Cronache macabre. Tra le pieghe della Storia di Roma e Parigi 9788898905805


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Cronache macabre. Tra le pieghe della Storia di Roma e Parigi
 9788898905805

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FRANCO ASTOLFI

CRONACHE MACABRE Tra le pieghe della Storia di Roma e Parigi

Prima edizione Gennaio 2021 I LIbRI deL CASATO via Isonzo 64 - 00046 Grottaferrata (RM) - tel. fax 06 93896875 www.ilibridelcasato.it [email protected] ebook ISbN 978-88-98905-80-5 editing, grafica ed impaginazione: I LIbRI deL CASATO Copertina: Marcello Tenore Copyright©2021 I LIbRI deL CASATO

Sommario

Introduzione Il macabro dietro la storia Segreti, drammi e misteri tra Roma e Parigi

7

Roma

11

Le tabellae defixionum Una pratica di magia nera in Roma antica

13

La messa nera di benvenuto Cellini 

19

Un luogo funesto di Roma  La zona di Porta Flaminia e piazza del Popolo

27

Processi per astrologia e magia nella Roma di Urbano VIII  (1623-1644)

35

Spettatori illustri alle esecuzioni di Mastro Titta

41

La Porta Magica di villa Palombara 

49

Le voci bianche  I cantori del papa

61

Il processo a papa Formoso 

69

Le memorie di un confortatore  Giustizie e giustiziati a Roma nel diario di Placido Eustachio Ghezzi (secoli XVII-XVIII)

77

Parigi

89

I Convulsionari di Parigi Un’eresia giansenista del XVIII secolo

91

La distruzione delle tombe reali di Saint-denis Un episodio della Rivoluzione francese

105

Un vampiro a Montparnasse L’incredibile caso del sergente Bertrand

113

La marchesa di brinvilliers Un’avvelenatrice professionista alla corte di Luigi XIV

123

I “bagni di sangue” di Luigi XV (Parigi 1750)

133

Massacri a Parigi e festeggiamenti a Roma (24 agosto 1572) 141 Il disastro della rue Royale (Parigi, 30 maggio 1770)

149

Il caso damiens  Il teatro dell’orrore nel secolo dei lumi

157

Strane pietanze e inconsueti manicaretti Nella Parigi medievale e nella Roma barocca

165

Note Roma Note Parigi Indice dei nomi Indice dei luoghi e delle cose notevoli Bibliografia generale

173 187 209 223 237

Introduzione Il MACABRO dIETRO lA STORIA Segreti, drammi e misteri tra Roma e Parigi

“d

ietro la storia”, o “Tra le pieghe della storia”, espressioni e modi di dire con i quali ci piace indicare i risultati di ricerche eseguite con pazienza, sebbene con intenti chiaramente divulgativi, nei diari di cronisti e testimoni oculari, oppure tra le pagine di vecchi libri spesso ignorati o trascurati dagli specialisti, nonché tra opere moderne ma di scarsa diffusione. Nel nostro caso, prescindendo da eventi senza dubbio epocali come ad esempio la strage della notte di S. bartolomeo, riconsiderati comunque nei loro risvolti marginali o poco conosciuti, la rassegna si compone di vicende che potremmo definire “minori”, incentrate su personaggi quasi sempre privi della caratura necessaria per accedere alla storia ufficiale, ma certamente utili per conferire al loro tempo il calore di una vicinanza e di una “quotidianità” che non potremmo trovare nei libri di storia.  Le azioni si svolgono esclusivamente tra le città di Roma e Parigi, in un gemellaggio vagamente tematico e quasi sempre casuale, dovuto principalmente alla curiosità e agli interessi dell’autore. Unica eccezione in tal senso il capitolo sulla distruzione delle tombe reali di Saint-denis, cioè il luogo destinato alle sepolture dei re e dei principi di Francia, da considerare comunque quasi un’estensione – storica e ideale prima che geografica – della grande capitale francese.  La città e la sua cattedrale offriranno lo scenario per uno degli episodi più efferati (e meno conosciuti) della Rivoluzione, che sembra riproporre su una scala infinitamente più ampia il terribile processo medievale sulla salma di papa Formoso. 7

La raccolta si apre con i misteriosi rituali delle “tabelle defissorie”, le tavolette utilizzate per la diffusissima pratica di magia nera attestata in tutto il mondo antico, che nel tempo evolverà verso le più elaborate forme della negromanzia, come vediamo nella movimentata evocazione di benvenuto Cellini o nella folcloristica (ma comunque tragica) congiura contro Urbano VIII. di segno completamente opposto sono invece gli esorcismi compiuti per scacciare inquietanti presenze diaboliche, come nel caso del “fantasma” dell’imperatore Nerone che si aggirava senza pace in alcuni luoghi della città. Altro aspetto collegato in qualche misura con l’inconoscibile e l’ignoto è poi l’astrologia, esaminata nelle sue differenti forme e considerata soprattutto come fenomeno storico e culturale, oppure quale causa indiretta di inquisizioni e processi. Più a stretto contatto con la magia, troviamo infine la secolare attrazione verso le presunte qualità terapeutiche del sangue umano, frutto di antiche e radicate leggende che sembrano riaffiorare nel tempo in situazioni e luoghi diversi, con conseguenze spesso imprevedibili. Ampio spazio è dato poi all’argomento delle esecuzioni capitali, spettacoli decisamente consueti nelle due città fino a tutto il XIX secolo, che ci ricordano quanto poco valore venisse attribuito alla vita umana negli stati del papa e nella Francia di Ancien régime. Accanto alle funeree e singolari figure dei Confortatori di S. Giovanni, e a quelle tragiche o diaboliche di damiens e della brinvilliers, protagonista assoluto di questo “teatro della crudeltà” è il boia Mastro Titta, un gigante nel suo genere, le cui “esibizioni” durate ben 68 anni vengono ricordate e descritte da alcuni dei più famosi personaggi del suo tempo. Con i ben noti e drammatici episodi della notte di S. bartolomeo e  le  molto  meno  note  ripercussioni  che  gli  avvenimenti  ebbero presso la Corte pontificia, il rapporto tra le due città diviene più stretto; mentre un altro oscuro paradossale gemellaggio sembra realizzarsi nel tempo con i casi di cannibalismo della rue des Marmousets e della piazza del Pantheon.  La narrazione acquista finalmente un tono più leggero con il “cenacolo alchemico” di villa Palombara e con la vicenda delle “voci 8

bianche”, i cantori evirati, un fenomeno tutto cattolico e romano che suscitava l’interesse e lo stupore dei viaggiatori stranieri che visitavano la città. In maggiore sintonia col carattere di grande metropoli abitata da centinaia di migliaia di persone, appaiono invece alcuni fenomeni collettivi parigini, come il delirio mistico dei Convulsionari che assediano il cimitero di S. Medardo, o i fatti della rue Royale, dove la festa organizzata per le nozze di due giovani principi si trasforma in un disastro che sembra prefigurare il loro tragico futuro destino.  del tutto isolato nell’inconcepibile e solitaria follia del protagonista, appare infine il caso del sergente bertrand, il giovane soldato di  bell’aspetto  e  dai  modi  gentili  che  di  notte  amava  violare  le tombe di giovani donne. Ricordato ormai essenzialmente nei trattati di patologia criminale, verso la metà dell’Ottocento il caso bertrand aveva suscitato un vivissimo interesse, oltre che per gli insoliti aspetti della sua psicosi, soprattutto per i risvolti sessualmente macabri delle violazioni, che frutteranno al sergente il suggestivo, quanto improprio, attributo di “vampiro”. F. A.

9

Roma

lE TABEllAE dEfIxIONuM Una pratica di magia nera in Roma antica

N

el libro dei rimedi medici della sua Storia Naturale (XVIII, 19), Plinio il Vecchio scrive che «non c’è persona che non tema di essere votata alla rovina da preghiere malefiche», facendo capire quanto fosse diffusa la pratica della magia ai suoi tempi, cioè verso la seconda metà del I secolo d.C.  Nella religione romana tradizionale il rapporto tra l’uomo e la divinità era regolato esclusivamente dal culto ufficiale, con i sacerdoti incaricati del compimento dei riti eseguiti secondo procedure consolidate nel tempo. Scopo fondamentale del culto era di guadagnare e mantenere il favore degli dèi (pax deorum) attraverso meticolosi rituali di carattere strettamente formale che – a differenza di quanto avverrà poi nel cristianesimo – prescindevano da ogni coinvolgimento o sentimento interiore del sacerdote e del fedele. Il corretto svolgimento della pratica liturgica era quindi assicurato esclusivamente dall’osservanza della formula, nonché dall’esattezza del gesto nel momento centrale del sacrificio1. Sia nell’ambito del culto privato (sacra privata), eseguito nei confronti delle divinità domestiche2, che in quello pubblico (sacra publica) espletato a favore della comunità, la preghiera assumeva inoltre il carattere di un duplice impegno: cioè all’esattezza del rituale e alla buona qualità delle offerte, la divinità poteva rispondere assicurando la protezione richiesta.  Al contrario di quanto avveniva nel culto cittadino e pur rimanendo ugualmente indispensabile l’esattezza del formulario, nell’esercizio  della  magia il  rapporto  con  la  divinità  veniva sostanzialmente falsato. Mentre infatti con il rito ufficiale il dio in13

vocato rimaneva sostanzialmente libero nelle sue azioni, la magia lo asserviva, costringendolo ad eseguire il volere di chi era in grado di conoscere e seguire correttamente le procedure prescritte3.    Originarie dell’Oriente da dove si erano diffuse nel resto del mondo antico, secondo i Greci e i Romani le arti magiche erano prerogativa soprattutto degli Assiri e dei babilonesi, considerati come i veri specialisti della materia. Lo stesso Plinio (XXX), collegando in qualche modo la magia all’astrologia e alla mantica4, tracciava una linea di diffusione dall’antica Persia di Zoroastro, alla Grecia, quindi agli ebrei ed infine a Roma. Una delle prime definizioni di mago – nel senso di esperto in magia nera – spetta comunque a Platone (Republica, 364b), che parla dell’esistenza ai suoi tempi di “sacerdoti” itineranti, che affermavano di possedere poteri magici e di essere in grado di compiere malefici dietro un determinato compenso.  A Roma le pratiche magiche sono menzionate per la prima volta nelle Leggi delle XII Tavole, cioè l’antico codice redatto nel 450 a.C. e tramandato in parte dagli autori latini dei secoli successivi. Nel caso specifico si trattava di un particolare tipo di sortilegio (malum carmen)  in  grado  di far  scomparire  il  raccolto  di un campo (excantare, traducere messes), per trasportarlo in  un  altro  fondo.  Prescindendo da queste prime forme di maleficio tipiche di una società con un’economia legata soprattutto all’agricoltura, una delle  pratiche  più  ricorrenti Chiodo apotropaico di bronzo con un’invocazione a Iao (Iahveh) Sabaoth in lingua era quella delle Tabellae defigreca e una serie di simboli e animali raffixionum,  cioè  delle  tavolette gurati secondo lo schema compositivo del sulle  quali  venivano  incise malocchio (stelle, serpente, rospo, tartaruga, insetto, upupa, falcone, cervo, cane, formule di maledizione destilucertola, scorpione, lepre). Provenienza nate a colpire una determinata ignota, già nel Museo Kircheriano. IV-V sepersona5.   colo d.C. (da: Minervini 1848, p. 45) 14

Tabella del V secolo (con disegno) in greco con la raffigurazione di una divinità, forse la dea greca Ecate (Bologna, Museo Civico Archeologico)

Attestate in ambito greco fin dal V secolo a.C. e diffuse in tutto il Mediterraneo, a Roma le prime defixiones sembrano apparire verso il II secolo. Si trattava generalmente di piccole tabelle di forma varia – ricavate quasi sempre in lamine di piombo – arrotolate o ripiegate più volte, sulle quali era stato inciso un breve testo contenente una maledizione nei confronti di uno o più individui. Spesso le lastrine venivano perforate con un chiodo o legate con filo di ferro, evidenti elementi magici che contribuivano a “fissare” saldamente le prescrizioni contenute nella tabella. Anche la scelta stessa del metallo aveva significato magico, in quanto il piombo era collegato con Saturno, la stella nocens degli astrologi, il cui stesso aspetto greve e freddo richiamava, in alcuni casi, le richieste 15

contenute nella formula: «Come questo metallo è freddo e deformato così tu sarai…»; «Che la tua lingua diventi piombo», e così via. dall’esame delle espressioni impiegate nei numerosi testi ancora conservati, è possibile capire che l’operazione magica veniva compiuta generalmente da uno “stregone professionista”, cioè da un esperto di magia che si rifaceva spesso ad antichissimi prototipi come, ad esempio, i “papiri magici” di provenienza greca ed egizia.   Oltre all’atto materiale dell’incisione, le diverse fasi del rito dovevano comprendere una parte orale, durante la quale il mago recitava il testo della tavoletta accompagnato dalle parole necessarie per impegnare la divinità invocata. Considerando la diffusa condizione di analfabetismo di gran parte della popolazione, lo stesso utilizzo della scrittura (prevalentemente il greco e il latino) aiutava il mago a creare la necessaria atmosfera di mistero che doveva circondare tutta l’operazione. Nei casi più complessi e raffinati, le righe del testo potevano essere tracciate da destra verso sinistra, cioè in forma capovolta e quasi a ribadire il sovvertimento di valori che costituiva il fine ultimo della magia nera. Oltre alle varie espressioni che formavano la formula deprecatoria, allo scopo di indirizzare con precisione la divinità l’iscrizione doveva poi contenere ovviamente il nome della vittima (defisso), accompagnato spesso da quello della madre, quasi a cautelarsi contro i casi di dubbia paternità (pater semper incertus) piuttosto frequenti nelle società antiche. Per quanto riguarda i desideri espressi nelle defissioni, l’incantesimo poteva consistere in generiche richieste di sottomissione e asservimento della vittima all’autore del maleficio, oppure nell’ordine di colpirla con disgrazie di vario tipo. Tra le espressioni più frequentemente utilizzate nelle tabelle, troviamo frasi come «io dedico», «io consegno», «io lego» ecc., seguite dal nome della persona da colpire e della divinità evocata. dal punto di vista degli infiniti motivi per i quali venivano praticati i malefici, nei testi rinvenuti vi sono tutti i possibili elementi di dissidio che caratterizzavano una società sostanzialmente complessa come quella romana. Nel vasto repertorio sono comprese, ad esempio, le cause nei tri16

Tabella di piombo (con disegno) attraversata da un chiodo di ferro (da: Blänsdorf 2012)

bunali, le rivalità in amore o negli affari, le vendette per torti subiti come furti o maldicenze e cosi via. Particolarmente interessanti sono le defissioni agonistiche riguardanti principalmente le corse del circo, nelle quali i sostenitori di una “fazione”6 maledicevano i rappresentanti di quella avversaria, specificando a volte i nomi degli aurighi o dei cavalli da colpire, nonché i tipi di incidenti che dovevano accadere durante la corsa7. 17

L’ultima parte della pratica deprecatoria riguardava l’invio della defissione alla divinità incaricata di perseguitare la vittima prescelta. In qualche caso la tavoletta veniva semplicemente sepolta in terra, oppure gettata in pozzi o cavità sotterranee per metterla in contatto con un indefinito universo infero. In altri casi venivano invece preferite le fonti, specialmente quelle di acque calde e sulfuree (aquae ferventes) per le ovvie suggestioni che potevano offrire questi fenomeni naturali, interpretati come manifestazioni divine o come punti di transito verso regioni misteriose e sconosciute. Altri possibili luoghi scelti per le tabelle erano poi i santuari di divinità ctonie come demetra, Core, Plutone, cioè di figure divine collegate tradizionalmente con il mondo sotterraneo. Ma prescindendo da tutte queste possibilità, i luoghi preferiti per depositare le defissioni erano soprattutto le tombe, per la capacità che avevano i defunti di fungere da tramiti tra il mondo dei vivi e quello delle entità ultraterrene. Nei casi in cui era conosciuto il titolare del sepolcro, il suo nome poteva essere inserito nel testo della maledizione, in modo da impegnare direttamente il defunto e fargli assumere l’insolita funzione di «postino infernale» (F. Graf). 

18

lA MESSA NERA dI BENVENuTO CEllINI

L

a mattina del 6 maggio 1527, al termine di una breve resistenza da parte dei difensori delle mura, i soldati dell’armata imperiale di Carlo V entravano in Roma superando i bastioni nel settore di porta Santo Spirito. Un’orda scatenata, formata da italiani, spagnoli e mercenari luterani tedeschi, dilagava per le vie della più ricca città del tempo, saccheggiando e facendo strage degli abitanti. era la fine di una lenta agonia politica iniziata dopo la sconfitta subita a Pavia nel febbraio del 1525 da Francesco I re di Francia alleato del papa, ed aggravata l’anno seguente con l’adesione di Clemente VII alla lega di Cognac che aveva provocato l’ira dell’imperatore. Oltre all’ambiguità della politica pontificia e al mancato intervento degli alleati, la catastrofe era dovuta anche alla scarsa resistenza opposta dai difensori – male organizzati e in gran parte non romani e ostili al papato – nonché a fattori del tutto casuali, come una fitta nebbia che fin dalle prime ore del mattino aveva protetto gli assalitori nel loro avvicinamento alle mura. dopo l’irruzione degli imperiali e l’imminente attacco al Vaticano, il papa, assieme a parte dei cardinali e a molte altre persone, si rifugia in Castel S. Angelo percorrendo il Passetto di borgo, cioè il lungo corridoio sopraelevato che univa la fortezza ai palazzi pontifici. Tra gli ultimi ad entrare nel castello, poco prima che ne venissero serrate le porte, c’è benvenuto Cellini (Vita, XXXIV), uno dei molti artisti presenti a Roma in questo periodo.  La catastrofe del sacco, per quanto terribile, non sembrava comunque giungere del tutto inaspettata. dopo la sconfitta di Pavia e la minaccia incombente dell’esercito imperiale, a Roma si viveva 19

Strage di monache in un convento durante il sacco di Roma (da una stampa dell’epoca)

in uno stato di continua apprensione. I secolari e ricorrenti attacchi al papato, che giungeranno ad un livello insostenibile durante il pontificato di Clemente VII, trovavano ora nuovi motivi nella corruzione dilagante e negli abusi dovuti all’infelice pratica della “vendita  delle  indulgenze”  per  la  Fabbrica  di  S.  Pietro.  da  Firenze tornavano a farsi sentire gli echi delle infuocate prediche di Gerolamo Savonarola, scomunicato e giustiziato come eretico nel 1498. In Germania, un monaco agostiniano che rispondeva al nome di Martin Lutero, aveva iniziato fin dal 1517 a diffondere scritti destinati a sconvolgere l’intero mondo cristiano. Anche all’interno della Chiesa, la necessità di riforme e di un recupero di dignità e credibilità da parte del clero, veniva reclamata da movimenti religiosi rigoristi.  Parallelamente all’azione di gruppi organizzati e a carattere ufficiale, appaiono in questo periodo figure di profeti e predicatori itineranti, come se ne trovavano in ogni tempo e in tutti i paesi nei momenti di maggiori difficoltà.  20

Le cronache cittadine ricordano un certo bartolomeo Carosi, detto brandano, una sorta di eremita dall’aspetto selvaggio che percorreva le vie di Roma nudo, con una croce in una mano ed un teschio nell’altra. Nel corso delle sue violente prediche, dopo avere ammonito per giorni i romani invitandoli al pentimento, brandano sembra  trovare  il  suo  momento  di  gloria  il  18  aprile  del  1527 quando, davanti ad una moltitudine di fedeli, annuncia al papa che Roma sarebbe caduta dopo due settimane, sbagliando peraltro di soli quattro giorni! Ad aggravare ulteriormente il clima di angoscia e aspettativa che pesava sulla città, contribuiva infine ogni fatto inconsueto interpretabile come “segno” di imminenti sciagure. era questo il caso di eventi naturali anomali come piogge torrenziali, alluvioni o fulmini che colpivano determinati luoghi (ad esempio, il Vaticano) o di fatti inspiegabili come il parto di una mula avvenuto nelle stalle della Cancelleria.  Altro fattore che contribuiva ad alimentare la tensione e la paura collettiva era l’imponente fioritura di libretti ed opuscoli che fornivano pronostici e interpretazioni su qualsiasi  avvenimento  visto  come segnale  di  futura  calamità.  Anche dopo la fine del saccheggio e il faticoso e lento ritorno alla normalità, il riacutizzarsi di un’epidemia di peste nello stesso anno del sacco e la piena del Tevere nel 1530 – una delle più gravi del secolo – saranno interpretate senz’altro come altrettanti “prodigi”.  L’immensa  rovina  subita  dalla città e la grande incertezza per il futuro  favoriscono  il  risveglio  dell’astrologia  (assai  fiorente  nel Rinascimento ed accettata anche da Ritratto di Benvenuto Cellini (incisione, Mantova, Museo del Rialcuni pontefici) nonché il frequente sorgimento e della Resistenza ricorso a pratiche magiche, esercitate “Renato Giusti”) 21

a volte anche da membri del clero romano. è questo il caso di un curioso episodio descritto da benvenuto Cellini, tipico rappresentante di un certo spirito rinascimentale, uno dei pochi artisti che erano riusciti a trovare rifugio a Castel S. Angelo durante il saccheggio. Vissuto in ambienti di ricca e varia cultura, in frequente contatto con principi, re e pontefici, nella sua autobiografia Cellini ci tiene a presentarsi «come maggior uomo che nascessi mai» (Vita, 2, XLI), in perenne sfida con il mondo che lo circonda, e convinto di potersi cimentare con successo in ogni campo dell’arte o del vivere quotidiano.  Oltre alla sua eccezionale abilità di orafo, peraltro da tutti riconosciuta, egli enumera nel racconto tutta una serie di straordinarie sue capacità, dichiarandosi, di volta in volta, spadaccino e tiratore infallibile (Vita, 1, LXXXVIII; 1, CXII), inventore di strumenti chirurgici (nel caso specifico, una specie di bisturi) (1, XLVI), abile medico di se stesso (1, LIX) specialmente quando è afflitto da malattie misteriose (1, LXXXV), nonché pratico di alchimia e in grado di preparare potenti polveri da sparo (1, XXVII). Portatore di un fervente spirito religioso, non esente comunque da fanatismo e da ingenua  superstizione, Cellini  si  considera  un predestinato  fin  dall’infanzia,  come  proverebbero gli episodi prodigiosi dello  scorpione  catturato impunemente o della salamandra apparsa nel fuoco del camino domestico (1, IV). dotato, a suo dire, di poteri  telepatici  ereditati dal padre (1, XXIII) e capace  di  formulare  previsioni su avvenimenti futuri (1, LXXIII; 1, LXXXIX), La saliera eseguita da Cellini per Francesco I durante un periodo di pridi Francia (Vienna, Kunsthistorisches Museum) 22

Vista di Roma: il Colosseo, incisione di Giovanni Battista Piranesi, 1776

gionia passato in Castel S. Angelo, egli narra di essere stato visitato più volte da entità ultraterrene e di avere avuto estasi e visioni paradisiache (1, CXVIII; 1, CXXI; 1, CXXII; 2, XXX).  Sempre smanioso di impegnarsi in ogni tipo di sfida e desideroso di nuove esperienze, Cellini non poteva quindi non cimentarsi da protagonista nel campo dell’occulto, materia che vedeva in questo periodo numerosi appassionati. L’occasione viene fornita dall’amicizia con un prete siciliano che lo inizia alla negromanzia e lo invita a partecipare ad una evocazione notturna (Vita, 1, LXIV). Teatro dell’insolita seduta è il Colosseo, luogo altamente suggestivo e in quel tempo sufficientemente distante dal centro abitato. eletto a simbolo fatidico della storia universale dalle profezie medievali del Venerabile beda (Quamdiu stat Colysaeus stat et Roma… ecc.) che collegavano l’eventuale scomparsa del mitico edificio con la fine stessa di Roma e del mondo, il Colosseo era da sempre oggetto di 23

Il sabba delle streghe (El aquelarre) dipinto a olio su tela di Francisco de Goya (Madrid, Museo Lázaro Galdiano)

leggende e tradizioni in qualche modo contrastanti, per cui era creduto luogo di sacrificio dei primi cristiani («coppa di sangue di tanti martiri»), o antico tempio pagano sede di spiriti maligni capaci di fare «gran segni e gran miracoli».  dopo una sorta di prova generale eseguita per saggiare la validità dei rituali e l’idoneità del luogo, benvenuto, assieme al prete siciliano e ad altri compagni, tra i quali «un fanciulletto vergine… di dodici anni incirca», torna finalmente al Colosseo per la tanto attesa evocazione. Prima di iniziare i rituali viene tracciato il “cerchio magico”, che dovrà proteggere la piccola comitiva dalle presenze de24

moniache evocate, e acceso un fuoco che servirà a bruciare resine ed essenze aromatiche. A Cellini è affidato il “Pentacolo” da orientare in modo adatto, mentre il prete-negromante inizia a chiamare per nome i demoni con formule magiche in greco, latino ed ebraico. Il risultato dell’evocazione è eccezionale, tanto che, come racconta benvenuto, «…le legioni [dei diavoli] eran l’un mille più di quel che lui [il negromante] aveva domandato, e che l’erano le più pericolose». Il fanciullo, che sembra vedere cose che gli altri non percepiscono, indica a sua volta quattro gigantesche creature spettrali che sembrano guidare l’orda demoniaca.  Mentre il sabba diabolico sta giungendo al culmine e tutto il Colosseo ribolle di fiamme e vapori infernali, le persone all’interno del cerchio vengono colte dal panico, perché il negromante non sembra in grado di licenziare i demoni, mentre benvenuto tenta inutilmente di allontanarli bruciando resine e sostanze maleodoranti. Quando ormai la situazione sembra precipitare, la seduta si conclude inaspettatamente e in una maniera che potremmo definire senz’altro “celliniana”. Uno dei compagni di benvenuto, il cui corpo non aveva più retto alla tensione, si libera all’improvviso in modo rumoroso ed abbondante provocando effetti ben superiori a quelli ottenuti fino a quel momento dal fumo delle resine. A questo punto, probabilmente disgustati dalla cialtronesca e poco professionale comitiva, i demoni si decidono finalmente a scomparire, mentre i componenti del gruppo – ancora sconvolti e uniti strettamente l’uno all’altro – escono dal Colosseo e si allontanano in direzione della città*.

* Per le tante opere sul sacco di Roma e le vicende del periodo è utile consultare: A. Chastel, Il sacco di Roma, einaudi, Torino 1983, lavoro che esamina soprattutto le conseguenze del sacco sull’ambiente artistico romano, ma corredato di ampia bibliografia.

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uN luOGO fuNESTO dI ROMA La zona di Porta Flaminia e piazza del Popolo

V

edendo oggi l’ariosa armonia dell’ampia piazza del Popolo disegnata da Giuseppe Valadier (1816-1820), è difficile immaginare come questo stesso luogo fosse considerato un tempo per molti aspetti una zona funesta, legata a paurose leggende e teatro di episodi cruenti. Nell’urbanistica della città antica l’area della piazza formava il limite settentrionale del Campo Marzio8, la vasta pianura  compresa  nell’ansa  del Tevere,  che  dal  Campidoglio  si estendeva fino alle pendici occidentali del Pincio, l’antico Collis

Piazza del Popolo oggi 27

Hortulorum. La regione era attraversata dalla via Flaminia (attuale Corso) tracciata nel 223 a.C., che iniziava dall’odierna piazza Venezia  all’altezza  del  monumento  a Vittorio  emanuele  II  (Vittoriano)9. Già sede di antichissimi culti dedicati a divinità infere come dite e Proserpina, durante il periodo repubblicano il Campo Marzio era il luogo dove si svolgevano gli esercizi militari e le gare sportive, per diventare in seguito una zona ricca di edifici pubblici a carattere monumentale Situata in origine all’esterno delle antiche mura del IV secolo a.C., cosiddette “Serviane”, la regione fu per molto tempo prescelta per la costruzione di tombe di importanti personaggi e di membri della famiglia imperiale. Alcuni di questi sepolcri sorgevano al limite o all’interno stesso della piazza moderna, sui due lati del tratto della via Flaminia che verrà compreso in seguito nell’ambito delle mura imperiali (Aureliane) costruite tra il 270 e il 275 d.C.  All’inizio della piazza verso la città, erano due imponenti mausolei (uno in forma di piramide) costruiti nel I secolo a.C., che occupavano il posto dove sono ora le due chiese gemelle di S. Maria di Montesanto e S. Maria dei Miracoli10. Altre due tombe monumentali erano poi in corrispondenza dell’emiciclo est della piazza e dietro l’abside di S. Maria del Popolo. Prescindendo dalla presenza dei sepolcri, fatto comune questo a tutte le parti extraurbane, la cattiva fama della zona sembra derivare all’inizio da alcuni episodi cruenti avvenuti nei vicini Horti Luculliani situati sul Pincio11, la cui eco sembra estendersi nel sottostante quartiere perpetuandosi infine nelle leggende medievali. La lunga serie sembra iniziare con la morte di Lucullo, proprietario dei lussuosi giardini, avvelenato probabilmente da un filtro afrodisiaco propinatogli da un suo liberto nel 56 a.C12. Verso la metà del I secolo d.C. gli Horti vengono acquistati da Valerio Asiatico, ricco personaggio che porterà il complesso al suo massimo splendore. Accusato di complotto da Claudio su istigazione della moglie Messalina, l’Asiatico morirà suicida nella sua stessa villa nel 47 d.C13. dopo la sua morte i giardini passeranno al fisco imperiale, divenendo la residenza preferita dell’imperatrice, che vi celebrerà 28

un matrimonio adulterino con un giovane patrizio14 e avrà modo di risiedervi con i propri amanti. Ma, come narra Cassio dione, gli Horti di Lucullo saranno il luogo della sua rovina, e appena un anno dopo la morte dell’Asiatico, Messalina vi verrà uccisa per ordine dello stesso Claudio15. Nel  IV  secolo,  dopo  l’avvento  del  cristianesimo,  parte  della grande villa è di proprietà della nobildonna Anicia Faltonia Proba che vi raccoglie un cenacolo di giovani religiose. In occasione del sacco gotico del 410, la tradizione funesta del luogo sembra riproporsi con le violenze subite dalle discepole di Proba e la distruzione del convento. durante la guerra greco-gotica del 535, gli Horti vengono scelti da belisario per il proprio quartier generale. Anche in questo caso la villa non porterà fortuna al proprietario di turno, perché, secondo una tarda leggenda, il generale bizantino, caduto in disgrazia, passerà gli ultimi giorni di vita elemosinando presso le mura della città16. Sempre in questo periodo la zona sembra però

Piazza del Popolo nel secolo XVII. Sulla destra della chiesa è il convento dove fu ospitato Martin Lutero, demolito nella ristrutturazione moderna della piazza (pianta di A. Tempesta, 1693) 29

interessata da un avvenimento finalmente positivo, quando – secondo quanto riferisce Procopio – il tratto delle mura adiacente alla porta Flaminia (Muro Torto), viene addirittura difeso dall’apostolo Pietro apparso miracolosamente ai romani17. Ma questa temporanea e felice parentesi che sembrava esorcizzare finalmente il malefico carattere del luogo, verrà definitivamente a cadere durante il medioevo, quando la piazza diventerà campo d’azione di inquietanti presenze. Pur rimanendo un obbligato punto di transito per chi giungeva dal nord, in seguito al graduale spopolamento dovuto a guerre, pestilenze e altri fattori, nel corso del medioevo questa parte della regione tende ad assumere un aspetto campestre, con soltanto un gruppo di case (una sorta di villaggio) raccolte in prossimità della porta, secondo un processo a “macchia di leopardo” tipico dell’urbanistica del tempo. Attorno all’XI secolo, il piccolo centro abitato diventa il punto di riferimento di una delle più diffuse e paurose leggende medievali. Protagonista assoluto ne è l’imperatore Nerone, il cui inquieto fantasma inizia a vagare tra le case del borgo18. Nell’infinito numero di leggende e racconti popolari che fioriscono in questo periodo, contrariamente a quanto avviene per altre figure del passato (ad esempio Traiano, che riceve addirittura un posto nel Paradiso di dante), Nerone rappresenta il simbolo di tutto ciò di negativo che la storia antica aveva prodotto, e la sua tomba sarà considerata ovviamente come un luogo di raduno di demoni e spiriti maligni. Secondo quanto riferisce lo storico Svetonio19, il sepolcro dei domizi, nel quale erano state deposte le ceneri dell’imperatore, era in realtà sul Pincio, forse lungo un tratto della Salaria Vetus.  Ma poco dopo il Mille, per motivi non facilmente individuabili, il fantasma di Nerone decide di scendere dall’alto del colle per fissare di volta in volta la propria “dimora” in alcuni edifici antichi ancora esistenti nella piazza. è questo il caso, ad esempio, di una torre costruita su un antico rudere, situata in prossimità del fiume presso l’odierna Passeggiata di Ripetta, che in alcuni codici viene identificata senz’altro con il famigerato sepolcro (Turris ubi umbra 30

Parte del disegno di un antico codice. è abbozzata la porta Flaminia costeggiata dal fiume e in alto la torre con l’iscrizione Turris ubi umbra Neronis diu mansitavit

Neronis diu mansitavit). Per un certo periodo la temuta tomba viene invece riconosciuta nel cosiddetto Muro Torto situato fuori della porta, che per la sua inclinazione veniva interpretato come la parete superstite di una piramide.  dopo altre capricciose peregrinazioni l’inquieto fantasma sembra trovare finalmente stabile dimora in un’altra parte della piazza, nel punto in cui sarà costruita in seguito la chiesa di S. Maria del Popolo20. Si trattava, in quest’ultimo caso, del massiccio nucleo di un’altra tomba posta a ridosso delle mura sul quale era un enorme albero di noce dove, secondo i racconti popolari, trovavano rifugio demoni e folletti. Allo scopo di esorcizzare definitivamente il luogo, nel 1099 il papa Pasquale II (1099-1118) aveva fatto tagliare l’albero e costruire sul rudere una cappella dedicata alla Vergine. Ma la particolare pericolosità del sito richiedeva un intervento ben più 31

Il Cimitero degli impenitenti al Muro Torto (Roma, Gabinetto Nazionale delle Stampe)

radicale, e nel 1231 papa Gregorio IX fa erigere sul posto la prima chiesa di S. Maria del Popolo21. Riguardo all’origine del nome, l’ipotesi corrente lo metterebbe in relazione con il popolo romano, che avrebbe finanziato la prima edicola sacra, mentre la tesi erudita lo fa derivare dalla parrocchia o piccolo borgo (populus) che nel medioevo si era formato presso la porta Flaminia. Ma, sebbene costretto ad abbandonare la piazza messo in fuga dalla nuova chiesa, l’ostinato fantasma continuerà a vagare nella campagna circostante, tanto che tutta la zona lungo il tratto settentrionale delle mura cittadine, era detta “degli Spiriti”, mentre i Prati di Castello erano chiamati Prata Neronis o Campus Neronis22.  Neanche i terreni adiacenti alla porta erano considerati immuni da malefiche influenze, e nel tardo medioevo, in prossimità del Muro Torto, verrà sistemato il cosiddetto “Cimitero degli impenitenti”, cioè un campo sconsacrato dove, oltre alle prostitute della città, venivano sepolti tutti coloro che non avevano ricevuto i sacramenti in punto di morte23.  32

Nel 1155 la piazza del Popolo è teatro del sacrificio di Arnaldo da brescia, impiccato e poi bruciato come eretico. Fustigatore dei costumi mondani del clero e contrario al potere temporale dei papi, Arnaldo era stato un ardente sostenitore del governo popolare e del Comune romano del 1144. dopo l’esecuzione e il rogo, ad evitare che i suoi molti seguaci ne raccogliessero i resti, le ceneri del martire erano state gettate nel Tevere, ma gli aguzzini non avevano evidentemente tenuto conto del carattere “fatale” del luogo dove era avvenuto il supplizio. Un biografo ottocentesco di Arnaldo scriveva che l’esempio di certi profeti non va mai del tutto perduto, come pure qualcosa di loro rimane – ad indirizzare gli eventi futuri – nei luoghi che hanno visto la loro azione e il loro sacrificio.  Nell’inverno del 1510, quasi quattro secoli dopo il rogo, giungeva a Roma un giovane monaco di Wittenberg, che veniva ospitato nel Convento degli Agostiniani annesso alla chiesa di S. Maria del Popolo. Si trattava di Martin Lutero24, che durante la sua breve permanenza nella città dei papi maturerà quei motivi di protesta che lo spingeranno ad un’azione destinata a scuotere dalle fondamenta l’intero mondo cristiano. dopo tante oscure leggende e tanti avvenimenti funesti, finalmente la piazza assume un aspetto festoso quando, nel 1466, diventa uno dei punti centrali del Carnevale romano. da piazza del Popolo prendeva infatti il via la gara dei cavalli bradi (cosiddetti “barberi”) che correvano lungo il Corso (da qui il nome della strada) per giungere infine a piazza Venezia dove era il traguardo (la “ripresa”). La festosa tradizione, fortemente sentita dai cittadini ed attesa tutto l’anno, veniva sospesa temporaneamente soltanto nel caso di calamità o di avvenimenti particolarmente gravi. Ciò avviene ad esempio nel 1630, quando alle soglie della piazza si affaccia uno spettro ben più temibile di quello dell’imperatore Nerone. è questo l’anno della “grande peste”, il Flagellum Dei che decimerà gli abitanti di Milano e di altre città d’Italia. Per limitare i pericoli di contagio, oltre ad alcune iniziative di dubbio valore profilattico, alla porta del Popolo viene allestito un lazzaretto destinato ad accogliere chi proveniva dalle città colpite dall’epidemia, nonché tutti quelli sospettati di avere contratto il morbo25. 33

La zona di piazza del Popolo durante il periodo imperiale. Si notano i due grandi sepolcri all’inizio della piazza e la porta con il tratto delle mura Aureliane che inglobano sulla destra la struttura preesistente del Muro Torto. Su questo lato, più in alto, è la “cella vinaria” (cerchiata in nero) rinvenuta nel 1789 (da: Grande, Scagnetti 2005)

In tempi più recenti, quando l’inarrestabile espansione della città sembrava dover cancellare i ricordi di tante fosche leggende, la zona si segnala nuovamente per altri avvenimenti decisamente inconsueti. Nel 1789, nel corso di lavori eseguiti presso il Muro Torto nel punto dove sorgeva il vecchio ingresso della villa borghese, fu rinvenuto un ambiente con numerose anfore infisse nel terreno. Si trattava certamente di una “cella vinaria”, cioè di una cantina annessa ad una antica villa rustica, che in un periodo imprecisabile era stata però utilizzata per altri scopi. L’aspetto singolare e sconcertante del rinvenimento consisteva infatti nel contenuto dei vasi, formato da aghi crinali, statuine di terracotta, ossa di animali e teste disseccate di rettili, che fece supporre agli scavatori di essere in presenza di un luogo dove si erano svolte pratiche inerenti alla magia nera26. 34

PROCESSI PER ASTROlOGIA E MAGIA NEllA ROMA dI uRBANO VIII (1623-1644)

I

l 6 agosto del 1623, alla fine del tormentatissimo conclave seguito alla morte di Gregorio XV, durante il quale si erano verificati i consueti scontri tra opposte fazioni e molti tra i cardinali presenti erano stati colpiti dalla malaria27, era stato finalmente eletto Maffeo barberini, che prendeva il nome di Urbano VIII. Proveniente da una ricca famiglia e dotato di un carattere accentratore benché incline al nepotismo, nel corso del suo lungo pontificato – consumato completamente  all’interno  della cosiddetta “Guerra dei Trent’anni” – Urbano avrà modo di affrontare numerosi problemi di carattere politico e religioso. Fortemente impegnato nella difesa della Chiesa cattolica, darà ampio spazio ai tribunali dell’Inquisizione, che tra le tante  vittime  vedranno  in  questo periodo  personaggi  come  Tommaso Campanella e Galileo Galilei.  Istituita da Paolo III nel luglio del 1542 per combattere la diffusione del protestantesimo (la “peste ereticale luterana”, come recitano i documenti dell’epoca) la CongreRitratto di papa Urbano VIII, olio gazione del Sant’Uffizio era forsu tela di Pietro da Cortona (Roma, Musei Capitolini) mata inizialmente da sei cardinali 35

ed era dotata di poteri illimitati che prescindevano da ogni tipo di privilegio o impunità28.  Con il duro pontificato di Paolo IV (1555-1559) la Congregazione aveva assunto una netta preminenza su tutte le altre magistrature romane e ampliato notevolmente i propri ambiti di giurisdizione. Un ulteriore inasprimento dei suoi poteri si era avuto poi con Sisto V (1585-1590) quando, tra le materie di pertinenza dell’Inquisizione (“Tribunale della fede”) erano state incluse la magia, i sortilegi e le divinazioni astrologiche. Ma nonostante i ripetuti divieti e le sanzioni previste, nei confronti dell’astrologia si era continuato a mantenere un atteggiamento incerto, in qualche modo ambivalente. dal punto di vista della sua liceità e ai fini di eventuali sanzioni, una prima distinzione veniva fatta tra “astrologia naturale” e “astrologia giudiziaria”, secondo una divisione operata nel Rinascimento, che risentiva comunque della labilità di un confine non sempre percepibile29. In senso ampio, l’astrologia naturale era quella che più si avvicinava alla speculazione scientifica e all’astronomia, con lo studio delle leggi fisiche che regolavano l’universo e le eventuali forze celesti che potevano influire sull’uomo e sugli altri esseri viventi. L’astrologia giudiziaria, o scientia iudiciorum stellarum, vista con sospetto fin dall’antichità30, era invece la pratica propriamente divinatoria, che oltre a svelare il carattere delle persone, intendeva prevedere gli eventi, singoli e collettivi, legando così l’esistenza umana ad una sorta di determinismo astrale. dal punto di vista cattolico quest’ultima era decisamente condannata, perché in evidente contrasto con la dottrina del libero arbitrio nonché con l’azione della divina provvidenza. Nonostante i tanti divieti, nei primi decenni del Seicento l’astrologia era comunque molto diffusa, soprattutto quella giudiziaria, l’unica che avesse un senso per la maggioranza dei praticanti perché ritenuta in grado di fornire risposte ai numerosi problemi esistenziali. Oltre ai tanti astrologi improvvisati e prezzolati di cui era piena Roma31, le cronache cittadine ci informano su numerosi sacerdoti che ricorrevano a indovini di ogni tipo o che esercitavano in prima persona le pratiche astrologiche, vissute spesso come una 36

sorta di religione alternativa e complementare nei confronti del culto ufficiale. Uno dei più noti esperti in materia era Orazio Morandi, abate dell’antica chiesa titolare di S. Prassede, che aveva costituito un vero e proprio cenacolo astrologico nel suo convento, fornito di una ricca biblioteca di testi specializzati a disposizione di tutti coloro che intendevano approfondire la materia32. Già abate di Vallombrosa e trasferito a Roma nel 1626, Morandi era un grande cultore di astrologia in generale, conoscitore di diverse lingue nonché in possesso di una notevole cultura filosofica e letteraria. Sua grande specialità erano le “geniture” o “natività”, cioè le previsioni sulla vita di una persona fatte in base alla data di nascita. da vero appassionato, Morandi aveva composto un volume sull’argomento, ed aveva formulato pronostici sulla vita di molti personaggi importanti del tempo. Tra questi non poteva naturalmente mancare il papa regnante, la cui morte, secondo i calcoli dell’abate, doveva avvenire entro il mese di agosto del 163033.  Oltre agli studi di astrologia, Morandi svolgeva un’assidua (e per molti aspetti, pericolosa) attività di “gazzettante”34 (oggi potremmo dire: di giornalista), cioè raccoglieva regolarmente notizie dagli “Avvisi” cittadini35, da copisti o da informatori occasionali, come servitori o segretari di personaggi pubblici36. Confidando evidentemente nel regime di tolleranza dimostrato fino ad allora nei confronti delle sue attività, quando pensò di avere scoperto la data di morte del papa, Morandi inserì l’importante notizia nelle sue gazzette, contribuendo a diffonderla dovunque37. La iettatoria e non richiesta previsione fece naturalmente irritare moltissimo il pontefice, che si riteneva ancora in perfetta salute e, soprattutto in questo caso, desiderava che nessuno ponesse limiti alla divina provvidenza38.  La cattiva disposizione del papa nei confronti di un personaggio, peraltro stimato da tutti, come l’abate di S. Prassede, era dovuta anche ad un grave scandalo causato dal Rettore della chiesa di S. Carlo al Corso, che aveva dato vita ad una sorta di piccola setta che praticava la negromanzia ed eseguiva cerimonie blasfeme. Riprendendo alcune stranezze proprie delle eresie medievali, questo prete invitava i suoi fedeli a «peccare nel vitio della Carne»39, nonché a 37

praticare la poligamia, mentre egli stesso celebrava la messa usando come altare il seno nudo di una monaca sua fedele40. Forte del diffuso dissenso generale nei confronti della politica di Urbano VIII, il Rettore di S. Carlo andava inoltre affermando che il papa sarebbe morto presto e il suo successore l’avrebbe fatto cardinale. Arrestato e costretto ad abiurare nella basilica di S. Pietro in una cerimonia che vide gran concorso di popolo, il Rettore fu impiccato a Campo de’ Fiori il 10 giugno 1630, mentre la monaca fu frustata su un asino e poi murata viva nelle segrete dell’Inquisizione41.  dopo questi gravi precedenti, le innocue e sfortunate speculazioni astrali di Orazio Morandi acquistavano ovviamente un peso diverso, tanto che il reato contestato all’abate fu di «scritture politiche malediche». Il 13 luglio del 1630, Morandi fu quindi arrestato e condotto al carcere di Tor di Nona, mentre il suo convento veniva perquisito nella ricerca dei libri e degli scritti astrologici, che i monaci avevano però provveduto a nascondere o a distruggere42. Il processo Morandi, celebrato dal Tribunale del Governatore, cioè il maggiore organo giudiziario romano43, contribuì a sollevare un velo su una realtà in gran parte sconosciuta e forse volutamente ignorata dalle autorità. Le indagini e gli interrogatori eseguiti rivelarono quanto fosse diffusa l’astrologia in ogni strato della popolazione. Tra le tante persone indiziate vi erano religiosi di vari ordini, medici, avvocati, professori dell’Università romana e perfino cardinali e parenti del pontefice.  Ad interrompere comunque la marea montante delle inchieste, che in realtà non sembravano giovare a nessuno, sopraggiunse opportunamente la scomparsa di colui che aveva involontariamente provocato questa specie di terremoto. Il 7 ottobre del 1630, all’età di 55 anni, l’abate Morandi muore nella sua prigione di Tor di Nona, forse eliminato con il veleno, come afferma il diarista Giacinto Gigli44. dopo la morte dell’abate il processo fu sospeso e molti degli indagati prosciolti45. Per ribadire comunque il divieto nei confronti dell’astrologia giudiziaria e delle scienze occulte, il 1° aprile del 1631 il papa emise una nuova bolla, che oltre a ricordare le disposizioni generali stabilite da Sisto V, introduceva ulteriori sanzioni 38

Campo de’ Fiori in una stampa del 1700. Sul fondo si nota il palo per i tratti di corda

nei confronti di coloro che «con arti magiche» attentavano in particolare alla vita del pontefice o dei suoi familiari46. Ma la naturale predisposizione di una società come quella romana del tempo, immersa nel clima devozionale controriformistico, scandito dalla ricorrenza dei rituali della religione ufficiale distante dal sentire comune e dalla vita pratica, non poteva non favorire il frequente ricorso all’opera di maghi ed astrologi. La stessa ossessiva determinazione dimostrata dalle autorità nell’ostacolare e reprimere l’astrologia e le pratiche magiche, contribuiva paradossalmente a propagandarne e diffonderne l’uso.  Il problema si ripropone – con tutto il consueto clamore – nel 1635, quando viene scoperta una “congiura” di apprendisti stregoni che da qualche tempo si affaticavano in una serie di incantesimi, sempre allo scopo di far morire Urbano VIII47. L’iniziativa era dovuta questa volta ad un certo Giacinto Centini, nipote del monsignore Felice Centini, che auspicava la morte del pontefice regnante 39

nella speranza di vedere poi eletto il proprio congiunto (peraltro del tutto ignaro dell’iniziativa) e trarne i relativi vantaggi48. disperando ormai delle fallaci previsioni astrologiche e preoccupato per l’età avanzata dello zio, Centini aveva organizzato un “gruppo di lavoro” formato da alcuni agostiniani e francescani (uno di questi già condannato per negromanzia), che attraverso ripetuti incantesimi dovevano  far  morire  il  papa. Anche  in  questo  caso  può  stupire  la presenza in un’operazione del genere di frati e preti, nonché la frequenza con la quale veniva richiesta la loro collaborazione nelle pratiche di magia nera49. Ma oltre al particolare carattere delle loro mansioni che li poneva in grado di reperire con facilità le “materie prime” utilizzate in determinati incantesimi (olio santo, acqua benedetta, ostie), nella mentalità popolare i religiosi erano generalmente considerati esperti dell’occulto50, quasi elementi di confine tra il noto e l’ignoto, capaci perfino di mutare l’essenza intima delle cose come avveniva nel “prodigio” del pane e del vino. dopo tutta una serie di stravaganti ed inutili pratiche ripetute nel tempo51, il maleficio finale adottato da Centini consisteva essenzialmente in un’immagine del papa modellata in cera da far consumare  lentamente  col  fuoco52.  Traditi  da  uno  della  banda53,  i negromanti furono però catturati e condannati, dopo la consueta solenne abiura pronunciata a S. Pietro. Ad eccezione del pentito che ottenne l’impunità, due religiosi furono impiccati e i loro corpi consumati sul rogo, mentre Centini – ideatore e organizzatore dell’innocua e folcloristica congiura – fu decapitato a Campo de’ Fiori il 23 aprile del 1635, e il suo corpo lasciato esposto come monito per tutti i cittadini54.

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Spettatori illuStri alle eSecuzioni di MaStro titta «Le pape exerce donc deux pouvoirs  fort differets; il peut faire, come prêtre, le bonheur éternel  de l’homme qu’il fait  assommer comme roi»* Stendhal

N

ella variegata e complessa gamma che la natura offre riguardo ai caratteri delle persone, ci sono alcuni individui che per loro indole e fin dalla più tenera età, sembrano predisposti ad esercitare una determinata professione, o un’arte, o una qualche disciplina scientifica. Compatibilmente con l’ambiente circostante e con la sempre possibile influenza di fattori esterni, questa molla che è in loro li porterà spesso a seguire l’innata vocazione, prescindendo da ogni eventuale ostacolo o impedimento. Avremo allora il letterato, il musicista o il futuro scienziato, che opereranno con profitto nei rispettivi campi e che – nei casi più meritevoli o più fortunati – potranno lasciare un significativo e imperituro ricordo del loro lavoro. La stessa forza trainante può agire comunque anche nei confronti di soggetti destinati ad impegni più comuni, o di altri chiamati ad esercitare attività decisamente singolari e di un tipo che potremmo definire “estremo”, alle quali nessun altro potrebbe mai dedicarsi. Nel marzo del 1796, Giambattista bugatti è un giovane trasteverino di sedici anni domiciliato a vicolo del Mastro presso ponte S. Angelo55, che da un qualche parente era stato inizialmente addestrato al mestiere di “ombrellinaro”, cioè di verniciatore di tele per ombrelli56. di aspetto curato e gradevole, benché di statura mediocre e tendente alla pinguedine57, Giambattista è un ragazzo con un * “In effetti il papa esercita due poteri assai diversi; come prete può donare la vita eterna all’uomo, ma come re può giustiziarlo”. 41

Mastro Titta in una immagine tratta da una vita romanzata del boia. Si notino la ghigliottina, i confortatori incappucciati sul fondo, la testa di un soldato davanti al palco (da: Anonimo, Roma 1971)

carattere estremamente freddo e per nulla impressionabile58, che sembra predisporlo ad esercitare quell’insolita e difficile “professione” che lo vedrà impegnato per tutta la vita. Per motivi rimasti sconosciuti, il 22 marzo di quell’anno Giambattista viene chiamato a prendere parte ad un’esecuzione che si deve tenere a Foligno nei confronti di un omicida59. Il supplizio è dei più atroci: si tratta di un’impiccagione seguita dallo “squarto” del cadavere60 e il giovane trasteverino si comporta con tale maestria e sangue freddo, tanto da guadagnarsi sul campo il titolo di carnefice ufficiale del Governo pontificio.  Nella sua lunghissima carriera durata 68 anni, dal 1796 al 1864, Giambattista bugatti – che nell’uso popolare assumerà il leggen42

dario e temuto nome di Mastro Titta – eseguirà 516 condanne a morte61, sia a Roma che nelle province62, praticate con ogni strumento e annotate con maniacale precisione in un suo taccuino personale63. Nel sintetico e funereo libretto che copre uno dei periodi più tormentati della vita cittadina (dalla prima Repubblica Romana del 1798-1799 fino quasi al termine del potere temporale) sono elencati i nomi dei condannati, i rispettivi crimini, i luoghi delle esecuzioni e il tipo di supplizio64. In alcuni casi le motivazioni delle condanne che corredano le scarne note del boia65 ci aiutano a rintracciare, in mezzo ai tanti nomi di sconosciuti criminali comuni, quelli di liberali e di patrioti giustiziati in seguito ai moti insurrezionali del periodo66. Considerando la crudezza del sistema penale pontificio e la frequenza delle condanne a morte, nella Roma della prima metà dell’Ottocento Mastro Titta era quindi una vera e propria istituzione. Sempre comunque compìto con i condannati e disposto a non far mancare loro una parola consolatoria o addirittura una presa di tabacco, bugatti incarnava certamente la figura del perfetto esecutore di giustizia. Oltre che per gli stessi romani, i suoi “spettacoli” costituivano una meta importante per stranieri e viaggiatori desiderosi di penetrare i costumi di un popolo e del suo anacronistico governo. Tra i primi scrittori che ci hanno lasciato il ricordo di un’esecuzione di Mastro Titta troviamo lord byron, che il 19 maggio del 1817 67, prima della sua partenza da Roma, assiste alla decapitazione di tre ladri a piazza del Popolo68.  Lo strumento del supplizio è la ghigliottina, cioè «la macchina di Mastro Titta», come la chiama belli in una sua lettera del 183369, o il «nuovo edifizio per il taglio della testa», come la definisce in modo burocratico lo stesso bugatti70. Nonostante il procedimento in un certo senso “asettico” assicurato dal meccanismo, la descrizione di byron ripropone tutto il drammatico clima delle giustizie eseguite in passato, con il lugubre corteo dei “confortatori”71, il grande crocifisso parato a lutto che avanza sulla folla, le grida di terrore del condannato ed infine il secco rumore della lama che si abbatte sulla vittima72. Altro testimone e attento spettatore di questo 43

periodo  è  J.b.  Thomas,  l’artista francese presente in città dal 1816 al 1818, che ha lasciato una ricca serie di litografie, corredate di ampi testi esplicativi, sugli aspetti più caratteristici della Roma del tempo. In uno dei suoi quadri più noti è rappresentato – con la consueta precisione  e  cura  dei  particolari  –  il funereo corteo di un condannato a morte  verso  il  patibolo  accompagnato  da  Mastro Titta73 (a  pagina seguente). Un’altra testimonianza di particolare rilievo, oltre che per il ruolo Ritratto di Giuseppe Gioachino dell’autore, soprattutto per le figure Belli (da: Negro 1956) dei condannati, è quella di Massimo d’Azeglio, che nelle sue memorie (I miei ricordi) si diffonde a lungo sulla celebre esecuzione di Angelo Targhini e Leonida Montanari, i due carbonari accusati del ferimento di un loro compagno di setta e ghigliottinati a piazza del Popolo il 23 novembre 1825, in pieno anno giubilare. L’episodio, ricordato a quasi quaranta anni di distanza74, offre all’autore l’occasione di accennare al clima politico della Roma del tempo, ricorrendo comunque in misura eccessiva a pregiudizi e luoghi comuni sulle Società Segrete della Carboneria che – come egli afferma con disinvoltura  –  erano  composte  soprattutto  «da  veri  malfattori». d’Azeglio conosceva personalmente i due condannati e mentre esalta le doti fisiche e morali di Montanari, suo amico e medico condotto a Rocca di Papa75, usa invece espressioni di estremo disprezzo per Targhini («non ho idea che possa esistere una natura più perversa della sua»), definendolo l’anima nera del compagno e degli altri affiliati alla setta76. Altro spettatore d’eccezione del periodo è Charles didier, che nel 1825 ricorda la figura di Mastro Titta nella sua Rome Souterraine77, mentre pochi anni dopo, nel 1830, il boia di Roma viene 44

definitivamente immortalato da Giuseppe Gioachino belli, il poeta che con la sua opera si era riproposto di «lasciare un monumento alla plebe romana»78. diversi sono i sonetti che belli ha dedicato alle giustizie e al boia in particolare, contribuendo a diffonderne la fama, ma almeno uno, datato 19 agosto 183079, sembra essere il frutto della presenza fisica del poeta tra gli spettatori dell’esecuzione.  Poco prima della metà del secolo, Mastro Titta ha l’onore di esibirsi davanti ad uno degli scrittori stranieri più affermati del momento. Si tratta di Charles dickens che giunge a Roma il 30 gennaio 1845 e che lascerà nelle sue Visioni d’Italia una delle descrizioni più diffuse del “Grande Teatro” di Giambattista bugatti80. Poco amante delle cose italiane e di quelle romane in particolare81, i frequenti stereotipi che riempiono le sue descrizioni, cosa certamente comune ad altri visitatori stranieri, nel suo caso sono comunque quasi sempre di segno negativo. Quasi nulla si salva nei giudizi

Il corteo di un condannato a morte in una stampa di J.B. Thomas. A sinistra si vede il gruppo dei confortatori col crocifisso parato a lutto. Sulla carretta è il condannato con due confortatori, uno dei quali regge una tavola con le immagini della Passione. Il boia (Mastro Titta) è il personaggio dietro la carretta davanti alla guardia in bianco (da: Thomas 1823)

dello scrittore, che sembra muoversi per la città come all’interno di un contesto coloniale. La superba mole del Colosseo, che pure lo colpisce, gli riporta però alla mente «la natura del feroce e bieco [?] popolo romano»82, le cerimonie a S. Pietro «non hanno nulla di solenne»; la basilica stessa non comunica il necessario senso mi45

stico. I cantori, «come uccelli dentro una gabbia […] si sgolano con assai atrocità». Lo stesso papa, in sedia gestatoria, pure se accreditato di «un volto degno e venerabile», suscita in lui «un che di pacchiano e di comico»83.    Ma per fortuna siamo in periodo di carnevale e dickens ha modo di rifarsi con le maschere al Corso e con «le belle romane [stereotipo finalmente positivo] dai bei fianchi [!] e dalle forme beate»84. La commozione più genuina lo scrittore la riserva alle catacombe, credute (al solito) «antico rifugio dei cristiani» e che egli considera occupate soltanto da corpi di martiri. Osservando poi lo sviluppo e la profondità delle gallerie, si augura infine che non debbano mai ospitare ladri e malfattori «a formare sotto Roma una società anche peggiore di quella che vive alla luce del sole»85. A dickens si deve comunque una delle descrizioni più minuziose di una giustizia eseguita da Mastro Titta. Si tratta dell’esecuzione avvenuta l’8 marzo 1845 in via dei Cerchi86 di un giovane colpevole dell’uccisione di una pellegrina tedesca87. Anche se condotta (come ci piace credere) con indubbia fedeltà, l’operazione diventa però una specie di summa di tutto ciò che di negativo dickens ha trovato a Roma, quasi la squallida metafora di una città – certamente decadente e male amministrata – che egli non vuole comunque apprezzare  né  tanto  meno  capire.  Il  luogo  dove  si  svolge  la  scena  è naturalmente deprimente: «vie impraticabili come in tutta Roma […] case marce, apparentemente disabitate» e costruite in modo cervellotico. Anche il palco del patibolo «senza pittura, grezzo e sconnesso» è senz’altro indecente88. Ma almeno la lama della ghigliottina, che scintilla minacciosa al sole del mattino, sembra frenare per un istante il consueto sarcasmo dello scrittore. Si passa poi alla descrizione degli spettatori: venditori di sigari e dolciumi, curiosi tipi di “artisti” vestiti nelle fogge più strane, preti e frati che guardano incuriositi la mannaia, donne e bambini schiamazzanti. ed infine, come da copione: «popolani di infima risma dall’aspetto truculento intabarrati in mantelli […] che vanno e vengono cicalando tra loro». Intanto il tempo passa ma il “paziente” non arriva, segno evidente che non ha ancora compiuto le ultime devozioni. 46

Finalmente si sente uno squillo di tromba, i soldati con le baionette innestate si dispongono attorno al patibolo e giunge il corteo dei confortatori con il condannato a morte.   dopo l’esecuzione dickens si avvicina curioso fin sotto la ghigliottina, fornendoci tutta una serie di minuziose e crude notazioni: il sangue che inonda il palco, il corpo acefalo dentro la cassa, la testa fissata su un palo e lasciata in preda alle mosche. equivocando infine sulla persona e sul ruolo stesso di Mastro Titta, conclude a suo modo dicendo: «Il boia, un bandito ex officio [?]… che non osa, pena la vita, attraversare il Ponte di Sant’Angelo se non per compiere di simili opere, si ritirò alla sua tana e lo spettacolo ebbe fine»89. 

Veste in tela rossa e cappuccio appartenenti a Mastro Titta e tunica bianca di un confortatore (Roma, Museo Criminologico)

Una delle ghigliottine usate nello Stato pontificio (Roma, Museo Criminologico) 47

durante  il  periodo  della Repubblica  Romana  del 1848-1849,  in  seguito  all’abolizione  della  pena  di morte,  Mastro  Titta  viene posto  in  quiescenza.  Con  il ripristino del potere temporale, dopo un periodo di forzata inattività durato quattro anni90, nel settembre del 1851 il boia riprende alla grande il suo lavoro. Gli anni ’50 vedono  un  sostanziale  incremento  delle  esecuzioni, dovuto  in  gran  parte a  una maggiore tendenza punitiva del governo in seguito ai reLa ghigliottina in via dei Cerchi. La fotocenti rivolgimenti politici91. grafia si riferisce probabilmente all’esecuL’annus horribilis è il 1855, zione di Monti e Tognetti del 1868 (da: Negro, 1966) quando  il  boia  di  Roma, ormai  settantacinquenne,  è chiamato ad eseguire ben trentatré condanne a morte. Ma nonostante l’età avanzata Mastro Titta resterà al suo posto per altri nove anni, fino al febbraio del 1864, quando verrà mandato in pensione e sostituito dall’aiutante Vincenzo balducci92. Il nuovo carnefice eseguirà ancora una decina di sentenze, tra cui quella di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, decapitati in via dei Cerchi nel 1868 per l’attentato alla caserma dei zuavi pontifici. Ma il clima politico stava ormai rapidamente cambiando, ed anche il sostituto di Mastro Titta rimarrà presto senza lavoro.  Giunto all’età di novanta anni e dopo un’intera vita passata al servizio dei papi, Giambattista bugatti muore il 18 giugno del 186993, a poca distanza di tempo da “Porta Pia”, quasi a preannunciare l’imminente fine del potere temporale del quale era stato così a lungo il terribile braccio esecutivo. 48

lA PORTA MAGICA dI VIllA PAlOMBARA

I

n una sua satira di carattere “priapeo”94 il poeta Orazio descrive una scena con alcune donne che compiono rituali magici nel cimitero esquilino95, la grande area sepolcrale che fin dall’VIII secolo a.C. si estendeva su un’ampia area comprendente l’odierna piazza Vittorio  emanuele.  Indicato  dalle  fonti  letterarie  come  Campus Esquilinus96, l’antico cimitero – destinato soprattutto in origine alla sepoltura dei poveri e degli schiavi – contribuiva a rendere malsana e inabitabile tutta questa parte della città situata al di fuori delle mura repubblicane del IV secolo a.C97. Rimasto praticamente in funzione fino all’inizio del periodo imperiale, attorno al 40 a.C. il cimitero viene fatto bonificare da Mecenate, il potente consigliere di Augusto, che fa ricoprire con un alto strato di terra tutta l’area per costruire la sua grande villa (Horti di Mecenate) che diventerà in seguito un gradito luogo di soggiorno per gli imperatori98. dopo questo intervento radicale la regione diventa una zona privilegiata per la realizzazione di giardini e residenze prestigiose, oltre che per la recuperata salubrità dell’aria, soprattutto per la grande disponibilità d’acqua assicurata dai numerosi acquedotti che l’attraversavano, indispensabile per alimentare le fontane e i ninfei delle nuove ville99.  Con la tarda antichità e le invasioni barbariche del V e VI secolo che comporteranno un consistente calo della popolazione, l’abitato tenderà  sempre  più  a  diradarsi  concentrandosi  prevalentemente verso le zone basse e il fiume, secondo un inarrestabile processo che causerà l’abbandono delle parti collinari e delle stesse ville patrizie. durante tutto il medioevo l’intera regione assume l’aspetto 49

Il Casino della scomparsa villa Palombara nella pianta di Giovanni Battista Falda (1676)

di una vasta campagna, con vigne, orti e campi coltivati che si estendono ben all’interno delle mura cittadine Verso la fine del XVI secolo, con i pontificati di Gregorio XIII (1572-1585) e Sisto V (1585-1590)100, l’esquilino riceve una nuova rete stradale che rimarrà sostanzialmente inalterata fino al 1870 e che promuoverà un iniziale ripopolamento della regione. La costruzione della villa Peretti, realizzata da Sisto V quando era ancora cardinale, contribuirà a riportare il quartiere al suo antico aspetto residenziale e a favorire la costruzione di altre prestigiose ville nel corso del XVII e del XVIII secolo. dopo la costituzione di Roma capitale nel 1870 e l’attuazione del piano regolatore del 1873 per il nuovo quartiere, tutte le proprietà della zona vengono espropriate; tra queste è la villa Palombara, situata nell’area dell’attuale piazza Vittorio emanuele, che era stata un importante punto di riferimento per alcuni famosi alchimisti del XVII secolo.  I lavori e gli scavi eseguiti per realizzare la piazza moderna porteranno al rinvenimento di parti di edifici e di un’infinita quantità di reperti appartenenti ad una delle ville antiche situate in questa zona. Si trattava degli Horti Lamiani, una lussuosa dimora patrizia 50

costruita dal console Lucio elio Lamia verso la fine del I secolo a.C.101. Prescindendo dall’accezione moderna e dal significato che ritroviamo nei primi trattati sull’agricoltura, a partire dalla fine del II secolo a.C. con il termine horti sono indicati parchi e complessi residenziali di lusso paragonabili sotto alcuni aspetti alle ville rinascimentali102. Si trattava di splendide dimore di piacere che durante tutto il periodo imperiale saranno realizzate in gran numero all’interno della città e nel suburbio.  Oltre che adempiere ad una comprensibile funzione di rappresentanza e di ostentazione del lusso, per i proprietari più colti gli antichi horti romani erano soprattutto luoghi dove trascorrere il tempo libero, privilegiando la vita contemplativa, lo studio e le conversazioni filosofiche e letterarie. A tale scopo e per creare l’atmosfera adatta, oltre a costruzioni destinate ad usi pratici o voluttuari, i giardini erano impreziositi con opere d’arte, piante rare103 e con una moltitudine di statue e simulacri di divinità disseminate tra i viali o racchiuse in grotte e tempietti. Anche la prevalenza di deco-

Decorazione con gemme e copertura d’oro (a sinistra) e gemme (a destra), rinvenute negli scavi degli Horti Lamiani (da: Cima 1986) 51

razioni (affreschi, mosaici) caratterizzate da una precisa connotazione  idillico-sacrale,  contribuiva  a  conferire  a  questi  luoghi un’aura di magica religiosità, che costituiva la prerogativa principale delle più importanti dimore patrizie104.  Gli scavi degli Horti Lamiani, oltre a numerose sculture105 e a resti di lussuosi edifici decorati con marmi, mosaici ed affreschi, hanno rivelato inoltre l’esistenza di un vero e proprio tesoro, consistente in centinaia di gemme, oggetti preziosi e un’infinità di monete d’oro e d’argento106.  dopo molti secoli di abbandono, al momento della costruzione della seicentesca villa Palombara sul terreno degli antichi Horti, la singolare vocazione del luogo sembra magicamente rivivere e riproporsi. L’idillica dimensione dell’antico giardino, con il suo corollario di suggestioni bucoliche e religiose, sembra trasferirsi nella nuova dimora, assieme all’eco dei rituali magici del sepolcreto arcaico e al mito alchemico delle gemme e dell’oro. La villa Palombara, che diventerà la sede del cenacolo alchemico del marchese Massimiliano, era stata costruita nel 1620 da Oddo di Pietraforte  che  aveva  acquistato  dalla  famiglia  Sforza  Cesarini un’ampia vigna situata lungo la via Felice107. Nell’aspetto generale che manterrà fino alla sua distruzione, la tenuta presentava una forma approssimativamente triangolare determinata dagli assi stradali tracciati nel XVI secolo, estendendosi dal lato settentrionale di piazza Vittorio fino all’attuale via Labicana. L’ingresso principale era  sulla  via  Felice  a  poca  distanza  dai  cosiddetti  “Trofei  di Mario”108, mentre un ingresso secondario era all’estremità meridionale del parco a poca distanza dalla chiesa dei Ss. Pietro e Marcellino.  Il Casino della villa, posto quasi al centro della proprietà, separava una prima ampia zona destinata a giardino dal settore rustico situato alle spalle della costruzione.  dopo la morte del fondatore Oddo e la successione del marchese Massimiliano attorno alla metà del XVII secolo, il luogo diventa un importante punto di riferimento per i cultori delle “arti ermetiche”109. Tra i personaggi che in questo periodo frequentano villa 52

Palombara condividendo (in modo più o meno genuino e disinteressato) gli  studi  del marchese,  troviamo  soprattutto  Cristina  di  Svezia. Giunta a Roma nel dicembre del 1655 dopo avere abdicato ed essersi convertita al cattolicesimo, la regina si era stabilita a palazzo Riario (oggi Corsini) in via della Lungara, dove aveva un proprio laboratorio da alchimista110. Con la regina Cristina – donna di vasta cultura ed eccezionale personalità – il marchese stabilirà  un  rapporto  privile- La Regina di Svezia, olio su tela di JacobFerdinand Voet (Edinburgo, National giato, tanto da dedicarle uno Galleries of Scotland) dei  suoi  migliori  componimenti poetici111 e affidarle la tutela della moglie e dei figli in caso di una sua improvvisa scomparsa112.  Altro frequentatore della villa e cultore di studi ermetici era il marchese Francesco Maria Santinelli113 gentiluomo di corte di Cristina114, esperto di astrologia115, fondatore di accademie e autore di lavori letterari. A lui si deve una delle opere di alchimia più note del periodo (Lux Obnubilata…) pubblicata nel 1666, che vide diverse traduzioni e riedizioni116. Personaggio dalla vita tempestosa ed errabonda117, segnata da momenti di alterna fortuna con l’ambiente romano e con la sua stessa protettrice118, durante una sua permanenza  a  Venezia  del  1667  Santinelli  aveva  stretto  un  forte sodalizio con Federico Gualdi, altra enigmatica figura di alchimista, capo di una setta di tendenze rosacrociane che finirà per smarrire le iniziali finalità ed essere inquisita dal Sant’Uffizio per magia e negromanzia119. Tra gli altri frequentatori del cenacolo del marchese vi era poi il nobile milanese Francesco Giuseppe borri, già allievo 53

Pianta di villa Palombara prima della distruzione (da: Gabriele 2015)

del Collegio Romano dove, assieme ad altre discipline, aveva potuto apprendere i primi rudimenti sull’alchimia e le arti ermetiche120. Spirito inquieto seppure ricco di curiosità intellettuali, borri era comunque un personaggio ambiguo, ritenuto depositario di importanti segreti sull’arte alchemica e al tempo stesso accusato da molti di 54

essere un ciarlatano121. Seguendo l’esempio di altri “iniziati”, in seguito a visioni celesti che diceva di avere ricevuto a S. Maria Maggiore, borri aveva fondato una specie di setta religiosa che mirava a realizzare una società perfetta e a riformare la Chiesa122. Per queste sue stravaganti iniziative sarà denunciato all’Inquisizione, arso in effige nel 1661 in Campo de’ Fiori e terminerà infine i suoi giorni nel 1695 rinchiuso a Castel S. Angelo. Personaggio di ben altra rilevanza nel variegato e discutibile panorama dei cultori di alchimia, era invece il gesuita Athanasius Kir-

«Il giardino alchemico rimane chiuso per chi non ha i piedi per seguire le orme delle natura». Stampa settecentesca che sembra richiamare il “luogo segreto” di villa Palombara dove era probabilmente la Porta Magica (da: Gabriele 1986) 55

cher123, conosciuto da Palombara per la comune frequentazione con Cristina di Svezia. Uomo coltissimo, poliglotta e versato in numerose discipline, Kircher ricercava la formula per la trasmutazione dei metalli soprattutto nella cultura dell’antico egitto e nei geroglifici, non interpretati comunque nel loro reale significato ma intesi come segni cabalistici. Al Collegio Romano, dove era stato chiamato ad insegnare da Urbano VIII nel 1635, Kircher aveva avuto come allievo il giovane borri al quale aveva certamente trasmesso la passione per le arti ermetiche. Il proprietario della villa, Massimiliano Savelli Palombara, era nato a Roma il 14 novembre 1614. essenzialmente rosacrociano come impostazione culturale, fin da giovanissimo Massimiliano aveva avuto una forte propensione per le materie esoteriche e per l’alchimia in particolare, disciplina a cui dedicherà tutta la vita124. Come riferisce in alcuni passi autobiografici, la vera svolta iniziatica era avvenuta un giorno del 1652 (Massimiliano precisa perfino il mese, il giorno e l’ora) quando – facendo proprio un episodio comune ad altri alchimisti – aveva ricevuto un’illuminazione divina125 che doveva farne, come egli stesso ci tiene a precisare, l’unico a Roma a possedere realmente la vera conoscenza alchemica. Indicativi in tal senso i frequenti riferimenti che Palombara fa alla sua arte intesa come “scienza santa”, che non può essere praticata col solo ausilio degli studi ma concessa per grazia divina e ottenuta soltanto dopo avere raggiunto la purezza interiore. L’intensa attività letteraria, che aveva contribuito a fare di Massimiliano almeno un discreto poeta manierista, sarà da quel fatidico momento completamente indirizzata allo studio dei testi ermetici e a comporre opere di carattere alchemico.  Versato nelle lettere e dotato di ampia erudizione, il marchese componeva in italiano e latino, intessendo i suoi testi di anagrammi, giochi di parole ed enigmi letterari. Oltre a scritti di carattere vario e a liriche dedicate alla sua stessa villa, nelle sue opere di contenuto ermetico tratterà delle erbe medicinali, delle virtù dei minerali e delle pietre preziose, sempre presentando l’alchimia come unica chiave per interpretare la natura e i suoi tanti segreti.  56

Ma, come per gli alchimisti di ogni tempo, anche per Palombara una delle finalità principali dei suoi studi era la trasmutazione aurea: la fabbricazione dell’oro126, da ottenere soprattutto con l’impiego del mercurio, materia principe degli alchimisti127 per la sua capacità di unirsi facilmente con i metalli. Altri elementi ritenuti in grado di essere impiegati nei processi di trasmutazione secondo Palombara, erano poi alcune erbe128, determinati minerali come il vetriolo o l’antimonio, o addirittura la rugiada, considerata ricca di proprietà nutritive e che il marchese raccoglieva nei suoi giardini prima del sorgere del Sole.  Alternando momenti di ricercata solitudine a periodi di frequentazione con altri sodali o a impegni di carattere pubblico (Palombara fu Conservatore in Campidoglio nel 1651 e nel 1677), per le sue ricerche il marchese aveva attrezzato un laboratorio nel Casino della villa costruito attorno al 1670129. In questo romitorio alchemico Massimiliano si esercitava nella «più recondita e sublime scienza che stia tra noi mortali», come egli definisce l’alchimia, lontano dai molti che, «anche se dotti», criticavano e sminuivano inevitabilmente (e comprensibilmente) le sue attività. Ma al contrario della maggior parte degli altri alchimisti, Massimiliano Palombara, temperamento riservato e poco amante della vita di società, si riteneva in grado di coltivare “l’aurea arte” soltanto nella solitudine della sua dimora e «retirato dalli commerci pubblici», come i personaggi vissuti negli antichi horti che si estendevano un tempo nella zona.  La completa identificazione che egli farà tra il romitorio dei suoi giardini e la sua stessa vita di studioso, lo porterà a ricoprire le pareti del Casino ed altre parti della villa con iscrizioni di contenuto ermetico (quasi tutte perdute), frutto di un lungo cammino spirituale che  vedrà  il  suo  compimento  nella  costruzione  della  cosiddetta Porta Magica130.  All’interno dei giardini Massimiliano aveva ricavato una grotta o uno spazio delimitato da un recinto, cioè una sorta di “luogo segreto” interdetto a tutti e riservato solo a lui e a coloro che condividevano i suoi interessi131. A questo spazio destinato agli iniziati si accedeva per mezzo della Porta Magica132, un massiccio portale 57

La Porta Magica in una foto del 1872, ancora inserita nel muro di cinta, prima della distruzione della villa. Si notano le volute decorative attorno al clipeo centrale scomparse quando la porta fu smontata (da: Cardilli Alliasi 1983)

in pietra sormontato da un fastigio che il marchese aveva fatto costruire nel 1680133. Considerando il suo evidente carattere di “transito”  o  di  accesso  iniziatico,  la  porta  era  decorata  con  segni geroglifici ed iscrizioni di carattere ermetico in latino ed ebraico. Nella parte superiore era un elemento circolare con un intreccio di simboli desunti dalle incisioni contenute nei libri di Henricus Madathanus, alchimista tedesco rosacrociano, che al pari di Palombara 58

affermava di avere avuto la sua personale illuminazione per opera dello Spirito Santo134. Oltre ai simboli alchemici del fastigio, altri segni alternati a una dozzina di iscrizioni (ancora esistenti) coprivano gli stipiti e la soglia della porta. Si tratta di brevi testi riferibili a miti e personaggi dell’antichità classica, motti di carattere sapienziale, frasi cabalistiche, oppure comparazioni di tipo rosacrociano con insistenza sulla funzione alchemica degli “opposti” (dio-uomo, madre-vergine, acqua-fuoco, terra-cielo ecc.)135.  Particolarmente significativa ai fini della sua funzione iniziatica è infine la scritta incisa sulla soglia della porta, che si può leggere da destra a sinistra o viceversa (ottenendo ovviamente significati completamente diversi) intesa «come invito [o come rinuncia] a varcare la soglia e intraprendere il cammino dell’esperienza alchemica»136.

La Porta Magica visibile oggi in piazza Vittorio Emanuele

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Nel 1873, con la distruzione della villa per la realizzazione del quartiere moderno, la Porta Magica, probabilmente già spostata dalla sua posizione originaria137, fu smontata e riposta temporaneamente in un magazzino138. dopo la realizzazione dell’attuale piazza Vittorio nel 1888, la Porta, unico elemento superstite di villa Palombara, è stata infine sistemata tra le aiuole del giardino verso l’angolo settentrionale dell’area. Ai suoi lati sono state aggiunte due statue del dio egizio bes139, forse per conferire un’improbabile e postuma aria di mistero a quella che gli specialisti considerano come «l’unica esplicita testimonianza plastica del magistero alchemico giunta fino a noi»140. 

60

lE VOCI BIANCHE I cantori del papa «La donna non si metterà un indumento da uomo  né l’uomo indosserà una veste da donna,  perché chiunque fa tali cose  è in abominio al Signore tuo dio» deuteronomio XXII, 5

«I

mutilati dalla voce d’angelo, durati a S. Pietro fino al 1902, erano oggetto di grande scandalo ma anche di morboso interessamento»141. Così scriveva il vaticanista Silvio Negro a proposito dei cantori della Cappella Sistina, che ogni anno attiravano moltissimi spettatori ai loro concerti a S. Pietro e nelle cappelle papali delle altre chiese della città. Prima della riforma di Pio X la pratica di impiegare giovani evirati per le parti di soprano e contralto nelle chiese romane era molto diffusa. Prescindendo dalla tradizionale misoginia della Chiesa cattolica manifestata in ogni periodo della sua storia, l’avversione per la presenza delle donne negli spettacoli teatrali o nei concerti eseguiti nello Stato pontificio, si era venuta affermando già alla fine del XVI secolo, con i provvedimenti di Sisto V (1585-1590) voluti per moralizzare le manifestazioni pubbliche e la vita cittadina in generale142.  Nel XVII secolo, ad eccezione di un breve periodo di relativa tolleranza dovuta alla presenza a Roma di Cristina di Svezia, capace di influenzare la vita culturale e mondana della città143, il sempre precario rapporto delle donne con le scene teatrali fu praticamente interrotto con l’avvento al soglio pontificio di Innocenzo XI (16761689)144.  è questo senza dubbio uno dei periodi peggiori per il teatro e per la musica a Roma – che vantavano peraltro una lunga tradizione – durante il quale non furono risparmiati neanche gli spettacoli che si tenevano nelle case private145. Il fanatismo del rigido pontefice 61

giunse al punto di interessarsi perfino ai teatri dei burattini, nei quali i personaggi femminili dovevano essere abbigliati in modo castigato146. Anche con i successivi pontefici i divieti furono sostanzialmente mantenuti, e le compagnie che si esibivano negli Stati del papa (con eccezione di bologna e delle Legazioni) dovettero ricorrere sempre più spesso ad ogni genere di espedienti. In mancanza di meglio, le parti femminili furono allora affidate agli uomini debitamente camuffati e “imbottiti” nei punti giusti, a imitazione di quanto si faceva nei giorni del Carnevale romano. I travestimenti per gli attori dovevano essere fatti comunque con molta cura, ricorrendo a bustini, belletti, nei sulle guance e cosmetici di ogni tipo. Ai giovanotti dotati dalla natura di pelo forte e scuro, i capocomici raccomandavano inoltre di schiarirsi la pelle e di radersi il viso più volte al giorno147.  Ma ciò che poteva andar bene per gli attori, non era ovviamente sufficiente per i cantanti ai quali erano assegnate parti di soprano destinate in origine alle donne. ed è allora che si diffonde la pratica di ricorrere a ragazzi debitamente “preparati”, quasi sempre fin dalla più tenera età, che avevano modo di mantenere la necessaria dolcezza di voce e sviluppare gradualmente un minimo di movenze e atteggiamenti femminili. Le leggi del tempo stabilivano che la decisione di subire il crudele intervento doveva essere presa dai fanciulli stessi148, certamente non in grado di capire a cosa andavano incontro, ma quasi sempre spinti da genitori senza scrupoli desiderosi di avviare i figli ad una lucrosa e sicura carriera.  Per compiere le dovute operazioni, prescindendo dagli interventi eseguiti da medici esperti in grado di non mettere in pericolo la vita del piccolo paziente, si ricorreva molto spesso a “praticoni” e a persone abituate a ben altri lavori. è questo il caso, ad esempio, di un barbiere di Roma con bottega a via Papale che, come apprendiamo dai diari dell’abate benedetti, aveva un’insegna con scritto: «Qui se castrono li cantori delle cappelle papali»149. Qualche volta l’operazione poteva non essere stata eseguita con la cura necessaria, oppure  i  parenti  del  paziente  erano  riusciti  in  qualche  modo  a corrompere i medici e ad aggirare i controlli. In una delle lettere di 62

de brosses sugli spettacoli che si tenevano a Roma, è ricordato il caso di un musico che presentò una supplica a Innocenzo XI per avere il permesso di prendere moglie affermando che «l’operation avait été mal faite», che cioè qualcosa di fisicamente maschile era ancora rimasto in lui. Incurante delle speranze amorose dell’artista, sullo stesso foglio della supplica il papa scrisse di suo pugno: «Allora, che si castri meglio!»150. I risultati della degradante pratica, uniti all’avvio precoce allo studio del canto, dovevano avere certamente effetti straordinari sulle voci dei soggetti se, come scrive un viaggiatore francese, questi cantori «charmoient les oreilles par la doucer de leurs voix»151. In virtù delle doti canore e delle movenze femminili che, almeno in età giovanile, conferivano loro un’aria di seducente ambiguità, i musici evirati erano dunque accolti con favore nel bel mondo romano, ricercati nei salotti e corteggiati da persone di alto rango,

Il Teatro Alibert sulla via Margutta nella pianta di G.B. Nolli del sec. XVIII 63

anche se spesso bersagliati dalle satire di poeti e scrittori152.   Verso  la  metà  del  XVIII  secolo, come apprendiamo da Giacomo Casanova, le scene romane erano dominate  da  un  giovane  musico “prima  donna”  al  Teatro  delle dame (o Alibert)153, che con la sua bellezza  aveva  stregato  l’intera città tanto da diventare il favorito del  potente  cardinale  borghese154. Altro testimone dell’interesse che circondava  questi  cantori  è  il  milanese conte  Giuseppe  Gorani,  che  ci parla di giovani e nobili dame in Gioacchino Conti detto il Gizziello, una delle più note “voci bianche”, gara per assistere e partecipare alla incisione di Alexander Van Haecken vestizione  dei  musici  del  Teatro (part., New York Public Library) Valle155. Sull’avvenenza di alcuni di questi cantanti abbiamo poi l’insospettabile testimonianza di Montesquieu, presente a Roma nel 1729, che nel Teatro Capranica ha l’occasione di ammirare due giovani castrati vestiti da donna definendoli «le più belle  creature  che  io  abbia  mai visto»156.  Più distaccato e maggiormente diretto  verso  le  qualità  canore  dei coristi  appare  invece  il  giudizio  di Goethe, che durante il suo soggiorno romano del 1788 visiterà spesso la Cappella  Sistina  per  ascoltare  soLuigi Marchesi, incisione di Luigi prattutto il Miserere di Gregorio AlSchiavonetti, 1790 (Londra, National Portrait Gallery) legri eseguito dal coro dei musici157.  64

Ma la stessa assurda natura delle  leggi  che  incoraggiava molti ragazzi ad abbandonare il proprio sesso per intraprendere  una  carriera  comunque sicura, poteva invece spingere giovani donne – realmente dotate dal punto di vista artistico –  a  scelte  e  camuffamenti  di tipo opposto. Ancora da Casanova  conosciamo  il  caso  di bellino,  il  bellissimo  “fanciullo” che egli corteggia assiduamente  nel  1744  il  quale, “aiutato” dallo scrittore a recuperare  il  suo  vero  sesso,  ab- Ritratto di Farinelli (o Farinello), al secolo Carlo Maria Michele Angelo Brobandona  il  finto  ruolo  di schi, dipinto di Jacopo Annigoni, circa castrato per intraprendere una 1752 (Stoccarda, Staatsgalerie) lunga carriera di soprano lontano dai divieti papali158. Questa generale tendenza verso il sovvertimento dei sessi e dei ruoli, conseguenza diretta di provvedimenti destinati in teoria a moralizzare  i  costumi,  contribuiva invece  ad  incoraggiare  la  trasgressione e dare spazio a giochi e  fantasie  erotiche.  Ad  evidenziare  le  contraddizioni  di  questa società,  rigorista  e  libertina  al tempo stesso, le cronache settecentesche riportano esempi come quello di un monsignore che organizzava rappresentazioni  private  nelle Giovanni Battista Velluti, incisione quali le parti maschili erano affi- di anonimo (c. 1800) 65

date esclusivamente a giovani donne truccate da uomo, che lo stesso prelato aiutava premurosamente nei cambiamenti d’abito159.   Verso la fine del XVIII secolo, con la sempre maggiore diffusione del gusto per il teatro, si assiste ad una moderata attenuazione dei divieti papali, che decadranno completamente durante la Repubblica Romana del 1798-1799160. Ma al graduale ritorno delle donne sulle scene non corrisponderà la fine dei cantori evirati, che continueranno ancora per un lungo periodo a godere del favore del pubblico. Un esempio in tal senso è fornito, ancora una volta, da un viaggiatore straniero, il francese Joseph Teysseire, deliziato ma al tempo stesso turbato dopo avere assistito ad un’esibizione dei cantori di S. Pietro: «Sono una ben strana cosa queste voci; l’impressione che destano è indescrivibile, hanno tutta la dolcezza e la soavità delle voci di donna, ma con qualcosa di più mordente che stupisce e disorienta. C’è in loro una sfumatura indefinibile che ne fa una categoria a parte»161. Ancora verso la metà dell’Ottocento, molto apprezzato era il coro di voci bianche della Cappella Sistina che si esibiva durante l’anno nelle cappelle papali delle chiese di Roma162. Particolarmente famoso in questo periodo era domenico Mustafà, che fu cantore e direttore  ufficiale  della  Cappella fino al 1902163. Ma con la riforma attuata durante il pontificato di Pio X (1903-1914) e la direzione artistica di monsignor Lorenzo Perosi che riorganizza il coro della Sistina utilizzando  soltanto  fanciulli  “intatti”, la vicenda dei musici senza sesso si esaurisce definitivamente164. L’ultimo  cantante  evirato  fu Alessandro Moreschi, detto l’Angelo di Roma per la particolare dolAlessandro Moreschi in abito da cezza della sua voce. Nato nel 1838 cantore della Cappella Sistina, ina Montecompatri, Moreschi era ri- torno al 1900 66

chiestissimo per eseguire concerti in accademie, circoli e salotti culturali. Fece parte della Cappella Sistina fino al 1913 e morì a Roma nel 1922. Sul grande piacere che avevano i visitatori stranieri (l’ingresi) nell’assistere al Miserere della Settimana Santa a S. Pietro eseguito dal coro delle voci bianche, abbiamo un gustoso sonetto di G.G. belli.  Er Miserere della Settimana Santa Tutti l’ingresi de piazza de Spaggna, Nun hanno antro che ddì si cche ppiascere è de sentì a San Pietro er Miserere Che ggnisun istrumento l’accompaggna. defatti, cazzo!, in ne la gran bertagna e in quell’antre cappelle furistiere Chi ssa ddì ccom’a Roma in ste tre ssere Miserere mei Deo sicunnum magna? Oggi sur magna sce so stati un’ora; e ccantata accusi, ssangue dell’ua!, Quer magna è una parola che innamora! Prima l’ha ddetta un musico, poi dua, Poi tre, ppoi quattro; e tutt’er coro allora J’ha ddato ggiù: mmisericordiam tua! G.G. belli, 31 marzo 1836

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Il PROCESSO A PAPA fORMOSO «A chi ti dovrò paragonare, o Stefano,  più crudele dei crudelissimi» Ausilio

C

hi percorre la moderna via Claudia scendendo dalla chiesa di S. Maria in domnica verso il Colosseo, può vedere sulla sinistra un’alta parete in laterizio movimentata da una serie continua di rientranze di varie forme e dimensioni. Si tratta di un lato delle monumentali sostruzioni che delimitavano una vasta piattaforma sulla quale sorgeva il tempio di Claudio165. Per tutto il medioevo e fino all’età moderna, seguendo una sorte comune a tutti gli edifici antichi di maggior mole, l’intero complesso fu sottoposto ad un

Plastico ricostruttivo del complesso del Claudiano visto dal lato della moderna via Claudia. Si scorgono i nicchioni in uno dei quali era alloggiato l’Oratorio di Formoso. Sulla destra della foto si intravede il Colosseo (Roma, Museo della Civiltà Romana) 69

Disegno della parete di ingresso all’Oratorio con i simboli cristologici composti con mattoni (da: Dujčev 1936)

continuo saccheggio ed utilizzato come un’immensa cava per recuperare materiali da costruzione166. demolito completamente il tempio superiore per asportarne i marmi, anche le sostruzioni furono in gran parte attaccate per estrarre pietre e mattoni, tanto da ridurre ben presto il monumento ad un immenso rudere circondato da orti e vigne. Verso la metà del IX secolo, utilizzando una delle nicchie che si aprivano sulla parete che delimita la strada, fu costruito un oratorio dedicato probabilmente al martire Lorenzo167, uno dei personaggi maggiormente presenti nelle rappresentazioni dell’arte paleocristiana e medievale. Abbandonata in seguito a probabili crolli e nascosta per molto tempo dagli interri e dalle macerie che circondavano l’antico tempio, la piccola chiesa fu riscoperta casualmente nel settembre del 1689 nel corso di altri scavi eseguiti (ancora una volta) per recuperare materiale edilizio168.  Oltre alla parete di ingresso, sulla quale erano una croce (probabilmente in laterizio) ed una specie di motivo a stella composto con mattoni posti per taglio, era ancora conservata l’abside contenente una scena ad affresco con il Cristo affiancato da alcune immagini di santi accompagnate dai nomi, e da due personaggi disposti in 70

basso e rappresentati in forme minori, secondo le regole seguite generalmente per i committenti delle opere. Nella disposizione simmetrica delle figure, alla destra del Cristo erano san Pietro, nell’atto di ricevere qualcosa (un rotolo?) dalle

mani  del  Salvatore,  e  san  Lorenzo, munito  dei  consueti  attributi  della croce “astile”169 e del libro (un codice con copertina gemmata), simboli, rispettivamente, della vittoria del cristianesimo e della dottrina. Sul lato opposto erano san Paolo, raffigurato nell’atto di ricevere la legge (traditio legis)170 secondo una formulazione inconsueta per questa scena171, e sant’Ippolito  con  le  mani  coperte  da  un panno172 e vestito con una corta tunica ed un mantello. Nella parte bassa dell’abside erano infine le due figure minori,  rappresentate  in  ginocchio  e

Disegno dell’affresco dell’Oratorio eseguito al momento della scoperta. Sotto la mano sinistra di Cristo si nota l’iscrizione col nome di FORMOSU(s) (da: Dujčev). In basso il particolare

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conservate soltanto parzialmente. Il personaggio alla destra del Cristo, privo dell’iscrizione del nome e con un abbigliamento da laico, reggeva in mano un oggetto di forma indefinibile, interpretato in genere dagli studiosi come una corta spada173. Il secondo, la cui immagine era del tutto scomparsa all’epoca del rinvenimento, era però ricordato dall’iscrizione del nome FORMOSU(s), ancora chiaramente visibile sulla parete. Si trattava di papa Formoso (891-896), il pontefice che aveva regnato durante uno dei periodi più tormentati della storia cittadina e protagonista, suo malgrado, di uno degli episodi più sconvolgenti di tutto il medioevo174.   Iniziato con l’incoronazione imperiale di Carlo Magno nel natale dell’Ottocento e concluso praticamente con il turbolento pontificato di Formoso, il secolo IX era stato uno dei periodi più difficili per il papato, con la città costantemente dilaniata dalle lotte tra le tante fazioni politiche. La lunga serie di violenze, che avrà spesso come protagonisti e vittime le persone stesse dei pontefici, sembra iniziare già verso la fine del secolo precedente. Il 25 aprile del 799 era avvenuta l’aggressione a Leone III da parte di famigliari e partigiani del suo predecessore. Assalito mentre si recava dal Laterano alla chiesa di S. Lorenzo in Lucina, il papa era stato rovesciato  da  cavallo  e  malmenato, quindi  richiuso  in  un  convento  dal quale era riuscito a fuggire come un Papa Pasquale I. Mosaico nell’abside della chiesa di S. Pras- comune malfattore175.  sede in Roma A Pasquale I (817-824), accusato dalla gerarchia ecclesiastica di avere favorito la nobiltà romana, era stato negato il seppellimento a S. Pietro, luogo deputato per i sepolcri dei papi176. Un’irregolarità procedurale nel corso della sua elezione177, era costato a benedetto III (855-858) l’oltraggio di essere aggredito all’interno dello stesso palazzo Lateranense178. Stessa 72

sorte era toccata al suo successore, Nicolò I (858-867), costretto a fuggire dal Laterano e a rinchiudersi a S. Pietro, perché colpevole di essersi opposto al divorzio di un membro della famiglia imperiale179.  La  spirale  ininterrotta  di violenze  e  soprusi  non  sembrava risparmiare neanche le famiglie dei pontefici. è questo il caso di Adriano II (867872),  già  sposato  e  padre prima  di  entrare  negli  ordini maggiori, al quale erano state rapite e quindi uccise la moglie e la figlia180. Ma il culmine della  violenza  sembra  ragPapa Formoso (incisione di G.B. Cavalieri, 1588) giunto  con  Giovanni  VIII (872-882),  cioè  il  pontefice che aveva avuto come antagonista per l’elezione lo stesso Formoso. Vittima di una congiura alla quale avevano partecipato anche i suoi famigliari, Giovanni era stato inizialmente avvelenato e quindi finito brutalmente a martellate181. ed è all’interno di questo paradossale scenario politico, scandito da faide, vendette ed aspre lotte di potere, che si svolge la vicenda di papa Formoso. Già vescovo della diocesi di Porto e descritto inizialmente come un personaggio austero e pio, nell’866 Formoso era stato inviato come legato papale in bulgaria presso re boris182 per convertire al cristianesimo quelle popolazioni e sottrarre il paese all’influenza del Patriarcato di Costantinopoli, in perenne conflitto con Roma183.  Questo episodio, che avrà importanti conseguenze dal punto di vista politico e religioso, sarà poi ricordato nell’affresco dell’Oratorio celimontano, nel quale – secondo le interpretazioni più atten73

dibili – il re bulgaro viene identificato col personaggio, privo del nome, situato in basso alla destra del Cristo184.  Nell’875 Formoso era stato poi inviato presso Carlo il Calvo, riconosciuto come imperatore dal pontefice in carica contro le pretese di Ludovico il Germanico. Proposto una prima volta al soglio pontificio nell’872 ed entrato successivamente in conflitto con il pontefice  Giovanni VIII,  nell’876  Formoso  era  stato  però  deposto, ridotto allo stato laicale e quindi scomunicato185.  Alla morte di Giovanni il suo successore Marino I (882-884) lo aveva comunque riconsacrato e reintegrato nell’antica diocesi di Porto.  Nell’891 Formoso viene finalmente eletto papa, nonostante l’impedimento canonico che vietava ad un presule il passaggio da una sede episcopale all’altra186. durante i cinque anni del suo pontificato, oltre ad occuparsi dell’amministrazione cittadina187, Formoso dovrà impegnarsi per appianare contrasti tra le sedi arcivescovili di Germania, intervenire nei conflitti sempre presenti all’interno del patriarcato costantinopolitano, fungere da arbitro tra i pretendenti al trono dei Franchi occidentali, e soprattutto regolare i difficili rapporti col vicino ducato di Spoleto188. ed è quest’ultima parte della sua azione – oscillante tra l’iniziale favore verso il ducato e le successive richieste di aiuto ad Arnolfo di baviera – che causerà l’occupazione  di  Roma  ad  opera  degli  Spoletini  e  contribuirà  a procurare a Formoso l’accusa di doppiezza politica da parte dei contemporanei e degli storici futuri.  Alla sua morte, il 4 aprile 896, come i suoi predecessori Formoso viene sepolto nel quadriportico della basilica di S. Pietro, il grande avancorpo  distrutto  per  la  costruzione  della  chiesa  attuale.  Ma l’odio  politico  di  cui  era  stato  oggetto  da  vivo  doveva  seguirlo anche nella tomba. Nel febbraio dell’897 il nuovo pontefice Stefano VI (896-897) tradizionalmente legato alla Casa Spoletina, fa aprire il sepolcro e prelevare il corpo del suo predecessore.  dopo averlo rivestito con i paramenti ufficiali, lo fa portare in una sala del palazzo pontificio e sistemare su un trono. Attorno alla misera spoglia viene quindi organizzata una lugubre farsa, che nelle 74

La drammatica scena del processo a papa Formoso nel dipinto a olio di J. P. Laurens dal titolo Papa Formoso e Stefano VI (Nantes, Musée des Beaux-Arts)

intenzioni di Stefano dovrebbe rappresentare un sinodo destinato a giudicare le azioni compiute dal defunto papa. La difesa d’ufficio è affidata ad un povero diacono (del quale possiamo immaginare lo stato d’animo) che viene sistemato accanto al cadavere di Formoso. Le accuse principali riguarderanno l’irregolarità dell’elezione (ritenuta  strumentalmente  non  valida,  in  quanto  già  vescovo  di Porto), i contrasti con Giovanni VIII, l’appoggio dato a Arnolfo da lui incoronato imperatore e la politica ostile verso il ducato.  Ascoltati i generici motivi di difesa esposti dal diacono, Formoso è ovviamente condannato; gli vengono quindi strappati i paramenti e amputate le tre dita della mano destra, cioè quelle utilizzate per impartire la benedizione secondo il rito latino. dopo averlo inizialmente sepolto in una misera tomba, il corpo di Formoso viene nuovamente riesumato e, come ultimo oltraggio, gettato nel Tevere. Per cancellare la memoria stessa del suo pontificato saranno poi di75

strutte tutte le sue immagini, compresa evidentemente quella che decorava il piccolo oratorio del tempio di Claudio189.  Ma la macabra farsa inscenata da Stefano non poteva non avere inevitabili e drammatiche conseguenze. La condanna canonica inflitta a Formoso invalidava automaticamente tutti gli atti compiuti da lui come pontefice, provocando una sorta di reazione a catena all’interno della gerarchia ecclesiastica che annullava ordinazioni, posizioni di prestigio e privilegi. Nell’agosto dell’897, guidati da tutti coloro che avevano perduto cariche, dignità e potere politico, molti seguaci del defunto papa insorgono e assaltano il palazzo Lateranense. Stefano VI viene quindi catturato, rinchiuso per qualche tempo in un carcere, ed infine strangolato190.  Nel frattempo, il fiume aveva miracolosamente restituito il cadavere di Formoso che – secondo una pia leggenda – era stato trovato  su  un  tratto  di  sponda  da  un  monaco  al  quale  il  papa  era apparso in sogno. Ricondotto a Roma e accolto dal nuovo pontefice con solenni cerimonie191, il povero corpo martoriato fu quindi nuovamente rivestito con i paramenti sacri e ricomposto nella tomba dalla quale l’aveva strappato la tempesta degli odi politici.

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lE MEMORIE dI uN CONfORTATORE Giustizie e giustiziati a Roma nel diario di Placido Eustachio Ghezzi (secoli XVII-XVIII) «Come abbia risposto a tanta carità,  come abbia infranto le acute proposizioni  e i sottili argomenti dei teologi non sappiamo.  Certo è che non cedette»   L. Sciascia, Morte dell’inquisitore

L

a chiesa di S. Giovanni decollato è situata nella via omonima, in un angolo del rione Ripa sopravvissuto agli sventramenti del 1936, che modificarono radicalmente tutta la zona compresa tra l’antica strada e il Tevere. Situata al confine tra il foro Olitorio e il foro boario192, cioè i due mercati degli ortaggi e del bestiame di Roma antica, fin dal primo medioevo l’area era caratterizzata da un fitto tessuto urbano, comprendente complessi civili e religiosi ora completamente scomparsi. Costruita a partire dalla fine del Quattrocento, la chiesa con i suoi annessi (convento, chiostro e oratorio) era sede dell’Arciconfraternita della Misericordia, o di S. Giovanni decollato, che aveva il compito di fornire assistenza religiosa ai condannati a morte e dare loro sepoltura.  Costituito a Firenze nel 1488 per iniziativa di elementi appartenenti alla Compagnia dei battuti193, il sodalizio era stato posto sotto la protezione di san Giovanni battista, patrono della città. Confermato nel 1490 con una bolla di Innocenzo III, aveva poi ricevuto, come sede romana, la piccola chiesa situata ai piedi del Campidoglio194. Guidati da teologi e uomini di chiesa, i membri della Confraternita erano generalmente laici, appartenenti spesso ai ceti più elevati195 e forniti di un sufficiente bagaglio di nozioni giuridiche e religiose che li ponevano in grado di svolgere adeguatamente i loro compiti. Prescindendo infatti dalla gran massa dei condannati di estrazione prevalentemente popolare, rei di delitti comuni e generalmente ben disposti ad accettare i sacramenti finali, vi erano a volte soggetti più difficili che, per censo, carattere o livello culturale, po77

tevano opporre una qualche resistenza196. Nella  lunga  pratica  di assistenza ai giustiziati alcuni  dei  confratelli  avevano  elaborato  a  questo scopo veri e propri manuali sulla  cosiddetta  “arte  del ben morire”197, contenenti consigli  per  i  confortatori di turno e ogni possibile argomento  in  grado  di  convincere  il  condannato a morire  cristianamente198, cioè «ad accettare con pazienza la morte per la salvezza  dell’anima»,  come recitavano i manuali stessi. La facciata della chiesa di S. Giovanni DeTra i documenti riguarcollato prima dell’abbassamento della strada danti l’attività pratica della per gli sventramenti nel quartiere (da: MoConfraternita, una testimoschini s.d.) nianza di particolare interesse è rappresentata dalle memorie di Placido eustachio Ghezzi, fratello del più noto Pier Leone autore di affreschi in varie chiese di Roma, che svolse la sua opera di confortatore dal 1674 al 1739199. Compilato inizialmente in modo estremamente sintetico e con la sola indicazione delle date dei supplizi, a partire dagli ultimi anni del XVII secolo l’elenco si arricchisce gradualmente di maggiori particolari, fino a fornire spesso dei vivacissimi quadri su questo singolare e tragico aspetto della Roma papale. Considerando il carattere pubblico e l’intento esemplare (potremmo dire: spettacolare) delle esecuzioni, i luoghi prescelti erano in genere quelli dove era possibile radunare la maggiore quantità di persone. Ad eccezione dei religiosi che, per motivi di opportunità, potevano essere giustiziati in carcere200, le parti della città dove si eseguivano general78

mente le “giustizie” in questo periodo erano: il Campo Vaccino201, nome con il quale veniva indicata l’area del Foro Romano, la piazza del Popolo202 e soprattutto la piazza di Ponte (più di sessanta casi), cioè il largo che si apriva presso la testata sinistra di ponte S. Angelo203. Prescelta spesso perché sufficientemente ampia e non lontana dalle carceri di Tor di Nona e dalle Carceri Nuove, la piazza era particolarmente attrezzata per questo tipo di funzioni, con una cappella all’interno di un recinto dove i condannati potevano fare le loro ultime devozioni204. Per  quanto  riguarda  i  crimini  elencati  e  descritti  dall’abate Ghezzi, in sintonia con la crudezza dei tempi (nonché con il disprezzo della vita umana di cui dava esempio lo stesso governo), il reato più comune è certamente l’omicidio (una cinquantina di casi),

Chiostro della chiesa di S. Giovanni Decollato. Sulla destra in basso si vede una delle botole della cripta dove venivano deposti i corpi dei condannati (da: Moschini s.d.)

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consumato per rapina, a sfondo sessuale, per motivi d’onore, o infine per vendetta soprattutto nei confronti di “sbirri”. Nel lungo elenco non mancano neanche le uccisioni di intere famiglie205 o casi di omicidi seriali, primo fra tutti quello di un chierichetto che aveva cominciato col rubare piatti d’argento nelle chiese dove serviva messa, ed era poi finito impiccato a piazza del Popolo per avere ucciso ben diciassette persone206. Al secondo posto, in ordine di importanza, troviamo ovviamente i furti (particolarmente frequenti quelli di cavalli o di bestiame in generale), perpetrati nei modi più diversi, puniti sempre con la condanna a morte207 e prescindendo generalmente da ogni ragionevole criterio di proporzionalità208. Tra le altre cause che potevano condurre al patibolo, troviamo poi la fabbricazione di monete false (o la limatura di buone)209, la confezione di veleni, il possesso di armi, il furto di oggetti sacri210 e le presunte macchinazioni contro il papa. Particolarmente odiose ed inaccettabili per la sensibilità moderna, sono infine alcune condanne a morte per omosessualità211, per composizione di “pasquinate”212 o  per  la  pubblicazione  di  notizie  (foglietti)  sulla  corte pontificia213.  Per quel che riguarda i tipi di esecuzione adottati in questo periodo e descritti nel diario214, prevale nettamente l’impiccagione (66  casi)215 alla  quale  poteva  seguire  la  barbara  pratica  dello “squarto” (30 casi), con l’esposizione delle parti del corpo a scopo di monito, o il rogo del cadavere per le condanne pronunciate dall’Inquisizione216.  Altra variante per i crimini considerati di maggiore gravità era infine l’esecuzione eseguita mediante mazzola e squarto (22 casi), a cui seguiva la consueta esposizione dei miseri resti. Abolito dal papa benedetto XIII (1724-1730), il supplizio della mazzola verrà poi reintrodotto da Clemente XII nel 1735, soprattutto nei casi in cui si intendeva applicare una sorta di “legge del taglione” giustificata – secondo i giudici – dalle modalità del crimine217.  Assieme alla vittima di turno, uno dei protagonisti principali di questo “teatro della crudeltà” era ovviamente il boia, o “maestro di 80

«Accanto al condannato si svolge la lotta tra gli angeli e i demoni, questi ultimi sanno che è il momento decisivo, l’ultima loro occasione, il momento in cui debbono compiere il loro sforzo maggiore». P. Serni, Trattato, p. 26. Particolare di una tempera su legno di F. Dolciati (1502) (da: Prosperi 2013)

giustizia” come veniva definito negli atti ufficiali. da questo singolare personaggio, oltre che dall’azione dei confortatori, dipendeva in gran parte la qualità dello spettacolo (che di spettacolo propriamente si trattava), da ritenersi pienamente riuscito se il boia “spacciava” il “paziente” in modo sufficientemente professionale218. Sotto quest’ultimo aspetto nel diario dell’abate Ghezzi sono numerosi i riferimenti a carnefici incapaci perché reclutati spesso tra i criminali comuni219. In tutti i casi in cui l’esecuzione non si svolgeva in modo regolare, il pubblico spesso pagante220 poteva dar luogo a veri e propri tumulti, con contusi, feriti e intervento delle guardie che menavano nerbate alla cieca sulla folla. Fondamentale, nell’economia della cerimonia, era comunque l’opera dei confortatori che avevano il compito – a volte non facile 81

– di far morire cristianamente i condannati facendo loro manifestare segni di sincero e pubblico pentimento. A questo scopo, la notte prima dell’esecuzione quattro sodali della Confraternita di S. Giovanni tenevano compagnia a turno al condannato per convincerlo a prendere i sacramenti. La mattina seguente, all’ora stabilita, vestiti di sacchi neri e con in mano le lanterne e il crocifisso, i confratelli lo accompagnavano infine verso il patibolo «come tanti angeli custodi»,  secondo  l’espressione  usata  dal  confortatore  Pompeo Serni221.  durante l’intero tragitto, il condannato doveva concentrare tutta la sua attenzione sulle “tavolette”222, cioè dei piccoli quadri con scene della Passione, che avevano l’ipnotica funzione di isolarlo da tutto anticipando il suo distacco dal mondo ben prima del colpo del boia223. Nei casi più semplici tutto si svolgeva regolarmente con soddisfazione  generale,  rinnovato  prestigio  per  i  confortatori  e grande edificazione per i numerosi presenti224. Terminata la cerimonia, il corpo veniva consegnato alla Confraternita che provvedeva a seppellirlo nel portico di S. Giovanni decollato, avendo però cura di sistemare – secondo una gerarchia prestabilita – le “persone ragguardevoli” in prossimità dell’altare, mentre i sacerdoti e i nobili venivano tumulati direttamente all’interno della chiesa225. Le difficoltà per i confratelli potevano sorgere invece con coloro che, almeno inizialmente, non collaboravano accettando i sacramenti226, secondo un comportamento sostanzialmente trasversale, che poteva cioè riguardare persone di un certo livello come semplici criminali comuni. In questi casi i manuali contenevano tutta una serie di prescrizioni adatte al tipo di paziente227. Si iniziava in genere con le suppliche al condannato228, per passare all’occorrenza alle minacce o a varie forme di tortura229, fino ad inscenare finte esecuzioni anticipate con l’attiva partecipazione del boia230. Tra i casi di condannati che finiscono per cedere dopo un iniziale rifiuto, troviamo un autore di “foglietti”231, un giovane omosessuale232 e un vecchio ladro di cavalli di 72 anni convinto a forza di botte e ustioni varie233. Nell’elenco non mancano neppure personaggi presi per sfinimento fisico234, o addirittura moribondi in se82

Un confratello della Compagnia di S. Giovanni Decollato con la tavoletta e la lanterna (da: Ricci 1923)

suggestivo  (e  in qualche modo, pittoresco)  lavoro dei confortatori, doveva quindi corrispondere l’indispensabile presenza  del  pubblico, la necessaria perizia del boia e soprattutto l’imprescindibile pentimento della vittima di turno237. Nei

guito alla tortura giudiziaria e comunicati  in  stato  di  semi incoscienza235. Ma  il  vero  problema  era rappresentato  da  coloro  che rifiutavano  decisamente  di pentirsi, ribellandosi a volte in modo violento, fino a sputare con disprezzo sulle tavolette  durante  la  processione verso il patibolo236. In questi casi estremi, l’intero apparato scenografico rischiava di saltare  completamente,  vanificando le finalità stesse della cerimonia. Come in ogni altro tipo di rappresentazione, oltre che  dalla  professionalità  e dall’impegno degli attori, la felice riuscita dello spettacolo dipendeva ovviamente dal doveroso rispetto  dei  ruoli. Al

Tavolette con scene della Passione utilizzate a Roma dai Confortatori (Roma, Museo della Camera storica di S. Giovanni Decollato)

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casi di maggiore difficoltà entravano quindi in azione religiosi di maggiore esperienza come il gesuita Francesco Maria Galluzzi238, celebre predicatore detto “l’apostolo di Roma”, che tra le altre sue incombenze aveva il compito di trattare i soggetti più difficili. Tra i pochissimi esempi di impenitenti ostinati riportati nel diario Ghezzi (e  «per i quali c’è da dubitarsi di loro salvezza», come commenta l’abate) ricordiamo alcuni accusati di omicidio239, un falso  prete240 e  un  povero  diavolo  colpevole  soltanto  di  avere espresso minacce nei confronti del Governatore di Perugia241. In questi casi particolari, eseguita la condanna i corpi venivano sepolti al Muro Torto, in un piccolo cimitero fuori Porta del Popolo destinato a coloro per i quali non era consentita la sepoltura ecclesiastica242. Anche se inevitabili e vissuti certamente come uno smacco dai sodali della Confraternita243, casi del genere erano pur sempre utili per mostrare a tutti le difficoltà che dovevano spesso affrontare nel compimento della loro missione. Ma il 24 novembre del 1736 accade l’imprevisto, e i confratelli sono chiamati ad un impegno certamente fuori dell’ordinario. Si tratta cioè di assistere due ebrei condannati a morte per avere scassinato alcune botteghe nel Ghetto244. La pena è quella consueta dell’impiccagione da eseguire a Ponte, ma i pazienti questa volta sono di un tipo del tutto particolare. dopo avere mobilitato l’esercito, presidiato le porte del Ghetto245 e fatta una scelta accurata delle orazioni compatibili con la natura “anomala” dei soggetti246, i confratelli entrano finalmente in azione. Per questi due condannati speciali non si richiede comunque il solo pentimento (e poi, seppure, da manifestare nei confronti di chi? di un rabbino?), ma si pretende A pagina seguente: pianta prospettica di G. Maggi del 1625. In corrispondenza del Castello è rappresentata la piazza di Ponte S. Angelo. Si nota il palco del patibolo con la scala e forse due personaggi sottostanti (a). Sulla sinistra, all’interno di un recinto delimitato da case e dal muro del fiume, è la cappella dei Confortatori con un altro patibolo (b). Un’altra scena di impiccagione è inoltre sulla sponda opposta sotto la sigla F. 35 (c). All’estremità superiore della pianta si vede una delle barche che fungevano da traghetto, mentre in basso è rappresentato un mulino fluviale (MOLE) 84

b

a

c

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ovviamente la conversione247. A questo punto i confortatori fiutano il colpo grosso e si presentano all’esecuzione con tutto l’armamentario, tenendo però le tavolette nascoste sotto la tonaca e pronte ad essere brandite al primo segno di cedimento248. Ma i consueti argomenti sulla passione di Cristo e sulla beata Vergine che costituiscono il consolidato repertorio della confraternita, non possono naturalmente funzionare in un caso del genere. Soli con se stessi e forti di un’inconsapevole capacità di resistenza maturata nei secoli, i due giovani ebrei non mollano e si avviano al patibolo «allegri e baldanzosi» – come sottolinea sdegnato l’abate – ingiuriati dalla folla e disprezzati apertamente da quelli stessi che dovrebbero “confortarli”249. Terminata l’esecuzione, i loro corpi, staccati dal patibolo e chiusi in un sacco, saranno poi tumulati di notte e senza tante cerimonie all’Ortaccio, come viene chiamato con spregio il cimitero ebraico dell’Aventino250. 

In morte di Abramo Caivano e Angelo Rubino, ebrei del Ghetto di Roma «Agl’argomenti del padre predicatore e dei confortatori sopr’alla vinuta del Mesia profetizzato tra gli altri da Zaccria, [Abramo] rispose che non lo credeva venuto ed alla profezia sudetta non potea rispondere per non aver studiato ma che in sostanza volea morir Giudeo e morire senza battesimo, bastandogli d’avere addosso la Circoncisione. Si mese doppo di questo a passeggiare e nel tempo istesso recitò varie sue preghiere sino all’ora quattro e quindi sedendo ascoltò j Confortatori, ma sempre ostinato si prodestò che predicavano in vano, e fino alle cinque e tre quarti contrastò con il Padre predicatore e i confortatori sopra la vera legge […] Non minore fu l’industria e l’attenzione adoprata per salvare l’anima del pertinace Angeluccio, il quale alle ore due e mezza calò piangendo e fu condotto nella stanza precedente a quella dei tormenti […] Lasciato dunque un poghetto si fece entrare nella stanza il compagno del Predicatore, alle persuasioni del quale 86

dicea: “Lasciatemi stare, voglio morire in grazia di Giacobbe e Isacco e non voglio sentire prediche. In soma, son nato Ebreo e voglio morire Ebreo”. […] Non mancai però io di fare l’ultime sforzi ordinando che s’introducesse il Carnefice e l’ajutante alla presenza de’ condannati ai quali dissero che gli avrebbero crudelmente con trapazzi fatti morire se non si fossero convertiti, ma a queste cose ben che dette separatamente e all’uno e all’altro fu da ambeduo risposto nell’istesso tempo ciò è: “Fai quello che vuoi, voglio morire Ebreo e se mi strapazzerai ne doverai rendere conto a Dio”. […] Arrivata a Ponte la nostra Compagnia trovò la confortaria divisa da un telone nero in due parti, collocata l’immagine del Crocifisso nella parte interiore dove era l’altare e dove stava preparato tutto ciò che era necessario per il battesimo e cresima in caso di conversione, il tutto portato dalla cappella delle carceri per mano del nostro sotto secretario; nella parte esterna furono trattenuti i condannati per fare l’ultime prove, le quali tentati e ritentati, rispose Abramo: “Perdete tempo, andiamo” [...] aj piedi delle scali ci mettemmo a pregarlo in ginocchioni, acciò in quel momento di tempo lascia il giudaismo; ma persistendo nella sua ostinazione fu tosto sopra le forche accompagnato dal confortatore che replicò alcune altre brevi ed efficaci parole alle quali non ebbe altro che: “No”, onde abbandonandolo lo lasciò in mano del carnefice meseramente morire. Si raddoppiarono le premurose istanze prechiere con Angeluccio, che dalla porta della confortaria fu fatto specchiare nel giustiziato compagno, ma anche esso volle seguitare le pedate dell’altro dicendo: “Voglio andare in paradiso” […] e doppo aver guardato fissamente il cadavere dell’altro perduto Ebreo fu dal boia strozzato». Roma, piazza di Ponte S. Angelo, 24 novembre 1736 dalle “Croniche” della famiglia Citone

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Parigi

I CONVulSIONARI dI PARIGI Un’eresia giansenista del XVIII secolo «Maître dans tant de choses, le XVIIIe siècle  est le maître des miracles*. J. Michelet

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escrivendo verso la metà del Settecento il periferico Faubourg S.  Marcel,  Louis  Sébastien  Mercier,  autore  di  Tableau de Paris, lo definiva come «il quartiere dove abita la plebaglia di Parigi, la più povera, la più turbolenta ed indisciplinata…», ricordando infine che «è qui che la gente danzò sulla tomba del diacono Pâris»1. François Pâris (o de Pâris), nato a Parigi nel 1690, diacono della chiesa parrocchiale di S. Medardo, benché figlio e fratello di consiglieri del Parlamento, aveva per umiltà rifiutato il sacerdozio e condotto, fin da primi anni del seminario, una vita poverissima scandita da digiuni e privazioni di ogni tipo. Fervente giansenista, Pâris faceva parte della numerosa schiera di religiosi che si erano opposti alla bolla papale del 1713 (detti “appellanti”), diventando per questo – soprattutto dopo la sua morte – uno dei personaggi più famosi del giansenismo popolare francese2. dopo la pubblicazione postuma (1640) dell’Augustinus, l’opera di Giansenio3 che poneva il pensiero del dottore della Chiesa alla base dell’ortodossia cattolica, si era acceso – specialmente in Francia – un intenso dibattito sull’opportunità di mantenere nell’ambito del magistero ecclesiastico la più stretta aderenza alle fonti tradizionali del pensiero cristiano, considerate dai giansenisti vincolanti ed immutabili. Le dure tesi di Giansenio e le sue pessimistiche formulazioni sui problemi della Grazia e del libero arbitrio4, avevano provocato gravi lacerazioni all’interno della Chiesa francese, dove * “Maestro in tante cose, il XVIII secolo lo è anche di miracoli”. 91

il giansenismo aveva avuto come principale centro di diffusione il monastero di Port-Royal-des Champs vicino Versailles5. All’inizio del XVIII secolo, un nuovo impulso al movimento viene dato dall’oratoriano Pasquier Quesnel (1634-1719), il maggior teologo del cosiddetto “secondo giansenismo”6, autore delle Réflexions Morales sul Nuovo Testamento7 e promotore di spinte autonomistiche del clero francese (Gallicanesimo) nei confronti della Chiesa di Roma8. Nel 1713, dietro pressanti insistenze di Luigi XIV che vedeva un pericolo politico nel giansenismo, con la bolla Unigenitus il papa Clemente XI condanna gran parte (101 tesi) delle proposizioni teologiche contenute nelle Réflexions, provocando ulteriori divisioni nel clero francese. Molti religiosi rifiutano la bolla e il 1° marzo 1717 quattro vescovi si appellano al papa, chiedendo un concilio generale per dirimere i contrasti9. Il rifiuto della bolla provoca inevitabilmente la scomunica da parte del pontefice, mentre un nuovo appello per un concilio viene sottoscritto dai dissidenti nel 1720. A Parigi, dove gran parte del clero è di tendenze gianseniste, numerosi sacerdoti ribelli saranno poi interdetti dal vescovo locale nel 173010. è in questo clima di aspra lotta religiosa, non priva di risvolti politici, che si svolge la vicenda di Pâris, diacono dell’ordine oratoriano, considerato dai parrocchiani del suo quartiere come il perfetto modello del religioso cattolico. Giansenista fin dal 172011 e sottoscrittore di entrambi gli appelli di protesta contro la bolla (cioè “appellante e “riappellante”)12, nell’ultimo periodo della sua vita Pâris abitava al terzo piano di una misera casa in rue de l’Arbaléte dove, come gran parte dei suoi parrocchiani, esercitava il mestiere di tessitore di calze13. Sempre alla ricerca ossessiva di una più perfetta povertà, Pâris si trasferisce successivamente in una casa ancora più modesta (all’Insegna del Pozzo) situata in rue de bourguignons, strada che correva in corrispondenza dell’attuale boulevard de PortRoyal14.  In questo secondo alloggio Pâris si organizza una sorta di eremitaggio nel cortile del casamento, senza mobili o suppellettili e con un armadio rovesciato da usare come letto15. Ad ulteriore mortificazione del proprio corpo, porta il “cilicio”, indossa un cami92

Un’immagine del diacono Pâris tratta da una delle sue prime biografie (da: Gouzi 2005)

cione di tela ruvida che non cambia mai e, specialmente negli ultimi tempi, si nutre soltanto di erbe ed acqua prelevata dal pozzo del cortile. dopo una vita di privazioni e digiuni che lo avevano condotto lentamente alla completa autodistruzione, Pâris muore il 1° maggio del 1727 e viene sepolto nel cimitero della chiesa di S. Medardo situato sulla rue Mouffetard, un’antica strada ancora esistente che ricalca il tracciato di una pista del periodo romano.  Il piccolo cimitero, che diventerà il teatro di uno dei fenomeni più inquietanti della storia cittadina, consisteva in uno spazio quadrato di circa dieci metri di lato, con una galleria sopraelevata ad arcate che correva tutto intorno16. La tomba di Pâris era formata da una massiccia pietra rettangolare di marmo nero poggiata su quattro supporti che lasciavano uno spazio sottostante, ed era corredata da una iscrizione piuttosto pretenziosa voluta dal fratello del defunto17. Fin dai giorni successivi alla sepoltura, la tomba del diacono – considerato da molti come martire della causa giansenista – è meta 93

L’isolato della chiesa di S. Medardo (al centro della foto) in una pianta di Parigi della metà del XVIII secolo In basso: la facciata della chiesa di S. Medardo

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di numerosi visitatori; la sua stessa casa viene presa d’assalto e le sue  povere  cose  disputate  come  reliquie18,  mentre  una  cappella viene eretta nel cortile della casa stessa, quasi a sanzionare prematuramente la sua beatificazione19. Alla diffusione dell’incipiente culto popolare che sfocerà ben presto in preoccupanti eccessi, contribuirà in modo decisivo l’apparizione, nel 1728, del giornale giansenista clandestino Les Nouvelles Ecclésiastiques20, che seguirà per un lungo periodo gli sviluppi del movimento “convulsionario”21.  In quest’atmosfera di intenso misticismo popolare e di fervente aspettativa, già prima del seppellimento del diacono, una vedova che aveva toccato la sua bara affermava di essere guarita dalle proprie infermità22. Considerando la posizione di “appellante” e “riappellante” di Pâris, morto peraltro senza il conforto dei sacramenti da parte di un sacerdote non interdetto23, l’arcivescovo di Parigi Vintimille ne vieta ufficialmente il culto24. Quasi in reazione a questo divieto, si intensificano le visite al sepolcro del diacono ed iniziano  le  prime  guarigioni  miracolose,  che  ben  presto  si manifesteranno con modalità del tutto inconsuete.  Questa seconda fase sembra iniziare nel settembre del 173125, quando a S. Medardo si reca l’abate bécherand de La Motte, che fin dalla nascita aveva una gamba più corta dell’altra26. Al contatto con la tomba di Pâris, l’abate entra in una sorta di trance con violenti scuotimenti del corpo e convulsioni che ricordano gli attacchi epilettici. Interpretate senz’altro come segni di possessione divina ed indizi di imminente guarigione, le crisi convulsive – spontanee o provocate ad arte27 – si moltiplicano tra i fedeli diffondendosi in modo quasi epidemico28.  In poco tempo il fenomeno assume proporzioni inaspettate, e in tutti i giorni dell’anno, dal momento dell’apertura alle cinque del mattino fino alla sera29, il cimitero di S. Medardo è meta di una moltitudine di infermi e di curiosi. Nelle vie attorno alla chiesa si vedono file di persone che aspettano di entrare, mentre all’interno del cimitero la tomba del diacono è letteralmente sommersa da corpi in continua agitazione. Qualcuno tra i visitatori più fortunati o mattinieri riesce addirittura ad infilarsi nello spazio sotto la tavola di 95

marmo nero, quasi alla ricerca di un maggior contatto con il corpo venerato. Alla moltitudine dei malati che esibiscono piaghe e infermità di ogni genere, fanno riscontro i tanti curiosi che si accalcano nelle gallerie superiori, nella morbosa aspettativa di un qualche fatto straordinario. Presso la tomba, gli invalidi e i convulsionari più agitati  vengono  assistiti  (o  stimolati,  secondo  i  pareri)  dai  “souteneurs”, robusti volontari che hanno il compito di regolare il flusso dei fedeli e di sostenerli nei loro movimenti scomposti30. Nella generale confusione si distinguono in modo particolare le donne31, alcune delle quali, alla maniera delle “prefiche”, si specializzano nelle loro lamentose invocazioni imitando curiosamente il verso dei cani (aboyeuses) o dei gatti (miaulantes)32. Tra gli aspetti meno edificanti, ma certamente molto apprezzati dal pubblico maschile delle gallerie, vi sono poi le esibizioni di alcune giovani convulsionarie che si svestono abbondantemente durante le crisi33.  Allo scopo di certificare comunque le guarigioni ritenute attendibili per utilizzarle poi in chiave giansenista, un comitato di controllo formato da medici ed ecclesiastici si sistema stabilmente nella sacrestia della chiesa. Il compito dei “periti” (peraltro, molto ben disposti) è però complicato dal fatto che le guarigioni avvengono quasi sempre in modo lento e graduale, forse perché determinate in molti casi dal concomitante abbandono delle cure mediche, che in questo periodo potevano risultare spesso controproducenti se non addirittura letali. Ma la prova decisiva sui poteri taumaturgici del defunto diacono sembra venire finalmente da una sorta di “miracolo al contrario”, quando, nell’agosto del 1731, una donna che si era accostata alla tomba fingendosi invalida viene colpita da una vera paralisi e ricoverata all’Hôtel-dieu, l’ospedale centrale di Parigi34.  Con la progressiva affermazione e diffusione del fenomeno, le manifestazioni dei convulsionari sembrano specializzarsi in senso individuale, caratterizzate da una sempre più accentuata dinamicità. Oltre ai consueti e “normali” scuotimenti, tra i posseduti si può osservare ora tutta una varietà di comportamenti originali: alcuni corrono incessantemente attorno al cimitero, altri saltano senza posa su una gamba sola, altri ancora ruotano vorticosamente su se stessi 96

Il cimitero di S. Medardo in una stampa dell’epoca. Si notano la tomba del diacono con la lastra sopraelevata e le gallerie superiori che potevano ospitare gli spettatori (da: Maire 1985)

alla maniera dei “dervisci danzanti”35. Il parossismo turistico-religioso che richiama ormai tutta Parigi verso questo teatro della follia, sembra toccare il culmine nel novembre del 173136. In questo periodo le strade attorno alla chiesa di S. Medardo sono quotidianamente  invase  dalla  folla,  e  un  gran  numero  di  carrozze  blocca letteralmente il traffico in tutte le ore del giorno. Le osterie e le locande del quartiere fanno affari d’oro37; dappertutto si vendono immagini  del  diacono  e  orazioni  composte  da  scrivani-teologi improvvisati, mentre nelle gallerie del cimitero si affittano le sedie38 per chi vuole assistere comodamente al pittoresco e sempre vario spettacolo che si svolge nell’arena sottostante. Considerando la rapida diffusione del fenomeno convulsionario, che rivela sempre più chiaramente la sua natura di protesta poli97

tico-religiosa nei confronti del governo e della bolla papale39, il 29 gennaio 1732 il re, che considera un’impostura i miracoli di S. Medardo40, ordina la chiusura del cimitero. Il giorno seguente, i fedeli e i curiosi che giungono da tutta la città per visitare la tomba venerata, vedono un curioso cartello che qualcuno ha attaccato nella notte alla porta rimasta chiusa:  De par le roi, défense à Dieu, De faire miracle en ce lieu 41

Fac-simile del cartello affisso alla porta del cimitero all’indomani della sua chiusura (da: Lesbros 2009)

dopo l’iniziale costernazione dei fedeli e la generale rassegnazione per la fine dei miracoli, un sacerdote dotato di un certo spirito, commentando le parole del cartello osservava: «La cosa curiosa comunque, è che il Padre eterno poi ha obbedito davvero!». La chiusura del cimitero di S. Medardo era comunque avvenuta in un momento in cui il fenomeno convulsionario era nella sua massima espansione, e quindi difficilmente eliminabile con un semplice provvedimento di polizia. Lo stravagante moto popolare, nato inizialmente come protesta religiosa ma che si nutriva ormai di svariati elementi ed era alimentato dalle più strane pulsioni, si avviava fa98

talmente a vivere un’esistenza sotterranea. Seguendo il destino dei tanti fenomeni analoghi apparsi nella storia, una volta vietate le manifestazioni pubbliche e la suggestiva esibizione dei miracoli, le iniziative dei convulsionari assumono un carattere settario, e i tanti adepti cominciano a riunirsi nelle case. All’inizio il movimento è di tipo spontaneo e poco organizzato, ma a partire dal 1735, quando il Parlamento di Parigi si dichiara pubblicamente contro i convulsionari, fedeli e simpatizzanti si dividono in tante piccole sette segrete – non necessariamente collegate tra loro – immaginando di interpretare il ruolo dei primi cristiani perseguitati42.  La punta massima delle riunioni domestiche sarà raggiunta tra il 1734 e il 1736, con alcune migliaia di aderenti e gruppi di varia consistenza (generalmente tra le venti e le cinquanta persone) segnalati in tutti i quartieri della città43. benché generalmente derisi e per lunghi periodi ignorati dalla polizia, nei casi in cui saranno ritenuti colpevoli di violazioni dell’ordine pubblico o della morale comune, parecchi convulsionari verranno in seguito arrestati e rinchiusi nelle prigioni di Vincennes e della bastiglia.  Privi del suggestivo scenario del cimitero e della stimolante vicinanza della tomba del diacono, i settari che si riuniscono in case di adepti e protettori44 cercano inizialmente di perpetuare il ricordo di Pâris rappresentando i momenti più comuni della sua vita quotidiana45. dopo queste recite, riprendendo i vecchi copioni sperimentati con successo a S. Medardo, gli attori si considerano posseduti dallo spirito divino e si abbandonano alle consuete crisi convulsive, non più però propedeutiche di miracolose guarigioni ma occasione di puro e semplice spettacolo46.  durante questa nuova fase il legame ideale con la figura del defunto diacono tende comunque ad attenuarsi, e le riunioni nelle case si nutrono sempre più di motivi che prescindono dalle istanze religiose che avevano stimolato le iniziali proteste. Nei casi in cui si tenta di mantenere una certa aderenza alle esigenze di carattere spirituale che avevano originato il movimento, vengono organizzati incontri che sembrano anticipare in qualche modo le moderne sedute spiritistiche47, con stati di trance ed estasi profetiche, nel corso 99

delle quali si manifestano fenomeni particolari come la glossolalia48, o altri prodigi verbali49. Tra i fenomeni più suggestivi descritti da testimoni più o meno attendibili, viene ricordato un episodio di “poltergeist”, con un crocifisso che inizia a volteggiare vorticosamente nella stanza durante una seduta50.  Riprendendo i motivi di contrapposizione con la Chiesa ufficiale e i suoi ministri colpevoli di avere aderito alla famigerata bolla, molti tra i convulsionari si ritengono i veri eredi del messaggio cristiano51, gli unici rappresentanti di una chiesa minoritaria e ingiustamente perseguitata. da qui il desiderio di far rivivere la stagione gloriosa dei maggiori testimoni della fede, cioè dei primi martiri52. In alcune case le riunioni assumono allora un aspetto del tutto inconsueto, con i protagonisti degli spettacoli (per lo più giovani donne) che si sottopongono ai più svariati supplizi, sottostando a volte a dure prove di resistenza al dolore53.  Il carattere stesso delle esibizioni, motivate inizialmente dal desiderio di fornire esempi di mortificazione del corpo (da qui l’uso massiccio di cilici e discipline), degenera ben preso in forme di misticismo deviato, in cui predominano pratiche di tipo sadico o masochistico in grado di attirare un certo tipo di spettatori54. La gamma dei tormenti inflitti o autoinflitti è piuttosto vasta, con alcuni degli attori che si specializzano in prestazioni personali e di particolare effetto. Si va dalle semplici percosse, propinate da aiutanti ben disposti, al soggetto in stato (più o meno reale) di trance, fino a vere e proprie torture, con ferite di varia entità, strangolamenti protratti quasi fino all’estremo o schiacciamenti del corpo eseguiti con pesi o con gruppi di uomini che calpestano il convulsionario di turno. Una delle esibizioni più suggestive, che richiama numerosi spettatori e che si diffonderà nei vari cenacoli parigini, è quella delle spade, una pratica inaugurata dalla convulsionaria Gabrielle Moulère nel 173655. dopo avere iniziato la sua carriera ingoiando carboni ardenti, Gabrielle aveva deciso di sfidare gli effetti delle spade e di altri oggetti taglienti. Per far questo la donna poggiava la punta di una spada contro il proprio stomaco, invitando poi un robusto spettatore a spingere con tutta la sua forza. Ovviamente la spada si 100

La scena delle spade di Gabrielle Moulère (da: Maire 1998)

piegava lasciando la ragazza assolutamente indenne. Le convulsionarie dotate del dovuto senso professionale, nel corso delle loro esibizioni  indossavano  generalmente  una  sorta  di  tuta  o  ampio camicione (robe de convulsionnaire), che doveva servire ad evitare atteggiamenti scomposti ed indecenti ma che, secondo i maligni, era adatto soprattutto a nascondere rinforzi o giubbotti utili ad attenuare o vanificare gli effetti delle prove più rischiose56. Ma prescindendo dal desiderio di mantenersi il più possibile entro i limiti della decenza, cosa che non doveva poi preoccupare molto le protagoniste degli spettacoli57, era invece impossibile che il carattere stesso delle riunioni – con l’ossessiva insistenza sugli aspetti carnali dei fenomeni – non degenerasse in comportamenti ambigui o a sfondo decisamente sessuale. dai resoconti di vari testimoni e dai verbali di processi58, apprendiamo tutta una serie di situazioni di questo tipo. Si parla di giovani convulsionarie che per 101

lenire le sofferenze fisiche si abbandonano tra le braccia degli uomini  presenti,  o  altre  che  si denudano  completamente  con l’intenzione di mimare un improbabile ritorno ad una sorta di innocenza adamitica59.  Tra i casi più scabrosi vi sono infine  le  rappresentazioni  che  vogliono illustrare i crimini e i peccati dei  pagani  o  degli  avversari  dei giansenisti in generale, adottando metodi didattici certamente efficaci ma indubbiamente singolari. Giustificando  il  loro  comportamento Incisione da un busto del diacono con lo stato di possessione divina in François de Pâris (Reggia di Vercui si trovano, alcuni convulsionari, sailles, Petit Trianon) uomini e donne, si danno alla fornicazione durante le riunioni, consumando atti sessuali davanti a tutti i presenti60.  Nel corso di un processo avviato nel 1735 contro una certa Marguerite Roussel che aveva partecipato attivamente ad alcune di queste istruttive “lezioni”, l’accusata dichiarava che lo scopo era di mostrare ai presenti l’orrore dell’atto peccaminoso, e che l’importante era di compierlo «en gémissant», cioè gemendo, piangendo, tanto da manifestare tutto il disgusto e il dolore possibile61.  Nel 1739, mentre il movimento convulsionario è in pieno sviluppo, l’Inquisizione Romana sancisce la definitiva condanna della setta organizzando un “autodafé” dei libri riguardanti la vita e i miracoli di Pâris62. Alle accuse e all’ostilità dichiarata dei cattolici osservanti, i convulsionari risponderanno inasprendo sempre di più l’aspetto cruento – e soprattutto spettacolare – delle loro esibizioni. Il picco massimo del delirio masochistico viene toccato attorno al 1758, quando alcuni adepti decidono di rappresentare la passione di Cristo, facendosi letteralmente crocifiggere63.  102

Testimoni senz’altro attendibili come il geografo de la Condamine o il barone tedesco Friedrich Grimm in viaggio a Parigi64, raccontano di giovani convulsionarie issate su una croce con mani e piedi attraversati da veri chiodi di ferro. Nel corso di queste operazioni, stupiva comunque la scarsa fuoriuscita di sangue dalle ferite, apparentemente terribili e dolorosissime.  Un rapporto redatto da un medico dell’Accademia Reale delle Scienze ci informa però che ad un attento esame i soggetti di turno presentavano una sorta di fistula callosa sulle mani e sui piedi nei punti in cui venivano infissi i chiodi, segno evidente di antiche ferite mai del tutto rimarginate e in grado di servire per numerose esibizioni65. Negli ultimi anni del XVIII secolo, con gli avvenimenti epocali che  investono  la  società  francese, il fenomeno convulsionario va lentamente esaurendosi, fino ad arrestarsi del tutto durante  la  Rivoluzione66.  Nel 1807 il piccolo cimitero di S. Medardo viene eliminato e trasformato  in  orto  dal  curato della chiesa.  Il  corpo  di  Pâris  viene quindi riesumato67, le ossa disperse, mentre il cranio è recuperato  da  un’anziana  fedele del defunto diacono che riesce a farlo seppellire ai piedi del muro  perimetrale  sud  della chiesa,  in  corrispondenza  di una cappella dedicata alla Vergine68. Nel 1868, in seguito ai lavori che cambieranno il volto di La casa di Pâris in rue de l’Arbalète, gran parte della città, anche la demolita nel 1868 (da: Gouzi 2005) 103

vecchia casa che aveva abitato Pâris in rue de l’Arbalète viene demolita69. Ma l’antico ricordo del diacono doveva certamente permanere nella zona, suscitando ancora inquietudine e turbamenti. Nel 1901, in seguito ad altri scavi eseguiti nell’area del vecchio cimitero, il curato della chiesa ritrova il cranio di Pâris e decide senz’altro di gettarlo nella Senna70.

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lA dISTRuzIONE dEllE TOMBE REAlI dI SAINT-dENIS Un episodio della Rivoluzione francese «L’Assemblea Nazionale trattava la Francia  come una colonia in cui  non ci fosse stato un passato» Madame de Stäel

V

erso  la  fine  del  XVIII  secolo  Saint-denis,  cittadina  situata pochi chilometri a nord di Parigi, contava poco meno di 6.000 abitanti71. La sua cattedrale, «luogo della memoria della monarchia» come era definita72, ospitava da secoli le tombe dei re di Francia. Il nome della città e della chiesa stessa venivano da san dionigi, evangelizzatore e primo vescovo di Parigi martirizzato, secondo la leggenda, nell’anno 25073. dotata riccamente dal re dagoberto che vi era stato sepolto nel 638, con la dinastia dei Capetingi la chiesa era diventata il luogo privilegiato per le inumazioni dei re francesi74. All’inizio della Rivoluzione e prima dell’avvento del “Terrore”75 Saint-denis aveva vissuto le vicende comuni a molte altre località di provincia, con un iniziale fermento patriottico (alcuni suoi cittadini avevano partecipato alla presa della bastiglia)76 e le successive difficoltà dovute alle lotte tra fazioni, alle proteste per il prezzo del pane e ad una diminuita indipendenza amministrativa77.  Il 20 giugno del 1791, con la fuga del re terminata con la sua cattura a Varennes78, la monarchia francese iniziava l’ultima fase del suo declino, che si concluderà il 10 agosto con l’assalto alle Tuileries79 e il successivo decreto del 21 settembre che aboliva la monarchia istituendo la Repubblica. Luigi XVI sarà poi processato, condannato a morte e ghigliottinato il 21 gennaio del 179380.  Il 14 agosto del 1792, lo stesso giorno in cui la famiglia reale veniva rinchiusa nella prigione del Tempio81, l’Assemblea Nazionale ordinava la rimozione di tutti i simboli reali82, dando vita ad 105

L’abbazia di Saint-Denis in una stampa dell’epoca

un delirio distruttivo che causerà perdite irreparabili a gran parte del patrimonio storico e artistico83. Iniziata di fatto (anche se in modo spontaneo ed episodico) con l’abbattimento della bastiglia84, con l’istituzione del Comitato di Salute Pubblica nell’aprile del 1793 la furia iconoclasta assume un carattere programmatico investendo ogni aspetto della vita del paese85.  All’ossessiva attenzione dei rivoluzionari impegnati a cancellare ogni ricordo del passato regime, non poteva certamente sfuggire l’abbazia di Saint-denis, antica culla delle memorie dinastiche. Il 106

primo a formulare apertamente la proposta di distruggere le tombe reali è il giornalista Sylvain Maréchal, che alla fine del 1792 pubblica un vibrante articolo sulla Révolution de Paris86. Il 6 febbraio del 1793, due settimane dopo l’esecuzione di Luigi XVI, su Le Moniteur appare un’ode a firma di ecouchard-Lebrun (detto il “Pindaro” della Rivoluzione), nella quale l’invito a violare i sepolcri reali è espresso addirittura in versi87. Il 31 luglio dello stesso anno l’iniziativa viene infine formalmente ufficializzata con una proposta dei membri del Comitato che intendono commemorare in tal modo l’assalto alle Tuileries dell’anno precedente88. Nelle intenzioni dei promotori la distruzione sistematica delle tombe, oltre che assumere un chiaro significato ideale e propagandistico89, veniva giustificata soprattutto con motivazioni di carattere pratico. Una delle maggiori iniziative pro-

La violazione delle tombe reali a Saint-Denis nel 1793 nell’opera di H. Robert (Parigi, Musée Carnavalet) 107

mosse in questo periodo per sostenere la guerra in corso, consisteva in una capillare campagna di raccolta dei metalli, certamente necessaria per armare l’esercito, ma che stava però letteralmente spogliando le chiese di Francia90. A tale scopo a Saint-denis verrà allestita una fonderia all’interno della stessa cattedrale, e il bronzo e il piombo dei monumenti e dei feretri91 serviranno a fare cannoni e palle da moschetto92. Le operazioni iniziano il 10 agosto 1793 con la distruzione delle effigi funerarie dei re93 la cui cera viene utilizzata per le luminarie della festa commemorativa che si dovrà svolgere quel giorno94. è quindi il turno dei monumenti sepolcrali della chiesa, che vengono smontati e in parte distrutti seguendo una sorta di “iconoclastia selettiva”, che contribuirà almeno a risparmiare alcune delle opere più importanti95. Il disseppellimento delle salme reali (il “vandalismo” rivoluzionario, secondo un termine coniato per l’occasione dall’abate Gregoire), inizia il 12 ottobre 1793 e si protrarrà fino al 25 dello stesso mese. I corpi estratti, molti ancora in stato di decomposizione, vengono gettati in due fosse comuni scavate presso la chiesa, alternati a strati di calce e senza distinzione tra i sessi per accentuare in tal modo l’intento profanatorio96. dal rapporto redatto dal benedettino Germain Poirier97, apprendiamo che il primo corpo riesumato è quello di enrico IV98. La salma del re – che formerà oggetto di una vicenda parallela fatta di sottrazioni e vendita di reliquie – viene descritta in buono stato e col viso ben riconoscibile. Ancora amato dal popolo e considerato anche dai philosophes (diderot, Voltaire) come il migliore dei sovrani99, la sua salma viene esposta per due giorni nella cappella sotterranea100. decisamente singolari anche le condizioni di Luigi XV, l’ultimo re sepolto nella cattedrale101, il cui corpo, trovato immerso nell’acqua102, viene gettato nella fossa comune il 16 ottobre nello stesso momento in cui, a Parigi, viene ghigliottinata Maria Antonietta103. Ma  col  procedere  delle  operazioni  e  col  disseppellimento  di corpi non sottoposti ad imbalsamazione, l’aria della cripta diviene ben presto irrespirabile. diversi operai sono colti da malore e per 108

Il corpo di Enrico IV esposto nella cripta di SaintDenis dopo la profanazione (da: Cornette 2010)

combattere i miasmi non si trova di meglio che aspergere aceto e bruciare polvere da sparo.  Nonostante la chiusura della chiesa e l’atmosfera pestilenziale, molti sono coloro che riescono ad assistere alle esumazioni, attratti dall’apocalittico spettacolo e dalla possibilità di vedere le spoglie di individui conosciuti solo attraverso i racconti e le saghe popolari. Ad ogni corpo estratto le reazioni dei presenti sono diverse, oscillando tra sentimenti di curioso e commosso rispetto e atteggiamenti di dileggio e aperta ostilità. Particolarmente feroce il trattamento riservato ad alcuni personaggi (specialmente femminili) paragona109

Luisa Maria di Francia in abito da suora col nome di Teresa di sant’Agostino

bile in qualche caso a linciaggi ed esecuzioni post mortem. Tra le scene più raccapriccianti riportate dai testimoni, vi è quella del carrettiere che si cala nella fossa per sventrare il corpo di Luigi XIV, estraendone la stoppa dell’imbalsamazione104. A Luisa di Francia, carmelitana e figlia di Luigi XV, viene strappato per dileggio l’abito da monaca con il quale era stata sepolta. Altra salma duramente maltrattata è quella di Maria de’ Medici, accusata della morte del marito enrico IV105, i cui capelli, ancora ben conservati, vengono strappati e distribuiti in giro106.  Ma il trattamento più oltraggioso è senza dubbio quello riservato ad Anna d’Austria, moglie di Luigi XIII, il cui corpo viene sistemato nella fossa comune sopra quello del marito in modo da mimare un osceno, funereo amplesso107. di segno del tutto opposto è invece l’interesse riservato ad altre salme, per le quali sembra ancora agire il superstizioso retaggio sulla natura divina dei re di Fran110

cia. è questo il caso, ad esempio, del soldato che taglia una ciocca dalla barba di enrico IV per “appropriarsi” magicamente del valore militare del gran re108. Ad altri verranno prelevati lembi di vestiti o perfino parti del corpo, come accadrà al cadavere di Turenne a cui vengono tolti i denti109, o allo stesso enrico IV, privato addirittura della testa che sarà ritrovata in circostanze misteriose soltanto due secoli dopo.  L’eccezionalità dell’evento e la consapevolezza, da parte dei presenti, di partecipare comunque a qualcosa di epocale, contribuisce a far nascere un fiorente mercato di reliquie, particolarmente preziose per i molti che nel paese hanno conservato sentimenti legittimisti. dopo un breve periodo di interruzione verso la fine di ottobre,

Ritratto di Anna d’Austria, olio su tela di Frans Pourbus il Giovane (Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle) 111

le esumazioni riprendono per alcuni giorni dal 17 al 21 novembre, per concludersi definitivamente il 18 gennaio del 1794110. Ma il fanatismo distruttivo che stava privando la Francia di tanta parte della sua storia, non poteva non determinare anche effetti paradossali che, con gli occhi di oggi, potremmo considerare addirittura “tragicomici”.  dopo avere giustiziato regine e re, viventi o defunti, in effige, in cera o in carne ed ossa, l’attenzione dei solerti dissacratori era stata attratta dalle ventotto statue di sovrani che ornavano la facciata di Notre dame. Considerate da sempre come le immagini di antichi re francesi111, il 23 ottobre anche queste figure furono “condannate a morte” ed accuratamente decapitate112. Solo in seguito, passata la furia demolitrice, ci si rese conto che si trattava invece di una sorta di “albero genealogico” (potremmo dire: un “album di famiglia”), cioè della serie dei re biblici menzionati nel Vangelo di Matteo che, da Abramo e per discendenza diretta, aveva condotto fino alla nascita di Gesù113.

Statue dei re biblici provenienti da Notre Dame (Parigi, Musée de Cluny, foto di Miguel Hermoso Cuesta) 112

uN VAMPIRO A MONTPARNASSE L’incredibile caso del sergente Bertrand «Je suis venu à un rendez-vous d’amour…» F. bertrand

S

ituato nella parte meridionale di Parigi all’interno del 14° Arondissement, prima della Rivoluzione francese il cimitero di Montparnasse  apparteneva  ai  religiosi  di  Saint-Jean-de-dieu che  vi seppellivano i morti dell’Ospedale della Carità da loro gestito114. Per sopperire alla carenza di aree cimiteriali in una città in continua espansione, le Cimetière du sud, come sarà poi chiamato, fu destinato alle necessità pubbliche e aperto ufficialmente il 25 luglio del 1824115.  Nel sottosuolo vi era una rete di gallerie (circa otto chilometri) consistenti in antiche cave, che saranno utilizzate in gran parte come ossari116. Secondo soltanto al Père-Lachaise per quantità e qualità di monumenti, tombe di artisti e di personaggi famosi117, verso la metà del XIX secolo il cimitero di Montparnasse fu il teatro principale delle incredibili avventure notturne del sergente bertrand. Nel 1847 François bertrand è un giovane sergente di ventiquattro anni, in forza dal 1844 al 74° battaglione di fanteria, dove svolge incarichi da furiere presso l’ufficiale pagatore del corpo118. di bell’aspetto, gentile e dotato di un carattere dolce119, conosciuto da tutti come persona intelligente e affabile, prima di entrare volontario nell’esercito bertrand aveva trascorso cinque anni in seminario con l’intenzione di prendere i voti, ma ne era infine uscito, non prima però di aver conseguito un diploma in filosofia e teologia120. I primi sintomi della sua singolare psicosi, che troverà del tutto impreparati gli specialisti del tempo incapaci di classificarla nel novero  delle devianze  conosciute121,  si  manifestano  nel  febbraio 113

Il pozzo di accesso alle gallerie del Montparnasse (da: Thomas 2016)

1847122, mentre il sergente è a bléré, una piccola città presso Tours dove è dislocato il suo battaglione123.  Un giorno, mentre è in libera uscita, bertrand si reca a passeggio nel cimitero del paese dove assiste per caso a un seppellimento. Nel corso degli interrogatori che si terranno durante il processo a suo carico, il sergente dirà che davanti a questo spettacolo, del tutto consueto nella sua triste quotidianità, era rimasto invece letteralmente folgorato e in preda ad un impulso irresistibile. Tornato la stessa notte al cimitero, aveva scavato la fossa con le mani, disseppellito il cadavere e infierito a lungo su di esso124. da quel momento le crisi si erano ripetute con cadenza periodica, annunciate ogni volta da una forte emicrania e una violenta tachicardia. Compati114

bilmente con l’esattezza dei racconti fatti da bertrand nel corso della confessione125, sembra che all’inizio le sue attenzioni fossero riservate a sepolture recenti, prescindendo dal sesso dei defunti. In seguito, quando la patologia assumerà una connotazione spiccatamente sessuale, il suo interesse sarà rivolto quasi esclusivamente a sepolture di donne. dopo la sua prima impresa in provincia, rientrato col suo battaglione a Parigi nel mese di giugno, bertrand decide inizialmente di “occuparsi” del Père-Lachaise, il cimitero monumentale della città. Qui, nel corso di una delle sue spedizioni, è addirittura sorpreso dai guardiani addormentato all’interno di una tomba, ma viene comunque lasciato libero dopo una fantasiosa spiegazione a proposito di un suo mancato incontro con una donna all’interno del cimitero126. 

Disegno del sergente presente sul numero 410 del periodico détective, datato 3 settembre 1936 115

Una stampa dell’epoca che mostra il sergente Bertrand al cimitero di Montparnasse (da: Lesbros 2008)

All’inizio del 1848, tra il 23 e il 25 febbraio, la città è sconvolta dai moti popolari che causeranno la caduta del re Luigi Filippo. In questo periodo il reggimento di bertrand è dislocato al di fuori della capitale, e il sergente può rientrare a Parigi soltanto nel mese di luglio e iniziare le visite notturne al Montparnasse che diventerà il teatro principale delle sue azioni127. ed è a partire da questo periodo che nel grande cimitero, quasi ogni mattina, vengono trovati cadaveri di donne strappati dai loro sepolcri, mutilati e abbandonati lungo i viali. La stampa inizia allora a interessarsi assiduamente a un misterioso individuo che viene subito bollato con la suggestiva (quanto impropria) qualifica di “vam116

piro”128, mentre alcuni testimoni riferiscono di un giovane soldato che è stato visto aggirarsi nel cimitero nei giorni che hanno preceduto le violazioni129. Si tratta infatti di bertrand, impegnato in meticolosi giri di ispezione per cercare tombe di donne sepolte da poco. Seguendo una procedura ormai consueta e consolidata nel tempo, dopo avere individuato il soggetto adatto, bertrand torna in caserma dove aspetta pazientemente che venga la notte. All’ora stabilita indossa la sua divisa migliore, si aggiusta il berretto, cinge la sciabola, e come un bravo soldatino che si avvia al primo appuntamento con una ragazza sulla quale spera di far colpo, scavalca il muro del cimitero e si inoltra fra le tombe.  Parlando con i guardiani del Père-Lachaise che una mattina lo avevano trovato disteso dentro una fossa, in fondo il sergente aveva inconsapevolmente sfiorato la verità. Aveva detto di avere dormito in attesa di una donna che poi non era venuta ad incontrarlo, intuendo forse che per lui l’amore sarebbe veramente venuto soltanto dal sonno: ma dal “sonno della ragione”. Incapace com’era da sempre di una qualsiasi forma di rapporto affettivo o fisico con una creatura viva e senziente, bertrand aveva infine deciso di trovare pace in una dimensione totalmente aliena, rifugiandosi in un “altrove” nel quale le sue inadeguatezze e le sue paure non avrebbero avuto alcun peso.  Nel corso delle sue crisi, quando gli impulsi diventavano più forti, bertrand era a volte in grado di violare numerose tombe in una sola notte130, scavando con strumenti trovati sul posto, ma più spesso con le mani nude incurante del dolore e delle ferite che si procurava. Nei lunghi racconti che farà al dottore che lo avrà in cura, egli descriverà minuziosamente gli incontri notturni con alcune delle sue inerti compagne, alle quali – come un amante tenero e premuroso – dirà di non aver mai fatto mancare baci, abbracci e carezze infinite. In qualche caso, quando il coinvolgimento allucinatorio toccava il culmine, era giunto perfino ad avere un rapporto sessuale di un qualche tipo131. Ma consumato l’atto, la paura e l’odio verso la donna che, assieme al desiderio, formavano gli elementi della sua patologia, lo portavano ad infierire sulla povera salma. 117

Facendo uso della sciabola d’ordinanza o di un coltello, bertrand si scatenava allora in un delirio distruttivo, compiendo mutilazioni tali da lasciare letteralmente sconvolti quelli che per primi entravano la mattina seguente al cimitero132. Per  risolvere  una  situazione  divenuta  ormai  insostenibile,  al Montparnasse vengono organizzate delle ronde notturne e più di una volta i guardiani sparano contro qualcuno (una specie di fantasma, diranno poi) che con incredibile agilità viene visto correre tra i viali e fuggire scavalcando il muro di cinta133. dopo vari tentativi andati a vuoto, viene infine escogitata una specie di trappola («la machine infernale»134 come sarà definita dai cronisti del tempo) che avrebbe dovuto mettere fine alle imprese del vampiro135. L’idea è di un vecchio guardiano che aveva in precedenza militato nell’esercito.  Individuato  un  punto  del  muro  utilizzato  presumibilmente dallo sconosciuto per entrare nel cimitero, vi viene sistemato un grosso fucile con la canna mozzata allo scopo di aumentare l’effetto del colpo. Accuratamente nascosto tra fiori e corone, il fucile è poi caricato a mitraglia con chiodi, pallettoni e pezzi di ferro. Un sottile cavo metallico fissato al grilletto dell’arma è infine teso sulla parete nel punto dove sono state rinvenute le tracce di precedenti intrusioni. dopo un certo periodo di inutile attesa, la notte del 15 marzo 1849 una forte esplosione scuote l’intera zona di Montparnasse. Accorsi immediatamente nel punto dove era stata sistemata la trappola, i guardiani vedono – ancora una volta – un’ombra indistinta scavalcare velocemente il muro e scomparire nel buio. Il mattino seguente, tracce di sangue e frammenti di stoffa appartenenti a una divisa militare, provano comunque che l’intruso è stato almeno ferito. La sera dello stesso giorno, un sergente che risponde al nome di François bertrand, si presenta all’ospedale militare di Val-deGrâce per farsi curare una vasta ferita ad un fianco136. Il giovane dice di essere vittima di una probabile vendetta da parte di sconosciuti, motivo del tutto plausibile in un periodo in cui l’esercito si è ripetutamente scontrato con i cittadini insorti. Ma soltanto un giorno dopo, ascoltando i discorsi di due soldati a proposito di un 118

Il vampiro, incisione di A. Ferdinandus, da Mémoires de M. Claude, chef de la police de sûreté sous le second empire (Parigi, Jules Rouff, s.d., circa 1880)

loro commilitone ricoverato con una strana ferita, un guardiano del cimitero comprende di avere individuato il “vampiro”, ed il cerchio attorno a bertrand si chiude definitivamente.  Al Val-de-Grâce i medici dell’ospedale devono ora fronteggiare una situazione del tutto imprevista. Risolti facilmente i problemi fisici del sergente si trovano ad affrontare quelli mentali, per i quali non dispongono di una casistica di riferimento né di tecniche e strumenti adeguati137. Il difficile compito viene assunto dal dottor Ch. J. Marchal de Calvi, un medico di origini corse che, conquistata la fiducia del paziente, ne ottiene la completa confessione avviando contemporaneamente  una  sorta  di  trattamento  psicoanalitico138. Considerando l’assoluta novità dei reati e in attesa dell’inevitabile 119

Il processo al sergente Bertrand in una stampa dell’epoca (da: Feray 2014)

processo, si tratterà in sostanza di stabilire fino a che punto il caso bertrand potrà essere affrontato penalmente, o se dovrà invece costituire oggetto della sola indagine psichiatrica. La situazione sembra  parzialmente  chiarirsi  quando,  durante  la  convalescenza,  il sergente mostra di avvertire una graduale remissione degli istinti necrofili che potrebbe far pensare ad una possibile guarigione. Nel corso della sua permanenza nell’ospedale, bertrand ha infatti avuto modo di assistere all’agonia di alcuni commilitoni feriti durante le sommosse139. ed è allora che questo piccolo furiere abituato a violare tombe, ma che non ha mai partecipato a un’azione militare, né ucciso o visto morire nessuno140, sembra profondamente colpito dal mistero della morte, fino a provarne un imprevisto senso di sacro rispetto141.  120

Al processo celebrato davanti ad un tribunale militare, bertrand si mostra in effetti completamente lucido, estremamente collaborativo e in grado di ricordare (e purtroppo descrivere) i particolari più raccapriccianti delle sue imprese142; il tutto accompagnato da ripetute dichiarazioni di sincero pentimento143. Prescindendo comunque dalla reale possibilità di accertare, dal punto di vista medico, la totale scomparsa degli impulsi, il sergente sembra a molti veramente guarito e pronto a subire la pena prevista per i suoi reati144. A questo punto però l’apparato giuridico francese, che non contempla in alcun modo la necrofilia, rivelerà un’impreparazione pari, se non peggiore, a quella del sistema medico-psichiatrico145. evitato il pericolo di essere giudicato pazzo e rinchiuso (probabilmente a vita) in una struttura sanitaria, il 10 luglio 1849 bertrand viene quindi condannato in base all’articolo 360 del Codice penale del 1810 che, per violazioni o danneggiamenti di tombe prevede, oltre alle spese processuali, un solo anno di reclusione146.  Scontata la lieve pena e riammesso temporaneamente nell’esercito come soldato semplice, bertrand è infine congedato il 28 luglio del 1852. Tornato alla vita civile, si trasferirà poi a Le Havre, dove prenderà moglie147, metterà al mondo alcuni figli e morirà il 25 febbraio 1878148. Sembra che in questa seconda parte della sua vita, passata lavorando come guardiano ai magazzini del porto, bertrand abbia condotto un’esistenza normale dimostrando di essersi completamente reintegrato nella società. Ma alcune violazioni di tombe avvenute tra il 1864 e il 1867 nel cimitero di Sainte-Adresse, non lontano da Le Havre, farebbero pensare ad un imprevisto “ritorno di fiamma” delle antiche abitudini del sergente. Comunque sia, le autorità del luogo non seppero (o non vollero) nell’occasione collegare questi fatti con la persona del loro rispettabile concittadino e padre di famiglia, forse considerando infine che «des individus plus dangereux pour la société et plus immoraux que bertrand se trouvent bien en liberté. donc, pourquoi pas lui?»* (M. dansel). * “degli individui, più pericolosi per la società e più immorali di bertrand, si trovano certamente in libertà. dunque, perché non lui?”. 121

lA MARCHESA dI BRINVIllIERS Un’avvelenatrice professionista alla corte di Luigi XIV «ecco, è finito, la brinvilliers è nell’aria, e le sue ceneri al vento…» Madame de Sévigné

V

erso la metà dell’Ottocento a Versailles era conservato un cranio di donna di provenienza sconosciuta, che per un certo periodo aveva costituito oggetto di studio da parte di alcuni cultori di frenologia. Lo scopo dichiarato era quello di individuare i tratti essenziali del carattere della persona alla quale era appartenuto il reperto, in modo da riconoscervi un qualche personaggio famoso e giustificare così la sua conservazione.  Prescindendo dalla scarsa affidabilità scientifica degli esami eseguiti, consultando più semplicemente alcuni documenti d’archivio un attento ricercatore riuscì a risolvere il piccolo mistero149. Si trattava del cranio di Angelique-Nicole Carlier, moglie di monsieur Pierre Tiquet consigliere al Parlamento di Parigi, giustiziata nel 1699 a quarantadue anni per avere tentato di avvelenare il marito150. Ma l’aspetto più curioso della vicenda risiedeva nel fatto che, per più di due secoli, si era pensato invece ad una “reliquia” della Marchesa di brinvilliers, la famosa avvelenatrice che nel 1666 aveva dato inizio all’Affaire des Poisons (il Caso dei veleni) e della quale madame Tiquet  poteva  considerarsi  soltanto  una  sprovveduta  e pressoché innocua imitatrice. Marie-Madeleine d’Aubray, futura marchesa di brinvilliers, era nata a Parigi il 22 luglio del 1630, prima di quattro fratelli. Rimasta prematuramente orfana della madre, Marie Olier, morta di parto nel 1637 e scarsamente seguita dal padre il Consigliere di Stato Antoine dreux d’Aubray, Madeleine aveva vissuto un’infanzia travagliata e segnata da crudi episodi (aveva addirittura “perso l’innocenza” all’età di sette anni) che avranno un’influenza decisiva sul suo ca123

rattere151. di natura istintiva e  passionale,  già  verso  i dieci anni Marie-Madeleine sembra soggiacere a quella sorta di «boulimie de plaisir» (Huas) che la accompagnerà per tutta la vita. Suoi iniziali  partners sono  gli stessi  fratelli  minori  Antoine e François, e specialmente  col  primo  manterrà un rapporto incestuoso probabilmente fino al fidanzamento col futuro marito152.  Nel 1651, all’età di ventuno anni, Madeleine sposa Ritratto di Marie-Madeleine d’Aubray In basso: ritratto di Antoine Dreux d’Au- Antoine Gobelin marchese bray, padre della marchesa di Brinvilliers de  brinvilliers,  della  nota (da: Funck-Brentano 1899) famiglia  di  manifattori  di tappezzerie, dal quale avrà tre figli legittimi mentre altri quattro saranno da attribuire a futuri amanti diversi153.  Il matrimonio, organizzato dal padre di Madeleine, si rivela ben presto disastroso, con i due giovani coniugi dediti esclusivamente alla vita mondana e solidali soltanto nel dilapidare il patrimonio famigliare.  Nel  1659  Madeleine,  ora marchesa di brinvilliers, inizia un’intensa relazione con Jean-baptiste Gaudin, detto Cavaliere di Sainte-Croix, ammogliato e amico del marito. Personaggio privo di mezzi e di principi morali, Sainte-Croix contribuirà poi in modo determinante a far emergere i lati oscuri  del  carattere  della  marchesa.  Il comportamento dei due amanti, che agi124

scono apertamente e con l’apparente tacito consenso del marchese di brinvilliers,  suscita  invece  lo  sdegno  del padre di Madeleine che, forte della sua carica, riesce ad ottenere un ordine  di  carcerazione  temporanea (Lettre de cachet)  per  SainteCroix154. Nel breve periodo passato alla bastiglia il cavaliere conosce un certo Nicolò egidi, detto exili, dal quale  –  secondo  alcuni  autori  –  sarebbe stato iniziato alla fabbricazione e all’uso dei veleni155.  Prescindendo  comunque  dalAntoine d’Aubray, conte di Offél’improbabile addestramento avuto mont, fratello di Madeleine de in  carcere,  uscito  dalla  bastiglia Brinvilliers (da: Huas 2004) Sainte-Croix,  assieme  alla  marchesa, diventa un assiduo frequentatore del gabinetto di Christophe Glaser156, un alchimista svizzero grande esperto di chimica e di sostanze venefiche. ed è alla scuola di Glaser che i due iniziano il loro tirocinio di “apprendisti stregoni”, convinti di poter maneggiare presto uno strumento capace di risolvere molti dei loro problemi.  In questo periodo due sono le priorità maggiormente avvertite dalla coppia: per Sainte-Croix c’è l’intenzione di vendicarsi dell’affronto subito con l’arresto, mentre per la marchesa vi è soprattutto la necessità di ricostituire le proprie esauste finanze, magari grazie a un’eredità improvvisa. ed è quindi evidente che entrambi i progetti chiamano direttamente (e malauguratamente) in causa il consigliere d’Aubray.  Appresi ormai i principali rudimenti di quello che, con cinico eufemismo, viene chiamato “èlixir d’hérédité” o “poudre de succession”157, la marchesa inizia senz’altro i suoi esperimenti. Le prime prove vengono fatte su animali; quindi, per controllare gli effetti sulle persone, passa a “trattare” alcuni dei suoi servitori, con i quali non si spinge però fino all’esito finale158. Ma considerando 125

la lentezza degli effetti della “Recette de Glaser” (Ricetta di Glaser), come nelle lettere a Sainte-Croix Madeleine chiama il veleno del chimico svizzero159, le prove devono essere estese ad un sufficiente numero di soggetti, in modo da osservare il progredire dei sintomi e stabilire un’attendibile casistica. Per far questo Madeleine si propone come “dama di carità” all’Hôtel-dieu, l’antico ospedale di Parigi  dove  si  reca  assiduamente  per  portare  tisane  e  bevande  ai malati160. All’ospedale Madeleine dispone di un’inesauribile laboratorio di sperimentazione nel quale, come ogni ricercatore che si rispetti, può esaminare in tutta tranquillità l’effetto delle sue misture composte essenzialmente con l’arsenico fornito da Sainte-Croix. Tutto questo al riparo da ogni sospetto, grazie all’alta mortalità dei pazienti dovuta alle cure somministrate nel periodo161 e soprattutto all’impossibilità, da parte dei medici, di individuare nei morenti gli effetti del veleno162.  Terminato il necessario e proficuo tirocinio, nell’inverno del 1665 la marchesa è ormai pronta a regolare i conti col padre. Il sicario  sarà  un  certo  Gascon,  un cameriere che durante otto mesi farà assumere al Consigliere una trentina di dosi di arsenico. Gli effetti, anche se graduali, sono devastanti:  noto  come  persona conviviale e amante della buona tavola163, d’Aubray perde completamente l’appetito, è preda di frequenti crisi di vomito e deperisce a vista d’occhio. Ma la fine tarda a venire e nel settembre del 1666 Madeleine si decide ad assestare il colpo di grazia prepaIngresso del palazzo d’Aubray in rue rando personalmente un brodo di Charles V n. 12 a Parigi carne adeguatamente trattato164. (da: Huas 2004) 126

Lo scalone del palazzo della Brinvilliers (da: Huas 2004)

L’apertura del testamento rivela però una brutta sorpresa: la maggior parte del patrimonio è destinata ai due figli maschi e la marchesa comprende che ben presto sarà costretta ad occuparsi anche di loro.  Nell’autunno del 1668, profittando di una temporanea indisposizione del marito Madeleine decide di “curarlo” con i soliti sistemi. Ma, paradossalmente, il marchese viene salvato da Sainte-Croix il quale, temendo forse di dover poi affrontare un più stretto rapporto con una donna pericolosa e ormai libera da legami, fa disintossicare Gobelin da uno dei migliori medici di Parigi165. Verso la fine del 1669, esaurita ormai la sua parte di eredità, la brinvilliers decide di dedicarsi ai suoi fratelli, operazione facilitata dal fatto che i due vivono assieme. Anche in questo caso si serve di un complice, un certo Jean Hamelin, detto “La Chaussée”, un do127

mestico fornito da Sainte-Croix166 che nell’aprile del 1670 viene aggregato alla servitù. La Chaussée si occupa soprattutto della cucina della casa e il 17 giugno Antoine d’Aubray, che aveva ereditato il castello e le cariche pubbliche del padre, muore in uno stato di estrema consunzione. dopo appena cinque mesi, muore anche il fratello minore François, che ha fatto comunque in tempo a inserire nel testamento un legato di cento scudi a favore di La Chaussée, per ringraziarlo dei servizi resi alla famiglia! Intanto la marchesa si è scelta un nuovo amante nella persona di J.b. briancourt, il giovane precettore dei figli al quale, in un momento di intimità, rivelerà incautamente le sue ultime imprese167.  Passato un certo periodo, mentre la brinvilliers sta elaborando piani per eliminare anche la cognata e la sorella168, il 31 luglio del 1672 muore Sainte-Croix, forse vittima dei suoi stessi stregoneschi esperimenti, come vorrebbe una voce popolare169. La scomparsa dell’amante, ormai abbondantemente sostituito, non sarebbe per Madeleine un fatto particolarmente doloroso ma, a causa degli infiniti debiti che ha lasciato, la casa di Sainte-Croix è messa sotto sequestro assieme ad alcune cose che riguardano personalmente la marchesa. Nel corso del successivo inventario viene trovata una cassetta sigillata contenente una trentina di lettere scritte dalla brinvilliers, delle strane polveri e alcune fiale piene di un liquido misterioso.  Ad  un  ulteriore  esame,  dalle  lettere  emergono  frasi compromettenti che alludono alla famosa “Ricetta di Glaser”, mentre le polveri e i liquidi, somministrati ad animali, rivelano la loro indubbia natura di veleni. dopo alcuni inutili tentativi di appropriarsi della famigerata cassetta, il 27 agosto la marchesa fugge in Inghilterra, confermando così i sospetti che ormai gravano su di lei. Nella rete della polizia rimane per ora soltanto La Chaussée, che prima di essere giustiziato fornisce una completa confessione sulle attività svolte al servizio dei due amanti. A questo punto il caso esplode in tutta la sua prevedibile risonanza; lo stesso re Luigi XIV raccomanda approfondite indagini in attesa di un processo esemplare. Ma nel frattempo, fuggita anche dall’Inghilterra, la marchesa è letteralmente scomparsa. 128

Finalmente, dopo più di tre anni di latitanza, nel marzo del 1676 la brinvilliers è riconosciuta e arrestata in un convento di Liegi, in belgio. Molto è stato scritto sull’influenza che avrebbe avuto il periodo di vita monastica sulla personalità sostanzialmente psicotica della brinvilliers e di una sua presunta crisi di coscienza170. di sicuro sappiamo che nel convento la marchesa ha redatto una lunga confessione scritta («Je m’accuse…»), nella quale però i crimini (gli  avvelenamenti),  sembrano  confusamente  posti  sullo  stesso piano degli incesti giovanili e di alcune abitudini sessuali private (masturbazione, sodomia)171.  Il 29 aprile del 1676 inizia a Parigi un processo memorabile che dovrebbe costituire un severo monito per tutti i potenziali imitatori dell’avvelenatrice, ma che segnerà invece l’inizio di uno dei periodi più oscuri per la vita del paese. Alla fine di un dibattimento durato più di due mesi, la marchesa viene condannata a morte mediante decapitazione. dopo il supplizio e in considerazione della gravità dei delitti commessi, il suo corpo dovrà poi essere bruciato. Il 16 luglio 1676, giorno dell’esecuzione, vestita di una semplice camicia e a piedi nudi, la brinvilliers sale su una misera carretta

La spianata di place de Grève, sulla riva destra della Senna, luogo dell’esecuzione della marchesa, in una veduta del XVII secolo 129

che dal carcere della Conciergerie la porterà alla vicina cattedrale di Notre-dame. Qui, davanti al portale della chiesa, si svolge il consueto rituale della amende honorable, cioè la confessione ad alta voce dei crimini commessi che la condannata esegue in ginocchio, con una corda al collo e un grande cero acceso in mano172. Fendendo a fatica la folla che si addensa lungo il percorso, la carretta giunge infine a place de Grève, dove le finestre e i tetti stessi delle case sono gremiti di persone ansiose di assistere all’esecuzione. Salita sul palco assieme al confortatore padre Pirot, la marchesa compie le sue ultime devozioni, poi il boia cala fulmineo la spada e subito dopo il corpo e la testa della brinvilliers vengono gettati su un rogo acceso presso il patibolo173. 

Disegno della marchesa eseguito da Ch. Le Brun prima dell’esecuzione. Sulla destra è accennato il profilo del padre confortatore Edme Pirot (da: Funck-Brentano 1899) 130

L’esecuzione della Brinvilliers in una stampa popolare dell’epoca (da: Bastien 2006)

Il giorno seguente madame de Sévigné, una nobildonna che ha assistito al supplizio da una delle case situate sul ponte di Notredame, scrive alla figlia una lettera che rimarrà famosa per il suo valore di involontaria, terribile previsione: «ecco, è finito, la brinvilliers è nell’aria. dopo l’esecuzione il suo povero piccolo corpo è stato gettato in un grandissimo fuoco, e le sue ceneri al vento, sicché la respireremo e, tramite un mutuo scambio di piccole particelle, verremo assaliti da un certo umore velenoso che sorprenderà tutti noi»174. Poco tempo dopo, come per il liberarsi di un fattore patogeno capace di scatenare un’epidemia, esploderà il cosiddetto Affaire des poisons, un’interminabile serie di avvelenamenti che nel giro di alcuni anni coinvolgeranno centinaia di persone e causeranno decine di condanne a morte. 131

I “BAGNI dI SANGuE” dI luIGI xV (Parigi 1750) «A infermità grandi e terribili, corrispondevano  medicine grandi e terribili» P. Camporesi 

N

ella cappella di S. Silvestro della chiesa romana dei Ss. Quattro Coronati al Celio è conservato uno dei cicli pittorici di maggiore interesse per la storia dell’arte e della cultura medievale175. Si tratta di una serie di quadri, databili alla metà del XIII secolo, ispirati in parte ad episodi della vita di papa Silvestro (314-336), cioè il pontefice al quale – secondo la tradizione – era stata fatta la famosa “donazione Costantiniana”176. Le scene principali si riferiscono al racconto (Actus Silvestri) della guarigione miracolosa di Costantino, che avrebbe poi ricompensato il papa conferendogli la

Le madri in lacrime davanti all’imperatore (part., Roma, Chiesa dei Ss. Quattro Coronati, Cappella di S. Silvestro) 133

giurisdizione civile su Roma e sull’Impero occidentale177. Narra la leggenda che per risanare l’imperatore malato di lebbra, i pontefici del Campidoglio (collegio sacerdotale in realtà inesistente) avessero consigliato dei bagni con il sangue prelevato da bambini. Attratto inizialmente dall’aspetto magico della cura, ma poi commosso dai lamenti delle madri dei fanciulli da sacrificare, Costantino avrebbe infine rinunciato alla terribile prescrizione dei pontefici e sarebbe stato invece guarito per mezzo del battesimo (bagno battesimale) impartito da papa Silvestro178.  Prescindendo ovviamente dalla storicità dei fatti, il ciclo pittorico dei Ss. Quattro ripropone, in modo altamente suggestivo, una leggenda di carattere assai ricorrente, scaturita in gran parte dall’attrazione che le presunte qualità magiche e terapeutiche del sangue umano hanno sempre suscitato, in ogni cultura e in ogni periodo.  Tra le testimonianze più antiche sappiamo ad esempio da erodoto (V secolo a.C.), che nei giuramenti gli Sciti usavano bere del

Costantino riceve il battesimo da Silvestro (Roma, Chiesa dei Ss. Quattro Coronati. Cappella di S. Silvestro) 134

Il bagno di sangue del faraone in una xilografia del XVI secolo (da: Toaff 2007)

vino mescolato a sangue prelevato dagli stessi che stringevano il patto179. Lo stesso rituale è compiuto, secondo Sallustio (I secolo a.C.), dai seguaci di Catilina nella famosa congiura180. In senso propriamente terapeutico, la lontana eco di una rudimentale (ma potremmo  dire  brutale)  trasfusione è  offerta  da  Ovidio  nelle Metamorfosi181, mentre Tertulliano (fine II secolo d.C.) ricorda con orrore l’usanza dei romani di bere il sangue dei gladiatori morenti ritenuto un toccasana per l’epilessia182.  durante il medioevo e l’età moderna, l’utilizzo del sangue nella medicina popolare – sempre a metà strada tra empirismo e magia – viene consigliato come efficace emostatico183, per guarire malattie di particolare gravità o per ritardare l’invecchiamento del corpo184. In ambito ebraico, soprattutto a partire dall’XI secolo, è assai diffusa la leggenda del faraone lebbroso curato col sangue dei bambini di Israele185. da parte cattolica, una vastissima letteratura, iniziata probabilmente nel XII secolo e protrattasi fino a tempi recenti, vedeva invece gli ebrei protagonisti di uccisioni rituali di bambini cristiani per prelevarne il sangue da utilizzare nella circoncisione o per la cura di malattie varie186. Verso la fine del XV secolo, la cruenta pratica sembra attestata in Francia con il re Luigi XI, sospettato di avere sacrificato alcuni fanciulli per rinvigorire il proprio corpo187. Attorno al 1570 il sospetto infamante riguarda Caterina de’ Medici, madre del re Carlo IX, che si sarebbe curata con sangue umano188, e all’inizio del Settecento anche Luigi XIV sarà accusato da un gesuita di bere sangue 135

di fanciulli per ritardare l’invecchiamento189. durante il medioevo, nei paesi di lingua tedesca il sangue dei condannati a morte veniva distribuito ai malati che attorniavano il patibolo190, mentre nel XVII secolo in Ungheria, l’infernale contessa bathory sacrificava decine di giovani donne per bagnarsi nel loro sangue191. A Roma, nel 1492, la misteriosa funzione terapeutica del sangue umano vede come protagonista papa Innocenzo VIII. Giunto in punto di morte, su consiglio del suo medico ebreo il pontefice aveva fatto “acquistare” tre fanciulli di dieci anni (pagandoli un ducato ciascuno) per poi sottoporli ad abbondanti salassi. Ma l’esperimento non dovette avere buon esito, come ricorda nella sua cronaca Stefano Infessura192, perché i tre ragazzi morirono, il medico fuggì e il papa cessò di vivere poco dopo. Molto più modeste al riguardo dovettero essere state invece le necessità di Innocenzo XII (16911700), il quale aveva l’abitudine di bagnare alcune sue parti inferme con semplice sangue di vitella193.  Verso la metà del XVIII secolo, il mito ossessivo del sangue sembra riproporsi ancora una volta a Parigi in margine ad una serie di fatti drammatici e in gran parte inspiegabili. Fin dall’inizio del Settecento la città aveva visto un preoccupante aumento della popolazione, dovuto all’affluenza di vagabondi e sbandati in cerca di una qualche fonte di sostentamento194. Il rigido inverno del 1709 aveva contribuito a un ulteriore incremento degli arrivi che toccherà le punte massime negli anni 1725-1726 e 1747-1748, caratterizzati da gravi carestie195. In quest’ultimo periodo folle di mendicanti e affamati ingombrano letteralmente strade e piazze della capitale creando problemi di ogni genere. Per ovviare ad una situazione che tendeva sempre più ad aggravarsi, fin dal 1717 erano state emesse delle ordinanze reali che prevedevano l’invio (praticamente la deportazione) di vagabondi e mendicanti validi verso le colonie americane196. Provvedimenti analoghi sono poi ripresi negli anni seguenti, fino ad una serie di leggi emanate tra il 1749 e il 1750, con le quali si cerca di arginare il fenomeno della mendicità con un massiccio arresto di persone197. Già questa ondata di arresti era ovviamente impopolare tra gli abitanti 136

Luigi XV in una stampa dell’epoca

di Parigi, sempre pronti (come dappertutto) a far causa comune con le vittime di turno e in odio alla polizia accusata costantemente di soprusi. Ma la situazione diviene decisamente esplosiva quando i prelevamenti sembrano riguardare soprattutto bambini o ragazzi molto giovani. Ad aggravare i sospetti appare ben presto evidente che gli agenti non si limitano ad arrestare giovani mendicanti o bambini abbandonati ma, interpretando in modo estensivo ed arbitrario le ordinanze, prelevano indiscriminatamente figli di artigiani e ragazzi di famiglia trovati soli in strada198.  Il malumore che serpeggia ormai tra la gente esplode violentemente nei giorni 22 e 23 maggio 1750, quando a Parigi si verificano vere e proprie sommosse199, con morti e feriti tra i cittadini e le forze di polizia200. In alcune parti della città avviene una vera caccia all’uomo nei confronti delle guardie; nei tumulti rimangono addirittura coinvolti e uccisi degli ignari passanti colpevoli di non essere 137

conosciuti nel quartiere o perché vestiti in modo sospetto201. Il 23 maggio, quasi a voler anticipare di un quarantennio uno degli episodi più significativi della Rivoluzione202, la folla minaccia di marciare su Versailles dove risiede il re, e posti di blocco vengono formati al ponte di Sévres e a Meudon per sbarrare le strade verso la reggia203.  Sedati infine i tumulti e avviato un processo che vedrà condannati a morte tre rivoltosi204, restava il problema di individuare i motivi  reali  che  avevano  condotto  agli  arresti  indiscriminati, soprattutto di bambini. Ferma restando la tesi prevalente sulle deportazioni verso le colonie e sulle iniziative personali di poliziotti corrotti205, le ipotesi più fantasiose si susseguono alimentate da ogni possibile indizio.  Per quanto riguarda l’iniziale scatenamento dei moti popolari, si parla di agenti stranieri (protestanti) pagati per creare disordini206, o addirittura di organizzazioni di ladri interessate a radunare persone per rubare più agevolmente207. Per spiegare gli arresti di ragazzi e bambini in particolare si pensa invece a ricchi pedofili a caccia di facili prede208, oppure – nel ricordo di macabri episodi avvenuti in passato – a medici senza scrupoli in cerca di cadaveri di piccoli vagabondi per i loro studi di anatomia209.  Ma un sospetto ben più terribile, frutto di antiche paure mai sopite e stranamente ricorrenti210, si diffonde rapidamente tra la popolazione di Parigi. Facendo preciso riferimento all’antica leggenda costantiniana,  nel  maggio  del  1750  il  cronista  edmond  barbier scrive nel suo diario che in città si è sparsa la voce di un principe211 malato di lebbra che per guarire avrebbe bisogno di bagnarsi nel sangue umano212.  Il maggiore indiziato è lo stesso re Luigi XV, il quale, sfinito dai vizi e dalla vita sregolata, avrebbe approfittato dei provvedimenti contro i vagabondi per far rapire bambini allo scopo di prelevarne il sangue. La macabra ipotesi, considerata con comprensibile scetticismo dalle persone più avvedute, dovette avere invece largo seguito tra la popolazione, aiutata in tal senso dalla cattiva vita del re e dal suo completo disinteresse per le cose di governo.  138

Route de la Révolte vista dalla Porte-Maillot in una cartolina del 1900

Venuto a conoscenza dell’infamante accusa e ormai incapace di riacquistare prestigio e dignità, il re decide allora di non recarsi più nella capitale213. Come primo gesto di un evidente distacco dai suoi sudditi, in occasione del viaggio annuale verso la residenza estiva di Compiègne214 fa costruire una nuova strada215 in modo da non attraversare Parigi e non mostrarsi più a coloro che ormai lo paragonano ad erode216. Col passare del tempo questa via sarà poi chiamata: Le chemin de la Révolte (La via della Rivolta), in ricordo dei sanguinosi fatti del 1750 e soprattutto del definitivo “divorzio” tra Luigi XV e il suo popolo217.

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MASSACRI A PARIGI E fESTEGGIAMENTI A ROMA (24 agosto 1572) «In quei tempi vi furono le più barbare guerre di religione provocate  da un importantissimo problema: l’europa doveva essere cattolica  o protestante? era inevitabile che decidesse la spada… che tutto  sommato non decise nulla. Ai giorni nostri l’europa è ancora metà  cattolica e metà protestante, e questo non importa più a nessuno» Isaac Asimov, Io robot

C

on l’elaborazione delle cosiddette “Novantacinque Tesi” nel 1517218 Martin Lutero, il monaco agostiniano che si ribellava alla “vendita delle indulgenze” promossa dal papa Leone X (15131521) per la costruzione della basilica di S. Pietro, dava inizio ad una  rivoluzione  religiosa  che  avrebbe  rapidamente  infiammato l’europa, lacerato la Chiesa occidentale e dato il via alla cosiddetta Riforma protestante. In Francia il protestantesimo inizia a diffondersi attorno al 1520 durante il regno di Francesco I, trovando nella capitale il suo grande centro di espansione. dopo più di un trentennio di semi clandestinità, a partire dal 1555 a Parigi e in altre città si formano le prime chiese organizzate219, mentre un sinodo nazionale viene tenuto nel maggio del 1559. Nella seconda metà del XVI secolo il 10% della popolazione francese, circa due milioni di persone, ha già abbracciato la confessione protestante. Tra i riformati francesi, oltre a numerosi nobili, vi è una netta prevalenza di artigiani, commercianti e professionisti, cioè elementi appartenenti alla borghesia e alle classi agiate della società, mentre la quasi totalità degli abitanti delle campagne rimane fedele al cattolicesimo220. Nel 1562 la reggente Caterina dei Medici, madre di Carlo IX, accorda ai protestanti il diritto di celebrare liberamente il culto e di convocare sinodi221. Ma i contrasti insanabili tra cattolici e “ugonotti”222, come vengono chiamati i luterani francesi, conducono ben presto ai primi scontri armati con violenze e uccisioni da ambedue le parti, in una lunga serie di guerre 141

civili (Guerre di religione), iniziate per motivi di carattere religioso ma che assumeranno in seguito connotazioni eminentemente politiche223. Nel 1570, con la cosiddetta Pace di San Germano che prevede alcune importanti concessioni agli ugonotti224, il paese sembra ritrovare un certo equilibrio interno. Il superamento definitivo del lungo conflitto sembra realizzarsi il 18 agosto del 1572, con il matrimonio tra Margherita di Valois, sorella del re cattolico Carlo IX e enrico di Navarra, uno dei capi del protestantesimo francese225. Per la validità del vincolo sacramentale, considerando le diverse confessioni dei due sposi, è necessaria comunque la dispensa del papa che però non viene concessa226. Il matrimonio, peraltro osteggiato dagli elementi oltranzisti dei due partiti, viene celebrato ugualmente ricorrendo ad un insolito (quanto grottesco) espediente, con la sola sposa che assiste alla messa mentre il principe attende fuori della chiesa227. Ma alle opposizioni dichiarate delle gerarchie cattoliche si accompagnano i sospetti di parte dei protestanti che, alla luce dei successivi avvenimenti, interpreteranno l’evento come una trappola, cioè un espediente per attirare a Parigi i principali capi dei riformati228.  In questo periodo, con circa 300.000 abitanti Parigi è la città più popolata d’europa e i cittadini che hanno abbracciato la riforma sono circa 15.000 229. Contro questa importante minoranza si era indirizzata da tempo un’attiva e violenta propaganda cattolica, con libelli denigratori e campagne di predicatori esaltati che incitavano alla guerra santa. Particolarmente impegnato in tal senso il canonico di Notre dame Simon Vigor, che il 3 marzo 1572 durante un sermone aveva addirittura invocato una sorta di “fatwa”, o condanna a morte per motivi religiosi, nei confronti dell’ammiraglio Gaspard de Coligny, uno dei maggiori esponenti degli ugonotti230.  Il precario equilibrio politico che sembrava raggiunto col matrimonio dei due principi si interrompe tragicamente il 22 agosto, quando Coligny viene ferito in un attentato231 che nelle intenzioni degli esecutori potrebbe servire a scatenare vendette da parte protestante e giustificare quindi la successiva reazione dei cattolici232. Nella notte del 24 agosto 1572, annunciata dalle campane a martello di Saint-Germain-l’Auxerrois, la parrocchia dei reali di Francia 142

L’ammiraglio Gaspard II de Coligny, olio su tavola di François Clouet (Saint Louis Art Museum)

situata in prossimità del Louvre, orde di armati formate da guardie del re, elementi della milizia borghese e gruppi di cittadini, iniziano la caccia agli ugonotti. dopo avere chiuso le porte della città e fissato posti di blocco nelle strade principali, i cattolici penetrano nelle case dei protestanti, già segnalate in precedenza, saccheggiando e uccidendo indiscriminatamente233. Oltre alle motivazioni religiose e politiche, sugli assalitori agisce anche un diffuso odio di classe e soprattutto la convinzione di assicurarsi un ingente bottino depredando le case dei “ricchi” ugonotti234. Lo stesso Coligny, immobilizzato a letto per la recente ferita, viene finito scaraventandolo da una finestra235. I corpi degli uccisi vengono denudati, ammassati nelle piazze e poi 143

Il massacro di San bartolomeo, dipinto di François Dubois (1529-1584), pittore protestante scampato alla strage degli ugonotti (Losanna, Musée cantonal des Beaux-Arts)

caricati su carretti e gettati nella Senna236. Nella sola Parigi i morti saranno più di 3.000, mentre i moti che si estenderanno nel resto della Francia faranno oltre 10.000 vittime237. La notizia della strage, diffusasi ben presto in tutta europa, provocherà reazioni diverse che andranno dalla soddisfazione di Filippo II di Spagna – massimo rappresentante del cattolicesimo europeo – allo sdegno dei paesi protestanti che accuseranno apertamente di tradimento Carlo IX e Caterina dei Medici238.  Ma è a Roma che i fatti di Parigi susciteranno le reazioni più clamorose  e,  per  molti  aspetti,  più  sconcertanti.  La  prima  notizia giunge il 2 settembre recata da un corriere straordinario (cioè non quello che faceva il normale servizio postale tra la Francia e l’Italia) inviato dal governatore di Lione e partito in tutta fretta il 26 agosto.  Il corriere recava due lettere, una per il rappresentante francese alla Curia pontificia e l’altra per il papa239. L’annuncio a Gregorio XIII, che in quei giorni risiedeva al palazzo Venezia240, viene dato 144

dal cardinale francese Carlo di Lorena, e alcuni cronisti ci hanno conservato parte del dialogo che si svolse tra i due. Anche considerando l’asprezza dei tempi, gli odi causati dalle Guerre di religione, e soprattutto il ruolo eminentemente politico dei pontefici dell’epoca, non si può non rimanere sconcertati, considerando che uno degli interlocutori è un principe della Chiesa e l’altro è il vicario di Cristo, cioè il capo di tutta la cristianità.  dopo i saluti e i convenevoli di rito il cardinale di Lorena inizia a parlare: cardinale: «Quale novità desidererebbe Vostra Santità più di ogni altra?». pontefice: «Per l’esaltazione della fede cattolica noi non desideriamo altro che lo sterminio degli Ugonotti». cardinale: «Questo sterminio possiamo noi comunicare a Vostra Santità, a gloria di dio e per la grandezza della santa Chiesa», conclude trionfalmente Carlo di Lorena241.  Prescindendo dalla complessità dei motivi (ancora non del tutto chiariti) che hanno determinato i sanguinosi fatti di Parigi, da parte francese  c’è  l’evidente  intenzione di fornire al papa la versione  che  egli  maggiormente desidera, cioè la lotta contro gli eretici. L’esultanza è dunque grande e il pontefice vuole dare subito inizio ai festeggiamenti; ma la conferma ufficiale non c’è ancora  e  l’iniziale  entusiasmo viene frenato dall’ambasciatore francese  barone  de  Ferrals242 che, da buon politico, sa già che dovrà  poi  destreggiarsi  tra  il contraddittorio comportamento Ritratto di papa Gregorio XIII, olio su del re Carlo IX, le reazioni delle tela di Lavinia Fontana (Collezione altre corti europee e l’irresponprivata) 145

sabile atteggiamento di Gregorio XIII243. dopo due giorni di vivissima attesa, nella notte tra il 4 e il 5 settembre giunge finalmente a Roma il corriere ordinario di Lione244 con la conferma della strage fornita dal cardinale Antonio Maria Salviati, nunzio di Parigi245. A questo punto, in un esaltato clima da crociata vittoriosa, dopo avere fatto comunicare al re la sua immensa soddisfazione246 papa Gregorio dà il via a tutta una serie di cerimonie247. Lo stesso 5 settembre, poche ore dopo l’arrivo del corriere, il papa convoca un concistoro durante il quale viene letta la lettera inviata dal nunzio che loda l’azione del re ricordando la perfidia degli ugonotti. Quindi i cardinali scendono nell’attigua chiesa di S. Marco per partecipare ad un solenne Te Deum di ringraziamento248. I festeggiamenti ufficiali iniziano con un ordine ai cittadini di illuminare per tre notti ogni finestra delle loro case, avvertendo inoltre  che  saranno  considerati  con  sospetto  tutti  quelli  che  non  lo faranno249. Nei giorni seguenti il centro delle manifestazioni è la chiesa nazionale di S. Luigi dei Francesi, al cui ingresso viene posto un grande arazzo con un’iscrizione a lettere d’oro composta dal cardinale di Lorena, che esalta i massacri di Parigi250.  La mattina dell’8 settembre 1572, dopo tre giorni di preparativi, un enorme corteo muove dalla chiesa di S. Marco dirigendosi verso S. Luigi dove il cardinale di Lorena – indiscusso regista della festa – ha preparato la solenne cerimonia di ringraziamento. Oltre al papa, vestito degli abiti pontificali e portato in sedia gestatoria dalle guardie nobili, alla processione prendono parte tutti i cardinali seguiti dai vescovi e da elementi del clero minore, assieme ai rappresentanti di confraternite e corporazioni cittadine. due file di soldati pontifici fanno ala al corteo al quale si unisce gradualmente un’infinita quantità di persone. Nel pomeriggio dello stesso giorno viene organizzata un’altra processione attraverso le strade di Roma, formata da fanciulli vestiti di bianco che recano in mano rami di ulivo. La memorabile giornata si conclude poi con un grandioso spettacolo di luminarie e accensione di fuochi in tutta la città251.  dopo aver dato disposizione di distribuire elemosine ai poveri, l’11 settembre il papa decreta infine un giubileo universale, durante 146

il quale i cittadini dovranno ringraziare dio per i “gloriosi” fatti di Parigi e pregarlo perché consenta lo sterminio completo dei protestanti252.  Col passare dei giorni, l’iniziale soddisfazione del pontefice dovette comunque attenuarsi, oltre che per l’efferatezza degli episodi che gradualmente venivano a sua conoscenza, soprattutto per la sostanziale inutilità della strage ai fini della lotta contro gli eretici253. A tutto questo si aggiungeva poi la subdola condotta di Carlo IX il quale, mentre col papa ribadiva le motivazioni religiose della strage, a livello internazionale cercava di “laicizzare” il massacro, attribuendogli un significato esclusivamente politico e definendolo inoltre inevitabile per sventare una cospirazione degli ugonotti254.  Per tramandare comunque ai posteri quella che veniva considerata una grande vittoria sull’eresia, Gregorio XIII fa coniare una medaglia commemorativa255 e incarica il pittore Giorgio Vasari di eseguire, nella Sala Regia del Vaticano, alcuni affreschi sugli avvenimenti parigini, voluti come naturali pendants ai quadri della vittoria di Lepanto sui mussulmani256.  Ma non sempre i monumenti sono sufficienti per glorificare particolari personaggi, o veramente utili per giustificare ed esaltare determinate azioni. Il 7 marzo del 1828 al Vaticano arriva un turista

Medaglia di G. Federico Bonzagna, fatta coniare da Gregorio XIII per commemorare la strage degli ugonotti di Parigi (da: Bensoussan 2018) 147

francese  d’eccezione:  si  tratta  di Stendhal, che assieme ai suoi compagni di viaggio257 si reca a visitare la Sala Regia. dopo avere ammirato architetture e decorazioni, Stendhal si sofferma sui quadri della notte di S. bartolomeo, «ancora considerata a Roma», come egli scrive, «tra gli avvenimenti gloriosi del cattolicesimo». esaminando infine le cruente scene  illustrate  con  arte  sublime (quasi  la  consacrazione  dell’infamia), Stendhal finisce poi per concludere:  «Così,  c’è  un  luogo  in europa dove l’assassinio è pubblicamente onorato»258.

Uno degli affreschi di Giorgio Vasari nella Sala Regia del Vaticano. In alto si vede Coligny gettato dalla finestra della sua casa (foto di Sailko) 148

Il dISASTRO dEllA RuE ROyAlE (Parigi, 30 maggio 1770) «Une journée de guerre civile n’eût pas porté plus de  désolation ni de terreur dans les familles»* Ch. Lacretelle

I

l 19 maggio del 1770 a Versailles viene eseguito un magnifico spettacolo di fuochi artificiali per festeggiare il matrimonio del delfino, duca di berry con l’arciduchessa Maria Antonietta, due adolescenti uniti per motivi politici che dopo pochi anni erediteranno uno dei più importati regni d’europa259. Lo spettacolo è dei più fastosi, con la regia illuminata da migliaia di lampade disseminate nel parco, invaso da un’infinità di persone venute da Parigi e dai centri vicini260. Il giorno 30, a chiusura dei festeggiamenti, la scena si sposta in città. Le botteghe e i ritrovi rimangono chiusi, le vie sono ampiamente illuminate e nei quartieri popolari vengono fatte distribuzioni di vino e carne agli abitanti261.  Anticipando di qualche settimana i fuochi che si eseguono solitamente sulla place de Grève il giorno di S. Giovanni262, si decide per un grande spettacolo pirotecnico da allestire in città a beneficio di tutto il popolo. Il luogo prescelto è la nuova piazza Luigi XV, attuale piazza della Concordia263, situata sulla sponda destra della Senna al termine occidentale del giardino delle Tuileries. Iniziata nel 1763 su progetto dell’architetto A.-J. Gabriel che utilizza una vasta pianura presso la sponda del fiume, la piazza sarà poi completata nel 1772. Nel maggio del ’70 l’area non è ancora attrezzata in modo definitivo, anche se al centro sorge già la statua equestre

* “Una giornata di guerra civile non avrebbe portato più di desolazione né terrore nelle famiglie”.

149

di Luigi XV inaugurata sette anni prima, che sarà poi abbattuta durante la Rivoluzione264. Sul lato meridionale verso la Senna non esiste ancora il ponte della Concordia, che sarà costruito nel 1778. Ad ovest la piazza confina con l’inizio dell’attuale Avenue des Champs-elysées, mentre ad est è delimitata da un canale munito di un ponte mobile (ponttournant) che la separa dai giardini delle Tuileries. Il settore che appare ormai completato è quello nord, dov’è la scenografica quinta monumentale formata dai due palazzi colonnati costruiti dall’architetto Gabriel, che in occasione della festa saranno vivamente illuminati.  Tra questi due edifici e in asse con la statua del re, corre la rue Royale, strada che unisce la piazza all’area sulla quale, dal 1764, è

La zona di piazza Luigi XV in una pianta del XVIII secolo. In corrispondenza della piazza, al centro della figura, si nota la leggera ansa del fiume dove sarà costruito il ponte della Concordia. In alto, al termine della rue Royale, è l’edificio della Madeleine in costruzione (da: Mercier 1990) 150

Ritratti del futuro Luigi XVI e di Maria Antonietta all’epoca del loro matrimonio (da: Petitfils 2005)

in costruzione la chiesa della Madeleine, un solenne edificio di gusto classico con una fronte di otto colonne corinzie che termina in alto con un ampio timpano. Al momento della scelta per i festeggiamenti l’area è ancora completamente sterrata, mentre la rue Royale, che costituisce in pratica l’unica via di accesso, è ingombra di cumuli di pietre e materiali da costruzione destinati alla futura chiesa. Tutto questo, unito ai dissesti del terreno e ai cantieri situati sui due lati della strada, rende il transito oltremodo difficile per pedoni e carrozze, specialmente nel tratto finale dove la via tende a restringersi. Attratta dal programma dei fuochi che si annuncia grandioso, fin dal pomeriggio del 30 maggio nella piazza si è radunata una folla enorme composta, oltre che da un gran numero di parigini265, anche da molte persone venute dalla provincia e dalle città vicine266. Per il grande spettacolo pirotecnico che si terrà la sera, i fuochi sono stati strategicamente distribuiti presso la statua equestre del re e in 151

molti altri punti. La maggior parte del materiale, comprendente quello destinato alla coreografia luminosa finale che chiuderà lo spettacolo, è concentrata presso la statua del re267. In attesa dell’inizio delle accensioni l’attrazione principale è il tempio di Imene (chiaramente  allusivo  al  matrimonio  dei  due  principi)  allestito presso il gruppo equestre. Si tratta di un edificio posticcio in forma di tempietto con sei colonne sulla fronte, circondato da un parapetto con figure allegoriche (fiumi, delfini) e sormontato da una piramide che termina con un globo268.  Ma l’esecuzione dei fuochi di artificio, curata dalla famosa ditta dei fratelli Ruggieri269, non è decisamente delle migliori270, perché uno dei primi razzi lanciati cade sul gruppo dei fuochi principali che dovevano concludere trionfalmente la serata, provocandone la prematura accensione271. Tra la sorpresa di tutti i presenti abituati alla consueta gradazione dei lanci con l’apoteosi finale di lampi e boati, inaspettatamente il grosso dei razzi prende fuoco272. All’improvviso la piazza diventa un turbinio di luci multicolori e fiamme che sfrecciano impazzite in ogni direzione. Anche le incastellature che sostengono il materiale pirotecnico e le decorazioni apprestate per l’occasione cominciano a bruciare.  ben presto il fuoco si trasmette ad ogni elemento infiammabile e al centro della piazza si incendia anche il tempio di Imene. Il risultato è certamente caotico ma imprevedibilmente grandioso: tutta l’area è illuminata a giorno e le fiamme sono visibili da ogni punto della città. Inizialmente, pensando che l’estemporaneo e selvaggio spettacolo sia frutto di una regia preordinata, la gente applaude stupefatta273. Ma quando il fuoco comincia a lambire la folla, tutti si rendono conto che in realtà la situazione è fuori controllo e cominciano ad accalcarsi sulla rue Royale, non potendo defluire verso il lungofiume ingombro da un’infinità di carrozze in sosta. All’imponente massa di gente che affannosamente si affretta verso la strada, si contrappone ora un altro gran numero di persone che – ignare di quanto sta accadendo – tentano di entrare provenendo da una fiera allestita dietro la costruenda chiesa della Madeleine. Ad aumentare la confusione generale contribuiscono inoltre 152

Fuochi d’artificio presso il Tempio di Imene durante i festeggiamenti per le nozze di Louis Auguste Delfino di Francia con l’arciduchessa Maria Antonietta, incisione di Basset (Parigi, Bibliothèque nationale de France)

le molte carrozze che cercano di penetrare nella piazza per recuperare i rispettivi padroni274. Nel frattempo, due carri di pompieri accorsi per spegnere gli incendi, tentano invano di fendere la folla che blocca completamente la via275.  Tra la gente che si accalca, ormai in preda al panico, lungo la rue Royale, c’è Louis Sébastien Mercier, l’acuto autore di Tableau de Paris. Osservatore attento dei più minuti aspetti della vita cittadina, Mercier era intervenuto come sempre per recare la sua preziosa testimonianza, e si salverà rifugiandosi nell’angolo tra due muri, per poi retrocedere verso la piazza quando l’onda di piena della folla era ormai passata276.  La marea umana che ora spinge da ogni parte trasforma la strada in una trappola mortale. Molti precipitano, gli uni sugli altri, nelle buche aperte dei vicini cantieri o muoiono soffocati e schiacciati contro i mucchi di materiali che ingombrano la via. Chi cade è cal153

pestato a morte; le carrozze bloccate nella ressa si schiantano letteralmente sotto il peso dei molti che vi si arrampicano per mettersi in salvo. Qualcuno non esita perfino a mettere mano alla spada per aprirsi a forza un varco tra la folla impazzita277. dappertutto si sentono invocazioni, urla di dolore e richiami disperati di chi non vede più un amico o di chi si è visto strappare dal fianco un congiunto. Alla fine della terribile giornata la rue Royale somiglia ad un campo di battaglia, con morti e feriti sparsi dappertutto278. Molti dei corpi non hanno più i vestiti addosso, strappati ciecamente dalla furia dei fuggiaschi che li hanno pressati e calpestati rendendoli a volte irriconoscibili.  Nei giorni seguenti, un comunicato delle autorità – che nell’occasione non hanno chiaramente saputo prevedere i pericoli – riferisce  che  le  vittime  accertate  sarebbero  132  o  133279.  Ma prescindendo dalle tante voci incontrollate che parlano di migliaia di morti280, non c’è dubbio che quel giorno dovettero perdere la vita diverse centinaia di persone281, mentre molti altri morirono in seguito per le ferite riportate282. Profondamente colpito dalla tragedia che sembrava conferire cattivi auspici alla sua unione, il delfino darà poi incarico di versare alle famiglie delle vittime la somma di seimila scudi, consistente nell’appannaggio mensile a lui dovuto in qualità di erede al trono283.  Tra le vittime della tragica giornata nella rue Royale, oltre ad alcuni ecclesiastici e personaggi di elevato livello sociale, molte sono le donne, alcune addirittura in stato interessante. Un particolare tragicamente curioso è dato dalla presenza tra i morti di un discreto numero di ladri, riconosciuti per la quantità di refurtiva (portafogli, gioielli, orologi) rinvenuta tra i vestiti o accanto ai loro corpi284. dopo avere ricoverato i tanti feriti, i corpi dei caduti vengono inizialmente portati al cimitero della Madeleine nel Faubourg SaintHonoré285, dove sono esposti per permettere il riconoscimento da parte di parenti ed amici. Paradossalmente, l’enorme folla dei curiosi che si reca al cimitero attratta dall’insolito e macabro spettacolo, provocherà la morte di altre tre persone, soffocate nella calca o decedute per malore286. Ma nonostante la possibilità di prevedere 154

La rue Royale oggi, vista da la Madeleine verso la Concorde (foto di JLPC)

in gran parte quanto era accaduto, considerando le condizioni del luogo aggravate dalla scarsa presenza della polizia, le autorità imputeranno il disastro al caso e ad una serie di imprevisti non dipendenti dagli organizzatori. Prescindendo da indagini e da inchieste condotte con sufficiente serietà, l’unico provvedimento preso sarà quello di evitare grandi riunioni di gente per il futuro.  A tale proposito, lamentando l’incapacità del governo di organizzare feste popolari senza provocare disastri, il solito Mercier ci riferisce in modo ironico su una delle conseguenze più curiose di queste semplicistiche e paradossali disposizioni287. esagerando  evidentemente per motivi polemici i termini dell’avvenimento, il cronista narra che in occasione dei festeggiamenti per la nascita del delfino Luigi Giuseppe288, allorché il re e la regina si presentarono alle finestre dell’Hotel-de-Ville per ricevere le acclamazioni del popolo, in realtà sulla piazza… il popolo non c’era affatto! 155

Il CASO dAMIENS Il teatro dell’orrore nel secolo dei lumi «Tout le jour damiens apparaît à la Grève  à une certaine heure pour  demander vengeance de son supplice»*

N

el pomeriggio del 5 gennaio 1757, dopo avere fatto visita a Versailles per vedere la figlia Vittoria indisposta, il re Luigi XV, accompagnato dal delfino289 e da alcuni dignitari, si appresta a tornare al Trianon, la residenza dove sta trascorrendo parte dell’inverno. La giornata è molto fredda e il re indossa abiti pesanti290. Mentre sta salendo sulla carrozza, si avvicina un uomo di alta statura che lo colpisce ad un fianco con un coltello. L’attentatore viene subito fermato e rinchiuso nella sala delle guardie di palazzo, mentre il re torna nei suoi appartamenti per le prime cure. Luigi è stato colpito al fianco destro tra la quarta e la quinta costola con un coltello a lama corta291; gli abiti pesanti hanno però attutito il colpo e la guarigione richiederà soltanto tre giorni.  Ma nonostante la superficialità della ferita (che il chirurgo cura praticando subito un paio di salassi!), tutti a Versailles entrano nel panico,  temendo  addirittura  che  il  coltello  possa  essere  avvelenato292. Il re stesso è seriamente convinto di morire, si confessa più volte, riceve l’estrema unzione e chiede perdono a tutti per la sua vita scandalosa293. La regina e le principesse accorse al capezzale del sovrano, svengono in massa. L’unico che sembra conservare un poco di sangue freddo è il delfino, al quale il padre – sempre sicuro di essere in punto di morte – affida il regno convinto che certamente

* “Ogni giorno damiens appare a una certa ora a place de Grève per chiedere vendetta del suo supplizio”. detto popolare. 157

saprà  comportarsi  meglio  di lui. In questa atmosfera di apparente tragedia294, la sola persona  che  corre  un  sicuro pericolo è la Pompadour, la favorita in carica295, che in caso di  sincero  ravvedimento  del sovrano  sarebbe  immediatamente  allontanata  dalla  reggia296. Nella confusione generale e sospettando la presenza di possibili complici dell’attentatore, le  guardie  del  palazzo  compiono  una  retata  nelle  vicinanze297. Tra  gli  arrestati  c’è Ritratto di Luigi XV re di Francia e di Giacomo  Casanova,  fuggito Navarra, olio su tela di François-Huda  poco  dalla  prigione  dei bert Drouais (Reggia di Versailles) Piombi e arrivato a Parigi lo stesso  giorno  dell’attentato. Nella speranza di essere ricevuto dall’abate  de  bernis,  che  egli aveva conosciuto quando il prelato era ambasciatore a Venezia,  Casanova  si  era  recato  a Versailles per sollecitarne i favori298.  Nella sala delle guardie l’attentatore viene intanto identificato e sottoposto ai primi interrogatori. Si tratta di Robert François damiens, un  uomo  di  42  anni,  alto, Giacomo Girolamo Casanova sessantasnello e di bella presenza oritreenne, incisione di Johann Berka inse299 ginario della zona di Arras . rita nel frontespizio dell’Icosameron (1788) Personaggio dal carattere in158

Ritratto di Robert François Damiens. Incisione (part., Parigi, Bibliothèque nationale de France)

Il vestito indossato da Damiens al momento dell’attentato conservato a Parigi, Museo degli Archivi Nazionali (da: Lenotre 1935)

stabile ed irrequieto, damiens aveva esercitato un gran numero di mestieri e ultimamente era ricercato perché autore di un furto ai danni di un gentiluomo presso il quale lavorava come domestico300. Nella furia del momento e nella speranza di ottenere rivelazioni su un probabile complotto, damiens viene torturato dalle stesse guardie che si accaniscono bruciandogli i piedi con ferri roventi, tanto che nel breve periodo di prigionia sarà costretto a rimanere sempre disteso301. Le motivazioni che damiens adduce per spiegare il suo gesto sono subito confuse e contradditorie; la scelta stessa della lama corta del coltello fa pensare ad un paradossale gesto dimostrativo o di monito, più che a una reale volontà omicida302. Ma la persona del re francese è sacra ed inviolabile e l’atto assume comunque il valore di un crimine della massima gravità.  di idee vagamente gianseniste303, benché anticlericale e non praticante304, damiens è essenzialmente un esaltato, la cui personalità 159

nevrotica risente in modo anomalo del difficile clima politicoreligioso del momento, che vede il  re  ostile  ai  giansenisti  e  in contrasto col Parlamento, cioè l’organo giudiziario che ne difende i diritti limitando di fatto i poteri del sovrano305.  Il  18  gennaio,  pochi  giorni dopo l’attentato, damiens viene trasferito a Parigi e rinchiuso nel carcere  della  Conciergerie.  Il trasporto avviene di notte e con un grande spiegamento di forze, sempre  temendo  un’eventuale azione di possibili complici306. Nel carcere damiens è costretto L’incredibile sistema di cinghie che a  rimanere  continuamente  dibloccava Damiens durante la perma- steso a causa delle gravi piaghe nenza in carcere (da: Petitfils 2014) ai piedi e sarà interrogato su una sorta di materasso avvinto da un groviglio  di  cinghie  di  cuoio  che  lo  immobilizzano  completamente307. Il sospetto degli inquisitori – che non hanno capito affatto il personaggio – è che damiens faccia parte di una congiura308, e nella  speranza  di  ottenere  importanti  informazioni  l’attentatore viene quindi interrogato incessantemente e sottoposto a continue torture309. Il processo di damiens si annuncia come l’avvenimento del secolo. Prescindendo infatti dalla natura dell’attentato che si va ormai rivelando come l’atto isolato di un fanatico310, la vicenda si è caricata dei significati più diversi. Oltre alla necessità di ricordare e ribadire l’intangibilità del sovrano come persona sacra ed inviolabile, c’è la possibilità di distogliere la popolazione dalle difficoltà del momento311 (la guerra in corso, i conflitti religiosi, gli scandali del re) e soprattutto l’occasione di superare il perenne conflitto di poteri 160

tra il sovrano e il Parlamento, cioè lo stesso organo che dovrà giudicare damiens. La sentenza viene pronunciata il 26 marzo 1757: il crimine è l’attentato al re, l’unto del Signore, il delitto più grave che un suddito francese possa commettere. La condanna è quindi quella riservata ai colpevoli di lesa maestà312, cioè lo smembramento del corpo (écartèlement) da eseguire con l’ausilio di quattro cavalli313. Si tratta dello stesso supplizio inflitto un secolo e mezzo prima a François Ravaillac, l’uomo che il 14 maggio del 1610 aveva ucciso enrico IV. In sostanza una feroce ed anacronistica pratica di sapore medievale, giustificata dalla pretesa origine divina dei poteri del re, il cui lontano precedente veniva ancora ricordato nei racconti popolari come uno spettacolo di inaudita ferocia. Nel decreto parlamentare diffuso a stampa e venduto ai cittadini, sono inoltre elencati – pun-

«…Damiens è stato custodito in questa camera, legato su questo letto per tutto il tempo che durò l’istruttoria e il suo processo» (da: V. Hugo, Choses vues, 1887) 161

tigliosamente e con freddo tono burocratico – tutti gli incredibili tormenti da infliggere al condannato come corollario della barbarica esecuzione finale314. Già all’inizio del processo, nei salotti parigini si discuteva e scommetteva sulla singolare ed enigmatica figura di damiens315, su possibili sue collusioni con poteri politici e religiosi e sul tipo di condanna alla quale poteva andare incontro. Alla pubblicazione della sentenza, che ricalcava completamente il testo elaborato a suo tempo per Ravaillac, la città entra in grande fermento.  Al diffuso (e morboso) interesse manifestato dai cittadini di ogni ceto per le pene capitali316, si aggiungeva in questo caso l’imperdibile possibilità di assistere ad un supplizio che si segnalava per la sua atroce e indubbia spettacolarità. Il luogo dell’esecuzione è la place de Grève, il posto dove si eseguivano le principali condanne a morte, corrispondente in parte all’attuale piazza dell’Hôtel de Ville317, che nel XVIII secolo consisteva in un’area di forma trapezoidale che si allargava digradando verso la Senna. In città intanto si è scatenata la corsa per accaparrarsi finestre e balconi negli edifici che si affacciano sulla piazza, da parte di coloro (e sono moltissimi) disposti a spendere pur di assistere da vicino ad un evento eccezionale.  Fin dal giorno precedente a quello dell’esecuzione, molti si sono accampati lungo le strade che dovrà attraversare la carretta del condannato; i più veloci e previdenti si sono sistemati a ridosso del recinto eretto attorno al patibolo318. Chi non ha trovato posto nelle case o non ha potuto pagare, si è arrampicato sui tetti abbarbicandosi ad abbaini e comignoli, tanto che qualcuno finirà per perdere l’equilibrio e precipitare al suolo319. I più raffinati tra gli amanti di sensazioni forti si sono muniti di lenti e cannocchiali per non perdere nulla dello spettacolo. Un noto scrittore satirico si è addirittura fatto aumentare da un ottico rinomato la potenza di un suo telescopio, per poter cogliere ogni minima espressione sul viso di damiens durante la sua lunga agonia320.  Tra i fortunati che sono riusciti ad aggiudicarsi un comodo punto di osservazione ritroviamo Giacomo Casanova, che per soddisfare 162

il desiderio di tre sue amiche321 ha affittato la stanza di un ammezzato munita un’ampia finestra322. Oltre che dalle tre donne Casanova è accompagnato da un certo Tiretta, un curioso personaggio abile e spregiudicato seduttore323 (quasi un suo omologo), che nel corso dell’esecuzione troverà modo di “approfittarsi” di una delle dame mentre è china alla finestra affascinata da quanto si sta svolgendo nella piazza324. Un altro cronista d’eccezione tra i molti che assisteranno al macabro spettacolo325, è Thomas-Simon Gueullette, giudice alla corte criminale dello Châtelet e collezionista di libri e manoscritti, che fin dalle sette del mattino del 28 marzo ha preso posto ad una finestra  dell’Hôpital  du  Saint-esprit  situato  un  tempo  sul  lato  nord dell’Hôtel de Ville. dal suo comodo posto di osservazione Gueullette – che nell’attesa avrà modo di consumare un piacevole pranzo

La scena dell’esecuzione di Damiens a place de Grève da una stampa dell’epoca. La piazza è vista da ovest, sul fondo è l’Hôtel de Ville. Il patibolo è isolato da un recinto attorno al quale si ammassano gli spettatori. Sulla sinistra del patibolo, in alto, si vede la catasta di legna per il rogo del cadavere, al centro è il braciere per i ferri della tortura finale (da: Cabanès 1912) 163

assieme a tre amici – annoterà tutte le fasi di un supplizio destinato a rimanere per sempre nella memoria dei parigini326. Finalmente, alle tre del pomeriggio damiens esce dal carcere della Conciergerie per recarsi a Notre-dame, dove compie il consueto rituale (l’amende honorable) della pubblica confessione del suo crimine327. L’esecuzione inizia verso le cinque e si protrarrà a lungo con tutto un minuzioso e atroce supplemento di torture. A causa della robusta costituzione del condannato, sarà addirittura necessario aggiungere altri due cavalli ai quattro utilizzati inizialmente, per poi ricorrere in ultimo all’intervento risolutore di un chirurgo328. Alla fine, dopo più di un’ora dall’inizio dell’esecuzione, il povero corpo straziato di damiens viene gettato su un rogo che brucerà per gran parte della notte. Il giorno seguente 29 marzo, un decreto del Parlamento ordina la demolizione della casa del giustiziato e l’esilio per i suoi famigliari che saranno inoltre obbligati a cambiare il nome329. Successivamente, quasi ad incrementare la leggenda che nascerà sulla tragica figura di damiens, il terreno sul quale sorgeva la sua casa – interdetto in eterno per ogni altra costruzione – sprofonderà in modo del tutto inspiegabile330.

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STRANE PIETANzE E INCONSuETI MANICARETTI Nella Parigi medievale e nella Roma barocca «In Italia e nella Francia molti impararono a mangiar carne umana, se ben facevansi cotai beccarie molto secretamente» Gio. Felice Astolfi

N

el 1729 Jonathan Swift (1667-1745), riconosciuto iniziatore dell’humour noire in letteratura (A. breton), in un suo paradossale opuscolo satirico formulava una “modesta proposta”331. Considerando la secolare povertà del popolo irlandese, peraltro tra i più prolifici d’europa, consigliava di risolvere l’endemica carestia e il problema della sovrappopolazione cibandosi regolarmente di bambini di un anno, allevati a questo scopo e debitamente nutriti ed ingrassati332. Naturalmente lo scrittore si preoccupava anche di specificare le percentuali di soggetti da risparmiare per non compromettere la continuità della specie (come per i montoni, i buoi o i maiali) e per non turbare eccessivamente gli equilibri demografici. Prescindendo dai macabri (e volutamente provocatori) consigli di Swift, la storia ci insegna che la normale pratica di nutrirsi – oltre che di vegetali – di creature considerate “inferiori” nella scala gerarchica della natura è stata costantemente disattesa, in ogni tempo e da ogni cultura. Tra le molteplici cause possiamo trovare i rituali magico-propiziatori di alcuni popoli primitivi (acquisire le capacità del nemico vinto mangiandone le carni), episodi causati da carestie o da interminabili stati di assedio, o infine casi di cannibalismo dovuti a situazioni estreme di forzato isolamento333. Ma indipendentemente  da  ogni  eventuale  stato  di  necessità  o  nell’assenza  più completa di motivi di tipo antropologico, la diabolica pulsione sembra scattare a volte per alcuni individui in modo imprevedibile e 165

apparentemente ingiustificato, portandoli ad infrangere quello che  dovrebbe  essere  uno  dei tabù  maggiormente  radicati nell’animo umano. Il  13  giugno  del  1981  i giornali di Parigi contenevano una  notizia  che  sembrava uscita da un romanzo dell’orrore:  un  giovane  giapponese di  trentadue  anni,  studente universitario, aveva ucciso e poi in parte divorato una collega olandese ventiquattrenne. Il cannibale giapponese fotografato (poLa sua cattura era avvenuta in co opportunamente) mentre sta mangiando (da: Lesbros 2012) seguito al maldestro tentativo di disfarsi dei resti della vittima stipati in due valigie334, che l’assassino cercava di gettare in un lago335. Interrogato dalla polizia lo studente aveva confessato tranquillamente che il desiderio di cibarsi di carne umana lo assillava fin da bambino, e conosciuta la studentessa aveva trovato il soggetto adatto per soddisfare questa sua antica “curiosità”.  Agli storici e ai cultori della vecchia Parigi la notizia riportava alla mente un altro episodio, certamente ben più terribile nel suo diabolico svolgimento, avvenuto cinque secoli prima in una via vicina alla cattedrale di Notre-dame. Fino alla metà del XIX secolo attorno alla chiesa esisteva un quartiere medievale oggi completamente  scomparso  in  seguito  agli  interventi  urbanistici  di  Haussmann che hanno stravolto gran parte del centro storico336. Prima di questi lavori la zona a nord-est della chiesa, verso la punta dell’isola, era occupata dal Clôitre de Notre-dame, una sorta di piccolo borgo delimitato da mura munite di porte che ospitava i canonici della cattedrale ed una scuola per i chierici. Più a nord, verso il fiume, il quartiere era caratterizzato da un dedalo di strette vie eliminate in gran parte a partire dal 1866 per la ricostruzione dell’Hô166

tel-dieu, cioè il nuovo ospedale cittadino. Una di queste, rue des Marmousets, attraversava l’area dell’attuale complesso correndo in senso est-ovest e iniziando dall’odierna rue Chanoinesse per terminare in rue de la Cité337. Questa vecchia strada, probabilmente di origine gallo-romana, prendeva il nome da un palazzo del XIII secolo situato all’angolo con rue des deux-Hermites338, decorato con delle piccole statue rappresentanti figurine grottesche e deformi (marmousets), probabilmente simili a quelle che vediamo sulle facciate delle chiese gotiche339. Ancora verso la metà del XVI secolo su questa via era un’area mantenuta libera da costruzioni perché

Rue des Marmousets in una foto di Charles Marville del 1865 (Melbourne, State Library Victoria)

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occupata un tempo da una casa dove era accaduto un episodio terribile, un grand crime, come riportavano i racconti dell’epoca340. Quasi due secoli prima, nel 1387, sul terreno che verrà poi interdetto sorgeva un edificio con due botteghe affiancate appartenenti a un barbiere e ad un pizzicagnolo341. da una delle versioni più recenti (e più ricche di particolari) dell’oscura vicenda, apprendiamo che in quel periodo un infernale sodalizio si era formato tra i due vicini: mentre il barbiere assassinava ogni tanto qualche cliente di passaggio, il collega prelevava il corpo del malcapitato di turno per utilizzarne alcune parti nei suoi manicaretti.  Sembra che in breve tempo la pasticceria di rue des Marmousets avesse acquistato una grande rinomanza per la bontà dei suoi prodotti342, tanto da essere frequentata da una scelta clientela e perfino da nobili e membri della casa reale. Il motivo della “buona qualità” delle pietanze ci viene spiegato tranquillamente dal cronista Jacques du breul, il quale – quasi per esperienza personale – ci informa che «i pasticci [di rue des Marmousets] furono trovati migliori degli altri [cioè di quelli di altri norcini della città] perché la carne dell’uomo è più delicata, a causa del nutrimento, di quella degli altri animali»343. Tra le tante vittime del barbiere ci sarebbero stati anche alcuni studenti del vicino Chiostro e proprio alla scomparsa di uno di questi si dovette la scoperta del macabro traffico. Sembra che lo studente fosse accompagnato dal proprio cane il quale, non vedendolo più uscire dalla bottega, si sarebbe rifiutato di allontanarsi per più giorni mettendo in allarme l’intero quartiere con i suoi lamenti344. Scoperta l’incredibile organizzazione, i due complici furono rinchiusi in altrettante gabbie di ferro e bruciati vivi davanti a Notredame, mentre le loro case venivano rase al suolo e sul terreno, lasciato vuoto secondo una consueta pratica di esecrazione, veniva eretta come segnacolo una piccola piramide345. Per quanto riguarda la possibilità di ricostruire storicamente la vicenda, vediamo che dalla prima notizia offerta da du breul – che scrive comunque un secolo e mezzo dopo i fatti e parla di una sola vittima – il racconto si è andato inevitabilmente accrescendo di 168

nuovi particolari ed insolite situazioni346. Nelle guide cittadine e nei dizionari storici riguardanti l’assetto della città prima degli interventi di Haussmann, vediamo che l’incredibile caso di rue des Marmousets è sempre riportato con estrema cautela, tenendo conto di quanto possano avere influito le leggende popolari che ben presto dovettero impadronirsi di un probabile episodio di cannibalismo. In mancanza di documenti contemporanei, tutti gli autori sono però concordi nell’ammettere l’esistenza di un qualche grave fatto del genere realmente accaduto nella zona, attorno al quale, col passare del tempo, si sarebbero poi addensate fantasie e paure tipiche dell’inconscio collettivo cittadino. del resto, l’esistenza di un’area lasciata a lungo vuota nel mezzo di un quartiere densamente abitato, era prova sufficiente che qualcosa di veramente terribile doveva essere avvenuto sul posto, tanto da spingere le autorità a questa tradizionale e suggestiva forma di severo monito347. Nel 1638, due secoli e mezzo dopo gli oscuri fatti di Parigi, la leggenda nera del cannibalismo tra le mura cittadine sembra riproporsi a Roma, durante il pontificato di Urbano VIII barberini (16231644). Il luogo questa volta è la piazza del Pantheon (la “Rotonda” o “Ritonna”, per i romani del tempo), mentre, a differenza di Parigi, i protagonisti sono due norcini che lavorano nella stessa bottega. Nel caso della piazza romana si trattava stranamente di una zona ad antica vocazione alimentare, con rivendite di ogni genere che in alcuni periodi dell’anno invadevano perfino il monumentale portico del Pantheon348. Già a partire dal medioevo la piazza era costantemente occupata da botteghe e banchi di venditori di vivande, con un frequentatissimo mercato del pesce situato in prossimità dell’attuale fontana349. In occasione delle feste rionali venivano inoltre allestiti  banchetti  di  friggitori  di  frittelle  e  dolciumi  vari  che richiamavano una grande quantità di gente. Ma all’inizio del Seicento il punto della piazza maggiormente frequentato dai buongustai più esigenti doveva essere certamente la bottega gestita dai due norcini. dal suggestivo racconto fatto dai diaristi del tempo e riportato dai cultori di cose romane, apprendiamo che due pizzicagnoli  originari  di  Norcia  gestivano  al  Pantheon  una  bottega 169

rinomata per la bontà dei prodotti e frequentata anche dai cuochi di nobili e prelati.  Sembra che la lavorazione delle salsicce e di altri insaccati venisse fatta in un ambiente sotterraneo visitato a volte dalla stessa clientela350. Se il visitatore di turno era un tipo ben in carne e poco conosciuto nel quartiere, i due norcini si mostravano ben lieti di farlo assistere alla lavorazione dei loro prodotti, invogliandolo forse con la possibilità di scoprire le segrete ricette che li rendevano tanto appetitosi. Giunti nella cantina, mentre uno dei due complici distraeva il malcapitato, l’altro lo colpiva alla testa con una pesante mazza per poi finirlo con un coltello come si usava fare nel mattatoio cittadino. Le ossa, i vestiti e gli oggetti personali della vittima venivano bruciati in una stufa, mentre parte della carne veniva mescolata con quella di maiale destinata a preparare le salsicce351. 

Scena di cannibalismo da un’incisione del XVI secolo di Théodor De Bry 170

Piazza della Rotonda in una stampa del XVII secolo. Ai lati della fontana si vedono i chioschi e i banchi del mercato (da: Pietrangeli 1980)

L’imprevisto accadde quando nell’infernale trappola incappò il cuoco di un monsignore che il suo padrone aveva mandato a fare spesa nella bottega del Pantheon. Questa ennesima e inspiegabile scomparsa tra i clienti della rinomata norcineria, convinse finalmente le autorità ad eseguire delle perquisizioni che condussero alla scoperta di resti umani nelle cantine. Sottoposti ad interrogatorio e minacciati della terribile tortura della “veglia”, i due complici si decisero finalmente a confessare352. Anche in questo caso, come nel lontano episodio di Parigi, la condanna fu esemplare: i due norcini, autori della più diabolica “sofisticazione” alimentare che possa mai immaginarsi, ebbero lo stesso trattamento dei loro disgraziati clienti, furono cioè mazzolati, scannati e squartati sulla stessa piazza del Pantheon353. Ma episodi del genere, che oggi ci lasciano letteralmente sconvolti, non dovevano poi essere così eccezionali per la mentalità popolare del tempo, capace spesso di concepire azioni di inaudita, imprevedibile ferocia. Prescindendo dall’aspetto mostruosamente 171

“commerciale” alla base dell’infame traffico dei norcini romani, quasi mezzo secolo dopo i fatti del Pantheon, a Roma si verifica un caso di cannibalismo “indotto”, che vede protagonista un’ignara madre di famiglia. Nel diario del confortatore Placido eustachio Ghezzi354, alla data dell’8 aprile 1697 è riportata l’esecuzione di due fratelli che dopo avere ucciso – probabilmente per motivi di gelosia o interesse – un altro loro fratello, ne avevano sezionato il corpo  e  fatto  mangiare  le  interiora  alla  propria  inconsapevole madre355. 

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Note Roma

bayet 1992; Champeaux 2013. Turchi 1939; de Marchi 2003; Scheid 2011. 3 Graf F. 1995. 4 espletata utilizzando vari sistemi ed elementi, la mantica era una pratica eseguita per ottenere responsi e oracoli dalla divinità. 5 Caetani Lovatelli 1903b; Audollent 1967; blänsdorf 2012. 6 Le factiones, in senso ampio, erano le squadre di aurighi, contrassegnate con colori diversi, che si confrontavano nelle gare del circo.  7 Pratiche negromantiche nei confronti di cavalli che partecipavano a gare di corsa sono attestate ancora in pieno XVII secolo durante il pontificato di Urbano VIII. Gigli 1958, p. 113. 8 Castagnoli 1947; Coarelli 2005, p. 313 ss. 9 Messineo 1991, p. 2. 10 Astolfi F. 2009, I, p. 15 ss. 11 Grimal 1990, pp. 131-133. 12 Plutarco, Lucullo, 43. 13 Tacito, Annali, XI, 1-3. 14 Tacito, Annali, XI, 26. 15 Cassio dione, LX, 31, 3-5. 16 Lugli 1930-1940, II, p. 172. 17 Procopio, Guerra gotica, I, 23. 18 Graf A. 1923, p. 279 ss. 19 Svetonio, Nerone, 50. 20 Frutaz 1962, II, tav. 200.  21 Huelsen 1927, p. 358. 22 Tomassetti 1979-1980, III, p. 266 ss. 23 Menniti Ippolito 2014, pp. 88-91. 24 Grisar 1946, p. 48 ss. 25 Pastor 1950-1965, XIII, p. 871 ss.   26 Nibby 1838-1841, ant. II, p. 316 ss. 27 Lo stesso papa ne fu colpito ma riuscì a guarire, mentre alcuni cardinali morirono dopo la fine del conclave. Pastor, 1950-1965, XIII, p. 247. 28 Pastor, 1950-1965, V, p. 673 ss.; Fosi 2007, p. 40 ss. 29 Garin 1976, pp. 3 ss., 16. 30 Tacito, Storie, I, 22. Anche i padri della Chiesa si dichiaravano contrari all’astrologia giudiziaria. Pazzini 1948-1954, II, col. 239. 31 bertolotti 1878, p. 486. 32 Ospite dell’abate Morandi sarà anche Galilei nel suo viaggio a Roma del 1630. Fiorani 1978, p. 102. 33 bertolotti 1878, p. 491.  1 2

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34 In due successivi bandi del 1665 e del 1691, i “giornalisti” saranno inseriti nelle categorie delle prostitute e dei biscazzieri. bertolotti 1891, p. 122. 35 Gli Avvisi erano raccolte periodiche di notizie manoscritte o a stampa, riguardanti fatti più o meno notevoli, redatti da “menanti”, antesignani dei cronisti attuali, che spesso venivano puniti per l’eccessiva libertà dimostrata nella divulgazione. 36 bertolotti 1878, p. 485. 37 La notizia giunse perfino alle corti di Francia e Spagna e sembra che spinse alcuni cardinali a prepararsi per venire a Roma per il conclave considerato ormai imminente. bertolotti 1878, p. 470 ss.; Fiorani 1978, p. 106. 38 Fiorani 1978, p. 105. In realtà oltre alla previsione elaborata da Morandi, circolavano in città diverse “geniture” riguardanti il papa, ma quella dell’abate era evidentemente troppo pessimistica. bertolotti 1878, p. 496. 39 Gigli 1958, p. 112.  40 era questa una pratica probabilmente diffusa tra gli appassionati di magia nera, che ritroviamo circa mezzo secolo dopo nella Francia di Luigi XIV, con preti apostati che celebrano messe blasfeme sui corpi nudi di giovani donne. Petitfils 2014, p. 21. 41 Gigli 1958, p. 112 ss. Nel suo studio sui Martiri del libero pensiero, bertolotti riporta erroneamente lo scandalo del Rettore di S. Carlo al giugno del 1635. bertolotti 1891, p. 122. 42 Gigli 1958, p. 115; bertolotti 1878, p. 493; Fiorani 1978, p. 107.  43 Sul Tribunale del Governatore, sulla sua composizione, prerogative e spettanze, vedi Fosi 2007, p. 23 ss., 27 ss. 44 Il sospetto sembra confermato dalla morte di un altro detenuto che aveva mangiato lo stesso cibo (una torta) mandato all’abate Morandi. Il medico delle carceri stilò comunque un referto nel quale si parlava soltanto di morte naturale. Gigli 1958, p. 118; bertolotti 1878, p. 498. 45 Fiorani 1978, p. 111, nota 33.  46 Pastor 1950-1965, XIII, p. 621.  47 Rosi 1899, p. 347 ss.; Gigli 1958, p. 152 ss. 48 Rosi 1899, p. 349. 49 Nel 1640 verrà sventato un reale tentativo di avvelenamento ai danni di Urbano VIII progettato, anche questa volta, da due religiosi. Pastor, 1950-1965, XIII, p. 622, nota 1. 50 «Soggetti magici essi stessi», li definisce e. Garin. Su alcuni aspetti del clero romano di questo periodo e il suo rapporto con i fedeli, vedi Fiorani 1980, p. 112 ss. 51 Gli incantesimi posti in atto dai congiurati si protrassero dal 1633 al 1635.  52 Rosi 1899, p. 362. 53 Per “potenziare” adeguatamente il maleficio contro il pontefice, sembra che fosse necessario aspergere la sua effige col sangue di uno dei congiurati, da sacrificare probabilmente per tale scopo. dopo aver tirato a sorte, il malcapitato prescelto – un frate agostiniano – pensò però bene di fuggire e confessare tutto ai ministri dell’Inquisizione. Gigli 1958, p. 153. 54 Silvagni 1967, II, p. 67 ss. 55 Almeno in età matura Giambattista abitava in una casa a borgo Sant’Angelo n. 120. Trozzi 1932, p. 83, nota 1.

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56 In questo modo è chiamato bugatti (“ombrellarino”, per necessità di rima) in un sonetto di G.G. belli del 24 gennaio 1833. belli 1952, II, p. 1130. Sarà comunque questo il mestiere che bugatti continuerà ad esercitare ufficialmente anche quando avrà assunto in modo stabile il ruolo di “maestro di giustizia”.   57 da adulto Giambattista bugatti viene descritto: «bassotto, grasso, sbarbato, sempre pulito e netto della persona; portava cravatta bianca e scarpe scollate». Ademollo 1966, p. 41, n. 1.   58 Testimoni oculari ricordano che «dal suo modo di agire sul palco traluceva non solamente la calma, ma anche l’indifferenza e quasi il piacere dell’azione». Trozzi 1932, p. 82, nota 1; Ademollo 1966, pp. 41 ss.; Jannattoni 1984, p. 16. 59 Morandi 1906, II, p. 390; Ademollo 1966, p. 49, n. 1.  60 Lo smembramento del cadavere, oltre che conferire un aspetto maggiormente infamante alla condanna, veniva fatto allo scopo di esporre le varie parti nel luogo dove era avvenuto il crimine o alle porte della città. 61 514 delle quali eseguite personalmente, una ad opera dell’aiutante ed un’altra eseguita mediante fucilazione. Ademollo 1966, p. 37, note 3, 38.  62 Quando doveva operare fuori città il boia era autorizzato a portare un’arma, come sappiamo da un incontro casuale con un nobile romano. brigante Colonna 1944, p. 90. Per motivi di sicurezza e per evitare possibili vendette, a Roma il carnefice era comunque costretto al domicilio coatto in Trastevere. Suddito devoto e cattolico fervente, prima di passare il ponte S. Angelo per recarsi all’esecuzione Mastro Titta si confessava e comunicava. 63 Ademollo 1966.  64 Prescindendo dalla gravità e dalle modalità del crimine, vediamo che nell’elenco il tipo di supplizio e gli strumenti impiegati variano con il trascorrere del tempo e con i cambiamenti politici 65 Tipiche le precisazioni di: «delitto commesso con spirito di parte» o «con animo di parte» ecc. 66 Per un breve elenco di condannati per motivi politici, vedi Trozzi 1932, p. 110 ss. 67 byron, che soggiornò a Roma dal 29 aprile al 30 maggio del 1817, abitava a piazza di Spagna in prossimità della casa dove morirà Keats.  68 Prima di queste tre condanne Mastro Titta aveva già eseguito 194 giustizie. Ademollo 1966, p. 58.  69 belli 1962, p. 165,  70 Ademollo 1966, p. 54. Introdotto durante la dominazione francese del 1798-1799, l’uso della ghigliottina viene sospeso con il ritorno del papa a Roma, per essere quindi ripreso definitivamente nel 1816. Ademollo 1966, p. 43 ss.; Jannattoni 1984, p. 15.   71 Cioè dei membri della Confraternita di S. Giovanni decollato incaricati di accompagnare il condannato a morte. 72 Il testo di byron in inglese è interamente riportato in Jannattoni 1959, p. 227 ss. 73 Thomas J.b. 1823, p. 30, tav. 41. Nel testo che accompagna la tavola Thomas si diffonde in una lunga ed accurata descrizione dei personaggi che partecipano alla cerimonia indicando anche la figura del boia in coda al corteo. 74 d’Azeglio inizia a scrivere le sue memorie nel 1863. Ghisalberti 1971, p. XV.

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75 d’Azeglio 1971, p. 301 ss. In una delle pagine meno felici de I miei ricordi, assieme ad alcuni luoghi comuni su differenze razziali e teorie evoluzionistiche («non seguo l’opinione che crede l’uomo una bestia perfezionata»), lo scrittore traccia un lusinghiero – quanto ingenuo – profilo di Leonida Montanari, definendolo tipico rappresentante della “razza romagnola” (Montanari era di Cesena), come se stesse parlando di un capo di bestiame. Commentando poi la sua condanna a morte (ritenuta giusta) e sorvolando sul fatto che forse il medico non aveva nemmeno preso parte all’attentato (Premuti 1909, pp. 13 e 30), con una logica da “frate confortatore” si rammarica solo che Montanari non aveva voluto confessarsi in punto di morte. 76 Il trattamento che il moderato e cattolico d’Azeglio riserva a Montanari, medico ed appartenente ad una famiglia borghese, non poteva ovviamente essere esteso a Targhini, temperamento rivoluzionario e “testa calda”. 77 Il brano di Charles didier sull’esecuzione di Targhini e Montanari, nel quale l’estro letterario dello scrittore prende completamente il sopravvento sul cronista, è riportato in Premuti 1909, p. 40 ss. Un’altra esecuzione avvenuta in questo periodo è ricordata da edmond About che deve avere certamente usufruito del racconto di un testimone del tempo. About 1861, pp. 103-104, nota 1.   78 belli 1952, I, p. CXXXII. 79 Si riferisce ad una decapitazione eseguita il giorno precedente a Ponte S. Angelo. Ademollo 1966, p. 62, n. 280. 80 Per l’opera di dickens è stata utilizzata la traduzione di Pasquale Maffeo del 1971.  81 «Gli anglosassoni in genere erano […] senza alcun dubbio i più prevenuti e senza paragone i più altezzosi». Così scrive Silvio Negro a proposito dei giudizi negativi dei visitatori inglesi. Negro 1966, p. 381.  82 Si direbbe che dickens stia limitando il suo giudizio ai romani antichi, ma per chiarire meglio il concetto, due righe dopo scrive: «Man mano che viaggiando ci si avvicina  alla  città  [Roma],  la  faccia  degli  Italiani  si  muta,  la  bellezza  ne  diviene accigliata». dickens 1971, p. 141. 83 dickens 1971, p. 143 ss. Fa un certo effetto confrontare queste impressioni con quelle entusiastiche di Stendhal (spirito, certamente, di ben altra finezza), che aveva visitato questi stessi luoghi un paio di decenni prima. 84 dickens 1971, p. 147. Molto critico con l’aspetto fisico degli uomini romani, dickens si rivela invece veramente entusiasta per quello delle loro donne. 85 dickens 1971, p. 161. Sempre in tema di stereotipi, ci sembra abbastanza evidente che con quest’ultima “gentilezza” lo scrittore intenda parlare dei romani dell’epoca nel loro insieme. 86 Cioè presso la chiesa di S. Maria in Cosmedin. dickens 1971, p. 162 ss.; Jannattoni 1945, p. 89 ss.; Id. 1984, p. 21 ss. 87 Nel taccuino di Mastro Titta l’esecuzione è indicata col numero 384. Ademollo 1966, p. 69. 88 dickens 1971, p. 163. 89 dickens 1971, pp. 166-167. Pensando forse a situazioni di altri paesi e incapace di comprendere la funzione, senz’altro terribile ma decisamente professionale di Mastro Titta, dickens immagina che a Roma, in questo periodo, il ruolo di boia fosse assegnato a criminali comuni.

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90 Mastro Titta interrompe la sua attività nel periodo compreso dal luglio del 1847 al settembre del 1851. Morandi 1906, II, pp. 390-391; Ademollo 1966, p. 44 ss. e nota 1.  91 Negli anni successivi alla caduta della Repubblica sono frequenti, nel taccuino del boia, i nomi di patrioti giustiziati. Per alcuni dei personaggi più noti vedi Ademollo 1966, p. 39. 92 Per le modalità di pensionamento di Giambattista bugatti vedi Ademollo 1966, p. 43, nota 2; Jannattoni 1984, p. 15. 93 Morandi 1906, II, p. 391. 94 Genere di componimenti letterari a carattere scurrile o osceno indicati col nome di Priapo, dio della fecondità rappresentato generalmente nell’atto di esporre i suoi vistosi “attributi”.  95 Orazio, Satire I, 8. 96 Albertoni 1983, pp. 140-162. 97 Si tratta delle mura a grossi blocchi di tufo, dette impropriamente “Serviane”, i cui resti sono visibili in vari punti della città. Una delle porte delle mura (porta esquilina) corrispondeva all’attuale Arco di Gallieno, il monumentale fornice ristrutturato in età augustea ancora esistente addossato alla chiesa di S. Vito, a poca distanza da piazza Vittorio emanuele. Coarelli 2005, p. 25. 98 Cima 1986, p. 41. 99 Pisani Sartorio 1983, p. 104 ss.; La Rocca 1986, p. 8; Cima 1986, p. 41. Sette degli acquedotti che servivano la città in questo periodo entravano dalla zona di Porta Maggiore, mentre l’acquedotto Giulio (del 33 a.C.) attraversava direttamente l’area dell’attuale piazza Vittorio emanuele. 100 I principali assi stradali che contribuivano a definire la topografia del quartiere erano la via Gregoriana, attuale Merulana e la via Felice, che da Trinità dei Monti giungeva a S. Croce in Gerusalemme. 101 Cima 1986, p. 41ss.; Grimal 1990, p. 150 ss. 102 La Rocca 1986, p. 3. 103 Per dare una determinata forma alle piante si ricorreva spesso all’arte “topiaria”, l’antichissima tecnica utilizzata per modellare il fogliame in modo da ricavare delle vere e proprie sculture arboree. La stessa cura appare negli affreschi che mostrano i giardini delle ville, dove alberi e fiori sono rappresentati con grande attenzione ai dettagli tanto da sembrare dei veri «trattati botanici». La Rocca 1986, p. 4. 104 La Rocca 1986, p. 19 ss. 105 «Feconda miniera [di opere d’arte]», viene definito da Cancellieri il terreno di villa Palombara. Cancellieri 1806, p. IV. Sui ritrovamenti delle numerose sculture avvenuti nell’area degli Horti Lamiani prima e dopo il 1870, vedi Häuber 1986, pp. 167-200. 106 Oltre ad una grande quantità di marmi e sculture, gli scavi della zona hanno restituito un centinaio di oggetti d’oro e d’argento, circa 700 gemme e cammei, più di 36.000 monete d’oro, d’argento e di bronzo. Rivestimenti in oro erano poi su bronzi, capitelli e stucchi decorativi. Cima 1986, p. 37 ss., p. 105 ss. 107 Cancellieri 1806, p. 43; Callari 1934, p. 112; belli barsali 1970, p. 93, nota 63; Cardilli Alliasi 1983, p. 255 ss. La villa apparterrà ai Palombara fino al 1804, quando

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barbara Savelli Palombara, ultima discendente della famiglia, la venderà a suo figlio Carlo Massimo. Jatta, Tobia 1990, p. 93.  108 Si tratta della grande fontana costruita sul castello dell’acqua Giulia, così chiamata per due rilievi marmorei che ornavano l’edificio e attualmente sistemati sulla balaustra del Campidoglio. 109 Altro “polo magico” della regione in questo periodo era il convento di S. Prassede, situato a poche centinaia di metri dalla villa, dove aveva sede il cenacolo astrologico dell’abate Orazio Morandi che sarà al centro di un famoso processo durante il pontificato di Urbano VIII. Fiorani 1978, pp. 97-162.   110 Callari 1932, p. 409 ss.; Partini 2009, p. 13. 111 Gabriele 2015, p. 5, nota 8. 112 Massimiliano Palombara ebbe due mogli e numerosi figli. Partini 1990 pp. 29-30. 113 Tra le varie stranezze, Santinelli amava anagrammare il proprio nome in: Fra’ Marcantonio Casellame Chinese, e usava anche vari pseudonimi. Partini 2009, pp. 9, 17, 19.   114 Santinelli aveva conosciuto Cristina a Pesaro durante il suo viaggio verso Roma. biordi, d’Amato 1945, p. 13 ss.; Partini 2009, p. 15. Per i rapporti tra Santinelli e la regina e per alcune vicende del periodo è di utile lettura il testo di biordi e d’Amato, elaborato in modo divulgativo ma basato sufficientemente sulle fonti.  115 Partini 2009, p. 16. 116 Partini 2009, p.19 ss.; Gabriele 2015, p. 28. 117 Poco tenero nel giudicare Santinelli è Pastor, che accusa il “maggiordomo” della regina di intrallazzi definendolo infine una «canaglia raffinata». Pastor 1958-1964, XIV1, I, p. 358. 118 Santinelli risentirà indirettamente del discredito dovuto alla morte di Rinaldo Monaldeschi, ucciso nel 1657 a Fontainebleau da Ludovico, fratello dell’alchimista, per ordine di Cristina di Svezia durante la sua permanenza in Francia. Partini 2009, p. 12. Sembra che la regina non fosse comunque nuova a questo genere di imprese, come proverebbe un’altra uccisione da lei ordinata in seguito ad una truffa subita nell’ambito della sua attività di alchimista. Gabriele 2015, p. 6. Sul tragico episodio di Fontainebleau e sulla discussa personalità di Cristina di Svezia, abbiamo infine il curioso giudizio di Cabanès, indagatore degli aspetti medici e psicologici di personaggi della storia, il quale definisce la regina come «une hystérique couronnée». Cabanès 1903-1907, III, p. 191 ss.; Id. 1912-1921, IV, p. 188 ss. 119 Gabriele 2015, p. 21 ss. 120 durante la sua permanenza al Collegio Romano nel 1649, borri era stato protagonista di un curioso episodio che sembra anticipare alcune infelici vicende scolastiche dei nostri giorni. Per protesta contro il Rettore aveva organizzato l’occupazione dell’Istituto sequestrando addirittura i docenti per alcuni giorni. Rotta 1971, XIII, p. 5. 121 Caetani Lovatelli 1903a, p. 136; Cosmacini 2001. Un accenno alle attività truffaldine di borri (indicato erroneamente come bono) è nei diari benedetti utilizzati da davide Silvagni. Silvagni 1967, I, p. 234 ss. 122 Sembra comunque che il programma di risanamento in senso cristiano promosso dalla società prevedesse il ricorso alle armi con stragi di peccatori e soppressioni generalizzate di reprobi e refrattari. Rotta 1971, XIII, p. 6. 123 Partini 2009, p. 13.

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Gabriele 1986, p. 58; Id. 2015, p. 43 ss. Tra gli alchimisti più noti del periodo, oltre a Massimiliano Palombara, anche Francesco borri e enrico Madathanus si dicevano gratificati da visioni celesti e illuminazioni divine che avevano determinato la loro iniziazione.     126 «L’arte cotanto decantata e non mai trovata di far l’Oro». Cancellieri 1806, p. 42. 127 Partini 1990, p. 31. 128 All’uso di speciali erbe per la trasmutazione si riferisce la leggenda di un misterioso pellegrino che si reca nella villa per mostrare al marchese un suo particolare metodo per ottenere l’oro. Cancellieri 1806, p. 43 ss.; Caetani Lovatelli 1903 p. 141 ss. 129 Jatta, Tobia 1990, p. 93. 130 A proposito delle iscrizioni della villa e alludendo alla trasmutazione aurea, Cancellieri scrive che «hanno dato gran pascolo alle follie di molti i quali si sono impoveriti per diventar ricchi». Cancellieri 1806, p. III. 131 Gabriele 1990, p. 23 ss. 132 Riguardo alla posizione della porta, Cancellieri afferma che era sulla strada, davanti alla chiesa di S. eusebio. è molto più probabile invece che servisse come ingresso al cosiddetto “luogo segreto” o comunque a qualche spazio della villa non accessibile a tutti. Cancellieri 1806, p. 44 ss.; Gabriele 1990, p. 26. 133 Cioè pochi anni prima della sua morte avvenuta il 16 luglio 1685. Gabriele 1986, p. 59; 1990, p. 17. 134 Gabriele1990, p. 17; Id. 2015, pp. 18, 35; Partini 1990, p. 31. A questo clipeo centrale erano affiancate due volute ornamentali a nastri, scomparse in occasione dello spostamento della porta. 135 d’Urso 1990, p. 39 ss. 136 SI SedeS NON IS, (se siedi non vai/se non siedi vai). Gabriele 1990, p. 21. 137 Questo si intuisce dal fatto che nella foto eseguita nel 1872, prima che fosse smontata, la porta non ha più funzione di passaggio ma appare tamponata e murata in una parete.  138 Jatta, Tobia 1990, p. 97; Cardano 1990, p. 105. 139 Si tratta di due rappresentazioni di bes (i “nani mostruosi” come furono definite all’epoca del rinvenimento), una divinità minore egiziana di valore apotropaico, provenienti da scavi eseguiti nell’orto dei gesuiti di S. Vitale nel 1888. Masini, Santangeli Valenzani 1990, p. 111. 140 Gabriele 1986, p. 58. 141 Negro 1966, p. 221. 142 bandini 1922, pp. 63, 128; Silvagni 1967, II, p. 91 ss., p. 100. Sembra che inizialmente i divieti riguardassero le donne come spettatrici. de dominicis 1922, p. 30 ss. 143 bandini 1922, pp. 64, 129. 144 de Angelis 1951, p. 51; Pastor 1950-1965, XIV2, p. 23; Ademollo 1969, p. 143 ss. La furia moralizzatrice del pontefice giunse fino a regolare la moda delle donne romane con una serie di ordinanze. bandini 1922, p. 130. 145 In questo periodo erano addirittura previste dure pene per le donne che prendevano lezioni di musica da uomini. bandini 1922, p. 68 ss.  146 Un decreto del 18 gennaio 1680 stabiliva che le marionette danzanti dovevano indossare una specie di calzamaglia. bandini 1922, p. 106 ss., p. 130. 124

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A volte questi mascheramenti venivano fatti senza la dovuta attenzione e i risultati erano senz’altro grotteschi. de dominicis 1922, p. 36 ss. 148 de brosses, 1838, II, p. 364 ss. 149 Silvagni, 1967, I, p. 38 ss. 150 de brosses, 1838, II, p. 365.  151 Sulle numerose testimonianze di viaggiatori stranieri riguardanti le qualità canore dei musici romani verso la fine del Settecento vedi de dominicis 1922, p. 33 ss. 152 Particolarmente pungenti al riguardo alcuni versi e composizioni di Salvator Rosa, Parini e Foscolo. de Angelis 1951, p. 50; de dominicis 1922, p. 34, nota 3. 153 Il Teatro delle dame o Teatro Alibert, il più importante per ampiezza, era in via Margutta non lontano da piazza di Spagna. bandini 1922, p. 76 ss.; de Angelis 1951, p. 15 ss.; Ademollo 1969, p. 123 ss. 154 Casanova 1965, IV, pp. 335, 347, nota 19; Silvagni 1967, II, p. 114 ss. Il musico si chiamava Giovanni Osti ed era conosciuto col soprannome di “Giovannino di borghese”. 155 bandini 1922, p. 133; de dominicis 1922, p. 35 nota 3. 156 Montesquieu 1990, p. 164.  157 Goethe 1983, p. 593. Prescindendo dalle parti cantate, sembra che Goethe non fosse comunque contrario ad assegnare a uomini parti di donne nei teatri. de dominicis 1922, p. 37 ss. A proposito del Miserere di Allegri, è famoso l’aneddoto di Mozart che, dopo avere assistito all’esecuzione, tornato a casa riesce a scrivere l’intera partitura a memoria. 158 Casanova 1965, I, p. 407. Secondo Casanova, la ragazza che si esibiva nei teatri con il nome fittizio di bellino si chiamava in realtà Teresa Lanti. 159 bandini 1922, p. 145. 160 Ademollo 1969, p. XXVI. Le nuove regole provocheranno gli acidi commenti del diarista ed ecclesiastico Giuseppe Antonio Sala, che nell’autunno del 1798, commentando evidentemente una delle prime rappresentazioni con donne al Teatro Alibert, parlerà di grande confusione tra il pubblico e di sostanziale incapacità del governo repubblicano. Sala 1980, II, p. 217 ss. 161 Teysseire 1878, p. 235. 162 Per “cappelle papali” si intendevano le funzioni solenni alle quali assisteva il papa che fino al XIX secolo erano una cinquantina distribuite nelle maggiori chiese della città. Negro 1966, p. 223. 163 Negro 1966, p. 222 e nota 4. 164 de Angelis 1951, p. 48 ss. 165 Costruito a partire dal 54 d.C. per l’imperatore Claudio, divinizzato dopo la morte, il tempio, ora del tutto scomparso, sorgeva su un vastissimo terrapieno delimitato da monumentali sostruzioni e sistemato a giardino, occupato attualmente dal convento dei Passionisti dei Ss. Giovanni e Paolo. Colini 1944, p. 137 ss.; Coarelli 2005, pp. 260-262.  166 emblematico, in tal senso, il destino del Colosseo (Anfiteatro Flavio), demolito per circa metà dell’anello esterno per recuperare i blocchi di travertino. Coarelli 2005, p. 199 ss. 167 esistono comunque divergenze tra gli studiosi in merito al nome dell’oratorio, alla sua posizione, nonché all’eventuale esistenza di due distinte cappelle ambedue situate all’interno delle sostruzioni del tempio.  147

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dujčev 1936, p. 140 ss. Cioè non più la rappresentazione della croce reale, strumento di supplizio ignominioso, ma la sua trasformazione in una sorta di insegna o di scettro, come simbolo di trionfo del cristianesimo. 170 Nel disegno si vedono delle lettere attribuibili all’espressione Dominus legem dat, che ritroviamo in altre rappresentazioni del genere. 171 Nelle scene di questo tipo, presenti soprattutto nei sarcofagi cristiani di IV-V secolo, il rotolo della legge viene di solito consegnato a Pietro, quale capo iniziale della Chiesa. Testini 1968, p. 119; Spera 2000 pp. 288-293. 172 Questo delle mani coperte con un panno era un gesto di rispetto nell’arte paleocristiana, osservato da chi stava per dare o ricevere qualcosa di importante o di sacro. 173 dujčev 1960, p. 264; Ladner 1941, p. 155 ss.  174 Ladner 1941, p. 155 ss. 175 brezzi 1947 p. 32; Llewellyn 1975, p. 202. 176 brezzi 1947, p. 46. 177 Ullmann 1975, pp. 94, 113. Secondo la Costituzione emanata nell’824 da Lotario I, l’elezione del papa doveva svolgersi in presenza dei legati dell’imperatore, cosa che non era avvenuta in quest’occasione.  178 brezzi 1947 p. 60; duchesne 1967, pp. 100, 101; Llewellyn 1975, p. 221 ss.     179 brezzi 1947 p. 63; duchesne 1967, p. 105; Ullmann 1975, p. 106. 180 Il papa si era rifiutato di accordare al rapitore la mano della propria figlia perché già promessa ad altra persona. duchesne 1967, p. 107; Llewellyn 1975, p. 227. 181 Secondo un resoconto dell’epoca, i congiurati iniziarono col somministrare al papa del veleno, poi visto che gli effetti tardavano a venire, gli fracassarono il capo a colpi di martello. brezzi 1947, p. 79; duchesne 1967, p. 120. 182 Chiamato anche Michele dagli storici per avere acquistato questo secondo nome dall’imperatore bizantino Michele III, suo padrino al momento del battesimo. Sansterre 1982, p. 376. 183 Sansterre 1982, pp. 375, 378 ss. 184 La posizione onorifica di boris alla destra del Cristo appare in questo caso abbastanza insolita per un laico, se confrontata, ad esempio, con il coevo mosaico del Triclinio Lateranense – ricostruito sui disegni originari – dove le figure di Costantino e di Carlo Magno sono poste ambedue alla sinistra del Salvatore e di san Pietro, cioè dei personaggi che rappresentano la Chiesa.  185 Le accuse mosse in quell’occasione a Formoso erano di aver tramato per essere eletto papa, cospirato con re boris per diventare capo della Chiesa bulgara e di avere abbandonato la diocesi di Porto per non rispondere delle proprie azioni. brezzi 1947, p. 83; Sansterre 1982, p. 384; Id. 2000, p. 43. 186 Gregorovius 1900-1901, I, p. 853 ss. Al riguardo vi era comunque il precedente del pontefice Marino I che era stato vescovo di Cere, ma nel caso di Formoso avevano un peso maggiore i suoi burrascosi trascorsi politici. Ullmann 1975, p. 114; Sansterre 2000, p. 43. 187 Per le chiese della città fa rinnovare gli affreschi interni a S. Pietro e restaurare e completare la serie di ritratti dei papi a S. Paolo f.l.m. Ladner 1941. 188 Sansterre 2000, pp. 44, 45. Il ducato di Spoleto, comprendente tutto il territorio ad est dello Stato della Chiesa fino al mare, rappresentava uno degli stati indipendenti 168 169

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che si erano formati, verso la metà del VII secolo, dopo il consolidamento delle conquiste dei Longobardi. 189 Nel caso dell’Oratorio non dovette trattarsi però di una decisione ufficiale, ma piuttosto dell’iniziativa di un qualche avversario isolato, come dimostrerebbe l’altrimenti inspiegabile sopravvivenza del nome del papa. 190 brezzi 1947, p. 92; Llewellyn 1975, p. 241; Ullmann 1975, p. 114; Sansterre 2000, p. 45. 191 dopo Stefano VI erano saliti al trono i pontefici Romano e Teodoro II; il primo regnerà quattro mesi, il secondo soltanto venti giorni. Nel suo brevissimo pontificato Teodoro farà però in tempo a convocare un sinodo per la riabilitazione di Formoso e dei suoi seguaci. Gregorovius 1900-1901, I, p. 860 ss.; duchesne 1967, p. 129; Llewellyn 1975, p. 241. 192 L’area occupata dai due mercati antichi si estendeva dal Teatro Marcello alla chiesa di S. Maria in Cosmedin, o bocca della Verità. Astolfi F. 1994, p. 147 ss.; Coarelli 2005, p. 369 ss. 193 Paglia 1982, pp. 32 ss. Si trattava di un movimento che praticava l’autoflagellazione a scopo penitenziale. 194 Maroni Lumbroso, Martini 1963, p. 168. 195 Paglia 1982, p. 60; Prosperi 2013, pp. 233 ss., 236.  196 Caso emblematico in tal senso quello di Giordano bruno, condannato per eresia e arso vivo a Campo de’ Fiori nel 1600, per il quale fu mobilitato un vero drappello di teologi, ben sette religiosi, appartenenti agli ordini dei domenicani e dei Gesuiti. Maroni Lumbroso, Martini 1963, p. 169; Orano 1980, pp. 103-104; Mereu 1988, pp. 22 ss., n. 24.  197 Tra questi il De arte bene moriendi, un trattato composto dal teologo Roberto bellarmino. 198 Per un elenco dei molti testi elaborati nel tempo e utilizzati in varie città dai confortatori, vedi Paglia 1982, p. 90, n. 27. Tra il XVII e il XVIII secolo il manuale più utilizzato era quello di Pompeo Serni, membro della Confraternita, nel quale erano previsti i più diversi casi e proposte le differenti tecniche da adottare. Maroni Lumbroso, Martini 1963, p. 169; Paglia 1982, p. 16 ss.; Prosperi 2013, pp. 234, 261 ss.  199 Il manoscritto del diario, pubblicato da Ademollo nel 1881 per l’Archivio della Società Romana di Storia Patria, integrandolo l’anno successivo con note ed aggiunte, è conservato nella biblioteca Angelica di Roma. Ademollo 1881, p. 431. Per le giustizie eseguite a partire dall’anno 1700 è possibile avvalersi inoltre del Diario di Roma di Francesco Valesio, pubblicato in sei volumi tra il 1977 e il 1979, che fornisce spesso notizie di maggiore ampiezza o di diversa impostazione. Alcune giustizie eseguite in questo periodo sono infine riportate (con qualche errore di data) nel diario dell’abbate Luca Antonio benedetti, utilizzato da davide Silvagni per la sua opera La Corte e la società romana. 200 Labat 1951, p. 193. è questo il caso dei due religiosi decapitati alle Carceri Nuove. Ademollo 1881, p. 447. Un’eccezione venne però fatta per Gaetano Volpini, chierico decapitato a Campo Vaccino nel 1720 perché autore di “foglietti”, cioè compilatore di notizie sulla corte pontificia, reato gravissimo secondo la giustizia del tempo. Ademollo 1881, p. 488 ss.; Silvagni 1967, II, p. 80 ss.

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201 Il patibolo veniva eretto presso una fontana utilizzata come abbeveratoio per il bestiame, situata in prossimità del tempio dei Castori. Ademollo 1881, p. 483; Valesio 1977-1979, I, p. 480. 202 Nella grande piazza il patibolo veniva montato «avanti la guglia nel luogo della smossa», cioè presso l’obelisco dal quale partivano (la “smossa”) i cavalli senza fantino che partecipavano alla corsa dei “barberi” durante il carnevale. Valesio, 19771979, V, p. 447. 203 Altri luoghi indicati nelle Memorie sono inoltre: la Rotonda (Pantheon), piazza Rusticucci (all’inizio di via della Conciliazione), S. Maria in Trastevere, bocca della Verità e Campo de’ Fiori. In quest’ultima piazza venivano generalmente giustiziati o arsi vivi gli eretici. Per un elenco generale dei luoghi delle giustizie a Roma a partire dal XVI secolo vedi Paglia 1982, p. 108, nota 38; benedetti 2010, p. 178. 204 Paglia 1982, p. 121, nota 47; benedetti 2010, p. 178 ss. La piazza di Ponte S. Angelo era destinata alle esecuzioni forse fin dal 1488, anno di costituzione della Confraternita. Ademollo 1966, p. 7. Sul percorso seguito dal corteo dei confortatori dalle Carceri Nuove in via Giulia alla piazza di Ponte, vedi benedetti 2010, fig. 5. Per le carceri attive a Roma nella prima metà del Settecento, vedi Paglia 1980; benedetti 2010, p. 170, nota 53.    205 Ademollo 1881, p. 530 ss.; Valesio 1977-1979, VI, p. 225. 206 Ademollo 1881, p. 468 ss.  207 Prescindendo dal fatto che le condanne a morte erano assai frequenti nello Stato pontificio, è evidente che le Memorie del confortatore Ghezzi riguardano soltanto i reati puniti con la pena capitale. Per altri tipi di pena nella Roma del XVIII secolo, vedi benedetti 2010. 208 è questo il caso di un giovane di 22 anni che «si moriva di fame», come precisa Ghezzi, impiccato a Ponte S. Angelo per il solo furto di un “ferraiolo”, cioè di un mantello. Ademollo 1881, p. 481 ss.; Silvagni 1967, II, p. 81. 209 I falsari potevano essere condotti al patibolo con una collana di monete, mentre agli scassinatori venivano attaccati al collo i grimaldelli e gli altri strumenti del mestiere. Ademollo 1881, p. 460 ss., p. 502; Valesio 1977-1979, IV, p. 794. 210 I furti sacrileghi erano materia dell’Inquisizione, come nel caso di un calabrese che aveva rubato alcuni calici con dentro le ostie consacrate, vasi degli olii santi e tutte le gioie della Madonna di S. Maria in Trastevere. Ademollo 1881, p. 458. 211 Ademollo 1881, pp. 457; p. 515, nota 6. 212 erano così definite le satire, rivolte generalmente contro il governo e la corte papale, che venivano affisse prevalentemente alla statua di Pasquino situata nella piazza omonima. Una celebre condanna comminata per composizione di scritti satirici è quella del conte enrico Trivelli, giustiziato il 23 febbraio 1737 in periodo di carnevale. Ademollo 1881, p. 518 ss.; Id. 1882, p. 331 ss. 213 Ademollo 1881, p. 444, nota 6; p. 518 ss. 214 Le modalità dei supplizi ed altre notizie sui condannati sono indicate con regolarità nel diario solo a partire dall’aprile del 1690. 215 Sulla “normale” pratica del boia di saltare sulle spalle del condannato e dell’aiutante (tirapiedi) di tirarlo dalle gambe per affrettarne la morte, vedi Paglia 1982, pp. 106-107; biordi, d’Amato 1945, p. 118.

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216 è questo il caso di un certo domenico Spallaccino originario di Orvieto che, fingendosi prete, per cinque anni aveva celebrato messa in diverse chiese di Roma. Condannato dal tribunale dell’Inquisizione, il 28 luglio del 1711 era stato impiccato e quindi bruciato a Campo de’ Fiori. Ademollo 1881, p. 464 ss.; Id. 1882, p. 308; Silvagni 1967, II, p. 81. Nell’ambito di questa notizia, relativa ad un caso che ebbe evidentemente molta risonanza, Ghezzi fornisce una minuziosa descrizione (p. 466) di come veniva composta la pira per il rogo e come vi veniva disposto il corpo del giustiziato. 217 Viene infatti adottata nel caso di un condannato che proprio a bastonate aveva ucciso la sua vittima. Ademollo 1881, p. 512. Sull’atroce tecnica della mazzolatura, vedi Labat 1951, p. 193. Nelle sue memorie sul viaggio in Italia del 1706, il domenicano Jean baptiste Labat descrive inoltre (pp. 193-194) un’esecuzione a Civitavecchia,  eseguita  con  una  macchina  del  tutto  identica  alla  ghigliottina  che  sarà “inventata” in Francia quasi un secolo dopo. 218 Le cronache cittadine di ogni periodo sono piene di notizie su carnefici incapaci. Soltanto con Mastro Titta, al secolo Gianbattista bugatti, che eseguirà giustizie per ben 68 anni dal 1796 al 1864, il Governo pontificio avrà un esecutore capace e in grado di non far penare ulteriormente i condannati.  219 A tale riguardo vengono ricordati carnefici eccessivamente brutali o maldestri nel maneggiare gli “strumenti del lavoro” (mazzola, coltello, corda ecc.). Ademollo 1881, pp. 471, 479, 509, 513, 531-532. Tra gli altri casi menzionati nel diario troviamo il boia esiliato per punizione (p. 488), quello prelevato temporaneamente dal carcere per eseguire la giustizia (p. 464), l’altro sostituito dall’aiutante perché arrestato nel frattempo (p. 507), e infine il carnefice trovato ubriaco il giorno stesso dell’esecuzione (p. 506) e sostituito dalla moglie!  220 durante le esecuzioni i proprietari delle case vicine affittavano a caro prezzo le finestre dei loro appartamenti. A piazza del Popolo venivano allestiti addirittura dei palchi con posti a pagamento. Ademollo 1881, p. 451. Rimane famosa, in tal senso, l’esecuzione dei Cenci avvenuta a Ponte nel settembre del 1599, in occasione della quale furono fatti uscire dalle celle e affacciare sugli spalti anche i carcerati di Castel S. Angelo. Ricci 1923, II, p. 209. 221 Paglia 1982, pp. 38, 93 ss., 115 ss. durante il percorso era necessario evitare l’eventuale incontro con un cardinale, perché questo poteva comportare la grazia per il condannato. Ademollo 1881, p. 501. 222 Ricci 1923, II, p. 203 nota 1; Prosperi 2013, pp. 261, 356. 223 Per svolgere nel miglior modo tale funzione, alcuni tipi di tavole oltre che forniti di un manico, erano muniti di due alette laterali, egualmente illustrate, che impedivano al condannato di guardarsi attorno durante il tragitto.  224 Paglia 1982, p. 132. In questi casi il diarista ci tiene a precisare che il «paziente andò al patibolo contentissimo» (Ademollo 1881, pp. 472, 515, 514, 515), oppure, «morì da santo» o più semplicemente «benissimo» (pp. 453, 479, 502, 517). Nell’ampia casistica non mancano neppure casi di autoesaltazione, con il condannato che bacia i gradini del patibolo (Ademollo 1881, p. 508), che improvvisa infervorate prediche sotto la forca a beneficio della folla (pp. 461, 476), (Valesio 1978, IV, p. 225), o che confessa ad alta voce le sue colpe incoraggiato in coro dagli spettatori in una sorta di trance collettiva, o “terapia di gruppo” ante litteram. 

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Paglia 1982, pp. 60, 132. Considerando la funzione specifica svolta dall’abate Ghezzi, molto spazio viene ovviamente riservato nel diario a coloro che rifiutano i conforti religiosi. 227 Per una breve sintesi delle tecniche psicologiche utilizzate dai confortatori, esposte comunque in modo intenzionalmente (ma comprensibilmente) derisorio, vedi Mereu 1988, p. 29 ss. 228 Generalmente i confortatori citavano esempi di martiri o potevano addirittura giungere ed umiliarsi baciando i piedi al condannato implorandolo di pentirsi. Paglia 1982, pp. 91-92; Prosperi 2013, pp. 249, 260; Mereu 1988, p. 31.  229 In questi casi non si trattava della tortura eseguita per ottenere la confessione, essendo il reo già condannato, ma di quella prescritta dai manuali per far pentire i soggetti refrattari. A tale scopo e per fornire al paziente un adeguato assaggio delle pene dell’Inferno, venivano utilizzati ferri roventi, carboni accesi e cera fusa. Ademollo 1881, p. 508; Fiorelli 1953-1954, I, p. 203, nota 72; Prosperi 2013, p. 247. «Le spectacle est particulièrement intéressant lorsque le condamné s’obstine dans l’impénitence; pour sauver l’âme le bourreau torture le corps de son mieux» (“Lo spettacolo è particolarmente interessante allorché il condannato si ostina a non pentirsi; per salvare l’anima il boia tortura il corpo nel modo migliore”). Così scrive verso la fine dell’Ottocento ernest bovet, che descrive alcune forme di tortura utilizzate sotto il governo papale per “salvare l’anima” dei condannati. bovet 1898, p. 372 ss. 230 Ademollo 1881, pp. 449, 452; 501; Paglia 1982, p. 118. Mereu 1988, p. 35. Ricordiamo che una grottesca scena di questo tipo è riproposta, in chiave ovviamente umoristica, in un film (Nell’anno del Signore) del regista Luigi Magni, buon conoscitore dei costumi della Roma dei papi. 231 Si tratta del già ricordato abate Volpini decapitato a Campo Vaccino nel 1720. Ademollo 1881, p. 488 ss. 232 Ademollo 1881, p. 457. dalla lunga notizia riportata da Valesio apprendiamo che si trattava di un giovane di 25 anni «al suo primo delitto» e «senza violenza», come specifica il diarista, cioè con evidente consenso del partner. Considerando il particolare carattere del “crimine” (il «vizio nefando», come recitavano i verbali dei processi), all’esecuzione avvenuta a piazza del Popolo nell’aprile del 1707 ci fu «un innumerabile concorso di persone». Valesio 1978, III, p. 791 ss. In tema di “crimini sessuali”, anche le abitudini praticate all’interno del matrimonio, ma considerate “innaturali” o “improprie”, erano materia del Sant’Uffizio e punite con pene varie. Fosi 2007, p. 133 ss. 233 Ademollo 1881, p. 508 ss.; Fiorelli 1953-1954, I, p. 50, nota 24; Silvagni 1967, II, p. 81; Valesio 1978, V, p. 724. Nel trattato di Pompeo Serni era del resto raccomandato con chiarezza di usare ogni mezzo, dal primo incontro con i confratelli fino all’esecuzione della condanna. Paglia 1982, p. 77. 234 Ademollo 1881, p. 449 ss.; p. 484 ss. 235 è questo il caso dell’abate Filippo Rivarola, giustiziato nel 1708 per pasquinate, condotto al patibolo in barella e con le gambe in cancrena a causa della lunga tortura subita. Ademollo 1881, p. 458 ss.; Id. 1982, pp. 307, 323 ss.; Paglia 1980, p. 12 ss., Valesio 1978, IV, p. 128 ss.; Fiorelli 1953, I, p. 203, nota 72.   236 Una situazione del genere vede come protagonista un certo battista Fronzoni, impiccato a Ponte il 17 agosto del 1697, che fece letteralmente impazzire i confortatori 225 226

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resistendo per molto tempo a tutti i loro tentativi. Ademollo 1881, p. 449 ss.; Paglia 1982, p. 92.  237 In alcuni casi Ghezzi descrive la rabbia degli spettatori delusi che ingiuriano ripetutamente il condannato refrattario. 238 Nel periodo compreso nel diario Ghezzi il gesuita appare in tre diverse occasioni. Ademollo 1881, pp. 477, 484-486, 488-490. 239 Ademollo 1881, pp. 460, 475, 534. 240 Si tratta del già citato domenico Spallaccino, condannato dal tribunale dell’Inquisizione il 28 luglio del 1711. 241 Ademollo 1881, p. 457; Valesio 1977-1979, III, p. 751. 242 baracconi 1905, p. 229. Sulle categorie di coloro che non avevano diritto alla sepoltura religiosa (impenitenti, prostitute, eretici, suicidi) inumati in questo cimitero, vedi Menniti Ippolito 2015, p. 88 ss. Per i numerosi rinvenimenti di resti umani al Muro Torto al momento dell’apertura della strada moderna, vedi Tomassetti 19791980, III, p. 268 ss.  243 A proposito del dispetto manifestato dall’abate in circostanze del genere, dobbiamo ricordare che il pentimento del condannato, oltre che salvare la sua anima, comportava dei benefici di tipo spirituale (in sostanza dei crediti da utilizzare al momento del trapasso) anche per quelle di tutti i confortatori. 244 Ademollo 1881, p. 517 ss. Si tratta di uno degli ultimi episodi riportati nel diario, ed è da notare che è l’unico caso di condanna a morte di ebrei in tutto il periodo di attività del confortatore durato più di sessanta anni.  245 «Mentre si eseguiva una sentenza di morte [di ebrei] il Ghetto rimaneva chiuso, ed a nessuno era permesso di uscirne, e ciò per precauzione poiché il popolo, eccitato dalla vista del cruento spettacolo, avrebbe facilmente ecceduto contro gli ebrei per sfogare l’odio contro la razza». Natali 1887, p. 130. 246 Ghezzi specifica in proposito che le preghiere furono «diverse del solito, approvate tutte con il sistema da tenersi dall’eminentissimo Vicario» e anche il Rosario fu eseguito sottovoce.  247 Il tentativo di convertire i due viene fatto inizialmente dal Padre Predicatore degli ebrei, probabilmente lo stesso incaricato della cosiddetta “predica coatta”. Viene richiesta anche l’opera di un monsignore presso il quale aveva servito uno dei condannati e di alcuni ebrei convertiti (tre ex rabbini), i quali «con argomenti stringentissimi e con l’esempio di se medesimi» dovevano convincere «alla buona legge quelle anime perfide». Foà 1988, p. 295 ss. Per impedire che i condannati si turassero le orecchie per non ascoltare le pressanti argomentazioni dei confortatori, si era provveduto inoltre ad ammanettarli. Foà 1988, p. 301. 248 «…riserbandomi [narra il confortatore] a far questo [tirare fuori le tavole] una volta che Iddio avesse convertito gl’incredoli». Foà 1988, p. 295.  249 Anche il buon abate Ghezzi, che pure in più punti del suo diario manifesta sentimenti di pietà e comprensione, non rinuncia a dire in questo caso che «questi disgraziati non volsero mai convertirsi, con tutto che fossero stati adoprati tutti i mezzi possibili». e noi sappiamo quali!  250 Ademollo 1881, p. 518; Valesio 1977-1979, V, pp. 913-914. Per i cimiteri ebraici di Roma, vedi Milano 1964, p. 259 ss.; Gnoli 1984, p. 195.

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Note Parigi

Mercier 1990, p. 72 ss. Il quartiere, considerato fuori mano in questo periodo, costituiva il cuore del movimento giansenista. barbier 1847-1856, I, p. 386.  2 Gouzi 2005, p. 29.   3 L’olandese Cornelius Jansen (1585-1638), detto Giansenio, è l’iniziatore del movimento religioso giansenista. Professore a Lovanio e vescovo di Ypres, è uno dei maggiori protagonisti del dibattito teologico che nel XVII secolo si svolge attorno al problema della “grazia” in funzione della salvezza eterna. 4 Tra i vari aspetti del loro pensiero improntato al rigorismo morale e al desiderio di tornare alle forme del cristianesimo primitivo, i giansenisti ponevano dei limiti all’assoluzione dei peccati e al libero arbitrio dell’uomo, negando inoltre che l’azione salvifica di dio potesse riguardare tutta l’umanità. 5 A partire dal 1626 il monastero avrà una sua sede anche a Parigi nel Faubourg SaintJacques. 6 Cottret 1979, p. 159; Van Kley 2002, p. 119 ss. 7 L’opera definitiva in quattro volumi viene pubblicata nel 1693. 8 In riferimento alle tendenze gallicane che si riaccendono in questo periodo, un cardinale della Curia romana aveva commentato: «Quando Cristo ha affidato il suo gregge a S. Pietro non ha certamente aggiunto: fatta eccezione dei Francesi». Pastor 1950-1965, XV, p. 192. 9 Van Kley 2002, p. 121. L’8 marzo del 1718 a Roma viene affisso un decreto del S. Uffizio che condanna l’appello dei quattro vescovi francesi. Pastor 1950-1965, XV, 222. 10 Più di 300 preti subiranno l’interdetto emanato dall’arcivescovo. Maire 1985, p. 54.    11 Sulle rigoristiche posizioni religiose di Pâris, vedi Maire 1998, p. 245 ss. 12 Mousset 1953, p. 38; Gouzi 2005, p. 36. 13 Mousset 1953, p. 36; Lyon-Caen 2010, p. 111. 14 In questa parte del quartiere Saint-Marcel, già dal 1725 una piccola comunità di ferventi giansenisti si era raccolta attorno al diacono. Maire 1998, p. 247. 15 Maire 1998, p. 248; Mousset 1953, p. 37. Prescindendo da alcuni particolari eccessi, la vita di Pâris non doveva poi essere comunque molto diversa da quella dei più poveri della zona. Maire 1985, p. 78. 16 Mousset 1953, p. 49. 17 Si trattava di una lunghissima iscrizione di circa 60 righe che magnificava le doti del diacono. Mousset 1953, p. 41. 18 Van Kley 2002, p. 155. Particolarmente richiesti i frammenti di legno del letto di morte che verranno spesso incastonati in anelli e in croci d’argento. Mousset 1953, p. 110. Anche la terra del cimitero, ritenuta miracolosa, sarà usata in seguito come unguento da spalmare sulle piaghe, per preparare pozioni o ingerita mescolandola al cibo, tanto che qualcuno finirà per lasciarci la pelle. Maire 1985, p. 68. 1

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19 Lyon-Caen 2010, p.117 ss. Le autorità metteranno in seguito dei gendarmi alla porta della casa per impedire l’ingresso ai fedeli. 20 Petitfils 2016a, p. 199 ss. Nonostante le assidue ricerche della polizia, il giornale, vietato dall’arcivescovo di Parigi nel 1732, continuerà ad apparire fino al 1803, seguendo alcuni momenti di ripresa del giansenismo francese e diffondendo l’ostilità contro i gesuiti, decisi avversari dei giansenisti. dulaure 1821-1822, V, p. 137 ss.; Maire 1985, p. 51. 21 Maire 1985, p. 50; Id. 1998, p. 253; Lyon-Caen 2010, p. 122 ss.; Cottret 2019, p. 159. 22 Maire 1998, p. 250 ss. 23 Anche in punto di morte Pâris aveva riaffermato per iscritto la sua opposizione alla bolla papale. Maire 1998, p. 249. 24 Petitfils 2016a, p. 217. Una proposta di canonizzazione era stata fatta dal fratello membro del Parlamento di Parigi. Lyon-Caen 2010, p. 101. 25 Nei primi mesi dell’anno erano apparse diverse biografie del diacono, che avevano contribuito allo sviluppo del suo culto e alle visite alla tomba. Suire 2011, p. 136. 26 barbier 1847-1856, I, p. 367; Suire 2011, p. 134; Van Kley 2002, pp. 155, 156; Maire 1985, pp. 107-108. dopo ogni visita al sepolcro l’abate misurava la gamba più corta stabilendo che era cresciuta di qualche millimetro, ma che per raggiungere la misura dovuta sarebbero stati necessari circa 104 anni! dulaure 1821-1822, V, p. 123. 27 dai registri degli internati alla bastiglia in questo periodo emergono numerosi nomi di convulsionari pagati per esibirsi, nonché di “insegnanti” che davano “lezioni” di convulsioni. dulaure 1821-1822, V, p. 140 ss. Molti dei convulsionari che avevano finto le guarigioni, saranno poi arrestati e condotti in carcere a partire dal 1732. Quétel 1989, p. 143. 28 è da notare che dopo i prolungati e ripetuti digiuni, talvolta lo stesso Pâris veniva colto in vita da convulsioni che sembravano preannunciare ciò che avverrà in seguito ai suoi fedeli. Knox 1970, pp. 509-510; Maire 1998, p. 246. 29 barbier 1847-1856, I, p. 386. 30 In qualche caso c’è il fondato sospetto che i movimenti spasmodici fossero provocati da questi aiutanti non del tutto disinteressati. Mousset 1953, p. 51. 31 Sembra che il fenomeno riguardasse principalmente donne e fanciulle scarsamente istruite. Knox 1970, p. 517. 32 Mousset 1953, p. 59.   33 Mousset 1953, p. 55; Maire 1985, p. 106. 34 barbier 1847-1856, I, p. 355; Maire 1985, p. 75 ss.  35 Knox 1970, p. 512. 36 In quest’anno viene pubblicato il resoconto del primo miracolo di Pâris. Maire 1985, p. 24. 37 Mousset 1953, pp. 57, 62. 38 Molte persone passavano l’intera giornata nelle gallerie. Il prezzo per le sedie era di sei soldi. Maire 1998, p. 257. 39 Gouzi 2005, p. 29. La stessa professione di fede giansenista fatta da Pâris in punto di morte faceva ovviamente attribuire i miracoli alla setta. Knox 1970, p. 509.

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Maire 1985, p. 15. Negativi ovviamente anche i giudizi dei philosophes, che vanno dall’incredulità di d’Alembert e diderot (quest’ultimo abitava in rue Saint-Victor, non lontano dal cimitero) alla condanna netta di Voltaire, che affronta l’argomento nel suo Dizionario filosofico. Maire 1985, p. 19 ss. da notare invece che Armand Arouet, fratello maggiore di Voltaire, era giansenista e fervente devoto del diacono Pâris. Van Kley 2002, p. 157. 41 «Il re ha vietato al Padre Nostro, di far miracoli in questo posto». è da notare che nella versione francese il testo del cartello iniziava con la formula “de par le roi...” utilizzata nelle famigerate lettres de cachet, con le quali il re ordinava le reclusioni alla bastiglia. 42 Nel loro fervore di neofiti giungono perfino a celebrare un nuovo battesimo e ad assumere nuovi nomi. 43 Mousset 1953, p. 101. Verso la metà del secolo si calcola che i convulsionari, tra attori e spettatori, dovevano essere a Parigi fra i tre e i quattromila. Vengono segnalati casi anche in alcuni conventi di monache. Maire 1985, pp. 130-131. 44 La partecipazione alle riunioni segrete avveniva tramite conoscenze e mediante l’utilizzo di segni di riconoscimento. Gli organizzatori e gli attori degli spettacoli assumevano a loro volta pseudonimi o “nomi di battaglia”, tratti in genere dalle Sacre Scritture. Mousset 1953, p. 119; Cottret 1979, p. 165; Maire 1985, p. 143. 45 Alcuni convulsionari improvvisano recite imitando Pâris nelle sue attività quotidiane, come quando era impegnato a lavorare come tessitore di calze o quando impartiva nozioni di catechismo ai parrocchiani. 46 Commentando la lenta ma stupefacente evoluzione dei convulsionari, Albert Mousset, uno degli storici del movimento, osserverà che «…ai miracoli senza convulsioni, erano succeduti dei miracoli accompagnati da convulsioni, poi delle convulsioni senza più miracoli». Mousset 1953, p. 117.   47 Knox 1970, p. 517-518. Le riunioni si svolgono in genere attorno ad un “eletto”, che dovrebbe svolgere il ruolo di medium. In molti casi è ricordata la presenza di ecclesiastici alle sedute. Mousset 1953, p. 120; Lyon-Caen 2010, p. 106. 48 Knox 1970, p. 516. 49 Nel corso delle loro crisi convulsive alcuni soggetti riescono a parlare ininterrottamente per moltissime ore. 50 Mousset 1953, p. 97. 51 Maire 1985, p. 56; Mousset 1953, p. 152. 52 Maire 1985, p. 119. 53 Nelle riunioni predominano le donne convulsionarie che in varie situazioni sembrano svolgere ruoli di iniziate o pseudo-sacerdotesse, tanto da giustificare l’affermazione  che  «la  société  convulsionnaire  est  une  société  inversée  où  domine  la femme» (“la società convulsionaria è una società capovolta nella quale domina la donna”). Cottret 1979, p. 168. Sulla prevalente adesione delle donne al movimento convulsionario da interpretare come una sorta di rivalsa sociale, specialmente per quelle di modesta origine che rappresentano la quasi totalità, vedi Cottret 2019, p. 57 ss. 54 Cottret 2019, p. 55 ss. La stessa resistenza al dolore fisico veniva considerata come il segno della presenza certa dello spirito divino. Mousset 1953, p. 135. 40

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55 Sarà quella delle spade una delle pratiche che, secondo Carré de Montgeron, l’entusiasta biografo ed apologeta dei convulsionari, dimostrava con certezza il carattere soprannaturale dei fenomeni. Cottret 2019, p. 90 ss. 56 Una tenuta da palestra, la definisce Knox. Cottret 1979, pp. 167-68; Mousset 1953 p. 136; Knox 1970, pp. 517, 522. 57 Abbiamo visto che già nel cimitero erano avvenute spesso scene indecenti con giovani donne che si denudavano in preda alle convulsioni. Mousset 1953, p. 55. 58 dal 1732 al 1760 circa 250 convulsionari, in maggioranza donne, vengono arrestati. La maggior parte viene liberata dopo poco tempo. Soltanto una dozzina dei più accaniti è trattenuta per alcuni anni. Una certa denise Régnier resterà in carcere per 23 anni ostinandosi a non ritrattare e ripetendo le crisi convulsive all’interno della sua cella. Cottret 2019, p. 56. 59 Mousset 1953, pp. 97, 99. 60 Cottret 1979, p. 168 61 Maire 1985, p. 162.   62 «Mercoledi 25 febraro 1739, avanti la porta minore della Minerva [la chiesa dell’Inquisizione presso il Pantheon] il bargello diede nelle mani del maestro di giustizia due libri, il quale salito sul palco li bruciò. Uno di essi, nobilmente legato, conteneva i Falsi miracoli del Pâris parigino morto appellante». Valesio 1979, VI, p. 208. 63 Mousset 1953, p. 132; Maire 1985, p. 145 ss.  64 Knox 1970, p. 521; Maire 1985, p. 146. 65 Maire 1985, p. 147. 66 Vi sarà un piccola ripresa del movimento sotto il Consolato e nei primi anni dell’Ottocento. dulaure 1821-1822, V, p. 128; Maire 1985, p. 235. 67 Anche in questo caso, come in tutte le profanazioni di tombe più o meno famose, il parroco della chiesa e l’architetto che aveva diretto i lavori sarebbero morti pochi anni dopo. Mousset 1953, p. 79. 68 Mousset 1953, pp. 78-79. 69 Mousset 1953, p. 36, nota 1.  70 L’episodio, mai accertato realmente e negato dallo stesso curato, sembra nascere dalle voci raccolte in quel periodo tra i parrocchiani che avevano saputo di scavi clandestini eseguiti nell’area del vecchio cimitero. 71 Il censimento del 1791 dava un numero di 5.988 abitanti. Hacquemand, de Peretti 1988, p. 188. 72 Assoun 2015. 73 boucard 2013, p. 686 ss. 74 Mercier 1782-1783, VI, p. 139 ss.; billard 1907, p. 15. 75 è il termine con il quale viene indicato generalmente il periodo compreso tra il settembre del 1793 e il luglio del 1794, dominato dal Comitato di Salute Pubblica e caratterizzato da lotte politiche, dure repressioni e infinite condanne a morte. 76 Hacquemand, de Peretti 1988, p. 181. 77 Hacquemand, de Peretti 1988, p. 186 ss. 78 La quantità di pubblicazioni sull’episodio di Varennes (memorie, articoli, saggi) è ovviamente enorme. Tra gli studi più recenti e facilmente reperibili si segnalano i testi della francese Mona Ozouf e dell’americano Timothy Tackett, quest’ultimo tradotto in italiano.

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è il palazzo dove risiedeva la famiglia reale dopo avere lasciato Versailles. Seppellito inizialmente assieme a Maria Antonietta nel cimitero de La Madeleine dove sorge attualmente la Chapelle expiatoire, nel 1815 Luigi XVIII farà portare i suoi resti e quelli della regina a Saint-denis. 81 era il castello medievale che sorgeva sulla riva destra nel 3° Arrondissement, costruito dall’ordine dei Templari nel 1212, utilizzato poi come prigione e demolito a partire dall’inizio del XIX secolo. 82 Le Gall 2007, p. 476; Cornette 2010, p. 231. 83 Sédillot 1987. 84 Sulla distruzione della bastiglia il 14 luglio 1790, e sul commercio dei materiali, intesi come cimeli storici, organizzato dall’appaltatore Pierre-François Palloy, vedi Lemoine 1930. 85 Una delle tante preoccupazioni dei rivoluzionari sarà quella dei nomi del decaduto regime. Ispirandosi ad un poema di P. Ronsard la città di Saint-denis verrà ribattezzata “Franciade” nell’ottobre del 1793. Cornette 2010, p. 247; Assoun 2015, p. 165.  86 «Tandis que nous sommes en train d’effacer tous les vestiges de la royauté, comment se fait-il que la cendre impure de nos rois repose encore intacte dans les caveaux de Saint-denis?» (“Mentre siamo in procinto di cancellare tutte le tracce della monarchia, come è possibile che le ceneri impure dei nostri re riposino ancora intatte nelle cripte di Saint-denis?”). 87 «Purgeons le sol des patriotes, par des rois encore infecté…» (“Purghiamo la terra dei patrioti, ancora infettata dai re…”). Réau 1959, I, p. 226; Le Gall 2007, p. 477; Assoun 2015, p. 38. 88 La proposta del Comitato di Salute Pubblica viene presentata alla Convenzione Nazionale da bertrand barère de Vieuzac, già deputato agli Stati Generali e presidente dell’assemblea nel processo a Luigi XVI. Conte 1966, pp. 145, 362; Carantini 1988, pp. 63-64; Le Gall 2007, p. 476; Cornette 2010, p. 237 ss.; Assoun 2015, p. 39. 89 «…ces monarques orgueilleux qui, du fond de leur tombe, semblent encore braver les lois de l’égalité» (“questi re orgogliosi che dal fondo delle loro tombe, sembrano ancora sfidare le leggi dell’uguaglianza”) (Roland).  90 Sulle requisizioni dei metalli (campane, cancellate, monumenti ecc.) eseguite nelle altre chiese del paese, vedi Sédillot 1987, p. 131. Sulle distruzioni in generale operate durante la Rivoluzione francese, vedi Réau 1959, I, p. 187 ss. 91 In Francia la pratica di utilizzare il piombo come materiale distintivo per i feretri dei re sembra iniziare con il seppellimento di Carlo VI nel 1422. Cornette 2010, p. 170.  92 billard 1907, pp. 35, 55. Le spoliazioni a Saint-denis avrebbero consentito il recupero di circa 9 tonnellate di piombo. Per i rivoluzionari le pallottole ottenute col piombo delle bare dei re (balles patriotes) da usare contro gli eserciti che volevano ripristinare la monarchia, acquistavano un evidente significato simbolico. Cornette 2010, p. 249; Gabet, Charlier 2013, p. 96; Assoun 2015, p.78. 93 Cornette 2010, p. 236 ss. 94 Le Gall 2007, p. 476; Cornette 2010, p. 236 ss.   95 decisiva, sotto questo aspetto, l’azione del benedettino Germain Poirier, che presiedeva la Commissione dei Monumenti e soprattutto quella del Conservatore Ale79 80

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xandre Lenoir, a cui si deve il Museo dei Monumenti Francesi, chiuso nel 1816, che contribuirà a salvare e raccogliere numerose opere. billard 1907, p. 37; Réau 1959, I, p. 390 ss.; Le Gall 2007, p. 476 ss.; Cornette 2010, p. 240 ss.; Assoun 2015, p. 46 ss.  96 Alla fine le distruzioni riguarderanno 157 tombe, appartenenti a 42 re, 32 regine, 63 principi e principesse, 10 grandi di Francia (di questi più di 70 sepolti in tombe monumentali) ed altri personaggi di corte, per un totale di 170 riesumati. I corpi di alcuni sovrani non saranno comunque trovati. Gabet, Charlier 2013, p.13; Assoun 2015, p. 54. 97 Il rapporto sulle esumazioni, rimasto manoscritto, fu pubblicato soltanto nel 1825. Per il testo completo, vedi boureau 1988, pp. 71-91.  98 boureau 1988, p. 77 ss. 99 Sul “culto” prestato alla salma di enrico IV al momento dell’esumazione, vedi Le Gall 2007, p. 426. Ciò non impedirà comunque l’abbattimento della statua equestre del re negli stessi giorni a Parigi. Cabanès, Nass 1906, p. 227 ss. 100 Le salme dei borbone erano in una cripta sotto la chiesa con i feretri poggiati su cavalletti di ferro. billard 1907, pp. 16, 42 ss.; Le Gall 2007, p. 436 ss. 101 L’ultimo personaggio sepolto a Saint-denis era il delfino figlio di Luigi XVI, morto il 4 giugno 1789. billard 1907, p. 16.  102 d’Heylli 1872, p. 90. Il corpo era ancora in buone condizioni e l’acqua era dovuta alla dissoluzione del sale marino del quale era stato cosparso. 103 billard 1907, p. 54; Assoun 2015, p. 12.   104 Gabet, Charlier 2013, p. 99. 105 Le Gall 2007, p. 479. 106 Cornette 2010, p. 254. 107 Assoun 2015, p. 72. 108 Le Gall 2007, p. 479; Cornette 2010, p. 253; Assoun 2015, p. 64 ss. 109 In seguito il corpo del Maresciallo di Francia Turenne fu trasportato a Parigi al Gabinetto di Storia Naturale, dove fu esposto per molto tempo. Nel 1800 fu infine trasferito a Les Invalides. Cabanès, Nass 1906, p. 225; billard 1907, p. 82. 110 Cornette 2010, p. 250. 111 Questa interpretazione era del resto suffragata dagli eruditi del tempo (Sauval, Thiéry) che in tal modo li definivano anche in alcune guide della città. Réau 1959, I, p. 229 ss. 112 Réau 1959, p. 229 ss. 113 Matteo, I, 1.16. 114 dansel 2002, p. 202. 115 dansel 2002, p. 206; Thomas G. 2015, p. 112; Id. 2016, p. 58 ss. 116 Thomas G. 2016, p. 58. 117 Tra i nomi più famosi spiccano quelli di Charles baudelaire e Guy de Maupassant. 118 de Condat-Rabourdin 2013, p. 22. 119 Le cronache del tempo parlano di un giovane biondo con occhi azzurro-chiari, piccoli baffi tagliati con cura ed aspetto sostanzialmente piacente. Féray 2014, p. 2. 

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dansel 1991, p. 49 ss., p. 54. Ancora nel 1886, nella prima edizione della sua Psycopathia Sexualis, Krafftebing scriveva che casi come quello del sergente bertrand «…non sono stati ancora studiati e descritti a fondo». Krafft-ebing 1957, p. 162. 122 O nel mese di gennaio, secondo altre versioni. 123 Anche le altre violazioni, prima di Parigi, avverranno nei cimiteri dei luoghi dove era dislocato il battaglione di bertrand. de Condat-Rabourdin 2013, p. 34.  124 Krafft-ebing 1957, p. 165; dansel 1991, p. 123 ss. 125 è da notare infatti che vi saranno numerose discrepanze tra le confessioni al medico curante e le ammissioni fatte in sede processuale, cioè quando bertrand doveva ovviamente mantenere una qualche linea difensiva. 126 In occasione di una delle visite notturne al Père-Lachaise bertrand si addormenta all’interno di una fossa, dove si era forse momentaneamente rifugiato per nascondersi. Con i guardiani che lo trovano durante l’ispezione mattutina, si giustifica raccontando di una sua ubriacatura della sera precedente e di un’improbabile mancato appuntamento  con  una  donna  all’interno  del  cimitero:  «Je  suis  venu  à  un  rendez-vous d’amour. J’attendais une femme et le sommeil m’a surpris dans ce tombeau où je m’étais caché». Mariel 1985, p. 310; Fremder, Guanti 1989, p. 94; dansel 1991, p. 125. 127 Féray 2014, p. 2. 128 In assenza di una terminologia scientifica che potesse definire la patologia di bertrand, si fece ricorso a un’espressione attinta da leggende dell’europa nord-orientale e dalla letteratura gotica. Soltanto nel 1852 l’alienista belga J. Guislain userà per la prima volta il termine di “necrofilo” che a partire dal 1901 entrerà ufficialmente nei trattati di medicina. dansel 1991, p. 153; de Condat-Rabourdin 2013, p. 20; Malivin 2016, p. 14.  129 dansel 1991, p. 137. In seguito all’iniziale e inappropriata accusa di “vampirismo” fatta al sergente, il dottor C.F. Michéa, convinto assertore della pazzia di bertrand, scriverà poi in modo ironico: «dans la folie de bertrand on remarque le vampirisme retourné: au lieu d’un décédé qui inquiète le sommeil des vivants, c’est un vivant qui trouble la paix des décédés» (“Nella follia di bertrand notiamo il vampirismo invertito: al posto di un defunto che minaccia il sonno dei vivi è un vivente che disturba la pace dei defunti”). 130 Al processo confesserà di avere riesumato fino a quindici corpi in una notte. Mariel 1985, p. 312; dansel 1991, p. 114; Lesbros 2008, p. 273. 131 de Condat-Rabourdin 2013, pp. 20, 36 ss., 46. Contrariamente a quanto aveva confessato in precedenza al dottor Marchal de Calvi, al processo bertrand tenderà a negare quest’ultimo aspetto delle sue azioni. 132 Al processo bertrand tenterà di dimostrare che la pulsione distruttiva era in lui prevalente rispetto a quella erotica, comprendendo come questo secondo aspetto potesse apparire di ben maggiore gravità in base al sentire comune.  133 dansel 1991, p. 126; Lesbros 2008, p. 269 134 era questa un’espressione già utilizzata nei giornali di cinquanta anni prima (dicembre del 1800), in occasione di un attentato contro Napoleone bonaparte eseguito con un carretto carico di esplosivo. 120

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135 Questo singolare tipo di arma, i cui effetti dovevano essere certamente devastanti e che deve aver colpito la fantasia popolare, viene descritto con dovizia di particolari da quasi tutti coloro che si sono occupati del caso bertrand. Mariel 1985, p. 311; Fremder, Guanti 1989, p. 95; dansel 1991, pp. 23 ss., 65, 71, 127; Lesbros 2008, p. 269; de Condat-Rabourdin 2013, p. 25; Féray 2014, p. 2.  136 Il sergente era stato raggiunto da ventotto proiettili, cinque dei quali erano penetrati profondamente nel fianco destro. dansel 1991, pp. 28, 66 ss.; Féray 2014, p. 2. 137 Ancora ottanta anni dopo, nel 1930, un bello spirito di dottoressa, Marie bonaparte, discendente di Napoleone I, pensando forse a de Sade e confondendo le creazioni letterarie di un grande scrittore con le azioni del sergente, scriverà su una rivista scientifica che «bertrand, en un mot, faisait en grand ce que edgar Allan Poe – l’inhibé – se contentait de rêver» (“bertrand, in una parola, faceva in grande ciò che e.A. Poe – l’inibito – si contentava di sognare”). dansel 1991, p. 207. 138 dansel 1991, p. 55; Féray 2014, p. 2; Malivin 2016, p. 13. 139 dansel 1991, p. 130 s. 140 de Condat-Rabourdin 2013, p. 20. 141 è da notare inoltre che prescindendo dalle sue azioni necrofile, bertrand non si era mai reso colpevole di danni o violenze a persone viventi, né si era mai impossessato di oggetti di valore rinvenuti nelle tombe. dansel 1991, pp. 128, 205.   142 ed è proprio a causa di queste minuziose descrizioni che al processo assisteranno numerosissime persone desiderose di sensazioni forti. 143 Féray 2014, p. 2. 144 è evidente che, considerando le leggi del tempo su questa materia, bertrand aveva tutto l’interesse che il suo caso rientrasse nel solo ambito penale. de Condat-Rabourdin 2013, p. 34; Féray 2014, p. 3. 145 de Condat-Rabourdin 2013, p. 51 ss.  146 In sostanza il crimine di bertrand viene equiparato all’apertura di una tomba per rubare oggetti di valore o alla distruzione di una lapide per disprezzo o odio verso un defunto. Malivin 2016, p. 9. 147 Il matrimonio di bertrand viene celebrato il 28 maggio 1856 (dansel 1991, p. 220) ed è curioso, considerando la grande risonanza data dalla stampa al caso del “vampiro” e al processo avvenuto solo sette anni prima, come la sposa (una certa euphrosine delaunay) sembra non avere avuto alcun dubbio sulla sua scelta. 148 dansel 1991, pp. 214, 219; de Condat-Rabourdin 2013, p. 22 ss. 149 Cabanès 1903-1907, I, p. 265. 150 Lenotre 1950, p. 42 ss. 151 Pirot 1883, I, p. 18; Funck-brentano 1899, p. 4; Quétel 1989, p. 98; Id. 2015, p. 46; Petitfils 2014, p. 32. Madame de Sévigné, sua contemporanea e alla quale dobbiamo preziose informazioni sulla marchesa, scrive che a sette anni la brinvilliers «…avait cessé d’être fille» (“non era più vergine”). 152 Il fidanzamento e il futuro matrimonio con A. Gobelin de brinvilliers sarebbe stato deciso dal padre – oltre che per motivi di ordine sociale – anche per distogliere definitivamente Madeleine dal rapporto col fratello. Huas 2004, p. 53. 153 Funck-brentano 1899, p. 13; Quétel 2015, p. 16; Petitfils 2014, p. 32. Tra i vari amanti ci saranno anche due suoi cugini (da uno dei quali avrà un bambino) e il gio-

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vane precettore dei propri figli, J.b. briancourt, che tenterà in seguito di uccidere e che si salverà con la fuga 154 era questo uno degli aspetti più singolari (nonché odiosi) del sistema penale dell’Ancien régime. Si trattava di ordini di arresto e incarcerazione temporanea e senza mandato giudiziario che, nel caso di persone di rango, potevano essere richiesti dagli stessi parenti dell’arrestato allo scopo di frenarne la cattiva condotta lesiva per l’onore della famiglia. Petitfils 2016b, p. 77 ss. 155 Petitfils 2016b, p. 89 ss. A proposito dell’iniziazione di Sante-Croix ai veleni da parte di exili – come afferma tra i primi Voltaire che fa addirittura dell’italiano il principale responsabile del successivo Affaire des poisons – sappiamo invece che l’uso del veleno era ovviamente già da molto tempo diffuso in Francia. Voltaire 1885, p. 319 ss.; Funck-brentano 1899, p. 9; Quétel 1989, p. 98 ss.   156 Chrisophe Glaser aveva un laboratorio di alchimista nell’attuale rue Saint-Sulpice sulla riva sinistra della Senna, nel quale, oltre alla trasmutazione dei metalli (pietra filosofale) lavorava alla preparazione di veleni. Petitfils 2014, p. 34 ss. 157 “elisir di eredità” e “Polvere di successione”, così venivano chiamate in questo periodo le misture venefiche utilizzate per eliminare un ricco congiunto. 158 Pirot 1883, I, p. 6; Funck-brentano 1899, p. 11; Petitfils 2014, p. 36. Anche se somministrato in dosi minime e soltanto fino all’apparire dei primi sintomi, i danni che il veleno provocava all’organismo potevano essere permanenti o durare a lungo, come nel caso di una cameriera della marchesa, certa Françoise Rouselle, che rimase inferma per quasi tre anni. 159 Funck-brentano 1899, p. 10; Quétel 2015, p. 24. 160 Negata senza motivo da Voltaire (1885, p. 320) la frequentazione dell’ospedale da parte della marchesa è affermata invece da La Reynie, capo della polizia di Parigi, dal memorialista contemporaneo Primi Visconti ed accettata da quasi tutti coloro che si sono occupati del caso. dulaure 1821-1822, V, p. 26; Michelet 1860, p. 549; Clément 1866, p. 96; Pirot 1883, I, p. 6; Funck-brentano 1899, p. 11; Petitfils 2014, p. 36; Primi Visconti 2015, p. 228. è del tutto improbabile invece che la marchesa abbia frequentato l’ospedale semplicemente per doveri legati al proprio censo, come proposto da alcuni. Huas 2004, p. 104. 161 «Aller à l’hôpital était synonyme d’aller à la mort» (“Andare all’ospedale equivaleva ad andare a morire”), recitava un vecchio adagio francese. Ancora più di cento anni dopo la brinvilliers, Mercier scriveva che all’Hôtel-dieu si moriva tra l’indifferenza generale e dove «une simple indisposition se convertirà en un mal cruel» (“una semplice indisposizione si trasformerà in un male grave”). Mercier 1782-1783, III, p. 227. 162 Le misture della marchesa contenenti arsenico a piccole dosi non causavano la morte immediata della vittima, ma un graduale deperimento che si protraeva a volte per mesi e veniva considerato come una malattia letale ma sconosciuta. Soltanto a partire dal 1840 (caso di Marie Lafarge) i medici tossicologi saranno in grado di individuare la presenza del veleno nel corso delle autopsie. Petitfils 2014, pp. 22, 35. La vendita dell’arsenico in Francia sarà regolamentata soltanto nel 1682, quando l’Affaire des poisons aveva ormai fatto numerosissime vittime. Huas 2004, p. 93, nota 1.

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163 Lenotre 1950, p. 35 ss.; Huas 2004, p. 108. I medici curanti del Consigliere attribuiranno poi il decesso ad un grave attacco di gotta!  164 Huas 2004, p. 112; Petitfils 2014, p. 36. 165 Funck-brentano 1899, p. 28; Petitfils 2014, p. 37. Sembra comunque che dalla brutta avventura Gobelin avesse riportato una grave infermità alle gambe. In seguito porterà sempre con se un antidoto, cosa che del resto sembra facessero tutti quelli che frequentavano la brinvilliers. 166 Per la collaborazione fornita da Sainte-Croix la marchesa si impegna, con due cambiali, a versare all’amante una cospicua somma una volta entrata in possesso del patrimonio di famiglia. 167 In seguito briancourt si allontanerà per non essere eliminato a sua volta e fornirà una decisiva testimonianza al processo contro la brinvilliers. 168 Funck-brentano 1899, p. 21. Il nuovo progetto presentava però notevoli difficoltà, perché la vedova di Antoine si teneva ormai alla larga dalla marchesa, mentre la sorella Thérèse che si era fatta suora, era difficilmente raggiungibile all’interno del convento.  169 Un’ipotesi formulata in passato ma smentita dagli storici moderni, vorrebbe che Sainte-Croix sia morto intossicato per la rottura di una maschera che egli indossava nel corso dei suoi esperimenti coi veleni.  170 Su una presunta conversione della marchesa soltanto in punto di morte vedi bluche 2012, p. 402. 171 è da ricordare comunque che in questo periodo la sodomia, sia attiva che passiva, era considerata un reato punibile con la morte. Lely 1968, p. 94. Il testo della confessione, apparentemente completo, è riportato da Huas 2004, pp. 206-207. Nel corso del processo, che la brinvilliers affronterà con atteggiamento freddo ed altero, la marchesa sconfesserà poi il suo scritto e affermerà di averlo redatto in un momento di scarsa lucidità mentale. 172 Nelle ultime ore la marchesa è assistita dal teologo della Sorbona edme Pirot, autore di un testo ricco di preziose notizie seppure di infinita prolissità, che nel rifacimento successivo assumerà il carattere di dotta esercitazione sull’arte di confortare i condannati a morte. bastien 2006, p. 178.  173 Pirot 1883, II, p. 170. I miseri resti superstiti saranno poi raccolti come reliquie da molti, perché considerati come dei portafortuna. 174 «enfin c’en est fait, la brinvilliers est en l’air. Son pauvre petit corps a été jeté, après l’exécution, dans un fort grand feu, et les cendres au vent, de sorte que nous la respirerons,  et  par  la  communication  des  petits  esprits,  il  nous  prendra  quelque humeur empoisonnante dont nous serons tous étonnés».  175 Apollonj Ghetti 1964. 176 Si tratta del documento elaborato probabilmente nel secolo VIII (Constitutum Constantini) dalla Cancelleria pontificia che attribuiva la giurisdizione sulla parte occidentale dell’Impero romano a papa Silvestro e ai suoi successori, la cui falsità fu dimostrata da Lorenzo Valla nel 1440. 177 Fraschetti 2001, p. 36 ss.; Id. 2002, pp. 14-15.  178 Per spiegare la strana posizione di Costantino che nell’affresco appare quasi incastrato nel fonte battesimale, è da ricordare che, a differenza dell’uso attuale, in origine il battesimo si praticava immergendo il neofita in una vasca. 

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erodoto, Le storie, IV, 70. Sallustio, Catilinaria, 22. 181 è l’episodio in cui si narra del ringiovanimento di esone ad opera di Medea. Ovidio, Metamorfosi, VII, 285 ss. 182 Tertulliano, Apologia del cristianesimo, IX, 10. 183 Camporesi 1997, p. 32. 184 Per prevenire e ritardare il deperimento dell’età senile, nel XV secolo Marsilio Ficino consigliava di bere sangue prelevato da fanciulli. Ancora nel XVII secolo l’assunzione  di  sangue  umano  era  considerata  una  cura  efficace  contro  la  peste  dal medico Giovanni Antonio Vignati. Camporesi 1980, pp. 31-32 e nota 12. 185 La leggenda, forse ispirata alla strage degli innocenti (Matteo 2, 16) è contenuta in un testo liturgico ebraico (Haggadah) che tratta dell’esodo degli ebrei dall’egitto. Toaff 2007, p. 153 ss. 186 Toaff 2007, p. 93 ss. Sulla leggenda degli omicidi rituali degli ebrei, largamente diffusa in ambito cristiano e accreditata per lungo tempo dalla stessa Chiesa, vedi Kertzer 2001, p. 163 ss.; Caffiero 2003, p. 25 ss.; Crepaldi 2003, p. 61 ss. 187 Michelet 1870, VIII, p. 356. 188 Jouanna 2007, p. 166. 189 Farge, Revel 1988, p. 117. 190 Sembra che in alcuni paesi le autorità permettessero la raccolta del sangue dei decapitati da far bere agli infermi. bastien 2011, pp. 137, 138, nota 112. 191 Petitfils 2016a, p. 508. 192 Infessura 1890, p. 276. Su questo episodio vi è comunque tutto lo scetticismo di Gregorovius, che nella sua Storia di Roma nel Medioevo dichiara di non prestare eccessiva fiducia al racconto. Gregorovius 1900-1901, IV, p. 19. 193 Romano 1941, p. 54. 194 Stime attendibili riportano il numero di circa 9.000 vagabondi e mendicanti per il 1702 e di 15.000 per il 1750. Farge, Revel 1988, p. 36. 195 Farge, Revel 1988, pp. 39, 40; Petitfils 2016a, p. 506. Per contenere il fenomeno dell’accattonaggio in costante aumento, già nell’aprile del 1656 Luigi XIV aveva fondato l’Hôpital Général, non una istituzione sanitaria vera e propria come suggerirebbe il nome, ma un luogo di internamento per mendicanti e vagabondi, cioè una via di mezzo tra l’ospizio e il carcere. Nel 1662 il re aveva poi emanato un editto per l’istituzione di centri analoghi in ogni provincia e diocesi della Francia. Sigaut 2008, p. 11; Fatica 1979, p. 144. 196 Farge, Revel 1988, p. 37.  197 d’Argenson 1859-1867, VI, p. 80; Sigaut 2008, pp. 73, 74, 77, 81; Gueullette 2010, p. 137 ss. 198 Romon 1983, p. 65; Sigaut 2008, pp. 72, 73. Sembra che nel corso dei prelevamenti del 1750 fosse stata arrestata anche la figlia di damiens, il personaggio che dopo sette anni compirà l’attentato contro il re. Chevallier 1989, p. 344. 199 barbier 1847-1856, III, p. 129 ss.; d’Argenson 1864, VI, p. 203 ss.; Gueullette 2010, p. 140 ; Farge 2016, p. 69 ss. 200 La stessa favorita del re, madame Pompadour – particolarmente malvista dai parigini – che si trovava casualmente in città nei giorni dei tumulti, aveva rischiato di 179 180

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essere aggredita dai rivoltosi. d’Argenson 1864, VI, p. 212; Michelet 1870, XVIII, p. 261. 201 barbier 1847-1856, III, p. 132; Herlaut 1922, p. 53; Sigaut 2008, pp. 15, 16; Gueullette 2010, p. 139. è da sottolineare, al riguardo, che per non essere riconosciuti gli agenti agivano spesso in borghese.  202 Il riferimento è alla marcia dei parigini del 5-6 ottobre 1789 su Versailles che costringerà Luigi XVI a stabilirsi a Parigi. 203 d’Argenson 1864, VI, p. 213; Michelet 1870, XVIII, p. 261; Romon 1983, p. 67.  204 Il processo, tenuto a Parigi tra luglio e agosto del 1750, vedeva imputati numerosi cittadini e anche alcuni gendarmi colpevoli di avere agito in modo indebito. Mentre tre rivoltosi saranno condannati a morte, sei agenti verranno puniti solo con modeste pene pecuniarie. barbier 1847-1856, III, p. 153 ss.; d’Argenson 1864, VI, p. 239 ss.; Herlaut 1922, p. 210 ss.; Romon 1988, p. 77; Sigaut 2008, p. 131; Petitfils 2016a, p. 508. 205 Alle guardie spettava un premio in denaro per ogni arrestato e nel caso di bambini l’operazione era ovviamente facilitata. 206 Herlaut 1922, pp. 204, 205; Farge, Revel 1988, p. 45.  207 Herlaut 1922, pp. 44, 210.  208 Sigaut 2008, p. 99 ss. Ufficialmente proibita e punita con la pena di morte, la pederastia era comunque assai diffusa nella Parigi del tempo, alimentata da traffici di adolescenti reclutati nelle strade. Particolarmente triste la vicenda di due giovani omosessuali sorpresi in una via di Parigi e arsi vivi a place de Grève nel 1750, colpevoli soprattutto di essere dei semplici popolani. Gueullette 2010, p. 154. 209 Nel marzo 1734 erano stati portati alla morgue i cadaveri di una quindicina di bambini rinvenuti nello studio di un medico. La scoperta era dovuta alle proteste dei vicini che avevano notato il macabro traffico. barbier 1847-1856, II, p. 37; Herault 1922, p. 49; Farge, Revel 1988, p. 107 ss. 210 Nicolas 1981, p. 49.  211 Nelle sue memorie il maestro vetraio Ménétra (citato in Cottret 2019, p. 175) parla invece di una principessa. Ancora quaranta anni dopo i rapimenti di bambini i sospetti sui bagni di sangue da parte di qualche principe erano ricordati da Mercier nel suo Tableau de Paris.  212 barbier 1847-1856, III, p. 125. 213 Petitfils 2016a, p. 509. 214 d’Argenson 1864, VI, pp. 213, 214. Visitato per la prima volta nel 1728, Luigi XV aveva trovato il luogo particolarmente adatto per la caccia e ogni anno vi trascorreva i mesi estivi. 215 Nicolas 1981, p. 57. O sistemare per l’occasione una vecchia strada già esistente, come vogliono alcuni storici. 216 «eh quoi! a-t-il dit, je me montrerais à ce vilain peuple qui dit que je suis un Hérode?» (“e come! disse, dovrei mostrarmi a questa gentaglia che ha detto che sono un erode?”). d’Argenson 1864, VI, p. 219. 217 Michelet 1870, XVIII, p. 262. 218 Lutero 1984. 219 Campi 2008, p. 56. 

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Jouanna 2007, p. 31 ss. Campi 2008, p. 56. 222 Si tratta di un termine, inizialmente spregiativo e di etimologia incerta, forse derivato dalla parola tedesca eidgenossen (“congiurato” o “confederato”). 223 Nello stesso anno 1562 avviene un massacro di protestanti a Vassy, a cui seguiranno le uccisioni di preti e frati da parte degli ugonotti. Questi fatti segneranno l’inizio delle cosiddette “Guerre di religione” che si protrarranno fino al 1598. 224 bourgeon 1989, p. 119. 225 boutaric 1862, p. 3 ss.; Pastor 1950-1965, IX, p. 346; Jouanna 2007, p. 66 ss. 226 In questo caso si trattava di una doppia dispensa, essendo i due coniugi cugini. boutaric 1862, p. 3. Per quanto riguardava la differenza di religione, da parte del papa l’atto era subordinato alla possibilità che il re di Navarra si convertisse, anche tenendo provvisoriamente segreta la sua scelta. Il rifiuto della dispensa papale, già espresso da Pio V, viene ribadito dal successore Gregorio XIII. Anche i teologi della Sorbona, interpellati in proposito, si erano espressi negativamente. boutaric 1862, p. 8 ss.; Romier 1913, p. 550 ss.; Pastor 1950-1965, IX, p. 346 ss.; Jouanna 2007, pp. 11, 67 ss., 93. A complicare ulteriormente l’operazione è da ricordare infine che i protestanti non attribuivano valore di sacramento al matrimonio. 227 Nel contratto matrimoniale stilato l’11 aprile 1572 era stabilito che la benedizione nuziale sarebbe stata data agli sposi davanti al portale della chiesa e che la sola Margherita sarebbe entrata all’interno per la messa mentre il principe rimaneva fuori. Romier 1913, p. 543; Pastor 1950-1965, IX, p. 348; Jouanna 2007, pp. 10 ss., 94. 228 Jouanna 2007, p. 14,  229 Per alcune maggiori concentrazioni nei quartieri della città, vedi Jouanna 2007, p. 164 ss. Particolarmente numerosa doveva essere la comunità protestante nei pressi di rue Saint-Jacques, dove risiedeva abitualmente Coligny nei periodi di permanenza a Parigi.  230 bourgeon 1992, pp. 38, 120; Jouanna 2007, p. 123.   231 Jouanna 2007, p. 99 ss. Sui motivi dell’attentato (compromettere il progetto di pacificazione), sui possibili mandanti (Caterina dei Medici, Carlo IX) e sulla successiva strage, gli storici sono da sempre discordi. Pastor 1950-1965, IX, p. 348; Ranke 1965, p. 434; bourgeon 1989, pp. 89 ss., 97, 135 ss.; Jouanna 2007, p. 124.  232 Jouanna 2007, pp. 126, 135 ss. bensoussan 2018, p. 116. Riguardo alla scarsità di fonti attendibili sui fatti di Parigi, vedi dubief 1974, p. 352 ss.; bourgeon 1989, p. 104 ss. 233 Jouanna 2007, p. 129 ss. 234 boutaric 1862, pp. 14, 17; Pastor 1950-1965, IX, p. 350; Hurtubise 1972, p. 196; Jouanna 2007, pp. 174, 177. Nella furia del massacro vengono consumate anche vendette personali e assassinati diversi cattolici. 235 Sull’abitazione parigina teatro dell’uccisione di Coligny, vedi babelon 1974, p. 568. 236 Le acque del fiume ne saranno corrotte a tal punto che per molti mesi i parigini non mangeranno il pesce della Senna. 237 Pastor 1950-1965, IX, p. 351; Hurtubise 1972, p. 198; Jouanna 2007, p. 178. Sul numero di vittime protestanti, difficile da calcolare, gli storici non sono ovviamente 220 221

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d’accordo. Si va dalle cifre inverosimili (da 20.000 a 50.000) di dubief e Ranke, a quelle più attendibili (forse 3.000 nella sola Parigi) basate soprattutto sul numero di corpi raccolti nel fiume e seppelliti. 238 Kingdom 1974, p. 191 ss.; Jouanna 2007, p. 203 ss. Sul piano diplomatico la vicenda avrà delle conseguenze disastrose per la Francia. bourgeon 1989, p. 87. 239 Nell’eccitazione del momento il papa farà poi donare una grossa somma al corriere che aveva portato la notizia. Romier 1913, p. 529 ss.; Pastor 1950-1965, IX, p. 358; Hurtubise 1972, p. 193. 240 Pastor 1950-1965, IX, p. 360. 241 Romier 1913, p. 530; Pastor 1950-1965, IX, pp. 358, 359, nota 1; Hurtubise 1972, p. 191 ss. Sulla presunta preventiva conoscenza, da parte del papa, dell’azione che si stava preparando contro gli ugonotti di Parigi, vedi Romier 1913, pp. 539, 554 ss.; Pastor 1950-1965, IX, pp. 357, 358.  242 Romier 1913, pp. 530, 554; Pastor 1950-1965, IX, p. 359; Hurtubise 1972, p. 190. 243 Per un certo tempo l’ambasciatore francese si rifiuterà di accettare le felicitazioni a lui offerte per i fatti di Parigi, tanto da essere malvisto dai membri della Curia pontificia. Romier 1913, p. 554.  244 Hurtubise 1972, p. 192. Nel XVI secolo il canale postale tra la Francia e l’Italia era il corriere ordinario di Lione che ogni 15 giorni partiva in direzione di Roma e poi da Roma verso la città francese. La distanza veniva coperta in 10 o 12 giorni. delumeau 1979 p. 16. 245 Romier 1913, p. 531; Pastor 1950-1965, IX, pp. 359-360; Hurtubise 1972, p. 194. 246 Nel messaggio a Carlo IX il papa dirà che la sua gioia per la strage degli ugonotti era «cinquanta volte superiore a quella provata per la vittoria di Lepanto contro i Turchi». Romier 1913, p. 532.  247 A giustificazione della gioia manifestata dal papa e dei festeggiamenti che seguirono, Ludwig von Pastor, storico cattolico moderno, tranquillamente scrive: «Si deve tenere presente quale pericolo minacciasse tutti i cattolici […] perché dopo i turchi la Chiesa non aveva nemici più sanguinari dei calvinisti». Pastor 1950-1965, IX, pp. 365, 366.  248 Pastor 1950-1965, IX, p. 362 ss.; Hurtubise 1972, p. 195. 249 Romier 1913, p. 532. 250 Romier 1913, pp. 533, 555 ss.; Pastor 1950-1965, IX, p. 363, nota 1. Il testo di questa iscrizione, che sarà riprodotto a stampa e diffuso dovunque, contribuirà in seguito a suscitare grande indignazione in tutto il mondo protestante. 251 Romier 1913, p. 533 ss. 252 Pastor 1950-1965, IX, p. 363.  253 Romier 1913, p. 558; Kingdom 1974, p. 194 ss. Con la morte di Coligny e dei suoi luogotenenti il partito protestante francese rimaneva comunque temporaneamente decapitato. 254 boutaric 1862, pp. 16, 23; Pastor 1950-1965, IX, p. 353; Hurtubise 1972, p. 194 ss., 199 ss., 205 ss.; Jouanna 2007, p. 221. 255 bensoussan 2018, p. 118. Anche il re Carlo IX farà coniare delle medaglie per commemorare e legittimare il massacro degli ugonotti. bensoussan 2018, p. 114 ss.

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Romier 1913, p. 534; Pastor 1950-1965, IX, p. 364; Jouanna 2007, p. 292 ss. bensoussan 2018, p. 118 ss. In merito agli affreschi che glorificavano la strage, l’agiografo protestante d’Aubigné parlerà poi di demoni («agenti di Satana… angeli neri») che avevano ideato ed eseguito le opere. Jouanna 2007, p. 246. Molto tempo dopo, il pontefice Giovanni Paolo II (1978-2005) chiederà poi perdono ai protestanti per la disumanità dimostrata da Gregorio XIII in occasione del massacro. bensoussan 2018, p. 120, nota 26. 257 Reali o immaginati, come si affanneranno poi a chiarire i biografi dello scrittore. 258 Stendhal 1993, p. 155.  259 Petitfils 2009, p. 56 ss. La principessa, penultima dei sedici figli di Maria Teresa d’Austria, aveva 15 anni e il delfino, futuro Luigi XVI, stava per compierne 16. 260 L’organizzazione dei fuochi e l’illuminazione del parco, costata un’enormità a quanto riferiscono i contemporanei, sono descritti dal cronista Hardy e da un viaggiatore rimasto anonimo. Hardy 2012, I, p. 627; Tabournel 1900, p. 415; Petitfils 2009, p. 69. 261 Hardy 2012, I, p. 683. 262 Grimm 1857, p. 7. Sull’opportunità di festeggiare qualcosa sulla place de Grève, luogo deputato per le condanne a morte più spettacolari e atroci (Ravaillac, damiens), ci sono le dure critiche di L.S. Mercier, che condanna inoltre la moda di sprecare in tal modo del denaro che «basterebbe al mantenimento di cento famiglie povere per un anno». Mercier 1782-1783, III, p. 62 ss. Sembra che le spese sostenute per allestire la festa non fossero completamente regolate ancora nel 1812. bourassin 1987, p. XXXI. Nel giugno del 1770 i fuochi di S. Giovanni non saranno comunque eseguiti a causa del disastro avvenuto nel maggio precedente in rue Royale. Hardy 2012, I, p. 698. 263 Il luogo, che nel variare dei nomi riassume quasi un secolo di storia francese, diventa piazza della Rivoluzione nell’agosto del 1792 (nel 1793 vi sarà montata la ghigliottina), e una prima volta “della Concordia” nell’ottobre del 1795. Nel 1814, con la Restaurazione, riprende il nome di Luigi XV, mentre nel 1826 viene dedicata a Luigi XVI. Nel 1830, dopo un breve periodo durante il quale è nominata place de la Charte, riprende definitivamente il nome attuale. de Carbonnières 2013, p. 180. 264 dulaure, V, 1821-1822, p. 229 ss. Il monumento, situato dov’è ora l’obelisco fatto erigere da Luigi Filippo nel 1836, era formato da un piedestallo ornato con figure rappresentanti le Virtù del re, sul quale era il gruppo equestre. Ironizzando sulla vita sregolata del sovrano un anonimo aveva diffuso un’arguta satira, osservando che le figure delle Virtù erano in basso (a piedi), mentre il Vizio (il re) era in alto (a cavallo): «Oh la belle statue! Oh le beau piedestal! Les vertus sont à pied, le vice est à cheval!» (Oh che bella statua! Oh che bel piedistallo! Le virtù stanno a piedi e il vizio sta a cavallo!”). 265 Una stima, anche approssimativa, non è certamente possibile. Alcuni autori riportano le cifre – del tutto plausibili – di tre o quattrocentomila persone. Petitfils 2009, p. 70. Mercier dice comunque che non più di un terzo dei parigini restò a casa quel giorno. Mercier 1782-1783, VI, p. 122. 266 Una delle testimonianze più suggestive dell’avvenimento si deve appunto ad un provinciale, rimasto anonimo, venuto a Parigi per l’occasione assieme alla moglie e ad una coppia di amici. Tabournel 1900, pp. 414-418. 256

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bachaumont 1874, p. 410. bachaumont 1874, p. 410; Touchard-Lafosse s.d., VIII, p. 32; Imbert de SaintAmand s.d, p. 81. 269 I fratelli Ruggieri, originari di bologna, erano degli esperti di fuochi artificiali che si erano trasferiti in Francia verso la metà del secolo e avevano ben presto guadagnato la fiducia della corte per la qualità dei loro spettacoli. 270 Mercier definisce «miserable» lo spettacolo, alludendo evidentemente alla cattiva organizzazione. Mercier 1782-1783, VI, p. 122. 271 Tabournel 1900, p. 416. 272 bachaumont 1874, p. 410; Touchard-Lafosse s.d, VIII, p. 33;  273 duclos 1857, p. 11. 274 Grimm 1857, p. 9. 275 Grimm 1857, p. 8. 276 Nel capitolo La Bagarre Mercier scrive che la sua salvezza fu dovuta al fatto che, ispezionando il luogo al mattino, aveva notato le numerose buche e i mucchi di materiali edilizi che ingombravano la via rendendola simile ad un pericoloso percorso ad ostacoli. Mercier 1782-1783, VI, p. 123. è comunque evidente che, oltre alla preoccupazione di non fuggire verso la rue Royale considerata pericolosa, in Mercier prevale l’istinto del cronista che vuole accertarsi di persona sulle cause del disastro. 277 duclos 1857, p. 12. 278 Grimm 1857, p. 7. 279 Hardy 2012, I, p. 683. Il numero di 132 vittime è riportato dal Mercure de France, che nella descrizione dei fatti tende comunque a minimizzare le responsabilità degli organizzatori. Tabournel 1900, p. 414, nota 1. 280 Si va dal migliaio di vittime riportato da Mercier all’inverosimile numero di seimila dichiarato da Touchard-Lafosse. 281 L’anonimo testimone ripreso da Tabournel parla di circa 300 morti e quasi il doppio di feriti. Tabournel 1900, p. 418. 282 Mercier scrive, tra le altre cose, di un’intera famiglia scomparsa e soprattutto afferma che non c’è casa di Parigi che non pianga una vittima. Mercier 1782-1783, VI, p. 124. 283 Petitfils 2009, p. 70; Hardy 2012, I, p. 686. Anche la delfina, le figlie del re e altri personaggi della corte parteciparono poi ad una sottoscrizione a favore delle famiglie delle vittime. Lacretelle 1812, IV, p. 243 ss.; Campan 1849, p. 73.  284 Campan 1849, p. 73. Nelle tasche di uno di questi personaggi furono trovati addirittura nove orologi. duclos 1857, p. 12; Tabournel 1900, p. 418. è abbastanza evidente che, come in altre occasioni del genere, la comunità dei ladri parigini si era mobilitata in massa per un avvenimento che avrebbe certamente visto un grande concorso di pubblico.  285 è il luogo dove, dopo una ventina di anni, saranno sepolti i corpi decapitati di Luigi XVI e Maria Antonietta, e dov’è l’attuale Chapelle expiatoire. 286 Tabournel 1900, p. 418. 287 Mercier 1782-1783, VI, p. 125.  288 Si tratta del primo figlio maschio di Luigi XVI che morirà nel 1789 durante gli Stati Generali. 267

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Si tratta di Luigi Ferdinando, padre di Luigi XVI, che morirà nel 1765 senza avere regnato. 290 Il cronista barbier ci informa che quell’anno l’inverno fu particolarmente rigido. barbier 1847-1856, IV, pp. 169, 170, 173. 291 L’arma di cui si era servito l’attentatore era un coltello a serramanico con due lame lunghe rispettivamente otto e dieci centimetri. barbier 1847-1856, IV, p. 170. Per colpire il re era stata usata la lama più corta che Voltaire definirà in seguito simile a un temperino per fare la punta alle penne.  292 Questa remota possibilità viene poi esclusa dopo la “prova” fatta su un cane. Croÿ 1906-1907, I, p. 365; Cabanès 1912-1921, V, p. 71; Gueullette 2010, p. 212; Petitfils 2016a, p. 582.  293 barbier 1847-1856, IV, p. 171; Croÿ 1906-1907, I, p. 366. 294 Per quanto riguarda le ripercussioni che l’attentato ebbe a Parigi, i cronisti non sono concordi, ma sembra che il popolo minuto non fosse particolarmente commosso. Teatri e luoghi pubblici furono comunque chiusi e la vita normale riprese soltanto il 9 marzo. Chevallier 1989, pp. 318, 319. 295 In quel periodo la Pompadour era al Trianon con il re. Croÿ 1906-1907, I, p. 366. 296 Ciò avverrà poi veramente alla du barry, ultima favorita di Luigi XV, che sarà allontanata da Versailles dopo la morte del re il 10 maggio 1774.  297 L’ossessione del complotto porterà in seguito all’arresto di varie persone tra cui addirittura un ragazzo di tredici anni! Cottret 2019, p. 169 ss. 298 Come racconta nella Storia della mia vita, dopo essere stato rinchiuso assieme ad una ventina di persone nel corpo di guardia del palazzo, Casanova viene comunque prontamente rilasciato. Tornato a Parigi farà stampare molte copie del racconto della fuga dai Piombi di Venezia – argomento che aveva suscitato un vivo interesse nei salotti della città – per inviarle a chiunque poteva essergli utile. Casanova 1965, III, pp. 24, 33. 299 In un suo studio su Luigi XV Petitfils, che dice di avere consultato l’atto di nascita dell’attentatore, afferma che il suo vero nome era damien, senza la “s” finale. Nelle cronache del tempo e negli studi successivi viene comunque sempre indicato come damiens. Petitfils 2016a, p. 583. 300 barbier 1847-1856, IV, p. 180 ss. 301 barbier 1847-1856, IV, p. 173; Thelliez 2002, p. 17. L’accanimento delle guardie era poi dovuto al senso di frustrazione per non aver saputo prevenire l’attentato. Lacretelle 1812, III, p. 270. 302 Nel corso degli interrogatori damiens ripeterà di non avere mai avuto intenzione di uccidere, come dimostrerebbero l’uso della lama corta e l’unico colpo assestato. Chevallier 1989, p. 344. dopo avere colpito il re damiens aveva addirittura ripiegato tranquillamente il coltello e l’aveva rimesso in tasca. barbier 1847-1856, IV, p. 171. 303 Chevallier 1989, p. 363 ss. Il giansenismo, che prendeva nome dal suo fondatore Giansenio (1585-1638), era un movimento rigorista ispirato alla dottrina di sant’Agostino, nato all’interno dello stesso cattolicesimo ma considerato eretico e condannato dalla Chiesa. dopo l’attentato gesuiti e giansenisti si accuseranno reciprocamente sulle possibili responsabilità morali. Alcuni rappresentanti della setta giansenista dei Convulsionari giungeranno perfino a crocifiggersi a scopo di espiazione. Maire 1985, p. 224. 289

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Chevallier 1989, pp. 350, 373. Nei confronti delle decisioni del re il Parlamento aveva il potere di opporsi; da parte sua il sovrano poteva ordinare una seduta eccezionale (lit de Justice, “letto di giustizia”) con la quale imponeva la registrazione dei suoi atti in virtù del potere assoluto di cui era investito.  306 Oltre ai molti soldati che scortano la carrozza del prigioniero, vengono disposte numerose sentinelle lungo il percorso e agli abitanti delle vie attraversate è fatto divieto di uscire dalle case o affacciarsi alle finestre. barbier 1847-1856, IV, p. 185 ss.; Gueullette 2010, p. 213; Petitfils 2016a, p. 587. 307 Le fitte legature che immobilizzavano damiens sembra siano state in parte necessarie in seguito ad un suo tentativo di suicidio. Cabanès 1912-1921, V, p. 88. 308 Thelliez 2002, pp. 97 ss. Sembra comunque che un sospetto del genere – che accompagnerà l’attentatore fino al patibolo – lo avesse provocato lo stesso damiens con le sue farneticanti dichiarazioni fatte già al primo interrogatorio e continuate nei successivi. Chevallier 1989, pp. 356, 357. 309 durante la tortura un medico assisteva gli aguzzini per impedire che il prigioniero morisse a causa delle sofferenze. Thelliez 2002, pp. 115, 118, 125. A proposito della gravità dei tormenti previsti dal diritto penale francese ancora nel Settecento, Pascal bastien osserva: «La resistenza [alla tortura] delle donne e degli uomini di questo periodo resta qualcosa di stupefacente per il lettore del XXI secolo che esamina le testimonianze». bastien 2011, p. 131. 310 damiens aveva servito come domestico presso alcuni membri del Parlamento di Parigi, dai quali sarebbe stato influenzato per un sentimento di avversione verso il re.  311 Nella prima parte del suo regno Luigi XV (le Bien-Aimé) aveva goduto di una vera e propria venerazione, ma col tempo la stima e l’affetto erano completamente scomparsi. Su questo influiva la corruzione e il lusso della corte, il peso della guerra (Guerra dei Sette Anni) iniziata nell’agosto del 1756, l’immoralità dello stesso re che aveva una propria garçonnière (le Parc-aux-Cerfs) dove riceveva giovani donne, ed infine il suo contrasto col Parlamento e con il clero di tendenze gianseniste. 312 bastien 2006, p. 103. 313 Foucault 1975, p. 9 ss. 314 Gran parte del testo, con la minuta indicazione dei tormenti da infliggere, è riportato in Thelliez 2002, pp. 122, 123.  315 Tra gli argomenti riguardanti l’attentato faceva notizia, tra le altre cose, l’enorme somma necessaria per il processo. Casanova 1965, III, p. 37.  316 In merito all’interesse che in queste occasioni contagiava i cittadini di tutti i ceti, Louis Sebastien Mercier scriveva: «Si rimprovera al popolino di correre in massa a questi odiosi spettacoli, ma quando c’è un’esecuzione importante, un criminale famoso, rinomato, il bel mondo vi accorre come la più vile canaglia». Mercier 17821783, III, p. 270. 317 La prima esecuzione sulla piazza era stata quella di Marguerite Porete, una mistica francese accusata di eresia e bruciata viva nel 1310.  318 Gueullette 2010, p. 215. Si trattava di un ampio recinto rettangolare alto circa un metro attrezzato per tenere a distanza la folla e permettere il movimento dei cavalli. 304 305

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Il patibolo consisteva in una spessa pedana di legno montata su dei supporti sulla quale doveva stendersi il condannato. barbier 1847-1856, IV, p. 207 ss. 319 è questo il caso di due persone che cadendo feriranno anche altri spettatori. barbier 1847-1856, IV, p. 212.  320 Si tratta di Robbé de beauveset, amico della du barry e autore di satire e scritti licenziosi. Thelliez 2002, p. 128. 321 In merito alle reazioni delle amiche durante l’esecuzione Casanova osserva: «Al supplizio di damiens dovetti distogliere lo sguardo quando lo udii urlare ridotto ormai a un troncone, ma la Lambertini e la signora xxx non voltarono gli occhi…». Casanova 1965, III, p. 78. Sul comportamento di molte delle dame presenti quel giorno a place de Grève, anche Mercier scriverà in seguito: «Le nostre donne, la cui anima è così sensibile, il sistema nervoso così delicato che svengono alla vista di un ragno, hanno assistito all’esecuzione di damiens!». Mercier 1782-1783, III, pp. 269-270. 322 Casanova 1965, III, p. 73.  323 Grazie alle sue “instancabili” capacità amatorie, dalle dame di Parigi Tiretta era stato soprannominato “Conte di sei colpi”. 324 Casanova 1965, p. 78. A proposito del curioso (e certamente scabroso) episodio, anziché sdegnarsi dell’interesse insano manifestato dalle tre signore, la storica Marion Sigaut, che evidentemente ha letto male l’opera di Casanova e soprattutto non l’ha capita, si lamenta della «indécence qu’il y a [da parte di Casanova] à raconter une telle chose» (“indecenza dimostrata nel raccontare una cosa simile”). Poi, dopo avere attribuito all’autore stesso un comportamento che non risulta dal testo, come fosse stata presente nella stanza scrive che tutta la faccenda è inventata perché, per quello che avrebbe fatto Tiretta non c’era spazio a sufficienza! Sigaut 2010, p. 334. Sulla più che probabile veridicità del racconto, messo comunque in dubbio anche da altri autori, si veda Chiara 1965, III, p. 105, nota 9. 325 Tra i testimoni oculari saranno una trentina quelli che lasceranno racconti di varia natura e lunghezza. Thelliez 2002, p. 129. 326 Gueullette 2010, p. 209 ss. Nel suo lungo racconto Gueullette si diffonde su una quantità di particolari atroci decisamente improponibili per il lettore moderno. 327 barbier 1847-1856, IV, p. 210. 328 barbier 1847-1856, IV, p. 212. A proposito dello sforzo sostenuto dai cavalli (due dei quali si accasciano a terra) una certa Madame Préandeau appartenente alla buona società, avrà modo di esprimere sentimenti di compassione per le “povere bestie”: «Ah! Jésus, les pauvres chevaux, que je les plains!» (Ah! Gesù, i poveri cavalli, come li compiango). Chevallier 1989, p. 379.  329 Assumeranno il nome di Guillemant. barbier 1847-1856, IV, p. 214, nota 3. 330 Thelliez 2002, p. 135; Gueullette 2010, p. 222 ss. 331 Swift 1967, pp. 25 ss. 332 «Un americano, mia conoscenza di Londra, uomo molto istruito, mi ha assicurato che un infante di un anno è il cibo più delizioso, sano e nutriente che si possa trovare, sia in umido, sia arrosto, al forno o lessato». Swift 1967, p. 28. 333 Tra i casi più significativi possiamo ricordare quelli di gruppi di persone isolate in seguito ad eventi disastrosi, come nel naufragio della “Medusa” del 1818, o dei superstiti del disastro aereo delle Ande del 1972.

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334 Al momento della cattura, dovuta alla necessità di liberarsi dei resti della sua vittima, lo studente aveva dichiarato candidamente: «Si j’avais eu un congélateur, vous ne m’auriez pas retrouvé» (“Se avessi avuto un congelatore, non mi avreste mai trovato”). 335 L’episodio ha fornito lo spunto per una monografia di Patrick duval. Un’ampia sintesi dei fatti è inoltre contenuta in un articolo di dominique Lesbros, che nel 1985 si è recata in Giappone (dove lo studente-cannibale viveva ormai libero) per raccogliere il racconto dall’autore stesso del crimine. duval 2001; Lesbros 2008, pp. 275289. 336 Al barone G.e. Haussmann (1809-1891) si deve il grande piano urbanistico attuato tra il 1852 e il 1870, sotto il Secondo impero, destinato a trasformare in senso moderno Parigi, ma che segnò inevitabilmente la scomparsa della città medievale. 337 brau 1985, p. 223 ss.; Fremder, Guanti 1989, p. 28; bessière 2007, p. 241 ss. 338 de Ponthieu 1867, p. 30.  339 Yonnet 1985, p. 222. 340 Quando, nel 1535, il re Francesco I decise di rimuovere l’interdetto su quel terreno che durava da più di un secolo concedendo al proprietario di poter costruire, non vi erano comunque documenti superstiti che potessero spiegare i motivi dell’antica proibizione. du breul 1639, p. 85.  341 Le botteghe dovevano essere situate sull’angolo tra rue des Marmousets e rue des deux-ermites, verso l’attuale rue d’Arcole. brau 1985, p. 223. Secondo Lesbros, che contribuisce assieme a molti altri scrittori ad arricchire di particolari la vicenda, i due esercizi erano in corrispondenza del n. 12 dell’attuale rue Chanoinesse. Lesbros 2008, pp. 41 e 46. 342 Fremder, Guanti 1989, p. 28.  343 «…les pastez se trouvoient meilleurs que les aultres, d’autant que la chair de l’homme est plus délicate, à cause de la nourriture, que celle des autres animaux». du breul 1639, p. 84. Sempre in tema di sapori Paolo egineta, medico bizantino molto apprezzato nel medioevo, affermava che la carne umana ricorda quella del maiale. Camporesi 1980, p. 36. 344 bessière 2007, p. 241. L’aggiunta della figura del cane, peraltro di grande effetto, sembra però dovuta allo scrittore Louis Marie Prudhomme (1752-1830), che si occupa della vicenda all’inizio del XIX secolo. Prudhomme 1807, III, pp. 106, 107.  345 era questa una pratica di pubblica condanna che troviamo, ad esempio, in Roma antica: demolizione della casa di Spurio Melio (Aequimelium) nel 434 a.C., o durante la peste di Milano del 1630, con la “Colonna infame” eretta al posto della casa del barbiere G.G. Mora, accusato ingiustamente di essere un untore. A Parigi, nel 1571, una croce montata su una piccola piramide (Croix de Gastines) segnava il luogo dove sorgeva una chiesa di protestanti distrutta dai cattolici durante le Guerre di religione, mentre nel 1594 un’edicola era stata eretta sul terreno dov’era la casa di Jean Châtel, un giovane che aveva attentato alla vita di enrico IV. 346 Nelle redazioni più recenti vengono riportati addirittura i nomi dei due complici e dello studente (un giovane tedesco) la cui scomparsa avrebbe provocato l’arresto degli assassini. Lesbros 2008, p. 43. 

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In tal senso si esprimono gran parte degli autori che tra il XVIII e il XIX secolo si sono occupati, anche se marginalmente, della “pasticceria degli orrori” di rue des Marmousets. Hurtaut, de Magny 1779, p. 396; béraud, dufey 1825, II, p. 385; de Ponthieu 1867, p. 32. 348 Pietrangeli 1980, p. 6 ss. 349 Ad eugenio IV si deve un primo consistente intervento, eseguito il 15 dicembre del 1442, per liberare dalle botteghe il colonnato del Pantheon e parte della piazza. Infessura 1890, pp. 41, 42. La pescheria fu eliminata definitivamente nel 1822, come recita un’iscrizione ancora esistente. Proia, Romano 1936, p. 154; blasi 1986, p. 275. 350 blasi 1986, p. 275.  351 Proia, Romano 1936, p. 150. 352 Proia, Romano 1936, p. 151. La «terribile veglia», come la definisce il monaco francese J. b. Labat, che ne ha lasciato una minuziosa descrizione. Il soggetto veniva sospeso per molte ore, completamente nudo, con il corpo che gravava su un cuneo di legno posto sotto l’osso sacro. Labat 1951, pp. 186-187.  353 Silvagni 1967, II, p. 68. 354 Si tratta del noto membro della confraternita di S. Giovanni decollato che assisteva i condannati a morte, al quale dobbiamo un preziosissimo diario sulle attività del sodalizio. 355  Ademollo 1881, p. 488. 347

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Indice dei nomi

About, edmond, 176, 237 Abramo, 112 Ademollo, Alessandro, 175-177, 179, 180, 182-186, 207, 237 Adriano II (papa), 73 Agostino  (santo), 91, 203 Albertoni, Margherita, 177, 237 Alighieri, dante, vedi: dante Allegri, Gregorio, 64, 180 Andaloro, Maria, 241  Anicia Faltonia Proba, 29 Anna d’Austria (regina di Francia), 110, 111 Annigoni, Jacopo, 65 Apollonj Ghetti, bruno Maria, 196, 237 Arnaldo da brescia, 33   Arnolfo di baviera (imperatore), 74, 75  Arouet, Armand, 189 Arouet, François-Marie, vedi: Voltaire  Asimov, Isaac, 141 Assoun, Paul Laurent, 190-192, 237 Astolfi, Franco, 173, 182, 237     Astolfi, Giovanni Felice, 165, 237 Aubigné (d’), Agrippa, 201 Aubray (d’), vedi: dreux d’Aubray Audollent, Auguste Marie Henri, 173, 237    Augusto (imperatore romano), 49   Ausilio, 69  Azeglio (d’), Massimo, 44, 175, 176, 237    babelon, Jean-Pierre, 199, 237 bachaumont (de), Louis Petit, 202, 237 balducci, Vincenzo, 48, 175   bandini, Carlo, 179, 180, 237 baracconi, Giuseppe, 186, 237 barberini (famiglia), 35 barberini, Maffeo, vedi: Urbano VIII (papa) barbier, edmond Jean François, 138, 187, 188, 197, 198, 203-205, 237 barère de Vieuzac, bertrand, 191  basset, André, 153 209

bastien, Pascal, 131, 196, 197, 204, 237 bathory, elisabetta, 136 baudelaire, Charles, 192 bayet, Jean, 173, 237   beda,Venerabile, 23                                                        belisario, Flavio, 29     bellarmino, Roberto  (cardinale), 182 belli, Giuseppe Gioachino, 43-45, 67, 175, 176, 237  belli barsali, Isa, 177, 237 bellino, vedi: Lanti Teresa benedetti, Lucantonio, 62, 178, 182  benedetti, Roberto, 183, 237 benedetto III (papa), 72 benedetto XIII (papa), 80 bensoussan, Nicole, 147, 199-201, 237   béraud, Nicolas, 207, 238 berka, Johann, 158 bernis (de), François-Joachim Pierre, 158 berry (duca di), delfino di Francia, vedi: Luigi XVI bertolotti, Antonino, 173, 174, 238 bertrand, François, 9, 48, 113, 114, 115-121, 193, 194 bes (divinità egiziana), 60, 179 bessière, Richard, 206, 238 billard, Max, 190-192, 238 biordi, Raffaello, 178, 183, 238 blänsdorf, Jurgen, 17, 173, 238  blasi, benedetto, 207, 238 bluche, Frédérique, 196, 238 bonaparte, Marie, 194 bonaparte, Napoleone, vedi: Napoleone I bono, vedi: borri Francesco Giuseppe bonzagna, Gian Federigo, 147 borbone (dinastia), 192 borghese, Francesco (cardinale), 64  boris di bulgaria (re), 73, 74, 181 borri, Francesco Giuseppe, 53, 54, 56, 178, 179 boucard, Pauline, 190, 238 bourassin, emmanuel, 201, 238 boureau, Alain, 192, 238 bourgeon, Jean-Louis, 199, 200, 238 boutaric, edgard, 199, 200, 238 bovet, ernest, 185, 238 boyteux, Martine, 237 210

brandano, vedi: Carosi bartolomeo brau, Jean-Louis, 206, 238 breton, André, 165   brezzi, Paolo, 181, 182, 238  briancourt, Jean baptiste, 128, 195, 196 brigante Colonna, Gustavo, 175, 238 brinvilliers, Antoine, vedi: Gobelin, Antoine, marchese di brinvilliers     brinvilliers, Marie-Madeleine d’Aubray, marchesa, 8, 123-131, 194-196   broccoli, Umberto, 237   broschi, Carlo Maria, 65 bruno, Giordano, 182 bugatti, Giambattista (Mastro Titta), 8, 41-48, 175-177, 184 byron, George, 43, 175   Cabanès, Augustin (dr. Cabanès), 163, 178, 192, 194, 203, 204, 238 Caetani Lovatelli, ersilia, 173, 178, 179, 239      Caffiero Marina, 197, 237, 239   Caivano, Abramo, 86, 87 Callari, Luigi, 177, 178, 237, 239 Calvesi, Maurizio, 239   Campan (Madame) Jeanne Louise Henriette, 202, 239 Campanella, Tommaso, 35  Campi, emidio, 198, 199, 239 Camporesi, Piero, 133, 197, 206, 239 Cancellieri, Francesco, 177, 179, 239   Capetingi (dinastia), 105 Carantini, Roger, 191, 239  Carbonnières (de), Philippe, 201  Cardano. Nicoletta, 179, 239, 242 Cardilli Alliasi, Luisa, 58, 177, 239 Cardinale di Lorena, vedi: Guisa (di) Carlo di Lorena Carlier, Angelique-Nicole, 123 Carlo il Calvo (imperatore), 74 Carlo Magno (imperatore), 72, 181 Carlo V  (imperatore), 19   Carlo VI (re di Francia), 191 Carlo IX  (re di Francia), 135, 141, 142, 144, 145, 147, 199, 200 Carosi bartolomeo (brandano), 21   Carré de Montgeron, Louis basile, 190 Casanova, Giacomo, 64, 65, 158, 162, 180, 203-205, 239 Cassio dione, 29, 173, 239    Castagnoli, Ferdinando, 173, 239    Caterina de’ Medici  (regina di Francia), 135, 141, 144, 199 Catilina, Lucio Sergio, 135 211

Cavaliere di Sainte-Croix, vedi: Gaudin, Jean-baptiste  Cavalieri, Giovanni battista, 73 Cellini, benvenuto, 8, 19, 21, 22, 24, 25, 239     Cenci (famiglia), 184 Centini, Felice, 39, 40   Centini, Giacinto, 39, 40   Champeaux, Jacqueline, 173, 239    Charlier, Philippe, 191, 192, 242   Chastel, André, 25, 239      Châtel, Jean, 206    Chevallier, Pierre, 197, 203-205, 239 Chiara, Piero, 205, 239 Cima, Maddalena, 51, 177, 239 Citone, davide, 87 Claudio (imperatore romano), 28, 180    Clément, Pierre, 195, 239 Clemente VII  (papa), 19, 20   Clemente XI  (papa), 92 Clemente XII  (papa), 80   Clouet, François, 143 Coarelli, Filippo, 173, 177, 180, 182, 239    Coligny (de), Gaspard, 142, 143, 148, 199, 200 Colini, Antonio Maria, 180, 240 Conte, Arthur, 191, 240  Conti, Gioacchino, 64 Core (divinità pagana), 18 Cornette, Joël, 109-192, 240 Cosmacini, Giorgio, 178, 240 Costantino (imperatore romano), 133, 134, 138, 181, 196 Cottret, Monique, 187-190, 198, 203, 240  Crepaldi Francesco, 197, 240 Cristina di Svezia (regina), 53, 56, 61, 178     Croÿ (de), emmanuel, 203, 240  d’Alain, Clément, 247     d’Alembert, Jean baptiste, 189 d’Amato, Giuseppe, 178, 183, 238 d’Argenson, René Louis del Voyer, 197, 198, 240 d’Heylli, Georges, 192, 240 d’Urso, Valentina, 179, 241 dagoberto (re di Francia), 105 damiens, Robert François, 8, 157-164, 197, 201, 203-205    dansel, Michel, 121, 192-194, 240 dante (Alighieri, dante), 30 212

de Angelis, Alberto, 179, 180, 240 de brosses, Charles, 63, 180, 240  de bry, Théodore, 170   de Carbonnières, Philippe 201, 240 de Condat-Rabourdin bérangere S., 192-194, 240 de dominicis, Giulia, 179, 180, 240 de Marchi, Attilio, 173, 240 de Ponthieu, Amédée, 206, 207, 240  delaunay, euphrosine, 194 delumeau, Jean, 200, 240 demetra (divinità pagana), 18 dickens, Charles, 45, 46, 176, 240      diderot, denis, 108, 189 didier, Charles, 44, 176   dionigi (santo, vescovo di Parigi), 105 dite (divinità pagana), 28 dolciati, Filippo, 81  dreux d’Aubray, Antoine (Consigliere di Stato), 123-126, 128, 196 dreux d’Aubray, Antoine (Conte di Offémont), 124, 125, 127, 128, 194, 196 dreux d’Aubray, François, 124, 127, 128 dreux d’Aubray, Marie-Madeleine, vedi: brinvilliers, Marie-Madeleine d’Aubray  dreux d’Aubray, Thérese, 128, 196 drouais, Francois-Hubert, 158   du barry, vedi: Madame du barry du breul, Jacques, 168, 206, 240 dubief, Henri, 199, 200, 240 dubois, François, 144   duchesne, Louis, 181, 182, 241 duclos, Charles Pinot, 202, 241 dufey, Pierre, 207, 238 dujčev, Ivan, 70, 71, 181, 241 dulaure, Jacques-Antoine, 188, 190, 195, 201, 241 duval, Patrick, 206, 241 ecate (divinità pagana), 15 ecouchard-Lebrun, Ponce-denis, 107 egidi, Nicolò, 125, 195 enrico di Navarra (re), 142, 199 enrico IV (re di Francia), 108-111, 161, 192, 206 erode (re di Giudea), 139, 198 erodoto, 134, 197, 241 esone (personaggio mitologico), 197 eugenio IV  (papa), 207 213

exili, vedi: egidi, Nicolò Falda, Giovanni battista, 50 Farge, Arlette, 197, 198, 241 Farinelli, vedi: broschi, Carlo Maria Fassola, Giovanni battista (Primi Visconti), 195, 245 Fatica, Michele, 197, 241 Férais, Jean-Claude, 120, 192-194, 241   Ferrals (de), François, 145  Filippo II  (re di Spagna), 144 Filoramo, Giovanni, 239     Fiorani, Luigi, 173, 174, 178, 241 Fiorelli, Piero, 185, 241 Foà, Simona, 186, 241 Fontana, Lavinia, 144 Formoso (papa), 7, 69, 71-76, 181   Foscolo, Ugo, 180 Fosi, Irene, 174, 185, 241 Foucault, Michel, 204, 241 Fra’ Marcantonio Casellame Chinese, vedi: Santinelli, F. M. Francesco I  (re di Francia), 19, 22, 141, 206   Fraschetti, Augusto, 196, 241 Fremder, Lara, 193, 194, 206, 241 Fronzoni, battista, 185 Frutaz, Amato Pietro, 173, 242 Funck-brentano, Frantz, 124, 130, 194-196, 242  Gabet, Stéphane, 191, 192, 242 Gabriel, Ange-Jacques, 149, 150 Gabriele, Mino, 54, 55, 178, 179, 242  Galilei, Galileo, 35, 173   Galluzzi, Francesco Maria, 84  Garin, eugenio, 173, 174, 242 Gascon (sicario avvelenatore), 126 Gaudin, Jean-baptiste (Cavaliere di Sainte-Croix), 124-128, 195, 196  Gesù Cristo, Crocifisso, 70-72, 74, 82, 83, 86, 87, 100, 102, 112, 161, 172, 181, 187 Ghezzi, Pier Leone, 78 Ghezzi, Placido eustachio, 77-79, 81, 84, 85, 183-186, 207 Ghisalberti, Alberto Maria, 175, 242 Giacobbe, 87 Giansenio (Jansen, Cornelius), 91, 187, 203 Gigli, Giacinto, 38, 173, 174, 242  Giovanni battista (santo), 77  Giovanni VIII (papa), 73, 74, 75, 181 214

Giovanni Paolo II (papa), 201 “Giovannino di borghese”, vedi: Osti, Giovanni Giusti, Renato, 21 Giziello (Vedi: Conti, Gioacchino) Glaser, Christophe, 125, 126, 128, 195 Gnoli, Umberto, 186, 242 Gobelin, Antoine, marchese di brinvilliers, 124, 127, 194, 196     Goethe, Johann Wolfgang, 64, 180, 242 Gorani, Giuseppe, 64 Gouzi, Christine, 93, 103, 187, 188, 242 Goya, Francisco, 24.    Graf, Arturo, 173, 242 Graf, Fritz, 18, 173, 242   Grande, Giuseppe, 34, 246  Gregoire, Henri, 108 Gregorio IX (papa), 32   Gregorio XIII  (papa), 50, 144-147, 199-201   Gregorio XV (papa), 35   Gregorio XVI (papa), 46 Gregorovius, Ferdinand, 181, 182, 197, 242 Grimal, Pierre, 173, 177 , 242    Grimm (von), Frédérich Melchior, 103, 201, 202, 242 Grisar, Hartmann, 173, 242 Gualdi, Federico, 53 Guanti, Giovanni, 193, 194, 206, 241 Gueullette, Thomas Simon, 163, 197, 198, 203-205, 242 Guillemant (nome assunto dalla famiglia di damiens), 205 Guisa (di) Carlo di Lorena (cardinale), 145, 146 Guislain, Joseph, 193 Hacquemand, bruno, 190, 242 Hamelin, Jean  (La Chausée), 127, 128 Hardy, Siméon-Prosper, 201, 202, 242 Häuber, Christine, 177, 242  Haussmann, Georges eugène, 166, 169, 206 Herlaut, Auguste-Philippe, 198, 242 Hermoso Cuesta, Miguel, 112 Huas, Jeanine, 124, 126, 127, 194-196, 242 Huelsen, Christian, 173, 242 Hugo, Victor, 161   Hurtaut, Pierre-Thomas-Nicolas, 207, 242 Hurtubise, Pierre, 199, 200, 243 Iahveh, 14. Imbert de Saint-Amand, Arthur-Léon, 202, 243 215

Infessura, Stefano, 136, 197, 207, 243 Innocenzo III (papa), 77 Innocenzo VIII (papa), 136 Innocenzo XI (papa), 61, 63 Innocenzo XII  (papa), 136 Ippolito (santo), 71 Isacco, 87 Jannattoni, Livio, 175, 177, 243 Jansen, Cornelius, vedi: Giansenio Jatta, barbara, 179, 243 Jouanna, Arlette, 197, 199-201, 243 Keats, John, 175    Kertzer, david I., 197, 243 Kingdom, Robert, 200, 243  Kircher, Athanasius, 55, 56   Knox, Roland A., 188-190, 243 Krafft-ebing, Richard, 193, 243 La Chausée, vedi: Hamelin, Jean La Condamine (de), Charles Marie, 103 La Motte (de), bécherand, 95  La Reynie, Gabriel Nicolas, 195 La Rocca, eugenio, 177, 243 Labat, Jean baptiste, 182, 184, 207, 243  Lacretelle, Charles, 149, 202, 203, 243 Ladner, Gherardo b., 181, 243 Lafarge, Marie, 195 Lambertini, Angelica, 205 Lamia, Lucio elio (console romano), 51   Lanti, Teresa (bellino), 65, 180 Laurens, Jean-Paul, 75 Le brun, Charles, 130 Le Gall, Jean-Marie, 191, 192, 243 Lely, Gilbert, 196, 243 Lemoine, Henri, 191, 243   Lenoir, Alexandre, 192 Lenotre, Georges (Gosselin, Louis-Léon-Théodore), 159, 161, 194, 196, 243 Leone III (papa), 72 Leone X  (papa), 141 Lesbros, dominique, 98, 116, 166, 193, 194, 206, 243, 244  Leszczynska, Maria (Regina di Francia), 157 Llewellyn, Peter, 181, 182, 244   Lorenzo (santo, martire), 71 Lotario I  (imperatore), 181 216

Lucullo, Lucio Licinio, 28   Ludovico il Germanico  (re), 74 Lugli, Giuseppe, 173, 244 Luigi Ferdinando (delfino di Francia, padre di Luigi XVI), 157, 203 Luigi Filippo (re di Francia), 116, 201 Luigi Giuseppe (delfino di Francia, figlio di Luigi XVI), 145, 192, 202  Luigi XI (re di Francia), 135 Luigi XIII (re di Francia), 110 Luigi XIV (re di Francia), 92, 110, 123, 128, 135, 174, 197   Luigi XV (re di Francia), 98, 108, 110, 133, 137-139, 149, 150-152, 159-161, 189, 198, 201, 203, 204  Luigi XVI (re di Francia), 105, 107, 149, 151, 154, 155, 191, 198, 201, 202  Luigi XVIII (re di Francia), 191 Luisa di Francia (principessa, carmelitana), 110 Lutero, Martin, 20, 29, 33, 141, 198, 244    Lyon-Caen, Nicolas, 187-189, 244  Madame de Sévigné  (de Rabutin-Chantal, Marie), 123, 131, 194, 196 Madame de Stäel  (Necker, Anne-Louise), 105, 240  Madame du barry (favorita di Luigi XV), 203, 205 Madame Pompadour (favorita di Luigi XV), 158, 197, 198, 203 Madathanus, Henricus, 58, 179 Maffeo, Pasquale, 176 Maggi, Giovanni, 84   Magni, Luigi, 185 Magny (de), Louis, 207   Maire, Catherine-Laurence, 97, 101, 187-190, 203, 244  Malivin, Amandine, 193, 194, 244 Marchal de Calvi, Charles Jacob, 117, 119, 193 Marchesi, Luigi, 64 Maréchal, Sylvain, 107 Margherita di Valois (principessa), 142, 199 Maria Antonietta (regina di Francia), 108, 149, 151, 155, 191, 201, 202  Maria de’ Medici (regina di Francia), 110 Maria Teresa d’Austria  (imperatrice), 201 Maria Vergine, 31, 86, 103, 183 Mariel, Pierre, 193, 194, 244 Marin, brigitte, 237    Marino I (papa), 74, 181 Maroni Lumbroso, Matizia, 182, 244 Marsilio Ficino, 197 Martini, Antonio, 182, 244 Marville, Charles, 167  Masini, Patrizia, 179, 244 217

Massimo Palombara, Carlo, 178   Mastro Titta, vedi: bugatti Giambattista Matteo (evangelista, santo), 192, 197 Maupassant (de), Guy, 192 Mecenate, Gaio Cilnio, 49   Medea (personaggio mitologico), 197 Ménétra, Jacque-Louis, 198   Menniti Ippolito, Antonio, 173, 186, 244 Menozzi, daniele, 239    Mercier, Louis Sébastien, 91, 150, 153, 155, 187, 190, 195, 198, 201, 202, 204, 205, 244 Mereu, Italo, 182, 185, 244 Messalina (imperatrice romana), 28   Messineo, Gaetano, 173, 244 Michéa, Claude François, 193 Michele di bulgaria, vedi: boris di bulgaria Michele III (imperatore bizantino), 181 Michelet, Jules, 91, 195, 197, 198, 244 Milano, Attilio, 186, 244 Minervini, Giulio, 14     Monaldeschi, Rinaldo, 178  Montanari, Leonida, 44, 176    Montesquieu, Charles-Louis, 64, 180, 244 Monti, Giuseppe, 48   Mora, Gian Giacomo, 206 Morandi, Luigi, 175, 177, 244 Morandi, Orazio, 37, 38, 173, 174, 178   Moreschi, Alessandro, 66, 67 Moschini, Vincenzo, 78, 79, 244   Moulère, Gabrielle, 100, 101   Mousset, Albert, 187-190, 244 Mozart, Wolfgang Amadeus, 180 Mustafà, domenico, 66 Napoleone I (imperatore), 193 Nass, Lucien, 192 Natali, ettore, 186, 244 Necker, Anne-Louise, vedi: Madame de Stäel   Negro, Silvio, 44, 48, 61, 176, 179, 180, 245   Nerone (imperatore romano), 8, 30, 31-33     Nibby, Antonio, 173, 245 Nicolas, Jean, 198, 245 Nicolò I (papa), 73, 181 Nolli, Giovanni battista, 63    218

Olier, Marie, 123 Orano, domenico, 182, 245 Orazio, Quinto Flacco, 49, 177, 245  Osti, Giovanni  (“Giovannino di borghese”, musico), 180 Ovidio, Publio Nasone, 135, 197, 245 Ozouf, Mona, 190, 245 Paglia, Vincenzo, 182-186, 245 Palloy, Pierre-François, 191 Palombara, Massimiliano, 52, 53, 56, 57, 58, 178, 179    Palombara, Oddo di Pietraforte, 52   Palombara Savelli, barbara, 178, 179 Paolo (apostolo, santo), 71 Paolo egineta, 206 Paolo III (papa), 35   Paolo IV (papa), 36   Parini, Giuseppe, 180 Pâris, François, 91-93, 95-99, 102-104, 187-190      Partini, Anna Maria, 178, 179, 245 Pasquale I (papa), 72 Pasquale II  (papa), 31   Pastor (von), Ludwig, 173, 174, 178, 179, 187, 199-201, 245 Pazzini, Adalberto, 245 Peretti (de), Pierre, 190, 242 Peretti, Felice, vedi: Sisto V Perosi, Lorenzo, 66 Petitfils, Jean-Christian, 160, 174, 188, 194-198, 201-204, 245 Pietrangeli, Antonio, 171, 207, 245 Pietro (apostolo, santo), 30, 71, 181, 187   Pietro da Cortona, 35   Pindaro, vedi: ecouchard-Lebrun, P.-d.   Pio V  (papa), 142, 199 Pio X (papa), 61, 66 Piranesi, Giovanni battista, 23 Pirot, edme, 130, 194-196, 245 Pisani Sartorio, Giuseppina, 177, 245 Platone, 14   Plinio il Vecchio, Gaio Plinio Secondo, 13, 14, 245  Plutarco, 173, 245    Plutone (divinità pagana), 18 Poe, edgar Allan, 194 Poirier, Germain, 108, 191 Pompadour, vedi: Madame Pompadour Porete, Marguerite, 204 219

Pourbus, Frans, 111 Préandeau (Madame de), 205 Premuti, Costanzo, 176, 245 Priapo (divinità pagana), 177 Primi Visconti, vedi: Fassola, Giovanni battista Proba, Anicia, Faltonia, 29  Procopio di Cesarea, 30, 173, 245   Proia, Alfredo, 207, 245 Proserpina (divinità pagana), 28 Prosperi, Adriano, 81, 182, 185, 245 Prudhomme, Louis Marie, 206, 245 Quesnel, Pasquier, 92 Quétel, Claude, 188, 194, 195, 245, 246 Rabutin-Chantal (de Sévigné), Marie, vedi: Madame de Sévigné   Ranke (von), Leopold, 199, 200, 246 Ravaillac, François, 161, 162, 201 Réau, Louis, 191, 192, 246  Régnier, denise, 190 Revel, Jacques, 197, 198, 241 Ricci, Corrado, 83, 184, 246   Rivarola, Filippo, 185 Robbé de beauveset, Pierre Honoré, 205 Robert, Hubert, 107    Roland, Jean-Marie, 191 Romano (papa), 182 Romano, Pietro, 197, 207, 245, 246 Romier, Lucien, 199-201, 246 Romon, Christian, 197, 198, 246 Ronsard (de), Pierre, 191 Rosa, Salvatore, 180 Rosi, Michele, 174, 246 Rotta, Salvatore, 178, 246  Rouselle, Françoise, 195 Roussel, Marguerite, 102      Rubino, Angelo, 86, 87 Ruggieri (fratelli, ditta di artificieri), 152, 202 Sabaoth (demone), 14 Sade (de), donatien, 194 Saint-Croix (Cavaliere di), vedi: Gaudin, Jean-baptiste  Sala, Giuseppe Antonio, 180, 246 Sallustio, Caio Crispo, 135, 197, 246 Salviati, Antonio Maria (cardinale), 146 Sansterre, Jean-Marie, 181, 182, 246 220

Santangeli Valenzani, Riccardo, 179, 244 Santinelli, Francesco Maria, 53, 178 Santinelli, Ludovico, 178 Sauval, Henri, 192 Savonarola, Gerolamo, 20    Scagnetti, Francesco, 34, 246   Scheid, John, 173, 246  Schiavonetti, Luigi, 64 Sciascia, Leonardo, 77, 246 Sédillot, René, 191, 246  Serni, Pompeo, 81, 82, 182, 185 Sforza Cesarini (famiglia), 52   Sigaut, Marion, 197, 198, 205, 246 Silvagni, davide, 174, 178, 180, 182, 184, 185, 207, 246 Silvestro I (papa, santo), 133, 134, 196 Sisto V (papa), 36, 38, 50, 61   Spallaccino, domenico, 184, 186 Spera, Lucrezia, 181, 246   Spurio Melio (Console romano), 206 Stefano VI (papa), 69, 74-76, 182  Stendhal  (beyle, Marie-Henri), 41, 147, 148, 176, 201, 246    Suire, eric, 188, 246 Svetonio, Gaio Tranquillo, 30, 173, 246   Swift, Jonathan, 165, 205, 246 Tabournel, Raymond, 201, 202, 246 Tacito, Publio Cornelio, 173, 246    Tackett, Timothy, 190, 246 Targhini, Angelo, 44, 176     Tempesta, Antonio, 29  Teodoro II (papa), 182 Teresa di Sant’Agostino (carmelitana) vedi: Luisa di Francia Tertulliano, Quinto Settimio, 135, 197, 246 Testini, Pasquale, 181, 247 Teysseire, Joseph, 66, 180, 247 Thelliez, berthe, 203-205, 247 Thiéry, Luc-Vincent, 192 Thomas, Gilles, 192, 247 Thomas, Jean baptiste, 44, 45, 175, 247   Tiquet, Pierre, 123 Tiretta, edoardo, 163, 205 Toaff, Ariel, 135, 197, 247 Tobia, Matilde, 179 Tognetti, Gaetano, 48   221

Tomassetti, Giuseppe, 173, 186, 247 Touchard-Lafosse, Georges, 202, 247 Traiano (imperatore romano), 30   Trivelli, enrico, 183 Trozzi, Mario, 174, 175, 247 Turchi, Nicola, 173, 247     Turenne, Maresciallo di Francia (Henri de La Tour d’Auvergne), 111, 192 Ullmann, Walter, 181, 182, 247 Urbano VIII (papa), 8, 35, 37-40, 56, 169, 173, 174, 178     Valadier, Giuseppe, 27    Valerio Asiatico, 28     Valesio, Francesco, 182-186, 190, 247 Valla, Lorenzo, 196 Van Haecken, Alexander, 64   Van Kley, dale K., 187-189, 247 Vasari, Giorgio, 147, 148    Velluti, Giovanni battista, 65 Vignati, Giovanni Antonio, 197 Vigolo, Giorgio, 237    Vigor, Simon, 142 Vintimille, Charles-Gaspard  (arcivescovo di Parigi), 95, 188 Vittoria di Francia (principessa, figlia di Luigi XV), 157 Vittorio emanuele II (re di Italia), 28   Voet, Jacob-Ferdinand, 53 Volpini, Gaetano, 182, 185 Voltaire  (Arouet, François-Marie), 108, 189, 195, 203, 247 Yonnet, Jean, 206, 247  Zaccaria (Zaccria) (profeta biblico), 86   Zoroastro, 14 

222

Indice dei luoghi e delle cose notevoli

Acta Silvestri, vedi: donazione Costantiniana Ancien régime, 8, 195 Ande (disastro aereo delle), 205 Anni Santi, vedi: Giubilei Apostasia, apostati, 174                Aquae ferventes, vedi: Roma, Magia nera Arras, 158   Assiri e babilonesi (Magia), 14   Astronomia, 36    Augustinus (Opera di Giansenio), 91 battesimo cristiano, 86, 87, 134, 181, 196 belgio, 129 bibbia,Vecchio e Nuovo Testamento, 61, 92, 112, 189  bléré, 114 bologna, 15, 62, 202 bolle papali, 38, 77, 91, 92, 98, 100, 188   borbone (dinastia), 192 bulgaria, 73, 181 Cabala, 56, 59 Calvinisti, vedi: Protestanti Cannibalismo, 165, 166, 169, 170, 172 Capetingi (dinastia), 105 Carboneria, Società segrete, 44  Cere (diocesi), 181                                                                  Cesena, 176   Chemin de la Révolte  (Strada di Luigi XV), 139, 198 Chiesa Cattolica, Cattolicesimo, Cattolici, 9, 20, 35, 36, 53, 55, 61, 91, 92, 100, 102, 135, 141-145, 148, 173, 181, 197, 199,  200, 203, 206    Circoncisione ebraica, 86, 135 Civitavecchia, 184 Cognac (Lega di), 19    Colonie francesi in America, vedi: Francia Colonna infame, vedi: Milano  Compagnia dei battuti di Firenze (Confraternita), vedi: Firenze Compiègne, 139 Concili, Sinodi, Concistori, 75, 92, 141, 146, 182  Consolato (Regime politico francese), 190 223

Constitutum Constantini, vedi: donazione Costantiniana   Controriforma, 39   Costantinopoli (Patriarcato di), 73, 74 Cristianesimo, Cristiani, 13, 20, 24, 29, 33, 46, 70, 71, 73, 91, 99, 100, 135, 145,  173, 178, 181, 187, 197 Croce astile, 71 divina provvidenza, 36, 37    donazione Costantiniana, 133, 196   ducato di Spoleto, vedi: Spoleto (ducato) ebrei, 14, 25, 58, 84, 86, 87, 135, 136, 186, 197 edimburgo (National Galleries), 53 egitto, 16, 56, 197     europa, 141, 142, 144, 145, 148, 149, 165, 193 Fabbrica di S. Pietro, vedi: Vendita delle indulgenze Faraone (esodo di Israele), 135 Firenze, 20, 77  Foligno, 42   Fontainebleau, 178 Franchi (Popolo), 74 Francia, Francesi, 7, 8, 19, 22, 63, 66, 91, 103, 105, 108, 112, 135, 141, 142, 144, 145, 159, 161, 165, 174, 178, 184, 191, 192, 195, 197, 200, 202, 204, 207   - Chiesa francese, Gallicanesimo, 91, 92, 187 - Colonie francesi in America, 136, 138 Franciade, vedi: Saint-denis Frenologia, 123 Gallicanesimo, vedi: Francia, Chiesa Germania, 20, 74    Geroglifici, 56 Giappone, 166, 206 Giubilei, 44, 146    Governo Pontificio, vedi: Stato Pontificio   Grazia (dono salvifico), 91, 187 Grecia  (Magia), 14, 16      Guerra dei Sette anni, 204 Guerra dei Trent’anni, 35   Guerre di religione, 141, 142, 145, 199, 206 Haggadah  (Testo liturgico ebraico), 197 Impero Romano, 134, 196 Indulgenze, vedi: Vendita delle Inghilterra, Inglesi, 128, 176, 243 Innocenti (Strage degli), 197 Irlandesi, 165 Italia, Italiani, 19, 33, 45, 144, 165, 176, 184, 195, 200   224

Karlsruhe (Staatliche Kunsthalle), 111 Legazioni, Vedi: Stato Pontificio    Le Havre, 121 Lepanto  (battaglia di), 147, 200 Lettres de cachet (ordini di incarcerazione), 125, 189, 195 Libero arbitrio, 36, 91, 187   Liegi, 129 Lione, 144, 146, 200  Londra (National Gallery), 64 Lovanio, 187 Luterani, vedi: Protestanti Madrid (Museo Galdiano), 24 Mantova (Museo del Risorgimento), 21  Martiri cristiani, 24, 46, 100, 105, 185  Mediterraneo, 15    Medusa (Naufragio della), 205 Melbourne (State Library Victoria), 167 Meudon, 138 Milano, 33, 206   Montecompatri, 66 Mussulmani, 147   Nantes (Musée des beaux-Arts), 75 Necrofilia, 120, 121, 193, 194 Negromanzia, vedi: Magia nera, Parigi e Roma    New York (Public Library), 64 Norcia, 169 Omicidi rituali, 135, 197 Ordini religiosi - Agostiniani, 20, 33, 40, 141, 174   - domenicani, 182, 184 - Francescani, 40  - Gesuiti, 55, 84, 135, 179, 182, 186, 188, 203 - Oratoriani, 92  Orvieto, 184 Pace di S. Germano (Guerre di religione), 142 Paganesimo, Pagani, 24, 102 Papiri magici, 16  Parc-aux-Cerfs (di Luigi XV), 204 Parigi  - Accademia Reale delle Scienze, 103 - Affaire des poisons, vedi: Veleni, Avvelenamenti - Alchimia, 125, 195 - Appellanti e Riappellanti, vedi: Giansenisti 225

- Assemblea Nazionale, 105, 191 - bastiglia (Presa e abbattimento), 105, 106, 191 - Carceri bastiglia, 99, 125, 188, 189  Conciergerie, 130, 160, 164 Tempio, 105, 191 Vincennes, 99

- Carestie, 136 - Châtelet (tribunale), 163 - Chiese, luoghi di culto Chapelle expiatoire, 191, 202 Madeleine (La), 150-152, 155  Notre-dame, 112, 130, 142, 164, 166, 168  S. Medardo, 91, 93-97, 103    Saint-Germain-l’Auxerrois, 142

- Cimiteri Madeleine (de la), 154, 191, 202 Montparnasse, 113, 114, 116-118 Père-Lachaise, 113, 115, 117, 193 S. Medardo, 9, 91, 93, 95-99, 103, 104, 187, 188, 190

- Clôitre de Notre-dame, 166, 168 - Comitato di Salute Pubblica, 106, 107, 190, 191 - Commissione dei Monumenti, 191 - Confortatori, 130 - Convenzione Nazionale, 191 - Convulsionari (eresia giansenista), 9, 91, 95-103, 188-190, 203  - Croix de Gastines, 206 - Faubourgs Saint-Honoré, 154 Saint-Jacques, 187, 199 Saint-Marcel, 91, 187

- Ghigliottina, 105, 108, 184, 201 - Giansenisti, 91-93, 95, 96,102, 159, 160, 187, 188, 189, 203, 204   - Giornali, Periodici Mercure de France, 202  Moniteur (Le), 107 Nouvelles ecclésiastiques (Les), 95, 188   Révolution de Paris, 107

- Glossolalia, 100 - Hotel-de-Ville, 155, 163  - Imene (Tempio di), 152, 153 - Louvre, 143 - Musei, biblioteche, Collezioni Archivi Nazionali (Museo degli), 159  

226

biblioteca Nazionale di Francia, 153, 159 Carnavalet (Museo), 107    Cluny (Hôtel de), 112 Gabinetto di Storia Naturale, 192 Invalides (Les), 192 Monumenti Francesi (Museo dei), 192

- Notte di S. bartolomeo, vedi: Protestantesimo - Obelisco di Piazza della Concordia, 201 - Omosessualità, Pederastia, Pedofilia, 138, 198 - Ospedali, Ospizi, Ricoveri Hôpital Général, 197  Hôpital du Saint-esprit, 163 Hôtel-dieu, 96, 126, 166, 167, 195 Saint-Jean-de-dieu (della Carità), 113  Val-de-Grâce, 118-120 

- Parlamento di Parigi, 91, 99, 123, 160, 161,164, 188, 204  - Ponti Concordia (della), 150 Notre-dame, 131

- Port-Royal des Champs (Convento parigino), 187  - Prigioni, vedi: Carceri - Protestantesimo, Protestanti, Ugonotti, 7, 8, 138, 141-147, 148, 199, 200, 201, 206 - Senna, 104, 129, 144, 149, 150, 152, 162, 166, 195, 199, 200 - Sorbona (Università), 196,199 - Tempio, Templari, 105, 191  - Tortura, 159, 163, 204 - Tuileries (Palazzo reale), 105, 107, 149, 150, 191 - Ugonotti, vedi: Protestantesimo - Veleni, Avvelenamenti, 123, 125, 126, 128, 129, 131, 157, 195 - Vie e piazze Arbaléte (Rue de l’), 92, 103, 104  Arcole (Rue d’), 206 bourguignons (Rue de), 92 Champs-elysées (Avenue des), 150   Chanoinesse (Rue), 167, 206 Charles V (Rue), 126 Charte (Place de la; Place de la Concorde), 201 Cité (Rue de la), 167 Concorde (Place de la), 149, 155, 201, 240 deux-Hermites (Rue des), 167, 206 Grève (Place de), 129, 130, 149, 157, 162, 163, 198, 201, 205 Hôtel de Ville (Place de l’), 162

227

Luigi XV (Pl. de la Concorde), 149-151, 201 Luigi XVI (Pl. de la Concorde), 201 Marmousets (Rue des), 8, 167-169, 206, 207  Mouffetard (Rue), 93 Port-Royal (boulevard de), 92 Révolution (Pl. de la Concorde), 201 Royale (Rue), 9, 149-155, 201, 202  Saint-Jacques  (Rue), 199 Saint-Sulpice (Rue), 195 Saint-Victor (Rue), 189   

Pavia (battaglia di), 19    Perugia Governatore di), 84 Persia (Magia), 14    Pesaro, 178 Pietra filosofale, vedi: Trasmutazione dei metalli Piombi (Carcere), vedi: Venezia  Piombo (elemento magico), 15    Pont de Sèvres, 138 Port-Royal-des-Champs, 92 Porto (diocesi di), 73-75, 181 Potere temporale (dei papi), 33, 43, 48   Repubblica francese, 105 Restaurazione in Francia, 201  Rinascimento, 21, 36, 51   Rivoluzione francese, 7, 103, 105, 107, 113, 138, 150, 191, 201  Rocca di Papa, 44  Roma  - Abiure solenni a S. Pietro, 38, 40 - Aequimelium (Toponimo), 206 - Acquedotti, 49, 177   Giulio, 52, 177, 178 

- Alchimia, Alchimisti, 22, 52-57, 59, 60  - Anfiteatro Flavio, vedi: Colosseo - Arciconfraternita della Misericordia, vedi: Confraternita di S. Giovanni decollato, Confortatori  - Arco di Gallieno, vedi: Porta esquilina - Astrologia, Astrologi, 8, 14, 15, 21, 35-40, 53, 173, 174, 178     - Aventino, 186 - Avvelenamenti, vedi: Veleni - Avvisi, 37, 174 - bandi, 174    - barberi (Corsa dei) vedi: Carnevale  228

- biblioteche biblioteca Angelica, 182  biblioteca di S. Prassede, 37 

- Camera Storica, vedi: S. Giovanni decollato (chiesa) - Campidoglio, 27, 57, 77, 134, 178    - Campo Marzio, 27, 28    - Campo Vaccino, vedi: Foro Romano - Campus Esquilinus, vedi: Cimitero esquilino - Campus Neronis (Toponimo) vedi: Prati di Castello - Cancelleria Pontificia, 196 - Cappella Sistina (Cantori della), 8, 9, 61- 67, 180 - Carboneria, Carbonari, 44,    - Carceri Castel S. Angelo (di), 22, 23, 55, 184       Inquisizione (dell’), 38 Nuove, 79, 182, 183 Tor di Nona (di), 38, 79

- Carnefici, 80-83, 87, 183-185  - Carnevale, 33, 46, 62, 183    - Caserma degli zuavi, 48   - Castel S. Angelo (Fortezza), 19, 22, 32, 84    - Catacombe, 46  - Cerchio magico (Rituale esoterico), 24, 25 - Chiese  Cappella dei Confortatori a Ponte S. Angelo, 84, 87 Cappella di S. Maria del Popolo, 31, 32   Oratorio di S. Lorenzo (Formoso), 69-73, 76, 180-182 S. Carlo al Corso, 37, 38, 174   S. Croce in Gerusalemme, 177   S. eusebio, 179 S. Giovanni decollato, 77-79, 82, 83, 175   Ss. Giovanni e Paolo, 180 S. Lorenzo in Lucina, 72 S. Luigi dei Francesi, 146 S. Marco, 146 S. Maria in Cosmedin, 176, 182   S. Maria in domnica, 69 S. Maria Maggiore, 55 S. Maria sopra Minerva, 190 S. Maria dei Miracoli, 28     S. Maria di Montesanto, 28     S. Maria del Popolo, 28, 29, 31-33    S. Maria in Trastevere, 183

229

Ss. Pietro e Marcellino, 52 S. Pietro in Vaticano, 38, 40, 45, 61, 66, 67, 72-74, 76, 141, 181    S. Paolo f.l.m., 181 S. Prassede, 37, 72, 178   Ss. Quattro Coronati, 133, 134   S. Vitale, 179 S. Vito, 177  

- Cimiteri ebraico dell’Aventino (Ortaccio), 86 esquilino, 49, 52  Muro Torto, o degli Impenitenti, 32, 84, 186  

- Cimiteri cristiani, vedi: Catacombe - Claudiano, vedi: Tempio di Claudio - Collis Hortulorum, vedi: Pincio - Collegio Romano, 54, 56, 178 - Colosseo (Anfiteatro Flavio), 23-25, 45, 69, 180     - Comune romano medievale, 33  - Conclavi, 35, 173, 174    - Confortatori, 8, 42, 43, 45, 47, 77, 78, 81-87, 172, 175, 182, 183, 185, 186, 207   - Confraternita di S. Giovanni decollato, vedi: Confortatori      - Congregazione del Sant’Uffizio, vedi: Inquisizione - Conventi, Monasteri Agostiniani (degli) a S. Maria del Popolo, 29, 33   Cenacolo di  Proba  (negli Horti Luculliani), 29 Ss. Giovanni e Paolo al Celio (dei), 180 S. Prassede (di), 37, 38, 178   Ss. Quattro Coronati, 77

- Corte pontificia, 8, 80, 182, 183 - Curia romana, 144, 187, 200  - Ctonie (divinità sotterranee), vedi: Religione di Roma antica - Defixiones, vedi: Magia   - degli spiriti (toponimo), 32 - demonio, Spiriti maligni, 24, 30, 31, 81 - ebrei, 14, 84, 86, 87, 186   - epidemie, Pestilenze, 21, 33 - eresie, Cerimonie blasfeme, 37, 38 - Fabbrica di S. Pietro, vedi: Vendita delle indulgenze,   - Fisco imperiale, 28 - Fogliettanti, vedi: Gazzettanti  - Foro boario, 77, 182 - Foro Olitorio, 77, 182 - Foro Romano, 79, 182, 183, 185 230

- Gabinetto Nazionale delle Stampe, 32 - Gare circensi, Fazioni, 17, 173 - Gazzettanti, Menanti, Fogliettanti (Giornalisti), 37, 80, 82, 174, 182    - Ghetto, 84, 86, 186  - Ghigliottina a Roma e nello Stato Pontificio, 42, 43, 44, 46-48, 175, 184  - Gladiatori, 135 - Guerra Greco Gotica, 29 - Horti, vedi: Ville antiche - Inquisizione, 35, 36, 38, 53, 55, 80, 102, 174, 183-187, 190  - Invasioni barbariche, 49 - Leggi delle XII tavole, vedi: Religione di Roma antica  - Magia, Magia nera, Roma antica, 8, 13-16, 34, 173 Malum Carmem, 14 Tabellae defixionum, 8, 14-18

- Magia, Magia nera, Roma moderna, 21, 23, 25, 35-40, 53, 174     - Malaria, 35 - Mantica (Pratica divinatoria), 14, 173   - Martiri cristiani, 24, 46, 185    - Mole (Mulini fluviali), vedi: Tevere   - Menanti, vedi: Gazzettanti - Mura   Aureliane, 19, 28-32, 34    Leonine (Porta S. Spirito), 19 Muro Torto, 30-32, 34. 84   Passetto di borgo, 19   Serviane (Repubblicane), 28, 49, 177  

- Musei Camera storica di S. Giovanni decollato, 83 Capitolini, 35 Civiltà Romana  (della), 69 Criminologico, 47    Kirckeriano, 14    Vaticani, Sala Regia, 147, 148

- Musici evirati, vedi: Cappella Sistina (Cantori della)  - Negromanzia, vedi: Magia nera - Obelisco di piazza del Popolo, 183 - Omosessualità,  80, 82, 185  - Ortaccio degli ebrei, vedi: Cimiteri - Ospedali Lazzaretto a Porta del Popolo, 33  

- Palazzi  Cancelleria, 21   

231

Corsini, 53   Lateranense, 72, 73, 76  Riario (Corsini), 53   Vaticani, 73, 147, 148  Venezia, 144

- Pantheon, 169, 190, 207  - Pasquino, Pasquinate, 80, 183, 185 - Passetto di borgo, vedi: Mura - Pentacolo (elemento esoterico), 25   - Piani regolatori, 50  - Pincio (Collis Hortulorum), 27-30      - Poligamia, 38   - Ponte S. Angelo, 41, 47, 79, 84, 175   - Pontefici del Campidoglio, 134 - Porta Magica di villa Palombara, 49, 55, 57-60, 179   - Porte del Popolo (Flaminia), 27, 30-34, 84   esquilina (Arco di Gallieno), 177 Maggiore, 177 Pia, 48   Santo Spirito (Mura Leonine), 19

- Prata Neronis, Campus Neronis (toponimi), vedi: Prati di Castello - Prati di Castello, 32   - Predica agli ebrei, 86, 186 - Prostituzione, Prostitute, 32, 174, 186 - Prigioni, vedi: Carceri - Protestanti, Protestantesimo, 35, 147 - Religione di Roma antica, 13   Leggi delle XII tavole, 14   Pax Deorum, 13 Sacra (publica et privata), 13 Sacrifici, 13

- Repubblica Romana del 1798-1799, 43, 66, 175, 180   - Repubblica Romana del 1848-1849, 48, 177    - Rioni  borgo, 19, 174 Celio, 133 esquilino, 50  Ripa, 77 Trastevere, 175 

- Roma Capitale, 50   - Rotonda, vedi: Pantheon - Sacco del 410, 29   232

- Sacco del 1527, 19-22, 25     - Sala Regia, vedi: Musei Vaticani - Sepolcri antichi, 28  domizi (dei), 30   Nerone (di), 30, 31   Piramide di piazza del Popolo, 28   Sepolcri di piazza del Popolo, 28, 30, 31, 34   Sepolcro di S. Maria del Popolo, 31 

- Società segrete, vedi: Carboneria - Tavolette confortatorie, 45, 82, 83, 86, 184, 186 - Teatro Marcello, 182 - Teatri moderni Alibert (delle dame), 63, 64, 180 burattini (dei), 62, 179 Capranica, 64 Valle, 64

- Telepatia, 22 - Templi  Castori (dei), 183 Claudio (di), 69, 70, 76, 180

- Tevere, 21, 27, 30, 31, 33, 49, 75-77, 84    Mulini fluviali, 84    Piene, Inondazioni, 21     Traghetti, 84 

- Tombe antiche, vedi: Sepolcri - Topiaria (Arte, tecnica botanica), 177   - Torre di Nerone, vedi: Sepolcro di Nerone - Tortura, 82, 171,185, 207 - Tribunale del Governatore, 38, 174  - Tribunale delle Fede, vedi: Inquisizione - Triclinio Lateranense, 181 - Trofei di Mario (Acquedotto Giulio), 52 - Università romana, 38  - Vaticano, 19, 21     - Veleni, Avvelenamenti, 28, 38, 73, 80, 174, 181   - Vendita delle indulgenze, 20, 141  - Vie e piazze  borgo S. Angelo, 174   bocca della Verità (Piazza), 182, 183 Campo de’ Fiori, 38, 39, 40, 55, 182-184    Cerchi (Via dei), 46, 48   Claudia (Via), 69 Conciliazione (Via della), 183    

233

Corso Umberto, 28, 33, 37, 46     Felice (Via), 52, 177   Flaminia (Via antica), 28     Giulia (Via), 183 Gregoriana  (Via), 177 Labicana (Via), 52   Lungara (Via della), 53   Margutta (Via), 63, 180 Mastro (Vicolo del), 41 Merulana (Via), 177   Muro Torto (Viale del), 186 Pantheon (Piazza del), 8, 169, 171, 172, 183, 207  Papale  (Via), 62 Pasquino (Piazza), 183 Ponte  S. Angelo (Piazza di), 79, 84, 87, 176, 183, 185      Popolo (Piazza del), 27, 29, 30, 32-34, 43, 44, 79, 80, 183-185     Ripetta (Passeggiata di), 30   Rusticucci (Piazza), 183 Salaria Vetus (Via antica), 30   S. Giovanni decollato (Via di), 77, 78 S. Maria in Trastevere (Piazza di), 183 Spagna (Piazza di), 175, 180 Trinità dei Monti (Piazza della), 177 Venezia (Piazza), 28, 33     Vittorio emanuele II (Piazza), 49, 50, 52, 59, 60, 177   

- Ville antiche (Horti), 51, 57  Horti Luculliani, 28, 29 Horti Lamiani, 50-52, 177 Mecenate (Villa di), 49  Muro Torto (Villa al), 34

- Ville moderne, 49-51 borghese, 34   Peretti-Montalto, 50  Palombara, 8, 49, 50, 52-57, 60, 177-179

- Vittoriano, Monumento a Vittorio emanuele II, 28 - Voci bianche, vedi: Cappella Sistina (Cantori della) - Rosacroce (Ordine ermetico), 53, 56, 58, 59 Sabba (Convegno diabolico), 24, 25   Saint-denis (Città e abbazia), 7, 105-109, 191, 192  Sainte-Adresse (Cimitero di), 121 Saint Louis (Art Museum), 143 Saturno (Pianeta astrologico), 15 Sciti (Popolo), 134 234

Secondo Impero (Francia), 206 Sévres, 138 Spagna, 144, 174   Spirito Santo, 59 Spoleto (ducato longobardo), 74, 75, 181, 182 Stati Generali (Riunione dei ceti francesi), 191, 202 Stato Pontificio, Governo Pontificio, 42, 43, 47, 48, 61, 62, 74, 79, 181, 183, 184, 185 Stoccarda (Staatsgalerie), 65 Strage degli innocenti, 197 Streghe, Stregoneria, 24 Tabellae defixionum, vedi: Roma, Magia nera   Terrore, vedi: Rivoluzione francese Tours, 114 Traditio Legis (Tema iconografico),71 Trasmutazione dei metalli, 56, 57, 179, 195 Trianon (Residenza reale francese), 102, 157, 203 Turchi (Popolo), 200 Ungheria, 136 Vallombrosa (Abbazia), 37   Vampirismo, 9, 113, 118, 119, 193, 194 Varennes (Fuga di), 105, 190 Vaticano, 19, 21, 147  Vassy (Strage di), 199 Veglia, vedi: Roma, Tortura  Vendita delle indulgenze, 20, 141 Venezia, 53, 158, 203  Versailles, 92, 102, 123, 138, 149, 157, 158, 191, 198, 203 Vienna (Kunsthistorischen Museum), 22   Wittenberg, 33   Ypres, 187

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Marcello Di Muzio DALL’UNIVERSO ALL’ANIMA l’Io nel riverbero della coscienza

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Solas Boncompagni - Maurizio Monzali GLI AUDAcI

Antiche imprese tra genti, terre e mari sconosciuti Pagine 96 illustrate € 11,90 eBook € 4,49 Adamo, Annone, Eracle, Eva, Nicolò e Antonio Zeno, Gilgamesh, Necao, Pitea, san Brandano, san Patrizio, Scilace, Sinbàd ed altri. “…L’isola era così dall’inizio del mondo e quella terra di santi e di beatitudine era tale che non vi si provava né fame né sete né sonno e c’era sempre giorno, né vi erano perturbazioni atmosferiche né infermità né morte per volontà divina”.

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La dottrina della luce rigeneratrice. L’ermetica scintilla Guida all’iniziazione e alla pratica ermetica Pagine 166 illustrate € 16,00 eBook € 5,49 L’ermetista, strumento di “forze superne”, deve agire con equilibrio senza lesinare le sue energie e senza dissiparle. L’alito vitale che spira dallo “Spirito”, immanente e risanatore, è lo stesso che si sostanziava nei templi remoti in cui sacerdoti-terapeuti nutrivano con pazienza e amorevole intento i malati.

N. Michele campanozzi cONVERSONI. Una radicale rivoluzione interiore

Pagine 128 € 13,00 eBook € 5,49 Oscar Wilde, Alessandro Serenelli, Eva Lavallière, Edith Stein, Giancarlo Siani, Carlo Urbani, Giuseppina Bakhita, Rosario Livatino, Gianna Beretta Molla, Alfonso Maria de’ Liguori, Chiara Luce Badano, Matteo Farina, don Andrea Gallo, Giorgio La Pira, Chiara Corbella Petrillo, don Milani. Non si tratta soltanto di “convertiti” a una fede religiosa, ma anche di personaggi che hanno dato una “svolta” alle proprie scelte progettuali.

Elena Greggia LìBERAtI DAI VELENI DELLA MENtE Le emozioni sane e l’insegnamento del Buddha

Pagine 160 € 15,00 eBook € 5,49 “Oggi mi fermo e pulisco il mio cuore”. Pagine ricche di indicazioni pratiche e racconti accompagnano il lettore a scoprire l'insegnamento buddista e a ritrovare, sotto la polvere di ansie, rabbie e modi distruttivi, quella luce adamantina che si manifesterà come benessere, saggezza e felicità. Contributi di Giuseppe Bonfanti, William Giroldini e Sergio Ragaini.

Solas Boncompagni - Maurizio Monzali FIORI, SUONI, cOLORI tra magie e simbolismi

Pagine 144 illustrate a colori € 16,00 eBook € 6,49 In forma di manualetto propone un’insolita lettura del significato dei fiori, dei suoni e dei colori, frutto di una ricerca armonizzata in ambito mitologico, simbolico, scientifico e letterario, con rimandi anche all’alchimia e all’araldica. Numerosi i riferimenti alla spiritualità e le curiosità. Una preziosità per l’utilizzo di fonti rare e per la brillante esposizione.

Marisa Fabbri - Nesaia ALLA ScUOLA DEGLI ANGELI Il viaggio nella memoria di uno spirito cavaliere

Pagine 320 illustrate € 16,50 eBook € 6,99 Attraverso un channeller l’autrice entra in contatto con il suo spirito guida. Inizia così a praticare quel tipo di scrittura che viene definita automatica, spirituale, medianica. Sollecitata ad offrire la sua mano per ricevere informazioni sul mondo esistente “dall’altra parte del velo”, scoprirà le sue vite precedenti, i suoi compagni, le sue aspirazioni, ma soprattutto cosa accade in quella dimensione che consideriamo “altra”.

cerchio Armonia (a cura di Giulio caserta) VIANDANtI DELL’ANIMA. Un predicatore e un monaco

tibetano ci parlano dall’Oltre Pagine 128 € 12,00 eBook € 5,49 Una signora di mezza età, fiorentina, scopre di potersi mettere in contatto con qualcosa che non è di questa terra. Con umiltà e pazienza, ma anche con genuina curiosità, accetta questo “invito” a scrivere, senza capire bene cosa. Leggendo poi ciò che è stato trasmesso, comprende che si è aperto un canale di comunicazione “particolare”.

Michele Dinicastro VIAGGIO NEL tEMPO. Un’ipotesi possibile

Pagine 144 € 12,50 eBook € 5,99 Da un’indagine multidisciplinare sulla natura del tempo si passa alla descrizione dei più autorevoli studi scientifici sui viaggi nel tempo e dei progetti più audaci per la costruzione di specifiche macchine. Apprendiamo di quegli esperimenti “non convenzionali”, scelti tra i più interessanti mai realizzati, come la “cronomacchina” di Vadim Chernobrov, il progetto “Integratron”, la macchina iraniana che vede il futuro ed altre.

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