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Italian Pages 136 Year 2020
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QUADERNI DI ETN OSEMIOTICA Collana diretta da Francesco Marsciani
Prisca Amoroso Gianluca De Fazio Riccardo Giannini Edoardo Lucatti
CORPO, LINGUAGGIO ESENSO tra Semiotica e Filosofia
Prefazione di Manlio Iofrida
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SOCIETÀ EDITRICE
ESCULAPIO
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Indice Prefazione (di Manlio Iofrida) .......................................... vii Abstracts .......................................................................... xi
1. Prisca A1noroso - L'esperienza della parola.
Il problema del linguaggio in Merleau-Ponty .................... 1 2. Gianluca de Fazio - Corporeità e Struttura: per una dimensione trans-soggettiva in Merleau-Ponty ... 23 3. Riccardo Giannini - Confini del mondo, confini del corpo ............................................................ 57 4. Edoardo Lucatti - Il gesto e l'azione. Proposte semiotiche per una fondazione fenomenologica dell'epigenesi strutturale ....................... 79
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Prefazione I saggi raccolti in questo Quaderno muovono tutti intorno allo stesso problema: quello del rapporto fra corporeità ed espressione, che si articola in un confronto fra fenomenologia e semiotica, fra Merleau-Ponty (e Deleuze) e Greimas. In particolare, i due primi saggi, quelli di Amoroso e De Fazio, ricostruiscono la riflessione di Merleau-Ponty sul rapporto fra gesto e linguaggio e sulla questione della soggettività; il terzo saggio, di Giannini, opera un parallelo fra l'idea di chiasma del filosofo francese e la teoria della mente estesa di Clark e Chalmers, insistendo sul tema di una mente i cui confini vanno ben oltre il cervello umano e sull'idea che la distinzione linguaggio-mondo non è che un ritaglio arbitrario di un continuu1n, di una realtà unica fatta di interscambio fra uomo, mondo e linguaggio; il saggio di Lucatti, sul gesto e l'azione, il più ampio e impegnativo, fa largamente intervenire nel discorso, accanto a MerleauPonty, la prospettiva deleuziana. I primi due saggi, squisitamente filosofici, sono particolarmente vicini alla mia prospettiva; i secondi, più specificamente semiotici, muovono da un punto di vista in parte differente; per intrecciare un dialogo con questa prospettiva, darò per scontato quanto sviluppato da Amoroso e De Fazio e, per ragioni di sinteticità, farò un commento analitico del saggio di Lucatti, avvertendo peraltro che le mie osservazioni valgono anche per quello, teoreticamente con esso convergente nei punti fondamentali, di Giannini. Se la fenomenologia, e quella merleau-pontyana in particolare, si sforza di ridar voce al "mondo percepito nella
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sua brulicante inesattezza", ali' "essere grezzo colto nell'evento vischioso della sua manifestazione", la semiotica, disciplina regionale, cerca di portare alla luce le condizioni del fenomeno del senso senza operare salti in una dimensione trascendentale: l'idea deleuziana di una semiotica che ha di mira "il noumeno più prossimo al fenomeno" e quella merleau-pontyana di "manipolare le cose senza rinunciare ad abitarle" sono viste da Lucatti come perfettamente convergenti. La semiotica, in particolare, ha il compito di cogliere l'emergere del senso aderendo alla sua dinamicità, alla dimensione di divenire che ha il suo farsi. Ma come uscire dall'inevitabile dilemma, dal vero e proprio paradosso che questo programma comporta? Come sottrarsi a quello che Lucatti chiama il destino dell'ordine, della stabilizzazione e della separazione? Il problema si rivela allora essere quello del rapporto fra l'azione, teleologicamente orientata, (che è poi, weberianamente, la razionalità strumentale) e il senso incarnato, in divenire, ancora sottratto alla finalizzazione unica dell'azione. Lucatti sviluppa dunque il suo discorso secondo una contrapposizione fra azione e gesto: dove quest'ultimo sarebbe quel momento di pienezza fenomenologica e vitale, di adesione di noumeno e fenomeno il cui divenire non sarebbe decurtato da nessuna realtà finita, la cui virtualità si sottrarrebbe a ogni attualizzazione. La prospettiva che qui si apre è di grande ricchezza e suggestione: per un lato siamo rimandati alla grande esperienza del teatro novecentesco (da Artaud a Barba e Bene) e alla sua riscoperta di una gestualità e di una corporeità che l'azione quotidiana (o il lavoro del mondo industriai-borghese) occultano e deprivano della sua vitalità e plurisignificatività (è la grande
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idea di una corporeità insistente contro quella esistente); qui si tratta della sospensione dell'irripetibilità e della decisione che caratterizzano l'azione, per risalire a quella storicità assoluta, fuori da ogni storicità diacronica, che permette la reiterazione (creativa e differenziale) del gesto. L' altro lato di questo discorso è dato dal riferimento a una serie di grandi testi kafkiani (del Kafka rniuore nel senso di Deleuze): in particolare, allo scavare della talpa che, nel racconto La tana, rasenta e non attraversa, sottraendo il suo fare a ogni finalizzazione mortificante. Ma è la dimensione, caratterizzante tutta l'opera di Kafka, del puro gesto, che non decide nulla, che è intrinsecamente ripetitivo e macchinale (di nuovo nel senso di Deleuze e Guattari), che viene qui presa a oggetto e modello. Vorrei sottolineare che in questa tematica del gesto come corporeità insistente Lucatti fa convergere il materialismo spinozista e immanentista di Deleuze e la tematica del chiasma di Merleau-Ponty, ma anche una visione come quella di François Jullien, che, in sostanza, cerca nel pensiero cinese quell'alternativa alla ragione strumentale occidentale che anche i due filosofi francesi perseguivano per loro conto: dico questo solo per sottolineare l'attualità, filosofica e politica, del discorso di Lucani. Ciò detto, fra il piano di immanenza di Deleuze e il chiasma di Merleau-Ponty le prospettive sono davvero così convergenti? E soprattutto: il rapporto fra gesto e azione si riduce a sottrarre, come dice l'autore seguendo Deleuze, Dioniso alla stretta di Apollo? A sfondare ogni volta i margini del finito verso l'Infinito che lo deborda e lo rende possibile? Il nostro corpo è un' infi-
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nita vitale, un infinito così assoluto come Deleuze l'ha pensato sulle orme della grande metafisica bergsoniana? Non è piuttosto, secondo la lezione di Merleau-Ponty, un limite e una finitezza che il logos prometeico e infinito dell'Occidente tende costitutivamente a violare? E se il corpo è limite e finitezza, come vanno pensati il rapporto fra gesto e azione e, più in generale, quello fra logos corporeo, pretetico e logos tetico? Non è che, nel formulare questi interrogativi, chi scrive abbia minimamente la presunzione di sapervi rispondere: semplicemente, vuole testimoniare, nel sollevarli, quanto sia vitale e attuale e suscitatrice di stimoli alla ricerca, nel campo filosofico, ma anche in quello delle scienze umane, la problematica del rapporto fra semiotica e fenomenologia, come emerge da questo saggio, ma, più in generale, da tutto questo quaderno.
Manlio Iofrida
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1 Prisca A1noroso L'esperienza della parola. Il problema del linguaggio in Merleau-Ponty Nel 1952, quando scrive una Autopresentazione1 in occasione della candidatura al Collège de France, Merleau-Ponty è in un momento critico della propria produzione filosofica, che muove verso nuovi orizzonti. La prosa del rnondo, che rimarrà incompiuta per volontà dell'autore, è già - per la gran parte della versione che resterà quella definitiva - composta. In gestazione è pure quell'Origine della verità, che diventerà Il visibile e l'invisibile. Oltre che nella Feuo1ne11ologia della percezione, il problema del linguaggio si è affacciato nella riflessione dell'autore in alcuni dei testi che oggi leggiamo in Segni e sarà centrale nelle lezioni che MerleauPonty terrà l'anno successivo proprio al Collège, la sua candidatura essendo stata accolta. In questa Autopresentazione, il filosofo traccia una linea che congiunge in stretta unitarietà la produzione già compiuta e le prospettive che questa apre, e che costituiscono i fili della tela che egli va, in quegli anni, tessendo. 1
Questo il titolo con cui il testo, che ne è in origine privo, è pubblicato in Aut Aut, 232/233, 1989, pp. 5-12, trad. it. di Guido Neri. La prima pubblicazione, in lingua originale, appare sulla «Revue de Métaphysique et de Morale», 4, 1962
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La struttura del cornportarnento cercava di stabilire, a partire dalla lezione della nuova psicologia, in particolare della Gestalttheorie, e della fisiologia moderna, il rapporto non meccanicistico che l'organismo vivente intrattiene con il proprio mondo-ambiente. Il meccanicismo aveva fornito un'immagine di questo rapporto come assoluto e lineare: esso vedeva gli stimoli univoci, diretti, non ambigui, e le reazioni del vivente - ridotte a riflessi automatici -, come necessitate dai primi, prevedibili, rigidamente coerenti. Dall'altro lato, l'intellettualismo forniva un'alternativa tutt'altro che convincente, insistendo sull'autonomia dell'interiorità, «sovrapponendo al corpo, concepito come cosa, una coscienza pura e contemplativa» (Merleau-Ponty 1962, p. 6). La grande lezione della Fe1101nenologia della percezione era il riconoscimento che la percezione si dà in un orizzonte che vede coinvolti percipiente e percepito in un rapporto di reciprocità. L'analisi merleau-pontyana dava conto di come il soggetto non possa darsi che in relazione al mondo: essa svelava come, nella mia esperienza concreta, io non ponga gli oggetti gli uni accanto agli altri, collegandoli mediante relazioni oggettive, ma viva quegli oggetti, mediante un flusso di esperienze vicendevolmente legate. L'essere-al-mondo àncora il soggetto ad un certo ambiente, che gli è proprio, e nel suo essere ancorato, il soggetto rileva continuamente un'allure, uno stile: la riflessione fenomenologica tenta di mettere in luce il darsi di un senso tacito dell'esistente, un senso non sostanziale né cosale, bensì differenziale, dato da un'organizzazione di campo: non risultante di elementi atomici, né sintesi intellettuale dei dati dell'esperienza, ma installazione nel sensibile.
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Uscendo dall'opposizione classica tra meccanicismo e intellettualismo, il corpo andava dunque ripensato come il nostro punto di vista sul mondo, non più oggetto sensibile tra gli altri oggetti, e neanche contenitore di un io puro e assoluto. Era stato questo l'obiettivo della Fenotnenologia della percezione, un'impresa filosofica ancora in cammino e che Merleau-Ponty, nel 1952, dichiara di voler proseguire tramite un'indagine del linguaggio e della verità. Il primo dei corsi al Collège de France, nel 1953, porta il titolo di Le tnonde sensible et le tnonde de l'expression, e sono appunto queste due istanze - il mondo sensibile, dunque la percezione, e il mondo dell'espressione - i poli che devono guidare un discorso sul rapporto tra corpo e linguaggio. Cercheremo, in queste pagine, di ricostruire lo sviluppo del pensiero di Merleau-Ponty attorno a questi temi, nel decennio che intercorre tra l'uscita della Fenotnenologia della percezione, nel 1945, e l'inizio dei corsi sulla natura, tenuti al Collège a partire dal 1956, e lo faremo prendendo le mosse, appunto, da un passo dell'Autopresentazione. Ci sembra che la conoscenza e la comunicazione con l'altro che essa presuppone siano, rispetto alla vita percettiva, formazioni originali ma che la continuano e la conservano trasformandola, che esse sublimino la nostra incarnazione più che non la sopprimano e che l'operazione caratteristica dello spirito stia nel movimento per cui riprendiamo la nostra esistenza corporea e la utilizziamo per simbolizzare anziché semplicemente coesistere. Questa metamorfosi dipende dalla duplice funzione del nostro corpo. In base ai suoi "campi sensoriali", a tutta la sua organizzazione, esso è in un certo
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modo predestinato a modellarsi sugli aspetti naturali del mondo. Ma in quanto corpo attivo, in quanto capace di gesti, di espressione e infine di linguaggio, esso si rovescia sul mondo per significarlo. (Merleau-Ponty 1962, pp. 8-9)
In queste righe confluiscono molti dei problemi con cui ogni filosofo che si occupi di linguaggio, e che non ceda al fantasma di un linguaggio puro (Merleau-Ponty 1969), deve confrontarsi. Anzitutto, come pensare una conoscenza che non si ripieghi e non coincida nella sua totalità con una episteme? E anche: come si acquisisce la conoscenza linguistica? Poi, la questione della comunicazione, e dunque il problema dell'altro, dell'intersoggettività. Ancora, la percezione, legata a un corpo che si presenta latore di due funzioni: una passiva - esso si fa modellare dal mondo - e una attiva, quella capacità di ripiegamento che ci permette di simbolizzare, di significare il mondo stesso. 1. Conoscenza e apprendimento Il discorso sulla conoscenza, intrapreso già nella prima opera e largamente tematizzato nella Feno1nenologia della percezione, era giw1to a delinearsi nei termini di una ridefinizione del sapere che non accordava un privilegio all'episteme, al sapere scientifico. Questo, sebbene non destituito di validità, veniva definito da MerleauPonty nei termini di una conoscenza "di sorvolo", non diretta, non originaria. Più in profondità, infatti, Merleau-Ponty vedeva collocarsi un sapere mitico, che si aggira tra le cose senza dominarle e che si lascia investire da esse. Come ricorda l'autore nell'Autopresentazione,
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questo era stato il problema anche del saggio su Cézanne: questo il senso, dunque, di quel rendere visibile, investimento reciproco del pittore con le cose, preferito da Klee al rappresentare, alla riproduzione geometrica degli oggetti 2 • Nel sapere quotidiano, proprio come nella visione artistica, il rapporto con il mondo non è ridotto a linearità, ma si articola in una obliquità che è data dal nostro essere tra le cose, dal nostro installarci in esse. Si tratta di un sapere immediato, che possiede una forza assai maggiore rispetto a quella episteme razionalista, che svuota la conoscenza del suo aspetto affettivo e ne perde la ricchezza. Un primitivo che va in cerca del proprio accampamento, per esempio, non si appoggia alle coordinate dello spazio cartesiano o al riconoscimento dei punti cardinali, ma si fa trascinare dall'accampamento in quanto luogo di una certa pace e di una certa gioia, in una conoscenza che è anzitutto conoscenza del corpo. La maggior parte delle nostre esperienze comuni, a partire dalla motricità, è guidata da un sapere di questo tipo: non da uno sforzo di ricostruzione di ciò che "bisogna fare", ma da un movimento spontaneo e diretto. In un passo della Coscienza di Zeno, il protagonista racconta: Tullio s'era rimesso a parlare della sua malattia ch'era anche la sua principale distrazione. Aveva studiato l'anatomia della gamba e del piede. Mi raccontò ridendo che quando si cammina con passo rapido, il tempo
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Sul tema, Merleau-Ponty tornerà ne L'Occhio e lo Spirito . Cfr. § Lucatti.
6 in cui si svolge un passo non supera il mezzo secondo e che in quel mezzo secondo si movevano nientemeno che cinquantaquattro muscoli. Trasecolai e subito corsi col pensiero alle mie gambe a cercarvi la macchina mostruosa. Io credo di avercela trovata. Naturalmente non riscontrai i cinquantaquattro ordigni, ma una complicazione enorme che perdette il suo ordine dacché io vi ficcai la mia attenzione. Uscii da quel caffè zoppicando e per alcuni gionù zoppicai sempre. (La coscienza di Zeno, cap. V)
Zeno si pone, in relazione al proprio corpo, con una disposizione razionalista: cerca di sorvolarlo, di staccarsene, di condurlo mediante una episteme. Quando egli cerca in sé la "macchina mostruosa" e la trova, perde la propria presa sul mondo in favore di un contatto che dal mondo lo allontana: diviene, così, incapace di camminare. È proprio in questo che la macchina è mostruosa: essa è l'inquietante frattura, all'interno del vivente, tra un corpo meccanico, quasi un burattino, e un pensiero burattinaio che dovrebbe dirigerlo. Ma la conoscenza più immediata si delinea come una praktognosia (Merleau-Ponty 1945, p. 195), un sapere che si fa nella prassi, che è costituito dall'acquisizione di una condotta, di un certo stile, in un contatto con sé e con l'essere del mondo, che non può essere ridotto che per artificio ad un processo governato da un io peuso 3• Questa, assai brevemente, la concezione di conoscenza già delineata nelle prime due opere maggiori: il mondo, 3
In questa direzione va la riflessione di Giannini (§ 1.2) sull'assorbimento dello strumento, che diviene trasparente a colui che vi abbia stabilito una familiarità.
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dice Merleau-Ponty (1962, p. 7) citando Malebranche, è un'opera incompiuta, non si presenta come un oggetto di cui il nostro intelletto conosca a priori la legge di costruzione, ma è un insieme aperto, che percepiamo nel suo farsi e che ci fa. Esso non è esauribile in un pensiero trasparente e senza storia, ma è piuttosto abbracciato in un patto con il corpo che si rinnova ad ogni istante. Nel 1949 Merleau-Ponty è chiamato alla cattedra di psicologia infantile e pedagogia della Sorbona. Il primo dei corsi che tiene ha per tema proprio la conoscenza e l'acquisizione del linguaggio. Merleau-Ponty ripercorre alcune ipotesi, tradizionali e recenti, sulle modalità di apprendimento della lingua, a cominciare dalla concezione riflessiva - che conosce storicamente più formulazioni -, che svaluta il linguaggio traducendolo in un rivestimento della coscienza, con cui non ha un legame diretto. In questa prospettiva, il linguaggio si presenta come una cosa, un oggetto, e si configura come strumento acquisito mediante astrazione. La posizione ricalca la coincidenza di tutto il sapere con l'episteme, che abbiamo visto destituita dal Merleau-Ponty della Fenonzenologia della percezione. Il linguaggio, come ogni condotta, è ben più misterioso di quanto le considerazioni positiviste e razionaliste non vogliano ammettere, anzitutto in quanto luogo privilegiato della comunicazione con gli altri 4• Il linguaggio oppone una resistenza invincibile al tentativo di convertirlo in oggetto e il problema andrà riformulato. «Le langage n'est ni chose ni esprit, à la fois immanent et transcendant, son statut reste à trouver» (Merleau-Ponty 2001, p. 11). " Cfr. Marsciani 2012a; 2012b, pp. 85 e sgg.
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Il filosofo si propone di trovare questo nuovo statuto proprio a partire dall'indagine delle modalità di apprendimento. Discute, allora, la questione dell'imitazione linguistica: essa ricalca l'imitazione gestuale e motoria. Come osserva Paul Guillaume, al pari degli altri tipi di imitazione quella linguistica non è imitazione lineare di ciò che l'altro dice, ma piuttosto il tentativo di giungere al medesimo risultato 5, attrazione verso un senso, comune a quello espresso dall'altro. «L'imitation ne se comprend que comme rencontre de deux actions autour du meme objet: imiter ce n'est pas faire comme autrui, mais arriver au meme résultat» (Merleau-Ponty 2001 , p. 32), tanto che fino a un certo grado di sviluppo, il bambino non sa imitare gesti e azioni che non abbiano una presa concreta sul mondo, gesti per così dire senza scopo o decontestualizzati; o, ancora, un bambino che non abbia ancora imparato a pronunciare la r nondimeno la emette quando imita il canto di un uccello. Ciò deve comportare un rapporto quasi magico con il corpo proprio e, d'altro canto, una percezione dell'altro come totalità melodica, unitaria. Nell'imitazione, il bambino non considera il corpo dell'altro come un oggetto le cui posizioni egli può riprodurre con il corpo proprio, ma piuttosto come un comportamento, una modalità di condotta che egli rincontra nei propri
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In campo neuroscientifico, esperimenti relativamente recenti hanno mostrato come i neuroni premotori della scimmia siano più sensibili allo scopo dell'atto motorio, che al movimento come tale. Gli stessi neuroni motori si attivano quando l'obiettivo del movimento è raggiunto con un arto, con l'altro, o con la bocca. (Gallese, Guerra 2015 p. 56 e segg.; dr. Rizzolatti, Sinigallia 2006).
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gesti, quando riesce ad ingaggiare il corpo proprio all'acquisizione della totalità dello stile altrui. Rivolgendosi a Guillaume, ma anche e soprattutto a Husserl, Merleau-Ponty (2001, p. 39) può affermare che quando assisto alla condotta altrui il mio corpo diviene il mezzo per comprenderla, puissauce de cotnpréheusiou, per un'operazione non logica, bensì vitale6•
2. Il gesto e la parola Queste considerazioni, che brevemente riassumono l'originale concezione merleau-pontyana della conoscenza, devono aiutare una ricostruzione dell'evoluzione del pensiero dell'autore rispetto alla domanda fondamentale su cui si apriva il capitolo sul Cogito nella Fenotnenologia della. percezione: in che modo lo spirito potrebbe conoscere il senso di un segno che non ha esso stesso costituito come segno? Ancora una volta, uno stimolo ulteriore è offerto dal corso su La conscieuce et l'acquisitiou du langage, ove Merleau-Ponty sostiene che, se per l' adulto il segno è solitamente inteso come convenzione, per il bambino, almeno fino ai 6-7 anni, esso è posseduto come qualità dall'oggetto che designa. Mi sembra sia possibile tracciare una vicinanza tra il pensiero dell'adulto e la conoscenza epistemica e tra il sentire del bambino e quel sapere che abbiamo indicato come "mitico", che per l' autore rappresenta la conoscenza più spontanea, al di là delle astrazioni che su di essa è possibile operare. «Pour l'enfant, le signe a un rapport quasi magique, un rapport de participation, de ressemblance intime avec le signifié» (Merleau-Ponty 6
Cfr. De Fazio § 2.
10 2001, p. 20). Questo modo magico di rapportarsi alla parola era riferito, nell'opera del 1945, alla funzione linguistica tutta e, ancor più radicalmente, all'intenzionalità in generale. Dunque, se nel corso di pedagogia esso pare ricondotto soltanto al bambino, la sostanziale continuità tra aspetti cruciali dei due discorsi fa pensare che Merleau-Ponty, nel 1949, vedesse ancora il rapporto segno-significato come una partecipazione, una relazione magica tra i due termini. Resta immutata l'idea che parlare non è evocare immagini verbali e articolare delle parole in base al modello immaginato. Facendo la critica dell'immagine verbale, dimostrando che il soggetto parlante si getta nella parola senza rappresentarsi le parole che sta per pronunciare, la psicologia moderna elimina la parola come rappresentazione, come oggetto per la coscienza, e svela una presenza motoria della parola che non è la conoscenza della parola. Quando la so, la parola "nevischio" non è un oggetto che riconosco grazie a una sintesi di identificazione, ma un certo uso del mio apparato di fondazione, una certa modulazione del mio corpo come essere al mondo (Merleau-Ponty 1945, p. 516)
È in virtù di questo gettarsi nella parola che il bambino può affermare che un oggetto "ha l'aria di chiamarsi così" e - punto di notevole interesse - può giustificare in tal modo l'invenzione di una nuova parola (MerleauPonty 2001, p. 20). Il senso della parola sgorga, infatti, nel commercio tra il soggetto e il mondo, tra l'io e gli altri, senza che essa sia «mai stata ispezionata, analizzata, conosciuta, costituita, ma acciuffata e assunta da una
11 potenza parlante e, in ultima analisi, da una potenza motoria che mi è data con la prima esperienza del mio corpo» (Merleau-Ponty 1945, pp. 516-517). La parola viene a delinearsi come sviluppo di quella capacità espressiva, che è già presente nel gesto di indicare, di additare un oggetto. La parola è, insomma, essa stessa gesto, per quanto sofisticato e complesso: essa irrompe nel nostro orizzonte come "qualcosa da pronunciare". Nel rapporto magico del bambino alla parola, si rivela un senso che il pensiero oggettivo 11011 sa tematizzare, ma di cui, nondimeno, il soggetto fa esperienza. Accade nell'espressione linguistica ciò che è tipico del sogno: quando dico che una delusione mi ha buttato a terra, è perché il movimento verso il basso come direzione nello spazio fisico e la frustrazione di fronte ad un obiettivo mancato sono in qualche modo simbolici l'uno dell'altro. A questi temi di innalzamento e di caduta, che si registrano frequentemente nei sogni, il pensiero positivista attribuisce spiegazioni fisiologiche, mettendoli in rapporto con concomitanti respiratorie o impulsi sessuali: ma se non si ammette che il corpo abbia un valore emblematico resterà inspiegabile perché, in un certo momento, un uomo che sta sognando si presti completamente a questi fatti corporei, infondendo in essi un significato generale e simbolico, che li fa apparire in sogno sotto forma di immagini (Merleau-Ponty 1945, pp. 378-379). Nella Fenotnenologia della percezione, Merleau-Ponty scrive che il legame che sussiste tra l'immagine, del sogno o del mito, e quello che chiamiamo il suo senso non è paragonabile al rapporto che intercorre tra un numero telefonico e il nome dell'abbonato, poiché tale immagine racchiude il suo senso autenticamente.
12 Prima degli «atti di significazione» (Bedeutungsgebende Akte) del pensiero teorico e tetico, dobbiamo riconoscere le «esperienze espressive» (Ausd111.ckserlebnisse), prima del senso significato ('Zeichen-Sitm), il senso espressivo (Ausdrucks-Sitm), prima della sussunzione del contenuto sotto la forma, la «pregnanza» simbolica della forma nel contenuto. (Merleau-Ponty 1945, p. 381).
Così, l'apparizione della prima parola nel bambino non segna la presa di coscienza di un rapporto segnosignificato7: se così fosse, con la prima parola si avvierebbe un rapido progresso di acquisizione verbale, mentre solitamente si riscontra un periodo più o meno lungo di stagnazione dell'apprendimento linguistico. Nelle esperienze espressive dell'infanzia, spesso le parole usate sono onomatopee, dw1que si fondano su un rapporto di somiglianza con l'oggetto designato, e questa affinità intima e confusa tra parola e oggetto si evidenzia anche nell'uso di uno stesso vocabolo a indicare situazioni e cose che possiedono una generica comunanza nel1' esperienza del bambino: "musica" può stare per "musica", per "musica militare", e dunque anche per "soldati". Il bambino possiede un uso sincretico della lingua 7
Merleau-Ponty (1945, p. 514) riferisce una storia presente in un libro per bambini, che descrive la delusione di fanciullo nel constatare che sul libro di favole che la nonna gli leggeva compaiono solo segni neri. "Povero me! Dov'è dunque la storia?". Commenta Merleau-Ponty: «Per il fanciullo la "storia" e ciò che è espresso non sono "idee", né la parola e la lettura "una operazione intellettuale". La storia è un mondo che deve essere possibile far apparire magicamente mettendo gli occhiali e chinandosi su un libro.»
13 (Merleau-Ponty 2001, p. 20), tanto che il passaggio all'uso oggettivo del linguaggio costituisce, al contempo, un impoverimento: quand on va de l'enfance à l'age adulte, il ne s'agirait pas seulement d'un passage de l'ignorance à la connaissance, mais après une phase de polymorphisme qui contenait toutes les possibilités, du passage à un langage épuré, plus défini, mais plus pauvre. (Merleau-Ponty 2001, p. 51)
Il linguaggio si presenta per il bambino come un gioco, che consente di esplorare possibilità e di adottare ruoli diversi: come il gioco, esso permette al bambino di accedere a situazioni varie e numerose 8• Questa disposizione infantile è evidente nell'uso del bambino a ripetere indefinitamente una certa parola: il bambino si diverte a farla apparire, a soppesarla. Questo linguaggio è guidato da un je peux, non da un je pense: da un soggetto motorio, non contemplativo (Merleau-Ponty 2001, p. 35).
3. Mondo sensibile, mondo dell'espressione In questo corso e nei saggi raccolti in Segni, il filosofo intreccia un dialogo con Saussure. In Sulla /enontenologia del linguaggio, che riporta la comw1icazione fatta Mentre scrivo queste pagine, ho la felice occasione di passare qualche ora con un bambino di tre anni e sei mesi. Un adulto dà inizio ad un gioco, conùnciando a parlargli una lingua improvvisata e senza significato, ma sorretta dal senso di una calcata espressività del volto, dei gesti e dell'intonazione della voce. Il bambino non esita a seguirlo nella messinscena, ingaggiando un fitto e animato botta e risposta nella lingua misteriosa, e appare divertito dall'ironia del gioco e dalla duttulità dell'espressione. 8
14 al Primo Colloquio Internazionale di Fenomenologia di Bruxelles nell'aprile 1951, il confronto è articolato e tocca il tema della distinzione di un piano diacronico e di un piano sincronico del linguaggio 9 • L'occasione è data dalla discussione di uno slittamento della prospettiva di Husserl sul linguaggio, dalla "grammatica universale" della N Ricerca Logica al soggetto parlante dell'Origine della geotnetria. Merleau-Ponty (1960a, p. 119) sostiene che non possiamo, come propone Saussure, semplicemente giustapporre le due prospettive, sincronica e diacronica, ossia il linguaggio in quanto oggetto di pensiero e la parola in quanto mia, se non al prezzo di ignorare quanto l'esperienza della parola può insegnare sull'essere del linguaggio, di ignorarne, insomma, la portata ontologica. Su questo punto, Merleau-Ponty sembra mantenersi molto vicino alla teorizzazione che nella Fenornenologia della percezione era ancora, rispetto al problema linguistico, soltanto abbozzata, ma che faceva pensare, anche in questo ambito, ad un legame intimo tra prassi e ontologia. Tanto che, anche nell'ultima opera, rimasta incompiuta, Merleau-Ponty (1964, p. 199 e p. 143) a proposito del linguaggio parla ancora di una "parola mitica" e di un "ritornare alle cose stesse"10 : Si deve quindi credere che il linguaggio non è semplicemente il contrario della verità o della coincidenza, che c'è o che potrebbe esserci - ed è ciò che egli [il filosofo, ma l'idea può essere estesa al soggetto parlante in generale, NdA] cerca - un linguaggio della coincidenza, 9
Cfr. de Saussure 1916 pp. 95-120 e in part. 115-120. °Cfr. Lucatti, § 1.1
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15 un modo di far parlare le cose stesse. Si tratterebbe di un linguaggio di cui egli non è l'organizzatore, di parole che egli non riw1irebbe, che si unirebbero attraverso di lui grazie alla com1essione naturale del loro senso, al traffico occulto della metafora, - ciò che conta non essendo più il senso manifesto di ogni parola e di ogni immagine, ma i rapporti laterali, le parentele, che sono implicati nei loro rivolgimenti e nei loro scambi (Merleau-Ponty 1964, p. 143).
Cosa è cambiato, dunque, rispetto al 1945? In che senso il linguaggio può compiere un ritorno alla cosa stessa? Non è forse vero che altrove Merleau-Ponty (1960b, p. 69) sostiene proprio che «il linguaggio è perentorio quando rinuncia a dire la cosa stessa»? La contraddizione è solo apparente. Bisognerà indagare in quale rapporto il filosofo si ponga rispetto allo Strutturalismo 11 • Si tratta di un incontro che lo ha ampiamente influenzato ed egli ha contribuito, anche in modo notevole, al successo che lo Strutturalismo ha conosciuto nella Francia degli anni Cinquanta e Sessanta12 • Da un lato, Merleau-Ponty non esita a porsi in polemica con Saussure su un punto di non poco conto, riconoscendo una "quasi corporeità del significante", che in linea di massima - sebbene con alcune ambiguità significative - è rifiutata dall'autore del 11
Cfr. Petronella Foultier 2013. Si ricorderà che Merleau-Ponty introduce Lèvi-Strauss al Collège de France. L'occasione del saggio Da Mauss a Claude LéviStrauss è proprio la nomina di quest'ultimo al Collège. Sul rapporto di Merleau-Ponty con lo Strutturalismo, cfr. Chiletti 2007. Cfr. anche il saggio di De Fazio. 12
16 Corso di linguistica generale. Ma, dall'altro lato, l'incontro con Saussure vale a Merleau-Ponty la scoperta della differenza, dello scarto (il termine, non è un caso, entra per la prima volta nel lessico merleau-pontyano nei primi anni Cinquanta), della diacriticità, che diventerà per il filosofo un'istanza ontologica fondamentale. Mi sembra che sia questa la ragione del profondo interesse per il linguaggio, che emerge dai corsi e dagli scritti del periodo della produzione merleau-pontyana che abbiamo voluto prendere in esame, un periodo di passaggio, di cambiamento, che condurrà al pensiero de
Il visibile e l'invisibile. Merleau-Ponty accoglie la lezione di Saussure, di un'articolazione diacritica dei segni, e la legge nei termini di una riflessione sul silenzio. La connessione del segno con il segno e del segno con il senso è laterale, obliqua, come obliquo è il nostro rapporto con il mondo: il senso non può essere fissato una volta per tutte, al di fuori del rapporto tra un segno e l'altro, poiché esso si dà in questo rapporto. Ma bisogna fare attenzione: abbracciare una filosofia della differenza, non significa, per Merleau-Ponty, ricondurre la corporeità al linguaggio, far valere quest'ultimo come istanza principale: il corpo resta centrale nella riflessione del filosofo 13 e piega a sé il linguaggio stesso, se è vero che la parola si pone come un prolungamento della gestualità, e che l'espressione si delinea come l'altra inseparabile faccia della percezione. E' così che il senso è connesso al silenzio, che è nel silenzio, nello spazio muto tra una parola e l'altra, e dunque 13
Cfr. lofrida 2015.
17 in rapporto ad una mancanza, ad una ulteriorità. La genesi del senso non è mai compiuta (Merleau-Ponty 1960b, p. 66). Il parallelo che Merleau-Ponty istituisce in Sulla feuotneuologia del linguaggio richiama le istanze dell'opera del 1945: la coscienza che ho del mio corpo è immediatamente significativa di un certo paesaggio che mi circonda, di un certo stile fibroso o granoso dell'oggetto che tocco, così come la parola che proferisco o che odo è ricca di una significazione che si dà nella trama stessa del gesto linguistico 14 , tanto che si può parlare dell'"azione a distanza del linguaggio" come di un caso eminente dell'intenzionalità corporea (MerleauPonty 1960a, p. 122-3). Nel corso su Le tnonde sensible et le tnonde de l'expression, Merleau-Ponty sostiene che la percezione presuppone la funzione espressiva. L'emergenza di un senso delle cose avviene nella percezione, in quanto questa è già capacità di espressione, espressione del mondo15 • Noi siamo presso le cose perché le percepiamo, ma anche perché il nostro corpo è capace di donare 14
Se il linguaggio non stabilisce un rapporto segno-senso lineare e se, piuttosto, il senso si dà in una relazione che i segni intrattengono tra loro e con il silenzio, allora la comprensione del significato non annullerà la dignità del significante, non ne rappresenterà il superamento. Il senso e il suono sono un tutt'uno perché il senso non esiste che sulla traiettoria che va dall'intenzione muta di dire, all'acquisizione della formulazione linguistica. 15 Intesa in senso ampio come la proprietà che un fenomeno possiede, di indicarne o suggerirne un altro: l'utensile, l'opera d'arte e in generale i prodotti umani, cosl come il comportamento, sono forme di espressione.
18 loro, quando assenti, una quasi-presenza. Dunque, noi siamo presso il mondo in virtù di un rapporto espressivo con esso e, in particolare, di un rapporto espressivo tra i sensibili e l'apparato percettivo. Il mondo parla "un certo linguaggio" che il percipiente, senza averlo appreso, comprende come se entrasse nel suo apparato percettivo per stabilire un patto linguistico: questo linguaggio è la struttura della percezione, che emerge da una prassi: è la modulazione di una certa dimensione, uno stile, un tema del mondo. L'espressione resta dunque fortemente ancorata al corpo, che risponde agli stimoli che gli si presentano, ma che altrettanto si muove, ritorna sul mondo, ne fa una mimica, lo significa, ed è capace di costruire spazi virtuali e sistemi di corrispondenze tra presenza e assenza, tra oggetti simbolici e concreti, tra realtà e immaginazione, tra silenzio e parola. È così che il linguaggio può tornare alla cosa stessa. Non perché esso sia interamente esplicito, altrimenti scomparirebbe di fronte al referente, svanirebbe dinnanzi al suo proprio senso: non esistono architetture di segni il cui senso sia fissato una volta per tutte. Il problema dell'arbitrarietà del legame tra segno e senso è un falso problema: questo legame non è né immanente, né trascendente alla parola. Si crede che il senso sia trascendente ai seg1ù per principio, così come il pensiero lo sarebbe a indici sonori o visivi, - e lo si considera immanente ai segni in quanto ognuno di essi, avendo il suo senso una volta per tutte, non potrebbe insinuare fra noi e se stesso nessuna opacità, e nemmeno darci da pensare: i segni fungerebbero
19 solamente da monito, indicherebbero nell'ascoltatore quale dei suoi pensieri deve considerare. In verità, non è così che il senso abita la catena verbale, e non è così che se ne distingue. (Merleau-Ponty 1960b, pp. 66-67)
L'interrogazione sull'arbitrarietà del legame segnosenso, o segno-referente, posa su un misconoscimento del fatto che percezione ed espressione sono le due facce di una medesima medaglia. Affermare come negare questa arbitrarietà significa muoversi ancora in una filosofia che ha le proprie fondamenta nelle coppie dicotomiche che fanno fronteggiare essenza ed esistenza, naturale e culturale. La parola, come occorrenza storica della lingua, non è un'esistenza che si opponga ad un'essenza che sarebbe la lingua stessa. E neppure il segno è un prodotto culturale che si opponga ad un presunto oggetto naturale, il referente, che possiederebbe una maggiore verità, una verità oggettiva. La contingenza della lingua non è la sua arbitrarietà, così come l'esistenza di più lingue non dice nulla su questo problema. Ciò che Merleau-Ponty (1995, p. 258) dice di ogni cultura - e, si noti, il riferimento di questo passo è alla cultura animale -, che essa è assurda e culla di senso, può applicarsi anche alla lingua: la lingua è insieme assurda, ovvero non si riferisce ad un modello trascendente che ne garantisca il senso dall'esterno, e culla del suo proprio senso, cioè una volta che è, essa acquisisce il peso di una necessità. La parola che soddisfa il parlante ' così che il segno è una "perfezione senza modello". E dice e uou dice l'oggetto: una corrispondenza puntuale tra segno e referente è la sterilità della lingua, «una potenza d'errore giacché recide il tessuto continuo che
20 ci unisce vitalmente alle cose» (Merleau-Ponty 1964, p.
143). La sua fecondità è nell'opacità che impedisce al linguaggio di lasciare il posto al senso puro.
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23
2 Gianluca De Fazio Corporeità e Struttura: per una dimensione trans-soggettiva in Merleau-Ponty 1. La fenomenologia di Merleau-Ponty La filosofia, si sa, non fornisce soluzioni efficaci, ma nuovi modi di problematizzare. Il problema alla base di questo saggio è: cosa significa che i parlanti sono prodotti dall'inter-soggettività e qual è lo statuto ontologico di quest'ultima?16 Questa è una domanda molto interessante per la filosofia contemporanea. Se l'epoca moderna è quella che, da Cartesio a Kant, ha dato valore all'idea di Soggetto assoluto, limite oltre il quale non c'è conoscenza e se il Novecento, con Husserl, Heidegger e lo Strutturalismo, ha combattuto questa impostazione, se, infine, il postmoderno ne ha fatto istanza di puro relativismo, allora oggi la sfida della filosofia - e delle Hurnanities in generale - è quella di interrogarsi su come sia possibile un soggetto (d'enunciazione, di espressione, di comportamento). Gli strumenti merleau-pontyani si rivelano utili a riguardo. Il suo pensiero si è sempre mosso sul limite tra due correnti filosofiche: Fenomenologia e Strutturali16
Cfr. Marsciani 2012.
24
smo. Possiamo definire la sua come una fenotnenologia delle strutture: principalmente, ma non solo, strutture linguistiche, sociali, psicologiche che possiamo definire strutture cotnportatnentali. Merleau-Ponty ha avuto una forte coerenza nello sviluppo del suo pensiero, cosa rara nei grandi percorsi filosofici, coerenza, come vedremo, dovuta più all'insistenza di un problema, che non a una coerenza delle soluzioni. Sin dal 1942, anno di pubblicazione della sua prima opera maggiore, appare il termine struttura mentre nel 1945 appare l'opera che lo consacrerà ai posteri e che ha nel titolo il termine fenotnenologia. Ispirato da Husserl, distante da Lacan, Merleau-Ponty colse molte consonanze con l'antropologia di Lévi-Strauss, senza, per questo, accettarne integralmente tutte le tesi 17• Il tema del soggetto è al centro della sua riflessione: come fare a non rinunciare al soggetto senza essere metafisici e antropocentrici? Per il pensatore francese, il soggetto rimane imprescindibile, ma non fondamentale - nel senso che esso non è il fondamento di niente, ma questo lo si vedrà in seguito. Egli accoglie il pensiero dell'ultimo Husserl (1936; 1939, 1950) 18 : la soggettività 11011 è assoluta, bensì è, dapprima, un flusso di percezioni e un flusso di coscienza, ma, e qui sta il punto, in quanto flusso, è sempre coscienza-di-qualcosa.
17
Cfr. Todvine & Embree 2002, Chiletti 2007, Iofrida 2015a. Sulla tarda opera di Husserl e le influenze sulla linguistica, cfr. Coquet 2008.
18
25
Per Cartesio e Kant19 , interlocutori critici tanto di Husserl quanto di Merleau-Ponty, la coscienza - il cogito - è puro essere, il contenuto del pensiero è secondo20• Per Husserl, invece, non può esserci pensiero senza un pensato. Abbiamo qui un primo punto da tenere presente: Husserl ha mostrato la necessità di mettere in pausa il mondo concettuale mediante il metodo della epochè. Bisogna sospendere il giudizio sul mondo, in quanto appare alla coscienza ingenua come un misto di categorie trascendentali (concetti) e contenuti empirici (dati di fatto) 21• Le prime, se non ben fondate, sono erronee ed oscure, mentre i secondi sono troppo mutabili e relativi per poter essere innalzati a principi di conoscenza. Mediante l'epochè, Husserl scopre che il soggetto non può cogliere i contenuti empirici come essi sono in se stessi, ma si relaziona ad essi sempre mediante l'esperienza (Merleau-Ponty 1996, p. 27). In questa esperienza, il soggetto si scopre costituente, ovvero intenziona le cose facendole diventare oggetti-di-pensiero. Tuttavia, costituente non significa creatore, bensì che il soggetto costituisce la condizione della pensabilità delle cose. Facciamo un esempio: io vedo una macchia di colore e la riconosco come quell'ammasso colorato che utilizzo come cappello. Non posso cogliere il cappello al di là della mia esperienza, esso è cappello per me che lo 19
Per questioni di spazio, la lettura di Kant sarà finalizzata a mettere in mostra la critica merleau-pontyana, cfr. Whithmoyer 2012. Per una panoramica generale su Kant, cfr. Ferrarin 2015. Per l'edizione italiana delle opere di Kant, cfr. bibliografia. 2 °Cfr. Lanfredini 2014, p. 50 21 Per una panoramica completa del pensiero di Husserl cfr. Costa 2009.
26 conosco, lo riconosco, lo uso. Chi mastica un po' di filosofia potrebbe obbiettare, semplificazioni a parte, che ci siano molte consonanze tra Husserl e Kant22. Per entrambi, infatti, le cose esistono in virtù dell'esperienza. In realtà, c'è un ulteriore punto da mettere in luce: il fatto è che, in quanto intenzionato da e per me, il cappello è un fenomeno. Per Kant, è noto, il fenomeno (il per-me) è il frutto di una relazione dualistica: da una parte ci sono le cose in sé (il Nourne-no), dall'altra c'è il soggetto (il per-sé). La dialettica kantiana descrive il movimento che intercorre dunque tra l'in-sé ed il persé: il frutto di questa interazione è il fe-norne-no. Per Kant, fenorne-no è quanto appare al soggetto per-sé e, al contempo, ciò che nasconde l'uxùverso delle cose in sé, in quanto estraneo all'esperienza. Per Husserl, di contro, il fenomeno non cela nulla ma è il puro apparire di qualcosa, per questo egli definisce la propria filosofia una fe-norne-nologia, ovvero lo studio dei fenomeni e non delle cose in sé. Cos'è che appare? Il mondo. Tecnicamente, ci insegna Husserl, per Kant il Soggetto non ha tnondo 23 • 22
Cfr. De Palma 2001. Sul rapporto tra Kant e la fenomenologia cfr. Rockmore 2011. 23 «[S]olo mediante la duplice produzione delle oggettualità puramente ideali e dei corpi che le incarnano sono possibili le formazioni reali-ideali della cultura spirituale scientifica, artistica e delle altre attività umane, della cultura nella forma di un mondo spirituale dotato di idealità. Kant non ha visto questo stato di cose.» (Husserl 2004, p. 215). Scrive Merleau-Ponty (1996, p. 46 e p. 51), a tal proposito: «L'ambito del Geist (dello spirito oggettivo [...]) non ha Weltlichkeib>; e: «Il trascendentale: quello di Kant [...] non mette in questione la posibilità del mondo».
27
Il mondo è un ulteriore concetto chiave della fenomenologia. Esso è, per definizione, l'orizzonte entro il quale si danno al soggetto i fenomeni 24• I rapporti sono cambiati: non più cosa in sé/soggetto per sé, ma mondo/soggettività. Fenomenologicamente, dietro i fenomeni non si hanno che altri fenomeni in un orizzonte originario che è il mondo, substrato reale a partire dal quale i fenomeni appaiono al soggetto che li intenzionerà in oggetti. Ma perché nel tnondo si ha a che fare con una soggettività e non più con un soggetto? Il soggetto è un puro "lo", un a-totno. Cartesio, l'altro grande interlocutore della fenomenologia, identificava il soggetto come res cogi.taus mentre quelle che, con Kant, diventeranno delle cose-in-sé, Cartesio le definiva res extensa. Queste due res non sono cose, ma sostanze, ciò che sussiste di per se stessa senza bisogno di altro per esistere. Se possiamo dire, perdonata la semplificazione, che per Kant il soggetto non ha mondo, per Cartesio il soggetto è incorporeo, puro spirito, in quanto il corpo è una cosa estesa: non pensa. Il soggetto è un atomo di pensiero, quanto le cose atomi di estensione. Al contrario, la riflessione di Husserl ci conduce ad un problema irrisolvibile in tale impostazione: essendo sempre coscienza-di-qualcosa, e dato che questo qualcosa può essere intenzionato solo a partire dal mondo come orizzonte, significa che il soggetto, come puro "Io" è sempre situato nel mondo e la sua situazione è il suo corpo. Il corpo, però, non può essere pienamente soggetto in quanto non può superare i suoi propri limiti spaziotemporali, la sua situazione. Invece, prerogativa del 2
"
Cfr. Bazzanella, 1995.
28 pensiero, ci dice Husserl (1950, pp.100-101), è la memoria. Essa è ciò in virtù della quale il pensiero (la coscienza-di-qualcosa) trascende il momento immediato dell'hic et nunc della sua situazione. Questa è la dimensione propriamente trascendentale, in quanto non è né legata alle immanenze dell'attualità empirica, né un atomo assolutamente estraneo alla situazione. La memoria trascendentale è la coscienza-di-passato che fa della soggettività un soggetto (della memoria). La differenza tra soggetto e soggettività può, dunque, essere espressa in questi termini: la soggettività è compresenza di mente e corpo o, meglio, coscienza e corporeità; il soggetto è la coscienza intenzionata a partire dalla dimensione del corpo. Ricapitolando: il soggetto fenomenologico costituisce il fenomeno a partire da un orizzonte nel quale è installato; ogni intenzionalità è intenzionalità di qualcosa che è nel mondo e ciò che è intenzionato è l'oggetto costituito. Questi tre elementi formano quello che, nella fenomenologia, si definisce principio di co-relazionalità25. Invece di essere due sostanze, soggetto e oggetto si formano nell'esperienza dove i feuotneui non celano un uou1neno bensì costituiscono l'orizzonte delle esperienze possibili, il mondo. La soggettività è l'orizzonte del fenomeno soggetto - del puro-"lo" - a partire dal quale, per il principio di co-relazione, il soggetto trova il suo fondamento. In quanto ne esiste un fondatnento, il soggetto non è sostanza per-sé. In quanto non è una cosa in sé, ma legato al principio di corelazione, l'oggetto non è sostanza in-sé. :is
Cfr. Barbaras 2008.
29 La riflessione non può arrestarsi a questo punto. Viviamo in un mondo dove non siamo l'unico soggetto. lo scrivo, ad esempio, per farmi comprendere da Altri, sono un soggetto anche per altri soggetti. L'altro soggetto - l'Alter-Ego in termini fenomenologici - fa problema. Se io sono un soggetto costituente, quindi costituisco i miei oggetti, posso costituire l'Alter-Ego? E se io sono costituente, come può un Altro, costituirmi? lo sono, dunque, soggetto per me e oggetto per altri? Come posso io diventare un oggetto? Come posso intendere quello che un altro mi dice? Dovrei intenzionare la sua coscienza, ma, in quanto il Soggetto ha un corpo, «ciò che accade nella sua coscienza [...] non lo potrò mai esperire direttamente» (Costa 2009, p. 12 1). Il problema dell'alterità, con un passaggio un po' brutale, viene risolto in questo modo: aggiustando il tiro del Soggetto costituente, Husserl (1950, pp.137-149) afferma che il mondo da me intenzionato è tale in quanto il principio di co-relazione funziona anche nel mondo dell'intersoggettività: come dice Husserl (1973, p. 27), ogni soggettività è inter-soggettività. L'intenzionalità non è un movimento puramente attivo: intenzionare qualcosa è al contempo una attività (la costituzione attiva dei riconoscimenti: "Ah, ecco un cappello, ora lo indosso!"), ma anche una passività. Questa interazione è, per la fenomenologia, una sintesi. Tradizionalmente, prima di Husserl, la sintesi era sinonimo di attività: per Kant, ad esempio, la sintesi definiva l'operazione mediante la quale l'intelletto identificava l'oggetto dei sensi 26• Per la filosofia sintesi passiva rappresentava un ossimoro. In 26
Cfr. De Palma 2001.
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virtù del principio di co-relazione, al contrario, la sintesi attiva (il riconoscimento), che produce l' oggetto costituito, produce, passivamente, il soggetto dalla soggettività. La co-relazione indica questa doppia polarità di attivo e passivo. Al livello dell'intersoggettività, le sintesi passive fanno sì che il soggetto e l'Alter-Ego si producano reciprocamente (leggasi, passiva1nente) in funzione del mondo dell'esperienza. "lo" e "Altro" abitano il medesimo mondo ad intenzionalità multiple. Le sintesi passive differenziano le molteplici soggettività che si costituiscono a partire da una inter-soggettività. C'è un doppio movimento dato dalle sintesi passive: da un lato producono il mondo e, dall'altro, producono i soggetti. La soggettività è quel punto cieco a partire dal quale non si é né mondo né soggetti, bensì inter-soggettività27• Arriviamo qui al punto che ci siamo prefissati all'inizio: cos'è questa cosa che non è né mondo né soggetto, ma che permette allo stesso tempo di avere un mondo, ovvero di essere soggetti? Inseriamo un ultimo concetto: Husserl, ad un certo punto, sostiene che l'intersoggettività è Einfuhlung che letteralmente significa empatia. Essa è quel tra dell'intersoggettività, tra i Soggetti e il mondo. L' Einfuhlung, è la dimensione propriamente trascendentale dell'intersoggettività. O meglio: la soggettività è intersoggettività che è Einfuhlung. La domanda iniziale, qual è lo statuto ontologico dell'inter-soggettività, ha ottenuto una risposta: essa è Einfuhlu11g. Ma da qui parte tutta una serie di problemi 27
Sul rapporto tra Einfah/ung e intersoggettività in Husserl, si rimanda a Zahavi 2014.
31 che questa definizione non elide ma che, in un certo senso, esige: come posso entrare in empatia con qualcuno se questo non è ancora costintito? Anzi, se l'empatia stessa è la sua "costituzione" per me? Se non siamo già dati, né lo ne l'Alter-Ego, chi sente chi? E soprattutto, cosa? Su questo ordine di problemi si innesta la riflessione di Merleau-Ponty sulla soggettività. 2. Corpo, percezione e struttura Per comprendere la riflessione proposta da MerleauPonty, è opportuno inquadrarne il punto di partenza. Merleau-Ponty (1945) condivide con Husserl la critica al pensiero cartesiano e, come Husserl, parte dal problema del corpo. Merleau-Ponty vuol mostrare che la divisione cartesiana tra in-sé e per-sé non rende conto del problema del corpo-proprio, in quanto senza un corpo, il soggetto non potrebbe fare esperienza e, se si accetta la riflessione husserliana, le cose mi sono sempre date nell'esperienza. Cartesio, come è noto, divise le idee in tre grandi gruppi: innate, avventizie e fattizie 28• Tralasciamo queste ultime due per motivi di spazio e concentriamoci sulle prime. Il punto centrale è che il pensiero sia puro essere (Cogito ergo sum) e può esserlo solo perché esistono, già da sempre, idee innate. Queste rappresentano il pensiero come puro essere perché non derivano, a sua opinione, dall'esperienza (il triangolo, per esempio, è una idea innata perché non si può fare esperienza di una figura a due dimensioni in un universo a tre dimensio28
Cfr. Giannetto 2011.
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ni): esse dunque sono la sostanza perché non necessitano di altro per sussistere. Abbiamo visto come per la Fenomenologia idea innata sia un controsenso poiché la coscienza (il pensiero, il cogito), mediante la corelazione, è sempre coscienza-di-qualcosa. Per Merleau-Ponty, ma anche per Husserl, la corelazione si spiega grazie alla percezione: il campo percettivo è l'apparizione di un mondo. Se il soggetto è nel mondo, non lo è perché pensa (contro la massima cartesiana), ma perché percepisce. Fin qui, Merleau-Ponty segue la scia husserliana. Ma come e perché si percepisce? Banalmente, perché c'è qualcosa e non il nulla. Ma, in modo un po' meno grossolano, perché ho un corpo. All'inizio dell'Estetica Trascendentale, Kant (1787, pp. 53-54) sostiene che la percezione, di fatto, non è né vera né falsa, anzi è muta, un momento meramente passivo - si ricordino le sintesi passive di cui sopra - che riceve rnateria (oggi diremmo informazioni) da fornire all'intelletto che le darà una forrna e potrà riconoscerla (si pensi all'esempio del cappello, fatto all'inizio). Brutalmente, la percezione per Kant è pura passività di un soggetto atomico nei confronti di un Nourneno: il fenomeno appare solo dopo la sintesi (attiva) dell'intelletto. Merleau-Ponty, sulla scia di Husserl, sostiene invece che ogni cosa percepita è già di per se stessa un fenomeno, non serve una sintesi intellettuale (o, potremmo dire, di giudizio). Punto importante. La conoscenza è sempre stata una sfera d'appartenenza propria della mente (dell'anima, dell'intelletto, della Ragione o della coscienza in base alle varie correnti) e il sapere è sempre stato identificato con episterne, ovvero
33 scienza. Merleau-Ponty (1945, p. 195), al contrario, ipotizza - ribadendo che i fenomeni, ovvero la materia da conoscere, si danno già nella percezione - che è possibile un sapere del corpo, differente da quello della mente e dell'intelletto (o della Ragione, o della coscienza e così via): per esempio, non ho bisogno di operare delle sintesi intellettuali per sedermi ad un tavolo, non ci devo "pensare", sono comportamenti che il mio corpo ha imparato29• Anche il sedersi, allora, in quanto operazione corporea, rientra nell'ordine dei fenomeni, ma può esserlo, si badi bene, solo se il fenomeno vale per se stesso e non deve essere rimandato ad un Noutneuo nascosto 30• Per Kant, fenomeno è solo l'oggetto della scienza - ha una funzione epistemica - mentre per Merleau-Ponty investe il mondo-della-vita - ha un ruolo ontologico. Contrariamente a Cartesio - predecessore ideale di Kant - Merleau-Ponty (1996, p. 49) sostiene che non è mai possibile dubitare del mondo ma, in linea con Husserl, solo delle categorie che si usano per comprenderlo. Il mondo è sempre prima della coscienza e l' epochè, la sospensione di giudizio, non può mai metterlo in dubbio - come faceva Cartesio - ma sospende soltanto le categorie concettuali che io utilizzo per conoscerlo intellettualmente. Il mondo è sempre lì, prima 29
L'antropologo scozzese Tim lngold (cfr. 2004, pp. 141-187) ha subito molto l'influenza merleau-pontyana, ad esempio nella sua concezione di skill in rapporto al logos e alla tekhné. Cfr. Gorzanelli 2015. 30 Annota Merleau-Ponty (1995, p. 188) che la filosofia dell'intelletto vuol «prendere come tema solo ciò che essa ottiene dopo un processo di purificazione. Tutto quello che precede ciò è rigettato nell'ombra»
34 che la mia coscienza possa determinarlo scientificamente. Il fenomeno basta a se stesso, non serve una Verità Ultima - Dio, Nourneno, ecc. ecc. Qual è, allora, la specificità del mondo per MerleauPonty? Esso è un orizzonte che cela ulteriori orizzonti, è al contempo costituito e costituente in quanto, per la corelazionalità, soggetto e mondo si danno sempre insieme e non sono due atomi o sostanze, ma limiti complementari di uno stesso fenomeno, il puro esserci di qualcosa ben diverso da un puro essere: in quest'ultimo caso, si è nel piano delle essenze, mentre nel -ci in quello dell'esistente. Il piano delle essenze come piano fondamentale è alla base del pensiero cartesiano. Abbiamo già visto come Cartesio pensasse al mondo come un agglomerato di cose puramente presenti in attesa di essere illuminate dal lutne naturale della coscienza. Il corpo del soggetto era un manichino inerme che la coscienza, letteralmente, anitnava 31 • La critica a questa impostazione, da parte di Merleau-Ponty, consiste essenzialmente in due punti: 1) un pensiero supposto puro, slegato dalla corporeità necessita, per forza, di un principio trascendente - si ricordi che per Cartesio le idee innate della matematica erano prodotte da Dio; 2) un pensiero senza oggetto non può essere colto se non per un procedimento di astrazione, ovvero il dubbio cartesiano è un processo primariamente epistemologico che si vuol rendere vale-
31
I due testi cartesiani più importanti su questi temi sono Il Mondo o Trattato della luce e L'Uomo. Rimandiamo all'edizione italiana curata da E. e M. Garin, 2009, cfr. bibliografia.
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vole da un punto di vista ontologico32• E il corpo? Per Cartesio, nella conoscenza esso non ha nessun ruolo in quanto cosa estesa. La fenomenologia, invece, ha mostrato come esso sia il centro dell,esperienza. Mentre Cartesio partiva dall'ipotesi che il mondo esterno non esistesse perché la percezione inganna, la fenomenolo32
Pensare il mondo come una giustapposizione di parti estese, esterne le une alle altre, significa che esso esiste solo se conosciuto, ovvero l'episteme, la scienza, esisterebbe prima del mondo che dovrebbe conoscere. Bisogna precisare che, per il pensiero postcartesiano, episteme e conoscenza sono sinonimi: l'unica conoscenza vera e accettabile. Qualsiasi altro tipo di conoscenza viene considerata come "minore" o comunque lontana dal vero. Ma il Sapere, per la fenomenologia, non può essere puro perché ha sempre un oggetto: comincia sempre da un non-sapere (Husserl definiva questo stato di non-sapere una credenza originaria, Urdoxa). Si può conoscere qualcosa scientificamente perché c'è già qualcosa, anche se si vuol pensare al sapere scientifico come fredda e asettica registrazione di fatti, è comunque necessario che Soggetto ed Oggetto - i due poli della conoscenza scientifica siano già connessi tra loro. Il mondo, inteso come orizzonte, è il legame indissolubile di questi due poli. Per un uso di questa concezione in antropologia, si legga il passo di Tim Ingold, intervistato da Ivano Gorzanelli (2015, p. 29): «Perché invece non pensare che la via migliore per scandagliare i fondali dell'esperienza umana sia frequentare il mondo stesso e imparare direttamente da ciò che esso ci dice?»; anche Thomas Csordas (1999, p. 31): «se ragioniamo in termini di mentale, visuale e rappresentazionale orientiamo fin dall'inizio la discussione verso qualcosa di molto astratto»; infine, da un punto di vista semiotico, JeanClaude Coquet (2008, p. 18): «Una definizione di "soggetto" che non tenga conto del suo 'campo fenomenico' (è il titolo di un capitolo della Fenomenologi-a della percezione di Merleau-Ponty), cioè dell'inglobante che lo determina, è impensabile. L'incontro con il mondo permette d'identificarlo».
36 gia, in quanto studio dei fenomeni, comincia la sua riflessione a partire dal ritorno alle cose stesse e a come esse appaiono. Per questo la percezione è il grado O dell'esperienza: essa è quel luogo cieco dove si determinano il soggetto e l'oggetto. Merleau-Ponty intende la percezione come un contatto tra corpi e questo per un motivo. Cartesio sosteneva una gerarchia dei sensi al cui vertice era la vista quale meno incerta delle facoltà sensibili: il !urne naturale che rischiara la notte inerme delle cose estese. MerleauPonty (1942; 1945) punta a smontare qualsiasi gerarchia delle facoltà sensibili, affermando che tutte funzionano allo stesso modo: la vista è un contatto locale e non un !urne naturale. Merleau-Ponty trae spunto dalla psicologia della Gestalt per contrastare l'idea di una visione neutra. Ad esempio, in funzione dell'illuminazione, i colori cambiano e nei giochi di luce si possono modificare le for,ne delle cose. La visione è dunque sempre una illusione ottica, dove il termine illusione non va inteso come falsità, ma come fenotneno: è sempre un apparire-così-come-appare. Quando un soggetto vede una cosa, la vede sempre emergere da uno sfondo: solo così il contorno "riesce" a dare fonna agli oggetti visti33 • C'è, poi, da considerare la posizione dell'osservatore. Le forme cambiano a seconda della distanza o della vicinanza, a seconda se le si osserva frontalmente o lateralmente, ecc. La dimensione vera di un oggetto non appartiene né ad esso (come se fosse una sua proprietà) né al soggetto (come se ne fosse il creatore): è questione di rnisura (ovvero del rapporto soggetto-oggetto, dun33
Cfr. Katz 1948, pp. 67-73 e Koffka 1935.
37 que di una costituzione). Solo quando rnisuro un oggetto ottengo la di,nensione vera (o il colore vero misurando la corretta intensità luminosa, ecc.). L'illusione - il fenomeno - è allora ontologica (qualcosa appare, c'è qualcosa e non il nulla), mentre la dirnensione è epistemologica (ovvero la conoscenza rnisurata, scientifica). Cartesio ha invece invertito l'ordine: intendendo la vista come /urne naturale, ha concepito i contenuti razionali, scientifici, come il grado di illuminazione corretta, ad esempio, per vedere il vero colore di qualcosa; significa, altresì, concepire la rnisurazione corretta come la vera dimensione, la visione froutale come il punto di osservazione privilegiato e così via. Per una lettura gestaltica, l'idea di punto d'osservazione privilegiato non ha senso: ogni percezione è illusoria nel senso che non esiste una percezione corretta, in quanto soggetto e oggetto della percezione sono in rapporti di reciprocità, al variare dell'uno, varia l'altro (se sono ubriaco percepirò certe cose in un certo modo, se sono in uno stato d'angoscia percepirò alcune cose e non altre, se c'è una certa luce vedrò un certo colore e non un altro, ecc.). Non c'è una for,na vera ma una forrna normale, effetto di una normalizzazione3 4 che ha a che fare con l'episteme ma non con l'ontologia, ovvero non c'è un essere-vero delle cose ma, semmai, una coerente codificazione delle cose percepite35•
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L'idea di normalizzazione la mutuiamo dall'opera di Georges Canguilhem (1966), cfr. Merleau-Ponty 1995, p. 268. 35 Cosl Kurt Koffka - citato da David Katz (1948, p. 62) - : «L'organizzazione psicologica è sempre tanto "buona" quanto le condizioni date lo permettono».
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Ora, considerare ogni percezione come illusorui significa che la percezione lega indissolubilmente soggetto ed oggetto, strutturati in una serie di rapporti che li avviluppa di modo che, al variare di uno, varia di conseguenza l'altro: ogni percezione allora produce delle strutture. E se ogni percezione è una strutturazione e ogni percezione avviene nel mondo, esiste un legame forte tra questa strutturazione e il mondo. Quanto meno ogni struttura prodotta è nel mondo. Come si articolano allora questi due concetti nel pensiero di MerleauPonty? Abbiamo già mostrato che il mondo non è, per Merleau-Ponty, pura estensione, ma un orizzonte nel quale appaiono i fenomeni (dimensione ontologica del mondo) che la coscienza 1nisura, ovvero conosce (dimensione epistemologica della coscienza). Il mondo, tuttavia, è dato indipendentemente dalla conoscenza epistemica. Esso si dà, perché lo sentiamo. Sentire il mondo è, per Merleau-Ponty, essere nel mondo, starci dentro, immersi in esso mediante il corpo. Percepire non è un illurni11.are, ma un contatto: il mondo lo si tocca (con le mani, con gli occhi, con le orecchie, col palato, ecc.). Il corpo è il contatto con il mondo: i fenomeni appaiono perché lo toccano. Esso non è meramente passivo: si muove, afferra, assaggia, tocca le cose. Il corpo ci installa nel mondo e proprio per questo ha una duplice valenza: esso tocca le cose (sintesi attiva) ed è al contempo toccato da esse (sintesi passiva)36• Il !urne naturale, ad esem36
«Il mio corpo è quello che è in grado di passare da una determinata apparenza a un'altra, come l'organizzazione di una 'sintesi di transizione'» (Merleau-Ponty 1995, p. 110).
39 pio, non veniva minimamente scalfito dalle cose: esso sarebbe pura luce, luminosità eterea, illumina ma non viene illuminato. Il corpo è la condizione per il soggetto di fare esperienza tanto che corporeità ed esperienza sono due concetti intimamente legati37 : esperienza che non è né l'esperienza empirica dei "dati di fatto", né l'esperienza trascendentale dei prodotti di ragione (i concetti), ma esperienza puramente fenomenologica. Empirico è tutto ciò che si conosce (e riconosce) nell'esperienza, il trascendentale è il mezzo (o i mezzi) mediante il quale l'empirico è conosciuto, il fenomenico è il suolo sul quale si installano questi due livelli. Il fenomeno è sempre illusorio. L'empirico può essere falsificato, il trascendentale può essere verificato, il fenomenico è, invece, al di là del giudizio. Perché? Innanzitutto, essere al di là del giudizio significa, dal pu essere "passibile di giudizio". lo posso giudicare, mediante l'articolazione tra empirico e trascendentale (per fare un esempio dalle scienze della natura, si pensi al rapporto tra "esperimento" e "calcoli matematici"), e produrre scienza. Ma vuol dire che io posso anche non giudicarlo, quindi accontentarmi di contemplarlo, così si ottiene il misticismo, per esempio. Ma posso anche ignorarlo e, inoltre, nulla vieta che un'illusione percettiva non possa essere un'allucinazione, e allora, magari, produrrò arte. E così via. Essere al di là del giudizio significa riconoscere che l'ontologia lavora prima, e in 37
«Ogni volta che il corpo si ponga come agente nel mondo, prendendo il campo percettivo quale campo di azione possibile, esso stabilisce una norma funzionale.» (Amoroso 2014, p. 221).
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modo differente, dall'episteme, che l'esperienza non è necessariamente scientifica, ma questo significa una cosa ancora più importante per il nostro discorso: l'esperienza è prima del soggetto che esperisce38 • Da qui, per la filosofia, si aprono infinite prospettive. Facciamo un piccolo passo indietro. Il mondo è l'orizzonte nel quale, per il principio di co-relazione, si danno i fenomeni soggetto ed oggetto. La dinamica che governa l'apparire dei fenomeni è quello della figurasfondo: ogni cosa individuale appare in quanto si staglia su uno sfondo. In filosofia una cosa iudividuale si chiama ente determinato (o Determinato), così ogni Determinato è tale in funzione di qualcosa che resta sullo sfondo. "Restare sullo sfondo" significa essere sfuocati, non ben definiti, senza contorni né fonna dunque alcunché di individuato. Possiamo dire allora che lo sfondo resta, in qualche misura, indeterminato 39 • Possiamo allora dire che ogni ente determinato è tale in virtù di un processo di indeterminazione (a differenti livelli o gradi). La dinamica figura-sfondo è una diuarnica di i11detenni11azio11e. O ancora, il Determinato non sussiste in se stesso, ma sussiste in una dinamica di differenziazione 40. O meglio ancora: ogni Determinato è tale in 38
Quanto si è qui argomentato trova riscontri con l'esposizione cli Jean-Claude Coquet (2008, p. 24) sulle tre istanze enuncianti: presenza del giudizio (soggetto), quasi-presenza del giudizio (quasi-soggetto) e assenza cli giudizio (non-soggetto). 39 La valenza semiologica del rapporto figura/sfondo è affrontata, con finalità differenti, tanto nel saggio di Giannini, quanto in quello cli Lucatti. 40 Scrive Roberta Lanfredini (2014, p. 61): «La differenziazione è [...] la modalità con cui le cose si realizzano e si attualizzano».
41 quanto inserito in un sistema di differenze - al minor grado, la figura è differente dallo sfondo. La percezione, allora, è un sistema che funziona per differenze: ogni ente percettivamente determinato è tale in funzione di un sistema differenziale. Sistema differenziale è esattamente la definizione di struttura, a partire almeno da Saussure41 • Possiamo dire che, per Merleau-Ponty, il mondo non è un assemblaggio di cose partes extra partes che attendono il lu,ne n.nturale per essere anirnnte, bensì una struttura in cui non c'è nessun ente determinato in se stesso, una struttura che pone degli orizzonti. Il mondo è una struttura orizzontale. E per di più, una struttura significante: la manifestazione del Senso.
3. Comportamento, Senso e Einlii.hlung Il Senso, in Merleau-Ponty (1995, p. 225), è manifestazione organizzata di una pluralità di fenomeni in un campo ontologico che non preesiste alla sua composizione. In quanto manifestazione (fenomeno) esso deve pur apparire ad un soggetto. Tuttavia quest'ultimo non è la condizione dell'apparire, bensì prodotto dall'apparizione stessa 42 • Bisogna, inoltre, riconsiderare il problema in funzione del rapporto tra corpo e struttura,
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«I differenti termini del linguaggio [...] sono soltanto differenze determinate tra termini che sarebbero vuoti e indeterminati senza queste differenze.» (Saussure 1970, p. 64); cfr. Starwaska 2013. 42 Si noti qui come Merleau-Ponty utilizzi l' a priori husserliano, svincolandolo dalla dimensione aprioristica: la correlazione è un effetto di un chiasma pre-individuale. Per una critica, cfr. Barbaras 2008.
42 ovvero il problema del comportamento. Il comportamento, fuori dal cartesianesimo, non è una mera azione meccanica ma un vero e proprio divenire sensato (Merleau-Ponty, 1995, p. 207) composto da gradienti comportamentali che non sono definiti né dalle leggi meccaniche della fisiologia, né da una preminenza dello psichico sul fisico: c'è rapporto tra regioni differenziali. Il comportamento è immanente all'organismo psico-fisico, uno schema corporeo strutturale (Gestalt). Psichico e organico sono delle separazioni concettuali, epistemiche e non ontologiche. L'organismo è un sistema dinamico all'interno del quale si realizza un certo potere (potenzialità) dell'organismo stesso 43• Ci dice Merleau-Ponty (1995, pp.215-216) che avviene per il comportamento qualcosa di analogo a ciò che avviene per il linguaggio: è un sistema diacritico in cui ogni gesto differisce in rapporto ad altri gesti possibili, un'azione corporea determinata è diacritica rispetto ad una totalità che, però, non pre-esiste, se non virtualmente44 ai singoli gesti che la incarnano. Acquisire un comportamento è un apprendimento che non richiede l'intervento della coscienza ma si inscrive nel corpo modificandone l'intero schema: imparare un gesto, allora, significa sempre abbozzare una struttura comportamentale fluttuante 45 : «non c'è 43
Sebbene ci sia una critica di fondo al darwinismo, questa critica deve essere letta in un senso "costruttivo": non si nega l'interazione con l'ambiente, che è alla base della teoria evoluzionistica, bensl si contesta una univocità dell'azione dell'ambiente sull'organismo: quest'ultimo retroagisce sull'ambiente, se non altro, per il semplice fatto che esso è parte integrante dell'ambiente stesso. ++ Cfr. Lanfredini 2014 45 Ivi.
43 differenza tra l'organizzazione del corpo e il suo comportamento» (Merleau-Ponty, 1995, p. 216) e questo perché il corpo è un sistema di potenze motorie che componendosi producono un comportamento. Sisterna di potenze è la definizione di campo che Merleau-Ponty utilizza negli ultimi lavori. Nelle Note di lavoro definisce la soggettività come un «campo d'Essere» (MerleauPonty 1964, p. 252), questo significa che: a) la soggettività comporta una molteplicità di rapporti tra il tutto e la parte; b) questi rapporti non pre-esistono alla soggettività, ma ne sono condizioni immanenti; c) la soggettività stessa è contemporaneamente totalità e parte di un'ulteriore totalità, in quanto non è una sostanza ma sussiste in funzione di incroci di molteplici campi. «Più che un'unità del molteplice nel vivente, è un'adesione tra gli elementi del molteplice. In un certo senso, c'è solo del molteplice, e questa totalità che sorge non è una totalità in potenza, ma l'instaurarsi di una certa dimensione» (Merleau-Ponty, 1995, p. 230). Questa dimensione è l'attuale. La specifica configurazione strutturale non è né necessaria né finalistica, ma, in quanto adesione del molteplice, presenta degli scarti (secondo la dinamica di indeterminazione). Innanzitutto, ogni gesto è un gradiente del campo comportamentale totale, ovvero indica una certa composizione delle molteplicità pre-individuali in rapporto alla totalità; di seguito, il campo è composto dall' interazione tra questi gradienti, la cui immanenza significa che non si può separare un corpo dalle sue azioni: ogni comportamento determinato è la composizione di tutti i gesti possibili qui e ora. Merleau-Ponty (1995, p. 228) ci dice che i gesti «formano un'azione, come le parole formano una
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frase». Le parole, che sussistono in relazione differenziale, corrispondono ai gesti comportamentali. «La lingua», e qui si palesa il paragone con il comportamento, «contiene tutto quello che le persone diranno [...], tuttavia tutto quello che si dirà non è in potenza nella lingua». Il comportamento, allora, lungi dall'essere in rapporto con una generalità della specie, che esisterebbe prima (come se fosse la cosa in sé) rispetto ai singoli enti di quella specie (i fenomeni), è al contrario espressione dei singoli enti determinati che, solo successivamente, possono essere raggruppati in strutture oggettive. I comportamenti corporali non hanno un senso trascendente, non hanno principi ordinatori che siano esterni ai singoli atti che mettono in scena, ma, al contrario, sono movimenti, gesti già primariamente dotati di Senso: il comportamento è sempre orientato in quanto il corpo è «un apparato per organizzare prospettive» (Merleau-Ponty, 1995, p. 244). Merleau-Ponty accetta l'idea di un effetto attivo della struttura, in quanto permette di superare l'aporia della soggettività costituente tipica della filosofia trascendentalista. Non è, tuttavia, disposto ad ammettere una predominanza assoluta della struttura perché «non è un'idea platonica» (Merleau-Ponty, 1960, p. 158): la sua universalità non implica l'annullamento delle singolarità (Merleau-Ponty, 1960, p. 159). L'idea di struttura ha imposto al pensiero un movimento nuovo rispetto alle concezioni cartesiane e kantiane: la struttura possiede il Soggetto e non il contrario. C'è una preminenza ontologica della struttura rispetto alla sostanza che non è assoluta, perché non pre-esiste a ciò che mette in rapporto: essa «da un lato, organizza, secondo un principio inte-
45 riore, gli elementi che vi entrano, è senso. Ma il senso che essa sorregge è, per così dire, un senso grezzo. [...] non si tratta di sostituire il modello alla realtà» (Merleau-Ponty, 1960, p. 158). Pensare la struttura come fondamento della realtà significherebbe ripetere l'errore cartesiano: la struttura sarebbe nuovamente una sostanza, sotto altre forme e nomi. Se la struttura esistesse in se stessa, se fosse immutabile, se non necessitasse delle singolarità che la compongono, e che essa sorregge, non si sarebbe fatto alcun passo in avanti. Vorrei far notare che l'esigenza che muove MerleauPonty nel suo periodo "strutturalista" è la stessa che lo muoveva nel suo periodo fenomenologico, ovvero: superare le antinomie dialettiche che la tradizione aveva portato avanti, criticare l'universalismo e il concettualismo kantiano senza, per questo, fare una filosofia dell'intelletto e trascendentalista. Nello Strutturalismo, Merleau-Ponty ha trovato strumenti concettuali per superare i vincoli e gli ingorghi che la fenomenologia non riusciva a superare. Cercava un modo di poter pensare ancora il soggetto senza essere soggettocentrico. Nell'idea di struttura trovò un concetto dalle potenzialità molteplici: in particolare, essa permette di non passare immediatamente dal generale al particolare (MerleauPonty, 1960, p. 166), bensì mostra spazi di discernimento (Merleau-Ponty, 1995, p. 243), campi di gioco (Merleau-Ponty, 1995, p. 324) per la diacriticità, per le singolarità e gli scnrti 46 • In questo senso si può appunto definire l'idea merleau-pontyana di struttura come fluttuante, mai posta come il fondamento del reale. 46
Cfr. Amoroso e De Fazio 2015.
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Ma manca un'ultima delucidazione del concetto di struttura e del suo rapporto con la corporeità: il linguaggio. Mediante il comportamento, Merleau-Ponty ripensa nei loro rapporti formali e ontologici le coppie concettuali tipiche dello strutturalismo - diacronia e sincronia. Nel linguaggio i rapporti tra sincronia e diacronia trovano senz'altro il loro terreno più fertile. In apparenza è facile porsi nella dimensione deduttiva che va dal tutto alle parti (Merleau-Ponty, 1960, p. 63), dando così una priorità ontologica alla Lingua rispetto alla Parola. Ma anche qui, si corre il rischio di una confusione tra la dimensione ontologica - che per Merleau-Ponty è sempre diacritica 47 - e quella epistemologica. L'aspetto sincronico ha una valenza epistemologica importantissima per contrastare l'oggettivismo (Merleau-Ponty, 1960, p. 152) e con esso il soggettivismo: attraverso la sincronia è possibile pensare la totalità senza cercarvi una dimensione noumenica, facendo sì che l'apparenza basti a se stessa48 • Ma questo è possibile, di nuovo, solo se non la si confonde con la sostanza cartesiana, solo se la Lingua non esiste in se stessa nell'iperuranio delle idee, ma acquisti il suo senso in modo immanente. Il Senso, che ogni lingua esprime, emerge sempre negli scarti diacritici di una struttura che è, nel linguaggio come nel comportamento, ad essi complementare 49 (Merleau-Ponty, 1960, p. 159). L'obbiettivo critico è 47
Cfr. Alloa 2013. «Il reale non si ottiene [...] incalzando l'apparenza, esso è forse l'apparenza» Merleau-Ponty 1995, p. 231. 49 Cfr. De Fazio, 2014, pp. 102-106. 48
47 l'idea che nel linguaggio «il senso sia trascendente ai segni per principio, così come il pensiero lo sarebbe a indici sonori o visivi, - e lo si considera immanente ai segni in quanto ognuno di essi, avendo il suo senso una volta per tutte, non potrebbe insinuare fra noi e se stesso nessuna opacità» (Merleau-Ponty, 1960, pp. 66-67). Il punto focale è la critica all'idea di un rapporto di semplice codifica e corrispondenza tra oggetto e fonema, di un testo originale già da sempre dato che si deve tradurre in parole e, di qui, in concetti. Il punto è - a partire dal modello percettivo di struttura - che non esiste alcun testo originale (noumenico) da decifrare, bensì un linguaggio fenomenico da comporre mediante la dimensione diacritica: come c'è immanenza tra comportamento e gesto, così «c'è un potere delle parole» (Merleau-Ponty, 1960, p. 69) e ignorarlo significa creare quella confusione tra empirico e trascendentale che Husserl aveva contestato e che Merleau-Ponty accolse nel 1945. Come i gesti sono l'aspetto diacritico del comportamento, così la parola non si regola su un testo già dato, ma su uno che essa scrive nel momento in cui è espressa50 • L'espressione della parola è sempre in una dimensione di indeterminazione, la stessa che valeva per la percezione: l'assenza di segno è, difatti, un segno essa stessa. Ogni testo è allora composto dalle parole che lo animano, che gli danno una forma, e non esistono parole al di fuori del testo che le organizza: ogni oggetto Cfr. Kearney 2013; Inoltre, l'idea di assenza di testo originario si lega indissolubilmente alla particolare idea di "apprendimento" che Merleau-Ponty sviluppò tanto negli studi di psicologia infantile quanto in quelli, più tardi, della Natura. Cfr. Amoroso §1. so
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percepito non ha senso in se stesso, ma in un rapporto differenziale con lo sfondo che, indeterminandosi, ne permette l'espressione. Comportamento e Linguaggio: per Merleau-Ponty non c'è separazione tra i due ambiti, ma un chiasma, ovvero una complementarietà dove anima e corpo, per mantenere i termini cartesiani, non sono due sostanze, ma composti sincronici di differenze pre-individuali. Un soggetto, allora, è «l'incontro, l'intersezione, l'intreccio, lo scontro [...] di questi molteplici riferimenti» (Merleau-Ponty, 1996, p. 265). Il problema del solipsismo, che la tarda riflessione di Husserl tentò di superare mediante l'intersoggettività trascendentale, viene affrontato da Merleau-Ponty mediante un'idea di produzione di soggettività nei processi di determinazione/ indeterminazione. La riduzione trascendentale di Husserl ha mostrato l'esistenza di una correlazione tra coscienza e mondo. Merleau-Ponty sposta più in là il limite: se l'Einfuhlung era per Husserl lo statuto ontologico dell'intersoggettività, per Merleau-Ponty (1996, p. 41) essa rappresenta una seconda, e più profonda, epochè: «la riduzione appare sempre più come progressiva: a molteplici tappe. Vi è una fenomenologia di primo grado (corpo e corporeità, Einfuhlung)». Questa fenomenologia di primo grado è quella che all'inizio di questo saggio abbiamo definito feuotnenologia delle strutture: la riduzione fenomenologica ha mostrato una correlazione che non è un a priori, ma l'effetto di rapporti di determinazione/indeterminazione delle singolarità diacritiche, che Merleau-Ponty (1996, pp. 257-269), seguendo Husserl, chiama Ineinander, inerenza tra soggetto ed oggetto e tra soggetti. Questa I11eina11der è
49 simultanea, ovvero non necessita di un Ego costituito o costituente, ma avviene in virtù di quelle sintesi passive che operano nel piano diacritico del pre-individuale51 • Il problema dell'inter-soggettività si supera grazie alla dimensione diacritica del chiasma pre-individuale che passivarnente opera "tra" le individualità determinate, come uno sfondo che continua ad operare anche in assenza di soggetti52• L'Einfùhlung, in quanto riduzione ontologica, mostra che il Senso è sempre in fieri mediante una Stiftung, una istituzione o sedimentazione del Senso, tramite atti comportamentali, che sono sempre abbozzati, e parole di testi che non saranno mai totalmente completi. Ogni "Io" è un polo di un campo (comportamentale e ontologico) che struttura l'inter-soggettività del mondo culturale, senza eliminare la diacriticità passiva nel senso fenomenologico. Ogni parola, detta o udita, è un gesto che produce il mondo sincronico di cui ogni Soggetto è partecipe e dal quale emergono attori e attanti, linguistici e comportamentali, a partire da movimenti differenziali che hanno nella corporeità - non solo il corpo-proprio, ma i corpi come «punti singolari» (Merleau-Ponty, 1964, p. 267) - il loro momento più autentico53: Einfùhlung delle singolarità diacritiche che produs1
Sulla funzionalità semiologica della Ineinander cfr. Giannini, §2.3. 52 «Il corpo (questa forma di non-soggetto) ha la propria attività significante: rivela il suo statuto d'istanza percependo, parlando, operando, tracciando abbozzi di sapere ecc. Il suo privilegio, e anche la sua funzione, è di enunciare per primo il suo rapporto con il mondo.» Coquet2008, p. 25. 53 Iofrida 2015b.
50 cono strutture incarnate in rilievi fluttuanti 54 (MerleauPonty, 1964, p. 280), creando spazi di indeterminazione dai quali si manifesta il Senso e la sua proliferazione "pre-" e, soprattutto, trans-soggettiva 55 • Solo in ultima istanza - in quella che possiamo definire "fenomenologia di secondo grado" - appare l'inter-soggettività, dove si avranno relazioni tra Significanti e Significati che saranno, però, sempre espressione di un Senso grezzo dell'Essere diacritico (Merleau-Ponty, 1960, p.115).
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La cosa che, in ultima istanza, ci pare importante sottolineare è la libertà di manovra della diacritità: la singolarità è sempre in posizione di eccedenza rispetto determinato e proprio questa dimensione di eccesso permette l'evoluzione, le modifiche e i sincretismi all'interno del rapporto d'indeterminazione delle molteplicità. Cfr, Lucatti, §2. 55 Gli attuali studi sul tema del transindividua/e danno poco spazio alle riflessioni di Merleau-Ponty. Il nostro obbiettivo, tra gli altri, è quello di legare le tematiche della percezione impersonale, della corporeità come molteplicità e del linguaggio espressivo proprio al tema del transindividua/e. Per una panoramica cfr. Combes 1999, Balibar e Morfino 2014.
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57
3 Ri.ccardo Giannini Confini del mondo, confini del corpo Dove porre il li1nite del corpo e del ,nondo, giacché il ,nondo è carne? Maurice Merleau-Ponty
Introduzione Questo saggio è un tentativo di sviluppare dei temi la cui analisi possa produrre degli strumenti utili alla disciplina etnosemiotica. Il corpo, a livello di senso comune56, è oggetto di numerosi discorsi e indicato come sede del Sé, di una identità corrispondente al corpo, un'unità minima - nel caso degli uonùni - di pensiero e azione. Nel corso del saggio verrà definito un modo possibile di individuazione del corpo e del Sé. Cogliendo il suggerimento proveniente dalla teoria della mente estesa di Clark e Chalmers, di una possibile continuità di mente e mondo, si osserverà come attraverso la combinazione della fenomenologia di Merleau-Ponty e la teoria attanziale di Greimas emergano le istanze di soggetto e oggetto dall'elemento indifferenziato della Carne-del-Mondo. Se da un lato è possibile pensare una coincidenza del corpo con un soggetto che dice "lo", con una mente, una cos6 Un'analisi generativa della costruzione dizionariale del termine "corpo" potrebbe essere un punto di partenza per mostrare la pluralità dei discorsi attorno a questo oggetto. Ci limitiamo a segnalare questa possibilità senza svolgerla per motivi di spazio.
58 scienza, una identità che prendono luogo tutte all'interno della stessa sede, il corpo-proprio - il corpo fisico e biologico che raccoglie e racchiude tutte queste forme di "Io" d'altro lato è possibile che queste forme non corrispondano in maniera biw1ivoca l'una con l'altra, e che non esista una continuità che colleghi le forme dell'Io in w1 contitiuutn che vada dal corpo alla coscienza. Queste varie forme identitarie sono descritte, coi loro modi propri, da numerose discipline, sia dalla parte delle scienze dure che delle scienze umanistiche. La biologia e la medicina si occupano del corpo, la psicologia e la neurologia del cervello e della mente, così come la filosofia, che si occupa di mente e coscienza. Il linguaggio costituisce la condizione di possibilità di articolazione dei vari sensi dell"'Io". I più disparati valori, articolabili nel linguaggio, sono distribuiti e costituiscono i fondamenti degli oggetti d'analisi delle varie discipline che si occupano dell'"Io" elencate sopra. Occorre specificare la duplice accezione del termine linguaggio utilizzata in questo articolo. Facendo riferimento al Cours de linguistique générale di Ferdinand De Saussure, distinguiamo un linguaggio-struttura, forma semiotica di organizzazione dell'w1iverso del senso, il quale esiste in un piano trascendentale come condizione di possibilità, e un linguaggio-manifestato detto parole, ovvero ordine degli atti linguistici realizzati dai singoli parlanti. Nel corso del saggio si farà riferimento al linguaggio-struttura semplicemente come "linguaggio", mentre per il linguaggiomanifestato si utilizzerà l'espressione francese parole. Il modo in cui il linguaggio e il corpo si costituiscono è studiato da altre discipline, come l'antropologia, la filosofia, la linguistica, la psicologia.
59 1. La mente estesa
1.1. Il parity-principle
Supersizing the tnind - Enzbodiernent, action, and cognitive extension: il libro di Andy Clark riprende la teoria della mente estesa che aveva elaborato insieme a David Chalmers nella seconda metà degli anni Novanta, pubblicata nel 1998 per la rivista Analysis in un articolo intitolato, appunto, The extended rnind. Nell'articolo del '98, Clark e Chalmers si interrogano sui confini tra mente e mondo. La psicologia, la filosofia e le altre discipline che afferiscono al variegato insieme delle scienze cognitive hanno elaborato negli anni diverse teorie riguardo il luogo in cui collocare la mente di un individuo. Mentre una posizione classica e vicina al senso comune - che potrebbe esser spinta indietro nel tempo, con le dovute differenze, almeno fino a Cartesio - colloca la mente all'interno del cervello nel rispetto dei più tradizionali vincoli skin and skull (della pelle e del cranio), le posizioni della nuova scienza cognitiva propendono verso modelli che includano il corpo umano nella sua interezza all'interno dei processi mentali - ad esempio le teorie della ernbodied cognition e la ernbedded cognition, rispettivamente cognizione incorporata e situata. La proposta di Clark e Chalmers è per un active externalisni, un esternalismo che preveda il ruolo attivo dell'ambiente nei processi cognitivi. I confini tra mente e mondo sfumano, la cognizione non avviene più solo nel cervello o nel corpo, ma si avvale di estensioni e strumenti che ritrova nel mondo che circonda l'agente e in cui l'agente è coinvolto.
60
Il volume Supersizing the rnind include in appendice l'articolo The extended rnind, che ha introdotto alcuni esperimenti mentali fondamentali per la teoria e molto conosciuti e discussi tra gli studiosi. Il primo, a sostegno della cognizione estesa, suggerisce la somiglianza e sostanziale equivalenza dei processi cognitivi di tre individui. Tutti e tre sono davanti allo schermo di un computer, il quale mostra le immagini di forme geometriche bidimensionali. Il compito è di dire se queste forme entrano o meno in certe cavità. Per rispondere correttamente occorre ruotare le forme per allinearle alle cavità. • La prima persona deve ruotare le forme mentalmente per poter risolvere il compito. • La seconda persona ha la scelta di ruotare fisicamente le immagini sullo schermo premendo un bottone, oppure di ruotarle mentalmente. È plausibile pensare, sostengono Clark e Chalmers, che la persona abbia un vantaggio in velocità usando la rotazione fisica. • La terza persona proviene da un ipotetico futuro cyberpunk; siede di fronte alle forme mostrate dallo schermo del computer, ma possiede un impianto neurale che attua la rotazione delle forme alla stessa velocità del computer nel caso precedente. Questa persona può ancora decidere se usare l'impianto neurale o ruotare mentalmente le forme, come la persona nel primo caso. Gli autori sostengono che tutti e tre i casi sono simili. Il terzo caso, in particolare, risolve il problema grazie agli strumenti all'interno del suo organismo, ma con-
61
temporaneamente presenta una struttura computazionale simile a quella del secondo caso. Nel primo e nel terzo caso sono in atto dei processi cognitivi, ma nel secondo no, secondo alcuni, perché la persona sta utilizzando uno strumento quando ruota le forme con il computer. Clark e Chalmers sostengono il contrario, credendo che anche nel secondo caso sia in atto un processo che può dirsi cognitivo. Quello che succede nell'esempio somiglia molto al gioco del Tetris; in uno studio di Kirsh e Maglio del 1994, dei giocatori di Tetris sono stati monitorati: occorrono 100 ms per ruotare fisicamente una forma sullo schermo, più circa 200 ms per selezionare il tasto giusto. Per ottenere lo stesso risultato ruotando le forme a mente occorrono circa 1000 ms. Il loro esperimento fornisce la prova che i giocatori sfrutterebbero la rotazione fisica come soluzione più efficace per determinare se una forma corrisponde alla sua cavità. Questo uso costituisce un caso di quello che Kirsh e Maglio chiamano "azione epistemica", ovvero tutte quelle azioni che gli agenti compiono nel mondo a supporto dei processi cognitivi. L'altra categoria di azioni proposta è quella di "azione pragmatica", quando l'agente opera sul mondo perché quell'alterazione fisica è desiderabile per se stessa. Questi sono i fondamenti che servono a Clark e Chalmers per enunciare il Parity Principle (principio di parità): «If, as we confront some task, a part of the world functions as a process which, were it done in the head, we would have no hesitation in recognizing as part of the cognitive process.» (Clark 2008, p. 77). Definiamo qui i processi cognitivi come tutti quei processi mediante i quali un organismo acquisisce informazioni dall'ambiente circo-
62 stante e le rielabora sotto forma di conoscenza; la distinzione e i casi in cui è lecito applicare l'aggettivo costituiscono un caso di dibattito nella disciplina.
1.2. Lo strumento trasparente Ma il critico potrebbe chiedere: "Perché parlare di corpi estesi, utenti riconfigurati, quando invece si tratta semplicemente di w1 utente con un nuovo strumento?" Clark risponde che alcuni esseri viventi, come i primati e gli esseri umani, hanno dei neuroni, detti neuroni bimodali, i quali si riconfigurano quando utilizzano degli strumenti. Normalmente un essere umano ha un'itntnagine corporea e uno schetna corporeo congruenti, cioè una rappresentazione conscia dei confini corporei e una inconscia delle proprie fw1zioni, ad esempio delle delimitazioni di spazio vicino VS spazio lontano. Quando un essere umano utilizza per un breve periodo uno strumento come un rastrello per raggiungere oggetti lontani, questi neuroni agiscono sullo schema corporeo e riconfigurano le delimitazioni tra spazio vicino e lontano, includendo come spazio vicino i punti raggiungibili grazie al rastrello. Questi sono effetti causati dalla familiarità con uno strumento. Ma occorre sottolineare che non si tratta di un semplice accoppiamento agente/strumento, perché se così fosse un individuo che non possiede questi neuroni bimodali potrebbe essere in grado di utilizzare il rastrello, ma gli occorrerebbe ogni volta rappresentarsi il rastrello con le sue caratteristiche, dalle quali astrarre la lunghezza come significativa, in fw1zione degli usi efficaci possibili57• 57
Cfr. Clark, 2008 e Maravita e Iriki, 2004.
63 Il testo cita anche il caso di Stelarc, un artista performativo specializzato in body art, che tra il 1980 e il 1998 si è esibito in performance che prevedevano l'uso di un braccio meccanico controllato attraverso il suo corpo: Stelarc reports that, after some years of practice and perfomance, he no longer feels as if he has to actively contro! the third hand to achieve his goals. It has become "transparent equipment", something through which Stelarc (the agent) can act on the world without first willing an action on anything else. In this respect, it now functions much as his biologica! hands and arms, serving his goals without (generally) being itself an object of conscious thought or effortful contro! 58 (Clark 2008, p. 33).
Da questa serie di esempi e studi ne deriviamo che quando l'organismo umano si lega ad una entità esterna forma un sistema accoppiato che costituisce un sistema cognitivo a sé stante. Questo sistema accoppiato, considerato come un'unica identità, agisce sul mondo allo stesso modo in cui lo fa un individuo comw1emente inteso. Occorre aggiungere che se viene rimosso da questo sistema accoppiato l'elemento esterno, la competenza ad agire cade, il sistema è impossibilitato come se gli si rimuovesse una parte di cervello. Quello che ci interessa della teoria di Clark e Chalmers non è il fatto che la mente si estenda effettivamente anche fuori dal nostro corpo, ma che esista la possibilità di discutere, mettere in dubbio, rinegoziare i rappor58
Cfr. Amoroso §1.
64 ti che la coscienza ha col mondo, e che la mente, i processi cognitivi, i suoi strumenti e veicoli fisici sembrerebbe che non siano altro che porzioni individuate dell'Essere. Dalla lettura dei testi di Clark ne emerge una nozione fondamentale, quella di strutnento trasparente, che si ricollega a tutta una tradizione di casi di studio filosofici come la consuetudine, la cultura, il linguaggio. Si legga ad esempio, la riflessione che lofrida (2015) cotnpie sul rapporto tra uomo e strumento. Il caso dell'organista, che lofrida trae da un passo della Fenotnenologia della Percezione di Merleau-Ponty, ben mostra co1ne il musicista, per prendere familiarità con le tastiere di un nuovo organo, lo debba toccare, azionare, misurare con il proprio corpo.
1.3. Melanesiani senza corpo: lo, la Mente, il Mondo Allo stesso modo anche avere, possedere un corpo non è altro che una consuetudine culturale, e seguendo le considerazioni di Clark sulle estensioni della mente, sul corpo e su come il cervello percepisce come proprio e trasparente uno strumento utilizzato da abbastanza tempo per esserci familiare, ne deriva che i limiti del nostro corpo potrebbero essere pensati come determinati culturalmente. Dall'antropologia giunge una testimonianza di una diversa concezione della relazione tra corpo e spirito. All'interno della disciplina si distingue una branca denominata "antropologia medica", la quale si è largamente occupata del corpo. Vi afferisce Thomas J. Csordas, il quale, esercitando un approccio fenomenologico nei suoi studi, scrisse nel 2003 il saggio Inco-rporazione e
65
feuo1rieuologia culturale, ove è possibile ritrovare un esempio di una concezione del corpo e del suo rapporto con la mente radicalmente differenti da quella occidentale. Csordas ci riporta la testimonianza del missionario e collega Maurice Leenhardt. Nel testo del 1947, Do Knrno. La personne et le rnythe daus le rnoude rnélanésien, il missionario riporta la sua testimonianza del periodo di permanenza presso i Kanak in Nuova Caledonia, e dice: [Il corpo] non aveva un'esistenza propria, né vi era un nome specifico per designarlo; era soltanto un supporto. Ma ormai la delimitazione dell'essere fisico è compiuta e rende possibile la sua oggettivazione. L'idea di corpo umano si è precisata. È una scoperta che porta con sé la distinzione tra il corpo e il mondo fisico (Leenhardt 1947, p.264).
Questa è una affermazione sorprendente, aggiunge Csordas "perché contraddice lo stereotipo secondo cui il corpo sta dalla parte della natura e lo spirito dalla parte della cultura, il corpo sta dalla parte del primitivo e lo spirito dalla parte del civilizzato". (Csordas 1999, p.20) Inoltre, se i processi cognitivi avvengono anche all'esterno, è possibile pensare che anche altri enti partecipino ai nostri processi cognitivi, come ad esempio le persone, la società, la parole, i nostri manufatti. Siamo costantemente interdefiniti, i ricordi che consegnamo alle cose e agli altri uomini risvegliano parti di noi che credevamo abbandonate, dimenticate; o forse non risvegliano, perché questo significherebbe che essi sono rimasti da qualche parte invariati nel tempo, ma gli stimoli esterni plasmano, costruiscono i nostri ricordi.
66
I confini tra corpo e mente sfumano. Ora dire "Io" non dà più rutta quella sicurezza. Se la mia mente si estende anche fuori di me, "lo" sono una cosa? Quando dico "Io", mi sto riferendo a me stesso? Non tanto per negare la separazione delle coscienze e una sorta di loro diluizione nel mondo fisico, ma per sottolineare l'importanza di tener separate le funzioni che afferiscono alla coscienza di un individuo. Dunque avremo un corpo, governato e sostenuto dalle azioni dirette da una mente, la quale estende i suoi processi cognitivi nel mondo, e una coscienza, una entità dal sapore filosofico, che risiede un po' più in alto, e in un piano trascendentale, e che raccoglie le esperienze del corpo e della mente. La nuova opposizione sarà tra coscienza e mondo59 • 2. La coscienza e il mondo
2.1. La Game-Del-Mondo Ne Il visibile e l'invisibile, Merleau-Ponty elabora un concetto che bene riesce a rendere conto dell'Essere non-differenziato, quello di Carne-del-Mondo. La Carne è l'elemento, la trama che costiruisce latotalità del mondo, unisce rutto e rutti. Ogni ente di cui noi abbiamo esperienza non è altro che istanza della Carne-del-Mondo, una porzione della Carne che partecipa dell'Essere, indistinguibile da una parte all'altra, ma 59
Non importa quali siano i presupposti psicologici, biologici, neurologici del nostro sguardo, della nostra coscienza. Essa esiste, ovunque sia situata e qualunque cosa la generi, sia essa il cervello o un più complesso sistema di corpo, mondo, società. Il concetto filosofico di coscienza esiste a prescindere da tutte le definizioni che le altre discipline hanno tentato di dare.
67 individuata per via della visione di un soggetto semiotico situato. Non si fa riferi1nento alcun tipo di soggettivismo: ciò che individua il mondo non è un lo, è una istanza definita a posteriori sulla superficie della Carnedel-Mondo, un modo della Carne che valorizza e separa secondo il suo proprio sistema di valori altri modi della Carne. Le pratiche, i fare possibili sulla Carne sono realizzabili solo perché il soggetto situato, individuato e definito ha categorizzato la Carne 11011 differenziata, ritrovandosi di fronte non più una non-differenza liscia e inagibile (e nemmeno un caos), ma un elemento sempre potenzialmente valorizzabile. 2.2. Il chiasma Il concetto nasce da un doppio rifiuto di MerleauPonty: il rifiuto di ridurre il mondo e l'esperienza a entità logico-trascendentali. Il mondo nella sua visione non è fatto di enti determinabili a priori, non esistono oggetti né soggetti definiti, autoevidenti. Merleau-Ponty si propone il superamento dell'opposizione categoriale tra soggetto e oggetto, in favore di un mondo prelinguistico, una realtà mutevole e indomabile. In questo modo 11011 è possibile una coestensione pacifica di soggetto e oggetto: quando si indaga sul mondo esistono sovrapposizioni del mondo sul soggetto e viceversa. «Come l'uomo naturale, noi ci poniamo in noi e nelle cose, in noi e nell'altro, nel punto in cui, per una specie di chiasma, diveniamo gli altri e diveniamo mondo» (Merleau-Ponty 1964, p. 176). Il mondo partecipa dell'Essere, ma pur partecipandovi, non è conoscibile nella sua interezza. La nostra coscienza fa esperienza del mondo attraverso il nostro
68 corpo con i suoi strumenti e i suoi limiti. Non siamo che una istanza della Carne, e non possiamo conoscerla, né afferrarla, ma solo costruire e individuare, tramite la parole e altri sistemi di manifestazione, una sorta di 1nappa, rappresentazione possibile del mondo come Carne-Del-Mondo, oppure un vadernecurn a servizio della nostra sopravvivenza. Il chiasma è il modo in cui ci si installa nel mondo, e ci permette, nella nostra esperienza di corpo individuale che partecipa all'Essere, di conoscere le altre istanze del mondo. Nel corso de Il visibile e l'invisibile MerleauPonty ci tiene fortemente a sottolineare che 11011 c'è una separazione forte tra un corpo che sente e un corpo che riflette e che non possiede la sua visione del mondo. Il corpo sente e riflette insieme, questo processo non si instaura "all'interno" del corpo, in uno spazio vuoto e inaccessibile tra il sé e il mondo, ma, sottile come un foglio, il corpo non può che sentire e pensare il mondo come delle operazioni esercitabili sull'Essere. Queste operazioni, nel caso della conoscenza, non sottraggono dei dati dal mondo per riportarli nel "recinto privato" della coscienza, ma partecipano insieme della sua corporeità e dell'Essere del mondo in generale 60 • Nella sua critica alla filosofia riflessiva, Merleau-Ponty si oppone ad un pensiero che consideri cartesianamente l'intelletto come fondamento del mondo, un mondo costituito dalle rappresentazioni di un soggetto. La rappresentazione di ogni individuo non sarebbe ognuna il mondo, ma vi sarebbe un mondo unico e comune, che Merleau-Ponty Per una definizione di "recinto privato", cfr. Merleau-Ponty, 1964, p.154
60
69
chiama koinos kos,nos 61 , su cui 1 soggetti proiettano razionalità. Di più, semioticamente, si potrebbe dire che non è solo la visione iutersoggettiva a produrre il koinos kosmos, ma è questo stesso a permettere al soggetto di emergere a sua volta in relazione di totale reversibilità62•
2.3. Il chiasma e la fondazione delle istanze: verso il serniotico Soffermandoci sul senso della parola chiasma, ci si potrebbe arrischiare nel dire che probabilmente ciò a cui si è ispirato Merleau-Ponty non è tanto la figura retorica, la quale mette in relazione due termini nel corso dello stesso testo poetico, ma a quella sezione del cervello che collega gli occhi alle sue parti profonde. Quello del testo poetico non è un esempio efficace: un testo poetico è un oggetto estremamente malleabile, e quando viene letto, pensato, immaginato, recitato la sua forma muta continuamente, le relazioni tra i termini in chiasma diventano meno chiare e possono perdere la loro caratteristica forma ad X. Il chiasma ottico, invece, ci riporta alla dimensione corporea e alla percezione, per modificare la sua immagine occorre uno sforzo maggiore. Inoltre, il chiasma ottico è ciò che permette la percezione del visibile ed è quello che mette in relazione le cose con il corpo e la coscienza individuale. La filosofia ha il compito di installarsi all'incrocio, allo snodo tra il Sé e l'Altro, tra noi e le cose, perché è così che ci poniamo, ovvero siamo vedenti, visti.
61 62
Cfr. Merleau-Ponty, 1964, p. 37. Cfr. Marin, in seguito.
70
A livello semiotico si potrebbe dire che le differenze delle istanze empiriche che appaiono quotidianamente e segnano i confini tra il Sé e l'Altro, in questo mondo composto di cose, oggetti, animali, strumenti, rifugi e infine, persone, tutte quelle istanze ci appaiono sensate solo perché fondate nel linguaggio, e per il sistema categoriale linguistico, e solo all'interno di esso, hanno valore: non esistono a -priori, non sono trascendenti, ma esistono solo a livello immanente63•
3. Il Sé, l'Altro, l'Orizzonte: come emergono soggetto e oggetto 3 .1. // chiasma: strwnenti per l'etnosemiotica
La caratteristica fondamentale dell'etnosemiotica è il suo metodo, il quale riconosce due fasi, una di osservazione etnografica e una di analisi e descrizione semiotica 64. A queste fasi corrispondono i momenti di costituzione di un oggetto d'osservazione e di un oggetto d'analisi. Occorre ricordare che la distinzione tra oggetto d'osservazione e oggetto di studio è possibile a livello metodologico, ma i due oggetti non costituiscono momenti fondamentalmente differenti. Nella pratica dell'etnosemiologo, il quale ricopre contemporaneamente e indistintamente il ruolo di osservatore e di analista, avviene una negoziazione continua di ciò che è pertinente per l'analisi e ciò che deve essere osservato. E' possibile che l'analisi chiami a sé, come necessari all'indagine sul senso, dei nuovi elementi da integrare anche attraverso una nuova indagine etnografica. Il chiasma, la 63
6
i
Cfr. Greimas, 1970, p.49 e segg. Cfr. Mazzarino 2015.
71 Carne-del-Mondo, sono concetti utili che giw1gono a sostegno della definizione dell'oggetto di osservazione. Allora come si formano soggetto e oggetto? È possibile una comunicazione tra i vari "soggetti"? Come è fatto l'intermondo cui si riferiscono i vari soggetti osservanti? Si potrebbe dunque dire la Carne-del-Mondo come questo intermondo? I soggetti, gli oggetti, invece, non sono altro che le funzioni emergenti65 dalle relazioni che si instaurano tra istanze nella Carne. Secondo Merleau-Ponty pare che il discorso filosofico si installi in un luogo in cui esse [le istanze] non si distinguano ancora, in esperienze che non siano ancora state "elaborate", che ci offrano contemporaneamente, mescolati, il "soggetto" e l"'oggetto", l'esistenza e l'essenza, e forniscano quindi alla filosofia i mezzi per ridefinirli (Merleau-Ponty 1964, p. 147).
Di questo passo è da sottolineare l'importanza di un metodo come quello dell'etnosemiotica, il quale è in grado di accogliere queste "esperienze" dove soggetto e oggetto della ricerca ancora non sono e non si danno se non in relazione chiasmatica. Prende forma così un doppio chiasma che rende conto dell'ubicazione dell'analista nelle due fasi: durante la fase di osservazione etnografica, l'analista è immerso nel mondo, fa parte della scena osservata, ma non è ancora in grado e non può astrarsi dal mondo. Egli è in chiasma con la scena osservata, in un rapporto di continuità tra Sé e la scena. Durante la fase di circoscrizione dell'oggetto d'osservazione si instaura il secondo chiasma, che possiamo definire "metalinguisti65
Cfr. Hjelmslev, 1943; Greimas, Courtés, 1979, voce "Attante".
72 co", insieme con Greimas quando dice che «ogni interrogazione [sul senso] è metalinguistica». (Greimas 1970 p. 13). Il corpo metalinguistico, soggetto della ricerca, ha con essa un rapporto «paradoxal et chiasmatique» (Marsciani 2014, p. 1). Durante l'interrogazione metalinguistica, l'analista è in grado di definire quali sono le istanze della scena osservata, e quali relazioni intrattengono. Egli è in chiasma con sé stesso e la scena osservata, si separa dal sé che ha osservato la scena, il quale viene problematizzato e diviso dal corpo metalinguistico. Il corpo osservante, se verrà riconosciuto come rilevante all'analisi, entrerà nei confini dell'oggetto d'analisi.
3.2. Il corpo, illinguaggio, su baseetnosemiotica A questo punto la relazione tra corpo e linguaggio è impossibile da pensare come tra due oggetti contrapposti, come un involucro sede di un interno contrapposto a un mondo esterno. Semioticamente il corpo si fa istanza, una istanza possibile del linguaggio inteso come formatività semiotica, possibilità di articolazione. Si configura solo come una porzione di realtà prevista e descritta dal li11guaggio. L'orizzonte66 contribuisce a segnare due confini: un limite esterno, costituito dall'orizzonte stesso, che costi«Venendo dopo il mondo, dopo la natura, dopo la vita, dopo il pensiero, e trovandoli costituiti prima di sé, la filosofia interroga questo essere preliminare e interroga se stessa sul suo rapporto con esso. Essa è ritorno su di sé, e su tutte le cose, ma non ritorno a un immediato, che si allontana a mano a mano che essa vuole avvicinarlo e fondersi con esso. L'immediato è all'orizzonte, e deve essere pensato a questo titolo, esso rimane se stesso solo rimanendo a distanza.» (Merleau-Pontv 1964, p. 141).
66
73 tuisce per il Sé il punto massimo di estensione delle sue facoltà percettive, l'unica scena possibile del Sé; l'altro confine, la scena, diretta dall'orizzonte verso la coscienza, impone dei limiti alle possibilità d'azione e percezione del Sé. L'incontro tra Sé ed Altro è una codefinizione, la quale funziona in virtù della relazione che si instaura tra i due termini: È dunque l'altro come "tu" a riempire l'identità vuota della forma "io", a farne uno stesso atto identico pieno, a convertire la differenza fenomenologica degli "io" in identità. In altre parole, è l'altro come "tu" a costituire, nell'immediatezza mediata dello scambio linguistico, l'"io" come Io (Marin 2001, p. 34).
Il concetto di distanza, nel nostro caso, si lega ai modi dello strutnento trasparente. Quello che percepiamo ci stimola delle sensazioni: emergono pensieri, strutture, linguaggi che ci mettono in comunicazione con il mondo, mettendo in chiasma il Sé e l'Altro. Ciò che è immediato, il prefenomenico (e anche il fenomeno, dopo il linguaggio, dopo la categorizzazione che permette di nominare le varie aree indistinte della percezione) è distante da me. All'applicazione delle categorie, la cosa è me, il vuoto del mio nulla si riempie della coscienza dell'Altro, le barriere si rompono, il soggetto e l'oggetto si ricompongono. lo conosco, vedo, percepisco, l'Altro passa in secondo piano per le future osservazioni, può essere rigettato a fare parte dello sfondo per fare emergere nuove alterità67• In questo caso, quello dell'alterità
67
Cfr. De Fazio §2.
74 diventa un problema risolto, il quale non fa più scaturire domande ma diventa strurnento trasparente, che mi permette di spostare e ridefinire i confini dei miei orizzonti d'indagine, e contribuisce legandosi insieme alle altre conoscenze, ad ampliare e costruire una rappresentazione del mondo. Attraverso il linguaggio, il corpo si proietta fuori, verso il mondo, esternando con l'uso di atti linguistici degli enunciati i quali costituiscono una alterità osservabile, analizzabile, gettata nell'Essere, sensibile agli altri uomini e alle altre istanze della Carnedel-Mondo. È l'ambiente in cui vivo, la società in cui sono cresciuto, la cultura che conosco che mi determinano come individuo. Sono loro, sono gli altri, o detto più filosoficamente, è l'Altro a indicarmi e individuarmi come un lo, come un'alterità che si costituisce come relazione e differenza e i suoi confini sono negoziati e stabiliti da un complesso incontro di sguardi prospettici. Non dimentichiamoci delle due facce del rapporto tra corpo e mondo: il corpo si co-costituisce col mondo in seguito alla posizione e costituzione di rapporti differenziali, proprio perché questa relazione di co-costituzione è possibile grazie al fondamento filosofico del mondo, ovvero la Carne. Che il mondo sia Carne-del-Mondo è fondamentale perché esista anche un corpo che emerge da esso, ma rimane sempre entro il suo orizzonte. Questo solo perché esiste il linguaggio, inteso come senso dato e sempre articolabile, il quale costituisce il fondamento per cui un soggetto può dare forma a delle relazioni valoriali di due tipi: in un circolo di valori che sono già dati al soggetto quando è gettato nel linguaggio, quando il soggetto è Esserci; e valori che il soggetto costruisce nell'arco della sua vita in quanto libero e
75 creatore. Cogliendo la lezione di Francesco Marsciani68, si può pensare il Percorso Generativo non solo come strumento d'analisi, ma anche come modello e forma della significazione. Perciò è possibile che per un agente ogni fare e ogni stato stabiliscano una relazione con una alterità, all'interno della quale relazione viene creata una sovrabbondanza di senso derivante dalla catena delle trasformazioni possibili, una generazione di nuovi valori che hanno fondamento nell'insieme trascendentale dei possibili valoriali del soggetto e che sono realizzati di volta in volta in ogni atto, in ogni pensiero, in ogni momento della sua esistenza semiotica. 4. Non-differenza e individui Ora che abbiamo analizzato il rapporto tra mente e mondo, tra corpo e mente, i fondamenti filosofici di questi rapporti sfumati, di questa continuità tra il Sé e il Mondo, torniamo al titolo della raccolta: abbiamo il corpo, dov'è il linguaggio? Come è possibile che il Sé e il mondo si differenzino allora? Il linguaggio c'è e c'è sempre stato. Esso, per gli esseri umani, è la condizione di possibilità di una organizzazione valoriale del mondo, e al tempo stesso è condizione della differenza, tramite le potenzialità fornite dalla significazione. Una volta che noi siamo gettati nel mondo e nel linguaggio, lanciamo una rete siinulacrale di valori che organizzano il mondo in cui agiamo e, giorno dopo giorno, atto dopo atto, la nostra vita, i nostri gesti, i nostri discorsi, rielaborano a poco a poco la lingua e il mondo stesso in cui viviamo. In virtù di questa rete e dei possibili trascendentali resi 68
Cfr. Marsciani, 2012a; Marsciani, 2014.
76 disponibili dalla struttura semiotica, è possibile individuare i vari elementi che gravitano intorno al corpo, o risiedono in esso. Tuttavia occorre ricordare che questi elementi, queste individuazioni non sono che arbitrarie; la semiotica rende possibile questa individuazione. Il fondamento della Carne-del-Mondo fornisce un principio di continuità e non-differenziazione che ben si coniuga con l'epochè semiotica e si rivela essere molto utile nella fase di analisi per il metodo etnosemiotico.
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4 Edoardo Lucatti Il gesto e l'azione. Proposte semiotiche per una fondazione fenomenologica dell'epigenesi strutturale Il nltnore della sega è cal1no, regolare, co1npete-nte; s,nuove la luce tnorente così che ad ogni colpo il viso senibra cotne svegliarsi iu uu'espressio1le di ascolto e di attesa, quasi che lei stia co1ltando i colpi. William Faulkner, Mentre tnorivo
1. Passi di danza
Chi si occupi di semiotica o fenomenologia, e lo faccia con un po' di onestà intellettuale, non potrà che fare i conti con la costitutiva inattualità del proprio lavoro. In entrambi i casi, infatti, si tratta non soltanto di occuparsi del senso ma soprattutto di farlo a partire dal riconoscimento di un piccolo scandalo: il senso è un'evidenza che non fa problema, su cui semiologi e fenomenologi sono costretti ad ammettere di non poter rivendicare una comprensione migliore di quella ascrivibile al cosiddetto uomo della strada. Questa filosofia, che cerca sotto la scienza, non è per contro più "profonda" delle passioni, della politica e
80 della vita. [... ] Coloro che attraverso la passione e il desiderio giw1gono a questo essere sanno tutto ciò che c'è da sapere. La filosofia non li comprende meglio di quanto siano compresi, è nella loro esperienza che essa viene a conoscere l'essere. (Merleau-Ponty 1960a, p. 41).
Gli fa eco, dieci anni più tardi, Greimas, in un passo ormai celebre dell'introduzione a Del Senso (1970, p. 13): «L'uomo vive in un mondo significante. Per lui il proble1na del senso non si pone, il senso è posto, s'impone come un'evidenza, come un "sentimento di comprendere" assolutamente naturale». Specchiata in questa comune consapevolezza, si schiude una strada che tende, per così dire, a farsi percorrere in due direzioni, tracciate da orme dissimili che sembrano risalirsi a vicenda. La direzione fenomenologica muove dall'ordine delle prospettive aeree, quelle - per intenderci - che mettono il soggetto nelle condizioni di darsi per vera e trasparente l'idealità di un mondo sorvolato, e va verso «una "località" globale in cui tutto è contemporaneamente» (Merleau-Ponty 1960b, p. 4 7), dove ricompare il mondo percepito nella sua brulicante inesattezza, essere grezzo colto nell'evento vischioso della sua manifestazione. Si fa fenomenologia, cioè, quando si cerca di tematizzare quell'accoppiamento fra corpo e ambiente, quella non differenza fra figura e sfondo, quell'assoluto delle grandezze, quella vera simultaneità degli oggetti, quella presa incerta sull'esperienza, quel «corpo che è noi e che non è noi» (Merleau-Ponty 1960a, p. 102) e che, in quanto tale, funge come fe-
81 nomeno di senso proprio a patto di non darsi, in se stesso, come oggetto di riflessione cosciente69 • La direzione semiotica è quella di un'operazione altra, costruzione teorica controllata, fondativa di un'ontologia regionale - ideale e reale a un tempo - in ordine alla quale dare oggettivazione strutturale di quella vischiosità, di quel fenomeno di senso. Da questo punto di vista, la struttura semiotica non appartiene, direttamente, ai fenomeni di senso, tant'è - diciamolo pure con un certo sollievo - che essi hanno senso anche per chi di semiotica non sappia assolutamente nulla. La struttura semiotica, piuttosto, sta a quei fenomeni di senso nella misura in cui descrive le condizioni immanenti della loro significazione. Esse coincidono con quello che, in loro, permette a loro di significare quel che significano, e cioè con il valore, la differenza, che come scrive correttamente Deleuze (1968, p. 287) «non è il fenomeno, ma il noumeno più prossimo al fenomeno». Si dovrà in qualche modo riconoscere, allora, che per fare semiotica non si può non scollare da questo mondo-che-siamo (e dal suo divenire) un mondo 69
Cfr. Amoroso, cap. l: in Svevo è il problema di Zeno, che non può tematizzare la molecolarità del proprio passo senza disimparare a camminare, presa oggettiva sulla motricità che ne deprime la presa molare, ontologia che smarrisce la propria presenza a sé differendosi in quanto oggetto - non più abitabile - di conoscenza. Ma è anche, nella sua versione quasi archetipica, il problema di Amleto, costretto - nel celebre monologo dell'atto terzo - ad ammettere che "tutti ci rende vili la coscienza, e l'incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero, e imprese di gran momento e conseguenza deviano per questo scrupolo le loro correnti, e perdono il nome d'azione".
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altro e immanente al primo e nei cui termini, prettamente formali, descrivere valorizzazioni che, altrimenti, sarebbe dato soltanto di vivere. E' proprio questa, per inciso, la misura nella quale la semiotica può rivelarsi di una qualche utilità nel trattare «questioni che la fenomenologia non avrebbe potuto risolvere nella propria categorialità, nella propria terminologia e all'interno del proprio percorso» (Marsciani 2012, p. 111). La semiotica, che in questo sembra voler risalire al tema con cui si apre l'ultima conchiusa fatica merleaupontyana, è tutta in questo tentativo di tnanipolare le cose senza rinunci.are ad abitarle. Questo è vero per la semiotica in generale, ma diventa cruciale proprio nel paradigma testualista, che radica il soggetto enunciante nell'enunciato stesso, e lo definisce - anzi - in funzione precipua del suo esserne presupposto, condizione in assenza della quale non sarebbe possibile tracciarlo e descriverlo. Nondimeno, la semiotica rimette a questo soggetto una retorica o, se vogliamo, una strategia enunciativa, che coincide con la sua prospettiva sul mondo, col suo preteso fare - di quel mondo cui pure appartiene - un oggetto in generale, manipolandolo attraverso il modo in cui ne abita la messa in valore. E così, se l'ontologia fenomenologica, svelando il senso dell'essere che siamo, tende soprattutto a riunire, riassorbendo ad esempio Descartes nell'affermazione secondo cui «anche l'azione di pensare è presa nella pulsione dell'essere» (Merleau-Ponty 1960a, p. 33) e affermando che «noi viviamo nell'unità di una sola vita tutti i sistemi di cui è fatta la nostra cultura» (Id., 143), l'epistemologia semiotica tenderà soprattutto a dividere, sussumendo l'epifania unitaria del senso nell'orizzonte
83 discreto di una struttura semiotica che ne permetta descrizioni controllate. Si tratta, insomma, di due diversi passi di danza, perfettamente in grado di rilanciarsi a vicenda, riunione ontologica del «vedere in quanto mondo» (MerleauPonty 1964, p.32) che sorregge la separazione epistemologica del