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Italian Pages 124 Year 2001
NOTA
Ludwig van Beethoven ricevette un giorno un biglietto dal fratello minore Nikolaus J ohann, che era appena diventato proprietario del podere Gneixendorf. Sul biglietto stava sciritto: «J ohann van Beethoven. Proprietario terriero». Ludwig gli rispose con un altro biglietto: «Ludwig van Beethoven. Proprietario di cerviello». Questo gesto denota la lucida autocoscienza dell'individuo moderno libero da ogni legame, sia negativo che positivo, sia collettivo che individuale, con scio di avere come unico punto di riferimento le proprie capacità di fare esp erienza e i loro impedimenti. Ma possedere tali capacità, tuttavia, non significa di per sé fare e avere esperienza: essa è appunto qualcosa che non si può p ossedere come invece si può senz'altro p ossedere una tenuta. L'esperienza, infatti, è sempre in movimento, essa è anzi questo stesso movimento, è un'attitudine all'interno di una costellazione di senso composta di tradizioni collettive e individuali in continua trasformazione. Il significato originario del termine è quello di viatggio; durante un viaggio le costellazioni mutano di continuo impedendo al viaggiatore l'arresto definitivo su una terra ferma. N on si può possedere l'esperienza perché la si vive, la si abita, e se ne può parlare soltanto a partire dal mo mento in cui è già passata. T ale difficoltà di dire l'esperienza e l'assoluta necessità di portarla ad espression e costituiscon o il paradosso stesso dell'esperienza. Il gesto di Beethoven però denota anche una rinuncia; l'esperienza passata, in questo caso l'esp erienza classica di H aydn e Mozart, non è più accessibile: nei suoi ultimi quarteui Beethoven disgrega questa felice sintesi tra il popolare e l'erudito. In questo modo egli rompe con la dimension e collettiva, con la tradizion e e con il sostrato naturale di abitudini individuali che, nella definizion e benjaminiana, sostengono l' esp erienza in senso proprio. T ale processo, tuttavia, non è soltanto un processo all'esp erienza, una denuncia della sua crescente impossibilità, è già, allo stesso tempo, un processo di esperienza. Cum grano salis, al cospetto della morte dell'esperienza questa stessa morte diviene l' esperienza attuale. La stessa riflessione sull'esperienza sorge soltanto in un momento in cui quest'ultima è diventata problematica. Su questo sfondo Benjamin tenta di pensare un concetto enfatico di esperienza che non riduca la sua complessità a una estetica trascendentale integrata dalla logica. L'esperienza, infatti, non coinvolge solo la
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percezion e, l'intelletto o la ragione ma tutte le facoltà che m ediano il singolo con la sua esteriorità: intelligen za, sensibilità, tatto, cortesia, atten zione, stile, espressività, m em oria, immaginazione, volontà, appetito, affetti, passioni, capacità di soffrire, per nominarne soltanto alcune. L' esperienza non è solo problema del p ensiero razionale, è soprattutto problema per e della mìmesis. Le riflessioni di Benjamin formano un sentiero non soltanto molto tortuoso, ma anche assai lungo proprio perché la stessa esperienza è virtualmente inconcludibile. Una riflessione sulle problematiche dell'esperien za è dunque, necessariamente, un work in progress che lasci sempre aperta la do manda che pone. Più che una ricerca filologica dunque, il presente lavor o rappresenta il tentativo di pensare, assiem e a Benjamin, i problemi ch e, con il concetto di esperienza, egli pone. Di conseguenza, non si tratta solo di una ricerca su Benjamin, ma altrettanto di una esperien za con la sua opera e attraver so le sue riflessioni. La problematica dell' espeirien za non riguarda soltanto il rapporto con oscitivo tra soggetto e oggetto ma, dal m om ento che gli oggetti mediano i rapporti tra i soggetti, anche la costituzione dell'intersoggettività, della tradizione, della convivenza umana, del rapporto con la natura e con la storia. Il problema dell'esperienza, così com e lo pone Benjamin, coinvolge inoltre immediatamente anche una serie di altre problematiche legate alla secolarizzazione della natura e della morte, perché i problemi di esperienza sono problemi di esistenza e in fondo problemi di vita legati alla natura e all'evoluzione storica. In sintesi, l'esperienza p one problemi di vita st oricamente determinati. Se oggi ciò significa rifletter e la povertà dell'esperienza di fronte all'esten sione virtualmente infinita delle sue possibilità tecniche, allora occorre affrontare e confrontarsi con le conseguen ze del millenario progetto di cultura e chiedersi se, come dice Benjamin, si è reso necessario sopravviver e alla cultura. Milan o, 15 giugno 2001
D esidero ringraziare Stefano Zecchi per aver incoraggiato e sostenuto il mio lavoro, e Lino Rossi per averlo nuovamente accolto nella sua collana. D esidero altresì ringraziare Giovanni Matteucci per il suo prezioso lavoro che ha r eso possibile la pubblicazione, nonché tutti coloro che riconosceranno, in una qualche sua parte, tracce di esperien ze comuni.
I. INTRO D UZIONE Ho esperienza, e non scherzo dicendo che è un mal di mare in terra ferma. Franz Kafka
L'esperienza si situa al centr o del pensiero di Benjamin e permea ogni suo scritto, si tratti di riflessioni teologiche o politiche, estetiche o storico-filosofiche, morali o gnoseologiche. T uttavia l'esperien za, più che un concetto fondativo per la iriflessione filosofica, costituisce un problema e la sua difficoltà centralie non consiste nella definizione del modo in cui possa darsi un'esperienza, bensì nella comprensione della sua assenza. L'esperienza, infatti, è il centro assente intorno al quale si dispongono, creando con tinuamente costellazioni nuove, nel lor o reciproco intersecarsi e rispecchiarsi, le riflessioni di Benjamin e il carattere caleidoscopico della sua filosofia vi t rova, non già una impossibile conclusione sistematica, ben sì la sua rnnità riflessiva aperta e in continuo divenire. Non per altro, anche da adulto, Benjamin non ha mai perso la passione, che aveva da bambino, per le immagini in movimento. L'impossibilità della presenza piena dell'esperienza dipen de an che dal fatto che per Benjamin questo concetto acquisisce man mano un significato sempre più enfatico ed esteso; in qualsiasi riflessione astratta il teoreta Benjamin non si è mai dimen ticato dei desideri dell'infanzia. Inoltre, più il suo ambito si estende e la sua importanza cresce, più il concetto di esperienza deve confrontarsi con cornplesse metamorfosi della sua struttura interiore. In questo concetto dunque le stratificazioni di senso s'int reccian o in modi complessi e sempre cangian ti; gli elementi ch e compongono una singola esperienza si danno in una certa costellazione una volta sola, subito dopo, i loro rapporti sono già altri. La complessità del concetto rispecchia an che un modo di reagire al progressivo impoverimento dell'esperienza e alla catastrofe della Weltanschauung della borghesia europea sfociata nella I Guerra Mon diale. Tale reazione, che accomuna Benjarnin a Ernst Bloch e Gyor gy Lukacs, consiste nel tentativo di recuperare,, di fron te a una situazione sociale e culturale caratterizzata da una profonda povertà di esperienza, dimensioni nuove e più profonde. C iò permette di stabilire un parallelo con la situazione del primo romanticismo tedesco e con il suo modo di reagire
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al formalismo della filosofia kantiana; infatti, Lukacs fonda la sua filosofia della storia sugli scritti del giovane Friedrich Schlegel, Bloch prende spunto da Fichte e Schellingl e, peir quanto riguarda Benjamin, è noto non soltanto che il suo primo scritto di più ampio respiro è dedicato al concetto di critica nel romanticismo tedesco ma che proprio questo lavoro segnò un passo decisivo nel recupero del romanticismo stesso contro la critica operata da Hegel innanzitutto e, in seguito, da Kierkegaard e Heine2. Inoltre, il concetto di esperienza costituisce per Benjamin anche il campo di interazione tra l'individuale e il collettivo e, di conseguenza, si carica di significati che permettono di tracciare un ulteriore parallelo, questa volta con Hegel. Fino al 1797 quest'ultimo, infatti, era kantiano e kantiano era il suo concetto di libertà; soltanto la ripresa dei contatti con Holderlin e con i suoi amici durante il periodo francofortese fece maturare in lui la consapevolezza dell'insufficienza della sua concezione. Per poter fondare la coscien za della realtà sul concetto di libertà, infatti, non era sufficiente co►ncepire la libertà, come aveva fatto Kant, unicamente come individuale e autoreferenziale. Era necessario integrare il suo movimento per contrapposizioni con un principio superiore di unificazione. Sotto l'influenza, dunque, della critica che Holderlin stava elaborando nei confronti della filosofia morale di Fichte e in seguito al suo proprio confronto con la teologia morale di Kant, Hegel incominciò a sviluppare un principio che potesse non solo essere terminus ad quem dell'unificazione, ma u gualmente punto di partenza e sostanza del dispiegamento della realtà e della coscienza. Come è noto, dieci anni più tardi tale principio, prima circoscritto con il termine «vita», viene in seguito definito come 6. Per questo motivo Benjamin può affermare che «il concetto di stile fillosofico non è affatto paradossale»7. La filosofia deve riflettere sul proprio stile perché il suo modo di esp osizione (Darstellung) decide del suo contenuto di verità e il contenuto di verità è l'espressione del suo contenuto d'esperienza. Lo stile filosofico infatti n on consiste soltanto nel collegare concetti astratti gli uni con gli altri, ma anche nello stabilire rapporti tra l'esperienza e la sua espressione scritturale. Il traduttore Benjamin sapeva molto bene come il minimo spostamento stilistico modifichi il contenuto e quanto il modo d'esposizion e sia decisivo per l'espressione dell' esperienza. Di conseguenza la concatenazione deduttiva, che rispo nde a una precisa regola logica e concettuale, esaurisce tanto poco l'esperienza quanto il gesto sbrigativo 6. Karl Kraus, Pro domo et mundo, in: Id., Schriften, a cura di C . Wagenknecht, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1986, voi. 8, p. 29 1; trad.it.: Detti e contraddetti, a cura di R. Calasso, Adelphi, Milano 19993, p. 252 .. 7. Walter Benjamin, Ursprung des deu:tschen Trauerspiels, in: Id., Gesammelte
Schriften, a cura di R. Tiedemann e H . Schweppenhauser, Suhrkamp, F rankfurt a. M. 1980-9 [d'ora in avanti: GS], vol. I.1, p. 2 12; trad. it.: Il dramma barocco tedesco, trad. di F. C uniberto, Einaudi, Torino 1999, p. 8 [d'ora in avanti: UdT; DB].
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del frammento, che crede di poter recuperare il particolare frantumando l'universale. Se la prima seppellisce il singolo sotto i macigni dell'universalismo, il secondo non salva il singolo, ben sì soltanto pezzi dell'universale frantumato. Inoltre, sia la deduzion e sia il frammento sono intenzionali, soggettivamente indirizzati verso una meta, laddove la verità è, per Benjamin, in senso enfatico aintienzionale. Il soggetto da solo non la può svelare, essa, semmai, gli si può rivelare. Perciò lo stile denota un contegno, un comportamento e un rapporto con le cose e rende loro giustizia con l'arte d'interrompersi continuamente, di ripetere gli stessi motivi in sempre nuove costellazioni, d'impregnare il discorso logico di esperienza, invece di seguire il suo connaturato ductus negativo e definitorio; con tenacia lo stile filosofico ritorna sempre di nuovo alla cosa stessa, all'esperienza che cerca l' espressione8. Tale concetto di stile recepisce t anto la concezione hegeliana secondo la quale la filosofia non è altro ch e l'esperienza di una determinata epoca storica espressa in concetti, quanto il pen siero nietzscheano secondo il quale il vero contenuto di ogni filosofia si trova nel suo stile. Il filosofo, più ancora dell'artista, assomiglia a un eterno Edipo che deve continuamente trovare nuove rispos te ad antiche domande e perciò modifica continuamente i rapporti tra gli elementi delle domande. «Quando, attraverso l'imitazione della natura, lo sfor zo di crearsi un linguaggio universale e lo studio preciso ed approfondito degli oggetti stessi, l'arte impara infine a conoscere esattamente, e con sempre maggiore esattezza, le proprietà delle cose e i loro modi d'essere, e ad abbracciare con lo sguardo la serie delle loro c0►nfigurazioni, riuscendo a tenere insieme e ad imitare le diverse forme caratteristiche, allora lo stile sarà il livello più alto a cui essa può giungere»9. Ciò che qui Goethe dice dell'arte vale in egual modo anche per lla filosofia: i suoi concetti universali nascono dall'esperienza mimetica e dalla dedizione agli oggetti singoli; il suo occhio speculativo li abbraccia tutti in sempre nuove configurazioni nel medium del concetto. Tale concetto di stile si rivela dunque essere fortemente legato al carattere intimamente visivo del pensiero occidentale. Le idee di Platone infatti vengon o viste e il termine theoròs designa colui che non soltanto custodisce e protegge dio, ma che osserva e con-
8. C fr. ibidem. 9. Johann Wolfgang Goethe, Einfache Nachahmung der Natur, Manier, Stil, in: Id., Werke, a cura di E. T runz, Beck Verlag, 1v1iinchen 1989 [Hamburger Ausgabe], vol. 12, p. 32; trad. it.: Semplice imitazione della natura, maniera, stile, in: Id., Scritti sull'arte e sulla letteratura, a cura di S. Zecchi, :Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 62-3.
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templa gli spettacoli festosilO. Apollo visita da lontano le proprie fe ste (theorìai) e Aristotele paragona la theorìa dei filosofi alla visione di Olimpia o alla contemplazione delle feste dionisiache. Non sembra essere fuorviante, inoltre, seguire Plotino nella sua identificazione di theorìa e poiesis, dal momento che qui la cont emplazione non è contrapposta tout court alla vita activa ed è a sua volta creativa, è teoria poietica. Questi elementi, assieme alla caratteristica fondamentale della scrittura, fanno sì che il concetto di esperien za rifletta altresì una problematica che si colloca alle origini del pensiero occidentale. L'orizzonte problematico di que sto concetto inizia molto presto ad occupare la riflessione benjaminiana. Già nel 1913, allora diciottenne, scriveva in un breve saggio sull'Esperienza: La maschera dell'adulto si chiama «esperienza». [.. .] Già! Questa è la loro esperienza, sempre questa, mai un'altra: l'insensatezza della vita. La brutalità. Ci hanno mai incoraggiato verso cose grandi, nuove, future? Oh no! Questo non fa parte dell'esperienza. Tutto ciò che ha un senso, che è vero, buono e bello ha radici in se stesso: a che ci serve allora l'esperien za? Ecco il mistero [Geheimnis, che può essere tradotto anche con segreto]: Poiché non ha mai saputo guardare a ciò che è grande e ricco di significato, il filisteo ha fatto vangelo della propria esperien za. È diventata per lui l'annuncio della banalità della vita. Ma non ha mai compreso che oltre l'esperienza c'è qualcos'altro, ci sono valori- inesperibili - al servizio dei quali noi siamo 11.
Nel 1929 ritornò nuovamente, con una nota, su questo breve saggio: In un saggio giovanile avevo mobilitato tutte le forze di ribellione della gioventù contro la parola «esperienza». E ora questa parola è divenuta un elemento portante in molti dei miei scritti. Ciò nonostante sono rimasto fedele a me stesso. Poiché il mio attacco attraversò la parola spin gendosi oltre [durchstoflen] sen za distruggerla. Tale attacco penetrò il centro della questione 12.
Una domanda centrale si pone: che cosa significa «attraversare spingendosi oltre» (durchstoflen ), cosa significa «centro della questione»? La
1O. Cfr. Mario U ntersteiner, Problemi dii filologia filosofica, a cura di L. Sichirollo e M. Venturi Ferriolo, Cisalpino-Goliardica, Milano 1980, pp. 307-8; cfr. inoltre Giovanni Matteucci, Per una fenomenologia critica dell'estetico, CLUEB, Bologna 1998, p. 9. 11. Benjamin, Erfahrung, in: GS, vol. Il 1, pp. 54-5; trad. it.: Esperienza, in: Id., Metafisica della gioventù, a cura di G. Agannben, Einaudi, Torino 1982, pp. 64-5. 12. GS, vol. 11.3, p. 902.
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risposta potrebbe trovarsi in un passo tratto da Sul programma della filosofia futura del 191 8: È così formulata la principale richiesta che poniamo alla filosofia presente, e insieme è affermat a la possibilità di soddisfarla: la richiesta di intraprendere, sulla base della tipologia del pensiero kantiano, la fondazione gnoseologica di un con cetto superiore di esperien zal3.
Il compito della filosofia non con siste dunque nella semplice elaborazione di un altro con cetto di esperienza, bensì nella fondazione di un concetto in grado di giustificarsi an che di fronte a una probabile «Critica dell'esperienza pura». Tale con cetto di esperienza doveva - come Benjamin disse a Scholem - «abbracciare il legame spirituale e p sicologico dell'uomo con il mondo, legame che si manifesta negli ambiti non ancora penetrati dalla conoscenza». Alla domanda di Scholem, se dunque siano da ricomprendere legittirr1amente in questo concetto di esperienza anche le discipline mantiche e la magia, Benjamin diede una risposta estrema: «Una filosofia che non comprenda in sé la possibilità del vaticinio dal fondo del caffè non può essere una vera filosofia» 14. Questa affermazione può sembratre paradossale nella sua formulazione, ma contiene di fatto il nocciolo del concetto benjaminiano di esperienza: porre in vitale costellazione 1nito e logica, mìmesis e ratio, natura e storia. E una tale costellazione sarà fruttuosa se p ermetterà agli uomini di destarsi dal loro sonno preistorico, di realizzarsi completamente in quanto animali razionali senza con ciò dimenticare la loro natura più intima. Nell'enfatico concetto di esperienza benjaminiano, tutti questi elementi si dispongono in una costellazione che deve p ermettere di leggere il passaggio, il t ramutarsi dell"uno nell'altro. «Da un lato, l'esperienza vive [... ] a partire dall'opposizione alla p erversione [Zurichtung] della coscienza e delle azioni attuata dalle connessioni (e coazioni) mitiche, "sempre identiche". D all'altro,, essa si distingue dalla conoscenza astratta proprio attraverso il suo legame con le forme di significazion e mitica [mythische Bedeutungsformen] »15. C iò si chiarisce in modo esemplare nei confronti della dialettica della felicità: si tratta di «una volontà duplice: l'incredibile, il mai esistito, il 13. Benjamin, Uber das Programm der kommenden Philosophie, in: GS, vol. II. l , p. 160; trad. it.: Sul programma della filosofi.a futura, in: Id., Metafisica della gioventù, cit., p. 216. 14. GS, vol. II.3, p. 938. 15. Winfried Menninghaus, Schwellenku:nde. Walter Benjamins Passage des Mythos, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1986, pp. 107-8.
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culmine della gioia e l'eterno ancora una volta della stessa situazione, eterno rinnovarsi della primitiva felicità originaria»16. A ciò corrispon de, nella teoria della con oscenza, la con cezione secondo la quale «la verità non è un disvelamen to che distrugga il mistero, bensì una rivelazione, che gli rende giustizia»17. Come questo pensiero si sviluppi, viene chiarito dalla seguente affermazione: «Il canone della dialettica è il recupero degli elementi onirici al risveglio»18. Sulla soglia del risveglio, il soggetto storico recupera il materiale di immagini di un sogno collettivo e mitico per trasfo rmarlo in una dialettica nella quale il tempo si sofferma immaginificamente e ciò che è fisso si mette in movimento. La struttura di base di questa riflessione può forse essere descritta con un passo dalla Relazione per un~accademia di Franz Kafka, dove una scimmia tiene un discorso su come è divenuta uomo. Questo risultato [l'esser divenuto uomo] sarebbe stato impossibile se mi fossi ostinato a restar fedele alle mie origini, ai ricordi di gioventù. Proprio la rinuncia a ogni ostinazione è stata il comandamento supremo che mi ero imposto di osservare; io, una scimmia libera, mi piegai a quel giogo. La conseguenza fu però che i ricordi, da parte loro, mi si chiusero sempre più. [... ] nel mondo degli uomini mi sentivo sempre meglio e via via più incluso; si placò la tempesta che mi soffiava dietro dalle profondità del mio passato [... ] . Per esser franco: la vostra esistenza scimmiesca, signori, ammesso che abbiate qualcosa del genere alle spalle, non può essere più lontana da voi di quanto non sia la mia da me. Ma il tallone pizzica a chiunque cammini su questa terra: al piccolo scimpanzé come al grande Achille. [... ] Per la prima volta nella mia vita mi trovavo senza via di scampo; quanto meno, non la vedevo diritta davanti a me [. .. ] . Uso la parola [via di scampo] nel suo significato più comune e pieno. Di proposito non dico libertà. [... ] Nei teatri di varietà, prima della mia esibizione, ho visto spesso una qualche coppia di artisti trafficare ai trapezi in alto sul soffitto. Si slanciavano, dondolavano, saltavano, volavano l'uno nelle braccia dell'altro, l'uno reggeva l'altro con i denti per i capelli. «Anche questa è libertà umana,» pensavo, «movimento sovrano.» Oh scherno della sacra natura! Nessun edificio resisterebbe alla risata del mondo delle scimmie dinanzi a quella scena. [. .. ] Ripeto, non mi attirava l'idea di imitare gli uomini; imitavo perché cercavo una via di scampo, per nessun altro motivo. [ ... ] La natura di scimmia usciva da me a folle
16. GS, vol. VI, p. 202. 17. UdT, p. 211; DB, p. 7. 18. Benjamin, Passagenwerk, N 4.4, in: GS, vol. V, p. 580; trad. it.: Parigi,, Capitale del XIX secolo, a cura di R. Tiedemann, Einaudi, Torino 1986, p. 602 [d'ora in avanti: Passagenwerk; Parigi,].
Introduzione
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velocità, travolgendosi n ella corsa, tan to che il mio p rimo maestro divenne quasi un a scimmia19.
Proprio questa fuga a folle velocità della natura che esce dalla scimmia, ciò che alla fine la trasforma in uomo, è il movimento cui si oppone il concetto benjaminiano di esperien za; certo non per ritornare alla natura scimmiesca, bensì, appunto, per evitare che, dimenticata, ritorni in modo più forte e terribile e p erciò an che più falso. Anche per Benjamin, come per Karl Kraus, l'origine è la n1eta, ma non nel senso di un ritorno oppure di un superamento e contenimento ( come la si p otrebbe pensare in senso hegeliano con il concetto di Aujhebung) dell'uno nell'altro, bensì nel senso di una beata tension e. I ricordi della gioventù, appunto, non devono soccombere nell'esperienza razionalizzata dell'adulto; al contrario, l'esperienza deve esaudire le promesse dell'infanzia, il concetto non deve rinnegare suo padre - il desiderio.Non si t ratta di rimuovere progressivamente la natura nel pr ogresso sto rico, bensì di modificare il rapporto tra natura e sto ria, di relazionare se stessi in maniera diversa alla natura, cioè di sp ostare gli elemlenti in modo tale che costituiscano una nuova costellazione. P erché la storia e la continuità dell'esperienza diventino veramente umane, la natura non deve essere semplicemente rimossa o soppressa - essa, al contrario, deve essere secolarizzata. È proprio ciò che la scimmia perde ch e il concetto benjaminiano di esp erienza vuole recuperare e quindi salvare. La tempesta che soffia dalla profondità del passato può toccar,e chiunque, ci può raggiungere in qualsiasi momento, perché, nonostante tutto il progredire, l'intero è tuttora fermo. La risata del mondo delle scimmie, ovvero della natura, segna infine anche il punto in cui si trova quell'umanità che crede di potersi liberare dalla propria natura sopprimendola, e ricorda fo rtemente l'asbéstos gélos, la risata irrefrenabile e irresistibile degli dèi di fronte ai tentativi degli uomini di rendersi simili a loro. Con la metafora della tempesta, si è infine sfiorato anche il concetto di esperienza storica: come è noto, nelle ali dell'angelo della storia si è impigliata la tempesta del progresso, che allontana l'angelo dal paradiso e lo sospinge ineluttabilmente verso il futuro cui volge le spalle20. 19. Franz Kafka, Erzdhlungen, a cura di M . Brod, Fischer Verlag, Miinchen 1986, pp. 139-47; trad. it.: La metamorfosi e tutti i racconti pubblicati in vita, a cura di A. Lavagetto, Feltrinelli, Milano 19976, pp. 179-187. 20. C fr. Benjamin, Uber den Begriff der Geschichte, in: GS, vol. I.2, pp. 697-8; trad. it.: Sul concetto di storia, a cura di G . Bonola e M . Ranchetti, Einaudi, Torino 1997, pp. 34-6 [ d'ora in avanti: Geschichte; Storia].
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La meta di quel paradossale movimento in tregua21, ossia di quella tregua mossa, che Benjamin definisce come esperienza, non è tuttavia la libertà, bensì la ricerca di una via di scampo. E le vie di scampo sono vie traverse (Auswege sind Umwege) - ciò significa che il medium dell'esperienza non è la intentio recta della presa usuale sull'oggetto, bensì la intentio obliqua, ovvero, con linguaggio mitico, lo scudo di P erseo che riflette la testa di M edusa, non la testa stessa. Le vie di scampo dalla natura sono vie traverse che passano attraverso un atteggiamento naturale: l'imitazione (mìmesis) . Questo conoportamento è memore dell'imprescindibile legame dell'uomo con la natura proprio là dove questi mira, con la riflessione, ad allontanarsi da essa pensando che ciò rappresenti la liberazione. La mìmesis non è il progresso, ma il trattenersi sulla soglia tra natura e uomo, è un passage. Il nocciolo dell'esperienza non viene dunque costituito da una dialettica lineare e storica, come nel caso di H egel o del suo allievo Marx, ben sì da una dialettica in tregua puntuale, che non supera semplicemente il po1tenziale di esperienza del mito attraverso la logica, ma tenta di salvarlo n ell'immagine dialettica. Questo concetto di esperienza è altamente paradossale e - com e tutto ciò che cerca di avvicinarsi in modo spiritualle alla natura - per nulla biunivoco. T ale concetto di esperienza si chiarisce seguendo, come falsariga, l'articolazione del concetto di aura . Le rappresentazioni che nella mémoire involontaire si raccolgono into rno ad un oggetto sensibile vengono definite da Benjamin come aura. A questa aura corrisponde, nel caso di un oggetto d'uso, l'esercizio22. Nel suo saggio su L 'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilit:à tecnica egli riassume il concetto di aura dicendo che si tratta di «apparizioni uniche di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina»23. U n concetto di esperienza così concepito implica un'intera serie di ulteriori concetti la cui costellazione deve essere pensata in esso. Innanzitutto, per Benjamin, al centro di tale concetto non sta in maniera realistica o positivistica l'oggetto in quanto tale, e nemmeno - come si è potuto veder,e all'inizio - si assiste alla riduzione 21. Traduciamo con «tregua» Stillstand, parola che Benjamin usa nel suo concetto di Dialektik im Stillstand, tradotto solitamente con «dialettica nell'immobilità». Cfr., in questo senso, il capitolo III. 1, nota 2. 22. Cfr. Benjamin, Uber einige Motive bei Baudelaire, in: GS, vol. I.2, p. 644; trad. it.: Di alcuni motivi in Baudelaire, in: Id., Angelus N ovus, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1995, p. 122. 23. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in: GS, vol. I.2, p. 440; trad. it.: L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, trad. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1991, p. 25.
Introduzione
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dell'esperienza a forme soggettive in senso kantian o. D a un lato, il m ondo è la mia rappresentazione, ma dall'altro, di nuovo, non lo è. Soggettivo è l'interesse nei confronti dell'oggetto e quindi alla base si pone un'affinità tra soggetto e oggetto ch e è agli antipodi rispetto all'antico concetto della adaequatio intellectu:m et rem. D all'altra parte, tuttavia, l'oggetto (Gegenstand) continua ad opporsi (gegenstehend) e come tale costringe il soggetto a pensarlo. O ccorre dunque interrogarsi sul modo in cui l'oggetto acquisisce forma concreta nell'esperienza soggettiva e sulle modalità con le quali tale esperienza si riflette sul mondo esterio re. Attraverso questo rapporto reciproco si costituisce un continuum di esperienza individuale, la quale, assieme ad altre esperienze individuali, forma il continuum dell'esperienza collettiva, ovvero la tradizione. Se questa concezione ricorda in qualche modo la coscienza interio re del tempo di Husserl con le sue ritenzioni e protenzioni, le cose cambiano nel momento in cui Benjamin riprende la concezione proustiana di mémoire involontaire ossia mémoire du corps, attribuendole la priorità temporale rispetto alla riflessione e al pensiero razionale. L'esperienza coinvolge ogni volta tutte le capacità corporee e spirituali, dal sotterraneo scavare e pulsare dell'inconscio, ch e affonda le sue radici nella fisicità naturale dell'animale uomo, fin o alle vette del pensiero logico o della riflessione dialettica. C iò che il pensiero riesce a fissare nella memoria è soltanto una minima parte e, di conseguenza, la mémoire volontaire è soltanto un avamposto dell'esperien za che, col tempo, ha finito col ritenersi esperienza tout court. C iò implica l'irripetibilità di una esperienza fatta in un determinato luogo e in un determinato tempo; l'oggetto dell'esperienza si contraddistingue per la sua unicità e la sua inavvicinabilità, caratteristiche che valevano, in 1tempi remoti, per l'oggetto cultuale; il rapporto tra soggetto e oggetto è dunque un rapporto esclusivo che ricorda quello degli amanti e che si contraddistingue per le sue stratificazioni molteplici e per la dimension e di continuo divenire mai sintetizzabile in una totalità onnicomprensiva.
IL RIFLESSION E E IDEA
1. M edium di riflessione Si tratta della proiezione assoluta di un oggetto la quale non può essere giustificata, e quindi, in mezzo tra pro1ez10ne e proiettato, vi è uno spazio oscuro e vuoto; ovvero, come io l'avevo espresso in modo un po' scolastico ma, credo, molto significativo: la projectio per hiatum irrationalem. ]ohann Gottlieb Fichte
Più si vuole crescere in grandezza e in altezza, insegna Nietzsche, più si cresce an che nel profondo e nel terribile. Più alta si sviluppa la spiritualità, più in basso deve attingere l'energia per tale crescita. P er la riflessione romantica sul rapporto tra spirito e natura le cose non stanno diversamente: più essa sembra allontanarsi dalla natura, più, in realtà, vi sprofonda. C iò vale tanto per la questio ne dell'imitazione della natura nell'artel quanto per i problemi legati al cosiddetto «vivere poeticam ente» ovvero, com e si esprime Novalis, allla Romantisierung (ro manticizzazione). Più il poeta sentimentale avvene la perdita d'immediatezza nel suo rapporto col mondo, più aumenta la riflessione per costruirne uno nuo vo. Più l'arte romantica avverte la perdita della natura più si getta nell'idea p er recuperarla. Lo stesso G oethe, nei suoi anni maturi, concepisce una sostan ziale unione tra l'ideale e il naturale, quando, nelle Massime e Riflessioni, afferma che «natmra e idea non possono essere divise senza distruggere sia l'arte sia la vita.»2. Anche per Benjamin il problema dell'esperienza scaturisce da quelle stesse profondità imperscrutabili della vita da cui sorgon o i fenomeni ai quali le facoltà mimetiche e razionali dell'uomo son o chiamate a risp ondere.
1. C fr. W olfgang Preisendanz, Zur Poetik der deutschen Romantik I: Die Abkehr vom Grundsatz der Natumachahmung, in: D ie deutsche Romantik. Poetik, Formen und Motive, a cura di H . Steffen, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1967, pp. 54-74; nonché Ophalders, Dialettica dell'ironia romantica, cit., pp. 41-8. 2. Goethe, Maximen und Reflexionen, in:: Id., Werke [Hamburger Ausgabe], voi. 12, p. 491 (Massima 890) .
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Il . [... ] nella n at ura riflettente del pen siero, i roman tici hanno visto una garan zia del suo carattere in tuitivo. Non appen a la storia della filosofia, in Kan t, ebbe affermato, seppure n on per la prima volta, tuttavia in m odo en ergico ed esplicito, in siem e alla possibilità razion ale di un'intuizione in tellettuale, la sua impossibilità nell'ambito delr'esperien za, si diede vita ad uno sforzo molteplice e quasi fe bbrile di riguadagn are alla filosofia questo concetto come garan zia dei suoi p iù alti diritti3.
Il romanticismo tenta dunque il paradossale recupero dell'esperienza intuitiva, irrimediabilmente persa, att raverso l'aumen to di riflessione e lo definisce come intellektuelle Anschauung (intuizione intellettuale), cioè, letteralmente, un vedere con l'intelletto. Nell'elaborazione di una teoria non solo della conoscenza e dell'esperienza, ma anche dell'arte, i romantici dunque non si riferiscono, come Goethe, alla Critica del Giudizio di Kant, bensì, seguendo l'indicazione di F ichte, alla Critica della Ragion pura e quindi pongono l'accento più sulle fratture che sulla riconciliazione. Tale impostazion e e tali intenzioni, tuttavia, dovranno pagare un fio per riuscire, e l'imrriane sfo rzo teoretico compiuto da Benjamin per recuperare l'esperienza romantica contro la critica hegeliana, fondata sostanzialmente sul con cetto di realtà, ne è testimone. Infatti, «l'intuizione intellettuale è pen siero che produce il suo oggetto; la riflessione, invece, nel senso dei r omantici, è pen siero che produce la sua forma»4. Con ciò, tuttavia, l'accento si sposta dall'intuizione intellettuale alla forma che l'intelletto assume nelle sue operazioni di pensiero, ovvero alla riflessione. E la riflessione recupera, come proprio oggetto, non già qualcosa di im mediatamente e naturalmente dato di cui si possa fare un'esperien za intuitiva, bensì la forma, appunto, della «operazione dell'intelligenza». La riflession e è un riflet tere trans-formante su una forma: essa assume come proprio contenuto la forma della forma, ovvero quella forma del proprio procedere che, secondo Fichte, è anteriore a tutto ciò che è oggettivo. D 'altro canto, una tale teoria della conoscenza, che trasforma ogni riflessione precedente nell'oggetto di una seguente, garantisce non soltanto l'immediatezza della conoscenza, ma anche una peculiare infinità del suo processo5. Questo formalismo viene definito da Benjamin come mistico e, dunque, estremamente affi-
3. Benjamin, Der Begriff der KunstkritiJé in der deutschen Romantik, in: GS, vol. I.1, p. 19; trad. it.: Il concetto di critica nel Romanticismo tedesco, a cura di G. Agamben, Einaudi, Torino 1982, p. 14 [d'ora in :avanti: Kunstkritik; Critica]. 4. lvi, p. 30; ivi, p. 24. 5. Cfr. ivi, pp. 20-1; ivi, pp. 15-6.
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ne alla teoria dell'arte del primo romlanticismo6. In tal senso la teoria r omantica della conoscen za confluirebbe, senza soluzion e di continuità, nella teoria dell'arte fornendole unat solida base conoscitiva. Se, infatti, si definisce il mistico come presenza di un rapporto di cui è stato sottratto il modello ideale, si comprende come il concetto di riflessione sia incentrato sul rappo rto tra le cose, e non sulle cose stesse, e come soltanto la riflessione, e non l'intuizion e intellettuale, possa costruire un rapporto tra il reale e l'ideale. Un tale rapporto tra ideale e reale, per ò, non si esplica attraverso una semplice elevazione del reale nell'ideale bruciando il primo nel secondo, ben sì attraverso la realizzazione dell'ideale in ogni gradino della vita. La caducità del reale non deve essere sublimata, al contrario, la stessa idea deve rivelarsi in tutta la sua caducità poiché l'idea è sempre tutto ciò che è fino in fondo. P er questo motivo Benjamin parla anche di messianisrno romantico7, giacché, come recita una dottrina teologale ebraica, il mondo redento non sarebbe un mondo completamente diverso da quello esistente, bensì questo stesso mondo un'altra volta, solo spostato di poco. Ma i passaggi minimi sono anche i più difficili da compiere: solo la venuta del M essia può determinare tale spostamento. N el mondo sen za Messia, tuttavia, ciò richiede una modificazion e del comportamento nei confronti del mondo e della natura. Si esige cioè un atteggiamento che presti atten zione alla forma del rapporto che si tiene con gli oggetti e non agli oggietti semplicemente dati. Un tale atteggiamento costruisce rapporti contrassegnati da affinità e sensibilità all' interno dei quali l'esperienza del Gegenstand, dell'objectum (letteralmente: ciò che sta contro, di fronte) o, più in generale, dell'altro avvenga tramite il «puro stare a vedere»8 -- e non tramite la violenza dello sperimentare con la natura che contraddistingue lo spirito scientifico moderno in genere. Attraverso un'azion e di libertà, come Fichte definiva la riflessione, il soggetto recupera dunque l'immediatezza del rapporto mimetico con la natura e questa corrtplessione riflessivo-mimetica è per Benjamin fondamentale nell'elaborazione del suo concetto di esperienza. Il problema dell'esperienza, posto in questi termini, implica una molteplicità di altre questioni. Innanzitutto, non si possono conoscere fenomeni che siano completamente diversi da noi, ossia, come dice Vico, nella natura possiamo conoscere soltanto ciò che vi abbiamo messo 6. C fr. ivi, p. 21; ivi, p. 16. 7. C fr. ivi, pp. 12-3; ivi, pp. 6-7. 8. Hegel, Phdnomenologie, p. 59; Fenomenologia, p. 75.
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noi stessi. Tuttavia, la conoscenza n on si basa nemmeno sull'identificazione cartesiana tra natura e logica. L'esperienza nasce invece dall'affinità e tale affinità, innanzitutto, crea il soggetto conoscente e l'oggetto conosciuto. Conosco il mondo soltanto attraverso me stesso, dice G oethe, ma conosco anche me stesso unicamente attraverso il mondo. D al momento, tuttavia, che la cosa in sé non può essere conosciuta nella sua immediatezza ma unicamente in quanto fenomeno, così come si manifesta all'io conoscente, l'esperienza, intesa in senso enfatico, si trova di fronte a un ostacolo quasi insormontabile. D a un lato si trova la cosa incon oscibile e dall'altro l'io solipsistico che conosce unicamente ciò che crea. N ella versione fichteana di un io che pone il non-io, tale rapporto viene radicalizzato e, allo stesso tempo, svelato co me profondo paradosso qualora non intervenga una mediazione, un tertium datur che è il germe originario della riflession e e che nasce, appunto, da una projectio per hiatum irrationalem. La mediazione, infatti, pone gli accenti all'interno della relazione, trasformando così il paradosso in un rapporto dialettico che ora può essere pensat o. T ale pen siero naturalmente non corrisponde più, in toto, ai principi della logica formale; non si tratta più di un ego cogito cogitatum sostanzialmente immobile, bensì di un rapporto tra due estremi che si rifletton o a vicenda nelle rispettive determinazioni e nelle condizioni che il rappo rto di volta in volta crea. All'interno di questo rapporto gli estrerni sono contraddittori e, allo stesso tempo, complementari, rispettivamente parti di un'unità. Il carattere sostanzialmente unitario conferisce al lor o rapporto contraddittorio l'energia che lo rende dinamico trasformando la verità da risultato di un' operazione delle facoltà conoscitive del soggetto in una processualità dialettica che ora può, a diritto, reclamare per sé il concetto di esperienza. Indagando, o ra, la verità del sapere, sembra che no i indaghiamo ciò che è in sé. Solo, in tale indagine esso è nostro oggetto, è per noi; e lo in-sé di esso quale resultasse, sarebbe piuttosto il suo essere per noi; ciò che no i affermerem mo quale sua essenza, non sarebbe già sua verità, ma soltanto il nostro sapere di esso. [. .. ] Ma la nat ura dell'oggetto da noi esaminato rende vana questa separazione o questa parvenza di separazio ne e di p resupposizione. La coscien za dà in lei stessa la propria misura, e la ricerca sarà perciò una comparazione di sé con se stessa; giacché la distinzione testé fatta cade nella coscien za. [... ] da una parte la coscienza è coscienza dell'oggetto; e dall'altra, coscienza di se stessa: coscienza di ciò che ad essa è il vero, e coscienza del suo sapere ciò . [. ..] Se in quesito raffronto entrambi i membri non si corrispondono, allora la coscienza .sem bra dover m utare il proprio sapere per renderlo adeguato all'oggetto; rna nel mutarsi del sapere le si muta, in effetto, anch e l'oggetto stesso; infatti quel dato sapere era essenzialmente sapere un oggetto il quale, p oiché al sapere essenzialmente apparteneva, in-
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sieme con il sapere diviene anch'ess:o un altro oggetto. Diviene quindi alla coscienza che ciò che prima le era lo in-sé, non è in sé, ma era in sé solo per lei. Mentre essa dunque nel proprio oggetto trova che il proprio sapere non gli corrisponde, neanche l'oggetto stesso sta saldo [ ... ]. Questo movimento dialettico che la coscienza esercita in lei stessa, - e nel suo sapere e nel suo oggetto, - in quanto gliene sorge un nuovo vero oggetto, è propriamente ciò che dicesi esperienza. [... ] Questo muovo oggetto contiene la nullità del primo, ed è l'esperienza fatta su di esso'9.
La dialettica del limite tra conoscenza e conoscibile dissolve ogni limite, anche quello tra cosa in sé e soggetto conoscen te; la separazione è de facto parvenza perché la cosa in sé non è altro che una conoscenza del soggetto, la cosa in sé è in quanto è cosa per la coscienza. In questo modo l'esperienza valica ogni volta di nuovo i limiti che di volta in volta essa stessa si pone. Essa si delinea come fenomenologia dei rapporti conoscitivi tra gli estremi e all'interno dell'autocoscienza. «La cellula germinale di ogni conoscenza è dunque un pr ocedimento della riflessione in un'essenza pensante, per mezzo dlel quale questa conosce se stessa» 10. «L'oggetto, come tutto ciò che è reale, si situa nel medium della riflessione»11. L'attività spontanea di talle medium - e quindi la libertà per l'esperienza che ha lasciato alle spalle la semplice libertà dai limiti della conoscenza - genera propriamente la conoscenza. «Tutto ciò che si può pensare pensa a sua volta [scii. se stesso] »12, dice Novalis, «in tutti i predicati, in cui noi osserviamo il fossile, esso osserva noi»13. E ancora: «Non vediamo forse ciascun corpo soltanto n ella misura in cui esso vede se stesso e noi vediamo noi stessi?» 14. Qualsiasi conoscenza oggettiva da parte del soggetto dipende da un'autoconoscenza dell'oggetto conosciuto; possiamo conoscerlo proprio perché, ma anche, soltanto, fino al punto in cui in esso riconosciamo noi stessi: «la percepibilità: un'attenzione»15. U na cosa può essere percepita soltanto se al suo interno si trova già un'attenzione che rende possibile una mediazione conoscitiva. Così come i Discepoli di Sais, quando svelano l'immagine segreta - la 9. Ivi, pp. 58-60; ivi, pp. 74-6. 10. Kunstkritik, p. 55; Critica, p. 49. 11. Ivi, p. 54; ivi, p. 48. 12. Novalis, Werke, Tagebucher und Br.iefe Friedrich von Hardenbergs, a cura di H.-J. Mahl e R. Samuel [d'ora in avanti: Werke], vol. 2: Das philosophisch-theoretische Werk, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1999, p. 798. 13. Ibidem. 14. Ibidem. 15. Ivi, p. 147.
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verità - scoprono se stessi, anche il soggetto varca, nell'esperienza del suo oggetto, una soglia che lo ricongiunge a se stesso; la dialettica del limite si rivela come dialettica della soglia: «Dio può essere conosciuto soltanto attraverso un Dio»16. Soltanto l'affinità tra gli estremi genera con oscenza e la conoscenza non è una strada gerarchica a senso unico, bensì autoriflessiva; non solo il soggetto si riflette nell'oggetto ritrovandosi in esso arricchito e potenziato; anche l'oggetto si riflette alla stessa maniera nel soggetto; di più: esso è soltanto in quanto riflesso nel soggetto, tanto quanto quest'ultimo è in quanto vi è un oggetto per lui. L'identità individuale di un soggetto -- e ciò significa: la sua propria esistenza - è possibile soltanto in quanto si separa da ciò che è altro da sé cercando, nello stesso momento, di mediarsi con ciò che n on è identico a lui. Inoltre, il rapporto tra i singolli soggetti, l'intersoggettività, è possibile unicamente attraverso mediazioni e rapporti con gli oggetti sui quali i soggetti investono i loro significati. L'esperienza, dunque, è tale unicamente sulla soglia; il suo limite più intimo, perciò, si trasforma per essa non soltanto nella sfida più forte ma anche nella fonte più ricca e profonda. Soggetto e oggetto sono, rispettivamente, corpi immediati nel loro rapporto con se stessi, come dice Schopenhauer, ma la loro imrrtediatezza si costituisce unicamente attraverso il rapporto con l'altro, ed è quindi, fin da principio, intimamente mediata in se stessa. N on esiste, dunque, un corpo proprio (Leib) cui si opporrebbe uno spirito - forse non altrettanto autonomo-; il corpo, anzi, è tale soltanto in quanto uno spirito lo inventa, lo oppone a se stesso e tenta di mediarlo. Il corpo proprio, l'oggetto in genere, la natura, sono tanto poco una necessità opposta allo spirito, che si presume libero, quanto siano un suo semlplice surrogato. Soggetto e oggetto costituiscono centri di riflessione non chiusi e i loro rapporti sono soltanto unità relative, suscettibili in ogni momento di essere potenziate. Tale p otenziamento, ovvero la romanticizzazione della riflession e, comporta ch e, senza fine, vengano incorporati nella propria autocoscienza altri centri di riflessione. C iò costitrnisce il nucleo più intimo del concetto preromantico di esperienza; e, s1toricamente più tardi, per H egel, la nuova unità riflessiva più alta, nella quale oggetto e soggetto trapassano l'uno nell'altro, rappresenta la nullità del precedente rapporto riflessivo, ed è l'esperienza fatta su di esso. Nel senso in cui Benjamin interpreta la gnoseologia preromantica, il soggetto si configura dunque in quanto centro di riflession e altrettanto 16. l vi, p. 373.
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aperto quanto il centro di riflessione normalmente definito come oggetto. In entrambi il medium di riflessione ingen era una autoconoscen za interiore che ha come effetto, dal punto di vista soggettivo, la conoscenza, e, dal punto di vista oggettivo, il venir conosciuto; ma poiché il rapporto è intimamente mediato in se stesso, esso si rovescia nel momento stesso in cui si afferma e la conoscenza soggettiva diviene a sua volta un venir conosciuto da parte dell'oggetto e il venir conosciuto dell'oggetto si trasforma in conoscenza propria. Tale rovesciamento è possibile soltanto perché la riflessione -- l'apice dello sforzo dell'intelletto proviene da un atteggiamento mimetico fondato sull'analogia e tale origine si riflette anche nella gnoseologia più astratta. Esperienza, infatti, significa saper riconoscere nell'altro qualcosa di se stessi, scorgere il simile nel dissimile. Le relazioni tra i diversi nuclei conoscitivi autoriflessivi sono possibili soltanto p erché i loro rapporti di riflession e sono affini e analogici - il che significa che si tratta di similitudini tra rapporti, ma non tra i poli della relazion e, giacché quelli si possono conoscere, questi no. Come G oethe, anche Novalis concepisce l'esperimento come mediazione tra soggetto e oggetto, bench é egli ponga l'accento più su quella forma di conoscenza che si contraddistingue per il suo carattere di osservazione. «L'esperimento consiste nell'evocazione dell'autocoscienza e dell'autoconoscenza della cosa osservata. O sservare una cosa significa soltanto stimolarla all'autoconoscen za»17. Infatti, N ovalis cita con approvazione l'affermazione di Goethe secondo la quale «ogni sostanza ha i più stretti rapporti con se stessa»18. Anche la sua concezione di una «empiria delicata» è molto vicina alla filosofia della natura preromantica: «C'è una delicata empiria che si identifica nel modo più intimo con l'oggetto e diviene in tal modo vera e p1ropria teoria. Quest'elevazione della potenza spirituale è tuttavia propria di un'epoca di alta cultura»19. Un'esperienza delicata con la natura cerca di uscire il più possibile da se stessa per divenire il proprio altro nell'oggetto cui si assimila: proprio questa è la definizione più luminosa e concisa di quell'affinità che sta alla base di ogni vera esperienza. Tale ernpiria è eo ipso già teoria, sia perché l'osservazione è già riflessa in sé, così come lo è l'oggetto osservato, sia perché il senso autentico del termine teoria è propriamente quello di osservazione. Teoria ed empiria, osservazione ed esp erienza non son o 17. Kunstkritik, p. 60; Critica, p. 54. 18. Novalis, Werke, vol. 2, p . 770. 19. Goethe, Maximen und Reflexionen, cit., p . 435 (Massima 509).
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dunque da scindere, l'una richiama sempre e immediatamente l'altra e questo è, in fondo, anche il senso dello hegeliano «puro stare a vedere». L' elevazione e il poten ziamento spirituale richiamano quindi quasi letteralmente il concetto di riflessione ch e fonda l'intera filosofia preromantica della natura. In virtù della propria autoconoscenza il fenomeno è dunque già nel suo intimo teoria ch e il soggetto conoscente dischiude attraverso la delicata empiria. L'osservazione riunifica dunque ciò che solitamente nell'esperimento viene scisso: N ovalis la definisce «magica», Benjamin, nel senso dei romantici, «osservazione ironica». [... ] essa, infatti, non osserva nel suo oggetto nulla di singolo, nulla di determinato. [... ] Piuttosto l'osservazione prende in considerazione l'autoconoscenza in germe nell'oggetto o, n11eglio, essa è la stessa coscienza germinante dell'oggetto. A ragione dunque può essere definita ironica, poiché essa nel non sapere - nell'osservare - maggiormente sa, è identica con l'oggetto. [... ] Simultaneamente ogni conoscenza dell'oggetto è un vero e prop rio divenire di quest'o gget to stesso. [... ] solo il p rocesso stesso della conoscenza trasforma l'oggetto da conoscere in quello che viene con osciuto20.
«Il procedimento di un'osservazione», afferma N ovalis, «è un procedimento contemporaneamente soggettivo e oggettivo, un esperimento ideale e reale ad un tempo. La tesi 1e il risultato [... ] devon o compiersi insieme. Se l'oggetto osservato è già una tesi e il procedimento è nel pensiero, il risultato sarà la medesima tesi, ma in grado superiore»21. Questa intima mediazione soggettivo-oggettiva della riflessione, che realizza l'oggetto attraverso un procedimento del soggetto, segna il punto dove la filosofia p reromantic:1 della natura si rovescia in una teoria dell'osservazione di creazioni spirituali e la tesi (letteralmente: Satz, che ricorda la Setzung fichteana), della quale parla N ovalis, può essere considerata opera d'arte22. N on pare improbabile che questa concezione dell'esperienza, nella quale la teoria preromantica e quella di Goethe nella sostanza coincidono, sia confluita nella con cezione della conoscenza che Benjamin espone nella Premessa gnoseologi,ca allo scritto sull'origine del dramma barocco tedesco23. Corne Goethe ha scritto la sua Farbenlehre per l'artista figurativo, così anche la filosofia della natura romantica si rovescia in teoria dell'arte. C:iò tuttavia non diminuisce affatto l'importanza di queste riflessioni per la conoscenza della natura, bensì 20. Kunstkritik, pp. 60-1; Critica, p. 55. 21. Novalis, Werke, vol. 2, p. 594. 22. C fr. Kunstkritik, p. 61; Critica, p. 55. 23. C fr. UdT, p. 214; DB, p. 9.
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riconferma l'intimo nesso, la relatività riflessiva che costituisce il rapporto dell'uomo con la natura e con i prodotti dello spirito, ovvero con il reale e con l'ideale. Presupporre, infatti, l'esistenza di una natura al di là del suo rapporto con la riflessione è altrettanto ingenuo quanto lo è la concezione di una sfera ideale che non penetri nel reale. Pen sare la natura è di per sé un'operazione profondamente paradossale ma tanto più necessaria: occorre dunque immergere il pensiero nel paradosso e far sì che, con ciò, esso riveli la sua intima riflessività. L'autocoscienza critica nei prodotti spirituali è allo stesso tempo anche critica dei prodotti, giacché essi stessi la richiedon o per completarsi. Se nella filosofia della natura è stat o possibile individuare un punto di massima vicinanza tra Goethe e i ro mantici, tale punto è anche il bivio a partire dal quale le due concezioni si allontanano. L'opera d'arte, per Goethe, non è infatti criticabile; per i romantici la criticabilità è conditio sine qua non dell'opera. Nel mediurrt di riflessione i romantici recuperano, come si è visto, immediatezza della conoscenza e infinità del processo riflessivo. All'interno di una singola cosa, ovvero nell'opera d'arte, l'infinita riflessione diviene una infinità di connessioni e di rinvii continuamente in trasformazione. La riflessione continuamente dissolve il suo rapporto precedente producendo così la propria forma a un livello superiore; dissolve quindi ogni fornna immediatamente data volgendosi in tal modo verso l'assoluto. «N oi non possiamo intuirci», afferma F riedrich Schlegel, «perché, così facendo:, l' Io ci si dilegua sempre. Possiamo invece certamente pensarci. C i appariamo allora, con nostra sorpresa, come infiniti, laddove nella vita commne ci sentiamo come assolutamente finiti»24. Gli fa eco Novalis: «Rornanticizzare non è altro che un qualitativo elevare a potenza. In quest'operazione, il sé inferiore viene identificato con un sé di natura più alta>:.25. L'assoluto, tuttavia, non è costituito da una sfera che sta sopra o dietro il mondo; l'assoluto è il medium di riflession e stesso e si manifesta nei rapporti riflessivi del reale. Questi rapporti possono essere conosciuti, le cose stesse no; anzi, solo tramite il rapporto le cose son o ciò che son o. «Solo con la riflessione nasce il pensiero sul quale si riflette. Si può perciò dire che ogni semplice riflessione nasca assolutamente da un punto neutro [Indifferenzpunkt]»26. Tale punto d'indifferenza è il paradosso il quale, se vien e pensato, diviene riflessione, rapporto che crea i suoi estremi attraverso la dinamica ri24. Friedrich Schlegel, in: Kunstkritik, p. 32; Critica, p. 27. 25. Novalis, Werke, vol. 2, p . 334. 26. Kunstkritik, p. 39; Critica, p. 34.
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flessiva che sprigiona. T ale intersezione tra una quiete paradossale e l'incessante movimento riflessivo sta allla base non solo dell'immagine dialettica ma anche di altri concetti centrali del pensier o benjaminiano. Il concetto r omantico di critica viene sviluppato da Benjamin a partire da quello di riflessione: cospicue tracce di tale origine si ritrovano anche nel concetto di critica impiegato nel saggio su Le affinità elettive. Schlegel ha dato la formulazione più incisiva e concisa del con cetto di critica: la poesia dovrebbe «rappresentare in tutte le sue rappresentazioni anche se stessa, ed essere dovunque nel contempo poesia e poesia della poesia»27. La poesia è sempre anche autoriflession e della propria forma; la riflessione libera dell'io, che crea la propria forma, si trasforma nella riflessione all'interno dell'assoluto dell'arte e la critica si costituisce fondamentalmente com e riflessio ne nel medium dell'arte. Già intorno al 1800, Schlegel definisce la particolare forma riflessiva del pensiero del pen siero come forma estetica perché individua in essa la cellula originaria dell'idea dell'arte. La forma artistica, dunque, e non un presunto contenuto - che è tale, infatti, unicamente attraverso una forma - rappresenta l'immediatezza reale e garantisce una produzione infinita; tale forma non è casuale, bensì rappresenta l'assoluto in quanto rapporto celato. Ma per entrare nell'assoluto dell'idea dell'arte, la singola forma deve essere completata dalla critica:, ossia dalla propria autoriflessione. «Essere critici voleva dire spingere t anto in alto il pensiero al di sopra di ogni legame da far emergere, come p er incanto, dalla comprension e della falsità dei legami la conoscenza della verità. In questo significato p ositivo il procedere critico acquista una stret tissima affinità con quello riflettente»28. La critica è dunque un procedimento che attraverso la conoscenza del non ver o attinge il vero, una sorta di dialettica negativa autoriflessa. «In ogni filosofia che con1inci con l'osservazione [scii. consapevole, riflettente] del suo proprio procedere, con la critica, l'inizio ha qualcosa di peculiare»29. A Schlegel fa eco N ovalis: «L'atto dell'autosuperamento è sempre quello supremo, è il punto originario, la genesi della vita [...] e ogni filosofia comincia là dove chi filosofa, filosofa se stesso, vale a dire si distrugge [... ] e si rinnova a un tempo»30. O gni vero 27. Friedrich Schlegel, Kritische Schriften und Fragmente, a cura di E. Behler e H. Eichner, Schoningh, Paderborn, Miinchen, Wien, Ziirich 1988, vol. 2, p. 127; trad. it.: Frammenti critici e poetici, a cura di .M. Cometa, Einaudi, Torino 1998, p. 57 [d'ora in avanti: Schriften; Frammenti]. 28. Kunstkritik, p. 51; Critica, pp. 45-6 [1trad. mod.] . 29. Schlegel, in: ibidem; ivi, p. 46. 30. Novalis, Werke, vol. 2, p. 345.
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inizio, dirà infatti altrove, è un secondo momento. Il problema di fon dare, sulla base del p en siero kantian o, un con cetto superiore di esperien za31 pare dunque trovar e n ella riflession e p reromantica una prima risp osta. Son o infatti sinteticam ente queste le sembian ze ch e il con cetto kantian o di critica assume n egli scrit ti dei romantici, e Schlegel n on esita affatto ad utilizzare il con cetto di trascendentale per caratterizzare la p oesia r omantica in quanto tale. Anch e i limiti tra filosofia e p oesia ven gon o dissolti nel con cetto di b ellezza logica32 e la p oesia romantica può, «meglio d'ogni altra, [... ] librarsi sulle ali della riflession e p oetica a m età tra l'oggetto rappresentat o e il soggetto rappresentante, scevra da ogni interesse reale e ideale, p oten ziare sempre e di nuovo tale riflession e e moltiplicarla com e in una serie inte1rminabile di specchi»33. La riflession e è dunque infinita in quanto n on :si fissa mai in alcuna con siderazion e particolare e «la critica è [ ... ] il medium in cui la limitatezza della singola opera si rapporta met odicam ente all'infinità dell'arte e, infine, vien e trasferita in essa, p oich é l'arte, in quanto medium della riflession e, è, ovviam ente, infinita»34. La riflession e critica - che n on è p erò una riflession e est erna alla singola opera, ben sì un processo ch e nasce all'interno del suo specifico principium individuationis, ossia a partire dalla sua forma - trasforma l'op era in una forma nuova riflettendola un'altra volta su se st essa n ella sua p ropria totalità di momenti, rapporti e rinvii. E tale riflession e rende l'opera - una cosa finita - infinita. In quanto medium di riflession e dunque l'arte realizza il su o infinito attraver so un'op era finita n on perch é quest'ultima vien e elevata ma, al contrario, p erch é la singola opera è costruita in modo tale da rappresen tare l'ideale infinito nel reale finit o. Il con cetto romantico di critica fonda in quest o modo n on soltanto l'auton omia dell'arte rna an ch e la possibilità di una critica imman ente delle singole op ere ch e abbia com e centro i su oi momenti formali ovvero, come distingu e Benjamin, contenuto reale e contenuto di verità35. La teoria romantica deff'arte r ecupera dunque la vicinanza e l'atten zion e n ei confronti del singolo oggetto e lo fa paradossalmente attraverso un p ot en ziamento della riflession e verso l'infinito. «Schlegel [. .. ] p ose, al p osto della regola, un atltro can on e dell'opera d'arte, quello 31. C fr. Benjamin, Uber das Programm der kommenden Philosophie, cit., p. 160; trad. it. cit., p. 216. 32. C fr. Schlegel, Schriften, vol. 1, p. 242; Frammenti, pp. 10-1. 33. lvi, vol. 2, pp. 114-5; ivi, p. 43. 34. Kunstkritik, p. 67; Critica, p. 62. 35. C fr. Benjamin, Goethes Wahlverwandtschaften, in: GS, vol. 1.1, p. 125; trad. it.: Le affinità elettive, in: Id., Angelus N ovus, cit., p. 164.
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di una precisa costruzione immanente dell'opera stessa. Lo fece, non con quei concetti generali di armonia e di organizzazione, che, in H erder e in Moritz non avevano potuto condurre alla fondazione di una critica, ma con una autentica teoria dell'arte [...] come medium della riflessione [e] dell'opera come centro della riflessione»36. La teoria romantica definisce dunque l'opera d'arte attraverso la sua forma estetica. T ale forma è costituita dalla limitatezza di ogni riflessione finita, è autolimitazione e manifestazione oggettiva della riflessione della singola opera. Infatti, soltanto in quanto ha una forma limitata l'infinito dell'arte può essere percepibile; attraverso la p ropria forma, la singola opera costituisce un centro vivente di riflessione che genera continuamente nuovi centri di riflessione e che porta con sé, necessariamente, la critica. All'interno di un tale centro di riflessione l'infinità dell'arte dunque, cioè la totalità delle su e forme, l'idea stessa di arte, perviene a riflession e. La riflessione totale costituisce naturalmente un valorelimite in quanto è l'unità relativa dell'opera nel medium dell'arte come idea. Se l'opera in quanto centro di riflession e, grazie alla sua forma, si limita, la critica costituisce la soppressione di ogni limitazione in quanto inserisce l'opera stessa in una riflessione più alta. In altre parole, la critica espone (Darstellung) il rapporto di ogni singola opera con l'idea dell'arte e costituisce così il compimento della singola opera in quanto la dissolve nell'assoluto. Le condizioni di possibilità dell'arte sono di conseguenza la criticabilità, l'autoriflessività e la possibilità di essere accolta nell'idea dell'arte. Il concetto moderno che, forse, coglie nel modo migliore tutti questi momenti è quello di spiritualizzazion e dell'arte, concetto che rappresenta lo spartiacque tra una posizione intenta a limitare l'espressione artistica ad una forma armoniosa che rende per cepibile esteticamente un contenuto spirituale oggettivo per il quale la forma in quanto tale è in realtà secondaria, e una posizione che tenta di pensare non solo il paradosso estetico ma anche l'oggettiva impossibilità della realizzazione del presunto contenuto spirituale. La prima, come è noto, è la posizione di H egel con il suo coerente verdetto, la seconda quella romantica. Contro la critica del romanticismo inaugurata da H egel e perpetrata in vario modo fino all'inizio del XX secolo, Benjamin tenta di recuperare alcuni momenti della sua teoria dell'arte incentrando la sua metacritica sul concetto di ironia. C:om'è, infatti, possibile che una singola opera possa essere accolta nell'alveo dell'idea dell'arte e quindi salvata anche in quanto fenomeno? Com'è possibile che il suo contenuto 36. Kunstkritik, pp. 71-2; Critica, p. 66.
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di verità si riveli senza con ciò distruggere il suo contenuto reale? Com' è possibile il platonico tà phainò;rnena sòzein che a partire dalla Premessa gnoseologica37 fino al Passagenwerk rimarrà uno dei capisaldi della riflessione benjaminiana? Benjamin segue i romantici e ironizza la forma della singola opera, la dissolve per trasformarla nell'opera d'arte assoluta; con le parole di Novalis, la roman ticizza. In tal modo l'artista ironico mette in relazione l'opera singola finita e l'assoluto infinito negando la forma determinata della prima, pur salvan dola, perché sa che è soltanto eidolon e non idea. Quel procedimento che pur nella conservazione dell'opera riesce tuttavia pienamente ad evidenziare il suo rapporto con l'idea dell'arte è l'ironia (formale) . Non solo essa non distrugge l'opera che tocca, ma addirittura la avvicina all'indistruttibilità. L'unità relativa dell'opera singola, nella distruzione della forma determinata di esposizione [bestimmte Darstellungsform] dell' opera nell'ironia, viene più profondamente rinviata a quella dell'arte come opera universale, pienamente riferita a questa senza andar perduta. Infatti, l'unità dell'opera singola è distinta .solo per grado da quella dell'arte, nella quale essa continuamente si sposta :nell'ironia e nella critica. [... ] La forma determinata dell'opera singola, che si potrebbe definire come la forma di esposizione [Darstellungsform], diventa la vittima della distruzione ironica. Ma su di essa l'ironia dischiude un cielo di eterna forma, l'idea della forma, quale può denominarsi la forma assoluta; ed essa attesta la sopravvivenza dell'opera, che attinge da questa sfera il suo indistruttibile sussistere, dopo che la forma empirica, espressione diella sua riflessione, come riflessione isolata, le è stata strappata. L'ironizzazione della forma di esposizione [Darstellungsform] è come la tempesta che solleva il velo posto dinanzi all'ordine trascendentale dell'arte [. ..] . In questo senso Schlegel conosce «confini del1' opera visibile», al di là dei quali si apre il dominio dell'opera invisibile, dell'idea dell'arte. [. . .] L'ironia formale non è [. . .] un procedimento intenzionale dell'autore. Essa non può essere intesa, come lo è di solito, quale indice di una soggettiva mancanza di limiti, ma deve essere apprezzata come momento oggettivo dell'opera stessa. Essa rappresenta il paradossale tentativo di costruire nel prodotto, sia pure attraverso una demolizione: di dimostrare nell'opera stessa la sua relazione con l'idea38.
L'unità relativa della forma dell'opera è dunque l'esposizione (Darstellung) di una costellazione ideale n el materiale reale che misticamente accenna all' idea: tale rapporto la distrugge. Concretamente ciò avviene attraverso le allegorie che elaborano gli elementi caduchi del reale crean37. Cfr. UdT, p. 214; DB, p. 9. 38. Kunstkritik, pp. 86-7; Critica, pp. 80--1.
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do una infinità ciclica di connessioni di rinvii orizzontali. Nel momento della totalizzazione allegorica i rinvii orizzontali si rovesciano nel rinvio verticale all'idea dell'arte che può essere definito come forma simbolica riflessa in sé. Allegoria e simbolo, infatti, non sono altro che due direzioni dello stesso mezzo artistico e,, se nell'arte definita classica sembra prevalesse il secondo, nell'arte romantica prevale la prima. Nell'istante del rinvio simbolico la singola forrna ironicamente si brucia entrando nella sfera dell'assoluto. Nel momento più alto della propria vita il caduco muore tragicamente e si trasforrna, come la fenice, nella vita dell' eterno39. L' intera teoria romantica dell'arte poggia sulla determinazione dell'assoluto medium di riflessione quale arte o, più esattamente, quale idea dell'arte. Poiché l'organo di riflessione artistica è la forma, l'idea dell'arte viene a definirsi come il medium di riflessione delle forme . In questo, tutte le forme di esposizione (Darstellungsformen) si connettono stabilmente, trapassano e si trasformano l'una nell'altra, congiungiendosi nella forma d'arte assoluta, che coincide con l' idea dell'arte. L'idea romantica dell' unità dell'arte sta, dunque, nell' idea di un continuum delle forme40 .
L'opera si configura come f orn1a ricca di forme, come idea ricca d'idee e come individuo ricco d'individui, ovvero come la Forma, l'Idea e l'Universale attraverso un successivo inglobare di infiniti altri centri di riflessione. Tuttavia, questo processo non si perde nell'indeterminato e nella cattiva infinità, anzi «un individuo infinitamente caratterizzato è membro di un infinitorium»41. Più profondamente, infatti, la singola opera è determinata e riflessa in sé e costruita in modo preciso e coerente, più essa realizza la propria individualità concreta, più è infinita. L'infinito si realizza infatti in modo ciclico nell'immanenza dell'opera, e non attraverso un infinito rinviare ad altro o a un contenuto che non sia pienamente compreso nella forma42. Resta fermo che «la poesia romantica è una poesia universale progressiva. [... ] Il genere poetico romanti39. Per quanto riguarda la problematica dell'allegoresi, si confronti, più avanti, il capitolo V.1; per una esposizione più deuagliata del concetto di ironia romantica dr. Ophalders, Dialettica dell'ironia romantica, cit. 40. Kunstkritik, p. 87; Critica, p. 82. 41. Novalis, Werke, vol. 2, p. 494. 42. «La cosa principale è presagire la totalità. [...] Attraverso l'applicazione del metodo ciclico vi si deve presto giungere» [Schlegel, Schriften, vol. 5, p. 180]. La totalizzazione viene intesa da Schlegel come l'interiore infinito di un'opera compiuta. Cfr. Ingrid Strohschneider-Kohrs, Die romantische Ironie in Theorie und Gestaltung, Max Niemeyer Verlag, Tiibingen 19772, PlP· 41-2.
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co è ancora in divenire; anzi questa è la sua essen za peculiare, che può soltanto eternamente divenire e mai essere compiuto»43. E Benjamin commenta, «come l'intera vita dell'umanità, essa è un infinito processo di realizzazione e non un semplice divenire»44. Il processo di realizzazione dell'ideale n ella realtà, tuttavia, non vien e configurato, kantianamente, come un progresso infinito. I r omantici mirano piuttosto a una realizzazione imminente e immediata e a una perfezione che riguardi anche gli angoli più remoti e gli elem enti più caduchi dell'esistenza. Il carattere trascendentale della poesia ro mantica, la sua volontà di far compenetrare completamente idea e realtà, il suo desiderio di vivere poeticamente, la spinge verso la realizzazione compiuta dell'ideale; se l'arte è il continuum delle forme, il romanzo