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Italian Pages 143 Year 1978
RAFFAELE DI VIRGILIO
DALL'EPOS AL.-ROMANZO INTRODUZIONE ALLA NARRATIVA · GRECA ANTICA ·
DEDALO LIBRI
a mia mogli.e
Sintesi orientativa
L'Odissea può essere gustata solo come libro, l'Iliade invece ha due volti nettamente riconoscibili: la vernice libresca che nel testo a noi noto fa velo ai canti iliadici genuini, infiltrandosi anche nel tessuto narrativo, è cosmesi odissiaca, cioè alfabetica. Il numero, l'estensione e la ' sintassi ' di quei canti sono adiaphora critici. La questione omerica, che ha un profondo significato culturale su cui finora non si è insistito abbastanza, va risolta liquidando il problema od.issiaco come insussistente (l'Odissea siamo noi), e utilizzando alla rovescia, per l'Iliade, la teoria dei canti sparsi - penso al Lachmann e, in particolare, a G. Jachmann - , nel senso che la veste moderna dei Lieder iliadici non deve essere un baricentro critico, proprio perché non è una / orma, ma, appunto, un rivestimento, arricchito di imbottiture calibrate. Solo l'Odissea merita veramente di essere letta in tutti i suoi contrappunti strutturali - a proposito della analoga letterarietà dell'Antigone di Sofocle, già nel 1967 parlai di aristocratici 'contrappassi' di danza, citando Pitagora (« Rivista di Filologia e di Istruzione Classica», pp. 142-156) - ; studiare invece l'Iliade con la medesima ottica significa invischiarsi in una ragnatela, rinunciando di fatto a cogliere l'essenza della poesia orale autentica. A questa soluzione organica del problema omerico, la 7
quale consente di guadagnare alla storia della nostra cui-tura .un settore poco esplorato della grecità pre-alfabetica, segue nella prima parte del presente lavoro l'indagine sugli sviluppi che lo spirito letterario-romanzesco dell'Odissea e· lo spirito tribale-epico dell'Iliade hanno avuto nella letteratura post-omerica, articolata in modi e tempi che richie-dono una storicizzazione alquanto diversa da quella tradizionale. Dedico particolare attenzione all'elegia, affrontando il problema delle sue origini in base ad un esame lingui-stico, metrico e socio-antropologico incentrato nei poemi omerici. Per quel che concerne la tragedia attica, dalla coesistenza dello spirito epico con quello 'romanzesco' evincol'inserimento del coro nell'ambito dell'eredità culturale iliadica, storicizzando l'eroe tragico come antitesi dell'eroe epico. Esamino poi i rapporti tra oralità e politicità nella civiltà ateniese, illustrando l'oralità sui generis della cultura sofistica, nella quale è dato ravvisare i presupposti immediati ( operanti in misura notevolissima nella storiografia tucididea, che è molto piu romanzesca di quella erodotea, nonostante le apparenze) della letteratura 'visiva ' e libresca, il cui avvento coincide col tramonto della democrazia ateniese. Nella seconda parte del lavoro traccio le grandi linee dell'ulteriore letterarizzazione della cultura greca, in funzione del romanzo d'amore, il quale segna l'ultima fase di quel processo ed è ' figlio ' egiziano del papiro nonché erede della letteratura comico-mimica - mi riferisco anche: al mimo bucolico - , mentre eredita ben poco dall'elegia ellenistica, cui pensava il Rohde. Ed è esclusivamente in questa prospettiva genetica che l'Et6o~ romanzesco risulta qui collocato: lo studio sistematico degli sviluppi tematici e strutturali del romanzo, comunque poco significativi, esula· dall'àmbito della presente ricerca. Raffaele Di Virgiliu.
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Parte prima
Dalla cultura orale alla letteratura orale
Com,era prevedibile, la decifrazione e la pur sommaria esegesi delle iscrizioni micenee hanno avuto profonde ripercussioni nel campo degli studi storici e letterari, mentre le discipline di per sé estranee all,esame dei documenti scritti - prima fra tutte l'archeologia - sono uscite sostanzialmnte immuni dal sisma provocato dalla clamorosa scoperta del Ventris. E' significativo, peraltro, il fatto che anche la linguistica goda di tale immunità, e la ragione di ciò va ravvisata nell'alto quoziente di scientificità di questa disciplina, la quale nel greco miceneo ha trovato ampiamente confermata la validità dei risultati da essa stabiliti in base alla documentazione tradizionale. Nella pagina conclusiva di un suo libro 1 il Palmer auspica una proficua collaborazione tra archeologi e filologi (identificando la filologia con la linguistica), ma sembra ignorare i gravi rischi che lo studio dei primordi della cultura greca corre ad opera di certi storici i quali, da filologi inesperti, possono impantanare di nuovo lo studio delle origini greche, sia violen"' tando i dati testuali della lineare B sia stabilendo raccordi arbitraci tra la cultura micenea e quella omerica, distanziate, come si sa, dal cosiddetto medioevo ellenico, che è buio soprattutto perché è mutò. E restituire la parola ai muti è difficilissimo, a meno che, nella fattispecie, presupposti oggettivi non autorizzino ad interpretare come « eloquenti» determinate forme asemantiche di linguaggio - ad 11
esempio le pitture vascolari - , e a meno che certi anelli di congiunzione tra la civiltà linguistica micenea e quella omerica ·non siano ricostruibili con sufficiente esattezza; questa ultima possibilità è, comunque, soltanto teorica, e poiché la novità e l'alto livello della poesia omerica inducono a pensare che nel corso di quei secoli oscuri sia avvenuta una vera e propria rivoluzione culturale, è ovviamente con-· sigliabile esplorare il medioevo greco prendendo le mosse dagli esiti di quella rivoluzione piuttosto che dal ~ondo miceneo, la cui facies risulta sostanzialmente estranea alla grecità che ci è familiare. In altre parole, il germe della grecità classica non poté che essere ' classico ,, e tutto cospira a far ritenere - sia pure in termini di ipotesi di lavoro da verificare - che la fioritura di tale germe sia.iniziata verso la fine di quel lungo periodo intermedio. In questa direzione sarà partièolarmente utile l'ausilio di studiosi sorretti da una preparazione linguistica specifica e· collaudata, se è vero che proprio la linguistica è uscita in-denne dal ciclone miceneo che ha spazzato via molti pregiudizi storico-letterari. Con ciò non voglio escludere daf tempio della verità tutti gli storici della cultura che non possano esibire un certificato di apprendistato filologico; voglio solo precisare che è difficile riconoscere nei veri sto-rici i veri filologi, anche per il semplice fatto che l'ostilità· dimostrata in passato da certa critica nei confronti dellafilologia può aver costretto anche gli scienziati del testo a· non permettere il libero ingresso nella loro officina filo-logica, con -gravi -conseguenze per il progresso degli studi classici. E' naturale che gli storici della civiltà letterariasiano inclini agli arbitri critici meno degli storici della ci-viltà politica, poiché i primi .in genere familiarizzano di piu con la scienza linguistica, ma torno a ripetere che anche la storia lett~raria dei primordi greci ha subito un forte contraccolpo dalla decifrazione greca della lineare B, sebbene abbia cercato di mascherare i segni evidenti di quell'urtofrontale. Non è di oggi l'affermazione del Gallavotti, se12
condo cui « il problema della possibile esistenza di forme letterarie nel mondo miceneo è una questione che bisogna porsi. Ma la risposta affermativa, con cui viene di solito risolto il problema, è data quasi per dimostrata e per ovvia, senza addurre a riprova una qualsiasi testimonianza apprezzabile» 2 • In merito alla questione il Gallavotti si è assunto un compito metodologicamente ineccepibile - ma anche un po' imbarazzante, quasi da « avvocato del diavolo» - , consistente nello sgombrare il campo da ogni incrostazione storica e nel far quindi il vuoto fra età micenea ed età omerica, sottolineando la spaccatura che divide le due epoche - contrariamente ai succubi dell '« horror vacui », che cercavano affannosamente di riempire quel vuoto con mezzi di fortuna - , per poter ;poi anche recuperare, senza pregiudizi di sorta, tutte le indicazioni utili che la storiografia tradizionale potesse offrire per la soluzione corretta del problema. Si mediti su queste parole, scevre da illusioni, ma proprio per questo rassicuranti: « La prova di un'eventuale tradizione poetica preomerica ha bisogno di essere ricavata ancora oggi dal testo stesso di Omero, se è possibile; ma tradizione poetica preomerica non significa per ciò stesso letteratura di età micenea » 3 • Coloro che dalla lettura della lineare B si aspettavano la soluzione del problema omerico sono rimasti delusi, ed è forse a causa di questa delusione che negli ultimi anni si è diffuso un inconfessato senso di sfiducia nella -possobilità d'impiego critico della parola scritta, e l'interesse di certi studiosi si è orientato verso il recupero della oralità non solo della tradizione epica, ma anche della migliore produzione letteraria greca d'età attica, con la conseguenza che gli studi sulla civiltà greca della scrittura hanno avuto lo scopo di abbassare il più possibile la fascia cronologica dell'avvento della civiltà del libro, e le indagini del Parry sullo stile formulare di Omero sono tornate d'attualità 4• Ovviamente l'importanza della tradizione orale dell'epica non va né ignorata né sottovalutata, purché l'interesse per 13
l'oralità analfabeta della cultura greca non superi i limiti imposti dall'uso corretto della documentazione relativa, che ovviamente può essere solo indiretta. Ma sul problema della tradizione orale tornerò fra breve. Ora mi preme sottolineare le ripercussioni che la scoperta del Ventris ha provocato nell'ambito degli studi storici, anche con la speranza che qualche storica certezza possa emergere a sostegno di un'interpretazione letteraria dell'epos omerico. Il nodo cruciale della questione sta nella definizione, storica appunto, dell'invasione dorica. Dice il Rubinsohn che negli ultimi quindici anni si è affermata « la tendenza, soprattutto fra gli studiosi di lingua inglese, ad accettare la teoria del Miiller, basata sull'antica tradizione greca» 5 • Ma non è un caso che da piu parti si sia avvertito anche il bisogno di riprendere in esame la teoria elaborata a suo tempo dal Beloch - e sviluppata da studiosi come il Niese, G. De Sanctis e il Pareti - , secondo cui l'invasione dorica non sarebbe mai avvenuta. E se da un lato il Rubinsohn ha cercato di liberare la questione dalle secch,e di quella contrapposizione drastica fra le due teorie, proponendo un compromesso - piu favorevole al Miiller che al Beloch - , consistente nel negare una « diretta connessione tra la fine del mondo miceneo (c. 1200) e la venuta dei Dori (c. 1000) », dall'altro lato J. Chadwick ha cercato di attuare un analogo compromesso - piu favorevole al Beloch che al Miiller - , secondo cui sarebbe stata la stessa civiltà micenea ad esprimere dal proprio seno la preponderanza dell'elemento dorico, con la conseguenza che la cosiddetta invasione dorica non sarebbe altro che un ricongiungimento dei Dori di Creta con i Dori peloponnesiaci vissuti anonimi all'ombra dei loro dominatori micenei 6 • Come ognuno può notare, è difficile stabilire da qual parte sia la verità; né la filologia - per le ragioni obbiettive sopra esposte - può pretendere di dare una risposta definitiva al problema: la scientificità dei procedimenti filologici, se vuole esser tale, deve, allo stato attuale della documentazione disponibile, lasciare 14
il debito spazio alla sospensione del giudizio, e può, semmai, dar credito all'univocità della tradizione antica, sia pure in via d'ipotesi e nella misura in cui le notizie fornite dagli antichi non contrastino con i pochi dati storici oggi universalmente acquisiti come sicuri. Secondo Tucidide l'invasione dorica avvenne 80 anni dopo la caduta cli Troia 7, e questa testimonianza non può essere contestata a cuor leggero. Non mi nascondo le difficoltà che si oppongono al tentativo di ricostruire la genesi della poesia epica greca. Penso comunque di poter ripercorrere nelle linee essenziali lo svolgimento cli quell'esperienza culturale straordinaria e individuarne i momenti piu significativi, enucleando dai poemi omerici - con i mezzi filologici e storici disponibili - gli aspetti tipici della civiltà epica, genuina e no, riconducibili ad epoche diverse, che, pur determinate in modo approssimativo, corrispondono fedelmente alle fasi evolutive dell'epos quali emergono dalle leggi che regolano il suo sviluppo. Si può esser certi che una poesia epica di età micenea non possa in alcun modo esser postulata come preludio diretto della poesia omerica. Il Gallavotti ha sottolineato con rigorosi criteri metodologici e con ricchezza di dati filologici e linguistici la sostanziale impossibilità di far risalire all'età micenea una tradizione epica ininterrotta, ed ha precisato giustamente che « la raffinatezza artistica cli un dato ambiente letterario non presuppone necessariamente un'esperienza calcolabile a secoli piuttosto che a decenni » 8 • Ciò significa che anche indipendentemente da ciò che ho già osservato esistono argomenti sufficienti per ritenere che i primordi dell'epos omerico possano essere collocati in una fascia cronologica molto vicina alla redazione definitiva dell'Iliade e delPOdissea. A questo punto si rende necessario stabilire in quale misura i due poemi possano convalidare ancor meglio questa dimensione cronologica ristretta, al di fuori delle indicazioni che essi hanno fornito al Gallavotti per quel che concerne la lingua, il metro e la fissità for-
mulare. A tale scopo ci soccorre il concetto stesso di epos quale è stato definito con acuto senso storico ed esattezza sistematica da Michail Bachtin, l'insigne studioso sovietico recentemente scomparso, che in un breve saggio risalente al 193-8 ma pubblicato solo nel 1970 - e in traduzione italiana nel 1976 9 - , ha esaminato i caratteri dell'epos e del romanzo, affiancandosi alla filologia nel porre con piu rigore di altri le premesse 10 per tutti gli sviluppi futuri della letteratura critica concernente la storia della narrativa: « L'uomo epico è privo di ogni iniziativa ideologica (ne sono privi sia i protagonisti sia l'autore). Il mondo epico conosce solo un'unica e unitaria concezione del mondo interamente compiuta, ugualmente obbligatoria e indubitabile per i protagonisti, per l'autore e per gli ascoltatori. L'uomo epico è privo anche di iniziativa linguistica; il mondo epico conosce un,unica e unitaria lingua compiuta » 11 • Chi legga il saggio del Bachtin non può sottrarsi all'impressione che la cultura occidentale abbia trovato in lui un singolare erede del proprio patrimonio piu genuino e piu puro, disincrostato da tutte le scorie che l'hanno finora aduggiato. Tutte le osservazioni di questo critico sulla poesia epica hanno un tale rigore storico-sistematico, non so se piu hegeliano o piu aristotelico, da non ammettere repliche. Basta applicare alle origini dell'epos l'idea dell'unicità e unitarietà della lingua e della concezione del mondo, per convincersi che il concetto stesso di tradizione epica va ridimensionato, in quanto pone in crisi la stessa nozione del tempo che dovrebbe essere. il tessuto connettivo di tale tradizione, con la conseguenza che una dilatazione temporale dell'esperienza epica genuina o risulta teoricamente superflua perché irrilevante - quell'esperienza non può avere una storia scandita dal passare degli anni, perché ferma il tempo e quindi è essa stessa immobile - , o è insostenibile perché contrasta di fatto con la dimensione, per cosf dire, sferica del mondo epico, storicamente concentrato e compresso entro limiti cronologici molto ristretti, pena il venir meno delle
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condizioni ideali di immobilità che rendono possibile la fioritura dell'epos. Come· si può facilmente arguire, è lecito parlare di tradizione epica vera e propria solo nei limiti in cui la comunità epica riesce a mantenersi identica a se stessa, immune cioè dai cambiamenti che il succedersi delle generazioni inevitabilmente comporta anche in seno alle società piu conservatrici. Ciò significa che l'epos omerico genuino ha avuto una vita molto breve, durata presumibilmente non piu di tre decenni, i quali ovviamente saranno stati gli ultimi del medioevo ellenico analfabeta: nei molti decenni precedenti si sarà avuta una tradizione di cantilene popolari non epiche, che potrebbero rivestire interesse piu per lo studioso del folclore, che per lo storico della letteratura. Pertanto va non solo scartata l'idea secondo cui « i fuggiaschi (scil. acheo-micenei) portano con sé nella Ionia i loro carmi eroici, e Jà, fra popoli stranieri, sotto l'influsso di civiltà straniere, nel corso di tre secoli nasce l'epos~ 12 una ininterrotta tradizione epica miceneo-omerica è stata dimostrata insussistente dal Gallavotti, come ho già ricordato - ma la stessa formazione dei primi embrioni epici . va collocata, ripeto, in un'epoca molto posteriore alla fine dell'età micenea. La lineare B presenta una facies dialettale eolica arcaica 13 , e mi sembra addirittura ovvio che la guerra di Troia vada considerata come un episodio, divenuto esemplare, dell'emigrazione eolico-micenea nelle zone costiere settentrionali dell'Asia minore; e perché quegli emigrati prendessero pianta stabile in quei territori fu ovviamente necessario che trascorressero molti decenni, dato che le popolazioni locali opposero resistenza all'invasione: i dieci anni dell'assedio di Troia sono infatti .solo il simbolo di una piu lunga durata di quella dura guerra di conquista. Orbene, è assurdo immaginare che la deformazione epica di quelle imprese belliche sia avvenuta nel corso della guerra stessa: gli ascoltatori dell'ipotetico aedo che deformasse vicende storiche che essi ben conoscevano gli avrebbero riso in
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faccia; si noti, del resto, che la conclusione vittoriosa di quella guerra fu agevolata da un terremoto 14, che per essere trasfigurato nel famoso cavallo di Troia dovette attendere parecchio tempo. In genere è necessario che trascorra un periodo di almeno tre generazioni perché un popolo possa trasformare in µv1lw6Eç, le proprie imprese, configurandole come gesta quasi sovrumane 15 • I discendenti degli Achei, cioè gli appartenenti alla medesima stirpe eolica dei conquistatori achei, avranno elaborato già durante la guerra registrazioni orali di questa, appunto eoliche, ma esse non potevano avere niente di epico, per le ragioni suesposte: erano presumibilmente « stornelli sui temi del giorno» 16 • D'altra parte il linguaggio omerico è eolico solo in misura assolutamente irrilevante; né è concepibile che d'un tratto gli Ioni, dopo che gli Eoli ebbero costituito nel corso di qualche generazione una ipotetica tradizione epica vera e propria, decidessero di appropriarsi di quelle canzoni eoliche adornandole di una veste dialettale ionica: la natura stessa dell'epos non consente operazioni drastiche di questo tipo, cosf come non consente neppure il progressivo e graduale assorbimento di una cultura diversa. Tale assorbimento vi fu, ma è pur vero che fu anteriore alla nascita dell'epos. Gli Eoli possono benissimo aver eroicizzato i loro beniamini nei decenni successivi alla èonclusione della guerra, ma questa è una mera ipotesi che, anche se dovesse corrispondere alla realtà storica, non avrebbe nessuna importanza per le origini dell'epos ionico-omerico, perché riguarderebbe una tradizione epica allotria, che andrebbe spiegata e gustata come un fenomeno culturale estraneo ad Omero come ogni altra tradizione epica non omerica, anche posteriore alla grecità. D'altronde eroicizzare non significa necessariamente epicizzare, cioè stabilire rispetto al passato una distanza epica assoluta: il passato assoluto dell'epos genuino 17 è creazione esclusiva della prima civiltà ionicoomerica, e quindi un suo doppione eolico è ancor meno concepibile e comunque apparterrebbe - se fosse esistito 18
alla storia degli epe sfortunati, svaniti nell'aria perché non imbalsamati dalla scrittura. Gli eolismi omerici non sono dunque i residui di una tradizione epica eolica trasferita, gradatamente o no, in ambiente ionico: sono forme dialettali entrate a far parte del linguaggio epico ionico soltanto perché erano cosi poche da non compromettere la sostanziale unità etnico-linguistica del mondo epico omerico 18 • Bisogna pertanto presupporre, nell'ambito del medioevo ellenico, un coinvolgimento diretto e preponderante dell'elemento etnico-tribale ionico nella lotta - quale che ne fosse 1~ natura e l'entità - contro i popoli non greci dell'Asia minore, perché solo in tal modo si può spiegare l'esistenza di un'epopea appunto ionica. I primi embrioni dell'epos omerico sono sostanzialmente estranei alla cultura eolica, la quale può solo aver offerto alla civiltà ionica pre-epica un materiale mitico-storico e forse anche determinati moduli metrici, che gli stessi Ioni pre-omerici elaborarono e fecero propri nella misura in cui riuscirono a prevalere culturalmente sulla stirpe eolica, assumendosi il ruolo di stirpe egemone investita del compito panellenico di guidare e difendere la grecità dal pericolo sempre incombente di una rivalsa delle popolazioni anatoliche. Solo in questa prospettiva è possibile dare una spiegazione del fatto che tutta la Grecia si riconobbe in Omero e lo considerò suo maestro 19 • Quanto ora osservato induce a ritenere che la formazione di quegli embrioni epici in ambiente ionico debba aver richiesto un lungo periodo d'incubazione, corrispondente ad un altrettanto lungo processo di osmosi pre-epica tra Ioni ed Eoli. E l'egemonia degli uni sugli altri può spiegare anche la scomparsa degli antroponimi acheo-micenei in ambiente eolico, senza la quale sarebbe stata impossibile la fioritura di una saga epica alimentata dal « passato assoluto ». Né è casuale che proprio la stirpe ionica abbia sottolineato la propria preminenza culturale « regalando » all'umanità, oltre che i poemi di Omero, l'alfabeto che li ha tramandati ai posteri 2D. 19
Va da sé che il presente discorso riguarda essenzialmente la genesi dell, Iliade, ma nulla impedisce di estenderlo all,Odissea, almeno in linea preliminare. In origine I,Odissea non poté essere un v6elaborazione di una forma statuale molto piu evoluta di qualunque altra. Il primo passo verso la conquista dell'idea di stato fu compiuto con la costituzione dell'Areopago, che avocando a sé il diritto di punire i reati piu gravi, inferse un colpo durissimo all'anarchismo della vendetta privata e pose le premesse per il definitivo superamento della tribalità 146 • Ecco perché solo in Atene poté nascere la storiografia politica di un Tucidide, che è cosa ben diversa dalla storiografia erodotea: Tucidide partecipa dall'interno al dramma della storia, perché Atene ha imparato da Solone il civismo dell'impegno politico, mentre Erodoto scrive guardando alla storia « dalla · riva sicura» 147 • Alla fine del sesto secolo gli Ateniesi erano ancora, per la maggior parte, rozzi contadini e pastori 141 , che guardavano con sospetto e incredulità alle manifestazioni dell'alta cultura, cosf come i contadini e i pastori italiani del secolo scorso vegetavano all'ombra della letteratura ufficiale. Questi Ateniesi erano ancora troppo ' arcaici' per guardare con interesse alla letteratissima tavola geografica che Aristagora di Mileto avrà forse esibito a qualcuno di loro con malcelato sussiego. Ma quell'arcaismo, che li avvicina all'omogeneo e primitivo mondo dell'epos iliadico - il surrogato della antica omogeneità tribale è dato dalla solidità della ·compagine statale - fu il lievito della loro prossima letteratura orale e della loro grandezza. Era solo necessario che alla loro natura, per cosf dire, « ilia80
dica >> si sovrapponesse quella « odissiaca »: ciò avvenne quando essi diventarono prevalentemente uomini di mare. D'altronde tale sovrapposizione di un atteggiamento centrifugo a quello centripeto tradizionale simboleggiato dal sinecismo si ebbe in troppo breve tempo, e dalla coesistenza - che fu uno scontro - di quelle due tendenze si sprigionò la scintilla della tragedia, che nacque con Eschilo e nell'eroe tragico racchiuse rintima essenza della contraddittoria condizione umana. L'eroe tragico è un prodotto culturale squisitamente ateniese: presuppone l'eroe epico, ma lo distanzia da sé rintuzzandone lo spirito arcaico in un limbo di comodo, che trova la .sua sede piu appropriata nell'orchestra del teatro: attraverso il coro la tragedia riconduce lo spirito greco alla sua dimensione originaria di totalità indiscriminata, che non essendo piu una realtà viva ed attuale viene relegata in una zona marginale dell'esistenza. L'eroe epico - che esiste come individuo soltanto perché è piu facile ricavare dal singolo i connotati della comunità che lo esprime - non ha il diritto di sporgere dalla « sfera » della sua società, e poiché la società epica è stata superata dai tempi, egli non ha piu neppure il diritto di emergere come campione di essa, e 'perciò assume un volto corale - vorrei poter dire «formulare» - che è quello della tradizione comunitaria; il solo diritto che egli ha di ' sporgere' è quello di affermare una sua anodina individualità come corifeo, ma solo quando recita e non canta, solo cioè come soggetto di un l6yoç aurorale. Prima ancora che nella miracolosa bellezza della forma poetica, la grandezza della tragedia, cioè della civiltà ateniese, sta nella pertinenza e nella lucidità intellettuale con cui i poeti tragici hanno definito i limiti di una possibile attualizzazione della civiltà omerica, e precisamente iliadica. Sotto questo profilo la distinzione nietzschiana tra apollineo e dionisiaco va riveduta e ridimensionata 149 • In un mondo ricco di slanci e di fermenti ideali 81
come quello ateniese del quinto secolo, l'immobili.tà culturale dell'epos non può trovare una collocazione di rilievo: il coro della tragedia è solo la voce della tradizione, ed è per questo che preferibilmente esso è composto di anziani, cioè di persone che per la loro età ed esperienza sono le piu idonee ad esibire alle nuove generazioni il passato della stirpe. E non è casuale che il coro tragico funga da semplice « cassa di risonanza» dell'azione drammatica 1'>: non ha e non può avere alcuna iniziativa che determini delle novità nello sviluppo delle vicende. Il personaggio che fa da trami te fra l'eroe epico genuino e il coro tragico è Nestore, l'eroe anziano, saggio e non ascoltato. Lo spirito della musica, da cui secondo il Nietzsche sarebbe nata la tragedia è lo spirito epico della Urilias lirica, e solo in subordine è l'empito del ditirambo. La rapida involuzione ionica dello spirito epico autentico, scandita dal lirismo giambico ed elegiaco, dalla narrativa in prosa e dallo spirito dissacratore della Ba:'t'pa.xoµvoµa.xla., se non trova un riscontro parallelo nell'ambiente attico, non lo trova neppure nell'ambiente dorico. La civiltà dorica, agricola e guerriera per eccellenza, era la meglio predisposta a recepire le istanze dell'epos genuino; ed il ditirambo, che appartiene alla tradizione dorica 151 , va interpretato come espressione di un atteggiamento culturale influenzato dallo spirito epico. Chi consideri gli aspetti sociali e ideologici dell'epos genuino non ha difficoltà a riconoscerli, mutatis mutandis, nella società spartana del quinto secolo; la quale peraltro risulta nettamente diversa da quella ateniese coeva, solo perché si attarda ancora su posizioni di immobilismo e di isolamento - tipiche dell'epos primitivo - , assunte dopo la splendida fioritura legata alla epopea della seconda guerra messenica, mentre la società ateniese ha progressivamente modificato il proprio assetto arcaico - e tendenzialmente epico - , rendendosi idonea ad esperire la rivoluzione culturale rispecchiata dalla tragedia. Non mi sembra azzardato sostenere che la guerra del Peloponneso fu uno scontro fra 82
tragedia ed epos, quest'ultimo ovviamente inteso come cultura che si caratterizza per un adeguamento intenzionale e quindi artificiale 152 - ad alcuni vistosi aspetti tipici della società tribale omerica; il guerriero spartiata, ad esempio, è modellato sull'eroe iliadico. Ciò significa che Atene (la quale sviluppa la tragedia dall'epos sia in termini di prassi letteraria sia in sede di crescita storica della propria struttura civica), combattendo contro Sparta combatte anche contro se stessa e contro il proprio passato. Il «coro» dei trenta tiranni ateniesi è anch'esso un residuo dell'arcaico eroe epico, che sembra rinascere sulle ceneri della tragedia e dell'Atene democratica, ma ha vita effimera perché è fuori tempo: la tragedia e l'Atene democratica lo hanno già stroncato molti anni prima. Ho già avuto modo di osservare che l'epos è diventato letteratura - e Odisseo è subentrato ad Achille - , quando l'uomo greco ha cominciato a vivere il dramma angoscioso della morte. Un fenomeno analogo si verifica in Atene con l'avvento della tragedia, la quale è appunto una risposta all'attacco della morte. Tutta l'Odissea è una NÉkuux., e lo stesso si può dire della tragedia; ma mentre l'Omero odissiaco e i lirici arcaici hanno cercato e trovato degli antidoti «letterari» contro la morte - ad esempio, Odisseo nel calore dell'unità familiare, Callino e Tirteo nella difesa della patria, Mimnermo nel potere liberatorio della morte stessa, Solone nel 61.6tiakECri}cx.1, - , gli Ateniesi del quinto secolo hanno usato armi letterarie ancor piu raffinate, e proprio per questo non sono riusciti ad altro se non a scavare piu in profondità e a riconoscere la vita stessa come morte, cioè come tragedia, come solitudine prodotta da una dissociazione letteraria. L'eroe tragico si caratterizza essenzialmente per la sua solitudine culturale, mentre il vero eroe epico ha sempre l'appoggio totale di una cultura che non lo lascia solo, perché è la sua cultura e lo esalta per riconoscersi pienamente in lui. L'eroe epico è sempre vittorioso, ed anche quando appare isolato e vinto non co83
nosce tragedia, non conosce morte: la stessa morte di Ettore, nemico dei Greci, non è una sconfitta. Ecco perché gli eroi della fede cristiana, i paladini di una cultura saldamente istituzionalizzata, hanno alimentato una ricchissima letteratura epico-cavalleresca, ma non una letteratura tragica, e il fatto che quei poemi cristiani debbono essere considerati epos artificiale significa solo che i loro autori non hanno potuto, perché letterati nel senso che qui ho già chiarito, diventare veri aedi di quella cultura: non hanno saputo possedere una patria totale, di cui pur avevano una idea ben precisa, ma che purtroppo non esisteva se non in termini di velleità, letteraria appunto. Il vero eroe epico ha sempre una patria reale e concreta, l'eroe tragico è sempre a.1t0À.1.ç. E' pur vero, comunque, che la vicenda di ogni eroe tragico ha sempre una durata epica, sia pure parziale, sottolineata dalla consonanza degli ideali dell'eroe con quelli del coro, cioè appunto di una figura 'epica'; ma è anche vero che tale durata epica è inevitabile per motivi pratici, dato che la situazione tragica è solo un punto di incontro-scontro tra forze opposte 153 , e come tale non è suscettibile di sviluppo lineare, né dieghematico né, tanto meno, drammatico (cioè ' mimetico '): emblema espressivo di quel punto è l'aoristo cosiddetto « tragico », e in sede critica nessuna formula definisce meglio della schilleriana « analisi tragica » il carattere peculiare del genialissimo modulo drammatico ideato per dilatare la puntualità dell'urto tragico. Inoltre la situazione tragica non è mai un fatto edificante, come invece lo è - e sempre - la situazione epica; e ciò significa che lo spettatore ateniese poteva parteggiare per l'eroe del dramma solo nella misura in cui quest'ultimo diventasse epico. La gloria futura dell'Oreste eschileo e di Edipo è un'eredità dell'epica, e di fatto è fuori dalla vera tragedia di cui essi sono protagonisti. L'oralità della letteratissima tragedia attica sta nel suo carattere epico, e secondo questa prospettiva la catarsi 154 - che ristabilisce ogni equilibrio compromesso dalla letteratura, 84
cioè dalla dissociazione culturale - , è un'esperienza epica che dissolve la tragedia, proprio perché questa non è fruibile come positiva acquisizione sociale. Immagine viva e concreta di questa oralità epica è il coro - di cui ho già indicato gli episodici rapporti d'identità con la vicenda epica dell'eroe - ; e non è affatto casuale che l'avvento della letteratura - intesa nel significato moderno del termine coincida con la morte del coro, sia tragico sia comico (de• positario della oralità epica), proprio alla fine del quinto secolo. Da quanto osservato si può comprendere che non basta leggere il titolo di un'opera di Antimaco - A.t)..i:01., « tavolette » - per convincersi che poco dopo Egospotami la letteratura è diventata visiva: anche l'Iliade e l'Odissea erano state vergate su tavolette. Solo una lettura filologica, cioè veramente storica, dei caratteri distintivi delle opere letterarie inserite nei loro contesti culturali consente di definire i rapporti tra oralità acustica e ' graficità ' visiva. La tragedia in quanto tale, dunque, non solo non sconfigge la morte; ma la sottolinea dilatandone i confini, e poiché è un'operazione altamente letteraria riesce a rispecchiare con lucidità estrema la scissione culturale di cui si nutre: l'eroe tragico muore sempre suicida, anche quando . non avventa le mani contro se stesso; muore perché la morte è esclusione dalla' sfera ' epica, che è vita ed armonia; · la sua vera morte è una terribile dissonanza interiore che produce un vuoto spaventoso e lo rende 1!1toÀ.1.ç, perché la polis integrale, quella che non conosce ' sporgenze ' o scissioni e da cui egli proviene, lo ripudia o comunque gli è estranea: tra l'eroe tragico e la sua comunità - letterariamente mitizzata ma anche degradata dall'autore come armonica unità epica - non c'è possibilità di dialogo. Sofocle ha approfondito progressivamente il senso della tragedia, dal suicidio di Aiace e di Antigone al « suicidio » del primo e del secondo Edipo, con una genialità impressionante. Quando l'epos cerca di sopravvivere, lo ripeto, è già
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morto; e se cerca di resuscitare in seno ad una cultura prevalentemente letteraria come quella ateniese del quinto secolo, a maggior ragione è artificiale e si colora di letterarietà: ciò vale sia per la perfetta ed esemplare omogeneità del coro, sia per l'epicità secondaria dell'eroe tragico. E quando il tracollo della potenza ateniese alla fine del secolo dà l'avvio alla letteratura puramente visiva, Platone rispecchia in modo macroscopico la profonda dissociazione sottesa a quella cultura visualizzata, affidando alla scrittura esclusivamente letteraria non solo l'oralità socratica del dialogo, ma addirittura la polemica stessa contro l'uso della scrittura. Il potere alienante della letteratura si è fatto sentire fin troppo presto nella storia della cultura occidentale e il primo impatto decisivo nella pista letteraria non è stat-0 un atterraggio morbido. Platone esce fuori di sé ed elucubra accademicamente - mai avverbio è stato piu appropriato di questo - sulla ricostituzione di un'umanità integrale, il cui modello è di stampo schiettamente epico, cioè totalitario nel senso sopra precisato: anche per Platone i filosofi possono dire benissimo che lo stato sono loro 155 • Ovviamente, quel modello, proprio perché tale, è artificiale e letterario: l'epos autentico, invece, si modella su se stesso. Non per nulla le simpatie del filosofo vanno alla dorica Sparta, che certamente non è governata da filosofi « platonici », ma che ha il merito di richiamargli alla memoria la cultura iliadica e che - con coerenza degna di nota - non ama affidare alla parola letteraria scritta il suo spirito epico; anzi parla poco, da laconica che è, e preferibilmente con « economia » formulare. Del resto il pellegrinaggio « archeologico» nell'antica Atlantide - descritta come uno « stato » fondamentalmente epico - è affidata a un dialogo, il Crizia, che prende il titolo dal nome di uno dei trenta tiranni, aristocratici terrieri ligi a Sparta. Lo stato ideale di Platone non conosce la lotta di classe, mentre proprio la differenziazione attiva delle classi ha ucciso l'epos iliadico, provocando l'avvento della letteratura romanzesca
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odissiaca. Platone ha nel cuore il male di Ulisse, ma cerca scampo nella utopica sanità integrale di Achille; e se aveva· i suoi buoni motivi per accompagnare Omero alla porta della sua città, ne aveva di ottimi anche per ospitarlo con tutti gli onori. Ho già accennato ai rapporti che collegano l'oralità con la politicità, e potrei addurre molti altri esempi a comprova di questo legame. Per economia di spazio mi limito a precisare che l'oralità è tanto piu evidente - pur nell'ambito della letterarietà, che è l'elemento distintivo della cultura greca postiliadica - quanto piu esteso è l'uso della formula fissa e - dopo che questa cade in disuso - del verso lirico. Il µ,ÉÀ.oç infatti è il naturale erede della formularità: la formula è ritmo, e sottostà alle stesse leggi psicologiche della musica. Si pensi a certe ' formule ' ripetute dai poeti tragici in funzione squisitamente ritmica, cioè musicale, soprattutto nelle parti recitate dei loro drammi. Quelle 'formule' sono destinate anche all'orecchio ma la loro vera funzione drammatica è mediamente riconoscibile solo attraverso la lettura: esse trasferiscono la musica, rendendola «apollinea», nel tessuto logico delle immagini concettuali portatrici dell'azione scenica. La formula omerica primordiale è canto vero e proprio e realizza una perfetta fusione tra arte e vita, mentre la formula ' stilistica , del poeta ateniese adulto nasce dalla letteratura e si immette nel canale della oralità; la formula odissiaca, invece, non nasce dalla letteratura, ma si sovrappone ad essa come residuo tradizionale, tramato di musica e tendenzialmente alogico. Ecco perché è dato incontrare nei poemi omerici delle formulie che appaiono assurde, come ad esempio, à.µvµovoç Atylcrltot.o (a. 29) - cui ho già fatto riferimento (ved. n. 80) - , che presenta Egisto come « irreprensibile », in un contesto che accenna proprio alla sua colpa infamante; oppure xe1.pt 1ta.xElt1 - formula anch'essa già qui citata - , che è nata per indicare la mano massiccia e robusta del87
l'eroe, ma che per wa-i;a.yµ6ç intellettuale, viene riferita anche alla mano di Penelope; per non dire dell'epiteto 6i:oç o dell'adonio opxa.µoç (iv6pwv riferiti, come s'è già notato, a personaggi nient'affatto eroici come Eumeo e Filezio. Quando la formula, che come la musica è contraria al ' principium individuationis ', decade, è proprio la musica ad ereditarne lo spirito, resuscitando il melos epico pur in forme metriche diverse. Secondo questa prospettiva è tendenzialmente epica la melica corale - cui va ascritto ovviamente il coro tragico qui già esaminato - ed anche la monodica: gli stessi omerismi di Saffo, se esistono - ma la cosa è improbabile, e comunque quantitativamente irrilevante vanno interpretati alla luce della omogeneità epica del tiaso, sottolineata dall'eros omosessuale, che è la versione ammodernata dell'eros (comunque anche platonico: ved. Symp., 179 A) che lega Patroclo ad Achille; e la poesia di Alceo ha a questo riguardo un valore addirittura esemplare, in quanto la politicità dei µÉÀ.T} alcaici non poteva che essere espressa dal canto, inteso come voce «epica» di una consorteria tribale aristocratica che durante il simposio si estraniava nel passato della stirpe per potenziare la propria coesione interna. Alceo è l'erede spirituale letterato, perché ormai la 'ruggine' del presente corrode il suo cuore e trasforma la politicità in ai;cxac.ç - di quegli eoli micenei, ht cui cultura epica era stata assorbita dalla cultura ionica; e solo se si tien conto dei rapporti fra queste due culture è possibile spiegare la melica ibrida di Anacreonte 156 • Inoltre non è casuale che l'oralità epica riappaia nella parabasi comica: il kwµoç falloforico, da cui questa deriva, racchiude l'epos degli umili. La polis ·uccide l'epos autentico, ma produce un altro epos, che va molto oltre l'Odissea e co~tituisce il lievito orale di tutta la letteratura « romanzesca ,. preplatonica. La simbiosi tra ' epos ' e ' romanzo ', cosf realizzata, è un'esperienza culturale difficilmente ripetibile: il classicismo, giustamente rivolto a quella letteratura come ad un modello non trascurabile, può trarre da essa uno
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stimolo ad esperire forme piu umanizzanti di vita associata. Se non si potrà realizzare una società epica genuina - concretamente possibile, a mio avviso, soltanto ai superstiti di una guerra atomica totale-, si potrà almeno cooperare per la formazione cli una nuova 1t6À.1.ç, che ovviamente dovrà essere una cosmopoli e in cui miliardi di uomini saranno in grado di comunicare tra loro, grazie ad un ulteriore sviluppo della civiltà elettrica che abolirà le distanze spaziali, con la naturalezza e la facilità orale con cui comunicavano tra loro i' diecimila' cittadini di Atene. La bronzea tavola geografica di Aristagora di Mileto non era sostanzialmente diversa dalle sofisticate carte geografiche di oggi; ma oggi esistono le condizioni perché la terra intera diventi « una carta geografica di se stessa » 157 • Se Platone sancisce l'avvento della letteratura e l'agonia dell'oralità 158 , è pur vero che egli subisce passivamente questa profonda trasformazione culturale, non ne è l'artefice: egli è ancora nostalgicamente legato ad un passato ignaro cli scrittura. I veri artefici del trapasso alla letteratura vera e propria sono gli avversari di Platone, i sofisti, anch'essi prosatori e per giunta tecnici della prosa. I sofisti sono gli eredi dei fondatori ionici del À.oyoç, i quali a loro volta hanno sviluppato, come ho già chiarito, le premesse individualistiche, intellettualistiche e romanzesche dell'Odissea: il µ01. dell'invocazione con cui si apre questo poema, « Dimmi, o Musa» è una clamorosa novità - su cui non si è finora insistito abbastanza da parte della critica 1.9J - rispetto all'impersonalità del primo verso dell'Iliade, « Canta, o dea» 160 ; ed ho anche chiarito che la nuova oggettività del razionalismo ionico nasce da un rapporto dialettico di distacco dell'io dall'oggetto: distacco che prelude alle soluzioni estreme ideate da Protagora e Gorgia. Era dunque inevitabile che il colpo decisivo all'oralità della cultura - pur sempre letteraria, perché ' odissiaca ' - rinsanguata per circa un secolo dall'apporto « epico » . della 89
letteratura attica, fosse inferto dai maestri del À.oyoç, fra i quali può essere annoverato lo stesso Socrate pre-delfico: sotto questo profilo l'ultimo Socrate e Platone, entrambi avversari dei sofisti, vivono di riflesso e sono già superati dai tempi. E' comunque interessante notare che l'agonia della cultura orale post-ionica è anch'essa un 'canto del cigno'. La prosa dei sofisti è diversa da quella degli storiografi, poiché è strettamente legata alla viva e concreta comunicazione parlata, anzi ne è l'espressione diretta. Non si dimentichi che il sofista vuole essere maestro di politica, intesa come arte di stabilire rapporti orali di persuasione con i propri simili. Ciò significa che la parola parlata cerca d'indossare il suo abito piu bello prima di morire: essa non può sopravvivere perché il soggetto riflette su di essa e vuole imbrigliarla in schemi intellettualistici, cioè letterari; del resto nessun pensatore piu del sofista è animato dall'ansia della novità ideologica, che come si sa contrasta nettamente con lo spirito epico orale in quanto è lo sbocco di una dissociazione letteraria; la stessa persuasione retorica, non solo presuppone una differenziazione ideologica che già di per sé è « romanzesca », ma non si accontenta neppure di neutralizzare la voce del dissenso adeguandola al proprio livello cognitivo - procedimento, questo, tipico delle ideologie conservatrici come quella del Socrate maturo e di Platone - : pone addirittura in discussione la validità delle proprie acquisizioni, mirando alla conquista dell'' hic et nunc ', chiudendosi verso il passato e aprendosi verso un avvenire che è un continuo presente poiché si rinnova istante per istante, da un individuo al1'altro, da un gruppo all'altro. Questo relativismo, che in quanto tale ha in comune col pensiero eracliteo solo motivi estrinseci, è ovviamente agli antipodi della prefilosofica - quindi anche non eleatica - immobilità ed omogeneità della cultura orale. I sofisti sono grandi letterati perché sono innovatori radicali; invece nell'ambito dell'oralità analfabeta anche una sola idea nuova - come valore
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sociale significativo - è inconcepibile, perché, se viene comunicata e recepita, provoca inevitabilmente la disintegrazione del gruppo sociale portatore dell'oralità stessa. Il sofista che si vanta di essere venale - perché nel denaro e non nella nobiltà di sangue è la forza della intraprendente classe commerciale che egli rappresenta 161 - è veramente figlio spirituale del 'mercante' Odisseo (inteso anche lui come portavoce di una comunità), ma lo supera di molto in quanto opera in un contesto politico ben diverso dalla primitiva città-stato, nella quale la divisione delle classi non poteva produrre ideologie evolute e coerenti: basti pensare che il rapsodo odissiaco era al servizio sia dei potenti terrieri, sia del popolo; ed era alquanto condizionato da una tradizione che perpetuava atteggiamenti propri dell'antica aristocrazia terriera poco disposta ad accettare il valore positivo della ricchezza come prodotto di scambio. Il presente, che comunque già nell'Odissea rende artificiale ed uccide l'epico passato assoluto, è il tempio del denaro, e pertanto non può ospitare se non totalità epiche effimere, cioè letterarie: Aristotele deve aver compreso tutto questo, se con intuito geniale giudicò l'Odissea ·una sorta di commedia 162 • Pericle, il grande oratore venale, l'aristocraticissimo che come e piu dell'Alcmeonide Clistene tradf la causa dei nobili, il letterato che non ci ha lasciato nulla di scritto 16.l, è il simbolo di questa ambiguità epico-romanzesca rispecchiata dalla sofistica. L'epica coesione di gruppo prodotta dal lievito della parola parlata, la quale è capace - secondo i sofisti di creare moduli di comportamento super-individuali in forza di una magia che rende piu forte il Myoç- piu debole 164, entra in crisi con la guerra del Peloponneso, che la sfata come un'illusione morta con la morte di Pericle. Socrate si accorge presto dell'equivoco del quale comunque non sono personalmente responsabili i sofisti - e si getta fra le braccia di Apollo delfico, patrono degli aristocratici, innamorati di un'altra oralità, quella · di . origine iliadica, anch'essa però già da tempo trasformata 91
dal contatto con la letteratura. Del resto lo stesso Gorgia, che tra i sofisti fu il piu attento e sensibile ai valori culturali della parola, nel momento stesso in cui esaltava il potere addirittura sovrumano del À.6yo~ ld5 come parola parlata, ne registrava anche l'impotenza squisitamente letteraria, escludendolo dalla sfera· della comunicabilità del sapere. E quando un tradizionalista come Aristofane scrisse: « Quest'uomo lo ha rovinato un libro, o Prodico », avverti chiaramente il tarlo della letterarietà che la sofistica aveva introdotto nell'atto di potenziare l'oralità rivoluzionaria (non formulare, quindi) della parola nata dalla scrittura. Parimenti nel Pluto il « divin calvo » volle colpire nei sofisti quella che a lui sembrava disonestà, auspicando che la ricchezza fosse selettivamente distribuita solo fra i virtuosi, cioè fra i kaÀ.ok«iyaDol. Data la stretta dipendenza di Tucidide dalla sofistica, la letterarietà tucididea è fuori discussione, anche indipendentemente da ciò che ho già osservato a proposito dello krijµa É~ alEl. La politicità del grande storico ateniese è la stessa dei sofisti, per i quali retorica e politica coincidono: si pensi ai celebri discorsi politici abbinati per illustrare una medesima situazione da due angoli visuali opposti. E una volta assodato che l'oralità retorica è segno di alta letterarietà giacché non può sussistere indipendentemente da una strenua µeÀ.É't'1'} letteraria-, aggiungerei che la storiografia tucididea è piu « romanzesca » di quella erodotea (nonostante le apparenze), proprio perché è storiografia politica nel senso che coinvolge l'autore stesso come ' demiurgo' di una realtà le cui linee di forza egli inserisce in un contesto da interpretare in funzione dell'immediato avvenire di Atene; lo splendido elogio posto sulle labbra di Pericle, che esalta Atene come « scuola dell'Ellade » e « Ellade dell'Ellade » non deve ingannare: il valore esemplare e perenne della polis ateniese è un ingrediente retorico, cioè politico, che serve come avallo ideologico per le 92
scelte che essa ha operato e per quelle che ancora la attendono. L'idea crociana di storia contemporanea è un'idea romanzesca, perché assorbe il passato nel presente, escludendo la distanza epica assoluta; e la storia tucididea è ancor piu romanzesca, perché è contemporanea - quasi fosse una commedia - anche nel significato letterale del termine. Tucidide guarda al presente con una lente d'ingrandimento che glielo avvicina ancora di piu, mentre Erodoto tende ad allontanare il passato delle guerre persiane, per-ché esso gli appare troppo recente - sebbene ormai quasi leggendario - per poter essere guardato « dalla riva sicura», con l'occhio trasognato di Omero. Ovviamente questa tensione epica non raggiunge lo scopo, perché Erodoto deve fare i conti, oltre che con l'impiego della prosa, con Io spirito odissiaco che fa di questo storico un grande ulisside e che sappiamo portatore del demone letterario già nella fonte omerica. E' pur vero, peraltro, che Erodoto recitava i suoi 16yot. come un rapsodo epico, e ciò non va sottovalutato. Le Storie di Erodoto sono letteratura orale come le tragedie di Sofocle suo amico o di Eschilo, anche se si caratterizzano per una oralità di tono minore, che però a volte si avvicina di piu all'epos e fa pensare alle colorite e suggestive narrazioni dei cantastorie siciliani e del folclore epico in genere. Mi riferisco al racconto dell'esposizione di Ciro il Grande bambino 166 : alcune battute dei protagonisti di quella vicenda hanno il tono di una didascalia orale del tipo di quella che certi cantastorie adottano per commentare la narrazione visiva contenuta nei riquadri dei loro ingenui pannelli illustrativi. Nel capitolo 111 del primo libro delle Storie il bovaro che ha ricevuto l'ordine di esporre l'illustre neonato porta il bimbo a casa propria e. narra il tutto alla moglie, concludendo il suo resoconto con queste parole: « Ed ora eccolo qui », interessanti non solo per il loro valore dittico-gestuale, ma anche per il deciso stacco drammatico che segnano in rapporto alle scene successive. Un'altra didascalia, che fa pensare all'impiego di 'carte!9.3
Ioni ' illustrativi da parte del narratore, si trova, poco dopo, alla fine del capitolo 114: Artembare medo conduce in presenza di Astiage il proprio figlio maltrattato e percosso clal piccolo Ciro, e dice: « O re, da un tuo .schiavo, dal figlio di un bovaro, cosi siamo stati oltraggiati »; Erodoto aggiunge: « e· mostrava le spalle del figlio ». Parimenti il capitolo successivo si conclude con le parole di Ciro che in presenza del suo sedicente padre si giustifica di fronte ad Astiage: « Se dunque per questo io merito una punizione, eccomi qua». In tutte queste scene, che sono inconcepibili al di fuori del rapporto vivo dell'autore con il pubblico, la narrazione epica prevale sulla descrizione romanzesca 167 • Tra Erodoto e Tucidide corre una distanza enorme. Il romanzesco di Erodoto è ancora vicino a quello dell'Odissea, è epos intermedio fra l'Iliade primitiva e gli Argonautici di Apollonio Rodio. Il romanzesco di Tucidide, invece, nonostante le apparenze che indicano il contrario - data l'assenza dell'elemento fantastico-avventuroso - prelude a Senofonte, il quale con le Elleniche si fa continuatore pedissequo e triviale dell'opera tucididea, ed insieme scrive una narrazione che può essere considerata « un romanzo ~el senso sostanziale di questa parola » 168 : la Ciropedia, il cui spirito romanzesco, peraltro, è cosa diversa dalla struttura tematica e formale del romanzo ellenistico d'amore 169 • La nudità odissiaca e letteraria del romanzo trova una veste perfettamente appropriata solo quando il letteratissimo ambiente alessandrino cancella ogni residuo dello spirito epico (istruttiva è in tal senso la partenza da Alessandria cli Apollonio Rodio, un «romanziere» non abbastanza à la page). La satira invece resta «nuda»· sino alla fine. Come si è potuto notare, nelle pagine che qui precedono ho adottato una nozione di epos diversa da quella corrente, senza per questo voler rivoluzionare il quadro ordinato e riposante dei generi letterari canonici. Un proce94
di.mento analogo è stato già seguito da altri per quel che concerne il romanzo, e qui è stato da me esteso ad aree «. romanzesche » finora inesplorate. L'individuazione dello spirito epico orale (che è diverso dall'epos come genere letterario) in opere che dal punto di vista 'eidografico' non sono epiche, è stata sollecitata dalla esigua epicità dell'Odissea, che pur è comunemente considerata epos alla stregua dell'Iliade. Penso infatti di aver chiarito in misura sufficiente come i due poemi - a parte la revisione odissiaca dell'Iliade 170 - vadano distanziati molto piu di quanto si sia creduto finora; e penso anche di aver dimostrato che per risolvere l'enigma di Omero non basta una sola chiave. Nel seguito del presente lavoro ripercorrerò per sommi capi l'iter della ulteriore e progressiva « romanzizzazione » della letteratura greca, soffermandomi ovviamente sul romanzo canonico, che rispecchia la fase estrema di quel processo, e a tal fine non sarà inopportuno desumere sinteticamente proprio dal Bachtin i dati integrativi sulle manifestazioni letterarie dello spirito romanzesco, per poi considerare il genere romanzesco erotico nella sua fisionomia storica derivante dal compaginarsi di disparati elementi in una fissità strutturale che nessun altro genere letterario ha mai avuto.
Parte seconda
Dalla letteratura orale al romanzo d'amore
Il Bachtin ha puntualizzato che il vivo volto della realtà contemporanea non può essere oggetto di rappresentazione da parte dei 'generi letterari alti' come l'epos e la tragedia, ma solo da parte dei generi ' bassi >, portatori della comicità popolare. « E' proprio qui - nel riso popolare che vanno cercate le vere radici folcloriche del romanzo » 1• Questa comicità di estrazione popolaresca e di innesto 'classico' produce frutti letterari di carattere serio-comico (vedi lo crnov6oyeÀ.oi:ov): i mimi di Sofrone, la poesia bucolica, la favola, la prima memorialistica, i pamphlets, i ' dialoghi socratici' di tipo cinico-stoico, la stessa satira romana in versi, i 'simposi', la satira menippea (ovviamente greca e romana) e i dialoghi di tipo lucianeo 2• Secondo il Bachtin « tutti questi generi letterari sono i veri predecessori del romanzo » (lo studioso sovietico pensa comunque al romanzo moderno, che secondo lui deve poco al romanzo canonico antico), in quanto si incentrano nel presente, e in ogni caso desumono ' il punto di vista ', cioè quelle che chiamerei coordinate assiologiche, dall'età contemporanea. Mentre nell'epos la memoria è tutto 3, qui nel 'romanzo' si deride ' per dimenticare ', e l'oggetto è ravvicinato per essere « spezzato e denudato: domina la logica artistica dell'analisi, dello smembramento, dell'uccisione ». Nei ' dialoghi socratici' Socrate diventa personaggio romanzesco (ma
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ho già chiarito che tale carattere inerisce, sia p~re per connotazioni culturali diverse, anche al Socrate storico), comica maschera popolare ed insieme figura eroicizzata, mentre nella satira menippea la peculiarità romamesca è data « dal1'incontro di tempi sul piano dell'età contemporanea», cioè dal fatto che eroi del 'passato assoluto' e personaggi storici vissuti in diverse epoche conversano e addirittura si azzuffano con i vivi contemporanei all'autore. In quasi tutti i generi suelencati è presente, inoltre, un « elemento autobiografico e memorialistico » che fa invadere alla persona stessa dell'autore il campo della rappresentazione; ed anche questo rientra, come dato episodico esterno, nella tipologia del romanzo. Il quale, purché abbia l'età contemporanea come « nuovo punto di partenza per l'orientamento artistico», può benissimo rappresentare anche il passato storico ed eroico: il Bachtin pensa alla Ciropedia di Senofonte e fa notare che, sebbene in quest'opera il passato sia travestito e modernizzato, « la raffigurazione veramente oggettiva del passato come passato è possibile soltanto nel romanzo » 4• Ciò concorda perfettamente con ciò che per altra via ho già osservato a proposito della letterarizzazione dell'epos da parte dei primi prosatori ionici: l'oggettivismo scientifico embrionale dei cosiddetti logografi, ad esempio, è segno di mentalità romanzesca, cioè letteraria. Né è casuale che i 'romanzi' di cui parla il Bachtin rispecchino una facies culturale sostanzialmente, anche se non cronologicamente in tutti i casi, post-classica, in seno alla quale nasce la scienza moderna e in particolare la filologia - ciò vale espressamente per l'ellenismo - intesa come disciplina che studia i fatti culturali registrati con la scrittura ed oggettiva il passato in maniera ben diversa da come l'aveva ' oggettivato ' l'aedo dell'epos genuino. Sotto questa angolazione storica i rapporti qui già stabiliti fra l'età tardo-ionica e l'età ellenistica ricevono maggior luce; e si può comprendere ancor piu facilmente il motivo per cui, ad esempio, Cicerone nel De legibus chiama la storia « opus 100
oratorium maxime »; il ' sofista' Tucidide ha fatto testo: l'attualizzazione della storia nel presente è un'operazione retorica, cioè politica. Quando il Rohde ha collegato il romanzo con la retorica dei nuovi sofisti, non si è preoccupato di cercare le ragioni profonde di quel collegamento. Il difetto della acutissima teoria del romanzo elaborata dal Bachtin sta nell'aver praticamente escluso dalla storia di questo genere letterario - pur ·inteso « non in senso formalistico, ma come zona e campo di percezione e raffigurazione assiologica del mondo » 5 - quelli che egli chiama significativamente i « cosiddetti romanzi greci». Qui il Bachtin non è aiutato dal suo antiformalismo, che insieme con un altro fattore inibente, cui accennerò fra breve, gli preclude la volontà stessa di cercare lo spirito romanzesco nel genere narrativo in questione. Nel ricordare che il romanzo greco canonico non ha avuto un nome greco in età ellenistica, faccio notare che esso è stato pur chiamato romanzo, sebbene tardi e con parola ... romanza; e questo nome, ormai divenuto stabile a differenza di altri come il bizantino O"UV't«yµa. 6pa.µa.~t.k6v e il calco greco µvthO"~opla. (dal ' latino ' mythistoria) proposto dal Korafs 6, risulta abbastanza appropriato, al punto che nessun altro genere letterario antico - salvo la satira che, se non è 'tota' dei Romani 7, non ha comunque neppur essa una fisionomia eidografica specifica - presenta ingredienti appunto ·romanzeschi nel significato corrente e moderno del termine. Naturalmente ciò non è molto, ma non è nemmeno poco e comunque rinvia ad una sostanza romanzesca non banale, come sì vedrà fra poco. Quado dunque il Bachtin istituisce un rapporto genetico fra il romanzo moderno e le forme letterarie romanzesche antiche succitate, compie opera altamente meritoria; non possiamo invece consentire con l'insigne studioso sovietico quando nega al vero e proprio romanzo greco un sostanziale spirito romanzesco, e gli riconosce soltanto la veste del romanzo 8• Questo limite critico ha co101
munque una sua precisa giustificazione sia nel non alto valore formale dei romanzi greci d'amore - valore paragonabile alla facile ricercatezza di certi moderni romanzi di appendice; e il Bachtin ha una sensibilità squisita per i valori espressivi - sia soprattutto nell'assenza di un im• pegno ideologico esplicito (che sarebbe segno visibile di un rispecchiamento della vita sociale) da parte dei vari protagonisti 9 • Sotto questo aspetto, che possiamo chiamare contenutistico, il giudizio del Bachtin coincide con quello del Lukacs, il quale sostiene appunto che « le storie d'amore dei romanzi greci... sono idilli staccati da tutta la vita della società » 10 • Se però su questo punto il Bachtin non dissente dal critico ungherese, perché in ogni caso quei romanzi non sono suscettibili di fruizione positiva nella società socialista, su altri punti fondamentali il dissenso c'è. Il critico sovietico è meno hegeliano in quanto radicalizza la distinzione tra epos e romanzo, facendo di quest'ultimo un genere letterario in divenire e negando la possibilità di un incontro dei due generi sul piano dell'« epopea borghese», mentre il Lukacs è piu vicino ad Hegel quando afferma che il romanzo, appunto, è l'« epos della società borghese» 11 , anche se precisa che, poiché detta società - divisa dal contrasto fra produzione sociale e appropriazione privata - non può produrre epos (che hegelianamente è totalità indiscriminata), è appunto tale contraddizione che permette al romanzo di aprire « la via ad un nuovo rigoglio dell'epos »; per Hegel invece l'epos è morto per sempre. L'ortodossia staliniana fa incorrere il Lukacs in evidenti forzature critiche, giusti• ficate dalla foga del suo impegno di ideologo militante; il Bachtin invece, ideologo come lui, ma meno ortodosso, non può attendersi indulgenza per eventuali smagliature del pensiero critico, e pertanto adotta una linea interpretativa rigorosissima ed insieme prudente: tiene presenti le idee dello sfortunato ed incauto Pereverzev, ma non lo dà a vedere (non è un caso che anche quest'ultimo si sia soffermato sulla storia del romanzo antico, tenendo a precisare che il 102
romanzo può essere anche « non borghese » u, mentre per Lukacs il romanzo antico e quello medioevale non hanno nessuna importanza perché non possono essere (hegelianamente) borghesi prima dell'avvento storico della borghesia, che come tutti sanno nasce in età moderna), cosi come non dà a vedere chiaramente, dico il Bachtin, le proprie simpatie trotskiste (Trotskij nel '38 era già in Messico da un anno, e due anni dopo sarebbe stato ucciso) e nel momento stesso in cui si appropria dell'idea hegeliana secondo cui il romanzo ha la funzione di educare l'uomo a vivere nella sua società, dimostra con letteratissima finezza la propria adesione all'ideologia trotskista: la società a cui pensa il Bachtin è quella della rivoluzione permanente, ed è ovvio che solo un genere letterario in divenire, quale è definito il romanzo, può rispecchiare fedelmente quella mobilissima società 13 • Come s'è avuto modo di capire, il romanzesco è tendenzialmente comico perché rappresenta la realtà a distanza ravvicinata. L'uomo che si accosta allo specchio toccandolo col naso, ride. La comicità è figlia del realismo, ma anche e soprattutto dell'eccessiva confidenza col reale, la quale disintegra la realtà stessa. Avviene lo stesso con l'eccessiva dimestichezza con le cose sacre, che rende sacrileghi. La comicità (il cui aspetto meno distruttivo è quello romanzesco) è quindi analisi, quindi prosa, quindi letteratura. Non a caso il riso nasce tardi nella letteratura greca. Il riso vuole l'uomo adulto - si pensi alla teoria del Kierkegaard - , ma soprattutto vuole l'uomo dissociato: di qualunque cosa si rida, si ride sempre di se stessi; e ciò significa che il verbo ridere si può coniugare solo al presente. I cònti tornano: il romanzo ha come teatro il presente, anche quando usa i verbi al passato. Bachtin ha fatto centro, anche se qualche coordinata per l'aggiustamento della mira gli è stata fornita da Hegel e dallo stesso Lukacs. Una tradizione millenaria, che da Menandro e Teo103
trasto giunge fino a Pirandello ci ha abituato a dissociare il comico dal ridicolo, la raffigurazione 'neutra' della realtà 'bassa' dalla sua deformazione giocosa. La lente deformatrice di Aristofane, e della Ila.la.ui in genere, fornisce invece ad Aristotele gli elementi per la classica definizione indifferenziata del comico data nel capitolo 5° della Poetica. Ma Aristotele è ancora troppo legato, pur con nostalgia letteraria, alla classicità dell'Atene del quinto secolo, per guardare con simpatia alla privacy della vita quotidiana, che infatti appare in Aristofane violentemente « stravolta», 6r.ECT't'pa.µµiVT) (direbbe lo Stagirita). Perché il comico originario perda la sua carica distruttiva, è necessario che conquisti il presente, non lo eluda soltanto in termini di ripudio: non si dimentichi che la commedia II«À.«t:.>, la cui violazione pregiudicherebbe l'ordinato svolgimento della vita sociale - , si rassegna e pensa di espatriare: l'amico interlocutore coglie la palla al balzo e invita Eschine ad arruolarsi mercenario nell'esercito di Tolemeo Filadelfo. Sembra che per un istante Teocrito ammicchi malizioso, ma anche qui le norme sociali vanno rigorosamente rispettate: Tionico non si presta a intercedere per l'amico presso la donna, che probabilmente è un'etera (si chiama « cagnetta »), soprattutto perché questo è un compito sociale riservato alle mezzane 31 ; Eschine si è comportato da bifolco schiaffeggiando una donna, e l'etichetta vuole che egli paghi le conseguenze del suo atto. Né vale a scusarlo il suo carattere dichiaratamente impulsivo, che d'altronde - sempre per ragioni d'etichetta - non può essere esploso in gesti violenti se non in una ben determinata occasione: in nome del decoro Eschine ha schiaffeggiato Cinisca durante un a.6ùç 1t6't'oç-, cosi come, in proporzione, il Carisio menandreo usa violenza carnale a Panfila nell'atmosfera ebbra ed orgiastica di una festa notturna e il pur rozzo Polemone non può far altro, nel vedere la propria donna, Glicera, baciata da Moschione, se non tagliarle la chioma; non può picchiarla, perché l'etichetta sociale e letteraria non prevede atti di violenza materiale al di fuori dell'area « dionisiaca » e, ovviamente, dell'area servile: nel quinto mimiambo di Eroda il povero Gastrone le prende di santa ragione, e non si tratta di busse innocue appartenenti alla leggera e pulcinellesca tradizione aristofanea. Ovviamente non si può pretendere che a distanza di secoli la _sottile e rigorosa etichetta del primo ellenismo qui descritta resti perfettamente immutata: nel romanzo di Caritone il protagonista Cherea fa materialmente, in un analogo accesso d'ira e di gelosia, ciò che il Polemone della Perikeiromene ha soltanto desiderato di fare: picchia Calliroe - che però è sua moglie, non una semplice amante, e perciò ha doveri sociali molto piu vincolanti - cosi violentemente da farla cadere a terra 110
priva di sensi. Troppo poco è dunque cambiato, per non convincersi che nella commedia nuova (e nella drammaturgia mimica coeva, senza la quale non potremmo mai spiegare l'esistenza di un romanzo pastorale come quello di Longo Sofista, che presuppone i mimi agresti di Teocrito) è la parte piu cospicua dell'amalgama del romanzo d'amore. I Realien possono mutare, l'ideologia che li avvolge è la stessa. Si pensi alla TvxTl ellenistica, che è una forza m~ trice esterna e perciò non può produrre vera azione, e si osservi come essa ispiri sia i romanzi d'amore sia le commedie di Menandro 32 ; per economia di spazio rinuncio qui ad un'analisi dettagliata dei temi d'intreccio su cui s'incentra l'idea della ' fortuna', e mi limito a considerare un brano della rhesis di TvxTl nell'Aspis di Menandro, perché risulti evidente che la staticità drammatica, corrispondente all'immobilismo conservatore della società menandrea (comune al mimo e al romanzo), si configura esplicitamente come cliché di poetica: « Questo vecchio malvagio ha sentito or ora parlare di seicento stateri d'oro, ha visto schiavi barbari, bestie da soma, ragazze; poiché la fanciulla è divenuta ereditiera, essendo il piu anziano, vorrà far valere i suoi diritti. Ma dopo essersi procacciato invano noie e molestie, dopo essersi fatto conoscere meglio di tutti, che razza d'uomo è, ritornerà alla situazione di prima, È1tciVELCTL È1tt "'t'a.pxa.ra.. Non rimane da dire se non il mio nome: sono la Fortuna, arbitra di decidere e di disporre tutto» (trad. F. Sisti; il corsivo e la trascrizione greca sono miei). Non soltanto Smicrine, ma tutti i personaggi delle commedie menandree (nonché del mimo e del romanzo) «ritornano» - cioè, drammaticamente, restano - nella « situazione di prima ». La TuxTl di Euripide (si pensi soprattutto allo Ione) è simile a quella di Menandro; quella di Sofocle e di Eschilo no, sebbene, ad esempio, il primo Edipo sofocleo risulti tcroç;- dopo la catastrofe, cioè « identico a quello di prima » 33 • Euripide è un rivoluzionario che preannuncia la stasi; il Nietzsche non ebbe tutti i torti a considerarlo
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uccisore della tragedia. Qualche tempo prima della rappresentazione dell'Aspis, Teofrasto fu processato per aver espresso sulla Fortuna le stesse idee che Menandro avrebbe posto sulla bocca della Fortuna stessa; e l'autore della ypixqrii contro Teofrasto - sconfitto, ovviamente, e in sede preiudiciale, come è dimostrato fra l'altro dalla tranquillità con cui parla la Tux11 menandrea - era fratello spirituale dello sconfitto Demostene, cioè del paladino dell'Atene di Eschilo e di Sofocle. Con l'avvento della letteratura visiva e dell'ellenismo la cultura greca cambia veramente volto. L'ideologia che presiede alle opere di Menandro Teocri to Eroda è dunque sostanzialmente la stessa dei romanzieri, i quali hanno in comune con i loro illustri predecessori l'appartenenza ad una società che per alcuni secoli non subisce mutamenti di rilievo: ai despoti eredi di Alessandro Magno subentrano, nel lungo periodo della fioritura del romanzo, i non meno dispotici monarchi imperiali romani, con la sola differenza che questi ultimi esercitano un potere meno precario - indipendentemente dai loro destini individuali - , in quanto l'impero romano ha, per cosi dire, il fiato piu lungo e dispone di un apparato amministrativo piu solido, anche se qualitativamente non diverso da quello, parimenti burocratico, delle monarchie ellenistiche. E' molto significativo, comunque, che le origini del romanzo siano legate alla dinastia dei Tolemei e presentino punti di contatto col culto egizio di Iside ed Osiride 34 : l'Egitto, infatti, fu sede della sola monarchia ellenistica che riuscisse a sopravvivere fino all'avvento dell'impero augusteo, da cui fu assorbita e, diciamolo, perpetuata. La storia del romanzo risale oltre il principato di Augusto, e il cosiddetto Romanzo di Nino sta a dimostrarlo; ma è pur vero che l'origine di questa forma letteraria - intesa come genere specifico - non può esser fatta risalire fino all'età di Teocrito o di Eroda suo contemporaneo, e tanto meno all'età di Menandro o ancora piu indietro nel tempo: le storie romanzate del quarto e del terzo secolo non avrebbero la112
sciato autonomia di respiro a componimenti di natura narrativa simile alla loro. E' lecito pertanto ritenere che il romanzo sia nato nel secondo secolo avanti Cristo, non . tanto come risultato della disgregazione di certa storiografia deteriore 15 - uccisa dall'attacco massiccio mossole da Polibio (non mi riferisco alla polemica contro Timeo ed altri, ma al peso che l'opera polibiana ha avuto nel restituire alla storiografia la dignità di genere 'alto') - , ma come surrogato della letteratura drammatica comica, che non poté sopravvivere a lungo 36 : ogni forma di teatro che non sia destinata alla sola lettura, ha bisogno di una società in evoluzione, e non è un caso che il dramma esclusivamente libresco di Teocrito e di Eroda fiorisca in un'area culturale estranea all'ambiente attico e alla tradizione teatrale ateniese. Intendo dire che la commedia nuova è meno libresca del mimo in quanto è destinata anche ad un normale pubblico di spettatori, ma in fondo è piu artificiale perché è alquanto anacronistica: il vero dramma può prosperare solo nella libertà e nella democrazia, perché è sempre scontro dialettico di forze culturali; e la partecipazione del pubblico che si affolla nel teatro ha significato solo se presuppone una comune volontà di confronto dialettico delle idee. Nell'Atene di Menandro, invece, si va a teatro per forza di tradizione: la 1t6À.1.~ è morta anche nel cuore degli Ateniesi, e sopravvive solo in una consuetudine teatrale mantenuta in vita per illudersi e per dimostrare al mondo che Atene è ancora quella di prima e conserva ancora il prestigio del passato. La prova di ciò è data proprio dalla staticità delle commedie di Menandro, la cui poetica pertanto è coerente nel rispecchiare il volto immobile della società contemporanea, ma pecca di incoerenza nel vestire un abito drammatico che non le si addice. L'equivoco non poteva durare molto, anche perché Roma - una potenza non ellenistica - premeva alle porte e rendeva inattuale l'esibizione di un prestigio che poteva avere un senso solo per altri Greci o 'barbari ' di lingua greca. Del resto il mimo 113
vive all'ombra della commedia, come parente povero, e una volta che quella si toglie il suo abito di circostanza e muore, anch'esso è coinvolto nella caduta n: resta la comicità nuda, intesa come rispecchiamento fedele delle istanze culturali e sociali celate nelle manifestazioni esterne della vita contemporanea. Tale comicità, lo sappiamo, è romanzesca, e cerca un abito nuovo, che le si addica di piu: finalmente lo trova nel guardaroba della storia, piu o meno romanzata; l'abito non è propriamente nuovo, ma non sfigura, e poiché conserva anche l'odore esotico dei suoi viaggi orientali, lo trasmette inevitabilmente alla nuova proprietaria, che si appassiona ed abbandona anche lei alle avventure straordinarie e alla esplorazione di terre lontane di cui in passato ha dimostrato una conoscenza soltanto sommaria ... soprattutto nei prologhi della NÉa.. Berosso, Manetone ed altri ne sanno di piu, ed è bene approfittare. La commedia nuova, comunque, non subisce solo la metamorfosi del trapasso alla forma romanzesca specifica: essa rinasce, ma è il caso di dire che nasce veramente, a Roma, dove trova un terreno favorevolissimo ad una fioritura autentica nel tessuto sociale altamente 'drammatico' ed articolato della 'res pubblica' quiritaria. Vede risorgere al suo fianco la tragedia, che in Grecia essa aveva visto boccheggiare esangue; si riscuote dal suo torpore, ma trova difficoltà ad adeguarsi al nuovo mondo. Plauto se ne accorge e chiede aiuto ad Aristofane, da cui mutua il disprezzo per l'organicità della ' fabula' (donde la 'contaminatio ') e lo spirito della musica ammodernato dalle innovazioni di Euripide: il tutto, naturalmente, condito da un aceto saporosamente italico e da una miracolosa inventiva lessicale e metrica. Con l'avvento del circolo degli Scipioni, peraltro, la commedia comincia ad aver nostalgia del suo greco passato menandreo, e ciò significa che l'età eroica della repubblica sta tramontando. L'atteggiamento selettivo dimostrato da Terenzio in campo lessicale e metrico corrisponde ad una selettività sociale favorita dalla netta prevalenza della classe senatoria. Alla voce 114
'epica' della società romana impegnata in uno sforzo titanico di coesione per far fronte al pericolo mortale della guerra annibalica, subentra, qualche tempo dopo Zama, la voce 'romanzesca' dell'aristocrazia impegnata nelle facili guerre d'Oriente come in scampagnate militari; e, subito dopo la vittoria di Pidna, Terenzio riflette una situazione di stasi che prelude alla crisi graccana e ai suoi sviluppi destinati a sfociare nell'avvento del principato: Lucilio, Cornelio Sisenna, Catullo e V arrone Reatino rispecchiano piu fedelmente cli altri autori le tappe fondamentali cli un processo cli ' romanzizzazione ' della cultura romana, iniziato vistosamente quando l'' olio' dell'aristocrazia terenziana si è dissociato dall'' aceto' popolare, sovrapponendosi ad esso per neutralizzarlo. Pressappoco parallelo a questo processo è lo sviluppo del romanzo nell'Oriente ellenistico, sviluppo che avviene in sordina per lo scarsissimo prestigio cli cui gode quella forma narrativa rispetto ad altre come la ' fabula Milesia ' e la satira menippea: a queste infatti riservano le proprie simpatie esclusive i ' romanzieri ' Sisenna e Varrone. Il romanzo rispondeva perfettamente alle esigenze di un pubblico di lettori, che nel secondo secolo avanti Cristo occupava una fascia sociale piu ampia cli quella in cui si erano mossi i poeti ellenistici del secolo precedente; d'altronde l'ampliamento della zona sociale di fruizione della letteratura comportava un abbassamento del tono aristocratico che aveva contraddistinto la stagione aurea dell'ellenismo, e ciò anche per effetto cli una certa romanizzazione politica della cultura greca: l'ellenismo egiziano, che qui interessa, non poté restare immune dall'influenza indiretta del romanesimo repubblicano che già si imponeva direttamente su una parte cospicua del mondo ellenizzato. Dopo la conquista romana della Siria e della Macedonia, del resto, solo l'Egitto poteva continuare a rispecchiare fedelmente i valori dell'ellenismo, elaborando una_ forma letteraria, il 115
romanzo appunto, che non a caso riassume e condensa sia pure, e inevitabilmente, a livello di comune denominatore, che esclude le « celsituclines » del genio molti aspetti tipici di quella cultura che sono romanzeschi nel senso lato qui già chiarito e si aggrumano, per cosi dire, in una compagine narrativa che compensa l'eterogeneità dei suoi elementi con una struttura fissa ed uniforme, quasi a preservare un'eredità cui turale dal pericolo della disgregazione completa. Un genere di vasto consumo come il romanzo aveva bisogno di un materiale scrittorio di largo impiego e di basso costo, accessibile anche ai ceti sociali inferiori (corrispondenti pressappoco alla nostra borghesia impiegatizia): orbene, soltanto l'Egitto, patria del papiro, poteva soddisfare questa esigenza vitale per le sorti del romanzo, e fu «merito» dei Tolemei comprendere l'importanza dell'impiego del papiro riservandosene il monopolio e adottando forse misure ancor piu restrittive per gli importatori 38 ; gli storici del romanzo antico debbono tener conto di questa politica del papiro da parte dei Lagidi, e gli storici della scrittura debbono convincersi che nell'Egitto ellenistico preromano quel materiale scrittorio costava molto meno che all'estero. Piu che di altre forme letterarie, il romanzo è erede della drammaturgia comica e della storiografia (soprattutto locale) ellenistiche, ma è principalmente figlio del papiro; e sono grato a M. McLuhan per avermi orientato nella direzione giusta, sottolineando l'importanza della carta nella storia dell'umanità 39 • Va osservato inoltre che solo in Egitto, area nodale degli scambi e delle comunicazioni con l'Oriente, poteva diffondersi ampiamente l'interesse, tipico del romanzo, per i viaggi avventurosi e per le terre esotiche 40 • Il romanzo si muove nell'area del presente, senza prospettive « lunghe», e se non fosse per la sua ingombrante estensione, sarebbe vergato sulla creta 41 , cioè sul materiale scrittorio piu vile e deperibile; ecco perché in tempi recenti hanno avuto molto successo e ancora oggi sono 116
in voga i romanzi a puntate sui rotocalchi. Il romanzo, in fondo è un« giornale» e vuole la carta effimera dei giornali. Né ci si lasci ingannare dal carattere fantastico delle vicende romanzesche: lo studio della letteratura conservatrice e reazionaria è una palestra utilissima perché esercita il critico a guardare sotto la superficie grezza, cioè a capire che il presente è sempre un presente di idee, che spesso sono mascherate, distorte o eluse dai fatti concreti della vita sociale. L'ideologia del privilegio - chiaramente rispecchiata anche dalla monopolizzazione di cui sopra - non può, ovviamente, voler 'cantare' se stessa come istigazione al sopruso: di conseguenza o evade da se stessa - come nei romanzi in questione - , recuperando velatamente i raccordi col presente che le sembrano edificanti, oppure cerca di rappresentare direttamente come totalità, appunto edificante, solo una parte di quel presente. La letteratura romanzesca reazionaria non può mai essere realistica perché è mistificatrice, mentre la narrativa veramente realistica rispecchia sempre con fedeltà documentaria il presente nella sua dimensione totale. Solo in quest'ultimo caso la raffigurazione dei concreti aspetti della vita sociale è anche rappresentazione delle idee che li determinano: il narratore realista non è mai un mistificatore. Nei romanzi greci d'amore la mistificazione consiste nel proiettare gli aspetti della realtà contemporanea, considerati edificanti e vitali - l'unità borghese della famiglia, il rispetto della proprietà privata etc. - in un mondo fantastico nel quale il lettore possa facilmente ritrovare « se stesso», cioè la propria società purificata con la rimozione di tutti gli aspetti deteriori, che nella realtà concreta fanno tutt'uno con quei valori sociali (e perciò li rendono equivoci), mentre nella realtà dell'arte risultano nettamente separati da quei valori e incarnati soltanto dai « cattivi ». Con la caduta della monarchia egiziana e l'assorbimento dell'Egitto da parte dell'impero romano, il romanzo si avvia verso la sua stagione piu splendida. La stabilità dell'appa117
rato politico e amministrativo di Roma imperiale è il presupposto fondamentale per il rigoglio di questo genere letterario, ed è perciò naturale che esso trovi un terreno particolarmente favorevole alla sua fioritura nell'età degli Antonini, celebrata dai contemporanei come una vera e propria età dell'oro 42 • La figura ideale del governante filosofo, definita da Platone quando la letteratura visiva moderna aveva fatto da poco il suo ingresso nella storia dell'Occidente, sembra incarnata storicamente nella persona di Marco Aurelio, un letterato della piu beli' acqua; e come sei secoli prima i sofisti avevano detronizzato la letteratura orale portando alle estreme conseguenze l'ideologia dell'' hic et nunc ', cosi nell'età degli Antonini lo spirito romanzesco della letteratura visiva emerge con evidenza assoluta e raggiunge un grado di estrema intensità, negando spazio ai generi 'alti' 43 e manifestandosi in forme appunto romanzesche come la confidenza autobiografica - si pensi all'intimismo di quel Secretum sui generis che sono i Ricordi di Marco Aurelio - , l'epistolografia, la letteratura comicosatirica di tipo lucianeo e, naturalmente, il romanzo, il quale ultimo assume un ruolo primario proprio perché è destinato al vasto pubblico e perciò rispecchia piu ampiamente la temperie culturale dell'epoca. Subito dopo il romanzo, comunque, il genere letterario piu significativo è l'epistol~ grafia, che entrata nella sfera della letteratura vera e propria con Platone ed Isocrate e portata a piu alti fastigi da Epicuro 44 , acquista un significato paradigmatico, per la squisita letterarietà che la caratterizza, proprio nel secolo degli Antonini. La privacy della lettera - soprattutto quando questa è fittizia (ed è il caso piu frequente) - rispecchia un atteggiamento confidenziale legato all'ideologia dell'istante, per cosi dire, ed elusivo dei veri problemi della società. I nuovi sofisti scrivono lettere anche quando l'arg~ mento, di per sé, non richiede la forma epistolare, e spesso trattano temi particolarmente futili, come gli elogi della chioma (Dione Crisostomo) o della mosca (Luciano) corJ.18
rispondenti alle Laudes fumi et pulveris e alle Laudes neglegentiae scritte da Frontone in forma di lettere. Un cospicuo esempio di epistolografia ' romanzesca ', erotica per giunta, è offerto da Alcifrone: nei suoi quattro libri di lettere fittizie, fra le quali due portano la firma di Menandro, si respira aria di romanzo, e non è casuale che proprio la lettera d'amore sia un ingrediente tipico inserito nella narrazione romanzesca (dal secondo secolo dopo Cristo in poi), perché congeniale allo spirito di questa. Parimenti non è privo d'importanza, ai fini dell'assunzione del romanzo nell'ideologia del presente - quale è stata definita dal Bachtin - il sostanziale atti~ismo dello stile, che accomuna già il romanzo di Nino con gli altri roma·nzi successivi 45 , anche se presenta caratteristiche del linguaggio poetico e della prosa gorgiana. Lo stile 'tenue' o 'umile' - cioè « comico » degli atticisti può essere chiamato romanzesco proprio perché è un modulo particolarmente adatto per rispecchiare lo spirito del presente: Lisia, Jons et caput dell'atticismo, riusci ad elaborare una cifra retorica esemplare in tal senso, perché, anche a motivo della sua condidizione di meteco, si dedicò quasi esclusivamente all'oratoria giudiziaria, il cui baricentro è l'« hic et nunc ►> della controversia penale e civile, legata ad interessi immediati meno ampi (anche nel caso di processi di stato) di quelli che ispirano l'oratoria politica ed epidittica, che pur sono 'romanzesche' (non a caso la grande oratoria greca è, appunto, attica). Ed è altamente significativo che il piu grande prosatore atticista romano, Giulio Cesare, abbia scritto Commentarii, cioè ù1toµv{uu1"ta. 46 , che sono molto piu 'romanzeschi' delle opere di Tucidide o di Senofonte, perché ripudiano il blasone della storia come ' genere alto ' (cui non sa rinunciare nemmeno Sallustio) ed hanno il sapore di una traduzione simultanea della vita presente in atto: segno di finissima letterarietà, questo, riscontrabile anche nei Ricordi di Marco Aurelio, meno atticista di Giulio Cesare ma suo imitatore nel vergare i propri scritti sotto tende mili119
tari~. Orbene, l'atticismo ricercato e fiorito dei romanzieri è certamente diverso da quello lisiano, ma proprio per questo è molto istruttivo: ci assicura che il romanzo è pervaso dallo spirito del presente ed insieme ne elude le istam.e dirette ed esplicite; al mascheramento della realtà contemporanea - quale è stato qui definito - corrisponde il mascheramento della nuda prosa che ·dovrebbe rispecchiarla. La scrittura esclusivamente letteraria, non solo quando è prosa arricchita dal linguaggio poetico, ma anche quando è in versi (si pensi ai trattati scientifici versificati dei primi secoli dell'ellenismo), è sempre e soltanto prosa, perché è 'romanzesca', mentre l'epos autentico è sempre e soltanto poesia, perché conosce una sola parola, il canto del ' passato assoluto ' 48 , che è musica e trova la sua genuina espressione nella misura melica del verso. Non a caso il quarto secolo avanti Cristo è universalmente riconosciuto come il ' secolo della prosa ': nei decenni che vanno dalla morte di Socrate alla morte di Aristotele visse la giovane letteratura visiva, che proprio perché giovane e inesperta di artifici non send né ebbe bisogno del belletto del verso, ed è qui il motivo dell'altissimo livello di quella produzione letteraria (artificiale perché letteratura, ma non artificiosa e incoerente). Quando la prosa, già nel secondo secolo avanti Cristo, ebbe di nuovo il sopravvento, ciò fu segno di coerenza con lo spirito romanzesco dei tempi, estraneo alla « fissità formulare » del verso. Grazie ai nuovi sofisti della prima stagione, il secolo degli Antonini si distingue in modo particolare per questa coerenza «adulta», e forse è qui il motivo per cui il Leopardi guardò a quel secolo con tanta simpatia. Ma forse il Leopardi non riusd a vedere i risvolti di quella letteratura adulta. Il romanzo, i cui rappresentanti sono in genere letterati di modesta estrazione sociale 49 , offre a noi moderni un esempio di strumentalizzazione dall'alto (cosf come i premi letterari d'oggi monopolizzano il mercato librario e manipolano i gusti degli autori e del pubblico orientandone le tendenze in funzione 120
preordinata), e presentandosi in veste idillica e bonaria, presuppone che l'impero romano sia il migliore degli. imperi possibili, cosi come in passato ha presupposto che la monarchia egiziana fosse la migliore delle monarchie possibili: ad esempio, le esposizioni di neonati (piaga dolorosa della società antica) non sono poi un gran male, dato che ... non ogni male viene per nuocere, e alla fine tutto si accomoderà, con piena soddisfazione degli ex-neonati. Siamo esattamente agli antipodi (ma il modulo del mascheramento è identico) della satira feroce nascosta nei bonari e idillici Viaggi di Gulliver. Nella sua introduzione a Problemi di teoria del romanzo Vittorio Strada registra una confidenza di Federico Schlegel, il quale ebbe a riferire l'opinione singolare di Fichte, secondo cui in un ordinamento statale « perfetto (quando lo stato del commercio sia chiuso del tutto e il passaporto dei viaggiatori sia munito di una compiuta biografia e di un ritratto fedele della persona) sarebbe assolutamente impossibile un romanzo: poiché nulla potrebbe presentarsi nella vita reale, che somministrar gli potesse qualche soggetto, o verosimile materia»~. Lo stato commerciale chiuso a cui pensava il Fichte non era molto diverso dalla monarchia egiziana ellenistica o dallo stato romano imperiale, che però, ovviamente, non potevano essere perfetti, anche se tali apparvero agli autori dei romanzi, i quali infatti non vi trovarono molti « soggetti, o vero~imile materia». Quel poco che vi trovarono giustifica la monotonia dello schema narrativo, e corrisponde ad un margine d'imperfezione, cioè d'« incompiutezza», senza la quale nessun romanzo può essere scritto. giugno-settembre 1977
Note
Parte prima I Minoici e micenei (trad. it. di N. Neri), Torino 1969, p. 287. Per un'accezione ampia (wolfiana e boeckhiana, per intenderci) della filologia, ved. le osservazioni di V. Branca in LA filologia e 14 critica letteraria (di V. Branca e J. Starobinski), Roma-Milano 1977, p. 92. 2 C. GALLAVO'M'I, Tradizione micenea e -poesia greca arcaica, in « Atti e Memorie del Primo Congresso Intemazionale di Micenologia •• Roma 1968, p. 832. Il medesimo studioso è tornato sull'argomento con l'art. I documenti micenei e la poesia omerica (1969), in « Atti del convegno internazionale sul tema: La poesia epica e fa sua formazione•• Roma 1970, 79-89. Ved. anche Note omeriche e micenee, in « Studi micenei ed egeo-anatolici• (fase. XV), Roma 1972, pp. 7-32. 3 Tradizione micenea, cit., p. 834. 4 Si pensi -a The making of homeric verse: the collected papers of Mi/man Parry, edited by Adam Parry, Oxford 1971; in questa raccolta figurano ovviamente anche i due saggi fondamentali di M. Parry sull'epiteto tradizionale e sulle formule e la metrica di Omero. Si veda anche l'utilissima guida Libri, editori e pubblico nel mondo antico, a oura di G. CAVALLO, Bari 1977. 5 Z. RuBINSOHN, The Dorian invasion again, « La Parola del Passato• (fase. CLXI) 1975, p. 113. 6 J. UIADWICI'., Who were the Dorians?, « La Parola del Passato,. (fase. CLXVI) 1976, pp. 103-117. Questo articolo sembra sviluppa.re un'idea espressa da G. PuGLffi!)E URllATELLI m E.I., App. III, p. 453,
pp.
s.v. Cretese-micenea dviltà. 7 1,12,}: Awp-.ijç- 'tE òy601)koa-rif)i·m ~vv 'Hpa.kì-.[l6cnc; Ili>..cm6WT}f1r:N lcrxov. Ved. C. GALLAVOTTI, Tr«lizione micenea, cit., ibid. e J. UiADWICJ[, tzrt. dt., p. 105. B
Tradizione micenea, cit., ibid.
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9 In Problemi di teoria del romanzo ( metodologia letteraria e dialettica storica), a cura di V. SnADA, Torino 1976, pp. 181.,221. io Il met,odo di rie.crea seguito dal Bachtin si rivela particolarmente utile per far luce sui primordi del:l'epos, proprio perché 1A mancanza di una documentazione COC'Wl non permette alla filologia a1mmo allo stato attuale deHe sue disponibilità scientifiche - di ·svolgere i propri compiti in misura esauriente. 11 Epos e romanzo, in Problemi di teoria, cit. p. 21'. 12 A. HAusEll, Storia socitlle dell'arte, I (trad. it. di A. Bovero), Torino 1964, pp. 86-87. Ved. anche C.M. Bowu, Homer, Bristol 1972, p. 27, dove viene retti:icata un'idea, ancor meno accettabile, espressa da:llo stesso autore in Homer and bis forerunners, Edimburgh 19.55, p. 36. 13 Ved. C. GALLAvorn, Il c11rattere eolico del g,eco miceneo, in « Rivista di Filologia e di istruzione classica», (n.s. 86) 19.58, pp. 113 sgg .. Un folclore epico in dialetto eolicomiceneo può benissimo essersi sviluppato nell'area eolica m.icroasiatica, ma è ovvio che quel dialetto sub{ profonde tmsformazioni, e comunque non condizionò in misura rilevante i moduli lessicali e metrici dell'epos ionico, per le ragioni che esporrò nel seguito della presente opera. In Tradizione micenea, cit., p. 837 il GALLAVOTII sembra tener conto delle « differenti coloriture dialettali che si ritiene di potere scorgere nella lingua micenea •, ma nega giusta· mente che tale ipotetica veri.età possa essere paragonabile con « la mistione di alcuni caratteri eolici arcaici nel contesto ionicp e innovatore della lingua omerica•· 14 Il cavallo di Troia è simbolo di Posidone « scuotiterra », Éwocrl.yetr.oc;; com'è noto, :in origine Posidone era una divinità teriomorfa, con se:nbial12'Je equine, e quando assunse aspetto antropomorfico gli fu consacrato i:l cavallo (il teonimo miceneo En(w)esidao(n), 11n E(r)nesidao(n), forse indica il dio dei terremoti - distinto da Pose(i)dao(n) - le funzioni del qua:le -furono in séguito assorbite dal Posidone 'storico'). Piu che i'archeologia, la quale ha creato .parca:hia confusione in merito al:l'indi· viduazione della Troia omerica (la scelta &a ben quarantasei « infrastrati » non è tale da ispirare fiducia), può esserci d'aiuto nel ricostruire l' « ultimo quarto d'ora » di Troia la considerazione che a:l1a distruzione della città non partecipa nessun grande eroe acheo (L. Pareti): ciò significa che la nÉpcnt; di Troia non ebbe bisogno di grandi eroi giacché gli eolimicenei conclusero vittoriosamente l'assedio della città a.pprofitta:ndo di un terremoto. La sismicità della Troade è arcinota. 15 Si tenga conto, inoltre, del fatto che soprattutto nel medioevo ellenico l'evoluzione del costume e delle idee fu lentissima (in merito ved. A. FANFANI, Poemi omerici ed economia antica, Milano 1965, p. 13; ved. anche P. GUIRAUD (citato dal Fanfani), La m,zin-d'ouvre industrie/le dans l'ancienne Grèce, Paris 1900, p. 10). 16 Ved. M. BACHTIN, op. cit., p. 193: « Le ipotetiche camoni originarie, che lwmo preceduto fa formazione delle epopee e la creazione della tradizione epica come genere letterario e che erano amzoni sui contemporanei e costituivano un'eco immediata ad eventi appena compiuti, queste ipotetiche canzoni non ci sono note. Sulla natura di queste
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originarie camoni degli aedi o cantilene poniamo quindi fare congetture soltanto. E non abbiamo -alcuna ragione di credere che es.,e fossero piu simili ai piu tardi canti epici (a noi noti) che, ad esempio, al nostro oorsivo di attmlità o agli stornelli sui temi del giorno •· 17 Il Bachtin mutua la formula « passato assoluto • da Goethe e Schiller, in sottintesa polemica con Hegel. 13 E' molto probabile che gli eolismi « odissi11ci • (presenti &nche nell'Iliade secondaria) siano piu numerosi - in quanto arcaismi non censurati dallo spirito epico - di quelli veramente ercaici. 19 Può essere utile, a questo proposito, ricordare che le migrazione ionica ebbe carattere « piuttosto greco che regionale•, come osserva F. CAssou, interpretando Tucidide, I, 2 (La Ionia nel mondo miceneo, Napoli 1957, pp. 101-02). Il Cassala parla anche di una guetta fra Ioni ed Eoli. 20 « Il fatto che nelle scritture semitiche non esistano segni particolari ,per indicare le vocali e che il suono vocalico sia insito nei segni delle consonanti, porta, di conseguenza, che tali scritture non possono essere lette ma devono essere interpretate: e ciò contravviene al principio fondamentale dell'alfabeto. La scrittura semitica, quindi, diventerà alfabeto soltanto quando i Greci, dopo averla appresa, vi apporteranno sostanziali modifiche per adattarla alle esigcme della loro lingua• (M. BuRZACHECHI, L'adozione dell'alfabeto nel mondo greco, in « La Parola del Passato• (fase. CLXVI) 1976, p. 82). 21 La trasposizione delle avventure di Odissea dalle regioni dd Meditermneo orientale e del Ponto Eusino nei mari occidentali è un fatto ormai pienamente assodato (veci. M. Sou1, La Grecia classica, in « Nuove questioni di storia antica•, Milano 1974, p. 127: ivi sono presupposti gli scritti di L. PABETI Poesia e storia nell'epica omerica, « Responsabilità del Sapere», (XXI) 1950, .pp. 34 sgrg. e Omero e la realtà storica; questo opuscolo è citato da C. GALLAvorn in Tradizione micenea, cit., p. 833, n. 1 ). Per quel che concerne il mascheramento delle ,località dell'Occidente mediterraneo nell'Odissea, veci. R. SION, Géographie odysséenne, « Annales •, (XXVII) 1972, pp. 158-162. 22 Per il soggettivismo del « romanzo in prima persona ,. ved. G. Lutlcs, Il Marxismo e lfl critica letteraria ( trad. it. di C. Cascs), Torino 1964, •p. 2%. Ovviamente il soggettivismo di Odisseo è ancora « gesto i., conserva cioè una sua dimensione oggettiva e drammatica, quasi che 1'aedo voglia 'mimare~ il su oeroe. Invece « la tendenza contemporanea (scii. odierna) a narrare in prima persona è un inconscio conato verso ila naturalezm che :però vuole restare -pagina, raccon~, non 'gesto',. (CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere, .16 gennaio 1948). Da quanto osservato si deduce che gli 'A~oM>-yof. non possono assolutamente essere anteriori all'Iliade originaria, dato che « sono stati sempre in prima persona,. (G. PASQUALI, Pagine stravaganti, II, Firenze 1968, p. 296); l'evoluta forma. narrativa con cui essi sono nati ci assicura che appartengono ad una tradizione recentissima, anche se attingono al folclore universale ( si pensi alla i.avola di Polifemo, ~icprdata dal Gallavotti, con pertinenza e sensibilità, in I documenti micenei e la poesia
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omerica, cit., p. 88). Ricordo inoltre che nell'Iliade raccontano in prima persona soltanto Nestore e Fenice, due perso.tl1l8gÌ che anche pel' altra via risultano estranei aLl' Iliade originaria. Rilevo infine che va inserita nella presente ,prospettiva l'osservazione dd MA.azuLLO (Il problema omerico, Milano-Napoli 19702 - 1• ed. Firenze 1952 -, p. 1.56), secondo cui le Peripezie, « se non il primo nucleo dell'Odissea, certo però ne sono la parte piu antica ». . 23 L'Odissea nasce destinata all'esecuzione orale, ma risulta composta secondo i moduli cerebrali della scrittura alfabetioa. L'Iliade invece ,resta sostanzialmente UD111. composizione orale anche nella sua veste alfabetica (a parte le aggiunte odissiadie ed il conseguente cerebralismo dei loro collegamenti estrinseci con i canti originari). Pertanto l'idea del BETHE, secondo cui « l'Iliade e l'Odissea sono i primi libri destinati alla lettura in tutta la letteratura mondiale i. (Die griechische Dichtung, WildparkPotsdam 1929, p. 23, ap. G. PASQUAU, Pagine stravaganti, Il, cit., p. 288 ), va rettificata precisando che i due poemi sono sopr(lttutto destinati &Ila ,recitazione, e che l'Iliade conserva i caratteri tipici dell'epos esclusivamente orale. 24 Tutti i brani di contenuto didattico presenti nell'Iliade vanno considerati odissiaci: mi riferisco soprattutto al didascalismo del primo libro, con buona pace di E.A. HAVELOCK, Cultura oraJ.e e civiltà delliJ scrittura - Da Omero a Platone (ttad. it. di M. Carpitella), Roma-Bari 1973, p. 73. 25 Qmi'è noto, l'idea della morte dell'epos nel mondo moderno risale ad Hegel. Secondo Houm;IMEB. e AoollNO, che come R. Bon:hardt non vedono l'abisso che separa l'Iliade dall'Odissea, l'epos e il mito hanno in comune « sfruttamento e dominio » (Dialettica dell'illuminismo ( ttad. it. di L. Vinci), Torino 1976 (.2& ed. « Reprints »), p. 54). E' chiaro invece che lo sfruttamento rispecchiato dall.Iliade è tranquillamente attualizzabile, poiché corrisponde allo sfruttamento non dell'uomo, ma della realtà animale, vegetale, minerale e cosmica da ,parte della .:.utura società epica ( ved. in merito il séguito immediato della presente trattazione). 26 L'Iliade è un poema 'artificiale' solo ,nella misura in cui il suo redattore odissiaco l'ha sottoposto a revisione e 1'ha ampliato ai fini della redazione alfabetica. Le parti odissiache dd poema sono comunque molto meno rilevanti, quantitativamente, di quelle calcolate da B. MARZULLO (Il problema omerico, cit., p. 412) ndla misura di U1l terzo del poema stesso. n Il concetto di « democrazia guerriera» è ripreso e utilizzato da G. Lutlcs in Problemi di teoria del romanzo, cit., p. 14.5. 28 V ed. B. C1.ocE, Poesia antica e mod.erna (Omero. I nterpreta:.ione moderna di taluni giudizi antichi), Bari 19664, pp. 34-35. 29 La differenza tra l'una e faltra Atena è stata rilevata efficacemente da B. MARZULLO (Il problema omerico, cit., pp. 158 sgg.) il quale ha posto in risaito .sia la scarsa perspicuità fisionomica dell,a KoP1) odissiaca, sia 81:i aspetti odissiaci (cioè secondari) dell'Atena iliadica soprattutto in 'I' 783 e I.:,. 129 sgg.). E' ovvio pertanto ritenere che la Tedazione scritta dell'Odissea preceda quella dell'Iliade, effettuata dallo
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stesso rapsodo ,(o della stessa scuola rapsodica). Per quel che concerne la gentilezza borghese del mondo odissiaco va comunque puntualizzato che essa è ben diversa da quella die appare, per non citare altri, a HollDIEIMEll e AooRNo (Dialettica dell'illuminismo, cit., pp . .5().,1). Quella gentilezza -fa tutt'uno con l'odio fratricida, che invece l'eroe iliadico non conosce. Odissea si abbandona con lucidissima gioia al facile e gratuito massacro dei proci suoi fratelli (un intero libro, il 20", è dedicato alla preparazione della strage). E se il supplizio delle ancelle dura poco, ciò non è dovuto alla gentilezza d'animo del rapsodo - altrimenti non sapremmo spiegare Ja lunga e atroce tortura inflitta a Melanzio, che come figura sociale è rollega di Filezio e quindi non suscita scandalo come relitto arcaico - , ma al fatto che le ancelle sono donne e schiave, cioè troppo deboli fisicamente per resistere al supplizio piu di qualche attimo, e troppo insignGcanti per meritare una punizione •epica'. La q>1.À4v&popµ1.yl; o sulla cetra. 120 In tal caso 1a parola EÌ..Eyoc; è un probabile eolismo da *lì..EFoç~ cfr. ya.ì..ì..01. per Fa:ì..ì..01. (att. -ljì..01.), da *Fpaì..01.). 121 Si pensi, per esempio, ad att. oì..1.oc; per òì..lyo~ (M. LEJEUNE, T raité, cit., p. 47 ). 122 Ved. P. MAAs, Metrica greca, cit., p. 11. 123 Essa si è insinuata nel pun·to della narrazione epica che presentava minore resistema alla pressione di elementi estranei all'epos autentico: mi riferisco al libro ventiduesimo, dove il destino 't'a.V1)).,eyt~ aa.va:'t'01.o è ormai segnato per Ettore, la cui morte, per quanto croia è pur sempre la morte di un nemico che appartiene ad una civiltA diversa. Invece Ja presenza della medesima formula nel libro ottavo può essere dovuta -all'intervento del redattore odissiaco, poiché lo stcs.w Grote avanzò dubbi sull'appartenema di detto libro al nucleo originario dell'Iliade (Ved. F. ConINo, Introduzione a Omero, Torino 196.5, p. 40). 124 Solo apparentemente contrasta col pn:sente discorso la tesi di
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M.G. CIANI (Destini di morte. Gli eroi dell'Iliade, « Rivista di Cultura classica e medievale•, (XVI) 1974, .pp. 115 sgg.). · w Ved. le già citate pp. 164 sgg. del Problema omerico, di B. MAltzULLO. l1l, Il coraggio di Odi~ oon è epico: è quehlo dell'astuzia e, in subordine, dell'abilità e della :orza. Qwmdo in occasione della tempesta marina del quinto libro ddll'Odissea nessuna di queste tre doti può aiutarlo, egli dice 1tpòc; 8v µEya.À.T)'tOp(X. ( !) tuµov"' : "0 IJ,OL l"(W 6ELÀoc;" ( vv. 298-99); e se chiama « tre e quattro volte felici • i Danai morti 10tto Troia (vv. 306-07), non è chi non veda come il klloc; di quegli eroi sia un motivo ktterario ohe sottolinea la distanza incolmabile da un mondo nel quale la gloria non è un palliativo per chi muore, ma è la sola ragione per cui valga la pena vivere. 127 Naturalmente intendo ia .perola ' merointe ' in senso lato. Per analogia col meccani~mo del processo di trasformazione avvenuto nella società omerica, mi sembra utile rinviare a S. DoNADONI (XP'l}µa-ta. a.vl)p. Ricchezza e stato sociale nell'Egitto piu antico, « La Parola del Passato• (fase. CLXIX), 1976, pp. 273-85), il quale osserva giustamente che « esser possidenti in Egitto non è l'esser ~identi nella Grecia arcaica, non è l'esser possidenti nel secolo dei lumi » (p. 273 ); ma oltre che le differenze contano le ana'logie: la civiltà egizia è diversa dalla cultura iliadica, soprattutto perché questa non è letterata; ma questa è piu vicina alla civiltà mcnfita e alla civiltà del!le dinastie XI e XII, petdié è rigorosamente aristocratica; la civiltà odissiaca è invece simile a quella egizia dd primo evo intermedio, e per enttambe queste civiltà si può dire che « la gente ... ha trovato ... la vivacità della esperienza del concreto, il .gusto dell'abilità personale, la formulazione dell'individuale come realtà autonoma» (p. 283). E se l'autobiografismo delle iscrizioni tombali menfite dovesse lasciar ,perplessi, si tenga conto del fatto che anche quella civiltà aristocratica è « romanzesca i., perché è letterata e quindi non può non speaniarsi nel presente, sia pure in misura molto limitata (il limite è dato dall'arcaicità dd sistema gra.:ico non alfabetico e dalla parallela repressione quasi totale da parte del potere monarchico, che permette alrindividualismo di affiorare soltanto in questi termini: « Io sono perché il ~e è ». Per quel che concerne il rapporto denaro: so. cietà ved. i rinvii di M. McLUHAN a K. Rodbertus e H. Pearson in La Galassia Gutenberg. Nascita dell'uomo tipografico (trad. it. di S. Rizzo), Roma 1976, pp. 22-23. 128 Rinuncio alla esemplificazione di questi aspetti, del resto noti a rutti, e mi limito a ricordare che la loro radice ultima sta nel fatto che Ermes « crea da sé la contraddizione (diverso da Dioniso che porta in sé e da sé rivela i dissidi della realtà) • (M. UNTERSTEINER, Le origini della tragedia e del tragico, Torino 1955, p. 494; ,ved. anche p. 94, n. 1). Se può essere utile ricoroo che secondo lo }UNG Ermes-Mercurio "rappre. senta da llUl lato il « Selbst », daLI'altro il processo di individuazione, e '8DICne l'inconscio oollettivo grazie alle sue illimitate qualificazioni" (La simbolica dello spirito, trad. it. di O. Bavero Caporali, Torino 1975, 1a ed. « Reprints i., p. 92).
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129 µ 341-42: « Ogni morte è terribile per i miseri mortali, ·ma la cosa piu spaventosa è morire di fwne ». Col8() l'occasione per far notare che il letterarissimo catechismo politico dei Pers_iani di &chilo trova uno dei suoi punti di forza nel presupporre queste parole di Euriloco ( circa lo sviluppo drammatico del tema della morte per fame in quella tragedia (del 472) e l'occupazione ateniese cli Bisanzio (con i suoi granai) nel 471, ved. il mio studio Il vero volto dei « Persiani » di Eschilo, cit., p. 63 e n. 83 ). Ricordo inoltre che la cronologia Telativa delle NÉkui.a. rispetto al libro successivo, qui chiamato in causa, non ha nessuna importama ai fini dell'assunto che sto sviluppando: l'Odissea non ha una storia metamolfica, -perché per noi il primo Odisseo è morto per. sempre; Achille invece passa attraverso l'Odissea che non ne deforma i connotati epici, per rispetto verso un epos prestigioso che cantava una conquista non velleitaria, ma concreta ed ancora gratificante. 1~ Poco imporra che alcuni esponenti di questa stessa cultura polemizzino contro la ricchezza: Alceo e Pindaro, che piangono XP'Tlµa:ta. civi)p (ved. S. DoNADONI, art. cit., p. 273 e n. 1), e tutti gli altri aristocratici, a partire da Aristodemo Spartiate (cui risale quello slogan) sono XP1lµ4'ta. anche loro, perché daLle vere rivoluzioni culturali nessuno resta immune: essi, di fatto, ~ o solo dissociarsi leuerari4mente dalla nuova condizione che coinvolge in modo diretto anche loro. Una analoga contraddizione «ermetica», cioè lettemria, è ravvisata, se non erro, dallo stesso Donadoni (art. cit., p. 283) nella cultura egizia post-menfita, il oui dinamismo economico contrasta con la deplomzione letteraria dello stesso da parte dei ,passatisti aristocratici. In questa prospettiva Teognide è figlio spirituale anche di Atdilloco, cioè cli un uomo di puntia della rivoluzione operata dalla tecnologia alfabetica: « nessun conservatorismo resiste a una nuova tecnologia i. (G. CAVALLO, Introduzione a Libri, editori e pubblico, cit. p. XXI). Ul La differenza tra l'epica e la lirica viene definita dallo SNELL in modo estrinseco (La cultura greca e le origini del pensiero europeo (trad. it. V. Degli Afberti e A. Solmi Marietti), Torino 1963, p. 89). 132 La melica di Anacreonte (cui accennerò di nuovo in séguito) è un ibrido, che si spiega tenendo conto dei rapporti storici. fra Bolide e Ionia. La poesia eolica oa-ffonda le radici nello stesso background eolico dell•epos iliadico, ma assume toni e forme ~quanto diverse: nonostante la sostanziale purezza nativa del suo linguasgio, Alceo intona canti monodici che sono squisitamente letterari (anche se meno di quelli saffici), perché esprimono un ideaile epico mutilo. La melica dorica d'altronde, cerca di recuperare la sfericità dell'epos dilatando la 'monodia' dell'aedo iliad.ico nel canto corale e ottenendo risultati ' epici ' piu vistosi di quelli alcaici, ma pur sempTe artifici.ali: l'aedo iliad.ioo poteva cantare da solo, perché non c'era necessità di unire (per mezzo del canto corale) ciò che non era diviso. 113 Ved. n. 129. 134 Com'è noto, il Pluto e le Ecclesiaz.use di Aristofane sono privi di parabasi. 135 E' -interessante notare come anche a Sparta, che cerca di rinn~
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vare il miracolo della società epica iliadica, un guerriero contemporaneo di Isocrate, Agesilao, non sia aff.atto handicappato daTha sua condizione di storpio, che invece nella società epica vera e propria lo avrebbe relegato nella schiera dei demiurghi armaioli, con protettore Vulcano. 136 Quell'oratoria ~ letteratura già per 1•accuratissima µEÀ.ÉTr) (equivalente alla meditatio di Cicerone) su cui si basa. 137 L'osservazione di E.G. TuRNER su Ra. 1028 (Libri, editori e pubblico, cit., p. 23) è alquanto ingenua e incongrua. 138 E' noto, comunque, che Erodoto si esibf ad Olimpia nella lettura di loyoi. delle sue Storie (ved. sopra, p. 21). 139 C. Ono PAVESE, Studi sulla tradizione epica rapsodica, cit., p . .51, parla di transizione pensando a poeti che già sono letterati puri, come Cherilo di Samo e Antimaco di Colofone. Come si può notare, per letteranira « transizionale i. io intendo ciò che altrove ho chiamato letteratura orale, con un'accezione diversa da quella voluta da H. Levin (ap. M. McLUHAN, La galassia Gutenberg, cit., p. 22). 140 Per l'uso della parola crcppl)y~ ved. Teognide, I, 19. Si ricordi, anche, che lo stesso Esiodo sembra voler salvaguardare la sua proprietà letteraria adottando come « sigillo » l'apostrofe a Perse; ugualmente ii.struttivo, anche se non ... esiodeo, è i-1 nome di &iodo nel v. 22 della Teogonia. 14 1 Ho già accennato in precedenza alla proposta enneneutica di M. Durante, accettata dal Pagliaro. Ved. anche B. MARZULLO, op. cit., p. 41.5, n. 2. 142 Penso agli esametri degli epitalami di Saffo. Quei versi erano destinati al canto corale, mentre gli esametri lirici dell'epos primitivo erano cantati solo dall'aedo. 143 Anth. Ppl., 9, 50 (fr. 7 Diehl, cit. da G. PASQUALI, Pagine stravaganti, cit., I, p. 320). Atteggiamenti analoghi a questo di Mimnermo è dato ravvisare anche in frammenti di altri elegiaci. 144 Per l'epigramma in Omero, ved. O. Vox, in « Belf.agor », (n.s. XXX) 1975, pp. 67-70. 145 Ved. G. GLOTZ, LA città greca (trad. it. di ,P. Serini), Torino 19564 , p. 146. 146 In merito alla questione mi sono stati fomiti suggerimenti dal dotto amico Salvatore lmQCllizzeri, il quale mi ha rinviato ad un utile confronto con G. THOMSON (Eschilo e Atene (trad. it. di L. Fuà}, Torino 1949, pp. 388 sgg.). 147 Mutuo la suggestive immagine da W. }AGER, Paideip, I (trad. it. di L. Emery), Bologna 1967 (3a rist.), p. 643. 1-48 Quasi tutti quelli fra i parali che praticav-ano il mare erano umili pescatori. l4'J Un attacco frontale alla teoria del Nietzsche è stato mosso da G. CoLLI (La nascita della filosofia, cit., pp. 14 sgg.), ma con argomentazioni ttoppo generiche, intese a sostenere che • Apollo e Dioniso hanno uo'a..ifuutà fondamentale, ,proprio sul tetteno della manun (p. 21). l!il Ciò risulta con assoluta evidenza clalranalisi dei Persiani di Eschilo - forse la piu antica ·tragedia greca a noi pervenuta (per cui rinvio al mio saggio sopra citato) - e dell'Edipo re di Sofocle (ved.
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il mio art. La sintassi tragica del primo « &lipo » di Sofocle, « Dioniso • (n.s. XLIV), 1970, p. 36). Mutuo la metafore ddlla 'cassa di risonam.a, da. I. EltltANDONEA, il quale, dopo aver seguito Aristotele in El coro como elemento integrante en la tragedia de Sòfocles, «Emerita», (n.s. X) 1942, pp. 28-65, ha rettificato parzialmente ila propria op1n1one in Filoctetes, «Emerita», (n.s. XXIII) 1955, pp. 122-64 e (n.s. XXIV) 1956, pp. 72-107. 151 Si sa, comunque, che anche Archiloco compose ditirambi, sui quali forse Arione modellò i propri. 152 La ragione di questo atteggiamento mimetico sta nel fatto che l'Atride Menelao aveva regnato proprio su Sparta. 153 In Eschilo e in Sofocle questo punto si configura come -rux'IJ (ved. M. UNTERSTEINER, op. cit., p. 515, e il mio art. cit., p. 33, n. 56). 154 Veci. C. GALLAVOTTI, Il piacere della mimesi catartica (Appendice ad Aristotele. Dell'arte poetica, Milano 1974), pp. 227-40. 155 Ciò è dimostrato dal mito dell'auriga applicato allo stato. 1.56 Ved. sopra, n. 132. 157 M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, cit., p. 57 (ved. anche p. 53: « Nell'era dettrica abbiamo come pelJe l'intera umanità»). 158 L'agonia di cui parlo riguarda ovviamente l'oralità intesa nella sua dimensione epica, non certo la semplice lingua parlata, che « anche nelle comunità altamente letterate» ... « serve in una gamma di ~oni comunicative ,piu vasta di quelle della lingua scritta» (J. LYONS, Il linguaggio umano, in La natura della comunicazione, a c. di R.A. HINDE, cit., p. 89). 151J Ved. B. MARZULLO, Il problema omerico, 1a ed., cit., p. 482, n. 2. Cfr. G. PASQUALI, Pagine stravaganti, II, cit., p. 294. 100 Il verbo aE1.6E che indica il canto dell'aedo iliadico, è ben diverso da EWE7tE che indica il 'recitativo del rapsodo (questa distinzione fra aedo e rapsodo mi sembra 1a piu convincente, ed anche la. piu utile ai fini delfa chiarezza espositiva). 161 « La divisione dell'umanità m classi sociali ne spiega la storia infinitamente meglio della divisione ln razze o in popoli ~ ( S. TIMPANAB.O, Sul materialismo, Pisa 1970 - ora -anche in traduzione inglese - , p. 19). 162 Ved. S.B. HAINSWORTH, Omero: problemi critici e interpretativi, cit., p. 636. 163 Ved. comunque la notizia della Suda (,registrata da E.G. TuRNEB., op. cit., .p. 19), secondo cui « Pericle fu il primo a pronunciare in tribunale un discorso scritto, avendo i suoi predecessori improvvisato i loro discorsi ». 164 L'argomento è trattato da E. DE CARu in Aristofane •e la sofistica, Firenze 1971, pp. 11 sgg. 165 Nelil'Encomio di Elena, 8, Gorgia scrive che il ì..6yo111ances, cit., pp. 96 sgg.). 24 Se la castità di uno dei due innamorati è insidiata pericolosamente, lo scrittore interviene per scagionare la vittima da ogni respon· sabilità, come nelle Avventure di Cherea e Calliroe (II, 8): « La donna non cedeva da nessuna parte e restava fedele al suo Cherea. Ma fu soggiogata dalla Fortuna, contro la quale non v.ale il calcolo degli uomini... La Fortuna tese un'insidia alla castità della donna » ( trascrivo da G. MARCOVALDI, J romanzi greci, Roma 1969, p. 112: ivi l'autore confronta I, 1 con II, 8 dd romanzo di Caritone, per dimostrare che in II, 8 la Fortuna è « letteralmente sostituita all'Amore» (che agisce in I, 1), « con una perfetta analogia di attributi e di funzioni»). 25 Spesso i personaggi delle commedie menandree che in genere sono ambientate, come del resto i mimi, in località storicamente determinate acquistano sapore di contemporaneità perché risultano collegati con qualche monaroa ellenistico. Per quel che concerne i r• porti (negati a torto dal Rohde, che considerava la NÉa dramma di carattere) tra romanzo e commedia nuova, un utile spunto critico è offerto da B. LAVAGNINI (Premessa a Studi sul romanzo greco, cit., p. IX), il quale parla di una « predilezione del gusto borghese, attestata già dalla commedia nuova » per « un patrimonio di novelle e leggende d'amore ,.
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26 Una funzione analoga nonostante l'assenza della stilizzazione delle vicende e dei peisonaggi - ha la cornice storica della peste nel Decameron del Boa:accio ( a proposito del quale ved. E. RoHDE, Der griechische Roman, cit., pp. 521 sgg.). 27 Lo stesso dicasi del mimo, che rispetto alla Néa. vive, per cosi dire, di seconda mano. 28 Ved. sopra, n. 20. 29 Sul concetto di 'arte allusiva ' ved. G. PASQUALI, Pagine stravaganti, cit., II, pp. 275-82. 30 Il carattere squisitamente letterario dell'aMusiooe al Filottete emerge dalla sapiente variazione apportata al modello: Gillide dice a Metriche (vv. 39-40): T)µÉp~ µE'taÀ.Àa.~0\1