Tra Saussure e Hjelmslev. Ricerche di semiotica glossematica

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Cosimo Caputo

Tra Saussure e Hjelmslev Ricerche di semiotica glossematica

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Carocci editore

Volume pubblicato con il contributo dell’università del Salento, Dipartimento di Scudi Umanistici

x* edizione, marzo 2015 & copyright 2015 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Progedit Srl, Bari

Finito di stampare nel marzo 2015 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

ISBN 978-88-43O-764O-6

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione. Il passato prossimo e il futuro ante­ riore della semiotica

ii

13

3-

I Maestri e la crisi della semiotica Lo Strutturalismo occultato La svolta semiotica

i.

XJ esprit saussuriano in semiotica

li

1.1.

21

1.7.

La fatica della ricerca c il tormento del dubbio Dare un senso alla forma La complessità quaternionale del linguaggio Il linguistico e il non linguistico Linguistica, comunicazione e cognizione Lo spazio vuoto della semiologia: Saussure “maestro” di Hjelmslev L’architettura semiotica

2.

L’oggetto e il senso della Glossematica

1.

2.

1.2.

1.3.

1.4. 1.5.

1.6.

z.i. 2.2.

2.3. 2.4.

Un nuovo itinerario La “natura” dell’oggetto semiotico Un’altra prospettiva sul segno e sul linguaggio Glossematica e corporeità

7

11

15

13 2.7

29 30

31

39

4i 4i

49

55

59

-»j£LMSLEV

.ita glossematica

3-53.6.

Oltre la linguistica Il doppio passo della Glossematica Una scienza delle funzioni La sublogica del segno La globalità L’aggettivo “glossematica”

73 78

4*

La tessitura globale. Glossematica, testi, culture

81

>1.

3.2.

3-33.4.

4-x.

4-34-44-54-.Ó. 4-7-

81

82 83

86 92 97

99

105

La stratificazione semiotica

Una prospettiva globale Partendo da Saussure Piani e strati 5'3' Il lavoro della teoria: arbitrarietà e adeguatezza 5 La Facoltà categorizzante Sostanza, livelli e strati 5-6' Sublogica, glocalità, differenza non indifferente LZn cognitivismo non teoricistico 5-7L^ doppia materialità del semiotico: stratificazione e 5*

5-9-

63 65 67 69

Il testo come attestazione Una visione testuale del segno Forma e figure del testo “Testo” in Glossematica Tèsto e connotazione Sociosemiotica e testualità La sublogica del testo e delle culture

4.1.

5-

3

sablo8^

. .

105 107 jo8

114 ji6

izi 12.3

J2-5 03

j/ yjV^ce semiotico 137

del metalinguaggio

6*

npafa

137

•Ji parole

della materia vivente (biosemiosi) (cfr. Prodi, 1974, 1984, 1988). Come abbiamo annotato in altra sede, «“cultura” designa, in altri termini, l’oggetto di ricerca, mentre “semiotica” il metodo di studio» (Caputo, zoiob, p. 78).

IO4

5

La stratificazione semiotica



Una prospettiva globale Il titolo dato a questo capitolo riprende volutamente quello del saggio hjelmsleviano del 1954 {La stratificazione del linguaggio, pubblicato nel voi. io di “Word”, la rivista del Circolo linguistico di New York). In questo saggio il linguista danese utilizza direttamente il termine “semio­ tica”, ancor prima di autorizzarne l’uso al posto del danese “sprog” (lin­ gua, linguaggio) nella seconda traduzione inglese (uscita sempre negli Stati Uniti d’America nel 1961 col titolo Prolegomena to a Theory oj Language\ del suo Omkring sprogteoriens grttndLtggelse. pubblicato nel 1943. Non si tratta di un semplice mutamento di parole bensì della crescita di un progetto volto a portare la teoria del linguaggio oltre la linguistica dei linguisti per farne il luogo di incontro di scienze diverse, come Hjelmslev scrive proprio in Omkring (1943^ trad. it. p. 116). “Semiotica” connota e chiarisce una teoria che vuole essere una pro­ spettiva globale sul linguaggio, o sul semiotico, e sulle lingue, mentre “stratificazione” non dice di una semplice sedimentazione o sovrap­ posizione di strati, quanto piuttosto di relazioni tra questi, il che ci sembra un altro dei punti più nuovi e originali della Glossematica hjelmsleviana. La Glossematica, scrive Hjelmslev (1954, trad. it. pp. 114-5):

può venir caratterizzata da quattro tratti peculiari: 1) raccomandare come unica adeguata una procedura analitica (detta anche deduttiva, con termine mostratosi equivoco); considerare, inoltre, la sintesi [...] come presuppo­ nente l’analisi; 1) insistere sulla forma, finora trascurata a favore della so­ stanza; 3) comprendere nella forma linguistica anche la forma del contenu-

105

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to, non soltanto la forma dell’espressione; e, conseguenza di questi princìpi, 4) considerare il linguaggio, nel senso solitamente adottato dai linguisti, come caso particolare di un sistema semiotico, cioè di un sistema che am­ mette piani diversi e, all’interno di ogni piano, una differenza fra forma e sostanza [...]; porre, inoltre, la linguistica nell’ambito di una semiotica (o semiologia) generale. Ed è ancora significativo quanto leggiamo poche righe più sotto:

Accettando l’invito a collaborare al presente volume con un contributo sulla teoria e sul metodo della glossematica, abbiamo dunque ritenuto di non po­ ter fare cosa migliore del presentare, sulla duplice distinzione testé segnalata forma e sostanza, espressione e contenuto}, alcune riflessioni da noi ritenute atte ad un più ampio chiarimento della questione, a mettere profìcuamente a fuoco le idee, a dare, inoltre, alcune precisazioni che i risultati da noi ulti­ mamente conseguiti permettono di aggiungere. [...] Non ci si dovrà perciò attendere nelle pagine seguenti una introduzione alla glossematica'; avremo, al contrario, un contributo che ha per scopo la comprensione di un problema >iù ristretto, essenziale però; forse quanto di più essenziale esista in questo rdine d’idee (ivi, p. 215).

Quindi, a proposito del titolo del saggio, dichiara di essersi permes­ so, «non senza qualche scrupolo», di ripetere «il titolo di un lavoro, pubblicato da Max Miiller nel 1869: La stratificazione del linguaggio» > precisando, però, che la sua idea di “stratificazione” «nulla ha a che fare» con quella dello studioso oxoniense di origine tedesca. E tut­ tavia ritiene che, «malgrado la fortuita coincidenza, il titolo troverà la propria giustificazione. Stratificazione si presenta come il termine più ovvio per rendere la nostra idea; confessiamo soltanto che, pena l’accusa d’inesattezza terminologica, avremmo dovuto scrivere: la stra­ tificazione del sistema semiotico», e in nota specifica: «A condizione di includervi il processo [...] (il testo), che determina il sistema (la lin­ gua)» (ivi, p. 216).

1. Quali sono invece i Fondamenti della teoria del linguaggio. A Hjclmslcv era stato chiesto un intervento che illustrasse c chiarisse le idee apparse proprio nei Fon­ damenti, egli invia alla redazione di “Word” La stratificazione, appunto, in cui l’ap­ profondimento dei problemi della Glossematica gravita intorno a quello che costi­ tuisce il nucleo centrale della sua semiotica: la duplice distinzioneforma/sostanza ed espressione/contenuto.

106

__ $. LA STRATIFICAZIONE SEMIOTICA

Partendo da Saussure Nel saggio del 1954 giunge a maturazione una problematica teorica che vede, tra l’altro, Hjelmslev impegnato nell’approfondimento della concezione saussuriana del segno. Come abbiamo sottolineato in altra sede (cfr. Caputo, zoioa, cap. 2), nei Principi digrammatica, generale la bipartizione significante/signifìcato diventa una tripartizione; il significante infatti comprende un’imma­ gine acustica o fonica e un’immagine grammaticale, il segno è dunque «(concetto) significato ~ significante (immagine fonica + immagine grammaticale)» (Hjelmslev, 1928, trad. it. p. 92). Il significante, cioè, è l’aspetto fonico e la forma del segno verbale è «direttamente tangibile o sensibile», o ancora è tutto ciò che «può essere constatato attraverso un metodo diretto», mentre il significato è constatabile «solo attraver­ so un metodo indiretto» (jbid.). Spiega Hjelmslev:

La forma fa dunque parte del significante, e non del significato. Questo è un fatto di estrema importanza da cui dipende la linguistica stessa. Se la forma non fosse direttamente tangibile nel segno e appartenesse al solo significa­ to, la si potrebbe studiare solo con un metodo puramente psicologico. Se la grammatica fa parte della linguistica e non della filosofìa, ciò c dovuto al fatto che la forma è differente dal concetto e fa parte dell’espressione. È soltanto la forma che permette di distinguere il significato dall’idea psicologica pura, e questo perché, giustamente, la forma è direttamente tangibile, vale a dire accessibile con un metodo che non è puramente psicologico (ivi, p. 93). Il distacco dall’intimismo e dallo psicologismo avviene attraverso la forma grammaticale, o, potremmo aggiungere, attraverso una norma linguistica che ha una dimensione sociale. «Non esiste - dice ancora Hjelmslev - espressione linguistica senza che il contenuto del pensiero sia forgiato in uno stampo particolare, quello della forma grammaticale» (ivi, p. 9$). Il metodo psicologico è «un metodo introspettivo», soggetti­ vistico, l’esperienza oggettiva al contrario procede dai riflessi esteriori dei fatti psichici, dalla loro forma d’espressione per «mirare a stabilire delle leggi generali. [...] La scienza che si occupa di questi studi è la semiologia [corsivo nostro] e, più particolarmente, la linguistica» (ivi, pp. 36-7). hi tal modo la distinzione significante/signifìcato si modifica tra­ mutando il concetto di lingua in quello di forma che così comincia il transito verso la sua concezione glossematica.

107

TRA SAUSSURE E HJELMSLEV

Nella Categoria dei casi Hjelmslev abbandona i termini “significante” e “significato” rimpiazzandoli con “espressione” e “contenuto”. E già qui parla di «differenti stratificazioni del segno linguistico». Testualmente:

Per forma intendiamo (come nei nostri Principes de grammaire généralè} la parte contemporaneamente tangibile e non-convenzionale del segno lin­ guistico. Praticamente la forma di una unità è identica alla definizione che essa riceve dal punto di vista estensionale, vale a dire al suo valore. Secondo noi, la forma non è dunque né un fatto esterno né un fatto interno. Il fatto interno (non tangibile) del segno in questo libro viene chiamato contenuto', praticamente, è identico alla definizione intensionale di una unità, vale a dire al suo significato. Il fatto esterno (tangibile e convenzionale) del segno, che in linguistica riceve di norma la denominazione di aspettofonico, in questo libro viene chiamato espressione (Hjelmslev, 1935, trad. it. p. 81). Stiamo vedendo il progressivo distacco-approfondimento, o forse me­ glio metabolizzazione, di Hjelmslev dalla binarietà del segno saussuriano alla quale egli sta sostituendo la tripartizioneforma, contenuto, espres­ sione, ma stiamo anche assistendo alle correlazioni di estensione (valore)I forma, intensione (significato)/contenuto e intensione/espressione, quindi alle correlazioniforma/contenuto eforma/espressione: la forma è estensio­ ne mentre il contenuto e l’espressione sono intensioni, avendo a che fare con l'uso (cfr. ivi, p. 189), con la materialità del segno. Ciò vuol dire che dietro la distinzione traforma, contenuto, espressione si profila quella che sarà la distinzioneforma/sostanza e la sua articolazione nei quattro strati del segno che avverrà appunto nella Stratificazione del linguaggio, strada già aperta nel 1938 nel saggio Per una teoria dei morfemi il cui incipit è il seguente: «La lingua è una forma organizzata fra due sostanze, di cui una serve da contenuto e l’altra da espressione», con esplicito riferimento, in nota, al Corso saussuriano (Hjelmslev, 1938, trad. it. p. 97).

5-3 Piani e strati

ijelmslev dota tutta la semiotica, non solo quella delle lingue verbali, di una «epistemologia della stratificazione»1. Nelle prime pagine del­ la Stratificazione egli individua quelli che chiama i piani del semiotico Riprendiamo questa definizione da Bondì (zoo

108

$. LA STRATIFICAZIONE SEMIOTICA

(o del linguaggio), ossia espressione e contenuto, e quattro “unità” (la forma dell’espressione, la sostanza dell 'espressione, laforma del contenuto e la sostanza del contenuto') che chiama strati e che considera «da una prospettiva che li renda coordinati» (Hjelmslev, 1954, trad. it. p. zi6). Si tratta della definizione degli “oggetti” della semiotica. Un oggetto è uno spazio di relazioni, non ha, cioè, un suo signifi­ cato intrinseco e a priori ma un significato legato alle sue dipendenze e indipendenze con altri oggetti, così come alle dipendenze e indipen­ denze delle sue parti. Solo attraverso la descrizione di queste dipenden­ ze e indipendenze, seguendo cioè il criterio dell’esaustività, si possono cogliere e definire scientificamente gli oggetti (cfr. Hjelmslev, 1943^ trad. it. p. 26). Un oggetto non è una class as rnany («una mera somma di membri»), è piuttosto una class as one (ivi, pp. 99-100), una classe come oggetto sincretico, non come astrazione (sintesi) di una concre­ tezza (pluralità): è una virtualità o condizione di possibili realizzazioni legate alla variabilità delle situazioni. L’oggetto, quindi, è una classe d: classi: una gerarchia, o una gerarchia di gerarchie (cfr. Hjelmslev, 1943C. trad. it. p. 48, Deff 8,9,11), ad esempio, la classe delle semiotiche (semio­ tica connotativa, metasemiotica ecc.). Sappiamo però che “gerarchia” non ha l’accezione convenzionale di sistema unilineare (o unicursale) e omogeneo quanto piuttosto di sistema o oggetto disomogeneo e plura­ le, costituito di più elementi che l’analisi individua nei loro reciproci e vari rapporti. Per salvaguardare il metodo empirico e deduttivo e il suo criterio di esaustività di fronte a un oggetto che ad un certo stadio dell’a­ nalisi manifesti non conformità, dice Hjelmslev nella Stratificazione:

li compie l’analisi deve riconoscere l’esiscenza di due differenti gerarchie e procedere conscguentemente nella prospettiva di esaurire l'intera analisi in due analisi separate. In tal modo, se l’oggetto dell’analisi è una semiotica (vale a dire se nel corso dell’analisi l’oggetto soddisfa la definizione di una semiotica) occorre distinguere i due piani [dell’espressione e del contenuto] e analizzarli separatamente [...]; analogamente, nel caso di una semiotica mani­ festata, occorre distinguere ed analizzare separatamente forma e sostanza [...]. Il principio rimane lo stesso costantemente: l’esigenza di un'analisi esaustiva richiede che venga distinto quanto è privo di conformità (Hjelmslev. 1954, trad. it. p. 2.2.0). Quindi, subico dopo, scrive che cale principio è applicabile «indifferenccnicnce a qualsiasi classe di gerarchie. Di conseguenza è applicabi­

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il 1

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le, più in particolare, alle classi costituite da quelle gerarchie che abbia­ mo denominato strati» (ivi, p. zzi; cors. ns.). Come ora è più esplicito rispetto a quanto esposto fin qui.^Zr strati non sono semplici sedimentazioni, elementi precostituiti e irrelati, bensì relata, fumivi di funzioni, o, ancora, ruoli, posizioni. La stratificazione è immediatamente osservabile «in una semiotica ordinaria o in uno stato di lingua ordinario», dice Hjelmslev (ibid.). Cominciando da questi casi si adempie al principio di semplificazione e di limitazione metodologica dell’indagine:

un artifìcio nella maggior parte dei casi mal corrispondente ai fatti empirici quali per lo più si presentano al linguista, poiché in uno stato di lingua or­ dinario le connotazioni si impongono costantemente. Ma l’artifìcio è inno­ cuo, poiché l’uniformità del principio renderà facile operare generalizzazioni (ibid.).

Il procedimento di analisi delle differenze fra le classi di strati inizia con la classificazione degli strati che coprono la distinzione saussuriana di significato e significante (in termini hjelmsleviani, rispettivamente, con­ tenuto ed espressione) e quello diforma e sostanza semiotiche (cfr. ibid.)\ Ecco, dunque, le grandezze fondamentali da cui si parte: piano dell’espressione, piano del contenuto,forma semiotica e sostanza semioti­ ca. Osserva ancora Hjelmslev che: la distinzione fra contenuto ed espressione è superiore a quella fra forma c sostanza, di modo che, nella procedura d’analisi, la biforcazione che mena a separare la gerarchia costituita dal piano del contenuto e quella costituita dal piano dell’espressione si trova ad uno stadio anteriore a quella che separa forma e sostanza. È per questa ragione che occorre parlare [...] della “forma del contenuto”, della “sostanza del contenuto”, della “forma deH’espressionc” e della “sostanza dell’espressione”, mentre sarebbe insensato, perché inadegua­ to, parlare di un “contenuto di sostanza”, di un “contenuto di forma”, di una “espressione di sostanza" o di una “espressione di forma”. La distinzione fra contenuto ed espressione è il primo crocevia, quello fra forma c sostanza il 3. Hjelmslev accompagna il suo lavoro di innovazione epistemologica con un’in­ novazione terminologica, introducendo «designazioni univoche» attraverso «una serie di simboli analitici». E proprio la notazione univoca consente di individuare «la forma e la sostanza semiotiche c nell evitare, in tale maniera, le ambiguità dei ter­ mini generaliforma c sostanza» (Hjelmslev, 1954, trad. it. pp. 117,119).

no

$. LA STRATIFICAZIONE SEMIOTICA

secondo e la distinzione fra forma e sostanza è quindi subordinata alla distin­ zione fra i piani (ibid.).

Ad Emilio Garroni, che alla discussione della Stratificazione del lin­ guaggio hjelmsleviana ha riservato molte pagine del suo Progetto di semiotica, la distinzione tra forma e sostanza in generale e forma e sostanza semiotiche sembra ambigua se non proprio contraddittoria (cfr. Garroni, 1972, p. 218). A un livello generale la forma è class as one, un sincretismo e una condizione necessaria, ma non sufficien­ te, di realizzazioni, come si diceva; essa è l’astrazione pura e sempli­ ce, che sta a fondamento di ogni analisi scientifica; al tempo stesso è class as many, quindi somma di astrazioni fra le quali c’è l’astrazione espressione/contenuto che sta a base di ogni semiotica (cfr. ibidl). Ma è in questa «duplicità e ambiguità», dove si coniugano vocazione alla generalità e specificità disciplinare che - secondo Garroni - il di­ scorso hjelmsleviano acquista «apparenza di quadro teorico unitario e univoco» (ivi, p. 221). Ne discende una «unità costruttiva» (ivi, p. 246) che compendia la costruzione generale e quella specifica del­ la semiotica. L’operatività della funzione segnica (per il cui carattere formale espressione e contenuto non indicano nessuna espressione e nessun contenuto particolari; cfr. Hjelmslev, i945b, trad. it. p. 52) che specifica la semiotica si avvale di una configurazione analitica e strut­ turante, o meglio stratificante, da cui provengono gli strati del segno. E la forma 1’ «unico possibile strato sintetico tra i due piani» del segno (Prampolini, 1981, p. 7$); non a caso - come si è visto - Hjelmslev non parla di “espressione della sostanza”, “espressione del contenuto”, “contenuto della sostanza” e “contenuto della forma”. La forma come “strato sintetico” assume così un valore epistemologico e semiotico. La nozione di “strato” «sembra chiaramente rispondere a esigenze in­ novative nell’ambito di una più complessa teoria semiotica in quanto tale» (Garroni, 1972, p. 215).

5*4 Il lavoro della teoria: arbitrarietà e adeguatezza Forma e sostanza non sussistono come articolazione epistemologica autonoma e prioritaria rispetto a espressione e contenuto, ce invece un innesto tra di esse che conduce - sappiamo già (cfr. PAR. 1.7) - a «tre

III

TRA SAUSSURE E HJELMSLEV

classi di strati»: 1. piano dell'espressione e piano del contenuto-, z.forma del contenuto e sostanza del contenuto-, sforma dell'espressione e sostan­ za dell'espressione (cfr. Hjelmslev, 1954, trad. it. pp. zzi-z). E tuttavia, il significato di questa linguistica immanente che è l’o­ biettivo specifico e prioritario della ricerca hjelmsleviana «si potrà misurare anche in base ai suoi contributi all’epistemologia generale» (Hjelmslev, 19430, trad. it. p. 8). D’altra parte Hjelmslev sottolinea di voler «trarre in maniera sperimentale le conseguenze ultime della duplice distinzione saussuriana» (cors. ns.) (forma/sostanza, significante/signifìcato, ricordiamo) e dell’accezione (saussuriana) di lingua «come forma specifica organizzata fra due sostanze, quella del conte­ nuto e quella dell’espressione - quindi come una forma specifica del contenuto e dell’espressione» (Hjelmslev, 1954, trad. it. p. zi3). Perciò «i termini “forma” e “sostanza”, così come sono stati introdotti da F. de Saussure, ammettono indubbiamente una più generale applicazione» (ivi, p. ZZ5). E quindi

probabile che ogni analisi scientifica, di un qualsivoglia oggetto (considera­ to allora come una classe nel senso da noi dato al termine [class as one-, cfr. par. 5.3]), implichi necessariamente la distinzione in due strati, o gerarchie che possiamo identificare con la forma e sostanza nell’accezione saussuriana (ma generale) di questi termini. La “forma”, in questo senso generale, c defi­ nita come l’insieme totale, ma esclusivo, dei tratti che, secondo l’assiomatica scelta, sono costitutivi delle definizioni. Tutto quanto non è compreso in una tale “forma” [i «residui»], ma che in tutta evidenza verrebbe ad appar­ tenere ad una descrizione esaustiva dell’oggetto studiato, viene relegato in un’altra gerarchia che in rapporto alla “forma” assume il ruolo di “sostanza”. Forma e sostanza semiotiche non costituiscono infatti che un caso partico­ lare di questa distinzione generale. [...] Da questo punto di vista parrebbe evidentemente ingiusto pretendere, come sopra abbiamo fatto, che la distin­ zione fra forma e sostanza sia subordinata a quella fra contenuto ed espres­ sione (ibid.). Se la distinzione tra i piani si applica alla sola sfera semiotica, la distin­ zione tra forma e sostanza - precisa Hjelmslev (ivi, p. 116) - «sembra permettere un’applicazione molto più generale: pare si tratti semplicemente deWastrazione». Ma si badi bene: la forma s’accompagna alla sostanza, essa è condizione necessaria ma non sufficiente, come dice­ vamo. Per spiegare meglio questo punto cruciale bisogna - a nostro

III

5. LA STRATIFICAZIONE SEMIOTICA

1

i

avviso - riprendere quanto Hjelmslev sostiene a proposito delle condi­ zioni costitutive di una teoria: Varbitrarietà e V adeguatezza. La prima di queste due condizioni, che non ha nulla in comune con l’arbitrarietà del segno di Saussure, vuol dire - come già eviden­ ziato nel par. z.z e che riportiamo per comodità di studio - che una teoria è «in sé indipendente da qualsiasi esperienza», «non dice nul­ la riguardo alle proprie possibilità di applicazione c ai propri rapporti coi dati empirici»; «non comprende alcun postulato esistenziale». Siccome è «un sistema puramente deduttivo» i suoi teoremi devono avere «la forma di implicazioni (in senso logico)» o di ipotesi «la cui sorte, diversamente da quella della teoria stessa [che «i dati empirici non possono mai rafforzare o indebolire»], dipende esclusivamente dalla verifica» (Hjelmslev, 1943U trad. it. p. 17). La seconda di queste condizioni (o «fattori»), V adeguatezza. ri­ guarda l’applicazione delle ipotesi «a certi dati empirici» e la loro verifica (ibid.). E questo il momento realistico della teoria, quello del contatto con la sostanza. Forma (a-realisticità) e sostanza (adeguatezza) sono interdipendenti a questo livello della procedura modellizzante, e la risposta alla domanda «se sia l’oggetto a determinare e influen­ zare la teoria, o viceversa, è: “tutte due”» (ivi, p. 18). Stiamo vedendo che la teoria è una costruzione/progettazione, ossia un procedimento epistemologico che spiega i fatti in base a un orientamento o a una scelta. Prima ancora di essere un procedimento (sistema) operativo una qualsiasi teoria è un discorso su qualcosa da parte di qualcuno per qualcos’altro: è al contempo - come si è visto nei PARR. z.3 e 4.4 un’astrazione e una formulazione linguistica o una testualizzazione. In quanto testualizzazione la teoria è un “oggetto semiotico”: la linguisticità, o la semioticità, non è un suo tratto accidentale ma un suo tratto intrinseco. Nel processo testuale la sostanza manifesta, o determina, il sistema: una funzione, quella di “determinazione”, che Hjelmslev (1954, trad. it. p. zzz) chiama anche «funzione generatrice». La teoria è quindi un risultato del lavoro di intreccio (rc.vr/o) di istanze formali e di istanze materiali che dispongono il sistema in relazione ai dati em­ pirici, ai discorsi, alla prassi comunicativa. Alla teorizzazione pertiene quindi una forma (struttura) interpretativa dove forma e sostanza sono concomitanti e coordinate, il che apre una prospettiva diversa rispetto agli approcci logicisti c gnoseologisti.

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I

TRA SAUSSURE E HJELMSLEV

5-5 La facoltà categorizzante Entriamo a questo punto nella questione della “formatività” che consen­ te di riprendere il tema dell’arbitrarietà semiotica di matrice saussuriana. La formatività riguarda quello che Hjelmslev (1943K trad. it. p. 8z) chiama «universale principio di formazione», mentre altri parlano di “facoltà di linguaggio” (Saussure), “metaoperatività” (Garroni), “lin­ guaggio” (Sebeok), oppure - come preferiamo - capacità semiotica (cfr. Caputo, zoo6). Si tratta di una capacità che opera mediante sche­ mi astratti ma anche mediante schemi concreti, pratiche, poco inclini alla coerenza e alla linearità; in essa opera non solo il lògos cosciente, l’espressione artificiale della logica o quella convenzionale della lingua, ma anche il lògos tacito, subcosciente, l’espressione naturale e sponta­ nea, mai del tutto espressa nel dire. È questo l’oggetto della linguistica, sostiene Hjelmslev già nei Principi di grammatica generale (1918); la cosiddetta “logica” è solo un aspetto di ciò che egli in altra sede, La categoria dei casi (1935, trad. it. p. 214), chiama «sistema sublogico». Questa capacità di formazione che sta a monte delle varie forme linguistiche o semiotiche sussume le abitudini di pensiero, le primitive e ingenue classificazioni del mondo, le percezioni, le abitudini mimeti­ che, sinestetiche, sussume, in breve, la sostanza-materia del lògos. Nel tema della formatività s’intrecciano le grandi questioni intorno all’umano, alla sua natura e al vivente in generale:

il principio di formatività distrugge non solo l’idea del carattere prelinguisti­ co o alinguistico dei significati, ma anche quella della loro universalità. Si dà così una ragione interna delle asimmetrie semantiche esistenti fra le lingue e della difficoltà, se non talvolta dell’impossibilità, di tradurre letteralmente concetti anche semplicissimi da una lingua all’altra (Gcnsini, 1001, p. 70). L’ «universale principio di formazione» prescinde da «una formazione universale», da una “lingua prima” che sarebbe necessariamente incompatibile con la maggior parte delle lingue. È per questo che la costruzione della grammatica su sistemi ontologici speculativi, così come la costruzione di una data grammatica sulla grammatica di un altra lingua4, sono

4. Si realizzerebbe in questo modo una «squinting-grammar», dice in altra sede Hjelmslev (1939!), trad. it. p. 117).

114

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5. LA STRATIFICAZIONE SEMIOTICA

destinate al fallimento. [...] L’antico sogno di un sistema fonetico universale, e di un universale sistema del contenuto (sistema di concetti), non è dunque realizzabile [...]. Le differenze fra le lingue non si basano su realizzazioni di­ verse di un unico tipo di sostanza, ma su realizzazioni diverse di un universale principio di formazione (Hjelmslev, 1943U trad. it. p. 83). Ciò spiega la diversità delle lingue e delle semiotiche e approfondisce quella che Saussure (1911, trad. it. p. 158) chiamava «arbitrarietà as­ soluta» del segno che fa delle lingue istituzioni che non hanno ana­ logie con altre istituzioni e i cui cambiamenti senza limiti non hanno un principio ispiratore (una legge, un codice) ma avvengono senza un motivo, sono an-archici (cfr. par. 1.3). Siamo nel cuore della semiosi, in quella determinazione interpretativa, come si è visto, ofunzione della semiosi comune che ha il suo polo propulsore nelle abitudini mentali, nelle pratiche di vita, nelle regole culturali, nella temporalità. Se il gallo canta in modo diverso nelle diverse lingue, o il cane non fa “bau bau” in tutte le lingue, vuol dire che la somiglianza tra parole e verso dipende da una regola percettiva o auditiva culturalmente varia­ bile e pertanto non fissata a priori, non naturale: una regola originata da una materia semiotica (culturale e storica) e da una materia semiosica (bio-fìsica) (cfr. par. 5.8), tanto sul piano del contenuto quanto su quello dell’espressione. Anche l’espressione, infatti, è il risultato di disposizioni, limiti e potenzialità di parti del corpo (lingua, palato, labbra, denti) e di un particolare sviluppo cinetico. Su queste basi parliamo di dialettalità della semiosi, ossia di quel fenomeno di esistenzializzazione del comunicare che porta alla mesco­ lanza, alla pluralizzazione delle forme espressive e semantiche'. 5. Rinviamo al riguardo a Caputo (zoi;a). aggiungendo però qualche altra con­ siderazione sul rapporto tra lingua e dialetto che in questa prospettiva costituisco­ no i termini di una tensione tra una semiolinguistica “maggiore”, ossia normalizzata e dominante che ha preso il potere politico c scientifico, e una semiolinguistica “mi­ nore" che non vuol dire inferiore, quanto piuttosto “deviarne” dallo stato standar­ dizzato di una lingua o di una forma semiotica. «“Maggiore" e “minore" non quali­ ficano due lingue, ma due usi o funzioni della lingua». Il modo maggiore estrae le costanti, stabilizza la lingua, mentre il modo minore la mette in continua variazio­ ne (Deleuze, Guattari. 1980, trad. it. p. i6z). Una “lingua maggiore” è inseparabile dall’atto politico che la omologa, la normalizza e la impone come lingua ufficiale. Una “lingua minore" è una lingua che reinventa, sottopone a variazione un’altra lingua o un altro stato di lingua con un modo singolare di abitarli: non e legata necessariamente all’esistenza di una minoranza linguistica e, nel caso del dialetto,

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TRA SAUSSURE E HJELMSLEV

5.6 Sostanza, livelli e strati Stabilire dunque la priorità dell’articolazione forma/sostanza nella sua astrattezza entra in contrasto con la natura del lògos il cui piano astrat­ to, logico-proposizionale, presuppone un piano materiale, o meglio una specifica forma di vita, quella umana. Il lògos è biologico e cultu­ rale, è la manifestazione della complessifìcazione della materia vivente che fa della mente umana un segno e una costruttrice di segni: uno spazio in cui si intricano semiosi e semiotica, argomento, questo, su cui torneremo più avanti (cfr. par. 5.8). Per approfondire questo tema ripartiamo da Hjelmslev, dal doppio volto, fìsico e fenomenologico, che egli individua nella materia (cfr. Hjelmslev, i943b, trad. it. p. 84), e da una semiotica della materia che vede il fìsico estendersi nel semiotico: «non si trova nessuna non semi­ otica che non sia componente di una semiotica» (ivi, p. 135). La dop­ pia materialità, quindi, rivela una inclusione, costituendo in tal modo una sublogica6. Il linguista danese è ancora più analitico nella Stratificazione del lin­ guaggio, dove sostiene che nella descrizione della produzione semio­ tica bisogna considerare anche le «condizioni socio-biologiche», il «meccanismo psico-fisiologico», le «disposizioni naturali» e le «abitudini acquisite» (Hjelmslev, 1954, trad. it. p. 231). Egli, quindi, scrive che ciascuna sostanza sui due piani presuppone «diversi livelli (ne abbiamo ipotizzati tre) di cui uno è primario, dal momento che è dagli altri selezionato e, in conseguenza di ciò, è suscettibile di venir definito come sostanza semiotica immediata» (ivi, p. 234). Questo livello è chiamato anche livello valutativo o apprezzativo (cfr. ivi, p. 232): in altre parole, è il livello più immediatamente internon ha nulla a che fare con il suo recupero, spesso regressivo e reazionario, come idioma originario. Non è quindi nel dialetto - fanno ancora osservare Deleuze c Guattari (cfr. ivi, p. 159) - che si trova la definizione di lingua minore, ma è l’agi­ re scmiolinguistico minoritario che, al contrario, definisce il dialetto. Ogni lingua maggiore è lavorata (corrosa), trasfigurata da variazioni continue, provocate da tutte le sue minoranze, che la aprono alla minorità. Sicché le lingue e le semiotiche minori «non sono semplicemente sottolingue, idioletti o dialetti, ma agenti che possono far entrare la lingua maggiore in un divenir minoritario di tutte le sue dimensioni, di tutti i suoi elementi» (ivi, p. 164). 6. Per un approfondimento cfr. Caputo (zoioa).

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pretativo. Sostanza e livelli, però, non vanno confusi, precisa Hjelmslev. «Sembra che i livelli costituiscano, senza tener conto della sostanza considerata, un sistema universale (per il quale occorre ipotizzare, na­ turalmente, possibili lacune nelle realizzazioni concrete), e questo non è certo il caso delle sostanze» (ivi, p. 234; cors. ns.). Ma sostanze e livelli non costituiscono strati diversi, la loro differen­ za non va confusa con quella fra strati (cfr. ivi, p. 235). La descrizione della sostanza - come egli ribadisce in più occasioni - appartiene alla descrizione completa di uno stato di lingua: la descrizione della forma, «esaurita con lo stabilire i glossemi», deve essere accompagnata, «se se ne presenta l’opportunità, da gerarchie di sostanze», ma è anche necessario che «sia preceduta da un’analisi che individui le unità più ampie (quali, ad es., produzioni letterarie, opere, capitoli, paragrafi; premesse e conclusioni ecc.)» (ibid.). Le relazioni contratte dalle categorie appartenenti a queste unità più ampie «sono normalmente delle reciprocità (e più sp