoltà implicite in ciascun atto operante della filologia; mentre non vi può essere, nel modo più assoluto, prodigio di acribia che riesca a metter ordine nella selva selvaggia della tradizione post-boccaccesca », cfr. PETROCCHI, Dante. Commedia, I, p. 9. Ma su questo argomento si veda quanto recentemente asserito da MECCA, Canone editoriale, pp. 181-182, dove si legge: « … in attesa di una conferma definitiva che potrà venire soltanto dall’agognata collazione integrale dell’intera tradizione, tutto sembra indicare che da un punto di vista testuale non esiste sbarramento cronologico del Boccaccio nella tradizione manoscritta della ‘Commedia’. L’influenza esercitata dal Boccaccio sulla tradizione successiva pare minoritaria. Giovanni Boccaccio, nonostante la sua fama di grande scrittore e di grande cultore di Dante, non ha però avuto un pari successo nella tradizione manoscritta del testo dantesco, e certamente non si può affermare di lui che sia stato ‘il massimo creatore d’una tradizione testuale della Commedia’ … caduta ogni ragione per sostenere lo ‘sbarramento cronologico’ del Boccaccio, viene meno anche la giustificazione filologica dell’edizione [secondo l’antica vulgata] ». Sulla fisionomia dell’editio dantesca del Boccaccio, si rimanda allo stesso Mecca in questo volume. 115 Tavola completa con rubriche in DE ROBERTIS, Dante. Rime, I/2, pp. 657-658; su To e affini, si veda in particolare il vol. II/1, pp. 270-282. 116 Sui rapporti tra il Toledano, il Riccardiano e il Chigiano – s’intende per il testo delle Rime –, si veda DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 40-47; e ID., Dante. Rime, II/1, pp. 269, 315-327.

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sto modesta, se non proprio scarsa117 – non sorprende affatto,118 colpisce invece la sua mole. Non c’è dubbio che l’alto numero di fogli occorsi per l’allestimento di questo progetto librario dipenda esclusivamente dall’impaginazione della Commedia su di una sola colonna di testo. Una scelta quanto meno controcorrente,119 su cui è necessario riflettere e cercare di capire quali potrebbero essere state le ragioni che hanno indotto il Boccaccio a intraprendere questa decisione così onerosa. Infatti, pur essendo un manoscritto di taglia media (misura mm 276 × 194, che originano delle dimensioni assolute di 470 mm),120 occorreranno al Certaldese più di 200 117 Come dimostrano sia i non pochi difetti (notevoli gli incavi al margine inferiore dei ff. 71 e 73, restaurati ab antiquo), sia la differenza cromatica, talvolta anche molto evidente, tra lato pelo e lato carne delle pergamene. La conferma della qualità mediocre del supporto (come pure della sua lavorazione) viene anche dallo spessore medio generale dei fogli, che si attesta sui 15,4 centesimi di millimetro: un valore ancora relativamente contenuto, ma con picchi piuttosto elevati di 18,5 centesimi di millimetro per i fascicoli 5 e 16, raggiungendo gli spessori massimi di 21,5 e 22 centesimi di millimetro rispettivamente ai fascicoli 37 e 33 (si veda l’Appendice I. Rilevamento degli spessori delle pergamene, Fig. b). 118 Basti pensare che le Commedie primo-trecentesche sono quasi esclusivamente membranacee; vale a dire, su un corpus di 85 manoscritti, ben 82 (il 96%) sono in pergamena, mentre soltanto 3 (il 4%) sono cartacee (cfr. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 23). Una percentuale che comunque è in linea anche con quanto emerge dal censimento dei manoscritti in volgare: infatti, su 254 unità codicologiche, 194 sono i manoscritti membranacei (il 76,38% del totale), 58 i cartacei (22,83%) e soltanto 2 sono misti (0,79%) (cfr. BERTELLI, Mss. Origini. BML, p. 18 grafico 5). 119 Infatti, i codici datati o databili entro la metà del Trecento della Commedia (basti pensare ai cosiddetti Danti del Cento) presentano quasi tutti un’impaginazione su due colonne (74 manoscritti; l’87% dei casi), mentre soltanto 4 recano il testo su di una sola colonna (7 invece sono quelli in cui il Poema è accompagnato dal commento) (cfr. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 57). I 4 codici rilevati da Boschi Rotiroti sono: il Vaticano Urbinate latino 366 (Urb), emiliano-romagnolo, datato 1352; il Madrileno Bibl. Nacional 10186 (Mad), genovese, datato 1354; il Laurenziano Pluteo 40.22 (Laur), scritto a Sassoferrato nel 1355; e il frammento (contiene Inf. XX 64-93, XXV 40-69 e XXX 145-XXXI 21) della Biblioteca Nazionale di Firenze conservato alla segnatura II.IV.587 (sez. I), probabilmente di produzione fiorentina della metà circa del sec. XIV. Ma a questi codici, bisognerà aggiungere per lo meno anche il Conventi Soppressi C.III.1266 della Nazionale di Firenze (di cui si è già parlato a suo luogo); il Berlinese Rehdiger 227, di produzione fiorentina, del secondo quarto del Trecento; e il Vaticano Barb. lat. 4117, anch’esso fiorentino, ascrivibile alla metà del secolo (cfr. BERTELLI, Tradizione della Commedia, pp. 28-30). 120 Un valore che si presenta molto diffuso per i manoscritti in volgare della prima metà del Trecento, essendo rappresentato da 167 unità su 254 censite (cioè il 65,75% del totale) (cfr. BERTELLI, Mss. Origini. BML, p. 19 grafico 8). Nello studio di BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, pp. 29-31, il Toledano è però considerato di taglia medio-piccola (valori compresi fra 312 e 490 mm), ma è evidente che il codice si colloca al limite della taglia definita dalla studiosa medio-grande (valori compresi fra 491 e 670 mm): sarebbe stato più opportuno creare una categoria di ‘valorî medî’, che meglio avrebbe corrisposto (anche come definizione) ai numerosi ‘casi’ come il nostro. Si noterà, infine, che la taglia del codice Toledano (mm 470; si veda l’Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 7-9) è praticamente la stessa che Boccaccio ha utilizzato per l’autografo del Teseida (mm 472; come già anticipato a suo luogo), ed è molto vicina anche a quelle che utilizzerà per il Riccardiano 1035 (mm

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fogli, oltre 400 facciate (Argumenta + Commedia, cioè da f. 48r fino a f. 256r) per arrivare al compimento della stesura del Poema. A nostro giudizio, la spiegazione di questa scelta ci viene suggerita osservando proprio la struttura della mise en page, che si presenta in tre diverse tipologie: quella destinata a ricevere i testi del Trattatello (ff. 1-16), della Vita nuova e delle 15 canzoni dantesche (quindi utilizzata per i ff. 1-16, 29-46 e 257-267), che misura mm 31 [172] 73 × 6/25/7 [98] 7/42/9 (f. 35r); quella per la parte finale del Trattatello (ff. 17-27) e per gli Argumenta (ff. 48-51, 117-120 e 188-190), che misura mm 23/8 [172] 10/53/10 × 6/25/7 [98] 7/42/9 (f. 19r); e quella destinata a contenere la Commedia (quindi appositamente predisposta per i ff. 52-256), che misura invece mm 35 [171] 70 × 41/5/5 [68] 5/5/65 (f. 69r). In tutti i casi è stata utilizzata una griglia di 37 righe tracciate a secco (sul lato carne e a bifoglio aperto, con sporadici residui di colore) con un’unità di rigatura di 5 mm per 36 linee scritte, poiché la scrittura inizia dalla seconda riga.121 Una simile disposizione (quella del testo del Poema) comporta necessariamente un forte contrasto fra ‘bianco e nero’, fra il vuoto dei margini e la scrittura. In altre parole, ad apertura di codice, colpisce la presenza – assolutamente ricercata e programmata – di ampi spazi bianchi all’interno della pagina, che sono chiaramente in sovrabbondanza: insomma, le sole 12 terzine di testo (cioè 36 linee di scrittura) che Boccaccio regolarmente trascrive appunto per oltre 200 fogli sono in evidente contraddizione con lo spazio che egli aveva di fronte a sé, tanto che il bianco rappresenta addirittura il 78,2% dell’intera superficie della pagina.122 Questo fatto lascia supporre l’intenzione dell’autore-copista di inserire, se non proprio un commento, per lo meno un qualche apparato di glosse (come nel caso delle divisioni della Vita nuova, dove si presentano perfettamente inquadrate all’interno dello spazio appositamente loro riservato dalla mise en page; cfr. Tav. 25). Infatti, la Commedia è corredata di diverse postille: si 487) e per il Chig. L.VI.213 (mm 464; più fedele alle dimensioni del manoscritto originario rispetto a quelle del Chig. L.V.176, che ha subito – come vedremo – una rifilatura maggiormente consistente). È dunque molto probabile che siano queste le dimensioni preferite dal Boccaccio per i suoi autografi in volgare (diverso – lo si vedrà più avanti – sarà il caso del Decameron), in cui l’altezza del manoscritto è compresa fra i 292 mm del Riccardiano 1035 e i 275 mm del Laurenziano Acquisti e Doni 325, mentre la larghezza oscilla fra i 195 mm del Riccardiano 1035 e i 186 mm del Chig. L.VI.213. 121 Si veda l’Appendice II. Organizzazione della pagina, Figg. b, c e d. 122 Si veda l’Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 9. Rappresentano eccezioni i ff. 62r e 2282v, dove Boccaccio aveva dimenticato rispettivamente 4 versi (cioè Inf. VI 6-9, poi aggiunti in alto, sopra alla colonna di scrittura: si presentano di modulo ridotto, mal allineati e con l’iniziale di terzina « Io sono » non toccata di giallo) e 6 versi (due o forse addirittura tre intere terzine – Par. xx 61-69 –, poi aggiunte di seguito all’ultimo verso della colonna di scrittura; anche in questo caso le lettere sono di modulo minore e le iniziali di terzina non sono toccate di giallo).

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tratta per lo più di varianti, ma anche di qualche interessante glossa, come quelle al f. 142r-v (cfr. Tav. 27a-b).123 Una simile disposizione del paratesto era già in circolazione per i manoscritti del Poema dantesco, come si può vedere, per esempio, nel Chigiano L.V.167 (bolognese, della metà del sec. XIV), oppure nel codice conservato a Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, L 70 (già 818, per Boschi Rotiroti umbro e ascrivibile all’ultimo quarto del Trecento, ma senese, e a nostro avviso sicuramente più antico).124 Pur tuttavia, anche questo progetto fu evidentemente abbandonato, oppure, nelle intenzioni dell’autore, semplicemente lasciato in sospeso. Ma per quale motivo? Incombeva qualcosa di più importante ed urgente?125 I 269 fogli sono stati organizzati in ben 37 fascicoli (con delle unità – numerate in quanto tali – costituite anche di soli tre fogli). Il Toledano infatti presenta una struttura fascicolare particolarissima, sui generis,126 che si spiega soltanto con la volontà del Boccaccio, nelle vesti di artigiano e di copista-editore di opere altrui, di rendere i testi danteschi del tutto autonomi non soltanto sul versante testuale, ma anche su quello materiale: in sintesi, ogni opera ha termine in corrispondenza della fine dei fascicoli. Potrebbe trattarsi di una disposizione che rispondeva ad una necessità praEcco l’elenco degli interventi marginali di mano del Boccaccio sul testo della Commedia: ff. 53r, 55r, 56r, 57r-v, 58r-v, 60r, 64v, 65r-v, 67r, 71v, 73r-v, 77v, 79v, 80v, 89r, 90r, 96r, 109v, 121r, 126v, 141v, 142r-v, 146r, 148r, 152r, 154r-v, 156v, 157r, 158r, 160r, 164v, 166v, 175v, 182r, 183v, 184v, 185r-v, 205v, 244r e 246v. Le glosse dei ff. 141v, 142r e 142v, in corrispondenza di Purg. XI 93, 103 e 138, sono state edite e commentate in PULSONI, Chiose dantesche, pp. 13-26. 124 Cfr. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, rispettivamente figg. 2 e 91; e TROVATO, Tavola sinottica, p. 239 e n. 54. 125 Potrebbe essere il caso della prima grande e prestigiosa ambasceria che il Boccaccio fece al di là delle Alpi, ad Avignone, presso papa Innocenzo VI: era il maggio-giugno del 1354. La Signoria incaricò Boccaccio di recarsi dal Pontefice, mossa evidentemente da forti preoccupazioni per l’annunciata discesa in Italia dell’imperatore Carlo IV: l’obiettivo dell’ambasciatore era chiaramente quello di ottenere la protezione papale. La missione avignonese ebbe successo, tanto che al suo rientro a Firenze, il Certaldese ricevette dal Comune altre missioni e altri incarichi pubblici (cfr. BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico, pp. 96-98). Oppure, come sembra suggerire la scoperta del ritratto di Omero sul foglio finale del codice Toledano (cfr. BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, pp. 291-295, e ora in questo volume alle pp. 131-136), potrebbe trattarsi dell’improvviso e irrefrenabile desiderio di realizzare l’« auspicatissimo progetto omerico », al quale Boccaccio – su stimolo del Petrarca (incontrato a Milano nel marzo del 1359) – dedicherà le sue energie fra la fine del 1359 e il 1360, per condurre il grecista Leonzio Pilato a Firenze. Infatti, nell’estate del 1360 Leonzio giunse nel capoluogo toscano, ospite del Boccaccio: di certo, in quest’occasione, il Certaldese deve aver beneficiato di lezioni private di lingua greca, ma l’obiettivo principale – com’è noto – era quello di far tradurre e commentare Omero. Un’operazione lunga e molto stimolante, conclusasi entro l’inverno del 1362 (cfr. BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico, pp. 114-118). 126 Qui riportata per comodità del lettore; fascicolazione: 1-38, 43 (Vita di Dante), 5-68, 74 (Vita nuova), 84 (Brieve racc. all’Inf.), 9-158, 1610 (Inf.), 174 (Brieve racc. al Purg.), 18-258, 263 (Purg.), 273 (Brieve racc. al Par.), 28-368 (Par. + inizio Rime), 376, con cesura di fascicolo fra le cantiche. 123

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tica o di servizio? È molto probabile che fosse così. E ad avvalorare questa ipotesi sembrerebbe concorrere anche la recente scoperta di una data: « 1372 ».127 Tale indicazione è stata posta nell’angolo inferiore destro dell’ultimo foglio del codice (f. 267r; cfr. Tav. 36a), cioè in una posizione e con una fisionomia particolari; essa sembrerebbe far riferimento non tanto all’anno in cui il manoscritto fu finito di scrivere – nel qual caso avrebbe avuto sicuramente un’altra ubicazione e anche una forma diversa (più didascalica ed esplicativa) –, quanto piuttosto all’anno in cui Boccaccio decise di dare un ordinamento a queste carte, molto probabilmente tenute appunto per lungo tempo nel suo scrittoio sciolte, cioè non rilegate. D’altronde, di lì a qualche mese – era il 12 agosto del 1373 –, il Certaldese ricevette l’incarico ufficiale dal Comune di Firenze di leggere pubblicamente la Commedia (nella chiesetta di Santo Stefano di Badia, era il 23 ottobre 1373):128 di certo per l’occasione avrà voluto con sé proprio quel testimone che evidentemente lui stesso aveva eletto come il rappresentante più fededegno del Poema dantesco, il codice Toledano, a discapito degli altri due autografi (ancora in suo possesso?), il Riccardiano 1035 e il Vaticano Chigiano L.VI.213.129 Secondo la ricostruzione procurata da Michele Barbi prima e successivamente da Pier Giorgio Ricci, la scrittura del Riccardiano 1035 (scheda nr. 4), da collocarsi in ambiente fiorentino, risalirebbe agli anni 13631366.130 Contiene, con qualche lacuna interna,131 la Commedia con gli Argumenta boccacceschi e le 15 canzoni di Dante, che si presentano nel medesimo ordine seguito per il codice Toledano, ma qui designate come « cançoni distese » e introdotte – come dicevamo – da rubriche in volgare. L’infaticabile attività del nostro copista-editore è dimostrata proprio dalla scrupolosa attenzione dedicata alla stesura dei testi danteschi. Su quello della Commedia, forse anche perché non pienamente soddisfatto del lavoro compiuto in precedenza col Toledano, Boccaccio interviene animosamente sia apportando numerose varianti di lezione (spesso introdotte da segni di richiamo o da indicazioni tipo aliter e corrige), sia giustapponendo, sotto il profilo formale, numerosi segni d’espunzione (punto Per la quale, si veda BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, pp. 289-290. Per cui si veda per lo meno BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico, pp. 181-182. 129 Conclusione in linea con quanto già a suo tempo osservato in PETROCCHI, Chiosa aggiuntiva, p. 20; e ora anche in FEOLA, Varianti marginali, p. 134 n. 53. Per PADOAN, Boccaccio. Esposizioni, p. XXV, « Boccaccio si servì per il commento probabilmente di due diverse copie della ‘Commedia’, non senza confusione, sì che talvolta un verso, citato nelle ‘divisioni’, appare poi, dove viene chiosato, in una lezione affatto diversa, anche se per talune di queste diffrazioni si può pensare ad errori di memoria ». 130 Cfr. RICCI, Evoluzione, p. 295 e n. 6. Ma si veda ora quanto osservato nel saggio di Cursi in questo volume. 131 Mancano, per caduta di fogli, i vv. Inf. XXI 101-XXII 136 e Purg. VIII 71-XIII 68; per omissione i vv. Purg. XXVI 10-12, poi integrati da mano recenziore a margine. 127 128

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sottoscritto) a fine d’elisione o d’apocope, così come sostituisce le rubriche latine con quelle in volgare. Al f. 178r, giunto (quasi) alla fine del suo lavoro di trascrizione, scrive (in esametri, con inchiostro rosso): « Finis adest longi Dantis cum laude laboris / Gloria sit summo regi matrique precamur / Quos oro celsas prestent conscendere sedes / Dum supprema dies veniet morientibus egris ».132 Il fatto che questa formula verrà dal Boccaccio ripetuta identica nel manoscritto Chigiano (a pag. 359 dell’attuale Chig. L.VI.213), sembrerebbe rappresentare un ulteriore elemento a favore dell’ipotesi avanzata da De Robertis: il codex interpositus – ora perduto – scritto tra il Toledano e il Chigiano, di seguito al Riccardiano (già supposto dal Barbi), potrebbe effettivamente essere identificato col Riccardiano stesso, che avrebbe smarrito una serie di interi quaterni a inizio volume contenenti appunto il Trattatello, in una versione rivista, ripensata e più breve rispetto a quella del Toledano, e forse anche la Vita nuova. Si giustificherebbe così la presenza di una formula finale in cui l’autore-copista manifesta chiaramente il sollievo provato alla fine di una lunga ed estenuante fatica, come difatti avviene anche nel codice Chigiano (ovviamente considerato nel suo assetto originario). Non poche e anche molto interessanti sono poi le postille marginali latine, che s’incontrano a partire dal canto XIV (al f. 89r) fino al canto XXX del Purgatorio (al f. 115v).133 A lungo attribuite alla mano dell’antico possessore del codice (che si firma al f. 187r: « Liber Bartholomei ser Benedicti Fortini de Florentia »),134 queste chiose soltanto di recente sono A proposito di questi quattro esametri latini, riportati anche sul Chigiano, scrive VANBoccaccio editore di Dante, p. 156: « il trascrittore, dopo avere con evidente compiacenza dichiarato d’essere giunto alla fine del lungo lavoro (Finis adest longi Dantis cum laude laboris), glorifica Dio e Maria e ne implora il patrocinio per salire al cielo, dum suprema dies veniet morientibus egris. Questo tratto religioso sta in armonia con la maggiore religiosità che si avverte in più luoghi della stesura nuova del Trattatello in confronto con la prima: probabilmente tra l’una e l’altro c’è di mezzo la crisi spirituale del 1362 ». Detti esametri (editi in VELLI, Boccaccio. Carmina, VIII, p. 440) si trovano anche nei seguenti manoscritti della Commedia: nel Laurenziano Tempi 6, di fine sec. XIV; nel Riccardiano 1046, degli inizi del sec. XV (codice perduto); nel Parmense Palatino 117, del sec. XV; nel Chig. L.VII.253, anch’esso degli inizi del sec. XV; e nel manoscritto conservato a Soragna (Parma) presso la collezione dei principi Meli Lupi, della fine del sec. XIV-inizi XV (per una descrizione di questi codici, si veda RODDEWIG, Commedia-Handschriften, rispettivamente alle pp. 94-95 nr. 219; 137-138 nr. 327; 252 nr. 583; 289 nr. 670; 322-323 nr. 755). 133 Da MORPURGO, Mss. Riccardiani, pp. 28-29, così descritte: « Ai canti XIV-XXX del Purg. sono alcune chiose marginali latine di mano contemporanea a quella del copista ». Ma Morpurgo riteneva il codice Riccardiano databile agli inizi del sec. XV. Le chiose si trovano ai ff.: 89r-v, 92r-v, 93r, 95v, 102v, 104v, 105r, 107v, 109v, 112r-v, 113r-v, 114r e 115v. 134 Si tratta appunto del figlio (1402-1469/70) del cancelliere – ser Benedetto – della Repubblica Fiorentina che succedette per breve tempo a Coluccio Salutati (cfr. CIAPPELLI, Fortini, pp. 187-189). 132

DELLI,

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state ricondotte ad un copista ancora trecentesco, da identificarsi – secondo Gabriella Pomaro135 – con colui il quale collabora con frà Tedaldo della Casa alla stesura delle Genealogie deorum gentilium boccaccesche nel codice Laurenziano Pluteo 26 sin. 7 (datato a. 1390).136 Un’identificazione molto importante, poiché permette di tracciare per l’autografo Riccardiano una storia sicuramente tutta fiorentina. L’attuale consistenza del codice Riccardiano è di 187 fogli. Si tenga però presente che: al fasc. 5, è caduto il bifoglio centrale; i fasc. 10-11 sono cartacei moderni in sostituzione di un quaterno originario perduto (il fasc. 10°); mentre al fasc. 24 è stato tagliato l’ultimo foglio (forse però già asportato – in quanto bianco – ab origine). Dunque, doveva trattarsi di un manoscritto di almeno 197 fogli pergamenacei. Tuttavia, se quanto osservato in precedenza sull’assetto originario del codice fosse vero (cioè che il Riccardiano in realtà rappresenti soltanto la parte finale del primitivo autografo boccaccesco), dovremmo allora considerare un numero maggiore di carte, ovverosia tante quante ne occorrono per contenere anche il Trattatello (in versione compendiosa) e forse anche la Vita nuova, cioè almeno altri 29 fogli (secondo l’autografo Chigiano), raggiungendo così un assetto originario di circa 226 carte. Il supporto scelto non era di grandissima qualità (si direbbe, anzi, piuttosto mediocre), nonostante che lo spessore medio generale dei fogli – di 13 centesimi di millimetro – sia sostanzialmente contenuto:137 infatti presenta numerosi difetti, come buchi, margini irregolari e cuciture antiche.138 Anche la lavorazione non dovette essere certamente di altissimo profilo, come dimostrano le differenze cromatiche tra lato pelo e lato carne delle pergamene piuttosto diffuse e ben evidenti.139 Cfr. POMARO, Itinerario dantesco, p. 14. Per una descrizione di questo codice, cfr. BRUNETTI, Franceschi e provenzali, pp. 5556; e ora anche Boccaccio autore e copista, pp. 179-180 nr. 34 (scheda di T. Gramigni). Sulla figura di questo collaboratore di frà Tedaldo, la studiosa conclude (ibid., pp. 57-59) che doveva trattarsi « di un personaggio speciale, capace di accedere direttamente ai materiali dello scrittoio boccacciano », da ricercarsi nella cerchia di Benvenuto da Imola. 137 Si veda l’Appendice I. Rilevamento degli spessori delle pergamene, Fig. c. Nello schema è da notare che il fasc. 20 mostra uno spessore dei fogli alquanto superiore rispetto a quello degli altri fascicoli (di 23,5 centesimi di millimetro), ma la natura e la qualità della lavorazione sembrano gli stessi. 138 Gli incavi sui margini e i difetti più vistosi si trovano ai ff.: 3, 6, 8, 11, 16, 19, 21, 25, 26, 27, 28, 30, 43, 44, 45, 51, 54, 56, 69, 87, 93, 96, 97, 98, 100, 111, 112, 113, 116, 117, 118, 120, 121, 122, 123, 124, 128, 136, 137, 144, 148, 151, 152, 154, 155, 156, 160, 165, 171, 173, 177, 181, 183, 185 e 186. Nel caso dei ff. 54r, 100v, 124v, 152v, 156v e 160r-v la scrittura si adatta ai difetti delle pergamene, dimostrando così che si tratta di guasti preesistenti alla stesura del testo. 139 Lo stato di conservazione del codice è buono; si segnalano però qualche macchia di umidità (che ha colpito soprattutto i fogli iniziali), sporadiche cadute d’inchiostro (come ai ff. 27v, 45r, 159v) e fori di tarlo nella prima parte del manoscritto. 135 136

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Organizzato in quaterni, anche il Riccardiano, sulla scia dell’autografo Toledano, mostra una disposizione del testo del Poema piuttosto spinta verso l’alto e verso sinistra, come dimostra il seguente schema di impaginazione (per i ff. 1-178): 25 [188] 79 × 35/6 [81] 6/67 (f. 15r).140 Appare chiara la scelta da parte del Boccaccio di lasciare ampi spazi bianchi (il 73,2% dell’intera pagina), soprattutto per il margine inferiore e per quello esterno, nonostante che le linee di scrittura vergate sui singoli fogli oscillino ora fra le 42 e le 45 unità, vale a dire 14 o 15 terzine, cioè ben 6 o addirittura 9 versi in più per singolo foglio rispetto al codice conservato a Toledo.141 Leggermente diversa è la mise en page adottata per il testo delle quindici canzoni dantesche (ff. 179-187): 25 [188] 79 × 40 [90] 65 (f. 183r). Boccaccio evidentemente non ha ritenuto più necessario predisporre una colonnina da destinare alle iniziali delle varie partizioni dei componimenti poetici – che restano comunque smarginate (come nel Toledano, ma non sarà così – come vedremo – nel Chigiano) –, a tutto vantaggio dello specchio di scrittura.142 Nel Riccardiano, Boccaccio non segue le ‘regole’ di impaginazione che contraddistinguono le Commedie prodotte nelle botteghe fiorentine primo-trecentesche, nelle quali solitamente gli artigiani facevano iniziare la trascrizione delle singole cantiche con un nuovo fascicolo, anche a costo di lasciare in bianco alcuni fogli del fascicolo precedente.143 Infatti, la variabilità dell’estensione delle rubriche scardina i precisi rapporti tra fascicolo e cantica, la soluzione di continuità tra i canti e la necessaria solidarietà tra fine della terzina e fine del foglio. Una siffatta disposizione del testo ha lasciato supporre anche che Boccaccio avesse previsto per questo codice un certo corredo illustrativo, di cui – secondo alcuni specialisti – ci sarebbero pervenuti ben 7 disegni a penna (chiaroscurati e leggermente acquerellati, soltanto l’ultimo – al f. 29r – parzialmente colorato). In realtà, questi disegni – che illustrano il testo della Commedia fino al XVII canto dell’Inferno – sono stati oggetto di complicate vicissitudini attributive, che sono tuttora in corso.144 Sarà sufficiente ricordare che dette illustrazioni sembravano possibili a Brieger e Meiss soltanto nell’àmbito della tradizione veneziana del secondo quarto del secolo XV, epoca alla quale risalirebbe anche l’iscrizione in caratteri epigrafici della didascalia apposta sulla Si veda l’Appendice II. Organizzazione della pagina, Fig. e. Da notare che la foratura è ancora parzialmente visibile. Infatti, nel margine superiore e in quello inferiore dei ff. 1-177 si distinguono chiaramente quattro fori a sezione rotonda: due a destra e due a sinistra, che delimitano appunto lo specchio di scrittura e ospitano le iniziali di terzina smarginate. La quarta riga – quella più esterna – non sempre è stata tracciata. 141 Si veda l’ Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 5. 142 Si veda l’Appendice II. Organizzazione della pagina, Fig. f. 143 Cfr. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, pp. 40-43. 144 Sull’argomento, si veda PASUT, Boccaccio disegnatore, pp. 51-59. 140

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porta dell’Inferno al f. 7r (« PER ME SI VA NELA ») (Tav. 22).145 Un’altra parte della critica (da Volkmann a D’Ancona) attribuisce invece i disegni alla scuola fiorentina tardo trecentesca, con particolare riferimento all’ambiente di Lorenzo Monaco e alla scuola degli Angeli.146 Degenhart e Schmitt hanno invece ritenuto di identificare in queste illustrazioni la mano del Boccaccio in base al confronto coi disegni che incorniciano i richiami dell’autografo del Decameron, l’Hamiltoniano 90.147 Un’ipotesi, avvalorata anche dalla coincidenza tra i canti illustrati e il termine ove s’arrestano le Esposizioni sopra la Comedia (Inf. XVII), ripresa, approfondita col confronto di un corpus di disegni del Boccaccio e quindi recentemente confermata da Ciardi Dupré Dal Poggetto,148 di cui riportiamo la descrizione delle illustrazioni e le sue conclusioni: Nei margini inferiori di sette fogli sono disegnate altrettante scene dell’Inferno caratterizzate da un tratto sicuro ma leggero, molto elegante. L’acquerello è steso con molta sapienza e con grande accuratezza. I personaggi sono pochi – soltanto quelli indispensabili – ma sono disposti con grande armonia all’interno di uno spazio limpido e arioso, creato con pochi elementi, ma non per questo meno definito e reale. I confronti morelliani dei volti, dei panneggi, del modo di rendere gli occhi convincono che qui siamo di fronte a un’opera autografa del Boccaccio, che ha voluto misurare le proprie capacità artistiche con questo grande testo. La qualità accuratissima delle composizioni e della resa pittorica testimoniano dell’impegno messo in questa impresa. Possiamo concludere che il Boccaccio fu dotato in misura molto notevole di capacità artistiche o figurative: può essere definito un narratore per immagini e non soltanto un letterato e copista che si diletta ogni tanto di disegnare piccole figure, quasi per sfogare la fatica e la tensione dello scrivere.149 Cfr. BRIEGER-MEISS-SINGLETON, Illuminated Manuscripts, I, pp. 249-250; II, tavv. 44b, 62b, 88b, 123b, 134a, 162a e 203c. E ora anche BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, pp. 156-157. 146 Cfr. VOLKMANN, Iconografia dantesca, p. 50; D’ANCONA, Miniatura fiorentina, I, p. 28; II, p. 164 nr. 179; ma anche SALMI, Problemi figurativi, p. 179. Secondo SCURICINI GRECO, Miniature riccardiane, p. 198, il « manoscritto è di scuola fiorentina del Quattrocento ». 147 Cfr. DEGENHART-SCHMITT, Corpus, I, Kat. 66; I, Taf. 113-114 a/b. Tuttavia, il primo ad avanzare la tesi dell’autografia dei disegni del codice Riccardiano è stato VANDELLI, Autografo della Teseide, p. 29 n. 2. 148 Cfr. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus, p. 206. 149 Cfr. EAD., Iconografia dei codici boccacciani, p. 9. La studiosa attribuisce al Boccaccio, oltre ai disegni riccardiani, anche le due iniziali ornate e la miniatura di dedica del Teseida (si veda quanto osservato in precedenza), i disegni degli alberi genealogici nell’autografo delle Genealogie deorum gentilium (Laurenziano Plut. 52.9), una raffigurazione a piena pagina del Buccolicum carmen (Laurenziano Plut. 34.49) e le sedici illustrazioni del Parigino italiano 482 del Decameron (cfr. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus, pp. 197-225; EAD., Iconografia dei codici boccacciani, pp. 8-14; EAD., Rapporto testo-immagine, pp. 456-473). Attribuzioni su cui la critica più recente ha però espresso non poche perplessità (per cui si veda per lo meno PETOLETTI, Postille a Marziale, p. 107; e BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, pp. 156-157; e ora anche CURSI-FIORILLA, Boccaccio, p. 44, e CURSI, Scrittura e Libri, p. 99 n.115). 145

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Se così fosse, l’imitazione della scrittura epigrafica romana presente sulla porta dell’Inferno al f. 7r si configurerebbe come « un fatto di squisita iniziativa umanistica rimasto estraneo alla pratica artistica per oltre mezzo secolo ».150 I due autografi Chigiani L.V.176 ed L.VI.213 (scheda nr. 1) rappresentano l’ultima, straordinaria raccolta boccaccesca di testi danteschi: è molto probabile che questa silloge sia stata allestita dal Boccaccio a Firenze nel corso del settimo decennio del Trecento, fra il 1363 e il 1366.151 Ma, a differenza di quanto accade nell’autografo Toledano, al culto della memoria di Dante, Boccaccio stavolta affianca anche l’opera di Francesco Petrarca, ovverosia i Rerum vulgarium fragmenta (o più propriamente il Fragmentorum liber, secondo quanto si legge nella rubrica – al f. 43v – del Chig. L.V.176: « Viri illustris atque poete celeberrimi Francisci Petrarce de Florentia Rome nuper laureati Fragmentorum liber incipit feliciter »), in quella che non a caso diventerà la cosiddetta “forma Chigi” (1359-1362), cioè la prima ‘edizione’ riconoscibile con sicurezza del canzoniere petrarchesco.152 Si tratta, evidentemente, dell’atto « costitutivo del canone delle “tre corone” », voluto dal « terzo tra cotanto senno », appunto Giovanni Boccaccio.153 Già Vandelli aveva avanzato l’ipotesi che i due manoscritti Chigiani dovessero « stare appaiati fin dall’origine, se pure non formarono un sol volume », e aveva espressamente designata come ultima delle sillogi dantesche formate dal Boccaccio « quella che si ha negli autografi chigiani »,154 ma senza fornire prove specifiche, salvo osservare l’identità dell’altezza dello specchio di scrittura e, grosso modo, delle dimensioni dei due codici (con una qualche differenza in più di circa un centimetro nel Chig. L.VI.213 attribuibile alla meno drastica rifilatura). A questi fatti si aggiunga anche l’identità della decorazione dei capilettera, cioè delle iniziali filigranate di rosso e di azzurro, che sono state sicuramente eseguite – ovviamente per l’uno e per l’altro volume – dal medesimo artista (cfr. Tavv. 4-5 e 7-8). La consanguineità dei due codici si precisa ulteriormente con l’analisi della loro struttura interna, così come dimostrato in modo convincente già nel 1974 da Domenico De Robertis in apertura del facsimile dedicato proprio al Chig. L.V.176.155

150 151 152 153 154 155

Cfr. Mostra del Boccaccio, p. 104. Cfr. RICCI, Evoluzione, pp. 293, 295 e n. 6. Cfr. WILKINS, Canzoniere, pp. 160-163, 199-203. Cfr. DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 7. Cfr. VANDELLI, Boccaccio editore di Dante, pp. 151 e 156. Cfr. DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 17-30.

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Scrive De Robertis: [...] i due codici rimasero uniti per un certo lasso di tempo, certamente fin dopo che il miniatore (magari Boccaccio stesso) ebbe disegnato e colorito le belle iniziali, e l’estrapolazione della Commedia e la sostituzione ad essa della canzone cavalcantiana, se fu opera del Boccaccio, fu probabilmente un gesto frettoloso e non calcolato. La c. IV r. del Chigiano L.VI.213 presenta sul margine esterno, a circa cm 2 dal bordo e a 1/5 circa dell’altezza del foglio, al livello del v. 5 del Breve raccoglimento, una macchiolina blu esattamente corrispondente, specularmente, al segno paragrafale dello stesso colore della divisione marginale del son. De peregrini dell’ultima carta (28 v.) della Vita Nuova, e più in basso, e più in dentro, esattamente sulla rigatura verticale esterna, all’altezza del v. 27 del medesimo capitolo in terza rima, una macchiolina rossa corrispondente alla A di rubrica iniziale dell’ultimo capitolo della Vita Nuova (« Appresso ad questo sonetto… »); ancora, tra il quartultimo e il terzultimo verso sempre di c. IV r. rimangono lievissime tracce rossastre della rubrica finale della Vita Nuova. Così nel margine interno di c. 34 r., all’altezza dei vv. 10-11 del carme Ytalie (ll. 11-12) si distingue un segno ad angolo che si riproduce con perfetta specularità sul margine interno di p. 359, in corrispondenza dei vv. 12-13 di questa; e tracce di rubrica sul margine destro del v. 20 (« … gloria gentis »), circa cm 2,5 in fuori, e su « sacris » del v. 26 corrispondono esattamente alla rubrica finale della Commedia, appunto a p. 359.156

In questa sede, sarà quindi sufficiente ricordare – in sintesi – quello che doveva essere l’assetto originario dell’autografo boccaccesco: in apertura del manoscritto si trovava la Vita di Dante (la cui rubrica, al f. 1r, recita: « Comincia della origine, vita, costumi (et) studij del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firençe (et) dell’opere composte da llui »), seguita dalla Vita nuova e dalla Commedia con gli Argumenta (nel Chigiano – come nel Riccardiano – introdotti dalla dicitura « Brieve raccoglimento ») dello stesso Boccaccio, esattamente come accade nell’autografo Toledano; al testo del Poema faceva poi seguito il carme Ytalie iam certus honos e le 15 canzoni dantesche, che si venivano dunque a trovare in una posizione molto simile a quella ricoperta nel Riccardiano 1035, cioè comunque disposte dopo la Commedia; in chiusura, invece, i Rerum vulgarium fragmenta.157 È probabile che si debba imputare allo stesso Boccaccio l’operazione di separazione della Commedia dalle altre parti liriche: un intervento che potrebbe essere avvenuto proprio nel momento in cui decise di inserire il canzoniere petrarchesco; oppure perché al modello del cosiddetto “tutto Dante” a un certo punto avrà deciso di sostituire un libro diverso, più agile, che contenesse altri capisaldi della lirica precedente (oltre a Dante, Guido Cavalcanti con la canzone Donna me prega, accompagnata dal comCfr. ID., Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 21, 26. Tavola in ID., Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 26-27. Sull’argomento si veda anche quanto osservato nel saggio di Cursi in questo volume. 156 157

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mento di Dino del Garbo) e della lirica contemporanea (appunto Francesco Petrarca).158 D’altra parte, in quel torno d’anni, erano già numerosi e diffusi i canzonieri contenenti opere dei maggiori poeti della lirica delle Origini, dai quali Boccaccio avrebbe potuto trarre tranquillamente ispirazione.159 Altra cosa rappresenta invece l’abbinamento di Dante (o meglio della Commedia) con le rime del Petrarca: si trattava di un’operazione senza precedenti,160 che – a giudizio del De Robertis – non doveva avere come ‘prospettiva’ « quella dell’eleganza e della selettività, semmai, nel crescente sforzo di conciliazione, toccava il limite della megalomania ».161 La consistenza primitiva dell’autografo Chigiano doveva essere di circa 258 fogli, tenendo presente che: il fasc. 5 (ff. 29-33) del Chig. L.V.176 fu molto probabilmente aggiunto dal Boccaccio in un secondo tempo (come già anticipato a suo luogo); e al fasc. 6 (ff. 34-38), sempre del Chig. L.V.176, è stato asportato – senza lacuna di testo – il quinto foglio. Dunque un volume dalla mole molto simile a quella del Toledano (che conta 269 fogli), e ben più corposo – si presume – rispetto al Riccardiano (ab origine forse di circa 226 fogli). Stavolta però Boccaccio ha un altro progetto: a differenza degli altri due autografi, per la confezione della sua ultima silloge dantesca sceglie delle pergamene di ottima qualità. Infatti, lo spessore medio generale dei due manoscritti risulta piuttosto contenuto, di 13,4 centesimi di millimetro (12,8 è quello del Chig. L.V.176 e 14,1 centesimi di millimetro è quello del Chig. L.VI.213).162 Ottimamente conservato, il supIn questo senso, si veda anche PASTORE STOCCHI, Su alcuni autografi, pp. 132-133. Sull’argomento è d’obbligo il rimando a LEONARDI, Poesia delle origini, pp. 5-89. 160 L’unico manoscritto antico che reca tale abbinamento è il Banco Rari 69 della Nazionale di Firenze, probabilmente coevo al Chigiano. Si tratta di un frammento di codice che contiene una parte del Paradiso (canti X 31-XXXI 15, XXXII 90-XXXIII 145, ai ff. 11r-26v) e una serie di rime (ff. 1r-10v), adespote ed anepigrafe, di Dante Alighieri, Fazio degli Uberti, Iacopo Mostacci, Lapo Gianni, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Forese Donati e, di altra mano coeva, Francesco Petrarca. Nonostante lo stato frammentario, la bontà di questo codice, detto « Quinterno Palatino », è sempre stata lodata e riconosciuta dai dantisti. Infatti, già il Borghini, che lo confrontò con l’Aldina del 1515 e con altri manoscritti (fra cui uno commentato del 1337, uno del gruppo del Cento, uno appartenuto a Raffaello Ridolfi e uno che egli chiama il “Landino”), dichiarava che « è solo un quinterno con poche chiose latine, che non sono molto eccellenti, ma il testo mi pare assai buono e molto antico, il quale, come per un contrassegno, chiamerò il Quinterno » (cfr. GIGLI, Studi sulla Divina Commedia, p. 271). La scrittura della mano principale del “Quinterno Palatino”, una bastarda, che interviene anche sul testo con postille, varianti, correzioni ed ampie glosse, fu attribuita dal Palermo allo stesso Petrarca (cfr. PALERMO, Manoscritti Palatini, II, pp. 599-880; III, pp. 677-715; ID., Appendice, pp. 173-256): attribuzione però più volte in seguito smentita (per cui si veda per lo meno WITTE, Prolegomeni critici, pp. LV-LVII; e più recentemente Mostra di codici romanzi, p. 83; e Mostra di codici danteschi, p. 28). 161 Cfr. DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 29. 162 Si veda l’Appendice I. Rilevamento degli spessori delle pergamene, Figg. d ed e. Si noti che il fasc. 5 (ff. 29-33) del Chig. L.V.176 – di integrazione successiva – si differenzia dagli altri fascicoli anche nello spessore delle pergamene. Infatti, misura mediamente 18 centesimi 158 159

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porto dei due codici presenta sporadici fori (di modesta entità) e qualche strappo originario (ricucito ab antiquo).163 D’altronde anche l’inchiostro è generalmente ben conservato e di nitida lettura (salvo rare e trascurabili cadute, dovute per lo più ad usura).164 Le dimensioni originarie dell’autografo boccaccesco dovevano essere abbastanza vicine a quelle dell’attuale Chig. L.VI.213 (mm 278 × 186), che ha subito una rifilatura decisamente più contenuta (soprattutto in altezza) rispetto a quella del Chig. L.V.176 (mm 267 × 184). Infatti, i margini superiore ed inferiore del Chig. L.VI.213 presentano ancora – di quando in quando – i forellini guida per tracciare le righe verticali dello specchio di scrittura; dunque per lo meno l’altezza delle pergamene dovrebbe essere abbastanza prossima alle primitive dimensioni, che con tutta probabilità non dovevano discostarsi molto da mm 288 (altezza) × 196 (larghezza). Le dimensioni dell’attuale Chig. L.VI.213 originano una taglia media di 464 mm,165 collocandosi all’interno di valori molto diffusi sia in ambito volgare,166 sia rispetto alla produzione del codice dantesco (della Commedia) nel periodo della sua prima diffusione (cioè quella trecentesca, post antica vulgata).167 Attestata e abbastanza diffusa anche la proporzione 0,669 del foglio,168 che individua una forma rettangolare della pagina, ma tendente alla verticalità.169 I bifogli furono quindi sicuramente organizzati in quaterni, con qualche aggiustamento resosi necessario soprattutto in seguito all’inserimento della canzone Donna me prega del Cavalcanti. Difficile e forse impossibile però stabilire quando sia avvenuto questo inserimento. Di certo le di millimetro, mentre le membrane degli altri fascicoli oscillano fra i 12 e i 13,5 centesimi di millimetro (ad eccezione del fasc. 12, ovverosia di f. 79, che conta ben 23 centesimi di mm). Nel Chig. L.VI.213 gli unici fascicoli che si avvicinano allo spessore dei ff. 29-33 del Chig. L.V.176 sono il fasc. 11 e il fasc. 20, rispettivamente di 17,5 e di 19 centesimi di millimetro. 163 I fori interessanti lo specchio di scrittura sono stati abilmente restaurati nella fase di preparazione del supporto, come dimostra il fatto che sono ricoperti dalla scrittura del Boccaccio. 164 Si segnala soltanto qualche macchia di umidità nel Chig. L.VI.213, che localmente compromette la corretta lettura del testo. 165 Si veda l’ Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 2. 166 Cfr. BERTELLI, Mss. Origini. BML, p. 19. 167 Per quanto riguarda il codice dantesco, sui valori della taglia proposti da BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, p. 29, si veda quanto già osservato alla n. 120. 168 Si tratta della differenza tra larghezza e altezza del manoscritto (in riferimento al Chig. L.VI.213). 169 Cfr. BERTELLI, Mss. Origini. BML, p. 20 grafico 9; BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, pp. 34-35. Per quanto riguarda le Commedie, nei valori 0,66 e 0,67 rientrano 27 manoscritti (compreso il Chig. L.VI.213), di cui 8 databili entro la metà del sec. XIV e 19 post antica vulgata (EAD., Codicologia trecentesca, p. 34). Sembrerebbe dunque di poter concludere che si tratta di una proporzione della pagina maggiormente preferita dai copisti del secondo Trecento.

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caratteristiche paleografiche di questo inserto sembrerebbero rimandare ad una fase della scrittura del Boccaccio molto avanzata, della vecchiaia, forse addirittura alla fine degli anni ’60-inizi ottavo decennio.170 Regolare invece la presenza del richiamo a fine fascicolo, eseguito in forma molto semplice, mediante cioè l’indicazione di una o due parole delimitate da due puntini (sistema già utilizzato nel Toledano e nel Riccardiano).171 Per quanto riguarda l’organizzazione dello specchio di scrittura, Boccaccio optò, ancora una volta, per uno schema di rigatura a piena pagina, sia per la parte in prosa, sia per quella in versi; l’unica sostanziale differenza si rileva nella parte dedicata alla Commedia con gli Argumenta (appunto nel Chig. L.VI.213), dove il Certaldese ha previsto una colonnina per l’inserimento delle iniziali di terzina. A parte i ff. 29r-32v, che recano la più volte evocata canzone cavalcantiana, lo schema d’impaginazione del Chig. L.V.176 risulta essere di mm 17 [178] 72 × 38 [93] 53 (f. 13r); mentre quello del Chig. L.VI.213 è di mm 29 [181] 68 × 36/5 [88] 57 (p. 11).172 In entrambi i casi sono state tracciate, a secco (con sporadici residui di colore), 43 righe per un’unità di rigatura di 5 mm e 42 linee scritte, poiché anche in questo caso la scrittura inizia dalla seconda riga. Dunque anche negli autografi Chigiani gli spazi al di fuori dello specchio di scrittura restano molto ampi (nel Chigiano L.VI.213 si raggiunge il 69,2% della superficie della pagina),173 ma più contenuti rispetto agli altri due testimoni, soprattutto per quanto riguarda il margine esterno, che nella parte destinata a ricevere la Commedia misura ‘appena’ 57 mm (a fronte dei 73 del Riccardiano e dei 75 del Toledano).174 È molto probabile che Boccaccio abbia pensato a una siffatta architettura della pagina soltanto per mere ragioni estetiche: infatti, a parte le divisioni smarginate nella Vita nuova e ovviamente la glossa che incornicia la canzone cavalcantiana (che rappresenta però un discorso a parte, essendo questa un’integrazione successiva), gli autografi Chigiani recano di sua mano soltanto alcune (tra l’altro non frequenti) varianti marginali e qualche integrazione di versi della Commedia tralasciati durante la trascrizione (come accade alle pagine 155 e 209). E 170 Su questo aspetto, si vedano le valutazioni e le nuove proposte di Cursi in questo volume. 171 Sui richiami decorati, invece, si veda quanto osservato in MORELLO, Disegni, pp. 164165. Su quelli figurati dell’autografo del Decameron, si rimanda fin d’ora a BRANCA, Interpretazioni visuali, pp. 91-97; ID., Narrar boccacciano, pp. 15-20; e a CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Iconografia dei codici boccacciani, II, pp. 9-10. 172 Si veda in Appendice II. Organizzazione della pagina, Figg. g ed h. 173 Si vela l’ Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 1-2. 174 Mentre l’ampiezza del margine inferiore è rimasta nei tre manoscritti quasi costante: nel Chig. L.VI.213 misura 68 mm (72 nel Chig. L.V.176); nel Riccardiano 79 mm; e nel Toledano 70. Dunque, forse però non casualmente, è nel Riccardiano che si registra una maggiore disponibilità di spazio.

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forse allo stesso obiettivo concorreva anche la scelta di inglobare all’interno dello specchio di scrittura le iniziali delle varie partizioni poetiche in cui sono strutturate le 15 canzoni dantesche (ff. 34v-43r). Infatti, i varî componimenti sono introdotti da letterine maiuscole rosse e azzurre alternate e filigranate alte 2 linee di scrittura, ad eccezione di quella della terza canzone (« Amor che nella mente mi ragiona », al f. 35r), che per errore è stata eseguita di modulo minore (1 linea), rossa e senza filigrana, e di quella in apertura dell’opera, al f. 34v, alta 3 linee e colorata rossa e azzurra filigranata. Queste iniziali sporgono al di fuori dello specchio di scrittura per meno di un quarto del corpo della lettera, mentre quelle di modulo minore sono praticamente tutte comprese entro i confini laterali. Si tratta dunque di una disposizione nuova rispetto a quanto previsto nel Toledano e nel Riccardiano, in cui le iniziali sono invece completamente smarginate.175 Ma il vuoto dei margini non era destinato a rimanere tale. Infatti, il possessore Cinquecentesco dei due codici Chigiani, Iacopo Corbinelli (la cui nota di possesso si legge al f. IIIr del Chig. L.VI.213: « Est Iacobi Raffaelli Corbinelli », poi depennata), li corredò – in tempi diversi, come dimostrano anche le differenze d’inchiostro – di frequenti postille in volgare, in latino e in greco, portandoli con sé in Francia, allorquando, nel 1562, fuoriuscito da Firenze, si rifugiò alla corte di Caterina de’ Medici.176 Lo stesso Corbinelli scriveva alla fine della Commedia (pag. 359): « Queste variazioni trassi dal Dante di M. Bartolommeo Barbadori da lui come qui poste in margine, et raccolte dal manuscritto libro antichissimo di M. Piero Vettori. Luglio 1559 ». Una provenienza confermata dalla dichiarazione del successivo ed ultimo possessore, Fabio Chigi (poi papa Alessandro VII), che su di un fogliettino cartaceo inserito all’inizio della Commedia annotava: « NB. Le postille assai buone, e di buon carattere sì greco, come latino sono di mano di Iacomo Corbinelli fiorentino, che fuoriuscito della Patria visse in Parigi accolto dalla Regina Caterina de’ Medici, 1559 » (data ovviamente da riferirsi alla postilla del Corbinelli alla Commedia sopra riportata).177 Altre mani, anche antiche (del sec. XV), si alternano con postille e varianti lungo i margini dei due volumi. Esse contribuiscono chiaramente a conferire alla silloge Chigiana il titolo di prodotto di maggior rilievo rispetto agli analoghi testimoni (ovverosia il Toledano e il Riccardiano) allestiti nello scrittoio di Giovanni Boccaccio. 175 Nel Toledano, in realtà, il corpo delle letterine incipitarie delle varie canzoni è disposto per metà dentro e per metà fuori dello specchio, ma tutte quante sono corredate di ampie filigrane che corrono lungo i margini dello specchio di scrittura; mentre le iniziali minori sono invece del tutto smarginate. 176 Cfr. BENZONI, Corbinelli, p. 751. 177 Sulle postille del Corbinelli e per la loro derivazione dallo Stampato Barb. CCC.I.18 della Biblioteca Apostolica Vaticana, cfr. PULSONI, Codice Vettori, in part. pp. 473-498.

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II.3. L’autografo del Decameron In tutt’altra foggia, rispetto non soltanto agli autografi dedicati alle opere dantesche, ma anche a tutti gli altri manoscritti di mano del Boccaccio, si presenta l’autografo del Decameron, l’Hamiltoniano 90 della Staatsbibliothek zu Berlin (scheda nr. 2). Infatti, si tratta di un codice di grande formato (misura in altezza ben 372 mm ed in larghezza circa 270) impostato su due colonne di scrittura, grosso modo di misura equivalente. L’unico altro autografo boccaccesco che si avvicina a tali macroscopiche caratteristiche è il Laurenziano Pluteo 52.9, contenente le Genealogie deorum gentilium (di mm 350 × 250 ca.): opera – com’è noto – della tarda maturità, ascrivibile agli anni 1363-1366, ma che fu rivisitata (con varianti e giunte) dal Boccaccio proprio mentre l’autore stava lavorando alla stesura del manoscritto Berlinese, attorno al 1370-’72, quando il Poeta si era oramai ritirato nella sua casa di Certaldo, per trascorrere gli ultimi anni di vita.178 Non dovette trattarsi di un’operazione semplice, lineare, né tanto meno veloce. Infatti, l’Hamiltoniano 90 reca le tracce di una gestazione travagliata e prolungata nel tempo, come sembrerebbero suggerire: il colore dell’inchiostro (prevalentemente bruno) che cambia vistosamente più volte tonalità con lo scorrere dei fogli, fatto che potrebbe rappresentare la conseguenza di un’azione di copia intermittente, scandita cioè da continue pause e riprese di lavoro forse succedute anche a distanza di tempo le une dalle altre; i frequenti cambiamenti del modulo della scrittura, che cadono a inizio di novella (come si può vedere ai ff. 8vB o 15rA), a inizio di periodo (ff. 5rB o 9vA), a inizio di riga (11rA l. 35 o 20vA l. 24) o anche a inizio di pagina (f. 22rA), a conferma delle interruzioni di cui sopra; ed infine, l’attività di revisione, che è stata condotta in tempi e forse anche con strumenti scrittorî diversi, come lascia supporre la presenza di postille eseguite con una penna a punta fine, propria della scrittura usuale o corsiva, e postille scritte con l’altra penna, quella tagliata mozza, utilizzata per la scrittura libraria.179 178 Per una scheda di descrizione del Laurenziano Pluteo 52.9, si veda la Mostra del Boccaccio, pp. 80-82 nr. 62; e ora anche Boccaccio autore e copista, pp. 177-179 nr. 33 (scheda di L. Regnicoli). Per la sua datazione, cfr. RICCI, Evoluzione, pp. 293-295. Sul ritiro certaldese degli ultimi anni, si veda BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico, pp. 165-179. Sulla datazione del manoscritto Berlinese, scrive Ricci: « Certamente posteriore agli autografi del Buccolicum carmen e della Genealogia, ma certamente anteriore all’autografo del De mulieribus, l’Hamiltoniano è da assegnare ad anni intorno al 1370 » (cfr. RICCI, Evoluzione, p. 296); dello stesso avviso, BRANCA-RICCI, Autografo, p. 36; PETRUCCI, Ms. Berlinese. Note codicologiche e paleografiche, p. 660; e BRANCA, Tradizione II, pp. 224-226. Sulla datazione dei due autografi (Laurenziano Pluteo 52.9 ed Hamiltoniano 90), si veda ora quanto rilevato da Cursi in questo stesso volume. 179 Sull’argomento e per maggiori informazioni si veda PETRUCCI, Ms. Berlinese. Note codicologiche e paleografiche, pp. 656-657; e BRANCA, Tradizione II, pp. 225-227. Non è però da escludere la possibilità che lo strumento scrittorio fosse sempre lo stesso, talvolta utilizzato

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Questi ed altri elementi (come il supporto, che vedremo a breve) contribuiscono ad escludere l’ipotesi avanzata da Vittore Branca e da Pier Giorgio Ricci, che con l’Hamiltoniano il Boccaccio avesse voluto progettare un « esemplare calligrafico, di lusso, trascritto [...] con tutta probabilità attorno al 1370, forse per un amico di riguardo o per un potente protettore »,180 rafforzando invece la tesi proposta da Armando Petrucci, che rispetto alla conclusione dei due studiosi, precisava: « Può anche darsi che all’inizio dell’opera di copia questa fosse l’intenzione del Boccaccio; ma è probabile che egli l’abbia poi abbandonata nel corso del lavoro, per ragioni che non conosciamo, riducendosi a completare sempre più faticosamente l’esemplare iniziato e a correggerlo poi straccamente ed irregolarmente, per abbandonarlo infine del tutto, prima di portare a termine la necessaria revisione ».181 Qualche tempo dopo, ritornando sull’argomento, Petrucci scriveva: « Il codice fu evidentemente preparato in un arco di tempo piuttosto lungo e pensato, all’inizio, come libro di lusso da donare a qualche potente; quindi eseguito con sempre minor cura e ridotto ad esemplare domestico da rivedere e da correggere; ma mantenne sino alla fine le caratteristiche fondamentali del “libro da banco” ».182 In effetti, l’Hamiltoniano 90 corrisponde perfettamente a questa tipologia libraria, i cui connotati essenziali prevedono che un codice sia « membranaceo, di grande formato, scritto in formale “littera textualis” ».183 Ma perché Boccaccio per il suo Decameron scelse proprio queste caratteristiche? Da quali altri manoscritti, contenenti opere in volgare o anche in latino, allora in circolazione, avrebbe potuto trarre ispirazione? Sul versante del volgare, i codici che dovevano circolare in Firenze fra la metà e il terzo quarto del Trecento con caratteristiche formali vicine a quelle dell’Hamiltoniano erano sicuramente pochi. Infatti, in questo senso si segnalano soltanto 4 manoscritti Laurenziani (tutti membranacei, di grande formato, col testo su due colonne e copiati in littera textualis): il Pluteo 40.11 (mm 370 × 247; taglia 617 mm), databile alla metà circa del sec. XIV e contenente la Commedia di Dante; l’Ashburnham 488 (mm 363 normalmente, talaltra a rovescio (il suggerimento riportato da BRANCA, Tradizione II, pp. 231232, è di Casamassima). Sugli interventi correttivi di mano del Boccaccio, si veda ora anche CURSI, Decameron, p. 163. 180 Cfr. BRANCA-RICCI, Autografo, p. 36. Sostenuta poi con decisione anche in BRANCA, Tradizione II, p. 236. 181 Cfr. PETRUCCI, Ms. Berlinese. Note codicologiche e paleografiche, p. 660. 182 Cfr. ID., Libro manoscritto, p. 515. Di « work in progress » parla invece Marco Cursi, che vuole il manoscritto Berlinese « saldamente ancorato » al tavolo di lavoro dell’autore, dove, con tutta probabilità, rimase « fino al giorno della [sua] morte » (cfr. CURSI, Decameron, p. 42). 183 Sul concetto e per le caratteristiche del “libro da banco”, si veda PETRUCCI, Libro manoscritto, pp. 513-517.

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× 256; taglia 619 mm), ascrivibile al secondo quarto del Trecento e contenente il volgarizzamento di Arrigo Simintendi delle Metamorfosi d’Ovidio; l’Ashburnham 994 (mm 362 × 259; taglia 621 mm), databile alla metà del Trecento e contenente la Fiorita di Guido da Pisa; e infine il Gaddiano reliqui 4 (mm 388 × 285; taglia 673 mm), databile al secondo quarto del sec. XIV e contenente il Tesoro di Brunetto Latini.184 Non molto diversa, per lo meno dal punto di vista quantitativo, doveva comprensibilmente essere anche la coeva produzione in latino. Da un breve sondaggio effettuato sui repertori e sui cataloghi a disposizione nelle biblioteche fiorentine, emergono infatti pochi manoscritti: il Laurenziano Rediano 1821 (mm 394 × 251; taglia 645 mm), datato a. 1335 e contenente un cospicuo frammento di Avicenna; il Conventi Soppressi A.I.10 della Biblioteca Nazionale di Firenze (mm 400 × 255; taglia 655 mm), databile alla prima metà del sec. XIV e contenente Egidio Romano; il Conventi Soppressi I.III.29 (sez. I, ff. 1-25) sempre della Nazionale (mm 378 × 258; taglia 636 mm), databile anch’esso alla prima metà del Trecento e contenente una miscellanea medica, fra cui testi di Arnaldo da Villanova e Nicola Salernitano; e il Riccardiano 228 (sez. V, ff. 257-312), sicuramente però più antico, databile cioè agli anni 1265-1268 circa e contenente le Vitae pontificum di Boso scriptor Apostolicus (mm 348 × 269; taglia 617 mm). Dunque un panorama molto ristretto dal punto di vista della diffusione di questa tipologia libraria sul territorio e ovviamente molto variegato nei contenuti. Va da sé però che Boccaccio avrebbe anche potuto tranquillamente prendere spunto da manoscritti ben più antichi, aventi le stesse caratteristiche di codici membranacei e di grande formato, ma scritti in carolina (ampiamente disponibili nella Firenze trecentesca), oppure da manoscritti coevi copiati però in scrittura corsiva.185 L’unico testo fra quelli individuati che nel periodo considerato presenta una tradizione manoscritta piuttosto solida e dalle caratteristiche codicologiche molto vicine a quelle dell’autografo Berlinese è il Tesoro di Brunetto Latini.186 Infatti, i testimoni fiorentini del volgarizzamento del 184 Si vedano le rispettive schede di descrizione, con rimando alle tavole fotografiche, in BERTELLI, Mss. Origini. BML, pp. 35-36 nr. 1 (Plut. 40.11); 87-88 nr. 56 (Ashb. 488); 93 nr. 62 (Ashb. 994); e 102-103 nr. 72 (Gaddi 4). 185 Come, per fare qualche esempio, il Riccardiano 237 (mm 358 × 260; taglia 618 mm), databile fra l’ottobre del 1329 e il giugno del 1330, scritto in bastarda su base cancelleresca e contenente Marino Sanudo; o il Riccardiano 1523 (sez. I, ff. 1-42), anch’esso copiato in bastarda su base cancelleresca da Francesco di ser Nardo da Barberino verso la metà del Trecento e contenente il volgarizzamento di Alberto della Piagentina della Consolazione di Boezio (mm 371 × 258; taglia 629 mm); oppure il Conventi Soppressi B.V.640 della Nazionale di Firenze (mm 358 × 259; taglia 617 mm), databile al terzo quarto del sec. XIV, scritto in corsiva e contenente Landolfo Caracciolo. 186 Per alcune osservazioni codicologiche e per la descrizione dei codici, si veda BERTELLI, Tipologie librarie e scritture, pp. 213-253.

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Tresor si attestano per lo meno a 22 unità, di cui ben 13 sono databili entro la metà del sec. XIV. Si noterà che di questi 13 manoscritti, 6 presentano un aspetto codicologico molto prossimo a quello dell’autografo del Decameron (mm 372 × 270; taglia 642 mm); essi sono: il Laurenziano Pluteo 42.19 (mm 347 × 240; taglia 587 mm), databile al secondo quarto del sec. XIV; il Laurenziano Pluteo 42.23 (mm 348 × 237; taglia 585 mm), dell’ultimo quarto del sec. XIII, scritto dal pisano Bondì Testari; il già ricordato Laurenziano Gaddiano rel. 4; il Landau Finaly 38 della Nazionale di Firenze (mm 215 × 151; taglia 366 mm), databile fra la fine del sec. XIII e gli inizi del sec. XIV; il Magliabechiano VIII.1375 (mm 295 × 220; taglia 515 mm), degli inizi del Trecento; e il Riccardiano 2221 (mm 282 × 205; taglia 487 mm), anch’esso degli inizi del sec. XIV. Tutti e 6 sono manoscritti membranacei, di formato medio-grande, copiati in littera textualis col testo disposto su due colonne.187 Con questo non si vuole assolutamente dire che la veste formale dell’autografo Berlinese derivi in qualche misura da quella di alcuni manoscritti che ci tramandano il volgarizzamento del Tresor. Ma è indubbio che le loro affinità codicologiche siano talvolta molto stringenti (come per esempio con i Laurenziani Pluteo 42.19 o Gaddiano rel. 4),188 tanto che a nostro avviso meriterebbero un supplemento d’indagine, trattandosi tra l’altro di un autore ben conosciuto dal Boccaccio e di un’opera che probabilmente avrà avuto modo anche di sfogliare e di studiare.189 187 Divergono da questi il Laurenziano Pluteo 42.20 (mm 300 × 215; taglia 515 mm), databile al 1298 circa; il Laurenziano Pluteo 42.22 (mm 278 × 210; taglia 488 mm), databile al secondo quarto del Trecento; il Laurenziano Pluteo 90 inf. 46 (mm 308 × 218; taglia 526 mm), della fine del sec. XIII; il Laurenziano Gaddiano rel. 26 (mm 298 × 227; taglia 525 mm), della metà del sec. XIV; e il Riccardiano 2196 (mm 286 × 220; taglia 506 mm), anch’esso della metà circa del Trecento, poiché copiati in scrittura corsiva (ovverosia in bastarda su base cancelleresca, ad eccezione del Gaddiano rel. 26, che è in bastarda su base mercantesca); mentre il Laurenziano Gaddiano rel. 83 (mm 287 × 213; taglia 500), cartaceo, databile alla metà del sec. XIV, e il II.VIII.36 della Nazionale di Firenze (mm 225 × 169; taglia 494), databile sec. XIII ex.-XIV in., recano il testo a piena pagina. 188 Alcune immagini di questi due splendidi codici (il Pluteo è persino riccamente illustrato) sono riprodotte in BERTELLI, Mss. Origini. BML, tavv. A, 15 e 16 (la 17 ripropone erroneamente la 15), per il Pluteo, e tavv. N e 109, per il Gaddiano. Si ricorda anche che il Pluteo 42.19 è ora interamente visibile sul sito della Laurenziana, all’indirizzo: http://teca. bmlonline.it/TecaRicerca/index.jsp. 189 Come lascia supporre il ritratto dedicatogli in Esp. XV 17-18: « Questo ser Brunetto Latino fu fiorentino e fu assai valente uomo in alcune delle liberali arti e in filosofia, ma la sua principale facultà fu notarìa, nella quale fu eccellente molto: e fece di sé e di questa sua facultà sì grande estima che, avendo, in contratto fatto per lui, errato e per quello essendo stato accusato di falsità, volle avanti esser condennato per falsario che egli volesse confessare d’avere errato; e poi, per isdegno partitosi di Firenze e quivi lasciato in memoria di sé un libro da lui composto, chiamato il Tesoretto, se n’andò a Parigi e quivi dimorò lungo tempo e composevi un libro, il quale è in volgar francesco, nel quale esso tratta di molte materie spet-

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Tuttavia, com’è noto, Boccaccio era uno « sperimentatore instancabile [...] non solo della scrittura ma anche della sintassi costruttiva del libro e della presentazione della pagina. Si rifà a modelli molto discosti tra di loro, che corrispondono ai diversi generi letterari, e alle diverse esigenze di lettura ».190 In altre parole, non è escluso che con tale fisionomia di manoscritto Boccaccio, senza attingere ad alcun modello preesistente, avesse voluto dar vita ad un progetto librario all’altezza del suo contenuto. Insomma, ad un intellettuale di questo genere, che era insieme autore, copista – nella fattispecie, di sé stesso – e artigiano di manoscritti, non poteva e non doveva sfuggire la consapevolezza che a quell’operazione di manifattura codicologica legava al contempo il suo nome e il destino della sua opera maggiore. Com’è noto, le pergamene scelte dal Boccaccio non erano di grande qualità, così come non dovette essere impeccabile la loro lavorazione. Lo dimostrano i difetti e le viarie asperità che s’incontrano diffusamente lungo tutto il manoscritto, dove in particolare si notano: buchi, pieghe, nodi, sbranature, chiazze e rattoppi, che spesso hanno costretto Boccaccio ad eseguire un andamento della catena grafica irregolare, dovendola cioè adattare ai vari accidenti del supporto.191 Di spessore medio generale abbastanza consistente, di 15,5 centesimi di millimetro,192 la pergamena si presenta quindi piuttosto grossa e pesante, di colore giallastro sul lato del pelo e biancastra su quello della carne, con un forte contrasto fra le due tipologie di facciata, che viene ulteriormente accentuato dalla diffusa presenza di bulbi piliferi non trattati con le dovute accortezze.193 Si capisce dunque chiaramente che anche quest’aspetto mal si concilia con una destinazione d’uso orientata alla confezione di un esemplare del Decameron « calligrafico, di lusso », pensato e preparato « forse per un amico di riguardo o per un potente protettore ».194 Ma non dovette trattarsi neppure di « un esemplare domestico da rivedere e da correggere », se con questo s’intende una copia di lavoro ottenuta dopo un ripensamento di un progetto librario iniziale di ben altra ambizione. Infatti, l’utilizzo del tanti alle liberali arti e alla filosofia morale e naturale e alla metafisica, il quale egli chiamò Tesoro; e ultimamente credo si morisse a Parigi ». 190 Cfr. CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio, p. 259. Sull’argomento si veda ora anche quanto osservato in BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore. 191 Come si può vedere ai ff. 54rB, 54vA, 63vB, 87vB, 95rB, 97rB, 97vA, 98vA, 108rB e 108vA. 192 Si veda l’Appendice I. Rilevamento degli spessori delle pergamene, Fig. f. 193 Ben evidenti a partire da f. 17v, come sottolineato da CURSI, Decameron, p. 41 n. 171; e a seguire, ai ff.: 18r, 29r, 33r, 38v, 57r, 59r, 60v, 61r, 63r, 65r, 66v, 67r, 69r, 73r, 75r, 76v, 78v, 83r, 84v, 85r, 88v, 91r, 92v, 95r, 98v, 101r, 104v, 105r, 106v, 107r, 108v, 109r e 110v. 194 Lo stesso Petrarca, oppure Mainardo de’ Cavalcanti, o qualche altro grande personaggio, sono i nomi avanzati da BRANCA, Tradizione II, p. 236; ID., Narrar boccacciano, p. 14.

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supporto pergamenaceo di scarso pregio, che richiedeva comunque degli sforzi economici di un certo rilievo;195 l’impianto grafico, che si presenta abbastanza accurato e nel rispetto assoluto dei confini stabiliti dalla mise en page;196 ed infine, l’apparato decorativo, che mostra non soltanto delle dinamiche attentamente sorvegliate dall’autore (come l’utilizzo di certe iniziali in determinati luoghi del testo),197 ma anche una precisa volontà da parte del Certaldese di eseguire un prodotto in piena corrispondenza con quelli che erano i canoni previsti per il libro gotico di un certo livello, sono tutti elementi che sembrerebbero configurare una tipologia di manoscritto diversa, che potrebbe a nostro avviso essere qualificata come una cosiddetta ‘bella copia’, che doveva rispondere, da una parte alla necessità di un riordinamento di fogli (magari volanti) che Boccaccio molto probabilmente aveva sul suo scrittoio (recependo, col passare del tempo, naturalmente anche correzioni e ripensamenti d’autore), dall’altra alla volontà ‘editoriale’ di uno dei più grandi geni della nostra storia letteraria.198

Si tenga presente che l’attuale consistenza del manoscritto Berlinese è di 112 fogli, ai quali si dovranno aggiungere quelli necessari per colmare una lacuna di tre fascicoli – un bifoglio iniziale e due quaderni –, facendo così lievitare la sua struttura originaria a per lo meno 130 carte, tutte di grande formato. 196 Da rilevare anche l’ampiezza dei margini: mm 372 × 270 = 27 [268] 77 × 35 [82 (20) 81] 52, che genera un rapporto tra bianco e nero, cioè tra il vuoto dei margini e la scrittura sostanzialmente equivalente. Infatti, il bianco rappresenta il 51,2% dell’intera superficie della pagina (si veda sia l’Appendice II. Organizzazione della pagina, Fig. i, sia l’Appendice III. Taglia, proporzione della pagina, bianco, nr. 3). 197 Per cui si veda RAFTI, Lumina dictionum. I, II, III e IV; NOCITA, Nuova paragrafatura, pp. 925-934; EAD., Redazione hamiltoniana, pp. 351-366; MALAGNINI, Mondo commentato, pp. 3-124; EAD., Sistema delle maiuscole, pp. 31-69. 198 In questo senso si veda anche VITALE, Riscrittura, p. 29: « La redazione del codice berlinese è certo la trascrizione, con postille e note marginali o interlineari dell’autore (e di altre mani successive), in bella copia [corsivo nostro], destinata forse per qualche amico, del testo di una copia di “servizio” del Decameron in suo possesso ». A VITALE-BRANCA, Capolavoro (con bibliografia specifica pregressa) si rimanda anche per l’esame storico-linguistico delle numerosissime varianti formali tra il codice Parigino italiano 482 (che conserva la prima redazione del Decameron, di mano del mercante fiorentino Giovanni d’Agnolo Capponi) e l’autografo conservato a Berlino, che « testimonia il suo attaccamento al capolavoro elaborato e scritto più di vent’anni prima; ed è motivo di commozione pensare che il testo, che comunemente oggi si legge a stampa nell’edizione del Branca, riproduca in maniera sostanzialmente fedele il frutto delle cure amorevoli di quel grande letterato avviato al tramonto » (ASOR ROSA, Decameron, pp. 490-491). 195

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APPENDICE I

Rilevamento degli spessori delle pergamene

Le misure indicano gli spessori in centesimi di millimetro. Esse sono state effettuate su due (o più) punti del margine esterno dei fogli (solitamente in alto a destra e in basso a destra), quelli indicati per ciascun fascicolo di cui si compone il manoscritto (rappresentato dalla cifra arabica seguita da puntino); quindi la cifra indicata rappresenta il valore medio di un determinato foglio. Si tenga infine presente che le misurazioni sono state rilevate con micrometro manuale, che comporta quindi un certo margine di approssimazione. Fig. a. Firenze, BML, Acquisti e Doni 325 (scheda nr. 3) MARG.

MARG.

EST. SUP.

EST. INF.

1. ff. 2, 6

14

13

13,5

2. ff. 10, 14

16

15

15,5

3. ff. 18, 22

12

11

11,5 10,5

FOGLI

MEDIA

4. ff. 26, 28

10

11

5. ff. 34, 38

10

10

10

6. ff. 42, 46

15

14

14,5

7. ff. 50, 54

10

10

10

8. ff. 58, 62

14

10

12

9. ff. 66, 70

12

16

14

10. ff. 74, 78

16

13

14,5

11. ff. 82, 86

12

12

12

12. ff. 90, 94

19

14

16,5

13. ff. 98, 102

13

13

13

14. ff. 106, 110

19

13

16

15. ff. 114, 118

21

14

17,5

16. ff. 122, 126

12

13

12,5

17. ff. 130, 134

13

18

15,5

18. ff. 138, 139

12

11

11,5 MEDIA GENERALE 13,3

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64

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Fig. b. Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6 (scheda nr. 5) FOGLI

MARG.

MARG.

EST. SUP.

EST. INF.

MEDIA

1. ff. 2, 6

16

16

16

2. ff. 10, 14

15

16

15.5

3. ff. 18, 22

14

16

15

4. ff. 25, 27

10

16

13

5. ff. 30, 34

21

16

18.5

6. ff. 38, 41

16

17

16.5

7. ff. 45, 47

16

15

15.5

8. ff. 49, 51

15

14

14.5

9. ff. 53, 57

14

12

13

10. ff. 61, 64

12

12

12

11. ff. 68, 72

17

17

17

12. ff. 76, 80

17

13

15

13. ff. 84, 88

18

15

16.5

2

14. ff. 92, 96

17

15

16

15. ff. 100, 104

17

15

16 18.5

16. ff. 108, 113

20

17

17. ff. 118, 120

12

12

12

18. ff. 122, 126

12

14

13

19. ff. 130, 134

11

10

10.5

20. ff. 138, 142

11

10

10.5

21. ff. 146, 150

20

14

17

22. ff. 154, 158

18

15

16.5

23. ff. 162, 166

12

11

11.5

24. ff. 170, 174

13

16

14.5

25. ff. 178, 182

14

15

14.5 16,5

26. ff. 185, 187

14

19

27. ff. 188, 190

18

12

15

28. ff. 192, 196

14

12

13

29. ff. 200, 204

14

10

12

30. ff. 208, 212

17

16

16.5

31. ff. 216, 220

14

15

14.5 12.5

32. ff. 224, 228

13

12

33. ff. 231, 235

21

23

22

34. ff. 239, 243

15

15

15

35. ff. 247, 251 36. ff. 255, 259

15 14

17 14

16 14

37. ff. 263, 266

28

15

21.5 MEDIA GENERALE 15,4

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65

SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

Fig. c. Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035 (scheda nr. 4) FOGLI

MARG.

EST. SUP.

MARG.

EST. INF.

MEDIA

1. ff. 2, 6

12

08

10

2. ff. 10, 14

15

10

12,5

3. ff. 18, 22

14

10

12

4. ff. 26, 30

11

15

13

5. ff. 33, 35

10

13

11,5

6. ff. 40, 44

14

08

11

7. ff. 48, 52

13

09

11

8. ff. 56, 60

12

14

13

9. ff. 64, 68

10

08

09

10. ff. 71-78

cart. mod.

cart. mod.

-

11. ff. 79-86

cart. mod.

cart. mod.

-

12. ff. 88, 92

14

12

13

13. ff. 96, 100

09

11

10

14. ff. 104, 108

13

09

11

15. ff. 112, 116

14

15

14,5

16. ff. 120, 124

18

16

17

17. ff. 128, 132

10

16

13

18. ff. 136, 140

11

14

12,5

19. ff. 144, 148

10

14

12

20. ff. 152, 156

20

27

23,5

21. ff. 160, 164

12

14

13

22. ff. 168, 172

15

13

14

23. ff. 176, 180

13

17

15

24. ff. 183, 185

13

16

14,5 MEDIA GENERALE 13

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66

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Fig. d. Città del Vaticano, BAV, Chig. L.V.176 (scheda nr. 1) MARG.

MARG.

EST. SUP.

EST. INF.

1. ff. 2, 6

14

11

12,5

2. ff. 10, 14

14

11

12,5

3. ff. 18, 22

14

12

13

4. ff. 25, 26

13

14

13,5

5. ff. 30, 32

16

20

18

6. ff. 35, 36

14

10

12

7. ff. 40, 44

09

09

09

8. ff. 48, 52

14

11

12,5

9. ff. 56, 60

14

10

12

10. ff. 64, 68

12

12

12

11. ff. 72, 76

11

13

12

12. f. 79

23

-

23

FOGLI

MEDIA

MEDIA GENERALE 12,8

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67

SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

Fig. e. Città del Vaticano, BAV, Chig. L.VI.213 (scheda nr. 1)

FOGLI

MARG.

MARG.

EST. SUP.

EST. INF.

MEDIA

1. pp. 1, 3

13

12

2. pp. 5, 13

13

15

12,5 14

3. pp. 21, 29

10

07

8,5

4. pp. 37, 45

13

10

11,5

5. pp. 53, 61

10

11

10,5

6. pp. 69, 77

13

11

12

7. pp. 85, 93

07

15

11

8. pp. 101, 109

15

10

12,5

9. pp. 117, 125

14

07

10,5

10. pp. 133, 141

11

17

14

11. pp. 149, 157

20

15

17,5

12. pp. 165, 173

17

12

14,5

13. pp. 181, 190

10

11

10,5

14. pp. 196, 204

12

09

10,5

15. pp. 212, 220

14

19

16,5

16. pp. 228, 236

14

17

15,5

17. pp. 244, 252

13

10

11,5

18. pp. 260, 268

15

16

15,5

19. pp. 276, 284

11

15

13

20. pp. 292, 300

23

15

19

21. pp. 308, 316

11

10

10,5

22. pp. 324, 332

11

11

11

23. pp. 340, 348

15

17

16

24. pp. 354, 356

10

18

14 MEDIA GENERALE 14,1

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68

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Fig. f. Berlin, Staatsbibliothek – Preußischer Kulturbesitz, Hamilton 90 (scheda nr. 2)

FOGLI

MARG.

MARG.

EST. SUP.

EST. INF.

MEDIA

1. ff. 2, 4

18

15

16,5

2. ff. 10, 12

16

18

17

3. ff. 18, 20

19

16

18

4. ff. 25, 27

18

22

20

5. ff. 33, 35

10

20

15

6. ff. 41, 43

16

16

16

7. ff. 49, 51

12

12

12

8. ff. 57, 59

15

13

14

9. ff. 64, 67

18

11

14,5

10. ff. 73, 75

13

20

16,5 14,5

11. ff. 81, 83

16

13

12. ff. 89, 91

14

18

16

13. ff. 97, 99

13

14

13,5

14. ff. 105, 107

13

15

14 MEDIA GENERALE 15,5

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69

SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

APPENDICE II

Organizzazione della pagina Si avverte il lettore che, per quanto possibile, le misure offerte in questi schemi rispecchiano quelle reali con una scala di 1 : 2. Si tenga inoltre presente che l’area riprodotta in grigio è ovviamente quella contenente la scrittura. A

B

C

D

Ee

Ff

G

AD 275 × DG 197 mm; AB 24 mm - BC 196 mm - CD 55 DE 32 mm - Ee 5 mm - eF 100 mm - Ff 5 mm - fG 55 mm rr. 41/ll. 40 Fig. a. Firenze, BML, Acquisti e Doni 325

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70

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

A

B

C

Dd

Ee

Ff

G g

AD 276 × Dg 194 mm; AB 31 mm - BC 172 mm - CD 73 Dd 6 mm - dE 25 mm - Ee 7 mm - eF 98 mm - Ff 7 mm - fG 42 mm - Gg 9 mm rr. 37/ll. 36 Fig. b. Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6 (ff. 1-16, 29-46 e 257-267)

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71

SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

A B C

_ _ _ _ _ _______________ _ ______ _ _-

D E

F Gg

H h

I i

l L

AG 276 × GL 194 mm; AB 23 mm - BC 8 mm - CD 172 - DE 10 mm EF 53 mm - FG 10 mm Gg 6 mm - gH 25 mm - Hh 7 mm - hI 98 mm - Ii 7 mm - il 42 mm - lL 9 mm rr. 37/ll. 36 Fig. c. Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6 (ff. 17-27, 48-51, 117-120, 188-190)

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72

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

A

B

C

D

Ee e

Ff f

G

AD 276 × DG 194 mm; AB 35 mm - BC 171 mm - CD 70 DE 41 mm - Ee 5 mm - ee 5 mm - eF 68 mm - Ff 5 mm - ff 5 mm - fG 65 mm rr. 37/ll. 36 Fig. d. Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6 (ff. 52-256)

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73

SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

A

B

C

D

Ee

Ff

G

AD 292 × DG 195 mm; AB 25 mm - BC 188 mm - CD 79 DE 35 mm - Ee 6 mm - eF 81 mm - Ff 6 mm - fG 67 mm rr. 45/ll. 44 Fig. e. Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035 (ff. 1-178)

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74

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

A

B

C

D

E

F

G

AD 292 × DG 195 mm; AB 25 mm - BC 188 mm - CD 79 DE 40 mm - EF 90 mm - FG 65 mm rr. 45/ll. 44 Fig. f. Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035 (ff. 179-187)

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75

SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

A B

C

D

E

F

G

AD 267 × DG 184 mm; AB 17 mm - BC 178 mm - CD 72 DE 38 mm - EF 93 mm FG 53 mm rr. 43/ll. 42 Fig. g. Città del Vaticano, BAV, Chig. L.V.176

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76

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

A

B

C

D

E e

F

G

AD 278 × DG 186 mm; AB 29 mm - BC 181 mm - CD 68 DE 36 mm - Ee 5 mm - eF 88 mm - FG 57 mm rr. 43/ll. 42 Fig. h. Città del Vaticano, BAV, Chig. L.VI.213

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77

SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

A

B

C

D

E

F

G

H

AD 370 × DI 269 mm; AB 25 mm - BC 268 mm - CD 77 DE 35 mm - EF 82 mm - FG 21 mm - GH 80 mm - HI 55 mm rr. 54/ll. 53 Fig. i. Berlin, Staatsbibl., Hamilton 90

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I

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SANDRO BERTELLI - Codicologia d’autore

79

APPENDICE III

Taglia, proporzione della pagina, bianco

1. Città del Vaticano, BAV Chig. L.V.176 mise en page 267 × 184 = 17 [178] 72 × 38 [93] 53

2. Città del Vaticano, BAV Chig. L.VI.213 mise en page 278 × 186 = 29 [181] 68 × 36/5 [88] 57

3. Berlin, Staatsbibliothek Hamilton 90 mise en page 372 × 270 = 27 [268] 77 × 35 [82 (20) 81] 52

4. Firenze, BML Acquisti e Doni 325 mise en page 275 × 197 = 24 [196] 55 × 32/5 [100] 5/55

Taglia

451

Proporzione pagina

0,686

Bianco

66,3%

Taglia

464

Proporzione pagina

0,669

Bianco

69,2%

Taglia

642

Proporzione pagina

0,725

Bianco

51,2%

Taglia

472

Proporzione pagina

0,716

Bianco

63,8%

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80

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

5. Firenze, Bibl. Riccardiana Ms. 1035 ff. 1-178 mise en page 292 × 195 = 25 [188] 79 × 35/6 [81] 6/67

6. Firenze, Bibl. Riccardiana Ms. 1035 ff. 179-187 mise en page 292 × 195 = 25 [188] 79 × 40 [90] 65

7. Toledo, Arch. y Bibl. Capitulares Zelada 104.6 ff. 1-16, 29-46 e 257-267 mise en page 276 × 194 = 31 [172] 73 × 6/25/7 [98] 7/42/9

8. Toledo, Arch. y Bibl. Capitulares Zelada 104.6 ff. 17-27, 48-51, 117-120 e 188-190 mise en page 276 × 194 = 23/8 [172] 10/53/10 × 6/25/7 [98] 7/42/9 9. Toledo, Arch. y Bibl. Capitulares Zelada 104.6 ff. 52-256 mise en page 276 × 194 = 35 [171] 70 × 41/5/5 [68] 5/5/65

Taglia

487

Proporzione pagina

0,667

Bianco

73,2%

Taglia

487

Proporzione pagina

0,667

Bianco

70,2%

Taglia

470

Proporzione pagina

0,702

Bianco

68,5%

Taglia

470

Proporzione pagina

0,702

Bianco

68,5%

Taglia

470

Proporzione pagina

0,702

Bianco

78,2%

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MARCO CURSI

CRONOLOGIA E STRATIGRAFIA NELLE SILLOGI DANTESCHE DI GIOVANNI BOCCACCIO

1. Obiettivi dell’indagine e status quaestionis Questo saggio intende compiere un’analisi comparativa della scrittura dei quattro codici a buona ragione ritenuti principali testimoni dell’attività di Boccaccio dantista e copista-editore di Dante (Riccardiano 1035; Toledano 104.6; Chig. L.V.176 e L.VI.213), avvalendosi anche della testimonianza offerta da altri due celebri autografi in volgare (Laur. Acq. e Doni 325, Teseida; Berlinese Hamilton 90, Decameron). Il fine è quello di risolvere alcune questioni di cronologia relativa (in quale sequenza temporale devono essere disposti i manoscritti?), di cronologia assoluta (a quale anni devono essere assegnati e come si pongono nel più ampio contesto dell’evoluzione della scrittura del Boccaccio?) e di stratigrafia compositiva (è rilevabile l’esistenza di una più o meno marcata distanza temporale che separa la copia di sezione dall’altra?). Se osservati in una prospettiva paleografica e codicologica, i codici qui presi in esame presentano molti problemi ancora aperti. Innanzitutto occorre notare che, sorprendentemente, fino a pochi mesi fa, percorrendo la ricchissima bibliografia boccacciana e dantesca si rilevava la presenza di ben pochi studi contenenti descrizioni analitiche ed esaustive di questi manoscritti: il solo Riccardiano era stato oggetto di un’accurata expertise, di cui si dà conto nel volume sui codici della Commedia conservati nelle Biblioteche Riccardiana e Moreniana, pubblicato nel 2008 da Marisa Boschi Rotiroti;1 quanto agli altri tre testimoni, trovavamo da una parte (in relazione al Toledano e al Chig. L.V.176) le schede edite nel 2002 da Domenico De Robertis nei volumi introduttivi alla sua edizione delle Rime dell’Alighieri, che, però, inserite come sono in un immenso corpus costituito da oltre cinquecento codici, riservano uno spazio non troppo ampio ai dati materiali e grafici;2 dall’altra (per i manoscritti Toledano e Chig. 1 BOSCHI ROTIROTI, Censimento dei manoscritti, pp. 57-59, tav. 33 (con bibliografia pregressa). 2 DE ROBERTIS, Dante. Rime, I, pp. 657-658 (Toledano 104.6); pp. 745-747 (Chig. L.V.176). La descrizione del Ricc. 1035 è alle pp. 335-338.

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82

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

L.VI.213) le utili ma condensate descrizioni che si leggono nella Codicologia trecentesca della Commedia edita da Marisa Boschi Rotiroti nel 20043 e le più estese ma pur sempre essenziali schede, a cura della medesima studiosa, contenute nel recentissimo Censimento dei Commenti danteschi.4 Se a ciò si aggiunge che, andando più indietro nel tempo, anche le notizie che si leggono nel monumentale repertorio approntato da Marcella Roddewig nel 1984, in cui si passano in rassegna ben 827 testimoni del poema, sono piuttosto stringate5 (e in alcuni casi anche scorrette e fuorvianti),6 si può concludere che, stringendo il campo di osservazione al solo Toledano, per avere riscontri più soddisfacenti si doveva addirittura risalire alla descrizione a cura di Domenico De Robertis compresa nel volume dato alle stampe nel 1975, in occasione della Mostra di manoscritti, documenti ed edizioni, tenutasi in Biblioteca Medicea Laurenziana in concomitanza con il sesto centenario della morte del Boccaccio;7 quanto, invece, ai due codici vaticani, non compaiono in quel catalogo, poiché non facevano parte del percorso espositivo laurenziano (uno di essi, però, il Chig. L.V.176, è magistralmente descritto nel saggio introduttivo all’edizione facsimilare, edita a cura dello stesso De Robertis nel 1974).8 Tale quadro d’insieme, indubbiamente deficitario, è notevolmente mutato negli ultimi tempi; in occasione del settimo centenario della nascita del certaldese, infatti, è stato compiuto un decisivo passo in avanti nelle nostre conoscenze di carattere codicologico riguardanti i manoscritti di cui si sta trattando: un primo contributo è stato offerto dalle schede descrittive curate da Sandro Bertelli incluse nel catalogo della Mostra laurenziana aperta nell’ottobre del 2013;9 in questa sede, però, si farà naturalmente riferimento all’approfondita analisi della struttura materiale degli autografi boccacceschi in volgare compiuta dal medesimo studioso, contenuta all’interno di questo volume. Passando al problema della collocazione cronologica delle tre sillogi, già Michele Barbi aveva fissato con decisione la datazione del Toledano intorno al 135010 e la sua opinione era stata sostanzialmente condivisa da 3 BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca, pp. 113 (Chig. L.VI.213) e 142 (Toledano 104.6). Per il Ricc. 1035, cfr. la p. 129. 4 MALATO-MAZZUCCHI, Censimento dei commenti danteschi, pp. 500 (Chig. L.VI.213) e 1052 (Toledano 104.6). La scheda del Ricc. 1035 è alle pp. 771-773. 5 RODDEWIG, Commedia-Handschriften, pp. 133-134 (Ricc. 1035), 287-288 (Chig. L.VI.213), 324 (Toledano 104.6). 6 Al proposito vedi PETRUCCI, rec. Roddewig. 7 Mostra del Boccaccio, pp. 102-103 (Toledano 104.6). La descrizione del cod. Ricc. 1035 è alle pp. 103-105. 8 DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 14-15. 9 Cfr. Boccaccio autore e copista, pp. 266-272. 10 Barbi tornò sulla questione in quattro contributi; il primo è datato al 1907, l’ultimo risale al 1932: BARBI, Dante. Vita nuova2, p. CXCVI.

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Pier Giorgio Ricci;11 qualche esitazione si coglie invece sia nelle valutazioni di Albinia de la Mare («copied in the 1350s [c. 1352-56 and 1357-9 have been both suggested]»),12 sia in quelle di Domenico De Robertis, che nella descrizione inserita nel catalogo della già menzionata Mostra del 1975 aveva collocato il manoscritto ai «primi anni della 2a metà del sec. XIV»,13 e in seguito, nella scheda inclusa nell’edizione delle Rime (2002), ha spostato leggermente in avanti la presumibile data di copia del codice («tra 6° e 7° decennio », dunque a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60).14 Tali dubbi trovano in qualche misura riscontro nelle schede descrittive a cura di Marisa Boschi Rotiroti, in cui la forbice cronologica è prudentemente allargata al «terzo quarto» del sec. XIV.15 Quanto al Ricc. 1035, se la de la Mare lo aveva posizionato all’inizio degli anni ’60,16 il De Robertis inizialmente lo collocò alla metà di quel decennio, facendo sua l’opinione espressa da Pier Giorgio Ricci (che ne assegnava la copia alla cosiddetta «terza fase» di svolgimento della scrittura del Boccaccio);17 in seguito lo studioso fissò i termini della datazione ad un più ampio «settimo decennio» del secolo,18 poi confermato dalla Boschi Rotiroti.19 Infine, per quel che riguarda i due testimoni chigiani, il Ricci (in relazione alla sezione finale del ms. L.V.176 [ff. 34r-79r]) ne collocava la copia ancora nella «terza fase» della scrittura boccaccesca, ma un po’ più avanti, in corrispondenza con la trascrizione delle Genealogie (1363-66);20 il De Robertis, nel saggio in cui dimostrava l’originaria unità del manoscritto con il gemello Chig. L.VI.21321 si limita11 «La scrittura del Todedano è più tarda di quella della lettera Quam pium (databile al 1348); ma non di troppo, essendo ancora molta la strada da percorrere prima che la a (minuscola chiusa) scompaia del tutto, come avviene, ad esempio, nell’autografo riccardiano (1035)»: RICCI, Tre redazioni, p. 72); le aggiunte tra parentesi sono mie. 12 DE LA MARE, Handwriting, p. 28. 13 Mostra del Boccaccio, p. 102. 14 DE ROBERTIS, Dante. Rime, I, p. 657. Al riguardo, non risultano utili le descrizioni compilate da RODDEWIG, Commedia-Handschriften, poiché in tutti i casi ci si limita ad una datazione alla «seconda metà» del sec. XIV. 15 BOSCHI ROTIROTI, Toledo, Biblioteca Capitular, 104 6 (scheda nr. 641), in MALATO-MAZZUCCHI, Censimento dei commenti danteschi, p. 1052. La medesima valutazione cronologica era stata espressa dalla studiosa nella precedente e più sintetica descrizione in EAD., Codicologia trecentesca, p. 142. 16 Anche se poi lascia intendere che non si può escludere una sua leggera retrodatazione: «Perhaps copied early 1360s, but script looks earlier then first part of no. 15» (DE LA MARE, Handwriting, p. 28), con rimando alla prima sezione del Chig. L.V.176 (ff. 1r-28v), attribuibile, seppure con qualche dubbio, agli anni «c. 1359-62» (Ibidem, p. 29). 17 Cfr. Mostra del Boccaccio, p. 103, con riferimento a RICCI, Svolgimento della grafia, pp. 55-61. 18 DE ROBERTIS, Dante. Rime, I, p. 335. 19 BOSCHI ROTIROTI, Censimento dei manoscritti, p. 57: «sec. XIV anni ’60». 20 RICCI, Svolgimento della grafia, p. 59. 21 A proposito della quale si veda più avanti.

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va a rimandare a quell’ipotesi cronologica, per poi precisarla nella successiva edizione delle Rime dantesche, assegnando la copia del Chig. L.V.176 al «pieno settimo decennio» del secolo.22 In definitiva, gli autografi boccacciani di contenuto dantesco (e anche petrarchesco, in relazione al solo Chig. L.V.176) per lungo tempo sono stati ordinati secondo la sequenza Toledano-Riccardiano-Chigiano, che peraltro trova riscontro anche nell’Edizione Nazionale della Commedia allestita da Giorgio Petrocchi nel 1966-67.23 Piuttosto di recente, però, Francesca Malagnini, in un contributo basato su una serie di osservazioni non di carattere paleografico, ma prevalentemente paratestuale (incentrate, in particolare, sull’analisi del sistema delle «maiuscole e dei loro colori, dimensioni e filettature, e dei segni di paragrafo che indicano […] il fluire delle azioni e dei blocchi testuali narrativi»),24 ha ipotizzato un deciso avvicinamento cronologico tra la copia del Toledano e quella del Chig. L.VI.213 (primissimi anni ’60 del Trecento?), e una loro possibile anteriorità rispetto alla trascrizione del Riccardiano.25 Come è ovvio, la questione non è di poco conto anche in un’ottica testuale; si consideri, ad esempio, che sulla scorta di una cauta osservazione compiuta qualche anno fa da Francesco Bruni,26 uno spostamento nella data di confezione dei codici potrebbe avere rilevanti conseguenze nel dibattito critico riguardante gli anni di composizione del Trattatello, trascritto nel Toledano, rispetto al Compendio A, che si legge nel Chig. L.V.176.27 Quanto, infine, alla presenza di una possibile articolazione in tempi più o meno lunghi della copia delle diverse sezioni da cui sono costituite le sillogi dantesche di mano del Boccaccio, la questione è stata più volte accennata da alcuni degli studiosi sopra menzionati in relazione ai soli testimoni chigiani (Ricci, de la Mare, De Robertis), ma mai affrontata in uno specifico contributo critico.

22 DE ROBERTIS, Dante. Rime, I, p. 745 (tale espressione, se confrontata con quella riferita al ms. Ricc. 1035 [«settimo decennio»] postula una posteriorità del Chigiano rispetto al Riccardiano). 23 Cfr. PETROCCHI, Dante. Commedia, I, pp. 18-19 (con assegnazione del Chig. L.VI.213 ad un periodo molto tardo: «non molto avanti la nomina a lettore di Dante, nell’agosto del 1373»). 24 MALAGNINI, Libro d’autore, p. 13. 25 Ibidem, pp. 86-88. 26 BRUNI, Boccaccio, pp. 421-422. 27 Per la nomenclatura qui adottata («Trattatello» per la redazione ampia contenuta nel Toledano; «Compendio A» per la prima versione della redazione breve, contenuta nel Chig. L.V.176) vedi il saggio di Davide Cappi e Marco Giola all’interno di questo volume.

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2. Il metodo d’indagine Giovanni Boccaccio, come molti altri scriventi del suo tempo dotati di un alto profilo culturale e grafico (primo tra tutti Francesco Petrarca), faceva uso di più tipologie grafiche, dedicate a funzioni differenti.28 Gli autografi boccacceschi che costituiscono l’oggetto di questo studio sono tutti vergati in scrittura posata, una semigotica dal tracciato leggermente contrastato che nelle sue espressioni più mature appare armonica, fluida ed equilibrata.29 I primi studi su di essa, risalenti alla fine del sec. XIX, sono dovuti ad Henri Hauvette, che ebbe il merito di risolvere alcune spinose questioni attributive riguardanti autografi conservati nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze;30 pochi anni dopo, Michele Barbi, nella sua edizione critica della Vita Nuova (1907),31 fissava «le linee essenziali di una conoscenza storica della scrittura del Boccaccio e le tappe della trasformazione ed evoluzione di questa».32 A distanza di quasi mezzo secolo Piergiorgio Ricci, nel contributo in cui annunciava – di concerto con Vittore Branca – il definitivo riconoscimento dell’autografia del Decameron Hamilton 90, proponeva una sintetica riflessione sulle dinamiche che regolarono l’evoluzione nel tempo della scrittura del certaldese.33 In seguito Albinia de la Mare tracciava un breve ma denso profilo della scrittura boccaccesca, basandosi non soltanto sulla registrazioni delle varianti di lettera, ma anche sull’annotazione di significativi mutamenti in abitudini di carattere codicologico;34 tali rilevazioni portarono la studiosa inglese 28 Al riguardo vedi, da ultimo, SIGNORINI, La scrittura libraria, p. 841. Più in generale sul tema della funzione che una scrittura può svolgere in un certo contesto sociale, vedi PETRUCCI, Funzione della scrittura, specialmente alle pp. 22-23. 29 Le altre categorie grafiche all’interno delle quali possiamo inserire le testimonianze autografe di mano del certaldese sono: 1) la scrittura corsiva, una mercantesca con qualche influenza della cancelleresca, di andamento rapido, dalle forme morbide e tondeggianti, di cui il Boccaccio si serviva per comunicazioni di natura usuale quali le lettere private o per la compilazione di repertori di studio strettamente personali come lo Zibaldone magliabechiano Banco Rari 50; 2) la scrittura sottile, eseguita con strumento scrittorio a punta rovesciata, che attua una sintesi di modelli tratti dai due sistemi – posato e corsivo – all’interno dei quali il Boccaccio solitamente si muoveva, ed era impiegata prevalentemente per notazioni di servizio poste nei margini di manoscritti di sua mano; 3) la maiuscola distintiva, utilizzata per evidenziare porzioni di testo di particolare rilievo, come ad esempio le titolazioni o formule di vario genere. Una rassegna delle principali caratteristiche morfologiche e funzionali di tali categorie grafiche in CURSI, Scrittura e libri, pp. 15-75. Per un quadro analogo, molto più sintetico, cfr. CURSI-FIORILLA, Boccaccio, pp. 62-68. 30 HAUVETTE, Notes. Una breve rassegna degli studi sulla scrittura del Boccaccio in CURSI, Scrittura e libri, pp. 43-47. 31 BARBI, Dante. Vita nuova1, pp. CLXXVII-CLXXVIII. 32 DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 9. 33 RICCI, Svolgimento della grafia. 34 Cfr. DE LA MARE, Handwriting, pp. 23-24.

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a mettere a punto un tentativo d’insieme di ordinamento nel tempo degli autografi boccacciani corredato da proposte di datazione molto precise (la forbice cronologica di norma è aperta al massimo per 5 anni).35 Gli studi finora menzionati sono accomunati dal ricorso ad un metodo paleografico classico; in essi, dunque, la scrittura del Boccaccio veniva esaminata riservando molta attenzione all’analisi morfologica delle minuscole e, in misura minore, delle maiuscole al tratto e procedendo ad un censimento, non sistematico, delle forme di lettera e delle loro rispettive varianti, per ricostruire una loro evoluzione in diacronia. In tempi più recenti Stefano Zamponi, Martina Pantarotto e Antonella Tomiello hanno messo in campo un diverso metodo di lavoro per affrontare lo studio dei due più complessi e stratificati autografi boccacceschi, lo Zibaldone laurenziano Pluteo 29.8 e il suo gemello Pluteo 33.31;36 esso prevede di integrare l’analisi morfologica con una registrazione quantitativa delle varianti di lettera e dei cosiddetti fatti grafici (ad esempio altezza e larghezza media delle lettere, nesso fra curve contrapposte o di elisione fra tratti di stacco e di attacco etc.).37 In tal modo è stato possibile risolvere su base paleografica il difficile problema della successione cronologica in cui sono articolate le numerose sezioni che costituiscono gli zibaldoni di Boccaccio. Da parte mia, constatata l’efficacia di tale metodo di ricerca per ordinare in diacronia testimonianze autografe del Boccaccio risalenti a periodi di tempo anche molto ravvicinati tra loro, ho deciso di ricorrere ad un criterio di indagine in buona misura ispirato a quella metodologia. Il protocollo di analisi da me messo a punto – già applicato in un volume di recente pubblicazione nel quale si tenta una ricostruzione delle linee di sviluppo della scrittura del Boccaccio – 38 è basato su tre fondamentali parametri: 1) rilevazione sistematica di alcune significative varianti di lettera: a testuale e minuscola chiusa;39 s finale di parola di forma maiuscola, maiuscola con ricciolo finale o sinuosa;40 ç con cediglia volta in fondo a sinistra e ondulata;41

Ibidem, pp. 25-29. ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia. 37 Ibidem, p. 199. 38 CURSI, Scrittura e libri. 39 Traggo la denominazione «minuscola chiusa» da SUPINO MARTINI, Per la storia della semigotica, p. 252. 40 Per l’espressione «s sinuosa», vedi ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia, p. 209. 41 L’importanza della a e della ç come marcatori cronologici della linea di sviluppo della scrittura del Boccaccio è stata ripetutamente segnalata: BARBI, Dante. Vita nuova1, p. CXCVI (per la sola a); RICCI, Svolgimento della grafia, pp. 55-60; DE LA MARE, Handwriting, pp. 21-22; ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia, pp. 208-212. Sulla forma della s finale di parola ci si è soffermati, invece, soprattutto negli ultimi due studi appena menzionati, rispettivamente 35 36

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2) osservazione e registrazione di alcune lettere caratterizzate da elementi grafici accessori, che pur non mutando la morfologia del segno grafico, svolgono una funzione altamente significativa per marcare alcune tappe evolutive: h con tratto ricurvo finale caratterizzato da ispessimento, apice e ricciolo o prolungamento al di sotto del rigo; i con o senza apice; r a 2, dotata o meno di sottile coda discendente al di sotto del rigo;42 3) censimento delle maiuscole al tratto, limitando il campo d’osservazione alle lettere utilizzate in corpo testuale o al più come capolettera, meno esposte alle possibili influenze dei modelli presenti negli antigrafi rispetto alle maiuscole che svolgono la funzione di scrittura distintiva.43 Le registrazioni delle occorrenze delle varianti di lettera e degli elementi grafici accessori sono state compiute su porzioni testuali sufficientemente significative per ciascun testimone (almeno 2000 lettere per codice) e fissate in trascrizioni diplomatiche, rivelatesi molto utili poiché hanno permesso una drastica riduzione del tasso di errore nel conteggio numerico, demandato al computer. La necessità di compiere osservazioni riguardanti dettagli minutissimi e talvolta rilevabili con difficoltà (mi riferisco in particolare a tratti molto sottili, quali ad esempio gli apici sulle i) ha consigliato di procedere ad un doppio sistema di controllo: dapprima attraverso la visione diretta dei codici e in seconda battuta tramite l’uso di riproduzioni digitali. Infine, mi sono avvalso di un elemento di giudizio finora rimasto privo di risonanza critica, che si è dimostrato molto remunerativo in questioni di carattere cronologico: l’abitudine del Boccaccio di apporre accenti in funzione interiettiva sulla o quando ha funzione vocativa;44 il censimento sistematico della presenza di tali accenti, apposti con crescente indice di frequenza negli autografi in volgare, si è rivelato un ulteriore termine di comparazione per la ricostruzione della successione nel tempo dei manoscritti in scrittura posata.

alle pp. 23 e 205. 42 Per la r a 2 vedi BARBI, Dante. Vita nuova1, p. CXCVI; per la h e la r a 2, cfr. RICCI, Svolgimento della grafia, p. 55; DE LA MARE, Handwriting, pp. 21-22; ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia, p. 209. La possibile funzione di marcatore cronologico dell’apice sulla i è stata brevemente segnalata in DE LA MARE, Handwriting, p. 22. 43 Sulle maiuscole al tratto, considerate «non come un vero e proprio sistema grafico, quanto piuttosto come singole esecuzioni grafiche determinate da scelte stilistiche e gusto per la variatio» si sono soffermati soprattutto ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia, pp. 220-223 (la citazione è tratta dalla p. 220). 44 Al proposito cfr. grafico 7.

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Nel successivo paragrafo 3 si riporteranno in grande sintesi i risultati della mia precedente indagine,45 con indicazioni riguardanti i mutamenti nel tempo delle occorrenze delle varianti di lettera e degli elementi grafici accessori in tutti gli autografi boccacceschi in latino e in volgare. Nel paragrafo 4 il campo d’osservazione verrà ristretto ai soli autografi in volgare, cercando di mettere a fuoco la loro scansione relativa, avvalendosi anche della registrazione degli indici di apposizione degli accenti sulla o vocativa. Nel paragrafo 5, infine, si tenterà un esame stratigrafico, focalizzando l’attenzione sulle caratteristiche morfologiche della scrittura di singole unità testuali all’interno delle tre sillogi dantesche, per verificare l’ipotesi dell’esistenza di una più o meno marcata distanza temporale che separa la copia di una sezione dall’altra. 3. Il quadro d’insieme I manoscritti del Boccaccio in scrittura posata possono essere articolati secondo una successione cronologica articolata nelle seguenti cinque fasi:46 1) Giovinezza (ante 1330 – metà degli anni ’30) [Pluteo 29.8 (ff. 26r-45v [ante 1330]; 2r-25v [ante 1334])];

2) Formazione (metà degli anni ’30 - metà degli anni ’40) [Pluteo 29.8 (ff. 46r, 51r-55v, 59v, 60r-66v, 67r-74v); Pluteo 33.31 (ff. 1r-38v, 46v-73v); Ambr. A 204 inf. (glosse); Pluteo 38.6 (ff. 43, 100, 111, 169); Pluteo 38.17; Pluteo 54.32 (ff. 70r-77v)];

3) Maturità (metà degli anni ’40 – metà degli anni ’50) [Acq. e Doni 325; Pluteo 29.8 (ff. 46v-50v, 56r-59r, 75r-77r); Pluteo 33.31 (ff. 39r-45v); Toled. 104.6; Pluteo 54.32; Ricc. 627+2795+ Harley 5383; Ashb. App. 1856];

4) Tarda maturità (fine degli anni ’50 – metà degli anni ’60) [Ricc. 1035; Ricc. 1232; Chig. L.VI.213; Chig. L.V.176; Pluteo 52.9];

5) Vecchiaia (ultimi anni ’60 – 1375) [Chig. L.V.176 (ff. 29r-32v); Ambr. C 67 sup.; Hamilton 90; Pluteo 90 sup. 981; Pluteo 54.32 (f. 56r); Pluteo 52.9 (giunte)].

Nella tabella 1 i codici sono ordinati secondo la scansione diacronica appena presentata; per ciascuno di essi vengono specificati le carte sulle quali sono state compiute le rilevazioni, il numero totale delle lettere esaminate, la presunta datazione e il contenuto.

45 46

Essi sono esposti dettagliatamente in CURSI, Scrittura e libri, pp. 15-82. Al riguardo cfr. CURSI-FIORILLA, Boccaccio, pp. 64-66; CURSI, Scrittura e libri, pp. 42-49.

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Vecchiaia

Tarda maturità

Maturità

Formazione

Giovinezza

Periodo

BML BML

22 Firenze

Staatsbibl.

20 Berlino

21 Firenze

Bav B. Ambr.

19 Milano

BML

17 Firenze

18 Città del Vat.

Bav

B. Ricc. B. Ricc. Bav

13 Firenze 14 Firenze 15 Città del Vat.

16 Città del Vat.

BML

BML

B. Ricc.

BML

7 Firenze

8 Firenze

12 Firenze

BML

6 Firenze

11 Firenze

BML

5 Firenze

B. Capitular BML

Acq. e Doni 325

BML

4 Firenze

9 Toledo 10 Firenze

Pluteo 33.31

B. Ambr.

3 Milano

Pluteo 52.9

Pluteo 90 sup. 98

Hamilton 90

C 67 sup.

Chigi L V 176

Pluteo 52.9

Chigi L V 176

1035 1232 Chigi L VI 213

Ashb. App. 1856

1

627+2795+H5383

Zelada 104.6 Pluteo 54.32

Pluteo 29.8

Pluteo 38.17

Pluteo 38.6

A 204 inf.

Pluteo 29.8

BML

2 Firenze

Segnatura Pluteo 29.8

Biblioteca BML

Città 1 Firenze

18r

5r, 80r

13r, 101r

10r/v, 140r

29r-32v

16r, 91r, 155r

2r, 27v, 34r, 36r, 45r

pp. 75, 210, 354

2r, 2v, 3r, 84v, 85r

43r/v, 88r, 124r, 171v, 186r

2v, 3r, 3v, 4r

85v

9r, 67r

12r, 45r, 53r/v, 144r/v, 252r/252v, 266v

50v

39r/v 5v, 6r, 6v, 136r, 136v, 137r

8r, 81r

43r/v, 169r

27r, 54r

51r

28r

ff. di rilevazione

Tabella 1

908

3295

4607

3111

5978

4743

9464

9869 2724 7387

3165

2334

11484 4265

2642

5296

2281

2493

2492

2191

ca 1373

1370-72

1370-72

1370-72

1367-1368

1365-1367

1363-1366

ca 1360 1362-63 1363-1366

ca 1355

1350-55

1348-55 1350-55

Boccaccio, Genealogie , giunte

Boccaccio, De mulieribus claris

Boccaccio, Decameron

Marziale, Epigrammata

Boccaccio, Genealogie Cavalcanti, Donna (con glossa garbiana)

Gius. di Exeter, Ylias Dante, Commedia ; Dante, 15 canzoni Boccaccio, Bucc. carmen Dante, Commedia B., Vita di D .; Dante, Vita Nuova; B., Ytalie ; Dante, 15 canzoni ; Petrarca, Rvf

Apuleio, Opere Orosio, Historiae; P.Diacono, Hist.Lang.

Boccaccio, Teseida Ep. Quam pium B., Vita di D .; Dante, Vita Nuova; Dante, Commedia ; Dante, 15 canzoni

ca 1348

Priapea

Terenzio, Commedie

Stazio, Tebaide

commento di Tommaso all'Etica

ca 1348

1345-48

1340-1345

1340-1345

1340-1345

Ep. Crepor celsitudinis

ca 1339

1559

1327-1330

2667

contenuto Trattati morali e storici

datazione

n° tot. lettere

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I grafici 1-6 riportano lungo l’asse delle ordinate i valori percentuali riguardanti le occorrenze delle forme di lettera e degli elementi grafici accessori; lungo quello delle ascisse sono distribuiti i manoscritti secondo la loro successione temporale.47 Grafico 1 – a testuale e minuscola chiusa 100

99

97

95

100

99

99

100

99

99

99

99

100

99

100

100

99

100

90 77

80 70

60

60 50

62 55 45

40

40

52 48 38

30

a testuale

23

a minuscola chiusa

20 10

3

1

5

0

0

1

1

1

0

1

1

1

0

0

1

0

0

0

Grafico 2 – h con pancia allungata, con ispessimento finale, con ricciolo finale 100

100

100

96

100

100

100

100

96

90

85

90 80

100

98

97

100

96

100

100

100

100

73

70

63

60 50

37

40

27

30 15

20 10 0

00

000

0

4

0

h con pancia allungata h con ispessimento finale

10 0 0

00

0

00

00

0

00

0

4

00

02

0

3

00

0

4

h con ricciolo finale

00

00

00

00

47 Per i valori numerici assoluti delle occorrenze delle lettere riferite ai grafici 1-6 cfr. ibidem, pp. 136-138.

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91

MARCO CURSI - Cronologia e stratigrafia nelle sillogi dantesche

Grafico 3 – i senza apice e con apice 100

100

100

98

100

100

99

97

99

97

98

96

95

89

90 80

73

74 68

70

40

45

56 44

53 47

4951 37

32

27

30

26

i senza apice i con apice

20

0

55

45

50

10

63

55

60

11 0

2

0

0

0

1

3

3

1

5

4

2

Grafico 4 – r a 2 semplice e senza frego 100

100

100 92

88

90

87 81

84

80

60

46

19

20

12 0

0

8

13

16

12

37

35

31

30

0

63

54

40

10

65

53 47

50

100

96

91

77

74

69

70

100

96

95

91

88

26

r a 2 semplice

23

r a 2 con frego

9

5

4

9 0

4

0

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92

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Grafico 5 – s finale di parola di forma maiuscola, maiuscola con ricciolo finale, sinuosa 100

97

95

100

97

94

90

100

98 98

100 92

91

100

94

84 75

80 67

70 60

67

63

58

54

52 45

50 40

31

28 21

20

12 3

0

0

5

00

1

48

40

30

10

96

2

0

3

16 0

s di forma maiuscola s maiuscola con ricciolo finale

21

s sinuosa

4

9 33

13

02

20

3

00

6

7

2

6

1

0

00

0

00

Grafico 6 – ç con cediglia volta a sinistra, con cediglia ondulata 100

100

100

100 100

100

100

100

90 78

80 70 60 50 40 30

ç con cediglia volta a sinistra

22

ç con cediglia ondulata

20 10 0

00

00

00

00

00

00

0

00

0

00

00

0

0

00

0

00

0

00

0

00

00

Lettera a: il grafico 1 mostra l’esistenza di una linea evolutiva che va da una piena aderenza al modello testuale nelle testimonianze della giovinezza, ad una graduale e sempre più convinta scelta per la forma minuscola chiusa, sostanzialmente esclusiva dalla metà degli anni ’60 in poi. Lettera h: il grafico 2 rivela una preferenza iniziale per la variante con ultimo tratto ricurvo allungato al di sotto del rigo; in seguito il Boccaccio

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93

fa ricorso alla forma con ispessimento finale (fino alla prima metà degli anni ’40); poi, per un periodo di tempo molto prolungato (dalla seconda metà degli anni ’40 fino alla metà degli anni ’60), si serve di quella con apice e ricciolo; infine, nella fase conclusiva della sua esperienza grafica (anni ’70), torna ad utilizzare la forma con pancia allungata. Lettera i: il grafico 3 mostra che il Boccaccio cominciò a servirsi di tale segno diacritico intorno alla fine degli anni ’40, per poi farne un uso sempre più frequente fino alla metà degli anni ’60, con una lieve flessione nell’ultimo periodo della sua produzione scrittoria. Lettera r a 2: il grafico 4, riferito all’alternanza della forma semplice e di quella dotata di sottile frego ricurvo, denota un indice di frequenza massimo del tipo con frego tra l’inizio degli anni ’40 e la metà degli anni ’50;48 arrivati all’inizio del decennio successivo, si manifesta un calo che dapprima è progressivo e poi diviene precipitoso (talvolta fino al totale azzeramento) nei testimoni più tardi. Lettera s finale: il grafico 5 permette di isolare tre linee di tendenza: la forma maiuscola prevale nella produzione dei primi anni e torna ad essere dominante nell’ultimo quindicennio, a partire dal 1360 circa; quella sinuosa è tipica degli anni ’30-’50; quella maiuscola con il tratto superiore che si allunga e si volge con un ricciolo verso l’alto connota un lasso di tempo breve e ben determinato, al passaggio tra il quinto e il sesto decennio del secolo.49 Lettera ç: il grafico 6 presenta registrazioni limitate ai manoscritti contenenti opere della letteratura in volgare, i soli per i quali il numero di occorrenze di questa lettera sia sufficientemente significativo. La produzione boccaccesca appare spaccata in due insiemi: i primi cinque testimoni mostrano esclusivamente la forma con cediglia volta a sinistra; nel tardo inserto cavalcantiano e nel Decameron hamiltoniano compare invece la forma con cediglia ondulata. Una convivenza tra le due morfologie si verifica nel Chig. L.V.176 per la copia dei Rerum vulgarium fragmenta. 4. Cronologia dei manoscritti in volgare 4.1. La più antica tra le sillogi dantesche di mano del Boccaccio è quella contenuta nel cod. Zelada 104.6 della Biblioteca Capitolare di Toledo (Tavv. 25-30); la sua scrittura può essere inserita nella terza fase di svi48 Fanno eccezione due testimoni: il Ricc. 627 + 2795VI + Harley 5383 e l’Ashb. App. 1856, per i quali cfr. ibidem, pp. 48-49. 49 Una notevole ma estemporanea ripresa dell’uso di tale variante di lettera si registra nel Ricc. 1232 (Buccolicum carmen), la copia del quale è a mio parere da assegnare al 1362-63 (al proposito cfr. ibidem, pp. 30-31).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

luppo dell’evoluzione diacronica della posata del Boccaccio, quella della maturità (esteso tra la metà degli anni ’40 e la metà degli anni ’50); le sue caratteristiche morfologiche presentano una notevole vicinanza a quanto si riscontra in un altro autografo in volgare boccaccesco, presumibilmente confezionato in tempi di poco anteriori, il Laur. Acquisti e Doni 325 (Tavv. 17-20), nel quale si legge il Teseida (prospetti 1 e 2).

Prospetto 1 - Laur. Acq. e Doni 325 55

45

87

13

63

67

37 0

21

12

97

100 3

Lettere totali esaminate = 5296

0

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95

MARCO CURSI - Cronologia e stratigrafia nelle sillogi dantesche

Prospetto 2 - Zelada 104.6 62

88

38 12

75

100 0

21

0

4

89 100 11

Lettere totali esaminate = 11484

0

In quegli anni la scrittura del Boccaccio mostra le sue espressioni più armoniche ed eleganti (cfr. Tavv. 17-20 e 25-28): prevalgono le linee morbide e sinuose, si cerca di ottenere un elegante effetto di chiaroscuro grazie ad un accentuato contrasto di tracciato, vengono aggiunti di frequente elementi accessori di completamento (sotto forma di freghi, apici, riccioli). La a, nel Teseida ancora prevalentemente testuale (55%), vede un graduale affermarsi della variante minuscola chiusa, che diviene maggioritaria nel Toledano (62%); la ç presenta sempre la forma con cediglia ricurva a sinistra. L’h nell’Acquisti e Doni 325 alterna la forma caratterizzata da un ispessimento aggiunto a chiudere il tratto ricurvo finale (37%) e quella con filetto d’attacco e sottile ricciolo (63%), che invece è l’unica utilizzata nel Toledano. La i nel Teseida è quasi sempre priva d’apice (3%), mentre nel Toledano si registra un significativo incremento nell’apposizione del segno diacritico (11%). La r a 2 con frego finale nei due codici mantiene saldamente il primato sulla forma semplice e mostra una percentuale di occorrenze pressoché identica. Il quadro riguardante la s finale di parola è piuttosto differenziato: se nel Laurenziano prevale decisamente la forma maiuscola con tratto superiore volto in fondo verso l’alto (67%), nel To-

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

ledano è maggioritaria la forma sinuosa (75%), tipica dei manoscritti dei primi anni ’50. Si noti la permanenza in entrambi i testimoni di un certo numero di occorrenze della forma maiuscola, utilizzata frequentemente nei primi anni ’40 (ad esempio nei Plutei 38.6 e 38.17, cfr. il grafico 5). Passando alle maiuscole al tratto (tabella 2), salta subito agli occhi l’abitudine – tipica della fine degli anni ’40 e dei primissimi anni ’50 – di dotare alcune lettere (C, L, T) di lunghi ed eleganti apici, aggiunti in coda al tratto di base ricurvo. In entrambi i codici la A assume la forma a cuspide, con elemento orizzontale d’attacco e tratto di base leggermente ondulato; notevole pure la D, che privilegia la forma con schiena a C retroversa, anche se nel Toledano talvolta resiste la morfologia più frequente nella scrittura del giovane Boccaccio: angolosa, con schiena diritta, dotata di lungo apice orizzontale. La M e la N sono di forma capitale, con il primo tratto che discende sinuosamente verso sinistra, diminuendo progressivamente il suo spessore.50 La T è di forma gotica, in due tratti, con traversa ondulata; nel Toledano, però, si fa uso della morfologia in tre tratti, di cui il secondo rigidamente verticale, molto diffusa negli autografi del periodo della formazione; la U/V mostra la decisa prevalenza della forma capitale, con apici orizzontali volti a sinistra. 4.2. La scrittura dei codici Riccardiano 1035, Chig. L.VI.213 e L.V.176 appare caratterizzata da alcuni rilevanti mutamenti rispetto a quella dei due testimoni esaminati finora; i tre manoscritti formano un gruppo piuttosto compatto quanto all’aspetto grafico (cfr. Tavv. 1-6, 7-10 e 21-24) e possono essere assegnati alla successiva fase di sviluppo della scrittura del Boccaccio, quella della tarda maturità, da porre in un lasso di tempo compreso tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 (prospetti 3, 4, 5).

50

Nel Toledano talvolta compare la variante gotica, tipica dei testimoni degli anni ’40.

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Prospetto 3 - Riccardiano 1035 54

100 46

0

96 0

98

4

2

0

73 100

27

Lettere totali esaminate = 9869

0

Prospetto 4 - Chig. L.VI.213 65

99

35

1

98 0

100

2

55

0

45

0

100

Lettere totali esaminate = 7387

0

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98

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Prospetto 5 - Chig. L.V.176 77

99 1

23

91

97 0

3

3

68

6

78

32 22

Lettere totali esaminate = 9464

La a è ormai rappresentata soltanto dalla forma minuscola chiusa. L’h è quasi sempre dotata di ricciolo aggiunto al termine del tratto ricurvo, anche se sporadicamente resiste la forma caratterizzata da frego finale. La i con apice è utilizzata sempre più spesso, con tendenza ad una crescita molto rapida (27% nel Riccardiano; 45% nel Chig. L.VI.213; 68% nel Chig. L.V.176), considerando la ridotta estensione cronologica del lasso di tempo nel quale è racchiusa la copia dei manoscritti. Anche l’abitudine di apporre un frego sulla r a 2 segna un notevole mutamento: se nel Riccardiano è ancora molto rilevante (54%), nei due chigiani cala notevolmente di frequenza (rispettivamente al 35% e al 23%), in linea con una tendenza tipica degli anni ’60 (grafico 4). La s finale di parola è quasi sempre di forma maiuscola; nel Riccardiano e nel Chig. L.V.176, però, mantiene rarissime occorrenze della forma sinuosa e della maiuscola con tratto di testa volto a ricciolo verso l’alto. La ç nel Riccardiano e nel Chig. L.VI.213 è costantemente caratterizzata da cediglia curva in fondo a sinistra; nel Chig. L.V.176, invece, nella sola sezione del Canzoniere, fa la sua prima apparizione la forma con cediglia ondulata, che sarà tipica dei codici degli ultimi anni. Passando alle maiuscole al tratto (tabella 2), soltanto la L è ancora caratterizzata da lunghi apici appesi al tratto ricurvo di base; essi non compaiono più nella C e nella T, che spesso aggiunge un ricciolo di stacco al

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99

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termine della traversa ondulata. Da notare, inoltre, la sporadica presenza nel Chig. L.VI.213 della D di modello onciale, utilizzata in quegli stessi anni dapprima nel Ricc. 1232 (Buccolicum carmen) e poi nel Marziale Ambr. C 67 sup. Molto rilevante, infine, è la comparsa di due morfologie di lettera finora mai utilizzate dal Boccaccio, che sono tipiche dei codici degli anni ’60 e ’70: la A capitale con traversa orizzontale e la U/V a forma di Y, impiegata in alternanza con la forma a cuore. 4.3. Il punto d’arrivo del processo dei mutamenti grafici che abbiamo tentato di registrare è rappresentato dall’autografo decameroniano Hamilton 90 (Tavv. 11-16), da assegnare alla quinta e ultima fase di sviluppo, quella della vecchiaia (ultimi anni ’60-1375). La scrittura del Berlinese, così come quella di tutte le altre testimonianze più tarde della produzione scrittoria boccaccesca, appare caratterizzata da una generale tendenza alla semplificazione dell’atto grafico (prospetto 6).

Prospetto 6 - Hamilton 90 91

99 1

9

100

100 0

0

0

0

53 47

100

Lettere totali esaminate = 4607

0

La a è costantemente di forma minuscola chiusa; l’h rinuncia al sottile ricciolo finale e presenta costantemente il prolungamento dell’ultimo tratto, formante la pancia della lettera, al di sotto del rigo di base di scrittura. La i dotata di apice, pur attestandosi su valori ancora rilevanti (53%), è in

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100

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

significativo calo rispetto alle punte raggiunte nel periodo precedente.51 La r a 2 è ormai quasi sempre priva di frego; la s è costantemente di forma maiuscola, come nelle testimonianze della primissima giovinezza (cfr. grafico 5); la ç presenta invariabilmente cediglia ondulata. Tra le maiuscole al tratto (tabella 2), tipiche di quest’ultima fase sono la I nella variante priva del tratto di testa e la N con il primo tratto non più sottile e orientato in fondo sinistra, ma di andamento verticale e spessore medio, di aspetto piuttosto tozzo. Tabella 252 Acq. e Doni 325

Toledano 104.6

Ricc. 1035

Chig. L.VI.213

Chig. L.V.176

Hamilton 90

Il massimo indice di occorrenze si registra nel Laur. Pluteo 52.9 (Genealogie deorum gentilium), con un valore del 95% (cfr. grafico 3). 52 Le indicazioni delle carte dalle quali sono state tratte gli esempi di forma di lettera contenuti nella tabella sono riportate nel quadro 1, in Appendice. 51

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101

Per concludere, un ulteriore elemento di giudizio a favore dell’articolazione cronologica fin qui proposta viene dall’osservazione della frequenza dell’apposizione di accenti sulla o quando ha funzione interiettiva. Tale abitudine boccaccesca è stata segnalata per la prima volta da Pier Giorgio Ricci, che però dedicò poco spazio a questo dettaglio, ritenendo che l’apposizione di apici in funzione tonica fosse una pratica tarda, caratteristica dei manoscritti degli ultimi anni.53 Dopo aver rilevato la ripetuta presenza di tali accenti sia nel Riccardiano 1035 sia nel Chig. L.V.176, ho deciso di compiere verifiche sistematiche che hanno ottenuto esiti di notevole interesse. Innanzitutto è opportuno sottolineare che tali segni compaiono già in autografi boccacceschi contenenti testi latini, risalenti ad un periodo compreso tra la fine del quarto e la metà del quinto decennio del Trecento;54 la loro adozione è dovuta presumibilmente all’osservazione di un uso analogo (anche se ben più complesso e articolato) in manoscritti in scrittura beneventana, carolina o romanesca, databili ai secoli X-XII, che il Boccaccio aveva forse potuto maneggiare nel corso del suo soggiorno giovanile a Napoli.55 Ben presto (fin dalla seconda metà degli anni ’40) egli ritenne opportuno estendere questo sistema di segnalazione prosodica anche ai suoi manoscritti in volgare; i risultati della registrazione delle occorrenze di tali accenti sono riportati nel grafico sottostante:56 Grafico 7 – accenti sulla o vocativa negli autografi in volgare

100

96

91

84

90

84

84 76

80 70 60

o interiettiva non accentata

50 40

24

30 20 10 0

16 4 Acquisti e doni 325

Toledano 104.6

9

Riccardiano 1035

16

Chigi L.VI.213

16

Chigi L.V.176

o interiettiva accentata

Hamilton 90

BRANCA-RICCI, Autografo, p. 63. Si vedano, ad esempio, l’epistola Nereus amphytritibus, contenuta nel Pluteo 29.8 e databile al 1339 circa e il Laur. Pluteo 38.17, in cui sono trascritte le Commedie di Terenzio. 55 Al riguardo cfr. CURSI, Scrittura e libri, pp. 78-79. 56 Per i valori numerici assoluti delle occorrenze degli accenti vedi il quadro 2 in Appendice. 53 54

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Il dato che appare con molta chiarezza è la conferma dell’esistenza di un forte stacco tra i due testimoni più antichi (Acquisti e Doni 325 e Toledano 104.6) e i manoscritti databili ai primi anni ’60; in questi ultimi, infatti, la presenza di accenti tonici sulla o vocativa si mantiene costantemente su valori molto alti, che nella Commedia riccardiana arrivano addirittura a superare il 90% dei casi; una certa diminuzione si registra nell’autografo hamiltoniano, forse in ragione di un progressivo calo del livello di attenzione dello scrivente, che in effetti trovava riscontro anche in altri indicatori grafici (quali ad esempio la diminuzione delle occorrenze degli apici sulle i). In definitiva, i dati presentati finora sembrano mostrare una forte affinità grafica – e una conseguente vicinanza cronologica – tra i codici Acquisti e Doni 325 (la cui copia è a mio parere da fissare intorno al 1348) e Toledano 104.6 (da collocare un po’ più avanti, tra la fine degli anni ’40 e i primissimi anni ’50). All’inizio del decennio seguente sembrerebbero da collocare il Riccardiano e i due chigiani, che dovranno essere certamente disposti secondo la sequenza che prevede prima la copia del Riccardiano 1035 e poi quella del Chig. L.VI.213 + Chig. L.V.176. Quanto, infine, all’Hamilton 90, la sua copia è da assegnare alla vecchiaia del Boccaccio (1370 circa). 5. Stratigrafia dei manoscritti in volgare 5.1. Toledano Zelada 104.6 Nonostante la scarsa attenzione manifestata della critica per il problema della possibile costituzione in tempi lunghi della silloge toledana,57 il confronto tra la struttura fascicolare del manoscritto e la tavola dei contenuti sembra incoraggiare un percorso di ricerca volto in tale direzione:

57

Al proposito si vede quanto osservato all’inizio del contributo.

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103

Tabella 3 Unità codicologiche I II III IV V VI VII

VIII

Contenuti Trattatello in laude di Dante (ff. 1r -27r [27v è bianco]) Vita Nuova (ff. 29r -46v [il f. 47r/v è bianca] Argomenti all'Inferno (ff. 48r -51r [51v è bianco]) Inferno (ff. 52r -116v ) Argomenti al Purgatorio (ff. 117r -120r [120v è bianco]) Purgatorio (ff. 121r -187v ) Argomenti al Paradiso (ff. 188r -190v) Paradiso (ff. 191r -256r [256v è bianco]); 15 canzoni (ff. 257r -266v [257r /v è bianco])

Fascicolazione 1-38, 4 4-1 5-68, 7 4 84 9-158, 16 10 17 4 18-258, 26 4-1 27 4-1 28-368, 37 8-2

Il codice risulta composto da otto unità; tutte quelle più lunghe (I, II, IV, VI, VIII) appaiono conchiuse, poiché caratterizzate dall’adozione di un fascicolo di chiusura di consistenza differente rispetto al quaternione, utilizzato di norma per la costituzione del manoscritto:58 – unità I (Trattatello in laude di Dante): termina con un binione privo di una carta (l’ultima è bianca); – unità II (Vita Nuova): si chiude con un binione (con carta finale bianca); – unità IV (Inferno): termina con un quinione; – unità VI (Purgatorio): termina con un binione privo della carta finale; – unità VIII (Paradiso e 15 canzoni distese): si chiude con un quaternione privato delle ultime due carte. 58 Più in generale negli autografi membranacei confezionati dal Boccaccio si registra una preferenza quasi esclusiva per il quaternione (utilizzato in 14 casi su 16, per un complessivo 87%), che si distacca dalle tendenze che si rilevano in Italia nel sec. XIV, ripartite più o meno equamente nell’uso di quaternioni (28%), quinioni (47%) e senioni (22%): BUSONERO, Fascicolazione, p. 91. Gli unici testimoni che si distaccano da questa consolidata abitudine boccaccesca sono entrambi risalenti agli ultimi anni di vita del certaldese: il Ricc. 1232 (Buccolicum carmen), in cui si utilizza il quinione, e l’Ambr. C 67 sup. (Marziale, Epigrammata), strutturato in senioni.

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104

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Si noti che anche le porzioni testuali brevi, contenenti gli Argomenti alle tre cantiche (unità III, V, VII), sono strutturate in binioni e dunque risultano autonome. Perché il Boccaccio volle assegnare a ciascun segmento testuale un profilo codicologico indipendente? Ciò significa che le unità testuali contenute in questa silloge furono trascritte in tempi diversi, indipendentemente l’una all’altra? Le indicazioni fornite dai parametri di analisi grafica utilizzati in precedenza, una volta applicate ad exempla di scrittura tratti dalle unità codicologiche maggiori (I, II, IV, VI, VIII), sembrano orientare in questa direzione (grafici 8-12):59 Grafico 8 – Toledano 104.6 – lettera a

80

79

75

70

58

60 50

58 42

42

a testuale

34

40 30

75

66

21

25

25

a minuscola chiusa

20 10 0 Trattatello Vita nuova Inferno Inferno Trattatello

Purgatorio Paradiso Paradiso

15 canzoni

Lettera a: la presenza di un valore molto elevato della forma testuale nelle sezioni contenenti l’Inferno e il Purgatorio (con percentuale di occorrenze vicine sia a quelle del Teseida Acq. e Doni 325, sia a quelle del Pluteo 29.8 in riferimento alla carta in cui è trascritta l’epistola a Zanobi da Strada Quam pium, nella quale si legge la data del 1348 e che può essere stata trascritta in quell’anno o poco dopo [cfr. grafico 1])60 potrebbe lasciar intendere che la copia delle prime due cantiche precedette quella 59 I grafici 8-12 riportano i valori percentuali delle occorrenze di lettera; i valori numerici assoluti sono registrati nel quadro 3 posto in Appendice. 60 Cfr. ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia, p. 219.

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105

del Paradiso, a sua volta caratterizzato da valori pari a quelli riscontrati nelle 15 canzoni; le unità contenenti il Trattatello e la Vita Nuova appaiono indipendenti l’una dall’altra. Grafico 9 – Toledano 104.6 – lettera h 100 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

100

100

100

100

100

h con pancia allungata h con ispessimento finale h con ricciolo finale

0 0

0 0

0 0

Trattatello Inferno Trattatello Vita nuovaInferno

0 0

0 0

Purgatorio Paradiso Paradiso

0 0 15 canzoni

Lettera h: le rilevazioni non appaiono significative per cogliere eventuali stratificazioni cronologiche, poiché risulta sempre dominante la forma con apice e ricciolo, che, come detto in precedenza, è tipica della scrittura del Boccaccio fine degli anni ’40 a tutti gli anni ’60.61

61 Unica eccezione l’Apuleio Pluteo 54.32, per il quale vedi il grafico 2 e CURSI, Scrittura e libri, pp. 32 grafico 9, 45.

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106

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Grafico 10 – Toledano 104.6 – lettera i

100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

94

93

80

94

91

85

i senza apice i con apice

20 7 Trattatello

Trattatello

15

6 Vita nuova

Inferno

Inferno

Purgatorio

9 Paradiso

Paradiso

6 15 canzoni

Lettera i: la percentuale di i dotate di apice sembra in linea con l’andamento generale del periodo (cfr. grafico 3) per il Trattatello, la Vita Nuova e le 15 canzoni; sorprendentemente alto il numero di occorrenze della Commedia, in particolare per l’Inferno e il Purgatorio; si potrebbe ipotizzare, dunque, che quando il Boccaccio si accinse alla copia dell’opera avesse maturato un forte interesse per tale segno paragrafematico (attestato anche dalla morfologia piuttosto varia del segno in entrambe le cantiche: non soltanto sottili trattini trasversali, ma anche virgole rovesciate o punti), che poi verrà sviluppato soltanto all’inizio del decennio successivo.

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107

Grafico 11 – Toledano 104.6 – lettera r a 2 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

96

90

89

95

94

73

r a 2 semplice r a 2 con frego

27 11

10

6

4

Trattatello Vita nuova Inferno Inferno Trattatello

5

PurgatorioParadiso Paradiso 15 canzoni

Lettera r a 2: il dato numerico sembra confermare l’anteriorità della trascrizione della Commedia rispetto alle altre opere contenute nella silloge; più tarde le unità contenenti la Vita Nuova e il Trattatello; quanto, poi, alle 15 canzoni, il valore molto elevato della r priva di frego porterebbe ad ipotizzare l’esistenza di un certo stacco di tempo tra la copia dell’opera e quella del Paradiso, pur se all’interno di una stessa unità codicologica. Grafico 12 – Toledano 104.6 – lettera s finale di parola 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

85

85

88

75 58 48 48 33 23 2

15 0

9

12 3

10 2

s di forma maiuscola s maiuscola con ricciolo finale

4

s sinuosa

Trattatello Vita nuova Inferno Purgatorio Paradiso 15 canzoni

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108

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Lettera s finale di parola:62 l’andamento del grafico pare confermare l’antichità della trascrizione dell’Inferno (avvalorata sia dalla presenza della s maiuscola semplice, residuo di un’abitudine grafica della prima giovinezza, sia dal rilevante indice di frequenza della variante con tratto di testa orizzontale e ricciolo finale, che troviamo con alto grado di occorrenze nel coevo Teseida Acq. e Doni 325 [grafico 5]). I dati riguardanti la Vita Nuova e il Trattatello sembrano porsi sulla stessa linea, mentre sorprende la notevole percentuale di s maiuscole con ricciolo finale nelle 15 canzoni,63 che parrebbe distinguere il momento della copia delle Rime dantesche da quella del Paradiso. Quanto, infine, alle percentuali delle occorrenze dell’apposizione degli accenti sulla o vocativa, sono presentate nel grafico sottostante:64 Grafico 13 – Toledano 104.6 – accenti sulla o vocativa

100 90 80

93

92

87

91

67

70

57

60 43

50 33

40

o interiettiva accentata

30 20

13

10 0

o interiettiva non accentata

Trattatello Vita Nuova (prima red.)

8 Inferno

7 Purgatorio

9

Paradiso

15 canzoni

Anche in questo caso emerge l’esistenza di una netta linea di separazione tra i dati riguardanti la Commedia (nella quale il Boccaccio sperimenta timidamente quest’uso, così come nel coevo Teseida [grafico 7]) e quelli relativi al Trattatello, che mostrano un indice di frequenza molto alto; in una posizione intermedia si situano sia i dati riguardanti le 15 canzoni 62 I dati relativi a questa lettera, in questo grafico e in quelli seguenti (ai numeri 18 e 25), riguardano le occorrenze registrate non in singole carte, ma nell’intera unità codicologico-testuale presa in esame (ad esempio i ff. 1r-27r per il Trattatello nel manoscritto toledano e così via). Nei quadri 3, 5 e 7, in Appendice, tali rilevazioni sono segnalate con un asterisco. 63 Si noti che tutte le 23 rilevazioni (cfr. il quadro 2 in Appendice) sono state tratte dalle rubriche introduttive a ciascuna canzone, in latino; è difficile dire, però, se tale circostanza possa aver avuto un suo peso nella ricorrente scelta di tale variante di lettera. 64 Per i valori numerici assoluti vedi il quadro 4 in Appendice.

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109

(che da tale punto di vista parrebbero essere state trascritte ad una certa distanza di tempo dalla copia del Paradiso), sia quelli riferiti alla Vita Nuova, la cui trascrizione sembra precedere di qualche tempo quella della biografia dantesca. Le rilevazioni finora passate in rassegna, in definitiva, pur con qualche contraddizione, portano a pensare che la copia delle diverse sezioni testuali che costituiscono l’attuale codice toledano avvenne ad una certa distanza di tempo l’una dall’altra: il Boccaccio affrontò dapprima la trascrizione della Commedia (forse interrompendo la continuità della copia dopo aver portato a termine le prime due cantiche), di seguito si dedicò alla Vita Nuova e in ultima battuta al Trattatello, poi collocato in apertura della silloge; in un quadro di tal genere risulta difficoltosa la collocazione cronologica delle 15 canzoni, trascritte in continuità con il Paradiso o forse più avanti, in tempi coevi a quelli della copia della Vita Nuova. Passando, infine, al problema del periodo in cui la silloge venne dotata di legatura e costituita in forma di libro, non è certamente facile da risolvere. Al riguardo, la presenza della data «1372» nel margine inferiore destro del f. 267r potrebbe indurre a pensare che quello sia l’anno in cui il Boccaccio si decise a far legare il manoscritto;65 in tal caso dovremmo pensare che il codice sia rimasto sfascicolato allo scrittoio di Certaldo per un lungo periodo di tempo. Pare meno probabile, invece, che quei fascicoli siano rimasti sciolti fino alla morte dell’autore; se è vero, infatti, che allo scrittoio di Certaldo erano certamente conservati autografi slegati, come i «24 quaderni e 14 quadernucci, tutti in carta di bambagia, non legati insieme, ma l’uno dall’altro diviso» contenenti le Esposizioni sopra la Commedia, posti al centro di un’accesa disputa tra Martino da Signa (il frate agostiniano che aveva ricevuto in eredità i manoscritti boccacceschi in lingua latina) e Iacopo (fratello del Boccaccio, esecutore testamentario e procuratore dei suoi figli),66 i casi dei due contenitori testuali paiono molto diversi, poiché la silloge toledana è un libro copiato a buono e ormai chiuso, mentre il perduto manoscritto delle Esposizioni era un quaderno di lavoro, rimasto ancora aperto. 5.2. Riccardiano 1035 La costituzione fascicolare della silloge riccardiana (contenente, oltre alla Commedia, le sole 15 canzoni) si presenta molto diversa da quella del Toledano, poiché appare segnata da una piena continuità: 65 Secondo un’ipotesi proposta da Sandro Bertelli in BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano, p. 290. La possibile autografia di quei numeri è a mio parere da escludere per ragioni di carattere paleografico (esposte in CURSI, Scrittura e libri, p. 105). 66 Al riguardo vedi VANDELLI, Autenticità del Commento, p. 15; PADOAN, Dal Claricio al Mannelli, pp. 118-119.

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Tabella 4 Unità codicologiche

I

Contenuti Fascicolazione Argomenti all'Inferno (ff. 1r-3v); Inferno (ff. 4r-56r); Argomenti al Purgatorio (ff. 56r-58v); Purgatorio (ff. 59r-121r); Argomenti al Paradiso (ff. 121v-123v); Paradiso (ff. 124r-178r [178v è bianco]); 1-48, 5 8-2, 6-98, 1015 canzoni (ff. 179r-187r [187v è 8 8 6-1 bianco]) 11 , 12-23 , 24

L’originaria uniformità del manoscritto trovava espressione nella serie ininterrotta dei quaternioni che lo costituiva (attualmente spezzata dalla caduta di un foglio all’interno del quinto fascicolo, tra i ff. 35 e 36, e di un intero fascicolo tra il nono e il decimo, poi integrato con due quaderni cartacei lasciati in bianco [gli attuali 10 e 11]);67 ulteriore conferma della compattezza del manoscritto viene dalla scelta del Boccaccio di accostare tra loro le rubriche che segnano la fine di ciascuna cantica e quelle che introducono gli Argomenti riferiti alla cantica successiva, separate tra loro soltanto da un piccolo spazio bianco.68 Se è vero, poi, che gli incipit di Inferno, Purgatorio e Paradiso sono sempre posizionati nel recto di carta, essi non risultano mai in posizione iniziale di fascicolo (e la circostanza si ripete anche per l’attacco delle 15 canzoni, che però è preceduto da una carta lasciata in bianco). La linearità che caratterizza la costituzione del codice risulta piuttosto evidente anche dall’osservazione dei dati paleografici (grafici 14-18).69

67 68 69

La sequenza complessiva dei fascicoli è chiusa da un ternione privo dell’ultima carta. Rispettivamente ai ff. 56r, 121v-122r. I valori numerici assoluti sono riportati nel quadro 5 in Appendice.

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111

Grafico 14 – Riccardiano 1035 – lettera a 100

100

100

100

100 80 60 40

a testuale

20

0

0

0

0

0 Inferno

Purgatorio

Paradiso

a minuscola chiusa

15 canzoni

Grafico 15 – Riccardiano 1035 – lettera h 99

94

100

97

100 h con pancia allungata

80 60

h con ispessimento finale

40 20 0

0

6

Inferno

Inferno

0 3

0 1 Purgatorio

Paradiso

Paradiso

h con ricciolo finale

0 0 15 canzoni

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112

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Grafico 16 – Riccardiano 1035 – lettera i

90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

81 72

70

68

i senza apice

32

30

28

i con apice

19

Inferno

Purgatorio

Paradiso

15 canzoni

Grafico 17 – Riccardiano 1035 – lettera r a 2 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

83 64 54

61 46

39

36

r a 2 semplice r a 2 con frego

17

Inferno

Purgatorio

Paradiso

15 canzoni

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113

Grafico 18 – Riccardiano 1035 – lettera s finale di parola 100

100

97

100 90 80

s di forma maiuscola

70 60

s maiuscola con ricciolo finale

50 40

s sinuosa

30 20 10

0 0

3 0

0 0

Inferno

Purgatorio

Paradiso

0

I dati riguardanti la a, l’h e la s finale di parola appaiono perfettamente coerenti tra loro e non mostrano variazioni di rilievo nelle diverse sezioni testuali;70 resta da annotare la presenza di due anomalie riguardanti il valore piuttosto basso della percentuale degli apici sulle i nel Purgatorio e quello molto elevato delle r a 2 dotate di frego nella trascrizione del Paradiso (Tav. 23), ma si tratta di irregolarità che non possono mettere in discussione l’unità d’insieme. Le tendenze appena descritte trovano piena conferma nel grafico riguardante l’apposizione degli accenti sulle o vocative, con indici di occorrenze molto elevati in tutte e tre le cantiche, come pure nelle 15 canzoni:71

70 Nel caso delle 15 canzoni non è stato possibile rilevare le occorrenze delle s finali di parola, poiché nel Riccardiano 1035 non sono presenti le rubriche in latino, che invece il Boccaccio aveva aggiunto nel Toledano. 71 Per i valori numerici assoluti delle occorrenze delle o vocative accentate vedi il quadro 6 in Appendice.

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114

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Grafico 19 – accenti sulla o vocativa 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

100

95

93

86

o interiettiva non accentata

7 Inferno

o interiettiva accentata

14 5 Purgatorio

Paradiso

0 15 canzoni

In definitiva, i dati a nostra disposizione consentono di affermare con ragionevole certezza che la copia della silloge riccardiana avvenne in continuità, in tempi brevi, in un periodo da porre intorno all’inizio degli anni ’60 del sec. XIV. 5.3. Chig. L.V.213 e L.V.176 Qualsiasi considerazione riguardante il complesso problema della genesi e dell’articolazione della silloge chigiana deve essere introdotta da un seppur breve cenno al dibattito critico che ha riguardato i codici che la costituiscono. Il primo dei due testimoni ad attirare l’attenzione degli studiosi fu il Chig. L.V.176, menzionato più volte nell’Introduzione all’edizione della Vita Nuova curata da Michele Barbi (1907); lo studioso pistoiese, oltre a risolvere l’annosa polemica riguardante l’autografia del codice con l’inconfutabile dimostrazione della paternità boccaccesca,72 faceva cenno ad una possibile divisione del manoscritto in tre sezioni: la prima comprendente il Trattatello e la Vita Nuova, la seconda la canzone Donna me prega; la terza il carme Ytalie iam certus, le canzoni di Dante e il Canzoniere di Petrarca.73 Molti anni dopo Pier Giorgio Ricci, pur confermando la presenza di tre parti, ne postulava una differente costituzione e ipotizzava che un certo lasso di tempo separasse la copia dell’una dall’altra: in un primo momento il Boccaccio avrebbe trascritto la sezione contenente il Trattatello, la Vita Nuova e le 15 Canzoni; poi quella in cui si leggono i Rerum 72 73

BARBI, Dante. Vita nuova1, pp. CLXXVII-CLXXVIII. Ibidem, p. XXI.

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115

vulgarium fragmenta; infine quella recante Donna me prega.74 Un decisivo progresso negli studi riguardanti i due manoscritti fu compiuto grazie a Domenico De Robertis che nell’introduzione all’edizione facsimilare del Chig. L.V.176, riprendendo quanto intuito molti anni prima da Giuseppe Vandelli,75 evidenziava l’esistenza di una perfetta complementarietà tra quel testimone e il Chig. L.VI.213: «è facile innanzitutto rilevare l’identità di costituzione del codice della Commedia con quello delle rime: quasi identiche le misure della pergamena […] identico specchio di scrittura […] nessuna differenza apprezzabile di scrittura […] si aggiunga infine l’identità della decorazione dei capilettera, specie per lo stile della calettatura di rosso e blu, usciti, si direbbe, dallo stesso piattello per l’uno e l’altro codice».76 L’ originaria integrazione tra i due manoscritti veniva inoltre confermata dall’analisi della loro composizione fascicolare, per la quale lo studioso proponeva la seguente ricostruzione: Tabella 5 Unità codicologiche

III (Chigi L.V.176)

Contenuti Trattatello (Compendio A) (ff. 1r-13r); Vita Nuova (ff. 13r-28v) Argomenti all'Inferno (ff. IVr - VIv); Inferno (pp. 1-116); Argomenti al Purgatorio (pp. 117-122); Purgatorio (pp. 123-238); Argomenti al Paradiso (pp. 238242); Paradiso (pp. 243-359) Ytalie iam certus (f. 34r); 15 canzoni (ff. 34v-43r); Rerum vulgarium fragmenta (ff. 43v-79r [79v è bianco])

IV (Chigi L.V.176)

Donna mi priega (ff. 29r-32v [33r/v.è bianco])

I (Chigi L.V.176)

II (Chigi L.VI.213)

74 75 76

Fascicolazione 8 4 1-3 , 4 -

1-4, 2-238, 2435 8 8+1 6- , 7-10 , 11

5 8-3

RICCI, Svolgimento della grafia, p. 60. VANDELLI, Rubriche dantesche, pp. 9-10; ID., Boccaccio editore di Dante, pp. 63-65. DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 19.

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Il punto centrale della dimostrazione del De Robertis era dato dalla la presenza nei due manoscritti di «una situazione esattamente speculare, di due quaderni mutili all’inizio e alla fine»,77 dalla quale si poteva dedurre che: 1) il binione che chiude la prima parte del Chig. L.V.176 (la nostra sezione I, ff. 25-28) è un fascicolo fattizio, realizzato utilizzando carte sciolte incollate su strisce di carta; esse costituivano originariamente la prima metà di un quaternione, le cui quattro carte finali formano l’attuale primo fascicolo (anch’esso fattizio) del Chig. L.VI.213 (sezione II); 2) le cinque carte iniziali della terza parte del Chig. L.V.176 (la nostra sezione III) in origine facevano parte anch’esse di un quaternione, nel quale erano unite con le tre carte finali dell’ultimo fascicolo del Chig. L.VI.213 (sezione II). Il Chig. L.V.176, dunque, sarebbe un miscellaneo composito,78 confezionato unendo due tronconi originariamente non combacianti tra loro (corrispondenti alle sezioni denominate sopra I e III), tra i quali venne interposto il fascicolo contenente la canzone del Cavalcanti. La primitiva successione delle opere che costituivano la silloge nella sua primitiva formazione, dunque, sarebbe stata molto diversa da quella attuale, risultando perfettamente coincidente con quanto già sperimentato dal Boccaccio nel Toledano: in apertura il Trattatello (Compendio A), di seguito la Vita Nuova, poi la Commedia e infine le 15 canzoni. Rispetto a quel modello, però, vi erano due importantissime novità: l’inserimento del carme boccacciano Ytalie iam certus in calce al poema dantesco e l’aggiunta, in chiusura di libro, dei Rerum vulgarium fragmenta. La sequenza sarebbe confermata da ulteriori dettagli di carattere codicologico: la carta iniziale degli Argomenti all’Inferno nel Chig. L.VI.213 (f. IVr, in testa alla sezione II [Tav. 7]) presenta una macchiolina di inchiostro turchino (all’altezza del v. 5 del Breve raccoglimento) e più in basso una macchia rossa (all’altezza del v. 27), corrispondenti rispettivamente ad uno dei segni di paragrafo e alla A della rubrica iniziale di capitolo che corredano l’ultima carta della Vita Nuova nel Chig. L.V.176 (f. 28v, in coda alla sezione I); altri segni di contatto uniscono l’ultima carta del Paradiso nel Chig. L.VI.213 (p. 359, alla fine della sezione II) e quella in cui si legge il carme Ytalie nel Chig. L.V.176 (f. 34r, all’inizio della sezione III [Tav. 3]).79 Ciò significa che le parti I-II-III della silloge costituirono per un certo periodo di tempo un’unità libraria nella Ibidem, p. 18. Per il significato del termine cfr. PETRUCCI, Introduzione, p. 6. 79 Si tratta di due tratti disposti a formare un’angolosità posti nel margine interno e di tracce della rubrica finale della Commedia nel Chig. L.VI.213 che trovano riscontro nel margine esterno della carta contenente il carme Ytalie nel Chig. L.V.176: DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 21. 77 78

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117

quale il carme Ytalie iam certus honos chiudeva la trascrizione della Commedia; di conseguenza si deve ritenere che la separazione del poema dantesco dalle parti liriche con ogni probabilità non fu dovuta al Boccaccio80 ma piuttosto ad un più tardo rimaneggiatore, che non ebbe alcuno scrupolo a lacerare brutalmente il carme latino dal testo cui è riferito.81 Quanto, infine, alla questione dei tempi di copia, il De Robertis si pronunciava a favore «dell’unità, se non della continuità nel tempo, della trascrizione della maggior parte del codice»,82 ammettendo la sicura posteriorità della sola sezione cavalcantiana e respingendo l’ipotesi del Ricci sull’esistenza di uno stacco cronologico che avrebbe separato la trascrizione della sezione dantesca contenuta nel Chig. L.V.176 (contenente il Compendio A, la Vita Nuova e le 15 Canzoni) da quella petrarchesca (Canzoniere). Tale ricostruzione, forse anche in ragione della magistrale perizia con la quale venne esposta, non è mai stata sottoposta ad ulteriori riscontri nel corso dei quarant’anni ormai passati dalla sua formulazione; l’analisi cui sono stati sottoposti i testimoni chigiani nell’ambito della mia ricerca è l’occasione per testarne la compatibilità con quanto è emerso da un esame strettamente paleografico. I grafici sottostanti presentano le rilevazioni riferite alle varie sezioni testuali ordinate in una sola unità libraria, secondo l’articolazione proposta dal De Robertis: sarà dunque possibile verificare se esse confermino la sequenza di copia stabilita dallo studioso (riportata nella precedente tabella 5) e configurino l’esistenza di una situazione di continuità di copia (sul modello di quanto avvenuto per il Riccardiano) o portino ad ipotizzare la presenza di pause e interruzioni nella costituzione materiale del manoscritto (come rilevato nel caso del Toledano).83

O, se fu opera sua, «fu probabilmente un gesto frettoloso e non calcolato» (ibidem). Ibidem. 82 Ibidem, p. 14. 83 I valori numerici assoluti riferiti ai grafici 20-24 sono presentati nel quadro 7 in Appendice. 80 81

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Grafico 20 – Chig. L.V.176 + L.VI.213 – lettera a 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

100

99

99

99

100

99

100

100

100

a testuale a minuscola chiusa

1

0

1

1

1

0

0

0

0

Grafico 21 – Chig. L.V.176 + L.VI.213 – lettera h 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

96

97

94

100

98

100

96

100

95

h con pancia allungata h con ispessimento finale

04

03

0

6

00

02

00

04

00

0

5

h con ricciolo finale

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119

Grafico 22 – Chig. L.V.176 + L.VI.213 – lettera i 77

80

75

70 58

60

57

56

5149

50

43

42

44

40 30

65

61

39

57 43 35 i senza apice

25

23

i con apice

20 10 0

Grafico 23 – Chig. L.V.176 + L.VI.213 – lettera r a 2 96

100 90

81

85

80

66

70 60

10

38

34

40 20

62

69

5149

50 30

95

87

19

15

r a 2 semplice

31

r a 2 con frego

13 4

5

0

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120

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Grafico 24 – Chig. L.V.176 + L.VI.213 – lettera s finale di parola 100

100

95

100

100 91

85

90 80 70 60

53

50

47 s di forma maiuscola

40

s maiuscola con ricciolo finale

30 10

s sinuosa

15

20 5

0

0

0

00

00

3

00

6

000

000

0

Grafico 25 – Chig. L.V.176 + L.VI.213 – lettera ç 100

100

100

100

100

100

100

90

100 78

80 70 60 50

ç con cediglia volta a sinistra

40 30

ç con cediglia ondulata

22

20 10 0

0

0

0

0

0

0 0

0

0

Il quadro d’insieme appare per certi versi contraddittorio e molto più complesso rispetto a quanto riscontrato nelle altre due sillogi dantesche. Il primo elemento di giudizio su cui sarà opportuno soffermarsi riguarda l’andamento della ç caudata (grafico 25), una lettera che non era stata pre-

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121

sa in considerazione in relazione al Toledano 104.6 e al Riccardiano 1035, poiché quei manoscritti mostrano costantemente l’uso della variante con cediglia a sinistra. In effetti il Boccaccio adoperò per lungo tempo tale forma di lettera (cfr. grafico 6); intorno alla metà degli anni ’60, però, proprio mentre era impegnato nella trascrizione della silloge chigiana, cominciò a servirsi della ç con cediglia ondulata, che poi sarà l’unica adoperata negli autografi della vecchiaia. L’adozione della nuova abitudine grafica avvenne durante la copia dei Rerum vulgarium fragmenta, secondo quanto mostrato dal grafico sottostante:84 Grafico 26 – Chig. L.V.176 – ç (Rerum vulgarium fragmenta) 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

91

88

94

91

74 64 47

53

36

ç con cediglia ricurva

26

ç con cediglia ondulata

12

9

9

6

Il dato appare di notevole rilievo, poiché costituisce un sicuro punto di ancoraggio per la cronologia relativa; la copia del Canzoniere, infatti, dovrà essere ragionevolmente ritenuta la più tarda tra le trascrizioni che si susseguivano nella silloge nella sua costituzione primitiva, poiché quella forma di lettera non compare in nessuna delle altre unità testuali (tranne che nella sezione contenente Donna me prega, che però, come detto in precedenza, appartiene ad un inserto successivo). Passando agli altri grafici, quelli riguardanti la a e l’h (rispettivamente nr. 20 e nr. 21) non consentono di trarre indicazioni utili, poiché in entrambi i casi le varie sezioni testuali sono segnate dalla presenza pressoché esclusiva di una sola forma di lettera (rispettivamente la a minuscola chiusa e la h con ricciolo finale). I dati concernenti la i dotata o meno di apice, la r a 2 con o senza frego di completamento e la s finale di parola, invece, sono molto variabili e risultano impossibili da disporre secondo un 84

Per i valori numerici delle occorrenze di lettera vedi il quadro 8 in Appendice.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

ordine di svolgimento coerente: 1) le occorrenze delle i con apice (grafico 22) parrebbero indicare che la prima opera ad essere copiata fu la Commedia; ad essa seguirebbe l’unità con il Trattatello (Compendio A) e la Vita Nuova, che sarebbe stata trascritta nel momento in cui il Boccaccio faceva il maggior uso di tale segno paragrafematico, più o meno coincidente con la copia del manoscritto delle Genealogie (cfr. grafico 3); per ultima si collocherebbe la sezione contenente le 15 canzoni e i Rerum vulgarium fragmenta; 2) i valori percentuali riguardanti la r a 2 (grafico 23) confermano l’anteriorità della Commedia, ma soltanto in relazione a Purgatorio e Paradiso; in queste due cantiche, infatti, il valore della variante con frego è molto alto (in linea con quanto rilevato nel Ricc. 1035 [grafico 4]); fa problema, invece, sia il numero molto basso di occorrenze di tale variante nell’Inferno sia il fatto che la successione cronologica nelle altre due sezioni pare invertita rispetto a quanto ipotizzato sopra (prima le 15 canzoni + il Canzoniere e poi il Trattatello [Compendio A] + la Vita Nuova); 3) il dato sulla s finale di parola (grafico 24) vede l’esclusiva presenza della forma maiuscola nella Commedia e un’assoluta prevalenza nel Trattatello (Compendio A) e nel carme Ytalie; quanto, poi, alla percentuale delle s sinuose nella Vita Nuova (15%), non pare significativa, poiché è dovuta all’esclusiva presenza di tale variante di lettera in una delle «divisioni» poste in margine, al f. 15r (il Boccaccio nelle glosse adoperava la s sinuosa molto più frequentemente di quanto avveniva in corpo testuale, secondo quanto chiaramente mostrato dalle rilevazioni riguardanti la scrittura del commento di Dino del Garbo alla canzone cavalcantiana in cui tale morfologia di lettera raggiunge un altissimo valore di occorrenze [il 47%]). Passando agli accenti sulla o vocativo (grafico 27), al di là di qualche lieve variazione (riguardante soprattutto una certa distanza che separa la trascrizione dell’Inferno da quella del Paradiso), appaiono in linea con le tendenze generali del periodo, con l’unica eccezione della Vita Nuova, per la quale il numero di lettere accentate è equivalente a quello delle lettere non accentate.

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MARCO CURSI - Cronologia e stratigrafia nelle sillogi dantesche

123

Grafico 27 – Chig. L.V.176 + L.VI.213 – accenti sulla o vocativa85

50 50

40

o interiettiva non accentata

21

20 0

87

81

79

80 60

100

93

100

19 7

Vita Nuova

Inferno

Purgatorio

Paradiso

13

o interiettiva accentata

0 15 canzoni

Rvf

In sintesi, le rilevazioni fin qui presentate non consentono di confermare o smentire su base paleografica l’ordinamento di copia stabilito dal De Robertis; d’altro canto la notevole variabilità delle occorrenze di lettera nel passaggio da una sezione all’altra non depone a favore dell’ipotesi di una copia in continuità nel tempo, anche se mancano indizi decisivi che attestino che la trascrizione dei testimoni chigiani fu caratterizzata da lunghe pause e frequenti intermittenze. C’è un dato, però, sul quale vale la pena di riflettere: i valori percentuali riguardanti la copia del carme Ytalie iam certus appaiono indirizzati concordemente verso una datazione molto tarda, coeva a quella della canzone Donna me prega: al riguardo si notino le occorrenze – altamente significative – della r priva di frego (grafico 23) e anche della i con apice (grafico 22); si tenga presente, infatti, che l’apparente scarto nelle rilevazioni riguardanti quest’ultima lettera (56% nel carme contro il 44% nel componimento cavalcantiano), si azzerano quasi completamente se in quest’ultimo isoliamo i dati riguardanti il solo testo (che segna un valore del 53%, quasi perfettamente sovrapponibile al 56% del carme)86 da quelli riferiti alle glosse (nella copia delle quali, come detto in precedenza, il livello di cura e di attenzione per la resa formale era inevitabilmente meno elevato). A ciò si aggiunga che alcune incertezze di carattere esecutivo (come le evidenti esitazioni nel corretto allineamento delle righe o le ricorrenti difficoltà a completare il tracciato delle aste verticali) sono tipiche della 85 Nel grafico non son stati inseriti i dati relativi al Compendio A, poiché nel suo testo, profondamente rimaneggiato rispetto a quello contenuto nel codice Toledano, non si fa uso di o vocative, tranne che in un caso («O menti sciocche», al f. 11v), nel quale il Boccaccio appone l’accento. Per i valori numerici assoluti delle occorrenze vedi il quadro 9 in Appendice. 86 Per la precisione in Donna me prega si riscontra la presenza di 92 i accentate (53%) contro le 82 non accentate (47%).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

scrittura boccaccesca della tarda vecchiaia (Tav. 3). Pare più che probabile, dunque, che il carme Ytalie sia stato aggiunto dal Boccaccio nel momento in cui egli operava una riorganizzazione della raccolta, dopo aver portato a termine la copia dell’inserto cavalcantiano. Ciò comporterebbe due conseguenze di notevole rilievo: 1) la separazione della Commedia dalle parti liriche potrebbe essere dovuta allo stesso Boccaccio, che avrebbe sostituito al modello del ‘tutto Dante’ un «più agile complesso, esemplificativo dei capisaldi della tradizione lirica della fine del Duecento e dell’ormai maturo Trecento»;87 2) la funzione del carme non sarebbe stata quella di chiudere la trascrizione del poema dantesco, come nel Vat. lat. 3199 (nel quale, del resto, fu certamente inserito da una mano tarda, da assegnare agli inizi del sec. XV),88 ma di aprire la sezione finale, contenente le 15 canzoni e i Rerum vulgarium fragmenta.89 Questa ipotesi finora non era stata finora ritenuta possibile per la presenza delle tracce di contatto che attestano una sicura contiguità tra la carta finale della Vita Nuova (f. 28v [Chig. L.V.176]) e quella iniziale del Breve raccoglimento (f. IVr [Chig. L.VI.213]) e tra l’ultima carta del Paradiso (p. 359 [Chig. L.V.213]) e la prima della sezione seguente, contenente il carme Ytalie (f. 34r [Chig. L.V.176]); in realtà, però, esse non costituiscono un ostacolo insormontabile a tale ricostruzione dei fatti. Il Boccaccio, infatti, potrebbe aver deciso di operare la separazione della Commedia dal resto della silloge mentre i manoscritti autografi a sua disposizione erano ancora sfascicolati o uniti tra loro con una cucitura provvisoria:90 una volta completata la copia della canzone Donna me prega (contenuta in un fascicolo autonomo), avrebbe tagliato le carte dei due quaternioni posti in testa e in coda al poema dantesco; poi le avrebbe ricomposte a costituire le due coppie di fascicoli che chiudevano e aprivano le nuove unità testuali (fine unità II + inizio unità II; fine unità II + inizio unità III); in seguito avrebbe aggiunto il carme Ytalie in testa alla sezione III, mantenendo ancora il primitivo ordine di successione tra le opere che formavano il suo manoscritto; in quel momento avrebbe commissionato l’esecuzione dell’apparato decorativo (e allora si sarebbe verificato il trasferimento delle tracce di colore menzionate sopra); infine (al momento di procedere alla legatura definitiva?) avrebbe trasferito i fascicoli contenenDE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 21. Al riguardo cfr. BOSCHI ROTIROTI, Sul carme; TROVATO et alii, Tradizione e testo, pp. 72-73. 89 Secondo l’ipotesi presentata da Michele Barbi, per la quale vedi la precedente nota 74 e contesto. 90 Quale quella che molto probabilmente aveva utilizzato in un’altra occasione per lo Zibaldone laurenziano Pluteo 29.8 + Miscellanea laurenziana Pluteo 33.31: ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia, p. 238. 87 88

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125

ti la Commedia in un altro contenitore librario, sostituendoli con l’inserto cavalcantiano.91 Se così fosse, dovremmo concluderne che i codici chigiani riflettono due diversi progetti manoscritti boccacceschi, elaborati ad una certa distanza di tempo l’uno dall’altro. Il primo prevedeva l’integrazione in un solo volume di Dante e Petrarca; il secondo la confezione di due volumi: uno conteneva la Commedia, l’altro un inedito prosimetro due-trecentesco nel quale si susseguivano il Trattatello in laude di Dante nella versione compendiata, la Vita Nuova, la canzone cavalcantiana Donna me prega, il carme Ytalie iam certus, le 15 canzoni e i Rerum vulgarium fragmenta. Un ardito esperimento librario, dunque, che prevedeva la creazione di un corpus lirico fondato su pochi testi-guida, con Cavalcanti «che si salda alla rigenerazione esistenziale-poetica della Vita Nuova […] e con Petrarca che sigilla il climax proclamando l’identità ormai indefettibile del ‘lirico’ con il ‘frammentario’ unificato dalla ‘raccolta’ […]; precisamente la strada che imboccheranno, un secolo più tardi, i poeti-filologi del circolo laurenziano, nella stessa Firenze, richiamandosi insieme ai canzonieri antichi (L e Ch) e a Boccaccio medesimo».92

91 Non è facile mettere a fuoco il momento in cui potrebbe essere avvenuto tale riordinamento; se esso riguardò non soltanto la silloge chigiana ma anche altri materiali danteschi, un’indicazione potrebbe venire dalla data 1372 posta in calce al manoscritto toledano, se, come detto, sopra, si riferiva all’anno in cui vennero rilegate le diverse sezioni che costituivano quella silloge; allo stato attuale degli studi, però, questa non può essere niente più che un’ipotesi. 92 BOLOGNA, Tradizione e fortuna, I, p. 204.

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APPENDICE Quadro 1 – maiuscole al tratto (cfr. tabella 2) Acq. e Doni 325 Tole da no 104.6

Ricc. 1035

Chigi L.VI.213

Chigi L.V.176

Ha milton 90

3r

1r

4r

IVr

13r

2r

4v

6r

4r

p. 7

34v

2r

2r

1r, 48r

7r

IVr,p .360

36r

3r

1r

6r

42r

Ivr

13r

2v, 4r

2r

7r

42r, 42r

IVv

55v

2v

2v

1r, 2v

4r

p. 75

36v, 6r

2r

3v

6r

7r

IVv

13r

3r

8r

20r, 56r

7r

p. 210

43v

4v

6v

8v, 87r

42r, 186r

IVv

43v

7r

Quadro 2 – accenti sulla o vocativa negli autografi in volgare (cfr. grafico 7)

o LQWHULHWWLYD QRQ DFFHQWDWD o LQWHULHWWLYDDFFHQWDWD

$FTXLVWLH 'RQL

7ROHGDQR 

 

 

 

 

5LFFDUGLDQR 

&KLJL /9,

&KLJL /9

+DPLOWRQ

 

 

 

 

 

 

 

  

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127

MARCO CURSI - Cronologia e stratigrafia nelle sillogi dantesche

Quadro 3 – Toledano 104.6 – occorrenze di lettera (cfr. grafici 8-12) 3XUJDWRULR

3DUDGLVR

FDQ]RQL

I  II GLULOHYD]LRQH

7UDWWDWHOOR 9LWDQXRYD ,QIHUQR U

U

UY

UY

UY

Y

7RWDOH

QƒWRWDOHOHWWHUH















D WHVWXDOH

 

 

 

 

 

 

 

D PLQXVFRODFKLXVD



 

 

 

 

 

 

K FRQSDQFLDDOOXQJDWD















K FRQLVSHVVLPHQWRILQDOH















K FRQULFFLRORILQDOH

 

 

 

 

 

 

 

L VHQ]DDSLFH

 

 

 

 

 

 

 

L FRQDSLFH

 

 

 

 

 

 

 

U D VHPSOLFH

 

 

 

 

 

 

 

U D FRQIUHJR

 

 

 

 

 

 

 

V GLIRUPDPDLXVFROD

 



 

 

 

 

 

V PDLXVFRODFRQULFFLRORILQDOH

 

 

 

 

 

 

 

VVLQXRVD

 

 

 

 

 

 

  

Quadro 4 – Toledano 104.6 – accenti sulla o vocativa (cfr. grafico 13) Trattatello

Vita nuova

Inferno

Purgatorio

Paradiso

15 canzoni

Totale

o interiettiva non accentata

2 (13%)

6 (67%)

54 (92%)

64 (93%)

50 (91%)

3 (43%)

179 (84%)

o interiettiva non accentata

13 (87%)

3 (33%)

5 (8%)

5 (7%)

5 (9%)

4 (57%)

35 (16%)

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128

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Quadro 5 – Riccardiano 1035 – occorrenze di lettera (cfr. grafici 14-18) ,QIHUQR

3XUJDWRULR

3DUDGLVR

FDQ]RQL

UY

UU

UY

U





















 

 

 

 

 











 

 

 



 

K FRQULFFLRORILQDOH

 

 

 

 

 

L VHQ]DDSLFH

 

 

 

 

 

L FRQDSLFH

 

 

 

 

 

U D VHPSOLFH

 

 

 

 

 

U D FRQIUHJR

 

 

 

 

 

 

 

 



 

V PDLXVFRODFRQULFFLRORILQDOH



 





 

VVLQXRVD











I   IIGLULOHYD]LRQH

QƒWRWDOHOHWWHUH

D WHVWXDOH

D PLQXVFRODFKLXVD

K FRQSDQFLDDOOXQJDWD

K FRQLVSHVVLPHQWRILQDOH

V GLIRUPDPDLXVFROD

7RWDOH



Quadro 6 – Riccardiano 1035 – accenti sulla o vocativa (cfr. grafico 19) Inferno

Purgatorio

Paradiso

15 canzoni

Totale

o interiettiva non accentata

4 (7%)

9 (14%)

3 (5%)

0

16 (9%)

o interiettiva non accentata

52 (93%)

49 (86%)

52 (95%)

7 (100%)

160 (91%)

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I IIGLULOHYD]LRQH

 

 

 

L FRQDSLFH

U D VHPSOLFH

U D FRQIUHJR

V VLQXRVD

V PDLXVFRODFRQULFFLRORILQDOH



 

 

 

L VHQ]DDSLFH

V GLIRUPDPDLXVFROD

 

 



 

 

 

 

 

 

 





 

 

 



3XUJDWRULR





 

 

 

 

 

 

 



 

 







 

 

 

 

 

 





 

 



&KLJL/9, &KLJL/9,S  S  

9LWDQXRYD ,QIHUQR &KLJL/9 I Y

 





K FRQULFFLRORILQDOH

K FRQLVSHVVLPHQWRILQDOH

K FRQSDQFLDDOOXQJDWD

D PLQXVFRODFKLXVD

D WHVWXDOH

QƒWRWDOHOHWWHUH

&KLJL/9I U

Vita di 'DQWH





 

 

 

 

 

 

 



 

 



&KLJL/9,S 

3DUDGLVR

 

 

 

 

 

 

 

 





 





&KLJL/9 I U

«@ FXUD familiare e publica) 38 Ø

om.

45 6LLQGLFDFRQODFRUULVSRQGHQ]DFRQOXRJKLGL7RIRUPDOPHQWHGLYHUJHQWLGD$%FRQ Ø l’assenza in To di parti aggiunte in AB. Tutte le citazioni di Chig e To sono state riscontrate su riproduzioni fotostatiche degli autografi, qui trascritti con criteri più conservativi di quelli dell’edizione di riferimento; vengono comunque sciolte tacitamente le abbreviazioni e introdotte le maiuscole. 46 x3 (tranne Fo che om.) passati; Lr \tra/passati.

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258

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

39 e spesse fiate con sottilissima meditatione se ne entrerà sotto la corteccia d’alcuna poetica fictione e con grandissimo suo piacere quanto sia diverso lo ’ntrinseco dalla crosta riguarderà 46 in brieve tempo padre di famiglia divenne 49 il suo disidero tutto tirava al ben publico dove quello degli altri o della maggior parte tirampnescamente al privato badava

50 seco propose posto giù ogni uficio publico di viver seco privatamente

51 Ø

raguarderà quanto sia diverso lo ’ntrinseco dalla crosta spatio di tempo

59 Ø

60 Ø

bada47

publico officio

63 prima propose di lasciar del tutto ogni publico oficio e vivere seco privatamente

50 dalla dolceça della gloria tracto e dal favor popolesco

tirato

63 tirato

50 molto di bene adoperare

operare

63 operare

*65 Nondimeno più tempo poi me ne furono monstrati \\de’ quali// alquanti factine dal maestro Giovanni del Virgilio sì come più laudevoli al mio giudicio ne elexi

alquanti de quali alquanti 48; da

 da

4748

47 FR2 vada. Solo x2 badava, per facile armonizzazione al contesto, tutto al passato (fu... tirava...). Il presente di B accentua il carattere generale dell’affermazione e l’intonazione sentenziosa dell’inciso. 48 In MT una mano più tarda corr. in alcuni il secondo alquanti; F3 solo alquanti; V1 lacunoso.

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DAVIDE CAPPI – MARCO GIOLA - “Trattatello in laude di Dante”

259

49 50

68 nelle spalle alquanto curvo e gli occhi ançi grossi che piccoli e il color bruno e i capelli e la barba crespi e neri e sempre malinconico e pensoso

spessi crespi; nel viso malinconico

112 e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso

vaghezza

125 dolceça

81 La quale [scil. prima gente] veggendo il ciel moversi con ordinata legge continuo e le cose terrene aver certo ordine e diverse operationi in diversi tempi pensarono di necessità dovere essere alcuna cosa dalla quale tutte queste cose procedessero e che tutte l’altre ordinasse sicome superiore potença da niuna potentiata

da niuna altra potentiata

128 da niuna altra potentiata

83 vollono che di lungi ad ogni plebeio o publico stile di parlare si trovasser parole degne di proferire

ragionare

130 ragionare

*78 Vaghissimo fu e d’onore e di pompa per adventura più che non s’appartiene ad savio huomo. Ma qual vita è tanto humile che dalla dolceça della gloria non sia tocca? Questa vagheça credo che cagion gli fosse d’amare sopra ogni altro studio quel della poesia

83 Et così come essi estimarono questa excedere ogni altra cosa di nobiltà così vollono che […] si trovasser parole 83 oltre alle sue lode si porgessero sacrate lusinghe

49 50

extimavano49 130 extimavano

le si 50

130 le si

x2 estimarono. F2 FR1 Lo2 L3 Ma li si, FR2 gli si. Solo Fo si.

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260

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

84 acciò che queste parole potessero avere più d’efficacia

paressero

131 paressero

Et questi

135 Questi cotali

pargoletti;

140 pargoletti;

essa

essa

trasmutazioni

142 trasmutationi

96 gli effecti delle virtù e de’ vitij e che fuggir dobbiamo e che seguire acciò che pervenir possiamo virtuosamente operando a Dio il quale essi che lui non debitamente conoscieno somma salute credeano

al famoso fine il quale essi che il vero Dio debitamente non conoscevano

142 a quel fine il quale essi che il vero Idio debitamente non conosceano

99 volendo mostrarci se non che virtuosamente operando come fece Hercule l’uomo diventa idio per participatione

participazione in cielo

145 participatione in cielo

88 li quali non fidandosi tanto delle lor forçe cominciarono ad aumentare le religioni 94 e così ad un’ora con l’uno li savi exercita e con l’altro li semplici riconforta e à in publico donde li pargoli nutrichi e in occulto serva quello onde assai le menti de’ sublimi intenditori con admiratione tenga sospese 96 quando con trasformationi d’uomini in varie forme e quando con leggiadre persuasioni

*104 ordinarono che […] li poeti dopo la victoria delle lor fatiche cioè dopo la perfectione de’ lor poemi e oltre a cciò gli ’mperadori […] fossono coronati d’alloro

aglimperadori 51

  LQWUD JOL DOWUL PHULWL stabiliti da loro a chi bene adoperasse, fu questo il precipuo: di coronare in publico [...] di frondi d’alloro li poeti dopo la victoria delle loro fatiche, e gli ’mperadori, li quali...)

51

51

FR2 ai loro i. Solo Vc glimperadori (in L a- eraso).

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DAVIDE CAPPI – MARCO GIOLA - “Trattatello in laude di Dante”

261

5253

105 Ma perché ad tal coronation più l’alloro che fronda d’altro albero electo sia pare la ragion questa

non doverà parere a udire rincrescevole

*106 Vogliono coloro li quali le virtù e le nature delle piante ànno investigate il lauro, sicome noi medesimi veggiamo, giammai verdeça non perdere

Secondo che vogliono;

109 Et perciò era non sença cagione il nostro Dante […] di questa laurea disioso

non sanza cagione era

110 cercandosi per alcuno amico come egli potesse in Firençe tornare né altro modo trovandosi se non che egli per alcuno spatio di tempo stato in prigione fosse misericordievolmente offerto ad San Giovanni, calcato ogni fervente disio del ritornarvi, rispose che Idio togliesse via che \\ colui che// nel seno della phylosophia allevato e cresciuto era divenisse cero del suo Comune

52 53

non perdere 52

157 Ma, perché a tale coronazione più il lauro che altra fronda eletto sia, non dovrà essere a veder rincrescevole. 160 Secondo che vogliono coloro, li quali le virtù delle piante o vero la loro natura investigarono, il lauro tra l’altre più sue propietà n’à iij laudevoli e notevoli molto: la prima si è, come noi veggiamo, che mai egli non perde né verdeça, né fronda. 162 Per che non sença cagione il nostro Dante era ardentissimo disideratore di tale onore […] 

fu per lui a cio ogni fervente disio del ritornarvi calcato risposto; alcuno (che) nel seno della filosofia allevato e cresciuto (fusse)53 divenisse candelotto

Così F7 FR2 We + Lr; anche MT Fa perdere, ma -re cass.; tutti gli altri perde. F3 F7 FR2 MT We om. che e fusse.

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262

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

118 avendo trovato Dante in quel tempo essere appresso il marchese Moruello Malespina non a llui ma al marchese e l’accidente e il disidero suo scripse e mandogli in septe canti 120 manifestamente chi ben guarda può la ricongiuntion dell’opera intermessa riconoscere 130 sença tor via lo exercitare degli ’ngegni de’ lecterati egli a’ non lecterati diede alcuna cagion di studiare

aperse; i

182 Et, sentendo dopo alcuna investigatione lui essere appresso il marchese Morruello, non a llui, ma al marchese scrissono il loro disiderio, e mandarono li vij canti

riguarda;

182 riguarda;

conoscere

conoscere

diede a non litterati



134 messer Beltrando cardinal dal Poggetto

del

196 del

134 E se un valoroso cavaliere fiorentino chiamato messer Pino della Tosa e messere Hostagio da Polenta

om.54

197 om.

137 Et sopra tre delle decte cançoni come che intendimento avesse sopra tutte di farlo compose uno scripto in fiorentin volgare il quale nominò Convivio 140 il tempo nel quale ogni cosa si suol consumare o sença indugio recherà ad niente la memoria del ricco

199 Compuose ancora uno commento in prosa in fiorentino volgare comento

ad niente recherà

203 il tempo, nel quale ogni cosa suol consumarsi, o annullerà prestamente la memoria del ricco

54

54

x2 messer Pino.

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DAVIDE CAPPI – MARCO GIOLA - “Trattatello in laude di Dante”

142 Ma la mia fatica non è ancora al suo fine venuta ramemorandomi una particella nel processo promessa

promessa restare a dichiarare

composti e da quali Dante sença dubbio e nutricò e aumentò il suo ingegno

de

151 Laonde in luogo di Dante abbiamo la sua Comedia

Et cosi

*155 optimamente conoscerà confarsi con la voce della Comedia e maximamente dove con acerbissime invectioni grida ne’ vitij d’alcuni

207 Una particella, nel processo promessa di questa operetta, mi resta a dichiarare 213 […] li quali sono i libri poetici e le loro dottrine, da’ quali libri e doctrine fu altis-

147 E le bache che fructo son dell’alloro non vogliono altro significare che i fructi della poesia nati li quali sono i libri da poeti

154 perciò che, sicome sopra i piedi pare che tutto il corpo si sostenga, così prima facie che sopra il modo del parlare ogni opera in iscriptura composta si sostenga

263

pare che

inventioni

155 Et niuna è più horrida voce di quella del gastigante

che

157 La mia picciola barca è pervenuta al porto

piccioletta

simamente nutricato, cioè ammaestrato il nostro Dante. 

226 pare che

227 Chi più orribilmente grida di lui, quando con invectione acerbissima morde le colpe di molti viventi, et quelle de’ preteriti gastiga? 227 Qual voce è più orrida che quella del gastigante a colui che è disposto a peccare? 229 piccioletta

In altri casi, nei quali a coincidere con A sono testimoni singoli di B non appartenenti ai gruppi meglio definiti (x1, x2, x3: cfr. infra tavv. 4, 6, 7), meno agevole è attribuire a B la lezione largamente maggioritaria, per i sospetti più consistenti, a carico di questa, di trivializzazione poligenetica.

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264

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tav. 3.a F3 + A vs altri mss. di B Chig + F3

altri mss. di B

To

10 Vennevi secondo che testimonia la fama tra’ novelli rehedificatori un giovane per origine de’ Frangiapani nominato Helyseo il quale che che cagion sel movesse di quella divenne perpetuo cittadino.

che55

80 Ma però che spessa quistion si fa [...] perché di lauro sieno coronati i poeti e da pochi pare esser mostrato mi piace qui di fare alcuna transgressione

essere stato56

127 essere stato

89 sì per compiacere a’ prencipi sì per dilectare i subditi e sì ancora per suadere ad gli ’ntendenti il virtuosamente operare

per persuadere57

136 per persuadere



Tav. 3.b F7 + A vs altri mss. di B

55565758

Chig + F7 21 alcuni assai chiari huomini in scientia il chiamavano sempre maestro altri l’appellavan phylosopho e di tali furono che theologo il nominavano e quasi generalmente ogn’uomo il diceva poeta sicome ancora è appellato da tutti 88 Et oltre ad questo diedono opera a deificare li lor padri li loro avoli li lor maggiori o a dimostrare sé figliuoli degl’iddij acciò che più fosson temuti e avuti in reverença dal vulgo

altri mss. di B

nominarono

To  DOFXQLLOchiamarono sempre ‘poeta’, altri ‘filosofo’ e molti ‘teologo’) 135 Ø

et a 58

Identica aplografia (poligenetica) in tre dei quattro testimoni Į di A descripti da Chig: DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 250, nt. 20. 56 FR3 FR5 V essere \stato/, FR2 essere essere, F2 om. esser. RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 853, lascia aperta la questione sulla natura casuale o volontaria della lez. di Chig, la quale peraltro va considerata un latinismo sintattico (monstratum esse) del tutto consono allo stile di Boccaccio (cfr. 95 esser [...] nuntiato, 141 Mostrato è; e p. es. Dec. VIII 4, 3). 57 Ma FR2 per susidio. Anche per suadere RICCI, loc. cit., rimaneva dubbioso tra « semplice variazione » o aplografia; ma anche in questo caso la forma di Chig è un latinismo. 58 RICCI, loc. cit.: « ambedue danno senso plausibile ». Ma Chig è meno banale. 55

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265

DAVIDE CAPPI – MARCO GIOLA - “Trattatello in laude di Dante”

Tav. 3.c FR2 + A vs altri mss. di B Chig + FR2

altri mss. di B

To

5 Quello adunque che la nostra città dovria verso il suo valoroso cittadino magnificamente operare […] intendo di fare io

dovea

8 dovea

Si segnalano qui due casi di coincidenza (parziale) di FR2 con lezioni cassate in Chig: relitti dell’antigrafo comune di A e B (Xab; sez. III, tavv. 1 e 2)? 3.c.bis FRdi2 +BA vs altri mss. di B Tav. 3.c.bis FR2 + Tav. A vs altri mss. 5960

Chig

FR2

56 se n’andò a Parigi acciò che quivi a suo potere rendesse studiando alla phylosophia il tempo che nell’altre sollecitudini vane tolto l’avea le restituisse studiando 104 gli ’mperadori dopo la victoria avuta de’ lor nemici della re publica fossono coronati d’alloro.

altri mss. di B

To 75 Ø

le59

om.

deloro60

om.

157 Ø

Tav. 3.d We + A vs altri mss. di B

61

Chig + We

B

To

50 alle quali parti riducere ad unità Dante invano si faticò molte volte

s’affaticò61

62 

59 Chig reca qui due interventi a penna che eliminano rendesse e le. Il primo, cassato da sottolineatura forse coeva, non lascia traccia nella tradizione di B, che non presenta mai rendesse (resta tuttavia sospetta la corruzione di FR2: quivi assuo studio istudiare); il le, « pleonastico » (DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 253), eliminato in Chig (con un frego orizzontale: in momento diverso dal precedente?) compare entro B soltanto in FR2 (non soccorre qui F3 per ampia lacuna du même au même). Si noti che la tradizione (descripta) di A presenta sia rendesse (così tutti) sia le (tranne Ar: DE ROBERTIS, loc. cit.). Cfr. sez. III.5, nt. 246. 60 La lezione eliminata con sottolineatura in Chig (dove in effetti [c. 8v r. 40] la sottolineatura comprende – per svista? – anche de) compare in FR2, e anche, seppur tormentata, nel basso Lr (\auta/ de .loro): forse solo per ripetizione inerziale dalla serie precedente delle lor fatiche […] de’ lor poemi. 61 Così anche, nella tradizione di A, alcuni dei descripti di Chig (DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 250).

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266

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

4. L’archetipo Bx Nella precedente tavola si sono contrassegnati con asterisco alcuni errori di B. A parte 155 inventioni, ovvia trivializzazione poligenetica,62 gli altri casi paiono tutti significativi. Evidente errore d’anticipo è 65 alquanti de quali alquanti, ma anche 78 vaghezza (conservato da tutti gli editori) si rivela al confronto con To e Chig frutto dello stesso tipo di corruzione (sia pure a più ampio raggio): per la discussione di entrambi i casi si rinvia alla sez. III.3, tavv. 6 e 8. Valore congiuntivo ha anche 104 aglimperadori (per ripetizione dal precedente oltre a ciò?), corretto individualmente da due testimoni secondari. Smentito dal contesto (e dall’uso) e verosimilmente congiuntivo (perché non triviale) è 30 trapassati.63 Notevole la sconcordanza sintattica a 106, eliminata per facile congettura dalla maggior parte della tradizione di B,64 e parzialmente coincidente colla lezione di A, per probabile relitto della elaborazione d’autore. Altri errori risalenti al vertice della tradizione di B sono rilevabili nelle macrovarianti a 156.b-c (cfr. supra tav. 1.b) e probabilmente a 145.d (diffrazione: cfr. infra tav. 9.b.bis). Poiché, come si dirà nella sez. III, almeno i primi due errori qui elencati – ma anche il quarto – appaiono difficilmente attribuibili all’autore (il terzo è di tipo simile all’erroneo AB 87 aseguenti, cfr. sez. III.3, tav. 1), l’esistenza di un archetipo Bx al vertice della tradizione di B sembra essere sufficientemente provata. 5. Il gruppo x1 A valle di Bx è ben rilevabile una sistemazione del testo che si impone all’altezza di un capostipite che chiamo x1, da cui dipendono ventiquattro testimoni, F2 F4 Fa Fo (coi descripti F1 FR4 L Vb1, d’ora in poi esclusi dal computo) FR FR1 FR3 FR5 FR6 G Lo2 L3 L4 Lr Lr1 Ma V V1 Vc VeC, cioè circa il 75% del totale. A un piano superiore o comunque esterno a x1 sembrano invece da collocare i restanti cinque testimoni, F3 F7 FR2 MT We, la cui posizione (problematica) verrà discussa infra. 62 Secondo la base-dati OVI quella del Trattatello (To = Chig) sarebbe la prima attestazione del duro latinismo (di cui sono poi segnalate varie occorrenze nel Commento dantesco di Francesco da Buti). I mss. di B oscillano qui tra inventioni e invenzioni, tranne We che reca inuenctione (e altrove nel testo ha sempre inuent-). 63 Nell’uso di Boccaccio trapassare, -ato riferito a esseri animati ha sempre (come di norma) il significato biologico di ‘defungere, defunto’, e mai quello cronologico di ‘passato’ (frequente invece in riferimento a entità astratte o inanimate), qui evidentemente richiesto dal contesto (passati... futuro). Forse la corruzione è stata agevolata dall’erronea interpretazione passati ‘superati’ (per attrazione del seguente avanzare). Trapassate per passate (ma felicità) è anche nella tradizione di Comedia, I 5 (QUAGLIO, Boccaccio. Comedia delle ninfe1, p. LXXXIV). 64 Ma conservata da quasi tutti i testimoni che la classificazione seguente collocherà ai piani più alti dello stemma (fa eccezione F3).

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DAVIDE CAPPI – MARCO GIOLA - “Trattatello in laude di Dante”

267

Ravvisare errori che tolgano senso al testo non è facile in x1. Al netto di qualche luogo dove il guasto è imputabile a incidenti meccanici che alterano il senso del passo (Tav. 4: 88 per dittografia, 47 e 102.l per omissione), in molti altri casi, in cui sembra palese una corruzione nel testo, la lezione può risultare comunque accettabile: emblematici due verosimili errori di ripetizione che danno luogo a lezioni plausibili e, pur in contrasto con A, non in grado di compromettere la logica del testo (104, 111). Sulla stessa linea, ma con vettore opposto, si rilevano alcuni luoghi (21, 54) che sembrerebbero rivelare delle variazioni sinonimiche, ma sui quali grava un forse legittimo sospetto di ripetizione involontaria di parole o sintagmi copiati dallo scriba qualche riga prima. Ciò detto, la fisionomia di x1 è ben riconoscibile, sia grazie ai pochi errori (o luoghi fortissimamente indiziati di erroneità), qui segnalati con asterisco, sia grazie a un denso sciame di varianti caratteristiche – alcune minime, altre di un certo peso – che mostrano un deciso distacco di x1 dalla lezione di Chig e To.65 Il capostipite x1 si presenta insomma come un netto discrimine entro la tradizione di B, nella quale introduce una lezione mediamente deteriore (oltre agli errori citati: 48, 97, 134) e banalizzante (50, 119, 141), e qualche variazione forse non involontaria (3, 9, 111, 123, 143, oltre ai casi già citati 21 e 54). Tav. 4 Errori e lezioni caratteristiche di F2 F4 Fa FR FR1 FR3 FR5 FR6 G Lo2 L3 Lr Lr1 Ma V V1 Vc VeC = x1 6667

A (Chig) + F3 F7 FR2 MT We

x1

3 degno di glorioso honore

grandissimo

5 volendo più tosto di presuntione che d’ingratitudine potere esser ripreso

essere

9 da Dio a cciò spirato

sospinto 66

18 era dal ciel producto ad vedere con aguto intellecto 21 alcuni assai chiari huomini in scientia il chiamavano sempre ‘maestro’

proceduto gravi 67

65 La divergenza di x1 dalla lezione coincidente di To e Chig si osserva nei seguenti luoghi della tav. 4: 47 (= To 60), 88 (= To 134), 91 (= To 137), 94 (= To 140), 97 (= To 143), 114 (= To 174), 119 (= To 182), 134 (= To 197), 141 (= To 205), 153 (= To 223); solo vicini Chig 111 e To 165 (li prencipi della setta). Solo a 9 x1 sembra più vicino, seppur di poco, a To (da divino spirito mosso). In tutti gli altri luoghi della tabella, To manca o è troppo divergente per poter stabilire un confronto. 66 F3 pro|veduto, per probabile anticipo di vedere, magari favorito dal cambio di rigo. È tuttavia sospetta la maggiore affinità paleografica di proveduto con proceduto rispetto a producto. 67 La lezione, non inaccettabile, potrebbe essere stata innescata dalla presenza della medesima parola pochissime righe prima: 20 « Et già vicino alla sua vecchieça, non gli parve grave l’andarne ad Parigi ».

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268

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

68697071

41 Che dirò [...] delle nocturne vigilie, non solamente utili, ma oportune ad gli studianti? Tutto a’ suoi dilecti quel tempo esser tolto, lagrimando, confermano. 47 nella qual [scil. re publica] tanto e subitamente sì l’avilupparono i vani honori, che, sença guardare donde s’era partito e dove andava con abandonate redine, messa la phylosophia in oblio, quasi tutto della re publica con gli altri cittadin più solemni al governo si diede

affermano sì subitamente68

om.

48 coloro che ne’ reggimenti delle città son maggiori

nelle città sono maggiori nel reggimento

50 in due parti perversissimamente divisa alle quali parti riducere ad unità Dante invano si faticò

le

54 quasi da extrema povertà costrecto

necessità69

63 alla casa nella quale era Dante prima habitato tornandosi […] fece uno exquisito lungo sermone

tornatosi

67 e noi, avendo gli affanni dimostrati di Dante e il suo fine

di Dante et il suo fine dimostrati

69 perché da pura credença venir le sentia

lo70

83 estimarono questa excedere ogni 71 altra cosa di nobiltà

questa cosa excedere ogni altra

84 e questo non in volgar forma o usitata [...] convenne che si facesse

di questo

88 avendo già cominciato diversi in diversi luoghi, chi con uno ingegno e chi con un altro, a ffarsi sopra la moltitudine indocta della sua contrada maggiori

di diversi in diversi

Per l’ipotesi che la lezione di Chig + F3 F7 FR2 MT We sia un errore dell’antigrafo comune a A e B, cfr. sez. III.3, nt. 132. 69 Cfr. AB 46 costrecto da necessità. Identica locuzione, in contesto molto simile, è usata da Boccaccio anche nelle cosiddette Chiose toledane, autografe, a commento di Purg. XI 133-141: « E così fu che Dante da questo dì che questo gli fu detto infra meno di due anni fu cacciato di Firenze, per che gli convenne, costrignendolo la necessità, domandare l’altrui » (cfr. FALERI, Chiose toledane, p. 265). 70 F3 la. Cfr. infra sez. III.3, tav. 2. 71 Ma F3 F7 FR2 MT We ciascuna. 68

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269

72737475

91 la poesia niuna altra cosa essere che semplicemente un favoloso e ornato parlare

in favole72

92 il quale [scil. lo Spirito Santo] per la bocca di molti i suo’ altissimi segreti rivelò a’ futuri

voce

94 Per che, come che ad un fine l’una scriptura e l’altra non riguardasse, ma solo al modo del tractare quello del poetico stilo dir si potrebbe che della Sacra Scriptura dice Gregorio, cioè che essa in un medesimo sermone narrando apre il testo e il misterio ad quel sottoposto

om.73

om.74

97 nelle lamentationi di Yeremia

nella lamentatione

99 fingono li nostri poeti Hercole d’uomo essere in dio transformato e Lycaone re d’Arcadia transmutato in lupo

essere trasmutato

101 mostrano d’ingegnarsi, con la belleça de l’uno, di trar gli uomini ad virtuosamente operare per acquistarlo e con la obscurità dell’altro spaventargli acciò che per paura di quella si ritraggano da’ vitij e seguitin le virtù 102.l con ciò sia cosa che ciascuno in così fatte elezioni più tosto il suo giudicio seguiti che l’altrui *104 la sanctissima sententia di Solone nel principio della presente operetta discripta la quale optimamente e lungo tempo servarono fiorendo la loro re publica. Alla quale observare [...] ordinarono

quello

om.

conservare75

Cfr. anche Esp. I I 78: « questo nascondere la verità sotto un favoloso e ornato parlare ». Anche F3 FR2. 74 Il gerundio non è sintatticamente indispensabile, ma trova riscontro nel celebre passo latino qui tradotto (Greg. M., Mor., Epist. 4, 175-178 [ed. Adriaen 1979, CCSL, 143]), esattamente trascritto da Boccaccio in Esp. I II 22: « Sacra Scriptura locutionis sue morem transcendit, quia in uno eodemque sermone dum narrat textum prodit misterium, et sic misterio sapientes exercet, sic superfice simplices refovet ». 75 Forse provocato dall’anticipo di considerare. Il senso complessivo non viene stravolto: secondo la lezione sancita da Chig – più pregnante – alla quale è riferito alla sententia di Solone, mentre secondo x1 sembra piuttosto legarsi a re publica; in entrambi i casi rimane salvo il concetto dell’alto valore civile della coronazione poetica. 72

73

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270

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

7677

*111 ragionandosi tra’ maggior cittadini di mandar per alcuna gran bisognia ambasciata ad Bonifatio papa viij° [...] Alle quali parole egli rispose: Penso: se io vo, chi rimane? e se io rimango, chi va? Quasi esso solo fosse colui che tra tutti valesse e per cui tutti gli altri valessero

alcuni

114 Tra cotanta vertù tra cotanta sciença quanta dimostrato76 è di sopra essere stata

Intra cotante quanta dimostrata77

sto per tutti

in questo mirifico poeta trovò ampissimo luogo la luxuria *114 Et questo basti al presente de’ suoi costumi più notabili aver contato 116 veggendo in gran parte qual fosse la vita degli uomini quanti e quali gli error del vulgo e cadimenti ancora de’ luoghi sublimi come fussero inoppinati 119 Gli quali poi che il marchese, huomo assai intendente, ebbe veduti e molto seco lodatigli gli mostrò a Dante domandandolo se esso sapea cui opera stati fossero. Li quali Dante riconosciuti subito rispose che sua 119 non lasciar sença debito fine sì alto principio 123 Ma una mirabile visione a Iacopo, che in ciò più era fervente, apparita, lui e ’l fratello non solamente dalla stolta presuntion levò, ma mostrò dove fossero li.xiij. canti tanto da lor cercati *126 e quelle [scil. scripte] pianamente dalla muffa purgate vider segnate per numeri e conobbero quello che in esse scripto era esser de’ ricthimi della Comedia

76 77

notato

om.

lodati mostratigli a Dante il domando

om.

x2 desiderati, x3 con fatica disiati segnati

Anche L3; FR2 quanto è dimostrato. Anche MT.

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128 Aveva Dante la sua opera cominciata per versi in questa guisa

cominciata la sua opera

134 un valoroso cavaliere fiorentino chiamato messer Pino della Tosa

om.

141 qual fosser l’origine gli studii e la vita e costumi e quali sieno l’opere state dello splendido huomo Dante Alighieri

gli studii l’origine la vita

141 Colui che d’ogni gratia è donatore

cosa

143 la madre del nostro poeta essendo gravida di quella gravideça della quale esso poi a debito tempo nacque

partorì

143 allato ad una chiara fontana e quivi partorire un figliuolo

bella fontana

151.b in luogo d’Aristotile di Solone e di Virgilio abbiamo i loro libri le loro composizioni eterne conservatrici de’ nomi e della presenzia loro nel cospetto di que’ che vivono

del nome

153 estimo che penne aver debba

penna

155 chi bene in alcune parti riguarderà optimamente conoscerà confarsi con la voce della Comedia

in alcuna parte

156.b Primieramente perché per avventura la sufficienzia che a tanta cosa si richiederebbe non c’era; appresso, posto che stata ci fosse, più tosto altro luogo per sé richiedeva che questo

271

om.

Delineato tale profilo complessivo di x1, restano da osservare alcuni luoghi nei quali sporadicamente qualche testimone esterno ad esso partecipa della sua lezione. Si tratta, in linea di massima, di casi riconducibili a poligenesi o, eventualmente, a collazione, ma che meritano tuttavia di essere messi in opportuno rilievo:

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272

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

1 Tav. 5.a Lezioni comuni Tav. 5.a di xLezioni e F3 comuni di x1 e F3 7879

Chig + F7 FR2 MT We

x1 + F3

49 In queste tumultuosità fu il nostro Dante inviluppato più anni

questa

67 Nella qual pertinacia assai manifestamente si dimostrò i Fiorentini tanto essere dal cognoscimento della scientia rimoti 106 il lauro [...] giammai verdeça non perdere

mostrò perde78

Tav.di 5.b comuni di x1 e F7 Tav. 5.b Lezioni comuni x1 Lezioni e F7 Chig + F3 FR2 MT We

x1 + F7

4 quantunque piccol sia, pur di quella son cittadino

piccola79

35 nell’alpi di Casentino per una alpigina

x1 Mugello, F7 di chasentino over di Mugiello

105.a la quale oppinione non mi spiace

dispiace

Tav. di 5.cx1Lezioni Tav. 5.c Lezioni comuni e FR2 comuni di x1 e FR2 Chig + F3 F7 MT We

x1 + FR2

143 e da questo cibo nudrito le [scil. alla madre di Dante] pareva che in piccol tempo cresciesse e divenisse pastore

gli

84 vollero che fossero sotto legge di certi numeri conrispondenti per brevità e per lungheça ad certi tempi ordinati composte per li quali alcuna dolceça si sentisse

per le

Tav. 5.d Lezioni comuni e We comuni di x1 e We Tav. di 5.dx1Lezioni 80

Chig + F3 F7 FR2 MT

x1 + We

103 Tra l’altre genti alle quali più aprì la phylosophia i suoi thesori i Greci si crede che fosser quegli li quali d’essi trassero la doctrina militare e la vita politica

d’essa80

Cfr. supra tav. 2. Solo G piccolo. 80 Il riferimento a tesori invece che a filosofia è avvalorato da To 156: « Tra l’altre nazioni, le quali sopra il circuito della terra son molte, li Greci si crede che sieno quegli alli quali primieramente la phylosofia sé e li suoi segreti aprisse; de’ tesori della quale essi trassero la doctrina militare, la vita politica e altre care cose assai ». 78 79

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273

6. I sottogruppi x2 e x3 Al di sotto di x1, la tradizione mostra ancora due snodi di assestamento, corrispondenti a una biforcazione in due rami, x2 e x3, facilmente individuabili per molti errori (congiuntivi e separativi) e lezioni caratteristiche. A x2 fanno capo tredici testimoni (F4 Fa FR FR3 FR5 FR6 G Lr Lr1 V V1 Vc VeC) completi, ai quali si associa il frammento L4 (contenente solo i parr. 68, 70-78, 110-114; cfr. nella tav. 6: 76, 78, 111, 113, 114). Moltissimi gli errori che congiungono i rappresentanti di questo sottogruppo (nella tavola distinti da asterisco); altrettante le lezioni peculiari che, a una lettura complessiva, sembrano mostrare una tendenza allo scorciamento (27, 37, 45, 50, 79, 87, 90, 91, 102.g, 116, 126, 145.e, 153) o alla semplificazione sintattica e stilistica (62, 128, 154). Della esuberante quantità di elementi probatorî procurati dalla collazione riferisco qui solo un campione, già descrittivo dello stato testuale di x2: Tav. 6 Errori e lezioni caratteristiche di F4 Fa FR FR3 FR5 FR6 G L4 Lr Lr1 V V1 Vc VeC = x2 A (Chig) + F3 F7 FR2 MT We + x3

x2

*9 Poi trapassato già il trecentesimo anno

trigesimo

27 ne’ suoi costumi piacevole e gentilesca bella nel viso

om.

*30 molte in laude di questa donna excellentissimamente compose

excellentissima donna

37 lui a cciò inclinato sença alcuno indugio misero ad effecto il lor pensiero

om.; lor facto

45 Né creda alcuno che io per le su dette cose voglia conchiuder gli uomini non dover torre moglie

in non doversi

50 Era ne’ tempi del glorioso stato del nostro poeta la fiorentina cittadinança in due parti perversissimamente divisa

om.

62 infermò e come fedel cristiano riconciliatosi per vera contritione e confessione delle colpe

riconciliossi; vera confessione

*62 quivi in riposo perpetuo prenda merito delle fatiche passate

riposo

76 come più volte nelle disputationi in Parigi e altrove mostrò

in Parigi nelle disputationi

78 al pomposo e inusitato honore della coronation pervenisse

om.

79 dallo exilio impedito e dalla morte prevenuto

om.

87 stoltamente mostrarono a’ seguenti esserne molte

insegnarono

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274

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

87 alle quali tutte e versi e honori e sacrifici divini s’ordinarono

om.

90 il cantare con excelso verso le battaglie e gli altri notabili facti degli uomini

om.

91 oltre al promesso mi piace brievemente mostrare

om.

102.g lo Spirito Santo è da commendare d’avere i suoi alti misteri dato81 sotto coverta

om.; detti

*102.h la verità [...] fosse più cara e più e con più diletto entrasse nella memoria

memoria

*108.b discrivendo l’operazioni d’alcuno

om.

111 ragionandosi [...] di mandar per alcuna gran bisognia ambasciata ad Bonifatio papa viij° e che prencipe dell’ambasciata fosse Dante

ambasciadori principale

113 se nelle cose meno laudevoli mi tacerò io torrò molta fede alle laudevoli già mostrate

molto la

114 non solamente ne’ giovani anni ma ancora ne’ maturi

ne’ maturi ancora

116 come esso per adventura ymaginò

lui

126 come che ancora assai fosse di nocte

om.

126 una finestretta da niun di loro mai più veduta né saputo che ella vi fosse

om.

128 Muovon molti [...] una quistion così facta che con ciò fosse cosa che Dante fosse in isciença solemnissimo huomo che ad comporre così grande opera [...] il mosse più tosto ad scrivere in ricthimi e nel fiorentino ydioma che in versi

Dante fu

138 un libretto in prosa latina il quale egli intitolò De vulgari eloquentia

nominò

145.b e se pure costretto o per molta consuetudine dell’arte fabbrile alcuna cosa imparasse o facesse come in suo arbitrio sarà al naturale suo intento cioè al canto si tornerà

questo;

145.e si conoscerà il cielo della sua natività essere disposto a dover producere un poeta 145.f l’alloro come davanti avemo mostrato è quello albero le cui frondi testimoniano nella coronazione la facoltà del poeta

fusse; tornerebbe om.82

qualità

81

82

F3 L3 MT dati. L’esito di x2 pare evidente banalizzazione di una peculiarità sintattica diffusa nella lingua trecentesca e perfettamente comune a Boccaccio, cfr. STUSSI, Lingua, p. 215: « In dipendenza di verbi o costrutti già di per sé indicanti compimento futuro dell’azione dipendente compare spesso dovere quasi a ribadire tale prospettiva ». 81 82

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153 i cento canti di quella ne’ quali ella così è ordinata e distincta e ornata

om.

154 Sono e al paone i piè soçi

Et ha il

275

I rapporti interni a x2 saranno dettagliatamente dimostrati in altra sede. Allo stato attuale dell’analisi (e a collazione non ancora integrale di tutti i testimoni), sembra probabile l’individuazione di tre rami, da cui discendono rispettivamente Fa FR6 V1 Vc, F4 FR e FR3 FR5 G Lr Lr1 V; da definire resta la posizione di VeC. L’altro ramo subordinato a x1 è x3, capostipite da cui discendono sei testimoni, F2 Fo FR1 L3 Lo2 Ma. Meno ricco di innovazioni rispetto al collaterale, x3 esibisce un profilo contrassegnato da omissioni ed errori evidentemente congiuntivi (cfr. tav. 7: 36, 55, 69, 102.g, 132, 137, 152). Oltre a questi guasti accidentali, si possono far risalire ad esso anche interventi presumibilmente non involontari, soprattutto in luoghi dove la variante modifica il testo in senso non banalizzante ma addirittura difficiliore (50, 117). Come per il ramo sopra descritto, anche per x3 riporto solo un saggio dello scrutinio complessivo delle lezioni: Tav. 7 Errori e lezioni caratteristiche di F2 Fo FR1 L3 Lo2 Ma = x3 A (Chig) + F3 F7 FR2 MT We + x2

x3

8 Fiorença intra l’altre città ytaliane più nobile

ytalice

21 alcuni assai chiari huomini in scientia il chiamavano sempre maestro altri l’appellavan phylosopho e di tali furono

altri

che theologo il nominavano 25 giudico convenevole sia alquanto più distesamente spiegarle

che alquanto piu distesamente spiegarle convenevole sia

*36 niun pensiero niuna meditatione niuno appetito in quella patiscie che stea se non quelle sole le quali esso medesimo vi reca

om.

43 se cruccio che per lungheça si converta in odio

lunghezza di tempo

*45 con la phylosophia si dilecteranno molto più piacevole e migliore sposa

si diletteranno molto più con filosofia molto più

48 In lui tutta la publica fede in lui tutta la sperança publica in lui sommariamente le divine cose e l’umane

tutte le divine

50 Era ne’ tempi del glorioso stato del nostro poeta la fiorentina cittadinança in due parti perversissimamente divisa

diversissimamente

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

*55 Di quindi fu col marchese Moruello Malespina in Lunigiana

Novello Malaspini

61 Che diranno […] coloro a’ quali è riposo continuo e a’ quali l’ampie facultà sença alcun lor pensiero ogni cosa oportuna ministrano? Che coloro che soluti da moglie e da figliuoli liberi posson vacare a’ lor piaceri

om.

61 non potrebbono non che meditare ma leggere né scrivere se non stesse il gomito riposato 63 il fece alla chiesa de’ frati minori con quello honore che ad tanto huomo si conveniva portare

*69 Donne, vedete colui che va in inferno e torna quando gli piace e qua su reca novelle di coloro che là giù sono?

fosse con quello honore che a tale huomo si convenia alla chiesa de frati minori

om.

99 virtuosamente operando come fece Hercule l’uomo diventa idio

vivendo

*102.g sotto fabulosi parlari avranno nascosi gli alti effetti della natura

favole siparlati

111 advenne che soprastando egli alla risposta alcun disse

om.

113 con isdegnoso occhio d’alta parte del ciel mi riguarda

om.

115 gli accidenti dimostra dell’amore il quale portò ad Beatrice

a Beatrice in gioventù

117 nel tempo che tumultuosamente la ingrata e disordinata plebe gli era più vaga di preda che di giusta vendetta

importunosamente; om.; om.

126 chiamato colui che allora in essa stava e dentro da llui ricevuti al mostrato luogo n’andarono

dentro allora vi stava e da llui inn essa

*132 e io il credo più tosto per la maniera che tenne di mandar prima a llui quello che composto avea che ad alcuno altro

materia

*137 compose uno scripto in fiorentin volgare il quale nominò conuiuio

comunio

140 il suo nome quanto più sarà stropicciato dal tempo tanto più chiaro e più lucente diventerà

lucente e memorevole

*152 cercando in assai parti lo intrinseco senso della Comedia e in assai lo intrinseco e lo extrinseco si troverà essere semplice e immutabile verità

om.

A differenza di quelli interni al collaterale x2, i rapporti tra i testimoni di x3 risultano molto ambigui, per probabile (ma, almeno allo stato attuale dell’analisi, difficilmente precisabile) maggior fluidità di questo comparto

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della tradizione; la presenza di indizi contraddittori non permette di fornire qui neppure ipotesi di apparentamenti. Il problema, spinoso anche se (verosimilmente) abbastanza circoscrivibile a un’area delimitata della tradizione, dovrà essere approfondito e discusso ampiamente in altra sede. 7. Al di fuori di x1 Ben più seria è la questione, lasciata sopra in sospeso e che qui, se pure non si risolverà, si cercherà comunque di presentare con sufficiente dispiego di materiali, dei rapporti tra i testimoni, F3 F7 FR2 MT We, che si collocano fuori e prima di x1. Tra i cinque su elencati, in effetti, possono essere apparentati abbastanza sicuramente gli ultimi due, MT e We, da ricondurre quindi a w. Tav. 8 Errori e lezioni caratteristiche di MT We = w

8384

A (Chig) + F3 F7 FR2 + x1

MT We

2 Dalla quale laudevole sentença mossi alcuni così egregij come antichi popoli

om.

18 ad vedere con aguto intellecto e le fictioni e l’artificio mirabile de’ poeti si mise

om.

38 della compagnia della moglie secondo che coloro afferman che ’l pruovano altro che sollecitudine continua e battaglia sença intermession non si trae

provarono

40 assai manifestamente apparire

om.

79 Il quale sença fallo sicome degno ne83 avrebbe ricevuto

degno n’era

122 Egli era suo costume come sei o octo canti facti n’avea quegli prima che alcun gli vedesse mandare ad messer Can della Scala

sua usança

128 Ultima regna canam Fluuido contermina mundo Spiritibus quae lata patent que premia soluunt Pro meritis cuicumque suis etc.

suis data lege tonantis84

L’analisi dei rapporti tra F3 F7 FR2 w e x1 deve fondarsi sull’elenco di tutti i luoghi, anche minimi, in cui i quattro divergono insieme da x1, distinguendo quelli dove è possibile stabilire un raffronto con Chig (Tav. 83 Chig, Pal. 561 (della tradizione descripta di A) e vari mss. di B degnone. GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 84, e RICCI, Boccaccio. Trattatello1, p. 132: degno n’è, avrebbe. 84 Si corregga così ROSTAGNO, Vita di Dante, p. XXXIV, nt. 31.

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9.a) da quelli compresi nelle “macrovarianti” per i quali tale raffronto manca (Tav. 9.b): Tav. 9.a Lezioni di Chig + x1 vs F3 F7 FR2 w

8586

To

Chig + x1

F3 F7 FR2 Z

27 una figliuola del decto Folco chiamata Bice la quale di tempo non passava l’anno octavo

trapassava

83 estimarono questa excedere ogni altra cosa85

ciascuna

130 ciascuna

nel

187 nel



di nobiltà 125 acciò che insieme andassero ad cercare il luogo mostrato a llui il quale egli optimamente nella memoria avea segnato 126 vennero alla casa nella quale Dante quando morì dimorava e chiamato colui che allora in essa stava e dentro da llui ricevuti 141 qual fosser l’origine gli studij e la vita e costumi

 dimorava86 205 fosse

fosse

Più debole la corrispondenza tra Chig e x1 nel seguente caso: Tav. 9.a.bis Chig

x1

F3 F7 FR2 Z

To

110 Idio togliesse via che \\colui che// nel seno della phylosophia allevato e cresciuto era divenisse

alcuno che fosse

alcuno om.



Tav.9.b Lezioni di x1 vs F3 F7 FR2 w x1

F3 F7 FR2 w

102.e in altra maniera che favoleggiando dovevano la loro dottrina mostrare

prestare

85 86

To 149 dovevano la loro sofficienzia mostrare e a’ mondani dare la loro dottrina

x1 questa cosa excedere ogni altra, cfr. supra tav. 2. FR2 era.

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102.l e però più tosto si potrà dimandare se cotal tradizione è utile o disutile

potea; utile fosse o disutile

102.o alcuni vilipendono tanto le persuasioni che nulla crederanno essere vero se sillogizzando non è convinto

suasioni

145.b se pure costretto o per molta consuetudine dell’arte fabbrile alcuna cosa imparasse o facesse

279

Ø

Ø

Ø apparasse

149.a trovare onde vengano a’ tempi opportuni i cibi a sudditi e a figliuoli

ne’ tempi

151.a Seguentemente dicea che in luogo di lui vide levarsi un paone

dice

 220 dice

Ad essi va aggiunto il seguente caso di diffrazione complessa: Tav. 9.b.bis FR2 w

F3 F7

x2

x3

145.d Che dirò della varietà delle singolari disposizioni degli uomini se non quello che il nostro poeta medesimo ne dice: Un ci nasce Solone [...]?

Che andrò

Che andrò io

Che andrò io

se non

cercando se non

dicendo se non

I dati esibiti nelle due tabelle precedenti mostrano l’inopia di elementi utili a raggruppare i quattro testimoni. Tolte infatti le varianti irrilevanti o indifferenti (Tav. 9.a 27, 141; Tav. 9.b 149.a), e le opposizioni in cui è x1 ad apparire più banale (Tav. 9.a 125, tav. 9.b 102.e, 102.o) o meno conforme all’uso boccacciano (Tav. 9.b 145.b),87 restano pochissimi elementi che possono avere qualche utilità ai fini dell’analisi e della classificazione. Due di questi – letti a contrasto coi due autografi – sembrano addirittura documentare un’attività rielaborativa autoriale. A 102.e la lezione prestare di F3 F7 FR2 w si oppone a mostrare di x1, lezioni entrambe plausibili e forse equipollenti (anche se la prima pare qui tenuemente difficiliore). Il luogo, collocato in una delle macrovarianti di B e quindi assente in Chig, ha però un riscontro in To, la cui lezione, di fatto, giustifica entrambe le soluzioni. Pare probabile che in questo luogo del Trattatello sia stata effettuata una delle tante “abbreviazioni” che caratterizzano la 2a red., con 87 Dalla base-dati OVI risultano in Boccaccio una quarantina di occorrenze di apparare contro una sola di imparare.

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un tentativo di sintesi tra i due concetti presenti nel brano corrispondente della 1a red.: il dovere dei poeti di ‘dimostrare’ la propria abilità, e quello di ‘mettere a disposizione’ (ma anche ‘offrire’, se non ‘concedere’)88 la propria dottrina. x1 restituisce la prima parte del concetto primitivo di To, F3 F7 FR2 w la seconda. Si potrebbe allora ipotizzare che, elaborando la macrovariante a partire da To, Boccaccio rimanesse incerto su quale dei due verbi usare, annotandoli entrambi nel suo autografo, e ciascuno dei due fosse poi recepito da una parte della tradizione di B. Il luogo di 110 illustra una situazione notevole. Credo non sia frutto del caso che una lezione aggiunta a margine da Boccaccio in Chig (c. 9r, con segno di richiamo) corrisponda alla diffrazione tra x1 e F3 F7 FR2 w, dovuta a ragioni stilistiche, cioè all’alternativa tra un’espressione verbale esplicita e una implicita. La presenza dell’aggiunta marginale autografa (solo un altro intervento simile è in Chig [per il Trattatello], e sempre in una situazione sensibile)89 parrebbe spia o di un guasto altissimo (tanto da coinvolgere anche A) o – ma meno probabilmente – di un dubbio tenace dell’autore sull’assetto della frase in un luogo già di per sé cruciale (in To 163, che legge diversamente, manca l’orgogliosa risposta di Dante: a riprova di un luogo sottoposto ad ampia revisione e a marcatura di gusto espressivo).90 Gli indizi di una possibile rielaborazione d’autore conservati da F3 F7 FR2 w e x1 vanno tuttavia inquadrati in una situazione incerta, in cui è arduo stabilire se F3 F7 FR2 w siano solo un non- x1 generico, e quindi possano derivare direttamente da Bx, ovvero se essi dipendano da un comune interpositus. La totale assenza di errori sicuri impedisce l’accertamento positivo della stirpe esterna a x1, ma sono possibili solo argomentazioni probabilistiche e inevitabilmente soggettive circa i quattro luoghi utili rimasti. 88 Moltissimi gli esempi ricavabili dalla citata banca dati dell’uso boccacciano di prestare (nel senso di ‘fornire, mettere a disposizione; concedere’). Raro è il sintagma prestare dottrina: se ne veda tuttavia l’uso in un autore molto vicino a Boccaccio come AGNOLO TORINI, Brieve collezzione della miseria della umana condizione, ed. Hijmans-Tromp, Leiden 1957, II 11: « Oh uomini infelici! quantunque le cose predette n’abiano molto a spaventare e impignerci nel timore di Dio, se savi fossimo questa una ne dovrebbe assai utile e dottrina prestare e farci con migliore e più giusta stima misurare le forze nostre che non facciamo ». 89 Cfr. sez. III.3, tav. 6. 90 La fonte di questo aneddoto, come noto, è lo stesso Dante, Epist. XII 6: « Absit a viro phylosophie domestico temeraria tantum cordis humilitas ecc. ». Come avverte opportunamente BRUNI, Boccaccio, pp. 69-70 (riprendendo un’antica nota di Oddone Zenatti), questa autodefinizione dantesca dovette esercitare una notevole influenza su Boccaccio, che la riecheggiò anche nella sua Epist. XIII 78 (1363, a Francesco Nelli), forse – per quel che si può giudicare dal volgarizzamento anonimo attraverso cui la conosciamo, essendone l’originale latino quasi del tutto perduto – in una forma più vicina a quella della 2a red. AB del Trattatello: « Tolga Dio questa vergogna da uomo usato nelle case della filosofia, dimestico delle Muse e conosciuto da uomini chiarissimi ed avuto in pregio, che ecc. ».

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Debole per la sua possibile matrice paleografica (potra letto potea?), ma indiziabile di minor coerenza stilistica è 102.l. La forma al futuro sembrerebbe quella legittima, richiesta dall’andamento argomentativo della intera macrovariante e dalla risposta immediata alla interrogativa retorica.91 In un solo luogo si affaccia una lezione che può ricadere nella definizione di “errore”, cioè a 126, dove a stava di x1 + A si oppone dimorava di F3 F7 w e era di FR2; non soccorre To che presenta qui una narrazione molto meno particolareggiata. Sembrerebbe un errore per ripetizione del precedente dimorava, ereditato da F3 F7 w e eliminato per ovvia congettura da FR2. Il fatto tuttavia che la ripetizione avvenga con una lezione perfettamente sinonimica pare indebolire la validità congiuntiva del luogo. Per quanto riguarda 145.d, mancando il conforto degli autografi, in presenza di una lezione esplosa verosimilmente molto in alto e di fronte a probabili tentativi di aggiustamento della lezione, non si riesce ad intravvedere con sicurezza la lezione originaria. La questione si incardina sull’opposizione fra due opzioni stilistiche, cioè interrogativa retorica espressa con futuro semplice (Che dirò?) o con perifrasi durativa di andare + gerundio. La seconda struttura è pacificamente ammessa dalla lingua antica e dall’uso di Boccaccio,92 seppure apparentemente meno diffusa rispetto alla prima, di cui occorrono esempi sia generici (in entrambi i testi autografi del Trattatello)93 sia specifici del tipo quid dicam ... nisi?.94 91 Cfr. 102.g « che diranno costoro delle visioni di Daniello […]? Diremo, però che simiglianza di vero in assai cose nella corteccia non hanno, sieno, come stoltamente dette, da rifiutare? Nol consentirà mai chi ficcherà gli occhi dello ’ntelletto nella midolla; 102.i « perché saranno da biasimare i poeti, se sotto fabulosi parlari avranno nascosi gli alti effetti della natura, le moralità e i gloriosi fatti degli uomini, mossi dalle sopradette cagioni? »; e, dopo, 102.m « Alla quale mi pare che rispondere si possa questa utile essere stata, dove i nostri giudici nel gridare la dimostrano disutile ». Il passato di F3 F7 FR2 w potrebbe forse collegarsi al più lontano 102.e « se essi erano uomini [...] in altra maniera dovevano ». 92 Sulle perifrasi durative nella lingua delle Origini si vedano BRIANTI, Diacronia, e COLELLA, Perifrasi, entrambi con ampia bibliografia; per il Decameron, STUSSI, Lingua, pp. 217-218. Limitatamente alle interrogative dirette, per Boccaccio cfr. Filoc. II 13, 3: « Ma che andrò io cercando per lo mondo? »; IV 53, 8: « Che andremo più dunque più inanzi cercando che amare non si debbia più tosto la pulcella che la vedova? »; Tes. IV 57, 5: « Or che va e’ caendo? »; per il fiorentino trecentesco cfr. Storia del San Gradale, ed. Infurna, Padova 1999, 196: « Che v’andrò io contando tutte le cavalerie e le prodezze ched e’ faceano? »; Volg. della Deca prima Tito Livio, ed. Dalmazzo, Torino 1846, II, p. 161: « Che andremo noi, diceva l’uno all’altro, oggimai cercando, se noi non possiamo cacciare li nemici a cavallo […]? ». 93 Oltre ad AB 41 (« Che dirò dell’odio ch’elle portano a’ libri [...]? ») e 43 (« Che dirò se gelosia v’interviene? »), e a To 55 (« Che dirò de’ loro costumi? »), si vedano i casi analoghi in Filostr. Pro. 15; Filoc. IV 106, 3; V 16, 3; V 49, 7. 94 Di questa interrogazione retorica abbiamo due esempi nel Boccaccio volgare, sempre al futuro semplice: Filoc. IV 106, 3: « Che più dirò di te, se non che puoi la fama per la infamia far lasciare e gli etterni regni per li terreni abandonare? »; Fiammetta VIII 3, 5: « Che dunque dirò, mostrando la mia pena molto maggiore che quella di queste donne, se non che la brevità

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Nonostante ciò, l’ipotesi più economica sembra quella di un guasto altissimo, già in Bx, proprio della costruzione perifrastica, per omissione del gerundio: questa avrebbe provocato un’incertezza testuale che, lungi dal risolversi e assestarsi in x1, avrebbe dato origine alla diffrazione tra x2 e x3 (delle cui due soluzioni è meno banale quella di x2, intendendo cercare nel senso di ‘compiere un’indagine, esaminare’).95 FR2 w avrebbero tentato96 di porre rimedio con una forma semplice, peraltro suggerita dal contesto (Che dirò ... ne dice). Non crea, infine, particolari problemi 151.a, un’opposizione di tempo verbale tra il perfetto dicea di x1 e il presente dice di F3 F7 FR2 w. La differenza, ancorché lieve, diventa di qualche interesse se la si considera inserita entro un periodare complesso in cui si alternano – a partire dal paragrafo 141 – perfetti e presenti a seconda che siano riferiti all’azione del personaggio (la madre di Dante) o al commento del narratore. Il luogo parallelo di Chig ha coerentemente un perfetto (151 « Et vide la madre in luogo di lui levarsi un paone »), mentre B ha una situazione che si presta all’ambiguità. In assoluto, dicea potrebbe riferirsi tanto alla madre quanto al narratore. Tuttavia la serialità coll’immediatamente precedente (150.a) « Ma seguita che cadere il vide » e il confronto con To 220 (« Seguentemente dice che di pastore subitamente il vide divenuto un paone ») sembrano conferire maggiore dignità alla lezione di F3 F7 FR2 w e inducono a considerare un’innovazione quella di x1. A consuntivo della disamina dei pochissimi luoghi utili, ancor più povero risulta il capitale di elementi da mettere in gioco per provare la dipendenza di F3 F7 FR2 w da un interpositus subordinato a Bx: tolto dal bilancio 145.d, il cui danno – giusta la sua probabilissima resistenza ancora all’altezza di x1, postulabile dalla diffrazione tra x2 e x3 – va respinto più in alto, nel punto cioè in cui è riassunta l’intera tradizione; tolto (forse) della loro è della mia molto lunga avanzata? » (e al plurale Comedia, I 8; Cons. 164). Questo tipo di interrogativa retorica, già classico (ad es. Cic., Att. 7, 25: « Quid dicam nisi illud eum scisse – neque enim erat difficile –, hoc nescisse? ») e ben assestato nella patristica, specie nell’uso di Agostino (Enarr. Ps. 85, 24, 76-77 [ed. Dekkers-Fraipont 1956, CCSL, 39]: « Quid ergo dicam, nisi quod dici potest, cogitari vix potest? »; Epist. 247, 2, 8-9 [ed. Goldbacher 1911, CSEL, 57]: « quid enim aliud tibi dicam, nisi, quod ipse novit, quia cupio? ») raggiunge anche la prosa erudita boccacciana (Mulier. LXXXIV 4: « Quid dicam vidisse tantum veteris prosapie spiritus in Hortensia afflavisse femina, nisi eam merito nomen Hortensie consecutam? »). Si noti infine che questo tipo di interrogativa utilizzata da Boccaccio per introdurre un’autorità letteraria ritenuta imprescindibile pare ricorrente anche nella prosa latina coeva (cfr. p. es. Petr., Fam. VII 7, 8: « Quid dicam nisi quod Ciceroni scribens Brutus? “Pudet conditionis ac fortune” »; e dello stesso Rem. I 34, 2 [ed. Carraud, Grenoble 2002]; Vir. ill. XXI 12, 44; Mem. II 16, 2). 95 Cfr. Filoc. IV 53, 8: « Che andremo dunque più inanzi cercando che amare non si debbia più tosto la pulcella che la vedova? ». 96 Ma l’intervento, se tale, parrebbe da configurarsi come congiuntivo.

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anche 110, la cui opposizione in lezione equivalente lascia intravvedere un possibile intervento d’autore, resta soltanto una lezione probabilmente deteriore causata forse da una cattiva lettura (102.l) e una variante sinonimica originata da una ripetizione non sicuramente erronea (126). La scarsità e la natura specifica di questi luoghi scoraggia perciò la tentazione di collocare a monte di F3 F7 FR2 w una copia perduta dalla quale tutti e quattro siano discesi, ma lascia piuttosto sospettare che essi riflettano direttamente e senza interpositi la fisionomia di Bx, probabilmente da immaginare come un testo non del tutto stabilizzato. Occorre lasciare aperta la questione (evidentemente cruciale per la ricostruzione di B), che merita, oltre a un supplemento di indagine e di riflessione, una trattazione più ampia e dettagliata di quella possibile in questa sede. III. Rapporti di B con Chig e To 1. La dimostrazione di Ricci Nel saggio del 1974 Ricci segue gli stessi criteri usati da Barbi nel 1913. Come per questo il Compendio è posteriore alla Vita perché in più punti la migliora97, così per quello del Compendio la stesura “lunga” (B) è evidentemente posteriore alla “breve” (A): « il compendio più lungo si presenta per più rispetti migliore dell’altro [...] corregge qualche errore [...] inserisce qualche opportuno particolare, interviene con qualche miglioramento stilistico, più largamente e più efficacemente illustra alcuni concetti importanti »; se viceversa avesse ragione Macrì-Leone, e fosse posteriore A, Boccaccio avrebbe « sciupato alquanto » la precedente redazione (B), « e saremmo [...] obbligati ad abbandonare il criterio di giudizio che tanto bene servì al Barbi per dimostrare che la redazione compendiosa era, appunto perché migliore, posteriore alla più ampia ».98 Ricci comincia dunque elencando due errori di A assenti in B: [R. 1] (BGHquali)99

69 A venir OH sentia (B OR); 147 A i libri da poeti composti e GDquali

97 BARBI, Seconda redazione, p. 399: « Ora, dov’è questa dimostrazione [della tesi di fondo del Trattatello: che Dante « riuscì a meritare gli altissimi titoli di teologo, filosofo e poeta nonostante i continui ostacoli che ebbe agli studi per tutta la vita »] condotta meglio e per maggior compiutezza d’argomenti e per migliori espedienti formali, nella Vita o nel Compendio? Senza nessun dubbio, nel Compendio »; e p. 414: « Si vedranno [...] aggiunti nel Compendio particolari o incisi che sono opportunissimi, e talora addirittura necessari; meglio ordinata la materia; più compiutamente o chiaramente o efficacemente espresso il pensiero; meglio conchiuso il periodo ». 98 RICCI, Tre redazioni, pp. 73-74. 99 Cfr. infra Tavv. 2 (ma 69 non è valido, perché in B è stato “rimediato” solo nel ramo deteriore: cfr. sez. II.5, tav. 4) e 9.

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che egli giudica derivare da una imperfetta rielaborazione della 1a red.; « non può dunque esser dubbio che il Boccaccio abbia steso il testo dell’autografo Chigiano [...] derivandolo direttamente dal testo della stesura originaria ».100 Quanto al testo da cui sarebbe derivato B, Ricci osserva che in grandissima parte B coincide con A, e « spiccano certe lacune comuni ai due [...] le quali dimostrano [...] che essi rappresentano due differenti versioni di un medesimo testo ». Elenca quindi due lacune comuni ad A e B: [R. 2] 4 AB di quella ; 33 AB Lunghe furono e molte .101

Dato quanto stabilito in precedenza [R1], B non può che essere « frutto di una revisione »102 di A. Per conferma, Ricci elenca quattro errori di A corretti in B, di cui tre lacune: [R. 3] 39 partendosi ; 121 Ricominciato ... il magnifico ; 97 le religioni, leggi e dottrine delle preterite età dalla dottrina di Cristo, il qual fu e è viva pietra, , divenire una cosa grande, immobile e perpetua; 149 per la quale in brieve tempo GLYHQWDWR (B divenne).103

Altre prove che B « rappresenta la redazione definitiva » sono rinvenibili poi nei passi che Boccaccio « riuscì a migliorare [...] esprimendo il proprio pensiero con più attenta precisione o con più gradevole eleganza ».104 Ricci elenca elenca quattro di questi “miglioramenti” di B: [R. 4] 78 A GROFH]]D della gloria ĺ B YDJKH]]D della gloria (To 125 GROFH] ]D); 96 A a GLR il quale essi che lui non debitamente conoscieno somma salute credeano ĺ B a(l) IDPRVRILQH il quale essi che il vero iddio debitamente non conoscieno ecc. (To 142 a quel ILQH il quale essi che il vero iddio debitamente non conosceano ecc.); 110 A FHUR ĺ B FDQGHORWWR; 137 A uno VFULSWRin fiorentin volgare ĺ B uno FRPHQWR in f. v. (To 199 uno FRPPHQWR).105

RICCI, Tre redazioni, p. 76 (qui e infra i corsivi sono nostri). Cfr. infra Tav. 2. 102 RICCI, Tre redazioni, p. 77. Revisione evidentemente non perfetta, se ha lasciato nel testo i due errori appena citati. 103 Cfr. infra Tavv. 3 e 9, e per 149 nt. 244. 104 RICCI, Tre redazioni, p. 77. 105 Cfr. infra Tavv. 4, 8 e 10. Quanto a 110 A « Idio togliesse via che colui, che nel seno della phylosophia allevato e cresciuto era, divenisse cero del suo Comune » (senza riscontro nella 1a red.), secondo RICCI, Tre redazioni, p. 79: « cero qui non è la parola adatta, perché cero sta a designare una candela di grossissime proporzioni, collocata stabilmente sugli altari [...] tutt’altra cosa dalla candela da portarsi in processione, per poi lasciarla in chiesa come offerta votiva »; in B Boccaccio avrebbe perciò scelto « il termine proprio e preciso per indicare la candela da offerta: candelotto ». In realtà (TLIO) candelotto è anche sinonimo di cero, e i due termini paiono sostanzialmente equivalenti. Dalla base-dati OVI si ricava che 100 101

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In fine, per dimostrare che B è un « perfezionamento » di A, Ricci mette in rilievo il fatto più macroscopico, le giunte, « tutte opportune e tutte o suggerite da più matura riflessione o dal naturale accrescersi delle nozioni nel Boccaccio ».106 Ne elenca sei:107 [R. 5] 102.b-c (differenza tra Sacra Scrittura e poesia); 102.e-q (utilità della poesia); 108bis (la quarta proprietà dell’alloro); 134bis (commento sulla persecuzione postuma di Bertrando del Poggetto); 145.a-f (influsso delle costellazioni sulle inclinazioni umane); 151bis (simbolismo del pavone).108

Di esse, solo le prime due presentano riprese, ampliate, dalla 1a red.; 102.b-c e 145.a-f sono rilevate coincidere con passi delle Esposizioni; 102.e-q con passi delle Genealogie; 108bis con un brano della Collatio laureationis di Petrarca.109 La conclusione prudente della dimostrazione è stata ricordata sopra (sez. I). 2. Osservazioni e ipotesi Nel saggio che sopra si è cercato di riassumere, il filologo fiorentino non distingue tra codice e redazione (tant’è che non disegna uno stemma), e sembra non dar peso al fatto che B non è autografo. Non prende cioè in considerazione l’ipotesi che in B – come lui almeno virtualmente l’ha ricostruito, e pubblicato in apparato ad A – ci siano elementi non autentici (interpolazioni o banalizzazioni).110 È un dubbio insidioso, ma inevitabile, a cui dopo la recensio di B delineata nella sez. II si possono dare risposte più fondate. Come già ricordato (sez. I), Barbi aveva ipotizzato all’origine di B un codice, autografo, intermedio tra To e Chig: ma non si scordi che per noi B è un ente ricostruito sulla base di più testimoni, ovvero, a giudicare da quanto emerso nella sez. II.4 e da quanto emergerà in questa sezione del presente contributo, un archetipo (Bx). Caratterizzato peraltro, s’è vicandelotto, mai altrove in Boccaccio, è solo in testi statutari: non è detto che la variante sia d’autore. Dante usa in rima sia cero (Par., X 115) sia candelo (Par., XI 15; XXX 54) per metafora dell’anima luminosa (e illuminante) dei beati. 106 RICCI, Tre redazioni, p. 80 107 Cfr. ROSTAGNO, Vita di Dante, pp. VI-VIII; DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 37, nt. 1; entrambi, va ricordato, parlano di soppressioni e parti compendiate di A rispetto a B, aderendo all’ordine di successione Macrì-Leone / Barbi. 108 Edite in apparato in RICCI, Boccaccio. Trattatello2, pp. 520, 520-522, 523, 530, 533, 535; la corrispondenza con la commatizzazione per lettere alfabetiche resasi necessaria è esplicitata nella sez. II.1, nt. 35; per rinvii generici a un’intera macrovariante si aggiungerà qui bis al numero di paragrafo corrispondente di A. 109 Peraltro già ampiamente usata nella 1a red.; ma 108bis riflette anche le più tarde Genealogie, come già rilevato da BARBI, Seconda redazione, p. 411, nt. 1; e annotato ad loc. dallo stesso RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 910, nt. 36. Cfr. infra Tav. 11. 110 Legittimi dubbi sull’autenticità di « tutte » le varianti « anche modeste o minime » attribuite a B da Ricci sono stati avanzati da LIPPI, Boccaccio, p. 350.

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sto e si vedrà, da non molti né gravi errori. Se non in tutti i particolari, dunque, certo nella sostanza B riflette una rielaborazione d’autore: troppe essendo le tangenze con altre opere di Boccaccio111 nelle macrovarianti rispetto ad A (R. 5). Come detto, queste per lo più riprendono materiale dalla 1a red. (con somiglianze formali notevoli), ma presentano anche sviluppi e argomentazioni nuove, che hanno contatti con intertesti petrarcheschi (Collatio, Invective) e boccacciani, soprattutto con Genealogie e Esposizioni. Mentre per le Genealogie si può partire dall’ipotesi che i loro contatti con la 2a red. del Trattatello (A e B) siano frutto di un lavoro anteriore o coevo (specie quelli negli ultimi due libri, databili ante 1365/67),112 le coincidenze di B113 con le più tarde Esposizioni (1373-74) saranno più probabilmente da intendersi come riprese da parte di queste ultime.114 Si tenga conto che nelle Esposizioni Boccaccio sembra utilizzare non solo la 2a red., ma anche la 1a del Trattatello.115 Tali macrovarianti sono d’interpretazione inevitabil111 A meno di non ricadere nello scetticismo estremo che spinse Domenico Guerri ad atetizzare gran parte delle Esposizioni come opera di interpolatore, proprio perché riprendevano larghi brani da Genealogie e altre opere boccacciane, tra cui il Trattatello (cfr. PADOAN, Ultima opera, pp. 99-107). 112 ZACCARIA, Boccaccio. Genealogie, p. 1593, nt. 1. Dato che le tangenze in questione riguardano soprattutto Gen. XIV e XV, sarebbe fondamentale poter restringere l’arco temporale di questi libri (post 1362/63? ante 1366? cfr. PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, pp. 210-211), per formulare ipotesi meno aleatorie circa la priorità di A o B, e il loro rapporto cronologico coll’opera latina. Contatti colle Genealogie si ravvisano anche nel testo comune della 2a red.: p. es. in AB 83-85 le parti (« oltre alle sue lode », « corrispondenti [...] tempi ordinati », « di modi e di vocaboli », « di parlare esquisito ») aggiunte rispetto a To 130-131 sembrerebbero risentire di Gen. XIV 7, 1 e 4; XIV 8, 6, ma il rapporto potrebbe essere ovviamente inverso (così per PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, pp. 178-179, secondo cui movente della rielaborazione del Trattatello sarebbe Petr., Fam. XXI 15, 8). 113 Poiché è B che ha parti in più rispetto ad A, contatti “caratteristici” colle Esposizioni saranno rilevabili in B, non, di norma, in A: unica eccezione A 137 scritto (B commento): cfr. infra Tav. 4. 114 Secondo BILLANOVICH, Pietro Piccolo, p. 493, nt. 122 (con cui PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, p. 202), delle « tre redazioni del Trattatello » « l’ultima è anteriore al 1372 », perché non mostra di conoscere la fondamentale lettera di Pietro Piccolo da Monteforte che lascerà cospicue tracce nell’ultima red. delle Genealogie e nelle Esposizioni. L’argomentum e silentio, che Billanovich nel 1955 applicava alla red. chigiana (A), ultima secondo l’ordine Macrì-Leone / Barbi, vale anche per B. 115 Le puntuali riprese verbali dalla Vita rilevate da MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita di Dante, pp. XXVI-XXVII, LVI-LVII, furono svalutate da BARBI, Seconda redazione, p. 411, nt. 1, per il quale uno scrittore così « facondo » come Boccaccio non aveva bisogno di andare a rileggersi la Vita per tali minuzie, e le tangenze si spiegavano più ovviamente colla grande familiarità dell’autore colla sua materia. Come Barbi, sostanzialmente, ha giudicato più vicina alle Esposizioni la 2a red. del Trattatello PADOAN, Ultima opera, pp. 36-43, 97. Che stendendo le Esposizioni Boccaccio consultasse To pare accertato dalla lezione del testo dantesco citato (PETROCCHI, Chiosa aggiuntiva, p. 20; FEOLA, Varianti marginali, p. 123; e qui il contributo di Mecca). Da una sua rilettura, se non sempre dalla memoria, potrebbero perciò provenire

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mente ambigua riguardo all’ordine di successione tra A e B. È del tutto verosimile che la memoria (o la rilettura) di altre proprie opere abbia agito in Boccaccio in modo più o meno forte a prescindere dall’epoca della composizione o scrittura di A e B, per fatto involontario o volontario.116 Nulla vieta – tanto più nell’incertezza della cronologia di A e soprattutto di B – che Boccaccio abbia alla fine rifiutato alcune (o molte) delle aggiunte fatte durante la rielaborazione del Trattatello.117 Se tuttavia si escludono le due sezioni (102-109 [digressione sulla poesia] e 145-156 [sogno della madre di Dante]) in cui divergono più fortemente, per più di tre quarti del Trattatello A e B possono esser definiti due “stati” o “stesure” della stessa redazione. Di esse, dal punto di vista sostanziale (concettuale), sembra B la più “perfetta”. Ciò non implica, però, una sua inevitabile posteriorità. A, cioè Chig (gli altri mss. di A essendo stati dimostrati o fondatamente ipotizzati descripti da esso),118 potrebbe ben esparticolari minuti come quelli rilevati da Macrì-Leone, cui se ne potrebbero facilmente aggiungere altri. Così se Esp. Acc. 76 « estimò così al suo lavorio dovere avvenire » rinvia a 2a red. 129 « estimando non dover meglio avvenir della sua [opera] » (cfr. SCHEFFER-BOICHORST, Dantes Verbannung, p. 199; a torto svalutato da MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita di Dante, p. XXV), il sost. riecheggia 1a red. 178 « a così alto lavorio si diede infino allo stremo della sua vita »; analogo incrocio di echi in PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, p. 193, nt. 134 (2a red. 129 « corrispondente, quanto alla prima apparenza, agl’ingegni de’ prencipi odierni » ĺ Esp. Acc. 77 « conforme, almeno nella corteccia di fuori, agl’ingegni de’ presenti signori », cfr. 1a red. 226 « agli odierni ingegni conforme »). Cfr. inoltre Esp. Acc. 32 « in quella [...] prese altissimi principi » con 1a red. 25 « li primi inizii [...] prese nella propria patria »; Esp. Acc. 37 « l’effetto nol nasconde » (= Dante, Purg. VI 138) con 1a red. 16 « per lo effetto seguito » e 18 « seguì al nome l’effetto » (cfr. GUERRI, Commento del Boccaccio, pp. 73-74); Esp. Acc. 76 « da’ prencipi e da’ signori e dagli eccellenti uomini » con 1a red. 192 « da’ prencipi e dagli altri grandi uomini » (2a red. 129 « da’ prencipi »); Esp. III II 16 « da diversi impeti della fortuna » con 1a red. 63 « li furiosi impeti della Fortuna ». 116 Come già riconosceva BARBI, Seconda redazione, p. 411 (pur valorizzando tali contatti), « si potrebbe sempre obiettare che essendo materie familiari al Boccaccio da molto tempo opportunità varie possono aver consigliato così d’aggiungere [...] come di togliere [...] e che quindi coincidenza di pensieri non implica necessariamente contemporaneità d’opere ». 117 Una fenomenologia in parte simile, è noto, è stata riscontrata nei passaggi redazionali delle Genealogie: prima aggiunte, poi “tagli” sistematici, coinvolgenti anche parti da poco inserite; cfr. ZACCARIA, Per il testo delle Genealogie, pp. 182-184, 201, 203, 237-238. 118 Cfr. ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. XXII; DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 70-71; e soprattutto ID., Tradizione del 2° Compendio. Ai sette rappresentanti di A derivati da Chig considerati da Rossi e De Robertis (BNCF II I 62, Pal. 204 e 561; BMLF Ashb. 679 e Ashb. App. 1920; BAV Chig. M.VII.142; Ver. Cap. 820) vanno aggiunti i tre indicati nella sez. II.1, nt. 32 (Marucell. B VI 52; BNCF Magl. IX 136 e Landau Finaly 172): l’ultimo dei quali già DE ROBERTIS, Schede III, pp. 218-220, aveva dimostrato, ma per la Vita nuova, strettamente affine, se non antigrafo, dell’Ashb. 679, a sua volta noto (da BARBI, Dante. Vita nuova2, pp. CLXII-CLXIV) descriptus del Pal. 561. In base agli studî citati (a cui va aggiunto l’ancor utile ROSTAGNO, Vita di Dante, pp. LIII-LIV), e a qualche collazione supplementare, i rapporti interni alla tradizione del Compendio A si possono così riassumere: da Chig sono derivati da una parte Pal. 561 (come provano errori di lettura come 30 Dalui so diquesta

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sere una copia in sé non troppo accurata, con difetti più o meno evidenti, e forse con tagli per amor di brevità.119 Gli errori certi o probabili ravvisabili in Chig120 s’iscrivono nella nota fenomenologia degli errori d’autore (che ha proprio in Boccaccio uno degli esempi da manuale): non serve ricordare le diagnosi sulla patologia della copia nel Decameron, aggravate negli ultimi anni da analisi meno indulgenti verso il Boccaccio copista di sé stesso.121 Come nel Berlinese del Decameron, anche nel Chigiano del Trattatello potremmo vedere esemplificata la fattispecie di una copia più tarda, d’autore, in vari particolari meno fededegna122 di copie non autografe risalenti a una fase elaborativa precedente. Cercare di determinare rapporti di priorità tra due stesure della stessa redazione sulla base di varianti spesso adiafore, collegandole ad altre opere dell’autore aventi con tali stesure un rapporto cronologico non sicuro o comunque non dirimente, comporta un’inevitabile tasso di soggettività nei giudizi del critico. Per limitare tale inconveniente si cercherà di fondarsi, almeno in prima istanza, sulle varianti in cui è possibile istituire una giouane [Chig Dalui|so diquesta giouane], 30 excellentissimi|ame(n)te [Chig excelle(n)tissim amente], 46 'Jre appresso [Chig 7J|ro, con -o evànido], 48 deano non potere auer luogo [Chig dea|no potere auer luogo], ecc.; d’altro canto la lacuna a 148 cosi laphy(losophi)a dogni cosa buo|na e optima componitrice, non causata né dal contesto né da Chig [laphy(losophi)a dogni cosa buona maestra uerissima co(n)la sua doc|trina e optima co(m)ponitrice], conferma, insieme ad altri casi, che la derivazione da Chig non fu diretta [come già dimostrato, per la Vita nuova, da BARBI, Dante. Vita nuova2, pp. CLXVI-CLXVII; analogo il rapporto per le canzoni di Dante: DE ROBERTIS, Dante. Rime, II, pp. 341-344]), donde Landau 172 e (molto probabilmente da questo) Ashb. 679; dall’altra (giusta la classificazione di DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio) un ramo Į, a sua volta bipartito in m (capostipite di Ver. Cap. 820 [cui sembra far capo il Marucell. B VI 52: cfr. sez. II.1, nt. 32] e BNCF II I 62) e Ar (rappresentato da Pal. 204 e BAV Chig. M.VII.142); indipendenti da Pal. 561 e Į appaiono sia il BNCF Magl. IX 136 sia il frammento Ashb. App. 1920 (le cui varianti furono già pubblicate, in calce a quelle di Chig e Pal. 561, da ROSTAGNO, Vita di Dante, che lo datò entro il secolo XIV [ibid., pp. XXXIII e XLVIII]). 119 BARBI, Dante. Vita nuova1, p. CLXXV; ID., Seconda redazione, p. 426, avanzava l’ipotesi di una trascrizione leggermente abbreviata (di A) fors’anche per «necessità di spazio o di tempo»; ma DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 36, ha giustamente rilevato che in Chig si tratterebbe di una ben «modesta economia» di spazio e scrittura: il codice non è certo una copia “economica” del Dante e Petrarca (si veda qui anche la descrizione di Bertelli alle pp. 50-52). 120 Molti di meno che nel Berlinese del Decameron, anche per la lunghezza ben diversa del testo da copiare (e l’età meno avanzata del copista). 121 Sia nell’autografo conservatosi, Berlinese Hamilton 90, sia nell’antigrafo [AX] comune del Berlinese e del codice Mannelli. Oltre ai classici studi di Vittore Branca e Franca Brambilla Ageno, cfr. soprattutto BRESCHI, Ms. Parigino It. 482 e FIORILLA, Per il testo (da cui si può ricavare gran parte della bibliografia pregressa). 122 Come pare confermare la qualità testuale deteriore della copia chigiana delle opere dantesche rispetto alle precedenti d’autore (DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, pp. 35, 60). E si vedano ora i contributi di Giancarlo Breschi e Giuliano Tanturli nel catalogo Boccaccio autore e copista, in particolare a pp. 252, 256, 259-260.

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“triangolazione” A – B – To. L’operazione può aver senso solo nel presupposto che non si debbano attribuire tutte o la maggior parte delle differenze o somiglianze tra redazioni o stesure alla libertà mnemonica e linguistica dell’autore: scelta in astratto sempre possibile, ma vanificante ogni tentativo di discriminare con qualche oggettività tali varianti.123 S’è proceduto quindi nella convinzione che Boccaccio in A e in B abbia lavorato sia da copista di sé stesso – e ciò soprattutto nelle parti dove le due stesure sostanzialmente coincidono – sia da libero rielaboratore della propria opera. A differenza che in Chig – e To, che però qui non entra in discussione –, in B non sono ravvisabili lacune caratteristiche (almeno nelle parti comuni con A).124 Chig non offre di norma particolari in più rispetto a B. Pochissime, e di limitata estensione, sono le lezioni di Chig senza preciso riscontro in To o in B, indiziabili cioè di rielaborazione.125 Anche in Chig insomma si può ritenere, come nel Berlinese del Decameron, che « sull’autore prevalga tendenzialmente lo scriba ».126 E tale fisionomia più riproduttiva che autoriale (ma certo scontando il fatto non secondario che là si tratta di opere altrui) è stata dimostrata o plausibilmente ipotizzata anche per le trascrizioni dantesche e petrarchesche contenute in Chig.127 Dato dunque che Chig (= A) è una “copia a buono”, e che quindi deve derivare da un autografo di servizio (Xa) in cui è avvenuta la rielaborazione del Trattatello a partire da To (o da altro autografo, perduto, della 1a red.); e posto che, se con Bx designiamo l’archetipo della tradizione B (sez. II.4), va ipotizzata necessariamente l’esistenza di un autografo (Xb) da cui esso Bx derivi: la questione è stabilire se (IPOT. 1) Xb deriva da Chig (A) collazionato (verosimilmente da Boccaccio) con To (o comunque con un codice d’autore della 1a red.);128 o se (IPOT. 2) Xb deriva da Xa, o meglio Xa 123 Né pare qui il caso di sospettare intenti di razionalizzazione eccessiva o sordità alla creatività del grande narratore, per un’opera, il Trattatello, in cui la perizia retorica e stilistica fa comunque i conti con una materia erudita e in più parti dipendente da iniziative altrui (Petrarca soprattutto, ma anche la tradizione esegetica della Commedia; cfr. MAZZONI, Guido da Pisa interprete). 124 Una probabile lacuna eliminata per diffrazione a 145.d (cfr. sez. II.7, tav. 9.b.bis). 125 Cfr. 145 e 149, che si discuteranno più avanti (Tavv. 12 e 13). 126 BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. LII (anche se per molti particolari lo stesso Branca, come noto, concede che Boccaccio si sia comportato da libero riscrittore della propria opera). 127 DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 61 (e 39). Lo stesso DE ROBERTIS, ibid., p. 37, ha ravvisato in Chig un solo luogo (tra f. 8v e 9r: eccedenza di righe di testo e rasura subito prima della giunta di 105bis [in B]) in cui sarebbe sospettabile « un ripensamento rielaborativo » dell’autore-copista. 128 Non sono emersi elementi materiali che dimostrino la dipendenza diretta di A o B da To. Per economia di ragionamento e di ricerca, con To si è sempre identificata la 1a red. nei riscontri addotti ad A e B. Che tutta la numerosa tradizione manoscritta della 1a red. derivi da To fu ipotesi di VANDELLI, rec. Passerini, p. 137; confermata da ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, pp. XX-XXI; e soprattutto da BETTARINI BRUNI, Manoscritto ricostruito, pp. 243-247.

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e Xb sono due fasi di elaborazione del medesimo esemplare di lavoro X, da cui sono derivati indipendentemente Chig e Bx. Come si vedrà, l’ipotesi più fondata appare l’IPOT. 2. Resta invece incerto, sulla base dei riscontri testuali, se Boccaccio abbia trascritto Chig (A) prima di aver elaborato (in X) tutto il testo che leggiamo in B. Non è detto, del resto, che tutte le varianti che nella tradizione caratterizzano A e B siano da attribuire a una stessa stesura originale: può ben essere che nell’ipotizzato esemplare di lavoro X della 2a red. si siano stratificate nel tempo varianti, aggiunte, cassature (provvisorie o definitive), tra cui prima l’autore stesso (in Chig = A) e poi altri (in Bx) abbiano scelto più o meno liberamente. 3. Dimostrazione dei rapporti tra A e B A e B sono uniti da un errore congiuntivo e hanno in comune lezioni che appaiono lacunose: Tav. 1 Errore congiuntivo A + B To

A (Chig)

B

133 Questa buona e laudevole intentione della roça età mosse molti ad diverse inventioni nel mondo multiplicante per apparere; e, dove i primi una sola deità honoravano, mostrarono i seguenti molte esserne, chome che quella una dicessono oltre ad ogni altra obtenere il principato

87 Adunque questa buona e laudevole intentione della roça età mosse molti ad diverse inventioni nel mondo multiplicante per apparere; e, dove i primi una sola deità adoravano, stoltamente mostrarono D VHJXHQWL esserne molte, come che quella una dicessero oltre ad ogni altra ottenere il principato

87 Adunque questa buona e laudevole intenzione della rozza età mosse molti a diverse invenzioni nel mondo multiplicante per apparere; e, dove i primi una sola deità adoravano, stoltamente mostrarono D VHJXHQWL esserne molte, come che quella una dicessero oltre ad ogni altra ottenere il principato

Errore ingannevole129 (sogg. di mostrarono pare sempre i primi), ma evidente al confronto con To: i seguenti che « mostrano essere molte » deità sono la stessa cosa dei molti che sono « mossi » (dal desiderio della prima « rozza età » di onorare l’unica divinità) a inventare una falsa pluralità (di dèi) nell’umanità che si moltiplica,130 per mettersi in vista; la corruzione 129 ROSTAGNO, Vita di Dante, p. 38.11, corr. i seguenti (secondo la 1a red., cfr. MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita di Dante, p. 49.21); GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 86 conserva a’ seguenti, e come lui tutti gli editori seguenti. Tra i manoscritti di A (tutti derivati da Chig, cfr. supra nt. 118) solo il tardo Ashb. 679, f. 11r, reca mostrarono Lseguenti. 130 Il giusto significato del sintagma nel mondo multiplicante in MARTI, Boccaccio. Opere minori, IV, p. 355, nt. 271 (« mentre le genti crescevano »; cfr. GIORDANO DA PISA, Prediche sul secondo capitolo del “Genesi”, ed. S. GRATTAROLA, Roma 1999, p. 168: « Unde elli li diede Eva

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(svista d’autore?)131 fa cadere il chiasmo i primi... adoravano / mostrarono i seguenti.132 Tav. 2 “Lacune” di A + B 133 To

A (Chig)

B

8 conoscendo io me essere di quella medesima città, advegna che picciola parte, della quale [...] Dante Alighieri fu grandissima

4 quantunque piccol sia, pur GLTXHOOD son cittadino

4 quantunque piccol sia, pur GL TXHOOD son cittadino

in compagnia, acciò che ’l mondo multiplicasse e li omini nascessero »). La parafrasi di RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 884, non è letterale. 131 Non fosse questi Boccaccio, copista notoriamente incline a confusioni ed equivoci, si sarebbe indotti a ritenerlo più un equivoco non d’autore (di un idiografo?). 132 Probabile una svista di Boccaccio anche a 47 AB tanto e subitamente sì l’avilupparono i vani honori (To 60 tanto l’avvilupparono li vani onori): un ramo di B ha corretto tanto e sì subitamente (cfr. sez. II.5, tav. 4), come ROSTAGNO, Vita di Dante, p. 24.1. Guerri e gli editori seguenti hanno conservato la lez. di Chig. L’uso di Boccaccio (e in genere dell’italiano antico) non pare consentire un iperbato come quello tràdito da A e B; frequente invece il sintagma sì subitamente (e cfr. Filoc. II 48, 1: « con tanto furore né sì subitamente »). Forse Boccaccio voleva mutare il primitivo tanto (To) in tanto e sì (‘tanto e in tal modo’: Tes. VI 53, 7; Dec. IV concl. 15; X 6, 35: cfr. BARBI, Nuova filologia, p. 84), e ha poi inserito in modo impreciso subitamente; ma può essere una banale inversione. L’emendamento suggerito da BRUNI, Boccaccio, p. 28, nt. 14, di AB 61 impeti in *impedimenti non tien conto (a tacer d’altro) di 60 impetuoso. 133 Cfr. supra R. 2 (4 e 33) e R. 1 (69, in effetti comune ad A e B).

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40-42 in tanta aflictione, in tante lagrime rimase, che molti de’ suoi più congiunti e parenti e amici niuna fine ad quelle credettero altra che solamente la morte; e questa extimarono dovere essere in brieve, vedendo lui ad niuno conforto, ad niuna consolatione portagli dare orecchie [...] niuna hora si trapassava sença guai, sença sospiri e sença copiosa quantità di lagrime [...] infra alquanti mesi apparò a ricordarsi, sença lagrime, Beatrice esser morta, e [...] ad conoscere li pianti e li sospiri non potergli [...] rendere la perduta donna [...] né guari di spatio passò che, dopo le lasciate lagrime, li sospiri [...] cominciarono in gran parte ad partirsi sança tornare ...

33 La partita della quale tanto impatientemente sostenne il nostro Dante, che, oltre a’ sospiri e a’ pianti continui, assai de’ suoi amici lui quel sença morte non dover finire extimarono. /XQJKH IXURQR HPROWH e per lungo spatio ad ogni conforto datogli tenne gli orecchi serrati

33 La partita della quale tanto impazientemente sostenne il nostro Dante, che, oltre a’ sospiri e a’ pianti continui, assai de’ suoi amici lui quel senza morte non dover finire estimarono. /XQJKH IX URQR H PROWH e per lungo spazio ad ogni conforto datogli tenne gli orecchi serrati

113 Le quali parole udendo egli dir dietro a sé, e conoscendo che da pura credenza delle donne venivano, piacendogli, e quasi contento che esse in cotale oppinione fossero, sorridendo alquanto, passò avanti.

69 Di che Dante, perché da pura credenza venir OH sentia, sorridendo passò avanti.

69 Di che Dante, perché da pura credenza venir OH sentia, sorridendo passò avanti.

Pur corretti, a differenza di 87, da quasi tutti gli editori,134 i tre casi sono meno importanti del precedente, perché non hanno perfetta corrispondenza nella 1a red., e perché potrebbero essere tutti espressioni “implicite” o ellittiche più o meno tollerabili nella sintassi boccacciana. Forse non veri errori (specie 4 e 69),135 appaiono tuttavia meglio spiegabili con 134 ROSTAGNO, Vita di Dante, p. 5.5 (da cui GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 68; e RICCI, Boccaccio. Trattatello1, p. 106) corr. 4 di quella città, come nell’ed. principe Milano 1809 (da MT); RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 851 preferisce di quella republica, meglio adatto al contesto (approvato da DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 247); a 33 ROSTAGNO, ed. cit., p. 16.12 molte le sue lagrime, sempre dall’ed. Milano 1809 (a sua volta da MT corr.), recepito da tutti gli editori seguenti; a 69 ROSTAGNO, ed. cit., p. 34.4 venir lo sentia, da F2 (ed. Milano 1809 venir ciò s., da MT corr.), recepito da GUERRI, ed. cit., I, p. 83; e RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 852. 135 Infatti conservati da ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, pp. 171 e 181; il secondo anche da RICCI, Boccaccio. Trattatello1, p. 130. Per AB 4 (dove di quella ... cittadino sostituisce in effetti di quella medesima città ... parte, sì che integrare città nella 2a red. sarebbe pleonastico) cfr. p.

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una “potatura” un po’ affrettata della 1a red.,136 e quindi hanno comunque valore congiuntivo. L’ipotesi più economica per giustificare i casi delle Tavv. 1 e 2 sarebbe che in B (non autografo) tali lezioni siano derivate da A (autografo), responsabile primo delle sviste (o libertà sintattiche). A questa ipotesi, equivalente alla nostra IPOT. 1, e all’ipotesi di Ricci (To ĺ A ĺ B), si oppongono tuttavia molteplici casi di accordo di B + To vs A. Tav. 3 Lacune o lezioni più brevi di A rispetto a B + To

137138

To

A (Chig)

B

112 i capelli e la barba VSHVVL, neri e crespi

68 i capelli e la barba crespi e neri

68 i capelli e la barba VSHVVL, crespi e neri

112 e sempre QHOOD IDFFLD malinconico e pensoso

68 e sempre malinconico e pensoso137

68 e sempre QHO YLVR malinconico e pensoso

128 sì chome superiore potentia da niuna DOWUD potentiata

81 sì come superiore potença da niuna || potentiata

81 sì come superiore potenza da niuna DOWUD potenziata

130 nelle quali OH si porgessero sacrate lusinghe

83 nelle quali oltre alle sue lode si porgessero sacrate lusinghe

83 nelle quali oltre alle sue lode OH si porgessero sacrate lusinghe138

es. 1a red. 60: « quasi tutto al governo di quella si diede », cioè ‘della repubblica’ (o meglio re publica come sempre negli autografi [ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. XXII]), implicito in « alla [cura] publica » di qualche rigo sopra (così sostanzialmente MARTI, Boccaccio. Opere minori, IV, p. 330, nt. 122: « della cosa pubblica »; insostenibile invece la chiosa di RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 870, nt. 266); infatti poi 2a red. 47 « quasi tutto della republica [...] al governo si diede ». AB 69 le (= parole) può riferirsi ad sensum al discorso diretto appena riferito, allo stesso modo che in 1a red. 192 « i lasciò stare » si riferisce implicitamente ai tre versi appena citati (2a red. 129 « lasciati stare i versi »; cfr. RICCI, ed. cit., p. 850). 136 Così per 69 RICCI, Boccaccio, Trattatello2, p. 852: « Il B[occaccio] cadde nell’errore perché il testo della prima redazione, dalla quale egli compendiava, faceva riferimento a un sostantivo femminile plurale ». Analogamente a 33, eliminando le ripetute lagrime della 1a red., Boccaccio sembra aver usato invece del maschile (*Lunghi = i « pianti », e *molti = i « sospiri ») il femminile per interferenza con la 1a red. (se non abbia semplicemente “saltato” il sogg. implicito nella sua mente); l’incertezza sembra trasparire anche dalla frase immediatamente precedente: AB 32 « oltre a’ sospiri e a’ pianti continui, assai de’ suoi amici lui quel senza morte non dover finire estimarono »; RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 902, nt. 99, chiosa quel ‘ciò’ [= quel sospirare e quel piangere], ma in To 40 il riferimento era più esplicito (« in tante lagrime rimase, che molti de’ suoi più congiunti e parenti e amici niuna fine a quelle credettero altra che solamente la morte »). 137 Col precedente forma un doppio endecasillabo (cfr. infra nt. 145). 138 Cfr. Gen. XIV 8, 6: « voluerunt verba componi, per que ipsius deitatis laudes et magnalia monstrarentur, et populi vota exprimerentur, et preces secundum oportunitates hominum porrigerentur eidem ».

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

143 Volle... mostrare tutte le preterite età dalla doctrina di Cristo, il quale fu e è viva pietra, GRYHUHVXEPHUJHUVLH ODFULVWLDQDUHOLJLRQHQDWDGL TXHVWD SLHWUD, divenire una cosa immobile e perpetua

97 Volle... monstrare tutte le religioni, leggi e doctrine delle preterite età dalla dottrina di Cristo, il qual fu e è viva pietra divenire una cosa grande, immobile e perpetua

97 Volle... mostrare tutte le religioni, leggi e dottrine delle preterite età dalla dottrina di Cristo, il qual fu e è viva pietra, GRYHUH HVVHUH VRPPHUVHHODFULVWLDQDUHOL JLRQHQDWDGLTXHVWDSLHWUD, divenire una cosa grande, immobile e perpetua

145 l’uomo diventa idio per participatione LQFLHOR

99 l’uomo diventa idio per participatione

99 l’uomo diventa iddio per participazione LQFLHOR

183 Ricominciata adunque da Dante la magnifica RSHUD non forse secondo che molti extimerebbono sença più interromperla la perdusse alla fine

121 Ricominciato adunque Dante il magnifico non forse secondo che molti stimano sença più interromperlo il perdusse ad fine

121 Ricominciato adunque Dante il magnifico ODYRUR139

207 Una particella, nel processo promessa di questa operetta, PL UHVWD D GLFKLD UDUH

142 rammemorandomi una particella nel processo promessa

142 rammemorandomi una particella nel processo promessa UHVWDUHDGLFKLDUDUH

226 sì come sopra i piedi pare che tutto il corpo si sostenga, così prima facie SDUH che sopra il modo del parlare ogni opera in iscriptura composta si sostenga

154 sì come sopra i piedi pare che tutto il corpo si sostenga, così prima facie che sopra il modo del parlare ogni opera in iscriptura composta si sostenga

154 sì come sopra i piedi pare che tutto il corpo si sostenga, così prima facie SDUH che sopra il modo del parlare ogni opera in iscrittura composta si sostenga

non forse secondo che molti stimano senza più interromperlo quello produsse a fine

139

Boccaccio avrà voluto sostituire alla ripresa immediata di 120 « opera intermessa » (= 1a red. 182) quella più strutturale di 116 « mentre egli era più attento al glorioso lavoro » (= 1a red. 179), con sostantivo carico di valenze dantesche (Par., I 13) e petrarchesche (Coll. laur. 2, 10, e passim; nonché Laur. priv. « post labores studiorum » [SOLERTI, Vite, p. 598.26], da confrontare con Tratt. 1a red. 157 = 2a red. 104); cfr. l’explicit esametrico della Commedia negli autografi Ricc. 1035 e Chig. L.VI.213 (che Bertelli in questo volume a p. 46 peraltro intenderebbe, con Vandelli, in senso codicologico e non letterario) = Carm. VIII 1 « longi [...] laboris » (invece Carm. V 3: « opus [...] mirabile »); e infra nt. 243. Ma avrà agito anche il « compenso a distanza » con 5 « magnificamente operare » (1a red. 8 « magnificamente fare »). 139

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A parte 97 e 121, sicure lacune d’autore,140 e meno assolutamente 154,141 le altre lezioni di A non sono erronee e sono state perciò conservate da Ricci,142 nell’impossibilità per ognuna di esse di risolvere (in senso sfavorevole ad A) il dubbio « omissione involontaria o deliberato alleggerimento? ».143 Tutte queste lezioni di A non hanno – tranne due – valore separativo nei confronti di B (tale cioè da dimostrare l’indipendenza di questo da A): pur se fosse derivato da A (IPOT. 1), B resterebbe sempre il prodotto di una collazione con To, o comunque con un testo della 1a red. (come dimostrano, ricordo, le macrovarianti in cui riprende particolari di To assenti in A), e avrebbe potuto perciò “sanare” le lacune. D’altro canto, nulla impedisce che Boccaccio abbia commesso questi errori o fatto queste abbreviazioni trascrivendo A dall’antigrafo X di B (IPOT. 2). Diversi però appaiono i casi di 99 (per cui cfr. infra Tav. 10) e soprattutto 142. A 142 Ricci giudica l’« integrazione » di B « sommamente opportuna » (pur non ammettendola a testo, come in quasi tutti gli altri casi su elencati, perché « anche senza quelle parole, che facilmente si possono sottintendere, il periodo è compiuto »), ma la lez. di A pare a noi frutto di cor140 Genere di svista di cui Boccaccio dà prova anche in altri autografi, cfr. MASSÈRA, Boccaccio. Opere latine minori, p. 263, nt. 1; ROMANO, Boccaccio. Genealogie, II, pp. 860-862; ZACCARIA, Boccaccio. De mulieribus, pp. 460-463; BRANCA, Boccaccio. Decameron4, pp. XLVIIIXLIX. Le due lacune di A sono state integrate da GUERRI, Boccaccio. Comento, I, pp. 89 e 97, su B, come i seguenti editori (ma ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. 185, la prima dovere summergersi, con To). 141 Conservato solo da ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. 194. L’integrazione obbedisce a esigenze retoriche di parallelismo, non a necessità sintattica, visto che il secondo pare potrebbe essere sottinteso: così RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 852 (e DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 248); ma lo stesso Ricci giustifica l’integrazione anche perché « qui il B. ripete ad verbum il testo della prima redazione [...] dove il pare c’è ». Dunque secondo lui qui Boccaccio agisce da copista e non da autore (cioè non sarebbe il caso di scomodare la categoria di ‘rielaborazione’ o ‘libertà creativa’ per un’omissione così poco significante). 142 Cfr. RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 853 (insieme ad altri casi meno rilevanti); tra di esse, tuttavia, 81 sarà da attribuire al cambio di facciata in Chig, ff. 6v-7r (GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 85, lo integrava tacitamente, seguito da ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. 182; e RICCI, Boccaccio. Trattatello1, p. 132). 143 È il dubbio che si pone a più livelli della tradizione più autorevole del Decameron, in particolare nell’opposizione redazionale tra il cod. Parigino it. 482 = P e l’autografo Berlinese Hamilton 90 = B (questo in coppia col parallelo Laur. 42.1 = Mn); nell’elenco di BRANCA, Varianti narrative e stilistiche, si vedano p. es. le sospette « omissioni » di B a Intr 16, 70 e 96; I 2, 22; I 5, 3; I 10, 10; II 6, 55; II 7, 35, 81 e 106; II 10, 8; III intr 16; III 2, 3 e 26; ecc.; o i più probabili « alleggerimenti » a II 6, 71, 76, 77; II 7, 2, 116, 120; III 1, 7; III 3, 8; ecc. Come noto, Branca propende quasi sempre per l’« alleggerimento » (non è questa, ovviamente, l’unica tipologia di varianti di B rispetto a P); altri studiosi (Brambilla Ageno, Padoan, Marti, Breschi, Fiorilla) danno meno credito a B (e al suo antigrafo, se da esso dipende [ma non per Ageno e, almeno in un primo momento, Padoan] Mn).

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rezione voluta: in effetti la particella promessa [cfr. 14], cioè il sogno della madre... e il significato di quello, alla fine della 2a red. non resta soltanto a dichiarare, come nella 1a red. (nella quale all’inizio [To 17] il sogno è narrato, e alla fine di nuovo – poco economicamente144 – narrato [To 208] e “dichiarato” [To 209-227]), ma, appunto, ancora da narrare (143-144), e poi da “dichiarare” (145-156). Sembra poco verosimile che Boccaccio, se avesse prodotto l’antigrafo Xb di B collazionando To con Chig (IPOT. 1), si fosse confuso e avesse reinserito da To un sintagma ormai incongruo nella nuova struttura della 2a red. da lui già fissata in Xa = Chig (ancor meno verosimile che questa confusione sia addebitabile a un copista cui Boccaccio avesse affidato una tale delicata operazione). Sembra più probabile invece (IPOT. 2) che elaborando la 2a red. in X Boccaccio abbia eliminato la narrazione iniziale (14) del sogno, ma arrivato a 142 si sia limitato a modificare To 207 senza eliminare, per svista, l’informazione superata: l’errore sarebbe stato poi corretto da Boccaccio in Chig, ma non dalla mano (non d’autore) che da X ha tratto B (cioè Bx). Tav. 4 Coincidenze “minori” di B + To vs A

145

To

A (Chig)

B

63 dalla dolceça della gloria tirato

50 dalla dolceça della gloria WUDFWR

50 dalla dolcezza della gloria tirato145

144 Cfr. BARBI, Seconda redazione, pp. 405-406, anche circa il possibile riferimento a To 18 « sì come si vedrà procedendo » di To 207 « nel processo promessa di questa operetta » (altrimenti senza riscontro esplicito in To), che significherebbe quindi ‘(mi resta da spiegare una parte) che ho promesso di spiegare nel corso dell’opera’. 145 Da confrontare con 17 A « da laudevole vagheça di perpetua fama tratto », B tirato, ma To 22 omette il participio (come i mss. derivati, e MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita di Dante, p. 11.21; invece GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 9, e i seguenti editori, lo integrano su Chig = A; per BETTARINI BRUNI, Manoscritto ricostruito, p. 241, come BRANCA, Boccaccio. Decameron5, p. 444, nt. 9, a Dec. III 10, 6, basta intendere da ‘per’ causale); altrove To oscilla (118 « da questo diletto tirato », 174 « da niuna altra cosa tirati che dal piacer loro », contro 13 « o dall’amore [...] o dal piacere [...] tratto », 146 « tratti dal piacere dell’uno »: solo nell’ultimo caso col parziale riscontro di AB 101 « di trar gli uomini »), secondo le abitudini di Boccaccio, che predilige in casi analoghi tirato (11 ess. nella base-dati OVI: sei autografi: Dec. I intr 52; I 10, 17; III 5, 6 e 8; IX concl. 6) rispetto a tratto (2 ess.: Cons. 12; Esp. V I 7). Per l’oscillazione cfr. Dec. IV 1, 35 P traeva / B tirava (ma il verbo ricorre poco prima); Concl 12 P tirato / B tratto; BRANCA, Variazioni narrative, pp. 78, 186. Il movente nel Trattatello può essere prosodico (A 50 endecasillabo; A 17 due ottonari). E cfr. Cic., Archia 26: « trahimur omnes studio laudis » (cit. in Gen. XV 13, 2).

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146147148

63 credendosi... molto più di bene potere operare

50 sperando di potere... molto di bene DGRSHUDUH

50 sperando di potere... molto di bene operare146

130 degne di ragionare

83 degne di SURIHULUH

83 degne di ragionare

131 paressero avere

84 SRWHVVHUR avere

84 paressero avere

134-5 a farsi adorare. [...]. Questi cotali, non fidandosi tanto...

88 a farsi come Dio adorare; OLTXDOL, non fidandosi tanto [...]

88 a farsi come Dio adorare; e questi, non fidandosi tanto [...]

140 li pargoletti nutrichi

94 li SDUJROL nutrichi

94 li pargoletti nutrichi147

140 e in occulto serva quello onde essa le menti de’ sublimi intenditori con admiratione tengha sospese

94 e in occulto serva quello onde DVVDL le menti de’ sublimi intenditori con admiratione tenga sospese

94 e in occulto serva quello onde essa le menti de’ sublimi intenditori con ammirazione tenga sospese

142 con trasmutationi d’uomini in varie forme

96 con WUDVIRUPDWLRQL d’uomini in varie forme148

96 con trasmutationi d’uomini in varie forme

160 Secondo che vogliono coloro, li quali [...], il lauro tra l’altre più sue propietà n’à tre [...]: la prima si è, come noi veggiamo, che mai egli non perde né verdeça né fronda

106 9RJOLRQR coloro, li quali [...], il lauro, sì come noi medesimi veggiamo, giammai verdeça non SHUGHUH

106 Secondo che vogliono coloro, li quali [...], il lauro, sì come noi medesimi veggiamo, giammai verdezza non perde

146 Nella 2a red. op- intrans. a 89, 96, 99, 101; adop- trans. come qui a 38 e 121(= To 183 op- [adop- della restante tradizione della 1a red.: BETTARINI BRUNI, Manoscritto ricostruito, p. 246]). Cfr. BRANCA, Variazioni narrative, pp. 27, 79, 81, 96, 100, 180, 182: Dec. I 9, 3 (P op- e adop- / B adop- e op- trans.); IV 1, 49 (P op- / B adop- intrans.); IV 3, 10 (P op- / B adop- intrans.); V 2, 47 (P op- / B adop- trans.); V 5, 12 (P op- / B adop- trans.?), X 9, 68 (P op- / B adop- intrans.), X 10, 26 (P op- / B adop- intrans.). 147 Analoghe oscillazioni in Dec. III 3, 26 (P feminetta / B femina), V 2, 15 (P femmina / B feminetta), V 5, 35 (P crocetta / B croce); V 6, 4 (P isola / B isoletta), VII 3, 38 (P piccolin / B piccoli), VIII 2, 11 (P cipollette / B cipolle), VIII 6, 41 (P scatoletta / B scatola), IX 6, 12 (P figliuolo / B figlioletto), X 5, 3 (P novella / Mn novelletta), X 9, 28 (P figliuoli / B figlioletti), X 9, 86 (P torchietto / B torchio): cfr. BRANCA, Variazioni narrative, pp. 57, 95, 100, 101, 120, 132, 137, 156, 167, 178, 180. 148 Cfr. Dec. II 9, 42: « trasformatasi tutta in forma d’un marinaro »; Rubr. Inf. XXV « trasformarsi maravigliosamente in diverse forme » (di contro al dantesco trasmutare, -rsi, cfr. Inf. XXV 101 « non trasmutò sì ch’amendue le forme »). To 43 trasformato, 145 trasformato... mutato (= AB 99 trasformato... trasmutato... trasformato). Cfr. Esp. II II 38 « le poetiche fizioni [...] ne dicono alcuno uomo essersi transformato in lupo, alcuno in leone, alcuno in asino o in alcun’altra forma bestiale »; e Esp. IV I 135 trasformazioni = Metamorphoses.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

161 extimarono l’opere di questi cotali essere di tanta potentia, che né il fuoco della invidia, né lla folgore della lungheça del tempo, la quale ogni cosa consuma, dovesse mai queste potere fulminare

107 vollono gli antichi mostrare che l’opere di coloro che di quello si coronano esser di tanta potença dotate da Dio, che né il fuoco della ’nvidia, né la folgore della lungheça del tempo, la quale ogni altra cosa consuma, TXHOOD149 debba potere offuscare, rodere o diminuire.

107 vollono gli antichi mostrare che l’opere di coloro che di quello si coronano esser di tanta potenza dotate da Dio, che né il fuoco della ’nvidia, né la folgore della lunghezza del tempo, la quale ogni altra cosa consuma, quelle debba potere offuscare, rodere o diminuire.

182 dove assai manifestamente, chi ben riguarda, può la ricongiuntione dell’opera intermessa conoscere

120 dove assai manifestamente, chi ben JXDUGD, può la ricongiuntion dell’opera intermessa ULFRQRVFHUH

120 dove assai manifestamente, chi ben riguarda, può la ricongiunzione dell’opera intermessa conoscere

199 Compuose ancora uno commento in prosa in fiorentino volgare sopra tre delle sue cançoni distese

137 E sopra tre delle decte cançoni [...] compose uno VFULSWR in fiorentin volgare

137 E sopra tre delle dette cançoni [...] compose uno compose uno comento in fiorentin volgare

220 Seguentemente dice che di pastore subitamente il vide divenuto un paone

151 (YLGHODPDGUH in luogo di lui levarsi un paone

151 Seguentemente dicea che in luogo di lui vide levarsi un paone

227 Qual voce è più horrida che quella del gastigante

155 Et niuna è più horrida voce GL quella del gastigante

155 E niuna è più orrida voce che quella del gastigante

229 La mia piccioletta barca

157 La mia SLFFLROD barca

157 La mia piccioletta barca150

149150

Cfr. infra Tav. 11. Per To + B cfr. Dante, Par., II 1; per A cfr. Par., XXIII 67 (pileggio da picciola barca: e dopo nel Trattatello appunto « pileggio »). Sulla diversa influenza della memoria dantesca ipotizzabile nelle diverse copie/redazioni del Decameron cfr. BRANCA, Variazioni narrative, pp. 202-203, nt. 5. 149 150

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Si aggiungano i casi seguenti, in cui solo una parte, anche esigua, ma poziore (come visto nella sez. II) della tradizione di B coincide con To, in lezioni che – pur minime – paiono difficiliori: Tav. 5 Altre coincidenze B + To vs A To

mss. di B

altri mss. di B

A

129 in rappresentamento della ymaginata essentia divina, fecero in varie forme magnifiche statue, e a’ servigi di TXHOOD vasellamenti d’oro e mense marmoree e purpurei vestimenti

82 F1 F3 F7 MT We in rappresentamento della imaginata essenzia divina, fecero in varie forme magnifiche statue, e a’ servigi di TXHOOD151 vasellamenti d’oro e mense marmoree e purpurei vestimenti

82 in rappresentamento della imaginata essenzia divina, fecero in varie forme magnifiche statue, e a’ servigi di quelle vasellamenti d’oro e mense marmoree e purpurei vestimenti

82 in rappresentamento della ymaginata essentia divina, fecero in varie forme magnifiche statue, e a’ servigi di quelle vasellamenti d’oro e mense marmoree e purpurei vestimenti

141 per la colpa del SULPLHUR152 huomo

95 F7 MT We per la colpa del SULPLHUR uomo153

95 per la colpa del primo uomo

95 per la colpa del primo huomo

143 nel UXEUR154 verdissimo

97 F7 FR5 G nel UXEUR155 verdissimo

97 nel rubo verdissimo

97 nel rubo verdissimo

187 acciò che insieme andassero ad cercare QHO luogo mostrato a llui

125 F3 F7 FR2 MT We acciò che insieme andassero a cercare QHO luogo mostrato a lui

125 acciò che insieme andassero a cercare il luogo mostrato a lui

125 acciò che insieme andassero ad cercare il luogo mostrato a llui

151152153154155

151 Cfr. Gen. XIV 8, 5: « rati sunt [...] costituendas eius [= divinitatis] in sacris argenteas mensas et aureas fialas, candelabra et aurea quecunque vasa ». 152 Ma leggono primo molti mss. della 1a red., cfr. BETTARINI BRUNI, Manoscritto ricostruito, p. 247, nt. 34; e questa era la lez. adottata (prima della scoperta di To) da MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita di Dante, p. 52.22. 153 Cfr. Esp. IV I 41 « Adamo fu [...] il primiero uomo »; per l’oscillazione cfr. BRANCA, Variazioni narrative, p. 93: Dec. V 1, 20 (P primo inamoramento / B [+ Mn] primiero i.). 154 Cfr. BETTARINI BRUNI, Manoscritto ricostruito, p. 242; GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 40.18 rubo (tacitamente recepito dagli editori seguenti, compreso RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 473), come già MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita di Dante, p. 53.2, il quale segnalava in app. rubro in sei mss.: la lez. di To « è conservata da diversi manoscritti tra i quali i più antichi », BETTARINI BRUNI, loc. cit.). Dalla base-dati OVI la forma rubro appare molto più rara. 155 F3 rumbo.

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Quelle elencate nelle Tavv. 4 e 5 sono per lo più varianti minime, come tali non stimolanti a correzioni, anche perché – coll’eccezione forse di una156 – non erronee. Perciò, nonostante il parere avverso di Ricci,157 queste “microvarianti” di A vs B + To sembrano le più utili per dimostrare l’indipendenza di B da A: più non solo delle lacune della Tav. 3, ma anche delle macrovarianti (R. 5) in cui B si avvicina a To: se per queste seconde Boccaccio sarebbe dovuto evidentemente tornare a To (o ad altro esemplare della 1a red.), non si capirebbe perché lo avesse fatto, per particolari minimi,158 anche nel trascrivere larghe porzioni del testo della 2a red. in cui A coincide sostanzialmente con B. A meno di non ritenerle tutte involontari echi mnemonici o casuali coincidenze dell’uso linguistico boccacciano, dobbiamo considerarle lezioni che hanno – tranne forse 94159 – va156 Cioè 88, dove il relativo di A (« Et poi subseguentemente avendo già cominciato diversi in diversi luoghi, chi con uno ingegno e chi con un altro, a ffarsi sopra la moltitudine indocta della sua contrada maggiori e ad chiamarsi Re e mostrarsi alla plebe con servi e con ornamenti, e ad farsi ubidire, e talvolta ad farsi come dio adorare; li quali, non fidandosi tanto delle lor forçe, cominciarono ad aumentare le religioni, e con la fede di quelle ad impaurire i suggetti e ad strignere con saramenti alla loro obediença quegli li quali non vi si sarebbon con le forçe recati ») introduce un anacoluto, non ardito (cfr. p. es. Esp. VII I 81-82; e Dec. Intr. 35, su cui BRESCHI, Ms. Parigino It. 482, pp. 104-105), là dove B presenta paraipotassi. 157 RICCI, Tre redazioni, pp. 79-80, nt. 2: « Sono una ventina i passi nei quali il compendio più lungo [B] combacia esattamente con la prima redazione, mentre il compendio più breve [A] va per conto suo. Di fronte a tale situazione bisogna guardarsi bene dal concludere che la redazione più breve dev’essere l’ultima, in quanto altera un testo trasmessosi integro dalla prima stesura al compendio più lungo. Siffatta conclusione viene infatti immediatamente smentita da altri passi nei quali, invece, vanno d’accordo la prima stesura e il compendio più breve, lasciando isolato il più lungo (p. es. B 44 esso, mentre i due autografi hanno egli; 78 vaghezza, mentre i due autografi hanno dolcezza); senza contare, naturalmente, i passi che soltanto il compendio più esteso possiede rispetto alle altre redazioni ». Ma B 44 legge egli come To e A (così F3 F7 FR2 MT We; x1 esso); e B 78 vaghezza è sospetto (cfr. infra Tav. 8); e i passi che B ha in più, come detto, non implicano di per sé la sua posteriorità (cioè del suo antigrafo) rispetto ad A. 158 Di qui la riserva implicita nell’assenso di DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 256, secondo cui B « sarebbe una successiva revisione [di A], anche nel senso della correzione di un’eccessiva brevità, per lo più, va detto, con recupero di lezioni, anche minime, della 1a redazione » (corsivo nostro). 159 A 94 assai, certo meno banale di esso (tanto che per DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 248, « potrebbe trattarsi di variante d’autore »), ma sintatticamente così alieno dall’usus boccacciano (lontano com’è da aggettivo o verbo) che potrebbe ben essere stato eliminato dall’autore a una rilettura di Chig (IPOT. 1); il pronome di B pare confermato dalla tarda ripresa Esp. I II 23: « e donde egli [questo libro] sospenda con ammirazione le menti de’ più provetti ». Per il forte sospetto che sia una svista (così anche per RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 852, che la corregge, a differenza dei predecessori [compreso lo stesso RICCI, Boccaccio. Trattatello1, p. 137] che l’avevano mantenuta), cioè un lapsus di lettura, la lez. di Chig pare confrontabile con casi come Dec. I 2, 15 B più (P puoi); II 9, 66 B più (P pur): BRANCA, Variazioni narrative, pp. 23 e 49.

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lore separativo di A vs B. Tanto più 83 e 137, dove A sembra riflettere una evoluzione non recepita da B. A 83 proferire è difficilior (lat. proferre verba: Vita Petr. 21; Cas. I 11, 3) e nel senso di ‘pronunciare (ad alta voce)’ più tecnico e adeguato al contesto (Esp. I I 109; II I 25 e 31, III I 16; IV I 87).160 A 137 sarebbe secondo Ricci161 più generico e risentirebbe di Conv. I III 2: « lo mio scritto, che quasi comento dir si può »; poi Boccaccio tornerebbe in B al più preciso commento, sulla scorta di più passi del Convivio (I IV 13; V 6; VII 11, ecc.). Ma la definizione di A appare in effetti più tecnica, alla luce di Esp. IV I 369: « È intra lo “scritto” e ’l “comento”, che sopra l’opera d’alcuni autori si fanno, questa differenza: che lo scritto procede per divisioni e particularmente ogni cosa del testo dichiara; il comento prende solo le conclusioni e, senza alcuna divisione, quelle apre e dilucida ».162 Dalla recensio di B non sono emerse lezioni erronee di B spiegabili con fatti grafici di Chig (che sarebbe la prova decisiva di un’eventuale descriptio). C’è un caso rilevante, 65, che se a prima vista potrebbe dimostrare il contrario, pare anzi confermare che B non deriva da Chig.

160 Forse casuale la somiglianza di F. VILLANI, Expositio, ed. Bellomo, Firenze 1989, 280: « elegerunt qui tali Deo digna verba proferrent » (in un lungo passo che parafrasa Bocc., Esp. I I 69-112). 161 RICCI, Tre redazioni, p. 79. 162 Cfr. nello stesso Chig, ma in sezione aggiunta in secondo tempo (si vedano in questo volume i contributi di Bertelli a p. 54; e di Cursi a p. 88), f. 29r: « Incipit scriptum super cantilena Guidonis de Cavalcantibus a magistro Dino del Garbo egregio medicine doctori editum ». Che il Convivio fosse un commento Boccaccio poteva sapere da G. VILLANI, Nuova cronica, ed. Porta, Parma 1991, X CXXXVI 48 app. (1a red.?). Della conoscenza diretta del trattato dantesco da parte di Boccaccio dubita AZZETTA, Antichi lettori del Convivio, pp. 80-81: una sua chiara influenza sulla 1a red. del Trattatello ravvisa invece PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, p. 183, secondo l’opinione già invalsa (cfr. p. es. GUERRI, Commento del Boccaccio, p. 122; o varie note di RICCI, Boccaccio. Trattatello2; meno cogenti i collegamenti suggeriti da BRUNI, Boccaccio, p. 28: per gli « impedimenti » agli studi la prima “fonte” di Boccaccio era certo Petr., Coll. laur. 3, 3). Il trattato doveva comunque essere abbastanza noto nella Firenze di metà Trecento, se lo conosceva (circa 1339-1341; o 1344-47) un mercante come Domenico Lenzi (o Benzi) il Biadaiolo (bastino i chiari echi da Conv. I I 19 e soprattutto I III 4 in PINTO, Biadaiolo, pp. 158-159 [solo il primo rilevato da BRANCA, Biadaiuolo lettore, p. 205]).

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Tav. 6

163

To

A (Chig)

B

90-91 Li quali versi stati ad me mostrati poi piú tempo apresso [...] ymaginai non essere sconvenevole quegli adgiungnere ad queste cose. [...] tutti meco examinatigli, per arte e per intendimento piú degni extimai che fossero .xiiij. factine da maestro Giovanni del Virgilio bolognese

65 Nondimeno, più tempo poi, me ne furono mostrati: \\de’ quali// 163 alquanti, factine dal maestro Giovanni del Virgilio, sicome più laudevoli al mio giudicio, ne elexi

65 Nondimeno, più tempo poi, me ne furono mostrati DOTXDQWL GH TXDOL DOTXDQWL fattine da maestro Giovanni del Virgilio sicome più laudevoli al mio giudicio, ne elessi

Il passo è stato ampiamente rimaneggiato nella 2a red., sì che manca il riscontro con To.164 B pare un chiaro errore d’anticipo,165 mentre Chig corretto presenta un nesso relativo secondo l’ordine latineggiante consueto in Boccaccio.166 La coincidenza del primitivo alquanti di Chig e di alquanti de quali alquanti in B si configura come errore congiuntivo. Il fatto che l’integrazione de quali sia chiaramente e univocamente leggibile in Chig,167 e l’ipotesi che essa sia frutto di una rilettura immediata (o comunque non tardiva)168 da parte dell’autore, impongono la deduzione che B QRQ possa derivare da Chig, e che i due diversi errori di Chig (prima lez.) e B derivino per diffrazione da un comune antigrafo X in cui ci fosse una lezione ambigua o una correzione poco chiara:169 Boccaccio l’avrebbe eliminata in Chig Agg. marg. della mano di Boccaccio: DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 33. Ma cfr. To 89 « alquanti, li quali in quel tempo erano in poesì solennissimi in Romagna ». 165 Dei mss. di B (cfr. sez. II.3, tav. 2), F3 legge solo alquanti (per omeoteleuto o conciero?); in MT una mano seriore corr. il secondo alquanti in alcuni. 166 Cfr. Filoc. IV 138, 13; V 46, 10; Comedia, XXXV 32; Corb. 147 (221), Dec. VIII 9, 17; Esp. IV I 97 (« de’ quali si truovano ancora alquanti »). 167 E bene l’ha interpretata sia l’archetipo Į dei quattro mss. di A classificati da DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio (cfr. supra nt. 118; il luogo non è infatti tra quelli registrati nelle sue tavole: un controllo conferma che Pal. 204, Chig. M.VII.142 [riscontrato per me da Marco Cursi, che ringrazio] e Ver. Cap. 820 leggono effettivamente come Chig corretto; invece Naz. II I 62, f. 46vb, legge mostrati alq(u)antj Fattiuj integrato a marg. dalla stessa mano deq(u)alj prima di alq(u)antj [ma dalla classificazione citata è escluso che il testimone sia copia diretta di Chig]), sia Pal. 561 (e derivati Landau Finaly 172 e Ashb. 679) sia Magl. IX 136, anch’essi coincidenti con Chig corretto. 168 Come mi conferma Marco Cursi, non ci sono elementi paleografici per ipotizzare quanto tempo dopo il testo sia stata scritta la nota a margine. 169 Simile la fattispecie ipotizzata da BRANCA, Boccaccio. Decameron4, pp. LXXIX-LXXX per i copisti di B (Boccaccio) e Mn « di fronte alla stessa difficoltà » nel comune antigrafo (e cfr. ibid., pp. LXXI-LXXII). Analoga congiunzione tra autografo (corretto in seconda battuta) e parte 163

164

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solo in seconda battuta, senza però riportare – o riportando in modo equivoco – la soluzione in X, donde l’errore di B. La deduzione non cambierebbe di molto ove si concedesse – senza necessità – che l’errore d’anticipo sia di Boccaccio,170 che l’avrebbe commesso in X per poi “pasticciarlo” e infine eliminarlo in Chig; in tal caso B si sarebbe limitato a copiarlo. Altre ipotesi paiono meno verosimili. Da quanto precede (Tavv. 3-6) si è portati dunque a concludere che B non ĸ A. E cioè ad abbandonare l’IPOT. 1. Resta in piedi l’IPOT. 2. In base alla quale B risulta indipendente da A, ma non è tuttavia dimostrato quale delle due stesure sia posteriore. La vecchia ipotesi (Macrì-Leone/Barbi) To ĺ B ĺ A potrebbe essere recuperata intendendo per B la stesura a monte di Bx, e cioè ipotizzando che già in X fosse sostanzialmente fissata la 2a red. quale la leggiamo nella tradizione di B. A questa ipotesi sembrano opporsi casi di accordo A + To vs B. Anche se molto inferiori di numero agli accordi B + To visti sopra, e di qualità non così “minima”, sono ravvisabili però alcune lezioni “separative” di B vs A, tali cioè da provare che A non può essere derivato da un testo simile a B (a meno di non ritenere che anche trascrivendo Chig Boccaccio possa essere ritornato, per rilettura o memoria, a To: che sembra ipotesi meno economica).171 Tav. 7 Lezioni “più lunghe” di B vs A + To To

A (Chig)

B

28 Gli studij generalmente sogliono solitudine e rimotione di sollecitudine e tranquillità d’animo disiderare

23 Gli studii generalmente sogliono solitudine e rimotion di sollecitudine disiderare e tranquillità d’animo

23 Gli studii generalmente sogliono solitudine e rimozione di sollecitudine strana e tranquillità d’animo disiderare

della tradizione apografa era stata pensata per Tes. V 27, 7-8 da CONTINI, Frammenti, I, pp. 538-539. 170 « È ben noto che il Boccaccio copista si mostra singolarmente incline ad errori per inesatto anticipo di memoria o per attrazione di lemma vicino » (PADOAN, In margine al centenario, p. 264). Oltre ai casi di minore entità registrati in BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. XLVII (tav. X, nr. 4), si vedano quelli segnalati da BRAMBILLA AGENO, Errori d’autore, p. 132 (Dec. IX 7, 4 [B + Mn]; cfr. BRANCA, ed. cit., p. L, nt. 1); EAD., Codice Berlinese e codice Mannelli, pp. 14 (IV 1, 59: B + P), 15 (X 9, 76: B) e 26 (VII intr. 7: B + Mn); altri casi restano più dubbi. Cfr. anche Chig, f. 13v, r. 19, Vita nuova, II 8 [1.9]: quella poeta parola del poeta col primo poeta sottolineato per espunzione secondo l’uso boccacciano. Nel nostro caso, peraltro, è antieconomico attribuire all’autore un errore dei testimoni apografi ma non dell’autografo. 171 Dato soprattutto il tipo delle varianti di B, non erronee (il caso pare quindi diverso dall’ipotesi di « un minimo d’intelligenza o di memoria » o di « una collazione » con To da parte del Boccaccio copista in Chig delle canzoni di Dante, formulata da DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio, p. 43; e cfr. ID., Dante. Rime, II, pp. 322-323).

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197 E il simigliante si sforçava di fare dell’ossa dell’auctore ad ecterna infamia e confusione della sua memoria, se a cciò non si fosse opposto uno valoroso e nobile cavaliere fiorentino, il cui nome fu Pino della Tosa, il quale allora a Bolognia, dove ciò si tractava, si trovò, e con lui messere Hostagio da Polenta, potente ciascuno assai nel cospecto del cardinale di sopra decto.

134 E se un valoroso cavaliere fiorentino, chiamato messer Pino della Tosa, e messere Hostagio da Polenta, li quali amenduni appresso del legato eran grandi, non avessero al furor del legato obviato, egli avrebbe nella città di Bolognia insieme col libro facte ardere l’ossa di Dante.

134 E se un valoroso cavaliere fiorentino, chiamato messer Pino della Tosa, e messere Ostagio da Polenta, li quali amenduni appresso del legato eran grandi, non avessero al furor del legato ovviato, egli avrebbe nella città di Bologna insieme col libro fatte ardere l’ossa di Dante. Se giustamente o no Idio il sa.

Tav. 8 Coincidenze di A + To vs B To

A (Chig)

B

125 qual vita è tanto humile, che dalla GROFHÀD della gloria non sia toccha? E per questa vagheça [...]

78 qual vita è tanto humile, che dalla GROFHÀD della gloria non sia tocca? Questa vagheça [...]

78 qual vita è tanto umile, che dalla vaghezza della gloria non sia tocca? Questa vaghezza [...]

182 non a llui ma al marchese VFULVVRQR il loro disiderio

118 non a llui ma al marchese e l’accidente e il disidero suo VFULSVH

118 non a lui ma al marchese e l’accidente e il disidero suo aperse

Tra essi non è probante B 78, verosimilmente da mettere a carico del copista di Bx (e non del suo antigrafo X). Secondo Ricci, l’autore in B avrebbe voluto eliminare il possibile equivoco della frase.172 Dopo che l’aveva scritta così due volte? In realtà B anticipa banalmente il seguente vaghezza, rompendo la sapiente rete di corrispondenze che struttura il brano.173

172 Invece di ‘non esiste uomo tanto umile che non provi il desiderio d’esser glorioso’ la frase in To = A sarebbe stata interpretabile ‘nessuna vita è tanto ingloriosa da non gustare qualche volta come dolce la gloria’ (RICCI, Tre redazioni, pp. 77-78). 173 A 78 « Vaghissimo fu e d’onore e di pompa, per adventura più che non s’appartiene ad savio huomo. Ma qua l v it a è ta nto hu m i l e , c h e da l l a do l c e ç a de l l a g l o r i a n o n si a tocca ? Questa vagheça credo che cagion gli fosse d’amare sopra ogni altro studio quel della poesia, acciò che per lei al pomposo e inusitato honore della coronation pervenisse » (in cui la corrispondenza lessicale tra la parte che precede e quella che segue la frase in questione risulta accentuata dalla drastica riduzione cui è stata sottoposta la seconda rispetto alla 1a

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Stranamente nel saggio del 1974 Ricci non ricorda174 che la frase è una sentenza di Val. Max. 8, 14, 5: « Nulla est ergo tanta humilitas quae dulcedine gloriae non tangatur », da Boccaccio citata anche (con riferimento a sé stesso) in Gen. XV 7, 7: « nulla est tam humilis vita que dulcedine glorie non tangatur ».175 Non pare conforme all’uso di Boccaccio né al genere di letteratura dotta cui nel Trattatello egli vuole senz’altro mostrare di aderire l’ipotesi che l’autore abbia (alla fine?) voluto “variare” la sentenza (peggiorandola, come visto).176 Dubbi di interpolazione non sembrano prevalenti né per B 23 né – tanto meno – per B 134; in entrambi i casi, comunque, non è impossibile – ma certo sembra meno probabile – che Boccaccio prima abbia aggiunto (X = B) e poi tolto (A). B 23 strana può esser precisazione indotta da vari passi del Trattatello177 in cui appar chiaro che anche lo « studio » e la « filosofia » sono forme (lodevoli) di sollecitudine. Sia l’aggiunta di B che l’anticipo dell’infinito (con epifrasi) di A sembrano modi diversi per attenuare la rima solitudine : sollecitudine (e in B ne risultano parisillabi i cola generalmente... e rimozion(e) ... e tranquillità...). B 134 fu sospettato di non autenticità già da Moore, e difeso da Barbi.178 L’aggiunta è certo ispirata dal red.). A favore di A anche il riscontro con 50 « dalla dolcezza della gloria tratto [B tirato] » (= To 63; cfr. Cic., Archia 24: « rustici ac milites, dulcedine quadam gloriae commoti »), più significativo di quello con 17 « da laudevole vaghezza di perpetua fama tratto » (= To 22). 174 Ma cfr. RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 883, nt. 544 (e già ID., Boccaccio. Opere in versi. Trattatello. Prose latine. Epistole, p. 612, nt. 5). 175 Alla fine e a mo’ di scusa del noto vanto di aver riportato la poesia greca in Italia (espresso con orgogliosa triplice anafora « Ipse [...] fui qui [...] » che non può non richiamare quella adibita a Dante in Tratt. 1a red. 19 « Questi fu quel [...] che »). La massima di Valerio è citata anche da Petr., Vir. ill. XXI 10, 45; Benvenuto da Imola, Purg. XI 109-142; F. VILLANI, Expositio, ed. Bellomo, Pref. 5. 176 Una controprova potrebbe fornirla la sentenza di Sall., Cat. 52, 22 passata intatta da To 3 ad AB 3. 177 AB 19 « cresciuta, con la dolcezza del conoscere la verità delle cose, la vaghezza del più sapere, a volere investigar quello che per umano ingegno se ne può comprendere delle celestiali intelligenzie e della prima causa con ogni sollecitudine tutto si diede » (più esplicita la 1a red. 23: « E, preso dalla dolcezza del conoscere il vero delle cose racchiuse dal cielo, niuna altra più cara che questa trovandone in questa vita, lasciando del tutto ogni altra temporale sollecitudine, tutto a questa sola si diede »); 56 « alla filosofia [...] nell’altre sollecitudini vane » (To 75 « altri impedimenti »); 71 « negli studii e in qualunque altra sollecitudine » (= To 116). Sembra avere altro senso lo strana sollecitudine di Comedia, III 6, almeno secondo QUAGLIO, Boccaccio. Comedia delle ninfe2, p. 908, nt. 17: « straordinaria passione » (se non si connetta però l’aggettivo con Comedia, I 10 e 14, intendendolo proprio ‘estranea [all’amore]’). 178 Cfr. MOORE, Dante and biographers, p. 34 (« very strange and cautious remark [...] words which surely no one could seriously suppose Boccaccio to have written »); BARBI, Seconda redazione, p. 405, nt. 1: « Che le abbia scritte non c’è ormai dubbio [in effetti sì, dato che B non è autografo come A]; né so perché debba parere strano questo chiamare a testimonio Dio se possa esser considerato eretico Dante! ».

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

« desiderio di non disapprovare apertamente il giudizio della Chiesa intorno al pensiero politico di Dante »,179 spiegabile in un chierico come Boccaccio, personalmente impegnato (specie nella seconda metà degli anni ’60) nella politica guelfa di Firenze.180 Retoricamente velato – in forma che non c’è ragione di ritenere non autentica181 – il dubbio circa l’ortodossia di Dante sembra contraddittorio colle professioni della sua cattolicità (ma relativamente alla Commedia)182 e salvezza ultraterrena ripetute nel Trattatello, ma è coerente coll’appuntirsi nella 2a red. della critica di Boccaccio al ghibellinismo di Dante.183 Analoga prudente concessione al tempo delle più tarde Esposizioni (dove le cautele cattoliche sono frequenti) nell’ambiguo Rime, CXXIII 1: « Se Dante piange, dove ch’el si sia ».184 179 RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 911, nt. 41; e ID., Tre redazioni, p. 81. BARBI, Seconda redazione, p. 404, metteva in relazione una generale « maggior cautela in cose di religione » ravvisabile nella 2a red. colla famosa visita dell’emissario del beato Petroni (1362) che tanto impressionò Boccaccio. Per analoghe « giunte » frutto di scrupoli di ortodossia religiosa in Gen. V 22, 13 e XII 65, 3 cfr. ZACCARIA, Per il testo delle Genealogie, p. 209, nt. 42 (e per il primo ZACCARIA, Boccaccio, Genealogie, p. 1650, nt. 74). 180 BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico, pp. 146-166. 181 Sintagmi come Dio il sa o simili in Boccaccio hanno, oltre al più normale valore di locuzione elativa (Filoc. V 63, 9; Dec. V 10, 17; VIII 10, 59; Corb. 146 [219]), quello di falsa modestia (Cas. III 14, 10: « utrum autem ad metam [di essere un poeta] proventurus sim, Deus novit ») o di ironia deprezzativa (Cas. II 5, 3: « Qualiter hoc faciant principes hodierni viderit Deus » [= quanto poco procurino la salute e pace dei sudditi]; Gen. XIV 16, 2: « Quis [...] non credet facile hos optime, iuste sancteque in poeticum carmen invehere? Hoc videat Deus [...] » [= con quanta poca ragione inveiscano contro la poesia]; Esp. VI II 27: « Che fine questo costume si debba avere, Idio il sa; credo io che egli da esso molto offeso sia »; Esp. XV 76: « Come i successori suoi questo faccino, Dio ne sa la verità » [= quanto poco seguano il suo esempio]); sì che non si può escludere che quest’ultima sfumatura sia presente anche nel nostro caso. In esso tuttavia l’ipotesi, data la gravità della materia, sembra ben seria, come in Dante, Conv., II V 17: « lo qual movimento, se esso è da intelletto alcuno, o se esso è dalla rapina del Primo Mobile, Dio lo sa; ché a me pare presuntuoso a giudicare »: il modello sarà il noto 2 Cor 12, 2 sive… sive… Deus scit. 182 Tratt. 1a red. 179, 222 = 2a 152. 183 Si confrontino 1a red. 167-170 con 2a 112 (in cui il ghibellinismo di Dante diventa una forma « insana » di « impazienza » dell’esilio, senza attenuanti di « animosità » e « fierezza », e senza più cenno a colpe dei guelfi fiorentini), e 1a red. 195-197 con 2a 133-134. In particolare nella 2a red. sparisce il rilievo dato nella 1a (197) alla volontà del card. Del Poggetto di ardere le ossa di Dante « a eterna infamia e confusione della sua memoria », che opponeva esplicitamente quel tentativo al movente primo del Trattatello, con ciò implicitamente, ma decisamente, prendendone le distanze. Il « ghibellinismo » di Dante sarà comprensibilmente attenuato nelle pubbliche Esposizioni (BRUNI, Boccaccio, p. 468). 184 Secondo PADOAN, Boccaccio. Esposizioni sopra la Comedia, pp. XIII-XIV (= ID., Il Boccaccio le Muse, p. 239) il sonetto sarebbe stato la risposta « non convinta » di Boccaccio a una « probabile insinuazione » (da parte di suoi detrattori) che Dante fosse tra le anime dannate (ma si veda il più tardo son. CXXVI cui rinvia lo stesso Padoan). Non remissiva, ma sarcastica e infastidita sarebbe tale risposta secondo BALDAN, Pentimento ed espiazione, pp. 22-23. Contrario all’autenticità di questo sonetto (come di altri di Boccaccio), anche per una

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Il meno attaccabile con dubbi di errore o interpolazione è B 118, perché difficilior. Ciò che era esplicito nella 1a red. 181-182,185 resta implicito (e oscuro) nella 2a red. 117-118, dove prima del passo in questione non è cenno di alcun desiderio del Frescobaldi. B sembra voler rimediare (con verbo e sintagma “boccacciani”)186 alla poco riuscita abbreviazione cui è stata qui sottoposta la 1a redazione. A favore dell’indipendenza di A da B si vedano inoltre i casi seguenti: Tav. 9 Errori di A (ĸTo?) assenti in B To

A (Chig)

B

51 Egli [= Dante], costumato, quante volte la vulgar turba gli rincresceva, di ritrarsi in alcuna solitaria parte e, quivi speculando, vedere quale spirito muove il cielo [...]

39 Rincrescie spesse volte a’ phylosofanti la turba volgare: per che, da essa SDUWHQGRVL e raccoltosi in alcuna solitaria parte della sua casa, sé sopra sé con la consideration trasportando, talvolta raguarda quale spirito muove il cielo [...]

39 Rincresce spesse volte a’ filosofanti la turba volgare: per che, da essa SDUWHQGRVL DOFXQR e raccoltosi in alcuna solitaria parte della sua casa, sé sopra sé con la considerazion trasportando, talvolta raguarda quale spirito muove il cielo [...]

213 [...] i libri poetici e le loro doctrine, GD quali libri e doctrine fu altissimamente nutricato, cioè admaestrato, il nostro Dante

147 [...] i libri da poeti composti e GD quali Dante sença dubbio e nutricò e aumentò il suo ingegno

147 [...] i libri da poeti composti e GH quali Dante senza dubbio e nutricò e aumentò il suo ingegno

Le due lezioni di A paiono sviste, più che di copia (per lacuna e ripetizione), di rielaborazione a partire da To, come giustamente ipotizzato sua eccessiva meschineria, fu GUERRI, Commento del Boccaccio, pp. 17-22, con argomenti ripresi da LANZA, Boccaccio. Rime, pp. LXXVI-LXXXV. 185 « Li quali veggendo Dino, uomo d’alto intelletto, non meno che colui che portati gliele avea, si maravigliò sì per lo bello e pulito e ornato stile del dire, sì per la profondità del senso, il quale sotto la bella corteccia delle parole gli pareva sentire nascoso: per le quali cose agevolmente insieme col portatore di quegli, e sì ancora per lo luogo onde tratti gli avea, estimò quegli essere, come erano, opera stata di Dante. E, dolendosi quella essere imperfetta rimasa, come che essi non potessero seco presummere a qual fine fosse il termine suo, fra loro diliberarono di sentire dove Dante fosse, e quello, che trovato avevan, mandargli, acciò che, se possibile fosse, a tanto principio desse lo ’mmaginato fine. E, sentendo dopo alcuna investigazione lui essere appresso il marchese Morruello, non a lui, ma al marchese scrissono il loro disiderio, e mandarono li sette canti ecc. ». 186 Cfr. Dec. V 2, 37: « ogni suo accidente aperse ». Per aprire in Boccaccio nel senso di ‘svelare ciò che è segreto o nascosto; manifestare’, cfr. Dec. I 3, 17; II 8, 66; V 6, 18 (BRANCA, Boccaccio. Decameron5, pp. 82, nt. 4; e 274, nt. 7; con rinvii a precedenti danteschi).

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per 147 da Ricci,187 e ipotizzabile anche per 39.188 Possono perciò essere considerate errori di X conservati da A. Là dove non si possa istituire una “triangolazione” To – A – B, ma i tre attestino lezioni diverse, la priorità di A o B resta oggettivamente indecidibile. Si vedano i due casi seguenti, per i quali comunque (come per tutti) si privilegerà un’ipotesi evolutiva. Tav. 10 “Recuperi” di B (da To) o “semplificazioni” di A? To

A (Chig)

B

1 con matura gravità

1 con PDWXULW¹

1 con matura autorità

142 a quel fine il quale essi, che il vero iddio debitamente non conosceano, somma salute credevano

96 a GLR, il quale essi, che lui non debitamente conoscieno, somma salute credeano

96 al famoso fine il quale essi, che il vero iddio debitamente non conoscieno, somma salute credeano

To 1 deve essere stato modificato per evitare una ripetizione col gravità inserito tre righe sopra in 2 a red. (della anticha giustitiaĺ dell’antica iustitia e della sua gravità):189 posto che in Boccaccio gravità e maturità sono spesso sinonimi,190 e che il brano in cui è implicato (con altri) Solone in Cas., III 10, 2-3191 è accostabile sia a To che ad A, sembrerebbe

187 RICCI, Tre redazioni, pp. 75-76 (invece ID., Boccaccio. Trattatello, p. 852, lo considera semplicemente « errore dovuto a scambio di vocali »). 188 Sia A che B vanno riferiti implicitamente al precedente plur. filosofanti, con accordo ad sensum (cfr. supra Tav. 2), reso meno duro in B dal generico alcuno (analogo a 110 B « alcuno che nel seno della filosofia allevato e cresciuto fosse » vs A « colui che [...] era »; To 163 « huomo nel grembo della phylosophia nutricato », ma in diverso contesto). Per 147 prevalgono le ragioni di RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 852 (e DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 248) a favore della correzione, conforme a 146 « sì come il corpo si nutrica e crescie del cibo, così gl’ingegni degli uomini si nutricano e aumentano degli studii », anche se a rigore A potrebbe esser difeso con da strumentale (cfr. BRANCA, Boccaccio. Decameron5, p. 682, nt. 1, a Dec. V 9, 3; ma contra BRAMBILLA AGENO, Ancora errori d’autore, p. 92; più normale in effetti il valore causale, cfr. SALVI-RENZI, Grammatica, p. 662). Entrambe le lezioni di A erano state mantenute da GUERRI, Boccaccio. Comento, I, pp. 75 e 103, e dagli editori seguenti fino a RICCI, Boccaccio. Trattatello1, pp. 118 e 157. 189 Cfr. Gen. XIV 9, 5: « antiquitate ac [...] gravitate venerabilis » (il grecus Esopo). 190 Cfr. p. es. morum gravitas in Cas. V 18, 9; VI 1, 35 (Cicerone); Gen. XIV 4, 1 (dei legisti); XIV 5, 4 (dei poeti); XV 6, 4 (Andalò del Negro); e maturitate morum (dei legisti) in Cas. III 10 cit. sotto; ma anche gravi... maturitate in Epist. XIX 4; maturo, -ità in Comedia XXVII 31, Amor. vis. XLIII 13, Dec. IX 10, 3 (gravità in Esp. IV I 89). Riferiti a Dante maturo, -ità nel Tratt. 1a red. 63 e 111 (solo il secondo in 2a red. 70) indicano piuttosto l’età. 191 « Veteres quidem gravissimos homines et sacris phylosophie doctrinis imbutos ad capessendos iuris apices destinare consuevere, ut non solum valerent memoria sanctionum, sed maturitate morum sanctitate virtutum et etatis veneratione legum iussionibus conformes essent. Tales quippe, ut Phoroneum Minoem Ligurgum Solonem aliosque vetustissimos et

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posteriore la scelta di B (Xb?), che attribuisce a Solone il sost. di Gen. XIV 4, 28.192 A 96 si giustificherebbe secondo Ricci193 colla lettura di Petr., Inv. med. III (da cui Boccaccio avrebbe dedotto che « anche i poeti pagani credettero in un solo Dio »), ma poiché Dio si prestava a equivoci, in B l’autore sarebbe tornato alla 1a red. coll’aggiunta di famoso: « i poeti classici possono condurci alla felicità terrena (il famoso fine), non mai alla celeste »; espressione che « corrisponde esattamente » a Esp. II I 88.194 Per chiarire meglio il senso della frase in questione, va rilevato come essa sia inserita in un parallelo, rimasto sostanzialmente immutato dalla 1a red. (141-142) alla 2a (95-96, con varianti che qui non interessano): come la Scrittura attraverso i suoi insegnamenti ci fa pervenire alla gloria (= vita eterna), così i poeti attraverso i loro insegnamenti morali ci fanno pervenire al fine della somma salute (= la più alta beatitudine). Una forma di “gloria” paragonabile, ma inferiore, alla prima? Il semplice fine della 1a red. è poco chiaro, forse per una confusione più generale che sembra qui mostrare Boccaccio, non accordando bene quanto dice nella parte “storica” con quanto dice nella parte “teorica” circa il parallelo Scrittura – poesia, per una insufficiente distinzione tra poeti antichi e moderni (cristiani).195 B chiarisce che il fine alienigenas sinam... ». La gravità verbale di To ha riscontro in Fiammetta, VIII 18, 2 e Carm. III 59 (+ affermare / affirmare) e meno stretto con Gen. I Pro II, 2; ma cfr. anche Vita Petr. 21 (« verba debita gravitate pensata »); e Val. Max., 6, 4, tit. Graviter dicta et facta; invece maturamente... dire in Dec. IV intr. 6. 192 « Solonis autoritas, qui ex amplissimo legum latore in poesim iam senex voluntarius evolavit » (il sost. già nella red. autografa del Laur. Plut. 52.9 [ROMANO, Boccaccio. Genealogie, II, p. 694.9; cfr. ZACCARIA, Difesa della poesia, pp. 305-306], ma con un esplicito paragone ad Omero [da Plat., Tim. 21c-d, cit. da Petr., Inv. med., ed. Bausi, Firenze 2005, III 97-98], significativo del grande valore simbolico del personaggio per Boccaccio, già nel Trattatello); la legum autoritas è menzionata due volte nello stesso capitolo delle Genealogie (XIV 4, 12 e 17). 193 RICCI, Tre redazioni, pp. 78-79. 194 « La qual cosa, quantunque ad ogni uomo, il quale ha sentimento, molto piaccia, sopra a tutti gli altri piacque a’ Gentili, li quali, non avendo alcuna notizia della beatitudine celestiale, la quale Idio concede a coloro li quali adoperano bene, quelli cotanti li quali virtuosamente adoperavano, a fine d’acquistar fama il facevano, e quella vedersi avere acquistata con somma letizia ascoltavano ». La distinzione precedente fatta da Ricci tra felicità terrena e celeste risente evidentemente di Dante, Mon., III XV 7. 195 Cfr. in generale MÉSONIAT, Poetica theologia, pp. 24-25, 91-100. Si veda a 137 la definizione anacronistica, secondo il modello dell’epica classica (Hor., ars 73-74; Serv., Aen., pro; ma cfr. anche Mussato, Epist. VII 87-97, XVIII 51 [RONCONI, Origini delle dispute, pp. 26, 38-39] e Senece vita, ed. Megas, Thessaloniki 1967, 4, 139-141), dell’« ufficio » dei poeti, infatti eliminata nella 2a red. (cfr. già BARBI, Seconda redazione, p. 409, nt. 1; un recupero parziale della tematica epica nella definizione di Gen. XIV 7, 1); o l’oscillazione tra presente e passato circa l’operato dei poeti (142 mostrano / A 96 mostrarono; B mostrano [solo V mostrarono, FR2 mosteranno]; 144 vollono farci sentire = AB 98; 145 fingono = AB 99; 146 fingono / AB 100 discrissero e finsero).

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è la fama, terrena, evidentemente distinta dalla gloria eterna;196 e istituisce (« virtuosamente operando, al famoso fine ») un collegamento col seguente AB 99 « e viziosamente operando [...] cade in infamia » (diversa la 1a red.): come la virtù conduce al fine della fama, così il vizio a quello dell’infamia. Anche A, pur prestandosi a interpretazioni meno lineari,197 non è privo di connessioni col contesto. Lo si può connettere infatti con AB 99 (= To 145): « fingono li nostri poeti Hercule d’uomo essere in dio trasformato [...], nulla altro volendo mostrarci se non che, virtuosamente operando, come fece Hercule, l’uomo diventa idio per participatione in cielo [A om. in c.] ». Il tema e la stessa espressione « idio per participazione » sono boeziani,198 e si trovano usati anche da Petrarca199 e, prima, da Zanobi da 196 Nel giovanile Filocolo infatti Boccaccio parlava semplicemente di glorioso fine (ottenuto sia con lo studio che con le armi: II 13, 1 [cfr. Tratt. 1a 157, ma è motivo sallustiano]; raggiungibile grazie alla virtù: IV 45, 2), come in Rime, XC 8, dove il glorïoso fin è la corona [...] delle frondi tanto amate (su spunto di Petr., RVF LXXII 8 [SUITNER, Stile delle Rime, p. 101]; dello stesso vedi Fam. XXI 15, 3 [a Boccaccio, cfr. supra sez. I, nt. 8]: « ad clarissimum finem pergis »). Nel lat. crist. glorioso fine quiescere valeva invece ‘morire nella gloria di Dio’. 197 A non pare aver che fare, come invece credeva Ricci, colla questione della credenza dei poeti pagani in un unico dio. Era nozione implicita già in Petr., Fam. X 4, 3 e più esplicita in Tratt. 1a red. 128-129, 133, 136; poi sarà riaffermata più decisamente in Petr., Inv. med., ed. Bausi, III 10, 207, 218; Bocc., Gen. XIV 13, 7-10; Esp. I I 73 (che rinvia esplicitamente all’epistola di Petrarca), IV I 323. Fonte prima è Mussato, Epist. XVIII 48 (cfr. RONCONI, Origini delle dispute, pp. 38, 90, 98). 198 Boet., cons. 3, pr. 10: « omnis beatus est deus [...] natura unus est deus; participatione nichil prohibet quam plurimos esse », con Guill. de Conchis, Glosae super Boetium, III pr. 10, 106-111 (ed. Nauta 1999, CCCM, 158): « ex sui natura unus est deus, sed participatione plures, id est collatione alterius et gratia creatoris et acquisitione alicuius virtutis fiunt homines immortales [...] et sic dii secundum illud: “Ego dixi: dii estis, et filii excelsi omnes” [Ps 81, 6] »; e Boet., cons. 4, m. 7, vv. 29-35: « [Ercole] Ultimus caelum labor inreflexo / sustulit collo pretiumque rursus / ultimi caelum meruit laboris. / Ite nunc, fortes, ubi celsa magni / ducit exempli via. Cur inertes / terga nudatis? Superata tellus / sidera donat », con Guill. de Conchis, Glosae super Boetium, IV m. 7, 253-261: « “O fortes” virtute et sapientia, “ite” passibus bonae operationis, quia quot bona opera agimus tot passibus ad deum tendimus [...] “Superata tellus donat sidera”, quia devicta omni cura terrenorum pervenitur ad gaudia caelorum ». 199 Petr., Inv. med., IV 173-174, con citazione esplicita di Boet., cons. 3, pr. 10 e della sua fonte Aug., Enarr. Ps. 118, 16, 1, 5-6 (ed. Dekkers-Fraipont 1956, CCSL, 40), e menzione ravvicinata, tra i semidei, di Ercole. Citava Ps 81, 6 e Boet., cons. 3, pr. 10, a giustificare l’identificazione tra gli dèi finti dagli antichi poeti e i moderni santi, che « non incongrue hodie possunt Dii appellari participatione », la Declaratio adespota (di Guizzardo da Bologna e Castellano da Bassano? cfr. GUI. BILLANOVICH, Preumanesimo padovano, p. 73) dell’Epist. XVIII di Mussato (in ALBERTINI MUSSATI Historia augusta [...] et alia quae extant opera, edd. L. PIGNORIA – F. OSIO – N. VILLANI, Venetiis 1636, p. 74): un’altra conferma della nota tesi di GIUS. BILLANOVICH (Petrarca letterato, p. 122, nt. 1; Pietro Piccolo, pp. 473-474, e 475, nt. 47) secondo cui « l’identità delle affermazioni [in difesa della poesia] del Mussato, del Petrarca, del Boccaccio non deriva da un incontro casuale in idee diffuse, ma dal passaggio preciso dei testi del Mussato [compresi i commenti] al Petrarca e dal Petrarca al Boccaccio »?

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Strada (nel sermo « de scientia »200 che Boccaccio s’era copiato nello Zibaldone Magliabechiano nel 1348).201 In quest’ottica pervenire a Dio varrebbe quasi ‘divenire (beato come) Dio’,202 senso che potrebbe essere avvalorato da Esp. VII I 105.203 Ma sintatticamente più ovvio sembrerebbe intenderlo ‘giungere alla presenza, vicino a Dio’, che collegherebbe il passo al seguente (100) « la città di Dite [...] per la quale chi sarà che non prenda l’amaritudine dello ’nferno e i supplicii de’ dannati tanto quanto più esser possono rimoti da Dio? » (la parte finale aggiunta in 2a red.). Secondo Ricci il Dio di A « sta ad indicare il massimo degli dèi, nei quali i pagani credevano », ma l’« espressione poco chiara ed equivoca » lascia intendere che sia invece il Dio cristiano (cui sembra effettivamente riferirsi il pronome della relativa: « che lui non debitamente conoscieno » ĸ To 142 « che il vero Iddio debitamente non conoscieano »). L’espressione generica di To è risolta in A con una ancor più ambigua, per la quale Boccaccio pare concedere troppo – come aveva ben giudicato Ricci – alla poesia, facendone quasi un “doppione” della teologia (quale differenza ci sarebbe tra 95 gloria e 96 Dio?), o meglio arrivando a identificare, nello stesso lungo periodo sintattico, la poesia pagana (« con fictioni di vari dii ») con una sostanzialmente 200 Cfr. CIAMPI, Monumenti, pp. 124 e 126 = Zibaldone Magliabechiano, f. 82(103)r: « dicitur Hercules, qui sapientem significat, ab “her” quod est ‘lix’ et “cleos” ‘gloria’, quasi ‘gloria litis’, quia habet gloriam de terrenis superatis cum quibus est lis [= Guill. de Conchis, Glosae super Boetium, IV m. 7, 66-68] legitur dico fuisse postea transmutatus in deum » (subito dopo cita Boet., cons. 4, m. 7, vv. 32-35). 201 Bocc., Epist. VI 8 (AUZZAS, Boccaccio. Epistole, pp. 778-779, ntt. 4 e 14); BILLANOVICH, Petrarca letterato, p. 78. Che del sermone dell’amico Boccaccio si sia servito « più volte e in più opere » è affermazione plausibile ma non documentata di PADOAN, Ultima opera, p. 98 (le tangenze colle Esposizioni suggerite da GUERRI, Commento del Boccaccio, p. 128; e PADOAN, loc. cit., sono inconsistenti); probabilmente esso influì fin dalla 1a red. sul Trattatello. Si avverta che nella bibliografia più recente sullo Zibaldone Magliabechiano il suddetto sermo è confuso con quello « de fama » pronunciato da Zanobi nel 1355: cfr. COSTANTINI, Zibaldone Magliabechiano I, p. 47; Mostra del Boccaccio, I, p. 125; BRANCA, Profilo biografico, p. 100; POMARO, Memoria, p. 278; l’errore deriva forse da CIAMPI, Monumenti, p. 145, peraltro già corretto da HORTIS, Studj, p. 273. 202 Secondo l’equazione svolta sempre da Boet., cons. 3, pr. 2: « Omnis mortalium cura [...] ad unum [...] beatitudinis finem nititur pervenire »; e 3, pr. 10: « deum esse ipsam beatitudinem necesse est confiteri »; con quel che segue citato sopra (nt. 198). 203 « Intorno al qual senso è da sapere che sono due maniere di tristizia: o l’uomo s’attrista per ciò che egli non può a’ suoi dannosi disideri pervenire, o l’uomo s’attrista cognoscendo che egli ha alcuna o molte cose meno giustamente commesse. La prima spezie di tristizia non fu mai nutrice nè albergatrice degl’idii, anzi è loro inimica e odiosa, intendendo gli « idii » per l’anime de’ beati; ma la seconda fu ed è nutrice degl’idii, cioè di coloro li quali divengono idii, cioè beati: per ciò che il dolersi e l’attristarsi delle cose men che ben fatte niuna altra cosa è che prestare alimenti alle vertù, per le quali i Gentili andarono nelle lor deità, secondo che le loro istorie ne mostrano, e noi cristiani per l’attristarci de’ nostri peccati n’andiamo in vita eterna, nella quale noi siamo veri idii e non vani ».

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cristiana, capace di condurre l’uomo al (vero) Dio anche senza conoscerlo debitamente (cioè senza la grazia):204 affermazione forse iperbolica,205 certo teologicamente ardita. In conclusione, sia A che B sono giustificati dal testo comune della 2a redazione, e paiono adeguarvisi indipendentemente l’uno dall’altro. Ma mentre B è coerente col contesto, e consono alle posizioni più tarde di Boccaccio,206 A può essere considerato frutto di un ritocco non ben calibrato,207 o un relitto di una fase di incertezza dell’autore circa i limiti da attribuire alla poesia rispetto alla teologia. Al di là della meno limpida interpretazione cui A sembra prestarsi, insomma, l’ordine ipotizzato da Ricci resta il più economico. 4. Problemi di macrovarianti: aggiunte di B o “tagli” di A? Altrettanto, se non più, ambiguo (come già accennato) il giudizio di priorità nell’analisi delle macrovarianti. Non si sono ravvisati elementi testuali atti a suggerire – con qualche maggior probabilità – il verso del cambiamento per la più lunga tra di esse, quella circa la difesa della poesia Cfr. Petr., Inv. med., III 199. Analoga forse a Gen. XIV 4, 9: « poesis [...] cum celos inhabitet divinis immixta consiliis, paucorum hominum mentes ex alto in desiderium eterni nominis movet, et sua pulchritudine in sublimes cogitationes inpellit ecc. », se la frase in corsivo s’intende « al desiderio di Dio », come traduce ZACCARIA, Boccaccio. Genealogie, p. 1373 (giusta Aug., Enarr. Ps. 112, 4, 11-13?), e non, più banalmente (e più conformemente all’uso classico, anche boccacciano) ‘al desiderio della fama eterna’. 206 Ai due passi citati delle Esposizioni (si noti che nel secondo Boccaccio si premura, come sempre in quell’opera, di distinguere ortodossamente tra « deità » dei « Gentili » e « veri idii ») si può aggiungere Corb. 196 (282): « A te s’appartiene, e so che tu ’l conosci, più d’usare i solitarii luoghi che le moltitudini, ne’ templi e negli altri publici luoghi raccolte, visitare; e quivi stando, operando, versificando, essercitare lo ’ngegno e sforzarti di divenire migliore e d’ampliare a tuo podere, più con cose fatte che con parole, la fama tua; che, appresso quella salute ed etterno riposo il qual ciascuno che dirittamente desidera dee volere, è il fine della tua lunga sollecitudine »; dove la fama, classicamente vista come fine dello studio del poeta, è però esplicitamente subordinata alla « salute ed etterno riposo », cioè, appunto, alla gloria eterna. Questo passo del Corbaccio è collegato a Esp. II I 88 da BRUNI, Boccaccio, p. 433, insieme a vari altri in cui Boccaccio rivela la forte attrattiva del valore pur pagano della fama. In chiave diversa fama e gloria saranno distinte in Esp. II I 107-108; sulla non eternità della prima cfr. Esp. XV 86. 207 L’interpretazione incongruamente cristiana del fine di 96 come Dio è forse da collegare in A all’eliminazione del sintagma in cielo a 99, sentito come richiamante troppo da vicino la « stolta » divinizzazione antica di Ercole, nettamente condannata in Gen. XIII 1, 36 (e 49); e cfr. Lact., inst. 1, 15, 23. Sui limiti dell’« evemerismo » boccacciano cfr. ZACCARIA, Boccaccio. Genealogie, p. 24. Non pare connessa coi passi qui discussi la scelta di Boccaccio di eliminare l’iperbole di 1a red. 83 (su cui BARBI, Seconda redazione, p. 404; e PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, pp. 173-174). 204

205

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(102bis: vicina in più punti soprattutto alle Genealogie),208 e per quella contenente la giustificazione finale di 156bis. Ecco un tentativo di spiegazione di quelle relative alle proprietà dell’alloro (105-109) e al sogno della madre di Dante (145, 149, 150). Tav. 11

209

To [159] 6RQR DOFXQL OL TXDOL FUHGRQR SHUFLË FKH sanno 'DQQH DPDWD GD 3KHER H LQ ODXUR FRQYHUWLWD, essendo Phebo e il primo auctore e fautore de’ poeti stato e similmente triumphatore, per amore ad quelle frondi portato, di quelle le sue cetere e L WULXPSKL209 DYHU FRURQDWL; e TXLQFL essere stato preso exemplo dagli uomini, e per conseguente essere quello che da Phebo fu prima facto cagione di WDOH FRURQDWLRQH e di tai frondi infino ad questo giorno a’ poeti e agli ’mperadori. ( FHUWR WDOH RSSLQLRQH QRQ PL VSLDFH QÂ QHJR FRVÅ SRWHUH HVVHUH VWDWR PD WXWWDYLD PH PXRYHDOWUDUDJLRQH, la quale è questa.

A (Chig)

B [105.a] 6RQR DOFXQL OL TXDOL FUHGRQR SHUË FKH 'DQQH DPDWD GD )HER H LQ ODXUR FRQYHUWLWD, fu da lui eletta a FRURQDUH OH VXH YLWWRULH, e i poeti sono a lui consacrati, TXLQGL WDOH FRURQD]LRQH avere origine avuta:ODTXDOH RSSLQLRQHQRQPLVSLDFHQÂ QLHJR FRVÅ SRWHU HVVHUH VWDWR PD WXWWDYLD PL PXRYH DOWUD UDJLRQH

208 Colla già accennata impossibilità (cfr. supra nt. 112) di stabilire la priorità tra testo latino e testo volgare, verosimilmente (ri)elaborati dall’autore in tempi molto vicini. La questione è complicata dalla presenza in 102bis (= RICCI, Boccaccio. Trattatello2, pp. 519-522) di rapporti abbastanza sicuri colle petrarchesche Invective contra medicum (« consistenti prestiti » indica PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, pp. 190-191, nt. 131: il più notevole, il terzo, è indebolito tuttavia dalla sua natura proverbiale [cfr. BAUSI, Petrarca antimoderno, p. 89; è anche in Boet., cons. 1, pr. 4]), alle quali Boccaccio attinse più largamente nelle Genealogie (cfr. p. es. per i primi due « prestiti » Gen. XIV 16, 1 e XIV 12, 8-9), non sempre più letteralmente (coll’ultimo passo citato delle Genealogie si confrontino i rispettivi di Tratt. B 102.h = RICCI, ed. cit., p. 521, rr. 9-10, e Petr., Inv. med., III 179). Per altri possibili echi delle Invective nella 2a red. (AB) del Trattatello, cfr. PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, pp.173-174, 180-181 (ma già almeno in Coll. laur. 9, 4), 188-189, 191. 209 Cfr. Cas. III 14, 14; Gen. VII 29, 3; Bucc. IX 52-54 (« Has frondes pharetris Phebus victricibus olim / ac cytharis, lauro facta iam Dane, dicavit; / hinc veteres ytalis sacras fecere triumphis »).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

[160] 6HFRQGR FKH vogliono coloro li quali le virtù delle piante overo la loro natura investigarono, il lauro tra l’altre più sue propietà n’à .iij. laudevoli e notevoli molto. La prima si è, come noi veggiamo, che mai egli non perde né verdeça né fronda; la seconda si è che non si truova questo albore mai essere stato fulminato, il che di niuno altro leggiamo essere advenuto; la terça, che egli è odorifero molto, si-come noi sentiamo: le quali .iij. propietà extimarono gli antichi inventori di questo honore convenirsi con le virtuose opere de’ poeti e de’ victoriosi imperadori. [161] Et primieramente la perpetua viridità di queste frondi dissono dimostrare la fama delle costoro opere, cioè di coloro che d’esse si coronavano o coronerebbono nel futuro, sempre dovere stare in vita. Appresso extimarono l’opere di questi cotali essere di tanta potentia, che né il fuoco della invidia, né lla folgore della lungheça del tempo, la quale ogni cosa consuma, dovesse mai TXHVWH potere fulminare, se non come quello albero fulminava la celeste folgore.

[106] Vogliono coloro li quali le virtù e le nature delle piante ànno investigate, il lauro, si-come noi medesimi veggiamo, giammai verdeça non perdere: per la quale perpetua viridità vollero i Greci intendere la perpetuità della fama di coloro che di coronarsi d’esso si fanno degni.

[106] 6HFRQGR FKH vogliono coloro li quali le virtù e le nature delle piante ànno investigate, il lauro, sicome noi medesimi veggiamo, giammai verdezza non perde: per la quale perpetua viridità vollero i Greci intendere la perpetuità della fama di coloro che di coronarsi d’esso si fanno degni.

[107] Appresso affermano li predecti investigatori non trovarsi il lauro essere stato mai fulminato, il che d’alcuno altro albero non si crede: e per questo vollono gli antichi mostrare che l’opere di coloro che di quello si coronano esser di tanta potença dotate da Dio, che né il fuoco della ’nvidia, né la folgore della lungheça del tempo, la quale ogni altra cosa consuma, quella 210 debba potere offuscare, rodere o diminuire.

[107] Appresso affermano li predetti investigatori non trovarsi il lauro essere stato mai fulminato, il che d’alcuno altro albero non si crede: e per questo vollono gli antichi mostrare che l’opere di coloro che di quello si coronano esser di tanta potenza dotate da Dio, che né il fuoco della ’nvidia, né la folgore della lunghezza del tempo, la quale ogni altra cosa consuma, TXHOOH debba potere offuscare, rodere o diminuire.

210

210 GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 93, corr. tacitamente quelle (e così ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. 186). RICCI, Boccaccio, Trattatello2, p. 853, pur riconoscendo preferibile

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Et oltre ad questo diceano queste opere de’ già detti per lungheça di tempo mai dovere divenire meno piacevoli e gratiose ad chi l’udisse o lle leggesse, ma sempre dovere essere acceptevoli e odorose.

[162] Laonde meritamente si confaceva la corona di cotai frondi, più ch’altra, a cotali huomini, gli cui effecti, in tanto quanto vedere possiamo, erano a llei conformi.

[108] Dicono oltre a cciò i predecti quello che noi tutto il giorno sentiamo, cioè il lauro essere odorifero molto: e per quello vogliono intendere i passati l’opere di colui che degnamente se ne corona sempre dovere esser piacevoli e gratiose e odorifere di laudevole fama.

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[108] Dicono oltre a cciò i predetti quello che noi tutto il giorno sentiamo, cioè il lauro essere odorifero molto: e per quello vogliono intendere i passati l’opere di colui che degnamente se ne corona sempre dovere esser piacevoli e graziose e odorifere di laudevole fama. [108.a] Similmente una quarta proprietà, e maravigliosa, gli aggiungono; e questa è che dicono essere una specie di lauro, la cui pianta non fa mai che tre radici, delle frondi del quale qualunque persona n’avesse alla testa legate e dormisse, vedrebbe veracissimi sogni delle cose future mostranti: per la quale proprietà intesero i nostri maggiori una dimostrarsene, la quale essere ne’ poeti si vede. [108.b] Perciò che i poeti, discrivendo l’operazioni d’alcuno, delle quali solamente gli effetti nudi avrà uditi, così le particulari incidenzie mai non udite né vedute discriverà, come se all’operazione fosse stato presente; e perciò che veridichi in ciò assai volte sono stati trovati, parendo quella essere specie di divinazione, furono chiamati « vati », cioè profeti, ed estimarono gli uomini loro di lauro coronare, a mostrare la proprietà della divinazione, nella quale paiono al lauro simiglianti.

il plurale (riferito a opere), mantiene il singolare (già in RICCI, Boccaccio, Trattatello1, p. 143), che « si giustifica col riferimento a potenza »; ma anche To ha il plurale; e cfr. Petr., Coll. laur. 11, 19: « in rebus humanis violentius fulmen quam temporis diuturnitas, omnia consumens et opera et res mortalium et famam. Iure ergo contemptrice fulminis fronde coronantur hii, quorum gloria illam, que more fulminis cuncta prosternit, sola non metuit: vetustatem » (e 10, 3-4 dov’è cit. Ov., met. 15, 871: « Iamque opus exegi quod nec Iovis ira nec ignis / Nec pariter ferrum nec edax abolere vetustas »).

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Per che non sença cagione il nostro Dante era ardentissimo disideratore di tale honore, overo di cotale testimonia di tanta vertù quale questa è a coloro li quali degni si fanno di doversene ornare le tempie. Ma tempo è di tornare là onde intrando in questo ci dipartimmo.

[109] Et perciò era non sença cagione il nostro Dante, si-come merito poeta, di questa laurea disioso. Della quale perciò che assai avem parlato, estimo sia honesto di tornare al proposito.

[109] E perciò non senza cagione era il nostro Dante, sicome merito poeta, di questa laurea disioso. Della quale perciò che assai avem parlato, estimo sia onesto di tornare al proposito.

Fonte prima del brano è una pagina della Collatio laureationis di Petrarca (a cui va aggiunto, per alcune sottolineature, il cosiddetto Laureae privilegium). Tra le quattro conditiones più tre ulteriori proprietates della pianta del lauro elencate nella Collatio,211 Boccaccio nella 1a red. del Trattatello ne sceglie tre, cioè le ultime due proprietates (le uniche ricordate anche nel Privilegium) e la prima conditionem, perché direttamente connesse al tema della fama, e più adatte a confermare l’omologia petrarchesca (forte soprattutto nel Privilegium) tra imperadori e poeti, a più riprese rilevata in questa sezione (156-161). Nella 2a red. tale omologia perde rilievo (scompaiono i riferimenti agli imperadori di 1a red. 159 e 160)212 e sono modificate alcune corrispondenze interne alle singole proprietà.213 L’aggiunta della quarta proprietà di B 211 Rispettivamente: 1) è odorosa, e simboleggia la buona fama (Coll. laur. 11, 3-6); 2) è ombrosa, e dà riposo (11, 7-8); 3) ha fronde incorruttibili, e preserva dalla corruzione (11, 9); 4) è sacra e venerabile (11, 10-12); inoltre 1bis) cinta alla testa, « somnia vera facit » [cfr. Fulg., myth. 1, 14], perché i) i poemi sembrano sogni ai non intendenti, e ii) è amata da Apollo, dio della divinazione e della poesia (Coll. laur. 11, 13-15); 2bis) è sempreverde, perché i) è amata da Apollo = Sole, e ii) simboleggia l’immortalità della fama (11, 16-18); 3bis) non è mai fulminata, quindi la gloria di chi se ne incorona non teme la « vetustatem » (11, 19-20). Tutte le « conditiones » e « proprietates » sono riconosciute valide « Cesaribus et poetis », tranne 3 e 1bis, che son dette convenire « singulariter » ai poeti. Nel Laureae privilegium sono ricordate solo 2bis e 3bis. 212 Già lo rilevò BARBI, Seconda redazione, p. 411, nt. 1. 213 La fama entra anche nella terza, forse per una rilettura della Collatio (cfr. Petr., Coll. laur. 11, 6: « odor bone fame [...] arboris odorifere odorem ut [...] bone fame atque glorie »; 1a red. 161: « opere [...] odorose »; 2a red. 108: « opere [...] odorifere di laudevole fama »). Ciò avrà comportato nella prima il mutamento di 1a 161 « la fama delle [...] opere » in 2a 106 « la fama di coloro ». Non saprei se a tale aggiustamento sia da collegare quello 1a red. 220 « il vide divenuto un paone; per il qual mutamento assai bene la sua posterità comprendere possiamo, la quale, come che nell’altre opere sue stea, sommamente vive nella sua Commedia » ĺ 2a 151 « vide la madre in luogo di lui levarsi un paone: per che intender si dee che, dopo alla morte di ciascuno, a servare il nome suo appo i futuri surgono l’opere sue », a cui A fa seguire « Laonde in luogo di Dante abbiamo la sua Comedia... », mentre B tramanda un lungo brano (assente in 1a red.) esemplificante il tema (l’eternità del nome grazie alle opere: cfr. Esp. XV 85-99) con due terne di condottieri e di scrittori (tra cui, dopo Aristotele e prima di Virgilio,

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accentua coerentemente214 l’impostazione solo poetica e non più anche bellica della simbologia “laurea”. Il fatto che in AB la numerazione delle prime tre (To 160) sia lasciata cadere risponde alla medesima tendenza abbreviativa che interessa anche il passaggio da 1a red. 220-221 a 2a red. 151:215 forse l’aggiunta della quarta proprietà in B risponde (anche) a una volontà di più perfetta equiparazione tra le simbologie poetiche dei due brani; e forse il fatto che in B sia inserito un numerale alla fine di una serie non più numerata è traccia (non bene amalgamata con quanto precede) di una fase precoce della rielaborazione da To. Oltre che di (un ritorno a) Petr., Coll. laur. 11, 13-14, l’aggiunta di B risente specificamente di Bocc., Gen. II 9, 2 (il lauro con tre radici sacro ad Apollo,216 che legato alla testa di chi dorme dà sogni veridici) e Gen. VII 29, 8-9 (elenca le stesse tre proprietà della Collatio, ma in ordine inverso: le prime due del Trattatello più la quarta di B). Quest’ultimo capitolo delle Genealogie sembra inserirsi più generalmente come intermedio tra 1a e 2a red. di questa sezione del Trattatello.217 Un indizio della anteriorità di B (= X)? L’aggiunta di B suggerisce una concezione della poesia come divinazione non del futuro ma del passato (più o meno prossimo: « avrà uditi [...] non udite né vedute »), che sminuisce il valore della (tradizionale) equi-

è notevole la presenza di Solone), secondo quella corrispondenza tra imperadori e poeti che pur abbiamo visto attenuata in 2a red. 106-108 (un « compenso a distanza »?). 214 Cfr. BARBI, loc. cit., contro i giudizi negativi di MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita, pp. XLIII e LXV (aggiunta incoerente e quindi apocrifa) e ROSTAGNO, Vita di Dante, p. XLI, nt. 36 (proprietà incongrua alle precedenti e quindi tolta da Boccaccio rivedendo il Compendio [per lui, ricordo, anteriore alla Vita]). 215 « Il paone tra l’altre sue propietà [...] n’ha quattro notabili. La prima [...] la seconda [...] la terza [...] la quarta [...] » ĺ « Il paone [...] ha queste proprietà: che [...] ecc. ». 216 La fonte indicata sono i Libri pontificum di Paolo da Perugia. Nell’aggiunta al Trattatello Boccaccio omette riferimenti ad Apollo, per non contraddire l’interpretazione naturalistica e non mitica da lui scelta (105bis-106). 217 Cfr. Gen. VII 29, 5 (« Qui mos postmodum cum universali rerum gloria ad Romanos delatus est ») con 1a red. 158 (« questo onore [della laurea] [...] poi trapassò a’ Latini, quando la gloria e l’arme parimente di tutto il mondo diedero luogo al romano nome ») e 2a red. 105 (« La quale remunerazione poi parimente con la gloria de l’arme trapassò a’ Latini » [cfr. Esp. VII I 61 « la gloria e l’onore dell’armi [...] esser trapassata negl’Inghilesi »]); e Gen. VII 29, 7 (« victores, per quos et servabatur et augebatur respublica, et poete, per quos hominum merita miris extollebantur laudibus, frondium laudem significantium ornabantur ») con 1a red. 157 (« coronare [...] di frondi d’alloro li poeti dopo la vittoria delle loro fatiche, e gl’imperadori, li quali vittoriosamente avessero la republica aumentata; [...] colui per la cui vertù le cose umane erano e servate e aumentate [...] ») e 2a red. 104 (« li poeti dopo la vittoria delle lor fatiche [...] e, oltre a ciò, gl’imperadori dopo la vittoria avuta de’ nimici della republica, fossono coronati d’alloro [...] colui per la cui vertù le cose publiche erano e servate e aumentate, e colui per li cui versi le ben fatte cose eran perpetuate, e vituperate le avverse »).

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parazione tra profeti e poeti di 1a red. 139 = 2a red. 93,218 e trasforma il poeta in una specie di testimone non oculare ma veridico dei fatti (le « particulari incidenzie »).219 Tale concezione (per la quale non si sono trovati riscontri precisi) si distacca evidentemente da quella tradizionale, dominante nel Trattatello e nelle altre opere erudite di Boccaccio (secondo il modello petrarchesco, e mussatiano),220 della poesia come occultamento di verità sotto finzioni allegoriche.221 Se posteriore, A potrebbe averla omessa per togliere la contraddizione. Tav. 12

222

To

[212] Per che per lo alloro, sotto il quale alla donna pareva il nostro Dante dare al mondo, mi pare che sia da intendere la dispositione GHO FLHOR la quale fu QHOOD VXD QDWLYLW¹, mostrante sé essere tale che magnanimità e eloquentia poetica dimostrava; le quali due cose significa l’alloro, albore di Phebo, e delle cui frondi li poeti sono usi di coronarsi, come di sopra è già PRVWUDWR assai.

A (Chig)

[145] POSSIAMO a d u n que | riguardando, come di sopra è d e c t o , l’alloro essere de’ poet i o r n a m e n t o , per quello dalla donna veduto doversi intendere la disposition celeste222 essere stata apta, nella c o n c e p t i o n di Dante, a dover producere un poeta.

B e però, considerato chi fu Dante e quale la sua principale affezione, assai bene si conoscerà il cielo QHOOD VXD QDWLYLW¹ essere disposto a dover producere un poeta. [145.f] E perché l’alloro, come davanti avemo PR VWUDWR, è quello albero le cui frondi testimoniano nella coronazione la facoltà del poeta, meritamente POSSIAMO DIRE l’alloro dalla donna veduto significare e la disposizione GHO FLHOR nella natività futura di Dante, e la precipua affezione e studio di colui che nascere dovea, sì come chiaramente n’à dimostrato quello che appresso la natività di Dante è seguito.

218 « Essi [...] quello che stato era, o che fosse al lor tempo presente, o che disideravano, o che presummevano che nel futuro dovesse avvenire, discrissono ». I limiti di veridicità dei poeti sono altrimenti precisati in Tratt. 1a 148 e 2a 102.c = Esp. I I 76-78. 219 Il sostantivo pare avere l’accezione giuridica di ‘circostanza accessoria’ (nel lessico storiografico valeva invece ‘digressione’). 220 Cfr. RONCONI, Origini delle dispute, pp. 22, 39, 63-64. E p. es. Petr., Priv., in SOLERTI, Vite, p. 598.35-39 (= ZANOBI DA STRADA, Sermo, in CIAMPI, Monumenti, pp. 121-122). 221 Cfr. Gen. XIV 7; GILSON, Poésie et verité, pp. 271-272; PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello, pp. 180-181; BRUNI, Boccaccio, p. 33. 222 Cfr. Esp. Acc. 38.

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È l’esempio più notevole di variante rielaborativa in A. Il rinvio come di sopra è detto... ornamento non trova riscontro nella 2a red., ma nella 1a 126, dove si esalta il desiderio di Dante de « l’onore della laurea [...] la quale non iscienzia accresce, ma è della acquistata certissimo testimonio e ornamento »;223 fonte prima è il Laureae privilegium di Petrarca: « Poetae [...] pro praemio quondam et studiorum proprio ornamento coronam lauream merebantur ».224 L’incoerenza può esser frutto o di un’eco involontaria di uno dei due testi appena citati in A, o di un’imperfetta elaborazione della 1a red. in X conservata da A: in base a questa seconda ipotesi – più economica – B rappresenterebbe una fase successiva in cui – oltre ad aggiungere il lungo brano 145.a-e qui sopra non riportato – Boccaccio ha cambiato la frase in questione ritornando su To (e il testimoniano sarà eco appunto dei passi citt. della 1a red.). B sembra qui legarsi più esplicitamente a AB 18,225 e riprendere alcuni tratti autobiografici di Gen. XV 10, il celebre capitolo in cui Boccaccio difende la legittimità della propria disposizione naturale alla poesia.226 Mentre infatti nella 1a red. il collegamento tra « disposizione del cielo » e « alloro » cercava di tener conto della già vista duplice valenza, bellica (magnanimità)227 e poetica (eloquentia), della pianta, nella 2a in B tutto 145.a-f riesce ad una esaltazione della virtù poetica innata di Dante, assecondata da straordinaria « affezione e studio »,228 con possibile rinvio (« quello albero le cui frondi testimoniano nella coronazione la facoltà del poeta ») alla proprietà aggiunta di 108bis (cfr. supra).229 Oltre che più inco223 Ripreso in 1a red. 162 (« Dante era ardentissimo disideratore di tale onore ovvero di cotale testimonia di tanta vertù »; cfr. Bocc., Cas. III 14, 14: « antiqui [...] concesserunt solis triumphantibus et poetis lauream in laboris premium et testimonium virtutis eternum ») e 219 (« la corona laurea; la quale per nulla altro si disidera, se non per dare testimonianza del frutto »), anch’essi “tagliati” nella 2a red. 224 SOLERTI, Vite, p. 598.23. 225 « E però che a ciò, sì come appare, era dal ciel produtto, a vedere con aguto intelletto e le fizioni e l’artificio mirabile de’ poeti si mise ». 226 BRUNI, Boccaccio, p. 20. Il collegamento tra Compendio e Genealogie fu rilevato da BARBI, Seconda redazione, p. 408. Cfr. Gen. XV 10, 6-8: « Verum ad quoscunque actus natura produxerit alios, me quidem, experientia teste, ad poeticas meditationes dispositum ex utero matris eduxit et meo iudicio in hoc natus sum [...] Fastidiebat hec animus adeo, ut in neutrum horum officiorum [...] inclinari posset, in tantum illum ad poeticam trahebat affectio [...] precipua cum delectatione autorum eiusdem [poetice] libros vidi legique ». Anche Boccaccio giovane era chiamato « poeta » da tutti, per forza di natura (Gen. XV 10, 8), come il Dante di Tratt. 2a red. 21 (si confronti la diversa climax rispetto a 1a red. 26 e Carm. V 19). 227 Cfr. Tratt. 1a red. 157 e 203 = 2a red. 104 e 140. 228 Cfr. 1a red. 125 = 2a red. 78. Petr., Coll. laur. 2, 4 e 5, 7, aveva identificato l’amor cioè studium per la poesia con l’« affectus [...] animi, victor difficultatis ». 229 Intenderei qui facoltà più nel senso di proprietà, ‘virtù innata’ (come p. es. in Cic., inv. 1, 2), che in quello più usato (anche in Boccaccio) di ‘attività’ o ‘disciplina’ (cfr. infra Tav. 13; e BRUNI, Boccaccio, pp. 20-22). Il termine era peraltro abbastanza generico (in Gen. XIV 7, 1, 4 e 7 la poesis come facultas è un fervor divino che si fa ars con la notitia delle discipline

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erente e concettualmente più povero di B, Chig presenta quella che può interpretarsi o come svista di Boccaccio-copista, che distratto dal cambio di rigo ha omesso il necessario verbum dicendi (Possiamo adunque *dire), o come confusione di Boccaccio-autore, che rielaborando la frase ha lasciato un doversi pleonastico rispetto al nuovo Possiamo.230 Tav. 13

231

To

A (Chig)

B

Et si-come assai leggiermente ciascuno può comprendere, due maniere sono di pastori: l’una sono pastori corporali, l’altra spirituali. [216] Li corporali pastori sono GL GXH maniere, GHOOH TXDOL OD SULPD Á TXHOOD GL coloro che volgarmente da tutti sono apellati « pastori », cioè LJXDUGDWRULGHOOHSH FRUHRGHnEXRLRGLTXDOXP TXHDOWURDQLPDOHODVHFRQGD maniera sono i padri delle famiglie, GDOOD VROOHFLWXGLQH GHnTXDOLFRQYHJQRQRHVVHUHH SDVFLXWLHJXDUGDWLHJRYHUQD WLODJUHJJLHGHnILJOLXROLHGHn VHUYLGRUL H GHJOL DOWUL VXJHWWL GLTXHJOL.

Sono al mio giudicio di pastori due maniere: corporali e spirituali.

Sono al mio giudicio di pastori due maniere: corporali e spirituali.

I corporali sono i pastor [149*.a] Li corporali similsilvani, li re e’ padri delle mente sono GL GXH qualità, famiglie; OnXQD GHOOH TXDOL VRQR TXHJOL FKH, per le selve e per gli prati, OHSHFRUHJOLEXRLHJOLDOWUL DUPHQWL SDVFHQGR PHQDQR OnDOWUD sono gli ’mperadori,231 i re, i padri delle famiglie, i quali con giustizia e in pace ànno a conservare i popoli loro commessi, H D WURYDUHRQGHYHQJDQR a’ tempi opportuni LFLELDnVXGGLWL HDnILJOLXROL.

liberali, morali e naturali) da poter rimanere anche nel caso ipotizzato di una più tarda omissione di 108bis da parte dell’autore. 230 Cfr. la tacita correzione di GUERRI, Boccaccio. Comento, I, p. 103: Possiamo adunque... intendere (recepita da ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. 192). Le due tipologie erronee del Boccaccio scrittore (quasi mai nettamente e sicuramente distinguibili) sono quelle rese celebri nel Decameron da BRAMBILLA AGENO, Errori d’autore, e sulla sua scorta ipotizzate anche in opere “non autografe” come p. es. la Fiammetta (DELCORNO, Tradizione manoscritta della Fiammetta, p. 14). 231 Cfr. Epist. XXIII 14: « imperator, inter pastores orbis, idest reges, consuevit esse primus ».

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[217] Li spirituali SD VWRULsimilmenteVLSRVVRQR GLUH GL GXH PDQLHUH GHOOH TXDOLOnXQDÁTXHOODGLFRORUR OL TXDOL SDVFRQR OnDQLPH GHn YLYHQWLGHOODSDURODGL'LRH TXHVWLsono li prelati, LSUH GLFDWRUL e ’ sacerdoti, QHOOD FXLFXVWRGLDVRQRFRPPHVVH OnDQLPH ODELOL GL TXDOXQTXH VRWWRLOJRYHUQRDGFLDVFXQR RUGLQDWRGLPRUD OnDOWUD Á TXHOOD GL FRORUR OL TXDOL d’optima doctrina, R OHJJHQGR quello che gli passati ànno scripto R VFUL YHQGR di nuovo ciò che loro pare o non tanto chiaro mostrato o obmesso, LQIRU PDQRHOnDQLPHHJOLnQWHOOHFWL GHJOL DVFROWDQWL R GHn OOHJ JHQWL; li quali generalmente DOCTORI, IN QUAL CHE FACULTÀ SI SIA, sono appellati. [218] 'LTXHVWDPDQLHUD GLSDVWRUL subitamente, cioè in poco tempo, GLYHQQH IL NOSTRO poeta. E che ciò sia vero, lasciando stare l’altre opere compilate da llui, riguardisi la sua Commedia, la quale con la dolceça e belleça del testo pascie non solamente gli uomini, ma i fanciulli e le femine; e con mirabile soavità de’ profondissimi sensi sotto quella nascosi, poi che alquanto gli ha tenuti sospesi, ricrea e pascie gli solempni intellecti.

li spirituali sono i prelati e ’ sacerdoti,

e similmente i

321

[149*.b] Li spirituali SD VWRUL similmente GLUH VL SRVVRQR GL GXH PDQLHUH GHOOH TXDOL Á OnXQD TXHOOD GL FRORUR FKH SDVFRQR OnDQLPH GHn YLYHQWL di cibo spirituale, cioè GHOODSDURODGL'LRH TXHVWL sono i prelati, LSUH GLFDWRUL e i sacerdoti, QHOOD FXLFXVWRGLDVRQRFRPPHVVH OnDQLPH ODELOL GL TXDOXQTXH VRWWR LO JRYHUQR D FLDVFXQR RUGLQDWRGLPRUD OnDOWUD Á TXHOOD GL FRORUR OL TXDOL LQ DOFXQD VFLHQ]LD DPPDHVWUDWLSULPDSRLDP PDHVWUDQR DOWUXL OHJJHQGR R FRPSRQHQGR.

DOCTORI

IN QUALUNQUE FACULTÀ,

de’ q u a l i IL NOSTRO D a n t e f u u n o . 232

( GL TXHVWD PDQLHUD GL SD VWRUL vide la madre il suo figliuolo GLYHQXWR.

232

Dall’ultima frase sembra evidente che A sia frutto di una drastica abbreviazione esercitatasi – almeno in quel punto – su un testo più vicino a To di quanto non sia B.233 A riecheggia – o anticipa? – l’elogio della cultuCfr. Dec. X 9, 50: « Fra’ quali presi messer Torello fu uno ». A meno di non ipotizzare un ritorno voluto (non per svista o casuale) a To da parte di Boccaccio dopo B: ma perché? 232 233

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ra universale di Dante fatto in Gen. XV 6, 5,234 accentuando per forza di sintesi (col mettere sullo stesso piano qualunque facultà) quello che in To era quasi il ritratto di un qualsiasi professore universitario. Sostituendolo coll’usuale sinonimo scienza,235 forse B ha qui eliminato facultà perché già aggiunto a 145.f (Tav. 12) per designare la poesia, come spesso nel tardo Boccaccio, con un senso meno tecnico di quello ‘universitario’ che aveva qui.236 Insistendo sulla trasmissione della scienza da maestro a discente, e utilizzando qui il verbo che in 1a red. 213 era adibito all’istruzione poetica di Dante,237 sembra che B voglia sottolineare che se Dante andò nelle scuole della filosofia (148),238 per la sua vera facoltà, la poesia, non ebbe bisogno di maestri – come Boccaccio239 –, ma assecondò la disposizione naturale con tutta la sua « affezione e studio ».

234 « Et, ut adhuc Iulia fatetur Parisius, in eadem sepissime adversus quoscunque circa quancunque facultatem volentes responsionibus aut positionibus suis obicere, disputans intravit gymnasium »: che a sua volta allude alle « disputazioni de quodlibet » di Tratt., 1a red. 123. 235 Cfr. Esp. XV 99: « come io ho detto de’ poeti, così intendo di qualunque altro componitore in qualunque altra scienza o facultà ». Si noti che in Gen. XIV 4 Boccaccio ha sostituito più volte facultas con scientia o disciplina rimettendo mano all’autografo Laur. LII 9 probabilmente dopo il 1372 (ZACCARIA, Difesa della poesia, p. 283, nt. 5). 236 Cfr. Cas. III 14, 11; Gen. I Pro I, 29; XIV 6; 7, 7; 15, 2; 19, 15; XV Pro, 2 (polemica la distinzione tra facultas [leges] e scientia [poesis] a XIV 4, 12-13: cfr. ZACCARIA, Boccaccio. Genealogie, p. 1703, nt. 20); Epist. XIX 13; Esp. XV 87. Nel giovanile « notamentum » della laurea del Petrarca (Zibaldone Laurenziano, f. 73r [= Mostra del Boccaccio, I, tav. XIV]) questi era ovviamente detto « in facultate poetica aprobatus » (GODI, Petrarca. Collatio, p. 6; e cfr. Petr., Coll. laur. 2, 12). 237 To 213 « i libri poetici e loro dottrine, da’ quali [...] fu altissimamente nutricato, cioè ammaestrato il nostro Dante » ĺ AB 147 « i libri da’ poeti composti, e de’ [A da] quali Dante senza dubbio e nutricò e aumentò il suo ingegno »; l’« ammaestramento » poetico ricevuto dai poeti è accennato in B anche a 102.i (RICCI, Boccaccio. Trattatello2, p. 521: errata la chiosa ibid., p. 910, nt. 24). 238 Cfr. 2a red. 20 = 1a red. 25 (e meglio 23 e 63, omessi in 2a red.). E si veda Bocc., Vita Petr. 2-3 e 7. 239 Gen. XV 10, 8: « nemine impellente, nemine docente [...] quod modicum novi poetice sua sponte sumpsit ingenium ». Diversamente dall’interpretazione qui proposta per Tratt. 2a red. B 145 e 149, Boccaccio dirà in Esp., Acc. 32-35, che Dante a Firenze « udì gli autori poetici », cioè proprio ‘seguì lezioni di poesia’, come poi a Parigi « udì » filosofia e teologia, facendo in queste ultime discipline carriera universitaria (« fatti e una e altra volta certi atti scolastici, sì come sermonare, leggere e disputare »), ma senza arrivare a prendere « alcuno titolo o onore di maestrato » (che sembra correggere Tratt. 2a red. 21).

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DAVIDE CAPPI – MARCO GIOLA - “Trattatello in laude di Dante”

Tav. 14

323

240

To

A (Chig)

B

[219] Lo sforçarsi ad avere di quelle frondi, il fructo delle quali l’à nutricato, niuna altra cosa ne mostra che ll’ardente disiderio avuto da llui, come di sopra si dice, della corona laurea; la quale per nulla altro si disidera, se non per dare testimoniança del fructo. Le quali frondi MENTRE che egli più ardentemente disiderava, lui dice che vide cadere; LOTXDOHFDGHUHQLXQD DOWUD FRVD IX VH QRQ TXHOOR FDGLPHQWRFKHWXWWLIDFFLDPR VHQÀD OHYDUFL FLRÁ LO PRULUH LOTXDOH se bene si ricorda di ciò che di sopra è decto,240 JOLDYHQQHTXDQGR più la sua laureatione disiava.

[150] Lo sforçarsi ad aver delle frondi assai manifestamente ne mostra essere s t a t o il disiderio della laureatione, n e l q u a l e MENTRE s i f a t i c a v a c a d d e , cioè morì.

[150.a] Lo sforzarsi ad aver delle frondi assai manifesto ne mostra essere il disiderio della laureazione, però che ogni fatica aspetta premio, e il premio dello avere alcuna cosa poetica composta è l’onore che per la corona dello alloro si riceve. [150.b] Ma seguita che cadere il vide, quando più a ciò si sforzava; LOTXDOH FDGHUHQLXQDDOWUDFRVDIXVH QRQTXHOFDGLPHQWRFKHWXWWL IDFFLDPR VHQ]D OHYDUFL FLRÁ LOPRULUHLOFKHDOXLDYYHQQH TXDQGR già avea finito quello per che meritamente la laureazione gli seguiva.

Il desiderio deluso della laurea, intesa da To quale testimonianza della dottrina (solo poetica?)241 acquisita, è riassunto troppo drasticamente da A, che qualifica tale desiderio come « fatica ». B lo corregge precisando che « fatica » non è il desiderio della laurea, ma l’opera poetica, di cui la laurea è degno premio (Petr., Coll. laur. 9, 2 « ex tot laboribus premii aliquid »), tanto più meritato da chi come Dante ha superato tale fatica concludendo l’opera: con ciò ricollegandosi a un brano (già?) rielaborato della 2a red.,242 e con espressioni che paiono vicine a quelle riferite a Dante nell’Epist. XIX del 1371.243 Cfr. 1a red. 126. L’indebita limitazione parrebbe dedursi dall’equazione 219 fructo = 213 bache, solo in 2a red. 147 esplicitata (« fructo son dell’alloro, non vogliono altro significare che i fructi della poesia nati »), anche perciò forse qui a 150 eliminata. 242 AB 104 « considerati con gran diligentia i meriti degli uomini, con publico consentimento ordinarono che, per più degno guiderdon che alcuno altro, sì come ad più utile e più honorevole fatica alla re publica, li poeti dopo la victoria delle lor fatiche, cioè dopo la perfectione de’ lor poemi, e oltre a cciò, gli ’mperadori dopo la victoria avuta de’ nemici della re publica, fossono coronati d’alloro » (la parte in corsivo mancava nella 1a red.). Si veda anche la ripresa in Esp. I I 79-81: « estimarono lor [= i poeti] dovere estollere con quel singulare onore che i principi triumfanti per alcuna vittoria erano onorati: cioè che dopo la vittoria d’alcuna loro laudevole impresa, in comporre alcun singular libro, essi fossero coronati di alloro, a dimostrare che, come l’alloro serva sempre la sua verdeza, così sempre era da conservare la loro fama. Le fatiche de’ quali, se molto laudevoli non fossero... ». 243 Bocc., Epist. XIX 26: « non absque labore anxio exquirentem [...] incliti voluminis 240 241

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

5. Riassunto e ipotesi conclusiva. a. Il testo di To (1a red.) è stato sottoposto da Boccaccio (nei primi anni ’60?) a un’opera di profonda rielaborazione (tagli, aggiunte, modifiche) che ha avuto luogo in e/o ha prodotto X, verosimilmente autografo (2a red.). Questo manoscritto doveva avere (almeno) un errore di copia a 87, e vari errori o incoerenze sintattiche o dure ellissi provocate da imperfezioni nell’opera di rielaborazione, a 4, 33, 39, 65, 69, 118, 142, 147, 149.244 Forse non tutti realmente esistenti in X, ma per così dire facilitati a nascere, nelle copie poi tratte da X, dallo stato disordinato di questo (così 65?). b. Da Xa Boccaccio trae Chig (A), apportando inter scribendum molte lievi varianti formali e conservando per disattenzione o acquiescenza le lezioni sospette a 4, 33, 39, 69, 118, 147, 149, nonché l’errore a 87; fa piccoli tagli più o meno volontari a 681, 682, 81, 83, 154; il saut du même au même a 97, l’omissione a 145, piccole sviste e altre minori mende;245 rimedia tuttavia all’incoerenza a 142 e (a una rilettura immediata, subito dopo essere stato tratto in inganno dallo stato disordinato di Xa?) all’errore a 65; modifica Xa anche a 83, 96, 137. Non riporta in Xa tali correzioni e modifiche (forse 65, ma in modo poco chiaro?).246 superato labore, immatura morte merito decori subtractus, inornatus abiit »; cfr. anche Gen. VII 29, 5: « decerneretur [...] laurea poetis [...] qui, superato laudabili labore, meriti viderentur » (dove labor pare alludere all’esame di laurea; ZACCARIA, Boccaccio. Genealogie, p. 771: « per aver superato con lode la prova »). 244 A 149 diventato vs B divenne (cfr. supra R. 3 e per il contesto Tav. 13), « evidente assimilazione al precedente divenuto » per DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 248, può esser difeso come forma ellittica dell’ausiliare – per *fu diventato, trapassato per azione istantanea: « in brieve tempo d. », con recupero del « divenire subitamente » di 1a red. 215 omesso in 2a – non inusuale in antico: cfr. D. COMPAGNI, Cronica, ed. Cappi, Roma 2000, III 118 e 152, e ntt.; DELCORNO, Boccaccio. Fiammetta, p. 214 (tre ess. di « relativa sospesa »; tre casi, più o meno sospetti, nell’autografo del Decameron in BRAMBILLA AGENO, Ancora errori d’autore, pp. 80-81; cfr. anche Storia di fra’ Michele minorita, ed. Trevi, Roma 1991, p. 29: « i poveri frati di santo Francesco i quali oggi e per più tempo passato perseguitati per la povertà di Cristo, abitanti nella Marca, mandarono ecc. »; G. MORELLI, Ricordi, ed. Branca, Firenze 19692, p. 135: « E perché sempre fummo Neri di parte, ci siamo nomati Morelli: eziandio Giraldo, per rispetto di parte Nera, della quale divoto, puose nome Morello al figliuolo »). 245 Cfr. DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 248 nt. 18. Si aggiunga 118 [Chig, f. 10r, 10] mando|gli i(n) septe canti per « i sette canti » (così tutte le copie di A e sostanzialmente B; To 182 [f. 21v] li vij canti); 135 [Chig, f. 11v, 2] furono i(n)titolata (A -e; ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. 191 intitolat[e]). 246 Anche a 56 « alla filosofia [...] restituisse » Chig, f. 5r, 25, le restituisse con le cassato: dei suoi descripti, Pal. 561 e derivati, Magl. IX 136 e m (quindi Į) conservano le, mentre Ar lo omette (cfr. per Į DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio, p. 253; tra gli editori, solo ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante, p. 179, stampa le restituisse, evidentemente stimando non d’autore la cassatura); nella tradizione di B solo FR2 ha le, tutti gli altri lo omettono (cfr. sez.II.3, tav. 3.c.bis). Forse il pleonasmo - in effetti, non vero errore - era in X. Così a 83 A si porgessero / B le si porgessero = To (cfr. supra Tav. 3), la semplificazione può essere stata fatta da Boccaccio in Chig inter scribendum.

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DAVIDE CAPPI – MARCO GIOLA - “Trattatello in laude di Dante”

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c. In un secondo tempo Boccaccio è tornato su X, modificandolo in Xb: aggiunge (almeno) parte delle macrovarianti (145.f, 149.a,b) e corregge almeno 118, forse 39 (?), 147 e 149; forse aggiunge 23 (?) e 134. d. Da Xb un copista ha tratto Bx: ha conservato le ellissi e gli errori a 4, 33, 69, 87, 142; ha frainteso la correzione o peggiorato l’errore di 65; ha aggiunto l’errore a 104 e verosimilmente a 78, nonché pochi altri di minore entità (cfr. sez. II.4). STEMMA ĺ To ĺ Xa Ļ Chig (A)

Xb Ļ Bx

Così si spiega come A contenga, oltre a qualche lezione rimasta più vicina a To rispetto a B (che riflette modifiche ulteriori in Xb), varie lezioni deteriori “singolari” rispetto a To + B (frutto di sviste o piccole deviazioni anche indifferenti del Boccaccio copista di Chig), ma anche qualche correzione/miglioramento (es. 65) assente in B (perché non riportata da Boccaccio in Xb); resta indecidibile quale sia l’ultima “volontà” di Boccaccio relativamente a quasi tutte le macrovarianti (già in Xa, e “tagliate” da A, o aggiunte in Xb?). Anche per il Trattatello, come per le Genealogie, possiamo perciò ipotizzare che l’ultima stesura restasse affidata all’esemplare di lavoro dell’autore, e fosse copiata in pulito e pubblicata solo postuma. Se dunque per la forma Chig è (ovviamente) l’unico testimone fededegno, per la sostanza è B l’erede oggettivamente non contestabile, tranne in qualche particolare (forse 108bis?), dell’ultima volontà di Boccaccio. Entro questi limiti va riconosciuta la validità della tesi di Ricci.

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CARLO PULSONI

LE STRAORDINARIE VICENDE DI UN POSTILLATO: BEMBO, DOLCE E UN’EDIZIONE INEDITA DEL “DECAMERON” 1. Il postillato de Il Decamerone, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana con la segnatura Stamp. Cappon. IV.508 (da qui in avanti Cap, cfr. Tavv. 48-49),1 come ho avuto modo di rilevare in altra sede,2 presenta una mano coeva che riproduce la collazione svolta dal Bembo su un manoscritto “antichissimo” dell’opera. Come rivelano le postille poste all’inizio e alla fine di Cap, questo lavoro fu effettuato dal letterato veneziano su una copia della cosiddetta edizione Dolfin,3 tra il 26 marzo e il 4 aprile del 1527, in una fase successiva all’uscita delle Prose della volgar lingua4 1 Il Decamerone di Messer Giovanni Boccaccio, di nuovo emendato secondo gli antichi essemplari per giudicio et diligenza di più autori, con la diversità di molti testi posta per ordine in margine, et nel fine con gli Epitheti dell’Autore, espositione de proverbi et luoghi difficili che nell’opera si contengono, con tavole et altre cose nobili et molto utili alli studiosi della lingua volgare, In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1546. 2 PULSONI, Postillati cinquecenteschi, pp. 832-834. 3 Il Decamerone di M. Giovanni Boccaccio, impresso in Vinegia, per Gregorio de’ Gregori, il mese di maggio dell’anno 1516. 4 Prose di M. Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua, in Vinegia per Giouan Tacuino, 1525 (= P: cito dall’esemplare segnato Stamp. Ross. 3518 della Biblioteca Apostolica Vaticana, meritevole di attenzione per via di una serie di postille di mano coeva). Come è noto, il testo avrà due edizioni riviste dall’autore, vale a dire Delle prose di M. Pietro Bembo, nelle quali si ragiona della volgar lingua, in Vinegia, per Francesco Marcolini, 1538 (= M); Prose di M. Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua, In Firenze, per Lorenzo Torrentino, ad istantia di M. Carlo Gualteruzzi, 1549 (= T). Pare interessante il mutamento di prospettiva di Bembo nei confronti del Decameron: da testo assunto come modello linguistico soprattutto nella fase di revisione della prima redazione delle Prose delle volgar lingua, come provano le aggiunte marginali sul manoscritto autografo Vat. lat. 3210 (TAVOSANIS, Prima stesura, pp. 116 e sgg.), a oggetto di collazione dopo l’uscita della princeps dell’opera. Anzi anche in seguito, Bembo continuerà a inserire altri passi decameroniani con finalità normative, come dimostrano, a livello esemplificativo, le seguenti aggiunte in T (la divisione in capitoli delle Prose è mutuata da DIONISOTTI, Bembo. Prose e rime): III, 40: « Et aviene che questa voce senza termine si pone in vece di nome bene spesso nel numero del meno: il Boccaccio: “Signor mio, il volere io le mie poche forze sottoporre a gravissimi pesi, m’è di questa infermità stata cagione” (X 7, 34) »; III, 64: « il Boccaccio: “Il perché comprender si può, alla sua potenza essere ogni cosa suggetta” (III 10, 3) e ancora in vece di dire Perché ciò sia o pure La cagione di ciò: il medesimo Boccaccio: “Universalmente le femine sono più mobili, e il perché si potrebbe per molte ragioni naturali dimostrare” (II 9, 13) »; III, 72: « il medesimo Boccaccio: “La qual sapea, che da altrui, che dallei, rimaso non era che moglie di Nastagio stata non fosse” (V 8, 43), dovendosi per lo diritto più tosto dire che moglie di Nastagio stato fosse; e altrove: “Io temo forte che Lidia con consiglio e volere di lui questo non faccia” (VII 9, 28), in vece di dire questo faccia ». Su queste inserzioni

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

ma anteriore alla pubblicazione del Decamerone fiorentino dei Giunti:5 Ex antiquissimo Bembi codice emendationes feliciter incipiunt. die XXVI Martij MDXXVII. in villula PrĊcer.is così diceva in un Decamerone di quei di M. Nicolò Delphino (p. 1); finisce la decima, et ultima nata del libro chiamato Deron, cognominato Principe otto, Die 4 aprilis. mane [...] XXVII. in villula Receptoris: E ceva in un Decamerone di di M. Niccolò Delphino rinato con l’antico scritto a o del Bembo (p. 502).6

Tali indicazioni se da un lato confermano l’uso dell’edizione Dolfin da parte di Bembo, così come aveva supposto Vecce,7 dall’altro forniscono precise informazioni sia sul periodo in cui egli attende a questa collazione che si limita essenzialmente alle prime e ultime carte dell’opera (cfr. infra), sia sulla sua mancata conoscenza della Giuntina, come Bembo avrà modo di scrivere nella lettera al Ramusio dell’8 marzo 1533 « El Boccaccio stampato in Fiorenza del MDXXVII io non ho, che ne corressi uno di questi stampati in Venezia assai prima con un testo antichissimo e perfetto. Né poi mi ho curato de altro. Ho ben inteso che l’è corretto assai. Se me ne manderete uno, ve lo saperò dire assai tosto ».8 L’attendibilità della datazione di Cap è corroborata dal fatto che in quel periodo Bembo si trova a Padova, spostandosi di frequente nella sua residenza in campagna – la villula della postilla – nella quale ritempra il suo spirito,9 mi riprometto di tornare in altra sede. Per il momento si vedano i cenni sparsi in SORELLA, Copia di tipografia, pur se va precisato che vanno respinte su base paleografica le proposte di autografia bembiana per i postillati ivi menzionati. 5 Come si ricava dal colophon de Il Decamerone di M. Giovanni Boccaccio nuovamente corretto et con diligentia stampato, in Fiorenza, per li heredi di Philippo di Giunta, 1527, il testo vide la luce il 14 aprile. La copia segnata 69. 4. B. 79. della Biblioteca Nazionale di Roma presenta tracce di collazione di mano coeva nelle ultime novelle della X giornata. 6 Tra parentesi uncinate ho avanzato alcune ipotesi di lettura di questa seconda postilla, ricorrendo soprattutto al testo della prima. Tra parentesi quadre i passi dove non è stato possibile proporre alcuna congettura. 7 VECCE, Bembo e Boccaccio. 8 TRAVI, Bembo. Lettere, III, pp. 426-427. Il passo della lettera sembra richiamare in maniera enfatica quanto Bembo aveva già scritto in P, I, 10: « Anzi ho io un libro veduto delle sue novelle, buono et antico, nel quale sempre si legge scritta cosi Trascutato, voce del tutto Provenzale, quella che negli altri ha trascurato » (c. 10r). 9 Nelle lettere viene designata come “Villetta”. Si veda, ad esempio, quanto scrive ad Agostino Foglietta il 6 maggio 1525: « Giunto che io in Padova fui, visitai gli amici, e da essi visitato, me ne son venuto qui alla mia Villetta, che molto lietamente m’ha ricevuto. Nella quale vivo in tanta quiete, in quanto a Roma mi stetti a travaglio e fastidi (...). Leggo, scrivo quanto io voglio, cavalco, camino, passeggio molto spesso per entro un boschetto che io ho a capo dell’orto » (BEMBO, Lettere, II, pp. 245-246); o anche l’epistola a Trifon Gabriele

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CARLO PULSONI - Bembo, Dolce e un’edizione inedita del “Decameron”

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come provano alcune lettere coeve.10 Basti citare quella a Nicolò Tiepolo del 22 marzo del 1527: « Sarà bene che io intenda un giorno prima quando gliene farà bisogno, acciò che se io fossi in villa, dove vo molto spesso, possa a tempo mandare i cavalli a Padova ».11 Alla luce di questa cronologia, diventa di particolare interesse la lettera che Bembo invia a Carlo Gualteruzzi, priva di data, ma riconducibile per gli argomenti trattati al maggio del 1530,12 perché, essendo posteriore alla collazione effettuata dallo stesso letterato, si può interpretare come una sorta di esortazione ad « alcuno otioso ingegno » a svolgere in toto il lavoro di verifica testuale sul “Decamerone antico” da lui realizzato solo in parte: Pure ne farò sperienza questi dì in Villa, dove anderò forse domani. Per ancora non ho potuto, ché sono stato occupato assai. Del Decamerone antico mi piace: sarà bene che alcuno otioso ingegno pigli fatica di correggere uno degli stampati con quello.13

Non si può escludere che Bembo pensasse di sollecitare lo stesso Gualteruzzi a intraprendere siffatta operazione,14 considerato che questi si era già cimentato come editore di un testo toscano antico, pubblicando qualche anno prima Le ciento novelle antike (Bologna, nelle case di Girolamo Benedetti, 1525). Come è noto, Bembo non entrò nella cura di quest’opera, che verosimilmente aveva anche “commissionato”,15 ma vi era comunque intervenuto per correggere la lettera dedicatoria del Gualteruzzi « Al Reverendissimo Monsignor Goro Gherio » (cc. A2r-3r), che apre il volume.16 del 29 agosto 1527: « E per aventura sarem poscia tutti e quattro insieme alcun giorno alla mia Villetta » (BEMBO, Lettere, II, p. 461). Si veda a tale proposito il bel lavoro di CURTI, Ozi di Bembo (si veda ora anche Bembo e l’invenzione del Rinascimento). La discrasia nella denominazione della Villa bembiana nelle postille di Cap dipende verosimilmente da un problema di lettura del modello. 10 A livello di mera ipotesi si può aggiungere che l’assenza di lettere bembiane fra il 27 marzo e il 4 aprile potrebbe essere un segno della dedizione con la quale egli si cimenta nella collazione. 11 BEMBO, Lettere, II, p. 418 (mio il corsivo). 12 BEMBO, Lettere, III, p. 139: « Per la datazione si badi agli argomenti trattati, tipici di questo mese di maggio; e tuttavia è da porre non dopo il 20, quando, come nella lettera precedente afferma, è tornato in Villa ». 13 BEMBO, Lettere, III, p. 139. 14 Sul Gualteruzzi cfr. MORONI, Gualteruzzi; si veda pure DONNINI, Bembo. Rime, pp. XXII ss. 15 CONTE, Novellino, pp. 282-283. 16 PULSONI, Pietro Bembo filologo, pp. 94-97; TAVOSANIS, Prima stesura, pp. 103-111. La copia de Le ciento novelle antike conservata presso la Bibliothèque nationale di Parigi, segnata Rés Y2 797, presenta un ricco apparato di postille del Corbinelli, certamente degno di essere studiato.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

2. Torniamo a Cap. Appare notevole il numero delle postille che costellano i margini del Proemio e diventa pertanto difficile distinguere quali siano le varianti riconducibili al codice antico rispetto a quelle di interesse prettamente linguistico, come i promemoria o le correzioni di refusi. Qui di seguito riproduco le pagine del Proemio, riportando tra parentesi quadre non solo le varianti testuali, ma anche i commenti – preceduti solitamente da una M o inseriti in una cornice – e le osservazioni filologiche che marcano Cap rispetto al testo della Giuntina (cfr. « manca in quella di Fiorenza »). Le lezioni alternative sono messe in relazione da un lato con l’autografo boccacciano (= H), pur se va precisato che a causa della perdita della carta iniziale di H, il confronto può essere fatto solo col testo trascritto da un copista quattrocentesco che ha integrato il testo mancante;17 dall’altro con la lezione della Dolfin (= D), utilizzata da Bembo per il suo lavoro di collazione:18 Humana cosa è lo haver [è haver > è l’havere] compassione de gli afflitti; et come che a ciascuna persona stea [stia, a margine poi biffato “star bene”] bene, a coloro è massimamente richiesto [M a coloro è richiesto i. convenia] li quali già hanno di conforto havutob mestieria [mestiere haver mestieri .i. bisogna] et hannol[o manoscritta] trovato in alcuni [in alcuno]; fra [gli] quali, se alcuno mai ne [n’] hebbe bisogno o gli fu caro o già ne ricevette piacere, io sono uno di queglli [quegli; viene rimossa la lezione alternativa a stampa “*di quelli” ]. Per ciò che, dalla mia prima giovanezza infino [giovanezza insino] a questo tempo oltre modo [oltre a modo] essendo stato acceso d’ [da] altissimo et nobile amore [M essere acceso d’altissimo amore], forse più assai che alla mia bassa conditzione non parrebbe, narrandolo io si [narrandolo, sì] richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano et alla cui notitzia pervenne io ne fossi [fussi] lodato et da molto più reputato [M et da molto più reputato], nondimeno mi fu egli [egli .i. illud] di grandissima fatica a sofferire [soffrire], certo non per [la] crudeltà della donna amata, ma per soverchio fuoco [soperchio amore] nella mente conceputo [concetto] da poco regolato appetito: il quale, per ciò che a niuno convenevole termine mi lasciava contento stare, più di noia che di bisogno [che bisogno] non m’era spesse volte sentir mi facea. Nella qual noia tanto refrigerio già mi porsero [M porsero refrigerio / refrigerio mi porsero / rifrigerio] i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico et le sue laudevoli consolatzioni, che io porto fermissima opinione [openione / M portare oppinione] per quelle essere avvenuto [advenuto / adivenuto] che io non sia morto. Ma sì come a Colui piacque il quale, essendo egli [egli .i. ille] infinito, diede per legge incommutabile a tutte le cose mondane haver [havere] fine, il mio amore, oltre ad ogni [ogni / oltre ad ogni] altro fervente et il quale [al quale] niuna forza di 17 CURSI, Decameron, p. 163. Si aggiunga che una mano più tarda ha ripassato a sua volta il testo precedente (PETRUCCI, Ms. Berlinese. Note codicologiche e paleografiche, p. 648). 18 Si aggiunga che il postillatore biffa talvolta la variate marginale a stampa presente in Cap.

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CARLO PULSONI - Bembo, Dolce e un’edizione inedita del “Decameron”

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proponimento o di consiglio o di vergogna evidente, o pericolo [o di vergogna o evidente pericolo] che seguir ne [ne .i. dico io] potesse, havea [haveva] potuto né rompere né piegare, per sè medesimo in processo di tempo si diminuì in guisa, che solo [sol] di sè nella mente mi [m’] ha al presente lasciato quel piacere che egli [ch’egli] è usato di porgere a chi troppo non si mette ne suoi più cupi pelaghi navigando [mettersi ne cupi pelaghi navigando / navicando. Metapho.]; per che, dove faticoso esser solea [essere soleva], ogni affanno togliendo via, dilettevole il sento esser [essere] rimaso. Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ benefici [d’e benificii] già ricevuti [recevuti], datimi da coloro a’ quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le mie fatiche: ne passerà mai, sì come [com’] io credo, se non per morte. Et per ciò che la [chella et così per tutto chello, etc.] gratitudine, secondo che io [ch’] credo tra l’ [fra le] altre virtù è sommamente da commendare [commendare] et il contrario da biasimare, per non parere ingrato ho meco stesso proposto di volere [voler], in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti [in cambio / ricevetti], hora che libero dir [dire] mi posso, et se non a coloro che mi [me] atarono [aiutorono, aiutarono, aiutarono] a li quali [a quali] per aventura per lo loro [M lor] senno o per la loro buona ventura non bisogna [abisogna], a quegli almeno a quali fa luogo [far luogo .i. bisogno, fa luogo], alcuno alleggiamento prestare. Et quantunque il mio sostentamento [sostenimento], o conforto che vogliam dire, possa essere et sia a’ bisognosi assai poco, nondimeno parmi quello doversi più tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sì perché più utilità vi farà et si anchora perché più vi fia [fie] caro havuto. Et chi negherà questo, quantunque egli si sia [quantunque egli si sia i. quantum vis minimus], non molto più alle vaghe donne che a gli huomini convenirsi donare? Esse dentro a’ dilicati petti, temendo et vergognando, tengono l’ [le] amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza habbiano che le [habbian chelle] palesi coloro il sanno bene [sanno che l’hanno] che le [chell’] hanno provate [provato] et provano [pruovano] [manca in quella di Fiorenza]. Et oltre acciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli [frategli] et de’ [d’e] mariti, il più del tempo nel piccolo circuito [picciolo circoito] delle loro camere racchiuse [rinchiuse] dimorano et quasi otiose sedendosi, volendo et non [non volendo] in una medesima hora, seco rivolgono diversi pensieri, i quali [li quali] non è possibile che sempre sieno allegri. Et se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopraviene ne le [nelle] lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza [sanza, et così per tutto senza più replicarlo] che [ch’] elle sono molto men forti che gli huomini a sostenere; il che degl’[gli] innamorati huomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia [maninconia] o gravezza di pensieri [pensieri] gli afflige, hanno molti modi da [di] alleggiare o [et] da passar quella [quello], per ciò che a loro volendo essi, non manca [a loro] l’andare a torno, udire et vedere [veder] molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giocare o mercatare [et mercatantare] : de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sè et dal noioso pensiero [pensero] rimoverlo almeno per alcuno spatio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolatione [consolation] sopraviene o diventa la noia minore.

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332

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Adunque, acciò che in parte per me [per me in parte] s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sì come nelle dilicate [delicate] donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in soccorso et rifugio di quelle che amano, perciò che all’altre è assai l’ago e ‘1 fuso et l’arcolaio, io [“io” non è in quel di Fiorenza] intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o historie che [et che] dire le vogliamo, raccontate in dieci giorni, come manifestamente apparirà [tutta questa interpositione manca in quello di Fiorenza], da una honesta brigata di sette donne et di tre giovani nel pestilentioso [pistilentioso], tempo della passata mortalità fatta, et alcune canzonette dalle predette donne et huomini cantate a lor [alloro] diletto. Nelle quali novelle piacevoli et aspri casi d’amore et altri fortunati [fortunosi] avvenimenti si vedranno [vederanno] così ne’ moderni tempi avvenuti [advenuti] come negli antichi; delle quali le già dette donne, che queste [quelle] leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate et utile consiglio potranno pigliare [et conoscere], in quanto potranno conoscer quello che sia da fuggire et che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Iddio che così sia; ad Amore ne rendano gratia, il quale liberandomi da’ suoi legami mi [m’]ha conceduto il [di] poter attendere a’ lor piaceri. Fine pagina 1 Star bene – esser richiesto / lodato et da molto reputato / Haver mestieri – Haver bisogno / Esser caro – ricever piacere / Esser acceso d’amore – Amare – Conceper ne la mente amore / Il Bembo legge Humana cosa è l’havere compassione à gli afflitti, ma a me (perdonimi un tanto huomo) non piace, conciosiache il Boc. altrove dice pa usa parimente altrove Che m’ha fatto havere di lui grandissima compassione et sì avere di lei compassione.

Veniamo al confronto tra Cap e H: nella colonna di sinistra riporto in tondo le varianti manoscritte di Cap; esse sono tra parentesi quadre quando trascrivo, in corsivo, il contesto nel quale sono inserite per rendere più palese il raffronto con H; nella colonna di destra il testo di H, seguito tra parentesi quadre da quello di D. Con l’asterisco segnalo le convergenze di lezione tra Cap e H: è haver > è l’havere *

l’avere [D lo havere]

stia *

stia [D istia]

havutob mestieria *

mestieri avuto [D havuto mestieri]

hannol[o manoscritta] *

ànnolo [D hannolo]

in alcuno *

in alcuno [D in alcuni]

fra [gli] quali *

fra gli quali [D fra quali]

ne [n’] hebbe

[manca in H] [D n’hebbe]

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quegli *

Quegli [D quelli]

giovanezza insino*

giovanezza insino [D giovanezza insino]

oltre à modo *

oltre a modo [D oltra modo]

d’ [da] altissimo *

da [D da]

narrandolo io si [narrandolo sì]

narrandolo io si [D narrandolo io si]

fussi

fossi [D fussi]

soffrire

sofferire [D soffrire]

non per [la] crudeltà

non per crudeltà [D non per crudeltà]

soperchio amore *

soperchio amore [D soperchio amore]

concetto *

concepto [D conceputo]

che di bisogno [che bisogno] *

che bisogno [D che di bisogno]

333

refrigerio già mi porsero [M porsero refrigerio rifrigerio mi porsero [D refrigerio mi porsero] / refrigerio mi porsero / rifrigerio*] openione *

oppenione [D oppenione]

advenuto / adivenuto *

adivenuto [D avenuto]

havere *

avere [D havere]

oltre ad ogni [ogni / oltre ad ogni]

ol[…] ad ogni [D oltre ad ogni altro]

al quale

il quale [D il quale]

o di vergogna evidente, o pericolo [ò di o di vergognia evidente o pericolo [D o di vergogna evidente o pericolo] vergogna ò evidente pericolo] haveva

avea [D haveva]

sol

solo [D solo]

mi [m’*] ha

m’à [D mi ha]

che egli [ch’egli] è usato di porgere

ch’è [usato di porgere] [D ch’egli è usato di porgere]

navicando *

navicando [D navicando]

essere soleva

essere solea [D essere soleva]

essere *

essere [D essere]

d’e’ benificii *

de benifici [D d’e benefici]

recevuti

ricevuti [D recevuti]

[com’*] io

com’ [D com’io credo]

[chella* et così per tutto chello, etc.]

chella [D chella]

che io [ch’]

che io [D ch’io]

tra l’ [fra le]

fra l’ [D fra l’]

commendare *

commendare [D commendare]

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334

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

voler

volere [D voler]

in cambio* – ricevetti*

in cambio – ricevetti [D in cambio – ricevetti]

dire*

dire [D dire]

mi [me] atarono [M aiutarono, aiutorono, att[…]no [D mi aiutorono] all[…] quali [D a quali] aiutarono] a li quali [a quali] lor

loro [D loro]

abisogna

bisognia [D bisogna]

sostenimento*

sostenimento [D sostenimento]

fie

sia [D sia]

tengono l’ [le] amorose

tengono l’amorose fiamme [D tengono l’amorose fiamme]

habbian chelle *

abbian chelle [D habbiano chelle]

coloro il sanno bene [sanno che l’hanno *] coloro il sanno che l’ànno provato che le [chell’] hanno provate [provato *] et et pruovano [D coloro il sanno bene chell’hanno provato et provano] provano [pruovano *] [frategli] et de’ [d’e]

fratelli et de’ [D frategli et d’e]

picciolo circoito

in picciol tempo nel loro circuito [D il più del tempo nel picciolo circoito]

rinchiuse

racchiuse [D rinchiuse]

volendo et non [non volendo *]

volendo et non volendo [D volendo et non volendo]

li quali *

li quali [D i quali]

nelle *

nelle [D nelle]

[sanza*] che [ch’*] elle

sança ch’elle [D sanza ch’elle]

degl’ [gli*] innamorati

de gli innamorati [D de gl’innamorati]

maninconia *

maninconia [D maninconia]

pensieri

pensiero [D pensier]

[di] alleggiare o [et]

d’aleggiare o [D di alleggiare et]

Quello *

quello [D quella]

non manca [a loro] l’andare

non mancha l’andare [D non manca a loro andare]

veder

vedere [D vedere]

et mercatantare

et mercatare [D et mercatantare]

pensero

pensieri [D pensero]

consolation

consolaçioni [D consolatione]

in parte per me [per me in parte *]

per me in parte [D per me in parte]

delicate

dilicate [D dilicate]

et che

che [D che]

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pistilentioso

pestilençioso [D pestilentioso]

alloro *

alloro [D alloro]

fortunosi *

fortunosi [D fortunosi]

vederanno

vedrano [D udiranno]

advenuti

avenuti [D avenuti]

quelle *

quelle [D quelle]

potranno pigliare [et conoscere *]

et conoscere [D et conoscere]

mi [m’*]ha

m’à [D mi ha]

il [di*] poter

di [D di]

335

La convergenza di gran parte delle varianti di Cap con le lezioni di H conferma quanto si era finora supposto in merito alla consultazione bembiana dell’autografo decameroniano: egli non si limita pertanto a vergare su di esso delle postille, tra cui sicuramente “calzari” a c. 33rB,19 ma arriva perfino a collazionarlo nella sua copia di D. Se appare evidente il motivo per cui Bembo inserisce in D la variante di H in caso di divergenza, quando si ha corrispondenza testuale fra i due testimoni si può ritenere che egli sia interessato a rilevare, secondo una prassi ben consolidata nei suoi libri manoscritti e a stampa,20 la forma oggetto per ragioni linguistiche, alla luce di quanto aveva scritto nelle Prose. 3. L’importanza di Cap non si esaurisce comunque nella registrazione della collatio bembiana, ma investe anche l’aspetto più propriamente bibliologico per via della presenza di alcuni interventi di tipo “editoriale”. Mi riferisco da un lato ai commenti di cui si è dato conto in precedenza, dall’altro a tutta una serie di indicazioni reperibili a partire dall’inizio del testo decameroniano, che qui di seguito riporto in successione: p. 1: accanto all’intitolazione « COMINCIA IL LIBRO CHIAMATO DECAMERONE… » si ha « Questo principio il voglio dove è la figura »; viene biffata la scritta “PROEMIO” e sopra di essa il chiosatore trascrive su due righe « PROEMIO DI GIOVANNI BOCCACCIO / NEL SUO DECAMERONE ». Risulta inoltre rigettata una iniziale proposta manoscritta « GIOVANNI BOCCACCIO ALLE VAGHE ET DELICATE DONNE” apposta sotto “PROEMIO”. Accanto alla miniatura della lettera iniziale, si ha « conciosiacosaché sia humanitade ad haver compassione degli afflitti. Guido giudice da Messina nell’ultimo cap. del 7° lib. ». CURSI, Decameron, p. 163. A livello puramente esemplificativo si vedano da ultimo VELA, Villani; PULSONI, Comento di Landino; CURTI, Fiammetta e Asolani; EAD., Tra due secoli. 19 20

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336

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

pp. 2-3: vengono inserite le testatine da leggersi tra le due pagine: « GIOBOCCACCIO / ALLE VAGHE ET DELICATE DONNE ». p. 5: viene biffata l’intera intitolazione « COMINCIA LA PRIMA GIORNATA DEL DECAMERONE… », ma anche l’indicazione “Giornata prima”. In luogo di quest’ultima, dopo vari ripensamenti, si ha « INTRODUTTIONE DI GIOVANNI BOCCACCIO NELLE SUE NOVELLE: nella quale egli dimostra perché cagione avvenisse di doversi rag quelle persone che appresso si leggeranno ragunare insieme a ragionare insieme ». Questo testo, posto alla fine della pagina, avrebbe dovuto rimpiazzare il testo a stampa “GIORNATA PRIMA…”, come suggerisce una linea di richiamo marginale. A questa altezza una scritta marginale indica il carattere che avrebbe dovuto essere utilizzato « Dell’antichetta dei […] ». Infine a margine della lezione alternativa a stampa “*gratiosissime” viene aggiunto “gratiose et nobili”. pp. 6-7 e seguenti: inserimento delle testatine da leggersi tra le due pagine: dopo un iniziale « LA PRIMA GIORNATA DEL / DECAM. DEL BOCC. », si passa a « INTRODUTTIONE DI GIO. BOCC. / NELLE SUE NOVELLE ».21 p. 17: inserimento della scritta « COMINCIA LA PRIMA GIORNATA DEL DECAMERONE: Nella quale [ma inizialmente si aveva “In questa prima giornata”], sotto il reggimento di Pampinea, si ragiona di quella materia che più aggradisce a ciascuno », a margine della quale si ha la seguente indicazione tipografica « sopra l’argomento della novel della lettera corsiva mezza ». pp. 18-19: come nel caso precedente viene inserita l’intitolazione della novella per esteso tra le due pagine, dopo aver espunto dal testo a stampa “Giornata / prima.”. Le fasi redazionali, con relative cassature, sono molteplici: da un iniziale « LA I NOVELL. » si passa a « LA PRIMA NO. », a « LA PRIMA GIORNATA DEL / DECAM. DEL BOCC. NOVELL. I. » fino al definitivo « LA I. NOVEL. DELLA PRIMA / GIOR. DEL DECAM. DEL BOCC. », presente anche nelle pagine seguenti. Nel margine sinistro di p. 18 si ha anche l’indicazione del carattere da utilizzare « li argomenti farete della antichetta salmi”. Poco sotto viene biffato l’argomento a stampa della novella, vale a dire « Nel che si conviene quanto sia difficile a distinguer la bontà dalla hipocresia et quanto sotto apparente santità la malvagità d’uno possa ingannare molti »: in sua vece il postillatore scrive: « par che in questa prima novella il Boccaccio voglia alludere a quel detto d’Agostino nel [spazio bianco per inserimento successivo, mai avvenuto]: Molti corpi sono riveriti in terra, le cui anime son tormentate nello ‘nferno, per dimostrare che difficilmente si possa conoscere la intrinseca et vera malvagità dell’animo, VANNI

21

Da pp. 8-9 viene biffata anche l’indicazione a stampa “GIORNATA / PRIMA”.

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337

et della mente dalle finte parole, et estrinseca bontà del voto altrui ». Anche in questo caso nel margine sinistro viene specificato il carattere da impiegare: « ueste repliche si faranno corsivetta picciola ». p. 20: correzione marginale a “Musciato”: grazie all’inserimento di una “t” il nome viene uniformato all’attestazione della riga precedente. Poco sotto il postillatore aggiunge: « nella novella di Tancredi prence di Salerno, nella voce cappi che io credo che voglia dir ciappi donde deriva questo nome ser Ciappelletto ». p. 22: a margine della variante a stampa “questi usurai” del testo “questi usurieri”, si ha « “a questi usuraii” il Bembo, in vece di “sa di questi usuraii” », allusione a quanto scrive Bembo sul costrutto sintattico in Prose III, 11: « è ita innanzi questa usanza di levar loro il segno del secondo caso, ma etiandio ne’ nomi medesimi alcuna fiata, sì come si pare in queste parole del Boccaccio: A casa le buone femine, In casa questi usuraii, in luogo di dire A casa delle buone femine, et Di questi usuraii ».22 p. 27: come nel caso della prima novella dopo aver cassato l’aggettivo “Prima” della stampa, viene proposto un iniziale « LA I. GIOR. DEL DECAM. DEL BOCC. NO. II. », a sua volta depennato, per arrivare alla redazione “LA II. NO. DELLA I. GIOR. DEL DEC. DEL BOCC. ».23 Subito sotto viene biffato l’argomento della novella a stampa « Nel che si contiene la liberalità et bontà d’Iddio verso la religione Christiana » per il seguente testo: « In questa seconda novella il Boccaccio par che voglia alludere a quell’altro detto d’Agostino tolto da Paolo che ai buoni anchora il male si converte in bene; et che gli huomini da bene non rimangono di far bene perché veggono che coloro che più degli altri dovean far bene fan male anzi da quello prendono occasione di far maggior bene ». Nelle pagine seguenti si ripropone quanto scritto in merito all’alternanza delle testatine, mentre a pagina 31 figura una postilla di tipo esplicativo: a margine del testo « si rimase la quistione * qual fosse il vero herede del padre in pendente” si ha « si rimase la questione in pendente et anchor pende: Grammatici certant et ad huc sub iudice lis est Hor. ». Tornano a comparire varianti testuali a pagina 48, sia nella ballata che nella successiva prosa d’accompagno posta a chiusura della prima gior22 P, c. 49v (nell’esemplare cit. sopra alla nota 4 nel passo in questione si trova a margine la seguente annotazione: « Segno del secondo caso lasciato co’ nomi »). Il testo risulta identico nelle edizioni successive dell’opera, vale a dire M, c. 61r (leggo dalla copia Stamp. Ling. Rom. Italiano. Bembo 1 della Biblioteca Apostolica Vaticana); T, p. 119 (cito dall’esemplare Stamp. Chig. IV.4135, molto interessante per via delle postille del senese Celso Cittadini, il quale spesso polemizza, come nel caso in questione, con quanto affermato da Bembo). 23 Questo modo di computare le novelle sarà quello utilizzato per tutti gli inserimenti delle testatine fino a pp. 54-55 (« LA II. NOVEL. DELLA SECONDA / GIOR. DEL DECAM. DEL BOCC. »).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

nata. Riproduco i due testi, riportando inizialmente la lezione di Cap, di seguito quella di H e tra parentesi quadre quella di D. Come nel caso del Proemio, inserisco un asterisco dopo la lezione di Cap in caso di corrispondenza con H: v. 8 qual altro dunque piacevole oggetto v. 19 quanto più fiso gli occhi tengo in esso v.21 gustando già di quel che mi ha promesso v. 23 simil non si sentì qui di vaghezza

adunque – H dunque [D adunque] fisi tengo gli occhi* – H fisi tengo gli occhi [D fiso gli occhi tengo] ciò* – m’* / H ciò m’ [D quel che m’ha] da* – H da [D di]

Questa ballatetta finita alla qual lietamente tutti haveano risposto, anchor che alcuni molto alle parole di quella pensar facesse, doppo [et dopo – H dopo – D et dopo] alcune altre carolette fatte, essendo già una particella della brieve notte passata, piacque alla Reina di dar [far – H dar – D far] fine alla prima giornata; et fatti i torchi accendere, commandò che ciascuno insino [infino* – H infino –D infino] alla sequente [seguente* – H seguente – D seguente] mattina s’andasse a riposare, perché ciascuno alla sua cameretta tornatosi, così fece.

Come si può osservare, nella maggioranza dei casi vi è identità testuale fra Cap e H. La pagina si chiude con l’explicit manoscritto alla prima giornata « FINISCE LA PRIMA GIORNATA DEL DECAMERONE ». Nella pagina seguente, oltre ai consueti interventi editoriali in merito alle intitolazioni (l’esordiale “COMINCIA” viene trasformato in “INCOMINCIA”; viene depennato “GIORNATA SECONDA” e in sua vece è vergato « IL PROEMIO DELLA SECONDA GIORNATA »), si rinvengono alcune varianti testuali nel Proemio: Già per tutto havea il sole [sol* – H sol – D sole] recato con la sua luce il nuovo giorno, et gli uccelli su per gli [li* – H li – D gli] verdi rami cantando piacevoli versi, ne davano agli orecchi testimonianza: quando parimente tutte le donne et i tre giovani levatisi, ne giardini se ne entrarono: et le rugiadose herbe con lento passo scalpitando d’una parte in un’altra [in altra – H in un’altra – D in altra], belle ghirlande faccendosi [facendosi – H faccendosi – D facendosi], per lungo spatio diportando s’andarono, et sì come il trapassato [trappassato – H trapassato – D trappassato] giorno havean [havevano – avean – H havean – D havevano] fatto, così fecero il presente. Per lo fresco havendo mangiato, doppo alcun ballo s’andarono a riposare, et da quello appresso la nona levatisi, come alla loro Reina piacque, nel fresco pratello venuti, allei d’intorno si posero a sedere. Ella, la quale era formosa et di piacevole aspetto molto, et della sua ghirlanda dello alloro coronata, alquanto stata et tutta la sua compagnia riguardata nel viso, a Neifile comandò che alle future novelle con una desse principio, la quale senza alcuna scusa fare, così lieta cominciò a parlare.

A pagina 50, prima della novella di Martellino (II, 1), è proposto un sunto della seconda giornata: « In questa seconda giornata, sotto il reggi-

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mento di Philomena, si ragiona di chi da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine ». A margine dell’inserimento viene fornito il carattere da impiegarsi: « ntichetta dei Salmi ». Poco sopra anche il formato « s mezza ». Non sono molti gli interventi nelle pagine successive. Si segnalano i seguenti a pp. 145-46 (III, 5); come nei casi precedenti a sinistra la lezione a stampa e a destra la variante o il commento manoscritto di Cap: p. 145 che io vi dimostri con parole parlare – H parole – D parlare che voi cosa che io far potessi la quale – H che – D che m’ubidisse. Adunque Se adunque – H adunque – D adunque p. 146 ammollita ammollisca – H ammollita – D ammollisca A margine si ha inoltre la frase « questo luogo forse che non è senza menda di correttione » che allude al seguente passo: Cap

H

D

Et si come humilissimo servidore vi prego caro mio bene et sola speranza dell’anima mia, che nell’amoroso fuoco sperando in voi si nutrica, che la vostra benignità et la vostra bellezza sia tanta, et si ammollita [ammollisca] la vostra passata durezza verso di me dimostrata, che vostro sono, che io dalla vostra pietà riconfortato possa dire che come per la vostra bellezza innamorato sono, così per quella haver la vita, la quale (se a miei prieghi l’altiero vostro animo non s’inchina) senza alcun fallo verrà meno, et morrommi; et potrete esser detta di me micidiale.

Et si come humilissimo servidor vi priego caro mio bene et sola sperança dell’anima mia, che nell’amoroso fuoco sperando in voi si nutrica, che la vostra benignità sia tanta et si ammollita la vostra passata dureça verso di me dimostrata che vostro sono, che io dalla vostra pietà riconfortato possa dire che come per la vostra belleça innamorato sono, così per quella aver la vita, la quale se a miei prieghi l’altiero vostro animo non s’inchina sença alcun fallo verrà meno, et morrommi; et potrete esser detta di me micidiale (c. 37v.)

Et si come humilissimo servidore vi prego caro mio bene et sola speranza dell’anima mia, che nell’amoroso fuoco sperando in voi si nutrica, chella vostra benignità et la vostra bellezza sia tanta, et si ammollisca la vostra passata durezza verso di me dimostrata, che vostro sono, che io dalla vostra piata riconfortato possa dire che come per la vostra bellezza innamorato sono, così per quella havere la vita, la quale (se a miei prieghi l’altiero vostro animo non s’inchina) sanza alcun fallo verrà meno, et morrommi; et potrete essere detta di me micidiale.

Confrontando i testimoni, si nota che Cap e D riportano il sintagma « et la vostra bellezza » assente in H. A p. 189, nella novella IV, 1, figura una lunga nota di commento al lemma a stampa “cappi”, già menzionato nella postilla a margine di I, 1(cfr. supra): « altri capi, altri ciappi, altri chiappi. Chiappi si chiamano

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

in Napoli et in Salerno certi nodi larghi, che allargare et istringere et parimente fargli star fermi. Ne sarebbe maraviglia che volesse dir chiappi: sì perché la novella è di persone dove tal voce s’usa, il che osservò altre volte il Boccaccio usando alcune voci che s’usano nel paese delle persone, delle quali introduce la novella, il che è virtù in uno auttore, quando ciò osserva: sì perché chiappa è scheggia di pietra, che dalle ripe escie fuori a guisa di grado; et credo ancho così si possano dire quelle morse, che si lasciano nelle mura incompite, per potervi poi fabricare accanto, nel cui sentimento usa tal nome il Boccaccio che fe’ quasi una scala con la fune ». A p. 275, a margine dell’inizio di V, 10, viene proposto un sunto del testo che si limita a « La novella dei tre contenti » senza che venga tuttavia biffato quello a stampa. A p. 315, a margine del testo « et oltre a questo l’uno de’ bracci con tutta la spalla » (VII, 2), si ha la postilla « l’uno delle braccia legge il Bembo », evidente allusione a Prose III, 6, dove Bembo cita il passo del Boccaccio in altro modo: « Con la qual regola si vede che parlò il Boccaccio quando e’ disse: Messo il capo per la bocca del doglio, che molto grande non era, et oltre a quello l’uno delle braccia con tutta la spalla, et non disse l’una delle braccia o altramente » (P, c. 45v). 24 Gli ultimi interventi su Cap si rinvengono nelle ultime pagine, in particolare nella prosa successiva alla canzone finale della decima giornata, e nella Conclusione dell’autore, dislocandosi pertanto poco prima della postilla dove si dà conto del giorno e del luogo in cui Bembo terminò la collazione sul manoscritto antico (cfr. supra). Partiamo dalla prosa che segue la canzone: Come la Fiammetta hebbe la sua canzone [canzon* – H cançon – D canzon] finita, così Dioneo che a [al* – H al – D al] lato l’era ridendo disse: Madonna voi faceste [fareste* – H fareste – D fareste] una gran cortesia a farlo conoscere a tutte, acciò che per ignoranza non vi fosse [fusse – H fosse – D fusse] tolta la possessione, poi che così ve ne dovete adirare. Appresso questa se ne cantarono [se cantaron* – H se cantaron – D se cantarono] più altre, et già essendo la notte presso che mezza [meza* – H meça – D mezza], come al Re piacque, tutti s’andarono a riposare. Et come il nuovo giorno apparve, levati havendo già il siniscalco via ogni lor [loro – H lor – D loro] cosa mandata [mandato – H mandata – D mandato], dietro alla guida del discreto Re, verso Firenze si ritornarono. Et i tre giovani lasciate le sette donne in Santa Maria Novella, donde con loro partiti s’erano, da esse accommiatatisi, a loro altri piaceri attesero; et esse quando tempo lor parve, se ne tornarono alle lor [loro Delph – H lor – D loro] case.

A margine della variante “meza” si legge inoltre il seguente commento: « et per lo più tutte quelle parole che con due “z” si scrivono con una sono 24

Il testo risulta identico in M, c. 56r, e in T, p. 109.

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CARLO PULSONI - Bembo, Dolce e un’edizione inedita del “Decameron”

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scritte in quel del Bembo antico, sì come è segnato in un del Delphino con quel rincontrato ». Questo passo è particolarmente significativo perché il postillatore fornisce da un lato informazioni sulla grafia del codice antico usato da Bembo, riproponendo un interesse che aveva già manifestato nel Proemio (cfr. supra); dall’altro indicazioni sul proprio modello di collazione, l’edizione Dolfin, arrivando a designarlo con l’abbreviazione Delph (si ricordi che nelle postille iniziali e finali si ha “Delphino”). Poco dopo egli riporta a margine del titolo « L’AUTORE ALLE GIOVANI DONNE », la frase « CONCLUSIONE DELL’AUTORE »: si tratta di un probabile riferimento a H dove si ha effettivamente « conclusione dell’autore », mentre in D manca l’intitolazione. Qui di seguito la porzione di testo corredata dalle varianti: Nobilissime giovani a consolation delle quali io a così lunga fatica messo mi sono [consolatione delle quai io mi sono messo a così lunga fatica Delph. – H consolation delle quali io ad così lunga fatica messo mi sono – D consolatione delle quai io mi sono messo a così lunga fatica], io mi credo, aiutantemi [aiutandomi – H aiutantemi – D aiutandomi] la divina gratia, sì come io aviso, per li [gli Delph.– H li – D gli] vostri pietosi prieghi [preghi – H prieghi –D preghi], non già per gli [li* – H li – D gli] miei meriti, quello compiutamente haver [havere Delph.– H aver – D havere] fornito che io nel principio della presente opera promisi di dover fare; per la qual cosa Iddio [Idio* – H Idio – D Iddio] primieramente, et appresso voi ringratiando, è da dare alla penna et alla man faticata riposo. Il quale prima ch’ [che* – H che – D che] io le conceda, brievemente [brevemente – H brievemente – D brevemente] ad alcune cosette, le quali forse alcuna di voi o altri potrebbe dire (conciosiacosaché a me paia esser [essere – H esser – D essere] certissimo queste non dovere havere spetial privilegio più che l’ [chell’ – H che l’ – D chell’] altre cose, anzi non haverlo mi ricorda nel principio della quarta giornata haver [havere – H aver – D havere] mostrato), quasi a tacite quistioni [questioni – H quistion – D questioni] mosse, di rispondere intendo. Saranno per aventura alcune di voi che diranno ch’ [che – H che – D che] io habbia nello scriver [nel scrivere Delph. – H nello scriver – D nel scrivere] queste novelle troppa [troppo – H troppa – D troppo] licentia [licenza – H licentia – D licenza] usata, sì come in fare alcuna [tal – H alcuna – D tal] volta dire alle [dalle – H alle – D alle] donne et molto spesso ascoltare cose non assai convenienti né a dire né ad ascoltare ad honeste donne. (…) Et voi piacevoli Donne con la sua gratia in pace vi rimanete, di me ricordandovi se ad alcuna forse alcuna cosa giova lo haverle [l’ haverle / giova haverle – H giova l’averle – D giova haverle] lette.

L’insieme di questi elementi ci fa supporre che Cap sarebbe dovuto divenire, una volta ultimato, una copia di tipografia,25 vale a dire il modello preparatorio di un’edizione nella quale avrebbero figurato non solo 25

Cfr. TROVATO, Ordine dei tipografi, pp. 175-195.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

le varianti riconducibili alla collazione bembiana, accompagnate da uno spoglio della giuntina del 1527 – lo dimostrano, ad esempio, i richiami alle “lacune” di quest’ultima –, ma anche le osservazioni di tipo esegetico nonché linguistico contenute in Cap. Considerato però che nessuna edizione del periodo presenta simili caratteristiche, dobbiamo presumere che Cap si limiti a testimone un lavoro incompiuto. Fornisce spunti di ricerca sulla cronologia degli interventi su Cap e sul suo probabile estensore il richiamo all’ “antichetta de’ salmi”, attestato più volte nel postillato. Se supponiamo che si tratti di un carattere utilizzato dal Giolito stesso, potremmo inferire che sia un riferimento a quello impiegato in alcune pubblicazioni nel cui titolo appare proprio il lemma “Salmi”, vale a dire Ragionamenti del reverendo padre frate Bonauentura Gonzaghi da Reggio conuent. di s. Francesco sopra i sette peccati mortali, & sopra i sette salmi penitentiali del rè Dauid ridotti in sette canzoni, & parafrasticati dal medesimo (1566), Discorsi spirituali, sopra il giardino de peccatori, nella esposizione de sette Salmi Penitentiali, composti dal R. P. Fra Teofilo Fedini fiorentino dell’Ordine de predicatori (1567), o ancora Salmi penitentiali di diuersi eccellenti autori. Con alcune rime spirituali, di diuersi illust. cardinali; di reuerendissimi vescoui, & d’altre persone ecclesiastiche. Scelti dal reuerendo p. Francesco da Triuigi carmelitano (1568). Se l’ipotesi si rivelasse fondata, la pubblicazione di uno di questi libri fungerebbe da terminus post quem per il lavoro su Cap, salvo ammettere che il curatore di queste edizioni non sia qualcuno che coadiuva Giolito, motivo per cui potremmo retrodatare la cronologia del postillato. Certo se si resta nell’ambito del Giolito, non si può fare a meno di pensare al suo più assiduo collaboratore: Ludovico Dolce.26 Induce a ritenerlo da un lato il fatto che il postillatore faccia riferimento proprio alla medesima edizione giolitina che sta annotando, visto che altrimenti non troverebbe spiegazione la nota vergata a margine dell’incipit di p. 1: « questo principio il voglio dove è la figura »; dall’altro soprattutto l’expertise paleografica di Antonio Ciaralli (cfr. Appendice). Grazie all’identificazione della mano di Cap con quella di Dolce, si può pertanto affermare che Cap rappresenta non solo il tentativo operato dal poligrafo veneziano di curare una nuova edizione del testo decameroniano, verosimilmente a seguito del ritrovamento della copia Dolfin collazionata da Bembo;27 ma anche una tardiva risposta al Ruscelli, considerato che nel decennio precedente il Giolito aveva manifestato chiaramente la sua preferenza per il Decameron del “rivale”, ristampandolo più volte QUONDAM, Mercanzia d’onore, p. 71. Si veda pure la voce di ROMEI, Dolce. Mancano riferimenti a questa edizione nell’importante catalogo della biblioteca romana di Bembo pubblicato da DANZI, Biblioteca Bembo. 26 27

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CARLO PULSONI - Bembo, Dolce e un’edizione inedita del “Decameron”

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(1554, 1555, 1557),28 mentre si astenne dal ripubblicare l’edizione del Dolce (1552),29 a seguito verosimilmente delle polemiche a essa legate.30 Sulle edizioni del Ruscelli cfr. GIZZI, Girolamo Ruscelli. TROVATO, Con ogni diligenza, p. 251. 30 Si ricordi quanto scrive Dolce nella premessa “Ai lettori” (cc. *4r-7r): « A questo comune danno (id est: la trascuratezza dei correttori nella revisione delle opere che vanno in stampa) si sono opposti in diversi tempi diversi dotti huomini, i quali non senza molti sudori hanno ritornati alla loro candidezza molti autori così Poeti, come Historici et prosatori dell’una e dell’altra lingua: tra quali grande obligo dee havere questa età, prima al Magnifico M. Andrea Navagero, a M. Aldo Manutio, e dapoi al dottissimo M. Paolo suo figliuolo, per industria del quale habbiamo finalmente Cicerone romano. Nella nostra lingua per diligenza del Bembo le Rime del Petrarca corrette e puntate si leggono. Il che se egli medesimamente havesse fatto nel Boccaccio, sarebbe per aventura a molti levata la noia, et ad alcuni l’ambitione di più oltre affaticarsi. E certo non è stato infino a qui libro, al quale habbia fatto e faccia più mestiero di emendatione, di quello che fa al suo Decamerone: sì per esser libro più letto da gli studiosi di essa lingua, e dal quale si cavano le regole e la forma del ben scrivere; e sì anchora perché fra tante migliaia d’imprese non v’è niuno (il che sia detto con pace da ciascheduno) che comportevolmente si possa leggere, et a punto la impressione Fiorentina è peggiore di ciascun’altra. Il che tanto più è da riprendere quanto più essendo questa la lingua loro, que’ Fiorentini che a tale impressione attesero, meno degli altri italiani mostrano di haverla intesa. Che per tacere lo haver essi posto poco giudiciosamente nel titolo di qualunque giornata QUI COMINCIA, costume usato anticamente da alcuni sciocchi scrittori, che anchora nelle Epistole di Cicerone, come in altri libri ponevano medesimamente HIC INCIPIT LIBER EPISTOLARUM […]. Vedete dimostramento d’huomini giudiciosi e dotti, vedete che forma di correttione si può sperar, che usata habbia nell’opera, uno che manifesta di non sapere né lingua Thoscana, né regola, né ortografia alcuna; vedete infine se maggior vergogna al Boccaccio si poteva fare. Ma andiamo un poco più avanti. Dicono costoro che’l Boccaccio per conservar la convenevolezza delle persone che intervengono nelle novelle, ha voluto usar vocaboli fiorentini popolari, i quali voi per non intendergli gli habbiamo rimossi e posti in quella vece diversi altri che fiorentini non sono. A che rispondo che forse non è stato alcuno scrittore né latino né greco che più questa convenevolezza serbasse di quello che ha fatto il Boccaccio. Onde non solo secondo la diversa qualità de’ soggetti e delle persone che intervengono nelle novelle (le quali non sono già tutti di huomini di villa né di plebei, ma de’ cavalieri, de’ signori e de’ re magnanimi più d’una se ne legge e de’ soggetti alti e magnifichi) ma di coloro etiandio che le recitano, i quali gentilhuomini e gentildonne dimostra che fossero; andò così temperando le parole e’l filo d’e ragionamenti, che ci par d’udir favellar huomini e donne prudentissime e nobili e non sciocche e contadine. Se non vogliamo dire che egli lasciasse scritto in vece di questa voce afflitti affritti (come un nobile Vinitiano afferma haver trovato in un Decamerone che fu del Mag. Lorenzo de Medici) perché tal voce si usava nel volgo. Accomodò adunque le parole alla materia et alle persone e perché il suo intendimento fu (come egli stesso afferma) di scriver queste novelle in stile humile e chiaro quanto si potesse il più, non è verisimile che egli volesse empir le carte di parole antiche che sogliono rendere oscurità, e abiette e vili, li quali si usarono nella età sopra lui, come Stea in vece di Stia, che veggiamo havere usato Dante e non il Petrarca; e così quegli altri Poeti e prosatori rozi che furono nelle età inanzi, i quali sono citati dal Sansovino: Amenduni in cambio di Ambedue, usato dal Bembo alcuna volta nelle sue lettere, come da quello che molte altre voci antichissime usò: atare per aitare, fedire per ferire, vuogli per vuoi, boce per voce, soperchiare per soverchiare, sappiendo per sapendo, piatà per pietà, sanza per senza, e diverse altre parole che in quel secolo non si usavano e 28

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Basta scorgere l’inizio dell’opera per comprendere l’evoluzione del testo di Dolce; l’ed. del 1546 (come del resto le successive) suona: « Humana cosa è lo haver compassione *de gli afflitti [in marg.: * a gli] », mentre quella del 1552: “Humana cosa è lo haver compassione *a gli afflitti [in marg.: * DE gli] ». Come ha sottolineato Trovato riferendosi alla stampa del 1552, in questo, come in altri punti dell’opera, « il Dolce era ritornato alle origini della sua carriera di editore del Decameron, assumendo posizioni lontanissime, sì, da quelle del Ruscelli, ma scarsamente difendibili già nel 1541, quando aveva tentato per la prima volta, contro il Brucioli, la carta diciamo pure nazionalista del testo Delfin ».31 A conferma di quanto supposto da Trovato si può pertanto osservare che nella sua “riedizione” del Decameron testimoniata da Cap, Dolce decide di prendere a modello il testo che aveva pubblicato nel 1546 e non quello più recente del 1552. Ricordo a tale proposito quanto registra Cap come esordio dell’opera: « Humana cosa è l’havere compassione de gli afflitti », con annessa nota di commento che va a correggere quanto stampato nel 1552: « Il Bembo legge Humana cosa è l’havere compassione a gli afflitti, ma a me (perdonimi un tanto huomo) non piace, conciosiache il Boc. usa parimente altrove Che m’ha fatto havere di lui grandissima compassione et sì avere di lei compassione », e di conseguenza il dettato di Prose II, 15. L’incompletezza del lavoro di Cap potrebbe essere dipesa dalla subitanea morte del Dolce, avvenuta nel 1568. In conclusione Cap si rivela da un lato testimone della collazione parziale svolta da Bembo sull’edizione Dolfin, dall’altro una copia di lavoro: una duplice veste che permette di valorizzare l’importanza di Cap sia sotto l’aspetto linguistico in una prospettiva bembiana, sia sul versante bibliologico di un esemplare a stampa che si apprestava a divenire copia di tipografia.

come non usò anchora il Petrarca [..]. Ma se alcuno volesse argomentare che’l Boccaccio così lasciasse di sua mano scritto perché in alcuni antichi esemplari le soprascritte parole si trovano, rispondo che’l medesimo argomento fa anchora per me in affermare il contrario, quando non minor copia anzi maggiore se ne trova di tanto e più antiche, che tali le hanno quali le habbiam ritornate noi. E se vogliono dire che state siano corrotte dallo scrittore, lo istesso parimente è conceduto di dire a me di quegli altri esemplari e tanto più, quanto la prima origine è venuta di Fiorenza, dove amenduni, boce, Pagolo e così fatti hanno in bocca de’ volgari. Ma la troppa licenza che si prendono alcuni per esser natii fiorentini, dottamente è ripresa dal Varchi. E questo basti d’intorno ad alquanti vocaboli ». Si veda quanto scrive a tale proposito TROVATO, Con ogni diligenza, pp. 248-250. 31 Ibid., p. 249.

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APPENDICE ANTONIO CIARALLI

Nota sulla scrittura di Ludovico Dolce32

La scrittura di Ludovico Dolce, scarsamente documentata per l’arco cronologico che dal 1540 arriva al 1559 (venti anni, dunque, centrali della sua attività di consulente editoriale e poligrafo, ma lontani dalle fasi dell’apprendimento di scrittura e non prossimi agli anni della tarda maturità) mostra, negli esempi noti, una generale costanza di modulo e di generale conduzione. Regolarissimo nell’impaginare e rispettoso dell’allineamento, Dolce scrive un’italica ancora di prima maniera33 (unico cedimento ai modelli divulgati dal Cresci è in una delle due varianti di e di cui si dirà più avanti)34 fortemente inclinata a destra, non priva di varianti grafiche, ma, nel complesso, parca e convenzionale nel sistema delle legature. Queste ultime avvengono, in genere, per lasciata di penna, con movimento sinistrogiro, e sono presenti anche in quelle lettere che di norma non prevedono legamento come accade, non frequentemente in verità, con h, con p, più raramente con q (dal temine del traverso) o con r (vagamente suggestiva di forme più antiche). Del tutto usuali i legamenti eseguiti con tale modalità per s corta (tonda, nel lessico del tempo), mentre si tratta di un atteggiamento piuttosto insolito l’analogo fenomeno attestato in quella dal disegno con traverso prolungato al di sotto del rigo di scrittura quando seguita da altra s. Tra le alternative di lettera si segnala la e che può essere eseguita sia con occhiello tendenzialmente chiuso e privo di levata verso destra (dunque non produttivo, di norma, di legamento: anche questo un fatto alquanto raro), sia con testa prolungata nell’interlinea; della d: con traverso, decisamente maggioritaria, o con taglio discendente da sinistra verso destra. Duplice anche il disegno della s: corta o con traverso che, in questo caso, può terminare tanto con piede quanto con volta, dando mostra di differenti coloriture. Rilevante il panorama offerto dalle varianti combinatorie di lettere tra le quali sono da segnalare il triplice modo di scrivere la doppia s (entrambe ferme sul rigo, la prima lunga e la seconda corta, entrambe prolungate al di sotto del rigo), e doppia la scrittura per la coppia st (con alternanza tra s lunga, maggioritaria, e corta); due forme anche per il digramma ch (al modo italico con legatura dal basso di c, e con lettere discrete). Molteplice anche l’elegante sistema delle maiuscole che annovera due tipi di E (capitale, con tratto sul rigo di dimensioni maggiori e spesso prolungato anche a sinistra, e in forma di epsilon); due tipi di G (in un tempo solo e in due tempi con

32 Riprendo qui, in parte ampliandole, le osservazioni inserite nella Nota paleografica alla voce Ludovico Dolce, a cura di P. Procaccioli in Autografi dei letterati italiani, III/2, in c.d.s.

Per la definizione cfr. CIARALLI, Studio dell’italica, p. 179. Divulgati (non inventi) nel caposaldo della trattatistica di scrittura che fu Giovan Francesco Cresci, Essemplare di piu sorti lettere di Gio. Francesco Cresci milanese scrittore della libraria apostolica. Doue si dimostra la vera et nuoua forma dello scriuere cancellaresco corsiuo, da lui ritrouata ..., In Roma, per Antonio Blado ad instanza del autore, 1560. 33 34

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

colonnino). La I è prevalentemente dritta, iniziata da un piccolo taglio e conclusa, ben al di sotto del rigo, con un consistente piede, mentre la T ha la testa, ondulata, sempre molto prolungata a sinistra. L’occhiello della P, infine, attacca a sinistra compiendo un ampio semicerchio e imprimendo alla lettera un caratteristico aspetto a phi greco. Rara è la congiunzione espressa con grafia latina, ma, quando capita, questa è in forma di nesso (epsilon-t) secondo un modello ben attestato nel romano corsivo della coeva tipografia. Tra gli elementi singolari, da attribuire cioè a caratteristiche proprie della mano di Dolce, vale menzionare: la r in forma di v, cioè priva di testa o con testa appena accennata quando in congiunzione con lettera posteriore. Il primo elemento della lettera, inoltre, cioè il taglio discendente verso destra, è spesso più accentuato del secondo e ricurvo verso il basso. La p e la q hanno un marcato piede (anche la f è terminata sempre da un piede), in alcuni punti tanto consistente da poter essere definita una vera tagliatura; in p l’asta sopravanza anche di molto l’occhiello; il traverso della t supera, di norma, di un terzo della sua altezza la testa della lettera. Infine la z, talvolta alta, ma di norma congrua col corpo delle altre lettere, assume spesso una peculiare forma che la rende simile alla r tonda di tipo mercantile. Ancora da ricordare il falso legamento s (lunga) e t per il quale si deve osservare, appunto, lo stacco di penna sempre eseguito tra le due lettere. Appartiene agli usi scrittori di Dolce un articolato sistema paragrafematico costituito da una punteggiatura che contempla tutte le possibili pause sospensive (dalla virgola al punto e virgola, dai due punti al punto fermo), le intonazioni (punto interrogativo), le forme parentetiche, le divisioni sillabiche segnate da una semplice lineetta, le elisioni per le quali viene adibito l’apostrofo, mentre maggiore incostanza si riscontra nell’impiego degli accenti. Alle pause maggiori segue sempre la maiuscola, mentre tutti i segni interpuntivi risultano isolati dal contesto grafico per il tramite di spazi lasciati in bianco sia immediatamente prima, sia immediatamente dopo, secondo un uso che trova ampi riscontri nella tipografia del tempo e nella stessa bottega dei Giolito ove egli ampiamente lavorerà. Ristretto il ricorso alle scritture compendiate, limitato per lo più a nasale finale (con segno abbreviativo verticalizzato), a ch(e) e a p(er). Nella valutazione della scrittura con cui sono vergati gli interventi editoriali presenti nell’esemplare Capponiano del Boccaccio giolitino del 1546 occorre prendere in considerazione un doppio ordine di limitazioni. Un primo limite è, per così dire, interno al fatto grafico. Con il Cinquecento, la diffusione dell’italica e l’apparizione di una specifica trattatistica intorno alla prassi di insegnamento della scrittura,35 il livellamento delle concrete manifestazioni grafiche di scriventi dotati di un elevato grado di preparazione (ma non calligrafi) può apparire molto forte: distinguere, allora, cioè discriminare nella prassi attribuzionistica, risulta a volte assai complesso.36 Questa difficoltà si accentua quando, come nel caso in questione, si è al cospetto di limitati interventi apposti nei ristretti margini o nei ridotti spazi rimasti privi di segni o di immagini del libro tipografico: quando, insomma, si ha a che fare con postille scritte, per necessità fisica, strutturale, in un modulo ridotto, 35 Il rinvio d’obbligo è a CASAMASSIMA, Trattati di scrittura, cui si dovrà aggiungere almeno MORISON, Early Italian Writing-Books; e PETRUCCI, Insegnare a scrivere. 36 Un caso è illustrato in CIARALLI, Ruscelli maestro di cifre, p. 736.

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ANTONIO CIARALLI - Nota sulla scritta di Ludovico Dolce

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a volte piccolissimo, nelle quali è impossibile, anche per uno scrivente esperto e raffinato, attingere in pieno al panorama delle proprie capacità espressive. In casi simili la prudenza cessa di essere abito mentale, funzione fatica cautelare, per trasformarsi nella necessaria premessa dell’argomentare. Ogni osservazione dovrà intendersi accompagnata, perciò, anche quando risulta inespresso, da un costante e condizionante ‘mi pare’, da un ‘mi sembra’, da un ‘forse’: un dubbio, insomma, che vuole essere sprone alla puntuale verifica e mira a scoraggiare la supina accettazione di ogni ventilata proposta. Pur con i limiti descritti, la possibilità che la mano cui appartengono quelle note sia proprio quella di Ludovico Dolce rimane piuttosto alta. Non solo, infatti, niente nella scrittura dell’ignoto curatore editoriale è contrario alla proposta di identificazione, ma, anzi, molto risulta perfettamente in linea con quanto di peculiare si è ritenuto di dover ascrivere alla grafia di Dolce. Si veda, per es., la presenza delle due varianti omofone per e (quella con occhiello tendenzialmente non legata), o la triplice esecuzione della coppia ss (cfr. p. 2 essere acceso, fussi, esser caro, p. 5 avvenisse), o la z in forma di r (pp. 1 giovanezza, p. 3 sanza/senza, p. 17 mezza, ecc.), la r priva di testa. Corrispondono ancora all’intonazione dell’italica dolciana la d con volta a destra, la p con traverso sopraelevato, la t con posizionamento della testa ai due terzi del traverso (numerose le occorrenze per tutto ciò). Identico il sistema di legamenti per levata di penna, come costante anche si osserva lo stacco dei tratti nel grafema st. Non mancano analogie tra le maiuscole: dalla P con occhiello allargato a sinistra (c. 27 Paolo), alla E con tratto sul rigo ondulato e allungato a sinistra, alla T con testa quasi del tutto spostata a sinistra (cfr. p. 20 Tancredi); ma unica la G. Anche l’et nella forma descritta per il Dolce vi compare (p. 3). Simile l’isolamento dei segni interpuntivi (cfr. la nota in calce a p. 2; p. 3 fanno , che l’hanno; p. 18 la nota introduttiva, ecc.), ma il segno di rinvio accapo è costituito, nel postillato, da doppio trattino. L’apostrofo, infine, largamente usato, si posiziona, nella scrittura del Dolce piuttosto basso rispetto al traverso della lettera che precede (sia essa d o l), esattamente come avviene, per es., anche nella nota apposta a p. 315. Insieme all’aspetto grafico, e non meno di questo rilevante come già dimostrato da Carlo Pulsoni, è il contesto generale in cui deve collocarsi l’operazione di revisione editoriale. È evidente come l’annotatore dell’esemplare capponiano stia approntando una copia del Decameron per la tipografia. Espliciti suonano al riguardo i riferimenti alla tipologia dei caratteri da impiegare: « sopra l’argomento della novel[la] della lettera corsiva mezza[na] » (p. 17), « li argomenti farete della antichetta [dei] Salmi » (p. 17), « [q]ueste repliche si faranno [nella] corsivetta picciola » (p. 18) « antichetta dei Salmi » (p. 50), « [cor]s(iva) mezz(ana) » (p. 50). Ma anche chiaro è il fatto che i riferimenti siano proprio alla medesima edizione giolitina che egli stesso sta annotando, altrimenti non troverebbe spiegazione, a me pare, la nota apposta in margine all’incipit di p. 1: « questo principio il voglio dove è la figura ». Ora a quale altra figura potrebbe riferirsi l’annotatore, se non proprio a una presente nel libro che sta sistemando per la nuova edizione (per es. la xilografia di p. 5)? E l’edizione che ha sotto mano è proprio quella curata da Dolce e sortita dalla tipografia dove Dolce ha lavorato sino al termine della sua attività di consulente editoriale e poligrafo avvenuta, com’è noto, con la morte nel 1568.

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MARCO BERNARDI

UNA LETTURA CINQUECENTESCA DEL “DECAMERON”: TESTIMONIANZA INDIRETTA DI UN AFFINE DELL’AUTOGRAFO HAMILTONIANO 1. Angelo Colocci e lo studio del “Decameron” Angelo Colocci (Jesi 1476 – Roma 1549) – umanista e collezionista, corrispondente di celebri intellettuali tra cui Bembo, Castiglione e Vettori, protettore e editore di poeti suoi contemporanei, uomo di curia, bibliofilo e possessore di numerosi importanti codici della tradizione letteraria romanza (come ad esempio il codice Colocci-Brancuti, il « Libro de varie romanze volgari » Vat. lat. 3793, il canzoniere provenzale M) e classica (il celebre Virgilio Mediceo Laur. 39.1, l’Orazio Vat. lat. 3257, il Plinio Vat. lat. 3861), studioso di metrologia, metrica e lingue romanze1 – non può vantare molti titoli per essere noto agli studiosi di Boccaccio, se non quello di aver avuto per le mani il venerabile autografo Berlinese della Staatsbibliothek Hamilton 90 (di qui in poi B), come non si stanca di ripetere la vulgata degli studi colocciani.2 Questo assunto si fonda, però – per quanto ne so – sull’identificazione da parte di Vittore Branca (e conferma di Augusto Campana)3 della mano che verga due marginali in B con quella, appunto, di Colocci. Nonostante l’autorevolezza del parere, la base materiale su cui poggia risulta dunque piuttosto esigua. L’esame delle due postille,4 poi, non potrà che confermare il dubbio in chi ha familiarità con 1 Sul personaggio si veda FANELLI, Ubaldini. Vita di Colocci; Atti Convegno Angelo Colocci; FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci; BERNARDI-BOLOGNA, Angelo Colocci; BERNARDI, Zibaldone; nei quali si trovano anche numerose riproduzioni fotografiche di fogli autografi e postillati dell’umanista, che potranno essere utilizzati come termine di confronto per l’identificazione della sua mano, questione su cui ci si sofferma qui immediatamente di seguito. Sia inoltre lecito rimandare almeno a BERNARDI, Postillato; ID., Interessi culturali; ID., Angelo Colocci, con ampia bibliografia annessa e riproduzioni fotografiche. 2 Si veda ad esempio BIANCHI, Per la Biblioteca, p. 273; CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, p. 319, nt. 208 (per le questioni inerenti a questo studio si veda la Postilla al termine del presente contributo) e, anche se in maniera più sfumata e cauta, BOLOGNA, Colocci e l’Arte, p. 391. 3 Cfr. BRANCA-RICCI, Autografo, p. 17, poi ripreso in BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. XXXVII. Per la bibliografia fondamentale su B fino al 1975, si veda Ibid., pp. XVII-XVIII; per quella successiva CURSI, Decameron, pp. 163-164. 4 Le postille possono essere esaminate abbastanza bene nella riproduzione fotostatica di BRANCA, Boccaccio. Decameron. Fac-simile.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

la grafia dell’umanista, e anzi lo inviterà a rifiutare garbatamente la pur autorevole ipotesi identificativa. Le annotazioni in questione si leggono rispettivamente: – nel f. 72v, col. a: « Ide(m) i(n) argum(en)to 8e fabule 8i diei » (Fig. 1) – nel f. 78v, col. b:5 « Dextro » (Fig. 2) La prima e più estesa delle due, infatti, non mi pare che possa essere attribuita alla mano di Colocci con sufficiente certezza: rarissima in Colocci la d di memoria onciale (l’unica impiegata nella postilla); pressoché assente la f bassa sul rigo; infrequente l’abbreviatura per « m(en)to » nelle forme in cui compare qui (Colocci di solito scrive « mto » non m con titulus e to sul rigo); piuttosto rare le aste con uncino a sinistra; la e, poi, sarebbe piuttosto insolita per Colocci che la traccia in un tratto e tre tempi con andamento a zigzag e non in due tratti, con il primo arrotondato al piede (come qui); inoltre la scrittura si dispone su un rigo ben allineata, il che pure è infrequente.6 L’identificazione della mano che verga la seconda convince assai di più (se si esclude il tracciato della e), ma l’esiguità del testo e la convenzionalità del tratto delle lettere che lo compongono rendono scarsamente probante lo specimen.

Fig. 1

Fig. 2

Finora dunque le testimonianze del passaggio per le mani di Colocci di B si limitavano a ben poca cosa. Per questo risulta particolarmente interessante soffermarsi su una lista di vocaboli e locuzioni tratti dal Proemio e dall’Introduzione alla prima giornata del Decameron, che si può leggere nei ff. 275r-278r del codice Vat. lat. 4817 (di qui in poi Col) – celebre zibaldone autografo dell’umanista, databile entro il terzo decennio 5 Com’è noto B riporta due colonne di scrittura per ciascuna facciata: le si designa con le lettere « a » e « b » (diversamente BRANCA, Boccaccio. Decameron4, designa con a e b le colonne del recto e con c e d quelle del verso di ciascun foglio). 6 Per una descrizione della scrittura di Colocci e dei suoi tratti caratterizzanti si rimanda a BERNARDI, Zibaldone colocciano, pp. 38-41 e alla Nota sulla scrittura di Antonio Ciaralli in ID., Angelo Colocci, p. 106.

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

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del Cinquecento7 –, disposti in quattro colonne (le indicherò con a, b, c, d) per ciascuna facciata (la lista non reca né titolo né intestazione). Di fronte a questo elenco, infatti, si impone immediatamente la necessità di un confronto con la lezione tradita da B per verificare se le annotazioni di Col possano dipendere direttamente dall’autografo berlinese.8 Diversi elementi, come vedremo, invitano ad escludere questa diretta dipendenza, tuttavia – lo anticipo – le coincidenze tra B e Col sono tali da invitare ad ipotizzare che il testo-modello (indicheremo dunque con Tm la fonte – probabilmente manoscritta – da cui Colocci trasse le annotazioni confluite in Col) fosse assai simile a B. Com’è noto, il foglio 1 di B (che contiene il testo boccacciano dall’incipit dell’opera fino alle parole « pareva seco » di I Intr. 15) è di mano quattrocentesca, in sostituzione dell’originale perduto9 (per comodità indicheremo con Bs questa prima parte spuria di B e con Ba la parte autografa relativa alla porzione di testo che qui interessa, cioè, sostanzialmente da I Intr. 16 a I Intr. 53).10 Come si tenterà di dimostrare, il testo-modello di Col doveva a sua volta recare traccia di un’origine composita, presentando una situazione testuale, per così dire, bipartita, costituita cioè da un parte iniziale caratterizzata da lezioni spesso spurie e frutto di contaminazione – che si immagina approssimativamente corrispondente a Bs (indicheremo dunque con Col1 il gruppo di annotazioni relative a questa parte: 1-268) –; e una seconda parte latrice di lezioni più prossime a quelle tradite da Ba, sia pure con alcune variazioni e oscillazioni grafiche e fonetiche, solitamente però poco significative (indicheremo con Col2 le annotazioni corrispondenti a questa seconda parte: 269-640b).11 Tale 7 Il codice è stato recentemente edito in CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, ma la bibliografia in merito è assai ampia, per cui si vedano almeno DEBENEDETTI, Alcune postille; ID., Studi provenzali; AVESANI, Appunti del Colocci; PÉREZ BARCALA, Fragmento; PULSONI, De Vulgari Eloquentia; BERNARDI Postillato. 8 L’identificazione della lista contenuta in Vat. lat. 4817 da parte di chi scrive era già stata segnalata in PULSONI, Postillati cinquecenteschi, p. 845; a tale epoca risalgono dunque le basi delle riflessioni che si svolgono qui di seguito. Ora CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, occupandosi appunto del codice Vat. lat. 4817, pone l’interrogativo relativo alla dipendenza diretta da B della lista di Col e la esclude, liquidando il tema a p. 319 nelle due righe della nota 208. La questione merita invece di essere approfondita, perché, come vedremo, si possono aggiungere alcune ulteriori precisazioni in merito. Sul lavoro di Cannata si tornerà dunque nella Postilla conclusiva, a cui si rimanda. 9 Cfr. BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. XXI. 10 Come noto, la parte di testo non autografa (o, altrove, mancante) in B è edita da BRANCA, Boccaccio. Decameron4 (cfr. p. 1) sulla base del codice Mannelli: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 42.1 (lo si indica, come di consueto, con Mn), per lui derivato dallo stesso antigrafo di B. 11 Va da sé che la suddivisione Col1-Col2, oltre che approssimativa, è anche strumentale: ci si augura infatti che possa rendere più comprensibile e svelta la trattazione. Nonostante le effettive corrispondenze che, come si vedrà, sarà possibile individuare (date queste

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

bipartizione sembra avvalorata dal diverso rapporto delle due parti con un altro testimone autorevole del ramo Į della tradizione del Decameron, cioè il manoscritto P (Paris, Bibliothèque Nationale de France, It. 482).12 Prima di altre osservazioni in merito varrà la pena fornire l’edizione delle annotazioni colocciane chiarendo innanzitutto i criteri di trascrizione e di presentazione di questo materiale. Le annotazioni vengono presentate all’interno di tabelle corrispondenti ciascuna ad una colonna di Col (quattro tabelle per il recto e quattro tabelle per il verso di ciascun foglio, dunque). I diversi item dell’elenco colocciano sono infatti incolonnati e separati l’uno dall’altro da un breve tratto orizzontale simile ad una sottolineatura (ma che a differenza di queste non interessa solitamente l’intera parola, ma solo le sue prime lettere). Si sono considerate annotazioni distinte tutte quelle che rispondevano a questa disposizione topografica sulla pagina; siccome spesso le annotazioni (trascritte nella III colonna di ciascuna tabella, nella nostra edizione) sono costituite da più parole – talora brevi frasi – Colocci, nell’andare a capo, ha provveduto a far rientrare verso destra la parte di testo che faceva parte della stessa annotazione, sicché ogni nuova e distinta annotazione risulta invece spostata verso sinistra. Ciascuna di esse è dunque stata da me numerata (nella I colonna della tabella) secondo un ordine progressivo unitario, in modo che le si possa richiamare più agevolmente nella trattazione. Alcune di esse, se si riferiscono a elementi diversi della stessa stringa testuale (cfr., per es. 541a « dietro » e 541b « di dietro »), o agli stessi elementi ripetuti (51a « stesso, meco stesso », 51b « meco stesso ») o disposti in ordine diverso, in modo da mettere in rilievo l’uno o l’altro dei componenti (cfr. 153a « meco pensando », 153b « pensando, meco »)13 625a « sconci », 625b « isconci parlari » e 625c « parlari isco(n)ci ») sono raggruppate sotto un unico numero, ma distinte da lettere differenti.

Nell’annotare i vari elementi che attiravano la sua attenzione, Colocci ha seguito tendenzialmente l’ordine della loro occorrenza nel testo bocapprossimazioni strumentali) rispettivamente tra Col1 e Bs e tra Col2 e Ba, tuttavia non sarà opportuno tracciare distinzioni nette o conclusioni troppo perentorie: le argomentazioni che si esporranno, infatti, si fondano su Col che non contiene un testo unitario e coeso, bensì un pulviscolo di appunti che del testo da cui dipendono mostrano appena frammenti (oltretutto non sempre significativi da un punto di vista della tradizione testuale). 12 P fu trascritto, com’è noto, da Giovanni d’Agnolo Capponi, probabilmente nel settimo decennio del Trecento, e riflette uno stato anteriore a quello trasmessoci da Mn e B (cfr. CURSI, Decameron, pp. 31-36, 217-219). Le varianti non meramente grafiche di P sono state raccolte e discusse da BRANCA, Variazioni narrative e stilistiche: dalle pp. 15-18 del quale sono state tratte le lezioni di P di cui ci si servirà nelle pagine a seguire, ad integrazione di quelle già impiegate in ID., Per il testo II, pp. 197-240, poi ripreso con conclusioni leggermente differenti in ID., Boccaccio. Decameron4, pp. LXIII-LXXXVI. Nel riferire il testo di Mn (o sue singole lezioni) ci si rifarà dunque, per comodità, a questi ultimi due lavori di Branca (il ms. può essere ora visionato sul sito della Biblioteca Medicea Laurenziana, all’indirizzo http:// teca.bmlonline.it). 13 In tali casi si è aggiunta una virgola a separare il lemma su cui si focalizza l’attenzione dell’annotatore dall’altro lemma che, pur scritto di seguito, nel testo lo precederebbe.

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cacciano. Tuttavia in alcuni casi egli torna indietro per recuperarne alcuni probabilmente sfuggitigli ad una prima lettura, alterando dunque l’ordine di successione dei lemmi rispetto a quello del testo-modello. Tali casi sono stati segnalati ponendo una freccia rivolta verso l’alto (Ĺ) accanto all’elemento recuperato (che si dovrebbe trovare più in alto rispetto a quelli che lo precedono). Quando la collocazione di quest’ultimo nell’elenco colocciano è distante da quella che ci si aspetterebbe – quando cioè il lemma compare in mezzo a lemmi relativi ad un paragrafo del Decameron diverso da quello da cui esso è stato tratto – accanto al lemma è stata posta in neretto e entro parentesi quadre l’indicazione del paragrafo in cui può essere rintracciato.14 Si è inoltre provveduto ad indicare il numero dell’annotazione – sempre in neretto ed entro quadre – accanto all’occorrenza del termine o della locuzione all’interno del testo del Decameron. Alle annotazioni di Col è stato affiancato il testo di B (IV colonna), puntualmente riscontrato sulla riproduzione fotostatica dello stesso (si sono segnalati in parentesi quadra e in neretto i cambi di foglio e di colonna di B, lungo la trascrizione).15 Nel trascrivere B si sono conservati scrupolosamente anche i fatti grafici che Branca ha invece normalizzato secondo le consuetudini moderne.16 Occorre però precisare che il testo di Bs è in gran parte evanito, sicché si sono poste tra parentesi quadre le parti che non sono leggibili né intuibili, ma solo ipoteticamente ricostruibili sulla base di un confronto con Mn.17 Il testo di quest’ultimo è stato affiancato (V colonna, per la sola parte iniziale, cioè, appunto, fino a I Intr. 15) a quello di Bs e all’interno di quest’ultimo, poi, sono state evidenziate in neretto le 14 Si abbrevia con « Pr » il rimando al Proemio e con « Intro I », quello all’Introduzione della prima giornata; le scansioni paragrafematiche sono quelle stabilite da Branca nella sua più volte citata edizione critica. 15 Ci si è serviti di BRANCA, Fac-simile del codice Hamilton 90. Nella trascrizione del testo di B si è seguito un criterio più conservativo di quanto si è fatto per Mn: si mantengono le grafie di B limitandosi a sciogliere direttamente a testo, senza parentesi, le abbreviazioni. Si accolgono invece punteggiatura, accenti, apostrofi e maiuscole dell’edizione BRANCA, Boccaccio. Decameron4 (che si è tenuta presente anche per le integrazioni – segnalate entro quadre – necessarie nelle parti poco leggibili dell’autografo). Nel testo boccacciano sono state sottolineate le espressioni corrispondenti alle annotazioni di Col. 16 Per es. la preposizione ad (normalmente a nell’edizione), la ç per z, le grafie etimologizzanti, l’uso di x, la scrittura di numeri in cifre romane e così via. Unica eccezione sono le note tironiane per et che si trascrivono con e, salvo quando la congiunzione et occorra in scrittura estesa (specie in principio di paragrafo). La punteggiatura, gli apostrofi e gli accenti sono quelli del testo stabilito da Branca. 17 Tali integrazioni sono fornite per garantire leggibilità globale al testo di B. Mn, com’è noto, è infatti latore – come dimostrato da BRANCA, Boccaccio. Decameron4, pp. LXIII-LXXXVI; ID., Studi sulla tradizione – di un testo discendente (pur non direttamente) dallo stesso stato testuale dell’archetipo da cui deriva (attraverso una serie di ulteriori modifiche che non hanno però previsto una concreta redazione intermedia) l’autografo B.

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lezioni significativamente divergenti rispetto a Mn (non sono state prese in considerazione in tal senso – sebbene siano state il più scrupolosamente possibile conservate – differenze meramente grafiche);18 è stata inoltre segnalata con « [RPLWWLW] » l’assenza in Bs di parti di testo presenti invece in Mn (dove sono state evidenziate in neretto). Nella II colonna delle tabelle, infine, trovano posto due tipi di segno: il primo (*) marca tutte le divergenze di Col da Bs o Ba19 (esse saranno raccolte nelle Tabb. A1 e A2); il secondo (x) evidenzia tutte le coincidenze significative di Col con B (cioè in lezioni in cui Bs diverge da Mn o che sollecitano un confronto con P). Tali lezioni saranno raccolte in altre tabelle e discusse più avanti (cfr. Tabb. B1 e B2). Nell’edizione delle annotazioni colocciane si è cercato di adattare il necessario criterio conservativo all’esigenza di comprensibilità immediata della trascrizione (e secondo l’interpretazione che si è ritenuto di dare del senso e della funzione di ciascuna annotazione): da una parte dunque si evidenziano le abbreviature e i compendi sciogliendoli in parentesi tonde, si mantengono grafie etimologizzanti o genericamente latineggianti e raddoppiamenti fonosintattici, si rende conto di ogni cancellatura (segnalata in nota, con trascrizione del testo cassato, dove possibile) e intervento correttorio e di ogni segno di marcatura che possa accompagnare le annotazioni (sottolineature, croci « + », trattini sovrapposti « = » e segni a chiave « -o »: tutti espedienti tipici dell’umanista). Dall’altra è stata introdotta la punteggiatura secondo l’uso moderno, dal momento che questi appunti ne sono sostanzialmente privi.20 Sono stati introdotti accenti e apostrofi (questi ul18 Come grafie latineggianti (per es. dilectevole, adviene vs. dilettevole, avviene; hora, huomo vs. ora, uomo; ad vs. a), modi diversi di rendere suoni palatali (per es. bisogniosi vs. bisognosi; coscie vs. cosce), velari (peschare vs. pescare), forme scempie contrapposte a geminate (aviene vs. avviene), la grafia ç per z. 19 Va tuttavia precisato che Colocci non si mostra sempre rigoroso e dunque affidabile nel riportare la lettera del testo-modello. In alcuni casi, ripetendo la trascrizione (magari in ordine diverso) degli elementi di una stessa locuzione, egli introduce varianti grafiche o addirittura fonetiche per la stessa parola. Non si prendono perciò in considerazione, come casi di divergenza tra Col e B, tutte quelle forme che presentano varianti graficofonetiche in relazioni alle quali Colocci non si mostra affidabile (a meno che altri elementi dell’annotazione non intervengano a garantire la forma alternativa) e cioè: 1) alternanza di vocali di timbro simile (i/e; o/u); 2) alternanza tra forme scempie e geminate; 3) grafie latineggianti e non (un’esemplificazione della scarsa affidabilità del trascrittore in relazione a tutti e tre questi fenomeni si ha nella trascrizione delle annotazioni 456a e 456c che presentano, per la stessa stringa testuale, le forme alternative defetto /diffecto); 4) forme non dittongate e forme dittongate (cfr. 640a ho(min)i / 640b huomeni); 5) forme non prostetiche e forme prostetiche (cfr. 284a stata / 284b istata; 625a sconci / 625b/c isconci); 6) forme con troncamento e senza (per es. 182 a lor / 182b loro); 7) forme che presentano raddoppiamento fonosintattico e forme che non lo presentano (150a ffar / 152a far). 20 Qui e là compaiono solo dei punti a separare un elemento dall’altro: non se ne è tenuto conto – per lo più – o sono stati sostituiti da virgole.

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timi sono presenti nell’originale solo in pochi casi, comunque segnalati in nota). Le integrazioni sono state poste tra parentesi quadre (in caso di parti di parola non leggibile, all’interno delle quadre è stato posto un numero di puntini equivalente a quello delle lettere che non si riesce a decifrare). Si è poi adottato il corsivo per trascrivere le parti che costituiscono citazione del testo boccacciano e il tondo per tutto il resto, ponendo tra apici parole e locuzioni che Colocci affianca alle forme del Decameron come loro equivalenti (spesso precedute da « .i. » cioè « id est »), come esemplificazione del loro uso entro contesti diversi da quello offerto dal testo-modello, o forme alternative non accettabili o non corrette (solitamente precedute da « non »).21 Sarà utile precisare prima di passare all’edizione di Col, quali sembrano essere gli intenti dell’annotatore nel redigere la lista. Dagli interventi di Colocci diversi dalla semplice trascrizione di lezioni del Decameron emerge infatti una finalità – per così dire – normativa o per lo meno descrittiva delle consuetudini fonetico-sintattiche e delle particolarità lessicali di una lingua sentita come alternativa a quella a lui probabilmente familiare. In altre parole lo scopo di Colocci in queste annotazioni è quello di un’indagine sulla lingua di un modello illustre, forse ai suoi occhi garantito – nella sua purezza testuale – dall’antichità o, per lo meno, dall’autorevolezza di un testimone manoscritto ritenuto affidabile, che egli ebbe a disposizione magari solo per breve tempo (di qui forse la collazione della sola prima parte del testo).22 In ogni caso gli interventi dell’annotatore a margine delle forme desunte dal testo di Boccaccio sono rappresentati – come in parte già si accennava – sostanzialmente da 4 tipologie (le prime due sono di gran lunga le più frequenti): – glosse esplicative e traduzioni in latino o in forme volgari, che si suppongono più familiari allo scrivente, dei lemmi boccacciani: per es. 2 « come che ‘benché’ », 122 « in percioch(é), i(d est) ‘quia’ ». 21 Adotto dunque un uso dei corsivi e degli apici che deriva da un adattamento dell’efficace sistema di edizione messo a punto da CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, pp. 141147, integrandolo per il resto con criteri maggiormente conservativi. 22 A meno che non si voglia pensare che la parzialità della lista colocciana non rispecchi l’identità di un testo-modello a sua volta frammentario; esiste infatti l’esempio alternativo di una breve consultazione da parte di Colocci di un testo antico, generatore di una serie di annotazioni che però – sia pure in maniera desultoria e incompleta – lo percorrono dall’inizio alla fine: è il caso degli appunti sul De amore di Andrea Cappellano, contenuti ai ff. 7r-12v di Vat. lat. 4831, su cui si veda BERNARDI, Zibaldone, pp. 61-64, 179-202; e soprattutto ID., De Amore. L’ipotesi più economica è tuttavia che l’umanista abbia volontariamente interrotto la propria trascrizione per passare ad altro. Si segnala che nel Vat. lat. 4817 la lista decameroniana è seguita da un’altra pertinente al Corbaccio, che occupa i ff. 281r-282v.

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– confutazione di usi fonetici non corretti: per es. 73 « Tengono non ‘-gno-’ » – cioè non « tegnono » –; confutazione di usi sintattici non corretti: per es. 584 « Dentro alle mura no(n) ‘dalle mura’ ». – brevi e laconiche comparazioni con altri modelli letterari e non: per es. Petrarca a 44, 148; probabilmente Francesco da Barberino23 a 473; comparazioni con usi del dialetto piceno: 191, 233b; o con forme dell’uso analoghe a quelle oggetto d’attenzione; – enucleazione di regole: per es. 603, 629a, 632. 2. Edizione delle annotazioni del cod. Vat. lat. 4817 (Col), ff. 275r-279r Tabella 1

2425

Nr.

*/x

f. 275r, col.D

%V

0Q

[Pro 2] Umana cosa è l’avere compass[ion]e degli afflitti: e come che a ciascheduna persona stia bene, è a coloro massimamente richiesto li quali già anno di conforto mestieri avuto e annolo trovato in alcuno; fra gli quali sogn’io [RPLWWLW] o gli fu caro o già ne ricevette piacere, io sono uno di que[g]li.

Umana cosa è aver compassione degli afflitti: e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto li quali già hanno di conforto avuto mestiere e hannol trovato in alcuni; fra quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o già ne ricevette piacere, io sono uno di quegli.

I24 1

humana cosa è

2

come che ‘bench(é)’

3

richiesto

4

mestieri ha i (d est) ‘bisogno’

5

hannolo t(r) ovato

6

ricevette piace(re)25

23 Francesco da Barberino è autore ben noto a Colocci, come testimoniano gli spogli lessicali tratti da sue opere, contenuti nello zibaldone autografo Vat. lat. 3217 (per la bibliografia in merito si rimanda a BERNARDI, Ricostruzione, pp. 32-33). 24 Queste indicazioni numeriche (si veda anche prima dei lemmi 109, 241, 345b, 459, 549a) si riferiscono con ogni probabilità ai fogli o alle pagine del testo che servì di modello e fonte per questi appunti colocciani. Si vedano in proposito le Conclusioni del presente contributo. 25 L’ultima lettera della parola è costituita da due segni: uno verticale, più spesso, dall’alto verso il basso, il secondo appena accennato, inclinato verso destra, con attacco dalla parte alta del primo, il che farebbe pensare ai primi due tratti delle tipiche e in tre tempi di Colocci; la lettera è poi seguita da un breve tratto curvo, alto sulla linea, che farebbe pensare piuttosto ad una r bassa o un apostrofo: in questo modo Colocci spesso rende le desinenze –(r)e degli infiniti, per cui si è pensato di sciogliere come a testo. Un caso analogo lo troviamo più avanti (f. 275r col. c) nella annotazione 97b « sostener(e) ».

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357

2627

7

*

percioché

8a

x

dalla giovanezza

8b

giovanezza

9

x

insino a

10

*

oltre modo ‘valde’

11a

x

parebbe si rechiedesse

11b

rechiede

12

quantunque

13

appo coloro

14

cui, alla cui notitia

15

pervenne

16

fussi lodato io

17

da molto piu reputato

18

*

soffrire

19

x

soperchio

20

[Pro 3] Però che, dal[l]a mia prima giovaneçça insino a q[ue]sto tempo ol[tr] e a modo essendo acceso stato da altissimo et nobile amore, forse più assai che alla mia bassa condiçione non parrebbe, narrandolo io, si richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano e alla cui notitia [per] venne io ne fossi lodato e da molto più reputato26, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica ad soffer[ir]e, certo non per crudeltà della donna amata, ma [per] soperc[hi]o amore nella mente concepto da pocho regola[to] [appetito]: il quale, per ciò ch’ a niuno convenevole termine [mi] lasciava [...?] stare, più di noia che bisognio non m’era spesse [volte] sentir mi faceva.

[Pro 3 ]Per ciò che, dalla mia prima giovinezza infino a questo tempo oltre modo essendo acceso stato d’altissimo e nobile amore, forse più assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo, si richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano e alla cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto più reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire, certo non per crudeltà della donna amata, ma per soverchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito: il quale, per ciò che a niuno convenevole termine mi lasciava un tempo stare, più di noia che bisogno non m’era spesse volte sentir mi facea.

concepto, nella mente27

In Bs la parole è scritta in realtà « reputatato ». Lemmatizzazioni come questa, in cui l’ordine delle parole è invertito rispetto a quello del testo di riferimento, non vanno probabilmente intese come reali discrepanze: è verosimile che in questi casi Colocci intenda semplicemente porre in evidenza un elemento diverso dal primo, tra quelli che costituiscono un sintagma composito. A riprova di ciò stanno quei casi nei quali, il lemma oggetto di interesse è poi seguito dall’intero sintagma nell’ordine offerto dal testo: per es. 51a « stesso, meco stesso » o 59 « luogo fa, fa luogo », in cui evidentemente gli elementi che interessano sono l’uso di stesso e il termine luogo, nel contesto sintattico in cui sono inseriti. Per evidenziare questi lemmi, come si è detto, sono state introdotte virgole – non presenti nell’originale – che li separano dalla trascrizione del resto del sintagma da cui sono estretti. 26

27

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28

21 22 23 x

Niuno convenele28 spesse volte tanto refrigerio non ‘di’

27

x

laudevoli consolationi oppenione porto non ‘ho’

28

*

avenuto è

24 25 26

[Pro 4] Nella qual [noia t] anto rifr[iger]io [già ...] porsero i piacevoli ragiona[men]ti [d’a]lcuno amico e le sue laudevoli consolaçio[ni], che io p[o]rto fermissima oppenione per quello essere adivenuto che io non sia morto. /

[Pro 4] Nella qual noia tanto rifrigerio già mi porsero i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima opinione per quelle essere avvenuto che io non sia

Tabella 2 Nr.

*/x

f. 275r, col.E

29

diede

30

egliĹ

31 32a 32b

oltre a ogn’altro ferve(n)te forza de proponime(n)to ‘di consiglio’

34 35

proponime(n)to Niuna ne ne evidenteĹ Medesimo

36

per se ‘spo(n)te’Ĺ

37

in processo di t(em)po

38 39 40 41 42

Diminui In guisa Di sé mi lascia Cupi pelaghi

43

Navicar(e)

33

28

%V

0Q

[Pro 5] Ma sì come ad Colui [pia]cque il quale, essendo Egli infinito, diede [per legge incommutabile] a tutte le cose mondane avere fine, il mio amore, [oltre a o]gni altro fervente [e il quale] niuna força de prop[onim] ento o di consigl[io o] di vergogna evidente, o per[icolo] che seguire ne potesse, avea po[tuto] né rompere né p[ie]ghare, per sè medesimo [in processo] di tempo se diminuì [in g]uisa, che solo di sé nella m[ente] m’ha al presente lasciat[o] quel piacere ch’è usato di p[or]gere ad chi troppo no[n] si m[ette] ne’ suoi più cupi pelaghi navicando; per che, [dove] fati[coso] essere solea, ogni affanno togliendo via, dilectevole [il] s[ent]o esser rimaso.

[Pro 5] Ma sì come ad Colui [pia]cque il quale, essendo Egli infinito, diede [per legge incommutabile] a tutte le cose mondane avere fine, il mio amore, [oltre a o]gni altro fervente [e il quale] niuna força de prop[onim] ento o di consigl[io o] di vergogna evidente, o per[icolo] che seguire ne potesse, avea po[tuto] né rompere né p[ie]ghare, per sè medesimo [in processo] di tempo se diminuì [in g]uisa, che solo di sé nella m[ente] m’ha al presente lasciat[o] quel piacere ch’è usato di p[or]gere ad chi troppo no[n] si m[ette] ne’ suoi più cupi pelaghi navicando; per che, [dove] fati[coso] essere solea, ogni affanno togliendo via, dilectevole [il] s[ent]o esser rimaso.

Così nel testo, probabilmente per una semplice svista grafica.

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44

46

faticoso Petr. I29 usato, è amor i(d est) ‘usa’ solito30 dilectevole

47 48

rimaso Quantunque

49a

Memoria d(e) benefici

45

49b

x

Benefici

50

percioch(é) i(d est) ‘q(uia)’

51a

stesso, meco stesso

51b

Meco stesso

52a 52b

cambio in cambio ciocch(é) i(d est) ‘quicq(ui)d’

53 54

Ricevetti

359

[Pr, 6] Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ ben[ef]ici già ricevuti, datimi da coloro [c. 1r col.b] a quali [per benivolenza da coloro ad me p[orta]ta e[rano gravi] le [mie] f[a]tich[e: ne] passerà mai, sì com’i[o credo, se non per morte].

[Pr, 6] Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ benifici già ricevuti, datimi da coloro à quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le mie fatiche: ne passerà mai, sì come io credo, se non per morte.

[Pr, 7] [E per] ciò che lla gratitudine, secon[do che io credo, trall’altre] virtù è sommam[en]te [da commen]dare e ’l [contrario da biasimare, per] non parere [ingrato ho meco ste]sso proposto [di v]olere, in quel [poco che per me si può,] in [cambio di ci]ò [c]h’io [ricevetti, [continua] ora che libero dir mi] pos[so, e] se non [a coloro che] me aitarono alli quali per adventura [per lo] loro senno o p[er la] loro buona [v]en[tu] ra non abiso[gna, a quegli alm]eno a quali fa luogo, [alcuno alleggia]me[nt]o prestare. [FRQWLQXD]

[Pr, 7] E per ciò che lla gratitudine, secondo che io credo, trall’altre virtù è sommamente [da commen] dare e ’l contrario da biasimare, per non parere ingrato ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, [continua] ora che libero dir mi posso, e se non a coloro che me atarono alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a qual fa luogo, alcuno alleggiamento prestare. [FRQWLQXD]

2930

29 Tre sono le attestazioni di « faticoso » in Petrarca: « o vero al poggio faticoso et alto » (RVF II 12), « Da ora inanzi faticoso e alto » (RVF XXXIX 5), « Caro, dolce, alto et faticoso pregio » (RVF CCXIV 13). Se il segno che segue il nome va inteso come un « 1 », il riferimento sarà forse al foglio del ms. o dell’edizione in cui leggeva il testo (dunque l’occorrenza di « faticoso » più probabile sarà forse quella di RVF II). 30 L’inversione rispetto alla lezione del testo (« usato è », anziché « è usato ») è dovuta al fatto che qui a Colocci interessa l’impiego del verbo usare (il cui soggetto – piuttosto lontano nel testo – è, appunto « amor », come precisato per chiarezza, di seguito): non per nulla accompagna il lemma con « i(d est) ‘usa’ » seguito da quello che credo sia un uso avverbiale: « [ex] solito » = “secondo il solito”.

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360

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 3

3132

Nr.

*/x

55

*

56 57

58

f. 275r, col.c -o31 aiutorono per ave(n)tura Lo ‘p(er) loro senno’ o ‘p(er) la loro ventura’ 32 Alleggiamento

59

luogo fa, fa luogoĹ

60

sostenimento mio lo i(d est) co(n)forto

61

A bisognosi i(d est) ‘a li’

62a 62b

parmi ‘Mi’ posposto parmi

63a

piutosto ‘potius’

63b

Tosto Apparisce ‘appar(e)’

64

%V

0Q

[FRQWLQXD Pr, 7] [ora che libero dir mi] pos[so, e] se non [a coloro che] me aitarono alli quali per adventura [per lo] loro senno o p[er la] loro buona [v]en[tu]ra non abiso[gna, a quegli alm]eno a quali fa luogo, [alcuno alleggia] me[nt]o prestare.

[FRQWLQXD Pr, 7] ora che libero dir mi posso, e se non a coloro che me atarono alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a qual fa luogo, alcuno alleggiamento prestare.

[Pr, 8] [E quantu]nque il mio [soste...mento, o confo]rto ch[e vogliam] o dire, p[ossa essere e] sia a bisogniosi [assai poco], nond[imeno] parmi quello doversi più [tosto] porgere do[ve] il bisogno apparisce [ma]ggiore, sì perché [più] utili[tà vi f[arà] essì [anc] ora per[ch]é più vi [fia ca] ro [avuto].

[Pr, 8] E quantunque il mio sostentamento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia a bisognosi assai poco, nondimeno parmi quello doversi più tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sì perché più utilità vi farà e si ancora perché più vi fia caro avuto.

31 Il segno a chiave che si è rappresentato così (-o) è tipico di Colocci e, nelle varie attestazioni di questi fogli (si vedano anche i lemmi 204, 290, 313, 314, 350 a e b), è costituito da un piccolo circolo sormontato da un’asta verticale. Cannata, nella sua edizione, trascura sempre tali segni e non ne dà notizia, nonostante siano di una certa rilevanza. Essi infatti marcano forme apparentabili – evidentemente ritenute notevoli dall’umanista –, cioè forme verbali di terza persona plurale (tre passati remoti indicativi e tre imperfetti congiuntivi) che alternano rispettivamente le forme desinenziali -orono / -ero e -issono / -issero (unica eccezione è 290 « ardissi io »). 32 Ritengo che qui Colocci intenda mettere in evidenza l’uso dall’articolo determinativo (lo) dopo preposizione (in questo caso per), come notevole, perché forse a lui non familiare (a questo stesso uso dell’articolo si riferisce forse anche la annotazione 174). La locuzione « per loro ventura » sarebbe dunque stata quella più consueta per l’umanista che perciò pone in evidenza l’articolo « Lo » sottolineandolo al principio dell’annotazione e poi trascrive le due attestazioni del costrutto (« per lo loro senno » / « per la loro ventura »). Egli tuttavia omette, probabilmente per una svista (indotto forse proprio dal fatto di averlo già anteposto), l’articolo lo nella prima attestazione (« per loro senno »).

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

65

(Quntunque egli si sia) ‘q(uan)to’

66

NegheràĹ

67

Convenirsi, alle donne

68

Dentro a’ petti

69

dilicatiĹ

70

Teme(n)do

71

Vergogna(n)do absoluto

72

Nascose

73

Tengono no(n) ‘–gno’Ĺ

74a

più di forza

74b

Di forza ha più

74c

Habbiano no(n) ‘–bino’

75

* x

361

[Pr, 9] E chi n[egh]erà [questo,] quantunque egli si sia, [non mo]lto più alle vaghe d]onne che ad gli uomini conv[enirsi] donare?

[Pr, 9] E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare?

[Pr, 10] [Esse den]tro a dilicati pecti, [tem]endo e ve[r] g[o]gnando, tengono [l’] amorose fiamme nascose, le quali quanto più di força abian chelle palesi coloro il sanno che l’anno provato e pruovano Et oltre acciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, in picciol tempo nel loro circuito

[Pr, 10] Esse dentro a dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito

provano no(n) ‘pruovano’

76

oltre acciò

77

voleri ‘voluntati’

78

E’ patri no(n) ‘li’

79

*

il più del t(em)po

80a

*

picciolo

80b

*

circoito

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362

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 4

33

Nr.

*/x

f. 275r, col.G

81

Loro camer(e) no(n) ‘sue’

82

Rachiuse

83 84

Dimorano si, sedendosi

85 86

Medesima x

87

Rivolgono pensieri

88

x

pensieri, rivolgono steano ‘sint’

89

x

Mani(n)conia

90a

Disio, focoso

90b 91

focoso disio Allegri [cfr. Pr, 10] Ĺ

92a

sopraviene

92a

vien nelle menti

93a

si dimori, in q(ue)lle (con)vien(e)

93b

conviene i(d est) ‘necesse est’ si dimori lì33

94 95 96 97a

Ragionamenti Rimossa sanza Molto meno forti a sostener sostener(e) a sostener, forte il che i(d est). ‘q(ue)llo ch(e)’

97b 97c 98 99

33

%V

0Q

[FRQWLQXDPr, 10] delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oçiose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima hora, secho rivolghono diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre steano allegri [cfr. 91].

[FRQWLQXD Pr, 10] delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri [cfr. 91].

[Pr, 11] E sse per quello mossa da focoso disio alcuna maninconia, , sopraviene nelle loro menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: sança ch’elle sono molto meno forti che gli uomini ad sostenere; il che degli innamorati huomini non adviene, sì come noi possiamo apertamente vedere.

[Pr, 11] E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopravviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degli innamorati uomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere.

Aviene ‘interviene’ de noi

« Lì »: lettura e interpretazione incerte.

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100 101 102 103 105 106

essi No(m)i(n)at(iv)o x

pensiero Afflige Alleggiar(e) p(er)cio ch(é) Lo l’andar attorno, non manca

[Pr, 12] Essi, se alcuna maninconia o graveçça di pensiero gli affligge, anno molti modi d’alleggiare o da passare quello, per ciò che a lloro, volendo essi, non mancha l’andare ad torno, [FRQWLQXD]

363

Pr, 12] Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare a torno, [FRQWLQXD]

Tabella 5

34

Nr.

*/x

f. 275v, col.D

107

Uccellar(e)

108

Giucare(e) II

109

x

110 111

Mercantare trarre a sé

x

pensieri noioso

112

sopraviene

113

Meno diventa i(d est) ‘minor(e)’

%V

0Q

[FRQWLQXD Pr, 12] udire e vedere molte cose, uccellare, cacciare, o peschare, [c]a[v]alchare, giucare e mercantare: de’ quali modi ciaschuno ad força di trarre, o in tutto o in parte, l’animo ad sè e dal noioso pensieri rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o [con] altro, o consolaçion sopraviene o diventa [la] noia menore.34

[FRQWLQXD Pr, 12] udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sè e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore.

34 La terminazione –ore sembra scritta o ripassata in un secondo tempo in Bs, tuttavia, data la difficoltà di lettura, non si considera il caso tra le coincidenze significative di Col con Bs, e contro Mn.

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364

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128

Accioch(é) Adunque x

x

x * x x

129 130 131 132 133 134 135 136 137 138

x

x

in parte Ammendisi sostegno QuiviĹ veggiamoĹ Rifugio in percioch(é) i(d est) ‘q(ui)a’ Ago ‘acus’ Arcolaio parabole storie manifestam(en)te35 pestilentio[s]o t(em)po Mortalità Canzonette ‘ballate’ predette donne fortunosi avenimenti ‘casi’ vedran(n)o Moderni t(em)pi NeĹ Avenuti già dette donne

[Pr, 13] Adunque, acciò che per me in parte s’amendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di força, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più [avar]a fu di sostegnio, in soccorso e rifugio di [quel]le ch’ amano, in per ciò che all’altre [è as]sai [c.1v col.a] l’agho e ‘l fuso e l’arcolaio, intendo di raccontare C novelle, e favole o parabole o storie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni come honestamente apparirà da una honesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pestilençioso, tempo della passata mortalità fatta, e alcune cançonette dalle predette donne cantate al loro diletto.

[Pr, 13] Adunque, acciò che in parte per me s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago e ‘l fuso e l’arcolaio, intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso, tempo della passata mortalità fatta, e alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto.

[Pr, 14] Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunosi advenimenti si vedranno così ne’ moderni tempi avenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, [FRQWLQXD]

Pr, 14] Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti si vederanno così ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, [FRQWLQXD]

35

35 Questo avverbio non è presente in Bs che però ha « honestamente » (evidentemente una svista del copista della pagina spuria di B): Mn non presenta alcun avverbio in questo punto.

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

Tabella 6 Nr.

*/x

f. 275v, col.E

139

Leggere

140

parimente

141

solazzevoli

142

potra(n)no

143

similmente

144

seq(ui)tar(e)

145

passamento di noia sanzaĹ aviene s’aviene

146 147 148

conceduto, Petr. ‘concessa’ 37

149 150

legamiĹ x

151

Attender affar lor piaceri38 Quantunque volte ‘quoties’ a far ‘p(er) f(ar)’ Ĺ [cfr. Pr, 15] meco pensando pensando, meco39 Riguardo

152 153a 153b 154 155 156

36

x

157

siate naturalm(en)teĹ prencipio

158 159

NoiosoĹ presente operaĹ

365

36373839

%V

0Q

[FRQWLQXD Pr, 14] che quelle leggierano, parimente dilecto delle sollaççevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare [RPLWWLW] e conoscere, quello che ssia da fuggire e che ssia similmente da seguitare:// le qua’ cose sança passamento di noia non credo che possano intervenire.//

[FRQWLQXD Pr, 14] che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire.

[Pr, 15] Il che se adviene, che voglia Iddio che così sia; ad Amore ne rend[a]no graçia, il quale liberandomi da’ suoi legami m’a conceduto di potere adtendere ad far [cfr. 152] loro piaceri.

[Pr, 15] Il che se avviene, che voglia Idio che così sia; a Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto il potere attendere a’ lor piaceri.

[I Intr. 2] [Q]ua[n]tunque volte, graçiosissime donne, meco pensando riguardo quanto voi naturalmente: tutte piatose [cfr. 180] siate, tante conosco che lla presente opera al vostro giudicio avrà grave e noioso prencipio, sì come è la dolorosa ricordaçione della pestifera mortalità trapassata, universalmente ad ciascuno che quella vidde o altrimenti [cfr. 169] conobbe dannosa, [FRQWLQXD]

[I Intr. 2] Quantunque volte, graziosissime donne, meco pensando riguardo quanto voi naturalmente: tutte siete pietose, tante conosco che la presente opera al vostro iudicio avrà grave e noioso principio, sì come è la dolorosa ricordazione della pestifera mortalità trapassata, universalmente a ciascuno che quella vide o altramenti conobbe dannosa, [FRQWLQXD]

36 Qui Colocci probabilmente intendeva mettere in evidenza il verbo in sé e non una sua specifica forma flessa. 37 Si tratta verosimilmente di un rimando al petrarchesco Triumphus Cupidinis, III 78 (« de la sua non concessa e torta via »); non trovo altrove, né nei Trionfi né nel Canzoniere, attestazione del termine. 38 La parola « affar » è scritta nell’interlinea. 39 Qui – come in altri casi – Colocci ripete l’espressione composta, appena registrata, invertendo l’ordine dei suoi elementi per mettere in luce ora l’uno (il complemento meco), ora l’altro (il predicato pensando): i due lemmi (153a e 153b), infatti, sono separati da un breve tratto orizzontale e incolonnati (senza rientranze), come avviene di tutti i lemmi di questo elenco che vanno considerati distinti l’uno dall’altro.

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366

160

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

*

lo al v(ost)ro juditio no(n) ‘a v(ost)ro iuditio’Ĺ

161

havràĹ

162

dolorosa

163 164 165

Ricordatione mortalità trapassata i(d est) ‘passata’

166

universalm(en)te

167 168

Dannosa la, che q(ue)lla vide no(n) ‘la vide’Ĺ

Tabella 7 Nr.

*/x

169 170

x

f. 275v, col.F

%V

0Q

altrimenti bisĹ

[FRQWLQXD I Intr. 2] e lagrimevole molto la quale essa porta nella fronte.

[FRQWLQXD I,2] la quale essa porta nella fronte.

[I Intr. 3] Ma non voglio per ciò che questo di più avanti leggere vi spaventi, quasi sempre tra’ sospiri e tralle lagrime leggendo dobbiate trapassare.

[I Intr. 3] Ma non voglio per ciò che questo di più avanti leggere vi spaventi, quasi sempre tra’ sospiri e tralle lagrime leggendo dobbiate trapassare

[I Intr. 4] Questo orrido cominciamento vi fia non altrimenti che a’ camminanti una montagnia aspra e erta, appresso la quale un bellissimo piano e dilectevole sia riposto, il quale tanto più viene loro piacevole quanta maggiore è stata più del salire e dello iscendere la graveçça.

[I Intr. 4] Questo orrido cominciamento vi fia non altramenti che a’ camminanti una montagna aspra e erta, presso alla quale un bellissimo piano e dilettevole sia reposto, il quale tanto più viene lor piacevole quanto maggiore è stata del salire e dello smontare la graveçça.

lagrimevole

171 172

essa per cio ‘però’

173 174

spaventi, vi lo40 tra sospiri et tra le lagrime

175

dobbiate non ‘deviate’

176

comi(n)ciamento

177 178 179 180

x

181

x

caminanti aspra erta piatose non ‘pie-’ [cfr. I Intr. 2]Ĺ Riposto apresso

182a 182b

40

loro vien lor piacevole

40 Il richiamo all’articolo Lo qui si spiega, probabilmente, come rimando alla forma base (maschile, singolare) del determinativo, così come avviene anche a 57 in relazione alla locuzione « per la loro ventura ».

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

183

x

stremità

184

sopravegne(n)te letitia

185

Brieve non ‘bre-’

186

lettere non ‘lettre’

187

x

seguiraH

188

Davanti ‘poco i(n)anzi’

189

promesso

190

Contiensi41 i(n) poche l(ette)reĹ

191

prestamente piceniĹ

192a

*

cosi facto initio

192b 193 194

* x

Initio sarebbe Nel vero i(d est) ‘i(n) vero’

195

.i’. io42

367

[I Intr. 5] Et sì come la stremità della belleçça il dolore occupa, così le miserie di sopra vegnente letitia sono terminate.

[I Intr. 5] E sì come la estremità della allegrezza il dolore occupa, così le miserie da sopravegnente letizia sono terminate.

[I Intr. 6] A questa brieve noia, dicho brieve in quanto in poche lettere si contiene, seguirae prestamente la dolcezza e il piacere il quale io v’o davanti promesso e che forse da così fatto indizio, non sarebbe se non si dicesse, aspectato.

[I Intr. 6] A questa brieve noia (dico brieve in quanto in poche lettere si contiene) seguita prestamente la dolcezza e il piacere ilquale io v’ho davanti promesso e che forse non sarebbe da così fatto inizio, se non si dicesse, aspettato.

[I Intr. 7] E nel vero, se potuto avessi honestamente per altra parte menarvi ad quello ch’i [FRQWLQXD]

[I Intr. 7] E nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra parte menarvi a quello che io [FRQWLQXD]

4142

Tabella 8

43

Nr.

*/x

f. 275v, col.G

196

desidero

197

potutoĹ

198

fia ‘sarà’

%V

0Q

[FRQWLQXD I Intr. 7] disidero che per così aspro pinsiero43 come fia questo, io l’averei volentieri fatto: ma per ciò che, quella fosse la cagione per

[FRQWLQXD I Intr.7] desidero che per così aspro sentiero come fia questo, io l’avrei volentier fatto: ma per ciò che, qual fosse la cagione per

Sovrascritto a « poch ». L’annotazione « io » intende probabilmente fornire l’equivalente esteso del pronome eliso « i’ », che forse l’umanista leggeva nel testo che aveva davanti, nel caso esso sia stato (come pare) affine – per lo meno per questa parte – a B, dove troviamo infatti « ch’i disidero ». 43 Corretto nel margine in « sentiero » da mano cinquecentesca (cfr. anche BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. XXXVII). 41 42

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368

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

4445

199

Havrei

200

Ma perciò ch(e) ‘at, at t(ame)n’44

201

Fosse

202

Appresso

203

x

sanza

204

x

-o AvenissonoĹ

205

potevaĹ

206

Ramemoration

207

Dimostrar(e)

208

x

209

Di necessità co(n)stre[tto] no(n) ‘Da’ Idio

210

fructiferaĹ

211

x

212a

pervenuti al Egregia Firenze

212b

x

Firenze

213

*

oltre a ogn’altra in Italia no(n) ‘de Italia’ pervenne

*

pestilenza

214 215 216

operation stelle

217

correctione n(ost)ra Alquanti

218 219 220

221

di45

Davanti i(d est) ‘prima’ Incomi(n)ciata ‘principiata’ participio viventi

che le cose che appresso si leggeranno advenissono, non si poteva sança questa ramemoratione dimost[ra] re, quasi di necessitade costretto ad scriverle mi [c.1v col.b] conduco.

che le cose che appresso si leggeranno avvenissero, non si poteva senza questa ramemorazion dimostrare, quasi da necessità constretto a scriverle mi conduco.

[I Intr. 8] Dico adunque che già erano gli anni della fructifera incarnaçione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di Mcccxlviij, quando nella egregia città di Firença, oltre a ogn’altra italicha nobilissima, pervenne la mortifera pestilençia: la quale o per operationi di corpi superiori o per le nostre inique opere di giusta ira di Dio a nostra corretione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quella d’inumerabile qua[n]tità di vi[vent]i [FRQWLQXD]

[I Intr. 8] Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuta di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi [FRQWL QXD]

Il primo « at » è scritto nell’interlinea come correzione di un precedente « sed » cassato. Probabilmente, per conferire migliore leggibilità all’appunto, il compilatore avrà ripetuto sul rigo la congiunzione « at » (la forma attamen o at ... tamen è d’uso già classico). 45 Corretto su « de ». 44

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

369

Tabella 9 Nr.

*/x

f. 276r, col.D

%V

0Q

222a

x

si era appigliata

[FRQWLQXD I Intr. 8] avendo prevate, sança ristare d’un luogo inn un altro continuandosi, inverso l’Occidente miserabilmente s’era appigliata

[FRQWLQXD I Intr. 8] avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata

[I Intr. 9] E in quella non valendo alcuno senno né humano provedimento, per lo quale fu da molte immondiçie purgata la città da uficiali sopra ciò ordinati et vietato l’entrarvi dentro ad ciascuno infermo e molti consigli dati a con[serva]çione della città, né ancora humili suprichaçioni né una volta ma molte e in process[i]oni ordinate e in altre guise ad Dio fatte dalle divote persone, quasi nel prencipio della primavera dell’anno predetto orribilmente si cominciò gli suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a d[i]mostrare

[I Intr. 9] E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanità, né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre guise a Dio fatte dalle divote persone, quasi nel principio della primavera dell’anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare

222b

appigliata ‘si era app(re)sa’

223

Restar(e) ‘cessar(e)’ sanza restar(e) Ĺ

224

*

continova(n)dosiĹ

225

x

inverso l’occidenteĹ

226

MiserabilmenteĹ

227a

Senno non vale

227b

valendo

228

provedimento

229

Immonditie

230

ciò, sopra ciò

231

ufficialiĹ

232

vietato

233a

l’intrarvi no(n) ‘lo ‘ntrarvi’

233b

Dentro, i(n)trarvi piceno

234

*

235

Guise

236 237

supplicationi ‘p(re)ces’ predetto

x

Si comi(n)cio vedi come sta lo si

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370

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

238

chiunque

239

cominciamento

240

parimente

241

Anguinaia

242

Ditella

243

Enfiature

244

Comunale

245

Mela una mela

246

Gavoccioli

247

volgariĹ

[I Intr. 10] Et non come inn O[rien]te aveva fatto, dove a chiunque usciva ‘l sangue del naso era manifesto segnio di inivetabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi m’ a le femmine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano com’una comunal mela, altre com’ un uovo, e alcuna più e alcuna [RPLWWLW] meno, il [sic] quali li volgari nominavan gavoccioli.

[I Intr. 10] E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun’ altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli.

Tabella 10

46

Nr.

*/x

248 249

f. 276r, col.E infra brieve spazio

*

permutar(e)

250

Macchie

251

braccia le

252

coscie

253

primieram(en)te

254

certiss(im)o inditio Inditio

255 256

vene la peste al h(om)o46

%V

0Q

[I Intr. 11] . E dalle parti [pre]dette del corpo infra brieve spaçio di tempo cominciò [...] il detto gavonciolo mortifero indifferente e in ogni [pa]rte di quello a nascere ed a venire e apresso questo s’incominciò la qualità dela predetta infermità a pro[...]tare in macchie nere [RPLWWLW] le quali nelle braccia e per le coscie e in ciascuna parte del corpo aparivano a molti. [RPLWWLW]

[I Intr. 11] . E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse.

[I Intr. 12] E come il gavoccielo primieramente era stato e[.] anco[ra era cert]issimo inditio di futura morte, [co]sì erano qu[este a cia]scuno a cui venivano.

[I Intr. 12] E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.

46 Colocci intende qui rilevare la reggenza dativale di venire (« viene all’uomo »), in questo punto, in cui si allude all’espression del testo « ciascuno a cui venieno ».

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257 258 259 260 261 262 263 264 265a 265b 266 267 268

x

si /49 Conseguente argomento Infra el terzo giorno Aparitione febre p(ro) .b. Moriva

269 270 271

272a 272b 273 274 275 276

pareva profitto far(e) Anzi Medicanti oltre al numero scientiati femine p(ro) M.48 Divenuto conoscersi

[I Intr. 14] E fu questa pestilença di maggior força [per ciò che] essa Di / dagl’infermi di quelli per =50 di, l’infermi di lo comunicare insi[em]e q(ue)lli [s’ave]n[t?]ava a’ sani, non Aventavasi altrimenti che faccia il ‘lanciavasi’ fuoco [FRQWLQXD] comunicar(e) i(n) siemeĹ fu di maggior forza

x

[I Intr. 13] la cura delle quali [infermità] né consiglio di medico né virtù di medicina [alc]una pareva che valesse o facesse proficto: ançi, o chella natura del malore nol potesse o chell ignor[anza de’] medicanti li quali, oltre al numero degli sciençiati, così di femine come d’uomini sanç[.] avere alcu[na] doctrina di medicina avuta m[ai?], era il numero di[ve]nuto grandissimo) non [con]oscersi da che ssi mo[ve]sse [e] per consequente e debit[o ar] gomento non vi prendesse, non solamente pochi [... RPLWWLW?]47 tutti infra ‘l terço giorno dalla a[p]ariçione de’ s[o]pra detti segni, chi più tosto e chi più [...] sança alcuna febre o altro accidente, moriva[n]o.

371

[I Intr. 13] A cura delle quali infermità né consiglio di medico né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o che natura del malore nol patisse o che la ignoranza de’ medicanti (de’ quali, oltre al numero degli scienziati, così di femine come d’uomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo) non conoscesse da che si movesse e per consequente debito argomento non vi prendesse, non solamente pochi ne guarivano, anzi quasi tutti infra ‘l terzo giorno dalla apparizione de’ sopra detti segni, chi più tosto e chi meno e i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano.

[I Intr. 14] E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altramenti che faccia il fuoco [FRQWLQXD]

fuoco

47484950

Qui B presenta una piega della pergamena che non consente di distinguere la scrittura: tuttavia nella parte rimasta coperta non pare possa trovare spazio una sequenza estesa quanto quella che in questo punto presenta Mn. 48 Forse Colocci intende qui sottolineare la grafia scempia (m) per la geminata (mm) della parola, così come forse si deve intendere più avanti (270 « febre pro .b. »). 49 Il tratto obliquo che nel ms. segue il « si » intende forse riconnettere la particella al lemma precedente; lo stesso dicasi per 272b « Di/ ». 50 L’annotazione è preceduta da una coppia di trattini sovrapposti (li troviamo anche in corrispondenza delle annotazioni 296b, 297b, 352, 376, 408, 565, 571b, 629a, 632). Difficile 47

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372

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 11 Nr.

*/x

277 278a 278b

*

279 280 281

282 283 284a 284b 285 286

287 288 289 290 291 292

f. 276r, col.F

%V

0Q

unte Avvicinate molto avvicinate

[FRQWLQXD I Intr. 14] alle case secche o vote quando molto vi sono avicina[te]

[FRQWLQXD I Intr. 14] alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate

Ho di male avanti, più avantiĹ solamente i(d est) ‘solo’, ‘solu(m)’ comune morte qualunque tocca, stata ‘toccata’ istata tocca toccatore transportar(e)

[I Intr. 15] o più avanti ancora ebbe di male: che non solamente il parlare o [.] usare cogl’infermi dava a’ sani infermitade o cagione di comune morte, ma ancora il toc[care i] panni o qualunque altra cosa da quegli infermi istata tocca [o] adoperata pareva secho [c. 2r col.a]51 quella cotale infermità nel toccator transportare.

[I Intr. 15] E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco [segue % autografo, c. 2r col.a:] quella cotale infermità nel toccator transportare.

Maravigliosa Debbo dir(e) il che -o Ardissi io Non che ‘nedum’ x

pestilentia

293

EfficaciaĹ

294

Narrata ‘p(re) detta’ Appiccarsi Nello appiccarsi

295a 295b

51

%D [I Intr. 16] Maravigliosa cosa è ad udire quello che io debbo dire: il che, se dagli occhi di molti e da’ miei non fosse stato veduto, appena che io ardissi di crederlo, non che di scriverlo, quantunque da fededegna udito l’avessi

[I Intr. 17] Dico che di tanta efficacia fu la qualità della pestilentia narrata nello appiccarsi da uno ad altro, che non solamente l’uomo all’uomo, ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente fece, cioè che la cosa dell’uomo infermo stato, o morto di tale infermità, tocca da un altro animale fuori della spetie dell’uomo, [FRQWLQXD]

dire quale sia la loro precisa funzione: nelle loro prime attestazioni tali trattini individuano casi di impiego di preposizioni, secondo un uso che – probabilmemente – sarà parso notevole a Colocci. In altre occorrenze sembrano costituire un generico segno atto a porre in evidenza qualche annotazione. Nel caso specifico di 273, l’umanista – se la nostra interpretazione è corretta – pone in evidenza la proposizione di sottolineandola e facendola seguire dal suo contesto d’occorrenza leggermente adattato (la virgola che segue la preposizione è naturalmente una nostra aggiunta). 51 Di qui incomincia il testo autografo di Boccaccio in B, per cui dal periodo seguente (I Intr. 16) non si riporta più la lezione di Mn, sostanzialmente equivalente a quella di B (sulle eventuali discordanze si tornerà in seguito: cfr. § 4).

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296

x

297a

373

=Lo52 da uno ad altro fuori della spetie Del homo: fuor della spetie humana de l’h(om)o. guastar lo adiectivo ‘la età aurea’ d(e) l’oro

297b

Tabella 12

52535455

Nr. 298 299a

299b 299c 300 301 302a 302b 303 304 305

*/x

f. 276r, col.G

%D

Tocca ‘toccate da’Ĺ contamina d(e)l morbo no(n) di Di Lo53 cosi fatta i(d est) ‘questa’ stracci Morto, da tal infermità55 Da tal i(n)fermità no(n) ‘di tale’ presigli no(n) ‘presili’ Grifo ‘muso’Ĺ

[FRQWLQXD I Intr. 17] non solamente della infermità il contaminasse ma quello infra brevissimo spazio uccidesse.

[I Intr. 18] Di che gli occhi miei, sì come poco davanti è detto, presero tra l’altre volte un dì così fatta esperienza: che, essendo gli stracci d’un povero huomo da tale infermità morto gittati nella via publica e advenendosi a essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo e54 poi co’ denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcuno advolgimento, come se veleno avesser preso, amenduni sopra li mal tirati stracci morti caddero in terra

loro, sec(ond)o il loro costume. non ‘suo’Ĺ

52 Dal momento che nella frase« da uno ad altro » lo non compare, io intenderei l’annotazione presente come l’allusione ad un mancato uso dell’articolo determinativo in associazione alla preposizione da (“da uno ad altro” e non “dall’uno all’altro”). 53 Non trovo referenti espliciti per questi ultimi due elementi: forse si riferiscono genericamente all’annotazione precedente e all’uso della preposizione articolata (rispetto a quella semplice) in essa messa in evidenza da Colocci. 54 BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. 11, segnala la presenza di una crocetta – non visibile in ID., Boccaccio. Decameron. Fac-simile – a margine di questa riga in B (da « secondo » a « grifo et »): è proprio la parte che interessa Colocci, che qui trascrive quasi integralmente. L’utilizzo di crocette marginali è tipico, tra gli altri, anche dell’umanista marchigiano. 55 Poche righe sopra però Boccaccio stesso in B scrive « infermo stato o morto di tale infermità » (Dec. I Intr. 17) e Branca segnala la presenza di una macchiolina sotto la -e, che, a lui, « non sembra proprio un punto espuntorio »: BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. 11).

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374

306a 306b 306c 307 308 309 310 311 312 313 314

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

*

*

scossili si si li Dopo a avolgimento preso ho veleno amenduni Mal tirati stracci -o caddero -o N[a]q[u]ero

315

simigliantiĹ

316

cio era. cio è

317

schifar(e)

318

lor

319

Avisavano no(n) ‘se avisavano’ i(d est) ‘pensavano’ Moderatam(en)te così fatto i(d est) ‘tale’ ‘q(ue)sto’ s(upr)a viveano Ricogliendosi Rachiudendosi

320 321

322 323 324

x x

[I Intr. 19] Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o maggiori nacquero diverse paure e ymaginationi in quegli che rimanevano vivi, e tucti quasi ad un fine tiravano assai crudele ciò era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e così faccendo, si credeva ciascuno ad sé medesimo salute acquistare [I Intr. 20] Et erano alcuni, li quali advisavano che il viver moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità avesse molto ad così fatto accidente resistere; e facta lor brigata, da ogni altro separati viveano, e in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi, [FRQWLQXD]

Tabella 13 Nr.

*/x

f. 276v, col.D

%D

325a 325b

fosse niuno fosse pro ‘no(n)’Ĺ

326 327 328

dilicatissimi ottimi temperatissim(amen)te Si lasciarsi parlar(e) Novella Di fuoriĹ quegli no(n) ‘q(ue)lli’ poteano si dimoravano

[FRQWLQXD I Intr. 20] dove niuno infermo fosse e da viver meglio, dilicatissimi cibi e optimi vini temperatissimamente usando e ogni luxuria fuggendo, sença lasciarsi parlare ad alcuno o volere di fuori di morte o d’infermi alcuna novella sentire, con suoni e con quegli piaceri che aver poteano si dimoravano.

329 330 331 332 333 334a

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334b

375

mi sto qui mi dimoro mi giaccio

335

*

In contraria oppenione

336

*

Affermano

337

Bere

338

attorno

339

sodisfar(e)

340a

beffarsi

340b

si/

341a

ridersiĹ

341b

si/

342

AvenivaĹ

343

A lor poter(e) bis56 ‘q(uan)to potevano’. ‘Al suo poter(e).Al mio poter(e)’57 lor/

344

senza modo. misura

345a

Lor viene a grado i(d est) ‘li viene’

345b

A grado

345c

A. in piacere

[I Intr. 21] Altri, in contraria opinion tracti, affermavano il bere assai e il godere e l’andar cantando a torno e sollaçando e il sodisfare d’ogni cosa all’appetito che ssi potesse e di ciò che adveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima ad tanto male; e così come il dicevano mettevano in opera a llor potere, il giorno e la nocte hora ad quella taverna hora ad quella altra andando, bevendo sença modo e sença misura, e molto più ciò per l’altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero [cfr. 350a] che lor venissero [cfr. 350b] ad grado o in piacere

4 58

565758

56 Il « bis » è dovuto al fatto che la stessa espressione « a lor potere » compare una seconda volta, in Dec. I Intr. 22. 57 Qui e nei casi precedenti le -e desinenziali degli infiniti sono resi con il piccolo segno simile ad un apostrofo che si è già incontrato in corrispondenza di 6 e 97b. 58 Questa annotazione è collegata alla seguente « A[grado]. in piacere » da un tratto leggermente arcuato posto a sinistra dei due lemmi incolonnati.

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376

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 14 Nr.

*/x

f. 276v, col.E

%D

4 346

potevan

347

Di leggieri ‘facilm(en)te’

348a

dovesse

348b

quasi no(n) piu viver dovesse

349

haveva

350a

-o sentissero [cfr. I Intr. 21]Ĺ

350b

-o venissero [cfr. I Intr. 21]Ĺ

351

messe i(n) abandono

352

= Di che ‘quap(ro)p(ter)’

353

le più delle case no(n) ‘il più’

354 355 356 357 358

Divenute comuni, case straniere, Lo propio sig(no)re Advenisse alle caseĹ

359 360 361

havrebbeĹ proponimento co(n)tutto q(ue)sto ‘co(n) tutto ciò’

362 363

x

essecutori stremi, di famiglie rimasi

364

sì i(d est) ‘i(n) tal modo’Ĺ

365

per la qual cosa ‘quap(ro)p(ter)’

366 367

368

*

A grado erali Mezana via i(d est) ‘di Mezo’. ‘mediocre’ proprio strignendosi nel vive(re)

[I Intr. 22] E ciò potevan far di leggiere, per ciò che ciascun, quasi non più viver dovesse, aveva, sì come sé, le sue cose messe in abandono; di che le più delle case erano divenute comuni, e così l’u [c. 2r col.b] sava lo straniere, pure che ad esse s’advenisse, come l’avrebbe il propio signore usate; e con tucto questo proponimento bestiale sempre gl’infermi fuggivano a llor potere [cfr. 343].

[I Intr. 23] Et in tanta afflictione e miseria della nostra città era la reverenda autorità delle leggi, così divine come humane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri e executori di quelle, li quali, sì come gli altri huomini, erano tucti o morti o infermi o sì di famiglie rimasi stremi, che uficio alcuno non potean fare; per la qual cosa era ad ciascun licito quanto ad grado gli era d’adoperare. [I Intr. 24] Molti altri servavano, tra questi due di sopra detti, una meçana via, non strignendosi nelle vivande [FRQWLQXD]

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377

Tabella 15

5960

Nr.

*/x

f. 276v, col.F

369a

Rinchiudersi

369b

Si/

370

x

a sofficienzaĹ

371

attorno

372

Mani

373

estimando

374

cerebro

375

cotali

376

= porre al nasoĹ

377

con cio fusse cosa ‘con cio sia cosa’

378

l’aere compreso

379

compreso, lo aere

380

puzzo ‘fetor(e), lo’Ĺ

381

puzzolente

382

sentimento

383

contro al no(n) ‘(contra)’

384

*

pestilenze

385

lor, fugir lor davanti i(d est) ‘fugirli’

386

per aventuraĹ

387

Argomento

388

curo di me

389

Abbandonarono

390

x

%D [FRQWLQXD I Intr. 24] quanto i primi né nel bere e nell’altre dissolutioni allargandosi quanto i secondi, ma a ssofficiença secondo gli appetiti le cose usavano e sença rinchiudersi andavano a torno, portando nelle mani chi fiori, chi herbe odorifere e chi diverse maniere di spetierie, quelle al naso ponendosi spesso, extimando essere alcuna59 cosa il cerebro con cotali odori confortare, con ciò fosse cosa che l’aere tutto paresse dal puço de’ morti corpi e delle infermità e delle medicine compreso e puçolente

[I Intr. 25] Alcuni erano di più crudel sentimento, come che per adventura più fosse sicuro, dicendo niuna altra medicina essere contro alle pistilençe migliore né così buona come il fuggir loro davanti; e da questo argomento mossi, non curando d’alcuna cosa se non di sé, assai e huomini e donne abbandonarono la propia città, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o almeno il lor contado, quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con quella pistolença non dove fossero [cfr. 396] procedesse, ma solamente ad coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor città si trovassero, [FRQWLQXD]

lor proprie case60, li lor lochi, lor

Correzione marginale d’autore che sostituisce « alcuna » con « opti[ma] » (cfr. anche BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. 12); la lezione « optima » è propria anche di Mn. 60 L’appunto sarà generico e intenderà forse compendiare le tre espressioni affini presenti nel testo di Boccaccio: qui è l’uso di lor che interessa. 59

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378

391

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

*

cercaro61

392

L’altrui

393

contado

394

*

395

punissero62 trovassero

6162

Tabella 16

63

Nr.

*/x

f. 276v, col.G

396

fosseroĹ

397

commossa

398

Avvisando ‘pensando’

399

dover remane(re)

400

x

oppinanti

401

Morissero

402

come cheĹ

403

per ciò, non per ciò63

404

inferma(n)done molti

405

essi stessi

406 407 408

Exempio languieno =lassamo star(e) ‘quamvis, benché’

409a

Rade volte o no(n) mai

%D [FRQWLQXD I Intr. 25] commossa intendesse; o quasi advisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua ultima hora esser venuta

[I Intr. 26] Et come che questi così variamente oppinanti non morissero tutti, non per ciò tutti campavano: ançi, infermandone di ciascuna molti e in ogni luogo, avendo essi stessi, quando sani erano, exemplo dato ad coloro che sani rimanevano, quasi abbandonati per tutto languieno

[I Intr. 27] Et lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì facto spavento questa tribulatione entrata ne’ pecti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il çio il nepote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano [cfr. 417]

61 Difficile stabilire se si tratti della scrittura incompleta di cercarono o se sia effettivamente questa la forma che Colocci leggeva nel suo modello. 62 Non trovo nel testo boccacciano questa forma verbale. Forse Colocci mira solo ad annotare forme analoghe a trovassero e fossero, che sono invece nel testo. 63 Ritengo che qui Colocci, come in altri punti (cfr. ad es. 348a-b, 385, o più oltre 415a, 443b, 445), abbia inteso richiamare di seguito alla locuzione che gli interessava, il contesto in cui essa è inserita, ripetendola: il non fa infatti parte del testo boccacciano (« non perciò »).

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409b 410a

Mai, no(n) Cosi fatto s(upr)a64

410b

sì fatto i(d est) ‘cotale’

411

l’uno l’altro abandona

412 413

x

414 415a

379

Zio Nepote ‘Nipote’ spesse volte loro, le madre lass[an] li figliuoli q(uas) i lo[ro] no(n) fossero quasi i(d est) ‘ac sì come’

415b 416

Maschi

646566

[I Intr. 28] Per la qual cosa ad coloro, [c. 2v col.a] de’ quali era la moltitudine inestimabile, e maschi [FRQWLQXD]

Tabella 17 Nr. 417

418

*/x

f. 277r, col.D schifano [cfr. I Intr. 27]65 infermava absoluto, no(n) ‘se i(n)ferma’ bis66

%D [FRQWLQXD I Intr. 28] e femine, che infermavano, niuno altro sussidio rimase che o la carità degli amici (e di questi fur pochi) o l’avaritia de’ serventi, li quali da grossi salari e sconvenevoli tracti servieno, quantunque per tutto ciò molti non fossero divenuti: e quegli cotanti erano huomini o femine di grosso ingegno, e i più di tali servigi non usati, li qual niuna altra cosa servieno che di porgere alcune cose dagl’infermi adomandate o di riguardare quando morieno; e, servendo in tal servigio, sé molte volte col guadagno perdeano.

64 Il rimando è probabilmente all’attestazione precedente della locuzione (cfr. 321). Di fatto B ha « co(n) sì facto », ma l’errore di lettura sarebbe stato assolutamente possibile, visto che la n è costituita dal semplice titulus sovrapposto alla o della sequenza « cosi ». 65 Questa e la forma seguente forse sono registrate senza rispettare la lettera del testo: sembrerebbe infatti che qui, l’oggetto dell’interesse di Colocci sia il verbo schifare in sé e l’uso non pronominale di infermare, come rivelano gli altri appunti che seguono la seconda delle due voci. Del resto dal confronto con altre forme (462 « ragunava », 464 « apparteneva ») sembra risultare che a Colocci prema piuttosto registrare il lessema nella sua forma più breve possibile, sicché riduce le terze persone plurali a terze singolari, risparmiando una sillaba. 66 Il « bis » si riferisce forse ad un’ulteriore attestazione dell’uso assoluto del verbo infermare, quale si trova in I Intr. 29.

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380

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

419 420a 420b

fur grossi salari salari no(n) ‘-rij’

421 422

sco(n)venevoli servieno no(n) ‘-iano’

423 424 425 426

tracti ‘tirati’Ĺ per tutto ciò Divenuti +67 servigi no(n) ‘-ij’ Doma(n)dar(e)

427a 427b 428

429 430 431 432 433 434a 434b 435 436 437 438 439 440 441 6768

*

Addoma(n)dare Riguardar(e) q(ua)n(do) mor(ieno?) servigio Morieno no(n) ‘morivano’ vicini scarsità serventi uso, discorse Discorse uno uso quasi, non udito mai Davanti ‘pria’ Niuna quantunque ‘q(ua)ntu(m) vis’ leggiadra a servigi bis qual ch(e) egli fosse68 i(d est) ‘che se fosse’

[I Intr. 29] E da questo essere abbandonati gli infermi da’ vicini, da’ parenti e dagli amici e avere scarsità di serventi, discorse uno uso quasi davanti mai non udito: che niuna, quantunque leggiadra o bella o gentil donna fosse, infermando, non curava d’avere a’ suoi servigi uomo, qual che egli si fosse o giovane o altro, [FRQWLQXD]

Il lemma è seguito da un crocetta la cui funzione non risulta chiara. Ne trovo un’altra in corrispondenza dei lemmi 456b e 577, dove la funzione sembra essere quella di collegare tra loro due connettivi che stabiliscono una correlazione. 68 Le sbavature dell’inchiostro rendono leggermente difficoltosa la lettura: se quella qui proposta è corretta, qui abbiamo uno dei casi che si oppongono all’ipotesi dell’identità con B di Tm, visto che l’equivalente che Colocci propone per la formula – « qual che egli fosse » – che sembra trovare a testo (se così dobbiamo interpretare la sequenza delle locuzioni, e se la lettura « id est » è corretta) corrisponde esattamente invece a quella effettivamente presente in B. 67

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

381

Tabella 18 Nr. 442

*/x

443a 443b

444 445

446 447a 447b

x

448 449

450 451a 451b 452 453 454 455 456a 456b 456c 457 458 69

x

f. 277r, col.E Aprir(e), il corpo ‘scop(ri)r(e)’ Altrimenti No(n)altrimenti i(d est) ‘come’ no(n) altrim(en)ti ch(e) una femmina havrebbe solo ch(e) i(d est) ‘purch(é)’, solo ch(e) la necessità lo rechiedesse il che Ne guerirono Guerirono p(re)t(erit)o succedette non ‘successe’ Nel, et in et al nel t(em)po ch(e) succedette oltre a q(ue)sto ‘ad hac’ Ne seguio seguìo per aventura Atati ‘aitati’ sarieno Di che tra i(d est). ‘sì’ tra per lo defetto suo tra + et69 Diffecto poteano Forza della peste i(d est) ‘vis’

%D [FRQWLQXD I Intr. 29] e a llui sença alcuna vergognia ogni parte del corpo aprire non altrimenti che ad una femina avrebbe facto, solo che la necessità della sua infermità il richiedesse; il che, in quelle che nne guerirono, fu forse di minore honestà, nel tempo che succedette, cagione

[I Intr. 30] Et oltre ad questo ne seguio la morte di molti che per adventura, se stati fossero atati, campati sarieno; di che, tra per lo difecto degli opportuni servigi, li quali gl’infermi aver non poteano, e per la força della [FRQWLQXD]

69 Questa e la precedente annotazione forse richiedono un piccolo chiarimento: Colocci mette in evidenza, nell’annotazione 456b la funzione correlativa di « tra... / et... » (cfr. qui

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382

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 19

7071

Nr.

*/x

459

*

f. 277r, col.F

%D

5 pestilenza

460

Morieno no(n) ‘morivano’

461

veggiamo

462

*

463 464 465

Ragunava chericato ‘chieresia’

* x

AppartenevaĹ piagnevanoĹ

466a

lo d’altra parteĹ

466b

D’altra parte

467

*

468

Dinanzi la casa del morto i(d est) ‘ava(n)ti’, no(n) ‘dina(n)zi a la’ homeri

469

funeral po(m)pa

470

*

[FRQWLQXD I Intr. 30] pistolença, era tanta nella città la moltitudine che di dì e di nocte morieno, che uno stupore era ad udir dire, non che ad riguardarlo [I Intr. 32] Era usança (sì come ancora oggi veggiamo usare) che le donne parenti e vicine nella casa del morto si ragunavano e quivi con quelle che più gli appartenevano piagnevano; e d’altra parte dinançi alla casa del morto co’ suoi proximi si ragunavano i suoi vicini e altri cittadini assai, e secondo la qualità del morto vi veniva il chericato; ed egli sopra gli omeri de’ suoi pari, con funeral pompa di cera e di canti, alla chiesa da llui prima ele[tta] ançi la morte n’era portato.

Anzi alla morte no(n) ‘anzi la’, contraria hic sup(ra)70

471

Da llui due .ll.

472a

N’era71 portato

472b

Ne/

anche 577; per l’uso cfr. ROHLFS, Grammatica storica, 764; SALVI-RENZI, Grammatica, p. 627) e in 456a fornisce un equivalente con l’avverbio sì (« (co)sì... [come]... »), riportando il contesto di occorrenza (« suo » deve essere un’aggiunta per rendere comprensibile ma più breve l’esempio). 70 Il rimando è a 467. Tm mostrava in questi punti usi evidentemente opposti a quelli testimoniati da B. 71 Come rileva anche CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, p. 326, nt. 214, questo, insieme a quello dell’annotazione 479, è uno dei pochi casi di uso dell’apostrofo da parte di Colocci.

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473

Montar(e). ‘crescere’ Barbarino

474

In maggior parte cessò

475a

*

383

[I Intr. 33] Le quali cose, poi che ad montar cominciò la ferocità [cfr. 478] della pistolença o in tutto o in maggior parte quasi cess[arono] e altre nuove in lor luogo [cfr. 477a] ne sopravennero

In tutto cessorono72

475b

cessorono no(n) ‘cessaron’

476

Da torno ha donne i(d est) ‘d’i(n)torno’.

[I Intr. 34] Per ciò che, [cfr. 480] non solamente sença aver molte [donne da tor]no mori[va]n le genti,

72

Tabella 20

73 74

Nr.

*/x

f. 277r, col.G

%D

477a

in lor luogo i(d est)73 ‘i(n) loco di q(ue)lle’Ĺ[cfr. I Intr. 33]

477b

lorĹ

478

ferocitàĹ[cfr. Intr. 33]

[FRQWLQXD I Intr. 34] ma assai n’erano di quegli che di questa vita sença testimonio trapass[avano]; e pochissimi erano coloro a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ ssuoi con[giunti] fossero concedute, ançi in luogo di quelle s’usavano per li più [risa e] motti e [feste]ggiar com[pagn]evole; la q[uale usanza le] donne, [in] gran parte p[roposta la donnesca pietà per la salute di lor]o, av[eva]no opti[c. 2v col.b] mamente appresa

479

*

I

v’eran74 di q(ue)lli i(d est) ‘alcuno’

480

per ciò che ‘per ch(e)’Ĺ

481

concedute

482

fosseroĹ

483

congiuntiĹ

72 La desinenza -orono è un tratto linguistico particolarmente significativo perché tale esito per la terza persona plurale del pass. rem. non è d’uso boccacciano (cfr. MANNI, Trecento toscano, pp. 274-275): si tratta infatti di un tratto che si affaccia nei dialetti toscani occidentali già nel Trecento, ma rimane minoritario per tutto il secolo, affermandosi poi nel fiorentino quattrocentesco (Ibid., pp. 56, 58). Tm tuttavia doveva presentare usi oscillanti, visto che poco oltre l’umanista annota « Desinarono no(n) ‘-orono’ » (599). 73 Scritto î (anziché, come di consueto « .i. ») forse per errore. 74 Cfr. annotazione 472a.

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384

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

484

In luogo di q(ue) lle s(upr)a, più remoto ‘In suo luoco’ e altro75

485

suo76

486

risa ‘risi’

487

compagnevole

488

Donnesca

489

posposta

490a

Lor

490b

Di loro ‘di sé’

491

Appresa ‘i(m)parata’

492

in gra(n) parte ‘magna ex parte’Ĺ

493 494

ottimam(en)teĹ x

homeri 77

495

horrevoliĹ

496

Maniera i(d est) ‘spetie sorta’

497

x

sopravvenuti depone[nte]

498

prezzolati

499a

sotto i(n)travano alla bara ‘subi(n) gredi[.]’

[I Intr. 35] Ed erano radi coloro, i corpi de’ quali fosser più che da un x o xii de’ suoi vicini alla chiesa acompagniato; il quale non gli orrevoli e cari cittadini sopra gli omeri ma una maniera di beccamorti sopravenuti di minuta gente, che chiamar si facevan becchini, la quale questi servigi prezzolata faceva, sotto entravano alla bara; [FRQWLQXD]

757677

75 Questo rimando ad una annotazione antecedente sarà forse da intendersi riferita a 477a, ma non è chiaro il senso di « remoto » (a meno che non intenda così rinviare ad un’attestazione più lontana nel Decameron – nel qual caso occorrerà pensare a Dec. II 8, 86, unica altra occorrenza di « In suo luogo » – di cui tuttavia non rimane traccia negli appunti di Col). 76 Non è certo a quale elemento del testo si riferisca la presente annotazione, a meno che non vada ricondotta a « de’ suoi congiunti », che forse, in Tm poteva presentarsi nella forma apocopata suo’. 77 La presenza di questa annotazione depone in favore del fatto che Colocci abbia a disposizione un testo affine a B, visto che la variante « sopra gli homeri » non è presente in tutta la tradizione manoscritta (è assente ad esempio da Mn: cfr. BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. LXXXIV): Boccaccio in Ba la espunge tramite una sottolineatura (Ibid., p. 14).

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385

Tabella 21

7879

Nr.

*/x

499b 500 501

502 503

*

f. 277v, col.D

%D

baraĹ frettolosi al(ite)r ‘frezzolosi’

[FRQWLQXD I Intr. 35] e quella con frettolosi passi, non ad quella chiesa che esso aveva ançi la morte disposto ma alla più vicina le più volte il portavano, dietro ad quattro o ad sei cherici con poco lume e tal fiata sença alcuno; li quali con l’aiuto de’ decti becchini, sença faticarsi in troppo lungo oficio o solenne, in qualunque sepoltura disoccupata trovavano più tosto il mettevano

Anzi alla morte i(d est) ‘an(te) morte(m)’ Disposto le piu volte ‘ut plurimu(m)’

504 505 506

Drieto senza ter78 affaticarsi off(ici)o

507

Disoccupata ‘scioperata’

508 509

QualunqueĹ Mezana medio [.] ima

510 511 512 513 514

raguardamento vicinanze infermavano serviti passivo atati ‘aiutati’ pass(iv)o essendo Redentione Ne erano, assai Finivano i(d est) ‘morieno’ anchora che ‘benché’

515 516 517 518 519

i(n)

520 521 522

puzzo corrotti se, facevano sentir se e(ss)er morti

523

lorĹ

[I Intr. 36] Della minuta gente, e forse in gran parte della meçana, era il ragguardamento di molto maggior miseria pieno; per ciò che essi, il più o da sperança o da povertà ritenuti nelle lor case, nelle lor vicinançe standosi, ad migliaia per giorno infermavano; e non essendo né serviti né atati d’alcuna cosa, quasi sença alcuna redentione, tutti morivano.

[I Intr. 37] assai n’erano che nella strada publica o di dì o di nocte finivano, e molti, che79 ancora che nelle case finissero, prima col puço de lor corpi corrocti che altramenti facevano a’ vicini sentire sé esser morti; e di questi e degli altri che per tutto morivano, tutto pieno

78 La terza occorrenza di « senza » va probabilmente rintracciata in Dec. I Intr. 36 (« quasi sença alcuna redentione »). 79 Espunto tramite sottolineatura in Ba.

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386

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 22 Nr. 524

*/x

525

f. 277v, col.E il più d(a) i vicini Medesima Maniera

526

tema ‘timor’

527

havessero non ‘havessono’

528 529 530 531

trahevano lor Quegli spetialm(en)te, la matina i(d est) ‘p(rae) serti(m)’

532 533 534 535 536 537 538

x x

Attorno andato fur[o]no Ne ponieno Insiememente Ne portòĹ Annoverar(e) Già passati i(d est) ‘morti’Ĺ

539 540 541a

QuindiĹ Così fattamente Dietro

541b

Di dietro

542a

pervenuta a ttanto

542b

Attanto, pervenuta

543

Manifestam(en)te

544

Apparve

545

Radi

546

semplici

547

far

548

scorti

%D [I Intr. 38] Era il più da’ vicini una medesima maniera servata, mossi non meno da tema che lla corruptione de’ morti non gli offendesse, che da carità la quale avessero a’ trapassati

[I Intr. 39] Essi, e per sé medesimi e con l’aiuto d’alcuni portatori, quando aver ne potevano, traevano dalle lor case li corpi de’ già passati, e quegli davanti alli loro usci ponevano, dove, lla mattina spetialmente, n’avrebbe potuti veder sença numero chi fosse attorno andato: e quindi fatte venir bare, e tali furono, che, per difecto di quelle, sopra alcuna tavola ne ponieno. Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente, né advenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e ‘l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così factamente ne contenieno

[I Intr. 40] E infinite volte advenne che, andando due preti con una croce per alcuno, si misero tre o quatro bare, da portatori portate, di dietro a quella: e, dove un morto credevano avere i preti a sepel[lire], n’avevano sei o octo e tal fiata più [I Intr. 41] Né erano per ciò questi da alcuna lagrima [o lume o com]pag[ni]a honorati; ançi era la cosa perve[nuta] ad tanto, che non altramenti si curava degli uomini che morivano, che hora si cur[erebbe] di capre; per che assai manifestamente app[arve] che quello che il naturale corso delle cose non avea potuto con piccoli e radi danni a’ savi mostrare doversi con patiença passare, la grandeça de’ mali etiandio [c. 3r col.a] i semplici far di ciò scorti [FRQWLQXD]

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387

Tabella 23 Nr.

*/x

f. 277v, col.F

+

6 549a 549b

curanti

550 551 552 553 554a 554b 555

centinaia sopravegnenti stivati ‘calcati’ Mercatantie suolo ‘solaro’ A suo’ a suolo ‘a solari’ Ricoprieno

556

sommo, della fossa

557 558 559 560

*

perveniva Dietro particolarità cosi inimico t(em)po correndo

561

Risparmiò il co(n)tado no(n) ‘al’

562

castella

563

piccolecza no(n) ‘picciol-’ colti ‘per li cultivati’ lor Morieno IndifferentementeĹ

564 565 566 567

lascivi i(d est) ‘stracurati’

568 569

[FRQWLQXDI Intr. 41] e non curanti.

No(n) curanti p(ro) ‘no(n) cale’

*

per ch(e) ave(n)ne ‘q(ua)p(ro)p(ter)

570a

segar le biade

570b

biade ‘segetes’

571a 571b

lor =come meglio piaceva loro

572

Ne, se n’a(n)davano

[I Intr. 42] Alla gran moltitudine de’ corpi mostrata, che ad ogni chiesa ogni dì e quasi ogn’ora concorreva portata, non bastando la terra sacra alle sepolture, e massimamente volendo dare ad ciascun luogo proprio secondo l’antico costume, si facevano per gli cimiterii delle chiese, poi che ogni parte era piena, fosse grandissime nelle quali a centinaia si mettevano i sopravegnenti: e in quelle stivati, come si mettono le mercatantie nelle navi ad suolo ad suolo, con poca terra si ricoprieno infino ad tanto che della fossa al sommo si pervenia [I Intr. 43] Et acciò che dietro ad ogni particularità le nostre passate miserie per la città advenute più ricercando non vada, dico che, così inimico tempo correndo per quella, non per ciò meno d’ alcuna cosa risparmiò il circustante contado, nel quale, lasciando star le castella, che erano nella loro piccoleça alla città per le sparte ville e per li campi i lavoratori miseri e poveri e le loro famiglie, sença alcuna fatica di medico o aiuto di servidore, per le vie e per li loro colti e per le case, di dì e di nocte indifferentemente, non come uomini ma quasi come bestie morieno

[I Intr. 45] Per la qual cosa essi, così nelli loro costumi come i cittadini divenuti lascivi, di niuna lor cosa o faccenda curavano; ançi tutti, quasi quel giorno nel quale si vedevano esser venuti la morte aspectassero, non d’aiutare i futuri fructi delle bestie e delle terre e delle loro passate fatiche, ma di consumare quegli che ssi trovavano presenti si sforçavano con ogni ingegno. Per che adivenne i buoi, gli asini, le pecore, le capre, i porci, i polli e i cani medesimi fedelissimi ad gli uomini, fuori delle proprie case cacciati, per li campi, dove ancora le biade abbandonate erano, sença essere, non che raccolte ma pur segate, come meglio piaceva loro se n’andavano

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388

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 24

80

Nr.

*/x

573 574 575a 575b 576 577

f. 277v, col.G

%D

pasciuti Corrigimento si tornavano Mi ritorno vegnente Infra el marzo el luglio no(n) ‘i(n) fra marzo’Ĺ tra p(er) la forza + et

[I Intr. 46] Et molti, quasi come rationali, poi che pasciuti erano bene il giorno, la nocte alle lor case sença alcuno correggimento di pastore si tornavano satolli

80

578 579

bisogni no(n) ‘-gne’, masculino

580

*

haveano no(n) ‘havieno’

581a

oltre a cento milia

581b 582a

Milia creature humane humane, creature si crede p(er) certo Dentro alle mura no(n) ‘dalle mura’

582b 583 584

585 586a 586b 587

*

Di vita tolti anzi l’accidente Accidente Ne. haverne havuti

588 589

palagi habituri, li, ‘habitatio(n)i’

590a 590b 591

per adietro adietro Menomo ‘minimo’

80

[I Intr. 47] Che più si può dire, lasciando stare il contado e alla città ritornando, se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo, e forse in parte quella degli uomini, che infra ‘l março e il proximo luglio vegnente, tra per la força della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura ch’aveono i sani, oltre ad centomilia creature humane si crede per certo dentro alle mura della città di Firençe essere stati di vita tolti, che forse, ançi l’accidente mortifero, non si saria extimato tanti avervene dentro avuti.

[I Intr. 48] 0 quanti gran palagi, quante belle case, quanti nobili habituri per adietro di famiglie pieni, di signori e di donne, infino al menomo fante rimaser voti! O quante memorabili schiatte, quante ampissime heredità, quante famose riccheçe si videro sença successor debito rimanere! [FRQWLQXD]

« Pasciuti » è seguito da una sequenza di lettere cassate non ben leggibile: « ha(be)t

[...] ».

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592

schiatte ‘le81 stirpi’

593

Ampissime heredità

594

Debito, successor i(d est) ‘legitimo’

389

81

Tabella 25

8283

Nr.

*/x

f. 278r, col.D

595 596 597

leggiadri giovani No(n) altri ma Galieno

598 599

Mattina Desinarono no(n) ‘-orono’82

600a 600b 601a

co’ lor lor appresso, la sera vegne(n)te appresso

601b 602 603

vegnente sera lor ‘Mi vo, mi vado’, andarmi, et nota che diremo ‘mi vo, mi movo’ et i(n)finito no(n) dirà ‘mi gir, mi mover(e)’ ma ‘andarmi, girmi, movermi’83 ravolgendo perch(é) i(d est) ‘quap(ro)p(ter)’

604 605

%D [FRQWLQXD I Intr. 48] Quanti valorosi huomi[c. 3r col.b]ni, quante belle donne, quanti leggiadri giovani, li quali non che altri, ma Galieno, Ypocrate o Esculapio avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono co’ lor parenti, compagni e amici, che poi la sera vegnente appresso nell’altro mondo cenaron con li lor passati!

[I Intr. 49] Ad me medesimo increscie andarmi tanto tra tante miserie ravolgendol: per che, volendo omai lasciare star quella parte di quelle che io acconciamente posso schifare, dico che, stando in questi termini la nostra città, d’abitatori quasi vota, addivenne, sì come io poi da persona degna di fede sentii, che nella venerabile chiesa di Sancta Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, uditi li divini ufici in habito lugubre quale a sì facta stagione si richiedea, si ritrovarono septe giovani donne [FRQWLQXD]

Aggiunto nell’interlinea. Cfr. annotazione 475a-b. 83 Qui Colocci sottolinea la differente collocazione dei pronomi clitici nel presente indicativo (proclitici: mi vo, mi movo) rispetto all’infinito presente (enclitici: andarmi, girmi, movermi e non mi gire, mi movere), e lo fa a partire dalla forma « andarmi » presente nel testo di Boccaccio (per il fenomeno cfr. ROHLFS, Grammatica storica, 482). 81 82

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390

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

606 607a

acco(n)ciamente i(d est) ‘apte’ x

607b 608 609 610 611a 611b 612

posso schifare schifare no(n) ‘schivar(e)’

x

613

vota ‘vacua’ adivenne sentii io venerabil chiesa chiesa non ‘-sia’ martedi mattina no(n) ‘a matina’ giovani do(n)ne

Tabella 26 Nr. 614 615a 615b 616

*/x

617a

f. 278r, col.E

%D

Amistà octesimo ventottesimo leggiadra honestà

[FRQWLQXD I Intr. 49] tutte l’una all’altra o per amistà o per vicinança o per parentado congiunte, delle quali niuna il venti e octesimo anno passato avea né era minor di diciotto, savia ciascuna e di sangue nobile e bella di forma e ornata di costumi e di leggiadra honestà

x

Racontar li nomi

617b

x

618

*

forma, i(n) forma p(ro)p(ri) a racco(n)terei segueno

[I Intr. 50] Li nomi delle quali io in propria forma racconterei, se giusta cagione da dirlo non mi togliesse, la quale è questa: che io non voglio che per le raccontate cose da loro, che seguono, e per l’ascoltate nel tempo advenire alcuna di loro possa prender vergogna, essendo oggi alquanto ristrette le leggi al piacere che allora, per le cagioni di sopra mostrate, erano non che alla loro età ma ad troppo più matura larghissime; né ancora dar materia ad gl’invidiosi, presti ad mordere ogni laudevole vita, di diminuire in niuno acto l’onestà delle valorose donne con isconci parlari.

*

619a

Avenire, tempo ‘avenir(e)’ no(n) ‘da avenir(e)’

619b

T(em)po avenir(e)

620

Ristrecte le leggi al piacer(e)

621

Di sopra mostrate i(d est) ‘predicte’

622

invidiosi

623

vergognia, p(re) nder vergog(n)a’Ĺ

624

laudevole

625a

sconci

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391

625b

isconci parlari

625c

parlari, isco(n)ci

626

et però i(d est) ‘q(ua)p(ro)p(ter)’

[I Intr. 51]. Et però, acciò che quello che ciascuna dicesse sença confusione si possa comprendere appresso, per nomi alle qualità di ciascuna convenienti o in tucto o in parte intendo di nominarle: delle quali la prima, e quella che di più età era, Pampinea chiameremo e al seconda Fiammetta, Phylomena la terça e la quarta Emilia, e appresso Lauretta diremo alla quinta e alla sexta Neyphile, e l’ultima Elissa non sença cagion nomeremo [cfr. 628]

627

proponim(en)to ‘proposito i(n)stituto’

[I Intr. 52] Le quali, non già da alcuno proponimento tirate ma per caso in una delle parti della chiesa adunatesi, quasi in cerchio ad seder postesi, [FRQWLQXD]

628

Nomare [cfr. I Intr. 51]

629a

=R(egu)la84 ‘Si’ co(n) l’abl(ati)vo i(n) co(n) sequentia o absoluto. Adunatesi ‘tratte’ i(d est) ‘esse(n)dosi radunate’, postesi; nota: postesi plural(e), ‘postasi, postisi’

84

A separare quest’ultima annotazione della colonna dalle altre interviene una linea ricurva che raggruppa gli elementi che seguono da questo punto fino al fondo della col. b. Due lineette sovrapposte (cfr. anche 273, 296, 352, 376, 408, 565, 629c, 632) evidenziano l’annotazione che è anche accompagnata dall’apposizione (a sinistra poco sopra alla parola « nota ») della sigla che Colocci impiega abitualmente per indicare una « R(egu)la » di lingua. Cannata non rileva questi ultimi due elementi non decifrando la prima riga dell’appunto (« ‘Si’ co(n) l’abl(ati)vo i(n) co(n)sequentia o absoluto »). Qui Colocci sta sottolineando un’analogia tra l’uso dei costrutti participiali delle forme pronominali dei verbi (adunarsi, porsi) da parte di Boccaccio e il costrutto latino dell’ablativo assoluto (analogo rilievo anche all’annotazione 632, dove Colocci fornisce appunto un equivalente in latino del costrutto impiegato dall’autore). L’espressione « i(n) co(n)sequentia » potrebbe forse alludere all’altro costrutto latino accostabile agli usi boccacciani qui sottolineati, cioè quello del participio congiunto (forse, dunque, con una svista da parte dell’umanista: in consequentia o assoluto sarebbe il participio, non l’ablativo). 84

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392

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tabella 27 Nr. 629b 629c

*/x

630 631 *

f. 278r, col.F Adunare Mi raduno mi co(n)giu(n)go = nota se dirai ‘Ci aduna(m)mo’ o ‘ne aduna(m)mo’ Dopo Tra loro i(d est) ‘i(n)ter se’ no(n) ‘seco’ ragion[ando]85

632

Tacendo l’altre i(d est) ‘tacentib(us)’; = R(egu)la, nota pro ablativus absolut(us) [sic]86

633 634 635

potete Niuna Ragio(n), natural, na(tur)al ragio(n) Ci, ognun che ci nasce

636 637 *

advenuto p(ro) .d.

639

*

sança87 si sono occisi degli ho(min)i

640b

[I Intr. 53] E dopo alcuno spatio, tacendo l’altre, così Pampinea cominciò ad parlare: – Donne mie care, voi potete, così come io, molte volte avere udito che ad niuna persona fa ingiuria chi honestamente usa la sua ragione. Natural ragione è, di ciascuno che ci nascie, la sua vita quanto può aiutare e conservare e difendere: e concedesi questo tanto, che alcuna volta è già addivenuto che, per guardar quella, sença colpa alcuna [c.3v col. a] si sono uccisi degli uomini

Aiutar(e)

638

640a

%D [FRQWLQXD I Intr. 52] dopo più sospiri lasciato stare il dir de’ paternostri, seco della qualità del tempo molte e varie cose cominciarono ad ragionare

Degli huomeni, si sono occisi no(n) ‘sono stati occi[si]’, ma ‘i(n)ter se’

858687

85 La presente annotazione depone contro l’ipotesi che Tm sia B, visto che in esso la lezione è appunto « seco » (lezione scartata da Colocci) e non « tra loro ». 86 Torna nuovamente la sigla già rilevata a proposito dell’annotazione 629a. Da rilevare invece l’erronea reggenza di pro che richiederebbe l’ablativo e non, come pare di poter leggere qui, il nominativo (« ablativus »). 87 Questo è il primo e unico caso in cui la preposizione è scritta con la c cedigliata: un

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

393

3. Le lezioni discordanti di Col rispetto a B Come si avrà avuto modo di constatare, le coincidenze tra la lezione di Col e quella di Bs-Ba sono piuttosto estese (riguardano circa il 93% delle lezioni, cioè quelle non contrassegnate da asterisco). Tuttavia la presenza di alcune divergenze (non imputabili a disattenzione o volontà correttoria dell’annotatore) non consente di accogliere a cuor leggero l’ipotesi di una dipendenza diretta di Col da B. Annotazioni come la 475b « cessorono no(n) ‘cessaron’ », o la 470 « Anzi alla morte no(n) ‘anzi la’ », ad esempio, ci garantiscono con sufficiente certezza che la forma che l’annotatore trovava nel suo testo modello era quella che qui si è posta in corsivo, visto che Colocci stesso mette in rilievo proprio quei tratti – fonetici o sintattici – che la distinguono come alternativa rispetto ad una lezione, che troviamo invece in B. Riprendiamo dunque sinteticamente le poche forme divergenti (garantite secondo le cautele di cui si è detto a nota 19) tra Col1 e Bs (Tab. A1) e tra Col2 e Ba (Tab. A2) e tentiamo qualche ulteriore osservazione. Si accosta anche la lezione di P quando essa diverga dal testo di riferimento, cioè Mn per Col1 e Ba (per Col2): in tutti i casi dove non viene esplicitamente riportata, si sottintende che la lezione di P concordi con Mn o con Ba rispettivamente, secondo i rilievi di Branca.88 Nell’ultima colonna si indica il luogo testuale di provenienza della variante; per maggiore leggibilità si trascurano le parentesi di scioglimento delle abbreviazioni adottate nell’edizione, si riporta solo la parte dell’annotazione utile al confronto e si pone in corsivo la parte interessata da variante. Nelle colonne che precedono rispettivamente Mn e P si pone un x in corrispondenza delle lezioni che coincidono con quella di Col. 3a. Discordanze tra Col1e Bs e confronto con Mn e P Tabella A1: Col1%V Nr.

&RO

%V

7

percioché

però ché

x

0Q percioché

x

3

'HF Pr, 3

10

oltre modo

oltre a modo

x

oltre modo

x

Pr, 3

uso non colocciano che probabilmente riflette le consuetudini grafiche di Tm. Quest’ultimo doveva presentare una scrittura oscillante del termine, ma con una probabile prevalenza della forma sanza (cfr. annotazioni 96, 146, 203, 223, oltre alla presente), di contro a senza (cfr. 344 e soprattutto 505). 88 Ci si serve infatti del regesto delle varianti di P rispetto a Mn (fino a I Intr. 15) e B (per il resto del testo) fornito da BRANCA, Variazioni narrative, pp. 15-18. Le caselle vuote dunque indicano identità di lezione, mentre quelle occupate da trattini indicano che il ms. in questione omette la forma di cui ci si sta occupando.

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394

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

18

soffrire

sofferire

x soffrire

x

Pr, 3

28

avenuto

adivenuto

x avvenuto

x

Pr, 4

55

aiutorono

aitarono

79

il più del tempo

in picciol tempo

80a/b

picciolo circoito

loro circuito

atarono il più del x tempo piccolo circuito

117

Ammendisi

s’amendi

s’ammendi

127

manifestamente

honestamente

-

160

al vostro juditio

al vostro giudicio

al vostro iudicio

192a/b

così facto initio

così facto inditio

213

oltre a ogn’altra in Italia

oltre a ogn’altra italicha

215

pestilenza

pestilençia

224

continovandosi

continuandosi

234

supplicationi

supprichaçioni

x supplicationi

x

249

permutare

pro[...]tare

x permutare

x

277

unte

vote

x unte

x

x

così facto initio

Pr, 7 x

Pr, 10

x picciolo circuito

Pr, 10 Pr13

x manifestamente al vostro giudicio

Pr, 13 I Intr. 2 I Intr. 6

x

oltre a ogn’altra italica

I Intr. 8

x pestilenza

pestilenzia

continuandosi

I Intr. 8 I Intr. 8 I Intr. 9 I Intr. 11 I Intr. 14

Le varianti di Col1 rispetto a Bs sono – come si vede – per lo più di tipo fono-morfologico, tuttavia ve n’è un certo numero di sostanziali, come le nrr. 79, 80a, 127, 192, 213, 277.89 Col1 poi mostra un certo numero di lezioni, per così dire, singolari, che non trovano cioè riscontro in nessuno degli altri testimoni presi in esame (nrr. 55, 117, 160, 213, 224). Negli altri casi o coincide con la lezione concorde di Mn e P (nrr. 7, 10, 18, 28, 79, 192, 234, 259, 277) o con il solo P (si vedano i nrr. 80a/b e soprattutto 127).90 89 La 213 potrebbe far pensare ad una modifica della genuina lezione del testo introdotta dall’annotatore se essa non fosse garantita dal fatto che questi precisa in aggiunta « non de Italia »: il che sarebbe poco sensato se il testo che aveva a disposizione avesse avuto l’aggettivo italica. 90 Non si tiene invece conto dell’esclusivo accordo di Col1 con Mn (ma non con P) testimoniato dall’annotazione 215 – che è stata inserita per scrupolo di documentazione – perché essa non reca una lezione affidabile. Col mostra infatti una certa variabilità nella grafia dell’affricata desinenziale della parola e una spiccata uniformità del gruppo vocalico iniziale (128 pestilentioso, Pro 13 – 215 pestilenza, I Intr. 8 – 292 pestilenzia, I Intr. 17 – 384 pestilenze, I Intr. 25 – 459 pestilenza, I Intr. 30). Proprio questa seconda circostanza fa sospettare di

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

395

Sull’accordo di Col1 con P – e di Bs con P, quale già provvisoriamente appare dalle annotazioni nrr. 160 e 215 – si tornerà più avanti, per ora basti aver posto in evidenza come la lezione di Col1 mostri una situazione già piuttosto turbata e disomogenea, che invita dunque a pensare ad un Tm che per questa prima parte recasse i segni di una contaminazioni o di interventi ope ingenii di un copista. 3b. Discordanze tra Col2 e Ba e confronto con P91 Se ora si viene alle lezioni divergenti di Col2 rispetto alla parte autografa di B, si noterà che la situazione è leggermente differente, rispetto a quanto constatato per Col1 e Ba. Tabella A2: Col2%D Nr.

&RO

%D

306a

scossilisi

scossiglisi

307

Dopo a

Dopo

335

in contraria oppenione

in contraria opinion

336

Affermano

Affermavano

366

A grado erali

A grado gli era

284

pestilenze

pistilençe

391

cercaro

cercarono

394

punissero

-

441

qual che egli fosse

qual che egli si fosse

459

pestilenza

pistolença

3

pistolenze

qual ch’el si fosse

'HF I Intr. 18 I Intr. 18 I Intr. 21 I Intr. 21 I Intr. 23 I Intr. 25 I Intr. 25 I Intr. 25? I Intr. 29 I Intr. 30

una normalizzazione che rende poco affidabile nel complesso la testimonianza di Col per questa forma; tutti i testimoni qui presi in considerazione, infatti, mostrano una notevole variabilità interna in relazione ad entrambi i gruppi fonici: in B con le forme pestilençioso, Pro 13 – pestilençia, I Intr. 8 – pestilentia, I Intr. 17 – pistilençe, I Intr. 25 – pistolenza, I Intr. 30 (le prime due di Bs); in P con le forme pistilençioso, Pro 13 – pestilenzia, I Intr. 8 – pistolenzia, I Intr. 17 – pistolenze, I Intr. 25 – pistolenza, I Intr. 30; in Mn con le forme pistelençioso, Pro 13 – pestilenzia, I Intr. 8 (le altre coincidenti con quelle di B). 91 Si trascura qui il confronto con Mn perché in tutti i casi qui presentati, da quanto risulta da BRANCA, Per il testo II, e ID., Boccaccio. Decameron4, Mn non mostra lezioni alternative rispetto a Ba.

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396

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

462

ragunava

ragunavano

464

apparteneva

appartenevano

467

Dinanzi la casa

Dinanzi alla casa

470

anzi alla morte

anzi la morte

475a/b cessorono

cessarono

479

v’eran di quelli

n’eran di quelli

501

anzi alla morte

anzi la morte

557

perveniva

pervenia

569

per che avenne

per che adivenne

580

haveano

aveono

x

aveano

587

haverne avuti

havervene [...] avuti

x

averne [...] avuti

615b

ventottesimo

venti e octesimo

618

segueno

seguono

631

tra loro

seco

638

advenuto

adivenuto

639

sança

sença

I Intr. 32 I Intr. 32 I Intr. 32 I Intr. 32 I Intr. 33 I Intr. 34 I Intr. 35 I Intr. 42 I Intr. 45 I Intr. 47 I Intr. 47 I Intr. 49 I Intr. 50 I Intr. 52 I Intr. 53 I Intr. 53

Anche in questo caso la stragrande maggioranza delle varianti è di tipo fono-morfologico, ma quelle sostanziali o sono assenti o non sembrano avere lo stesso peso di quelle viste in precedenza. Le uniche veramente significative sono solo due: la 336 e la 631 (costituiscono dunque – approssimativamente – un misero 0,6 %, rispetto al complesso delle lezioni di cui è latore Col2, di contro al 2 % rappresentato dalle varianti sostanziali di Col1).92 Per queste due lezioni, tuttavia, a differenza di quanto avveniva almeno in un caso (127) per Col1, non soccorre l’accordo con alcun altro testimone (sono dunque anch’esse lezioni singolari). Sui due casi di accordo tra la lezione di Col2 e quella di P (580 e 587) si tornerà più avanti

92 Sono ovviamente percentuali approssimative – calcolate a partire dal numero complessivo di circa 640 lezioni registrate da Col (286, per Col1 e 355 per Col2) – fornite all’esclusivo scopo di dare un’idea della diversa incidenza del fenomeno sulle due parti.

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MARCO BERNARDI - Una lettura cinquecentesca del “Decameron”

397

(§ 4, Tab. B2). Le altre divergenze non meramente fono-morfologiche o si limitano a semplici fatti di stile nell’uso dei pronomi,93 o non mostrano garanzie sufficienti di rispecchiare la vera lezione di Tm,94 o sembrano essere forme non tratte dal testo boccacciano, ma solo analoghe ad altre in esso presenti.95 Insomma la seconda parte – corrispondente alla sezione autografa di B – del testo boccacciano di cui Col2 è indiretto testimone, sembra assai meno turbata da varianti e assai più prossima alla lezione di B, di quanto non avvenga per la prima parte (corrispondente a Bs). 4. La fisionomia di Tm: il rapporto di Col con gli altri testimoni della famiglia Į: P e Mn L’esame delle lezioni discordanti ha mostrato piuttosto chiaramente come il testo-modello (Tm) di Col non potesse essere B. Il numero e la qualità delle lezioni in cui Col e B concordano però è cospicuo: basterà, per rendersene conto, considerare tutte le lezioni non contrassegnate da asterisco (*) nella nostra edizione. Dunque si può ipotizzare che Tm fosse un testimone assai affine a B, così come lo sono gli altri due manoscritti importanti della famiglia Į, P e Mn (anche se, probabilmente, caratterizzato da una situazione incipitaria piuttosto instabile, a immediato riflesso della condizione di B). Per delineare meglio l’ipotetica fisionomia di Tm risulterà allora utile disporre un confronto sistematico tra le lezioni caratteristiche di P e Mn (e ovviamente B), da un lato, e quelle di Tm di cui Col è indiretto testimone, dall’altro. Sarà allora particolarmente interessante osservare come si comporti Col rispetto a P e Mn, cioè con quali lezioni tenda ad allinearsi, specie in corrispondenza della bipartizione del testo (Col1 / Col2) che si è ipotizzata.

93 Come per 441 o 587: le forme pronominali assenti rispetto alla lezione di B risultano di fatto pleonastiche (-ve- non è necessario, ricorrendo accanto all’avverbio dentro). 94 È il caso di 366, dove Colocci avrebbe potuto adattare alle proprie abitudini linguistiche il gruppo verbo + clitico, poiché il suo vero interesse sembra essere sbilanciato sull’espressione « a grado », visto che su di essa ritorna ben tre volte a breve distanza da questo punto (cfr. 345a, b, 346). Allo stesso modo le forme cercaro, ragunava e apparteneva (391, 462, 464), mancando dell’ultima sillaba, hanno l’aria di forme scritte rapidamente; inoltre la prima non può considerarsi variante significativa (cercaro è infatti sostanzialmente equivalente a cercarono), le altre due sono evidentemente forme mancanti dell’ultima sillaba, dal momento che sono seguite dalla forma « piagnevano » (465) che nel testo boccacciano condivide con gli altri due verbi il soggetto plurale. Anche l’annotazione 615b non è sufficientemente garantita, poiché è preceduta dalla forma « octesimo » (615a) che getta per lo meno qualche dubbio sulla reale grafia, nel testo-modello, della forma seguente. 95 Come sarà forse per « punissero » (394) che, precedendo un « trovassero » (395) e un « fossero » (396), ha l’aspetto di un’ulteriore forma di congiuntivo imperfetto rievocata a memoria o coniata ex novo (non trovo tale lezione in nessuna redazione del Decameron).

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398

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Si considerano lezioni caratteristiche di ciascun testimone quelle che lo distinguono da tutti gli altri. Si prenderanno dunque in considerazione le lezioni – per le quali sia possibile un riscontro in Col – in cui PBs, P Ba, P Mn, MnBs, e MnBa,96 infatti: – PB e viceversa, quando PBs (coincidente con i casi in cui Mn Bs, per P Ł Mn) e quando 3%D – P  Mn e viceversa (coincidenti con i casi in cui P Ba, per Mn Ł Ba) – Mn B e viceversa, quando Mn  Bs e quando Mn  Ba Le seguenti tabelle contengono dunque tutte queste lezioni, suddivise per comodità e chiarezza secondo la ripartizione Col1 / Col2 (va da sé che, in molti casi, si riporteranno lezioni già inserite in altre tabelle); si contrassegnano con un x le lezioni con le quali Col si trova in sostanziale accordo. Tabella B1 (Col1) 'HF Pr, 3

0Q x percioché

397 x

97

%V però ché

percioché

Nr 7 8a

&RO

Pr, 3

giovinezza

x giovanezza

giovanezza

Pr, 3

infino

x insino

insino

9

oltre modo

10

parrebbe

11a

soffrire

18

soperchio

19

refrigerio

24

oppenione

27

avenuto

28

benefici

49b

aiutorono

55

provano

75

Pr, 3

x oltre modo

Pr, 3

x parrebbe

Pr, 3

x soffrire

Pr, 3

soverchio

Pr, 4

x refrigerio

Pr, 4

opinione

Pr, 4

x avvenuto

Pr, 6

benifici

Pr, 7

atarono

Pr, 10

--il più del x tempo piccolo circuito rivolgendo

Pr, 10 Pr, 10 Pr, 10

x

oltre a modo pariebe?

x

x parrebbe sofferire x soperchio

refligerio

rifrigerio x oppenione

x x benefici

adivenuto x benefici aitarono

x pruovano

x pruovano

x

in picciol tempo il più del tempo

79

x picciolo circuito

loro circuito

picciolo circoito

80a/b

x rivolghono

rivolgono

86

Pr, 10

sieno

x steano

steano

88

Pr, 11

malinconia

x maninconia

maninconia

89

Pr, 12

pensieri

x pensiero

pensiero

101

96 97

x rivolgono

x pensiero

I segni ŁHLQGLFDQRULVSHWWLYDPHQWHFRLQFLGHQ]DHQRQFRLQFLGHQ]DGLOH]LRQL Quando P coincide con Mn non se ne riporta la lezione.

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Pr, 12

x pensieri, noioso pensieri, noioso

111

Pr, 13

mercatare noioso pensiero per ciò che

x in per ciò che

in per ciò che

122

Pr, 13

istorie

x storie

storie

126

Pr, 13

---

Pr, 13

pistelençioso

Pr, 14

fortunati

Pr, 14

I Intr. 2

vederanno attendere a’ loro pietose

I Intr. 2

siete

I Intr. 2

Pr, 12

x mercantare

manifestamente

127

pestilentioso

128

x fortunosi

fortunosi

132

x vedranno attender ad far x loro x piatose

vedranno

134

piatose

180

x siate

x siate

siate

155

x lagrimevole appresso [...] x riposto

x lagrimevole appresso[...] x riposto x stremità

lagrimevole

170

riposto, appresso

181

I Intr. 5

--presso [...] reposto estremità

stremità

183

I Intr. 6

seguita

x seguirà

x seguirà

seguirae98

187

così facto initio sarebbe99

192a/b 193

I Intr. 4

pistilençioso x fortunosi

honestamente

109

x pestilençioso

Pr, 15

x manifestamente

mercantare

399

attender a ffar lor 150

I Intr. 7

sarebbe [...] così facto initio senza

sanza

203

I Intr. 7

avvenissero

x advenissono

avenissono

204

I Intr. 7

da necessità

x di necessitade

di necessità

208

I Intr. 8

pervenuta

x pervenuti

pervenuti

211

I Intr. 8

Fiorenza

x Firenza

Firenze

212a

I Intr. 6

I Intr. 8 I Intr. 8 I Intr. 8

x

x pervenuti

x pestilenza

pestilenzia

ampliata verso

I Intr. 9

x supplicationi

I Intr. 9

cominciò

I Intr. 11 x permutare conoscesse infermi di I Intr. 14 quella I Intr. 14 x unte

così facto initio [...] sarebbe

x

così facto inditio [...] sarebbe x sança

pestilenza

215

x appigliata

pestilençia

appigliata

222a

x inverso

inverso

225

supplicationi

234

si cominciò

237

permutare

249

conoscersi

265a

supprichaçioni x si cominciò

x

I Intr. 13

pro[...]tare x [con]oscersi

x infermi di quelli infermi di quelli x

vote

unte

273 277

9899

98 La lezione di Col1 è sostanzialmente equivalente a quella di Bs e di P: la -e è semplicemente un’epitesi, probabilmente dovuta alle abitudini fonetiche del trascrittore di Tm. 99 La coincidenza della lezione di Col1 con P qui non è tuttavia certa, visto che ciò che la distingue è la posizione del verbo sarebbe: si è già constatato che non sempre Colocci rispetta l’ordine topografico di occorrenza delle forme, sicché, sebbene non vi siano altre ragioni in

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400

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Ciò che emerge con assoluta evidenza è, in primo luogo, che Col1 mostra una spiccatissima aderenza a Bs nella maggior parte dei casi in cui questo si oppone a Mn; in secondo luogo, che in un numero notevole di casi (13) Col1 coincide con P ma non con Mn, e si tratta assai spesso di lezioni significative e non meri fatti fono-morfologici (si vedano in particolare le annotazioni 75, 127 e 170, ma anche 86, 132 e 187). Solo 3 sono invece i casi in cui Col1 concorda esclusivamente con Mn e non con P e ciò avviene in corrispondenza di lezioni poco significative.100 Dunque Col1 mostra una notevole prossimità con P. Ecco di seguito le lezioni che riguardano invece Col2. Come si noterà, sono pochissimi i casi in cui Mn si contrappone a B, vista la stretta affinità tra i due codici (per cui si segnala la lezione di Mn solo quando essa non coincida con quella di B); si è deciso dunque di dare per prima la lezione di P, come più significativa. Tabella B2 (Col2) (quando Mn coincide con Ba non se ne riporta la lezione) 3

I Intr. 17

pistilentia da uno ad un altro

x

x

pestilentia

x

x

da uno ad altro da uno ad altro

296

I Intr. 20

racchiudendosi

x

x

ricogliendosi

323

I Intr. 20

rinchiudendosi

x

x

racchiudendosi rachiudendosi

324

I Intr. 23

di famiglie [...] estremi

x

di famiglie [...] stremi

stremi, di famiglie

363

I Intr. 24

a sofficenzia

x

a sofficiença

a sofficienza

370

I Intr. 25

pistolenze

pistilençe

pestilenze

384

I Intr. 25

propie case

x

x

proprie case

proprie case

390

I Intr. 26

oppina/ti

x

x

oppinanti

oppinanti

400

I Intr. 27

nipote qual ch’el si fosse guarirono

x

x

nepote qual che egli si fosse guerirono

nepote qual che egli fosse guerirono

413

I Intr. 17

I Intr. 29 I Intr. 29

0Q

di famigli [...] stremi x

x

%D

x

&RO

Nr.

'HF

pestilentia

ricogliendosi

292

441 447a

contrario, pare opportuno assumere tale coincidenza con cautela. 100 Si tratta cioè di casi in cui o la lezione di P non è sicura (la forma « pariebe » relativa all’annotazione nr. 11a è accompagnata da un punto interrogativo in BRANCA, Per il testo II, p. 15) o non lo è quella di Col (si è già discusso dell’instabilità grafico-fonetica della forma 215 pestilenza: cfr. supra nt. 90) o la modifica dell’identità fonetica della forma (refligerio > refrigerio) avrebbe potuto essere operata da qualunque copista.

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I Intr. 30 I Intr. 32 I Intr. 35

x

I Intr. 35

I Intr. 49 I Intr. 50 I Intr. 50

x

atenevano

x

omeri sopra venuta

I Intr. 39 I Intr. 39 I Intr. 47 I Intr. 47 I Intr. 49

per lo difecto

x x x

--x

da torno andato ponevano aveano averne avuti posso schifare

x

avvenne il nome propia

x x

x

posso lasciare

401

x

tra per lo difecto

tra per lo 456a/b defetto /diffecto

x

appartenevano

apparteneva[no] 464

x

omeri

omeri

494

x

sopravenuti

sopravvenuti

497

x attorno andato x ponieno aveono avervene avuti x posso schifare x addivenne x li nomi x propria

attorno andato ponieno haveano haverne avuti posso schifare adivenne li nomi propria

532

534 580 587 607 609 617a 617b

Dalla tabella risulta con chiarezza l’assoluta solidarietà di Col2 con B, anche in quei casi sparuti in cui Mn se ne differenzia (363, 494 e 607). Quanto al rapporto di Col2 con P, la situazione appare completamente rovesciata rispetto a quella rilevata per Col1: i due testimoni tendenzialmente non concordano, o se lo fanno, ciò avviene in casi in cui P concorda con B (nrr. 494 e 607). I casi di accordo tra Col2 e P rappresentati dalle annotazioni nrr. 580 e 587, infatti, non risultano particolarmente significativi: le difformità rispetto alla lezione di B che essi presentano possono senza difficoltà essere state introdotte – più o meno inavvertitamente – tanto da Colocci, quanto (e più probabilmente, almeno per la nr. 580) dal copista di Tm stesso, dal momento che producono due lectiones faciliores.101 Dunque 101 La 580 corrisponde ad una lezione in cui B impiega una forma di imperfetto indicativo con un vocalismo eccentrico (-eono), rispetto alle consuetudini rappresentate tanto da Col, quanto da B stesso: si vedano le annotazioni 257, 271, 319, 334a, 342, 346, 418, 462, 464, 465, 512, 557 (tutte concordi con B), che presentano la forma più consueta di imperfetto con lenizione di primo grado dell’occlusiva desinenziale etimologica (-BA- > -va-); le annotazioni 422, 460, 534, 555 (concordi con B) con dileguo dell’occlusiva e palatalizzazione delle vocali circostanti (-ÈBA- > -ìe); le annotazioni 322, 333 e 457 (concordi con B), che mostrano forme analoghe a quella di nr. 580, con semplice dileguo dell’occlusiva (-EBA- > -éa-). Dunque tanto Colocci – come si diceva – o piuttosto il copista di Tm – visto lo scrupolo con cui l’umanista sembra ricalcare almeno le varie forme di imperfetto del suo modello – può aver regolarizzato una forma che gli appariva poco congrua. Quanto a 587, si è già rilevato (nt. 93) come la forma pronominale (con funzione locativa) assente in Col2 rispetto alla lezione di B risulti di fatto pleonastica (-ve- non è necessario, ricorrendo accanto all’avverbio dentro): anche in questo caso un intervento correttorio può essersi prodotto in qualunque momento, anche per mera distrazione. In entrambi i casi, poi, anche il dato paleografico può aver contribuito: nel primo con una confusione (tutt’altro che impossibile, specie in presenza di una lezione

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402

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

per Col2 abbiamo una situazione testuale assai più regolare e uniforme e una evidente presa di distanza dalle lezioni di P. 5. Conclusioni Volendo dunque sintetizzare qualche provvisoria conclusione in relazione all’identità testuale di Tm, credo risulti abbastanza evidente da quanto finora esposto che esso doveva presentare fortissime affinità con B, o piuttosto con lo stato che caratterizzava B già « all’inizio del secolo XV ».102 In Tm – giusta la lezione di Col – troviamo infatti traccia di una situazione fortemente turbata nella parte iniziale, in cui lezioni probabilmente genuine (quelle comuni a Mn) si intrecciano ad altre introdotte forse ope ingenii, ad altre ancora frutto di contaminazione ope codicum, o che comunque rivelano la dipendenza da una tradizione che sembra avere P o suoi discendenti e affini, per capostipiti (condizione condivisa da Bs, come si può rilevare dalla Tab. B1). Tale sezione incipitaria è poi seguita da una parte in cui le lezioni sembrano rispecchiare fedelmente B, in assoluta contrapposizione con le lezioni di P (e addirittura dell’affine di B, Mn) e in cui tutte (meno due) le discordanze rispetto a B sembrano dovute alla semplice sovrapposizione di una patina linguistica probabilmente da attribuire ad un copista tardo; e non potrebbe essere altrimenti, se si ipotizza – come appunto si sta facendo – che Tm dipenda dalla situazione di B posteriore all’inizio del Quattrocento. Tm, attraverso la testimonianza indiretta di Col, mostra dunque una situazione di netta bipartizione, del tutto equivalente a quella venutasi a creare in B dopo la caduta e la sostituzione del foglio iniziale. Non è possibile determinare se Tm discenda da B direttamente o mediante uno o più interpositi. La seconda ipotesi sembra tuttavia più verosimile, a meno di immaginare un copista piuttosto distratto (si pensa alle varianti della Tab. A2) o con uno spiccato spirito di iniziativa che lo induce a cercare altri testimoni per risarcire di qualche menda il foglio iniziale, già poco leggibile, del suo modello. Sarà allora più cauto ipotizzare l’azione di un copista, magari già cinquecentesco, che lavora su un manoscritto che gli sarà stato segnalato come autorevole, in quanto copia di un antiquissimus codex.103 poco comune) tra a e o, nel secondo con una trascrizione aplografica a partire dallo scambio (facilissimo a prodursi) tra le sequenze -ve- e -ne-. 102 BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. XXI. 103 In questo modo, ad esempio, alcuni marginali cinquecenteschi di un Decameron a stampa (Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari, 1546) custodito nella Biblioteca Vaticana sotto la segnatura Stamp. Cappon. IV.508 definiscono la fonte delle postille manoscritte (« ex antiquissimo Bembi codice ») che ne screziano i margini: si veda in proposito PULSONI, Postillati cinquecenteschi, pp. 832-833.

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403

I dati forniti da Col, tuttavia, ci permettono di aggiungere ancora qualche tratto alla fisionomia di Tm. Se i numeri romani e arabici che compaiono per lo più ad intestazione delle colonne della nostra lista si riferiscono ai fogli del testo da cui sono state ricavate le annotazioni (come appare verosimile), qualcosa ancora si può dire della disposizione topografica del testo. Già il fatto che tali indicazioni numeriche vadano da 1 a 6 sembra suggerire che Tm dovesse avere dimensioni affatto differenti (circa la metà) rispetto a B – in cui il testo occupa invece solo 2 fogli e il recto di un terzo104 – a meno di pensare ad un codice in cui la numerazione non procedesse di recto in recto, bensì per facciate (il che però è piuttosto infrequente a quest’epoca). Ecco dunque quanto è possibile stabilire della disposizione del testo boccacciano in Tm sulla base delle indicazioni di Col: – f.1r-v: contiene da Pr, 2 (« Umana cosa ») a Pr, 12 (fino a « giucare ») – f. 2r-v: contiene da Pro 12 (da « uccellare ») a I Intr. 10 (fino a « parimente ») – f. 3r-v: contiene da Pro 10 (da « anguinaia ») a I Intr. 21 (fino a « lor venissero ») – f. 4r-v: contiene da I Intr. 21 (da « a grado o in piacere ») a I Intr. 30 (fino a « forza della ») – f. 5r-v: contiene da I Intr. 30 (da « pistolenza ») a I Intr. 41 (fino a « scorti ») – f. 6r-v: contiene da I Intr. 41 (da « e non curanti ») a I Intr. 53 (fino a « uccisi degli uomini ») Altri dati di cui è possibile tenere conto, poi, riguardano le abitudini grafiche e fonetiche di Tm, anche se in questo caso sarà necessaria una certa cautela, perché, almeno nei casi in cui la lezione non è garantita da un esplicito rifiuto della variante alternativa (cioè nel caso di annotazioni del tipo « X non Y » o simili), non si potrà essere del tutto sicuri che il tratto non vada attribuito a Colocci anziché al copista del testo modello. Ad ogni modo quest’ultimo si mostra oscillante in relazione ad alcuni allomorfi: – sanza (96, 146, 203, 223, 639) maggioritario rispetto a senza (344 – ma potrebbe essere dovuto a Colocci – e 505 che registra una triplice attestazione del lemma: « ter ») – dietro (504, 508) e drieto (541a) – desinenze di III pers. plur. del pass. rem. con desinenza in -orono (55, 475) e con desinenza in -arono (599). – desinenze di III pers. plur. dell’imperf. congiunt. con desinenza -issero (350a e b, 527) e -issono (204).

104

Più una riga che sconfina nella prima colonna del verso di f. 3, per la precisione.

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404

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Altri tratti linguistici significativi (che distinguono Tm da B, fatte salve le cautele di cui si è detto) sono: – una certa preferenza per le scempie di contro alle articolazioni consonantiche intense (92a, 99, 102, 133, 137, 141, 147, 274, 319, 324, 342, 510, 574, 609, 619a) – la tendenza all’apertura delle vocali estreme: u > o (80b, 559, 640a) e i > e (157, 335, 399, ma al contrario cfr. 574) – l’impiego dell’epitesi (187) – lessemi come altramenti e piatose (nrr. 169, 180), mestieri e leggieri (4, 347), continovo (224) – forme verbali come fussi/e (16, 377) e furno (533). Come B, Tm sembrerebbe invece presentare alcune grafie etimologizzanti (cfr. ad esempio 20 concepto, 46 dilectevole, 406 exempio). Purtroppo non è possibile dire molto di più su quest’interessante discendente di B. Il fatto però che le annotazioni di Col esibiscano una così forte prossimità alla lezione del celebre autografo boccacciano può forse costituire un piccolo indizio in grado di illuminarne, sia pure di luce indiretta e riflessa, la storia primo-cinquecentesca.105 Ben altra consistenza potrebbero avere le evidenze ricavabili direttamente da Tm (o dal suo ipotetico antigrafo): qui ci si augura di aver fornito, con chiarezza e completezza sufficienti, i dati a disposizione per una sua auspicabile identificazione.106

105 Il codice Vat. lat. 4817 andrebbe ricondotto agli anni 1530-1535, se si accettano le conclusioni cui perviene CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, p. 58. 106 Da una prima incompleta ricognizione di alcune edizioni anteriori al 1549 (anno di morte di Colocci), mi pare di poter escludere che il modello fosse un testo a stampa del Decameron: non trovo coincidenza né con le lezioni né con la ripartizione per pagine rispetto agli esemplari che ho collazionato. Si tratta degli stampati vaticani Inc. II.413 (Venezia, Da Strata, 1481); Ross. 6943 (Firenze, Filippo Giunta, 1516); Ferr. IV.4046 (Venezia, De Gregoriis, 1516); Ross. 4682 (Venezia, Aldo Manuzio e Andrea Torresano, 1522); Ross. 4684 (Firenze, Eredi di Filippo Giunta, 1527); Ferr. IV.5499 (Venezia, Zoppino, 1531); Ferr. IV.4102 (Venezia, Giolito, 1538). Il controllo dovrà essere completato, ma credo si possa ragionevolmente escludere che possa portare a conclusioni diverse da quelle qui anticipate: del resto, specie dopo la giuntina del 1527, la lezione del testo boccacciano tende a uniformarsi nelle edizioni a stampa.

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405

Postilla Mi pare necessario, a margine delle riflessioni svolte in queste pagine, dar conto brevemente della recente edizione del cod. Vat. lat. 4817 approntata da Nadia Cannata Salamone. Per il momento mi limiterò a fornire solo una sorta di errata corrige al lavoro della studiosa per le parti che qui interessano. Cannata liquida l’interrogativo relativo alla dipendenza da B della lista di Col (che trascrive non senza imprecisioni) in due righe di nota: le lezioni, secondo la studiosa « non sono tratte dall’Hamilton 90, che pure egli ebbe tra le mani, ma piuttosto da un codice più tardo che mostra tratti linguistici del fiorentino quattrocentesco ».107 Cannata non precisa tuttavia quali siano i « tratti linguistici del fiorentino quattrocentesco » da lei individuati, né segnala le lezioni non coincidenti, salvo in due casi,108 sbagliandosi in entrambi, come si dirà immediatamente. L’edizione di Cannata, almeno per la parte oggetto d’esame del presente studio, mostra infatti numerosi errori di lettura,109 omissioni,110 incoerenze nell’interpretazione e 107 Cfr. CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici; la trascrizione dell’elenco occupa le pp. 319-330. 108 Tali casi sono segnalati nelle note 209 e 212 (Ibid., pp. 320, 322). 109 Ecco un elenco degli errori più evidenti. Fornisco, per rapidità, la lezione del manoscritto (preceduta dal numero che nella mia edizione di Col ho associato a ciascuna voce dell’elenco) seguita (e da essa separata da una barra obliqua /) dalla lettura di Cannata (seguita dall’indicazione in parentesi della pagina di CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, in cui la si può trovare; gli stessi criteri vengono adottati anche nelle note seguenti): 6 « piacere » / « piaci » (p. 319); 11a « rechiedesse » / « rechiedissi » (p. 319); 67 « alle donne » / « alla donna » (p. 320); 86 « pensieri » / « pensier » (p. 320); 122 « inperciocché » / « imperciocché » (p. 321); 151 « quoties » / « quotiens » (p. 321); 160 « juditio » / « giudizio » (p. 322); 170 « lagrimevole » / « lagrimando » (p. 322); 174 « Lo » / « Le » (p. 322); 234 « preces » / « preci » (p. 323); 256 « al h(om)o » / « alhor » (p. 323); 263 « M » / « 11 » (p. 323); 294 « toccate » / « toccata » (p. 324); 308 « avolgimento » / « svolgimento » (p. 324); 343 « poter(e) » / « poter » (p. 324); 367 « mediocre » / « medio era » (p. 325); 404 « infermandone » / « informandone » (p. 325); 420b « -rij » / « -ij » (p. 326); 447b « p(reteri)to » / « perfetto » (p. 326); 453 « atati » / « stati » (p. 326); 475a « cessorono » / « cessarono » (p. 326); 587 « havuti » / « avuti » (p. 328); 589 « habitatio(n)i » / « habitatori » (p. 328); 603 « no(n) dirà » / « addire » (p. 329); 611b « -sia » / « chiesia »( p. 329: non segnala l’integrazione di « [chie] »); 613 « don(n)e » / « done » (p. 329); 619a « no(n) » / « ad » (p. 329). Si tralasciano i casi in cui la scarsa chiarezza del ms. poteva porre effettivi problemi di decifrazione. Forse molte delle letture di Cannata vanno imputate all’uso da parte sua di una riproduzione poco perspicua. 110 Vengono omessi i lemmi 51b « meco stesso » (cfr. p. 320, forse per saut du même au même); 93b « lì » (p. 321); 150 « affar » (p. 321); 195 « .i. » (p. 322); 353 « più » (p. 325); 441 « i(d est) ‘che se fosse’ » (p. 326: secondo Cannata illeggibile); 449 e 450 « nel tempo che succedette / oltre a questo “ad hac” » (p. 326); 554 « A » (p. 328); 603 « ma » (p. 329); 627 « i(n) stituto » (p. 329: secondo Cannata illeggibile). Non viene inoltre dato conto di segni presenti in corrispondenza di diversi elementi dell’elenco come: il segno a chiave (o-) che compare accanto a 204, 290, 313, 314, 350a, 350b; la sottolineatura di 57 « La »; il tratto obliquo (/)

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406

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

scioglimento delle abbreviazioni111 e una generale trascuratezza.112 Il caso che rende testimonianza nel modo più eloquente della qualità filologica del lavoro condotto dalla studiosa, mi pare però il seguente. Da vari indizi sembra emergere che Cannata si sia servita, per la sua collazione, non di una riproduzione dell’autografo B, come sarebbe stato sensato dovendosi verificare la riconducibilità delle postille colocciane a tale manoscritto, bensì – si suppone (la filologa non segnala i propri strumenti in questo caso e il lettore è costretto a fidarsi dei risultati dei suoi eventuali riscontri) – dell’edizione critica di Branca condotta sull’autografo hamiltoniano. Operazione del tutto legittima, se si volesse stabilire quanto il testo-modello di Colocci fosse prossimo alla lezione boccacciana più autentica, ma assai poco utile se si vuole invece determinare – come intendeva fare Cannata e come si è tentato di fare qui – se Colocci si sia servito proprio dell’oggetto B, con le sue lezione autentiche e le sue lezioni spurie (il f. 1 di B non è autografo). Servirsi dell’edizione critica curata da Branca, che riconnette 265b a 265a; i segni a croce (+) che compaiono accanto a 456b, 577, 453; le correzioni che interessano 190, 200, 573; i doppi trattini che marcano 296b, 297b, 352, 376, 408, 565, 571b, 629a, 632 111 In corrispondenza del 6 non scioglie il segno ad apostrofo (‘) che indica la sillaba -re (o la lettera e) nelle desinenze e legge « piaci » (p. 319) anziché « piace(re) », ma in corrispondenza di 97b, legge coerentemente « sostene(re) » (p. 321), reso con lo stesso segno; scioglie la forma abbreviata 128 « tpo » (con tratto di compendio sovrascritto) in « tempore » (p. 321), ma legge correttamente 135 « t(em)pi » (p. 321), scritto in identico modo; legge « hor » (p. 323) la classica abbreviatura per « h(om)o » in corrispondenza di 256, ma legge correttamente « homo » in corrispondenza di 297b (p. 324). 112 Tale trascuratezza si manifesta ad esempio in una poco fedele applicazione dei criteri di trascrizione dichiarati nelle pagine introduttive (pp. 143-144). Eccone un’esemplificazione non esaustiva: pone ad esempio in tondo parole che, facendo parte del testo di Boccaccio, andrebbero in corsivo (secondo i criteri scelti dalla studiosa), come 67 « alle donne » (p. 320; ma Cannata legge un singolare), 166 « universalmente » (p. 322), 167 « dannosa » (p. 322), 345b « A grado » (p. 324). Viceversa pone in corsivo parole che non fanno parte del testo di Boccaccio e andrebbero perciò in tondo: 130 « ballate » (p. 321), 139 « leggere » (p. 321), 170 « lagrimando » (p. 322), 394 « punissero » (p. 325). Cannata trascrive di seguito (inducendo il lettore a pensare che costituiscano un’unica entrata dell’elenco o che comunque si trovino sulla stessa riga) lemmi scritti l’uno sotto l’altro in colonna come i numeri 140 e 141 (p. 321); 195 e 196 (p. 322: il secondo lemma è addirittura nella colonna successiva); 345a e 345b (p. 324); al contrario riferisce la parola « Lo » al nr. 295b, anche se si trova sulla stessa riga di 296; colloca il lemma 222a nel f. 275v, mentre si trova a f. 276r. Infine afferma di non trovare la lezione « usato è » (cfr. 45) nel Prologo del Decameron (cfr. p. 320, nt. 209), mentre la lezione è presente (« è usato »), salvo il fatto che Colocci la trascrive invertendo l’ordine dei due elementi perché in quel punto gli interessa la forma usare. Va detto che il Vat. lat. 4817 è un codice assai complesso e certamente non è facile per un editore riservare a ciascuno dei suoi dettagli sempre l’attenzione che meriterebbe. Si deve comunque ascrivere a merito di Cannata il fatto di aver messo a disposizione degli studiosi – sia pure in una maniera provvisoria che, per i punti più delicati, richiede inevitabilmente qualche verifica – il contenuto di un manoscritto tanto importante per gli studi colocciani.

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407

dunque, avrebbe avuto senso a patto di tenere conto dell’avvertenza che lo studioso vi premette: « Fino al paragrafo 15,4 pareva seco dell’Introduzione lacuna di B: si segue Mn ».113 Branca, infatti, ricorre – com’è noto – per la parte non autografa di B, alla lezione del codice Mannelli. Cannata evidentemente non tiene presente tutto ciò e dunque conduce involontariamente la sua collazione di Col – fino a Dec. I Intr. 15 – su Mn, attribuendo però le lezioni di quest’ultimo a B autografo. Per questo la filologa osserva114 – a proposito della lezione « appigliata », riportata da Colocci (cfr. Col, f. 276r col. a, pertinente a Dec. I Intr. 8, dove il testo critico stabilito da Branca sulla base di Mn ha « ampliata ») –: « qui l’autografo di Boccaccio ha ampliata ». Ma per la parte interessata dalla annotazione colocciana, prima di tutto, non disponiamo dell’« autografo di Boccaccio ». Se poi con tale espressione la studiosa intendeva comunque riferirsi a B nel suo complesso, l’errore ne risulta ancora più grave, visto che nella col. b di f. 1v (non autografa) di B la lezione del testo è proprio « s’era appigliata ».115 Dunque in questo caso viene esplicitamente negata un’importante coincidenza del testo di Col con B. Circostanze come questa, insieme al grado di affidabilità del lavoro della studiosa – quale emerge dagli esempi forniti in nota – invitano dunque a un riesame puntuale e un po’ più circostanziato delle annotazioni colocciane conservate nel cod. Vat. lat. 4817, sulle quali mi riservo di tornare in altra sede.

113 114 115

BRANCA, Boccaccio. Decameron4, p. 1. CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici, p. 322, nt. 212. Lo si legge abbastanza chiaramente in BRANCA, Boccaccio. Decameron. Fac-simile, f. 1v.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

AAC

Atti della R. Accademia della Crusca per la lingua d’Italia

AAP

Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti

Ac

Acme

Ae

Aevum

Al

L’Alighieri

Ant

Anticomoderno

ARDS

Annual Report of the Dante Society

ASNP

Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa. Lettere, Storia e Filosofia, poi Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia

BD

Bollettino dantesco

BOVI

Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano

BSDI

Bullettino della Società dantesca italiana

CL

Critica letteraria

Co

Convivium

CT

Critica del testo

DDJ

Deutsches-Dante Jahrbuch

DS

Dante Studies

E

L’Ellisse

FL

La Fiera Letteraria

GD

Giornale dantesco

GSLI

Giornale storico della letteratura italiana

IMU

Italia medioevale e umanistica

IR

L’Immagine riflessa

LC

Letture classensi

L&D

Libri & Documenti

LI

Lettere italiane

LiIt

La lingua italiana

LN

Lingua nostra

MAH

Mélanges d’Archéologie et d’Histoire

MeR

Medioevo e Rinascimento

MLN

Modern Language Notes

MP

Modern Philology

MSV

Miscellanea storica della Valdelsa

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410

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

NRLI

Nuova rivista di letteratura Italiana

P

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Il Ponte Quaderni di Filologia romanza Quaderni petrarcheschi Rinascimento Rivista di cultura classica e medioevale Romania Rivista di studi danteschi Sitzungsberichte der Königlichen Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin Studi sul Boccaccio Scrittura e Civiltà Scrineum Rivista Studi danteschi Segno e testo Studi di filologia italiana Studi di grammatica italiana Studi Medievali Studier i modern språkvetenskap Studi mediolatini e volgari Studi petrarcheschi Studi e problemi di critica testuale Studj romanzi Tipofilologia Zeitschrift für Romanische Philologie

SB ScrC ScrR SD SeT SFI SGI SM SMS SMV SP SPCT SR Tf ZRPh

Le opere di Boccaccio sono di norma citate da Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. BRANCA, 10 voll. in 11 tomi, Milano 1964-1998. Queste le abbreviazioni correnti: Amor. vis. = Amorosa visione

Bucc. = Buccolicum carmen Caccia = Caccia di Diana Carm. = Carmina Cas. = De casibus virorum illustrium &RPHGLD &RPHGLDGHOOHQLQIH¿RUHQWLQH Cons. = Consolatoria a Pino de’ Rossi

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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Corb. = Corbaccio1 Dec. = Decameron Epist. = Epistole Esp. = Esposizioni sopra la Comedia di Dante Fiammetta = Elegia di madonna Fiammetta Filoc. = Filocolo Filostr. = Filostrato Gen. = Genealogie deorum gentilium Lett. = Lettere Mont. = De montibus, silvis, fontibus ecc. Mulier. = De mulieribus claris 1LQI 1LQIDOH¿HVRODQR Rime Tes. = Teseida delle nozze d’Emilia Tratt. = Trattatello in laude di Dante Vita Petr. = De vita et moribus Domini Francisci Petracchi de Florentia

ABBONDANZA, Lettera autografa = A. ABBONDANZA, Una lettera autografa del Boccaccio nell’Archivio di Stato di Perugia, SB, 1 (1963), pp. 5-13. AGENO, Particolarità grafiche = F. AGENO, Particolarità grafiche di manoscritti volgari, IMU, 4 (1961), pp. 175-180. AGOSTINELLI, Catalogue = E. AGOSTINELLI, A catalogue of the manuscripts of “Il Teseida”, SB, 15 (1985-1986), pp. 1-83. ALESSIO, Hec Franciscus = G.C. ALESSIO, “Hec Franciscus de Buiti”, IMU, 24 (1981), pp. 64-122. ALESSIO, Sul Comentum = G.C. ALESSIO, Sul “Comentum” di Benvenuto da Imola, LC, 28 (1999), pp. 73-94. ASOR ROSA, Decameron = A. ASOR ROSA, Decameron, di Giovanni Boccaccio, in Letteratura Italiana. Le Opere. I. Dalle Origini al Cinquecento, Torino 1992, pp. 473-591. Atti Convegno Angelo Colocci = Atti del Convegno di studi su Angelo Colocci (Jesi, 13-14 settembre 1969), Jesi 1972. 1 Al numero di paragrafo dell’ed. a cura di G. PADOAN (Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, V/2, Milano 1994, pp. 413-614) è fatto seguire tra parentesi quello dell’ed. a cura di T. NURMELA, Helsinki 1968.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

AUDIN, Boccaccio. Libro dell’Amazonide = Incomincia il libro dell’Amazonide, overo della guerra di Theseo ducha d’Acthene con le donne Amazone, chomposto per messer Giovanni di Bochaccio da Certaldo…, a cura di S. AUDIN, Parigi 1840. Autografi dei letterati italiani = Autografi dei letterati italiani, direttori M. MOTOLESE ed E. RUSSO: vol. I/1, Le Origini e il Trecento, a cura di G. BRUNETTI, M. FIORILLA, M. PETOLETTI, Roma 2013; Vol. III/1, Il Cinquecento, a cura di M. MOTOLESE, P. PROCACCIOLI, E. RUSSO, Roma 2009 (Pubblicazioni del Centro Pio Rajna). AUZZAS, Boccaccio. Epistole = GIOVANNI BOCCACCIO, Epistole, a cura di G. AUZZAS, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, V/1, Milano 1992 (I classici Mondadori), pp. 493-856. AUZZAS, Boccaccio. Lettere = GIOVANNI BOCCACCIO, Lettere, a cura di G. AUZZAS, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, V/1, Milano 1992 (I classici Mondadori), pp. 857-878. AUZZAS, Codici autografi = G. AUZZAS, I codici autografi. Elenco e bibliografia, SB, 7 (1973), pp. 1-20. AVESANI, Appunti del Colocci = R. AVESANI, Appunti del Colocci sulla poesia mediolatina, in Atti Convegno Angelo Colocci, pp. 109-132. AZZETTA, Antichi lettori del Convivio = L. AZZETTA, Tra i più antichi lettori del “Convivio”: ser Alberto della Piagentina notaio e cultore di Dante, RSD, 9 (2009), pp. 57-91. BALDAN, Boccaccio. Vita di Dante = GIOVANNI BOCCACCIO, Vita di Dante, a cura di P. BALDAN, Bergamo 1991 (Scrivere le vite, 3). BALDAN, Pentimento ed espiazione = P. BALDAN, Pentimento ed espiazione di un pubblico lettore (Boccaccio e la “Commedia” dantesca), in Bufere e molli aurette. Polemiche letterarie dallo Stilnovo alla “Voce”, a cura di M.G. PENSA, Milano 1996, pp. 21-35. BALDASSARRI et alii, Di mano propria = “Di mano propria”. Gli autografi dei letterati italiani. Atti del Convegno internazionale di Forlì (24-27 novembre 2008), a cura di G. BALDASSARRI [et alii], Roma 2010 (Pubblicazioni del Centro Pio Rajna. Sezione 1, Studi e saggi, 18). BALDELLI, Endecasillabo = I. BALDELLI, Endecasillabo, in ED, II, Roma 1970, pp. 672676. BARAēSKI, Boccaccio, Benvenuto e il sogno = Z. BARAēSKI, Boccaccio, Benvenuto e il sogno della madre di Dante incinta, in ID., “Chiosar con altro testo”. Leggere Dante nel Trecento, Fiesole 2001 (I saggi di Letteratura italiana antica, 2), pp. 99-116. BARBANO, Benvenuto e Giovanni Villani = P. BARBANO, Il commento latino sulla “Divina Commedia” di Benvenuto da Imola e la “Cronica” di Giovanni Villani, GD, 17 (1909), pp. 65-104. BARBI, Canone = [M. BARBI], Canone di luoghi scelti per lo spoglio dei mss. della “Divina Commedia”, in A. BARTOLI-A. D’ANCONA-I. DEL LUNGO, Per l’edizione critica della “Divina Commedia”, BSDI, 5-6 (1891), pp. 28-38.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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BARBI, Dante. Vita nuova1 = DANTE ALIGHIERI, La vita nuova, per cura di M. BARBI, Firenze 1907. BARBI, Dante. Vita nuova2 = DANTE ALIGHIERI, La vita nuova, edizione critica per cura di M. BARBI, Firenze 1932 (Edizione nazionale delle opere di Dante, 1). BARBI, Lettura = M. BARBI, La lettura di Benvenuto da Imola e i suoi rapporti con altri commenti, SD, 16 (1932), pp. 137-156; e 17 (1934), pp. 79-98; poi in ID., Problemi di critica dantesca. Seconda serie (1920-1937), Firenze 1941 (rist. 1973), pp. 435-470, da cui si cita. BARBI, Nuova filologia = M. BARBI, La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante a Manzoni, Firenze 1938 (rist. 1973). BARBI, Seconda redazione = M. BARBI, Qual’è la seconda redazione della “Vita di Dante” del Boccaccio, MSV, 21 (1913), pp. 101-141; poi in ID., Problemi di critica dantesca. Prima serie (1893-1918), Firenze 1934 (rist. 1973), pp. 395-427, da cui si cita. BARBI, Sul testo = M. BARBI, Sul testo del “Decameron”, SFI, 1 (1927), pp. 9-68 (poi in ID., Nuova filologia, pp. 35-85). BARONCI, Inventario dei manoscritti Chigi = Manoscritti Chigi. Inventario, a cura di G. BARONCI, III (Città del Vaticano, BAV, Consultazione sala manoscritti, nr. 389/3). BARTUSCHAT, Les Vies de Dante, Pétrarque et Boccace = J. BARTUSCHAT, Les “Vies” de Dante, Pétrarque et Boccace en Italie (XIVe-XVe siècles). Contribution à l’histoire du genre biographique, Ravenna 2007 (Memoria del tempo, 30). BATINES, Bibliografia dantesca = P.C. DE BATINES, Bibliografia dantesca, ossia catalogo delle edizioni, traduzioni, codici manoscritti e comenti della Divina Commedia e delle opere minori di Dante, I/2-II, Prato 1845-1846 [ma 1848] (rist. Roma 2008). BATTAGLIA, Boccaccio. Teseida = GIOVANNI BOCCACCIO, Teseida, a cura di S. BATTAGLIA, Firenze 1938 (Autori classici e documenti di lingua pubblicati dalla R. Accademia della Crusca). BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore = L. BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, copie di lavoro, interventi di autoesegesi: testimonianze trecentesche, in BALDASSARRI et alii, Di mano propria, pp. 123-157. BATTAGLIA RICCI, Leggere e scrivere novelle = L. BATTAGLIA RICCI, Leggere e scrivere novelle tra ’200 e ’300, in Novella italiana, pp. 629-655. BAUSI, Petrarca antimoderno = F. BAUSI, Petrarca antimoderno. Studi sulle invettive e sulle polemiche petrarchesche, Firenze 2008 (Strumenti di letteratura italiana, 26). BELTRAMI, Metrica = P.G. BELTRAMI, Metrica, poetica, metrica dantesca, Pisa 1981 (Biblioteca degli Studi mediolatini e volgari, n.s., 6). Bembo e l’invenzione del Rinascimento = Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento. Catalogo della Mostra tenuta a Padova, a cura di G. BELTRAMINI, D. GASPAROTTO, A. TURA, Venezia 2013.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

BENZONI, Corbinelli = G. BENZONI, Corbinelli, Iacopo, in DBI, 28, Roma 1983, pp. 750-760. BERNARDI, Angelo Colocci = M. BERNARDI, Angelo Colocci, in Autografi dei letterati italiani, II/1, pp. 81-117. BERNARDI, De Amore = M. BERNARDI, La (s)fortuna del ‘De Amore’ nel primo Cinquecento italiano e un inedito documento colocciano, IR, 15/2 (2006), pp. 1-36. BERNARDI, Interessi culturali = M. BERNARDI, Gli interessi culturali e il lavoro filologico di Angelo Colocci, in Estudos de edición crítica e lírica galego-portuguesa, edición ao coidado de M. ARBOR ALDEA, A.F. GUIADANES, Santiago de Compostela 2010 (Verba. Anexo, 67), pp. 337-352. BERNARDI, Postillato = M. BERNARDI, Il postillato colocciano delle “Prose della Volgar Lingua”: L’Ambrosiano S. R. 226 e il pensiero linguistico di Angelo Colocci, E, 4 (2009), pp. 65-86. BERNARDI, Ricostruzione = M. BERNARDI, Per la ricostruzione della biblioteca colocciana: lo stato dei lavori, in BERNARDI-BOLOGNA, Angelo Colocci, pp. 21-83. BERNARDI, Zibaldone = M. BERNARDI, Lo zibaldone colocciano Vat. lat. 4831. Edizione e commento, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 454). BERNARDI-BOLOGNA, Angelo Colocci = Angelo Colocci e gli studi romanzi, a cura di M. BERNARDI e C. BOLOGNA, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 449). BERTELLI, Commedia all’antica = S. BERTELLI, La “Commedia” all’antica, Firenze 2007. BERTELLI, I manoscritti della letteratura italiana delle Origini = S. BERTELLI, I manoscritti della letteratura italiana delle Origini, in Medieval Autograph Manuscripts, pp. 311-328. BERTELLI, Mss. Origini. BML = S. BERTELLI, I manoscritti della letteratura italiana delle Origini. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze 2011 (Biblioteche e Archivi, 22). BERTELLI, Mss. Origini. BNCF = S. BERTELLI, I manoscritti della letteratura italiana delle Origini. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze 2002 (Biblioteche e Archivi, 11). BERTELLI, Tipologie librarie e scritture = S. BERTELLI, Tipologie librarie e scritture nei più antichi codici fiorentini di ser Brunetto, in A scuola con ser Brunetto: la ricezione di Brunetto Latini dal Medioevo al Rinascimento, Atti del Convegno internazionale di studi (Università di Basilea, 8-10 giugno 2006), a cura di I. MAFFIA SCARIATI, Firenze 2008 (Archivio romanzo, 14), pp. 213-253. BERTELLI, Tradizione della Commedia = S. BERTELLI, La tradizione della “Commedia”: dai manoscritti al testo. I. I codici trecenteschi (entro l’antica vulgata) conservati a Firenze, Firenze 2011 (Biblioteca dell’Archivum romanicum. Serie 1, Storia, Letteratura, Paleografia, 376). BERTELLI-CURSI, Novità sull’autografo Toledano = S. BERTELLI-M. CURSI, Novità sull’autografo Toledano di Giovanni Boccaccio. Una data e un disegno sconosciuti, CT, 15 (2012), pp. 287-295.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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BERTI, Prime illustrazioni = L. BERTI, Le prime illustrazioni del “Decameron”, in BRANCA, Boccaccio. Decameron2, pp. XIX-XXII. BETTARINI BRUNI, Manoscritto ricostruito = A. BETTARINI BRUNI, Un manoscritto ricostruito della “Vita di Dante” di Boccaccio e alcune note sulla tradizione, SFI, 57 (1999), pp. 235-255. BIADENE, Codice Berlinese = L. BIADENE, Il codice Berlinese del Decameron, GSLI, 10 (1887), pp. 296-298. BIADENE, Manoscritti italiani = L. BIADENE, I manoscritti italiani della collezione Hamilton nel R. Museo e nella R. Biblioteca di Berlino, GSLI, 10 (1887), pp. 313-355. BIANCHI, Per la Biblioteca = R. BIANCHI, Per la Biblioteca di Angelo Colocci, R, 30 (1990), pp. 271-282. BILLANOVICH, Antica Ravenna = GIUS. BILLANOVICH, Dall’antica Ravenna alle biblioteche umanistiche, Ae, 30 (1956), pp. 319-353. BILLANOVICH, Auctorista = GIUS. BILLANOVICH, Auctorista, humanista, orator, RCCM, 7 (1965), pp. 143-163. BILLANOVICH, L’altro stil nuovo = GIUS. BILLANOVICH, L’altro stil nuovo. Da Dante teologo al Petrarca filologo, SP, n.s., 11 (1994 [ma 1999]), pp. 1-98. BILLANOVICH, Petrarca e il primo umanesimo = GIUS. BILLANOVICH, Petrarca e il primo umanesimo, Padova 1996 (Studi sul Petrarca, 25). BILLANOVICH, Petrarca letterato = GIUS. BILLANOVICH, Petrarca letterato, Roma 1947 (Storia e letteratura, 16) (rist. 1995). BILLANOVICH, Pietro Piccolo = GIUS. BILLANOVICH, Pietro Piccolo da Monteforte tra il Petrarca e Boccaccio [1955], in ID., Petrarca e il primo umanesimo, pp. 459-524. BILLANOVICH, Preumanesimo padovano = GUI. BILLANOVICH, Il preumanesimo padovano, in Storia della cultura veneta, II, Il Trecento, Vicenza 1976, pp. 19-110. BILLANOVICH, Prime ricerche = GIUS. BILLANOVICH, Prime ricerche dantesche, Roma 1947. BILLANOVICH, Restauri boccacceschi = GIUS. BILLANOVICH, Restauri boccacceschi, Roma 1945 (Storia e letteratura, 8). Boccaccio autore e copista = Boccaccio autore e copista. Catalogo della mostra (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 11 ottobre 2013-11 gennaio 2014), a cura di T. DE ROBERTIS [et alii], Firenze 2013. Boccaccio editore e interprete di Dante = Boccaccio editore e interprete di Dante, Atti del Convegno internazionale (Roma, 28-30 ottobre 2013), a cura di L. AZZETTA e A. MAZZUCCHI, Roma 2014. BOESE, Die lateinischen Handschriften = H. BOESE, Die lateinischen Handschriften der Sammlung Hamilton zu Berlin, Wiesbaden 1966. BOLOGNA, Colocci e l’Arte = C. BOLOGNA, Colocci e l’Arte (di “misurare” e “pesare” le parole, le cose), in L’umana compagnia. Studi in onore di Gennaro Savarese, a cura di R. ALHAIQUE PETTINELLI, Roma 1999 (Studi e testi italiani, 1), pp. 369-407.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

BOLOGNA, Tradizione e fortuna = C. BOLOGNA, Tradizione testuale e fortuna dei classici italiani, in Letteratura italiana. VI. Teatro, musica, tradizione dei classici, Torino 1986, pp. 445-928 (poi ID., Tradizione e fortuna dei classici italiani, 2 voll., Torino 1993 [Piccola biblioteca Einaudi, 603], da cui si cita). BOSCHI ROTIROTI, Censimento = M. BOSCHI ROTIROTI, Censimento dei manoscritti della “Commedia”. Firenze, Biblioteche Riccardiana e Moreniana, Società Dantesca Italiana, Roma 2008 (Manoscritti danteschi e di interesse dantesco, 3). BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca = M. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca della “Commedia”. Entro e oltre l’antica vulgata, Roma 2004 (Scritture e libri del Medioevo, 2). BOSCHI ROTIROTI, Sul carme = M. BOSCHI ROTIROTI, Sul carme “Ytalie iam certus honus” del Boccaccio nel Vaticano Latino 3199 (nota paleografica), SD, 68 (2003), pp. 131-137. BRAMBILLA, Scheda minima = S. BRAMBILLA, Scheda minima per la biblioteca di Giuseppe Bossi. Con una postilla sul “Trattatello in laude di Dante” del Boccaccio, L&D, 39 (2013), pp. 179-200. BRAMBILLA AGENO, Ancora errori d’autore = F. BRAMBILLA AGENO, Ancora sugli errori d’autore nel “Decameron”, SB, 12 (1980), pp. 71-93. BRAMBILLA AGENO, Codice Berlinese e codice Mannelli = F. BRAMBILLA AGENO, Il problema dei rapporti fra il codice Berlinese e il codice Mannelli del “Decameron”, SB, 12 (1980), pp. 5-37. BRAMBILLA AGENO, Errori d’autore = F. BRAMBILLA AGENO, Errori d’autore nel “Decameron”?, SB, 8 (1974), pp. 127-136. BRANCA, Ancora su una redazione = V. BRANCA, Ancora su una redazione del “Decameron” anteriore a quella autografa e su possibili interventi “singolari” sul testo, SB, 26 (1998), pp. 3-97. BRANCA, Biadaiuolo lettore = V. BRANCA, Un biadaiuolo lettore di Dante nei primi decenni del ’300, RCCM, 7 (1965), pp. 200-208. BRANCA, Boccaccio. Decameron2 = GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron, con introduzione di V. BRANCA, 3 voll., Firenze 1966. BRANCA, Boccaccio. Decameron3 = GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron, a cura di V. BRANCA, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, IV, Milano 1976 (I classici Mondadori). BRANCA, Boccaccio. Decameron4 = GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron, ed. critica secondo l’autografo Hamiltoniano, a cura di V. BRANCA, Firenze 1976 (Scrittori italiani e testi antichi). BRANCA, Boccaccio. Decameron5 = GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron, a cura di V. BRANCA, Torino 1980. BRANCA, Boccaccio. Decameron. Fac-simile = GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron. Fac-simile dell’autografo conservato nel codice Hamilton 90 della Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz di Berlino, a cura di V. BRANCA, Firenze 1975.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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BRANCA, Boccaccio. Profilo biografico = V. BRANCA, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, Firenze 1977. BRANCA, Boccaccio medievale = V. BRANCA, Boccaccio medievale, Firenze 19703 (La civiltà europea) (19561). BRANCA, Boccaccio visualizzato = Boccaccio visualizzato. Narrare per parole e per immagini fra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. BRANCA, 3 voll., Torino 1999 (Biblioteca di storia dell’arte, n.s., 30). BRANCA, Due manoscritti = V. BRANCA, Due manoscritti della “Vita di Dante” e del “Corbaccio” quasi sconosciuti e finora inutilizzati, SB, 28 (2000), pp. 3-4. BRANCA, Interpretazioni visuali = V. BRANCA, Boccaccio visualizzato. I. Interpretazioni visuali del “Decameron”, SB, 15 (1985-1986), pp. 87-119. BRANCA, Narrar boccacciano = V. BRANCA, Narrar boccacciano per immagini dal tardo gotico al primo Rinascimento, in ID., Boccaccio visualizzato, I, pp. 3-37. BRANCA, Per il testo I = V. BRANCA, Per il testo del “Decameron”. I, SFI, 8 (1950), pp. 28-143. BRANCA, Per il testo II = V. BRANCA, Per il testo del “Decameron”. II, SFI, 11 (1953), pp. 163-243. BRANCA, Possibile identificazione = V. BRANCA, Possibile identificazione nel Parigino It. 482 di una redazione del “Decameron” anteriore all’autografo degli anni Settanta, SB, 22 (1994), pp. 225-234. BRANCA, Redazione I = V. BRANCA, Su una redazione del “Decameron” anteriore a quella conservata nell’autografo hamiltoniano. I, SB, 25 (1997), pp. 3-131. BRANCA, Redazione II = V. BRANCA, Ancora su una redazione del “Decameron” anteriore a quella autografa e su possibili interventi « singolari » sul testo, SB, 26 (1998), pp. 3-97. BRANCA, Studi sulla tradizione = V. BRANCA, Studi sulla tradizione del testo del “Decameron”, SB, 13 (1981-1982), pp. 21-160. BRANCA, Tradizione I = V. BRANCA, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio, I. Un primo elenco dei codici e tre studi, Roma 1958 (Storia e letteratura, 66). BRANCA, Tradizione II = V. BRANCA, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio, II. Un secondo elenco di manoscritti e studi sul testo del “Decameron” con due appendici, Roma 1991 (Storia e letteratura, 175). BRANCA, Variazioni narrative = V. BRANCA, Variazioni narrative e stilistiche, in VITALE-BRANCA, Capolavoro, vol. II. BRANCA-RICCI, Autografo = V. BRANCA-P.G. RICCI, Un autografo del Decameron (Codice Hamilton 90), Padova 1962 (Opuscoli accademici, 8). BRESCHI, Ms. Parigino It. 482 = G. BRESCHI, Il ms. Parigino It. 482 e le vicissitudini editoriali del “Decameron”. Postilla per Aldo Rossi, MeR, 18 (2004), pp. 77-119. BRIANTI, Diacronia = G. BRIANTI, Diacronia delle perifrasi aspettuali dell’italiano. Il caso di “stare” + gerundio, “andare” e “venire” + gerundio, LN, 61 (2000), pp. 35-52, 97-119.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

BRIEGER-MEISS-SINGLETON, Illuminated Manuscripts = Illuminated Manuscripts of the Divine Comedy, ed. by P. BRIEGER-M. MEISS-CH. S. SINGLETON, I-II, Princeton 1969. BRUCKER, Florentine Politics = G.A. BRUCKER, Florentine Politics and Society 13431378, Princeton 1962 (Princeton studies in history, 12). BRUNETTI, Franceschi e provenzali = G. BRUNETTI, “Franceschi e provenzali” per le mani del Boccaccio. Con una nota sui manoscritti della “Commedia”, SB, 39 (2011), pp. 23-59. BRUNETTI-FIORILLA-PETOLETTI, Le Origini e il Trecento = Le Origini e il Trecento, a cura di G. BRUNETTI, M. FIORILLA e M. PETOLETTI, in Autografi dei letterati italiani, vol. I/1. BRUNI, Boccaccio = F. BRUNI, Boccaccio. L’invenzione della letteratura mezzana, Bologna 1990 (Collezione di testi e studi. Linguistica e critica letteraria). BRUNI, Proiezione dell’attualità politica = F. BRUNI, La proiezione dell’attualità politica sul passato: note su cronisti, narratori, commentatori della “Commedia” nel XIV secolo, MP, 101 (2003), pp. 204-234. BUSONERO, Fascicolazione = P. BUSONERO, La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo, in La fabbrica del codice. Materiali per la storia del libro nel tardo medioevo, a cura di P. BUSONERO [et alii], Roma 1999 (I libri di Viella, 14), pp. 31-139. CANNATA SALAMONE, Colocci. Appunti linguistici = N. CANNATA SALAMONE, Gli appunti linguistici di Angelo Colocci nel manoscritto Vat. lat. 4817, Firenze 2012 (Grammatiche e lessici pubblicati dall’Accademia della Crusca). CARRAI, Commento d’autore = S. CARRAI, Il commento d’autore, in Intorno al testo, pp. 223-241. CASALI-VANDELLI, Boccaccio. Raccoglimento = GIOVANNI BOCCACCIO, Brieve raccoglimento di ciò che in sé superficialmente contiene la lectera de la prima Cantica overo “Comedia” di Dante Alighieri di Firenze, [a cura di] L. CASALI-G. VANDELLI, Firenze 1913. CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio = E. CASAMASSIMA, Dentro lo scrittoio del Boccaccio. I codici della tradizione , Po, 34 (1978), pp. 730-739. CASAMASSIMA, Trattati di scrittura = E. CASAMASSIMA, Trattati di scrittura del Cinquecento italiano, Milano 1966 (Documenti sulle arti del libro, 5). CASTELLANI, Grammatica storica = A. CASTELLANI, Grammatica storica della lingua italiana. I. Introduzione, Bologna 2000 (Collezione di testi e studi. Linguistica e critica letteraria). CASTELLANI, Italiano e fiorentino = A. CASTELLANI, Italiano e fiorentino argenteo, in ID., Saggi, I, pp. 17-35. CASTELLANI, Nuovi testi fiorentini = Nuovi testi fiorentini del Dugento, con introduzione, trattazione linguistica e glossario a cura di A. CASTELLANI, Firenze 1952 (Autori classici e documenti di lingua pubblicati dalla R. Accademia della Crusca). CASTELLANI, Particolarità = A. CASTELLANI, Una particolarità dell’antico italiano: “igualmente-similemente”, in ID., Saggi, I, pp. 254-279.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

419

CASTELLANI, Saggi = A. CASTELLANI, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946-1976), 3 voll., Roma 1980. CELLA, Gruppi di clitici = R. CELLA, I gruppi di clitici nel fiorentino del Trecento, in Dizionari e ricerca filologica, Giornata di studi in memoria di Valentina Pollidori (Firenze, Villa Reale di Castello, 26 ottobre 2010), Alessandria 2012 (Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano. Supplementi, 3), pp. 113-198. CELLA, Prosa narrativa = R. CELLA, La prosa narrativa. Dalle Origini al Settecento, Bologna 2013 (Itinerari. Filologia e critica letteraria). CHIARI, Ancora sull’autografia = A. CHIARI, Ancora sull’autografia del codice Berlinese del “Decameron” Hamilton 90, Co, n.s., 23 (1955), pp. 352-356 (poi in ID., Indagini e letture. Terza serie, Firenze 1961, pp. 337-351). CHIARI, Autografo del Decameron = A. CHIARI, Un autografo del “Decameron”?, FL, fasc. 27 (11 luglio 1948), p. 4. CHIARI, Precisazione = A. CHIARI, Una precisazione riguardante l’autografo hamiltoniano del Boccaccio, CL, 7 (1979), pp. 365-372 (poi in ID., Studi letterari. Dall’Indovinello veronese a Domenico Giuliotti, Firenze 1981, pp. 114-129). CIAMPI, Monumenti = S. CIAMPI, Monumenti di un manoscritto autografo e lettere inedite di Giovanni Boccaccio, Milano 18302. CIAN, Musa medicea = V. CIAN, Musa medicea: di Giuliano di Lorenzo de’ Medici e delle sue rime inedite, Torino 1895. CIAPPELLI, Fortini = G. CIAPPELLI, Fortini, Benedetto, in DBI, 49, Roma 1997, pp. 187-189. CIARALLI, Ruscelli maestro di cifre = A. CIARALLI, Ruscelli maestro di “cifre”, in Girolamo Ruscelli. Dall’accademia alla corte alla tipografia, Atti del Convegno internazionale di studi (Viterbo, 6-8 ottobre 2011), a cura di P. MARINI-P. PROCACCIOLI, II, Manziana 2012 (Cinquecento. Studi, n.s., 42), pp. 725-754. CIARALLI, Studio dell’italica = A. CIARALLI, Studio per una collocazione storica dell’italica, in “Alethes philia”. Studi in onore di Giancarlo Prato, Spoleto 2010 (Collectanea, 23), pp. 169-189. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus = M.G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Corpus dei disegni e cod. Parigino It. 482, in EAD.-V. BRANCA, Boccaccio “visualizzato” dal Boccaccio, SB, 22 (1994), pp. 197-225. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Iconografia dei codici boccacciani = M.G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, L’iconografia dei codici boccacciani miniati dell’Italia centrale e meridionale, in BRANCA, Boccaccio visualizzato, II, pp. 3-52. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Rapporto testo-immagine = M.G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Rapporto testo-immagine e aspetti iconografici nei Graduali per Santa Maria del Carmine a Firenze, in Il codice miniato. Rapporti tra codice, testo e figurazione, Atti del III Congresso di Storia della miniatura (Cortona, 20-23 ottobre 1988), a cura di M.C. CASTELLI e M. CECCANTI, Firenze 1992 (Storia della miniatura, 7), pp. 281-294.

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420

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

CIOCIOLA, Dante = C. CIOCIOLA, Dante, in Storia della Letteratura italiana. X. La tradizione dei testi, vol. coordinato da C. Ciociola, Roma 2001, pp. 137-199. CIOCIOLA, Scrittoio = C. CIOCIOLA, Lo scrittoio di un “acerbista” fiorentino del Quattrocento: ser Piero di ser Bonaccorso Bonaccorsi, in Studi offerti a Gianfranco Contini dagli allievi pisani, Firenze 1984 (Società dantesca italiana, 2), pp. 67-111. COLELLA, Perifrasi = G. COLELLA, La perifrasi “andare/venire + gerundio” nella poesia delle origini, LiIt, 2 (2006), pp. 71-90. COLEMAN, Oratoriana Teseida = W.E. COLEMAN, The Oratoriana “Teseida”: Witness of a Lost “Beta” Autograph, SB, 40 (2012), pp. 105-185. CONTE, Novellino = Il Novellino, a cura di A. CONTE, Roma 2001 (I novellieri italiani, 1). CONTINI, Frammenti di filologia romanza = G. CONTINI, Frammenti di filologia romanza. Scritti di ecdotica e linguistica (1932-1989), a cura di G. BRESCHI, 2 voll., Firenze 2007 (Archivio romanzo, 11). CONTINI, rec. Battaglia = G. CONTINI, rec. a BATTAGLIA, Boccaccio. Teseida, in GSLI, 112 (1938), pp. 86-96 (poi in CONTINI, Frammenti di filologia romanza, I, pp. 535-546, da cui si cita). CORRADINO, Rilievi grafici = A. CORRADINO, Rilievi grafici sui volgari autografi di Giovanni Boccaccio, SGI, 16 (1996), pp. 5-74. COSTANTINI, Correzioni autografe = A.M. COSTANTINI, Correzioni autografe dell’Hamilton 90. Una proposta, in Miscellanea Branca, II, pp. 69-77. COSTANTINI, Zibaldone Magliabechiano I = A.M. COSTANTINI, Studi sullo Zibaldone Magliabechiano. I. Descrizione e analisi, SB, 7 (1973), pp. 21-58. CURSI, Decameron = M. CURSI, Il “Decameron”: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Roma, 2007 (Scritture e libri del Medioevo, 5). CURSI, Frammento decameroniano = M. CURSI, Un frammento decameroniano dei tempi del Boccaccio (Piacenza, Biblioteca Passerini Landi, cod. Vitali 26), SB, 32 (2004), pp. 3-27. CURSI, Nuovo autografo = M. CURSI, Un nuovo autografo boccacciano del “Decameron”? Note sulla scrittura del codice Parigino Italiano 482, SB, 28 (2000), pp. 5-34. CURSI, Scrittura e libri = M. CURSI, La scrittura e i libri di Giovanni Boccaccio, Roma 2013 (Scritture e libri del Medioevo, 13). CURSI-FIORILLA, Boccaccio = M. CURSI-M. FIORILLA, Giovanni Boccaccio, in Autografi dei letterati italiani, I/1, pp. 43-103. CURTI, Fiammetta e Asolani = E. CURTI, L’“Elegia di Madonna Fiammetta” e gli “Asolani” di Pietro Bembo, SB, 30 (2002), pp. 247-297. CURTI, Ozi di Bembo = E. CURTI, Gli ozi di Pietro Bembo. Echi letterari e passione antiquaria nella “descriptio horti” bembesca, LI, 62 (2010), pp. 450-463. CURTI, Tra due secoli = E. CURTI, Tra due secoli. Per il tirocinio letterario di Pietro Bembo, Bologna 2006 (Strumenti e saggi di letteratura. Sezione di testi e ricerche).

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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D’ANCONA, Miniatura fiorentina = P. D’ANCONA, La miniatura fiorentina (secoli XI-XVI), 2 voll., Firenze 1914. Danti Riccardiani = I Danti Riccardiani parole e figure, a cura di G. LAZZI e G. SAVINO, Firenze 1996. DANZI, Biblioteca Bembo = M. DANZI, La Biblioteca del Cardinal Pietro Bembo, Genève 2005 (Travaux d’humanisme et Renaissance, 399). DBI = Dizionario biografico degli italiani, Roma 1960-. DE LA MARE, Handwriting = A.C. DE LA MARE, The Handwriting of Italian Humanists. I/1. Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Coluccio Salutati, Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini, Bartolomeo Aragazzi of Montepulciano, Sozomeno da Pistoia, Giorgio Antonio Vespucci, Oxford 1973. DE ROBERTIS, Censimento = D. DE ROBERTIS, Censimento dei manoscritti di rime di Dante, SD, 37 (1960) - 47 (1970). DE ROBERTIS, Dante. Rime = DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di D. DE ROBERTIS, 3 voll. in 5 tomi, Firenze 2002 (Le opere di Dante Alighieri. Edizione nazionale). DE ROBERTIS, Il Dante e Petrarca di Boccaccio = D. DE ROBERTIS, Il “Dante e Petrarca” di Giovanni Boccaccio, Introduzione all’ed. fototipica Il codice Chigiano L. V. 176 autografo di Giovanni Boccaccio, Roma-Firenze 1974, pp. 7-72. DE ROBERTIS, Editi e rari = D. DE ROBERTIS, Editi e rari. Studi sulla tradizione letteraria tra Tre e Cinquecento, Milano 1978 (Critica e filologia, 10). DE ROBERTIS, Raccolta Aragonese = D. DE ROBERTIS, La Raccolta Aragonese primogenita, SD, 47 (1970), pp. 239-258 (poi in ID., Editi e rari, pp. 50-65, da cui si cita). DE ROBERTIS, Restauro = T. DE ROBERTIS, Restauro di un autografo di Boccaccio (con una nota su Pasquale Romano), SB, 29 (2001), pp. 215-227. DE ROBERTIS, Schede III = D. DE ROBERTIS, Schede su manoscritti danteschi, III. La “Vita nuova” in un consanguineo dell’Ashb. 679: il Landau 172 della Biblioteca Nazionale di Firenze, SD, 36 (1959), pp. 213-220. DE ROBERTIS, Tradizione del 2° Compendio = D. DE ROBERTIS, Sulla tradizione del “2° Compendio” della “Vita di Dante” del Boccaccio, in Studi filologici, letterari e storici in memoria di Guido Favati, raccolti a cura di G. VARANINI e P. PINAGLI, Padova 1977 (Medioevo e umanesimo, 28), I, pp. 245-256. DE SIMONI, Alii dicunt = A. DE SIMONI, “Alii dicunt...”. Il rapporto con la tradizione nel “Comentum” di Benvenuto da Imola (“Inferno”), RSD, 7 (2007), pp. 243-301. DEBENEDETTI, Alcune postille = S. DEBENEDETTI, Intorno ad alcune postille di Angelo Colocci, ZrPh, 28 (1904), pp. 56-93, poi in ID., Studi filologici, a cura di C. SEGRE, Milano 1986 (Dipartimento di scienza della letteratura e dell’arte medievale e moderna dell’Università di Pavia, 1), pp. 169-208. DEBENEDETTI, Studi provenzali = S. DEBENEDETTI Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento [1911] e Tre secoli di studi provenzali [1930], edizione riveduta con integrazioni inedite a cura e con postfazione di C. SEGRE, Padova 1995 (Medioevo e umanesimo, 90).

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422

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

DEGENHART-SCHMITT, Corpus = B. DEGENHART-A. SCHMITT, Corpus der italienischen Zeichnungen 1300-1450, 2 voll. in 12 tomi, Berlin 1968-1982. DELCORNO, Tradizione manoscritta della Fiammetta = C. DELCORNO, Studi sulla tradizione manoscritta della “Fiammetta”. I. La famiglia Į, SB, 14 (1983-1984), pp. 4-129. DI BENEDETTO, Considerazioni = F. DI BENEDETTO, Considerazioni sullo Zibaldone Laurenziano del Boccaccio e restauro della prima redazione del “Faunus”, IMU, 14 (1971), pp. 91-129. DI BERARDINO, Trattatello = N. DI BERARDINO, Le due redazioni autografe del “Trattatello in laude di Dante”: osservazioni fonomorfologiche, SB, 40 (2012), pp. 31-103. DIONISOTTI, Bembo. Prose = PIETRO BEMBO, Prose e rime, a cura di C. DIONISOTTI, Torino 1966 (I classici italiani). DIONISOTTI, Lettura = C. DIONISOTTI, Lettura del commento di Benvenuto da Imola, in Atti del convegno internazionale di studi danteschi (Ravenna, 10-12 settembre 1971), Ravenna 1979, pp. 203-215. DONNINI, Bembo. Rime = PIETRO BEMBO, Le rime, a cura di A. DONNINI, Roma 2008 (Testi e documenti di letteratura e di lingua, 28). DUVAL, La traduction du Romuleon = F. DUVAL, La traduction du “Romuleon” par Sébastien Mamerot. Etude sur la diffusion de l’histoire romaine en langue vernaculaire à la fin du Moyen Age, Genève 2001 (Publications romanes et françaises, 228). ED = Enciclopedia dantesca, Roma 1970-1978. ERIBON-GOMBRICH, Il linguaggio delle immagini = D. ERIBON-E. GOMBRICH, Il linguaggio delle immagini. Intervista, Torino 1994. FALERI, Aspetti linguistici = F. FALERI, Aspetti linguistici dei volgari autografi di Giovanni Boccaccio, Tesi di dottorato in Studi italianistici, Università di Pisa, 2007. FALERI, Chiose toledane = F. FALERI, Le “Chiose toledane”: quattro annotazioni autografe di Giovanni Boccaccio, BOVI, 11 (2006), pp. 259-265. FALERI, Particolarità = F. FALERI, Una particolarità dei futuri e dei condizionali dei verbi della seconda classe osservata sui testi volgari di Boccaccio in copia autografa, SB, 41 (2013), pp. 155-170. FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci = V. FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci e sulla Roma cinquecentesca, Introduzione e note addizionali di J. RUYSSCHAERT, Indici di G. BALLISTRERI, Città del Vaticano 1979 (Studi e testi, 283). FANELLI, Ubaldini. Vita di Colocci = FEDERIGO UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originale italiano (Barb. lat. 4882), a cura di V. FANELLI, Città del Vaticano 1969 (Studi e testi, 256). FATINI, Giuliano de’ Medici. Poesie = GIULIANO studio di G. FATINI, Firenze 1939.

DE’

MEDICI, Poesie, a cura e con uno

FEO, Petrarca = M. FEO, Petrarca, Francesco, in ED, IV, Roma 1973, pp. 450-458. FEOLA, Varianti marginali = F. FEOLA, Il Dante di Giovanni Boccaccio. Le varianti marginali alla ‘Commedia’ e il testo delle “Esposizioni”, Al, n.s., 48 (2007), pp. 121-134.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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FERRANTE, L’Inferno e Napoli = G. FERRANTE, L’“Inferno” e Napoli. Spazi personaggi e miti della catabasi negli antichi commenti danteschi, in Boccaccio angioino. Materiali per la storia di Napoli nel Trecento, a cura di G. ALFANO-T. D’URSO-A. PERRICCIOLI SAGGESE, Bruxelles 2012 (Destini incrociati, 7), pp. 219-250. FERRETTI, Data del Trattatello = G. FERRETTI, Per la data del “Trattatello in laude di Dante”, SR, 22 (1932), pp. 69-95 (poi in ID., Saggi danteschi, Firenze 1950, pp. 117-147, da cui si cita). FIORILLA, Boccaccio. Decameron = GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron, a cura di M. FIORILLA, illustrazioni di M. PALADINO, Roma 2011 (BUR. Rizzoli. Classici). FIORILLA, Marginalia = M. FIORILLA, Marginalia figurati nei codici di Petrarca, Firenze 2005 (Biblioteca di Lettere italiane, 65). FIORILLA, Per il testo = M. FIORILLA, Per il testo del “Decameron”, E, 5 (2010), pp. 9-38. FIORILLA-RAFTI, Marginalia figurati = M. FIORILLA-P. RAFTI, Marginalia figurati e postille di incerta attribuzione in due autografi del Boccaccio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 54-32; Toledo, Biblioteca Capitular, ms. 104-6), SB, 29 (2001), pp. 199-213. FRANCIOSI, Dante Vaticano= G. FRANCIOSI, II Dante Vaticano e l’Urbinate descritti e studiati per la prima volta, Città di Castello 1896. FRATI, Rimatori bolognesi= L. FRATI, Rimatori bolognesi del Trecento, Bologna 1915. FRÍAS, Manuscritos = L. FRÍAS, Manuscritos de la Biblioteca de la Santa Iglesía de Toledo primada de las Españas, Toledo 1808 (Toledo, Biblioteca Capitular, Sala consultazione, nr. 7-8). FUMAGALLI, Osservazioni = E. FUMAGALLI, Osservazioni sul codice cortonese della “Commedia”. A proposito della nuova edizione di “La Commedia secondo l’antica vulgata”, Ae, 69 (1995), pp. 403-416. GIGLI, Studi sulla Divina Commedia = O. GIGLI, Studi sulla Divina Commedia di Galileo Galilei, Vincenzio Borghini ed altri, Firenze 1855. GILSON, Poésie et verité = É. GILSON, Poésie et verité dans la “Genealogia” de Boccace, SB, 2 (1964), pp. 253-282. GIZZI, Girolamo Ruscelli = C. GIZZI, Girolamo Ruscelli editore del “Decameron”: polemiche editoriali e linguistiche, SB, 31 (2003), pp. 327-348. GODI, Petrarca. Collatio = C. GODI, La “Collatio laureationis” del Petrarca, IMU, 13 (1970), pp. 2-27. GORNI, Paragrafi = G. GORNI, Paragrafi e titolo della “Vita nova”, SFI, 53 (1995), pp. 202-222. GORNI, Per la Vita nova = G. GORNI, Per la “Vita nova”, SFI, 58 (2000), pp. 29-48. GORNI, Restituzione formale = G. GORNI, Restituzione formale dei testi volgari a tradizione plurima. Il caso della “Vita nova”, SFI, 56 (1998), pp. 5-30. GUERRI, Boccaccio. Comento = GIOVANNI BOCCACCIO, Il Comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, a cura di D. GUERRI, 3 voll., Bari 1918 (Scrittori d’Italia, 84).

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424

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

GUERRI, Commento del Boccaccio = D. GUERRI, Il Commento del Boccaccio a Dante, Bari 1926 (Scrittori d’Italia). HAUVETTE, Notes = H. HAUVETTE, Notes sur les manuscrits autographes de Boccace à la Bibliothèque Laurentienne, MAH, 14 (1894), pp. 87-147. HECKER, Boccaccio-Funde = O. HECKER, Boccaccio-Funde, Braunschweig 1902. HECKER, Parentela = O. HECKER, Sulla parentela esistente tra il ms. Berlinese del Decameron e il codice Mannelli, GSLI, 26 (1895), pp. 162-175. HORTIS, Studj = A. HORTIS, Studj sulle opere latine di Boccaccio, Trieste 1879. IANNI, Elenco = E. IANNI, Elenco dei manoscritti autografi di Giovanni Boccaccio, MLN, 86 (1971), pp. 99-113. INGLESE, Codice Alighieri = G. INGLESE, Il codice Alighieri e lo scrittoio del Pievano, SPCT, 78 (2009), pp. 9-11. INGLESE, Dante. Commedia = DANTE ALIGHIERI, Commedia, Revisione del testo e commento di G. INGLESE, Inferno e Purgatorio, Roma 2007-2011. Intorno al testo = Intorno al testo: tipologie del corredo esegetico e soluzioni editoriali. Atti del Convegno (Urbino, 1-3 ottobre 2001), Roma 2003 (Pubblicazioni del Centro Pio Rajna. Sezione 1, Studi e saggi, 2). Inventario Acquisti e Doni = Inventario di codici laurenziani “Acquisti e Doni”, I-II (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Sala studio, cat. 91). Inventarium = Inventarium manu scriptorum latinorum Bibliothecae Vaticanae, t. IV (Città del Vaticano, BAV, Consultazione sala mss., nr. 304). KIRKHAM, Immagine = V. KIRKHAM, L’immagine del Boccaccio nella memoria tardo-gotica e rinascimentale, in BRANCA, Boccaccio visualizzato, I, pp. 85-144. LA FAVIA, Benvenuto da Imola’s dependence = L.M. LA FAVIA, Benvenuto da Imola’s dependence on Boccaccio’s studies on Dante, DS, 93 (1975), pp. 161-175. LA FAVIA, Benvenuto dantista = L.M. LA FAVIA, Benvenuto Rambaldi da Imola dantista, Madrid 1977 (Studia humanitatis, 1). LACAITA, Benvenuto da Imola. Comentum = BENVENUTI DE RAMBALDIS DE IMOLA Comentum super Dantis Aldigherii Comoediam, a cura di G.F. LACAITA, 5 voll., Firenze 1887. LAMI, Catalogus = G. LAMI, Catalogus Codicum Manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Florentiae adservantur…, Liburni 1756. LANZA, Boccaccio. Rime = GIOVANNI BOCCACCIO, Le rime, a cura di A. LANZA, Roma 2010 (I classici italiani, 2). LEI = Lessico Etimologico Italiano, a cura di M. PFISTER, Wiesbaden 1979-. LEONARDI, Poesia delle origini = L. LEONARDI, La poesia delle origini e del Duecento, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. MALATO, Roma 2001, vol. X, La tradizione dei testi, pp. 5-89.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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LIMENTANI, Boccaccio. Teseida = GIOVANNI BOCCACCIO, Teseida, delle nozze di Emilia, a cura di A. LIMENTANI, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, II, Milano 1964 (I classici Mondadori), pp. 229-664 (testo), 873-899 (nota al testo, bibliografia e note). LIMENTANI, Ritocchi = A. LIMENTANI, Alcuni ritocchi al testo del “Teseida”, CN, 19 (1959), pp. 91-100. LIPPI, Boccaccio = E. LIPPI, Giovanni Boccaccio, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. MALATO, vol. X. La tradizione dei testi, Roma 2001, pp. 331-357. LOMBARD, Groupement = A. LOMBARD, Le groupement des pronomes personnels régimes atones en italien, SMS, 12 (1934), pp. 21-76. MACRÌ-LEONE, Boccaccio. Vita di Dante = GIOVANNI BOCCACCIO, La Vita di Dante, a cura di F. MACRÌ-LEONE, Firenze 1888 (Raccolta di opere inedite o rare di ogni secolo della letteratura italiana). MALAGNINI, Libro d’autore = F. MALAGNINI, Il libro d’autore dal progetto alla realizzazione: il “Teseida delle nozze d’Emilia” (con un’appendice sugli autografi di Boccaccio), SB, 34 (2006), pp. 3-102. MALAGNINI, Mondo commentato = F. MALAGNINI, Mondo commentato e mondo narrato nel “Decameron”, SB, 30 (2002), pp. 3-124. MALAGNINI, Programma illustrativo = F. MALAGNINI, Sul programma illustrativo del “Teseida”, GSLI, 184 (2007), pp. 523-576. MALAGNINI, Reinterpretazione figurativa = F. MALAGNINI, Una reinterpretazione figurativa del “Teseida”: i disegni del codice napoletano, SB, 40 (2012), pp. 187-272. MALAGNINI, Ripetizione testuale = F. MALAGNINI, La ripetizione testuale, verbale e iconica negli autografi di Giovanni Boccaccio, in Anaphora: forme della ripetizione. Atti del 34° Convegno interuniversitario, Bressanone/Brixen, 6-9 luglio 2006, a cura di G. PERON-A. ANDREOSE, Padova 2011 (Quaderni del Circolo filologico-linguistico padovano, 22), pp. 203-218. MALAGNINI, Sistema delle maiuscole = F. MALAGNINI, Il sistema delle maiuscole nell’autografo berlinese del “Decameron” e la scansione del mondo commentato, SB, 31 (2003), pp. 31-69. MALATO-MAZZUCCHI, Censimento dei commenti danteschi = Censimento dei commenti danteschi. 1. I commenti di tradizione manoscritta (fino al 1480), a cura di E. MALATO e A. MAZZUCCHI, 2 voll., Roma 2011. MANN, O deus, qualis epistola = N. MANN, « O deus, qualis epistola! »: a new Petrarch letter, IMU, 17 (1974), pp. 207-243. MANNI, Ricerche = P. MANNI, Ricerche sui tratti fonetici e morfologici del fiorentino quattrocentesco, SGI, 8 (1979), pp. 115-171. MANNI, Trecento toscano = P. MANNI, Il Trecento toscano. La lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio, Bologna 2003 (La nuova scienza. Serie linguistica e critica letteraria).

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426

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

MARTELLOTTI, La questione dei due Seneca = G. MARTELLOTTI, La questione dei due Seneca da Petrarca a Benvenuto [1972], in ID. Scritti petrarcheschi, a cura di M. FEO e S. RIZZO, Padova 1983 (Studi sul Petrarca, 16), pp. 362-383. MARTI, Note e discussioni = M. MARTI, Note e discussioni sulle due redazioni del “Decameron”, GSLI, 180 (2003), pp. 251-259. MASSÈRA, Antiche biografie = A.F. MASSÈRA, Le più antiche biografie del Boccaccio, ZRPh, 27 (1903), pp. 299-338. MASSÈRA, Boccaccio. Opere latine minori = GIOVANNI BOCCACCIO, Opere latine minori (Buccolicum carmen, Carminum et epistolarum quae supersunt, Scripta breviora), a cura di A.F. MASSÈRA, Bari 1928 (Scrittori d’Italia, 111). MATTESINI, Biblioteca francescana = F. MATTESINI, La biblioteca francescana di S. Croce e Fra Tedaldo della Casa, SFr, 57 (1960), pp. 254-316. MAZZA, Inventario = A. MAZZA, L’inventario della “parva libraria” di Santo Spirito e la biblioteca del Boccaccio, IMU, 9 (1966), pp. 1-74. MAZZON, Benvenuto da Imola = V. MAZZON, Benvenuto da Imola, commento al “Bucolicum carmen” (I-V): saggio di edizione, Tesi di laurea, relatrice V. de Angelis, Università degli Studi di Milano, a.a. 2001/2002. MAZZONI, Guido da Pisa interprete = F. MAZZONI, Guido da Pisa interprete di Dante e la sua fortuna presso il Boccaccio, SD, 35 (1958), pp. 29-128. MECCA, Amico del Boccaccio = A.E. MECCA, L’“amico del Boccaccio” e l’allestimento testuale dell’“officina vaticana”, NRLI, 14 (2011), pp. 57-76. MECCA, Canone editoriale = A.E. MECCA, Il canone editoriale dell’antica vulgata di Giorgio Petrocchi e le edizioni dantesche del Boccaccio, in TONELLO-TROVATO, Nuove prospettive II, pp. 119-182. MECCA, Nuovo canone = A.E. MECCA, Un nuovo canone di loci per la tradizione della Commedia? A proposito di uno studio di Luigi Spagnolo, SD, 77 (2012), pp. 359-387. MECCA, Tradizione a stampa I = A.E. MECCA, La tradizione a stampa della Commedia: gli incunaboli, NRLI, 13 (2010), pp. 33-77. MECCA, Tradizione a stampa II = A.E. MECCA, La tradizione a stampa della Commedia: dall’aldina del Bembo (1502) all’edizione della Crusca (1595), NRLI, 16 (2013), pp. 9-59. Medieval Autograph Manuscripts = Medieval Autograph Manuscripts. Proceedings of the XVIIth Colloquium of the Comité International de Paléographie latine (Ljubljana, 7-10 September 2010), ed. by N. GOLOB, Turnhout 2013 (Bibliologia, 36). MENICHETTI, Metrica italiana = A. MENICHETTI, Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Padova 1993 (Medioevo e umanesimo, 83). MENICHETTI, Prosodia del Teseida = A. MENICHETTI, La prosodia del “Teseida”, in Studi in onore di Pier Vincenzo Mengaldo per i suoi settant’anni, a cura degli allievi padovani, Firenze 2007, I, pp. 347-372.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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MÉSONIAT, Poetica theologia = C. MÉSONIAT, Poetica theologia. La “Lucula noctis” di Giovanni Dominici e le dispute letterarie tra ’300 e ’400, Roma 1984 (Uomini e dottrine, 27). MEYER, Die Buchstaben-Verbindungen = W. MEYER, Die Buchstaben-Verbindungen der sogenannten gothischen Schrift, Berlin 1897. MIGLIORINI FISSI, Benvenuto = R. MIGLIORINI FISSI, Benvenuto Rambaldi da Imola, in Enciclopedia virgiliana, I, Roma 1984, pp. 487-491. Miscellanea Branca = Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, 5 voll., Firenze 1983. MOORE, Dante and biographers = E. MOORE, Dante and his early biographers, London 1890. MORELLO, Disegni = G. MORELLO, Disegni marginali nei manoscritti di Giovanni Boccaccio, in PICONE-CAZALÉ BÉRARD, Zibaldoni di Boccaccio, pp. 161-177. MORISON, Early Italian Writing-Books = S. MORISON, Early Italian Writing-Books. Renaissance to Baroque, ed. by N. BARKER, Verona-London 1990. MORONI, Gualteruzzi = O. MORONI, Carlo Gualteruzzi (1500-1577) e i corrispondenti, Città del Vaticano 1984 (Studie e testi, 307). MORPURGO, Codici della Commedia = S. MORPURGO, I codici Riccardiani della “Divina Commedia”, BSDI, 13-14 (1893), pp. 19-142. MORPURGO, Mss. Riccardiani = I manoscritti della R. Biblioteca Riccardiana di Firenze. Manoscritti italiani, vol. I, a cura di S. MORPURGO, Roma 1900. Mostra del 650° anniversario = Mostra per il 650 anniversario della nascita di Giovanni Boccaccio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, luglio 1963), [catalogo a cura di F. DI BENEDETTO], Firenze 1963. Mostra del Boccaccio = Mostra di manoscritti, documenti e edizioni, VI centenario della morte di Giovanni Boccaccio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 22 maggio-31 agosto 1975), Certaldo 1975, vol. I, Manoscritti e documenti. Mostra di autografi = Mostra di autografi Laurenziani (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, gennaio-giugno 1979), Firenze 1979. Mostra di codici danteschi = Mostra di codici ed edizioni dantesche (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, 1965), Firenze 1965. Mostra di codici romanzi = Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine (VIII Congresso internazionale di studi romanzi, 3-8 aprile 1956), Firenze 1957. Mostra storica della miniatura = Mostra storica nazionale della miniatura (Roma, Palazzo Venezia). Catalogo, Firenze 1953. MOTOLESE-PROCACCIOLI-RUSSO, Il Cinquecento = Il Cinquecento, a cura di M. MOTOLESE, P. PROCACCIOLI ed E. RUSSO, in Autografi dei letterati italiani, vol. II/1. MURANO, Autographa = G. MURANO, Autographa. I.1. Giuristi, giudici e notai (sec. XII-XVI med.), Bologna 2012.

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

MUSSAFIA, Codd. Vat. lat. 3195 e 3196 = A. MUSSAFIA, Dei codici Vaticani Latini 3195 e 3196 delle Rime del Petrarca, in ID., Scritti di filologia e linguistica, a cura di A. DANIELE-L. RENZI, Padova 1983 (Medioevo e umanesimo, 50), pp. 357-404. NADIN, Giovanni di Agnolo Capponi = L. NADIN, Giovanni di Agnolo Capponi copista del “Decameron”, SB, 3 (1965), pp. 41-54. NENCIONI, Polimorfia = G. NENCIONI, Un caso di polimorfia della lingua letteraria dal secolo XIII al secolo XVI, in ID., Saggi di lingua antica e moderna, Torino 1989, pp. 11-188. NOCITA, Nuova paragrafatura = T. NOCITA, Per una nuova paragrafatura del testo del “Decameron”. Appunti sulle maiuscole del cod. Hamilton 90 (Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz), CT, 2 (1999), pp. 925-934. NOCITA, Redazione hamiltoniana = T. NOCITA, La redazione hamiltoniana di “Decameron” I 5. Sceneggiatura di una novella, in Il racconto nel medioevo romanzo. Atti del Convegno (Bologna, 23-24 ottobre 2000), con altri contributi di filologia romanza, QFR, 15 (2001), pp. 351-366. NOLHAC, Fulvio Orsini = P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini. Contributions à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris 1887. Norme per i collaboratori dei Manoscritti datati d’Italia = Norme per i collaboratori dei Manoscritti datati d’Italia, II ed. rivista ed ampliata, a cura di T. DE ROBERTIS [et alii], Padova 2007. NOVATI, rec. Rossi-Casè = F. NOVATI, rec. a L. ROSSI-CASÈ, Di Maestro Benvenuto da Imola, commentatore dantesco, Pergola 1889, in GSLI, 17 (1891), pp. 88-98. NOVATI, Salutati. Epistolario = COLUCCIO SALUTATI, Epistolario, a cura di F. NOVATI, 4 voll. in 5 tomi, Roma 1891-1911 (Fonti per la storia d’Italia). Novella italiana = La novella italiana, Atti del Convegno (Caprarola, 19-24 settembre 1988), 2 voll., Roma 1989 (Biblioteca di Filologia e critica, 3). OCTAVIO DE TOLEDO, Catálogo = Catálogo de la Libreria del Cabildo Toledano, por J.M. OCTAVIO DE TOLEDO, I, Manuscritos, Madrid 1903. PADE, Leonzio Pilato e Boccaccio = M. PADE, Leonzio Pilato e Boccaccio: le fonti del “De montibus” e la cultura greco-latina di Leonzio, in Petrarca e il mondo greco, QP, 12-13 (2002-2003 [ma 2007]), pp. 257-276. PADOAN, Boccaccio = G. PADOAN, Boccaccio, Giovanni, in ED, I, Roma 1970, pp. 645-650. PADOAN, Boccaccio. Esposizioni = GIOVANNI BOCCACCIO, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, a cura di G. PADOAN, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, VI, Milano 1965 (I classici Mondadori). PADOAN, Dal Claricio al Mannelli = G. PADOAN, “Habent sua fata libelli”. Dal Claricio al Mannelli al Boccaccio, SB, 25 (1997), pp. 143-212 (poi in ID., Ultimi studi, pp. 69-121, da cui si cita).

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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PADOAN, Il Boccaccio, le Muse = G. PADOAN, Il Boccaccio, le Muse, il Parnaso e l’Arno, Firenze 1978 (Biblioteca di Lettere italiane, 21). PADOAN, In margine al centenario = G. PADOAN, In margine al centenario del Boccaccio, SPCT, 14 (1977), pp. 5-41 (poi in ID., Il Boccaccio, le Muse, pp. 247-276, da cui si cita). PADOAN, Ultima opera = G. PADOAN, L’ultima opera di Giovanni Boccaccio. Le “Esposizioni sopra il Dante”, Padova 1959 (Pubblicazione della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Padova, 34). PADOAN, Ultimi studi = G. PADOAN, Ultimi studi di filologia dantesca e boccacciana, a cura di A.M. COSTANTINI, Ravenna 2002 (Il portico, 126). PAKSCHER, Probabile autografo = A. PAKSCHER, Di un probabile autografo boccaccesco, GSLI, 8 (1886), pp. 364-372. PALERMO, Appendice = F. PALERMO, Appendice al libro intitolato “Rime di Dante Alighieri e di Giannozzo Sacchetti”, sull’autenticità di esse rime e sul codice CLXXX Palatino scoperto autografo del Petrarca, Firenze 1858. PALERMO, Manoscritti Palatini = F. PALERMO, I manoscritti Palatini di Firenze ordinati ed esposti, 3 voll., Firenze 1853-1868. PALMA, Catalogazione = M. PALMA, La catalogazione dei manoscritti in Italia, Set, 1 (2003), pp. 333-351. PALMA, Postilla = M. PALMA, Postilla a una bibliografia degli Zibaldoni, in PICONE-CAZALÉ BÉRARD, Zibaldoni di Boccaccio, pp. 379-382. PALMA, Un codice di Santo Spirito ritrovato = M. PALMA, Un codice di Santo Spirito ritrovato (Vaticano Lat. 13003), IMU, 19 (1976), pp. 415-417. PALMIERI-PAOLAZZI, Benvenuto da Imola lettore = Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni, Atti del Convegno Internazionale (Imola, 26-27 maggio 1989), a cura di P. PALMIERI-C. PAOLAZZI, Ravenna 1991 (Studi danteschi). PANI, Propriis manibus ipse transcripsit = L. PANI, “Propriis manibus ipse transcripsit”. Il manoscritto London, British Library, Harley 5383, ScrR, 9 (2012), pp. 305-325. PANTONE, Il pastore e i piè sozzi = D. PANTONE, Il pastore e i “piè sozzi” del pavone. Benvenuto vs Boccaccio, BD, 2 (2013), pp. 17-26. PAOLAZZI, Dante poeta perfectissimus = C. PAOLAZZI, Benvenuto e Dante “poeta perfectissimus” (a norma della “Poetica” di Aristotele), in PALMIERI-PAOLAZZI, Benvenuto da Imola lettore, pp. 21-54. PAOLAZZI, Letture dantesche = C. PAOLAZZI, Le letture dantesche di Benvenuto da Imola a Bologna e a Ferrara e le redazioni del suo “Comentum”, IMU, 22 (1979), pp. 319-366. PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il Trattatello = C. PAOLAZZI, Petrarca, Boccaccio e il “Trattatello in laude di Dante”, SD, 50 (1983 [ma 1985]), pp. 165-249 (poi in ID., Dante e la “Comedia” nel Trecento, Milano 1989 [Scienze filologiche e letteratura, 39], pp. 131-221 da cui si cita).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

PAOLETTI, Benvenuto = L. PAOLETTI, Benvenuto da Imola, in DBI, 8, Roma 1966, pp. 691-694. PARODI, Rima = E.G. PARODI, La rima e i vocaboli in rima nella “Divina Commedia”, BSDI, 3 (1896), pp. 81-156 (poi in ID., Lingua e letteratura, a cura di G. FOLENA, Venezia 1957, pp. 203-284, da cui si cita). PASQUINI, Dantismo petrarchesco = E. PASQUINI, Dantismo petrarchesco. Ancora su “Fam. XXI 15” e dintorni, in Motivi e forme delle “Familiari” di Francesco Petrarca, a cura di C. BERRA, Milano 2003 (Quaderni di Acme. Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, 57), pp. 21-38. PASQUINO, Benvenuto da Imola = P. PASQUINO, Benvenuto da Imola, in MALATO-MAZZUCCHI, Censimento dei commenti danteschi, pp. 86-120. PASTORE STOCCHI, Su alcuni autografi = M. PASTORE STOCCHI, Su alcuni autografi del Boccaccio, SB, 10 (1977-1978), pp. 123-143. PASTORE STOCCHI, Teodonzio = M. PASTORE STOCCHI, Teodonzio, Pronapide e Boccaccio, in Petrarca e il mondo greco, QP, 12-13 (2002-2003 [ma 2007]), pp. 187-211. PASUT, Boccaccio disegnatore = F. PASUT, Boccaccio disegnatore, in Boccaccio autore e copista, pp. 51-59. PASUT, Dante illustrato = F. PASUT, Il “Dante” illustrato di Petrarca: problemi di miniatura tra Firenze e Pisa alla metà del Trecento, SP, 19 (2006), pp. 115-147. PELLEGRIN, Les manuscrits classiques = Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane. Catalogue établi par E. PELLEGRIN, t. 3, 2me partie (Fonds Vatican latin, 2901-14740), Paris 2010. PÉREZ BARCALA, Fragmento = G. PÉREZ BARCALA, Fragmento de un “index” colocciano del cancionero provenzal M (Vat. lat. 4817, ff. 274r–v), CT, 10 (2007), pp. 59-100. PERTUSI, Leonzio Pilato = A. PERTUSI, Leonzio Pilato tra Petrarca e Boccaccio, Venezia 1964 (Civiltà veneziana. Studi, 16). PETOLETTI, Due nuovi manoscritti di Zanobi da Strada = M. PETOLETTI, Due nuovi manoscritti di Zanobi da Strada, MeR, 26 [n.s. 23] (2012), pp. 37-59. PETOLETTI, Il Chronicon di Benzo d’Alessandria = M. PETOLETTI, Il “Chronicon” di Benzo d’Alessandria e i classici latini all’inizio del XIV secolo. Edizione critica del libro XXIV: “De moribus et vita philosophorum”, Milano 2000 (Bibliotheca erudita, 15). PETOLETTI, Marziale autografo di Boccaccio = M. PETOLETTI, Il Marziale autografo di Giovanni Boccaccio, IMU, 46 (2005), pp. 35-55. PETOLETTI, Postille a Marziale = M. PETOLETTI, Le postille di Giovanni Boccaccio a Marziale (Milano, Biblioteca Ambrosiana C 67 sup.), SB, 34 (2006), pp. 103-184. PETROCCHI, Chiosa aggiuntiva = G. PETROCCHI, Dal Vaticano lat. 3199 ai codici del Boccaccio: chiosa aggiuntiva, in Giovanni Boccaccio editore e interprete di Dante, atti del convegno (Firenze-Certaldo, 19-20 aprile 1975), a cura della Società Dantesca Italiana, Firenze 1979, pp. 15-24.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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PETROCCHI, Dante. Commedia = DANTE ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. PETROCCHI, 4 voll., Milano 1966-1967 (Le opere di Dante Alighieri. Edizione nazionale). PETRUCCI, Funzione della scrittura = A. PETRUCCI, Funzione della scrittura e terminologia paleografica, in Palaeographica, diplomatica et archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli, I, Roma 1979 (Storia e letteratura, 139), pp. 1-30. PETRUCCI, Insegnare a scrivere = A. PETRUCCI, Insegnare a scrivere imparare a scrivere, ASNP, s. III, 23 (1993), pp. 611-630. PETRUCCI, Introduzione = A. PETRUCCI, Introduzione, in Il codice miscellaneo. Tipologie e funzioni. Atti del Convegno internazionale (Cassino, 14-17 maggio 2003), a cura di E. CRISCI-O. PECERE, SeT, 2 (2004), pp. 3-16. PETRUCCI, Lettera dell’originale = L. PETRUCCI, La lettera dell’originale dei “Rerum Vulgarium Fragmenta”, PL, 5 (2003), pp. 67-134. PETRUCCI, Libro manoscritto = A. PETRUCCI, Il libro manoscritto, in Letteratura Italiana. II. Produzione e consumo, Torino 1983, pp. 499-524. PETRUCCI, Minuta, autografo, libro d’autore = A. PETRUCCI, Minuta, autografo, libro d’autore, in Il libro e il testo. Atti del Convegno internazionale di Urbino (20-23 settembre 1982), a cura di C. QUESTA-R. RAFFAELLI, Urbino 1985, pp. 397-414. PETRUCCI, Ms. Berlinese. Nota descrittiva = A. PETRUCCI, A proposito del Ms. Berlinese Hamiltoniano 90 (Nota descrittiva), MLN, 85 (1970), pp. 1-12. PETRUCCI, Ms. Berlinese. Note codicologiche e paleografiche = A. PETRUCCI, Il manoscritto Berlinese Hamilton 90. Note codicologiche e paleografiche, in SINGLETON, Boccaccio. Decameron. Hamilton 90, pp. 647-661. PETRUCCI, rec. Roddewig = L. PETRUCCI, rec. a RODDEWIG, Commedia-Handschriften, in SMV, 33 (1987), pp. 257-278. PETRUCCI, Scrittura di Francesco Petrarca = A. PETRUCCI, La scrittura di Francesco Petrarca, Città del Vaticano 1967 (Studi e testi, 248). PETRUCCI, Storia e geografia = A. PETRUCCI, Storia e geografia delle culture scritte (dal sec. XI al secolo XVIII), in Letteratura italiana. II. Storia e geografia, 2**, L’età moderna, Torino 1988, pp. 1193-1292. PICCHIO SIMONELLI, Prima diffusione = M. PICCHIO SIMONELLI, Prima diffusione e tradizione manoscritta del Decameron, in Boccaccio: secoli di vita, Atti del Congresso internazionale (Los Angeles, 17-19 ottobre 1975), a cura di M. COTTINO-JONES-E.F. TUTTLE, Ravenna 1978, pp. 125-142. PICONE-CAZALÉ BÉRARD, Zibaldoni di Boccaccio = Gli Zibaldoni di Boccaccio. Memoria, scrittura, riscrittura, Atti del Seminario internazionale (Firenze-Certaldo, 26-28 aprile 1996), a cura di M. PICONE e C. CAZALÉ BÉRARD, Firenze 1998. PINTO, Biadaiolo = G. PINTO, Il Libro del Biadaiolo. Carestie e annona a Firenze dalla metà del 200 al 1348, Firenze 1978 (Biblioteca storica toscana, 18).

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

PISONI-BELLOMO, Maramauro. Esposizioni = GUGLIELMO MARAMAURO, Expositione sopra l’“Inferno” di Dante Alligieri, a cura di P.G. PISONI e S. BELLOMO, Padova 1998 (Medioevo e umanesimo, 100). POMARO, Codicologia dantesca = G. POMARO, Codicologia dantesca. I. L’officina di Vat, SD, 58 (1986), pp. 343-374. POMARO, Itinerario dantesco = G. POMARO, Un itinerario dantesco in Riccardiana. Mostra di codici per il primo centenario della Società Dantesca Italiana 18881988 (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 26 novembre-30 dicembre 1988), Firenze 1988, pp. 13-17. POMARO, Memoria = G. POMARO, Memoria della scrittura e scrittura della memoria: a proposito dello Zibaldone Magliabechiano, in PICONE-CAZALÉ BÉRARD, Zibaldoni di Boccaccio, pp. 259-282. POMARO, Testi = G. POMARO, I testi e il Testo, in I moderni ausili dell’ecdotica, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Fisciano-Vietri sul Mare-Napoli, 27-31 ottobre 1990), a cura di V. PLACELLA-S. MARTELLI, Napoli 1994 (Pubblicazioni dell’Università degli Studi di Salerno. Sez. Atti, convegni, miscellanee, 39), pp. 193-208. PONTANI, L’Odissea di Petrarca e gli scoli di Leonzio = F. PONTANI, L’“Odissea” di Petrarca e gli scoli di Leonzio, in Petrarca e il mondo greco, QP, 12-13 (2002-2003 [ma 2007]), pp. 295-328. PROMIS-NEGRONI, Benvenuto. Recollecte bolognesi = La Commedia di Dante Alighieri col commento inedito di Stefano Talice da Ricaldone, a cura di V. PROMIS e C. NEGRONI, 3 voll., Milano 1888. PULSONI, Chiose dantesche = C. PULSONI, Chiose dantesche di mano del Boccaccio, IMU, 37 (1994), pp. 13-26. PULSONI, Codice Vettori = C. PULSONI, Un testo “antichissimo” (il perduto codice Vettori) attraverso le postille di Bartolomeo Barbadori, Jacopo Corbinelli, Vincenzio Borghini, in TROVATO, Nuove prospettive, pp. 467-498. PULSONI, Comento di Landino = C. PULSONI, Il Comento sopra la Comedia di Cristoforo Landino e Pietro Bembo, in Miscellanea di Studi Linguistici offerti a Laura Vanelli da amici e allievi padovani, Udine 2007, pp. 419-426. PULSONI, De Vulgari Eloquentia = C. PULSONI, Il “De Vulgari Eloquentia” tra Colocci e Bembo, in BERNARDI-BOLOGNA, Angelo Colocci, pp. 449-471. PULSONI, Il Dante di Petrarca = C. PULSONI, Il Dante di Francesco Petrarca: Vaticano latino 3199, SP, n.s., 10 (1993), pp. 155-208. PULSONI, Pietro Bembo filologo = C. PULSONI, Pietro Bembo filologo volgare, Ant, 3 (1997), pp. 89-102. PULSONI, Postillati cinquecenteschi = C. PULSONI, Postillati cinquecenteschi del “Decameron”, Ae, 83 (2009), pp. 827-849. PUNZI, I libri del Boccaccio = A. PUNZI, I libri del Boccaccio e un nuovo codice di Santo Spirito: il Barberiniano lat. 74, in A. PUNZI-A. MANFREDI, Per le biblioteche del Boccaccio e del Salutati, IMU, 37 (1994), pp. 193-203.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

433

QUAGLIO, Boccaccio. Comedia delle ninfe1 = GIOVANNI BOCCACCIO, Comedia delle ninfe fiorentine (Ameto), edizione critica per cura di A.E. Quaglio, Firenze 1963 (Autori classici e documenti di lingua pubblicati dalla Accademia della Crusca). QUAGLIO, Boccaccio. Comedia delle ninfe2 = GIOVANNI BOCCACCIO, Comedia delle ninfe fiorentine, a cura di A.E. QUAGLIO, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, Milano 1964 (I classici Mondadori), pp. 667-835 (testo), 900-964 (nota al testo, bibliografia e note). QUAGLIO, Boccaccio e il Veneto = A.E. QUAGLIO, Boccaccio e il Veneto. II. Minimo contributo alla storia di un autografo decameroniano, AAP, 88 (1977), pp. 93-118. QUAGLIO, Prima fortuna = A.E. QUAGLIO, Prima fortuna della glossa garbiana a “Donna me prega” del Cavalcanti, GSLI, 141 (1964), pp. 336-368. QUONDAM, Mercanzia d’onore = A. QUONDAM, “Mercanzia d’onore” / “Mercanzia d’utile”. Produzione libraria e lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in Libri, editori e pubblico nell’Europa moderna. Guida storica e critica, a cura di A. PETRUCCI, Roma-Bari 1977 (Universale Laterza, 383), pp. 51-104. RAFTI, Lumina dictionum. I = P. RAFTI, “Lumina dictionum” [I], SB, 24 (1996), pp. 59-121. RAFTI, Lumina dictionum. II = P. RAFTI, “Lumina dictionum” interpunzione e prosa in Giovanni Boccaccio [II], SB, 25 (1997), pp. 239-273. RAFTI, Lumina dictionum. III = P. RAFTI, “Lumina dictionum” interpunzione e prosa in Giovanni Boccaccio. III, SB, 27 (1999), pp. 81-106. RAFTI, Lumina dictionum. IV = P. RAFTI, “Lumina dictionum” interpunzione e prosa in Giovanni Boccaccio. IV, SB, 29 (2001), pp. 3-66. RAGONE, Giovanni Villani = F. RAGONE, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache a Firenze nel Trecento, Roma 1998 (Nuovi studi storici, 43). RAIMONDI, Benvenuto e s. Bonaventura = E. RAIMONDI, Benvenuto da Imola e s. Bonaventura [1967], in ID., Metafora e storia. Studi su Dante e Petrarca, Torino 1970 (Saggi, 464), pp. 199-203. REA, Questioni di ecdotica = R. REA, La “Vita nova”: questioni di ecdotica, in Dante oggi, a cura di G. ANTONELLI, A. LANDOLFI, A. PUNZI, CT, 14 (2011), pp. 233-277. RICCI, Boccaccio. Opere in versi. Trattatello. Prose latine. Epistole = GIOVANNI BOCCACCIO, Opere in versi. Trattatello in laude di Dante. Prose latine. Epistole, a cura di P.G. RICCI, Milano-Napoli 1965 (La letteratura italiana. Storia e testi, 9). RICCI, Boccaccio. Trattatello1 = GIOVANNI BOCCACCIO, Trattatello in Laude di Dante, a cura di P.G. RICCI, [Alpignano] 1969. RICCI, Boccaccio. Trattatello2 = GIOVANNI BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, a cura di P.G. RICCI, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. BRANCA, III, Milano 1974 (I classici Mondadori), pp. 423-538 (testo), 848-911 (nota al testo, bibliografia e note).

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434

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

RICCI, Boccaccio. Vite di Dante = GIOVANNI BOCCACCIO, Vite di Dante, a cura di P.G. RICCI, Milano 2002. RICCI, Evoluzione = P.G. RICCI, Evoluzione nella scrittura del Boccaccio e datazione degli autografi, in ID., Studi sulla vita e le opere, pp. 286-298. RICCI, Studi I = P.G. RICCI, Studi sulle opere latine e volgari del Boccaccio. I, R, 10 (1959), pp. 3-21. RICCI, Studi II = P.G. RICCI, Studi sulle opere latine e volgari del Boccaccio. II, R, s. II, 2 (1962), pp. 3-29. RICCI, Studi sulla vita e le opere = P.G. RICCI, Studi sulla vita e le opere del Boccaccio, Milano-Napoli 1985. RICCI, Svolgimento della grafia = P.G. RICCI, Svolgimento della grafia del Boccaccio e datazione del codice, in BRANCA-RICCI, Autografo, pp. 47-67. RICCI, Tre redazioni = P.G. RICCI, Le tre redazioni del Trattatello, SB, 8 (1974), pp. 97-214 (poi in ID., Studi sulla vita e le opere, pp. 67-83, da cui si cita). RICCI-ZACCARIA, Boccaccio. De casibus = GIOVANNI BOCCACCIO, De casibus virorum illustrium, a cura di P.G. RICCI e V. ZACCARIA, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, IX, Milano 1983 (I classici Mondadori). RIGO, Su una citazione = P. RIGO, Su una citazione di Licofrone nel commento dantesco di Benvenuto, LI, 30 (1978), pp. 470-479. RIGOLI, Illustrazioni = L. RIGOLI, Illustrazioni di vari codici Riccardiani, ms., Firenze, Biblioteca Riccardiana, 3582. RIZZO, Petrarca. Senili = FRANCESCO PETRARCA, Res seniles, a cura di S. RIZZO, I, Firenze 2006. RODDEWIG, Commedia-Handschriften = M. RODDEWIG, Dante Alighieri, Die Göttliche Komödie. Vergleichende Bestandsaufnahme der Commedia-Handschriften, Stuttgart 1984 (Hiersemanns bibliographische Handbücher, 4). RODDEWIG, Dante und Boccaccio = M. RODDEWIG, Dante und Boccaccio unter dem Diktat von Vat. 3199. Qualität und Textabhängigkeit der Aldina-Ausgabe der Commedia, DDJ, 47 (1972), pp. 125-162. ROHLFS, Grammatica storica = G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino 1966-1969 (Manuali di letteratura, filologia e linguistica). ROHRBACH-WEBER, Boccaccio = L. ROHRBACH-S. WEBER, Giovanni Boccaccio: Teseida (mit Glossen), in SchriftRäume: Dimensionen von Schrift zwischen Mittelalter und Moderne, hg. CH. KIENING-M. STERCKEN, Zürich 2008. ROMANINI, Altri testimoni = F. ROMANINI, Altri testimoni della “Commedia”, in TROVATO, Nuove prospettive, pp. 61-94. ROMANO, Boccaccio. Genealogie = GIOVANNI BOCCACCIO, Genealogie deorum gentilium libri, a cura di V. ROMANO, 2 voll., Bari 1951 (Scrittori d’Italia, 200-201). ROMEI, Dolce = G. ROMEI, Dolce, Lodovico, in DBI, 40, Roma 1991, pp. 399-405.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

435

RONCAGLIA, Boccaccio. Teseida = GIOVANNI BOCCACCIO, Teseida delle nozze d’Emilia, a cura di A. RONCAGLIA, Bari 1941 (Scrittori d’Italia, 185). RONCONI, Origini delle dispute = G. RONCONI, Le origini delle dispute umanistiche sulla poesia (Mussato e Petrarca), Roma 1976 (Strumenti di ricerca, 11). ROSSI, Benvenuto lettore di Lucano = L.C. ROSSI, Benvenuto da Imola lettore di Lucano, in PALMIERI-PAOLAZZI, Benvenuto da Imola lettore, pp. 165-203. ROSSI, Benevenutus super Valerio Maximo = L.C. ROSSI, “Benevenutus de Ymola super Valerio Maximo”. Prime ricerche: l’Expositio, Ae, 76 (2002), pp. 369-423. ROSSI, Boccaccio. Decameron = GIOVANNI BOCCACCIO, Il Decameron, a cura di A. ROSSI, Bologna 1977. ROSSI, Boccaccio. In laude di Dante = GIOVANNI BOCCACCIO, In laude di Dante, Testo critico delle due redazioni autografe a cura di A. ROSSI, [Roma 1965]. ROSSI, Chiose Ambrosiane = Le Chiose Ambrosiane alla “Commedia”, edizione e saggio di commento a cura di L.C. ROSSI, Pisa 1990 (Centro di cultura medievale, 3). ROSSI, Cinquanta lezioni = A. ROSSI, Cinquanta lezioni di filologia italiana, Roma 1997. ROSSI, Da Dante a Leonardo = A. ROSSI, Da Dante a Leonardo. Un percorso di originali, Firenze 1999 (Biblioteche e Archivi, 4). ROSSI, Decameron 2000 = A. ROSSI, Decameron 2000, in Studi in memoria di Dario Faucci. Filosofia, Dialogo, Amicizia, a cura di A. SCIVOLETTO, Parma 1998, pp. 82-124. ROSSI, Dittico = L.C. ROSSI, Dittico per Benvenuto da Imola tra Petrarca e Salutati, in Meminisse iuvat. Studi in memoria di Violetta de Angelis, a cura di F. BOGNINI, Pisa 2012, pp. 611-646. ROSSI, Presenze di Petrarca = L.C. ROSSI, Presenze di Petrarca in commenti danteschi fra Tre e Quattrocento, Ae, 70 (1996), pp. 441-476. ROSSI, Proposte = A. ROSSI, Proposte per un’edizione critica del “Decameron”, P, fasc. 294 (agosto 1974), pp. 3-31. ROSSI, Tre prefazioni = L.C. ROSSI, Tre prefazioni di Benvenuto da Imola e Niccolò II d’Este, in Il principe e la storia. Atti del convegno (Scandiano, 18-20 settembre 2003), a cura di T. MATARRESE e C. MONTAGNANI, Novara 2005, pp. 201-221. ROSTAGNO, Vita di Dante = La Vita di Dante. Testo del così detto “Compendio” attribuito a Giovanni Boccaccio, per cura di E. ROSTAGNO, Bologna 1899. SALMI, Problemi figurativi = M. SALMI, Problemi figurativi dei codici danteschi del Tre e Quattrocento, in Dante nel secolo dell’Unità d’Italia. Atti del I Congresso nazionale di studi danteschi (Caserta-Napoli, 21-25 maggio 1961), Firenze 1962, pp. 174-181. SALVI-RENZI, Grammatica = Grammatica dell’italiano antico, a cura di G. SALVI-L. RENZI, Bologna 2010 (Strumenti).

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436

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

SAMPOLI SIMONELLI, Problemi e discussioni = M. SAMPOLI SIMONELLI, Il Decameron: problemi e discussioni di critica testuale, ASNP, s. II, 18 (1949), pp. 129-172. SANGUINETI, Dante. Comedia = DANTIS ALAGHERII Comedia, ed. critica per cura di F. SANGUINETI, Firenze 2001 (Archivio romanzo, 2). SANGUINETI, Per l’edizione critica = F. SANGUINETI, Per l’edizione critica della Comedìa di Dante, RLI, 12 (1994), pp. 277-292. SANTAGATA, Frammenti = M. SANTAGATA, I frammenti dell’anima, Bologna 1992 (Saggi, 387). SANTAGATA, Per moderne carte = M. SANTAGATA, Per moderne carte. La biblioteca volgare di Petrarca, Bologna 1990 (Saggi, 371). SANTAGATA, Presenze = M. SANTAGATA, Presenze di Dante “comico” nel “Canzoniere” di Francesco Petrarca, GSLI, 146 (1969), pp. 163-211. SAPEGNO, Dante. Commedia, = DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia, a cura di N. SAPEGNO, Firenze 1968. SARASINI, La tradizione manoscritta = L. SARASINI, La tradizione manoscritta del “Romuleon” di Benvenuto da Imola, Ac, 59 (2006), pp. 301-313. SASSO, Boccaccio. Trattatello = GIOVANNI BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, Introduzione, prefazione e note di L. SASSO, Milano 1995 (I grandi libri Garzanti, 586). SAVINO, Autografo virtuale della Commedia = G. SAVINO, L’autografo virtuale della « Commedia », Firenze 2000 (il contributo è pubblicato anche in “Per correr miglior acque…”. Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio. Atti del Convegno di Verona-Ravenna, 25-29 ottobre 1999, Roma 2001, pp. 1099-1110). SAVINO, Dantista = G. SAVINO, Dantista, RSD, 8 (2008), pp. 410-412. SAVINO, Pioniere = G. SAVINO, Un pioniere dell’autografia boccaccesca, in PICONE-CAZALÉ BÉRARD, Zibaldoni di Boccaccio, pp. 333-348. SCARPA, Le scelte di un amanuense = E. SCARPA, Le scelte di un amanuense: Niccolò di Bettino Covoni, copista della “Fiorita”, SFI, 46 (1988), pp. 87-130. SCHEFFER-BOICHORST, Dantes Verbannung = P. SCHEFFER-BOICHORST, Aus Dantes Verbannung. Literarhistorische Studien, Strassburg 1882. SCHWERTSIK, Un commento medievale = P.R. SCHWERTSIK, Un commento medievale sulle “Metamorfosi” d’Ovidio nella Napoli del Trecento. L’invenzione del nome di ‘Theodontius’ da parte del Boccaccio, MeR, 26 [n.s. 23] (2012), pp. 61-84. SCURICINI GRECO, Miniature riccardiane = M.L. SCURICINI GRECO, Miniature riccardiane, Firenze 1958. SINGLETON, Boccaccio. Decameron = GIOVANNI BOCCACCIO, Il Decameron, a cura di CH.S. SINGLETON, 2 voll., Bari 1955 (Scrittori d’Italia, 97). SINGLETON, Boccaccio. Decameron. Hamilton 90 = GIOVANNI BOCCACCIO, Decameron. Edizione diplomatico-interpretativa dell’autografo Hamilton 90, a cura di CH.S. SINGLETON, Baltimore-London 1974.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

437

SOLERTI, Vite = Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio scritte fino al secolo decimosesto, a cura di A. SOLERTI, Milano [1904] (Storia letteraria d’Italia). SORELLA, Copia di tipografia = A. SORELLA, La copia di tipografia della seconda edizione e la copia preparatoria della terza edizione delle “Prose”, Tf, 6 (2013), pp. 11-96. SPAGNOLO, Tradizione = L. SPAGNOLO, La tradizione della Comedìa I e II, SPCT, 80 (2010), pp. 9-90, e 81 (2010), pp. 17-46. STACCIOLI, Sul ms. Hamilton 67 di Berlino = G. STACCIOLI, Sul ms. Hamilton 67 di Berlino e sul volgarizzamento della “IV Catilinaria” in esso contenuto, SFI, 42 (1984), pp. 27-58. STUSSI, Lingua = A. STUSSI, Lingua, in Lessico critico decameroniano, a cura di R. BRAGANTINI-P.M. FORNI, Torino 1995 (Studi e strumenti), pp. 192-221. SUITNER, Stile delle Rime = F. SUITNER, Sullo stile delle “Rime” e sulle polemiche letterarie riflesse da alcuni sonetti, SB, 12 (1980), pp. 95-128. SUPINO MARTINI, Per la storia della semigotica = P. SUPINO MARTINI, Per la storia della ‘semigotica’, ScrC, 22 (1998), pp. 249-264. TAVOSANIS, Prima stesura = M. TAVOSANIS, La prima stesura delle “Prose della volgar lingua”: fonti e correzioni, Pisa 2002 (Studi e testi di letteratura italiana, 2). TOBLER, Berliner Handschrift = A. TOBLER, Die Berliner Handschrift des Decameron, SAB, 25 (1887), pp. 375-405. TONELLO, Tradizione = E. TONELLO, La tradizione della Commedia secondo Luigi Spagnolo e la sottofamiglia a0 (Mart Pal. 319 Triv e altri affini), in TONELLO-TROVATO, Nuove prospettive II, pp. 71-118. TONELLO-TROVATO, Nuove prospettive II = Nuove prospettive sulla tradizione della “Commedia”. Seconda serie (2008-2013), a cura di E. TONELLO-P. TROVATO, Padova 2013 (Storie e linguaggi, 3). TOYNBEE, Benvenuto e Omero = P.J. TOYNBEE, Benvenuto da Imola and the “Iliad” and “Odyssey”, Ro, 29 (1900), pp. 404-415. TOYNBEE, Index = P.J. TOYNBEE, Index of Authors Quoted by Benvenuto da Imola in His Commentary on the Divina Commedia, ARDS, 18-19 (1899-1900), pp. 1-54. TRAVERSARI, Boccaccio = G. TRAVERSARI, Il Boccaccio e l’invio della “Commedia” al Petrarca, GD, 13 (1905), pp. 25-31. TRAVERSARI, Per l’autenticità = G. TRAVERSARI, Per l’autenticità dell’Epistola del Boccaccio a Francesco Nelli, GSLI, 46 (1905), pp. 100-118. TRAVI, Bembo. Lettere = PIETRO BEMBO, Lettere, ed. critica a cura di E. TRAVI, 4 voll., Bologna 1987-1993 (Collezione di opere inedite o rare pubblicate dalla Commissione per i testi di lingua). TROVATO, Con ogni diligenza = P. TROVATO, Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi letterari italiani (1470-1570), Bologna 1991 (Il Mulino ricerca).

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438

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TROVATO, Dante in Petrarca = P. TROVATO, Dante in Petrarca. Per un inventario dei dantismi nei “Rerum vulgarium fragmenta”, Firenze 1979 (Biblioteca dell’Archivum romanicum. Serie 1a, Storia, Letteratura, Paleografia, 149). TROVATO, Il testo della Vita nuova = P. TROVATO, Il testo della “Vita nuova” e altra filologia dantesca, Roma 2000 (Quaderni di Filologia e critica, 15). TROVATO, Nuove prospettive = Nuove prospettive sulla tradizione della “Commedia”. Una guida filologico-linguistica al poema dantesco, a cura di P. TROVATO, Firenze 2007 (Filologia e ordinatori, 3). TROVATO, Ordine dei tipografi = P. TROVATO, L’ordine dei tipografi. Lettori, stampatori, correttori tra Quattro e Cinquecento, Roma 1998 (Biblioteca del Cinquecento, 79). TROVATO, Tavola sinottica = P. TROVATO, Tavola sinottica dei manoscritti trecenteschi della “Commedia”. Datazione e area linguistica, in TROVATO, Nuove prospettive, pp. 229-241. TROVATO et alii, Tradizione e testo = P. TROVATO-E. TONELLO-S. BERTELLI-L. FIORENTINI, La tradizione e il testo del carme “Ytalie iam certus honos” di Giovanni Boccaccio, SB, 41 (2013), pp. 1-111. TUFANO, Le chiose alle lussuriose = I. TUFANO, Le chiose di Benvenuto da Imola alle lussiorse della “Commedia”, SR, n.s., 3 (2007), pp. 47-69. UBERTI, Benvenuto da Imola = M.L. UBERTI, Benvenuto da Imola dantista, allievo del Boccaccio, SB, 12 (1980), pp. 275-319. VANDELLI, Autografo della Teseide = G. VANDELLI, Un autografo della “Teseide”, SFI, 2 (1929), pp. 5-76. VANDELLI, Boccaccio editore di Dante = G. VANDELLI, Giovanni Boccaccio editore di Dante, AAC, AA. 1921-1922, pp. 47-95 (poi in ID., Per il testo della Divina Commedia, pp. 145-161, da cui si cita). VANDELLI, Per il testo della Divina Commedia = G. VANDELLI, Per il testo della « Divina Commedia », a cura di R. ABARDO, Firenze 1989 (Quaderni degli Studi danteschi, 5). VANDELLI, rec. Ferretti = G. VANDELLI, rec. a FERRETTI, Data del Trattatello, in SD, 17 (1933), pp. 162-163. VANDELLI, rec. Passerini = G. VANDELLI, rec. a Le vite di Dante scritte da Giovanni e Filippo Villani, da Giovanni Boccaccio, Leonardo Aretino e Giannozzo Manetti, ora novamente publicate, con introduzione e con note, da G.L. PASSERINI, Firenze 1917, in BSDI, 24 (1917), pp. 125-142. VANDELLI, Boccaccio. Rubriche dantesche = GIOVANNI BOCCACCIO, Rubriche dantesche, pubblicate di su l’autografo Chigiano da G. VANDELLI, Firenze 1908. VARANINI, Idiotismi = G. VARANINI, Idiotismi grafico-fonetici nei codici Hamiltoniano 90 e Trivulziano 193 [1983], in ID., Lingua e letteratura italiana dei primi secoli, a cura di L. BANFI [et alii], Pisa 1994, I, pp. 249-261.

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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VATTASSO, Codici petrarcheschi = M. VATTASSO, I codici petrarcheschi della Biblioteca Vaticana, Roma 1908. VECCE, Bembo e Boccaccio = C. VECCE, Bembo, Boccaccio, e due varianti al testo delle “Prose”, Ae, 69 (1995), pp. 521-531. VECCE, Postille = C. VECCE, Postille di Bernardino Rota al “Teseida” del Boccaccio, in Confini dell’Umanesimo letterario. Studi in onore di Francesco Tateo, a cura di M. DE NICHILO, G. DISTASO, A. LURILLI, III, Roma 2003, pp. 1379-1402. VEGLIA, Codice cortonese = M. VEGLIA, Sul codice cortonese e su altre copie attribuite a Romolo Ludovici, in TROVATO, Nuove prospettive, pp. 573-582. VELA, Villani = C. VELA, Il Villani del Bembo, in “Prose della volgar lingua” di Pietro Bembo. Convegno (Gargnano, 5-7 ottobre 2000), Milano 2001 (Quaderni di Acme. Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, 46), pp. 255-275. VELLI, Boccaccio. Carmina = GIOVANNI BOCCACCIO, Carmina, a cura di G. VELLI, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, V/1, Milano 1992 (I classici Mondadori), pp. 375-492. VELLI, Il Dante di Francesco Petrarca = G. VELLI, Il Dante di Francesco Petrarca, SP, n.s., 2 (1985), pp. 185-199. VITALE, Riscrittura = M. VITALE, La riscrittura del “Decameron”. I mutamenti linguistici, in VITALE-BRANCA, Capolavoro, vol. I. VITALE-BRANCA, Capolavoro = M. VITALE-V. BRANCA, Il capolavoro del Boccaccio e due diverse redazioni, 2 voll., Venezia 2002 (Memorie dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti, 100). VOLKMANN, Iconografia dantesca = L. VOLKMANN, Iconografia dantesca. Die bildlichen Darstellungen zur “Göttlichen Komödie”, Leipzig 1897. VOLPE, Boccaccio illustratore = A. VOLPE, Boccaccio illustratore e illustrato, « Intersezioni », 31 (2011), fasc. 2, pp. 287-300. WEISS, La scoperta dell’antichità = R. WEISS, La scoperta dell’antichità classica nel Rinascimento, Padova 1989 (Medioevo e umanesimo, 73). WILKINS, Canzoniere = E.H. WILKINS, The Making of the “Canzoniere” and Other Petrarchan Studies, Roma 1951 (Storia e letteratura, 38). WITTE, Prolegomeni critici = C. WITTE, Prolegomeni critici, in DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, ricorretta sopra quattro dei più autorevoli testi a penna, Berlino 1862, pp. IX-LXXXV. ZACCARIA, Boccaccio. De mulieribus = GIOVANNI BOCCACCIO, De mulieribus claris, a cura di V. ZACCARIA, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, X, Milano 19702 (I classici Mondadori). ZACCARIA, Boccaccio. Genealogie = GIOVANNI BOCCACCIO, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. ZACCARIA, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, VII-VIII, Milano 1998 (I classici Mondadori).

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440

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

ZACCARIA, Difesa della poesia = V. ZACCARIA, La difesa della poesia nelle “Genealogie” del Boccaccio, LI, 38 (1986), pp. 281-311. ZACCARIA, Fasi redazionali = V. ZACCARIA, Le fasi redazionali del “De mulieribus claris”, SB, 1 (1963), pp. 253-332. ZACCARIA, Per il testo delle Genealogie = V. ZACCARIA, Per il testo delle “Genealogie deorum gentilium”, SB, 16 (1987), pp. 179-240. ZAMBRINI-MORPURGO, Opere volgari a stampa = Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, vol. I. a cura di F. ZAMBRINI, Bologna 1884 (quarta edizione con Appendice); vol. II. Supplemento con gli indici generali dei capoversi, dei manoscritti, dei nomi e dei soggetti, a cura di S. MORPURGO, Bologna 1929 (rist. anast. Torino 1961). ZAMPONI, Elisione e sovrapposizione = S. ZAMPONI, Elisione e sovrapposizione nella “littera textualis”, ScrC, 12 (1988), pp. 135-176. ZAMPONI, Esperienze di catalogazione = S. ZAMPONI, Esperienze di catalogazione di manoscritti medievali, in Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso Medioevo (secoli XIII-XV). Atti del Convegno di studio (Fermo, 17-19 settembre 1997), a cura di G. AVARUCCI-R.M. BORRACCINI VERDUCCI-G. BORRI, Spoleto 1999, pp. 471-498. ZAMPONI, Iniziative di catalogazione = S. ZAMPONI, Iniziative di catalogazione di manoscritti medievali, SM, s. III, 40 (1999), pp. 369-393. ZAMPONI, Scrittura = S. ZAMPONI, La scrittura del libro nel Duecento, in Civiltà comunale: libro, scrittura, documento. Atti del Convegno (Genova, 8-11 novembre 1988), Genova 1989, pp. 315-354. ZAMPONI, Stato della catalogazione die manoscritti in Italia = S. ZAMPONI, Lo stato della catalogazione dei manoscritti in Italia. Progetti, proposte e attività in corso, all’indirizzo http://old.fefonlus.it/codex/materiali/ConferenzaFI03a.htm. ZAMPONI-PANTAROTTO-TOMIELLO, Stratigrafia = S. ZAMPONI-M. PANTAROTTO-A. TOMIELLO, Stratigrafia dello Zibaldone e della Miscellanea Laurenziani, in PICONE-CAZALÉ BÉRARD, Zibaldoni di Boccaccio, pp. 181-258. ZAZZERI, Ci desinò l’abate = Ci desinò l’abate. Ospiti e cucina nel monastero di Santa Trinita (Firenze, 1360-1363), a cura di R. ZAZZERI, Firenze 2003 (Media aetas, 2).

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TAVOLE

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TAVOLE

443

TAV. 1 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 1r.

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444

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 2 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 29r.

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TAVOLE

445

TAV. 3 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 34r.

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446

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 4 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 34v.

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TAVOLE

447

TAV. 5 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 43v.

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448

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 6 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 55v.

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TAVOLE

449

TAV. 7 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, f. IVr.

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450

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 8 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, p. 1.

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TAVOLE

451

TAV. 9 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, p. 7.

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452

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 10 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, p. 359.

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TAVOLE

453

TAV. 11 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 1r.

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454

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 12 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 13r.

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TAVOLE

455

TAV. 13 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 16v.

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456

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 14 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 47v.

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TAVOLE

457

TAV. 15 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 72v.

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458

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 16 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 96v.

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TAVOLE

459

TAV. 17 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 1r.

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460

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 18 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 3r.

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TAVOLE

461

TAV. 19 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 64v.

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462

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 20 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 75v.

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TAVOLE

463

TAV. 21 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 4r.

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464

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 22 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 7r.

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TAVOLE

465

TAV. 23 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 124r.

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466

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 24 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 186r.

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TAVOLE

467

TAV. 25 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 29r.

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468

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 26 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 52r.

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TAVOLE

469

TAV. 27a - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 142r (part.).

TAV. 27b - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 142v (part.).

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470

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 28 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 257r.

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TAVOLE

471

TAV. 29 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v.

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472

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 30 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v (con raggi ultravioletti).

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TAVOLE

473

TAV. 31a - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 66.1, f. 43r (part.).

TAV. 31b - Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 67 sup., f. 10r (part.).

TAV. 31c - Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 67 sup., f. 115v (part.).

TAV. 31d - Paris, Bibliothèque Nationale de France, Lat. 8082, f. 4v (part.).

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474

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 32 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v (part.).

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TAVOLE

475

TAV. 33a - Roma, Musei Capitolini, Collezione Albani, Nr. inv. MC0557, Ritratto di Omero.

TAV. 33b - Moneta da 50 dracme raffigurante Omero.

TAV. 33c - Ritratto di Omero, Incisione di Giuseppe Benaglia (Iliade di V. Monti, Milano 1825).

TAV. 33d - Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Ms. A.55, f. Iv.

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476

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 34 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 29.8, f. 59v (part.).

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TAVOLE

477

TAV. 35 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 29.8, f. 45v (part.).

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478

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 36a - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267r (part.).

TAV. 36b - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v (part.).

TAV. 36c - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v (part.).

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TAVOLE

479

TAV. 37 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3199, f. 1r.

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480

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 38a - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3199, f. 1v (part.).

TAV. 38b - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3199, f. 60v (part.).

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TAVOLE

481

TAV. 39 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3384, f. 1v.

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482

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 40 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3384, f. 1r.

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TAVOLE

483

TAV. 41 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 26 sin. 7, f. 24r.

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484

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 42 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 26 sin. 7, f. 67r.

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TAVOLE

485

TAV. 43 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 26 sin. 7, f. 67v.

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486

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 44a - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 89r (part.).

TAV. 44b - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 105r (part.).

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TAVOLE

487

TAV. 45 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 5004, p. 220.

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488

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 46 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Capponiano 10, f. 47r.

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TAVOLE

489

TAV. 47 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4824, f. 47v.

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490

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

TAV. 48 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Stamp. Cappon. IV. 508, c. 1r.

TAV. 49 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, , Stamp. Cappon. IV. 508, c. 2r.

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INDICI

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INDICE DEI MANOSCRITTI, DEGLI STAMPATI E DEI DOCUMENTI D’ARCHIVIO Belluno, Biblioteca del Seminario 35 (Lo): 166 n. 18 Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin Preußischer Kulturbesitz Hamilton 90: 2 n. 4, 3 e n. 6, 9-14 nr.2, 49, 56-61, 68, 77, 79, 81,85, 88-92, 99-102, 126, 139, 141, 145-146, 149, 154-160, 161 n. 53, 288 n. 121, 295 n. 143, 330344, 349-407 Hamilton 203 (Ham): 166 n. 18, 171 n. 31 Rehdiger 227: 42 n. 119 Chantilly, Musée Condé 597 (Cha): 36 n. 97, 165-185 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Barb. CCC.I.18: 55 n. 177 Barb. lat. 3644: 36 n. 97, 165-185 Barb. lat. 4076: 147 n. 26 Barb. lat. 4077: 147 n. 26 Barb. lat. 4117: 42 n. 119 Barb. lat. 5004: 250, 252 Capp. IV 508: 327-344, 402 n. 103 Capp. 10: 251, 267, 273 Chig. IV 4135: 337 n. 22 Chig. L.V.167: 44 Chig. L.V.176: 3 e n. 6-7, 4-9 nr. 1,38 e n. 104, 42-43 n. 120, 50-55, 66, 75, 79, 81-84, 88-93, 96, 98, 100-102, 114-126, 129-130, 139, 141 n. 11, 142 n. 14, 145-146, 148, 152-153, 156 n. 46, 157160, 247 e n. 15, 248-249, 253-325 Chig. L.VI.213 (Chig): 3 e n. 6-7, 4-9 nr. 1, 19 n. 39, 29 n. 68, 38 e n. 104, 42-43 n. 120, 45-46, 50-55, 67, 76, 79, 81-84, 88-92, 96-102, 114-126, 129-130, 139, 141 n. 11, 164 e n. 11, 165-185, 233, 294 n. 139 Chig. L.VII.253: 46 n. 132 Chig. M.VII.142: 287-288 n. 118, 302 n. 167 Ferr. IV.4046: 404 n. 106 Ferr. IV.4102: 404 n. 106 Ferr. IV.5499: 404 n. 106

Inc. II.413: 404 n. 106 Ross. 3518: 327 n. 4 Ross. 4682: 404 n. 106 Ross. 4684: 404 n. 106 Ross. 6943: 404 n. 106 Urb. lat. 366: 42 n. 119 Vat. lat. 3199 (Vat): 35-38, 124, 164-185 Vat. lat. 3210: 327 n. 4 Vat. lat. 3215: 251, 267, 273 Vat. lat. 3217: 356 n. 23 Vat. lat. 3257: 349 Vat. lat. 3384: 226 Vat. lat. 3793: 349 Vat. lat. 3861: 349 Vat. lat. 4817: 350-407 Vat. lat. 4824: 251, 267, 273 Cortona, Biblioteca Comunale e dell’Accademia Etrusca 88 (Co): 166-180 Firenze, Archivio di Stato Cerchi 12 (744): 251, 267, 273 Firenze, Biblioteca Marucelliana B.VI.52: 50 n. 32, 287-288 n. 118 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Pluteo 21 sin. 8: 224 Pluteo 21 sin. 10: 225 Pluteo 26 sin. 1 (LauSC): 224 Pluteo 26 sin. 6: 224 Pluteo 26 sin. 7: 47, 224-225, 227, 233234 Pluteo 29.8 (Zibaldone Laurenziano): 24 n. 50, 86, 88-92, 101 n. 54, 124 n. 90, 135 e n. 14, 144 n. 18 Pluteo 33.31: 86, 88-92, 124 n. 90, 135 n. 14, 144 n. 18 Pluteo 34.49: 49 n. 149 Pluteo 38.6: 88-92, 96 Pluteo 38.17: 88-92, 96, 101 n. 54, 145 n. 21 Pluteo 39.1: 349 Pluteo 40.2: 181 n. 47 Pluteo 40.11: 57-58

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494

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Pluteo 40.13: 36 n. 97, 165-185 Pluteo 40.16 (Lau): 166 n. 18 Pluteo 40.22 (Laur): 42 n. 119, 171 n. 31 e 34 Pluteo 40.38: 176-177 n. 39 Pluteo 42.1: 149 n. 31, 288 n. 121, 295 n. 143, 351 n. 10, 353-407 Pluteo 42.19: 59 e n. 188 Pluteo 42.20: 25 n. 58, 59 n. 187 Pluteo 42.22: 59 n. 187 Pluteo 42.23: 59 Pluteo 42.38: 25 n. 58 Pluteo 52.9: 33 n. 85, 49 n. 149, 56 e n. 178, 88-92, 100 n. 51, 249 n. 29, 309 n. 192 Pluteo 54.32: 88-92 Pluteo 61.41: 251-252 Pluteo 90 inf. 46: 59 n. 187 Pluteo 90 sup. 981: 88-92 Pluteo 90 sup. 117: 189 n. 7 Pluteo 90 sup. 125 (Ga): 166 n. 18 Pluteo 90 sup. 131: 251, 273 Acquisti e Doni 224: 25 n. 58 Acquisti e Doni 325: 2 n. 4, 3 n. 6, 14-17 nr. 3, 24-34, 42-43 n. 120, 63, 69, 79, 81, 88-92, 94-95, 100-102, 104, 108, 126, 139-141, 145-146, 149, 155-160, 162 Ashburnham 488: 57, 58 n. 184 Ashburnham 679: 287-288 n. 118, 290 n. 129, 302 n. 167 Ashburnham 828 (Ash): 166 n. 18 Ashburnham 839: 224-225, 233 Ashburnham 994: 58 e n. 184 Ashburnham App. 1856: 88-92, 93 n. 48 Ashburnham App. 1920: 287-288 n. 118 Gadd. rel. 4: 58 e n. 184, 59 Gadd. rel. 26: 59 n. 187 Gadd. rel. 83: 59 n. 187 Redi 113: 251, 267, 273 Redi 143: 251, 267, 273 Redi 1821: 58 Redi 184: 248, 251, 267, 275 Tempi 6: 46 n. 132 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale II.I.43: 224-225 II.I.62: 287-288 n. 118, 302 n. 167 II.II.158: 25 n. 58 II.IV.20: 251-252 II.IV.587: 42 n. 119

II.VIII.36: 59 n. 187 Banco Rari 50 (Zibaldone Magliabechiano): 31 n. 79, 85 n. 29 Banco Rari 69 (già Pal. 180): 52 n. 160 Banco Rari 330 (già Pal. 314): 36 n. 97, 165-185 Conv. Soppr. A.I.10: 58 Conv. Soppr. B.II.1267: 248-249, 251 Conv. Soppr. B.V.640: 58 n. 185 Conv. Soppr. C.III.1266: 28-29, 42 n. 119 Conv. Soppr. I.III.29: 58 Landau Finaly 38: 59 Landau Finaly 172: 250 n. 32, 287-288 n. 118, 302 n. 167 Magl. VII.624: 25 n. 58 Magl. VII.1035: 25 n. 58 Magl. VIII.1375: 59 Magl. VIII.1430: 251, 254, 267, 275 Magl. IX.136: 250 n. 32, 287-288 n. 118, 302 n. 167, 324 n. 246 Magl. XXV.19: 149 n. 29 Nuove Accessioni 350: 25 n. 58 Palat. 51: 251, 267, 273 Palat. 204: 287-288 n. 118, 302 n. 167 Palat. 319: 175 Palat. 561: 287-288 n. 118, 302 n. 167, 324 n. 246 Panc. 5: 248, 251, 264, 272, 278 Firenze, Biblioteca Ricasoli-Firidolfi 17 A (XLVII): 250 n. 33 Firenze, Biblioteca Riccardiana 228: 58 237: 58 n. 185 627: 2 n. 3, 88-92 1005: 166 n. 18 1010 (Ricc): 166 n. 18 1012: 36 n. 97, 165-185 1035 (Ri): 3 n. 6, 8 n. 19, 17-19 nr. 4, 29 n. 68, 38 e n. 104, 42-43 n. 120, 4552, 54-55, 65, 73-74, 80-84, 88-92, 93 n. 48, 96-98, 100-102, 109-114, 120, 122, 126, 128, 139 n. 5, 164 e n. 11, 165-185, 225, 227-228, 231-233, 248, 294 n. 139 1046: 46 n. 132 1080: 251, 267, 273 1083: 248, 251, 267, 275 1085: 248, 251, 265, 272, 278 1090: 251, 264, 267, 272-273, 278

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INDICE DEI MANOSCRITTI, DEGLI STAMPATI E DEI DOCUMENTI D’ARCHIVIO

1162: 251-252 1232: 33 n. 85, 88-92, 93 n. 48, 99, 103 n. 58 1297: 250 n. 32 1523: 58 n. 185 2196: 59 n. 187 2221: 59 2278: 251, 267, 273 2330: 251, 267, 273 2795: 2 n. 3, 88-92, 93 n. 48 Foggia, Biblioteca Provinciale “La Magna Capitana” 1: 251-252, 275 Genova, Biblioteca Universitaria E V 10: 251, 267, 273 Lisboa, Biblioteca Nacional 10991: 349 London, British Library Egerton 934 (Eg): 171 n. 34 Harley 3488: 176-177 n. 39 Harley 4082: 252, 267, 275 Harley 5383: 2 n. 3, 88-92, 93 n. 48 Madrid, Biblioteca Nacional 10057: 22 n. 45 10186 (Mad): 42 n. 119, 166 n. 18, 170 n. 30 10227: 248, 252, 267, 275 Milano, Biblioteca Ambrosiana A 204 inf.: 88-92 C 67 sup.: 2 n. 3, 88-92, 103 n. 58, 131 E 3 sup.: 233 n. 93 H 14 inf.: 35 n. 91 I 242 inf.: 188 n. 4 N 180 sup.: 226-227 n. 81 SP/13D: 253 n. 39 Milano, Biblioteca dell’Archivio Storico Civico e Trivulziana 80: 252-253, 277 1077 (Tz): 166 n. 18 1080 (Triv): 166 n. 18, 171, 184 n. 52 1081: 176-177 n. 39 Milano, Biblioteca Nazionale Braidense AG XII 2: 166 n. 18 AP XVI 25 (Mart): 166 n. 18, 171, 184 n. 52

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Modena, Biblioteca Estense e Universitaria Ital. 959 (α N.8.24): 250 n. 32 Lat. 467: 189 n. 7 Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III V F 21: 208 n. 39 Napoli, Biblioteca Oratoriana del Monumento Nazionale dei Gerolamini C.F.2.8: 33 n. 87 C.F.2.16 (Fi): 170 n. 30, 171 n. 34 Paris, Bibliothèque nationale de France Fr. 12474: 349 Ital. 482: 2 n. 5, 31 n. 79, 49 n. 149, 150 n. 32, 161 n. 53, 295 n. 143, 352 Ital. 539 (Pr): 170 n. 30 Lat. 8082: 131 Parma, Biblioteca Palatina Pal. 117: 46 n. 132 Parm. 3285 (Parm): 170 n. 30 Perugia, Archivio di Stato Carte Del Chiaro s.s. (a. 1366): 3 e n. 9, 31 n. 79, 139 n. 5 Perugia, Biblioteca Comunale Augusta L 70: 44 Piacenza, Biblioteca Comunale Passerini Landi 190 (La): 170 n. 30 Roma, Biblioteca Nazionale Centrale 69.4.B.79: 328 n. 5 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati I.VI.30: 176-177 n. 39 Soragna (Parma), Collezione dei principi Meli Lupi s.s.: 46 n. 132 Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares 104.6 (To): 2 n. 4, 3 n. 6, 20-23 nr. 5, 29 n. 68, 38 e n. 104, 39-45, 52, 54-55, 64, 70-72, 80-81-82, 84, 88-93, 95-96, 101109, 116-117, 120, 123 n. 85, 126-127, 131-136, 139, 141 e n. 11, 145 e n. 21, 146, 148, 152-153, 156 n. 46, 157-160, 164 e n. 11, 165-185, 233, 247 e n. 1516, 248-249, 253-325

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana Ital. IX 203 (6757): 11 n. 25 Ital. XI 284 (6787): 12 n. 27 Ital. XI 285 (7165): 12 n. 26-28 Ital. Z. 55 (4750): 36 n. 97, 165-185

Verona, Biblioteca Capitolare 519: 252, 267, 273 820: 250 n. 32, 287-288 n. 118, 302 n. 167 Wellesley (Mass.), Wellesley College Library Plimpton Collection 861: 248, 252, 265, 272, 277

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INDICE DEGLI AUTORI E DELLE OPERE

Non sono registrate per la loro frequenza le occorrenze di Boccaccio e Dante; più dettagliate le voci relative a Benvenuto da Imola, Dante, Petrarca e soprattutto Boccaccio (per il quale sono di norma esclusi i rinvii a luoghi testuali presenti in tavole o elenchi di loci paralleli, ma non specificamente discussi).

Acciaiuoli Nicola: 134 Accursio: 1 Agostino, santo: 227, 282, 310, 312 Albanzani Donato: 221, 222, 223, 234 Alberto della Piagentina: 58 Alessandro VII, papa: v. Chigi Fabio Alighieri Dante: v. Dante Alighieri Andrea Cappellano: 355 Apuleio: 105, 220, 226 Aristotele: 316 Arnaldo da Villanova: 58 Assemani Giuseppe Simonio: 37 Audin Stefano: 16 Avicenna: 58 Barberini Francesco, cardinale: 6 Barlaam Calabro: 208 Bartolo da Sassoferrato: 2 Bembo Bernardo: 35, 37 Bembo Pietro: 1, 37, 327-330, 332, 335, 337, 340-342, 344, 349 Bembo Torquato: 37 Benvenuto da Imola: 163, 187-244 – Comentum super Dantis Aldigherii Comedie Introductio: 195, 207, 235 Inferni I 31-33: 189, 195, 198 II 7-9: 195, 236 - 10-12: 189, 194, 195, 236 - 82-93: 195, 237 III 70-71: 189, 196, 213 IV 129: 196, 238 V 61-63: 200 - 103-105: 201 VI 37-39: 189, 196, 238 VIII Intr.: 207 - 40-42: 196, 203-207 - 58: 215 X 43-48: 189, 196, 209 XIII 136-138: 189, 196, 198

XIV 31-39: 187 XV 61-66: 189, 196, 213 - 67-69: 196, 214 - 70-72: 189, 196, 209, 239 XVI 70-72: 196 XVII 127-136: 205 XXVI 88-99: 200 Purgatorii VI 13-15: 189, 196, 240 - 16-18: 189, 196, 198 VII 64-69: 192 IX 85-87: 189, 196, 240 X 28-33: 190 XI 94-96: 189, 196, 241 - 97-99: 196, 241 - 109-142: 305 XII 70-72: 189, 196, 214-215 XIII 136-138: 214 - 151-154: 187 XIV 16-18: 189, 196, 211, 212 - 97-99: 189, 196, 241 - 97-107: 229-231 - 106108: 189, 196, 242 XVII 13-18: 196, 242 XX 52-60: 192 - 91-93: 189, 197, 215, 216 XXI 82-87: 197, 218 XXII 73-75: 200 XXIII 103-105: 227 XXIV 56: 232 XXVI 124-126: 232 XXVIII 49-51: 200 XXX 34-39: 197, 242 - 127-132: 190, 197, 209-210 - 145-148: 207 Paradisi I Intr.: 192 - 28-30: 200, 208 IV 1: 194 - 4-6: 197, 243 V 81: 194 VIII 58-60: 197, 212 XII 136-137: 193 XV 25-27: 200 - 97-99: 187, 190, 197 XVI 30: 232 - 49-51: 190, 192, 193, 197, 211 XVII 43-45: 190, 197

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

XX 61: 194 - 64-66: 197, 243 - 67-72: 197, 243 XXII 73-75: 190, 194, 197, 199 XXIX 72: 232 XXX 133-138: 197, 244 – Recollecte bolognesi: 187, 202, 208 Purg. XIV 97-107: 228-229, 231 Purg. XXIV 56: 231 – Recollecte ferraresi: 187, 198, 199, 201, 202, 210, 224, 225, 227, 233 Purg. XIV 97-107: 229, 231 Purg. XXIV 56: 231, 232 – Commento al “Bucolicum carmen” di Petrarca: 200 – Commento ai “Georgica” di Virgilio: 211 – Commento a Lucano: 208, 211, 219, 220, 223, 227 – Commento a Valerio Massimo: 215, 220 – Libellus augustalis: 215 – Romuleon: 188, 219, 221, 225 Benvenuto da Imola (?) 47, 232, 233; v. Glosse Riccardiane Biadaiolo: v. Lenzi Domenico Bibbia: 306, 310 Boccaccio Giovanni – Argomenti della “Commedia” (“Brieve raccoglimento”): 7, 17, 20, 40, 45, 51, 55, 104, 110, 116, 124, 139, 148, 152, 154, 157, 158 – Buccolicum carmen: 33, 49, 56, 93, 99, 103, 191, 197, 200 IX: 313 – Carmina III: 309 V: 5, 35, 51, 114, 116, 122-125, 164, 294, 319 VIII: 8, 18, 46, 294 – Chiose Toledane Purg. XI 133-141: 268 – Consolatoria a Pino de’ Rossi 34-37: 245 164: 282 – Comedia delle ninfe fiorentine I 5: 266 - 8: 282 - 10: 305 - 14: 305 III 6: 305 – Corbaccio 196 (282): 312

– De casibus virorum illustrium: 193, 196, 197, 200, 211, 214, 220, 224 II 5: 306 III 10: 308 III 14: 191, 306, 313, 319, 322 VII 8: 197, 218 VIII 1: 191 VIII 3: 215 IX 21: 197, 216-217 IX 27: 191 – De montibus, silvis, fontibus ecc.: 197, 200, 211, 220 I 234: 196, 214 III 114: 191, 197, 212 IV 23: 196, 213 V 3: 196, 212, 214 VII 126: 191 – De mulieribus claris: 56, 197, 220 Proemio: 191 LXXXIV 4: 282 LXXXVIII: 200 XCVII 3: 200 – De vita et moribus D. Francisci Petracchi: 2-3: 322 7: 322 21: 309 – Decameron: 2, 9, 43, 49, 56, 57, 59, 60, 93, 99, 139, 141, 143, 145-149, 152-154, 157, 158, 160, 162, 193, 197, 199, 201, 202, 221, 249, 288, 289, 295, 324 Proemio: 394, 395 I Intr.: 149, 300, 372, 373, 375, 379, 385, 394, 395 I 1: 196, 197, 201 I 2: 194, 195, 201 I 3: 196, 201 I 8: 196, 201 II 8: 384 II 9: 297 III 2: 201 III 10: 296 IV Intr.: 309 IV 1: 296 IV 4: 194, 197, 201 IV Concl.: 291 V 2: 307 V 4: 196, 201 V 8: 192, 196, 201 V 9: 308 VI 5: 196, 201 VI 9: 196, 201

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INDICE DEGLI AUTORI E DELLE OPERE

VII 1: 149 VIII 4: 264 VIII 7: 159 IX 8: 196, 201, 202-207 IX 10: 149 X 2: 196, 201 X 6: 194, 197, 201, 291 X 9: 196, 201, 321 Conclusione: 296 – Elegia di madonna Fiammetta VIII 3: 281 VIII 18: 309 – Epistole III: 101 VI: 24, 83, 104, 311 IX: 246 XIII: 201, 280 XIV: 191 XV: 246 XVIII: 191 XIX: 191, 322, 323 XX: 191 XXIII: 191, 320 XXIV: 191 – Esposizioni sopra la Comedia di Dante: 45, 49, 109, 163, 178, 183, 198, 207, 208, 214, 220, 285, 286, 306 Accessus: 287, 318, 322 I I: 191, 269, 310, 318, 323 I II: 269, 300 II I: 191, 208, 309, 312 II II: 297 III II: 287 IV I: 133, 191, 208, 297, 299, 301, 302, 310 VI II: 306 VII I: 300, 311, 317 VIII I: 205 X: 246 XV: 59, 191, 306, 312, 316, 322 – Filocolo II 13: 281, 310 II 48: 291 IV 45: 310 IV 53: 281, 282 IV 106: 281 V 16: 281 V 49: 281 – Filostrato Proemio: 281 – Genealogie deorum gentilium: 33, 47, 49, 56, 83, 122, 197, 199-201, 208, 220, 224,

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225, 233, 234, 249, 285, 286, 287, 325 I Pro 1: 192 I Pro 2: 309 II 9: 317 IV 14: 191, 200 V 22: 306 VII 29: 313, 317, 324 VIII 4: 200 IX 4: 200 XI 40: 200 XII 65: 306 XIII 1: 312 XIV 4: 309, 312, 322 XIV 7: 286, 309, 318, 319 XIV 8: 286, 293, 299 XIV 9: 308 XIV 12: 313 XIV 13: 310 XIV 16: 306, 313 XIV 22: 200 XV 6: 193, 322 XV 7: 305 XV 10: 319, 322 XV 13: 296 XV Concl.: 191 – Lettere II: 3, 31, 139 – Miscellanea Laurenziana: 86 – Prefazione alla “Vita nuova” (Nota “Maraviglierannosi molti ecc.”): 40, 139, 142, 162 – Rime XC: 310 CXXIII: 306 – Rubriche della “Commedia”: 139, 148, 152, 154, 157, 158, 297 – Teseida: 2, 14, 24, 28, 29, 33, 34, 42, 49, 81, 94, 95, 104, 108, 139-146, 148, 151, 154-156, 158, 159, 162 IV 57: 281 V 27: 303 - 98: 160 VI 53: 291 X 32: 160 Chiose: 14, 139-146, 148-152, 154-156, 158, 159, 162, 254 – Trattatello in laude di Dante Prima redazione: 20, 39, 43, 84, 103, 105109, 133, 139, 141, 143, 145, 146, 148, 152, 154, 156-158, 160, 200, 207, 208, 220, 245-249, 253, 267, 283-325 1: 308 3: 305

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3-6: 245 11-16: 196 12: 209 13-15: 207 16-18: 195, 287 19: 305 20: 207 22: 296, 305 23: 305, 322 25: 287, 322 26: 319 30-38: 197 40: 293 40-46: 197 43: 210 55: 281 60: 293 63: 287, 305, 322 69: 245 75: 305 83: 312 86-91: 197 93-94: 245 111-113: 195 116: 305 118: 324 121-122: 196 123: 322 125: 304, 319 126: 319, 323 128-129: 310 130-131: 286 133: 290, 310 135: 324 136: 310 137: 309 139: 318 141: 299 141-142: 309 142: 311 143: 299 148: 318 156: 272 157: 294, 310, 317 159-162: 313-318 162: 319 163: 280 167-170: 306 168: 246 170: 196, 209 178: 287 179: 306 180-182: 207

DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

181-182: 307 190-192: 195 192: 287, 293 195: 207 195-197: 306 211-228: 195 212: 318, 319 213: 322 216-218: 320-322 219: 319, 323 220: 282, 316 220-221: 317 222: 306 226: 287 228: 255 Seconda redazione, testo A (già “Secondo Compendio”): 4, 38, 51, 84, 114-117, 122, 123, 125, 139, 141, 145, 146, 148, 152, 154, 156-158, 160, 200, 208, 210, 245250, 253, 283-325 1: 308 3: 305 4: 292 9: 196, 209 17: 305 19: 305 20: 322 21: 319, 322 23: 305 32: 293 33: 293 39: 308 41: 281 43: 281 47: 291 50: 296, 297, 305 56: 265, 305, 324 61: 291 65: 301-303 69: 293 71: 305 78: 304, 319 79: 277 80: 264 81: 295 83: 301, 324 83-85: 286 87: 266, 290 88: 264, 300 89: 264 93: 318 94: 297, 300 95: 264

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INDICE DEGLI AUTORI E DELLE OPERE

96: 297, 309 97: 295 99: 310 100: 311 104: 265, 269, 294, 317, 323 105-109: 313-318 110: 284 112: 196, 209, 306 118: 307, 324 121: 295 126: 210 129: 287 133-134: 306 137: 301 141: 264 142: 295 145: 318-320 147: 308, 322, 323 149: 320-322, 324 150: 323 151: 316, 317 154: 295 157: 298 Seconda redazione, testo B (già “Primo Compendio”): 245-325 1: 308 3: 305 4: 292 10: 264 17: 305 20: 322 21: 319, 322 23: 305 30: 266 32: 293 33: 293 39: 308 41: 281 43: 281 47: 291 49: 258 50: 296, 297, 305 54: 268 56: 324 61: 291 65: 266, 301-303 69: 293 78: 266, 304, 319 79: 277 83-85: 286 83: 301, 324 87: 266, 290 88: 300

501

93: 318 94: 269, 297, 300 96: 297, 309 99: 310 100: 311 102bis (= 102.a-q): 313 102.c: 318 102.e: 279, 281 102.g: 281 102.h: 313 102.i: 281, 322 102.l: 281, 283 102.m: 281 103: 272 104: 266, 294, 317, 323 105-109: 313-318 106: 266 110: 280, 283, 284 118: 307 121: 294 126: 281, 283 134: 305 137: 301 142: 295 145.b: 279 145.d: 266, 281, 282 145.e: 274 145.f: 318-320 147: 308, 322, 323 149: 324 149.a-b: 320-322 150.a-b: 323 151: 316, 317 151.a: 282 151.b: 316 155: 266 156bis (= 156.a-c): 313 156.b-c: 255, 266 157: 298 – Zibaldone Laurenziano: 86, 124, 135, 322 – Zibaldone Magliabechiano: 31, 85, 124 Boccaccio Iacopo: 109 Boezio Anicio Manlio Severino: 310, 311, 313 Bonaventura da Bagnoregio, santo: 202 Bondì Testari: 59 Borghini Vincenzio: 52 Bosone cardinale: 58 Brucioli Antonio: 344 Brunetto Latini: 25, 58, 59 Capponi Giovanni d’Agnolo: 61, 150, 352 Capponi Vincenzo di Bernardino: 19

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Caracciolo Landolfo: 58 Carafa Filippo, cardinale: 11 Carducci Giosue: 199 Carlo IV, imperatore: 44, 246 Castellano da Bassano (?): 310 Castiglione Baldassarre: 1, 349 Cavalcanti Guido: 5, 51-53, 93, 114-117, 121125, 175 Cavalcanti Mainardo: 60 Chigi Fabio, cardinale: 6, 55 Chiose Ambrosiane (alla “Commedia”): 222 Cicerone Marco Tullio: 282, 296, 305, 319 Cino da Pistoia: 1, 52 Cittadini Celso: 337 Claudiano: 131 Colocci Angelo: 349-407 Colonna Egidio: 58 Compagni Dino: 324 Conversini Giovanni: 222, 223 Corbinelli Iacopo: 6, 8, 55, 329 Covoni Niccolò di Bettino: 208 Cresci Giovanni Francesco: 345 Dante Alighieri: – Commedia: 7, 17, 20, 23, 25, 29, 35, 38, 42, 43, 48, 51, 53, 54, 57, 81, 84, 102, 103, 106-109, 115-117, 122, 124, 125, 289, 306 Inferno: I 28: 170, 183 - 47: 181 - 113: 174 II 24: 36 III 20: 166, 167 - 72: 171, 174, 183 IV 27: 181 - 130: 168 V 126: 178 X 65: 174, 175 - 103: 177 XII 85: 180, 183 XIII 71: 170 XIV 75: 170, 171 - 138: 174, 176 XV 85: 167, 168 XVII 74: 168 - 104: 174, 175 - 127: 174 XVIII 78: 178, 179 XIX 54: 177 - 124: 170 XXI 125: 178 XXIV 28: 174 - 119: 166, 167 - 120: 167 XXV 66: 177, 178 - 101: 297 XXVI 108: 177 XXVII 8: 167, 168 XXVIII 138: 171, 173 Purgatorio II 23: 170 - 53: 179, 180 III 3: 178, 179 - 56: 167, 168 - 104: 179

IV 72: 171, 174, 175 - 118: 168, 169 V 39: 172 - 44: 180, 182 VI 76: 210 - 138: 287 VII 25: 167 - 26: 167, 168 - 43: 179 - 57: 167, 168 - 73: 167, 168 VIII 1: 168 - 129: 169 IX 42: 170 X 105: 177 XI 36: 177 XV 127: 179 XVI 72: 180 XVIII 63: 166, 167 XIX 4: 172 - 16: 168 - 26: 179 XX 8: 166, 167 - 82: 210 - 90: 180, 181 140: 180, 181 XXIV 20-24: 36 - 37: 168, 169 XXV 75: 180, 182 XXVI 93: 179, 180 XXVII 13: 172, 173 XXVII 102: 166, 167 XXVIII 108: 180, 181 XXIX 67: 169 - 121: 166, 167 - 129: 166, 167 - 135: 170, 171 XXX 46: 172, 174 - 84: 172, 174 - 99: 180, 181 XXXI 43: 179 - 71: 167, 168 - 87: 180, 181, 182 XXXII 47: 172, 174 - 57: 174, 176 XXXII 118: 180, 181 - 135: 180 XXXIII 94: 172, 173 Paradiso I 13: 294 II 1: 298 - 54: 168, 169 VI 50: 170, 171 - 99: 174 VII 52: 167, 168 VIII 67-70: 35 IX 27: 180, 183 X 54: 178, 179 - 115: 285 XI 15: 285 - 21: 168, 169 - 73: 166, 167 XVIII 120: 166, 167 XIX 75: 167, 168 XX 42: 177 XXI 51: 167, 168 XXII 20: 166, 167 XXIII 56: 170, 171 - 67: 298 - 79: 168, 169 XXV 26: 168, 169 XXVI 112: 166, 167 XXVII 47: 36 - 58: 172, 174 XXVIII 24: 167, 168 XXIX 129: 174-176 XXX 33: 174, 176, 177 - 54: 285 XXXI 100: 166, 167 – Convivio: 301, 306

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INDICE DEGLI AUTORI E DELLE OPERE

– Epistole: 280 – Monarchia: 309 – Rime: 5, 17, 20, 39, 41, 45, 51, 52, 55, 81, 84, 103, 106-109, 114-117, 122, 124, 125, 248, 249, 288, 303 – Vita nuova: 4, 20, 25, 39, 43, 46, 51, 103, 105-109, 114-117, 122, 124, 125, 167, 248, 249, 288, 303 Del Chiaro Leonardo: 3, 31, 139 Del Garbo Dino: 5, 52 Del Soncino Giovanni: 223 Della Casa Tedaldo: 47, 223, 224, 225, 226, 227, 233, 234 Della Seta Lombardo: 222 Diario d’Anonimo fiorentino: 149 Dolce Ludovico: 327, 342-347 Donati Forese di Chierico (?): 184 Donati Forese di Simone: 52 Egidio Romano: v. Colonna Egidio Elio Sparziano: 215 Foglietta Agostino: 328 Forcelli Marco: 12 Fortini Bartolomeo di ser Benedetto: 19, 46, 225 Francesco da Barberino: 147, 161, 356 Francesco di ser Nardo da Barberino: 58 Francesco da Buti: 224, 266 Francescuolo da Brossano: 191, 192, 222 Gadda Carlo Emilio: 1 Gabriele Trifone: 328 Gellio Aulo: 223 Geri d’Arezzo: 227 Gianfigliazzi Luigi: 246 Giolito de’ Ferrari Gabriele: 342 Giordano da Pisa: 290 Giovanni d’Andrea: 1 Giovanni de’ Cauli: 25 Giovanni del Virgilio: 135, 222 Giovanni di Salisbury: 2 Giovenale: 16 Glosse Riccardiane [BRF 1035]: 225, 227, 228, 231, 232 Gregorio Magno, santo: 269 Gualteruzzi Carlo: 329 Guarini Battista: 1

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Guglielmo di Conches: 310, 311 Guicciardini Francesco: 1 Guido da Pisa: 58 Guizzardo da Bologna (?): 310 Hamilton, Alexander Douglas duca di: 12 Iacopo Mostacci: 52 Innocenzo VI, papa: 44 Intelligenza: 25 Landino Cristoforo: 250 Lapo da Castiglionchio: 224 Lapo Gianni: 52 Latini Brunetto: v. Brunetto Latini Lattanzio: 312 Lenzi (Benzi?) Domenico, il Biadaiolo: 301 Leonardo da Vinci: 1 Leopardi Giacomo: 1 Libri dei Gianfigliazzi: 149 Libro del monastero di S. Trinita: 149 Livio: 281 Lodovici Romolo: 184 Lorenzo Monaco: 49 Lucano: 208 Machiavelli Niccolò: 1 Macrobio: 227 Manetti Antonio di Tuccio: 250 Mannelli Francesco d’Amaretto: 150 Manzoni Alessandro: 1 Maramauro Guglielmo: 208 Martino da Signa: 109 Marziale: 2, 103 Medici Giuliano de’ (Duca di Nemours): 11, 12 Mela Pomponio: 35 Moggi Moggio: 221 Morando Neri: 221 Morelli Giovanni di Pagolo: 324 Mussato Albertino: 135, 309, 310 Nicola Salernitano: 58 Omero: 2, 21, 44, 131-136, 194, 208, 220, 221, 224, 309 Orazio: 309 Orosio: 2, 135

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Orsini Fulvio: 37, 226 Ovidio: 149, 315 Paolo da Certaldo: 147, 161 Paolo da Perugia: 208, 317 Paolo Diacono: 2 Pasquale Romano: 2 Petrarca Francesco: 1, 34, 35, 37, 44, 52, 60, 164, 184, 188-191, 193, 194, 201, 211, 221, 222, 227, 356 – Africa: 192, 223 – Bucolicum carmen: 191, 221 – Collatio laureationis: 245, 285, 286, 301, 313, 315-317, 319, 323 – De gestis Cesaris: 223 – De remediis utriusque fortune: 282 – De viris illustribus: 282, 305 – De vita solitaria: 211 – Epystole: 224, 245 – Invective contra medicum: 245, 286, 309, 310, 312, 313 – Itinerarium breve de Ianua usque ad Ierusalem: 213 – Laureae privilegium: 294, 316, 318, 319 – Liber sine nomine: 202, 224 – Rerum familiarium libri: 35, 201, 245, 246, 282, 286, 310 – Rerum memorandarum libri: 224, 282 – Rerum senilium libri: 221-223 – Rerum vulgarium fragmenta (Canzoniere): 5, 50, 93, 98, 114, 116, 117, 121, 122, 124, 125, 310, 359 – Secretum: 224 – Triumphi: 365 – Variae: 221 Pietro da Moglio: 221, 222 Pietro Piccolo da Monteforte: 286 Pilato Leonzio: 44, 134, 220, 224 Platone: 309 Poliziano Angelo: 11 Pronapide: 208 Quintiliano (pseudo): 25

Ravegnani Benintendi: 221 Registro di S. Maria di Cafaggio: 149 Remigio di Auxerre: 223 Ricci Guido di Piero di Giovanni de’: 33 Ridolfi Raffaello: 52 Ruscelli Girolamo: 342-344 Sallustio: 305 Salutati Coluccio: 191, 192, 222, 223, 225, 234 Sanudo Marin (il Vecchio): 58 Scannabecchi Bernardo: 36 Seneca: 192, 208 Servio: 309 Simintendi Arrigo: 58 Storia del San Gradale: 281 Storia di fra’ Michele minorita: 324 Svetonio: 219 Tacito: 188, 199, 208, 219, 220 Talice Stefano: 187 Teodonzio: 208 Terenzio: 101 Tiepolo Nicolò: 329 Torini Agnolo: 280 Ubaldi Baldo degli: 1 Ubaldini Federico: 6 Uberti Fazio degli: 52 Valerio Massimo: 188, 233, 305, 309 Varchi Benedetto: 344 Vasari Giorgio: 1 Vergiolesi Tancredo: 192 Vernon George John Warren: 16 Vettori Piero: 8, 55, 349 Villani Filippo: 200, 224, 301, 305 Villani Giovanni: 209, 216, 301 Villani Matteo: 246 Virgilio: 191, 194, 316 Zambeccari Pellegrino: 11, 12 Zanobi da Strada: 104, 208, 219, 226, 227, 246, 311, 318 Zelada Francesco Saverio de, cardinale: 22, 132 Zeno Apostolo: 11, 12

Ramusio Giovan Battista: 328

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INDICE DEGLI STUDIOSI

Abbondanza, A.: 3, 139 Agostinelli, E.: 16, 24 Alessio, G.C.: 211, 224, 233 Asor Rosa, A.: 61 Audin, S.: 16 Auzzas, G.: 3, 9, 13, 16, 19, 22, 139, 311 Avesani, R.: 351 Azzetta, L.: 301 Baldan, P.: 245-246, 306 Baldassarri, G.: 1 Baldelli, I.: 169 Banella, L.: 249 Barański, Z.G.: 207 Barbano, P.: 216 Barbi, M.: 6, 8, 13, 16, 22, 24, 32, 38-40, 45, 82, 85-87, 114, 124, 139, 164, 166, 201, 245-249, 283, 285-288, 291, 296, 303, 305-306, 309, 312, 316-317 Baronci, G.: 8 Bartuschat, J.: 191 Batines, P.C. de: 8, 19, 22, 38 Battaglia, S.: 28, 140, 148, 156, 169 Battaglia Ricci, L.: 9, 14, 16-17, 19, 23, 49, 60 Bausi, F.: 309-310, 313 Bellomo, S.: 208, 301, 305 Belloni, G.: 2 Beltrami, P.G.: 169 Benzoni, G.: 55 Bernardi, M.: X, 349-351, 355-356 Bertelli, S.: X-XI, 2-4, 9, 17, 19, 21, 23-25, 28-29, 31, 36, 38, 42, 44-45, 53, 58-59, 82, 109, 131, 134, 139-140, 142, 164, 183, 232, 245, 288, 294, 301 Berti, L.: 13 Bettarini-Bruni, A.: 246, 250, 289, 296-297, 299 Biadene, L.: 13 Bianchi, R.: 349 Billanovich, Gius.: 8, 16, 24, 35, 38-39, 164, 187, 191, 226, 246, 286, 310-311 Billanovich, Gui.: 310

Boese, H.: 12 Bologna, C.: 14, 125, 349 Boschi Rotiroti, M.: 9, 19, 23, 25, 31, 35, 38, 42, 44, 48, 53,81-83, 124, 164, 224, 232 Brambilla, S.: 254 Brambilla Ageno, F.: 149, 288, 295, 303, 320, 324 Branca, V.: 8, 10-14, 16-17, 19, 22, 24, 38, 44-45, 54, 56-57, 60-61, 85, 101, 134, 149150, 153, 156, 199, 224, 246, 250, 288289, 295-303, 306-308, 311, 324, 349-353, 367, 373, 377, 384, 393, 395, 400, 402, 406-407 Breschi, G.: 38, 150, 163, 288, 295, 300 Brianti, G.: 281 Brieger, P.: 19, 22, 29, 48-49 Brucker, G.A.: 246 Brugnolo, F.: 2 Brunetti, G.: 1, 9, 18-19, 47, 223, 225-229, 231-234 Bruni, F.: 24, 84, 245-246, 250, 280, 291, 301, 306, 312, 318-319 Burgio, E.: 198 Busonero, P.: 28, 103 Campana, A.: 349 Cannata Salamone, N.: 349, 351, 355, 360, 382, 404-407 Cappi, D.: X-XI, 39, 84, 164, 324 Carrai, S.: 17 Carraud, C.: 282 Casali, L.: 40 Casalini, E.M.: 149 Casamassima, E.: 1, 9, 11, 13, 18-19, 22, 60, 346 Castellani, A.: 17, 137, 146-147, 149-150, 155-156, 159 Castelli, M.C.: 17 Cella, R.: 137-138, 141 Cesareo, G.A.: 6 Chiari, A.: 13 Ciampi, S.: 311, 318

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Cian, V.: 11 Ciappelli, G.: 46 Ciaralli, A.: 342, 345-346, 350 Ciardi Dupré Dal Poggetto, M.G.: 14, 16-17, 19, 34, 49, 54 Ciociola, C.: 35, 250 Colella, G.: 281 Coleman, W.E.: 3, 17, 24, 33, 140 Conte, A.: 329 Contini, G.: 16, 303 Corradino, A.: 16, 142, 145, 150, 154, 156 Costantini, A.M.: 13, 311 Cursi, M.: X, 2-3, 9, 14, 17, 19, 21, 23-24, 31, 38-39, 44-45, 49, 51, 54, 56-57, 60, 85-86, 88, 90, 93, 101, 105, 109, 131-132, 134, 143, 150, 164, 183, 202, 245-246, 301-302, 330, 335, 349, 352 Curti, E.: 329, 335 D’Ancona, P.: 19, 49 De La Mare, A.C.: 9, 11, 13, 16, 19, 22, 24, 31, 83-87 De Robertis, D.: 3, 9, 19, 22, 23, 39, 41, 46, 50-52, 81-85, 115-117, 123-124, 139, 247250, 264-265, 285, 287-289, 292, 295, 300, 302-303, 308, 324 De Robertis, T.: X, 2 De Simoni, A.: 207 Di Benedetto, F.: 13, 16, 134 Di Berardino, N.: 9, 23, 141, 156 Di Febo, G.: 250 Dalmazzo, C.: 281 Danzi, M.: 342 Debenedetti, S.: 351 Degenhart, B.: 13, 19, 49 Dekkers, E.: 282, 310 Delcorno, C.: IX-X, 320, 324 Dionisotti, C.: 195, 327 Donnini, A.: 329 Duval, F.: 188, 221 Eribon, D.: 233 Faleri, F.: X, 137, 139, 141-142, 144-145, 150, 154, 161, 268 Fanelli, V.: 349 Fatini, G.: 11 Feo, M.: 35 Feola, F.: 9, 19, 23, 45, 164, 183, 286

Ferrante, G.: 213 Ferretti, G.: 245-246 Fiorilla, M.: 1-3, 9, 14, 17, 19, 23-24, 31, 38, 49, 85, 88, 131, 150, 183, 288, 295 Fraipont, I.: 282, 310 Franciosi, G.: 38 Frati, L.: 11 Frías, L.: 22 Fumagalli, E.: 166 Gigli, O.: 52 Gilson, É.: 318 Giola, M.: X, 39, 84, 164 Gizzi, C.: 343 Godi, C.: 322 Gombrich, E.H.: 233 Gorni, G.: 22, 249 Gramigni, T.: 47 Grattarola, S.: 290 Guerri, D.: 163, 254-255, 277, 286-287, 290292, 295-296, 299, 301, 307-308, 311, 314, 320 Hauvette, H.: 85 Hayez, M.: 244 Hecker, O.: 8, 13, 19, 35 Hijmans-Tromp, I.: 280 Ianni, E.: 9, 13, 16, 19, 22 Inglese, G.: 169, 172, 181, 184 Kirkham, V.: 17 La Favia, L.M.: 207, 222 Lacaita, G.F.: 187, 189, 195 Lami, G.: 19 Lanza, A.: 307 Lazzi, G.: 19 Leonardi, L.: 52 Limentani, A.: 16, 151-152 Lippi, E.: 14, 285 Lippi Bigazzi, V.: 149 Lombard, A.: 146-147 Macrì-Leone, F.: 245-248, 283, 285-287, 290, 296, 299, 303, 317 Malagnini, F.: 2, 9, 14, 17, 19, 23, 29-30, 33, 38, 61, 84, 140-141 Malato, E.: 82-83, 224-225, 232

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INDICE DEGLI STUDIOSI

Mann, N.: 221 Manni, P.: 17, 138, 141, 143, 146-147, 149151, 154-156, 159-160, 383 Martellotti, G.: 192, 208 Marti, M.: 14, 290, 293, 295 Massèra, A.F.: 19, 191, 295 Mattesini, F.: 223, 225, 234 Mazza, A.: 9, 13, 16, 19, 22 Mazzon, V.: 221 Mazzoni, F.: 289 Mazzucchi, A.: 82-83, 224-225, 232 Mecca, A.E.: X, 9, 19, 23, 38, 41, 163, 165168, 170-171, 175, 181, 184-185, 286 Megas, A.Ch.: 309 Meiss, M.: 19, 22, 29, 48-49 Menichetti, A.: 169 Mésoniat, C.: 309 Meyer, W.: 32 Migliorini Fissi, R.: 211 Moore, E.: 305 Morello, G.: 14, 16, 54 Morison, S.: 346 Moroni, O.: 329 Morpurgo, S.: 19, 46 Motolese, M.: 1 Murano, G.: 1 Mussafia, A.: 150 Nadin, L.: 150 Nauta, L.: 310 Negroni, C.: 187 Nencioni, G.: 138 Nocita, T.: 14, 61 Nolhac, P. de: 38, 226 Novati, F.: 190-191 Octavio de Toledo, J.M.: 22 Orlandi, M.: 224 Osio, F.: 310 Pade, M.: 221 Padoan, G.: 13, 45, 109, 133, 163, 178, 184, 198, 208, 286, 295, 303, 306, 311 Pakscher, A.: 139, 246 Palermo, F.: 52 Palma, M.: 2, 23 Pani, L.: 2 Pantarotto, M.: 86-87, 104, 124, 134-135

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Pantone, D.: 207 Paolazzi, C.: 39, 188, 194, 202, 224, 246, 250, 286-287, 301, 312-313, 318 Paoletti, L.: 188 Parodi, E.G.: 170 Pasquini, E.: 34 Pasquino, P.: 187-188 Pastore Stocchi, M.: 3, 13, 16, 52, 208 Pasut, F.: X, 38, 48 Pellegrin, E.: 226-227 Pérez Barcala, G.: 351 Pertusi, A.: 224 Petoletti, M.: X, 1-2, 49, 131, 199, 208, 227 Petrocchi, G.: 9, 19, 22, 35, 38, 40-41, 45, 84, 163-167, 169, 171-172, 184-185, 286 Petrucci, A.: 2, 9, 13, 16, 23-24, 31, 35, 37-38, 56-57, 82, 85, 116, 148, 330, 346 Petrucci, L.: 137, 149 Piacentini, A.: 164 Piazzoni, A.M.: XI Picchio Simonelli, M.: 13 Pignoria, L.: 310 Pinto, G.: 301 Pisoni, P.G.: 208 Pomaro, G.: 17-19, 31, 36, 38, 47, 164-166, 168, 225, 234, 311 Pontani, F.: 221 Porta, G.: 209, 246, 301 Procaccioli, P.: 1, 345 Promis, V.: 187 Pulsoni, C.: X, 9, 19, 22, 35-38, 44, 55, 139, 164, 183, 327, 329, 335, 347, 351, 402 Punzi, A.: 2 Quaglio, A.E.: 9, 12, 266, 305 Quondam, A.: 342 Rafti, P.: 2, 14, 61, 183 Ragone, F.: 246 Raimondi, E.: 202 Rea, R.: 9, 23 Regnicoli, L.: 56 Renzi, L.: 308, 382 Ricci, P.G.: 6, 8-9, 13, 16, 19, 22, 24, 32-33, 39, 45, 50, 56-57, 83-87, 101, 114-115, 117, 133, 143, 164, 216, 245-250, 252, 254-255, 264, 277, 283-285, 291-293, 295, 299-301, 304-306, 308-315, 322, 325, 349

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Rigo, P.: 200, 220 Rigoli, L.: 19 Rizzo, S.: 221 Roddewig, M.: 9, 19, 22, 35, 38, 46, 82-83, 164 Rohlfs, G.: 382, 389 Rohrbach-Weber, L.: 17 Romanini, F.: 9, 19, 23 Romano, V.: 295, 309 Romei, G.: 342 Roncaglia, A.: 16 Ronconi, G.: 309-310, 318 Rossi, A.: 2, 13, 16-17, 246, 287, 289, 292293, 295, 314, 320, 324 Rossi, L.C.: X, 18, 188, 192-193, 200-202, 208, 211, 213, 215, 220, 222-223, 227, 239 Rossi-Casè, L.: 190 Rostagno, E.: 245-246, 253-255, 277, 285, 287-288, 290-292, 317 Russo, E.: 1 Salmi, M.: 49 Salvi, G.: 308, 382 Sampoli Simonelli, M.: 13 Sanguineti, F.: 9, 19, 23, 166 Santagata, M.: 34-35 Sapegno, N.: 172 Sapori, A.: 149 Sarasini, L.: 225 Sasso, L.: 245 Savino, G.: 2, 187 Scarpa, E.: 208 Scheffer-Boichorst, P.: 245, 287 Schmitt, A.: 13, 19, 49 Schwertsik, P.R.: 208 Scuricini Greco, M.L.: 19, 49 Signorini, M.: 85 Singleton, Ch.S.: 13, 19, 22, 29, 49 Solerti, A.: 294, 318-319 Sorella, A.: 328 Spagnolo, L.: 184 Staccioli, G.: 13 Storey, H.W.: 2 Stussi, A.: 141, 147, 150, 156, 274, 281 Suitner, F.: 310 Supino Martini, P.: 86

Tanturli, G.: 249, 288 Tavosanis, M.: 327, 329 Tempestini, S.: X Teodori, C.: X Tobler, A.: 13 Tomiello, A.: 86-87, 104, 124, 134-135 Tonello, E.: 184 Toynbee, P.: 195, 200-201, 207, 210, 215, 220-221, 226-227 Traversari, G.: 35, 164 Travi, E.: 328 Trevi, E.: 324 Trovato, P.: X, 35, 44, 124, 164, 166, 341, 343-344 Tufano, I.: 200 Uberti, M.L.: 201-202, 207, 244 Vandelli, G.: 3, 8, 16, 19, 22, 29, 34-35, 40, 46, 49-50, 109, 115, 140, 163, 184-185, 245, 289, 294 Varanini, G.: 14 Vattasso, M.: 37 Vecce, C.: 17, 328 Veglia, M.: 166 Vela, C.: 335 Velli, G.: 38, 46 Vian, P.: XI Villani, N.: 310 Vitale, M.: 17, 61, 150, 161 Volkmann, L.: 19, 49 Volpe, A.: 19 Weiss, R.: 190 Wilkins, E.H.: 50 Witte, C.: 52 Zaccaria, V.: 216, 249, 286-287, 295, 306, 309, 312, 322, 324 Zambrini, F.: 19 Zamponi, S.: X, 2, 23, 32, 36, 86-87, 104, 124, 134-135, 177 Zazzeri, R.: 149 Zingarelli, N.: 253 Zoppi, F.: 250

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INDICE DELLE TAVOLE

Tav. 1 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 1r Tav. 2 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 29r Tav. 3 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 34r Tav. 4 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 34v Tav. 5 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 43v Tav. 6 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.V.176, f. 55v Tav. 7 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, f. IVr Tav. 8 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, p. 1 Tav. 9 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, p. 7 Tav. 10 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VI.213, p. 359 Tav. 11 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 1r Tav. 12 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 13r Tav. 13 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 16v Tav. 14 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 47v Tav. 15 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 72v Tav. 16 - Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90, f. 96v Tav. 17 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 1r Tav. 18 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 3r Tav. 19 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 64v Tav. 20 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni, Ms. 325, f. 75v Tav. 21 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 4r Tav. 22 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 7r Tav. 23 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 124r Tav. 24 - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 186r Tav. 25 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 29r Tav. 26 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 52r Tav. 27a - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 142r Tav. 27b - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 142v Tav. 28 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 257r Tav. 29 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v Tav. 30 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v (raggi ultravioletti) Tav. 31a - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 66.1, f. 43r Tav. 31b - Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 67 sup., f. 10r Tav. 31c - Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 67 sup., f. 115v Tav. 31d - Paris, Bibliothèque Nationale de France, Lat. 8082, f. 4v

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DENTRO L’OFFICINA DI GIOVANNI BOCCACCIO

Tav. 32 - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v Tav. 33a - Roma, Musei Capitolini, Collezione Albani, Nr. inv. MC0557, Ritratto di Omero Tav. 33b - Moneta da 50 dracme raffigurante Omero Tav. 33c - Ritratto di Omero, Incisione di Giuseppe Benaglia (Iliade di V. Monti, Milano 1825) Tav. 33d - Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Ms. A.55, f. Iv Tav. 34 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 29.8, f. 59v Tav. 35 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 29.8, f. 45v Tav. 36a - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267r Tav. 36b - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v Tav. 36c - Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6, f. 267v Tav. 37 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3199, f. 1r Tav. 38a - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3199, f. 1v Tav. 38b - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3199, f. 60v Tav. 39 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3384, f. 1v Tav. 40 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3384, f. 1r Tav. 41 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 26 sin. 7, f. 24r Tav. 42 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 26 sin. 7, f. 67r Tav. 43 - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 26 sin. 7, f. 67v Tav. 44a - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 89r Tav. 44b - Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 1035, f. 105r Tav. 45 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 5004, p. 220 Tav. 46 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Capponiano 10, f. 47r Tav. 47 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4824, f. 47v Tav. 48 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Stamp. Cappon. IV.508, f. 1r Tav. 49 - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Stamp. Cappon. IV.508, f. 2r

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TIPOGRAFIA VATICANA

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